Le origini della prefettura del pretorio tardoantica 8882652386, 9788882652388


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Le origini della prefettura del pretorio tardoantica
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Pierfrancesco Porena

LE ORIGINI DELLA PREFETTURA DEL PRETORIO TARDOANTICA

«L'ERMA» di BRETSCHNEIDER

PIERFRANCESCO PORENA Le origini della prefettura del pretorio tardoantica © Copyright 2003 by «L'ERMA» di BRETSCHNEIDER Via Cassiodoro,

19 -- 00193 Roma

Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione di testi e illustrazioni senza il permesso scritto dell’Editore

Porena, Pierfrancesco Le origini della prefettura del pretorio tardoantica / Pierfrancesco

Porena. - Roma : «L'ERMA» di BRETSCHNEIDER, c2003. - 631 p. : tab. piegh. ; 21 cm.

ISBN 88-8265-238-6 CDD

21.

937.608

1. Prefettura - Roma antica - Sec. 3.-4.

INDICE

Introduzione

Abbreviazioni

I.

La prefettura del pretorio durante i regni di Caro, Numeriano e Carino 1.

Premessa

»

2. Aper prefetto del pretorio di Caro e di Numeriano 3.

»

Da Iulianus a Sabinus lulianus: due momen-

ti dell’opposizione politica a Carino

»

4. La carriera di Aristobulus, prefetto di Carino e di Diocleziano

»

5.

»

Il caso di Matronianus

II. La prefettura del pretorio durante il regno di Diocleziano e dei Tetrarchi

»

103

1.

Premessa

»

103

2.

L'iscrizione di Oescus

»

106

»

133

»

152

3. L'iscrizione di Brescia e altri testi: sulla serie dei collegi prefettizi di età tetrarchica 4. Dai supplenti straordinari dei prefetti del pretorio alla divisione dell’impero in diocesi

III. La prefettura del pretorio dalla seconda Tetrarchia alla ‘pace di Serdica’ (306-317) 1.

187 187

Premessa

2. Sui prefetti del pretorio di Galerio, Licinio e Massimino Augusti

»

188

3. Sui prefetti del pretorio di Severo, Massenzio e Costantino Augusti

»

237

»

291

4.

Il ritorno

all’unità:

Petronius

Annianus,

Iulius Iulianus e le iscrizioni di Tropaeum Traiani e di Efeso IV.Trasformazione e sviluppo della prefettura del pretorio in età costantiniana

»

339 339

»

342

3. L’iscrizione di Ain Rchine

»

398

4. Le iscrizioni gemelle di Tubernuc e di Antiochia

»

466

1.

Premessa

2. La prefettura

del pretorio

»

costantiniana

‘dopo Annianus’ (317-327)

5. Zosimo, Giovanni Lido e la riforma costan-

tiniana della prefettura del pretorio

»

Sintesi conclusiva

»

Grafico cronologico.

»

Indici

»

496 563 577 583

INTRODUZIONE

Il titolo di questo libro, Le origini della prefettura del pretorio tardoantica, può apparire paradossale. Ricercare in età tardoantica le origini di un'istituzione presente nel panorama amministrativo romano da più di tre secoli sembra una contraddizione. In realtà nessuna carica disegnata dal genio politico di Augusto ha subìto una trasformazione tanto radicale nel passaggio all’impero romano ristrutturato dagli interventi di Diocleziano e di Costantino. La trasformazione è stata così ampia, che non è improprio parlare di origini della prefettura del pretorio tardoantica, e non è ingiustificato cercare di ricostruire la genesi dell’assetto istituzionale che la carica assunse e conservò in età tardoantica. Com'è noto, dal I al III secolo i prefetti del pretorio furono ufficiali di rango equestre, che collaborarono a stretto contatto con l’ Augusto. In virtù della loro costante presenza nel comitatus dell’imperatore, svolsero incarichi militari e ci-

vili delegati loro dal sovrano ed ebbero la responsabilità della sua incolumità. Dal IV al VI secolo 1 prefetti del pretorio furono illustri e potenti senatori, incaricati della gestione fi-

scale e del controllo giudiziario e amministrativo civile di vaste aree dell’impero romano, che si è soliti definire prefetture. Il prefetto del pretorio tardoantico fu il più importante amministratore civile distaccato dalla corte, nel cui organigramma egli non figura più. Le sue originarie competenze militari sono scomparse. Lo scopo della presente ricerca è quello di indagare 1 modi e i tempi di quella evoluzione che condusse alla trasformazione dell’istituzione prefettizia nella sua espressione regionale tardoantica, e che fece del prefetto 7

del pretorio tardoantico il più importante amministratore civile residente nel territorio dell’impero. Ben pochi aspetti di questo processo di trasformazione emergono in maniera evidente dalle fonti. La documentazione superstite, benché lacunosa, si caratterizza per la sua relativa abbondanza, ma anche, e soprattutto, per la sua forte ete-

rogeneità e frammentarietà. Questo aspetto rende il quadro dell’evoluzione della prefettura del pretorio verso la sua fase tardoromana evanescente, un itinerario a tratti sommerso, un mosaico privo di molte tessere. La ricostruzione dei diversi elementi che determinarono la metamorfosi della prefettura del pretorio risulta un percorso difficile, in cui le diverse parti appaiono disarticolate, piuttosto che ricomposte. Lo stato della documentazione appare carente soprattutto per il III secolo. Interi decenni di storia della carica sono rappresentati da qualche nome, e null’altro. La perdita della maggior parte delle informazioni sui compiti istituzionali della prefettura del pretorio dai Severi a Diocleziano è particolarmente grave. Tuttavia, come si vedrà, verso la fine del III secolo la situazione tende a migliorare, fino all’abbondante documentazione offerta, quasi all’improvviso, dalle

costituzioni imperiali indirizzate ai prefetti del pretorio e confluite dei Codici legislativi tardoantichi. La necessità di ricomporre in una visione armonica schegge di documentazione ha imposto la ricostruzione del contesto storico e narrativo di ciascuna fonte esaminata. Molte notizie, anche importanti per la conoscenza della prefettura del pretorio tra III e IV secolo, sono state a lungo trascurate. Le

esigenze di analisi delle singole testimonianze hanno richiesto, quindi, un’esposizione molto particolareggiata. La presenza di una documentazione frammentaria sulla prefettura della fine del III e degli inizi del IV secolo ha indotto talvolta gli studiosi a svolgere un’analisi retrospettiva del problema della formazione della prefettura del pretorio tardoantica. Le fonti sui prefetti e sulla prefettura del pretorio dall’età costantiniana in poi — grazie alla conservazione delle costituzioni dei Codici, delle Variae di Cassiodoro e di

documenti amministrativi come la Notitia Dignitatum — appaiono infatti più soddisfacenti e omogenee. Tuttavia cercare di ricostruire la genesi della prefettura del pretorio tardoantica muovendo dalle testimonianze sull’assetto dell’istituzione, quale si consolidò tra l’avanzato IV secolo e l’età di 8

Teoderico e di Giustiniano, può rivelarsi fuorviante. L’anali-

si del problema della trasformazione della prefettura del pretorio nella sua espressione regionale, proprio perché si tratta di un fenomeno che ebbe un suo progressivo sviluppo nel corso del tempo, deve essere svolta seguendo l’ordine cronologico in cui, tra la seconda metà del III e la prima metà del IV secolo, quella metamorfosi avvenne. Un percorso di stu-

dio non cronologico rischierebbe di alterare la comprensione del fenomeno. L'indagine abbraccia un arco di tempo che va dal 282 al 337. La scelta di questa periodizzazione è dettata dal fatto che le fonti concorrono a individuare in questa fase il momento di massima accelerazione nello sviluppo dell’istituzione prefettizia verso la sua forma regionale tardoantica. Per le ragioni appena indicate, si è ritenuto opportuno ricomporre e illustrare l’evoluzione della prefettura del pretorio seguendo il naturale ordine cronologico che storicamente segnò quello sviluppo, a partire dalla situazione istituzionale che esisteva durante il regno della dinastia di Caro, fino all’assetto amministrativo lasciato da Costantino ai suoi figli al momento della sua scomparsa. Come vedremo, malgrado alcune interpretazioni ancora diffuse, non c’è dubbio che durante il regno di Costantino la prefettura del pretorio raggiunse il definitivo assetto regionale tardoantico. Risalire più indietro delle vicende di Caro e dei suoi figli non è sembrato giustificato.

Come

accennato,

dalla metà

del III secolo le

notizie sui prefetti della dinastia di Caro rappresentano le prime, e uniche, informazioni utili per delineare l’assetto del-

l’istituzione. Sempre da un punto di vista del metodo adottato è opportuno fare alcune precisazioni. Per la fase storica presa in esame le fonti letterarie antiche non descrivono l’assetto della prefettura del pretorio — la sua struttura, il numero e le competenze dei suoi titolari, ecc. — se non in un momento decisivo della storia dell’istituzione, in età costantiniana, quan-

do il processo di trasformazione della carica completò lo sviluppo verso la sua espressione tardoantica. L'intervento costantiniano, tuttavia, si pone al termine di un’evoluzione che ha preparato e, per certi versi, facilitato il cambiamento istituzionale realizzato poi da questo imperatore. E stato necessario perciò rintracciare i momenti chiave che hanno accompagnato la trasformazione della prefettura del pretorio nella 9

sua veste regionale, prima che Costantino desse all’istituzio-

ne le caratteristiche che essa conserverà in seguito. In sostanza l’esame dell’evoluzione dell’istituzione prefettizia prima di Costantino permette di misurare la portata innovativa dell’intervento dell’imperatore cristiano. Come accennato, la ricostruzione dello stato della prefettura del pretorio degli anni 282-337 — a parte i tardi, ma fedeli, resoconti sull’intervento di Costantino — è possibile solo studiando le numerose, ma frammentarie notizie supersti-

ti sui singoli prefetti del pretorio che rivestirono l’importante incarico a partire dal regno di Caro. Questo obbliga naturalmente a svolgere un’analisi prosopografica puntuale, per ricollocare ogni informazione sui diversi prefetti del pretorio nel contesto storico, amministrativo e istituzionale adeguato.

Estrapolare l’episodica documentazione superstite dallo sfondo storico e amministrativo in cui è inserita — come tendono a fare per loro natura i repertori prosopografici — significa privarsi della possibilità di comprenderla. Questo è il motivo che ci ha spinto a evitare di isolare dalla ricerca schede prosopografiche, ma a concentrare la discussione sul singolo funzionario in una sezione a lui dedicata nel corso della narrazione. Si è rivelato infatti molto più fruttuoso studiare le notizie sui prefetti del pretorio attivi tra la fine del III e i primi quaranta anni del IV secolo, e sulle loro carriere, esaminandole singolarmente e interpretandole alla luce del contesto in cui si svilupparono e dal quale non possono essere in nessun modo separate.

L'analisi prosopografica sui titolari della prefettura del pretorio degli anni 282-337 ha consentito di colmare una lacuna nello studio della prefettura del pretorio, dal momento che non esistono monografie su questa carica e sul suoi titolari per il periodo abbracciato dalla nostra indagine. Gli studi sull’istituzione in età tardoantica si limitano generalmente a un esame, più o meno sommario, della prefettura del pretorio di età costantiniana, ma per quanto riguarda il regno di Caro, Numeriano e Carino e l’età dioclezianea non esistono

ricerche specifiche. La presente analisi vorrebbe quindi riempire questo vuoto negli studi, relativamente a un periodo particolarmente importante per l'evoluzione amministrativa dell’impero verso la sua struttura tardoantica. E vorrebbe colmarlo presentando allo stesso tempo uno studio sui prefetti del pretorio e un’analisi dell’istituzione prefettizia. Questa 10

indagine, come si vedrä, ὃ stata possibile anche grazie al con-

tributo di alcune iscrizioni di etä tetrarchica e costantiniana rinvenute di recente. I risultati della ricostruzione della serie dei prefetti del pretorio del periodo 282-337 sono stati schematizzati in un Grafico, in cui appaiono collocati, in ordine cronologico e geografico, i diversi funzionari studiati, insieme alle costituzioni dei Codici loro destinate. ‚Fra le fonti che contribuiscono all’indagine sulla prefettura del pretorio di questo periodo rivestono un ruolo particolare una serie di iscrizioni che abbiamo definito ‘dediche prefettizie collegiali’. Si tratta di iscrizioni fatte incidere dall’intero collegio dei prefetti del pretorio dell’impero su un monumento in onore di un sovrano. Come illustreremo nel corso della trattazione, esse sono una delle espressioni primarie, la più tangibile senza dubbio, della collegialità che caratterizzò, con impressionante continuità, tutta la storia della

prefettura del pretorio, fino alla scomparsa dell’istituzione alla fine del VI secolo. Si possiedono sette epigrafi di questo tipo, realizzate tra il 286 e il 342. La loro importanza ai fini della nostra analisi consiste nel fatto che 1 dedicanti sono sempre tutti i prefetti del pretorio dell’impero, in carica al momento

in cui il monumento

prefettizio fu decretato, e so-

no disposti secondo un ordine gerarchico di cui si noterà l’importanza. Essi formano, appunto, un collegio prefettizio. Questa particolare categoria di iscrizioni si è rivelata molto importante per la ricostruzione della serie dei prefetti del pretorio del periodo in esame. Le dediche prefettizie collegiali sono interessanti anche come realizzazione onoraria autonoma. Di esse è possibile rintracciare il percorso genetico, dall’ideazione all’inaugurazione. E per questa serie di ragioni

che nel corso dell’intera trattazione si lascerà ampio spazio allo studio di queste sette particolari iscrizioni. Studiare l’origine della prefettura del pretorio tardoantica significa ripercorrere la storia, drammatica e avvincente, di un impero che tra la fine del ΠῚ e i primi decenni del IV secolo si diede nuove strutture di governo, nel tentativo di irrobustire un organismo che negli anni precedenti aveva ri-

schiato la dissoluzione. L’analisi amministrativa mostra che l'evoluzione della prefettura del pretorio verso la sua espressione regionale è solo un aspetto di una parabola storica più ampia. In questo senso, anche l’indagine sullo spazio, non solo spazio amministrativo, ma anche strategico, ha una sua 11

rilevanza nella comprensione dello sviluppo della carica. La formazione

delle diocesi, e la costituzione,

su di esse, di

quelle vaste aree geografiche definite prefetture, costitui la ripartizione territoriale destinata ad accogliere i prefetti del pretorio tardoromani. L'istituzione di questi ampi, talvolta enormi, distretti, ignoti al mondo amministrativo romano prima dell’inizio del IV secolo, è il frutto di una trasformazione

e di una riorganizzazione della forma dell’impero. Questo processo, parallelo all’evoluzione istituzionale della prefettura del pretorio, è il risultato di esigenze di sicurezza strategica portate a maturazione dagli scontri politici che travagliarono la vita dell’impero tra i regni di Diocleziano e di Costantino. E evidente, dunque, come la storia politica, con i suoi eventi bellici, e con la ridefinizione degli spazi amministrativi, abbia avuto un peso notevole nella trasformazione

della prefettura del pretorio nella sua veste tardoantica. L'esposizione,

concepita e realizzata,

come

accennato,

seguendo un ordine cronologico, è stata articolata in quattro capitoli, preceduti ciascuno da una breve premessa che ne illustra sommariamente il contenuto. Nel primo capitolo sono state esaminate e ricondotte al loro contesto storico le diverse notizie sui prefetti del pretorio di Caro, di Nume-

riano e di Carino. Lo spazio dedicato all’analisi delle notizie su questi funzionari è giustificato dal fatto che le fonti sui prefetti del pretorio di questa dinastia sono di gran lunga le migliori che si possiedono per tutta la seconda metà del III secolo. La loro lettura permette di capire quale fosse la situazione istituzionale della prefettura del pretorio alla fine del III secolo, prima dell’inizio del lungo regno di Diocleziano, che modificò notevolmente l’assetto amministrativo dell’impero, e, con esso, le competenze dei prefetti del pre-

torio. Lo studio della prefettura dell’età di Caro e dei suoi figli permette anche di cogliere l’importante peso politico che il prefetto del pretorio conservava ancora sullo scorcio del III secolo. Il secondo capitolo è dedicato all’analisi della prefettura del pretorio durante l’età dioclezianea (286-305). L’attenzio-

ne si concentra su due iscrizioni prefettizie collegiali, quella di Oescus e la dedica recentemente rinvenuta a Brescia, che si rivelano importanti per la comprensione della struttura dei collegi prefettizi dell’età della diarchia e della tetrarchia, consentendo di risolvere definitivamente l’annosa questione 12

del numero dei prefetti del periodo tetrarchico. Si è dato 1π0]tre rilievo al problema dell'istituzione delle grandi diocesi dell’impero, perché esse costituiscono una novità nell’organizzazione dello spazio amministrativo romano destinata ad avere grande influenza sul processo di regionalizzazione della prefettura del pretorio. Il terzo capitolo è dedicato all’esame dell’ampia documentazione sul numerosi prefetti del pretorio degli anni delle lotte tra i successori dei Tetrarchi (306-313). La qualità

delle informazioni sui prefetti di questa travagliata fase della storia dell’impero e, di conseguenza, la luce che esse gettano

sull'evoluzione dell’istituzione prefettizia, permettono di tracciare un quadro della carica e dei suoi compiti amministrativi prima degli interventi istituzionali costantiniani. Si é cercato inoltre di ricostruire la serie esatta dei prefetti del pretorio degli anni 306-313 proiettandola sullo sfondo dei nuovi equilibri politici costituitisi in questo periodo. Grazie all'esame condotto fino a questo punto é stato possibile passare, nel quarto capitolo, all'analisi delle importanti trasformazioni cui Costantino sottopose l'istituzione della prefettura del pretorio. Attraverso il contributo degli estratti dei provvedimenti

legislativi — che da questo mo-

mento vengono ad arricchire in modo significativo le nostre conoscenze sui prefetti del pretorio — e attraverso lo studio dei dati offerti dalle dediche prefettizie collegiali costantiniane, e di due importanti fonti letterarie (Zosimo e Giovanni Lido), si cercherà di fissare la cronologia e di valutare la portata dell'intervento di Costantino. Questo libro sulle origini della prefettura del pretorio tardoantica nasce all'epoca della Tesi di Laurea presso l'Università di Roma La Sapienza. Nel 1994 il professor Andrea Giardina, cui va tutta la mia gratitudine, mi propose di esaminare il controverso problema della transizione istituzionale dalla prefettura del pretorio del Principato alla prefettura regionale tardoantica. Le ricerche su questo tema, che si é rivelato col progredire delle indagini sempre piü stimolante e formativo, sono proseguite durante il Dottorato di Ricerca presso l'Università degli Studi di Firenze. Grazie al lavoro svolto in quegli anni intensi & stato possibile giungere alla

stesura di una dissertazione che rappresenta la struttura portante di questo volume. Le indagini effettuate negli ultimi 13

mesi hanno chiarito e rifinito alcuni temi, cui & sembrato op-

portuno dare maggiore rilevanza. Desidero ringraziare il mio maestro, professor Andrea Giardina, che mi ha indirizzato e seguito pazientemente nei miei studi e nella preparazione di questo volume, offrendomi innumerevoli, preziosi consigli. Senza il Suo magistero questa ricerca non sarebbe mai stata possibile. Naturalmente la responsabilità di quanto esposto è completamente mia. Lo ringrazio per aver accolto questo saggio nella Collana curata da Lui e dal professor Augusto Fraschetti per «L'Erma» di Bretschneider, onore che accresce il mio debito e la mia gratitudine verso di Lui. La Sua fiducia e la Sua disponibilità sono probabilmente superiori ai miei meriti. Ringrazio molto i professori docenti del Dottorato di Ricerca di Firenze, Barbara Scardigli, Maria Grazia Granino, Paolo Desideri, per aver contribuito ad arricchire la mia for-

mazione durante quel proficuo triennio. Un ringraziamento infine lo devo ai numerosi studiosi che in questi anni sono stati prodighi di osservazioni, di critiche e di suggerimenti. Un pensiero particolare va ai miei genitori, che mi hanno sostenuto in tutti 1 sensi durante questi anni di studi, e a Isabella, che mi ha permesso di volare.

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Carrières

A. PASSERINI, Le coorti pretorie, Roma 1939. H.-G. PrLaum, Les Carriéres des procurateurs équestres sous le Haut-Empire Romain, 1-3, Paris 1960/61. Prosopographia Imperii Romani, saec. I. II. II, 1-3, Berlin 1897-1898. Prosopographia Imperii Romani, saec. I. II. IL, Editio altera, Berlin 1933 sgg. Patrologia Graeca, ed. J. P. Migne, Paris 1857 sgg. Patrologia Latina, ed. J. P. Migne, Paris 1844 sgg. A.H.M. Jones, J. R. MARTINDALE, J. MORRIS, The Prosopography of the Later Roman Empire, I, A. D. 260-395, Cambridge 1971. J. R. MARTINDALE, The Prosopography of the Later Roman Empire, II, A. D. 395-527, Cambridge 1980.

PLRE HI

J. R. MARTINDALE, The Prosopography of the Later Roman Empire, III, A. D. 527-641, Cambridge

RE

Paulys Realencyclopädie der classischen Altertumswissenschaft, hrsg. von G. Wissowa, W. Kroll, K. Mittelhaus, K. Ziegler, Stuttgart 1893 sgg. The Roman Imperial Coinage, London 1923 sgg. Reallexikon für Antike und Christentum, Stuttgart 1950 sgg. Sammelbuch griechischer Urkunden aus Aegypten, Strassburg-Berlin, poi Leipzig, Heidelberg, Wiesbaden 1915 sgg. Sources Chrétiennes, Paris 1942 sgg. O. SEECK, Regesten der Kaiser und Päpste für die

1992.

RIC RLAC SB

SC SEEcK

1919

Jahre 311 bis 476 n. Chr, Stuttgart 1919; rist. SEG Sirm. SRIT

Suppl. It.

ThLL

Frankfurt an Mein 1964. Supplementum Epigraphicum Graecum, Leiden, poi Amsterdam 1923 sgg. Constitutiones Sirmondianae, in CTh, pp. 907 sgg. A. GIARDINA (a cura di), Società romana e impero tardoantico, 1-4, Roma-Bari 1986. Supplementa Italica, nuova serie, Roma 1981 sgg. Thesaurus Linguae Latinae, Leipzig 1900 sgg.

Per le abbreviazioni delle riviste si veda l’Index dell’ Année Philo-

logique. Per le abbreviazioni delle raccolte di papiri, e le relative notizie sulle singole pubblicazioni, si veda: 1. F. OATEs, R. S. BAGNALL, W. H. WiLLIs, K. A. Wonp, Checklist of Editions of Greek Papyri and Ostraca (BASP, Suppl. 7), Atlanta 19924. Per la trascrizione dei testi epigrafici sono stati seguiti i criteri elaborati da H. KRUMMREY 6 S. PANCIERA, Criteri di edizione e segni diacritici, in Miscellanea (Tituli 2), Roma 1980, pp. 205-215.

19

CAPITOLO I LA PREFETTURA DEL PRETORIO DURANTE I REGNI DI CARO, NUMERIANO E CARINO

1. PREMESSA

Per intendere la natura e la portata del processo di trasformazione della prefettura del pretorio in epoca tardoantica è opportuno mettere a fuoco lo stato dell’istituzione nella seconda metà del III secolo. Gli imperatori che contribuirono alla metamorfosi della massima prefettura verso la sua forma regionale tardoantica, Diocleziano e soprattutto Co-

stantino, si trovarono a ereditare le trasformazioni istituzionali avvenute durante la crisi del III secolo. La loro esperienza di governo trasse le conseguenze dell’evoluzione storica di quel difficile periodo e portò a maturazione alcune soluzioni ancora in embrione nei decenni precedenti. La documentazione sui prefetti del pretorio della seconda metà del III secolo è abbastanza povera e di non sempre agevole interpretazione. Alcune linee di tendenza sono comunque individuabili, grazie soprattutto allo studio delle testimonianze re-

lative ai prefetti del pretorio attivi durante i regni della dinastia di Caro. Le vicende di questa famiglia di generali offrono infatti maggiori elementi di riflessione intorno all’istituzione prefettizia di quanto non sia possibile trarre dalle testimonianze sui decenni precedenti. Questo capitolo si articola intorno all’indagine sulla personalità di tre prefetti del pretorio attivi negli anni 282-285: Aper, Sabinus Iulianus e Ti. Claudius Aurelius Aristobulus. Il loro incarico prefettizio è stato analizzato facendo un costante riferimento alle contemporanee vicende politiche. Gli avvenimenti storici del regno di Caro e dei figli, fino all’affer-

21

mazione dı Diocleziano, costituiscono la trama che consente

di cogliere il loro ruolo accanto a questi sovrani. Aper ($ 2), prefetto del pretorio di Caro e di Numeriano, si segnala per essere stato l’ultimo prefetto della lunga storia imperiale su cui poté addensarsi, vedremo attraverso quale processo storiografico, il sospetto di aspirare alla porpora. Lo studio della personalità di Sabinus Iulianus ($ 3), pre-

fetto di Carino, si sviluppa intorno alla valorizzazione di due importanti

testimonianze

di Zosimo

e di Aurelio

Vittore,

spesso trascurate. L'analisi consente di recuperare alla storia un personaggio che effettivamente fu acclamato Augusto, fu cioè un prefetto usurpatore, ma che non riuscì a portare a termine il suo tentativo e fu eliminato da Carino. Il terzo prefetto del pretorio di questa fase, Aristobulus ($4), spicca invece per l’eccezionale carriera che percorse durante il governo di diversi sovrani. Le sue qualità di amministratore furono apprezzate sia da Carino, sia da Diocle-

ziano, di cui egli fu uno dei più abili collaboratori. La ricostruzione della sua carriera ha evidenziato un aspetto fondamentale comune a tutti i prefetti di questo scorcio di III secolo: il loro peso nelle trame politiche che si tessevano ai vertici dell’impero. Tutti e tre i prefetti del pretorio della dinastia di Caro furono direttamente coinvolti negli avvenimenti che segnarono la rapida ascesa e il tramonto della famiglia imperiale. 51 tratta di una caratteristica che inserisce pienamente queste figure alla temperie politica della crisi del III secolo. Una migliore conoscenza dell' assetto della prefettura del pretorio durante il regno di Caro e dei suoi figli ha permesso, infine, una valutazione adeguata della notizia fornita dal-

l’ Historia Augusta su un altro prefetto del pretorio di Carino, Matronianus ($ 5). 2. APER, PREFETTO DEL PRETORIO DI CARO E DI NUMERIANO

Nel corso del 284 il prefetto del pretorio Aper si trovava in Oriente al fianco del genero Numeriano Augusto durante la marcia di ritorno dell’esercito romano dalla campagna di Persia !. ! Su Aper vd. O. SEECK, Aper 4, RE V2, col. 2697; PIR? A 909; PASSERINI,

p. 343, n. CO; Howe, p. 83, n. 57; PLRE I, p. 81.

