Tigri con le ali. La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare 9788825538588

A partire dalla morte di Mao Zedong nel 1976 la Cina sperimentò una trasformazione epocale. La fazione denghista in asce

202 55 1018KB

Italian Pages [172] Year 2021

Report DMCA / Copyright

DOWNLOAD PDF FILE

Table of contents :
11 Prefazione di Andrea Carteny 13 Introduzione21 Capitolo I Dalla morte di Mao alla guerra del 1979 1.1. La Repubblica Popolare Cinese nel 1976, 21 – 1.1.1. Il contesto strategico, 21 – 1.1.2. Il programma nucleare, 25 – 1.1.3. L’eredità ideologica e strategica del l ’ e ra maoista, 31 – 1.1.4. Il dibattito strategico nella prima metà degli anni Settanta, 38 – 1.2. La morte di Mao e l’interregno, 42 – 1.2.1. Verso il Terzo Plenum, 49 – 1.2.2. La politica estera dell’interregno: continuità e discontinuità, 51 – 1.2.3. La politica di difesa durante la coabitazione, 54 69 Capitolo II Dalla guerra del 1979 al Congresso del 1982 2.1. Verso l’egemonia di Deng, 69 – 2.1.1. La minaccia sovietica nel calcolo stra te-gico cinese, 77 – 2.1.2. Il contrappeso americano e la cooperazione tra Washingto n e Pechino, 84 – 2.2. La politica di difesa di Deng Xiaoping, 89 – 2.2.1. Il dibattito sulla modernizzazione militare, 89 – 2.2.2. I primi passi verso un nuovo EPL, 95 – 2.3. La politica nucleare di Deng Xiaoping, 100 111 Capitolo III Dal Congresso alla riunione allargata del 1985 3.1. Il fervore riformista della nuova leadership, 111 – 3.1.1. Il nuovo corso della politica cinese, 111 – 3.1.2. Una nuova politica estera per Pechino, 115 – 3.2. La politica di difesa del Dodicesimo Comitato Centrale, 126 – 3.2.1. Un ambiente stra -tegico in mutamento, 126 – 3.2.2. Nuove linee guida strategiche per la Cina, 128 – 3.3. La politica nucleare nell’era delle riforme, 134 141 Conclusioni 151 Postfazione di Simone Dossi 155 Bibliografia
Recommend Papers

Tigri con le ali. La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare
 9788825538588

  • Commentary
  • decrypted from 1AAA395965485389AF94C09CE36C0B71 source file
  • 0 0 0
  • Like this paper and download? You can publish your own PDF file online for free in a few minutes! Sign Up
File loading please wait...
Citation preview

NAZIONALISMI, STORIA INTERNAZIONALE E GEOPOLITICA COLLANA DI STUDI STORICI E POLITICO–SOCIALI

13

Direttore Antonello Folco Biagini Sapienza – Università di Roma

Coordinamento scientifico Giovanna Motta Sapienza – Università di Roma

Andrea Carteny CEMAS Sapienza – Università di Roma

Comitato scientifico Arshin Adib–Moghaddam

Stefano Bianchini

SOAS – University of London

Alma Mater Studiorum – Università di Bologna

John Etherington

Nicola Boccella

Universitat Autònoma de Barcelona

Sapienza – Università di Roma

Lucian Nastasa˘ Kovács

Edoardo Boria

Universitatea Babes¸–Bolyai

Sapienza – Università di Roma

Paul Miller

Umberto Gentiloni

McDaniel College

Sapienza – Università di Roma

Luis Tomé

Oreste Massari

Universidade Autónoma de Lisboa

Sapienza – Università di Roma

Natalya V. Trubnikova

Giuseppe Motta

Tomsk Polytechnic University

Sapienza – Università di Roma

Filipe Vasconcelos Romão

Daniele Pompejano

Universidade Autónoma de Lisboa

Università degli Studi di Messina

Biljana Vucetic Institute of History – Belgrade

Segreteria redazionale Gabriele Natalizia Sapienza – Università di Roma

Comitato redazionale Stefano Pelaggi

Shirin Zakeri

Sapienza – Università di Roma

Sapienza – Università di Roma

Roberto Sciarrone

Elena Tosti Di Stefano

Sapienza – Università di Roma

Sapienza – Università di Roma

Nadan Petrovic Sapienza – Università di Roma

NAZIONALISMI, STORIA INTERNAZIONALE E GEOPOLITICA COLLANA DI STUDI STORICI E POLITICO–SOCIALI

Stato, nazione e nazionalismo sono categorie che nascono nell’alveo della modernità occidentale e caratterizzano la storia successiva anche del resto del mondo. Con la fine della Guerra fredda, tuttavia, nel dibattito scientifico di sovente sono state presentate come strumenti d’analisi superati dal tempo. A distanza di un quarto di secolo, la verifica empirica ci dice che, nonostante alcune trasformazioni, rimangono centrali nel vocabolario politico e si innestano all’interno di processi complessi che abbracciano anche le sfere dell’economia, della società e della cultura. La sovrapposizione con le contemporanee dinamiche di integrazione sovranazionale e di interdipendenza economica, infatti, non ne hanno segnato il tramonto. Piuttosto ne hanno favorito un’evoluzione che assume caratteristiche e contenuti specifici nei differenti quadranti geopolitici, rendendo inutilizzabile il concetto di “globalizzazione” e favorendo il ricorso a quello di “regionalizzazione”. La riflessione su questi temi non può prescindere da un’analisi storica delle componenti strutturali e contingenti che influenzano la formazione delle identità nazionali e da uno studio dei fattori politico–internazionali che ne determinano i percorsi e le trasformazioni. La collana, quindi, si pone l’obiettivo di analizzare tali tematiche attraverso un approccio multidisciplinare, che spazia dalla prospettiva della storia internazionale, a quella della geopolitica, passando per gli studi di relazioni internazionali e quelli sui nazionalismi. I contributi scientifici sono realizzati con il supporto e il coordinamento del CEMAS – Centro interdipartimentale di Ricerca “Cooperazione con l’Eurasia, il Mediterraneo e l’Africa sub–sahariana” di Sapienza – Università di Roma. Ogni volume è stato sottoposto a peer review.

Pubblicato con il supporto del Centro di ricerca “Cooperazione con l’Eurasia, il Mediterraneo e l’Africa subsahariana, CEMAS” (2019-1-PL01-KA203-065644) di Sapienza Università di Roma e con la collaborazione del Centro Studi Geopolitica.info.

Il volume è stato sottoposto a double blind peer-review.

Lorenzo Termine

Tigri con le ali La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare

Aracne editrice

Copyright © MMXXI

isbn 978-88-255-3858-8

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. Prima Edizione Roma aprile 2021

Armato del pensiero di Mao Zedong e d i armi tecnologicamente avanzate, l’esercito popolare sarà come una tigre con le a li e sarà invincibile. Gruppo teorico dell'Ufficio nazionale dell'industria della difesa, 1977

Indice 11

Prefazione di Andrea Carteny

13

Introduzione

21

Capitolo I Dalla morte di Mao alla guerra del 1979 1.1. La Repubblica Popolare Cinese nel 1976, 21 – 1.1.1. Il contesto strategico, 21 – 1.1.2. Il programma nucleare, 25 – 1.1.3. L’eredità ideologica e strategica dell’ era maoista, 31 – 1.1.4. Il dibattito strategico nella prima metà degli anni Settanta , 38 – 1.2. La morte di Mao e l’interregno, 42 – 1.2.1. Verso il Terzo Plenum, 49 – 1 . 2 . 2 . La politica estera dell’interregno: continuità e discontinuità, 51 – 1.2.3. La politica di difesa durante la coabitazione, 54

69

Capitolo II Dalla guerra del 1979 al Congresso del 1982 2.1. Verso l’egemonia di Deng, 69 – 2.1.1. La minaccia sovietica nel calcolo stra tegico cinese, 77 – 2.1.2. Il contrappeso americano e la cooperazione tra Washingto n e Pechino, 84 – 2.2. La politica di difesa di Deng Xiaoping, 89 – 2.2.1. Il d ib a ttito sulla modernizzazione militare, 89 – 2.2.2. I primi passi verso un nuovo EPL, 95 – 2.3. La politica nucleare di Deng Xiaoping, 100

111

Capitolo III Dal Congresso alla riunione allargata del 1985 3.1. Il fervore riformista della nuova leadership, 111 – 3.1.1. Il nuovo corso della politica cinese, 111 – 3.1.2. Una nuova politica estera per Pechino, 115 – 3.2. La politica di difesa del Dodicesimo Comitato Centrale, 126 – 3.2.1. Un ambiente stra tegico in mutamento, 126 – 3.2.2. Nuove linee guida strategiche per la Cina , 1 2 8 – 3.3. La politica nucleare nell’era delle riforme, 134

141

Conclusioni

151

Postfazione di Simone Dossi

155

Bibliografia

9

Prefazione di ANDREA CARTENY*

Tigri con le ali. La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare rappresenta l’ultimo prodotto di un’attività di ricerca sulla politica nucleare cinese che Lorenzo Termine ha condotto nel corso degli u ltimi tre anni. Nell’ultimo anno, in qualità di Direttore del Centro di ricerca “Cooperazione con l'Eurasia, il Mediterraneo e l'Africa Subsahariana” (CEMAS) di Sapienza Università di Roma ho avuto il piacere di supervisionare e sostenere questo lavoro. La missione di CEM A S , infatti, è di organizzare, realizzare e coordinare attività di ricerca che prevedano reti di cooperazione internazionale con istituzioni e organizzazioni mediterranee, eurasiatiche e africane. La regione dell'Indo-Pacifico, sia per l’ascesa della Repubblica popolare cinese sullo scacchiere internazionale sia per il dinamismo delle economie e delle politiche estere dei paesi che vi si affacciano, sta ricevendo sempre più attenzione tanto dai decisori politici quanto dagli studiosi. L’esigenza di una sempre migliore comprensione delle dinamiche di sicurezza e delle relazioni interstatali nella regione dell’IndoPacifico e, più nello specifico, del ruolo strategico rivestito dalla Cina è la ragione che ha spinto CEMAS ad aderire al progetto europeo denominato “Eurasian Insights: Strengthening Indo-Pacific Studies in Europe” (EISIPS, 2019-1-PL01-KA203-065644), all’interno delle cui attività questo volume prende forma. All’interno di questa cornice, il lavoro di Lorenzo Termine si colloca in maniera originale al confine tra la ricerca storica e quella politologica. Se da un lato esso si inserisce all’interno del solco degli studi sull’evoluzione della politica di difesa e nucleare di Pechino, dall’altro colma alcune lacune di questi attingendo soprattutto a fonti d’archivio * Andrea Carteny è Professore associato di Storia delle relazioni internazionali e Direttore del Centro di ricerca “ Cooperazione con l'Eurasia, il Mediterraneo e l'Africa Sub-saharian a ” di Sapienza Università di Roma.

1

12

Tigri con le ali. La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare

degli apparati d’intelligence e di difesa americani nonché alla ridotta letteratura antologica cinese disponibile. Da una prospettiva di storia internazionale, quindi, la ricerca contribuisce ad approfondire lo studio della rilevanza politico-militare della Repubblica popolare cin ese nel contesto del triangolo strategico costituitosi tra Washington, Mosca e Pechino a partire dal riavvicinamento sino-americano e all’interno del quadrante geopolitico dell’Indo-Pacifico. Da u n a p ro spettiva più politologica, lo studio compie uno sforzo di concettualizzazione delle diverse dimensioni – internazionale, interna e economico-tecnologica – che pesarono negli anni di Deng Xiaoping e di impiego di esse come lente attraverso cui leggere la politica di difesa e nucleare della Cina denghista. Ricorrendo a questa duplice cifra interpretativa il volume presen ta dei risultati di ricerca sia scientificamente innovativi sia rilevanti per le relazioni internazionali contemporanee, tanto nella regione dell’Indo-Pacifico quanto, più in generale, per gli equilibri globali.

Introduzione Il presente lavoro studia l’evoluzione della politica nucleare della Repubblica Popolare Cinese negli anni della cosiddetta “epoca delle riforme”. In particolare, dopo la necessaria contestualizzazione storico politica del programma nucleare e della politica di difesa cinesi durante la Rivoluzione culturale e fino alla morte di Mao Zedong, la ricerca esamina nel dettaglio il periodo che va dalla scomparsa del “Grande timoniere”, nel settembre del 1976, alla sessione allargata della Co mmissione Militare Centrale (CMC), nella primavera del 1985, quando fu approvata la transizione strategica dallo “stato di guerra imminente” al “binario dello sviluppo pacifico”. La morte di Mao Zedong, infatti, costituisce uno spartiacque per la storia della Cina comunista. Nel settembre del 1976, la RPC perse il proprio fondatore, il Presidente dell’unico partito al potere, il “salvatore del popolo”, il Presidente della Commissione Militare Centrale e l’elemento che teneva insieme le due opposte fazioni che la Rivoluzione culturale aveva contribuito a far emergere nel sistema politico del paese. L’impatto della scomparsa di Mao sulla storia della RPC è tale che possiamo facilmente sostenere che, tra la fine del 1976 e il 1985 la RPC sperimentò una transizione epocale che coinvolse ogni aspetto della politica cinese e scatenò spinte profonde di cambiame nto. In ambito nucleare, la profonda contraddittorietà di questo periodo, caratterizzato da un fervore riformista ma anche dalla volon tà d i n o n minare le fondamenta ideologiche e culturali del Partito, dello Stato e delle Forze armate cinesi, è catturata perfettamente dalle parole di alcuni anonimi commentatori che nel 1977 scrivevano: «armato del pensiero di Mao Zedong e di armi tecnologicamente avanzate, l’esercito popolare sarà come una tigre con le ali e sarà invincibile» . 1 Tuttavia, si vedrà, il pensiero di Mao costituì uno dei principali vincoli ad un’efficace modernizzazione tecnologica degli armamenti dispiega1. THEORETICAL GROUP OF THE NATIONAL DEFENSE I NDUSTRY OFFICE , The Strategic Policy on Strengthening Defense Construction- On Studying Chairman Mao's Dissertation on the Relationship Between Economic Construction and Defense Construction, in «FBIS-CHI-7720», 1977, p. E2.



14

Tigri con le ali. La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare

ti da Pechino che, per questo, fu costretta ad abbandonare molti dei precetti maoisti e aggiornare alcuni dei suoi dogmi relativi alla strategia militare. Il lavoro mantiene alcune direttrici fondamentali di studio. La prima, il fattore internazionale, riguarda gli sviluppi che presero forma nel periodo analizzato nello scenario globale e la valutazione strategica fatta dalla nuova leadership cinese di queste dinamiche. La seconda, il fattore interno, afferisce alla peculiare competizione tra fazioni e correnti interne al Partito comunista cinese che si scatenò in seguito alla morte di Mao Zedong e che determinò l’ascesa o il declino d i un leader o di un altro. Infine, a pesare sulle scelte strategiche della dirigenza cinese post-maoista vi furono i gravi vincoli economici e tecnologici imposti da uno sviluppo nazionale ancora limitato. Questi tre fattori fungeranno da lenti interpretative lungo l’intero lavoro e, come si vedrà, contribuiranno a spiegare la politica nucleare cinese n el p rimo decennio post-maoista. La morte di Mao come spartiacque della storia della RPC La dipartita del Grande timoniere ha impresso una svolta radicale al corso della storia cinese contemporanea per una serie di motivi. In primo luogo, tra il 1976 e il 1985 il successo arrise ad un nuovo gruppo dirigente che si assicurò il potere sul Partito e sullo Stato. Senza alcuna ombra di dubbio, si può affermare che a partire dalla morte di Mao, la competizione tra le fazioni del Partito si risolse a favore della corrente riformista guidata da Deng Xiaoping.2 Gradualmente, Deng fu in grado di estromettere dal vertice del Partito e dello Stato gli esponenti più radicali e ortodossi, ovvero quelli che in passato erano stati più legati a Mao, per sostituirli con i propri collaboratori prima soltanto in alcuni ruoli chiave e, in seguito, in tutte le maggiori cariche politiche cinesi. Se si compara il Partito e lo Stato della f ine del 1985 e quelli dell’immediata fase post-maoista, il cambiamento non può essere più evidente. Nel 1985, il PCC era in mano a personaggi che nel 1976 erano stati estromessi da ogni tipo di carica da parte di Mao, confinati in ruoli di secondo piano, o non avevano alcuna esp erienza politica ai vertici del Partito e dello Stato. La prima transizio n e 2. G. SAMARANI, La Cina contemporanea. Dalla fine dell'Impero ad oggi, Torino, Einaudi, 2017.

Introduzione

15

occorsa tra il 1976 e il 1985 riguarda dunque la leadership del Partito e dello Stato. Nel periodo preso in esame nella ricerca, inoltre, si verificò un secondo cambiamento significativo. Da un’economia a totale pianificazione centralizzata da parte dello Stato e del Partito, la Cina comunista passò ad essere un’economia socialista con elementi di mercato mostrando, come risultato delle riforme denghiste avviate nel 1978, u na crescente apertura al commercio internazionale. Ciò consentì a Pech ino seppur in maniera limitata e decisamente inferiore a quanto i paesi occidentali si aspettassero, di acquisire dall’estero le tecnologie e le piattaforme di cui l’Esercito Popolare di Liberazione (EPL) aveva b isogno per assolvere ai propri compiti di difesa nazionale. Inoltre, il miglioramento delle relazioni tra la Cina e i paesi più sviluppati aumentò i contatti tra la comunità scientifica cinese e quelle dei paesi avanzati. Queste interazioni permisero alla RPC di comprendere quale fosse il livello della tecnologia militare e dei progressi scientifici raggiunti all’estero e di acquisire piena consapevolezza della propria arretratezza. La seconda transizione avvenuta nel primo decennio dalla morte del Grande timoniere fu di natura politica-economica sulla base del principio “riforme e apertura” (ᨵ㠉ᘙᨺ) stabilito durante il Terzo Plenum del PCC del dicembre 1978. In terzo luogo, il periodo 1976-1985 conobbe una graduale istitu zionalizzazione e formalizzazione dei processi decisionali nella RPC con il risultato di determinare importanti cambiamenti nella governance del Paese. Per quanto riguarda la politica estera, tra il 1977 e il 1985, la competenza passò da un gruppo ristretto di funzionari subordinato al placet di Mao Zedong ad alcuni organi e strutture amministrative specificatamente designate a tale compito. Parallelamente, in ogni ambito di decisione, la politica cinese sperimentò una d inamica di professionalizzazione. Gli artefici delle riforme economiche, ad esempio, divennero sempre più qualificati e istruiti. Lo stesso avvenne per i vertici militari nell’Esercito e nella burocrazia della difesa in conseguenza dell’istituzione di nuovi organi di addestramento e f ormazione degli ufficiali dell’Esercito Popolare di Liberazione. Infine, la nuova dirigenza cinese guidata da Deng Xiaoping avviò una “transizione strategica” (㇀䔍弔⎀) seguendo prima un percorso prudente e poi sempre più risoluto a mano a mano che guad agn av a il controllo sull’apparato politico-amministrativo cinese. Tra il 1976 e il

16

Tigri con le ali. La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare

1985, le fondamenta stesse della politica estera e di difesa della RPC vennero scosse da un processo di revisione. Dall’allineamento con gli Stati Uniti per fronteggiare il comune nemico sovietico, Pechino passò alla “politica estera indipendente” nel 1982 e, infine, al “binario dello sviluppo pacifico” nella primavera del 1985. Alla base di questa transizione strategica, vi era una diversa valutazione del contesto internazionale e dello scontro tra le due superpotenze. Durante l’era delle riforme, la voce di Deng Xiaoping divenne sempre più autorevole per gli affari esteri e la sua visione della politica internazionale guadagnò crescente autorevolezza fino a diventare la linea ufficiale del Partito . 3 Nella sua valutazione degli affari politici mondiali, infatti, egli sottolineava come nessuna guerra di larga scala fosse all’orizzonte. Di conseguenza, Pechino doveva spostare la priorità del bilancio pubblico dalla preparazione militare per quella che Mao considerava la “guerra imminente”, alla promozione dello sviluppo economico e tecnologico del paese. L’evoluzione della visione del mondo della leadership cinese determinò una trasformazione anche a livello più strettamente militare. Nel clima di critica all’ortodossia maoista e alle posizioni radicali che erano state della Banda dei quattro, figure chiave come Su Yu, Song Shilun, Xu Xiangqian studiarono l’impatto che le nuo v e te cn ologie avevano sulla guerra e conclusero che la Cina avrebbe dovuto aggiornare la propria dottrina militare per far fronte ai nuovi scenari e alle nuove minacce. Ciò comportava un necessario distacco dai dogmi e dai precetti del pensiero militare maoista. Di conseguenza, da una dottrina militare di “guerra popolare”, i cui principi centrali erano stati elaborati da Mao durante la guerra civile e la guerra partigiana contro il Giappone, l’EPL passò a adottare una dottrina di “guerra popolare in condizioni moderne” (approvata tra il 1977 e il 1980) e, infine, una dottrina di “guerra locale” (sancita a partire dal 1985). L’argomento L’obiettivo della presente trattazione è, quindi, di analizzare come la storica transizione sperimentata da Pechino a partire dalla morte di Mao abbia influenzato la politica nucleare della RPC. A tal scopo, il lavoro si concentra segnatamente su due aspetti. 3. G. SAMARANI, La Cina contemporanea. Dalla fine dell'Impero ad oggi, Torino, Einaudi 2017.

Introduzione

17

In primo luogo, si è cercato di valutare se durante il periodo che va dal 1977 al 1985 la Cina, nel mezzo dell’evoluzione ideologica, politica, economica e militare menzionata, abbia studiato la possibilità di cambiare anche la propria postura nucleare. Per tale proposito, il lavoro si concentra su tre elementi principali. Primariamente si analizzano le discussioni avvenute e le decisioni prese in occasione degli ap p un tamenti politici cinesi più importanti quali i Congressi del PCC (l’Undicesimo nel 1977 e il Dodicesimo nel 1982), le numerose riunioni plenarie del Comitato Centrale, le sessioni della Commissione Militare Centrale. Analogamente si esaminano i principali momenti della vita militare cinese come i seminari di studio dell’Esercito, le esercitazioni dei singoli corpi e componenti dell’EPL così come delle Forze Armate tutte. In seconda battuta, si studia il dibattito promosso dagli analisti cinesi di politica e strategia internazionale sulle principali riviste di politica estera e di difesa per valutare se e in che misura essi abbiano introdotto delle innovazioni dottrinarie significative. Con la scomparsa di Mao e il graduale declino della fazione radicale durante l’epoca delle riforme, infatti, l’apparato censorio cinese allentò la propria morsa sull’opinione pubblica e sul dibattito politico, favorendo un dibattito (relativamente) aperto. In secondo luogo, il presente studio cerca di ricostruire la politica di progresso tecnologico e di acquisizione di capacità strategiche condotta da Pechino durante gli anni delle riforme. Alla morte di Mao , la RPC disponeva di un ridottissimo arsenale missilistico potendo contare solo su tre tipi di vettori (DF-1, 2 e 3a) di cui nessuno in grado di colpire obiettivi sovietici (o americani) rilevanti. Per quanto riguarda i bombardieri strategici, nel 1976 Pechino dispiegava circa 60 H-6 , u n aereo derivato dal Tupolev-16 sovietico, che molto difficilmente avrebbe potuto superare i sistemi di difesa dell’Unione Sovietica. Con riferimento alla forza strategica sottomarina, Pechino alla fine dell’era maoista, non aveva nel proprio arsenale alcun vettore balistico lanciato da sottomarino e includeva un solo sottomarino a propulsione nucleare (classe Han) che non era in grado di lanciare missili balistici mentre era inabissato e presentava numerosi problemi legati al rumore e alla radioattività. Il presente lavoro analizza, pertanto, il procurement strategico cinese del periodo 1976-1985 per valutare se esso abbia rappresentato una novità significativa oppure abbia sostanzialmente seguito le linee programmatiche indicate in precedenza da Mao.

18

Tigri con le ali. La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare

Fonti e letteratura Una ricerca su questi temi è motivata, anzitutto, dalla generale lacuna della letteratura in materia di politica di difesa cinese per quanto riguarda la politica nucleare di Pechino a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta. La maggioranza degli autori, infatti, prende singolarmente in esame alcuni aspetti, certamente importanti, della politica di sicurezza e difesa cinese nella prima decade dalla morte di Mao. Ad esempio, una parte considerevole dei testi consultati si concentra sulla trasf ormazione dell’Esercito Popolare di Liberazione e della sua dottrina operativa in epoca denghista tralasciandone però la dimensione nucleare. Altri autori si sono occupati dell’approccio cinese alle armi atomiche concludendo che nei decenni successivi al 1964 nessun mutamento significativo della postura nucleare della RPC sia av v en u to . Tuttavia, per il periodo preso in considerazione nel presente lavoro , nessuno studio di quelli esaminati è stato in grado di entrare nel dettaglio delle decisioni strategiche prese dalla dirigenza cinese e del dibattito militare promosso dagli esperti. Il volume si propone di colmare tale lacuna fornendo un’analisi comprensiva degli sviluppi strategici avvenuti nella Repubblica Popolare Cinese a cavallo tra gli an n i Settanta e gli anni Ottanta. Tuttavia, è necessario sottolineare che la politica nucleare cin ese è un argomento difficile da trattare per due ordini di motivi. In primo luogo, nell’arco di tempo studiato l’elevata centralizzazione del processo decisionale politico della Cina comunista era ulteriormente esasperata in ambito nucleare. Durante l’epoca delle riforme, in segu ito ad un vivace dibattito e come effetto dei cambiamenti voluti da Deng in ambito politico e amministrativo, la centralizzazione fu parzialmente allentata. Ciononostante, anche durante la fase denghista il nucleare continuò a rappresentare il sancta sanctorum della politica cinese. Anche quando alcune informazioni sulla politica e la postura nucleari di Pechino siano state divulgate, inoltre, è richiesta una buona dose di prudenza nell’assumere per certa la loro veridicità. Soprattutto con riguardo alla politica nucleare, infatti, la Cina popolare ha fatto della “calcolata ambiguità” la propria cifra distintiva. Questo approccio si è tradotto nella deliberata assenza di trasparenza di linguaggi, procedure, istituzioni e strutture, documenti strategici ed operativi. Per quanto riguarda le fonti primarie, quindi, il lavoro di ricerca è stato particolarmente arduo. Per tutto il periodo maoista e anche per

Introduzione

19

l’epoca delle riforme presa in esame in questa ricerca, i pochissimi testi strategici ed operativi redatti non furono mai pubblicati o divulgati. La totale assenza di simili documenti per quanto riguarda la postura nucleare cinese è stato, quindi, il primo ostacolo con cui ci si è confrontati. Tale lacuna è parzialmente compensata dai documenti prodotti dall’intelligence americana. In particolare, i seguenti archivi della Central Intelligence Agency hanno rappresentato una risorsa insostiuibile: CIA Records Search Tool (CREST), Consolidated Translations, Reagan Collection, Foreign Broadcast Information Service e Joint Publications Research Service. Questi ultimi due servizi della CIA hanno tradotto per decenni un numero smisurato di articoli, volumi, ricerche, tratti da fonti aperte in lingua cinese e, quindi, si sono dimostrati essenziali per ricostruire il dibattito in corso in Cina nel periodo preso in esame. Per gli scopi del presente lavoro, si è f atto ampio uso dell’estesa letteratura memorialistica, autobiografica e antologica. Ad esempio, le opere di Deng Xiaoping e gli scritti militari di alcune figure chiave come Xu Xiangqian, Nie Rongzhen, Zhang Aiping, Ye Jianying hanno, perciò, rappresentato una fonte preziosa. Per quanto riguarda le fonti secondarie, negli anni una ricca letteratura si è sviluppata sulla politica di difesa cinese durante il primo decennio dopo la morte di Mao. Relativamente al programma nucleare e missilistico della RPC, i lavori di John Wilson Lewis, Xue Litai e Hua Di hanno costituito una risorsa unica e incomparabile senza la quale difficilmente questa trattazione sarebbe stata possibile. Tuttavia, per contestualizzare il procurement strategico all’interno delle più ampie politiche di difesa ed estera cinesi, si è dovuto far ricorso agli studi di una vasta schiera di esperti tra cui, solo a titolo esemplificativo, David Shambaugh, Ellis Joffe, Dennis Blasko, David Lampton, Jonathan Pollack, Paul Godwin, Evan Feigenbaum. In merito al pensiero strategico cinese, un contributo determinante è stato dato dai lavori di M. Taylor Fravel, Jeffrey Lewis, Wu Riqiang, ed Evan S. Medeiros. Ringraziamenti Il lavoro prende forma nell’ambito delle attività di ricerca del Cen tro di ricerca Cooperazione con l'Eurasia, il Mediterraneo e l'Africa Su b sahariana (CEMAS) di Sapienza Università di Roma. Il primo calo roso ringraziamento va, pertanto, a coloro che animano e promuovono lo studio e l’approfondimento della politica internazionale all’interno di

20

Tigri con le ali. La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare

e di Sapienza, Andrea Carteny e Gabriele Natalizia. Senza la loro supervisione e amicizia questo volume non avrebbe visto la luce. Per il continuo sprone e la motivazione a migliorare, il mio ringraziamento va, invece, a Gianluca Passarelli. Mi preme anche sottolineare l’importanza della guida di Marilena Gala durante quella che è stata la prima vita di questo lavoro. La sua conoscenza degli affari internazionali ha condotto questa trattazione a compimento. Al Centro Studi Geopolitica.info, che negli anni è diventato una vera e propria seconda casa, va il mio affetto e la mia gratitudine per aver ospitato la mia passione e interesse verso le relazioni internazionali. Ad Andrea e a tu tti gli amici tra cui Lorenzo, Riccardo, Leonardo, Manuele va un sentito ringraziamento per aver tollerato – e, talvolta, incentivato – le innumerevoli discussioni sulla politica di difesa cinese. A mio padre, mio fratello e Federica va il mio affetto più profondo per avermi supportato sempre lungo questa strada. Infine, a mia madre che, con il suo esempio ieri e oggi, mi ha insegnato la perseveranza.

CEMAS

Capitolo I

Dalla morte di Mao alla guerra del 1979

1.1. La Repubblica Popolare Cinese nel 1976 1.1.1. Il contesto strategico Tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta, un insieme di fattori interni e strategici allontanarono gradualmente Pech ino da Mosca 1. Il XX Congresso del Partito Comunista dell’Unione Sovietica e l’avvio del processo di de-stalinizzazione con la conseguente disputa ideologica, la proclamazione della possibilità di una “coesistenza pacifica” nelle relazioni Est-Ovest inquietarono la leadership comunista cinese. La traduzione di questi segnali in una prim a e limitata détente sovietica con gli Stati Uniti che implicò la defezione sovietica dai piani di assistenza al programma nucleare della Rep u bblica Popolare Cinese, e la firma del Trattato sulla messa al bando parziale degli esperimenti nucleari (1963) spinsero Mao su posizioni sempre più diffidenti verso Mosca, colpevole di voler «consolid are il proprio monopolio nucleare» con gli Stati Uniti e la Gran Bretagna 2. Anche il teatro vietnamita divenne terreno di scontro quando i sovietici tra il 1964 e il 1965 chiesero a più riprese una maggiore cooperazione e migliore coordinamento nel supporto al Viet-minh ai quali Pechino oppose un netto rifiuto. Del resto, la Cina popolare, intanto impegnata nella Rivoluzione culturale, conobbe un rinnovato f ervore ideologico di cui Mosca fu spesso bersaglio. Periodicamente, la que1. J. CHEN , Mao's China and the Cold War , Chapel Hill, N.C, The University of North Carolina Press 2001, p. 49; Z. SHEN , Y. XIA , Mao and the Sino-Soviet Partnership, 19451959: A New History, Lanham, MD, Lexington Books 2015. 2. Statement of the Chinese Government Advocating the Complete, Thorough, Total and Resolute Prohibition and Destruction of Nuclear Weapons, in «Peking Review», 2 agosto 1963, p. 7. Per approfondire come il monopolio nucleare delle superpotenze venne percep ito dagli altri stati si veda: F. BETTANIN , La guerra al tempo dell'atomica, in «Storica», vol. 12, n. 35-36, 2006, pp. 207-228.

21

22

Tigri con le ali. La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare

stione non risolta dei confini tornava ad acuire le tensioni tra i due paesi3 e nel 1966 la firma del trattato di amicizia tra l’Unione Sovietica e la Repubblica Popolare della Mongolia che prevedeva «la mu tu a assistenza nel garantire il potenziale di difesa»4 contribuì ad aumentare l’apprensione cinese. In questo contesto, ad instillare in Mao e nella dirigenza comunista una crescente inquietudine furono soprattutto gli eventi del 1968 5. I carri armati sovietici che spezzarono il processo d i riforma in Cecoslovacchia, mostrarono chiaramente quale fosse la “dottrina Brezhnev”, ovvero il diritto arrogato da Mosca di intervenire negli altri paesi del blocco comunista al fine di impedire il prevalere di forze d’opposizione. Il conflitto sino-sovietico del 1969 lungo il fiume Ussuri. progettato da Mao e Lin Biao come dimostrazione di forza contro l’espansionismo sovietico e per mandare un chiaro segnale agli Stati Uniti6, sollevò, tuttavia, una serie di nuove preoccupazioni n ella dirigenza cinese7. Gli episodi di marzo pur fruttando sporadiche vittorie ai cinesi, confermarono la superiorità tattica, logistica e tecnologica dei sovietici grazie alle capacità sviluppate da Mosca durante gli anni Sessanta. Nell’aprile 1969, l’Unione Sovietica ventilava anche l’ipotesi di un attacco nucleare contro la Cina se il conflitto si fosse intensificato8. Durante la crisi del 1969, quattro Marescialli (Chen Yi, Ye Jianying, Nie Rongzhen, e Xu Xiangqian), veterani della guerra civ ile e della guerra anti-giapponese, avevano condotto una severa valutazione del contesto internazionale commissionata loro da Mao e Zhou. L’analisi redatta dai quattro Marescialli risulta di notevole interesse per capire lo stato del dibattito strategico nel 1969. L’imperialismo statunitense e «il revisionismo sovietico» evidenziavano i quattro militari, rappresentavano «due facce della borghesia mondiale», accomu3. Tra il 15 ottobre 1964 e il 15 marzo 1969, Pechino accusò Mosca di aver provocato sull’Ussuri 4.189 incidenti. Si veda M.S. GERSON , The Sino-Soviet Border Conflict. Deterrence, Escalation, and the Threat of Nuclear War in 1969 , Arlington County, VA, Center fo r Naval Analyses 2010, p. 19. 4. The Treaty of Friendship, Cooperation and Mutual Assistance between the U.S.S.R and the People’s Republic of Mongolia signed January 15, 1966, in «International Legal M ater ials», vol. 5, no. 2, 1966, pp. 341-343. 5. M.S. GERSON , op. cit., p. 20 6. Y. KUISONG , The Sino-Soviet Border Clash of 1969. From Zhenbao Island to SinoAmerican Rapprochement, in «Cold War History», vol. 1, no. 1, 2000, p. 21. 7. T. ROBINSON , The Sino-Soviet Border Conflict of 1969: New Evidences Three Decad es Later, In M.A. RYAN , D.M. FINKELSTEIN , M.A. MCDEVITT, Chinese Warfighting: the PLA Experience since 1949, London, M.E. Sharpe 2003, p. 214. 8. M.S. GERSON , op. cit.

I . Dalla morte di Mao alla guerra del 1979

23

nati dall’inimicizia verso la Cina. Inoltre, essi constatavano come il nuovo Presidente americano Nixon considerasse «la Cina una potenziale ma non immediata minaccia» 9. Nel caso limite di un ampio attacco sovietico, i quattro Marescialli, in conformità alla dottrina maoista, ribadivano la strategia difensiva della «guerra terrestre protratta» e del «combattere fino all’ultimo» 10. Essi sottolineavano anche che le armi nucleari non avrebbero determinato l’esito di una guerra perché incapaci di «sconfiggere un popolo irriducibile» come quello cinese11. In una nota aggiuntiva a questa valutazione tutto sommato conforme ai precetti maoisti sullo stato delle relazioni tra USA e Repubblica Popolare Cinese, il primo dei Marescialli, Chen Yi, accludeva alcune osservazioni «sconsiderate» 12 (sic): per Pechino sarebbe stato vantaggioso «sfruttare la contraddizione tra Stati Uniti e Unione Sovietica in un’ottica strategica» e chiedere a Washington, o accettare nel caso in cui lo avessero chiesto prima gli americani, una serie di «incontri di alto livello», a cui presentarsi senza porre «pre-condizioni», neanche «la questione di Taiwan», che poteva essere «risolta gradualmente negli incontri futuri» 13. Intanto, il conflitto sull’Ussuri procedeva e si faceva sempre più reale il timore di un attacco nucleare sovietico che disarmasse le forze strategiche cinesi14. A metà ottobre 1969, Lin Biao prese un’iniziativa personale mettendo per la prima volta in allerta il Secondo Corpo d’Artiglieria che aveva il comando dell'arsenale nucleare. Non avendo chiesto la previa approvazione di Mao, Lin si alienò le simpatie del Grande timoniere. In realtà, all’inizio di settembre 1969 la crisi ven n e scongiurata e le delegazioni dei due paesi si incontrarono per mitigare la tensione. All’inizio degli anni Settanta, l’ostracismo e la morte di Lin Biao permisero alla fazione moderata, che aveva in Zhou e Deng i propri leader, di ottenere maggiore centralità nei processi decisionali sulla 9. July 11, 1969 Report by Four Chinese Marshals to the Central Committee, 'A Preliminary Evaluation of the War Situation' (excerpt), in «History and Public Policy Program Digital Archive», no. 42, 1992, pp. 70-75. 10. Ivi, p. 71. 11. Ivi, p. 72. 12. Report to CCP Central Committee, Further Thou ghts by Marshal Chen Yi on SinoAmerican Relations, in «History and Public Policy Program Digital Archive», no. 42, 1992, pp. 86-87. 13. Ibid. 14. M. GERSON , op. cit., p. iv.

24

Tigri con le ali. La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare

politica estera cinese. In conseguenza di ciò, una nuova valutazione degli affari globali promossa dai “moderati” riconobbe negli Stati Uniti una potenza «in declino» 15 e identificò nei sovietici il principale nemico della RPC. La competizione tra le due superpotenze rappresentava un’occasione per avanzare gli interessi cinesi accettando i n ecessari compromessi che l’ambiente internazionale suggeriva di adottare, coerentemente con le conclusioni dello studio dei Marescialli del 1969. La decisione del Presidente Johnson dopo l’offensiva del Tet d i non ricandidarsi alle elezioni del 1968, la cosiddetta dottrina Nixon e la conseguente “vietnamizzazione” del conflitto aprirono spiragli di disimpegno degli USA dal conflitto in Vietnam. Appena insediata nel gennaio 1969, l’amministrazione Nixon confermò questa nuova disposizione. Washington, quindi, inviò segnali di distensione a Pechino, trovando disponibile la controparte cinese. Nel luglio 1971, il viaggio segreto del consulente per la sicurezza nazionale americano, Henry Kissinger, seguito ad una fitta trama di negoziati intessuta anche grazie a paesi amici quali Francia, Romania e Pakistan, e il viaggio di Nixon nel febbraio 1972 spianarono la strada al riavvicinamento tra Cina e Stati Uniti. La ripresa delle relazioni tra Stati Uniti e Repubblica Popolare Cinese venne predisposta a partire dal comunicato di Shanghai, il cui testo riflette il difficile compromesso su cui le due parti fondarono il rapprochement. «Gli Stati Uniti» riconoscevano «che tutti i cinesi delle due sponde dello stretto di Taiwan considerano la Cina sola e unica, e che Taiwan appartenesse alla Cina» concludendo che «su questa posizione, il governo americano» non av eva « o pinioni contrarie» 16. Il cessate il fuoco in Vietnam firmato a Parigi il 27 gennaio 1973 pose fine all’impegno militare degli Stati Uniti nella penisola ind o cinese sancendo una vittoria non solo per la Repubblica Democratica del Vietnam ma anche per la Repubblica Popolare Cinese che nel biennio 1972-1973 aveva fornito il più alto numero di aiuti militari ad Hanoi dall’incidente del golfo del Tonchino, sopportando un notevole

15. Nixon’s «New Economic Policy» Cannot Save United States from Financial and Eco nomic Crises, in «Peking Review», 27 agosto 1971, p. 17; E. ZHOU , Report to the Tenth National Congress of the Communist Party of China, in «Peking Review», 7 settembre 197 3 , p . 23. 16. “Shanghai Communique”, Testo disponibile all’indirizzo: https://en.wikisource.org /wiki/Shanghai_Communiqu%C3%A9 (11/11/2020).

I . Dalla morte di Mao alla guerra del 1979

25

peso sulle casse dello stato 17. L’accordo, oltre a stabilire il ritiro di tutte le truppe americane dal Vietnam, prevedeva il disimpegn o v ietn amita dal Laos e dalla Cambogia dove le forze vietnamite erano sconfinate durante le operazioni. La presenza vietnamita in quelle regioni era stata fonte di preoccupazione per la leadership cinese che temeva un accerchiamento con l’URSS da nord e i nord-vietnamiti da sud. Ciononostante, data l’escalation del conflitto nella penisola indocinese, Pechino preferì mantenere un aiuto diretto al Viet-minh, con l’invio, tra il 1965 e il 1969, di un numero complessivo di 320mila uomini in supporto ad Hanoi. Con gli aiuti, però, Pechino innalzò il numero di condizioni18 e le pressioni nei confronti della leadership nord-vietnamita. Ad esempio, nel marzo 1966 Zhou Enlai ammonì il successore di Ho Chi Minh, Le Duan, che «il proposito sovietico» era di «dividere Cina e Vietnam […] e di controllare» quest’ultimo. Secondo il leader cinese, «il beneficio» che Hanoi avrebbe potuto «trarre dalla cooperazione con i sovietici» non avrebbe compensato «le perdite che [tale cooperazione] avrebbe provocato» 19. Il dissidio fra Pechino e Mosca era così profondo che Deng arrivò a pretendere che i vietnamiti non menzionassero «gli aiuti cinesi insieme a quelli sovietici» 20. Nel giugno 1969, la proposta di Brezhnev di un “sistema collettivo asiatico di sicurezza” convinse Pechino che i sovietici, in combutta con i vietnamiti, stessero effettivamente progettando di accerchiare e immobilizzare la Cina21 con una «alleanza militare anti-cinese»22. 1.1.2. Il programma nucleare All’inizio degli anni Cinquanta, gli eventi in Corea, nella penisola in docinese e la crisi dello stretto di Formosa del 1954-55 rappresentano i momenti critici che contribuirono a far maturare nella leadership ci17. J. CHEN , China's Involvement in the Vietnam War, 1964-69, in «The China Quarterly», no. 142, 1995, pp. 356–387. 18. Ivi, p. 32. 19. O.A. WESTAD , 77 conversations between Chinese and foreign leaders on the wa rs in Indochina, 1964-77, Washington, D.C.: Woodrow Wilson International Center for Sch o lar s 1998, p. 91. 20. Ibid. 21. J.W. GARVER, China's Decision for Rapprochement with the United States, 19681971, Boulder, Colo, Westview Press 1982, p. 13. 22. «System of Collective Security in Asia» – Soviet Revisionism’s Tattered Flag for Anti China Military Alliance, in «Peking Review», 4 luglio 1969, p. 22.

26

Tigri con le ali. La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare

nese la decisione di perseguire la strada nucleare 23. Durante la guerra in Corea, sia l’amministrazione Truman che quella Eisenhower studiarono e fecero trapelare alla RPC la possibilità di impiegare armi nucleari contro le truppe cinesi24. Successivamente, nello stretto di Taiwan, le operazioni militari cinesi per l’occupazione delle isole Yijiangshan e i persistenti bombardamenti sulle isole Kinmen e Matsu avevano spinto il Congresso americano e il Presidente Eisenhower ad approvare la “Formosa Resolution” con cui gli Stati Uniti si impegnavano a difendere la sovranità della Repubblica di Cina sull’isola di Formosa e sulle isole Penghu-Pescadores. Nel marzo 1955, il Segretario di Stato Dulles e lo stesso Eisenhower lasciavano intendere di star valutando l’opzione di strike nucleari contro la RPC se questa avesse invaso Taiwan 25. In questo contesto, Mao e Zhou diedero il proprio nulla osta all’avvio del programma nucleare militare in una riunione allargata del Segretariato generale del Partito del gennaio 1955 (nome in codice: 02). A tale scopo, i due leader cinesi cercarono l’immediato aiuto dell’alleato sovietico siglando tra il 1955 e il 1958 sei accordi26. Il primo accordo di cooperazione con Mosca venne firmato nel gennaio 1955. Esso impegnò i sovietici ad aiutare i cinesi nella ricerca dell’uranio e Pechino a vendere l’eventuale surplus di materia p rima all’Unione Sovietica. Nell’aprile 1955 un secondo accordo stabiliva l’aiuto supporto sovietico alla ricerca per «l’uso pacifico dell’energia nucleare» e la vendita di un reattore nucleare e di un ciclotrone al governo di Pechino. Nel luglio successivo, il Politburo creò l’ossatura organizzativa del programma nucleare e lo pose sotto la guida politica del triumvirato composto da Nie Rongzhen, Chen Yun e Bo Yibo, incaricati della supervisione di ogni iniziativa in ambito nucleare, e sotto 23. J.W. LEWIS, L. XUE , China Builds the Bomb, Palo Alto: Stanford University Press 1991, p. 35; P.R. CHARI, China's Nuclear Posture: An Evaluation, in «Asian Survey», vol. 18, n. 8, 1978, p. 817; E. HEGINBOTHAM ET AL., China's Evolving Nuclear Deterrent: Major Drivers and Issues for the United States, Santa Monica: RAND Corp. 2017, p. 16. 24. R. DINGMAN , Atomic Diplomacy during the Korean War, in «International Security », vol. 13, n. 3, 1988, p. 50. 25. G.H. CHANG , To the Nuclear Brink: Eisenhower, Dulles, and the Quemoy-Matsu Crisis, in «International Security», vol. 12, n. 4, 1988, p. 106; R.J. MCMAHON , US national secu rity policy, Eisenhower to Kennedy, in LEFFLER, M.P., WESTAD , O.A., The Cambridge Histo ry of the Cold War: Volume 1: Origins, Cambridge, Cambridge University Press, 2010, p. 297. 26. Per le tappe del programma nucleare cinese tra il 1955 e il 1964 si fa riferimento principalmente a J.W. LEWIS, L. XUE , op. cit.

I . Dalla morte di Mao alla guerra del 1979

27

la direzione scientifica dell’Ufficio per la tecnologia architettonica guidato da Liu Wei e Qian Sanqiang. Con la terza e la quarta convenzione (rispettivamente dell’agosto e del dicembre 1956), Pechino ottenne sostegno nella costruzione delle centrali nucleari e si assicurò maggiore indipendenza nella ricerca dell’uranio rispetto a quanto previsto dal primo accordo. Il 1956 è anche l’anno in cui Pechino avviò definitivamente il proprio programma missilistico inserendo i vettori tra gli obiettivi di ricerca del Piano dodicennale 1956-1967 supervisionato da Nie. Contemporaneamente, venne istituita la Quinta Accademia del Ministero della Difesa incaricata dello studio e dello sviluppo dei vettori sotto la guida scientifica di Qian Xuesen, appena tornato in patria dagli Stati Uniti. Ma è con il New Defense Technical Accord dell’ottobre 1957 (il quinto accordo) che il programma militare cinese subì una svolta: i sovietici si impegnarono, infatti, a fornire alla controparte un prototipo di ordigno nucleare e la tecnologia missilistica (missili R-2 con i relativi dati). Con l’ultimo accordo le due parti definirono la tempistica dell’aiuto sovietico per la costruzione delle centrali. Tuttavia, l’intricata trama di organismi e fazioni interne al Partito Comunista Cinese e al Consiglio di Stato della RPC compromise un efficiente funzionamento del programma nucleare e di quello missilistico e alla fine del 1958 spinse il Politburo ad una riorganizzazione amministrativa generale. Venne, così, istituita la Commissione scientifica e tecnologica per la difesa nazionale (CSTDN, sotto la guida di Nie e dei suoi vice, Chen Geng, Liu Yalou, Zhang Aiping e Wan Yi), facente capo direttamente al Politburo e alla Commissione Militare Centrale. Nel luglio del 1958, prima di avviare le operazioni contro Formosa per quella che è passata alla storia come seconda crisi dello stretto di Taiwan, Mao incontrò Khruscev a cui però non menzionò l’intenzione di agire contro Taipei. La mancata consultazione con l’URSS sulle manovre contro l’isola inquietò la dirigenza sovietica mentre il ritardo con cui il Cremlino si attivò per segnalare la propria egida nucleare su Pechino non venne apprezzato dalla dirigenza cinese. Il timore del PCC che l’Unione Sovietica pianificasse di assoggettare la RPC alle priorità del Cremlino usando alcune proposte di cooperazione 27 contribuì ad aumentare i dissidi fra i due alleati socialisti. Oltretutto, 27. S.G. ZHANG , The Sino-Soviet alliance and the Cold War in Asia, 1954–1962, in LEFFLER, M.P., WESTAD , O.A., op. cit., pp. 363-365.

