Santa resilienza. Le origini traumatiche della Bibbia 8839920293, 9788839920294

In questo volume David Carr propone la sua interpretazione delle origini della Bibbia. Lo studioso americano si chiede:

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Italian Pages 272 [255] [255] Year 2020

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Santa resilienza. Le origini traumatiche della Bibbia
 8839920293, 9788839920294

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David M. Carr

SANTA RESILIENZA Le origini traumatiche della Bibbia

Queriniana

Questo libro è dedicato a tutti i tormentati dalla sofferenza, in particolare a quanti sono tormentati da orrori compiuti e sperimentati in guerra.

Titolo originale: David M. Carr,

Holy Resilience. The Bible's Traumatic Origins

© 2014 by David M. Carr

First published in English by Yale University Press, New Haven & London This translation is published by arrangement with Trident Media Group, New York © 2020 by Editrice Queriniana, Brescia

via Ferri, 75 - 25123 Brescia (Italia/DE) te!. 030 2306925 -fax 030 2306932 e-mail: [email protected] Tutti i diritti sono riservati.

È pertanto vietata la riproduzione, l'archiviazione o la trasmissione, in qualsiasi for­

ma e con qualsiasi mezzo, comprese la fotocopia e la digitalizzazione, senza l'autorizzazione scritta dell'Editrice Queriniana. -Le fotocopie per uso personale possono essere effettuate, nei limiti del15% di ciascun volume, dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall'art. 68, commi 4-5, della Legge n. 633 del 22 aprile 1941. Le fotocopie effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale, o comunque per uso diverso da quello personale, possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da CLEARedi (www.clearedi.org).

ISBN 978-88-3 99-2029-4 Traduzione dall'inglese di RoBERTO ToNDELLI

www.queriniana.it Stampato da Mediagraf spa- Noventa Padovana (PD)- www.printbee.it

Gli spazi non scritti non sono altro che vuoto. Dimore d'un più profondo potere, dove il "più" dell'esperienza vivente si rifiuta alle regole dettate dal "meno" di quel che può essere scritto ... Questi spazi non scritti esercitano la forza di gravità d'una stella, attraendo ogni cosa in un'orbita intorno a se stessi.

È attorno agli spazi non scritti che ruotano i

"testi"...

Il mondo vissuto è più forte del mondo autorizzato.

È attorno al mondo vissuto che, satelliti minori, orbitano i testi autorizzàti, benché la tolemaica immaginazione creda altrimenti.

(Dow EoGERTON, Tbc Passion o/lnterpretation)

Prefazione

Questo libro si presenta come sintesi di ricerca biblica e tentativo sperimentale di integrarla con una indagine su trauma e memoria. Benché io avessi potuto corroborare molte affermazioni del testo con ulteriori informazioni, i lettori considerino solo che questo lavoro costituisce il mio ponderato giudizio sui problemi di un dibattito in itinere. Sono mie le traduzioni dall'ebraico di tutti i testi, mentre quelle dal greco sono tratte o adattate dalla New Revised Standard Version, ove non diversamente specifìcato1 • Scrivendo questo libro m i sono sentito circondato dalle testimo­ nianze di numerose persone, vicine e lontane, che hanno subito dei traumi, alcune delle quali sono menzionate e note, mentre molte altre non lo sono. Da quacchero, nutro un'attenzione particolare verso coloro che hanno sofferto e tuttora soffrono in guerra - guerra al terrorismo, guerra al narcotraffìco e guerre più convenzionali in Iraq, in Afganistan e in molti altri posti. Altri possono leggere que­ sto libro pensando a numerose e diverse testimonianze o esperienze traumatiche personali. Pur scrivendo qui di traumi antichi, dedico quest'opera a quanti più recentemente hanno subito un'esperienza traumatica.

1 [Nella presente edizione italiana, per i testi biblici sia ebraici sia greci si è utilizzata la versione ufficiale della Conferenza episcopale italiana (2008 ) , operando opportuni adattamen�i alla traduzione fornita volta per volta dall'Autore (N.d.R.)].

Introduzione

Quando in uno spettacolare weekend del Columbus Day 2010 mia moglie ed io uscimmo di casa, il pensiero della ricerca biblica non mi sfiorava neppure lontanamente. Era il nostro decimo anniversario e dovevamo incontrarci con alcuni amici per un giro in bicicletta sui monti Catskill di New York. Dopo una mezz'ora di corsa la mia bici­ eletta andò in pezzi lungo una discesa. L'impatto sull'asfalto mi pro­ curò la frattura di dieci costole e di una clavicola, uno pneumotorace e mesi di degenza per la guarigione e la riabilitazione. Ero vivo per mi­ racolo. Il chirurgo che poi mi ricostruì il torace inserendovi sei placche di platino disse che ero l'unico paziente a lui noto sopravvissuto ad un trauma con un livello di gravità pari a quello; ipotizzò che ciò fosse dovuto alla forma fisica da me raggiunta come ciclista amatoriale. Nei mesi successivi fui tormentato dal pensiero di quel che sarebbe stata la vita della mia famiglia e dei miei amici se io fossi morto. Questa esperienza personale di sofferenza s'intrecciò in modo inatteso con un progetto di ricerca, iniziato l'anno prima, su trauma e Bibbia. Sono un biblista specializzato in quel che gli accademici spesso definiscono Bibbia ebraica, che i cristiani chiamano di solito Antico Testamento e i Giudei Tanàkh; in questo lavoro adotterò il primo di questi termini. Un anno prima dell'incidente ciclistico avevo presentato alla mia associazione professionale un articolo incentrato sullo studio del trauma nei profeti biblici 1• La mia tesi era che gli studi

-

1 D.M. CARR, Re/ractions o/Trauma in Biblica! Prophecy, in B.E. KELLE- F.R. AMES J.L. WRIGHT (edd.), Interpreting Exile. Interdisciplinary Studies o/ Displacement and

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Introduzione

contemporanei sul trauma potevano spiegare le caratteristiche dei libri profetici scritti nel contesto dell'esilio dei Giudei a Babilonia. Come biblista ero ovviamente ben consapevole delle differenze tra le esperienze di sofferenza degli antichi Israeliti e le esperienze attuali etichettate come traumatiche. Gli esseri umani, tuttavia, avevano co­ minciato a sperimentare il trauma ben prima che questo diventasse oggetto di studio. Leggendo studi di psicologia, di antropologia e di altro genere riguardanti il trauma, mi sono persuaso sempre più che possiamo apprendere molto sulle sofferenze dell'antico popolo d'Israele e su come le sue esperienze continuino a vivere con noi per il tramite della Bibbia. L'incidente occorsomi nell'ottobre del 2010, associato alle mie letture sul trauma, mi permise di vedere la Bibbia con occhi nuovi, rendendomi sensibile ai modi in cui le Scritture, tanto giudaiche quanto cristiane, si erano venute formando nel contesto di secolari sofferenze catastrofiche. Qui racconto la storia di come le Bibbie, sia quella ebraica sia quella cristiana, siano emerse in risposta alla sofferenza, in particolare alla sofferenza di gruppo. Tanto il giudaismo quanto il cristianesimo presentano delle concezioni della vita devota che fanno risaltare la comunità religiosa, sia essa il popolo d'Israele o la chiesa2• Di più, le Scritture ebraiche e quelle cristiane delineano queste comunità in modi tali che hanno consentito loro di resistere alla catastrofe inve­ ce che esserne distrutte. Aspetto forse più importante, le Scritture del giudaismo e del cristianesimo, messe per iscritto in parte per rispondere al patimento delle comunità, lo presentano nel quadro di una più ampia storia di redenzione. Secondo modalità comples­ se, ciascuna tradizione rappresenta la catastrofe come il sentiero da seguire. Tale, per esempio, il tipo di prospettiva religiosa che può Deportation in Biblica! and Modern Contexts, Society of Biblica! Literature, Atlanta/ GA 20 1 1 , 295 -308. 2 Anche l'islam costituisce una tradizione religiosa mondiale strettamente correlata che presenta una rilevante attenzione alla comunità e alla sofferenza. Mancando di competenza specifica sull'islam, io lascio ad altri questo aspetto dello studio.

Introduzione

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rientrare nell'esortazione di Gesù: «Se qualcuno vuoi venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mc 8,34; ll Mt 16,24 e Le 9,23 ) . La croce di Gesù è chiaramente solo uno fra i molti episodi do­ lorosi inseriti nella Bibbia, alcuni più noti di altri. Dapprima l'im­ pero assiro, efficiente e terrificante, localizzato nel moderno Iraq settentrionale, annientò il regno del nord d'Israele e quasi distrusse il regno di Giuda, a sud; dopo di che gli Assiri dominarono Giuda per circa un secolo. In seguito, un altro impero mesopotamico, quello babilonese, diroccò Gerusalemme e ne deportò la popolazione in remote regioni di Babilonia. Alcuni decenni dopo l'impero persiano sconfisse i Babilonesi, permettendo poi a una manciata di Ebrei di tornare a Gerusalemme. I rimpatriati, tuttavia, non riebbero mai più i loro re davidici né la loro sovranità nazionale; costituirono invece una comunità incentrata sul tempio e forgiata dalle lezioni apprese durante l'esilio a Babilonia. Secoli dopo, un re ellenistico, Antioco IV, preso il controllo di Giuda, riconsacrò il tempio di Gerusalemme a un dio greco, comminando la pena capitale a chiunque praticasse il giudaismo. Sebbene la rivolta dei Maccabei ponesse fine al suo domi­ nio, Giuda cadde poi sotto il potere di Roma. Ciò preparò il terreno per la crocifissione di Gesù e la condanna di altri Giudei come ribelli, per la distruzione definitiva di Gerusalemme e la criminalizzazione romana del movimento gesuano che stava emergendo. Già prima di questa grande sofferenza, l'antico Israele possedeva un insieme di Scritture molto simili a quelle di altre nazioni: alcuni inni che cantavano la dinastia regale e la sua capitale, istruzioni re­ gali, canti d'amore, alcuni miti sulla creazione e il diluvio. Tali erano le Scritture dell'Israele "pre-trauma" . Dopo secoli di crisi, l'antico Israele le aveva trasformate in modo da appuntare invece l'attenzione sugli antenati senza terra e sulla vita nel deserto. Più tardi, la chiesa cristiana dal canto suo avrebbe redatto le proprie Scritture intorno alle vicende del Salvatore crocifisso. Temi e accenti distintivi della Bibbia possono essere ricondotti alle varie crisi succedutesi secolo dopo secolo. Essa contiene certamente testi su altri aspetti della espe-

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Introduzione

rienza umana: gioia, gratitudine, amore, meraviglia e simili; tuttavia, fu soprattutto nel corso di periodi critici che la forma complessiva e i punti salienti delle Scritture vennero forgiati. In tal modo, sofferenza e sopravvivenza si tramandarono impri­ mendosi nella Bibbia. Ciò contribuisce a spiegare il motivo per cui queste Scritture sono sopravvissute fino ad oggi, al contrario di molti altri testi antichi. Gli scritti, un tempo famosi, dei remoti imperi dell'Egitto e della Mesopotamia sono scomparsi, seppelliti con gli imperi che celebravano; solo negli ultimi due secoli gli archeologi li hanno riscoperti e decifrati. Persino i grandi testi dell'impero roma­ no - oggi studiati all'università e nella scuola superiore - non hanno avuto l'impatto e la circolazione dei testi del Nuovo Testamento, redatti all'ombra di quelli. La Bibbia ha incorporato e tramandato il trauma, il che spiega in parte il motivo per cui le Scritture ebraiche e cristiane sono fiorite, mentre le suddette scritture imperiali sono avvizzite. Le Scritture ebraiche e cristiane parlano di un catastrofico trauma umano dal quale sono scaturite3 • Ciò non riduce certo il messaggio biblico alle antiche vicende che lo hanno plasmato. Le esperienze sofferte possono semmai insegnare modelli sapienziali che trascendono i loro contesti originari. Talvolta un'esperienza dolorosa può essere necessaria per l'apprendistato di verità difficili; ciò non significa, tuttavia, che le verità apprese nel do­ lore siano solo il riverbero delle difficoltà dell'esistenza. Al contrario, almeno in talune situazioni, il trauma può scippare a una persona le sue illusioni, mostrando il carattere transitorio e spesso fortuito della vita. La storia che si impara a raccontare dopo il trauma deve includere e trascendere quell'esperienza. Il coro dell'Agamennone di Eschilo spiega così il proposito di Zeus per la sofferenza:

3 Questa parte della risposta riguarda ovviamente solo il ruolo avuto dalle Scritture ebraiche e cristiane utilizzate ininterrottamente con il loro carattere distintivo. L'altra parte della risposta, circa la loro fioritura, si incentra sulla storia postbiblica del giu­ daismo e del cristianesimo, su come ciascun movimento religioso è continuato fino ad oggi e come ha utilizzato le Scritture lungo il proprio percorso. Le vicende postbibliche esulano dell'ambito di questo testo.

Introduzione

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Egli [Zeus] i mortali guida al pensiero, egli ha stabilito la legge della conoscenza mediante sofferenza [ . . . ] : saggezza giunge a chi non la vuole. Dono violento è questo, forse, dagli dèi assisi sulla sacra tolda4•

I sopravvissuti a questo «dono violento» non riescono mai a la­ sciarsi completamente alle spalle la propria sofferenza. Successiva­ mente, tuttavia, alcuni si scoprono migliori, avendo sviluppato in modi imprevisti una resilienza e una crescita più profond&. Le Bibbie, sia ebraica sia cristiana, costituiscono un deposito scritto che narra secoli di sopravvivenza alla sofferenza, di resilienza condivisa. I miti delle altre nazioni, imperniati sul tema del trionfo, morirono con esse, mentre la Bibbia parla di sopr;:1vvivenza a una catastrofe totale. Le altre scritture immaginavano gli dèi patroni di imperi che dominavano sugli altri, le Scritture ebraiche e cristiane rappresentano un Dio che arreca sofferenza al suo stesso popolo, pur conducendolo a superare la tribolazione. La scena culturale contemporanea sembra favorire politici e guide religiose che fanno dichiarazioni sulla vita dei loro sostenitori senza tante obiezioni, le Scritture del giudaismo e del cristianesimo dipingono un Dio che è sempre presente, anche quando la vita va in frantumi. La vita può farci a pezzi: secondo me, questa è la ragione fondamentale per cui le Bibbie, ebraica e cristiana, sono ancora oggi nostro patrimonio. Per denotare l'afflizione umana ho adottato sin qui una serie di termini: "catastrofe " , "sofferenza " , "trauma" . Prima di volgermi al 4 Per questa citazione dell'Agamennone (176-183), cf D. ]ANZEN, T he Violent Gz/t. Trauma's Subversion o/ the Deuteronomistic History's Narrative, T &T Clark, New York 2012, 3; il volume, ad oggi uno dei più approfonditi studi su trauma e Bibbia, trae il

proprio titolo dal verso della tragedia eschilea. 5 Tale " crescita post-traumatica" motiva l'ulteriore concentrarsi della ricerca sul trauma e sul recupero. Per l'analisi alla metà degli anni Novanta, cf R. TEDESCHI - L. CALHOUN, Posttraumatic Growth. Conceptual Foundations and Empirica! Evidence, in Psychological Inquiry 15/1 (2004) 1-18.

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Introduzione

tema in questione, mi sia consentito dire qualcosa in più sul concetto di trauma e sul motivo per cui lo trovo utile in questa trattazione. Dopo tutto, la parola "trauma" è diventata sempre più comune in anni recenti, e la gran parte degli studi sul trauma si è concentrata su esperienze contemporanee, distanti da quelle fatte dall'antico Israele e dalla chiesa. Ho sentito la parola "trauma" applicata ad esperienze estremamente diverse fra loro: dal genocidio alla frustrazione per un brutto voto ricevuto a scuola. Alcune persone cui avevo esposto questo progetto mi avevano persino consigliato di prescindere dal concetto di trauma nel mio studio, per appuntare l'attenzione solo sulla ricerca dei modi in cui le catastrofi storiche hanno contribuito alla stesura della Bibbia. Pur condividendo alcune di tali riserve, ritengo tuttavia prezio­ sa nello studio biblico la ricerca contemporanea sul trauma, perché questa indagine pone in risalto che spesso una sofferenza sconvol­ gente condiziona la memoria e il comportamento in modi indiretti. La mia definizione di trauma è implicita in questa affermazione. Per quanto ne capisco, il trauma è un'esperienza disastrosa, travolgente, tormentosa, dall'impatto così esplosivo che non può essere diretta­ mente rilevata e che incide in modi obliqui sul comportamento e sulla memoria individuale o di gruppo. Questa definizione si basa sulla descrizione del trauma fatta da altri autori. Judith Herman scrive per esempio nel suo classico Guarire dal trauma che «gli eventi traumatici travolgono i normali sistemi di attenzione che fanno percepire il controllo, il riferimento e il si­ gnificato alle persone». Una delle massime teoriche della letteratura sul trauma, Cathy Caruth, afferma che «il trauma è lo scontro con un evento tanto imprevedibile o orribile da non potersi inserire fra gli schemi della conoscenza precedente»; più avanti ne parla come di «storia priva di luogo », di «terrore muto». Infine, in un articolo meno noto sulla metapsicologia del trauma, Carole Beebe Tarantelli definisce il trauma come «una esplosione psichica» così catastrofica da non essere sperimentabile dall'io, da annichilire temporaneamente

Introduzione

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l'io psichico e, abbattendone le strutture esperienziali, da superare la comprensione dei modelli psichici6• In questo volume mi concentro essenzialmente sul trauma che colpì antichi

gruppi, non sull'esplosione della psiche individuale.

Trovo tuttavia la metafora dell'esplosione (Tarantelli) un utile cor­ rettivo all'uso di fatto del termine "trauma" come sinonimo virtuale di "sofferenza". I gruppi possono ovviamente sperimentare tutti i tipi di esperienze profondamente dolorose. In taluni casi, i gruppi moderni scelgono persino di concentrarsi su tali prove penose del loro passato, giungendo a definire se stessi in base alla condivisione di «traumi scelti» (come li chiama lo psicanalista Vamik Volkan): nel 1620 il disastro di Bila Hora per i cecoslovacchi, nel 1890 il massacro di Wounded Knee per il popolo Lakota, il genocidio nazista per gli Ebrei. In questi casi il gruppo incorpora un'esperienza profonda­ mente dolorosa nella propria storia principale, concorrendo così a definire l'identità di gruppo e, spesso, a fondarne le rivendicazio­ ni ad un risarcimento. Sebbene la Bibbia racconti eventi simili ai moderni «traumi condivisi» - come il racconto della distruzione di Gerusalemme nell'Antico Testamento o della crocifissione di Gesù nel Nuovo -, a me interessano qui soprattutto i luoghi in cui questi e altri traumi esplosero, al punto tale da esercitare sulla Bibbia un impatto indiretto. Contrariamente al mondo contemporaneo, che spesso valorizza il trauma, quello dell'antico Israele e della chiesa delle origini tendeva a considerare la sofferenza come una chiara attestazione di maledizione individuale o di gruppo7•

6 Citazioni tratte da J.L. HERMAN, Trauma and Recovery, Basic Books, New York 1992, 32 [tra d. i t., Guarire dal trauma. Affrontare le conseguenze della violenza, dall'abuso domestico al terrorismo, Magi, Roma 2005 ] ; C. C ARU1H (ed.) , Trauma. Explorations in Memory, Johns Hopkins University Press, London - Baltimore/MD 1995 , 153 . Per la definizione di "trauma", c/ C.B. TARANTELLI, Li/e within Death. Toward a Metapsycho­ logy o/Catastrophic Psychic Trauma, in International Journal o/Psychoanalysis 84 (2003 ) 9 15-928, qui spec. 9 1 8-92 1. 7 Fra gli esempi di studi che si concentrano su «traumi condivisi» culturalmente riconosciuti, ricordo appunto V. VoLKAN, Bloodlines. From Ethnic Pride to Ethnic Terro­ rism, Farrar, Straus & Giroux, New York 1997 (spec. 34-49), ma anche J.C. ALEXANDER, Toward a Theory of Cultura! Trauma, in J.C. ALEXANDER- R. EYERMAN- B. GIESEN et

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In questo libro analizzo come l'Israele antico, il giudaismo pri­ mitivo e la chiesa delle origini non solo subirono, ma affrontarono disastri catastrofici che ne frantumarono la effettiva identità di grup­ po. Esporrò in che modo l"'lsraele " originario venne distrutto dagli Assiri, come il regno di Giuda, imperniato su Gerusalemme, assunse l'identità del distrutto Israele, come gli abitanti di Gerusalemme ri­ pensarono la loro identità quando la città fu rasa al suolo ed essi furo­ no mandati in esilio, in che modo il testo della Bibbia ebraica oggi in nostro possesso venne fissato per rispondere al prolungato tentativo ellenistico di cancellare il giudaismo, e come giudaismo e cristianesi­ mo emersero dagli sforzi di Roma di ricorrere a una terribile violenza per sopprimere il nazionalismo giudaico e il monoteismo missionario cristiano. Queste crisi non produssero solo pene e sofferenze indi­ viduali, ma distrussero l'identità di gruppi interi, costringendoli a formulare una nuova comprensione di se stessi, una comprensione che ora è incisa e fissata nelle Scritture ebraiche e cristiane. Il concetto di trauma ci consente di comprendere come la cul­ tura occidentale sia ancora tormentata da quelle catastrofi, anche se in questa cultura molti non ne hanno quasi contezza. Di primo acchito, per esempio, si potrebbe non considerare il monoteismo come reazione alle sofferenze, eppure probabilmente lo sviluppo del monoteismo in Israele fu suscitato ogni volta da disastri collettivi8• Il cristianesimo portò questo monoteismo oltre i confini di Israele: gli aspetti fondamentali della tradizione cristiana, infatti, incluso lo stesso nome " cristiano" , debbono la loro origine alle sofferenze dei primi seguaci di Gesù, i quali diffusero la loro forma di monoteismo in tutto l'impero romano. ali., Cultura!Trauma and Collective Identity, University of California Press, Berkeley/ CA 2004, 1-30. Questo testo, che si concentra sugli effetti indi retti del trauma, mi ha aiutato ad evitare l'accusa di proiettare la cultura della vittima del tardo X X secolo in un tempo in cui il trauma era considerato in modo molto diverso. Per un'analisi più ampia di questo aspetto, si veda, sotto, l'Appendice. R Per studi accessibili sul monoteismo in lavori precedenti, cf R. GNUSE, No Other Gods. Emergent Monotheism in lsrael, Sheffìeld Academic Press, Sheffìeld 1997, 62-128; M.S. SMITH,T he Origins o/ Biblica! Monotheism. lsrael's Polytheistic Background and the UgariticTexts, Oxford University Press, New York 2001.

Introduzione

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La cultura occidentale, persino in certi suoi ambiti inesorabilmente secolari, ha ereditato tale lascito monoteistico. Il nucleo innovativo dell'antico monoteismo non si riduceva infatti alla semplice fede in un Dio unico, ma includeva il rifiuto di altri dèi. L'antico Israele giun­ se a distinguersi dai popoli vicini per una visione del mondo sempre più disincantata, in cui ci si aspettava che si adorasse solo il Dio nazionale (il suo nome, YHWH, è reso con " Signore " nella gran parte delle traduzioni nelle lingue moderne) . Era proibito il culto rivolto a qualsiasi altro spirito o divinità: gli spiriti ancestrali, la sposa di Dio (un tempo YHWH ne aveva avuta una) , le divinità locali o i volgari dèi stranieri. Nessun dio tranne YHWH. In genere i popoli stanzia­ ti intorno a Israele e il primo giudaismo riconoscevano, e finanche riverivano, una molteplicità eterogenea di spiriti e divinità, sebbene alcuni immaginassero un dio supremo al di sopra di tutti: il loro mondo era pervaso di spiriti divini, esseri spirituali con cui si poteva interagire utilizzando vivide immagini e sculture. Le crisi dell'antico Israele diedero vita tuttavia a un tipo di religiosità che permetteva la devozione a una sola divinità, della quale non ci si poteva fare un'immagine terrena; tutti gli altri dèi erano rigettati. Crisi ulteriori indussero Israele a negare persino l'esistenza di qualsiasi altra divini­ tà, eccetto YHWH. Il disincanto pervase quel mondo. Le attuali idee secolari proseguono la tradizione di un mondo disincantato, solo che oggi non si riconosce più neppure la sola divinità condivisa dal giudaismo e dal cristianesimo. Un mondo disincantato. Il rifiuto di altre divinità. Comunità re­ ligiose costituite intorno a Scritture e concezioni di Dio condivise, piuttosto che strutture politiche fondate sul territorio e sullo sta­ to. Questi sono solo alcuni elementi che collegano il mondo con­ temporaneo alle sofferte esperienze antiche di Israeliti e cristiani. Concentriamoci ora su testi e comunità antiche che precedettero tali esperienze: Israele, Giuda e la stesura delle loro Scritture pre­ trauma.

l.

