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Italian Pages 232 [228] Year 2016
B I B LIOT ECA D I D R AM M ATURGI A c o l l ana d ir e tta d a a nnamari a cas cetta
stu di · 10.
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L ’ARPA E LA FI O N D A kerr, ihering e la critica teatrale tedesca tra fine ottocento e il nazionalsocialismo T A N C R E D I G U SM A N
PISA · ROM A FABRIZIO SERRA EDITORE MMXVI
La pubblicazione di questo volume ha ricevuto il contributo finanziario dell’Università Cattolica di Milano (D3.1 2014) e del Centro di Ricerca CIT “Mario Apollonio” sulla base di una valutazione dei risultati della ricerca in essa espressi. Con il sostegno di
* A norma del codice civile italiano, è vietata la riproduzione, totale o parziale (compresi estratti, ecc.), di questa pubblicazione in qualsiasi forma e versione (comprese bozze, ecc.), originale o derivata, e con qualsiasi mezzo a stampa o internet (compresi siti web personali e istituzionali, academia.edu, ecc.), elettronico, digitale, meccanico, per mezzo di fotocopie, pdf, microfilm, film, scanner o altro, senza il permesso scritto della casa editrice. Under Italian civil law this publication cannot be reproduced, wholly or in part (included offprints,etc.), in any form (included proofs, etc.), original or derived, or by any means: print, internet (included personal and institutional web sites, academia.edu, etc.), electronic, digital, mechanical, including photocopy, pdf, microfilm, film, scanner or any other medium, without permission in writing from the publisher. * Proprietà riservata · All rights reserved © Copyright 2016 by Fabrizio Serra editore, Pisa · Roma. Fabrizio Serra editore incorporates the Imprints Accademia editoriale, Edizioni dell’Ateneo, Fabrizio Serra editore, Giardini editori e stampatori in Pisa, Gruppo editoriale internazionale and Istituti editoriali e poligrafici internazionali. www.libraweb.net Uffici di Pisa: Via Santa Bibbiana 28, I 56127 Pisa, tel. +39 050 542332, fax +39 050 574888, [email protected] Uffici di Roma: Via Carlo Emanuele I 48, I 00185 Roma, tel. +39 06 70493456, fax +39 06 70476605, [email protected] * Stampato in Italia · Printed in Italy issn 1828-8723 isb n 978-88-6227-816-4 e-isb n 978-8 8-6227-817-1
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ai miei nonni, sisto e maria
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SOMMARIO Prefazione di Mara Fazio Introduzione
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1. la critica teatrale tedesca tra l’inizio del xviii e la fine del xix secolo 25 1. 1. La critica teatrale : una definizione preliminare 1. 2. La nascita delle riviste letterarie e i primi esempi di discorso critico 26 1. 3. Il critico teatrale come giudice e guida : Johann Christoph Gottsched e Gotthold Ephraim Lessing 27 1. 4. Il paradigma romantico : la critica come opera d’arte, il critico come artista 33 1. 5. Il romanticismo e la critica teatrale : Ludwig Tieck e Adolph Müllner 36 1. 6. La restaurazione e il Vormärz : la critica teatrale come critica politica 40 1. 7. La nascita del giornalismo moderno nella seconda metà dell’Ottocento 45 1. 8. Il critico teatrale come storico e cronista : Karl Frenzel 46 1. 9. La critica soggettiva e l’intrattenimento del lettore : il Feuilletonismus e Theodor Fontane 48 1. 10. La critica come avanguardia per il rinnovamento del teatro e della letteratura : il prenaturalismo, i fratelli Hart e Otto Brahm 51
2. alfred kerr e la critica teatrale tedesca tra il 1887 e il 1918 2. 1. La concezione critico-teatrale di Alfred Kerr 57 2. 1. 1. L’infanzia, la formazione e il debutto critico di Alfred Kerr 57 2. 1. 2. Soggettività e impressionismo nella critica teatrale tedesca alla fine dell’Ottocento 62 2. 1. 3. « Meglio essere estratto che limonata » : la sperimentazione linguistica e formale di Alfred Kerr 66 2. 1. 4. « Der Großkritiker » : la funzione della polemica e la posizione del critico teatrale nella società 69 2. 1. 5. « La fionda e l’arpa » : il critico come artista e giudice 72 2. 1. 6. « La beatitudine dell’esistenza ». Gli scritti di viaggio di Alfred Kerr 75 2. 2. Alfred Kerr e il teatro tra il 1891 e il 1918 78 2. 2. 1. Alfred Kerr e il teatro berlinese nell’ultimo decennio del xix secolo 78 2. 2. 2. I parametri di giudizio di Kerr : il dramma e l’imitazione della realtà 80 2. 2. 3. I parametri di giudizio di Kerr : il dramma e il realismo psicologico 82 2. 2. 4. I parametri di giudizio di Kerr : il fine etico del dramma 84 2. 2. 5. La concezione spettacolare di Kerr : la riforma di Otto Brahm 88 2. 2. 6. La rottura con Otto Brahm (1898-1904) 90 2. 2. 7. Il nuovo stile simbolista e i primi giudizi sul teatro di Max Reinhardt 92 2. 2. 8. Gli anni dell’affermazione di Max Reinhardt 95 2. 2. 9. Etica ed estetica : il confronto tra Brahm e Reinhardt negli scritti teatrali di Kerr 96 2. 2. 10. La politica culturale di Brahm e Reinhardt nei giudizi di Kerr 99 2. 2. 11. La figura del regista e il ruolo del testo drammatico nella concezione teatrale di Kerr 100 2. 3. Il “caso Sudermann” e la critica teatrale all’inizio del Novecento 102
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sommario 2. 3. 1. Soggettività ed estetizzazione : la critica teatrale tedesca all’inizio del xx secolo 2. 3. 2. L’intervento di Hermann Sudermann contro la critica teatrale : i primi articoli pubblicati sul « Berliner Tageblatt » 2. 3. 3. La reazione della critica teatrale e i suoi tentativi di legittimazione 2. 3. 4. Il critico come consigliere e collaboratore del drammaturgo : gli ultimi articoli di Sudermann e le risposte della critica teatrale 2. 3. 5. La posizione di Fritz Engel e le ragioni della crisi della critica teatrale secondo Maximilian Harden 2. 3. 6. L’inchiesta della rivista « Kritik der Kritik » : la discussione intorno alla critica teatrale negli anni successivi al “caso Sudermann”
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3. kerr, ihering e la critica teatrale nella repubblica di weimar (1919-1933) 123 3. 1. Weimar 3. 2. Herbert Ihering, dall’infanzia nella provincia tedesca alla critica teatrale nella grande Berlino 123 3. 2. 1. Infanzia e formazione di Herbert Ihering 123 3. 2. 2. Il debutto alla « Schaubühne » e i primi anni di attività critico-teatrale 125 3. 2. 3. Prologo di una battaglia : la prima polemica contro Alfred Kerr e il caso Kerr - Jagow 128 3. 2. 4. Critica e opera d’arte : analisi del primo articolo contro Alfred Kerr 132 3. 2. 5. Tra Vienna e Berlino : l’esperienza come Dramaturg e regista, il ritorno a Berlino e l’affermazione come critico-teatrale 133 3. 2. 6. La Repubblica di Weimar : la nascita della prima democrazia tedesca 137 3. 2. 7. La stampa negli anni della Repubblica 138 3. 3. La battaglia critico-teatrale di Kerr e Ihering dall’espressionismo al teatro epico 141 3. 3. 1. Kerr e Ihering : due paradigmi critico-teatrali 141 3. 3. 2. La scena della rivoluzione : il teatro nei primi anni della Repubblica 143 3. 3. 3. Il lavoro dell’attore, i compiti del critico : l’inizio della polemica tra Kerr e Ihering 146 3. 3. 4. Critica e regia : la produttività della critica nella concezione di Ihering 150 3. 3. 5. La concezione teatrale di Ihering nel testo Der Kampf ums Theater 152 3. 3. 6. Dall’espressionismo al teatro politico : trasformazioni nella scena degli anni venti 155 3. 3. 7. La battaglia per il teatro : Ihering sostenitore di Brecht e Bronnen 156 3. 3. 8. Ihering, Kerr e la polemica intorno al teatro di Bertolt Brecht 160 3. 3. 9. Brecht, Piscator e il dramma d’attualità : Ihering e l’abbozzo di un teatro del futuro 163 3. 4. Teatro, società e politica nella riflessione critica di Ihering e Kerr negli anni di Weimar 165 3. 4. 1. La società di massa e la nuova metropoli : il volto di Berlino negli anni della Repubblica di Weimar 165 3. 4. 2. « Kultur » e « Zivilisation » : l’interpretazione del presente nel pensiero storico-teatrale di Ihering 166 3. 4. 3. Pubblico e teatro nella riflessione di Ihering 169 3. 4. 4. « Die vereinsamte Theaterkritik » : Ihering e la crisi della critica teatrale 172 3. 4. 5. « Kritik der Kritik » : il dibattito sulla crisi della critica su « Der Scheinwerfer » 175 3. 4. 6. Critica, politica e teatro nel pensiero di Ihering 178
sommario
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3. 4. 7. Critica e politica nel pensiero di Kerr 180 3. 4. 8. Kerr e il teatro politico negli anni della Repubblica di Weimar 182 3. 5. Kerr e Ihering dopo il 1933 184 3. 5. 1. Alfred Kerr e gli anni dell’esilio 184 3. 5. 2. Herbert Ihering negli anni del regime nazionalsocialista 189 3. 5. 3. Vita e opere di Ihering dopo il 1945 195 3. 5. 4. Alfred Kerr, Herbert Ihering : il teatro tra poesia e lotta 197
Fonti e bibliografia di riferimento 199 Appendice iconografica 211 Indice dei nomi 221
Desidero ringraziare l’Akademie der Künste di Berlino, in particolare la responsabile dell’Archiv Darstellende Kunst Elgin Helmstaedt, e il Deutsches Literaturarchiv di Marbach, in particolare il responsabile del Cotta-Archiv dott. Helmuth Mojem, per l’attenzione e i suggerimenti con cui hanno reso possibile il mio lavoro di ricerca sulle fonti e sui documenti d’archivio. Desidero esprimere la mia gratitudine nei confronti del Deutscher Akademischer Austauschdienst (daad) per avermi consentito, attraverso un finanziamento semestrale, di effettuare ricerche approfondite presso gli archivi e le biblioteche berlinesi. Vorrei inoltre ringraziare la Deutsche Forschungsgemeinschaft (dfg) per aver sostenuto, attraverso una borsa di studio presso l’Internationales Graduiertenkolleg “InterArt”, il progetto di ricerca iniziato nel contesto del Dottorato in Storia del Teatro Moderno e Contemporaneo dell’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”. Desidero, infine, ringraziare la Prof.ssa Erika Fischer-Lichte per la disponibilità con cui mi ha accolto invitandomi, durante il periodo di ricerca a Berlino, a partecipare alle attività e ai seminari dell’Internationales Graduiertenkolleg “InterArt” presso l’Istituto di Theaterwissenschaft della Freie Universität.
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Annotazioni Tutti i passi tratti da testi in lingua straniera sono presentati, laddove non sia specificato diversamente, nella traduzione italiana dell’autore di questo studio. Abbreviazioni Alcune fonti vengono citate nel testo secondo le abbreviazioni qui di seguito elencate. La sigla utilizzata per la citazione delle raccolte di scritti di Alfred Kerr, Die Welt im Drama e Werke in Einzelbänden, è composta di un numero romano, che si riferisce alla serie o al volume dell’edizione e, in alcuni casi, anche di un numero arabo che indica il volume o il tomo in cui, a loro volta, sono divise le singole serie e volumi. WiD, i/1-5, pp. Alfred Kerr, Die Welt im Drama, in Id., Gesammelte Schriften in zwei Reihen, 7 voll., Berlin, S. Fischer, 1917-1920, s. i, voll. 1-5. WiE, i-vii/1-2, pp. Alfred Kerr, Werke in Einzelbänden, 8 voll., a cura di H. Haarmann, T. Koebner, G. Rühle, M. Rühle, K. Siebenhaar, D. VietorEngländer, Frankfurt a. M., S. Fischer, 1998-2013. KuT, pp. Herbert Ihering, Der Kampf ums Theater und andere Streitschriften 1918 bis 1933, a cura dell’Akademie der Künste der ddr, Berlin, Henschelverlag, 1974. RbB, i-iii, pp. Herbert Ihering, Von Reinhardt bis Brecht. Vier Jahrzehnte Theater und Film, 3 voll., Berlin, Aufbau, 1959-1961.
PREFAZIONE Mara Fazio
F
in dal Settecento il teatro in Germania è un’istituzione riconosciuta da tutti, vissuta come un bene comune. Nel 1767 Lessing, contemporaneamente alla creazione di un Teatro Nazionale, con la Drammaturgia d’Amburgo inaugura la critica teatrale, considerandola un complemento essenziale all’evoluzione dell’arte drammatica. Il critico teatrale si rivolge agli artisti e al pubblico. A questa doppia funzione educativa, volta all’integrazione profonda di teatranti e spettatori, si deve il ruolo che il teatro ha acquisito col tempo in Germania (e che è vivo anche oggi). Il critico non è un recensore, è un intellettuale la cui attività creativa con il Romanticismo viene equiparata a quella dell’artista. A partire da fine Ottocento in Germania il ruolo del critico teatrale si precisa attraverso polemiche e discussioni. Il critico non è mai neutrale. Qualsiasi siano le sue idee, il suo compito è promuovere una nuova poetica della scena, individuare e difendere chi innova, respingere tutto ciò che non contribuisce all’evoluzione teatrale. Il critico deve indicare la direzione dell’arte drammatica. Alzare continuamente il livello artistico della scena. Lavorare per il futuro. Ai primi del Novecento domina nella critica teatrale tedesca, seppure in maniera contrastata, una dimensione soggettiva, che in altro modo riprende l’atteggiamento romantico. Il critico non viene visto come un recensore ma come un autore creativo. Il maggior rappresentante di questa posizione, espressione di un soggettivismo brillante e ironico, è Alfred Kerr, critico dal 1901 al 1919 di “Der Tag” e dal 1919 al 1933 del “Berliner Tageblatt”, quotidiano per la borghesia colta, di orientamento democratico liberale. Kerr non è un giornalista, non è un cronista, è uno scrittore, ebreo, molto noto per i suoi scritti di viaggi e per il suo inconfondibile stile, impressionistico e frammentario, i suoi aforismi, e la sua sferzante ironia. Le sue recensioni, raccolte in diverse edizioni e molto amate dal pubblico, rappresentano un oggetto letterario autonomo rispetto al testo drammatico e allo spettacolo teatrale. Kerr non si considera un giudice ma un artista. Il suo modo di procedere quando scrive una recensione è lo stesso dei racconti di viaggi. Come parlando di una città Kerr evita le descrizioni per ricostruire l’atmosfera della città attraverso i frammenti della propria esperienza, così la recensione teatrale è per lui un’occasione per esprimere le impressioni suscitate da uno spettacolo, dalla creazione artistica. Animato da una forte componente etica e da un grande impegno civile, Kerr è sferzante quando un autore o un regista non corrispondono al fine altamente artistico che egli assegna all’arte drammatica : lavorare per un teatro dell’avvenire. Fin dalle sue prime regie al Deutsches Theater, all’inizio del ‘900, uno dei suoi bersagli preferiti è Max Reinhardt, “il mago di Berlino” che con i suoi colorati spettacoli per lunghi anni avvince il pubblico berlinese. Kerr, formatosi alla scuola del severo realismo di Otto Brahm, lo accusa di disimpegno, di smisurato uso delle strategie di pubblicità e di promozione. Nel 1918 in Germania avviene una svolta epocale. La fine del Reich, la Rivoluzione, la nascita della Repubblica. Una trasformazione integrale che investe naturalmente anche la vita teatrale. I teatri di corte diventano pubblici, nazionali e regionali, la censura viene abolita. Nel generale clima di partecipazione e politicizzazione i critici teatrali prendono parte con incredibile vigore agli scontri politici e teatrali del tempo. Non sono mai osservatori passivi della vita teatrale, diventano protagonisti, agenti del suo sviluppo, capaci di orientare tanto i gusti del pubblico quanto le scelte degli operatori teatrali. Durante gli anni di Weimar la vita teatrale è concentrata a Berlino. È a Berlino che na
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prefazione
sce il nuovo teatro. Mentre Max Reinhardt si allontana momentaneamente dalla capitale arrivano Jessner, Piscator e Brecht. Emerge allora la figura di un giovane critico, Herbert Ihering, di una generazione più giovane di Kerr, che scrive dal 1918 al 1933 sul “Berliner Börsen-Courier”, quotidiano rivolto a un pubblico allargato. La critica per Ihering non è come per Kerr comunicazione delle impressioni soggettive di chi recensisce, ma deve mettersi al servizio della battaglia teatrale, abbandonare ogni velleità estetica, diventare produttiva. Come scrive Tancredi Gusman, « Ihering inizia a porre le basi di un pensiero critico che trova il proprio fondamento nell’oggetto della discussione e non nel soggetto dell’enunciazione ». Negli anni della Repubblica Ihering diventa il più acuto e attento interlocutore dei movimenti che si succedono sulle scene tedesche : dalle varie correnti dell’Espressionismo e del teatro politico alla Neue Sachlichkeit. La guerra fra Kerr e Ihering, entrambi di orientamento democratico e progressista, ma rappresentanti di due antitetici modi di intendere la critica teatrale, anima tutta la vita teatrale della Repubblica fino all’avvento di Hitler. La loro polemica, la loro battaglia esteticoculturale riempie le pagine dei giornali e appassiona il pubblico colto per più di dieci anni. Lo scontro non nasce da un diverso giudizio sui singoli spettacoli, autori, attori, registi, quanto da un opposto modo di considerare il senso della loro professione e del lavoro teatrale. Entrambi difendono il diritto alla non neutralità della critica, vogliono individuare e sostenere chi innova e non limitarsi a descrivere. Ma mentre per Kerr il centro del teatro resta il testo drammatico, che lui analizza con uno sguardo personale, soggettivo, Ihering, anticipando una tendenza che diverrà molto diffusa decenni dopo, negli anni ’70, assume il ruolo di un operatore culturale. Per lui la critica è un’occasione per costruire un confronto e un dialogo con il mondo della scena e delle sue arti, in primis della regia, strumento indispensabile in grado di completare il testo che, pari a uno spartito, si compie e si manifesta solo nella sua traduzione scenica. La differenza fra i due critici era visibile anche nel linguaggio. La prosa di Kerr era una prosa da narratore. La prosa di Ihering era asciutta, analitica, volutamente sobria. Kerr era stato e in fondo rimase sempre un sostenitore del naturalismo di Otto Brahm, Ihering fu lo scopritore di Brecht. Con la comparsa sulle scene tedesche di Bertolt Brecht la distanza fra i due critici e le loro visioni si radicalizza. Nel 1922, dopo aver assistito a Monaco alla messinscena di Tamburi nella notte, Ihering scrive una recensione memorabile in cui dichiara che con Brecht si era aperta una nuova era nel teatro tedesco. Da allora fino all’avvento di Hitler, Ihering diventa il sostenitore ufficiale di Brecht. Attacca la critica “culinaria” come Brecht ironizza sul teatro “culinario”. E’ un sostenitore della sobrietà del suo linguaggio, del distacco critico del teatro epico, della nuova forma drammatica, dell’idea brechtiana di prendere come modello teatrale la boxe. Grazie a Ihering nel 1922 Brecht ottiene il premio Kleist, il più importante riconoscimento che un autore potesse ricevere in Germania. Quando nello stesso anno Tamburi nella notte viene rappresentato a Berlino, Brecht diventa immediatamente oggetto di scherno e di sferzanti attacchi sarcastici da parte di Kerr, per il quale era impossibile aderire a un teatro anti-illusionistico ed escludere la componente emotiva. Kerr, anche in parte per opporsi a Ihering, manterrà la sua posizione brechtiana fino alla fine della Repubblica. Eppure Kerr non era un reazionario. Non era contro il teatro politico. Kerr non riconosce Brecht ma partecipa al processo di politicizzazione del teatro, ama Toller, sostiene Jessner e Piscator. Crede nel progresso, ma lo concepisce come un movimento ininterrotto, senza soluzioni di continuità rispetto al passato. Per Ihering, invece, la guerra e la Rivoluzione avevano prodotto in Germania una discontinuità che rendeva impossibile l’idea di un progresso continuo. Bisognava ricominciare da capo per parlare di un’epoca nuova.
Un’età del mondo è alla fine. Inizia un nuovo computo del tempo.
Negli anni ’20 il teatro tedesco diventa Zeittheater, teatro di attualità. Drammi (Toller,
prefazione
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Kaiser, Hasenclever) e regie (Jessner, Piscator, Martin) si concentrano sul presente. Ihering accentua la sua prospettiva sociologica e si schiera per un teatro che superando i conflitti privati e psicologici dell’epoca precedente si interessi dei problemi oggettivi e collettivi del tempo. Vuole che la critica teatrale si sganci dalla letteratura per diventare una scienza sociale in grado di analizzare il pubblico e trasmettere una conoscenza delle sue caratteristiche, della sua composizione, dei suoi gusti. Così Ihering diventa un critico militante, mentre Kerr rimane uno scrittore impegnato, in prima linea contro l’ascesa del nazionalsocialismo, ma per il quale la rappresentazione teatrale continua a non essere il fine, ma solo l’occasione della rappresentazione critica. Cosa fa l’autore drammatico ? Travolge, risveglia, rende riflessivi e benevoli, ammonisce, diletta, rende beati (quando può farlo) attraverso una vicenda e la sua messa in forma. E il critico ? Travolge, risveglia, rende riflessivi e benevoli, ammonisce, diletta, rende beati… attraverso un giudizio e la sua messa in forma.
All’indomani dell’avvento di Hitler le strade di Kerr e di Ihering si separano. Kerr, che era ebreo, emigra immediatamente e dopo una peregrinazione per l’Europa si stabilisce in Inghilterra. In esilio la dimensione etica e civile che lo aveva sempre animato diventa centrale. Non può più fare il critico, ma continua a scrivere e attacca duramente tutti gli artisti e gli intellettuali che non hanno il coraggio di opporsi al nazismo. Tra questi c’è anche Herbert Ihering, rimasto in Germania per tutti gli anni del regime e che fino al 1936 esercita il mestiere di critico. Nel 1948, non volendo sopravvivere alle devastanti conseguenze di un ictus, Kerr si toglie la vita. Dividendo la sua vita tra l’attività di Dramaturg e critico a Berlino est e la sua casa a Berlino ovest, Ihering gli sopravviverà quasi 30 anni, fino al 1977. Questa è la storia, ricostruita attraverso recensioni, scritti e documenti d’archivio, che Tancredi Gusman racconta in questo libro. Un libro che attraverso l’analisi delle idee di due personalità di eccezionale livello intellettuale, evoca la storia di un’epoca straordinaria in cui il teatro era un bene condiviso, essenziale. A Berlino – ha scritto Ihering – il teatro apparteneva agli organi di respiro della città, era una parte della sua identità, necessario come le strade, le metropolitane, gli appartamenti, i ristoranti, necessario come la Sprea, il Wannsee e il Grunewald, necessario come il lavoro, le fabbriche e Potsdam, necessario, dunque ovvio come lei stessa.
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INTRODUZIONE
I
l rischio cui è sottoposto uno studio di storia della critica teatrale è quello di credere che essa sia oggetto di interesse per lo storico del teatro soltanto in quanto documento per la ricostruzione delle messinscene del passato. Non si vuole qui certo mettere in discussione l’importanza della critica teatrale come fonte per la conoscenza della storia del teatro, bensì negare l’idea che essa sia soltanto una testimonianza, mera traccia di un evento che ha vissuto nello spazio di una serata. Questa concezione poggia, infatti, su alcune incomprensioni della sua natura e della sua funzione. La prima, più semplice e ricorrente, è che le recensioni siano un documento immediatamente utilizzabile dallo storico. Questa visione emerge, ad esempio, nella metafora dello specchio che Günther Rühle propone nell’introduzione alla raccolta, da lui curata, delle critiche teatrali scritte in Germania tra il 1917 e il 1933 : « Può lo specchio di quest’epoca essere ricomposto a partire dai cocci che si sono conservati ? Cocci : nient’altro che questo sono le critiche di quest’epoca, di cui qui viene presentata una selezione ». 1 Ma ogni specchio ha il suo indice di riflessione : l’immagine della realtà che vi si può vedere dipende dalla forma e dalle caratteristiche morfologiche del piano di riflessione. Le critiche teatrali non sono frammenti neutrali di un’epoca, ma testi dotati di una storicità che va interpretata e resa leggibile. Perché le recensioni siano accessibili come fonti devono, dunque, essere rese esplicite le categorie di giudizio dei critici. Nel far questo si rischia però di incorrere in una seconda incomprensione, più sottile e insidiosa : l’idea che sia possibile distillare la poetica di un critico distinguendo, nell’analisi, il contenuto descrittivo dal giudizio estetico. Ma ogni descrizione è densa e dipende dallo sguardo individuale del critico teatrale. Ciò che egli osserva sulla scena e decide di descrivere nello spazio della recensione non è che una parte di ciò che ha potuto vedere, quella parte che egli ritiene sostanziale per cogliere l’essenza di quel determinato evento teatrale. Lo spettacolo non è un dato oggettivo separabile dalla sua rappresentazione critica, bensì una creazione storica aperta al mutamento dello sguardo e dell’interesse di coloro che la osservano. Le più grandi trasformazioni nella storia dell’arte e del teatro esistono compiutamente soltanto nel momento in cui qualcuno è in grado di dare loro un nome e una forma concettuale. La riflessione non è un atto meramente passivo : essa non produce, infatti, soltanto conoscenza ma, rendendo l’artista consapevole del proprio percorso, ne influenza attivamente l’azione. Per questa ragione la critica teatrale deve essere considerata una parte viva della storia del teatro e delle sue evoluzioni, come lo sono le opere dei grandi teorici della scena. Questo è vero, in particolare, in Germania. Qui, come forse in nessun altro paese del mondo, il teatro è stato, da Lessing e Schiller fino ad oggi, un istituto di formazione civile e morale. Per il pubblico tedesco la scena non è un luogo marginale di ricreazione e svago bensì un pilastro nella vita della comunità. L’importanza che lo sviluppo della stampa ha assunto nella formazione della borghesia tedesca e del suo concetto di spazio pubblico ha permesso di assegnare all’istituzione critica un ruolo primario e complementare a quello attribuito al teatro. Il critico, in Germania, non è un semplice reporter, bensì un intellettuale dotato di un pensiero autonomo e garante del livello della produzione artistica. Dalla Drammaturgia d’Amburgo di Lessing alla lotta di Brahm e Schlenter per il naturalismo teatrale fino alla battaglia di Ihering per Brecht, la critica teatrale tedesca è stata, a fianco di registi, attori e autori drammatici, un elemento determinante nello sviluppo del teatro.
1 Theater für die Republik im Spiegel der Kritik (1917-1933) (1967), 2 voll., a cura di G. Rühle, Berlin, Henschelverlag, 1988, vol. i, p. 37.
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introduzione
Una vitalità il cui riflesso si può scorgere anche nei numerosi scontri polemici che ne hanno segnato la storia. Questa funzione sociale e intellettuale non si è certo spenta con la temporanea messa fuori legge dell’attività critica negli anni del regime nazionalsocialista. Dopo la fine della seconda guerra mondiale la critica teatrale in Germania ha conosciuto una nuova fioritura. Per comprendere l’influsso e l’importanza che ancora oggi essa possiede nella società tedesca è utile ricostruire brevemente un piccolo scandalo accaduto qualche anno fa nel teatro comunale di Francoforte. Nel febbraio del 2006, durante la messinscena del testo di Ionesco Das große Massakerspiel. Oder Triumph des Todes, un attore, Thomas Lawinky, coinvolge il critico della « Frankfurter Allgemeine Zeitung » Gerhard Stadelmaier nello spettacolo strappandogli dalle mani il quaderno di appunti e domandando ironicamente « vediamo un po’ cosa scrive questo tizio ». Dopo aver ricevuto il quaderno indietro, Stadelmaier, visibilmente seccato, decide di alzarsi e di uscire dal teatro, e viene per questo apostrofato volgarmente da Lawinky. L’attore, nei giorni successivi, è costretto a licenziarsi, mentre esplode, sui giornali e nei teatri, un accesso dibattito. Qualsiasi sia il giudizio su quanto accaduto, un fatto emerge in modo indiscutibile : la critica è, in Germania, ancora un’istituzione centrale e inviolabile. Come scrive Stadelmaier due giorni dopo lo spiacevole episodio : « Chi attacca, insulta e ingiuria il critico, attacca, insulta e ingiuria gli spettatori : il carattere pubblico del teatro ». 1 Il nostro studio è dedicato a due critici teatrali tedeschi, Alfred Kerr e Herbert Ihering. Il fulcro della loro attività si colloca tra il 1887 e il 1933, in un’epoca, dunque, cruciale per la storia del teatro tedesco ed europeo. Intorno alla svolta del secolo il dibattito sull’essenza del teatro impegna numerosi artisti e teorici della scena. Sono gli anni della nascita della regia, del successo di Max Reinhardt e dell’emancipazione dell’arte teatrale dalla letteratura : un passaggio sancito dalla creazione, da parte di Max Herrmann, di una scienza del teatro (Theaterwissenschaft) indipendente dalla scienza letteraria. Ma il dibattito intorno alla sostanza ultima dell’arte teatrale non è l’unico tema che contraddistingue la storia teatrale di questo quarantennio. La guerra mondiale, la rivoluzione del 1918 e la successiva nascita della democrazia in Germania spostano l’attenzione degli artisti e del pubblico dal piano del discorso estetico a quello dell’intervento politico e sociale. Il teatro diventa, come mai prima d’ora, una tribuna politica, luogo di confronto, discussione e scontro e ad esso viene affidata la speranza di favorire il cambiamento dell’uomo e della società. Kerr e Ihering sono senza dubbio i due critici teatrali più noti e importanti di questi decenni. Una posizione di prestigio che non viene riconosciuta loro solo a posteriori, ma che corrisponde alla percezione che di essi hanno i contemporanei. In una vivace dialettica con i fermenti teatrali e artistici del tempo essi elaborano, infatti, i due modelli di critica teatrale più imitati, combattuti ed efficaci dell’epoca. Nei loro testi emerge il bisogno di definire il ruolo del critico con lo stesso impegno con cui solitamente si definiscono i compiti dell’artista. La ragione è evidente : il rinnovamento della funzione del critico è da loro considerata come una parte essenziale del rinnovamento teatrale. Kerr, più anziano di una generazione, sviluppa il proprio pensiero sotto l’influenza delle proposte e delle innovazioni che egli osserva sulla scena berlinese della fine dell’Ottocento. Alla critica egli assegna il valore di un’opera d’arte, affidandole al contempo una funzione etica e politica. Le sue recensioni e i suoi scritti, di straordinario livello letterario, conquistano rapidamente un ampio pubblico di lettori. Ihering, giunto per la prima volta a Berlino nel 1907, dopo una breve parentesi come regista e Dramaturg alla Volksbühne di Vienna tra il 1914 e il 1918, sviluppa, durante gli anni venti, un modello di critica militante che lo porta a rivestire un ruolo fondamentale nell’affermazione di Brecht e delle più importanti avanguardie teatrali. Alfred Kerr e Herbert Ihering, la critica come poesia e la critica come organo concettuale del fare teatrale : due strategie intellettuali opposte che si scontrano, negli anni della
1
G. Stadelmaier, Angriff auf einen Kritiker, « Frankfurter Allgemeine Zeitung », 18 febbraio 2006.
introduzione
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Repubblica di Weimar, dando vita a uno dei dibattiti più seguiti e avvincenti nella storia della critica teatrale tedesca. Un dibattito attraverso cui si possono cogliere, in modo chiaro e perspicuo, gli interrogativi e le tensioni che attraversano questa fase centrale nella storia del teatro e della società tedeschi. Il lavoro dei due critici, a partire dai primi anni cinquanta, è stato oggetto di diversi studi, quasi tutti di lingua tedesca. La maggior parte di essi è dedicata ad Alfred Kerr, come il volume di Hubertus Schneider 1 e la dissertazione dottorale di Isabella Herskovics, 2 che offrono una ricostruzione dettagliata del pensiero di Kerr, o come la recente monografia di Alexander Horn, 3 rivolta a un’indagine sistematica della concezione e della riflessione del critico sul linguaggio. Per quanto riguarda Herbert Ihering, accanto a brevi saggi, sono disponibili, invece, soltanto due lavori ampi e dettagliati : la dissertazione dottorale di Ursula Krechel, 4 che, nonostante l’atteggiamento analitico, risulta appesantita da un impianto concettuale eccessivamente generalizzante, e la recente dissertazione dottorale di Fee Isabelle Lingnau, che tenta, sulla scorta degli scritti di Ihering, di sviluppare una teoria della critica produttiva, muovendo, però, da un impianto teorico e metodologico piuttosto fragile e senza riuscire a offrire nuove prospettive di indagine agli studi sul critico. 5 Negli ultimi anni è possibile notare, tuttavia, accanto alla grande attenzione suscitata dalle nuove edizioni delle opere e degli scritti di Kerr, 6 un crescente interesse verso la figura di Ihering, come mostra la pubblicazione di due nuove raccolte di suoi scritti 7 e di un volume di saggi dedicati alla sua biografia. 8 Sul confronto tra i due critici, nonostante esso rivesta un notevole interesse storiografico, esistono invece esclusivamente due studi. Il primo, la tesi di dottorato presentata da Joachim Biener nel 1973 alla Humboldt Universität di Berlino est, malgrado un’indagine estesa e rigorosa, risente, nell’interpretazione dei due modelli critici, di un apparato marxista caratterizzato in maniera fortemente ideologica. 9 Il secondo, la monografia di Lothar Schöne, 10 pur offrendo una buona visione d’insieme del clima intellettuale e artistico dell’epoca, resta piuttosto generico e superficiale nella ricostruzione del pensiero dei due critici e della polemica che li vede opposti. In quest’ultimo lavoro risulta, inoltre, assente una valutazione approfondita e documentata del ruolo
1 Cfr. H. Schneider, Alfred Kerr als Theaterkritiker. Untersuchung zum Wertsystem des Kritikers, 2 voll., Rheinfelden, Schäuble, 1984. 2 Cfr. I. Herskovics, Alfred Kerr als Kritiker des Berliner Tageblattes 1919-1933. Grenzen und Möglichkeiten einer subjektiv geprägten Publizistik, 2 voll., Diss., Freie Universität Berlin, 1990. 3 Cfr. A. Horn, „...Mein ist die Sprache“. Sprachkritik und Sprachkonzept Alfred Kerrs, Berlin, Erich Schmidt, 2014. 4 Cfr. U. Krechel, Information und Wertung. Untersuchungen zum theater- und filmkritischen Werk von Herbert Ihering, Diss., Köln, 1972. 5 Cfr. F. I. Lingnau, Theaterkritik. Praxis und Theorie ihrer produktiven Möglichkeiten am Beispiel Herbert Iherings, Diss., Leipzig, 2013. 6 Cfr. la nuova edizione delle opere di Kerr [A. Kerr, Werke in Einzelbänden, 8 voll., a cura di H. Haarmann, T. Koebner, G. Rühle, M. Rühle, K. Siebenhaar, D. Vietor-Engländer, Frankfurt a. M., S. Fischer, 1998-2013 (Nel corso del lavoro citato con la sigla WiE. Si veda in proposito la tavola delle abbreviazioni)] e le due raccolte dei Berliner Briefe (Lettere berlinesi) pubblicate da Kerr tra il 1895 e il 1900 sulla « Breslauer Zeitung » e sulla « Neue Hamburger Zeitung » [Cfr. A. Kerr, Wo liegt Berlin ? Briefe aus der Reichshauptstadt 1895-1900, a cura di G. Rühle, Berlin, Aufbau, 1997 e A. Kerr, Warum fließt der Rhein nicht durch Berlin ? Briefe eines europäischen Flaneurs 1895-1900, a cura di G. Rühle, Berlin, Aufbau, 1999]. Ancora in corso di elaborazione è invece l’edizione dei Berliner Briefe pubblicati da Kerr sulla « Königsberger Allgemeine Zeitung » fino al 1922 [Cfr. infra, 2. 1. 2, p. 65, nota 3]. 7 Cfr. H. Ihering, Umschlagplätze der Kritik. Texte zu Kultur, Politik und Theater, a cura di S. Göschel, C. Kirschstein e F. I. Lingnau, Berlin, Vorwerk 8, 2010 e H. Ihering, Herbert Ihering : Filmkritiker, a cura di K. Herbst-Meßlinger, München, Text+Kritik, 2011. 8 Cfr. S. Göschel, C. Kirschstein, F. I. Lingnau, Überleben in Umbruchzeiten. Biographische Essays zu Herbert Ihering, Leipzig-Berlin, Horlemann, 2012. 9 Cfr. J. Biener, Alfred Kerr und Herbert Ihering. Ein Beitrag zur Geschichte der neueren Theaterkritik, 2 voll., Diss., Humboldt Universität Berlin, 1973. 10 Cfr. L. Schöne, Neuigkeiten vom Mittelpunkt der Welt. Der Kampf ums Theater in der Weimarer Republik, Darmstadt, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, 1994.
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che i mutamenti estetici e organizzativi del teatro tedesco esercitano sullo sviluppo della concezione critica e teatrale di Kerr e Ihering. Considerata l’incompletezza della letteratura scientifica sull’argomento, la nostra ricerca si è proposta di individuare le categorie interpretative dei due critici e di inserirle nella discussione teatrale dell’epoca, mostrando, al contempo, il ruolo e i compiti che essi attribuiscono alla critica teatrale. Tenendo conto della natura complessa e stratificata della rappresentazione critico-teatrale abbiamo scelto, in sede metodologica, di non ridurre questo studio a un mero elenco dei giudizi espressi da Kerr e Ihering. Questa impostazione analitica, prevalente nella letteratura secondaria, non è in grado di restituire la specificità del loro pensiero teatrale né di illustrare adeguatamente il ruolo che la loro riflessione gioca nella storia del teatro e dello spettacolo. Nei lavori organizzati in questo modo, infatti, viene offerta una lista delle opinioni dei critici ma non viene data la chiave per comprenderne il significato. Senza tentare alcuna forzatura, abbiamo perciò voluto presentare il pensiero di Kerr e Ihering come un sistema complesso e organico, nel quale i singoli giudizi non sono indipendenti uno dall’altro, ma legati da una coerenza interna che è fondata nelle rispettive idee di teatro e di critica. I singoli giudizi di Kerr e Ihering prendono forma, infatti, a partire da una concezione della creazione artistica e della riflessione critica, e da una chiara visione della funzione del teatro e della sua relazione con la società. Soltanto illustrando il loro pensiero come un tutto irriducibile alla somma delle sue parti, l’esposizione di questo dibattito può rappresentare un contributo produttivo alla storia del teatro e della critica teatrale in Germania. Per comprendere le radici e l’originalità di Kerr e Ihering, abbiamo ritenuto essenziale presentare, inoltre, in via introduttiva e preliminare, una breve storia della critica teatrale tedesca dalla sua nascita, nell’epoca dei lumi, fino alla fine dell’Ottocento. In questa ricostruzione abbiamo incontrato una difficoltà fondamentale : l’assenza di una storia complessiva della critica teatrale tedesca. Su quest’argomento, infatti, esistono lavori di carattere per lo più monografico, rivolti all’approfondimento dell’opera di singoli critici teatrali o di momenti storici determinati. Uno tra gli studi più recenti, quello di Heike Adamski sui critici teatrali della Repubblica di Weimar, 1 è riuscito a presentare un’analisi più convincente grazie a una ricostruzione complessa delle scuole e delle tendenze di questi anni. Manca, tuttavia, nella letteratura secondaria, un lavoro che mostri le linee di sviluppo generali della critica teatrale tedesca. Persino l’importante raccolta di saggi sulla storia della critica teatrale curata da Gunther Nickel 2 risente, sotto questo aspetto, di una certa frammentarietà : i contributi qui raccolti, tutti dedicati all’analisi di singole figure o periodi significativi, sono, infatti, giustapposti più che collegati da un disegno complessivo. Le uniche opere in grado di dare una visione dell’evoluzione storica del mestiere critico e dei suoi diversi paradigmi, sono, invece, le opere dedicate alla storia della critica letteraria. Tra queste ricordiamo, ad esempio, il monumentale lavoro di René Wellek, A history of modern criticism 1750-1950, 3 e l’introduzione alla storia della critica letteraria curata da Thomas Anz e Rainer Baasner Literaturkritik. Geschichte, Theorie, Praxis. 4 Tra gli studi dedicati alla critica letteraria si sono rivelati particolarmente preziosi due contributi di Russel Berman : l’ampio studio intitolato Between Fontane and Tucholsky. Literary Criticism and the Public Sphere in Imperial Germany, 5 e il saggio, sul medesimo argomento,
1 Cfr. H. Adamski, Diener, Schulmeister und Visionäre. Studien zur Berliner Theaterkritik der Weimarer Republik, Frankfurt a. M., Lang, 2004. 2 Cfr. Beiträge zur Geschichte der Theaterkritik, a cura di G. Nickel, Tübingen, Francke, 2007. 3 Nel nostro lavoro ci siamo serviti dell’edizione tedesca dello studio. R. Wellek, Geschichte der Literaturkritik 1750-1950, 4 voll., trad. ted. di E. e M. Lohner (vol. i), C. e G. Ueding (vol. ii), L. Rüdiger (vol. iii), A. e M. Brunkhorst (vol. iv), Berlin-New York, de Gruyter, 1977-1990. 4 Literaturkritik. Geschichte, Theorie, Praxis, a cura di T. Anz, R. Baasner, München, Beck, 2007. 5 R. A. Berman, Between Fontane and Tucholsky. Literary Criticism and the Public Sphere in Imperial Germany, New York, Lang, 1983.
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Literaturkritik zwischen Reichsgründung und 1933. In questi lavori Berman descrive in modo estremamente perspicuo le tendenze che si affermano nella storia della critica tra la fine del xix secolo e i primi decenni del xx secolo, dedicando grande spazio e attenzione alla critica teatrale. Per questa ragione abbiamo deciso, nella scelta delle figure e dei paradigmi esemplari della critica di fine Ottocento, di seguire la sua linea ermeneutica e le sue ipotesi storiografiche. Berman descrive, poi, con grande precisione, la dialettica interna al pensiero di Kerr e per interpretare la sua concezione critica utilizza il concetto di « estetizzazione della critica letteraria ». Con questo concetto, divenuto una categoria centrale nella storiografia critica dell’inizio del Novecento, egli descrive l’attribuzione di un valore artistico alla critica letteraria e la inscrive in una strategia più complessa di legittimazione dell’attività critica. Nella nostra indagine abbiamo ripreso questa tesi e la abbiamo utilizzata come una delle principali chiavi per l’interpretazione dell’opera di Kerr e del dibattito critico-teatrale di inizio Novecento. In questi lavori manca, tuttavia, un chiarimento approfondito della differenza che intercorre tra la critica teatrale e la critica letteraria. Il teatro non è letteratura. L’oggetto del critico teatrale, lo spettacolo, possiede delle caratteristiche materiali, fenomenologiche e socio-economiche profondamente diverse dal libro, oggetto della critica letteraria. Le ricostruzioni di storia della critica letteraria non hanno potuto contribuire, perciò, all’esplicazione del carattere “teatrale” del lavoro di Kerr e Ihering. Un aggettivo, “teatrale”, che in un periodo di profondo ripensamento del significato della scena, come è quello qui preso in considerazione, non è un attributo secondario del sostantivo “critica” ma un fattore essenziale nella sua determinazione. Con questo studio ci siamo proposti, perciò, di presentare, per la prima volta in modo organico in Italia, il pensiero critico-teatrale di Kerr e Ihering. Mostrando il loro indissolubile legame con la storia della scena e delle sue evoluzioni, abbiamo inoltre cercato di offrire un contributo alla storia del teatro tedesco di cui la critica teatrale è una parte essenziale. Le fonti principali per questo lavoro sono state le recensioni e i saggi teatrali dei due critici, molti dei quali si trovano pubblicati in edizioni critiche e raccolte di scritti. Per ciò che concerne l’opera di Kerr si sono rivelate di particolare importanza l’edizione in cinque volumi degli scritti teatrali curata dal critico stesso nel 1917 2 e la recente edizione delle opere curata, tra gli altri, da Günther Rühle. 3 Per quanto riguarda Ihering ci siamo serviti, invece, principalmente della raccolta in tre volumi delle critiche teatrali scritte tra il 1909 e il 1932, 4 pubblicata tra il 1958 e il 1961, e dell’edizione degli scritti teatrali Der Kampf ums Theater und andere Streitschriften 1918 bis 1933, apparsa circa un decennio più tardi. 5 Un’altra fonte preziosa per la nostra ricostruzione sono state le tre raccolte che presentano una selezione di critiche teatrali scritte in Germania tra la fine del xix secolo e la fine della Repubblica di Weimar : i due volumi curati da Günther Rühle, Theater für die Republik, 6 la raccolta curata da Norbert Jaron, Renate Möhrmann, e Hedwig Müller, Berlin – Theater der Jahrhundertwende 7 e l’edizione curata da Hugo Fetting, Von der Freien Bühne zum 1
1 R. A. Berman, Literaturkritik zwischen Reichsgründung und 1933, in Geschichte der deutschen Literaturkritik (1730-1980), a cura di P. U. Hohendahl, Stuttgart, Metzlersche, 1985, pp. 205-274. 2 Cfr. A. Kerr, Die Welt im Drama, in Id., Gesammelte Schriften in zwei Reihen, 7 voll., Berlin, S. Fischer, 1917-1920, s. I, voll. 1-5 [Nel corso del lavoro citato con la sigla WiD. Si veda in proposito la tavola delle abbreviazioni]. 3 Cfr. A. Kerr, Werke in Einzelbänden, cit. 4 Cfr. H. Ihering, Von Reinhardt bis Brecht. Vier Jahrzehnte Theater und Film, 3 voll., Berlin, Aufbau, 19591961 [Nel corso del lavoro citato con la sigla RbB. Si veda in proposito la tavola delle abbreviazioni]. 5 H. Ihering, Der Kampf ums Theater und andere Streitschriften 1918 bis 1933, a cura dell’Akademie der Künste der ddr, Berlin, Henschelverlag, 1974 [Nel corso del lavoro citato con la sigla KuT. Si veda in proposito la tavola delle abbreviazioni]. 6 Theater für die Republik im Spiegel der Kritik (1917-1933), a cura di G. Rühle, cit. 7 Berlin – Theater der Jahrhundertwende. Bühnengeschichte der Reichshauptstadt im Spiegel der Kritik (18891914), a cura di N. Jaron, R. Möhrmann, H. Müller, Tübingen, Niemeyer, 1986.
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politischen Theater. Numerosi scritti e recensioni che non sono presenti in queste raccolte, sono stati, infine, il frutto di una ricerca sulle riviste e i quotidiani dell’epoca, che abbiamo potuto consultare, insieme ad altri preziosi documenti, grazie alla gentile disponibilità dell’archivio delle arti rappresentative dell’Akademie Der Künste di Berlino, dove sono conservati i lasciti di Kerr e Ihering, e del Deutsches Literaturarchiv di Marbach. 1
1
Von der Freien Bühne zum politischen Theater, 2 voll., a cura di H. Fetting, Leipzig, Reclam, 1987.
1. La critica teatrale tedesca tra l’inizio del xviii e la fine del xix secolo 1. 1. La critica teatrale : una definizione preliminare
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er tracciare una storia della critica teatrale tedesca è necessario definire con precisione l’oggetto del discorso. Quando parliamo di critica teatrale intendiamo, infatti, un’attività i cui tratti sono per noi ben noti : il critico è un giornalista professionista, o esperto del settore teatrale, che dedica brevi testi, sulle pagine culturali di quotidiani o riviste, a un evento teatrale attuale, come una determinata messinscena o un festival. Lo scopo primario del critico è informare il pubblico e offrire su questo evento un giudizio personale, la cui autorevolezza è sancita dalla firma posta in calce al pezzo. Ma perché questa figura di mediazione tra l’evento teatrale e il pubblico si determini nei modi a noi più familiari sono necessarie alcune condizioni. Nella nostra breve definizione troviamo, infatti, alcuni elementi determinanti per definire questa attività. Una prima condizione essenziale perché ci sia una critica teatrale è l’esistenza dei giornali e delle riviste, e, insieme ad esse, del concetto di attualità, che permette di distinguere i prodotti della critica teatrale dalle riflessioni di carattere accademico e filologico. La critica teatrale è, inoltre, una pratica che si pone all’interno di una sfera pubblica e presuppone l’esistenza di una società di potenziali lettori, partecipe della vita culturale della comunità. Ma perché il critico sia tale egli deve distinguersi da questo pubblico. La separazione dei ruoli è una seconda condizione essenziale per la formazione della figura critica : da una parte un pubblico interessato ma inesperto, dall’altra una pratica artistica specializzata e, nel mezzo, un mediatore che grazie al suo sapere, o alla sua straordinaria sensibilità, offre strumenti di informazione e giudizio. Ovviamente i giornali possono ospitare anche lettere del pubblico o interventi di artisti, ma questa polarizzazione delle funzioni è fondamentale per determinare la specificità della funzione critica : un esperto giudica un’opera d’arte prodotta nell’immediato presente per un pubblico che si informa attraverso la stampa quotidiana e periodica. Ma gli elementi sottolineati fino a questo punto sono comuni, in fondo, a tutte le forme di esercizio critico, la critica artistica, letteraria e teatrale. Perché si possa parlare di una critica specificamente teatrale è, allora, necessario che si realizzi un’ulteriore condizione : l’oggetto del discorso critico deve essere pertinente a un determinato evento scenico, o agli aspetti semiotici che ne definiscono la specificità, come la recitazione o, più recentemente, la regia e l’apparato scenografico. Si rivela dunque particolarmente utile la seguente definizione di Michael Merschmeier :
La critica teatrale è una forma verbale di descrizione e giudizio di un processo/evento teatrale, fissata solitamente per iscritto e pubblicata in riferimento a un oggetto d’analisi temporalmente circoscritto, e che tiene conto delle condizioni di produzione e di percezione che sono essenziali per questo evento, tanto dal punto di vista generale (e cioè nella sua dimensione estetica) quanto dal punto di vista singolare (e cioè per quanto concerne le particolari circostanze di ciascuna concreta messinscena). Essa descrive e giudica non soltanto il progetto letterario all’origine del processo teatrale, ma questo stesso processo nel suo carattere di fenomeno transitorio, costituito attraverso determinati momenti processuali e segnici e prodotto attraverso la partecipazione degli attori, delle tecnologie sceniche e della regia (in aggiunta rispetto allo spazio temporalmente circoscritto dell’oggetto di analisi). L’autore della critica normalmente non corrisponde né al normale destinatario né al produttore. La critica teatrale come parte della vita culturale e letteraria (e quindi anche dell’opinione pubblica) si è sviluppata a partire dal presupposto necessario della differenziazione del produttore (attore etc.) e del destinatario (spettatore/pubblico). Soltanto a partire da questa differenziazione la posizione e la funzione della critica teatrale e del critico come
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istanza di mediazione diviene possibile e necessaria. Un altro requisito è la nascita o la presenza di teatri stabili e di una speciale forma di opinione pubblica (quotidiani e riviste), perché senza di essi la critica teatrale, in quanto creazione giornalistica, non sarebbe sorta o perlomeno non sarebbe pensabile nella forma attuale. 1
Tenendo fermi questi parametri, che ci permettono di determinare il fenomeno e distinguerlo da attività simili o affini, il nostro obiettivo sarà individuare i modi in cui si è espressa la critica teatrale tedesca dai suoi primordi nel Settecento fino alla nascita del critico teatrale come giornalista professionista nella seconda metà dell’Ottocento. Una ricostruzione esaustiva della storia di quest’attività esula, tuttavia, dai nostri scopi e dallo spazio a nostra disposizione. Il nostro percorso si articolerà, perciò, attraverso le figure e i paradigmi che, nella storia della critica teatrale tedesca, hanno rappresentato un modello esemplare e hanno posto le linee guida del suo sviluppo. 1. 2. La nascita delle riviste letterarie e i primi esempi di discorso critico « Quanto è antica la critica teatrale ? », si chiede Oskar Eberle nell’intervento pubblicato nel 1951 sullo « Schweizer Theater-Jahrbuch », e, se si elencano i diversi esempi di partecipazione critica che hanno accompagnato il teatro in tutti i momenti e i luoghi della sua espressione, la risposta non può essere altro che « esattamente antica quanto il teatro ». 2 Ma la critica teatrale esercitata in modo professionale e definita dalle caratteristiche da noi appena elencate è una pratica che nasce in Europa e le condizioni della sua genesi sono da ricercare, tra il xvii e il xviii secolo, nello sviluppo della stampa periodica e quotidiana e nell’affermazione dell’illuminismo :
Perciò non è la critica teatrale in sé bensì soltanto la critica teatrale professionale, quella che si affida all’inchiostro da stampa, a essere un contributo dell’illuminismo europeo. E i suoi presupposti sono l’invenzione della tipografia e del giornale. 3
« Dopo secoli di conservazione della tradizione », afferma Baasner, « vale soltanto l’assioma : non credere a ciò che non è fondato secondo i principi della ragione ». 4 Ora non è più il principio di autorità a stabilire la verità : la ragione si emancipa e assume su di sé la funzione di giudicare ciò che è bene e ciò che è male, ciò che è bello e ciò che non lo è. Il sapere tramandato non è più accettato in modo passivo, ma diviene oggetto di una disamina critica. In questo processo si apre lo spazio e la possibilità di un esercizio di giudizio fondato sull’uso autonomo dell’intelletto, mentre l’attività artistica inizia a definirsi attraverso i tre vertici dell’artista, del critico e del pubblico. Il critico inizialmente è un dotto, sovente professore universitario, che conosce le regole della produzione artistica e prende su di sé il ruolo di giudice dei suoi prodotti, Kunstrichter. Egli si distingue dal pubblico e assume nei suoi confronti un ruolo didattico. I suoi giudizi non dipendono, infatti, dal gusto soggettivo ma discendono da principi generali, presentati e legittimati in opere di poetica, un sapere verso cui egli assume una funzione di mediazione. 5 Proprio uno dei padri dell’illuminismo tedesco, Christianus Thomasius (1655-1728), 6 compie, con la fondazione nel 1688 della prima rivista tedesca di divulgazione scientifica – i « Monatsgespräche » – un primo passo verso la definizione del mestiere critico. 7 All’inizio del
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M. Merschmeier, Aufklärung - Theaterkritik - Öffentlichkeit, Diss., Freie Universität Berlin, 1985, p. 9. O. Eberle, Wie alt ist die Theaterkritik ?, « Schweizer Theater-Jahrbuch », xx, 1951, p. 106. Ibidem. 4 R. Baasner, Literaturkritik in der Zeit der Aufklärung, in Literaturkritik. Geschichte, Theorie, Praxis, a cura di 5 Cfr. ivi, pp. 28-29. T. Anz, R. Baasner, cit., p. 28. 6 Cfr. V. Zmegac, Z. Skreb, L. Sekulic, Breve storia della letteratura tedesca. Dalle origini ai giorni nostri (1974), trad. it. di G. Oneto, Torino, Einaudi, 1995, p. 84. 7 Cfr. R. G. Bogner, Die Formationsphase der deutschsprachigen Literaturkrititik, in Literaturkritik. Geschichte, Theorie, Praxis, a cura di T. Anz, R. Baasner, cit., pp. 17-19. 2 3
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Seicento iniziano a essere pubblicati, in Germania, i primi giornali, ma soltanto nella seconda metà del secolo compaiono le prime forme di riflessione critica che hanno per oggetto la produzione letteraria attuale. 1 Questo genere si sviluppa inizialmente in Francia su periodici come il « Journal des Savant » dove vengono pubblicati saggi e recensioni letterarie, e, successivamente, debutta in Germania, proprio sulla rivista di Thomasius, nella forma di un dialogo tra personaggi fittizi che discutono di temi culturali e letterari e ne approfondiscono i diversi aspetti. 2 Una forma di analisi che non è certo nuova nel contesto erudito tedesco, ma nuovo è il suo legame con l’attualità e il carattere periodico della sua pubblicazione.3 Come afferma Merschmeier, con i « Monatsgespräche » non sorge ancora la critica teatrale, ma inizia la cultura delle riviste letterarie che ne rappresenta il presupposto fondamentale.4 Sulla data di nascita della critica teatrale tedesca non vi è, nella letteratura scientifica sull’argomento, unanime consenso. Alcuni sostengono che il primo critico teatrale tedesco sia Gottsched e che alcuni suoi scritti pubblicati tra il 1724 e il 1725 debbano essere considerati come i primi esempi di testi critico-teatrali. Altri sostengono, invece, che la vera e propria critica teatrale nasca soltanto qualche decennio dopo attraverso l’attività e gli scritti di Lessing. 5 Qualunque sia la funzione che si decide di attribuire all’uno e all’altro è indubbio, ed è testimoniato proprio da questo dibattito, che l’origine della critica teatrale tedesca sia inscindibilmente legata al nome di entrambi. Nell’attività pubblicistica di Gottsched e Lessing si presentano, infatti, anche se spesso solo in nuce, tutti gli elementi che caratterizzano la critica teatrale : l’utilizzo di un mezzo di comunicazione periodico, la consapevolezza di una funzione critica precisa e distinta da quella dell’artista e del pubblico, e il riferimento, per quanto germinale, agli aspetti scenici dell’evento spettacolare. È perciò interessante mostrare quale modello di critica teatrale essi propongano e quale funzione essi assegnino alla nuova figura del critico rispetto al pubblico, lettore dei giornali e spettatore di teatro, e all’artista teatrale, sia esso drammaturgo o attore.
1. 3. Il critico teatrale come giudice e guida : Johann Christoph Gottsched e Gotthold Ephraim Lessing
Johann Christoph Gottsched Le origini della critica teatrale, in Germania, sono strettamente legate al processo di formazione del teatro tedesco moderno. Nella prima metà del xviii secolo emergono i primi tentativi di operare una riforma artistica e morale del teatro tedesco e si fa strada l’idea di un’attività intellettuale finalizzata a promuovere e guidare concretamente questo sviluppo. Non è perciò un caso che proprio Johann Christoph Gottsched (1700-1766) venga considerato una delle figure inaugurali della critica teatrale tedesca. Gottsched, professore presso l’Università di Lipsia dal 1725, rappresenta, infatti, un esempio concreto di questo sforzo di far interagire la riflessione teorica con la prassi teatrale : oltre a essere redattore e curatore di riviste morali in cui compaiono sovente riflessioni sul teatro contemporaneo, 6 è autore di opere di poetica come Versuch einer critischen Dichtkunst vor die Deutschen
1 Come afferma Rudolf Stöber la recensione dei libri è la prima forma di discorso critico e rappresenta il nucleo da cui si sviluppa il feuilleton, la parte dei giornali dedicata a tutte le notizie che non appartengono alla cronaca e alla politica [Cfr. R. Stöber, Deutsche Pressegeschichte. Von den Anfängen bis zur Gegenwart, Konstanz, uvk, 2005, p. 204]. 2 Cfr. R. G. Bogner, Die Formationsphase der deutschsprachigen Literaturkritik, cit., pp. 17-19. 3 Cfr. ivi, p. 18. 4 Cfr. M. Merschmeier, Aufklärung - Theaterkritik - Öffentlichkeit, cit., p. 13. 5 Per un’illustrazione più dettagliata delle diverse posizioni all’interno del dibattito si vedano : M. Merschmeier, Aufklärung - Theaterkritik - Öffentlichkeit, cit., pp. 25-66 e W. Theobald, Alles Theater ! Medien, Kulturpolitik und Öffentlichkeit, Diss., Freie Universität Berlin, 2006, pp. 41-46. 6 Tra queste ricordiamo la rivista « Die vernünftigen Tadlerinnen » (1725-1726), uno dei primi tentativi di utilizzare il medium della rivista morale, introdotto dall’Inghilterra, nello spazio linguistico tedesco. Come ricorda Gabriele Ball questa rivista è anche considerata la prima rivista femminile tedesca perché i suoi articoli, scritti in
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(1730), traduce e compone drammi di proprio pugno come Der sterbende Cato (1731-1732) e, soprattutto, collabora per un lungo periodo con la compagnia teatrale dei coniugi Johann Neuber e Friederike Caroline Neuber (1729-1741). Le diverse direttrici su cui si muove l’attività teatrale di Gottsched sono tenute insieme da un programma unitario e da un medesimo obiettivo : favorire, nelle vesti di critico, teorico e drammaturgo, la nascita di un nuovo repertorio drammatico tedesco sul modello del classicismo francese, e incoraggiare una riforma scenica che porti all’abbandono dell’improvvisazione e della comicità rozza e popolare che caratterizza la tradizione dell’attore girovago. 1 Questi temi rappresentano l’impalcatura degli scritti critici dedicati al teatro, come mostra un breve articolo pubblicato il 31 ottobre 1725 su « Die vernünftigen Tadlerinnen », da alcuni indicato come la prima critica teatrale tedesca. 2 Il riferimento all’attualità e alla dimensione spettacolare è qui evidente, ma questo riferimento è soltanto un’occasione per portare il discorso su di un piano generale. A partire dallo spunto offerto da alcune commedie recitate a Lipsia, questo scritto si propone, infatti, di indicare la strada per migliorare la situazione del teatro. L’obiettivo della critica non è, infatti, commentare e valutare il singolo evento spettacolare, ma offrire una visione organica della situazione teatrale presente, finalizzata a « promuovere, nella poesia, lo sradicamento dei costumi non razionali, delle stolte abitudini e del cattivo gusto ». 3 Così, da una parte, egli indica come modello le commedie che « presentano i comuni vizi degli esseri umani in un modo così vivace, che persino coloro che ne sono affetti sono costretti a riconoscerli », 4 e dall’altra, rifiuta gli spettacoli realizzati secondo il gusto ridicolo e fantastico degli italiani : « Qui Scaramouche e Arlecchino sono sempre protagonisti con i loro lazzi e violano, con i loro scherzi ambigui, ogni regola della decenza e della rispettabilità ». 5 Non manca, poi, il riferimento al classicismo francese – seppure nel suo esempio non proprio più indicativo, il Cid di Corneille – considerato un punto di riferimento per il rinnovamento della scena tedesca :
Quanto poco ho amato queste due tipologie di dramma (Comödie), tanto sono stato dilettato dai drammi tradotti dal francese, come, tra gli altri, il Cid, una tragedia (Trauerspiel) trasposta interamente in versi tedeschi, che, nonostante non rispetti interamente le regole dell’odierna poesia pura – il che per una traduzione può essere tra l’altro molto difficile – rivela continuamente un gusto buono e ragionevole. [...] Bisognerebbe proprio sperare che anche nell’ambito della commedia (Lustspiel) noi prendessimo in prestito le cose migliori dai nostri vicini fino a che i nostri poeti non incomincino a produrne di proprie. 6
Il critico teatrale riveste, così, la funzione di guida : egli non è soltanto un osservatore esterno dell’evento teatrale, bensì assume, in prima persona, la responsabilità di indirizzare l’evoluzione dell’arte teatrale. Questo ruolo attivo si rivolge, in concreto, a due destinatari : il pubblico e l’artista. Nei confronti del primo egli svolge un compito didattico e educativo : « Essi [i giudici d’arte, N.d.T.] non devono imporre i propri giudizi al mondo, ma consentire al lettore di giudicare autonomamente l’opera presentandogli dei buoni estratti del testo ». 7 Mentre, nei confronti del processo creativo, egli deve cercare di orientare positivamente il lavoro dell’artista e dissuadere i cattivi autori dallo scrivere :
realtà per la maggior parte da Gottsched, sono presentati, in modo fittizio, come redatti anche da autrici femminili [Cfr. G. Ball, Moralische Küsse : Gottsched als Zeitschriftenherausgeber und literarischer Vermittler, Göttingen, Wallstein, 2000, p. 49]. 1 In proposito si veda anche E. Bonfatti, Alla ricerca di un’identità: la scena tedesca del Settecento, in Storia del teatro moderno e contemporaneo, 4 voll., diretta da R. Alonge e G. Davico Bonino, Torino, Einaudi, 2000-2003, vol. ii, pp. 427-438. 2 Cfr. M. Merschmeier, Aufklärung - Theaterkritik - Öffentlichkeit, cit., p. 34. 3 J. C. Gottsched, Das xliv Stück (31 ottobre 1725), in Id., Die vernünftigen Tadlerinnen. Der erste Theil, 4 Hamburg, König, 1748, p. 390. Ivi, p. 389. 5 6 Ibidem. Ivi, pp. 389-390. 7 J. C. Gottsched, Das xiv Stück (12 aprile 1726), in Id., Die vernünftigen Tadlerinnen. Der andre Theil, Hamburg, König, 1748, p. 135.
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Chiunque sporca le pagine con l’inchiostro sarà considerato un grande scrittore finché tra i dotti non compaia qualcuno in grado di smascherare pubblicamente il carattere ridicolo della maggior parte degli autori e di passare in rassegna i loro errori e il pessimo gusto della plebe istruita. Chiunque sappia un poco sillabare scrive libri e non esita a dare alla luce i testi più miseri, a volte veri e propri capolavori di insensatezza. Ma non appena tra i dotti emergeranno quei giudici severi che non esitano a chiamare ciascun fanciullo con il proprio nome – buono ciò che è buono, accurato ciò che è accurato, pessimo ciò che è pessimo, fiacco ciò che è fiacco, insensato ciò che è insensato e insulso ciò che è insulso – ecco che allora, tra gli scrittori, si spargerà paura e tremito. Essi non avranno più il coraggio di creare prodotti del genere, perché avranno timore di cadere nelle mani di un tale Momo. 1
Questa relazione è definita attraverso una similitudine : il critico è come una pietra per affilare che non taglia ma aguzza la lama del coltello. 2 Per potere adempiere pienamente al proprio ufficio, il critico teatrale deve essere erudito, conoscere i principi generali che governano la creazione letteraria e, grazie ad essi, giudicare della riuscita e del valore delle singole opere d’arte. Egli è definito, esplicitamente, un Kunstrichter, un giudice d’arte, i cui giudizi non esprimono un gusto soggettivo ma discendono da un codice preciso di regole, che Gottsched stesso si preoccupa di definire in opere poetiche come Versuch einer critischen Dichtkunst :
Un critico è dunque, secondo tale spiegazione, un dotto che ha compreso filosoficamente le regole delle arti libere ed è quindi in grado di esaminare secondo ragione e di giudicare correttamente la bellezza e gli errori di tutte le opere d’arte e dei capolavori esistenti. 3
Il critico teatrale si propone dunque, fin da questa sua prima comparsa nel panorama culturale e artistico tedesco, come una figura fondamentale per lo sviluppo di una grande arte, tanto che Gottsched afferma che se i tedeschi non hanno ancora prodotto opere del valore dei greci, dei romani o, più recentemente, dei francesi, ciò dipende, senza dubbio, dalla mancanza di tali giudici. 4 Così al critico viene assegnato il doppio compito di giudice oggettivo dell’opera d’arte e guida della riforma artistica e morale del teatro : un doppio compito che ritorna in modo ricorrente nella storia della critica teatrale tedesca, e che ritroveremo, perciò, nel corso di oltre due secoli, come fondamento di numerose concezioni critiche.
Gotthold Ephraim Lessing Nella riflessione critica e teatrale di Gottsched prevale il momento normativo, l’esigenza di fornire regole generali e giudizi oggettivi. Questa tendenza, tipica del primo illuminismo tedesco, inizia a essere messa in discussione intorno al 1760 quando sempre più autori e intellettuali cominciano a riconoscere, contro il razionalismo astratto, i diritti del sentimento e dell’emozione. Si sviluppa così, gradualmente, un’insofferenza nei confronti delle regole e delle norme che culmina tra la fine del Settecento e i primi anni dell’Ottocento, nell’estetica del genio dello Sturm und Drang e nell’individualismo del primo romanticismo. Gotthold Ephraim Lessing (1729-1781) rappresenta una figura fondamentale di questo percorso : nelle sue molteplici riflessioni di carattere estetico e poetico si ritrova da un
1 Ivi, pp. 128-129. Momo è una divinità della mitologia greca legata alla censura e allo spirito critico ed è utilizzata da Gottsched per alludere metaforicamente ai critici, nuovi giudici e censori della creazione artistica. 2 Cfr. ivi, p. 128. 3 J. C. Gottsched, An den Leser, [Prefazione alla prima edizione di Versuch einer critischen Dichtkunst (1730)], in Id., Ausgewählte Werke, 12 voll., a cura di J. Birke e M. P. Mitchell, Berlin-New York, de Gruyter, 1973, vol. vi/2, p. 395. 4 Cfr. J. C. Gottsched, Das xiv Stück, (12 aprile 1726), in Id., Die vernünftigen Tadlerinnen. Der andre Theil, cit., p. 128.
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lato il tentativo di correggere il rigido razionalismo di Gottsched attraverso l’apertura al sensualismo e, dall’altro, l’intenzione di mettere un freno al sensualismo di stampo inglese attraverso un razionalismo moderato. 1 Lessing nasce nel 1729 da una famiglia di pastori protestanti e, dopo aver studiato Teologia tra Lipsia e Wittenberg, si sposta frequentemente cambiando molteplici occupazioni. La sua attività critica inizia intorno agli anni cinquanta del Settecento. Tra il 1750 e il 1754 è redattore per il giornale berlinese dell’editore Voß, per il quale redige le Critische Nachrichten aus dem Reiche der Gelehrsamkeit (17501754) così come Das Neueste aus dem Reiche des Witzes (1751). In questi stessi anni cura e pubblica diverse riviste di teatro come Beyträge zur Historie und Aufnahme des Theaters, fondata nel 1750 insieme al cugino Christlob Mylius, e la Theatralische Bibliothek (17541758). Come nel caso di Gottsched, tuttavia, anche il suo impegno per il teatro e per l’arte non si limita all’esercizio del giudizio critico : egli è autore di alcuni drammi fondamentali nella storia del teatro tedesco moderno, come Miß Sara Sampson (1755) e Minna von Barnhelm (1767), e scrive, inoltre, importanti opere di estetica come il Laocoonte (1766). Ma, soprattutto, è coinvolto, tra il 1767 e il 1768, nel progetto del Teatro Nazionale di Amburgo, 2 per il quale, dopo aver rifiutato il ruolo di scrittore drammatico stabile, assume il ruolo di consulente critico (Dramaturg), mediatore tra il teatro e il pubblico. La funzione critica conquista, così, un ruolo centrale e riconosciuto nel funzionamento dell’ingranaggio teatrale : il suo compito, come dice Lessing stesso, è accompagnare « passo per passo poeti e attori nel loro cammino » 3 attraverso la redazione di rassegne critiche pubblicate periodicamente. La Drammaturgia d’Amburgo, l’opera in cui queste rassegne sono raccolte, rappresenta, per molti studiosi, il documento che sancisce la nascita della vera e propria critica teatrale tedesca. Le rassegne critiche di Lessing sono peculiari, infatti, perché si propongono di essere un’analisi critica dei drammi e degli spettacoli presentati dal teatro, e di dedicare una particolare attenzione a un aspetto specificamente spettacolare, la recitazione. 4 La forte relazione con gli aspetti spettacolari dell’evento teatrale è evidente, tuttavia, soltanto nelle prime venticinque rassegne critiche. A causa delle reazioni di un’attrice, stizzita per le critiche rivoltele, Lessing deve da quel momento in avanti interrompere ogni riferimento alla prestazione degli attori :
La parte di Cénie è stata affidata alla signora Hensel. Nessuna parola le esce dalla bocca senza il giusto accento ; ciò che ella dice, non l’ha imparato, ma viene dalla sua testa, dal suo cuore. Sia che parli, sia che taccia, la sua recitazione non subisce fratture. Una sola pecca vorrei qui notare, una pecca invero assai rara e invidiabile : ella è attrice troppo grande per la propria parte ; mi sembra di vedere un gigante che si eserciti con un fucile da cadetto. Non è detto che si debba fare tutto ciò che si può fare alla perfezione. 5
1 Cfr. P. Chiarini, Introduzione, in G. E. Lessing, Drammaturgia d’Amburgo, trad. it. di P. Chiarini, Bari, Laterza, 1956, pp. ix-x. 2 Il Teatro Nazionale di Amburgo, inaugurato nell’aprile del 1767, è il primo tentativo di creare un teatro stabile e sovvenzionato. L’obiettivo del progetto, sostenuto economicamente da alcuni uomini d’affari, era favorire, attraverso un lavoro organico e continuativo, l’affermazione di una produzione teatrale di alto livello artistico. Quest’impresa, tuttavia, non ha il successo sperato e si conclude già nel 1769 [Cfr. O. G. Brockett, Storia del teatro (1987), a cura di C. Vicentini, trad. it. di A. De Lorenzis, Venezia, Marsilio, 2000, p. 374]. 3 G. E. Lessing, Drammaturgia d’Amburgo (Presentazione, 22 aprile 1767), cit., p. 7. 4 Come esempio dell’importanza che l’evento spettacolare riveste per il discorso critico di Lessing possono essere citati alcuni passi della seconda puntata della Drammaturgia. Qui Lessing, parlando della messinscena dell’opera incompiuta di Cronegk, Olint und Sophronia, afferma : « Rimasi colpito notando nella platea un generale movimento e udendo quel mormorio che esprime il consenso, quando l’attenzione con cui il lavoro è seguito non permette ad esso di manifestarsi in un applauso aperto. Da una parte pensavo : “Ottimamente ! Il pubblico di qui ha il gusto per le sentenze morali ; Euripide otterrebbe in questo teatro un sicuro successo e Socrate lo frequenterebbe molto volentieri”. Dall’altra poi mi sorprendevano la falsità equivoca e urtante di quelle pretese sentenze, e desideravo fortemente che un moto di disapprovazione fosse la causa principale di quel mormorio » [Ivi (Puntata ii, 5 maggio 1767), p. 19]. 5 Ivi (Puntata xx, 7 luglio 1767), p. 106.
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Nella storia della critica teatrale Lessing introduce alcune importanti innovazioni. Diversamente da quanti, prima di lui, affiancavano l’attività critica all’insegnamento universitario, egli considera la critica e la pubblicistica teatrale come il proprio mestiere principale. Come afferma Baasner, il fatto che poi questo non sfoci in un’attività a tempo indeterminato dimostra soltanto che in quel tempo non si presentavano ancora le condizioni perché il critico letterario e teatrale fosse un giornalista di professione. 1 Negli articoli e negli scritti di Lessing inizia, inoltre, a essere messa in discussione l’impersonalità oggettiva del dotto, che aveva caratterizzato, ad esempio, la scrittura di Gottsched. Lessing utilizza uno stile individuale, ricorre alla polemica e all’ironia e non teme di rivolgere attacchi personali verso gli autori oggetto delle sue critiche : per la prima volta il critico compare nei propri testi come soggetto. 2 Così, se Gottsched aveva raccomandato al critico, nel suo articolo sui Kunstrichter, di non rivolgere mai i propri strali contro l’autore e di dare il proprio giudizio sempre e soltanto sull’opera, ora è proprio lo stesso Gottsched, nella celebre diciasettesima lettera dei Briefe, die neueste Literatur betreffend (1759), a fare le spese di questo nuovo modo di intendere la critica :
« Nessuno », affermano gli autori della Bibliothek 3 « negherà, che la scena teatrale tedesca deve gran parte dei suoi iniziali progressi al professor Gottsched ». Io sono questo Nessuno e arrivo a negarlo. Sarebbe stato meglio che il signor Gottsched non si fosse mai occupato del teatro. I suoi supposti miglioramenti o riguardano superflue piccolezze o rappresentano dei veri e propri peggioramenti. 4
Nella sua attività critico-teatrale Lessing si pone, tuttavia, proprio sulla scia di Gottsched. Egli, come Gottsched, persegue una riforma del teatro che si rivolge parimenti alla letteratura drammatica e all’interpretazione attoriale, compone drammi e considera essenziale la collaborazione del critico con la scena. Ma, rispetto a Gottsched, muta profondamente l’idea di quale sia la direzione che il teatro tedesco deve intraprendere per innalzare il proprio valore artistico. In questo stesso scritto Lessing rifiuta, infatti, il modello del classicismo francese proposto da Gottsched e individua nella drammaturgia di Shakespeare il riferimento più adatto per il teatro tedesco. Questa considerazione è di grande importanza perché in essa si presenta, per la prima volta, l’idea che non vi siano dei parametri oggettivi, validi in ogni luogo e tempo, e che ogni popolo possieda un proprio gusto individuale :
[…] egli [Gottsched, N.d.T], non desiderava tanto migliorare il nostro vecchio teatro, quanto piuttosto crearne uno completamente nuovo. E di che tipo ? Un teatro di stampo francese ; senza verificare se questo teatro francese fosse adeguato o meno alla mentalità tedesca. Dai nostri antichi testi drammatici, che egli scacciò dalla scena, avrebbe potuto ampiamente comprendere che tendiamo più verso il gusto degli inglesi che verso quello dei francesi ; che nelle nostre tragedie vogliamo vedere e pensare più quanto la timorosa tragedia francese ci faccia vedere e pensare ; che il Grande, il Terribile, il Melancolico esercitano su di noi un effetto maggiore che l’Educato, il Tenero, l’Innamorato ; che l’eccessiva semplicità ci stanca più di una trama troppo complessa ecc. Avrebbe quindi dovuto seguire queste tracce che lo avrebbero portato diritto verso il teatro inglese. 5
L’idea dell’individualità delle espressioni artistiche e della relatività dei metri di giudizio rappresenterà uno dei pilastri fondamentali del pensiero tedesco di inizio Ottocento, come testimonia, ad esempio, la riflessione critica di Friedrich Schlegel. Lessing, certamente, non intende affermare in questo modo la relatività di ogni sistema di giudizio : la trage
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2 Cfr. R. Baasner, Literaturkritik in der Zeit der Aufklärung, cit., p. 34. Cfr. ivi, pp. 34-35. Il riferimento è a Friedrich Nicolai e Moses Mendelssohn autori della Bibliothek der schönen Wissenschaften und der freien Künste. 4 G. E. Lessing, Siebzehnter Brief (16 febbraio 1759), in Id., Briefe, die neueste Literatur betreffend, a cura di W. 5 Albrecht, Leipzig, Reclam, 1987, p. 51. Ivi, p. 52. 3
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dia antica e i precetti aristotelici, possiedono per lui ancora una validità generale. 1 Ma nella rivalutazione di Shakespeare, che avrà fondamentali conseguenze per la ricezione del drammaturgo inglese in Germania, si nota uno spostamento essenziale rispetto alle riflessioni poetiche precedenti. Nello stesso Brief Lessing afferma, infatti, che, seppure esteriormente i francesi siano più vicini alla tragedia antica, i drammi di Shakespeare, pur percorrendo una via propria e irriducibile, si avvicinano maggiormente all’essenza dei drammi antichi :
Anche giudicando secondo i modelli degli antichi, Shakespeare è un poeta tragico molto più grande di Corneille, benché quest’ultimo conoscesse benissimo gli antichi, mentre il primo quasi per niente. Corneille si avvicina agli antichi nella meccanica dell’impianto, Shakespeare nell’essenza. L’inglese, per quanto strane siano le vie che intraprende, raggiunge quasi sempre lo scopo della tragedia ; il francese, nonostante percorra le vie spianate dagli antichi, non lo raggiunge quasi mai. 2
Nell’attività critica di Gottsched, era prevalso il momento generale e deduttivo. La priorità era affidata alla norma e gli esempi pratici avevano la funzione di illustrare i principi generali della poetica. Lessing, invece, come dimostra la Drammaturgia d’Amburgo, è più attento a un confronto dialettico con l’esperienza pratica del teatro, da cui ricava spunti e motivi di riflessione. Ma questo non significa togliere ogni validità alle regole di carattere generale che definiscono i principi dell’arte drammatica. Nella Drammaturgia d’Amburgo Lessing riflette, nel contributo del 19 aprile 1768, sul passaggio avvenuto, nel teatro tedesco, tra il modello francese e il modello inglese. Questo passaggio, motivato giustamente dalla vicinanza del gusto tedesco al gusto inglese, ha provocato per altri versi, osserva Lessing, un grave equivoco che consiste nell’idea che non solo non esistano norme che regolino la scrittura drammatica ma che, addirittura, tali norme siano d’impiccio all’artista :
A quei lavori inglesi mancavano troppo evidentemente alcuni principi informatori che il teatro francese ci aveva reso familiari. Cosa se ne concluse ? Se ne concluse che lo scopo della tragedia si poteva raggiungere anche senza regole, e che anzi esse potevano essere responsabili di un eventuale fallimento. E questo passi pure !... Ma si cominciò a confondere queste regole particolari con tutte le regole e a considerare in generale una pedanteria il tentativo di prescrivere al genio quel che dovesse e non dovesse fare. In breve, ci trovammo sul punto di disfarci allegramente di tutte le esperienze del passato ed esigere da ogni artista una sua propria concezione dell’arte. 3
Il critico resta, dunque, un Kunstrichter, un giudice, che non pone le regole ma le riconosce e le applica nel suo giudizio, sebbene queste stesse regole perdano quel carattere strettamente normativo che possedevano nella riflessione di Gottsched. Nella scelta tra l’originalità individuale e i precetti generali, Lessing decide di assumere una posizione intermedia : l’artista non deve operare in ossequio a principi di carattere generale, ma l’attività del genio non è sciolta da ogni legalità e anzi dimostra, nella particolarità della sua opera, la validità di principi di carattere generali :
Non ogni critico (Kunstrichter) è un genio ; ma ogni genio è un critico nato. Egli reca in sè il paragone di tutte le regole ; egli comprende, riconosce e rispetta soltanto quelle che traducono il suo sentimento in parole. E questo sentimento tradotto in parole sarebbe in grado di limitare la sua attività ? [...] Affermare, dunque, che le regole e la critica possono soffocare il genio, significa
1 In proposito Lessing afferma : « A proposito della genesi e dei fondamenti della Poetica di Aristotele io ho una certa opinione, che non potrei formulare qui senza una certa ampiezza. Nel frattempo non esito a dichiarare, a costo di esser preso a sberleffi in questa nostra epoca di lumi, che io la considero un’opera infallibile al pari degli Elementi di Euclide. I suoi principi sono altrettanto veri e certi, ma meno comprensibili e quindi più esposti al motteggio » [G. E. Lessing, Drammaturgia d’Amburgo (Puntate ci-civ, 19 aprile 1768), cit., pp. 432-433]. 2 G. E. Lessing, Siebzehnter Brief, cit., pp. 52-53. 3 G. E. Lessing, Drammaturgia d’Amburgo (Puntate ci-civ, 19 aprile 1768), cit., p. 433.
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affermare che anche gli esempi e l’esercizio lo possono, significa non soltanto isolare il genio in se stesso, ma addirittura imprigionarlo nel suo primo tentativo. 1
Come afferma, in proposito, Merschmeier :
Il rifiuto da parte di Lessing di un razionalismo puro non sfocia, tuttavia, nell’assenza di regole, quanto nel tentativo di trovare una combinazione o un compromesso tra l’esigenza di regole universalmente valide e l’esperienza e la percezione individuale del mondo. 2
Il critico mantiene, nella concezione di Lessing, la doppia funzione di guida nei confronti dell’artista teatrale e di educatore dei gusti del pubblico. Se Gottsched aveva paragonato i critici a una pietra per affilare la lama del coltello, egli ora li definisce come grucce che aiutano lo storpio a spostarsi da un luogo all’altro, pur non potendo fare di lui un corridore. 3 Per quanto concerne, dall’altra parte, la relazione col pubblico, la critica mantiene un ruolo pedagogico e didattico, anche se, come nota giustamente Chiarini, il pubblico diventa ora non più un soggetto passivo da istruire ma un protagonista in grado di portare un contributo critico fondamentale alla vita di un teatro : 4
Se dunque oggi l’unico risultato fosse pure che un gruppo di amici del teatro abbia posto mano all’opera, riunendosi allo scopo di lavorare nell’interesse comune, già solo per questo fatto si sarebbe compiuto un grande passo in avanti. Poiché da questa prima innovazione, per poco che il pubblico mostri di appoggiarla, possono nascere assai presto e facilmente tutti quegli altri miglioramenti di cui il nostro teatro ha bisogno. Spese e fatiche non saranno davvero risparmiate : l’avvenire dirà se avremo mancato di gusto e d’intelligenza. E del resto non dipenderà forse dal pubblico l’eliminazione o quanto meno il miglioramento dei difetti che per avventura trovasse nel nostro lavoro ? Venga pure, guardi e ascolti, esamini e giudichi : la sua parola sarà sempre tenuta nella giusta stima, il suo giudizio sarà sempre accolto con rispetto. 5
Il critico teatrale resta dunque giudice e guida, osservatore obiettivo e promotore dello sviluppo teatrale, sebbene nella scrittura critica comincino a manifestarsi tendenze, come la relatività dei metri di giudizio e l’individualità dell’opera d’arte, dalle cui radici sorge, alcuni decenni più tardi, un modello critico alternativo. 1. 4. Il paradigma romantico : la critica come opera d’arte, il critico come artista
Tra la fine del xviii secolo e l’inizio del xix secolo, si assiste, in Germania, a un importante mutamento dei paradigmi estetici e filosofici. La concezione dell’arte e della letteratura muta profondamente e, insieme con essa, mutano i criteri di giudizio e di valutazione dei suoi prodotti. Nell’arco di pochi decenni sorgono numerose proposte letterarie a cui corrispondono posizioni estetiche che mettono in discussione le acquisizioni dell’illuminismo e operano un capovolgimento di valori. Lo Sturm und Drang, il classicismo di Weimar, il primo e il tardo romanticismo, e poi figure eccezionali come Friedrich Hölderlin (1770-1843) e Heinrich von Kleist (1777-1811) : questi alcuni dei nomi e delle correnti cui gli storici della letteratura tedesca affidano il compito di descrivere sistematicamente il complesso paesaggio culturale e letterario tedesco di questi anni. 6 All’interno della cultura
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Ivi (Puntata xcvi, 1 aprile 1768), p. 411. M. Merschmeier, Aufklärung - Theaterkritik - Öffentlichkeit, cit., p. 43. 3 Cfr. G. E. Lessing, Drammaturgia d’Amburgo (Puntate ci-civ, 19 aprile 1768), cit., p. 428-429. 4 Cfr. P. Chiarini, Introduzione, in G. E. Lessing, Drammaturgia d’Amburgo, cit., pp. xxii-xxiii. 5 G. E. Lessing, Drammaturgia d’Amburgo (Presentazione, 22 aprile 1767), cit., pp. 5-6. 6 È interessante notare come al particolarismo politico tedesco – la Germania è divisa in numerose corti – corrisponda un forte particolarismo culturale. Le correnti letterarie del tempo sono, infatti, spesso radicate in centri geografici precisi : il classicismo di Goethe e Schiller, ad esempio, è legato profondamente alla corte di Weimar, il primo romanticismo ai circoli letterari che sorgono a Jena tra il 1798 e il 1800, mentre il tardo romanticismo a città come Berlino e Heidelberg. Così, a differenza della Francia dove Parigi è un centro politico e culturale 2
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artistica e letteraria tedesca, a cavallo tra i due secoli, si possono individuare alcune linee guida che permettono di cogliere il profondo cambiamento che si realizza nell’idea e nella funzione della critica artistica e teatrale. Uno degli assiomi del pensiero estetico settecentesco, come abbiamo avuto modo di osservare, era l’idea che la creazione artistica dovesse seguire norme razionali e universalmente valide da cui il critico poteva dedurre le regole per esprimere il proprio giudizio sulla riuscita della singola opera d’arte. Il compito del critico era, appunto, quello di esprimere un giudizio : l’arte non era considerata una creazione autonoma dello spirito, ma era finalizzata a un’imitazione della bella natura e, soprattutto, il suo scopo era morale. Il critico aveva assunto così il ruolo di giudice e arbitro e non è, perciò, un caso che le riviste dove erano comparsi i primi esempi di critica letteraria e teatrale fossero le cosiddette riviste morali, nate all’inizio del xviii secolo sotto l’esempio di periodici inglesi come Tatler e diffusesi presto in Germania : per la nascente società borghese, cui la stampa era rivolta, il teatro e la letteratura avevano interesse nella misura in cui erano finalizzate a un rafforzamento delle virtù e della morale pubblica. Questa visione universalista e morale dell’opera d’arte inizia ora a essere messa in discussione. In una direzione in parte prefigurata dalla riflessione di Lessing, comincia a svilupparsi l’idea che i prodotti dello spirito siano individuali e irriducibili a regole e parametri generali. L’indice storico e geografico non è ora più considerato come un carattere secondario dell’opera d’arte, ma diventa ciò che la caratterizza nella sua qualità più profonda. Questa idea sorge insieme all’acquisizione di una graduale consapevolezza identitaria e nazionale, conseguenza, in parte, delle guerre napoleoniche, e che si riversa in quel recupero della tradizione autoctona e popolare che culmina più tardi nel lavoro dei fratelli Grimm sulla fiaba e sui racconti popolari. L’artista, da fedele imitatore della natura e dei modelli antichi, acquisisce i tratti del genio, nei cui confronti ora le regole e i giudici vengono percepiti soltanto come un ostacolo. Si osserva, gradualmente, uno spostamento verso una concezione dell’autonomia dell’ambito estetico da considerazioni eteronome, orientamento cui, in questi anni, soltanto il classicismo di Weimar è per certi versi estraneo : l’arte non è imitazione di un modello né trova il proprio scopo, fuori di sé, in una funzione morale. Nell’ambito del teatro e del dramma l’insofferenza verso le regole è evidente, oltre che nell’emergere di una drammaturgia che viola le norme poetiche tradizionali, nell’abbandono, anche questo prefigurato da Lessing, del modello classicista di stampo francese a favore della drammaturgia di Shakespeare e Calderón e nell’idea di una commistione del genere tragico e comico :
I modelli sentiti come affini allo spirito della propria storia non sono più gli antichi e i francesi, come lo erano stati per il classicismo di Weimar, bensì Shakespeare e lo spagnolo (Calderón). Mentre l’antichità e la « doctrine classique » dei francesi insistono sulla rigorosa divisione di ciò che è eterogeneo (del tragico e del comico o del drammatico e dell’epico), nell’opera di Shakespeare e di Calderón questi elementi eterogenei si congiungono, per l’appunto nello « spettacolo (Schauspiel) romantico », in un’unità che corrisponde alla policromia, alla contraddittorietà e alla pienezza della vita. 1
Questo rivolgimento nella concezione dell’arte acquista una precisa configurazione nella riflessione estetica del romanticismo tedesco, e va a Tzvetan Todorov il merito di avere ilindiscusso, la Germania si mostra come un complesso arcipelago. La stessa complessità e lo stesso particolarismo coinvolgono le istituzioni teatrali. All’ideale di un teatro stabile di stampo nazionale, sostenuto come abbiamo visto da Lessing, si contrappone di fatto la pratica del teatro di corte, l’Hoftheater, legato ai singoli stati tedeschi e accessibile al pubblico dietro il pagamento del biglietto di ingresso. 1 M. Brauneck, Die Welt als Bühne. Geschichte des europäischen Theaters, 6 voll., Stuttgart-Weimar, Metzler, 1993-2007, vol. iii (1999), p. 68.
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lustrato, nel suo importante volume Théories du symbole, i tratti caratterizzanti della crisi romantica. Con la riflessione romantica si affaccia, infatti, nella storia del pensiero, l’idea dell’arte per l’arte. La creazione artistica viene affrancata dall’imitazione di un modello e da una finalità morale. L’artista non riproduce la natura ma, piuttosto, similmente ad essa, dà forma a un mondo compiuto che contiene in sé le proprie leggi e il proprio fondamento. L’opera viene sciolta così da ogni legame con la categoria dell’utile : mentre ciò che è utile, infatti, ha significato e fine in relazione a qualcosa di esterno, l’opera d’arte ha il proprio fine in sé e significa solo in relazione alle categorie e alle strutture che essa stessa pone. Si esprime in questa concezione l’idea kantiana dell’opera d’arte come finalità senza fine. Come afferma August Wilhelm Schlegel nella sua introduzione alle Vorlesungen über schöne Literatur und Kunst (1801-1802) :
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Il bello è, in un certo senso, il contrario dell’utile : è ciò che è risparmiato dall’essere utile. Tutto ciò che è utile è subordinato al fine della sua utilità. Deve quindi esserci qualcosa che rappresenti un fine ultimo o un fine in sé, altrimenti, attraverso l’utile, si rimanderebbe all’infinito a qualcos’altro e il concetto di utile non avrebbe alcuna realtà. Le belle arti devono dunque corrispondere a un tale fine in sé [...]. 2
In questo modo, è evidente, si capovolgono alcuni dei pilastri su cui la critica si era retta durante il Settecento : se l’opera d’arte non si fonda su norme universali e oggettive, né è finalizzata a una funzione morale, per il critico non sarà più possibile mantenere il suo ufficio di giudice, di Kunstrichter, valutare, secondo un catalogo di norme, o un modello di riferimento, la riuscita dell’opera d’arte. Jochen Strobel, nel suo saggio, Romantische Theaterkritik, afferma :
Al posto del giudice d’arte (Kunstrichter) del xviii secolo emerge ora il critico (Kritiker) per il quale non è di primaria importanza la valutazione di un testo. Quand’anche, poi, egli si occupa di questo, lo fa non certo seguendo i criteri di un’estetica della ricezione (siano essi di tipo didattico o morale), ma esclusivamente seguendo il criterio della poeticità (Poetizität) assoluta, tipico di un’estetica dell’autonomia. 3
La critica non può più essere, dunque, confronto dell’opera con norme e modelli astratti ed esterni, ma deve partecipare ad essa : il critico non deve più essere giudice ma artista. Questa la posizione che Friedrich Schlegel elabora in stretto contatto con il fratello August Wilhelm e gli amici e collaboratori della rivista « Athenaeum » e che si può considerare, come sostiene Walter Benjamin, come la posizione del primo romanticismo sulla questione. 4 In uno dei celebri frammenti pubblicati nel 1797 sulla rivista « Lyceum der schönen Künste » Friedrich Schlegel scrive :
[117] La poesia può essere criticata soltanto dalla poesia. Un giudizio d’arte che non è a sua volta un’opera d’arte, o nel contenuto, in quanto presentazione (Darstellung) della necessaria impressione nel suo divenire, o attraverso una bella forma e un tono liberale nello spirito dell’antica satirica romana, non ha diritto di cittadinanza nel regno dell’arte. 5
La critica, dunque, diviene, essa stessa, poesia, arte. Per poter entrare in comunicazione con l’opera essa non può utilizzare principi generali o considerazioni morali, ma deve 1 Cfr. T. Todorov, Teorie del simbolo (1977), a cura di C. De Vecchi, trad. it. di E. Klersy Imberciadori, Milano, Garzanti, 1984. 2 A. W. Schlegel, Einleitung zu den « Vorlesungen über schöne Literatur und Kunst » (1801-1802), in Deutsche Literaturkritik, 4 voll., a cura di H. Mayer, Frankfurt a. M., S. Fischer, 1978, vol. i, p. 615. 3 J. Strobel, Romantische Theaterkritik. Ludwig Tieck, der Dramatiker, Dramaturg, Publizist und Editor, in Beiträge zur Geschichte der Theaterkritik, a cura di G. Nickel, cit., p. 92. 4 Cfr. W. Benjamin, Il concetto di critica nel romanticismo tedesco, trad. it. di C. Colaiacomo, in Id., Il concetto di critica nel romanticismo tedesco. Scritti 1919-1922, a cura di G. Agamben, Torino, Einaudi, 1982, pp. 8-9. 5 F. Schlegel, Kritische Fragmente, in Id., Werke in zwei Bänden, 2 voll., a cura di W. Hecht, Berlin-Weimar, Aufbau, 1980, vol. i, p. 183.
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partecipare al suo linguaggio, raccogliere e sviluppare gli spunti che in essa vengono posti : come afferma Baasner, per il romanticismo tedesco la teoria della critica è parte della teoria della letteratura, non è una meta-teoria su di essa. 1 La critica, in altre parole, non è più un’istanza di controllo e mediazione tra il piano delle norme e il piano dell’opera, ma diventa essa stessa letteratura. Se l’opera d’arte non può essere valutata a partire da parametri generali e astratti, la critica non potrà altro che partecipare al suo linguaggio e divenire poesia della poesia, potenziamento dell’opera d’arte, suo compimento. La critica perde così il compito regolativo nei confronti dell’artista e il compito didattico nei confronti del pubblico – le funzioni che, nel xviii secolo, ne avevano definito il ruolo :
[86] Lo scopo della critica, si dice, è di istruire il lettore ! – chi vuole essere istruito, si istruisca da solo. Sarà scortese, ma le cose stanno così. 2
1. 5. Il romanticismo e la critica teatrale : Ludwig Tieck e Adolph Müllner
Intorno all’inizio del xix secolo assistiamo, dunque, a un profondo mutamento di paradigma, le cui conseguenze sono evidenti nella teoria dell’interpretazione dell’arte sino ai giorni nostri. Ma le riflessioni sul nuovo modello critico, che abbiamo ora illustrato, si collocano su un piano teorico e programmatico e, inoltre, coloro che hanno dato il contributo più duraturo alla sua definizione, come Friedrich Schlegel, si sono dedicati nella propria attività critica quasi esclusivamente alla critica letteraria. La questione che rimane perciò aperta, e che è fondamentale porre, riguarda l’influenza che queste idee hanno esercitato sulla critica teatrale, e, più specificamente, il modo e la misura in cui la critica specificamente rivolta all’oggetto teatrale ha accolto gli spunti provenienti dalla riflessione estetica del romanticismo. Per rispondere a tale questione è utile prendere in considerazione l’attività critico-teatrale di due scrittori e pubblicisti che sono legati, direttamente o indirettamente, al movimento romantico : Ludwig Tieck (1773-1853) e Adolph Müllner (1774-1829).
Ludwig Tieck Ludwig Tieck nasce nel 1773 e studia, a partire dal 1792, Teologia, Filologia e Letteratura a Halle, Göttingen e Erlangen. Alla fine degli anni novanta fa parte, insieme a Novalis, i fratelli Schlegel, Schelling, Brentano e Fichte di quel circolo di scrittori e filosofi nelle cui discussioni si forma il primo romanticismo tedesco e matura il nuovo concetto di critica e opera d’arte. Tieck, autore poliedrico e ricco di interessi, è senza dubbio tra i romantici tedeschi colui che si è occupato di teatro in modo più approfondito e organico. Per il teatro scrive testi come la commedia fantastica Il Gatto con gli stivali (Der gestiefelte Kater, 1797) e la tragedia Kaiser Octavianus (1802) e compie, come curatore, editore e critico, un’importante attività di conoscenza e di promozione di Shakespeare 3 e degli autori elisabettiani. Ma, soprattutto, egli lavora per molti anni in stretto contatto con la scena nelle diverse vesti di critico teatrale, Dramaturg e curatore di alcune messinscene. Dal 1819 è libero consigliere dell’HofTheater di Dresda, presso cui assume, nel 1825 il ruolo di Dramaturg. Sempre a Dresda, tra il 1821 e il 1824 scrive recensioni teatrali per la « Abend-Zeitung » e organizza celebri serate in cui lui stesso legge ad alta voce i drammi di autori come Shakespeare, Calderón, Sofocle, Goethe e Gozzi. Nel 1841, infine, viene chiamato dal re Federico Guglielmo IV a Berlino, al teatro di corte, come organizzatore del repertorio e curatore delle messinscene.
1 Cfr. R. Baasner, Literaturkritik in der Zeit der Romantik, in Literaturkritik. Geschichte, Theorie, Praxis, a cura 2 di T. Anz, R. Baasner, cit., p. 54. F. Schlegel, Kritische Fragmente, cit., vol. i, p. 178. 3 Tieck, oltre all’importante saggio Über Shakespeares Behandlung des Wunderbaren, cura la traduzione dell’opera di Shakespeare continuando il lavoro editoriale iniziato da August Wilhelm Schlegel.
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Ciò che a noi più interessa è la sua collaborazione, come critico teatrale, alla « AbendZeitung » di Dresda. Ma prima di analizzare specificamente la sua attività pubblicistica è importante notare come, negli stessi anni in cui Friedrich Schlegel formula il suo concetto di critica come opera d’arte, Tieck, con la commedia Der gestiefelte Kater, presenti una parodia dell’attività teatrale e del suo pubblico, in cui si esprime la medesima esigenza di distacco dai modelli critici e artistici del xviii secolo. 1 L’intreccio è un’occasione per la messinscena di una situazione meta-teatrale : una compagnia cerca di presentare la commedia che dà il titolo all’opera, ma è interrotta dalle obiezioni del pubblico e da problemi tecnici della scena, fino a che, in conclusione, gli spettatori prendono di mira il poeta con un lancio di mele e pere marce e tutti, poeta compreso, lasciano il teatro. Nelle parole dell’arrogante pubblico, pronto a giudicare la commedia prima ancora di conoscerla, emerge una satira della cultura letteraria e teatrale del Settecento tedesco, divenuta un insieme di formule pietrificate e prive di contenuto, come il richiamo al buon gusto o il rifiuto delle volgarità delle farse teatrali a favore di drammi che abbiano un intento morale. 2 Così quando Schlosser, uno degli spettatori, invita il resto del pubblico ad aspettare di aver visto la commedia prima di giudicarla, la risposta collettiva non si fa attendere :
No, adesso, adesso – Il gusto – le regole – l’arte, tutto altrimenti va in rovina. 3
Non solo il pubblico, ma anche la critica è oggetto del sarcasmo di Tieck : in uno dei personaggi, Bötticher, viene presentata una parodia del filologo e famoso pubblicista Karl August Böttiger, celebre per aver scritto poco tempo prima un libro su Iffland. 4 Ognuna delle sentenze di questo personaggio, anche la più superficiale, è seguita da un richiamo all’autorità indiscussa del classicismo, gli antichi. Le sue frasi prolisse e l’altezzosa superiorità del suo atteggiamento didattico finiscono per stufare il resto del pubblico che, ad un certo punto, decide di zittirlo. 5 La rappresentazione del teatro contemporaneo, accolta nelle scene di questa commedia, ci rimanda a un tratto che caratterizza il rapporto dei romantici con il teatro del loro tempo : la profonda frattura tra i gusti del pubblico e la riflessione intellettuale. All’inizio del xix non soltanto non ci sono autori drammatici romantici che imprimano il proprio segno sulla scena teatrale ma, addirittura, i grandi autori di quel tempo, come Heinrich von Kleist, Hölderlin, Goethe e Schiller vengono rappresentati raramente sui palcoscenici tedeschi. Così se da una parte i romantici, sul piano della riflessione, assegnano al teatro un ruolo di primo piano per la sua capacità di operare una sintesi tra diversi codici artistici, dall’altra si trovano di fronte a un mondo teatrale in cui domina un repertorio di intrattenimento che ha il proprio apice nelle commedie di Iffland e Kotzebue :
C’era un abisso fatale tra le spiegazioni teoriche della posizione eccezionale attribuita al dramma – come “vertice dell’arte” [...] – all’interno dei discorsi filosofici e la massa dei lavori drammatici che venivano lanciati sul mercato commercializzato dell’attività teatrale e che dominavano persino il repertorio dei teatri tedeschi più prestigiosi. 6
1 È Strobel a proporre una lettura del dramma Der gestiefelte Kater da questa prospettiva e a mostrarne il contenuto “critico-teatrale” : Cfr. J. Strobel, Romantische Theaterkritik. Ludwig Tieck, der Dramatiker, Dramaturg, Publizist und Editor, cit., pp. 93-99. 2 Cfr. L. Tieck, Der gestiefelte Kater. Ein Kindermärchen in drei Akten, mit Zwischenspielen, einem Prologe und Epiloge, in Id., Tiecks Werke, 2 voll., a cura di C. F. Köpp, Berlin-Weimar, Aufbau, 1985, vol. i, pp. 4-8. 3 Ivi, p. 6. 4 Cfr. J. Strobel, Romantische Theaterkritik. Ludwig Tieck, der Dramatiker, Dramaturg, Publizist und Editor, cit., p. 95. 5 Cfr. L. Tieck, Der gestiefelte Kater. Ein Kindermärchen in drei Akten, mit Zwischenspielen, einem Prologe und Epiloge, cit., pp. 54-55. 6 M. Brauneck, Die Welt als Bühne. Geschichte des europäischen Theaters, cit., vol. iii (1999), p. 74.
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Questa frattura tra la riflessione intellettuale e la realtà teatrale influenza profondamente l’attività di Tieck come critico, come si evince dalle recensioni e dagli scritti raccolti nei Dramaturgische Blätter pubblicati per la prima volta nel 1826. Il carattere disimpegnato della drammaturgia che domina la scena tedesca impedisce, infatti, a Tieck di fare delle proprie critiche una poesia della poesia, un potenziamento dell’opera d’arte : molto più urgente si rivela il bisogno dell’intellettuale di intervenire per evitare la rovina del teatro tedesco e guidare una sua riforma. Nella prefazione ai Dramaturgische Blätter Tieck elenca i motivi che lo hanno portato a redigere le recensioni per la « Abend-Zeitung » :
[...] tutti coloro a cui è lecito concedere voce in capitolo sono d’accordo nel ritenere che il nostro teatro sarebbe molto vicino al suo completo tramonto. Se questo fosse vero, indicare dove si trovi il male e accennare al modo in cui esso potrebbe venire curato o corretto non sarebbe un inizio superfluo. 1
Questi passi, più che inserirsi nel proposito romantico di potenziare l’opera d’arte, ricordano in modo evidente l’atteggiamento di Gottsched : il critico si trova di fronte a una situazione che ritiene rovinosa e decide di intervenire, assumendo, da una parte, una funzione regolatrice nei confronti dell’artista e, dall’altra, una funzione didattica nei confronti del pubblico. Nonostante cambino i modelli di riferimento e i parametri di giudizio, le critiche di Tieck rimangono, dunque, legate, nella forma e nella funzione, al paradigma settecentesco del giudice d’arte : « il giudizio di valore, il collegamento con l’opinione pubblica e l’amore per il dettaglio si ricollegano alla prassi critica pre-romantica ». 2 Come afferma Horst Preisler :
Dal punto di vista formale e funzionale la critica teatrale di Tieck si inserisce ancora certamente nella tradizione del ragionamento illuminista, ma procede, tuttavia, riflettendo per lo più in modo storico-ermeneutico sulla base di una teoria estetica dell’autonomia. 3
Tra testo poetico, opera d’arte e testo critico viene ristabilita una distanza. In un testo sull’Amleto di Shakespeare e sui modi in cui esso potrebbe essere messo in scena, Tieck corregge in parte l’assunto di Schlegel e, pur riconoscendo l’esigenza che la critica sia dotata di forza poetica, le assegna il compito di cercare le regole e le leggi che nascono nell’opera del genio :
La critica autentica non danneggerà mai la poesia, piuttosto la rinforzerà e la rinvigorirà. Lei stessa, tuttavia, sa anche che ogni nuovo valore introdotto dal genio produce anche nuove regole e nuove leggi ; lei cerca di individuare queste leggi e, se riesce in questa sua occupazione, è a sua volta, nel vero senso della parola, animata da forza poetica e creatrice. 4
Gli attacchi di Tieck non sono rivolti soltanto al teatro ma anche alla critica contemporanea. Di fronte alla diffusione del mercato dei giornali e all’importanza che in essi viene assegnata al teatro, l’autore del Gatto con gli stivali lamenta il prevalere della moda sul gusto, la mancanza di giudizi fondati su criteri oggettivi, il crollo di ogni autorità e l’incapacità dei critici di esercitare, con i propri discorsi, un effetto sulla disastrosa situazione teatrale. Il gusto (Geschmack), i criteri oggettivi, le autorità, tutto quello che era stato oggetto di parodia nella celebre commedia fantastica, riemerge ora nelle parole con cui lo stesso Tieck introduce la propria raccolta di scritti teatrali :
1 L. Tieck, Dramaturgische Blätter, in Id., Kritische Schriften (1848-1852), 4 voll., Berlin-New York, de Gruyter, 1974, vol. iii, p. ix. 2 J. Strobel, Romantische Theaterkritik. Ludwig Tieck, der Dramatiker, Dramaturg, Publizist und Editor, cit., p. 113. Strobel sottolinea la distanza che nell’opera di Tieck c’è tra la meta-critica (teatrale) offerta nei drammi e affine alle idee di Schlegel e l’esercizio effettivo dell’attività critico-teatrale ancora legato ai modelli e agli stilemi pre-romantici. 3 H. Preisler, Gesellige Kritik. Ludwig Tiecks kritische, essayistische und literarhistorische Schriften, Stuttgart, 4 Heinz-Akademischer, 1992, p. 74. L. Tieck, Dramaturgische Blätter, cit., vol. iii, p. 247.