28

Tigri con le ali. La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare

l’apertura sovietica ad una possibile “co-esistenza pacifica” tra i d u e blocchi strideva con la visione maoista dell’inevitabilità della guerra tra paesi imperialisti e socialisti e l’avvio del processo di destalinizzazione rischiava di minare la legittimità internazionale del regime comunista cinese. La proposta di una moratoria internazionale dei test nucleari da parte dell’Unione Sovietica, infine, mise Mosca in difficoltà nel continuare il sostegno al programma nucleare cinese. L’epilogo di questa fase si consumò in una lettera datata 20 giugno 1959 e destinata al Comitato Centrale cinese. Con essa Mosca si ritirava de facto dal New Defense Technical Accord. Portare a compimento il dettato del suddetto accordo, secondo il Cremlino, avrebbe potuto «compromettere tutti gli sforzi fatti dai paesi socialisti per la pace e per alleviare la tensione internazionale» 28. Il giugno 1959 (59-6 nella scrittura cinese delle date) assurse così ad emblema dell’esigenza per la Cina di avanzare in maniera indipen dente nel proprio programma nucleare e venne beffardamente impiegato come codice di riconoscimento del primo ordigno atomico sviluppato dalla Cina popolare. Nell’ottobre del 1959, in occasione delle celebrazioni per il decimo anniversario della fondazione della RPC, emerse in tutta la sua gravità il clima di sospetto che ormai vigeva tra i due paesi comunisti. In quell’occasione, Khruschev sollecitò la Cina a non «testare la stabilità del sistema capitalistico» con dichiarazioni sull’inevitabilità della guerra, sull’arma nucleare come «tigre di carta» (㓨㘱㱾)29 e contro il considerarla una «arma magica invincibile» 30, e sull’impossibilità di una coesistenza pacifica. Alla fine, il leader sovietico si persuase che la leadership cinese era del tutto «dissennata» 31. La rottura divenne, quindi, definitiva e Pechino, rimasta sola, dovette farsi carico del programma nucleare attraverso quella che Lewis e Xue hanno definito la fase del «rimanere saldi» (1960-1962)32. 28. “Letter from the Communist Party of the Soviet Union Central Committee to the Ch inese Communist Party Central Committee on the Temporary Halt in Nuclear Assistance.” Testo disponibile all’indirizzo: http://digitalarchive.wilsoncenter.org/document/114346 (13/12/2020) 29. Espressione formulata per la prima volta con riferimento alle armi atomiche in un’intervista con Anna Louise Strong del 1946. Si veda Z. MAO , Selected Works, vol. IV , Peking, Foreign Language Press 1961, pp. 1191-1192. 30. Z. MAO , op. cit., vol. V, p. 168. 31. Citato in J. CHEN , Mao's China and the Cold War, p. 80. 32. J.W. LEWIS, L. XUE , Strategic Weapons and Chinese Power: The Formative Years, in «The China Quarterly», vol. 112, 1987, p. 542.

I . Dalla morte di Mao alla guerra del 1979

29

Il groviglio di istituzioni e organismi che nella Cina popolare sovrintendevano al programma nucleare continuò però a dimostrarsi una zavorra per i progressi richiesti dalla leadership cinese. In particolare, una dinamica di competizione prese forma tra il 1959 e il 1963 tra due macrostrutture. Da un lato c’era la CSTDN di Nie addetta alla ricerca scientifica e tecnologica per l’arma nucleare. Dall’altro, la Commissione industriale per la difesa nazionale (CIDN, dal 1963 Uf ficio industriale per la difesa nazionale, UIDN) con a capo il Maresciallo He Long a guida di tutta l’industria della difesa, strategica e convenzionale33. Questa concorrenza mascherava, in realtà, un più ampio dibattito sulla priorità da assegnare allo sviluppo dell’arma atomica. La discussione venne temporaneamente messa a tacere nell’estate del 1961 dalla decisione del Comitato Centrale di dare alla bomba la «massima priorità» 34. Nello stesso anno, in una riunione del Politburo nel 1961 il Ministro degli esteri Chen Yi lo ribadì quando dichiarò che si doveva procedere nel programma nucleare e raggiungere l’obiettivo a qualsiasi costo anche se «i cinesi dovessero impegnare i propri pantaloni» 35. Nel frattempo, nel settembre 1960, i cinesi avevano fatto decollare il missile R-2 acquistato dai sovietici e due mesi dopo erano riusciti a lanciare una propria versione del vettore (nome in codice 1059, poi conosciuto come Dongfeng-1)36. Nel novembre 1962, il Politburo creò un nuovo organismo apicale, la Commissione Centrale Speciale, ribattezzata presto la “commissione dei quindici membri”, che riunì al proprio interno la leadership in ambito nucleare. Oltre all’onnipresente Nie, erano inclusi tra gli altri Zhou Enlai, il vice-Presidente della Commissione Militare Centrale He Long, il Ministro degli Esteri Chen Yi, i due vice-premier Li Xiannian e Bo Yibo, il segretario generale della Commissione Militare Centrale e capo di Stato maggiore Luo Ruiqing, il vice-direttore della Commissione scientifica e tecnologica per la difesa nazionale Zhang Aiping e Li Jue, direttore della Nona Accademia, il centro di ricerca più importante per la progettazione dell’ordigno. Oltre ai membri formali, attorno alla Commissione sp eciale gravitavano tutte le figure di spicco dell’establishment p o litico 33. J.G. LEWIS, The minimum means of reprisal: China's search for security in the nuclear age, Cambridge, MA, The MIT Press 2007, p. 58. 34. Ivi, p. 58. 35. J.W. LEWIS, L. XUE , China Builds the Bomb, p. 130. 36. J.W. LEWIS, D. HUA , China's Ballistic Missile Programs: Technologies, Strategies, Goals, in «International Security», vol. 17, n. 2, 1992, p. 8.

30

Tigri con le ali. La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare

militare cinese, come Lin Biao e Liu Yalou. Incaricata di supervisionare tutti gli aspetti del programma nucleare, la Commissione non so vrintendeva alla direzione quotidiana della ricerca ma era chiamata a dare un parere finale su ogni decisione rilevante. Tra la metà del 1963 e l’inizio del 1964, la centrale di Lanzhou dove gli scienziati cinesi stavano sperimentando l’arricchimento dell’uranio 235 tramite diffusione gassosa era entrata in funzione a pieno regime ed entro il 14 gennaio 1964 aveva prodotto la quantità necessaria di U-235 per costruire una bomba. Durante il 1963, inoltre, erano state date indicazioni per lo sviluppo entro 8 anni di quattro tipi di missili Dongfeng in base al potenziale obiettivo da colpire. Il primo tipo di vettore, il DF-2, doveva poter raggiungere il Giappone; il secondo tipo di vettore, DF-3, doveva poter raggiungere le Filippine; il terzo tipo di vettore, il DF-4, doveva riuscire a colpire Guam; l’ultimo tipo di missile, il DF-5, doveva poter raggiungere gli Stati Uniti. Il 1 6 ottobre 1964 la Repubblica Popolare Cinese detonò la prima bomba atomica provocando un’esplosione di 22 kilotoni ed entrando nel clu b delle potenze nucleari. Nel 1963, ancor prima di aver completato la bomba nucleare, gli scienziati cinesi si erano già messi al lavoro per lo sviluppo dell’ordigno termonucleare. Rispettivamente nel maggio e nel luglio del 1964, essi ricevettero le esortazioni di Mao e Zhou a lavorare alacremente sulla bomba H. Effettivamente, la sfida era in qualche modo più semplice rispetto allo sviluppo dell’arma nucleare: avendo già realizzato l’infrastruttura tecnologica e organizzativa per la bomba A, riadattarla per la produzione di una bomba H era un compito meno gravoso per gli scienziati cinesi37. Il disegno dell’ordigno impegnò gli ingegneri cinesi per quattordici mesi a partire dall’ottobre 1964 e alla fine del 1965 uno schema teorico di come l’arma termonucleare funzionasse era pronto. Il prototipo di un ordigno a fissione potenziato con litio-6 venne predisposto e testato nel maggio 1966 quando un bombardiere H-6 ne sganciò un esemplare a Lop Nur, innescando un’esplosione di circa 250 kilotoni. Nell’ottobre dello stesso an n o, in quello che Nie riconobbe come un rischio smisurato, Pechino testò con successo il primo missile balistico (DF-2) armato con una testata atomica. Il successo termonucleare arrise alla Cina il 17 giugn o 1 9 6 7

37 .J.W. LEWIS, L. XUE , Strategic Weapons and Chinese Power, p. 545.

I . Dalla morte di Mao alla guerra del 1979

31

quando un paracadute portò la prima bomba H cinese a detonare in atmosfera in un’esplosione di più di tre megatoni. Negli anni successivi al test termonucleare, la RPC fu impegnata a sviluppare il proprio arsenale strategico. Le stime della CIA e degli esperti38 riferiscono che Pechino nel 1975 disponesse di circa 185 testate nucleari e che nel ventennio successivo al 1956 avesse sviluppato circa 70/80 vettori missilistici. Di essi, nessuno era in grado di colpire Mosca ma solo di raggiungere la Russia asiatica (il DF-3) e le basi americane nella regione39, mentre il DF-4 era in via di completamento. Per quanto riguarda la forza aerea strategica, circa 60/80 H-6 (originariamente dei Tupolev 16 acquistati dall’Unione Sovietica tra il 195 8 e il 1959) con un raggio di circa 1700 km avevano il comp ito d i sgan ciare bombe nucleari a gravità ma erano estremamente lenti e facilmente individuabili dalla contraerea nemica. Nel 1967, Pechino iniziò anche un programma per la messa a punto di un missile balistico lanciato da sottomarino (poi il JL-1) e, contemporaneamente, avviò gli studi per lo sviluppo di una forza sottomarina a propulsione nuclear e (progetto 09-2)40. Entrambi i progetti, però, non produssero risultati tangibili fino alla fine degli anni Settanta. Nel 1975, quindi, la Cina aveva un solo sottomarino dotato di pozzi per il lancio di missili ma incapace di lanciarli. 1.1.3. L’eredità ideologica e strategica dell’era maoista L’esperienza del “secolo delle umiliazioni” (1842-1949) aveva spinto Mao a riflettere sull’influenza che l’imperialismo occidentale aveva esercitato sulla Cina e il continente asiatico. Pur non essendo stata una colonia in senso stretto, la Cina aveva, infatti, subito un giogo «quasicoloniale» 41 a partire dalla prima guerra dell’oppio del 1842 ad opera delle potenze europee, della Russia, del Giappone e degli Stati Uniti. Nella visione maoista, il mutamento internazionale, incluse le crisi e i 38. “China’s Strategic Attack Programs”, 13 agosto 1974, pp. 37–38. Testo disponibile all’indirizzo https://www.cia.gov/library/readingroom/docs/DOC_0001086044.pdf (13/12/2020); R. BABIARZ, The People's Nuclear Weapon: Strategic Culture and the Development of China's Nuclear Weapons Program, in «Comparative Strategy», vol. 34, n. 5, 2015, pp. 422-446; I NTERNATIONAL I NSTITUTE FOR STRATEGIC STUDIES, The Military Balance, 1976-1977, London, International Institute for Strategic Studies 1976, p. 50. 39. E. HEGINBOTHAM et alii., op. cit., p. 39. 40. J.W. LEWIS, L. XUE , China’s Strategic Seapower, p. 73. 41 .Z. MAO , op. cit., vol. II, p. 348.

32

Tigri con le ali. La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare

conflitti tra stati, si poteva spiegare alla luce delle «contraddizioni» che vigevano tra: il fronte imperialista e quello socialista, all’interno del blocco imperialista (ad esempio tra i capitalisti dei diversi stati imperialisti) e all’interno dei paesi imperialisti (ad esempio tra cartelli industriali). Questi conflitti erano da considerare il principale motore del mutamento internazionale, compreso quello che prendeva la forma del confronto bellico.42 In questo quadro, il pensiero maoista sull’arma nucleare risu lta di notevole complessità perché modellato tanto dall’ideologia marxista leninista quanto da considerazioni strategiche 43. Inoltre, Mao d ovette fare i conti con le ristrettezze finanziarie che condizionarono Pechino nello sviluppo del suo arsenale atomico44. Nella visione maoista precedente alla decisione di avviare il programma nucleare, la bomba atomica in mano al nemico si sarebbe dimostrata inutile in ogni aspetto. Mao concepiva, infatti, l’espansionismo delle potenze capitaliste come finalizzato all’acquisizione di risorse economiche, energetich e, di manodopera disponibili nei paesi del Terzo Mondo. Conseguentemente, l’arma atomica si rivelava inutile se utilizzata perché avrebbe provocato danni enormi ma distrutto molte delle risorse a cui la potenza imperialista ambiva, senza per questo intaccare la capacità di resistenza del paese attaccato. Inoltre, per Mao gli «uomini» erano «più forti delle armi» e, di conseguenza, una dottrina militare di «guerra popolare» basata sul principio di «attrarre il nemico in profondità» avrebbe neutralizzato anche il valore tattico dell’ordigno atomico . La “guerra popolare”, infatti, ambiva a dissolvere le linee del f ronte costringendo le forze ad un combattimento ravvicinato ed al contrasto tramite tattiche di guerriglia e dispersione. Mao concludeva, quindi, che un attacco nucleare nemico non poteva fiaccare la resistenza cinese né dal punto di vista politico, né da quello militare 45. Infine, se avessero scatenato la potenza nucleare contro un paese del Terzo Mondo come la Cina, i paesi imperialisti avrebbero innescato le proteste di tutta la comunità internazionale con il risultato di dover poi af42. Z. MAO , op. cit., vol. I, p. 124 43. P. ROSA , Neoclassical Realism and the Underdevelopment of China’s Nu clear Doctrine, London, Palgrave Pivot 2018, p. 17. 44. M.T. FRAVEL , E.S. MEDEIROS, China's Search for Assured Retaliation: The Evolution of Chinese Nuclear Strategy and Force Structure, in «International Security», vol. 35, n. 2, 2010, p. 51. 45. L. FREEDMAN , The evolution of nuclear strategy, London: Palgrave 2004, p. 259.

I . Dalla morte di Mao alla guerra del 1979

33

frontare anche il rischio di venire isolati46. Dopo che i sovietici avevano acquisito il deterrente nucleare, secondo Mao e la leadership cinese l’ombrello di Mosca vanificava ogni possibilità di minaccia o di impiego delle armi atomiche contro la Cina da parte degli Stati Un iti. In sostanza, gli ordigni nucleari non alteravano la dinamica delle contraddizioni interne al sistema capitalistico 47 e, di conseguenza, si limitavano ad accrescere la forza materiale dell’imperialismo occidentale ma non la sua capacità di vincere. Un momento di svolta per il pensiero maoista sull’arma nucleare è da ricercare nella serie di momenti di confronto con il nemico americano durante la metà degli anni Cinquanta e nel progressivo venir meno dell’egida atomica sovietica. A partire dal 1955, infatti, la posizione di Mao sembrò cambiare radicalmente: dall’osservazione degli eventi in Corea e nello stretto di Taiwan, Mao concluse, infatti, che la bomba modificava l’equilibrio delle forze attraverso l’effetto della deterrenza, in quello che definì il «ricatto nucleare» 48. Scrivendo durante la guerra di Corea, il “Grande timoniere” attestava l’impotenza cinese di fronte al nemico americano per cui «se gli USA avessero colpito la Cina con bombe atomiche, i cinesi non avrebbero potuto fare nulla se non accettare il fatto»49. In conclusione, la Cina «doveva ottenere questa cosa» (sic) se non voleva «essere minacciata dagli altri» 50. Il proposito veniva confermato anche nel cruciale discorso “Sulle dieci relazioni fondamentali” dell’aprile del 1956, in cui Mao ripeté che la Cina «non poteva rinunciare all’arma atomica».51 Tra il 1958 e il 1959 venne prodotto il primo vero documento strategico cinese sulle armi nucleari. Le “Linee guida per lo sviluppo delle armi nucleari” mettevano l’accento sullo sviluppo di una forza stra tegica basata sull’arma nucleare e termonucleare ad alti rendimenti e su vettori missilistici di lungo raggio mentre escludevano esplicitamente lo sviluppo di armi nucleari tattiche. Parallelamente, il documento ri46. Citato in A.L. HSIEH , The Sino-Soviet Nuclear Dialogue: 1963, in «Journal of Conflict Resolution», vol. 8, n. 2. 1964, p. 104 47. Z. MAO , op. cit., vol. V, p. 152 48. L’espressione «ricatto nucleare» è un leitmotiv di tutti i comunicati e documenti di questa prima fase del programma nucleare cinese. 49. Citato in M.T. FRAVEL , E.S. MEDEIROS, op. cit., p. 58. 50. Citato in Y. YUNZHU , Chinese Nuclear Policy and the Future of Minimum Deterrence, in TWOMEY, C.P., Perspectives on Sino-American Strategic Nuclear Issues. Initiatives in Strategic Studies: Issues and Policies. New York: Palgrave Macmillan 2008, p. 114. 51. Z. MAO , op. cit., vol. V, pp. 286-88.

34

Tigri con le ali. La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare

badiva la natura difensiva della futura arma atomica cinese e il proposito di procedere ad un disarmo internazionale. La preoccupazione, espressa da Ye Jianying nel 1955, circa la possibilità per il nemico di impiegare l’arma atomica con funzione anche tattica52, non trovò alcuna sanzione da parte di Mao ma, anzi, venne confutata ulteriormente in un secondo documento strategico, il “Bollettino delle attività dell’Esercito Popolare di Liberazione”. Pubblicato tra il 1° gennaio e il 26 agosto 1961 dal Dipartimento politico generale dell’Esercito, esso conteneva ventinove istruzioni sulle armi nucleari53. Tra queste spiccava la convinzione che il valore tattico del nucleare potesse essere neutralizzato conducendo una “guerra popolare” di notte e facen do ricorso alla guerriglia, con tanto di dispersione e ricerca di combattimenti serrati con il nemico. I comunicati successivi alle detonazioni chiariscono alcuni concetti centrali dell’approccio cinese alle armi nucleari. La sfiducia seguita all’abbandono sovietico della cooperazione e, più in generale, il crescente disaccordo tra i due paesi era alla base dei continui richiami alla «auto-sufficienza» ovvero alla capacità cinese di essere una potenza autonoma, come sottolineato anche da Zhou nel gennaio 1965 54. Secondo tali comunicati, lo scopo unico dell’arma nucleare era «difendere e proteggere il popolo cinese dalla minaccia di una guerra nucleare lanciata dagli USA» 55. Nel primo comunicato emesso all’indomani dell’esplosione della bomba atomica, è contenuta anche una caratteristica distintiva della politica nucleare cinese: il principio del “nucleare di sola difesa”, ovvero l’impegno a non ricorrere all’arma atomica per primi in caso di conflitto. In questo modo, la RPC negava logicamente l’utilizzo della bomba atomica e ogni possibile minaccia nucleare a scopi coercitivi contro tutti i paesi che non fossero dotati di capacità nucleari. La teorizzazione dei lead er cin esi era rivolta, quindi, alla seconda mossa in caso di confronto. La priorità era di garantire a Pechino la capacità di un “secondo colpo” ossia la possibilità di rappresaglia contro-città in seguito ad un attacco nemico,

52. P.H.B. GODWIN , Development of the Chinese Armed Forces, Maxwell Air Force Base, AL, U.S. Air University, 1988. 53. P.H.B. GODWIN , The Chinese tactical air forces and strategic weapons program, Maxwell Air Force Base, AL, U.S. Air University 1978, pp. 32-33. 54. E. ZHOU , Report on the Work of the Government, in «Peking Review», 1 gennaio 1965, p. 9. 55. Statement of the Government of the People’s Republic of China, in «Peking Review», 16 ottobre 1964, pp. i-iv.

I . Dalla morte di Mao alla guerra del 1979

35

in quella che la letteratura definisce deterrenza tramite punizione 56. Per tale missione, come puntualizzò Zhang Aiping, uno degli artef ici del programma missilistico cinese, non «era necessaria una grande accuratezza» perché non «avrebbe fatto grande differenza se il missile avesse colpito il Cremlino o il Teatro Bol'šoj» 57. Durante tutta l’era maoista, però, questa garanzia «minima» 58 di rappresaglia non venne mai definita in termini chiari e in requisiti operativi per la forza strategica cinese, a causa di quella che è stata definita una «ambiguità calcolata»59. In questo senso non è chiaro tuttora in quali circostanze e con quali proporzioni Mao e la leadership politicomilitare cinese intendessero impiegare l’arma atomica60. Pertanto, n el decennio trascorso dal test termonucleare alla morte di Mao nessun documento venne prodotto per definire cosa si dovesse intendere per “primo colpo” nemico. Nessuna precisazione venne fornita per spiegare se solo un attacco per disarmare la Cina della sua capacità nucleare di rappresaglia costituisse un primo attacco oppure anche un impiego tattico. È da notare, infatti, che al momento del primo test cin ese, armamenti nucleari tattici come la testata W-48 o il sistema 9K52-Lu n a erano operativi ed integrati rispettivamente nei piani di guerra delle due superpotenze. Analogamente, nessuna linea guida chiariva quale dovesse essere la dimensione dell’arsenale cinese. La leadership del Partito si limitò a pretendere «un po’» 61 di armi atomiche, mentre nessun documento precisò quale estensione dovesse assumere la rappresaglia, se teoricamente dovesse essere proporzionata all’attacco ricevuto o colpire in ogni caso con la massima forza disponibile il nemico. Infine, rimaneva indefinita la tempistica della rappresaglia, ovvero se fosse da condurre on warning e, quindi, appena avuto notizia dai pochissimi sistemi cinesi allora in grado di notif icare l’arrivo di un missile nemico, oppure in risposta, dopo che 56. Si veda ad esempio R. JERVIS, Deterrence and Perception, in «International Security», vol. 7, n. 3, 1982, pp. 3-30. 57. Citato in J.W. LEWIS, L. XUE , China Builds the Bomb, p. 214. 58. Y. YUNSHU , op. cit. p. 114. Cfr. S. LENG , China's Nuclear Policy: An Overall View, in «Occasional Papers in Contemporary Asian Studies», vol. 1, n. 60, 1984, p. 4. 59. Cfr. P. R. CHARI, op. cit., p. 820; J.W. LEWIS, China’s Military Doctrines and Force Posture, in FINGAR, T., BLENCOWE, P., China's quest for independence: policy evolution in the 1970s, Boulder, CO., Westview Press 1980, p. 164. 60. J.W. LEWIS, L. XUE , Making China’s nuclear war plan, in «Bulletin of the Atomic Scientists», vol. 68, n. 5, 2012, p. 47. 61. MINISTRY OF FOREIGN AFFAIRS OF THE PEOPLE’ S REPUBLIC OF CHINA, Mao Zedong o n Diplomacy, Beijing, Foreign Language Press 1998, p. 424.

36

Tigri con le ali. La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare

l’attacco nemico si fosse consumato. Ragionevolmente, per assicurarsi che il secondo colpo giungesse a compimento, Pechino doveva rendere la propria forza strategica capace di sopravvivere all’evenienza di un primo colpo nemico volto a disarmare la Cina. A tale scopo, data la configurazione per il lancio da silos o comunque da postazioni f isse dei suoi missili operativi (DF-1, 2, 3a), l’attenzione cinese si concentrò su tecniche di occultamento e sulla dispersione geografica d ei siti di lancio 62. Sembra quindi più appropriato sostenere che durante l’epoca maoista le armi nucleari siano state integrate nella più ampia politica militare quale uno degli strumenti a disposizione, non necessariamente il più utile. In sostanza, nessuna «dottrina speciale era necessaria per la armi nucleari» 63, ma sarebbero valse le regole storiche della guerra e del confronto tra socialismo e imperialismo già formulate da Mao. Dopo che Lin Biao e il suo seguito massimalista caddero in disgrazia, alcuni cambiamenti significativi vennero apportati alla p olitica estera della RPC. Mao, infatti, dopo il fallimento della Rivoluzione culturale si impegnò in un riesame generale del contesto internazionale. In un incontro con Kissinger nel febbraio 1973, ad esempio, propose la creazione di una sorta di contenimento per contrastare l’egemonismo sovietico lungo quella che definì «linea orizzontale», comprendente, oltre alla Cina popolare, gli Stati Uniti, il Giappone, il Pakistan, la Turchia e l’Europa occidentale 64. Nel rapporto all’Assemblea Nazionale del Popolo (ANP) del gennaio 1975, il premier Zhou Enlai confermò alcuni elementi innovativi. Da una parte reiterò l’appello per un fronte unito internazionale in cui la Cina si «alleasse con tutte le forze nel mondo con cui potersi alleare» 65. Dall’altra, ripropose la necessità di procedere con le “Quattro mo dernizzazioni”, inizialmente presentate nel 1963 insieme a Nie Rongzhen ma sospese durante la Rivoluzione culturale. Secondo questo programma, la Cina avrebbe dovuto costruire un «sistema economico e industriale indipendente e relativamente organico entro il 1980», mentre entro la fine del secolo avrebbe dovuto raggiungere la «generale 62. P. GODWIN , op. cit., p. 44. 63. J.W. LEWIS, op. cit., p. 153. 64. Y. XIA , Myth or Reality?: Factional Politics, U.S.-China Relations, and Mao Zedong's Mentality in His Sunset Years, 1972—1976, in «The Journal of American-East Asian Relations», no. 15, 2008, p. 112. 65. E. ZHOU , Report on the Work of Government, in «Peking Review», 24 gennaio 197 5 , p. 24.

I . Dalla morte di Mao alla guerra del 1979

37

modernizzazione di agricoltura, industria, difesa e tecnologia e scienza» 66. Nella serie di riunioni che la Commissione Militare Centrale tenne tra maggio e luglio del 1975, Deng Xiaoping e il Ministro della Difesa Ye si fecero promotori di un programma di modernizzazione militare che ottemperasse alla “terza modernizzazione” (quella della difesa). Esso era articolato in quattro misure principali: lo sviluppo di armamenti avanzati (per combattere «battaglie di acciaio»)67; la riduzione delle truppe 68; il miglioramento dell’addestramento che riducesse anche le truppe impegnate in operazioni non strettamente militari come le milizie urbane o i reparti impiegati durante la Rivoluzione culturale; la rettifica politica generale dell’Esercito Popolare di Liberazione (EPL) che sopprimesse l’accentuata rivalità tra le fazioni nell’esercito e ripristinasse la gerarchia (abolita nel 1965). In quella stessa serie di riunioni, un quinto tema fu oggetto di discussione69 ovvero la modernizzazione della Marina cinese in risposta al build-up navale sovietico. Nel luglio 1975, la Commissione Militare Centrale emanò la direttiva centrale n. 18. Tale direttiva era, in sostanza, un programma comprensivo che, oltre al rafforzamento delle capacità navali, stabiliva le linee guida per la modernizzazione militare e l’educazione politica delle truppe, riabilitava alcune figure chiave, quali Luo Ruiqing e Liu Huaqing. In passato, costoro si erano esp osti in favore della professionalizzazione delle Forze armate e, per questo, erano stati emarginati durante la Rivoluzione culturale. Quasi a v o ler riconoscere appieno la necessità di un’inversione di marcia completa rispetto alla Rivoluzione culturale, vennero riaperte le accademie per l’addestramento degli ufficiali, redatti nuovi regolamenti per la d isciplina delle truppe e disposto l’acquisto di una serie di motori per jet dalla britannica Rolls Royce.

66. Ivi, p. 23. 67. H. HARDING , The Domestic Politics of China’s Global Posture, 1973-1978, in Fingar, T., Blencowe, P., op. cit., p. 114. 68. D.J. BLASKO , PLA Force Structure: A 20-Year Retrospective, in Mulvenon, J.C., Yang, A.N.D., Seeking truth from facts a retrospective on Chinese military studies in the post-Mao era, Santa Monica, CA, RAND Corp. 2001, p. 53. 69. H. HARDING , op. cit., p. 115.

38

Tigri con le ali. La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare

1.1.4. Il dibattito strategico nella prima metà degli anni Settanta La letteratura conviene che nella scena politica cinese alla morte di Mao e in seguito alla Rivoluzione culturale si distinguessero due orientamenti fondamentali: uno più ortodosso e ultra-maoista, l’altro più moderato e vicino alle posizioni di Zhou Enlai. Anche il dibattito militare rifletteva questa spaccatura e attorno alla campagna “Critichiamo Lin Biao critichiamo Confucio” (ᢈᯘᢈᏍ) si coagularono le due correnti. Nella ricerca di una legittimazione politica e ideologica , infatti, i due schieramenti si accusavano reciprocamente di appartenere alla fazione del defunto e rinnegato Lin. Una parte del dibattito sulla politica estera cinese dei primi anni Settanta si può, quindi, inscrivere nel solco della tradizione maoista più ortodossa. Si tratta in questo caso della fazione a cui molti autori e l’intelligence americana si riferiscono come “radicale” o “ideologica” e che aveva guadagnato crescente importanza nei ranghi del Partito e dello Stato durante la Rivoluzione culturale per poi subire un duro colpo con la delegittimazione politica di Lin Biao. In politica estera, questa fazione era più propensa ad un orientamento definibile come «collusionista» 70, ovvero fondato sulla convinzione che, pur competendo per l’egemonia in quanto potenze imperialiste, le due superpotenze erano colluse nel proposito di isolare e danneggiare la Cina e i paesi del Terzo Mondo. Durante il dipanarsi della distensione con l’Unione Sovietica promossa da Nixon, gli esponenti di questa fazione avevano imputato alle due superpotenze un’intesa segreta, testimoniata secondo loro da eventi come la Conferenza di Glassboro , la f irma del Trattato di Non Proliferazione e i negoziati per il primo trattato sulla limitazione delle armi strategiche 71. In quanto potenze imperiali70. Cfr. DEPARTMENT OF DEFENSE , Chinese Assessment of the Superpower Relatio n sh ip , 1972-1974, p. 11. Testo disponibile all’indirizzo: https://archive.org/details/ChineseAssessmentoftheSuperpowerRelationship19721974 (15/12/2020); J.D. POLLACK , The Sino-Soviet rivalry and Chinese security debate, Santa Monica, CA RAND Corp. 1983, p. 13; DEPARTMENT OF DEFENSE, US-PRC-USSR Tria n g le . An Analysis of Options for Post-Mao China, p. 24. Testo disponibile all’indirizzo: https://archive.org/details/USPRCUSSRTriangleAnAnalysisofOptionsforPostMao China (15/12/2020); D. SHAMBAUGH, Beautiful imperialist: China Perceives America, 1 9 7 2 1990, Princeton, N.J, Princeton University Press 1991, p. 246. 71. Cfr. J.D. POLLACK , Chinese Attitudes Towards Nuclear Weapons, 1964–9, in «The China Quarterly», vol. 50, 1972, pp. 258-259; H.G. GELBER, China and SALT, in «Su r v iv al: Global Politics and Strategy», vol. 12, n. 4, 1970, p. 123.

I . Dalla morte di Mao alla guerra del 1979

39

ste, l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti ponevano, quindi, lo stesso tipo di minaccia 72. Di conseguenza, Pechino non poteva ricavare alcu n vantaggio dalla competizione fra Mosca e Washington. Infatti, anche se la Cina popolare avesse scelto di «fare delle concessioni» ad una delle due superpotenze, poco sarebbe cambiato nella natura imperialista della politica estera di Mosca e Washington né «nella probabilità di un aggressione imperialista contro la RPC»73. Anche sul piano più strettamente militare, i “radicali” sostenevano una rigida continuità con il pensiero maoista. Tuttavia, la caduta di Lin Biao li costringeva a grande cautela nell’esplicitare le loro critiche verso la fazione guidata da Zhou a causa del placet dato da Mao alle ambizioni di modernizzazione della difesa. Quando la Commissione Militare Centrale si riunì tra maggio e luglio del 1975 e, poi, ap provò la direttiva no. 18, Wang Hongwen e Zhang Chunqiao, esponenti radicali della banda dei Quattro e membri della Commissione, si limitarono ad assentire, plaudendo alla lungimiranza di Deng e Ye. In concomitanza della riunione della CMC, infatti, la fazione “ideologica” di Wang e Zhang aveva subito una dura reprimenda da parte d ello Mao che ne aveva criticato l’atteggiamento conservatore 74. Dopo la emanazione della direttiva, nella discussione in Politburo, che era storicamente uno degli ambienti meno permeabile alle istanze riformiste, seguita alla riunione della CMC, invece, i radicali ne iniziarono a contestare il programma di modernizzazione, consci di avere un più ampio appoggio politico. L’offensiva contro il programma di modernizzazione militare coinvolse anche la carta stampata. Sui giornali e sulle riviste, alcuni autori si premurarono di riaffermare che «sono gli uomini e non le armi a decidere le sorti di una guerra», tradizionale dogma maoista, e che l’errore centrale di Lin Biao era stato quello di «prostrarsi di fronte alle armi nucleari». L’accusa mossa a quest’ultimo, in sostanza, era di aver ripudiato la teoria marxista-leninista per sostenere che la «guerra moderna fosse combattuta spingendo pulsanti e che

72. T.M. GOTTLIEB, Chinese foreign policy factionalism and the origins of the strategic triangle, Santa Monica, RAND Corporation, 1977, p. vii. 73. Citato in K.G. LIEBERTHAL , Sino-Soviet Conflict in the 1970s: Its Evolutio n a n d I mplications for the Strategic Triangle, Santa Monica, RAND Corporation 1978, p. 79. 74. R.S. ROSS, From Lin Biao to Deng Xiaoping: Elite Instability and China's U. S. Po licy, in «The China Quarterly», vol. 118, 1989, p. 279.

40

Tigri con le ali. La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare

fossero i missili, le bombe e le armi di nuova generazione a contare più della fanteria» 75. Dall’altra parte, una fazione più “moderata”, “pragmatica” e “riformista” occupava alcuni posti di vertice nel Partito e nello Stato, in particolare nella leadership militare. Quest’ala del PCC si fece portavoce di un orientamento antitetico. Con un atteggiamento definibile come “competizionista”, questa corrente reputava che la contesa in atto tra le due superpotenze fosse insanabile ed offrisse a Pech in o u n a possibilità di avanzare i propri interessi regionali e globali. Nonostante anche in questo caso si temessero le conseguenze sulla Cina co mun ista della détente, il suo esponente principale, Zhou Enlai, credeva che «la collusione» fosse «limitata e temporanea», mentre la contesa sarebbe stata «totale e protratta» 76. Compromessi come il SALT I non potevano che rivelarsi il preludio di «una nuova corsa agli armamenti non solo in ambito nucleare ma anche convenzionale» e sarebbero falliti perché tra le due superpotenze, secondo Zhou, il disarmo era fuo ri questione 77. Nelle emblematiche parole di Geng Biao, futuro memb ro della CMC e Ministro della Difesa, «gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica», seppur «disposti a fare compromessi su alcuni temi», stavano «lottando per l’egemonia». Di conseguenza, «per la propria soprav vivenza» la Cina avrebbe dovuto «accantonare uno dei due [contendenti della Guerra fredda] e accordarsi con l’altro». «Archiviare la controversia con gli Stati Uniti», infatti, avrebbe permesso alla Cina di «guadagnare tempo per risolvere le questioni interne e far progredire il paese in un contesto pacifico» 78. A tal proposito, un editoriale sulla rivista teorica del Partito Hongqi sosteneva che la competizione tra Stati Uniti e Unione Sovietica avrebbe fornito alla Cina la «boccata d’ari a di cui aveva bisogno» se Pechino fosse stata in grado di ap p ro fittare delle tante contraddizioni presenti nel sistema internazionale 79. In ambito militare, constatata durante il conflitto del 1969 l’arretratezza degli armamenti cinesi, i moderati reclamavano una mo75. H. LIANG , L. CHENG , Advance Victoriously Along Chairman Mao’s Line in Army Building — Notes on studying ‘On Correcting Mistaken Ideas in the Party’ and criticizing Lin Piao’s bourgeois line in army building, in «Peking Review», 31 gennaio 1975, pp. 8-12. 76. E. ZHOU , Report to the Tenth National Congress of the Communist Party of China, p . 22. 77. M. PILLSBURY , Salt On the Dragon, Santa Monica, Calif, RAND Corp. 1975, p. 29. 78. B. GENG , A turning point in China-US Diplomatic Relations, in «Chinese Law & Government», vol. 80, 1977, p. 102. 79. Citato in J.D. POLLACK , The Sino-Soviet rivalry and Chinese security debate, p. 15.

I . Dalla morte di Mao alla guerra del 1979

41

dernizzazione complessiva dei sistemi d’arma a disposizione e della dottrina per il loro impiego. Richiamandosi all’appello all’ammodernamento della difesa nazionale fatto da Zhou prima di morire e alla storica direttiva n. 18 della CMC, la corrente moderata del Partito sosteneva che «guerre di periodi storici diversi, di stati e nazioni diverse, e di diversa natura sono governate da leggi diff erenti […] e da dissimili principi tattici e strategici» 80 e che «in condizioni di guerra moderna […] è necessario rafforzare l’addestramento così d a padroneggiare le nuove tecniche» 81. In sintonia con tali riflessioni, nel gennaio del 1975 Deng Xiaoping dichiarò che «un esercito sovradimensionato e inefficiente non è valido per il combattimento» 82. Parallelamente, l’Esercito Popolare di Liberazione (EPL) necessitav a d i «ricerca sia sugli armamenti convenzionali che su quelli so f isticati» , mentre «nella conduzione delle operazioni militari bisognerà considerare il terreno e le tattiche appropriate agli specifici contesti» perché le guerre contemporanee «sono combattute da unità armate combinate, in aria, sulla terra e sopra e sotto al mare […] e non potranno essere condotte seguendo l’antiquato principio “miglio e fucili”» 83. Di conseguenza, dato che «un’intera operazione militare può essere minata» dal malfunzionamento di un’arma «è essenziale che sia data la massima priorità alla qualità nella produzione» 84 degli armamenti. Visto il tono delle sue valutazioni, si spiega perché Deng godesse delle simpatie di buona parte dell’establishment militare cinese. Tra le altre cose, Deng si fece, infatti, sostenitore del miglioramento del «vitto carente» e dell’istituzione di scuole per migliorare l’addestramento 85. Nella sessione della CMC del maggio 1975 che aveva posto l’accento sulla necessità di modernizzare le Forze armate cinesi Deng aveva avanzato un altro importante tema, ovvero quello della “inevitabilità della guerra”. Si trattava in questo caso di un vero e proprio dogma marxista, 80. S. SHEN , Dissecting the Reactionary Nature of Lin Biao’s «Six Tactical Principles», in «Selections from People's Republic of China Magazines», vol. 75, n. 11, 1975, p. 1. 81. What is Behind his Trumpeting about «A Matter of Secondary Importance»?, in «FBIS-74-230», 1974, p. E5. 82. X. DENG , Selected Works of Deng Xiaoping, vol. II. Beijing: Foreign Language Pr es s 1983, p. 11. 83. Ivi, p. 34. L’espressione “miglio e fucili” è un motto storico di Mao che d es cr iv e gli unici bisogni dell’EPL nel combattere una guerra popolare: miglio da mangiare e fucili per combattere. 84. Ivi, p. 40. 85. Ivi, p. 40.

42

Tigri con le ali. La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare

prima ancora che maoista. Nella suddetta riunione, Deng avanzò l’ipotesi che la guerra tra capitalismo e comunismo fosse «ritardata»86. Ad evitare la deflagrazione tra queste due opposte correnti dell’apparato partitico e statale della Repubblica Popolare Cinese rimaneva solo il Grande timoniere Mao. Egli, se da una parte acconsentiva al graduale ostracismo promosso dalla fazione radicale contro Zhou Enlai, dall’altra, riconoscendo tacitamente gli errori compiuti negli anni precedenti, stroncava le ambizioni della sinistra del Partito rivolte a promuovere una nuova Rivoluzione culturale che eliminasse le eterodossie 87. In politica estera, ciò voleva dire che Mao continuò ad appoggiare il riavvicinamento con gli Stati Uniti data l’utilità per bilanciare la minaccia sovietica. D’altra parte, però, accusò Zhou En lai di tenere un atteggiamento eccessivamente docile nei co nfro nti d i Washington 88.

1.2 La morte di Mao e l’interregno Quando dieci minuti dopo la mezzanotte del 9 settembre 1976, il Grande timoniere Mao Zedong spirò, la Repubblica popolare cinese perse il proprio fondatore, il Presidente dell’unico partito al potere, il “salvatore del popolo”, il Presidente della Commissione militare centrale e l’elemento che teneva insieme le due opposte fazioni che la Rivoluzione culturale aveva contribuito a far emergere nell’apparato istituzionale del paese. La morte di Mao giungeva dopo una serie di eventi che avevano fatto del 1976 uno degli anni più tumultuosi e dif ficili per la Cina dal 1949. In gennaio, infatti, era morto Zhou Enlai, primo Ministro del Consiglio di Stato e altro artefice della politica estera cinese insieme a Mao. A luglio, era toccato anche a Zhu De, padre delle Forze Armate cinesi, precedentemente Capo di Stato Maggiore dell’Esercito Popolare di Liberazione e primo dei “Dieci Marescialli” che avevano guidato l’esercito durante la guerra civile. La lotta alla successione, però, si era aperta già alcuni mesi prima della morte di Mao. Le commemorazioni per la morte di Zhou e per la 86. D. SHAMBAUGH , Modernizing China's Military: Progress, Problems, and Prospects, Berkeley, Calif.: University of California 2003, p. 61. 87. M. KAZUSHI, Re-examining the end of Mao’s revolution: China’s changing statecra ft and Sino-American relations, 1973–1978, in «Cold War History», vol. 16, n. 4, 2016, p. 365. 88. Ivi, 362.

I . Dalla morte di Mao alla guerra del 1979

43

festa del Qingming (4-5 aprile) si trasformarono, infatti, in dimostrazioni di piazza che innervosirono la fazione oltranzista del Partito f edele ai dettami della Rivoluzione culturale, guidata da Jiang Qing, moglie di Mao, Zhang Chunqiao, Yao Wenyuan, e Wang Hongwen (la cosiddetta. Banda dei quattro). La tensione sfociò nell’incidente d i piazza Tien-an-men dell’aprile del 1976 durante il quale numerosi manifestanti vennero arrestati. L’episodio fornì anche il pretesto a Jiang Qing per chiedere e ottenere con il beneplacito del Premier Hua, la sospensione dal Partito di Deng, accusato di essere la mente dietro la sommossa di piazza. Quest’ultimo, pur fiaccato dall’offensiva della Banda dei Quattro, mantenne la possibilità di tornare membro del Partito nel caso avesse accettato di ammettere la propria responsabilità dietro ai tumulti. Per evitare ulteriori ritorsioni, Deng si fece, quindi, scortare dai suoi alleati nell’Esercito Popolare di Liberazione n el su d del Paese. Nella stessa sessione, il Politburo nominò vice-Presidente del Partito Hua Guofeng, che pur ottenendo il 30 aprile l’investitura come suo successore da parte dello stesso Mao (con le laconiche parole di «con te al comando, sono tranquillo»89), non venne risparmiato dagli attacchi della Banda. Essa, infatti, nel luglio 1976 lo criticò duramente e diede istruzioni preliminari ai propri alleati in vista di una possibile presa violenta del potere. Dopo la morte di Mao, la Banda dei Quattro tentò in diverse occasioni di farsi riconoscere il diritto a succedergli alla guida del Partito e del paese, senza però riuscirsi. Nel frattempo, infatti, l’intesa tra i gruppi avversi alla Banda, quello di Hua Guofeng e quello di Deng, si era saldata progressivamente. La mattina del 6 ottobre 1976, unità dell’Esercito Popolare di Liberazione su ordine di Ye Jianying, procedettero all’arresto di Jiang Qing, Zhang Chunqiao, Yao Wenyuan e Wang Hongwen, insieme a decine di loro sostenitori. Rimasto solo al vertice, Hua Guofeng divenne, così, Presidente del Comitato Centrale, della Commissione Militare Centrale e rimase Premier e Presidente del Partito, concentrando nelle proprie mani tutte le cariche apicali e raccogliendo l’eredità di Mao, di Zhou e di Zhu. Nel febbraio del 1977 in una serie di editoriali, Hua chiarì da subito quale fosse la sua filosofia: i “due qualsiasi” (୩୭ซ᫝), ovvero l’adesione a «qualsiasi decisione presa e a qualsiasi istruzione data dal

89. Comrade Hua Kuo-feng Is Our Party’s Worthy Leader, in «Peking Review», 5 novembre 1976, p. 6.

44

Tigri con le ali. La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare

Presidente Mao» 90. Rimaneva, però, un dilemma spinoso da risolvere: la riabilitazione di Deng. Permetterne il ritorno avrebbe rafforzato un potenziale avversario all’interno del Partito e ne avrebbe, implicitamente, smentito la responsabilità nell’incidente di piazza Tien -anmen. Di conseguenza, il seguente ostracismo imposto dalla Banda dei Quattro e la stessa autorità di Hua ne sarebbero usciti profondamente delegittimati. D’altra parte, però, le pressioni dei quadri del partito e dell’esercito in favore del ritorno di Deng si fecero sempre più insistenti. La questione, inoltre, rischiava anche di sobillare nuovi tumulti come dimostrarono i dazibao affissi in molte piazze nel gennaio 1977 che chiedevano il rientro di Deng. Nel febbraio 1977, Xu Shiyou e Wei Guoqing, a capo della regione militare di Guangzhou e vicini a Deng, scrissero una lettera a Hua 91 a nome delle loro unità e del loro Comitato regionale del Partito. Nel documento, essi sottoponevano al Presidente alcune questioni che ritenevano impellenti tra cui la riabilitazione di Deng con accenti che dovettero suonare particolarmente minacciose. In caso di rifiuto, infatti, i leader politici e militari del Sud si riservavano di disconoscere la legittimità del nuovo leader. Il compromesso venne, infine, trovato: Hua sottopose la questione al Comitato Centrale che votò per la riabilitazione di Deng previa ammissione delle colpe. Allora, Deng scrisse due lettere di risposta a Hua, Ye e al Comitato Centrale in cui riconobbe «le debolezze, gli errori co mmessi» e la bontà delle «critiche ricevute» e dichiarò di sostenere pienamente la leadership e le «politiche» di Hua 92. L’edizione del quinto volume delle “Opere” di Mao Zedong, iniziata prima del 1976 ma terminata postuma, avallò questa scelta: Deng Xiaoping poté tornare nelle fila del Partito 93. Durante il Terzo Plenum del X Comitato Centrale (luglio 1977), quindi, la riabilitazione venne perfezionata. Deng fu nominato, così, vice-Presidente del Comitato Centrale, vicePresidente della Commissione Militare Centrale, vice-Presidente del Consiglio di Stato (vice-premier) e Capo di Stato Maggiore 90. Citato in J. CHEN , D. PENG , China since the Cultural Revolution. From Totalitarism to Authoritarism, London, Prager, 1995, p. 44. 91. La copia originale è custodita in archivio a Taiwan ma ne esiste una traduzione in tedesco di Der Spiegel disponibile qui: www.magazin.spiegel.de/EpubDelivery/spiegel/pdf/40915946. 92. Letter from Deng Xiaoping to Chairman Hua Guofeng, Vice Cha irman Ye Jianying, and the CCP Central Committee, May 10, 1977, p. 1. Testo disponibile all’indirizzo: https://digitalarchive.wilsoncenter.org/document/121683 (21/1/2021). 93. Z. MAO , Selected Works, vol. V, p. 110.

I . Dalla morte di Mao alla guerra del 1979

45

dell’Esercito Popolare di Liberazione. Deng rientrava, quindi, dalla porta principale al vertice della leadership incaricata di condurre la politica estera e di difesa. Nell’agosto 1977, si tenne uno degli appuntamenti centrali della vita politica della RPC, ovvero il Congresso nazionale del Partito che approvò il nuovo Statuto ed elesse l’Undicesimo Comitato Centrale, il suo Politburo e il relativo Comitato Permanente, che costituisce l’organo di vertice del Partito. Il Congresso delineò la prima leadership comunista post-maoista quale riflesso degli equilibri createsi nel corso dell’anno appena trascorso. In quell’occasione, Deng Xiaoping venne nominato membro del Comitato Permanente del Politburo, il massimo organo decisionale del Partito. Tabella 1.1. Il Comitato Permanente del Politburo del Partito eletto nell’agosto 1977. 1. 2. 3. 4. 5.