Israele, Giuda e l'origine delle Scritture

L'antico Israele conobbe la sofferenza, ma non fu dal trauma che inizialmente

si formarono le sue Scritture. L'Israele delle origini non

possedeva neppure testi scritti bensì, semmai, tradizioni orali esal­ tanti le vittorie più che le dolenti sconfitte. "Israele" appare per la prima volta nella documentazione del Vi­ cino Oriente antico circa tremila anni fa, nel 1250 a. C. Il paese di Canaan era dominato dall'impero egiziano, costituitosi sulle rive del Nilo, a circa sei o settemila chilometri di distanza, a occidente. Il sovrano egizio, il faraone Merneptah, invia una spedizione a Canaan per far valere il proprio dominio su quel territorio. In una iscrizione che celebra la sua campagna, si vanta di «aver decimato il popolo di Israele e averne messo a morte i figli»1• Nella letteratura mondiale, questo primo riferimento a "Israele" databile con sicurezza narra le sofferenze patite dal popolo tribale d'Israele per mano dell'esercito mvasore egiziano. Il popolo israelita non era però del tutto impotente di fronte ai propri nemici. Una delle prime composizioni poetiche conservate nella Bibbia, il cantico di Debora

( Gdc 5), narra delle tribù israelite

1 Per la traduzione, cf VH. MAITHEWS - D.C. BENJAMIN, Old Testament Parallels. Laws and Stories/rom the Ancient Near East, Paulist Press, New York 20062, 98. Questa datazione della stele di Merneptah corrisponde all'incirca al periodo in cw sulle colline dell'antica Canaan appaiono numerosi piccoli insediarnenti identificati da molti studiosi come quelli dei primi "Israeliti".

Capitolo l

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che, unite, respingono l'attacco di genti armate dalla importante città cananita di Hazor. Chi canta è Debora, leader femmina che conduce le tribù in battaglia. Utilizzando una forma di ebraico particolarmen­ te antica, Debora elenca le tribù che hanno risposto alla chiamata alle armi (i nomi tribali sono riportato in carattere maiuscoletto) : Quelli della stirpe di EFRAIM scesero in pianura, ti seguì BENIAMINO fra le tue genti. Dalla stirpe di MACHIR scesero i comandanti, e da ZABULON chi impugna lo scettro del comando. I prìncipi di IssACAR mossero con Debora; seguendo Barak si lanciò nella pianura (5 , 14s.) .

Elencate le tribù che avevano risposto, Debora rimprovera quelle che invece erano venute meno alla chiamata: Presso i ruscelli di RuBEN grandi erano le esitazioni. Perché sei rimasto seduto tra gli ovili, ad ascoltare le zampogne dei pastori? Presso i ruscelli di RuBEN ben grandi erano le incertezze . GALAAD dimora oltre il Giordano e DAN perché vive sulle navi? AsER si è stabilito lungo la riva del mare grande e presso le sue insenature dimora (5 , 1 6s . ) . . .

Debora conclude riconoscendo l'aiuto ricevuto dalle tribù di Za­ bulon e Neftali: «ZABULON invece è un popolo che si è esposto alla morte, l come NEFTALI, sui poggi della campagna ! » (5 ,18). In breve, sei tribù accorsero alla battaglia: Efraim, Beniamino, Machir, Zabu­ lon, Issacar e Neftali. Quattro le assenti: Ruben, Galaad, Dan e Aser. È possibile che questi nomi risultino sconosciuti o non familiari a qualche lettore e lettrice. È importante notare che il nome tribale di Giuda, fondamentale nel resto della Bibbia, non viene mai menzio­ nato in questa prima lista di "Israele" . Pur elencando molti gruppi tribali accorsi in aiuto o meno, Debora non vede neanche col can­ nocchiale le tribù meridionali di Giuda e Simeone. Un paradigma

Israele, Giuda e l'origine delle Scritture

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analogo si riscontra in altre narrazioni sulle tribù che troviamo nel libro dei Giudici: con l'eccezione del primo "giudice " , Otniel (3 ,7ss.) , aggiunto come prologo al testo, tutti i giudici e le tribù menzionati nel resto del libro provengono dalle regioni montuose, centrali e settentrionali, di Canaan. È proprio in queste regioni, popolate ini­ zialmente da gruppi tribali, che "Israele" appare per la prima volta in un documento archeologico databile intorno al 1225 a.C. in cui Merneptah li cita appunto con quel nome. La nostra storia inizia con questo Israele tribale, antico, costituito solo da quelle tribù delle colline. Non si hanno testi scritti di loro produzione poiché, come la gran parte degli altri popoli tribali del Vicino Oriente antico, si trattava di gruppi illetterati. Al massimo, un capo clan d'Israele avrebbe potuto ingaggiare uno scriba per eti­ chettare un pugnale o una coppa di particolare pregio. Per il resto, la gente d'Israele elevava inni di vittoria simili al cantico di Debora: raccontavano storie di antenati, tra cui Giacobbe, noto anche come Israele, omonimo del popolo; e probabilmente narravano pure le vicende dei tempi in cui i loro padri, schiavi in Egitto, avevano gioi­ to per la rapida vittoria sul faraone egizio sotto la guida di "Mosè " . Dietro i libri biblici del Pentateuco (Genesi- Deuteronomio) stanno questi racconti popolari orali, che tuttavia non sono identici a quelli che troviamo scritti. Nonostante argomentazioni contrarie, le cultu­ re esclusivamente orali come lo era l'Israele tribale non conservano accuratamente le loro tradizioni di generazione in generazione2• Nel contempo, proprio la scrittura era la caratteristica dei nemi­ ci urbanizzati d'Israele, quali Hazor o l'Egitto. Per formare la loro classe dirigente, i grandi imperi d'Egitto o della Mesopotamia si av­ valevano di testi letterari - salmi ed epiche regali, miti, istruzioni sapienziali e canti d'amore. Le vicine città di Canaan imitavano quelle società, adottando la scrittura per rivendicare a se stesse il prestigio

2 J. GooDY, The Inter/ace Between the Written and the Ora!, Cambridge University Press, Cambridge 1 987 , 86-105 [tra d. it., Il suono e i segni. L'inter/accia tra scrittura e oralità, TI saggiatore, Milano 1989].

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Capitolo

l

di quelle grandi culture3• La scrittura, peculiare presso le monarchie delle città-stato nemiche, era poco utilizzata nelle tribù d'Israele.

Origine della Bibbia nella prima monarchia d'Israele

Gli Israeliti fecero un uso limitato della scrittura finché non adot­ tarono essi stessi la monarchia della città-stato. Venne il tempo in cui alleanze come quelle costituite da Debora non furono più in grado di respingere i nemici e per tale motivo Israele adottò un sistema po­ litico centralizzato come quello degli oppositori: la monarchia. Con essa giunse la scrittura, anzi un insieme di testi scritti, simili a quelli delle nazioni limitrofe: e sono quei primi scritti che costituiscono il nucleo pre-traumatico dell'Antico Testamento. La crisi si verificò intorno allOGO a.C., quando gli Israeliti vennero attaccati da un'alleanza di cinque città costiere cananite: i "Filistei" . L'aggressione s i dimostrò più dura d a respingere delle precedenti e colpì al cuore le tribù israelite. Radunate dapprima intorno a una figura di nome Saul, conseguirono un iniziale successo contro i carri e gli esperti soldati della Filistea. L'affermazione di Saul si dimostrò tuttavia temporanea, perché la potenza militare meglio organizzata dei Filistei era troppo superiore all'esercito di volontari israeliti. Era a rischio l'avvenire stesso di "Israele " . Quando Saul fu ucciso in battaglia, le tribù israelite intrapresero un'azione drastica scegliendo un leader al di fuori d'Israele: si chia­ mava Davide ed era un mercenario della tribù di Giuda, che per un periodo era stato persino al soldo di un re filisteo. Davide accettò la leadership delle tribù israelite, sconfisse i Filistei, suoi preceden­ ti alleati, e con una serie di vittorie militari trionfò su altri popoli limitrofi. Egli ottenne, però, ben più che un temporaneo successo 3 D.M. CARR , Writing on the Tablet o/ the Heart. Origins o/ Scripture and Literature, Oxford University Press, Oxford - New York 2005, 47-61 ; 84-90.

Israele, Giuda e l'origine delle Scritture

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militare, poiché riuscì a istituire su Israele un potere sovrano simile a quello delle monarchie urbane un tempo combattute dall'Israele tribale. Cominciò con il conquistare la città fortificata di Gerusalem­ me, strappandola ai Gebusei e facendone la capitale del suo nuovo regno. n sito della città era strategicamente perfetto, localizzato al sicuro in una remota zona delle colline di Canaan, al confine tra Giuda e Israele. Gradualmente il regno fondato sulla Gerusalemme davidica assun­ se le peculiarità di una monarchia cittadina, dotandosi non solo di una base fortificata in città, ma anche di un esercito regolare, di una corte reale sul modello di quella egizia e anche di uno scriba il quale portava un nome somigliante al termine egiziano per "scriba" - nel­ la Bibbia il nome è variamente reso con Savsa, Seia, Sisa e Seva (c/. rispettivamente l Cr 18, 16; 2 Sam 8,17; l Re 4,3 ; 2 Sam 20,25 )4• Gli scribi ebrei posteriori sembrano incerti sulla resa del termine stranie­ ro, ma questo " Sisa" può ben essere stato lo scriba egizio nominato alla corte nascente di Davide. Quando Salomone, un suo giovane figlio, gli successe al trono, accrebbe ulteriormente il regno davidico, dominando per vari decenni. Insediò persino due figli di Sisa quali scribi ufficiali, uno dei quali si chiamava Elicoref, che significa "il mio dio è Coref" , in onore di una divinità egiziana (l Re 4,3 ) . Sisa, Elicoref e altri scribi della corte di Davide e Salomone re­ dassero i primi scritti di questo regno " israelitico" con sede a Geru­ salemme, modellandoli sulle Scritture delle grandi culture vicine. n libro dei Salmi contiene inni regali (per esempio Sa/ 2 ; 72; 1 1 0) che imitano le tradizioni regali delle altre monarchie. Il libro dei Proverbi include un'intera sezione (22 , 17-23 , 1 1 ) che è un adattamento tratto dagli egizi Insegnamenti di Amenemope, e le narrazioni più antiche della creazione e del diluvio incorporate nella Genesi sono adatta­ menti di analoghi miti letti nelle antiche epopee mesopotamiche di Gilgamesh e Atrahasis. Qualche eco delle antiche letterature si 4 Approfondimenti in T. METTINGER, Salomonic State 0/ficials. A Study o/ the Civil Government 0/ficials o/ the Israelite Monarchy, Gleerup, Lund 1971, 45-51.

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Capitolo l

può rinvenire anche in altri libri "salomonici" della Bibbia, incluso il poema d'amore erotico del Cantico dei cantici e lo scettico testo sapienziale di Qoèlet5• Riguardo alla più antica "Bibbia" d'Israele, quella che tratta del regno di Davide e Salomone, si può forse dire solo questo: che era profondamente diversa dalla Bibbia ebraica/Antico Testamento oggi in nostro possesso. Infatti, sebbene Dio sia presente in questi testi, il tema centrale non è il rapporto di costui con Israele, quanto piuttosto la formazione degli studenti sulla vita sociale, la struttura del cosmo e, al suo interno, il ruolo del sovrano. Quei testi formativi costituivano inoltre la " Bibbia" o la " Scrittura" solo nel senso più qualificato del termine: seppur considerate numinose e persino divine, gran parte di quelle Scritture non furono e non sono proposte come "parola di Dio " ; viste da una prospettiva moderna, sono invece straordinaria­ mente "secolari " . Quegli antichi testi costituiscono la prima parte scritta - la sezione "non traumatica" - dell'Antico Testamento.

L'altro nucleo pre-traumatico dell'Antico Testamento

L'Antico Testamento comprende tuttavia un'altra serie di Scritture pre-traumatiche: quelle redatte quando le tribù "israelite" del nord non tollerarono più la dominazione esercitata da Giuda prima con Davide e poi con Salomone. Alla morte di quest'ultimo le tribù israe­ lite si separarono dal suo successore, re Roboamo. La storia della divisione si legge in l Re 12 e narra come il nuovo capo d'Israele, Geroboamo, stabilisse un suo santuario regale a Bethel, collocandovi un vitello d'oro e ricordando al suo popolo la tradizione dell'esodo 5 Gli studiosi discutono oggi su quanto si possa recuperare del patrimonio letterario di Davide e Salomone; riguardo al Cantico dei cantici e Qoèlet la proposta qui è parti­ colarmente discutibile. Per un'analisi più approfondita, c/ D.M. CARR, The Forrnation o/ the Hebrew Bibte. A New Reconstruction, Oxford University Press, Oxford - New York 2011, 355-469.

Israele, Giuda e l'origine delle Scritture

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dall'Egitto: «Oh Israele, ecco i tuoi dèi, che ti hanno fatto uscire dal paese d'Egitto» (l Re 12,28)6• È questo il nostro primo indizio che la recente monarchia israelita di Geroboamo rivendicava origini ben diverse da quelle del regno giudaita meridionale di Davide. Mentre Davide e Salomone si diedero inni regali, istruzioni sapienziali e miti, Geroboamo richiamò Israele alle sue tradizioni più antiche, risalenti agli antenati e all'esodo. Inizia così la storia di quel regno d'Israele, ubicato a nord, di cui non si conosce tanto quanto sarebbe auspicabile, soprattutto perché venne distrutto meno di due secoli dopo la sua fondazione. Gli stu­ diosi concordano tuttavia quantomeno sulla storicità della monar­ chia d'Israele la quale, per di più, nel corso della sua storia superò in preminenza il reame davidico di Gerusalemme: il regno israelita riuscì infatti a controllare un territorio più vasto rispetto al piccolo regno di Giuda e, mentre Israele era attraversato dalle principali vie commerciali, Giuda risultava più isolato. Con il tempo Israele diven­ ne tanto potente da esercitare un predominio sull'area circostante, incluso Giuda. Come si vedrà nel prossimo capitolo, la gloria del grande regno israelita si rivelò effimera ed esso finì distrutto dall'impero assiro, situato nella Mesopotamia settentrionale. Giuda, meno importante e piuttosto isolato, sopravvisse all'offensiva assira ed è proprio gra­ zie a Giuda che si possiedono i soli documenti riguardanti Israele. L'Antico Testamento/Bibbia ebraica, essendo un documento giu­ daita, narra in modo distorto la storia della monarchia israelita. Dal punto di vista giudaita, infatti, la rivoluzione di Geroboamo fu un 'insurrezione e la fondazione di santuari al di fuori di Geru­ salemme un'apostasia. Gli scribi giudaiti salvarono tuttavia importanti porzioni delle an­ tiche Scritture israelite. Se ne hanno indicazioni testuali in Es 32, con

[La versione CEI recita: «Ecco, Israele, il tuo dio, che ti ha /atto uscire dal paese d'Egitto» (l Re 12,28) ; Carr cita dalla New Revised Standard Version, dove sono men­ zionati «due vitelli d'oro»; di qui la frase al plurale (N. d. T)]. 6

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la storia del vitello d'oro e i suoi molteplici collegamenti alla vicenda della fondazione di Israele in 1 Re 12. Del vitello d'oro si legge sia in 1 Re 12 sia in Es 32; se in 1 Re 12,28 è Geroboamo che proclama: «Ecco, Israele, i tuoi dèi, che ti hanno fatto uscire dal paese d'Egitto», in Es 32,4 è il popolo compatto che dice: «Ecco il tuo Dio, o Israele, colui che ti ha fatto uscire dal paese d'Egitto ! ». Mentre però l Re 12 mostra Geroboamo che fonda i santuari a Bethel e Dan, Es 3 2 presenta Aronne, figura connessa poi con il sacerdozio d i Bethel, che stabilisce un santuario nel deserto. Gli studiosi non sono riusciti a districare il collegamento tra queste storie. I due brani presi assieme (1 Re 12 e Es 32) lasciano intendere tuttavia che al nuovo santuario del re, fondato a Bethel, corrispondeva un culto riferito all'esodo, associato al sacerdozio aronnide7. Cosa ancor più sorprendente, que­ sto sarebbe un punto in cui elementi memorabili di quell'evento del regno israelita - sia il resoconto della fondazione di santuari del vitello d'oro (1 Re 12) sia la sua retroproiezione nella storia dell'e­ sodo (Es 32) - risultano ora incorporati nei testi di Giuda, l'Antico Testamento. Gli autori giudaiti dell'Esodo descrivono la fusione del vitello d'oro al Sinai da parte di Aronne come un grande peccato, eppure in qualche modo ne conservano il resoconto. Questa è solo una delle tracce indicanti che la monarchia fon­ data da Geroboamo in Israele sviluppò una propria collezione di testi scritti, oggi conservati in parte nell'Antico Testamento. Un altro esempio si rinviene nella Genesi. Qui la storia di Giacobbe racchiu­ de una protesta, redatta probabilmente dagli scribi di Geroboamo, contro le rivendicazioni della monarchia davidica a Gerusalemme: mentre i salmi regali davidici proclamano Gerusalemme come di­ mora di YHWH (Sa/ 9 , 1 1 ; 135,2 1 ) , la storia genesiaca di Giacobbe insiste sul fatto che YHWH abita invece nella Bethel di Israele ( Gen 3 1 ,13). Già prima si narra che Giacobbe, avuta a Bethel la visione di una scala che conduceva al cielo, dedicò un tempio a Dio proprio in 7 F. MooRE CROSS, Canaanite Myth and Hebrew Epic. Essays in the History of the Religion o/lsrael, Harvard University Press, Cambridge - London 1973, 198s.

Israele, Giuda e l'origine delle Scritture

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quel luogo ( Gen 28, 10-22 ) . Poco oltre, la Genesi narra che Giacob­ be, dopo aver lottato con Dio, fu rinominato Israele a Penuel, una delle prime capitali dell'Israele di Geroboamo (Gen 32,23 -32; cf l Re 12,25 ) . Da questi indizi emerge che la storia di Giacobbe narrata nella Genesi, come pure alcune parti della vicenda biblica di Mosè, originarono come Scritture specificamente israelite contrapposte ai testi sviluppati a Gerusalemme. Quest'opera di "controinformazio­ ne " fu attuata dagli scribi di Geroboamo annotando per iscritto le più antiche tradizioni orali di Israele e, nel contempo, appuntando la loro attenzione specialmente sul santuario reale (Bethel) e sulla capitale (Penuel) della monarchia israelita.

Due regni e due Scritture alla vigilia del trauma imperiale

Abbiamo così il quadro generale dei personaggi che compaiono nella sezione successiva della storia della Bibbia - non protagonisti singoli, bensì popoli e regni con i loro preziosi testi. Da una parte, ecco il regno di Israele, fondato da Geroboamo, che governa la mag­ gior parte dell'antico territorio tribale d'Israele ed è costruito attorno alle versioni scritte delle antiche tradizioni d'Israele su Giacobbe e Mosè. Dall'altra, ecco il regno di Giuda, governato dagli eredi di Da­ vide a Gerusalemme; nel regno davi dico l'attenzione si appunta sulle antiche Scritture, più simili a quelle delle nazioni circostanti: miti della creazione e del diluvio, salmi davidici in onore di Gerusalemme e del suo potere sovrano e testi sapienziali attribuiti a Salomone. Queste differenze tra Scritture giudaite e Scritture israelite duraro­ no secoli, mentre i due rispettivi regni rimanevano separati. Persino la predicazione dei profeti, più di un secolo più tardi, nel 700 a.C . , rispecchia questa divisione di fondo: le profezie giudaite di Michea e Isaia accennano solo en passant a Giacobbe, per concentrarsi su tradizioni che celebrano la dignità regale davidica e il prestigio di Gerusalemme come la " Sion " di Dio. Questi primi profeti giudaiti

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nulla dicono sull'esodo o sul deserto8. Diverso è il caso di Osea, l'unico vero profeta israelita le cui parole sono raccolte nella Bibbia. Egli allude alle storie genesiache riguardanti Giacobbe che fonda il santuario di Bethel e lotta con Dio a Penuel (Os 1 2 ,3 -4 . 12 ) . Osea conosce pure le tradizioni, confluite in Esodo e Numeri, su Mosè che conduce Israele fuori dall'Egitto ( Os 12, 13 ) e sulla peregrinazione del popolo nel deserto (Os 9 , 1 0; 12 ,9). Questi suoi rimandi a storie narrate in Genesi, Esodo e Numeri sono i più antichi riferimenti data­ bili a quelle tradizioni, presenti in tutta la Bibbia. Di più, la primitiva testimonianza oseana circa questi antichi scritti della Torà origina dal nord: è israelita. Tali distinzioni tra Giuda e Israele, e fra i rispettivi testi scritti, sono essenziali perché strutturano lo sfondo del pre-trauma biblico. Sia le Scritture giudaite sia quelle israelite erano legate alle monarchie che le avevano create. È in tal senso che le designo come p re-traumatiche. Il popolo patì indubbiamente delle sofferenze in quel periodo di for­ mazione della Bibbia; tuttavia sia il corpus giudaita delle Scritture sia quello israelita sostennero le strutture politiche dei regni esistenti. Se la loro elaborazione non avesse superato questa fase, sviluppandosi, probabilmente sarebbero state dimenticate: non avrebbero potuto sopravvivere all'eventuale distruzione di entrambi i regni.

R A dire il vero, alcune sezioni nei libri ora associati a Isaia e Michea menzionano effettivamente l'esodo e/o il deserto ; molti studiosi concordano però sull'ipotesi che questi accenni (per esempio Is 63 , 10-14 o Mi 7 , 15) siano aggiunte posteriori, apportate da scribi esilici o postesilici.

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Nascita del monoteismo

Nel corso dell'VIII secolo a.C. la nazione di Israele venne attaccata e cadde sotto il dominio della maggiore superpotenza del tempo, l'Assiria. All'inizio del secolo l'impero assiro, situato in Mesopotamia (oggi l'Iraq settentrionale) , iniziò la conquista dei regni a occidente, acquisendo gradualmente il controllo delle pianure e degli altri ter­ ritori che lo separavano dal Mediterraneo e quindi dalle importanti rotte commerciali. Il motivo di questa politica è oggetto di discussio­ ne fra gli studiosi, ma l'impatto fu evidente: l'uno dopo l'altro, i regni di un territorio immenso vennero assoggettati alla dominazione assi­ ra. Talvolta un gruppo di piccoli regni, coalizzatosi assieme, riusciva a resistere alla potenza assira per un certo lasso di tempo. Anche la nazione d'Israele prese parte ad alcune di queste coalizioni, ma alla fine l'Assiria conquistò Israele e Giuda, e per un periodo dominò persino l'Egitto. Dotati di una macchina militare impareggiabile, gli Assiri coltivavano peraltro accuratamente una reputazione di brutali giustizieri di quanti osavano sfidarli: con una dose adeguata di terrore si potevano raggiungere i risultati in modo più economico che con un largo impiego di potenza militare1• Dal 745 a.C. in poi l'esercito assiro, la macchina da guerra più efficiente e valente del mondo, distrusse più volte l'esercito d'Israele e dei suoi alleati. La perdita equivalente di vite umane negli Stati

1 A.K. GRAYSON, Assyrian Rule o/ Conquered Territory in Ancient Western Asia, in ].M. SASSON (ed.), Civilizations o/Ancient Near East, Scribner, New York 1995 , 959-968.

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Uniti sarebbe pari a milioni di soldati e civili. Quanti sopravviveva­ no agli attacchi militari rimanevano vittime della carestia provocata dalla devastazione dei campi coltivati che gli Assiri lasciavano al loro passaggio. I superstiti dovevano pagare pure un pesante tributo e giurare fedeltà al conquistatore assiro, aderendo a un " patto " che esigeva dall'intera popolazione di pronunciare maledizioni contro se stessa se fosse venuta meno alla sua lealtà verso l'Assiria. I patti sottoposti a giuramento non erano stati inventati dagli Assiri, i quali però li perfezionarono facendone un mezzo per imporre fedeltà alle nazioni dominate. Tutti, dal re all'uomo comune, dovevano mani­ festare "amore " verso il monarca assiro assicurandogli una fedeltà esclusiva che rifiutava ogni alleanza con qualsivoglia altro popolo. Le coalizioni con popoli stranieri, dopo tutto, erano l'unico modo in cui la piccola nazione d'Israele poteva sperare di affrancarsi dal dominio assiro. Non sorprendono perciò i tentativi di costituire in qualche modo delle alleanze nei periodi di successione al trono della monarchia assira e nei momenti in cui l'impero appariva vulnerabile. Le ribellioni d'Israele però non ebbero mai successo: dapprima gli eserciti assiri aggressori si limitarono a punirle con rappresaglie più forti, riducendo così la forza del piccolo regno e insediando pre­ sunti leader filoassiri; ma alla fine, nel 722 a.C. , cancellarono Israele dalla carta geografica: distrussero per sempre il regno di Samaria, smantellarono la monarchia israelita e deportarono permanente­ mente migliaia di sopravvissuti - chiunque plausibilmente potesse capeggiare una rivolta -, trasferendo in quei territori popolazioni da altre regioni dell'impero perché occupassero abitazioni e campi degli esiliati. Sin da allora si è parlato delle tribù perdute di Israele, ma della particolare alleanza settentrionale che portava il nome di Israele è sopravvissuto ben poco.