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Può sembrare spiacevole o per lo meno davvero superfluo prendere, in quest’epoca, la penna in mano per esprimere opinioni, pareri e giudizi sul nostro teatro tedesco. Da tempo ormai quest’istituzione si è sottratta alla critica. Essa è dominata dalle mode invece che dal buon gusto. Tutte le autorità sono ormai cadute, tutti giudicano e recensiscono e nessuno ascolta. Tutti, dall’intenditore all’appassionato, si lamentano della decadenza del teatro e del tramonto dell’arte eppure i teatri non sono mai stati così gremiti, né mai, prima di oggi, l’opinione di questo o di quell’uomo ha avuto così poco influsso sulla moltitudine. 1
Adolph Müllner A fianco di una critica impegnata nella riforma del teatro e nella formazione del pubblico si costituisce, gradualmente, una critica teatrale che, abbandonando le intenzioni didattiche e pedagogiche, si rivolge unicamente all’intrattenimento dei lettori dei giornali e delle loro rubriche culturali e letterarie. Questa nuova forma di critica, oggetto degli strali di Tieck, fa proprio e volgarizza il tema romantico della critica come opera d’arte. Come nota giustamente Benjamin, i primi romantici intendevano, con quest’espressione, non una soggettivizzazione della critica, bensì l’idea che la sua oggettività venisse fondata nell’individualità di ciascuna opera d’arte, i cui nuclei essa aveva il compito di sviluppare. 2 Il rifiuto romantico di assegnare al critico l’ufficio di giudice e l’idea che l’opera d’arte non possa essere valutata secondo norme oggettive e universali si traspone ora, invece, in una critica disimpegnata e per nulla preoccupata dell’arbitrio dei propri giudizi e del miglioramento dell’arte. Un importante esempio del sorgere di questo atteggiamento è Adolph Müllner (17741829). Müllner nasce a Langendorf, in Sassonia, nei dintorni di Weißenfels, dove ritorna come avvocato nel 1798 dopo aver studiato giurisprudenza a Leipzig tra il 1793 e il 1797. Il teatro è una presenza centrale nella biografia di Müllner, che diventa presto un popolare autore drammatico e critico teatrale. Come drammaturgo si dedica in particolare al genere romantico dello Schicksalsdrama, e, seguendo il modello di autori come Zacharias Werner, contribuisce alla moda letteraria di questo genere con drammi come Der neunundzwanzigste Februar (1812), Die Schuld (1813) e König Yngurd (1817). La fama conquistata come autore gli apre le porte dell’attività pubblicistica. Tra il 1814 e il 1829 collabora con diversi giornali ed è, in particolare, redattore del « Morgenblatt für gebildete Stände », per il quale scrive, tra il 1820 e il 1825, in una rubrica dal titolo Korrespondenz-Nachrichten aus Berlin, critiche teatrali sulle rappresentazioni della Königliches Schauspielhaus di Berlino. Le sue recensioni mostrano elementi di grande interesse per la storia della critica teatrale, nei suoi scritti è evidente, infatti, il crescente influsso dell’aspetto commerciale della critica : non raramente egli usa questo medium per promuovere i propri drammi o difenderli dalle critiche altrui. L’ideale della neutralità del critico, centrale nella tradizione settecentesca, viene così definitivamente abbandonato. La critica prende partito, cosa che sarà all’origine, durante tutto il xix secolo, di un ricorrente pregiudizio contro i critici e il loro lavoro. Ogni obiettivo didattico e pedagogico è escluso dalle critiche di Müllner : un giudice d’arte (Kunstrichter), afferma in una recensione, è un giudice tanto poco quanto un ditale (Fingerhut – letteralmente “cappello del dito” N.d.T) è un cappello (Hut). 3 Se l’obiettivo della Drammaturgia d’Amburgo di Lessing era accompagnare passo per passo lo sviluppo del lavoro del poeta e degli attori, ora Müllner scrive :
I commedianti sopportano malvolentieri la critica. Essi desiderano soltanto essere lodati e contro 1
Ivi, p. 1. Cfr. W. Benjamin, Il concetto di critica nel romanticismo tedesco, cit., pp. 57-67. 3 Il passo della recensione originariamente pubblicata nel 1820 sul « Morgenblatt für gebildete Stände » è riportato nel seguente volume : J. Günther, Der Theaterkritiker Heinrich Theodor Rötscher, Leipzig, Voß, 1921, p. 2. 2
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ogni rimprovero ricorrono al consumato espediente di diffamare, presso l’intero circolo delle proprie conoscenze, colui che li critica come fosse un loro personale nemico. Dal momento che la loro autosufficienza gli sbarra la strada verso il miglioramento e il biasimo dei loro strafalcioni può apparire come una sottile fuliggine a coloro ai quali vengono mostrati soltanto degli errori, ecco che allora l’arte finisce per non guadagnarci niente se essi vengono giudicati pubblicamente e la critica finisce per perderci se prende pubblicamente in esame ciò che non è degno di essere esaminato. 1
Le critiche teatrali di Müllner sono organizzate nella forma di lettere scritte da personaggi fittizi. Esse iniziano, nella norma, con un Brief des Kurzen che presenta, in stile telegrammatico, un riassunto dell’accaduto e, in poche parole, offre un giudizio sul dramma e sulla recitazione. 2 A questa lettera seguono poi i contributi di altri personaggi immaginari come il Brief des Dramaturgen o il Brief der constitutionell gesinnten Dame. Come è evidente già dalla loro struttura esteriore, nelle sue recensioni si manifesta la trasformazione della critica teatrale in oggetto letterario. Il teatro diventa così soltanto occasione per la produzione di un oggetto artistico del tutto autonomo, come dimostra il fatto che Müllner non si preoccupi di seguire personalmente le messinscene, ma scriva le sue recensioni sul teatro berlinese senza mai spostarsi dalla sua residenza a Weißenfels. 3
1. 6. La restaurazione e il Vormärz : la critica teatrale come critica politica
Lo spostamento del centro del discorso critico rispetto all’oggetto teatrale è tipico di un altro paradigma che si sviluppa nella critica letteraria e teatrale tedesca tra gli anni venti e gli anni trenta dell’Ottocento. Questa volta, tuttavia, lo spostamento avviene in una direzione molto diversa : la critica dello spettacolo teatrale non è, come nel caso di Müllner, occasione per lo sviluppo di un oggetto letterario autonomo, ma spunto per impostare un discorso politico e sociale. L’idea dell’autonomia dell’arte da ogni telos esterno e da ogni considerazione morale, affermata dal romanticismo tedesco, viene ora seriamente rimessa in discussione. Nel periodo storico compreso tra la Restaurazione (1815-1830) e il Vormärz 4 (1830-1847) inizia a proporsi l’idea che l’arte sia un’attività il cui scopo è fuori di sé, nella sua capacità di esercitare una funzione politica sulla società e di essere un veicolo per l’affermazione di valori come il progresso e la libertà di opinione. Questo periodo, dal punto di vista storico, è complesso e particolare. Con la conquista di Parigi nel marzo del 1814 da parte degli alleati anti-napoleonici finisce il periodo di guerra e rivoluzioni iniziato nel 1789 e, con il congresso di Vienna, tra il settembre del 1814 e il giugno del 1815, viene avviata una nuova fase di restaurazione che porta con sé il tentativo di ristabilire il vecchio ordine fatto vacillare dalla rivoluzione francese e dalle guerre napoleoniche. La Germania è ora riunita nel Deutscher Bund, una confederazione di 39 stati sovrani, orientata dall’abilità politica di Metternich, ministro degli Esteri dell’Austria, insieme alla Prussia lo stato più influente della confederazione. In questa nuova fase storica la stampa e le libertà civili vengono sottoposte a un forte controllo e subiscono una stretta reazionaria. Il 1819 è, da questo punto di vista, un anno di fondamentale importanza : con le cosiddette
1 A. Müllner, Vermischte Schriften, 2 voll., Stuttgart-Tübingen, Cotta, 1824-1826, vol. ii (1826), pp. 301302. 2 Cfr. G. Koch, Adolph Müllner als Theaterkritiker, Journalist und literarischer Organisator, Emsdetten, Lechte, 1939, p. 17. 3 Cfr. L. Schöne, Neuigkeiten vom Mittelpunkt der Welt. Der Kampf ums Theater in der Weimarer Republik, cit., pp. 21-22. Gustav Koch ipotizza che le fonti che Müllner utilizzava per la redazione delle proprie recensioni fossero le critiche teatrali di altri giornali dell’epoca [Cfr. G. Koch, Adolph Müllner als Theaterkritiker, Journalist und literarischer Organisator, cit., pp. 24-25]. 4 Vormärz (Pre-marzo) è un concetto utilizzato per definire il periodo storico che precede la rivoluzione del marzo del 1848. Questo termine può essere impiegato sia per designare genericamente il periodo compreso tra il congresso di Vienna e la rivoluzione del 1848, sia per definire, in modo più specifico, il periodo compreso tra la rivoluzione del luglio 1830 a Parigi e la rivoluzione del marzo 1848 in Germania. Questo trentennio è caratterizzato da un periodo di pace e di stabilità internazionale e da forme di governo di stampo autoritario.
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deliberazioni di Karlsbad (Karlsbader Beschlüsse) si stabilisce, all’interno della confederazione tedesca, una censura preventiva su ogni rivista e volume a stampa di dimensione inferiore a 320 pagine in ottavo. 1 La censura, che pure esisteva anche precedentemente, inizia a essere ora sentita come un impedimento e un ostacolo all’affermazione di quello che, a partire dalla rivoluzione francese, veniva percepito come un diritto fondamentale dell’uomo. In particolare lo sviluppo di una consapevolezza nazionale e il tentativo di coinvolgere il popolo, anche attraverso la stampa, nella battaglia contro l’occupazione napoleonica, provoca negli intellettuali, dopo la vittoria contro la Francia, la pretesa di un riconoscimento politico e il rifiuto delle limitazioni alla libertà di parola e di opinione. 2 Come afferma Konrad Dussel :
La storia della stampa tedesca nella prima metà del diciannovesimo secolo ruota intorno a un tema centrale : la battaglia contro la censura. La censura era certamente sempre esistita, ma a partire dal tardo diciottesimo secolo inizia a essere sentita sempre più marcatamente come una sfacciataggine, anzi come una violazione dei diritti fondamentali dell’uomo. 3
Proprio in questo periodo si osserva, in Germania, lo sviluppo di una stampa d’opinione (Meinungspresse), una stampa il cui scopo fondamentale non è fornire informazione, ma sostenere un orientamento politico e che, perciò, si attribuisce un ruolo fondamentale nell’affermazione di un complesso di libertà, come per l’appunto la libertà di opinione e di espressione, all’interno della sfera pubblica. Un ruolo esercitato anche attraverso il feuilleton e le notizie culturali, che, per il carattere non politico del proprio oggetto, sono sottoposte a una minore attenzione da parte dello sguardo vigile della censura. Allo sviluppo di una sfera pubblica borghese e della sua consapevolezza politica e sociale si accompagna un profondo cambiamento nell’esercizio del mestiere dello scrittore e del critico. Tramonta definitivamente il fenomeno del mecenatismo, che aveva avuto una sua ultima brillante espressione nell’attività di Goethe e Schiller presso la corte di Weimar, e si afferma gradualmente il mercato dei libri e della stampa periodica e quotidiana. Alcuni editori come Johann Friedrich Cotta (1764-1832) iniziano ad acquisire un rilievo nel panorama culturale tedesco, e al contempo aumenta l’importanza dei giornali e della critica letteraria e teatrale, mediatrice tra l’opera d’arte e il nuovo ampio pubblico di lettori e spettatori. L’immagine moderna del giornalista e redattore inizia a definirsi proprio in questo periodo. 4 La cesura con le forme e le concezioni in cui si è espressa la generazione precedente, dal classicismo al romanticismo, emerge chiaramente nei lavori dei critici e degli scrittori che iniziano la propria attività tra gli anni venti e gli anni trenta dell’Ottocento. Come osserva Wellek, la percezione di un cambiamento profondo nell’atmosfera culturale è rafforzato da una parte dalla morte di coloro che avevano dominato fino ad allora la vita intellettuale tedesca – Goethe (1832), Friedrich Schlegel (1829) e Hegel (1831) – e, dall’altra, dalla rivoluzione che investe Parigi nel luglio 1830 e che spinge importanti intellettuali tedeschi come Ludwig Börne e Heinrich Heine a trasferirsi nella capitale francese. 5 In proposito Maria Zens afferma :
Le forme di espressione artistica del tempo non bastano più a esprimere l’accresciuta percezione di tensione, inquietudine, varietà e accelerazione che caratterizza l’epoca, e anche la critica viene sentita, al più tardi a partire dal 1820, come insoddisfacente. Questo vale sia per l’atteggiamento generosamente informativo di una critica erudita, che tende più a descrivere la nuova letteratura 1 Cfr. A. Geisthövel, Restauration und Vormärz in Deutschland 1815-1847, Paderborn, Schöningh, 2008, pp. 12-29. 2 Cfr. K. Dussel, Deutsche Tagespresse im 19. und 20. Jahrhundert, Münster, Lit, 2004, pp. 23-24. 3 Ivi, p. 23. 4 Cfr. M. Zens, Literaturkritik in der Zeit des Jungen Deutschland, des Biedermeier und des Vormärz, in Literaturkritik. Geschichte, Theorie, Praxis, a cura di T. Anz, R. Baasner, cit., p. 75. 5 Cfr. R. Wellek, Geschichte der Literaturkritik 1750-1950, cit., vol. ii (1977), p. 170.
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che a giudicarla, sia per l’impostazione esegetica dei romantici che con la loro forma di critica non vogliono ricollegare l’opera artistica alla sfera dell’esperienza reale ma, al contrario, dissolverla in un ulteriore grado di riflessività. Questo disagio provoca effetti opposti : da una parte il desiderio di intervenire in maniera rinnovatrice e trasformativa, e, dall’altra, lo sforzo di conservare un ordine politico e letterario divenuto ormai precario. 1
Proprio il tentativo di ristabilire una connessione tra l’arte e la realtà e di assegnare una nuova funzione allo sguardo critico, trova la compiuta espressione in Germania nell’attività pubblicistica di autori come Ludwig Börne (1786-1837), e, immediatamente dopo, nei testi di scrittori e critici come Heinrich Heine (1797-1856), Karl Gutzkow (1811-1878) e Heinrich Laube (1806-1884). Un impegno critico e intellettuale che scatena presto la dura reazione repressiva delle autorità : nel dicembre del 1835 la dieta federale di Francoforte proibisce gli scritti di un gruppo di autori identificati con il nome di Junges Deutschland, – Heine, Gutzkow, Laube, Ludolf Wienbarg (1802-1872) e Theodor Mundt (1808-1861) – e dà inizio a un procedimento legale contro di essi, i loro editori e i diffusori dei loro scritti. 2 Il procedimento viene revocato pochi anni dopo, nel 1842, e molti di loro si conciliano rapidamente con le autorità. 3 Resta da sottolineare, in ogni caso, il fatto che in questo processo di politicizzazione della stampa proprio il teatro, per la sua capacità di rispecchiare e influenzare la società, acquisti una posizione strategica per quanti decidono di esercitare, attraverso la critica artistica, una critica politica e sociale.
Ludwig Börne L’attività critico-teatrale di Ludwig Börne è esemplificativa di questo nuovo modello critico e intellettuale e mostra come esso si formi in stretta correlazione con la situazione socio-politica dell’Europa e della Germania nella prima metà del xix secolo. La sua stessa biografia e la scelta di dedicarsi all’attività di pubblicista sono segnate, infatti, dai profondi rivolgimenti storici che interessano il primo trentennio del nuovo secolo. Börne nasce nel 1786 nel ghetto di Francoforte con il nome di Juda Löw Baruch. Dopo un breve soggiorno a Berlino (1802-1803), tra il 1804 e il 1806 studia a Halle medicina, l’unica facoltà a cui allora, in Germania, erano ammessi studenti ebrei.4 Ma le innovazioni introdotte con il codice napoleonico consentono a Löw Baruch di cambiare facoltà e passare allo studio delle Scienze Camerali, concluso nel 1808 a Gießen. La nuova legislazione inoltre gli permette di intraprendere, dal 1811, come Polizeiaktuar (attuario di polizia), una carriera di funzionario statale. Ma non appena, col congresso di Vienna, vengono ripristinate le norme precedenti egli è costretto ad abbandonare questa occupazione. Nel 1818 Juda Löw Baruch cambia il proprio nome in Ludwig Börne, si converte al protestantesimo e inizia la carriera di collaboratore e redattore di diversi giornali liberali. Dal 1818 al 1821 fonda e dirige una rivista, « Die Waage », e, durante gli anni venti, scrive per testate come il « Neckarzeitung » e il « Morgenblatt für gebildete Stände », fino a che, a seguito della rivoluzione parigina del luglio 1830, decide di trasferirsi nella capitale francese. Dalla corrispondenza con la sua compa
1
M. Zens, Literaturkritik in der Zeit des Jungen Deutschland, des Biedermeier und des Vormärz, cit., p. 65. È interessante notare che gli autori coinvolti nella condanna non facevano in realtà parte di una scuola, ma esprimevano semmai tendenze affini : « Seguendo l’esempio delle associazioni rivoluzionarie sorte all’estero, quali la Giovine Francia e la Giovine Italia, a partire dal 1833 comparve negli scritti di Laube e Gutzkow l’espressione “Junges Deutschland” – ma non certo con l’intenzione di designare una scuola letteraria » [V. Zmegac, S. Zdenko, L. Sekulic, Breve storia della letteratura tedesca. Dalle origini ai giorni nostri, cit., p. 217]. 3 Gutzkow diventa, infatti, pochi anni dopo segretario generale della Deutsche Schillerstiftung, Laube assume la direzione dell’Hofburgtheater di Vienna, mentre Mundt si dedica, in Prussia, all’insegnamento universitario [Cfr. R. Wellek, Geschichte der Literaturkritik 1750-1950, cit., vol. ii, p. 188]. 4 Cfr. W. Jasper, Ludwig Börne. Keinem Vaterland geboren. Eine Biographie, nuova edizione aggiornata, Berlin, Aufbau, 2003, p. 49. 2
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gna, Jeannette Wohl, nascono i Briefe aus Paris (1830-1833), la sua opera più importante, pubblicata per la prima volta tra il 1832 e il 1835. Nei propri scritti critici Börne propone una visione unitaria di arte, scienza e vita e fa di questa idea il centro della propria attività critica. L’arte e la politica non sono campi indipendenti ed eterogenei, ma due aspetti della medesima vita sociale e pertanto il discorso critico e il discorso politico non possono essere che interdipendenti. Così, nell’annuncio del periodico « Die Waage », egli afferma di guardare con ammirazione alla Francia, nelle cui riviste viene trattata, sulla stessa pagina e con la medesima attenzione, la prestazione di Talma sul palcoscenico e il discorso di un ministro alla camera. 1 Il suo scopo come critico è quello di agire, attraverso un campo di forte interesse sociale come il teatro, nel ruolo di giudice della società e di promotore dello sviluppo di una sfera pubblica borghese dove domini la libertà di giudizio. Non è un caso che egli scelga La bilancia (Die Waage), come nome per la rivista in cui debutta come critico. L’obiettivo esplicito, infatti, è quello di “pesare”, valutare e giudicare la società tedesca, e se nel far questo egli non tematizza direttamente la sfera socio-politica ciò dipende, come sottolinea nella prefazione alla raccolta dei propri scritti teatrali, dall’inconsistenza politica della società tedesca più che della mancanza di criteri per giudicarla :
I pesi non mi mancavano, ma non avevo nulla da mettere sulla bilancia. Il popolo al mercato non agiva e non faceva affari, e il popolino delle stanze superiori commerciava con aria, vento e altre sostanze imponderabili. 2
Così il metro attraverso cui sceglie di misurare la società è il teatro, e questo per due ragioni. In primo luogo Börne riconosce, non senza accenti ironici, il posto e l’importanza del tutto peculiare che il teatro occupa per la società tedesca : « Indossai la parrucca da saggio e parlai correttamente nel contesto delle controversie che per il cittadino tedesco sono le più importanti e le più accese : le faccende di teatro ». 3 Ma, in secondo luogo, Börne sottolinea, soprattutto, il rapporto espressivo che intercorre tra la vita teatrale e la società. Il teatro non è nient’altro che lo specchio della società e la critica teatrale deve avere come oggetto l’immagine riflessa che qui appare : « Vedevo negli spettacoli l’immagine riflessa della vita : se l’immagine non mi piaceva colpivo lo specchio, se mi ripugnava lo facevo a pezzi ». 4 Il teatro e l’arte non sono creazioni dello spirito autonome e indipendenti dai rapporti sociali all’interno di cui vengono prodotte. Così i metri di giudizio della critica teatrale non sono estetici ma politici : « battevo il basto per colpir l’asino ». 5 Per questa ragione, nelle critiche teatrali di Börne, non sono tanto gli aspetti artistici e formali dello spettacolo o del dramma l’oggetto del discorso, quanto il loro contenuto ideologico. Così, ad esempio, parlando del Guglielmo Tell di Schiller, afferma :
Il carattere di Tell è la sottomissione. Egli sa come occupare e difendere il posto che la natura, la società borghese e il caso gli hanno assegnato ; del quadro generale non possiede una visione d’insieme né se ne cura. Come un cattivo medico vede solo i sintomi dei propri mali e di quelli del proprio paese e cerca di curare solo questi. Abile e pronto ad aiutare se stesso e il singolo oppresso nel momento del bisogno, non ha voglia ed è incapace, invece, di agire per il bene comune. 6
Il critico teatrale Börne rompe dunque espressamente sia con la tradizione dotta dei giudici d’arte che con il carattere estetizzante della critica romantica : se quest’ultima
1 Cfr. L. Börne, Ankündigung der “Waage”, in Id., Börnes Werke in zwei Bänden, 2 voll., a cura di H. Bock e W. Dietze, Berlin-Weimar, Aufbau, 1964, vol. i, p. 81. 2 L. Börne, Vorrede zu den “Dramaturgischen Blättern“, in Id., Börnes Werke in zwei Bänden, cit., vol. i, p. 8. 3 4 Ibidem. Ivi, p. 10. 5 Ibidem. Come afferma Ludwig Marcuse : « [...] Börne, attraverso lo spazio chiuso e isolato del teatro, colpiva sempre la realtà sociale e le sue frecce contro gli uomini di teatro penetravano nella carne della società » [L. Marcuse, Ludwig Börne. Aus der Frühzeit der deutschen Demokratie, Zürich, Diogenes, 1980, p. 96]. 6 L. Börne, Über den Charakter des Wilhelm Tell in Schillers Drama, in Id., Börnes Werke in zwei Bänden, cit., vol. i, pp. 219-220.
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viene esclusa a priori dal tentativo di connettere il teatro con la realtà sociale, la tradizione del Kunstrichter viene combattuta attraverso l’introduzione del carattere soggettivo del giudizio critico. Börne si presenta, infatti, esplicitamente, come un outsider, come qualcuno che non conosce le norme e i principi che regolano la creazione teatrale e che, per questa ragione, non può far altro che giudicare affidandosi alle proprie impressioni individuali :
Come un giurato giudicavo in base alla sensazione e alla coscienza ; delle leggi non mi preoccupavo, anzi, neppure le conoscevo. Quello che Aristotele, Lessing, Schlegel, Tieck, Müllner e altri avevano comandato o proibito all’arte drammatica mi era del tutto estraneo. 1
Con Ludwig Börne nasce la critica teatrale impressionista, la critica che fa dell’impressione soggettiva e personale del critico, indipendentemente dalle sue conoscenze e dalla sua erudizione, il centro del giudizio. Ma l’impressionismo di Börne non comporta l’atteggiamento estetizzante e il relativismo che caratterizzerà invece l’impressionismo di fine secolo. Il significato del suo soggettivismo riguarda piuttosto la scelta di mettersi in gioco in prima persona nella battaglia critica e di esporre, senza alcun timore, le proprie convinzioni politico-estetiche. Sotto la matrice del proprio “Io” egli sviluppa, così, uno stile ironico e pungente, di cui si serve per colpire i suoi bersagli :
Come ci racconta Heine in Tirolo è stata proibita persino la lettura del dramma di Immermann Trauerspiel in Tirol. È assolutamente giusto ; i tirolesi altrimenti potrebbero disimparare a fare lo jodel e i buoni viennesi avrebbero un diletto in meno. 2
Come sarà per Bertolt Brecht, un centinaio di anni più tardi, non sono le valutazioni estetiche ma le considerazioni politiche a decidere del valore di un opera d’arte : il giudizio non riguarda ciò che è bello e ciò che è brutto ma ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Proprio su questo aspetto, negli anni trenta dell’Ottocento, le strade di Ludwig Börne e Heinrich Heine si divideranno irrimediabilmente. 3 Come nota giustamente Wellek :
Heine, che successivamente aveva attaccato Börne, viene abitualmente nominato insieme a lui, ma in realtà se ne differenzia in modo profondo. Heine non smise mai di essere poeta e non perse mai la comprensione dell’essenza dell’arte. 4
Heine, per descrivere questa differenza, utilizza due categorie, “nazareno” ed “elleno”, che ritroveremo più tardi negli scritti di Alfred Kerr :
Dico nazareno per non servirmi dell’espressione “ebreo” o “cristiano” nonostante entrambi i termini siano per me sinonimi e non vengano da me utilizzati per definire una religione ma piuttosto un’indole. “Ebrei” e “cristiani” sono per me parole molto affini nel significato, al contrario della parola “elleni”, con la quale a sua volta non indico un determinato popolo, ma un orizzonte spirituale e un modo di concepire le cose al tempo stesso innato e acquisito. A questo proposito desidero dire : tutti gli uomini sono ebrei o elleni, cioè uomini dagli impulsi spiritualizzanti, iconoclasti e ascetici, oppure uomini dotati di una natura realista, orgogliosa di dischiudersi e serenamente rivolta alla vita. […] Börne era del tutto nazareno. La sua antipatia per Goethe risultava direttamente dalla sua indole nazarena, la sua successiva esaltazione politica era fondata in quell’aspro ascetismo, in quella sete di martirio che si può generalmente riscontrare tra i repubblicani, che essi chiamano virtù repubblicana e che è molto simile al desiderio di passione dei primi cristiani. 5
1
2 L. Börne, Vorrede zu den “Dramaturgischen Blättern“, cit., p. 8. Ivi, p. 16. Gli scritti che documentano il rapporto tra Börne e Heine e la rottura tra i due scrittori tedeschi sono raccolti in Ludwig Börne und Heinrich Heine, ein deutsches Zerwürfnis, a cura di H. M. Enzensberger, Frankfurt a. M., Vito von Eichborn, 1997. 4 R. Wellek, Geschichte der Literaturkritik 1750-1950, cit., vol. ii, p. 179. 5 H. Heine, Ludwig Börne : eine Denkschrift, in Ludwig Börne und Heinrich Heine, ein deutsches Zerwürfnis, a cura di H. M. Enzensberger, cit., p. 128. 3
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1. 7. La nascita del giornalismo moderno nella seconda metà dell’Ottocento I paradigmi e i modelli della critica teatrale sono indissolubilmente legati alle evoluzioni del mezzo su cui essa si esprime : la stampa quotidiana e periodica. A partire dalla metà del xix secolo la comunicazione giornalistica si trasforma radicalmente. Se nel periodo della restaurazione e del Vormärz lo scopo di un giornale era sostenere un’opinione (Meinung) e intorno a questo scopo si organizzava il discorso dei singoli redattori, ora, gradualmente, inizia a prevalere l’aspetto commerciale. Non che esso in precedenza non avesse importanza, ma alcuni cambiamenti strutturali portano a un capovolgimento delle priorità, e questo, a sua volta, comporta quel rivoluzionamento nella natura dei giornali che farà della stampa un mezzo di comunicazione di massa. L’origine di questa enorme trasformazione deve essere ricercata, innanzitutto, nella riforma delle inserzioni pubblicitarie. Fino alla metà del secolo, in Germania, le inserzioni pubblicitarie potevano essere stampate unicamente su periodici dedicati esclusivamente a questo scopo, gli Intelligenzblätter. 1 A partire dal 1850 il mercato delle inserzioni viene liberalizzato, la pubblicità inizia a comparire su giornali e riviste e, grazie a questa nuova fonte di profitto, i giornali acquistano in modo sempre più marcato i tratti di un’impresa commerciale. 2 Lo scopo centrale di un giornale diventa ideare strategie editoriali e di comunicazione adatte ad attrarre un grande numero di lettori, cosa che fa crescere, a sua volta, l’appetibilità degli stessi giornali presso gli inserzionisti.3 Il numero di copie stampate e la frequenza di pubblicazione divengono fattori fondamentali nella comunicazione giornalistica, tanto che le agenzie di stampa, nate come tramite tra gli inserzionisti e le testate, iniziano a compilare cataloghi nei quali vengono indicate la frequenza e la tiratura delle riviste e dei giornali. 4 Il risultato più visibile di questa trasformazione strutturale è la formazione, nella seconda metà dell’Ottocento, di tre grossi gruppi industriali che domineranno il paesaggio della stampa fino alla presa del potere dei nazionalsocialisti : Mosse, Scherl e Ullstein. 5 Il tentativo di raggiungere un numero ampio di lettori è favorito dallo sviluppo di tecnologie di stampa, come la stampa rotatoria, e di tecnologie di lavorazione della carta che permettono di aumentare in modo ragguardevole il numero di copie prodotte ogni ora. 6 La stampa inizia ad assumere i tratti di un mezzo di comunicazione di massa, come emerge chiaramente dalle strategie con cui i grossi gruppi industriali affrontano la concorrenza. Nel 1871, ad esempio, Rudolf Mosse lancia il suo primo quotidiano, il « Berliner Tageblatt », offrendo migliaia di copie gratuite e, qualche anno dopo, nel novembre del 1883, August Hugo Friedrich Scherl fa lo stesso distribuendo gratuitamente la tiratura iniziale di 200.000 copie del suo « Berliner Lokal Anzeiger ». 7 Grazie all’invenzione del telegrafo, poi, oltre alla produzione e al profitto cresce, in modo esponenziale, il numero delle notizie e, soprattutto, la velocità della loro diffusione. Sorgono, in tutto il mondo, importanti agenzie di informa
1 Gli Intelligenzblätter nascono in Francia, intorno al 1630, quando Théophraste Renaudot, editore di giornali, decide di creare un ufficio per annunci di vario genere che potevano essere visionati dietro pagamento di una tassa. Per indicare questa forma di consultazione a pagamento degli annunci venne usato il verbo latino “intelligere” e questo istituto venne chiamato Intelligenz-Comptoir. Presto però Renaudot decise di far stampare questi annunci, e lo fece prima attraverso un periodico ad essi riservato, il « Feuilles du Bureau d’Adresse », e più tardi allegandoli ai giornali da lui editi. Il più antico Intelligenzblatt in lingua tedesca è il « Wiennerische Diarium » pubblicato a partire dall’inizio del xviii secolo [Cfr. K. Dussel, Deutsche Tagespresse im 19. und 20. Jahrhundert, cit., 2 pp. 73-74]. Cfr. ivi, pp. 83. 3 4 Cfr. ibidem. Cfr. ivi, pp. 76-77. 5 Per una storia della nascita e dei primi sviluppi dei tre gruppi industriali della stampa si veda K. Koszyk, Deutsche Presse im 19. Jahrhundert, in Id. Deutsche Presse, 4 voll., Berlin, Colloquium, 1966-1986, vol. ii (1966), pp. 276-295 e K. Dussel, Deutsche Tagespresse im 19. und 20. Jahrhundert, cit., pp. 86-89. 6 Per un quadro piu completo sullo sviluppo delle tecnologie della stampa cfr. K. Dussel, Deutsche Tagespresse im 19. und 20. Jahrhundert, cit., pp. 59-67 e R. Stöber, Deutsche Pressegeschichte von den Anfängen bis zur Gegenwart, cit., pp. 118-131. 7 Cfr. K. Dussel, Deutsche Tagespresse im 19. und 20. Jahrhundert, cit., pp. 86-87.
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zione come la Reuter, il Wolffs Telegraphisches Bureau (WTB) e la Havas, che gestiscono e orientano questo enorme flusso : l’attualità, l’immediatezza e la velocità iniziano a essere percepite come fattori centrali per intercettare l’interesse dei lettori. 1 In questo contesto muta anche la natura dell’attività giornalistica : coloro che scrivono per i giornali, tra essi i critici teatrali, perdono definitivamente il profilo di intellettuali autonomi e divengono impiegati stipendiati dai quotidiani e sottoposti nella forma, nelle opinioni e nelle scelte, alla linea editoriale dei propri datori di lavoro. 2 La questione della libertà di espressione dei redattori si pone, ora, non più soltanto rispetto alla censura e al potere politico ma, parimenti, rispetto alle considerazioni economiche e commerciali che indirizzano i quotidiani. D’altro canto, alla diffusione di massa dei giornali consegue la crescita del peso e dell’influsso che essi esercitano sull’opinione pubblica e il potere politico, ora, non potendo più semplicemente controllarli attraverso mezzi repressivi, come la censura preventiva, inizia a considerarli come importanti fattori del consenso : in Prussia vengono creati uffici, come il Literarisches Bureau des Königlichen Staatsministeriums, preposti a influenzare l’informazione per sostenere la linea del governo, 3 ed è senza dubbio significativo che uno dei più importanti critici teatrali della seconda metà dell’Ottocento, Theodor Fontane, all’inizio della propria attività pubblicistica, lavori presso uno di questi uffici governativi. Lo strutturarsi di questo nuovo modello di comunicazione giornalistica comporta una profonda ridefinizione della forma e della funzione della critica teatrale e va a Russel Berman, di cui seguiamo la lettura, il merito di avere illustrato in modo sintetico e puntuale questo complesso panorama. 4 Nella seconda metà del secolo emergono e si confrontano paradigmi critici che rispondono in modo opposto agli stimoli del tempo : alcuni scelgono uno stile seducente e immediato che si inserisce perfettamente nelle nuove esigenze della nascente comunicazione di massa, altri, prendendo le distanze da una prospettiva meramente orientata all’intrattenimento, preferiscono proporsi come avanguardia del rinnovamento estetico e divengono portavoce della più importante rivoluzione teatrale e letteraria della fine dell’Ottocento, il naturalismo.
1. 8. Il critico teatrale come storico e cronista : Karl Frenzel
Durante la seconda metà dell’Ottocento, in Germania, l’attività critico-teatrale è segnata non solo dai profondi cambiamenti relativi ai mezzi di comunicazione ma anche da eventi storici e politici che segnano profondamente la vita e la percezione dell’opinione pubblica. La reazione politica dei governanti tedeschi, seguita al fallimento della rivoluzione del 1848, e la commercializzazione della stampa comportano una de-politicizzazione della critica e delle istituzioni culturali, come emerge, con tutta la sua evidenza, nell’attività di Karl Frenzel (1827-1914). 5 Frenzel, dopo lo studio a Berlino e la collaborazione con la rivista di Karl Gutzkow « Unterhaltungen am häuslichen Herd » (1853-1862), assume l’incarico di critico teatrale per il feuilleton della « Berliner Nationalzeitung » (1862-1908) e del « Deutsche Rund schau » (1874-1914), e diventa uno dei critici più importanti del panorama berlinese. Nelle sue recensioni si osserva il persistere nella tradizione del giudizio dotto, del Kunstrichter, colui che valuta l’evento teatrale attraverso le regole che definiscono il corretto funzionamento
1
Cfr. ivi, pp. 67-72. Cfr. R. A. Berman, Literaturkritik zwischen Reichsgründung und 1933, cit., p. 205. Sulla nascita e lo sviluppo del mestiere giornalistico nel xix secolo si veda: J. Requate, Journalismus als Beruf. Entstehung und Entwicklung des Journalistenberufs im 19. Jahrhundert. Deutschland im internationalen Vergleich, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1995. 3 Cfr. K. Dussel, Deutsche Tagespresse im 19. und 20. Jahrhundert, cit., p. 56. 4 Russel A. Berman ha dedicato a questi temi un ampio studio, [Cfr. R. A. Berman, Between Fontane and Tucholsky. Literary Criticism and the Public Sphere in Imperial Germany, cit.] e un più breve saggio in cui ha rielaborato e riproposto le medesime tesi [Cfr. R. A. Berman, Literaturkritik zwischen Reichsgründung und 1933, cit.]. 5 Cfr. R. A. Berman, Literaturkritik zwischen Reichsgründung und 1933, cit., pp. 205-209. 2
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del genere drammatico. I drammi, oggetto della rappresentazione teatrale, non vengono giudicati, come ad esempio in Ludwig Börne, a partire dal loro significato politico o morale : ogni considerazione esterna all’ambito estetico – che non sia in funzione dell’esplicazione del contenuto del dramma – viene esclusa. Così, ad esempio, come nota Berman, 1 nella recensione del dramma di Gutzkow, Der Gefangene von Metz, nonostante l’attualità del tema avesse spinto critici come Fontane a valutazioni di carattere politico, Frenzel si sofferma unicamente sugli aspetti strutturali dell’edificio drammatico, e, se rifiuta il dramma, ciò dipende soltanto da considerazioni estetiche, come l’eccessiva complessità della materia e la mancanza di sintesi, qualità indispensabile alla letteratura drammatica :
L’unico modo per trasformare questo soggetto in un’efficace azione drammatica sarebbe stato semplificarlo ed eliminare tutti gli accessori che adesso adornano l’opera e che contribuiscono soltanto a disorientare lo spettatore e a occultare le figure dei protagonisti. 2
L’idea del teatro come istituto morale, che da Gottsched in avanti rappresenta il tratto caratterizzante di una lunga tradizione tedesca nelle cui fila si potevano annoverare personalità del calibro di Schiller, viene non solo messa in discussione ma addirittura esplicitamente rifiutata. Nella premessa alla raccolta degli scritti teatrali pubblicata nel 1877 Frenzel nota come, dopo il 1848, il teatro non sia più, in Germania, un luogo di discussione sociale e politica ma rappresenti, piuttosto, uno spazio di intrattenimento per elevare gli spettatori dalle nebbie del quotidiano alla libertà e alla bellezza. 3 Il critico perciò, non deve più essere un attivista politico, ma assumere le vesti di uno storico. La funzione della critica teatrale diviene, dunque, per Frenzel, quella di produrre documenti per una futura storia del teatro :
Vale dunque la pena raccogliere testimonianze, critiche e trattati appartenenti a un’epoca se non di decadenza, certo di transizione ? Perché rivendicare alla pagina effimera, al servizio della singola giornata, una durata maggiore, un valore più alto ? Per una sola ragione, credo, perché così facendo viene dato un contributo alla storia del teatro berlinese. 4
Per questo scopo è necessario che il critico recuperi l’oggettività persa dalla critica soggettiva e il carattere specialistico messo in dubbio, secondo Frenzel, dal sempre minor numero di critici dotti ed eruditi in materia teatrale :
Egli [il critico, N.d.T.] deve ricercare le ragioni per le quali un lavoro è piaciuto mentre un altro è stato deriso. L’allestimento del dramma, la rappresentazione dell’opera devono essere commisurati a ciò che è possibile. […] Per poter adempiere a queste esigenze è necessaria una lunga conoscenza del teatro. Niente nuoce così tanto alla critica che la leggerezza con la quale, nei quotidiani, chiunque si sente competente e legittimato a esprimere giudizi su poeti e attori. 5
Frenzel, dunque, reagisce al cambiamento in atto nella comunicazione giornalistica cercando di salvaguardare la figura tradizionale del critico come giudice oggettivo e imparziale. Egli, tuttavia, non disconosce la profonda trasformazione che ha investito le aspettative dei lettori dei quotidiani e, conseguentemente, gli obiettivi della critica teatrale. Il profilo del critico teatrale moderno, afferma ancora Frenzel nella premessa alla raccolta Berliner Dramaturgie, è profondamente diverso da quello di Lessing, padre nobile della critica teatrale tedesca. Il critico è, ora, in primo luogo, un cronista (Berichterstatter) e soltanto secondariamente si rivolge al poeta e agli attori per promuovere un miglioramento della scena. 6 Così il giudice d’arte, il Kunstrichter, diviene, nel nuovo contesto mediatico, non più un punto di riferimento per l’artista teatrale, ma un cronista che raccoglie l’elemento
1
Cfr. ivi, p. 209. K. Frenzel, Der Gefangene von Metz (10 gennaio 1871), in Id., Berliner Dramaturgie, 2 voll., Erfurt, Bartholomäus, 1877, vol. i, p. 230. 3 4 Cfr. K. Frenzel, Berliner Dramaturgie, cit., vol. i, pp. 3-4. Ivi, p. 5. 5 6 Ivi, p. 18. Cfr. ibidem. 2
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fuggevole dell’evento teatrale e lo fissa nelle sue recensioni lasciando un documento per la costruzione di una futura storia del teatro. 1. 9. La critica soggettiva e l’intrattenimento del lettore : il Feuilletonismus e Theodor Fontane
Una risposta di segno opposto al mutato orizzonte sociale e comunicativo proviene, invece, da critici teatrali come Paul Lindau (1839-1919) e Theodor Fontane (1819-1898). Per definire i tratti caratteristici del loro orientamento si può utilizzare, seguendo Berman, il concetto di Feuilletonismus, un concetto centrale nella storia della pubblicistica del xix secolo. 1 Il termine feuilleton possiede, come mostra Emil Dovifat, tre differenti significati. 2 In primo luogo indica la parte dei quotidiani dedicata a tutte le notizie che non appartengono alla cronaca e alla politica : cultura, teatro, letteratura, viaggi e racconti. In secondo luogo definisce una specifica forma di testo, che trova spazio in questa parte dei quotidiani, la cosiddetta “Kleine Form”, che, come afferma Theobald, si lascia distinguere difficilmente da altre espressioni testuali come la glossa, il reportage e il saggio, e che si caratterizza, specificamente, per la breve dimensione, il tono leggero, spesso sospeso tra il serio e il faceto, e l’estensione delle tematiche, che sfiorano, senza approfondirle, questioni estetiche, psicologiche o filosofiche. 3 Infine, attraverso il sostantivo Feuilletonismus si designa, per associazione e inizialmente in modo dispregiativo, uno stile di scrittura critica e di riflessione teorica in cui l’impressione soggettiva e momentanea prevale sulla riflessione ponderata e analitica. Negli anni dello sviluppo del carattere commerciale della stampa quotidiana, la parte culturale dei giornali, il feuilleton, separato graficamente dal resto delle notizie attraverso una linea trasversale – e per questo definito attraverso l’espressione Unter dem Strich, ‘sotto la linea’ – è il luogo dove il lettore trova ristoro dal ritmo frenetico e dal carattere serio delle notizie di cronaca e politica. La capacità di suscitare la curiosità del lettore e di stuzzicare il suo interesse diventano alcuni degli ingredienti principali di questa sezione dei quotidiani, come documenta l’uso, nella seconda metà dell’Ottocento, di pubblicare romanzi a puntate per rendere continuativo il legame con i lettori. In linea con questa tendenza generale, alcuni critici teatrali iniziano a sviluppare uno stile narrativo e sensoriale, lontano dalla prosa asciutta del giudice d’arte. L’intrattenimento del lettore diviene un elemento fondamentale per la critica teatrale. Così, mentre per un critico come Frenzel la restrizione dell’argomentazione all’ambito estetico è essenziale, critici come Lindau e Fontane si permettono di estendere lo spettro del proprio discorso, di sfiorare questioni politiche e di attualità, di soffermarsi su descrizioni di luoghi, o semplicemente di divagare. Paul Lindau, descrivendo lo stile del critico teatrale francese Jules Janin, punto di riferimento per la sua concezione critica e giornalistica, afferma :
Nell’ultimo periodo della sua attività feuilletonista se la prendeva assai comoda con la vera e propria critica delle opere teatrali che gli venivano assegnate. A volte, infatti, non parlava quasi per niente del testo e della rappresentazione. Scriveva, invece, ciò che gli veniva in mente – e gli veniva sempre in mente qualcosa – anche se aveva poco o niente a che fare con il tema su cui si voleva sentir dire qualcosa da lui. Prendeva il lettore gradevolmente a braccetto e lo portava a spasso. Ma non restava a lungo sulla strada principale : dopo poco prendeva una strada secondaria che
1 Cfr. R. A. Berman, Literaturkritik zwischen Reichsgründung und 1933, cit., pp. 210-217. In proposito si veda anche R. A. Berman, Between Fontane and Tucholsky. Literary Criticism and the Public Sphere in Imperial Germany, cit. pp. 25-68. 2 Cfr. E. Dovifat, J. Wilke, Zeitungslehre, 2 voll., Berlin-New York, de Gruyter, 1976, vol. ii, p. 73. Sul feuilleton come sezione dei giornali e sul Feuilletonismus come stile e atteggiamento giornalistico cfr. ivi, pp. 70-117. Per una sintetica esposizione della storia e del significato del concetto di feuilleton si veda inoltre la voce corrispondente, redatta da A. Todorow, in Historisches Wörterbuch der Rhetorik, 11 voll., a cura di G. Ueding, Tübingen, Niemeyer, 1992-2014, vol. iii (1996), pp. 259-266. 3 Cfr. W. Theobald, Alles Theater ! Medien, Kulturpolitik und Öffentlichkeit, cit., p. 30.
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sfociava in un’altra via laterale che bisognava altrettanto percorrere per poi arrivare a un piccolo sentiero ombreggiato dove era possibile conversare indisturbati di ogni argomento immaginabile. Della chiacchiera si intendeva come pochi altri. 1
Il centro del giudizio non è più rappresentato da regole astratte e impersonali ma dalle impressioni soggettive del critico. Il critico non si presenta come istanza astratta ma come persona e individuo, e l’ideale dell’obiettività assoluta viene abbandonato. Theodor Fontane Un esempio di questo nuovo atteggiamento sono le critiche teatrali di Theodor Fontane (1819-1898). Romanziere, novellista, poeta e giornalista, Fontane è, senza alcun dubbio, uno degli autori tedeschi più importanti e significativi della seconda metà dell’Ottocento. Nonostante i suoi primi esperimenti letterari risalgano alla fine degli anni trenta, soltanto nel 1849 Fontane decide di lasciare la carriera di farmacista per dedicarsi unicamente alla scrittura. La sua biografia intellettuale testimonia in modo evidente il nuovo status che gli scrittori e i giornalisti assumono in Germania. Fontane non è un accademico né può permettersi di vivere di rendita. Dopo un debutto come giornalista politico nei mesi successivi alla rivoluzione, egli si vede costretto, sin dai primi anni cinquanta, ad accettare l’impiego presso gli uffici di informazione e stampa legati al governo prussiano. Rassegnato e amareggiato dagli sviluppi dell’esperienza rivoluzionaria, nel 1850 è lettore del Literarisches Kabinett del ministero degli interni e dal 1851 collabora con la Zentralstelle für Preßangelegenheiten, un ufficio il cui compito è influenzare e migliorare l’immagine del governo presso la stampa. La sua carriera di critico teatrale comincia piuttosto tardi. Dopo la morte di Friedrich Wilhelm Gubitz, egli assume, dal 1870, il posto di critico teatrale del quotidiano di orientamento liberale « Vossische Zeitung », presso il quale rimarrà impiegato fino al 1890 e come collaboratore fino al 1894. 2 Nelle sue critiche teatrali Fontane abbandona ogni atteggiamento accademico e si rivolge al lettore in uno stile intimo e colloquiale. L’affermarsi della soggettività e la rivendicazione del non essere uno specialista di teatro caratterizzano la sua strategia critica. Nel 1871, in risposta ad alcune critiche che egli rivolge all’attore Theodor Döring, il critico del « Berliner Morgenblatt », Adolf Glassbrenner assegna ironicamente alla sigla con cui Fontane firmava i suoi pezzi “Th. F.”, il significato di “Theater-Fremdling” (letteralmente “straniero nelle faccende di teatro”). Fontane, per nulla offeso da tale scherzo, lo trasforma in motivo di orgoglio. 3 In un brano autobiografico in cui ripercorre la propria carriera critica, Kritische Jahre – Kritiker-Jahre, Fontane, ricordando questo episodio, scrive :
Ciò, in effetti, era stato detto in modo molto divertente, e poiché oltre alla mia estraneità al teatro non mi si poteva dire nulla di grave, mi ritrovavo nella gradevole condizione di poter ridere della buona battuta. Anche perché, onestamente, non avevo l’ambizione di essere un habitué del teatro e consideravo l’appellativo che mi avrebbe dovuto svalutare nel mondo del teatro come una lode e un riconoscimento particolarmente onorevole. Che nel proprio mestiere sia meglio saperne qualcosa che saperne poco o niente, questo non lo voglio mettere in discussione neppure per il lavoro del critico teatrale. Se dovessi, tuttavia, mettere sulla bilancia i pregi e i difetti che derivano dal non essere degli iniziati, devo dire che, se è presente una certa formazione letteraria e una certa predisposizione artistica generale che permette di distinguere il buono dal cattivo e il vero dal falso con la sensibile punta del dito, il non iniziato ha più vantaggi che svantaggi. Nel caso singolo, sicuramente, verranno commessi degli errori – perché mancano gli oggetti di paragone – ma, nel 1 P. Lindau, Nur Erinnerungen, 2 voll., Stuttgart-Berlin, Cotta, 1919, vol. i, p. 101. Cfr. anche R. A. Berman, Literaturkritik zwischen Reichsgründung und 1933, cit., p. 210-211. 2 Fontane come critico teatrale della « Vossische Zeitung », è responsabile per le messinscene della Königliches Schauspielhaus, ma occasionalmente si occupa anche di altri teatri come nel caso degli spettacoli organizzati dalla Freie Bühne. 3 Cfr. K. Stüssel, Fontanes Theaterkritik – Ansätze zu einer kommunikations- und mediengeschichtlichen Analyse, in Beiträge zur Geschichte der Theaterkritik, a cura di G. Nickel, cit., pp. 173-174.
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complesso, si sarà più liberi e disinvolti. Va di moda, di questi tempi, parlare della spontaneità del non sapere. C’è un detto : « la storia del buonsenso è allo stesso tempo la storia delle sue sconfitte », e quindi si usa parlare in tono canzonatorio e satirico della « spontaneità del non sapere ». Senza dubbio quest’ironia è spesso giustificata. Ma in fondo, con tutto il rispetto per l’erudizione, nella vita conta di più il mestiere che si apprende sul campo. L’esperienza è meglio dello studio, ma l’esperienza stessa è meno importante della predisposizione naturale. 1
Ciò che maggiormente conta, per Fontane, non è dunque l’erudizione, né la lunga esperienza teatrale, bensì l’innata sensibilità nei confronti delle opere d’arte. In questo modo l’irriducibile soggettività si presenta come radice della valutazione critica : non sono metri di giudizio obiettivi né norme universali a decidere del valore dell’opera d’arte, ma la capacità del critico di ricevere da essa un’impressione sensibile. Questo rifiuto di principi generali e a priori permette a Fontane di possedere quell’elasticità di giudizio che lo porta, esempio raro tra i critici della sua generazione, a riconoscere il carattere innovativo e ricco di possibilità del teatro naturalista. Fontane è enormemente distante da intellettuali come Frenzel. Se Frenzel pone l’accento sull’oggettività e sullo specialismo, Fontane ne capovolge i presupposti e fa della soggettività e della mancanza di specializzazione i cardini delle proprie osservazioni teatrali. Il critico, per Fontane, rimane certamente un giudice : per lui il teatro non è, come per Müllner, un pretesto per produrre un oggetto letterario autonomo, né, come per Börne, un’occasione per un’analisi politica della società. Ma le leggi cui il critico si appoggia per esercitare il proprio ministero non sono più scritte nei libri di poetica bensì nel suo cuore, come afferma lo stesso Fontane nella recensione del 1887 al dramma Der Fürst von Verona di Ernst von Wildenbruch :
In realtà il mestiere del recensore non è così terribile come si usa continuamente dire al pubblico. La critica non è uno strumento di biasimo, ma sicuramente non è neppure una statistica degli applausi. La critica ha di meglio da fare che registrare il numero delle chiamate in scena. Non deve essere influenzata dagli applausi né da ricorrenti trionfi, ma deve possedere la propria legge, nel migliore dei casi quella scritta nel proprio cuore, e agire conformemente ad essa. Se non ne è capace allora non è « buona a niente ». 2
Il teatro, dunque, rimane il centro dell’osservazione critica, ma quella che si offre al lettore dei quotidiani, ora, non è più una valutazione dotta e astratta, bensì una descrizione precisa, una restituzione accurata delle impressioni del critico. Fontane utilizza una lingua concreta ; nella recensione teatrale entrano descrizioni di luoghi o di periodi storici che si rivolgono alla percezione sensibile e immaginativa del lettore :
Animato dal desiderio di dire qualcosa che vada al di là del mero modo di esprimersi abituale della critica e che possa accompagnare il lettore con una determinata rappresentazione, mi vedrò sempre costretto a ricorrere, come oggetto di paragone, a fenomeni della vita che siano conosciuti e tipici. Solo in questo modo posso dare al lettore una chiara immagine di come un tempo fossero veramente la Vergine di Orléans o il Bolingbroke. 3
Questo atteggiamento instaura una nuova relazione tra il critico e i lettori. Il critico, come nota giustamente Berman, non dà per scontata la provenienza sociale del proprio pubblico, né la sua istruzione, e, forse, per questa ragione, nelle critiche teatrali di Fontane, vengono frequentemente riassunti gli svolgimenti dell’azione drammatica. 4 La nuova
1 T. Fontane, Kritische Jahre – Kritiker-Jahre, in Id., Sämtliche Werke, 4 voll., a cura di W. Keitel, München, Hanser, 1966-1997, vol. iii/4 (1973), pp. 1044-1045. 2 T. Fontane, Ernst v. Wildenbruch : Der Fürst von Verona (1887), in Id., Sämtliche Werke, cit., vol. iii/2 (1969), p. 719. 3 T. Fontane, Roderich Benedix : das Gefängnis, die Dienstboten (1881), in Id., Sämtliche Werke, cit., vol. iii/2, p. 500. 4 Cfr. R. A. Berman, Between Fontane and Tucholsky. Literary Criticism and the Public Sphere in Imperial Germany, cit., p. 26.
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struttura commerciale e comunicativa della stampa spinge, infatti, la critica teatrale a cercare una nuova forma di relazione, adeguata ai tempi, con i destinatari del proprio lavoro. Come afferma Kerstin Stüssel, la commercializzazione della stampa, l’inizio della sua diffusione di massa e la professionalizzazione del mestiere giornalistico non sono dei fattori contingenti ma, piuttosto, il vero e proprio presupposto per capire la critica teatrale di Fontane. 1 Il critico teatrale, oltre a essere giudice d’arte, assume consapevolmente su di sé, con Fontane, lo sforzo di intrattenere il lettore :
È perlomeno nostra aspirazione, a fianco della nostra attività di giudici della corte suprema, conferire alle nostre critiche anche un elemento d’intrattenimento che prescinda dall’esercizio di quest’ufficio. Resta da vedere se ciò riesca sempre. 2
1. 10. La critica come avanguardia per il rinnovamento del teatro e della letteratura : il prenaturalismo, i fratelli Hart e Otto Brahm
Sin dall’inizio dell’Ottocento il dibattito critico è dominato dal conflitto tra oggettività e soggettività, tra giudice d’arte (Kunstrichter) e individualità del giudizio. Rispetto a queste due polarità la critica teatrale definisce, sempre e di nuovo, la propria funzione nei riguardi del pubblico e dell’arte teatrale : all’idea di una critica che stimoli lo sviluppo del teatro e assuma una funzione pedagogica nei confronti del pubblico si oppone una critica il cui fine è, attraverso il teatro, intrattenere il lettore dei quotidiani o esercitare un giudizio morale e politico. Nel corso di poco più di un secolo queste posizioni si intrecciano e ridefiniscono i propri confini, ma il riproporsi costante di questi nodi concettuali ci consente di guadagnare uno sguardo di insieme e di considerare le diverse strategie critiche come il risultato di una dialettica che, nel corso dei due secoli, si sviluppa intorno a questi due poli concettuali e al loro riformularsi in relazione alle trasformazioni del panorama storico e culturale tedesco. Proprio la tensione fra soggettività e oggettività del giudizio, tra funzione didattica e carattere letterario della critica, emerge in modo evidente negli anni ottanta dell’Ottocento. Due temi diventano ora dominanti nei discorsi dei critici teatrali della nuova generazione : il desiderio dello sviluppo di un’arte nazionale e collettiva che faccia da contrappunto all’unità della Germania e alla fondazione dell’impero tedesco (1871), e la necessità che il teatro e la letteratura, attraverso gli impulsi provenienti dalla Francia e dai paesi scandinavi, ristabiliscano un contatto con il nuovo volto della realtà e della società moderna. Di fronte a queste sfide gli intellettuali della nuova generazione ridefiniscono i compiti della critica teatrale : il critico non deve esprimere giudizi soggettivi né intrattenere il pubblico, ma porsi come avanguardia del nuovo sviluppo. La critica deve tornare a essere un’istanza oggettiva, partecipare attivamente, attraverso il processo riflessivo, allo sviluppo di una nuova arte, e affermare la propria funzione formativa nei confronti del pubblico. Il soggettivismo del Feuilletonismus viene ora considerato come l’esempio di una cultura decadente, corrotta e al servizio di interessi futili e commerciali : la rottura con i critici della generazione precedente è profonda ed esplicita, e trova spazio in una diffusa campagna polemica sostenuta su riviste letterarie come « Kritische Waffengänge » o « Die Gesellschaft », veri e propri organi di lotta del nuovo realismo tedesco. Lo stesso mezzo attraverso cui la nuova critica adempie la propria funzione, infatti, è, spesso, differente da quello in cui si era espressa la critica teatrale nei decenni precedenti : se questa aveva trovato spazio nel contesto commerciale della stampa quotidiana, e a partire da questa nuova forma di comunicazione aveva coniato un proprio stile, ora i giovani critici scrivono su riviste lette
1 Cfr. K. Stüssel, Fontanes Theaterkritik – Ansätze zu einer kommunikations-und mediengeschichtlichen Analyse, cit., pp. 167-168. 2 T. Fontane, Johann Wolfgang Goethe : Egmont (1872), in Id., Sämtliche Werke, cit., vol. iii/2, p. 68.
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rarie che offrono la possibilità di proporre riflessioni più estese e non sono sottoposte alla pressione degli interessi editoriali dei quotidiani. Proprio una di queste riviste, la « Kritische Waffengänge », fondata e diretta tra 1882 e il 1885 dai fratelli Julius (1859-1930) e Heinrich Hart (1855-1906), esemplifica il nuovo atteggiamento della critica teatrale e letteraria. Sin dal saggio programmatico che apre il primo numero della rivista, la funzione del critico viene affermata in modo esplicito e deciso :
Sono due le parole con le quali si possono descrivere adeguatamente tanto i compiti del contadino quanto quelli del critico : arare e coltivare. Solcare il terreno, liberarlo dalle pietre ed estirpare le erbacce, questo è uno dei doveri ; proteggere e curare le piante germogliate, l’altro. 1
Il critico, come colui che coltiva un campo, deve arare, ripulire il terreno dalle erbacce e, al contempo, favorire la crescita di una nuova pianta e proteggerla. Attraverso questa metafora organica viene assegnato alla critica il ruolo di motore dello sviluppo artistico e culturale : il critico non rappresenta il pubblico né mette in scena un testo grazioso per rispondere alle esigenze di svago del lettore, ma si pone a fianco del drammaturgo e della scena, coglie i semi in cui si annuncia il futuro dell’arte, ne favorisce l’evoluzione e combatte contro quanti ostacolano questo processo. L’obiettivo di fondo, la missione della critica, è partecipare alla creazione di una nuova grande arte tedesca ed è per questo che, all’attivismo critico, si accompagna, nella riflessione dei fratelli Hart, l’idea di una partecipazione attiva delle istituzioni statali nella promozione del lavoro artistico e teatrale, idea che si concretizza nella proposta della creazione di un Reichsamt adibito specificamente alla promozione della vita letteraria e teatrale. Questo tentativo è guidato dall’immagine di una Germania che, alla propria ritrovata grandezza politica, affianchi una rinascita culturale nel segno della nazione e del popolo (Volk). In una lettera pubblicata sul secondo numero della rivista, i fratelli Hart si rivolgono direttamente a Bismarck, a cui chiedono che il governo tedesco associ al proprio impegno politico una nuova e mirata strategia di sviluppo culturale. Il teatro, per la sua capacità di porsi al centro degli interessi collettivi ed essere specchio del proprio tempo, assume, in questo discorso, un ruolo primario. L’importanza di questa istituzione al fine di creare una nuova cultura unitaria e nazionale, dovrebbe, infatti, secondo i fratelli Hart, spingere lo stato a interpretare nei confronti della scena non solo il ruolo di censore che ne ostacola i progressi, ma anche quello di stimolo attivo dei suoi sviluppi attraverso il mezzo delle sovvenzioni pubbliche :
Al diritto di censura che lo stato rivendica per sé, si dovrebbe per lo meno giustapporre un dovere, la sovvenzione del teatro. 2
La forma in cui i fratelli Hart immaginano l’intervento pubblico è particolarmente interessante : in Germania, infatti, esistevano da tempo i teatri di corte, teatri pubblici sovvenzionati dai principi tedeschi, ma ciò che qui viene proposto, è, invece, un finanziamento di quei teatri a conduzione privata che « rivelano un reale sforzo artistico e una conduzione severa e dotata di forza creatrice ». 3 La distanza dalla cultura leggera dell’intrattenimento che domina il teatro e il giornalismo critico del decennio precedente non potrebbe essere più grande. La nuova generazione di intellettuali combatte allo stesso tempo sul fronte critico e sul fronte teatrale, da una parte contro il dramma di intrattenimento di origine francese e, dall’altra, contro i metodi che dominano il giornalismo critico. In un lungo saggio, pubblicato sul secondo numero della rivista, è proprio uno dei rappresentanti più eminenti della critica teatrale berlinese, Paul Lindau, a essere attaccato violentemente :
1
H. Hart, J. Hart, Wozu, Wogegen, Wofür ?, « Kritische Waffengänge », n. 1, 1882, p. 7. H. Hart, J. Hart, Offener Brief an den Fürsten Bismarck, « Kritische Waffengänge », n. 2, 1882, p. 6. 3 Ibidem. 2
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la polemica e la lotta aperta rappresentano, infatti, uno degli strumenti di cui la critica si deve servire, secondo i fratelli Hart, per creare quello spazio indicato nella metafora dell’arare. La scelta dell’obiettivo polemico non è casuale : con Lindau, autore di brillanti recensioni teatrali e di graziosi feuilleton, si colpisce una critica teatrale che non si fonda su principi estetici oggettivi e che affida al sentire individuale e soggettivo del critico l’onere del giudizio. In particolare si accusa Lindau di non fornire una motivazione (Begründung) ai propri giudizi, che vengono perciò considerati come meramente arbitrari. 1 In questo modo, affermano i fratelli Hart, la critica cessa di essere un’istanza autorevole e finisce per non distinguersi da una qualsiasi opinione privata, se non per il fatto di trovarsi stampata su un giornale. 2 Contro il soggettivismo e le “chiacchiere” del moderno feuilleton, i fratelli Hart insistono sulla necessità di una fondazione oggettiva del giudizio critico, anche se, al contempo, sostengono il carattere storico e relativo di ogni metro di giudizio estetico :
Certamente, come tutte le altre cose, anche le concezioni estetiche si formano, si modificano e si sviluppano passando da un’epoca a un’altra. Esistono tuttavia principi di cui nessuno oserebbe dubitare, e che nondimeno, indirettamente, vengono contraddetti dalla critica in ogni istante. 3
Nel richiamarsi da una parte a principi universali indiscutibili e nell’affermare, dall’altra, la storicità delle categorie estetiche, è contenuta un’esplicita contraddizione, una contraddizione che è insita, in fondo, nella duplice esigenza della critica teatrale pre-naturalista di affermare, contro la tradizione, un nuovo principio estetico e di pretendere, al contempo, che il proprio discorso possieda un carattere oggettivo e sovra-individuale. Questa contraddizione, irrisolta nel discorso dei fratelli Hart, troverà un proprio compiuto superamento soltanto nella riflessione del più importante uomo di teatro tedesco della fine del secolo, Otto Brahm. Otto Brahm Nel contesto della tradizione tedesca, che, a partire da Lessing, identifica lo scopo della critica nella partecipazione attiva alla prassi teatrale, Otto Brahm (1856-1912) costituisce, senza dubbio, un punto di arrivo difficilmente eguagliabile : la scienza letteraria, il mestiere critico, la regia e la guida di un teatro si compongono, nella sua biografia, in una compiuta unità. Autore di importanti saggi storico-letterari, critico teatrale di giornali e riviste come la « Vossische Zeitung » e « Die Nation », nel 1889 fonda – insieme ad altri intellettuali e uomini di teatro – e dirige la Freie Bühne, un’organizzazione teatrale senza scopo di lucro che, grazie al suo carattere associativo, riesce a portare in scena i testi proibiti dalla censura e a trasformare, in pochi anni, il panorama teatrale tedesco. Brahm, dopo aver esercitato per alcuni anni il mestiere critico, nella veste di regista e Dramaturg, rivoluziona la messinscena tedesca introducendo un nuovo modo di recitare naturale e quotidiano, e portando al successo drammaturghi come Henrik Ibsen e Gerhart Hauptmann. L’attività critica, centrale negli anni giovanili, prosegue inizialmente sulla rivista « Freie Bühne für modernes Leben », organo di battaglia del naturalismo berlinese, per poi gradualmente lasciare il posto alla carriera teatrale che, dopo l’esperienza della Freie Bühne, impegna Brahm come direttore del Deutsches Theater (1894-1904) e del Lessingtheater (1904-1912). L’apparato critico di Brahm è profondamente radicato nella sua formazione universitaria presso Wilhelm Scherer e Eric Schmidt, due studiosi che, nel clima positivistico di quegli stessi anni, stavano tentando di trasformare la scienza letteraria in una disciplina fondata su leggi esatte e oggettive. Da Scherer e Schmidt Brahm riceve le due colonne
1
Cfr. H. Hart, J. Hart, Paul Lindau als Kritiker, « Kritische Waffengänge », n. 2, 1882, p. 16. 3 Cfr. ivi, p. 15. Ivi, p. 17.
2
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portanti del suo metodo critico : l’obiettività e la prospettiva storica. 1 Brahm rifiuta la posizione normativa che aveva caratterizzato la tradizione del Kunstrichter, ma, al contempo, non rinuncia al suo ruolo di giudice d’arte : l’oggettività del giudizio non viene più fondata su principi estetici immutabili e a priori, ma su un’analisi empirica che considera ogni singolo prodotto artistico a partire dalle condizioni storiche e immanenti che lo hanno generato. La prospettiva storica e progressiva, tipica del positivismo degli anni ottanta dell’Ottocento, lo rende diffidente nei confronti di ogni tentativo di affermare leggi estetiche universali : l’arte non è un campo autonomo separato dal resto dell’agire umano, ma deve essere considerato all’interno dei mutamenti e dell’evoluzione storica che caratterizzano l’umanità e le sue forme sociali e culturali. Così, nel saggio Il naturalismo e il Teatro, pubblicato nel 1891 sui « Westermanns Illustrierte Deutsche Monatshefte », Brahm afferma :
Possono davvero esistere leggi dell’arte, voglio dire, leggi eterne ? Lo nego. Eterne sono soltanto le leggi della natura, la gravità, la forza d’attrazione dei pianeti, la connessione tra causa e effetto : queste sono leggi eterne, perché si basano su condizioni eternamente invariabili. [...] Là dove tutto cambia, dove tutto fluisce, come ha detto quel grande saggio greco, anche l’arte non può rimanere legata a concetti precostituiti e a leggi convenzionali del passato. E chi tenta di incatenare l’arte, nel suo eterno cercare, entro norme e formule ne tradisce l’essenza, che è l’essenza del progresso infinito. 2
Attraverso questa connessione tra l’arte e gli altri campi dell’agire umano, Brahm afferma la necessità di un’arte teatrale che sia specchio del presente, che sia in grado di portare sulla scena la vita moderna, l’attuale stato del progresso umano. Su questa strada Brahm incontra il naturalismo, a cui egli rimane profondamente legato per tutta la vita. E, tuttavia, egli esclude che i principi estetici del naturalismo possiedano una validità destinata a rimanere intatta nel corso della storia. Lo stesso naturalismo, che Brahm considera l’arte del presente, non è che l’espressione di un determinato momento storico e, perciò, la critica non può che fare, insieme ad esso, una parte del suo cammino, senza cadere nell’errore di identificarsi con le sue categorie :
Gli istinti più vitali dell’arte moderna sono sbocciati dalle radici del Naturalismo. Rispecchiando una profonda tendenza del nostro tempo l’arte moderna si è rivolta alla conoscenza delle forze vitali della natura e ci mostra con spietato istinto di verità il mondo così com’è. Essendo il Naturalismo nostro amico faremo con lui un buon tratto di strada, ma non dovremo stupirci se nel corso del viaggio dovesse accadere che in un punto che oggi non possiamo ancora prevedere, la nostra strada dovesse improvvisamente deviare offrendoci una nuova e sorprendente visione della vita e dell’arte. Perché l’infinito sviluppo della cultura umana non è legato a nessuna formula, neppure alla più recente ; ed è con questa certezza, fiduciosi nell’evoluzione eterna, che proponiamo una libera scena per la vita moderna. 3
Nella storia della critica teatrale tedesca tra la fine del Settecento e la fine dell’Ottocento viene combattuta, come abbiamo avuto modo di vedere, una battaglia sotterranea tra l’oggettività e la soggettività del giudizio. Fino ad ora l’oggettività era stata considerata dai critici teatrali come una prospettiva a-storica (Gottsched), oppure, laddove, come in Frenzel e nei fratelli Hart, iniziava a farsi strada l’idea della storicità delle opere d’arte e dei metri di giudizio, questa visione riusciva, di fatto, soltanto a generare una contraddizione irrisolta tra le esigenze della critica e le pretese del suo metodo. Dall’altra parte, le 1 Cfr. F. Martini, Einleitung, in O. Brahm, Kritiken und Essays, a cura di F. Martini, Zürich, Artemis, 1964, pp. 17-19. 2 O. Brahm, Il Naturalismo e il Teatro (luglio 1891), trad. it. di M. Fazio, in M. Fazio, Lo specchio, il gioco e l’estasi. La regia teatrale in Germania dai Meininger a Jessner (1874-1933), Roma, Bulzoni, 2003, p. 71. 3 O. Brahm, Presentazione alla Freie Bühne (1890), trad. it. di M. Fazio, in M. Fazio, Lo specchio, il gioco e l’estasi. La regia teatrale in Germania dai Meininger a Jessner (1874-1933), cit., p. 68.
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correnti soggettiviste e relativiste, figlie del romanticismo di inizio secolo, avevano portato a un rifugio nell’impressione individuale del critico, fondata sulla sua genialità o sulla sua sensibilità. Di fronte a questa dialettica, Otto Brahm fornisce una risposta diversa proponendo una forma di oggettività fondata sul mutamento storico e garantendo, così, le esigenze dell’individualità dell’opera d’arte e, al contempo, la fondazione sovra-individuale del giudizio. Se la storia è il punto cardine della visione dell’arte di Brahm, il critico teatrale dovrà essere simile a quell’uccello che è in grado di sentire con anticipo la tempesta e di annunciarne l’arrivo. Il critico deve essere, in altre parole, in grado di riconoscere le linee di evoluzione e di sviluppo dell’arte teatrale e di dare corpo e linguaggio, attraverso i concetti, a ciò che ancora non è presente :
Né termometri né barometri possono farci avanzare : possono mostrare lo stato delle cose, ma non possono portarci avanti neppure del più piccolo passo. [...] Solo la critica produttiva è in grado di trovare le parole e la forma a ciò che non è ancora stato formato : essa assomiglia all’uccello della tempesta che annuncia il tempo che da lontano si avvicina e, in misteriosa affinità, sente e presagisce ciò che i sensi non possono ancora concepire e tastare. 1
Questa capacità di cogliere le linee di sviluppo dell’arte teatrale senza abbandonare la precisa analisi del singolo evento spettacolare si può notare nel doppio registro che caratterizza lo sguardo del critico Otto Brahm, rivolto, da una parte, all’analisi minuziosa del dramma e della messinscena e, dall’altra, sempre attento a inserire questo singolo evento in una cornice generale. Un esempio di questo procedimento sono le critiche che Brahm scrive alla fine della prima 2 (1883-1884) e della seconda 3 (1884-1885) stagione del Deutsches Theater :
La prima stagione della Junge Bühne sta per finire. Può essere utile esaminare nell’insieme ciò che essa ha portato. Alcune osservazioni che non hanno trovato spazio nella critica quotidiana troveranno qui il proprio posto, e sarà quindi possibile controllare la correttezza del singolo giudizio sulla scorta del cammino complessivo. 4
Si avverte, qui, la necessità di controllare la correttezza dei giudizi sulle singole messinscene alla luce del progetto complessivo dell’istituto teatrale oggetto del discorso, nella cui valutazione entrano una serie di elementi, come il giudizio sulle scelte estetiche e programmatiche, che prescindono dalle dimensioni contingenti dello spettacolo teatrale :
I direttori di teatro che si vogliano affermare in un teatro di primo piano, devono possedere due capacità : devono imporsi allo stesso tempo nell’arte del mettere in scena (Inszeneseztung) e nell’arte della scoperta letteraria.[...] Il Deutsches Theater fino ad oggi si è attenuto più al secondo dei due compiti, e i suoi meriti maggiori stanno nel mettere in scena con i mezzi più alti dell’arte. 5
Lo stile di Brahm, attento alla solidità dell’argomentazione e al fondamento di ogni giudizio, esclude dalla critica teatrale ogni elemento emotivo ed estetico e ogni superfluo ornamento e decorazione. La critica teatrale non ha valore di per sè, ma solo in relazione alla sua capacità di porsi al servizio della prassi teatrale : il suo compito, infatti, non è intrattenere il lettore, ma offrirgli strumenti di comprensione e di giudizio. Per questa ragione, Fontane, collega di Brahm alla « Vossische Zeitung », nonostante la profonda stima e l’affetto paterno espressi nei confronti del giovane critico amburghese, avverte, sin da principio, la freddezza analitica delle sue recensioni come un punto debole del suo stile
1
O. Brahm, Persönliche Beziehungen, « Freie Bühne für modernes Leben », a. i, n. 12, 1890, p. 340. Cfr. O. Brahm, Das erste Lebensjahr des Deutschen Theaters (26 giugno 1884), in Id., Kritiken und Essays, cit., pp. 132-139. 3 Cfr. O. Brahm, Das deutsche Drama und das Deutsche Theater (13 giugno 1885), in Id., Kritiken und Essays, cit., pp. 152-157. 4 O. Brahm, Das erste Lebensjahr des Deutschen Theaters, in Id., Kritiken und Essays, cit., p. 132. 5 O. Brahm, Das deutsche Drama und das Deutsche Theater, in Id., Kritiken und Essays, cit., p. 153. 2
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critico. In una lettera del 29 ottobre 1882, lo stesso Fontane, dopo aver elogiato Brahm per la finezza, la brillantezza e la chiarezza delle sue argomentazioni richiama, tuttavia, la sua attenzione su un punto preciso :
Lei non prende posizione riguardo alla storia narrata. Non la trova né meravigliosa né miracolosa, né da glorificare né da stigmatizzare. Lei dice semplicemente : « guardate qui, ecco come è ». Ma questo è troppo poco. […] Molto è stato scritto su Heyse, e lui stesso ha dato, sui propri obbiettivi, chiarimenti in abbondanza. Chi si occupa ancora di Heyse lo può fare solo con amore o odio. Nel suo saggio non c’è né amore né odio. Lei dice un gran numero di cose belle, brillanti, divertenti e anche molto giuste […], ma manca la vera parola, la parola che conta, non viene pronunciata. 1
Troppo distanti si rivelano, infatti, le concezioni critiche di Fontane e Brahm, la prima rivolta alla percezione emotiva dell’evento teatrale e alla sua trasmissione al lettore dei quotidiani, la seconda dedita all’analisi concettuale e alla formazione del giudizio dello spettatore teatrale. Queste due opposte tradizioni si uniranno, senza mai, tuttavia, raggiungere una vera conciliazione, nell’attività critica di Alfred Kerr, la cui carriera, significativamente, si apre, da una parte, con una lettera di lode di Fontane, e, dall’altra, si nutre, sin da principio, delle categorie estetiche e teatrali di Brahm. 2
1
T. Fontane, [Lettera del 29 ottobre 1882 a Otto Brahm], in Id., Sämtliche Werke, cit., vol. iv/3, p. 213. Questa doppia origine è stata analizzata e mostrata con grande chiarezza da Russel A. Berman, secondo il quale il modello critico di Kerr rappresenterebbe un tentativo di trascendere e sintetizzare l’opposizione tra i modelli critici di Fontane e Brahm (impressione contro argomentazione ; lirica contro polemica) [Cfr. R. A. Berman, Between Fontane and Tucholsky. Literary Criticism and the Public Sphere in Imperial Germany, cit., p. 123]. In proposito si veda anche : R. A. Berman, Literaturkritik zwischen Reichsgründung und 1933, cit., p. 229. 2
2. Alfred Kerr e la critica teatrale tedesca tra il 1887 e il 1918 2. 1. La concezione critico-teatrale di Alfred Kerr 2. 1. 1. L’infanzia, la formazione e il debutto critico di Alfred Kerr
A
lf red Kempner nasce a Breslau, in Slesia, il giorno di Natale del 1867, da una famiglia ebraico-tedesca discretamente benestante. 1 Il padre Emanuel Kempner, è un commerciante di vini, la madre Helene Calé, è nipote di un predicatore (Kanzelredner), una doppia origine, un doppio radicamento nella vita e nella parola, che segnano, quasi simbolicamente, il carattere del giovane slesiano, come lui stesso sottolinea nel curriculum redatto in occasione del suo sessantesimo compleanno. 2 In queste pagine, pubblicate originariamente nel volume curato da Joseph Chapiro, Für Alfred Kerr Ein Buch der Freundschaft,3 il critico rievoca le esperienze più significative dell’infanzia e della giovinezza. Il teatro, la musica e i viaggi assumono una posizione di assoluto rilievo : a Breslau Alfred Kempner può ammirare le messinscene dei Meininger e avvicinarsi a Mozart e Wagner, mentre nei soggiorni estivi presso le montagne della Slesia inizia a manifestare quella curiosità verso il mondo e l’esistenza che caratterizzerà, più tardi, i suoi Reisefeuilletons. Ma nei ricordi di Kerr c’è anche lo spazio per rievocare quel senso di separazione che lui, giovane ebreo, è costretto a subire a causa dei diffusi pregiudizi antisemiti, un senso di separazione che si trasforma, tuttavia, nel corso degli anni, in orgoglio e fascinazione per le proprie origini e che non gli impedisce di sviluppare un profondo senso di appartenenza alla cultura tedesca. Tra le figure che segnano più profondamente gli anni del ginnasio spicca il nome di Hermann Zimpel, professore di greco e tedesco, l’unico di cui il critico affermi di temere ancora il giudizio : « Forza concisa. Autodisciplina. Imperativo categorico. Devo a lui quasi tutto. Ci ha insegnato greco e tedesco. Ho assunto il suo ritmo nella vita ». 4 Proprio negli anni del ginnasio Kerr comincia a maturare l’intenzione di intraprendere la carriera di scrittore, una scelta che, a causa della sfortunata omonimia con la poetessa Friederike Kempner, autrice di versi involontariamente comici, lo spingerà ad assumere lo pseudonimo “Kerr”, divenuto poi, dal 1909, il cognome ufficiale : « A causa della poetessa Friederike per uno scrittore il nome Kempner era compromesso. Non era mia zia. Nooon lo eraaa ! ! ! ». 5 Sul finire degli anni ottanta un investimento avventato del padre pregiudica il benessere economico della famiglia a cui resta il solo possesso della casa : « Il mondo divenne improvvisamente piuttosto cupo », 6
1 Come ricorda Lothar Schöne la famiglia di Kerr aveva probabilmente condiviso la sorte di molti ebrei dell’est spinti, nel corso del xix secolo, sempre più verso ovest e stabilitisi, infine, in Slesia [Cfr. L. Schöne, Neuigkeiten vom Mittelpunkt der Welt. Der Kampf ums Theater in der Weimarer Republik, cit., p. 73]. 2 Cfr. A. Kerr, Lebenslauf (1927), in WiE v/vi, pp. 248-268. 3 J. Chapiro, Für Alfred Kerr. Ein Buch der Freundschaft, Berlin, S. Fischer, 1928, pp. 157-182. Nel 1928, in occasione del sessantesimo compleanno di Alfred Kerr (1927), Joseph Chapiro curò un volume a lui dedicato Für Alfred Kerr. Ein Buch der Freundschaft edito dalla Samuel Fischer Verlag. In questo volume sono raccolti contributi di drammaturghi come Gerhart Hauptmann e Bernard Shaw e di critici e scrittori come Theodor Fontane, Bernard Diebold e Hermann Bahr, solo per citare alcuni dei nomi più celebri. Quest’opera, oltre a testimoniare il prestigio che il critico teatrale godeva sul finire degli anni venti, contiene un curriculum, da lui stesso redatto e ora ripubblicato nella nuova edizione delle opere, che rappresenta un’importante fonte per la ricostruzione degli anni della sua infanzia e della sua giovinezza. Un documento particolarmente interessante anche perché ci segnala, attraverso gli elementi di questa autorappresentazione, l’immagine che Kerr ha e dà di sé, il sorgere della sua passione per i viaggi e per il teatro, l’origine di una sensibilità sociale, il suo rapporto con l’ebraismo. 4 A. Kerr, Lebenslauf, cit., p. 257. 5 Ibidem. Nei primi anni, oltre allo pseudonimo Kerr, egli firma i suoi pezzi anche con la sigla “K..r”. 6 Ivi, p. 263. Il padre vende la propria enoteca per aprire una fabbrica di cromolitografia che fallisce quasi subito lasciando alla famiglia il solo possesso della casa.
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afferma il critico, che presto, come collaboratore di importanti quotidiani e riviste avrà un successo così notevole da potersi permettere di sostenere lui stesso i propri genitori. Questa crisi non ha, tuttavia, alcuna conseguenza sul suo percorso di studi. Dopo aver frequentato i primi due semestri presso l’Università di Breslau e aver debuttato sulla « Tägliche Rundschau » con un articolo su Balthasar Ludewig Tralles, 1 un oppositore di Lessing originario di Breslau, Kerr, appoggiato dai genitori, decide di trasferirsi a Berlino. È l’autunno del 1887 quando il giovane studente giunge nella capitale del Reich. Un clima di profondo cambiamento attraversa la città trasformata radicalmente dall’unificazione nazionale e dall’industrializzazione. Proprio in questi anni inizia a farsi strada sui palcoscenici berlinesi il naturalismo che introduce nel teatro tedesco temi e soggetti ritenuti, fino ad allora, inadatti alla rappresentazione artistica. La messinscena de I Fantasmi di Henrik Ibsen in forma privata al Residenztheater, nell’estate del 1887, pochi mesi prima dell’arrivo di Kerr, scatena, sulla stampa berlinese il primo acceso dibattito intorno al nuovo realismo teatrale, 2 ma bisognerà aspettare la fondazione della Freie Bühne, nel 1889, perché la nuova forma di espressione drammaturgica e spettacolare inizi a essere proposta in modo organico sulle scene berlinesi. La forma associativa della Freie Bühne permette, infatti, all’organizzazione diretta da Otto Brahm di sfuggire alle strette maglie della censura e di realizzare nel corso di poche stagioni – con l’introduzione di autori come Ibsen, Hauptmann e Strindberg – una profonda riforma del repertorio drammatico. Negli stessi anni in cui la Freie Bühne affronta la propria battaglia per il rinnovamento del teatro tedesco, Kerr, studente di Germanistica e Filosofia alla FriedrichWilhelms-Universität, frequenta le lezioni di studiosi dello spessore di Wilhelm Dilthey (1833-1911), punto di riferimento nella teoria dell’interpretazione delle scienze umane, Hermann Ebbinghaus (1850-1909), fondatore della ricerca sperimentale sulla memoria, e Julius Hoffory (1855-1897), scandinavista impegnato nello studio della drammaturgia di Ibsen. Ma il giovane studente è membro, soprattutto, del Germanisches Seminar (seminario germanico) diretto da Eric Schmidt, allievo di Wilhelm Scherer, uno dei maggiori protagonisti dell’avvicinamento degli studi letterari alle metodologie delle scienze naturali. 3 Qui si formano, oltre a Kerr, molti dei critici teatrali che domineranno la scena giornalistica berlinese e tedesca a partire dai primi anni del Novecento : Arthur Eloesser,
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Cfr. A. Kerr, B. L. Tralles, ein Breslauer Gegner Lessings (2 settembre 1887), in WiE, iv, pp. 9-17. Cfr. G. Nickel, Von Fontane zu Ihering. Die Ausdifferenzierung und Professionalisierung der Theaterkritik zwischen 1870 und 1933, in Beiträge zur Geschichte der Theaterkritik, a cura di G. Nickel, cit., pp. 185-207. 3 Per una breve introduzione alla vita e all’opera di Wilhelm Scherer si veda P. C. Bontempelli, Storia della Germanistica. Dispositivi e istituzioni di un sistema disciplinare, Roma, Artemide, 2000, pp. 73-88. Per quanto riguarda Erich Schmidt si rimanda invece al ritratto di Wolfgang Höppner : W. Höppner, Erich Schmidt, in Wissenschaftsgeschichte der Germanistik in Porträts, a cura di C. König, H.-H. Müller, W. Röcke, Berlin-New York, de Gruyter, 2000, pp. 107-114. La fondazione del Germanisches Seminar a Berlino era stata iniziata proprio da Scherer. Dopo la sua morte, avvenuta nel 1886, Schmidt, suo allievo, venne chiamato a succedergli presso la cattedra di Neuere deutsche Literaturgeschichte e divenne primo direttore del Germanisches Seminar [Cfr. W. Höppner, Wilhelm Scherer, Erich Schmidt und die Gründung des Germanischen Seminars an der Berliner Universität, « Zeitschrift für Germanistik », vol ix, n. 5, ottobre 1988, pp. 545-557, in particolare, p. 546]. Il termine Seminar (seminario), come ricorda Bernhard vom Brocke, indica allo stesso tempo una specifica forma di didattica e l’istituto (con i suoi spazi e le sue strutture) in cui questa forma di didattica viene esercitata [Cfr. B. vom Brocke, Wege aus der Krise. Universitätsseminar, Akademiekommission oder Forschungsinstitut. Formen der Institutionalisierung in der Germanistik und Deutschen Literaturwissenschaft im Rahmen der Geistes- und Naturwissenschaften 1858-1896-1946-1996, in Zur Geschichte und Problematik der Nationalphilologien in Europa. 150 Jahre Erste Germanistenversammlung in Frankfurt am Main (1846-1996), a cura di F. Fürbeth et al., Tübingen, Niemeyer 1999, pp. 359-378, in particolare, p. 362]. Come mostra Bontempelli, la nascita dei seminari di Germanistica e Filologia Tedesca sul modello dei seminari di Filologia Classica, a partire dal 1858, fu un passaggio fondamentale per lo sviluppo, la strutturazione e il prestigio della disciplina [Cfr. P. C. Bontempelli, Storia della Germanistica. Dispositivi e istituzioni di un sistema disciplinare, cit. pp. 28-32]. A capo del Seminar era posto un direttore, professore ordinario, che decideva dell’ammissione dei membri. I seminari, dotati di una propria sede e di una propria biblioteca, miravano a fornire agli studenti, attraverso un lavoro quotidiano e specifiche esercitazioni condotte sotto la supervisione del direttore, gli strumenti per svolgere un lavoro scientifico autonomo [Cfr. ivi, pp. 28-29]. 2
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Max Osborn, Monty Jacobs, Paul Wiegler e Ernst Heilborn. L’apprendimento dei metodi e degli strumenti del lavoro scientifico, scopo delle esercitazioni e della didattica del seminario, viene integrato, per gli allievi migliori, da un appuntamento serale più informale ma non meno decisivo per la loro formazione : la Germanistenkneipe (“birreria dei germanisti”), un incontro settimanale dove un gruppo scelto di studenti ha l’occasione di discutere con il proprio maestro e con gli importanti artisti e letterati da lui invitati. 2 L’abbandono degli aspetti più radicali del positivismo caratterizza la produzione della scuola di Schmidt e può spiegare in parte il passaggio di molti dei suoi allievi dalla scrittura accademica alla scrittura giornalistica. Schmidt, autore di importanti biografie letterarie, raffina la prospettiva scientifica di Scherer, e, dedicando grande importanza al profilo psicologico degli autori, realizza uno spostamento d’attenzione dall’influsso dei fattori esterni al ruolo della soggettività psichica nella genesi dell’opera d’arte. 3 Uno spostamento che è in relazione con l’interesse verso la costituzione interiore dell’essere umano che si manifesta nell’ultimo decennio dell’Ottocento nelle scienze e nelle arti. 4 Questa prospettiva è fondamentale per la formazione di Kerr, come dimostra il saggio, Perspektiven der Litteraturgeschichte. Eine gemäßigte Phantasie, pubblicato nel 1892 sul « Magazin für Litteratur », dove il giovane studioso immagina e propone una futura storia della letteratura basata sul metodo psicologico. 5 Ma l’influenza di Schmidt sul destino intellettuale dei propri allievi non si limita agli aspetti metodologici e alle prospettive teoriche : membro di numerosi circoli e società letterarie, egli è un tramite fondamentale tra gli ambienti accademici e le personalità più vivaci della scena letteraria e teatrale berlinese. 6 Proprio in occasione di uno degli incontri serali organizzati nel contesto della Germanistenkneipe Kerr conosce Otto Brahm, le cui idee diventano un indiscusso punto di riferimento per la sua concezione teatrale :
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Ripenso a molto tempo fa ; lui era uno scrittore indipendente, io frequentavo l’Università ; lo vidi allora per la prima volta alla Germanistenkneipe, da cui oggi sono ormai lontano diverse miglia... Poi venne il tempo in cui prese in considerazione il piano di pubblicare una rivista settimanale, « Freie Bühne » ; di tutto questo si discusse, in birreria (Kneipe). 7
Kerr, studente ma non ancora critico, partecipa attivamente alla rivoluzione naturalista. Il 20 ottobre 1889, durante i tumulti esplosi al Lessingtheater in occasione del debutto del dramma di Hauptmann Vor Sonnenaufgang, il futuro critico siede tra le fila dei sostenitori del drammaturgo slesiano, un’avanguardia il cui entusiasmo non trova riscontro nei 1 Come ricorda Marcel Reich-Ranicki, numerosi giovani studiosi ebrei decidono, durante l’epoca guglielmina, di diventare critici o giornalisti perché ad essi era preclusa la possibilità di intraprendere una carriera accademica almeno finché non decidevano di convertirsi al cristianesimo [Cfr. M. Reich-Ranicki, Alfred Kerr. Der kämpfende Ästhet, in Id., Die Anwälte der Literatur, Stuttgart, Anstalt, 1994, p. 131]. Per un più approfondito studio sul ruolo della scuola di Erich Schmidt nella formazione di questa generazione di critici teatrali si veda H. Adamski, Diener, Schulmeister und Visionäre. Studien zur Berliner Theaterkritik der Weimarer Republik, cit., pp. 57-91. 2 Cfr. H. Adamski, Diener, Schulmeister und Visionäre. Studien zur Berliner Theaterkritik der Weimarer Republik, cit., pp. 63-69. Era stato Scherer a “istituire”, durante il periodo del suo insegnamento a Strasburgo, l’appuntamento serale della Germanistenkneipe, che fu poi portato avanti dal suo allievo Schmidt. Sulla Germanistenkneipe berlinese sotto la “guida” di Schmidt si veda la breve e vivace testimonianza di Wolfgang Goetz : W. Goetz, Die Germanistenkneipe, « Deutsche Rundschau », a. lxxxvi, n. 11, 1960, pp. 1012-1014. 3 Lo spostamento verso un orientamento psicologico, attraverso cui Schmidt sviluppa e corregge il concetto teorico di milieu utilizzato da Scherer, è illustrato molto bene da H. Adamski, Diener, Schulmeister und Visionäre. Studien zur Berliner Theaterkritik der Weimarer Republik, cit., pp. 69-76. 4 Ricordiamo che Freud scrive in questi anni alcune tra le sue opere fondamentali come, ad esempio, il celebre volume sull’interpretazione dei sogni [Cfr. S. Freud, Die Traumdeutung, Leipzig, Deuticke, 1900]. 5 Cfr. A. Kerr, Perspektiven der Litteraturgeschichte. Eine gemäßigte Phantasie, « Das Magazin für Litteratur », a. lxi, n. 34, 20 agosto 1892, pp. 537-540 e H. Adamski, Diener, Schulmeister und Visionäre. Studien zur Berliner Theaterkritik der Weimarer Republik, cit., p. 78. 6 Cfr. H. Adamski, Diener, Schulmeister und Visionäre. Studien zur Berliner Theaterkritik der Weimarer Republik, cit., pp. 60-62. 7 A. Kerr, Wer war Brahm ? (6 dicembre 1912), in WiD, i/5, p. 8.
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giudizi espressi dalla critica, ma che offre un appoggio fondamentale alla battaglia della Freie Bühne : 1
...Un moto di rifiuto attraversò la sala. I borghesi schiumavano. Noi, di sopra, ci alzammo in piedi e urlammo : « Chiudere il becco... ! ! » E io gridai : « Hauptmann !...Hauptmann !... ». 2
Le categorie portanti del pensiero teatrale di Kerr si formano in relazione all’estetica naturalista. L’idea che il compito della scena sia restituire un’immagine autentica della vita interiore di individui concreti e la convinzione che la critica teatrale debba ricoprire un ruolo attivo nell’evoluzione del teatro sono solo alcuni degli assunti che egli desume dal movimento guidato dalla Freie Bühne. L’insegnamento di Schmidt, da una parte, e l’impegno estetico di Brahm, dall’altra, rappresentano, dunque, i poli entro cui si muove la formazione del giovane critico e proprio Otto Brahm gioca un ruolo fondamentale nella scelta di Kerr di abbandonare, dopo il conseguimento del dottorato nel 1894, 3 il progetto dell’abilitazione all’insegnamento universitario per diventare scrittore e giornalista :
Un giorno lo incontrai [Brahm, N.d.T.] sulla Leipziger Straße ; passeggiammo per un tratto e mi ricordo ancora come lui, sorpreso e con tono dissuasorio, insistette nel domandarmi per quale ragione ero fissato col progetto di prendere l’abilitazione all’insegnamento universitario... Sarei dovuto piuttosto diventare scrittore. Questo pensiero mi frullò molto per la testa ed ha contribuito alla scelta della mia professione. 4
L’attività pubblicistica di Kerr inizia già negli ultimi anni di studio, quando comincia a collaborare, dal 1891, con il « Magazin für Litteratur », rivista curata da Fritz Mauthner e Otto Neumann-Hofer, e su cui, dal 1893, iniziano a uscire le sue critiche teatrali. Il primo significativo saggio teatrale, Technik des realistischen Dramas, viene pubblicato, sempre nel 1891, sulla prestigiosa « Vossische Zeitung », ed è dedicato a una difesa delle innovazioni formali introdotte dalla drammaturgia naturalista : dalle gradinate del teatro l’impegno per il rinnovamento della scena tedesca si trasferisce sulle pagine di quotidiani e periodici. 5 Critici conservatori come Karl Frenzel non soltanto avevano attaccato i contenuti “immorali” della nuova scrittura teatrale, ma avevano denunciato, parimenti, l’illegittimità dei suoi strumenti di rappresentazione : il ricorso a un linguaggio realistico e l’attenzione rivolta ai particolari ambientali era considerata una violazione inaccettabile delle regole che definivano tradizionalmente i confini della scrittura drammaturgica. In questo contesto deve essere compresa la risposta di Kerr : egli, infatti, mostra come le tecniche drammaturgiche del nuovo realismo siano una conseguenza necessaria del principio mimetico che guida la nuova estetica teatrale e ne legittima le innovazioni formali. Eppure Kerr dimostra, sin da questo saggio, una notevole autonomia di giudizio rispetto ai propri modelli : in esplicito dissenso rispetto al “naturalismo conseguente” egli afferma l’impossibilità della mimesi assoluta, 6 ma, soprattutto, la sua scrittura, dal punto di vista stilistico,
1 Per una ricostruzione delle posizioni della critica si vedano le recensioni raccolte in Berlin – Theater der Jahrhundertwende. Bühnengeschichte der Reichshauptstadt im Spiegel der Kritik (1889-1914), a cura di N. Jaron, R. Möhrmann, H. Müller, cit., pp. 84-99. 2 A. Kerr, Gerhart Hauptmann « Vor Sonnenaufgang » (30 novembre 1909), in WiE, vii/1, p. 404. 3 Kerr consegue il dottorato a Halle nel 1894 sotto la guida di Rudolf Haym su Godwi, un romanzo giovanile di Clemens Brentano [Cfr. A. Kerr, Godwi. Ein Kapitel deutscher Romantik, Berlin, Georg Bondi, 1898]. 4 A. Kerr, Otto Brahm (6 dicembre 1912), in WiE, iv, cit. p 166. La scelta di Kerr è legata, tuttavia, anche al fatto che agli ebrei era preclusa la possibilità di intraprendere una normale carriera accademica [Cfr. supra, 2. 1. 1., p. 59, nota 1]. 5 Cfr. A. Kerr, Technik des realistischen Dramas (5 luglio 1891), in WiE, iii, pp. 5-23. 6 Kerr appoggia l’idea di un realismo moderato e si trova perciò concorde con la linea sostenuta da Brahm e Schlenter nei confronti del naturalismo radicale di autori come Arno Holz e Johannes Schlaf. In proposito si veda il dibattito intorno alla messinscena del dramma di Holz e Schlaf, Die Familie Selicke, presentata il 7 aprile 1890 alla Freie Bühne presso il Lessingtheater [Cfr. Berlin – Theater der Jahrhundertwende. Bühnengeschichte der Reichshauptstadt im Spiegel der Kritik (1889-1914), a cura di N. Jaron, R. Möhrmann, H. Müller, cit., pp. 124
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si emancipa profondamente dalla critica teatrale naturalista. La battaglia in difesa della nuova forma drammatica non è combattuta, infatti, soltanto con gli strumenti dell’analisi e del giudizio, ma parimenti con le armi del sarcasmo e dello scherno, ben lontane dalla severa sobrietà del naturalismo berlinese :
Sarebbe molto bello se le adolescenti del quartiere Tiergarten sprizzassero leggiadri e raffinati aforismi e paradossali e graziose locuzioni, ma lo fanno solo in Oskar Blumenthal ; non nella vita. 1
Dal 1895 Kerr collabora con la « Neue Deutsche Rundschau », rivista che era stata, in precedenza, con il nome di « Freie Bühne für modernes Leben », una voce importante del naturalismo berlinese. 2 Sulle pagine di questo periodico, nei ritratti dedicati ad autori come Ludwig Fulda, Henrik Ibsen, Hermann Sudermann e Arthur Schnitzler, Kerr inizia a definire le caratteristiche di quell’attitudine critica che più tardi rappresenterà simbolicamente attribuendo al critico teatrale i medesimi strumenti del re biblico Davide : l’arpa (Harfe) e la fionda (Schleuder). Il critico teatrale deve possedere, secondo Kerr, la capacità di incantare e di combattere, di sostenere gli autori in cui si annuncia il futuro della scena e di opporsi alle tendenze che pregiudicano il futuro dell’arte teatrale. In questo doppio impegno egli rimane fedele ai principi dell’estetica naturalista, secondo i quali orienta i propri giudizi, come si può evincere in modo particolarmente evidente negli articoli, pubblicati nel 1896, su Ibsen e Sudermann. Nello scritto dedicato all’opera di Ibsen, Kerr insiste sulla capacità dell’autore norvegese di proporre una rappresentazione autentica della vita, cosa che lo rende, a suo parere, « il precursore non di un singolo dramma, ma di un’intera epoca drammatica » : 3
La cosa migliore e più gravida di conseguenze che Ibsen ci ha donato è : l’impulso alla verità in un’epoca artisticamente menzognera ; l’impulso alla serietà in un’epoca artisticamente piatta ; l’aria di movimento in un’epoca del ristagno ; e il coraggio di prendere qualsiasi tema che contenga qualcosa di umano senza preoccuparsi della sua provenienza. Per questa ragione dovremo ben chiamarlo il precursore del nostro nuovo dramma e ringraziarlo, come gli antichi ebrei « con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze ». 4
Nell’analisi della scrittura drammatica di Sudermann ritorna, di contro, l’accusa di artificialità e teatralità (Theatralik) : « Non si possono avanzare obiezioni essenziali contro questo autore drammatico. Tranne forse : che non ha un solo capello autentico ». 5 Il tentativo di Sudermann di adeguare i temi e i motivi del nuovo realismo alle forme e alla morale tradizionale incontra la dura risposta del critico. Sudermann, afferma Kerr, semplifica la complessità della vita per renderla accessibile a un pubblico ampio, e le conseguenze del suo successo sono tanto più negative, quanto più il pubblico crede di riconoscere in lui un autore « moderno » e di ammirare la nuova corrente teatrale :
Egli è separato da tutto ciò che, nella nostra letteratura, rappresenta una grande e autentica tradizione, ed è strettamente legato a tutto ciò che è usurpazione e moda superficiale. Proviene dalla 137]. In uno scritto del 1896 dedicato a Schnitzler, Kerr nota, ad esempio, come il drammaturgo, pur senza essere un simbolista, faccia ricorso ad alcuni strumenti simbolici per contrapporsi efficacemente a quella che definisce l’« ostinazione del naturalismo alla Holz-Schlaf » [A. Kerr, Arthur Schnitzler (marzo 1896), in WiE, iv, p. 47]. Per una più approfondita esposizione della posizione di Kerr sulla mimesi del reale nella scrittura drammatica si veda infra, 2. 2. 2. 1 A. Kerr, Technik des realistischen Dramas, cit., p. 19. 2 La collaborazione di Kerr con questa rivista comincia nell’autunno del 1895 con il saggio su Ludwig Fulda, Der Fall Fulda, e prosegue fino al 1933, quando, a seguito della presa del potere dei nazionalsocialisti, Kerr deve fuggire dalla Germania e interrompere la propria attività critico-teatrale. Dal 1897 al 1903 Kerr scrive recensioni teatrali anche per il settimanale « Die Nation ». 3 A. Kerr, Ibsen. Der Ahnherr (Zur Vorgeschichte des neuen deutschen Dramas), in WiE, iii, p. 24. 4 Ivi, p. 43. 5 A. Kerr, Sudermann (giugno 1896), in WiE, iv, p. 53.
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nobile letteratura dozzinale e lì sostanzialmente è rimasto. La sua nota caratteristica è il romanzo femminile imbizzarrito. Con la nuova epoca e la nuova arte non ha nulla in comune se non l’essere un loro contemporaneo. È piantato fino al collo in modelli cattivi. Con Gerhart Hauptmann (dei burloni li mettono a confronto) non ha nulla in comune se non l’ultima sillaba del suo cognome. E affermare che Hauptmann è più grande di lui sarebbe ridicolo come dire : Brahm è più grande di Viktor Nessler. Non sono grandezze commisurabili. 1
Kerr, dunque, interpreta la propria funzione critica nel senso di un impegno etico e estetico per lo sviluppo della nuova arte teatrale realista, il medesimo impegno che egli può riconoscere nella spinta ideale che, pochi anni prima, aveva caratterizzato l’attività giornalistica di critici come Paul Schlenter e Otto Brahm. Ma lo stile e il linguaggio di Kerr sono profondamente distanti dal rigore oggettivo e dallo storicismo impersonale di Brahm e Schlenter. Il giovane critico mostra una qualità che i due protagonisti del naturalismo berlinese non posseggono e che si rivela fondamentale nel contesto della nascente comunicazione di massa : la capacità di sedurre il lettore con uno stile sintetico e divertente e un linguaggio sensoriale e concreto. L’arpa e la fionda, gli strumenti di lode e di lotta di Kerr, sono accordati su tonalità molto diverse da quelle che avevano contraddistinto la critica teatrale naturalista. La spiccata tendenza alla battuta di spirito, sagace e irriverente, che ricorda da vicino l’ironia pungente di Ludwig Börne e il peso assegnato all’impressione soggettiva nella formulazione del giudizio rivelano l’emergere di un nuovo modello critico. Un esempio evidente è il saggio su Arthur Schnitzler, pubblicato nel 1896 sulla « Neue Deutsche Rundschau ». Il lettore è introdotto nella scrittura dell’autore viennese attraverso impressioni e associazioni che rievocano le atmosfere malinconiche e sfuggenti dei suoi drammi :
Piccole stanze all’imbrunire con fiori davanti alla finestra ; affiorano semplici silhouette, care e pallide figure di fanciulla, delicati capi chini. Silenziosamente un pallido ed elegante signore apre la porta e guarda dentro con un’espressione melanconicamente buffa e un po’ stanca, ma intima. 2
Diversamente dalla critica teatrale naturalista il critico compare nel proprio testo in prima persona, le sue sensazioni e le sue emozioni non sono messe a tacere dal giudizio storico ma rappresentano il fondamento del procedimento critico. Kerr inizia il saggio richiamando alla memoria la prima lettura dei testi di Schnitzler ed è il ricordo del dolce effetto che la scrittura dell’autore austriaco aveva esercitato su di lui a introdurne il commento. 3 Così, attraverso la traccia mnestica di impressioni irriducibilmente soggettive, l’attività critica si sposta dalla polarità intellettuale del giudizio, alla restituzione sensoriale della sua ricezione emotiva.