22

Non sappiamo nulla della carriera di Aper prima della nomina a prefetto del pretorio, ma in PIR? (F 207) e in PLRE (1, p. 82) si suggerisce una possibile identità fra 1’ Aper prefetto del pretorio e un certo L. Flavius Aper v(ir) e(gregius) praepositus leg(ionum) V Mac(edonicae) et XIII Gem(inae) sotto Gallieno, quindi v(ir) p(erfectissimus) praeses provinciae Pannoniae Inferioris (CIL, III 15156; AE 1936, 53, 54, 57) in un momento successivo non meglio precisato. L'identificazione resta ipotetica, ma merita attenzione, perché le tappe della carriera di Flavius Aper, un cavaliere con una formazione militare, potrebbero adattarsi al cursus del nostro prefetto del pretorio. Non conosciamo la data della nomina di Aper alla prefettura del pretorio, ma la stretta parentela con la famiglia dell'imperatore Caro avvalora l'ipotesi che egli sia stato un uomo di fiducia di questo sovrano fin dai tempi della sua ascesa al trono, nell'autunno del 282. Per l'elevazione di Caro si consideri

il recente P. Oxy. 3569 datato ἔτους η΄ τοῦ κυρίου ἡμῶν Μάρκου AdpnAiov Πρόβου Σεβαστοῦ A0[0p] (28 ottobre-26 novembre 282). Il papiro ricorda un ottavo anno di Probo, la cui durata si estese nell’Ossirinchite almeno fino al novembre 282. E interessante notare che Caro fu acclamato Augusto dalle sue truppe mentre si trovava impegnato in operazioni militari in Rezia e nel Norico (cfr. Zos. I 71, 4-5) e Probo fu eliminato da una rivolta militare scoppiata contemporaneamente all'acclamazione del rivale. In un tale frangente pare verosimile che il praeses Pannoniae Inferioris possa essersi schierato con il nuovo imperatore Caro e possa aver contribuito in qualche misura all'eliminazione di Probo, che allora si trovava proprio in quella provincia presso Sirmium: Aper praeses Pannoniae Inferioris avrebbe visto la sua scelta a favore di Caro premiata con la nomina a prefetto del pretorio e con l'accesso nella famiglia stessa dell' Augusto.

Nella regione mesopotamica Aper dell'anno precedente, quasi certamente fetto del pretorio dell’imperatore Caro, dizione?. Secondo il quadro tracciato

era disceso agli inizi già in qualità di prepromotore della spein modo pressoché

? Secondo G. ALFÖLDY, Ein Bellum Sarmaticum und ein Ludus Sarmaticus in der Historia Augusta, in BHAC 1964/65, Bonn 1966, pp. 21-34 (zDie Krise des Rómischen Reiches, Stuttgart 1989, pp. 390-405), Caro Augusto condusse una rapida campagna contro i Sarmati alla fine del 282, avvalendosi delle truppe che Probo aveva raccolto intorno a Sirmium e i cui vertici erano stati responsabili della sua eliminazione. Si discute sulle tappe della campagna persiana di Caro e Numeriano, ma sembra certo che l'imperatore Caro intraprese la

spedizione nei primi mesi del 283 e, dopo una serie di successi, mori improvvisamente, nei pressi di Ctesifonte, prima del 30 agosto 283, come si deduce dalla monetazione alessandrina, che gli assegna solo un anno di regno, e dalla notizia, assai verosimile, del Cronografo del 354, che gli attribuisce dieci mesi e

cinque giorni di regno (MGH AA IX, Chron. Min. 1, p. 148). Inoltre solo P. Oxy. 1744 del 2 settembre 283 assegna un secondo anno di regno a Caro. Sulle vi-

23

concorde dalle fonti, Aper, che aspirava chinò una congiura e uccise Numeriano; sto il cadavere nella lettiga chiusa, in cui stretto da qualche tempo a viaggiare per

alla porpora, mactenne quindi nascol’imperatore era coproteggere dalla lu-

ce del sole i suoi occhi, colpiti da una malattia. Ma, dopo un

certo lasso di tempo, l’odore del cadavere svelò l’omicidio. Il 20 novembre del 284, subito dopo la scoperta della morte di Numeriano, nei pressi di Nicomedia l’esercito reduce dall'impresa persiana acclamò Augusto il comandante dei protectores del defunto Numeriano, C. Valerius Diocles, che as-

sunse il nome di Diocleziano. Nel corso della cerimonia stessa della sua investitura Diocleziano sguainò la spada e uccise con un colpo Aper che era al suo fianco, accusandolo dell’omicidio del genero Numeriano e giurando, in nome del Sole, di essere innocente della morte del suo predecessore 3. Questo è il sanguinoso epilogo di una vicenda che rimane per molti versi oscura e di cui il nostro prefetto del pretorio fu certamente protagonista. Tuttavia non c’è dubbio che il racconto delle fonti storiche attribuisca al prefetto del pretorio un comportamento segnato da una certa incoerenza, che risulta pertanto non completamente credibile. Sorprende il fatto che Aper non fece alcun tentativo per prendere il potere dopo aver eliminato Numeriano, preoccupandosi invece di celare il delitto in attesa di una sua elevazione, che non av-

venne mai e, anzi, partecipando all’investitura di un concorrente alla porpora 4. Per cercare di comprendere la figura di

cende cfr., di recente, M. CHRISTOL, L'empire romain du III° siècle. Histoire po-

litique (193-325 aprés J.-C.), Paris 1997, pp. 185-190. 3 La data esatta dell'elevazione di Diocleziano e, di conseguenza,

della

morte del prefetto Aper & stata confermata nel 1964 dalla pubblicazione da parte di T. C. Skeat del P. Panop. Beatty 2 (cfr. linn. 162 sgg., con note pp. 145 sg., e linn. 260 sgg.). Il papiro ha dimostrato la bontà della notizia di Lattanzio (Pers.

17,

1) e inficia definitivamente

il dato del Chronicon

Paschale

(p. 510

Dindorf, CSHB) che colloca erroneamente la cerimonia il 17 settembre. Circa il luogo del rinvenimento del corpo di Numeriano e della successiva cerimonia di

elevazione di Diocleziano (presso Nicomedia, non a Perinto, come erroneamente indicano il Chronicon Paschale e le versioni siriaca e armena del Chronicon

di Eusebio), cfr. T. B. JonEs, The Death of Numerian and the Accession of Diocletian, in “CPh” 35 (1940), pp. 302 sg. 4 Appare incomprensibile, per esempio, il lungo occultamento da parte del prefetto del cadavere di Numeriano nella lettiga (diu facinus occultatum secondo Aurelio Vittore, Caes. 38, 8) in una congiura che, come sempre in questi casi, avrebbe dovuto essere seguita immediatamente dall’elevazione di Aper.

24

questo prefetto del pretorio e il significato delle sue scelte ἃ necessario ricostruire il contesto storico che fu lo sfondo della sua azione, esaminando le voci e i silenzi della storiografia antica sul regno della famiglia di Caro. La tradizione storiografica in lingua latina, rappresentata da Aurelio Vittore (Caes. 38, 6-39, 13), da Eutropio (IX 18, 2-20, 1), dall’Epitome de Cesaribus (38, 4-5), dal Chronicon di Gerolamo (p. 225 Helm), da Orosio (VII 24, 4-25, 1) e dal-

l’ Historia Augusta (Car. 12, 1-13, rica cronologicamente più vicina sere definita la vu/gata sui regni tradizione propone un resoconto zione della vittoriosa campagna

2), offre l'esposizione stoagli avvenimenti e può esdi Caro e dei figli. Questa caratterizzato dalla descridi Caro e della sua morte

nella Mesopotamia

dal silenzio assoluto sulla

meridionale,

dinamica e sull’esito della spedizione persiana di Numeriano, dalla convinzione della responsabilità di Aper nella morte dell’ Augusto. Anche una parte della tradizione storiografica in lingua greca, sopravvissuta in redazioni storiche più lontane dagli avvenimenti rispetto agli storici in lingua latina, rientra nella vulgata. Giovanni Antiocheno (FHG 4, p. 600, fr. 161), Giorgio Sincello (p. 471 Mosshammer)

e, in

compendio, Giorgio Cedreno (p. 464 Bekker, CSHB) e Leone Grammatico (p. 81 Bekker, CSHB) non si discostano dal-

la parallela versione latina. Accanto alla tradizione storiografica ‘ufficiale’, che ab-

biamo definito col termine vulgata, e che si caratterizza per il silenzio assoluto sulla guerra condotta da Numeriano, esiste un filone della storiografia in lingua greca sul giovane imperatore che gli attribuisce una grave sconfitta contro i Persiani. E merito di S. Mazzarino aver valorizzato questa ten-

denza nell'ambito di una rilettura della tradizione storiografica romana sulle guerre persiane del III secolo 5. Il cronista antiocheno Malalas (pp. 303 sgg. Dindorf, CSHB), contemporaneo di Zosimo e attento alle vicende orientali dell’impero $, il Chronicon Paschale (p. 510 Dindorf, CSHB) e soprat-

5 S. MAZZARINO, L'anonymus post Dionem e la ‘topica’ delle guerre romano-persiane 242/4 d.C.-283/4 d.C., in La Persia nel Medioevo, Atti del Convegno dei Lincei, Roma 1971, pp. 655-678 (=ATA 2, pp. 69-103), e La tradizione sulle guerre fra Sabuhr I e l'impero romano: ‘prospettiva’ e ‘deformazione storica’, in “AAntHung” 19 (1971), pp. 59-82 (=ATA 2, pp. 33-68). 6 Per la testimonianza di Malalas cfr., accanto alla vecchia edizione inte-

25

tutto lo scrupoloso Zonaras (XII 30, p. 157 Dindorf) hanno conservato l’unico ricordo propriamente storiografico della campagna persiana di Numeriano. L'esposizione di Zonaras è la più equilibrata:

Novuepravòg ὁ υἱὸς αὐτοῦ μόνος βασιλεὺς £v τῷ στρατοπέδῳ περιελέλειπτο. καὶ αὐτίκα κατὰ Περσῶν ἐστρατεύσατο᾽ καὶ συρραγέντος πολέμου, ἐπικρατεστέρων TE τῶν Περσῶν γεγονότων καὶ κλινάντων νῶτα Ῥωμαίων, οἱ μὲν αὐτὸν ἐν τῇ φυγῇ συλληφθῆναι ἱστόρησαν καὶ ὅλου τοῦ σώματος τὴν δορὰν ἀποσυρῆναι δίκην ἀσκοῦ καὶ

οὕτω διαφθαρῆναι, [...]

Lo storico bizantino prosegue riportando anche la versione ufficiale della morte del giovane Augusto, che egli dichiara di aver ricavato da altre fonti (οἱ δέ [...] συνεγράψανto), secondo la quale, come abbiamo accennato, il principe, ammalatosi agli occhi, sarebbe stato ucciso all’interno della

sua lettiga dal suocero e prefetto del pretorio. Zonaras ha avuto cura di esporre entrambi i resoconti della morte di Numeriano presenti nelle sue fonti, ma non ha avuto alcuna incertezza riguardo all’esito negativo della campagna persiana dell’imperatore, che gli appariva come un dato di fatto incontrovertibile. Il ricordo di una sconfitta di Numeriano in Persia è il nucleo degno di fede di questa tradizione, che per comodità definiamo ‘minore’; ad esso si sono aggiunte le notizie sulla cattura e lo scuoiamento dell’imperatore, false e modellate sulla vicenda di Valeriano. Tutto lascia supporre che esistettero molto presto due versioni contrastanti sull’esito della campagna persiana di Numeriano, la vulgata e la tradizione ‘minore’. Il tentativo di razionalizzare la vicenda di un imperatore, Numeriano, che, confrontando le due versioni, risultava “morto due volte" (in

Persia per le conseguenze di uno scontro col nemico; sugli Stretti a causa della congiura del suocero e prefetto Aper) ha prodotto, negli storici

che hanno accolto la tradizione ‘minore’ — eccetto Zonaras — una duplicazione della campagna persiana di Numeriano e un coinvolgimento negli affari orientali di suo fratello Carino. L’anonimo autore del Ch-

grale nel Corpus di Bonn, l’edizione parziale a cura di A. SCHENK VON STAUFFENBERG, Die ròmische Kaisergeschichte bei Malalas.

Griechischer Text der

Bücher IX-XII und Untersuchungen, Stuttgart 1931, pp. 70 sg. (testo) e 394-396 (commento).

26

ronicon Paschale, dopo la scomparsa di Caro in Mesopotamia, ha segnalato dapprima una campagna persiana di Carino, conclusasi con la morte in battaglia dell’imperatore, quindi ha inserito una spedizione persiana di Numeriano, terminata con il suo assassinio sugli Stretti (analogamente la tradizione armena, su cui vd. sotto). Malalas invece non ha avuto dubbi circa l’esito negativo della guerra persiana dei Romani dopo la presa di Ctesifonte. Egli ha sdoppiato la campagna persiana di Numeriano, facendo prima morire Numeriano in Persia, poi, dopo un inverno di riposo, facendo combattere e morire anche Carino, ma di morte naturale, nel corso della guerra, e ha sorvolato sull’episodio di Aper. Solo la forza di una tradizione che conservava il ricordo dell’esito negativo della guerra di Numeriano in Mesopotamia poteva produrre un tale impaccio nella storiografia successiva. Per l’analoga e significativa duplicazione di un’altra campagna persiana, quella condotta da Gordiano

III, un altro imperatore,

come

Numeriano,

‘morto

due volte”, cfr. Zon. XII 17 sg. (pp. 128 sg. Dindorf), su cui vd. oltre.

La notizia della rotta dell’esercito di Numeriano merita considerazione. Nella stessa direzione si muove, infatti, la storiografia armena. Movses Xorenac’i, autore di una storia

d' Armenia, probabilmente redatta nella seconda metà del V secolo 7, a proposito delle imprese del re armeno Tiridate III, alleato dei Romani, ricorda che Carino - in realtà Numeriano — marciò nel deserto contro “Kornak”,

accompagnato

dal

pretendente al trono armeno, e che il loro esercito fu distrutto e l’imperatore ucciso. Tiridate si sarebbe salvato attraversando a nuoto l’Eufrate 3. Anche la storiografia armena co? Senza entrare nel merito del dibattito sulla periodizzazione della vita e della produzione letteraria di Movses Xorenac'i, accogliamo la tesi di G. TRAINA, // complesso di Trimalcione. Movses Xorenac'i e le origini del pensiero storico armeno, Venezia 1991, che colloca Jo storico armeno nel V secolo. Rassegna bibliografica su Movses e la sua opera storica in R. W. THomson, A Bibliography of Classical Armenian Literature to 1500 AD, Turnhout 1995, pp. 156-167. 8 Movses Xorenac’ı, Hist. Arm. II 79, cfr. ora la traduzione francese a cura di A. e J.-P. MAHÉ, Histoire de l'Arménie par Moise de Khorene, Paris 1993, p. 230. E difficile precisare cosa intendesse Movses con Kornak: forse una località situata sull' Eufrate, con maggiore probabilità un vassallo o un generale di Vahram II, che condusse la battaglia in assenza del re. La traduzione armena dei Chronicon di Eusebio di Cesarea (ma non il Chronicon geronimiano) ricorda la morte di Carino, cio& di Numeriano,

"nella guerra di Kornak"

(cfr. la trad. ted.

di J. Karst, GCS Eusebius Werke, Bd. V, p. 227) e Dionysius Telmaharensis, autore di un'epitome in siriaco del canone eusebiano, riferisce che Carinus interfectus est in proelio quo cum Cornace contendit (p. 78 Siegfried Gelzer). Sulla stessa linea altri due storici armeni successivi, lo Pseudo Sebeo e Samuele d' Ani, che trasformarono Kornak in un generale di Chosroe (cfr. M. L. CHAUMONT, L'Arménie entre Rome et l'Iran, in ANRW II, 9/1, Berlin-New York 1976, p.

27

nosceva grado 1l Per Movses

dunque una sconfitta di Numeriano in Persia malsilenzio della vulgata. valutare il peso da accordare alla testimonianza di non si deve trascurare il fatto che nel 282-284 le spe-

ranze di Tiridate III, allora esule nell'impero romano, di re-

cuperare il regno di Armenia, sottratto dai Sassanidi a suo padre Chosroe, erano strettamente legate all'eventuale successo di Caro contro Vahram II. La sconfitta di Numeriano e di Tiridate, suo alleato, impedi al re di riprendere possesso dell'intera Armenia. Tale evento — questo é il punto focale — doveva lasciare una traccia nella tradizione storica armena, cosi attenta alle vicende della vita del dinasta Arsacide e, so-

prattutto, primo re cristiano del paese (1l regno di Tiridate III, finalmente sovrano dell'intera Armenia dal 298, fu conside-

rato epocale dalla civiltà armena). La testimonianza di Movses Xorenac'i su Carino, cioè Numeriano, alleato di Tiridate e sconfitto col suo esercito, inserita nel contesto della politi-

ca antipersiana dei Romani e della storia del pensiero politico armeno acquista tutto 1] suo valore ?. Il silenzio della tradizione vulgata sulla campagna persiana di Numeriano appare ancora piü sospetto se consideriamo che il giovane sovrano si trovava presso Ctesifonte nel luglio 283, alla morte di suo padre Caro, mentre la sua anabasi si

compi solo verso la fine del 284 con l'arrivo in Bitinia 10, Nei 184, nota 6292). L’erronea attribuzione a Carino della campagna persiana suc-

cessiva a quella di Caro si deve al tentativo della fonte di Movses (comune alla restante tradizione siriaca e armena) di sanare il contrasto insito nelle fonti che riferivano due diverse tradizioni sulla morte di Numeriano. La storiografia armena ricorda infatti la morte di Numeriano sugli Stretti (cfr. Movses Xorenac'i,

Hist. Arm. cit.). ? Per la storia dell' Armenia tra III e IV secolo e la vicenda della dinastia regale Arsacide cfr. M.-L. CHAUMONT, Recherches sur l'histoire de l'Árménie de

l'avénement des Sassanides à la conversion du Royaume, Paris 1969, in particolare pp. 93-129; sull'impero dei primi Sassanidi cfr. R. N. FRvE, The History of Ancient Iran, München 1984, pp. 291 sgg., su Vahram Π cfr. in particolare pp. 303 sg. 10 Due rescritti di Numeriano Augusto pubblicati a Emesa rispettivamente

I'8 settembre 283 (CI V 71, 7) e il 18 marzo 284 (CI V 52, 2) sono stati addotti come prova del fatto che all'epoca della loro emissione la campagna persiana dell’imperatore fosse ormai conclusa. È possibile tuttavia proporre una soluzione che ha il pregio di inserirsi con naturalezza nella ‘cronologia lunga’ della spedizione. L'imperatore potrebbe aver soggiornato a Emesa per un certo tempo

(per esempio nell’autunno-inverno 283-284, secondo i dati di pubblicazione dei rescritti emesani) senza aver risolto del tutto il conflitto con 1 Persiani. A Emesa avrebbe avuto l'opportunità di dedicarsi al disbrigo dei suoi compiti civili.

28

sedici mesi che separano i due avvenimenti, l’acclamazione

in Persia e la morte in Bitinia, Numeriano dovette, almeno in un primo momento, combattere contro i Persiani. Alcuni indizi avvalorano l’ipotesi che il giovane Augusto abbia proseguito la guerra persiana intrapresa a fianco del padre. Il poeta Aurelio Olimpio Nemesiano, contemporaneo di queste vicende, dedicò i suoi Cynegetica a Carino e Numeriano Augusti. Nel proemio dell’opera il poeta si impegna a comporre immediatamente un poema epico sui trionfi germanici e persiani dei due sovrani !!. Dai versi di Nemesiano si desume che la guerra persiana di Numeriano, a differenza

della spedizione germanica di Carino, conclusasi poco prima della morte di Caro, è ancora in corso sotto la guida dell’ Au-

gusto, e un ritorno vittorioso dei due fratelli è atteso con impazienza a Roma. Queste le informazioni in possesso del poeta africano, quando, nella sua residenza, lontano dai due

Augusti, progettava la stesura di un poema che, in base alle nostre conoscenze, non sembra essere stato mal scritto 12. Il

terminus post quem del proemio è costituito dalla morte e dalla divinizzazione di Caro, risalenti al più tardi al luglio-

agosto 283. Un altro particolare cronologico è costituito dal-

Una nuova fase del conflitto romano-persiano potrebbe essersi aperta dopo il marzo 284 ed essersi conclusa nella tarda estate dell’anno con esito sfavorevole a Numeriano. L'ipotesi di un’alternanza di attività bellica e di tregua permetterebbe di spiegare la singolare durata (circa sedici mesi) della sua permanenza in Oriente. Del resto, come vedremo nel paragrafo seguente, l'ottima fonte di Zosimo (I 73, 2) sapeva con certezza che l’esercito di Numeriano si era ritirato

dalla Persia solo verso la fine del 284. ! Cfr. Nemes., Cyn., 63-85. Sul passo cfr. la recente edizione critica con commento a cura di H. 1. WıLLıams, The Eclogues and Cynegetica of Nemesianus (Mnemosyne, suppl. n. 88), Leiden 1986, pp. 97-113 e 161-193, con bibliografia precedente. 1? I] proemio dei Cynegetica potrebbe contenere nell'immagine della barca che affronta il mare aperto e che precede la dedica ai due Augusti (vv. 58-62) un’allegoria del passaggio di Nemesiano dalla poesia didascalica alla più impegnativa poesia epica. Ma nell'elenco delle opere del poeta cartaginese che il redattore dell’ Historia Augusta propone, in relazione alle presunte abilità compositive di Numeriano (SHA, Car. 11, 2), non compare alcun poema epico. L’assenza confermerebbe che il poema sulle imprese di Carino e Numeriano non fu

scritto, perché il redattore ha avuto cura di presentare tutte le grandi composizioni che avevano reso celebre Nemesiano. Sulle opere perdute di Nemesiano cfr. R. VERDIÈRE, Prolégomènes à Nemesianus, Leiden 1974, pp. 19-50; per una recente messa a fuoco cfr. M. Coccia, Staro presente delle ricerche su Nemesiano, in Cultura latina pagana fra terzo e quinto secolo dopo Cristo, Firenze

1998, pp. 23-52.

29

la menzione della 8018 campagna germanica di Carino, condotta mentre il padre era ancora vivo, e dal silenzio sul suo successivo trionfo sui Quadi, difficile da datare esattamente,

ma certamente posteriore alla morte di Caro 13. Inoltre, come illustreremo meglio nel paragrafo seguente, all’arrivo in Europa della notizia della scomparsa del senior Augustus si produsse un movimento nemico lungo la frontiera danubiana cui seguì in Pannonia l’usurpazione di un senatore di nome Iulianus, che fu sedata da Carino — allora impegnato fuori d’I-

talia — solo qualche mese dopo. Questi elementi consentono di avanzare l'ipotesi che Nemesiano abbia composto i versi 63-85

del proemio

non

all'indomani

della morte

di Caro,

mentre era in corso la rivolta di Iulianus e l'imperium dei due fratelli era insidiato dall'interno, ma dopo che Carino ebbe eliminato l'usurpatore pannonico e prima della sua affermazione sui Quadi. È comprensibile che il poeta tacesse di una vittoria su armi romane, ma di sicuro non avrebbe mai omes-

so di celebrare un successo di Carino sui barbari. Sembra dunque più probabile collocare la composizione del proemio non prima degli inizi del 284. Allora Numeriano era ancora impegnato sul fronte orientale, mentre l’occupazione delle città mesopotamiche sembra avvertita dal poeta africano come una fase ormai conclusa del conflitto. Un’eco di combattimenti conclusisi positivamente sul

13 La vittoria germanica di Carino avvenne durante il regno del padre come mostrano le titolature imperiali di alcuni documenti (P. Oxy. 55, 16-19, datato 7

aprile 283; Eph. Ep. VIII 740; CIL, VIII 2717 e 7002-ILS 607=ILAlg. 2, 576; AE 1967, 585; cfr. anche "Mémoires de la Société Nationale des Antiquaires de France" 64 (1905), p. 184; CIL, XIV 126=/LS 608; AE 1993, 17692) e la monetazione di Ticino studiata da D. GRINCOURT, L’adventus de Carin dans Ticinum et son mariage avec Magna Urbica, in "RN" 150 (1995), pp. 95-112. Carino, di ritorno dal fronte renano, avrebbe sposato Magna Urbica a Ticino e sarebbe par-

tito per Roma proprio nel periodo della scomparsa di Caro. Per la vittoria di Carino sui Quadi si vedano i medaglioni d'oro coniati dalla zecca di Siscia con profilo di Numeriano sul recto e leggenda: imp(erator) Numerianus P(ius) F(elix) Aug(ustus); sul verso immagine dei due Augusti in quadriga, nell'esergo prigionieri, leggenda: triunfu Quador(um); cfr. K. PINK, Die Med-prägung unter Carus und seinen

Sóhnen,

in American

Numismatic

Society

Centennial

Volume,

New York 1958, plate XX XVI, n. 6, e Der Aufbau der römischen Münzprägung in der Kaiserzeit, VI/2, Carus und Söhne, in “NZ” 80 (1963), p. 45. Non abbia-

mo alcun medaglione con il profilo e la leggenda di Carino, ma non c'& dubbio che tale conio esistesse, perché la vittoria sui Quadi fu un'affermazione militare di Carino. Il recto dedicato a Numeriano Augusto impone naturalmente una datazione successiva alla morte di Caro.

30

fronte orientale si ritrova in alcune monete coniate durante il regno congiunto dei due fratelli. 51 tratta di aurei e denari, fabbricati in diverse zecche dell’impero, che celebrano alcune vittorie militari. La distribuzione geografica e la varietà delle coniazioni farebbe ipotizzare sequenze di emissioni relative a eventi bellici diluiti nel tempo e condotti sia da Carino sia da Numeriano !4. Inoltre un medaglione d’oro coniato a Roma presenta un’interessante iconografia di Numeriano Augusto che uccide un Persiano, riconoscibile dal berretto frigio !5. Se ne deduce che Numeriano, dopo la morte del padre, in contraddizione con la cronologia vulgata, ottenne dei successi militari, almeno parziali, in Mesopotamia. Tuttavia

è significativo che le monete non attribuiscano mai a Numeriano i cognomina Parthicus e Persicus, neanche dopo la sua divinizzazione, quando, nel pieno della crisi esplosa alla morte del principe, e che avrebbe travolto la famiglia di Caro, Carino tentò un rafforzamento del culto dinastico

16. In

14 Emissioni collegate verosimilmente a successi bellici di Carino e Numeriano Augusti furono coniate dalle zecche di Roma (cfr. RIC V/2, p. 180, n. 330-

332; p. 196, n. 422), di Lione (cfr. RIC V/2, p. 192, n. 386-389), di Ticino (cfr. RIC V/2, p. 198, n. 441-443), di Siscia (cfr. RIC V/2, p. 200, n. 458), di Antiochia (due diverse serie di aurei, cfr. RIC V/2, p. 190, n. 374, e p. 201, n. 464).

Per le emissioni di antoniniani in Oriente, destinati verosimilmente a pagare le truppe di Numeriano, cfr. RIC V/2, pp. 178 sg., e 201 sg.; PINK, Der Aufbau cit., pp. 52-57. 15 Cfr. FE. GNEcCHI, 7 medaglioni romani, I, Milano 1912, p. 11 e tav. 4, n. 7; RIC VI2, p. 194, n. 401. Sul recto compare la leggenda: imp(erator) Numerianus Aug(ustus); il conio ritrae il giovane Augusto, loricato, la fronte cinta dal-

l’infula, che ha nella destra le redini del cavallo, nella sinistra la lancia. Sul ver50, sotto la leggenda Virtus Augustorum, si snoda una scena di battaglia: Carino (a sinistra, cioé a Occidente) e Numeriano (a destra, cioé a Oriente), entrambt a cavallo, uccidono con la lancia sei nemici calpestati dalle auguste cavalcature, mentre due Vittorie alate incoronano i sovrani. Il nemico colpito dalla lancia di Numeriano é un Persiano. 16 Sulla crisi del 284-285 cfr. $ 4. Per le monete (antoniniani) del divo Nu-

meriano — ma anche dei divi Caro e Nigriniano — cfr. R/C V/2, p. 196, n. 424426; pp. 202 sg., n. 471-474; p. 140, n. 47-50; PINK, Der Aufbau cit., pp. 38 sg. La zecca di Roma & l'unica fabbrica ad avere emesso queste serie dedicate ai parenti divinizzati della famiglia di Carino; si tratta dell'ultima serie di questo imperatore ed & caratterizzata dalle sigle KAA e KA-A nell'esergo. Queste emissioni sono databili ἃ] periodo successivo la vittoria di Carino sull’usurpatore Sabinus Iulianus, agli inizi del 285 (cfr. 8 sg.). Sul giovane Nigrinianus cfr. X. LoRIOT, Note sur le divus Nigrinianus, in "BSEN" 52 (1997), pp. 1 sgg.; sulla politica dinastica di Carino cfr. X. Dueurs, La dédicace du "temple anonyme" de Lambése, in “BCTH”, n.s., 23 (1994), pp. 81-99.