Hua Guofeng Ye Jianying Deng Xiaoping Li Xiannian Wang Dongxing

Presidente del Comitato Centrale Vice-Presidente del Comitato Centrale Vice-Presidente del Comitato Centrale Vice-Presidente del Comitato Centrale Vice-Presidente del Comitato Centrale

FONTE: Peking Review, 26 agosto 1977.

La composizione del Comitato Permanente, allora come oggi, f u n ge da termometro per capire gli orientamenti prevalenti nella leadership cinese in materia di politica estera e di difesa. In questi setto ri, il Comitato, infatti, è «il massimo organo decisionale cinese»94 e include un membro specificamente incaricato di coordinare la politica estera che di solito è a capo anche del “Gruppo ristretto di lavoro sulla politica estera”, una commissione all’interno del Comitato Centrale del Partito. Nell’Undicesimo Comitato Permanente, eletto in agosto, tale ruolo venne rivestito da Li Xiannian. Jürgen Domes, politologo e uno dei massimi esperti di Cina in Germania95, Wolfgang Bartke e Peter Schier96 distinguono tre fazioni

94. D.M. LAMPTON , The Making of Chinese Foreign and Security Policy in the Era of Reform: 1978-2000, Stanford, Calif, Stanford Univ. Press 2004, p. 42. 95. J. DOMES, The Government and Politics of the PRC: A Time of Transition, Boulder, Westview Press 1985.

46

Tigri con le ali. La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare

politiche principali nell’era post-maoista. A partire dall’esperienza vissuta durante la Rivoluzione culturale (political experience groups), essi individuano tre fazioni. Il primo gruppo era formato da coloro che avevano accresciuto il proprio potere e prestigio ed erano usciti v itto riosi dalla Rivoluzione culturale. La seconda categoria era quella dei sopravvissuti alla Rivoluzione culturale, ovvero di coloro che a partire dal 1966 erano riusciti a mantenere le proprie cariche. Il terzo raggruppamento includeva le vittime della Rivoluzione culturale, ossia i funzionari e i politici che erano stati perseguitati ed emarginati dal Partito e dallo Stato. Questa dinamica di fazioni non si può spiegare ricorrendo solo a divergenze ideologiche ma tenendo in considerazione il guanxi (ය⣔), ovvero la fitta e solida rete di relazioni interpersonali che gioca un ruolo determinante nei processi decisionali cinesi97. Il nuovo Comitato Centrale composto da 201 membri a pieno titolo e 132 membri suppletivi, il Politburo, e il Comitato Permanente riflettevano il compromesso politico su cui si reggeva la nuova leadership post-maoista 98. Se è vero che vennero promosse alcune figure emarginate della Rivoluzione Culturale, allo stesso momento furono co nfermate alcune figure chiave dell’ultima fase maoista che agli occhi di Hua e Deng non si erano compromesse alleandosi con la Banda di Jiang Qing. Dei membri a pieno titolo del Decimo Comitato Centrale (178), il 61.8 % venne riconfermato nell’Undicesimo99. La CMC, istituita nel 1954 e definita nella Costituzione di quell’anno come l'organo di “pieno controllo” sulle forze armate, è lo strumento attraverso cui il Partito esercita il comando politico sull’Esercito. A differenza dell’Undicesimo Comitato Centrale e del suo Comitato Permanente, la CMC nominata dopo l’agosto del 1977 rifletteva il maggior peso acquisito dai cosiddetti moderati e dai sopravvissuti alla Rivoluzione culturale tra i ranghi militari. Tale risultato era il frutto delle purghe dei fedeli di Lin Biao seguite alla sua caduta e dell’appoggio dato da Deng e dai suoi compagni ai programmi 96. W. BARTKE , P. SCHIER, China's new party leadership: biographies and analysis of the twelfth Central Committee of the Chinese Communist Party, Armonk, N.Y., M.E. Sharpe 1985. 97. X. GUO , Dimensions of Guanxi in Chinese Elite Politics, in «The China Journal», n. 46, 2001, pp. 69-90. 98. R. MACFARQUHAR, The succession to Mao and the end of Maoism, In MACFARQUHAR, R., The Politics of China: The Eras of Mao and Deng, Cambridge, Cambridge University Press 2004, p. 316. 99. J. DOMES, op. cit., p. 150.

I . Dalla morte di Mao alla guerra del 1979

47

di modernizzazione della difesa che gli avevano procurato le simpatie dei militari. Tabella 1.2. La Commissione Militare Centrale dell’interregno. Presidente

Hua Guofeng

VicePresidenti

Ye Jianying

Segretario Generale Comitato Permanente

Membri (Incompleto) Membri Aggiuntivi (Incompleto)

Deng Xiaoping

Liu Bocheng

Xu Xiangqian

Chen Xilian

Li Xiannian

Wang Dongxing

Wei Guoqing

Su Zhenhua († Febbraio 1979)

Su Yu

Li Desheng

Yang Dezhi

Xu Shiyou

Li Shuiqing

Nie Rongzhen Luo Ruiqing († Agosto 1978)*

FONTE: N. LI, The Central Military Commission and Military Policy in China, in M ULVENON, J.C., YANG A.N.D., The People's Liberation Army as Organization: Reference Volume v1.0, Santa Monica, CA, RAND Corporation 2002, pp. 68-69; M. LAMB, Directory of officials and organizations in China. Armonk, N.Y., M.E. Sharpe 2003, p. 35. * vacante fino al febbraio 1979.

Tra i vice-presidenti, Liu Bocheng era uno dei membri più an zian i delle alte gerarchie militari cinesi. Quarto dei “Dieci Marescialli”, aveva inizialmente sposato la causa nazionalista dopo la Rivoluzione Xinhuai del 1911-1912, dimostrando il proprio valore sul campo co ntro le forze comuniste, tra cui anche quelle di Zhu De. In seguito, Liu si lasciò convincere da Mao ad entrare nella neonata Armata rossa cinese. In tale veste, Liu era stato mandato a studiare a Mosca ed era diventato, stando al giudizio di Mao, il terzo stratega militare più importante dopo Lin Biao e Su Yu. Dopo il 1949, Liu era arrivato al vertice dell’EPL e della CMC. Contrario all’importazione del modello militare sovietico voluto da Peng nella prima metà degli anni Cinquanta venne tacciato di dogmatismo e costretto al silenzio. A causa del p eggioramento delle sue condizioni di salute, durante tutti gli anni Sessanta Liu visse in condizioni di isolamento e sfuggì così alle purghe .

48

Tigri con le ali. La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare

All’inizio degli anni Settanta era completamente cieco e aveva difficoltà a muoversi. Pertanto, il suo ruolo nella CMC del 1977 può essere considerato prettamente cerimoniale. Xu Xiangqian, anche lui uno dei “Dieci Marescialli” dell’Esercito Popolare di Liberazione, era stato al vertice della politica militare cinese a partire dalla fondazione della RPC. Già membro del Comitato Centrale aveva subito una dura repressione durante la Rivoluzione culturale che, insieme alla sua cagionevole salute, lo avevano allontanato dalla scena politica. Xu faceva parte della cerchia di coloro che avevano cercato di moderare le politiche di Lin Biao durante la Riv o luzione culturale. Aveva preso parte al seminale rapporto del 1969 sulla situazione internazionale che aveva gettato le basi per il riavvicinamento tra Cina e Stati Uniti. Dopo la fine della Rivoluzione culturale, si schierò con i compagni di lunga data Ye e Nie nella lotta co n tro la Banda dei Quattro e nell’agosto 1977 venne eletto nel Politburo dell’Undicesimo Comitato Centrale. Fra i componenti del Comitato permanente resta ancora da spendere qualche parola su Nie Rongzhen, che uno degli anziani del Partito e penultimo dei “Dieci”. Nato nel 1899 nel Sichuan, era stato compagno di scuola di Deng Xiaoping a Chongqing. Nie si era, quindi, f ormato tra Francia, Belgio, Germania e Unione Sovietica, dove aveva approfondito lo studio dell’industria della difesa. Durante la guerra civile, aveva provato il suo valore riconquistando le città dello Heb ei, compresa Pechino, di cui poi sarebbe stato sindaco (dopo Ye). Dopo la f ine della guerra, Nie aveva guidato la regione militare settentrionale, era stato vice-capo di stato maggiore e aveva preso parte allo storico Ventesimo Congresso del Partito Comunista sovietico a Mosca. A partire dal 1955 era stato una delle menti dietro il programma nucleare nazionale ed era stato al vertice di tutte le Commissioni per la ricerca tecnologica militare e lo sviluppo della tecnologia missilistica. Finito sotto attacco durante la Rivoluzione culturale, egli riuscì a mantenere parte dei propri incarichi. Dopo la morte di Mao, Nie fu eletto al Politburo nell’agosto 1977. Ultimo nella gerarchia della Commissione, Luo Ruiqing era stato Capo di Stato maggiore dell’EPL durante la guerra di confine con l’India del 1962. Inoltre, Luo era stato membro della “commissione dei 15” che diresse il programma nucleare militare a partire dal 1962 ed aveva avuto il ruolo di segretario generale della CMC. Nonostante il proprio prestigio, Luo era caduto in disgrazia alla fine del 1965

I . Dalla morte di Mao alla guerra del 1979

49

quando le prime purghe della Rivoluzione culturale lo avevano allontanato da tutte le sue cariche. L’emarginazione gli costò u n grav e d isagio psicologico che lo spinse a tentare il suicidio. Inoltre, durante l’esilio le Guardie rosse lo torturano fino a costringerlo all’amputazione di una gamba per le lesioni subite. Venne riabilitato solo nel 1975 quando Mao denunciò il defunto Lin Biao come l’artefice delle sventure di Luo. 1.2.1 Verso il Terzo Plenum Una dimensione fondamentale del dibattito nel nuovo corso postmaoista della politica cinese riguardò necessariamente il rapporto con l’ideologia maoista. Come già menzionato, Hua si trovava di fronte ad un dilemma. La sua ortodossia ideologica, infatti, cozzava con la coabitazione creatasi a partire dal luglio 1977 e con la riabilitazione di Deng. La radice del dilemma con cui si confrontava Hua è da ricercare nella contraddizione alla base dell’approccio dei “due qualsiasi”: era, infatti, «arduo se non impossibile» per Hua «giustificare la posizione di preminenza di Deng Xiaoping facendo riferimento alle istruzioni e alle decisioni di Mao» 100. Contemporaneamente, Hu Yaobang, uno stretto alleato d i Den g e anch’egli vittima della Rivoluzione culturale e membro del Politburo, introdusse uno spunto di riflessione che, apparentemente innocu o, in realtà minacciava di sgretolare il consenso ideologico alla base dell’autorità di Hua. In una serie di linee guida per l’educazione dei quadri del Partito, Hu integrò il principio per cui «la pratica è il solo criterio per testare la verità» 101. In tre articoli a firma di Nie Rongzhen, Xu Xiangqian e Luo Ruiqing, questi ultimi rispettivamente vice presidenti e segretario generale della CMC, che tra il settembre e l’ottobre del 1977 uscirono su Renmin Ribao, i militari fecero sentire la propria voce schierandosi nella querelle tra i “due qualsiasi” e la “pratica come criterio della verità”. Con parole diverse, i tre ribad iro no, infatti, che la “verità andava ricercata nei fatti” e che il pensiero di Mao Zedong dovesse essere «complessivamente e accuratamente

100. M. SCHOENHALS, The 1978 Truth Criterion Controversy, in «The China Quarter ly », vol. 126, 1991, p. 249. 101. Ivi, pp. 251-253.

50

Tigri con le ali. La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare

compreso» 102 (riprendendo uno slogan lanciato da Deng Xiaoping l’anno precedente). A quel punto, la controversia su quale fosse il criterio da utilizzare per comprendere la verità, quello dei “due qualsiasi” o quello della “pratica”, era avviata. Nel maggio 1978, un articolo d i Hu Fuming firmato con pseudonimo su Guangming ribao riaffermò il principio che «la pratica» fosse «l’unico criterio della verità» e guadagnò l’attenzione nazionale venendo ripubblicato sul Quotidiano del popolo e su Jiefangjun Bao, il giornale dell’EPL. Lo stesso Den g il 2 giugno 1978 si premurò di rimarcare il concetto in un discorso ai quadri del PCC in occasione della Conferenza nazionale per il lavoro politico dell’esercito convocata dal direttore del Dipartimento politico generale e membro del CMC Wei Guoqing. In quell’occasione, Deng si lanciò in un’esplicita invettiva contro anonimi compagni «che pensavano di poter copiare indistintamente da Marx, Lenin e da l Presidente Mao» e, poi, «riposare soddisfatti» del lavoro svolto 103. Qu esti erano gli stessi che, secondo Deng, «abbandonavano o, addirittura, si opponevano al principio marxista condiviso da Mao che bisognasse cercare la verità a partire dai fatti» 104. In questo clima, dal 18 al 22 dicembre 1978, 169 membri a pieno titolo e 112 membri suppletivi convennero a Pechino per il terzo plenum dell’Undicesimo Comitato Centrale. La riunione segnò l’ascesa definitiva di Deng come dimostra il comunicato finale dove si legge: «il Comitato Centrale ha esaminato profondamente la controversia circa la “pratica come criterio della verità” e ha concluso che questo è un principio di incommensurabile importanza per i compagni del Partito e per il popolo tutto al fine di emancipare le proprie menti e seguire la corretta linea ideologica. […] Il Compagno Mao era un grande marxista […] il cui pensiero va riconosciuto in una prospettiva storica e scientifica e in maniera comprensiva ed integrato con la concreta pratica della modernizzazione socialista e sviluppato nelle nuove condizioni storiche» 105. È da notare, inoltre, che Deng incassò ulteriori successi con la nomina di Chen Yun a membro aggiuntivo del Politbu102. Citato in F. CHEN , G. JIN , From Youthful Manuscripts to River Elegy: the Chinese popular cultural movement and political transformation 1979-1989, Hong Kong, Chinese University Press 1997, pp. 40-41. 103. Citato in J. GARDNER, Chinese Politics and The Succession to Mao, London, Macmillan, 1982, p. 133. 104. Citato in Ibid. 105. Communique of the Third Plenary Session of the 11th Central Committee of the Communist Party of China, in «Peking Review», 29 dicembre 1978, pp. 6-7.

I . Dalla morte di Mao alla guerra del 1979

51

ro e del Comitato Permanente e, poi, con l’elezione al Politburo di Hu Yaobang, Deng Yingchao (vedova di Zhou Enlai) e Wang Zhen. Con queste designazioni, il Politburo e il Comitato Permanente del PCC si sbilanciarono notevolmente a favore di Deng. Dei ventisette componenti del primo organismo, infatti, almeno dodici erano considerabili parte della fazione vicina al vice-premier, otto erano a vario titolo neutrali e sette rimanevano fedeli a Hua. Nel secondo organismo, la proporzione era la seguente: tre vittime della Rivoluzione culturale (Deng, Li e Chen), un sopravvissuto (Ye) che, però, aveva convinto Hua a riammettere Deng, e due della fazione che aveva fatto carriera durante la Rivoluzione culturale (Hua e Wang).

1.2.2. La politica estera dell’interregno: continuità e discontinuità In generale si può sostenere che nel periodo di coabitazione al vertice tra le due fazioni, quella più ortodossa e quella più riformista, la politica estera e la visione del contesto internazionale della leadershi p cinese rimase sostanzialmente immutata 106. L’Unione Sovietica continuò ad essere identificata come il nemico principale della Cina popolare e con l’arresto della Banda dei quattro la linea della “contesa” tra le due superpotenze scalzò definitivamente quello della “collusione” . Tale chiave interpretativa del sistema internazionale diventò la pietra angolare della politica estera e di difesa cinese 107 come dimostra il discorso del 29 settembre 1977 del Ministro degli esteri Huang Hua alle Nazioni Unite 108. Nel medesimo periodo, però, la dirigenza del PCC avviò anche una rivalutazione del contesto strategico internazionale . Infatti, delle grandi contraddizioni del sistema internazionale individuate da Mao, ne rimaneva alla fine solo una, ovvero quella tra «l’Unione Sovietica con aspirazioni egemoniche e il resto del mondo» 109, in cui erano inclusi tanto la Cina quanto la superpotenza americana.

106. M. YAHUDA , Towards the End of Isolationism: China's Foreign Policy after Mao, New York, St. Martin's Press 1983, p. 167 107. Ivi, p. 175 108. Citato in Quarterly Chronicle and Documentation, in «The China Quarterly», vol. 72, 1977, p. 896 109. G. SEGAL , The China Factor. Peking and the Superpowers, London, Croom Helm 1982, p. 36.

52

Tigri con le ali. La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare

Di conseguenza, il tema discriminante nel dibattito politico cinese divenne la valutazione da fare della potenza, e quindi della min accia, sovietica nei confronti della Cina comunista. In merito a ciò, nella leadership politico-militare cinese dell’immediata fase post-maoista tre orientamenti di fondo possono essere individuati 110. Da una parte c’era chi, come il vice-Ministro degli Esteri Yu, minimizzava l’en tità della minaccia di Mosca per la sicurezza nazionale cinese perché, a suo parere, il riavvicinamento con gli USA era sufficiente a dissuadere un attacco sovietico. In sostanza, e richiamando le parole di Zhou del 1973, Mosca «simulava ad Est ma attaccava ad Ovest»111. Pertanto , il centro della disputa tra le due superpotenze era da ricercare in Europa dove l’URSS manteneva la maggior parte delle proprie truppe e la Repubblica popolare non aveva alcuna necessità di aumentare la spesa per la difesa. Diversa era l’opinione di coloro che ritenevano Mosca non solo in grado ma anche determinata a colpire la Cina con un attacco a sorpresa. Di questo parere era, ad esempio, Su Yu, membro della CMC e voce influente nel dibattito militare durante l’interregno. Logicamente, chi sosteneva questa posizione fu promotore di una rap ida e costosa modernizzazione militare per affrontare la minaccia sovietica nonché di un aggiornamento della dottrina militare. Tra le due opposte posizioni, una terza cercava di bilanciarne le conclusioni. Di conseguenza, da una parte non sminuiva la minaccia di lungo periodo rappresentata dal Cremlino; dall’altra non si credeva nella prospettiva di una guerra imminente e di un attacco a sorpresa ad opera dell’Unione Sovietica. Tra coloro inclini a sposare tale prospettiva rientrava Deng Xiaoping che, già dal 1975, aveva affermato che la guerra poteva essere ritardata. Pertanto, la spesa militare doveva essere adeguatamente ponderata e bisognava dare priorità ad altri obiettivi, primo tra tutti lo sviluppo economico. Tuttavia, durante i primi due anni dalla morte di Mao, per la dirigenza cinese i segnali che provenivano dal Cremlino rimasero p reo ccupanti. A partire dal 1975, infatti, il crescente coinvolgimento russocubano in numerosi paesi dell’Africa, la debacle americana nella penisola indo-cinese e una sempre più stretta relazione tra Mosca e Han o i avevano allarmato gli alti quadri del Partito. Contemporaneamente, un 110. H. HARDING , op. cit., p. 125. 111. M. YAHUDA , op. cit., p. 173.

I . Dalla morte di Mao alla guerra del 1979

53

notevole aumento qualitativo e quantitativo delle capacità navali sovietiche 112 e i primi segnali di una crisi tra il Vietnam, vicino all’URSS, e la Cambogia filo-cinese dei Khmer rossi rafforzarono i timori di un “accerchiamento” ai danni della RPC 113. La stabilità del rapporto con gli Stati Uniti rappresentò un altro d ei capitoli principali del dibattito politico durante la transizione. Il 1976 era stato un anno di elezioni presidenziali per Washington e la normalizzazione dei rapporti con Pechino aveva guadagnato spazio nelle campagne elettorali dei candidati alla Casa Bianca. Quando il neoPresidente Jimmy Carter si insediò ufficialmente, il governo cinese non sapeva cosa aspettarsi114. Il nuovo segretario di Stato Cyrus Vance non intendeva, infatti, «apparire impaziente di migliorare la relazione con la Cina popolare» limitandosi a garantire il rispetto di quanto concordato con il comunicato di Shanghai115. Un generale stato di impazienza iniziò a regnare nella leadership cinese che temeva che la nuova amministrazione non intendesse fare alcun passo verso il pien o riconoscimento diplomatico della Repubblica popolare. Inoltre, si dif fuse tra i politici cinesi la paura che Washington utilizzasse la relazione con Pechino comunista solo come una carta in mano per negoziare con Mosca. A queste preoccupazioni si aggiungeva il presentimento dei vertici cinesi di un progressivo declino della potenza americana rispetto a quella sovietica. Lo stesso Deng, poco dopo esser stato riabilitato nell’agosto 1977, si premurò di palesare tale preoccupazione al Segretario di Stato Cyrus Vance in visita in Cina116. La visita in Cina del consigliere per la sicurezza nazionale dell’Amministrazione Carter, Zbigniew Brzezinski, nel maggio 1978 segnò un importante progresso nei rapporti tra i due paesi. I negoziati per il ripristino dei rapporti diplomatici continuarono nei mesi seguen112. Del 1976 è il seminale lavoro dell’Ammiraglio Gorskov “La potenza navale dello Stato”. S.G. GORSHKOV, The Sea Power of the State, Annapolis, Maryland, USA, Naval Institute Press 1979. 113. M. YAHUDA , op. cit., p. 200. 114. G.W. CHOUDHURY , China in World Affairs: The Foreign Policy of the PRC Since 1970 , Boulder, Colo, Westview Press 1982, pp. 112-113. 115 Memorandum of Conversation, July 30, 1977, in NICKLES D.P., HOWARD A.M., Foreign Relations of the United States, 1977-1980: Volume 13, China, Washington, United States Government Printing Office, 2013, p. 129. 116. In quell’occasione, Vance volle assicurare a Deng che gli USA erano ancora s tr ategicamente più forti dell’URSS, ottenendo una mordace risposta da Deng: «il popolo cinese non crede a questo». Citato in Quarterly Chronicle and Documentation, in «The China Qu ar terly», vol. 72, 1977, p. 913.

54

Tigri con le ali. La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare

ti in totale segretezza tanto che neanche il Segretario Vance era a co noscenza delle tempistiche previste117. Infine, il 15 dicembre 1978 u n accordo venne raggiunto fra Washington e Pechino. I due paesi de cisero di ristabilire normali relazioni diplomatiche a partire dal 1° gennaio 1979 e di «riaffermare i principi del Comunicato di Shanghai» (art. 3). A tal proposito, Washington riconobbe Pechino come unico «Governo legittimo della Cina» (art. 2) riservandosi, tuttavia, di mantenere relazioni culturali, commerciali e di altra natura «non ufficiale» con Taipei118. 1.2.3 La politica di difesa durante la coabitazione Nel febbraio 1977 circa 800 delegati provenienti dal mondo p o litico , militare ed industriale si incontrarono nella Grande Sala del Popolo per un ciclo di quattro conferenze sulla difesa anti-aerea, sulle industrie per i sistemi avionici, sulla ricerca e lo sviluppo per la difesa nazionale (due riunioni convocate dalla Commissione scientif ica e tecnologica per la difesa nazionale). Il dibattito fu lungo e si snodò attorno alla direttiva della CMC sulla modernizzazione della difesa del 1975. Le gerarchie militari iniziarono a guardare in modo più f avorevole rispetto al passato i riformisti che sostenevano la necessità di migliorare l’efficacia tecnologica degli armamenti e le tattiche dell’EPL. Ciononostante, la fazione moderata non fu risparmiata d alle critich e dei militari che disapprovarono la scelta di porre la modernizzazione militare in ultima posizione rispetto alle altre 119. Il rapporto all’Undicesimo Congresso del Partito di Hua Guofeng nell’agosto del 1977 è emblematico dello stato del dibattito politico e militare in corso nella Repubblica Popolare. Se da una parte, il Presidente si scagliò contro la banda dei Quattro colpevole di sostenere la «teoria che le armi decidano tutto» e portatrice di una «prospe ttiva meramente militare», dall’altra Hua la criticò per aver ostacolato 117. S.M. ALI, US-China Cold War Collaboration, London: Routledge 2007, par 34.13. 118. Joint Communiqué of the United States of America and the People's Republic of China, December 15, 1978, Testo disponibile all’indirizzo: https://china.usc.edu/jointcommuniqu%C3%A9-united-states-america-and-peoples-republic-china-december-1 5 -1 9 78 (03/08/2020). 119. Citato in N. HORSBURGH , China and global nuclear order, Oxford, Oxford University Press 2015, p. 80.

I . Dalla morte di Mao alla guerra del 1979

55

l’esecuzione della direttiva 18 del 1975 che stabiliva proprio la priorità della modernizzazione degli armamenti. Infine, Hua esortò l’EPL e la CMC a «fare il massimo per migliorare la ricerca scientifica e tecnologica e per aumentare la produzione degli armamenti per la d if esa nazionale, con l’obiettivo di ottenere una migliore qualità dell’equipaggiamento militare» 120. Similmente, un anonimo commentatore su Xinhua attestò che parallelamente alla preminenza del fattore umano, l’EPL dovesse «riconoscere pienamente il ruolo delle armi» 121. Il difficile equilibrio tra le esigenze militari di armamenti dotati di tecnologie più avanzate e i vincoli ideologici emerse chiaramente anche nell’articolo “Lunga vita allo spirito del «miglio più fucile»” 122. In esso, l’autore scrisse: Gli uomini sono più forti delle armi, anche di quelle atomiche. […] Ov v ia mente ciò non vuol dire negare il ruolo delle armi. […] Oggi, infatti, la C in a possiede aerei, carri armati e bombe atomiche. E sta cont in uan do lu n go la strada per la modernizzazione della difesa nazionale. Tuttavia, è da crit icare la teoria per cui le armi decidano tutto, anche se oggi sia m o in u n a n uo va condizione storica.

Nel dipanarsi del dibattito, i moderati furono capaci di guadagnare la crescente approvazione delle Forze Armate. Nel discorso pronunciato per la celebrazione del cinquantesimo anniversario della f on dazione dell’EPL, il Maresciallo Ye Jianying, pur rimarcando la centralità della “guerra popolare” nella strategia militare cinese, riscontrò l’urgenza di dotare le Forze Armate di equipaggiamenti e sistemi moderni, inclusi missili e armi nucleari. Attestando la «sempre più dura rivalità» tra le due superpotenze, Ye appoggiò il programma di modernizzazione lanciato nel 1975 per «intensificare la ricerca scientifica e tecnologica per la difesa nazionale» 123. Il Maresciallo condannò aspramente chi si proponeva, come «Lin Biao e la Banda dei quattro avevano fatto», di «arrestare la modernizzazione»124 delle Forze armate cinesi. Analogamente, commentatori notarono che «armato del pen120. K. HUA , Political Report to the 11th National Congress of the Communist Party of China, in «Peking Review», 26 agosto 1977, pp. 53-54. 121. It Is Imperative to Modernize Our National Defense, in «FBIS-CHI-77–73», 1977, pp. E22–23. 122. Citato in H. HARDING , op. cit., p. 123. 123. J. YE , Yeh Chien-ying Speech, in «FBIS-CHI-77-147», 1977, p. E23 124. J. YE , Ye Jianying Junshi Wenxuan, Beijing, Jiefangjun chubanshe 1997, p. 395.

56

Tigri con le ali. La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare

siero di Mao Ze-dong e di armi tecnologicamente avanzate, l’esercito popolare sarà come una tigre con le ali e sarà invincibile » 125 e che « il fattore decisivo per la vittoria in guerra è l’uomo – l’uomo con un’arma in mano» 126. A confermare il ruolo preponderante acquisito dai moderati all’interno dell’establishment politico-militare arrivò la nomina di Li Shuiqing a capo del Secondo Corpo d’Artiglieria, ovvero la forza missilistica strategica dell’EPL. Tale incarico non si può spiegare come semplice riconoscimento della competenza del militare, poiché il neo incaricato «mancava di esperienza» 127. Piuttosto, Li si era dimostrato un fidato alleato di Deng nel 1976, che lo aveva ricompensato affidandogli il comando del SCA. È in questo clima che, in un articolo pubblicato nell'agosto del 1977 su Renmin Ribao 128, il generale Su Yu introdusse per la prima volta il concetto di “guerra popolare in condizioni moderne”. Con questo, il generale Su, coordinatore del gruppo responsabile dell’industria della difesa e membro della CMC, non negava l’importanza cruciale del fattore umano ma si limitava ad ammettere che la guerra moderna imponesse nuovi concetti e tattiche. Di conseguenza, la strategia militare si sarebbe dovuta adeguare, anche abbandonando, quando necessario, le tattiche di guerriglia, il perseguimento di una guerra protratta e di logoramento e la mobilitazione di massa. La vittoria in guerra sarebbe stata determinata dalla conduzione di manovre per vincere in battaglie decisive. Per far fronte alle nuove contingenze, concludeva Su, bisognava perseguire anche una modernizzazione tecnica dell’equipaggiamento e degli armamenti. Nell’aprile del 1977, in una trasmissione su Radio Pechino due analisti militari dichiararono: Qualsiasi progresso tattico non è solo il prodotto di leader brillanti ma anc he il risultato dello sviluppo di armi migliori. Nuove tattiche non possono essere

125. THEORETICAL GROUP OF THE NATIONAL DEFENSE I NDUSTRY OFFICE , op. cit., p. E2. 126. Y. EVRON , China's Military Procurement in The Reform Era: The Setting of New Directions, New York, NY, Routledge 2015, p. 66. 127. J. RAY , Red China's "capitalist bomb": Inside the Chinese Neutron Bomb Pro g ra m , Washington, D.C., National Defense Univ. Press 2015, p. 20. 128. Y. SU , Great Victory for Chairman Mao’s Guideline on War, in «FBIS-CHI-77– 152», 1977, pp. E10-23.

I . Dalla morte di Mao alla guerra del 1979

57

condotte utilizzando armi obsolete. […] Chiunque sostenga che non abbiamo bisogno di modernizzare i nostri armamenti […] è un ignorante»129.

Il dibattito sulla modernizzazione militare coinvolse anche gli armamenti nucleari. Evron evidenzia come nell’immediata fase postmaoista all’interno della fazione più favorevole all’ammodernamento si profilasse un’ulteriore spaccatura tra gli orientamenti130. Da un lato, era una parte dell’establishment politico-militare che voleva dare la priorità agli armamenti convenzionali per creare un esercito moderno, regolare e ben equipaggiato che aveva i suoi maggiori esponenti in Xu Xiangqian, Su Yu e, più limitatamente, in Ye. Dall’altro, erano le figure chiave che avevano guidato il programma nucleare e missilistico a partire dagli anni Cinquanta, Nie Rongzhen, Qian Xuesen e Zhang Aiping, allora a capo della Commissione scientifica e tecnologica per la difesa nazionale. Questi ultimi sostenevano che la Cina dovesse colmare il gap con le altre potenze in materia di ricerca e sviluppo della tecnologia nucleare e missilistica. Per Nie, in particolare, era «impossibile garantire la sicurezza nazionale solo con le armi convenzionali» 131, mentre «progredire nello sviluppo di missili guidati e bombe atomiche» avrebbe avuto ricadute positive sugli «altri settori scientifici e tecnologici» 132. Nel periodo della coabitazione tra le due correnti del PCC, fu proprio Zhang Aiping che guadagnò crescente potere e fiducia nella fazione moderata. A dimostrazione di ciò, durante il 1977 Zhang declinò una proposta fattagli da Deng di diventare Segretario Generale della CMC, preferendo rimanere a capo della CSTDN e da lì guidare la ricerca tecnologica militare 133. In questa veste, nel settembre 1977, Zhang venne convocato dal nuovo Comitato Centrale per un’audizione sullo stato del deterrente nucleare cinese. In quell’occasione, Zhang presentò il suo programma. Secondo tale piano, entro il 1980 Pechino avrebbe dovuto completare le “tre morse”

129. Improvement of Weaponry is a Pre-Requisite for Greater Combact Effectiveness, in «FBIS-CHI-77-072», 1977, p. H1-2 130. Y. EVRON , op. cit., pp. 69-70. 131. R. NIE , Inside the Red Star: The Memoirs of Marshal Nie Rongzh en, Beijing, New World Press 1988, p. 682. 132. Ivi, p. 702. 133. L. LIU , 'Dog-beating stick': General Zhang Aiping’s contribution to the modern i sa tion of China’s nuclear force and strategy since 1977, in «Cold War History», vol. 18, n. 4, 2018, p. 487.

58

Tigri con le ali. La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare

(୕∎)134, ovvero i tre elementi essenziali del programma nucleare cinese: i missili balistici intercontinentali, quelli lanciati da sottomarino e, infine, i satelliti. Nella riunione allargata della CMC, la prima dopo la morte di Mao, tenutasi nel dicembre 1977 il dibattito sulla modernizzazione sfociò in alcuni provvedimenti concreti. Col suo discorso di apertura, Deng ribadì la correttezza delle misure prese due anni prima e sottolineò la cruciale importanza della riunione in corso che per «problemi da risolvere e temi da affrontare non aveva eguali». Secondo il vicepremier, con l’Unione Sovietica ancora impegnata in una «mobilitazione strategica globale» (sic) e gli Stati Uniti ormai «sulla difensiva», la Cina poteva godere «ancora di qualche anno di pace»135. A sua volta, Ye Jianying, nel presentare dieci linee guida per la politica di dif esa cinese indicò al sesto posto la «ricerca tecnologica e scientifica per la difesa nazionale e l’accelerazione dell’ammodernamento degli equipaggiamenti» 136. La riunione si concluse con un accordo generale tra i membri della Commissione che si tradusse in alcune importanti decisioni. In primo luogo, venne riaffermata, almeno temporaneamente, la dottrina maoista della guerra popolare 137. Durante le discussioni erano emerse le istanze innovatrici di Su Yu e di Song Shilun, allora Presidente dell’Accademia delle Scienze Militari (ASM), il principale organo di studio e analisi della difesa nazionale. Essi invocavano u n superamento del principio maoista di “attrarre il nemico in profondità”. Song Shilun, in particolare, sostenne vigorosamente la necessità di aggiornare alcuni principi militari, proponendo la possibilità di «offensive strategiche, combattimenti coordinati tra le forze dell’EPL e guerra popolare in condizioni moderne» 138. In secondo luogo, v enne riconosciuta dalla maggioranza dei convenuti l’esigenza di dare la massima priorità alla modernizzazione economica e, quindi, di sospendere lo sviluppo di nuovi sistemi fino al 1980 per procedere, invece, a migliorare quelli esistenti. Nella riunione del dicembre del 134. E.H. ARNETT, Nuclear weapons after the Comprehensive Test Ban implications for modernization and proliferation, Oxford, Oxford Univ. Press 1999, p. 6. 135. X. DENG , Selected Works, vol. II, pp. 87-89. 136. J. YE , op. cit., p. 402. 137. M.T. FRAVEL , Active Defense. China's Military Strategy since 1949, Princeton, NJ, Princeton University Press 2019, pp. 147-148. 138. Citato in G. TAN ENG BOK , Strategic Doctrine, in G. SEGAL , W.T. TOW , Chinese Defence Policy, London, Macmillan 1984, p. 11.

I . Dalla morte di Mao alla guerra del 1979

59

1977, Deng fece uno dei primi riferimenti al tema del primato dell’economia rispetto alla difesa che provocò una discussione animata tra i vertici politico-militari. Infatti, se è vero che i decisori politici cinesi erano d’accordo sulla necessità di ammodernare le Forze Armate, un profondo disaccordo esisteva sull’urgenza e la tempistica da dare a tale esigenza 139. Per quanto propensi ad appoggiare i mod erati d i Deng, ad esempio, i vertici militari non erano d’accordo sul mettere in secondo piano le occorrenze delle Forze Armate. Essi speravano che, dopo più di un decennio di rigore ideologico ostile a qualsiasi tipo di progresso tecnologico militare, con la morte di Mao la nuova dirigenza avrebbe cambiato orientamento 140. In questo senso, ad esempio, si espresse il “gruppo teorico dell’Accademia delle Scienze Militari” 141. Secondo Deng, invece, «il bilancio dello Stato» era «limitato» e le spese militari dovevano essere «ponderate con un occhio all’equilibrio generale». Infatti, «la difesa nazionale» poteva essere modernizzata «solo sulla base di un generale sviluppo agricolo e industriale» 142. La conclusione della riunione in oggetto fu, perciò, di dare priorità agli armamenti convenzionali143 (in ordine, Forze di terra, Aviazione e Marina). Per quanto riguardava gli armamenti strategici, si sarebbe proceduto secondo il piano predisposto da Zhang pochi mesi prima 144. Nell’approvare tale decisione, non è da sottovalutare il ruo lo giocato da Luo Ruiqing, segretario della CMC appena riabilitato, che in passato era stato un elemento centrale dell’alta burocrazia militare cinese . Insieme a He Long, Luo aveva proposto già negli anni Sessanta alcuni programmi di modernizzazione convenzionale, entrando in duro contrasto con Nie, sostenitore del miglioramento della forza strategica, ma era stato bandito all’inizio della Rivoluzione culturale 145. Durante il periodo di transizione e coabitazione tra le due f azioni, persistette la consueta lacuna di piani dettagliati per l’impiego delle

139. H.S. YEE , The Three World Theory and Post-Mao China's Global Strategy, in «International Affairs, vol. 59, n. 2, 1983, p. 243. 140. Y. EVRON , op. cit., p. 65. 141. Citato in N. HORSBURGH , op. cit., p. 80. 142. X. DENG , Selected Works, vol. II, p. 94. 143. E.A. FEIGENBAUM, China's Techno-Warriors: National Security and Strategic Co mpetition from The Nuclear to The Information Age, Stanford, CA, Stanford University Press 2003, p. 80; J. RAY , op. cit., p. 18. 144. Y. EVRON , op. cit., p. 74. 145. E. FEIGENBAUM, op. cit., p. 82.

60

Tigri con le ali. La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare

armi nucleari.146 Tuttavia, alcuni piccoli e graduali passi avanti vennero compiuti per definire più precisamente i requisiti operativi della capacità strategica cinese. La decisione del dicembre del 1977 di dare priorità agli armamenti convenzionali e, quindi, il declino delle risorse a disposizione per il procurement strategico spinsero i militari a capo dei programmi nucleare e missilistico a concentrare tutti gli sforzi sul raggiungimento della piena capacità operativa per i rimanenti vettori in programma (DF-4 e DF-5). Poco dopo il dicembre del 1977, Zhang Aiping rimarcò tale urgenza in una riunione della sua CSTDN con queste parole: «dobbiamo completare le “tre morse” entro il 1980 e risolvere i problemi legati al lungo raggio, al pesante carico [che i missili dovevano sopportare], alla grande flessibilità (sic) e all’altezza orbitale richieste, sviluppando così un programma strategico comprensivo». Più nello specifico, l’ICBM avrebbe dovuto essere la priorità assoluta degli scienziati e degli ingegneri cinesi a costo di «bloccare i progetti di satelliti per la navigazione e la ricognizione elettronica e d i rallentare quelli per un satellite meteorologico» 147. Tale gerarchia di priorità venne approvata, quindi, anche dalla Commissione dei quindici, il massimo organo decisionale in ambito nucleare. Secondo Yu Min, fisico di punta del programma nucleare cinese, alla fine degli anni Settanta la priorità per i vertici politici e militari cinesi era diventata il miglioramento della « miniaturizzazione, mobilità, capacità di penetrazione, sicurezza e affidabilità» 148 della forza strategica cinese. Durante il 1977, Zhang e la CSTDN si scontrarono con l’annoso problema di garantire la sopravvivenza della forza missilistica cinese ad un primo attacco disarmante nemico. A tal proposito, una questione impellente da risolvere era il troppo tempo richiesto per il lancio dei missili. Nessuna effettiva capacità di deterrenza poteva dirsi tale, infatti, se il nemico poteva distruggere tutti i vettori cinesi prima che questi fossero in volo. Per ovviare a questo problema alcune misure vennero prese. Già nell’aprile 1977 esperimenti per l’inserimento simultaneo dei propellenti liquidi altamente instab ili ridussero i tempi della preparazione al lancio di un DF-3a di circa quaranta minuti-un’ora (nei primi test il lancio dello stesso missile aveva impiegato circa 4 ore). Successive esercitazioni (novembre e ottobre 146 P. ROSA , op. cit.. 147. Citato in L. LIU , op. cit., pp. 488-489. 148. J. RAY , op. cit., p. 20.

I . Dalla morte di Mao alla guerra del 1979

61

1978) riuscirono a diminuire ulteriormente il tempo richiesto f in o a 2 ore e 32 minuti149. Nel maggio 1977, un altro progresso importante venne raggiunto. Due anni prima, Mao aveva chiesto al Secondo Corpo d’Artiglieria di approntare un nuovo sistema di immagazzinamento per il DF-4 suggerendo di tenerlo all’interno di caverne nelle montagne. Tutta la prep arazione al lancio sarebbe stata effettuata all’interno di essa e il missile sarebbe stato trasportato fuori solo per l’innalzamento sulla rampa di lancio. Nel dicembre 1975 la Commissione scientifica e tecnologica per la difesa nazionale aveva ratificato il nuovo metodo ma la decisione finale che spettava alla CMC arrivò solo nel maggio 1977. La nuova procedura, soprannominata da Zhang Aiping “uscire per sparare i fuochi d’artificio” (ฟ䰘᭮⛞), diventò la prassi per il DF-4, tanto che durante il 1978 la CMC bloccò i test per il lancio del missile da piattaforme mobili (binari e strada). Al 1978 un documento interno all’EPL del 1995 fa risalire l’istituzione di un ufficio di ricerca del Secondo Corpo d’Artiglieria (SCA) e l’inizio di una nuova fase della riflessione sulla strategia nucleare 150. Ancora, a metà del 1978 venne realizzata una serie di sforzi per progredire nello sviluppo del propellente solido per i missili balistici151. Si trattava di un miglioramento che avrebbe potuto diminuire notevolmente il tempo necessario al lancio di un missile balistico perché l’immagazzinamento del propellente solido (carburante e ossidante) poteva essere fatto con anticipo rispetto all’eventuale lancio. Durante il 1979, il Comitato Centrale del PCC varò una decisione cruciale, ovvero la costruzione della “Grande muraglia sotterranea” una fitta rete di tunnel per conservare e trasportare i missili da una posizione all’altra fino al silo di lancio senza che i movimenti potessero essere individuati dai satelliti nemici 152. Nello stesso periodo, un settore in cui la Cina stava conducendo estese ricerche era quello dei radar. Da qualche tempo, gli scienziati cinesi stavano lavorando a due progetti (nomi in codice 110 e 7010). Il primo consisteva in un radar di tracciamento ad impulso singolo men149. J.W. LEWIS, D. HUA , op. cit., p. 23. 150. Citato in M.T. FRAVEL , E.S. MEDEIROS, op. cit., p. 67. 151. U.S. NATIONAL I NTELLIGENCE COUNCIL, China and Weapons of Mass Destru ctio n : Implications for the United States, Washington, D.C.: U.S. National Intelligence Council 1999, p. 16; Y. EVRON , op. cit., p. 76. 152. L. XIA , Lun zhongguo he zhanlue de yanjin yu goucheng, in «Dangdai yata i » , n . 4 , 2010, p. 122.

62

Tigri con le ali. La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare

tre il secondo era costituito da un ampio radar ad antenne costruito nelle vicinanze di Pechino che, secondo le stime della CIA, avrebbe potuto avvertire di un imminente attacco balistico circa 8-10 minuti prima dell’impatto 153. Il lavoro su questi dispositivi appare significativo perché testimonierebbe l’interesse cinese verso una postura di launch-on-warning, ovvero di attacco non appena fosse stata notificata un’aggressione imminente con mezzi strategici dal sistema radar. Ancor più interessante, entrambi i programmi facevano parte di un più ampio progetto (640) per la realizzazione di un sistema anti-missile balistico (ABM) per cui Pechino stava sviluppando anche i missili intercettori, necessari ad abbattere un missile balistico in arrivo. La serie di intercettori Fanji constava di tre esemplari: il primo (Fanji-1) era il missile intercettore a due stadi con guida radar semi-attiva, ovvero con guida verso il bersaglio fornita da un radar basato a terra; il secondo (Fanji-2) era anch’esso un vettore intercettore a più alta quota che era stato, però, cancellato nel 1973; il terzo (Fanji-3) era un progetto di missile anti-satellite. Durante il 1979 in due occasioni la Cina popolare testò il Fanji-1 con esito positivo 154. Due novità rivelano che, nonostante dal vertice politico fosse arrivata nel dicembre del 1977 l’istruzione di privilegiare gli armamenti convenzionali, ciò non impedì ad un fervente dibattito in ambito nucleare di prendere forma. Il primo elemento di novità era la bomba al neutrone mentre il secondo erano le armi nucleari tattiche. Mentre la RPC stava gestendo la difficile transizione dopo la morte di Mao, negli Stati Uniti, la controversia sulla bomba al neutrone uscì dai confini nazionali e guadagnò risonanza globale. Durante il 1977, infatti, venne rivelata l’intenzione dell’Amministrazione Carter di procedere allo sviluppo della W79, una bomba al neutrone, a bassa potenza esplosiva ma con effetti devastanti legati alle radiazioni. Il clamore suscitato dalla notizia spinse la comunità internazionale a prendere una posizione sul tema e la condanna della mossa americana fu capeggiata, ovviamente, dall’Unione Sovietica. Nella Cina popolare, però, i vertici militari preferirono non schierarsi nella querelle internazionale e la stampa si limitò a pubblicare una serie di articoli di cronaca 153. China’s Strategic Weapons Program, 13 gennaio 1978, p. 6. Testo disponibile all’indirizzo: https://www.cia.gov/library/readingroom/docs/CIARDP83B00100R000100030034-6.pdf (12/12/2020). 154. B. ZHANG , China's Assertive Nuclear Posture: State Security in an Anarchic International Order, New York, Routledge 2015, par. 14.45.

I . Dalla morte di Mao alla guerra del 1979

63

sull’argomento. Dopo che Mosca fece pressioni per avere da Pechino una condanna del progetto americano, Zhang Aiping si decise a prendere la parola pubblicando un poemetto sul Quotidiano del Popolo che recitava così: «le leghe di acciaio non sono resistenti, e le bombe al neutrone non sono difficili. Quando gli eroi studiano intensamen te la scienza, possono prendere d’assalto tutti i passaggi strategici della terra» 155. L’ermetica poesia nascondeva una realtà complessa. Infatti, dopo aver saputo del progetto americano i cinesi si erano interessati ai vantaggi che tale ordigno presentava. Il passo verso la decisione di una «iniziale ricerca» sulla fattibilità di una bomba ER (enhanced radiations) fu rapido. Tra il 1977 e il 1979, il dipartimento della Nona Accademia che venne incaricato di tale compito svolse una serie di studi teorici sulla bomba al neutrone e ne presentò i risultati alla CMC. Secondo le valutazioni prodotte, l’ordigno era fattibile. Il dibattito sui benefici strategici che l’ordigno ER apportava continuò. Da un lato, erano coloro che apprezzavano i possibili impieghi della bomb a in guerra contro l’Unione Sovietica, come Zhou Guangzhao. Dall’altra, coloro che non trovavano alcuna utilità nell’ordigno al neutrone sottolineavano come un’arma del genere contraddicesse la d o ttrina del “nucleare di sola difesa”156. Parallelamente, alcuni commentatori sulle riviste militari iniziarono addirittura a vagliare la possibilità di sviluppare bombe atomiche tattiche e di teatro per contrastare un’eventuale invasione di massa sovietica dal confine settentrionale 157. Una misura del genere sarebbe stata in contraddizione con il contenuto dei pochi documenti strategici p ro dotti fino a quel momento. Tuttavia, fra i decisori politici-militari cinesi durante l’immediata fase post-maoista l’opzione di u n ’arma n u cleare “di combattimento” non ebbe particolare presa. Un articolo del settembre 1979 di Xu Baoshan sulla rivista dell’EPL confermò, però, che il dibattito sul tema continuava. In esso, l’autore rimarcava la necessità di essere pronti al possibile impiego da parte sovietica di armi nucleari tattiche in una guerra contro la Cina. Bisognava, secondo Xu,

155. Citato in J. RAY , op. cit., p. 13. 156. Ivi, 18-19. 157. A.I. JOHNSTON , Chinese nuclear force modernization: implications for arms control, in «Journal of Northeast Asian Studies», vol. 22, 1983, p. 20.