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La profezia di Osea: speranza e giudizio per l'Israele traumatizzato

Fu questa la traumatica situazione in cui Osea - profeta dal nome significativo: "Dio salva" - espresse un messaggio di speranza. Pro­ clamò YHWH come genitore del popolo, un genitore che mai avrebbe potuto abbandonare il suo popolo. Chiamando il popolo Efraim, nome della tribù più centrale, come pure chiamandolo col più usuale nome di Israele, l'Iddio di Osea esclama: Quando Israele era giovinetto, io l'ho amato e dall'Egitto l'ho chiamato perché fosse mio figlio. Ma più li chiamavo, più si allontanavano da me; immolavano vittime ai Baal, agli idoli bruciavano incensi. Ad Efraim io insegnavo a camminare tenendolo per mano, ma essi non compresero che avevo cura di loro. Io li traevo con legami di umana bontà, con vincoli d'amore; ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia; mi chinavo su di lui per dargli da mangiare [ . . . ] . Come potrei abbandonarti, Efraim , come consegnarti ad altri, Israele? Come potrei trattarti al pari di Admà, come ridurti allo stato di Zeboìm ? n mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione per te (Os 1 1 , 1 -4.8) .

Io stesso sono padre e non potrei immaginare una più potente il­ lustrazione di compassione incondizionata. Dal momento in cui vidi venire al mondo la mia primogenita, fui sopraffatto da un'emozione profonda mai avvertita prima. Compresi che nulla mai mi avrebbe fatto smettere di amarla. Tale il genere d'amore che - afferma Osea - Dio nutriva verso Israele, un popolo traumatizzato dall'Assiria.

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Il messaggio oseano presenta tuttavia anche un aspetto più severo. Sottolinea che l'azione del popolo, volta a porre fine alla dominazio­ ne assira, in effetti � on fa che peggiorarla. Quando infatti il popolo cerca di ottenere il favore divino mediante il culto a Baal, è come se si stesse «prostituendo» (5 ,3 ) : gli stessi altari, costruiti dagli Israeliti per espiare i loro peccati, non fanno che aggravarli. Osea annuncia che «Efraim ha moltiplicato gli altari, ma gli altari sono diventati per lui un'occasione di peccato» (8, 1 1 ) . Proclama persino che il vitello d'oro d'Israele e altri simboli sacri provocano l'ira di Dio e verranno distrutti. Secondo Osea, l'infedeltà d'Israele verso Dio, espressa nel culto a Baal e nella devozione alle immagini sacre, costituisce il vero motivo della sofferenza del popolo sotto l'oppressione assira: Quando Efraim parlava, incuteva terrore, era un principe in Israele; ma si è reso colpevole con Baal ed è morto. Tuttavia ora essi continuano a peccare e con il loro argento si sono fatti statue fuse, idoli di loro invenzione, nient'altro che lavori di artigiani. Dicono: «Offri loro sacrifici» e mandano baci ai vitelli . Perciò saranno come nube del mattino, come rugiada che all'alba svanisce, come pula lanciata lontano dall'aia, come fumo che esce dalla finestra ( 13 , 1 -3 ) .

Per il tipico Israelita politeista, parole simili debbono essere suonate a dir poco blasfemia. I vitelli d'oro erano antichi simboli israeliti e da tempo immemorabile il popolo di Osea aveva adorato YHWH accanto ad altre divinità, per esempio El. Sebbene il profeta immagini un tempo, molti secoli addietro, all'epoca di Mosè, in cui Israele era fedele solo a YHWH, i suoi contemporanei non sapevano nulla di quell'epoca. Gli studiosi stessi nutrono peraltro un marcato scetticismo in merito al monoteismo dell'antico Israele. La profezia di Osea dovette suonare rivoluzionaria ai compagni israeliti, verso

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i quali sarebbe stata necessaria un'intensa opera persuasiva perché rinunciassero, proprio nell'ora del bisogno, all'aiuto di divinità come Baal e Asherah, nonché agli antichi simboli spirituali come il vitello d'oro. Osea attirò l'attenzione con un atto radicale e un'idea ancor più radicale: sposò una prostituta e fondò la sua profezia sul concetto rivoluzionario secondo cui un tale matrimonio era il simbolo del rapporto fra Dio e Israele. YHWH non era sposato con Asherah, bensì con Israele, popolo di Dio: ecco la novità ! Sono noti gli antichi miti degli dèi coniugati con divinità femminili, come pure i rituali con i quali antichi re convolavano a "sacre nozze" con sacerdotesse rappre­ sentanti di tali divinità. Mai prima, però, un profeta aveva ripensato il rapporto fra Dio e un .intero popolo come quello fra marito e moglie. Nell'Antichità il matrimonio comportava molte responsabilità: amore, procreazione ed educazione dei figli, spesso collaborazio­ ne nella produzione di cibo e beni in un piccolo podere. Implicava pure doveri reciproci fra marito e moglie: lui doveva proteggere e prowedere a lei, mentre lei era tenuta ad avere rapporti sessuali con il marito e con lui solo. Le leggi antiche prescrivevano rigide pene per le mogli adultere e per gli uomini che facevano sesso con loro. La donna sposata che aveva rapporti extraconiugali, se scoperta dal marito geloso, rischiava anche la pena capitale o, come minimo, di essere denudata, umiliata e svergognata. In una delle sue profezie più famose, Osea raffigura YHWH proprio come un uomo geloso, marito di Israele. Nell'inczpit del discorso, Dio, rivolto ai figli d'Israele, proclama: «Accusate vostra madre, ac­ cusatela, perché essa non è più mia moglie e io non sono più suo marito ! » (2,4a) . Anticamente, pronunciando semplicemente queste parole, un marito poteva ripudiare la moglie, per cui questa prima frase lascia intendere che YHWH sta ripudiando Israele. Poi, però, Dio prosegue offrendo al popolo una alternativa: Si tolga dalla faccia i segni delle sue prostituzioni e la sua adultera progenie di fra le sue mammelle, altrimenti la spoglierò tutta nuda

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e l a renderò come quando nacque e la ridurrò a un deserto, come una terra arida, e la lascerò morire di sete (2 ,4b-5 ) .

Così dicendo, Osea informa i suoi uditori che le pratiche religiose da essi ritenute sacre sono invece tanto ripugnanti quanto l'infedeltà di una moglie. YHWH sta per togliere loro la sua protezione maritale. Se il popolo di Israele vuole evitare di essere denudato e umiliato dinanzi ai suoi falsi amanti, e lasciato morire di sete, deve rinunciare al culto di Baal e all'uso di immagini sacre. Massima speranza di Dio è che Israele, sua moglie, ritorni a lui. Dopo aver tanto sofferto, ella dirà: «Ritornerò al mio marito di prima perché ero più felice di ora» (2 ,9) . Osea, tuttavia, predica un Dio che adotta la violenza, inclusa quella della dominazione assira, per ricondurre a sé la moglie ribelle. Per molti lettori moderni, specie per le donne o per chi sia stato oggetto di abuso, queste immagini risultano riprovevoli. Anche se una donna fosse stata infedele al suo voto nuziale, oggi la maggior parte della gente non tollererebbe che il marito la denudasse, la bat­ tesse o l'affamasse; in questi ultimi decenni si è sviluppato tutto un movimento che offre rifugio a donne maltrattate e rafforza la prote­ zione legale per mogli indifese. Ci si può chiedere come si possa mai immaginare YHWH quale marito adirato, geloso, violento, fuori di testa. La stessa immagine oseana di redenzione - YHWH che promette di riprendersi la moglie - può ricordare il ciclo di abusi che si nota talvolta in certe coppie sposate, allorquando il marito torna a circui­ re con dolci promesse la moglie maltrattata solo per poi infliggerle ulteriore violenza, quando la sua ira si manifesterà di nuovo. Nella profezia di Osea, Israele potrebbe essere soggetto alla versione co­ smica, teologica, di questo ciclo di violenza. Quando Israele, moglie e vittima di YHWH, ne subisce la punizione, quale garanzia ha che la violenza divina non si rinnoverà dopo che Dio l'avrà ripresa presso di sé? Con questa illustrazione profetica del matrimonio divino-umano si tentava di elaborare il trauma imperiale. Il popolo di Osea affrontava

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una situazione insostenibile: la vita della gente si sgretolava ; pun­ tuahnente l'esercito assiro rimuoveva l'ennesimo monarca israelita ribelle e saccheggiava le campagne ; tra una ribellione e l'altra il po­ polo faticava a riprendersi, dovendo peraltro pagare ingenti tributi al signore assiro e "amarlo" con tutto il cuore. La monarchia d'Israele, con la sua splendida capitale, Samaria, sarebbe stata infine distrutta, migliaia di persone reinsediate in modo permanente in altre regioni dell'impero assiro e lo stato settentrionale d'Israele sotterrato sotto la polvere della storia. La crisi annunciata da Osea comportava una situazione di disintegrazione davvero esplosiva della identità israelita collettiva

(Israelite communal sel/).

Nel contesto di questa situazione traumatica, esplosiva, la metafo­ ra del matrimonio fu uno

shock inteso a produrre un cambiamento

radicale nel popolo di Osea. La maggioranza riteneva che la crisi assira potesse essere gestita ricorrendo a espedienti che avevano già funzionato in passato: un trattato di qua o una preghiera alla di­ vinità giusta di là. Osea credeva invece che l'errore fosse in realtà più profondo: la sofferenza d'Israele non era dovuta a mediocrità di decisioni strategiche, bensì a mancanza di una fedeltà esclusiva al proprio dio, YHWH. In altri termini, Israele soffriva per aver peccato. Non l'Assiria, ma Dio era il vero agente che ne causava la sofferenza: era lui che la permetteva, che anzi inviava gli eserciti assiri a deva­ stare Israele, bloccando ogni via di scampo per punire il popolo del peccato di infedeltà. Questo profetico rimprovero mosso a Israele per l'oppressione assira offriva un senso di controllo nel bel mezzo di un'esperienza sconvolgente. Kai Erikson ha rilevato che spesso i gruppi trauma ­ rizzati percepiscono il proprio mondo come se all'improvviso fos­ se dominato da casualità e caotica violenza: «Hanno la sensazione che qualcosa di terribile sia

destinato ad accadere»2• In seguito, i

sopravvissuti al trauma cercano spesso nel proprio comportamento

2 K. ERIKSON, Notes on Trauma and Community, in CARUTH (ed.), Trauma. Explora­ tions in Memory, cit., 183-199, qui 194 (il corsivo è nell'originale) .

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un qualche motivo per il trauma stesso: e sfuggono alla percezione di un mondo terrorizzante attribuendo almeno in parte il loro trauma a un comportamento che sanno controllare. Il popolo che patisce riacquista un'impressione di potenza traendo dall'esperienza una qualche lezione. Il pensiero che un diverso comportamento avrebbe potuto evitare la sofferenza può essere più tollerabile che affrontare il fatto di essere totalmente impotenti3 • Colpevolizzandosi, Israele pensava di controllare una situazione altrimenti disperata. Serene Jones, mia collega e rettore dell'istituzio­ ne accadamica dove insegno, si è espressa bene dicendo durante una delle mie lezioni: «Più dell'idea della punizione divina, ciò che spa­ venta molti che patiscono una sofferenza estrema è una cosa sola: il pensiero che Dio non comandi proprio per niente»4• Colpevolizzarsi può essere corrosivo per taluni: ne mina la fede. Per altri, al contrade, l'idea di un Dio potente, e finanche giudice, può essere confortante: cambiando infatti il proprio comportamento, esiste almeno la pos­ sibilità di salvarsi. Il quadro muta in maniera radicale se il mondo è assolutamente privo di Dio, poiché in tal caso si è dawero assogget­ tati alle potentissime forze del mondo, ancorché si manifestino come brutale tirannia del monarca assiro. Osea propose agli Israeliti un'interpretazione della loro esperienza secondo cui, anziché aver perduto contro gli Assiri, YHWH operava per mezzo di questi ultimi, usandoli come semplici marionette per castigare temporaneamente il suo popolo ribelle. I testi e l'arte assira raffiguravano i soldati che eviravano e violentavano le loro vittime, ma nella profezia oseana era YHWH, e solo YHWH, a terrorizzare Israe­ le. Ciò significava tuttavia che Israele, mutando condotta, poteva ri­ prendere il controllo della situazione. Osea offriva così al suo popolo traumatizzato un modo per auto-responsabilizzarsi. 3 HERMAN , Trauma and Recovery, cit., 53s. [trad. it. cit.] ; R. JANOFF-BULMAN, Shat­ tered Assumptions. Towards a New Psychology o/ Trauma, Free Press, New York 1992, 123 - 132. 4 Per approfondimenti su trauma e teologia, c/ S. JONES, Trauma and Grace. Theology in a Ruptured World, Westminster John Knox, Louisville/KY 2009, 20192 •

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Il significato rivoluzionario del messaggio di Osea non stava co­ munque nell'attribuire a Dio le sofferenze d'Israele, bensì nella par­ ticolare spiegazione da lui proposta. In tutto il mondo antico, anche presso gli Israeliti, era diffusa la convinzione che non adorando a sufficienza tutti gli dèi ci si potesse attirare una punizione: il peccato consisteva nell'offendere, trascu­ randolo, questo o quel dio, talvolta persino divinità mai conosciute prima5• La metafora oseana del matrimonio capovolgeva questa idea. Secondo il profeta, Israele aveva adorato fin troppo gli altri dèi e le loro immagini: era stato quel culto, rivolto a divinità straniere, a ingelosire Dio e a motivarne l'ira. Laddove i contemporanei di Osea vedevano il regale vitello d'oro e una coppia di divinità, Asherah e Baal, quali preziose forze religiose, il profeta vedeva i segni di un adulterio assoluto che generava la furia divina; laddove i suoi con­ temporanei erano propensi a ricercare l'aiuto di ogni possibile fonte divina, Osea ribadiva che il problema era esattamente quel culto rivolto a una pluralità di dèi. Descrivendo come adulterio il culto rivolto a dèi stranieri e alle loro effigi, Osea cercava di scuotere un pubblico traumatizzato per­ ché abbandonasse alcune delle sue pratiche religiose più care - e ciò proprio nel momento in cui il popolo si sentiva più vulnerabile. Jan Assmann, noto egittologo, ha sostenuto che la critica oseana contro dèi e immagini costituì il nucleo innovativo delle cosiddette religioni monoteistiche - giudaismo, cristianesimo e islam -, le quali si defini­ scono non mediante l'affermazione di un solo dio, bensì mediante la proibizione del culto di molti dèi, come scrive Osea6•

5 J. AsSMANN, Monotheism, Memory, and Trauma. Re/lections on Freud's Book on Moses, in ID. , Religion and Cultura! Memory. Ten Studies, Stanford University Press, Stanford 2005, 56s. [ed. orig., Religion und Kuhurelles Gedachtnis. Zehn Studien, Beck, Mi.inchen 2000] . 6 J an Assmann (in The Price o/ Monotheism, Stanford University Press, Stanford/ CA 2010 [ed . it. , La distinzione mosaica, ovvero Il prezzo del monoteismo, Adelphi, Milano 2011] ) definisce l'abbandono di altri dèi «distinzione mosaica»; siccome è O se a il primo esempio databile di queste concezioni, forse si dovrebbe parlare piuttosto di " distinzione oseana" .

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Capitolo 2

Le idee del profeta debbono aver sbalordito i suoi contemporanei, i quali si saranno chiesti per quale motivo avrebbero dovuto rinun­ ciare a qualunque strategia pur di contrastare la minaccia assira: se l'aiuto poteva venire da Baal o da Asherah, non c'era ragione per non provarci. Cercare di garantirsi un qualche soccorso dall'Egitto sarà sembrato magari un deterrente ben più concreto della semplice fiducia nel solo YHWH. Pensavano di disporre ancora di varie strate­ gie che potessero funzionare. Ci si può domandare che cosa poté indurre Osea a proporre un'i­ dea tanto radicale e in un momento tanto complesso. Se si trattò dav­ vero di una innovazione, come mai giunse a Israele proprio quando era schiacciato dal tallone assiro? Molti ovviamente credono che la risposta sia semplice: Dio suggerì a Osea di esporre questa profezia e il profeta ubbidì. Io ritengo tuttavia che fossero in campo le forze più profonde del trauma collettivo. In sintesi, nelle catastrofi che il popolo israelita doveva sopportare Osea vide il volto di Dio, un volto molto somigliante a quello del re assiro. Il profeta offrì al popolo non solo un modo per comprendere e sentire di poter controllare quella sofferenza, ma, onde spiegare in concreto l'errore compiuto da Israele, trasse metafore fondamentali dalla propaganda regale assira, secondo la quale Israele subiva morte e distruzione in conseguenza della sua disobbedienza al sovrano as­ siro. Anche Osea pensava che quella sofferenza venisse da infedeltà e disubbidienza, ma riteneva che il vero re che le puniva fosse in realtà YHWH. Il profeta designa YHWH come colui che esige fedeltà assoluta, proprio come faceva il sovrano assiro che richiedeva " amo­ re " esclusivo dai suoi vassalli. Come il sovrano assiro, il Dio YHWH oseano punisce il popolo d'Israele per le sue alleanze straniere. In tal modo Osea attua quell'opera straordinaria che avrebbe plasmato il corso della successiva storia religiosa: egli ridefinisce YHWH, Dio d'Israele, (in parte) come immagine riflessa dell'imperatore assiro, il quale domina il mondo, impone sudditanza e non accetta altro che la fedeltà assoluta.

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Secondo Osea, questo imperatore YHWH promette finanche di distruggere Israele per aver violato il patto divino: «Da' fiato alla tromba ! Come un awoltoio piomba sulla casa del Signore . . . perché hanno trasgredito il mio patto e rigettato la mia legge» (8, 1 ) . Una promessa che ricorda la minaccia di repressione assira per la trasgres­ sione del patto di vassallaggio. In Osea, però, la minaccia è messa in bocca a Dio in riferimento al patto con Israele. L'uditorio pensava che la sofferenza fosse dovuta alla propria disobbedienza al patto con il sovrano assiro, mentre Osea annuncia che la vera rottura era stata quella dell'alleanza con YHWH. È questo il più antico riferimento databile ad una " alleanza" fra Dio e Israele7• È molto p robabile che l'idea dell'alleanza fra Dio e il popolo l'abbia inventata Osea, che prese a modello il patto imposto dal sovrano assiro. A dire il vero, esistono altri riferimenti ad un patto in racconti biblici ambientati ben prima del profeta Osea, ma il periodo di redazione di queste narrazioni è incerto, mentre la predicazione oseana che menziona l'alleanza di Israele con Dio viene esplicitamente attribuita ad un profeta vissuto nel periodo della dominazione assira su Israele. Infine, il ritratto fatto da Osea del popolo israelita come di una donna terrorizzata presenta dei paralleli nella propaganda assira. I sovrani assiri si presentavano come uomini molto virili, che violen­ tavano ed eviravano gli awersari: per loro, popoli e re stranieri era­ no "femminucce" al confronto del super-macho e violento re assiro. Alcuni documenti di corte minacciano di trasformare in femmine i soggetti disobbedienti; altri scritti raccontano dell'esercito regio che penetra in un paese straniero, violandolo come un maschio violenta una femmina. L'arte di corte accompagnava poi simili racconti raf­ figurando il sovrano come imponente figura maschile che, ritta in piedi davanti alle piccole figure effeminate dei suoi nemici, è spesso 7 Alcuni studiosi, forse in base a precedenti ipotesi sulla datazione dei temi dell'al­ leanza nella Bibbia, considerano questo intero versetto o il suo riferimento al patto come un'aggiunta tardiva degli scribi. La cosa non si può escludere, ma probabilmente l'occorrenza di "patto" (ebr. , b•rith) nella profezia oseana del periodo assiro non è una coincidenza.

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armata di un arco enorme, simbolo esso stesso di potenza mascoli­ na8. La propaganda regale assira trattava così, e in altri modi simili, i sudditi come Israele, cioè alla pari di femmine schiavizzate. Al tempo di Osea, il popolo e il re d'Israele avevano a lungo sopportato di es­ sere trattati dall'Assiria come femmine, affrontando anche minacce di evirazione. In tal modo, anche il ritratto di Israele come moglie di YHWH trovava un parallelo nel trauma che l'Assiria aveva inflitto agli Israeliti.

La sapienza della sofferenza

Le immagini oseane di un Dio che, simile a un monarca assiro, punisce il popolo disubbidiente sono inquietanti per molti lettori/ lettrici, e a ragione. Il difficile consiste, segnatamente, nel riuscire a riscattare l'immagine di Dio come marito violento. Eppure le profe­ zie oseane di condanna nate nel trauma offrono, forse, anche veri­ tà difficili. Nelle sue ricerche sul trauma, Ronnie Janoff-Bulman ha notato che spesso la gente vive immaginando il mondo e il proprio ruolo nella vita in modo erroneamente positivo: rosee previsioni, che facilmente possono essere infrante da fortuite tragedie, mettono al riparo - almeno temporaneamente - dalla realtà della vita. Secondo altri studi, le persone depresse o pessimiste si sentono più sotto tiro, rispetto agli ottimisti, nel valutare le loro prospettive future9• Vivere nutrendo previsioni alquanto ottimistiche e rosee presenta forse qualche vantaggio. Senza voler qui risultare depressi o dispe­ rati, resta il fatto che la vita può far emergere i limiti di una visione del mondo e/o di una teologia perpetuamente ottimistiche. Ed è qui che i testi biblici, forgiati nella catastrofe, meritano di essere

H C. CHAPMAN, The Gendered Language o/War/are in the Israelite Assyrian Encounter, Eisenbrauns, Winona Lake/IN 2004 , 20-59. 9 }ANOFF-BULMAN, Shattered Assumptions, cit., 5-2 1 .

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ripresi in esame perché consentono un diverso sguardo sulle cose. Nel mondo contemporaneo, sempre più secolarizzato, si può esser tentati di archiviare le immagini bibliche di condanna e di speranza come superate e sgradevoli; eppure talvolta, quando ci si ritrova con le spalle al muro, queste metafore di amore infranto e di risanamen­ to, forse persino quelle originariamente plasmate sulla propaganda assira, possono presentare un fascino nuovo. Ricordo le parole di un amico: «Facciamo progetti assecondando le nostre idee, ma ubbi­ diamo alla sofferenza». Israele e Giuda avevano molte "idee" prima del trauma, idee che sarebbero state sconvolte da secoli di dominio assiro e babilonese; i superstiti di quella dominazione ebbero modo di "ubbidire alla sofferenza" che provavano. Ho svelato così il finale della storia: l'Israele di Osea non soprav­ visse. I suoi re continuarono ad oscillare tra negoziati con l'Assiria e complotti contro l'Assiria orditi in combutta con l'Egitto e altre nazioni. Il popolo continuò ad adorare YHWH insieme ad altri dèi nei luoghi sacri dotati di vitelli, pali di Asherah e altre immagini sacre. Alla fine l'esercito assiro portò l'opera a compimento: distrusse ciò che restava di Israele e della capitale, Samaria, esiliò molti superstiti in remote regioni dell'impero e creò insediamenti di popoli stranieri in gran parte del territorio israelita. Fu la fine di Israele. Alcuni discepoli, tuttavia, mettendo per iscritto le profezie di Osea, ne assicurarono la sopravvivenza. Cosa insolita, perché la maggior parte della profezia del Vicino Oriente antico era esclusivamente ora­ le, presentata dal vivo ai destinatari cui era diretta. Tutt'al più alcune profezie venivano registrate negli archivi dagli scribi. Il libro di Osea, però, è una composizione letteraria compiuta, che si apre con l'imma­ gine nuziale di YHWH ed Israele per concludersi, al cap. 14, con una visione di speranza permeata di poetiche immagini d'amore. Questo genere più ampio di composizione è un ammaestramento profetico, diverso dalla registrazione di uno scriba e più simile, invece, agli insegnamenti sapienziali prali-scritti adottati nella pedagogia del Vi­ cino Oriente antico. Forse per questo il libro si chiude con le parole:

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«Chi è saggio comprenda queste cose, chi è perspicace ne afferrerà il senso» ( 14 ,9) . La generazione del tempo, l'uditorio israelita cui Osea si rivolse personalmente, non ebbe orecchie per udire quell'in­ segnamento nuovo e radicale, ma messo per iscritto il suo messaggio venne salvaguardato per un'altra generazione futura. Forse all'inizio solo i figli di Osea o altri discepoli avranno avuto qualche interesse a scriverne le profezie sulle tavolette dei loro cuori. Non è dato saperlo. Ciò che si sa, però, è questo: in qualche modo quelle profezie, pro­ babilmente già stese in forma scritta, raggiunsero Giuda, a sud, e fu proprio lì che divennero il seme della successiva teologia dell'Antico Testamento. Fu lì che la visione oseana di fedeltà venne infine accolta come strumento per affrontare il trauma collettivo di Giuda. Con il tempo, la profezia di Osea e la sua più ampia visione monoteistica travalicarono il contesto originario per aiutare le generazioni succes­ sive a gestire i loro traumi. Quel messaggio monoteistico era destinato a estendersi ben al di là di quanto Osea avesse mai potuto immaginare. Egli interpretò una particolare crisi storica - l'invasione assira - come esito dell'adesione del popolo a Baal, ad Asherah e ad altri dèi, anziché a YHWH. Ma a tempo debito le generazioni future ne avrebbero utilizzato il mes­ saggio per spiegare situazioni molto diverse: guerre e altri disastri, e perdite, tanto individuali quanto collettive. In tal modo, almeno fra i popoli che hanno ereditato quell' annun­ cio monoteistico, la normale vita umana - troppo spesso segnata da esperienze traumatiche - ha fatto in modo di mandare al macero gli dèi. Future generazioni di Giudei, cristiani e musulmani avrebbe­ ro subito traumi, individuali o collettivi, e, come altri traumatizzati, avrebbero cercato una ragione per la loro sofferenza, qualcosa che desse loro un pur fragile senso di controllo. Il monoteismo offriva quella ragione. Sofferenze di ogni tipo, recepite nel contesto dello slancio monoteistico, si possono spiegare con lo scarzd zelo della persona nel rinunciare ai vecchi idoli. Violenza, malattia, carestia e altre calamità giungono a ondate, ciascuna come possibile moti­ vazione per votarsi a una maggiore fedeltà all'unico vero Dio e alla

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rinuncia ai falsi dèi. «La vostra sofferenza soverchia quel che pensate sia sostenibile?», chiesero le fedi monoteistiche a individui e gruppi traumatizzati: «Pentitevi della vostra idolatria e sarete liberi».