31

quel frangente Carino avrebbe certamente sfruttato la fama del fratello qualora questi avesse ottenuto un’affermazione globalmente positiva sui Sassanidi. Per contrasto una ricca e longeva tradizione storiografica sulle guerre persiane dei Romani riconosceva in modo unanime a Caro, senior Augustus,

un successo umiliante per i Persiani, con la presa di SeleuciaCtesifonte, e occultava la guerra di Numeriano. Festo, storico principalmente delle imprese persiane dei Romani, esaltava la vittoria di Caro, così schiacciante che nimium potens superno numini visa est (Brev. 23). Nella stessa linea, ma con maggiore moderazione, le epitomi di IV secolo e l'Historia Augusta. Anche l'Anonymus post Dionem, informatissimo sulle guerre orientali dei Romani, a proposito del breve regno di Caro, amplificava l'eco della vittoria persiana dell'imperatore, ricordando l'aneddoto per cui lo stesso Caro diceva di essere stato acclamato Augusto per la rovina dei Persiani (FHG 4, p. 198, fr. 12). 1 partecipanti alla spedizione persiana di Giuliano conservavano vivo il ricordo della presa di Coche ad opera di Caro ottanta anni prima (Amm. XXIV 5, 3; Zos. III 23, 4). Ancora nella seconda metà del V secolo l'aristocratico gallo-romano Sidonio Apollinare, tessendo le lodi di Narbona, ricordava la vittoria dell'imperatore narbonese Caro, lontana eco di una tradizione inossidabile (Carm. 23, vv. 91-94). Anche lo storico romano di lingua greca Eusebius, che fu la fonte primaria per gli avvenimenti politici e militari narrati nella Historia Ecclesiastica di Evagrius, trattó sintomaticamente della storia romana fino alla morte di Caro "7. Sul problema della morte di Caro, provocata dall'invidia degli dei per la sua vittoria, e sul cosi detto ‘oracolo di Ctesifonte' cfr. J. STRAUB, Das Ctesiphon-Orakel, nei suoi Studien zur Historia Augusta, Bern

1952, pp. 123-132. Accanto alla discutibile versione vulgata per cui l'imperatore Caro sarebbe morto colpito da un fulmine nel suo accampamento — anzi nella sua tenda — sul Tigri, S. Mazzarino ha opportunamente valorizzato la notizia, conservata in Zonaras (XII 30, p. 156 Din-

17 Evagr., H.E. V 24 (p. 219 Bidez Parmentier)=FGrHist 101 T 1. In questo famoso paragrafo Evagrius, verso l'ultimo quarto del VI secolo, traccia un interessante panorama degli autori di storia ecclesiastica e profana in lingua greca da lui utilizzati. Sull'excursus di Evagrius cfr. le riflessioni di S. MAzzARINO, Sulla storiografia greca intorno alla grande crisi del NI secolo D.C., in ATA 2, p. 31 e L'Anonymus post Dionem cit. (sopra, a nota 5), pp. 655 sgg. (=ATA 2, pp.

69 sgg., in partic. p. 91), che data l'opera di Eusebius intorno al 300, e le recenti considerazioni di J.-P. CALLU, D’Evagre à l'Histoire Auguste, in HAC Gene-

vense, Bari 1994, pp. 71-87. Piü in generale sul problema della storiografia romana del III secolo cfr. l'ampia monografia di B. BLECKMANN, Die Reichskrise des III. Jahrhunderts in der spätantiken und byzantinischen Geschichtsschreibung. Untersuchungen zu den nachdionischen Quellen der Chronik des Johannes Zonaras, München 1992.

32

dorf), ma già, con leggera variante, nell’antiocheno Malalas (p. 303 Dindorf, CSHB), di una sua sconfitta contro (mercenari) Unni al servizio dei Sassanidi dopo il successo di Ctesifonte, cfr. Migrazioni 'Unniche': confronto fra due crisi, in ATA 2, pp. 22 sgg. Se, come sembra, questa informazione fosse esatta, avremmo un ulteriore elemento a favore della necessità per Numeriano di proseguire la guerra mesopotamica: egli dovette certamente tamponare la controffensiva (unnico-)persiana che aveva causato la morte di suo padre nell’estate del 283, per poi svernare verosimilmente in Siria (in Cirrestica secondo Malalas, p. 306 Dindorf, CSHB) in attesa di riprendere le operazioni. Naturalmente la gloria di Caro, conquistatore di Seleucia-Ctesifonte, non poteva essere oscurata nella memoria storica da una sconfitta: gli dèi, non i Persiani (o gli Unni), avevano avuto ragione di lui. Dell’eccentrica versione tramandata nella vulgata -- Caro ucciso all’improvviso dal fulmine addirittura nella sua tenda — andrà valorizzato proprio il ricordo di una morte dell’imperatore nella sua tenda, che richiama immediatamente alla memoria l’agonia di Giuliano reducto ad tentoria di Ammiano (XXV 3, 10). Non va dimenticato infine che la tradizione storica superstite, per quanto frammentaria, tende a distinguere geograficamente l’impresa di Caro e l’impresa di Numeriano. La spedizione di Caro si svolse lungo il corso del fiume Tigri, muovendo dall’ Armenia (cfr. Syn., Op. I 16 Terzaghi) e terminò con la vittoria di Ctesifonte e con la morte dell’imperatore super Tigridem (su tale localizzazione l’intera tradizione concorda). La spedizione di Numeriano fu caratterizzata da uno scontro fatale sull’Eufrate (Movses e Malalas), un settore bellico prossimo a Emesa -- dove furono pubblicati i rescritti di Numeriano durante l’autunno-inverno del 283-284 — e alla Cirrestica, dove avrebbe svernato, secondo l’antiocheno Malalas, l’esercito di Numeriano.

La vittoria di Caro su Vahram II ha rappresentato dunque per la sensibilità storica dei Romani un momento epocale, l’ora della riscossa dopo la lunga serie di sconfitte che Sabuhr I aveva loro inflitto nel corso del III secolo, e fu cele-

brata al punto che la sconfitta di Numeriano ha subito un fenomeno di rimozione globale. Tuttavia dell’insuccesso del giovane imperatore sono rimaste tracce tanto nella tradizione ‘minore’, rappresentata dall’antiocheno Malalas, dal Chronicon

Paschale

e da Zonaras,

e nella storiografia

armena,

quanto nelle monete della famiglia di Caro e nei versi di Nemesiano. La sconfitta di Numeriano si profila dietro alle reticenze e ai silenzi della storiografia romana vulgata, che attribuiva la morte dell’ Augusto non alle conseguenze della disfatta militare, ma a un improbabile e mai realizzato progetto di successione del suo prefetto del pretorio. Incolpare il prefet33

to del pretorio per mascherare la sconfitta militare è un atteggiamento non isolato nella storiografia romana sulle guerre persiane del III secolo. Esiste un notevole parallelo tra la vicenda di Numeriano e quella di Gordiano III: entrambi giovani sovrani, entrambi affiancati da un prefetto del pretorio

esperto, entrambi sconfitti sul gna persiana di Gordiano III, Grazie all’iscrizione di Sabuhr piamo che Gordiano morì per

fronte orientale. Sulla campaperò, siamo meglio informati. I alla Ka’ba di Zoroastro saple ferite procurategli dai Per-

siani nel corso della battaglia di Misiche-Pirisabora, sul me-

dio corso dell’Eufrate ai confini della Babilonia !8. Di questa battaglia e del suo esito fatale all’imperatore la tradizione storiografica romana non ha conservato ricordo. Anche in questo caso la storiografia in lingua latina, rappresentata dagli epitomatori del IV secolo, affermava che Gordiano, dopo

aver concluso positivamente la guerra persiana, Marci Philippi praefecti praetorio insidiis periit ?, notizia che costituì la tradizione vulgata sulla morte di Gordiano e che ritroviamo anche nella storiografia bizantina. Zosimo attribuisce in-

fatti al prefetto Filippo una ἐπιθυμία βασιλείας per la qua-

le istigò i soldati alla rivolta e al cesaricidio 2°. Tuttavia anche nel caso di Gordiano III si é conservato un filone storiografico ‘minore’ in lingua greca e in armeno che si rivela aderente alla realtà dei fatti. A differenza di Zosimo, che sor-

volava sulle cessioni umilianti dei Romani a vantaggio dei Sassanidi,

la memoria

storica

armena

conservava

traccia,

nella elaborazione di Movses Xorenac’i, della gravità della 18 A. MARIO, Res Gestae Divi Saporis, in “Syria” 35 (1958), p. 307, gr. linn. 7 sg. Il testo dell’iscrizione è volutamente sintetico e incisivo: a Sabuhr I interessava sottolineare che la sua vittoria era costata la vita all'imperatore dei Romani caduto sul campo, non spiegare le modalità della morte dell’avversario, che, probabilmente, morì per le ferite durante la ritirata.

1% Cfr. Aur. Vict., Caes. 27, 8. Stessa versione in Eutropio (IX 2, 3), nell'Epitome de Caesaribus (27), in Orosio (VII 19, 4) e in Gerolamo (Chron., p. 217

Helm). L' Historia Augusta (Gord. 29 sg.) rimpolpa notevolmente, secondo la sua tendenza avversa a Filippo, gli scarni dati che troviamo negli epitomatori, come del resto fa, forse con ancora minore misura, a proposito della morte di Numeriano. Seguiva la vulgata anche Ammiano (XXIII 5, 7, con riferimento a

quanto esposto in uno dei libri perduti). 20 Zos. I 18, 2-19, 1. Un’eco della vulgata in Oracula Sybillina XII 19 sg.

(p. 204 Geffcken), dove l’ Ares tradito (προσδοθεὶς dp’ ἑταίρου) è appunto Gordiano III; sull’oracolo XII cfr. ora D. POTTER, Prophecy and History in the Crisis of the Roman Empire: a Historical Commentary on the Tertheenth Sybilline

Oracle, Oxford 1990, pp. 204-212.

34

pace firmata da Filippo dopo la morte di Gordiano, perché il trattato di Filippo aveva sancito la definitiva inferiorità degli Arsacidi d' Armenia di fronte alla regalità del Sassanide Sabuhr I 21. La fonte greca di Evagrius conferma la bontà della notizia di Movses 2. Ancora una volta dobbiamo constatare la solidità della tradizione armena per la storia delle relazioni romano-persiane tra III e IV secolo. Un diverso filone storiografico ‘minore’, conservatosi anche in questo caso attraverso Zonaras, conservava indizi sulla morte di Gordiano in

battaglia. Lo storico bizantino affermava che il giovane Augusto era caduto col suo cavallo e si era spezzato il femore combattendo contro i Persiani 23. Questa importante notizia, che adombrava la morte dell’imperatore in battaglia (o comunque per le ferite riportate nello scontro), rimonta senza dubbio ad una fonte che conosceva la verità sulla fine di Gordiano III. La storiografia romana tuttavia preferiva attribuire la morte dell’imperatore all’ambizione del suo prefetto del pretorio. Il patriottismo romano deve aver giocato un ruolo notevole nell’interpretazione dei fatti. L’onta delle sconfitte contro i Persiani dovette pesare notevolmente sulla sensibilità collettiva dei Romani durante la crisi del III secolo. Si poteva mascherare la vergogna della sconfitta cercandone la causa nei dissidi interni all’esercito romano, come nel caso di

Gordiano ΠῚ e del suo prefetto Filippo e di Numeriano e del suo prefetto Aper. Si poteva arrivare addirittura a rimuovere dalla memoria una campagna persiana conclusasi in modo

2! Movses Xorenac’i, Hist. Arm.

II 71-73, con trad. franc. a cura di A. e J.-

P. MAHE, Histoire de l'Arménie cit. (sopra, a nota 8), pp. 223-225. ? Evagr., H.E. V 7 (p. 203 Bidez Parmentier).

23 Zon. XII 17 (p. 128 Dindorf): (Γορδιανοῦ) ὁλισθήσαντος δὲ τοῦ ἵππου καὶ συμπεσόντος αὐτῷ, τὸν μηρὸν κατεαγῆναι. E interessante che nel caso di Gordiano III Zonaras, scrupoloso nel distinguere le due tradizioni sulla morte di Numeriano, senza coinvolgere Carino in un'impresa persiana che quell' imperatore non condusse mai, abbia invece duplicato Gordiano III in due sovrani distinti. Secondo Zonaras (XII 17 sg., pp. 128 sg. Dindorf) entrambi i Gordiani sarebbero stati impegnati in due distinte campagne persiane, ma il primo Gordia-

no sarebbe morto per le ferite riportate nello scontro con i Persiani (a MisichePirisabora), il secondo Gordiano sarebbe stato assassinato nella congiura ordita dal prefetto Filippo. Questa la soluzione di Zonaras nel caso di Gordiano III,

"morto due volte". L'episodio del ferimento in battaglia di Gordiano III, ignorato dalle cronache bizantine fino al XII secolo, ἃ confluito poi nell'anonima Synopsis Chronike (p. 36 Sathas).

35

sfavorevole, come nel caso della spedizione di Numeriano, il

cui silenzio ha prodotto piü narrazione storica degli anni fonti preferiscono sorvolare della campagna di Gordiano è rimasta alcuna menzione

di un anno intero di vuoto nella 283-284. Per le stesse ragioni le sulle fasi prettamente militari in Mesopotamia. Parimenti non nella storiografia romana della

grande vittoria di Sabuhr I a Barbalisso nel 256, che ebbe come conseguenza la distruzione di un esercito romano di ses‘ santamila uomini, la devastazione della Siria e la presa di

Antiochia e di altre trentasei città 24. La tradizione su Numeriano sconfitto

e menomato,

e la

tendenza della storiografia romana a cercare fra i Romani le cause degli insuccessi degli Augusti sul fronte orientale, consentono di ridimensionare la vulgata sulla responsabilità di Aper nella morte di Numeriano, ma non di sottovalutare il

peso politico della prefettura del pretorio in questa fase della sua evoluzione. Coinvolto nell’insuccesso militare del genero, il prefetto si trovò a gestire la crisi politica e dinastica che esplose, probabilmente nella seconda metà del 284, intorno all'imperatore malato. Non ci sono dubbi che Numeriano fu costretto a viaggiare immobile nella sua lettiga, celato alla vista di tutti, escluso naturalmente il prefetto del pretorio,

che, ottemperando ai suoi doveri, in quel delicato frangente teneva i contatti tra l’imperatore infermo e il suo seguito 25. Ciò che resta difficile da immaginare è la grande autonomia di iniziativa che le fonti vorrebbero attribuire ad Aper. Non che un abile e influente prefetto del pretorio non potesse trarre vantaggio da una simile crisi, ma è il contesto politico-mi-

litare dell’anno 284 a sollevare difficoltà. È poco probabile che Aper possa aver progettato o anche semplicemente sperato di uccidere il genero Numeriano e di succedergli senza l’appoggio degli alti ufficiali suoi colleghi, che comandavano direttamente le truppe destinate ad acclamarlo Augusto. L’esercito di Numeriano non era un distaccamento legionario

di provincia, di quelli che nel corso delle tormentate vicende 24 MARIO, Res Gestae Divi Saporis cit. (sopra, a nota 18), p. 309, gr. linn. 10-12. 25 Gli storici in lingua latina parlano tutti di un oculorum dolor, che avrebbe costretto Numeriano in lecticula durante il ritorno dalla Persia. Giovanni Antiocheno descrive Numeriano accecato e chiuso nella lettiga (FHG 4, p. 600, fr. 161); anche Giorgio Syncello (p. 472 Mosshammer) e Zonaras (XII 30, p. 157

Dindorf) riferiscono della sua ὀφθαλμία.

36

del III secolo avevano creato numerosi usurpatori, ma un grande corpo di spedizione che, seppure ridotto dalla guerra, si avvaleva certamente di un numero non trascurabile di comandanti esperti, potenziali concorrenti nella successione. Appena due anni prima il prefetto del pretorio Caro, comandante di un esercito in Rezia e Norico, aveva usurpato la porpora ai danni di Probo 26. Ma Caro era a capo di un contingente di dimensioni certamente ridotte rispetto all’esercito di Numeriano, e nel suo comando era affiancato da ufficiali me-

no influenti: gli strateghi nel 282 si trovavano a Sirmium per organizzare la spedizione persiana e accettarono la scelta del nuovo Augusto. In questo scorcio di III secolo le usurpazioni erano in generale espressione del compromesso raggiunto in seno ai vertici militari dell’impero e richiedevano un’intesa tanto maggiore quanto più era alta la concentrazione di ufficiali potenti, come nel caso dell’esercito di Numeriano. L'epilogo della sua vicenda è illuminante a questo proposito. In un momento imprecisato prima dell’arrivo in Bitinia l’imperatore morì, ma la notizia della morte fu ritardata dallo stato maggiore, che evidentemente doveva prendere una decisione a riguardo. Alcuni giorni dopo, però, fu chiaro a tutti, dal fetore del suo corpo, che l’imperatore era morto. Presso Nicomedia, il gruppo degli alti ufficiali che avevano guidato le operazioni di Caro e Numeriano in Persia, decise di non rimettere la questione all’unico Augusto legittimo, Carino, che era in Occidente, ma di creare un nuovo impera-

tore 27. Il punto cardine dell'intera vicenda è proprio l’acclamazione di un nuovo Augusto. Nel 284 Carino era l’impera26 Zosimo (I 71, 4-5) mostra chiaramente il meccanismo dell’usurpazione di Caro: le truppe ai suoi ordini nelle provincie di Rezia e Norico lo acclamarono Augusto, lo stato maggiore di Probo a Sirmium, abbandonò l’imperatore con cui era in urto (cfr. il discorso insolente del tribuno Martinianus conservato in

Anon. post Dionem, FHG 4, p. 198, fr. 11). La disapprovazione degli eserciti per la politica ‘pacifista’ e temporeggiatrice di Probo fu l'elemento scatenante della rivolta (cfr. SHA, Prob. 20, 2-6), la popolarità di Caro fra le truppe e il suo programma di rivincita sul nemico orientale il motivo del suo successo (cfr. ancora

l'Anonymus post Dionem, cit. sopra, a p. 32, e Zon. XII 29, pp. 155 sg. Dindorf). Per questo

l'esercito inviato

ad abbattere

Caro

gli si consegnó,

mentre

a Sir-

mium gli ufficiali provvidero a uccidere l' Augusto. Sulla figura e la carriera del tribuno Martinianus, oppositore di Probo, cfr. G. WALsER, Vier Dedikationen an

Kaiser Carus und seine Söhne aus den Westalpen, in “Epigraphica” 47 (1985), pp. 53-63. ?! Sul luogo di residenza di Carino all'epoca dell'acclamazione di Diocleziano vd. $ sg.

37

tore cui spettava il comando dell’esercito del fratello defunto: l'elevazione di Diocleziano rappresentò dunque una vera e propria usurpazione. Dal momento che il corpo di Nume‘rlano, come attestano le fonti, arrivò ad uno stato avanzato di

decomposizione, è probabile che la cerimonia di investitura sia stata procrastinata per seri motivi: il timore per la reazione di Carino all’acclamazione di un altro Augusto poteva essere un forte deterrente per gli uomini coinvolti nell’usurpazione. La forza di cui godeva Carino in quel periodo è dimostrata dall’efficacia con cui egli contrastò sul campo di battaglia le usurpazioni di Sabinus Iulianus e di Diocleziano nel 285 28. L’esito del confronto fra le autorità militari dello stato maggiore di Numeriano non fu favorevole ad Aper. Forse per i suoi legami con la dinastia colpevole dell’insuccesso persiano, il gruppo degli ufficiali di Numeriano e il suo prefetto del pretorio si espressero a favore del comandante dei protectores, C. Valerius Diocles, che, allestita la tribuna e

schierate le truppe, fu acclamato Augusto. Egli, con grande realismo politico, provvide ad eliminare immediatamente il personaggio che in quel difficile momento riteneva più pericoloso per il nuovo corso politico che stava inaugurando: l'ex prefetto del pretorio e suocero di Numeriano. Aper affiancando Diocles durante la cerimonia dimostrava di essere favorevole all’investitura, o quantomeno di accettarla. La sua

uccisione fu istantanea, inaspettata e di inusuale crudeltà per quel genere di cerimonia, solenne e densa di auspici 29. I testimoni della cerimonia di Nicomedia,

che verosimilmente

costituirono anche la fonte di prima mano per lo storico, o gli storici, che stesero l’originario resoconto di quegli avveni28 Sullo scontro di Carino con Sabinus Iulianus e Diocleziano vd. $ sg. 2 Le fonti, concordi, risalgono certamente a testimonianze oculari: Aur. Vict., Caes. 39, 13; Eutr. IX 20, 1; SHA, Car. 13, 2; Oros. VII 25, 1; Hier., Chron. p. 227 Helm. Il giuramento pronunciato da Diocleziano Augusto, secondo un costume tipico delle investiture imperiali e della teologia del potere romano, ha lo scopo di sottolineare l’estraneità del neo eletto alla morte del suo predecessore e, soprattutto, l'accettazione umile e consapevole della gestione della res publica, espressione sintetizzata dalla formula neque imperii cupien-

tem se fuisse. Il rifiuto del potere è un tratto distintivo dell’imperatore illuminato. Per il rature et impérial ris 1980,

valore teologico dell’adventus di Diocleziano cfr. M. CHRISTOL, Litténumismatique: l'avénement de Diocletien et la théologie du pouvoir dans les derniers décennies du III* siècle, in Mélanges J. Lafaurie, Papp. 83-91, e J.-L. DESNIER, Dioclès ou l'impérieux destin, in "AC" 62

(1993), pp. 175-186.

38

menti, rimasero senza dubbio assai colpiti dal gesto omicida con cui il nuovo Augusto inaugurava il suo principato. Nell’incertezza del momento l’eliminazione del prefetto contribuì a legittimare Diocleziano facendone il vendicatore di Numeriano, e ad alimentare i sospetti di una cospirazione ordita da Aper ai danni del genero. Non è improprio chiedersi se la tesi della congiura del prefetto non sia stata costruita a ritroso muovendo dalla sua pubblica uccisione. L'importanza di questo prefetto del pretorio consiste nella sua posizione-limite all’interno del secolare sviluppo della carica. Aper rappresenta l’ultimo prefetto del pretorio su cui gli storici antichi poterono addensare il sospetto del cesaricidio e dell’usurpazione, sospetto in verità poco fondato, e per questo tanto più emblematico. La sua morte segna in un certo senso la fine di un’epoca nell’evoluzione della prefettura del pretorio, l'epoca dei prefetti capaci di influenzare la politica e la successione degli Augusti, o di stringere legami matrimoniali con gli Augusti stessi, l’epoca di Plauziano, di Macrino, di Timesiteo, di Filippo, di Eracliano, di Caro e, con minore risonanza, di Sabinus Iulianus (su cui vd. ὃ sg.). L'imperatore Dio-

cleziano, che avrebbe restituito ad Augusti e Cesari il totale controllo della res publica e degli eserciti, e avrebbe gettato le basi su cui Costantino avrebbe fondato la sua rivoluzione,

inaugurava il suo dominio con un’uccisione dettata certo da esigenze politiche pressanti, ma densa di implicazioni simboliche. Qualunque sia la portata della crisi, i successori di Aper alla carica di prefetto del pretorio non potranno più usurpare la porpora, neanche nell’immaginazione degli storici romani. 3. DA IULIANUS A SABINUS IULIANUS:

DUE MOMENTI

DELL’OP-

POSIZIONE POLITICA A CARINO

Durante i regni di Caro e di Numeriano un solo prefetto del pretorio, Aper, sembra aver affiancato, uno dopo l’altro, i

due Augusti impegnati nella guerra persiana. Come abbiamo visto egli fu coinvolto direttamente nelle fasi convulse che,

alla morte di Numeriano Augusto in Bitinia, portarono all'investitura di Diocleziano. Proprio la cerimonia di Nicomedia fu fatale per il prefetto, il cui prestigio all’interno dello stato maggiore dei due Augusti, padre e figlio, appare un fatto indiscutibile, come dimostrano la sua repentina eliminazione e la tradizione affermatasi sul suo conto. 39

Più incerta è invece la questione del numero quenza dei prefetti del pretorio dell’altro figlio di peratore Carino, Augusto nella parte occidentale dal 283 alla prima metà del 285. Sul problema,

e della seCaro, l’imdell'impero anche nelle

valutazioni più recenti, sussistono incertezze, che richiedono

una messa a fuoco puntuale. La tradizione storiografica antica ha attribuito a Carino tre prefetti del pretorio: Sabinus Iulianus, Ti. Claudius Aurelius Aristobulus e Matronianus. La concentrazione di tanti eminentissimi accanto a un sovrano che governò poco più di un biennio appare sospetta. Si tenga presente, però, che il regno di Carino fu segnato da tensioni e contrasti tra l’imperatore e l’ordine senatorio, ma anche tra l’imperatore e le alte

cariche militari (equestri), che provvidero alla sua uccisione a tradimento a Margum. Anche i tentativi di usurpazione ai suoi danni sono un segnale evidente del disagio che ha caratterizzato le relazioni tra Carino e i diversi gruppi di potere, attivi durante la sua reggenza in seno alla classe dirigente dell’impero. Non è impossibile che in un simile clima di difficoltà Carino possa aver sentito l’esigenza di sostituire o eliminare i suoi collaboratori più stretti nel tentativo di assicurare maggiore stabilità al suo primato. Possiamo quindi accettare in linea generale l’eventualità che più di un prefetto del pretorio abbia collaborato con Carino durante il suo difficile governo. Per motivi di chiarezza espositiva dedichiamo questo paragrafo allo studio della prefettura del pretorio di

Sabinus Iulianus, i paragrafi seguenti all’esame della carriera di Aristobulus e alla valutazione della notizia relativa a Matronianus.

Zosimo è l’unica fonte ad attribuire a Sabinus Iulianus il titolo di prefetto del pretorio di Carino e a tracciare le linee del suo tentativo di usurpazione (Zos. I 73, 1-3): ᾿Αγγελθείσης τοῖς ἐν Ἰταλίᾳ τῆς Νουμεριανοῦ τελευτῆς, ἐπὶ τῇ Καρίνου περὶ πάντα ἐκμελείᾳ καὶ ὠμότητι δυσχεράναντες οἱ τῶν ἐκεῖσε στρατοπέδων ἡγούμενοι Σαβίνῳ Ἰουλιανῷ τὴν ὕπαρχον ἀρχὴν ἔχοντι βασιλικὴν στολὴν περιθέντες μάχεσθαι σὺν αὐτῷ διενοοῦντο Καρίνῳ.

Καρῖνος

δὲ γνοὺς τὴν ἐπανάστασιν

ἐπὶ τὴν ;-

ταλίαν ἐστέλλετο" τότε δὴ τῶν στρατιωτῶν συμφρονῆσαι σφίσιν τοὺς ἀπὸ Περσῶν ἐπανελθόντας ἀναπεισάντων, 40

Διοκλητιανὸν ἤδη κατὰ τὴν Νικομήδειαν τὴν ἁλουργίδα

περιθέμενον ἄγουσι κατὰ τὴν Ἰταλίαν.

Ἔτι δὲ ὄντος

αὐτοῦ κατὰ τὴν ὁδὸν, συμβαλὼν ὁὁ Καρῖνος τοῖς Σαβίνου Ἰουλιανοῦ στρατιώταις καὶ τρέψας ἐν τῇ μάχῃ τούτους, τῶν σὺν αὐτῷ τινῶν ἐπελθόντων αἰφνίδιον ἀναιρεῖται, τῶν χιλιάρχων èἑνός, οὗ τὴν γυναῖκα διαφθείρας ἔτυχεν, ἀνελόντος αὐτὸν. Secondo lo storico bizantino all’arrivo in Italia della notizia della morte di Numeriano, verosimilmente nel dicembre

284, i comandanti delle truppe concentrate in Italia avrebbero acclamato Augusto il prefetto del pretorio di Carino, Sabinus Iulianus. L'imperatore legittimo si sarebbe mosso imme-

diatamente ἐπὶ τὴν Ἰταλίαν e avrebbe sconfitto l’usurpato-

re, che intanto aveva preso contatto con l’altro nemico di Carino, Diocleziano, in avvicinamento dagli Stretti.