64

Tigri con le ali. La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare

studiare le giuste contromisure per rispondere ad un’evenienza del genere ed evitare che le forze di terra venissero distrutte da ordigni simili158. Per quanto riguarda la produzione di uranio e plutonio , il p eriodo immediatamente successivo alla morte di Mao non presentò grandi novità. Il Secondo Ministero dell’Industria Meccanica, a capo dell’infrastruttura nucleare cinese, esigette un aumento della produzione di materiale fissile coerentemente con quanto stabilito nel Quinto piano quinquennale (1976-1980). In seguito ad una serie di miglioramenti, l’impianto di Lanzhou aumentò del 26 % la produzione di uranio arricchito tramite diffusione gassosa e del 20 % quella di plutonio 159. In generale, tutti i reattori in Cina accrebbero sensibilmente la disponibilità di materiale fissile 160. Tuttavia, la decisione del Terzo Plenum di concentrare gli sforzi e gli investimenti sullo sviluppo economico nazionale ebbe importanti ricadute sulla produzione di materiale fissile. L’accelerazione impressa nella seconda metà degli an ni Settanta in seguito all’approvazione del Quinto piano quinquennale, a partire dal Terzo plenum del dicembre 1978 venne stemperata notevolmente161. Durante il 1978, lo stesso Deng Xiaoping intervenne sul tema del nucleare, chiarendo quali fossero i requisiti della capacità strategica cinese. Essa sarebbe dovuta essere «aggiornata» con l’obiettivo di renderla «contenuta ma valida». Non era necessario, quindi, disporre di un «gran numero di armi» ma solo del «potere di instillare la p au ra», che poteva essere raggiunto solo «quando Pechino avesse avuto la capacità di scatenare una rappresaglia». Ottenuto tale risultato, secondo Deng, la Cina popolare «non avrebbe più sviluppato armi nucleari» 162. In ambito convenzionale, Deng dette istruzione all’Accademia delle Scienze Militari di «accogliere il pensiero di Mao Zedong e di studiare la “guerra popolare in condizioni moderne”», presentando il neologismo coniato da Su Yu durante l’anno precedente come una 158. B. XU , We must be prepared to fight nuclear war in the first stages of any future war, in «JPRS China Report», n. 088, 1980, pp. 97-99. 159. H. ZHANG , The History of Highly Enriched Uranium Production in China, p. 3. Testo disponibile all’indirizzo: https://www.belfercenter.org/publication/history-highly-enricheduranium-production-china (20/9/2020); H. ZHANG, The History of Plutonium Prod u ctio n in China, p. 2. Testo disponibile all’indirizzo: https://www.belfercenter.org/publication/histor yplutonium-production-china (20/9/2020). 160. H. ZHANG , The history of fissile-material production in China, in «The Nonproliferation Review», 2019, p. 22. 161. Ibid. 162. Citato in M.T. FRAVEL , E.S. MEDEIROS, op. cit., p. 64.

I . Dalla morte di Mao alla guerra del 1979

65

nuova linea guida per l’educazione degli ufficiali dell’EPL. Analo gamente, Ye Jianying nel discorso per il ventesimo anniversario dalla fondazione dell’Accademia, ribadì che «i compagni che studiano la scienza militare devono concentrarsi sulla “guerra in condizioni moderne” e, citando Mao, che i principi tradizionali della guerra «possono essere integrati, sviluppati e, in alcuni casi, aggiustati alla luce dei requisiti delle guerre future» 163. Nei primi mesi del 1978, lo stesso Su Yu tenne una serie di lezioni all’Accademia militare in cui sosteneva, ad esempio, che il massiccio utilizzo di armi leggere previsto dalla guerra popolare maoista era obsoleto e, ancora, che i primi momenti di un conflitto si sarebbero dimostrati decisivi per il suo esito finale164. Nel gennaio 1978, anche il gruppo teorico della Commissione scientifica e tecnologica per la difesa nazionale produsse un lungo comunicato in cui veniva criticato l’approccio per cui ai missili guidati e alle armi nucleari si potessero contrapporre le «scimitarre». In particolare, gli autori si scagliavano contro coloro che difendevano gli armamenti che la guerra moderna aveva reso obsoleti, e rifiutavano la convinzione, evidentemente diffusa, per cui l’EPL potesse continuare a raccogliere le armi di cui necessitava dai nemici sul campo di battaglia 165. La profonda diatriba tra chi sosteneva una linea di “guerra popolare” più conforme al dettato maoista e coloro che proponevano una modernizzazione anche dottrinaria non solo degli armamenti continuò durante tutto il 1978. Hua Guofeng, ad esempio, si espresse chiaramente a favore di una strategia ortodossa di “guerra popolare” nel discorso il 29 maggio alla Conferenza sul lavoro politico nelle Forze Armate. In tale occasione, dichiarò che «l’EPL lavora bene perché segue fermamente la linea della rivoluzione proletaria di Mao ». Pochi giorni dopo nella stessa conferenza, Deng rispose duramente alle osservazioni di Hua. Secondo il vice-premier, infatti, l’Esercito doveva «cercare la verità nella pratica» ed evitare «l’idealismo» e «il culto dei libri» 166. Nel luglio 1978, l’EPL reintroduceva la gerarchia militare, in linea con quanto previsto dalla direttiva n. 18 del 1975 e, n el settem163. J. YE , op. cit., p. 408. 164. Citato in T.C. ROBERTS, The Chinese People's Militia and the doctrine of People's War, Washington, DC: National Defense University Press 1983, p. 105. 165. F. J. ROMANCE , Modernization of China's Armed Forces, in «Asian Survey», vol. 203, 1980, p. 305. 166. Citato in J. EISENMAN , China’s Vietnam War Revisited: A Domestic Politics Perspective, in «Journal of Contemporary China», 2019, p. 10.

66

Tigri con le ali. La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare

bre successivo, i quadri che erano stati ostracizzati dalla fazione più radicale negli anni precedenti vennero riabilitati all’interno delle Forze Armate167. Nell’agosto 1978, Nie Rongzhen tenne un discorso alla Conferenza nazionale della milizia in cui dimostrò il suo sostegno alle innovazioni dottrinarie diffuse da Su. Nie, infatti, riconosceva che una “guerra popolare” tradizionale contro un’invasione sovietica non sarebbe stata la risposta adeguata perché avrebbe permesso al nemico di penetrare nel territorio cinese e distruggere alcuni importanti centri industriali ed economici con la conseguenza di indebolire molto la Cina. Al contrario, la linea di difesa doveva essere spostata lungo il confine settentrionale per combattere una guerra di posizione e non permettere l’avanzata sovietica 168. Oltre alle innovazioni nel campo della strategia, il 1978 portò delle novità anche nell’assetto politico-istituzionale del settore militare cinese. Sempre in agosto, la dirigenza cinese impose al complesso dedalo di istituzioni deputate alla ricerca e sviluppo di tecnologia militare (gli otto “Ministeri dell’industria meccanica”) una riorganizzazione amministrativa generale. Lo scopo di tale misura era di rendere la produzione di armamenti più efficiente e liberare risorse per l’industria civile169. Sempre in agosto, morì Luo Ruiqing, segretario generale della Commissione Militare Centrale e sostenitore della priorità della modernizzazione convenzionale. Il suo posto nella CMC rimase vacante fino al gennaio 1979 quando venne assegnato a Geng Biao, veterano dell’Esercito Popolare di Liberazione e della politica estera cinese che era scampato alle purghe della Rivoluzione culturale grazie agli incarichi diplomatici che lo impegnarono all’estero 170. Un altro tema al centro del dibattito politico-militare riguardava l’acquisto di tecnologia e sistemi d’arma dall’estero e, in particolare, dagli Stati Uniti. Il piano decennale di Hua presentato nel marzo 1978 prevedeva un notevole sforzo finanziario per comprare dall’estero i macchinari e la tecnologia necessaria a raggiungere gli ambiziosi obiettivi prefissati. Anche in ambito militare Pechino mostrò grande 167. Ibid. 168. P.B. GODWIN , Compensating for Deficiencies: Chinese Doctrinal Evolution in th e Chinese PLA: 1978-1999, In J. Mulvenon, A.N.D. Yang, Seeking truth from facts, p. 94. 169. H.W. JENCKS, The Chinese "military-Industrial Complex" and Defense Modernization, in «Asian Survey», vol. 20, no. 10, 1980, pp. 988-989. 170. L. WORTZEL , Dictionary of Contemporary Chinese Military History, Santa Barbara: ABC-CLIO, 1999, p. 104.

I . Dalla morte di Mao alla guerra del 1979

67

interesse per gli armamenti stranieri. Dopo aver acquisito i motori Spey dalla britannica Rolls Royce nel 1975 171, come effetto della storica direttiva n. 18 della CMC, Pechino prese contatti con aziende europee e americane. Dei venticinque progetti di vendita di armi occidentali alla Cina popolare tra il 1972 e il 1981, solo nove andarono in porto 172. In un assessment per la RAND Corporation dell’ottobre 1979, Jonathan Pollack, analista ed esperto di Cina, rilevava che la leadership cinese a partire dall’autunno del 1976 aveva «mostrato particolare apprensione sulla prontezza militare» dell’EPL e aveva più volte ventilato la possibilità di «acquistare tecnologia avanzata p er la difesa dall’estero». Tuttavia, Pollack notava, «nulla si era realizzato ancora» effettivamente 173. Ciò è da attribuire ad alcuni elementi in particolare 174. In primis, specialmente tra i radicali si sviluppò un’opposizione politica rispetto alla dipendenza che un acquisto massiccio di tecnologia militare dall’Occidente avrebbe potuto determinare nelle Forze Armate cinesi. Inoltre, Pechino ritenne di non avere una capacità di assorbimento della tecnologia avanzata poiché mancava dell’expertise necessario ad integrare e far funzionare gli armamenti importati dall’estero. In ogni caso, la Repubblica Popolare nel 1978 non aveva le risorse finanziarie per sostenere una spesa ingente soprattutto perché era impegnata nell’ambizioso programma di sviluppo economico voluto da Hua. Nel mentre, le relazioni tra Cina e Vietnam continuavano a deteriorarsi. Nell’agosto del 1977, la firma di un trattato di amicizia tra Vietnam e Laos rinnovò i sospetti cinesi e cambogiani di un tentativo di egemonia vietnamita nella penisola indocinese. Nel suo viaggio in Asia del novembre del 1978 Deng Xiaoping esortò i leader di Thailandia, Malesia e Singapore a fare attenzione alle ambizioni vietnamite in Indocina e nel sud-est asiatico. Nella lunga riunione della CMC del 7 dicembre 1978, Deng riuscì a convincere i vertici del Partito e dell’EPL della necessità di mandare un messaggio chiaro al Vietnam e il giorno dopo la Commissione decise di allertare le regioni militari di 171. A. GILLI, M. GILLI, Why China Has Not Caught Up Yet: Military-Technological S u periority and the Limits of Imitation, Reverse Engineering, and Cyber Espionage, in «International Security», vol. 43, n. 3, 2019, p. 180. 172. B. GILL , K. TAEHO , China's arms acquisitions from abroad: a quest for "Superb and secret weapons”, Oxford, Oxford University Press 1995, p. 41. 173. J.D. POLLACK, Defense modernization in the People's Republic of China , Santa Monica, Calif, RAND Corp 1979, p. 3. 174. B. GILL , K. TAEHO , op. cit., pp. 35-36.

68

Tigri con le ali. La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare

Guangzhou e Kunming per un possibile attacco il 10 gennaio dell’anno nuovo 175. Il giorno di Natale del 1978, Hanoi lanciò un’invasione di larga scala della Cambogia muovendo circa 150 mila soldati. Meno di due settimane dopo Phnom Penh cadeva e il Vietnam vi instaurava il proprio controllo attraverso un governo fantoccio. Alle 5 di mattina del 17 febbraio un contingente di circa 100 mila cinesi varcò il confine vietnamita puntando su Hanoi e procedendo a grande velocità. L’obiettivo era conquistare le città di confine di Lan g Son, Cao Bang, e Lao Cai. La guida delle operazioni venne affidata ai due generali membri della CMC e fedeli a Deng, Yang Dezhi e Xu Shiyou. La reazione internazionale fu immediata: gli Stati Uniti pur dichiarando la propria neutralità pretesero il ritiro delle truppe vietnamite dalla Cambogia e di quelle cinesi dal Vietnam mentre l’Unione Sovietica intimò alla Cina di «fermarsi prima che fosse troppo tardi» 176. Appena fu presa la città vietnamita di Lang Son e coerentemente con quando predicato durante tutto il conflitto, Pechino annunciò il disimpegno delle truppe e la ritirata nei confini cinesi. Lungo tutto il conflitto, le operazioni erano state condotte seguendo i canoni della dottrina tradizionale maoista, con tornate di offensive di circa due settimane e rapide concentrazione di forze maggiori di quelle del nemico, seguite da veloci ritirate. Queste “ondate umane” e le tattiche di guerriglia avrebbero dovuto fiaccare la resistenza del nemico ma la combinazione di un alto morale vietnamita, un ter reno problematico e l’arretratezza tecnologica dei cinesi rese tutto più difficile. Inoltre, per non provocare ulteriormente i sovietici che mantenevano nell’area una presenza navale consistente la leadership cinese decise di non impiegare la Marina per alcun tipo di missione 177. Il Vietn am sarebbe stata l’ultima «guerra maoista» per la Cina178.

175. X. ZHANG , Deng Xiaoping and China's Decision to Go to War with Vietnam, in «Journal of Cold War Studies», vol. 12, n. 3, 2010, p. 14. 176. K.C. CHEN , op. cit., pp. 107-108. 177. E.C. O'DOWD , Chinese Military Strategy in the Third Indochina War: The Last Maoist War, New York, Routledge 2007, p. 66. 178. E.C. O'DOWD , op. cit..

Capitolo II

Dalla guerra del 1979 al Congresso del 1982

2.1. Verso l’egemonia di Deng Tra l’ottobre del 1976 e il 1982 quella che inizialmente era una difficile convivenza nel Partito tra l’anima riformista, guidata da Deng, e quella radicale, con a capo Hua, si trasformò gradualmente in un’egemonia della fazione denghista. Per quanto riguarda il settore della difesa e della strategia militare, l’ascesa di Deng si può dire completata tra l’agosto 1978, quando il PCC approvò l’ultimo ro u nd di nomine e la riabilitazione delle vittime della Rivoluzione culturale ai vertici della CMC, e il dicembre del 1978 con la decisione di Den g di muovere guerra al Vietnam. Tuttavia, nel 1979 l’ala guidata da Deng non godeva dello stesso potere in altri settori dove, al contrario, Hua Guofeng manteneva un certo grado di controllo ed autorità, grazie alle cariche di Presidente del Partito e Premier del Consiglio di Stato. A partire dal Terzo Plenum del dicembre 1978, però, Deng con l’appoggio della fazione moderata del PCC riuscì ad approvare alcune riforme economiche difformi dalle misure previste da Piano Decennale varato da Hua nel marzo del 1978. Affidata alle mani di Chen Yun, fedele collaboratore di Deng, la riforma agraria fu la prima ad essere varata. A partire dal 1979, venne, così, sperimentato un nuovo sistema, ovvero il “sistema di responsabilità familiare” (ᐙᗞ俼ṏ㈧⊭峋ả⇞). Esso istituiva un doppio binario per l’assegnazione dei diritti di sfruttamento della terra e creava le cosiddette “imprese municipali e di villaggio” (ḉ擯ẩ᷂). Con questa riforma, pur restando di proprietà statale, la terra veniva data in concessione alle “imprese” a cui era lasciato anche maggiore libertà nell’allocazione delle risorse e nell’organizzazione della produzione. Anche in ambito commerciale, l’ala di Deng introdusse delle novità significative. Nel luglio del 1979, il Consiglio di Stato avviò

69

70

Tigri con le ali. La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare

un’importante devoluzione delle competenze in materia commerciale alle amministrazioni locali. Il trasferimento di autorità nel setto re d el commercio internazionale non fu omogeneo, in conseguenza della creazione delle cosiddette “zone economiche speciali”, ovvero un insieme di province, regioni e municipalità che il governo considerava cruciali per aprire gradualmente il paese al commercio estero. Quattro "zone economiche speciali" (Shenzhen, Zuhai, Shantou e Xiamen) furono istituite inizialmente nel 1979 e godettero di un trattamento fiscale preferenziale. A queste zone fu permesso di costruire nuovi porti e regolamentare autonomamente la penetrazione delle merci straniere nei rispettivi distretti. Contemporaneamente, il PCC designò venticinque imprese statali che, sotto la supervisione del Ministero per il Commercio, potevano esportare una quota prestabilita dei loro prodotti ed importare liberamente i fattori produttivi di cui avevano bisogno. Il secondo passo della riforma commerciale fu la parziale liberalizzazione delle esportazioni. Infatti, da una parte la riforma stabilì una quota obbligatoria di specifici prodotti che le venticinque socie tà dovevano esportare. Dall’altra, la misura indicava una seconda quota di export alle amministrazioni locali che, però, erano lasciate libere di scegliere in base alle proprie necessità la tipologia di merci e le quantità per ciascun tipo di prodotto da esportare. Nel giugno del 1979, in occasione del Quinto Congresso dell’Assemblea Nazionale del Popolo, Deng Xiaoping riuscì a ridurre sensibilmente la portata del piano decennale di Hua, spostando l’obiettivo degli investimenti statali dall’industria pesante all’agricoltura e la produzione di consumo1. Tuttavia, nel settore secondario la fazione denghista incontrò maggiori difficoltà a correggere la politica industriale di Hua perché si scontrò con la resistenza della fazione dei “due qualsiasi” che riuscì a neutralizzare i propositi d i riforma di Deng. Nell’industria, infatti, le imprese di Stato godevano di ingenti sussidi statali grazie al beneplacito degli ultimi radicali al governo e lavoravano in un’economia priva di concorrenza. Quando tra il 1979 e il 1980 cercarono di ristrutturare il settore secondario, i moderati non riuscirono ad eliminare la collusione tra Stato e imprese e a favorire una limitata concorrenza come, invece, erano riusciti a fare nel primario. Il modesto risultato fu battezzato ironicamente la “piccola riforma”. 1. E. G. JOFFE , The Chinese Army After Mao, Cambridge, Harvard University Press, 1987, p. 56.

II . Dalla guerra del 1979 al Congresso del 1982

71

Tra il 1979 e il 1980, la fazione denghista fu in grado di promuovere molti dei propri uomini all’interno del Consiglio di Stato, nominando dieci nuovi vice-premier in aggiunta ai dodici precedenti (tra i quali figurava Deng). Dopo la serie di nomine del 1979, nella prima metà del 1980, Deng si impegnò a eradicare la fazione radicale dal Consiglio di Stato 2. In febbraio, il Quinto Plenum del PCC chiese che Wang Dongxing, Ji Dengkui, Wu De, e Chen Xilian (la cosiddetta “p icco la banda dei Quattro”), di orientamento radicale e legati a Hua Guofeng, fossero sollevati da tutti i loro incarichi nel Partito e nello Stato. Di fronte alla mossa di Deng, Hua Guofeng reagì tentando di sfruttare la poca influenza di cui godeva ancora tra i militari per lanciare una controffensiva contro il vice-premier3. Alla fine dell’aprile del 1980, quindi, Hua tenne un discorso ad una Conferenza di lavoro politico dell’Esercito convocata dal direttore del Dipartimento Politico Generale della CMC (storicamente il dipartimento più radicale nella Commissione). Nel discorso, Hua criticò le riforme denghiste e «l'eccessiva enfasi data ai mezzi economici» (sic) nella gestione dell’EPL. Inoltre, Hua, citando un tradizionale motto di Mao, chiese alle Forze Armate di «promuovere l'ideologia proletaria ed eliminare l'ideologia borghese» e raggiungere un alto livello di «civiltà spirituale» (sic), unità e disciplina 4. L’effetto prodotto dal discorso non fu quello auspicato dal Presidente del Partito. Sia Ye Jianying, l’uomo più vicino a Hua nel direttivo della CMC, sia Nie Rongzhen nicchiarono nell’appoggiare le dichiarazioni di Hua preferendo astenersi dal commentare il discorso. Al contrario, Hua si trovò a dover rispon dere ad una nuova ondata di critiche quando, nell'agosto del 1980, Deng menzionò l’episodio. «Senza indagini approfondite e analisi», secondo il vice-premier, «alcuni compagni» avevano criticato le riforme etic hettandole come «capitalistiche». «Al contrario», esse si erano rivelate «vantaggiose per la produzione e per la causa socialista» 5. Nella medesima occasione, Deng delineò anche alcune nuove misure che il Partito avrebbe dovuto realizzare in futuro. In primo luogo, secondo il vice-premier, era necessario prendere provvedimenti per contrastare la concentrazione di potere nelle mani di poche persone che, in passato, 2. R. MACFARQUHAR, op. cit., pp. 325-326. 3. Ivi., p. 387. 4. R. D. NETHERCUT, Deng and the Gun: Party-Military Relations in the People's Repu b lic of China, in «Asian Survey», vol. 22, no. 8, 1982, p. 697. 5. X. DENG , Selected Works, vol. II, p. 321.

72

Tigri con le ali. La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare

aveva ostacolato «l'esercizio del comando collettivo» e favorito «l’arbitrarietà individuale». Pertanto, non doveva essere più consentito ai funzionari del Partito di «detenere un elevato numero di cariche». In aggiunta, era necessario iniziare una separazione delle strutture del PCC da quelle dello Stato ed evitare che il Partito agisse come surrogato del governo. Da ultimo, era tempo che i «gerontocrati» de l PCC si facessero da parte 6. Alla conferenza del Politburo dell’agosto del 1980, Deng chiuse la sua morsa intorno a Hua. I funzionari convenuti alla riunione esigettero che Hua si dimettesse da Premier della Repubblica popolare e fosse sostituito da Zhao Ziyang. Zhao, eletto membro suppletivo del Po litburo nell’agosto del 1977, aveva costruito le proprie fortune nel Guangdong, sposando a pieno le misure e i principi del “Grande Balzo in Avanti” maoista. In seguito, se ne era discostato per sostenere le posizioni più moderate di Liu Shaoqi e Zhou Enlai. In q u esto mo do , Zhao si era avvicinato a Deng ma era entrato nel mirino delle p u rgh e della Rivoluzione Culturale che, fino al 1974, lo aveva costretto lontano da tutte gli incarichi di potere. Tornato in Guangdong dopo la f ine della Rivoluzione culturale, era stato promosso a Segretario regionale nel Sichuan, una delle province più popolose in Cina. Il Comitato permanente dell’Assemblea Nazionale del Popolo, riunitosi nel settembre del 1980, istituì un tribunale speciale per il processo simbolo del nuovo corso post-maoista, quello alla banda dei Quattro. I lavori giudiziari iniziarono il 20 novembre 1980 e costitu irono un momento catartico per la Cina popolare che, in quel modo, uscì definitivamente dalla Rivoluzione culturale. Più di 880 persone accorsero da tutto il paese per presenziare al processo a carico della “cricca contro-rivoluzionaria di Lin Biao e Jiang Qing. Dopo due mesi, il 23 gennaio 1981 il tribunale speciale pronunciò la sentenza definitiva. Jiang Qing e Zhang Chunqiao furono condannati a morte ma la loro esecuzione venne ritardata di due anni affinché i due avessero la possibilità di pentirsi delle proprie malefatte. Gli altri imputati subirono condanne che variarono da venti anni di prigione all’ergastolo. Forti del successo mediatico che aveva avuto processo, trasmesso sulle poche reti televisive e radiofoniche attive in Cina, i moderati sferrarono un altro colpo ai danni della fazione radicale. Nella sessione del Politburo tenutasi tra la fine di novembre e l’inizio di dicembre 6. J. GARDNER, op. cit., p. 175.

II . Dalla guerra del 1979 al Congresso del 1982

73

del 1980, Hua si trovò sotto il fuoco dell’ala denghista. Do p o av erlo tempestato di critiche, il Politburo giudicò Hua Guofeng inadatto agli incarichi di vertice che deteneva. Totalmente umiliato, Hua presentò le proprie dimissioni chiedendo di essere sollevato da tutti i ruoli. Tuttavia, la dirigenza concordò che le dimissioni sarebbero state accettate solo in occasione del Sesto Plenum del Comitato Centrale che si doveva tenere nel giugno successivo. Non è tuttora chiaro il motivo di tale proroga. Da una parte, Wolfgang Bartke e Peter Schier ritengono che il rinvio fosse il frutto dell’opposizione della fazione vicina a Hua. Essa, seppur decimata, secondo i due autori contava ancora sulla mediazione di personalità come Ye Jianying. Dall’altra, Roderick MacFarquhar sostiene che il Politburo avesse preferito posticipare le dimissioni di Hua per avere l’approvazione dell’intero Comitato Centrale7. In ogni caso, il Politburo concordò che, in occasione del Sesto Plenum, a Hua sarebbero succeduti Hu Yaobang in qualità di Presidente del Partito e Deng Xiaoping come Presidente della Commissione Militare Centrale. Nel frattempo, Hu e Deng avrebbero svolto tali funzioni in modo del tutto informale, lasciando a Hua gli uf f ici cerimoniali8. Negli ultimi giorni del giugno del 1981, nella Grande sala del Popolo di Pechino, si riunì, quindi, il Sesto Plenum dell’Undicesimo Comitato Centrale. All’ordine del giorno della riunione vi erano due punti principali: il rinnovamento dei vertici del Partito Comunista Cinese concordato alla fine del 1980 e “alcune questioni riguardanti la storia del Partito” (sic)9. Le “Risoluzioni su alcune questioni riguardanti la storia del Partito dal 1949 ad oggi” adottate il 27 giugno 1981, ma su cui il Politburo lavorava da quasi un anno, rappresentano il punto di svolta della storia della Cina comunista e la chiusura formale dell’esperienza della Rivoluzione culturale e della transizione postmaoista. Nel documento, Hua era duramente criticato per aver pro po sto la politica «errata» dei “due qualsiasi” e per aver tentato di sopprimere il dibattito sul “criterio della verità”. L’erede di Mao, semp re secondo lo stesso documento, aveva accondisceso ad un «cu lto d ella personalità» attorno alla propria figura che non si accordava con il so cialismo e, ancora più grave, aveva perseguito «le politiche e gli slo7. W. BARTKE , P. SCHIER, op. cit., p. 19; R. MACFARQUHAR, op. cit., p. 388. 8. Ivi., p. 388. 9. D.S.G. GOODMAN , The Sixth Plenum of the 11th Central Committee of the CCP : Lo o k Back in Anger?, in «The China Quarterly», vol. 87, 1981, p. 518.

74

Tigri con le ali. La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare

gan della Rivoluzione culturale invece di correggerli» 10. Nella critica all’ortodossia maoista di Hua, il Comitato centrale si spinse ben o ltre giungendo a mettere in dubbio il pensiero del Grande timoniere. Nelle “Risoluzioni”, infatti, il PCC si scagliò contro la Rivoluzione culturale bollata come la causa della «più grave involuzione e delle più gran d i perdite» subite dal Partito dal 1949. La dirigenza cinese non risparmiò lo stesso Mao accusato di essere il principale artefice del disastro della Rivoluzione Culturale. Nell’avviarla, infatti, Mao era stato convinto da una «valutazione erronea» che «non aveva nulla a che f are con il Marxismo-Leninismo né con la realtà cinese»11. La responsabilità del fallimento della Rivoluzione culturale pesava «sulle spalle del Compagno Mao» 12 che, dopo «aver raggiunto l’apice» del potere, era « d iventato arrogante» 13. La sessione plenaria del Comitato Centrale ratificò anche un nuovo round di nomine politiche. Furono accettate le dimissioni di Hua Guofeng da Presidente del Comitato Centrale e, quindi, da Presidente del Partito. Come se non bastasse, Hua fu vittima di una nuova ondata di critiche che miravano non più a screditarne l’operato ma la stessa legittimità politica. Per la prima volta, infatti, la fazione denghista mise in dubbio l’autenticità del testamento politico di Mao con cui il Grande timoniere aveva indicato Hua come proprio successore, perché con lui «al comando», Mao si sentiva «tranquillo». In un articolo del luglio del 1981 su Renmin Ribao, un autore anonimo sostenne che tale documento non poteva essere autentico perché mancava della firma di Mao e perché il Grande timoniere era fisicamente troppo debilitato per scrivere così chiaramente 14. Ad ogni modo, come concordato nella riunione della fine del 1980, il posto di Hua fu preso da Hu Yaobang, già eletto al Politburo e braccio destro di Deng Xiaoping, che ottenne la presidenza della CMC. Hua mantenne la vice-Presidenza del CC ma venne affiancato da Zhao Ziyang, un altro collaboratore fidato di Deng e da poco premier del Consiglio di Stato. In questo modo, il nuovo Comitato Permanente si sbilanciò definitivamente a favore di Deng.

10. On Questions in the Party History, in «Beijing Review», 6 luglio 1981, p. 26. 11. Ivi, p. 21. 12. Ivi, p. 23. 13. Ivi, p. 25. 14. W. BARTKE , P. SCHIER, op. cit., p. 21.

II . Dalla guerra del 1979 al Congresso del 1982

75

Tabella 2.2. Il Comitato Permanente del Politburo del PCC dopo i l Sesto Pl enum. 1. Hu Yaobang 2. Ye Jianying 3. Deng Xiaoping 4. Zhao Ziyang 5. Li Xiannian 6. Chen Yun 7. Hua Guofeng FONTE: Beijing Review, 6 luglio 1981.

Presidente del Comitato Centrale Vice-Presidente del Comitato Centrale Vice-Presidente del Comitato Centrale Vice-Presidente del Comitato Centrale Vice-Presidente del Comitato Centrale Vice-Presidente del Comitato Centrale Vice-Presidente del Comitato Centrale

Nonostante il successo schiacciante dell’ala denghista, gli attacchi a Hua Guofeng non si fermarono. Il 20 luglio 1981, ad esempio, un articolo su Renmin Ribao accusò Hua e Lin Biao di aver costruito un culto della personalità intorno a Mao Zedong. Forse anche per rispo ndere alle perduranti critiche, Hua tentò un’ultima mossa disperata. All'inizio dell’agosto del 1982, l’ex Premier criticò il fondamento ideologico della fazione denghista per cui "la pratica è l'unica prova della verità". Secondo Hua, infatti, il concetto si dimostrava fallace dal punto di vista logico. Secondo il suo ragionamento, pur non essendo stata ancora realizzata, infatti, la società comunista non mancava di verità e correttezza 15. Di conseguenza, il criterio della “pratica” per la “verità” non si accordava con la visione comunista. L’ultimo colpo di coda di Hua Guofeng passò, però, completamente inosservato come dimostra la totale assenza di riferimenti al discorso dell’ex Premier nei cinque numeri di Beijing Review dell’agosto 1982 (fatta eccezione per una menzione in un elenco di partecipanti ad alcune riunioni preparatorie), sebbene fosse ancora membro del Comitato Permanente. Il 1° settembre 1982 si aprì il Dodicesimo Congresso Nazionale del Partito Comunista Cinese con il discorso del vice-premier Deng Xiaoping che precedette il tradizionale rapporto del Presidente Hu Yaobang. Secondo Deng, date le innovazioni introdotte con le “Risoluzioni” del Sesto Plenum degl giugno 1981, il Dodicesimo Congresso era il più «importante dall’Ottavo Congresso del 1945» 16. Il rapporto di Hu appoggiò gli sviluppi ideologici dei «sei anni precedenti» durante i quali «gli errori della “sinistra” e del Compagno Mao Zedong erano 15. Ivi., p. 26. 16. AA.VV., The Twelfth National Congress of the CPC, Beijing, Foreign Languages Press, 1982, p. 2.

76

Tigri con le ali. La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare

stati sottoposti ad analisi ed una critica scientifiche» 17. Il Dodicesimo Congresso approvò, quindi, il nuovo Statuto del Partito e, come previsto, nominò un nuovo Comitato Centrale, un nuovo Politburo, un nuovo Comitato permanente e, tra gli altri organi del Comitato Centrale, una nuova Commissione Militare Centrale. Il successo di Deng f u totale e Hua Guofeng venne privato del seggio nel Comitato permanente, rimanendo solo membro del Comitato Centrale. Il nuovo Comitato permanente era, quindi, composto dagli stessi membri (e nello stesso ordine) del precedente senza però Hua. Non si può apprezzare co rrettamente quanto il Dodicesimo Congresso costituisse un punto di svolta se non si presta attenzione alla composizione del nuovo Comitato Centrale. È, infatti, nell’elevato numero di membri di nuova nomina, ovvero che non era mai stato membro degli organi apicali del PCC e della RPC, che risiede gran parte della novità del Congresso. Prendendo in esame gli alti quadri del Partito e dello Stato, un rinnovamento simile non avveniva dal 1945 e dal 1969, due momenti fondamentali nella storia della RPC18. Il nuovo Statuto introduceva alcune novità degne di nota 19. Dal punto di vista ideologico, ovviamente, il Marxismo-Leninismo e il pensiero di Mao Zedong venivano confermati come i «principi gu id a dell’azione» del Partito 20. Parimenti, il documento riconosceva che «la linea ideologica del partito è di procedere dalla realtà in tutte le cose, di integrare la teoria con la pratica, di cercare la verità dai fatti e di verificare e sviluppare la verità attraverso la pratica» 21. Il proposito di una maggiore separazione tra Partito e Stato invocato con fermezza da Deng e Hu Yaobang venne meglio definito maggiormente durante il Congresso. Nelle parole di Hu, l'obiettivo principale della riforma del sistema di governance del Partito e dello Stato era di «eliminare difetti quali l’eccessiva concentrazione di potere, l’accumulazione di cariche in conflitto, la sovrapposizione organizzativa tra organismi, la mancanza di una chiara responsabilità professionale, l’eccedenza di personale e la mancata separazione del lavoro del partito dal lavoro di go17. Ivi, p. 13. 18. W. BARTKE , P. SCHIER, op. cit., p. 21. 19. B. ONNIS, La politica estera della RPC. Principi, politiche e obiettivi, Roma, Aracne Editrice, 2020. 20. Constitution of the Communist Party of China, in «Beijing Review», 20 settembre 1982, p. 8. 21. Ivi, p. 10.

II . Dalla guerra del 1979 al Congresso del 1982

77

verno» 22. Il nuovo Statuto divideva il Comitato Centrale in tre organi paralleli: il Comitato Centrale propriamente detto, la Commissione per l'Ispezione della Disciplina e la Commissione Consultiva Centrale (CCC). In questo modo, l’obiettivo di Deng di mandare in pensione i “gerontocrati” fu realizzato spostando i quadri del Partito con più di quarant’anni di servizio all’interno della CCC. Tale organo, nella mente dei suoi creatori, doveva fornire assistenza e consulenza politica e ideologica al Comitato Centrale del Partito. Il Congresso del settembre del 1982 costituì, quindi, il momento in cui l’interregno post-maoista venne archiviato e l’agenda politica ed economica riformista fu definitivamente accettata dal Partito. A partire dalla fine del 1982, quindi, Deng e la corrente “moderata” goderono di maggior libertà nel realizzare i provvedimenti e le misure per la modernizzazione generale del paese. 2.1.1 La minaccia sovietica nel calcolo strategico cinese Nei mesi successivi alla fine delle operazioni contro il Vietnam, la classe dirigente politico-militare cinese fu impegnata nella valutazione della performance bellica e dei risultati della “lezione” impartita ad Hanoi. Il dibattito fu estremamente vivace. Contro il Vietnam, infatti, la RPC condusse la più grande operazione militare dai tempi della guerra di Corea assumendosi un rischio di rappresaglia sovietica enorme che, però, non si materializzò. La mancata ritorsione da parte di Mosca spinse Deng ad una valutazione politica e non tattica del conflitto appena concluso. Il vice-premier ritenne, infatti, che la guerra «fosse stata un successo politico» 23 perché aveva «aumentato il prestigio e l’influenza della RPC nel mondo» e convinto i cinesi a «concentrarsi sui programmi di sviluppo economico»24. In realtà, la posizione di Deng deve essere inquadrata in una prospettiva più ampia che trascende il risultato militare del conflitto che fu, come si vedrà nelle prossime pagine, piuttosto deludente. Nella visione di Deng, la serie di iniziative diplomatiche di cui la sua fazione si era fatta promotrice a 22. Y. HU , Report to the 12th Congress of the Communist Party of China, in «Beijing Re view», 13 settembre 1982, p. 35. 23. K.C. CHEN , China's War with Vietnam, 1979: Issues, Decisions, and Implications, Stanford, Calif, Stanford University Press, 1987, p. 146. 24. X. ZHANG , Deng Xiaoping's Long War: The Military Conflict Between China and V ietnam, 1979-1991, Chapel Hill, The University of North Carolina Press, 2015, par. 17.16.

78

Tigri con le ali. La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare

partire dal 1978 aveva aperto una nuova fase delle relazio n i in ternazionali e migliorato la posizione della Cina sullo scacchiere globale. Dal punto di vista dei riformisti, la firma del trattato di amicizia con il Giappone nel 1978 e, ancora di più, la normalizzazione dei rapporti con gli Stati Uniti nel 1979 avevano giocato un ruolo sostanziale nel dissuadere i sovietici dal condurre una ritorsione contro Pechino 25. La possibilità di contenere eventuali mosse aggressive da parte del Cremlino confermava quello che Deng aveva suggerito dal 1975, ovvero che una guerra “esistenziale” potesse essere ritardata e che l’equilibrio internazionale fornisse alla Cina un’importante opportunità di pace e sviluppo. Nei corridoi del Zhongnanhai, la sede del PCC e del Governo cinese adiacente alla Città Proibita, l’opinione condivisa era che la guerra appena conclusa avesse «indebolito Hanoi, avvertito l’U nione Sovietica ed educato l’Occidente»26. Ovviamente, all’interno della f azione denghista non mancava chi sosteneva posizioni differenti. Nell’aprile del 1979, Chen Yun, ad esempio, sottolineò le difficoltà finanziarie che l’intervento sul fronte meridionale aveva causato. A suo parere, «se la guerra fosse continuata per altri sei mesi» l’impatto sul bilancio sarebbe stato «insostenibile» 27. Ciononostante, la visione strategica di Deng non sollevò una vera e propria opposizione e nei mesi successivi finì per prevalere definitivamente. Nel marzo 1980 Deng, allora Presidente de facto della CMC, sancì la linea da seguire . In una riunione allargata della Commissione, egli dichiarò che: «dopo aver serenamente studiato la situazione internazionale, abbiamo concluso che è possibile oggi guadagnare un periodo di pace più lungo di quanto avevamo inizialmente previsto. Durante questo periodo, dovremmo fare del nostro meglio per tagliare le spese militari in modo tale da rafforzare lo sviluppo nazionale» 28. È importante sottolineare che l’avvento al potere di Deng e della sua fazione non sovvertì, almeno non immediatamente, l’impostazione marxista della politica estera cinese ma ne aggiornò alcuni caratteri così da meglio adattarli agli obiettivi dei riformisti. Alla luce di questa 25. M. YAHUDA , op. cit., p. 181. 26. Report Prepared in the Bureau of Intelligence and Research, No. 1148 Washington, March 20, 1979, in NICKLES D.P., HOWARD A.M., Foreign Relations of the United States, 1977-1980: Volume 13, China, Washington, United States Government Printing Office, 2013, p. 838. 27. K.C. CHEN , China's War against Vietnam, 1979: A Military Analysis, in «Occas io n al Papers in Contemporary Asian Studies », vol. 5, no. 58, 1983, p. 24. 28. X. DENG , Selected Works, vol. II, p. 269.

II . Dalla guerra del 1979 al Congresso del 1982

79

dinamica di adattamento, pertanto, deve essere letto il dibattito id eo logico occorso dopo il Terzo Plenum del dicembre 1978 sul ruolo della Cina nel mondo e sul contesto delle relazioni internazionali contemporanee. Come suggerito da Deng nei discorsi sul “periodo di pace”, l’elemento del “tempo” assumeva una rilevanza centrale. A partire dal 1978, gli intellettuali cinesi si erano interrogati su quanto tempo la Repubblica popolare avesse per modernizzarsi e migliorare le condizioni economiche nazionali prima di entrare in guerra con l’imperialismo (americano, europeo o sovietico). Profondamente legato a questo tema era la questione della longevità del capitalismo e dell’imperialismo. Huan Xiang, che tra gli altri ruoli si dice fosse il consigliere di Deng per la politica estera, spiegò chiaramente i termini del dibattito. In un articolo del 1981 sul giornale “Scienze sociali” (୰ᅜ♫఍⛉Ꮫ), Huan scrisse: La tesi fondamentale di Lenin sull’imperialismo, compresa q uella su l su o inevitabile collasso, è completamente corretta […]. Ciononostante, quel lib ro è stato scritto quasi settant’anni fa e la situazione contemporanea è cambiata significativamente. […] Il processo di declino dell’imperialismo è p iu t t osto lungo e potrebbe rivelarsi tortuoso, con numerosi alti e bassi29.

Il tema della “longevità dell’imperialismo” dominò il dibattito politico e teorico cinese all’inizio degli anni Ottanta e contribuì a introdurre ulteriori elementi di novità rispetto al pensiero tradizionale maoista e stalinista. Jiang Xuemo, ad esempio, criticava la convinzione che l’imperialismo sarebbe crollato in tempi rapidi e, al contrario, sosteneva che sarebbe stato un processo graduale. La coesione del Partito per quanto riguardava i temi della “evitabilità della guerra” e della “longevità dell’imperialismo” testimoniava la generale assenza di un’opposizione alla fazione denghista all’interno del PCC. Tra il 1979 e il 1982, la maggiore sfida ai due argomenti provenne dall’estero e, in particolare, da parte dell’Unione Sovietica. La sera del 24 dicembre 1979, infatti, le forze sovietiche diedero il via all'invasione dell’Afghanistan (operazione Štorm 333). Da mesi, Mosca aveva rivolto l’attenzione al proprio confine meridionale dove crescevano motivi di preoccupazione. Oltre al solido asse tra Cina e Stati Uniti, infatti, per l’URSS anche la situazione in Afghanistan era diventata critica. A Kabul, le 29. Citato in D. SHAMBAUGH, Beautiful imperialist., p. 59

80

Tigri con le ali. La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare

due correnti del Partito Democratico Popolare, che aveva preso il potere durante l’anno precedente grazie ad un colpo di stato, erano entrate in conflitto. Nonostante le pressioni sovietiche affinché la rottura fosse risolta, i due leader, Taraki e Amin, entrarono in collisione. Nel mentre, Mosca si convinse che Amin progettasse, una volta preso il potere nel paese, di abbandonare il campo so cialista in favore di quello americano. Quando Amin riuscì ad assassin are Taraki nel settembre 1979, il Cremlino si persuase che non vi era altra scelta che l’intervento militare. L’operazione fu pianificata tra il settembre e il dicembre del 1979 e venne preceduta dall’infiltrazione di corpi speciali sovietici in territorio afghano30. Il 30 dicembre 1979, pochi giorni dopo l'invasione sovietica, Pechino emise un comunicato in cui condannava energicamente la mossa sovietica e chiedeva il ritiro delle forze di Mosca. Nel co mmentare le azioni del Cremlino, il dibattito strategico cinese si divise lungo le stesse linee argomentative del passato. Da una parte, coloro che sostenevano che l’Unione Sovietica rappresentasse una minaccia vitale per la RPC vedevano nell'occupazione dell'Afgh anistan l’ennesimo tentativo di accerchiamento sovietico della Cin a. In un editoriale sul Quotidiano del Popolo dell’inizio del 1980, ad esempio, un anonimo osservatore commentava così gli eventi del Natale del 1979: La strategia globale dell’Unione Sovietica per l’egemonia sul mondo ha compiuto un altro passo avanti […] L’occupazione dell’Afghanistan permette a Mosca una postura strategica con cui marciare ad ovest in Iran e nell’est del Pakistan in qualsiasi momento. Una volta che le sue truppe abbiano raggiunto le acque calde dei porti nell’Oceano Indiano o nello stretto di Hormu z, M o sca completerà l’accerchiamento a tenaglia dell’Arabia Saudita […]. A q u el punto nell’Oceano Indiano, la Marina sovietica potrà fare il bello e il ca t t iv o tempo31.

Dall’altra parte, poco prima dell’invasione ma quando già giungevano notizie dell’intenzione sovietica di intervenire in Af ghanistan, un articolo sullo stesso giornale espresse un punto di vista opposto. «Se l’URSS» fosse «intervenuta in Afghanistan», si sarebbe trovata «imprigionata» nella stessa «imbarazzante situazione degli 30. A. M. KALINOVSKY , A Long Goodbye: the Soviet Withdrawal from Afghanistan, Cambridge, Mass, Harvard University Press, 2011, p. 24. 31. Citato in D. SHAMBAUGH, Beautiful imperialist, p. 59

II . Dalla guerra del 1979 al Congresso del 1982

81

Americani in Vietnam». Perdurando nel proposito di conseguire «l’egemonia» globale, Mosca non faceva altro che «sprofondare nella palude» dove avrebbe «incontrato la propria fine» 32. Per alcuni leader cinesi, infatti, l'invasione dell'Afghanistan aveva esposto la vulnerabilità intrinseca dell'URSS. Secondo questa linea interpretativa, l'Unione Sovietica si era spinta oltre le proprie possib ilità. Mosca era, infatti, vincolata da pressanti impegni militari ed economici nell'Europa orientale, a Cuba, in Vietnam, in Afghanistan, non riusciva a realizzare i necessari piani di rilancio dell’economia 33. Inoltre, vista da Pechino, Mosca era anche alle prese con un’endemica instabilità sociale per motivi etnici e con il risentimento degli alleati in Europa orientale, come dimostravano i disordini in Polonia. La percezione della debolezza sovietica, logicamente, avvalorava la tesi di Deng sull’incapacità del Cremlino di attaccare la Cina nel breve termine. Mentre il dibattito sulla potenza e la minaccia sovietica impegnava i leader cinesi, il 1979 portò alcune novità significative in ambito diplomatico. Durante l’anno, una serie di colloqui tra i viceministri degli Esteri riportarono Pechino e Mosca ad un tavolo negoziale dopo dieci anni di rottura. In aprile, un mese dopo il ritiro delle truppe cinesi dal Vietnam, Pechino inviò un primo segnale conciliatorio a Mosca. Nel commentare l’imminente scadenza del trentennale Trattato di amicizia, alleanza e mutua assistenza sinosovietico, il Ministro degli Esteri Huang, infatti, confermò che la RPC intendeva «sviluppare relazioni interstatali normali» con l’URSS34. I negoziati per la soluzione dell’annosa questione dei confini sul fiume Ussuri continuarono durante il 1979 senza alcuna conclusione tangibile ma con il risultato di aumentare i contatti tra i due paesi. Ciononostante, i cinesi posero alcune condizioni chiare per l’allentamento della tensione. In particolare, nel settembre 1979 la Cina chiese che i Sovietici: — riducessero il numero di divisioni di stanza al confine settentrionale della RPC, — ritirassero le truppe dalla Mongolia, 32. Citato in Ivi, p. 44. 33. H.S. YEE , op. cit., p. 247. 34. Citato in P. VAMOS, «Only a Handshake but No Embrace»: Sino-Soviet Normalization in the 1980s, in BERNSTEIN T. P., LI H., China learns from the Soviet Union, 1949 -present, Lanham, Lexington Books, 2010, p. 80.

82

Tigri con le ali. La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare

— cessassero di sostenere l’occupazione vietnamita della Cambo-

gia, — lavorassero per risolvere le dispute di confine con Pechino 35. Dopo l’invasione sovietica dell’Afghanistan, Pechino interruppe tutti i colloqui diplomatici in corso e aggiunse alle richieste già presentate anche quella del ritiro delle truppe di Mosca dal territorio afghano. Nel novembre 1980, Deng fu intervistato dalla rivista americana Christian Science Monitor. Jonathan Pollack, esperto d i politica estera e di difesa cinese e analista della RAND Corporation, rintraccia nell’intervista alcuni argomenti degni di nota che chiariscono la posizione di Deng sui rapporti con l’URSS. Secondo il vice-premier, «l’Unione Sovietica» avrebbe dovuto «mostrare con atti concreti di voler abbandonare le proprie pretese ege moniche». Se Mosca avesse compiuto questo passo, la Cina sarebbe stata «pronta a migliorare le relazioni il giorno successivo»36. Secondo Pollack, il punto di vista di Deng deve essere spiegato alla luce del suo programma politico-economico interno. Un «contesto internazionale pacifico» era, infatti, indispensabile per le rif orme economiche proposte da Deng. Un articolo del 1979 su Cheng Ming , un giornale di Hong Kong considerato molto vicino al vice-premier, afferma che era stata proprio questa esigenza a spingere Pechino a prendere l’iniziativa nell’aprile del 1979 e tentare un contatto con i sovietici37. Anche lo scontro con gli Stati Uniti sulla vendita di armi a Taiwan durante il 1979 giocò un ruolo cruciale nello spingere i cinesi ad esplorare la possibilità di migliorare i rapporti con Mosca38. I cinesi, infatti, si erano convinti che allentare la tensione con il Cremlino avrebbe bilanciato la deriva filo-taiwanese che l’amministrazione Carter sembrava aver imboccato nella seconda metà del 1979. Nel discorso del febbraio 1981 al Congresso del Parti to Comunista sovietico, Leonid Brezhnev fece il punto sullo stato dei rapporti con Pechino con un accento più pacifico del solito. Secondo il 35. “Sino-Soviet Exchanges 1969-1984,” aprile 1984, p. 7. Testo disponibile all’indirizzo: https://www.cia.gov/library/readingroom/docs/CIA-RDP11S00229R000201310001-2.pdf (18/9/2020). 36. Citato in J. POLLACK, The Sino-Soviet rivalry and Chinese security debate, p. 49. 37. Citato in Ivi, p. 50. 38. J.W. GARVER, China's Quest: The History of The Foreign Relations of The People's Republic of China, Oxford, Oxford University Press, 2015, p. 429.