3.

La sopravvivenza di Giuda

Israele venne distrutto, ma Giuda sopravvisse e la sua salvezza è rappresentata da un evento mai del tutto compreso: la misteriosa sal­ vezza di Gerusalemme, che nel 7 0 1 a.C., durante il regno di Ezechia, scampò all'assedio dell'esercito di Sennacherib. Di questo fatto la Bibbia presenta non meno di quattro resoconti discordanti fra loro; dell'attacco mosso dagli Assiri contro la Gerusalemme di Ezechia, seguito poi dal loro ritiro, si conosce persino una relazione degli stessi Assiri. I racconti non concordano sul motivo del ritiro degli aggressori, ma una cosa è chiara: Gerusalemme sopravvisse. di fatto a una distruzione certa, mentre Israele e gli altri avversari dell'Assiria caddero - un evento, questo, che gli abitanti di Giuda ritennero mira­ coloso. Il ritiro di Sennacherib non significò certo la fine del dominio dell'Assiria: è noto che i Giudaiti dovettero sopportarne l'egemonia per i decenni a venire, ottenendo la libertà solo negli anni successivi al 620 a.C. Essi tuttavia sopravvissero, al contrario dei loro fratelli del nord. Come mai?

Il mistero di Gerusalemme, la città superstite

Le risposte della gente di Giuda, per quanto diverse fossero, sot­ tolineavano l'unicità di Gerusalemme. La concezione della eccezio-

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nalità di Gerusalemme non era certo nuova. Dalla fondazione della monarchia davidica in avanti, i re avevano ribadito che nella città regale dimorava Dio, il quale avrebbe protetto quella che spesso gli inni, tuttora conservati nel salterio, chiamano Sion. Durante il regno di Ezechia, però, questa antica "teologia di Sion " assunse un aspetto diverso, divenendo la linea principale per spiegare il mistero della soprawivenza dei suoi abitanti. La distruzione del vicino regno del nord consentì a Giuda di pre­ pararsi al trauma della dominazione assira, ciò che a Israele stesso era mancato. Israele aveva attraversato la crisi assira illudendosi di essere invulnerabile, ignorando gli awertimenti profetici e vedendo infine fallire le proprie consuete strategie di sopravvivenza. Non così il popolo di Giuda, il quale, quando si trovò sotto il giogo del patto imposto dall'Assiria, aveva ben presente come erano andate a finire le cose nel caso di Israele. La distruzione di Israele si era abbattuta alle porte di casa. Per se­ coli, sia pure con relazioni difficili, i due popoli erano stati legati tra loro. Giuda e Israele avevano entrambi abitato le colline di Canaan, condividendo lo stesso stile di vita, la stessa cultura e la stessa reli­ gione. Tra il popolo giudaita e quello israelita, inoltre, si erano avuti profondi legami politici. Se nel X secolo Davide e Salomone li avevano governati entrambi, più tardi una potente dinastia di Israele - con i re Omri e Achab - aveva esercitato il controllo temporaneo di Giuda e delle sue truppe (l Re 22,4.44; 2 Re 3 ,7). Questi e altri legami facevano di Giuda non una tribù di Israele, ma la sua nazione sorella. Pur nella complessità delle loro relazioni, queste due nazioni erano legate l'una all'altra dalla cultura e dall'intreccio delle vicende storiche. Questo legame comune emerge nell'opera di Michea e Isaia, due profeti giudaiti che predicarono al tempo della crisi assira, durante il regno del giudaita Achaz, che portò Giuda sotto il controllo assiro, e di suo figlio Ezechia, che tentò di conquistare la libertà dall'Assiria. Sia Michea sia Isaia sottolinearono che la rovina di Israele da parte assira avrebbe colpito anche Giuda. Michea, per esempio, proclama con queste parole l'arrivo terrificante di Dio:

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Si sciolgono i monti sotto di lui e le valli si squarciano come cera davanti al fuoco, come acque versate su un pendio. Tutto ciò per l'infedeltà di Giacobbe e per i peccati della casa di Israele. Qual è l'infedeltà di Giacobbe? Non è forse Samaria? Qual è l'illecito santuario di Giuda? Non è forse Gerusalemme? (Mi 1 ,4s. ) .

TI profeta Isaia, contemporaneo di Michea, annunciò un messaggio

analogo, ammonendo con insistenza che Giuda e Gerusalemme non erano immuni dalla devastazione che avevano visto al nord. Adat­ tando la sua profezia ad una precedente previsione di Amos circa la caduta finale di Israele (Am 4,6- 12), Isaia ribadì che la devastazione assira di Israele era solo l'inizio del giudizio di Dio. Non essendo ancora compiuta l'opera divina di distruzione, Isaia ripeteva di conti­ nuo: «Con tutto ciò non si calma l'ira di YHWH e la sua mano [armata] resta ancora tesa» (Is 5 ,25 ; 9,8-2 1 ; 10,1-4). Giuda avrebbe affrontato la stessa condanna subita da Israele. Queste profezie, annunciate durante la crisi assira, non incontra­ rono il favore del popolo, eppure toccavano un punto nevralgico. A Michea la gente diceva: «Non predicare, smetti di predicare tali cose ! » (Mi 2 ,6). Isaia si trovò dinanzi una tale opposizione da sentirsi chiamato a scrivere la sua profezia per una più ricettiva generazione futura (Is 8,16-18). I contemporanei dei due profeti preferirono cre­ dere che il destino di Giuda sarebbe stato diverso da quello di Israele, e per qualche tempo sembrò che avessero ragione. Quando nel 7 15 a.C. Ezechia succedette al padre, re Achaz, iniziò per Giuda un temporaneo cambiamento per il meglio. Il paese era stato sotto il controllo assiro per circa un decennio. Sette anni prima, nel 722 a.C., Giuda aveva assistito alle fasi finali della distruzione di Israele. L'esercito assiro aveva poi soppresso le ribellioni delle città costiere della Palestina. Nel contempo gli Assiri avevano provveduto a reinsediare negli ex territori di Israele popolazioni originarie di al-

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tre parti dell'impero, provenienti da Babilonia e Siria. Questi coloni portarono con sé i loro dèi stranieri e, come si evince da documenti commerciali in nostro possesso, esercitarono una ulteriore domina ­ zione economica sui nativi israeliti 1• Volgendosi tutt'intorno, a nord e a ovest, Giuda poteva osservare gli esiti delle ribellioni fallite contro la potenza assira. L'ascesa al trono di Ezechia e la crescita della capitale di Giuda riaccesero tuttavia le speranze. Nel periodo di Davide e Salomone la città di Gerusalemme comprendeva circa cinque quartieri; di contro , la Gerusalemme di Ezechia ne abbracciava una ventina , con una po­ polazione che contava quasi trentamila abitanti. Alcuni ritengono che il fattore più importante per tale espansione demografica fosse stata la distruzione del regno settentrionale di Israele e la conseguente fuga di rifugiati israeliti al sud2• L'esercito assiro aveva devastato la campa­ gna di Israele, uccidendo migliaia di Israeliti ed esiliandone molti di più. Per quanti sopravvissero a una simile catastrofe , Gerusalemme offriva un possibile rifugio. Un altro monarca avrebbe potuto espellere i rifugiati o costringerli con la forza a vivere all'esterno delle mura cittadine, ma sembra che Ezechia abbia agito altrimenti. Al fine di resistere a un possibile at­ tacco assiro, procedette ad ampliare le fortificazioni della capitale, includendo la popolazione della città, divenuta più ampia. Attuò inoltre l'annessione al regno giudaita di territori precedentemente israeliti. Testimonianze del suo sistema amministrativo regale sono state rinvenute non solo in Giuda, ma anche in siti di Israele, più a settentrione. A suo :figlio , erede al trono , dette persino il nome di Manasse, come una delle due tribù centro-settentrionali di Israele3• 1

B . BECKING,

Two Neo-Assyrian Documents /rom Gezer in Their Historical Context,

in ]EOL 27 ( 1981182) 76-89. 2 W. ScHNlEDEWIND, A Soàal History o/ Hebrew. Its Origins Through the Rabbinic Period, Yale University Press, New Haven/CT 2013 , 88s.; c/ ibid., 89s. per le altre po­

litiche favorevoli agli Israeliti attuate da Ezechia e dai suoi successori. Per una diversa prospettiva sulla crescita di Gerusalemme, cf P. GurLLAUME, ]erusalem 720-705 BCE. No Flood of Israelite Re/ugees, in S]OT 22 (2008) 195-2 1 1 . 3 Questo periodo d i annessione dei resti del regno del nord può coincidere anche con il momento in cui i sacerdoti aronnidi, già associati al santuario regale di Israele a

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Sembra che Ezechia ambisse a far rivivere il glorioso regno di Davide e Salomone, dominando da Gerusalemme sia su Giuda sia su Israele. Prima, però, doveva riuscire a porre fine al dominio assiro su Giu� da. L'opportunità gli si presentò quando, nel 705 a.C. , il re assiro Sargon morì. Affidandosi all'aiuto dell'Egitto e di altre nazioni con­ finanti, costituì una coalizione internazionale per far cessare il con­ trollo assiro sull'area. Per quattro anni l'alleanza sembrò reggere con buon successo; le lotte intestine fra i pretendenti al trono dell'Assiria tennero lontano dalle porte l'esercito assiro. Ezechia nel frattempo intraprese a Gerusalemme un progetto immobiliare senza precedenti, non solo estendendo le mura cittadine, ma facendo scavare anche un tunnel ben difeso per l'approvvigionamento idrico della città. Molti immaginarono che Giuda avesse conseguito quella libertà che a Israele era sfuggita. La resa dei conti si ebbe nel 701 a.C. con l'arrivo di un esercito imponente al comando del nuovo re assiro, Sennacherib: nel giro di poche settimane l'intero territorio di Giuda venne devastato. Il bassorilievo dell'assedio di Lachish costituisce una vivida raffigu­ razione della distruzione della più grande città di Giuda, all'epoca, dopo Gerusalemme4• In un pannello il bassorilievo evidenzia un ariete assiro in procinto di penetrare in un torrione di difesa, mentre altre sezioni mostrano l'attacco di arcieri e frombolieri assiri, sol­ dati giudaiti impalati intorno a Lachish e, più avanti, immagini di

Bethel, si spostarono a sud e ascesero ad una posizione dominante in Giuda. Questo sviluppo si rispecchierebbe allora in una delle fonti del Pentateuco, indicata di solito come tradizione sacerdotale (P) , che retroproietta alle origini di Israele nel deserto il predominio - voluto da Dio - dei discendenti di Aronne sulla casta sacerdotale e persino sull'intero Israele (si notino, per esempio, Es 29; Lv 8-9; Nm 16-18) . Ciò non vuol dire che la tradizione sacerdotale nel suo complesso venisse creata al tempo di Ezechia, ma indica il tardo VIII secolo come periodo probabile per l'inizio dello sviluppo che porterà alla creazione di quel documento. 4 [Il bassorilievo, scoperto nel 1845 - 1 847, decorava la reggia di sud-ovest di Sen­ nacherib a Ninive; oggi, ben conservato, è esposto al British Museum di Londra. Per alcune foto, cf http://etc.ancient.eu/photos/siege-lachish-reliefs-british-museum/ Ri­ cordiamo che Lachish (l'attuale Tell ed-Duweir, Israele), si trova a soli 40 chilometri da Gerusalemme (N.d.R. ) ]

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prigionieri che, dalla città sconfitta, sono condotti in esilio. Questa immagine rappresenta il tipo di distruzione arrecata a decine di città e villaggi del regno di Giuda. Le indagini archeologiche rivelano che gli Assiri decimarono praticamente tutto il territorio al di fuori di Gerusalemme. Alla fine il loro esercito assediò la capitale, ma inspiegabilmente si ritirò. Un racconto narrato due volte (2 Re 19 e ls 37) sostiene che «l'an­ gelo di YHWH scese e percosse centottantacinquemila uomini nel­ l' accampamento degli Assiri», causandone la partenza immediata (2 Re 19,35s. ll Is 3 7 ,3 6s. ) . Tuttavia, come accennato all'inizio di questo capitolo, ci sono pure altri racconti: una noticina presente solo in 2 Re 1 8, 14- 16 (senza parallelo in Is 36) informa che Ezechia pagò il re assiro spogliando il tempio del suo oro; in effetti gli archivi dello stesso Sennacherib registrano una ingente donazione di oro e altri metalli pregiati e pietre preziose inviatagli da Ezechia. Sia come sia, Gerusalemme sopravvisse, al contrario di Samaria e di altre nazioni. L'evento divenne la pietra miliare degli scritti biblici sulla crisi assira di cui si legge in 2 Re 1 8-19 e nei capitoli prati­ camente identici di Is 3 6-3 7 . I due racconti paralleli dell'attacco assiro contro la Gerusalemme di Ezechia ritraggono gli ufficiali as­ siri che deridono la fede dei gerosolimitani, i quali confidano nella invulnerabilità della loro città. L'alto ufficiale dell'esercito assiro, «il gran coppiere», Rabsachè, schernisce gli uomini sulle mura di Ge­ rusalemme con parole di monito: «Non vi illuda Ezechia su YHWH, dicendovi: YHWH senz' altro ci libererà». E ancora: «Gli dèi delle nazioni hanno forse liberato ognuno il proprio paese dalla mano del re di Assiria? Dove sono gli dèi di Amat e di Arpad? Dove sono gli dèi di Sefarvàirn? Hanno essi forse liberato Samaria dalla mia mano?» (Is 36, 1 8s . Il 2 Re 1 8,3 0.3 3 s . )5. Non si hanno notizie sicure circa Sefarvàim, ma gli Assiri distrussero Arnat nel 720 a.C. e devastarono

5 Per un atto di scherno analogo da parte assira, si veda pure 2 Re 19,10-13 ll Is 3 7 , 10-13 ; molti studiosi ritengono che in origine questi fossero due racconti separati e paralleli dell'assedio, prima di essere fusi nel testo attuale.

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Arpad due volte, la prima nel 73 8 e la seconda nel 720 a.C. Insieme a Samaria, annientata nel 722 , queste città vicine sembrarono rappre­ sentare il naufragio delle speranze riposte in divinità vane. L'assiro Rabsachè sfida gli abitanti di Giuda a ritenere che, per loro, il dio YHWH si dimostrerà migliore. Le sue provocazioni no� restano tuttavia senza risposta. Il resto della storia narra infatti che YHWH smentì con decisione quell'atto di sfida e, per amore della monarchia davidica di Gerusalemme, salvò la città. Dio dice a Isaia di proclamare il seguente messaggio riguardo al re di Assiria: Non entrerà in questa città né vi lancerà una freccia, non l' affronterà con gli scudi né innalzerà contro di essa un terrapieno. Ritornerà per la strada per cui è venuto; non entrerà in questa città. Oracolo di YHWH: Io proteggerò questa città e la salverò, per riguardo a me stesso e al mio servo Davide (2 Re 19,32-34 Il Is 3 7 ,33-35 ) .

Il racconto prosegue delineando l'adempimento di tale promessa. L'angelo della morte visita l'accampamento assiro e, al ritorno in patria con il suo esercito, Sennacherib stesso verrà assassinato (2 Re 19,35-3 7 ; Is 3 7 ,36-38). Da questi racconti (2 Re 18-19 ll Is 3 6-37) emerge la peculiarità di Sion rispetto a Samaria, Arpad, Amat e al­ tri luoghi: YHWH la liberò dalla distruzione assira. Perché mai? Per riguardo a se stesso e alla dinastia di Davide, alla quale YHWH aveva promesso protezione imperitura. Gli studiosi nutrono oggi qualche riserva sulla veridicità storica di molti particolari presenti in 2 Re 18-19 Il Is 3 6-3 7 . La vicenda, pur ambientata nel 7 0 1 a.C. , fa riferimento ad eventi - come l'assas­ sinio di Sennacherib - accaduti in un periodo lontano dall'assedio di Gerusalemme; anche il trionfale tono narrativo della liberazione miracolosa contrasta sia con i resoconti dello stesso Sennacherib sia con la versione biblica della storia in 2 Re 1 8 , 14 - 1 6 . Sennacherib rivendica di aver intrappolato Ezechia e di avergli imposto il tributo, mentre Ezechia sostiene di aver offerto il tributo agli assedianti di sua iniziativa. In ogni caso, l'insieme delle fonti, quella assira e quella

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biblica, sembra indicare un insolito ritiro assiro dall' accerchiamen­ to di Gerusalemme, motivato più probabilmente dal pagamento di qualche tipo di tributo che da una piaga miracolosa. Ciò detto, i racconti paralleli registrati in 2 Re 1 8-19 e Is 36-37 sono memoriali preziosi che indicano come Giuda riuscì a elabo­ rare e a comprendere la propria sopravvivenza alla crisi assira. La storia biblica dell'attacco assiro contro Gerusalemme integra quella dell'assedio e della sopravvivenza della città stessa in un più ampio racconto su Israele e Giuda. Si inizia con Dio che sceglie Davide e Gerusalemme, per poi includere la narrazione della distruzione di Samaria (2 Re 1 7 ) . La parte conclusiva di questa più estesa narrazio­ ne - circa la liberazione di Gerusalemme (2 Re 1 8-19) subito dopo la distruzione di Samaria in Israele (2 Re 17) - divenne per Giuda lo strumento fondamentale per abbracciare e spiegare la propria so­ pravvivenza. Laddove i resoconti assiri (e il racconto biblico in 2 Re 18,14- 16) attribuiscono il ritiro degli aggressori al pagamento di un ingente tributo da parte di Ezechia, la versione più ampia in 2 Re ll Isaia risponde invece con una asserzione teologica: Gerusalemme sopravvisse in quanto sede dei re davidici scelti da YHWH. Nella Bibbia il patto che Dio fece con Davide di proteggere per sempre la sua stirpe regale ricorre in numerose occasioni; la prima è una profezia di Natan (2 Sam 7 ) nella quale Dio promette a Davide: «La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a me e il tuo trono sarà reso stabile per sempre» (vv. 12-16)6• I biblici "sal­ mi di Sion " ribadiscono inoltre che la città regale di YHWH, santa e inespugnabile, è Gerusalemme; il Sa/ 46 proclama per esempio: «Dio sta in mezzo ad essa: non potrà vacillare» (v. 6a)7. Queste antiche tradizioni su Sion (Gerusalemme) e sulla sua dignità regale acqui­ sirono nuova importanza sulla scia della sopravvivenza della città

6 Per ulteriori riferimenti a questo patto con la casa di Davide, cf 2 Sam 23 ,5 ; Ger 33,17.20-22 ; Sa/ 89,4-5 . 19-38. 7 Un altro salmo di Sion recita: « È a Salem la sua dimora, la sua abitazione in Sion. Qui spezzò le saette dell'arco, lo scudo, la spada di guerra» (Sal 7 6,2s.).

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all'assedio di Sennacherib. Che Gerusalemme si fosse salvata sembrò dimostrare che persino la potente Assiria, distruttrice di molte altre nazioni, non era riuscita a sopraffare la volontà di YHWH nella difesa di Gerusalemme-Sion. La teologia di Sion cui Giuda si attenne costi­ tuì una profonda maniera per spiegare la sua attuale sopravvivenza: il perché del suo vivere, mentre Israele era morto. Il termine "sopravvivenza" , però, dev'essere qui specificato: il re­ gno di Ezechia era in pezzi e tale rimase sotto la dominazione assira. Si è già accennato al diffuso spopolamento delle regioni esterne a Gerusalemme: l'attacco sferrato dall'esercito assiro deve aver causato la perdita di molte vite umane e, stando ai resoconti di Sennacherib, la deportazione di migliaia di Giudaiti. Anche se il numero dei de­ portati da lui fornito appare esagerato (200. 150) , il risultato finale è chiaro: Giuda perse approssimativamente il 7 0 % della popolazione e 1'85 % delle città e dei villaggi. Di più, gli Assiri diedero ai loro sudditi più leali intere zone del devastato regno di Giuda e incrementarono drasticamente il versamento del tributo annuale di Ezechia. I versi isaiani che seguono mostrano in sintesi la condizione di Giuda dopo l'offensiva di Sennacherib; nel componimento, i Giudaiti lamentano che è mancato poco perché fossero distrutti totalmente, come le leg­ gendarie città di Sodoma e Gomorra (c/ Gen 19): Il vostro paese è devastato, le vostre città arse dal fuoco. La vostra campagna, sotto i vostri occhi, la divorano gli stranieri; è una desolazione come Sodoma distrutta. È rimasta sola la figlia di Sion [Gerusalemme] come una capanna in una vigna, come un casotto in un campo di cocomeri, come una città assediata (Is 1 ,7 s . ) .

Isaia riporta poi le parole della gente comune che, guardandosi attorno, osserva una tale devastazione:

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Se YHWH degli eserciti non ci avesse las> (2 Re 23 ,22 ) . In tal modo Giosia ubbidì ai comandamenti del rotolo della Legge che era stato ritrovato, attuando quella purificazione religiosa che Osea aveva potuto solo sognare. La Bibbia ne celebra l'ubbidien­ za, esclamando che non ci fu alcun re, prima o dopo di lui, che «si convertì a YHWH con tutto il cuore e con tutta l'anima e con tutta

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la forza» (2 Re 23 ,25 ) . La sua riforma, tuttavia, deve essere stata un turbamento immenso per tanta parte del popolo su cui regnava: per secoli Giuda, come pure Israele, aveva adorato Asherah (la consorte di YHWH, menzionata più sopra nel nostro cap. 1 ) , Baal e altre divi­ nità; il popolo di Giuda, come quello di Israele, era abituato a rela­ zionarsi con un mondo divino eterogeneo sia nel culto domestico sia nei diversi santuari antichi eretti in tutto il paese. Prima dell'epoca di Giosia, il libro biblico dell'Esodo presentava persino le istruzioni sul modo di costruire un altare in qualunque luogo si fosse (Es 20,24s. ) . Ora Giosia esigeva che tutti dovessero recarsi a Gerusalemme, e a Gerusalemme soltanto, per celebrare le feste religiose e offrire sacri­ fici: adesso tutti dovevano adorare solo YHWH, amandolo «con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze», come è richiesto dal Deuteronomio (6,5 ) . Gli studiosi discutono sulle ragioni e sulla portata della riforma giosiana; qui ci si sofferma invece a valutarne l'impatto. Il cambia­ mento fu certo difficile per i sacerdoti locali, privati dei loro mezzi di sostentamento dalle innovazioni del re, e si rivelò catastrofico per quanti furono uccisi. Giosia impose inoltre al popolo di voltare le spall e a tutto un mondo di spiritualità al quale i suoi sudditi erano stati fedeli: sia le divinità più antiche, come Asherah, sia le più recen­ ti, come la babilonese Ishtar, vennero proibite; Baal e gli dèi astrali furono banditi; i santuari locali, antichi e familiari, dove per secoli i clan avevano celebrato la Pasqua e altre feste, furono profanati e interdetti. Fu come se oggi il sindaco di New York decretasse la distruzione di ogni chiesa e luogo di culto non cristiano in tutta la re­ gione urbana, imponendo a tutti di rendere il culto in una cattedrale, · e solo quella , ubicata da qualche parte a Manhattan. Jan Assmann, storico delle religioni e illustre egittologo, sostiene che quella riforma costituì una rottura traumatica con le precedenti forme cultuali del mondo. Sia in Israele, sia in Giuda, sia altrove, la religiosità premonoteistica era tale che i popoli immaginavano di godere di una relazione diretta e personale con le forze dominanti il

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loro mondo: clima, guerra, amore e così via. Proprio per precisare che questa credenza ricollega il popolo al mondo che lo circonda, Assmann la definisce " cosmoteismo" piuttosto che "politeismo" . Gli antichi, sottoposti in quel mondo a una pluralità di forze, lo ritene­ vano governato da una pluralità di "dèi" e modellavano immagini concrete per visualizzarli e implorarne i favori. Alcuni elementi del mondo - sole, luna, oceano e monarchi umani - li intendevano finan­ che come vivide immagini di potenze cosmiche maggiori che assog­ gettavano gli esseri umani al proprio arbitrio: figure politiche e forze naturali non avevano solo un impatto divino sulla vita di quei popoli, ma fungevano da icone naturali di un potere divino schiacciante; per quei credenti del mondo antico erano simboli tattili e concreti così come potevano esserlo le statue - una riduzione in scala - delle di­ vinità. Ne consegue che la mentalità religiosa degli antichi, anche di Israele e Giuda ai primordi, era incantata dagli dèi del mondo con i loro tangibili simboli di divinità. Ebbene, Giosia chiese al popolo di abbandonare quegli dèi e simboli idolatrici, di dimenticare ciò che attestava il senso comune e di spogliare il mondo della sua natura magica. In sua vece, diede loro una religione incentrata su Gerusa­ lemme e dedicata a un Dio aniconico, un Dio separato dal mondo (di cui egli, pure, si prendeva cura)8• De finendo " traumatica" quella riforma, Assmann guarda alle generazioni successive tormentate dal " cosmoteismo " represso da Giosia. Un riformatore a lui molto anteriore, il faraone Akhenaton, aveva tentato nel XIV secolo a. C. una riforma monoteistica simile, con l'unico risultato che, alla sua morte, l'Egitto era tornato all'an­ tico cosmoteismo e aveva cercato di cancellare ogni traccia del suo regno. Nel lungo termine la riforma giosiana ebbe maggior successo, ma solo perché le catastrofi venture convinsero le genti di Giuda ad apprezzarne la bontà e a considerare le loro sofferenze come effetto del loro regresso nell'idolatria dopo la morte di Giosia. Assmann sostiene che, venticinque secoli dopo, la cultura occidentale è anco8

Cf AssMAN, Religion and Cultura! Memory, cit.