Il primo elemento da esaminare nella riflessione su Sabinus Iulianus consiste nell’interpretazione della sua carica al momento dell’assunzione della porpora 3°. L'espressione utilizzata da Zosimo per definire l’incarico di Sabinus Iulianus al momento della sua elevazione, τὴν ὕπαρχον ἀρχὴν ἔχων, indica certamente la prefettura del pretorio. Nel lessico di Zosimo il termine ὕπαρχος designa soltanto una delle gran-

di prefetture dell’impero: la prefettura del pretorio ?!, la pre-

30 Intorno alla carica di Sabinus Iulianus si trascina un’annosa incertezza; cfr., di recente, B. LEADBETTER, Another Emperor Julian and the Accession of Diocletian, in “AHB” 8 (1994), pp. 54-59, in particolare pp. 56 sgg., con nota 17.

3! Nella Storia Nuova l'indicazione della prefettura del pretorio compare quarantotto volte. Praefectus praetorio è reso da Zosimo trentotto volte con

ὕπαρχος τῆς αὐλῆς, che potremmo definire la formula classica per segnalare la funzione: Zos.

19, 2; I 10, 1; I 11, 2 (al plurale); I 13, 2;

E17, 2;118, 2,132, 2;

140, 2; I 63, 1; II 10, 1; II 14, 2; II 32, 2; II 40, 2 e 3; II 43, 3 (dove il termine è ripetuto due volte); II 55, 3; ΠῚ 29, 3; IT 31, 1; MI 36, 1; IV 1, 1; IV2, 4; IV 10, 4; IV

11, 4; IV 14, 1; IV 37, 3; IV 45, 1 (dove il termine é ripetuto tre vol-

te); IV 52, 2; IV 57, 4; V 7, 5; V 47, 1; V 48, 1; V 48, 4; VI 4, 2; VI 7, 2; VI 8, 1. Tre volte tale espressione & corredata dalla specificazione dell'ambito geografico della prefettura del pretorio: V 2, 1, e V 32, 4, per indicare la prefettura

del pretorio delle Gallie; V 32, 7, per indicare la prefettura del pretorio d'Italia. Una volta sola l'incarico e la sua delimitazione regionale sembrano essere stati descritti per mezzo di una particolare perifrasi: III 5, 3, μεταπέμπεται τοῦτον ὡς

δὴ τοῖς κατὰ τὴν ἑῴαν αὐτὸν ἐπιστήσων, a proposito di Salutius, futuro prefetto del pretorio d’Oriente di Giuliano. Muovendo dalla conoscenza dell’incarico di Salutius si intende normalmente l’espressione come allusiva alla sua pre-

41

fettura urbana 32, la prefettura di Mesopotamia 335. Il sostantivo non segnala mai altri incarichi prefettizi o procuratorii, come, per esempio, la prefettura dell’annona, o dei vigili, ecc., né delle cariche militari 34. Dal momento che, dunque,

la ὕπαρχος ἀρχή indica in Zosimo una delle prefetture maggiori, nel caso di Sabinus Iulianus, dato il contesto italico

della sua usurpazione, l' alternativa potrebbe essere tra la prefettura del pretorio e quella di Roma. La lista dei prefetti urbani contenuta nel Cronografo del 354, sulla cui attendibilità e completezza non ci sono dubbi, non contiene il nome del

nostro personaggio e mostra che negli anni 284-285 era prefetto di Roma il senatore Ceionius Varus 35. Il termine ὕπαρχος è utilizzato inoltre dallo storico anche per designare i vicari della prefettura del pretorio e della prefettura urbana, ma sempre in una formula ben precisa, diversa da quella del passo in esame 36, La cura di Zosimo nel non alterare fettura del pretorio. Questo è l’unico vero caso in cui Zosimo si serve di una formula priva dei termini ὕπαρχος e αὐλή per segnalare un prefetto del pretorio. 32 L'espressione ὕπαρχος τῆς πόλεως indica sei volte il praefectus urbi, cfr. IV 6, 2; IV 45, 1; IV 52, 1; V 41, 1; VI 7, 1; VI 7, 2. Questa è la formula tipica in Zosimo per indicare la prefettura di Roma e di Costantinopoli. In altri

due casi, parallelamente a quanto accade per le locuzioni indicanti la prefettura del pretorio, l'espressione & priva della specificazione τῆς πόλεως: V 46,1, dove il luogo di destinazione del funzionario doveva dissipare nel lettore ogni dubbio sulla sua prefettura; V 40, 2, dove il contesto romano della vicenda suggeri-

rebbe l’ambito della prefettura. 33 La prefettura di Mesopotamia compare in Zosimo solo una volta (I 60, 1), a proposito dell'incarico di Marcellinus negli anni 272-274. L'espressione

Μαρκελλίνου τοῦ καθεσταμένου τῆς μέσης τῶν ποταμῶν παρὰ βασιλέως ὑπάρχου καὶ τὴν τῆς ἑῴας ἐγκεχειρισμένου διοίκησιν sembra un calco del latino praefectus Mesopotamiae et rector Orientis. Su questa funzione cfr. le recenti analisi di D. FEISSEL, J. Gascou, Documents d’archives romains inédits du Moyen Euphrate (1119 s. ap. J.-C.), in “IS” 1995, pp. 65 sgg., sulla titolatura di Iulius Priscus, rivelata dalla pubblicazione del P. Euphr. 1, e di D. S. POTTER, Palmyra and Rome. Odaenathus' Titulature and the Use of the imperium maius, in “ZPE” 113 (1996), pp. 271-285, sulla titolatura di Odenato di Palmira. 55 Per un sintetico esame del lessico amministrativo di Zosimo cfr. R.T. Rev, The Fourth and Fifth Century Civil and Military Hierarchy in Zosimus, in “Byzantion” 40 (1970), pp. 91-104, e F. PascHOUD, Index des termes relatifs aux institutions civiles et militaires et des mots latins translitteres en grec, in Zosime, Histoire Nouvelle, IW/2, Paris 1989, pp. 201-212 (ma cfr. anche Zosime cit., I, Paris 1971, pp. LXXI-LXXIV). Entrambi i saggi contengono soltanto un'analisi parziale del lessico dell'autore bizantino. 35 MGH AA IX, Chron. Min. 1, p. 66; su Ceionius Varus vd. PLRE I, p. 946; CHRISTOL, p. 134.

36 Per indicare i vicariati Zosimo utilizza la formula τόπον ἐπέχειν τοῖς ὑπάρχοις τῆς αὐλῆς, per l'agens vice (=vicarius) praefectorum praetorio (II

42

la terminologia delle sue fonti — qualità che avremo modo di apprezzare ancora — consente di affermare che Sabinus Iulianus non fu il supplente del prefetto del pretorio di Carino, impegnato altrove, ma il titolare della prefettura 57. Appurato che il termine ὕπαρχος (sostantivo e aggettivo) segnala sempre nello storico bizantino una prefettura, e che nel caso di Sabinus Iulianus si tratta delle prefettura del pretorio, va sottolineato come il disagio di molti studiosi di fronte all’uso da parte di Zosimo, non dell’espressione classica ὕπαρχος τῆς αὐλῆς, ma della locuzione ὕπαρχον ἀρχὴν ἔχων (con ὕπαρχος dal valore aggettivale e senza la specificazione τῆς

αὐλῆς) appaia ingiustificato. La perifrasi è, infatti, una co-

struzione presente in Zosimo, con sostantivi come ἀρχή o con un sinonimo come ἐξουσία, ed ὃ utilizzata dallo storico in vari luoghi proprio per indicare la prefettura del pretorio 38. Il contenuto del passo di Zosimo sul prefetto Sabinus Iulianus è di grande interesse e merita alcune precisazioni critiche. La marcia di Carino contro Sabinus Iulianus, conclu-

sasi con la sconfitta dell’usurpatore nella regione veneta (in Campis Veronensibus secondo Epit. 38, 6, su cui vd. oltre), non sembra essere stata intrapresa da Roma, dove, in assen-

za di riferimenti storici precisi, si ritiene comunemente Carino risiedesse alla fine del 284. L’espressione di Zosimo ἐπὶ τὴν Ἰταλίαν ἐστέλλετο suggerisce piuttosto l’idea che Carino muovesse con il suo esercito da una provincia extraitalica, entrasse in Italia e attaccasse l’usurpatore presso Verona. A sostegno di questa ricostruzione militano diversi indizi. Da

un punto di vista linguistico il termine Ἰταλία indica nello

storico bizantino l’intera penisola, dalla catena alpina allo 12, 2) e τοῦ τῆς πόλεως ὑπάρχου τόπον ἐπέχων (II 9, 3) per il vicarius praefecturae urbi. La precisione di Zosimo nel distinguere i vicariati dalle prefetture è notevole, se si pensa che, nel IV e nel V secolo, come all’epoca in cui Zosimo scriveva, i termini ὕπαρχος ed ἔπαρχος potevano designare sia il prefetto del pretorio sia i suoi vicari; in proposito cfr. ultimamente D. FEISSEL,

Vicaires

et proconsuls d'Asie du IV* au VI* siècle. Remarques sur l'administration du diocèse asianique au Bas-Empire, in “AntTard” 6 (1998), soprattutto pp. 95 sgg. 37 Sugli agentes vice praefectorum praetorio, che supplirono i prefetti del pretorio assenti da Roma e che sono noti a partire dall’età severiana, vd. sotto, pp. 152 sgg.

38 Lo storico bizantino ha usato questo tipo di costruzione altre cinque volte, oltre al caso di Sabinus Iulianus in esame, per indicare una prefettura del pretorio, cfr. I 11, 3; IV 6, 2; IV 52,

1-2; VI 13, 1. Altrove essa compare

per indi-

care altri incarichi, cfr. I 52, 1; V 18, 8; VI 3. 1; VI 7, 4.

43

stretto di Messina 395. Intendere il termine come riferito alla

sola Italia annonaria appare una forzatura per salvare la supposizione che Carino risiedesse a Roma nel 284 e che, quindi, muovesse da Roma verso nord contro Sabinus Iulianus.

Oltre a usare una certa violenza alla prassi lessicale di Zosimo, l’equivalenza Ἰταλίαι!

annonaria risulta assai im-

probabile in riferimento alla geografia amministrativa degli anni '80 del III secolo, quando non esisteva ancora una diocesi Italiciana e, meno che mai, un vicariato d’Italia 40. E co-

munque l’equivalenza presupporrebbe una manipolazione del resoconto più antico sull’usurpazione di Sabinus Iulianus: in una fonte vicina agli avvenimenti del 284 Ἰταλία non poteva designare la sola Italia settentrionale. Un eventuale

39 Per l’uso di Ἰταλία in Zosimo cfr.: libro I, cap. 1, 1; 10, 2; 13, 1; 28, 2 sg.; 29, 1; 30, 2; 31, 1; 37, 1 sg.; 38, 1; 40, 1; 49, 1; 50, 1; 64, 1; il passo in questione 73, 1 sg.; libro IL, cap. 8, 1; 10, 3; 10, 6; 12, 2; 15, 1; 33, 2; 39, 2; 41, 1;

43, 1; 46, 3; 48, 2; 53, 1; 54, 2; libro III, cap. 1, 1; 2, 1; 8, 1; 10, 3; 33, 1; libro IV, cap. 3, 1; 19, 2; 42, 2; 42, 5 sg.; 47, 2; 59, 4; libro V, cap. 4, 2; 7, 3; 11, 3-4; 20, 3; 26, 3; 26, 5; 29, 3; 29, 5; 30, 1; 31, 4-5; 32, 7; libro VI, cap. 1, 2 (tre volte); 2, 2; 2, 5 sg. (due volte); 4, 2; 4, 4; 6, 1; 13, 1.

49 Di diverso avviso F. PASCHOUD, Zosime, Histoire Nouvelle, Y Paris 1971, p. 179, che interpreta il termine in riferimento all'Ttalia Annonaria. La correzione di Ἰταλίαν in Ἰλλυρίαν (C. MÜLLER, in FHG 4, p. 601, fr. 163) va esclusa; lo mostrano il confronto con l' Epitome de Caesaribus (38, 6) e il fatto che Zo-

simo non commetterebbe mai — e, di fatto, non ha commesso mai nella sua opera — una confusione così grave. Sul problema del valore del termine Italia in età tardoantica cfr. A. GIARDINA, Le due Italie nella forma tarda dell'impero, in SRIT 1, pp. 1-30 (=L’Italia Romana. Storie di un'identità incompiuta, Roma-

Bari 1997, pp. 265-321, senza il par. 1). I documenti ufficiali tardoantichi, come il Laterculus Veronensis (p. 250 Seeck; cfr. BARNES 1982, p. 203) e la Notitia Dignitatum Occidentis (I, 25 Seeck), indicano con Italia la diocesi il cui territorio si estende dai due versanti delle Alpi ai Bruttii e alle isole. La medesima identificazione geopolitica si riscontra anche nel linguaggio delle costituzioni

imperiali. Ma la differenziazione amministrativa sorta nella penisola in età costantiniana con la creazione di due vicari per l'unica diocesi Italiciana (vicarius Italiae per le regioni annonarie e vicarius urbis per le suburbicarie) ha prodotto nel linguaggio comune, assai meno in quello ufficiale, la consuetudine di indicare col termine Italia l'insieme delle sole province annonarie, rette appunto dal vicarius Italiae (cfr. SHA, T. Tyr. 24, 5; Prob. 24, 1). Il confronto con la storiografia romana tardoantica in lingua greca, e in generale con la letteratura greca

colta, sembra indicare invece che nella parte orientale dell'impero certe ambiguità non fossero operanti e l’ Ἰταλία continuasse a designare la penisola italiana fino alle Alpi. Per l’equivalenza /talia=Italia annonaria cfr. L. Cracco-RucGINI, Economia e società nell’Italia annonaria. Rapporti fra agricoltura e commercio dal IV al VI secolo d.C., Milano 1961; rist. Bari 1995, pp. 285-287, con le precisazioni di GIARDINA, Le due Italie cit., pp. 8-11 (L'Italia Romana cit., pp. 270-274).

44

anacronistico ‘aggiornamento’ geopolitico delle vicende del

284 pare escluso sia dall’uso di Ἰταλία in Zosimo, sia dal

notevole valore della fonte storica cui egli attinge, che, come avremo modo di verificare, sembra ben informata sulle vi-

cende del regno di Carino. Un ulteriore indizio dell’arrivo dell’ Augusto legittimo da fuori della penisola proviene da un inciso di Aurelio Vittore su cui la critica ha sorvolato 41. Nel passo lo storico ha illustrato la congiuntura che spinse Diocleziano, unico Augusto, ad affiancarsi nel corso del 285 Massimiano come coreggente. Questa scelta era stata dettata dalla volontà di stroncare la

rivolta dei Bagaudae nelle campagne delle Gallie 12. Lo scopo di Vittore è quello di presentare le prime gesta di Massimiano imperatore e di motivare la sua elevazione alla porpora. Ma incidentalmente lo scrittore ha inserito un'importante notazione sull’origine della rivolta gallica, sviluppatasi — come egli apprendeva dalle sue fonti — in seguito alla partenza di Carino e del suo esercito dalle Gallie (Carini discessu).

Sul valore del termine discessus, partenza, non dovrebbero esserci dubbi 9. Solo il confronto con la notizia di Zosimo consente di interpretare correttamente la parentesi di Aurelio Vittore sul discessus Carini: la precipitosa partenza di Carino dalle Gallie (Aurelio Vittore) deve essere spiegata con l'urgente necessità per l’ Augusto di abbattere l'usurpatore Sabinus Iulianus in Italia (Zosimo); il conseguente improv-

4 Aur. Vict., Caes. 39, 17: Namque

(Diocletianus) ubi comperit Carini di-

scessu Helianum Amandumque per Galliam excita manu agrestium ac latronum, quos Bagaudas incolae vocant, populatis late agris plerasque urbium tentare, Maximianum statim fidum amicitia quamquam semiagrestem, militiae tamen atque ingenio bonum, imperatorem iubet. I manoscritti del Liber de Caesaribus di Aurelio Vittore per il nome del capo dei ribelli Gallici presentano la lezione Helianum, anziché Aelianum, che invece è il nome del condottiero attestato concordemente dalla restante documentazione; cfr. in proposito l’apparato critico dell’edizione Pichlmayr Gruendel p. 118; RIC V/2, p. 579; PLRE T, p. 17. 4 Su questa rivolta gallica cfr., di recente, Pu. BApor, D. DE DECKER, La naissance du mouvement Bagaude, in "Klio" 74 (1992), pp. 354 sgg. 43 Con il termine discessus si indicava una separazione o un allontanamento, spesso una partenza, caratterizzata, però, da un’idea di repentinità. In questo senso il termine si discosta dalla profectio, che è una partenza programmata; cfr.

in proposito G. KoEPPEL, Profectio und Adventus, in “BJ” 169 (1969), pp. 130 sgg. Se in termini spaziali la profectio & certamente il naturale opposto dell’ad-

ventus, il discessus dà l'impressione di una profectio precipitosa, improvvisa. Sul termine discessus cfr. ThLL V, coll. 1311-1313 (in particolare col. 1311, linn. 76 sgg.).

45

viso indebolimento del controllo sulla regione transalpina ha propiziato la rivolta dei Bagaudae capeggiati da Amandus e Aelianus, cui Diocleziano alcuni mesi dopo, eliminato Carino, ha posto prontamente rimedio inviando Massimiano al di

là delle Alpi (Aurelio Vittore) ^*. Il quadro geografico emerso dal confronto tra i due storici antichi — Carino in marcia dalle Gallie sull'Italia secondo entrambi — trova conferma nella logica. Le forze che sostennero la rivolta del prefetto del pretorio di Carino presidiavano l'Italia, segno che probabilmente l'imperatore era impegnato altrove con le sue truppe ^. Solo questa situazione strategica poteva consentire a Carino di forzare l'opposizione militare di Sabinus Iulianus, conquistare una vittoria presso Verona, roccaforte della penisola, e ristabilire la legittima sovranità in Italia. Se l'imperatore avesse risieduto a Roma,

con quali forze avrebbe potuto opporsi alla rivolta del suo prefetto e dei comandanti delle truppe stanziate in Italia? La notizia di un'intesa comune tra Sabinus Iulianus e le truppe

dell'altro Augusto

e usurpatore,

Diocleziano,

ἀπὸ

Περσῶν ἐπανελθόντας, è stata per lo più ritenuta falsa. Tuttavia la testimonianza di un contatto tra gli usurpatori, ben-

ché limitata al solo Zosimo, non puó essere esclusa a priori. Essa appare congruente con la crisi generale dell'impero divampata alla fine dell' anno 284. Pare tutt'altro che remota la possibilità che 1 sostenitori di Sabinus Iulianus tentassero di stringere un accordo con Diocleziano. Questi, con le forze re-

duci dalla guerra persiana, era in marcia, o si sarebbe messo in marcia, alla volta dell'Illirico, con l'obiettivo, lo afferma

4 I lettori moderni di Aurelio Vittore sono stati tratti in inganno forse dal fatto che lo storico romano ha deciso di tacere nel suo liber dell'usurpazione di Sabinus Iulianus, perché, probabilmente, essa appariva ai suoi occhi di secon-

daria importanza. In questo modo il ricordo del discessus Carini & stato interpretato, impropriamente, come un riferimento alla morte di Carino, che Aurelio Vittore ha descritto poco prima (Caes. 39, 11 sg., e 14-16). ^5 Nella seconda metà del ΠῚ secolo abbiamo esempi di prefetti del pretorío distaccati dagli Augusti in settori strategici dell'impero durante momenti di

crisi. Nel 276 M. Annius Florianus, prefetto del pretorio di Tacito, era impegnato in Cilicia contro i Goti, mentre l'imperatore si spostava verso i Balcani attraverso la Cappadocia. Nel 282 Caro, prefetto del pretorio di Probo, controllava Rezia e Norico, mentre l'Augusto da Sirmium pacificava l'lllirico e preparava

la spedizione persiana. Su questi prefetti vd. oltre nel testo. Sabinus Iulianus poteva avere ricevuto il mandato di controllare la penisola mentre Carino si trova-

va impegnato fuori d'Italia.

46

Zosimo stesso, di varcare le Alpi Giulie, allora presidiate da

Sabinus Iulianus e dai suoi fautori. E naturale che Sabinus Iulianus si preoccupasse di assicurarsi l'appoggio, o almeno la neutralità, di Diocleziano

nell’imminenza

dello scontro

con Carino. Anzi, dobbiamo prendere in considerazione la possibilità che l’usurpatore italico si trovasse allora in posizione di inferiorità da un punto di vista militare. Carino, se è esatta la nostra interpretazione di ἐπὶ τὴν Ἰταλίαν ἐστέλλεto e del discessus Carini, poteva contare sulle truppe renane, Diocleziano sulla parte superstite del corpo di spedizione reduce dall’impresa persiana, che verosimilmente era formato anche da vessillazioni distaccate da contingenti danubiani. Sabinus Iulianus non doveva disporre, quindi, di un’armata cospicua e poteva sentire la necessità di un’alleanza con l’usurpatore diretto nei Balcani. A proposito dell’esercito di Diocleziano, Zosimo tramanda una notizia che si discosta dalla tradizione vu/gata sulla guerra persiana di Numeriano e si rivela di grande valore. Egli descrive infatti l’armata romana come “di ritorno dalla Persia” negli ultimi mesi del 284, e non subito dopo la morte di Caro. La fonte di Zosimo conosceva, dunque, la vera cronologia della guerra persiana di Numeriano. Non c’è dub-

bio che l’espressione ἀπὸ Περσῶν ἐπανελθόντας abbia senso solo se l’esercito del defunto Numeriano, ai primi del 285,

fosse stato realmente reduce da uno scontro recente contro i Sassanidi in territorio persiano. l'espressione appare ingiustificata per un contingente che avesse finito di combattere in Persia circa diciotto mesi prima, come vorrebbe la vulgata.

AI principio del 285 l’esercito di Diocleziano poteva ancora essere identificato a pieno titolo col corpo di spedizione allestito da Caro e guidato da Numeriano in Mesopotamia, segno che, evidentemente per ragioni belliche, esso non era stato

ancora smobilitato. Inoltre il passaggio spontaneo di queste truppe a un usurpatore estraneo alla famiglia di Caro e Numeriano, l’impossibilità di Carino Augusto di fare leva sulla fortuna e la gloria bellica del fratello per assicurarsi la loro devozione, e il tentativo dei soldati di Sabinus Iulianus, do-

cumentato da Zosimo, di stringere un’alleanza con l’esercito di Diocleziano ai danni di Carino si comprendono meglio se le campagne persiane di Caro e di Numeriano si fossero complessivamente rivelate un insuccesso. Al contrario l’asserzione di Zosimo che Carino fu elimi-

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nato a tradimento dopo la vittoria su Sabinus Iulianus, anziché dopo lo scontro con Diocleziano in Mesia, deve essere

respinta. La consistenza storica della narrazione tradizionale su questo punto non può essere messa in dubbio. L'errore di Zosimo (Carino ucciso a Verona invece che a Margum) potrebbe essere frutto di una riflessione orientata ideologicamente. Proiettando all’indietro l’assassinio a tradimento di Carino all’epoca della battaglia di Verona contro Sabinus Iulianus, Zosimo doveva necessariamente tacere della battaglia di Margum in cui Diocleziano, sconfitto sul campo, aveva prevalso solo grazie al tradimento degli ufficiali del rivale. E impossibile infatti pensare a un duplicato della morte di Carino in uno storico come Zosimo. La sua coscienza pagana, avversa, come già lo era stato Eunapio, alla memoria di Carino e, dobbiamo presumere, favorevole al persecutore Diocleziano, potrebbe aver prodotto l’occultamento consapevole della sconfitta dell’imperatore illirico a Margum “6. La congiuntura scabrosa, fatta di sconfitta militare e di tradimento, che assicurò la vittoria di Diocleziano su Carino è stata rimossa anche da un altro scrittore pagano, contemporaneo di Eunapio, il redattore dell’ Historia Augusta, secondo il quale Carino contra Diocletianum multis proeliis conflixit, sed ultima pugna apud Margum commissa victum occubuit ^!.

Accanto a Zosimo solo un’altra fonte si sofferma sull’elevazione di Sabinus Iulianus: l' Epitome de Caesaribus (38, 6). L'anonimo redattore traccia sommariamente un quadro assimilabile alla ricostruzione di Zosimo e riferisce che dopo la morte di Numeriano, e come conseguenza di essa, Sabinus

Iulianus, di cui purtroppo si tace la carica, invadens imperium a Carino in Campis Veronensibus occiditur. Gli elementi onomastici, cronologici e la localizzazione geografica di Zosimo e dell’ Epitome coincidono 45.

46 L'avversione di Eunapio a Carino traspare dal testo dello storico di Sardi trascritto nel lessico Suida (Kaptvog, K 391, pars III, p. 33 Adler?). #1 SHA, Car. 18, 2. Sull’atteggiamento dell'autore dell' Historia Augusta nei confronti di Carino vd. oltre, $ 5. 48 Un altro rapidissimo accenno al tentativo di Sabinus Iulianus è contenuto nei Nomina omnium principum Romanorum del Laterculus di Polemio Silvio (MGH AA IX, Chron. Min. 1, p. 522): Carinus filius (Cari) occisus, Numerianus frater praedicti, sub quo Iulianus tyrannus fuit. La periodizzazione sub Numeriano spinge all'identificazione dello Iulianus di Polemio Silvio col Sabinus

Iulianus di Zosimo-Epitome. A proposito dell’ Epitome de Caesaribus, il redattore di questo breviario, al cap. 39, 3-4, ha associato erroneamente i dati relati-

vi a due usurpatori di nome Iulianus, il Sabinus Iulianus, usurpatore in Italia nel

48

Il luogo dello scontro tra Carino e Sabinus Iulianus, in Campis Veronensibus, si rivela suggestivo e per nulla casua-

le. Se la storia romana tardoantica ha conosciuto delle costanti da un punto di vista politico-militare, una di queste, forse la più netta, è costituita dall’importanza decisiva dell’area veneta per la sicurezza di Roma e dell’Italia romana. La battaglia nell’agro veronese tra Carino e il suo prefetto del pretorio, agli inizi del 285, si inseriscein una linea di tendenza che potremmo riassumere con la formula: “chi ha il

Veneto ha l’Italia” #. Nel II e nel IV secolo nella regione, tra Aquileia e Verona, si decisero, con grande spargimento di sangue, le guerre tra gli Augusti. Nel 238 la strenua resistenza di Aquileia causò la caduta di Massimino il Trace. Neanche dieci anni dopo, nel 249, Decio sconfisse Filippo l' Arabo a Verona, dopo che Aquileia e Concordia avevano ceduto. Verona vide la disfatta di Sabinus Iulianus nel 285, e nel 312,

ancora una volta di fronte a quella città, un capolavoro tattico permise a Costantino di avere ragione dell’esercito di Massenzio e di occupare immediatamente Aquileia. Intorno a questa città si affrontarono Augusti legittimi e usurpatori lungo tutto il IV secolo. Nel 340 Costantino II, che puntava all’egemonia sull’Italia, marciò, come già suo padre, ma con

avversa fortuna, dalle Gallie su Aquileia, dove cadde di fron-

te alle avanguardie del fratello. Nel 351 l’usurpatore Magnenzio incentrò su Aquileia la sua resistenza dopo la sconfitta di Mursa; caduta la città dovette fuggire e lasciare l’Italia a Costanzo II. E sempre in difesa dell’Italia e per fedeltà a Costanzo II Aquileia subì l'assedio di Giuliano nel 361. Nel 388 la città fu fatale a Magno Massimo, come lo era stata a Massimino il Trace e a Costantino II, e nei pressi della città,

sul Frigido, nel 394 Teodosio I colse un altro successo e sconfisse l’usurpatore Eugenio; la vittoria gli aprì le porte di Roma. Da questo momento e per tutto il V secolo le Alpi Giulie e l’area veneta divennero il baluardo contro le discese 284, e lo Iulianus che vestì la porpora in Africa durante la rivolta dei Quinquegentani nel 297, attribuendo al secondo tratti della storia del primo; nessuna confusione invece fra i due usurpatori omonimi in Aurelio Vittore (cfr. Caes. 39,

22). Sul problema cfr. R. J. EDGEWORTH, More Fiction in the Epitome, in “Historia" 41 (1992), pp. 507-509. 49 Cfr. S. MAzzaRINO, L'area veneta nel “Basso Impero”, in Le Origini di Venezia, Firenze 1964, p. 47 (=ATA 2, p. 252, dove il saggio, ampliato, & intitolato Per una storia delle ‘Venezie’ da Catullo al Basso Impero).