II . Dalla guerra del 1979 al Congresso del 1982

83

Segretario del PCUS, infatti, la RPC era nel mezzo di «alcuni cambiamenti nella politica interna» ma non vi era «ancora spazio per alcun miglioramento delle relazioni» tra Cina e Unione Sovietica. Ciononostante, «l’Unione Sovietica» non aveva mai voluto «alcuno scontro con la Cina» 39. Sia il Ministro degli Esteri Huang Hu a ch e il suo vice Qian individuano l'inizio del processo di riavvicinamento con l’Unione Sovietica nel discorso del Segretario generale Leonid Brezhnev del marzo del 1982 a Tashkent, nell'Uzbekistan sovietico. Pur critico nei confronti della Cina, nel marzo del 1982 Breznev riconosceva la PRC come un paese socialista ed esprimeva la speranza di intensificare i legami con Pechino. Il Segretario sovietico, inoltre, rammentò come l'Unione Sovietica, a differenza d i altre potenze, non avesse mai negato che Taiwan fosse parte della RPC. Contestualmente, il Segretario del PCUS proponeva una ripresa dei colloqui diplomatici tra l'Unione Sovietica e la Repubblica Popolare Cinese 40. La risposta cinese non si fece attendere. Deng convocò un incontro nella sua casa di Pechino per discutere dell’apertura fatta da Brezhnev nel discorso del marzo del 1982. Alla riunione partecip ò il massimo direttorio cinese: Chen Yun, Li Xiannian, e alcuni dirigenti del Ministero degli Esteri, tra cui Qian Qichen. La partecip azione di Chen e Li è interessante perché i due erano d a an ni attiv i sostenitori del riavvicinamento con l'Unione Sovietica che considerevano una «cosa naturale», frutto della amicizia passata e della vicinanza ideologica 41. Il gruppo raggiunse conclusioni rassicuranti: l'Unione Sovietica era impantanata in Afghanistan e si trovava di fronte a una nuova sfida globale da parte degli Stati Uniti che, guidati da Ronald Reagan, non avevano intenzione di sottostare al vincolo della “parità strategica”. Nel rapporto del Presidente del Partito al Congresso del PCC del settembre del 1982, Hu Yaobang sembrò rispondere all’apertura di Tashkent, seppur in maniera cauta. Nella quinta sezione del suo discorso sulla situazione internazionale, infatti, Hu mantenne un tono conciliatorio e criticò entrambe le 39. R. F. MILLER, T.H. RIGBY , 26th Congress of the CPSU in Current Political Perspective, in «Australian National University Research School of Social Sciences’ Occasional Paper», vol. 16, 1982, p. 52. 40. J.W. GARVER, China's Quest, p. 430. 41. V. ZUBOK , The Soviet Union and China in the 1980s: reconciliation and d ivo rce, in «Cold War History», vol. 17, no. 2, 2017, p. 124.

84

Tigri con le ali. La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare

«superpotenze che perseguivano l’egemonia» e che costituivano «una nuova minaccia per i popoli del mondo»42. In un contesto internazionale del genere, concludeva Hu, la Cina doveva condurre una «politica estera indipendente» 43. All'inizio degli anni Ottanta, quindi, per la dirigenza di Pechino la priorità passava dal prepararsi ad un’eventuale aggressione sovietica a garantire un ambiente internazionale pacifico in cui la RPC potesse procedere con la modernizzazione nazionale e lo sviluppo economico44. 2.1.2 Il contrappeso americano e la cooperazione tra Washington e Pechino L’accoglienza prudentemente amichevole che Deng riservò al discorso di Brezhnev del marzo del 1982 dipendeva anche dalla co n temporanea evoluzione della relazione tra Pechino e Wash in gto n. Tra il 1979 e il 1982, è vero che Deng si mostrò più disposto di Mao ad avviare una cooperazione più stretta e significativa con gli Stati Uniti. Il vice-premier rivelò in più occasioni di essere meno ossessionato di Mao dal pensiero di una possibile collusione tra Washington e Mosca in chiave anti-cinese45. Ad esempio, durante il 1980 una collaborazione tra la Central Intelligence Agency e l’EPL risultò nella costruzione di due stazioni di monitoraggio nello Xinjiang, vicino al confine con l’Unione Sovietica. Tali installazioni erano state progettate per intercettare, analizzare e condividere dati sismologici e telemetrici sui test balistici e nucleari nel territorio sovietico, nonché le trasmissioni radio russe. Nell'aprile del 1979, Deng si era fatto garantire dalla controparte americana che queste stazioni sarebbero state gestite direttamente dalla Cina e che i dati raccolti sarebbero stati condivisi con Pechino 46. La visita in Cina del Segretario della Difesa Harold Brown nel gennaio 1980, quella del Segretario della CMC, Geng Biao, negli Stati Uniti tra la fine di maggio e l'inizio di giugno del 1980, e il viaggio molto meno pubblicizzato del Vice-Capo di Stato Maggiore, Liu Huaqing,

42. Y. HU , op. cit., p. 31. 43. Ivi, p. 29. 44. Y. EVRON , op. cit., p. 88. 45. J.W. GARVER, China's Quest, p. 403. 46. S.M. ALI, op. cit., par. 35.10.

II . Dalla guerra del 1979 al Congresso del 1982

85

tra il 5 e il 18 giugno in America segnarono un altro importante passo avanti nella cooperazione strategica tra i due paesi 47. Tuttavia, tra il 1979 e il 1980 alcuni sviluppi nella relazione sino-americana sembrarono remare contro ai propositi del vicepremier. Nella fase finale dell’Amministrazione Carter, il dossier più importante per i rapporti sino-americani era, ancora u n a v o lta, lo status di Taiwan. Nell’ottobre 1979, il Presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter aveva firmato un atto proposto dalle due Camere del Congresso che aveva scatenato la dura reazione dei cinesi. Il Taiwan Relations Act (TRA) era un documento pensato per controbilanciare la normalizzazione delle relazioni diplomatiche con la RPC e rassicurare i taiwanesi che Washington non li avrebbe abbandonati. L’atto, infatti, impegnava Washington a fornire a Taipei «armi difensive» e a «mantenere le capacità americane di resistere a qualsiasi ricorso alla forza o ad altre forme di coercizione che avrebbero potuto mettere a repentaglio la sicurezza, il sistema sociale ed economico della popolazione di Taiwan» 48. Tuttavia, la decisione sulla natura e sull’entità dei servizi di difesa che l'America avrebbe fornito a Taiwan doveva essere determinata dal Presidente e dal Congresso. L'atto stabiliva inoltre che gli Stati Uniti avrebbero «considerato qualsiasi tentativo di determinare il f uturo di Taiwan con mezzi diversi da quelli pacifici, inclusi boicottaggi o embarghi, una minaccia per la pace e la sicurezza dell'area del Pacifico occidentale e motivo di grave preoccupazione per gli Stati Uniti» 49. Un editoriale pubblicato su Ban yue tan fu durissimo con Washington. Secondo il suo autore, «Taiwan era una questione di sovranità nazionale» su cui non si poteva «accettare alcuna strumentalizzazione». A tali considerazioni, si aggiungeva l’aggravante che il TRA violava quanto «affermato nel comunicato congiunto di ripristino di relazioni diplomatiche e nel comunicato di Shanghai»50. Ad onore del vero, negli Stati Uniti il Congresso aveva approvato l’atto con il chiaro obiettivo di ristabilire il proprio controllo sulla materia dopo la personale iniziativa del Presidente che aveva

47. J.D. POLLACK , The lessons of coalition politics: Sino-American security relations, Santa Monica, RAND Corporation, 1984, p. 64. 48. U.S. CONGRESS, HOUSE, Taiwan Relations Act, H.R.2479, 96th Congress (1979-1980). 49. Ibidem. 50. Citato in D. SHAMBAUGH, Beautiful imperialist, p. 258.

86

Tigri con le ali. La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare

portato alla normalizzazione dei rapporti con la Cina 51. Nonostante avesse richiamato il Congresso ad una maggiore prudenza nel discutere il tema di Taiwan, il Presidente Carter aveva dovuto siglare l’atto, poco prima delle elezioni presidenziali di novembre. Le pro teste cinesi furono rinvigorite dalla decisione americana del giugno 1980 di vendere una nuova fornitura di armamenti a Taipei. Nel frattempo, i cinesi mostrarono particolare apprensione per gli sviluppi della campagna elettorale in corso negli USA. Articoli e ed itoriali sull’imminente consultazione elettorale erano iniziati ad uscire ben prima del novembre 1980. Come nota Shambaugh, i «giornalisti cinesi fecero un lavoro ammirevole nel co mmen tare e interpretare gli sviluppi precedenti l’elezione presidenziale del 1980» 52. Ciò che impensieriva maggiormente Pechino era la p ersistente menzione di Taiwan nei discorsi di uno dei due candidati, il repubblicano Ronald Reagan. Durante il 1979, Reagan aveva utilizzato proprio l’argomento del TRA per attaccare l’uscente Carter, accusato di essere troppo prudente quando si trattava di rassicurare i taiwanesi della garanzia americana 53. In una conferenza stampa del maggio 1980 il candidato repubblicano si era spinto ancora più in là, ventilando l’ipotesi del riconoscimento delle “due Cine” come entità separate 54. In effetti, la questione della vendita delle armi a Taiwan costitu ì il principale motivo di dissidio tra le due potenze tra il 1979 e il 1982. La fornitura di armamenti americani a quella che i cinesi percepivano come l’isola “ribelle” continuarono durante tutto il 1979 e aumentarono a 276 milioni di dollari nel 1980. Una volta che Reagan si insediò, la mossa iniziale di Pechino fu di trasmettere ai funzionari della nuova amministrazione il messaggio che la presidenza Carter aveva impegnato gli Stati Uniti durante i negoziati per la normalizzazione dei rapporti all’interruzione della vendita di armi a Taiwan. Pertanto, la Cina si aspettava che la nuova amministrazione osservasse tale promessa 55. Oltretutto, poche settimane prima dell’insediamento di Reagan, Deng aveva tenuto un duro discorso 51. S.M. GOLDSTEIN , R. SCHRIVER, An Uncertain Relationship: The United States, Taiwan and the Taiwan Relations Act, in «The China Quarterly», vol. 165, 2001, p. 151. 52. Citato in D. SHAMBAUGH, Beautiful imperialist, p. 210. 53. S.M. GOLDSTEIN , R. SCHRIVER, op. cit., p. 153. 54. J.D. POLLACK, The lessons of coalition politics, p. 66. 55. J.W. GARVER, China's Quest, p. 423.

II . Dalla guerra del 1979 al Congresso del 1982

87

di fronte ad una delegazione americana per denunciare il comportamento americano e chiarire che la Cina non aveva bisogn o degli Stati Uniti per contrastare l’Unione Sovietica. In quell’occasione, Deng aveva anche avvertito che la nuova amministrazione americana avrebbe avuto gli occhi cinesi puntati addosso nei mesi seguenti56. La questione taiwanese continuò a turbare le relazio ni tra Pechino e Washington durante tutto il 1981 e la dirigenza cinese tentò in più occasioni di mettere gli americani con le spalle al muro e convincerli ad un nuovo accordo che interrompesse i trasferimenti di armamenti all’isola “ribelle”. A metà del 1981, la relazione sino-americana toccò il suo punto più basso dal rapprochement d el 1972. Nell’ottobre 1981, ad esempio, il Ministro degli Esteri Huang Hua fu ancor più risoluto con il Segretario di Stato americano Haig rispetto alle già dure parole di Deng dell’anno precedente. La Cina, nelle parole di Huang, «aveva aspettato invano per tre anni, ma il problema [di Taiwan] non era ancora risolto». Pechino non avrebbe potuto «aspettare per sempre» e Washington avrebbe dovuto dare segnali chiari di voler risolvere la disputa. Una soluzione proposta da Huang era quella di una «riduzione graduale, anno per anno, fino ad un’interruzione completa» della vendita di armi a Taipei 57. Dopo l’incontro Huang-Haig la situazione sembrò sbloccarsi e i negoziati per una soluzione della questione taiwanese procedettero in maniera più spedita per i seguenti dieci mesi. Infatti, il 17 agosto 1982 i due paesi raggiunsero l’accordo finale, contenuto in un “comunicato congiunto” o “terzo comunicato”. Dopo un lungo preambolo di contestualizzazione, il documento recita così: Tenendo presente le dichiarazioni precedenti di entrambe le parti, il gov ern o degli Stati Uniti afferma che non intende condurre una politica di lu n go t ermine di vendita di armi a Taiwan, che le sue vendite di arm i a Taiwan n on supereranno, in termini qualitativi o quantitativi, il livello di q u elle f o rn it e negli ultimi anni a partire dall'instaurazione di relazioni diplomatiche t ra gli Stati Uniti e la RPC, e che intende ridurre gradualmente la vendita di a rmi a Taiwan, così da giungere, dopo un periodo di tempo, ad una solu zio ne (sic) finale58.

56. Citato in Ivi, p. 422. 57. Citato in Ibidem. 58. “Joint Communique of the United States of America and the People's Republic of China,” The White House, Office of the Press Secretary, 17 agosto 1982, p. 2. Testo dispon i-

88

Tigri con le ali. La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare

La dirigenza cinese considerò questo progresso come una tappa verso una soluzione definitiva ma certo non si poté dire soddisfatta dei termini indefiniti del comunicato. Nelle parole di Hu Yaobang, Pechino sperava che il «dettato [del terzo comunicato sinoamericano] fosse rigorosamente rispettato». Le relazioni tra RPC e Stati Uniti, infatti, sarebbero potute continuare «solo se i principi del rispetto reciproco, della sovranità, dell'integrità territoriale e della non interferenza nei reciproci affari interni» fossero osservati59. Mentre i due paesi erano ancora impegnati nei negoziati per il comunicato congiunto, il Kuomintang taiwanese prese l’iniziativa e sottopose all’amministrazione Reagan quelle che sono passate alla storia come le “sei garanzie”. Il governo di Taiwan chiese che gli Stati Uniti osservassero alcune linee guida nella conduzione delle relazioni con Taipei. Secondo l'ex ambasciatore John Holdridge, d i fronte alla richiesta taiwanese nel luglio 1982 gli Stati Uniti acconsentirono a sottoscrivere questi sei punti. Le “sei garanzie” erano: i) gli Stati Uniti non fisseranno una data per l’interruzione della vendita di armi a Taiwan; ii) gli Stati Uniti non modificheranno i termini del Taiwan Relations Act; iii) gli Stati Uniti non si consulteranno con la Cina prima di prendere una decisione sulla vendita di armi a Taiwan; iv) gli Stati Uniti faranno da mediatori tra Taiwan e la Cina; v) gli Stati Uniti non cambieranno la propria posizione in merito alla sovranità di Taiwan; vi) gli Stati Uniti non faranno pressione su Taiwan per avviare negoziati con la Cina 60. Nonostante le difficoltà incontrate nel risolvere l’annosa questione di Taiwan, le necessità strategiche spinsero Pechino e Washington ad accordarsi in altri tavoli negoziali, su cui i due paesi ottennero risultati migliori. A partire dal dicembre 1979, Pechino, infatti, aveva avviato uno sforzo diplomatico per convincere gli Stati Uniti a cooperare con il Pakistan in funzione anti-sovietica. In occasione della sua visita in Cina, il Segretario alla Difesa american o Brown discusse con Geng Biao e Deng Xiaoping della possibilità bile all’indirizzo: http://www.china-embassy.org/eng/zmgx/doc/ctc/t946664.htm (23/11/2020). 59. Y. HU , op. cit., p. 35. 60. R.W. HU , The TRA, Cross-Strait Relations, and Sino-U.S. Relations: Searching for Cross-Strait Stability, in LIN C., ROY D., The Future of the United States, China, and Ta iwa n Relations, Basingstoke, Palgrave Macmillan, 2001, p. 65.

II . Dalla guerra del 1979 al Congresso del 1982

89

di fornire aiuti ai rifugiati afghani in Pakistan e di incrementare la cooperazione con Islamabad 61. Durante la sua visita a Islamabad nel gennaio del 1980, nel replicare alla denuncia del Presidente pakistano Zia ul-Haq secondo cui gli americani erano «morbidi co n i sovietici», il Ministro degli Esteri Huang Hua sollecitò il Pakistan ad unirsi a tutti i paesi che si opponevano al tentativo egemonico di Mosca62. L’elezione di Reagan a quarantesimo Presidente degli Stati Uniti determinò un maggiore coinvolgimento americano nel sostegno all’insurrezione delle milizie anti-comuniste in Afghanistan, anche attraverso la mediazione pakistana.

2.2. La politica di difesa di Deng Xiaoping 2.2.1 Il dibattito sulla modernizzazione militare A seguito della cessazione delle ostilità con il Vietnam, Deng conseguì un altro successo per la sua agenda di riforme. Il programma delle Quattro modernizzazioni venne, infatti, prolungato di tre anni e il bilancio della difesa per l’anno successivo venne sensibilmente decurtato 63. Parallelamente, la fazione riformista fece un appello a i militari perché assistessero lo sviluppo economico nazionale con spirito patriottico e di sacrificio e all'industria della difesa affinché sfruttasse pienamente la propria capacità per sviluppare e produrr e beni di consumo e per usi civili64. Secondo Deng e la componente civile della fazione riformista, infatti, tanto la produzion e militare quanto l’industria civile potevano innalzare il livello tecnologico generale del settore secondario cinese e portare benefici a pioggia per lo sviluppo economico del paese65. Nel discorso celebrativo per il trentesimo anniversario della Repubblica Popolare Cinese (1° ottobre 1979), il Ministro della difesa Xu Xiangqian mise in evidenza quali fossero i punti nodali per la modernizzazione della difesa na61. Memorandum of Conversation, January 8, 1980, in NICKLES D.P., HOWARD A.M, op. cit., p. 1060. 62. Citato in J.W. GARVER, China's Quest, p. 417. 63. R.D. NETHERCUT, op. cit., p. 692. 64. M. GURTOV , Swords into Market Shares: China's Conversion of Military Industry to Civilian Production, in «The China Quarterly», vol. 134, 1993, pp. 213-41. 65. H.S. YEE , op. cit., p. 248.

90

Tigri con le ali. La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare

zionale. Secondo Xu, «il rapido sviluppo e l’estesa applicazione della tecnologia moderna avevano portato grandi cambiamen ti n egli armamenti e negli equipaggiamenti». In linea con quanto approvato dal Terzo Plenum del dicembre 1978, però, confermava la gerarchia delle priorità di sviluppo dell’ala denghista. Se la Cina avesse «perseguito una costruzione di larga scala e a gran velocità della difesa nazionale», Xu sosteneva, «ciò avrebbe inficiato seriamente l’economia nazionale e, quindi, la base industriale della difesa». Del resto, l’ammodernamento militare, infatti «in ultima analisi si fonda sull’economia nazionale». In conclusione, il Ministro della difesa ammetteva che la «modernizzazione dell’Esercito» sarebbe dovuta risultare «compatibile con il progresso economico»66. Dal punto di vista strettamente militare, la conseguenza più apprezzabile della guerra del 1979 fu di dare nuova linfa al dibattito sulla necessità di modernizzare gli armamenti e le strategie 67. I leader militari utilizzarono, infatti, l’infelice prestazione bellica dell’EPL durante la campagna contro il Vietnam per screditare chi in passato si era opposto alla modernizzazione dell’arsenale e all’aggiornamento dei concetti operativi e della dottrina militare. La quantità di articoli e studi scritti a partire dal marzo 1979 risulta di grande significato se paragonata al carente dibattito del periodo della Rivoluzione culturale e della prima metà degli anni Settanta. Già nel marzo 1979, un editoriale anonimo sul quotidiano dell’EPL sottolineava che il compito imprescindibile per la dirigenza p o litica-militare cinese era «innalzare le capacità di combattimento delle Forze Armate ad un livello moderno» 68. Nel settembre del 1979, Xiao Ke, comandante dell’Accademia delle Scienze Militari, evidenziò che la Cina, vista la prestazione poco entusiasmante in In docina, doveva «studiare la strategia, la tattica, la scienza militare e la tecnologia per condurre la guerra popolare in condizioni moderne. Continuare ad applicare il metodo “attrarre il nemico in profondità” […] era assurdo» 69. Nel maggio 1979, una serie di articoli analizzarono la performance dei carri armati cinesi durante le o p erazioni contro il Vietnam dando spazio alle parole dei comandanti dei mezzi. Gli ufficiali testimoniarono la grande impreparazione 66. X. XU , Xu Xiangqian junshi wenxuan, Beijing, Jiefangjun chubanshe, 1993, p. 169. 67. K.C. CHEN , China's War with Vietnam, 1979, p. 146. 68. Citato in E.G. JOFFE , The Chinese Army After Mao, p. 57. 69. Citato in P.B. GODWIN , Compensating for Deficiencies, p. 91.

II . Dalla guerra del 1979 al Congresso del 1982

91

dell’EPL nel condurre «operazione coordinate» tra i vari servizi dell’EPL70. Nel consultare la letteratura militare successiva al marzo 1979 salta all’occhio la libertà che i quadri militari percepirono di avere nel valutare la prestazione in Vietnam. In un articolo del giugno 1979 su Jiefangjun Bao, Li Yanming presentò una posizione diametralmente opposta a quella del maoismo tradizionale. Secondo l’autore erano «le caratteristiche delle armi e dell’equipaggiamento» a «determinare i metodi del loro impiego ». Similmente, aggiungeva Li, date le armi e le attrezzature in mano ai contendenti, il loro metodo di impiego avrebbe definito i « meto d i di combattimento» da adottare 71. Le conclusioni del suo ragionamento spingevano Li a contraddire in toto la teoria maoista della predominanza del fattore umano su quello tecnologico. Altro importante elemento che vale la pena sottolineare è che, a partire dalla guerra contro Hanoi, anche l’Aviazione ricevette maggiore attenzione nel dibattito militare. Come nota Du Yuqing, infatti, la forza aerea cinese aveva continuato a combattere seguendo i «metodi elaborati dai sovietici negli anni Cinquanta» che, però, non «soddisfacevano più i requisiti della guerra moderna» 72. Nei sette mesi precedenti l’articolo di Du, però, l’Aviazione si era addestrata e aveva conseguito miglioramenti significativi. Rilevanti novità non apparvero solo nel dibattito militare teorico ma, anzi, anche nelle esercitazioni delle componenti dell’EPL vennero introdotte alcune innovazioni significative. Tra il luglio e l’agosto del 1979, lo Stato Maggiore dell’EPL impegnò i suoi ufficiali in un seminario lungo ventuno giorni in cui vennero studiate le «esigenze della guerra moderna». Tra gli argomenti analizzati, la priorità venne data alle «armi nucleari, ai missili guidati, ai satelliti artificiali, ai laser, […] alla guerra elettronica, […] ai computer». Il lungo incontro, l’articolo afferma, aiutò «tutti ad espandere il proprio orizzonte e la propria conoscenza» 73. Contemporaneamente, anche la Marina aveva condotto alcune esercitazioni seguendo i principi della «guerra navale in condizioni moderne». Durante le simulazion i, la 70. Tank Commanders Review Border War with Vietnam, in «JPRS L/9894», 1981, p. 18. 71. Weapons Development Dictates Combat Methods Change, in «JPRS L/9946», 1981, p. 17. 72. Air Force Units Test Training Reforms, in «JPRS L/9876», 1981, p. 6. 73. Strive to Cultivate Commanders Who Meet the Requirements of Modern Warfare, in «JPRS L/9876», 1981, p. 1.

92

Tigri con le ali. La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare

Marina dell’EPL aveva anche impiegato strumenti per la guerra elettronica da cui aveva tratto lezioni «illuminanti». Tra le altre materie, i missili guidati erano diventati «il modus operandi principale dell’aviazione sovietica» e costituivano, quindi, «un’importante caratteristica» della guerra moderna 74. Durante il 1979, la voce più attiva nel promuovere un aggiornamento del pensiero militare cinese fu, di nuovo, Su Yu, ideatore del concetto di “guerra popolare in condizioni moderne”. Già in gennaio, Su era intervenuto in una serie di lezioni all’Accademia militare e alla scuola centrale del Partito, sostenendo la necessità di «ulteriori sviluppi» del pensiero militare cinese. Secondo Su, infatti, «alcuni dei principi maoisti» non erano più in grado di «affron tare le condizioni moderne della guerra» e bisognava avere «il coraggio di infrangerli» 75. L’impatto delle lezioni di Su sugli ufficiali dell’EPL fu tale che, non solo «entro marzo 1979, il 70% dei quadri dell’EPL le avevano ascoltate», ma vennero anche ripubblicate sulle maggiori riviste militari76. Proprio l’innovazione dottrinaria della “guerra popolare in condizioni moderne” di Su viene citata in un articolo su Jiefangjun Bao come ragione principale di un round di esercitazioni tenutosi nella regione militare di Lanzhou, la più grande delle sette regioni militari al confine con le Repubbliche Sovietiche di Russia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e con la Mongolia, alleata dell’URSS. Durante le manovre, le truppe si esercitarono nella conduzione della «guerra difensiva nelle fasi iniziali di un conflitto» con cui, ammette l’autore, «non avevano mo lta familiarità» 77. Anche sulle riviste militari cinesi la necessità di un aggiornamento strategico fu accettata pacificamente dalla maggioranza dei commentatori. A differenza del periodo dell’interregno, infatti, nessuna voce di dissenso si alzò per difendere il pensiero militare maoista e i suoi principi costitutivi. Al contrario, un autore anonimo sul Quotidiano dell’Esercito schiettamente ammise che «la situazione era cambiata di molto». Ad esempio, per quanto riguarda74. Articles on Meeting Demands of Modern Naval Warfare, in «JPRS L/9876», 1981, p . 8. 75. Citato in E.G. JOFFE , «People's War Under Modern Conditions»: A Doctrine for Modern War, in «The China Quarterly», vol. 112, 1987, p. 557. 76. M.T. FRAVEL , op. cit., p. 150. 77. Lanzhou Units Cadres Study Defensive Warfare, in «JPRS L/9803», 1981, p. 8.

II . Dalla guerra del 1979 al Congresso del 1982

93

va la guerra di movimento, l’articolo riconosceva che «di fronte ad un nemico con capacità di movimento notevolmente superiori», Pechino doveva confrontarsi con la realtà che «non avrebbe po tu to fare molto» 78. Tabella 2.2. Il direttivo della nuova Commissione Militare Centrale. Deng Xiaoping Presidente

Vice-

(ufficioso) Liu Bo-

Xu Xiang-

cheng

qian

Li

Yang

Wei

Han

Xiannian

Dezhi

Guoqing

Xianchu

Zhang

Wang

Yang

Xu

Wang

Tingfa

Ping

Yong

Shiyou

Zhen

Ye Jianying

presidenti Segretario generale Comitato

Nie Rongzhen

Geng Biao

Su Yu

Permanente

FONTE: M. LAMB, op. cit. p. 35; W. BARTKE , P. SCHIER, op. cit., p. 53.

Nel dicembre 1979, Hua Guofeng si dimise da Presiden te d ella Commissione Militare Centrale in favore dell’ex Ministro della Difesa, Ye Jianying, che preferì, però, declinare l’offerta. C’è da dubitare della spontaneità della generosità di Ye che, a causa dei suoi legami con Hua, stava subendo una progressiva marginalizzazione. Lo stesso Ye, infatti, nel dicembre 1979 aveva compiuto u n a d u ra autocritica pentendosi di aver «parlato troppo bene di Hua» durante l’anno precedente e rammaricandosi di averlo considerato «l’imperatore erede di Mao» 79. Fu Deng Xiaoping che ottenne la guida della CMC, sebbene non assumesse il nuovo incarico fino al giugno 1981. Ufficiosamente, però, già dal marzo 1980 Deng ab78. New Applications of Traditional Military Tactics Urged, in «JPRS L/9784», 1981, p. 12. 79. J. EISENMAN, op. cit., p. 13.

94

Tigri con le ali. La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare

bandonò il suo posto di Capo di Stato Maggiore per svolgere il nuovo incarico al vertice della CMC. Al posto del vice-premier, al comando dell’EPL si insediò Yang Dezhi, suo leale collaboratore ed uno degli artefici dei piani di guerra contro il Vietnam. All’inizio del 1980, mentre Deng si preparava a rivestire la carica di Presidente della CMC, ebbe luogo un massiccio rimpasto della Commissione. Il risultato fu una vittoria per la fazione legata al vice-premier che guadagnò la quasi totalità dei ruoli nel direttivo della Commissione. Nei mesi successivi alla nomina di Deng a capo della CMC, inoltre, la Commissione promosse una serie di riunioni di alto livello per discutere le nuove linee guida strategiche dell’EPL. Questo fervore era, nelle parole dello stesso Yang, «senza precedenti» 80. Nel marzo 1980, ad esempio, Deng aprì i lavori di una riunione allargata della CMC con un incarico preciso. La Commissione doveva adattare il principio di “attrarre il nemico in profondità” al nuovo contesto strategico perché il pensiero militare maoista non era più «appropriato»81. Il risultato fu un seminario interno all’EPL per lo studio della nuova strategia militare che fu avviato nella primavera del 1980 con il nome in codice “801” (perché inizialmente proposto nel gennaio del 1980). È da notare che tra il 1972 e il 1978, il Dipartimento della Difesa americano aveva studiato un nuovo concetto operativo denominato “Air–Land Battle” che venne formalizzato nel manuale operativo FM100-5. La normalizzazion e dei rapporti diplomatici permise a Pechino di intrattenere una f itta serie di scambi tra l’EPL e le Forze Armate statunitensi e, tra le altre cose, di ottenere durante il 1980 una copia del manuale operativo americano che esercitò grande influenza sul dibattito militare cinese82. Tale influenza si sommava all’esteso dibattito militare iniziato nel 1975 in merito alla necessità di modernizzare le strategie per la conduzione delle operazioni nel caso di un’invasione sovietica da nord.

80. M.T. FRAVEL , op. cit., p. 157. 81. Citato in W.T. TOW , D.T. STUART, China's Military Turns to the West, in «International Affairs», vol. 57, no. 2, 1981, p. 293. 82. S.M. ALI, op. cit., par. 38.5.

II . Dalla guerra del 1979 al Congresso del 1982

95

2.2.2 I primi passi verso un nuovo EPL Dopo mesi di lavoro, nel settembre 1980 una conferenza dello Stato Maggiore dell’Esercito Popolare di Liberazione approvò la transizione ad una nuova strategia militare. M. Taylor Fravel definisce questa nuova strategia (“linea guida strategica” secondo la d efin izione ufficiale cinese) semplicemente «difesa attiva» 83 mentre altri autori, tra cui Jencks, Godwin e Joffe 84, ne rimarcano la contin uità con la “guerra popolare in condizioni moderne” avanzata da Su nel 1977. In ogni caso, i concetti centrali della nuova strategia militare erano la difesa avanzata e la guerra di posizione, in aperto conflitto con il principio maoista dell’attrarre il nemico in profon dità. Nessuna ritirata strategica era possibile, secondo i vertici dell’EPL convenuti alla conferenza del settembre del 1980, perch é avreb be significato sacrificare aree e città cruciali come Pechino e Dalian. La difesa avanzata presupponeva, al contrario, la resistenza all’invasione sovietica lungo una linea di fortificazioni al confine con la Mongolia e l’URSS. La nuova linea guida della “difesa attiva” ridimensionava sensibilmente il ruolo della guerriglia e della guerra di movimento, elementi centrali della strategia maoista della “guerra popolare”. Elaborata la nuova strategia, l’EPL fu impegnato a metterla in pratica. Nel settembre 1980, un round di esercitazioni militari (codice “802”) ebbe inizio nelle vicinanze di Pechino. Ma fu nel settembre 1981 che le Forze Armate cinesi fecero un notevole passo avanti conducendo la più grande esercitazione militare dal 1949, seguendo il nuovo orientamento strategico. Per cinque giorni le truppe si cimentarono con la difesa di posizione inizialmente avanzata da Su Yu e, poi, resa ufficiale durante l’anno precedente. Ispirandosi al modello americano dell’Air-Land Battle, inoltre, le truppe di terra cinesi si addestrarono per la prima volta a condurre manovre rapide con formazioni di terra numericamente ridotte rispetto al passato e coordinate con il supporto aereo e l’impiego di elicotteri. In seguito, Zhang Zhen, vice-Capo di Stato 83. M.T. FRAVEL , op. cit. p. 139. 84. H.W. JENCKS, «People's War Under Modern Conditions»: Wishful Thinking, National Suicide, or Effective Deterrent?, in «The China Quarterly», vol. 98, 1984, pp. 305-319; E . G. JOFFE , «People's War Under Modern Conditions»: A Doctrine for Modern War; P.H.B. GODWIN , Changing Concepts of Doctrine, Strategy and Operations in the Chinese People's Liberation Army 1978-87, in «The China Quarterly», vol. 112, 1987, pp. 572-90.

96

Tigri con le ali. La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare

Maggiore deputato all’addestramento, affermò che l’esercitazione aveva determinato un generale consenso tra i vertici militari riguardo l’efficacia della nuova linea guida strategica. Ciononostante, Zhang dovette ammettere che l’atteso coordinamento tra le forze d i terra e l’aviazione «non aveva funzionato molto bene» 85. Il processo di approvazione della nuova linea guida strategica progredì di pari passo con la crescente apertura commerciale della Cina denghista. Un aumento notevole della partecipazione cinese ai simposi e alle conferenze scientifiche internazionali si tradusse in una progressiva presa di coscienza da parte della dirigenza politica cinese dello stato dell’arte della tecnologia nei paesi del Primo e del Secondo Mondo. I vertici politici e militari della RPC iniziarono a rendersi conto quanto l’immobilità scientifica dell’epoca della Rivoluzione culturale e dell’immediata fase post-maoista avesse costituito un pesante fardello per la Cina 86. Come si è potuto vedere in relazione al dibattito sulle “condizioni moderne della guerra”, tanto i decisori politici quanto gli analisti erano al corrente della grande arretratezza del sistema industriale militare della Repubblica popolare. Tuttavia, coerentemente con le conclusioni del Terzo plenum del dicembre del 1978, l’urgenza dello sviluppo economico continuò ad avere la meglio sulle esigenze militari. Tra il 1980 e il 1981, infatti, una serie di tagli al bilancio arrestarono il trend crescente della spesa militare verificatosi nell’ultimo lustro degli anni Settanta. Inoltre, durante il 1980 Deng riuscì a decurtare ulteriormente la lista dei progetti prioritari di ricerca e sviluppo militare che era stata approvata dall’importante riunione del dicembre 1977. Nel Sesto Piano Quinquennale (1981-1985), il numero di progetti prioritari di R&S scese da trentacinque a venti. In aggiunta, una specifica clausola voluta da Deng stabilì che il piano successivo non avrebbe contenuto un numero di progetti superiore ai ventisette programmi87. Contemporaneamente, i pochi negoziati ancora aperti con paesi occidentali per l’acquisto di tecnologia militare e sistemi

85. Citato in M.T. FRAVEL , op. cit., pp. 172-173. 86. E.A. FEIGENBAUM, Who's Behind China's High-Technology «Evolution»? How Bomb Makers Remade Bejing's Priorities, Policies, and Institutions, in «International Security», vol. 24, no. 1, 1999, p. 97. 87. Y. EVRON , op. cit., p. 83.

II . Dalla guerra del 1979 al Congresso del 1982

d’arma furono accantonati per «motivazioni legate al prezzo e alla convenienza»88 . In generale, l’approccio voluto da Deng prediligeva la realizzazione di un numero ristretto di sistemi a scapito di una vasta gamma di equipaggiamenti con un basso coefficiente tecnologico. Durante il 1980, inoltre, il Coordinating Committee for Multilateral Export Controls, l’ente multilaterale in seno al blocco occidentale deputato al controllo delle esportazioni di armamenti ai paesi del blocco orientale, decise di rimuovere la Cina dalla lista dei paesi comunisti verso il quale erano interdette le esportazioni di tecnologia militare. Questo, tuttavia, non si tradusse in un massiccio flusso di armamenti dall’Occidente verso la Cina che gli analisti si asp ettavano. In questo senso, il caso più eclatante è quello degli Stati Uniti. La notevole riduzione della spesa per la difesa e dei progetti militari di ricerca e sviluppo e l’assenza di significative importazioni di armamenti attirò alla leadership di Deng le critiche di quanti nelle Forze Armate si opponevano alla bassa priorità data alla modernizzazione militare all’interno del programma delle “Quattro Modernizzazioni”. Con la spesa militare ai livelli minimi da anni, i vertici dell’EPL mossero numerose accuse ai “moderati” al governo tra il 1980 e il 1981. Per non aggravare ulteriormente la rottura, di fronte alle tensioni emerse in seno all'esercito, il Partito decise di non esprimere alcuna critica ai leader delle Forze Armate all'interno delle “Risoluzioni” pubblicate nel giugno del 1981. Vennero, quindi, evitate menzioni del ruolo cruciale svolto dalle Forze Armate nel corso della Rivoluzione Culturale. Il Comitato Centrale decise di riconoscere piena legittimità politica ai cambiamenti strategici in corso perché, come «lo stesso Mao aveva spiegato», era «necessario modificare la strategia militare» in risposta agli sbilanciamenti «nell’equilibrio delle forze tra la Cina e le altre potenze» e ai «progressi nel modo di fare la guerra» 89. Nonostante la cautela dimostrata dall’ala denghista, l’opposizione all’interno dell’Esercito crebbe significativamente durante i primi anni Ottanta. Il timore che la protesta si propagasse spinse Deng a sottrarre la carica di Segretario Generale della CMC 88. B. GILL , K. TAEHO , op. cit., p. 41. 89. On Questions in the Party History, in «Beijing Review», 6 luglio 1981, p. 31.

97

98

Tigri con le ali. La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare

a Geng Biao al quale era stata promessa in qualità di Ministro della Difesa. Geng, infatti, aveva dimostrato di aderire alle polemiche contro le riforme di Deng e Chen e di sposare posizioni eccessivamente “di sinistra”. Al suo posto, nel luglio 1981 Deng pose Yang Shangkun 90. Yang era nato nel 1907 nella provincia del Sichuan da una ricca famiglia di proprietari terrieri e aveva presto aderito alla Lega della Gioventù Comunista. Da giovane era stato uno dei famosi “Ventotto bolscevichi” che avevano completato gli studi in Unione Sovietica laureandosi all'Università Sun Yat-sen d i Mosca. Nel mentre, Deng Xiaoping, che aveva abbandonato la Francia, si era trasferito nella capitale sovietica dove conobbe Yang e ne fece uno dei suoi consiglieri più fidati91. Tornato in patria, Yang partecipò alla Lunga marcia e strinse un profondo rapporto con Mao che lo fece Segretario Generale della CMC (1945 -19 56 ). Poi, come molti dei compagni di Deng, Yang fu epurato durante la Rivoluzione Culturale, perse tutte le proprie cariche e f u costretto ai lavori forzati in campagna. Nel 1978, quindi, fu riabilitato da Deng, appena questi tornò al vertice del Partito 92. Nonostante le difficoltà, durante il periodo 1979-1982 i rapporti tra i militari e la leadership politica cinese rimasero improntati alla cooperazione. Prima dell’emanazione delle “Risoluzioni”, alcuni commissari politici dell’EPL aveva costituito l’avanguardia delle istanze riformiste di Deng integrando nelle linee guida ideologiche per l’addestramento delle truppe alcuni principi innovativi. Nella Conferenza del Lavoro Politico dell’Esercito del marzo 1981, ad esempio, Jiang Lichu ed altri quadri militari criticarono duramente la fazione «di sinistra» perché promuoveva l’errata convinzione dei «due qualsiasi» per il lavoro politico e l’addestramento delle Forze Armate93. Nel 1982 Deng Xiaoping firmò e diede la propria sanzione politica a più di trenta istruzioni operative redatte dall’EPL per le forze di terra, la marina, l’aviazione e la forza missilistica. In esse, erano condensate la dottrina della “guerra popolare in condizioni moderne/difesa attiva” e le innovazioni strategiche elaborate nei mesi precedenti. Grazie all’approvazione dell’apparato politico, 90. M. LAMB, op. cit., p. 35. 91. E.P. LEUNG , Political leaders of modern China: a biographical dictiona ry, Westpor t, Conn, Greenwood Press, 2002, p. 184. 92. Ivi, p. 184. 93. Political Work Conference of Military Regions Held, in «JPRS L/9894», 1981, p. 6.

II . Dalla guerra del 1979 al Congresso del 1982

le istruzioni operative funsero nei mesi successivi da base per un processo di ri-educazione militare degli ufficiali cinesi. Anche dal punto di vista della governance militare, il 1982 portò una ventata di novità. In maggio, i tre organismi che fino a quel momento avevano guidato la politica industriale e la ricerca tecnologica per la difesa, sia convenzionale sia nucleare, furono fusi in un’unica istituzione. La CSTDN di Zhang Aiping e l’Ufficio industriale per la difesa nazionale, protagonisti in passato di una vera e propria competizione politica, vennero accorpati insieme al Co mitato per la scienza, la tecnologia e l’equipaggiamento della CMC per creare la Commissione scientifica, tecnologica e industriale per la difesa nazionale (CSTIDN). Nel settembre 1982, nel momento di massimo potere fino ad allora per Deng Xiaoping, il Dodicesimo Congresso nominò una nuova Commissione Militare Centrale. La totalità della nuova dirigenza era legata a doppio filo all’autorità di Deng che assumeva la presidenza dell’istituzione in via ufficiale. Tabella 2.3. La Commissione Militare Centrale dopo il Congresso del 1982. Presidente VicePresidente permanente* Vicepresidenti Segretario generale Vice- segretari generali Comitato Permanente (incompleto)

Deng Xiaoping Yang Shangkun Nie Rongzhen

Xu Xiangqian

Ye Jianying

Hong Xuezhi

Zhang Aiping

Yang Yong († gennaio 1983)

Su Yu

Yang Dezhi

Zhang Tingfa

Yang Shangkun Yu Qiuli

FONTE: Beijing Review, 20 settembre 1982, p. 6; M. LAMB , op. cit., p. 35; N. LI, op. cit., p. 72. * Non è chiaro cosa si debba intendere con la formula “Vice Presidente permanente” che appare per la prima volta nel comun icato finale dei lavori del Dodicesimo Congresso.

99

100

Tigri con le ali. La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare

2.3. La politica nucleare di Deng Xiaoping Tra il 1978 e il 1980, i lavori della dirigenza cinese in ambito nucleare subirono un’accelerazione. Durante il 1979, ad esemp io, la CMC approvò la costruzione della cosiddetta “grande muraglia sotterranea”, una monumentale rete di tunnel dove poter immagazzinare, armare e trasportare liberamente i missili balistici fino al sito di lancio senza il pericolo di essere disarmati da un primo colpo nemico 94. Nell’aprile 1979, il Secondo Ministero chiese che la produzione di materiale fissile fosse riconvertita per scopi civili, in linea con le conclusioni del Terzo Plenum del dicembre 1978 che aveva dato priorità allo sviluppo economico nazionale. Il risu ltato fu che a partire dal 1981, la RPC ridusse sensibilmente gli investimenti nell’infrastruttura nucleare militare e la produzione di uranio arricchito e plutonio. Nel febbraio 1981, una conferenza congiunta del Secondo Ministero dell’Industria Meccanica e della CSTDN confermò l’orientamento indicato da Deng Xiaoping. A partire da quel momento, «il principio fondante per lo sviluppo dell’industria nucleare era di garantire l’adempimento delle esigenze militari ma spostare l’attenzione all’economia nazionale» 95. Una delle poche funzioni rimaste attive per la centrale nucleare di Lanzhou, di conseguenza, fu di produrre uranio per i reattori nucleari dei vascelli della Marina cinese, in particolare i sottomarini lanciamissili balistici96. Alla luce di questi progressi deve essere letto il proposito cinese di sviluppare l’arricchimento dell’uranio tramite centrifugazione. Nell’attuare i principi dello “spostamento dell’attenzione all’economia nazionale” e della “conversione dal militare al civile”, Pechino era, infatti, impaziente di adottare una tecnologia di arricchimento meno costosa e che richiede meno energia come la centrifuga a gas. In questo modo, il Secondo Ministero, responsabile per l’industria nucleare avrebbe potuto sostituire i propri impianti anti94. L. XIA , China’s Nuclear Doctrine: Debates and Evolution , in «Carnegie Endowm en t for International Peace», 30 giugno 2016. Testo accessibile all’indirizzo: https://carnegieendowment.org/2016/06/30/china-s-nuclear-doctrine-debates-and-evolutio n pub-63967 (05/06/2020). 95. Citato in R.S. NORRIS et al., Nuclear Weapons Databook. Vol. V: British, French, and Chinese nuclear weapons, Boulder, Westview Press, 1994, p. 335. 96. H. ZHANG , China’s Fissile Material Production and Stockpile, in «International Panel on Fissile Materials Research Report», no. 17, 2017, p. 17.

II . Dalla guerra del 1979 al Congresso del 1982

101

quati e dispendiosi di diffusione gassosa. La ricerca in materia di centrifughe era iniziata in maniera sistematica nel 1977 con gli studi dell'Accademia di ricerca sulla separazione degli isotopi dell'uranio dell'Università Tsinghua e dell'Istituto di ricerca sui separatori di Shanghai, ma si era dimostrata più lenta del previsto 97. A causa delle difficoltà tecniche incontrate, Pechino decise, però, di ricorrere ad un’altra fonte di approvvigionamento. Tra la f ine degli anni Settanta e l'inizio degli anni Ottanta, pertanto, il Pakistan e la Cina stabilirono quella che Boyd definisce una «relazione nucleare simbiotica» 98 e che Reed e Stillman chiamano «l’asse Deng-Zia» 99. A.Q. Khan, lo scienziato pakistano accusato di aver architettato un piano di proliferazione nucleare globale, ha raccontato che all’inizio degli anni Ottanta la Cina fornì al Pakistan quantità significative di gas esafluoruro di uranio per il programma di arricchimento di Islamabad e in cambio ottenne i dettagli tecnologici del funzionamento delle centrifughe100. Il risultato fu che nel 1981 il primo prototipo di separatore cinese tramite centrifughe f u testato con successo. Pechino si spinse anche oltre. Durante il 1982, infatti, la RPC iniziò a vendere assistenza diretta agli scienziati pakistani che lavoravano alla progettazione di armi nucleari e alla costruzione dell’infrastruttura nucleare di Islamabad101. Tutto questo, comunque, non era realizzato a discapito dell’impegno scientifico e tecnologico per la difesa nazionale . Un articolo su Jiefangjun Bao dell’agosto del 1979, ad esempio, illustrò i progressi fatti dal Secondo Corpo d’Artiglieria per la mode rnizzazione dei vettori strategici. «Durante l’anno precedente», il SCA aveva tenuto una serie di conferenze ed incontri con gli esperti tecnici e gli scienziati dei centri di ricerca cinesi per aggiornarsi sui nuovi sviluppi della tecnologia missilistica. In particolare, relazioni tecniche erano state presentate in materia di «calcolatori elettronici, automazione della catena di comando, guerra elettronica, 97. R.S. NORRIS et al., op. cit., p. 345. 98. D. BOYD , Advanced Technology Acquisition Strategies of the People's Republic of China, Ft. Belvoir, Defense Threat Reduction Agency, Advanced Systems and Concepts Of fice, 2010, p. 22. 99. T.C. REED , D.B. STILLMAN , The Nuclear Express: A Political History of the Bomb and Its Proliferation, Minneapolis, Zenith Press, 2009, p. 247. 100. “China Supplied Weapon-Grade Uranium to Pakistan, Khan Asserts.” Testo accessibile all’indirizzo: http://nti.org/17900GSN (02/06/2020). 101. T.C. REED , D.B. STILLMAN , op. cit., p. 249.