2. 1. 2. Soggettività e impressionismo nella critica teatrale tedesca alla fine dell’Ottocento Gli anni della formazione di Kerr corrispondono agli anni dell’affermazione del naturalismo teatrale a Berlino, ed è proprio attraverso quest’esperienza che egli costruisce il proprio paradigma interpretativo e definisce il proprio compito critico. Ma la carriera pubblicistica di Kerr comincia intorno alla metà degli anni novanta, quando la Weltanschauung naturalista inizia a essere messa in discussione da nuovi orientamenti antirealisti e simbolisti che rifiutano la riproduzione oggettiva della realtà fenomenica e cercano di cogliere, attraverso simboli e atmosfere, la realtà profonda e invisibile che si manifesta
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2 Ivi, p. 70. A. Kerr, Arthur Schnitzler, cit., pp. 43-44. Kerr racconta, infatti, di aver letto Die Frage an das Schicksal, il primo atto unico del ciclo Anatol, in una località montana della Slesia di ritorno da un viaggio in Italia e di aver superato, proprio grazie al testo di Schnitzler, la malinconia e il vuoto di quel momento [Cfr. ivi, pp. 44-45]. 3
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in forze astratte e impersonali. Uno spostamento del medesimo genere si produce anche nella critica teatrale e nei suoi modelli : a una critica che si propone come giudice e guida del processo creativo, si oppone ora una critica che considera la recensione come lo spazio per l’espressione delle impressioni soggettive del critico. Una prospettiva che ripropone e sviluppa alcuni motivi già presenti nelle recensioni di Lindau e Fontane, che avevano spezzato il tono dotto e impersonale del dibattito letterario precedente e avevano coniato una critica fondata sull’impressione soggettiva. La critica teatrale, rispondendo a un’esigenza strutturale della nuova comunicazione giornalistica aveva reso il feuilleton uno spazio di intrattenimento letterario e, abbandonando ogni atteggiamento didattico e pedagogico, aveva inaugurato un rapporto intimo ed emotivo con il lettore. Ma ora, il vitalismo, l’individualismo e la passione per la psiche e per l’inconscio che dominano il pensiero di fine secolo forniscono alla soggettività critica un più profondo fondamento ontologico. La critica teatrale impressionista – che pone, cioè, l’impressione soggettiva del critico al centro del proprio discorso – sorge, infatti, in primo luogo come risposta alla presa di coscienza della relatività storica di ogni principio di giudizio. Se l’unica legge eterna è la legge dell’incessabile mutamento di ogni cosa, al critico non rimarrà che cercare di immergersi, attraverso la propria sensibilità, nell’unicità di ciascuna opera d’arte. Per comprendere i motivi portanti di questa tendenza critico-teatrale è interessante, pur senza volerne fare un esempio rappresentativo di tutte le posizioni in campo, analizzare alcune riflessioni di Hermann Bahr (1863-1934), intellettuale e critico viennese che anticipa e annuncia, nei suoi scritti, le trasformazioni nel teatro e nella critica di fine secolo. 2 Il saggio Critica della critica, pubblicato nel 1890, è, sotto questo aspetto, assolutamente significativo. L’epoca in cui esisteva un’unica giustizia, un’unica etica e, soprattutto, un’unica bellezza, nota Bahr, è finita per sempre ; l’unica verità valida per il Moderno è la presa di coscienza dell’eterno mutamento che investe tutti i campi dell’esistente :
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Una cosa distingue il Moderno da tutto il passato e gli conferisce un carattere particolare : l’esperienza conoscitiva dell’eterno divenire e svanire di tutte le cose in una fuga inarrestabile e la convinzione che esista una connessione fra tutte le cose, la dipendenza di una cosa dall’altra nell’infinita catena dell’esistente. Questa è la più preziosa conquista dell’epoca e l’acquisizione di cui andare più orgogliosi per un lavoro tanto incessante. Questo è stato il primo e più grande avvicinamento alla verità che la terra si muove ; e il secondo avvicinamento è stato alla verità che non esista nient’altro, se non il movimento, un movimento incessante, un flusso eterno, uno sviluppo infinito, nel quale nulla si arresta e il passato non diviene mai presente. 3
Dal momento che la produzione artistica non può essere ricondotta ad alcuna legge atemporale, il critico, afferma Bahr, « non dovrà per molto tempo ancora dichiarare agli artisti che cosa è bello, ma desumere dagli artisti che cosa è bello in quel momento ». 4 Mettendo a confronto due critici teatrali francesi, Francisque Sarcey (1828-1899) e Jules Lemaître (1853-1914), Bahr definisce i tratti della vecchia e della nuova critica teatrale. Mentre Sarcey si presenta alle première con « il sacco pieno di norme e di regole » 5 ed è pronto ad annotare ogni loro trasgressione, Lemaître, al contrario, cerca di comprendere « in quale maniera questo poeta intende e affronta il teatro », cosa che « in fondo gli è del tutto indifferente se il poeta riesce a toccarlo e a commuoverlo ». 6 La critica teatrale, non potendo più affidarsi a un modello universale, cerca nell’empatia (Einfühlung) un nuovo fondamento al proprio discorso : il processo di comprensione di un prodotto dello spirito non può essere, infatti, mediato da principi oggettivi, ma unicamente dalla capacità del
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2 Cfr. infra, 2. 2. 1. Cfr. infra, 2. 2. 1., p. 78. H. Bahr, Critica della critica (1890), in Id., Il superamento del naturalismo, ed. it. a cura di G. Tateo, Milano, 4 Ivi, p. 14. se, 1994, p. 13. 5 6 Ivi, p. 16. Ivi, p. 17. 3
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critico di immedesimarsi nell’artista, di parlare la sua lingua, di entrare in contatto con l’opera attraverso la sensazione, l’impressione. 1 La critica, afferma ancora Bahr nel saggio Critica, pubblicato nel 1891, deve « continuare a penetrare nell’animo degli artisti, a far propri i loro nervi, i loro sensi, tutta la loro natura, a trasformarsi completamente in loro ». 2 Il critico non è un rappresentante della ragione universale, l’interprete di un’istanza che ne giustifica il ruolo e ne legittima la posizione ; la sensazione, l’impressione (Eindruck), punto di contatto tra il soggetto e l’oggetto, rappresentano il nuovo strumento di giudizio :
Egli è un buon critico se, primo, è in grado di avere un’impressione (Eindruck), secondo, è in grado di rappresentare quest’impressione e, terzo, se è in grado di dare conto di questa impressione. Se ciò gli riesce, allora egli ha raggiunto tutto ciò che in generale un onesto critico può raggiungere. 3
L’affermarsi di queste tendenze nella critica teatrale di fine secolo è fondamentale per comprendere lo scarto che separa lo stile e la concezione critica di Kerr dal modello, per altro centrale nella sua formazione, della critica teatrale naturalista. Certo egli non è particolarmente sensibile al cambiamento dei paradigmi teatrali e drammatici che si annuncia nell’ultimo decennio dell’Ottocento : il naturalismo rimane, per molto tempo ancora, il punto di riferimento della sua concezione teatrale. La trasformazione che ha luogo, invece, nelle forme della critica teatrale ha un enorme influsso sullo stile e sul pensiero del critico. Seppure egli rifiuti, infatti, di aderire a una prospettiva meramente “impressionista”, 4 è indubitabile che questa corrente abbia un ruolo fondamentale nello sviluppo di quella peculiare capacità di restituire la propria esperienza vissuta, l’Erlebnis, che caratterizza la scrittura critica di Kerr :
Mi stupisco sempre quando qualcuno nel vivere un’esperienza pensa a passi tratti dalla letteratura. Molto più spesso io, di fronte alla letteratura, penso al mio vissuto. Anziché notare : « questo singolare pomeriggio mi ricorda una pagina di X » – io penso quasi sempre : « Questa pagina di X mi ricorda quel singolare pomeriggio, quando... ». Sì, tutte le volte che scrivo una cosiddetta critica, vi entra qualcosa di mio. Mondi irradiati dalla luce del sole (Welten im Licht) scorrono nel mondo illuminato dalle luci della ribalta (Welt im Rampenlicht). 5
Nelle recensioni di Kerr ritorna con frequenza un vocabolario che fa riferimento alla ricezione emotiva del dramma e della messinscena da parte del critico : « È onesto comunicare,
1 In proposito è interessante ricordare che alla fine dell’Ottocento in Germania il modello di fondazione unitaria delle scienze inizia a essere messo in discussione e, nella riflessione di studiosi e pensatori come Droysen, Dilthey e Windelband, comincia a essere proposta per le scienze storiche e per le scienze dello spirito (Geisteswissenschaften) una fondazione epistemologica autonoma e irriducibile a quella delle scienze naturali. Dilthey, in particolare, sottolineando la specificità del rapporto tra soggetto e oggetto nella conoscenza degli eventi storicoculturali, affida all’empatia (Einfühlung) un ruolo particolarmente cruciale nella comprensione dei prodotti dello spirito [Cfr. S. Borutti, Filosofia della scienze umane. Le categorie dell’antropologia e della sociologia, Milano, Bruno Mondadori, 1999, pp. 6-8 e pp. 35-43]. Bontempelli nella sua storia della Germanistica afferma in proposito : « Le scienze umane per Dilthey possono essere rifondate solo a partire dalla loro diversità ontologica e strutturale rispetto alle scienze della natura. Anche la metodologia dei due tipi di scienza deve allora configurarsi come essenzialmente antitetica : le scienze della natura determinano leggi generali e individuano le regolarità costanti degli avvenimenti, mentre il punto di partenza delle scienze dello spirito deve essere il “subjektives Erlebnis” [esperienza vissuta o interiore]. Se lo scienziato analizza gli oggetti collocati nello spazio e nel tempo con l’aiuto di strumenti razionali quali l’osservazione, la misurazione e l’esperienza, la vita dello spirito è accessibile soltanto grazie all’esperienza interiore vissuta o rivissuta, realizzatasi e trasmessa grazie a un momento gnoseologico individuale – l’Erlebnis – del tutto intuitivo e personale, con cui il reale è colto nella sua piena vitalità. Compito del critico è “rivivere” [Nacherleben] le esperienze da cui muove la creazione poetica in base a una compresione intuitiva e quasi divinatoria » [P. C. Bontempelli, Storia della Germanistica. Dispositivi e istituzioni di un sistema disciplinare, cit., p. 90]. 2 H. Bahr, Critica (1891), in Id., Il superamento del naturalismo, cit., p. 92. 3 H. Bahr, Kritik, « Die Schaubühne », a. vii, n. 8, 23 febbraio 1911, p. 205. 4 Cfr. A. Kerr, [Vorwort zu « Das neue Drama »] (1904), in WiE, v/vi, p. 299, e A. Kerr, Einleitung zu den Gesammelten Schriften, in WiD, i/1, pp. viii-ix. 5 A. Kerr, Verwirrungen, in WiE, i/1, p. 6.
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per ogni caso, quale era lo stato d’animo mentre si stava scrivendo ». Donatella Germanese, parlando degli scritti non teatrali di Kerr, afferma che la forma del diario rappresenta la struttura profonda e fondante della sua prosa. 2 Questa abilità nella descrizione della propria ricezione emotivo-percettiva acquisisce spazio e forma nella collaborazione con la « Breslauer Zeitung ». Tra il 1895 e il 1900 il critico non solo è referente teatrale di questo quotidiano, ma redige, per una rubrica fissa del numero domenicale, i Berliner Briefe (Lettere berlinesi), 3 una sorta di brevi cronache in forma epistolare, che guidano il lettore nelle mille sfaccettature della vita della capitale del Reich o, in alcuni casi, lo portano in viaggio insieme all’autore in città come Vienna, Firenze o Parigi. 4 Kerr è un osservatore preciso e puntuale, ma non impersonale : lo sguardo soggettivo del redattore non è mai dissimulato, egli si presenta come un testimone il cui racconto consente al lettore di rivivere gli eventi narrati e vedere comparire davanti a sé gli uomini che ne sono stati protagonisti, come emerge, ad esempio, nei passi dedicati all’inaugurazione, nel maggio del 1896 a Berlino, della grande esposizione dell’industria e dell’artigianato : 1
Un’atmosfera indescrivibile aleggiava sulla città del Panke. Un giubilo, una gioia estiva, si diffondeva nell’aria, come fosse un singolo grido di felicità e d’orgoglio. Mai si sarebbe potuto credere che in questa metropoli dal sorriso diffidente potesse esplodere un tale entusiasmo elementare e ingenuo. Chi quel mattino si è diretto verso est a bordo di un qualsiasi veicolo e ha visto, nella meravigliosa e beata giornata di primavera, le centinaia di migliaia di persone che erano in giro per le strade, alle finestre, sui tram a cavalli, sulle carrozze a cavalli, sulle biciclette, sugli omnibus, sui taxi, sulle carrozze eleganti e a piedi ; chi ha visto le case adorne, spesso in modo goffo e commovente, con tappeti, bandiere e ghirlande, e ha visto gli uomini profondamente commossi ; chi ha visto le giovani fanciulle che dal primo, dal secondo e dal terzo piano brindavano insieme ai propri convitati con i bicchieri di punch rivolti verso i passanti ; chi ha percepito nell’aria,
5
1 A. Kerr, Du kannst ; Du möchtest ; Du sollst. Bahr. Heinrich Mann. Tolstoj (1 giugno 1912), in WiD, i/2, p. 357. 2 Cfr. D. Germanese, Pan (1910-1915). Schriftsteller im Kontext einer Zeitschrift, Würzburg, Königshausen & Neumann, 2000, p. 124. Rühle sostiene che proprio i diari sono il luogo dove Kerr esercita e sviluppa lo stile che traspone poi nella scrittura giornalistica [Cfr. G. Rühle, Kerr oder Die Fülle des Lebens, in A. Kerr, in WiE, i/1, pp. 528-529]. In proposito cfr. anche G. Rühle, Der andere Alfred Kerr, in WiE, v/vi, p. 527. 3 A partire dal settembre del 1897 i testi di Kerr vengono pubblicati anche dalla « Neue Hamburger Zeitung » e dalla « Königsberger Allgemeine Zeitung ». La pubblicazione dei Briefe sulla « Breslauer Zeitung » e sulla « Neue Hamburger Zeitung » si interrompe nel novembre del 1900, mentre sulla « Königsberger Allgemeine Zeitung » continua fino al 1922 [Cfr. la nota editoriale di Günther Rühle in A. Kerr, Warum fließt der Rhein nicht durch Berlin ? Briefe eines europäischen Flaneurs 1895-1900, cit., pp. 358-359 e la nota editoriale di Deborah Vietor-Engländer in WiE, v/vi, p. 536]. Fino a poco tempo fa la collaborazione con la « Königsberger Allgemeine Zeitung » non era documentata, se non in modo estremamente frammentario e sporadico. Recentemente Deborah Vietor-Engländer e Günther Rühle sono riusciti a ritrovare, in alcune biblioteche polacche, i testi pubblicati su questo giornale fino al 1922 e stanno lavorando a una loro edizione [Cfr. G. Rühle, Der andere Alfred Kerr, in WiE, v/vi, p. 527, nota 40, e la nota editoriale di Deborah Vietor-Engländer in WiE, v/vi, p. 536]. Nove di queste lettere sono pubblicate nel volume v/vi della recente edizione delle opere di Kerr [Cfr. WiE, v/vi]. Questa nuova edizione integrerà le due raccolte, già pubblicate, dei Briefe scritti tra il 1895 e il 1900 [Cfr. A. Kerr, Wo liegt Berlin ? Briefe aus der Reichshauptstadt 1895-1900, cit., e A. Kerr, Warum fließt der Rhein nicht durch Berlin ? Briefe eines europäischen Flaneurs 1895-1900, cit.]. 4 Kerr firmava i suoi pezzi sulla Breslauer Zeitung con il nome “K..r” e, dall’11 luglio 1897, con il nome completo “Kerr”. Sullo stesso giornale un altro giovane intellettuale scriveva le sue lettere da Vienna : Karl Kraus. Queste lettere fanno parte di un genere piuttosto in voga sul finire del xix secolo, quello del Kulturbrief, brevi testi attraverso cui il lettore dei quotidiani, sommerso dalle notizie e dalle informazioni di cronaca, poteva trovare respiro e addentrarsi, attraverso gli occhi del critico, nelle mille sfaccettature della vita contemporanea [Cfr. G. Rühle, Alfred Kerr und die Berliner Briefe, in A. Kerr, Wo liegt Berlin ? Briefe aus der Reichshauptstadt 18951900, cit., pp. 643-662]. I contributi che Kerr spediva dai suoi viaggi, e che quindi non avevano Berlino come fulcro centrale, venivano pubblicati con titoli propri e non sotto l’intestazione generale della rubrica, Berliner Brief [Cfr. la nota editoriale di Günther Rühle in : A. Kerr, Wo liegt Berlin ? Briefe aus der Reichshauptstadt 1895-1900, cit., p. 663]. Numerosi Berliner Briefe vennero rivisti, rielaborati e ripubblicati da Kerr nella raccolta del 1928 di scritti di viaggio e prose di carattere diaristico Es sei wie es wolle, Es war doch so schön ! [Cfr. A. Kerr, Es sei wie es wolle, Es war doch so schön !, Berlin, S. Fischer, 1928]. 5 Il Panke è un piccolo corso d’acqua che attraversa Berlino e il Brandeburgo.
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con viva partecipazione, l’atmosfera assolutamente singolare di un magico evento e ha sentito il proprio misero petto gonfiarsi per l’adesione a una enorme comunità : egli non dimenticherà mai questo memorabile mattino del primo maggio. 1
Gli argomenti di cui il critico chiacchiera amabilmente con il proprio pubblico sono i più svariati, dal teatro, alla cronaca, alle mode che attraversano la società berlinese, fino alla politica. Il discorso dei Briefe non si rivolge, infatti, a un preciso ambito tematico ma è intenzionalmente trasversale : il suo momento unitario non è rappresentato dall’oggetto del racconto, ma dal soggetto che osserva la vita e la società, al contempo partecipe ed estraneo, presente e distante. Un certo voyeurismo è connaturato alla forma di questi testi : il loro fascino non risiede tanto nei contenuti dei loro racconti, quanto nel modo intimo e personale con cui gli eventi sono presentati al lettore. Il critico appare come flaneur e il suo sguardo soggettivo si afferma come cifra caratteristica del giornalismo culturale :
Non si inizia mai un Berliner Brief con un umore migliore di quando non si ha la minima idea di cosa scriverci dentro. Se qualcuno volesse affermare che in questo mese di dicembre si susseguono con ritmo incalzante avvenimenti interessanti, mentirebbe in modo ridicolo. Resta, per il cronista, il più ampio spazio disponibile per sviluppare la grazia del suo spirito, per biasimare, per sorridere, per avere avventure, per saltellare, per essere birbone, per ballonzolare, per fantasticare, per inventare aneddoti e raccontarli come fossero effettivamente accaduti (aggiungendo « la storia, per giunta, ha il pregio di essere vera – ci asteniamo da ogni commento »), in breve, per ingannare il lettore, facendo come se si stesse parlando di qualcosa, mentre in realtà non si parla di nulla. Qui sta l’arte. In questo modo, in un batter d’occhio, si può riempire un paragrafo a stampa – proprio come ho appena fatto io. 2
2. 1. 3. « Meglio essere estratto che limonata » : la sperimentazione linguistica e formale di Alfred Kerr
Conclusa la collaborazione con la « Breslauer Zeitung », 3 il critico viene assunto nel 1901 da « Der Tag », quotidiano fondato in quello stesso anno dal gruppo Scherl e per il quale lavorerà fino al 1919. 4 Nonostante la concorrenza, egli diventa, in breve tempo, il primo critico teatrale della testata dove sviluppa, nel corso degli anni successivi, quell’inconfondibile tratto stilistico che gli permetterà di conquistare una posizione di assoluto prestigio nel contesto della critica teatrale berlinese. Nella critica teatrale di Kerr convergono, come abbiamo avuto modo di vedere, un impegno socio-critico per il progresso dell’arte teatrale e il tentativo di trasformare la recensione in un oggetto letterario autonomo rispetto allo spettacolo teatrale. Egli raccoglie in questo modo gli stimoli provenienti da tradizioni e tendenze opposte e, senza cercare di risolverne la dialettica interna, li supera coniando una forma di espressione critica assolutamente originale e inedita, destinata a diventare modello per un’intera generazione di giornalisti :
Lo stile di quest’uomo è inconfondibile. L’uomo stesso resta inafferrabile. Lo stile è stato imitato da un’intera generazione di giornalisti. L’uomo era impossibile da imitare. Questo dà da pensare. L’homme – c’est le style. 5
1 A. Kerr, [Lettera del 3 maggio 1896], in Id., Wo Liegt Berlin ? Briefe aus der Reichshauptstadt 1895-1900, cit., pp. 147-148. 2 A. Kerr, [Lettera del 12 dicembre 1897], in Id., Wo Liegt Berlin ? Briefe aus der Reichshauptstadt 1895-1900, cit., pp. 132-133. 3 Il critico continuerà fino al 1922 a scrivere i suoi Briefe per la « Königsberger Allgemeine Zeitung ». In proposito cfr. supra, 2. 1. 2., p. 65, nota 3. 4 Il « Roter Tag » – chiamato così per il colore rosso con cui era stampato il titolo del giornale – a differenza dello « Schwarzer Tag », edito sempre dalla Scherl, non conteneva notizie di cronaca ed era dedicato unicamente a commenti, riflessioni e prese di posizione sugli eventi politici e culturali del giorno. Per questo era il luogo più adatto per lo sviluppo di un feuilleton di alto livello. 5 B. Diebold, Kritiker Kerr, in J. Chapiro, Für Alfred Kerr. Ein Buch der Freundschaft, cit., p. 147.
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Kerr rivoluziona la forma e il linguaggio della critica teatrale : l’andamento saggistico che aveva caratterizzato la critica teatrale precedente viene definitivamente abbandonato e al suo posto si fa strada un procedimento sintetico, frammentario, quasi aforistico. Kerr risente del clima espressionista che è nell’aria e lo anticipa sul piano letterario, cosa che presto gli sarà riconosciuta. 1 Il critico, nelle sue recensioni, non si propone, infatti, di riassumere in modo particolareggiato l’intreccio drammatico né cerca di offrire un quadro esauriente dello spettacolo cui ha assistito. Il suo obiettivo, piuttosto, è cogliere l’essenza, il Kern, di ciò che viene presentato sulla scena :
La forma interna della critica del Davidsbündler 2 sia la concentrazione. Meglio essere estratto che limonata ; meglio lavorare con il flash che con lampade a petrolio allineate. [La critica, N.d.T.] deve avere la capacità di costruire un uomo in un paio di pagine. La concentrazione resta la forma del futuro ; il postulatum di un’epoca (ammesso che non lo sia di un temperamento), un’epoca più ricca, alata e più appassionatamente veloce che da principio – eheu, fugaces, Postume, Postume, labuntur anni ! – cova il mistero di cibi condensati... La sua forma interna sia la concentrazione. 3
Dalla molteplicità delle impressioni sensibili egli cerca di estrarre un contenuto di verità, ciò che chiama Ewigkeitszug, il tratto eterno, a-temporale dell’opera d’arte. La materialità della scena è tradotta, così, nell’universalità del senso : « [...] il critico mostra, nelle sciocchezze, l’eterno. Non solo in Molnar o Bisson. Nelle sciocchezze l’eterno, e i mezzi con cui esso è realizzato ». 4 Un processo di sintesi che è condotto attraverso un radicale intervento sulle modalità di costruzione discorsiva della recensione teatrale. Le critiche di Kerr non sono costruite secondo la struttura logico-argomentativa tipica della scrittura critica e accademica, ma secondo gli stilemi del linguaggio orale. Diebold, nel breve intervento pubblicato nel 1928 sul volume dedicato al critico di Breslau definisce la scrittura di Kerr «un’orazione fotografata all’istante». 5 Essa non possiede un carattere dimostrativo, non si sviluppa attraverso i momenti distinti del giudizio e della giustificazione, ma procede per divagazioni, aperture improvvisamente interrotte attraverso strumenti retorici propri della lingua parlata come il ricorrente « Was ich sagen wollte » – « Ciò che volevo dire ». Il lettore, così, ha l’impressione di trovarsi di fronte a un ragionamento che acquisisce forma nel momento stesso della sua enunciazione e che, non ancora fissato nei confini precisi di un concetto, possiede la stessa immediatezza e libertà d’espressione del pensare tra sé e sé :
Leggo il libro e penso naturalmente : ah, questi umoristi, quando cominciano a trattare problemi... Penso : oh, quando Hartleben inizia a discutere di esigenze etiche, come è fiacco e angusto... Thoma, in quanto poeta più completo, sta al di sopra della freddezza più sottile e, per così dire, misurata di Hartleben. Anche lui certo rimane un po’ ristretto all’interno del proprio campo, però vuole esserlo, non vuole « comprendere » con sensibilità il proprio avversario. Ha ragione. Arminius in Kleist dice : « Di cosa ho bisogno Latier che mi faccia bene ? » ... E si crepa dalle risate. ii Volevo dire : i punti deboli in Thoma sono quando si parla. 6
1
Cfr. infra, 3. 2. 3., p. 131. Kerr si richiama qui al progetto di rivista musicale di Robert Schumann. Afferma in proposito Donatella Germanese : « Kerr si riferisce al Davidsbündler di Robert Schumann, un circolo in parte reale e in parte fittizio di giovani amanti della musica che, sdegnati per le condizioni in cui versa la musica contemporanea, fondano una rivista di critica musicale. Presto tuttavia Schumann si trova da solo nella redazione della rivista, mentre il Davidsbündler, come gruppo misterioso, continua a vivere solo nella finzione » [D. Germanese, Pan (1910-1915). Schriftsteller im Kontext einer Zeitschrift, cit., pp. 116-117, nota 260]. Per un’analisi più dettagliata del significato di questo richiamo al progetto di Schumann si veda sempre : ivi, pp. 120-122. 3 A. Kerr, [Vorwort zu »Das neue Drama« ], cit., p. 298. 4 A. Kerr, Einleitung zu den Gesammelten Schriften, cit., p. ix. 5 B. Diebold, Kritiker Kerr, cit., p. 148. 6 A. Kerr, Ludwig Thoma « Moral » (22 novembre 1908), in WiE, vii/1, p. 352. 2
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Il principio di unità del testo critico non si trova, dunque, nel suo impianto argomentativo ma in una struttura compositiva costruita secondo un procedimento che ricorda la relazione tra il tema centrale di un brano musicale e le sue diverse declinazioni particolari. Nel processo di individuazione dell’essenza dell’opera d’arte Kerr condensa, infatti, le proprie osservazioni intorno a un motivo, una frase topica, che viene ripetuta nel corso della recensione. Per comunicare l’eccezionale potenza umana ed emotiva del dramma Die Feinde di Maxim Gorki, ad esempio, egli, rivolto allo spettatore, ribadisce diverse volte un semplice enunciato : « Entrate e guardatevi questo lavoro ». 1 La reiterazione e la ridondanza divengono strumento per generare significato, per forzare la scrittura e offrirle la stessa vitalità della lingua parlata :
È la lotta tra una moralità imperativa in divenire e l’antico potere che nasce nella notte dei tempi, il piacere, il piacere, il piacere. Così i tre stanno al tavolo. Nient’altro. E se l’opera con la sua fattura splendidamente casuale è divenuta un così grosso successo teatrale, accettatelo. Accettatelo... 2
I limiti imposti dalla grammatica tedesca e dal linguaggio letterario sono infranti e al loro posto emerge un linguaggio aperto, che accoglie termini stranieri ed espressioni dialettali e si apre a neologismi e onomatopee. 3 Nella recensione alla messinscena di Eugen Robert 4 de Il Gabbiano di Cˇechov, Kerr, a partire da un dettaglio musicale – il valzer di Chopin suonato nell’ultimo atto – insegue le suggestioni generate dall’atmosfera indescrivibile del brano fino a condensare il significato del dramma in un enunciato che chiude, quasi uno stacco al termine della melodia, con l’interiezione italiana “Ecco” :
Ad un certo punto si è udito qualcuno suonare un pianoforte dietro la scena. Che cos’era ? Era il valzer in do-diesis-minore di Chopin opus 64. do-diesis-minore,... eppure un valzer. Un valzer però... con interruzioni, rallentamenti, quesiti, elementi di riflessività ; in certi momenti un canto silenzioso ; oh, con brusche torsioni, bagliori improvvisi... ; la beatitudine dell’esistenza, velata, monotona, smorzata. Questo è : un monotono struggersi esistenziale velato e smorzato.... Fino a tarda notte non ci si libera di lei, della musica (forse scelta in modo casuale). Essa ha agito non come un commento : ma come un’illuminazione degli uomini e delle parole che compongono questi avvenimenti che lentamente invecchiano e si oscurano. ... In Cˇechov è tutto più apatico ; più noiosamente disperato ; più svogliato. Nessun do-diesisminore. Una tragicità abbassata allo sbadiglio ; una tragicità colma di ripide scalette ; e colma di fato. Senza splendore. Persino le lacrime sono troppo imbronciate per risplendere.... Qualcuno si spara, – la vita va avanti a sbadigliare 5... Nessuno ha raggiunto ciò che voleva e nessuno ha voluto ciò che ha raggiunto. Ecco. 6
La lingua è, per Kerr, non semplicemente uno strumento di definizione e trasmissione concettuale. Egli produce significato utilizzando la stessa materialità sonora e grafica del linguaggio, il suo ritmo, la sua immagine. La divisione delle recensioni in paragrafi nume1
A. Kerr, Maxim Gorki « Die Feinde » (27 novembre 1906), in WiE, vii/1, p. 304. A. Kerr, Gerhart Hauptmann « Elga » (7 marzo 1905), in WiE, vii/1, p. 227. 3 Per un ulteriore approfondimento sul linguaggio e sui mezzi stilistici di Kerr si vedano in particolare : A. Horn, „... Mein ist die Sprache.” Sprachkritik und Sprachkonzept Alfred Kerrs, cit., T. Schöllmann, Alfred Kerr. Ein Weg zur literarischen Selbstverwirklichung. Zur Eigenart und Wirkung seiner kritischen Schriften, München, Bahmann, 1977, pp. 115-133 e L. Schöne, Neuigkeiten vom Mittelpunkt der Welt. Der Kampf ums Theater in der Weimarer Republik, cit., pp. 116-134. 4 Regista, critico e direttore teatrale, Eugen Robert (1877-1944) fonda nel 1908 l’Hebbel-Theater e lo dirige fino al 1911 curando personalmente la regia di diversi spettacoli. 5 Kerr crea un piccolo gioco di parole tra gähnen (sbadigliare) e gehen (andare). La frase “das Leben gähnt weiter”, “La vita va avanti a sbadigliare”, suona, infatti, in tedesco, quasi identica all’espressione d’uso comune “Das Leben geht weiter” che significa “la vita va avanti”. 6 A. Kerr, Anton Tschechow « Die Möwe » (15 aprile 1909), in WiE, vii/1, p. 379.
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rati diventa presto il marchio distintivo dei suoi articoli. La parola, nella sua sostanza visiva e musicale, emerge in tutta la sua centralità : 1
vi ––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– ––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – Zeitgenossen ! Zeitgenossen ! ! – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – ––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– ––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––– 2
2. 1. 4. « Der Großkritiker » : la funzione della polemica e la posizione del critico teatrale nella società
La scrittura critica di Kerr supera in questo modo i confini di una ricerca legata specificamente alla forma della critica teatrale e assume i tratti di una vera e propria sperimentazione letteraria sulle possibilità del linguaggio. La critica teatrale diventa letteratura, spazio di ricerca artistica, una trasformazione di cui Kerr è ben consapevole e che investe anche la figura e il ruolo del critico. In questo processo, infatti, non è solo il prodotto, la recensione, ma è lo stesso produttore-creatore, il critico, a essere coinvolto in una sorta di ri-definizione. Kerr si impegna, nei propri scritti, a fare del critico un artista, autore al pari dei poeti e dei romanzieri, e fa questo, innanzitutto, presentando se stesso in una veste eroica e geniale, non certo scevra di autoironia. Così non è raro che egli evochi con toni quasi biblici la propria missione critica o che esprima apertamente le proprie qualità eccezionali :
Io stesso, tuttavia, dico ciò che, come uomo sincero, sono in fondo costretto a dire : che io ho messo al mondo dei suoni che prima non esistevano. Che io ho dato possibilità di espressione a un’umanità senza vigore. Che io, in un determinato boschetto, ho costruito qualcosa che nessuno prima di me ha costruito. Che io ho estratto dall’acqua il sangue del futuro ; che io, con le mie braccia, ho trasformato le alghe, il sale e i fiori del mare in terreno da pascolo. 3
La soggettività del critico, che aveva caratterizzato sin da principio la scrittura di Kerr, non riveste più semplicemente una funzione di strumento ai fini del giudizio ma diventa ora tema e fine della rappresentazione critica. Le recensioni divengono lo spazio in cui il critico mette in scena se stesso come personaggio pubblico, Großkritiker, figura che ambisce a un ruolo centrale all’interno dell’opinione pubblica, e questo avviene, soprattutto, attraverso il mezzo della polemica. Kerr, nel corso di tutta la propria attività pubblicistica, cerca, in modo ricorrente, lo scontro, il duello, e ad esso affida una duplice funzione : promuovere il progresso dell’arte teatrale e far emergere, attraverso il contrasto, la propria individualità. 4 Un atteggiamento che corrisponde perfettamente a una necessità radicata nel nuovo sistema di produzione giornalistica : i quotidiani, per battere la concorrenza, cercano critici che non informino semplicemente il lettore sullo spettacolo teatrale, ma che riescano ad attirarne l’attenzione e la curiosità. La polemica, arma fon
1 In proposito afferma Robert Musil : « È un sistema taylorista con tempi di lavoro e pause brevi, efficaci e vantaggiose. L’attenzione è facilitata e stimolata. La prestazione richiesta al lettore è divisa in prestazioni parziali e ciascuna parte è così razionalizzata che si riesce ad afferrarla se solo si allunga la mano. Tra i paragrafi viene sacrificato dello spazio, ma questa superficie ristretta possiede una maggiore capacità di assorbimento » [R. Musil, Zu Kerrs 60. Geburtstag (22 dicembre 1927), in Id., Gesammelte Werke, 2 voll., a cura di A. Frisé, Reinbek bei Hamburg, Rowohlt, 1978, vol. ii, pp. 1180-1181]. 2 A. Kerr, Max Halbe. Georg Hirschfeld. Agnes Jordan und Mutter Erde, in Id., Das neue Drama, Berlin, S. Fischer, 1905, p. 111. Zeitgenossen significa contemporanei. Si è scelto di non tradurre il sostantivo in italiano perché il significato della citazione non sta tanto nel contenuto quanto nell’utilizzo grafico del linguaggio. 3 A. Kerr, Einleitung zu den Gesammelten Schriften, cit., p. xix. 4 Cfr. E. Roll, Der Großkritiker. sz-Serie über große Journalisten : Alfred Kerr (xxvii), « Süddeutsche Zeitung », 10 giugno 2003.
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damentale per la critica naturalista viene, perciò, estetizzata. Nel confronto con i propri avversari Kerr ricorre spesso, come nota Gerhard Stadelmaier, 1 a mezzi “proibiti” come l’attacco personale e non risparmia insulti che divertono i lettori ma colpiscono senza alcun riguardo l’avversario, come si può evincere dai passi di un intervento dedicato a Karl Kraus : « Ciò che Epimenide afferma su Creta non è adatto, perché Kraus proviene dall’isola di Microcefalonia ». 2 Una delle forme di satira utilizzata da Kerr, forse la più interessante per la sua capacità di introdurre nuovi moduli di composizione critica, è la scrittura in versi, brevi poesie o canzoni di cui egli si serve a conclusione dei propri contributi per potenziarne la portata polemica. Così, ad esempio, Kerr conclude un articolo dedicato a Maximilian Harden 3 e Siegfried Jacobsohn, 4 due tra i giornalisti e critici teatrali più importanti del panorama berlinese, immaginando i propri avversari cantare, duettando, intorno alla scottante accusa di plagio che proprio in quelle settimane stava investendo Jacobsohn :
Harden e Jakobsohn (unisono) È una delizia e un tripudio quando un amico si accompagna a un amico, sì proprio due amici come siamo noi, il mondo non conosce niente di più caro. 1 Cfr. G. Stadelmaier, Ich bin die Bühne, spricht der Kerr. Ein Theaterkritiker ohne Gürtellinie, « Frankfürter Allgemeine Zeitung », 19 dicembre 1998. 2 A. Kerr, Caprichos (1 luglio 1911), in WiE, v/vi, p. 370. I toni utilizzati da Karl Kraus nei confronti di Kerr non erano certamente più concilianti. La battaglia polemica tra i due fu senza dubbio una delle più dure e violente tra quelle affrontate dal critico. In proposito cfr. infra, 3. 2. 3., p. 130, nota 5. 3 Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio degli anni venti Maximilian Harden è uno tra i giornalisti tedeschi più influenti e temuti. Ebreo, figlio di un commerciante, nasce a Berlino il 20 ottobre del 1861 con il nome di Felix Ernst Witkowski. Dopo aver rifiutato di intraprendere la strada del padre inizia la carriera di attore con una compagnia di giro. Ma presto abbandona la scena e diventa pubblicista, inizialmente critico teatrale. Dal 1876 assume il nome di Maximilian Harden. I suoi articoli vengono pubblicati, in parte sotto pseudonimo, sul « Berliner Tageblatt », su « Die Nation » e sulla « Gegenwart ». Nel 1892 fonda la rivista « Die Zukunft », che lui stesso dirige, e che presto raggiunge la tiratura di 20.000 esemplari. Harden è uno dei massimi rappresentanti di un giornalismo spietato e intransigente e non teme di utilizzare la sfera privata dell’avversario come strumento di attacco pubblico. Per questa ragione il suo nome è legato a scandali rimasti celebri nella storia della pubblicistica, come quello che, nel 1907, coinvolge il principe Philipp zu Eulenburg-Hertefeld, amico e consigliere dell’imperatore, accusato dallo stesso Harden di essere omosessuale con enorme discredito per l’intera corte di Guglielmo II. Nel 1922 Harden viene brutalmente malmenato da un ex tenente appartenente a un’organizzazione di estrema destra e resta in pericolo di vita per diversi giorni. In quello stesso anno conclude l’esperienza della rivista « Die Zukunft » e decide, deluso dallo svolgimento del processo-farsa contro i propri aggressori, di trasferirsi in Svizzera dove muore il 30 ottobre del 1927 per un’infezione polmonare [Cfr. K. Podak, Der Gnadenlose. sz-Journalistenserie (xlii) : Maximilian Harden, « Süddeutsche Zeitung », 22 settembre 2003 e H. Neumann, M. Neumann, Maximilian Harden (1861-1927). Ein unerschrockener deutsch-jüdischer Kritiker und Publizist, Würzburg, Königshausen & Neumann, 2003]. 4 Siegfried Jacobsohn, giornalista e critico teatrale, nasce a Berlino il 28 gennaio 1881. La sua passione per il teatro è estremamente precoce. A vent’anni, quando è ancora studente, inizia a scrivere critiche teatrali. Il capo-redattore della « Welt am Montag » dopo aver per caso ascoltato alcune osservazioni del giovane nel Foyer del Deutsches Theater, decide di dargli l’occasione di scrivere per la sua rivista e Jacobsohn sfrutta l’opportunità diventando presto uno dei critici teatrali più importanti e conosciuti nel panorama giornalistico berlinese. Le sue critiche sono indipendenti e coraggiose, e le sue osservazioni pungenti non risparmiano neppure i colleghi della stampa. Così, nel 1902, Jacobsohn risponde alla polemica innescata da Sudermann contro la critica teatrale attaccando duramente il « Berliner Tageblatt », giornale su cui il drammaturgo stava pubblicando la sua serie di articoli. Non è probabilmente un caso che lo stesso quotidiano berlinese, nel 1904, colpisca il giovane critico accusandolo di aver plagiato alcune recensioni. In seguito allo scandalo sorto da queste accuse, Jacobsohn è costretto a lasciare la « Welt am Montag ». Ma la sua brillante carriera giornalistica è soltanto agli inizi. Nel 1905, dopo una breve pausa, fonda una nuova rivista teatrale la « Schaubühne » destinata a diventare uno dei periodici più significativi della pubblicistica di lingua tedesca. Nel 1918 la rivista abbandona i ristretti confini del discorso critico-teatrale per approdare a un più ampio spettro di interessi. « Die Schaubühne », settimanale di argomento teatrale, diventa ora « Die Weltbühne » rivista di « politica, arte ed economia ». Jacobsohn dirige la rivista fino al 1926 quando muore, a soli quarantasei anni, per le conseguenze di un attacco epilettico [Cfr. G. Nickel, A. Weigel, Nachwort, in S. Jacobsohn, Gesammelte Schriften 1900-1926, 5 voll., a cura di G. Nickel e A. Weigel in collaborazione con H. Knickmann e J. Schrön, Göttingen, Wallenstein, 2005, vol. v, pp. 9-48]. Per uno studio più approfondito della « Schaubühne »-« Weltbühne », si veda : G. Nickel, Die Schaubühne – Die Weltbühne. Siegfried Jacobsohns Wochenschrift und ihr ästhetisches Programm, Opladen, Westdeutscher Verlag, 1996.
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Harden (solo) Lei è come un fiore, così mite, così caro, così luminoso, – E non dà nessuna importanza alla proprietà. Con la Sua mano estremamente dotata Lei scambia ciò che è mio e ciò che è Suo. La guardo e mi striscia fin dentro al cuore un profondo senso di rispetto. È come se dovessi porre le mie mani sul Suo capo, Lei ha rubato così tanto da Schlenter, Kerr e Gold. Io stesso una volta – ahimè ! – mi esercitavo nella critica, Ma poiché di arte non ne capisco nulla, purtroppo con poca fortuna. Io da allora, caro bimbo, odio con forza alcuni critici. E per irritarli dico che Lei è il più talentuoso di tutti. Ora, piccolo Nickel, Lei è stato sorpreso a rubare, maledizione ! Forse può aiutare un articolo ; Accidenti, rimanga al Suo posto !... Io scrivo : “questo bimbetto ruba ininterrottamente solo per gioco”. Poi La affibio, innocente, a Mauthner (il mio amico). Anche se la vergogna è sgradevole, Le verrà tolta la spina Se solo il mio cuore (certamente) crede alla Sua purezza.
Jakobsohn (a Harden) Da lungo La conosco, o mio salvatore, come un luminoso avvocato della mia causa Ma ciò che è accaduto, accipicchia, non me lo aspettavo nemmeno io. Lei nega, come se si trattasse della Sua stessa morte, – e non vacilla nemmeno per un tratto, Lo so, Lei agisce per legittima difesa e più per Sé che per me. Ma mi rallegro profondamente e di cuore della Sua stima, che mi rende ricco ; Io sono il primo tra i critici ? Cosa posso dire di Lei che abbia il medesimo peso ? Lei è qui – io sono a fianco a Lei e con gratitudine giuro, Che Lei, signor Hardenleben, 1 è il primo dei politici. 2 Entrambi (uniti in un girotondo) Allora balliamo il ballo dell’amicizia, la collera degli avversari è inutile Noi siamo le due istanze tedesche... per la politica e l’arte. 3
Oltre a Harden, Jacobsohn e Kraus, nel corso degli anni, a fare le spese dell’ironia tagliente di Kerr sono, tra gli altri, drammaturghi come Hermann Sudermann, registi come Max Reinhardt e critici come Herbert Ihering, con cui egli ingaggia, nel corso degli anni venti, un memorabile duello critico. La scelta dei propri obiettivi polemici non è meramente strumentale alla costruzione del proprio personaggio ma risponde a una precisa strategia estetica ed è guidata da considerazioni politico-culturali. Egli sceglie di combattere contro l’estetica di Reinhardt, perché la giudica il frutto di un vuoto estetismo, e le sue critiche non risparmiano nemmeno Otto Brahm quando le scelte del direttore del Deutsches Theater gli appaiono guidate da considerazioni commerciali più che da valutazioni artistiche. 4
1 Gioco di parole fra “Harden” e “Hartleben”, cognome del celebre drammaturgo e scrittore Otto Erich Hartleben. 2 In quegli anni Harden si occupava, infatti, principalmente di giornalismo politico. 3 A. Kerr, Der Richter (11 dicembre 1904) in WiE, v/vi, pp. 307-308. Nel contesto dello scandalo scatenato dalle accuse di plagio contro Siegfried Jacobsohn [Cfr. supra, 2. 1. 4., p. 70, nota 4]. Kerr prese posizione contro il giovane critico [oltre al qui citato articolo Der Richter (Ivi, pp. 306-308), si veda anche A. Kerr, Epilog (22 novembre 1904), in WiE, v/vi, pp. 304-306] mentre Harden si mosse in sua difesa. Con questo duetto Kerr ironizza sul possibile inizio di una collaborazione tra Jacobsohn e la rivista di Harden « Die Zukunft » [Cfr. A. Kerr, Der Richter, cit., p. 307] e sulle ragioni profonde che avrebbero spinto lo stesso Harden a lasciare la critica teatrale per 4 dedicarsi a tematiche di più ampio spettro. Cfr. infra, 2. 2. 6.
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L’ironia e lo scherno non sono, dunque, rivolte soltanto ad attirare su di sé l’attenzione del lettore, ma rivestono un ruolo di primo piano nell’affermazione della posizione centrale del critico nel funzionamento del sistema teatrale. Ma il ruolo di giudice d’arte appare presto a Kerr limitante ed egli ambisce a una funzione più vasta e complessa, quella di critico della società. Questa progettualità nasce dalla convinzione che lo scopo ultimo dell’attività critica risieda nella sua funzione etica, nella sua capacità di favorire, attraverso il commento dell’opera d’arte, il progresso dell’umanità : « Occupazioni d’arte – sì. Fin nel profondo del cuore. Ma queste sono state quasi sempre un pretesto per lottare per un ordine umano più ragionevole e coraggioso ». 1 Un atteggiamento che guida, tra il 1910 e il 1915, la sua attività di redattore, prima, e di proprietario ed editore, poi, della rivista « Pan ». La motivazione principale che spinge Kerr a collaborare con la rivista e ad assumerne, dal 1912, la guida, va individuata, come nota Donatella Germanese, nella possibilità che essa gli offre di dedicarsi a temi e questioni escluse dall’attività giornalistica presso il « Der Tag » : « La rivista, come portavoce, diede a Kerr la possibilità di esprimersi in ogni forma e su ogni tema, gli servì per adempiere al compito di intellettuale come critico della società che egli stesso si era posto ». 2 Sulle pagine di « Pan » il critico pubblica interventi di diverso tema e forma, da poesie satiriche di carattere politico, alle liriche composte in occasione dello scoppio della prima guerra mondiale, fino alle lettere polemiche che innescano il celebre confronto con il capo della polizia berlinese, nonché responsabile della censura letteraria e teatrale, Traugott von Jagow. 3 Una scelta di campo che viene sancita con grande chiarezza sin dalla lettera con cui Kerr inaugura la propria collaborazione con la rivista dell’editore Cassirer :
Dal momento che nella mia esistenza la letteratura occupa soltanto un angolo, io auguro alla rivista una simile esistenza. Un’esistenza rivolta alla vita. Persino la critica teatrale più brillante mi sembra povera se non è attraversata da un grido di battaglia che la porta al di là del teatro. È un critico misero quello che con parole, indicazioni, suoni – in cui non entrano i tratti poetici (in prevalenza così insignificanti) – non fa tremare o strillare gli essere umani. Le critiche restano dei pretesti. Per andare al di là del teatro... Lo so, Lei lo sente. 4
Ma la politicizzazione del discorso critico di Kerr, che diventerà una delle cifre caratteristiche della sua attività durante gli anni della Repubblica di Weimar, non si realizza secondo una precisa dottrina politica né contiene una visione sistematica della relazione tra società e produzione artistica : la critica politico-sociale resta inserita nei confini del soggettivismo che contraddistingue, a inizio secolo, la strategia di Kerr.
2. 1. 5. « La fionda e l’arpa » : il critico come artista e giudice
La trasformazione della critica teatrale in oggetto letterario e del critico in artista trova una concreta espressione nel fatto che le recensioni di Kerr, a partire dai primi anni del Novecento, vengono raccolte e pubblicate in diversi volumi e assumono, in questo modo, un valore autonomo rispetto all’occasione in relazione a cui sono originariamente redatte. Nel 1905 esce Das neue Drama, che presenta una scelta di critiche teatrali, e, poco più di dieci anni dopo, nel 1917, Die Welt im Drama, ampia edizione che raccoglie la produzione critica di Kerr tra la fine dell’Ottocento e il primo quindicennio del Novecento. I criteri che guidano il critico nella curatela di quest’ultima mostrano chiaramente come il suo obiettivo sia quello di trasporre la critica teatrale dal piano temporale dell’attività giornalistica 1
A. Kerr, Einleitung zu den Gesammelten Schriften, cit., p. xv. D. Germanese, Pan (1910-1915). Schriftsteller im Kontext einer Zeitschrift, cit., p. 120. Sull’attività di Kerr presso la rivista « Pan » si veda anche : H. Schneider, Alfred Kerr als Theaterkritiker. Untersuchung zum Wertsystem des Kritikers, cit., vol. ii, pp. 423-434. 3 Cfr. infra, 3. 2. 3. 4 A. Kerr, Brief an die Herausgeber (1 novembre 1910), in WiE, v/vi, pp. 310-311. 2
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al piano a-temporale che caratterizza la letteratura e i suoi prodotti. Il legame con l’evento teatrale, indice storico delle recensioni, è reso, infatti, labile : Kerr sceglie di ordinare i propri articoli per temi (Gesichtpunkten), li rielabora facendo emergere gli aspetti analitici e generalizzanti e, non da ultimo, estrae le parti dedicate all’interpretazione registica e attoriale presentandole separatamente nel quinto volume della raccolta. L’obiettivo di Kerr non resta sul piano di una mera dichiarazione d’intenti ma possiede un importante risvolto materiale, come testimonia il fatto stesso che un’opera di questo genere e, soprattutto, di questa dimensione, susciti un interesse editoriale. Questi volumi, oltre a mostrare i lineamenti del progetto critico di Kerr, gli offrono l’occasione per rielaborare il senso della propria attività pubblicistica e presentare, nella prefazione al testo del 1905 e nell’introduzione alla raccolta del 1917, una riflessione programmatica sulla funzione e sugli strumenti della critica teatrale. Emerge in questi testi la necessità, da parte di Kerr, di mettere a fuoco la professione del critico con parole simili a quelle utilizzate per descrivere i compiti degli artisti teatrali. Egli include, infatti, il rinnovamento della funzione del critico all’interno del rinnovamento generale del teatro e si pone per questo il problema di definire gli scopi e il ruolo del critico dell’avvenire. La dialettica fra le due polarità che caratterizzano la scrittura di Kerr, orientata da una parte a un impegno socio-critico e dall’altra alla conquista di un autonomia estetica, non viene qui risolta o superata, ma viene cristallizzata, fissata come una duplicità insita nella natura stessa della critica teatrale :
In un mio testo io esigo dal vero critico : “che egli offra la critica dell’odio e dell’amore mitigata dalla giustizia storica. Critica del Davidsbündler, 1 che, come il re biblico, ama due strumenti : la fionda e l’arpa”. 2
Lo strumento di comprensione di cui il critico si serve sono le impressioni sensibili che egli riceve dall’opera d’arte, e tuttavia Kerr rifiuta l’idea che il lavoro critico-teatrale consista semplicemente nella restituzione del dato emotivo e percettivo : 3 ci sono esigenze oggettive cui il critico non può sottrarsi, egli si serve certo delle “impressioni” ma ad esse non si limita, dal momento che il suo scopo ultimo deve essere quello di offrire una conoscenza complessiva della struttura e delle tecniche di costruzione drammaturgica. Il critico teatrale è, infatti, in primo luogo, giudice e guida dell’arte teatrale, un compito che egli non deve certo svolgere, come il Kunstrichter tradizionale, attraverso l’applicazione di leggi universali e metri oggettivi, ma che lo impegna, piuttosto, a individuare e promuovere le possibilità di sviluppo che si annunciano sulla scena : 4
Un autentico critico abbraccerà un’opera d’arte in tutti i suoi aspetti, la spezzerà e caverà fuori la sua essenza ultima. Il critico dell’avvenire sa che non si tratta di dire : questo lavoro drammatico è buono oppure quest’altro è cattivo. Ma dal tipo di letame egli deve essere in grado di riconoscere anche la possibilità del fiore che da esso potrebbe crescere, e le cui radici sono già presenti... E dopo tutto questo si potrà difficilmente dire che qui è all’opera un impressionista (Impressionist). 5
L’insistenza sulle esigenze oggettive (sachliche Förderungen) del discorso critico e sulle sue finalità conoscitive rappresenta un modo di affermare la centralità del critico nei confronti dell’artista e del pubblico e di legittimare la sua posizione di prestigio. Tuttavia, 1
Cfr. supra, 2. 1. 3., p. 67, nota 2. 3 A. Kerr, [Vorwort zu « Das neue Drama »], cit., p. 297. Cfr. ivi, p. 299. Nell’introduzione alla raccolta del 1917 Kerr afferma : « Il criticus ritiene sia stupido essere uno che dà delle leggi – ma ritiene sia intelligente essere uno che le trova » [A. Kerr, Einleitung zu den Gesammelten Schriften, cit., p. vii]. 5 Ivi, p. ix. Un concetto già espresso in precedenza nella prefazione al volume del 1905, Das neue Drama : « Un mero impressionista come critico potrebbe anche seppellirsi. [...]. L’impressionismo non è critica ; esistono anche le esigenze di oggettività... ». A. Kerr, [Vorwort zu »Das neue Drama« ], cit., p. 299. 2
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afferma Kerr in alcuni passi della prefazione al volume del 1905, dire la verità, è, per la critica teatrale, soltanto un presupposto, ciò che davvero decide del suo valore è la forma in cui tale verità viene espressa. 1 In questo modo il critico di Breslau compie un passaggio teorico molto delicato : distinguendo la forma e il contenuto della critica teatrale, e affermando la reciproca autonomia di questi due momenti, cerca di far coesistere, nella propria riflessione, esigenze e finalità contrapposte. Al critico-giudice egli giustappone il critico-artista : se al contenuto dei suoi interventi è affidata la possibilità di agire concretamente nei confronti dell’arte teatrale, alla forma della recensione è assegnato il compito di affermare il valore letterario della critica teatrale. Questo aspetto formale possiede nella concezione di Kerr una particolare importanza poiché soltanto esso può garantire l’autonomia estetica e discorsiva della critica teatrale. I giudizi, contenuto del discorso critico e prerogativa del critico-giudice, sono destinati, infatti, come ogni conoscenza storica, a perdere, con il tempo, la propria validità. La forma, invece, momento di espressione del critico-artista, può consentire alla recensione teatrale di superare il qui e ora presente e acquisire quel significato universale che caratterizza le opere letterarie :
Quello del critico è un mestiere stupido se non si è in grado di andare al di là di esso. Le dottrine astratte diventano rafferme più velocemente dei panini. Ad avere valore, io credo, è soltanto quella critica che contiene in sé un’opera d’arte : in modo che essa possa agire sugli uomini anche quando i suoi contenuti sono diventati falsi (o ciò di cui si parla è ammuffito). Quella critica che deve essere considerata come un genere poetico (Dichtungsart). 2
La critica teatrale deve essere, perciò, considerata come un genere poetico, come afferma Kerr nell’introduzione del 1917 : « Da ora in avanti bisogna dire : la poesia si divide in epica, lirica, drammatica e critica ». 3 Il romanticismo tedesco aveva interpretato l’arte come un’attività assoluta, sciolta, cioè, dalla categoria dell’utile e da ogni riferimento a scopi o parametri esterni. La critica teatrale e letteraria per poter parlare dell’opera, avrebbe dovuto rinunciare a leggi e regole sovra-individuali e farsi essa stessa opera d’arte, divenire poesia della poesia. Kerr, nelle sue riflessioni, riprende in modo evidente alcuni elementi costitutivi del concetto romantico di critica. Se la critica teatrale deve divenire opera d’arte, i suoi fini devono essere definiti con la stessa libertà con cui si definiscono gli scopi dell’attività artistica. La critica teatrale, come l’opera d’arte, non deve essere dunque rivolta ad alcun obiettivo fuori di sé, il critico non deve porsi al servizio dell’arte o del pubblico ma preoccuparsi soltanto di produrre opere d’arte dotate di un autonomo valore :
Il libro dice : Perché si recensiscono determinate cose ? Per questa ragione : perché si crede che una buona recensione talvolta abbia la prospettiva di vivere più a lungo che un cattivo dramma. Perché ci si mette a scrivere delle recensioni ? Per amor del recensore. Non per amor del pubblico e nemmeno di coloro che vengono recensiti. 4
Ciò che differenzia il critico dall’artista è solo il tipo di materia su cui si esercita la sua azione creativa : se l’artista attinge dalla vita e dal mondo fenomenico, il critico utilizza, invece, una materia più sottile e astratta, l’opera d’arte. E tuttavia il compito di entrambi è dare forma a questa materia, scomporre l’oggetto dato e costruire, a partire da questo, un prodotto artistico che ha in se stesso la propria legittimazione :
Il vero critico resta per me un poeta : un creatore (Gestalter). E quasi non fa grande differenza se egli dà forma (gestalten) a un autore serio oppure a un autore pessimo e ridicolo. Così come un autore (o quasi) può essere ugualmente grande sia che dipinga Falstaff, sia che dipinga un eroe modello. Anche il poeta li prende solo dalla vita. La fantasia è memoria. Il poeta è un costruttore. Il critico è un costruttore di costruttori. Lui seziona l’essenza di un autore, fa risorgere la sua
1
Cfr. A. Kerr, [Vorwort zu »Das neue Drama«], cit. p. 301. A. Kerr, Einleitung zu den Gesammelten Schriften, cit., p. vi. 4 A. Kerr, [Vorwort zu »Das neue Drama« ], cit., p. 300.
3
2
Ibidem.
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anima ; riproduce il nucleo della sua costruzione celebrale, pone la forma così riprodotta nella sua interezza (come egli la vede) su due gambe e dice : ometto cammina ! 1
Se la critica è lavoro di poiesis, di costruzione formale, allora la sua produttività si potrà misurare soltanto nella sua capacità di farsi opera d’arte. L’unica critica produttiva, afferma Kerr nella prefazione a Das neue Drama, è quella che crea, con i propri testi, opere d’arte :
Cos’è la critica produttiva (produktive Kritik) ? Ancora nessun critico ha fabbricato, prodotto un poeta ! La critica produttiva è quella che crea, nella critica, un’opera d’arte. Qualsiasi altra interpretazione è vuota. Tra i critici ha diritto ad avvicinarsi a quello che viene bollato come “poeta” soltanto colui il quale è lui stesso un poeta. 2
Convivono, così, nella riflessione di Kerr, due concezioni apertamente contraddittorie : Kerr propone una critica al servizio del teatro ma, al contempo, libera da finalità esterne, una critica rivolta al progresso dell’arte ma, parimenti, indifferente nei confronti dell’artista e dello spettatore. Dal punto di vista storiografico, tuttavia, sarebbe riduttivo fermarsi alla mera constatazione di un’aporia irrisolta all’interno del pensiero di Kerr. Le due parti del discorso possono essere comprese e interpretate, infatti, come due distinti momenti di una strategia critica rivolta a legittimare la funzione del critico teatrale in un momento storico in cui essa viene messa profondamente in discussione. Il crollo dell’oggettività nel giudizio estetico insieme alla professionalizzazione del mestiere critico rendono necessaria, infatti, una ridefinizione dei suoi compiti e dei suoi obiettivi. Il critico è costretto a definire il proprio ruolo nei confronti dell’artista e del pubblico, e, al contempo, la natura della propria professione rispetto al giornalismo e alla scrittura letteraria. Così le dichiarazioni apparentemente contraddittorie di Kerr possono essere considerate come due momenti di un medesimo disegno : affermare, da una parte, la centralità della critica nel sistemateatro e, dall’altra, attraverso l’idea del critico-artista, proclamare la sua autonomia e la sua differenza rispetto al mero cronista. Questa ipotesi interpretativa è confortata dal fatto che Kerr elabora per la prima volta il nucleo delle riflessioni programmatiche contenute in questi testi in un articolo di risposta all’attacco che Hermann Sudermann conduce nel 1902 contro la critica teatrale contemporanea. 3 E proprio il dibattito che si scatena intorno agli interventi di Sudermann, come avremo modo di vedere più avanti, dimostra come questa strategia di legittimazione della funzione critica non caratterizzi soltanto il discorso di Kerr ma contraddistingua un’epoca intera della critica teatrale tedesca.
2. 1. 6. « La beatitudine dell’esistenza » : gli scritti di viaggio di Alfred Kerr
Il teatro e l’arte non sono, tuttavia, per Kerr, che una parte di quel complesso di fenomeni e di esperienze che costituiscono la vita, ed è proprio nelle parole conclusive della prefazione a Das neue Drama che egli, contrapponendo all’« irrilevanza dell’arte », « la beatitudine, la beatitudine, la beatitudine dell’esistenza », 4 stabilisce, tra questi ordini, una gerarchia di valore. Kerr, nel corso della sua carriera di giornalista e scrittore non è soltanto critico del teatro ma si cimenta in molteplici forme e generi, come la poesia e il racconto di viaggio. L’edizione dei propri scritti, che egli stesso cura, si compone, perciò, di due serie : a fianco dell’ampia raccolta di critiche teatrali presentata nel 1917, Die Welt im Drama, egli pubblica nel 1920, come contrappunto, una raccolta di articoli e scritti di viaggio, Reisefeuilletons, in due volumi, Die Welt im Licht : non solo il mondo rappresentato nel dramma, dunque, ma, al pari di questo, il mondo fenomenico, il mondo sotto la luce dell’esperienza. Prosecuzione ideale di questi due volumi sarà, nel 1928, la raccolta Es sei wie es wolle, Es
1
2 3 Ibidem. Ivi, p. 301. Cfr. infra, 2. 3. 3., pp. 106-108. A. Kerr, [Vorwort zu « Das neue Drama »], cit., p. 303.
4
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war doch so schön !, divisa in una prima parte dedicata ai viaggi e in una seconda in cui il critico presenta un diario da Berlino intorno al 1900. 1 Tra i primi anni venti e i primi anni trenta le sue esplorazioni di paesi vicini e lontani vengono inoltre raccontate nei libri New York und London (1923), O Spanien ! (1924), Yankee-Land (1925), Die Allgier trieb nach Algier... Ausflug nach Afrika (1929) e Eine Insel heißt Korsika...(1933). 2 L’esperienza del viaggio riveste, nella biografia del critico, un’importanza fondamentale. Diversi mesi all’anno egli si trova alla scoperta delle più differenti parti del mondo. Da questi viaggi nasce la vasta produzione che abbiamo brevemente richiamato. Alla dialettica tra critica militante e critica estetizzante, che caratterizza la sua attività criticoteatrale, si sovrappone, dunque, una dialettica ancora più profonda e più fondante, la dialettica tra vita e teatro, fra mondo dell’esperienza e mondo della rappresentazione :
Il sentimento generale del critico. Egli mostra l’irrilevanza dell’arte. Dopodichè mostra l’importanza dell’arte. Infine mostra la lotta tra queste due onde che regna eternamente in lui. 3
Ma, nonostante questa tensione irrisolta, è evidente come, nella Weltanschauung di Kerr, in modo pienamente congruente con le correnti che dominano il pensiero tedesco di fine secolo, la vita costituisca il principio ontologico fondamentale e il mondo dell’esperienza lo scopo ultimo della stessa rappresentazione artistica. Per Kerr il teatro e l’arte devono porsi al servizio della vita : l’Ewigkeitszug, il tratto eterno che il critico cerca di mettere in luce nelle proprie recensioni teatrali altro non è, infatti, che una verità universale sull’esistenza dell’uomo che quel determinato dramma o quella determinata messinscena riescono a esprimere. Gli scritti di viaggio, dove il contatto con la dimensione esperienziale e sensuale della vita non è mediato dal filtro della rappresentazione, sono composti nel medesimo stile sintetico e nella medesima lingua sensoriale che caratterizza le recensioni teatrali. Certo, qui non c’è spazio per gli accenti polemici e per l’esplosiva ironia del critico : al loro posto si fa spazio uno sguardo curioso e pieno di stupore per lo splendore del mondo. La soggettività del critico è la struttura profonda di questi resoconti che non perdono mai il tono e l’andamento diaristico. Kerr non offre descrizioni esaurienti dei luoghi visitati ma procede attraverso il montaggio degli episodi particolari che si sono fissati nel suo ricordo. Le descrizioni non sono centrate sull’oggetto, ma sullo sguardo e sull’esperienza individuale di colui che ad esso si avvicina :
Qui parla un millesimo di ciò di cui si fa esperienza nelle peregrinazioni sulla terra. Il nucleo di questi due libri conclusivi... non è la geografia – ma la bellezza, la bellezza, la bellezza. Non la descrizione di viaggi – bensì il ricordo di momenti di vita. 4
Non sono, dunque, le caratteristiche morfologiche, culturali o territoriali del luogo descritto a ordinare i pensieri del critico ma è, piuttosto, l’esperienza emotiva che egli di questi luoghi ha fatto a rappresentare il principio di unità delle sue prose di viaggio. Il racconto di un soggiorno a Venezia, contenuto nel secondo volume di Die Welt im Licht è, da questo punto di vista, assolutamente esemplare : il testo comincia con l’episodio di Rachele, giovane donna che Kerr incontra per la seconda volta nella città italiana e prosegue con ricordi particolari come la gita a Chioggia o la visita al monastero armeno di San Lazzaro. Kerr non descrive Venezia ma procede assemblando frammenti della propria esperienza
1
In proposito cfr. anche supra, 2. 1. 2., p. 65, nota 4. A. Kerr, New York und London. Stätten des Geschicks, Berlin, S. Fischer, 1923 ; Id., O Spanien ! Eine Reise, Berlin, S. Fischer, 1924 ; Id., Yankee-Land, Berlin, Mosse, 1925 ; Id., Die Allgier trieb nach Algier... Ausflug nach Afrika, Berlin, S. Fischer, 1929 e infine Id., Eine Insel heißt Korsika..., Berlin, S. Fischer, 1933. 3 A. Kerr, Einleitung zu den Gesammelten Schriften, cit., p. xiii. 4 A. Kerr, Widmung, in Id., Die Welt im Licht, in Id., Gesammelte Schriften in zwei Reihen, 7 voll., Berlin, S. Fischer, 1917-1920, s. ii, vol. 1, p. xxiv. 2
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per arrivare, attraverso di essi, a circoscrivere l’atmosfera della città. Ed è per questo che, sin dal principio, egli sente la necessità di dover giustificare il suo impressionismo compositivo :
Così voglio raccontare in modo veritiero ciò che allora mi capitò a Venezia. Un avvenimento senza stranezze. Forse ha valore solo per colui che ne ha fatto esperienza in prima persona : non per coloro che lo ascoltano... Se fosse questo il caso la scusa risiederebbe semplicemente nel fatto che noi possiamo raccontare in primo luogo le cose a cui abbiamo preso parte direttamente. (E che la cosa più onesta è proprio non raccontare altro che questo genere di cose) [...] Il punto non è che io, io, io abbia vissuto queste cose. Ma semplicemente che qualcuno racconta delle cose che ha vissuto in prima persona [...] Inoltre non è adatto a quel paio di fatti porre colui che li narra sotto una luce romantica o eroica. Piuttosto bisogna aspettarsi che ciò che verrà raccontato illumini soprattutto la città e la sua anima. 1
Questo passo è molto significativo per comprendere il metodo di Kerr : soltanto ciò che si è vissuto in prima persona può essere raccontato, e non conta il determinato individuo che ne ha fatto esperienza, quanto il fatto che ci sia un individuo che ha raccolto questa esperienza. Il fine non è porre il narratore sotto una luce eroica e romantica, ma cercare di portare a espressione, attraverso il sentire soggettivo, l’esperienza del luogo visitato. L’impressione, il ricordo, non è una materia puramente soggettiva ma è un incontro del soggetto e dell’oggetto, del mondo e della sua percezione, unica condizione perché questo diventi conoscibile. Tra le pagine dedicate alla Baviera e pubblicate nel primo volume di Die Welt im Licht, 2 c’è un brano, Der Heimgarten winkt, che contiene alcune osservazioni molto interessanti sul rapporto tra le parole e le cose, tra il mondo e la rappresentazione. Lo spunto per questa riflessione è offerto dalla domanda formulata da Inge Thormählen – prima moglie di Kerr 3 – di fronte allo splendore di un panorama al tramonto : « Può un uomo in qualche modo, soltanto con le parole, restituire colori come questi ? ». 4 Kerr coglie quest’occasione per descrivere con grande precisione il rapporto tra la scrittura e il suo oggetto e per escludere una concezione mimetica del linguaggio. Lingua ed esperienza sono costituiti da una diversa sostanza ontologica, tra di essi non è possibile un semplice rapporto di raffigurazione. L’unico modo di descrivere l’esistente è, per Kerr, poetizzarlo, usarlo come materia per una creazione linguistica autonoma. La parola rispetto alle cose non sta come la copia al modello ma come la forma alla materia, e l’impressione soggettiva è il luogo dove esse si fondono :
Con il linguaggio posso certamente trovare l’espressione per cose simili – ma quest’espressione ne eguaglia il valore non quando “descrivo” queste cose o le riproduco, bensì soltanto quando pongo al loro fianco qualcosa di altrettanto bello, [...] e che non ha nulla a che fare con l’oggetto da riprodurre ; in breve, quando si “compone” (Dichten) in libertà. Allora è possibile, mia meraviglia, che i soffi d’aria che aleggiano qui sulla Zugsspitze, sull’Heimgarten o sulla Benediktenwand, 5 vengano interiormente superati, intendo dire : resi più profondi. I processi atmosferici, infatti, sono qualcosa di insipido, vuoto, nullo e inanimato – finché il bisogno e lo struggimento del cuore umano non li dotano di un contenuto che gli si confà... Le nuvole non sono sublimi ; il nostro sentimento è sublime !
1
A. Kerr, Venezianisch, in WiE, i/2, pp. 51-52. Cfr. A. Kerr, Gruß an Bayern, in WiE, i/1, pp. 340-395. Negli anni della prima guerra mondiale Kerr incontra Inge Thormählen, originaria della Frisia, che sposa nel 1918. Tre mesi dopo la giovane muore a causa dell’epidemia di spagnola che mette in grave pericolo anche la vita del critico. A lei sono dedicati i due volumi della raccolta Die Welt im Licht. Nel 1920 Kerr si risposa con Julia Weissmann, da cui avrà due figli : Michael, nato nel 1921 e Anna Judith, nata nel 1923. 4 A. Kerr, Gruß an Bayern, cit., p. 345. 5 La Zugsspitze, l’Heimgarten e la Benediktenwand sono tre montagne situate nel sud della Germania, in Baviera. 2 3
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Dunque con il linguaggio non posso riprodurre lo splendore dei colori : ma posso riprodurre il mio sentimento o il tuo, mia amata... e conferire un valore alla stupidità assassina delle nuvole. E mentre parlo in questo modo mi appaiono, quaggiù, di uno scintillante rosa-blu e mi rendono felice – senza che esse sappiano di non possedere un’anima. 1
Per questa via si può forse comprendere il compito che Kerr affida alla scrittura e, in particolare, alla critica teatrale. La vita, principio e fine di ogni discorso, appare nei suoi scritti come un processo di eterna trasformazione, una trasformazione in cui nulla rimane uguale a se stesso se non l’irrevocabilità di questo mutamento. Ma alla precarietà di ogni cosa e di ogni verità, Kerr contrappone il tentativo di afferrare, nell’infinito scorrere, ciò che è eterno. Lo scrittore, sia esso critico teatrale o narratore di viaggio, cerca di cogliere, di fronte all’ineffabilità dell’esperienza sensibile, una verità atemporale, un Ewigkeitszug. Affermare che la critica teatrale è opera d’arte, sollevarla dalla cronaca e dall’attualità giornalistica, significa, perciò, assicurarle una durata, sottrarla al processo di trasformazione e di mutamento che investe ogni cosa. Di fronte alla glorificazione della vita c’è, in fondo, una profonda nostalgia del senso, e alla scrittura è affidato l’arduo compito di sottrarsi alla caducità delle cose e fermare ciò che è passeggero. 2. 2. Alfred Kerr e il teatro tra il 1891 e il 1918 2. 2. 1. Alfred Kerr e il teatro berlinese nell’ultimo decennio del xix secolo Il pensiero teatrale di Alfred Kerr è profondamente radicato nel clima artistico e culturale che contraddistingue il periodo della sua formazione universitaria. I suoi paradigmi e i suoi criteri di giudizio si costituiscono sotto l’influenza delle esperienze e delle personalità che dominano la scena berlinese intorno alla fine degli anni ottanta dell’Ottocento. In questi anni il movimento naturalista, guidato dalla Freie Bühne di Brahm, introduce in Germania un nuovo repertorio e insieme ad esso un nuovo modo di concepire la scena. L’esigenza di una riproduzione autentica comporta, nella costruzione drammatica, l’esclusione di tecniche come il monologo e l’ampio utilizzo delle didascalie per fornire una descrizione dettagliata del milieu, l’ambiente, che, secondo le nuove teorie, determina in modo necessario e causale il comportamento dell’uomo. I protagonisti di questi nuovi drammi sono individui concreti, spesso appartenenti alle classi sociali più disagiate e si esprimono in un linguaggio basso e dialettale : una vera e propria rivoluzione che ridefinisce i fini e i mezzi della creazione teatrale. Cambiano così anche i compiti assegnati all’attore che rinuncia a modi e toni convenzionali per conquistare un’espressione umana, autentica e naturale. Ma il movimento naturalista non domina in modo esclusivo la scena artistica dell’ultimo decennio dell’Ottocento. Già nel 1891, nella raccolta di saggi intitolata Die Überwindung des Naturalismus, Hermann Bahr (1863-1891), originariamente membro della Freie Bühne, proclama la necessità di un superamento della poetica realista a favore di nuove forme di espressione. 2 Alla corrente naturalista si contrappongono presto indirizzi antirealisti e simbolisti, nelle cui forme, e secondo i cui modelli, si esprimono anche alcuni
1 A. Kerr, Gruß an Bayern, cit., p. 346. Questo brano assume una posizione fondamentale nel tentativo di Alexander Horn di ricostruire la concezione del linguaggio di Kerr [Cfr. A. Horn, „... Mein ist die Sprache.” Sprachkritik und Sprachkonzept Alfred Kerrs, cit., pp. 194-216]. Nel suo lavoro Horn richiama, discostandosene, un commento del 1923 di Leo Spitzer, in cui questi passi sono letti come un’ammissione dell’impotenza del linguaggio e dello scrittore [Cfr. L. Spitzer, Sprachmischung als Stilmittel und als Ausdruck der Klangphantasie, « Germanisch-Romanische Monatsschrift », a. xi, nn. 1-2, gennaio-febbraio 1923, pp. 193-216, p. 213], e indica, piuttosto, nel pensiero di Kerr, una distinzione tra la constatazione dell’incapacità del linguaggio quotidiano di offrire una raffigurazione del mondo e un’affermazione positiva della capacità creativa di un linguaggio configurato secondo la rappresentazione individuale dell’artista : « Scopo dello scrittore e artista Alfred Kerr non è descrivere quello che vede, bensì dare forma linguistica, nel vissuto, alla sensazione » [Cfr. A. Horn, „... Mein ist die Sprache.” Sprachkritik und Sprachkonzept Alfred Kerrs, cit., p. 216]. 2 Cfr. H. Bahr, Die Überwindung des Naturalismus, a cura di C. Pias, Weimar, vdg, 2013.
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dei protagonisti del dramma naturalista, come Ibsen e Hauptmann. La rappresentazione teatrale abbandona la pedante riproduzione della superficie del reale per cogliere una verità profonda e invisibile. Al centro di questi drammi non vi sono più singoli individui bensì figure attraverso cui si manifestano forze astratte e universali. Alla svolta del secolo è l’impressionismo simbolista e neoromantico a dettare il nuovo gusto letterario e teatrale e cominciano a essere messi in scena a Berlino, seppure con qualche resistenza, 1 i drammi di autori come Maurice Maeterlinck (1862-1949), Hugo von Hofmannsthal (1874-1929) e Frank Wedekind (1864-1918). Nel frattempo, attraverso il lavoro di Otto Brahm e di Max Reinhardt la creazione scenica acquisisce uno statuto autonomo e una dignità artistica. Si afferma, così, in Germania la figura del regista, una trasformazione destinata a riflettersi negli scritti dei critici teatrali che dedicano sempre più spazio al fatto spettacolare e partecipano attivamente al dibattito intorno all’essenza del fare teatrale e alla relazione tra i diversi momenti che lo compongono. È in questo contesto di trasformazioni e cambiamenti che Kerr definisce le coordinate generali di una concezione del dramma e dello spettacolo che diventerà, per tutta la vita, il saldo fondamento della sua attività critica. Sebbene egli non si leghi esplicitamente a una precisa poetica o a una singola corrente, le idee che emergono nei suoi scritti teatrali rimandano chiaramente all’opera di Hauptmann e Ibsen e all’attività teatrale di Brahm. Il rigore analitico di Ibsen, così come il lavoro di Brahm sull’espressione psicologica dell’attore, diventano un principio base della sua stessa attività critico-teatrale : il naturalismo berlinese è per il critico una fonte che contribuisce a plasmare la sua visione del mondo e della scena. Ibsen, in particolare, è, per Kerr, molto più che un autore da criticare, è lui stesso un modello. Le categorie di interpretazione che egli conia in relazione a questi riferimenti vengono poi declinate in rapporto ai nuovi oggetti drammatici e applicate, anche attraverso sottili spostamenti teorici ed estetici, alle nuove proposte teatrali. Kerr, pur con qualche esitazione, si dimostrerà aperto verso le innovazioni formali ed espressive che i nuovi autori simbolisti introducono nel dramma e nel teatro. Un profondo apprezzamento caratterizza il suo giudizio intorno a Wedekind, mentre più tiepida, seppure in parte positiva, è la valutazione dei drammi di Hofmannsthal e Maeterlinck. Nel corso della sua lunga attività Kerr cercherà, infatti, di mantenere sempre una posizione storicista e di giudicare le diverse espressioni drammaturgiche e teatrali secondo la specificità poetica e artistica che le contraddistingue. Egli lo enuncia in modo molto chiaro nell’introduzione alla raccolta delle proprie critiche pubblicata nel 1917 : « Il criticus ritiene sia stupido essere uno che dà delle leggi – ma ritiene sia intelligente essere uno che le trova ». 2 Non esistono principi estetici o norme universali attraverso cui interpretare la creazione teatrale svolgendo un ruolo di giudice. Il critico teatrale è colui che, grazie alla sua particolare intuizione, riesce a vedere in anticipo e a indicare la direzione di sviluppo dell’arte drammatica : « Il criticus non si presenta come un giudice universale. Odia ciò che lo irrita e ama ciò che lo seduce. E lo dice ». 3 Ma nonostante questa convinzione espressa in sede programmatica, nei suoi giudizi è riconoscibile un conio ben preciso. Kerr, nelle sue recensioni, tende, infatti, a universalizzare alcuni attributi costitutivi del naturalismo e a farli divenire i parametri del proprio modello di arte drammatica e spettacolare. Così, a partire dai primi anni del Novecento, quando la corrente realista ha ormai esaurito la propria forza originaria, negli scritti e nelle recensioni di Kerr il concetto di “naturalismo” non indica più un particolare indirizzo ma diventa sinonimo di “vera poesia” e “vero dramma”. In una recensione della messinscena di Rose Bernd di Gerhart Hauptmann, redatta nel dicembre del 1903, Kerr afferma :
1 Cfr. N. Jaron, R. Möhrmann, H. Müller, Zur Berliner Theatergeschichte, in Berlin – Theater der Jahrhundertwende. Bühnengeschichte der Reichshauptstadt im Spiegel der Kritik (1889-1914), a cura di N. Jaron, R. Möhrmann, H. Müller, cit., pp. 58-59. 2 3 A. Kerr, Einleitung zu den Gesammelten Schriften, cit., p. vii. Ibidem.
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Hauptmann non è un naturalista. O meglio : il naturalismo non è un ambito poetico specifico (Dichtungsgebiet), bensì qualcosa che tutte le forme di poesia drammatica hanno in comune. Le impressioni che noi percepiamo come “belle”, sono quasi sempre di carattere lirico. La lirica appare in primo luogo in un determinato punto dell’intreccio e le figure che compongono quest’intreccio devono essere plasmate in modo naturalistico, anche qualora abbiano le ali o l’intreccio sia del tutto fantastico. E ciò che è in grado di scuoterci sarà tanto più forte quanto più le figure saranno state create in modo naturalistico, saranno terrene e simili agli uomini – anche con le ali. Da questo si può riconoscere che nel naturalismo sono rintracciabili i presupposti di ogni creazione poetica e che lo “stile” di Hauptmann risiede molto meno nel naturalismo che nel modo in cui egli conduce le linee di sviluppo della vicenda ; nell’imprevisto in Michael Kramer ; nell’intensità dei Weber ; nella speciale melodia di Einsame Menschen ; nel ritmo del Florian Geyer ; tra il canto e il grido su cui poggia Rose Bernd. Questo è il suo stile. Non il naturalismo contingente. 1
2. 2. 2. I parametri di giudizio di Kerr : il dramma e l’imitazione della realtà
Sin dai primi scritti dedicati al nuovo dramma realista emerge il modo in cui Kerr recepisce e fa propri alcuni principi tecnici e teorici dell’estetica teatrale naturalista. Un posto assolutamente centrale nelle sue valutazioni critiche è affidato al principio della mimesi. Il dramma deve offrire, secondo Kerr, una riproduzione esatta della vita così come noi la possiamo osservare : « il modo in cui gli avvenimenti si svolgono sulla scena, deve avvicinarsi al modo in cui si svolgono nella vita reale ». 2 Kerr sostiene la rinuncia a tutte le forme di artificio che possono far ricordare allo spettatore di trovarsi a teatro di fronte a una finzione. Dal punto di vista della tecnica drammaturgica questo significa la difesa di quelle che egli considera le conquiste del moderno realismo, come l’esclusione del monologo e dell’“a parte”, la preferenza accordata alla caratterizzazione indiretta e l’utilizzo di forme linguistiche basse o dialettali. Il senso di questi procedimenti tecnici è fondato, infatti, non su un ascetismo formale fine a se stesso, ma sulla necessità del superamento della falsità e sulla conquista di una riproduzione autentica e verosimile della realtà. Una delle ragioni della grandezza di Ibsen risiede proprio, secondo il critico, nella maestria con cui egli domina questa nuova tecnica rappresentativa :
Ora vediamo come un maestro riesce a esprimere, in modo sorprendente e infinitamente avvincente, emozioni sommesse e per metà inconsce, pensieri appena accennati, moti d’animo simili a ombre, iniziative che si celano nell’intimità, differimenti e trasformazioni, e a fare tutto questo con i mezzi molto limitati del dramma, senza rozzezza né falsità, senza monologhi inutili né sciocchezze da “a parte”. 3
Ritorna, nel rifiuto di tutto ciò che è falsità e menzogna, il principio dell’autenticità che caratterizza la poetica naturalista. Ibsen, nell’essenzialità della sua scrittura, pur servendosi di un numero ridotto di mezzi convenzionali, riesce a esprimere le sfumature più sottili dei sentimenti e della vita interiore dei personaggi :
Questo grandioso, sicuro e chiaro lasciar-leggere-tra-le-righe, che, senza ricorrere a mezzi diretti, riesce a far intravedere l’interiorità degli uomini come se si trattasse di corpi di cani vivisezionati, aperti e posti sotto vetro, desta la più profonda ammirazione. 4
Ma l’avvicinamento della finzione teatrale alla vita, la mimesi, conosce un confine oltre il quale non è possibile spingersi. Già dal saggio giovanile, Technik des realistischen Dra1
A. Kerr, Gerhart Hauptmann « Rose Bernd » (dicembre 1903), in WiE, vii/1, p. 181. A. Kerr, Technik des realistischen Dramas, cit., p. 6. 3 A. Kerr, Henrik Ibsen « Klein Eyolf » (19 gennaio 1895) in WiE, vii/1, pp. 29-30. 4 Ivi, p. 30.
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mas, affiora negli scritti di Alfred Kerr l’idea che la costruzione drammatica presenti delle esigenze che sono in aperta e insolubile contraddizione con lo sforzo realistico. Nel dramma, infatti, devono venire rappresentati soltanto gli eventi necessari alla comprensione dell’azione, mentre nella vita si osservano numerosi episodi non finalizzati allo sviluppo di alcuna vicenda :
Nel dramma viene presentato soltanto ciò che è strettamente necessario alla comprensione dell’azione e, tra i nuovi autori, è Ibsen a fare ciò con la più grande maestria. Da questa necessità discende il rifiuto delle azioni secondarie, in particolare di quelle che non hanno alcuna finalità. Nella vita un’azione non si sviluppa mai in modo completamente a sé stante e sciolto dal resto degli avvenimenti. Nella vita, quindi, quando esaminiamo una singola azione non riscontriamo mai solamente gli elementi utili alla sua comprensione : nel processo di osservazione emergono numerose percezioni che non sono legate all’azione che stiamo esaminando se non per il fatto che stanno accadendo contemporaneamente. Mentre, dunque, nella realtà, per comprendere un’azione, è necessario eliminare molti elementi non rilevanti, il poeta drammatico offre, sin da principio, un’azione sbucciata e liberata da ogni elemento casuale. E in ciò risiede la contraddizione con il realismo. Quanto più stupefacente diventa la concisa arte del poeta tanto più grande diventa questa contraddizione. Una contraddizione che non è risolvibile. 1
A partire da questa considerazione Kerr critica e considera illegittimi gli esperimenti più radicali del naturalismo. All’interno della corrente realista e naturalista egli occupa, perciò, una posizione di mediazione, distante dai convincimenti teorici di naturalisti come Holz e Schlaf, che rompono con decisione lo schema classico secondo cui l’azione drammatica deve essere composta dalla sequenza di complicazione, sviluppo e soluzione. Proprio l’idea di riprodurre la forma in cui le azioni si sviluppano nella realtà è all’origine di quell’attenzione descrittiva ai particolari ambientali, che spinge i critici più conservatori ad accusare il naturalismo di non appartenere al genere drammatico quanto, piuttosto, all’epica. 2 Tale accusa discende, in critici come Karl Frenzel, dalla concezione secondo cui il compito del critico teatrale è giudicare l’arte drammatica e teatrale sulla scorta delle regole e dei principi universali definiti dalle poetiche di stampo classicista. Secondo Kerr, invece, il critico è un individuo che grazie alla sua eccezionale sensibilità può cogliere i fenomeni particolari che si presentano nell’evoluzione delle forme artistiche e teatrali, nel cui sviluppo non si danno leggi generali. Ma, sebbene Kerr rifiuti di attribuire al critico un ruolo normativo, egli, di fatto, affermando l’esistenza di esigenze costitutive della costruzione drammatica finisce per reintrodurre un giudizio regolativo : « In summa : il più delle cose, dal momento che la vita non può certo essere rappresentata fedelmente e che persino un “naturalista” deve eliminare e raggruppare – il più delle cose dovrebbe apparire a mo’ di concentrato ». 3 Da questa posizione di compromesso tra lo sforzo realistico e le esigenze della teatralità, Kerr arriva a criticare persino alcuni drammi di Hauptmann, come Rose Bernd :
Poiché Hauptmann prende le mosse dal naturalismo [...] egli descrive le cose, nei limiti del possibile, così come accadono realmente. Questo forse è un errore ; che non fece nei Weber, né in Henschel, ma certamente in Roter Hahn. 4
Il modello sono, ancora una volta, le opere di Ibsen, e la capacità con cui il drammaturgo 1
A. Kerr, Technik des realistischen Dramas, cit., pp. 21-22. Si vedano le recensioni e le critiche alla messinscena del dramma di Arno Holz e Johannes Schlaf, Die Familie Selicke, raccolte in Berlin – Theater der Jahrhundertwende. Bühnengeschichte der Reichshauptstadt im Spiegel der Kritik (1889-1914), a cura di N. Jaron, R. Möhrmann, H. Müller, cit., pp. 124-137. 3 A. Kerr, Gerhart Hauptmann « Rose Bernd » (3 novembre 1903), in Berlin – Theater der Jahrhundertwende. Bühnengeschichte der Reichshauptstadt im Spiegel der Kritik (1889-1914), a cura di N. Jaron, R. Möhrmann, H. 4 Müller, cit., p. 553. Ivi, pp. 552-553. 2
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norvegese domina la tecnica della pièce bien faite e la applica alla costruzione realistica. L’esemplare connessione di momenti essenziali che si osserva nei suoi drammi, seppure in contraddizione con l’obiettivo di una mimesi assoluta del reale, è, secondo Kerr, il fondamento della perfezione delle sue opere drammatiche :
Al contempo Ibsen porta a perfezione l’architettura interna del dramma. Si basa sulla forma che è patrocinata da Lessing e dagli autori francesi più recenti, ma non da Gerhart Hauptmann. Sceglie soltanto i momenti necessari alla comprensione della trama […]. E padroneggia la matematica del dramma meglio di Lessing e dei francesi ; è probabilmente l’autore drammatico più preciso che la letteratura abbia mai conosciuto. 1
Il principio della riproduzione mimetica del reale, che Kerr riprende dal naturalismo, viene dunque da lui interpretato in un modo del tutto peculiare. L’obiettivo che il nuovo dramma deve perseguire non è, infatti, la restituzione fotografica della realtà esteriore, quanto l’espressione fedele del senso psicologico e interiore che motiva le azioni dei personaggi. Così anche le tecniche di rappresentazione realistica non devono essere finalizzate meramente a fornire una riproduzione della realtà, ma consentire piuttosto la penetrazione nel suo senso. 2. 2. 3. I parametri di giudizio di Kerr : il dramma e il realismo psicologico
L’ideale della verosimiglianza possiede una chiara radice positivista e scientista. Kerr, non bisogna dimenticarlo, si forma con Eric Schmidt, allievo di Wilhelm Scherer, all’interno di una scuola germanista che aveva cercato, come osserva Roy Pascal riguardo alla Geschichte der deutschen Literatur di Scherer, da una parte, di far rientrare la creazione poetica sotto il governo della scienze naturali e, dall’altra, di fare della critica letteraria l’investigazione scientifica delle leggi che governano la letteratura. 2 È perciò significativo il fatto che, nei suoi scritti e nelle sue recensioni, Kerr caratterizzi il profilo artistico e morale di Brahm e Ibsen ricorrendo a una metaforica di stampo scientifico. Ma, come Schmidt nello studio della letteratura, sul finire degli anni ottanta dell’Ottocento, aveva contribuito a spostare l’indagine causale ed empirica dall’influsso dei fenomeni esterni e ambientali all’importanza dell’interiorità psicologica dell’artista, così il realismo che Kerr promuove nei suoi scritti è un realismo psicologico. La fedeltà alla realtà esterna non è necessaria e deve essere, in ogni caso, funzionale alla restituzione di un’immagine autentica dell’individuo umano e della sua costituzione psichica. In una recensione di Florian Geyer di Gerhart Hauptmann, messo in scena il 4 gennaio 1896 al Deutsches Theater, Kerr afferma che la sublime abilità del drammaturgo slesiano non risiede tanto nell’offrire una perfetta riproduzione del passato, quanto nel riuscire a restituirci una precisa immagine della vita interiore, dei desideri, dei dolori e delle speranze di uomini vissuti secoli fa :
Qui egli si è immerso in un tempo passato e lo ha fatto in modo incomparabile […]. Il poeta parla il linguaggio di quell’epoca esattamente come parla il linguaggio dei marinai di confine in Biberpelz ed esattamente come parla il linguaggio dei montanari slesiani nei Weber. Non solamente il linguaggio grammaticale […] bensì anche il linguaggio concettuale. L’immaginario e la vita interiore (Seelenleben) di questi corpi ormai da molto tempo putrefatti appaiono d’un sol colpo chiari. Ecco come andavano le cose in quel tempo ! Esclamiamo sbalorditi. Per la prima volta l’uomo moderno sente come proprie e attuali le sofferenze, le ambizioni e le speranze dei suoi fratelli che più di trecento anni fa si batterono e persero. I resuscitati si avvicinano a noi, noi ci riconosciamo in loro e li sentiamo parlare, questo sei Tu. 3
1
A. Kerr, Ibsen. Gedenkrede (19 marzo 1898), in WiE, iii, p. 44. Cfr. R. Pascal, Dal naturalismo all’espressionismo. Letteratura e società in Austria e in Germania 1880-1918 (1973), trad. it. di L. Sosio, Milano, Feltrinelli, 1977, p. 53. 3 A. Kerr, Gerhart Hauptmann « Florian Geyer » (10 gennaio 1896), in WiE, vii/1, pp. 41-42. 2
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Kerr si inserisce, così, in una linea di sviluppo che, da Ibsen fino a Stanislavskij, focalizza la propria attenzione sull’autenticità interiore e sullo scavo psicologico più che sulla mera riproduzione della realtà fenomenica. Anche sotto questo aspetto il punto di riferimento è Ibsen, definito nello scritto del 1898, Ibsen. Gedenkrede, un Seelenbergmann, un minatore dell’animo umano :
Per ritornare a Ibsen : egli osserva la relazione degli uomini tra di loro e con l’eternità in maniera apparentemente fredda. Per il modo in cui si pone nei confronti dei loro dolori e delle loro gioie, egli sembra essere un simbolo dei nostri tempi empirici. Egli è uno tra i più saldi ed è senza paura. Non ride né piange : lui guarda. L’osservazione è primaria, la compassione secondaria. E così, in questa grande libertà dai sentimenti, egli diventa un minatore delle anime (Seelenbergmann) senza pari. Egli crea un nuovo spazio per le sottili ombreggiature, per i moti d’animo accennati e oscuri, per le minuscole e sfuggenti gradazioni. Egli libera, laggiù nel pozzo, dei valori che anelano alla vita. 1
Dal momento che la verità del dramma non riguarda la scorza esteriore della realtà, Kerr, nel corso degli anni, e contestualmente all’affermazione della drammaturgia simbolista e neoromantica, accetterà di buon grado l’utilizzo di tecniche di stampo antirealistico, pur tenendo fermo un principio : il dramma può essere simbolico, ma il suo fine ultimo deve essere una rappresentazione dell’uomo e della sua psicologia. L’espressione simbolica dunque, per avere valore artistico, deve poter essere decodificata e avere un chiaro referente, non essere fonte di vaghe e indefinite suggestioni :
Cosa significa simbolismo (Symbolismus) ? Potremmo rispondere : una forma di tecnica psicologica. Non soltanto uno strumento per creare atmosfere (Stimmungen), bensì un mezzo per accennare processi psichici (seelische Vorgänge). 2
Così, di fronte alla prima messinscena berlinese di Pélleas et Mélisande di Maeterlinck, pur non giudicando negativamente il dramma dell’autore franco-belga, Kerr traccia il confine oltre il quale, a suo parere, il simbolo perde la propria ricchezza espressiva :
Onoriamo il diritto di esistenza di questo strumento artistico pur combattendone la pretesa di esclusività. Ibsen, Hannele (persino certe scene di Anatol di Schnitzler) ci hanno mostrato come le forze nascoste della poesia simbolista possano operare in modo efficace quando si sposano con la grande poesia. Tuttavia il dominio esclusivo dei mezzi simbolisti significherebbe una regressione per il grande dramma europeo. E a questo non vogliamo prendere parte. 3
Anche nell’ambito della scrittura simbolista i modelli continueranno a essere Ibsen e Hauptmann e i loro drammi di stampo antirealista, come L’anitra selvatica (1886) e La campana sommersa (1896). Nella stessa recensione del dramma di Maeterlinck, L’anitra selvatica di Ibsen è presentata come l’esempio dell’uso adeguato dei mezzi simbolici. Nel corso dell’argomentazione Kerr espone i tre modi in cui i simboli possono “significare” qualcosa. I simboli, afferma Kerr, possono indicare il destino complessivo delle figure coinvolte nel dramma, esprimere i sentimenti momentanei del personaggio che sta parlando, oppure possono riferirsi a un concetto razionale (verstandesmäßiges Begriff), e avvicinarsi così all’allegoria. 4 In quest’ultimo caso, afferma Kerr, il simbolistico (das Symbolistische) si unisce al simbolico (das Symbolische). Questa definizione rimane, nel testo di Kerr, piuttosto oscura, ma la differenza che egli pone tra i due concetti riguarda, di fatto, la possibilità di tradurre il simbolo in un concetto comprensibile. Simbolico dunque, è ciò che può essere tradotto in un concetto razionale ; simbolistico, invece, ciò che è origine di suggestioni e
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A. Kerr, Ibsen. Gedenkrede, cit., pp. 46-47. A. Kerr, Maurice Maeterlinck « Pelleas und Melisande » (18 febbraio 1899), in WiE, vii/1, p. 75. 3 4 Ivi, p. 77. Cfr. ivi, p. 75. 2
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atmosfere tendenzialmente indefinite e irrazionali. Ibsen, « simbolico e simbolista » viene citato, con un passo de L’anitra selvatica, come l’esempio della felice congiunzione dei diversi modi di utilizzare il simbolo :
Qui l’atmosfera viene rispecchiata in modo singolare ; il mondo dell’inesprimibile e del presentimento, che vive tra le azioni e le emozioni comuni, si manifesta. Ciò che è sotterraneo, la voce infantile dell’anima […] in breve : gli armonici provenienti dalle vibrazioni sotterranee risuonano. Allo stesso tempo viene, tuttavia, utilizzato un simbolo razionale (verstandesmäßiges Symbol) : il fondo del mare, con la sua anitra selvatica che va a fondo e vi resta tenacemente attaccata, sta per la soffitta dove bivacca il vecchio Ekdal andato altrettanto a fondo e che vi resta altrettanto ostinatamente attaccato. Il simbolico incontra il simbolistico. 1
Maeterlinck, invece, si attiene soltanto all’uso simbolista del simbolo :
Maeterlinck si attiene al simbolistico. Quando fa uso di un simbolo razionale (verstandesmäßiges Symbol), come l’anello matrimoniale che cade nel pozzo, questo simbolo è molto carino ma anche molto banale. Maeterlinck opera in maniera emotivo-simbolista (gefühlsmäßig-symbolistisch) : vuole edificare interi lavori teatrali sul proprio strumento artistico. 2
I mezzi di espressione antirealistici, dunque, sono accettati da Kerr soltanto laddove diventano uno strumento per penetrare nella vita psicologica dei personaggi e comunicare il senso profondo e inafferrabile delle loro emozioni. 2. 2. 4. I parametri di giudizio di Kerr : il fine etico del dramma
Rifiutando alcuni degli aspetti più radicali del naturalismo, come le conseguenze formali dell’idea di un’obiettività assoluta, e riprendendo invece alcuni dei suoi principi-guida, come la penetrazione psicologica dell’individuo, Kerr sviluppa un modello di dramma che si fonda sostanzialmente su due parametri costitutivi : l’oggetto del dramma deve essere la descrizione dei moti che attraversano l’anima dell’uomo ; il fine del dramma deve essere una conoscenza di carattere etico. Secondo Kerr, in altre parole, il vero dramma consente di comprendere la natura umana e assume in questo modo un valore formativo e morale. È interessante notare come Kerr attribuisca i due caratteri costitutivi del suo modello drammaturgico non a uno specifico indirizzo estetico, ma alla natura stessa del popolo tedesco. In un saggio del 1 febbraio 1900, Epilog, Kerr afferma, infatti, che ciò che è comune alla « razza » germanica sono l’approfondimento psicologico e la battaglia etica :
Ciò che accomuna la razza germanica è, in primo luogo, la battaglia per l’etica [...] ; in secondo luogo un determinato tipo di scavo psicologico. 3
La descrizione dell’uomo, della sua interiorità, oggetto del nuovo dramma, e l’obiettivo etico e formativo cui essa si rivolge, sono fondati nel carattere tedesco. In questo modo Kerr procede nella strategia di generalizzazione delle proprie categorie estetiche. Come il concetto di “naturalismo” diviene sinonimo di “vero dramma” così la penetrazione psicologica dell’animo umano e l’atteggiamento etico del dramma appartengono non a una particolare corrente artistica ma a un’intera tradizione letteraria e culturale. Brahm e Ibsen divengono, negli scritti di Kerr, non soltanto i rappresentanti più importanti del moderno movimento realista, ma lo snodo fondamentale tra il passato e il futuro del teatro tedesco : l’affermazione del naturalismo a teatro rappresenta per Kerr il compimento di un percorso che inizia con Lessing, continua nell’Ottocento attraverso le opere di Hebbel e Ludwig e culmina proprio nei drammi di Ibsen e nell’attività critica e teatrale di Brahm. Nello slancio etico di Kerr non emergono soltanto le tracce di questa tradizione teatra
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2 Ivi, p. 76. Ivi, pp. 76-77. A. Kerr, Epilog (1 febbraio 1900), in WiD, i/1, p. 37.
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le, ma, parimenti, motivi legati alla sua origine ebraica. Sebbene dichiari esplicitamente, nel suo curriculum redatto nel 1927, di non essere praticante né credente, egli, nelle medesime pagine rivela, al contempo, l’infinita potenza suggestiva che la radice ebraica conserva per lui. L’esperienza dell’eterna separazione (ewige Sonderung) tra tedeschi ed ebrei tedeschi che è costretto a vivere sin dall’infanzia, riaffiora attraverso i ricordi di un antisemitismo strisciante, diffuso anche negli strati colti della società. Ma proprio questa separazione diviene col tempo motivo d’orgoglio e di affermazione della propria identità : 1
La separazione non aveva senso... Ma io ho sempre vissuto la mia discendenza da questo popolo fiabesco come qualcosa di lieto, anche se della sua lingua non so altro che queste sei parole di formidabile bellezza ma di dubbioso valore per la mia conoscenza del mondo : “Schma Jisroel, Adonai Elohenu, Adonai Echod” ; “Ascolta Israele : il Signore, tuo Dio, il Signore è eterno”. Sì, com’è evidente, questi suoni oscuri e potenti non sono più validi per la mia conoscenza del mondo (Eli vuole solo la verità.). Ma hanno eterno valore per la mia fantasia. Schma Jisroel... 2
Nella rappresentazione di se stesso, che Kerr propone in molti scritti, ritornano frequentemente immagini che richiamano l’ebraismo e la sua storia. Nella prefazione alla raccolta Das neue Drama (1905), ad esempio, egli afferma che gli strumenti del critico debbono essere la fionda e l’arpa (Schleuder und Harfe), gli strumenti attribuiti tradizionalmente a Re Davide, che simboleggiano, nel discorso di Kerr, la giustizia e la bellezza. 3 Il critico appare come artista e giudice, come colui che tiene insieme ethos e aisthesis, che è giusto e dotato di una sensibilità straordinaria. Una testimonianza del profondo legame con le proprie origini ebraiche è, inoltre, l’entusiasmo, documentato dallo scritto Jeruschalajim redatto durante un viaggio a Gerusalemme nell’aprile del 1903 :
Gli ebrei. Essi sono coloro che, prendendosi gioco di tutte le false credenze, anche delle proprie, possiedono l’intelletto più libero. Quelli più lontani da ogni oscurantismo. Questo vecchio popolo è il più moderno – dopo duemila anni. Sono sopravvissuti a tutti i roghi. Hanno sfidato tutti i massacratori di anime. E ancora oggi spingono il mondo in avanti – dopo duemila anni. 4
Questo legame, come detto, non si configura mai nella forma di una fede positiva. La religione mantiene valore soltanto come suggestione per la fantasia del critico. In questo contrasto tra fantasia e conoscenza emerge chiaramente la tensione di un momento storico in cui si osserva da una parte il crollo delle fedi religiose, conseguente all’affermarsi del modello scientifico ed empirista, e, dall’altra, il bisogno di recuperare la magia e il mistero attraverso una fuga nel regno della fantasia. Questa dialettica tra conoscenza e fantasia si intreccia, negli scritti di Kerr, con un atteggiamento caratteristico del pensiero di fine secolo. La fiducia nel progresso e nella conoscenza scientifica, che aveva caratterizzato la cultura degli anni precedenti, inizia a essere scossa. La filosofia di Nietzsche acquista, intorno 1 Per quanto riguarda il secondo elemento del modello proposto, il fine etico della costruzione drammatica, Kerr si inserisce nella tradizione propriamente tedesca che risale fino a Lessing e Schiller e che attribuisce al teatro una funzione di formazione morale. Di fronte al teatro tedesco e berlinese degli anni settanta e ottanta dell’Ottocento, dominato dall’intrattenimento e dalle logiche commerciali, era emersa, negli intellettuali legati al nuovo realismo, l’esigenza di restituire al teatro la sua vocazione etica e civile. Una vocazione che Brahm e la Freie Bühne raccolsero e fecero propria. Come afferma Mara Fazio : « Patria della filosofia e della dialettica, la vecchia Prussia era ligia, puritana, ostinata, precisa, disciplinata, volitiva, ordinata. E Brahm, che pure non era prussiano ma amburghese, ne aveva rappresentato e incarnato in modo esemplare le virtù nordiche, intensamente protestanti, l’operosa serietà, il moralismo, l’impegno. Il teatro era stato per lui, come lo era stato per Lessing e Schiller, un’istituzione morale, doveva divenire strumento di formazione spirituale, di elevazione, di crescita civile, parte integrante della Bildung » [M. Fazio, Lo specchio, il gioco e l’estasi. La regia teatrale in Germania dai Meininger a Jessner (1874-1933), cit., p. 83]. 2 A. Kerr, Lebenslauf, cit., p. 253. 3 Cfr. A. Kerr, [Vorwort zu « Das neue Drama »], cit., p. 297. 4 A. Kerr, Jeruschalajim (1903), in WiE, i/2, p. 118.
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al 1900, un’enorme influenza su tutta la cultura tedesca, all’interno della quale iniziano a manifestarsi correnti irrazionaliste e vitaliste. 1 Non pare più possibile, in questo contesto, affermare dottrine etico-morali che pretendano validità universale. Quest’atmosfera è pregnante per lo sviluppo della Weltanschauung critica e filosofica di Kerr, e della sua immagine del critico come individuo geniale dotato di una sensibilità superiore. Gli echi di matrice religiosa si innestano, nel pensiero di Kerr, su un vitalismo di stampo nichilista. Se da una parte la vita è considerata, infatti, come un inarrestabile flusso attraverso cui tutto si trasforma e nulla rimane uguale a se stesso, dall’altra, di fronte a questa infinita metamorfosi che travolge ogni verità, emerge la nostalgia di un senso ultimo ed eterno :
Baci d’ombre, amori d’ombre, Vita d’ombre, meraviglioso! Credi tu, sorella, che tutto resti, Immutabile e vero in eterno ? Ciò che soavemente noi possediamo saldamente, Svanisce come sogni, e i cuori dimenticano, e gli occhi si addormentano... 2
La compenetrazione tra questi due poli, in cui si esprime la posizione di Kerr, emerge chiaramente anche nei giudizi sulla funzione morale e conoscitiva dei drammi di Ibsen e Hauptmann. Ciò che rende questi drammaturghi superiori agli autori teatrali loro contemporanei è, secondo Kerr, proprio il carattere etico del loro lavoro. Essi sono in grado, a suo parere, di offrire allo spettatore una Aufklärung, un’illuminazione sul senso ultimo dell’esistenza umana. La penetrazione psicologica, oggetto del dramma e primo elemento costitutivo del nuovo modello, non deve essere fine a se stessa o all’esposizione di tratti particolari, bensì fornire le coordinate per comprendere nel profondo la natura umana. 3 Ma l’atteggiamento etico di Ibsen e Hauptmann si esprime, secondo Kerr, non tanto nell’affermazione di una dottrina morale positiva, quanto nella lucidità e nel coraggio con cui essi riescono a esporre la mancanza di un senso ultimo nell’esistenza. Nel breve scritto redatto nel 1906, in occasione della morte di Ibsen, Kerr sottolinea alcuni aspetti centrali della scrittura del drammaturgo norvegese. La sua peculiarità, afferma Kerr, è la capacità di far prevalere l’osservazione sulla compassione, e la sua grandezza risiede nello sforzo di mostrare la vita dell’uomo senza false edulcorazioni e facile pathos :
I drammi vivranno per un certo periodo di tempo (più a lungo di altri), poi, per i cittadini dei secoli a venire, diverranno degli estranei : è questo il destino dell’arte. Anche il contenuto dei suoi
1 Come afferma Roy Pascal : « Alla fine del decennio 1890-1900, anche se le scienze naturali stavano costantemente invadendo nuovi settori e trovavano sensazionali applicazioni nei processi economici, nella medicina, nelle comunicazioni, nella difesa ecc., il combattivo ottimismo del periodo anteriore cominciava a essere scosso. Analogamente anche il naturalismo in campo artistico, pur non scomparendo mai e conservando sempre il dominio di un’area alquanto estesa, era corroso da dubbi. [...] Attorno al volgere del secolo ci fu nella filosofia accademica una ripresa di sistemi che liberavano l’individuo dalla catena causale della natura » [R. Pascal, Dal naturalismo all’espressionismo. Letteratura e società in Austria e in Germania 1880-1918, cit., p. 57]. 2 Poesia di Heinrich Heine appartenente al ciclo Seraphine citata da Kerr nella recensione al dramma di Ibsen, Klein Eyolf, in A. Kerr, Henrik Ibsen « Klein Eyolf » (29 dicembre 1894), in WiE, vii/1, p. 28. Kerr cita una versione tramandata della poesia che contiene tuttavia due errori. Nell’originale di Heine, infatti, al posto di “wunderbar” (meraviglioso) c’è “wandelbar” (mutevole) e al posto di “lieblich” (soavemente) “leiblich” (corporalmente) [Cfr. H. Heine, Säkularausgabe. Werke, Briefwechsel, Lebenszeugnisse, 27 voll., a cura della Stiftung Weimarer Klassik e del Centre National de la Recherche Scientifique in Paris, Berlin, Akademie, 1970-, vol. ii/1 (1994), p. 229]. Kerr, inoltre, sostituisce “Närrin” (folle) con “Schwester” (sorella). 3 Questa è, secondo Kerr, la ragione della superiorità di Ibsen su Strindberg. Verso la fine della prima guerra mondiale, Kerr, in controtendenza rispetto al recupero di Strindberg che sta avvenendo in questi anni, afferma che la superiorità di Ibsen sul drammaturgo svedese risiede proprio nella sua capacità etica di dire qualcosa di eterno sull’uomo : « Ibsen è un poeta dei destini degli uomini – Strindberg è un poeta di monomanie. Ibsen è una potenza etica – Strindberg una potenza nell’odio. [...] Ibsen offre il corpo e lo scheletro – Strindberg per di più lo scheletro (e uno scheletro al di fuori della norma) » [A. Kerr, Strindberg und Ibsen (1915-1917), in WiD, i/3, p. 41].