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ra tormentata dalla rimozione, rappresentata da Giosia, dell'antica religione cosmoteistica: il continuo insorgere di movimenti cosmo­ teistici nella cultura occidentale - neoplatonismo, alchimia, deismo, panteismo, spiritualità New Age - afferma il "ritorno del rimosso " , cioè di forme di spiritualità terrena ampiamente diffuse nel mondo antico. La riforma giosiana non era e non poteva dirsi conclusa: era stata così radicale e traumatica che sia quella generazione sia le suc­ cessive sarebbero state tentate di adorare quel mondo, eterogeneo e lussureggiante di immagini, che avevano dinanzi agli occhi9•

Le origini della riforma di Giosia

Ci si chiede qui che cosa possa aver indotto Giosia ad attuare una rottura così traumatica con la pratica religiosa precedente. La narrazione di 2 Re attribuisce la riforma a un elemento fondamen­ tale: la scoperta di un «rotolo della Torà» nel corso dei restauri del tempio («la dimora di YHWH») e la conseguente decisione di Giosia di guidare il popolo a stipulare con YHWH un patto basato proprio sul rotolo ritrovato, detto pure «rotolo dell'alleanza»: Per suo ordine si radunarono presso il re tutti gli anziani di Giuda e di Gerusalemme. n re san alla dimora di YHWH insieme con tutti gli uomini di Giuda e con tutti gli abitanti di Gerusalemme, con i sacerdoti, con i profeti e con tutto il popolo, dal più piccolo al più grande. lvi fece leggere alla loro presenza le parole del rotolo dell'alleanza, trovato nella dimora di YHWH. Il re, in piedi presso la colonna, concluse [ebr. , karath , "tagliò "] un'alleanza davanti a YHWH, impegnandosi a seguire YHWH e a osservarne i comandi, le leggi e i decreti con tutto il cuore e con tutta l'anima, mettendo in pratica le parole dell'alleanza scritte in quel libro. Tutto il popolo aderì all'alleanza (2 Re 23 , 1 -3 ) .

9 ID., Moses the Egyptian. The Memory o/ Egypt in Western Monotheism, Harvard University Press, Cambridge/MA 1997 , 2 17 [trad. it., Mosè l'egizio. Decifrazione di una traccia di memoria, Adelphi, Milano 2007 2].

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«Quel libro», owero il «rotolo dell'alleanza» ritrovato nel tempio di YHWH: ecco il fattore che attivò il massiccio progetto di purifica­ zione, con la rimozione della colonna di Asherah e di altri simboli antichi dal tempio di Gerusalemme, nonché la distruzione dei san­ tuari locali in Giuda, come pure in altre zone di Israele. Un esame più attento del testo narrativo sulla riforma giosiana consente di identificare il libro della Legge su cui essa si fondava. La vicenda in 2 Re 23 mostra Giosia che conclude l'alleanza impegnan­ dosi a «seguire YHWH [ . . . ] con tutto il cuore e con tutta l'anima», e­ spressione echeggiante il comandamento del Deuteronomio: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze» (6,5 ) . TI Deuteronomio, quinto e ultimo libro del Pentateuco (Torà) , registra il discorso finale indirizzato da Mosè agli Israeliti subito prima che attraversino il Giordano per invadere e conquistare la terra di Israele. Nel testo Mosè dà al popolo le istruzioni legali su quanto essi dovranno attuare per compiacere Dio quando egli li con­ durrà nel paese promesso ai loro antenati. La campagna giosiana per l'eliminazione dei santuari nei luoghi fuori da Gerusalemme sembra ubbidire a norme registrate in Dt 12, le quali esigono da un lato la soppressione degli oggetti di culto e dei templi locali non yahwistici e dall'altro l'offerta del culto nel solo e unico luogo che Dio sceglierà. Quando Giosia guida Israele e Giuda nel corso della celebrazione centralizzata della Pasqua a Gerusalemme, lo fa per adempiere alla prescrizione di Dt 16, la quale vuole che Israele celebri tutte le feste di pellegrinaggio nel solo luogo scelto da Dio. Questi e altri indizi in­ ducono a ritenere che Giosia basasse la propria riforma su una antica versione del libro biblico del Deuteronomio, un proto-Deuteronomio che fu quel «rotolo della Torà» o «rotolo dell'alleanza» da cui si fece guidare nel suo progetto di alleanza e di purificazione. Si può esser tentati di considerare il Deuteronomio come mero sostegno pseudo-mosaico creato dagli scribi di Giosia per favorir­ ne la riforma, ma alcune prove intratestuali dimostrano che non fu questa la sua origine. Il Deuteronomio, per esempio, fa appello al culto di YHWH da attuarsi in un luogo soltanto, e quel luogo non è

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Gerusalemme: al contrario, nella sezione conclusiva dei manoscritti più antichi del libro, Mosè ordina a Israele di erigere un altare nel santuario settentrionale del Monte Garizim e di offrirvi dei sacrifici10• Il monte, che si eleva nel cuore dell'antico Israele e non in Giuda, co­ stituisce un antico luogo santo israelita: questo elemento non avrebbe potuto essere inventato dagli scribi giudaiti di Giosia. Il libro origi­ nale del Deuteronomio, invece, forse proprio il rotolo rinvenuto dai funzionari reali, era probabilmente un rotolo della Legge redatto al nord che sollecitava ad adorare in un unico luogo: il Monte Garizim. Molti studiosi concordano che non fu scritto da Mosè, ma neppure fu creato ex novo dai sostenitori di Giosia. Ciò detto, è quasi certo che gli scribi di Giosia ampliarono e ri­ elaborarono quell'antico testo, facendone il cuore dell'alleanza e della riforma giosiana. Uno sguardo al Deuteronomio, il codice del­ l"' alleanza" promulgata da Giosia, mostra il profondo impatto del trauma assiro sull'animo giudaita. Nel capitolo su Osea si è detto che a paesi come Giuda era imposto di stringere alleanze con i re assiri, o quantomeno di conoscerle. Solo pochi decenni prima di Giosia, per esempio, un "trattato di successione " aveva imposto ai popoli di tutto l'impero assiro di imprecare maledicendo se stessi se avessero mancato di " amare " e ubbidire al successore del re assiro «come amavano la loro stessa vita». Nel Deuteronomio tale imposizione di esclusiva lealtà al re viene così reindirizzata: «Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze» ( 6,5 ) . Il Deuteronomio - presentato come antico discorso mosaico - rispec­ chia in questo e in altri modi l'impatto del trauma assiro, che fu di molto posteriore a Mosè. Si tratta di un antico codice post-mosaico di origine nordica, poi modificato dagli scribi di Giosia in una alle­ anza, modellata su quella assira, tra il popolo e il suo Dio, YHWH. Le 10 Secondo molte traduzioni di Dt 27, l'altare viene costruito sul «Monte Ebal», non sul «Monte Garizim»; ma si tratta probabilmente di una tardiva modifica degli scribi; per uno studio, cf CARR, Formation o/ tbe Hebrew Btble, cit. , 167s. Quand'anche la lezione originale fosse «Monte Ebal», resta dimostrato che i punti di riferimento originari del Deuteronomio sono al nord, visto che pure il Monte Ebal è localizzato a settentrione.

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sue sezioni principali - prologo storico, richieste di fedeltà, regole e prescrizioni per il rispetto della Legge mediante maledizioni, bene­ dizioni e lettura continua della Legge stessa - corrispondono a parti rilevanti dei "trattati di vassallaggio" imposti alle nazioni dominate dagli Assiri. Inoltre, certe sezioni del libro, come la proibizione del tradimento in Dt 13 , riecheggiano norme specifiche del "trattato di successione " menzionato sopra1 1. In passato ai Giudaiti, soprattutto gli appartenenti alle élite, era stato fatto obbligo di apprendere e finanche recitare i testi dei trattati di vassallaggio che esigevano fedeltà e amore: quei testi, così me­ morizzati, avevano inciso nelle loro menti la fedeltà all'imperatore. Giosia, però, reindirizzò quella fedeltà trasformando un antico libro della Legge di origine nordica in un trattato con YHWH modellato su quello assiro: in tal modo il trauma imperiale alimentò e plasmò il trauma religioso. Per anni i Giudaiti erano stati così presi dal terrore da rifiutare le alleanze con gli stranieri; ora, la stessa forma culturale adottata per imporre quel rifiuto - l'alleanza imperiale - veniva utiliz­ zata da Giosia per imporre il rigetto degli dèi e degli antichi santuari. È vero che il libro della Legge da lui ritrovato, il Deuteronomio, viene presentato dai suoi scribi come discorso mosaico, ma si tratta probabilmente di un loro tentativo di attribuire a un'antica autorità quel testo della alleanza su cui aveva influito l'Assiria. Non appena si esamini il contenuto del Deuteronomio biblico - rimodellato ora dagli scribi di Giosia e da altri posteriori - se ne notano gli stretti parallelismi con le prime profezie di Osea a Israele. Osea aveva sol­ lecitato un amore simile a quello per l'Assiria, ma rivolto soltanto a YHWH; Giosia lo fece rispettare. Osea aveva denunciato il culto di altri dèi; Giosia ne distrusse i simboli e i santuari localizzati fuori di Gerusalemme. Osea aveva accennato brevemente all'alleanza infran­ ta da Israele; Giosia trasformò l'antico libro della Legge di origine nordica ritrovato nel tempio in una versione teologica dell'alleanza 11 Per uno studio e relativa bibliografia, cf CARR, Formation o/ tbe Hebrew Bible, cit., 307-309.

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con l'Assiria e s i pose alla guida del popolo nel "tagliare" quell'al­ leanza con YHWH. Se Osea era stato un profeta israelita che aveva influenzato i Giudaiti, Giosia fu un re giudaita che attuò idee simili a quelle di Osea, utilizzando un documento di origine settentrionale.

Giuda adotta l'identità "israelita"

Questa appropriazione della tradizione israelita settentrionale costituì un passo cruciale verso una straordinaria trasformazione dell'identità collettiva. Si ricordi che, prima d'ora, Giuda e Israele erano stati popoli separati, anche se collegati da complessi rapporti dovuti allo stile di vita simile e, occasionalmente, al comune gover­ no. Condividevano sì lo stesso Dio di stato, YHWH, e numerosi altri elementi culturali, ma le loro tradizioni erano divergenti: come si è detto, Gerusalemme era il centro della monarchia davidica di Giu­ da, nelle cui Scritture figuravano inni e testi sapienziali regali, salmi su Sion e miti; i testi significativamente diversi di Israele, invece, redatti al tempo della divisione di Israele dalla monarchia davidica gerosolimitana, si concentravano su Mosè e sull'esodo. Fu Israele ad accogliere per primo lo zelo iconoclastico, anti- "idolatrico", mono­ teistico, che abbiamo visto in Osea e nel codice di origine nordica (il prato-Deuteronomio) ritrovato e modificato per la riforma di Giosia. Il suo rinnovamento congiunse queste due correnti. Si manten­ ne l'attenzione giudaita su Gerusalemme, intendendo che il culto centralizzato richiesto dal prato-Deuteronomio si dovesse attuare a Gerusalemme e non sul Monte Garizim o presso un altro santuario settentrionale; e questa non fu cosa di poco conto. Giosia, tuttavia, facendo del Deuteronomio la base della sua riforma, non importò in Giuda semplicemente un documento settentrionale, cioè quel Deu­ teronomio incoativo, ma le idee del nord e la stessa identità setten­ trionale. Il Deuteronomio si presenta infatti come alleanza di YHWH con Israele: le sue leggi figurano nel contesto di gesta compiute in

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passato da YHWH a favore di Israele, suo popolo. Giosia, guidando il suo popolo ad approvare questa alleanza, lo condusse a far propria l'identità di Israele. La Bibbia afferma che «per suo ordine si radu­ narono presso il re tutti gli anziani di Giuda e di Gerusalemme» per stipulare l'alleanza (2 Re 23 , 1 ) , dalla quale essi emersero però come «Israele»: divennero l'Israele che è tenuto ad amare YHWH e ad osser­ varne le leggi scritte nel Deuteronomio e, come Israele, presero su se stessi le maledizioni, se avessero infranto l'alleanza, e le benedizioni, se l'avessero osservata. Illustrando la purificazione giosiana dei santuari israeliti, come pure di quelli giudaiti, la narrazione biblica su Giosia prospetta che questo mutamento non fu un semplice trasferimento di identità da Israele a Giuda, ma comportò piuttosto la sua rivendicazione di es­ sere - lui, Giosia - il sovrano legittimo del regno del nord, oltre che di Giuda. I testi dei due libri dei Re, probabilmente redatti in origine da scribi giosiani, attribuiscono la caduta del regno del nord alla inosservanza nazionale dei richiami alla purità religiosa espressi da Osea e richiamati dal Deuteronomio. Dal punto di vista degli autori (giosiani) dei libri dei Re, il grande errore del nord fu di non aver dato ascolto a quegli antichi richiami che invitavano a rigettare altri dèi per amare solo YHWH12• Ebbene, proprio mente si liberava dalla dominazione assira, il po­ polo giudaita di Giosia si trovò di fronte a una scelta: mantenere lo status qua, rischiando la distruzione come era accaduto a Israele, oppure rielaborare, secondo il modello di alleanza appreso dall' As12 Per l'argomentazione classica in favore di questa idea, cf R.D. NELSON, The Double Redaction o/ the Deuteronomistic History, Sheffield Academic Press, Sheffield 198 1 . Ai suoi argomenti s i contrappone uno dei più ampi trattati su 1-2 R e nella prospettiva del trauma: }ANZEN, Violent Gt/t, cit., 7 -25 . Non è questo il contesto per rispondere alle osservazioni di J anzen; noto soltanto che molte delle sue idee più interessanti sulle disgiunzioni traumatiche in 1 -2 Re e in altri libri storici - come la ripetuta segnalazione che alcune sezioni degli ultimi capitoli di 2 Re (2 1-25 ) contraddicono affermazioni presenti altrove in Giosuè e 2 Re circa la giustizia divina (per esempio, ibid. , 45s., 1 10, 1 15s., 142 , 2 12, 2 18s., 226-229, 233 , 235) - coincidono benissimo con luoghi in cui altri studiosi hanno visto aggiunte esiliche posteriori apportate ad una versione anteriore, preesilica, dei libri dei Re.

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siria, la più antica Legge di origine settentrionale. Scelsero la seconda opzione, e il risultato dei loro sforzi furono i discorsi deuteronomici di "Mosè" . Adottando come «rotolo dell'alleanza» il Deuteronomio appena riscritto, Giosia, i suoi scribi e tutto il popolo offrirono a YHWH un impegno più esclusivo di quanto non avessero mai accor­ dato al sovrano d'Assiria. In tal modo Giuda, guidato da Giosia, divenne "Israele " , il popolo che rispettò l'alleanza deuteronomica 13 • Questa mossa attuata da Giuda sotto Giosia corrisponde alla sin­ drome del "bambino sostitutivo " tipica delle famiglie traumatizzate dalla perdita di un figlio più grande. In queste famiglie i genitori tra­ sferiscono inconsciamente su un figlio più giovane speranze e aspet­ tative che riponevano nel bambino perduto. Talvolta ne trasmettono persino il nome, e il figlio che sopravvive assume l'identità del fratello o della sorella che non c'è più. Nel caso di Israele e Giuda si hanno due nazioni sorelle, una sola delle quali sopravvisse all'invasione as­ sira. Giuda assunse nome e identità di sua sorella Israele, che aveva capitolato. Di più, adottando l'alleanza deuteronomica, quel nuo­ vo "Israele" guidato da Giosia si impegnò ad onorare le aspettative divine che l'Israele originale aveva disatteso. Quando Giosia fece propria questa alleanza, fondata com'era sul precedente codice della Legge originato al nord, l' autocomprensione del popolo di Giuda si alimentò sempre più dei racconti, delle tradizioni legali e dell'identità stessa di Israele. Giuda divenne in realtà !"'Israele" incentrato su Gerusalemme capace di sopravvivere, al contrario dell'Israele con sede a Samaria. Le tradizioni settentrionali che i Giudaiti leggevano nel Deutero­ nomio rafforzarono in certa misura quello che per loro era il centro d'attenzione più antico, Gerusalemme. Giosia e il popolo leggevano l'appello deuteronomico al culto centralizzato presso un santuario

1J Cf D. FLEMING, The Legacy o/Israel in ]udah 's Bible. History, Politics, and the Re­ inscribing o/Tradition, Cambridge University Press, Cambridge - New York 20 1 1 , 13-16 per un'oculata analisi delle precedenti teorie sul rapporto tra l'antico Giuda e Israele.

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del nord come mero preludio alla scelta divina definitiva di Geru­ salemme. Nel contempo, le tradizioni settentrionali introdussero pure rilevanti cambiamenti nelle Scritture di Giuda, cambiamenti provocati dal trauma assiro: con Giosia iniziò la transizione dal tipi­ co interesse antico-orientale per tradizioni regali ad una innovativa attenzione giudaita per tradizioni non regali ma giuridiche, in parti­ colare per il Deuteronomio, che fungeva ora da «rotolo dell'alleanza». Anche i due libri biblici dei Re, dedicati ai monarchi di Israele e di Giuda, vennero modellati dagli scribi di Giosia in modo da valutare quei monarchi sulla base di un solo criterio: se avevano soddisfatto o meno alla sollecitazione deuteronomica circa il culto centralizzato a Gerusalemme. In effetti, una edizione anteriore di questi libri si concludeva probabilmente ben prima della fine attuale del Secondo libro dei Re, mentre la versione giosiana terminava con un versetto se­ condo cui Giosia aveva ubbidito alla Legge del Deuteronomio, com­ portandosi meglio di ogni altro sovrano (2 Re 23 ,25; c/ Dt 17,14-20) . Sotto di lui, accettando l'alleanza deuteronomica con YHWH, Giuda tentò di legittimare se stesso e di assicurarsi un'esistenza ininterrotta. Come si è visto, quel patto comportava il rifiuto radicale, finanche traumatico, della religiosità più antica: abbandono di divinità fami­ liari, distruzione di oggetti cultuali ad esse associati, profanazione degli antichi santuari e rimozione o eliminazione dei sacerdoti che vi operavano. Plasmato in risposta al trauma assiro, fu questo l'ordine nuovo che, nel pensiero di Giosia, avrebbe risolto i problemi che avevano portato a decenni di egemonia assira. Fu questo l'ordine nuovo che avrebbe assicurato eterno futuro a Sion e al suo trono. Si rivelò invece fatalmente errato.

11 epilogo

Giosia e i suoi funzionari ritennero forse di aver assicurato a Sion e a Giuda un futuro imperituro, ma non sopravvissero neppure a uno

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scontro fortuito con le truppe egiziane. Si ignora il motivo per cui Giosia andò ad affrontarle: queste infatti non intendevano attaccare né minacciare Giuda; erano semplicemente in marcia sulla strada costiera di fronte a Giuda per appoggiare gli Assiri che combattevano contro un impero sorto di recente, quello neobabilonese del popolo caldeo. I particolari della vicenda sono oscuri. Il conciso resoconto del Secondo libro dei Re dice solo che il faraone Necao salì in soccorso del re di Assiria, che Giosia marciò contro di lui e che Necao «lo uccise al primo urto» (23 ,29 ) ; segue la notizia del seppellimento di Giosia e l'unzione del re davidico suo successore. La relazione nel Secondo libro delle Cronache offre una descrizione più estesa del contatto fra i due: Giosia si ostina a voler indossare l'armatura per combattere contro Necao, ma quando esce in battaglia viene ferito a morte dagli arcieri egizi e, portato a Gerusalemme, vi muore (2 Cr 3 5,20-24 ) . Questa relazione è tuttavia tardiva e somiglia ad un tentativo di ab­ bellire quella che all'epoca dovette sembrare la morte incomprensi­ bile, assurda, di uno dei più grandi monarchi di Giuda. Per quanto inspiegabile e insensata fosse stata la sua morte, tut­ tavia, essa non fu nulla in paragone a ciò che presagiva: la futura distruzione di Gerusalemme (Sion), la fine del presunto trono eter­ no di Davide e l'esilio a Babilonia di tanta parte della popolazione gerosolimitana e giudaita sopravvissuta. Su queste vicende ci si con­ centrerà ora.

4.

La distruzione di Gerusalemme e l'esilio babilonese

Dopo l'uccisione di Giosia nel 609 a.C., gli Egiziani mantennero il controllo di Giuda solo per qualche anno. Fondato nell'antica città di Babilonia, era infatti sorto un impero nuovo, il " caldeo neoba­ bilonese" , che nel 604, a cinque anni dalla morte di Giosia, aveva conquistato il potere in tutti i paesi, incluso Giuda, un tempo sotto­ posti all'egemonia assira. Non si sa molto della storia di questi Caldei che presero il controllo di Babilonia; tuttavia avevano generalmente reputazione di essere meno sanguinari degli Assiri. Da principio i Caldeo-babilonesi consentirono a Ioiakim , re di Giuda, di rimanere sul trono. Sennonché il potere gli era stato confe­ rito dall'Egitto, e questo ne faceva un filoegiziano. Dopo soli tre anni di assoggettamento a Babilonia, Ioiakim colse l'opportunità di dichia­ rare l'indipendenza dal potere babilonese e, almeno inizialmente, la sua audacia sembrò avere successo: i Babilonesi, impegnati a sotto­ mettere altre parti del loro inquieto impero, non si occuparono di lui e di Giuda. Nel 596 a.C. tornarono però all'attacco e, nonostante Ioiakim fosse morto poco prima, si presero la loro vendetta: saccheg­ giarono il tempio e spopolarono di fatto Gerusalemme, reinsediando in remote parti di Babilonia l'élite gerosolimitana insieme ad alcuni abitanti delle zone circostanti Giuda. Il successore di Ioiakim, re Ioiachìn, e tutta la famiglia reale condivisero l'esilio di migliaia di ge­ rosolimitani e abitanti di Giuda, fra cui anche il sacerdote Ezechiele, la cui predicazione profetica esamineremo poco sotto.