102

Tigri con le ali. La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare

raggi infrarossi e laser» 102. Nel novembre 1982, la CSTIDN, l'Accademia cinese delle scienze e il Ministero dell'industria nucleare convocarono una conferenza congiunta sulla separazione degli isotopi tramite laser103. Durante il 1979, inoltre, Pechino aveva chiesto a più riprese assistenza tecnologica a Washington al fine di migliorare la propria infrastruttura sotterranea per i test nucleari. La richiesta cinese fece discutere i vertici dell’esecutivo americano. In un memorand um al Presidente Carter, ad esempio, il Segretario di Stato Vance aveva espresso la propria contrarietà104. Anche il Segretario della Dif esa Brown era intervenuto sulla questione sostenendo una posizione più moderata e aprendo alla possibilità di condividere know-how con i cinesi sulla conduzione di test sotterranei, ad esempio in materia di diagnostica dei risultati105. La visita di Brown in Cina del gennaio 1980 aveva, tra gli altri obiettivi, quello di incalzare i cinesi a «spostare i propri test nucleari in infrastrutture sottoterra» e a «condividerne i risultati e i dati», almeno quelli meno sensibili 106. Probabilmente per dimostrare la propria buona fede alla controparte american, il 16 ottobre 1980 la RPC condusse l’ultimo test atmosferico della storia. Lo sviluppo principale che riguardò l’arma nucleare cinese occorse durante il 1980. La Commissione Militare Centrale e l’Esercito Popolare di Liberazione, infatti, definirono in maniera chiara e comprensiva i requisiti operativi del deterrente nucleare cinese. Nel corso della conferenza “801” del settembre 1980, pertanto, i leader dell’EPL convenuti ascoltarono per la prima volta i vertici del SCA spiegare come la forza nucleare cinese sarebbe stata impiegata in futuro 107. L’elevato livello di segretezza e centralizzazione in materia di armi atomiche, infatti, aveva fino a quel momento tenuto l’alto comando dell’EPL all’oscuro della pianificazione e della strategia nucleare. La riunione “801” approv ò, così, 102. Second Artillery Leaders Study for Modernization, in «JPRS L/9876», 1981, p. 8. 103. R.S. NORRIS et al., op. cit., p. 345. 104. Memorandum from Secretary of State Vance to President Carter, December 9, 1979, in NICKLES D.P., HOWARD A.M, op. cit., p. 1017. 105. Memorandum from Secretary of Defense Brown to President Carter, December 13, 1979, in Ivi, p. 1026. 106. Memorandum from Secretary of Defense Brown to President Carter, December 29, 1979, in Ivi, pp. 1019-1020. 107. M.T. FRAVEL , op. cit., p. 261.

II . Dalla guerra del 1979 al Congresso del 1982

103

due requisiti operativi fondamentali per il deterrente nucleare cinese: “difesa ravvicinata” (᷍⭮旚㉌) e “contrattacco su punti chiave” (㔜Ⅼ཯↣). Per quanto sintetici, i due concetti riassumevano tutto il dibattito strategico avvenuto fino ad allora. Il requisito della “difesa ravvicinata” comporta, infatti, di assicurare la sopravvivenza del deterrente nucleare di Pechino ad un primo colpo disarmante del nemico. A tale scopo, il concetto presuppone due ulteriori requisiti: occultamento e mobilità dell’arsenale cinese 108. Il concetto di “contrattacco su punti chiave” si riferisce all’obiettivo della rappresaglia e implica due possibili scenari. Da una parte, “punti chiave” erano le città e le industrie del nemico che una ritorsione nucleare poteva colpire per creare uno shock psicologico tale da indurre l’avversario ad interrompere le ostilità con Pechino, in quello che la letteratura definisce un attacco contro-città. Dall’altra, il “contrattacco” poteva colpire anche obiettivi militari che la leadership cinese considerava centrali per le capacità belliche del nemico, ovvero condurre un’operazione contro-forze109. Tale previsione è di grande interesse perché indica che, nelle previsioni degli strateghi cinesi, almeno una parte dell’arsenale nucleare era destinata a rap presaglie counter-force non solo ad operazioni contro-città come era stato suggerito fino a quel momento. Infine, la CMC confermava il principio del “nucleare di sola difesa” ovvero del “guadagnare il controllo solo dopo che il nemico ha attaccato” (ྈ᭷ᅾ㓴Ṣ㓣↣⎶炻ㇵ傥忂彯㓣↣卟⼿㍏⇞㛫). In seguito al seminario “801”, nel luglio 1981 il Secondo Corpo d’Artiglieria convocò due simposi per discutere gli elementi concettuali del deterrente nucleare appena approvati. Il risultato dei due simposi fu la redazione del “Glossario militare del Secondo Corpo d’Artiglieria”, che stando alle fonti rappresentava il primo testo operativo del corpo missilistico cinese, nonché di una serie di nuovi regola menti di lavoro per le unità del SCA110. Nel 1980, la leadership di Deng Xiaoping conseguì alcuni successi anche nello sviluppo degli armamenti nucleari. Nell’ottobre 108. F.E. MORGAN et al., Dangerous Thresholds. Managing Escalation in the 21st Century, Santa Monica, RAND Corporation, 2008, p. 64. 109. F.S. CUNNINGHAM, M.T. FRAVEL . Assuring Assured Retaliation: China's Nuclear Posture and U.S.-China Strategic Stability, in «International Security», vol. 40, no. 2 , 2 0 1 5 , p. 14. 110. J.W. LEWIS, L. XUE , Making China’s nuclear war plan, p. 48.

104

Tigri con le ali. La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare

1979, Nie Rongzhen, vice-Presidente della CMC, si espresse a sostegno del programma delle “tre morse” di Zhang, sollecitando lo sviluppo dei DF-4 e DF-5 che «seppur arretrati [rispetto ai missili delle altre potenze], erano meglio che combattere secondo il principio maoista del “miglio più fucile”» 111. La promessa fatta da Zhang Aiping nel 1977 di riuscire ad ultimare le “tre morse” entro tre anni diede un primo risultato concreto. Nel febbraio 1980, la CMC f irmò l’autorizzazione al test di un Dongfeng-5, un vettore il cui p ro gramma aveva subito grandi ritardi e numerose interruzioni durante gli anni Settanta a causa dell’elevato costo e delle difficoltà incontrate. Il 18 maggio 1980, dopo tre lustri di lavoro, un DF-5 si alzò in volo dalla base di Shuang Cheng Tzu, nel deserto del Gobi, f in sopra l’Oceano Pacifico e si inabissò ad una distanza di 9 mila chilometri. Entro l’anno successivo, il primo ICBM cinese divenne operativo e Pechino ottenne la capacità di colpire Mosca e le maggiori città della Russia europea così come gli Stati Uniti. Parallelamente, il DF-4, un vettore a raggio intermedio, entrò in fase operativa durante l’anno e garantì a Pechino ulteriori capacità di col pire la Russia europea dalle basi nella Cina nord-occidentale come Da Qaidam e Delingha. Probabilmente furono questi sviluppi a spingere Deng a dichiarare entusiasticamente ad una delegazione straniera, riunita per una conferenza dell’Istituto di Studi Strategici di Pechino nel giugno 1980, che Pechino aveva a disposizione un deterrente nucleare efficace perché «poteva sopravvivere ad un primo strike disarmante» e colpire il nemico. La Cina non si piegava, quindi, al «ricatto nucleare sovietico»112. Secondo tra le “tre morse”, il missile balistico lanciato da sottomarino JL-1 incontrò maggiori difficoltà. Avviato contemporaneamente al DF-5, il programma JL fu rallentato da due pesanti vincoli. Il primo era lo sviluppo del necessario propellente solido per il quale la cooperazione con i sovietici nella seconda metà degli anni Cinquanta non aveva fornito alcun aiuto. Il secondo ostacolo riguardava la modalità di trasporto del missile che, per garantire un’effettiva capacità di rappresaglia, doveva essere lanciato da un sottomarino in grado di viaggiare lontano e a lungo. L’opzione più 111. Citato in J.W. LEWIS, D. HUA , op. cit., p. 19. 112. Intelligence Appraisal China: Nuclear Missile Strategy, in «DIAIAPPR 34-81», 1981, p. 2.

II . Dalla guerra del 1979 al Congresso del 1982

105

conveniente era, quindi, un sottomarino a propulsione nucleare per cui, però, i cinesi non avevano alcuna esperienza. Sospeso a causa di tali difficoltà durante gli anni Settanta, il progetto JL venne ripreso nel 1978, quando la CSTDN di Zhang riuscì a fare progressi nel disegno di un motore a propulsione solida adeguato. Il problema principale a questo punto fu di assicurare la fuoriuscita del v ettore dall’acqua in maniera tale da accendere i motori solo una volta fuori. Dopo una serie di test da terra condotti durante il 198 1, Pechino riuscì a lanciare un missile da un pontile sommerso 113 e, il 12 ottobre 1982, un JL-1 con un payload di 600 kg venne lanciato con successo da un sottomarino non nucleare 114. L’esito positivo del test confermò i progressi ingegneristici cinesi per un motore a propellente solido. Ciononostante, un efficace deterrente nucleare lanciato dal mare non era stato ancora conseguito come lo stesso Zhang Aiping sottolineò poco dopo il test115. Infatti, se da una parte la CSTDN era riuscita a lanciare il missile, dall’altra successi simili non si ripetevano nella costruzione di un sottomarino a propulsione nucleare capace di lanciare missili balistici (SSBN). Nel 1981, la China Shipbuilding Industry Corporation varò il SSBN classe Xia ma non fu in grado di sviluppare un adeguato sistema di lancio a causa di problemi con il controllo della combustione del carburante del missile. Il programma JL-1, tuttavia, servì a Zhang come matrice per un altro vettore lanciato da base mobile a terra, ovvero il DF21, il cui avvio fu deciso in concomitanza con i test del missile lanciato da sottomarino 116. Tra il 1979 e il 1982, Pechino riuscì a realizzare importanti p ro gressi anche per quanto riguarda i satelliti, che erano l’ultima priorità nel programma delle “tre morse”. Nel settembre 1981, la PRC riuscì a lanciare tre satelliti da ricognizione con un solo vettore diventando il quarto paese in grado di farlo (dopo Stati Uniti, Unione Sovietica e Francia). È da notare che negli Stati Uniti tale lancio f u accolto come la dimostrazione che Pechino disponesse di un missile con capacità di sgancio indipendente del payload . In realtà, il

113. C. LIN , China's Nuclear Weapons Strategy: Tradition Within Evolution, Lexington Mass, Lexington Books, 1988, pp. 58-59. 114. J.W. LEWIS, D. HUA , op. cit., pp. 26-27. 115. L. LIU , op. cit., p. 490. 116. J.W. LEWIS, D. HUA , op. cit., p. 27.

106

Tigri con le ali. La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare

vettore non era configurato per il rilascio indipendente dei satelliti e uno dei tre satelliti era attaccato alla coda del missile117. Come stabilito dalla decisione del dicembre 1977, i progetti d iversi dalle cosidette “tre morse” vennero gradualmente abbandonati per concentrare le risorse e il personale sui tre programmi prioritari dell’ICBM, del missile lanciato da sottomarino e dei satelliti. Nel marzo 1980, pertanto, la Commissione Militare Centrale decise di cancellare il programma 640 per un sistema antimissili balistici. Tale misura sembra fosse stata presa ai massimi livelli, forse d allo stesso Deng, per dare priorità a programmi di modernizzazio ne economica 118. Il successo del programma delle “tre morse” portò Zhang Aiping, il suo principale artefice, a godere del massimo prestigio politico nella Repubblica Popolare. Nel novembre 1982, dopo quasi trent’anni nel settore dell’industria militare, Zhang venne nominato Ministro della Difesa, sostituendo Geng Biao. Seppur ancora valida la priorità assegnata agli armamenti convenzionali così come d eciso nel 1977, l’ascesa politica di Zhang Aiping e la fusione delle tre istituzioni a capo dell’industria militare convenzionale e nucleare sotto il comando dello stesso Zhang avevano rafforzato la voce d ei sostenitori della modernizzazione nucleare 119. La nuova linea strategica della “guerra popolare in condizioni moderne-difesa attiv a” stabilita con il seminario “801” aprì spiragli inediti per l’arsenale nucleare cinese. Ad esempio, Zhang Aiping osservò in un colloquio con un fisico americano in visita nella PRC, la bomba al n eu tro ne «poteva essere utile» all’EPL che poteva «lanciarla» (sic) contro «il confine sovietico» 120. Tra il 1980 e il 1982, Pechino continuò, quindi, a studiare le possibilità dell’arma al neutrone. Nell’ottobre 1982, un test nucleare sotterraneo produsse un’esplosione di circa 7 chilotoni. Le fonti non sono concordi nel determinare che tipo di ordigno sia stato esploso in quell’occasione. Da una parte, Yang, North e Romney non classificano l’esplosione come il risultato di un ordigno al neutrone. Dall’altra, Ray, in uno studio più recente ,

117. Ivi, p. 22. 118. B. ZHANG , China's Assertive Nuclear Posture, par. 14.47. 119. J. RAY , Red China's "capitalist bomb”, p. 23. 120. La curiosa scelta di parole è legata ad una similitudine fatta da Zhang con il gioco del bowling. Citato in Ivi, p. 22.

II . Dalla guerra del 1979 al Congresso del 1982

107

conclude che il test dell’ottobre 1982 fosse una bomba al neutrone121. Con l’affermazione politica di Deng e dopo il terzo plenum del dicembre 1978, il gruppo dirigente cinese sviluppò anche un rinnovato interesse per le armi nucleari tattiche. Una preoccupazione centrale degli strateghi dell’EPL, infatti, era comprendere come compensare la maggiore capacità convenzionale nemica in caso di invasione da parte dell’Armata Rossa. Parallelamente, i leader militari si convinsero che l’Unione Sovietica avrebbe potuto impiegare armi nucleari per controbilanciare la superiorità numerica delle Forze Armate cinesi. I vertici militari cinesi si aspettavano, quindi, che se Mosca avesse utilizzato ordigni nucleari a bassa potenza contro l’Esercito cinese, l’EPL avrebbe subito un perdite significative. Tuttavia, uno strike nucleare sovietico sul campo di b attaglia avrebbe permesso ai leader cinesi di adoperare le armi atomiche contro le truppe sovietiche senza per questo violare la condizione del “guadagnare il controllo solo dopo che il nemico ha attaccato” ovvero del “nucleare di sola difesa”. Nell’agosto 1979, ad esempio, un numero della rivista “Tecnologia nucleare” (᰾ᢏ㛗) di Shanghai affrontò alcune questioni tecniche legate allo sviluppo di granate d’artiglieria nucleare, dimostrando l’interesse per l’impiego tattico dell’arma atomica 122. In un articolo del 1979, Xu Baoshan affermò che un «combattimento nucleare» era da aspettarsi in caso di invasione sovietica da nord perché Mosca aveva studiato approfonditamente l’utilizzo del nucleare a basso rendimento per spianare la strada alle proprie divisioni di fanteria motorizzata 123. Data l’elevata meccanicizzazione dell’Armata Rossa, la nuova linea guida strategica della “guerra popolare in condizioni moderne” imponeva alle Forze Armate cinesi di resistere alle prime fasi di un confronto con i sovietici lungo il confine settentrionale della PRC. Perciò, anche per quanto riguarda l’addestramento, l’establishment militare cinese confermava l’interesse per l’impiego della bomba atomica sul campo di battaglia. Nella prima metà del 1980, ad 121. X. YANG , R. NORTH , C. ROMNEY, "CMR Nuclear Explosion Database (Revisio n 3 ) , CMR Technical Report CMR-00/16," p. 18. Testo disponibile all’indirizzo: https://www.ldeo.columbia.edu/~richards/my_papers/WW_nuclear_tests_IASPEI_HB.pdf (27/09/2020); J. RAY , Red China's "capitalist bomb”, p. 24. 122. Chinese Nuclear Strategy Discussed, in «JPRS L/9458», 1980, p. 7 123. B. XU , op. cit., p. 99.

108

Tigri con le ali. La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare

esempio, l’EPL condusse un’esercitazione sul campo per la gu erra di posizione in uno scenario di «guerra nucleare» che ricalcava una possibile invasione sovietica. Un ufficiale cinese che assistette alle manovre dell’esercitazione ne fece un’attenta e lucida analisi. «Durante le guerre convenzionali del passato», l’EPL era stato in grado di «colmare una breccia prima che il nemico ne approfittasse» e respingere così «fino a dieci assalti di seguito» 124. Nella guerra moderna, un impiego dell’arma nucleare contro le forze armate e le postazioni difensive cinesi avrebbe aperto una crepa in cui «il torrente armato di acciaio nemico con il supporto dell’aviazione e dell’artiglieria» sarebbe potuto passare. Secondo l’autore dell’articolo, l’unico modo per prevenire tale eventualità era impiegare «l’intera forza di tutte le componenti delle Forze Armate» per bloccare il passaggio attraverso la breccia 125. Alle stesse conclusioni giungeva un bollettino interno dell’EPL che indicava nei momenti iniziali di una «guerra contro l’aggressione» il periodo cruciale per decidere l’esito del conflitto. In quel lasso di tempo, gli autori affermavano, Mosca avrebbe «impiegato armi nucleari tattiche» per garantirsi un vantaggio strategico. Pechino doveva essere «preparata» e garantirsi «maggiore iniziativa» 126. Tuttavia, è importante notare che nessun autore sosteneva esplicitamente che l’EPL avrebbe dovuto impiegare armi nucleari a basso rendimento . Questo non significa che nelle alte gerarchie militari cinesi l’apprensione non fosse elevata. Un documento classificato dell’EPL conferma come Pechino nutrisse la preoccupazione che le armi nucleari tattiche sovietiche si rivelassero «le armi principali con cui annientare le truppe nemiche [cinesi] e distruggern e la infrastruttura vitale» 127. Un articolo sul quotidiano dell’EPL del 1984 sostiene che «a partire dal 1979 tutte le unità [del SCA] avevano esaminato i principi operativi per la difesa in condizioni nucleari e per la controffensiva tattica nucleare» 128. In aggiunta, un rap p orto della US Defense Intelligence Agency dello stesso anno concludeva che Pechino probabilmente stava «vagliando la possibilità di inclu124. Division Practices Closing Gap in Line Made with Atomic Weapons, in «JPRS L/9876», 1981, p. 33. 125. Ivi, p. 34. 126. Citato in C. LIN , op. cit., p. 82. 127. Citato in Ibidem. 128. Citato in Ivi, 81.

II . Dalla guerra del 1979 al Congresso del 1982

109

dere armi nucleari tattiche» nel proprio arsenale 129. A partire dal 1980, quindi, l’interesse cinese per le armi nucleari tattiche si poteva definire concreto. Nel giugno del 1982, l’Esercito Popolare di Liberazione fece il passo definitivo. In un’esercitazione n ella p rovincia di Ningxia, a circa 700 chilometri di distanza dal confine con la Mongolia, lungo una direttiva sulla quale i vertici militari si aspettavano muovesse un’eventuale invasione sovietica, l’EPL stu diò la possibilità di impiegare le armi nucleari tattiche. L’operazione simulò sia l’utilizzo offensivo delle testate a basso rendimento che le manovre di difesa da un attacco atomico sul campo di battaglia.130.

129. Handbook of the Chinese People’s Liberation Army, novembre 1984, p. 6 9 . T es to disponibile all’indirizzo: https://ia802705.us.archive.org/9/items/pdfy-WidHRLGeFX0jiT JF/ Handbook%20Of%20The%20Chinese%20People%27s%20Liberation%20Army.pdf (14/10/2020). 130. R. FIELDHOUSE , China's Mixed Signals on Nuclear Weapons, in «Bulletin of the Atomic Scientists», vol. 47, no. 4, 1991, p. 37.

Capitolo III

Dal Congresso alla riunione allargata del 1985 3.1. Il fervore riformista della nuova leadership 3.1.1 Il nuovo corso della politica cinese All'indomani del Dodicesimo Congresso, un altro appuntamento politico si rivelò cruciale per l’agenda di riforme di Deng. La Quinta sessione della Quinta Assemblea nazionale del Popolo si riunì nei primi giorni del dicembre del 1982 e il 4 approvò la nuova Costituzione della RPC. Dopo due anni di lavoro, la Commissione dell’ANP incaricata promulgava un testo costituzionale che rispecchiava l’allontanamento della dirigenza politica cinese dall’esperienza radicale della Rivoluzione culturale e dalla transizione post-maoista. La novità principale della Costituzione del 1982, tuttora in vigore anche se emendata, era il tentativ o d i d isegnare una nuova architettura di governance della RPC ispirata al concetto di "legalità socialista". Secondo Deng e l’ala riformista, infatti, la Cina doveva dotarsi di un’amministrazione che fosse efficiente, ordinata, e legalmente responsabile, ovvero che rispettasse il principio di legalità. A tale scopo, nuove istituzioni e procedure furono approvate e fu avviata una generale riorganizzazione degli organi preesistenti in modo da separarne più chiaramente le funzioni e le prerogative. Per dare seguito ai provvedimenti chiesti da Deng e Hu Yaobang durante il 1982, l’Assemblea Nazionale del Popolo stabilì un limite di due mandati per i vertici dello Stato e un esplicito divieto di accumulazione delle cariche 1. Il principio di “legalità socialista” non fu l’unica novità dottrinaria introdotta in seguito al Dodicesimo Congresso. Durante la primavera del 1983, infatti, la linea ideologica del PCC si arricchì del principio espresso nello slogan "realizzare le riforme in modo riso luto, ma nel giusto ordine". Esso raccomandava l’analisi scientifica del percorso di riforme da intraprendere. Secondo Deng, le riforme 1. R. MACFARQUHAR, op. cit., p. 350.

111

112

Tigri con le ali. La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare

amministrative ed economiche erano essenziali per lo sviluppo generale del paese ma ancora più importante era assicurarsi che non se ne perdesse il controllo politico 2. L’esperienza politica di Liu Shaoqi costringeva Deng alla prudenza. Liu, infatti, era stato uno dei dirigenti cinesi più in vista durante gli anni Sessanta e aveva caledeggiato alcune importanti istanze riformiste. In veste di Presidente della RPC, egli aveva presieduto la riunione allargata del Po litburo del 1966 in cui erano stati approvati alcuni dei primi piani di riforma della burocrazia e del Partito dal 1949. Quella sessione del Politburo costituì, però, il punto di partenza della rovinosa esperienza delle Rivoluzione culturale, durante quale lo stesso Liu perse la vita, e le sue riforme sarebbero diventate il primo gradino di un più generale stravolgimento politico-istituzionale della Cina. Dal punto di vista di Deng, quindi, il cambiamento doveva essere accuratamente studiato e realizzato così da assicurare al Partito il più alto grado di comando politico. A partire dal Dodicesimo Congresso del settembre del 1982, la leadership cinese conobbe anche un profondo processo di professionalizzazione. Con l’istituzione della Commissione Consultiva Centrale, infatti, Deng riuscì a ridurre l’influenza della generazione più anziana del PCC, generalmente poco istruita, per promuovere un gruppo di funzionari più giovani, composto per la quasi totalità da burocrati di professione e formatosi in scuole specifiche per l’amministrazione centrale e locale. Inoltre, a partire dal 1982 nel Partito aumentò considerevolmente la quota di coloro che avevano compiuto studi universitari in economica e finanza e nelle discip line scientifiche 3. Nel giugno del 1983, si inaugurò la Prima sessione della nuova Assemblea Nazionale del Popolo (la Sesta) con il mandato costitu zionale di nominare la dirigenza della Repubblica popolare. Il risultato rinsaldò l’ascesa della fazione riformista anche nell’amministrazione dello Stato. Zhao Ziyang fu confermato alla guida del Consiglio di Stato, mentre Li Xiannian assunse la carica di Presidente della Repubblica Popolare Cinese, un ruolo che era stato abolito in seguito alla purga subita da Liu Shaoqi nel 1967 e 2. S.R. SCHRAM, Ideology and Policy in China in the Era of Reform, 1978 -1986, in «T h e Copenhagen Journal of Asian Studies», vol. 1, no. 1, 1987, p. 7. 3. M.D. SWAINE , China: Domestic Change and Foreign Policy, Santa Monica, RAND, 1995, p. 4.

III. Dal Congresso alla riunione allargata del 1985

113

durante gli anni della Rivoluzione culturale. Ripristinando tale incarico, la Costituzione del 1982 sottraeva la funzione di Capo di Stato al Presidente del Comitato Permanente nell’ANP che fino a quel momento era stato Ye Jianying. In questo modo, Ye, forse a causa del limitato sostegno che aveva dato alle riforme, fu definitivamente allontanato dal centro decisionale del Partito. A partire dal settembre del 1982 e, in particolare, in seguito al round di nomine del giugno del 1983, si consolidò quello che la letteratura chiama il gruppo degli “Otto anziani del Partito Comunista Cinese” o, ironicamente, gli “Otto immortali” 4. Gli “Otto” erano funzionari del PCC e dello Stato legati a Deng e comprendevano: — Deng Xiaoping, — Li Xiannian, Presidente della Repubblica Popolare, — Chen Yun, una delle menti dietro le riforme economiche e

Presidente della CCC. — Peng Zhen, Presidente del Comitato Permanente dell’ANP, — Yang Shangkun, Segretario Generale della CMC, — Bo Yibo, vice-Presidente della CCC, — Wang Zhen, vice-Presidente della CCC, — Song Renqiong, vice-Presidente della CCC.

Nell’ottobre del 1984, nella Grande sala del popolo a Pechino si tenne il Terzo Plenum del Dodicesimo Comitato Centrale del PCC. La dirigenza cinese puntava, durante il Plenum, ad approfondire il processo di riforma in modo tale da includere il settore industriale 5. Secondo il testo di apertura della riunione, infatti, «soltanto una riforma decisa e sistematica» avrebbe permesso «all’economia urbana di prosperare, […] di svolgere efficacemente il ruolo che le spettava e di dare impulso all’intera economia nazionale in vista di uno sviluppo più armonioso e più rapido» 6. Il primo passo della riforma fu la creazione di un “sistema a doppio binario”, simile a quello già sperimentato in campagna, per il settore secondario di proprietà sta4. W.A. JOSEPH , Politics in China: An Introduction, Oxford, Oxford University Press, 2014, p. 501. 5. D.S.G. GOODMAN , Deng Xiaoping and the Chinese revolution: a political bio g ra p h y , London, Routledge, 1994, p, 100. 6. Citato in M. BERGÈRE , La Cina dal 1949 ai giorni nostri, Bologna, Il mulino, 200 0 , p . 247.

114

Tigri con le ali. La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare

tale. Sebbene mantenesse il meccanismo delle quote obbligatorie di prodotto destinato allo Stato e la pianificazione dei prezzi, in f atti, il provvedimento contemplava anche l’opzione di un mercato secondario. Una volta estinta la percentuale obbligatoriamente d estinata all’amministrazione centrale, dunque, le grandi imprese industriali cinesi potevano acquistare e vendere beni finali e materie prime a prezzi decisi dal meccanismo della domanda e dell’offerta. La mossa successiva fu l’approvazione del Contract Management Responsibility System (CMRS). Con il nuovo sistema, il governo cinese demandava la gestione di un’impresa di proprietà statale ad un imprenditore a fronte della firma di un contratto contenente gli obiettivi industriali da raggiungere e i vincoli da rispettare. Nel documento era precisata, anche, la durata (solitamente tra i 3 e i 5 anni) dell’appalto. L’obiettivo industriale, generalmente espresso in volume di produzione, se superato, permetteva all’imprenditore di rivendere le eccedenze sul mercato e incamerare i profitti ottenuti, in aggiunta al salario regolarmente pagato dallo Stato per la sua attività. La misura prevedeva anche una multa, ovvero la detrazione di una parte del salario erogato dallo Stato, nel caso in cui il manager non raggiungesse il traguardo prefissato. Il progetto del CMRS fu avviato in forma sperimentale coinvolgendo sei imprese nella provincia del Sichuan, precedentemente amm in istrata da Zhao Ziyang7. La diffusione del “sistema di responsabilità familiare”, avviato in ambito agricolo nel 1979, era proceduta gradualmente nel periodo 1980-81. Tra il 1982 e il 1984, invece, conobbe una notevole accelerazione tanto che nel 1984 circa il 98% dei nuclei agricoli familiari partecipava al nuovo metodo di assegnazione e amministrazione della terra. Inoltre, la durata degli appalti della terra venne estesa a 15 anni così da incentivare la pianificazione e gli investimenti più a lungo termine da parte delle famiglie 8. In conclusione, tra il 1982 e il 1985, forti del successo conseguito nel Dodicesimo Congresso del settembre del 1982, Deng e la f azione moderata al governo approfondirono il processo di riforma che era stato solo abbozzato durante il triennio precedente, coin7. J. CHILD , Management in China during the age of reform, Cambridge, Cambridge University Press, 2006, p. 46. 8. I.C. HSÜ, China Without Mao: The Search for a New Order, New York, Oxford University Press, 1990, p. 172.

III. Dal Congresso alla riunione allargata del 1985

115

volgendo nuovi settori (l’amministrazione pubblica e l’industria ad esempio) ed estendendolo all’interno degli ambiti che ne erano stati già interessati (il settore agricolo). 3.1.2 Una nuova politica estera per Pechino Il Dodicesimo Congresso del PCC del settembre del 1982 aveva introdotto il concetto di “politica estera indipendente” ma non aveva provveduto a chiarire cosa ciò comportasse per il “triangolo strategico” composto da Cina, Stati Uniti e Unione Sovietica, né cosa significasse per la politica di difesa della RPC. A partire dal settembre del 1982, come effetto dell’annuncio del nuovo orientamento di politica estera, in Cina prese forma un dibattito che chiarì alcuni aspetti della visione degli affari politici globali elaborata in occasione del Dodicesimo Congresso. Nella tradizione politica della Cina popolare, i leader comunisti avevano usato riassumere i propri orientamenti di politica estera e le proprie valutazioni del contesto internazionale (o meglio degli “sviluppi principali nel mondo”) in alcune formule e slogan. Ad esempio, nella loro analisi della politica globale, Mao e Zhou avevano concluso che le tendenze principali nel mondo erano «la rivoluzione e le lotte di liberazione nazionali» 9. A partire dal 1984, su una serie di riviste prestigiose e ufficialmente legate ai vertici del Partito (ad esempio Xiandai Guoji Guanxi e Guoji Wenti Yanjiu) le parole chiave cambiarono. Secondo i molti commentatori, il mondo contemporaneo presentava due dinamiche principali, ovvero “pace e sviluppo”10. La nuova corsa agli armamenti che l’amministrazione Reagan aveva avviato, secondo gli analisti strategici cinesi, comportava un grave fardello sulle economie delle due superpotenze mentre, al contrario, Europa e Asia, libere da tale vincolo, conoscevano un periodo di crescita economica e modernizzazione. Gli analisti cinesi di politica estera e di difesa conclusero, pertanto, che la tendenza generale della politica mondiale era verso il declino della preminenza delle superpotenze sulla scacchiera globale e, quindi, verso un sistema multipolare . Questa valutazione collimava con i due temi che i moderati aveva9. Si veda ad esempio E. ZHOU , Report to the Tenth National Congress of th e CPC, in «Beijing Review», 28 agosto 1973, p. 23. 10. T.G. HART, Sino-Soviet relations: re-examining the prospects for normalization , Aldershot, Gower, 1987, p. 105.

116

Tigri con le ali. La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare

no fatto propri a partire dal 1978, ovvero quello della possibilità d i ritardare, e finanche evitare, la guerra e quello del graduale declino delle potenze imperialiste. In un contesto in cui le due superpotenze si bilanciavano reciprocamente, non riuscendo l’una a sopraffare l’altra, e si avviavano al tramonto, la Cina poteva avanzare il proprio interesse nazionale in maniera indipendente, ovvero equidistante dai due poli del mondo. Già nell’ottobre del 1982, la leadership cinese tradusse in realtà la nuova linea guida della “politica estera indipendente”. In seguito al discorso di apertura di Brezhnev del marzo del 1982, in vista della ripresa dei contatti diplomatici Deng Xiaoping diede istruzioni dettagliate al vice-Ministro degli Esteri Qian. Il delegato cinese non doveva mostrarsi troppo «entusiasta o impaziente» di rip rend ere i contatti con l’Unione Sovietica, ma «restare fermo sui principi» e pretendere che il Cremlino facesse alcuni passi concreti di compromesso, in particolare riguardo al sostegno sovietico all'occupazione vietnamita della Cambogia. Allo stesso tempo, tuttavia, Qian doveva mostrare un tono amichevole e mantenere aperti i canali di comunicazione. Secondo Deng, «tre grandi ostacoli» intralciavan o la strada per la normalizzazione dei rapporti tra Pechino e Mosca : la smobilitazione delle truppe vietnamite dalla Cambogia; il ritiro sovietico dall'Afghanistan; e la riduzione dell’enorme presenza militare sovietica ai confini settentrionali della Cina 11. Con queste indicazioni, il 5 ottobre 1982 il vice-Ministro degli Esteri cinese incontrò il suo omonimo sovietico a Pechino in un lungo colloquio che durò fino al 21 ottobre. Nonostante il contenuto di tali trattative non sia mai stato divulgato, un funzionario cinese poi rivelò che Pechino aveva richiesto la «smobilitazione di 600 mila soldati» dal confine sino-sovietico. In risposta, i sovietici preferirono mantenere le discussioni in ambito economico e commerciale, aprendo anche alla possibilità di un ripristino degli scambi culturali tra i due paesi. Gli incontri si risolsero in un fiasco ma le due delegazioni acconsentirono a continuare i contatti diplomatici due volte l’anno, alternativamente a Pechino e Mosca 12.

11. J.W. GARVER, China's Quest, p. 430. 12. P. JONES, S. KEVILL , China and the Soviet Union, 1949-1984, Harlow, Essex , L o n gman, 1985, p. 178.

III. Dal Congresso alla riunione allargata del 1985

117

Il 10 novembre 1982, il Segretario Generale del PCUS, Leonid Brezhnev, da tempo malato, si spense in seguito ad un infarto. Dopo cinque giorni, il Partito tenne i funerali di stato e convocò i rappresentanti dei partiti socialisti e comunisti di tutto il mondo. Alla delegazione del Partito comunista cinese convenuta alle celebrazioni furono tributati grandi onori e fu riservato un posto in prima fila nella cerimonia. Il discorso di Huang Hua, il Ministro degli esteri cinese, in memoria del defunto glissò abilmente sulle tensioni tra i due paesi, limitandosi a rimarcare il grande valore del « Presidente Brezhnev», il suo ruolo di «statista di spicco dell'Unione Sovietica» e ad offrire le condoglianze al paese e alla famiglia13. Contestualmente al funerale, cinesi e russi si incontrarono per la p rima riunione diplomatica dal 1964 con i funzionari di alto rango. Huang Hua ebbe un rapido colloquio con il Ministro degli esteri dell’URSS Andrej Gromyko e con Jurij Andropov, nominato Segretario Generale del PCUS due giorni dopo la morte di Brezhnev. Al suo ritorno in patria, Huang riportò di aver avuto uno scambio di idee con Gromyko sui «modi di rimuovere gli ostacoli» alla normalizzazione dei rapporti diplomatici14. Lo stesso Andropov in un discorso di fine novembre del 1982 confermò il proprio sostegno al miglioramento delle relazioni con il «grande vicino dell’Unione Sovietica», la Repubblica Popolare Cinese15. Mentre l’apparato politico e diplomatico cinese conduceva i negoziati con i sovietici, sulle riviste e i quotidiani cinesi il dibattito sulla politica internazionale si arricchì di nuovi spunti di rif lessione. Tra il 1982 e il 1983, infatti, gli editoriali e le analisi apparse sui media cinesi rivelarono un mutamento nella percezion e d ell'equilibrio di potenza tra Stati Uniti e Unione Sovietica. In una serie di articoli pubblicati dopo il settembre del 1982, gli autori giud icarono che il potere globale sovietico aveva raggiunto il suo culm ine tra la metà e la fine degli anni Settanta. All’inizio degli anni Ottanta, tuttavia, Mosca aveva imboccato la strada di un graduale declino a causa di una combinazione di fattori. A livello internazionale, ad esempio, la crescente indipendenza politica dei paesi dell'Europa orientale, la resistenza politica incontrata dall'espansione sovietica 13. “Condolences on Brezhnev's Death”, in «Beijing Review», 22 novembre 1982, p. 8. 14. Citato in P. JONES, S. KEVILL , op. cit., p. 178. 15. G. ROZMAN , Moscow's China-Watchers in the Post-Mao Era: The Response to a Changing China, in «The China Quarterly», vol. 94, 1983, p. 216.

118

Tigri con le ali. La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare

nel Terzo Mondo, il deterioramento dell'influenza di Mosca sul movimento comunista internazionale avevano fiaccato la proiezio ne globale del Cremlino. A livello nazionale, la stagnazione economica non poteva più sostenere un'espansione del 4-5% per anno delle spese militari, come quella registrata durante gli anni Settanta. Nel marzo del 1983 si tenne, così, il secondo round di colloqui diplomatici tra Pechino e Mosca. I “tre ostacoli” intervennero nuovamente a vanificare gli sforzi sovietici per concludere un accord o più stringente. Secondo alcune fonti cinesi, infatti, durante i negoziati, il Cremlino propose alla RPC un trattato di non aggressione che venne, però, respinto dai cinesi con la motivazione dell’esistenza di perduranti “ostacoli”. Ciononostante, durante il 1983, una serie di funzionari al vertice dei rispettivi governi tennero discorsi conciliatori e ribadirono di avere una moderata f iducia nell’esito positivo delle trattative. In questo clima si arrivò al te rzo round di incontri nell’ottobre del 1983 che, ancora una volta, non determinò alcun progresso sostanziale. In una conferenza stampa con i giornalisti giapponesi, al contrario, il vice-Ministro degli Esteri cinese Qian sollevò un’ulteriore obiezione alla normalizzazione dei rapporti con Mosca, ovvero la presenza dei missili sovietici SS-20 lungo il confine sino-sovietico e in Mongolia16. A partire dall’ottobre del 1983, come sottolinea un rapporto della CIA, i cinesi inclusero la rimozione dei vettori a raggio intermedio tra le richieste imprescindibili per la ripresa dei normali rapporti diplomatici, facendone di fatto un “quarto ostacolo”17. Nel febbraio del 1984, Jurij Andropov morì e il PCUS ne o rganizzò i funerali a Mosca. Alla commemorazione prese parte il vicePremier del Consiglio di Stato, Wan Li, in quella che fu la visita in Unione Sovietica del rappresentante di grado più elevato del governo cinese degli ultimi venti anni (Wan in effetti nella scala gerarchica della politica cinese era superiore al Ministro degli Esteri Huang). Tuttavia, la quarta sessione di colloqui del marzo del 1984, si concluse ancora in un nulla di fatto. Mentre cinesi e sovietici si sedevano al tavolo dei negoziati, Pechino non poteva dirsi soddi16. “China Makes Issue of Soviet Missiles,” New York Times, 7 ottobre 1983. Testo d isponibile all’indirizzo:https://www.nytimes.com/1983/10/07/world/china-makes-issue-ofsoviet-missiles.html (03/06/2020). 17. “Sino-Soviet Exchanges 1969-1984,” aprile 1984, p. 9. Testo disponibile all’indirizzo: https://www.cia.gov/library/readingroom/docs/CIA-RDP11S00229R000201310001-2.pdf

III. Dal Congresso alla riunione allargata del 1985

119

sfatta degli sviluppi nella penisola indocinese, dove Hanoi manteneva una presenza militare schiacciante anche grazie all’occupazione della Cambogia. Nell’aprile del 1984, la Cina popolare avviò quindi un’operazione contro il Vietnam parten do d al confine lungo il quale impiegò artiglieria pesante e numerose unità di fanteria. Contemporaneamente, la flotta cinese condusse manovre nel Mar Cinese Meridionale e nei pressi dell’arcipelago delle Spratly (sotto il controllo vietnamita) che allarmarono Hanoi. A sostegno dell’alleato, Mosca decise di posticipare a data da definire la visita di Ivan Arhipov in Cina, ovvero il primo vice-Premier del Consiglio dei ministri sovietico, originariamente prevista per l’inizio di maggio 18. In seguito al maggio del 1984, due importanti novità nella condotta cinese verso l'Unione Sovietica contribuirono all’allentamento delle tensioni tra i due paesi. In primo luogo, i cinesi riconobbero la vicinanza politica con Mosca su alcune questioni internazionali ed espressero la disponibilità ad impegnarsi in consultazioni diplomatiche su tali dossier. Era la prima occasione dalla rottura dei rapporti fra i due paesi socialisti in cui i cinesi si impegnavano ad allinearsi ai sovietici nell’affrontare alcuni argomenti di politica internazionale. In secondo luogo, Pechino riferì ai diplomatici di molti stati socialisti che se l'Unione Sovietica fosse stata disposta a rimuovere almeno uno dei tre ostacoli, la Cina sarebbe stata disposta a ristabilire le relazioni tra i due partiti comunisti. In particolare, i delegati dell’Europa orientale a cui i cinesi affidarono tale messaggio riportarono che era il sostegno sovietico al Vietnam che più impensieriva la Cina popolare19. I messaggi fatti recapitare da Pechino sembrarono sortire l’effetto desiderato su Mosca. Il primo vice-Premier sovietico Arkhipov si recò nella RPC nel dicembre 1984 in quella che fu la visita in Cina del funzionario sovietico di rango più elevato dal 1969, quando Zhou Enlai aveva ricevuto il Premier Kosygin all’aeroporto della capitale cinese nel tentativo di frenare l’escalation militare lungo il fiume Ussuri. Durante il soggiorno del rappresentante sovietico, le due parti conclusero tre accordi di cooperazione di parti18. E. WISHNICK , Mending Fences: The Evolution of Moscow's China Policy from Brezh nev to Yeltsin, Seattle, Univ. of Washington Press, 2001, p. 82. 19. Citato in P. VAMOS, op. cit., p. 89.

120

Tigri con le ali. La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare

colare rilievo facendo così dei negoziati di dicembre il maggior successo diplomatico dal 1982 20. Immediatamente dopo la morte di Andropov, il Comitato Centrale del PCUS si era affrettato ad eleggere il nuovo Segretario generale per il cui ruolo venne scelto Konstantin Cernenko, che in passato era stato un collaboratore di fiducia di Brezhnev ma che era già gravemente malato. La leadership di Cernenko non durò neanche un anno poiché entro la fine dell’inverno del 1985 le condizioni di salute del Segretario generale sovietico si aggravarono fino a portarlo alla morte il 10 marzo. Il giorno seguente il PCUS scelse colui che fino a quel momento era stato il secondo in co mand o, il cinquantaquattrenne Mikhail Gorbachev, per guidare il paese. Nell'ottobre del 1985, Deng, forse per testare la disponibilità del nuovo inquilino del Cremlino, alzò la posta dei negoziati. Durante una visita a Pechino del leader comunista rumeno Nicolai Ceausescu, il Presidente della CMC affermò che se la Cina e l'Unione Sovietica avessero raggiunto un accordo volto a risolvere la situazione nella penisola indocinese, il PCC avrebbe ricevuto il neo-Segretario sovietico a Pechino. Per la prima volta da più di vent’anni, un leader cinese ventilava la possibilità di un incontro al vertice con l’Unione Sovietica. Deng chiese, quindi, a Ceausescu di trasmettere il messaggio a Gorbachev21. Nonostante l’insediamento del nuovo leader sovietico avesse generato aspettative di rinnovamento nella politica estera sovietica verso la Cina popolare 22, stando alla testimonianza di Huang Hua, solo durante la seconda metà del 1986, si aprirono delle possibilità concrete di miglioramento delle relazioni tra i due paesi23. Secondo i cinesi, infatti, solo alla fine del 1986 l'URSS mostrò di volere rinunciare alla propria «offensiva strategica globale» e alla «contesa con gli Stati Uniti per l'egemonia mondiale» 24. 20. I tre accordi prevedevano una maggiore cooperazione in ambito economico e tecn ico (1), una maggiore cooperazione in alcuni settori scientifici e tecnologici (2), e l’istituzio n e d i una commissione congiunta per la promozione del commercio e della collaborazione scie n tifica. P. JONES, S. KEVILL , op. cit., p. 187. 21. J.W. GARVER, China’s Quest, p. 432. 22. G. ROZMAN , China’s Concurrent Debate about the Gorbachev Era, In BERNSTEIN T.P., LI H., China learns from the Soviet Union, 1949-present, Lanham, Lexington Books, 2010, p. 455. 23. Citato in V. ZUBOK , op. cit., p. 127. 24. Citato in J.W. GARVER, China’s Quest, p. 432.

III. Dal Congresso alla riunione allargata del 1985

121

L’Unione Sovietica non era l’unico attore che i cinesi percepirono come nel mezzo di una profonda trasformazione. L’amministrazione di Ronald Reagan, insediatasi il 20 gennaio 1981, era stata eletta dopo una campagna elettorale dominata sul piano della politica internazionale dalla critica alla distensione con l’Unione Sovietica. La prima conferenza stampa di Reagan dopo aver preso l’incarico aveva chiarito la sua visione del mondo: Finora la distensione è stata una strada a senso unico che l'Unione So viet ica ha usato per perseguire i propri obiettivi. Non conosco nessun leader d ell'Unione Sovietica dopo la rivoluzione [del 1917], compresa l'attuale leadership, che non abbia ripetuto più di una volta nei vari congressi di essere fermamente convinto che l’obiettivo [dell’URSS] debba essere la promozione della rivoluzione mondiale e un unico Stato mondiale socialista o comunista25.

Gli sviluppi negli Stati Uniti catturarono l’attenzione degli an alisti cinesi di politica estera e di affari militari. Come illustrò un articolo su Beijing Review dell’agosto del 1983, l’equilibrio tra le superpotenze stava cambiando non solo a causa del declino relativo della potenza sovietica ma anche per via della transizione in atto in America. A Washington, infatti, l'amministrazione Reagan aveva deciso di «riaffermare la potenza militare» degli USA e sostenere una «politica militare di "contrattacco flessibile"» nei confronti dell'Unione Sovietica. Di conseguenza, secondo l’autore, nel futuro «la situazione in cui sarebbe stata l’Unione Sovietica ad assumere una postura difensiva mentre gli Stati Uniti conducevano una politica offensiva» sarebbe emersa «frequentemente» 26. Per i cinesi, una simile trasformazione costituiva un cambiamento notevole poiché almeno dal 1969 i leader cinesi avevano percepito gli Stati Uniti come l’attore strategicamente più debole nella relazione bipolare27. Secondo lo studio di un anonimo analista militare cinese del luglio del 1983, «nell'era Reagan», gli Stati Uniti avevano varato una «strategia di "confronto attivo"» con l’Unione Sovietica, sottoli25. R. REAGAN , “January 29, 1981: First Press Conference”. Testo disponibile all’indirizzo: https://millercenter.org/the-presidency/presidential-speeches/january-29 - 19 81 first-press-conference (05/06/2020). 26. H. ZONG , Changes and Developing Trends in the International Situation, in «Be ijin g Review», 8 agosto 1983, pp. 15-17. 27. T.M. GOTTLIEB, op. cit., p. ix.

122

Tigri con le ali. La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare

neando la necessità di «contrastarne efficacemente la minaccia». Per la pianificazione delle forze armate e il procurement militare di Washington, tale strategia aveva comportato «l’aumento dei preparativi per la guerra», la sostituzione su larga scala di molti «sistemi nucleari e convenzionali» e il rafforzamento della «posizione americana in vista di un possibile scontro diretto con l'Unione Sov ietica» 28. Le trasformazioni in corso negli Stati Uniti e in Unione Sovietica spingevano la leadership cinese a adottare una posizione di maggiore equidistanza tra le due superpotenze secondo la filosofia della “politica estera indipendente”. Tuttavia, tra il 198 2 e il 1985 Pechino incontrò diverse difficoltà ad assumere tale postura. La ragione determinante era il difficile compromesso per Pechino tra la necessità dell’assistenza e del sostegno degli Stati Uniti e la volontà di risolvere il dissidio con Mosca rispetto alla quale non poteva ancora accantonare del tutto il pericolo di un’invasione dal confine settentrionale. Questo dilemma fece sì che la politica estera cinese in questo periodo risultasse a tratti erratica. Ad esempio, nel marzo del 1983, stando a ciò che riporta un assessment della CIA, «alcuni tra i principali consulenti di Deng in materia di politica estera» si premurarono di comunicare ad una delegazione dell’Atlantic Council29 che i colloqui con l’Unione Sovietica dovevano essere considerati come una «sfumatura» della politica estera della Repubblica popolare. La posizione della Cina nello scacch iere in ternazionale al fianco degli Stati Uniti «non era cambiata»30. Nonostante il tentativo cinese di mantenere un rapporto cordiale con Washington, nel 1983 lo stato delle relazioni sino-americane incontrò una nuova battuta d’arresto. Nel luglio del 1982, infatti, George Shultz era succeduto ad Alexander Haig a capo del Dipartimento di Stato. Pur non riuscendo a bloccare i negoziati per il terzo comunicato (siglato nel mese successivo alla sua nomina), a partire dall’anno seguente, Shultz impresse una svolta alla politica 28. “Introduction to National Defense Modernization,”in «JPRS-CPS-85-011», 1985, p . 30. 29. Un think tank americano il cui obiettivo è la promozione della cooperazione tr an s atlantica e che ha uno stretto legame con la NATO. 30. “China: Foreign Policy Shift in Perspective”, 1 settembre 1983, p. 2. Testo disponibile all’indirizzo: https://www.cia.gov/library/readingroom/docs/CIA-RDP84S00928R000 10 0 03 0002-8.pdf (22/10/2020).