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annunci smetterà di essere vero : è questo il destino delle verità. Ma ciò che invece sarà eterno è quest’integro coraggio ; quest’avanzare imperturbato ; questa battaglia sostenuta fino all’ultimo con fermezza. 1
Dello stesso tenore sono le osservazioni riguardo allo spessore morale di Hauptmann. Di fronte allo sviluppo della moderna cultura dell’intrattenimento e alle moderne strategie di seduzione del pubblico e dello spettatore, Kerr considera Hauptmann una “roccia” che permane, in quest’epoca, come un segno dell’imperativo morale verso l’autenticità :
E in questa fine toccante si sente ancora una volta che, tra gli imbroglioni e i banditori dei nostri giorni, Gerhart Hauptmann resta solido come una roccia : come imperativo verso l’autenticità. Come simbolo. Piccolo o grande che sia. 2
La Aufklärung che Ibsen e Hauptmann forniscono non riguarda, come detto, una dottrina positiva, quanto la sua stessa impossibilità. La loro forza etica, perciò, risiede nel coraggio di mostrare, in tutta la sua profondità, la dimensione tragica dell’esistenza umana :
Alla fine ognuno resta solo. E l’eroina, che non trova una connessione e che, senza sapere come, passa dalla luce all’ombra, alla fine, d’un tratto, arriva a percepire intuitivamente la grande e generale solitudine dell’uomo. E in questo dolore risiede l’ultima verità. 3
La grandezza di Hauptmann, aggiunge Kerr, sta nella sua capacità di guardare in fondo a questa verità senza tentennamenti :
Ognuno è solo. Questa è la vita in cui viviamo. Questa è la vita che il poeta osserva con sguardo severo. Nel suo constatare ciò che non può essere chiarito (Nichtaufzuklärend) è contenuta un’illuminazione (Aufklärung). 4
La prospettiva nichilista e la nostalgia etico-religiosa si compenetrano in queste righe. È interessante, in proposito, tornare al testo che Kerr scrive in occasione della morte di Ibsen. In questo scritto, infatti, i personaggi creati dal drammaturgo norvegese vengono paragonati alle figure dell’Antico Testamento :
Nella nostra epoca – tecnicamente enorme, ma moralmente codarda – Ibsen ha la grandezza di ricordare le figure dell’Antico Testamento che non conoscevano compromessi. E come loro, lui, con impeto, va fino in fondo, con uno splendore oscuro, senza tacere come un agnellino, senza dissimulare beatamente. 5
Ibsen riesce a mantenere, pure nella visione più disperata della vita, una forza e un rigore che Kerr considera autenticamente religiosi. 6 Così, i drammi dell’autore norvegese susci
1
A. Kerr, Ibsens Tod (1906), in WiE, iv, pp. 134-135. A. Kerr, Gerhart Hauptmann « Rose Bernd » (3 novembre 1903), cit., p. 554. 3 A. Kerr, Gerhart Hauptmann « Rose Bernd » (dicembre 1903), cit., p. 178. 4 5 Ivi, p. 179. A. Kerr, Ibsens Tod, cit., p. 135. 6 L’apprezzamento di Kerr per Hauptmann e Ibsen si basa su una prospettiva etica che, oltre al legame con le proprie radici ebraiche, manifesta dei tratti profondamente protestanti e luterani. L’immagine di un rigore morale fine a se stesso e slegato da una possibile efficacia salvifica, appare, infatti, frutto di una lettura biblica antitetica a quella del cattolicesimo. Nella riforma luterana viene negata all’uomo la possibilità di influire, attraverso le opere, sul proprio destino. Come afferma Roland Bainton : « la salvezza è assicurata solo a coloro a cui l’Eterno ha concesso il dono della fede, che non è elargito a tutti » [R. H. Bainton, La riforma protestante (1952), trad. it. di F. Lo Bue, Torino, Einaudi, 1958, p. 74]. Kerr ha ben presente tali differenze. L’antitesi tra protestantesimo di area tedesca e cattolicesimo viene tematizzata, infatti, dal critico stesso che la indica come una della possibili matrici del realismo psicologico di Brahm : « Miei cari, il poco talento delle razze nordiche per l’arte recitativa ha trovato su questo palco la sua più straordinaria espressione. I germani sono più adatti all’arte dell’inibizione che all’arte recitativa. I popoli germanici si vergognano. Dal cristianesimo essi hanno assunto la mortificazione, l’autorepressione (mentre le stirpi latine hanno preferito il culto di Maria) » [A. Kerr, Stilisierende Schauspielkunst (1903), in WiD, i/5, p. 64]. Tenendo conto del legame elettivo che Kerr, a più riprese, ribadisce di avere con il teatro di Brahm e con la sua natura tedesca, è probabile che egli fosse consapevole degli accenti protestanti del suo 2
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tano per il critico « sentimenti di forza religiosa » e offrono una « religione di coloro che sono saldi nell’assenza di speranza (Gefestigt-Hoffnungslose) ». Ibsen, afferma Kerr in un altro passo, è come un sacerdote per non credenti. Nel rigore morale con cui il drammaturgo norvegese non si arrende di fronte al compito infinito di descrivere l’essere umano è presente, infatti, ex negativo, una forma di consolazione :
Sì, lui non aveva Dei. Ma in questo era completamente sincero. Era saldo nell’assenza di speranza. Ma nella sua constatazione della desolazione risiedeva un meraviglioso potere di consolare. In questo mondo siamo tutti in lotta. Gli uomini sono ingiusti gli uni con gli altri e alla fine siamo tutti in balia di forze oscure, assolutamente oscure. In questo mondo vogliamo prendere atto di come stanno le cose, vogliamo disprezzare l’inganno e guardare in faccia le cose senza chiudere gli occhi. In questo mondo desideriamo essere coraggiosi, procedere coraggiosamente e coraggiosamente soccombere ! Nella moralità di questo “negatore” c’era una disposizione di spirito dotata di forza positiva e rivolta verso l’alto. 1
Ibsen e la Bibbia, la tradizione tedesca di un teatro come istituto morale, e l’eco di un ethos ebraico si uniscono, nell’epoca del crollo delle verità ultime, nella convinzione che il fine del teatro sia la formazione dello spettatore. Una doppia radice, un doppio senso di appartenenza, tedesco e ebraico, che Kerr non rinnegherà mai. Sempre nel resoconto del viaggio in Palestina Kerr afferma :
Anche a Gerusalemme (Jeruschalajim) avevo coscienza di essere tedesco, e che il destino gioca con me meravigliosamente, trasportandomi, dopo tre millenni, dal grembo di Davide in un regno di suoni di mezza estate ; dall’ardore primordiale della nostra stella in un popolo nordico e nobile con una musica trasognata. In quella Germania ora da me amata e che risuona, fin là, in modo immortale. 2
2. 2. 5. La concezione spettacolare di Kerr : la riforma di Otto Brahm
La concezione del testo drammatico proposta da Kerr è fondata su due presupposti : l’idea che l’oggetto del dramma sia l’individuo psicologico e la convinzione che il fine di questa rappresentazione sia una presa di coscienza della condizione umana. Questi stessi principi governano le idee del critico intorno agli aspetti spettacolari e organizzativi del teatro. Se Ibsen e Hauptmann offrono i parametri per la costruzione del suo pensiero drammaturgico, è senza dubbio il lavoro di Otto Brahm a fornire il modello per il suo pensiero teatrale. Il debito di Kerr nei confronti di Brahm emerge chiaramente nella Totenrede, il discorso che egli tiene al Lessingtheater il 22 dicembre 1912, pochi giorni dopo la morte del direttore amburghese. 3 In questa occasione Brahm viene definito il più grande riformatore della recente storia teatrale, colui che è riuscito a introdurre un nuovo repertorio e a rivoluzionare l’espressione attoriale. Sotto questi due aspetti egli sarebbe superiore, rispettivamen
discorso etico-teatrale. In relazione a questi pensieri di Kerr sul collegamento tra religione e caratterizzazione di un gruppo culturale, è estremamente interessante notare che proprio in questi stessi anni Max Weber pubblica il suo importante studio sull’etica protestante e lo spirito del capitalismo, in cui la specificità della dottrina religiosa viene messa in relazione alla specificità dello sviluppo socio-economico di determinate aree dell’Europa [Cfr. M. Weber, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo (1905), trad. it. di A. M. Marietti, Milano, Rizzoli, 2009]. Dirk Käsler, nella sua introduzione al pensiero di Max Weber, ricorda che l’interesse di Weber per la correlazione di questi fattori non nasce dal nulla ma si inserisce in un discussione che è in corso nella Germania di questi anni [Cfr. D. Käsler, Max Weber. Eine Einführung in Leben, Werk und Wirkung, Frankfurt a. M, Campus, 1995, pp. 99100]. È perciò possibile che l’attenzione di Kerr per la caratterizzazione del protestantesimo tedesco sia stimolata proprio da questo particolare contesto intellettuale. 1 2 A. Kerr, Ibsens Tod, cit., pp. 135-136. A. Kerr, Jeruschalajim, cit., p. 138. 3 Cfr. A. Kerr, Totenrede (22 dicembre 1912), in WiD, i/5, pp. 18-22.
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te, ad Antoine e ai Meininger, gli altri punti di riferimento del moderno realismo teatrale. Mentre Antoine, infatti, mette in scena, senza grandi distinzioni, quasi tutti gli autori che scrivono « una brutalità in quattro atti », 1 Brahm, al contrario, sceglie una linea estetica e culturale, che porta avanti nel suo percorso artistico e organizzativo :
Ha avuto la possibilità di scegliere tra Ibsen, Björnson e Strindberg. […] Brahm non ha preso Björnson né Strindberg, ma ha guardato al più forte : colui che, grazie a una profonda e toccante conoscenza di tutti gli interessi esistenziali più intimi, riesce a dare sostegno. 2
Così, mentre Antoine realizza quello che Kerr definisce « un teatro ben assortito del cosiddetto realismo (Realismus) », Brahm crea un « teatro delle anime (Seelentheater) ». 3 E per questo teatro delle anime, per questa nuova drammaturgia, costruisce un nuovo modo di recitare. Da questo punto di vista egli supera i Meininger e L’Arronge, coloro che lo hanno preceduto sulle scene tedesche. 4 Il loro stile era caratterizzato, infatti, secondo Kerr, da un realismo esteriore e scenografico, mentre Brahm sviluppa un’interpretazione attoriale interiore e psicologica. Su un palcoscenico ripulito da tutto ciò che non è essenziale, risuona, nei toni dimessi e quotidiani dei suoi attori, l’interiorità di individui in carne e ossa :
Dopo i Meininger e L’Arronge, dopo un’arte teatrale raffinata ed estensiva... Brahm creò (con straordinarie conseguenze per il futuro) la più alta arte dell’intensità. Come primo e mai più raggiunto. Questo non accadde in altri paesi né in altri teatri : solamente qui. 5
Brahm riesce a eliminare tutto ciò che è finzione e teatralità e a restituire l’impressione di una vitalità animata. Il 10 novembre 1908, nella recensione della messinscena di Michael Kramer di Hauptmann al Lessingtheater diretto da Brahm, Kerr afferma :
Abbiamo assistito a qualcosa di perfetto sia per la seria intimità che per l’evidente potenza. (È stato un approfondire, un sintetizzare, un sottolineare, un ritmizzare... che non può essere descritto con un’altra parola). L’impressione di qualcosa di tecnico è scomparsa di fronte a tale animazione (Beseeltheit). Questo edificio (Haus) non è un teatro ma una casa d’uomini (Menschenhaus). 6
1
2 3 Ivi, p. 19. Ivi, p. 20. Ivi, p. 19. I “Meininger”, guidati dal 1866 dal duca Giorgio II di Meiningen, avevano introdotto importanti trasformazioni sia nel campo dell’allestimento scenico che nel campo dell’arte recitativa, e avevano potuto mostrare gli straordinari risultati del loro lavoro in una serie di tournée che li aveva condotti, dal 1874 al 1890, in numerose città di paesi diversi. L’elemento fondamentale nella costruzione dello spettacolo dei Meininger era la fedeltà al testo rappresentato. Il duca di Meiningen conduceva un lavoro molto accurato di ricostruzione storica che permetteva alle messinscene della compagnia di raggiungere un livello di autenticità in precedenza sconosciuto. Grande attenzione veniva, infatti, dedicata alla preparazione di tutti i singoli dettagli, persino all’utilizzo, per quanto riguarda i costumi e gli oggetti di scena, di stoffe e materiali autentici. Ma il vero punto di forza della compagnia riguardava il lavoro degli attori. Il duca, scoraggiando ogni forma di divismo e dedicando una straordinaria attenzione all’effetto complessivo e alla coordinazione d’insieme, aveva raggiunto in questo campo risultati straordinari. A causa dell’esasperato verismo i detrattori dei Meininger parlavano di Meiningerei indicando con questo vocabolo dispregiativo un manierismo scenografico e una concentrazione esasperata sui particolari esteriori. A Berlino, pochi anni dopo l’inizio del lavoro teatrale del duca Giorgio II e dei Meininger, Adolf L’Arronge (1838-1908) tentò per primo un rinnovamento del teatro con l’inaugurazione nel 1883, insieme ad alcuni attori, del Deutsches Theater. Le novità non riguardarono il repertorio, che rimaneva di fatto legato alla rappresentazione dei classici, ma la recitazione, con la ricezione di alcune delle innovazioni introdotte dai Meininger nella direzione di una promozione del lavoro d’insieme e di un superamento del virtuosismo e dello stile declamatorio allora dominante. Alcuni tra gli attori più importanti della scena berlinese di fine Ottocento, tra cui Josef Kainz e Agnes Sorma, mossero qui i primi passi. Kerr cerca di mostrare lo scarto che divide la riforma di Brahm dal lavoro dei Meininger e L’Arronge, affermando proprio che i cambiamenti introdotti da questi ultimi riguardano principalmente un’autenticità esteriore e scenografica. È interessante notare, in proposito, che Kerr nelle aspre critiche mosse a Max Reinhardt si serve spesso proprio del vocabolo Meiningerei. 5 A. Kerr, Totenrede, cit., p. 19. 6 A. Kerr, Gerhart Hauptmann « Michael Kramer » (10 novembre 1908), in WiE, vii/1, p. 344. La citazione del brano di Kerr si conclude con un gioco di parole tra “Haus” (casa) e “Menschenhaus” (casa d’uomini) che 4
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Il giudizio di Kerr sulla riforma di Brahm non riguarda soltanto gli aspetti estetici del suo lavoro ma rimanda al profilo etico del suo teatro : « Egli è stato una potenza etica, non solo artistica ». 1 Le sue scelte non hanno dato origine a una moda, ma hanno inaugurato una nuova era del dramma. Come la grandezza dei drammi di Ibsen risiede nella capacità di far prevalere l’osservazione sulla compassione, così il valore del teatro di Brahm si radica nel rifiuto di ogni forma di pathos e di facile sentimentalismo. 2 Come il nuovo dramma realistico fornisce una conoscenza dell’animo umano che porta lo spettatore a una comprensione superiore del senso dell’esistenza, così il teatro di Brahm elimina tutto ciò che è esteriore per permettere all’interiorità psicologica di esprimersi pienamente :
Gotthold Ephraim Lessing (l’altro Dramaturg amburghese) scrisse un secolo fa, con senso di nostalgia e anelito : «abbiamo attori, ma non abbiamo un’arte recitativa». Otto Brahm è stato colui che ha realizzato questo antico desiderio nel modo più austero possibile. Il desiderio di una recitazione nobile, non barbara e concentrata solamente sull’interiorità. 3
Il concetto “Otto Brahm”, afferma Kerr nella Totenrede, rivivrà in tutti i luoghi dove il teatro è « animato, serio, forte », e rimarrà legato non all’immagine di una persona ma al ricordo di un valore : l’indistruttibile autenticità. 4 La concezione del teatro come istituzione morale, che Kerr in questi passi loda e fa propria, si trova esplicitata in un importante saggio, intitolato Il Naturalismo e il Teatro, che Brahm aveva pubblicato nel luglio del 1891 sui « Westermanns Illustrierte Deutsche Monatshefte » :
Prima di procedere oltre cerchiamo di intenderci su ciò che è il teatro. Come la maggior parte delle cose di questo mondo il teatro ha due volti : uno serio e uno allegro. Considerando i due termini nel loro senso più ampio, l’arte allegra è quella che risponde all’umano desiderio di divertirsi. [...] Coloro che creano nello spirito di quest’arte allegra sono i signori della scena nei giorni estetici feriali : un secolo fa si chiamavano Kotzebue e Iffland, oggi cambiano nome ogni cinque anni, ma l’essenza della faccenda è rimasta la stessa : la loro funzione consiste nel tenere allegro il pubblico anche quando al di là del puro e semplice divertimento mirano a effetti drammatici ; poiché è universalmente noto o prevedibile che i conflitti e le contraddizioni non si aggraveranno seriamente e che comunque alla fine, dopo tante lacrime, tante brame e qualche volta sbadigli, Hans sposerà la sua Grete e Otto la sua piccola Lore. Ma accanto a quest’arte dei giorni feriali è sempre esistita a tutti i vertici dell’evoluzione drammatica l’arte grande, l’arte seria, l’arte dei giorni festivi : e specialmente da noi in Germania è a questa, non al « divertimento teatrale » che i più grandi geni della nazione hanno dedicato il lavoro di una vita. 5
2. 2. 6. La rottura con Otto Brahm (1898-1904) Sin dai primi anni di università Brahm è, per Kerr, un indiscusso punto di riferimento. Le idee e i giudizi del critico si formano sulla falsariga delle scelte artistiche e culturali del direttore della Freie Bühne. Tuttavia, quando Brahm decide anni dopo, durante la direzione del Deutsches Theater, di mettere in scena quattro drammi di Sudermann, Kerr lo accusa di tradire le convinzioni estetiche e il profilo morale che hanno fino ad allora caratterizzato la sua attività. Sudermann, infatti, riprendeva, nei propri drammi, le tematiche della drammaturgia naturalista, ma ne eliminava i tratti più innovativi e rivoluzionari, conformandosi il più possibile alla morale riconosciuta. In questo modo egli contribuiva purtroppo non può essere reso adeguatamente in italiano. Nel contesto del discorso di Kerr, infatti, “Haus”, letteralmente “casa”, sta per “Schauspielhaus”, edificio teatrale. 1 2 A. Kerr, Totenrede, cit., p. 20. Cfr. Ibidem. 3 4 Ivi, pp. 18-19. Cfr. ivi, p. 21. 5 O. Brahm, Il Naturalismo e il Teatro, cit., pp. 69-70.
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storicamente, come notano Jaron, Möhrmann e Müller, all’affermazione del naturalismo presso un’ampia parte del pubblico borghese. 1 Ma questo a un prezzo che per Kerr è inaccettabile : la banalizzazione dei valori e degli obiettivi che egli assegna al nuovo dramma. L’avversione di Kerr per Sudermann risale alla messinscena del suo primo dramma, Die Ehre, il 27 novembre 1889 al Lessingtheater diretto da Oskar Blumenthal. Qualche anno dopo, lo stesso Kerr, ricordando quella serata, scrive :
Stavo seduto svogliatamente al mio posto, quasi furibondo. Anche se ignoravo l’atteggiamento del pubblico, di atto in atto cresceva in me, dalla sola osservazione di questa rozza opera, un sentimento che non è possibile definire altrimenti che come avversione fisica. Da quel ventisette di novembre Sudermann ha scritto cinque drammi, un romanzo e diverse novelle ; da allora ha conosciuto le più diverse sorti, successi triti, insuccessi, e infine il primo successo di rispetto ; ma indipendentemente da ciò che di suo leggevo o vedevo, emergeva sempre questa profonda avversione ed era vivida come il primo giorno. 2
Il realismo di Sudermann, depurato dagli elementi che avevano caratterizzato il profilo anticonformista e progressista del repertorio della Freie Bühne, non può essere accettato da Kerr. Egli sa che l’opinione di Brahm riguardo al valore dei drammi di Sudermann non è diversa dalla propria e comprende dunque, con rammarico, che la ragione di questa scelta è legata a considerazioni di carattere economico :
Mi ricordo ancora di una sera. Dopo la fine delle lezioni lo studente [Kerr, N.d.T.] e l’ospite della birreria 3 [Brahm, N.d.T.] stavano camminando lungo la strada con un piccolo gruppo di persone ; Brahm disse : “domani c’è una prima al Lessingtheater” (Blumenthal era il direttore di questo teatro), “io devo andarci”. All’epoca scriveva ancora critiche. “Viene anche lei ?”– “Sì !” – E il giorno dopo ero seduto nella seconda galleria ; l’autore era un certo Sudermann : il lavoro si chiamava Die Ehre. Durante l’intervallo tra gli atti e alla fine dello spettacolo parlai con Brahm ; lui fece osservazioni sorprendenti – e io schiumai la mia profonda avversione contro il lavoro di Sudermann. Allora non ci si sarebbe potuti immaginare che un giorno egli avrebbe messo in scena proprio Sudermann. 4
Nel gennaio del 1898, quando Brahm impone e porta al successo, contro un divieto della censura, Johannes di Sudermann, Kerr inizia a mostrare, nei suoi confronti, una certa freddezza. 5 Un malumore che inizialmente non intacca la fiducia nel percorso artistico del direttore amburghese, come conferma una recensione scritta poco più di un anno dopo, il 17 novembre 1899, in occasione della messinscena di Ein Frühlingsopfer di Eduard von Keyserling, con cui la Freie Bühne, ora diretta da Fulda, festeggia il suo decennale. Ripensando al passato e alla funzione di quest’associazione teatrale Kerr afferma :
Se qualcosa da allora è cambiato la colpa non può quasi che essere attribuita a Otto Brahm. Non voglio attaccarlo ; perché per come stanno le cose, lo considero tuttora, nelle questioni fondamentali, un compagno di idee. Ho dovuto sopportare non pochi attacchi, in parte condotti anche attraverso mezzi indecenti, per le critiche che ho esercitato nei confronti di Sudermann e Fulda, che peraltro sono sempre state il risultato di una convinzione profonda e, in fondo, oggettiva. Brahm è l’unico di cui io so, per certo, che condivide il mio giudizio riguardo a questi due autori. In quest’epoca caratterizzata dalle continue fratture non si attacca un compagno di idee. Se ha deciso di consegnare la Freie Bühne a Fulda e Sudermann avrà avuto i suoi motivi. La fiducia non
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Cfr. N. Jaron, R. Möhrmann, H. Müller, Zur Berliner Theatergeschichte, cit., pp. 36-37. A. Kerr, Sudermann (1896), in WiE, iv, pp. 52-53. “Kneipe”, letteralmente birreria, si riferisce qui alla “Germanistenkneipe”, l’appuntamento serale, presso una birreria, in cui gli studenti del Germanisches Seminar di Eric Schmidt potevano confrontarsi con personalità di rilievo del mondo del teatro e della letteratura come appunto Otto Brahm [Cfr. supra, 2. 1. 1., p. 59]. 4 A. Kerr, Wer war Brahm ?, cit., p. 9. 5 Cfr. A. Kerr, Hermann Sudermann « Johannes » (17 gennaio 1898), in WiE, vii/1, pp. 57-58. 2 3
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ci manca. E se poi là si mettono in scena opere che non hanno più nulla di illecito se non la noia che provocano, non bisogna al contempo dimenticare che Brahm ha rifiutato, proprio per questo, di consegnare il suo teatro. Un gesto conciliatorio. 1
Ma questa fiducia rapidamente si consuma. Pochi anni dopo, quando il contratto tra Brahm e il Deutsches Theater è in procinto di scadere, Kerr espone con impietosa lucidità quella che considera la fine di un’era. Con una programmazione poco coraggiosa e rivolta a consolidare più il profilo commerciale che la statura morale e artistica del Deutsches Theater, Brahm si sarebbe inimicato i critici più giovani e l’opinione pubblica progressista che fino ad allora lo aveva sostenuto. Così, perdendo la propria credibilità morale, egli avrebbe tolto a L’Arronge ogni scrupolo residuo riguardo l’eventualità di non rinnovare il suo contratto. In breve : non fu la mancanza di capacità a rovinare quest’uomo. I giudizi che egli in passato, e a quanto si sente anche recentemente, avrebbe dato su Fulda e Sudermann, si sono rivelati corretti, e hanno dimostrato, oltre che ironia, una buona capacità di giudizio... Ma giunto al potere egli si è rivelato essere un uomo a metà, pauroso e arrendevole. Otto Brahm, nato ad Amburgo, arrivato al successo nell’anno della “Freie Bühne”, è tornato a casa per mancanza di coraggio. Messo sui sacri pascoli dell’arte non ha cercato di avanzare quanto più possibile verso orizzonti splendenti, ma si è accontentato di divorare più erba possibile. Questo ha scosso la sua reputazione ed ha bucherellato la sua immagine. Questo ha convinto il proprietario del teatro a procedere in una direzione – verso cui altrimenti si sarebbe mosso con una certa timidezza. E per quanto io detesti Carlyle ed egli assomigli a un pretaccio camuffato, ha certamente ragione nel dire che gli uomini barcollano quando rinunciano alla morale – la loro morale, che può essere in conflitto col pensiero generale. 2
2. 2. 7. Il nuovo stile simbolista e i primi giudizi sul teatro di Max Reinhardt Le idee di Kerr si sviluppano, coerentemente alla posizione non normativa sostenuta in sede teorica, sulla base di ciò che va in scena a Berlino, come risposta alle proposte e alle innovazioni che si presentano nel teatro tedesco. Kerr, deluso da Brahm e stimolato dalle nuove esperienze teatrali che si affacciano sulla scena della capitale inizia, dunque, a rivolgere altrove il proprio favore. Nonostante non disconosca mai la preferenza accordata al realismo psicologico, Kerr riconosce ora che il futuro del teatro tedesco e berlinese è legato da una parte allo sviluppo del nuovo stile simbolista e, dall’altra, al nome di un giovane attore che nel 1902 si stacca dall’ensemble di Brahm e comincia a costruire un proprio percorso artistico, Max Reinhardt. Queste idee affiorano con grande chiarezza in un importante saggio scritto nel 1903, Stilisierende Schauspielkunst in seguito rivisto, ampliato e pubblicato col titolo di Schauspielkunst (1904). 3 Nel nucleo originale del saggio vengono messi a confronto i due stili recitativi sviluppati sulla scena tedesca tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Da una parte lo stile del Deutsches Theater diretto da Brahm e dall’altra il nuovo stile « simbolista-pittorico » (symbolistisch-malerisch) 4 che si sta affermando nei primi anni del nuovo secolo. Kerr descrive lo stile di Brahm come nordico, tedesco. In esso ritrova i tratti di un cristianesimo luterano che è innanzitutto mortificazione. Uno stile che si fonda sulla sottrazione, e che in questo processo di rinuncia a tutto ciò che è innaturale e inessenziale riesce a fare emergere l’interiorità dell’uomo e i suoi moti profondi :
Lo stile del teatro di Brahm aveva, per così dire, delle virtù al rovescio. La sua grandezza stava 1
A. Kerr, Eduard von Keyserling « Ein Frühlingsopfer » (18 novembre 1899), in WiE, vii/1, pp. 84-85. A. Kerr, Ausmietung (29 Agosto 1902), in WiD, i/5, pp. 61-62. 3 A. Kerr, Schauspielkunst (1904), in WiE, iii, pp. 241-286. La prima versione parziale è contenuta nella raccolta curata da Kerr Die Welt im Drama : A. Kerr, Stilisierende Schauspielkunst, cit., pp. 63-70. 4 A. Kerr, Stilisierende Schauspielkunst, cit., p. 63.
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nel rifiuto di ciò che è innaturale. La sua grandezza stava nell’evitare. Detto in modo positivo : la sua grandezza stava nella capacità di far emergere l’intimità repressa (verhaltene Innerlichkeit), e qui l’accento deve essere posto nel lavoro sul comportamento (Verhalten). 1 Miei cari, il poco talento delle razze nordiche per l’arte recitativa ha trovato su questo palco la sua più straordinaria espressione. I germani sono più adatti all’arte dell’inibizione che all’arte recitativa. I popoli germanici si vergognano. Dal cristianesimo essi hanno assunto la mortificazione, l’autorepressione (mentre le stirpi latine hanno preferito il culto di Maria). O forse questo velare proviene dalla nebbia del loro firmamento ? Allora il Deutsches Theater di Brahm è stato il più tedesco dei teatri. Non potrà apparire uno stile recitativo più nordico di esso. 2
Il nuovo stile simbolista-pittorico sorge, invece, dall’esigenza di rappresentare la nuova drammaturgia antirealista e comporta quella che Kerr definisce una “meridionalizzazione” dell’arte recitativa :
Chi ha creato questo stile ? Si potrebbe dire che la nostra vita, da un lustro, è diventata più decorativa, anche nell’arte recitativa... I poeti l’hanno creato. Sono loro la ragione per la quale il cosiddetto stile della povera gente (Armeleutestil) del teatro di Brahm verrà rimpiazzato da uno stile basato grossomodo sull’incanto dei colori psichici. Nella regia attraverso un’esteriorizzazione dell’anima (Seelenmeiningertum 3) che prima non esisteva. Nell’arte recitativa attraverso l’impressionismo. 4
Le tendenze realiste e naturaliste erano state ormai da alcuni anni superate da una scrittura drammaturgica che, abbandonando la restituzione fotografica della realtà e il ritratto dell’individuo psicologico, cercava di descrivere forze impersonali e astratte. Nei drammi di Strindberg, Maeterlinck, Hofmannsthal e Wedekind viene rotta la coerenza interna dei personaggi, che diventano parti di un disegno complessivo, voci di una melodia che infrange i confini posti tra le diverse figure :
E dunque i poeti iniziarono a stilizzare e il teatro dovette fare altrettanto. Maeterlinck, Wilde, Hofmannsthal, D’Annunzio, Wedekind non creano più figure. Ma creano, piuttosto, cose. Incanti d’anima. Danno corpo a giochi di colore tragici, a giochi di linee comici o a caleidoscopi tragicomici. Plasmano magari qualcosa di lucente o di risonante piuttosto che una figura. Offrono forse una musica invece di un carattere, un sogno al posto di un profilo, un sorriso piuttosto che una commedia, un’ebbrezza invece che un evento. Ma nessun essere umano. 5
La forma di questi drammi è l’allusione, il simbolo, e questo comporta la creazione di nuovi strumenti di espressione scenica. Mentre l’obiettivo degli attori del Deutsches Theater è restituire esseri umani autentici e la loro recitazione si contraddistingue per il peculiare lavoro sull’uso della voce, i rappresentanti del nuovo stile simbolista-pittorico sono caratterizzati dal lavoro sull’espressività corporea. La qualità maggiore degli attori di Brahm è la capacità di esprimersi attraverso un tono quotidiano, con una naturalezza linguistica e vocale che ripulisce l’interpretazione dalle convenzioni attoriali tradizionali. Gli attori appartenenti alla nuova corrente si qualificano, invece, per l’utilizzo plastico e simbolico del corpo e del gesto :
Quando nel dramma naturalista di Tolstoj Macht der Finsternis qualcuno, durante l’omicidio, vigila affinché non arrivi nessuno, questa determinata persona vigila di fronte a questo determinato 1 Qui Kerr utilizza un gioco di parole non riproducibile in italiano. In tedesco il verbo “verhalten” usato in senso transitivo significa “trattenere”, mentre il suo participio passato, qui usato in funzione attributiva, significa “trattenuto”, “represso”. Il sostantivo “Verhalten” significa, invece, comportamento, in linea con l’uso riflessivo del verbo “verhalten” (comportarsi). Kerr dunque crea una sottile interconnessione tra queste due aree semantiche cercando di far emergere con ancora più evidenza la specificità di una rappresentazione attoriale del comportamento umano (Verhalten) che si fonda sull’espressione di un’intimità profonda e repressa (verhaltene Innerlichkeit). 2 3 A. Kerr, Stilisierende Schauspielkunst, cit., p. 64. Cfr. supra, 2. 2. 5., p. 89, nota 4. 4 5 A. Kerr, Stilisierende Schauspielkunst, cit., p. 63. Ivi, p. 64.
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omicidio. In Elektra di Hofmannsthal le cose, invece, stanno diversamente. L’attrice Eysoldt non è affatto una donna che fa il palo a un assassinio, neppure al “proprio” assassinio. Lei è la “custode dell’omicidio” in sé ; semplicemente un pipistrello della vendetta : perché l’intera opera è espressione del sentimento della vendetta. Lei incorpora una cosa in sé, non un caso singolo. Allarga meravigliosamente le braccia come un uccello notturno […], con occhi rapaci si fa guardiana dell’assassinio e diviene un ornamento, un’impressione, un simbolo. Lei offre lo stile pittorico dell’arte recitativa. 1
Il giudizio di Kerr su questi due stili opposti è il leitmotiv del saggio : « I combattenti dell’antica armata sono più potenti... ma gli altri trionfano in un nuovo modo ». 2 L’evoluzione storica del teatro pare allontanarsi dal realismo a cui il critico di Breslau è personalmente legato. Nel teatro dell’emergente Max Reinhardt, tuttavia, Kerr scorge la possibilità di vedere conciliate le due forme interpretative :
I teatri di Reinhardt a Berlino padroneggiano, in ogni caso, entrambi gli stili. Lo stile della povera gente in Gorki, la tragicità colorata negli altri. I migliori contano soprattutto su questi teatri. 3
Nei primissimi anni del Novecento Kerr è, infatti, insieme a Siegfried Jacobsohn, uno dei maggiori sostenitori di Reinhardt. 4 Ma non appena Reinhardt diviene, nel 1905, direttore del Deutsches Theater, Kerr inizia a prenderne le distanze. Nella recensione che scrive in occasione della messinscena di Das Käthchen von Heilbronn, il dramma di Kleist con cui Reinhardt debutta al Deutsches Theater, si trova espresso tutto il suo disappunto per l’indirizzo estetico e registico intrapreso dal direttore austriaco :
La conduzione del Deutsches Theater da parte di Max Reinhardt è stata inaugurata con Käthchen von Heilbronn. Il feuilletonista si cura in questi casi di usare la parola « pietra miliare ». Io, invece, preferirei piuttosto dire che, per il nuovo proprietario, si tratta di un passaggio esteriore e non interiore. Perché ciò che conta non è la dimensione del teatro. Un passaggio esteriore, poiché egli siede là dove in passato sedeva l’uomo migliore del teatro tedesco, Otto Brahm (il suo principale). 5
Il disappunto iniziale si trasforma presto in una vera e propria opposizione di principio. Tra il 1905 e il 1917 Reinhardt sviluppa il proprio impero, e con esso un incontrastato dominio, sia artistico che economico, sulla vita teatrale berlinese. Kerr diviene in questi anni uno dei suoi critici più accesi. Nessun aspetto del lavoro di Reinhardt viene risparmiato : le critiche di Kerr colpiscono lo stile scenico, la concezione teatrale e registica, la politica culturale e la stessa gestione economica e produttiva dei teatri di Reinhardt. La ragione di fondo, come vedremo, non è uno sterile dissenso ma un diverso modo di concepire il teatro e la sua funzione. Nel frattempo Brahm diventa, nel 1904, direttore del Lessingtheater, dove resta fino 1912, anno della morte. In questa nuova esperienza, Brahm riprende e sviluppa lo stile realistico che aveva contraddistinto il suo teatro. Senza esitazioni Kerr accoglie entusiasticamente questa nuova fase del lavoro di Brahm. I “colpi di frusta” critici, osserva con un certo compiacimento, sono serviti a qualcosa :
Dopo cento colpi di frusta potete vedere come egli oggi sia il miglior uomo del teatro tedesco (in compenso Reinhardt potrebbe avere un grande successo nella Parigi attuale). La cosa più energica che l’ultimo anno, anzi, gli ultimi anni hanno portato, è stata la messinscena di Florian Geyer di Brahm. Qualcosa che non tornerà più. E l’incredibile rappresentazione dell’opera di Ibsen... Spostamenti ! 6
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2 3 Ivi, pp. 65-66. Ivi, p. 69. Ivi, p. 70. Cfr. N. Jaron, R. Möhrmann, H. Müller, Zur Berliner Theatergeschichte, cit., p. 64. 5 A. Kerr, Heinrich von Kleist « Das Kätchen von Heilbronn » (21 ottobre 1905), in WiE, vii/1, p. 233. 6 A. Kerr, Brahm Ethos ; Reinhardt Ethos (25 settembre 1907), in WiD, i/5, p. 87. 4
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Brahm, tuttavia, non torna sui suoi passi : il rapporto personale tra i due, rotto nel 1898, non si ricompone. 1 Qualche settimana prima di morire, il direttore amburghese manda tuttavia un ultimo biglietto di saluto al vecchio amico, un segno di profonda stima di cui Kerr rimarrà, per tutta la vita, grato :
Otto Brahm. Negli ultimi quattordici anni siamo stati nemici ; non ci salutavamo – ma non ho amato nessuno dei miei amici più di lui. Sapevo di essergli vicino ; anche lui lo sapeva. Appena due settimane prima della morte, dopo questa lunga separazione, mi ha mandato un paio di righe. Quando già era perduto. Un ultimo saluto. E tuttora non so come ringraziarlo per questo gesto. 2
2. 2. 8. Gli anni dell’affermazione di Max Reinhardt Tra il 1905 e il 1917 Brahm e Reinhardt divengono i due poli della riflessione di Kerr, il quale dedica numerose recensioni e saggi a un confronto tra le due opposte concezioni del teatro. L’importanza di questi lavori è attestata dallo spazio che vi è riservato nella raccolta degli scritti teatrali, pubblicata da Kerr nel 1917. 3 Attraverso questi documenti, si delinea con chiarezza la visione teatrale di Kerr. Maximilian Goldmann, in arte Max Reinhardt, attore originario di Baden, una cittadina a pochi chilometri da Vienna, arriva a Berlino nel 1894, chiamato dallo stesso Brahm, appena divenuto direttore del Deutsches Theater, a far parte del suo ensemble. 4 Pochi anni dopo, nel 1901, se ne stacca, stanco del suo verismo asciutto e monocromo e desideroso di sperimentare nuove soluzioni che restituiscano all’arte scenica quel carattere festivo e gioioso che era stato escluso dal realismo. A partire da un piccolo cabaret, Schall und Rauch, poi divenuto Kleines Theater, Reinhardt costruisce in pochi anni il proprio impero teatrale. Tra il 1903 e il 1906 dirige il Neues Theater, nel 1905 diviene prima direttore e poi proprietario del Deutsches Theater. Solo un anno dopo fa costruire, al suo fianco, un piccolo teatro, i Kammerspiele. Tra il 1910 e il 1911 è la volta del Circo Schumann, destinato a essere trasformato, dopo la guerra, nella Grosses Schauspielhaus e a ospitare la grande scena monumentale con cui Reinhardt desidera far rivivere il teatro antico. A questi teatri se ne aggiungono, nel corso degli anni venti, diversi altri, a cui si devono poi sommare i numerosi teatri che egli dirige occasionalmente, come la Volksbühne am Bülowplatz (1914-1918). Dal punto di vista organizzativo, grazie soprattutto al fratello Edmund, Reinhardt sviluppa un vero e proprio modello di gestione economica della vita teatrale che gli permette di ingrandire il proprio impero con un bilancio imprenditoriale positivo. Questo richiede l’utilizzo di moderne strategie di pubblicizzazione e di promozione e la costruzione di un sistema organizzativo all’interno del quale viene gestita ogni parte del lavoro teatrale, dalla realizzazione dei costumi, alla preparazione degli attori, all’attività drammaturgica. 5 Nel corso della propria carriera di regista e direttore, Reinhardt non si lega a un unico indirizzo estetico e sperimenta continuamente nuove possibilità, dando spazio ai più diversi indirizzi teatrali e drammaturgici, alla cui rappresentazione sono funzionali le
1
2 Cfr. A. Kerr, Wer war Brahm ?, cit., p. 7. Ibidem. La raccolta degli scritti teatrali Die Welt im Drama è divisa in cinque volumi. Il quinto volume, Das Mimenreich, è quello in cui sono raccolti gli scritti dedicati specificamente all’arte scenica e agli aspetti spettacolari e organizzativi del teatro. In questo volume, pubblicato nel 1917, circa la metà degli scritti sono dedicati a Brahm e Reinhardt [Cfr. WiD, i/5]. 4 Per un’analisi approfondita del teatro di Reinhardt e dei suoi sviluppi si vedano : M. Fazio, Lo specchio, il gioco e l’estasi, cit., pp. 81-189 ; M. Brauneck, Klassiker der Schauspielregie, Hamburg, Rowohlt, 1988, pp. 113-147 ; Max Reinhardt und das Deutsche Theater : Texte und Bilder aus Anlass des 100-jährigen Jubiläums seiner Direktion, a cura di R. Koberg, B. Stegemann, H. Thomsen, Berlin, Henschel, 2005. 5 Cfr. M. Fazio, Lo specchio, il gioco e l’estasi, cit., pp. 107-110.
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differenti soluzioni sceniche offerte dai suoi teatri. Il lavoro di Reinhardt, negli anni che precedono la prima guerra mondiale, cambia profondamente l’immagine del teatro che si era imposta a Berlino attraverso Brahm e il naturalismo. L’obiettivo di Brahm era stato portare sulla scena la vita nella sua autenticità. Tutto ciò che era teatrale, dal virtuosismo attoriale alla comunicazione tra il palcoscenico e la platea, era stato eliminato e al suo posto era stata offerta un’immagine fedele della realtà. Brahm aveva realizzato, così, una rottura con il teatro leggero che dominava le scene berlinesi e aveva sostituito al “grande” attore un lavoro d’ensemble. In questo percorso il testo drammaturgico era rimasto, per il germanista Brahm, il centro dello spettacolo teatrale. Reinhardt ha una formazione culturale e teatrale che si traduce presto in una nuova e diversa concezione dell’arte scenica. A differenza del teatro severo e realistico di Brahm, Reinhardt introduce un teatro sensuale, capace di stimolare la fantasia e di portare lo spettatore in un mondo di sogno. Egli dà grande importanza all’elemento visivo e scenografico e alla dimensione plastica della recitazione, e utilizza nei propri teatri le ultime innovazioni tecnologiche, come la scena girevole. Il teatro deve ritornare, secondo le intenzioni del direttore e regista austriaco, uno spazio magico, non pedissequamente sottoposto alle leggi della realtà, e dotato di una propria statura ontologica :
Ho in mente un teatro che restituisca all’uomo la gioia. Che strappandolo dal grigiore della vita quotidiana lo elevi, al di sopra di se stesso, in un’atmosfera serena e pura di bellezza. Mi accorgo che gli uomini sono stanchi di ritrovare sempre a teatro la propria miseria e che hanno nostalgia di colori più chiari e di un’esistenza più alta. 1
Contestualmente allo sviluppo di questa nuova estetica, Reinhardt inaugura un nuovo modo di concepire lo spettacolo teatrale e introduce, in Germania, la figura del regista, colui che dirige e coordina tutti i codici della scena secondo un progetto preciso e unitario di cui il testo drammatico è, per quanto centrale, solo uno degli elementi. 2. 2. 9. Etica ed estetica : il confronto tra Brahm e Reinhardt negli scritti teatrali di Kerr
La poetica di Reinhardt e le trasformazioni che egli introduce nel linguaggio e nella gestione economica e culturale del teatro, suscitano la viva opposizione di Kerr. Le sue critiche si rivolgono a tutti gli aspetti del lavoro del direttore austriaco, dal privilegio accordato alla figura del regista fino alle scelte organizzative e di politica culturale. Una diversa idea del teatro e della sua funzione sociale e civile motiva questa presa di posizione. L’idea di restituire alla scena una consistenza fantastica e l’attenzione che Reinhardt dedica agli aspetti visuali e scenografici della messinscena, sono considerati da Kerr come passi indietro rispetto alla direzione intrapresa da Brahm. Se il direttore della Freie Bühne aveva, infatti, ripulito il teatro di tutto ciò che era esteriore, e aveva posto al centro l’interiorità dell’uomo, a Reinhardt viene rimproverato di concentrarsi soltanto su aspetti contingenti e decorativi. In un breve saggio redatto il 28 settembre 1906, Menschenkunst ; Außenkunst. Reklamowicz-Klimbimsky, Kerr confronta il teatro di Reinhardt e Brahm. Il titolo stesso dello scritto offre le coordinate secondo cui si muove il pensiero di Kerr : da una parte c’è la Menschenkunst, l’arte umana di Brahm e, dall’altra, la Außenkunst, l’arte esteriore di Rein
1 M. Reinhardt, Il teatro che io ho in mente (1928), trad. it di M. Fazio, in M. Fazio, Lo specchio, il gioco e l’estasi, cit., p. 155. Sulle differenze tra Brahm e Reinhardt, Mara Fazio afferma : « Da un teatro litografia, un teatro incisione, in bianco e nero, come era stato quello di Brahm, i tedeschi passarono a un teatro di raffinate sfumature cromatiche, variopinto come un acquerello. Da un teatro fattivo, effettuale, che rappresentava la vita all’indicativo, a un teatro onirico, che voleva porsi come alternativa alla realtà e rappresentava la vita al congiuntivo. Era come lasciare la lettura di un libro di sociologia per un ballo in maschera o una sera di carnevale » [M. Fazio, Lo specchio, il gioco e l’estasi, cit., p. 82].
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hardt, caratterizzata con il sottotitolo sarcastico di Reklamowicz-Klimbimsky. Il lavoro di Brahm è descritto con un apparato concettuale che rimanda all’essenza e all’interiorità mentre lo stile di Reinhardt è descritto come inessenziale. Brahm porta in scena ciò che Kerr definisce das Seelische, il contenuto psichico, umano del dramma, la sua essenza. Così, parlando della messinscena di Hedda Gabler al Lessingtheater, il critico afferma : 1
Eppure è degno di antica e rinnovata ammirazione il modo in cui il contenuto psichico (das Seelische) di un’opera, nonostante una distribuzione dei ruoli in parte contestabile, venga messo in luce attraverso un insieme di linee, trame e fili, quasi fosse la radiografia di un raro tessuto psichico ; il modo in cui l’interiorità, ramificandosi, cresce davanti agli occhi dello spettatore. Si ha la sensazione che vengano rivelate cose che ci riguardano. Si ha la sensazione che qui venga offerta l’arte degli uomini. O. Brahm da Amburgo, colui che ha ottenuto questa loro rappresentazione e che, tra molte oscillazioni e lavorando in solitudine, ha portato in alto quest’arte estremamente intima, è colui che ha compiuto il passaggio più grande e decisivo da diverse generazioni : egli ha reso europea la scena tedesca. 2
Diversamente, Reinhardt trascura, secondo Kerr, l’interiorità psicologica dell’uomo a tutto vantaggio di una ridondanza meramente scenografica. In merito, con tono sprezzante e ironico, Kerr scrive :
In Reinhardt, il contenuto psichico (das Seelische) di un lavoro poetico (Dichtung) non viene mai ammazzato – ma difficilmente viene elaborato con la stessa efficacia con cui viene elaborato il suo abito. Due anni fa ho parlato di “Meiningerei” 3 psichica ; oggi non intendo dare importanza all’aggettivo... e dico semplicemente : “Meiningerei”. 4
Alla concezione di Reinhardt secondo cui il teatro deve essere luogo di stimolo della fantasia e di seduzione dei sensi dello spettatore, Kerr oppone l’idea di un teatro che esclude dalla scena gli aspetti sensoriali e sensuali della vita. Se, da una parte, Kerr predica la necessità di un avvicinamento della scena alla vita, dall’altra distingue radicalmente i due ambiti. La bellezza e la ricchezza sensoriale del mondo fenomenico non può essere restituita dal teatro, a meno di non voler scadere, a causa della sua dimensione fittizia, nel kitsch. L’illusione scenografica e scenotecnica attraverso cui il mondo della scena acquista, in Reinhardt, una magica autonomia, porta per Kerr il marchio dell’inautenticità. Il teatro, dunque, per il critico, non deve produrre una mera eccitazione della fantasia e dei sensi dello spettatore, ma colpire, seppur sempre attraverso i sensi, la sua ragione e offrirgli, in questo modo, una conoscenza e una formazione morale :
Dopo essere stati per un po’ di tempo all’aria aperta, e in particolare dopo essere stati al mare, ci si rende nuovamente conto che in teatro la più bella brezza d’estate e la vallata idilliaca più fresca di vernice non possono dare quello che (in teatro) può dare l’arte degli uomini. Modernizzare l’arte per gli uomini di oggi. L’alitare del vento, lo sbocciare dei fiori e il bagliore della luce sono più belli all’esterno : ma vedere le anime dei nostri tempi nella concisione e nel chiaroscuro di sentieri per metà luccicanti e dotati di avvincenti ramificazioni, questo è possibile qui, in questi teatri, dove un poeta moderno e ora defunto, un minatore delle anime, tratta e dà forma in modo sintetico a cose che ci riguardano. 5
La concezione espressa da Kerr in questo saggio appare in contraddizione con il modo in cui egli interpreta la propria attività di scrittore e critico. Kerr, infatti, si presenta fre1 Reklamowitz fa riferimento a “réclame”, “pubblicità”, mentre Klimbinsky deriva da Klimbim che significa “cianfrusaglie”, “sciocchezze”. 2 A. Kerr, Menschenkunst ; Außenkunst. Reklamowicz-Klimbimsky (28 settembre 1906), in WiE, iii, p. 191. 3 Cfr. supra, 2. 2. 5., p. 89, nota 4. 4 A. Kerr, Menschenkunst ; Außenkunst. Reklamowicz-Klimbimsky, cit., p. 195. 5 Ivi, pp. 191-192.
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quentemente come un esteta, come colui che si lascia piacevolmente trasportare dal flusso sensuale dell’esperienza vissuta (Erlebnis) e dalla dimensione sensoriale della vita. Come abbiamo visto, un enorme spazio, sia nella biografia che nei suoi scritti, è occupato da viaggi e da dettagliati resoconti dell’inesauribile bellezza dei luoghi più esotici e particolari del mondo. 1 Il suo ruolo è quello del ricettore, di colui che raccoglie queste esperienze, queste impressioni e le trasforma in scrittura, restituendone, nei suoi resoconti, lo splendore estetico : la sua prosa è immaginifica, visuale, prevalentemente descrittiva e caratterizzata da una forte aggettivazione. La tensione tra questi due aspetti, tra il vitalismo sensoriale degli scritti di viaggio e il rigore ascetico dell’estetica teatrale, non si può spiegare, come fa ad esempio Gunther Nickel, 2 constatando semplicemente la contraddittorietà dell’atteggiamento del critico, ma deve essere, piuttosto, considerata e compresa all’interno della specifica concezione teatrale di Kerr. Teatro e vita rappresentano, infatti, nei suoi scritti, due ambiti al contempo convergenti e opposti. Il compito del teatro non deve essere quello di riprodurre esteriormente la vita o di creare una bellezza ad essa pari, ma quello di esplicitarne e renderne intellegibile il significato. Il fine del teatro, dunque, è la comprensione della natura umana, non la costruzione di un cosmo magico e autosufficiente. La dimensione sensoriale e sensuale dell’esistenza non soltanto non appartiene alla scena ma, quando in essa si manifesta, rischia di spostare l’attenzione dai suoi aspetti essenziali e dal suo compito primario. La differenza tra Brahm e Reinhardt è fondata da Kerr proprio nell’opposizione tra la concezione etico-conoscitiva del primo e l’atteggiamento estetizzante del secondo. 3 Mentre il teatro di Brahm è caratterizzato dalla serietà morale, il teatro di Reinhardt è considerato da Kerr un teatro del disimpegno, un teatro che abdica alla propria funzione formativa :
Mettere a confronto Brahm (il cui cammino è stato il più grande) e Reinhardt, o meglio Reinhardt e il suo circolo, non vuol dire metterli uno con l’altro. Sarebbe sbagliato dire che in Brahm c’è una lotta per raggiungere un’espressione interiore... e in Reinhardt c’è una lotta per raggiungere un’impressione esterna. Ma se una visione me li facesse apparire come proprietari di un negozio nella Oxford Street di Londra, ecco che allora Brahm starebbe seduto alla cassa di un “ufficio di frenologia” mentre l’altro partito gestirebbe un magazzino di merci imbottite e di orchestrion. 4
La ricerca della verità contro il mero intrattenimento : questi i poli attraverso cui Kerr interpreta il lavoro di Brahm e Reinhardt. Mentre il teatro del direttore amburghese dice qualcosa sulla costituzione dell’essere umano, il teatro del regista austriaco è, semplicemente, gustoso : « Reinhardt è gustoso : Brahm è grande ». 5 Negli scritti di Kerr ricorre una metaforica che è molto significativa per comprendere il suo pensiero artistico. Egli utilizza, per definire il rapporto tra etica e bellezza, i due termini oppositivi nazareno ed elleno che erano stati utilizzati da Heinrich Heine per definire la differenza tra il suo atteggiamento e quello di Ludwig Börne. 6 Se il primo, nazareno, rimanda alla dimensione etica e ascetica, il secondo, elleno, si riallaccia all’ideale classico della bellezza. Se certamente l’opera d’arte perfetta nasce dalla congiunzione di questi due elementi, di fronte a un’eventuale scelta Kerr non pare avere dubbi : l’etica deve prevalere sull’estetica. 7
1
Cfr. supra, 2. 1. 6. Cfr. G. Nickel, Von Fontane zu Ihering. Die Ausdifferenzierung und Professionalisierung der Theaterkritik zwischen 1870 und 1933, cit., pp. 190-191. 3 Nel saggio, Brahm Ethos ; Reinhardt Ethos, Kerr definisce Brahm una “natura del mercoledì” e Reinhardt una “natura della domenica” [Cfr. A. Kerr, Brahm Ethos ; Reinhardt Ethos, cit., p. 88]. 4 A. Kerr, Menschenkunst ; Außenkunst. Reklamowicz-Klimbimsky, cit., p. 194. 5 Citato dall’esergo del saggio Stilisierende Schauspielkunst : A. Kerr, Stilisierende Schauspielkunst, cit., p. 63. 6 Cfr. supra, 1. 6., p. 44 e T. Schöllmann, Alfred Kerr. Ein Weg zur literarischen Selbstverwirklichung. Zur Eigenart und Wirkung seiner kritischen Schriften, cit., p. 64. 7 Questo riguarda, come detto, la concezione teatrale di Kerr. Il suo impressionismo critico-teatrale così come il vitalismo che egli manifesta negli scritti di viaggio tendono invece molto più chiaramente verso il polo indicato con il termine “elleno”, manifestando, ancora una volta, una tensione aperta e irrisolta nel pensiero criticoteatrale di Kerr. 2
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2. 2. 10. La politica culturale di Brahm e Reinhardt nei giudizi di Kerr L’opposizione tra etica ed estetica non riguarda soltanto le considerazioni di Kerr sugli aspetti spettacolari del lavoro di Brahm e Reinhardt ma si ritrova parimenti nei giudizi del critico sulla politica culturale dei teatri da loro diretti. Il sistema teatrale creato da Reinhardt viene sottoposto, nel suo complesso, a una profonda critica mentre il progetto estetico e culturale di Brahm è considerato come un modello. Kerr non accetta il fatto che Reinhardt gestisca i suoi teatri non soltanto come un luogo d’arte ma anche come un’impresa commerciale. Il pubblico, per Reinhardt, deve essere attratto anche attraverso un sapiente battage pubblicitario, e questo significa, per il critico, la perdita dell’autenticità e l’immoralità del teatro. Brahm, diversamente da Reinhardt, non intrattiene il pubblico, non lo seduce, ma lo forma e lo educa con rigore a qualcosa di nuovo e difficile. Per comprendere l’idea di critica e di teatro che, in questo senso, Kerr propone, è estremamente interessante il saggio che egli scrive, in forma di lettera, l’11 maggio 1913 per il « Neues Wiener Journal ». L’occasione dello scritto, diretto alla redazione del giornale, è l’invito che il quotidiano viennese rivolge al critico di riportare il suo punto di vista sulla critica teatrale berlinese. Kerr approfitta di queste pagine per esporre le proprie osservazioni sulla società e sul teatro a Berlino negli anni del successo di Reinhardt. Indirettamente, infatti, i due cardini della riflessione sono ancora una volta il regista austriaco e Brahm. La critica teatrale berlinese, afferma Kerr, insieme a Brahm e grazie ai drammi di Ibsen e Hauptmann, è riuscita a formare gli spettatori, affinare il loro sguardo. I termini che Kerr utilizza nel descrivere questo processo rimandano alla capacità di costringere il pubblico, con il rigore del lavoro critico e organizzativo, a confrontarsi con la grande arte :
Lei mi domanda cosa pensi della critica teatrale berlinese. Ebbene, credo che sin dal periodo dell’affermazione di Ibsen e Hauptmann la critica teatrale berlinese abbia operato con estrema efficacia. Ha costretto una città alla serietà ; ha spinto le persone grette verso l’autenticità ; fianco a fianco con Otto Brahm (che senza critici forti non avrebbe mai potuto portare a compimento la sua imparagonabile opera di una vita) ha obbligato il pubblico a inghiottire grande arte, ad abituarsi alle cose di qualità, a esigere l’essenziale. 1
Così, grazie a una critica che agisce verso l’essenza delle cose e all’impareggiabile lavoro di Brahm, Berlino ha avuto a partire dagli anni novanta dell’Ottocento e per tutto il primo decennio del Novecento il pubblico migliore del mondo, senza dubbio superiore a Parigi e Londra : « Educato all’acutezza (Schärfe) attraverso l’affilatezza (Schärfe) della critica ». 2 Ma, afferma Kerr, se questo processo virtuoso si è ora bloccato, la colpa deve essere attribuita a Reinhardt. L’attenzione del critico non è qui diretta agli aspetti spettacolari dell’estetica di Reinhardt, quanto alle strategie di promozione e di sviluppo che egli affianca al lavoro propriamente teatrale. Sotto accusa sono i mezzi con cui il direttore austriaco influenzerebbe la critica invadendone il campo e mettendone a rischio l’autonomia di giudizio :
Il declino è iniziato con Reinhardt. La grande, graffiante asprezza oggi indietreggia. Inizia l’epoca della pasticceria. Gli articoli scritti da Dramaturg pagati dai direttori teatrali prendono lentamente il posto della critica. 3
L’atteggiamento descrittivo e neutrale della critica contemporanea è considerato da Kerr come un indizio della perdita della sua indipendenza e della sua capacità di affermare la propria forza :
1
A. Kerr, Berliner Theaterkritik (11 maggio 1913), in WiE, iii, p. 307. 3 Ivi, p. 308. Ibidem.
2
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Sin da principio troppo fatui per dire qualcosa anche di misero sul cuore di una poesia o sul suo aspetto umano, essi iniziano ogni critica più o meno con le seguenti parole : « Quando si è aperto il sipario, a sinistra, accanto alla finestra c’era una sedia. Da ciò si può intendere il desiderio del regista... ». E se un genio drammatizzasse il libro di Giobbe insieme al discorso della montagna, la critica inizierebbe sicuramente con : « La forma della scena girevole... ». Scimmiette ! 1
Sotto accusa sono, in particolare, i « Blätter des Deutschen Theaters », una rivista teatrale, creata nel 1911 da Reinhardt, che affianca e integra le proposte artistiche dei suoi teatri. 2 Ma questo strumento non rappresenta altro, secondo Kerr, che un’invasione del campo della critica, il cui effetto è la rottura del delicato equilibrio tra critico, artista e pubblico.
Nei « Blätter des Deutschen Theaters », che non servono ad altro che a influenzare la stampa, alcuni impiegati, in modo fresco e devoto diffondondo opinioni ingannevoli [...]. Si sta mettendo in risalto una tendenza manageriale piena di orpelli. La pubblicità che Reinhardt, l’artista schivo, produce o lascia produrre è davvero troppo. Questo agisce in modo meccanico come un golpe ai danni della critica, di cui si cerca, attraverso mille strumenti, di influenzare e neutralizzare gli effetti. Ovviamente in modo inconscio... 3
2. 2. 11. La figura del regista e il ruolo del testo drammatico nella concezione teatrale di Kerr Questa concezione etico-conoscitiva del teatro si traduce in una concezione dello spettacolo teatrale che assegna al testo drammatico e al suo significato un ruolo centrale. L’errore di Reinhardt, dal punto di vista scenico, è, secondo il critico, proprio quello di trascurare quest’elemento a tutto vantaggio della costruzione visuale e scenografica della messinscena. Reinhardt è, infatti, un grande anticipatore di un tema centrale nel teatro del Novecento : la tendenza al visivo. Il punto focale della critica mossa da Kerr non è, dunque, solo e soltanto una presunta mancanza di fedeltà alle intenzioni del dettato drammaturgico : l’importanza che Reinhardt assegna ai diversi codici della scena rappresenta, di per sé, secondo Kerr, una deviazione dalla centralità del significato del testo teatrale :
Il suo stile purtroppo consiste nel fare di una frase secondaria una frase principale. Se il poeta drammatico (Dichter), infatti, dicesse : questi processi psichici accadono mentre risuona della musica e il chiasso della festa – in questo teatro significherebbe : “Risuona della musica e il chiasso della festa (mentre accadono questi processi psichici)”. 4
Gli elementi della scrittura scenica, i segni visuali e sonori, non sono considerati da Kerr 1
Ivi, pp. 310-311. Questa rivista, guidata da Felix Hollaender e Arthur Kahane, si proponeva di accompagnare, con una funzione di supporto e approfondimento, il lavoro dei teatri di Reinhardt. Le pagine scritte da Dramaturg, critici e autori teatrali integravano i lavori proposti sulla scena mostrando i motivi del loro interesse e chiarendo il progetto artistico complessivo all’interno di cui si inseriva l’idea del loro allestimento. Gli spettacoli perdevano dunque ogni carattere occasionale per essere inseriti in una rete di significati che rendeva esplicita la loro connessione all’interno di una precisa intenzionalità artistica. Così, ad esempio, in concomitanza con il debutto della messinscena dell’Orestea per la regia di Reinhardt presso il Circo Schumann il 13 ottobre 1911, usciva un numero del periodico completamente dedicato alla tragedia di Eschilo [Cfr. « Blätter des Deutschen Theaters », a. i, n. 5, 13 ottobre 1911]. Un lavoro, dunque, che possedeva un ruolo importante nella costruzione dell’identità artistica e intellettuale dei teatri di Reinhardt ma che, visto dall’ottica di Kerr, non poteva rappresentare altro che una violazione dell’indipendenza della funzione critico-interpretativa e un tentativo illeggitimo di influenzare l’opinione e il giudizio del pubblico. 3 A. Kerr, Berliner Theaterkritik, cit., p. 309. Sugli attacchi mossi da Kerr ai « Blätter des Deutschen Theaters » e all’utilizzo indebito degli strumenti della critica per fini pubblicitari si veda anche A. Horn, „... Mein ist die Sprache.” Sprachkritik und Sprachkonzept Alfred Kerrs, cit., pp. 106-113. 4 A. Kerr, Paralipomena zu Reinhardt (1906), in WiD, i/5, p. 210. 2
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come il veicolo appropriato per la trasmissione del significato del dramma, ma, piuttosto, come decorativi e secondari. L’elemento primario è, dunque, la parola del testo drammatico. È interessante notare come, a partire da questo principio, l’attenzione di Kerr, nelle diverse recensioni, si concentri in particolare su alcuni aspetti della messinscena. Se il fondamento dello spettacolo teatrale è, infatti, il contenuto del testo drammatico, la bravura del regista si misurerà nella sua capacità di mettere in primo piano la parola rispetto alle altre componenti dell’apparato scenico. Perciò Kerr lamenta il prevalere, nell’interpretazione registica che Reinhardt offre dei drammi di Shakespeare, della dimensione visuale rispetto alla trasmissione del significato testuale, e accusa il regista austriaco di trasformare i drammi dell’autore inglese in opera e balletto : 1
Shakespeare non era solamente un artista dei fatti (Tatsachenkünstler), ma anche un artista delle parole (Wortkünstler). In Reinhardt è prevalentemente un artista delle immagini (Bildkünstler). Lo era già diventato con i Meininger, solamente che allora la pittura non stava in Kurfürstendamm... 2
La concezione del teatro come istituto morale si traspone, dunque, negli scritti di Kerr, in una visione della priorità del dettato drammaturgico. L’emergere della figura del regista come artista, punto di riferimento e autore dell’evento teatrale, incontra perciò una forte resistenza da parte del critico :
Frühlings Erwachen (grandioso in abiti quotidiani) butta la parte principale, lo sferico (il cimitero) sotto al tavolo. Non sono ammesse obiezioni. Dopo questo spettacolo (Aufführung) il pubblico non dice più : Wedekind è un poeta ; bensì : “Reinhardt ! Reinhardt !” I migliori tremano di fronte a un’epoca del mimo. 3
Quello che, dal punto di vista storiografico, è considerato oggi come un processo di sviluppo del linguaggio teatrale nella direzione dell’unitarietà della costruzione del progetto spettacolare, viene letto da Kerr con categorie che rimandano, invece, al passato del teatro tedesco. Sin dalla collaborazione tra Johann Christoph Gottsched e i coniugi Neuber, in Germania, l’affermazione del testo drammatico e l’abbandono dell’improvvisazione erano stati funzionali a un tentativo di riforma morale e di crescita artistica del teatro. In questa linea Kerr inserisce, a mio parere, il lavoro di Brahm, il cui merito è, secondo il critico, aver restituito spessore etico alla scena attraverso l’affermazione di un nuovo repertorio e lo sviluppo di un nuovo stile interpretativo. Per questo l’idea di una regia che si ponga come ultima istanza del senso dello spettacolo e assegni pari dignità a tutti i codici della scena non convince Kerr. Egli non considera questo sviluppo del linguaggio teatrale come un rafforzamento dell’unitarietà del progetto estetico che sottende la messinscena, ma come un ritorno di elementi che riportano il teatro all’intrattenimento e si oppongono alla realizzazione della sua funzione civile e formativa. Le idee anti-letterarie che si diffondono in Germania in quegli anni, e di cui il testo di Gordon Craig, The Art of the Theater (1905) è un’importante espressione, sono osservate con sospetto e respinte con sarcasmo da Kerr. Il teatro della regia non viene considerato come una conquista dell’autonomia dell’arte teatrale rispetto alla letteratura ma come un prevalere degli elementi esteriori e inessenziali della messinscena. I segni visuali, sonori e scenografici, se non si attengono fedelmente al contenuto del testo, non possono veicolare il significato profondo della poesia. Kerr accusa perciò Reinhardt di far prevalere il pittore sul poeta :
1
Cfr. ad esempio A. Kerr, William Shakespeare « Hamlet » (19 ottobre 1910), WiE, vii/1, pp. 383-386. A. Kerr, Menschenkunst ; Außenkunst. Reklamowicz-Klimbimsky, cit., p. 193. 3 A. Kerr, Brahm Ethos ; Reinhardt Ethos, cit., pp. 89-90.
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Ciò che Reinhardt offre da quando è in sella [...] mi rende diffidente. Negativa è la sua inclinazione a presentare Shakespeare, in centinaia di messinscene, come drammaturgia di successo e féerie, 1 e la sua inclinazione a londonizzare il teatro berlinese. Io mi aspettavo, allora, una meridionalizzazione dell’arte... e temo adesso una sua esteriorizzazione. Ancora un passo in questa direzione e il pittore diventerà il protagonista e al poeta verrà spiegato il “Craig”. La parola la devono lasciare stare ! (Mister Craig dipinge le quinte). 2
« Das Wort sie sollen lassen stahn » – la parola la devono lasciare stare : con questo verso Kerr evoca, con la consueta arguzia, la celeberrima corale protestante Ein feste Burg ist unser Gott – composta dallo stesso Lutero sulla base del salmo 46 – e stabilisce così, contro le pretese della regia, un parallelo tra l’intangibilità della sacra scrittura e quella della poesia drammatica. Kerr, dunque, critica tre aspetti del lavoro di Reinhardt : l’estetica della sensorialità e del sogno, l’idea di spettacolo teatrale che conduce all’affermazione della figura del regista e la politica culturale e commerciale portata avanti nella gestione organizzativa del proprio impero. Questo giudizio negativo si fonda su un’idea di teatro come istituto morale e luogo di conoscenza che il critico riprende da Brahm e dal movimento naturalista. Kerr attribuisce al testo drammatico il ruolo centrale : la regia e la recitazione sono considerate delle illustrazioni finalizzate a esprimere il contenuto del dramma. La regia deve dunque mettersi al servizio del testo ed evitare di utilizzare la letteratura drammatica come pretesto per la propria operazione artistica. Kerr rifiuta l’idea che il teatro e l’arte siano fini a se stessi. La produzione artistica non ha come scopo la produzione di un diletto estetico. Il dramma e il teatro devono essere rivolti al progresso conoscitivo e morale dell’umanità : il loro fine ultimo si trova, al di fuori dell’arte, nel campo dell’etica.
2. 3. Il “caso Sudermann” e la critica teatrale all’inizio del Novecento 2. 3. 1. Soggettività ed estetizzazione : la critica teatrale tedesca all’inizio del xx secolo
Nell’analisi degli scritti e delle recensioni di Alfred Kerr emerge chiaramente come il suo pensiero critico-teatrale sia attraversato da spinte intimamente divergenti. Egli considera la critica teatrale come un’opera d’arte, sciogliendola da qualsiasi finalità esterna, e, al contempo, cerca di assegnarle un ruolo attivo nel progresso della società e del teatro. La tensione tra questi due momenti non è soltanto il frutto di una sua personale elaborazione, ma è inserita in un determinato orizzonte storico-culturale e deve essere letta come un contributo al dibattito intorno alla funzione della critica che investe il mondo teatrale e giornalistico tedesco tra la fine del xix secolo e l’inizio del xx secolo. L’affermazione del valore estetico della critica teatrale rappresenta, infatti, una convinzione piuttosto diffusa all’inizio del Novecento. È in primo luogo il crollo dell’oggettività nel campo artistico a obbligare i critici a cercare questa nuova forma di fondazione della propria azione. L’impossibilità di far ricorso a principi universali e oggettivi comporta, infatti, uno spostamento del baricentro verso la soggettività del critico e verso la sua capacità di immedesimarsi, attraverso la sensazione, nel processo creativo. Il critico si presenta come qualcuno che può mettersi in rapporto con l’opera d’arte perché il suo discorso è esso stesso un atto creativo, poesia della poesia, come avrebbe detto un secolo prima Friedrich Schlegel. Il peso dell’istituzione critica ricade ora interamente sul critico come persona e individuo, e il giudizio estetico, non più fondato sulla cultura e sull’erudizione, rimanda a una fonte che, 1 Genere teatrale diffuso in Francia nella seconda metà dell’Ottocento e caratterizzato da vicende fiabesche e da messinscene spettacolari. 2 A. Kerr, Menschenkunst ; Außenkunst. Reklamowicz-Klimbimsky, cit., p. 195.
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come nel caso del genio, non può venire compresa fino in fondo. Come afferma in proposito Konstanze Fliedl :
La scomparsa definitiva delle norme estetiche nel moderno letterario aveva lasciato la critica alle prese con un problema di legittimazione. Secondo quali criteri deve essere giudicata un’opera d’arte, se essa non rispetta espressamente le regole poetologiche o, ancora peggio, ne rappresenta proprio la disintegrazione ? L’espediente provvisorio era : la critica non si contrappone più all’arte, ma si mette al suo fianco, non valuta più in base a regole estetiche, ma diventa lei stessa estetica – anche se non è ben chiaro cosa significhi esattamente. 1
Ma l’estetizzazione della critica teatrale 2 è connessa anche a un’altra questione : la professionalizzazione del mestiere critico all’interno dello sviluppo del giornalismo moderno. Il bisogno di informazione e attualità riduce lo spazio affidato alla riflessione e la concorrenza tra i maggiori quotidiani rende necessaria una maggiore concisione. L’articolo di giornale deve contenere le notizie più attuali e deve poter essere letto senza sforzo e rapidamente da un numero ampio ed eterogeneo di lettori. Il critico teatrale si trova, perciò, di fronte a un bivio : egli può essere considerato come un semplice cronista il cui compito è informare il lettore su ciò che è accaduto in occasione di una messinscena, oppure come un autore che, al pari di uno scrittore o di un poeta, è in grado di esprimere un pensiero autonomo e originale. La discussione inaugurata dalla rivista « Kritik der Kritik » tra il 1905 e il 1906 intorno alla Nachtkritik – la critica redatta subito dopo la messinscena e che privilegia l’immediatezza alla riflessione meditata 3 – esemplifica proprio questo stato di cose. In questo contesto l’estetizzazione della critica teatrale appare, perciò, come uno strumento concettuale volto a distinguere la funzione del critico teatrale da quella del mero cronista e ad attribuirgli un ruolo di prestigio all’interno dell’opinione pubblica. Il critico teatrale non potendo più legittimarsi come giudice oggettivo dell’opera d’arte e trovandosi di fronte alla necessità di distinguere la sua funzione da quella del mero giornalista, sceglie perciò di presentarsi come un artista. L’affermazione della critica come opera d’arte e la fondazione soggettiva del giudizio estetico, possono perciò essere considerati, come mostra Berman, come espressione di una strategia di legittimazione della critica teatrale in una fase di crisi e fragilità di quest’istituzione :
Tra la fine del xix e l’inizio del xx secolo l’intellettuale inizia a presentarsi sempre più come avanguardia (Vorhut) di una tendenza estetica che sta avanzando. Questa concezione avanguardista (avangardistische) della critica – che era già riconoscibile nel naturalismo, anche se allora, a causa della particolarità dell’ideologia naturalista, aveva giocato un ruolo secondario – da una parte poteva implicare il fatto che il critico si legasse a un determinato indirizzo programmatico, e, dall’altra, poteva imprimere alla critica stessa il carattere di arte. L’estetizzazione (Ästhetisierung) della critica letteraria rifletteva allo stesso tempo l’insicurezza dell’istituzione critica e l’attualità del moderno, dal momento che il critico non poteva legittimarsi davanti al suo pubblico come giudice pubblico bensì soltanto come artista moderno. 4
2. 3. 2. L’intervento di Hermann Sudermann contro la critica teatrale : i primi articoli pubblicati sul « Berliner Tageblatt »
Il dibattito che sorge tra il 1902 e il 1903, in seguito ad alcuni articoli di Hermann Sudermann, rappresenta, a questo proposito, un caso assolutamente esemplare perché permette 1 K. Fliedl, Come here, good dog. Literaturkritik der Jahrhundertwende, in Literaturkritik. Theorie und Praxis, a cura di W. Schmidt-Dengler, N. K. Streitler, Innsbruck-Wien, Studien, 1999, p. 60. 2 Cfr. R. A. Berman, Literaturkritik zwischen Reichsgründung und 1933, pp. 227-234. 3 La Nachtkritik, introdotta nel 1827 sul « Berliner Courier » da Moritz Gottlieb Saphir si sviluppa e si consolida nel corso dell’Ottocento. Con l’aumento della velocità delle informazioni e della loro diffusione la Nachtkritik acquista un peso sempre più rilevante all’interno della stampa quotidiana. 4 R. A. Berman, Literaturkritik zwischen Reichsgründung und 1933, cit., pp. 227-228.
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di illustrare concretamente le strategie attraverso cui i critici, sottoposti a un duro attacco, cercano di difendere e legittimare la propria attività. Tra il 1 novembre e il 1 dicembre 1902 il drammaturgo pubblica, sul « Berliner Tageblatt », cinque articoli nei quali denuncia l’imbarbarimento delle forme e del tono della critica teatrale. 1 Lo spunto, stando a quanto afferma lo stesso Sudermann, gli viene offerto da un discorso di Wilhelm Singer, presidente dell’associazione della stampa. Questi, durante il congresso internazionale della stampa tenuto a Berna nell’estate dello stesso anno, aveva lamentato l’abbassamento del livello della battaglia giornalistica a causa del ricorso, sempre più frequente, allo strumento dell’attacco personale. 2 Una denuncia che Sudermann, oggetto degli sberleffi della critica per la presunta superficialità dei suoi drammi, sentiva probabilmente con particolare forza. 3 Nel primo articolo, pubblicato il 1 novembre 1902, Sudermann lamenta, infatti, « l’inquinamento del nostro feuilleton teatrale attraverso lo scherno e il disprezzo » 4 e cerca di offrire una genealogia di quest’atteggiamento critico. Secondo il drammaturgo fino alla metà degli anni ottanta dell’Ottocento non c’è traccia della violenza verbale e concettuale che caratterizza, invece, la critica teatrale a partire dalla lotta del movimento naturalista. Tuttavia, nota Sudermann, nella critica teatrale naturalista, il tono polemico era giustificato da una necessità storico-estetica : promuovere una nuova e rivoluzionaria poetica della scena. 5 Ma lo stile critico-militante, invece di esaurirsi col raggiungimento del proprio obiettivo, secondo Sudermann, si è consolidato divenendo il modello dominante nel giornalismo teatrale. In questo processo egli attribuisce un ruolo fondamentale a Maximilian Harden : « Bisogna cercare molto, in tutte le letterature, per trovare pamphletisti che abbiano l’insaziabile piacere della distruzione e la forza diabolica che caratterizzano
1 I cinque articoli sono raccolti nel volume edito da Cotta nel dicembre dello stesso anno : H. Sudermann, Verrohung in der Theaterkritik. Zeitgemäße Betrachtungen, Berlin-Stuttgart, Cotta, 1902. Il “caso Sudermann”, l’acceso dibattito originato dagli interventi del drammaturgo contro l’imbarbarimento della critica teatrale, è noto nella letteratura secondaria sul teatro e sulla critica teatrale di inizio Novecento. Una ricostruzione convincente del “caso” e una precisa analisi delle posizioni in campo, svolta sulla base di un accurato esame delle fonti, si può trovare in particolare nei lavori di Gunther Nickel [G. Nickel, Die Schaubühne - Die Weltbühne. Siegfried Jacobsohns Wochenschrift und ihr ästhetisches Programm, cit., pp. 56-73] e Heike Adamski [H. Adamski, Diener, Schulmeister und Visionäre. Studien zur Berliner Theaterkritik der Weimarer Republik, cit., pp. 110-125]. Sulla questione si veda anche il saggio di Klaus Matthias [Cfr. K. Matthias, Kerr und die Folgen – Analyse der SudermannKritik als Perspektive einer Neubewertung seiner Dramen, in Hermann Sudermann. Werk und Wirkung, a cura di W. T. Rix, Würzburg, Königshausen+Neumann, 1980, pp. 31-86, in particolare pp. 64-70], indebolito, tuttavia, da una presa di posizione piuttosto parziale contro Alfred Kerr : « La risposta difensiva per cui Sudermann si decise dopo aver subito per anni le forme infami della critica di Kerr, non solo è umanamente comprensibile ma anche artisticamente legittima » [Cfr. ivi, p. 64]. Per la presente indagine ci siamo serviti, principalmente, degli articoli di giornale e dei documenti conservati presso il Deutsches Literaturarchiv di Marbach all’interno del lascito Sudermann. Va a Gunther Nickel il merito di aver trovato questi importanti documenti e di averne indicato, nel suo lavoro, la collocazione [Cfr. G. Nickel, Die Schaubühne - Die Weltbühne. Siegfried Jacobsohns Wochenschrift und ihr ästhetisches Programm, cit., p. 57]. In un fascicolo conservato presso la sezione manoscritti [Deutsches Literaturarchiv, Marbach, Cotta-Archiv (Nachlaß Sudermann), fasc. xi] sono raccolti, infatti, numerosi materiali che fanno riferimento alla querelle esplosa nell’inverno del 1902 : gli abbozzi, le correzioni e la corrispondenza di Sudermann in vista della pubblicazione del volume [Deutsches Literaturarchiv, Marbach, Cotta-Archiv (Nachlaß Sudermann), fasc. xi, a-c], un’ampia raccolta di interventi e articoli di giornale [Deutsches Literaturarchiv, Marbach, Cotta-Archiv (Nachlaß Sudermann), fasc. xi, b, 1], il volume di Maximilian Harden [M. Harden, Kampfgenosse Sudermann, Berlin, Verlag der Zukunft, 1903] il numero di una rivista di teatro e arte dedicato interamente al dibattito [« Bühne und Brettl. Illustrirte Zeitschrift für Theater und Kunst », a. ii, n. 23, 15 dicembre 1902], un numero della rivista « Die Zukunft » [« Die Zukunft », a. xi, n. 10, 6 dicembre 1902]. 2 Cfr. H. Sudermann, Verrohung in der Theaterkritik. Zeitgemäße Betrachtungen, cit., p. 5. 3 Come ipotizza Adamski ciò che spinge Sudermann a scendere nell’arena della battaglia giornalistica, più ancora del discorso di Singer, è forse proprio il desiderio di rispondere agli attacchi di cui da anni è oggetto nonostante il suo enorme successo presso il pubblico [Cfr. H. Adamski, Diener, Schulmeister und Visionäre. Studien zur Berliner Theaterkritik der Weimarer Republik, cit., p. 110]. Sudermann stesso, tuttavia, nega, nel primo contributo, di essere spinto da motivazioni di carattere personale [Cfr. H. Sudermann, Verrohung in der Theaterkritik. Zeitgemäße Betrachtungen, cit., p. 6]. 4 H. Sudermann, Verrohung in der Theaterkritik. Zeitgemäße Betrachtungen, cit., p. 6. 5 Cfr. ivi, p. 7.
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Maximilian Harden ». Sebbene i lettori, col tempo, siano divenuti immuni ai suoi velenosi articoli, il suo stile si è affermato, secondo Sudermann, come paradigma tra i critici teatrali :
1
Risuona ancora, invece, il tono che egli ha introdotto in passato. Da lui i propagandisti (Stimmungsmacher) impiegati nel giornalismo quotidiano hanno imparato che non c’è nessuna sobria onestà e nessuna sincera volontà su cui non possa essere versata la liscivia dello scherno, e che non c’è alleanza spirituale né affinità di obiettivi che possa proteggere il giudicato dal ricevere un pugno nella schiena, e che anche la lode esiste principalmente per fare in modo di emergere a spese di colui che viene lodato. 2
Nel secondo articolo, pubblicato il 7 novembre 1902, Sudermann procede offrendo un’analisi degli strumenti con cui la critica teatrale contemporanea colpisce e distrugge i propri bersagli polemici. Per abbattere i propri avversari essa si serve di colpi bassi come l’accusa di plagio, il ricorso a categorie dispregiative come “Melodramma” e “romanzo spazzatura drammatizzato”, 3 o, ancora, cerca di minare la credibilità degli artisti storpiandone il nome, 4 utilizzando appellativi sarcastici (“Herr Fulda”, “Herr Dreyer”) 5 e attaccandoli nella sfera privata. 6 In altre parole ciò che secondo il drammaturgo manca ai giudizi della critica è lo spirito dell’oggettività (Sachlichkeit), la sobrietà nel giudizio e la capacità di attenersi a una valutazione obiettiva e di merito. Nonostante la durezza delle considerazioni contenute nei primi contributi, è soltanto il terzo articolo, pubblicato il 17 novembre 1902, che scatena la reazione della critica teatrale. Sudermann decide di passare dal piano generale al piano particolare e di rivolgere i propri strali non più contro una tendenza dominante ma verso tre critici teatrali che esemplificano, a suo parere, l’imbarbarimento del tono giornalistico : a Harden, chiamato in causa nel primo articolo, si aggiungono dunque ora i nomi di Siegfried Jacobsohn, giovane critico della « Welt am Montag », di Alfred Kerr, critico di « Der Tag », e del critico anonimo della rivista « Die Gegenwart ». Il drammaturgo non teme di usare quegli stessi strumenti che egli aveva indicato come il simbolo della crisi della critica tedesca, attribuendo ai propri avversari appellativi sarcastici : il critico della « Gegenwart » viene chiamato « il grossolano insultatore » (der plumpe Schimpfer), a Siegfried Jacobsohn è affibbiato il soprannome di « giovincello superintelligente » (der superkluge Fant) e Alfred Kerr diventa « il maligno cacciatore di battute amante delle belle lettere » (der schöngeistighämische Witzjäger). Proprio Kerr, secondo Sudermann, è tra questi critici il più violento e pericoloso : « Loro insudiciano, lui avvelena ». 7 Con la sola eccezione di pochi fortunati, tra cui Gerhart Hauptmann, la sua terribile potenza distruttiva, rivolta soltanto al diletto dei lettori, non risparmia nessuno :
Poco importa, che un uomo trepidante e speranzoso venga sottoposto, come persona e come scrittore, al pubblico ludibrio. L’importante è che il lettore dei giornali, seduto al tavolo del caffè, abbia, per qualche attimo, il suo diletto. Anche le malignità apparentemente appropriate, che abbondano nei suoi scritti, sono in realtà calcolate sullo sconsiderato piacere che questo lettore prova nel vedere i danni causati. 8
Sudermann accusa Kerr di non rispettare la legge che impone al critico di essere un osservatore neutrale e di non partecipare attivamente all’evento teatrale. In proposito Sudermann ricorda che Kerr, in occasione della messinscena di Die Mission di Felix Philippi, non si era affatto vergognato di riferire, nella propria recensione, di essere stato
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Ivi, p. 11. Ivi, p. 12. 5 Cfr. ivi, p. 13. 7 Ivi, p. 29. 2
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Cfr. ivi, p. 17.
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Cfr. ivi, p. 14. Cfr. ivi, p. 18. 8 Ivi, p. 30.
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tra i pochi a fischiare lo spettacolo una volta calato il sipario. 1 Lo stile di Kerr appare, in queste pagine, come l’effetto di una studiata strategia di protagonismo, rivolta soltanto all’affermazione pubblica del critico. Un atteggiamento certo opposto alla sobria, e forse inoffensiva, neutralità proposta da Sudermann nell’articolo precendente.
2. 3. 3. La reazione della critica teatrale e i suoi tentativi di legittimazione L’intervento del drammaturgo suscita numerose reazioni e i critici teatrali chiamati in causa rispondono cercando di legittimare il proprio ruolo e le proprie funzioni. Il dibattito intorno al “caso Sudermann” diventa perciò l’occasione per un momento di autoriflessione in cui la critica, messa in discussione, ridefinisce esplicitamente i propri confini e la propria natura. Ritornano molti dei temi che caratterizzano la riflessione critico-teatrale di inizio Novecento : i critici insistono sul proprio ruolo di guida dell’arte teatrale e fondano tale funzione non su parametri oggettivi, ma sulla capacità del critico di esprimere la propria personalità creativa in una produzione di autonomo valore quale è la recensione teatrale. Il modo in cui si sviluppa la querelle riflette, inoltre, la trasformazione della professione giornalistica e le nuove questioni che questo cambiamento porta con sé : questo dibattito non è, infatti, come nel passato, un dibattito di settore combattuto attraverso riviste letterarie e seguito da un pubblico ristretto e dotto. Lo scontro tra Sudermann e la critica teatrale si svolge, per lo più, sui grandi quotidiani berlinesi e suscita un enorme interesse da parte dell’intera opinione pubblica, certo più attratta dai risvolti scandalistici che dalla definizione dei compiti della critica teatrale. 2 Una curiosità testimoniata e nutrita da numerosi interventi satirici e da una ricca produzione vignettistica : « Bühne und Brettl », ad esempio, rivista illustrata di teatro e arte, dedica al caso l’intero numero satirico del dicembre 1902. 3 La polemica ha un importante risvolto commerciale, come sottolinea ironicamente un intervento pubblicato nel novembre del 1902 su « Das Kleine Journal ». In questo articolo, redatto nella forma di un brevissimo dramma, un editore (Zeitungsverleger) si rallegra della battaglia tra il critico e il poeta, che rappresenta per lui la fonte di un enorme guadagno, e guarda, perciò, con grande disappunto alla possibilità di una loro conciliazione :
Stringo a entrambi di cuore le mani, A te poeta e a te recensore, La divertente guerra che ora si accende, Fa crescere velocemente il numero degli abbonamenti Ne parla tutta la città, E io conosco il vantaggioso risultato, Ci si azzuffa per un’edizione serale E ognuno spende volentieri cinque pfenning. 4
Il primo a rispondere alle accuse di Sudermann è proprio Alfred Kerr che, il 21 novembre 1902, pubblica sul « Tag » un articolo dal titolo Die Kritik und Herr Sudermann. 5 Kerr si
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Cfr. ivi, p. 33. Il teatro e la critica teatrale occupano, a partire dalla fine dell’Ottocento, un posto centrale nell’interesse dell’opinione pubblica tedesca e berlinese in particolare [Cfr. O. Pfohlmann, Literaturkritik in der literarischen Moderne, in Literaturkritik. Geschichte, Theorie, Praxis, a cura di T. Anz, R. Baasner, cit., p. 103]. Le discussioni critiche, gli scontri e le polemiche catalizzano la curiosità e l’attenzione della nuova società tedesca. Un redattore di « Der Tag », in un articolo pubblicato tra il novembre e il dicembre del 1902 in seguito alla morte dell’industriale Friedrich Krupp – anche a seguito, secondo l’autore, della campagna di accuse del giornale « Vorwärts » – afferma che in Germania ci sono questioni ben più importanti degli insulti che i critici rivolgono ai drammaturghi. In questo modo egli ci offre, indirettamente, una percezione dell’enorme partecipazione con cui viene seguito il dibattito intorno al “caso Sudermann” [Cfr. P. Marx, Die Verrohung, « Der Tag », s.d., Deutsches Literaturarchiv, Marbach, Cotta-Archiv (Nachlaß Sudermann), fasc. xi, b, 1]. 3 Cfr. « Bühne und Brettl. Illustrirte Zeitschrift für Theater und Kunst », a. ii, n. 23, 15 dicembre 1902. 4 Der Roland von Berlin, Berliner Leben. Verrohung in der Theaterkritik, « Das Kleine Journal », 10 novembre 1902. 5 A. Kerr, Die Kritik und Herr Sudermann, « Der Tag », 21 novembre 1902. Kerr, dunque, sin dal titolo dell’ar2
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difende dagli attacchi con la consueta ironia e annuncia la pubblicazione di un libro in cui sono raccolte tutte le recensioni teatrali che egli ha dedicato al drammaturgo. Kerr respinge le accuse di Sudermann : se da molti anni è oggetto del proprio scherno ciò dipende dal fatto che la sua volgarizzazione dell’estetica naturalista rappresenta un pericolo per il futuro dell’arte teatrale. Le frecce di Kerr non sono state scoccate, dunque, come aveva affermato Sudermann, per il semplice divertimento dei lettori, ma perché egli considera l’autore di Die Ehre come il simbolo di una tendenza contro cui è necessario combattere a causa del suo peso nella programmazione dei teatri berlinesi e dei suoi effetti nefasti sull’arte teatrale :
Da dieci anni il signor Sudermann viene da me deriso : come paccottiglia con strane caratteristiche ; come dannoso per l’arte del nostro paese ; come un generale da operetta ; come uno sfruttatore che ha fuso i nuovi movimenti dell’epoca con la Marlitt rendendo triviale l’essenziale. Poiché viene messo in scena in modo orribilmente frequente, egli mi è apparso come un fattore di potere. “È la battaglia contro uno scricciolo” [...]. 1
Lo scherno, la lotta, non sono, dunque, fini a se stessi ma mezzi di una battaglia estetica e culturale : un dramma come Es lebe das Leben, presentato sui palcoscenici berlinesi molto più frequentemente di Florian Geyer o Herodes und Mariamne, abbassa in modo rovinoso il livello artistico della scena berlinese. Ciò che la « testolina » non capisce, continua Kerr, è che il critico è obbligato a bastonare (schlagen) o a baciare (küssen), a distinguere l’anima (Seele) dall’impostura (Schwindel) : « Lui non capisce che ci si sforza di vedere le cose così come le vedrà lo storico tra mezzo secolo ». 2 Alla critica, dunque, è affidata la difesa dei valori dell’arte, il critico è un giudice ed è per questo che egli non solo è giustificato ma è addirittura obbligato a essere intransigente nei propri giudizi. Tuttavia, aggiunge Kerr introducendo un nuovo tema e spostando il piano del discorso, dire la verità è un mero presupposto, ciò che decide del valore di una recensione è il come questa verità viene detta. 3 Il discorso passa, così, dalla difesa della critica all’affermazione positiva del suo significato e dei suoi strumenti. Il ruolo di giudice, che Kerr attribuisce al critico, non si fonda, infatti, – come è il caso dello storico che può giudicare attraverso la distanza temporale – su un’istanza oggettiva. Il critico è artista. Questo tema, su cui Kerr fonderà più tardi le proprie riflessioni critiche, viene esplicitato, per la prima volta, in questi passi : 4
Egli tuttavia non mi comprenderebbe se gli dicessi : sforzati e ascolta – io intendo innalzare la critica a un livello dove essa (secondo le mie intenzioni) può diventare un’arte come la poesia. 5
Ciò che distingue, tradizionalmente, la produzione giornalistica dalla scrittura letteraria ticolo apparso sul « Tag » si prende gioco di Sudermann e delle sue osservazioni. L’intervento di Kerr si chiude con un breve componimento in versi, « da cantare al Cabaret », in cui il nome Sudermann viene affiancato a quello del popolare drammaturgo tedesco di inizio Ottocento « ...Kotzebue ! !... Kotzebue ! ! ». Un’ironia che sarà ancora più evidente nel titolo del libro [Il signor Sudermann, il p.. po.. poeta], contenente le recensioni che Kerr aveva dedicato al drammaturgo e che verrà pubblicato l’anno successivo [Cfr. A. Kerr, Herr Sudermann, der D..Di.. Dichter, Berlin, Helianthus, 1903]. 1 A. Kerr, Die Kritik und Herr Sudermann, cit. 2 3 Ibidem. Cfr. Ibidem. 4 Cfr. H. Adamski, Diener, Schulmeister und Visionäre. Studien zur Berliner Theaterkritik der Weimarer Republik, cit., 113-114. È interessante notare come in questo articolo, redatto per respingere le accuse di Sudermann, Kerr proponga alcune riflessioni che riprenderà nei suoi testi programmatici, in particolare nella prefazione al volume Das neue Drama [Cfr. A. Kerr, (Vorwort zu « Das neue Drama »), cit., pp. 296-303] e nell’introduzione alla raccolta Die Welt im Drama [A. Kerr, Einleitung zu den Gesammelten Schriften, cit., pp. v-xxii]. Lo strumento di giudizio del critico-artista sono le sue impressioni, la sua sensibilità soggettiva. La critica teatrale assume per Kerr una duplicità che determina anche l’ambiguità del suo atteggiamento critico. Il critico teatrale viene concepito, infatti, al medesimo tempo come artista e come giudice, come storico e come creatore, come avanguardia nella battaglia teatrale e produttore di testi letterari. La dialettica tra queste polarità descrive, come abbiamo avuto modo di vedere in precedenza, tutta l’attività critica di Kerr. 5 A. Kerr, Die Kritik und Herr Sudermann, cit.
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è il loro diverso indice temporale. L’articolo di giornale è concepito per porsi in relazione al qui e ora, all’occasione attuale che ne ha determinato la stesura ed è pensato per una fruizione immediata e circoscritta a quel tempo. Il libro, invece, pretende di innalzarsi al di sopra della mera occasione che ne ha determinato la genesi per assumere un significato universale e duraturo. Nella risposta a Sudermann Kerr interviene proprio su questo elemento, sulla temporalità, innalzando la produzione critica al livello della letteratura :
Non gli si potrà mai ficcare in testa [a Sudermann, N.d.T.] che una recensione può essere più poetica dell’opera di cui parla. Che può durare più a lungo di questa. 1
Tra arte e critica non c’è, per Kerr, differenza di specie, ma soltanto di genere. Entrambe si trovano di fronte a un fenomeno (Erscheinung), in un caso la natura, nell’altro l’opera d’arte, ed entrambe compiono la medesima operazione, che consiste nel portare a espressione l’impressione che suscita l’apparizione di questo fenomeno :
Testolina, – se io vedo un albero o uno stagno o un paesaggio, non posso dire liberamente : li trovo orribili oppure deliziosi oppure in questo e in quest’altro modo ? Io considero anche i poeti come “fenomeni”. Pensi un po’ ! E scrivo, caro Sudermann, l’effetto che essi hanno su di me ! 2
Alla risposta di Alfred Kerr segue immediatamente l’intervento di Maximilian Harden, pubblicato su « Die Zukunft » il 22 novembre 1902 e presentato poi, l’anno successivo, insieme agli altri tre contributi che egli dedicherà al caso, in un volume dal titolo Kampfgenosse Sudermann. 3 Lo scherno (Hohn) e il disprezzo (Verachtung), strumenti stigmatizzati da Sudermann, sono, secondo Harden « riconosciute armi del critico », e il loro utilizzo deve essere valutato semmai domandandosi se esse sono appropriate al lavoro o alla persona che vanno a colpire. Ma, prosegue Harden, in fondo anche questo criterio è valido soltanto per quelle critiche « che non vivono di grazia propria perché, nel pensiero o nel sentire, non sono espressione di una personalità vigorosa nella sua forza di volontà o nella potenza del suo linguaggio ». 4 Se la critica è espressione di una personalità eccezionale, di un carattere unico, non è necessario che i suoi giudizi siano obiettivi e commisurati al proprio oggetto :
Era forse giusto Aristofane nei confronti di Socrate ed Euripide ? Gesù era giusto nei confronti degli scribi in Israele ? Lutero, Savonarola e Bruno, erano giusti nei confronti dell’allora insostituibile potere culturale del papato ? [...]. 5
I giudizi critici non possono venire valutati attraverso parametri esterni, oggettivi. Il critico è un autore la cui capacità creativa è libera da vincoli quanto quella di qualsiasi altro artista. Harden, per questa ragione, attacca la distinzione proposta da Sudermann tra il recensore e colui che crea (Schaffender), e l’idea, ad essa conseguente, per cui il critico deve entrare con timore nel tempio dell’arte e riportare semplicemente ciò che lì si può osservare :
Colui che esercita “solamente” la critica, colui che scrive soltanto articoli, non è un creatore (Schaffender) e deve quindi accedere con un devoto brivido nel tempio di colui che crea, per raccontare con riverenza ciò che lì ha potuto vedere. In questo modo le cose appaiono dipinte nella testa del signor Sudermann. 6
1
2 Ibidem. Ibidem. Il titolo viene spiegato dallo stesso Harden nel secondo articolo pubblicato intorno al “caso Sudermann”. Harden racconta che nel 1889 aveva conosciuto Sudermann, il quale aveva espresso parole di grande stima verso di lui e gli aveva fatto dono di una copia del romanzo Der Katzensteg, accompagnata da una dedica che gli era parsa, sul momento, persino eccessiva : « Al suo caro compagno di battaglia (Kampfgenosse) Maximilian Harden con affettuosa amicizia, H. Sudermann ». Ma la stima e la presunta amicizia, ricorda il critico, erano improvvisamente scomparse dopo la sua recensione negativa al dramma di Sudermann Die Ehre [Cfr. M. Harden, Kampfgenosse Sudermann, cit., pp. 34-36]. 4 5 6 Ivi, p. 6. Ivi, pp. 6-7. Ivi, p. 8. 3
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Il valore di un prodotto critico o artistico non è determinato dal genere, prosegue poco più avanti Harden, ma dal valore dell’effettiva prestazione (Leistung). L’editore di « Die Zukunft » procede, in questo modo, nella direzione tracciata da Kerr : l’arte drammatica e la critica sono due generi pertinenti la medesima specie, l’arte. Un tema su cui Harden insisterà anche negli interventi successivi e che verrà formulato con grande chiarezza nel secondo articolo dedicato al “caso Sudermann” e pubblicato il 29 novembre 1902. In questo articolo egli rifiuta il ruolo di cronista oggettivo che Sudermann pare affidare al recensore, perché ritiene, questa concezione, improduttiva. La critica è un’attività creativa, e, esattamente come l’arte, ha a che fare con una materia prima la cui rielaborazione può essere misurata soltanto utilizzando come criterio la capacità e le possibilità creative dell’autore :
La differenza tra il critico dotato di un grande stile e l’artista non è poi così incommensurabile come farebbe pensare la presunzione con cui Sudermann utilizza il vocabolo “creatore”. Entrambi cercano di esprimere pensieri in maniera chiara ed efficace e di plasmare uomini ; il primo recupera la materia – a volte – dalla vita, l’altro dalla creazione artistica. Entrambi sono vincolati alla legge della verosimiglianza artistica e della fedeltà psicologica. Entrambi non possono e non potranno mai essere del tutto oggettivi ed escludere completamente il temperamento nel cui personale riflesso essi vedono le cose. A entrambi non possono essere rimproverati errori psicologici – il critico che dipinge in maniera inesatta un artista, non è necessariamente un uomo peggiore dell’artista che, nel proprio racconto, distorce un personaggio – ed entrambi diventano moralmente colpevoli solamente quando, con il pennello, la matita o lo scalpello, dicono il falso in malafede. 1
Ma la risposta di Harden a Sudermann si articola anche su un altro piano. Alla difesa del carattere autoriale della critica si aggiunge, nell’articolo pubblicato il 22 novembre, l’attacco frontale a una precisa tradizione critica. Sudermann, come detto, aveva affermato che l’imbarbarimento della critica teatrale era cominciato a partire dalla metà degli anni ottanta dell’Ottocento e aveva difeso critici come Oskar Blumenthal e Paul Lindau, affermando che la stampa precedente al movimento naturalista si era attenuta nel complesso alle “buone maniere”. Ora Harden, introducendo un argomento che avrà un grande peso nello svolgimento successivo del dibattito, rigetta l’accusa e mostra, attraverso molti esempi, la corruzione estetica e morale della critica difesa da Sudermann. 2 Tra i critici citati da Harden compaiono, non casualmente, proprio i nomi di Paul Lindau, Oskar Blumenthal e Otto Neumann-Hofer. In questo modo, infatti, vengono colpiti, come osserva Adamski, due differenti obiettivi : la tradizione critico-teatrale del giornale su cui Sudermann stava pubblicando i suoi articoli – il « Berliner Tageblatt » – e, al contempo, quegli autori drammatici « che avevano avuto la loro grande stagione come critici teatrali prima del 1890 e che avevano poi assunto la direzione di quei teatri berlinesi, che, per via del repertorio orientato principalmente al gusto e al desiderio di intrattenimento del pubblico, avevano ottenuto grandi successi economici ». 3 Su quest’argomento insiste anche Siegfried Jacobsohn, uno dei bersagli polemici del terzo articolo di Sudermann. Il giovane critico interviene sulla « Welt am Montag », il 24 novembre 1902 con un articolo intitolato Hermannsschlacht, 4 e dopo aver mostrato come
1
2 Ivi, p. 30. Cfr. ivi, pp. 10-12. H. Adamski, Diener, Schulmeister und Visionäre. Studien zur Berliner Theaterkritik der Weimarer Republik, cit., p. 116. Adamski attribuisce tuttavia erroneamente a Jacobsohn – nell’articolo del 24 novembre Hermannsschlacht – il primo esplicito attacco in questo senso [Cfr. ivi, p. 115]. I tre critici e uomini di teatro, invece, sono, come detto, già chiamati in causa da Harden nell’intervento del 18 novembre 1902 [Cfr. M. Harden, Kampfgenosse Sudermann, cit., pp. 10-11]. 4 Jacobsohn riprende il titolo dal dramma di Heinrich von Kleist, Hermannsschlacht, [La battaglia di Her3
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i toni accesi e taglienti appartengano da secoli alla critica, lancia un attacco frontale alla tradizione del « Berliner Tageblatt » accusando il giornale di corruzione e cattivo gusto :
Il rispetto amorevole e servile di quella stampa influente, che è rappresentata al meglio dal B.T. [« Berliner Tageblatt », N.d.T.], i loro corresponsabili legami di parentela con Tizio e Caio, la loro mancanza di comprensione e il loro cattivo gusto, inducono e costringono i pochi animi probi a intervenire a colpi di clava. 1
L’imbarbarimento della critica dunque, secondo Jacobsohn, riguarda non tanto la radicalità di alcuni critici, ma, semmai, la mancanza di indipendenza di una critica corrotta e sottoposta agli interessi commerciali dei teatri. Jacobsohn ribadisce in questo modo un punto dell’argomentazione di Kerr : la violenza polemica dei critici attaccati da Sudermann è funzionale a una battaglia per la difesa dell’arte teatrale contro tutte quelle tendenze e quegli interessi che, nel teatro contemporaneo, ne minacciano il profilo. Solo in questo modo la critica può rappresentare un’istanza di garanzia per lo sviluppo del teatro ed esercitare il proprio legittimo ruolo di giudice. Su questo punto concorda anche Richard Nordhausen, editore e curatore di « Die Gegenwart », altro obiettivo polemico di Sudermann. 2 Il vero imbarbarimento, afferma Nordhausen, non riguarda tanto la critica, quando il teatro tedesco. Il dominio della réclame e delle strategie di promozione che ingannano il pubblico, obbligano la critica a essere dura, tagliente, ad alzare il tono per farsi sentire : « La critica deve gridare se vuol farsi sentire. È il volume degli ululati pubblicitari che circondano gran parte degli autori drammatici che la costringe a questo ». 3 Una critica intransigente e spietata, molto più che una critica benevola ma inoffensiva, consente agli autori drammatici di valore di emergere :
Ma è proprio la crudeltà della critica che facilita l’ascesa dei pochi eletti. Poiché questi critici crudeli cercano ardentemente, forse per ragioni meramente tattiche o stilistiche, la creazione luminosa che si innalzi al di sopra dell’oscurità degli avversati drammi industriali. La loro rara lode ha un peso incomparabilmente maggiore del denso sciroppo critico che si riversa con la sempre medesima insipida dolcezza sul buono e sul cattivo, sul giusto e sull’ingiusto. 4
2. 3. 4. Il critico come consigliere e collaboratore del drammaturgo : gli ultimi articoli di Sudermann e le risposte della critica teatrale
Dopo la reazione della critica teatrale, compatta nel difendere il proprio ruolo e le proprie prerogative, Sudermann decide, nel quarto contributo, pubblicato il 25 novembre 1902, di abbandonare l’attacco personale per spostarsi, nuovamente, su considerazioni di carattere generale. Il drammaturgo concentra ora la propria attenzione sull’analisi delle conseguenze dell’imbarbarimento della critica teatrale sul pubblico e sul sistema teatrale. Se i critici teatrali avevano affermato con decisione il diritto di ricorrere allo scherno e all’insulto per difendere la scena dall’invadenza delle considerazioni extra-artistiche e degli interessi commerciali, ora Sudermann capovolge il discorso affermando che è proprio la critica, con i suoi toni violenti e polemici, a essere una delle cause decisive della crisi del teatro berlinese, dominato in modo incontrastato dalle commedie di successo. I critici invece di promuovere sobriamente la produzione drammaturgica ne ostacolano lo sviluppo giudicando impietosamente i suoi prodotti :
mann], facendo ironicamente riferimento alla battaglia condotta da Hermann Sudermann contro la critica teatrale. 1 S. Jacobsohn, Die Hermannsschlacht, « Die Welt am Montag », 24 novembre 1902. 2 Cfr. R. Nordhausen, Die Versimpelung in der Dramenkonfektion. « Der Tag », s.d. [Deutsches Literaturarchiv, Marbach, Cotta-Archiv (Nachlass Sudermann), fasc. xi, b, 1]. 3 4 Ibidem. Ibidem.