49

dei barbari in Italia (già nel 402, quando a Verona si combatté contro i Visigoti di Alarico). Ε sufficiente riflettere sul fatto che la storia della pars occidentale dell’impero nel V secolo è caratterizzata costantemente dal dilemma strategico se sia più opportuno difendere l’impero nel settore renano-gallico, scoprendo l’Italia, o nell’area veneta, salvando l’Italia, ma

abbandonando le Gallie. In questo quadro la battaglia tra Carino e Sabinus Iulianus in Campis Veronensibus acquista il giusto spessore e si rivela come uno dei momenti — sempre decisivi — della storia della supremazia sull’impero attraverso il possesso dell’Italia romana “Ὁ. Anche Aurelio Vittore, narrando i tratti salienti del regno di Carino, ricorda il tentativo di un usurpatore di nome Iulianus (il gentilizio non è specificato). Apparentemente sembra trattarsi dello stesso personaggio ricordato da Zosimo e dall’ Epitome, ma l’analisi del passo dell'autore del Liber de Caesaribus svela uno scenario dalle coordinate molto diverse 51]. Secondo Aurelio Vittore, alla morte di Caro — non di Numeriano —, nell’estate del 283, Iulianus, che ricopriva l’inca-

rico di corrector nella Venetia — non prefetto del pretorio — avrebbe vestito la porpora, ma sarebbe stato sconfitto da Carino in Illirico — non presso Verona. Il contrasto tra le notizie contenute in Zosimo-Epitome da un lato e in Aurelio Vittore dall’altro ha creato imbarazzo e fraintendimenti. Gli studiosi hanno tentato di sanare le discrepanze esistenti tra le fonti, muovendo dalla convinzione dell’esistenza di un solo usurpatore di nome Marcus Aurelius (Sabinus) Iulianus durante il regno di Carino Augusto. Un re-

50 Un’eco dello scontro potrebbe essersi conservato in un passo del panegirico a Costantino del 313, Pan. Lat. 9 (12), 8, 1. L'anonimo oratore, dopo aver celebrato le affermazioni di Costantino a Susa, Torino e Milano (cap. 5-7), giunge a trattare della sanguinosa battaglia di Verona e leva un lamento sulla città veneta, iam pridem media aetate nostra civili sanguine maculata. Il riferimento

alla guerra civile che avrebbe insanguinato Verona durante la giovinezza del retore potrebbe adattarsi alla violenta repressione della rivolta di Sabinus Iulianus

occorsa ventotto anni prima della declamazione del panegirico costantiniano; cfr. in proposito i commenti di E. GALLATIER, Panégyriques Latins, 2, Paris 1952, pp. 105 sg., e di B. SavLoR RoDGERS, In Praise of the Later Roman Emperors, Berkeley-Los Angeles-Oxford 1994, p. 307, nota 54. Sul valore strategico dell’area veneto-pannonica fino al VI secolo cfr., ultimamente, L. GATTO, Le frontiere orientali italiane e il Veneto nella politica estera di Teoderico, in

“RomBarb” 14 (1996/97), pp. 163-224. 5! Aur. Vict., Caes. 39, 9 sg., esaminato oltre, pp. 67-72.

50

gno che sembrava troppo breve per poter lasciare spazio a due tentativi di usurpazione, per di piü condotti da due personaggi quasi omonimi. All’unico M(arcus) Aurelius (Sabi-

nus) Iulianus Augustus sono state attribuite quindi le monete della zecca di Siscia che lo celebrano e che rappresentano anche le uniche fonti sull’usurpatore accanto alle brevi memorie di Zosimo, dell’Epitome de Caesaribus e di Aurelio Vittore 52. Un argomento, finora troppo trascurato, invita, invece, a non confondere i resoconti di Zosimo-Epitome e di Aurelio Vittore. Essi sembrano illustrare, infatti, due diversi ten-

tativi di rovesciare il potere di Carino, Augusto nella parte occidentale dell’impero. Si tratta della differenza della carica ricoperta dai due Iuliani al momento dell’usurpazione, l’uno corrector nell’area veneta, l’altro prefetto del pretorio. Quanto è possibile desumere dalla documentazione superstite indica che la prefettura del pretorio e la correttura italica fossero incarichi facenti capo a carriere ancora nettamente separate nell’età di Carino e, più in generale, nella seconda metà del III secolo. 3? Le monete di M. Aurelius Iulianus sono state raccolte e illustrate da P. H.

WEBB, RIC V/2, pp. 579, 593 sg. e tav. XX, e da Ρινκ, Der Aufbau cit. (sopra, a nota 13), pp. 49 sg. e 65. Di recente sono apparsi convinti dell'esistenza di un unico usurpatore di nome M. Aurelius Sabinus Iulianus: BARNES 1982, p. 143; EDGEWORTH, More fiction cit. (sopra, a nota 48), pp. 507-509; LEADBETTER, Another Emperor Julian cit. (sopra, a nota 30); A. R. BIRLEY, Fiction in the Epi-

tome?, in HAC Barcinonense, Bari 1996, pp. 77-81; B. BLECKMANN, Überlegungen zur Ennmannschen Kaisergeschichte und zur Formung historischer Tradition in tetrarchischer und konstantinischer Zeit, in HAC Bonnense, Bari 1997, p. 28, nota 56; CHRISTOL, L’Empire Romain du II* siècle cit. (sopra, a nota 2), pp. 190 e 249, nota 24; G. A. CECCONI, Istituzioni e politica nella Venetia et Histria tardoromana, in Aquileia romana e cristiana fra II e IV secolo. Omaggio a M.

Mirabella

Roberti, Trieste 2000,

pp. 45-48.

Gli autori della PLRE

(I, p.

474, M. Aur. Sabinus Iulianus 24), hanno invece avanzato opportunamente l’i-

potesi che, senza forzare i dati divergenti forniti dalle fonti, possano essere esistiti due usurpatori, dai nomi molto simili, in due momenti diversi del regno di Carino. Questa ipotesi merita, come vedremo, la massima attenzione. Anche alcuni indizi numismatici spingono in questa direzione. L'analisi condotta di recente da J.-L. Houdart su un nuovo antoniniano potrebbe costituire un elemento per datare alla seconda metà del 283 la serie delle monete dell'usurpatore M. Aurelius

Iulianus

coniate

dalla

zecca

di

Siscia,

cfr.

Un

indice

numismatique

pour dater l'usurpation de Marcus Aurelius Iulianus, in "Cercle d'études numi-

smatiques" 32 (1995), pp. 58-63. Non sembra, invece, avere nulla a che fare con i due Iuliani, ricordati da Zosimo-Epitome e da Aurelio Vittore, 1’ Aurelius Iulianus, prefetto del pretorio e patrono di Brescia, noto da una dedica della città, e da altre iscrizioni che lo ricordano in momenti precedenti del suo cursus; cfr. L It. X/5,

1, p. 69, n. 109, con la bibliografia ivi citata.

51

La prefettura del pretorio, nella seconda metà del III se-

colo, è il culmine della carriera equestre e sembra essere pannaggio di uomini che hanno percorso una proficua riera militare. Quanto si conosce dei prefetti del pretorio critico periodo che va dal regno di Valeriano al regno di rino conferma questa interpretazione.

apcardel Ca-

Successianus, il prefetto del pretorio di Valeriano, cattu-

rato col suo imperatore da Sabuhr I nel 260 tra Edessa 53, aveva ricoperto un comando eccezionale ni 254-256 con il compito di respingere i Goti che giavano il Ponto 54. Non conosciamo le tappe della

Carre ed negli ansacchegsua car-

riera precedente alla guerra contro i Goti, ma l’ampiezza del

comando antigotico e la conseguente nomina a prefetto del pretorio di Valeriano, mentre l’imperatore si accingeva a fronteggiare la minaccia persiana, presuppongono un uomo dalla notevole esperienza militare. Ballista, un contemporaneo di Successianus, prefetto degli usurpatori Macriano il giovane e Quieto, era uno dei comandanti militari di Valeriano e aveva contribuito ad arginare l'incursione di Sabuhr I nella parte orientale dell’impero romano dopo la rotta di Carre, riportando alcuni successi contro 1 Persiani in Cilicia 55. 53 Successianus deve essere "ὕπαρχος anonimo di Valeriano ricordato nell’iscrizione di Sabuhr I fra i dignitari romani catturati dal re Sassanide; cfr. MARIO, Res Gestae Divi Saporis cit. (sopra, a nota 18), p. 313, gr. 25. Su Successianus vd. A. STEIN, Successianus, RE IV Al, col. 512; PIR S 685; PassERINI, p- 340, n. XCIU; Howe, pp. 80 sg., n. 49; CHAsTAGNOL 1970, p. 67. 54 Zos. I 32. Accenni all’invasione gotica, ma senza la menzione dell’intervento di Successianus, sono contenuti nell’ Epistula Canonica 5 di Gregorio

Taumaturgo, contemporaneo di quegli avvenimenti (cfr. PG 10, col. 1037). 551 Historia Augusta fa una certa confusione circa l’incarico di Ballista prima e durante l'usurpazione dei Macriani, ma non c'é dubbio che si tratti di un alto comando militare (SHA, Val. 4, 4; Gall. 1, 2; 3, 2-4; T. Tyr. 13; 14, 1; 15, 4; 18). Delle sue doti strategiche testimonia il giudizio conservato in 7. Tyr. 18, 4: in consiliis vehemens, in expeditionibus clarus, in provisione annonaria singularis. Più precise le fonti greche per le quali Ballista era στρατηγὸς τοῦ Ῥωμαίων

δυνάμεως (Sync., p. 466 Mosshammer; Zon. XII 23 sg., pp. 141 sg. e 145 sg. Dindorf, dove è il personaggio è chiamato prima Κάλλιστος, poi Βαλλίστο). Il confronto con la storiografia in lingua greca suggerisce che l'indicazione di 7. Tyr. 12, 1, Ballista praefectus Valeriani, segnali un comando speciale sulla cavalleria romana (cfr. il parallelo ἵππαρχος di Zonaras), piuttosto che l'incarico di prefetto del pretorio già al servizio di Valeriano. Su Ballista vd. W. HENZE, Ballista 2, RE JU/2, col. 2831; PIR? B 41; Passerını, pp. 340 sg., n. XCIV; Howe, pp. 81 sg., n. 51; CHAsTAGNOL 1970, p. 67; PLRE I, p. 146; E. BiRLEY, Ballista and 'Trebellius Pollio’, in BHAC 1984/85, Bonn 1987, pp. 55-60.

52

L. l’unico diamo Aretini

Petronius Taurus Volusianus, prefetto di Gallieno, ἃ prefetto del pretorio di questo periodo di cui posseil cursus honorum, grazie alla lunga epigrafe che gli dedicarono al loro patrono poco dopo il 261 56. La sua

fu una carriera esclusivamente militare, ma si concluse col consolato ordinario e la prefettura urbana, in virtù del particolare favore di cui il personaggio sembra aver goduto pres-

so l’imperatore Gallieno. Cavaliere di nascita, fu dapprima centurio deputatus, incarico di collegamento tra lo stato maggiore dell’imperatore e i contingenti militari di confine; quindi p(rimus) p(ilus) leg(ionis) XXX Ulpiae, che sappiamo di stanza a Vetera in Germania Inferiore. Ebbe modo di avvicinare l’entourage dei principi come praepositus equitum singularior(um) Augg(ustorum) nn(ostrorum), da identifica-

re, forse, con i due Filippi 57. Il comando degli equites singulares era normalmente affidato a ex tribuni delle coorti operanti nella capitale; l’aver ottenuto questo incarico senza es56 CIL, XI 1836=/LS 1332. Nell'iscrizione si ricorda il consolato ordinario di Taurus Volusianus, rivestito con Gallieno nel 261, ma non la successiva prefettura urbana del 267-268 (MGH AA IX, Chron. Min. 1, p. 65): l’epigrafe fu dedicata dunque in un momento compreso tra le due dignità. Sul personaggio vd.

E. Groag, Petronius 73, in RE XIX/1, coll. 1225-1227; PASSERINI, p. 341, n. XCV; Howe, p. 82, n. 52; BARBIERI, p. 302, n. 1692; PFLAUM, Carrières, 2, pp. 901-905, n. 347, e 999 sg.; M. SPEIDEL, Die Equites Singulares Augusti, Bonn 1965, p. 31; CHAsTAGNOL 1970, pp. 50 sg. e 67, n. 37; PLRE I, p. 980 sg.; H. DEVUVER, Prosopographia militarium equestrium quae fuerunt ab Augusto ad Gallienum, 2, Leuven 1977, P 30; M. CHRISTOL, La carriére de Traianus Mucianus et l'origine des protectores, in "Chiron" 7 (1977), pp. 394 e 407 sg.; JacQUES, p. 205; CHRISTOL, pp. 102 sg. e 130 sg.; PIR?P 313. I cursus honorum epigrafici di prefetti del pretorio dall'inizio del III alla prima metà del IV secolo sono pochi e concentrati nella prima metà del III secolo. Oltre ai cursus anonimi e frammentari di CIL, VI 41185 e di CIL, VI 41292, risalenti verosimilmente alla prima metà del III secolo, abbiamo il cursus, anomalo, di T. Messius Extricatus, prefetto di Elagabalo (del 221, ora CIL, VI 41190/91); la famosa iscrizione di Furius Sabinius Aquila Timesitheus, prefetto del pretorio di Gordiano III negli anni 241-243 (ILS 1330), su cui ultimamente cfr. T. GnoLI, C. Furius Sabinius Aquila Timesitheus, in "Mediterraneo Antico" III/1 (2000), pp. 261-308; l'epigrafe di Aelius

Fir[mus?]

(ora CIL, VI 41281),

che,

secondo

F. Nasti, fu

prefetto di Valeriano all'incirca negli anni 253-256, cfr. Il prefetto del pretorio

di CIL, VI 1638 (=D. 1331) e la sua carriera, in “ZPE” 117 (1997), pp. 281290;

secondo

G. Alfóldy

fu invece

prefetto di Decio

negli

anni

249-251,

cfr.

CIL, VI 41281 in apparato. Dopo l'iscrizione di Taurus Volusianus si apre, purtroppo, una lacuna nella documentazione, che ci priva, per circa cinquant'anni,

di cursus prefettizi, fino alle dediche incise, verso il 314, per il senatore C. Ceionius Rufius Volusianus, prefetto del pretorio di Massenzio 1707+3173=/LS 1213; AE 1984, 145; su cui vd. oltre pp. 263-270). 57 Sulla datazione di questo cursus honorum vd. oltre, nota 59.

(CIL,

VI

53

sere ancora tribuno mostra, quindi, la fiducia che giä allora

riscuoteva presso la corte il futuro prefetto del pretorio. Taurus Volusianus ottenne poi due comandi sul limes danubiano come praepositus (più che tribunus) leg(ionis, oppure -ionum?) Daciae e leg(ionis) X et XIIII Gem(inae) prov(inciae)

Pannoniae superiori(s), incarichi legati forse alle esigenze belliche di quel settore. Rientró infatti a Roma in qualità di trib(unus) coh(ortis) III vig(ilum), poi trib(unus) coh(ortis) XI urb(anae), quindi trib(unus) coh(ortis) INI praet(oriae).

A questo parte dei istituito, zione (e

punto della carriera Taurus Volusianus entró a far protectores di Valeriano e Gallieno, corpo appena visto che questa potrebbe essere la sua prima menl'ultima degli equites singulares): il titolo di tri-

b(unus) coh(ortis) primae praet(oriae) protect(or) Augg(ustorum) nn(ostrorum) spinge a ritenere che Taurus Volusia-

nus seguì Gallieno durante una o più campagne militari appunto come protector, tribuno di una coorte che contribuiva a costituire l'esercito mobile dell'imperatore. La carriera di Taurus Volusianus ricevette una netta e insolita accelerazione ed egli fu promosso direttamente praef(ectus) vigul(um), senza aver rivestito alcuna procuratela, come imponeva un

normale cursus equestre. La carica dovrebbe averlo ricondotto di nuovo a Roma 58. Egli coronò infine la rapida carriera equestre con la promozione a praefectus) praet(orio) 59.

58 Sulla presenza effettiva dei protectores a fianco dell' Augusto vd. il saggio di CHRISTOL, La carriére de Traianus Mucianus cit. (sopra, a nota 56). 59 Riguardo alla cronologia del cursus di Taurus Volusianus, H.-G. Pflaum (Carrieres cit.) pensó che gli imperatori ricordati nell’iscrizione due volte come Augusti nostri fossero Valeriano e Gallieno. II risultato fu di immaginare una carriera, non impossibile, ma molto veloce durante il regno congiunto di Valeriano e Gallieno (253-260). Se, infatti, i due Augusti che offrirono a Taurus Volusianus la carica di praepositus equitum singulariorum fossero Valeriano e Gallieno, l’incarico non potrebbe essere anteriore al 253; in questo caso gli almeno

sette comandi militari, la prefettura dei vigili, la nomina alla prefettura del pretorio e al consolato ordinario sarebbero compressi entro la fine del 260, in circa

sei anni e mezzo, con una progressione eccessivamente veloce. Appare più plausibile la ricostruzione cronologica proposta da B. Dobson, che ha suggerito di vedere nei due Augusti di cui Taurus Volusianus comandò gli equites singulares, i due Filippi, e nei due Augusti di cui egli fu tribunus protector, Valeriano e Gallieno; cfr. Die primipilares. Entwicklung und Bedeutung, Laufbahnen und Persönlichkeiten eines römischen Offiziersranges, Köln-Bonn 1978, pp. 306-308, n. 215; a questa ipotesi sembra essersi allineato lo stesso H.-G. Pflaum nei suoi Addenda et corrigenda ad cursus pertinentia, in Carrières, 3, pp. 999 sg. La car-

riera di Taurus Volusianus lo vedrebbe, quindi, primo pilo della legione XXX

54

Con una certa cautela possiamo immaginare, grosso modo, un curriculum simile a quello di Taurus Volusianus anche per gli altri prefetti del pretorio del periodo che si apre col principato di Gallieno. Si tenga presente, però, che normalmente dovremmo ipotizzare carriere costellate di comandi forse meno legati alla città di Roma e arricchite, talvolta, dal-

l'amministrazione presidale di province 9. Ma il denominatore comune resta la formazione militare dei candidati alla prefettura del pretorio, come mostrano le notizie sui prefetti in carica dopo Taurus Volusianus. Le riforme militari di Gallieno, con l'allontanamento dei senatori dai comandi milita-

ri, l'istituzione dei protectores (reclutati proprio fra gli ufficiali delle coorti pretorie), la diffusione dei prefetti di legione, la creazione di nuovi ampi comandi strategici affidati a

praepositi e a duces di provate capacità militari (per esempio Aureolus, Marcianus e Traianus Mucianus), sembrano aver

segnato l'affermazione di un nuovo tipo di carriera equestre, accanto a quella, tradizionale, procuratoria. La divaricazione

tra carriera civile e carriera militare — per esempio tra le mansioni finanziarie (civili) dei procuratori, ancora vitali, e la gestione delle attività belliche, sottratta ai senatori e affidata a

ufficiali equestri di provata esperienza militare — sembra aver aperto a questi viri militares, tra 1 regni di Gallieno e di Diocleziano, più che all’ordine equestre nel suo insieme (cui pu-

re essi appartenevano), la strada verso il governo delle province imperiali e verso la prefettura del pretorio 61. Il probabile successore di Taurus Volusianus alla prefettura del pretorio, Aurelius Heraclianus, responsabile della congiura che mise fine al regno di Gallieno, sembra essere

Ulpia verso il 245; praepositus equitum singulariorum Augg(ustorum) nn(ostrorum) nel 246/47; i comandi in Dacia e Pannonia e i tre tribunati delle coorti romane si estenderebbero almeno fino al 253; dopo il 253 sarebbe avvenuta la pro-

mozione fra i protectores di Valeriano e Gallieno, e, prima della fine del 260, saltato eccezionalmente il gradino delle procuratele, quelle alla prefettura dei vi-

gili e del pretorio. 60 Questo potrebbe essere, per esempio, il caso della carriera di Aper, prefetto del pretorio di Caro e Numeriano. . 6! Su questa trasformazioni militari e amministrative cfr. CHRISTOL, pp. 35 Sgg.; e, dello stesso autore, Armée et société politique dans l'empire romain au HF siècle ap. J.-C., in “CCC” 9 (1988), in particolare pp. 193 sgg.; L'ascension de l'ordre équestre. Un théme historiographique et sa réalité, in L'Ordre équestre. Histoire d'une aristocratie (II° siècle av. J.-C.-1II* siècle ap. J.-C.), Roma

1999, pp. 613-628.

55

stato un ne la sua tardi nel tativo di

abile comandante 62, Non conosciamo con precisiocarriera precedente alla prefettura, che rivestì al più 267. Tuttavia l’ Historia Augusta riferisce di un tenGallieno di ristabilire il suo primato nei confronti di

Zenobia all’indomani della morte di Odenato (nel 266). A ca-

po della spedizione, fallita, sarebbe stato Heraclianus col titolo di dux, cioè generale, anziché prefetto del pretorio 93. Si

è pensato che il redattore dell’ Historia Augusta possa aver commesso un errore nell’indicare la carica, ma si tenga presente che tra la spedizione palmirena e la prima menzione di Heraclianus come prefetto di Gallieno potrebbe intercorre più di un anno; inoltre il suo predecessore Taurus Volusianus divenne prefetto di Roma solo nel corso del 266 e potrebbe aver lasciato l’incarico di prefetto del pretorio in quell’anno. Sussiste quindi la possibilità che Heraclianus abbia condotto la campagna militare in Oriente come generale di Gallieno prima della promozione alla prefettura del pretorio. In ogni caso è difficile mettere in dubbio la sua formazione militare,

dal momento che Gallieno gli affidò la guida della spedizione contro il potente esercito palmireno. Di Iulius Placidianus, prefetto di Tacito o di Aureliano,

sappiamo soltanto che fu vir perfectissimus praefectus vigiIum nel 269 e condusse in Gallia Narbonense vessillazioni di cavalieri e funzionari dell’esercito mobile di Claudio II per occupare la regione staccatasi dall’imperium Galliarum *. Questa prefettura, unitamente al comando di protectores, farebbe pensare a un cursus in qualche modo simile a quello di Taurus Volusianus e, comunque, a una preparazione di tipo 62 Su Aurelius Heraclianus vd. PIR H 60; PassERINI, p. 342, n. XCVI; Howe, p. 82, n. 53; G. M. BERSANETTI, Eracliano, prefetto del pretorio di Gallieno, in "Epigraphica" 4 (1942), pp. 169-176; CuAsrTAGNOL 1970, p. 67, n. 38;

PLRE I, p. 417. Non ci sono dubbi che Heraclianus fu effettivamente prefetto del pretorio. La lettura corretta di una dedica da Augusta Traiana (/GBulg. 3, 1568, cfr. anche ivi 1569) lo indica inequivocabilmente come τὸν &&ox@ta/tov Énapxov/100 ἱεροῦ πραιτωρίου e conferma gli elementi contenuti in Zosimo (140, 2) e in Zonaras (XII 25, pp. 148 sg. Dindorf). Giovanni Antiocheno (FHG 4, p. 599, fr. 152, 3), o gli escertori de Insidiis (p. 57 De Boor), lo confondono con il Δελματῶν ἵππαρχος, esecutore materiale dell'uccisione di Gallieno. 6 SHA, Gall. 13, 1-5. Sui comandi straordinari assegnati da Gallieno ai viri militares come Heraclianus cfr. B. GEROV, La carriera militare di Marciano, generale di Gallieno, in "Athenaeum", n.s., 43 (1965), pp. 331-354.

64 CIL, XII 2228=/LS 569. Su Julius Placidianus vd. E. Hon, Iulius 391, RE ΧΙ, col. 772; PIR? I 468; PAssERINI, p. 342, n. XCIH; Howe, p. 82, n. 54;

CnasrAGNOL 1970, p. 67; PLRE IY, pp. 704 sg.

56

militare per il futuro prefetto del pretorio. Esperienza bellica doveva avere anche M. Annius Florianus, prefetto del pretorio dell’imperatore Tacito 65. L’anziano Augusto lasciò a lui il compito di portare a termine la campagna contro 1 Goti ricacciandoli dalla Cilicia verso il Mar Nero, ma la morte im-

provvisa di Tacito e l’acclamazione di Probo costrinsero Florianus a interrompere la spedizione e a indossare la porpora $6, Sull’estrazione di questo prefetto permangono dei dubbi, e non è chiaro se provenisse dai ranghi dell’esercito, fosse un ufficiale di famiglia equestre o, meno probabilmente, un clarissimo. Il coronamento del cursus di Florianus col fastigio della carriera equestre e il suo impiego come generale dopo la riforma di Gallieno farebbero propendere per un'origine equestre e una formazione militare. Migliori le informazioni che possediamo sull’attivitä di Caro, prefetto del pretorio di Probo 67. Caro percorse una brillante carriera militare che gli valse la stima sia dell’imperatore sia delle truppe. Le tappe del suo cursus non sono note nei particolari, ma sulla sua esperienza militare non & lecito

dubitare 68, Quando 1 suoi soldati lo acclamarono Augusto, nell’autunno 282, egli si trovava a presidiare la Rezia e il No-

$5 Su M. Annius Florianus vd. P. von ROHDEN, M. Annius Florianus 46, RE 1/2, col. 2266; PIR? A 649; PASSERINI, pp. 342 sg., n. XCIX; Howe, p. 83, n. 55;

CHASTAGNOL 1970, p. 67; PLRE I, p. 367; cfr. ultimamente E. SAUER, M. Annius Florianus: ein Drei-Monate-Kaiser und die ihn zu Ehren ausgestellen Steinmonumente (276 n. Chr.), in “Historia” 47 (1998), pp. 174 sgg. $6 Per ]a guerra gotica di Tacito e Floriano cfr. Zos. 1 63 sg. e Zon. XII 28

(pp. 153 sg. Dindorf). 67 Su Caro

vd. W.

Henze,

M. Aurelius

Carus

77, RE IV2, coll. 2456-2457;

PIR? A 1457; PassERINI, p. 343, n. CI; Howe, p. 83, n. 56; P. MELONI, Il regno di Caro, Numeriano e Carino, Cagliari 1948, pp. 23-41; G. VITUCCI, L'imperatore Pro-

bo, Roma 1952, pp. 79 sgg. e 115 sgg.; CHAsTAGNOL 1970, p. 67; PLRE I, p. 183. 68 T] giudizio di Zonaras su Caro è emblematico (XII 30, p. 156 Dindorf):

ἀνδρεῖος δὲ καὶ τὰ πολέμια δεξιός. Sulla stessa linea ' Historia Augusta che, lodando Probo, ricorda come l'imperatore duces praeclarissimos instituit primo fra tutti proprio Carus (SHA, Prob. 22, 3). Piü oltre (Car. 5, 4) il redattore offre un conciso sommario della carriera di Caro: per civiles et militares gradus [...] praef(ectum) praet(orio) a Probo factus tantum sibi aput milites amoris locavit, ut interfecto Probo tanto principe solus dignissimus videretur imperio. E significativo inoltre che Zonaras, o meglio la sua fonte, ricordino la destrezza di Caro nel ribaltare una situazione strategicamente sfavorevole e pericolosa per l'e-

sercito romano durante la campagna persiana (XII 30, p. 156 Dindorf). Questa è l'unica descrizione superstite di una battaglia della campagna mesopotamica di Caro, se si eccettua la sintetica menzione della presa di Coche e Ctesifonte, e contribuisce a presentare l'imperatore come ottimo generale.