III. Dal Congresso alla riunione allargata del 1985

123

estera americana nei confronti della Cina comunista. Sotto la guida del nuovo Segretario di Stato, Washington adottò un approccio meno accomodante e disponibile nei confronti della Cina. Con Haig fuori dalla Casa Bianca, i funzionari dell'amministrazione Rea gan che erano stati in disaccordo con la sua politica più accondiscendete con la Cina, salirono alla ribalta. Membri di questo gruppo di “falchi” erano Paul Wolfowitz, scelto da Shultz come viceSegretario di Stato per la sezione Asia orientale; Richard Armitage, funzionario del Dipartimento della Difesa per le relazioni con la Cina e l'Asia orientale; e il consulente per gli affari asiatici nel Consiglio di sicurezza nazionale, Gaston Sigur. In Cina, percependo questo cambio di disposizione in corso a Washington il Segretario Generale Hu Yaobang in un discorso dell’aprile del 1983 attaccò gli Stati Uniti. A suo parere, la Casa Bianca era colpevole di agire come un “egemone” e di interferire nella politica interna cin ese . Prove di questa condotta, secondo Hu, erano il mantenimento da parte di Washington di un forte legame con Taipei e la firma del Taiwan Relations Act. Le azioni americane giustificavano, concludeva Hu, il proposito cinese di condurre una “politica estera indipendente”31. Mentre la RPC si sedeva al tavolo negoziale con l’Unione Sovietica, la situazione in Indocina faticava a migliorare. Dal marzo del 1979, quando Pechino aveva ritirato le truppe dal territorio vietnamita, infatti, nessuno dei progressi sperati dai leader cinesi si era materializzato. Dalla fine del 1978, Hanoi manteneva le proprie truppe nella Cambogia occupata. Tuttavia, l’esercito vietnamita non era riuscito a stabilire un controllo capillare sul territorio a causa della dura resistenza del Fronte di Liberazione Nazionale del Popolo Khmer, un’organizzazione paramilitare legata agli Khmer rossi di Pol Pot. Nella prima metà degli anni Ottanta, gli alti vertici del Partito deputati alla politica estera, tra cui il nuovo Ministro degli Esteri Yao Guang, il Premier Zhao e, ovviamente, Deng Xiaoping, furono impegnati nella soluzione di uno dei lasciti del “secolo delle umiliazioni” e dei “trattati ineguali”, ovvero lo status di Hong Kong e Macao. Dalla fine della prima guerra dell’oppio n el 1842, 31. Citato in G. ROZMAN , Chinese Debate About Soviet Socialism, 1978 -1985, Princeton , Princeton University Pres, 1987, p. 109.

124

Tigri con le ali. La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare

Hong Kong era una colonia del Regno Unito amministrata da un governatore scelto direttamente dalla corona inglese. Dopo il 1842, i britannici erano riusciti ad annettere anche la penisola del Kowloon (1860) e la regione dei Nuovi Territori che circonda Hong Kong (1898). In base alla convenzione del 1898, i territori a no rd dell'attuale Boundary Street e a sud del fiume Sham Chun, insieme alle isole intorno ad Hong Kong, furono dati in concessione gratuita al Regno Unito per 99 anni, ossia fino al 30 giugno 1997. A partire dall’inizio degli anni Ottanta, Pechino tentò a più riprese di risolvere la questione e ottenere la restituzione dei territori. Infine, il 19 dicembre 1984 il Primo Ministro della Repubblica popolare cinese Zhao e la Premier britannica Margareth Thatcher firmarono la dichiarazione congiunta sino-britannica, entrata in vigore nel maggio del 1985 dopo il processo di ratifica legislativa. Con la d ich iarazione il governo di Pechino otteneva il ripristino della sovranità su Hong Kong (compresi le isole, Kowloon e i nuovi territori) a partire dal 1° luglio 1997. In cambio, la Cina si impegnava ad assicurare alla ex colonia britannica un regime speciale, facendone una “regione amministrativa speciale”, cosicché la città potesse conservare le proprie leggi e un alto grado di autonomia in diversi ambiti, fatte eccezioni per la politica estera e di difesa. Tale trattamento speciale sarebbe durato per 50 anni fino al 2047, quando Hong Kong sarebbe divenuta a tutti gli effetti una provincia cinese. La stessa soluzione venne adottata anche nei negoziati per la restituzione di Macao alla RPC. Nel 1887, anno del Trattato di Pechino, la città di Macao era stata riconosciuta come colonia p orto ghese e, poi, nel 1951 come “territorio d’oltremare” del Portogallo . Durante la Guerra Fredda, la città aveva costituito una zona di attrito tra la Cina comunista e il Portogallo di Salazar tanto da meritarsi l’appellativo di “Checkpoint Charlie dell’Asia orientale”. Dopo la Rivoluzione dei garofani del 1974, Lisbona diede segnali di voler chiudere con il proprio passato coloniale e avviò le trattative per la cessione del territorio della città alla Cina popolare. L’accordo fu raggiunto nel marzo del 1987 e stabilì il ripristino della sovranità cinese a partire dal 20 dicembre 1999. Come accaduto per Hong Kong, anche l’accordo sino-lusitano garantiva a Macao un periodo di relativa autonomia (50 anni) attraverso il conferimento alla città dello status di regione amministrativa speciale che impediva alla Cina di imporvi il proprio regime politico, amministrativo, giudi-

III. Dal Congresso alla riunione allargata del 1985

125

ziario. Il compromesso raggiunto da Deng per la restituzione di Hong Kong e Macao venne sancito dalla formula “un paese, due sistemi” (୍ᅜ୩ไ)32. I negoziati per la restituzione di Hong Kong e Macao vennero condotti da specifiche task force in seno al governo cinese. Questo dettaglio testimonia il processo di riforma della governance cinese che la fazione “moderata” aveva avviato nell’epoca post-maoista. Come dimostrato da A. Doak Barnett, politologo americano ed esperto di politica cinese, tra la fine degli anni Settanta e la prima metà degli anni Ottanta il centro del processo decisionale della Cina popolare si era spostato dal Politburo al Segretariato del Comitato centrale e al Consiglio di Stato e il decision-making politico era diventato più collegiale. Pertanto, in politica estera tre distinti organismi assunsero la responsabilità precedentemente concentrata nelle mani di Mao e dei pochi uomini a lui fedeli. Nello specif ico, questi erano il gruppo ristretto di lavoro sulla politica estera del Comitato Centrale; il gruppo consultivo sugli affari esteri del Consiglio di Stato; la Commissione degli affari esteri dell’Assemblea Nazionale del Popolo 33. Si trattò di una sorta di passaggio di consegne ancora più evidente in seguito al Dodicesimo Congresso e alla Quinta sessione dell’ANP che approvò la nuova costituzione. A questo va poi aggiunto che nella prima metà degli anni Ottanta aumentò esponenzialmente la rilevanza dei centri di ricerca e dei think tank all’interno dei processi decisionali di politica estera e d i difesa di Pechino. David Shambaugh, uno dei massimi esperti di affari militari cinesi e di EPL, nel 1987 rilevava che in Cina «la sicurezza nazionale» non era «affatto il dominio esclusivo dei militari». La «crescente professionalizzazione dell'Esercito Popolare di Liberazione» voluta da Deng e, parallelamente, la «razionalizzazione della sua struttura organizzativa» e la notevole riduzione della «componente militare nel Comitato Centrale e nel Politburo » contribuirono, infatti, a quella che Shambaugh definisce « la "conversione civile" della burocrazia addetta allo studio della sicurezza nazionale» cinese34. 32. R.F. ASH , Hong Kong in Transition: One Country, Two Systems, London, Routled ge , 2003. 33. A. DOAK BARNETT, The Making of Foreign Policy in China, London, Tauris, 1985. 34. D. SHAMBAUGH , China's National Security Research Bureaucracy, in «The China Quarterly», vol. 110, 1987, p. 285.

126

Tigri con le ali. La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare

3.2. La politica di difesa del Dodicesimo Comitato Centrale 3.2.1 Un ambiente strategico in mutamento Nel luglio del 1983, un volume sulla modernizzazione della difesa nazionale pubblicato dal Dipartimento della Propaganda del Comitato Centrale per l’educazione dei quadri del PCC tirò le somme degli sforzi compiuti da Pechino nel lustro appena trascorso e analizzò la natura della guerra moderna. Non si può sottolineare abbastanza la rilevanza di un documento simile in una letteratura esigua e vincolata dalle indicazioni politiche e ideologiche della leadership come q u ella cinese. Per tono, argomenti trattati e metodologia, il testo costituisce uno dei primi documenti comprensivi in materia. Dall’analisi della guerra arabo-israeliana del 1973, delle operazioni britanniche contro l’Argentina durante la guerra delle Falkland della primavera del 1982, e della guerra del Libano iniziata nel giugno del 1982, gli autori del testo traevano alcune lezioni cruciali35. Secondo il testo, la guerra mo derna constava di «tre dimensioni» perché combattuta «simultaneamente sul terreno, in aria e in mare». Inoltre, un conflitto moderno sarebbe stato combattuto lungo le linee frontali di un Esercito ma anche nelle retrovie e in profondità nel territorio grazie a tecnologie quali i missili, i bombardieri strategici, i sottomarini con missili guidati36. Parimenti, le nuove guerre avrebbero coinvolto tutti i servizi dell’Esercito. Da terra, ad esempio, l’artiglieria, le divisioni motorizzate, la fanteria leggera, i corpi speciali, il genio militare, tutti avrebbero preso parte alle operazioni belliche. Dal mare, tanto la flotta di superficie quanto quella sottomarina avrebbero giocato u n ru o lo d eterminante per l’esito di un confronto militare. Per sommi capi, quindi, il testo riassumeva gli argomenti principali del dibattito che aveva preso forma a partire dall’elaborazione da parte di Su Yu del concetto di “guerra popolare in condizioni moderne” nel 1977. Tuttavia, il v o lume in questione si spingeva oltre introducendo alcuni elementi originali. Secondo gli autori, infatti: 35. “Introduction to National Defense Modernization,” in «JPRS-CPS-85-011», 198 5 , p . 6. 36. Ivi, p. 11.

III. Dal Congresso alla riunione allargata del 1985

127

In seguito […] all'apparizione delle armi termonucleari, dei missili gu id a t i, dei computer elettronici, dello sviluppo della ricognizione satellitare spaziale, così come dei nuovi mezzi di ricognizione fotoelettrica, all’ela borazio ne d i tecniche di camuffamento, e all'automazione del co mando , si so n o create condizioni più vantaggiose per condurre attacchi a sorpresa […] La gu erra moderna, infatti, possiede le caratteristiche di un "blitzkrieg". Nelle manovre, quindi, ci sarà un alto livello di velocità e sorpresa 37.

Nel dibattito militare cinese, l’enfasi sul ruolo che il fattore sorpresa assumeva nel determinare un vantaggio strategico sul nemico rappresenta un tema inedito che non era stato mai affrontato chiaramente né dagli analisti militari né, tantomeno, dalle alte gerarchie dell’EPL. D’altronde, era lo stesso autore del documento a sottolineare l’originalità del proprio contributo perché, stando a quanto scriveva, non bisognava «copiare indiscriminatamente le idee strategiche e i principi operativi del passato». Al contrario, bisognava procedere «con il pensiero militare di Mao Zedong come guida e con le armi e le attrezzature modernizzate (sic) come base» studiando in profondità «l’equipaggiamento e le peculiarità operative del nemico, proponendo strategie e tattiche per sconfiggere il nemico e risolvere le nuove sfid e della guerra moderna» 38. Il documento sollevava anche un altro tema cruciale per la difesa nazionale. «I paesi più sviluppati», secondo l’autore, attribuivano «notevole importanza alla ricerca sulla teoria militare» a cui prendevano parte non solo le «organizzazioni militari e governative» e i «dipartimenti di ricerca di alto livello» ma anche molte «accademie e scuole all'interno e all'esterno dell'esercito, centri di ricerca e personaggi pubblici» 39. Nel 1985, l’Accademia delle Scienze Militari avrebbe confermato la valutazione fatta dall’anonimo autore del volume del luglio 1983 sulla guerra del 1973 tra Israele e la coalizione dei paesi arabi sposando le sue conclusioni sulla natura e gli scopi della guerra moderna. Nella prefazione ad una traduzione cinese di uno studio giapponese su questioni militari, infatti, l’Accademia delle Scienze Militari scriveva che «la Quarta Guerra in Medio Oriente» era il conflitto che rifletteva «maggiormente le caratteristiche dei conflitti moderni» 40. 37. Ivi, pp. 12-13 38. Ivi, p. 17. 39. Ivi, p. 34. 40. Citato in M.T. FRAVEL , op. cit., p. 151.

128

Tigri con le ali. La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare

3.2.2 Nuove linee guida strategiche per la Cina All’inizio del 1984 Deng Xiaoping, coerentemente con quanto an nunciato in precedenza, diede indicazioni di continuare l’opera di razionalizzazione e snellimento dell’EPL. Pertanto, nell’aprile del 1984 un gruppo ristretto all’interno della CMC si mise al lavoro per approntare una prima bozza di un piano per un nuovo ridimensionamento dell’EPL e, in base alle indicazioni della CMC, ne sottopose una versione aggiornata nel settembre seguente. Nel novembre del 1984, Deng si premurò di spiegare le ragioni che lo avevano spinto a richiedere una nuova riduzione del personale delle Forze Armate. Dato che una guerra non era all’orizzonte per «almeno dieci anni», la RPC p o teva «svilupparsi in condizioni pacifiche e spostare l’attenzione al miglioramento dell’economia nazionale» 41. La giustificazione di una nuova smobilitazione giunse anche da esponenti militari. Come osservò il capo di stato maggiore dell’EPL, Yang Dezhi, ad esempio, «la forza di un esercito non dipende dal numero di truppe, ma dal v alore dei suoi comandanti e dei suoi soldati, dalla qualità delle sue armi e dalla razionalità delle sue strutture e dei suoi principi fondativi» 42. Nel marzo del 1985, dunque, la CMC prese la decisione di congedare nuovamente centinaia di migliaia di soldati e nel luglio successivo gli organi competenti redassero l’ordine esecutivo. Il risultato fu che tra il 1985 e il 1987, l’EPL venne ridotto di un milione di unità, il più esteso ridimensionamento di personale dell’EPL dalla sua fondazione nel 1927. Lo stesso spirito di riforma (e di diminuzione dei costi) spinse la Commissione Militare Centrale nell’aprile del 1985 ad ordinare la f usione di alcune accademie di formazione degli ufficiali per creare un unico organismo, ovvero l’Università della difesa nazionale, a capo della quale fu nominato Zhang Zhen, membro della CMC. Analizzare l’impatto di questa decurtazione di truppe sulla struttura dell’EPL può aiutare a comprendere il disegno strategico della leadership cinese. La «massiccia riduzione del personale», infatti, non colpì i «diversi servizi armati allo stesso modo». Al contrario, la Marina dell’EPL beneficiò di un «trattamento preferenziale» come dimostra la 41. Citato in Ivi, p. 174. 42. D. YANG , A strategic decision in strengthening the building of our army in the new period, in «FBIS-CHI-85-153», 1985, pp. K1-7.

III. Dal Congresso alla riunione allargata del 1985

129

quota dei tagli per ogni componente delle Forze Armate cinesi. Tra il 1981 e il 1984, le Forze di terra vennero ridotte del 19% mentre il personale della Marina venne tagliato meno del 3%. Le misure della leadership denghista, quindi, non si esaurivano in una mera riduzione quantitativa dell’EPL ma miravano ad una ristrutturazione qualitativa43. Come si è visto in precedenza, infatti, a partire dalla direttiva no. 18 del 1975 che stabilì un programma di moderato ammodernamento delle capacità navali nazionali, i teatri marittimi avevano guadagnato crescente attenzione da parte della dirigenza politico-militare cine se. In particolare, era stato Liu Huaqing, riabilitato proprio nel 1975 , che aveva patrocinato nella dirigenza riformista l’esigenza di modernizzare la Marina dell’EPL. Nominato nel febbraio del 1979 prima viceCapo di Stato Maggiore, il 28 agosto 1982 Liu venne designato Comandante della Marina. Nel novembre del 1984, l’ammiraglio pubblicò sui due principali organi di stampa del Partito, Xinhua e il Quotidiano del Popolo, un articolo dal titolo “Costruire una grande Marina, sviluppare la causa marittima del nostro paese”. Nel testo, Liu collegava lo sviluppo delle capacità navali al miglioramento delle condizioni economiche del paese e, quindi, presentava la Marina come «subordinata e funzionale» allo sviluppo economico. Secondo il Comandante della Marina, il mare rivestiva «una posizione importante nell’economia nazionale» e gli «oceani» erano diventati «un’area di sviluppo di valore strategico» 44. Il passaggio da un Esercito Popolare dominato dalle Forze di terra ad uno con una componente navale più rilevante, o secondo la terminologia di Paul Godwin, un EPL che spostava la propria attenzione «dal continente alla periferia»45, rappresentava un cambiamento epocale. Il 23 maggio 1985 si aprì una conferenza allargata della Commissione Militare Centrale che costituisce una «pietra miliare»46 nella storia della politica di difesa della Repubblica popolare. La seduta approvò, infatti, la cosiddetta “transizione strategica” (㇀䔍弔⎀) dallo “stato di guerra imminente” al “binario dello sviluppo pacifico”

43. S. DOSSI, Rotte cinesi: Teatri marittimi e dottrina militare, Milano, Università Bocconi Editore, 2014, pp. 52-53. 44. Citato in Ivi, p. 96. 45. P.H.B. GODWIN , From Continent to Periphery: PLA Doctrine, Strategy and Capabilities Towards 2000, in «The China Quarterly», vol. 146, 1996, pp. 464-487. 46. D. SHAMBAUGH, Modernizing China's Military, p. 61.

130

Tigri con le ali. La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare

(࿴ᖹᘓ学䘬弐忻)47. Il discorso pronunciato da Deng Xiaoping del 4 giugno 1985 di fronte alla CMC (due giorni prima che la conf erenza si chiudesse) spiegò la natura di questa transizione, che, secondo il Presidente della CMC, implicava due innovazioni principali. La prima riguardava la «questione della guerra e della pace». Per decenni la d irigenza cinese era stata convinta che «la guerra fosse inevitabile ed imminente». Secondo Deng, nei primi anni Ottanta, dopo aver «attentamente analizzato la situazione internazionale», la CMC aveva concluso che «nessuna delle due superpotenze avrebbe osato lanciare una guerra mondiale». Le «forze della pace», infatti, stavano «crescendo più velocemente di quelle della guerra» cosicché «per un ragionevole lasso di tempo» non sarebbe scoppiata «alcuna guerra su larga scala» 48. La seconda innovazione a cui la conferenza della CMC aveva dato il proprio placet riguardava la politica estera. A partire dal 1982, infatti, Pechino aveva condotto una «giusta e indipendente politica estera» per «salvaguardare la pace mondiale». In questo modo, la Repubblica popolare si era ritagliata un «ruolo rilevante negli affari mondiali» 49. Con una guerra che non era più imminente e una posizione di spicco nel sistema internazionale, Pechino poteva dedicarsi al compito più importante di tutti: lo sviluppo economico. «Solo quando» la RPC avrebbe goduto di «una buona base economica » avrebbe potuto «modernizzare l'equipaggiamento dell'esercito». Nel suo discorso, Deng abbozzò anche una previsione di quanto tempo sarebbe servito alla Cina per migliorare la propria condizione economica. «Entro la fine del secolo», il Presidente della CMC era sicuro che la Cina avrebbe «raggiunto l'obiettivo di quadruplicare il proprio prodotto in terno lordo». Solo allora, la RPC «sarebbe stata in grado di spendere di più per modernizzare le attrezzature militari» 50. La nuova valutazione del contesto internazionale influenzò necessariamente le linee guida strategiche che stabilivano come l’EPL dovesse addestrarsi, prepararsi alla guerra ed essere strutturato . Sotto quest’aspetto, la transizione strategica costituì una vera e propria rivoluzione copernicana. Per la prima volta dalla fondazione, la Repubblica popolare non era posta di fronte ad una minaccia alla propria esi47. M.T. FRAVEL , op. cit., p. 174. 48. X. DENG , Selected Works, vol. II, p. 131. 49. Ivi, p. 132. 50. Ivi, p. 133.

III. Dal Congresso alla riunione allargata del 1985

131

stenza. Pur sussistendo ancora il pericolo di una guerra con l’Unione Sovietica, la leadership militare della Cina popolare riteneva che il paese non avrebbe dovuto più prepararsi ad affrontare una guerra totale o di larga scala nel prossimo futuro. È ancora controverso se la riunione del maggio del 1985 abbia approvato seduta-stante una nuova linea guida strategica oppure se il cambiamento sia avvenuto successivamente. Della prima opinione è Dennis Blasko 51 mentre M. Taylor Fravel ritiene più verosimile la seconda e aggiunge che la riunione della primavera del 1985 abbia solo incaricato le gerarchie militari d i studiare la possibilità di aggiornare la linea guida strategica 52. Qu ello che appare certo è che a partire dalle conclusioni della seduta della CMC del maggio-giugno del 1985, gli strateghi cinesi si misero al lavoro per apprestare uno strumento militare che fosse in grado di affrontare i conflitti del futuro. Il risultato fu la nuova linea guida strategica della “guerra locale” (ᒁ㒊㇀ḱ)53. Per capire cosa intendesse Pechino con questa terminologia, si può esaminare la letteratura militare successiva alla primavera del 1985. Tra il 1986 e il 1987, gli analisti militari cinesi individuarono i tipi di conflitto che sarebbero potuti scoppiare nel futuro: Ȅguerre di piccola scala per la difesa dei confini terrestri, Ȅdispute per i confini marittimi e la sovranità sulle isole, Ȅattacchi aerei a sorpresa, Ȅdifesa contro attacchi limitati nel territorio cinese e Ȅ contrattacchi lanciati dalle forze cinesi nel territorio di un nemico per prevenire l'invasione o neutralizzare una minaccia (sostanzialmente operazioni preventive)54. Minimo comun denominatore di questi scenari era la misura limita55 ta dell’obiettivo politico alla base dell’impiego della forza militare . Nessuna delle operazioni menzionate, infatti, implicava una difesa strenua per la sopravvivenza della Repubblica popolare. Il verificarsi nel futuro di guerre locali e «limitate» 56 dipendeva d a alcuni fattori domestici ed internazionali. Nella sua analisi del dibatti51. D. BLASKO , op. cit., p. 53 52. M.T. FRAVEL , op. cit., p. 176. 53. P.H.B. GODWIN , Chinese Military Strategy Revised: Local and Limited War, in «The Annals of the American Academy of Political and Social Science», vol. 519, 1992, p. 193. 54. P.H.B. GODWIN , From Continent to Periphery, p. 467. 55. Ibidem. 56 D. SHAMBAUGH, Modernizing China's Military, p. 60.

132

Tigri con le ali. La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare

to strategico cinese sviluppatosi tra il 1985 e il 1989, Nan Li, ricercatore all’East Asian Institute della National University of Singapore, rintraccia almeno sette argomenti per cui gli analisti militari cinesi si aspettavano la proliferazione delle “guerre locali e limitate” (o “guerre locali per obiettivi politici limitati”) da lì a venire57. In primo luogo, lo stallo nucleare tra le due superpotenze avrebbe impedito ad un conflitto di sfociare in una guerra totale. In secondo luogo, il differenziale tecnologico tra paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo avrebbe aumentato gli incentivi della parte tecnologicamente avvantaggiata ad iniziare un’azione militare contro la parte tecnologicamente arretrata e usarla come terreno di prova per nuovi armamenti. In terzo lu o go , la crescente capacità distruttiva e durata della guerra moderna e il conseguente aumento del costo di simili conflitti rendeva le “guerre locali e limitate” meno dispendiose rispetto a quelle di larga scala. In questo ambito, l’argomento del declino delle potenze imperialiste e dell’Unione Sovietica che guadagnò crescente spazio nel dibattito politico cinese giocava un ruolo importante. Se le grandi potenze globali erano destinate ad un inesorabile declino, non avrebbero potuto imbarcarsi in campagne ed operazioni troppo dispendiose 58. In aggiunta , per evitare una guerra totale le superpotenze avrebbero ricorso in misura crescente alle "guerre per procura" al fine di conseguire i p ro p ri obiettivi strategici. Ancora, avendo imboccato la strada della crescita economica intensiva, la Cina, e tutti gli altri paesi in via di sviluppo, dovevano aspettarsi che nel futuro le risorse naturali sarebbero iniziate a scarseggiare e che, quindi, si sarebbe dovuto combattere per l’approvvigionamento da nuove fonti (per esempio il mare e le isole). Inoltre, i conflitti civili sarebbero continuati trascinando, per la stessa logica delle “guerre per procura”, gli stati più potenti nella contesa per il controllo di territori e risorse limitate. Infine, dato l’aumento di potere dei Paesi in Via di Sviluppo, i motivi etnici, religiosi e territoriali, che in tali paesi erano molto più forti che in altri, avrebbero causato lo scoppio di un numero crescente di conflitti regionali59.

57 N. LI, The PLA's Evolving Warfighting Doctrine, Strategy and Tactics, 1985 -95: A Chinese Perspective, in «The China Quarterly», vol. 146, 1996, p. 446. 58 Questo è un argomento lungamente analizzato in “Introduction to National Defense Modernization,” in «JPRS-CPS-85-011», 1985. 59. N. LI, The PLA's Evolving Warfighting Doctrine, Strategy and Tactics, 1985-95, p. 446.

III. Dal Congresso alla riunione allargata del 1985

133

La conferenza della primavera del 1985 ratificò la smo b ilitazio n e di un milione di soldati approvata pochi mesi prima e vi accluse un piano generale di riordino dell’EPL. Le undici regioni militari f urono quindi ridotte a sette; le trentacinque armate vennero riorganizzate in ventiquattro gruppi d’armate; e i quartieri generali dei corpi d’artiglieria e dei corpi corazzati furono trasformati in sottodipartimenti dello Stato maggiore 60. Lo scopo di tali provvedimenti era di razionalizzare la linea del comando militare ed evitare la sovrapposizione di ordini e strutture e l’inefficienza organizzativa. La storica seduta della CMC fu significativa anche per la Marina dell’EPL. Tra il dicembre del 1985 e il gennaio del 1986, la transizio ne strategica coinvolse anche la componente navale dell’EPL e venne, così, approvata la dottrina della “difesa nei mari vicini”. Pur essendo stata menzionata inizialmente già nel 1983 da Liu Huaqing, la nuova linea guida sostituì il precedente concetto di “difesa costiera” solo all’inizio del 1986. Secondo la nuova dottrina navale, Pechino doveva espandere la frontiera entro cui impiegare la propria Marina, includendo anche nuove operazioni come la guerra sottomarina e le manovre anfibie. Stando a quanto riportato dallo stesso Liu Huaqing, i “mari vicini” includevano tutto lo «spazio marittimo delimitato alla cosiddetta “prima catena di isole”, composta dall’arcipelago del Giappone, dalle isole Ryukyu, da Taiwan e dall’arcipelago delle Filippine»61. Alcuni tra i teatri in cui la Cina iniziò ad esercitarsi con grande solerzia a partire dal 1985, perciò, furono il Mar Cinese Meridionale e il Mar Cinese Orientale 62. La riunione della CMC della metà del 1985, infine, confermò che il miglioramento delle condizioni economiche del paese doveva continuare ad avere la priorità sulla modernizzazione della difesa e dell’industria militare. Per il 1986, di conseguenza, il bilancio della difesa venne ulteriormente decurtato. La leadership cin ese co ntin uav a comunque a aderire ai principi dello “spostamento dell’attenzione all’economia nazionale” e della “conversione dal militare al civile” perseguendo la riqualificazione del settore secondario nazionale. Lo Stockholm International Peace Research Institute, ad esempio, stima che durante il sesto piano (1981-85) e il settimo quinquennale (1986 60. P.H.B. GODWIN , From Continent to Periphery, p. 466. 61. Citato in S. DOSSI, op. cit., p. 101. 62. P.H.B. GODWIN , From Continent to Periphery, p. 474.

134

Tigri con le ali. La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare

90) la Cina investì circa 4 miliardi di yuan (circa 1,2 miliardi di dollari) in progetti per la conversione delle industrie militari in industrie per la produzione civile63.

3.3. La politica nucleare nell’era delle riforme Durante il Dodicesimo Congresso del settembre del 1982, alcuni f unzionari del Partito avevano sollevato critiche contro quello che co nsideravano un eccessivo costo dell’arsenale nucleare nazionale. Seco n do questi quadri del PCC, le risorse per la capacità strategica nazionale potevano trovare migliore impiego in altri settori. Il direttore della CSTDN Zhang Aiping, che non partecipò al Congresso, decise di rispondere con una lettera a tali valutazioni. In una missiva pubblicata successivamente nell’antologia delle sue opere, il militare scriveva così: Oggi la Repubblica Popolare non solo dispone di sufficienti armamenti co n venzionali, ma anche di un certo livello di armi nucleari strategiche e di alcune capacità di contrattacco. Nel frattempo, lo sviluppo tecnologico in ambit o strategico ha anche migliorato la tecnologia militare convenzionale e ha dat o un contributo allo sviluppo della tecnologia e dell'economia per scopi civ ili. Il punto centrale non è, quindi, cosa dovrebbe avere la priorità. Piuttosto , b isognerebbe pensare a come trasformare i successi nella tecnolo gia m ilit are avanzata in risultati civili e come essi possano servire lo sviluppo economico. A tal proposito, il governo centrale dovrebbe fare un piano integrato e in clu sivo per lo sviluppo dell'economia civile, della scienza militare e d ell'in d u stria della tecnologia e della difesa, in modo tale che questi settori si so st en gano a vicenda anziché competere l'uno con l'altro 64.

La lettera di Zhang costituì la prima occasione nella storia del programma nucleare cinese in cui un alto esponente dell’establishment politico-militare della RPC certificò il successo conseguito nello sviluppo del deterrente nucleare nazionale. Fino a quel momento, infatti, leader come Mao, Zhou, Deng e Ye si erano espressi sempre con grande prudenza riguardo al raggiungimento di un’effettiva capacità 63. Il tasso di cambio è quello del 1986. Si veda CHINESE COUNTRY STUDY GROUP, China, in SINGH R.P., Arms procurement decision making, vol. I, Oxford, Oxford University Press, 1998, p. 31. 64. A. ZHANG , Zhang Aiping Junshi Wenxuan, Beijing, Changzheng chubanshe, 1994, pp. 440-441.

III. Dal Congresso alla riunione allargata del 1985

135

cinese di deterrenza. I test del DF-5, del DF-4 e del JL-1 avevano instillato, evidentemente, una moderata fiducia nella leadership cin ese. Forti di questo successo, in occasione della monumentale parata del 1° ottobre 1984 per celebrare l’anniversario della fondazione della Repubblica Popolare, i leader militari cinesi Zhang Aiping e Yang Shangkun decisero di mettere in mostra i vettori intercontinentali appena divenuti operativi. L’iniziativa è degna di nota perché sottolinea quanto l’aura di grande segretezza che fino al quel momento aveva circo n dato l’arsenale strategico cinese (specialmente quello di lungo raggio) si fosse parzialmente diradata. A partire dal 1983, anche altri membri della leadership cinese iniziarono a parlare della capacità di rappresaglia nucleare che la Cina aveva conseguito e, nel 1985, un articolo sulla rivista Liaowang avvalorò la valutazione ottimista di Zhang della capacità cinese di dissuadere un’aggressione nucleare 65. Mentre la Cina popolare raggiungeva un’effettiva capacità di contrattacco, il 23 marzo 1983, in un discorso pronunciato sulla televisione nazionale, il Presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan annunciò la Strategic Defense Initiative (SDI). L’iniziativa, che la stampa ribattezzò a mo’ di scherno “Star Wars”, rappresentava il tentativo dell’amministrazione americana di accantonare la “mutua distruzione assicurata” e costruire un sistema di difesa antimissilistico che proteggesse il territorio nazionale da un attacco nemico 66. La ragione di questo programma era da ricercare nel tentativo di Mosca di acquisire quella che poteva essere «inequivocabilmente considerata una f orza militare offensiva». Mosca, secondo la Casa Bianca, aveva già ottenuto una capacità di primo colpo nucleare, approfittando dell’impegno americano a ridurre la propria forza strategica coerentemente con il dettato dei due accordi SALT. Secondo Reagan, a partire dal 198 1 gli Stati Uniti avevano iniziato a reagire a questo massiccio dispiegamento sovietico, riattivando il programma del bombardiere B-1 e accelerando la produzione del sottomarino lancia-missili balistici a propulsione nucleare classe Ohio. Per il Presidente americano, però, tutto questo non sarebbe bastato ad azzerare i rischi di una guerra nucleare. A partire da tale valutazione la presidenza americana si era co n vin ta della necessità di un sistema che potesse «intercettare e distruggere i 65. Citato in R. WU , Certainty of Uncertainty: Nuclear Strategy with Chinese Characteristics, in «Journal of Strategic Studies», vol. 36, no. 4, 2013, p. 605. 66. Per la storia di SDI si veda F. FITZGERALD , Way Out There in the Blue: Reagan, S ta r Wars, and the End of the Cold War, New York, Simon & Schuster, 2001.

136

Tigri con le ali. La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare

missili balistici strategici» prima che essi raggiungessero «il suolo [degli Stati Uniti] o quello degli alleati» 67. Come accaduto per la controversia sulla bomba al neutrone, le p rime reazioni cinesi a SDI furono improntate ad una grande cautela. Durante «i primi 18 mesi dopo l'annuncio del progetto», Pechino evitò di rilasciare «commenti autorevoli sul tema». Quando alcuni mesi dopo , i primi pareri degli esperti di affari militari iniziarono ad apparire sulle riviste cinesi, due orientamenti si poterono distinguere nel dibattito su SDI. Da una parte c’era chi leggeva nell’iniziativa americana una mossa necessaria per bilanciare il tentativo sovietico di «guadagnare il primato strategico» 68. Dall’altra, alcuni commentatori rilevavano il rischio che il deterrente nucleare cinese avrebbe corso se anche l’Unione Sovietica si fosse imbarcata in una militarizzazione dello spazio e avesse reso il proprio territorio invulnerabile ad un attacco nucleare 69. Tuttavia, questi primi commenti non ebbero grande impatto sul dibattito cinese sull’arma atomica e sulla strategia nucleare. Solo a metà degli anni Ottanta, gli analisti militari cinesi iniziarono a studiare in maniera più approfondita la natura e gli scopi di SDI e l’impatto che esso avrebbe prodotto sulla stabilità strategica internazionale. A partire dal 1985, due scuole di pensiero semb raron o co n frontarsi su come rispondere agli sviluppi in corso negli Stati Uniti. Da un lato, era una corrente più tradizionalista che riaffermava i concetti centrali della mutua distruzione assicurata, sostenendo la necessità di garantire maggiore mobilità, occultamento e capacità di penetrazione delle difese ai vettori missilistici cinesi. Coloro che sostenevano tale posizione erano, in sostanza, a favore di una strategia di “ second strike assicurato”. Dall’altro, emergeva la linea di chi patrocinava lo sviluppo di maggiori capacità di “guerra nucleare”, volte a disarmare il nemico e a dispiegare un numero limitato di sistemi difensivi. Coloro che appartenevano a questo orientamento, che Alastair Johnston definisce della “deterrenza limitata”, credevano che «per ogni lancia»

67. R. REAGAN , “March 23, 1983: Address to the Nation on National Security.” Testo d isponibile all’indirizzo: https://millercenter.org/the-presidency/presidential-speeches/march23-1983-address-nation-national-security (10/06/2020). 68. Citato in B. ROBERTS, China and Ballistic Missile Defense: 1955 to 2002 and Beyond, Alexandria, Institute for Defense Analyses, 2003, p. 15. 69. “China’s Concerns about the Strategic Defense Initiative,” 22 gennaio 1985, p. 3. T e sto disponibile all’indirizzo: https://www.cia.gov/library/readingroom/docs/DOC_00004 88935.pdf (29/5/2020).

III. Dal Congresso alla riunione allargata del 1985

137

(▩, ovvero ogni missile o, in generale, ogni sistema di attacco) Pechino dovesse sviluppare «uno scudo» (┪, ovvero un sistema difensivo)70. Tuttavia, nel triennio (1982-1985) preso in esame nel presente capitolo, le fonti disponibili non suggeriscono che la Cina popolare abbia dato un seguito concreto al dibattito sulla possibilità di dotarsi di sistemi difensivi ed opzioni di first strike. Nell'agosto del 1983, in seguito all’annuncio di SDI, il SCA condusse la prima esercitazione congiunta delle operazioni di contrattacco e difesa ravvicinata. In precedenza, infatti, le unità missilistiche cinesi avevano condotto solo esercizi di lancio ma non avevano mai testato i requisiti e le procedure da rispettare in caso di guerra nucleare. Lo scenario dell’esercitazione dell’agosto del 1983 prevedeva la difesa dell’arsenale di vettori da un primo strike nemico e il lancio di una contro-offensiva nucleare. Contemporaneamente, la simulazione prevedeva l’invasione del territorio cinese da parte di un a fo rza n emica convenzionale. Obiettivo dell’esercitazione era di studiare l'organizzazione, il comando e il coordinamento delle operazioni di difesa e co n trattacco nelle fasi iniziali di un conflitto nucleare e convenzionale. Alcuni dirigenti dell’EPL, inclusi Yang Shangkun e Yang Dezhi, assistettero alle operazioni del SCA 71. Un gruppo di ufficiali presenti fu incaricato di redigere un’indagine generale delle principali lezioni che si potevano trarre dall’esercitazione. Nel marzo del 1985, a partire dagli appunti di quegli ufficiali, il Secondo Corpo d’Artiglieria pubblicò la prima edizione del testo “Scienza delle Campagne del SCA” (➨஧Ⅴර㇀⼡⬎), un vero e proprio manuale operativo per la f orza missilistica cinese su come condurre un “contrattacco”. Il corpo missilistico cinese si dotò, così, di un testo dottrinario per la prima volta nella sua storia. A partire dalle conclusioni dell’esercitazione del 1983, durante il 1984, il Secondo Corpo iniziò ad addestrare le proprie brigate missilistiche in maniera integrata. La ragione di questa decisione era che, per condurre le missioni di “difesa ravvicinata” e “contrattacco”, le unità deputate al lancio dei missili e alla gestione delle relative piattaf orme avevano bisogno di una pletora di dati e informazioni che non avreb bero potuto procurarsi se avesse operato in totale autonomia. Ad 70. Citato in A.I. JOHNSTON , China's New «Old Thinking»: The Concept of Limited Deterrence, in «International Security», vol. 20, no. 3, 1995, p. 25. 71. M.T. FRAVEL , op. cit., p. 262.

138

Tigri con le ali. La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare

esempio, nel portare a compimento la propria missione, le unità missilistiche potevano avere bisogno «di informazioni sugli obiettivi da colpire, di misurazioni geodetiche, di previsioni meteorologiche, di protezione ingegneristica, di contromisure elettroniche, di early warning, di difesa aerea, di sistemi di rilevamento delle detonazioni nucleari e di una solida architettura C3 e di logistica» 72. Nella prima metà degli anni Ottanta, il Secondo Corpo d’Artiglieria risolse anche un problema che Wu Riqiang, professore alla Renmin University ed esperto di strategia nucleare cinese, definisce «di ibernazione». Ogni anno un cospicuo numero di veterani del SCA andava in pensione permettendo ad altrettante reclute di entrare nel Corpo. La formazione e l’addestramento dei nuovi arrivati, però, veniva svolta come da prassi nel periodo immediatamente successivo al p en sio namento dei loro predecessori. In questo modo, secondo Wu, il Secondo Corpo non era in grado di assicurare il funzionamento dei missili p er almeno metà dell’anno seguente. Il problema fu risolto frazionando l'addestramento delle nuove reclute cosicché fossero addestrate in un'unità speciali prima di entrare nel SCA per sostituire gli ufficiali che si congedavano73. Il triennio 1982-1985 conobbe notevoli progressi anche per quanto riguardava il procurement strategico. Tra il 1977 e il 1982, il programma delle “tre morse” aveva vincolato la CSTDN ad indirizzare gli sforzi e e le risorse alla messa a punto del JL-1, il missile balistico lanciato da sottomarino. Dopo la riuscita del test del JL-1 nell’ottobre del 1982, Pechino poté tornare a lavorare sul progetto di un mo to re a propellente solido funzionante e di dimensioni ridotte (circa d u e metri). Nella seconda metà del 1983, tale dispositivo venne testato con successo e permise ai cinesi di riprendere in mano alcuni progetti accantonati negli anni precedenti per dare spazio alle “tre morse”. Tra questi programmi vi erano una seconda classe di missile lanciato da sottomarino (JL-2) e il suo adattamento terrestre (DF-23, poi ribattezzato DF-31), nonché un progetto di aggiornamento di un missile a medio raggio (DF-21). Il completamento della “seconda morsa”, ovvero il JL-1, liberò la CSTDIN di una pesante restrizione. A partire dall’inizio del 1983, l’establishment politico-militare cinese fu impegnato a gettare le basi 72. R. WU , op. cit., p. 607. 73. Ivi, pp. 605-607.

III. Dal Congresso alla riunione allargata del 1985

139

della nuova fase della ricerca tecnologica militare che sarebbe dovuta seguire alle “tre morse”. Nel 1984 due provvedimenti della Commissione Militare Centrale testimoniano il genere di dibattito che stava prendendo forma nelle alte gerarchie politiche-militari della Cina popolare su quali sistemi sarebbero dovuti essere approntati da lì a v en ire. Nel maggio del 1980, i vertici militari cinesi avevano deciso che il DF-22 dovesse essere considerato una «priorità nazionale» 74. Messo in pausa tra il 1977 e il 1980 a causa della precedenza data alle “tre morse”, il DF-22 era un ICBM a due stadi con propellente liquido. Nel 1984, durante una riunione a Beidaihe sulla costa del golfo di Bohai, la CMC discusse le probabilità che una guerra su larga scala scoppiasse entro la fine del millennio. La conclusione fu che tale evenienza rimaneva remota e che, quindi, Pechino avrebbe potuto dedicarsi a migliorare i vettori di prima generazione e iniziare lo sviluppo di quelli di seconda generazione. Un progetto antiquato come il DF-22 non rientrava nei disegni della CMC e, di conseguenza, nel gennaio del 1985, il programma “202” venne definitivamente cancellato. Nell’aprile del 1984, i vertici politico-militari cinesi giunsero ad una seconda decisione e diedero istruzioni alla CSTIDN affinché avviasse il programma di ricerca e sviluppo per un nuovo vettore missilistico , il DF-15, un missile a corto raggio (circa 600 chilometri per la prima versione) capace di montare testate convenzionali e nucleari. In questo modo, da una parte, Pechino mirava ad occupare una porzione sul mercato internazionale di missili e fare concorrenza allo Scud sovietico con un proprio vettore a basso costo 75. Dall’altra, negli anni precedenti la RPC aveva studiato la possibilità di produrre armamenti nucleari tattici ma non aveva ancora iniziato alcun programma missilistico adeguato. Il progetto del DF-15 (M-9 nella versione per l’export) fu completato entro la fine del 1985. Parimenti, nel 1985 fu approvata la ricerca per un missile tattico, il DF-11 (M-11), con raggio più corto. L’elevato interesse per i vettori a corto raggio venne presto confermato da una delle massime autorità militari di Pechino. Il 26 dicembre 1984, il Ministero dell'Industria Spaziale (precedentemente, il Settimo Ministero per l’industria meccanica) emanò una circolare con qu attro indicazioni fondamentali per lo sviluppo di missili balistici. Secondo il Ministero, in futuro la priorità doveva passare «dai propellenti liquidi 74. J.W. LEWIS, D. HUA , op. cit., p. 26. 75. Ivi, p. 34.

140

Tigri con le ali. La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare

a quelli solidi, dai missili strategici a quelli tattici, dai lanciatori strategici di prima generazione a quelli seconda, e da lanci sperimentali di satelliti a missioni funzionali (sic)» 76. Parallelamente, un rinnovato interesse per l’arma al neutrone si diffuse tra i vertici politico -militari cinesi. Tra il 1983 e il 1984, quattro nuovi test (CHIC-29, 30, 31, 32) per un ordigno ER vennero condotti a Lop Nur. L’ultimo di questi (CHIC-32), datato 19 dicembre 1984, provocò un’esplosione di 15 chilotoni e dotò certamente Pechino di una bomba al neutrone funzionante77.

76. Ivi, p. 28. 77. J. RAY , op. cit., p. 25.

Conclusioni La politica nucleare cinese nel primo decennio dalla morte di Mao e durante l’epoca delle riforme volute dalla nuova leadership di Deng Xiaoping mostra sia elementi di continuità sia di discontinuità con l’era maoista. Per quanto riguarda l’acquisizione di capacità strategiche, è evidente che, tra il 1977 e il 1980, la priorità della Commissione Militare Centrale presieduta da Deng fosse stata di ultimare i due missili balistici rimanenti del piano di otto anni di ricerca e sviluppo approvato nel 1963 con il placet di Mao Zedong e Zhou Enlai. Dei quattro vettori previsti dalla tabella di marcia del 1963, infatti, a causa delle turbolenze politiche ed economiche causate dalla Rivoluzione culturale e dall’aspra competizione tra le fazioni del PCC nella prima metà degli anni Settanta, solo due missili, il DF-2 e il DF-3, avevano raggiunto piena capacità operativa alla fine del 1977. Dei due sistemi più importanti, il DF-4 (un IRBM con raggio di circa 4700 chilometri) non era ancora stato dispiegato definitivamente, mentre il DF-5 (un ICBM con raggio di circa 10-12 mila chilometri in grado di colpire la Russia europea e gli Stati Uniti) non era stato ancora completato , né testato. Nel 1980, in piena fase di riforme, il DF-4 divenne operativo e il DF-5 venne testato con successo per essere dispiegato a partire dall’anno successivo. Parallelamente, la dirigenza “moderata” confermò l’interesse per il progetto di un missile balistico lanciato da sottomarino, il JL-1, la cui fase di ricerca era stata avviata nel 1967, e per il suo successore, il JL-2, concepito nel 1970 ma sospeso per più di dieci anni. Il JL-1 fu testato con successo nell’ottobre del 1982. In ambito missilistico, quindi, si può affermare che il periodo 1977-198 4 fu caratterizzato da una sostanziale continuità con il passato. Tuttavia, nel 1984 la Commissione scientifica, tecnologica, industriale per la difesa nazionale introdusse una novità rilevante quando avviò il programma di ricerca e sviluppo per un nuovo vettore missilistico per scopi tattici, il DF-11 (M-11)1. Anche il programma DF-15, un missile a corto raggio (circa 600 chilometri per la prima versione) capace di montare testate convenzionali e nucleari, costituì una novità rispetto al procurement maoista. L’elevato interesse per i vettori a cor1. J.W. LEWIS, D. HUA , op. cit., p. 34.

141

142

Tigri con le ali. La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare

to raggio venne confermato da una delle massime autorità politiche, il Ministero dell'Industria Spaziale (precedentemente, il Settimo Ministero per l’industria meccanica). Rispetto alla dimensione concettuale della politica nucleare, ovvero quella più direttamente legata all’elaborazione strategica e all’utilizzo operativo del deterrente nucleare di Pechino, il periodo preso in esame nella presente trattazione generò due dinamiche principali. Per la prima volta dall’avvio del programma nucleare nel 1955, tra il 1977 e il 1985 il vertice politico-militare cinese fu impegnata a tradurre i concetti e i principi elaborati negli anni per il deterrente nucleare cinese in requisiti, procedure, obiettivi e modalità di impiego concreti. Alla fine degli anni Settanta, la priorità per l’alto comando militare cinese diventò migliorare «la miniaturizzazione, la mobilità, la capacità di penetrazione, la sicurezza e l’affidabilità» 2 della forza strate gica di Pechino. Per ovviare ad alcuni di questi problemi, la Commissione Militare Centrale approvò tra il 1977 e il 1979 due provvedimenti importanti. In primis, la CMC diede l’autorizzazione ad una nuova procedura di lancio per i missili balistici (soprattutto per il DF-4) detta “uscire per sparare i fuochi d’artificio”. Tale metodo contemplava la preparazione del missile all’interno di cave e grotte nelle montagne e, successivamente, il lancio da piattaforme all’esterno. Successivamente, la Commissione approvò il piano di costruzione della cosiddetta “Grande muraglia sotterranea”, ovvero una monumentale rete di tunnel dove immagazzinare, armare e trasportare liberamente i missili fino al sito di lancio senza correre il pericolo di essere disarmati da un primo colpo nemico. Solo nel settembre del 1980 la Commissione Militare Centrale compì un progresso considerevole nella definizione di una strategia nucleare chiara. La conferenza dell’Esercito Popolare di Liberazione dal nome in codice “801” approvò, infatti, due requisiti operativi f ondamentali per il deterrente nucleare cinese: “difesa ravvicinata” (᷍⭮旚㉌) e “contrattacco su punti chiave” (㔜Ⅼ཯↣). Per quanto sintetici, i due concetti riassumevano e formalizzavano l’intero dibattito strategico occorso a partire dal 1955 e, in particolare, dopo il ritorno al potere di Deng Xiaoping nel 1977. Durante la riunione “801”, lo stato maggiore cinese confermò il principio del “nucleare di sola difesa”, ovvero del “guadagnare il controllo solo dopo che il nemico ha at2. J. RAY , op. cit., p. 20.