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E oggi essi gridano a squarciagola per ogni dove : “la produzione fallisce !” Ma se essa fallisce, se essa rimane a terra scoraggiata e infranta, chi è stato a paralizzarla ? Chi ha cacciato il pubblico dai teatri ? Chi ci ha fatto perdere il gusto della rappresentazione dei nostri classici ? Chi ha allevato l’orda delle fazioni ? Chi ha reso necessario il sistema delle commedie di successo ? Chi ha rovinato la primavera che un decennio fa voleva sbocciare nel dramma tedesco ? 1
La colpa dell’abbassamento del livello del teatro berlinese non può certo essere attribuita, afferma Sudermann, ai direttori teatrali dal momento che « il direttore di teatro è e deve essere un uomo d’affari ». 2 Il vero responsabile della formazione del repertorio è lo spettatore e la critica teatrale, polarizzandosi in una negatività che spaventa il pubblico e in una benevolenza che lo insospettisce, ha finito per perdere la sua credibilità e il suo ruolo di guida :
Il biasimo lo intimorisce, la lode non lo attrae più perché dietro di essa fiuta la faziosità. Al massimo sono squilli di tromba come “successo sensazionale” a esercitare ancora sulla massa un effetto vincente. 3
Il critico, a partire dagli anni della Freie Bühne, non è più un giudice neutrale e obiettivo, ma è divenuto un intellettuale militante che considera il poeta e il teatro come territorio di battaglia :
Così il poeta diventa, nel giudizio del pubblico, da una parte un acclamato matador sul quale conviene scommettere abbondantemente e, dall’altra parte, un pezzo di selvaggina contro cui è lecito organizzare battute di caccia per il proprio piacere. Quasi in ogni première di un certo peso, al posto di un uditorio capace di godersi tranquillamente lo spettacolo, si vedono due partiti in fermento e in procinto di esplodere, che si combattono vicendevolmente come se si trovassero alle gare di corsa e, a fianco a questi, un terzo gruppo, i professionisti dello scandalo, intenzionati a pescare nel torbido dell’estetica quotidiana come è stato loro insegnato dai professionisti dello scandalo che scrivono sui giornali. 4
Alla riflessione di Sudermann risponde seccamente Harden, il 29 novembre 1902 : proprio l’elevato numero di repliche che ottengono molti dei drammi bocciati dalla critica dimostra la sua inefficacia sul pubblico. Secondo l’editore di « Die Zukunft », piuttosto, il peggioramento del repertorio dei teatri berlinesi deve essere attribuito ai recenti e profondi mutamenti intervenuti nella società tedesca. 5 Un’idea che si ritrova, per certi versi, anche nel quinto e ultimo intervento di Sudermann, pubblicato il 1 dicembre 1902, nel quale il drammaturgo si propone di indicare le cause e le possibili soluzioni alla crisi della critica teatrale. 6 L’affermazione di un metodo pamphletistico possiede, osserva Sudermann, molteplici radici. In primo luogo è il frutto del tentativo di corrispondere a una società divenuta nervosa e frenetica, e di trovare strumenti in grado di adeguarsi ai desideri del suo nuovo e ampio pubblico : uno stile sobrio e neutrale è certamente incapace di stuzzicare la curiosità dei lettori allo stesso modo di una critica eccentrica e tagliente. 7 Ma la violenza della critica teatrale non si può spiegare unicamente attraverso quest’ordine di ragioni. La natura commerciale della stampa e la concorrenza sfrenata tra i diversi giornali, rappresentano, infatti, secondo Sudermann, una spinta altrettanto importante nella direzione
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H. Sudermann, Verrohung in der Theaterkritik. Zeitgemäße Betrachtungen, cit., p. 46. 3 4 Ivi, p. 37. Ivi, p. 39. Ivi, pp. 41-42. Cfr. M. Harden, Kampfgenosse Sudermann, cit., pp. 30-31. 6 Cfr. H. Sudermann, Verrohung in der Theaterkritik. Zeitgemäße Betrachtungen, cit. pp. 47-56. L’attenzione alle trasformazioni avvenute nella società tedesca e al mutamento strutturale dei suoi mezzi di comunicazione 7 non assume, nel discorso di Sudermann, alcun accento politico. Cfr. ivi, p. 47. 2 5
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dell’inasprimento dei toni e delle polemiche. 1 Il confronto duro e serrato è un condimento essenziale per i lettori e se nei giornali di indirizzo politico ciò trova spazio all’interno delle notizie riguardanti i partiti o il governo, nei grandi quotidiani, decisi a non inimicarsi alcun settore del pubblico, la polemica viene relegata nella parentesi inoffensiva del feuilleton, in particolare nelle parti dedicate al teatro :
Nel feuilleton, là dove le muse potevano altrimenti godere di un’esistenza pacifica, si è dunque allestita una caccia il cui infelice oggetto è l’indifeso artista. Così facendo si compensa in un certo senso, per il lettore assetato di emozioni, il piacere della battaglia politica e gli si procura una sana passione per la caccia che si ripercuote positivamente sulla sua volontà di prolungare l’abbonamento al giornale. 2
Dopo aver condotto quest’analisi Sudermann cerca di avanzare alcune proposte per superare la crisi in cui si trova la critica teatrale, una trasformazione di cui egli ritiene che il pubblico stesso si debba fare promotore attraverso lettere di protesta ai giornali o, in casi estremi, attraverso il boicottaggio dei quotidiani che decidono di persistere nella strategia dell’insulto. 3 L’impulso fondamentale nei confronti di questo cambiamento non può che venire, tuttavia, dalla critica stessa che riconoscendo i propri errori deve tentare di porvi rimedio introducendo una forma di autoregolamentazione. L’elenco delle singole e specifiche indicazioni offerte in proposito da Sudermann esula dal nostro spazio e dai nostri fini, ma è interessante sottolineare il fine verso cui tende la sua idea di riforma della critica teatrale : il critico deve abbandonare il proprio atteggiamento distruttivo e diventare consigliere (Berather) e collaboratore (Mitarbeiter) del drammaturgo, per porsi insieme ad esso al servizio di un’arte futura ed eterna :
Con le parole “consigliere (Berather) e collaboratore (Mitarbeiter)” voglio semplicemente indicare la disposizione d’animo su cui noi tutti, creatori (Schaffende) e critici (Kritisierende), dovremmo accordarci, per costruire, con cura, una cinta protettiva intorno a ogni capacità artistica e per non impedire, a coloro che desiderano accedervi, di farlo. In questa bella occupazione svaniranno anche le differenze e le scissioni tra poeti e critici e tutti diverranno fedeli e umili servitori dell’unica, grande ed eterna arte. 4
Una concezione che, ribadendo la funzione di “servizio” della critica teatrale, rappresenta un tentativo di ridurre la sua indipendenza e di offrirle un ruolo secondario e subordinato rispetto al processo creativo. E proprio il tema dell’autonomia della critica teatrale e dello statuto dei suoi prodotti, già contenuto in nuce nelle diverse affermazioni del carattere artistico della critica teatrale, assume un ruolo decisivo nelle riflessioni proposte da alcuni critici nei giorni successivi alla pubblicazione dell’ultimo intervento di Sudermann. Alla visione di una critica neutrale e inoffensiva si oppone con decisione Conrad Alberti, personalità importante della critica letteraria e teatrale tedesca, 5 sul « Berliner Morgenpost » del 6 dicembre 1902. 6 Alberti si domanda quali siano i diritti che devono essere riconosciuti alla critica e quali i limiti che essa deve osservare nei riguardi del poeta drammatico. Il discorso di Sudermann viene qui completamente ribaltato, la critica che ha un effetto devastante sul pubblico e sull’arte teatrale non è quella che mostra al poeta i suoi errori
1
Cfr. ivi, p. 49. Ivi, p. 50. Sudermann nota, inoltre, come la posizione socio-economica del giornalista, non sia ancora così solida da poter permettere ai critici di avere un peso reale nei confronti dei propri editori, i quali, tuttavia, a loro volta sono spesso, a suo parere, fin troppo pazienti con i propri collaboratori [Cfr. ivi, p. 51]. 3 4 Cfr. ivi, p. 50. Ivi, p. 55. 5 Conrad Alberti, pseudonimo di Conrad Sittenfeld, nasce a Breslau, in Slesia, il 9 luglio 1862. Critico letterario e teatrale, autore di drammi e romanzi può essere annoverato, anche dal punto di vista generazionale, nel gruppo dei primi naturalisti. Dalla fondazione del « Berliner Morgenpost » è critico teatrale e letterario del quotidiano berlinese. Alberti muore a Berlino il 24 giugno del 1918. 6 Cfr. C. Alberti, Vom Recht und Unrecht der Kritik, « Berliner Morgenpost », 6 dicembre 1902. 2
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ed è intransigente nei propri giudizi, bensì quella che accetta ogni proposta teatrale con la medesima benevolenza senza distinguere tra un’opera d’arte e un prodotto mediocre :
Se io fossi un drammaturgo famoso, rappresentato migliaia di volte, nessuna critica, neanche la più cattiva e spietata, potrebbe ferirmi […]. Sarei orgoglioso di ogni aspra polemica critica contro di me che cerchi di mostrarmi che non ho raggiunto il livello di Shakespeare né di Schiller, perché grazie ad essa acquisirei la lieta convinzione, che si presuma che io abbia la volontà e le possibilità di scalare le più alte vette. 1
Ciò che può seriamente mettere a rischio lo sviluppo dell’arte teatrale, secondo Alberti, è, infatti, una neutralità che rende incapaci di distinguere l’arte dall’intrattenimento e che porta una parte della critica a dedicare lo stesso spazio e usare le stesse parole per il circo, il varietà o il teatro di Brahm :
Una parte della nostra critica si occupa degli spettacoli a base di effetti speciali, del circo e del varietà, con la stessa impassibile e confortevole flemma, senza entusiasmo né indignazione, con cui scrive della Schauspielhaus e del teatro di Brahm : le stesse penne, le stesse colonne, le stesse lettere, la stessa mediocrità. 2
Il pericolo, in questo modo, nota Alberti, è quello di pregiudicare la realizzazione dello scopo cui tende ogni arte e ogni prodotto dello spirito : la differenziazione dell’animo umano. Una critica incapace di cogliere e mostrare le differenze di grado e di valore finisce, infatti, per confondere il pubblico e per compromettere la sua capacità di comprensione. Una critica teatrale che, invece, distinguendo l’arte dalla non-arte, non teme di stroncare e biasimare, rende più fine e acuto lo sguardo del pubblico e si rivela essenziale per lo sviluppo di una drammaturgia e di un teatro di valore :
No, un vento critico tagliente è indispensabile per il nostro teatro come l’ossigeno per i polmoni degli esseri umani. Io sono dell’idea che nel processo spirituale, che assicura a una nazione il forte sviluppo della sua letteratura drammatica, la critica sia un fattore integrante e irrinunciabile e non un elemento aggiuntivo che può essere tolto a piacere. 3
La dimostrazione è offerta, secondo Alberti, dalle due grandi capitali del mondo anglossassone, Londra e New York, dove l’assenza di una vera e propria critica teatrale incide profondamente sul livello della produzione drammaturgica. Alberti riporta addirittura la notizia che all’inizio della stagione teatrale il « New York Herald », il più importante quotidiano americano, avrebbe rinunciato, a causa dello scarso interesse dei lettori, a pubblicare critiche teatrali, sostituendo il critico con un reporter la cui funzione sarebbe stata quella di constatare e informare il pubblico del successo di una messinscena. 4 A questa critica, privata della sua posizione e delle sue prerogative, si oppone Alberti : il critico non deve perdere il proprio profilo per acquisire quello del cronista, del reporter. Alberti risponde, poi, alla questione con cui aveva aperto il proprio articolo affermando la necessità che venga garantita alla critica teatrale la più assoluta libertà, anche nel ricorso alla satira e alla polemica : « Noi, come il distinto presidente del nostro parlamento, non vogliamo gendarmi nel tempio dell’arte ». 5 La posizione di Alberti ricalca, per molti versi, quella assunta da Richard Nordhausen nel secondo articolo che egli redige sul “caso Sudermann”, intitolato Kritisches von der Theaterkritik e pubblicato sul « Münchner Neueste Nachrichten » il 6 dicembre 1902. Nordhausen accusa Sudermann di utilizzare la critica teatrale, nel suo complesso, come capro espiatorio di una colpa che, semmai, deve essere attribuita, da una parte, a quella critica che Sudermann definisce “civile” e che ha riempito il pubblico di sfiducia, e, dall’altra, all’invasività della réclame che ha corrotto l’istituzione critica indebolendone
1
Ibidem. Cfr. ibidem.
4
2
Ibidem.
3
Ibidem. Ibidem.
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il ruolo e mettendo a rischio la sua autonomia. La critica teatrale, infatti, deve essere un’istanza di controllo e di garanzia, sostiene Nordhausen. Una funzione che egli descrive attraverso un’immagine molto efficace :
Una critica che cerca di ripulire il tempio e di liberarlo dai mercanti, che fronteggia con scherno e beffe gli incapaci arrivisti alla ricerca dei diritti d’autore e gli guasta il pericoloso mestiere, una critica di questo genere merita proprio il grato riconoscimento del signor Sudermann. Perché solo essa rende possibile e favorisce l’affermazione del vero talento. 1
Il curatore della « Gegenwart » ribadisce, inoltre, lo statuto autoriale della critica teatrale, il carattere e il valore letterario dei suoi prodotti : ogni anno, nota il critico, si osserva il declino del mercato dei libri e, contestualmente, la crescita e la diffusione del giornalismo che viene innalzato, in questo modo, a forma letteraria moderna, destinata a sostituire le vecchie forme di espressione e di scrittura. Se Kerr aveva equiparato la critica teatrale alla letteratura, affermando la sua capacità di andare oltre la mera occasione giornalistica, ora Nordhausen radicalizza questo discorso presentando il giornalismo stesso come genere e costruzione formale del futuro : 2
Lo stesso signor Sudermann una volta, sotto la direzione del vecchio Rickert, ha scritto articoli. […] Dovrebbe dunque sapere che giornalmente vengono scritti in Germania articoli di giornale che, nel loro intrinseco valore e nella loro forma esteriore, non temono il paragone con nessuna poesia lirica, nessun romanzo, e forse nemmeno con il dramma Es lebe das Leben. 3 L’arroganza dello scrittore di libri in questo momento è fuori luogo. Ogni anno la scrittura di libri passa sempre più di moda mentre cresce l’importanza del giornalismo. E i lavori drammatici non se la passeranno molto meglio. 4
2. 3. 5. La posizione di Fritz Engel e le ragioni della crisi della critica teatrale secondo Maximilian Harden Nel frattempo l’attacco violento rivolto da Jacobsohn ai giornalisti del « Berliner Tageblatt » aveva scatenato un caso nel caso. Le sue accuse di corruzione avevano suscitato la reazione di Fritz Engel, 5 critico teatrale del quotidiano, che sentitosi chiamato in causa, aveva affermato che Jacobsohn era soltanto un bugiardo. Jacobsohn, da parte sua, aveva reagito all’insulto facendo ricorso alla giustizia e dando inizio a un processo che si sarebbe chiuso nel gennaio 1903, in modo amichevole, con la decisione da parte di entrambi di accantonare la questione. 6 Più che la cronaca del caso, ciò che riveste per noi motivo di interesse è la posizione assunta da Engel, in un articolo pubblicato il 2 dicembre 1902, nei confronti degli argomenti proposti da Sudermann. Il critico del « Berliner Tageblatt » decide di intervenire e, nel farlo, è evidentemente stretto tra due fuochi : la necessità di proteggere la propria categoria e l’esigenza di difendere la dignità del quotidiano presso cui era impiegato e su cui erano stati pubblicati proprio gli articoli di Sudermann. L’atteggiamento di Engel è, ovviamente, cauto, il critico del « Berliner Tageblatt », pur riconoscendo le ragioni
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R. Nordhausen, Kritisches von der Theaterkritik, « Münchner Neueste Nachrichten », 6 dicembre 1902. In proposito si veda anche G. Nickel, Die Schaubühne - Die Weltbühne. Siegfried Jacobsohns Wochenschrift und ihr ästhetisches Programm, cit., pp. 65-68. 3 È un dramma pubblicato da Sudermann nel 1902. 4 R. Nordhausen, Kritisches von der Theaterkritik, cit. 5 Fritz Engel (1867-1935), dopo lo studio a Monaco e Berlino, lavora, dal 1892, come critico teatrale del « Berliner Tagebatt ». Nel 1916, dopo la morte di Paul Schlenter, prende il posto di “primo” critico teatrale del quotidiano. Un posto che, nel 1919, deve cedere ad Alfred Kerr, passato nel frattempo alla testata edita da Mosse. Nel 1933, a seguito della presa del potere dei nazionalsocialisti, Engel è costretto a lasciare il « Berliner Tageblatt ». Muore a Berlino nel settembre del 1935. 6 Per la ricostruzione della faccenda cfr. H. Adamski, Diener, Schulmeister und Visionäre. Studien zur Berliner Theaterkritik der Weimarer Republik, cit., pp. 116-117.
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che hanno spinto Sudermann a redigere il suo atto d’accusa, rifiuta la sua generalizza zione :
Ci sono parecchi critici rozzi. Ed è ammirevole il coraggio con il quale lei, autore drammatico, osò provocarli. Ma la critica non si è imbarbarita. 1
Le affermazioni di Sudermann sono valide, dunque, soltanto per alcuni critici teatrali ma non per l’intera categoria, sulla quale, per altro, Engel mostra di avere una visione non troppo diversa da quella dei propri colleghi-avversari : l’intransigenza e la durezza della critica non è un ostacolo, bensì è l’atteggiamento necessario all’esame di tutto ciò che si propone di essere un’opera d’arte. Afferma Engel :
La critica non è rozza, ma tagliente. E lo deve essere. […] Ci siamo formati, e questo giustamente, a partire dal modello offerto dagli immortali maestri del dramma. I classici greci, inglesi, francesi, spagnoli, e, soprattutto, tedeschi, sono dietro di noi con tono di ammonimento e ci costringono a fare paragoni. Loro hanno vissuto anche per raffinare il nostro giudizio e per alzare le nostre pretese. È questo ciò che si chiama cultura spirituale (geistige Kultur). 2
Il sarcasmo e lo scherno sono dunque, secondo Engel, strumenti legittimi della critica teatrale purché utilizzati in funzione di un giudizio oggettivo, imparziale. L’ironia e lo spirito sono, infatti, espressione del temperamento e della personalità, due attributi a suo parere essenziali per l’attività critica. Ecco dunque emergere ancora una volta quella concezione estetizzante e personalista della critica teatrale, che abbiamo ritrovato con diversi accenti e declinazioni negli interventi di Kerr e Harden : « La critica è un pezzo di poesia vista attraverso il temperamento ». 3 Il critico, afferma Engel, forse non è uno Schaffender, un creatore, ma è un individuo nel cui complesso profilo rientra un ineliminabile elemento artistico. Un certo imbarbarimento del tono è piuttosto espressione, secondo Engel, di un’epoca di passaggio, i cui tratti futuri non sono ancora definiti e a cui manca uno spirito guida :
In questo vasto regno del sapere, del sentire e del godere, non abbiamo uno spirito guida (führender Geist) né una concezione del mondo che ci determini, e neppure una stella polare o un’ancora. Tutto si mischia confusamente. […] Probabilmente è a causa di questo sentimento di insicurezza e di questo consapevole dubitare, che la critica è diventata amara e “rozza”. 4
Proprio un invito, rivolto a Sudermann e a Engel, a non sottrarsi al confronto, apre il terzo contributo di Maximilian Harden al dibattito. Un contributo in cui il curatore della « Zukunft » approfondisce il discorso relativo ai fini e agli strumenti della critica teatrale introducendo alcune tematiche di enorme interesse storico-teatrale. Sollecitato da alcune lettere e articoli a pronunciarsi sulla situazione generale della critica teatrale tedesca, Harden evidenzia la profonda inadeguatezza di coloro che scrivono di teatro in Germania, un’inadeguatezza che non dipende dall’imbarbarimento dei toni e dei modi, come vuole Sudermann, ma dalla assoluta assenza di una conoscenza e di un riconoscimento della specificità del mezzo teatrale. 5 Sebbene i critici teatrali tedeschi, afferma Harden, abbiano, rispetto ai loro corrispettivi francesi, una preparazione accademica più ampia, ad essi manca quella profonda conoscenza del mestiere teatrale che contraddistingue invece questi ultimi. Il teatro non è letteratura, il teatro possiede una propria biologia, un proprio meccanismo di funzionamento, per comprendere il quale non serve a nulla la preparazione filologica e letteraria :
L’attività di recensore viene affidata a filologi o letterati, la cui erudizione scolastica non permette certo di comprendere il meccanismo della scena o lo sviluppo e la limitazione di tutto ciò che è 1
F. Engel, Kritikergedanken, « Berliner Tageblatt », 2 dicembre 1902. 3 4 Ibidem. Ibidem. Ibidem. 5 Ricordiamo che Harden si era avvicinato alla scena attraverso la pratica teatrale. Prima di diventare critico e giornalista, infatti, era stato attore in una compagnia di giro [Cfr. supra, 2. 1. 4., p. 70, nota 3]. 2
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teatro. Queste sono persone che probabilmente non hanno mai assistito a una singola prova di teatro né hanno guardato con attenzione dentro la sfera dei compiti di un regista. I migliori sono in grado di dare un giudizio fondato su un’opera letteraria. Ma la letteratura non è teatro […] Chi vuole esercitare il ruolo di giudice nel regno della ribalta deve avere in testa la biologia del teatro e sapere esattamente ciò che tra le quinte è possibile e ciò a cui qui si può ambire, e non deve essere un perfetto estraneo nella bottega del regista e dell’attore. La formazione acquisita tramite seminari o le conoscenze approfondite di letteratura non bastano. Il critico deve aver esaminato la storia della drammaturgia mondiale e dell’arte drammatica (Schauspielkunst), deve aver appreso la tecnica delle arti sceniche, e, per evitare che altrimenti gli manchi la possibilità di fare paragoni, deve aver visto con i propri occhi ciò che viene rappresentato sui più importanti palcoscenici europei. 1
Quasi tre secoli dopo il tentativo di Gottsched di restituire dignità alla scena affermandone lo statuto letterario, la critica e la cultura teatrale tedesca capovolgono i presupposti del discorso proclamando orgogliosamente l’indipendenza e l’autonomia del fatto spettacolare rispetto alle discipline letterarie. Le parole di Harden non esprimono, infatti, una convinzione personale ma sono inserite, piuttosto, in una tendenza che, proprio in questi anni, si stava affermando in Germania. Pochi mesi prima dell’inizio del “caso Sudermann”, con la fondazione a Berlino del Kleines Theater, aveva avuto inizio, di fatto, il cammino artistico di Max Reinhardt che avrebbe contribuito, in breve tempo e in modo decisivo, all’affermazione della funzione registica. 2 Intanto, all’università di Berlino, già da diversi semestri la riflessione di Max Herrmann aveva posto le basi per quella secessione degli studi teatrali dagli studi letterari che avrebbe portato alla nascita della Theaterwissenschaft. 3 Sulla scena e nella coscienza dei contemporanei, insomma, il tradizionale rapporto fra il teatro e la letteratura comincia a essere oggetto di una riflessione che culmina nella scritti di importanti teorici come Adolphe Appia, Gordon Craig e Georg Fuchs, e che non può non avere conseguenze sulla definizione dei compiti e degli strumenti della critica teatrale.
2. 3. 6. L’inchiesta della rivista « Kritik der Kritik » : la discussione intorno alla critica teatrale negli anni successivi al “caso Sudermann”
Il dibattito critico-teatrale intorno agli scritti polemici di Sudermann si conclude nei primi mesi del 1903, anno in cui vengono raccolti e pubblicati in volume gli articoli dello stesso Sudermann, di Harden e le recensioni dedicate da Kerr al drammaturgo. Ma il confronto sul ruolo e gli scopi della critica teatrale non si chiude con il “caso Sudermann”, che segna, semmai, l’inizio di una profonda auto-riflessione che investe la critica teatrale negli anni immediatamente successivi. La querelle fa emergere, infatti, alcune questioni radicate e urgenti, e i temi qui apparsi restano al centro dell’attenzione della cultura critica ancora 1
M. Harden, Kampfgenosse Sudermann, cit., pp. 49-50. In proposito si vedano anche le osservazioni di Adamski sulla posizione, vicina a quella di Harden, del critico della « Neue Freie Presse » Paul Goldmann [Cfr. H. Adamski, Diener, Schulmeister und Visionäre. Studien zur Berliner Theaterkritik der Weimarer Republik, cit., pp. 119-121]. Su Paul Goldmann cfr. infra, 2. 3. 6., p. 118, nota 4. 3 Max Herrmann nasce a Berlino nel 1865, studia a Friburgo e Berlino dove consegue nel 1889 il dottorato e nel 1891 l’abilitazione all’insegnamento universitario. Dal 1919 è professore straordinario di Filologia Tedesca all’Università di Berlino, dove diviene professore ordinario nel 1930. Herrmann tiene la sua prima lezione di “scienza del teatro” già nel 1900 sul tema “Geschichte des Theaters in Deutschland”. Nel 1923 fonda all’Università di Berlino l’istituto di Scienza del Teatro (Theaterwissenschaft), portando così a termine un progetto che già da qualche anno (1919) stava pianificando. Uno degli scopi principali dell’attività intellettuale e accademica di Herrmann è rendere autonomi, dal punto di vista disciplinare e metodico, gli studi teatrali dalla scienza letteraria. L’opera fondamentale per la determinazione di questi scopi è Forschungen zur deutschen Theatergeschichte des Mittelalters und der Renaissance pubblicata nel 1914 [Cfr. M. Herrmann, Forschungen zur deutschen Theatergeschichte des Mittelalters und der Renaissance, Berlin, Weidmann, 1914]. Herrmann, uno dei molti intellettuali ebrei-tedeschi che hanno dato un contributo fondamentale allo sviluppo delle scienze umane e naturali in Germania, venne deportato nel campo di concentramento di Theresienstadt dove morì nel 1942. 2
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per diverso tempo. Il peso del “caso Sudermann” sul dibattito critico di inizio Novecento è evidente agli stessi contemporanei, come dimostra l’incipit di uno dei molti articoli sul rapporto tra il teatro e la stampa pubblicato nel 1906 :
Tre anni fa Hermann Sudermann, con fanfare tonanti, chiamò alla battaglia contro l’imbarbarimento della critica teatrale e, nella selva dei giornali, ebbe un vasto eco con ripetizioni senza fine. Da allora la questione della relazione tra teatro e critica teatrale è stata affrontata con insolita passione sui giornali e sulle riviste e nuovi eventi offrono sempre nuovamente l’occasione di aprire la discussione [...]. 1
L’attività della rivista « Kritik der Kritik. Monatsschrift für Künstler und Kunstfreunde », su cui compare questo breve intervento di Heinrich Stümcke, rappresenta un momento fondamentale per la definizione delle concezioni dominanti nella critica teatrale dei primi anni del Novecento. 2 L’organo fondato nel 1905 da Awrun Halbert e Leo Horwitz, si propone, infatti, di mettere a disposizione di critici e artisti uno spazio per promuovere lo sviluppo di una cultura della critica teatrale e favorire una chiarificazione dei suoi obiettivi e dei suoi strumenti. 3 I quaderni del periodico, pubblicato fino al 1908 e alla cui redazione collaborano molti dei critici e degli intellettuali più significativi dell’epoca, offrono uno spaccato esemplare dei modelli critici che, in questi anni, si affrontano a viso aperto :
Vogliamo agire in modo tale che la critica diventi un’arte creativa nella produzione di secondo grado (Nachschaffen) ; la battaglia non deve essere un motivo, ma uno strumento. Il nostro compito è definito e delimitato in questo modo. 4
Sin dallo scritto programmatico con cui si apre il primo numero della rivista, è evidente il tentativo dei curatori di mantenere, all’interno di questo confronto, una posizione neutrale. Così, la critica viene definita un’attività creatrice (schöpferische Kunst) ma si specifica subito la sua posizione di secondo livello (im Nachschaffen), oppure si afferma il rifiuto di una critica che giudica senza fondare i propri giudizi, pur puntualizzando, immediatamente, che con ciò non si intende dire che il critico non possa giudicare a partire da una propria personale Weltanschauung. 5 Questa indecisione mostra, qualora ce ne fosse ancora bisogno, il focus della riflessione critica di inizio secolo, scissa tra concezioni soggettiviste ed estetizzanti e il richiamo alla sua funzione oggettiva e di servizio nei confronti dell’arte. Ma su un punto i curatori del progetto non hanno dubbi : il ruolo giocato, nella crisi della critica teatrale, dalle trasformazioni della stampa. Giornali e periodici, certo, sono la condizione primaria per l’esistenza della critica teatrale, eppure sono proprio gli interessi economici e le esigenze redazionali dei grandi gruppi industriali, che ne gestiscono la produzione e la diffusione, a ostacolare uno sviluppo autonomo e compiuto del discorso critico :
È la stampa a dominare la critica, a educare i critici e a offrire loro il terreno per sviluppare la propria capacità lavorativa. Al contempo, tuttavia, è la stampa stessa a sottrarre loro questo terreno a causa dei propri interessi vitali, del dominio delle cricche e di una faziosità unilaterale. 6
Questi argomenti, annunciati nel testo inaugurale, dominano l’inchiesta condotta nei primi cinque numeri della rivista. Tre brevi ma importanti domande sono poste ai numerosi critici e artisti chiamati a esprimere la propria opinione : « La critica ha bisogno di una ri
1 H. Stümcke, Theater und Presse, « Kritik der Kritik. Monatsschrift für Künstler und Kunstfreunde », n. 7, 1906, p. 1. 2 Per un’analisi dell’attività e degli scopi della rivista in relazione al dibattito sul “caso Sudermann” si veda anche H. Adamski, Diener, Schulmeister und Visionäre. Studien zur Berliner Theaterkritik der Weimarer Republik, cit., pp. 121-125. 3 Cfr. A. Halbert, L. Horwitz, “Kritik der Kritik”. Ziele und Grenzen, « Kritik der Kritik. Monatsschrift für 4 Ivi, p. 2. Künstler und Kunstfreunde », n. 1, 1905, pp. 1-6. 5 6 Cfr. ivi, pp. 2-3. Ivi, pp. 3-4.
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forma ? […] Quali sono i difetti principali della critica ? [...] Che ne pensate della Nachtkritik ? ». 1 Tra le righe di questi interrogativi si può leggere la mancanza di una determinazione generalmente accettata dei compiti e delle prerogative del mestiere critico. La diffusa percezione di una crisi della critica esprime, infatti, proprio la fragilità della posizione del critico teatrale e la necessità di una sua ri-definizione alla luce delle trasformazioni avvenute nel sistema teatrale e giornalistico tedesco. Ma è in particolare la terza questione che ci permette di inquadrare più precisamente il campo di problematiche che investe la critica teatrale. La Nachtkritik, la recensione scritta immediatamente dopo la chiusura del sipario e destinata ad apparire la mattina successiva nella prima edizione del giornale, sancisce, con la sua esponenziale diffusione, il dominio delle necessità giornalistiche, come la rapidità dell’informazione, sui valori tradizionali che indicano nella ponderatezza e nella precisione del giudizio il fine della scrittura critica. Il critico pare dunque assumere sempre più marcatamente i tratti del reporter teatrale ; un mutamento che discende da ragioni sistemiche e a cui, perciò, non può essere semplicemente opposto un rifiuto. È per questa ragione che, tra i critici che intervengono nell’inchiesta, molti non si preoccupano di difendere posizioni destinate inevitabilmente a essere superate dai tempi ma preferiscono piuttosto cercare un confronto dialettico con le esigenze del nuovo giornalismo culturale. Maximilian Harden, ad esempio, pur non giudicando eccessivamente dannosa la Nachtkritik, propone come soluzione, per conciliare informazione e giudizio, l’usanza parigina di pubblicare una doppia recensione, la prima scritta nella notte seguente alla messinscena e che contenga le informazioni essenziali sull’evento, e la seconda, ad opera di un critico teatrale, che offra, successivamente, un giudizio critico-estetico approfondito e analitico :
La consuetudine di presentare un resoconto il mattino successivo alla rappresentazione non potrà più essere abolita. Non ha alcun senso infuriarsi contro ciò che è immutabile. In realtà non credo che tale consuetudine sia particolarmente dannosa [...]. Più saggia e più utile ritengo sia tuttavia la tradizione che si è affermata a Parigi (ad esempio nel «Journal des Débats» o in «Temps») : il mattino successivo al debutto un reporter di valore racconta l’andamento esteriore della serata, il contenuto del dramma, l’accoglienza che gli è stata riservata, la fisionomia del pubblico e cose simili ; e ogni lunedì il critico pubblica il suo feuilleton teatrale, che, quando la settimana non ha offerto nessuna occasione di rilievo, tratta di questioni teatrali di carattere generale. 2
Di questo stesso avviso sono numerosi critici e autori, come Stefan Zweig 3 e Paul Goldmann, 4 che si richiamano, nell’illustrare la soluzione, all’esempio dei giornali viennesi e
1 Unsere Umfrage [Inchiesta], « Kritik der Kritik. Monatsschrift für Künstler und Kunstfreunde », n. 1, 1905, p. 7. 2 M. Harden, [Senza titolo], in Unsere Umfrage [Inchiesta], « Kritik der Kritik. Monatsschrift für Künstler und Kunstfreunde », n. 1, 1905, pp. 15-16. 3 Stefan Zweig nasce a Vienna nel 1881. Studia Germanistica, Romanistica e Filosofia tra la capitale austriaca e Berlino, dove consegue il dottorato nel 1904. A partire dai primi anni del Novecento scrive feuilleton, pubblica raccolte di poesie e compone diverse novelle e drammi. L’incontro con la psicologia freudiana, intorno al 1910, è un’importante fonte di ispirazione per la sua attività letteraria. Nel primo decennio del secolo compie numerosi viaggi in Europa, Asia e America. Allo scoppio del primo conflitto mondiale è volontario presso il quartier generale della stampa di guerra a Vienna. Nel 1917, divenuto convinto pacifista, si trasferisce, per qualche tempo, nella neutrale Svizzera. Tra il 1919 e il 1934 vive a Salisburgo. È in questo periodo che raggiunge l’apice del proprio successo letterario : pubblica novelle come Brief einer Unbekannten (1922) e Der Amokläufer (1922) e alcune celebri trilogie di saggi critico-biografici come Der Kampf mit dem Dämon (1925) (su Hölderlin, Kleist e Nietzsche) e Drei Dichter ihres Lebens (1928) (su Casanova, Stendhal e Tolstoj). Dopo la presa del potere dei nazionalsocialisti emigra, nel 1934, a Londra e, nel 1941, in Brasile, dove, nel febbraio del 1942, si toglie la vita. 4 Paul Goldmann, giornalista, scrittore e traduttore, nasce a Breslau, in Slesia, nel 1865. Dopo lo studio di Giurisprudenza si dedica al giornalismo. Dal 1890 al 1892 lavora a Vienna per la « Neue Freie Presse ». Tra il 1892 e il 1902 è corrispondente della « Frankfurter Zeitung » da Bruxelles, Parigi e, più tardi, dalla Cina. Nel 1902 ritorna alla « Neue Freie Presse » e diventa corrispondente teatrale da Berlino per il giornale viennese. Durante il primo conflitto mondiale passa al giornalismo di guerra. Dopo la presa del potere dei nazionalsocialisti è costretto a tornare a Vienna dove muore nel 1935.
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ad alcuni giornali tedeschi. Lo stesso Alfred Kerr dimostra un atteggiamento aperto nei confronti della Nachtkritik e afferma che ogni forma di giudizio critico ha una parziale validità che viene precisata e integrata dai giudizi posteriori – al culmine dei quali pone l’osservazione dello storico – ma che non per questo perde la propria legittimità. Afferma Kerr riproponendo la sua teoria di una critica-opera d’arte : 1
Breve e buono : non conta tanto la prassi – che si tratti di una critica scritta lentamente o rapidamente – ma piuttosto la qualità di coloro che la esercitano. In un ambito artistico (come è la critica) ciò che pesa non sono le istituzioni ma le personalità. 2
La diffusione della Nachtkritik non pone soltanto il problema della definizione del ruolo e della funzione specifica del giornalismo teatrale ma mette, parimenti, al centro della questione il dibattito intorno agli strumenti del critico teatrale. La necessità di esprimere un giudizio subito dopo la fine dello spettacolo pare, infatti, spingere verso un atteggiamento impressionista e descrittivo : se non c’è il tempo per produrre un discorso solido e strutturato sarà l’immediata reazione sensibile del critico a determinare i suoi ragionamenti. L’impressionismo nella critica teatrale di inizio secolo appare perciò non solo il frutto di una posizione teorico-estetica, ma anche una risposta al rinnovamento delle forme di comunicazione e della percezione dell’opera d’arte teatrale. Sotto questo aspetto è assolutamente esemplare la risposta che Fritz Engel dà all’inchiesta di « Kritik der Kritik ». Secondo Engel, infatti, ciò che conta per il critico teatrale è la prima impressione che egli riceve dall’opera d’arte e non è tanto importante se egli la traduce in parole subito dopo l’evento teatrale o nelle settimane che seguono. Il fine dell’opera d’arte è evocare atmosfere, il compito della critica è percepirle e fissarle, ed è per questo che, continua Engel, non c’è nessun momento migliore per scrivere una recensione che l’ora successiva alla fine dello spettacolo, quando il critico è ancora parte dell’organismo artistico appena fatto vivere sulla scena :
Le rappresentazioni artistiche devono evocare atmosfere ; è per questo che esistono. Queste atmosfere devono essere fissate e spiegate ; è per questo che esiste la critica. Forse è una cosa del tutto personale se affermo che per adempiere a quest’obbligo non esiste momento migliore che l’ora immediatamente successiva alla calata del sipario. In quel momento l’anima risuona ancora. In quel momento si è ancora parte dell’organismo artistico che ha dominato la serata. In quel momento forse la lode e il biasimo si esprimeranno in modo un po’ più pieno, ma non meno sincero. Perché lei chiama tutto ciò “critica d’atmosfera” (Stimmungskritik) ? Sarebbe infatti da discutere se la critica razionale (Vernunftkritik), esercitata più tardi da recensori eloquenti e che offre valutazioni a freddo, sia, nel complesso, più utile all’arte. Io, per parte mia, non credo sia così. 3
La crisi del giudizio oggettivo e la ricerca di una legittimazione della critica teatrale attraverso la sua trasformazione in un’attività creativa è l’oggetto di molte risposte intorno alle questioni poste dall’inchiesta. 4 Max Nordau, 5 ad esempio, in un’ampia riflessione sul
1 Cfr. S. Zweig, [Senza titolo], in Unsere Umfrage [Inchiesta], « Kritik der Kritik. Monatsschrift für Künstler und Kunstfreunde», n. 1, 1905, pp. 8-9 ; P. Goldmann, [Senza titolo], in Unsere Umfrage [Inchiesta], « Kritik der Kritik. Monatsschrift für Künstler und Kunstfreunde », n. 1, 1905, pp. 18-19. 2 A. Kerr, [Senza titolo], in Unsere Umfrage [Inchiesta], « Kritik der Kritik. Monatsschrift für Künstler und Kunstfreunde », n. 1, 1905, p. 16. 3 F. Engel, [Senza titolo], in Unsere Umfrage [Inchiesta], « Kritik der Kritik. Monatsschrift für Künstler und Kunstfreunde », n. 1, 1905, p. 20. 4 Stefan Zweig, proprio a partire dalla constatazione del carattere artistico della critica teatrale, nega che si possa pensare di regolamentarla o di proporne una riforma [Cfr. S. Zweig, [Risposta all’inchiesta], cit., p. 8]. 5 Max Nordau – fino al 1873 Simon Maximilian Südfeld – nasce nel 1849 a Budapest e dopo il conseguimento del dottorato nel 1875 risiede stabilmente a Parigi come medico. Già durante lo studio collabora, come giornalista, con quotidiani come il « Pester Lloid » e la « Neue Freie Presse ». È celebre soprattutto per le riflessioni sociocritiche a cui dedica numerose opere tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento e per l’impegno all’interno del movimento sionista. Muore a Parigi il 22 gennaio del 1923.
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ruolo e gli strumenti della critica teatrale, nega che il critico teatrale possa essere compreso attraverso la metafora del giudice. Il giudice, infatti, nell’esercizio della propria funzione si richiama a un canone, a una norma condivisa, e proprio un canone di questo genere non si può trovare nell’arte. Il giudizio artistico è soggettivo, si fonda sul sentimento, quella parte dell’animo umano radicata nella personalità individuale :
La critica è considerata comunemente come una specie di amministrazione della giustizia e il critico è visto come una specie di giudice che esprime una sentenza. Questo è un errore di principio dal quale scaturiscono numerosi malintesi. L’amministrazione della giustizia presuppone una legge scritta, un costume o una norma fissata, che il giudice, senza alcuna considerazione per la persona giudicata ed escludendo il più possibile i sentimenti personali, deve applicare in modo strettamente oggettivo. Nell’arte questo canone non esiste. Il giudizio su di un’opera d’arte può anche non essere ottenuto attraverso l’applicazione obiettiva di una norma. L’arte si rivolge al sentimento, e questo è la funzione più soggettiva di una personalità. Questo esclude in partenza la possibilità di esprimere su di un’opera d’arte un’opinione di validità generale, di stampo per così dire artistico-giuridico. Un giudizio artistico può essere solamente soggettivo […]. 1
Se la critica è un’attività soggettiva e legata alla costituzione irriducibilmente individuale del critico, la questione del suo rinnovamento non sarà riconducibile dunque a una riforma dell’attività critica e dei modi in cui essa viene esercitata, quanto alla presenza o meno di critici teatrali in grado di interpretare adeguatamente tale ruolo. Questo il pensiero di critici come Kerr, Engel o Jacobsohn. Se Engel individua il maggior problema della critica contemporanea nell’assenza di un genio critico che possegga la capacità di appianare la strada a una grande arte popolare e di colmare il divario tra il gusto critico e il gusto del pubblico, 2 Jacobsohn, in modo ancora più radicale afferma :
Non esiste una critica, esistono solo critici. Per questo alla domanda se la critica attuale abbia bisogno di una riforma posso al massimo rispondere che molti critici odierni hanno bisogno di una riforma. Quelli che non ne hanno bisogno sono coloro che sono muniti di una solida formazione letteraria, che hanno un carattere affidabile, coraggio, capacità di giudizio, comprensione e che sono legati alla loro materia, il teatro, da interesse – e che per questo nella maggior parte dei casi si trovano nel posto sbagliato. Questi, con qualche abilità, potranno redigere, oltre alla critica giornaliera, settimanale e mensile, anche la Nachtkritik, persino in quei rari casi in cui non è possibile leggere il dramma prima dello spettacolo. 3
Ritorna, in queste parole di Jacobsohn, editore da circa un anno dell’importante rivista teatrale « Die Schaubühne », l’idea, sostenuta da Harden, di una diffusa incapacità di riconoscere la specificità del mezzo teatrale. Un tema già annunciato da Paul Goldmann che afferma, nel primo numero della rivista, che il peggioramento della critica teatrale tedesca è causato dal fatto di essere composta per la maggior parte da germanisti che, mettendo in contrasto teatralità e letterarietà, pretendono che il teatro rinunci alla propria essenza. 4 Ma l’intervento di Goldmann dimostra come questa stessa posizione non sia inserita in una matura teoria del rapporto tra teatralità e letterarietà ma rimandi, piuttosto, alla dominante concezione estetizzante e soggettivista :
1 M. Nordau, [Senza titolo], in Unsere Umfrage [Inchiesta], « Kritik der Kritik. Monatsschrift für Künstler und Kunstfreunde », n. 1, 1905, p. 10. 2 Cfr. F. Engel, [Senza titolo], in Unsere Umfrage [Inchiesta], cit., p. 19. 3 S. Jacobsohn, [Senza titolo], in Unsere Umfrage [Inchiesta], « Kritik der Kritik. Monatsschrift für Künstler und Kunstfreunde », n. 5, 1906, p. 274. 4 Cfr. P. Goldmann, [Senza titolo], in Unsere Umfrage [Inchiesta], cit., pp. 17-18. Già alla fine del 1903, in un articolo dedicato al dibattito aperto dagli articoli di Sudermann, Goldmann aveva espresso questa posizione [Cfr. H. Adamski, Diener, Schulmeister und Visionäre. Studien zur Berliner Theaterkritik der Weimarer Republik, cit., pp. 119-121].
alfred kerr e la critica teatrale tedesca tra il 1887 e il 1918
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L’arte si rivela solo alla personalità artistica. E proprio perché i germanisti che si occupano di teatro sono di regola uomini colti, scrupolosi, seri, e persino dotti, ma sono molto raramente anche personalità artistiche, essi sono inappropriati all’attività del critico. 1
Una concezione che incontra una forte opposizione nelle fila di coloro che affermano la necessità di una critica che riconosca la propria specificità, ritorni a occupare un ruolo oggettivo e rinunci alle proprie velleità artistiche. L’intervento di Emil Lucka, 2 nel quarto numero della rivista, rappresenta senza dubbio uno dei contributi più interessanti in questo senso. La crisi dell’oggettività nel discorso estetico aveva comportato, come abbiamo avuto modo di vedere, una diffusa percezione della soggettività dei metri di giudizio che aveva a sua volta causato il rifiuto di parametri sovra-individuali nella valutazione critica. Ma Lucka, molto acutamente, mostra l’ingenuità delle premesse di questa concezione. La formulazione di una valutazione, di qualsiasi genere essa sia, presuppone, infatti, l’assunzione che ciò che si sta affermando incontrerà una forma di approvazione o di disapprovazione. La riflessione critica, dunque, nel momento stesso in cui si propone come un discorso rivolto a un pubblico che può comprenderne i giudizi, presuppone una forma, almeno residuale, di condivisione sovra-individuale, cosa che mette fuori gioco il soggettivismo radicale. Afferma Lucka :
Ora il soggettivismo a-critico, che regna nelle regioni della moderna filosofia popolare, ha conquistato numerosi giudici d’arte (Kunstrichter) o coloro che ritengono di essere tali. Loro credono di aver raggiunto un punto di osservazione più elevato non aspirando a un giudizio obiettivo e ben fondato ma esprimendo semplicemente un giudizio in virtù della propria “individualità”. Ma questa rinuncia a un giudizio obiettivo, che si presenta in modo così moderno e relativista, è, nel migliore dei casi, frutto di un’illusione. Perché anche questo critico, forse senza saperlo, presuppone che i suoi giudizi siano validi, se non per tutti, almeno per qualcuno al di là di se stesso. 3
Alfred Kerr viene considerato, dai critici che si oppongono all’imperante soggettivismo, il maggior rappresentante di questa tendenza, ed è per questo che, anche laddove non è citato direttamente, il nome di Kerr risuona continuamente nelle prese di posizione polemiche. 4 L’articolo di Rudolf Kurtz, Dichter als Kritiker, pubblicato nel quinto numero della rivista, è, da questo punto di vista, un esempio eminente. In questo breve testo scritto in forma dialogica due personaggi fittizi, Hans e Kurt, si confrontano sullo statuto della critica teatrale e sulla sua relazione con la produzione artistica. Hans, sostenitore di una differenza di principio tra il critico e l’artista, argomenta la propria posizione con lucidità e precisione, Kurt, entusiasta fautore dell’identificazione tra critico e artista, appare incapace, nella sua ingenua esaltazione, di dare un solido fondamento alla propria teoria. Le parole di Kurt, pur offrendone un ritratto molto parziale, paiono tratte letteralmente dagli scritti programmatici di Kerr :
1
P. Goldmann, [Senza titolo], in Unsere Umfrage [Inchiesta], cit., pp. 17-18. Emil Lucka nasce a Vienna nel 1877. A partire dai primi anni del Novecento comincia a collaborare con diverse riviste e giornali, pubblica saggi di critica e psicologia della cultura e scrive romanzi e poesie. Inizialmente costretto a lavorare come impiegato di banca per poter mantenere la madre e le sorelle, grazie al successo delle sue opere può presto dedicarsi unicamente all’attività di scrittore. Accanto alle opere più conosciute, come i saggi di filosofia della cultura Die drei Stufen der Erotik (1913) e Grenzen der Seele (1916) e le biografie di Otto Weininger (1905) e Michelangelo (1930), si cimenta anche con la scrittura di alcuni drammi teatrali che, tuttavia, non hanno alcun successo. Dopo l’annessione dell’Austria le sue opere vengono proibite. Muore a Vienna nel 1941. 3 E. Lucka, [Senza titolo], in Unsere Umfrage [Inchiesta], « Kritik der Kritik. Monatsschrift für Künstler und Kunstfreunde », n. 4, 1905, p. 221. 4 Ricordiamo che, proprio nel 1905, viene pubblicata la raccolta Das neue Drama, nella cui prefazione Kerr propone alcune fondamentali riflessioni programmatiche sulla critica teatrale [Cfr. A. Kerr, (Vorwort zu « Das neue Drama »), cit., pp. 296-303]. Queste riflessioni, come visto in precedenza, riprendono e sviluppano i temi già emersi nella sua risposta alla polemica innescata da Sudermann. 2
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Dopo aver assimilato l’opera il suo istinto psicologico, con un lavoro di scomposizione incessante e instancabile, ne estrae il nucleo essenziale, crea intuitivamente analogie e immagini per renderlo più convincente ed evidente e per esporre i collegamenti più fini e sottili con il loro creatore (Schöpfer) : il suo temperamento poetico scioglie le parti disarticolate in una fluida armonia, si forma così una nuova opera, immersa nei colori della gioia che il poeta gli procura. La sua volontà analitica si risolve in colori scintillanti, che cadono in modo audace e lucente sul sentiero del poeta. Questo critico, mio caro, è un poeta – o meglio : solo un poeta può essere un critico. 1
Il sesto numero della rivista è introdotto da un breve testo in cui i curatori fanno un bilancio dei primi mesi di attività di « Kritik der Kritik ». In queste pagine essi riconoscono che la rivista non ha offerto, nei suoi contributi, un punto di vista unitario sulla critica teatrale, cosa che sarebbe stata in aperta contraddizione con l’obiettivo di offrire uno spazio neutrale e imparziale ai diversi orientamenti in campo. L’unitarietà della rivista, piuttosto, deve essere ritrovata nel suo centro di interesse, l’ampliamento e l’approfondimento di una cultura della critica, ed è proprio l’inchiesta sulla critica teatrale, che si chiude con questo numero, a rappresentare un contributo eccezionale in questa direzione. Nelle numerose risposte apparse su « Kritik der Kritik » si possono leggere, infatti, le linee di tendenza che caratterizzano la critica teatrale in questi anni. Il continuo confronto tra quanti sostengono la dimensione estetica e soggettiva della critica teatrale e coloro che rifiutano questa posizione, indica che proprio questa è la concezione che domina, seppure in maniera contrastata, la critica teatrale tedesca di inizio Novecento. Non si può certamente parlare, a questo proposito, di un paradigma critico univoco ma si può constatare la presenza di un modello diffuso. La critica teatrale di inizio Novecento è, infatti, profondamente segnata da un pensiero individualista ed estetizzante ed è dominata da critici che, come Kerr, fanno della propria personalità il centro del discorso critico. La politicizzazione della società e del teatro nella Repubblica di Weimar renderà questa figura inattuale e obbligherà la critica teatrale a ripensare nuovamente la propria funzione.
1 R. Kurtz, Dichter als Kritiker, « Kritik der Kritik. Monatsschrift für Künstler und Kunstfreunde », n. 5, 1905, p. 256.
3. Kerr, Ihering e la critica teatrale nella Repubblica di Weimar (1919-1933) 3. 1. Weimar
L
afine
della prima guerra mondiale rappresenta per la Germania, più che per ogni altro paese coinvolto nel conflitto, un momento di radicale cesura rispetto alle forme politiche e culturali del passato. La società tedesca vive, tra la fine del 1918 e l’inizio del 1919, uno sconvolgimento senza precedenti, con la capitolazione militare e il rapido diffondersi di una rivoluzione politica che porta, in pochi giorni, alla fine del regime monarchico. Insieme al Kaiser scompare in modo improvviso l’era guglielmina con la sua ambigua modernità, per lasciare il posto alla prima democrazia tedesca, che sopravvive, tra crisi e splendore, fino alla presa del potere dei nazionalsocialisti nel 1933. Socialmente inquieta e politicamente instabile, la Repubblica di Weimar rappresenta la cornice di uno dei momenti più ricchi e fecondi per la cultura tedesca. Il teatro, in particolare, raccoglie l’impulso di rinnovamento proveniente dalla società e lo riflette nelle sue forme : la scena diventa tribuna politica e civile, e la critica teatrale, sua principale interlocutrice, si trova posta di fronte a nuovi interrogativi a cui il modello impressionista non pare più in grado di dare risposta. La investe ora una nuova forma di impegno ed essa si candida, seppur con alterno successo, a ricoprire un ruolo centrale nella coscienza dell’opinione pubblica tedesca. Alfred Kerr, il più celebre critico dell’epoca precedente, non si sottrae alle trasformazioni in atto e, accentuando l’orientamento progressista e democratico presente sin da principio nei suoi scritti, prende attivamente parte al processo di politicizzazione del teatro e della letteratura. Una maturazione che non incide sullo stile e sull’atteggiamento del critico, che resta legato al paradigma soggettivo e impressionista sviluppato all’inizio del secolo. Proprio il ripensamento della funzione della critica teatrale rappresenta, invece, il punto di partenza di Herbert Ihering e spiega il motivo profondo del suo scontro con Kerr. A una critica sensoriale e soggettiva egli risponde con una critica che cerca i propri nuclei di valutazione “dietro le quinte”, nelle condizioni strutturali e produttive dei processi creativi. A una critica teatrale intesa come opera letteraria egli oppone una critica che si prefigge di essere “grammatica” del teatro, dando origine a uno dei duelli più appassionanti del giornalismo teatrale degli anni venti.
3. 2. Herbert Ihering, dall’infanzia nella provincia tedesca alla critica teatrale nella grande Berlino 3. 2. 1. Infanzia e formazione di Herbert Ihering Herbert Ihering, pronipote del celebre studioso di diritto Rudolf von Ihering, 1 nasce il 29 febbraio 1888 a Springe am Deister nei pressi di Hannover e trascorre l’infanzia tra Carlshafen, Leck e Aurich, tre piccoli centri nel nord della Germania dove il padre, Georg Ihering, è giudice. Nel volume autobiografico Begegnungen mit Zeit und Menschen, 2 scritto e pubblicato nel secondo dopoguerra, il clima sereno di queste cittadine viene descritto dal critico nei tratti di un lontano e idilliaco passato. È in questa personale pre-istoria che,
1 Rudolf von Ihering (1818-1892) importante giurista e professore di diritto, è stato autore di numerose opere. Tra le più celebri la conferenza pubblicata nel 1872 con il titolo Der Kampf ums Recht, dalla quale il pronipote Herbert prenderà il titolo per il proprio saggio programmatico Der Kampf ums Theater uscito nel 1922. 2 H. Ihering, Begegnungen mit Zeit und Menschen, Berlin, Aufbau, 1963.
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stando al suo racconto, inizia a manifestarsi la prima forma di curiosità verso il teatro, un luogo ancora sconosciuto e che tuttavia stimola già la sua fantasia attraverso i biglietti colorati con cui la compagnia di giro Müller annuncia il proprio passaggio ad Aurich. Ihering ricorda come il padre, dopo avergli proibito di assistere alle messinscene dei Müller, avesse cercato di rincuorarlo ricordandogli che un giorno, al teatro di corte di Hannover, avrebbe potuto vedere uno spettacolo di ben altro livello, Robert und Bertram. 1 Proprio a Hannover, dove la famiglia si trasferisce nella pasqua del 1901, l’acerba curiosità verso il teatro si trasforma in una passione matura e consapevole, ma non è Robert und Bertram, come aveva previsto il padre, a colpire la sua attenzione, bensì il capolavoro di Heinrich von Kleist, Die Hermannsschlacht. Insieme all’entusiasmo per Kleist, le prime frequentazioni teatrali suscitano nel futuro critico un’istintiva repulsione verso Friedrich Schiller generata, tuttavia, come riconoscerà egli stesso qualche anno dopo, dalla ricezione patriottica e borghese delle sue opere più che dal loro reale valore. 2 Il trasferimento a Hannover, una città di circa 250.000 abitanti, rappresenta per Ihering un fondamentale momento di passaggio : qui egli prende congedo dal mondo incantato e protetto dell’infanzia e inizia a sviluppare uno sguardo critico e analitico nei confronti della realtà che lo circonda. 3 Affiora, nel suo ricordo di questi anni, uno spaccato della Germania di inizio Novecento, irrigidita nella struttura gerarchica contro cui il dramma espressionista alzerà il suo grido liberatorio. Hannover appare al giovane come una città conservatrice e dominata dalle convenzioni sociali, ed egli può riconoscere soltanto nella scena teatrale un’autenticità che nella vita quotidiana era altrimenti inaccessibile :
Per questo credo che il lettore comprenderà il significato del teatro a Hannover per un giovane che non scorgeva il senso dell’esistenza nelle forme e nelle convenzioni sociali. Il teatro per lui non era solo avventura e distrazione, territorio del sogno e della fantasia. Il teatro era il suo occhio e il suo orecchio. Attraverso il teatro succhiava bramoso la vita reale che intorno a lui era fissata in maschere e spirito di casta [...]. 4
Il teatro come luogo di verità : così, come nota acutamente Schöne, la relazione tra teatro e vita si annuncia per Ihering capovolta rispetto alla formulazione che ne aveva dato Kerr. 5 Se, infatti, per il critico di Breslau la vita era considerata il luogo immediato della verità e la scena doveva accettare il suo carattere secondario e finzionale, per il suo futuro collega il teatro si manifesta, sin dagli anni giovanili, come un luogo che contiene in sé una propria verità, autonoma, indipendente e per nulla inferiore rispetto a quella della realtà fenomenica e sociale. Come affermerà qualche anno dopo nel saggio Der Kampf ums Theater, lo scopo del teatro non è alludere o fingere, e non possono, perciò, essere le leggi della realtà a definire i confini delle sue possibilità. 6 La percezione di un mondo prigioniero di forme vuote ed esteriori, caratterizza anche il giudizio di Ihering sull’esperienza universitaria iniziata nel 1906 a Friburgo e proseguita, senza essere tuttavia conclusa, tra Monaco e Berlino. Nei corsi e seminari frequentati egli osserva i limiti di un approccio biografico e psicologico incapace di offrire uno sguardo complessivo sui fenomeni artistici e letterari presi in esame. Soltanto il primo corso di letteratura tedesca frequentato a Friburgo, presso la cattedra di Roman Woerner, gli offre l’esempio di quella costruzione di prospettive articolate che egli sente di esigere dall’osservazione critica e dall’approfondimento storico. 7 Berlino, dove si trasferisce nell’autunno del 1907, è un centro culturale e artistico di grandissima importanza. Dominatore indi
1
2 Cfr. ivi, p. 38. Cfr. ivi, p. 59. 4 Cfr. ivi, p. 43. Ivi, p. 63. 5 Cfr. L. Schöne, Neuigkeiten vom Mittelpunkt der Welt. Der Kampf ums Theater in der Weimarer Republik, cit., p. 86. 6 Cfr. H. Ihering, Der Kampf ums Theater (1922), KuT, p. 174. 7 Cfr. H. Ihering, Begegnungen mit Zeit und Menschen, cit., p. 75. 3
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scusso della scena teatrale è l’austriaco Max Reinhardt, giunto in quel momento all’apice del successo come regista e direttore teatrale. Ma la scena di Berlino non è soltanto Reinhardt, al Lessingtheater Otto Brahm continua a rappresentare un punto di riferimento per lo stile realista, mentre numerosi altri teatri, dei generi più disparati, conferiscono alla capitale tedesca un’incredibile e unica vivacità :
A Berlino il teatro apparteneva agli organi di respiro della città, era una parte della sua identità, necessario come le strade, le metropolitane, gli appartamenti, i ristoranti, necessario come la Sprea, il Wannsee e il Grunewald, necessario come il lavoro, le fabbriche e Potsdam, necessario, dunque ovvio come lei stessa. 1
Il dibattito teatrale e letterario investe la città, i suoi spazi e i suoi numerosi quotidiani. Una nutrita bohème di artisti, registi, attori e giornalisti popola i suoi celebri caffè, alla cui vita Ihering prende parte con interesse e entusiasmo, come emerge nel racconto delle nottate passate al Café des Westens, dove ha l’occasione di conoscere attori come Paul Wegener, di scambiare qualche battuta con Felix Hollaender, o di scorgere Karl Kraus, vera e propria celebrità della pubblicistica di lingua tedesca. 2 Nella capitale del Reich Ihering frequenta inoltre, alla Friedrich-Wilhelms-Universität, i corsi di Eric Schmidt, figura fondamentale per la formazione di un’intera generazione di critici teatrali. Ma il giudizio sul celebre professore è secco e tagliente. Gli applausi che lo accolgono nelle aule gremite gli appaiono, infatti, come il risultato della capacità di sedurre gli studenti con il richiamo ai nomi attuali del teatro e della letteratura più che il frutto di un pensiero effettivamente capace di penetrare nella struttura profonda delle forme di espressione contemporanee. 3 Un giudizio che non è affatto isolato e che si inserisce in una visione negativa dell’intero mondo accademico, verso il quale il giovane sviluppa una diffidenza che lo porterà, più avanti, a criticare aspramente anche la fondazione da parte di Max Herrmann di una disciplina universitaria dedicata alle scienze teatrali, la Theaterwissenschaft. 4 Non è dunque nel contesto accademico che Ihering forma il proprio pensiero teatrale e drammaturgico. Egli non sarebbe diventato uno dei numerosi “Doktor” che, in questi anni, popolano le redazioni dei giornali e i teatri berlinesi. Recatosi presso la biblioteca del teatro di corte di Braunschweig con lo scopo di iniziare un lavoro dottorale su Ernst August Klingemann, autore drammatico vissuto tra il 1777 e il 1831, Ihering assiste per caso a una violenta lite tra il direttore e due interpreti d’opera. L’episodio assume per lui un valore emblematico ed è immediata la sua presa di coscienza : descrivere e raccontare l’attualità vivente del teatro, non ricostruire l’opera di autori dimenticati, sarebbe stato d’ora in poi il suo compito. 5 Un compito che lo conduce presto a cimentarsi con la scrittura critica, unico strumento adeguato a dialogare con la realtà viva e dinamica del palcoscenico.
3. 2. 2. Il debutto alla « Schaubühne » e i primi anni di attività critico-teatrale
La ricchezza e la varietà che contraddistingue il teatro berlinese di questo periodo si riflette nell’incredibile vitalità della pubblicistica teatrale. Nella capitale tedesca sono attivi critici come Alfred Kerr, Siegfried Jacobsohn, Arthur Eloesser, che scrivono su quotidiani e riviste di alto livello e ampia diffusione portando avanti la grande tradizione della critica teatrale berlinese : 6 un’istituzione che, attraverso il lavoro di figure dello spessore di Theodor Fontane, Otto Brahm e Paul Schlenter aveva da tempo impostato un dialo
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Ivi, p. 116. 3 Cfr. ivi, p. 126. Cfr. ivi, pp. 110-111. 4 Cfr. ivi, p. 111. Si veda inoltre il riferimento sprezzante ai seminari di scienze del teatro definiti “camere degli orrori” in H. Ihering, Reinhardt, Jessner, Piscator oder Klassikertod ? (1929), KuT, p. 308. 5 6 Cfr. H. Ihering, Begegnungen mit Zeit und Menschen, cit., pp. 112-113. Cfr. ivi, p. 141. 2
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go duraturo ed efficace con il mondo della scena e con un ampio pubblico di spettatori e lettori. Il debutto giornalistico di Ihering avviene nel 1909 sulle pagine della prestigiosa « Schaubühne », forse la più importante rivista teatrale del Reich, fondata e diretta da Siegfried Jacobsohn nel 1905, e con la quale il critico continuerà a collaborare, da allora e con poche interruzioni, fino al 1933. 1 Wortdramen als Tondramen, il primo scritto pubblicato sulla rivista, è una breve riflessione sulla trasposizione musicale dei drammi di prosa. 2 Una riflessione che si propone come un’analisi sistematica ed è composta in quello stile sobrio e obiettivo che caratterizzerà la maturità del critico. La scrittura di Ihering appare già straordinariamente distante dalle temperie impressionista. La critica non è comunicazione delle impressioni soggettive del recensore ma attività di precisazione concettuale, di analisi e di costruzione dei fondamenti teorici del discorso teatrale. Oggetto dell’attacco polemico di Ihering in Wortdramen als Tondramen è la Salomé di Strauss, scelta come esempio di un errore culturale e concettuale. Lo scioglimento dell’azione drammatica nelle atmosfere e nelle suggestioni musicali finisce, infatti, secondo Ihering, per neutralizzare i tratti anti-conformisti dell’opera di Wilde e per ostacolare la partecipazione dello spettatore all’azione drammatica :
Il musicista prende il posto del poeta (Dichter). Nell’interesse della nostra cultura teatrale ciò deve essere deplorato nel modo più profondo. Il gusto drammatico serio viene corrotto e il vero dramma letterario, psicologicamente inflessibile, viene sacrificato alla generalizzazione del dramma musicale. Dentro il dramma musicale l’ascoltatore può trasportare il proprio stato d’animo momentaneo ; mentre il dramma letterario richiede, da colui che gode dell’opera d’arte, un abbandono del proprio stato d’animo casuale e un’integrale immersione nel mondo, così spesso aspro, del poeta. 3
La collaborazione con la « Schaubühne » assume, nella formazione critica e teatrale di Ihering, la funzione che lo studio universitario non era stato in grado di assolvere : qui egli matura un pensiero estetico autonomo e comprende, nell’esercizio del proprio ufficio, che la critica teatrale deve essere qualcosa di diverso dalla mera restituzione di impressioni sensibili. 4 Jacobsohn, curatore della rivista, è un importante sostenitore, pur senza remissività, del lavoro teatrale di Reinhardt. Una linea su cui si attesta anche Ihering che nelle creazioni del regista austriaco individua i semi della scena del futuro. La formazione critico-teatrale di Ihering avviene negli anni del consolidamento della funzione della regia all’interno della creazione teatrale, un ruolo che, grazie proprio al lavoro di Reinhardt aveva incominciato ad acquistare, dai primi del Novecento, una dignità artistica e uno statuto autonomo. Sin dalle prime critiche scritte per la « Schaubühne » Ihering dedica una grande attenzione alla specificità scenica dell’arte teatrale e si dimostra consapevole della sua autonomia rispetto alla letteratura e alle altre forme di creazione artistica. Questo, tuttavia, non si traduce in un pensiero sbilanciato verso la dimensione spettacolare. Pur accogliendo gli stimoli provenienti dalla scena contemporanea, il giovane critico continua a considerare, infatti, il testo drammatico come l’essenza del fare teatrale : tra le funzioni che concorrono alla composizione dell’opera d’arte teatrale egli pone una gerarchia al cui vertice è posto il dramma. Un concetto che non avrebbe potuto esprimere più chiaramente che con le parole scelte in un saggio del 1915 dedicato al futuro del teatro tedesco :
1 Dal 1918 la « Schaubühne » cambia nome e amplia il proprio orizzonte tematico diventando « Die Weltbühne », rivista di politica, arte ed economia. Dopo la morte di Siegfried Jacobsohn, avvenuta nel 1926, la direzione della rivista viene assunta prima da Kurt Tucholsky (1926-1927) e poi da Karl von Ossietzky (1927-1933) che la guidano fino alla sua proibizione nel marzo del 1933. In proposito si veda : G. Nickel, Die Schaubühne – Die Weltbühne. Siegfried Jacobsohns Wochenschrift und ihr ästhetisches Programm, cit. 2 H. Ihering, Wortdramen als Tondramen (28 gennaio 1909), in RbB, i, pp. 29-32. 3 Ivi, p. 32. 4 Cfr. H. Ihering, Begegnungen mit Zeit und Menschen, cit., p. 157.
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Lo sviluppo del teatro dipenderà sempre dallo sviluppo del dramma. Per questa ragione tutte le riflessioni che discutono di un perfezionamento del teatro tedesco senza essere sicure del perfezionamento del dramma tedesco dovranno rimanere necessariamente frammentarie. 1
L’idea di un primato della scrittura drammatica nei confronti degli altri momenti di cui si compone lo spettacolo teatrale, si consolida e diventa, nel corso degli anni, uno dei paradigmi portanti dell’estetica teatrale del critico. Egli è convinto che gli strumenti scenici non debbano essere considerati come strumenti neutrali al servizio della volontà del regista, bensì come un mezzo per esprimere un contenuto che deve essere già presente nella poesia drammatica. L’ipertrofia della regia verrà considerata perciò dal critico, negli anni della maturità, un errore frutto di un’incomprensione storico-culturale. Un concetto che è ribadito con chiarezza in uno scritto dedicato, nel 1929, alla messinscena del repertorio classico :
Le conseguenze della follia della regia vengono presupposte come dati di fatto. Ciò che originariamente era al servizio del dramma, come il perfezionamento dei macchinari e l’edificazione di una scena ingegneristica, ha da lungo tempo divorato il dramma. 2
Ihering pone, dunque la poesia drammatica al centro della creazione teatrale, ma lo fa, tuttavia, diversamente da quanti cercano di ricondurre l’arte teatrale alla letteratura. La scrittura destinata alla scena, infatti, non appartiene, secondo il critico, alla pagina letteraria, bensì alla creazione teatrale : la parola pensata per la scena è una parola gestuale, una parola che si completa nel movimento del corpo nello spazio e che in sé contiene già la propria traduzione mimica. Ihering, a differenza di Kerr, coglie la funzione essenziale del gesto e del corpo nella determinazione della specificità del fare teatrale e si dimostra dunque sensibile agli elementi di novità che caratterizzano il teatro e la riflessione teatrale dell’inizio del Novecento. Mentre Kerr rimane, infatti, sostanzialmente legato a una visione letteraria del fatto teatrale, Ihering considera il testo drammatico come uno spartito che si compie soltanto nella sua traduzione scenica. Un’idea che emerge con chiarezza nelle righe finali del saggio Kritik und Regie, composto e pubblicato nel 1921, e in cui Ihering definisce la creazione mimica (das mimische Schaffen) come l’essenza del teatro : un’essenza che il critico “letterato” non può certo riconoscere e comprendere. 3 Proprio quest’idea di una contiguità fenomenologica tra parola drammaturgica e azione scenica, permette a Ihering di sottolineare, senza entrare in contraddizione con il privilegio accordato al dramma, la funzione fondamentale che attori e registi posseggono nello sviluppo di nuove forme drammaturgiche. L’energia portante della creazione teatrale proviene certamente dalla poesia drammatica, ma, proprio perché essa è parola per la scena, l’impulso per il suo progresso può nascere anche da nuove interpretazioni spettacolari. Nel citato articolo del 1915 il critico afferma :
Ciononostante si può già ora mostrare cosa è necessario per il teatro, dal momento che anche ciò che noi possediamo letterariamente è passibile di un’altra interpretazione scenica. E forse, per inverso, se il dramma del presente viene rappresentato in un altro modo ciò può esercitare un effetto sul dramma del futuro, come lo stile scenico odierno ha influenzato senza dubbio la scrittura drammatica (Bühnendichtung). 4
La poesia drammatica è dunque il centro da cui si irradiano le molteplici possibilità della creazione teatrale e il compito del regista è cogliere una di esse e tradurla, con gli strumenti adeguati, nel linguaggio della scena. La regia, dunque, non è soltanto un’illustrazione pas1
H. Ihering, Die Zukunft des Theaters, « Die Schaubühne », a. xi, n. 26, 1 luglio 1915, p. 15. H. Ihering, Reinhardt, Jessner, Piscator oder Klassikertod ?, cit., p. 309. 3 Cfr. H. Ihering, Kritik und Regie (11 maggio 1921), in KuT, p. 12. 4 H. Ihering, Die Zukunft des Theaters, cit., p. 15.
2
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siva del dramma bensì uno strumento in grado di compierlo e completarlo. Il significato delle opere drammatiche non è univoco, ma aperto al mutamento storico e culturale : una concezione teatrale sviluppata nella Berlino di Reinhardt, e che si rivelerà tuttavia particolarmente adatta, durante gli anni della Repubblica di Weimar, ad affrontare la difficile questione della reinterpretazione scenica del repertorio tradizionale. Ma, intanto, Ihering continua nel proprio percorso critico-teatrale : intorno al 1913 inizia a collaborare con il « Berliner Börsen-Courier » e dall’agosto al dicembre dello stesso anno viene assunto dalla « Vossische Zeitung ». 1 Negli scritti di questa fase emerge non soltanto un pensiero teatrale maturo ed elaborato, ma anche una prima forma di attenzione verso fattori che tradizionalmente erano stati considerati marginali dalla critica teatrale. Nel marzo del 1913, ad esempio, il critico pubblica, sul « Berliner Börsen-Courier », un articolo dedicato ai piccoli teatri delle zone popolari e al loro pubblico proletario e piccolo borghese. 2 Niente appare più lontano dall’arte dei maggiori teatri berlinesi, che la descrizione di uno di questi teatri popolari, il Kasinotheater, dove « si presenta una formosa soubrette che canta d’uomini, si batte il petto e aggiunge cose ambigue che vengono poi riprese e rilanciate da un comico ». 3 Il critico non guarda questi teatri con pregiudizio intellettuale e senso di superiorità, bensì con vivo interesse e partecipazione, come fosse convinto di trovare in essi interessanti indicazioni sul futuro della scena. Questa attenzione verso la cultura popolare e le forme “minori” di spettacolo si ritrova in numerosi momenti della vita teatrale dell’epoca, basti pensare al lavoro di Mejerchol’d, in Russia, sulla commedia dell’arte e sul circo, o al manifesto futurista Il teatro di Varietà pubblicato da Marinetti proprio nel 1913, o ancora, per tornare in Germania, al successo riscosso dalle farse e dagli sketch di Karl Valentin. Nell’analisi e nella descrizione del pubblico proletario e delle rappresentazioni dei teatri di periferia Ihering dimostra inoltre una spiccata attenzione verso la caratterizzazione sociologica, un elemento che, nel corso degli anni venti, diventa uno dei tratti più caratterizzanti della sua scrittura :
Uomini che nei propri appartamenti durante la giornata non ascoltano altro che il chiasso prodotto dai camion e dalle vetture da lavoro o il rimbombare degli apparecchi elettrici, uomini le cui ampie strade precipitano nell’oscurità perché – perlomeno nelle zone lontane dell’est – sono scarse le lampade ad arco e sono presenti solo le illuminazioni a gas le cui luci dirette sull’ampiezza della carreggiata e del marciapiede raggiungono a stento le insegne delle distillerie e dei negozi, ecco, abitanti come questi, si pensa possano essere stuzzicati nella propria fantasia soltanto dal baccano, dalle esplosioni e dal chiasso. Si suppone che in questi teatri le principali attrattive siano le seduzioni, i disonori, l’omicidio, la persecuzione, la battaglia tra i criminali e la polizia. Qui si spera di trovare torture crudeli, rivelazioni, maschere strappate, magnanimità e furfanterie di dimensioni mitiche. Ma l’audacia di questo pubblico non corrisponde alla sua fama. 4
3. 2. 3. Prologo di una battaglia : la prima polemica contro Alfred Kerr e il caso Kerr - Jagow
Nella prima fase di attività giornalistica (1909-1914) Ihering sviluppa un pensiero teatrale i cui elementi fondamentali verranno mantenuti e consolidati nel periodo successivo. In 1 Cfr. F. I. Lingnau, Vom Glühwürmchen zum Großkritiker (1888-1932), in S. Göschel, C. Kirschstein, F. I. Lingnau, Überleben in Umbruchzeiten. Biographische Essays zu Herbert Ihering, cit., pp. 21-87, p. 31. Nella propria autobiografia Ihering ricorda che il primo incarico affidatogli alla « Vossische Zeitung » fu la critica dello spettacolo di inaugurazione della stagione del Kleines Theater sotto la nuova direzione di George Altmann [cfr. H. Ihering, Begegnungen mit Zeit und Menschen, cit., p. 170], che ebbe luogo nel settembre 1913 [cfr. Neuer Theater-Almanach : theatergeschichtliches Jahr- und Adressen-buch, Genossenschaft Deutscher Bühnen-Angehöriger, Berlin, Günther, 1914, p. 140]. La fine della collaborazione con la « Vossische Zeitung » viene fatta invece coincidere da Ihering con il passaggio del giornale al gruppo Ullstein [cfr. H. Ihering, Begegnungen mit Zeit und Menschen, cit., p. 179], che avvenne tra la fine di novembre 1913 e gennaio 1914 [cfr. O. Ohmann, Berlin 1913. Unsere Stadt vor 100 Jahren, Berlin, bz Ullstein, 2012, p. 340]. 2 Cfr. H. Ihering, Nordöstliche Vorstadttheater (11 marzo 1913), in RbB, i, pp. 66-71. 3 4 Ivi, p. 69. Ivi, pp. 66-67.
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questi anni stessi egli inizia, inoltre, a dare forma a una riflessione sulla funzione e sugli strumenti della critica teatrale. Un percorso che lo porta a trovare in Alfred Kerr non soltanto un avversario ideale, ma anche un modello a partire dal quale costruire, in negativo, una personale proposta critico-teatrale. Non è perciò un caso che il secondo contributo che il giovane critico propone alla rivista diretta da Jacobsohn sia proprio un intervento contro il critico di Breslau, redatto in seguito alla lettura di una recensione scritta da Kerr sul Macbeth messo in scena da Meinhard e Bernauer. 1 Il fatto che il critico del « Tag » lodi questa messinscena realizzata nello stile di Reinhardt, uno dei registi da lui più avversati, appare a Ihering come un gesto di profonda incoerenza intellettuale. La coerenza e l’obiettività del giudizio appaiono fin da ora al giovane collaboratore della « Schaubühne » come un’esigenza primaria e irrinunciabile dell’agire critico : « Contro questa preferenza accordata alla copia nei confronti dell’originale il mio sentimento di giustizia si era indignato [...] ». 2 La concezione critica di Kerr è, tuttavia, un argomento troppo complesso e importante per essere sviluppato in relazione a un singolo episodio ed è per questo che Jacobsohn propone al giovane collaboratore di preparare sulla questione un contributo ampio e di carattere generale. 3 Così, dopo uno studio approfondito delle opere del critico di Breslau, Ihering redige un articolo approfondito e puntuale, nel quale i presupposti della poetica di Kerr vengono analizzati e confrontati con i risultati effettivi della sua attività critica. 4 Jacobsohn, pur accogliendo positivamente il contributo, esita a pubblicarlo fino a che, ritenendo il momento inopportuno, decide di restituire il manoscritto al proprio collaboratore. 5 Nel corso di pochi mesi, tuttavia, alcuni eventi modificano inaspettatamente la situazione. All’inizio del 1911 Traugott von Jagow, presidente della polizia berlinese, ordina la confisca di due numeri di « Pan » dove sono contenuti alcuni estratti dai diari di viaggio di Flaubert, considerati indecenti, e due interventi di Kerr piuttosto critici verso l’operato della polizia berlinese e il suo presidente. 6 Ma una scoperta fortuita offre alla rivista berlinese, poche settimane dopo, l’occasione di reagire alla misura repressiva sferrando un attacco senza precedenti allo stesso von Jagow. Durante la prova generale della messinscena di Die Hose presso il Kammerspiele, per distrarre von Jagow, presente in platea, era stata fatta sedere accanto a lui Tilla Durieux e l’attrice era riuscita talmente bene
1 Rudolf Bernauer (1880-1953) e Carl Meinhard (1875-1949) sono due registi, autori e direttori teatrali austriaci. Dopo aver dato vita assieme, nel 1901 al Die böse Buben, una sorta di cabaret letterario, e aver lavorato come registi presso il Deutsches Theater diretto da Max Reinhardt, assumono, con un certo successo, la guida di numerosi teatri berlinesi tra cui il Berliner Theater (1907), il Theater am Königgrätzer Strasse (1911) e la Komödienhaus (1913). Dopo aver ceduto nel 1924 tutti i teatri, Bernauer si dedica principalmente alla scrittura di farse e di libretti per le operette, mentre Meinhard lavora come attore in diversi film. Durante il nazionalsocialismo Bernauer emigra a Londra dove resterà fino al 1953 anno della morte, mentre Meinhard fugge per ben due volte a Praga prima di essere deportato nel 1942 nel ghetto di Theresienstadt ed emigrare definitivamente alla volta dell’Argentina nel 1946. 2 H. Ihering, Begegnungen mit Zeit und Menschen, cit., p. 155. 3 La vicenda è raccontata da Ihering nella sua autobiografia [Cfr. ivi, pp. 154-159]. 4 5 Cfr. ivi, pp. 155-156. Cfr. ivi, p. 156. 6 Nel gennaio del 1911 il presidente della polizia berlinese, nonché responsabile della censura, Traugott von Jagow aveva ordinato la confisca del numero sesto di « Pan », dove erano contenuti alcuni estratti dai diari di viaggio di Flaubert considerati indecenti e una breve poesia satirica in cui Kerr aveva criticato il comportamento della polizia nel contesto dei disordini avvenuti nel quartiere di Moabit [Cfr. « Pan », a. i, n. 6, 16 gennaio 1911]. Nonostante l’intervento della censura i redattori di « Pan », senza alcun timore, avevano continuato la pubblicazione degli scritti di Flaubert nel numero successivo dove era inoltre stata pubblicata una sarcastica lettera rivolta da Kerr al presidente della polizia von Jagow [Cfr. A. Kerr, Jagow, Flaubert, Pan, (1 febbraio 1911), in WiE, v/ vi, pp. 314-320]. L’intervento della polizia non si era fatto attendere e anche questo numero della rivista era stato proibito dalla censura. La vicenda e la polemica seguita alla pubblicazione, da parte di Kerr, della lettera spedita da Jagow all’attrice Tilla Durieux è stata brevemente ricostruita da Donatella Germanese [Cfr. D. Germanese, Pan (1910-1915). Schriftsteller im Kontext einer Zeitschrift, cit., pp. 34-38] e Isabella Herskovics [I. Herskovics, Alfred Kerr als Kritiker des Berliner Tageblattes 1919-1933. Grenzen und Möglichkeiten einer subjektiv geprägten Publizistik, cit., vol. i, pp. 9-19].
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nel suo compito che il presidente della polizia si era invaghito di lei e le aveva spedito una lettera domandandole il permesso di farle visita la domenica successiva : 1
Stimata e gentile Signora, Dal momento che devo esercitare la censura teatrale, avrei volentieri un contatto personale con la cerchia degli attori. Sarebbe per me un piacere continuare il nostro discorso di oggi. Le sarebbe gradita la mia visita ? Domenica alle 4 e mezza ? 2
Ma Tilla Durieux è moglie di Paul Cassirer, editore e curatore del periodico incriminato e, com’è facilmente comprensibile, la notizia giunge rapidamente alla sua redazione. La scelta sull’atteggiamento da assumere nei confronti dell’accaduto non è immediata ma, nonostante forti divergenze all’interno della rivista, Kerr decide di pubblicare la lettera spedita da Jagow all’attrice, provocando violente e, in parte, inaspettate reazioni nell’opinione pubblica, che si divide sull’opportunità di utilizzare un fatto privato di questo genere come strumento di battaglia politico-pubblicistica. 3 Kerr, sotto attacco, finisce per trovarsi in una situazione particolarmente delicata, tanto che si parla addirittura di una sua sospensione temporanea dal « Tag ». 4 Contro di lui si schierano Karl Kraus 5
1
Cfr. S. Jacobsohn, Der Fall Kerr (1911), in Id., Gesammelte Schriften 1900-1926, cit., vol. ii, pp. 119-124. Lettera di Jagow diretta a Tilla Durieux e pubblicata da Kerr in : A. Kerr, Vorletzter Brief an Jagow, (1 marzo 1911), in WiE, v/vi, p. 321. 3 Cfr. D. Germanese, Pan (1910-1915). Schriftsteller im Kontext einer Zeitschrift, cit. pp. 36-37. 4 Cfr. S. Jacobsohn, Der Fall Kerr, cit., p. 123. 5 Karl Kraus e Alfred Kerr si conoscono nel 1897 quando entrambi scrivono, per la « Breslauer Zeitung », i loro Briefe, rispettivamente da Vienna e Berlino. La polemica tra i due critici e intellettuali inizia nel 1911 nel contesto del caso Jagow e si riaccende con particolare vigore nella seconda metà degli anni venti, quando il tema del contendere diventano le liriche di guerra che Kerr aveva pubblicato, in parte sotto lo pseudonimo collettivo “Gottlieb”, durante la prima guerra mondiale e che lo stesso Kraus, già dal 1916, aveva ripubblicato sulla sua rivista « Die Fackel » [cfr. in particolare « Die Fackel », a. xviii, nn. 437-442, novembre 1916, p. 7 ; « Die Fackel », a. xxiii, nn. 577-582, novembre 1921, p. 40 ; « Die Fackel », a. xxvii, nn. 686-690, maggio 1925, pp. 27-32], attribuendo a Kerr, tuttavia, anche alcuni versi che egli non aveva composto [« Die Fackel », a. xxx, nn. 787-794, settembre 1928, p. 5]. Queste liriche sono, inoltre, tema di una scena della celebre opera di Kraus Gli ultimi giorni dell’umanità, nella quale viene presentato Alfred Kerr intento a scrivere un testo contro la Romania [cfr. K. Kraus, Gli ultimi giorni dell’umanità, ed. it. a cura di E. Braun e M. Carpitella, Milano, Adelphi, 1980, atto iii, scena xx, pp. 328-329]. Il bersaglio polemico di Kraus è, in particolare, la presunta contraddittorietà dell’atteggiamento di Kerr, teso tra il nazionalismo dell’inizio della prima guerra mondiale e l’impegno pacifista per la riconciliazione europea che contraddistingue la sua attività nel dopoguerra [cfr. in particolare Kerr in Paris, « Die Fackel », a. xxvii, nn. 717-723, aprile 1926, pp. 47-61]. Kerr dal canto suo risponde di non aver mai tenuto segreta la sua posizione durante la guerra – alcune liriche vengono ripubblicate dallo stesso Kerr nel volume Caprichos [cfr. Caprichos. Strophen des Nebenstroms, Berlin, Spaeth, 1926, pp. 199-208] – e mostra, al contempo, testi alla mano, come già nei primi mesi del conflitto egli, pur prendendo in modo deciso le parti della Germania, aveva giudicato negativamente la guerra [A. Kerr, (Worauf es ankommt) (1928), in WiE, v/vi p. 372-381]. La polemica giunta in sede giudiziaria venne composta con il ritiro di accusa e controaccusa, ma continuò sui mezzi pubblicistici e Kraus arrivò addirittura a pubblicare le memorie presentate da Kerr al processo [cfr. Der größte Schuft im ganzen Land... (Die Akten zum Fall Kerr), « Die Fackel », a. xxx, nn. 787-794, settembre 1928]. Per un approfondimento sulla polemica tra Kerr e Kraus si vedano anche gli scritti di Kerr pubblicati in WiE, v/vi, pp. 368-390 e lo studio di Stefan Straub : S. Straub, Der Polemiker Karl Kraus. Drei Fallstudien, Marburg, Tectum, 2004, pp. 37-115. Nel 2014, anno del centenario della prima guerra mondiale, la polemica tra Kraus e Kerr è improvvisamente tornata d’attualità e ha originato un nuovo dibattito nell’opinione pubblica tedesca. Il 4 maggio 2014 lo scrittore Gerhard Henschel, sulla « Frankfurter Allgemeine Sonntagszeitung », ha richiamato la polemica e ha messo in discussione l’opportunità che importanti premi per la critica letteraria e per la recitazione (l’Alfred-Kerr-Preis e l’Alfred-Kerr-Darstellerpreis) siano ancora oggi intitolati ad Alfred Kerr [Cfr. G. Henschel, Die drastischen Reime des Alfred Kerr, « fas », n. 18, 4 maggio 2014, p. 9]. Una questione accolta – non senza imbarazzo – da Torsten Casimir, caporedattore del « Börsenblatt für den deutschen Buchhandel » (che conferisce l’Alfred-KerrPreis), con la promessa di aprire una discussione sulla questione [cfr. Schnitzler schreibt wieder, Kerr wütet, « Die Welt », 10 maggio 2014, www.welt.de/print/die_welt/literatur/article127839556/Schnitzler-schreibt-wieder-Kerrwuetet.html – ultima consultazione 12/2015]. Di tutt’altro tenore la risposta di Günther Rühle presidente della Alfred-Kerr-Stiftung (che conferisce l’Alfred-Kerr-Darstellerpreis). Rühle ha rigettato con forza le argomentazioni di Henschel, ribadendo non soltanto come l’entusiastica accettazione della guerra svanisca in Kerr già pochi mesi dopo l’inizio del conflitto, ma anche ricordando come la questione, ben nota, fosse stata già ampiamente affrontata dallo stesso Kerr nei suoi testi successivi [cfr. G. Rühle, Alfred Kerr, « fas », n. 19, 11 maggio 2014, p. 4]. In difesa di Kerr sono intervenuti, tra gli altri, scrittori e giornalisti come Paul Ingendaay [cfr. P. Ingendaay, 2
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e lo stesso Jacobsohn, anche se quest’ultimo non si espone direttamente ma attraverso i propri collaboratori. 1 A sostegno del critico si pone invece la rivista « Die Aktion », con l’intervento di Franz Pfemfert 2 e, soprattutto, con un sondaggio sull’importanza di Kerr per la letteratura contemporanea, cui rispondono personalità del calibro di Franz Wedekind e Hermann Bahr. 3 Kerr è considerato dai giovani espressionisti della rivista non soltanto un innovatore della critica e della letteratura contemporanea, ma anche un artista irriverente, scomodo e con uno spiccato impulso civile e politico. Ma, nonostante la loro appassionata difesa, la posizione e la percezione pubblica del grande critico sembra vacillare e Jacobsohn ritiene finalmente giunto il momento per pubblicare lo scritto redatto da Ihering. Il 12 febbraio 1912, senza preoccuparsi di chiedere preliminarmente il consenso all’autore, l’articolo di Ihering compare sulla « Deutsche Montagszeitung », della cui sezione teatrale è responsabile proprio il fondatore della « Schaubühne ». 4 Ihering, vistosi pubblicare l’articolo senza esserne informato, reagisce duramente e, dopo una vivace discussione con Jacobsohn, pretende e ottiene la pubblicazione di una breve rettifica sul numero successivo della rivista : 5
Il mio articolo, ‘Alfred Kerr’, pubblicato sul numero precedente, è stato scritto due anni fa, dunque ben prima che eventi ‘attuali’ stimolassero una presa di posizione a favore o contro Kerr. La pubblicazione, che era prevista per la « Deutsche Montagszeitung » per il novembre 1910, non ebbe allora luogo per motivi redazionali. Ha avuto ora luogo senza che la redazione si fosse assicurata nuovamente di avere il mio consenso. 6
La questione in gioco in questa vicenda è di fondamentale importanza per il giovane critico. Le poche righe in cui egli afferma la propria estraneità alla decisione della redazione dimostrano, infatti, una chiara presa di distanza dal sensazionalismo diffuso nella critica e nel giornalismo di inizio secolo. La polemica, per Ihering, non è uno strumento utile a conquistare spazio nell’attenzione dell’opinione pubblica, quanto, piuttosto, un mezzo il cui fine deve essere lo sviluppo produttivo del teatro. Contro il protagonismo e il personalismo della critica teatrale contemporanea Ihering inizia a porre le basi di un pensiero critico che trova il proprio fondamento nell’oggetto della discussione e non nel soggetto dell’enunciazione. La scelta redazionale di Jacobsohn, dunque, non poteva che apparirgli davvero inopportuna :
Proprio questo non desideravo. Non volevo essere coinvolto in una cosa con la quale non avevo nulla a che fare e attaccare alle spalle qualcuno con cui mi ero prefisso di combattere faccia a faccia. 7
Wir unbelesenen Sittenwächter - Warum wir in der Kerr-Debatte nichts tun sollten, 7 maggio 2014, www.3sat.de/ kulturzeit/themen/176527/index.html – ultima consultazione 12/2015], Peter von Becker [P. von Becker, Sein erster Weltkrieg, « Der Tagespiegel », 7 maggio 2014] e Lothar Müller [L. Müller, Großer Name, besprenkelte Weste, « Süddeutsche Zeitung », 17 maggio 2014]. 1 Nel contesto della polemica intorno all’affare Jagow, Jacobsohn scrisse un breve articolo contro Kerr [Cfr. S. Jacobsohn, Der Fall Kerr, cit., 119-124] ma non lo pubblicò mai. In questa vicenda Jacobsohn dovette evidentemente scorgere la possibilità di vendicarsi degli attacchi che Kerr gli aveva rivolto nel contesto dello scandalo di plagio che lo aveva coinvolto qualche anno prima [Cfr. supra, 2. 1. 4., pp. 70-71]. Ma Jacobsohn decise, prudentemente, di non attaccare direttamente il critico di Breslau e, per colpirlo, si servì piuttosto di interventi firmati dai propri collaboratori [Si veda ad esempio : H. Kahn, Der andre Brief an Kerr, « Die Schaubühne », a. vii, n. 12, 23 marzo 1911, pp. 322-326]. Un atteggiamento che porta Kerr a indirizzare a Jacobsohn un ironico invito « Il signor Jacobsohn può giudicarmi e farmi giudicare in modo limpido ? Chi lo sa [...] » [A. Kerr, Bagatellen (1 aprile 1911), in WiE, v/vi, p. 309]. 2 Cfr. F. Pfemfert, Der kleine Kraus ist tot, « Die Aktion », a. i, n. 8, 10 aprile 1911, pp. 242-243. 3 Cfr. Alfred Kerr [Inchiesta], « Die Aktion », a. i, n. 10, 27 aprile 1911, pp. 299-303 ; « Die Aktion », a. i, n. 11, 1 maggio 1911, pp. 335-338 ; « Die Aktion », a. i, n. 12, 8 maggio 1911, pp. 369-371 ; « Die Aktion », a. i, n. 13, 15 maggio 1911, pp. 397-399 ; « Die Aktion », a. i, n. 14, 22 maggio 1911, pp. 430-431. 4 Cfr. H. Ihering, Alfred Kerr, « Deutsche Montagszeitung », a. iii, n. 7, 12 febbraio 1912. 5 Cfr H. Ihering, Begegnungen mit Zeit und Menschen, cit., pp. 157-159. 6 H. Ihering, [Rettifica a : Alfred Kerr], « Deutsche Montagszeitung », a. iii, n. 8, 19 febbraio 1912. 7 H. Ihering, Begegnungen mit Zeit und Menschen, cit., p. 157.
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l ’ arpa e la fionda 3. 2. 4. Critica e opera d’arte : analisi del primo articolo contro Alfred Kerr
L’articolo polemico presentato sulla « Deutsche Montagszeitung » si rivela, al di là della particolare storia della sua pubblicazione, un documento di grande importanza per la ricostruzione del pensiero di Ihering nel periodo del suo esordio. 1 La sua riflessione sulla critica teatrale non presenta ancora quel grado di consapevolezza che caratterizzerà gli scritti posteriori sull’argomento, ma è gia possibile individuare alcuni dei nuclei intorno a cui egli costruirà il proprio impianto teorico e concettuale. Il “critico” e l’“artista”, figure che Alfred Kerr faceva coincidere, vengono da Ihering distinte. Egli, infatti, ritiene che queste due figure compiano, sul proprio vissuto soggettivo, un processo di oggettivazione di diversa specie : mentre l’artista utilizza ogni spunto che gli offre l’esistenza e gli dà forma mantenendone il carattere sensibile, il critico deve operare una scelta di fronte ai contenuti dell’esperienza e tradurli in un linguaggio astratto e intellettuale. 2 Ma in questa distinzione non è ancora contenuto un rifiuto radicale della concezione secondo cui la critica teatrale è una forma d’arte, rifiuto che, solo pochi anni dopo, diverrà netto ed esplicito. Nonostante Ihering sottolinei, infatti, la differenza essenziale tra le due attività, in linea di principio, sembra ritenere ancora plausibile che un lavoro critico di particolare qualità e valore possa essere considerato un prodotto letterario :
Ma se da questa oggettivazione [critica, N.d.T.] sorge un organismo che, sollevato dall’occasione contingente, inizia una vita autonoma, allora bisogna tuttavia parlare anche di esso come di un oggetto artistico. Nel migliore dei casi, dunque, il critico e il poeta convergono alla fine ma mai all’inizio. Le loro differenze d’essenza restano. 3
La funzione critica, dunque, non viene distinta pienamente dalla funzione creativa e la critica teatrale viene ancora interpretata come un’attività finalizzata alla produzione di un discorso che può aspirare a diventare autonomo rispetto al proprio oggetto. Dopo aver formulato e discusso in questo modo il rapporto tra creazione artistica e riflessione critica, Ihering, nel suo intervento, si preoccupa di valutare se gli scritti di Kerr riescano a soddisfare effettivamente quei requisiti che consentirebbero di considerarli opere d’arte. La produzione di Kerr viene divisa a tal fine in due periodi distinti. Se nella prima fase, conclusa con la pubblicazione della raccolta Das neue Drama (1905), il critico di Breslau, illuminando un’epoca del teatro tedesco in modo sistematico e originale, 4 sarebbe effettivamente riuscito nello scopo di far convergere critica e letteratura, negli anni successivi, nota Ihering, egli sarebbe divenuto piuttosto il prototipo di un mero impressionista. 5 Le sue osser
1 L’analisi di questo breve articolo è di particolare interesse perché colma un vuoto nella ricezione dell’opera del critico e del suo dibattito con Kerr. Il primo contributo scritto da Ihering contro Kerr non si trova, infatti, pubblicato in nessuna delle raccolte delle recensioni e degli scritti del critico né è conservato nel suo lascito presso l’archivio dell’Akademie der Künste. L’articolo è menzionato nell’autobiografia di Ihering, ma il critico offre riguardo la data soltanto indicazioni molto vaghe [Cfr. H. Ihering, Begegnungen mit Zeit und Menschen, cit., pp. 155-159]. Ciò ha complicato notevolmente l’individuazione e il ritrovamento dell’articolo. Quasi la totalità della letteratura secondaria vi fa riferimento, infatti, soltanto indirettamente e si limita a riportare ciò che Ihering stesso dice nell’autobiografia [Cfr. U. Krechel, Information und Wertung. Untersuchungen zum theater- und filmkritischen Werk von Herbert Ihering, cit., p. 79 ; J. Biener, Alfred Kerr und Herbert Ihering. Ein Beitrag zur Geschichte der neueren Theaterkritik, cit., vol. ii, pp. 108-109 ; L. Schöne, Neuigkeiten vom Mittelpunkt der Welt. Der Kampf ums Theater in der Weimarer Republik, cit., 1994, p. 106]. A quanto ci risulta, prima del presente studio, l’unico lavoro in cui vengono offerti gli estremi bibliografici precisi dello scritto (annata, numero e data di pubblicazione della rivista) è la dissertazione dottorale di Isabella Herskovics su Alfred Kerr, che tuttavia menziona l’articolo di Ihering solo di sfuggita [Cfr. I. Herskovics, Alfred Kerr als Kritiker des Berliner Tageblattes 1919-1933. Grenzen und Möglichkeiten einer subjektiv geprägten Publizistik, cit., vol. i, p. 272]. Abbiamo potuto consultare l’articolo presso il Zentrum für Berlin-Studien all’interno della Berliner Stadtbibliothek, una delle sedi della Zentral- und Landesbibliothek di Berlino, dove la « Deutsche Montagszeitung » è conservata 2 in microfilm. Cfr. H. Ihering, Alfred Kerr, cit. 3 4 5 Ibidem. Cfr. ibidem. Cfr. ibidem.
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vazioni e i suoi giudizi avrebbero perso, infatti, ogni solido fondamento argomentativo e non avrebbero perciò più potuto ambire a quell’autosufficienza che avrebbe consentito di parlare di essi come di un’opera d’arte. Non solo, accusa infatti Ihering, le categorie interpretative di Kerr sono rimaste ferme al paradigma realista di fine Ottocento, ma egli ormai non si preoccupa neppure più di sostenere questo modello teatrale attraverso un discorso dotato di una qualche forma di oggettività :
Difenda pure con tutte le forze a sua disposizione la sua convinzione come fosse l’unica valida di fronte alle altre. Soltanto dobbiamo pretendere che egli inserisca questa sua opinione soggettiva in nessi ben fondati. Poiché abbiamo visto : si può chiamare critico-poeta (Dichterkritiker) solo colui la cui opera è in grado di respirare autonomamente. E quale organismo, che non sia chiuso in un’unità senza fratture, riuscirebbe a farlo ! 1
Il carattere soggettivo della scrittura di Kerr assume, dunque, un ruolo decisivo nella presa di distanza polemica di Ihering. La restituzione delle impressioni private e il linguaggio intimo e frammentario che caratterizzano la scrittura di Kerr, pregiudicano, infatti, la realizzazione dei compiti che Ihering affida alla critica teatrale : la ricerca dei fondamenti e la loro giustificazione argomentativa. Per il giovane critico l’arbitrarietà di Kerr è resa poi ancora più intollerabile dal fatto che questi combatte contro Max Reinhardt, nel cui teatro egli invece ritiene siano contenute le linee di sviluppo futuro dell’arte scenica. Kerr accusa il regista austriaco di essere esteriore e inessenziale, quando invece, afferma il collaboratore della « Schaubühne », tali attributi appaiono più adeguati a descrivere il suo stesso stile critico. Ma Kerr e tutti i suoi seguaci, conclude Ihering, non potranno fermare lo sviluppo di un’arte teatrale che si rivolge con sempre maggior chiarezza verso una grandiosità monumentale, al cui servizio potrà porsi soltanto un pensiero critico che faccia della capacità di sintesi e di lotta le sue caratteristiche principali. 2 Sebbene l’articolo di Ihering non rappresenti ancora una presa di distanza consapevole dalla visione che attribuisce alla critica un ruolo creativo, i criteri che egli pone perché questa identificazione si possa considerare realizzata, finiscono, di fatto, per mettere fuori gioco alcuni degli elementi fondamentali su cui si reggeva la letterarizzazione dell’attività critica. Nel richiamo all’oggettività dell’argomentazione, nel rifiuto di un’ipertrofia della soggettività del recensore, così come nell’idea di una critica attivamente partecipe dello sviluppo del teatro sono, infatti, già poste le basi per la nascita di un nuovo modello critico teatrale e per l’inizio del confronto polemico che dominerà il giornalismo teatrale nel corso degli anni venti. Ma prima di quel momento Ihering affronterà un percorso che lo porterà a confrontarsi in prima persona con il mondo della scena e che lo condurrà, lontano dalla stampa e dalla capitale tedesca, a un’ulteriore maturazione del concetto di critica e di teatro.
3. 2. 5. Tra Vienna e Berlino : l’esperienza come Dramaturg e regista, il ritorno a Berlino e l’affermazione come critico-teatrale
La convivenza professionale con il vecchio critico Alfred Klaar presso la « Vossische Zeitung » a Berlino non è facile. Ihering è infastidito in particolare dalla rigida attribuzione, ai diversi critici del quotidiano, dei teatri di pertinenza e, dopo soli pochi mesi dall’inizio della collaborazione, approfitta del cambiamento dell’editore per lasciare il giornale. 3 Già da qualche anno l’idea di poter agire concretamente nella prassi scenica desta la sua curiosità, 4 ed egli, dopo aver iniziato, tra il 1913 e il 1914, una collabora
1
2 Ibidem. Cfr. Ibidem. Cfr. H. Ihering, Begegnungen mit Zeit und Menschen, cit., p. 179. Cfr. supra, 3. 2. 2., p. 128, nota 1. 4 Secondo la ricostruzione di Lingnau sin dal 1910 Ihering mostra interesse per la possibilità di lavorare attivamente sulla scena e stipula verosimilmente il suo primo contratto teatrale nel 1912, molto probabilmente per 3
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zione con la Königliches Schauspielhaus di Dresda diretta da Karl Zeiss, 1 decide di accettare l’offerta di Arthur Rundt, direttore della Volksbühne di Vienna, e lasciare, per il momento, il mondo della critica per dedicarsi al lavoro teatrale. 2 Un’esperienza che si rivelerà fondamentale per l’elaborazione del pensiero critico e teatrale di Ihering. Nel 1914, pochi mesi prima dell’inizio del conflitto mondiale, Ihering, che ha ventisei anni, diventa Dramaturg e regista presso il teatro diretto da Rundt. Mentre il fratello è impegnato al fronte, 3 egli, già riformato in precedenza per ragioni fisiche, riesce a evitare il servizio militare. 4 Alla Volksbühne oltre a conoscere e lavorare con attori come Agnes Straub e Fritz Kortner, allestisce, con un certo successo, testi drammatici come Pippa tanzt e Griselda di Gerhart Hauptmann, Der Kandidat di Carl Sternheim e Macht der Finsternis di Lev Tolstoj. La maturazione che si osserva nella produzione pubblicistica successiva all’esperienza viennese dimostra come questi anni non siano una semplice parentesi nella carriera giornalistica del critico quanto un’occasione per comprenderne approfonditamente la natura e i confini : vestire in prima persona i panni dell’artista teatrale è una stazione fondamentale nel processo di definizione del senso dell’attività critica. L’esperienza come Dramaturg e regista si conclude all’inizio del 1918, pochi mesi prima della fine della guerra mondiale. Nel volume dedicato ai ricordi di gioventù il critico racconta di aver preso la decisione di lasciare il suo impiego presso il teatro viennese in seguito a un duro scontro tra Rundt e Kortner. 5 Ma le lettere che
un ruolo di Dramaturg presso la Deutsches Schauspielhaus di Berlino diretta da Adolf Lantz. Un collaborazione, tuttavia, non destinata a realizzarsi a causa della risoluzione del contratto a seguito di un duro confronto con lo stesso Lantz [cfr. F. I. Lingnau, Vom Glühwürmchen zum Großkritiker (1888-1932), cit., p. 45]. 1 Non è purtroppo possibile definire esattamente i contorni e le coordinate di questa collaborazione. Nella propria autobiografia Ihering racconta di aver ricevuto due proposte, la prima di Karl Zeiss, direttore della Königliches Schauspielhaus di Dresda, che lo invitava a passare dalla stampa al teatro “agito”, e la seconda di Arthur Rundt, direttore della Volksbühne di Vienna, che gli offriva un posto come regista e Dramaturg [cfr. H. Ihering, Begegnungen mit Zeit und Menschen, cit., pp. 179-180]. Ihering, senza offrire una datazione precisa, ricorda che l’offerta di Zeiss gli arrivò dopo la pubblicazione sulla «Schaubühne» di un suo articolo su Carl Clewing [cfr. ivi, p. 179]. L’articolo venne pubblicato sulla «Schaubühne» nel gennaio del 1913 [H. Ihering, Carl Clewing, « Die Schaubühne », a. xi, n. 4, 23 gennaio 1913, pp. 123-124]. La ricostruzione di Lingnau conferma, attraverso l’analisi dello scambio epistolare con l’attrice Asta Lange, che il primo contatto con Zeiss ebbe luogo, per il tramite di Jacobsohn, nel gennaio del 1913, e che i due si incontrarono di persona nel febbraio dello stesso anno [cfr. F. I. Lingnau, Vom Glühwürmchen zum Großkritiker (1888-1932), cit., pp. 45-46]. Sempre secondo la ricostruzione di Lingnau, Ihering sarebbe rimasto a Dresda per circa un anno prima di passare a Vienna intorno alla metà del 1914, come attesterebbe una lettera della fine di aprile 1914 [ivi, p. 47]. Tuttavia sappiamo che, all’interno di questo arco temporale, dall’agosto al dicembre del 1913, Ihering fu critico presso la « Vossische Zeitung » a Berlino [Cfr. supra, 3. 2. 2., p. 128, nota 1]. Non è chiaro, dunque, l’impegno effettivo di Ihering a Dresda né il modo in cui egli coordinò le due attività o se poté esercitarle contemporaneamente. Presso l’HerbertIhering-Archiv non è purtroppo conservato alcun contratto con la Königliches Schauspielhaus di Dresda risalente a questo periodo. 2 Cfr. H. Ihering, Begegnungen mit Zeit und Menschen, cit., pp. 179-189. 3 Si vedano in proposito le lettere di Jacobsohn a Ihering del 9 e del 18 ottobre 1916, nelle quali il fondatore della « Schaubühne » partecipa alla preoccupazione di Ihering che probabilmente per alcune settimane non aveva avuto notizie del fratello. Le lettere, dattiloscritte, sono conservate presso il lascito di Ihering all’Akademie der Künste [Akademie Der Künste, Berlin, Herbert-Ihering-Archiv, Nr. 1615]. 4 Racconta in proposito Ihering : « “Lasciamo andare il ragazzo, con lui comunque non ci si può combinar niente !” in questo modo, sull’onda della superbia per le prime vittorie e del disprezzo per un materiale umano militarmente di così poco valore, si era espresso il responsabile medico militare nella General-Pape-Straße quando aveva appreso che io ero Dramaturg e regista, e per di più a Vienna ! » H. Ihering, Begegnungen mit Zeit und Menschen, cit., p. 205. 5 Cfr. ivi, pp. 224-225. Come mostra Lingnau, le difficoltà per Ihering dovettero iniziare già prima di questo episodio, sia a causa delle complesse condizioni cui era sottoposto il lavoro teatrale nel contesto della guerra, che per via delle tensioni che si erano iniziate a creare all’interno del teatro diretto da Rundt [cfr. F. I. Lingnau, Vom Glühwürmchen zum Großkritiker (1888-1932), cit., pp. 47-57]. Nel novembre del 1916, a causa di un disaccordo sorto durante le prove di Sogno di una notta di mezza estate, Ihering avrebbe presentato le dimissioni poi rientrate il giorno successivo grazie all’intervento di Rundt [cfr. ivi, pp. 55-56].