57

rico, settore strategico cruciale per la difesa dell’impero nel III secolo 9. Alla notizia della sua elevazione l’esercito inviato contro di lui gli si consegnò senza combattere e 1 pretoriani di Probo provvidero simultaneamente a uccidere l’ Augusto a Sirmium. La dinamica della sua acclamazione, il consenso, unanime e immediato, degli eserciti al nuovo Augusto, le vittorie contro Sarmati e Sassanidi, mostrano la fondatezza

della reputazione di ottimo generale di cui Caro godeva. Anche Aper, prefetto del pretorio di Caro, potrebbe provenire dalla carriera militare, se si dimostrasse fondata una sua identificazione con L. Flavius Aper v(ir) e(gregius) praepositus leg(ionum) V Mac(edonicae) et XIII Gem(inae) sotto

Gallieno, quindi v(ir) p(erfectissimus) praeses provinciae Pannoniae Inferioris 70. [n assenza di riscontri prosopografici piü precisi, conviene lasciare in sospeso l'identificazione. Si consideri, tuttavia, che almeno un dato milita a favore del-

la provenienza di Aper dai quadri dell'esercito, ed & un elemento non trascurabile: Caro lo scelse come suo prefetto del pretorio in previsione dell'impegnativa spedizione persiana e difficilmente un Augusto-soldato del calibro di Caro si sarebbe affiancato un consigliere digiuno di strategia militare 69 Zos. I 71, 4 (=Ioh. Ant., FHG 4, p. 600, fr. 160). L'interesse per l'importanza della Rezia nella seconda metà del III secolo & stato animato dalla pubblicazione dell' iscrizione di M. Simplicinius Genialis da Augusta Vindelicorum: L. BAKKER, Raetien unter Postumus. Das Siegesdenkmal einer Juthungenschlacht im Jahre 260 n. Chr. aus Augsburg, in "Germania" 71 (1993), pp. 360-386 (ZAE 1993, 1231); cfr. M. H. Lavagne, Une nouvelle inscription d’Augsbourg et les

causes de l'usurpation de Postume, in "CRAT" 1994, pp. 431-445 (=AE 1994, 1325); P. Le Roux, Armées, rhétorique et politique dans l'Empire gallo-romain. A propos de l'inscription d’Augsbourg, in "ZPE" 115 (1997), pp. 281-290; L Κόνισ,

Die Postumus-Inschrift aus Augsburg,

“Historia” 46

(1997),

341-354;

l'importanza della provincia & testimoniata anche dal rango di Genialis, cfr. M. CHRISTOL, M. Simplicinius Genialis: ses fonctions (vir perfectissimus, agens vice praesidis), in “CCG” 8 (1997), pp. 231-241. Il ruolo tattico della Rezia per la

difesa dell'Italia Romana consiglió di preporre alla guida della provincia uomini di valore. Oltre a Caro operarono in Rezia P. Licinius Valerianus, nell'imminenza della sua elevazione nel 253 (Aur. Vict., Caes. 32, 1-2); quindi Aureolus, l'esperto generale di Gallieno, responsabile della caduta del principe (Aur. Vict, Caes. 33, 17); Bonosus, ufficiale sperimentato, dux limitis Retici

verso il 276, prima di usurpare la propora a Colonia (SHA, Q. Tyr. 14, 1); in un periodo meno tormentato, Septimius Valentio, vir perfectissimus praeses Raetiae nel 290 (CIL, ΤΙ 5810), sulle cui qualità non ὃ comunque lecito dubitare poiché, come vedremo, sarebbe stato promosso alla supplenza dei prefetti del

pretorio poco dopo. 10 Sulle proposte di identificazione vd. il ὃ precedente, sopra p. 23.

58

mentre pianificava la riscossa delle armi romane sul nemico Sassanide. Se la prefettura del pretorio nella seconda metà del III secolo è prerogativa di cavalieri scelti tra le fila degli ufficiali più esperti dell’esercito romano, la correttura esercitata in Italia è, invece, uno dei gradini del cursus honorum riservati ai membri dell’ordine senatorio, esclusi dopo la riforma di Gallieno dalla carriera militare e, col tempo, dal governo di numerose province ?!, La correttura italica è senza dubbio, dalle

prime attestazioni risalenti all'età di Caracalla fino alla divisione dioclezianea dell'Italia in province (292-294) — dunque anche all'epoca delle usurpazioni degli Iuliani oppositori di Carino Augusto — un incarico esclusivamente senatorio.

Gli studi di A. Chastagnol sull'accesso dei prefetti del pretorio al clarissimato, negli anni dal 202 al 326, hanno mostrato chiaramente che ancora fino a tutta l'età tetrarchica i titolari della massima prefettura erano reclutati nell'ordine equestre 72, Solo al termine di una lunga e pregevole carriera 7! Grazie alle ricerche di M. Christol si conoscono meglio gli effetti della riforma di Gallieno sulle carriere senatorie nei decenni a cavallo tra il III e il IV secolo; cfr. CHRISTOL, pp.

13 sgg. e 35 sgg.; per la correttura esercitata in Italia,

cfr. in particolare CHRISTOL, pp. 55 sgg.; per una sintesi di questa evoluzione cfr. il saggio dello stesso autore Les reformes de Gallien et la carrière sénatoriale, in EOS 1, pp. 143-166. Con la soppressione, negli ultimi trent'anni del III secolo, delle legazioni di legione e il passaggio ai cavalieri dei governatorati di province imperiali e senatorie di rango pretorio, poi (specialmente in età tetrarchica) di alcune province di rango consolare, i membri dell'ordine senatorio si trovarono, di

fatto, allontanati, oltre che dai comandi militari, dal governo della maggior parte delle province dell' impero (esclusi, naturalmente, i grandi proconsolati d' Africa e d' Asia). In questo periodo una parte consolari vennero esercitate proprio sul consolari, della città di Roma e, con la retture in Italia, ricoperte sempre prima

preponderante delle funzioni pretorie e suolo italico: curatele di città, di strade scomparsa dei giuridicati italici, le cordi un grande proconsolato di provincia e

della prefettura urbana; per il radicamento italico delle carriere senatorie cfr. CHRISTOL, pp. 63-65 e 87 sg. Inoltre l'analisi dei fasti dei correctores attivi in Italia nel corso del ΠῚ secolo mostra la loro appartenenza all'ordine senatorio; per i fa-

sti dei correctores prima e dopo la provincializzazione d'Italia cfr.

A. CHASTA-

GNOL, L'administration du diocése italien au Bas-Empire, in “Historia” 12 (1963), pp. 348-379 (=L’Italie et l'Afrique au Bas-Empire. Etudes administratives et prosopographiques. Scripta Varia, Lille 1987, pp. 33-53), con le riflessioni di GIARDINA, Le due Italie cit. (sopra, a nota 40), e, ultimamente, G.A. CEcCONI, Governo imperiale-e élites dirigenti nell'Italia tardoantica. Problemi di storia politico-amministrativa (270-476 d. C.), Como 1994, pp. 210 sgg.; per il ruolo istituzionale e sociale di questi senatori cfr., dello stesso autore, 7 governa-

tori delle province italiche, in "AntTard" 6 (1998), pp. 149-179. ? Cfr. CHAsTAGNOL

1970, in particolare pp. 49 sgg. Le conclusioni di A.

59

equestre 1 prefetti del pretorio (in particolare dal consolato del prefetto di Gallieno, Taurus Volusianus, alla diarchia costantino-liciniana) entravano nell’ordine senatorio attraverso

il conferimento del consolato ordinario. Questa prestigiosa magistratura senatoria era cumulabile con l’incarico prefettizio e consentiva ai prefetti-consoli l’accesso all’ordine senatorio. Il consolato ordinario rappresentava, però, per i prefetti del pretorio non il principio di una nuova carriera come clarissimi, quale poteva essere aperta, fino ai primi decenni del III secolo, a dei consulares promossi attraverso l’adlectio

o il consolato suffecto, ma semplicemente un modo di ricompensare, con una promozione illustre, dei cavalieri fedeli al termine del loro servizio. Sicché il prefetto del pretorio insignito del consolato poteva ottenere in qualche caso, dopo il congedo dalla prefettura del pretorio, la prefettura urbana, ma in nessun caso un correttorato italico. Da Gallieno a Diocleziano il conferimento del consolato ordinario a un prefetto del pretorio, quindi, segnava per lo più la conclusione sia della sua carriera equestre sia della sua carriera senatoria. Nel HI secolo — anche nell’età di Caro e dei suoi figli, e ancora nei decenni successivi — non c’è stato nessun legame e nessuna osmosi tra i gradini della carriera equestre, che portava i cavalieri, esperti militari, alla prefettura del pretorio, e

le tappe della carriera senatoria, ormai quasi esclusivamente civile, fra cui figurava la correttura in Italia. Il prefetto del pretorio

Sabinus

Iulianus,

ricordato

nel passo

di Zosimo

(-Epitome), e lo Iulianus che usurpò la porpora mentre esercitava una correttura in Italia, descritto da Aurelio Vittore — è

un aspetto che non deve essere trascurato — da un punto di vista della storia amministrativa e sociale del III secolo non

possono essere la stessa persona. Con ogni probabilità essi avevano origini familiari molto diverse, appartenevano a due ordines distinti e avevano percorso, al momento delle rispettive acclamazioni, due carriere del tutto differenti.

Nel quadro dell’indagine sugli Iuliani usurpatori durante il regno di Carino, è istruttivo tracciare le linee dello svilupChastagnol sono state confermate di recente dalla scoperta dell’iscrizione prefettizia di Brescia, su cui vd. sotto, pp. 133-152. Ai fasti proposti da A. Chastagnol (1970, pp. 63 sgg.) si potrà aggiungere, oltre alla dedica bresciana, il cursus frammentario dell’anonimo prefetto del pretorio di CIL, VI 1640241185, ri-

salente alla prima metà del II secolo.

60

po della terminologia ufficiale relativa alla funzione di corrector in Italia fino all’intervento di Diocleziano. L’analisi consente infatti di saggiare il valore della testimonianza di Aurelio Vittore sull’usurpatore pannonico. Come pare probabile allo stato attuale della documentazione, una prima fase, da Caracalla ad Aureliano, conobbe

solo correcturae straordinarie ricoperte da un unico funzionario appartenente all’ordine senatorio. I titolari noti di questo incarico sono C. Octavius Suetrius Sabinus, electus ad

corrigendum statum Italiae, nel 215-216 ?3; quindi, circa cinquant' anni dopo, Pomponius Bassus, ἐπανορθ(ωτὴς) πάσηϊς Ἰταλίίας)], probabilmente sotto Gallieno 74, ed Esuvio Tetri-

co, corrector totius Italiae durante il regno di Aureliano (l’ultima correttura propriamente straordinaria). La loro titolatura ufficiale é corrector totius Italiae, anche se l'incarico non

poteva che svolgersi in un'area di intervento circoscritta d’Italia (per esempio la Lucania nel caso di Tetricus, come sap-

piamo dagli storici) 75. L'incarico straordinario affidato a un solo corrector totius Italiae divenne una funzione stabile tra 1 regni di Aureliano e di Probo, ma mutò il suo assetto territoriale 76. Due

correctores sembrano infatti essere stati attivi contempora73 CIL, X 3398-ILS 1159 da Aquinum; CIL, X 5178 da Casinum. Su C. Octavius Appius Suetrius Sabinus vd. PIR? O 25; BARBIERI, p. 93, n. 387; JACQUES,

p. 203; CHRISTOL, pp. 55, 68, 155 sg. 74 CIL, V13836+31747=/G XIV 1076=IGRRP 1, 137=IGUR 2/2, 904. Sul problema dell'identificazione di Pomponius Bassus e della cronologia del suo incarico cfr. ultimamente CHRISTOL, pp. 221-224, che seguiamo. Si noti come la titolatura del suo incarico sia mutata: non piü electus ad corrigendum statum

Italiae, ma, più semplicemente, ἐπανορθ(ωτὴς) n&on[c Ἰταλ(ίας)], traduzione greca del corrector una certa 75 Su

latino corrector totius Italiae; 11 passaggio dalla perifrasi al sostantivo (rimasto poi inalterato nella lingua latina tardoantica) é l'indizio di ‘normalizzazione’ della carica. Esuvius Tetricus vd. principalmente BARBIERI, p. 274, n. 1559; PLRE

I, p. 885; CHRISTOL, pp. 59 sg. e 221; I. König, Die gallischen Usurpatoren von Postumus bis Tetricus, München 1981, pp. 158 sgg.; J. F. DRINKWATER, The Gallic Empire. Separatism and Continuity in the North-Western Provinces of the Roman empire, Α. D. 260-274, Stuttgart 1987, pp. 39 sgg. Sul discusso problema della sua titolatura, corrector Lucaniae! corrector totius Italiae, cfr. GIARDINA, Le

due Italie cit. (sopra, a nota 40), pp. 11 sgg. (L'Italia romana cit., pp. 274 sgg.). 76 Per un'analisi del problema del ‘governo’ di un'area dell'impero del to particolare come l’Italia romana, in connessione con la questione del gressivo radicamento amministrativo dei correctores cfr. A. GIARDINA, La mazione dell'Italia provinciale, in Storia di Roma, YIl/1, L'età tardoantica. si e trasformazioni, Torino 1993, pp. 51-68.

tutproforCri-

61

neamente nel periodo 278/80-292/94, uno nella regione transpadana, l’altro nell’Italia a sud del Po. La titolatura ufficia-

le di questi funzionari si è trasformata significativamente da corrector totius Italiae in corrector Italiae, espressione giustificata dalla presenza contemporanea di due correttori sul suolo italico. Naturalmente nessuno dei due poteva essere corrector della tota Italia in senso stretto. Anche i due correctores Italiae esercitarono concretamente il loro mandato

in aree circoscritte delle due regioni, la penisola e la zona transpadana, cui erano stati destinati. Cosi sappiamo, per esempio, che C. Ceionius Rufius Volusianus operó principalmente in Campania 77. E in questa fase che fu attivo nella regione veneta (transpadana), verosimilmente come collega di

Rufius Volusianus, il nostro Iulianus, che usurpó la porpora alla notizia della morte di Caro — nella seconda metà del 283 — e fu eliminato da Carino Augusto in Illirico. Circa dieci anni dopo, tra il 292 e il 294, la configurazio-

ne giuridica e l'assetto territoriale dell'Italia vennero modificati radicalmente. Diocleziano, con un'innovazione epocale

nella lunghissima storia dell'Italia romana, divise l'Italia in province, inglobó nella diocesi Italiciana anche le antiche province di Sicilia, Sardegna, Corsica e Rezia, e sottopose

tutto il suolo italico all'esazione del tributo 78. Egli soppresse contemporaneamente i due correctores Italiae e affidò l’amministrazione delle nuove province italiche (probabilmente dodici, secondo la notizia del piü tardo Laterculus Veronensis) ciascuna a un governatore ?. Alcuni di questi nuo-

7! Sull'estensione e la durata dell' incarico di questo corrector Italiae vd. oltre. 78 Per l'opportuna valorizzazione del nesso provincializzazione-tributo e per la corretta interpretazione dell'importante passo di Aurelio Vittore sull'introduzione del tributo in Italia (Caes. 39, 31) cfr. GIARDINA, Le due Italie cit. (sopra, a nota 40), pp. 11 sgg. e 22 sgg. (=L’Italia romana cit., pp. 274 sgg. e 289 sgg.). La data, generalmente accolta, della divisione dioclezianea dell'Italia

in province é l'inverno 290-291, in base agli studi di À. Chastagnol e alla sua interpretazione della regio Transpadana come ambito provinciale nella dedica di Flavius Postumius Titianus (CIL, VI 1418=/LS 2941); cfr. CHASTAGNOL, L'administration du diocèse cit. (sopra, a nota 71), pp. 350 sg. (=L'Italie et l'Afrique cit., pp. 119 sg.), ribadita in L’Evolution politique, sociale et économique du monde romain (284-363), Paris 19943, p. 240. Sembra probabile che la riforma sia un poco successiva e risalga agli anni 292-294. 79 Laterculus Veronensis, p. 250 Seeck (cfr. BARNES 1982, p. 203); come ἃ noto, la sezione del Laterculus dedicata alla descrizione delle province della dio-

cesi Italiciana &, purtroppo, molto corrotta; per le integrazioni e le correzioni al

62

vi responsabili provinciali conservarono, con una certa dose di tradizionalismo, il titolo di corrector, altri ebbero subito il titolo, più diffuso, di praeses, seguito in entrambi i casi dal-

l'indicazione della provincia amministrata 8°. La titolatura di questi funzionari da quel momento perse ogni riferimento generale al termine /talia e contemplò solo ed esclusivamente l'indicazione della provincia. Le fonti epigrafiche documentano, infatti, per la prima volta in età tetrarchica l’esistenza del corrector Venetiae et Histriae 81, del praeses Al-

pium Cottiarum 82, del corrector Tusciae et Umbriae 83, del corrector Campaniae 84, del corrector Apuliae et Calabriae 85. La divisione in province di un'Italia ampliata fino a inglobare le regioni alpine e le isole, e l'istituzione dei rispettivi governatori provinciali, fu una riforma definitiva: la ripartizione provinciale dioclezianea subi solo alcuni ritocchi tra il IV e il VI secolo 86, Alla luce di quanto esposto intorno all'evoluzione delle corretture in Italia, conviene riflettere sulla titolatura dell’incarico di Iulianus che, al momento della sua usurpazione, nel

283, Venetos correctura ageret. Come abbiamo accennato, Iulianus era uno dei due correctores Italiae, quello attivo nel-

la regione transpadana; il suo collega deve essere stato il nobile C. Ceionius Rufius Volusianus, corrector Italiae, il cui

mandato si esplicó principalmente in Campania, senza dub-

testo cfr. BARNES oltre, pp. 174 sg.

1982, cit. Sulla datazione del documento amministrativo vd.

89 Per 1 fasti di questi nuovi funzionari vd. la bibliografia citata sopra, nota 71. 8! CIL, V 2818 da Padova (Attius Insteius Tertullus, cfr. PLRE I, pp. 883 sg.); CIL, X 5061=/LS 1217 da Atina (C. Vettius Cossinius Rufinus, cfr. PLRE

I, p. 777). 82 CIL, V 7248-7249 da Susa (Aurelius Saturninus, cfr. PLRE I, p. 806). 83 CIL, X 5061-ILS 1217, vd. sopra, nota 81. 8 CIL, VI 1418=/LS 2941 da Roma (T. Flavius Postumius Titianus, cfr. PLRE I, pp. 919 sg); CIL, X 4785 da Teanum Sidicinum (Pompeius Appius Faustinus, cfr. PLRE I, pp. 327 sg.); CIL, X 3867-1LS 6310 da Capua (Virius Gallus, cfr. PLRE I, p. 384). Per la questione di C. Ceionius Rufius Volusianus corrector Campaniae in una discussa iscrizione tramandata dal Capaccius (CIL, X 304*) cfr. GIARDINA, Le due Italie cit. (sopra, a nota 40), pp. 14 sgg. («L'Italia romana cit., pp. 277 sgg.).

85 CIL, IX 687 da Erdonia (Ulpius Alenus, cfr. PLRE I, p. 39). 86 Su]l'evoluzione dell’assetto provinciale italico tra IV e VI secolo cfr. in sintesi

CHASTAGNOL,

L'administration

du

diocése

cit.

(sopra,

a nota

71),

pp.

373-375 (=L’Italie et l'Afrique cit., pp. 142-144).

63

bio durante il regno di Carino 87, Aurelio Vittore limita l’ambito regionale del mandato di Iulianus al territorio dei Veneti, cioè alla Venetia, area culturalmente composita e strategicamente vitale per la sicurezza della penisola e di Roma. Lo storico tuttavia non fa alcuna menzione della regione che, fin

dagli esordi della provincializzazione dell’Italia, era amministrativamente connessa alla Venetia, l Histria. L'assenza ap-

pare significativa. Nella titolatura dei correctores attivi nell'area veneta, laddove compare la specificazione geografica del settore amministrato, troviamo sempre l’espressione corrector Venetiae (0 Venetiarum) et Histriae, ad indicare un set-

tore omogeneo nella ripartizione burocratica d’Italia 88. L’assenza dell’ Histria nel caso della correttura di Iulianus trova un parallelo nella titolatura di Esuvio Tetrico, corrector Lucaniae, non Lucaniae et Bruttiorum, come invece sarà defi-

nita la regione nella ripartizione burocratica di età tetrarchica e del IV secolo. I casi di Tetrico (negli anni 273-275) e di Iulianus (nel 283), con la loro titolatura apparentemente de-

ficitaria, ritraggono una situazione di III secolo precedente alla provincializzazione dioclezianea, quando si fissarono, per ragioni amministrative, certi accorpamenti regionali, co-

87 CIL, X 1655, da Pozzuoli, fu posta dallo stesso C. Ceionius Rufius Volusianus, iterum corrector (Italiae), in onore di Carino. Le due corretture italiche di Volusianus durarono complessivamente otto anni, come sembra, conse-

cutivi, compresi tra i regni di Probo e di Diocleziano e Massimiano (probabilmente tra il 279 e il 287; cfr. CIL, VI 1707, con p. 4740=/LS 1213). Sulla lunga carriera di Volusianus e sulla sua prefettura del pretorio, rivestita durante il regno di Massenzio, vd. sotto, cap. IIT, pp. 259-272. 88 L'espressione Venetia et Histria risale all'epoca dell'allargamento dei confini nord orientali dell'Italia fino al fiume Arsia; allora le due regioni, la Venetia e Y Histria, furono accomunate nella ripartizione augustea e formarono la X regio. Ma la formula Venetia et Histria cominció a essere attiva in ambito amministrativo, come denominazione ufficiale di un'area provinciale sottoposta al controllo di un governatore, solo durante l'età tetrarchica. In quegli anni Insteius Tertullus, come abbiamo visto, si definisce v(ir) [c(larissimus)] corr(ector) Ven(etiae) et Histria(e] nella dedica da lui posta a Padova in onore di Massimiano (CIL, V 2818) e C. Vettius Cossinius Rufinus & c(larissimus) v(ir) corr(ector) Venitiae et Histriae nell'iscrizione, completa del cursus honorum,

offerta dagli abitanti di Atina al loro patrono (CIL, X 5061=/LS 1217, linn. 4 sg.). Da quel momento, e fino a tutto il V secolo, la documentazione mostra, senza alcuna soluzione di continuità, la saldezza di questa unità geografica e la permanenza di una realtà amministrativa testimoniata dalla solidità della formula Venetia et Histria.

64

me la Venetia-Histria e la Lucania-Bruttii, destinati a una resistenza secolare, non solo nel linguaggio burocratico. Il punto chiave è che la notazione di Aurelio Vittore su Iulianus, corrector nella regione abitata dai Veneti, sembra risali-

re a un’ottima fonte sull’usurpatore. La fonte di Aurelio Vittore, che mostra di non conoscere ancora la nuova termino-

logia (Venetia et Histria) entrata in uso solo un decennio dopo la morte di Iulianus, quando fu decisa la divisione dell’I-

talia in province, scrisse verosimilmente la sua cronaca prima di questa trasformazione epocale nella storia della penisola. La sua notizia passò senza anacronistiche contaminazioni nel Liber di Aurelio Vittore. Nella seconda metà del ΠῚ secolo la prefettura del pretorio e la correttura italica furono due incarichi lontani tra loro e, per molti versi, incomunicabili, riservati l’uno a esponenti dell’ordine equestre, ma dotati di una solida formazione militare, l’altro a membri di nobili famiglie senatorie. Si radi-

cava allora quella separazione tra l’amministrazione civile, in cui primeggiava la nobiltà gentilizia, e il comando degli eserciti, una divisione che sarebbe stata un tratto distintivo

della società romana tardoantica da Costantino in poi 8°. E difficile dire se storici versati nella carriera amministrativa come Aurelio Vittore, consularis Pannoniae Secundae sotto

Giuliano, quindi prefetto di Roma sotto Teodosio, e Zosimo, comes ed advocatus fisci sotto Anastasio I, potessero attri-

buire allo stesso personaggio dignità così sappiamo fino a che punto uno storico della IV secolo e uno degli inizi del VI potessero za e la consistenza delle barriere di ordine

eterogenee. Non seconda metà del intuire l’esistensociale e politico

che un tempo avevano tenuto separate le carriere di un cor-

rector Italiae e di un prefetto del pretorio. Indubbiamente non mancava loro la cognizione dei grandi rivolgimenti amministrativi. Aurelio Vittore ricorda la provincializzazione dell’Italia

e Zosimo,

come vedremo,

biasima la trasforma-

zione della prefettura del pretorio in età costantiniana. Ma si tratta di avvenimenti

di grande

spessore, che i due storici

hanno selezionato in base alla prospettiva storica che sostiene le rispettive opere. Per fenomeni meno evidenti, come 89 Cfr. in proposito S. Mazzarino, Problemi e aspetti del Basso Impero, e 1l Carmen ‘contro i pagani’ e il problema dell”era Costantiniana’, in ATA 1, in particolare pp. 183-196 e 441-447.

65

l’articolazione dei cursus honorum prima di Costantino, non è facile per lo studioso moderno verificare il grado di percezione che se ne aveva dopo le trasformazioni di età tetrarchica e costantiniana. Tra l’età di Carino e quella di Costanzo II, quando Aurelio Vittore redasse il Liber de Caesaribus, si frapponeva la grande rivoluzione sociale e amministrativa costantiniana, che aveva prodotto, con un processo opposto all'evoluzione di età tetrarchica, una sorta di inglobamento dell’ordine equestre nell’ordine senatorio e una dilatazione notevole di quest’ultimo 90, Certi schemi e certe barriere tra i cursus vennero meno, altri diaframmi, di natura sociale, pre-

sero piede, nacquero nuove carriere e un nuovo senato. Per questo non è agevole dire fino a che punto sopravvivesse negli storici attivi dalla seconda metà del IV secolo la capacità di leggere in prospettiva la storia amministrativa precostantiniana 91. Tuttavia nel caso del senatore Iulianus e del cavaliere Sabinus Iulianus — questo è il punto focale — non potevano confondersi, e non sembrano confondersi, le fonti cui attinsero Zosimo e Aurelio Vittore, che si rivelano fonti di in-

dubbio valore. La linea storiografica confluita in Zosimo non s’ingannava sulla cronologia della guerra persiana di Numeriano, e sapeva che l’esercito del giovane Augusto era torna-

50 Su questa evoluzione vd. sotto, cap. IV, pp. 556-558.

?! Abbiamo detto che la correttura nelle province italiche e la prefettura del pretorio sono le tappe di carriere incomunicabili fino all'età di Diocleziano. Nell'età di Costantino l'ampliamento del clarissimato, pur facendo sussistere diffe-

renze anche notevoli tra senatori di nobili origini e di grande influenza e senatori di recente creazione, ha prodotto una trasformazione tale per cui la correttura in Italia e la prefettura del pretorio poterono essere gradini di un unico cur-

sus senatorio. Senza esaminare le differenze tra carriere senatorie a partire dall'età costantiniana (carriere condizionate spesso dal prestigio gentilizio), ci li-

mitiamo a rilevare alcuni esempi dell'avvenuta fusione dei due incarichi in una medesima carriera. Fabius Titianus fu vir clarissimus corrector Flaminiae et Piceni, poi consularis Siciliae sotto Costantino, quindi prefetto del pretorio nelle

Gallie dal 341 al 349 sotto Costante Augusto (PLRE I, pp. 918 sg.). Anche il suo collega nella prefettura Caecilianus Placidus, fu clarissimus vir corrector Venetiarum

et Histriae

sempre

durante

il regno

di Costantino

(CIL,

X

1700-JLS

1231), poi prefetto del pretorio d'Italia sotto Costante nel 342-344 (PLRE I, p. 705). Maecilius Hilarianus fu corrector Lucaniae et Bruttiorum nel 316 (CTh IX 19, 1+XII 1, 3), quindi prefetto del pretorio di Costanzo II nel 354 (PLRE I, p. 433). Q. Flavius Maesius Egnatius Lolliahus signo Mavortius fu consularis Campaniae nell'ultimo decennio del regno di Costantino (CIL, X 4752-ILS 1223), poi prefetto del pretorio di Costanzo II in Illirico negli anni 355-356 (PLRE I, pp. 512-514). Per il caso, particolare, di C. Ceionius Rufius Volusianus si veda oltre.