Conclusioni

143

taccato” (ྈ᭷ᅾ㓴Ṣ㓣↣⎶炻ㇵ傥忂彯㓣↣卟⼿㍏⇞㛫). A partire dal seminario del 1980, il Secondo Corpo d’Artiglieria convocò due simposi nel luglio 1981 per discutere gli elementi concettuali del deterrente nucleare appena approvati. Dopo alcuni mesi, i suoi leader promulgarono il documento “Glossario militare del Secondo Corp o d’Artiglieria” e una serie di nuovi regolamenti di lavoro per le unità del SCA, che, stando alle fonti disponibili, rappresentarono i primi rudimentali manuali operativi della forza missilistica cinese3. Nell'ago sto del 1983, il SCA condusse la prima esercitazione congiunta delle operazioni di contrattacco e difesa ravvicinata. In precedenza, in fatti, le unità missilistiche avevano condotto solo lanci di prova ma non avevano mai approfondito i requisiti e le procedure da rispettare in caso di guerra nucleare. Lo scenario dell’esercitazione dell’agosto del 1983 implicava la difesa dell’arsenale di vettori strategici da un primo colpo nemico e il lancio di una contromossa nucleare. Contemporaneamente, la simulazione prevedeva l’invasione del territorio cinese da parte di una forza convenzionale nemica. Obiettivo dell’esercitazione era, quindi, studiare l'organizzazione, il comando e il coordinamento delle operazioni di difesa e contrattacco nelle fasi iniziali di un conflitto nucleare e convenzionale. Per condurre tali operazioni le unità del SCA deputate al lancio dei missili e alla gestione delle relative piattaforme avevano bisogno di una pletora di dati e in formazioni che operando non potevano procurarsi in totale autonomia. Un gruppo di ufficiali presente durante la simulazione dell’agosto del 1983 fu incaricato di redigere una disamina generale delle principali lezioni che si potevano trarre dall’esercitazione. A partire dagli appunti di quegli ufficiali, nel marzo del 1985, il Secondo Corpo d’Artiglieria pubblicò la prima edizione del testo “Scienza delle Campagne del SCA” (➨஧Ⅴර㇀⼡⬎), il primo testo dottrinario ufficiale nella storia del corpo missilistico della RPC. Durante il 1984, in o ltre, il Secondo Corpo iniziò, quindi, ad addestrare le proprie brigate missilistiche a partire dallo studio dell’esercitazione del 1983. La seconda dinamica rilevante sperimentata dalla Cina popolare durante il decennio qui analizzato riguarda le innovazioni dottrinali introdotte. Tra il 1977 e il 1985, i leader cinesi non si limitarono a dare un ordine e una sanzione formale ai principi strategici maoisti, ma ap3. J.W. LEWIS, L. XUE , op. cit., p. 48.

144

Tigri con le ali. La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare

portarono almeno due cambiamenti alla politica nucleare della RPC. Il primo fu lo studio e l’integrazione all’interno delle esercitazioni dell’EPL e del SCA di armamenti nucleari tattici, che rappresentarono il principale elemento di rottura con la tradizione strategica maoista. Gli unici due documenti sulle armi nucleari prodotti durante il periodo 1955-1976 e pervenuti agli studiosi, infatti, negavano esplicitamente la possibilità che Pechino si dotasse di armi nucleari non strategiche la cui efficacia militare veniva, anzi, minimizzata e dileggiata da Mao e dagli strateghi maoisti. A partire dal 1977, analisti e studiosi di af f ari militari e strategici iniziarono, invece, ad approfondire l’impatto delle armi nucleari a bassa potenza sulla guerra moderna. Un documento classificato dell’EPL conferma come tra gli alti gerarchi militari cinesi l’apprensione maggiore fosse che gli ordigni nucleari tattici in mano ai sovietici si rivelassero «le armi principali con cui annientare le truppe nemiche [cinesi] e distruggerne la infrastruttura vitale» 4. Ciononostante, alla fine degli anni Settanta, l’interesse mostrato dalla leadership di governo per questo genere di tecnologia fu minimo. All’inizio degli anni Ottanta, al contrario, qualcosa dovette far cambiare idea ai vertici politici cinesi riguardo le armi nucleari tattiche. Nel giugno del 1982, pertanto, l’Esercito Popolare di Liberazione prese una decisione definitiva. In un’esercitazione lungo una direttrice a circa 700 chilometri dal confine con la Mongolia verso la quale le alte cariche militari cinesi si aspettavano l’invasione sovietica, l’EPL studiò la possibilità di impiegare ordigni nucleari a basso rendimento. L’operazione simulò sia l’utilizzo offensivo delle testate a basso rendimento, sia le manovre di difesa da un attacco atomico sul campo di battaglia. La seconda innovazione dottrinale significativa introdotta durante il primo decennio dell’era post-maoista era la bomba al neutrone. Nel 1977, il clamore suscitato dalla notizia che l’Amministrazione Carter intendeva procedere allo sviluppo della W79, una bomba a bass a potenza esplosiva ma con effetti devastanti legati alle intense radiazioni, spinse una parte della comunità internazionale a condannare la mossa americana. Quando l’Unione Sovietica fece pressioni perché Pech ino criticasse apertamente il progetto americano, i vertici politico-militari cinesi nicchiarono. Dopo aver saputo del progetto americano i cinesi si erano, infatti, interessati ai vantaggi che tale ordigno presentava. Il passo verso la decisione di una ricerca preliminare ad opera di u n Di4. Citato in C. LIN , op. cit., p. 82.

Conclusioni

145

partimento della Nona accademia sulla fattibilità di una bomba ER f u rapido. Nel 1980 Zhang Aiping confermò l’interesse dell’alto comando cinese per l’arma in un colloquio con un fisico americano in v isita nella PRC. Secondo Zhang, infatti, la tecnologia alla base della cosiddetta bomba al neutrone si sarebbe dimostrata utile a livello tattico per contrastare l’avanzata sovietica sul confine settentrionale, in caso di conflitto con Mosca. Nel 1984, Pechino riuscì a detonare un ordigno al neutrone perfettamente funzionante. Questa duplice dinamica che, durante l’epoca delle riforme, combinò elementi di continuità ed innovazione della politica nucleare cinese può essere spiegata alla luce di due fattori principali. Il primo elemento determinante fu l’agenda di riforme economiche voluta da Deng e dalla fazione moderata. Ritornato al potere nella metà del 1977, Den g Xiaoping si fece promotore di un esteso programma di riforme economiche e commerciali con l’obiettivo di fare della Repubblica Popolare Cinese un paese industrialmente avanzato entro la fine del Ventesimo secolo. Le “Quattro modernizzazioni”, come venne etichettato il programma di sviluppo economico voluto prima da Zhou Enlai e poi riattivato da Deng, riconoscevano esplicitamente tra le priorità un primato al miglioramento dell’attività agricola e industriale della RPC rispetto all’ammodernamento della difesa nazionale. Deng e i suoi più stretti collaboratori lavorarono in maniera indefessa perché le esigenze di politica estera e di difesa non ostruissero le misure di politica economica. Questa determinazione di Deng e dell’ala riformista impresse una svolta decisiva alla politica di difesa cinese. Nel dicembre del 1977, dopo essere tornato al vertice della nomenclatura nazio nale d a poco più di cinque mesi, Deng Xiaoping riuscì a convincere la Commissione Militare Centrale che la modernizzazione economica doveva avere la priorità su tutti gli altri provvedimenti. Ciò ebbe conseguenze cruciali per la politica di difesa e per la politica nucleare della RPC. Per tre anni dal 1978 al 1980, il principio del “primato dell’economia” congelò sostanzialmente la ricerca e lo sviluppo di nuovi armamenti strategici per concentrare tutte le risorse e le fatiche su tre sistemi principali: l’ICBM (DF-5); il missile balistico lanciato da sottomarino (JL-1); e il satellite da ricognizione. Il programma delle “tre morse”, così venne battezzato dal suo ideatore Zhang Aiping, doveva avere la massima priorità ed essere completato entro il 1980. Parallelamente, il monumentale progetto “640” di un sistema di difesa anti-missilistica aveva prodotto risultati positivi duran-

146

Tigri con le ali. La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare

te il 1979. Esso, tuttavia, venne definitivamente cancellato nel marzo del 1980 perché giudicato troppo costoso. Parimenti, nell’aprile 1979, la leadership cinese chiese che la produzione di materiale fissile fosse riconvertita per scopi civili coerentemente con il principio del “primato dello sviluppo economico”. Il risultato fu che, a partire dal 1981, la RPC ridusse sensibilmente gli investimenti nell’infrastruttura nucleare militare e la produzione di uranio arricchito e plutonio a scopi bellici. A partire da quel momento, «il principio fondante per lo sviluppo dell’industria nucleare era di garantire le esigenze militari ma spostare l’attenzione all’economia nazionale» 5. Durante il 1979, le priorità economiche e di sviluppo giocarono un ruolo importante anche nella decisione di Deng Xiaoping di muovere guerra contro il Vietnam . «Dopo aver combattuto una guerra come quella contro il Vietnam», spiegò Deng ad alcuni quadri del Partito il giorno prima dell’avvio delle operazioni, la Cina avrebbe potuto gettare le fondamenta per la creazione di «un contesto pacifico dove le Quattro modernizzazioni potessero essere perseguite in pace» 6. Con la fine dell’offensiva contro Hanoi, pertanto, si arrestò l’imponente crescita del budget della difesa della RPC avvenuta durante gli anni Settanta. Tra il 1970 e il 1979, infatti, le spese militari erano cresciute in media del 6,5% annuo, con picchi del 17% (1971) e del 33% (1979, per via della guerra contro il Vietnam). Nei primi nove anni del decennio seguente, il budget della difesa cinese si contrasse mediamente dello 0,3% annuo, con dei picchi negativi del -15% nel 1980 e nel 1981 7. Il secondo elemento determinante per la politica di difesa e la politica nucleare cinese nel primo decennio dopo la morte di Mao fu la valutazione fatta dalla nuova leadership guidata da Deng Xiaoping delle minacce e delle opportunità che il sistema internazionale presentava . Anche in questo ambito le novità furono significative. Già durante la seduta allargata della CMC del maggio del 1975, Deng aveva introdotto un tema centrale per la sua visione di politica estera, ovvero la possibilità di ritardare lo scoppio di una guerra di larga scala che coinvolgesse la RPC. Nel 1976, però, Deng cadde vittima della purga v o luta dalla Banda dei quattro e andò incontro ad un periodo di f orzata abiura delle proprie idee per conformarsi all’ortodossia del nuovo lea5. Citato in R.S. NORRIS et al., op. cit., p. 335. 6. J. EISENMAN, op. cit., p. 12. 7. D. SHAMBAUGH, Modernizing China's military, pp. 188-189.

Conclusioni

147

der cinese Hua Guofeng. Quando alla fine del 1977 riuscì a riacquisire parte del prestigio e del potere detenuti in precedenza, Deng fu in grado di avanzare nuovamente alcuni dei suoi spunti di riflessione in materia di politica estera e di difesa tra cui quello sulla “evitabilità della guerra”. Per Deng, la possibilità di godere di un pacifico contesto politico internazionale rappresentava la condicio sine qua non dello sviluppo economico nazionale. Nessun progresso sarebbe stato possibile se Pechino avesse dovuto affrontare un ambiente regionale ed internazionale ostile e avesse dovuto spendere una quota consistente del proprio bilancio per difendersi. Un argomento centrale della visione degli affari internazionali di Deng e della fazione riformista era la diversa valutazione fatta della minaccia sovietica rispetto alla corrente radicale e ai militari. Con ciò non si vuole sostenere che i moderati minimizzassero il pericolo costituito dalla presenza militare sovietica lungo il confine con la Cina e in Mongolia. Al contrario, tra il 1975 e il 1979, Deng e l’ala a lui vicina furono attivi sostenitori della necessità di modernizzare, compatibilmente con le esigenze di sviluppo economico, gli armamenti in d o tazione all’EPL e di aggiornare la dottrina militare e le strategie in v ista di una resistenza contro una possibile invasione sovietica. A partire dal 1979, l’analisi del contesto internazionale e della minaccia sovietica indusse il vice-premier Deng Xiaoping e la corrente riformista a due conclusioni principali. Da una parte, nella prospettiva denghista, la serie di iniziative diplomatiche di cui la Cina si era fatta promotrice a partire dal 1978 aveva aperto una nuova fase delle relazioni internazionali e migliorato la posizione di Pechino sullo scacchiere glo b ale. Poi nell’autunno del 1980, l’elezione di Ronald Reagan a 40° Presidente degli Stati Uniti rappresentò un elemento potenzialmente favorevole alla Cina. Come rilevato da un’analista militare cinese, «nell'era Reagan», gli Stati Uniti avevano varato una «strategia di "confronto attivo"» con l’Unione Sovietica, che poneva al centro dell’azione politica la necessità di «contrastare efficacemente la minaccia» di Mosca8. Di conseguenza, spiegava un altro autore, nel futuro «la situazione in cui sarebbe stata l’Unione Sovietica ad assumere una postura difensiva mentre gli Stati Uniti conducevano una politica offensiva» sarebbe

8. “Introduction to National Defense Modernization,” in «JPRS-CPS-85-011», 1985, p. 30.

148

Tigri con le ali. La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare

emersa «frequentemente» 9. In aggiunta, sia a livello nazionale, sia in ternazionale, l’Unione Sovietica stava affrontando alcune serie difficoltà che ne minavano il prestigio politico e la potenza militare. Secondo i cinesi, un’opposizione globale all’Unione Sovietica stava prendendo forma in Europa orientale, Asia centrale ed Africa. A livello nazionale, Mosca non poteva più sostenere un'espansione del 4 -5% per anno delle spese militari, come quella sostenuta durante gli anni Settanta, a causa di una perdurante stagnazione economica. Di conseguenza, gli analisti strategici cinesi conclusero che il potere globale sovietico aveva raggiunto il suo culmine tra la metà e la fine degli anni Settanta. All’inizio degli anni Ottanta, tuttavia, Mosca aveva imboccato la strada di un graduale declino. In conclusione, da una parte la politica nucleare cinese tra il 1977 e il 1985 fu il prodotto delle impellenti esigenze economiche pro pu gn ate dalla fazione in ascesa, ovvero quella denghista, che aveva fatto dello sviluppo nazionale la massima priorità politica. Pertanto, una postura nucleare coerente con il passato maoista e che prediligeva il second strike, l’occultamento e la mobilità dei vettori dovette apparire come una scelta decisamente più conveniente rispetto all’imbarcarsi in costosi programmi di ricerca e sviluppo di capacità di primo colpo o di difesa da missili balistici nemici. Le due principali innovazioni rilevate nella presente ricerca, ovvero gli ordigni nucleari tattici e le bombe al neutrone, comportavano una spesa estremamente contenuta. Per ottenere tali capacità, infatti, Pechino poté agevolmente riadattare le tecnologie nucleari e missilistiche che aveva già sviluppato e che erano già diventate pienamente operative. Dall’altra, il graduale miglioramento del contesto internazionale che la leadership di Deng percepì prendere forma tra il 1979 e il 1985 spinse la dirigenza cinese a dirigere le risorse e l’impegno verso il generale sviluppo economico e tecnologico del paese. Una volta che tra 1980 e il 1982, Pechino dispiegò i missili a raggio intermedio, intercontinentale e quelli lanciati da sottomarino, la leadership cinese ritenne di aver conseguito, per la prima volta dal 1964, un’effettiva capacità di rappresaglia nucleare. Di conseguenza, importanti quote di budget poterono essere destinate al miglioramento delle condizioni economiche e tecnologiche del paese e al perseguimento dell’agenda di riforme voluta da Deng e dalla sua f azione. In breve, si può ritenere che la politica nucleare cinese tra il 9. H. ZONG , op. cit., pp. 15-17.

Conclusioni

149

1977 e il 1985 fu il risultato di una specifica visione de l mondo propugnata da Deng Xiaoping e dalla corrente “moderata” del PCC. Secondo tale prospettiva, il contesto internazionale e regionale pacifico che si stava formando con lo scemare della minaccia esistenziale posta dall’Unione Sovietica poteva servire da terreno fertile per lo «sviluppo delle forze produttive» 10 cinesi che avrebbero dovuto condurre la Cina ad essere un paese moderno e prospero. In questo senso, se il mondo di Mao era contraddistinto dalla «rivoluzione e dalle lotte di liberazione nazionali» 11, il mondo di Deng era caratterizzato da «pace e sviluppo» 12. Durante l’epoca denghista, la politica di difesa mirò ef fettiv amente a modernizzare gli armamenti nazionali, ovvero a sviluppare quelle “tigri con le ali” da cui prende il nome il presente lav o ro , ma i fattori menzionati contribuirono a frenare il processo di innovazione . L’acquisizione di capacità strategiche dovette, pertanto, adeguarsi alle esigenze di ammodernamento economico e di relazioni pacifiche con i vicini regionali e le due superpotenze. In questo senso, anche la politica nucleare tra il 1977 e il 1985 si conformò agli imperativi dengh isti di “mantenere un basso profilo” (枔⃱℣㘎), ovvero di «aspettare il momento e accrescere le risorse» 13.

10. X. DENG , Selected Works, vol. III, Beijing, Foreign Languages Press, 1994, p. 149. 11. Si veda ad esempio E. ZHOU , Report to the Tenth National Congress of the CPC, in «Beijing Review», 28 agosto 1973, p. 23. 12. X. DENG , Selected Works, vol. III, p. 104. 13. M. PILLSBURY , China Debates the Future Security Environment, Washington, DC, National Defense University Press, 2000, p. 104.

Postfazione di SIMONE DOSSI*

Il passaggio dalla fine degli anni Settanta alla metà degli anni Ottan ta costituisce una fase di straordinaria importanza nella storia della Repubblica popolare cinese, destinata a influenzarne profondamente la traiettoria successiva. Come noto, risale a quella fase l’avvio del programma di “Riforma e apertura” che pose le fondamenta del miracolo economico cinese. A quella stessa fase risale anche la svolta nella grande strategia del paese impressa nel 1982 dalla “Politica estera indipendente per la pace”. I due cardini di quest’ultima avrebbero definito il profilo internazionale della Repubblica popolare per i decenni successivi: da un lato l’indipendenza come principio, intesa come autonomia dalle maggiori potenze in una logica di non allineamento; dall’altro la stabilità internazionale come obiettivo, vale a dire l’assenza di minacce esterne quale presupposto per l’attuazione di riforme interne. Merito del lavoro di Lorenzo Termine è quello di collocare all’interno di questo più ampio quadro anche la dottrina nucleare, aspetto meno noto al pubblico italiano ma centrale nell’evoluzione della politica di difesa cinese. Parallelamente alla grande strategia, anche la politica di difesa nel suo complesso fu infatti oggetto in quegli anni di una profonda revisione con conseguenze di lunga durata. Nel 1980 la Commissione militare centrale adottava la nuova dottrina della “Difesa attiva”, che sostituiva la precedente dottrina “Attrarre il nemico in profondità”. Se la vecchia dottrina prevedeva una “guerra di popolo” da combattere in profondità nel territorio cinese, la “Difesa attiva” prescriveva al contrario che l’attacco nemico fosse respinto là dove sferrato mediante guerra di posizione. Ne derivava l’esigen za d i un più stretto coordinamento tra Servizi armati, con un primo, timid o superamento della tradizionale centralità attribuita alle sole Forze di terra. Da un lato ciò apriva a una fase di intenso sviluppo delle do ttri* Simone Dossi è ricercatore in Relazioni internazionali presso il Dip artimento di Studi internazionali, giuridici e storico-politici dell’Università degli Studi di Milano.

151

152

Tigri con le ali. La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare

ne dei Servizi armati: la Marina, in particolare, elaborava a metà an n i Ottanta una nuova dottrina che ne espandeva il perimetro operativo dalla tradizionale “difesa costiera” alla “difesa nei mari vicini”, con ciò ponendo le basi per un crescente attivismo nei mari regionali. Dall’altro lato, la “Difesa attiva” determinava una revisione della dottrina operativa nella direzione di “operazioni coordinate” (⋷宫ἄ㇀): come riportato nell’edizione del 1987 di Scienza della strategia, pubblicazione dottrinale dell’Accademia delle scienze militari, “importante precondizione” per vincere guerre moderne era che “ciascuna componente delle Forze armate opera[sse] in modo coordinato e coerente secondo un intento e una pianificazione strategica unitari”. L’esigenza di un crescente coordinamento sarebbe divenuta cifra distintiva dell’evoluzione della dottrina operativa nei due decenni successivi, con significative implicazioni per l’Esercito popolare di liberazione non solo sul piano dottrinale ma anche su quello organizzativo. Sotto la spinta delle trasformazioni prodotte dall’applicazione delle nuove tecnologie, dimostrate in particolare nelle operazioni americane durante la Guerra del Golfo, dalle “operazioni coordinate” si passava negli anni Novanta alle “operazioni congiunte integrate” (୍య໬俼⎰ἄ㇀). Nel quadro di una nuova dottrina di base – “Vin cere guerre locali in condizioni di alta tecnologia” – approvata dalla Commissione militare centrale nel 1993, si chiedeva ora ai diversi Servizi armati di non prepararsi più soltanto a operare contestualmente in uno stesso teatro operativo, bensì a farlo al di sotto di una catena di comando unificata. Così, l’edizione del 2001 di Scienza della stra tegia identificava l’“integrazione delle forze di guerra” quale precondizione fondamentale per vincere guerre ad alta tecnologia, caratterizzate dalla “sistemizzazione” (య⣔໬) intesa come trasformazione d ella guerra in scontro fra sistemi. L’organizzazione dell’EPL non era tuttavia in linea con il principale requisito delle “operazioni congiunte integrate”, vale a dire l’esistenza di una catena di comand o co n giu n to. Si avviava così un lungo e complicato percorso di revisione d egli assetti organizzativi risalenti agli anni Cinquanta, il cui definitivo superamento è storia recente: la “Riforma della difesa nazionale e delle Forze armate”, approvata alla fine del 2015, ha infine istituito un “sistema di comando operativo congiunto” interforze facente capo a u n neo-costituito Dipartimento di Stato maggiore congiunto della Commissione militare centrale.

Postfazione

153

Come si vede, l’onda lunga delle trasformazioni introdotte nella politica di difesa cinese tra la fine degli anni Settanta e la metà degli anni Ottanta arriva sino alla cosiddetta “Nuova era” di Xi Jinping. Comprendere quella fase è dunque cruciale per comprendere la Cina di oggi: con il suo lavoro, Lorenzo Termine offre al pubblico italiano un utile e tempestivo contributo in questa direzione.

Bibliografia Archivi consultati CIA Records Search Tool (CREST) ƒ Consolidated Translations ƒ Foreign Broadcast Information Service (FBIS) ƒ Joint Publication Research Service (JPRS) ƒ National Intelligence Council (NIC) Collection Defense Technical Information Center (DTIC) Digital National Security Archive (DNSA) ƒ China and the United States: From Hostility to Engagement, 1960–1998 ƒ The Kissinger Telephone Conversations: A Verbatim Record of U.S. Diplomacy, 1969-1977 ƒ U.S. Intelligence on Weapons of Mass Destruction: From World War II to Iraq ƒ U.S. Nuclear Nonproliferation Policy, 1945–1991 Wilson Center's History and Public Policy Program Digital Archive AA.VV., The Twelfth National Congress of the CPC, Beijing, Foreign Languages Press 1982. ALI S.M, US-China Cold War Collaboration, London, Routledge 2007. ARNETT E.H., Nuclear weapons after the Comprehensive Test Ban implications for modernization and proliferation, Oxford, Oxford Univ. Press 1999. ASH R.F., Hong Kong in Transition: One Country, Two Systems, London, Routledge 2003. BABIARZ R., The People's Nuclear Weapon: Strategic Culture and the Development of China's Nuclear Weapons Program, «Comparative Strategy», 34, 5, 2015, pp. 422-446. BARTKE W., SCHIER P., China's new party leadership: biographies and analysis of the twelfth Central Committee of the Chinese Communist Party, Armonk, N.Y., M.E. Sharpe 1985.

155

156

Bibliografia

BERGÈRE M., La Cina dal 1949 ai giorni nostri, Bologna, Il Mulino, 2000. BETTANIN F., La guerra al tempo dell'atomica, «Storica», 12, 3 5-3 6, 2006, pp. 207-228.. BLASKO D., PLA Force Structure: A 20-Year Retrospective, in Mulvenon J.C., Yang A.N.D., Seeking truth from facts a retrospective on Chinese military studies in the post-Mao era, Santa Monica, CA, RAND Corp. 2001. BOYD D., Advanced Technology Acquisition Strategies of the People's Republic of China, Ft. Belvoir, Defense Threat Reduction Agency, Advanced Systems and Concepts Office 2010. CHANG G.H., To the Nuclear Brink: Eisenhower, Dulles, and the Quemoy-Matsu Crisis, «International Security», 12, 4, 1988, pp. 96-123. CHARI P.R., China's Nuclear Posture: An Evaluation, «Asian Survey», 18, 8, 1978, pp. pp. 817-828. CHEN F., JIN G., From Youthful Manuscripts to River Elegy: the Chinese popular cultural movement and political transformation 19791989, Hong Kong, Chinese University Press 1997. CHEN J, China's Involvement in the Vietnam War, 1964-69, «The Ch ina Quarterly», 142, 1995, pp. 356–387. ––– Mao's China and the Cold War, Chapel Hill, N.C., The University of North Carolina Press 2001. CHEN J., D. PENG, China since the Cultural Revolution. From Totalitarism to Authoritarism, London, Prager, 1995. CHEN K.C., China's War against Vietnam, 1979: A Military Analysis, «Occasional Papers in Contemporary Asian Studies», 5, 58, 1983 , pp. 1-33. CHEN K.C., China's War with Vietnam, 1979: Issues, Decisions, and Implications, Stanford, Calif, Stanford University Press 1987. CHILD J., Management in China during the age of reform, Cambridge, Cambridge University Press, 2006. CHINESE COUNTRY STUDY GROUP, China, in Singh R.P., Arms procurement decision making, vol. I, Oxford, Oxford University Press, 1998. CHOUDHURY G.W., China in World Affairs: The Foreign Policy of the PRC Since 1970 , Boulder, Colo, Westview Press 1982. CUNNINGHAM F.S., M.T. FRAVEL. Assuring Assured Retaliation: China's Nuclear Posture and U.S.-China Strategic Stability, «Interna-

Bibliografia

157

tional Security», 40, 2, 2015, pp. 7-50. DENG X., Selected Works of Deng Xiaoping, vol. II, Beijing, Foreign Language Press, 1983. DINGMAN R., Atomic Diplomacy during the Korean War, «International Security», 13, 3, 1988, pp. 50-91. DOAK BARNETT A., The Making of Foreign Policy in China, London, Tauris 1985. DOMES J., The Government and Politics of the PRC: A Time of Transition, Boulder, Westview Press 1985. DOSSI S., Rotte cinesi: Teatri marittimi e dottrina militare, Milano, Università Bocconi Editore 2014. EISENMAN J., China’s Vietnam War Revisited: A Domestic Politics Perspective, «Journal of Contemporary China», 2019. EVRON Y., China's Military Procurement in The Reform Era: The Setting of New Directions, New York, NY, Routledge 2015. FEIGENBAUM E.A., Who's Behind China's High-Technology «Evolution»? How Bomb Makers Remade Bejing's Priorities, Policies, and Institutions, «International Security», 24, 1, 1999, pp. 95-126 ––– China's Techno-Warriors: National Security and Strategic Competition from The Nuclear to The Information Age, Stanford, CA, Stanford University Press 2003. FIELDHOUSE R., China's Mixed Signals on Nuclear Weapons, « Bulletin of the Atomic Scientists», 47, 4, 1991, pp. 37-42. FITZGERALD F., Way Out There in the Blue: Reagan, Star Wars, and the End of the Cold War, New York, Simon & Schuster 2001. FRAVEL M.T., Active Defense. China's Military Strategy since 1949, Princeton, NJ, Princeton University Press 2019. FRAVEL M.T., MEDEIROS E.S., China's Search for Assured Retaliation: The Evolution of Chinese Nuclear Strategy and Force Structure, «International Security», 35, 2, 2010, pp. 48-87. FREEDMAN L., The evolution of nuclear strategy, London, Palgrave 2004. GARDNER J., Chinese Politics and The Succession to Mao, London: Macmillan 1982. GARVER J.W., China's Decision for Rapprochement with the United States, 1968-1971, Boulder, Colo, Westview Press 1982. ––– China's Quest: The History of The Foreign Relations of The People's Republic of China, Oxford, Oxford University Press 2015. GELBER H.G., China and SALT, «Survival: Global Politics and Strate-

158

Bibliografia

gy», 12, 4, 1970, pp. 103-123. GENG B., A turning point in China-US Diplomatic Relations, «Chinese Law & Government», 80, 1977, pp. pp. 101-105. GERSON M.S. The Sino-Soviet Border Conflict. Deterrence, Escalation, and the Threat of Nuclear War in 1969, Arlington County, VA, Center for Naval Analyses 2010. GILL B., K. TAEHO, China's arms acquisitions from abroad: a quest for "Superb and secret weapons”, Oxford, Oxford University Press 1995. GILLI A., GILLI M., Why China Has Not Caught Up Yet: MilitaryTechnological Superiority and the Limits of Imitation, Reverse Engineering, and Cyber Espionage, «International Security», 43, 3, 2019, pp. 141–18. GODWIN P.H.B., The Chinese tactical air forces and strategic weapons program, Maxwell Air Force Base, AL, U.S. Air University 1978. ––– Changing Concepts of Doctrine, Strategy and Operations in the Chinese People's Liberation Army 1978-87, «The China Quarterly», 112, 1987, pp. 572-590. ––– Development of the Chinese Armed Forces, Maxwell Air Force Base, AL, U.S. Air University 1988. ––– Chinese Military Strategy Revised: Local and Limited War, « The Annals of the American Academy of Political and Social Science», 519, 1992, pp. 191-201. ––– From Continent to Periphery: PLA Doctrine, Strategy and Capabilities Towards 2000, «The China Quarterly», 146, 1996, pp. 464487. ––– Compensating for Deficiencies: Chinese Doctrinal Evolution in the Chinese PLA: 1978-1999, In Mulvenon J., Yang A.N.D., Seeking truth from facts, Santa Monica, CA, RAND Corp. 2001. GOLDSTEIN S.M., R. SCHRIVER, An Uncertain Relationship: The United States, Taiwan and the Taiwan Relations Act, «The China Quarterly», 165, 2001, pp. 147-172. GOODMAN D.S.G., The Sixth Plenum of the 11th Central Committee of the CCP: Look Back in Anger?, «The China Quarterly», 87, 1981 , pp. 518-527. GOODMAN D.S.G., Deng Xiaoping and the Chinese revolution: a political biography, London, Routledge, 1994. GORSHKOV S.G., The Sea Power of the State, Annapolis, Maryland,

Bibliografia

159

USA, Naval Institute Press 1979. GOTTLIEB T.M., Chinese foreign policy factionalism and the origins of the strategic triangle, Santa Monica, RAND Corporation 1977. GUO X., Dimensions of Guanxi in Chinese Elite Politics, «Th e Ch in a Journal», 46, 2001, pp. 69-90. GURTOV M., Swords into Market Shares: China's Conversion of Military Industry to Civilian Production, «The China Quarterly», 1 3 4, 1993, pp. 213-41. HARDING, The Domestic Politics of China’s Global Posture, 19731978, in Fingar, T., Blencowe, P., China's quest for independence: policy evolution in the 1970s, Boulder, CO. Westview Press 1980. HART T.G., Sino-Soviet relations: re-examining the prospects for normalization, Aldershot, Gower, 1987. HEGINBOTHAM E., et alii, China's Evolving Nuclear Deterrent: Major Drivers and Issues for the United States, Santa Monica, RAND Corp. 2017. HORSBURGH N., China and global nuclear order, Oxford, Oxford University Press 2015. HSIEH A.L., The Sino-Soviet Nuclear Dialogue: 1963, «Journal of Conflict Resolution», 8, 2. 1964, pp. 99-115. HSÜ I.C., China Without Mao: The Search for a New Order, New York, Oxford University Press, 1990. HU R.W., The TRA, Cross-Strait Relations, and Sino-U.S. Relations: Searching for Cross-Strait Stability, in Lin C., Roy D., The Fu tu re of the United States, China, and Taiwan Relations, Basingstoke, Palgrave Macmillan 2001. INTERNATIONAL INSTITUTE FOR STRATEGIC STUDIES, The Military Balance, 1976-1977, London, International Institute for Strategic Studies 1976. JENCKS H.W., The Chinese "military-Industrial Complex" and Defense Modernization, «Asian Survey», 20, 10, 1980, pp. 965-989. ––– «People's War Under Modern Conditions»: Wishful Thinking, National Suicide, or Effective Deterrent?, «The China Quarterly », 98, 1984, pp. 305-319. JERVIS R., Deterrence and Perception, «International Security » , 7 , 3 , 1982, pp. 3-30. JOFFE E.G., The Chinese Army After Mao, Cambridge, Harvard University Press 1987. ––– «People's War Under Modern Conditions»: A Doctrine for Mod-

160

Bibliografia

ern War, «The China Quarterly», 112, 1987, pp. 555-571. JOHNSTON A.I., Chinese nuclear force modernization: implications for arms control, «Journal of Northeast Asian Studies», 22, 1983. ––– China's New «Old Thinking»: The Concept of Limited Deterrence, «International Security», 20, 3, 1995, pp. 5-42. JONES P., KEVILL S., China and the Soviet Union, 1949-1984, Harlow, Essex, Longman, 1985. JOSEPH W.A., Politics in China: An Introduction, Oxford, Oxford University Press, 2014. KALINOVSKY A.M., A Long Goodbye: the Soviet Withdrawal from Afghanistan, Cambridge, Mass, Harvard University Press 2011. KAZUSHI, Re-examining the end of Mao’s revolution: China’s ch an ging statecraft and Sino-American relations, 1973–1978, «Cold War History», 16, 4, 2016, pp. 359-375. KUISONG Y.., The Sino-Soviet Border Clash of 1969. From Zhenbao Island to Sino-American Rapprochement, «Cold War History », 1, 1, 2000, pp. 21-52. LAMB M., Directory of officials and organizations in China. Armonk , N.Y., M.E. Sharpe 2003. LAMPTON D.M., The Making of Chinese Foreign and Security Policy in the Era of Reform: 1978-2000, Stanford, Calif, Stanf ord Univ . Press 2004. LENG S., China's Nuclear Policy: An Overall View, «Occasional Papers in Contemporary Asian Studies», 1, 60, 1984, pp. 1-28. LEUNG E.P., Political leaders of modern China: a biographical dictionary, Westport, Conn, Greenwood Press 2002. LEWIS J.G., The minimum means of reprisal: China's search for security in the nuclear age, Cambridge, MA, The MIT Press 2007. LEWIS J.W., China’s Military Doctrines and Force Posture, in Fingar T., Blencowe P., China's quest for independence: policy evolution in the 1970s, Boulder, CO. Westview Press 1980. LEWIS J.W., HUA D., China's Ballistic Missile Programs: Technologies, Strategies, Goals, «International Security», 17, 2, 1992, pp. 540. LEWIS J.W., XUE L., Strategic Weapons and Chinese Power: The Formative Years, «The China Quarterly», 112, 1987, pp. 541-554. ––– China Builds the Bomb, Palo Alto, Stanford University Press 1991. ––– Making China’s nuclear war plan, «Bulletin of the Atomic Scien-

Bibliografia

161

tists», 68, 5, 2012, pp. 45-65. LI N., The PLA's Evolving Warfighting Doctrine, Strategy and Tactics, 1985-95: A Chinese Perspective, «The China Quarterly», 146, 1996, pp. 443-463. ––– The Central Military Commission and Military Policy in China, in Mulvenon J.C., Yang A.N.D., The People's Liberation Army as Organization: Reference Volume v1.0, Santa Monica, CA, RAND Corporation 2002. LIN C., China's Nuclear Weapons Strategy: Tradition Within Evolution, Lexington Mass, Lexington Books 1988. LIEBERTHAL K.G., Sino-Soviet Conflict in the 1970s: Its Evolution and Implications for the Strategic Triangle, Santa Monica, RAND Corporation 1978. LIU L., 'Dog-beating stick': General Zhang Aiping’s contribution to the modernisation of China’s nuclear force and strategy since 1977, «Cold War History», 18, 4, 2018, pp. 485-501. MACFARQUHAR R., The succession to Mao and the end of Maoism , in MacFarquhar R., The Politics of China: The Eras of Mao and Deng, Cambridge, Cambridge University Press 2004. MAO Z., Selected Works, vol. IV, Peking, Foreign Language Press 1961. ––– Selected Works, vol. V, Peking, Foreign Language Press 1977. MCMAHON, US national security policy, Eisenhower to Kennedy, in Leffler M.P., Westad O.A., The Cambridge History of the Cold War: Volume 1: Origins, Cambridge, Cambridge University Press, 2010. MILLER R. F., RIGBY T.H., 26th Congress of the CPSU in Current Political Perspective, «Australian National University Research School of Social Sciences’ Occasional Paper», 16, 1982, pp. 1-94. MINISTRY OF FOREIGN AFFAIRS OF THE PEOPLE’S REPUBLIC OF CHIN A , Mao Zedong on Diplomacy, Beijing, Foreign Language Press 1998 MORGAN F.E., MUELLER, K. P., MEDEIROS, E. S, Dangerous Thresholds. Managing Escalation in the 21st Century, Santa Monica, RAND Corporation 2008. NETHERCUT R.D., Deng and the Gun: Party-Military Relations in th e People's Republic of China, «Asian Survey», 22, 8, 1982, pp. 6 91 704. NICKLES D.P., HOWARD A.M., Foreign Relations of the United States, 1977-1980: Volume 13, China, Washington, United States Gov-

162

Bibliografia

ernment Printing Office 2013. NIE R., Inside the Red Star: The Memoirs of Marshal Nie Rongzhen, Beijing, New World Press 1988. NORRIS R.S., BURROWS A.S., FIELDHOUSE R.W., Nuclear Weapons Databook. Vol. V: British, French, and Chinese nuclear weapons , Boulder, Westview Press 1994. O'DOWD E.C., Chinese Military Strategy in the Third Indochina War: The Last Maoist War, New York, Routledge 2007. ONNIS B., La politica estera della RPC. Principi, politiche e obiettivi, Roma, Aracne Editrice 2020. PILLSBURY M., Salt On the Dragon, Santa Monica, Calif, RAND Corp. 1975. ––– China Debates the Future Security Environment, Washington, DC, National Defense University Press 2000. POLLACK J.D., Chinese Attitudes Towards Nuclear Weapons, 1964–9, «The China Quarterly», 50, 1972, pp. 244-271. ––– Defense modernization in the People's Republic of China , Santa Monica, Calif, RAND Corp 1979. ––– The Sino-Soviet rivalry and Chinese security debate, Santa Monica, CA RAND Corp. 1983. ––– The lessons of coalition politics: Sino-American security relations, Santa Monica, RAND Corporation, 1984. RAY J., Red China's "capitalist bomb": Inside the Chinese Neutron Bomb Program, Washington, D.C., National Defense Univ. Press 2015. REED T.C., D.B. STILLMAN, The Nuclear Express: A Political History of the Bomb and Its Proliferation, Minneapolis, Zenith Press 2009. ROBERTS B., China and Ballistic Missile Defense: 1955 to 2002 and Beyond, Alexandria, Institute for Defense Analyses 2003. ROBERTS T.C., The Chinese People's Militia and the doctrine of People's War, Washington, DC: National Defense University Press 1983. ROBINSON T., The Sino-Soviet Border Conflict of 1969: New Evidences Three Decades Later, in Ryan M.A., Finkelstein D.M., McDevitt M.A., Chinese Warfighting: the PLA Experience since 1949 , London, M.E. Sharpe 2003. ROMANCE F.J., Modernization of China's Armed Forces, «Asian Su rvey», 203, 1980, pp. 298-310. ROSA P., Neoclassical Realism and the Underdevelopment of China’s

Bibliografia

163

Nuclear Doctrine, London: Palgrave Pivot 2018. ROSS R.S., From Lin Biao to Deng Xiaoping: Elite Instability and China's U. S. Policy, «The China Quarterly», 118, 1989, p p. 265 299. ROZMAN G., Moscow's China-Watchers in the Post-Mao Era: The Response to a Changing China, «The China Quarterly»,94, 1983, p p . 215-241. ––– Chinese Debate About Soviet Socialism, 1978-1985, Princeton, Princeton University Pres, 1987. ––– China’s Concurrent Debate about the Gorbachev Era, in Bernstein T.P., Li H., China learns from the Soviet Union, 1949present, Lanham, Lexington Books 2010. SAMARANI G., La Cina contemporanea. Dalla fine dell'Impero ad oggi, Torino, Einaudi 2017. SCHOENHALS M., The 1978 Truth Criterion Controversy, «The Ch in a Quarterly», 126, 1991, pp. 243-268 SCHRAM S., Ideology and Policy in China in the Era of Reform, 1978 1986, «The Copenhagen Journal of Asian Studies», 1, 1, 1987, p p. 7-30. SEGAL G., The China Factor. Peking and the Superpowers , London, Croom Helm 1982. SHAMBAUGH D., China's National Security Research Bureaucracy, «The China Quarterly», 110, 1987, pp. 276-304. ––– Beautiful imperialist: China Perceives America, 1972-1990, Princeton, N.J, Princeton University Press 1991. ––– Modernizing China's Military: Progress, Problems, and Prospects, Berkeley, Calif.: University of California 2003. SHEN S., Dissecting the Reactionary Nature of Lin Biao’s «Six Tactical Principles», «Selections from People's Republic of China Magazines», 75, 11, 1975, pp. 3-13. SHEN Z., XIA, Y., Mao and the Sino-Soviet Partnership, 1945-1959: A New History, Lanham, MD, Lexington Books 2015. SWAINE M.D., China: Domestic Change and Foreign Policy, Santa Monica, RAND, 1995. TAN ENG BOK G., Strategic Doctrine, in Segal G:, Tow W.T., Chinese Defence Policy, London, Macmillan 1984. TOW W.T., STUART D.T., China's Military Turns to the West, «International Affairs», 57, 2, 1981, pp. 286-300. U.S. CONGRESS, HOUSE, Taiwan Relations Act, H.R.2479, 96th Con-

164

Bibliografia

gress (1979-1980). U.S. NATIONAL INTELLIGENCE COUNCIL, China and Weapons of Ma ss Destruction: Implications for the United States, Washington, D.C.: U.S. National Intelligence Council 1999VAMOS P., «Only a Handshake but No Embrace»: Sino-Soviet Normalization in the 1980s, in Bernstein T. P., Li H., China learns from the Soviet Union, 1949-present, Lanham, Lexington Books 2010 WESTAD O.A., 77 conversations between Chinese and foreign leaders on the wars in Indochina, 1964-77, Washington, D.C., Woodrow Wilson International Center for Scholars 1998. WISHNICK E., Mending Fences: The Evolution of Moscow's China Policy from Brezhnev to Yeltsin, Seattle, Univ. of Washington Press, 2001. WORTZEL L., Dictionary of Contemporary Chinese Military History, Santa Barbara: ABC-CLIO, 1999. WU R., Certainty of Uncertainty: Nuclear Strategy with Chinese Characteristics, «Journal of Strategic Studies», 36, 4, 2013, pp. 579-614. XIA L., Lun zhongguo he zhanlue de yanjin yu goucheng, «Dangdai yatai», 4, 2010, pp. 113-127. XIA Y., Myth or Reality?: Factional Politics, U.S.-China Relations, and Mao Zedong's Mentality in His Sunset Years, 1972—1976, «The Journal of American-East Asian Relations», 15, 2008, pp. 107–130. XU, Xu Xiangqian junshi wenxuan, Beijing, Jiefangjun chubanshe 1993. YAHUDA M., Towards the End of Isolationism: China's Foreign Policy after Mao, New York, St. Martin's Press 1983. YE J., Ye Jianying Junshi Wenxuan, Beijing, Jiefangjun chubanshe 1997. YEE H.S., The Three World Theory and Post-Mao China's Global Strategy, «International Affairs, 59, 2, 1983, pp. 239-249. YUNZHU Y., Chinese Nuclear Policy and the Future of Minimum Deterrence, in Twomey C.P., Perspectives on Sino-American S trategic Nuclear Issues. Initiatives in Strategic Studies: Issues and Policies. New York: Palgrave Macmillan 2008. ZHANG A., Zhang Aiping Junshi Wenxuan, Beijing, Changzheng chubanshe 1994.

Bibliografia

165

ZHANG B., China's Assertive Nuclear Posture: State Security in an Anarchic International Order, New York, Routledge 2015. ZHANG H., China’s Fissile Material Production and Stockpile, «International Panel on Fissile Materials Research Report», 17, 2017, PP . 1-49. ––– The history of fissile-material production in China, «The Nonproliferation Review», 2019. ZHANG S.G., The Sino-Soviet alliance and the Cold War in Asia, 1954–1962, in Leffler M.P., Westad O.A., The Cambridge History of the Cold War: Volume 1: Origins, Cambridge, Cambridge University Press, 2010. ZHANG X., Deng Xiaoping and China's Decision to Go to War with Vietnam, «Journal of Cold War Studies», 12, 3, 2010, pp. 3-29. ––– Deng Xiaoping's Long War: The Military Conflict Between China and Vietnam, 1979-1991, Chapel Hill, The University of North Carolina Press 2015. ZUBOK V., The Soviet Union and China in the 1980s: reconciliation and divorce, «Cold War History», 17, 2, 2017, pp. pp. 121-141.

NAZIONALISMI, STORIA INTERNAZIONALE E GEOPOLITICA COLLANA DI STUDI STORICI E POLITICO–SOCIALI

1. Antonello Battaglia L’Italia senza Roma isbn 978-88-548-8300-0, formato 14 × 21 cm, 232 pagine, 15 euro

2. Caterina Bassetti Venti di indipendenza in Europa isbn 978-88-548-8805-0, formato 14 × 21 cm, 220 pagine, 12 euro

3. Gabriele Abbondanza Italia potenza regionale isbn 978-88-548-8872-2, formato 14 × 21 cm, 332 pagine, 20 euro

4. Gabriele Abbondanza Italy as a regional power isbn 978-88-548-9242-2, formato 14 × 21 cm, 328 pagine, 20 euro

5. Gabriele Natalizia (a cura di) Il Caucaso meridionale isbn 978-88-548-8921-7, formato 14 × 21 cm, 228 pagine, 12 euro

6. Alberto Becherelli Il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nell’Europa di Versailles (1918–1921) isbn 978-88-255-0112-4, formato 14 × 21 cm, 244 pagine, 13 euro

7. Gabriele Altana L’Italia fascista e la Cina isbn 978-88-548-9735-9, formato 14 × 21 cm, 316 pagine, 18 euro

8. Giuseppe Motta (a cura di) A venti anni dagli accordi di Dayton isbn 978-88-255-0242-8, formato 14 × 21 cm, 244 pagine, 18 euro

9. Alessandro Mazzetti Marina italiana e geopolitica mondiale isbn 978-88-255-0602-0, formato 14 × 21 cm, 332 pagine, 23 euro

10. Paolo Perri, Francesca Zantedeschi, Andrea Geniola Nazionalismo, socialismo e conflitti sociali nell’Europa del XX secolo isbn 978-88-255-1504-6, formato 14 × 21 cm, 272 pagine, 15 euro

11. Paolo Pizzolo Astuzia e ragion di Stato. Modelli di politica estera europea nell’Ottocento isbn 978-88-255-3376-7, formato 14 × 21 cm, 296 pagine, 15 euro

12. Paolo Pizzolo

L’eurasiatismo. Un’ideologia conservatrice al servizio della geopolitica isbn 979-12-80414-43-4, 14 x 21 cm, 400 pagine, 20 euro

13. Lorenzo Termine

Tigri con le ali. La politica di difesa post-maoista e l’arma nucleare isbn 978-88-255-3858-8, 17 x 24 cm, 172 pagine, 12 euro

Finito di stampare nel mese di aprile del 2021 dalla tipografia «The Factory S.r.l.» via Tiburtina, 912 – 00156 Roma