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Ihering riceve a partire 1916 dalla redazione del « Berliner Tageblatt » dimostrano come, in realtà, la scelta di tornare al giornalismo teatrale fosse maturata precedentemente. Theodor Wolff, capo-redattore del quotidiano berlinese, declina, infatti, nel maggio del 1916 1 e nell’agosto del 1917, le proposte del regista, che avrebbe desiderato ricoprire il ruolo di critico teatrale rimasto vacante dopo la morte di Paul Schlenter : « Tuttavia desidero non illuderla sulla realizzazione del suo desiderio e non le mento che alcune altre candidature sono in primo piano ». 2 Il desiderio di tornare a Berlino per esercitare il mestiere di critico teatrale diventa improrogabile tra la fine del 1917 e l’inizio del 1918 come documenta la corrispondenza conservata nel suo lascito presso l’Akademie der Künste. 3 Un esempio particolarmente eloquente in proposito è una lettera di Jacobsohn del 3 gennaio 1918 :
Mi dispiace davvero molto e mi tocca da vicino, nonostante o forse proprio perché è sin dal primo giorno della sua attività viennese che ho aspettato di ricevere una lettera di questo genere. Così di primo acchito non saprei indicarle nessuna attività giornalistica a Berlino. [...] Alla « Schaubühne » può naturalmente sempre collaborare ma questo non le permetterà di sbarcare il lunario. 4
Nonostante questa risposta poco incoraggiante, sarà proprio Jacobsohn, nelle settimane successive, a incitare Ihering a lasciare Vienna e ad accettare l’impiego come lettore presso la casa editrice Felix Bloch Erben, che egli nel frattempo si era adoperato di procurargli. 5 Stabilitosi nuovamente a Berlino dal marzo del 1918, Ihering riesce rapidamente a introdursi nel mondo del giornalismo. È un momento di transizione e di profondo cambiamento per la Germania : la fine della guerra, la rivoluzione e la proclamazione della Repubblica danno un nuovo volto alla società tedesca, attraversata dalla speranza di una rinascita e, al contempo, alle prese con la difficile elaborazione dell’esperienza del conflitto mondiale. Insieme alla democrazia ha inizio ora uno dei periodi più intesi e vitali per la produzione artistica e culturale tedesca. Un periodo in cui Ihering giocherà un ruolo cruciale. Gli anni venti rappresentano, infatti, il momento della sua pie
1 Cfr. Lettera di Theodor Wolff dalla redazione del « Berliner Tageblatt » a Herbert Ihering, 15 maggio 1916, Akademie Der Künste, Berlin, Herbert-Ihering-Archiv, Nr. 2782. 2 Ibidem. In questa seconda lettera Wolff conferma a Ihering che il posto di critico teatrale del giornale sarà lasciato vacante fino alla fine della guerra, avvertendolo, al contempo, che sono altri i candidati in primo piano. Forse Wolff pensa già ad Alfred Kerr che, nel 1919, diventerà critico teatrale del prestigioso quotidiano. Secondo Isabella Herskovics, infatti, che riprende in proposito i ricordi di Erich Dombrowsky (tra il 1916 e il 1924 vice capo-redattore del quotidiano), la discussione per la scelta del successore di Schlenter era ristretta ai nomi di Harden, Jacobsohn e Kerr e proprio l’opinione di Wolff dovette infine essere determinate nell’impiego di Kerr [Cfr. I. Herskovics, Alfred Kerr als Kritiker des Berliner Tageblattes, 1919-1933. Grenzen und Möglichkeiten einer subjektiv geprägten Publizistik, cit., vol. i, p. 56]. L’ampia diffusione e il target borghese e colto del giornale doveva renderlo molto ambito [Cfr. H. Ihering, Kritiker oder das Theater der Zeitungen, « Frankfurter Rundschau », 30 ottobre 1965]. Al « Berliner Tageblatt », comunque, Ihering collaborerà scrivendo, nel 1918, alcuni feuilleton di tema non teatrale [Cfr. H. Ihering, Sakrow, « Berliner Tageblatt », 29 giugno 1918 e Id., Das Wasserrad, « Berliner Tageblatt » 3 luglio 1918] 3 Si vedano in particolare le diverse lettere spedite da Siegfried Jacobsohn a Herbert Ihering tra il gennaio 1918 e il febbraio 1918, nella quali il curatore della «Schaubühne» discute con Ihering della sua intenzione di ritornare a Berlino ed esercitare di nuovo l’attività critica e si preoccupa di aiutarlo a reinserirsi trovandogli inizialmente un posto di lettore presso la casa editrice Felix Bloch Erben [Akademie Der Künste, Berlin, Herbert-Ihering-Archiv, Nr. 1615]. Dell’opportunità di accettare questa offerta Ihering discute anche con Emil Faktor come emerge dalla lettera che il capo-redattore del « Berliner Börsen-Courier » gli manda il 9 febbraio 1918 [Akademie Der Künste, Berlin, Herbert-Ihering-Archiv, Nr. 1195]. Altri documenti, come una lettera della redazione della « Welt am Montag » del 9 febbraio 1918, in cui si apprende che Ihering aveva spedito i propri articoli al quotidiano, testimoniano come egli stesse vagliando anche altre possibilità [Akademie Der Künste, Berlin, Herbert-Ihering-Archiv, Nr. 3488]. 4 Lettera di Jacobsohn a Ihering, 3 gennaio 1918, Akademie Der Künste, Berlin, Herbert-Ihering-Archiv, Nr. 5 1615. Cfr. supra, 3. 2. 5., p. 135, nota 3.
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na e definitiva affermazione nel contesto della pubblicistica tedesca. 1 Dopo una breve parentesi al « Roter Tag » (1919-1922), dove prende il posto di Alfred Kerr trasferitosi nel frattempo al « Berliner Tageblatt », nel 1922 viene assunto stabilmente dal « Berliner Börsen-Courier », con cui già dal 1918 aveva ripreso a collaborare, e dove scriverà, senza interruzione, fino alla fine del 1933. La sapiente guida di Emil Faktor 2 permette a questo giornale, che pure non raggiunge la tiratura dei quotidiani di maggiore diffusione, di dare vita a uno dei feuilleton più importanti e influenti del panorama tedesco e senza dubbio il più sensibile nei confronti delle nuove proposte teatrali e artistiche. A fianco di Ihering, che presto diviene una delle firme di punta della critica teatrale berlinese, scrivono per la sezione culturale del giornale, o vi collaborano anche solo occasionalmente, nomi prestigiosi del giornalismo e della cultura di Weimar tra cui Oscar Bie, Bertolt Brecht e lo stesso Faktor. A differenza dei grandi virtuosi che avevano dominato la tradizione critica dei primi del Novecento e che continuavano a imprimere il proprio segno indelebile sui feuilleton dei maggiori quotidiani, la redazione del « Berliner Börsen-Courier » cerca di impostare un lavoro culturale organico e corale. Una riflessione critica, dunque, che non si propone semplicemente come intrattenimento, ma che cerca di essere occasione per la costruzione di un confronto e di un dialogo con il mondo della scena e delle arti. Come ricorda Ihering in un articolo scritto molti anni dopo, nello stesso periodo in cui lui sosteneva Brecht, Piscator e le avanguardie della scena teatrale, le pagine del quotidiano ospitavano, ad esempio, gli interventi di Eric Strobel che combatteva per Stravinskij, Hindemith e Weill :
Per l’affermazione del nuovo teatro così come della musica e della pittura moderne doveva essere creato un nuovo tipo di feuilleton che fosse avvincente e dilettevole quanto i segreti delle quinte raccontati dai giornali di boulevard, le recensioni aneddotiche e appariscenti del « B.Z. am Mittag » e dell’« Acht-Uhr-Abendblattes », o, ancora, le impressioni offerte dai quotidiani democratici di punta, come la « Vossische Zeitung » e il « Berliner Tageblatt ». Questa curiosità, per esprimermi in modo energico, non poteva essere raggiunta attraverso delle singolarità abbaglianti o dei virtuosi, ma soltanto attraverso una strategia intellettuale, attraverso un’orchestra accordata di collaboratori, attraverso l’armonia di strumenti solisti che erano diversi, autonomi, e che pur se si avvicendavano nel tempo, si andavano sempre e di nuovo a completare. 3
A questo lavoro quotidiano, Ihering affianca poi la redazione di opere di più ampio respiro. La prima pubblicazione di questo genere è una monografia dedicata all’attore Albert Bassermann, uscita nel 1920 all’interno della collana « Der Schauspieler » di cui lui stesso, dopo essere subentrato a Otto Zoff, avrebbe curato gli ultimi volumi. 4 L’anno dopo è la volta di Regisseure und Bühnenmahler, una raccolta di brevi ritratti dei più importanti
1 Come mostra Karin Herbst-Meßlinger, gli anni venti rappresentano per Ihering, anche dal punto di vista personale e privato, un momento di maturazione e consolidamento. In questo periodo egli conosce, infatti, l’attrice Li (Lissette) Königshof (1885-1955) e, nel 1927, si trasferisce con lei e il figlio, Kaspar Königshof (1920-2004), che l’attrice aveva avuto da un precedente compagno, nella casa del quartiere Zehlendorf, a Berlino, dove avrebbe vissuto, con qualche interruzione, fino alla morte. Quattordici anni dopo la morte di Li, avvenuta nel 1955, Ihering sposerà Kriemhilde Zinke, una collaboratrice dell’Akademie der Künste [Cfr. K. Herbst-Meßlinger, Der Kritiker als Intellektueller, in H. Ihering, Herbert Ihering : Filmkritiker, cit., pp. 27 e 63]. 2 Emil Faktor, giornalista e scrittore, nasce a Praga il 31 agosto 1876. Dopo essere stato redattore del « Bohemia » si trasferisce a Berlino dove, grazie all’aiuto di Kerr, scrive per il « Tag ». Dal 1912 guida il feuilleton del « Berliner Börsen-Courier » di cui diventa, tra il 1917 e il 1931, caporedattore. Nel 1933 si trasferisce a Praga dove scrive per il « Prager Mittag ». Nell’ottobre del 1941 viene deportato a Lodz dove muore nell’aprile del 1942. Tra gli scritti di Faktor sono da segnalare due drammi, Die Temperierten (1914) e Die Tochter (1917) e la monografia dell’attore Alexander Moissi (1920). In proposito si veda K. Täubert, Emil Faktor. Ein Mann und (s)eine Zeitung, Berlin, Hentrich, 1994. Günther Rühle lo definisce il più importante critico teatrale, dopo Kerr e Ihering, nella Berlino degli anni della Repubblica [Cfr. Theater für die Republik im Spiegel der Kritik (1917-1933), a cura di G. Rühle, cit., vol. ii, p. 1164]. 3 H. Ihering, Kritiker oder das Theater der Zeitungen, cit. 4 Cfr. H. Ihering, Albert Bassermann, Berlin, Reiß, 1920.
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scenografi e registi tedeschi, e ad esso seguono, nel corso decennio successivo, numerosi altri saggi di grande spessore programmatico come Der Kampf ums Theater (1922) o Die vereinsamte Theaterkritik (1928), tutti destinati a divenire titoli di spicco della pubblicistica teatrale degli anni venti. Ma la possibilità di continuare a lavorare come regista teatrale non era, in realtà, stata messa immediatamente da parte dal critico. Secondo la ricostruzione di Täubert, infatti, nel 1920 Barnowsky, direttore del Lessingtheater, gli aveva proposto un posto da regista promettendogli un ampio potere decisionale sulle questioni artistiche : 1 un’allettante offerta per chi, come lui, era mosso da una ferma volontà di partecipare concretamente allo sviluppo del teatro. Ma egli comprende ben presto che la via in cui agire nel modo più efficace nei confronti della scena tedesca è l’attività critica e decide, appoggiato anche da Faktor, di declinare l’offerta. 2 Da allora e fino al 1936 sarà soltanto la stampa il luogo della sua azione. Una scelta che presuppone una profonda elaborazione della riflessione sulla critica-teatrale, che, solo abbozzata nell’articolo scritto contro Alfred Kerr intorno al 1910, trova ora, invece, nell’articolo Critica e regia (1921) una formulazione matura e consapevole. 3
3. 2. 6. La Repubblica di Weimar : la nascita della prima democrazia tedesca
Il reinserimento di Ihering nel contesto critico-giornalistico berlinese avviene in un momento cruciale per la storia contemporanea della Germania. 4 Tra il settembre e l’ottobre del 1918 la sconfitta militare tedesca appare ormai prossima e irrimediabile. Il tentativo dei vertici militari e politici di riformare in senso parlamentare la monarchia e di arrivare in questa cornice a un armistizio, viene superato dall’inaspettato sviluppo degli eventi. A inizio novembre i marinai e i soldati di stanza a Kiel rifiutano di eseguire gli ordini : è il principio di una rivoluzione che in pochi giorni, e con un incredibile quanto inaspettata rapidità, si diffonde in tutto il Reich. Le vecchie strutture di potere crollano senza quasi opporre resistenza e su tutto il territorio tedesco si formano consigli dei soldati e dei lavoratori. Il 9 novembre la rivoluzione raggiunge la capitale, il Kaiser Guglielmo II è costretto ad abdicare e da una finestra del Reichstag, di fronte a una folla in festa, il deputato socialdemocratico Scheidemann proclama la nascita della Repubblica e con essa l’inizio di una nuova era per il popolo tedesco. Ma la via per la stabilizzazione politica e sociale della Germania è ancora lunga e tortuosa. Poche settimane prima del voto per l’assemblea nazionale, in programma il 19 gennaio 1919, la sinistra radicale, in dissidio con la scelta di intraprendere la strada di una democrazia parlamentare e con la convocazione dell’assemblea nazionale, occupa, a Berlino, il quartiere della stampa, e proclama l’introduzione di un consiglio rivoluzionario. La repressione, guidata dal ministro socialdemocratico Noske con l’aiuto dell’esercito e di gruppi di volontari paramilitari (Freikorps) non si fa attendere : dopo pochi giorni la rivolta è sedata nel sangue e i leader del gruppo spartachista, Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, vengono brutalmente assassinati. Viene inaugurata, così, la collaborazione tra i partiti democratici e le forze armate, in gran parte ostili al rinnovamento politico, una scelta che si rivelerà una pesante ipoteca sulla solidità futura della Repubblica. Gli eventi rivoluzionari non fermano tuttavia il percorso di strutturazione del nuovo stato democratico : l’assemblea nazionale, riunita a Weimar, elabora, tra il febbraio e il luglio del 1919, la nuova costituzione repubblicana. Nonostante l’entusiasmo e le speranze che accompagnano questi mesi di esordio, i primi anni della Repubblica sono segnati da una profonda instabilità politica e economica. La
1
2 Cfr. K. Täubert, Emil Faktor. Ein Mann und (s)eine Zeitung, cit., p. 61. Ibidem. Cfr. H. Ihering, Kritik und Regie, cit., pp. 11-12. 4 Per i riferimenti alla situazione storico-politica degli anni della Repubblica di Weimar si è scelto di seguire la ricostruzione di Eberhard Kolb : E. Kolb, Deutschland 1918-1933. Eine Geschichte der Weimarer Republik, München, Oldenbourg, 2010. 3
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Germania, uscita a pezzi dal conflitto mondiale, deve fare i conti con i pesanti debiti di guerra imposti dagli alleati e con una società divisa e attraversata da profonde tensioni sociali e politiche. Tra il 1919 e il 1923 il fragile ordine politico è scosso da numerosi tentativi rivoluzionari e da colpi di stato, tra cui quello condotto da Adolf Hitler ed Erich Ludendorff nel novembre del 1923. La Repubblica deve poi far fronte a emergenze drammatiche come l’occupazione francese del distretto della Saar e la crescita smisurata dell’inflazione nel 1923, prima di arrivare, grazie alla ristrutturazione della valuta e all’approvazione del piano Dawes, a un’ambita, quanto fragile e relativa, stabilizzazione. Ma solo pochi anni dopo, tra il 1929 e 1930, la crisi economica mondiale e la debolezza istituzionale della Repubblica metteranno in discussione il processo di consolidamento democratico, offrendo un terreno favorevole alle forze anti-democratiche e nazionaliste che raggiungeranno il potere nel gennaio del 1933 con la nomina di Hitler a cancelliere del Reich. 3. 2. 7. La stampa negli anni della Repubblica I quotidiani e le riviste sono, per la nuova società tedesca, un interlocutore fondamentale : offrono un’informazione efficace e aggiornata, rappresentano uno spazio straordinariamente vivace di dibattito politico e culturale e, non da ultimo, sono occasione di svago e intrattenimento. Negli anni in cui la radio e il cinema iniziano a mostrare il proprio enorme potenziale, la stampa si conferma ancora come il principale mezzo di comunicazione. Un’importanza che affianca quella assegnata al teatro, altra istituzione senza la quale sarebbe difficile immaginare la vita quotidiana e culturale negli anni di Weimar. Non è certamente un caso che uno dei primi gesti con cui la Germania inaugura il proprio corso repubblicano sia l’abolizione della censura teatrale e l’affermazione della libertà di stampa e di opinione : 1 un riconoscimento evidente della centralità di queste due istituzioni. Il giornalismo tedesco vive un momento di splendore e fioritura e raggiunge ora il culmine della propria influenza e diffusione. A Berlino le maggiori testate possono contare su un’edizione mattutina e su un’edizione serale, mentre lo spazio diurno è coperto da giornali come il « B.Z. am Mittag », destinati a un pubblico ampio, eterogeneo e interessato a un’informazione rapida e immediata. Nulla sfugge all’occhio attento della stampa e la velocità con cui le notizie sono trasmesse ai lettori è assolutamente sorprendente. 2 Il vasto e diversificato paesaggio del giornalismo tedesco è dominato ancora dai tre grossi gruppi editoriali nati nella seconda metà dell’Ottocento, Ullstein, Mosse e Scherl. Se i primi due si attestano su posizioni liberali e democratiche, Scherl, già in precedenza di spiccato orientamento filo-monarchico, passa ora sotto il controllo di Alfred Hugenberg, personaggio influente della destra nazionalista, tra i primi a comprendere l’importanza dei mezzi di informazione nella comunicazione politica e a costruire un vasto impero mediatico. 3 Ma la stampa tedesca non si riduce a questi tre gruppi. Alcuni giornali diffusi e stimati, come la « Frankfurter Zeitung » o il « Berliner Börsen-Courier », non appartengono ad essi, mentre nascono nuovi gruppi come quello guidato da Willi Münzenberg che, su commissione del kpd (Kommunistische Partei Deutschlands) e dell’iah (Internationale Arbeiterhilfe), propone ai lettori riviste, quotidiani e libri di chiaro orientamento socialista e proletario. 4
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Cfr. K. Dussel, Deutsche Tagespresse im 19. und 20. Jahrhundert, cit., p. 121. Si veda in proposito un aneddoto riportato da Peter de Mendelssohn secondo il quale il 6 febbraio 1919, giorno storico di inizio dei lavori dell’assemblea costituente, il presidente della Repubblica, Friedrich Ebert, salendo le scale del teatro nazionale di Weimar, si vedette offrire da un giovane venditore di giornali, con sua grande sorpresa, l’ultima edizione della « B.Z. am Mittag » con già prontamente stampato il discorso che egli avrebbe tenuto di lì a breve per l’apertura dei lavori [Cfr. P. de Mendelssohn, Zeitungsstadt Berlin. Menschen und Mächte in der Geschichte der deutschen Presse, Berlin, Ullstein, 1959, p. 155]. 3 Su Alfred Hugenberg si veda K. Koszyk, Deutsche Presse 1914-1945, in Id., Deutsche Presse, cit., vol. iii (1972), pp. 219-239. 4 Cfr. B. Schrader, J. Schebera, Die »goldenen« zwanziger Jahre, Leipzig, Edition Leipzig, 1987, pp. 128129. 2
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I prodotti della stampa si rivolgono a un pubblico ampio e devono perciò cercare di rispondere a esigenze molto diversificate. Quanto vario è il profilo dei lettori, tanto varie, dunque, sono le tipologie e gli obiettivi dei quotidiani e periodici. 1 La borghesia colta legge il « Berliner Tageblatt », quotidiano di orientamento democratico e liberale, guidato con intelligenza da Theodor Wolff, o la « Vossische Zeitung », il più antico (1704) e rinomato giornale berlinese, o, ancora, la « Frankfurter Zeitung », con il suo feuilleton di straordinario livello intellettuale. 2 Ci sono poi quotidiani rivolti a un pubblico vasto e popolare, come il « Berliner Morgenpost », che raggiunge, sul finire degli anni venti, una tiratura di 600.000 copie e il « Berliner Lokal-Anzeiger« , che, con 200.000 copie, è il giornale di punta del gruppo di Hugenberg. Un ruolo importante è assunto inoltre dalle Boulevardzeitung tradizionalmente legate a un pubblico principalmente attratto da notizie sintetiche e attuali. In un’epoca di grande partecipazione civile, infine, non possono mancare le testate di chiaro orientamento politico o di esplicita appartenenza partitica come la « Rote Fahne », giornale comunista, il « Vorwärts », quotidiano socialdemocratico, o il « Völkischer Beobachter », organo del partito nazionalsocialista. A fianco del giornalismo quotidiano si trova, infine, un composito panorama di periodici dei più diversi generi, da mensili popolari come « Uhu » o « Die Dame », ad apprezzate riviste culturali e politico-culturali come il « Querschnitt », il « Tagebuch » o la « Weltbühne », prosecuzione della « Schaubühne », con un nuovo nome e un più ampio spettro tematico. Tra le varie sezioni dell’informazione proprio l’approfondimento culturale possiede un’importanza che difficilmente può essere sopravvalutata. Il feuilleton conferma una centralità che è radicata nella particolare storia della pubblicistica di lingua tedesca. Come nota Walter Kiaulehn, infatti, fino agli anni ottanta dell’Ottocento all’interno dei giornali tedeschi la parte dedicata alle notizie di cronaca e di politica era considerata, rispetto alla sezione teatrale e letteraria, soltanto come un’appendice, e questo non semplicemente per un idilliaco amore nei confronti della cultura, quanto per il fatto che in un’epoca in cui era ancora attiva la censura, il feuilleton era l’unico luogo in cui il giornalista poteva dire apertamente ciò che pensava. 3 Tutti i più importanti quotidiani avevano da sempre dedicato grande spazio e attenzione al proprio feuilleton, e, all’interno di questo, la critica teatrale aveva occupato una posizione di indiscusso prestigio e privilegio. Essa poteva contare su una tradizione straordinaria che risaliva a Lessing per giungere fino a Fontane e Kerr. Una tradizione, che durante gli anni della Repubblica, resta più che mai viva ed è portata avanti da personalità di eccezionale livello giornalistico e intellettuale. Generazioni diverse e modi opposti di intendere il giornalismo culturale convivono nello spazio dell’informazione e della riflessione teatrale della Repubblica di Weimar. A fianco di critici come Alfred Kerr, Monty Jacobs e Max Osborn, formati sul finire dell’Ottocento all’interno della scuola germanistica di Schmidt, emergono ora personalità come Herbert Ihering e Julius Bab, entrambi nati negli anni ottanta dell’Ottocento e cresciuti nella “scuola” della « Schaubühne », mentre sono ancora attivi alcuni padri nobili della critica teatrale, come Julius Hart e Alfred Klaar, che, con i loro interventi da più di tre decenni animavano la riflessione critico-teatrale tedesca.
1 Emil Dovifat, ad esempio, divide i quotidiani dell’epoca in tre tipologie : i grandi giornali “aristocratici”, rivolti alla borghesia colta come il « Berliner Tageblatt » o la « Frankfurter Zeitung », i giornali di diffusione di massa, “democratico-popolari”, come il « Berliner Morgenpost » e, infine, i giornali “combattivo-demagogico” più direttamente impegnati nella lotta politica come la « Rote Fahne », legata al partito comunista, o il « Völkischer Beobachter », dal 1921 legato al partito nazionalsocialista [Cfr. E. Dovifat, Die Publizistik der Weimarer Zeit, in Die Zeit ohne Eigenschaften. Eine Bilanz der zwanziger Jahre, a cura di L. Reinisch, Stuttgart, Kohlhammer, 1961, pp. 121-128], 2 Schrader e Schebera elencano alcuni dei nomi dei redattori del quotidiano, tra gli altri Siegfried Kracauer, Joseph Roth, Ernst Bloch e Walter Benjamin [Cfr. B. Schrader, J. Schebera, Die »goldenen« zwanziger Jahre, cit., p. 128]. 3 Cfr. W. Kiaulehn, Berlin. Schicksal einer Weltstadt, Berlin-Darmstadt-Wien, Deutsche Buch-Gemeinschaft, 1962, pp. 483-484.
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Al diverso profilo e ai diversi obiettivi dei giornali e delle riviste tedesche, corrisponde, nella critica teatrale della Repubblica, una straordinaria varietà di metodi e orientamenti stilistici. Essa deve assolvere, infatti, numerosi compiti : è trasmissione di notizie, carattere evidente nella Vorkritik, 1 approfondimento estetico-teatrale, o ancora intervento politico-culturale. Perciò c’è chi, come Fritz Engel, continua a considerarla come attività rivolta principalmente al giudizio, c’è chi, come Paul Fechter, le assegna un ruolo prevalentemente descrittivo e informativo, o chi, come Ihering, allarga il campo di azione della critica al di là della sfera meramente estetica verso una riflessione socio-teatrale e politico-culturale. Il linguaggio con cui i critici adempiono ai propri scopi è poi altrettanto variegato : si va dal soggettivismo brillante e ironico di Kerr, alla sobrietà programmatica di Ihering, all’immediatezza di Norbert Falk, fino alla violenza verbale di Alfred Mühr, critico di estrema destra impiegato presso la « Deutsche Zeitung ». Qualunque siano le concezioni che ne orientano le scelte, una cosa è certa : i critici teatrali prendono parte con incredibile vigore agli scontri teatrali e politici del tempo. Già in occasione del debutto registico di Jessner, nel 1919, un nutrito gruppo di critici progressisti, tra cui Kerr e Ihering, dimostra l’intenzione di posizionarsi saldamente al centro della coscienza civile della giovane Repubblica, difendendo il regista ebreo e socialdemocratico dagli attacchi feroci delle cerchie più reazionarie. Negli anni successivi sono i lavori di Brecht e Bronnen o le regie di Piscator a scatenare, in platea e sui giornali, discussioni altrettanto accese e appassionate. La polemica appartiene intimamente all’essenza della critica teatrale di questi anni ed è un attributo fondamentale del suo attivismo politico-culturale. La più celebre, senza dubbio, è quella che oppone Kerr e Ihering, ma non mancano altre discussioni vivaci e importanti come quella intorno alla politicizzazione della Volksbühne, che vede Bab e Ihering su fronti opposti. 2 Il critico teatrale, in altre parole, non è un osservatore passivo della vita teatrale, ma un agente del suo sviluppo, capace di intervenire per orientare tanto i gusti del pubblico quanto le scelte degli operatori. Non è raro, ad esempio, trovare sui giornali annunci pubblicitari che promuovono gli spettacoli teatrali citando estratti dalle recensioni dei critici più celebri, similmente a quanto è ancora oggi in uso negli spazi dedicati alla promozione cinematografica. Nonostante non sia possibile valutare con esattezza l’effettivo potere materiale che la critica teatrale assume in questa fase, è indubbio che, durante la breve esistenza della prima democrazia tedesca, essa rappresenti un’istituzione importante e riconosciuta a fianco e insieme al teatro. Un fatto testimoniato con grande vivacità da alcuni ricordi di Elias Canetti :
Nella pensione Charlotte si parlava molto di rappresentazioni teatrali, commentandole e sviscerandole in ogni particolare. E poiché anche i veri intenditori presenti nella pensione prendevano pur sempre spunto dalle recensioni della « Frankfurter Zeitung », le discutevano e, anche quando erano di opinione diversa, manifestavano un deferente rispetto per il punto di vista autorevole della carta stampata, le conversazioni riguardanti il teatro si ponevano ad un certo livello ed erano forse più serie di quelle su altri argomenti. La passione per il teatro la sentivano tutti e ne erano orgogliosi. Un fiasco suscitava un senso di profondo rammarico, e non soltanto giudizi sprezzanti. Il teatro era un’istituzione riconosciuta, e anche coloro che per il resto militavano in campi avversi si sarebbero ben guardati dall’attaccarla. 3
1
Breve critica di carattere prevalentemente informativo pubblicata nelle edizioni mattutine dei quotidiani. Per gli sviluppi del dibattito intorno alla funzione e all’orientamento della Volksbühne (1926-1928) si veda : H. Adamski, Diener, Schulmeister und Visionäre. Studien zur Berliner Theaterkritik der Weimarer Republik, cit., pp. 245-295. 3 E. Canetti, Il frutto del fuoco. Storia di una vita (1921-1931), trad. it di A. Casalegno e R. Colorni, Milano, Adelphi, 1982, p. 57. 2
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3. 3. La battaglia critico-teatrale di Kerr e Ihering dall’espressionismo al teatro epico 3. 3. 1. Kerr e Ihering : due paradigmi critico-teatrali
Kerr e Ihering possono essere considerati senza dubbio i critici teatrali più significativi degli anni della Repubblica di Weimar. Diverse sono le ragioni che inducono ad assegnare loro questa posizione di prestigio. Innanzitutto il posto che essi occupano nella coscienza dei propri contemporanei. Non è un mistero, ad esempio, che Györgi Lukács, oggi certamente più celebre e conosciuto, all’inizio della sua carriera aspirasse a diventare un critico come Alfred Kerr. Kerr, infatti, è una vera e propria star del giornalismo e della pubblicistica, una posizione condolidata nel corso della sua lunga carriera attraverso numerose pubblicazioni dei più diversi generi. Nel 1919 lascia il « Tag » controllato dal gruppo di Hugenberg, ed è assunto dal « Berliner Tageblatt », uno dei giornali più letti dalla borghesia colta, che gli offre un contratto straordinariamente favorevole. Il quotidiano del gruppo Mosse gli garantisce, infatti, un’assoluta libertà di scegliere gli spettacoli cui assistere, l’assenza di vincoli redazionali – è responsabile solo di fronte al caporedattore Wolff – e la possibilità di lavorare a casa e portare direttamente i propri contributi alla stampa prima della chiusura dell’edizione. 1 Dati e informazioni, insomma, che permettono di comprendere il peso e il seguito su cui egli può contare. Un peso che è confermato dalla stima, dalla considerazione – certo anche dall’avversione – che numerosi artisti e intellettuali nutrono nei suoi confronti. Nel volume pubblicato nel 1928 come omaggio per il suo sessantesimo compleanno si possono trovare interventi e lettere di auguri di personalità del calibro di Gerhart Hauptmann, Arthur Schnitzler, Max Herrmann, Theodor Wolff e Bernhard Shaw. 2 E proprio alcune righe di uno di questi interventi, quello redatto per l’occasione da Rudolf Kayser, ci permettono di comprendere quale fosse il significato di Kerr per la generazione di letterati che aveva iniziato a scrivere immediatamente prima del conflitto mondiale :
Il significato di Alfred Kerr come lo vedevamo noi allora in poche parole era : redenzione della critica dalla secchezza accademica ; gaia scienza nel senso di Friedrich Nietzsche ; entusiastica affermazione dell’esistenza e soprattutto quella nuova arte linguistica in cui prendeva vita il nostro proprio ritmo : conciso, arguto, acuto e pungente. [...] La rivoluzione della critica tedesca operata da Kerr fu più grossa, più impetuosa e di maggior successo che qualsiasi altra dai giorni del romanticismo tedesco. 3
Kerr, insomma, è ora una vera e propria istituzione del giornalismo culturale. Una posizione su cui certo non può ancora contare Ihering, più giovane di una generazione e che, all’inizio della Repubblica, non ha ancora potuto esprimere pienamente tutto il suo enorme potenziale. Il « Berliner Börsen-Courier », con circa 50.000 copie stampate, non può contare sullo stesso seguito e sulla stessa influenza del quotidiano edito da Mosse, ma, come abbiamo avuto modo di vedere, raccoglie, sotto Emil Faktor, un brillante gruppo di collaboratori che fa del suo feuilleton uno dei più apprezzati della Repubblica. Al suo interno Ihering si profila presto come una delle firme più prestigiose della critica teatrale tedesca. Il suo intuito e la sua sicurezza di giudizio gli permettono di riconoscere, per primo, il valore di Brecht, e di diventarne, dal 1922, il principale mentore e sostenitore. Ma “Brecht” è soltanto la più celebre delle battaglie combattute e vinte da Ihering, che diventa in questi anni il più acuto e attento interlocutore delle avanguardie che si succedono sui palcoscenici tedeschi. Con le sue critiche teatrali offre un fondamentale appoggio a Barlach, Bronnen
1 Cfr. I. Herskovics, Alfred Kerr als Kritiker des Berliner Tageblattes, 1919-1933. Grenzen und Möglichkeiten einer subjektiv geprägten Publizistik, cit., vol. i, pp. 57-59. 2 3 Cfr. J. Chapiro, Für Alfred Kerr. Ein Buch der Freundschaft, cit. Ivi, p. 123.
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e alla « Junge Bühne », sostiene Piscator e la politicizzazione del teatro oltre che diventare un punto di riferimento nella riflessione sulla politica culturale dei teatri berlinesi. Così egli può guadagnare rapidamente una straordinaria stima da parte degli artisti teatrali : 1 « Lo si leggeva come una grammatica », ricorda Kortner, « da cui si imparava ». 2 Il giudizio sul significato dei due critici per la pubblicistica teatrale della Repubblica di Weimar non discende, tuttavia, soltanto dalla constatazione della posizione di primo piano che essi occupano nella vita culturale degli anni venti, ma deriva parimenti dall’osservazione della loro capacità di elaborare due opposti modelli di critica teatrale che possono essere considerati come uno dei contributi più interessanti della riflessione critico-teatrale del primo Novecento. Kerr, il più anziano dei due, continua a coltivare un profilo autoriale poliedrico : scrive recensioni e saggi, si serve del nuovo strumento della radio per intervenire nella battaglia politico-culturale e tutto ciò non gli impedisce di pubblicare volumi dedicati alle proprie esperienze di viaggio o raccolte di Reisefeuilletons, prose di carattere diaristico e liriche. 3 Il centro in cui questa pluralità di interessi trova un’unità e una forma di sintesi è lui stesso : critico e soggetto-autore dotato di tratto stilistico unico e inconfondibile. Il profilo stilistico e intellettuale di Ihering è, al contrario, poco eclettico. Egli certo, nella sua attività pubblicistica, non si occupa unicamente di teatro, ma in tutti i suoi interventi è presente il medesimo atteggiamento sistematico e analitico con cui guarda la scena e cerca di indicare ad essa un percorso attraverso le trasformazioni del presente. 4 Il suo richiamo alla sobrietà e all’oggettività è profondamente distante dalle tentazioni artistiche, autoriali e soggettive di Kerr. Per Ihering il critico è, infatti, sottomesso al proprio oggetto, non è un autore che usa il teatro come semplice occasione per costruire un proprio discorso, ma è un analista e uno stratega nella battaglia politico-culturale. Per agire in questo modo concreto Ihering utilizza molteplici strumenti : redige critiche per il « Berliner Börsen-Courier », collabora con riviste come il « Tagebuch » o la « Weltbühne », utilizza la radio per interventi sui temi più diversi, dalla politica, al teatro, alla società. Ma se il compito che egli assegna alla critica è indicare un percorso di sviluppo e combattere affinché questo si affermi sulla scena teatrale, è chiaro che la forma più adatta a questo ruolo sarà una forma che unisce lotta e riflessione, una forma che tiene insieme lo spirito del pamphlet e la capacità progettuale dei manifesti programmatici. Nel corso degli anni venti Ihering è, dunque, autore di numerosi e importanti Streitschriften, scritti polemici, come li definiscono i curatori della raccolta Der Kampf ums Theater, in cui la presa di coscienza della situazione presente è accompagnata da una chiara indicazione delle linee di sviluppo future. Ed è proprio in opere come Der Kampf ums Theater (1922), Die vereinsamte Theaterkritik (1928), Reinhardt, Jessner, Piscator oder Klassikertod ? (1929) o, ancora, Die getarnte Reaktion (1930) che il modello del critico del « Berliner Börsen-Courier » raggiunge la sua consistenza e la sua espressione più adeguata. Se la critica, per Kerr, è un fine in sé, per Ihering essa ritorna un mezzo rivolto a uno
1 In merito al conflitto tra Kerr e Ihering e alle rispettive posizioni, Rühle afferma che mentre il primo aveva dalla sua parte principalmente la società e il pubblico, il secondo poteva contare sull’ampio appoggio degli addetti ai lavori [Cfr. G. Rühle, Das Theater der Republik, in Theater für die Republik im Spiegel der Kritik (1917-1933), a cura di G. Rühle, cit., vol. i, p. 42]. 2 F. Kortner, Aller Tage Abend (1959), Berlin, Alexander, 1991, p. 385. 3 Oltre alle raccolte e ai libri di viaggio già richiamati in precedenza [Cfr. supra, 2. 1. 6., pp. 75-76] ricordiamo la pubblicazione nel 1921 di Krämerspiegel, allegorie in versi musicate da Richard Strauss [A. Kerr, R. Strauss, Krämerspiegel. Zwölf Gesänge von Alfred Kerr für eine Singstimme mit Klavierbegleitung komponiert von Richard Strauß Opus 66, Berlin, Cassirer, 1921], e, nel 1926, il volume di poesie Caprichos [A. Kerr, Caprichos, cit.]. La prima raccolta di poesie era stata pubblicata da Kerr nel 1917 con il titolo Die Harfe [A. Kerr, Die Harfe. Vierundzwanzig Gedichte, Berlin, S. Fischer, 1917]. 4 Recentemente è stata pubblicata una raccolta di articoli, interventi radio e scritti di Ihering che mostra come la sua attenzione fosse rivolta, oltre che al teatro, alla vita culturale e sociale nel suo complesso [H. Ihering, Umschlagplätze der Kritik. Texte zu Kultur, Politik und Theater, cit.].
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scopo, Waffe der Kulturpolitik (arma della politica culturale), come la definisce nel 1930. 1 Lo scontro che vede opposti i due critici è, per questo, un duello tra due personalità pubbliche e, al contempo, uno scontro tra due modi opposti di pensare la critica e il teatro. Uno scontro che si inserisce nel solco delle grandi polemiche che caratterizzano la storia della critica teatrale tedesca e di cui abbiamo visto un esempio nel dibattito intorno al “caso Sudermann”. La battaglia tra Kerr e Ihering si accende all’inizio degli anni venti, raggiunge il suo apice tra il 1924 e il 1926, 2 e prosegue fino alla fine della breve parentesi democratica tedesca, suscitando, come ricorda Kortner, un interesse davvero straordinario nell’opinione pubblica tedesca : 3
Egli [Kerr, N.d.T.] combatteva due guerre contemporaneamente. Una difensiva contro Karl Kraus e una offensiva contro Herbert Ihering, nella quale era in gioco il vero stile teatrale e Bert Brecht. Kerr non vide la grandezza di Brecht a causa dell’odio contro Ihering, che aveva riconosciuto il poeta e per lui si era mobilitato. Noi del teatro prendemmo parte appassionatamente al duello. Questa guerra giornalistica tolse anche una parte sorprendentemente grossa dell’interesse pubblico dalle battaglie politiche di potere. Dall’esito della lotta politica dipendeva l’organizzazione della vita e, per molti, la vita stessa. Ma il se e il come si sarebbe potuto continuare a vivere venne dimenticato a favore della disputa intorno alle modalità in cui la vita sarebbe dovuta essere drammatizzata e rappresentata sulla scena. Kerr, che aveva aiutato Shaw, Ibsen e Hauptmann a imporsi in Germania non si concedette al poeta Bert Brecht. Nel duello intorno ad esso egli combatteva una battaglia persa. Ihering era un tedesco fanatico delle regole. Le sue riflessioni non raggiunsero il grande pubblico. Ma nei circoli teatrali il suo giudizio aveva peso. Lo si leggeva come una grammatica da cui si imparava. Kerr invece o si innamorava e diventava un trovatore, o odiava e diventava un nemico. Il suo innamoramento contagiava il pubblico. Le sue recensioni erano in grado di suscitare desiderio o di spegnerlo e avevano un effetto immediato sulla frequentazione del teatro. La sua critica appariva tanto fatta con tocchi leggeri, quanto limata nella sua terminologia puntuale e bizzarra. 4
3. 3. 2. La scena della rivoluzione : il teatro nei primi anni della Repubblica
Le speranze e le tensioni suscitate dalla nascita della Repubblica sono riflesse, con incredibile intensità, dalla scena teatrale, un’intensità a cui attori, registi e drammaturghi cercano di dare forma e voce : 5 « Il nuovo teatro e il nuovo stato : essi provengono dal medesimo desiderio. Essi vogliono e desiderano lo stesso percorso : dal caos tornare alla cultura, in un
1 Cfr. H. Ihering, Kritik (1930), in Id., Umschlagplätze der Kritik. Texte zu Kultur, Politik und Theater, cit., p. 21. 2 Cfr. J. Biener, “...Kämpfer sein und Melodie”. Der Kritiker Alfred Kerr, « Weimarer Beiträge », a. xxvi, n. 5, 1980, p. 160 e I. Herskovics, Alfred Kerr als Kritiker des Berliner Tageblattes 1919-1933. Grenzen und Möglichkeiten einer subjektiv geprägten Publizistik, cit., vol. i, p. 272. 3 Sul confronto tra Kerr e Ihering si veda anche : J. Biener, Alfred Kerr und Herbert Ihering. Ein Beitrag zur Geschichte der neueren Theaterkritik, cit. ; I. Herskovics, Alfred Kerr als Kritiker des Berliner Tageblattes 19191933. Grenzen und Möglichkeiten einer subjektiv geprägten Publizistik, cit., vol. i, p. 272-277 ; H. Mayer, Momenti di critica teatrale : Alfred Kerr e Herbert Ihering, in Il teatro nella Repubblica di Weimar, a cura di P. Chiarini, Roma, Istituto Italiano di Studi Germanici, 1984, pp. 243-258 ; G. Rühle, Ein Jahrhundertkampf. Die Theaterkritiker Alfred Kerr und Herbert Ihering, « Neue Zürcher Zeitung », 6 luglio 2002 ; H. Schneider, Alfred Kerr als Theaterkritiker. Untersuchung zum Wertsystem des Kritikers, cit., vol. ii, pp. 255-291 ; L. Schöne, Der Kritiker – Gegenschöpfer oder Faxenmacher ? Der Kampf um das Theater zwischen Ihering und Kerr in der Weimarer Republik, « Neue Zürcher Zeitung », 27 febbraio 1987 ; L. Schöne, Neuigkeiten vom Mittelpunkt der Welt. Der Kampf ums Theater in der Weimarer Republik, cit. ; R. Stephan, Mit Schleuder und Harfe : Herbert Jhering – der Vergessene, « Süddeutsche Zeitung », 17 aprile 2005. 4 F. Kortner, Aller Tage Abend, cit., pp. 384-385. 5 Per la ricostruzione della storia del teatro negli anni della Repubblica di Weimar si vedano in particolare G. Rühle, Theater in Deutschland 1887-1945. Seine Ereignisse – seine Menschen, Frankfurter a. M., S. Fischer, 2007 ; M. Brauneck, Die Welt als Bühne. Geschichte des europäischen Theaters, cit., vol. iv (2003), pp. 226-501 ; J. Willet, The Theatre of the Weimar Republic, New York-London, Holmes & Meier, 1988. In lingua italiana sono disponibili invece due importanti volumi la cui edizione è stata curata da Paolo Chiarini : Teatro nella Repubblica di Weimar, a cura di P. Chiarini, Roma, Officina, 1978 e Il teatro nella Repubblica di Weimar, a cura di P. Chiarini, cit.
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nuovo ordine dell’arte e dello spirito ». 1 Un percorso che, in primo luogo, è istituzionale, con l’abolizione della censura e l’assunzione dei teatri di corte (Hoftheater) sotto il controllo e la responsabilità pubblica (Staats- e Landestheater). 2 Ma la ristrutturazione organizzativa non è che un aspetto di quello straordinario rinnovamento che investe il teatro tra la fine degli anni dieci e l’inizio degli anni venti. Il dramma espressionista, finora ancora quasi sconosciuto alla scena, conquista Berlino e la Germania con un impulso rivoluzionario e utopico, un impulso che, tuttavia, non possiede ancora la consapevolezza ideologica del teatro politico della seconda metà degli anni venti. 3 Per l’espressionismo, infatti, la rivoluzione è, prima di tutto, un’esperienza di purificazione e redenzione dell’umanità. Gli individui concreti e la realtà mondana, considerati come luogo della contingenza, sono risolti in forze astratte, tipologie che traducono i conflitti reali in figure allegoriche e universali. 4 Il teatro, più che luogo per lo sviluppo di una coscienza di classe, appare, dunque, come l’occasione per dare corpo a un’esperienza estatica di catarsi, un cammino di formazione ben espresso nel finale del dramma di Toller, La Svolta (Die Wandlung) :
Friedrich : Ora vi grido, fratelli : marciate ! Marciate nella luce del giorno ! Orsù, andate dai potenti e annunciate loro, con voci tonanti come canne d’organo, che il loro potere non è che una chimera. Andate dai soldati e ditegli di rifondere le loro spade in vomeri d’aratro. Andate dai ricchi e mostrate loro il vostro cuore, divenuto mucchio di macerie ; però trattateli con benevolenza, anche loro sono poveri fuorviati. Ma infrangete le fortezze, infrangete ridendo le false fortezze, costruite di scorie, di arido putridume. Marciate – marciate nella luce del giorno ! Fratelli in alto la martoriata mano ! Fiamma di gioia sia la vostra voce ! Corri sul nostro libero suolo, rivoluzione ! rivoluzione ! 5
L’opposizione tra spirito e materia, tipica della mistica espressionista, trova un’adeguata forma di rappresentazione nello stile sintetico e astratto che si afferma, contestualmente a questa drammaturgia, sulla scena berlinese e tedesca. La ricostruzione della realtà e l’illusione sensoriale, attributi essenziali delle ultime grandi correnti del teatro tedesco, lasciano ora spazio a un utilizzo simbolico della luce e dei volumi, funzionale a rappresentare il nucleo essenziale del dramma più che gli avvenimenti e gli ambienti narrati da esso. Una poetica che trova in Leopold Jessner, 6 nuovo direttore e regista
1
G. Rühle, Das Theater der Republik, cit., p. 11. Per la ricostruzione dell’organizzazione del sistema teatrale e delle sue trasformazioni negli anni della Repubblica di Weimar si veda : M. Boetzkes, M. Queck, L’organizzazione teatrale dopo la Rivoluzione di Novembre, trad. it. di R. Venuti e P. Romano, in Teatro nella Repubblica di Weimar, a cura di P. Chiarini, cit., pp. 35-80. 3 Per una ricostruzione più approfondita del teatro espressionista tedesco si veda in particolare : D. F. Kuhns, German Expressionist Theatre. The Actor and the Stage, Cambridge, Cambridge University Press, 1997. Un’interessante raccolta di informazioni e documenti sul movimento espressionista è offerta dal catalogo della mostra allestita dal Deutsches Literaturarchiv di Marbach nel 1960 : Expressionismus. Literatur und Kunst 1910-1923, a cura di L. Greve, P. Raabe, München, Langen, 1960. In lingua italiana si veda la raccolta di drammi espressionisti a cura di Cristina Grazioli [Cfr. Drammi dell’espressionismo, a cura di C. Grazioli, Genova, Costa & Nolan, 1996] e i saggi contenuti nel volume curato da Paolo Chiarini sul teatro negli anni della Repubblica di Weimar [Cfr. V. Dübgen, Il conflitto tra le generazioni. Descrizione di un motivo, trad. it. di V. Verrienti, in Teatro nella Repubblica di Weimar, a cura di P. Chiarini, cit., pp. 147-154 ; M. Giesing, T. Girshausen, H. Walther, La tecnica come Moloch, la società nel teatro dell’espressionismo, trad. it. di A. Gargano, in Teatro nella Repubblica di Weimar, a cura di P. Chiarini, cit., pp. 155-186]. 4 Per quanto riguarda la mistica dell’espressionismo e il suo utilizzo di strumenti espressivi come l’allegoria si veda : F. Bartoli, Una drammaturgia della salvezza, in Drammi dell’espressionismo, a cura di C. Grazioli, cit., pp. 26-67. 5 E. Toller, La svolta (1919), trad. it. di E. Castellani, in E. Toller, Teatro, a cura di E. Castellani, Torino, Einaudi, 1968, p. 67. 6 Leopold Jessner (1878-1945), dopo aver iniziato la carriera come attore, lavora come regista al Thalia Theater di Amburgo e dal 1915 al 1919 è direttore e regista alla Neue Schauspielhaus di Königsberg. Nel 1919 è chiamato a dirigere la Staatliches Schauspielhaus am Gendarmenmarkt di Berlino. Qui resta direttore e regista 2
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dello Staatstheater, il più importante esponente. Il Guglielmo Tell, con cui debutta il 12 dicembre del 1919 1 sul palcoscenico del teatro di Gendarmenmark, mostra tutta la potenza delle idee teatrali del regista e rappresenta quasi un manifesto estetico e politico della nuova scena : non è la Svizzera di Schiller a essere rappresentata, ma l’idea di libertà contenuta nel dramma, resa evidente nella scena geometrica e astratta disegnata da Emil Pirchan. Scrive il critico della « Vossische Zeitung » Alfred Klaar il giorno dopo il debutto :
Jessner ha allestito tutte le scene del Tell intorno a una costruzione fissa, un’enorme scala affiancata da passerelle, e ha accennato all’ambientazione montuosa solo attraverso sfondi delimitati geometricamente, attraverso pareti scure e piatte. Piccoli aiuti : un tronco d’albero, un’inferriata, delle finestre a parete o una tenda scura dovrebbero bastare a trasportarci nel luogo davanti all’abitazione di Stauffacher, nel rifugio di Tell, nel castello di Attinghausen o nella vita familiare di Walther Fürst. 2
Il teatro sognante e sensoriale di Max Reinhardt, protagonista assoluto del primo quindicennio del Novecento, è inadatto alla radicalità politica e alla concisione estetica della nuova scena. Ma prima di lasciare temporaneamente la direzione dei suoi teatri berlinesi egli cerca di accompagnare lo sviluppo della scena teatrale e di proporsi come sua guida. 3 Dal 1917, attraverso l’associazione Das junge Deutschland, inizia a presentare nei suoi teatri la drammaturgia espressionista, ma è soprattutto con la costruzione e il debutto, nel 1919, della Großes Schauspielhaus che egli tenta di intercettare la sensibilità e le suggestioni dell’epoca. 4 Il regista e direttore austriaco prosegue qui nel tentativo di realizzare un nuovo teatro di massa, un teatro che rinunci alla distanza rappresentativa della Guckkastenbühne e renda possibile una nuova unione tra spettatore e scena. Un tentativo che, nonostante le enormi aspettative, mostra tuttavia presto i propri limiti : lo spazio scenico e le dimensioni complessive dell’edificio obbligano gli attori ad amplificare voce e movimenti e il nuovo teatro si dimostra adatto soltanto a rappresentazioni impostate su azione e movimento. 5 La nuova estetica teatrale, anti-realistica e stilizzata, trova in giovani attori come Ernst Deutsch, Werner Krauss e Fritz Kortner degli interpreti straordinari in grado di operare una profonda trasformazione del linguaggio attoriale. Il tono intimo e psicologico del naturalismo è definitivamente abbandonato. Il corpo e la voce dell’attore, tesi fino all’estremo delle proprie possibilità, perdono ogni sfumatura mimetica e divengono materiale sonoro e visuale per la presentazione di forze e dinamiche astratte. Il nuovo attore non porta sulla
fino al 1930, e conduce regie fino al 1933. Jessner, ebreo, è costretto a emigrare a seguito della presa del potere dei nazionalsocialisti e dopo diverse tappe, giunge nel 1937 negli Stati Uniti dove resta fino alla morte nel 1945. Su Jessner si vedano in particolare M. Heilmann, Leopold Jessner – Intendant der Republik. Der Weg eines deutschjüdischen Regisseurs aus Ostpreußen, Tübingen, Niemeyer, 2005 e la raccolta di scritti L. Jessner, Schriften. Theater der zwanziger Jahren, a cura di H. Fetting, Berlin, Henschelverlag, 1979. In lingua italiana si vedano invece : M. Fazio, Lo specchio, il gioco e l’estasi, cit., pp. 367-411 e la dissertazione dottorale L. Stendardo, Politica e regia teatrale negli scritti di Leopold Jessner, Diss., Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”, 2008. Entrambi gli studi presentano anche la traduzione di alcuni scritti del regista. 1 La messinscena del regista, ebreo e socialdemocratico, aveva scatenato la reazione degli ambienti reazionari e conservatori e lo spettacolo si era trasformato in un’aperta battaglia tra opposte fazioni. Il giorno dopo la messinscena Alfred Kerr, nella Vorkritik, scrive in proposito : « Non devono essere stati degli autori pagati. Forse dei clienti abituali della vecchia gestione, abituati al kitsch... e si sono ribellati contro ciò che è buono. (Monarchici dell’arte) » [A. Kerr, Friedrich von Schiller « Wilhelm Tell » (13 dicembre 1919), in WiE, vii/2, p. 50]. 2 A. Klaar, Der « Wilhelm Tell »-Abend im Schauspielhaus, « Vossische Zeitung », 13 dicembre 1919, in B. Schrader, J. Schebera, Kunstmetropole Berlin 1918-1933, Berlin-Weimar, Aufbau, 1987, p. 55. 3 Nell’ottobre del 1920 Reinhardt lasciò temporaneamente la direzione dei suoi teatri di Berlino e tornò a rivolgere il suo interesse a Vienna e Salisburgo [Cfr. M. Fazio, Lo specchio, il gioco e l’estasi, cit., p. 135]. 4 Cfr. ivi, pp. 127-135. Sull’associazione Das junge Deutschland si veda inoltre : S. Shearier, Das junge Deutschland 1917-1920. Expressionist Theater in Berlin, New York, Lang, 1988. 5 Cfr. G. Rühle, Theater in Deutschland 1887-1945. Seine Ereignisse – seine Menschen, cit., pp. 359-364.
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scena uomini e individui concreti, con le loro emozioni e i loro pensieri, ma espone, con un’espressività stilizzata e caricata, forze elementari e simboli universali :
Davanti a queste intonazioni d’immagini accorciate e concentrate, gli attori recitavano in modo accorciato e concentrato. Parole si accumulavano ritmicamente per poi spezzarsi. Grida si levavano per poi inabissarsi. Movimenti avanzavano per poi tornare indietro. Non veniva offerta psicologia e sviluppo, ma concentrazione e attimo. Non disegno ma punteggiatura. Non gesti, ma energia. La direzione interiore era fissata. La direzione della caduta e dell’ascesa. 1
Proprio il significato di questa trasformazione dei mezzi di espressione dell’attore è all’origine del primo scontro tra Kerr e Ihering : uno scontro che non sorge da un diverso giudizio sui singoli attori, quanto da un opposto modo di considerare il senso del lavoro teatrale.
3. 3. 3. Il lavoro dell’attore, i compiti del critico : l’inizio della polemica tra Kerr e Ihering
Nei primi anni della Repubblica i contatti personali e intellettuali tra Ihering e Kerr non sembrano preludere alla polemica che di lì a breve coinvolgerà i due critici e appassionerà l’intera opinione pubblica tedesca. Certo Ihering, nell’articolo che era stato pubblicato, a sua insaputa, sulla « Deutsche Montagszeitung », aveva già espresso un duro giudizio nei confronti di Kerr, ma quest’attacco era stato sferrato in una fase in cui l’interesse dell’opinione pubblica intorno alla vicenda Kerr-Jagow era ormai decisamente scemato e non aveva quindi suscitato nessuna particolare conseguenza. Non resta, infatti, alcuna traccia di una risposta da parte di Kerr, né egli successivamente fa riferimento alla vicenda, cosa che ci permette di ipotizzare che l’articolo, probabilmente, non dovette attirare la sua attenzione. Negli scambi tra Ihering e Kerr che seguono il ritorno di Ihering a Berlino e il suo re-impiego giornalistico, non si nota alcun residuo polemico, anzi, in alcuni documenti, si osserva piuttosto un atteggiamento reciprocamente propositivo e cordiale. 2 Nel febbraio del 1920, ad esempio, Ihering scrive, per il « Berliner Börsen-Courier » una recensione dell’ultima opera pubblicata da Kerr, Die Welt im Licht. 3 Dopo aver letto l’articolo polemico pubblicato qualche anno prima stupisce leggere ora le parole di lode con cui Ihering giudica i Reisefeuilletons di Kerr. È vero, questa volta l’oggetto dell’analisi sono le prose di viaggio e non le critiche teatrali ed è perciò lecito aspettarsi una certa soluzione di continuità tra le valutazioni offerte nei due contributi. La centralità del soggetto nel racconto di viaggio è, infatti, altra cosa rispetto alla fondazione soggettiva del giudizio teatrale : se da una parte l’obiettivo è restituire l’esperienza vissuta del viaggiatore, dall’altra è offrire una valutazione estetica che, pur appoggiandosi su un gusto individuale, non può essere meramente arbitraria ed estemporanea. È tuttavia piuttosto singolare leggere le parole di elogio con cui Ihering definisce ora queste brevi prose di viaggio addirittura come uno dei capolavori dell’impressionismo letterario :
In lingua tedesca ci sono poche cose che risultano così incantate dalla musica della terra come questi schizzi e queste pagine di diario ; poche cose che riescono, nello stesso modo, a restituire usi e costumi come se fossero le frasi di una sinfonia, donne e paesaggi come se fossero delle sospensioni sonore. 4
Qualche mese dopo, nell’estate del 1920, sembra persino prospettarsi la possibilità di una collaborazione professionale tra i due critici, come documentano alcune lettere conservate 1
H. Ihering, Die Wandlung (2 ottobre 1919), in RbB, i, p. 123. Questo aspetto non è finora stato osservato negli studi su Kerr e Ihering. Nei lavori dedicati all’argomento, infatti, non si trova alcun cenno né alla recensione positiva che Ihering scrive, nel febbraio del 1920, sull’opera di Kerr Die Welt im Licht [Cfr. H. Ihering, Die Welt im Licht, « Berliner Börsen-Courier », 8 febbraio 1920], né alle lettere che i due si scambiano nell’estate dello stesso anno in merito a una possibile partecipazione di Kerr, con un volume su Josef Kainz, alla serie di monografie sugli attori tedeschi curata da Ihering. 3 4 Cfr. H. Ihering, Die Welt im Licht, cit. Ibidem. 2
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nel lascito di Ihering presso l’Akademie der Künste. Ihering, in quanto responsabile per l’editore Erich Reiß della curatela di una serie di monografie dedicate agli attori tedeschi più rappresentativi, 1 propone a Kerr di scrivere un volume su Josef Kainz. Un’idea che Kerr accoglie, pur manifestando qualche riserva, con favore e interesse, proponendo al collega di incontrarsi per discuterne di persona. 2 Il clima tra i due critici, insomma, è disteso e cordiale, ma, a ben vedere, ciò non risponde a una convergenza delle idee teatrali né a una congruenza degli obiettivi critici. Il tono positivo con cui Ihering si rivolge a Kerr, così come il giudizio lusinghiero sui suoi scritti, sono dettati probabilmente dalla prudenza e dal desiderio di consolidare una posizione ancora marginale nel contesto della pubblicistica berlinese. D’altra parte l’apertura di Kerr nei suoi confronti si può forse spiegare con il fatto che Kerr stesso non è ancora consapevole dell’enorme distanza che divide i rispettivi orizzonti critici e teatrali. Una consapevolezza che inizia a maturare e a trovare riscontro in numerose recensioni pubblicate nel corso dell’anno seguente. 3 Nei primi mesi del 1921 l’opposizione tra i paradigmi interpretativi dei due critici emerge con evidenza nel differente giudizio che essi danno sull’utilizzo dello spazio scenico della Großes Schauspielhaus da parte degli attori. Il 19 marzo 1921, nei giorni immediatamente successivi al debutto della messinscena di Reinhardt del Mercante di Venezia, Ihering, pur criticando il regista austriaco, sottolinea la funzione positiva che lo spazio teatrale progettato da Hans Poelzig sta dimostrando di poter esercitare sul lavoro dell’attore. La forma simile a quella di un’arena e le enormi dimensioni obbligano, infatti, gli interpreti ad abbandonare la caratterizzazione psicologica, giudicata da Ihering inadeguata al nuovo teatro, per concentrarsi su una recitazione astratta e basata su un accordo ritmico dei movimenti di insieme :
Quando Reinhardt pianificò la Großes Schauspielhaus, egli certamente non aveva nessuna idea di quest’arte recitativa, perché essa non era ancora visibile e, laddove essa iniziava ad accennarsi, contraddiceva la sua regia. [...] Ma lo spazio era lì e diede forma a se stesso al di là di tutte le incomprensioni. Spense l’interprete, che lo considerava come un ostacolo che era da affrontare con un maggiore dispendio vocale e confermò invece colui che lo percepì come un incoraggiamento al linguaggio corporeo. Lo spazio divenne produttivo per l’attore. 4
1 Ihering stesso scrive, all’interno di questa serie, una monografia su Bassermann : H. Ihering, Albert Bassermann, cit. 2 Nella lettera Ihering rimanda a una precedente chiacchierata avuta con il collega alla Volksbühne e gli rinnova la proposta di collaborare alla serie di monografie di attori pubblicata da Erich Reiß con un volume su Josef Kainz. Ihering accenna, inoltre, a un eventuale volume su Lina Lossen per la seconda serie, comunica l’onorario di 1000 marchi proposti dall’editore e, infine, gli garantisce la più ampia libertà redazionale preoccupandosi di rassicurare il collega di non doversi sentire in alcun modo legato al concetto di monografia [Cfr. Lettera di Herbert Ihering a Alfred Kerr dell’8 luglio 1920, Akademie Der Künste, Berlin, Herbert-Ihering-Archiv, Nr. 1683]. Kerr risponde con una cartolina il 22 luglio 1920, mostrandosi interessato e proponendo al collega di discuterne di persona per capire « come si può fare ciò nel migliore dei modi senza ripetersi » [Cartolina di Alfred Kerr a Herbert Ihering del 22 luglio 1920, Akademie Der Künste, Berlin, Herbert-Ihering-Archiv, Nr. 1683]. Non è chiaro quale sia la ragione, ma il progetto non avrà seguito e Kerr non scriverà la monografia su Kainz. L’ultima comunicazione tra i due conservata nel lascito di Ihering è una cartolina scritta da Kerr circa un anno dopo, di cui non è chiaro il contenuto ma che lascia trasparire una certa tensione tra i due : « Caro Signor Ihering, La cosa è dunque ora superata ? Ho avuto dei dubbi. L’ho chiamata ieri inutilmente al bbc [« Berliner Börsen-Courier » N.d.T.]. Saluti » [Cartolina di Alfred Kerr a Herbert Ihering del 21 aprile 1921, Akademie Der Künste, Berlin, HerbertIhering-Archiv, Nr. 1683]. Possiamo ipotizzare che questa tensione sia radicata nell’inizio delle schermaglie tra i due critici intorno alla recitazione e alla Großes Schauspielhaus di Reinhardt nel marzo del 1921. 3 Molti degli articoli da noi citati in questo paragrafo sono stati raccolti dallo stesso Ihering e si trovano, spesso con sottolineature e appunti a margine, presso il lascito del critico presso l’Akademie der Künste di Berlino. Questa raccolta ha rappresentato la fonte principale per la ricostruzione dell’inizio della polemica e per la nostra ipotesi di datazione della stessa. Il fatto che Ihering, in diversi casi, abbia conservato le proprie recensioni a fianco delle recensioni di Kerr ci ha permesso di cogliere i riferimenti indiretti e i rinvii interni che collegano le recensioni dei due critici. Per la consultazione di queste fonti si rimanda ai documenti contenuti nei seguenti fascicoli del lascito di Ihering : Akademie Der Künste, Berlin, Herbert-Ihering-Archiv, Nr. 3693 ; 3925 ; 3951 ; 3989 ; 3992 ; 3994 ; 3995 ; 3996 ; 3999 ; 4000 ; 12694 ; 12695. 4 H. Ihering, Die Produktivität des Raumes (19 marzo 1921), in RbB, i, p. 186.
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Kerr, ancora legato alla recitazione intima e psicologica del teatro di Brahm, non può certo accettare questa posizione e coglie l’occasione offerta dall’alternanza nel ruolo di Shylock di Werner Krauss e Eugen Klöpfer per rispondere al critico del « Berliner Börsen-Courier ». 1 Krauss e Klöpfer sono, infatti, l’esempio di due opposti modi di intendere l’interpretazione della parte shakespeariana. Krauss interpreta il personaggio secondo la nuova tendenza universalizzante e anti-realista : il suo Shylock è un’immagine del male, stilizzato, disumano, quasi una personificazione distorta del villain del teatro medievale. 2 Klöpfer, invece, offre l’altro possibile volto del mercante ebreo : umano, sofferente e tenacemente alla ricerca, attraverso la vendetta, di una compensazione per i torti subiti. 3 Così, se Ihering appare attestarsi su una valutazione positiva delle nuove tendenze di matrice astratta ed espressionista, Kerr, che pure riconosce la grandezza di Werner Krauss, continua ad appoggiare un’estetica teatrale di carattere realistico e psicologico. Soltanto l’attore che è in grado di illuminare i moti interiori del personaggio (der leuchtende Seelenschauspieler), afferma il critico di Breslau, possiede un valore artistico, « il resto è moda, schiocchezze ed errore ». 4 Il concetto di anima (Seele) utilizzato da Kerr designa l’interiorità psichica di un individuo concreto, non certo, come negli scritti di Ihering di questo periodo, l’essenza astratta e sovra-razionale dell’essere umano. Una differenza di significato che esprime una differenza di paradigma : sostenere come aveva fatto Ihering, che la Großes Schauspielhaus svolge una funzione positiva per lo sviluppo di nuovi strumenti interpretativi, rappresenta, infatti, secondo Kerr, nient’altro che un fraintendimento della vera natura dell’arte recitativa. Le dimensioni e le caratteristiche strutturali di quest’edificio teatrale obbligano piuttosto, secondo il critico del « Berliner Tageblatt », a rinunciare a dettagli e sfumature, vero cardine del lavoro dell’attore :
Ancora un’incomprensione. Voi sottolineate che lo “spazio” costringe o conduce l’attore a una maggiore concisione... sciocchezze. Lo costringe o lo conduce piuttosto al soffocamento di ciò che è essenziale. E alla sottolineatura del mero contorno. 5
Sono attacchi frontali a Ihering, il quale ne è ben cosciente, come testimonia il fatto che questa recensione sia conservata nel suo lascito presso l’Akademie der Künste e presenti diverse sottolineature blu e numerosi appunti a margine. 6 Il dibattito, così iniziato, prosegue, tra allusioni e riferimenti indiretti, nelle recensioni dei mesi successivi fino a quando, nel luglio del 1921, le schermaglie esplodono in una violenta polemica. 7 Il casus belli è un evento teatrale di secondo piano, un ciclo di rappresentazioni estive della Ferdinand Exl Bühne, un gruppo teatrale di Innsbruck ospitato in quelle settimane a Berlino presso il teatro di Königgrätzer Strasse. A innescare la polemica è Kerr che, il 2 luglio 1921, dopo aver lodato la verosimiglianza degli attori austriaci, lancia una stoccata a Ihering :
Quasi a tutti il movimento del corpo riesce più autentico dell’espressione del viso. Questo, infatti, è più facile da produrre – cosa che soltanto la critica hokuspokus degli stregoni non nota. 8
1 Per quanto riguarda il giudizio che Kerr dà dell’interpretazione di Werner Krauss e Eugen Klöpfer si veda anche : I. Herskovics, Alfred Kerr als Kritiker des Berliner Tageblattes, 1919-1933. Grenzen und Möglichkeiten einer subjektiv geprägten Publizistik, cit., vol. i, pp. 97-100. 2 Cfr. H. Ihering, Der Kaufmann von Venedig, « Der Tag », 15 marzo 1921. 3 Cfr. A. Kerr, Der andre Shylock, « Berliner Tageblatt », 20 marzo 1921. 4 5 Ibidem. Ibidem. 6 Cfr. Akademie Der Künste, Berlin, Herbert-Ihering-Archiv, Nr. 3925. 7 Biener, nel suo studio, data l’inizio della polemica tra i due critici alcuni mesi dopo, nel settembre del 1921 [Cfr. J. Biener, Alfred Kerr und Herbert Ihering. Ein Beitrag zur Geschichte der neueren Theaterkritik, cit., vol. i, p. 269]. 8 A. Kerr, Schönherr : “Glaube und Heimat”. Gastspiel der Exl Bühne. Theater in der Königgrätzerstraße, « Berliner Tageblatt », 2 luglio 1921. Questa recensione è conservata nel lascito di Ihering e questa frase è sottolineata a matita blu [Cfr. Akademie Der Künste, Berlin, Herbert-Ihering-Archiv, Nr. 12694].
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La risposta di Ihering non si fa attendere. I movimenti gestuali del gruppo austriaco sono certamente autentici, afferma il collaboratore del « Berliner Börsen-Courier » in una recensione pubblicata il giorno successivo, soltanto che, prosegue, « un movimento del corpo che riesce bene, non è un’espressione del corpo che dà forma. [...] Davvero un critico che da trent’anni scrive di recitazione non capisce qual è il punto ? Inizio a crederlo ». 1 Lo scontro, ormai esplicito, prosegue per circa due settimane, e gli spettacoli della Exl-Bühne diventano un pretesto per affermare il proprio modello critico e teatrale a scapito dell’avversario. Il nucleo della discussione è ancora la differenza tra l’orientamento realistico e psicologico di Kerr e la svolta astratta e espressiva propugnata da Ihering, ma nel dibattito entra in gioco anche il modo in cui i due critici esprimono le proprie convinzioni teatrali. Ihering, infatti, non solo riconosce l’importanza del corpo e dello spazio nel rinnovamento del teatro, ma cerca al contempo di utilizzare dei concetti adeguati a esprimere questo nuovo linguaggio della scena. Il vocabolario della critica, spesso ancora legato a una rappresentazione mimetica e naturalista, viene così ampliato e messo nella condizione di cogliere uno degli spostamenti più fondamentali per il teatro del Novecento. Per questa ragione il linguaggio di Ihering appare ancora oggi attuale. Ma proprio su questo punto Kerr, indubbiamente meno sensibile a questa trasformazione del teatro, non risparmia al collega stilettate pungenti e ironiche. Così i tentativi teorici di Ihering vengono scherniti con espressioni come Abrakadabra Kritik, 2 mentre la complessità concettuale della sua prosa viene ridicolizzata citando addirittura alcuni passi delle sue recensioni :
[...] recitare dal corpo « significa porre la forma nell’equilibrio delle forze interne, significa forza organica, composizione organica ». Ora dunque l’attore sa quello che deve fare. Lui deve porre semplicemente la forma con forza organica e composizione organica nell’equilibrio delle forze interne. Certi giudici d’arte invece di una “risposta” potrebbero per esempio anche scrivere le parole “Alluminio, alluminio” o “Punto-solletico, Punto-solletico”. 3
Ihering è altrettanto duro e tagliente verso Kerr. Il modello realista e psicologico di quest’ultimo viene fatto discendere da una concezione dilettantesca dei compiti dell’attore : l’idea che l’obiettivo dell’attore sia, infatti, restituire sulla scena un uomo indistinguibile dall’uomo comune è, infatti, a suo parere, erronea e ingenua. 4 Per essere un sosia, puntualizza Ihering, non c’è bisogno di saper recitare :
Ma proprio questa somiglianza, questa densità vitale è il più importante metro di misurazione di un critico che pone all’attore come ultima richiesta quella di non essere un attore. Ma non so se egli pone al poeta come ultima richiesta quella di non essere poeta, al pittore quella di non essere pittore, allo scultore quella di non essere scultore, al critico quella... ma no è vero – dal critico esige che non sia un critico e adempie questa pretesa pienamente. 5
Lo scontro fra i due critici non resta, tuttavia, circoscritto al piano del giudizio estetico, ma si allarga fino a includere una discussione sulla funzione e il senso dell’attività criticoteatrale. Ihering, in questo periodo, sta procedendo con sempre maggiore consapevolezza 1 H. Ihering, Erde. Theater in der Königgrätzerstraße, ritaglio di giornale non identificato, 3 luglio 1921 [Akademie Der Künste, Berlin, Herbert-Ihering-Archiv, Nr. 3992]. 2 In particolare era il concetto di ritmo di Ihering a essere obiettivo dell’ironia feroce di Kerr. Nel mese di giugno, in occasione della della messinscena di Die Weber di Hauptmann allo Staatstheater, Kerr aveva, ad esempio, attaccato con sarcasmo il giovane collega parlando di Abrakadabra-Kritik e del concetto di ritmo « di cui tanto si chiacchiera » [Cfr. A. Kerr, Gerhart Hauptmann « Die Weber » (21 giugno 1921), in WiE, vii/2, p. 130]. 3 A. Kerr, Schönherr : “Der Weibsteufel”. Gastspiel der Exl-Bühne. Theater in der Königgrätzerstraße, « Berliner Tageblatt », 5 luglio 1921. 4 Cfr. H. Ihering, “Der Weibsteufel”. Gastspiel der Exl-Bühne im Theater in der Königgrätzer Straße, ritaglio di giornale non identificato, 6 luglio 1921 [Akademie Der Künste, Berlin, Herbert-Ihering-Archiv, Nr. 3994]. 5 Ibidem.
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alla definizione dei compiti e degli strumenti di una critica attiva e produttiva. 1 Il collaboratore del « Berliner Börsen-Courier » insiste, infatti, sulla necessità che il critico teatrale assuma una responsabilità diretta nei confronti dell’innalzamento del livello della scena teatrale e biasima, per questa ragione, la leggerezza con cui Kerr loda commedie di intrattenimento come Potasch und Perlmutter o attori senza pretese artistiche come Arnold Rieck. Nella riflessione e nell’attività di Ihering, il “critico” assume sempre più marcatamente il ruolo di operatore culturale, una figura in grado di riconoscere le linee di sviluppo del teatro, di interagire con gli artisti e di guidare il rinnovamento della scena. Per questo egli descrive l’atteggiamento di Kerr come un processo di degustazione attento soltanto al piacere del palato, un’associazione che diventerà celebre con gli attacchi che Brecht sferrerà contro la “critica culinaria” : 2
Questo qualcuno ora, che scambia l’arte con il solletico del palato, l’esperienza spirituale con la gradevolezza del nutrimento, questo qualcuno disprezza un piano critico (che ammette di non capire), disprezza una costruzione critica che è creata dalla necessità. 3
Kerr non è certo disinteressato alla battaglia per il nuovo teatro come vorrebbe far credere Ihering, e tuttavia il suo impegno non perde mai il carattere soggettivo e divertente del Feuilletonismus e resta distante dall’atteggiamento dottrinario e serioso del critico del « Berliner Börsen-Courier ». Entrambi considerano certamente la critica teatrale come una lotta per il progresso della scena, ma a essere radicalmente differente è il modo e l’atteggiamento con cui essi combattono, come testimonia in modo eloquente l’ironia di Kerr verso il proprio giovane collega :
La grigia miseria parlerebbe tuttavia nel caso di Potasch degli esponenti organici delle coordinate legittime della necessità interna e dell’equilibrio della radice cubica della chiacchiera latente. 4
La distanza tra i due critici è sempre più netta e profonda. La polemica riguarda, infatti, non soltanto l’opposizione tra il realismo di matrice psicologica sostenuto da Kerr e l’idea di un teatro libero da ogni residuo individualista propugnata da Ihering, ma fa emergere, al contempo, due modi di intendere la critica teatrale assolutamente inconciliabili. Al soggettivismo creativo di Kerr si contrappone ora l’impegno di Ihering, concentrato unicamente sul progresso oggettivo della scena teatrale. 3. 3. 4. Critica e regia : la produttività della critica nella concezione di Ihering
La concezione critica di Ihering trova una formulazione matura in uno scritto pubblicato nel maggio del 1921, Kritik und Regie. In quest’articolo il critico scioglie alcune questioni teoriche che, nell’intervento del 1912 contro Kerr, apparivano ancora irrisolte. La distinzione tra critica e arte, allora soltanto abbozzata, diviene qui consapevole e precisa : le esperienze giornalistiche e teatrali gli hanno, infatti, permesso di comprendere con chia
1 È del maggio 1921 l’articolo Kritik und Regie, in cui Ihering propone una definizione dei compiti e degli strumenti della critica teatrale che va nella direzione opposta al tentativo di una sua legittimazione estetica perseguito da Kerr [Cfr. H. Ihering, Kritik und Regie, cit., pp. 11-12]. 2 Cfr. H. Ihering, Randbemerkung, ritaglio di giornale non identificato, 7 luglio 1921 [Akademie Der Künste, Berlin, Herbert-Ihering-Archiv, Nr. 3995]. Questa metaforica, a ben vedere, era stata suggerita indirettamente dallo stesso Kerr, che, in una recensione del 16 giugno 1921, aveva difeso il cinema di intrattenimento attraverso una metafora “digestiva” con lontane e ironiche assonanze bibliche « Chi è sano può divorarseli tutti [i generi cinematografici, N.d.T.] ; digerirli tutti. Nel profondo del mio stomaco ci sono molte dimore » A. Kerr, Der Vorstoß im Film, « Berliner Tageblatt », 16 giugno 1921. Per l’attacco di Brecht alla “critica culinaria” si veda il breve Über die kulinarische Kritik in : B. Brecht, Schriften i, in Id.,Werke. Große kommentierte Berliner und Frankfurter Ausgabe (1988-2000), 33 voll., a cura di W. Hecht, J. Knopf, W. Mittenzwei, K. D. Müller, Berlin-Weimar, 3 Aufbau, vol. xxi, 1992, p. 250. H. Ihering, Randbemerkung, cit. 4 A. Kerr, Schönherr : “Der Weibsteufel”. Gastspiel der Exl-Bühne. Theater in der Königgrätzerstraße, cit.
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rezza quale sia l’elemento che rende la critica teatrale un’attività irriducibile a ogni altro processo creativo e intellettuale. Lo spunto per dare voce a questa riflessione è la notizia che a Stoccarda un teatro ha ingaggiato un critico proponendogli di condurre delle regie. L’interrogativo di fondo riguarda, dunque, la produttività della critica teatrale. Ihering si domanda, in altre parole, in che modo un critico possa esercitare una funzione attiva nei confronti della creazione artistica e teatrale. Il passaggio di un critico al lavoro registico appare come una possibile risposta, ma manifesta, a suo parere, una profonda incomprensione del senso e della natura dell’attività critica. Questa idea presuppone, infatti, che il discorso critico diventi utile allo sviluppo del teatro soltanto se il critico stesso è in grado di dimostrare la sua realizzabilità scenica. Ma in questo modo la produttività della critica viene situata, al di fuori di essa, nella prassi teatrale : le idee del critico sarebbero legittimabili, infatti, secondo questa concezione, soltanto dalla loro trasposizione scenica. Un punto di vista che si fonda, sull’assunto secondo cui la parola critica sarebbe, di per sé, condannata all’improduttività :
Ritengo che questo proposito sia nefasto perché presuppone un’incomprensione della produttività della critica. Solo se si dice : il critico è, come critico, condannato all’improduttività allora si può dedurre : per mostrarsi produttivo deve fare la regia. In verità la produttività del critico è la sua critica. 1
La critica, secondo Ihering, è produttiva proprio nell’esercizio specifico della sua funzione : essa non è, infatti, un’attività teatrale castrata della prassi scenica, ma una funzione riflessiva volta alla comprensione e alla definizione dei fattori di sviluppo della creazione artistica. Il compito del critico, in altre parole, è indicare una direzione, coniare e rendere disponibili dei concetti per descrivere quelle tendenze e quei movimenti che si annunciano nella prassi teatrale e nella scrittura drammaturgica. La critica non è, dunque, un’opera d’arte né può aspirare a divenirlo, ma, semmai, è l’organo riflessivo e concettuale del fare creativo. Perciò legittimata dalla propria specifica natura, la critica non ha più bisogno di essere fondata sull’azione artistica :
Questa opinione è : la critica è un mestiere improduttivo perché esige qualcosa che essa stessa non può adempiere. In realtà il critico traduce i propri pensieri in azione nel momento in cui li mette per iscritto : la loro efficacia è la loro produttività. La conferma dell’idea critica non viene dal fatto che colui che la formula la realizzi poi concretamente, ma dal fatto che quest’idea si incontra con il lavoro dell’attore e del regista. [...] Il critico è produttivo quando le sue idee sono confermate dall’opera dell’artista ; quando articola ciò a cui lo sviluppo dà forma. 2
Il concetto di produttività della critica teatrale, come abbiamo avuto modo di constatare in precedenza, era stato altrettanto centrale nella riflessione di Otto Brahm e Alfred Kerr. Ma proprio un confronto tra ciò che Ihering e Kerr intendono per produttività critica, mostra il carattere opposto dei due modelli critico-teatrali. Se Kerr, nonostante la sottile ambiguità dei suoi scritti, aveva sostenuto che la critica teatrale è produttiva solo nel momento in cui produce un’opera d’arte, Ihering risponde che la critica teatrale è produttiva soltanto quando la sua attività di interpretazione è in grado di agire sullo sviluppo del teatro. È evidente, dunque, come la dimensione letteraria ed estetica della recensione teatrale, centrale per Kerr, perda per Ihering ogni importanza e costituisca anzi il risultato di un equivoco. Un equivoco che è tale solo se, come fa Ihering, si considera la critica teatrale come un’attività rivolta agli addetti ai lavori, coloro per i quali essa può rappresentare un sostegno e una guida. Non certo, invece, se come Kerr la si considera anche come un’attività rivolta a un pubblico di lettori interessati alla critica teatrale come oggetto letterario e di intrattenimento. Più di quarant’anni dopo, in un articolo scritto per la « Frankfurter Rundschau »,
1
H. Ihering, Kritik und regie, cit. p. 11.
2
Ivi, pp. 11-12.
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Ihering spiegerà nuovamente con parole ancora più chiare la questione : Kerr, arrivato al « Berliner Tageblatt », il quotidiano più diffuso presso la borghesia che frequentava i teatri berlinesi, invece di usare quest’occasione per sostenere in modo produttivo il nuovo teatro, decide di usarla per raggiungere l’apice della propria esperienza critico-letteraria. Un errore cruciale per chi, come Ihering, considera la critica come uno strumento al servizio del lavoro teatrale. 1
3. 3. 5. La concezione teatrale di Ihering nel testo Der Kampf ums Theater In accordo con la propria idea di una critica produttiva, Ihering si impegna, negli anni di Weimar, in una continua e incessante lotta per il rinnovamento del dramma e della scena. Con le sue recensioni e i suoi scritti egli non offre, infatti, meri giudizi, né informa soltanto il lettore su quanto accaduto durante lo spettacolo, bensì produce strumenti concettuali finalizzati alla comprensione e al progresso del teatro. Uno di questi strumenti, forse il più significativo, è il tentativo di mostrare la relazione espressiva che unisce teatro e società, cercando di fondare la teoria estetica su di una prospettiva storica e sociologica. Der Kampf ums Theater (La battaglia per il teatro), saggio programmatico pubblicato nel 1922, può essere considerato, da questo punto di vista, un contributo fondamentale alla chiarificazione della prospettiva del critico del « Berliner Börsen-Courier ». In questo testo, infatti, l’analisi dei nuovi compiti della scena si staglia sullo sfondo di una precisa definizione del rapporto che intercorre tra essa e l’epoca attuale. Secondo Ihering tra teatro e società sono possibili due diverse modalità di correlazione. Il teatro può essere, in primo luogo, uno specchio del proprio tempo (Spiegelbild). Questo modello caratterizza, secondo il critico, le società mature, coese e all’apice del proprio sviluppo ed ha trovato la sua più alta espressione a Vienna nel Burgtheater diretto da Heinrich Laube. Qui il teatro era riuscito, infatti, a raccogliere le forme di una parte rappresentativa della società e a renderle cultura collettiva, unendo i diversi strati sociali :
Così il teatro poté diventare elemento regolatore della cultura sociale. L’attore del Burgtheater rendeva universalmente valido ciò che apparteneva a una sola casta. Aristocratizzava il pubblico e democratizzava la corte. 2
Ma questo rapporto di rispecchiamento non è possibile in una fase come quella che, secondo Ihering, caratterizza la società tedesca attuale. Oggi, sottolinea il critico, non c’è nessuna connessione sociale da rispecchiare, non c’è una cultura da conservare né una forma di vita che può valere come esempio. Il presente non appare come luogo di affermazione di un’arte matura e compiuta, ma come terreno di lotta per porre le basi di un’arte teatrale il cui compimento è spostato nel futuro. Il compito del critico non sarà perciò quello di cercare opere d’arte perfette e compiute, ma quello di individuare linee di tendenza, sintomi sparsi in cui si annunciano i fondamenti di un teatro dell’avvenire. In un’epoca di battaglia per l’espressione teatrale del futuro il critico è, in altre parole, avanguardia :
Combattere per il teatro significa restituire all’attore il suo impulso creativo, al regista il suo volere indemoniato, al direttore il suo senso di responsabilità e tenere pronta l’espressione per il dramma futuro. Questa battaglia non dovrebbe essere screditata nemmeno da una momentanea inutilità. La battaglia è lì per amor della battaglia stessa. Il risultato si mostra in una fase successiva e forse in modo completamente indipendente da essa, e tuttavia è questa battaglia a dover essere ringraziata per esso. Questa battaglia vuole presentare leggi secondo cui l’arte recitativa, il teatro e il dramma si devono sviluppare ? No ! Ma vuole rendere essenziali sintomi sparsi, riportare singolarità al proprio centro, riportare le contraddizioni alla propria radice. Essa vuole mostrare le vie attraverso le quali l’arte procede in avanti. Il fine ultimo a cui queste vie portano
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Cfr. H. Ihering, Kritiker oder das Theater der Zeitungen, cit. H. Ihering, Der Kampf ums Theater, cit., p. 134.
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non lo conosce. Ma in un tempo senza idee e senza spirito solo l’idea e lo spirito possono essere d’aiuto. 1
Lo scopo del critico è dunque mostrare il centro verso cui convergono quei “sintomi sparsi” in cui si annuncia il futuro della scena. Le linee di sviluppo, indicate dal critico nel saggio, ricalcano, di fatto, le posizioni emerse l’anno precedente nel dibattito con Kerr, e anzi questo testo offre una precisazione teorica a molti dei temi e delle questioni che erano state sollevate e affrontate in quel contesto. Il confronto tra il naturalismo e i nuovi modelli espressivi e astratti è, infatti, ancora dominante. Il critico riconosce la forza rivoluzionaria con cui il naturalismo, attraverso Brahm, è riuscito a suo tempo a portare sulla scena una nuova classe umana e un nuovo modo di guardare il mondo, ma egli ritiene che ora questa forza si sia esaurita e il realismo sia rimasto soltanto una vuota tecnica drammaturgica e spettacolare. 2 Gli sconvolgimenti dell’ultimo decennio, l’inaudito volto della rivoluzione tecnologica mostrato dalla guerra mondiale, hanno trasformato la percezione dell’uomo e le sue modalità di costruzione dell’esperienza esterna. L’immagine di una realtà statica e immobile, riflessa nel rapporto tra il personaggio e il milieu del dramma naturalista, è stata superata da una visione dell’universo come spazio dinamico, governato dalla contrapposizione tra forze. 3 Un cambiamento il cui riflesso, secondo Ihering, si esprime chiaramente, ad esempio, nelle forme dell’espressione attoriale. Mentre la recitazione d’insieme del teatro naturalista cerca di accordare singole parti statiche attraverso la mediazione degli oggetti e dell’ambiente, il nuovo ensemble espressionista è guidato da un’unica energia, da una tensione che attraversa ogni elemento della scena inserendolo in una dinamica complessiva :
L’attore di movimento interpreta la figura in relazione al ritmo della scena, al ritmo del dramma. Il suo movimento stimola quello del partner. Si sostengono reciprocamente. Assumono l’energia uno dall’altro. Conducono uno all’altro. L’attore, per variare la direzione della parola, non ha bisogno di alcun tono intermedio, di alcuna integrazione sonora. Egli stesso costruisce a partire dalle parole intervalli sonori, impalcature sonore. Egli non sente la parola singola, ma l’ordine delle parole, non la proposizione, ma il complesso di proposizioni. L’attore di movimento è connesso con il partner da una rete illacerabile di suoni e gesti. Agisce senza vie traverse, agisce direttamente sul partner. 4
La battaglia di Ihering per una nuova forma di espressione teatrale parte da questo presupposto fenomenologico. Il naturalismo è divenuto ormai inattuale e inadeguato a esprimere la nuova percezione umana, ed egli afferma per questo la necessità di un’arte teatrale astratta, sintetica, sottratta dalle strette maglie dell’illustrazione della realtà : un teatro del futuro che mira a essere puro, assoluto e sciolto dalla precedente rappresentazione del mondo. Una linea programmatica che si riflette nella stessa scelta terminologica : Ihering cerca di escludere dal proprio linguaggio ogni riferimento alla realtà concreta e fenomenica e privilegia concetti che fanno riferimento all’area semantica della musica e della danza. Nella descrizione della creazione mimica dell’attore ricorrono, ad esempio, termini come ritmo, melodia e possessione danzante. L’esigenza del critico è, infatti, non soltanto quella di porre le basi per un teatro post-naturalistico, ma anche quella di impostare un linguaggio adeguato a descrivere questa nuova forma. Per questo il suo scritto risulta in alcuni passi di ardua lettura e si chiude, talvolta, in definizioni che rischiano di essere tautologiche. In questa spinta verso una scena e verso un linguaggio sciolto da un pensiero mimetico, Ihering finisce per ricalcare, sotto diversi aspetti, l’irrazionalismo tipico dell’espressionismo. Sarebbe certamente erroneo e impreciso definire Ihering come un sostenitore
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Ivi, pp. 181-182. Cfr. ivi, pp. 138-139.
Cfr. ivi, pp. 139-140. Ivi, p. 153.
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dell’espressionismo, tanto più che egli non manca di indicare frequentemente gli errori e la debolezza di questo movimento, divenuto presto moda sui palcoscenici berlinesi. Eppure in questa fase della sua produzione critica egli mostra un certo debito nei suoi confronti. 1 Un debito che emerge in modo evidente se si analizza, a titolo esemplificativo, il saggio di Paul Kornfeld, Der beseelte und der psychologische Mensch, uno dei manifesti programmatici della teorizzazione espressionista. 2 Lo scritto di Kornfeld si regge sull’opposizione tra realtà fenomenico-temporale e realtà atemporale e divina. Un dualismo che nasce come reazione al materialismo di inizio secolo e alla tragedia della guerra mondiale, e aspira a una trasformazione a-politica e quasi religiosa dell’umanità. « L’unico mezzo che il singolo ha di cambiare il mondo », afferma Kornfeld nel saggio, « è quello di cambiare se stesso ». 3 Proponendo un percorso di evidente impronta gnostica, la realtà mondana viene descritta come il male e la salvezza dell’uomo passa perciò dal suo rifiuto e dalla sua capacità di riconnettersi con una radice divina e atemporale. Kornfeld suddivide dunque l’uomo in una parte unitaria e divina, l’anima (Seele), e in una molteplicità di attributi contingenti, il carattere (Charakter). I presupposti ontologici del naturalismo vengono così capovolti : la verità non corrisponde alla realtà esteriore e nemmeno alla molteplicità degli stati psicologici dell’uomo, dal momento che « la psicologia dice dell’essenza dell’uomo altrettanto poco dell’anatomia ». 4 Una metafisica al cui interno mutano ovviamente i compiti assegnati all’attore :
Imitare l’uomo non è sufficiente per rappresentare l’uomo. Perciò l’attore si liberi dalla realtà (Wirklichkeit), astragga dai suoi attributi e non sia il rappresentante dei pensieri, del sentimento o del destino ! Se deve morire sul palcoscenico, non vada prima in ospedale per imparare come si muore, o in birreria per vedere come si fa quando uno è ubriaco. Osi allargare molto le braccia e, in un momento, di slancio, parlare così come non avrebbe mai fatto nella vita ; non sia dunque imitatore e non cerchi il suo modello in un mondo estraneo all’attore [...]. 5
Ihering non riprende il discorso di Kornfeld, né ad esso si richiama direttamente. Ma l’aderenza di alcune categorie concettuali così come l’utilizzo di espressioni appartenenti al medesimo campo semantico, dimostra come l’orizzonte discorsivo dell’espressionismo influenzi profondamente il suo pensiero e la sua scrittura in questi primi anni della Repubblica. Un esempio è la distinzione che il critico pone, nel saggio del 1922, tra i termini “animato” (seelisch) e “psicologico” (psychologisch) illustrandone il significato proprio in riferimento al lavoro dell’attore. L’anima è descritta come una radice vitale, un principio energetico e indefinibile, che niente ha a che vedere con il frazionamento razionale della psicologia. Nulla ha portato più confusione nell’arte recitativa, afferma Ihering in Der Kampf ums Theater, che la parola psicologico. Da Brahm, Ibsen e Hauptmann in poi, si ritiene che psicologico significhi animato. Ma la psicologia, aggiunge il critico, è semmai il contrario dell’anima perché uccide, nel suo sezionamento causale e razionale, il complesso organico e vivente di ciò che è animato :
Che cos’è psicologia ? La psicologia pone, al posto del simbolo animato (seelisch) la fissazione concettuale, al posto della composizione ritmicamente vibrante la motivazione logica, al posto della costruzione organica, la strutturazione razionale. La psicologia, per poter presentare la conse
1 Biener sottolinea come Ihering nei primi anni della Repubblica si possa senz’altro definire, pur senza esserne un partigiano, un attivo sostenitore dell’espressionismo. In particolare egli nota come nei suoi scritti di questo periodo ricorrano concetti centrali del vocabolario espressionista, ad esempio intensità (Intensität), ritmo (Rhythmus), concentrazione (Konzentration) ed energia (Energie), e come il ritmo serrato e senza pause dell’espressionismo influenzi profondamente lo stile del critico [Cfr. J. Biener, Alfred Kerr und Herbert Ihering. Ein Beitrag zur Geschichte der neueren Theaterkritik, cit., vol. i, pp. 118-121]. 2 P. Kornfeld, Der beseelte und der psychologische Mensch (1918), in Id., Revolution mit Flötenmusik und andere kritische Prosa 1916-1932, a cura di M. Maren-Grisebach, Heidelberg, Schneider, 1977, pp. 31-45. 3 4 5 Ivi, p. 37. Ivi, p. 32. Ivi, p. 42.
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quenzialità di stati interni senza lacune, spegne proprio quello che dovrebbe mettere in movimento : il circolo energetico dell’anima. 1
La conquista di una nuova espressione teatrale passa dunque per il superamento del razionalismo, dell’analisi psicologica dell’individuo concreto e borghese, e si attesta intorno al tentativo di fondare un teatro che sia in grado di esprimere le forze e le dinamiche che caratterizzano il nuovo mondo e il nuovo essere umano. Un’idea di teatro il cui primo obiettivo è superare l’individualismo che aveva caratterizzato la scena di inizio Novecento e i cui presupposti sembrano ormai definitivamente crollati. Negli anni successivi, pur tenendo fermo il rifiuto di un’espressione psicologica e individualizzante, la concezione teatrale di Ihering subirà un graduale spostamento verso la concretezza del mondo contemporaneo. 3. 3. 6. Dall’espressionismo al teatro politico : trasformazioni nella scena degli anni venti
Il tratto mistico e irrazionale, evidente negli scritti di Ihering dei primi anni della Repubblica di Weimar, si attenua gradualmente nel corso degli anni venti. Dall’iniziale impulso espressionista e dal linguaggio idealista e astratto, evidente nel saggio Der Kampf ums Theater, il critico teatrale del « Berliner Börsen-Courier » si sposta in modo sempre più chiaro verso un confronto concreto con la realtà del presente guadagnando al contempo una lingua più lineare e obiettiva. Un mutamento che non è certamente singolare se si osserva la tendenza complessiva che, a partire dal 1923, domina la produzione artistica e culturale tedesca :
All’incirca a partire dal 1922/23 finirono i movimenti di avanguardia fondamentali che avevano avuto inizio prima del 1918 ; in modo piuttosto brusco ebbe luogo un distacco dalle pretese utopiche dell’espressionismo. Al posto della ribollente inquietudine e delle visioni apocalittiche di redenzione, subentrò ora la ricerca dell’autenticità, lo sforzo verso un confronto più oggettivo e più sobrio con la realtà quotidiana. [...] Presto venne trovato anche il concetto per la definizione del nuovo indirizzo stilistico : Nuova oggettività (Neue Sachlickeit). Questo concetto coniato nel 1923 dallo storico dell’arte Georg Friedrich Hartlaub per la più recente pittura, descriveva in modo talmente preciso le tendenze artistiche dell’epoca che subito lo si trasportò anche agli altri ambiti artistici. 2
La fase immediatamente successiva alla rivoluzione del 1918 era stata una fase di attesa, quasi messianica, dell’inizio di una nuova era. Ora, anche a causa della disillusione per il mancato raggiungimento degli obiettivi rivoluzionari, le visioni palingenetiche lasciano il posto all’esigenza di un rapporto con la realtà che passi per una sua conoscenza prima che per un suo rifiuto. Un percorso che investe, in modo evidente, la creazione teatrale. Il mondo concreto e fenomenico, che nel primissimo dopoguerra era stato espulso dalla rappresentazione artistica, comincia a essere nuovamente oggetto della produzione drammatica e spettacolare. Autori come Kornfeld e Kaiser abbandonano, intorno al 1923, la dimensione ultra-mondana della produzione espressionista precedente per cimentarsi nella forma “terrena” della commedia. 3 Sulla scena è ancora una volta Jessner a essere tra i primi a segnalare la nuova tendenza : se nel 1919 il suo Guglielmo Tell era divenuto il punto di riferimento dello stile astratto e anti-realista, ora egli, nella rilettura che offre della medesima opera di Schiller nel febbraio del 1923, lascia emergere nuovamente la realtà nell’immagine della montagna rocciosa posta sul fondo, o nelle colline che sostituiscono le scale al centro della scena. 4
1
H. Ihering, Der Kampf ums Theater, cit., p. 161. E. Kolb, Deutschland 1918-1933. Eine Geschichte der Weimarer Republik, cit., p. 140. 3 Cfr. ivi, p. 144 e Theater für die Republik im Spiegel der Kritik (1917-1933), a cura di G. Rühle, cit., vol. i, p. 4 349. Cfr. M. Fazio, Lo specchio, il gioco e l’estasi, cit., pp. 383-384. 2
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La spinta verso la verità e l’oggettività, assume intorno alla metà degli anni venti i tratti dell’impegno politico. Il teatro non viene più considerato un fenomeno meramente estetico, ma diventa strumento di comprensione e di azione politica e civile : inizia, così, ad affermarsi una nuova attenzione conoscitiva che raggiunge il suo culmine nel tentativo di Brecht e Piscator di offrire una forma epica al teatro, e in una vivace produzione di drammi d’attualità, i cosiddetti Zeitstück, nei quali problemi come l’aborto o l’educazione scolastica divengono temi di discussione teatrale. Accompagnando questi sviluppi con la propria riflessione critico-teatrale, Ihering riuscirà a individuare e a precisare i tratti di quella nuova forma teatrale che egli aveva messo al centro del proprio impegno e che nel testo Der Kampf ums Theater aveva ricevuto una prima fondazione storico-teorica. Nel dramma documentario e nel tentativo di Piscator di mettere in contatto, attraverso il mezzo cinematografico, il teatro e la realtà contemporanea, il critico individuerà un passaggio necessario all’acquisizione di una nuova materia drammatica ; nel lavoro di Brecht sull’illustrazione e sulla distanza epica, coglierà i presupposti per una forma teatrale adatta a raccontare questi nuovi contenuti. Il dramma e il teatro del futuro, prospettati sin dagli scritti giovanili di Ihering, sembrano assumere ora dei tratti sempre più definiti e precisi, e rafforzare la convinzione del critico che il teatro del presente stesse predisponendo gli strumenti per giungere a un profondo rinnovamento della propria forma e del proprio contenuto.
3. 3. 7. La battaglia per il teatro : Ihering sostenitore di Brecht e Bronnen
Il passaggio tra soggettivismo espressionista e oggettività documentaria non è certamente improvviso. Come nota Gunther Rühle, di cui seguiamo la lettura, il primo impulso di uscita dall’estetica espressionista si osserva a partire dalla stessa forma drammatica espressionista. 1 Intorno al 1922 iniziano a comparire sulla scena una serie di drammi, per la maggior parte redatti sul finire della guerra o nei primi anni del dopoguerra, che mantengono molti elementi formali e tematici dell’espressionismo ma ne rovesciano le tecniche di costruzione e, soprattutto, i presupposti ontologici. Ne sono un chiaro esempio Vatermord di Arnolt Bronnen 2 e Trommeln in der Nacht di Bertolt Brecht : due testi che, seppure si possano considerare per molti versi ancora all’interno della temperie espressionista, introducono indiscutibili elementi di novità, tanto che numerosi critici osservano il ritorno di una scrittura teatrale quasi naturalista. Ma è dal punto di vista “metafisico” che i nuovi drammaturghi sconvolgono radicalmente le premesse su cui si fondava l’idealismo degli anni precedenti, cosa che spinge lo stesso Rühle a utilizzare il concetto di espressionismo nero (schwarzer Expressionismus). 3 In questi drammi viene presentato un universo che, nella sua estrema crudezza, è privato di ogni speranza salvifica, e questo permette ad essi di
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Cfr. G. Rühle, Theater in Deutschland 1887-1945. Seine Ereignisse – seine Menschen, cit., pp. 429-433. Arnolt Bronnen (1895-1959) nasce a Vienna nell’agosto del 1895. Durante la prima guerra mondiale è gravemente ferito nel corso di un combattimento e trascorre un periodo di prigionia in un carcere italiano, esperienza che influisce profondamente sulla sua attività successiva di drammaturgo. Nei primi anni venti si trasferisce a Berlino dove conosce Bertolt Brecht, anche lui giunto da poco nella capitale tedesca. Legati da affinità i due giovani drammaturghi stringono immediatamente una forte amicizia. Nel corso degli anni successivi, tuttavia, le loro strade seguono percorsi profondamente diversi. Dopo i primi esperimenti drammatici, in cui entrambi si attestano su una sorta di espressionismo estremo e nichilista, Brecht inizia a costruire un linguaggio teatrale basato sul confronto critico e si avvicina al marxismo mentre Bronnen accentua i tratti irrazionali e brutali della propria drammaturgia e si accosta al fascismo e al nazionalismo. Nonostante questo Bronnen, anche a causa della precedente attività di scrittore, durante gli anni del nazionalsocialismo incontra numerose difficoltà e per ben due volte è escluso dalla camera degli scrittori (Reichsschritftumskammer). A partire dagli ultimi anni di regime Bronnen muta in modo manifesto la propria posizione politica. Nel 1943 si unisce a gruppi della resistenza austriaca e, finita la guerra, nel 1955, dopo aver lavorato come collaboratore di diversi giornali austriaci e come drammaturgo al teatro Scala di Vienna, si trasferisce a Berlino est, nella ddr, dove resta fino alla morte, avvenuta nel 1959. 3 Cfr. G. Rühle, Das Theater der Republik, cit., vol. i, p. 25 e G. Rühle, Theater in Deutschland 1887-1945. Seine Ereignisse – seine Menschen, cit., p. 429. 2
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intercettare, con particolare forza, l’atmosfera di delusione che caratterizza gli anni postrivoluzionari. 1 Così se l’immaginario espressionista era definito dalla rivolta dello spirito contro la materia, ora la materia si riaffaccia con violenza all’interno dei personaggi, nella forma dei loro istinti più elementari. 2 Il sogno palingenetico viene sostituito da una volontà di distruzione scevra da ogni velleità salvifica. L’uomo non appare più teso alla ricerca del suo tratto divino, come lo aveva immaginato Kornfeld nel saggio Der beseelte und der psychologische Mensch, ma ripiegato sulla sua naturalità bestiale. Uno spostamento che si mostra con particolare evidenza in Baal, primo dramma di Brecht e parodia del dramma di Hanns Johst Der Einsame, nella quale il modello romantico dell’eroe espressionista viene ironicamente ribaltato in un personaggio che agisce come « un uomo-animale ingordo d’esperienza che non si tira mai indietro davanti a nulla, senza paura né della morte né della vita, poeta sommo della più crassa animalità, di un nichilismo cloacale, cosmico ». 3 La brutalità di questa nuova scrittura per la scena assume, nello sviluppo del discorso storico-teatrale di Ihering, un ruolo centrale. Nel saggio Der Kampf ums Theater il critico del « Berliner Börsen-Courier » aveva descritto la fase attuale come un momento di passaggio tra due epoche, un momento in cui la creazione teatrale non poteva più fare affidamento sulla tradizione passata, ma doveva aspirare a costruire i presupposti per una tradizione futura. La rottura delle convenzioni morali e formali del teatro come istituto di formazione, realizzata da giovani drammaturghi come Brecht e Bronnen viene interpretata dal critico come il segnale di questo radicale, quanto necessario, nuovo inizio, come il tentativo di dare vita a un teatro che è in grado di esprimere le dinamiche del mondo contemporaneo, meccanizzato e massificato. Uno sforzo di cui non era stato capace il dramma espressionista, che, se certo aveva liberato il teatro tedesco dalla penetrazione psicologica del naturalismo e dalla pittura atmosferica dell’impressionismo, non era, tuttavia, riuscito ad andare oltre a un atteggiamento vagamente umanitario e soggettivista. 4 Ihering, perciò, oltre ad appoggiare l’azione della « Junge Bühne » di Moriz Seeler, associazione teatrale rivolta alla promozione dei nuovi autori, 5 sostiene con particolare vigore proprio il lavoro
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Cfr. G. Rühle, Theater in Deutschland 1887-1945. Seine Ereignisse – seine Menschen, cit., pp. 422-424. Cfr. ivi, pp. 429-430. F. Ewen, Bertolt Brecht. La vita, l’opera, i tempi (1967), trad. it. di A. D’Anna, Milano, Feltrinelli, 1970, p. 76. 4 Nell’aprile del 1921, in risposta a uno scritto in cui il celebre attore Albert Bassermann aveva rigettato questo stile accusando il movimento espressionista di avere aperto le porte del teatro tedesco al dilettantismo, Ihering aveva mostrato di distinguere lucidamente la funzione storica dell’espressionismo dal valore effettivo di molti dei suoi prodotti drammaturgici : « L’espressionismo muore ? L’espressionismo, che non è mai stato vitale, rimane morto. Ma l’espressionismo che desidera un teatro grande, sciolto nell’anima e dominato nel ritmo, inizia ora a sorgere – anche se non se ne utilizza più il nome » [H. Ihering, Von Morgens bis Mitternachts (16 aprile 1921), in RbB, i, p. 197]. 5 Moriz Seeler (1896-prob.1942) dopo alcune collaborazioni con periodici come « Das junge Deutschland » (mensile del Deutsches Theater), tra il 1921 e il 1922 fonda l’associazione « Junge Bühne » con lo scopo di promuovere giovani autori drammatici. Come più di un trentennio prima aveva fatto la « Freie Bühne » l’associazione creata da Seeler organizza matinée domenicali, a cui collaborano gratuitamente attori e registi di primo rango. In questo periodo, anche a causa di un certo ristagno nella programmazione dei teatri berlinesi, si osservano diversi tentativi di dare vita ad associazioni di questo genere, ma la più duratura e la più efficace è senza dubbio quella fondata da Seeler. Carl Zuckmayer, nel suo volume Als wär’s ein Stück von mir, ricorda così Moriz Seeler e la sua organizzazione : « Lui [Moriz Seeler N.d.T] si era posto come obiettivo quello di mettere in luce i drammi di nuovi talenti, per il cui impiego i teatri ufficiali non si erano ancora decisi e lo realizzò : quasi tutti gli autori più dotati dell’ultima generazione, Bronnen, Brecht, Hans Henny Jahnn, Alfred Brust e alcuni altri, vennero rappresentati. Seeler faceva nascere dal nulla messinscene – senza soldi, senza credito, senza una qualche organizzazione –, sulla cui scheda comparivano i nomi dei più importanti e migliori registi e attori berlinesi » [C. Zuckmayer, Als wär’s ein Stück von mir. Horen der Freundschaft, in Id., Gesammelte Werke in Einzelbänden, a cura di K. Beck e M. Guttenbrunner-Zuckmayer, Frankfurt a. M., S. Fischer, 1997, p. 461]. Similmente a quanto accadeva durante gli spettacoli organizzati dalla « Freie Bühne », le messinscene della « Junge Bühne » sono occasione di accesi confronti che culminano, non di rado, in vere e proprie battaglie tra opposte fazioni. Sin dal debutto dell’organismo guidato da Seeler con Vatermord nel maggio del 1922, Ihering diventa, con le sue critiche e i suoi interventi, il suo più importante e autorevole sostenitore. Quasi per una forma di necessario equilibrio delle forze in campo, Kerr, a suo tempo vivace animatore del movimento naturalista, osserva invece l’azione della « Junge Bühne » con un certo scettismo e giudica il suo programma con grandi riserve : « La società “Junge Bühne” ha diritto di esistere, 2 3
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dei due giovani autori saliti per la prima volta all’onore delle cronache nel 1922 : Brecht e Bronnen. 1 La ragione di questo sostegno, quasi incondizionato, risiede proprio nella capacità, che essi secondo il critico possiedono, di intercettare le tensioni che caratterizzano la società tedesca del presente, privata dalla guerra di una cultura secolare e sottoposta durante e dopo il conflitto a esperienze psicologiche e percettive di inaudita violenza. Una convinzione espressa con particolare concisione e chiarezza in un breve articolo del 1925, Das werdende Drama :
Niente ritorna più spesso nei discorsi e nei piani dei giovani drammaturghi che il riconoscimento dei presupposti artigianali del dramma. Che con questo non si intenda un perfezionamento della tecnica teatrale di Ibsen, che con il dominio della materia non si intenda un’attenuazione, una civilizzazione o un’umanizzazione della materia, ciò è quasi ovvio in un’epoca in fermento come la nostra. Il dramma della problematizzazione psicologica di Ibsen si è esaurito. Un punto di attacco non c’è. Chi inizia oggi può soltanto davvero « iniziare », porre un nuovo principio e fondare questo principio in modo strutturale. La barbarie del tempo non viene modellata nel momento in cui la si aggira. Bisogna averla guardata negli occhi, è necessario confrontarsi con essa in modo responsabile, senza abbellimenti. 2
Ed è una serie quasi fortuita di eventi che, nel 1922, congiunge, anche biograficamente, la strada di Ihering con quella dei due autori. Bertolt Brecht, giovane originario di Augusta, spinto dal desiderio di sfondare nel mondo del teatro, aveva allora iniziato a muovere i primi passi a Berlino, dove aveva presto stretto amicizia con Arnolt Bronnen, giovane autore austriaco, anch’egli sconosciuto, e il cui dramma Vatermord avrebbe di lì a breve inaugurato l’attività della « Junge Bühne » fondata da Moriz Seeler. 3 In quello stesso anno Ihering era stato indicato come responsabile dell’assegnazione del premio Kleist, il riconoscimento più prestigioso cui un giovane drammaturgo poteva aspirare. E proprio questo è, secondo quanto racconta Bronnen nel suo testo autobiografico, Tage mit Bertolt Brecht, l’argomento di uno dei primi brevi scambi tra i due autori e il critico. Stando ai ricordi di Bronnen, durante una pausa della messinscena di Persephone di Paul Gurk, vincitore del premio nel 1921, Ihering avrebbe risposto alle osservazioni critiche di Bronnen, rassicurandolo e affermando che una scelta del genere non si sarebbe potuta ripetere, dal momento che avrebbe assegnato lui, quell’anno, il premio. Un’affermazione cui Bronnen avrebbe prontamente ribattuto indicando l’amico Brecht : « Bè, allora avete proprio qui davanti a voi quello a cui dovete darlo ». 4 Pochi mesi dopo il critico del « Berliner Börsen-Courier » deciderà di assegnare proprio all’autore di Augusta, per i tre drammi inediti, Baal, Trommeln in der Nacht, Im Dickicht, il premio. 5 È il primo importante riconoscimento per il giovane drammaturgo. Nel discorso di assegnazione il critico sottolinea con attenzione e accuratezza le caratteristiche che rendono la scrittura teatrale di Brecht decisamente superiore a quella degli altri drammaturghi della sua generazione :
se in futuro si muove a partire dalle capacità e non dagli orientamenti » [A. Kerr, Ernst Weiß « Olympia » (20 marzo 1923), in Theater für die Republik im Spiegel der Kritik (1917-1933), a cura di G. Rühle, cit., vol. i, p. 445]. La missione e la spinta innovatrice dell’associazione si esauriscono dopo qualche anno e nel 1927 Seeler chiude la propria attività. Seeler, ebreo, muore a seguito della deportazione a Riga nel 1942. Sulla « Junge Bühne » e su Seeler si vedano : G. Elbin, Am Sonntag in die Matinee. Moriz Seeler und die Junge Bühne. Eine Spurensuche, Mannheim, Persona, 1998 e G. Rühle, Theater in Deutschland 1887-1945. Seine Ereignisse – seine Menschen, cit., pp. 433-446. 1 Bertolt Brecht (1898-1956) è senza dubbio, insieme a Ernst Barlach (1870-1933), l’autore sostenuto con più energia e continuità da Ihering. 2 H. Ihering, Das werdende Drama (1 gennaio 1925), in KuT, pp. 216-217. 3 Sull’amicizia tra Brecht e Bronnen si veda : A. Bronnen, Tage mit Bertolt Brecht. Geschichte einer unvollende4 Ivi, p. 28. ten Freundschaft, Berlin, Henschelverlag, 1973. 5 Cfr. Der Kleist-Preis 1912-1932. Eine Dokumentation, a cura di H. Sembdner, Berlin, Schmidt, 1968, pp. 81-82.