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Gerusalemme rimase comunque in piedi e i Babilonesi permisero persino che, in qualche modo, il trono davidico perdurasse; cercaro­ no di assicurarsi la sottomissione giudaita facendo re di Gerusalem­ me-Giuda un figlio di Giosia, Sedecia. A quanto pare, Gerusalemme si era alquanto rianimata, visto che contava già migliaia di abitanti quando Sedecia stesso, a nove anni dal suo insediamento sul trono, si ribellò all'egemonia babilonese; smise di inviare il tributo a Babilonia e cominciò a prepararsi all'inevitabile attacco. Pochi mesi dopo, l'esercito babilonese si presentò alle porte di Gerusalemme e la assediò per quasi due anni. Alla fine, quando nel 587 a.C. la città, affamata, cadde, i Babilonesi agirono con spietatez­ za: i figli di Sedecia furono uccisi uno ad uno davanti ai suoi occhi; fu questa l'ultima cosa che egli vide prima di essere accecato. Infine, il re cieco e migliaia di individui - la gran parte della popolazione gerosolimitana sopravvissuta - vennero deportati. Alcune settimane più tardi, i Babilonesi procedettero alla distruzione sistematica di Gerusalemme, abbattendone le mura e dando alle fiamme il tempio, la reggia e altri palazzi. " Sion " , la città apparentemente indistrutti­ bile, era ridotta a un mucchio di macerie; i suoi abitanti erano morti o in esilio. I Giudaiti che vivevano ora in Babilonia erano il risultato di due ondate di esiliati: coloro che erano stati deportati durante il primo attacco babilonese, nel 596 a.C. , e quest'ultimo gruppo, che era stato testimone della distruzione totale di Gerusalemme nel 587 . Insieme costituivano in pratica l'élite: tutti i capi e gli artigiani di Gerusalemme e Giuda che avrebbero potuto cercare di fomentare la ribellione contro Babilonia. La Bibbia ricorda che «i più poveri del paese» furono lasciati vivere in Giuda; tuttavia va ricordato che già nel 596 la società giudaita era stata scremata dei suoi elementi migliori, e l'operazione si ripeté nel 587 (2 Re 25 ,12)1• È difficile pensare che simili eventi non abbiano potuto avere un effetto traumatizzante sul popolo. I morti in battaglia si contavano 1 Ger 52,30 riferisce di una terza deportazione a Babilonia nel 582 a.C., ma non è chiaro che cosa l'abbia provocata.

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a migliaia, ancor più numerosi erano i morti per fame nelle città assediate. Alla fine, Gerusalemme e gran parte di Giuda erano in rovina, con la popolazione urbana morta o deportata. A nord e a sud della città proseguivano gli insediamenti rurali e i Babilonesi utilizzavano i centri amministrativi preesistenti per procedere alla riscossione delle tasse. Giuda, però, aveva perduto sia la propria monarchia sia la città santa, e gli autori della Bibbia si trovavano in esilio2• Tali eventi minarono fortemente due convinzioni essenziali degli abitanti di Giuda: la inviolabilità di Gerusalemme come città di Dio e l'assicurazione divina che in essa un discendente di Davide sa­ rebbe sempre stato sul trono3 • Negli anni precedenti l'esilio, questi convincimenti su Gerusalemme e la sua invincibilità erano diventati così forti che il profeta Geremia rischiò di essere giustiziato per aver preannunciato, proprio in quel periodo, la distruzione del tempio. Si salvò solo perché qualcuno ricordò che il profeta Michea aveva profetizzato qualcosa di simile un secolo prima. Alla fine, come si è ricordato, risultò che Geremia era nel giusto: Gerusalemme fu distrutta, il re davidico Ioiachìn imprigionato, i capi di Giuda condotti nella lontana Babilonia, forse per non fare mai più ritorno. I fondamenti preesistenti della identità collettiva giudaita erano spezzati.

2 Per un quadro ricco di sfumature sulle zone lasciate relativamente intatte dall'of­ fensiva babilonese, cf O. LIPSCHITS, Shedding New Light on the Dark Years o/ the 'Exilic Period'. New Studies, Further Elucidations, an d Some Questions Regarding the Archaeo­ logy of]udah as an 'Empty Land', in KELLE - AMEs - WRIGHT (edd .), Interpreting Exile, cit ., 57-90. 3 Per lo studio di come la " distruzione" di queste convinzioni essenziali sia un aspetto centrale del trauma, c/ ]ANOFF-BULMAN, Shattered Assumptions, cit. Per una critica di come Janoff-Bulman descrive tale distruzione, cf spec. P. BRACKEN , Trauma. Culture, Meaning, and Philosophy, Whurr, London 2002.

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Grida di dolore dopo la distruzione

n testo biblico conserva il grido di quanti si trovarono ad affron­

tare questa catastrofe. Un intero libro biblico, quello delle Lamenta­ zioni, piange la distruzione di Gerusalemme e inizia, infatti, con una esclamazione sulla caduta della città, personificata da una donna: Ah ! come sta solitaria la città un tempo ricca di popolo ! È divenuta come una vedova, la più grande fra le nazioni; un tempo signora tra le province, è sottoposta a lavori forzati (Lam 1 , 1 ) .

Il resto del libro alterna illustrazioni della Gerusalemme devastata a testi poetici in cui la donna, simbolo della città, grida il proprio dolore: Guarda, YHWH, quanto sono in angoscia; le mie viscere si agitano, il mio cuore è sconvolto dentro di me, poiché sono stata veramente ribelle. Di fuori la spada mi priva dei figli, dentro è come la morte ( 1 ,20) .

L'esclamazione «sono stata veramente ribelle» è solo uno dei nu­ merosi luoghi in cui il testo scritto in questo periodo manifesta il senso di autocolpevolizzazione tipico dei soprawissuti al trauma. Proprio come Osea aveva incolpato Israele per gli attacchi degli As­ siri e come Giosia e i suoi scribi avevano rimproverato Giuda per gli anni di oppressione assira, analogamente, dopo la distruzione di Ge­ rusalemme, i Giudaiti si rimproverarono per la loro fine disastrosa. Le Lamentazioni non hanno un lieto fine. È uno dei pochi libri biblici che si conclude con una domanda: Perché ci vuoi dimenticare per sempre? Perché così a lungo ci hai abbandonati?

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70 Facci ritornare a te, YHWH, e noi ritorneremo; rinnova i nostri giorni come in antico, a meno che tu ci abbia rigettati per sempre e senza limite tu sia sdegnato contro di noi (5 ,20-22) .

È lo stesso lamento che si ritrova nel libro dei Salmi, questa vol­ ta per la perdita della regalità davi dica: l'autore giudaita conclude un'antica collezione di salmi lamentando questo danno nel Sal 89. Vincipit dell'inno è fiducioso e rivisita le antiche promesse fatte da Dio a Davide di preservarne la dinastia: «Stabilirò la tua discendenza in eterno ed edificherò il tuo trono di generazione in generazione» (Sal 89,4s.). Il resto del salmo mostra però come l'attacco babilonese abbia poi infranto ogni fiducia nella protezione divina della linea davidica. n salmista grida a Dio: «Hai fatto cessare il suo splendore e hai rovesciato a terra il suo trono. Hai abbreviato i giorni della sua giovinezza, l'hai coperto di vergogna» (89,45s. ) . n salmista esiliato affronta Dio con ulteriori domande: «Fino a quando, o YHWH, con­ tinuerai a tenerti nascosto, arderà per sempre come fuoco la tua ira?» (89,47) . Si conclude infine con un riferimento diretto alla promesse che Dio ha infranto: «Signore, dov'è la tua antica bontà che nella tua fedeltà giurasti a Davide?» (89,50). La fiducia collettiva nei rapporti di protezione divina, nutrita dalla gente di Giuda, era andata a pezzi. Inoltre l'esilio li aveva messi a dura prova, essendosi adesso interrotta ogni percezione del legame con la loro terra e la loro città: quelle migliaia di Giudaiti dell'alta società condotti in esilio avevano sempre vissuto in Giuda; molti avevano trascorso tutta la vita a pochi chilometri da Gerusalemme, mentre ora si trovavano insediati in aree spopolate di Babilonia, di­ spersi fra colonie di esiliati quali "Tel-Aviv" e "la città di Giuda"4• 4 Tel-Aviv è un insediamento babilonese di Giudaiti citato in Ez 3 ,22 . La "città di Giuda" è un altro insediamento di Giudaiti a Babilonia, ricordato in numerosi docu­ menti legali di esuli giudaiti scritti in caratteri cuneiformi e scoperti recentemente. Per una prima esposizione di questi ritrovamenti, c/ L. PEARCE, New Evidence /or ]udeans in Babylon, in O. LIPSCHITS - M. 0EMING (edd.), Judah and the ]udeans in the Persian Period, Eisenbrauns, Winona Lake!IN 2007, 3 99-4 12; una loro più ampia pubblicazione

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In passato questi esuli erano stati sacerdoti, ufficiali e notabili, gente privilegiata di Giuda: ecco la ragione per cui erano stati deportati dai Babilonesi. Ora, stranieri in un paese sconosciuto, cercavano di so­ pravvivere, sopportando lo scherno degli aguzzini babilonesi. Questi esiliati avevano subìto le stesse esperienze - distruzione della capitale, fine della monarchia, esilio - che un secolo prima avevano posto fine alla loro nazione sorella, Israele, e nessun segno faceva chiaramente presagire che il loro destino in Babilonia sarebbe cambiato. Il loro grido echeggia nelle parole del Sal 13 7 , divulgato nel 197 O dallo spiritual dei Melodians intitolato Rivers of Babylon5; nel testo biblico un gruppo di esuli manifesta imbarazzo e rabbia nel subire lo scherno degli oppressori babilonesi: Sui fiumi di Babilonia, là sedevamo piangendo al ricordo di Sion. Ai salici di quella terra appendemmo le nostre cetre. Là ci chiedevano parole di canto coloro che ci avevano deportato, canzoni per divertirsi, i nostri oppressori: «Cantateci i canti di Sion ! » . Come cantare i canti di YHWH in terra straniera? Se ti dimentico, Gerusalemme, si paralizzi la mia destra; mi si attacchi la lingua al palato, se lascio cadere il tuo ricordo,

in L. PEARCE - C. WuNSCH, Documents o/Judean Exiles and West Semites in Babylonia, Capitai Decisions Ltd, Bethesda/MA 2014. 5 [ È appena il caso di ricordare, a beneficio del lettore italiano, che il coro Va', pensie­ ro dell'opera lirica di Giuseppe Verdi Nabucodonosor è pure ispirato (nel testo ad opera di Temistocle Solera) al Sa/ 137: «Va', pensiero, sull'ali dorate; l Va', ti posa sui clivi, sui colli, l Ove olezzano tepide e molli l L'aure dolci del suolo natal ! l Del Giordano le rive saluta, l Di Sionne le torri atterrate l Oh mia patria sì bella e perduta! l O membranza sì cara e fatal ! l Arpa d'or dei fatidici vati, l Perché muta dal salice pendi? l Le memorie nel petto riaccendi, l Ci favella del tempo che fu! l O simile di Solima ai fati l Traggi un suono di crudo lamento, l O t'ispiri il Signore un concento l Che ne infonda al patire virtù ! » (N.d. T. ) ] . . . .

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se non metto Gerusalemme al di sopra di ogni mia gioia (Sa/ 137 , 1 -6).

Proprio la memoria di Gerusalemme era quel che legava fra loro gli esuli giudaiti, anche se essi vivevano nelle diverse città della Me­ sopotamia centrale. La maggior parte di loro non tornò mai: morì in terra straniera. In un mondo in cui l'aspettativa di vita degli adulti si aggirava in media sui trent'anni, l'arco dei cinquant'anni di esilio forzato in Babilonia si protrasse per più di una generazione, con il ri­ sultato che solo una manciata di esuli ebbe la possibilità di ritornare. Quando Babilonia cadde, i «figli dell'esilio» (come essi si definivano) erano per lo più figli di coloro che un tempo avevano vissuto in Giu­ da. Erano "esuli" che non avevano mai visto la loro madrepatria, uniti tra loro da un unico legame: la memoria di Gerusalemme e della terra d'Israele, spesso trasmessa solo dai ricordi dei genitori.

Scrivere in esilio,

ma

non dell'esilio

Si è letto sopra delle grida di dolore dei Giudaiti a seguito della distruzione di Gerusalemme. Eppure la Bibbia mostra una sorpren­ dente carenza quando si tratta di narrare il tipo di vita che conduce­ vano durante l'esilio. I libri dei Re si concludono con i racconti sulla devastazione di Gerusalemme e l'inizio dell'esilio babilonese, ma la narrazione non riprende fino alla disfatta dei Babilonesi e alla dichia­ razione del re persiano Ciro che consente ai Giudaiti di ritornare per cominciare a ricostruire Gerusalemme (Esd l ,2s. ll 2 Cr 3 6,23 ) . L'unico episodio esilico registrato è un frammento di tre versetti sulla fine della cattività del re esiliato Ioiachìn (2 Re 25 ,27 -29) . L'esilio rimane pertanto un buco nero nella tradizione biblica: solo centinaia di anni più tardi i Giudei cominceranno a scrivere le storie di figure esiliche come Daniele (Dn 1-6) , ma l'esilio rimarrà una lacuna nel bel mezzo della storia biblica.

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Questo vuoto può essere la spia di quel che fu il vero trauma del­ l'invasione babilonese. La distruzione di Gerusalemme fu di certo devastante, come testimonia per esempio il libro delle Lamentazioni. La perdita del regno davidico fu pure dolorosissima, pur rimanendo la speranza di una sua possibile restaurazione. Eppure né il primo né il secondo di questi eventi furono così traumatici da non poterne scrivere: la Bibbia narra la caduta di Gerusalemme, come pure ri­ porta le cronache della graduale dissoluzione del regno davidico. Si trattò di fatti che gli antichi Giudaiti furono in grado di esporre: per quanto dolorosi, quegli autori potevano parlarne adottando i generi del lamento a loro disposizione. Al contrario, la vita reale degli esiliati consistette effettivamente in un traumatico "terrore muto " , fu una "storia senza un dove " . Pertanto, gli esuli giudaiti non integrati, non assimilati, i quali ancora piangevano «al ricordo di Sion», non fecero parola della vita a Babilonia nemmeno una volta rimpatriati6• Tuttavia, nonostante questa eclatante lacuna storica sull'esilio, l'Antico Testamento è in larga parte una collezione di scritti raccolti da questi esuli giudaiti e dai loro discendenti. Dopo tutto, le classi dirigenti di Giuda allontanate dai Babilonesi a più riprese erano pro­ prio le tipiche persone colte del mondo antico: sacerdoti, funzionari, burocrati e corte regia. In precedenza, solo una piccola minoranza della popolazione giudaita preesilica era colta. In esilio, invece, le élite istruite di Giudaiti deportati in Babilonia nel 597 e nel 586 a. C. avevano livelli culturali molto più elevati. In un sol colpo, re Nabu­ codonosor aveva creato una comunità di esuli giudaiti dotata di una cultura insolitamente elevata. All'insaputa del sovrano, questa esigua comunità giudaita sarebbe stata l'incubatrice per un corpus di scritti destinati a durare ben più a lungo del suo impero. Nei decenni successivi la mano dell'impero di Babilonia riuscì ad estendersi fino all'Egitto, verso occidente, e fino alla Persia, verso oriente. TI tempio della dèa babilonese Ishtar diven6 Per una più ampia analisi della letteratura sulla "dimenticanza" collettiva di eventi traumatici, vedi sotto l'Appendice.

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ne una meraviglia esaltata per secoli e i testi babilonesi furono i gio­ ielli della biblioteca mesopotamica. Tuttavia, meno di cinquant'anni dopo la caduta di Gerusalemme, Babilonia venne conquistata da Ciro il Grande (53 8 a.C.) e nel volgere di pochi secoli le tavolette delle biblioteche di Babilonia vennero sepolte nella sabbia, i suoi testi e la sua lingua dimenticati. Come molti popoli vittime di traumi, gli esuli giudaiti raggiunge­ vano intanto una autocomprensione radicalmente nuova, la quale sarebbe poi sopravvissuta all'impero babilonese e a quelli successivi. La Bibbia ebraica ospita il precipitato del loro lavoro, tanto che prati­ camente ogni libro mostra l'impatto dell'esilio babilonese. Fu questo, per esempio, il tempo in cui le più antiche profezie sul giudizio, come quelle di Amos, Michea e Osea, suscitarono l'interesse comune di un popolo esiliato impegnato a comprendere ciò che gli era accaduto. Mferrati dal senso di autocolpevolizzazione endemica per il trauma subìto, gli esuli presero sul serio questi profeti del giudizio un tempo emarginati, e capirono l'esilio come giudizio promesso da Dio a causa dei loro peccati. Di più, la narrazione di Giuda circa la distruzione di Israele e la sopravvivenza di Giuda stesso grazie al regno di Gio­ sia dovette essere modificata alla luce della successiva distruzione di Gerusalemme. Non sarebbe stato opportuno far terminare i libri dei Re, come verosimilmente terminavano in origine, con l'alleanza fra Giosia e Dio, la purificazione di Gerusalemme e del territorio circostante, e la celebrazione della Pasqua. Perciò, per fornire una risposta, gli autori giudaiti in esilio aggiunsero una finale ai libri dei Re, affermando che, in fin dei conti, anche la grande fedeltà di Giosia non era stata sufficiente a compensare le azioni peccaminose com­ messe prima di lui da suo padre, Manasse7.

7 C/ il cit. }ANZEN, Violent Gi/t, che individua queste e altre increspature presenti in Deuteronomio - 2 Re, alcune delle quali possono essere ricondotte (contro Janzen) a tentativi esilici di ampliare questi testi con spiegazioni dell'esilio, ampliamenti che solo parzialmente si adattano al contesto in cui ricorrono e che talvolta sono tra loro discordanti.

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Ezechiele, sacerdote in esilio e profeta

Gli esuli di Giuda, tuttavia, non si limitarono a modificare prece­ denti collezioni profetiche e racconti, ma crearono pure testi nuovi che rispecchiavano la loro lotta con l' autocolpevolizzazione. Ciò è particolarmente evidente nel libro biblico dedicato a Ezechiele, un sacerdote deportato in Babilonia con la prima ondata di esuli, die­ ci anni prima della distruzione di Gerusalemme. Un capitolo dopo l'altro, il profeta rivela i peccati del popolo, ritraendo vividamente le colpe della città e dei suoi esiliati. Ezechiele profetizza, per esempio: Lascerò alcuni di voi scampati alla spada in mezzo alle genti, quando vi avrò dispersi nei vari paesi: i vostri scampati [gli esuli] avranno orrore di se stessi per le iniquità commesse e per tutte le loro nefandezze. Sapranno allora che io sono YHWH e che non ho minacciato invano di infliggere loro questi mali (E:z 6,8- 10).

Gli esuli giudaiti dovettero trovare piuttosto problematico ascol­ tare l'autocolpevolizzazione presente in questo e in altri brani. Nel contempo, il profeta offrì ai suoi contemporanei una soluzione che desse un senso all'accaduto, consentendo loro di interpretare la di­ struzione di Gerusalemme e l'esilio in modo che YHWH fosse sempre considerato avere in pugno la situazione, senza presumerne l'impo­ tenza o l'indifferenza. L'esilio non si rispecchiò tuttavia solo nei discorsi di Ezechiele, ma ebbe un impatto evidente anche nelle sue insolite azioni. Nel corso degli anni, gli studiosi hanno sin troppo rapidamente diagnosticato al profeta i disturbi mentali del loro tempo, essenzialmente a causa di comportamenti e visioni all'apparenza tanto assurdi: sdraiarsi su un fianco per 3 90 giorni (4 , 1 - 17 ) , radersi i capelli con la spada e bruciarli (5 , 1 -4), "viaggi " spirituali a Gerusalemme, in modo da far ritorno al luogo dal quale era stato esiliato (8-1 1 ) e immagini por­ nografiche delle ipersessuali " Samaria" e "Gerusalemme" ( 1 6 e 23 ) . Ogni generazione di biblisti h a veduto in Ezechiele una patologia

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diversa - isteria, schizofrenia e, più recentemente, disturbo da stress post-traumatico (posttraumatic stress disorder, PTSD)8• Ovviamente non c'è modo di sapere di che cosa soffrisse Eze­ chiele, ma è chiaro che le sue azioni simboleggiavano un più ampio trauma subito dagli esuli in Babilonia. Per esempio, subito dopo aver appreso dell'attacco di Babilonia contro Gerusalemme, egli profetizza l'incombente distruzione della città per poi saltare subito ad altro argomento: la morte di sua moglie. Afferma che Dio gli ha annunciato che sua moglie, «il diletto dei [suoi] occhi», sarebbe pre­ sto morta e gli ha comandato di non fare cordoglio per lei. Quando la moglie muore, Ezechiele non la piange, per cui la gente intorno a lui gli chiede ragione di un comportamento così insolito: «Non vuoi spiegard che cosa significa quello che tu fai [di tanto assurdo] ?». Il profeta annuncia loro che stanno per perdere Gerusalemme, «orgo­ glio della loro forza, delizia dei loro occhi e amore delle loro anime», insieme ai loro figli (24,20s.). Poi comunica che, quando ciò accadrà, anch'essi non porteranno il lutto, ma resteranno ammutoliti dalla gravità dei loro misfatti. La profezia si conclude quando Dio spiega al profeta che lui, personalmente, sarà un "segno " per il popolo: e il se­ gno sta appunto nel suo rimanere paralizzato alla morte della moglie. L'inosservanza del lutto da parte di Ezechiele ha turbato per secoli gli interpreti, ma questa vicenda costituisce la vivida immagine della paralisi psichica degli esuli9: quando Gerusalemme è in cenere e i Giudaiti sono a Babilonia, essi «non si velano fino alla bocca, non mangiano il pane del lutto. Hanno i loro turbanti in capo e i sandali ai piedi: non fanno il lamento e non piangono» (24 ,22s.). Come il R D. GARBER, Traumatizing Ezekiel. Psychoanalytic Approaches to the Biblica! Prophet, in J.H. ELLENS- W.G . ROLLINS (edd.), Psychology and the Bible. A New Way to Read the Scriptures, Il: From Genesis to Apocalyptic Vision, Praeger Press, Westport/CT 2004 , 2 15-220. 9 n brano che segue mi fu indicato per la prima volta dal saggio inedito di K. GoRE, Ezechiel and Exile. A Study in Invidual and Community Trauma, 2013, studentessa del corso su Trauma and the Bible tenuto nell'autunno del 2012 allo Union Theological Seminary (citazione autorizzata) . Si veda pure P. JoYCE, Ezechiel. A Commentary, T&T Clark, New York 2008, 168, che è fra quanti vedono il trauma collettivo che si rispecchia nel libro di Ezechiele (3 ,80).

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profeta di cui narra il libro, questi esiliati si trovano a sperimentare un tipo di "morte in vita " tipica della popolazione che subisce un trauma10• Ezechiele incarna come individuo lo stordimento psichico provato dal popolo a seguito della distruzione di Gerusalemme. Con questo resoconto su un singolo individuo i Giudaiti esuli in Babi­ lonia descrissero il loro conflitto collettivo per piangere quel lutto. Come molti sofferenti, essi si dissociarono dalla propria esperienza e, incapaci di raffìgurarla in modo esplicito, trovarono in Ezechiele il loro io collettivo traumatizzato. Ciò fu per loro il " segno" che Dio manteneva il proprio ruolo nel loro mondo.

Geremia e la figlia di Sion nelle Lamentazioni

Geremia, contemporaneo di Ezechiele, fu l'altro profeta maggiore attivo durante il primo esilio. Pur essendo rimasto a Gerusalemme, servì anch'egli da simbolo della indicibile sofferenza del popolo. Mentre Ezechiele subì la perdita della moglie, Geremia percorse una lunga, sofferta carriera di rifiuto e isolamento a causa della se­ verità delle sue profezie. Negli anni che precedettero la distruzione di Babilonia, la sua voce impopolare fu la sola a criticare le strategie antibabilonesi e @oegiziane degli ultimi re di Giuda. Venne deriso, imprigionato in una fossa e quasi ucciso. In una sua profezia narra di come cercasse di smettere di annunciare il suo sgradito messaggio, ma «nel suo cuore c'era come un fuoco ardente, chiuso nelle sue ossa; si sforzava di contenerlo, ma non poteva» (c/ Ger 20,9). Può darsi che le sue profezie, dapprima emarginate, venissero poi accolte nelle Scritture in parte perché il suo detestato annuncio di

10 L' espressione " morte in vita" è tratta dal classico studio s ul trauma, condotto a seguito del bomb ardamento di Hiroshima, R.J. LIFTON, Death in Li/e. Survivors of Hiroshima, Basic Books, New York 1967 ; si veda spec. come egli espone le sensazioni di morte in vita provate dai sop ravvissuti (ibid., 207 ) . ERIKSON, Notes on Trauma and Community, cit . , 1 86, presenta alcune citazioni in tal senso.