66

to in Europa verso la fine del 284. Essa conosceva anche certe connivenze nate tra gli usurpatori Sabinus Iulianus e Diocleziano mentre esplodeva la crisi che avrebbe travolto l'ultimo esponente della dinastia di Caro. La linea storiografica cui ha attinto Aurelio Vittore, conosceva l’estensione autentica della correttura di Iulianus ed evitava l’anacronismo di presentare una provincia di Venetia-Histria già organizzata sotto Carino. La menzione di una correctura di Venetia-Histria infatti presupponeva di per sé l’avvenuta provincializzazione d’Italia, fenomeno

che abbiamo visto comportò

la

scomparsa della coppia dei correctores Italiae come Iulianus. La fonte di Zosimo per un verso, quella di Aurelio Vittore per l’altro appaiono molto vicine agli avvenimenti del regno di Carino. E se non è agevole appurare il grado di consapevolezza con cui questi due storici tardoantichi si ponevano di fronte alla rapida evoluzione amministrativa e sociale avvenuta nel passaggio dal terzo al quarto secolo, tuttavia possiamo essere certi che essi non manipolarono le loro ottime fonti sulle vicende politico-militari del regno di Carino. Nella forma come nella sostanza essi non confusero gli episodi dei due usurpatori quasi omonimi. La vicenda dell’imperatore Carino — pessimo secondo la storiografia antica, in realtà abile combattente come il padre — e dei suoi collaboratori riceve luce da una corretta inter-

pretazione delle cronache di Aurelio Vittore e di Zosimo (-Epitome). Esse ricordano due episodi diversi: l'usurpazione nella tarda estate del 283 del senatore Iulianus, corrector Italiae attivo nelle Venetiae, e l’usurpazione di Sabinus Iu-

lianus prefetto del pretorio di Carino, divampata negli ultimi giorni del 284 e protrattasi per breve tempo nel 285. Il passo di Aurelio Vittore richiede ancora alcune preci-sazioni che ne rivelano un’inaspettata ricchezza (Aur. Vict., Caes. 39, 9 sg.): Interim Carinus eorum, quae acciderant, certior spe facilius erumpentes motus sedatum iri Illyricum propere Italiae circuitu petit. Ibi Iulianum pulsa eius acie obtruncat. Namque is cum Venetos correctura ageret, Cari morte cognita imperium avens eripere adventanti hosti obviam processerat. At Carinus ubi Moesiam contigit (segue la descrizione della

battaglia di Margum). Mentre Numeriano è impegnato in Persia (di questo Vit67

tore ha appena parlato), Carino prende coscienza di poter intervenire in Illirico per riportare l’ordine nella regione dove, in precedenza, erano esplose sedizioni (erumpentes motus). Per questo l’ Augusto si sposta rapidamente in Illirico. Egli non sembra muovere da Roma, bensì da un territorio a nord

delle Alpi, come suggerisce l'espressione Italiae circuitu, cioè girando intorno all’Italia 92, Nell’Illirico (questo è indubbiamente il valore di ibi) Carino vince e uccide l’usurpatore M. Aurelius Iulianus ricordato dalla monetazione di Siscia, che, mentre era corrector nella Venetia, aveva usurpato la

porpora alla notizia della morte di Caro, all’incirca nell’agosto-settembre 283. L’intervento vittorioso di Carino deve quindi collocarsi un certo tempo dopo l’usurpazione pannonica di Iulianus, un tempo abbastanza lungo, tale da permettere al rivale di Carino di coniare diverse emissioni e di vincere almeno uno scontro bellico, e all’ Augusto legittimo di ponderare la situazione prima di calare in forze nell’Illirico 93. Con molta scrupolositä Aurelio Vittore ricorda anche le circostanze in cui era maturata l'elevazione di Iulianus: questi aveva preso il potere adventanti hosti obviam, "di fronte all'assalto del nemico". Una lettura superficiale della frase ha fatto si che l'hostis fosse identificato con Carino. Ma è un'interpretazione del tutto inaccettabile, per due motivi. Prima di tutto essa é contraria alla logica del testo di Vittore. Carino attaccó Iulianus solo dopo che questi aveva vestito la porpora e in conseguenza di tale gesto. Dunque Iulianus non

puó aver usurpato a causa dell'approssimarsi di Carino Augusto, ma a causa dell'assalto di tutt'altro genere di nemico.

?? La parola circuitus indica uno spostamento lungo il perimetro esterno di un'area geografica delimitata da un confine naturale o artificiale (cfr. TALL IN,

coll. 1102-1106, che menziona il passo di Vittore). l'espressione Italiae circuitu sembra adattarsi bene al movimento di un imperatore che, col suo esercito, scenda, per esempio,

dalla Germania,

attraverso la Rezia e il Norico,

lungo

il

versante esterno dell'arco alpino, verso la valle della Drava. 9 Cfr. l'antoniniano di M. Aurelius Iulianus celebrante la Victoria Augusti (RIC V/2, p. 594, n. 5). La moneta di M. Aurelius Iulianus fu coniata in relazione a una vittoria militare dell’usurpatore pannonico. Poiché questi fu sconfitto da Carino in un'unica battaglia, come suggerirebbero le parole di Aurelio Vittore, la sua vittoria non può essere maturata contro l’imperatore legittimo, bensì contro un nemico diverso. La moneta siscense contribuirebbe a valorizzare l’i-

dentificazione dell'hostis adventans in una popolazione barbarica. Nel nostro caso hostis adventans deve riferirsi a una incursione barbarica al di qua del Danubio (vd. oltre).

68

Solo un certo tempo dopo l’usurpazione Carino, venuto ἃ conoscenza del tradimento

del suo corrector,

si mosse

contro

Iulianus e lo attaccò in Illirico. In secondo luogo nessuno scrittore

romano,

tanto

meno

il senatore Aurelio

Vittore,

avrebbe mai potuto utilizzare l’espressione hostis per qualificare l’ Augusto legittimo 94. L’hostis adventans, all’approssimarsi del quale Iulianus fu acclamato Augusto e, verosimilmente, si mise alla testa delle truppe danubiane, deve es-

sere quindi identificato con un nemico esterno; probabilmente si tratta di una popolazione barbarica che, conosciuta la morte di Caro in Persia, tentò di aprirsi un varco in uno 0 più

punti lungo il Danubio, mentre Carino era, verosimilmente, su un altro fronte 95. Sembra probabile che egli si trovasse,

per esempio, sul Reno, visto che marciò sull’Illirico Italiae circuitu ®. L’attacco dei barbari spiegherebbe le espressioni di Vittore in apertura del passo. Gli avvenimenti (eorum quae acciderant) e le rivolte (erumpentes motus) di cui Carino si accerta (certior) possono ben essere due pericoli congiunti, os-

sia l'invasione barbarica sul Danubio e la conseguente rivolta di Iulianus. Il pericolo esterno spiega anche il protrarsi della reggenza dell'usurpatore lulianus. Carino, impegnato

su

un altro limes — se la nostra interpretazione di /taliae circuitu & esatta — non aveva fretta di eliminare un rivale che era intento a difendere l'impero sul Danubio. La differenza tra l'usurpazione di Iulianus e quella di Sabinus Iulianus é anche di ordine strategico. Nel 283 Iulianus era bloccato in Pannonia dalla pressione barbarica. A1 primi del 285, invece, Sabinus Iulianus controllava l'Italia facendo perno sull'area veneta, chiave di volta del possesso della penisola, mentre un 9 Aurelio Vittore utilizza il sostantivo hostis in modo neutro col significa-

to generico di "nemico". Con esso suole indicare sia i nemici esterni dell'impero (Caes. 20, 18; 38, 3; 39, 4), sia una delle parti in lotta nel corso delle guerre

civili (Caes. 8, 6; 17, 10; 29, 1 e 3; 31, 3; 33, 1; 39, 14 e 19; 40, 6 e 23; 41, 3). Ma, come & logico aspettarsi, lo scrittore non utilizza mai, neanche quando descrive episodi di guerra civile, l'espressione hostis per indicare un Augusto legittimo. Ripetiamo: hostis non può essere mai 1° Augusto legittimo. 9 La vittoriosa campagna sarmatica di Caro, unico Augusto, precedente la sua partenza per la Persia, potrebbe aver consentito all’imperatore di imporre un

pace a condizioni svantaggiose ai gruppi di barbari trans-danubiani sconfitti. La morte dell' Augusto potrebbe aver spinto quelle popolazioni barbariche a tentare di rovesciare con la forza i termini di un accordo cui non si sentivano piü vincolati. 96 Vd. sopra, nota 92.

69

altro usurpatore,

Diocleziano,

forse suo

alleato,

marciava

sull’Italia dagli Stretti. La congiuntura creatasi con la rivolta di Iulianus nel 283 dovette apparire a Carino grave, ma controllabile, se non addirittura utile, perché impegnava e logorava l’usurpatore nel compito della difesa delle Pannonie e dell’Italia. Perciò Carino non si è affrettato a intervenire. Sullo scorcio del 284 invece la situazione precipitava sia in Oriente, passato a Diocleziano, sia in Italia, sotto il controllo

di Sabinus Iulianus, e con l’Illirico pericolosamente aperto agli eserciti degli usurpatori. Per questo Carino ha marciato senza esitazioni contro il suo prefetto del pretorio, lo ha vinto presso Verona e ha ripreso il comando delle truppe fedeli all’usurpatore prima che Diocleziano potesse congiungersi con esse. La vittoria su Sabinus Iulianus gli ha permesso di recuperare il controllo degli eserciti guidati dal suo prefetto del pretorio. E la ricostituzione di un contingente militare di grandi dimensioni contribuisce a spiegare il successo di Carino in Mesia sull’esercito comandato da Diocleziano, redu-

ce dalla spedizione persiana. Esiste un precedente storico significativo di una coreggenza in cui dei due Augusti l’uno, il senior, ha risieduto in Oriente (come Caro) e si è impegnato in una politica anti-persiana, l’altro, suo figlio maggiore, si è trattenuto sul Reno, salvo scendere in Illirico e rientrare saltua-

riamente a Roma (come Carino). Si tratta della coreggenza di Valeriano e Gallieno Augusti negli anni 254-260. Le esigenze strategiche e amministrative dell’età di Valeriano e Gallieno — l’unica coppia imperiale legittima attiva nell’impero prima di Caro e Carino — potrebbero essersi ripetute in forma analoga venti, venticinque anni dopo. Questo parallelo sembra avvalorare l’ipotesi che Carino sia stato attivo a nord delle Alpi durante il suo regno, ma facendo attenzione a controllare i movimenti nemici lungo il Danubio. In questa direzione deve essere valorizzato un passo dell’ Historia Augusta, che ricorda chiaramente la presenza stabile di Carino nelle Gallie, come la soluzione strategica prevista da Caro al momento della sua partenza per la guerra persiana (SARA, Car. 7, 1). Colpisce, inoltre, l'analogia, anche espressiva, tra il

passo di Aurelio Vittore sull’attacco di Carino all’usurpatore Iulianus nel 283, e quello in cui lo storico, poco prima, ha descritto l’azione di

Gallieno Augusto contro l’usurpatore Ingenuo nel 258 (Caes. 33, 1): sub idem tempus Licinius Gallienus cum a Gallia Germanos strenue arceret, in Illyricum properans descendit. Ibi Ingebum, quem curantem Pannonios comperta Valeriani clade imperandi cupido incesserat, Mursiae devicit [...]. Il parallelo tra le congiunture del 258 e del 283 è evidente: alla notizia della sconfitta di un membro del collegio impe-

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riale (la Valeriani clades potrebbe riferirsi a un rovescio di Valeriano Augusto in Oriente, o, più verosimilmente di Valeriano II Cesare in Illirico), scoppiò una rivolta in Pannonia, mentre l' Augusto più giovane, Gallieno, si trovava sul Reno; questi scese in Illirico con il suo eserci-

to e abbatté l’usurpatore 57,

Torniamo al passo di Aurelio Vittore. Terminata la sezione su Iulianus lo storico ha preferito tacere della rivolta del prefetto del pretorio Sabinus Iulianus ed è passato a descrivere la battaglia di Margum. Il silenzio potrebbe nascere da un desiderio di sintesi: l’effimera durata del tentativo del prefetto del pretorio consigliava di passare direttamente a trattare dello scontro decisivo con Diocleziano 938. La spia di uno stacco tematico e cronologico tra l’episodio di Iulianus e la battaglia di Margum è costituita dalla preposizione af che apre il paragrafo seguente del Liber: at Carinus ubi Moesiam contigit illico Marcum iuxta Diocletiano congressus, ecc. Il lettore di Aurelio Vittore si può rendere conto agevolmente che lo storico ama segnare una cesura cronologica o, più ra9 Sugli spostamenti di Valeriano e Gallieno e sulla complessa cronologia degli avvenimenti negli anni della loro coreggenza cfr. CHRISTOL, L’Empire Romain du IIIe siècle, cit. (sopra, a nota 2), pp. 131-138, e Les déplacements du collège impérial de 256 à 258: Cologne, capitale impériale, in “CCG” 8 (1997), pp. 243-253. 98 Esigenze di sintesi sembrano avere guidato le scelte di Eusebio di Cesarea che nel suo Chronicon taceva delle usurpazioni del regno di Carino. Il si-

lenzio di Eusebio è probabilmente il motivo principale dell’assenza di qualunque traccia delle rivolte di Iulianus e Sabinus Iulianus nella storiografia cristiana successiva, che per questo periodo aveva in Eusebio il suo storico guida. Del tutto diverso il caso dell’ Historia Augusta. Seguendo una prassi compositiva costante e caratteristica, il redattore della raccolta ha semplicemente fatto una bre-

ve allusione ai tentativi di usurpazione stroncati da Carino senza descriverli in dettaglio: nec ei (=Carino) tamen defuit ad vindicandum sibimet imperium vigor mentis (SHA, Car. 18, 2). L’energia nel difendere il legittimo imperium che il biografo riconosce al depravato Carino suggerisce che i tentativi di Iulianus nel 283 e di Sabinus Iulianus nel 284 non gli fossero ignoti. Ma volendo evidenzia-

re e amplificare i difetti che la tradizione attribuiva al nemico di Diocleziano, il redattore dell' Historia Augusta non poteva attribuirgli le vittorie che da abile generale aveva ottenuto sugli usurpatori, l'ultimo dei quali era stato Diocleziano. Da questa impostazione ideologica derivano da un lato l’allusione al vigor mentis ad vindicandum imperium, dietro cui si celano invece le nette affermazioni militari di Carino; dall’altro la finzione che Carino apud Margum victus occubuit (SHA, ibid.), mentre in quello scontro era stato ancora una volta l’ Augusto legittimo a prevalere sul campo. Per l'atteggiamento di un altro storico pagano, Zosimo, che potrebbe essersi spinto fino all’occultamento della battaglia di Margum vd. sopra, pp. 47 sg.

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ramente, un’inversione di tendenza nella narrazione storica

inserendo la preposizione at”. Lo ha fatto anche in questo caso e possiamo ritenere che l’accorgimento segnalasse una pausa e uno stacco per il lettore antico. Ma la frase introdotta dall’at, ubi Moesiam contigit, per il suo contenuto ha fini-

to col trarre in inganno i lettori moderni, inducendoli a credere che, nel racconto di Vittore, Carino raggiungesse la Mesia per combattere Diocleziano immediatamente dopo aver eliminato Iulianus in Illirico, mentre tra le due imprese, co-

me sappiamo dal confronto con Zosimo (I 73), intercorse circa un anno di tempo, il 284. Concludendo, è necessario distinguere le usurpazioni di Tulianus, nella seconda metà del 283, e di Sabinus Iulianus,

sul finire del 284, episodi che la storiografia antica separava nettamente e inquadrava nel giusto contesto sia da un punto di vista spazio-temporale, sia dal punto di vista della storia amministrativa. Sabinus Iulianus, prefetto del pretorio di Carino, era certamente in carica nel novembre del 284. È molto

difficile, al momento, avanzare ipotesi sulla data della sua nomina. Usurpò e fu ucciso da Carino Augusto in campis Veronensibus probabilmente agli inizi del 285. In quel frangente la documentazione pone in luce la figura di quello che con ogni probabilità fu il nuovo prefetto del pretorio al servizio di Carino, Ti. Claudius Aurelius Aristobulus. L’eccezionale

carriera di questo personaggio, destinato a una sorte ben più luminosa di quella del suo predecessore, costituisce l’argomento del prossimo paragrafo.

99 Per l’uso di at cfr. Aur. Vict., Caes. 6, 1 (fine della dinastia giulio-claudia, inizio delle lotte dell’anno 69); 14, 13 (morto Adriano, si anima il dibattito in senato sulla sua divinizzazione); 17, 1 (inizio del regno di Commodo); 19, 1 (inizio del regno di Didio Giuliano); 20, 13 (Settimio Severo muta atteggiamento ed elimina Pescennio Nigro e Clodio Albino, che prima aveva tollerato); 20, 32 (morto Severo, scoppia il contrasto tra Caracalla e Geta); 29, 1 (inizia il regno di Decio); 32, 1 (inizia il regno di Valeriano); 33, 15 (terminato l’excursus sugli usurpatori del regno di Gallieno, Aurelio Vittore passa a descrivere l’attività del principe a Roma); 33, 31 (all’arrivo a Roma della notizia della morte di Gallieno, il senato e il popolo ne invocano la damnatio); 38, 6 (morto Caro, Numeriano prende la guida della guerra persiana); 39, 38 (terminata la de-

scrizione della guerra persiana di Galerio e Diocleziano si passa alla serie delle rivolte interne durante la tetrarchia iniziando da quella di Achilleus in Egitto); 40, 14 (Vittore sottolinea il contrasto tra le doti dei tetrarchi e quelle di Costantino); 42, 19 (morte di Costanzo II).

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A. LA CARRIERA DIOCLEZIANO

DI ARISTOBULUS,

PREFETTO

DI CARINO

E DI

L’anno 285 iniziò tra le incertezze della guerra civile esplosa nell’impero alla morte di Numeriano. Carino si trovò a fronteggiare simultaneamente due tentativi di usurpazione, operati dal suo prefetto del pretorio, Sabinus Iulianus, in Italia, e da Diocleziano, comandante dei protectores di suo fratello, sugli Stretti. La rivolta di Sabinus Iulianus, come abbiamo visto, sembra essere stata sedata in breve. Carino eb-

be cura di recuperare il controllo della cerniera costituita dal Veneto e dall’alto corso del Danubio prima che l’esercito di Diocleziano raggiungesse la Pannonia e potesse unirsi ai contingenti dell’usurpatore. Il successivo conflitto tra Carino e Diocleziano nei Balcani ebbe fra i suoi protagonisti un personaggio destinato a una prestigiosa carriera: Ti. Claudius Aurelius Aristobulus, prefetto del pretorio di Carino 190,

Nella primavera del 285 gli eserciti dei due Augusti si diedero battaglia presso Margum, in Mesia, nella grande pianura attraversata dalla Morava a sud di Viminacium 101]. Ca100 Su Ti. Claudius Aurelius Aristobulus vd. O. SEECK, Aristoboulus 13, RE II, coll. 910 sg.; PIR? C 806; PALLU DE LESSERT, pp. 1-4; PASSERINI, p. 344, n.

CIII; Howe, p. 84, n. 58; BARBIERI, pp. 265 sg., n. 1514; CHASTAGNOL 1962, pp. 21-25; 1970, pp. 53 sg. e 67, n. 43; PLRE I, p. 106; BARNES 1982, pp. 97, 124, 169; G. Dr Vira-EvRARD, 1. Volusius Bassus Cerealis, légat du proconsul d'Afrique T. Claudius Aurelius Aristobulus, et la création de la province de Tripo-

litaine, in L'Africa Romana 2, Sassari 1985, pp. 149-177; CHRISTOL, p. 118. L’onomastica completa del personaggio & nota grazie al testo di un'elegante dedica monumentale dal foro di Madauros (/LAig., 1, 2048, su cui vd. oltre). 101 La data della battaglia di Margum non è nota con precisione, ma un'i-

scrizione di Carnuntum permette di fissare il terminus ante quem dello scontro. T. D. Barnes (1996, pp. 535-537) ha recentemente richiamato l'attenzione su questa iscrizione, pubblicata da W. Jobst nel 1978 (11 Juni 172 n. Chr. Der Tag der Blitz- und Regenwunder im Quadenlande, “SBWAW”, phil.-hist. Kl., 335,

Wien 1978, p. 27, n. 3=AE 1982, 782), ma sfuggita per lungo tempo all’attenzione degli studiosi. Si tratta di due frammenti di un altare dall'area del tempio

di Iuppiter Optimus Maximus Casius a Carnuntum, autore del famoso miracolo della pioggia verificatosi l'11 giugno 172 durante la guerra quadica di Marco Aurelio. I frammenti sono stati così integrati da W. Jobst: III Id(us) Iun(ias) Di[oclet/ia]no II et [-- - co(n)s(ulibus)), cioè 11 giugno 285. La base fu dunque

dedicata da Diocleziano, o da qualcuno in sua vece, a Carnuntum l' 11 giugno 285. Se fosse stata dedicata da Carino la datazione sarebbe stata indicata mediante i nomi dei consoli concorrenti Carino 11] et Aristobulo. L'11 giugno del

285 la Pannonia era, dunque, sotto il controllo di Diocleziano e la battaglia di Margum, combattuta circa seicento chilometri piii a sud, in Mesia, doveva essere già avvenuta.

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rino vinse lo scontro, ma fu ucciso subito dopo da una congiura dei suoi stessi ufficiali, che, capovolgendo l’esito della battaglia, lasciarono Diocleziano arbitro dell’impero 102. Ancora una volta i vertici militari avevano deciso la sorte di un Augusto. Aurelio Vittore ha esaltato la grande distensione inauguratasi nella dirigenza dell’impero in seguito all’affermazione di Diocleziano e ha voluto sottolineare il clima di conciliazione che caratterizzò le relazioni tra il nuovo Augusto e i sostenitori dell’ultimo esponente della dinastia di Caro 193, Egli ha proposto come esempio massimo e inusitato della clemenza di Diocleziano, e dell’atmosfera pacifica che

si instaurò dopo Margum, proprio il fatto che il prefetto del pretorio di Carino, Ti. Claudius Aurelius Aristobulus, uno dei

più illustri e influenti uomini di fiducia del defunto imperatore, abbia continuato a ricoprire la medesima carica agli ordini del nuovo sovrano. L'osservazione di Aurelio Vittore costituisce anche la prima menzione di Aristobulus nelle fonti antiche 104, 102 Aurelio Vittore offre il resoconto più dettagliato della guerra e si sofferma sulle ragioni dell’eliminazione di Carino, che pure aveva vinto la battaglia, ravvisandole nella sua tendenza a turbare la vita familiare dei suoi stessi ufficiali (Caes. 39, 11-12). Le altre fonti si sforzano di assegnare a Diocleziano una vittoria militare, ottenuta al termine di uno scontro estremamente duro e incerto, o di sfumare il dato della congiura contro Carino. E probabile che esse risentano di una tradizione favorevole a Diocleziano, sorta dopo l’affermazione del sovrano e tesa a giustificare il tradimento di Carino da parte dei suoi ufficiali come la conseguenza di una sua sconfitta militare. Così Eutropio (IX 20, 2) e Orosio (VII 25, 1). Più brevemente l’Epitome de Caesaribus (38, 8) che, non a ca-

so, preferisce tacere sull’esito della battaglia. Non dissimile la posizione di Gerolamo (Chron., p. 225 Helm). Per la posizione filodioclezianea del redattore dell’ Historia Augusta (Car. 18, 2) e per il problema dell’ ‘occultamento’ dello

scontro di Margum in Zosimo (I 73=Ioh. Ant., FHG 4, p. 601, fr. 163) vd. sopra p- 48. Una nuova fonte, contemporanea degli avvenimenti si è aggiunta di recente: P. Oxy. 4352. Essa avvalora la tesi di un'affermazione di Carino sul campo di battaglia (discussione nel $ sg.). 103 Sul destino dei primi sostenitori di Diocleziano cfr. di recente M. PEACHIN, À Note on the Early Days of Diocletian's Reign, in *AJAH" 9 (1984), pp. 153-157, dove tuttavia l'autore non sembra aver considerato il passo di Aurelio Vittore sull'atteggiamento conciliante che Diocleziano assunse nei confronti dei funzionari, civili e militari, dell' Augusto sconfitto, nel periodo che segui l'affermazione di Margum (vd. nota sg.). 104 Aur, Vict., Caes., 39, 14-16:

Ceteris venia data retentique hostium fere

omnes ac maxime vir insignis nomine Aristobulus praefectus praetorio per officia sua. Quae res post memoriam humani nova atque inopinabilis fuit civili bello fortunis fama dignitate spoliatum neminem, cum pie admodum mansueteque geri laetemur exilio proscriptioni atque etiam suppliciis et caedibus modum fie-

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Dal momento che una delle manifestazioni della legittimitä di un Augusto neo-eletto consisteva nella nomina di uno o due prefetti del pretorio, è possibile che Diocleziano, Augusto da circa cinque o sei mesi all’epoca della battaglia di Margum, avesse già, nella primavera del 285, un prefetto del pretorio al suo fianco. Si tratta solo di un’ipotesi, dedotta in base a una prassi istituzionale largamente diffusa; naturalmente, in mancanza di testimonianze precise sull’esistenza di tale prefetto, essa va presa in considerazione con la dovuta cautela !%. Tuttavia sembra possibile ipotizzare che Diocleziano, rimasto unico Augusto nell’impero, abbia deciso di portare a due i suoi prefetti del pretorio cooptando, accanto all’eventuale prefetto, da lui verosimilmente nomi-

nato all’indomani dell’acclamazione di Nicomedia, il prefetto del rivale. Questa ricostruzione avrebbe il pregio di inserire in un contesto isti-

tuzionale equilibrato la notizia di Aurelio Vittore sul clima politico disteso che si respirò dopo Margum. Diocleziano, unico Augusto, avrebbe mostrato un’inusitata clemenza portando a due, come la tradizione gli consentiva, il numero dei suoi prefetti del pretorio attraverso l'associazione e la conservazione nella carica di Aristobulus, prefetto del suo nemico.