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Bertolt Brecht è nato nel 1898. A vent’anni ha scritto il dramma rivoluzionario Trommeln in der Nacht, che supera i drammi dei suoi coetanei già per il fatto che la rivoluzione non è una tendenza che balza fuori, ma lo sfondo per un’azione umana. Se Brecht nel primo atto appare ancora qualche volta bloccato in una caratterizzazione tipizzante (Sternheim, Kaiser), la sua evoluzione si annuncia già nel fatto che, all’interno di questo stesso dramma, egli supera la tipizzazione e arriva a una caratterizzazione individuale, che è emblematica dal punto di vista linguistico e che è in grado di reggere la scena. La potenza della lingua di Brecht si sviluppa in modo ancora più ricco in Baal e nel dramma Im Dickicht. Questo linguaggio è immaginifico senza intenzione poetica, simbolico senza significato letterarizzante. Brecht è un drammaturgo perché la sua lingua è percepita allo stesso tempo corporalmente e spazialmente. Brecht plasma gli uomini nella relazione con gli altri uomini, e utilizza per questo da una parte la declamazione lirica e dall’altra la caratterizzazione singolare e individuante. Brecht ottiene le prospettive e lo sfondo spirituale solamente a partire dalla visione scenica. 1
Brecht e Bronnen colgono dunque un’aspettativa critica e le danno voce teatrale : Ihering è convinto di aver finalmente individuato in loro i primi accenni di una nuova scrittura drammaturgica. Il suo apprezzamento incondizionato si ritrova nelle critiche scritte, nel corso del 1922, in occasione del debutto dei loro lavori sulla scena tedesca. In queste recensioni il critico dimostra di saper mettere in pratica la sua visione di una critica produttiva, una critica che non solo giudica il valore di quanto osserva, ma conia concetti utili a spiegare e indirizzare i nuovi sviluppi teatrali. In occasione della messinscena di Vatermord di Bronnen a Berlino la maggioranza dei critici è schierata a fianco del giovane autore, ma, non possedendo ancora categorie adeguate a descrivere l’originalità del suo dettato drammatico, interpreta il realismo estremo delle vicende rimandandolo alla drammaturgia naturalista. 2 Così Julius Knopf descrive il dramma attraverso il concetto di «Ultranaturalismo» (Übernaturalism), 3 Franz Servaes vi osserva « un’energica e spietata cattura della vita » 4 mentre Fritz Engel lo definisce « un pezzo di ardente naturalismo » :
Non si presenta con massime abbellite in modo patetico, ma con fatti ; non con prediche, ma stando all’ascolto dell’esistenza ; non con creature messianiche ma con creature viventi e terrestri. 5
Ma proprio di fronte a questa possibile chiave di lettura Ihering, attento a difendere la novità e l’originalità di Bronnen mette in guardia i propri colleghi : « l’esplosione di questo talento sarà incompresa », 6 afferma il critico, perché la sua forma appare naturalistica pur non possedendo nulla del calore vitale del naturalismo, e perché la radicalità degli eventi rappresentati verrà scambiata per una pura ricerca dell’effetto. 7 La somiglianza tra il dramma di Bronnen e il naturalismo, in altre parole, è per Ihering una somiglianza soltanto esteriore, e, riprendendo i concetti che aveva esposto nel testo Der Kampf ums Theater afferma : « In Bronnen si cerca l’“anima”, ma si intende la “psicologia” e non si coglie l’energia portante,
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Discorso di Herbert Ihering per l’assegnazione del Kleist-Preis 1922, in ivi, p. 81. Diverse recensioni relative alla messinscena del dramma di Bronnen sono contenute nelle seguenti raccolte : Von der Freien Bühne zum politischen Theater, a cura di H. Fetting, cit., vol. ii, pp. 123-138 e Theater für die Republik im Spiegel der Kritik (1917-1933), a cura di G. Rühle, cit., vol. i, pp. 375-382. 3 J. Knopf, Arnolt Bronnen « Vatermord », « Berliner Börsen-Zeitung », 15 maggio 1922, cit. da Von der Freien Bühne zum politischen Theater, a cura di H. Fetting, cit., vol. ii, pp. 126-127. 4 F. Servaes, Arnolt Bronnen « Vatermord », « Berlin Lokal-Anzeiger », 15 maggio 1922, cit. da Von der Freien Bühne zum politischen Theater, a cura di H. Fetting, cit., vol. ii, p. 128. 5 F. Engel, Arnolt Bronnen « Vatermord », « Berliner Tageblatt », 15 maggio 1922, cit. da Von der Freien Bühne zum politischen Theater, a cura di H. Fetting, cit., vol. ii, 127-128. 6 H. Ihering, Vatermord (16 aprile 1922), in RbB, i, p. 259. La data del 16 aprile 1922 riportata nella raccolta delle recensioni di Ihering è frutto di un errore e indica, con tutta probabilità, il 16 maggio 1922. La “prima” berlinese, organizzata dalla « Junge Bühne » presso il Deutsches Theater con la regia di Berthold Viertel, a cui la 7 recensione di Ihering si riferisce, ebbe luogo, infatti, il 14 maggio 1922. Cfr. ibidem. 2
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lo slancio che è proprio del temperamento del dramma ». 1 Questo dramma, prosegue Ihering, potrebbe chiamarsi “Kräfte”, forze : lo spazio non è luogo neutro, ambiente o cornice dell’azione, ma un vettore in cui si esprimono le dinamiche del dramma. 2 La brutalità di Bronnen non è l’oggettività del naturalismo, non è frutto della concezione statica della realtà e della società tipica del positivismo di fine Ottocento, ma esprime una visione energetica e dinamica, quella stessa visione che il critico, sempre in Der Kampf ums Theater, aveva spiegato rimandando alla forma percettiva del mondo contemporaneo. Pochi mesi dopo il debutto del dramma di Bronnen a Berlino è la volta di Trommeln in der Nacht di Brecht messo in scena il 29 settembre 1922 ai Kammerspiele di Monaco. Brecht, consapevole del peso culturale del critico del « Berliner Börsen-Courier », lo prega, con una lettera, di recarsi a Monaco per vedere lo spettacolo :
Ora io vorrei domandarle un favore eccezionale, che però quasi non oso chiederle ; e cioè che lei venga al mio debutto, che avrà luogo qui il 29 settembre (venerdì). So bene cosa le sto chiedendo in questo modo, ma per me è straordinariamente importante. Da quando Berlino non osa più nulla, è dannatamente difficile ascoltare critiche essenziali in un’epoca in cui se ne ha bisogno nel modo più urgente. 3
Una richiesta che corrisponde perfettamente alla concezione “produttiva” del critico, il quale, seppure molto probabilmente non in occasione della “prima” ma di una delle repliche immediatamente successive, 4 si reca a Monaco e, dopo un breve entusiastico articolo datato 2 ottobre 1922, 5 scrive, il 5 ottobre 1922, una recensione memorabile e destinata a rimanere nella storia del teatro tedesco :
Il poeta ventiquattrenne Bert Brecht ha cambiato da un giorno all’altro il volto poetico della Germania. Bert Brecht ha introdotto un nuovo tono, una nuova melodia, una nuova visione in quest’epoca. Dal punto di vista artistico l’avvenimento non è che Bert Brecht nel suo primo dramma Tamburi nella notte rappresenta eventi attuali, di cui fino ad ora si era discusso. L’avvenimento è che l’epoca è presente come sfondo e atmosfera anche nei drammi che non trattano temi d’attualità. Brecht è attraversato nei suoi nervi e nel suo sangue dall’orrore dell’epoca. Quest’orrore è come un’aria cupa e una mezza luce sospesa sugli uomini e sugli spazi. Si ammassa nelle pause recitative e nei cambi di scena. Lascia libere le figure per poi reinghiottirle. Le forme sono fosforescenti. 6
Ancora una volta è la capacità di dare voce a questa nuova epoca, al dopoguerra e alla sua visione del mondo, a determinare il giudizio di Ihering. Un contatto con il presente che non riguarda semplicemente i contenuti, ma investe, al contempo, la forma e la lingua della nuova drammaturgia. Da questo momento in avanti, dai Tamburi nella notte fino all’Opera da tre soldi, al teatro epico e ai drammi didattici, sarà proprio Brecht l’autore cui Ihering affiderà le speranze più profonde per la conquista di una scrittura teatrale adeguata al presente. 3. 3. 8. Ihering, Kerr e la polemica intorno al teatro di Bertolt Brecht Grazie anche alla mediazione di Ihering, che presenta Brecht a Felix Hollaender, direttore del Deutsches Theater, 7 Tamburi nella notte, dopo il debutto monacense, viene messo
1
2 Ibidem. Cfr. ibidem. B. Brecht, Briefe I (1913-1936) [Lettera di Bertolt Brecht a Herbert Ihering, Monaco, 22 settembre 1922 (Nr.189)], in Id., Werke. Große kommentierte Berliner und Frankfurter Ausgabe, cit., vol. xxviii, 1998, p. 173. 4 Così almeno stando alla risposta di Ihering del 26 settembre 1922 in cui il critico, profondamente dispiaciuto, scrive a Brecht di non poter raccogliere l’invito a causa di altri impegni [Cfr. ivi, p. 626]. 5 « Il successo non comune della commedia di Brecht Tamburi nella notte è stato un segno del fatto che ciò che è autentico e forte, se soltanto lo si osa, si impone sempre » [H. Ihering, Eine literarische Sensationspremiere (2 ottobre 1922), in RbB, i, p. 272]. 6 H. Ihering, Der Dramatiker Bert Brecht (5 ottobre 1922), in RbB, i, pp. 273-274. 7 Cfr. Von der Freien Bühne zum politischen Theater, a cura di H. Fetting, cit., vol. ii, p. 141. 3
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in scena nel dicembre 1922 a Berlino. La capitale è raggiunta così, dopo Bronnen, da un altro giovane autore destinato a essere al centro dell’attenzione teatrale e letteraria negli anni successivi. Se Ihering era apparso, dopo la messinscena di Monaco, come il più importante sostenitore del drammaturgo bavarese, ora, dopo la messinscena di Berlino, Kerr si annuncia come il suo principale oppositore e da questo momento in poi le rappresentazioni dei drammi di Brecht diverranno il centro della loro battaglia critico-teatrale. Qualche anno prima Brecht aveva spedito a Kerr il suo dramma Baal, senza suscitare, evidentemente, l’interesse sperato : « Nessun dramma ; un caos con delle possibilità », ribadisce ora Kerr raccontando l’episodio nella propria recensione. 2 E l’opinione che egli dà di Trommeln in der Nacht non è affatto più lusinghiera. Il critico del « Berliner Tageblatt » salva parzialmente soltanto il secondo atto, in cui il conflitto drammatico tra i personaggi ripercorre una struttura tradizionale, mentre rifiuta con decisione l’apparato complessivo dell’opera. Nel suo giudizio egli si sofferma, in particolare, sulla tecnica di costruzione e sulla forma del dramma mostrando, ancora una volta, di assumere come leggi assolute della scena le tecniche particolari della pièce bien faite, rilette attraverso i drammi di Ibsen : 1
Con il bluff del ritmo (che è l’occasione per chiacchiere poco controllabili) si ha una grossa sfortuna. Perché è considerato “ritmico” Zuckmayer ; dopo Ulrike Steindorf il più floscio di tutti. Justament 3 in tutti questi drammi evanescenti (Toller escluso !) non c’è nemmeno la metà del ritmo che c’è in un solo Sardou. Disperati costruttori di frasi non sono disposti a confessarlo. Per non parlare della costruzione ritmica di Ibsen. Lui non conta. Il ritmo significa in modo evidente : colla. 4
Fino alla fine della Repubblica di Weimar la ricerca teatrale di Brecht sarà, in tutte le sue fasi, un obiettivo costante degli attacchi di Kerr. La modernità e l’originalità del giovane drammaturgo bavarese sono oggetto ricorrente di scherno da parte del critico, non da ultimo a causa di un’idea della creazione come novità che male si coniuga con il lavoro di Brecht sul riutilizzo di opere del passato per la composizione di nuove opere drammatiche. Così, la rielaborazione dell’Edoardo II di Marlowe viene respinta con una battuta - « la modernità sta nel fatto di rielaborare scrittori del sedicesimo secolo » - che risuonerà più tardi nella recensione, pur nel complesso positiva, 5 dell’Opera da tre soldi : « [...] e ora un dramma di successo del 1728. Se non è dinamico questo mi sto sbagliando di grosso ». 6 Il rifiuto di Kerr, tuttavia, non è circoscritto alle riscritture drammatiche di Brecht, ma investe tutti i momenti della sua ricerca teatrale, dal lavoro sull’azione drammatica compiuto in Im Dickicht, fino alla costruzione del teatro epico, culmine del percorso teatrale compiuto in questi anni dall’autore di Augusta. L’utilizzo di strumenti di illustrazione e distanziamento dello spettatore dall’azione, portato avanti ad esempio nella regia di
1 Per le recensioni della messinscena berlinese del dramma di Brecht si veda ivi, pp. 138-153 e Theater für die Republik im Spiegel der Kritik (1917-1933), a cura di G. Rühle, cit., vol. i, pp. 403-410. 2 A. Kerr, Bertolt Brecht « Trommeln in der Nacht » (21 dicembre 1922), in WiE, vii/2, p. 173. 3 4 Così nell’originale. Ivi, p. 174. 5 Cfr. A. Kerr, Bertolt Brecht – Kurt Weill « Die Dreigroschenoper » (1 settembre 1928), in WiE, vii/2, pp. 440-444. 6 Ivi, p. 441. Gli attacchi di Kerr alla mancanza di originalità di Brecht non sono rivolti, tuttavia, soltanto alla riscrittura di opere drammatiche del passato, ma riguardano anche presunti casi di plagio o di infrazione del diritto d’autore da parte del drammaturgo di Augusta : l’utilizzo di versi di Rimbaud in Im Dickicht [cfr. gli articoli di Kerr del dicembre 1924 Die Ethik der Ebbe e Ebbegegend contenuti in WiE, v/vi, rispettivamente a pp. 391-394 e 394-396] ; la revisione e le modifiche apportate, senza che l’autore ne fosse stato informato, alla versione teatrale di Ferdinand Bruckner (pseudonimo di Theodor Tagger) del romanzo La signora delle camelie di Alexandre Dumas, per la messinscena di Bernhard Reich al Deutsches Theater [cfr. gli articoli di Kerr del marzo 1925 Tagger und « Kameliendame » e Noch die « Kameliendame ! » in WiE, v/vi, rispettivamente a pp. 396-397 e 398] e infine per l’utilizzo non dichiarato della traduzione di K. L. Ammer (Karl Anton Klammer) del poeta francese François Villon per alcune ballate dell’Opera da tre soldi [cfr. gli articoli di Kerr del maggio 1929 Brechts Copyright e Verein der Plagiatfreunde. Gruppe Berlin, in WiE, v/vi, rispettivamente a pp. 398-402 e 402-405]. Per una più approfondita ricostruzione del contesto della polemica e delle posizioni degli attori in campo si veda l’apparato di note di Deborah Vietor-Engländer agli articoli di Kerr qui richiamati [cfr. WiE, v/vi, pp. 677-685].
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Baal nel 1926, viene derubricato come un tentativo di coprire la mancata riuscita di un dramma, un giudizio che diventa ancora più radicale nella recensione redatta nel 1932 in occasione della messinscena del testo Die Mutter in merito al quale Kerr afferma senza riserve : « Il “dramma epico” è una parola straniera per indicare il “dramma non riuscito”. Per indicare (scusate !) il dramma idiota ». 1 L’ostilità di Kerr nei confronti di Brecht può essere spiegata dalla coazione di molteplici ragioni, una delle quali è, senza dubbio, la rivalità con Ihering, come ricorda in modo pungente Bronnen : « Brecht, agli occhi di Kerr, aveva un pesante difetto : quello di essere stato scoperto da Ihering prima che da lui ». 2 Lo stesso Ihering accusa più volte il proprio collega di attaccare i giovani drammarturghi con il solo scopo di colpire lui, suo avversario critico. 3 Certo, questa è soltanto un’insinuazione polemica, ma coglie un punto importante della questione : l’importanza che Kerr assegna alla battaglia contro Brecht dipende anche dal peso che i lavori di questo drammaturgo avevano assunto nella riflessione di Ihering sul futuro del dramma. Come afferma Kerr stesso nella recensione a Mann ist Mann del 1931 : « Non si tratta di Brecht in quanto tale. Ma dell’abuso ridicolo che viene fatto di un piccolo talento incoerente ». 4 Sarebbe tuttavia falso e riduttivo pensare che Kerr sia un critico reazionario e obsoleto soltanto per il suo rifiuto della drammaturgia brechtiana. Egli non si oppone, infatti, genericamente a tutte le innovazioni che si osservano nel dramma e nel teatro degli anni di Weimar, né propone un ritorno ai modelli di inizio secolo : Kerr, come nel ventennio precedente al conflitto mondiale, occupa, piuttosto, una posizione progressista, sia nel dibattito politico che nella discussione estetica. Sin dall’inizio della Repubblica egli è uno dei più convinti sostenitori del lavoro di Jessner allo Staatstheater, più tardi accoglie con favore la sperimentazione di Piscator e, di fronte alla crescente politicizzazione del teatro, nel 1927 afferma con decisione : « Voglio opere di propaganda oggi ». 5 Il confronto con Brecht e con la prospettiva storico-teatrale di Ihering rimanda, dunque, non tanto a un’opposizione tra un fronte progressista e un fronte conservatore, quanto, piuttosto, a un confronto tra due diversi paradigmi, due diverse concezioni della funzione e degli strumenti della creazione teatrale. Kerr non comprende, infatti, il lavoro di Brecht sui fondamenti dell’azione e del conflitto drammatico, né coglie il tentativo del drammaturgo di spegnere il rapporto empatico e emotivo con lo spettatore a favore di un teatro critico e conoscitivo. Il critico di Breslau resta legato, infatti, a un teatro dell’illusione e del trasporto emotivo, un teatro che riproduce la vita psichica di individui concreti e offre una chiave di lettura chiara e definita. Una distanza di paradigmi che emerge con particolare chiarezza nel confronto tra il suo giudizio su Brecht e quello su Toller, il drammaturgo su cui più di ogni altro aveva scommesso nei primi anni della Repubblica. 6 Nei drammi di Toller il punto di vista dell’autore è chiaramente individuabile e la critica sociale è comunicata con lo strumento emozionale della denuncia : una prospettiva molto distante dal tentativo di Brecht di dare vita a un complesso drammatico in cui lo sguardo del drammaturgo non compare se non nell’arte della disposizione. Kerr, forte di una concezione etico-conoscitiva rivolta alla ricezione emozionale dell’evento teatrale, si dichiara per questo senza riserve dalla parte di Toller :7
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A. Kerr, Bertolt Brecht – Günther Weisenborn « die Mutter » (18 gennaio 1932), in WiE, vii/2, p. 625. A. Bronnen, Tage mit Bertolt Brecht. Geschichte einer unvollendeten Freundschaft, cit., p. 81. 3 In un articolo del dicembre del 1924 Ihering afferma senza mezzi termini : « Il signor Kerr ammazza autori drammatici per colpire un critico, per colpire me » [H. Ihering, Klärung (11 dicembre 1924), in RbB, ii, p. 72]. 4 A. Kerr, Bertolt Brecht « Mann ist Mann » (7 febbraio 1931), in WiE, vii/2, p. 592. 5 A. Kerr, Ernst Toller « Hoppla, wir leben ! » (5 settembre 1927), in WiE, vii/2, p. 373. 6 Cfr. A. Kerr, Ernst Toller « Die Wandlung » (1 ottobre 1919), in WiE, ViI/2, pp. 31-34. 7 L’occasione per un confronto esplicito tra Brecht e Toller la diede l’Altes Theater di Lipsia, che nel dicembre del 1923 mise in scena negli stessi giorni Hinkemann di Toller e Baal di Brecht. Sia Ihering che Kerr, nelle rispettive recensioni, si occuparono del confronto tra i due drammaturghi [Cfr. A. Kerr, Ernst Toller « Der deutsche
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« Egli [Brecht, N.d.T.] non è una torta friabile come Kornfeld ; non è così orribile come “tutti quanti” 1... però nell’espressionismo non è né così autonomo come Toller, né così luminosamente animato ». 2 Un modo di giudicare la scena esattamente opposto a quello di Ihering che individua lo straordinario valore di Brecht proprio nella capacità, simile a quella di Shakespeare, di non partecipare emotivamente alla vita dei propri personaggi e di creare organismi drammatici autonomi dalle opinioni soggettive del loro autore :
L’esperienza poetica non è un’esperienza di compassione (Mitgefühl). La compassione è un sentimento privato. La compassione è una percezione dello spettatore. L’errore drammaturgico dell’ultimo decennio è stato quello di riconoscere l’anima dell’autore drammatico dal modo in cui egli soffre assieme alle sue figure. La vibrazione dell’autore drammatico è di carattere elementare. Shakespeare non ebbe compassione per Macbeth o Lear quando li creò. Fu catturato, nel senso letterale della parola “catturato”, “afferrato” dalla parabola cosmica dal complesso dei destini che in essi si dischiude. La compassione è presente soltanto di fronte all’organismo drammatico [...]. Ernst Toller rimane solo lo spettatore compassionevole o co-agente. [...] Toller è un esempio tipico di autore drammatico improduttivo, Brecht è un esempio tipico di autore drammatico produttivo. 3
Lo scontro tra Kerr e Ihering intorno a Brecht non è solo il frutto dell’infiammarsi della polemica personale tra i due critici, ma è anche il risultato del confronto tra due modi antitetici di pensare la scena : da una parte l’idea di un teatro dell’individuo e dell’illusione, dall’altra l’esigenza di un teatro che rompa con la tradizione drammatica per imparare a raccontare un nuovo mondo e una nuova umanità. La storia, su questo punto, darà ragione a Ihering determinando anche la ricezione successiva di Kerr, rimasta profondamente influenzata dalla sua inimicizia verso Brecht.
3. 3. 9. Brecht, Piscator e il dramma d’attualità : Ihering e l’abbozzo di un teatro del futuro
La polemica tra Kerr e Ihering intorno a Brecht è radicata, dunque, oltre che in un’opposizione critico-teatrale, in una precisa contrapposizione estetica. Ma mentre il pensiero teatrale di Kerr possiede dei tratti più definiti perché, come abbiamo avuto modo di vedere, poggia su una lettura personale del realismo teatrale, Ihering, come tutti coloro che si fanno portavoce di un teatro dell’avvenire non può certo possedere una visione compiuta e definita della forma che questo teatro dovrà assumere. Seguendo l’evoluzione e le trasformazioni del teatro degli anni venti, egli adegua e precisa la propria lettura storico-teatrale, passando dalle iniziali suggestioni irrazionaliste a una teorizzazione vicina al teatro epico brechtiano. I giudizi che egli offre sui drammaturghi, i registi e gli attori che si susseguono sui palcoscenici della Repubblica, non sono, tuttavia, appiattiti su concezioni univoche e generalizzanti dell’arte teatrale. Ihering non perde il senso della singolarità, storica ed estetica, delle diverse espressioni teatrali. In proposito è bene ricordare che egli, nello scritto Der Kampf ums Theater, aveva affermato che il compito del critico non consiste nella definizione di leggi oggettive ma nell’individuazione di sintomi e tendenze e nel tentativo di riportare questi dati disparati a un loro centro propulsivo. Sarebbe perciò erroneo cercare di definire il suo pensiero teatrale in modo chiuso e definitivo. Molto più utile è cercare di individuare quale sia il centro propulsivo che anima la sua visione del teatro negli anni di Weimar. Nei suoi scritti e nelle sue recensioni, infatti, è possibile cogliere alcune costanti. In particolare Hinkmann » - Bertolt Brecht « Baal » (11 dicembre 1923), in WiE, vii/2, pp. 201-206 e H. Ihering, Toller und Brecht (10 dicembre 1923 e 11 dicembre 1923), in RbB, i, pp. 356-358]. 1 In italiano nel testo originale. 2 A. Kerr, Bertolt Brecht « Trommeln in der Nacht », cit., p. 175. 3 H. Ihering, Toller und Brecht, cit., pp. 356-357.
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ritorna in modo ricorrente il convincimento della necessità che il nuovo teatro rappresenti un superamento delle forme di espressione dell’individualismo borghese :
Ma come il dramma prima della guerra, quando c’era ancora un pubblico, aveva anticipato nella sua problematica l’isolamento dello spettatore, così ora, ancora a tastoni e in modo insicuro, ma con un giusto istinto, inizia a superare l’isolamento dello spettatore. 1
Per comprendere il modo in cui questa visione, già contenuta nella critica anti-psicologica di Der Kampf ums Theater, caratterizzi anche l’evoluzione successiva della riflessione teatrale di Ihering è interessante leggere alcuni passaggi di Zeittheater, un intervento pubblicato dal critico nel 1929. 2 Qui egli pone alla scena dell’avvenire il compito di rendere teatralmente utilizzabile una nuova materia drammatica, una materia che si radica nel confronto tra forze storiche oggettive e non più nei conflitti privati e psicologici che hanno determinato la scena teatrale dell’epoca precedente. Un obiettivo verso cui egli vede convergere gli sforzi del dramma d’attualità che, per il critico, non rappresenta, tuttavia, un compimento, bensì una stazione intermedia verso la conquista di una nuova forma. Questa drammaturgia, infatti, inizia a rendere utilizzabile, per il teatro, una nuova fonte, l’informazione giornalistica. Il ruolo che nel passato era stato affidato alla saga e alla tradizione deve essere occupato ora, secondo Ihering, proprio dall’informazione giornalistica. La lunga elaborazione poetica è messa fuori gioco dalla fissazione immediata e univoca delle notizie offerta dalla stampa. Ed è con le peculiarità di questa forma di trasmissione che il dramma del futuro deve fare i conti, senza cercare di aggirare le problematiche che essa pone e senza cercare di utilizzarla come semplice spunto per una costruzione drammaturgica di stampo tradizionale. È proprio il carattere epico della notizia, con il suo contenuto secco e immediato, infatti, a dover essere mantenuto e reso fertile per la nuova scena :
Ciò che prima era saga e tradizione è oggi il giornale. Ma questo, che è accessibile a tutti, stranamente ispira poco l’autore drammatico. Per lui resta nel migliore dei casi – e questo è sbagliato – una forma di trasmissione di aneddoti. Cronaca di casi specifici che egli cerca di abbellire per la scena attraverso ingredienti inventati. Il fondamento epico che anche la più breve notizia giornalistica possiede viene distrutto per arrivare al caso singolo, all’effetto finale. 3
Dal punto di vista contenutistico la nuova drammaturgia dovrà offrire, come in parte sembra fare Bronnen, un’immagine complessiva degli uomini di questo tempo, una ballata dell’epoca in grado di mostrare le forze che, al di sopra e al di là dell’individuo, ne determinano il profilo. 4 Ed è per questo che Ihering assegna al lavoro registico di Piscator un ruolo fondamentale nella determinazione della nuova forma drammatica. La radicalità con cui il regista interviene nel dettato drammatico è al centro della discussione critica e teatrale di questi anni. Secondo Ihering Piscator non è affatto l’esempio di un’ipertrofia registica. L’utilizzo dello strumento cinematografico, finalizzato a mostrare il collegamento tra realtà e finzione drammatica, così come il lavoro di rielaborazione e attualizzazzione delle figure drammatiche, sono, infatti, considerati dal critico come un processo di preparazione drammaturgica, come un tentativo di costruire una forma drammatica con cui raccontare le nuove questioni del tempo e le forze collettive che in esso sono all’opera :
Il dramma deve uscire dall’isolamento individuale. Si presentano nuovi soggetti drammatici che richiedono una diversa specie di esposizione. Si sente, non ancora modellato, ma come materiale, il mondo intero, il destino dei popoli, il destino della terra. L’arricchimento dei mezzi scenici è al servizio di un arricchimento della visione, il perfezionamento meccanico al servizio dell’ampliamento di ciò che viene esperito. Questo è il significato dell’esperimento di Piscator per il presente. Nessun perfezionamento 1
H. Ihering, Rheinische Rebellen (1925), in KuT, p. 226. Cfr. H. Ihering, Zeittheater. Ein Vortrag (1929), in KuT, pp. 284-302. 3 4 Ivi, p. 286. Cfr. ivi, pp. 293-294.
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né dilatazione della regia, ma un lavoro preliminare per il nuovo dramma, che Piscator tuttavia potrà rendere fecondo quando, più di quanto sta facendo ora, si unirà alle forze produttive dell’epoca. 1
Non sono più le passioni private dei personaggi a dover essere poste al centro della drammatizzazione teatrale. Se l’operazione registica di Piscator offre, secondo il critico, uno stimolo fondamentale in questo senso, è la sperimentazione drammaturgica di Brecht, per inverso, a dare un contributo essenziale alla creazione di una forma spettacolare che corrisponde alle medesime esigenze. Il lavoro del drammaturgo di Augusta sulla forma epica permette, infatti, di risolvere il problema della rappresentazione teatrale della nuova materia, abbozzando una forma fondata sulla distanza, sull’esposizione e sul rifiuto dell’identificazione psicologica. Un giudizio che emerge chiaramente nelle pagine dello scritto Reinhardt, Jessner, Piscator oder Klassikertod ? pubblicato nel 1929 e dedicato al problema della messinscena dei classici :
Brecht ha cercato di risolvere il problema formale della messinscena dei classici, Piscator quello contenutistico. È sorprendente che il poeta abbia influenzato maggiormente lo stile teatrale e il regista il dramma. La maggior parte dei tentativi di confrontarsi con il presente sociale e poetico rimandano a Piscator. La maggior parte dei tentativi di creare una nuova forma a Brecht. Dramma epico ? Sì, laddove il teatro si è impadronito di una nuova materia spirituale, esso presenta conoscenze scientifiche e massime filosofiche. Dramma drammatico dove combatte, denuncia e vuole cambiare le cose. 2
Quale sarà la forma dell’arte teatrale del futuro non è, per Ihering, ancora precisamente definito, ma una cosa appare certa nei suoi scritti : essa rappresenterà la società del futuro, una società in cui non sarà più l’individuo borghese a dominare ma le grandi forze collettive che hanno iniziato a fare la loro comparsa sullo scenario della storia mondiale.
3. 4. Teatro, società e politica nella riflessione critica di Ihering e Kerr negli anni di Weimar 3. 4. 1. La società di massa e la nuova metropoli : il volto di Berlino negli anni della Repubblica di Weimar
Il tentativo di stabilire una connessione sostanziale tra teatro, società ed epoca storica, rappresenta uno dei nuclei fondamentali del pensiero di Ihering. Per questa ragione, in molti suoi scritti e recensioni, l’analisi sociologica del pubblico assume una posizione centrale. L’attenzione verso questo fattore era, in parte, già presente prima della guerra, ma solo ora emerge in modo sistematico e consapevole. Uno sviluppo che si può comprendere soltanto se si tiene presente il contesto del tutto particolare di fronte a cui il critico si trova dopo la fine del conflitto mondiale. La società tedesca non era, infatti, mai stata attraversata da cambiamenti così profondi e strutturali : lo sviluppo tecnologico e la concentrazione della popolazione in grandi e moderne metropoli, fenomeni comuni a tutto l’occidente, raggiungono a Berlino, in questi anni, una dimensione straordinaria. La capitale della Germania, come ricorda Kolb, non solo diviene la terza città più popolata al mondo dopo New York e Londra, ma possiede persino il più veloce sistema di trasporto pubblico e la più estesa rete telefonica. 3 La metropoli, luogo che ridisegna la geografia e la percezione dell’essere umano, è abitata da una nuova creatura : la massa, una formazione collettiva dove i singoli individui si sciolgono in un complesso indistinto acquistando una forza straordinaria ma anche, come mostrerà pochi anni dopo il nazionalsocialismo, sinistra. Questa collettività potente e vertiginosa non si mostra soltanto nelle inquietudini sociali
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Ivi, pp. 290-291. H. Ihering, Reinhardt, Jessner, Piscator oder Klassikertod ?, cit., p. 324. 3 Cfr. E. Kolb, Deutschland 1918-1933. Eine Geschichte der Weimarer Republik, cit., p. 151. 2
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o nei disordini rivoluzionari dei primi anni della Repubblica, ma accompagna e determina, con altrettanta forza, lo sviluppo delle nuove forme di comunicazione : gli anni della Repubblica sono gli anni dello sviluppo del cinema e della nascita della radio, oltre che, come detto, del trionfo dei giornali. La società di massa determina, inoltre, una nuova fruizione dei prodotti artistici e culturali. L’industria dell’intrattenimento, leggera e disimpegnata, si sviluppa come mai prima d’ora : il cabaret, la rivista, l’operetta, ma anche la boxe, le corse dei cavalli e il Jazz conquistano la capitale tedesca, in particolare durante quella fase di relativa stabilizzazione politica ed economica che la Germania attraversa tra il 1924 e il 1929. 1 Di fronte a trasformazioni che potevano suscitare tanto un moto di rifiuto quanto un’entusiastica ed esaltata approvazione, Ihering sceglie la strada del confronto critico e oggettivo. Egli si rende conto, infatti, che le questioni connesse con lo sviluppo della società di massa, con la nascita della metropoli o con il progresso tecnologico sono di cruciale importanza per impostare un discorso di politica culturale e teatrale che voglia avere presa sulla realtà. La sua analisi del rapporto tra società ed espressione teatrale si inserisce in uno sforzo finalizzato a rompere l’isolamento estetico del teatro e a porlo, nuovamente, al centro dell’interesse sociale. Ihering, infatti, è profondamente ostile all’idea di una scissione tra arte e pubblico di massa e rifiuta la convinzione secondo cui a un prodotto artistico di alto livello debba corrisponde necessariamente un pubblico limitato. Una concezione che egli confuta utilizzando esempi tratti dal cinema :
Il pubblico è assetato di esperienza vissuta. Ma si lascia avvincere da un dramma potente tanto quanto da un potente ciarpame. Non temo di accostare esempi tratti dal cinema e dal teatro. Dal cinema, perché esso mostra il pubblico nella sua composizione originaria (Urzusammensetzung). Le ultime settimane hanno mostrato che si può avere successo non solo con Friedericus Rex, dunque non solo con i più rozzi mezzi che speculano contemporaneamente sulla suspense prodotta dalla storia e sulla sentimentalità patriottica, ma anche con Dr. Mabuse, dunque anche con mezzi raffinati, avvincenti e di grande impatto, ma, al contempo, articolati con buon gusto e completamente dominati dal punto di vista tecnico. 2
Il fine dell’analisi sociologica del pubblico che Ihering affida alla critica è dunque quello di favorire il sorgere di un teatro che sia al contempo d’arte e popolare, avvincente e immediato : un obiettivo che sembrerà realizzarsi nell’incredibile successo dell’Opera da tre soldi di Brecht e Weill, riscrittura della Beggar’s opera di John Gay, che, con sapienza e ironia, faceva propri gli strumenti linguistici e comunicativi del più recente teatro musicale di intrattenimento. 3
3. 4. 2. « Kultur » e « Zivilisation » : l’interpretazione del presente nel pensiero storico-teatrale di Ihering
Le categorie sociologiche attraverso cui Ihering interpreta il pubblico del presente si inseriscono in una filosofia della storia che riprende e amplia alcune riflessioni che abbiamo visto essere già presenti nel saggio del 1922 Der Kampf ums Theater. Il suo pensiero teatrale è, infatti, dominato dall’idea che l’esperienza del conflitto mondiale abbia determinato una profonda trasformazione nell’uomo e l’analisi di questa trasformazione rappresenta, nei suoi scritti, un passaggio obbligato per la comprensione del teatro della Germania post-bellica : « solo se si comprende in questo modo il destino spirituale degli uomini degli ultimi anni si trova una via per il dramma del presente ». 4 L’inaudita violenza del conflitto
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Cfr. B. Schrader, J. Schebera, Die »goldenen« zwanziger Jahre, cit., pp. 81-182. H. Ihering, Saisonschluß (18 maggio 1922), in KuT, p. 188. 3 Cfr. H. Ihering, Die Dreigroschenoper (1 settembre 1928), in RbB, ii, pp. 349-351. 4 H. Ihering, Der Dramatiker Bert Brecht, cit., p. 273. 2
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ha, infatti, investito le strutture percettive dell’essere umano, modificando radicalmente la sua relazione con il mondo esterno. La generazione attuale, perciò, è costretta a battersi quotidianamente per qualcosa di ancora più elementare dell’esistenza materiale, la riconquista di una forma di sensibilità : 1
L’orrore degli ultimi anni non è stato il crollo di una nazione, ma l’incapacità di esperire (erleben) in modo elementare le cose elementari. Le energie erano così consumate che si accettavano eventi apocalittici come fastidi quotidiani. Non è il dolore la cosa peggiore, ma la mancanza di sensibilità (Empfindungslosigkeit) nei confronti del dolore. 2
A questa alterazione nel contatto con la realtà consegue, secondo il critico, una sorta di assuefazione che spiega il bisogno spasmodico di emozioni forti, un bisogno che è soddisfatto dalle nuove forme di intrattenimento, come lo sport, il cinema e il varietà. La massa inquieta che abita la nuova metropoli non può evidentemente trovare nutrimento nelle forme sofisticate e sottili della tradizione letteraria e teatrale :
La massa è bramosa come non mai di esperienza vissuta. Passata attraverso gli anni di guerra e di rivoluzione, si sente improvvisamente sotto scacco se nella sua vita quotidiana non “succede” più niente. Il pubblico per questa ragione si trova in uno stato come prima di un’esplosione. La strada gli offre ancora solo raramente occasione di infiammarsi – dunque egli si infiamma al cinema, nei palazzi sportivi, in teatro. 3
L’esperienza della guerra investe, perciò, anche la ricezione delle forme culturali e artistiche. È come se il trauma, oltre ad aver sconvolto l’apparato sensoriale dell’uomo, avesse reso al contempo impossibile continuare a ritenere valida una tradizione secolare, come se le macerie e i corpi che hanno invaso l’Europa, avessero al contempo schiacciato e reso obsoleti i sistemi di pensiero e di interpretazione che da secoli erano ritenuti validi e affidabili. L’idea di una tabula rasa, l’idea di un’umanità che, privata del suo bagaglio culturale, deve ricominciare da un nuovo stato di barbarie è piuttosto interessante, non da ultimo perché esprime una percezione diffusa nella Germania del dopoguerra. 4 Ed è in questa tabula rasa che Ihering individua il punto di partenza obbligato per ogni tentativo di far nascere un dramma e un teatro del futuro. Per descrivere l’impatto e la consistenza della frattura che attraversa il presente, il critico, in un articolo del 1925, paragona l’epoca attuale a quella immediatamente seguente alla guerra dei trent’anni, e per radicalizzare
1
2 Cfr. ivi, pp. 272-273. Ivi, p. 273. H. Ihering, Die Empörung des Lucius (4 febbraio 1924), in RbB, ii, p. 9. 4 Walter Benjamin in un breve testo del 1933 scrive alcune riflessioni sullo stato dell’epoca che sembrano molto vicine a quelle di Ihering : « Che valore ha allora l’intero patrimonio culturale, se proprio l’esperienza non ci congiunge ad esso ? A cosa porta simularla o capirla con l’inganno, questo il raccapricciante guazzabuglio di stili e di ideologie del secolo scorso ce l’ha reso troppo chiaro per dover ritenere disonorevole confessare la nostra poverà. Sì, ammettiamolo : questa povertà di esperienza non è solo povertà nelle esperienze private, ma nelle esperienze dell’umanità in generale. E con questo diciamo una nuova specie di barbarie. Barbarie ? Proprio così. Diciamo questo per introdurre un nuovo, positivo concetto di barbarie. A cosa mai è indotto il barbaro dalla povertà di esperienza ? È indotto a ricominciare da capo ; a iniziare dal Nuovo ; a farcela con il Poco ; a costruire a partire dal Poco e inoltre a non guardare né a destra né a sinistra » [W. Benjamin, Esperienza e povertà (1933), trad. it. di F. Desideri, in W. Benjamin, Il carattere distruttivo. L’orrore del quotidiano, Milano, Mimesis, 1995, p. 18] Benjamin, tuttavia, non si riferisce tanto al livello percettivo dell’esperienza, alla Erlebnis, il vissuto, come fa Ihering, quanto all’esperienza intesa come Erfahrung, dunque su un livello maggiormente intersoggettivo e conoscitivo. La riflessione sulla tradizione e sulla trasmissione culturale occupa un posto assolutamente fondamentale nella storia del pensiero tedesco. A partire dalla fine dell’Ottocento, con Nietzsche, e fino alla prima metà del Novecento, essa accompagna la presa di coscienza della frattura irrevocabile che ha separato il mondo moderno dalle forme sociali e culturali precedenti. Un’interessante ricostruzione di questo tema da Nietzsche attraverso Georg Simmel, Ernst Jünger e Walter Benjamin è offerta da Michael Großheim, che, in proposito, mette in particolare evidenza proprio la genealogia del concetto di barbarie e di distruzione “creatrice” [Cfr. M. Großheim, La cultura come peso. Il motivo jüngeriano dell’alleggerimento del bagaglio culturale nel contesto della storia dello spirito, trad. it. di A. Iadicicco e G. Gregorio, in Ernst Jünger e il pensiero del nichilismo, a cura di L. Bonesio, Seregno, Herrenhaus, 2002, pp. 261-309]. 3
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ulteriormente questo confronto, afferma che la distanza che divide il mondo odierno da quello precedente al conflitto ricorda quella segnata dalla nascita di Cristo : 1
Il contrasto tra la generazione precedente alla guerra e quella successiva alla guerra non è una lotta sullo stesso piano [...]. È una lotta tra uomini che (accettandolo o negandolo) hanno accolto su di sé lo sviluppo di secoli, con uomini che sono accompagnati soltanto dal vissuto di un decennio nascente e isolato. È come se il 1914 dopo Cristo combattesse con l’anno 7 post bellum. Un’età del mondo è alla fine. Inizia un nuovo computo del tempo. 2
Ma a differenza dell’epoca seguente alla guerra dei trent’anni, l’azzeramento ha coinvolto, nel presente, soltanto il patrimonio culturale, non certo il sapere scientifico e tecnologico che prosegue in un rapido e inarrestabile progresso. Per definire questa scissione Ihering fa riferimento a due categorie centrali nella storia del pensiero tedesco del primo Novecento : i concetti di cultura (Kultur) e civilizzazione (Zivilisation). Nonostante già Kant indichi con questi termini due ambiti diversi della formazione e della trasmissione del sapere, è soltanto con Nietzsche che essi, come nota Marc Sagnol, assumono il valore di un’« opposizione irriconciliabile tra due modi di appropriazione intellettuale del mondo esteriore ». 3 Intorno a queste polarità si raccoglie, nei primi decenni del secolo, il dibattito sul destino futuro della società moderna. Mentre con il termine cultura si intende l’insieme dei valori e dei saperi in cui si esprime in modo autentico l’anima di un popolo, il termine civilizzazione indica, negativamente, tutte le conoscenze strumentali in cui si manifesta il mero progresso materiale ed esteriore di una civiltà. Lo sviluppo moderno e il dominio tecnico del mondo vengono dunque letti come un sintomo dell’esteriorizzazione e del declino della civiltà. Questo discorso raggiunge il suo apice nell’opera di Oswald Spengler, Il tramonto dell’occidente (Der Untergang des Abendlandes), scritta e pubblicata nell’immediato dopoguerra (1918-1922). 4 L’interpretazione filosofico-storica di Spengler è fondata sull’idea che la vita delle civiltà proceda secondo un percorso di nascita, maturazione e morte che è simile a quello delle forme di vita organiche. La Zivilisation rappresenterebbe, secondo Spengler, l’ultimo stadio di questo processo e, in una morfologia della storia, il chiaro segno di una civiltà che, raggiunto il proprio culmine, è prossima al declino. Il tramonto dell’occidente, opera cardine del pensiero conservatore tedesco, domina il dibattito intellettuale degli anni venti e diventa rapidamente uno dei libri più letti e discussi nella Repubblica di Weimar. La riflessione spengleriana influenza indubbiamente il discorso di filosofia della storia di Ihering. Le forme della cultura borghese ottocentesca sono diventate, secondo il critico, estranee e inattuali, mentre il progresso tecnico e tecnologico, la civilizzazione, non ha subito alcuna interruzione. Tuttavia, diversamente da Spengler, nella riflessione di Ihering la presa di coscienza di questa condizione non si traduce nell’idea del tramonto inesorabile della civiltà tedesca e europea, bensì rappresenta il presupposto per poter pensare la nascita di una cultura adeguata alla nuova umanità. La distinzione tra cultura e civilizzazione e l’affermazione della loro reciproca autonomia è, infatti, un passaggio centrale per la progettualità teatrale di Ihering. Attraverso questa distinzione egli fonda il proprio rifiuto dell’estetica teatrale precedente e la sua critica a quanti, come Kerr, continuano a cercare di promuovere un modello teatrale ormai divenuto obsoleto. L’errore di coloro che, come il critico di Breslau, continuano a porre come obiettivo del dramma e del teatro l’approfondimento della psicologia dell’individuo, si regge, secondo Ihering, proprio sull’incomprensione della scissione tra questi due settori dell’agire umano. Soltanto ritenendo che il
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Cfr. H. Ihering, Publikum und Bühnenwirkung (15 febbraio 1925), in RbB, ii, p. 91. Ibidem. 3 M. Sagnol, Tragique et Tristesse. Walter Benjamin archéologue de la modernité, Paris, cerf, 2003, p. 56. 4 O. Spengler, Der Untergang des Abendlandes. Umrisse einer Morphologie der Weltgeschichte, München, dtv, 1995. 2
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progresso della tradizione culturale proceda di pari passo con quello della civilizzazione, si può pretendere che il teatro prosegua verso un raffinamento della conoscenza dell’individuo. Coloro che leggono la storia della cultura tedesca attraverso categorie di stampo evoluzionista non possono, quindi, essere in grado di comprendere gli strumenti e le questioni cruciali per il teatro contemporaneo :
Chi parla di progresso intende la civilizzazione e i suoi risultati e crede che come le invenzioni anche le esperienze dell’anima siano rimaste continue. Così ne consegue che spesso la generazione precedente alla guerra usa le stesse parole della generazione successiva alla guerra, ma esse intendono due cose diverse. Ciò che per la prima è il culmine di un’epoca, per la seconda è inizio. Ciò che per la prima rimane un regresso dell’anima (rispetto a Ibsen e Hauptmann), per la seconda diviene il principio di un nuovo contenuto. Ne consegue perciò che si lavora a una nuova fondazione e a una trasformazione, laddove gli altri sperano in una prosecuzione, in un raffinamento e in uno sviluppo più sottile di ciò che è già stato raggiunto. 1
Proprio su questo punto la battaglia di Ihering a favore di un teatro attuale, si distacca dalle teorie storico-teatrali nate nella koiné naturalista. Il movimento naturalista berlinese guidato dalla Freie Bühne di Otto Brahm aveva fatto di questa battaglia il nucleo portante della propria rivoluzione teatrale, ponendo al centro del proprio lavoro « quell’arte nuova che si rivolge alla realtà e all’esistenza contemporanea ». 2 Un’idea che aveva permeato profondamente anche il pensiero di Alfred Kerr e il suo tentativo di fare della critica una funzione di stimolo e sviluppo del teatro e della società. Ma il tentativo di Brahm e Kerr di porre il teatro e l’epoca storica in una relazione di corrispondenza si era basato sull’immagine di un’evoluzione continua, un inarrestabile progresso che investiva non solo le strutture produttive e sociali ma anche le forme di espressione culturale. Lo sviluppo del fare artistico, in altre parole, non seguiva, secondo Brahm e Kerr, leggi autonome, ma veniva ricompreso nel contesto di quel processo complessivo che avrebbe condotto a una conoscenza sempre maggiore e più sottile dell’uomo e della società. Una convinzione che non può essere mantenuta a lungo, tanto meno dopo che il primo conflitto mondiale ha mostrato drammaticamente l’impossibilità di postulare l’esistenza di un’evoluzione morale e civile che proceda di pari passo con l’evoluzione tecnica dell’umanità. Uno scacco cui Kerr aveva provato a rispondere, nell’introduzione ai propri scritti teatrali nel 1917, ribadendo la fiducia nel progresso umano. Ma è evidentemente una risposta parziale, legata a una speranza che, come non mai, appare ora fragile e discutibile. 3 Ihering non aggira invece quest’esperienza e anzi ne fa una delle sorgenti del proprio pensiero storico-sociale : è qui, nella concezione di una discontinuità culturale radicata nella straordinarietà di eventi come la guerra e la rivoluzione che emerge la specificità del suo pensiero storico-teatrale. Il nuovo pubblico, al culmine dello sviluppo tecnologico e scientifico, è, dal punto di vista socio-culturale, soltanto all’inizio di un cammino verso una forma nuova e ancora indefinita. Un cammino in cui il critico produttivo intende giocare un ruolo fondamentale.
3. 4. 3. Pubblico e teatro nella riflessione di Ihering Le analisi sociologiche di Ihering non si fermano all’osservazione della distanza che separa il presente dal recente passato, ma procedono mostrando la frattura che, nel presente stesso, divide la società in gruppi e classi contrapposte. Oggi, nota Ihering nella recensione al dramma di Bronnen Die Exzesse, non esiste più un’esperienza, una tradizione, un linguaggio condiviso, « ciò che è oggi esperienza, rimane confinato ai partiti, ai programmi,
1
H. Ihering, Publikum und Bühnenwirkung (15 febbraio 1925), cit., p. 92. O. Brahm, Presentazione alla Freie Bühne (1890), trad. it. di M. Fazio, in M. Fazio, Lo specchio, il gioco e 3 Cfr. A. Kerr, Einleitung zu den Gesammelten Schriften, cit., p. xxi. l’estasi, cit., p. 66. 2
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non attraversa i confini, non diviene generale ». 1 La critica e il teatro si trovano dunque di fronte al delicato compito di individuare, all’interno di questa divisione, gli interlocutori adeguati per costruire l’arte teatrale del futuro. Nelle molteplici osservazioni che Ihering propone sull’argomento emerge la convinzione che il pubblico produttivo per il futuro del teatro corrisponda a quella parte della società che fino a quel momento era rimasta esclusa dal consumo e dalla produzione culturale, la classe proletaria, quella massa che non frequenta il teatro perché non è in grado di comprendere il suo linguaggio tradizionale. « Il teatro del sapere consolidato, dell’esperienza, della formazione (Bildung) è crollato », afferma il critico, « e tutti i tentativi di renderlo vivo falliscono ». 2 Il pubblico del futuro, quello cui il teatro deve rivolgersi non è, dunque, la borghesia colta ma quella moltitudine inquieta che frequenta i teatri di intrattenimento, ama la rivista e le operette e segue con passione gli incontri di boxe e le corse dei cavalli. La battaglia per il nuovo teatro deve dunque partire dalle caratteristiche di questo pubblico incapace di cogliere le sottili sfumature del realismo psicologico, ma in grado di seguire le fasi dell’azione teatrale con la stessa partecipazione con cui segue un incontro di boxe. 3 Un pubblico rozzo, crudele e insensibile e che tuttavia non deve essere giudicato attraverso categorie obsolete :
Il teatro d’attualità (Zeittheater) non deve essere né letterariamente né socialmente esclusivo. Sarà catturato molto di più dal pubblico delle operette, dalla massa del pubblico sportivo. 4
La critica non deve cercare di educare il pubblico proletario secondo le forme della tradizione, ma deve studiare le sue caratteristiche e i suoi gusti, e mettere questa conoscenza a disposizione dell’arte teatrale. Il vero uomo di teatro deve essere in grado, infatti, sostiene Ihering, di sentire gli istinti della massa, di mettersi in comunicazione con i suoi desideri e le sue passioni, di far penetrare nel proprio lavoro le sue energie. Ciò non significa affatto favorire un abbassamento dell’arte teatrale. L’ampia produzione del critico del « Berliner Börsen-Courier » dimostra, piuttosto, come egli si opponga all’idea dell’intrattenimento fine a se stesso. Egli è convinto della possibilità di instaurare un rapporto virtuoso tra il teatro e il nuovo pubblico, un rapporto di stimolo che, attraverso un coinvolgimento critico, dia vita a un linguaggio teatrale condiviso. Per questo egli ritiene che la battaglia per l’innalzamento del livello del pubblico e del teatro sia da condurre « a partire dai nervi del tempo », cogliendo, in altre parole, i meccanismi attraverso cui il pubblico contemporaneo può essere afferrato dall’opera d’arte :
Non si doma la massa nel momento in cui la si nega. Il drammaturgo, l’uomo di teatro sente intuitivamente il pubblico, le sue inimicizie, le sue preferenze, la sua agitazione, il suo rilassamento. Egli supera il pubblico attraverso la creazione (Gestaltung). Lascia affluire inconsciamente le energie del pubblico nel suo lavoro. Questo non significa cedere al “gusto” del pubblico. Questo non significa scansare la battaglia per l’arte. Questo significa, al contrario : condurre la battaglia per l’arte a partire dai nervi del tempo. Trovare il punto dove le passioni vitali possono essere liberate. 5
Un fine verso cui Ihering vede convergere il lavoro drammaturgico di Brecht, come emerge in occasione del debutto del La vita di Edoardo II di Inghilterra, nel 1924, in relazione a cui il critico nota come l’autore di Augusta « sent[a] il pubblico della strada, dei palazzi sportivi, della seigiorni, 6 degli incontri di boxe ». 7 È evidente, dunque, che l’obiettivo di Ihering sia favorire la creazione di un teatro che, libero da fraintendimenti elitari, torni
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2 H. Ihering, Die Exzesse (8 giugno 1925), in RbB, ii, p. 130. Ibidem. Cfr. H. Ihering, Publikum und Bühnenwirkung (22 marzo 1925), in RbB, ii, p. 93. 4 H. Ihering, Publikum und Bühnenwirkung (15 febbraio 1925), cit., pp. 92-93. 5 H. Ihering, Die Empörung des Lucius, cit., p. 9. 6 Gara ciclistica sportiva composta da diverse competizioni e della durata complessiva di sei giorni. 7 H. Ihering, Leben Eduards des Zweiten von England (22 marzo 1924), in RbB, ii, p. 19. 3
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a proporsi come arte popolare e universale. Un teatro del futuro che, com’era stato per Shakespeare e per i tragediografi greci, raggiunga ogni spettatore senza la mediazione di forme convenzionali e astratte. Questo obiettivo non può certamente essere portato a compimento nel presente, ma, ciononostante, deve continuare a orientare il discorso critico perché esso è rivolto al futuro. Il dramma del presente non può, insomma, offrire un’arte universale ed eterna, ma può porre le condizioni estetiche e linguistiche perché tale obiettivo non resti soltanto un miraggio. In una recensione alla messinscena del dramma di Marlowe Edoardo II, Ihering, evidentemente stimolato dal lavoro che Brecht stava conducendo su questo testo, abbozza un paragone tra le due epoche, un paragone che lascia intravedere il perimetro delle sue previsioni storico-teatrali. L’epoca presente e l’epoca di Marlowe, sostiene il critico, sono epoche di passaggio, epoche i cui prodotti non raggiungono l’apice dell’arte teatrale, ma abbozzano nuovi strumenti drammaturgici e linguistici. Il mondo drammatico di Marlowe, come quello contemporaneo, è nero, oscuro, fatto di violenza ed eccessi, omicidi e passioni, e presenta il caos senza costringerlo in una sintesi formale. 2 Marlowe, come Brecht e Bronnen, è espressione immediata del proprio pubblico, « davanti a Marlowe si vede ancora oggi sedere soltanto il suo pubblico, rozzo, voglioso di piacere, imparentato con gli uomini del dramma » : 3 un pubblico non diverso da quello che, nel presente, non comprende l’approfondimento psicologico ma è incatenato agli svolgimenti dell’azione teatrale come alle fasi di un match di boxe. Dopo Marlowe, dopo una violenta ricerca espressiva indissolubilmente legata al proprio tempo, sulla scena inglese è apparso Shakespeare e con lui è sorta un’arte drammatica eterna e universale. Un passaggio tra una fase di ricerca e una fase di compimento, che, seppure non scontato e non prevedibile, pare offrire indirettamente un’ampia prospettiva anche alle sperimentazioni del presente :
1
Marlowe è passaggio, Shakespeare eternità. Ma Marlowe possiede, a partire da una forza, quello che il nostro tempo possiede a partire da una debolezza. Proprio nella rozzezza e nella grossolanità si sente la produttività di un’epoca ; nel nostro dramma la nostalgia di produttività. Ma il fatto che emerga questo parallelo, che Marlowe mostri un accumulo di motivi e di elementi riempitivi come i nostri drammaturghi, ci lascia riconoscere la povertà del presente : si cerca di coprire con violenze le debolezze, ma al contempo si rende anche libero lo sguardo verso un futuro produttivo : i presupposti per la reale forza ci sono. (Non sarebbe difficile mostrare connessioni interne tra Marlowe e Brecht. Non è un caso che Brecht stia rielaborando Edoardo II). 4
Come gli autori pre-shakesperiani Brecht lavora su una forma drammatica aperta, anticlassica, e nega una tradizione secolare per cercare di abbozzarne una nuova. Un lavoro di distruzione e di azzeramento che, come nel caso di Marlowe, può diventare il presupposto di una nuova stagione drammaturgica. Il carattere barbarico del dramma contemporaneo, insomma, la sua capacità di esprimere il presente, non deve essere guardato come un 1 Un’idea che riflette quanto aveva scritto il critico nei giorni immediatamente successivi alla rivoluzione del 1918. Nel contesto del dibattito intorno alla trasformazione dei teatri di corte in teatri a conduzione pubblica egli aveva immaginato, infatti, il teatro pubblico tedesco del futuro come un insieme di teatri regionali, che, come gli antichi teatri greci, avrebbe riunito tutto il popolo senza differenza di classe. Un’idea, dunque, utopica di comunità che si richiama, come aveva fatto gran parte dell’Ottocento tedesco, alla grecità come ideale di una società raccolta in un’unità indifferenziata : « I principi fondarono i teatri per sé e per la propria corte. Ma questa corte volle rappresentare (räpresentieren) non solo la città, ma anche la regione. La conseguente traduzione dei teatri di corte nelle relazioni contemporanee è dunque il teatro regionale. Questi teatri regionali si dovrebbero, dunque, connettere alle organizzazioni statali e divenire l’espressione artistica di repubbliche democratiche, come prima erano l’espressione dei regni e dei principati. Sostenuti dalla popolazione regionale e così posti su più ampie basi, guidati da uomini il cui talento legittima proprio il riconoscimento di questa somma volontà generale, i teatri di corte trasformati in teatri regionali potrebbero divenire i veri teatri popolari (Volksbühnen), teatri che abbraccino tutti gli strati della popolazione. Teatri popolari come lo erano i teatri greci » [H. Ihering, Die Umwandlung der deutschen Hoftheater (19 novembre 1918), in RbB, i, pp. 88-89]. 2 Cfr. H. Ihering, Eduard der Zweite (5 novembre 1923), in RbB, i, p. 351. 3 4 Ibidem. Ivi, pp. 351-352.
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compimento, ma come un necessario inizio, un processo di riformulazione del linguaggio drammaturgico e teatrale in grado di rendere possibile, in futuro, un’arte teatrale immediata e eterna. 3. 4. 4. « Die vereinsamte Theaterkritik » : Ihering e la crisi della critica teatrale
La riflessione sul nuovo pubblico e l’esigenza di ripensare la relazione tra teatro e società investe non solo il pensiero estetico di Ihering, ma anche la sua concezione del ruolo e dei compiti della critica teatrale. Il saggio più significativo sotto questo aspetto è senza dubbio Die vereinsamte Theaterkritik, pubblicato nel 1928, e nel quale egli denuncia la crisi della critica, incapace, a suo parere, di essere all’altezza delle questioni poste dal presente. La critica teatrale contemporanea, accusa Ihering, continua, infatti, a scrivere come nell’epoca precedente alla guerra, rivolgendosi a un pubblico e a un teatro che non esistono più. Un atteggiamento il cui risultato è la perdita di ogni fondamento concettuale e sociologico :
Finché esisterà la critica, in teatro si inveirà contro di lei. Ciò non costituisce alcun problema. La libertà di inveire è ovviamente un diritto di chiunque venga criticato pubblicamente. Ma oggi a essere in questione non sono i singoli recensori, né la scomodità dell’istituzione critica. Oggi sono i fondamenti intellettuali e sociologici della critica a essere divenuti problematici. 1
Per individuare le radici di questa crisi egli parte da lontano, illustrando le condizioni e i presupposti che all’inizio del xix secolo avevano garantito alla critica teatrale una posizione salda all’interno dell’opinione pubblica tedesca. Nell’epoca in cui i giornali iniziavano a uscire con regolarità, alla critica era affidata, infatti, una funzione chiara e definita, quella di mediare tra il pubblico borghese e l’arte teatrale. Senza la pressione dell’attualità e sicura del profilo dei propri interlocutori essa si era, perciò, potuta affermare come istituto di trasmissione del sapere e di educazione del pubblico :
La critica teatrale fu legittimata dall’artista e dal pubblico : dal pubblico, al quale almeno qui era concesso di pensare e di soffermarsi in modo riflessivo e dall’artista che rappresentava sul palcoscenico la borghesia che stava seduta in platea. 2
Questa funzione inizia a essere messa in discussione intorno alla fine del secolo quando emerge una classe sociale destinata a modificare profondamente il volto della società e del teatro : il proletariato. Ma la critica teatrale pare non avvedersene e, limitando il proprio giudizio al testo, alla regia e alla prestazione attoriale, si comporta « come se il teatro fosse ancora l’unica azione della propria epoca ». 3 Così, nonostante la presenza di critici straordinari quali Jacobsohn, Kerr e Polgar, per l’istituzione critica inizia un processo di indebolimento e di isolamento che neppure la guerra e la rivoluzione sono state in grado di interrompere. Die vereinsamte Theaterkritik, “la critica teatrale isolata” è, non a caso, il titolo di questo scritto programmatico. Ed è a partire dall’analisi di questa incapacità di mettersi in collegamento con le energie vitali del presente che Ihering cerca di promuovere una riforma stilistica e concettuale della critica teatrale. In una fase di transizione come quella attuale la critica deve assumere il ruolo di guida, svolgere un lavoro di chiarificazione concettuale e favorire il passaggio verso una nuova epoca teatrale, sostiene il collaboratore del « Berliner Börsen-Courier ». Ma è proprio questo ciò di cui essa si mostra incapace, rivelando una tragica inadeguatezza ai compiti posti dall’epoca :
È un tempo per la critica, ma non c’è nessuna critica adeguata a questo tempo. Un tempo per la critica : nel caos del « cambiamento di valore di tutti i concetti » la segnalazione e la fissazione
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H. Ihering, Die vereinsamte Theaterkritik (1928), in KuT, pp. 19-20. 3 Ivi, p. 20. Ibidem.
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di questo cambiamento è un dovere intellettuale ; un dovere critico. Nessuna critica adeguata a questo tempo : ci si sottrae proprio a questo lavoro. 1
È ancora una volta la battaglia per il futuro della scena a orientare la progettualità di Ihering. La nuova posizione della critica, il suo collegamento con il teatro del presente, deve partire dal tentativo di mettersi al servizio del suo sviluppo e del suo rinnovamento. La critica, se vuole trovare nuovamente una ragion d’essere, deve abbandonare il ruolo di semplice osservatrice, e partecipare attivamente alla battaglia teatrale. Ihering insiste nell’indicare la necessità di dare vita a un’organizzazione internazionale della critica, a un coordinamento oggettivo e sovra-individuale della lotta teatrale. 2 La critica, afferma, deve smettere di giudicare dall’alto del proprio trono e deve formare un fronte comune per il rinnovamento del teatro : « ciò che oggi è ancora un venerabile monologo, deve divenire domani un dialogo flessibile. Il giudice combattente deve lasciare il posto al combattente ». 3 È un chiaro tentativo di sottrarre l’istituzione critica all’individualismo del Großkritiker per riportarla alla forza di una progettualità oggettiva e collettiva e permetterle di uscire dal proprio isolamento sociologico e concettuale. 4 Perché questo sia possibile, perché la critica possa assumere una posizione produttiva e dialogica nei confronti del teatro, è necessario, tuttavia, che essa ridefinisca i propri strumenti discorsivi. Ihering si scaglia contro la critica che definisce “culinaria” – « un diletto per lo scrittore e per il lettore » 5 – quella critica che considera il teatro come una mera occasione per la produzione di se stessa. A essere osteggiata è chiaramente la concezione estetizzante che aveva trovato la massima espressione in Alfred Kerr e nei suoi scritti. Kerr aveva attribuito alla critica uno statuto letterario e le aveva assegnato la stessa libertà che è garantita alla creazione artistica. La strada che Ihering decide di intraprendere per legittimare nuovamente l’azione critica porta esattamente nella direzione opposta. La critica per riacquistare un fondamento socio-storico deve mettersi al servizio della battaglia teatrale e abbandonare ogni velleità estetica : essa non deve pensarsi come un’attività libera e autonoma, ma come un’attività di secondo grado, i cui limiti e i cui confini sono fuori di sé, nella creazione teatrale. Per ritrovare la forza sovraindividuale dell’istituzione critica è necessario, perciò, abbandonare ogni aspirazione letteraria : « La produttività dello scrittore è spesso improduttività critica ». 6 Una strada che Ihering aveva indicato in modo concreto e dettagliato nel 1926 in un dibattito con Bernard Guillemin :
Non si può quasi dire che attraverso negazioni : nessun gergo erudito (Bildungsjargon), nessuno scrivere per amore della sfumatura letteraria, nessun ornamento feuilletonista, nessuna mera allusione né giochi di parole, ma senso di responsabilità a ogni frase. Bisogna inoltre fare ricorso a una terminologia che non abbia presupposti e si fondi su se stessa, e rinunciare a ogni formulazione indiretta. Non bisogna impressionare i lettori che non hanno visto il dramma, ma scrivere per coloro che possono controllare ciò che viene detto attraverso il proprio attento esame. Perché la critica non è lì per informare il lettore su ciò che egli dovrebbe e che non dovrebbe andare a vedersi. In realtà la produttività del critico si basa sull’efficacia della sua critica sui criticati. 7
Ma per corrispondere al nuovo compito produttivo la critica non deve soltanto modificare stile e atteggiamento, bensì essere in grado di rinnovare il proprio modo di guardare la scena. La critica non deve osservare il singolo spettacolo come un evento eccezionale, ma giudicarlo in relazione al progetto teatrale complessivo in cui esso è inserito. Ihering attac1
2 3 Ivi, p. 27. Cfr. ivi, p. 26. Ivi, p. 36. Un’idea che forse avrebbe potuto iniziare a strutturarsi all’interno della rivista « Krise und Kritik » che Ihering progetta insieme a Brecht e Benjamin tra il 1930 e il 1931 e che, tuttavia, non vedrà mai la luce. In proposito si veda : K. Herbst-Meß linger, Der Kritiker als Intellektueller, cit., pp. 34-37. 5 6 H. Ihering, Die vereinsamte Theaterkritik, cit., p. 22. Ibidem. 7 H. Ihering, B. Guillemin, Die Aufgaben der Theaterkritik. Gespräch zwischen Herbert Ihering und Bernard Guillemin (1926), in KuT, p. 15. 4
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ca, infatti, la tirannia della première nel giornalismo teatrale. 1 La curiosità del lettore verso i debutti assoluti pare essere l’unico fattore che legittima l’attività del critico teatrale. Ma è proprio questa legittimazione che egli deve rifiutare. Il critico teatrale non deve scrivere per soddisfare il desiderio di sensazione dei propri lettori, ma sottomettere ogni sua azione allo sviluppo organico del teatro. L’attenzione spasmodica verso la novità assoluta pregiudica, infatti, la possibilità di favorire la costruzione sistematica di un progetto teatrale complesso e maturo :
[...] la critica non vuole avere questa missione, questo incarico, questa funzione di rappresentanza. Essa si deve liberare dalla tirannia della première. Ciò non significa che la critica non debba più recensire le prime (Erstaufführungen). Ovviamente deve farlo. [...] Tirannia della première significa : potere assoluto della première (Alleinherrschaft). [...] Un bilanciamento equilibrato della programmazione diviene impossibile se tutta l’energia è investita nella caccia a debutti assoluti, se i Dramaturg e i capi della propaganda si disperdono in provincia per attirare la stampa berlinese nelle loro rappresentazioni. 2
Ma il vero punto di svolta nella proposta di riforma avanzata da Ihering è l’incarico sociologico che egli affida alla nuova critica teatrale. Per spezzare l’isolamento in cui è finita, la critica teatrale deve abbandonare la filologia e l’erudizione della Germanistica e diventare una disciplina sociologica, analizzare il pubblico e trasmettere una conoscenza intorno alle sue caratteristiche, alla sua composizione e ai suoi gusti. Il critico deve uscire dal teatro e formarsi attraverso l’osservazione di fenomeni di massa come lo sport, il varietà e i raduni politici. Solo così egli potrà giocare un ruolo fondamentale nella costruzione di un teatro futuro. L’attenzione sociologica di Ihering non è soltanto frutto di una spinta programmatica ma, come abbiamo avuto modo di vedere, è uno dei tratti più caratterizzanti della sua scrittura critica. Un tratto che si esprime anche nelle pagine di Die vereinsamte Theaterkritik, ad esempio nei passi dove egli indica nei distretti industriali, e non nelle tradizionali città d’arte come Monaco o Dresda, il luogo su cui investire per il rinnovamento del teatro, o ancora nelle righe in cui attacca il tentativo di avvicinare la massa operaia della Ruhr attraverso il vecchio teatro di formazione. 3 Ihering, attento osservatore del presente, comprende che è impossibile riformare il discorso critico prescindendo dalle trasformazioni che hanno cambiato il volto della società :
La scuola della critica teatrale non può più essere lo studio universitario della Germanistica o della Filosofia. Cosa ha a che fare la lezione critica germanistica con l’arte più immediata, con l’arte drammatica, con l’arte teatrale ? La Germanistica ha sempre sbarrato lo sguardo alla scena. Oggi non trova assolutamente più alcun criterio di giudizio. Anche la critica teatrale ha bisogno di un’istruzione sociologica, politica. Dunque dentro alle assemblee, dentro alle serate di discussione, dentro ai palazzi sportivi ! 4
I fondamenti del nuovo modello di critica teatrale proposto da Ihering non rimandano dunque a un’istanza sovraordinata, bensì alla capacità della critica teatrale di conquistare, con la propria militanza, il riconoscimento degli artisti teatrali. L’azione critica può acquistare, infatti, legittimità solo se dimostra la sua efficacia all’interno della battaglia teatrale. Il tentativo di rifondare in questo modo il senso della critica teatrale resta, tuttavia, piuttosto problematico. Ihering immagina una critica teatrale attenta alla nuova configurazione della società, ma non chiarisce in che modo il nuovo pubblico di massa possa diventare interlocutore della critica teatrale. Egli sottolinea certo la necessità che 1 Una tirannia contro cui egli stesso aveva reagito sin dai primi anni della Repubblica quando, sul « Berliner Börsen-Courier », aveva dedicato una serie di articoli alla seconda copertura dei ruoli [Cfr. H. Ihering, Kritiker oder das Theater der Zeitungen, cit.]. 2 3 H. Ihering, Die vereinsamte Theaterkritik, cit., pp. 28-29. Cfr. ivi, p. 32. 4 Ivi, pp. 34-35.
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la scrittura critica abbandoni lo stile filologico e prolisso della vecchia critica dotta, e che segua lo sviluppo della stampa e diventi più sintetica e immediata. 1 Ma né il discorso sulle strategie di comunicazione né la valutazione della relazione con i lettori viene approfondito. In Die vereinsamte Theaterkritik il pubblico è presentato principalmente come oggetto di conoscenza : il sapere intorno al pubblico è un sapere che il critico deve mettere a disposizione di artisti e organizzatori teatrali per favorire una nuova politica teatrale. È sul dialogo con gli artisti più che sulla riformulazione del rapporto con il nuovo pubblico che si regge dunque la proposta critico-teatrale di Ihering. Una proposta che, proprio per questo, rimane fragile. Resta infatti aperto l’enorme problema che Ihering stesso pone in apertura del saggio, il problema del rapporto dell’intellettuale – dunque anche del giornalista teatrale – con la massa :
La crisi che lo spirito sta attraversando in quest’epoca può essere indicata sinteticamente attraverso le parole isolamento e prostituzione. Lo spirito si sente isolato, senza rapporto con le masse e si prostituisce per arrivare ad esse. Esso o è immobile e considera questo rigore come carattere, oppure è spudorato e considera questa spudoratezza come mobilità e modernità. Questa contraddizione emerge chiaramente in tutti i documenti dell’epoca, dunque anche nella critica teatrale. Denunciare questa situazione dall’interno è necessario prima che l’attacco abbia luogo dall’esterno. 2
3. 4. 5. « Kritik der Kritik » : il dibattito sulla crisi della critica su « Der Scheinwerfer »
L’intervento di Ihering spinge la rivista « Der Scheinwerfer », su cui egli aveva pubblicato in precedenza un breve estratto del saggio Die vereinsamte Theaterkritik, 3 a promuovere, nel maggio del 1928, un’inchiesta sulla funzione e i compiti della critica teatrale a cui partecipano critici, drammaturghi e uomini di teatro come Julius Bab, 4 Bertolt Brecht e Carl Zuckmayer. 5 Le risposte che essi offrono sono decisamente eterogenee, ma è possibile circoscrivere alcuni nuclei attorno a cui si concentra il dibattito. Appare dominante il bisogno di assegnare alla critica una posizione all’interno della nuova società tedesca. Un bisogno che aveva mosso la stessa riflessione di Ihering e a cui numerosi critici cercano ora di dare una risposta concreta. Ma la discussione, pur affrontando questioni inedite, finisce sovente per riproporre idee di stampo tradizionale, come quella secondo cui il critico teatrale è una figura di mediazione tra il pubblico e l’artista oppure una semplice istanza di giudizio. Bernard Diebold, 6 ad esempio, continua a considerare
1
2 Cfr. ivi, p. 34. Ivi, p. 18. Cfr. H. Ihering, Die vereinsamte Theaterkritik, « Der Scheinwerfer », a. i, n. 8, gennaio 1928, pp. 3-5. 4 Julius Bab nasce a Berlino nel 1880. Ancor prima di concludere gli studi in Filosofia alla Friedrich-WilhelmUniversität di Berlino nel 1906, inizia a collaborare con giornali e periodici come la « Weser-Zeitung » e la « Welt am Montag ». A partire dal 1905, anno della fondazione della « Schaubühne », diviene uno dei collaboratori più assidui e importanti della rivista. Dal 1919 è nuovamente critico teatrale della « Welt am Montag » e nel 1923 passa alla « Berliner Volks-Zeitung ». Dal 1923 al 1932 è redattore dei « Dramaturgische Blätter », rivista pubblicata dall’associazione delle Volksbühnen. Sin dai primi anni del Novecento affianca, all’attività di critico, la pubblicazione di opere di più ampio respiro come la Chronik des deutschen Dramas (1921-1926), raccolta di monografie dedicate alla drammaturgia. Ma il rapporto di Bab con il teatro non si limita alla sua attività critica e saggistica. Sin dagli anni precendenti alla prima guerra mondiale, ricopre, infatti, il ruolo di Dramaturg e pedagogo in diversi teatri. In particolare Bab è tra il 1910 e il 1915 e, nuovamente dal 1918, membro della Volksbühne, di cui diventa importante guida intellettuale. Durante gli anni venti è uno dei principali sostenitori della neutralità politica delle Volksbühnen a fianco del segretario generale Siegfried Nestriepke. Dopo la presa del potere dei nazionalsocialisti è attivo nel « Kulturbund deutscher Juden », associazione di sostegno per gli artisti ebrei colpiti dal regime. Nel 1939 emigra, verso gli Stati Uniti dove inizia a scrivere per la « New Yorker Staatszeitung ». Dopo la fine della guerra torna per due volte in Germania. Muore nel febbraio del 1955 a Roslyn Heights, negli Stati Uniti. 5 Il numero del maggio 1928 della rivista fu intitolato Kritik der Kritik e dedicato all’inchiesta sulla critica teatrale. 6 Bernhard Diebold (1886-1945) dopo il conseguimento del dottorato in Theaterwissenschaft a Berlino con Max Herrmann e dopo alcune esperienze come attore e Dramaturg, fu, dal 1917 al 1933, “primo” critico teatrale della 3
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la critica come un’istituzione rivolta alla valutazione dei prodotti della creazione artistica e individua il suo compito nella possibilità di distinguere ciò che è espressione dell’epoca da ciò che se ne allontana. 1 Franz Köppen 2 le affida, invece, il compito di mediare tra l’arte e la massa, 3 mentre Ludwig Marcuse 4 sottolinea la necessità di una chiarificazione collettiva dei parametri di giudizio e punta il dito contro la timidezza e il disorientamento dei critici, frutto, a suo parere, dell’affermarsi della figura del Feuilletonist. 5 Ma è evidente, come emerge in molti interventi, che la riconquista di un ruolo chiaro e definito non possa prescindere da un confronto con il linguaggio, gli interessi e i conflitti del presente. Quel presente da cui aveva preso le mosse proprio il saggio del critico del « Berliner BörsenCourier » sull’isolamento della critica teatrale. 6 Le suggestioni sociologiche del suo scritto sono raccolte da diversi interventi, che spesso le traducono, tuttavia, in orizzonti distanti dalle indicazioni originarie di Ihering. Ne è un esempio la risposta di Anton Schnack, 7 il quale invita addirittura i critici a divenire reporter e a introdurre nelle proprie recensioni tematiche di interesse generale :
Nell’osservazione di un dramma, di una première, di un nuovo studio dobbiamo occuparci di più di altre cose ; dobbiamo inserire qualcosa di più umano, lo sport, la tecnica, le scienze naturali, la conoscenza delle piante, l’erotica, la radio, il grammofono, la vita della strada, gli elementi paesaggistici : in una parola, dobbiamo guardare di più alla dimensione generale che viene toccata o sfiorata dal lavoro teatrale. Abbandoniamo gli stretti confini al cui interno siamo fino ad ora rimasti ! Abbandoniamo l’esposizione costruita e sviluppata a partire dal tema scolastico ! Trascuriamo i confronti di principio ! Cerchiamo di diventare più dei reporter saggi e sapienti che dei critici ! 8
Ma in una fase di radicalizzazione dello scontro politico come è la fine degli anni venti il terreno più scottante del dibattito riguarda il rapporto che la critica teatrale deve avere con l’azione politica. Le risposte offerte negli interventi sono in proposito contrastanti. Ihering aveva sposato la politicizzazione della critica e del teatro affermando la necessità di sottoporre i giovani critici a una scuola politico-sociologica, ma era rimasto piuttosto vago nei contenuti di questa trasformazione. Bab, che proprio sulla politicizzazione della « Frankfurter Zeitung ». Dal dicembre del 1928 fu corrispondente del quotidiano da Berlino. Dopo la presa del potere dei nazionalsocialisti tornò, nel 1934, nella natia Zurigo, dove restò fino alla morte nel 1945 [Cfr. Theater für die Republik im Spiegel der Kritik (1917-1933), a cura di G. Rühle, cit., vol. ii, p. 1162]. Oltre che autorevole critico teatrale, Diebold fu anche autori di importanti volumi come Anarchie im Drama [Cfr. B. Diebold, Anarchie im Drama, Frankfurt a. M., Frankfurter Verlagsanstalt, 1921]. 1 Cfr. B. Diebold, Kritische Forderung, in Kritik der Kritik [Inchiesta], « Der Scheinwerfer », a. i, nn. 14-15, maggio 1928, pp. 6-7. 2 Franz Köppen (1872 – data di morte non indicabile) fu redattore e direttore del feuilleton della « Berliner Börsen-Zeitung » con la quale collaborò fino agli anni trenta. 3 Cfr. F. Köppen, Kritik der Kritik, in Kritik der Kritik [Inchiesta], « Der Scheinwerfer », a. i, nn. 14-15, maggio 1928, pp. 10-11. 4 Ludwig Marcuse (1894-1971), dopo aver conseguito il dottorato con Ernst Troeltsch ed essere stato per alcuni anni suo assistente, dal 1923 al 1933 fu autore di diverse monografie e giornalista. Tra il 1925 e il 1929 guidò la redazione del feuilleton del « Frankfurter General-Anzeiger ». Dopo l’incendio del Reichstag nel febbraio del 1933 emigrò prima verso la Francia e poi negli Stati Uniti dove divenne dal 1945 professore di Letteratura tedesca e Filosofia alla University of Southern California. Dopo essere divenuto professore emerito nel 1962 tornò in Germania dove visse fino alla morte nel 1971. 5 Cfr. L. Marcuse, Kritik der Theaterkritik, in Kritik der Kritik [Inchiesta], « Der Scheinwerfer », a. i, nn. 14-15, maggio 1928, pp. 11-12. 6 Anche Ihering partecipa all’inchiesta affermando che la crisi della critica teatrale non può essere risolta da discussioni o teorie poiché è innanzitutto una questione che dovrebbe riguardare la nuova generazione, molto poco rappresentata nella critica berlinese [Cfr. H. Ihering, [Senza titolo], in Kritik der Kritik [Inchiesta], « Der Scheinwerfer », a. i, nn. 14-15, maggio 1928, p. 9]. 7 Anton Schnack (1893-1972) scrittore e giornalista, durante gli anni venti fu critico teatrale e redattore del feuilleton della « Neue Badische Landeszeitung » di Mannheim. 8 A. Schnack, Zur Kritik der Kritik, in Kritik der Kritik [Inchiesta], « Der Scheinwerfer », a. i, nn. 14-15, maggio 1928, p. 16.
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Volksbühne aveva espresso giudizi opposti a quelli di Ihering, dichiara ora che l’unica missione della critica deve restare quella di mostrare agli esseri umani cosa è e dovrebbe essere l’arte. 2 Un punto di vista che non appare lontano da quello di Ludwig Sternaux, 3 anch’egli avverso alla politicizzazione del teatro e favorevole a una critica teatrale che ritorni a essere solo e soltanto una devota servitrice dell’arte. 4 Ma è forte la voce di quanti si oppongono a una restrizione della critica al solo giudizio estetico e considerano un anacronismo il tentativo di salvaguardare l’autonomia dell’arte. È interessante leggere in proposito l’intervento di un addetto ai lavori, Richard Gsell, Intendant dei teatri comunali di Dortmund. Nel suo articolo egli chiede alla critica teatrale di abbandonare il piano del confronto estetico e di esprimere giudizi politici così da mostrare l’effetto del lavoro teatrale sul pubblico politicizzato, « dal momento che noi calcoliamo come pubblico soltanto lo spettatore rapito dal movimento del presente, dunque lo spettatore politico, l’unico il cui giudizio per noi può avere valore ». 5 La critica inizia dunque a essere considerata come una forza schierata, un referente politico : una vera e propria rottura con la tradizione che le aveva assegnato il ruolo di giudice neutrale e imparziale. Ma di fronte all’inquieta situazione politico-culturale della Repubblica anche la neutralità finisce per essere una scelta politica. La necessità di una presa di posizione della critica è sostenuta con forza anche da Richard Bie, critico della «Deutsche Zeitung», che nel suo intervento, intitolato Zeitgemässe Kritik, “critica adeguata all’epoca”, afferma :
1
La critica non è più esperienza vissuta e partecipazione, ma stimolo. L’epoca teatrale passata creò la sua critica (impressionista). Questa nostra epoca critica crea, pronto e visibile dovunque, il suo teatro. Questa è la differenza. Io ritengo che il compito, la cura e le nuove forze di una critica adeguata all’epoca, risiedano nell’intensificazione di questa differenza. La critica deve dunque rivoluzionare invece di abbellire, combattere fianco a fianco invece di elevare. L’opinione di questa critica non può più prendere posto nel mezzo, ma deve situarsi o all’estrema destra o all’estrema sinistra. Solo lì è possibile che permanga un idealismo rivoluzionario. Dipende tutto dunque da questo chiaro, radioso, appassionato ed entusiasmante piacere della lotta, dipende tutto dalla scelta di porsi dalla parte della verità di Piscator o da quella della verità nazionalista. 6
Ma è Brecht a cogliere lo spunto politico e sociologico di Ihering nel modo più conseguente, proponendo una riforma strutturale dei parametri di giudizio. Il drammaturgo di Augusta, infatti, non soltanto dà voce all’esigenza di includere criteri extra-estetici nella valutazione dell’opera d’arte, ma capovolge la tradizionale prospettiva di osservazione critica. Secondo Brecht di fronte alla rappresentazione artistica, la critica deve assumere un punto di vista scientifico e sociologico, domandare a chi sia utile questa rappresentazione e smascherare il carattere utilitaristico dell’arte contemporanea insieme al suo tentativo di rendere eterne concezioni antiche e superate. 7 Un punto di vista che rompe con la tradizione di matrice romantica secondo cui l’arte, luogo dell’assoluto, era necessariamente refrattaria a ogni esegesi condotta attraverso la categoria dell’utile. Il teatro, ricondotto
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Cfr. supra, 3. 2. 7., p. 140, nota 2. Cfr. J. Bab, Vom Wesen der Kritik, in Kritik der Kritik [Inchiesta], « Der Scheinwerfer », a. i, nn. 14-15, maggio 1928, pp. 3-5. 3 Ludwig Sternaux (1885-1938) è, in questi anni insieme a Franz Servaes (1862-1947), critico teatrale del giornale di destra « Berliner Lokal-Anzeiger ». 4 Cfr. L. Sternaux, [Senza titolo], in Kritik der Kritik [Inchiesta], « Der Scheinwerfer », a. i, nn. 14-15, maggio 1928, p. 20. 5 R. Gsell, Zum Thema “Kritik der Kritik”, in Kritik der Kritik [Inchiesta], « Der Scheinwerfer », a. i, nn. 1415, maggio 1928, p. 24. 6 R. Bie, Zeitgemässe Kritik, in Kritik der Kritik [Inchiesta], « Der Scheinwerfer », a. i, nn. 14-15, maggio 1928, p. 6. 7 Cfr. B. Brecht, [Senza titolo], in Kritik der Kritik [Inchiesta], « Der Scheinwerfer », a. i, nn. 14-15, maggio 1928, p. 29. 2
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così al contesto più generale dell’agire sociale, perde la propria beata separatezza e diventa leggibile attraverso la lente dei sistemi di produzione. Un punto di vista che spinge Brecht su una prospettiva ben più radicale di Ihering, suo mentore. Quest’ultimo aveva certo promosso una svolta sociologica, ma il fine era rimasto quello di favorire la nascita di un teatro adeguato al presente. La concezione critico-sociologica di Brecht nasce, al contrario, dal bisogno di sottoporre il fare artistico a uno sguardo politico. Ed è da questa distanza che si possono comprendere alcuni tratti e alcune questioni fondamentali per il modello critico e teatrale proposto da Ihering. Ma non è nelle righe di questa rivista che tale distanza viene espressa nel modo più significativo, bensì in un testo, redatto dallo stesso Brecht intorno al 1929 e pubblicato soltanto postumo, in cui il drammaturgo si scaglia contro lo stesso Ihering, accusato di rimanere all’interno di una prospettiva estetica e di lavorare a una riforma dell’esistente piuttosto che a una sua trasformazione :
Permetta che le si dica, il suo lavoro è stato (buono e) inutile. Noi la stimiamo per il “buono”, io l’attacco per “l’inutile”. Sono cattivi tempi quelli in cui qualcosa che viene fatto inutilmente è pericoloso ! In tempi cattivi migliorare una cosa cattiva significa conservarla. La sua battaglia per il teatro si gioca su un piano borghese ed estetico : lei distingue tra buono e cattivo. Perché non distingue tra giusto e sbagliato ? Una birra cattiva si può forse pur sempre bere perché è sempre meglio di una birra ancora peggiore. [...] Ma il lysol non si può bere. 1 [...]
Queste dure accuse devono certo essere inserite in un contesto specifico : dal 1926, come notano i curatori dell’edizione dei suoi scritti, Brecht inizia a manifestare una certa delusione nei confronti di Ihering anche a causa di frizioni nate su questioni di carattere molto più pratico e contingente. 2 E tuttavia il punto toccato da Brecht in queste righe pone una questione estremamente interessante per comprendere il tentativo di riforma proposto Ihering : la questione del rapporto tra estetica e politica nel pensiero del critico del « Berliner Börsen-Courier ».
3. 4. 6. Critica, politica e teatro nel pensiero di Ihering Per Ihering lo spettacolo teatrale non è un momento d’eccezione, bensì il luogo di costruzione di un discorso radicato in questioni d’interesse vitale per il pubblico che vi assiste. Egli assegna in questo modo alla scena una funzione sociale non meramente ricreativa e apre, di fatto, la questione del rapporto che intercorre tra le finalità estetiche e le finalità socio-politiche della creazione teatrale. Per comprendere il modo in cui il critico concepisce il rapporto tra arte e politica, tra azione sociale e creazione estetica è utile leggere le osservazioni che egli dedica al teatro moscovita di ritorno da un viaggio in Russia nel 1931. Ihering dimostra uno spiccato orientamento di sinistra, che si riflette nel profondo interesse verso la vita sociale e teatrale dell’Unione Sovietica. Ma questo non si traduce in alcun modo in una precisa ed esplicita appartenenza partitica. Le riflessioni con cui egli aveva promosso, in numerosi scritti, una relazione organica tra teatro e società, vengono declinate, nelle riflessioni dedicate al viaggio russo, attraverso esempi concreti e attuali. Indipendentemente dalle singole considerazioni che egli offre sul teatro moscovita – non tutte positive e non tutte di elogio – ciò che lo colpisce in modo estremamente favorevole è proprio la funzione pubblica che qui è occupata dal teatro. Nella capitale russa, infatti, il teatro non è un luogo separato dal flusso della vita sociale, ma è un centro di dibattito, di confronto e di elaborazione delle questioni più sentite e urgenti per il pubblico. Il fatto stesso che i temi dei lavori teatrali siano fissati da commissioni politiche, non è giudicato da Ihering in modo del tutto negativo. Nonostante il critico, in un dibattito con Alfred Mühr, mostri i grossi rischi che questo procedimento comporta, egli lascia trasparire, al 1
B. Brecht, Schriften i, cit., p. 297.
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Cfr. ivi, p. 719.
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contempo, la convinzione che un controllo, anche tematico, da parte del pubblico rappresenti l’indizio di un teatro che ha conquistato una funzione viva e radicata nella società :
È la mobilitazione attraverso un’idea. Anche il teatro russo ha il pregio di reggersi su una visione del mondo attraverso cui si incontra con il pubblico. Ciò che lei prima ha chiamato censura esiste effettivamente. Ma il problema è altrove. Lei sa, signor Mühr, che a Mosca si è passati a commissionare agli autori drammatici temi tratti dalla vita della Russia del presente. Cioè si lavora su ordinazione, come spesso in precedenza era accaduto nelle più vivaci epoche teatrali. Come è tuttavia consuetudine oggi in Russia, questi incarichi viaggiano attraverso numerose commissioni e i temi vengono talmente discussi e sforacchiati che quando giungono al teatro hanno perso la loro forma originaria. Qui risiede il vero pericolo per i teatri moscoviti. Dal momento che ciò che dovrebbe essere controllo del pubblico e della massa, da tempo è divenuto, per via indiretta, controllo della burocrazia, e ciò è paralizzante. 1
La riflessione di Ihering è guidata dall’immagine di un teatro che diviene specchio della società e luogo aperto alla sua partecipazione attiva e propositiva, un modello verso cui la critica sociologica deve rivolgere tutti i propri sforzi. Per questa ragione, in un colloquio alla radio del 1930, egli parla della critica teatrale come di un’arma di politica culturale. 2 Coerentemente con questa visione della scena, Ihering combatte, nella seconda metà degli anni venti, per il teatro politico di Piscator e per il dramma documentario. Questa battaglia mantiene, tuttavia, finalità principalmente estetiche. La trasformazione cui egli ambisce riguarda, infatti, in primo luogo, la funzione e il ruolo del teatro nella vita della comunità. Rispetto alle concezioni di stampo marxista, fondate essenzialmente su una riduzione dei fenomeni culturali a una visione economica della vita sociale, Ihering continua ad assegnare alla creazione artistica e intellettule – la “sovrastruttura” – una funzione sostanzialmente autonoma, e immagina il cambiamento sociale e politico soltanto attraverso l’angolo visuale del rinnovamento estetico-teatrale. È attraverso questa soglia che si può cercare di fissare la relazione che politica e teatro assumono nel pensiero del critico del « Berliner Börsen-Courier ». Non sono tanto i contenuti sociali specifici a muovere il suo convinto appoggio nei confronti del teatro politico, quanto la centralità sociale che la politicizzazione della scena conferisce al teatro. Si potrebbe perciò affermare che non è una dottrina politica a guidare la sua riflessione teatrale, bensì una concezione della funzione del teatro a determinare la sua idea della necessità della politicizzazione della scena attuale :
In un’epoca politicamente agitata non si può mettere in scena nient’altro che teatro “politico”. In tempi sereni lo spettatore non pensa in modo pubblico. Egli guarda se stesso e la sua cerchia privata, intellettuale, sensibile e psicologica. Egli entra in teatro come persona singola. In tempi di fermento lo spettatore pensa in modo pubblico. Egli viene afferrato da ciò che accade al di là della sua cerchia privata. [...] La situazione, non la volontà di propaganda di singoli uomini di teatro, esige la politicizzazione della scena. Lo spettatore, non i teorici della letteratura, esige il dramma d’attualità (Zeitstück). 3
È certamente vero quanto dicono i curatori della recente edizione di scritti di Ihering, Umschlagplätze der Kritik, secondo i quali il suo scopo ultimo non è l’esercizio della critica teatrale come fine in sé, bensì l’affermazione di un’utopia di carattere socio-politico. 4 E tuttavia questa affermazione, per non trarre in inganno, necessita di una precisazione : l’utopia per cui Ihering combatte non è tanto quella di un nuovo sistema sociale e politico, bensì quella di un teatro che, in questo nuovo sistema, sia in grado di tornare a essere centro magnetico e propositivo. La scena come luogo di verità e autenticità, non dunque come
1 H. Ihering, A. Mühr, Gespräch über Moskauer Theater (1931), in H. Ihering, Umschlagplätze der Kritik. 2 Cfr. H. Ihering, Kritik, cit., p. 21. Texte zu Kultur, Politik und Theater, cit., p. 66. 3 H. Ihering, Etappendramaturgie (20 febbraio 1927), in KuT, p. 232. 4 Cfr. H. Ihering, Umschlagplätze der Kritik. Texte zu Kultur, Politik und Theater, cit., p. 11.
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mera occasione di svago, è il polo concettuale che, sin dai ricordi dell’adolescenza, muove il suo pensiero teatrale e sociale. Ed è soltanto a partire da questo polo che la sua visione socio-teatrale diventa chiara e comprensibile. Un aneddoto riferito agli anni della seconda guerra mondiale e riportato da Walther Schmieding, testimonia, nonostante l’evidente esagerazione, quale fosse l’importanza che per lui aveva il teatro :
C’è un aneddoto riferito agli anni di guerra nei quali egli si trovava a Vienna. Ihering, dopo la notizia di un duro bombardamento su Berlino, avrebbe telefonato preoccupato e subito dopo, visibilmente tranquillizzato avrebbe spiegato che non era successo nulla di grave, nessun teatro berlinese era stato colpito. 1
3. 4. 7. Critica e politica nel pensiero di Kerr La politicizzazione della critica teatrale e letteraria è senza dubbio uno dei fenomeni più caratterizzanti per la storia del giornalismo culturale nella Repubblica di Weimar. Questa tendenza, infatti, non rimane circoscritta a un gruppo di testate di chiaro orientamento politico, ma coinvolge tutto il paesaggio giornalistico tedesco e contraddistingue anche i feuilleton dei grandi quotidiani berlinesi di orientamento borghese e liberale. 2 Ma ciò non significa che questo compito venga interpretato da tutti i critici allo stesso modo. L’attivismo politico della critica di questi anni si traduce, infatti, in strategie stilistiche e concettuali opposte. Se alcuni critici decidono, come Ihering, di affrontare le sfide del presente attraverso uno stile impersonale e oggettivo, altri preferiscono, al contrario, partecipare alla battaglia politica esponendosi come soggetti e valorizzando i tratti autoriali e individualizzanti della scrittura critica. Tra questi, ovviamente, vi è Alfred Kerr, colui che, già prima del conflitto mondiale, aveva anticipato la politicizzazione della critica teatrale e aveva interpretato questo compito restando fedele a uno stile polemico, irriverente e fondato sull’individualità della voce critica. Già molto prima della rivoluzione, in tempi dunque non sospetti, Kerr aveva affermato la necessità di allargare il campo di competenze della critica teatrale alle questioni politiche e civili ; una visione che, qualche volta, si era colorata di simpatie socialiste e socialdemocratiche. 3 Durante gli anni della Repubblica egli accentua il tono politico della propria scrittura e rende ancora più manifesto il suo orientamento democratico e progressista, sostenendo la politicizzazione del teatro e combattendo con forza e passione l’ascesa del nazionalsocialismo. Le tendenze egualitarie e socialiste rappresentano senza dubbio una suggestione ricorrente per il critico che, in uno scritto del 1926, parla della nascita dell’Unione Sovietica come di uno degli eventi più lieti e importanti del presente. 4 Ma il suo pensiero politico rimane ben distante dalle dottrine economiche marxiste e mantiene i tratti utopici dell’idea illuminista e borghese dell’uguaglianza e del progresso. Così di fronte alla messinscena di Piscator del dramma di Ehm Welk Gewitter über Gottland, durante la quale una figura che ricorda Lenin viene decapitata e rinasce in forme sempre nuove, egli afferma : « questo morto resusciterà sempre e di nuovo – in cento forme – fino a che nel caos della terra regni la giustizia ». 5 Per il critico, infatti, il socialismo e il comunismo non rappresentano altro che una delle espressioni del lungo cammino dell’umanità verso la giustizia : « Bolscevismo ? In tutte le bibbie
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W. Schmieding, Der Welt des Theaters verfallen, « Deutsches Allgemeines Sonntagsblatt », 23 gennaio 1977. Cfr. O. Pfohlmann, Literaturkritik in der Weimarer Republik, in Literaturkritik. Geschichte, Theorie, Praxis, a cura di T. Anz, R. Baasner, cit., pp. 114-115. 3 Si veda ad esempio la recensione di Kerr della messinscena del dramma di Maxim Gorki, Die Feinde, nel 1906 : A. Kerr, Maxim Gorki « Die Feinde », cit., pp. 304-308. 4 Cfr. A. Kerr, Für die Sowjetrepublik (1926), in Id., Sätze meines Lebens. Über Reisen, Kunst und Politik, Berlin, Morgen, 1978, p. 272. 5 A. Kerr, Ehm Welk « Gewitter über Gottland » (24 marzo 1927), in WiE, vii/2, p. 354.
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viene chiamato in modo diverso ». Le aspirazioni radicali e le esperienze rivoluzionarie vengono così destoricizzate e ricondotte a una prospettiva universalizzante. La politicizzazione non determina, in altre parole, una soluzione di continuità nella sua concezione critica. La dialettica tra l’anima letteraria e l’attivismo etico-politico rimane aperta e irrisolta. Ma il modo particolare in cui Kerr dimostra di concepire il proprio ruolo politico permette di chiarire perché egli non consideri questi due momenti come contraddittori. In numerose recensioni si può osservare un procedimento del tutto peculiare : Kerr deduce la dottrina etico-politica su cui si regge la rappresentazione drammatica a cui assiste per poi discuterne la validità. Il giudizio estetico viene perciò momentaneamente sospeso e la critica teatrale diventa discorso politico-morale. Questa operazione si ricollega all’idea che il fine della critica sia ottenere l’Ewigkeitszug, il contenuto di verità sepolto nella rappresentazione artistica e valido indipendentemente dalla sua contingenza. Di fronte ad esempio a Masse Mensch di Toller egli discute della dottrina della non-violenza che emerge dal dramma per poi affermare :
1
Mi sembra che ci siano idee assolutamente migliori di altre. Chi propugna l’abolizione della tortura sostiene un pensiero assolutamente migliore di chi propugna il suo utilizzo. Sì o no ? Dunque : agire con violenza per idee assolutamente migliori è meno peggio (benché sia una cosa brutta !) che agire con violenza per idee assolutamente false. Non è possibile alcuna contraddizione. 2
Da questo angolo prospettico si può capire in che senso la politicizzazione della critica teatrale non sia considerata da Kerr in contraddizione con la sua elezione a genere poetico. Fare della critica una forma letteraria non significa sostenere che essa si debba disinteressare di tematiche politiche, ma significa semmai affermare che essa ha il diritto di costruire un discorso autonomo e che, come nel caso di qualsiasi altra opera letteraria, questo discorso può essere legittimamente di carattere politico. Promuovere il valore letterario della critica teatrale significa dunque per Kerr affermare che la rappresentazione teatrale non è il fine ma l’occasione della rappresentazione critica. In un testo del 1932, intitolato Hat die Theaterkritik noch Sinn ?, il critico afferma in proposito :
Il suo fine principale è un fine in sé stesso. Cosa fa l’autore drammatico ? Travolge, risveglia, rende riflessivi e benevoli, ammonisce, diletta, rende beati (quando può farlo) attraverso una vicenda e la sua messa in forma. E il critico ? Travolge, risveglia, rende riflessivi e benevoli, ammonisce, diletta, rende beati... attraverso un giudizio e la sua messa in forma. L’autore drammatico si appoggia su un vissuto ; il critico sul vissuto di questo vissuto. Lui ha in mente... non un’opera teatrale in cui parlano degli estranei. Ma un lavoro linguistico – in cui lui stesso parla. L’opera teatrale è per lui un pretesto, per dire qualcosa di essenziale : senza i preamboli dell’arte teatrale. Non senza i mezzi di un’altra arte. 3
La critica, dunque, usa la rappresentazione teatrale come uno spunto, « un pretesto, per dire qualcosa di essenziale ». E questo qualcosa di essenziale può essere anche di carattere etico o politico. Come sostiene Berman l’attribuzione da parte di Kerr di un valore artistico alla critica rappresenta soprattutto una strategia per assegnare al critico un ruolo definito e prioritario all’interno dell’opinione pubblica. 4 Una strategia che, per quanto opposta, mira quindi allo stesso obiettivo di Ihering : una solida fondazione dell’attività critica e del suo ruolo sociale.