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distruzione si era realizzato; forse, però, c'è di più. Nel testo, il tenore della narrazione biografica su Geremia e l'accento posto sui lamenti per la sua dolorosissima esperienza sono anomali. Le sue lamentazio­ ni, così evidenti, gli valgono infatti l'appellativo di "profeta piangen­ te" . Tuttavia, come Ezechiele era rimasto paralizzato alla perdita della «delizia dei suoi occhi», così la sofferenza di Geremia rispecchiava quella del popolo. Gli esuli lessero e ampliarono il suo libro, perché egli rappresentava personalmente la sofferenza del loro io collettivo: come Ezechiele, egli diede loro modo di dissociarsi dal loro stesso dolore fino a poterne parlarne in terza persona. Concentrandosi non solo su parole profetiche, ma anche su persone profetiche sofferenti quali Geremia ed Ezechiele, gli esuli a Babilonia riuscirono a parlare del! dei loro io traumatizzato/i in sicurezza e con distacco. Un fenomeno analogo si riscontra, come si diceva, nel libro delle Lamentazioni. Qui l'attenzione si appunta sulla «figlia di Sion» quale personificazione delle sofferenze dei deportati di Giuda e Gerusa­ lemme. Sebbene in una precedente profezia isaiana ricorresse un breve riferimento alla «figlia di Sion» (Is 1 , 1 8) , nelle Lamentazioni ella assurge invece a personaggio significativo, che piange sui suoi figli perduti, gridando ripetutamente a Dio. A differenza degli esempi di Ezechiele e Geremia, questa figura della "Figlia Sion " sofferente è di genere femminile. N ella misura in cui le donne nel mondo antico (come nell'attuale) erano più vulnerabili al trauma, il genere femmini­ le dell'icona della Figlia Sion ne fece un'espressione particolarmente efficace della sofferenza dell'io dissociato degli esuli babilonesi.

Conforto per gli esuli nel Deuterolsaia

Simboli della sofferenza esilica nei profeti e nella «figlia di Sion» sono le grida che si levano dall'esilio e la disperazione di cui si è detto sin qui. Agli esiliati occorreva però più di questo. All ' autocolpevo­ lizzazione, spesso compagna della sofferenza, occorreva affiancare

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la speranza11• Proprio la speranza, infatti, è presente nei rassicuranti presagi tipici degli ampliamenti esilici di precedenti profezie di con­ danna. Uno degli esempi migliori lo si rinviene nell'ampliamento di una più antica collezione di profezie isaiane (c/. fs 1-32) ottenuto con nuove profezie redatte nel corso degli ultimi anni dell'esilio (fs 40-55 ) . Già due secoli or sono gli studiosi riconobbero che questi capitoli non era­ no stati scritti da "Isaia", profeta dell'VIII secolo, bensì da un anoni­ mo profeta in esilio. Questo "secondo Isaia" , ripensando al giudizio di Dio su Giuda, incoraggiò gli esuli a confidare nel disegno di salvezza divino, facendo il nome di Ciro, re di Persia, come loro liberatore (fs 45, 1 -5). La sua profezia, espressa alla vigilia della sconfitta dei Babi­ lonesi ad opera dei Persiani, è una chiave preziosa all'autocompren­ sione degli esiliati, vissuti per decenni lontani dalla patria. Il profeta, rivolgendosi al popolo giudaita esule e disperato, lo rassicura. Il suo oracolo si apre infatti con l'incarico divino che recita: «Consolate, consolate il mio popolo» (40, 1 ) , per concludersi con la promessa agli esuli: «Voi dunque partirete con gioia [da Babilonia] , sarete condotti in pace» (55 , 12). Queste e molte altre espressioni di speranza nei capp. 40-55 di Isaia appuntavano l'attenzione sul recupero della fiducia in Dio e nel mondo che era stato danneggiato dall' esilio12• Queste espressioni confortanti si rivelarono di vitale importanza subito dopo la distruzione di Gerusalemme e l'esilio dei superstiti. Il profeta Ezechiele, deportato anch'egli, aveva citato le parole degli esiliati: «Le nostre ossa sono inaridite, la nostra speranza è svanita, 11 Una analisi degli studi sul trauma collettivo in molte culture contemporanee indica nella «conservazione della speranza» uno dei «cinque elementi essenziali» per il risana­ mento di gruppo d al trauma di massa; cf S.E. HoBFOLL et all., Five Essential Elements o/Immediate and Mùl-Term Mass Trauma Intervention. Empirica! Evidence, in Psychiatry 7014 (2007) 298-3 00. Ritengo che questa conclusione, pur basata su studi riguardanti traumi contemporanei, possa incidere sulle ipotesi riguardanti il trauma antico e il suo risanamento. 12 Per dirla con le parole di uno specialista del trauma collettivo, «uno dei traguardi dell'infanzia più difficili da conseguire e più fragili è la fiducia di fondo; tale fiducia può essere irrimediabilmente danneggiata dal trauma»: ERIKSON, Notes on Trauma and Community, cit., 197.

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noi siamo perduti» (Ez 3 7 , 1 1 ) , e ancora: «l nostri delitti e i nostri peccati pesano sopra di noi e in essi noi ci consumiamo ! In che modo potremo continuare a vivere?» (33 , 1 0 ) . Non solo erano sfiduciati verso se stessi, ma dubitavano pure che Dio si desse ancora premura di loro: alla fine delle Lamentazioni, Sion piange perché YHWH l'ha abbandonata (Lam 5 ,20); ed Ezechiele cita le parole degli anziani: «YHWH ha abbandonato il paese; YHWH non vede» (Ez 9,9) . Le stesse immagini dell'amore di Dio, adottate un tempo da Osea per rincuo­ rare gli Israeliti di fronte agli Assiri, si erano trasformate in figure di pura violenza divina di genere. Due lunghi capitoli di Ezechiele ( 1 6 e 23 ) si diffondono nel ritrarre la femmina Gerusalemme punita con violenza da YHWH per la sua sessualità dissoluta. Queste profezie di Ezechiele, tra i testi più spinosi dell'intera Bibbia ebraica, raffigurano YHWH come despota misogino che terrorizza il popolo, un tempo da lui amato, come una indegna "prostituta" . Tuttavia, un confortante contrappunto a tali testi spaventosi venne offerto agli esuli dalla più recente profezia del Deuterolsaia. L'Iddio che lì parla dice a Sion: «Non temere, perché non dovrai più arros­ sire», e insiste: «Dimenticherai la vergogna della tua giovinezza» (Is 54,4). L'Iddio qui annunciato riconosce la disperazione che l'esilio ha suscitato - «per un breve istante ti ho abbandonata» -, ma promette tempi migliori a venire - «ti riprenderò con immenso amore». O an­ cora: «In un impeto di collera ti ho nascosto per un poco il mio volto; ma con affetto perenne avrò pietà di te» (Is 54,7s. ) . Tali promesse di restaurazione echeggiano ancora Osea e questo ritratto isaiano del furore e del rimorso divini suona stranamente simile al ciclo di abusi che molte donne del passato e del presente hanno subìto nella loro vita. Ormai tuttavia, diversamente dal tempo di Osea, gli esuli giudaiti avvertivano di avere molto in comune con le donne mal tra t­ tate: vivevano, così sembrava, in un universo dominato da un Dio che poteva usare loro violenza, per cui quelle immagini li aiutavano a dare un senso al loro mondo. Questa convinzione circa il controllo divino sulla storia del mondo portò ad un altro sviluppo che si verificò durante l'esilio: si affermò

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una forma di monoteismo più pura della precedente. L'unica esigen­ za del monoteismo di Osea e Giosia era stata che Israele adorasse solo YHWH; nulla diceva circa la realtà degli altri dèi. I capp. 40-55 di Isaia, al contrario, sono il primo testo biblico databile che nega persino l'esistenza di altre divinità: YHWH è il solo e unico Dio, colui che ha punito Giuda mediante Babilonia; YHWH, e YHWH soltanto, è colui che ha chiamato il re persiano, Ciro, per liberare dall'esilio il popolo di YHWH (Is 45 , 1 -5 ) . Gli altri dèi sono tutti un'impostura. Il Deuteroisaia ridicolizza il culto delle immagini babilonesi deridendo l'artigiano che, preso un tronco d'albero, ne usa la metà per accen­ dere il fuoco e l'altra per intagliare una effigie divina cui rivolgere poi la sua preghiera, dicendo: «Salvami, perché sei tu il mio dio ! » (Is 44 ,13 - 1 7 ) . Per il Deuteroisaia non c'è nell'intero universo alcun altro dio vero tranne YHWH e il mondo extragiudaita delle statue e delle immagini sacre è falso13• Il Deuterolsaia offre infine confortanti annunci divini non ad una, bensì a due figure simboleggianti la sofferenza esilica. Analogamente alle Lamentazioni, l'anonimo profeta parla anzitutto della «figlia di Sion» personificandone l'immagine. Cita pure brani delle Lamen­ tazioni mentre cerca di porgere confortanti parole di speranza ai Giudaiti che, a questo punto, erano rimasti in Babilonia per decenni. Mentre, però, nelle Lamentazioni la «figlia di Sion» piange perché «nessuno le reca conforto» ( 1 ,2. 9. 16), la profezia del Deuterolsaia annuncia che Dio chiama alla «consolazione» e «parla al cuore» di Gerusalemme (Is 40, 1 s . ) . Mentre la «figlia di Sion» lamentava di es­ sere stata abbandonata da Dio (Lam 5 ,20) , il Deuteroisaia ne ricorda il gemito, ma risponde con la visione di Dio quale madre amorevole che mai può dimenticare i suoi figli (Is 49,14-2 1 ) . L'attenzione del Deuteroisaia si appunta ancora sulla «figlia di Sion», vivida rappresentazione del dolore e dello sconforto esilici, ma, rispetto alle Lamentazioni, questa figura non è più del tutto dis13

1 93 .

Per uno studio, cf SMITH, The Origins o/ Biblica! Monotheism, cit., 153s. e 179-

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sociata dal popolo che simboleggia. Anzi, le parole rivolte alla «figlia di Sion» in Is 49 si mutano impercettibilmente in appello agli stessi esiliati (50, 1 -3 ) , proprio come quando, poco dopo, il discorso passa dalla «figlia di Sion» (52, 1 -9) alla comunità esilica (52 , 10-12). Redatta intorno alla fine della vita coatta dell'esilio in Babilonia, la profezia del Deuteroisaia rappresenta dunque per i Giudaiti di laggiù un pas­ so verso il risanamento. È a questo punto che la metafora della "Figlia Sion " comincia ad essere associata agli esuli cui si rivolge. Questo allontanamento dal semplice uso della terza persona per la «figlia di Sion» nei capp. 40-55 di Isaia indica una forma di guarigione14: gli esuli sono ora in grado di considerare se stessi come «figlia di Sion». La profezia del Deuteroisaia presenta inoltre una seconda figura rilevante, quella del «servo di YHWH», simboleggiante sia la sofferen­ za sia la speranza degli esuli di Babilonia. Analogamente alla «figlia di Sion», l'enigmatica immagine del «servo» mostra un individuo che simboleggia la comunità. All'inizio della sezione di Isaia attribuita al secondo Isaia, rivolgendosi alla collettività di Giacobbe/Israele come al suo servo, Dio dice: «Ma tu, Israele mio servo, tu, Giacobbe che ho scelto, discendente di Abramo, mio amico, [ . . . ] ti ho detto: "Mio servo tu sei, io ti ho scelto, non ti ho rigettato"» (Is 4 1 , 8 s.). La profezia esilica prosegue parlando tuttavia di un servo che a tratti sembra essere un individuo in seno alla comunità. In 42 , 1 -4 ricorre il primo dei numerosi "canti del servo " isaiani in cui Dio pre­ senta un servitore che parrebbe ignoto al pubblico del testo: «Ecco il mio servo che io sostengo, il mio eletto di cui mi compiaccio. Ho posto il mio spirito su di lui; egli porterà il diritto alle nazioni» (42 , 1 ) . Lo stesso personaggio parla in seguito della sua missione: « [Dio] mi ha detto: "Mio servo tu sei, Israele, nel quale manifesterò la mia glo­ ria"» (49,3 ) . Qui sembra tornare di nuovo l'identificazione del servo con la comunità di Israele, ma ciò che egli dice subito dopo sugge-

1 4 Per lo studio del problema della dissociazione e della reintegrazione terapeutica, cf C. CARUTH, An Interview with Robert ]. Li/ton, in EAD. (ed . ) , Trauma. Explorations in Memory, cit., 137.

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risce che la sua missione personale è di restaurare Israele: «Ora dice YHWH, che mi ha plasmato suo servo dal seno materno, di ricondurre a lui Giacobbe e a lui riunire Israele» (49,5 ) . Dopo qualche verset­ to si legge che questo servo è stato rifiutato proprio come lo erano stati i profeti prima di lui. Egli attesta infatti la propria sofferenza, dicendo: «Ho presentato il dorso ai flagellatori, la guancia a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi» (50,6) . Pur tuttavia egli insiste ancora sulla sua redenzione finale: «So che non resterò deluso. È vicino chi mi rende giustizia. [ . . . ] Ecco, il Signore YHWH mi assiste» (50,8s. ) . L'ultimo " canto del servo" (52, 13-53 , 12) delinea infine lo stupore altrui per come Dio ha ristabilito questo servo sofferente. All'inizio Dio esclama che «il suo servo avrà successo», e un successo tale da stupire i «re» e le «genti» (52 , 13 - 15 ) . Il testo poetico presenta poi le parole di un gruppo, forse i «re» e le «genti» stesse, che si meravi­ gliano per quanto è accaduto al servo: Chi avrebbe creduto a ciò che abbiamo udito? A chi sarebbe stato manifestato il braccio di YHWH? [ . . . ] Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia, egli era disprezzato e noi non ne avevamo alcun riguardo (53 , 1 .3 ) .

I l gruppo giunge tuttavia alla impressionante convinzione che quest'uomo sofferente, che si riteneva maledetto da Dio, in realtà sopportava quella punizione per i loro peccati: Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato. Ma egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità; il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui e per le sue piaghe noi siamo stati guariti. Noi tutti eravamo sperduti come un gregge,

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ognuno di noi seguiva la sua strada; YHWH fece ricadere su di lui l'iniquità che apparteneva a noi tutti (53 ,4-6).

Il testo prosegue narrando i parimenti concreti sofferti in silenzio da questo «servo» che fu «tolto di mezzo» da una «ingiusta senten­ za», «eliminato dalla terra dei viventi» e «sepolto in una tomba per gli empi», sebbene non avesse commesso violenza né fosse coinvolto in alcuna falsità (53 ,7-9). Il poema si chiude affermando che Dio lo ristabilirà e citando la promessa divina secondo la quale i parimenti del servo espieranno i peccati degli altri, in modo molto simile al sacrificio attuato nel tempio: Ma YHWH volle prostrarlo con dolori. Quando offrirà se stesso in espiazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo la volontà di YHWH [ . . . ] . Il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà la loro iniquità. Perciò io gli darò in premio le moltitudini, dei potenti egli farà bottino, perché ha consegnato la sua vita alla morte ed è stato annoverato fra gli empi, mentre egli portava il peccato di molti e intercedeva per i peccatori (53 , 1 0 - 1 2 ) .

Il canto del servo sofferente è uno dei più famosi, ma anche più discussi, carmi biblici. I primi cristiani vi hanno veduto una profezia della crocifissione, la quale narrava che Gesù avrebbe «portato il pec­ cato di molti» e che la sua morte sarebbe stata un «sacrificio di espia­ zione» del peccato. I Giudei hanno inteso il servo del poema in senso collettivo: l'intero popolo d'Israele. L'erudizione storica recente non è riuscita a risolvere il problema. Proprio quando uno studioso trova delle ragioni per vedere nel "servo" un individuo, un altro sostiene che si tratta invece della comunità. Da un lato, il " servo" in Isaia parla per se stesso (49 , 1 -6; 50,4-9) e sembra avere concrete esperienze di sofferenza come singolo - insultato per il suo messaggio, rifiutato per

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il suo aspetto esteriore, sottoposto a iniqui procedimenti giudiziari. Dall'altro lato, lo stesso libro identifica ripetutamente il " servo " con l'intera comunità d'Israele (4 1 ,8s. ; 49,3 ) . Come si può spiegare questo insieme d i elementi, alcuni in favore dell'idea di un individuo come servo sofferente e altri a sostegno della concezione per cui il servo sofferente è il popolo? Seguendo l'indicazione di Caroline Perry, mia studentessa, propongo di adot­ tare la teoria del trauma per accogliere entrambe le alternative15• È vero che per certi versi Is 40-55 parla di un individuo sofferente, probabilmente un profeta come Geremia, afflitto per il suo appello inascoltato e rifiutato dalla gente intorno a lui. Questo personaggio, come altri profeti della Bibbia ebraica, afferma di aver ricevuto da Dio l'incarico (Is 42 , 1 -9; 49,1 -6) di annunciare un messaggio che, come quello di molti altri profeti, si era rivelato inizialmente impo­ polare. Tuttavia, come nel caso di Geremia ed Ezechiele, gli esuli giunsero a vedere la loro propria sofferenza in quella dell'anonimo profeta esilico, sicché parlare della sofferenza sua consentì loro di esprimere la sofferenza loro, gestendola con sicurezza. In tal modo il servo sofferente coincideva con la comunità sofferente degli esiliati. Egli incarnava la loro tribolazione e la loro agognata restaurazione. Si è visto che gli esuli non esprimevano con facilità l'esperienza della loro sofferenza, ritraendola spesso mediante figure quali la " Figlia Sion" o i profeti tribolati. Il "servo" di cui parla la profezia esilica di Is 40-55 è un vivido esempio di tale ripensamento sulla comune sofferenza espresso mediante i carmi su quell'esule profeta sofferente destinato a rimanere per sempre senza un nome. I testi di storia delle religioni si concentrano spesso sul passaggio epocale rappresentato dal dimostrabile monoteismo del Deuteroisa15 C. PERRY, The Traumatized Sel/as Su/fering Servant. A/tershocks o/Trauma in lsaiah 52:1 3-53:1 , saggio per il corso su Bible and Trauma (autunno 2012, inedito, citazione

autorizzata) . Nel suo lavoro Perry sostiene che le espressioni individuali del servo hanno consentito alla comunità di meditare in tutta sicurezza sul proprio trauma e sulla propria restaurazione.

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ia: va in frantumi la fede nella realtà di qualunque dio all'infuori di YHWH in tutto l'universo, anche degli dèi adorati da altri popoli. Tale sviluppo costituisce infatti il passo essenziale verso quella visione del mondo propria di gran parte dell'Occidente contemporaneo e che, in molti ambienti, contempla la negazione assoluta di un qualsiasi dio cosmico. Il Deuteroisaia è tuttavia il coronamento di un altro sviluppo fon­ damentale attuatosi durante il trauma esilico: l'elaborazione dell'in­ dicibile shock mediante il ricorso a figure individuali quali la «figlia di Sion» e il «servo di YHWH». Nell'attacco delle Lamentazioni risuona già il lungo pianto della «figlia di Sion» sulle rovine di Gerusalemme. I libri di Ezechiele e Geremia mostrano ciascuno raffigurazioni di personaggi profetici la cui sofferenza rispecchiava quella degli esuli. All a fine, però, la figura del «servo di YHWH» nei capp. 40-55 di Isaia sarebbe stata quella che avrebbe avuto più vasta eco nelle comunità posteriori immerse in un diverso genere di indicibili tribolazioni. Si è detto che i Giudei videro nel servo sofferente di Is 53 un simbolo del tormento, ma anche della futura redenzione del popolo giudaico. I cristiani intesero lo stesso testo poetico come narrazione della sofferenza e risurrezione di Gesù Cristo, nel quale si rispecchia­ va poi la loro sofferenza. Individui e comunità trovarono ciascuno un'eco della propria sofferenza, altrimenti misconosciuta, nell'ano­ nima figura isaiana del servo, «uomo dei dolori che ben conosce il patire» (53 ,3 ) . Pur «disprezzati», le lettrici e i lettori successivi di Isaia sperarono, come lui, nella restaurazione. Forse queste lettrici e questi lettori, come gli esuli, non sempre narravano o finanche ricordavano il loro profondissimo travaglio; nondimeno, nel servo sofferente isaiano trovarono un compagno che simboleggiava lo stes­ so acutissimo struggimento, la stessa opposizione e la stessa speranza di restaurazione. Considerati assieme, il servo sofferente, la figlia di Sion, Ezechiele e Geremia, sono esempi della elaborazione del trauma esilico mediante ritratti di figure individuali alle quali gli esuli potevano rapportarsi. Si studierà ora qui di seguito come gli esuli rimodellassero anche i

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racconti di figure antiche, quali Abramo e Mosè, in modo che questi avi rappresentassero la loro sofferenza come pure la loro speranza.

5.

Abramo e l'esilio

Quando agli esiliati si chiedeva di intonare «i canti di Sion», essi rispondevano: «Come cantare i canti di YHWH in terra straniera?» (Sal 13 7 ,4). Alcuni di loro, incapaci di immaginarsi di avere un futuro in Giuda, si integrarono nella cultura babilonese; forse tra i contratti legali recentemente scoperti e che furono redatti da esuli giudaiti in Babilonia ci sono documenti scritti proprio da quei Giudei integra­ ti: i contraenti portano nomi giudaiti, unico indizio che distingue i loro atti giuridici da quelli composti da Babilonesi nativi. Quei testi evidenziano il profondo adattamento di alcuni esuli al contesto cul­ turale babilonese. La Bibbia ebraica, tuttavia, depone a favore dell'idea che alcuni esuli giudaiti resistettero all'assimilazione e, profondamente trasfor­ mati, sopravvissero. Mentre le generazioni precedenti avevano dedi­ cato particolare attenzione al re e alla santa Gerusalemme-Sion, il Sal 13 7 attesta quanto fosse difficile per gli esuli intonare ora in Babilo­ nia «i canti di Sion». Questi inni, con altri testi preesilici, venivano ancora raccolti, ma il centro di gravità delle Scritture ebraiche si era spostato. In definitiva, l'attenzione degli scribi in esilio si appuntava sempre più sui testi sugli antichi progenitori (per esempio Abramo e Sara) e sulla generazione di Mosè (quindi l'esodo) , scritti che non ricordano mai Gerusalemme in modo esplicito1 • La loro opera con1 Nella storia genesiaca di Abramo ci sono due possibili collegamenti indiretti con Gerusalemme. In Gen 14,18 si dice che «Melchisedek, re di Salem» venne incontro ad

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tribuì ad inserire nel cuore della Bibbia ebraica quei racconti, che oggi si trovano nel Pentateuco, la Torà. Durante l'esilio i Giudaiti presero a concentrarsi più di prima sulle narrazioni del loro passato remoto, facendo convergere l'attenzione della Torà su figure dell'antica storia d'Israele: Abramo e Sara, !sacco e Rebecca, Giacobbe e i suoi figli, e l'intera generazione di Mosè e Aronne che uscì dall'Egitto e trascorse quarant'anni nel deserto. Se questi sono personaggi storici, sono vissuti ben prima della fonda­ zione della monarchia israelitica intorno all'anno 1000 a.C.2• Queste figure - Mosè o gli antenati prima di lui - fiorirono dunque in un tempo ( 1200 a.C. o prima) in cui la cultura d'Israele era orale: non c'erano scribi per redigere lunghi testi letterari su di loro3• La Bibbia ebraica accoglie molti testi scritti riguardanti queste fi­ gure antichissime. Quattro interi libri della Torà, 136 capitoli in tutto, coprono l'intero arco della vita di Mosè, nonostante egli sia vissuto secoli prima che in Israele o in Giuda comparisse una letteratura ebraica scritta. Sono testi molto più estesi di quelli che narrano di

Abramo dopo che questi ebbe liberato suo nipote Lot. "Salem " può essere considerata come forma abbreviata di "Gerusalemme" e "Melchisedek" viene citato in collegamento con Gerusalemme-Sion in Sal l l0,2. Inoltre, la vicenda del mancato sacrificio di !sacco per mano di Abramo ha luogo su un monte del territorio di Moria ( Gen 22,2) , un posto menzionato altrove nella Bibbia come sito dove Salomone costruì il tempio di Gerusalem­ me (2 Cr 3 , 1). Entrambi questi possibili riferimenti a Gerusalemme nel Pentateuco sono complessi e indiretti. Infine, il cantico di Mosè in Es 15 menziona due luoghi che possono essere considerati come riferimenti a Gerusalemme (sebbene la città non sia specificamente ricordata): «la tua santa dimora>> (15,13) e «il monte della tua eredità, luogo che per tua sede, YHWH, hai preparato, santuario che le tue mani, Signore, hanno fondato» ( 15,17). 2 Negli ultimi decenni la datazione della monarchia è stata oggetto di particolari controversie, e molti rinomati studiosi hanno concluso che una vera monarchia non si sviluppò fino agli anni 800 a.C. o più tardi. Per uno studio più esteso di questi proble­ mi, cf CARR, Formation o/ the Hebrew Bible, cit., 355-385 , in cui concludo che esistono valide prove di un primo affermarsi della monarchia centrata a Gerusalemme intorno al l OOO, con una più forte centralizzazione circa un secolo più tardi nel nord di Israele. 3 In questa sezione le date sono approssimative. Oltre alla breve citazione di "Israele" nella stele di Merneptah (datata al 1250- 1220 a.C.), non si hanno citazioni contempo­ ranee degli antichi re israeliti nei documenti databili del Vicino Oriente per precisare ulteriormente la datazione. Per uno studio sulla alfabetizzazione, scarsa e artigianale, in questo periodo prestatale, cf R. BIRNE, The Re/uge o/ Scribalism in Iran I Palestine, in BASOR 345 (2007) 1 -3 1 .

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Davide o di qualunque altra figura illustre della storia israelitica. Chi li ha scritti e quando? Gli studiosi hanno dibattuto la questione per trecento anni senza giungere a una soluzione definitiva. Un numero crescente di loro - e io sono fra questi - ritiene tuttavia che l'esilio babilonese e il periodo successivo costituirono il momento cruciale in cui le vecchie tradizioni, orali e scritte, riguardanti gli antichi proge­ nitori - Abramo, Mosè ed altri - vennero rielaborate nella loro forma attuale. Pur cronologicamente distanti dall'epoca dei loro antenati (v. Tabella in calce) , gli esuli giudaiti in Babilonia trovarono maggior conforto nelle narrazioni di Abramo e di Mosè che nei racconti del loro più recente passato4• Divario

te m p o r a l e

c a . 1 550- 1 200

tra fi g u re sto r i c h e d e l Pentateuco

ed e s i l i o

b a b i l o n ese

Periodo del Nuovo Reg no in Egitto (epoca molto probabile di un Mosè storico)

ca. 1 250

Il popolo di "Israele" compare per la prima volta in documenti testua l i e a rcheologici

ca. 1 000

I n izio delle monarchie nel paese di Israele (probabile inizio della letteratura israel itica)

ca. 586-538

Esilio babil onese (l'attenzione si appu nta su Mosè, Abramo e a ltri antenati)

4 Si deve osservare che c'è qualche controversia sulla datazione e la formazione delle più antiche fonti del Pentateuco. Alcuni studiosi, in particolare europei, hanno sostenuto che in pratica l'intero Pentateuco venne scritto dopo l'esilio, forse ben oltre l'inizio del periodo ellenistico. Viceversa, io resto convinto che il Pentateuco contenga alcuni scritti sulla storia primitiva, sugli antenati e su Mosè che possono risalire già al IX o X secolo. Per le mie più recenti argomentazioni in tal senso, cf CARR, Formation o/ the Hebrew Bible, cit ., 456-483 . Tuttavia, nonostante questa possibile datazione delle narrazioni bibliche su Abramo e altri, in questo capitolo sostengo che quelle storie vennero rilette sotto una luce nuova durante l'esilio, rielaborate e ampliate (per una recente esposizio­ ne in merito, rimando ancora a Formation o/ the Hebrew Bible, cit., 252-3 03 ) . Questo modello di revisione continua degli antichi testi diverge dall'approccio documentario nella erudizione pentateucale, ripreso in forma nuova dalla scuola autoproclamatasi "Neo-documentaria " , secondo la quale il Pentateuco risulta dall'intreccio di quattro fonti G. E, D e P) con un intervento editoriale o ampliamento relativamente lieve. È disponibile una recente introduzione a questo approccio in J.S. BADEN, The Composition o/ the Pentateuch. Renewing the Documentary Hypothesis, Yale University Press, New Haven!CT - London 20 12.

Abramo e l'esilio

91

S i può tracciare questo spostamento d'attenzione sugli antichi progenitori giustapponendo due citazioni riguardanti Abramo, l'una all'inizio dell'esilio, l'altra alla fine. La citazione "ante" è databile su­ bito prima della distruzione di Gerusalemme ad opera dei Babilonesi, mentre la citazione "post" risale quasi alla fine della deportazione. Nel primo riferimento il profeta Ezechiele - anch'egli parte, ripeto, dell'ondata iniziale di esuli giudaiti - rimprovera il popolo perché va dicendo che «Abramo era uno solo ed ebbe in possesso il paese e noi siamo molti: a noi dunque è stato dato in possesso il paese ! ». Ma al popolo così fiducioso nell'esempio di Abramo il profeta procla­ ma la promessa divina che periranno di spada quanti di loro stanno fra «le rovine», saranno dati in pasto alle belve quanti sono «per la campagna» e moriranno di peste quanti sono dentro «le caverne»: così «sapranno che io sono il Signore quando farò del loro paese una solitudine e un deserto» (Ez 33 ,24-29) . Secondo la citazione " ante " , è dunque errato - almeno per il popolo rimasto nel paese - ricorrere ad Abramo come simbolo di speranza. Il secondo riferimento, tratto dalla sezione di Isaia attribuita al Deuterolsaia, dopo quaranta o cinquant'anni di esilio, esorta con parole molto più positive a vedere in Abramo la propria speranza. Indirizzandosi agli esuli, l'anonimo profeta proclama: Guardate alla roccia da cui siete stati tagliati, alla cava da cui siete stati estratti. Guardate ad Abramo vostro padre e a Sara che vi ha partorito; egli era solo un uomo quando io [YHWH] lo chiamai, lo benedissi e lo moltiplicai. Poiché YHWH conforterà Sion avrà pietà di tutte le sue rovine, renderà il suo deserto come l'Eden, la sua steppa come il giardino di YHWH (Is 5 1 , 1 -3 ) .

Entrambi i profeti spiegano che cosa significhi considerare Abra­ mo, il quale «era uno solo», ed entrambi parlano di un paese pieno di «rovine». Eppure i loro messaggi non potrebbero essere più di-

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vergenti: mentre infatti Ezechiele contesta il popolo, che rivendica l'eredità grazie ad Abramo, il Deuterolsaia esorta gli esuli a trarre speranza da «Abramo vostro padre e Sara che vi ha partorito». Men­ tre Ezechiele promette «solitudine e deserto» nel paese, il Deutero­ Isaia promette che YHWH lo sta per restaurare; anzi, guarda persino indietro, al giardino dell'Eden illustrato all'inizio della Genesi, come all'immagine di tale restaurazione: Dio «renderà il suo deserto come l'Eden, la sua steppa come il giardino di YHWH». Nel periodo compreso fra l'inizio e la fine dell'esilio, la figura di Abramo passa da falsa speranza a roccia su cui fondare la speranza. Mentre figure recenti, quali la «figlia di Sion» e l'anonimo «servo di YHWH» nel racconto del Deuterolsaia, incarnavano le sofferenze degli esuli, personaggi atavici come Abramo indicavano ai deportati il percorso per coltivare una speranza, speranza fondata su figure vissute in tempi remoti. Ecco perché il Deuterolsaia sollecitava i Giu­ daiti, sul finire della loro esperienza esilica in Babilonia, a guardare «ad Abramo vostro padre e a Sara che vi ha partorito».

La promessa ad Abramo come antidoto alla maledizione dell'esilio

Quali elementi portarono alla decisione di "guardare " a perso­ naggi remoti? Da un lato, gli esuli giudaiti potevano riferirsi a figure come Abramo e Sara che erano vissuti anch 'essi in terra straniera. Più delle generazioni precedenti, i Giudaiti in esilio si rispecchiavano in Abramo, Giacobbe, Mosè, vissuti in paesi stranieri, sotto leggi straniere. D'altro canto, le vicende di Abramo e degli altri patriarchi erano state così diverse dall'esperienza esili ca da essere narrazioni tranquille, così da poter costituire una sorta di "ricordo di copertura" per i Giudaiti in esilio, poco inclini a parlare direttamente della loro condizione attuale: in Babilonia, bloccati dall'amnesia collettiva del loro passato e del loro presente di deportati, i Giudaiti appuntarono

Abramo e l'esilio

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invece la loro attenzione sulle vicende di figure antiche5. Si volsero ai loro progenitori senza patria, quali Abramo e Sara, immedesimandosi nelle loro lotte e trovando speranza nella loro promessa. Le narrazioni alle quali guardarono si presentano come un insie­ me eterogeneo di tradizioni antiche e adattamenti più recenti atti a rendere quelle vicende più intensamente parallele alla vita della diaspora babilonese. Per esempio, all'inizio della vicenda di Abramo, raccontata sul finire di Gen 1 1 , si legge che suo padre, Terach, insie­ me ad Abramo, alla moglie di questi, Sarai, e al nipote Lot, «uscì da U r dei Caldei» per dirigersi verso Canaan ( Gen 1 1 ,3 1 ) . Il riferimento ai Caldei è un primo indizio che i racconti su Abramo vennero rifor­ mulati successivamente da Giudei vissuti durante l'esilio babilonese. Si è accennato sopra ai "Caldei " , un popolo semitico che conquistò Babilonia nella prima metà del millennio, intorno al 7 00 a. C. Il ri­ chiamo biblico ai Caldei in relazione ad Abramo pone un problema: la Genesi colloca Abramo e altri antenati secoli prima della domi­ nazione caldea sulla Mesopotamia e prima dell'esodo degli Israeliti dall'Egitto e della loro entrata in Canaan tra il 1200 e il 1 1 00 a. C. Gli studiosi nutrono forti dubbi circa l'accuratezza storica dei racconti su Abramo, ed è chiaro che ai suoi tempi i Caldei non godevano di alcuna preminenza in Mesopotamia. Per contro, l'espressione " Ur dei Caldei" evoca la Mesopotamia come la conobbero gli esuli giu­ daiti: includendo il breve cenno a "Ur dei Caldei" , gli autori esilici di questo racconto genesiaco su Abramo ne fecero un'illustrazione indiretta di se stessi. Abramo in "Ur dei Caldei" è ora il proto-esiliato,

5 L'espressione " ricordo di copertura " o "ricordo-schermo" (ted., Deckerinnerung) è tratta dal classico saggio di Freud su questo tema, Screen Memories, in S. FREUD, The Collected Papers VI, a cura di A. Strachey e J. Strachey, Hogarth, London 1989, 43 -63 [in it., Ricordi di copertura, in Opere di Sigmund Freud, ed. diretta da C. L. Musatti, II: Progetto di una psicologia e altri scritti. 1 892- 1 899, Bollati Boringhieri, Torino 2002 ] . La dinamica della cancellazione collettiva della memoria traumatica (del genocidio nazista) e il riorientamento su una forma di "ricordo di copertura" di gruppo (resistenza giudaica a Masada) viene molto ben delineato per il moderno Israele in Y. ZERUBAVEL, Recovered Roots. Collective Memory and the Making o/Israeli National Tradition, U niversity of Chi­ cago Press, Chicago/IL - London 1996, 57-76 (si veda, più sotto, la nostra Appendice).

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nella cui vicenda si rispecchiano tanto le speranze, quanto i timori degli esuli giudaiti. La storia narrata in Gen 12 si sviluppa poi nei suoi vari aspetti costruiti ad hoc per parlare agli esuli. Ad Abramo Dio dà un coman­ damento impegnativo, vincolato ad una promessa: dovrà lasciare il suo paese, il suo parentado e la sua dimora avita. In cambio, Dio dice, farò di te un grande popolo e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e diventerai una benedizione. Benedirò coloro che ti benediranno e male­ dirò coloro che ti tratteranno finanche con leggerezza, e servirai d' esem­ pio a tutte le famiglie della terra per benedirsi ( Gen 12,2s. )6•

Di nuovo, ogni elemento di questa breve promessa riveste un si­ gnificato particolare per gli esuli giudaiti, molti dei quali nati in Ba­ bilonia. Come nel racconto di Abramo, anch'essi debbono prevedere di lasciare Babilonia e il loro parentado (che quindi rimane) per far ritorno in Giuda/Gerusalemme. L'atavico Abramo della storia, però, dà loro speranza: per quanto la loro nazione sia stata distrutta, ad Abramo Dio promette un futuro come nazione autonoma; anche se essi si sentono piccoli, al loro antenato Abramo è stato promesso che il suo nome sarà grande; sebbene si sentano vulnerabili, al loro padre Abramo viene offerta una speciale protezione divina. Gli esuli, redattori e lettori di questa narrazione, potevano rivendicare il ruolo di Abramo nella storia e trame consolazione. Non solo Dio benedirà coloro che li benediranno, ma maledirà coloro che li tratteranno «finanche con leggerezza» - una sfumatura spesso oscurata nella traduzione. In tal modo, dalla vicenda di Abramo gli esuli potevano trarre la speranza di ricevere anch'essi tali doni divini. Della massima importanza è il fatto che a questo Abramo, prato­ esule, la benedizione viene elargita in più modi: «Ti benedirò . . . tu sarai una benedizione . . . benedirò coloro che ti benediranno . . . grazie a te tutte le famiglie della terra si benediranno in te» (Gen 12, 1ss. ) . 6 [Per il riflessivo "benedirsi" , si segue qui La Sacra Bibbia, a cura di S . Garofalo ed E. Testa, Genesi Il, Marietti, Torino 1974 , 291 (N. d. T. ) ] .

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La ripetizione indica l'importanza vitale dell'argomento. L'enfatica insistenza sull'idea che Dio aveva promesso la sua benedizione ad Abramo lascia intendere che qualcuno poteva pensare altrimenti, cioè che Abramo, o i suoi discendenti esiliati, fossero maledetti. Il testo biblico, infatti, mostra tracce evidenti del fatto che per tutto il tempo della deportazione gli esuli si sentirono maledetti. Il Sal 79 dice che sono «divenuti l'obbrobrio dei vicini, scherno e ludi­ brio di chi sta [loro] intorno» (v. 4 ) . Geremia afferma che il popolo e Gerusalemme sono diventati prototipi di maledizione fra le nazioni ( Ger 24,9; 25 , 18) , e il profeta postesilico Zaccaria ripensa all'esilio come al periodo in cui il popolo era «un simbolo di maledizione tra le nazioni» (Zc 8, 13 ) 7. La storia di Abramo presentata in Gen 12 rispondeva alla con­ vinzione degli esuli di essere un esempio di maledizione universale. L'ultima sezione della promessa divina ad Abramo, spesso tradotta in modo errato, parla più direttamente di questo problema. In molte traduzioni Dio conclude promettendo ad Abramo: «In te saranno [o: si diranno] benedette tutte le famiglie della terra». Questa versione, citata nel Nuovo Testamento dall'apostolo Paolo (Ga/ 3 ,8), si adatta bene alla teologia della chiesa, che vede nei non Giudei i destinatari della benedizione abramitica. Nell'XI secolo d.C. il famoso commen­ tatore giudaico Rashi fece però notare che una migliore traduzione del versetto è: «Tutti i clan della terra si benediranno in te»; l'idea non è che le altre nazioni o famiglie saranno benedette, ma che si benedì7 In questo paragrafo le due citazioni esemplificano ciò che H.L. NELSON, Damaged Identities, Narrative Repair, Cornell University Press, Ithaca/NY 200 1 , 2 1 , definisce "coscienza in@trata (infiltrated consciousness) " . Ciò si verifica quando individui o gruppi interiorizzano le opinioni negative altrui su di sé; queste raffigurazioni negative incidono sulla autocoscienza del gruppo e le persone che ne fanno parte si trovano spesso a sof­ frire perché affermano le cattive opinioni degli altri su di loro. Di conseguenza, i gruppi colpiti da tale " coscienza in@trata " sviluppano spesso forme di "controinformazioni (counterstories) " , narrazioni cioè che offrono una interpretazione positiva della loro identità. Su processi analoghi allo sviluppo di " controinformazioni " di gruppo in oppo­ sizione a come altri considerano il gruppo stesso, si veda l'ottimo studio in L. MALKKI, Purity and Exile. Violence, Memory, and National Cosmology among Hutu Refugees in Tanzania, University of Chicago Press, Chicago/IL - London 1 995 , 245s.

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ranno. Abramo, cioè, sarà divenuto un tale simbolo di benedizione che gli altri popoli desidereranno per se stessi il tipo di benedizione divina che la fama gli attribuisce8• Intesa in tal senso, quella divina promessa si basa probabilmente sul modello esibito da una antica preghiera salmica per il re, secon­ do la quale tutte le nazioni «si benediranno nel» re davidico e «lo dichiareranno beato» (Sa/ 72, 1 7 ) . Un'idea simile si ritrova più tardi nella Genesi, quando Giacobbe benedice i figli di Giuseppe, Efraim e Manasse, dichiarando: «Possa Israele benedirsi in voi, dicendo "Dio ti renda simile a Efraim e Manasse"» (Gen 48,20) . Il narratore esilico che scrisse Gen 12 utilizzò queste idee applicandole ad Abramo: per contrastare la percezione dei Giudaiti che si sentivano maledetti, egli rappresenta il loro antenato Abramo come destinatario di una promessa secondo cui grazie a lui «tutti i clan della terra si benedi­ ranno». Guardando a questo "padre Abramo" della Genesi, gli esuli trovarono la risposta ai timori circa una loro ipotetica condizione di maledizione. Quali figli di Abramo, anch'essi erano destinati ad essere esempi di benedizione, non di maledizione. Nella Genesi Dio rafforza questo messaggio ripetendo la stessa benedizione agli eredi di Abramo. A Giacobbe viene detto per esempio: «Tutti i clan della terra si benediranno in te e nei tuoi discendenti» (28, 14). Per gli esuli l'espressione «e i tuoi discendenti» si riferiva a loro, perciò essi traevano conforto e incoraggiamento da questo racconto esilico sul­ l' antica benedizione divina di Abramo. Anche gli altri racconti su Abramo presenti nel resto della Genesi avrebbero contribuito a rasserenare gli esuli. Come loro, anch'egli è straniero, perciò vulnerabile, ovunque vada - a Canaan , in Egitto, in Filistea e sulla costa del Mediterraneo. Dio, però, lo protegge e anzi lo arricchisce mentre vive in un effettivo esilio. Come gli esuli, questo Abramo biblico dubita piu volte che Dio manterrà le sue promesse

R Approfondimenti su questa traduzione e bibliografia di studi scientifici in D.M. CARR, Reading the Fractures o/ Genesis. Historical and Literary Approaches, Westminster John Knox Press, Louisville/KY 1996, 186- 188.

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di assistenza e benedizione: infatti chiede per esempio a Dio «Che mi darai? Io me ne vado senza figli» (Gen 15 ,2) e ride quando Dio, più tardi, gli promette un figlio ( 17 , 1 7 ) . Arriva persino a far passare la moglie per sua sorella per cautelarsi mentre è in Egitto e in Filistea, ma Dio libera comunque lui e la sua famiglia ( 12 , 1 0-20; 20, 1 - 1 8 ) . Mettendo in dubbio che Dio gli assicurerà un erede, stabilisce con Sara di procreare un figlio con una schiava; nonostante tutto ciò, Dio gli dà c�munque un erede, !sacco, dall'anziana moglie Sara, e con­ cede un destino straordinario a Ismaele, il figlio avuto dalla schiava Agar ( 16, 1ss.). I lettori successivi dimenticheranno spesso le varie circostanze in cui il biblico Abramo aveva dubitato delle promesse divine, a ciò indotti da più recenti tradizioni, rabbiniche e cristiane, dell' «Abramo che credette» (Gal 3 ,9)9• Se però si esaminano meglio e più com­ piutamente i racconti biblici che lo riguardano, essi restituiscono una figura che non confida in modo assoluto nell'adempimento delle promesse di Dio. Gen 15 ricorda persino una sua protesta: «Ecco, a me non hai dato discendenza e un mio domestico sarà mio erede» (v. 3 ) e, alla promessa divina di una terra, risponde: «Come potrò sapere che ne avrò il possesso?» (v. 8) . Dio, tuttavia, non rimprovera né giudica i dubbi di Abramo; anzi, fa con lui un patto che suggella l'impegno solenne di donargli una patria (w. 9-2 1 ) . La circoncisione, segno del patto di cui si legge in Gen 17, offre una ulteriore garanzia della sicurezza della promessa divina. Sulla base dei riferimenti al padre Abramo negli scritti del Deute­ rolsaia (Is 40-55) , gli esuli, dubbiosi anch'essi, trovarono speranza in quelle narrazioni. Come Abramo, anch'essi esitarono, pur braman­ do che Dio li proteggesse, facesse di loro una nazione e desse loro (di nuovo) la terra di Canaan, proprio come aveva desiderato Abra­ mo. Le sue vicende genesiache furono loro di conforto e tanto reali

9 La letteratura cristiana antica considerava Abramo paradigma della fede in Cristo, tanto che nell'inno all a fede (Eb 1 1 ) egli viene citato due volte ; peraltro, anche il giudai­ smo si è concentrato sul modello di Abramo, ma per la sua fedele obbedienza alla Torà.

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quanto le fiduciose profezie del Deuterolsaia, forse ancor più vere: fu come se qualcuno avesse messo in forma narrativa le confortanti profezie deuteroisaiane. Impediti a narrare le vicende che li riguardavano, i Giudaiti in esi­ lio guardarono ad Abramo e rinarrarono le storie che concernevano lui. Queste, riprese e rielaborate come proprie, infusero speranza negli esuli e la forza delle promesse là contenute servì a ribattere le dichiarazioni altrui sulla maledizione dei Giudaiti. Si trattò di una forma di guarigione della memoria di gruppo. Fu la Bibbia per gli esuli. Mi sono dilungato su questa prima promessa divina fatta ad Abra­ mo e ai suoi eredi, !sacco e Giacobbe, sia perché essa si dimostrerà molto importante nella storia della Torà sia perché l'intera narrazione solleverà gli esuli dalla disperazione, restituendo loro fiducia10• Per tale ragione la storia di Abramo si rivelò di vitale importanza per quanti più tardi avrebbero subìto l'esilio. Lo si evince, come indicato sopra, dal fatto che il Deuterolsaia si appella alla vicenda abramitica - ciò che non fa Ezechiele - per dimostrare che quell'esperienza, con particolare riferimento alla divina promessa, era divenuta poi per gli esuli una pietra di paragone. Essi potevano identificarsi con Abramo in Ur dei Caldei, traendo conforto dalle divine promesse di gloria, protezione e benedizione da lui ricevute.

Salvaguardare dal rischio la seconda generazione

Un ultimo episodio nella narrazione su Abramo mostra tuttavia come gli esuli vi trovassero non solo consolazione, ma anche le loro paure più profonde. Si pensi alla inquietante storia narrata in Gen 22 quando Dio intima ad Abramo: «Prendi tuo figlio, il tuo unico 10 Un compito centrale per comunità traumatizzate, cf ERIKSON, Notes on Trauma and Community, cit., 197 .

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figlio che ami, !sacco, va' nel territorio di Moria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò» (v. 2). Il testo non lascia dubbi sull'orrore della richiesta, anzi sottolinea «tuo figlio, il tuo unico figlio che ami», quasi che un genitore avesse bisogno d'aiuto per immagi­ nare la crudeltà di un simile comandamento divino. Come poté Dio ordinare una cosa del genere? Dopo tutto quello che Abramo ave­ va affrontato, Dio, senza spiegazione o promessa alcuna, gli chiede ora di sacrificare il suo futuro. Per colmo d'ironia, l'ordine divino echeggia qui quello che Dio stesso gli aveva dato all'inizio, quando Abramo aveva lasciato Ur dei Caldei per un paese che non aveva mai visto. Là, in Gen 12, Dio gli aveva detto di lasciare «il tuo paese, il tuo parentado e la casa di tuo padre» per andare in un paese «che io [Dio] ti indicherò»; qui gli dice di sacrificare «tuo figlio, il tuo unico figlio che ami» su un monte «che io [Dio] ti indicherò». C'è tuttavia una differenza cruciale: all'inizio, dopo aver promesso benedizione e protezione ad Abramo che lasciava la sua famiglia di un tempo, Dio aveva subito aggiunto: «Alia tua discendenza io darò questo paese» ( 12 ,2 -3 .7 ) ; qui, in Gen 22 ,2 , Dio gli intima di sacrificare il suo unico discendente rimasto, «il tuo unico figlio», senza fare la benché mi­ nima promessa. È come se la richiesta del cap. 22 mettesse a rischio totale la promessa fatta nel cap. 12u. Questa vicenda, forse più di ogni altra nella Genesi, avrebbe avuto forti risonanze nelle paure più profonde degli esuli, ben comprese da chiunque abbia affrontato o analizzato l'esilio: è la paura degli esuli per quel che accadrà ai figli nella nuova terra straniera. Con la maturità, infatti, il figlio o la figlia possono diventare forestieri nella loro stessa famiglia e il rapporto tra genitore e figlio, già messo alla prova dalla dinamica adolescenziale, può farsi difficile; può certo mantenersi, come spesso accade, ma l'esito resta troppo a lungo do11

Lo stretto collegamento fra questi brani è solo una delle molte ragioni per cui trovo poco plausibile la teoria secondo cui Gen 22 avrebbe avuto origine come parte di un documento elohista (E) indipendente da Gen 12. Per l'ulteriore esame di questo collegamento e altre considerazioni che si oppongono alla tradizionale teoria delle fonti, cf CARR, Reading the Fractures o/ Genesis, cit . , 196-202.

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lorosamente incerto. Anche gli esuli giudaiti dovettero confrontarsi con la possibilità di perdere per sempre nel paese straniero «il loro figlio, il loro unico figlio che amavano». Per evocare una tale preoc­ cupazione, non c'era strumento più potente della vicenda narrata in Gen 22 , in cui Dio comanda ad Abramo, il proto-esule, di sacrificare suo figlio, la sola speranza che gli rimanga per il futuro. Nella narrazione del (quasi) sacrificio di !sacco, più che nel resto della Genesi, ci si imbatte nell'