1
Ibidem. A. Kerr, Ernst Toller « Masse Mensch » (30 settembre 1921), in WiE, vii/2, p. 135. 3 A. Kerr, Hat die Theaterkritik noch Sinn ? (10 settembre 1932), in WiE, iii, p. 337. 4 Cfr. R. A. Berman, Literaturkritik zwischen Reichsgründung und 1933, in Geschichte der deutschen Literaturkritik (1730-1980), a cura di P. U. Hohendahl, cit., pp. 227-234. 2
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l ’ arpa e la fionda 3. 4. 8. Kerr e il teatro politico negli anni della Repubblica di Weimar
Mosso dalla convinzione di questa funzione sociale della critica Kerr accoglie e sostiene gli sviluppi politici della scena teatrale. Ma questo processo di trasformazione del significato della creazione teatrale lo obbliga non soltanto a riflettere sulla funzione della critica ma, soprattutto, a ripensare i suoi criteri di giudizio. Un’operazione che anche per Ihering aveva avuto un ruolo strategico e che questi aveva risolto aprendo una prospettiva di osservazione sociologica. Kerr resta, invece, legato alla visione tradizionale del critico come giudice e si domanda se egli debba ora esercitare questa funzione misurando l’opera d’arte attraverso parametri estetici o politici. Un’arte il cui obiettivo è cambiare il mondo, infatti, non può essere semplicemente valutata per la sua qualità formale o per la sua riuscita estetica, ma necessita di essere giudicata a partire dalla visione del mondo e dalla proposta sociale che avanza. Tutto questo crea una tensione tra i compiti del giudice d’arte e quelli del critico politico, una tensione profondamente sentita da Kerr, come testimonia la recensione della messinscena del dramma di Herbert Kranz, Freiheit :
Cosa succede con i drammi con una visione politica del mondo ? Secondo quali principi li giudicherà il critico ? [...] È autorizzato a utilizzare altri criteri rispetto a quelli dell’arte ? Non lo è mai. Ma dannazione lo deve fare lo stesso se non è un pappamolle. 1
Il critico sa bene che tale questione non può essere risolta in modo esaustivo. Tra arte e politica esiste uno iato che non può essere colmato e l’unica risposta valida all’interrogativo posto pare dunque di matrice storica e contestuale : non esistono leggi universali che definiscono una volta per tutte il compito del critico teatrale e decidono della correttezza dei suoi criteri di valutazione. L’azione critica resta perciò legata a una scelta personale e individuale, che è sottoposta, di volta in volta, alla presa di coscienza della determinata situazione storico-politica. E poiché il presente esige, secondo il critico del « Berliner Tageblatt », una presa di posizione politica, egli decide di non sottrarsi a quest’impegno :
Molto dipende dall’anno in cui compare un’opera d’arte. Molto dipende dall’epoca in cui vive il suo uditorio. Il vero criticus dovrebbe disprezzare se stesso se nell’epoca più inaudita che il pianeta terra abbia mai visto... se egli, castrato, si concentrasse sui monologhi giusti e sbagliati ; sulle uscite immotivate ; sul suono contestabile dei versi. 2
I criteri politici acquistano gradualmente una posizione sempre più centrale nei giudizi di Kerr, fino a raggiungere l’apice tra il 1925 e il 1927 quando egli, ad esempio, afferma : « il mondo è immaturo per un’arte che non sia tendenziosa. Lo dimostrano dodici milioni di morti, dilaniati follemente ». 3 Seppure il critico non sostenga mai un abbandono esplicito dei parametri estetici, in questa fase egli propende, di fatto, per una visione utilitarista e strumentale dell’opera d’arte. A dominare il suo sguardo, insomma, è il fine politico della rappresentazione teatrale, come afferma, senza possibilità di fraintendimento, nel 1927 in occasione della messinscena del dramma di Toller Hoppla, wir Leben ! : « Voglio opere di propaganda oggi ». 4 Ma sul finire degli anni venti Kerr rivede il favore in precedenza concesso a un teatro puramente propagandistico. Di fronte alla moltiplicazione e all’appiattimento dei drammi di attualità il critico comincia, infatti, a sentire la necessità di difendere le finalità estetiche dell’opera d’arte : « Ciò che i migliori di noi desiderano è : il nuovo dramma di propaganda
1
2 A. Kerr, Herbert Kranz « Freiheit » (15 dicembre 1919), in WiE, vii/2, p. 53. Ibidem. A. Kerr, Anatoli Lunatscharski « Der befreite Don Quixote » (28 novembre 1925), in WiE, vii/2, p. 273. 4 A. Kerr, Ernst Toller « Hoppla, wir leben ! », cit., p. 373.
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con, con, con arte ». I drammi d’attualità, infatti, si dimostrano sempre più disinteressati alla ricerca estetica e arrivano a concentrarsi quasi unicamente sul messaggio politico. C’è insomma una sorta di fanatismo che Kerr inizia a rifiutare. Ciò non significa affatto che egli abbandoni il campo della battaglia politica : in questi anni, anzi, il critico è impegnato più che mai in prima persona nella lotta, condotta anche attraverso la radio, contro la deriva reazionaria e l’ascesa del movimento nazionalsocialista. Ma i due momenti, quello artistico e quello politico, seppure affiancati, iniziano a essere tenuti distinti. Con grande lucidità, infatti, Kerr riconosce che la presunta utilità politica del dramma di attualità non soltanto resta indimostrata ma può, paradossalmente, rappresentare un alibi intellettuale e inibire la reale azione politica :
1
Resta da temere che attraverso l’accumulo drammatico e la meccanizzazione delle rivendicazioni di attualità, l’uomo esaurisca tutta la sua spinta e il suo stimolo propulsivo in platea... e creda di avere agito laddove è stato soltanto a guardare. E scambi l’azione con l’applauso. E ritenga erroneamente che i giusti siano già in marcia. (La « catarsi » aristotelica – il fatto che attraverso il dramma si scarichino sensazioni – è per me una forma di accesso all’inattività). 2
Nell’ultima fase di vita della Repubblica Kerr, dunque, pur confermandosi a favore di un’autentica politicizzazione dell’intellettuale e della società civile, rifiuta un teatro politico che fagociti completamente la dimensione artistica. Nel gennaio del 1931, in una recensione della messinscena di Piscator del dramma di Friedrich Wolf Tai Yang erwacht, egli, riferendosi alla recente elezione di 107 rappresentanti del partito nazionalsocialista, nota :
Ho ancora molti dubbi sul fatto che un teatro politico sia in grado di migliorare la situazione politica. Per favore, al posto di scrivere drammi e mettere in scena drammi, lavorate nell’organizzazione. Un partito che spedisce 107 rappresentanti e ha a disposizione più di sei milioni di persone ancora più stupide, non ha alcun teatro ; ma una rigogliosa programmazione di conferenze sistematiche... che resta da imitare, cielo, braccio e nuvole ! Impegnatevi in quest’opera. Non continuate a scambiare gli applausi con le azioni. 3
Ciò dimostra che Kerr, spesso giudicato attraverso l’ottica parziale di Brecht e Ihering soltanto come un critico “culinario” e irresponsabile, sia in realtà un lucido e attento osservatore dell’evoluzione della situazione politica negli ultimi anni della Repubblica di Weimar. In una fase di inasprimento politico, quando l’idea della moltitudine domina l’immaginario di entrambi gli estremi politici, Kerr, da una posizione liberale e progressista, cerca di salvaguardare l’attenzione verso il singolo e l’individuo. In un momento di esaltazione della collettività egli tenta di proclamare l’attualità e la validità di un teatro che pone al centro l’uomo concreto e i suoi moti interiori. 4 In un periodo di radicalità e ideologizzazione non dimentica di ricordare con prudenza che la scena deve avere abbastanza spazio per accogliere al suo interno tutte le tonalità dell’arte e dell’animo umano :
Dunque il dramma per il singolo essere umano (del singolo essere umano) in futuro deve esistere : perché la conoscenza dell’anima umana, con i suoi inesplorati percorsi, non è insignificante per gli esseri che sono stati calati su questa sfera errante. [...] In me vive un sentimento sociale : ma anche la paura davanti al primitivo. 5
1
A. Kerr, Spanische Rede vom deutschen Drama oder das Theater der Hoffnung (1930), in WiE, iii, p. 163. A. Kerr, Carl Credé « Paragraph 128 » (4 aprile 1930), in WiE, vii/2, p. 561. 3 A. Kerr, Friedrich Wolf « Tai Yang erwacht » (16 gennaio 1931), in WiE, vii/2, p. 580. 4 Cfr. A. Kerr, Spanische Rede vom deutschen Drama oder das Theater der Hoffnung, cit., p. 154. 5 Ivi, p. 155. 2
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l ’ arpa e la fionda 3. 5. Kerr e Ihering dopo il 1933 3. 5. 1. Alfred Kerr e gli anni dell’esilio
L’impegno politico e civile di artisti e intellettuali non riesce a scongiurare la deriva nazionalista e reazionaria della Germania. Nel gennaio del 1933 Adolf Hitler, leader del partito nazionalsocialista, è nominato cancelliere della Repubblica e dà inizio alla costruzione di un regime totalitario, destinato a guidare il paese fino alla drammatica conclusione del secondo conflitto mondiale. Tra le numerose misure repressive introdotte vi è anche una nuova regolamentazione dell’informazione e della stampa, iniziata nell’ottobre del 1933 con la pubblicazione della Schiftleitergesetz ; una legge che, oltre a imporre l’esclusione di tutti coloro che non hanno origine ariana dall’attività redazionale, sancisce, tra gli obblighi dei redattori, quello di astenersi da commenti che potrebbero danneggiare « la forza del regno tedesco verso l’esterno o verso l’interno ». 1 Ma questo è solo il primo passo di un percorso di irregimentazione che porterà, in breve tempo, all’inibizione di ogni forma di riflessione autonoma e alla soppressione della “critica d’arte”, sostituita, nel novembre del 1936, dall’inoffensiva “cronaca d’arte” :
Al posto di quella che fino ad oggi è stata la critica d’arte (Kunstkritik), che in una completa distorsione del concetto di “critica”, avvenuta nell’epoca della penetrazione di elementi giudaici nell’arte, fu trasformata nel diritto di porsi come giudici dell’arte, verrà da oggi posta la cronaca d’arte (Kunstbericht) ; al posto del critico (Kritiker) viene posto il redattore d’arte (Kunstschriftleiter). La cronaca d’arte non dovrà essere tanto una valutazione, quanto una rappresentazione e dunque una forma di riconoscimento. Dovrà dare al pubblico la possibilità di arrivare da solo a un giudizio e stimolarlo, così che possa formarsi un’opinione dei risultati artistici a partire dalle proprie convinzioni e dal proprio sentire. 2
Ma prima ancora che la morsa legislativa possa colpire il mondo della stampa e dell’opinione pubblica Alfred Kerr è costretto a fuggire dalla Germania. Il 15 febbraio del 1933 una telefonata di un funzionario di polizia rimasto fedele alla Repubblica lo avverte che il giorno successivo gli sarebbe stato tolto il passaporto. Il critico, consapevole del pericolo, decide, nonostante la febbre alta, di partire immediatamente alla volta di Praga portando con sé solo poche cose essenziali. 3 È l’inizio di un esilio che lo terrà lontano dal suolo tedesco per più di dodici anni : dalla Cecoslovacchia, attraverso l’Austria e la Svizzera, egli giungerà prima a Parigi e poi, tra la fine del 1935 e l’inizio del 1936 a Londra, dove si stabilirà definitivamente. La rapidità con cui il regime progettava di colpirlo può essere compresa soltanto tenendo presente la posizione del tutto particolare che egli aveva occupato fino ad allora nel panorama culturale e giornalistico tedesco. Alfred Kerr non era, infatti, semplicemente un intellettuale ebreo politicamente orientato a sinistra, bensì uno dei massimi rappresentanti di quella soggettività critica che con ironia e arguzia aveva animato per anni i più importanti feuilleton dei giornali tedeschi ; espressione di una vivacità culturale che il nazionalsocialismo avrebbe scelto di addomesticare. Tra i pubblicistici più noti e amati dal pubblico, egli si era poi impegnato in prima persona, attraverso saggi, discorsi, poesie e critiche teatrali, nella battaglia contro l’ascesa di Hitler e contro il nazionalsocialismo. Per questo, già ben prima del 1933, il critico del « Berliner Tageblatt » era considerato un nemico dal movimento nazionalsocialista, tanto che Goebbels lo aveva inserito,
1
Schriftleitergesetz, « Reichsgesetzblatt », sez. i, n. 111, 7 ottobre 1933. J. Goebbels, Anordnung des Reichsministers für Volksaufklärung und Propaganda über Kunstkritik (28 novembre 1936) in J. Wulf, Die bildende Künste im Dritten Reich : eine Dokumentation, in Id., Kultur im Dritten Reich, 5 voll., Frankfurt a. M.-Berlin, Ullstein, 1989, vol. iii, p. 128. 3 Cfr. A. Kerr, Tatsachen als Vorwort, in WiE, v/vi, pp. 420-421.
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in un articolo pubblicato sull’« Angriff », in una lista di sette persone da mettere al muro. 1 E in fondo non potrebbe esserci testimonianza maggiore del peso culturale di Kerr, che le parole di condanna che lo stesso Goebbels gli rivolge nell’ordinanza di soppressione della critica d’arte, dove viene indicato, insieme a Heinrich Heine, come l’esempio di quell’atteggiamento “giudaico” da cui il giornalismo tedesco avrebbe dovuto essere liberato :
I grandi critici del secolo precedente volevano soltanto essere servitori dell’opera d’arte. Rendevano conto con stima e profondo rispetto del lavoro degli altri senza mai sollevarsi su di esso come giudici infallibili. Cosa che rimase invece prerogativa dei letterati ebrei da Heinrich Heine fino ad Alfred Kerr, ai quali, in parte, risale la forma di critica d’arte ancora corrente. 2
L’attacco contro il critico di Breslau si traduce, sin dai primi mesi del regime, nel tentativo di cancellarlo, insieme a numerosi altri intellettuali, dalla memoria della Germania. Nel rogo dei libri del maggio del 1933 le sue opere sono tra le prime a essere gettate alle fiamme. Nell’agosto dello stesso anno gli viene revocata la cittadinanza tedesca. Ma la strategia di espulsione si serve anche dei mezzi subdoli e sottili della satira : in una vignetta pubblicata nel luglio del 1933, ad esempio, si può vedere sotto il titolo “I poveri emigranti al lago di Garda” il critico che, assieme ad altri letterati in esilio, si dedica a un comodo “ozio letterario” sulle rive, appunto, del lago di Garda. 3 Queste forme di persecuzione, tuttavia, non riescono a scalfire la forza e la convinzione del critico che, non senza la consueta ironia, mostra con fierezza di considerare la distruzione dei propri libri come una medaglia al valore (Ehrenkreuz), 4 e commenta la notizia dell’annullamento della cittadinanza con una lirica acuta e pungente :
Hanno la faccia tosta, dopo spudorati crimini, di disconoscere ad altri la germanicità. Hanno dato l’indicazione agli assassini. Hanno promosso l’orrore e vigliaccamente hanno negato, Essi scavano la fossa all’onore tedesco. Ed è per questo che son’io a disconoscer loro la germanicità. 5
Per il critico e la sua famiglia gli anni dell’esilio sono quanto di più lontano si possa immaginare da un tranquillo otium litterarum sulle rive del Garda. 6 Allontanato senza alcuna forma di liquidazione dal « Berliner Tageblatt » – dal quale gli sono negate persino le mensilità arretrate 7 – Kerr è costretto a sostenersi, di volta in volta, con i miseri compensi frutto di collaborazioni saltuarie, 8 con il lavoro della moglie, o attraverso l’aiuto di amici come
1 Cfr. ivi, p. 420. Tra le altre persone indicate nell’articolo di Goebbels vi sarebbero state, ricorda Kerr, anche Hellmut von Gerlach, Heinrich Mann, Arnold Zweig e il generale Schoenaich. 2 J. Goebbels, Anordnung des Reichsministers für Volksaufklärung und Propaganda über Kunstkritik, cit. p. 128. 3 Cfr. O. Garvens, Die armen Emigranten am Gardasee (9 luglio 1933), in Alfred Kerr. Lesebuch zu Leben und Werk, a cura di H. Haarmann, K. Siebenhaar, T. Wölk, cit., p. 162. 4 Cfr. A. Kerr, Ich kam nach England. Ein Tagebuch aus dem Nachlaß, a cura di W. Huder e T. Koebner, Bonn, Bouvier, 1979, pp. 148-149. 5 A. Kerr, Die Diktatur des Hausknechts, in Id., Die Diktatur des Hausknechts und Melodien, a cura di H. Kohn, W. Schartel, Hamburg, Konkret, 1981, p. 22. 6 Le molteplici difficoltà e le durissime condizioni di vita cui Kerr e la sua famiglia dovettero far fronte durante gli anni dell’esilio sono ben documentate dalle lettere dello stesso Kerr pubblicate in WiE, v/vi, tra p. 422 e p. 469. Per una ricostruzione della vita e della produzione del critico in esilio si vedano inoltre : K. Wendler, Alfred Kerr im Exil, Diss., Freie Universität Berlin, 1981 ; R. Dove, Journey of No Return. Five German-speaking Literary Exiles in Britain, 1933-1945, London, Libris, 2000 e N. Otten, “Mit Geschaffnem grüßt man sachte, was nur das Erleben brachte” : Verfolgung, Flucht und Exil im Spiegel der autobiographischen Schriften der Familie Alfred Kerrs, Diss., Hamburg, 2009. 7 Cfr. K. Wendler, Alfred Kerr im Exil, cit., pp. 27-33. 8 Durante gli anni dell’esilio Kerr si cimentò, seppur con scarso successo, anche nella scrittura di sceneggiature cinematografiche. La sua prima sceneggiatura Letizia, sulla madre di Napoleone, fu acquistata dal produttore Alexander Korda nel 1936 [Cfr. WiE, v/vi, p. 697]. Sui tentativi cinematografici di Kerr si veda in particolare
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Rudolf Kommer. La vita nella capitale inglese è enormemente distante dall’agio della sua residenza nel quartiere di Grünewald a Berlino. Il critico, fino a poco tempo prima così celebrato e amato, abita ora in una piccola camera, « senza soldi e sconosciuto ». 2 In alcuni discorsi tenuti in sua memoria tra il 2005 e il 2009, la figlia Judith ricorda come nonostante questa situazione egli non avesse mai ceduto all’autocompassione e alla tristezza e racconta in proposito un episodio emblematico. Col passare del tempo e il ridursi delle possibilità lavorative, lei e il fratello avevano iniziato ad avere l’impressione che, nonostante le straordinarie energie umane, il padre avesse affidato gradualmente la battaglia per l’esistenza quotidiana alla moglie, ritirandosi nella composizione di liriche e scritti. Un’impressione, racconta la stessa Judith, destinata a essere tuttavia smentita quando, molti anni dopo, una studiosa canadese scopre, presso la bbc, una scatola piena di lavori che settimanalmente il critico proponeva all’importante emittente inglese : « Ma come ha combattuto per noi allora ! Ma non ne ha mai parlato e quindi non lo sapevamo ». 3 Nonostante l’età avanzata e le privazioni sociali ed economiche subite, il critico non è mai sopraffatto dal senso di delusione né cerca di rifugiarsi in una forma di isolamento intellettuale. Anche se non può certamente contare sull’ampio pubblico che lo seguiva appassionatamente negli anni della Repubblica, Kerr prosegue nella propria battaglia letteraria e giornalistica. Durante l’esilio scrive per giornali dell’emigrazione tedesca e stranieri, come il « Pariser Tageblatt » e « Les Nouvelles Littéraires », e pubblica libri di diverso genere, come Die Diktatur des Hausknechts (1934), Walter Rathenau. Erinnerungen eines Freundes (1935), 4 o Melodien (1938). In questi stessi anni collabora inoltre con la BBC e con la Deutsche Freiheitsender, è tra i soci fondatori del Freier Deutscher Kulturbund in 1
D. Vietor-Engländer, »Ich werde den Film – wie er heut zwischen Europa und Hollywood lebt – auf neue Beine stellen« . Alfred Kerrs Hoffnungen im Exil, in Die deutsch-jüdische Erfahrung. Beiträge zum kulturellen Dialog, a cura di F. Stern, M. Gierlinger, Berlin, Aufbau, 2003, pp. 237-257. 1 Rudolf Kommer (1886-1943), ebreo di Czernowitz, per un certo tempo impresario di Max Reinhardt e con un’incredibile quanto vasta rete di contatti nel mondo letterario, politico e economico in diversi paesi, aiutò Kerr numerose volte negli anni dell’esilio, prodigandosi economicamente e intercedendo per lui attraverso le proprie numerose relazioni [cfr. nota a « Zwei Männer im London », in WiE, iv, pp. 443-444 e nota in WiE, v/vi, p. 691]. In questi anni Kommer fu per il critico un fondamentale e insostituibile punto di riferimento, « il miglior amico che ho incontrato nella mia vita », come si legge nella dedica, a lui destinata, che apre il volume di poesie Melodien pubblicato nel 1938 [cfr. A. Kerr, Melodien, in WiE, ii, p. 263]. Dopo la morte dell’amico, avvenuta nel 1943 a New York, Kerr scrisse in sua memoria la toccante poesia Epilog [cfr. A. Kerr, Epilog, in WiE, ii, pp. 261-262]. Sulla figura per molti versi misteriosa di Kommer e sul suo rapporto con Kerr si vedano in particolare : D. Vietor-Engländer, ‘The Mysteries of Rudolfo’ – Rudolf Kommer from Czernowitz – ‘That Spherical, Remorselessly Shaved, Enigmatic “Dearest Friend”;’– A Puller of Strings on the Exile Scene, «German Life and Letters», vol. li, n. 2, aprile 1998, pp. 165-184 e K. Wendler, Alfred Kerr im Exil, cit. Wendler dedica un lungo capitolo della propria dissertazione a Kommer e ai sospetti che egli in realtà fosse un agente coinvolto in attività di spionaggio su suolo americano [cfr. anche W. Huder, Nachwort, in A. Kerr, Die Diktatur des Hausknechts und Melodien, cit., pp. 262-263]. La memoria conclusiva dell’FBI, analizzata da Wendler insieme ad altri documenti dell’ufficio investigativo federale americano, esclude tuttavia questa possibilità chiudendo il caso [Cfr. K. Wendler, Alfred Kerr im Exil, cit., pp. 172-295, e nota a « Zwei Männer im London », cit., p. 444]. 2 J. Kerr, [Alfred Kerr-Darstellerpreis : Grußwort von Judith Kerr zur 12. Preisverleihung am 21. Mai 2006], www.alfred-kerr.de/namen4.html – ultima consultazione 12/2015. 3 J. Kerr, [Alfred Kerr-Darstellerpreis : Grußwort von Judith Kerr zur 15. Preisverleihung am 17. Mai 2009], www.alfred-kerr.de/namen4.html – ultima consultazione 12/2015. Judith Kerr ha dedicato tre libri alle esperienze vissute tra il 1933 e il 1956, anno del tentato suicidio della madre : J. Kerr, When Hitler Stole Pink Rabbit, London, Collins, 1971 ; Ead., The Other Way Round, London, Collins, 1975 e Ead., A Small Person Far Away, London, Collins, 1978. Al ricordo dei primi anni d’infanzia – fino al 1933 – è inoltre dedicato il testo della conferenza tenuta al Renaissance Theater di Berlino nell’ottobre del 1990 : J. Kerr, Eine eingeweckte Kindheit, Berlin, Argon, 1990. Anche Michael Kerr (1921-2002), figlio maggiore del critico, ha scritto un volume autobiografico : M. Kerr, As Far as I Remember, Portland, Hart, 2002. Michael dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale fu internato per un breve periodo e divenne poi pilota della Royal Air Force. Dopo la guerra concluse gli studi di legge e divenne giudice. Dal 1981 al 1989 fu giudice della corte d’appello inglese, il primo, dal regno di Enrico II, a non essere nato in Inghilterra [Cfr. Anonimo, Obituary - Sir Michael Kerr, « The Daily Telegraph », 23 aprile 2002, www.telegraph.co.uk/news/obituaries/1391841/Sir-Michael-Kerr.html - ultima consultazione 12/2015]. 4 A. Kerr, Walter Rathenau. Erinnerungen eines Freundes, Amsterdam, Querido, 1935.
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Großbritannien, organizzazione culturale di emigranti tedeschi e austriaci nata a Londra nel marzo 1939, ed è un importante esponente del pen, club degli autori tedeschi all’estero, di cui diventa presidente nel 1941. I titoli delle opere pubblicate rappresentano poi soltanto una parte della produzione di questo periodo : alcuni importanti lavori verranno pubblicati soltanto postumi, come il diario Ich kam nach England oder Vive la bagatelle ! apparso nel 1979 o la novella-romanzo Der Dichter und die Meerschweinchen, edito da Fischer con la curatela di Rühle nel 2004. 1 La dimensione etica e civile, da sempre centrale nel lavoro di Kerr, diventa assolutamente predominante nella produzione di questi anni. Kerr, spesso accusato di individualismo e arbitrio, manifesta ora uno spiccato senso del peso pubblico e collettivo dell’istituzione critica e letteraria e attacca duramente tutti gli artisti e gli intellettuali che non hanno il coraggio di opporsi al regime nazista. Tra questi vi è Gerhart Hauptmann, a cui egli era, anche dal punto di vista personale, profondamente legato. Il silenzio del drammaturgo di fronte al nazionalsocialismo, la sua mancata presa di posizione contro Hitler, rappresenta un terribile tradimento, il tradimento di un amico e di un artista che per più di tre decenni egli aveva difeso e sostenuto. Tanto più terribile è la ferita che questo gli provoca, quanto più dura e radicale è la rottura, sancita da un articolo pubblicato il 30 ottobre del 1933 sul « Prager Mittag » :
Da ieri non c’è più nessuna forma di unione tra me e lui, né nella vita né nella morte. Non conosco questo vigliacco. Dovunque lui diriga il suo passo insicuro, devono crescere spine. E la consapevolezza dell’infamia deve strangolarlo in ogni momento. Hauptmann, Gerhart, ha perso il proprio onore. 2
Ma non è solo Hauptmann a essere oggetto degli strali del critico. Stessa sorte tocca ad esempio a Bernard Shaw, anch’egli amico di vecchia data e reo di aver espresso considerazioni positive su Hitler e Mussolini, 3 o, ancora, a Herbert Ihering, suo storico rivale, stigmatizzato, in una breve lirica scritta in occasione del procedimento di esclusione dalla camera della stampa che colpisce lo stesso Ihering nel 1936, per aver continuato, fino ad
1 A. Kerr, Der Dichter und die Meerschweinchen. Clemens Tecks letztes Experiment, a cura di G. Rühle, Frankfurt a. M., S. Fischer, 2004. 2 A. Kerr, Gerhart Hauptmanns Schande (30 ottobre 1933), in WiE, iv, p. 258. La “maledizione” di Kerr, pubblicata originariamente il 30 ottobre 1933 sul « Prager Mittag », ripubblicata l’11 novembre 1933 su altri giornali e il 4 dicembre 1933 in francese su « Le Rempart » [Cfr. nota a « Gerhart Hauptmanns Schande », in WiE, iv, p. 438] è stata in passato messa in relazione a un articolo di Hauptmann, pubblicato il 9 novembre sul « Leipziger Neueste Nachrichten » e su altri giornali, attraverso cui il drammaturgo aveva espresso la sua adesione all’uscita della Germania dalla Società delle Nazioni annunciata da Hitler [cfr. W. Haas, Die literarische Welt. Erinnerungen, München, List, 1957, pp. 277-278. Per il testo di Hauptmann si veda : G. Hauptmann, (Zum Austritt Deutschlands aus dem Völkerbund), in Id., Sämtliche Werke, a cura di H.-E. Hass e M. Machatzke, 11 voll., Sonderausg., Berlin, Propyläen, 1996, vol. xi, pp. 1133-1134]. A partire dalla esatta determinazione della data della prima pubblicazione dell’articolo di Kerr (il 30 ottobre 1933) i curatori dell’edizione dei suoi scritti escludono questa correlazione [cfr. nota a « Gerhart Hauptmanns Schande », in WiE, iv, p. 438-439] e segnalano, invece, un possibile collegamento tra l’articolo di Kerr e la prima rappresentazione a Monaco del dramma di Hauptmann Die goldene Harfe, ordinata dallo stesso Hitler e avvenuta due settimane prima della pubblicazione dell’articolo [cfr. ivi, p. 438]. Hauptmann accolse con rabbia le parole di Kerr, come testimonia il suo scambio epistolare con Joseph Chapiro, anch’egli emigrato dalla Germania nazionalsocialista [Cfr. J. Chapiro, G. Hauptmann, Briefwechsel 1920-1936, a cura di H. D. Tschörtner, Göttingen, Wallenstein, 2006, pp. 186-199]. Sulla questione si veda anche : P. Sprengel, Gerhart Hauptmann. Bürgerlichkeit und großer Traum. Eine Biographie, München, Beck, 2012, pp. 674-676. La rottura tra Kerr e Hauptmann ispirò il drammaturgo americano Samuel Nathaniel Behrman nella scrittura del dramma Rain from Heaven, che debuttò a New York nel dicembre del 1934 [Cfr. D. Vietor-Engländer, ‘The Mysteries of Rudolfo’ – Rudolf Kommer from Czernowitz – ‘That Spherical, Remorselessly Shaved, Enigmatic “Dearest Friend”;’– A Puller of Strings on the Exile Scene, cit., pp. 175-177]. Behrman era venuto a conoscenza della faccenda attraverso Rudolf Kommer [Cfr. ivi, pp. 175-176]. 3 Cfr. A. Kerr, Ich kam nach England. Ein Tagebuch aus dem Nachlaß, cit. pp. 52-66. Il disappunto nei confronti di Shaw rientra tuttavia parzialmente dopo un incontro col drammaturgo avvenuto nel 1939 e raccontato da Kerr in alcune pagine di diario [Cfr. ivi, pp. 64-66].
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allora indisturbato, a esercitare il mestiere critico in Germania. 1 L’alta funzione morale che Kerr attribuisce alla resistenza degli intellettuali emerge tuttavia con ancora più forza e evidenza in alcuni passi del diario Ich kam nach England, in cui egli riflette sulla tragica fine di Joseph Roth ed Ernst Toller, entrambi come lui emigrati dalla Germania e morti tragicamente nel 1939. 2 Al cordoglio per la scomparsa degli scrittori e al richiamo all’unità degli intellettuali in esilio, egli unisce un severo ammonimento contro i rischi dell’isolamento mistico di Roth e della scelta disperata di Toller :
La pace sia con Ernst Toller ; il suo passo è inviolabile e quasi sottratto a qualsiasi possibilità di dibattito. Ma noi tutti – noi tutti non siamo qua per dare una gioia a Hitler eliminandoci da soli. 3
Parole che dimostrano ancora una volta il profilo di una lotta che, prima ancora di essere mossa da convinzioni politiche, è nutrita da una genuina prospettiva etica :
[...] poiché alzare la voce contro la tortura, la malvagità, la brutale umiliazione, l’inganno divenuto principio e la disumanità-kitsch non significa agire politicamente, ma significa esercitare quel dannato dovere della morale, che costituisce il compito dello scrittore ed è il fine del suo talento. 4
Proprio a partire dalla percezione di un tale dovere morale contro l’orrore del nazismo, Kerr si dimostra, a più riprese, favorevole a una rottura della politica di appeseament dell’Inghilterra e, nel 1939, saluta con favore la notizia dell’ultimatum franco-inglese. 5 Ma lo sguardo duro e severo verso la Germania e coloro che hanno tollerato il regime e i suoi crimini, non lo porta mai a rinnegare la propria appartenenza tedesca, né a provare rancore o odio verso il proprio paese d’origine. Una testimonianza di questo legame indissolubile con le proprie radici sono le pagine scritte in occasione del primo breve viaggio che egli fa in Germania dopo la fine della guerra. 6 Kerr, ormai ottantenne, non nasconde l’emozione nel rivedere il proprio paese, mentre descrive, come era solito fare nelle sue prose di viaggio, le sensazioni e i pensieri che lo attraversano nel viaggio tra Monaco, Norimberga e Francoforte. È ancora una volta un senso di giustizia che lo spinge, giunto a Norimberga dove si celebrano i processi ai criminali nazisti e dove sua moglie Julia lavora come interprete, 7 a dedicare parole di ammirazione per il modo in cui l’avvocato dell’accusa esegue il suo compito : con fermezza ma senza cedere a tentazioni intimidatorie. 8 Ciò che colpisce in particolare in queste pagine è l’assenza di sentimenti di rabbia o di desideri di vendetta. Il critico, dopo un esilio di più di dodici anni, riesce persino a trovare parole di stimolo per il popolo tedesco sconfitto dalla guerra e sottoposto al pesante interrogativo della colpa e della complicità collettiva :
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Cfr. A. Kerr, Rezensent Hering, in WiE, ii, pp. 348-349. Cfr. infra, 3. 5. 2., p. 192. Ernst Toller muore suicida a New York e Joseph Roth in seguito a un malattia polmonare a Parigi. 3 A. Kerr, Ich kam nach England. Ein Tagebuch aus dem Nachlaß, cit., p. 188. 4 A. Kerr, Opfer der Gegenwart, « Pariser Tageblatt », s.d., [Deutsches Literaturarchiv, Marbach, Zeitungsauschnittsammlung der Mediendokumentation, Z : Kerr, Alfred]. 5 Cfr. A. Kerr, Ich kam nach England. Ein Tagebuch aus dem Nachlaß, cit., p. 197. 6 Cfr. A. Kerr, Fünf Tage Deutschland, in Id., Sätze meines Lebens. Über Reisen, Kunst und Politik, cit., pp. 435-451 [originariamente pubblicato nel luglio del 1947 sulla « Die Neue Zeitung » di Monaco tra il 19 luglio 1947 e l’11 agosto 1947. Due dei tre articoli che compongono lo scritto di Kerr sono stati ripubblicati anche nella recente edizione delle sue opere (cfr. WiE, v/vi, pp. 479-489) con un esaustivo apparato di note a cui abbiamo fatto riferimento. Abbiamo scelto tuttavia di citare il testo come presentato nella raccolta del 1978 Sätze meines Lebens perché in essa riportato nella sua interezza]. 7 Non si tratta del processo principale in cui furono imputati i dirigenti del regime nazista e che si concluse nell’ottobre del 1946, bensì di uno dei processi che seguirono negli anni successivi, il processo cosiddetto della Wilhelmstrasse (dalla via di Berlino in cui si trovavano i ministeri) contro funzionari di vari ministeri. 8 Cfr. A. Kerr, Fünf Tage Deutschland, cit., pp. 449-450. Si tratta di Robert M. Kempner, che fu capo dell’accusa degli Stati Uniti nel processo maggiore di Norimberga, contro i principali criminali di guerra, e che, negli anni successivi, ricoprì la medesima carica nel processo cosiddetto della Wilhelmstrasse [Cfr. nota a « Fünf Tage Deutschland (3) », in WiE, v/vi, pp. 719-720]. Kerr lo conosceva e, presso di lui, sua moglie Julia svolgeva il suo lavoro di interprete [Cfr. ivi, p. 719]. 2
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Non penso certamente a riparazioni numeriche e in contanti. Per prima cosa dovete sollevarvi dalla fame. Ma come sarebbe se questo mondo, rovinato soprattutto dalla colpa tedesca, justament 1 venisse di nuovo rimesso in piedi per mezzo dei tedeschi ? [...] Sarebbe un grande contributo, da giudicare in termini non puramente materiali... Ma in un certo senso come il compimento di un voto... Potete farlo ? Certo che lo potete, avete gli strumenti per fare ciò. Persino per fare ciò. Allora ciò che oggi è contraddizione (Non ridere !) sarebbe per voi e per tutti luce, una chiarezza che decontamina l’aria e butta a mare i maledetti dubbi. Forza ! 2
Circa un anno dopo, il 15 settembre 1948, Kerr torna nuovamente in Germania. È il primo volo nella sua vita ed egli, in un appunto di diario, ne appare entusiasta. 3 Giunto ad Amburgo il critico avrebbe dovuto cominciare, su invito del giornale « Die Welt », un ciclo di conferenze che lo avrebbe portato in numerose città tedesche. Ma la sera stessa, dopo aver assistito a uno spettacolo teatrale, è vittima di un ictus. 4 Dopo essere stato ricoverato in ospedale poco più di tre settimane, egli decide, rimasto ormai paralizzato, di porre fine alla propria vita attraverso l’assunzione di un pesante sonnifero procuratogli dalla moglie. 5 Le parole di congedo, contenute in uno degli ultimi biglietti scritti dal critico – « Ho amato molto la vita ma vi ho posto fine quando è divenuta una tortura » 6 – sono un’ulteriore testimonianza del suo amore per l’esistenza. Diversamente da molti artisti e intellettuali sensibili alla fascinazione della morte Kerr è stato sempre orientato verso la vita, e, in fondo, il suo umanesimo etico e la sua ricerca dei tratti eterni dell’opera d’arte, non sono altro che un tentativo, non scevro di un risvolto malinconico, di sottrarre alla morte la bellezza dell’esistente.
3. 5. 2. Herbert Ihering negli anni del regime nazionalsocialista Diversamente a quanto accaduto a Kerr, la presa del potere dei nazionalsocialisti non determina alcun visibile cambiamento nell’attività pubblicistica di Ihering. 7 Il critico continua a scrivere per il « Berliner Börsen-Courier » fino all’inizio del 1934 quando la testata viene fusa con la « Berliner Börsen-Zeitung » e lui passa al « Berliner Tageblatt ». Qui, nel posto che era stato di Kerr, resta per due anni, fino al 1936, quando, a seguito di una recensione negativa del dramma Rotschild siegt bei Waterloo dell’autore nazionalsociali
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2 Così nel testo originale. A. Kerr, Fünf Tage Deutschland, cit., p. 440. Cfr. A. Kerr, Tagebuch, 15.9.1948, in WiE, v/vi, p. 506. 4 Willy Haas (1891-1973), scrittore, critico e sceneggiatore che si era occupato dell’accoglienza di Kerr ad Amburgo, racconta che il giovane critico del « Die Welt » che aveva accompagnato Kerr a teatro gli aveva riferito, dopo lo spettacolo, di un piccolo mancamento avuto dall’anziano collega che si era poi velocemente ripreso. Il mattino successivo lo stesso Haas, arrivato all’Hotel Atlantic, dove soggiornava Kerr, insospettito dal fatto che il critico non avesse ancora ordinato la colazione, aveva pregato i responsabili dell’albergo di chiamarlo in redazione se entro un’ora non avesse dato alcun segno di vita. Kerr venne trovato un’ora dopo a terra incapace di muoversi ma cosciente [Cfr. W. Haas, Die Literarische Welt. Erinnerungen, cit., pp. 274-275]. Haas racconta, inoltre, che durante il periodo di ricovero in ospedale Ivo Hauptmann, figlio del drammaturgo, lo pregò di poter fare visita a Kerr in segno di riconciliazione tra il padre, venuto a mancare qualche anno prima, e il critico. Haas ricorda che quando lo riferì a Kerr, che non era quasi più in grado di parlare, la sua unica reazione fu una risata di scherno : « Non ci pensava a riconciliarsi, nemmeno simbolicamente » [Cfr. ivi, p. 278]. 5 Cfr. la testimonianza del figlio Michael Kerr riportata in A. Kerr, Sätze meines Lebens. Über Reisen, Kunst und Politik, cit., p. 452. Kerr morì nella notte del 12 ottobre 1948. 6 A. Kerr, [Letzte Mitteilungen, 10./11. Oktober 1948)], in WiE, v/vi, p. 510. 7 Per la ricostruzione della vita di Ihering dalla presa del potere dei nazionalsocialisti fino alla morte avvenuta nel 1977 si vedano in particolare i saggi di Karin Herbst-Meßlinger [K. Herbst-Meß linger, Der Kritiker als Intellektueller, cit., pp. 37-65], Corinna Kirschstein e Sebastian Göschel, questi ultimi contenuti nella raccolta di saggi biografici su Herbert Ihering precedentemente citata [Cfr. C. Kirschstein, Wendungen und Wandlungen (1933-1953), e S. Göschel, Grenzgänger und Weltenwanderer (1945-1977), in S. Göschel, C. Kirschstein, F. I. Lingnau, Überleben im Umbruchzeiten. Biographische Essays zu Herbert Ihering, cit., rispettivamente pp. 89-153 e 155-333]. 3
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sta Eberhard Wolfgang Möller, viene interdetto dall’attività giornalistica ed escluso dalla Reichspressekammer, la camera della stampa del Reich, cui dovevano essere obbligatoriamente membri tutti i pubblicisti e alla cui appartenenza era subordinato l’esercizio della professione. 1 Licenziato senza alcun indennizzo, dopo alcuni mesi di inattività viene assunto, grazie alla mediazione dell’attore Emil Jannings, dalla tobis, società di produzione cinematografica, dove lavora tra il 1937 e il 1941. Inizialmente il suo compito è piuttosto umile e consiste nella correzione e nel miglioramento degli script cinematografici, ma nel corso del tempo riesce a migliorare la propria posizione e ad arrivare a occuparsi della scelta degli attori e dell’assegnazione dei ruoli. 2 Pur rimanendo in vigore il divieto di esercitare il mestiere giornalistico, dopo alcuni anni ricomincia a scrivere e pubblicare libri e monografie, anche se gli è consentito occuparsi soltanto di attori e registi. 3 Nel frattempo, conclusa l’esperienza presso la tobis, Ihering ritorna al lavoro teatrale. Dal 1942 si trasferisce a Vienna dove è assunto al Burgtheater come Dramaturg e consigliere artistico. 4 Com’era stato nel corso della prima guerra mondiale, è ancora una volta la capitale austriaca a offrire al critico la possibilità di un concreto impegno nella prassi teatrale. Ma le scelte del Dramaturg si scontrano presto con gli indirizzi e gli orientamenti dei funzionari teatrali del Reich. Stando a quanto racconta lo stesso Ihering, l’assenza di autori nazionalsocialisti nella programmazione del Burgtheater provoca l’intervento del Reichsdramaturg Rainer Schlösser, che gli proibisce ogni attività autonoma e vieta il prolungamento del suo contratto. 5 Una misura che non potrà, tuttavia, entrare in vigore a causa della chiusura generale dei teatri avvenuta nel settembre del 1944. Richiamato a Berlino, dove resterà fino alla fine della guerra, il critico riesce a evitare, grazie a un esame medico, l’impiego nella Volkssturm, milizia di difesa popolare creata negli ultimi mesi di guerra. 6 L’interrogativo storiograficamente più incalzante nella ricostruzione di questo periodo della vita e dell’opera di Ihering riguarda senza dubbio la posizione che egli assume nei confronti del regime nazionalsocialista. Leggendo alcuni esempi della sua produzione giornalistica tra il 1933 e il 1936, emerge in modo evidente come la sua prosa perda la spinta battagliera che l’aveva caratterizzata negli anni repubblicani. Il linguaggio di Ihering appare ora domato, prevale un atteggiamento descrittivo e analitico. All’interno di questo perimetro ben definito egli si sforza, però, di procedere nel solco delle proprie convinzioni critico-estetiche cercando di adattarle o, per lo meno, di renderle accettabili nel nuovo contesto storico e politico. Nelle recensioni cinematografiche redatte tra il 1933 e il 1935 e contenute nella recente raccolta di critiche filmiche di Ihering, 7 possiamo scorgere, ad esempio, il tentativo di continuare a esercitare una funzione produttiva e propositiva nei
1 Cfr. i curricula compilati dal critico dopo la fine della seconda guerra mondiale e conservati nel suo lascito [Akademie Der Künste, Berlin, Herbert-Ihering-Archiv, Nr. 6701]. 2 Cfr. K. Herbst-Meß linger, Der Kritiker als Intellektueller, cit., pp. 46-52. Ihering, nei propri curricula, laddove parla del periodo presso la tobis, si riferisce genericamente a un impiego presso il Besetzungsbüro, l’ufficio adibito appunto alla scelta degli attori e all’assegnazione dei ruoli. Sul periodo presso la tobis si veda anche C. Kirschstein, Wendungen und Wandlungen (1933-1953), cit., pp. 117-121. 3 Il primo di questi, pubblicato nel 1941, è dedicato proprio a Emil Jannings : H. Ihering, Emil Jannings. Baumeister seines Lebens und seiner Filme, Heidelberg, Hüthig, 1941. Per poter pubblicare questi lavori Ihering dovette diventare membro della camera degli scrittori del Reich (Reichsschrifttumkammer) alla cui appartenenza era subordinato, come nel caso della camera della stampa, l’esercizio della professione. Egli ne divenne membro nell’agosto del 1936, soltanto due mesi dopo l’esclusione dalla camera della stampa [Cfr. K. Herbst-Meß linger, Der Kritiker als Intellektueller, cit., p. 47 e C. Kirschstein, Wendungen und Wandlungen (1933-1953), cit., pp. 112-113]. 4 In proposito si veda K. Herbst-Meß linger, Der Kritiker als Intellektueller, cit., p. 52 e C. Kirschstein, Wendungen und Wandlungen (1933-1953), cit., pp. 121-127. 5 Cfr. i curricula compilati dal critico dopo la fine della seconda guerra mondiale e conservati nel suo lascito [Akademie Der Künste, Berlin, Herbert-Ihering-Archiv, Nr. 6701]. 6 Cfr. C. Kirschstein, Wendungen und Wandlungen (1933-1953), cit., pp. 129-130 e K. Herbst-Meß linger, Der Kritiker als Intellektueller, cit., p. 52. 7 Cfr. H. Ihering, Herbert Ihering : Filmkritiker, cit., pp. 303-353.
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confronti del cinema e del teatro. Così, nella recensione del 28 aprile 1933 del film fascista italiano Camicia nera, troviamo uno sguardo attento a congiungere le linee di sviluppo del nuovo cinema tedesco e italiano con le conquiste tecniche e formali del cinema russo :
Questo film autenticamente attuale perfeziona i metodi del film russo e li ordina in una visione del mondo fascista. L’altro ieri Unter der schwarzen Sturmfahne, il tentativo di un film collettivo tedesco agreste ; ieri Camicia nera, il grande film rappresentativo italiano – nuovi film con una visione del lavoro accurata che costruiscono metodicamente sulla base di conquiste formali che sono state raggiunte. I tentativi radicali che sono stati fatti nel cinema e nel teatro non sono andati persi e non sono stati inutili. Distrutto e seppellito è soltanto ciò che sguazzava al centro : i romanzetti di intrattenimento mondano, i cattivi contenitori di clamore, i prolissi dipinti di anime e le indiscrezioni private, il pathos viscido e senza forma, così come la spiritosaggine sregolata. Contribuire a plasmare ciò che si annuncia come artistico e preservarlo dalla staticità e dalla mancanza di forma continuerà a essere il compito dello scrittore critico. Gli estremi si toccano. Lo nota con profonda commozione chiunque ne acquisti coscienza. Questo film affascinante lo conferma. 1
Lo stesso sguardo “produttivo” si ritrova nella recensione, estremamente positiva, del film di propaganda nazionalsocialista Hitlerjunge Quex, definito « uno dei più coinvolgenti momenti del cinema tedesco » 2 e giudicato come l’inizio di un possibile sviluppo del cinema tedesco :
Questo film ha ancora diversi difetti. Ma rappresenta l’inizio di una elaborazione artistica del presente tedesco – senza pathos. Da qui è possibile uno sviluppo. 3
Non sappiamo se l’atteggiamento conciliante del critico, che emerge da questi testi redatti nei primi anni del nazionalsocialismo, corrisponda alla reale convinzione di poter riformulare il proprio discorso estetico-culturale all’interno del rinnovato contesto politico o non sia, piuttosto, una strategia per portare avanti in modo sottile e celato la propria battaglia critica. Per rispondere a questo interrogativo bisogna tenere conto delle limitazioni alla possibilità di esprimersi cui Ihering era necessariamente sottoposto. Non bisogna dimenticare, infatti, che si tratta di articoli pubblicati sotto un regime totalitario e repressivo : anche qualora il critico fosse stato intimamente convinto della fallacia del nazionalsocialismo e della sua politica culturale non avrebbe certo potuto lasciarlo trasparire apertamente. In secondo luogo egli non poteva certo credere di essere considerato un critico tra gli altri dal momento che, durante gli anni della Repubblica, aveva manifestato apertamente convinzioni vicine alla sinistra radicale e aveva sostenuto fortemente il lavoro di Brecht e Piscator. Anche se non era stato interdetto dall’ufficio giornalistico, è perciò presumibile che egli sapesse bene che i suoi articoli erano sottoposti a una particolare attenzione. Tenendo conto di tutto questo, Karin Herbst-Meßlinger, nel saggio che apre la citata raccolta di critiche filmiche, ha cercato di individuare e far emergere le strategie attraverso cui il critico, in molte recensioni, prende le distanze in modo sotterraneo e indiretto dalle posizioni ufficiali del regime. Le sue analisi sono giunte in proposito a conclusioni interessanti. Tra i diversi esempi di scrittura “criptata” presentati dall’autrice c’è un articolo del 29 marzo 1933 dedicato a un intervento di Goebbels sul cinema tedesco, pronunciato il giorno precedente presso l’Hotel Kaiserhof. 4 Qui essa ravvisa la presenza di forme di dissenso espresse attraverso sofisticate strategie retoriche, come il tentativo, dietro a un apparente consenso nei confronti delle tesi del ministro della propaganda, di smascherare le strategie di Goebbels esplicitandone i contenuti, oppure come
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H. Ihering, Schwarzhemden (28 aprile 1933), in Id., Herbert Ihering : Filmkritiker, cit., pp. 316-317. H. Ihering, Hitlerjunge Quex (20 settembre 1933), in Id., Herbert Ihering : Filmkritiker, cit., p. 327. Su questa recensione cfr. anche K. Herbst-Meß linger, Der Kritiker als Intellektueller, cit., p. 41. 3 H. Ihering, Hitlerjunge Quex (20 settembre 1933), cit., p. 328. 4 Cfr. H. Ihering, Goebbels und der Film (29 marzo 1933), in Id., Herbert Ihering : Filmkritiker, cit., pp. 309311. 2
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l’introduzione di notizie false quale quella secondo cui il ministro avrebbe espresso la volontà di non intervenire nel mondo del cinema. 1 A sostegno della tesi di un non allineamento al regime la Herbst-Meßlinger aggiunge poi, oltre al procedimento restrittivo del 1936, numerosi interessanti documenti, come un’informativa della polizia che testimonia che nel 1933 Ihering aveva preso parte a un congresso antifascista ad Amsterdam, o ancora un rapporto diretto nel 1938 a Hanns Johst, direttore dell’unione degli scrittori, in cui si sostiene che il critico, in precedenza simpatizzante del partito comunista tedesco, non aveva ancora dato prova di un’entusiastica accettazione del nazionalsocialismo. 2 Queste numerose prove testimoniano come Ihering non fosse un convinto sostenitore del regime, ma ciò non toglie che sotto molti aspetti l’atteggiamento del critico nei confronti del nazionalsocialismo è oscillante e poco trasparente. 3 La scelta di restare e non prendere apertamente posizione contro il nazionalsocialismo – qualsiasi ne fosse la ragione – fu comprensibilmente all’origine di accuse di opportunismo e duri giudizi da parte di scrittori e intellettuali in esilio. 4 Tra questi ci fu, ovviamente, Alfred Kerr, che, in concomitanza con l’esclusione di Ihering dalla Reichspressekammer, scrisse una lirica pungente e ironica intitolata, con un gioco di parole, Rezensent Hering (Recensore Aringa) : 5
i Balbettava chiacchiere. Confusi gemiti. Recitava il ruolo di araldo di Piscator e Brecht. Ma quando arrivò il loro nemico mortale – strisciò Egli rapidamente nella bruna tana di questo. E tuttavia : Il nazi ha depennato il triste Soggetto dalla sua lista [….]. 6
Un documento assolutamente interessante per ricostruire la posizione di Ihering in questi anni è un dossier che Carl Zuckmayer, in esilio, scrive nel 1943 per il servizio segreto americano e che contiene un’analisi della posizione politica degli intellettuali e degli artisti rimasti in Germania dopo il 1933. 7 Il drammaturgo tedesco è molto attento a fornire delle valutazioni oggettive e ponderate. Egli afferma, infatti, di voler parlare soltanto di persone che conosce bene e di volersi attenere a fonti sicure o a ciò che ha visto lui stesso. I suoi ragionamenti non paiono inoltre appesantiti da un personale rancore verso coloro che hanno deciso di restare, dato che sottolinea l’importanza di salvaguardare da incomprensioni il lavoro di chi, dall’interno, ha operato una sottile resistenza. Herbert Ihering, a suo
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2 Cfr. K. Herbst-Meß linger, Der Kritiker als Intellektueller, cit., pp. 39-41. Cfr. ivi, p. 49. Su questo sembra essere concorde anche la Herbst-Meßlinger [Cfr. ivi, p. 53] 4 Sulla posizione di intellettuali e scrittori dell’emigrazione tedesca di fronte alla scelta di Ihering di rimanere in Germania e continuare, almeno in un primo momento, la professione giornalistica si vedano C. Kirschstein, Wendungen und Wandlungen (1933-1953), cit., pp. 95-103 e K. Herbst-Meß linger, Der Kritiker als Intellektueller, cit., pp. 53-55. Tra i casi riportati da entrambi i saggi c’è il celebre romanzo di Klaus Mann, Mephisto, in cui compare un personaggio nei cui tratti sarebbe contenuta una chiara allusione a Ihering, il Dottor Ihrig, critico teatrale del « Neues Börsenblatt », rigorosamente marxista, e che, senza troppe difficoltà, si allinea rapidamente alle posizioni del regime : « Senza tentennare a lungo, si diede il compito di redigere il feuilleton del Neues Börsenblatt con l’identico rigore di prima, ma secondo lo spirito nazionalista che ormai si estendeva anche alle pagine politiche e alle “notizie varie da tutto il mondo”. “Sono comunque sempre stato contro i borghesi e i democratici”, diceva furbescamente il dottor Ihrig. E in effetti poté continuare a scagliare i suoi fulmini contro il “liberalismo reazionario” [...] solo il segno del suo atteggiamento antiliberale era cambiato » [K. Mann, Mephisto. Romanzo di una carriera (1936), trad. it. di F. Ferrari e M. Zapparoli, Milano, Emme, 1982, p. 179]. 5 Cfr. anche C. Kirschstein, Wendungen und Wandlungen (1933-1953), cit., p. 97. 6 A. Kerr, Rezensent Hering, cit., pp. 348-349. 7 Il dossier è stato pubblicato soltanto nel 2002 : C. Zuckmayer, Geheimreport, a cura di G. Nickel e J. Schrön, Göttingen, Wallenstein, 2002. 3
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parere, non rientra in questo gruppo di persone, ma deve essere annoverato, piuttosto, tra coloro il cui atteggiamento nei confronti del regime è ambiguo : 1
Dal momento che in tutta la sua concezione della cultura il momento negativo era assolutamente più forte del momento positivo (egli vedeva infatti il compito della nuova arte principalmente nella lotta contro l’individualismo estetico – all’interno di cui poteva essere compreso tutto il possibile – e a favore di qualcosa che ancora non c’era e che poteva essere formulato solo in modo astratto), – egli poté immaginare di vedere negli slogan di battaglia dei Nazi il vecchio e il nuovo qualcosa che nessuno intendeva. 2
Zuckmayer nota, infatti, che il programma culturale dei nazionalsocialisti per certi versi andava incontro alla sua idea di una missione sociale e comunitaria dell’arte e questo avrebbe creato nel critico illusioni e false aspettative. Ma ciò di cui il drammaturgo si stupisce è che la sua acutezza non gli abbia permesso di comprendere subito, dai titoli dei libri proibiti o dai nomi di coloro che erano stati allontanati, proscritti o eliminati, la vera realtà del regime. Il drammaturgo racconta in proposito due incontri avuti con il critico dopo il 1933. Il primo, nel 1934, è sicuramente quello più pregnante per il suo giudizio : Ihering avrebbe qui affermato che quello che stava succedendo in Germania forse non era poi così diverso da quello che desideravano lui, Brecht e Piscator – soltanto ora tutto questo aveva un tratto nazionalista e militante. Egli si sarebbe dimostrato quindi ingenuamente convinto della possibilità di uno sviluppo interno del regime e di un’attenuazione dei suoi tratti più odiosi e avrebbe persino lodato alcuni aspetti della nuova politica teatrale :
« Loro fanno pure cose molto positive » mi disse, « e da noi il teatro commerciale (Geschäftstheater) era in ogni caso insostenibile e maturo per il declino », – mi raccontò alcune delle innovazioni organizzative dei Nazi nel campo teatrale, l’inclusione di tutto il popolo, degli strati prima estranei all’arte, della massa, la trasformazione del teatro da per le classi esclusive e civilizzate, a bisogno vitale e mezzo di educazione di tutto il popolo etc – e rispose alla domanda intorno al contenuto e allo spirito in cui stava avvenendo questa riorganizzazione, dicendo che questo si sarebbe certo , che questo sviluppo doveva essere accompagnato e che per questo valeva la pena di restare e di collaborare. 3
Nel secondo incontro avvenuto nel 1939, in Svizzera, dunque tre anni dopo aver subito l’interdizione dal giornalismo, il critico gli appare invece visibilmente mutato. Insicuro, provato e turbato Ihering avrebbe domandato al drammaturgo perché mai gli emigrati fossero così tanto adirati con lui, dal momento che non era un nazista e che anzi combatteva quotidianamente una battaglia già abbastanza dura. Un mutamento di atteggiamento che permette di ipotizzare che a una posizione inizialmente non del tutto ostile fosse subentrato, anche a causa delle vicende personali, un rifiuto più netto del nazionalsocialismo. Ma quest’ipotetico mutamento di opinione non dissolve certamente i dubbi sulla scelta di continuare a lavorare in Germania e di non esercitare un’opposizione più manifesta e evidente. Ihering ha veramente resistito al nazionalsocialismo nelle forme e negli spazi in cui ciò gli era consentito ? O non ha avuto di fatto il coraggio e la forza di prendere decisioni più ferme ed eclatanti ? Zuckmayer, nel suo dossier non ha certamente dubbi in proposito : « Se crede davvero di “combattere” ? Dava più l’impressione di uno sconfitto che si è dato per vinto ». 4 Ma non è dello stesso avviso Kaspar Königshof, il figliastro di Ihering. Dopo la pubblicazione nel 2002 dell’informativa, egli ha deciso di scrivere una risposta che, rimasta inedita, è stata illustrata recentemente dai già citati saggi di HerbstMeßlinger e Kirschstein. 5 Di fronte alle affermazioni di Zuckmayer che accusa Ihering di
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2 Cfr. ivi, p. 16. Ivi, p. 118. 4 Ivi, pp. 118-119. Ivi, p. 121. 5 Cfr. K. Herbst-Meß linger, Der Kritiker als Intellektueller, cit., pp. 56-57 e C. Kirschstein, Wendungen und Wandlungen (1933-1953), cit., pp. 114-115 e 130-131. Il testo di Kaspar Königshof è conservato presso l’archivio privato della vedova, Helga Königshof. 3
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non aver affatto lottato, Königshof risponde in modo piccato e si domanda cosa significhi questo generico richiamo alla “lotta” in relazione a un contesto, come quello del regime nazionalsocialista, in cui « una frase, una parola sconsiderata o un’opinione sfavorevole erano sufficienti per venire gettati a Plötzensee ». 1 Ma non è solo in questo modo che egli difende il patrigno, bensì anche raccontando un episodio di concreta resistenza : nell’ultimo periodo della guerra questi avrebbe nascosto e ospitato l’attore Blümner, quasi cieco, insieme alla moglie ebrea, oltre al critico teatrale Otto Galley che aveva disertato dalla Wehrmacht. 2 La scelta di rimanere in Germania durante il regime non sarebbe stata perciò motivata né da un’adesione al nazismo né tantomeno dalla mancanza di risolutezza, quanto dal tentativo di portare avanti, dall’interno, un discorso culturale immune dall’ideologia nazionalsocialista. Secondo il figliastro sarebbe stato proprio Brecht, durante un incontro avvenuto nell’estate del 1933, a far riflettere il critico sull’importanza della permanenza in Germania di coloro che, dopo la fine del nazismo, avrebbero potuto lavorare a una ricongiunzione con il cammino artistico e culturale bruscamente interrotto nel 1933. 3 Non è facile giudicare il valore storiografico della presa di posizione di Königshof, ma è certo che le sue parole rispecchiano le convizioni di Ihering, che, dopo la guerra, si è dimostrato convinto di aver esercitato una forma di resistenza non cedendo, nella conduzione della propria attività intellettuale, al nazismo :
Non ho mai ritenuto la mia attività più necessaria e più cara che nei due brevi anni presso il « Berliner Tageblatt ». Era di là da ogni vanità, dal momento che non poteva brillare ed era lontana da ogni intenzione di guadagno, dal momento che come i principianti venivo pagato caso per caso e secondo la lunghezza dell’articolo. Ma sapevo che c’erano soltanto poche persone che potevano scrivere, sapevo che la mia parola offriva un sostegno agli uomini di teatro e un incoraggiamento agli scrittori disperati in provincia. Già il livello era un’azione politica. 4
Il giudizio di Zuckmayer su Ihering è ridimensionato anche da un saggio di Dieter Mayer il quale sottolinea come dall’analisi degli scritti e dell’attività di Ihering, durante e dopo il nazionalsocialismo, emerga una sostanziale difformità rispetto al regime e ai suoi scopi. 5 Mayer critica inoltre il tentativo del drammaturgo di spiegare la posizione ambigua di Ihering facendola risalire a un orientamento anti-individualista e anti-borghese : questo ragionamento non sarebbe, infatti, altro che la riproposizione dell’argomento generalizzante con cui il pensiero conservatore e borghese cerca da sempre di far coincidere l’ideologia fascista e l’ideologia comunista. Ma se certo è vero che il ragionamento di Zuckmayer si regge su un argomento generalizzante, è però altrettanto vero che egli mette in evidenza alcuni aspetti che sono radicati profondamente nel pensiero di Ihering. L’insistenza verso
1 Cit. da K. Herbst-Meß linger, Der Kritiker als Intellektueller, cit., p. 56. Königshof intende qui il carcere di Plötzensee, situato a nord-ovest di Berlino, nei pressi del lago Plötzensee. Si calcola che durante gli anni del regime nazionalsocialista furono qui giustiziati oltre tremila prigionieri. L’edificio è divenuto oggi un luogo di ricordo delle vittime e ospita un centro di documentazione sul sistema giudiziario nazionalsocialista. 2 Cfr. C. Kirschstein, Wendungen und Wandlungen (1933-1953), cit., p. 131 e K. Herbst-Meß linger, Der Kritiker als Intellektueller, cit., p. 56. 3 Cfr. K. Herbst-Meß linger, Der Kritiker als Intellektueller, cit., pp. 56-57 e C. Kirschstein, Wendungen und Wandlungen (1933-1953), cit., pp. 114-115. Kirschstein nota come il richiamo a quest’incontro con Brecht e alla posizione espressa dal drammaturgo di Augusta in merito all’opportunità, per Ihering, di non emigrare, sia stato utilizzato da Ihering e dalla sua famiglia in diverse occasioni nel dopoguerra per rispondere agli attacchi e legittimare la scelta di rimanere in Germania durante il nazionalsocialismo [Cfr. ivi, p. 114]. 4 H. Ihering, Begegnungen mit Zeit und Menschen, cit., p. 167. 5 A sostegno di questa tesi Dieter Mayer mette in evidenza, in particolare, le strategie retoriche attraverso cui Ihering esercita, negli scritti composti fino al 1936, una forma di sottile opposizione. Il repertorio del Burgtheater tra il 1942 e il 1944 e l’attività culturale di Ihering dopo il 1945, costituirebbero, inoltre, secondo Mayer un’ulteriore prova della distanza del critico dal nazionalsocialismo. Cfr. D. Mayer, « ...gleichsam mit einer unsichtbaren Jakobinermütze » ? Der Theaterkritiker Herbert Ihering und seine Charakteristik in Carl Zuckmayers « Geheimreport », in C. Zuckmayer, Briefe an Hans Schiebelhuth 1921-1936 und andere Beiträge zur Zuckmayer-Forschung, Zuckmayer-Jahrbuch, vol. vi, Göttingen, Wallenstein, pp. 373-422.
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il superamento delle forme borghesi e individualizzanti è effettivamente presente negli scritti del critico. Non si può perciò escludere che egli, spinto da una suggestione estetica più che da un’ortodossia politica, abbia inizialmente sperato di poter veder realizzati alcuni punti della propria proposta socio-teatrale anche nel contesto del nuovo corso politico. Nonostante le evidenti prove di una sua distanza dal regime, non si può perciò negare l’esistenza di alcune zone d’ombra nel comportamento e nel pensiero del critico. 3. 5. 3. Vita e opere di Ihering dopo il 1945 Dopo la fine della guerra e del regime nazionalsocialista, Ihering dimostra di voler partecipare attivamente alla ricostruzione culturale tedesca : nel 1945 fa parte, per alcuni mesi, della commissione teatrale della Kammer der Kunstschaffenden (Camera degli artisti), 1 istituzione promossa dall’amministrazione militare russa, è inoltre tra i membri fondatori del Kulturbund zur demokratischen Erneuerung Deutschlands (Lega culturale per il rinnovamento democratico della Germania) e assume la posizione di capo-Dramaturg presso il Deutsches Theater, che ricoprirà fino al 1954, sotto la direzione di Gustav von Wangenheim prima e Wolfgang Langhoff poi. In questi anni gli vengono conferiti incarichi di prestigio presso l’Akademie der Künste di Berlino est, di cui diviene prima membro ordinario (1950) e, più tardi, segretario della sezione delle arti rappresentative (1956-1962). Riprende, nel frattempo, l’attività critico-teatrale forzosamente interrotta nel 1936, collaborando con riviste e quotidiani come la « Berliner Zeitung », il « Sonntag », « Theater der Zeit » e « Sinn und Form », e vi affianca la pubblicazione di monografie e raccolte come Berliner Dramaturgie, 2 Vom Geist und Ungeist der Zeit, 3 e Heinrich Mann. 4 Se si osservano con attenzione i nomi dei teatri, dei giornali e degli editori con cui Ihering collabora, emerge un dato piuttosto singolare : pur continuando a vivere anche dopo la divisione della Germania e la nascita nel 1949 della Repubblica Federale Tedesca (brd) e della Repubblica Democratica Tedesca (ddr) a Zehlendorf, un quartiere di Berlino ovest, il critico scrive e lavora quasi esclusivamente per la stampa e le istituzioni di Berlino est. Per svolgere la propria attività di Dramaturg al Deutsches Theater o per seguire le messinscene dei teatri dislocati nelle diverse zone deve, dunque, attraversare i confini che dividono la città in settori. Una realtà che riflette la sua posizione assolutamente peculiare nel contesto della Germania del secondo dopoguerra. Se da una parte Ihering è certamente più affine agli orientamenti politico-culturali della Germania est, dall’altra egli rifiuta di identificarsi completamente con essa e decide di restare una figura di confine, di soglia. Una scelta che è radicata nella sua intima e decisa opposizione alla divisione politica e istituzionale della Germania, una prospettiva che, a suo parere, avrebbe pregiudicato la costruzione di una nuova cultura tedesca democratica. 5 Proprio il tentativo di stimolare la nascita di questa nuova cultura democratica orienta l’impegno critico-teatrale di Ihering nel delicato periodo di passaggio che segue la fine del conflitto mondiale. Al teatro egli affida, infatti, una funzione nevralgica nel processo di formazione collettiva. Una strada che inizia, almeno nel percorso personale del critico, da una riscoperta produttiva del repertorio classico. È proprio con Nathan der Weise di Lessing, dramma della tolleranza e del dialogo, che il Deutsches Theater inaugura la prima
1 In proposito si veda C. Kirschstein, Wendungen und Wandlungen (1933-1953), cit., pp. 134-138. Sulla vicenda che portò Ihering a lasciare la commissione a seguito degli attacchi da parte di Oskar Goetz, responsabile stampa del segretario generale della Kammer, Martin Gericke, per il suo presunto opportunismo negli anni del nazionalsocialismo, si veda in particolare ivi, pp. 136-137. 2 Cfr. H. Ihering, Berliner Dramaturgie, Berlin, Aufbau, 1948. 3 Cfr. H. Ihering, Vom Geist und Ungeist der Zeit, Berlin, Aufbau, 1947. 4 Cfr. H. ihering, Heinrich Mann, Berlin, Aufbau, 1951. 5 Si veda in proposito un appunto redatto da Ihering probabilmente tra il 1948 e il 1949 : H. Ihering, [Die Einheit Deutschlands], in Id., Umschlagplätze der Kritik. Texte zu Kultur, Politik und Theater, cit. p. 259.
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stagione del dopoguerra. Una scelta simbolica che egli, capo Dramaturg del prestigioso teatro, illustra in un breve testo dell’ottobre del 1945 :
Egli [Lessing, N.d.T.] era tanto più avanti della propria epoca, quanto lo erano i migliori che avevano fatto progredire la borghesia nella lotta contro le corti e la nobiltà. Oggi il suo atteggiamento umano aiuta ad abbattere l’inverecondia di una dottrina razziale che ci aveva riportati molto più indietro del diciottesimo secolo e delle eresie superstiziose del medioevo. 1
Come già era stato negli anni venti, la rappresentazione del repertorio classico assume un ruolo strategico nell’esplicitazione della progettualità critico-teatrale di Ihering. 2 Ma se durante gli anni della Repubblica l’accento era posto sulla differenza tra il presente e il passato ed egli aveva invitato gli artisti teatrali a porsi in un rapporto critico con il passato facendo emergere la sua distanza, ora la questione assume un tono piuttosto diverso : non si tratta di lavorare sull’alterità dei classici, ma di riscoprire una radice su cui fondare una cultura collettiva purificata dal nazionalsocialismo. Non è più la suggestione di una tabula rasa a guidare la sua riflessione, bensì l’idea di una nuova forma di sobrietà realistica ben distinta, ovviamente, da ogni forma di superficiale naturalismo : 3
Non il soffio di un tempestoso entusiasmo può ricomporre le zolle che sono state rovesciate, ma solo uno spirito che ricominci a fare ordine a partire dalle fondamenta. Così oggi, alla svolta del destino tedesco, non c’è una gioventù caoticamente creatrice, ma la chiarezza dei classici che, per la prima volta da un centinaio di anni, sono diventati soggetto dell’ordine culturale e animato e non più oggetto di istruzione. E come nel diciottesimo secolo ma in modo più incisivo – perché riconosciuto e necessario – all’inizio c’è Lessing. 4
Dal linguaggio rivoluzionario e dalle tentazioni “barbariche” degli anni venti, Ihering passa, perciò, all’affermazione della necessità di un nuovo umanesimo. Un passaggio in cui rimane saldo e costante uno dei pilastri del suo pensiero teatrale, la convinzione della necessità che il teatro si faccia espressione viva delle forze storico-sociali che determinano il profilo della nuova epoca :
La ricostruzione significa rigenerare l’arte recitativa a partire dallo spirito dell’umiltà, significa rinfrescarla, ringiovanirla, semplificarla a partire dallo spirito dell’epoca e collegarla alle forze spirituali e sociali che sono chiamate a costruire una nuova Germania. 5
Il critico, pur nell’evoluzione del suo pensiero teatrale, resta dunque fedele all’idea di un teatro popolare e di massa, obiettivo che lo aveva spinto a prospettare una svolta sociologica della critica teatrale. Ora, in un intervento alla radio effettuato a più di vent’anni di distanza dalla pubblicazione del saggio sull’isolamento della critica teatrale, 6 egli dimostra un’eccezionale continuità di vedute insistendo sulla necessità che la critica si dedichi a fenomeni come l’operetta perché è qui che « inizia la formazione del gusto degli esseri umani, un gusto che poi diventa visione del mondo e modo di pensare [...] ». 7 Sebbene rispetto agli anni venti l’accento sia posto maggiormente sull’aspetto pedagogico ed educativo della scena, l’obiettivo continua a essere quello di un teatro che raggiunga la massa mantenendo, al contempo, intatto il proprio livello e le proprie ambizioni artistiche. E il punto di riferimento resta ancora Bertolt Brecht, per il cui ritorno il critico si era speso attivamente 8 e i cui drammi e le cui messinscene sono definite, in uno scritto del
1 H. Ihering, Lessing und Paul Wegener, in Id., Theater der produktiven Widersprüche : 1945-1949, BerlinWeimar, Aufbau, 1967, p. 8. 2 Cfr. H. Ihering, Reinhardt, Jessner, Piscator oder Klassikertod ?, cit. 3 4 Cfr. H. Ihering, Lessing und Paul Wegener, cit., pp. 9-10. Ivi, p. 7. 5 6 H. Ihering, Das andere Berlin, cit., p. 25. Cfr. supra, 3. 4. 4. 7 H. Ihering, Operette und Unterhaltung im Goethe-Jahr (1949), in Id., Umschlagplätze der Kritik. Texte zu Kultur, Politik und Theater, cit., p. 206. 8 Cfr. C. Kirschstein, Wendungen und Wandlungen (1933-1953), cit., pp. 139-140.
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1950, « il primo nuovo contributo della Germania al teatro mondiale dai tempi di Jessner e Piscator » :
Non si tratta soltanto di buone messinscene : queste ci sono sempre state e ci sono ancora. Si tratta invece niente meno che di affrontare al più alto livello i giochetti di stile e i tentativi di disgregazione compiuti da Sartre e Anouilh e di oppore ad essi un altro contenuto in un’altra forma. Si tratta di fare del teatro popolare (Volkstheater) senza abbandonare nemmeno un secondo le proprie pretese, e di rinnovare, con un solo gesto, il teatro politico e il teatro di intrattenimento. 1
L’idea di un’arte teatrale immediata e in grado di rivolgersi a tutta la comunità popolare appare dunque come il centro pulsante del pensiero teatrale del critico. Una prospettiva che si annuncia, intorno al 1910, con l’appoggio dato alla scena monumentale di Reinhardt, e che si conferma, l’indomani della rivoluzione, in un articolo sulla creazione dei teatri pubblici in cui il critico immagina un teatro del futuro simile a quello della Grecia antica. 2 Una prospettiva che acquisisce poi una complessità sociologica e politica e anima la sua militanza critica durante e dopo la Repubblica di Weimar. Ed è in questa prospettiva che egli inquadra il ruolo produttivo di una critica in grado di farsi promotrice e garante di una nuova arte teatrale, libera dalle tentazioni elitarie e, al contempo, immune dalla volgarizzazione commerciale. Contestualmente all’inasprimento dei rapporti tra le due Germanie seguito alla creazione di due stati autonomi, anche il ruolo politico-culturale di Ihering diventa gradualmente più marginale. Il critico riceve in questi anni numerosi riconoscimenti tra cui il Lessing-Preis della ddr (1955) consegnatogli dal ministro della cultura Johannes Robert Becher 3 e l’Heinrich-Mann-Preis (1968), e pubblica opere di grande importanza come la raccolta in tre volumi delle recensioni scritte tra il 1909 e il 1932, Von Reinhardt bis Brecht (1958-1961), 4 e la prima parte della sua autobiografia, Begegnungen mit Zeit und Menschen (1963). 5 Nel 1963 gli viene, inoltre, conferito il titolo di dottorato honoris causa dalla Humboldt Universität di Berlino e nel 1973 viene nominato socio d’onore dell’Akademie der Künste di Berlino est. Ma il suo attivismo e la sua centralità risultano, anche per ragioni anagrafiche, piuttosto ridimensionate. Nel 1974 di ritorno verso Berlino ovest dopo aver assistito a una prima al Berliner Ensemble cade rompendosi il femore, un incidente che lo costringe a limitare i propri spostamenti e le proprie frequentazioni teatrali. Muore pochi anni dopo, il 15 gennaio del 1977, nella sua casa di Zehlendorf, lasciando, con le sue battaglie teatrali e le sue riflessioni critiche, un segno indelebile nella storia del teatro tedesco.
3. 5. 4. Alfred Kerr, Herbert Ihering : il teatro tra poesia e lotta
Giunti al termine della ricostruzione della vita e dell’opera di Alfred Kerr e Herbert Ihering, se volgiamo lo sguardo al percorso finora compiuto, emerge, con grande evidenza, un dato fondamentale : l’attività e la riflessione dei due critici attraversa alcune delle stagioni più importanti della storia del teatro e della società contemporanei. Alfred Kerr inizia a scrivere sul finire dell’Ottocento : è centrale il suo confronto con il naturalismo berlinese
1 H. Ihering, Brecht und die Erneuerung des Theaters (1950), in Id., Umschlagplätze der Kritik. Texte zu Kultur, 2 Cfr. supra, 3. 4. 3., p. 171, nota 1. Politik und Theater, cit. p. 216. 3 Cfr. J. Becher, [Rede des Ministers Dr. h. c. Johannes Becher anlässlich der erstmaligen Verleihung des LessingPreises am 22 Januar 1955], « Sinn und Form », a. vii, n. 1, 1955, pp. 135-136. 4 Ai tre volumi della raccolta avrebbe dovuto aggiungersene un quarto, in cui veniva presentata una raccolta delle critiche scritte tra il 1945 e il 1956. Nonostante Ihering ne avesse concluso la preparazione, il lavoro non è mai stato pubblicato. Sulla questione si rimanda a S. Göschel, Grenzgänger und Weltenwanderer (1945-1977), cit., p. 243 e pp. 267-268. 5 Il critico aveva pianificato una autobiografia in più volumi di cui portò a termine e pubblicò, tuttavia, soltanto la prima parte, riguardante gli anni fino al 1918.
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di Otto Brahm e l’interesse per la psicologia e per l’inconscio che matura nella cultura tedesca ed europea alla svolta del secolo. Il suo soggettivismo critico e il suo atteggiamento polemico rispecchiano le tendenze estetizzanti e individualiste dell’epoca. Il suo stile sintetico e immediato, insieme all’elevato livello letterario dei suoi scritti, lo rendono una delle figure più straordinarie della critica teatrale del primo Novecento. Il debutto di Ihering avviene più tardi, nel 1909, nella Berlino dominata dal teatro di Max Reinhardt. Qui egli forma uno sguardo preciso e attento verso il carattere scenico del fare teatrale. Ma è negli anni venti che Ihering raggiunge la propria maturità, diventando, attraverso una critica attiva e militante, l’interprete più importante dell’esigenza della nascita di un teatro del futuro. Ihering è influenzato profondamente dal clima di cambiamento e di trasformazione di questi anni. La massa e il proletariato appaiono nei suoi scritti come il nuovo soggetto della storia e il suo pensiero è animato dalla suggestione di un superamento delle forme dell’individualismo borghese. Proprio negli anni della Repubblica di Weimar i due critici raggiungono il massimo della loro influenza e i loro modelli critico teatrali si scontrano dando origine a un duello memorabile. L’individualismo critico di Kerr e l’atteggiamento militante di Ihering sono strutturati intorno a temi e discorsi che sono nell’aria del loro tempo. Ma essi non recepiscono questi temi e questi discorsi in maniera meramente passiva. Nei loro scritti e nei loro interventi i due critici accolgono, infatti, gli stimoli dell’epoca e li elaborano in modo originale, problematizzandone i fondamenti in relazione ai mutamenti della scena e della società. È interessante vedere, ad esempio, come, negli anni della Repubblica di Weimar, il modello individualista ed estetico di Kerr accolga il discorso politico inserendolo in un umanesimo etico e morale presente fin da principio nei propri scritti. Altrettanto interessante è osservare come Ihering sia costretto a riformulare le aspettative di cambiamento radicale della società e del teatro nel contesto del regime nazionalsocialista e nella Germania divisa del dopoguerra, nella quale egli decide di rimanere una figura di soglia vivendo a Berlino ovest e lavorando a Berlino est. Attraverso la ricostruzione del pensiero e della vita di Alfred Kerr e Herbert Ihering è possibile, perciò, non soltanto cogliere uno spaccato della storia del teatro e della cultura in Germania, ma anche leggere il contributo che, ad essa, hanno dato due tra i più grandi critici teatrali tedeschi.
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APPENDICE ICONOGRAFICA
Fig. 1. Akademie der Künste, Berlin, Alfred-Kerr-Archiv, Nr. 550, fotografo sconosciuto. Alfred Kerr (1898).
Fig. 2. Akademie der Künste, Berlin, Fotosammlung-zum-deutschsprachigen-Theater, Nr. 1417, fotografo sconosciuto. Otto Brahm e Gerhart Hauptmann (senza data).
212
appendice iconografica
Fig. 3. Akademie der Künste, Berlin, Alfred-Kerr-Archiv, Nr. 1160, caricatura firmata con lo pseudonimo “Bubi”. Hermann Sudermann nelle vesti di Mosè con le Tavole della Legge. Poco distanti da lui si riconoscono (da sinistra) Siegfried Jacobsohn, Alfred Kerr e Maximilian Harden e, davanti a loro, il vitello d’oro. All’interno della caricatura, in basso a destra, sono riportati «I dieci comandamenti per critici», che ripropongono, ironicamente, le argomentazioni di Sudermann contro l’imbarbarimento della critica teatrale («Bühne und Brettl. Illustrirte Zeitschrift für Theater und Kunst», a. ii, n. 23, 15 dicembre 1902).
Fig. 4. Akademie Der Künste, Berlin, Alfred-Kerr-Archiv, Nr. 754, fotografo sconosciuto. Alfred Kerr nel suo appartamento (intorno al 1914).
appendice iconografica
213
Fig. 5. Akademie der Künste, Berlin, Alfred-Kerr-Archiv, Nr. 2729, caricatura di Walter Trier. Alfred Kerr rappresentato con la divisione in paragrafi numerati caratteristica dei suoi articoli (senza data né indicazioni bibliografiche).
Fig. 6. Akademie der Künste, Berlin, Herbert-Ihering-Archiv, Nr. 6772/2, fotografo sconosciuto. Herbert Ihering (intorno al 1908).
214
appendice iconografica
Fig. 7. Akademie der Künste, Berlin, Herbert-Ihering-Archiv, Nr. 6772/3, fotografo sconosciuto. Herbert Ihering (senza data).
Fig. 8. Akademie der Künste, Berlin, Fotosammlung-zum-deutschsprachigen-Theater, Nr. 1719/1, bozzetto di Otto Reigbert per la messinscena di Trommeln in der Nacht (Tamburi nella notte) di Bertolt Brecht, regia di Otto Falckenberg, Kammerspiele, Monaco, 1922.
appendice iconografica
215
Fig. 9. Akademie der Künste, Berlin, Fotosammlung-zum-deutschsprachigen-Theater, Nr. 1719/2, fotografo sconosciuto. Foto di scena di Trommeln in der Nacht (Tamburi nella notte) di Bertold Brecht, regia di Otto Falckenberg, Kammerspiele, Monaco, 1922.
Fig. 10. Akademie der Künste, Berlin, Alfred-Kerr-Archiv, Nr. 760, ritaglio di giornale. Alfred Kerr (a destra) insieme a Luigi Pirandello (al centro) e Max Pallenberg (1924).
216
appendice iconografica
Fig. 11. Akademie der Künste, Berlin, Herbert-Ihering-Archiv, Nr. 12670, fotografo sconosciuto. Da sinistra: Erwin Piscator con la moglie Hildegard Jurczyk, Herbert Ihering e Bertolt Brecht (intorno alla metà degli anni venti).
Fig. 12. Akademie der Künste, Berlin, Fotosammlung-zum-deutschsprachigen-Theater, Nr. 714/7, caricatura di Erich Schilling. Alfred Kerr, der Sechzigjährige (Alfred Kerr, il sessantenne). In didascalia: «Per una vita intera mi sono celebrato, ora mi celebrano finalmente anche gli altri» (pubblicata su «Simplicissimus», a. xxxii, n. 32, 7 novembre 1927).
appendice iconografica
217
Fig. 13. Akademie der Künste, Berlin, Fotosammlung-zum-deutschsprachigen-Theater, Nr. 714/4, autore sconosciuto. Fotomontaggio dei volti di Kerr (a destra) e Ihering (a sinistra) sulle statue del celebre monumento della città di Weimar dedicato a Goethe e Schiller. Nella scherzosa didascalia, intitolata Gli antipodi come Dioscuri, si parla di una presunta statua realizzata, per i due critici rivali, sul modello del monumento a Goethe e Schiller, con il contributo economico degli attori da loro criticati e fatta ergere davanti allo “Schwannekes Weinstuben” celebre locale letterario della Berlino degli anni venti (senza data né indicazioni bibliografiche).
Fig. 14. Akademie der Künste, Berlin, Alfred-Kerr-Archiv, Nr. 533, fotografo sconosciuto. Alfred Kerr (1941).
218
appendice iconografica
Fig. 15. Akademie der Künste, Berlin, Herbert-Ihering-Archiv, Nr. 6774/1, fotografia di Richard Wesel. Herbert Ihering e Emil Jannings (intorno al 1943).
Fig. 16. Akademie der Künste, Berlin, Ernst-Busch-Archiv, Nr. 2580, ritaglio di giornale. Kerr a Zurigo all’incontro annuale del PEN a fianco di Ignazio Silone e della moglie Darina Laracy (1947).
appendice iconografica
219
Fig. 17. Akademie der Künste, Berlin, Herbert-Ihering-Archiv, Nr. 12618/1, fotografo sconosciuto. Herbert Ihering e Bertolt Brecht (1949).
Fig. 18. Stiftung Stadtmuseum Berlin, fotografia di Eva Kemlein. Erwin Piscator, Herbert Ihering e Ernst Busch a Berlino (febbraio 1964).
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INDICE DEI NOMI
Adamski, H., 22 e n, 59n, 104n, 107n, 109 e n, 114n, 116n, 117n, 120n, 140n. Agamben, G., 35n. Alberti, C. (pseudonimo di C. Sittenfeld), 112 e n, 113. Albrecht, W., 31n. Alonge, R., 28n. Altmann, G., 128n. Ammer, K. L. (pseudonimo di K. A. Klammer), 161n. Anouilh, J. M. L. P., 197. Antoine, A., 89. Anz, T., 22 e n, 26n, 36n, 41n, 106n, 180n. Appia, A., 116. Aristofane, 108. Aristotele, 32n, 44.
Baasner, R., 22 e n, 26 e n, 31 e n, 36 e n,
41n, 106n, 180n. Bab, J., 139-140, 175 e n, 176, 177n. Bahr, H., 57n, 63 e n, 64 e n, 78 e n, 131. Bainton, R., 87n. Ball, G., 27n, 28n. Barlach, E., 141, 158n. Barnowsky, V., 137. Bassermann, A., 136, 147n, 157n. Becher, J. R., 197 e n. Beck, K. ,157n. Becker, P. von, 131n. Behrman, S. N., 187n. Benjamin, W., 35 e n, 39 e n, 139n, 167n, 173n. Berman, R. A., 22 e n, 23 e n, 46 e n, 47, 48 e n, 49n, 50 e n, 56n, 103 e n, 181 e n. Bernauer, R., 129 e n. Bie, O., 136. Bie, R., 177 e n. Biener, J., 21 e n, 132n, 143n, 148n, 154n. Birke, J., 29n. Bismarck, O. von, 52. Bisson, A., 67. Björnson, B., 89. Bloch, E., 139n. Blumenthal, O., 61, 91, 109. Blümner, R., 194. Bock, H., 43n. Boetzkes, M., 144n. Bogner, R. G., 26n, 27n. Bonesio, L., 167n. Bonfatti, E., 28n. Bontempelli, P. C., 58n, 64n.
Börne, L. (pseudonimo di J. L. Baruch), 4142, 43 e n, 44 e n, 47, 50, 62, 98. Borutti, S., 64n. Böttiger, K. A., 37. Brahm, O. (pseudonimo di O. Abrahamson), 15-16, 19, 51, 53, 54 e n, 55 e n, 56 e n, 5859, 60 e n, 62, 71, 78-79, 82, 84, 85n, 87n, 88, 89 e n, 90 e n, 91 e n, 92-94, 95 e n, 96 e n, 97, 98 e n, 99, 101-102, 113, 125, 148, 151, 153-154, 169 e n, 198. Braun, E., 130n. Brauneck, M., 34n, 37n, 95n, 143n, Brecht, B., 16, 19-20, 44, 136, 140-141, 143, 150 e n, 156 e n, 157 e n, 158 e n, 159, 160 e n, 161 e n, 162 e n, 163, 165-166, 170-171, 173n, 175, 177 e n, 178 e n, 183, 191-193, 194 e n, 196. Brentano, C. M., 36, 60n. Brocke, B. vom, 58n. Brockett, O. G., 30n. Bronnen, A., 140-141, 156 e n, 157 e n, 158 e n, 159 e n, 160-161, 162 e n, 164, 169, 171. Bruckner, F. (pseudonimo di T. Tagger), 161n. Bruno, G., 108. Brust, A., 157n. Buonarroti, M., 121n.
Calderón de la Barca, P., 34, 36.
Calé, H., 57. Canetti, E., 140 e n. Carlyle, T., 92. Carpitella, M., 130n. Casanova, G. G., 118n. Casimir, T., 130n. Cassirer, P., 72, 130. Čechov, A. P., 68. Chapiro, J., 57 e n, 66n, 141n, 187n. Chiarini, P., 30n, 33 e n, 143n, 144n. Chopin, F. F., 68. Clewing, C., 134n. Corneille, P., 28, 32. Cotta, J. F., 41. Craig, E. G., 101-102, 116. Cristo, 168. Cronegk, J. F. von, 30n.
D
’Annunzio, G., 93. Davico Bonino, G., 28n. Deutsch, E., 145. De Vecchi, C., 35n.
222
indice nomi
Diebold, B., 57n, 66n, 67 e n, 175 e n, 176n. Dietze, W., 43n. Dilthey, W., 58, 64n. Dombrowsky, E., 135n. Döring, T., 49. Dove, R., 185n. Dovifat, E., 48 e n, 139n. Dreyer, M., 105. Droysen, J. G., 64n. Dübgen, V., 144n. Dumas, A., 161n. Durieux, T., 129 e n, 130 e n. Dussel, K., 41 e n, 45n, 46n, 138n.
E
bbinghaus, H., 58. Eberle, O., 26 e n. Ebert, F., 138n. Elbin, G., 158n. Eloesser, A., 58, 125. Engel, F., 114 e n, 115 e n, 119 e n, 120 e n, 140, 159 e n. Enzensberger, H. M., 44n. Epimenide, 70. Eschilo, 100n. Euclide, 32n. Eulenburg-Hertefeld, P. zu, 70n. Euripide, 30n, 108. Ewen, F., 157n. Eysoldt, G., 94.
F
aktor, E., 135n, 136 e n, 137, 141. Falk, N., 140. Fazio, M., 54n, 85n, 95n, 96n, 145n, 155n, 169n. Fechter, P., 140. Federico Guglielmo IV (re), 36. Fetting, H., 23, 24n, 145n, 159n, 160n. Fichte, J. G., 36. Flaubert, G., 129 e n. Fliedl, K., 103 e n. Fontane, T., 46-48, 49 e n, 50 e n, 51 e n, 55, 56 e n, 57n, 63, 125, 139. Frenzel, K., 46, 47 e n, 48, 50, 54, 60, 81. Freud, S., 59n. Frisé, A., 69n. Fuchs, G., 116. Fulda, L., 61 e n, 91-92, 105. Fürbeth, F., 58n.
Galley, O., 194.
Garvens, O., 185n. Gay, J., 166. Geisthövel, A., 41n. Gericke, M., 195n. Gerlach, H. von, 185n. Germanese, D., 65 e n, 67n, 72 e n, 129n, 130n.
Gierlinger, M., 186n. Giesing, M., 144n. Giorgio II di Sassonia-Meiningen, 89n. Girshausen, T., 144n. Glassbrenner, A., 49. Goebbels, J., 184 e n, 185 e n, 191. Goethe, J. W. von, 33n, 36-37, 41, 44. Goetz, O., 195n. Goetz, W., 59n. Goldmann, P., 116n, 118 e n, 119n, 120 e n, 121n. Gorki, M. (pseudonimo di A. M. Peškov), 68, 94, 180n. Göschel, S., 21n, 128n, 189n, 197n. Gottsched, J. C., 27, 28 e n, 29 e n, 30-33, 38, 47, 54, 101, 116. Gozzi, C., 36. Grazioli, C., 144n. Greve, L., 144n. Grimm, J. L. K., 34. Grimm, W. K., 34. Großheim, M., 167n. Gsell, R., 177 e n. Gubitz, F. W., 49. Guglielmo II (imperatore), 70n, 137. Guillemin, B., 173 e n. Günther, J., 39n. Gurk, P., 158. Guttenbrunner-Zuckmayer, M., 157n. Gutzkow, K., 42 e n, 46-47.
Haarmann, H., 21n, 185n.
Haas, W., 187n, 189n. Halbert, A., 117 e n. Harden, M. (pseudonimo di F. E. Witkowski), 70 e n, 71 e n, 104 e n, 105, 108 e n, 109 e n, 111 e n, 114, 115 e n, 116 e n, 118 e n, 120, 135n. Hart, H., 51, 52 e n, 53 e n, 54. Hart, J., 51, 52 e n, 53 e n, 54, 139. Hartlaub, G. F., 155. Hartleben, O. E., 67, 71n. Hasenclever, W., 17. Hass, H.-E., 187n. Hauptmann, G., 53, 57n, 58-60, 62, 79-83, 86, 87 e n, 88-89, 99, 105, 134, 141, 143, 149n, 154, 169, 187 e n. Hauptmann, I., 189n. Haym, R., 60n. Hebbel, C. F., 84. Hecht, W., 35n, 150n. Hegel, G. W. F., 41. Heilborn, E., 59. Heine, H., 41-42, 44 e n, 86n, 98, 185. Henschel , G., 130n. Hensel, F. S., 30.
indice nomi Herbst-Meßlinger, K., 21n, 136n, 173n, 189n, 190n, 191 e n, 192 e n, 193 e n, 194n. Herrmann, M., 20, 116 e n, 125, 141, 175n. Herskovics, I., 21 e n, 129n, 132n, 135n, 141n, 143n, 148n. Heyse, P., 56. Hindemith, P., 136. Hitler, A., 16-17, 138, 184, 187 e n, 188. Hoffory, J., 58. Hofmannsthal, H. von, 79, 93-94. Hohendahl, P., 23n, 181n. Hölderlin, J. C. F., 33, 37, 118n. Hollaender, F., 100n, 125, 160. Holz, A., 60n, 61n, 81 e n. Höppner, W., 58n. Horn, A., 21 e n, 68n, 78n, 100n. Horwitz, L., 117 e n. Huder, W., 185n, 186n. Hugenberg, A., 138 e n, 139, 141.
Ibsen, H., 53, 58, 61, 79-84, 86 e n, 87 e n, 8890, 94, 99, 143, 154, 158, 161, 169. Iffland, A. W., 37, 90. Ihering, G., 123. Ihering, R. von, 123 e n. Immermann, K., 44. Ingendaay, P., 130n. Ionesco, E., 20.
Jacobs, M., 59, 139.
Jacobsohn, S., 70 e n, 71 e n, 94, 105, 109 e n, 110 e n, 114, 120 e n, 125, 126 e n, 129, 130n, 131 e n, 134n, 135 e n, 172. Jagow, T. von, 72, 128, 129 e n, 130 e n, 131n, 146. Jahnn, H. H., 157n. Janin, J., 48. Jannings, E., 190 e n. Jaron, N., 23 e n, 60n, 79n, 81n, 91 e n, 94n. Jasper, W., 42n. Jessner, L., 16-17, 140, 144 e n, 145 e n, 155, 162, 197. Johst, H., 157, 192. Jünger, E., 167n.
K
ahane, A., 100n. Kainz, J., 89n, 146n, 147 e n. Kaiser, G., 17, 155, 159. Kant, I., 168. Käsler, D., 88n. Kayser, R., 141. Keitel, W., 50n. Kempner, E., 57. Kempner, F., 57. Kempner, R. M., 188n. Kerr, A. J., 77n, 186 e n.
223
Kerr, M., 77n, 186n, 189n. Keyserling, E. von, 91. Kiaulehn, W., 139 e n. Kirschstein, C., 21n, 189n, 190n, 192n, 193 e n, 194n, 195n, 196n. Klaar, A., 133, 139, 145 e n. Kleist, H. von, 33, 37, 67, 94, 109n, 118n, 124. Klingemann, E. A., 125. Klöpfer, E., 148 e n. Knickmann, H., 70n. Knopf, Jan, 150n. Knopf, Julius, 159 e n. Koberg, R., 95n. Koch, G., 40n. Koebner, T., 21n, 185n. Kohn, H., 185n. Kolb, E., 137n, 155n, 165 e n. Kommer, R., 186 e n, 187n. König, C., 58n. Königshof, H., 193n. Königshof, K., 136n, 193 e n, 194 e n. Königshof, L., 136n. Köpp, C. F., 37n. Köppen, F., 176 e n. Korda, A., 185n. Kornfeld, P., 154 e n, 155, 157, 163. Kortner, F., 134, 142 e n, 143 e n, 145. Koszyk, K., 45n, 138n. Kotzebue, A. von, 37, 90, 107n. Kracauer, S., 139n. Kranz, H., 182. Kraus, K., 65n, 70 e n, 71, 125, 130 e n, 143. Krauss, W., 145, 148 e n. Krechel, U., 21 e n, 132n. Krupp, F., 106n. Kuhns, D. F., 144n. Kurtz, R., 121, 122n.
L
ange, A., 134n. Langhoff, W., 195. Lantz, A., 134n. L’Arronge, A., 89 e n, 92. Laube, H., 42 e n, 152. Lawinky, T., 20. Lemaître, J., 63. Lenin (pseudonimo di V. Il’ič Ul’janov), 180. Lessing, G. E., 15, 19, 27, 29, 30 e n, 31 e n, 32 e n, 33 e n, 34 e n, 39, 44, 47, 53, 58, 82, 84, 85n, 90, 139, 195-196. Liebknecht, K., 137. Lindau, P., 48, 49n, 52-53, 63, 109. Lingnau, F. I., 21 e n, 128n, 133n, 134n, 189n. Lossen, L., 147n. Lucka, E., 121 e n. Ludendorff, E., 138.
224
indice nomi
Ludwig, O., 84. Lukács, G., 141. Lutero, M., 102, 108. Luxemburg, R., 137.
M
achatzke, M., 187n. Maeterlinck, M., 79, 83-84, 93. Mann, H., 185n. Mann, K. 192n. Marcuse, L., 43n, 176 e n. Maren-Grisebach, M., 154n. Marinetti, F. T., 128. Marlitt, E., 107. Marlowe, C., 161, 171. Martin, K. H., 17. Martini, F., 54n. Marx, P., 106n. Matthias, K., 104n. Mauthner, F., 60, 71. Mayer, D., 194 e n. Mayer, H. 35n, 143n. Meinhard, C., 129 e n. Mejerchol’d, V. E., 128. Mendelssohn, P. de, 138n. Mendelssohn, M., 31n. Merschmeier, M., 25, 26n, 27 e n, 28n, 33 e n. Metternich, K. von, 40. Mitchell, M. P., 29n. Mittenzwei, W., 150n. Möhrmann, R., 23 e n, 60n, 79n, 81n, 91 e n, 94n. Moissi, A., 136n. Möller, E. W., 190. Molnar, F., 67. Mosse, R., 45. Mozart, W. A., 57. Mühr, A., 140, 178, 179 e n. Müller, H., 23 e n, 60n, 79n, 81n, 91 e n, 94n. Müller, H. –H., 58n. Müller, K. D., 150n. Müller, L., 131n. Müllner, A., 36, 39, 40 e n, 44, 50. Mundt, T., 42 e n. Münzenberg, W. 138. Musil, R., 69n. Mussolini, B., 187. Mylius, C., 30.
N
apoleone Bonaparte, 185n. Nessler, V., 62. Nestriepke, S., 175n. Neuber, F. C., 28, 101. Neuber, J., 28, 101. Neumann, H., 70n. Neumann, M., 70n. Neumann-Hofer, O., 60, 109.
Nickel, G., 22 e n, 35n, 49n, 58n, 70n, 98 e n, 104n, 114n, 126n, 192n. Nicolai, F., 31n. Nietzsche, F. W., 85, 118n, 141, 167n, 168. Nordau, M. (pseudonimo di S. M. Südfeld), 119 e n, 120n. Nordhausen, R., 110 e n, 113, 114 e n. Noske, G., 137. Novalis (pseudonimo di G. F. P. von Hardenberg), 36.
O
hmann, O., 128n. Osborn, M., 59, 139. Ossietzky, K. von, 126n. Otten, N., 185n.
Pascal, R., 82 e n, 86n.
Pfemfert, F., 131 e n. Pfohlmann, O., 106n, 180n. Philippi, F., 105. Pias, C., 78n. Pirchan, E., 145. Piscator, E., 16-17, 136, 140, 142, 156, 162165, 177, 179-180, 183, 191-193, 197. Podak, K., 70n. Poelzig, H., 147. Polgar, A., 172. Preisler, H., 38 e n.
Queck, M., 144n. Reich, B., 161n.
Reich-Ranicki, M., 59n. Reinhardt, E. (pseudonimo di E. Goldmann), 93. Reinhardt, M. (pseudonimo di M. Goldmann), 15-16, 20, 71, 79, 89n, 92, 94, 95 e n, 96 e n, 97, 98 e n, 99, 100 e n, 101-102, 116, 125-126, 128, 129 e n, 133, 145 e n, 147 e n, 186n, 197-198. Reinisch, L., 139n. Renaudot, T., 45n. Requate, J., 46n. Rickert, H., 114. Rieck, A., 150. Rimbaud, A., 161n. Rix, W. T., 104n. Robert, E., 68 e n. Röcke, W., 58n. Roland von Berlin (pseudonimo di L. Leipziger), 106n. Roll, E., 69n. Roth, J., 139n, 188 e n. Rühle, G., 19 e n, 21n, 23 e n, 65n, 130n, 136n, 142n, 143n, 144n, 145n, 155n, 156 e n, 157n, 158n, 159n, 161n, 176n, 187 e n.
indice nomi Rühle, M., 21n. Rundt, A., 134 e n.
S
agnol, M., 168 e n. Saphir, M. G., 103n. Sarcey, F., 63. Sardou, V., 161. Sartre, J.-P., 197. Savonarola, G., 108. Schartel, W., 185n. Schebera, J., 138n, 139n, 145n, 166n. Scheidemann, P., 137. Schelling, F. W. J., 36. Scherer, W., 53, 58 e n, 59 e n, 82. Scherl, A. H. F., 45. Schiller, J. C. F, 19, 33n, 37, 41, 43, 47, 85n, 113, 124, 145, 155. Schlaf, J., 60n, 61n, 81 e n. Schlegel, A. W. von, 35 e n, 36 e n. Schlegel, F. von, 31, 35 e n, 36 e n, 37, 38 e n, 41, 44, 102. Schlenter, P., 19, 60n, 62, 71, 114n, 125, 135 e n. Schlösser, R., 190. Schmidt, E., 53, 58 e n, 59 e n, 60, 82, 91n, 125, 139. Schmidt-Dengler, W., 103n. Schmieding, W., 180 e n. Schnack, A., 176 e n. Schneider, H., 21 e n, 72n, 143n. Schnitzler, A., 61 e n, 62 e n, 83, 141. Schoenaich, P. von, 185n. Schöllmann, T., 68n, 98n. Schöne, L., 21 e n, 40n, 57n, 68n, 124 e n, 132n, 143n. Schrader, B., 138n, 139n, 145n, 166n. Schrön, J., 70n, 192n. Schumann, R., 67n. Seeler, M., 157 e n, 158 e n. Sekulic, L., 26n, 42n. Sembdner, H., 158n. Servaes, F., 159 e n, 177n. Shakespeare, W., 31-32, 34, 36 e n, 38, 101102, 113, 163, 171. Shaw, G. B., 57n, 141, 143, 187 e n. Shearier, S., 145n. Siebenhaar, K., 21n, 185n. Simmel, G., 167n. Singer, W., 104 e n. Skreb, Z., 26n. Socrate, 30, 108. Sofocle, 36. Sorma, A., 89n. Spengler, O., 168 e n. Spitzer, L., 78n. Sprengel, P., 187n.
225
Stadelmaier, G., 20 e n, 70 e n. Stanislavskij, K. S., 83. Stegemann, B., 95n. Steindorf, U., 161. Stendardo, L., 145n. Stendhal (pseudonimo di H. Beyle), 118n. Stern, F., 186n. Sternaux, L., 177 e n. Sternheim, C., 134, 159. Stöber, R., 27n, 45n. Straub, A., 134. Straub, S., 130n. Strauss, R., 126, 142n. Stravinskij, I. F., 136. Streitler, N. K., 103n. Strindberg, A., 58, 86n, 89, 93. Strobel, E., 136. Strobel, J., 35 e n, 37n, 38n. Stümcke, H., 117 e n. Stüssel, K., 49n, 51 e n. Sudermann, H., 61, 70n, 71, 75, 90-92, 102103, 104 e n, 105, 106 e n, 107 e n, 108 e n, 109, 110 e n, 111 e n, 112 e n, 113, 114 e n, 115-116, 117 e n, 120n, 121n, 143.
T
alma, F.-J., 43. Tateo, G., 63n. Täubert, K., 136n, 137 e n. Theobald, W., 27n, 48 e n. Thoma, L., 67. Thomasius, C., 26-27. Thomsen, H., 95n. Thormählen, I., 77 e n. Tieck, L., 36 e n, 37 e n, 38 e n, 39, 44. Todorov, T., 34, 35n. Todorow, A., 48n. Toller, E., 16, 144 e n, 161, 162 e n, 163, 181182, 188 e n. Tolstoj, L. N., 93, 118n, 134. Tralles, B. L., 58. Troeltsch, E., 176n. Tschörtner, H. D., 187n. Tucholsky, K., 126n.
Ueding, C., 22n.
Ueding, G., 22n, 48n.
V
alentin, K., 128. Vicentini, C., 30n. Viertel, B., 159n. Vietor-Engländer, D., 21n, 65n, 161n, 186n, 187n. Villon, F., 161n.
W
agner, R., 57. Walther, H. 144n.
226 Wangenheim, G. von, 195. Weber, M., 88n. Wedekind, F., 79, 93, 101, 131. Wegener, P., 125. Weigel, A., 70n. Weill, K., 136, 166. Weininger, O., 121n. Weissmann, J., 77n, 188 e n. Welk, E., 180. Wellek, R., 22 e n, 41 e n, 42n, 44 e n. Wendler, K., 185n, 186n. Werner, Z., 39. Wiegler, P., 59. Wienbarg, L., 42. Wilde, O., 93, 126. Wildenbruch, E. von, 50. Wilke, J., 48n. Willet, J., 143n.
indice nomi Windelband, W., 64n. Woerner, R., 124. Wohl, J., 43. Wolf, F., 183. Wolff, T., 135 e n, 139, 141. Wölk, T., 185n. Wulf, J., 184n.
Z
eiss, K., 134 e n. Zens, M., 41 e n, 42n. Zimpel, H., 57. Zinke, K., 136n. Zmegac, V., 26n, 42n. Zoff, O., 136. Zuckmayer, C., 157n, 161, 175, 192 e n, 193, 194 e n. Zweig, A., 185n. Zweig, S., 118 e n, 119n.
composto in carattere old style serra dalla fabrizio serra editore, pisa
·
roma.
impresso e rilegato in italia nella tipografia di agnano, agnano pisano
( p i s a ).
* Febbraio 2016 (cz2/fg13)
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B I B LIOT ECA D I D R AM M ATURGI A c o l l ana d ir e tta d a a nnamari a cas cetta 1. Fabrizio Fiaschini, L’«incessabil agitazione». Giovan Battista Andreini tra professione, cultura e religione, 2006, pp. 220, con figure in bianco / nero (studi). 2. Il corpo glorioso. Il riscatto dell’uomo nelle teologie e nelle rappresentazioni della resurrezione, Atti del II Simposio internazionale di studi sulle Arti per il Sacro, Roma, Pontificia Università Lateranense, 6-7 maggio 2005, a cura di Claudio Bernardi, Carla Bino, Manuele Gragnolati, 2006, pp. 160, con figure in bianco /nero (materiali). 3. Roberta Carpani, Scritture in festa. Studi sul teatro tra Seicento e Settecento, 2008, pp. 168, con figure in bianco / nero (studi). 4. Arianna Frattali, Presenze femminili fra scena pubblica e privata. Drammaturgia e salotto nel Settecento lombardo-veneto, 2010, pp. 192, con 6 figure in bianco / nero (studi). 5. Laura Aimo, Mimesi della natura e Ballet d’action. Per un’estetica della danza teatrale, 2012, pp. 216, con figure a colori e in bianco / nero (studi). 6. Claudio Bernardi, Agenda aurea. Festa, teatro, evento, 2012, pp. 252, con figure in bianco / nero (studi). 7. Alessandra Mignatti, Città e potere in scena. Ritualità e cerimoniali nella Milano della prima metà del Settecento, 2013, pp. 192, con figure a colori e in bianco / nero (studi). 8. Greta Salvi, Scenari di libertà. Teatro e teatralità a Milano durante il Triennio Cisalpino (1796-1799), 2015, pp. 248, con figure in bianco / nero (studi). 9. Emanuele De Luca, «Un uomo di qualche talento». François Antoine Valentin Riccoboni (1707-1772) : vita, attività teatrale, poetica di un attore-autore nell’Europa dei Lumi, 2015, pp. 290, (studi). 10. Tancredi Gusman, L’arpa e la fionda. Kerr, Ihering e la critica teatrale tedesca tra fine Ottocento e il nazionalsocialismo, 2016, pp. 232 (studi).