Di Aristobulus si conosce bene la carriera successiva alla nomina alla massima prefettura, mentre, purtroppo, si ignora tutto del cursus honorum che precedette quella prestigiosa promozione !%. Lo studio delle rivolte dei due Iuliani,

usurpatori durante il regno di questo imperatore, potrebbe avvalorare l’ipotesi che Carino abbia sostituito con Aristobulus il prefetto traditore, Sabinus Iulianus, nel momento in cui

questi, sul finire dell’anno 284, assunse la porpora in Italia. Questa ricostruzione sarebbe sostenuta dalla dinamica dei ri-

volgimenti politici e militari avvenuti in quel frangente, ma anche dall’assetto stesso che la prefettura del pretorio sembra aver avuto durante i regni della famiglia di Caro.

ri. Quid ea memorem ascivisse consortio multos externosque tuendi prolatandive gratia iuris Romani? 105 Riguardo alla prassi, ben diffusa fra gli Augusti legittimi, ma anche fra gli usurpatori, per cui la nomina del prefetto del pretorio è un segno evidente della legittimità dell’imperatore appena eletto, cfr., per esempio, il caso di Avi-

dio Cassio (SHA, Avid. 7, 4): imperatorio animo cum processisset, eum, qui sibi aptaverat ornamenta regia, statim praefectum praetorii fecit; cfr. anche SHA, Marc. 25, 4; Did. 3, 1; Sev. 6, 5. Sulla possibilità che, a cavallo tra il 284 e il

285, quando l'impero era diviso tra tre imperatori, Diocleziano nominasse un prefetto del pretorio, anziché una coppia, vd. oltre. 106 Sulla carriera di Aristobulus dopo il congedo dalla prefettura del pretorio, documentata anche grazie all'inusuale ricchezza di testimonianze epigrafiche, legate alla sua attività come proconsole d' Africa, vd. oltre.

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Dalla discesa di Caro in Mesopotamia fino alla scoperta della morte di Numeriano presso Nicomedia le fonti indicano la presenza del solo prefetto Aper al fianco di Caro Augusto, prima, e di Numeriano Augusto, poi 107, Dunque un solo

prefetto del pretorio avrebbe accompagnato il sovrano impegnato in Oriente. Sembra, perciò, probabile che anche l’ Augusto attivo nella parte occidentale dell’impero, Carino, abbia avuto un solo prefetto del pretorio accanto a sé. Questo assetto della prefettura del pretorio, per cui, regnando una coppia di Augusti, ciascuno dei due imperatori nomina e ha come collaboratore un solo prefetto del pretorio, è del resto sicuramente documentato poco dopo, a partire dalla diarchia di Diocleziano e Massimiano Augusti 108, Questa prassi nella distribuzione dei prefetti del pretorio restò in vigore, come vedremo, anche in età tetrarchica e nel periodo, tormentato, del dissolvimento del sistema tetrarchico, fino alla diarchia

di Costantino e Licinio Augusti 1095. Del resto la tendenza da parte di una coppia di Augusti a non formare collegi prefettizi composti da più di due prefetti del pretorio rientrava nella tradizione istituzionale della carica. Durante le coreggenze degli Augusti Marco Aurelio e Lucio Vero, Marco Aurelio e Commodo, Settimio Severo e Caracalla (poi anche con Geta) la documentazione sembra indi-

care al massimo due prefetti del pretorio in carica contemporaneamente 110, Sui prefetti dei due Filippi, di Decio, con

107 Numeriano

divenne Augusto,

secondo la testimonianza delle fonti, solo

dopo la morte del padre Caro durante la spedizione persiana (luglio 283), mentre suo fratello Carino con molta probabilità già al principio del 283; cfr. di recente CHRISTOL, L'Empire Romain du III* siècle cit. (sopra, a nota 2), pp. 187 sg., e le testimonianze raccolte da M. PEACHIN, Roman Imperial Titulature and Ch-

ronology, A.D. 235-284, Amsterdam 1990, pp. 444 sgg.; D. KIENAST, Römische

Kaisertabelle, Darmstadt 19962, pp. 258 sgg. Sul prefetto Aper vd. sopra $2. 108 Vd, sotto l'esame dell’iscrizione di Oescus e le analisi svolte nel capitolo sg. 10? Vd. sotto lo studio dell'iscrizione di Brescia, nel capitolo II, e l'esame

della documentazione sui prefetti del periodo 306-324 e delle dediche di Tropaeum Traiani e di Efeso nel capitolo IIL. Si noti che negli anni 306-313 Ia moltiplicazione degli Augusti (si arrivò fino a quattro Augusti legittimi e due usur-

patori nella primavera del 310) fece si che ciascuno di loro nominasse un suo prefetto del pretorio e che, quindi, il numero di due prefetti del pretorio in carica contemporaneamente fosse ampiamente superato. Ma la prassi per cui ciascun sovrano pone al suo fianco un solo prefetto del pretorio venne rispettata. 11? Durante il regno di Marco Aurelio e Lucio Vero (161-169) sono testi-

moniati in carica la coppia dei prefetti T. Furius Victorinus e Sex. Cornelius Re-

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Etrusco 6 Ostiliano, 6 di Gallo e Volusiano Augusti, coreggenze, peraltro, molto brevi, non ci sono testimonianze suffi-

cienti per stabilire con una certa sicurezza il loro numero. Le notizie sui singoli prefetti del pretorio di Valeriano e di Gallieno, benché frammentarie, spingono a ipotizzare che negli anni 253-260 fossero attivi contemporaneamente due soli prefetti del pretorio, uno in ciascun comitatus 111, Pur tenendo conto dei vuoti nella documentazione superstite, tra il 161

e il 306, nel caso di coreggenze di coppie di Augusti — quali furono, appunto, i regni di Caro con Carino e di Carino con Numeriano — la tendenza sembra essere stata, comunque,

a

creare un collegio prefettizio di due funzionari al massimo. Sembra, dunque, molto probabile che anche Carino, Augusto

dapprima insieme al padre, in seguito con il fratello, secondo la tendenza istituzionale appena illustrata, abbia avuto un solo prefetto del pretorio alla volta. In questo caso prenderebbe corpo l’ipotesi che negli anni 283-284 fosse attivo nell'impero un collegio di prefetti del pretorio composto da Aper e, con ogni probabilità, da Sabinus Iulianus, e che Ari-

stobulus sia stato nominato prefetto del pretorio da Carino in un momento compreso tra l'arrivo presso il comitatus di Carino della notizia della rivolta di Sabinus Iulianus (al piü pre-

pentinus; quest'ultimo fu probabilmente sostituito da T. Flavius Constans; qundi subentrö la coppia composta da M. Macrinius Vindex e M. Bassaeus Rufus.

Durante Ia coreggenza di Marco Aurelio e di Commodo (177-180) il collegio prefettizio era formato da Taruttienus Paternus e Tigidius Perennis. Su questi

prefetti del pretorio cfr. M. AnsiL, Les Préfets du prétoire d'Auguste

à Commo-

de, 2 avant Jésus-Christ, 192 apres Jésus-Christ, Paris 1997, pp. 175-185. Durante il periodo della coreggenza di Settimio Severo e Caracalla (198-208) e dei due Augusti con Geta (208-211) sembra essere stata attiva dapprima la coppia di prefetti formata da Fulvius Plautianus e Q. Aemilius Saturninus, poi, dopo la prefettura de! solo Plautianus e la sua eliminazione, il collegio composto da Q. Maecius Laetus e Aemilius Papinianus. Su questi prefetti del pretorio vd. in sintesi PASSERINI, pp. 316-318, n. LXI-LXIV; Howe, pp. 69-72, n. 18-22; su Plautianus cfr. ultimamente M. CHRISTOL, L'épigraphie de Thugga et la carrière de Plautien, in Dougga (Thugga). Etudes épigraphiques, Paris 1997, pp. 127-140. In sostanza la coreggenza di due Augusti (il cosi detto Doppelprinzipat, quasi sempre formato, comunque, da un Augusto senior e più autorevole) non sembra

aver mai prodotto la nomina di quattro prefetti del pretorio, cioé di una coppia per ciascun Augusto.

Π| Sui prefetti del pretorio di Valeriano e di Gallieno, del cui mandato non è lecito dubitare, vd. sopra pp. 52-56; per i prefetti di dubbia autenticità, che il redattore dell’ Historia Augusta ha attribuito soprattutto a Valeriano, cfr. HowE, pp. 112 sgg.

77

sto negli ultimi giorni del 284) e l’organizzazione della battaglia di Margum (nella primavera del 285). Resta aperto il problema della carriera di Aristobulus prima della nomina a prefetto del pretorio. L'incertezza è notevole. La notazione che accompagna il suo nome nel passo di Aurelio Vittore, vir insignis, suggerisce che il personaggio ebbe modo di segnalarsi nelle varie tappe di un pregevole cursus honorum prima che Carino lo promuovesse alla prestigiosa prefettura, ma le modalità della sua ascesa al fastigio della carriera equestre restano ignote 112, Possiamo ipotizzare che Aristobulus abbia fatto parte dello stato maggiore dell’esercito con cui Carino marciò, forse dalla regione renana,

sull’Italia 113. Considerata l'estrazione equestre e l’esperienza militare dei prefetti del pretorio di questo periodo, egli potrebbe essere stato scelto, come il frangente critico suggeriva a Carino, per le sue doti strategiche. Tuttavia è possibile che 112 L’attributo, vir insignis, usato in senso assoluto, come ha fatto Aurelio

Vittore, probabilmente sintetizzando molto le sue fonti, è di per sé troppo generico per poter offrire elementi utili a ipotizzare il genere di cursus perseguito da Aristobulus prima della nomina alla prefettura del pretorio. Il termine insignis non sembra legato preferibilmente all’attività o alle qualità, per esempio, di senatori piuttosto che di cavalieri, o viceversa. Nel caso di uomini direttamente coinvolti nelle vicende politiche dell’impero, la particolare notorietà di un per-

sonaggio poteva derivare dalla nobiltà di nascita, da eccezionali doti di carattere e di comportamento, privato e pubblico, da abilità “professionali”, civili e militari. Anche se l’ampia gamma di referenze legate al termine insignis non consente di avanzare ipotesi sul cursus honorum di Aristobulus, è estremamente probabile che la sua popolarità derivasse da particolari doti nella gestione dell’amministrazione pubblica. Lo mostra la dedica a lui elevata dai cittadini di Leptis Magna, che lo ricordano come vir omnium virtutum, innocentis integritatis, vicoratae lenitatis, sublimis moderationis, laudavilis iustitiae (IRT 522, discussa oltre); lo indica anche la formula che il curatore della città di Cälama, Iulius Rusticianus, fece incidere sulla base di un monumento da lui restaurato per celebrare il proconsole, insignis Aurelius Aristobulus, vir clarissimus et or-

natissimus (CIL, VIII 5290-ILS 5477=ILAlg. 1, 179, discussa oltre). Gli elogi epigrafici di Aristobulus, in cui compare l’attributo insignis, mostrano ancora una volta la bontà delle fonti epitomate da Aurelio Vittore, anche se non illuminano la carriera anteriore alla prefettura del pretorio. Sui diversi usi dell’agget-

tivo insignis cfr. TALL VINI, coll. 1901 sgg. L’onomastica del personaggio invita ad escludere che Ti. Claudius Aurelius Aristobulus fosse insignis per l’importanza dei suoi ascendenti. Il nostro prefetto possiede due gentilizi molto diffusi e un cognome abbastanza raro fra i membri della classe dirigente dell’impero. Purtroppo non sembra possibile, al momento, rintracciare nessun legame

sicuro tra Ti. Claudius Aurelius Aristobulus e famiglie note dell’ordine senatorio o equestre del II e degli inizi del IV secolo. 113 Sulla ricostruzione degli spostamenti di Carino nel 284-285, secondo le indicazioni fornite da Zosimo (I 73), vd. $ precedente.

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egli non fosse un militare asceso dai ranghi dell’esercito. L’evoluzione della sua carriera dopo l’incarico prefettizio, tutta espletata come clarissimus, rivela un attento e fidato ammi-

nistratore. Del fatto che Diocleziano conservasse nella sua importante funzione il prefetto del rivale potrebbero darsi interpretazioni opposte, con riflessi sul suo possibile cursus. Sembra molto probabile che Aristobulus, oltre a godere della stima generale, non fosse un aperto oppositore di Diocleziano. L'imperatore dalmata potrebbe aver ritenuto opportuno favorire il prefetto, perché, nel 285, questi era un personaggio illustre e influente nell’esercito di Carino e, forse, era stato fra gli ispiratori di quel cesaricidio che gli aveva consegnato l’impero. Oppure il prefetto non rappresentava, a differenza di Aper, un pericolo, perché privo di legami con la dinastia precedente e, soprattutto, di un reale ascendente sull’esercito. L'alternativa sarebbe, dunque, di immaginare per Aristobulus una carriera come abile procuratore finanziario. Sembra invece alquanto improbabile, come vedremo, che il

nostro prefetto del pretorio fosse un senatore prima della nomina alla prestigiosa prefettura. Rimasto unico Augusto, Diocleziano fece immediatamente di Aristobulus uno dei suoi più stretti collaboratori e il livello degli incarichi che il personaggio ricoprì nel decennio 285-296 testimoniano le sue qualità e l'apprezzamento che riscosse il suo operato. Nell’anno 285 Aristobulus cumulò la prefettura del pretorio col consolato ordinario, dapprima accanto a Carino, quindi, dopo la battaglia di Margum, accanto a Diocleziano, che lo volle come collega ed eponimo !!4, Il consolato di Aristobulus è ricco di implicazioni politiche. Alla fine di novembre del 284 la morte di Numeriano aveva prodotto due usurpazioni, ma anche, è lecito supporlo, uno sconvolgimento della coppia consolare prevista per il 285. Carino, console designato per la terza volta, scelse co-

me collega il suo prefetto del pretorio appena nominato e, dobbiamo presumere, non previsto fra i consoli del 285, perΠ4 Sul consolato del 285 cfr. DEGRASSI, p. 75; BARNES

1982, p. 93; CHRI-

STOL, p. 118; Consuls, pp. 104 sg. L'espressione di Aurelio Vittore, per officia sua, sembra riferirsi ai due incarichi di prefetto del pretorio e di console ordinario. La formazione della coppia consolare canonica dell’anno 285, Diocleziano iterum e Aristobulus, potrebbe essere stata l'esito di un’evoluzione ben più articolata di quanto sembrerebbero suggerire i fasti consolari tardoantichi; ci ripro-

mettiamo di esaminare la questione in altra sede.

79

ché la sua nomina sembra essere stata imposta dall’improvviso tradimento di Sabinus Iulianus. Come ha rilevato M. Christol, la scelta di un cavaliere, prefetto del pretorio, per il consolato ordinario del 285 ricorda l’analoga situazione del regno di Gallieno, che, stretto tra gli usurpatori creati dopo la cattura di Valeriano, scelse il suo prefetto del pretorio L. Petronius Taurus Volusianus come collega nel consolato ordinario del 261 115. Due crisi riflesse in due impreviste e significative promozioni. Carino intendeva rafforzare il legame col suo nuovo prefetto assicurandogli l’eponimia e l’ingresso nell’ordine senatorio. Tuttavia un particolare evidenzia l’eccezionalità della vicenda di Aristobulus. Prima e dopo di lui altre altissime cariche equestri avevano goduto e godranno dell’accesso al consolato ordinario, ma questo fu l’unico caso in cui, sotto l’incalzare degli avvenimenti, la nomina alla massima prefettura, culmine della carriera equestre, e al consolato ordinario, che ha

acquistato un prestigio sempre crescente nel cursus senatorio, sembrano essere avvenute praticamente insieme !!6, Questo consolato misto di un Augusto e di un privato, che non apparteneva alla famiglia imperiale, apparve agli occhi dei posteri particolarmente prestigioso per il fun-

zionario, tanto più importante in quanto due imperatori tra loro nemici vollero 1] personaggio come collega. A partire dalla diarchia di Diocleziano e Massimiano,

e per tutta l’età tardoantica,

ma

in modo

molto

marcato fino agli anni '80 del IV secolo, il consolato ordinario tende ad assumere una duplice struttura. Una coppia di sovrani (i due Augusti, o due Cesari, o un Augusto e un Cesare) rivestiva sempre più spesso il consolato ordinario, riservandosi entrambi i posti della coppia consolare. I privati cittadini potevano ottenere il consolato ordinario al termine di un’importante carriera, di cui l’eponimia rappresentava il coronamento, o, nel caso di nobili rampolli di famiglie patrizie, in giovane età, ma, normalmente, queste coppie consolari erano costituite da due illustri cittadini, quasi mai da una coppia composta da un sovrano e da un privato. In questo senso il consolato di Aristobulus rappresenta uno degli ultimi esempi di un consolato formato da un imperatore e da un privato. Più di un secolo dopo, Ammiano Marcellino, abituato alla prassi consolare tardoantica, che separava i consolati riservati alla famiglia regnante dai consolati ricoperti da privati, a proposito della scelta dei 115 Cfr. CHRISTOL, p. 90. Per il consolato del 261 cfr. DeGrassı, p. 71; CHRISTOL, pp. 102 sg. 116 Sul consolato tardoantico cfr. A. CHASTAGNOL, Observations sur le consulat suffect et la préture au Bas-Empire, in “RH”

219 (1958), pp. 221-237

(=L’Italie et l'Afrique au Bas-Empire. Etudes Administratives et prosopographiques. Scripta Varia, Lille 1987, pp. 83 sgg.); CHRISTOL, pp. 90-125; Consuls, pp. 1 sgg.

80

consoli per l’anno 363, sottolineava il valore di demarcazione tra due

epoche rappresentato dal consolato del 285 117,

Il parallelo con le promozioni di Taurus Volusianus, Iulius Placidianus e dei prefetti di età dioclezianea invita a ritenere che l'assunzione del consolato ordinario nell'anno 285 consentì ad Aristobulus l’ingresso nell’ordine senatorio, direttamente fra i consulares. La storia sociale della prefettura del pretorio avvalora questa ipotesi, essendo i prefetti del pretorio fino alla riforma costantiniana, di regola, membri dell’ordine

equestre 18. A favore dell’appartenenza di Aristobulus a questo ordine milita anche il fatto che le fonti indicano 1] suo consolato ordinario senza iterazione, segno che egli non aveva ricoperto in precedenza alcun consolato suffecto. Se egli fosse stato un senatore di nascita o fosse entrato in gioventù nell’ordo attraverso, per esempio, la questura o la pretura, al momento della nomina al consolato ordinario, nel 285, quasi certamente avrebbe dovuto avere rivestito in precedenza un consolato suffecto. Il suo consolato ordinario sarebbe stato dunque indicato come iterum. Che l’accesso al consolato avvenne in una fase avanzata della carriera di Aristobulus è indi-

17 Amm. XXIII 1, 1: Julianus vero iam tertio consul, adscito in collegium trabeae Sallustio praefecto per Gallias, quater ipse amplissimum inierat magistratum et videbatur novum adiunctum esse Augusto privatum, quod post Diocletianum et Aristobulum, nullus meminerat gestum. La considerazione di Am-

miano contiene una imprecisione, perché nel 288 furono consoli ordinari Massimiano Augusto iterum e Pomponius Ianuarianus, ex prefetto d'Egitto e, all'epoca del consolato, prefetto urbano. Questo & a rigore l'ultimo consolato misto

di un sovrano e di un privato prima del 363. 5} identificazione dello Ianuarianus, consul posterior, che ricopri un consolato privo di iterazione, cfr. PLRE

I,

pp. 452 sg.; BARNES 1982, p. 98; CHRISTOL, pp. 119 sg.; Consuls, p. 110 sg. Gli studiosi sono concordi nel ritenere che anche Ti. Claudius Aurelius Aristobulus fosse un cavaliere. 118 Su] rapporto tra prefettura del pretorio e consolato dai Severi a Costantino cfr. CHAsTAGNOL

1970; M. T. W. ARNHEIM,

Third Century Praetorian Pre-

fects Senatorial Origin: Fact or Fiction?, in "Athenaeum", n.s., 49 (1971), pp. 74-88; CL. LEPELLEY, Fine dell'ordine equestre: le tappe dell'unificazione della classe dirigente romana nel IV secolo, in SRIT 1, pp. 227-244. Si noti che dei ventuno consolati ordinari dell'età dioclezianea sei sono stati formati da coppie

di senatori, dodici da coppie di membri del collegio imperiale, e soltanto tre consolati ordinari furono composti da personaggi provenienti dall'ordine equestre.

Due di questi consolati, quelli del 285 e del 292, furono ricoperti dai prefetti del pretorio Aristobulus, Afranius Hannibalianus e Iulius Asclepiodotus, l'unica coppia eponima formata esclusivamente da membri provenienti dall'ordine equestre (vd. sotto, cap. II, $2).

81

scutibile, come dimostrano gli elevati incarichi che questo vir

insignis rivestiva nel 285 e avrebbe ricoperto nei dieci anni seguenti: prefetto del pretorio, proconsole d’Africa, prefetto urbano, dignitä che presuppongono un funzionario maturo 6 un consularis, qualora egli fosse stato un senatore. Sembra,

quindi, probabile che Carino non azzardasse la scelta di un nuovo prefetto del pretorio fra 1 clarissimi. Come era accaduto nel caso di Taurus Volusianus, prefetto del pretorio e console nel 261, anche Aristobulus, divenu-

to vir clarissimus grazie al consolato ordinario, proseguì nella carriera senatoria. Congedato in un momento incerto dall’incarico prefettizio 115, ricevette da Diocleziano la nomina a proconsole d’Africa. Questa promozione spicca per la sua singolarità. Nessun prefetto del pretorio aveva mai ottenuto il proconsolato africano, neanche dopo l’ingresso nell’ordine senatorio come consolare. Per di più il proconsolato di Aristobulus si segnala per la durata e per l’impegno profuso nel tentativo di restituire alla provincia il suo decoro monumentale, perduto a causa di un cinquantennio di difficoltà, malgrado una timida ripresa nei regni di Probo e di Caro 120, Il proconsolato africano di Aristobulus è caratterizzato da un’intensissima attività edilizia nella regione, come testimoniano le numerose iscrizioni che lo ricordano in carica. Un’elegante iscrizione dal foro di Madauros celebra 1] restauro dell’aedes dei Herculis con gli annessi portici, nimia vetustate dilabsam et per annos plurimos intermissam. L'intervento fu voluto da Aristobulus ed eseguito sotto il controllo del suo legato per la diocesi di Numidia proconsolare C. Macrinius Sossianus (ZLA/g. 1, 2048). L'importanza della dedica è evidenziata dal fatto che solo in essa si trovano l’onomastica e il rango completi dei due senatori. A Thagora presso le terme cittadine venne ricostruita la cella unctuaria, quae per seriem annorum in usu non fuisset, dedicata dal proconsole e dal suo legato (CIL, VII 4645-ILS 5714=ILAlg. 1, 1032). A Calama Iulius Rusticianus, cittadino illustre e curatore della colonia, fece trasferire una statua della Fortuna Victrix cum simulacris

Victoriarum da un luogo abbandonato all'edificio ignoto cui apparte-

119 Per il congedo di Aristobulus dalla prefettura del pretorio vd. oltre, e nel cap. sg., ὃ 2.

120 Sullo stato delle città africane nel III secolo e sugl' interventi edilizi dioclezianei cfr. CL. LEPELLEY, Les cités de l'Afrique romaine au Bas-Empire,

1,

Paris 1979, pp. 83-89; G. WALDHERR, Kaiserliche Baupolitik in Nordafrika. Studien zu den Bauinschriften der diokletianischen Zeit und ihrer räumlichen Verteilung in der römischen Provinzen Nordafrikas, Frankfurt an Mein 1989.

82

neva

l’iscrizione,

con

l’autorizzazione

dei due

funzionari

(CIL,

VII

5290=/LS 5477=ILAlg. 1, 179). A Mididi abbiamo due testimonianze dell’attività del proconsole. Nel 294 Aristobulus e il suo legato curarono direttamente l’edificazione del portico con arco monumentale d’ingresso al foro cittadino (CIL, VIII 608+11772=/LS 637). Nella città l’ordo epulum plebis con i curiales avevano provveduto, poco prima, alla costruzione della curia e degli annessi portici, sempre sotto il controllo di Aristobulus e di Sossianus (C7L, VIII 11774). Anche a Mactar si conoscono almeno due interventi edilizi eseguiti sotto l'impulso dei due senatori: una costruzione non identificabile (CIL, VIII 624+11782) e il restauro della Basilica iuvenum (CIL, VIII 23413+AE 1946, 119, ricomposte da G. PICARD, Civitas Mactaritana, in “Karthago” 8, 1957, pp. 100-103 e 126). Nella regione di Mactar, a Civitas A[- - -] (ora KsarMdudja), ancora due interventi edilizi di natura non precisabile (CIL, VIII 23657 e 23658=AE 1899, 114). Piü a est, sulla via per Hadrumetum, a Ksar-el-Hamman, il proconsole ὃ definito auctor, inventor et dedicator di un'opera ignota (AE 1913, 29=/LAfr. 90). E invece incerto se 1 frammenti di un'iscrizione dal foro nuovo di Thubursicum Numidarum (ILAlg 1, 1284) siano attribuibili a un intervento del proconsole !?!. Grazie agli studi di G. Di Vita-Evrard sappiamo che il collegio di funzionari preposti da Diocleziano al riassetto edilizio dell’ Africa Proconsolare, ancora indivisa, era composto dal proconsole Aristobulus, dal suo legato per la diocesi numidica C. Macrinius Sossianus e dal suo legato per la diocesi cartaginese (che si estendeva alla Tripolitania) L. Volusius Bassus Cerealis !22. I due legati avevano relazioni personali, forse familiari, con le diocesi cui furono

assegnati e la loro scelta da

parte di Aristobulus non sarà stata casuale 123, Inoltre l'indicazione cro-

121 | "iscrizione potrebbe ricordare il restauro di un edificio traianeo prossimo al foro cittadino, ma l'identificazione del secondo personaggio col procon-

sole di Diocleziano resta dubbia. A dire il vero non sorprenderebbe che Aristobulus effettuasse un’opera di abbellimento in questa città della Numidia proconsolare, visto che certamente ebbe cura di ripristinare il decoro urbano delle

vicine Calama, Thagora e Madauros. L’esiguitä del frammento epigrafico consiglia di non iscriverlo fra le testimonianze sul proconsolato di Aristobulus. 122 Cfr.

Di

ViTA-EvRARD,

1.

Volusius

Bassus

Cerealis

cit.

(sopra,

a nota

100), p. 159. Su C. Macrinius Sossianus vd. PLRE I, p. 849; su L. Volusius Bassus Cerealis vd., oltre al saggio di DI VITA-EvRARD, B. E. THOMASSON, Fasti Africani. Senatorische und ritterliche Amtstrüger in den rómischen Provinzen Nordafrikas von Augustus bis Diokletian, Stockholm 1996, p. 124, n. 78; M. CnRISTOL, Hommages publics à Lepcis Magna à l'époque de Dioclétien: choix du vocabulaire et qualité du destinataire, in “RHDF” 61 (1983), pp. 331-343, in particolare p. 333, nota 14.

123 Una dedica da Calama incisa durante il regno di Caro designa Macrinius Sossianus come c(larissimo) v(iro) cur(atori) r(ei) p(ublicae) (CIL, VIII 17486=

5332=/LS 606=/LAlg. 1, 247); nell'iscrizione posta dai Lepticiani a Cerealis in qualità di legato de] proconsole, forse in occasione della sua uscita di carica, egli è definito mu/nicip(i) et patrono perpetuo (IRT 544). I due documenti sono in-

teressanti per piü aspetti. Essi testimoniano le connessioni personali dei legati

83

nologica contenuta nell’iscrizione di Calama (CIL, VIII 5290-ILS 5477=ILAlg 1, 179, su cui torneremo fra breve), [proco]nsulatu quarto insignis Aureli Aristobuli e Macrini Soslsiani...] leg(ati) quarto, spinge a ritenere che il collegio fu costituito ex novo dal proconsole al momento della sua nomina e abbia espletato un mandato la cui durata fu identica per i tre membri. L'ipotesi è avvalorata da due iscrizioni gemelle di Leptis Magna, studiate da G. Di Vita-Evrard, dedicate a L. Vo-

lusius Bassus Cerealis, legatus (proconsulis) e a un proconsole africano dal nome mutilo che è senza dubbio Aristobulus '24. La coppia di dediche sarà stata preparata dagli abitanti della città tripolitana probabilmente in occasione del congedo dell'insigne proconsole e del suo legato, supervisore per la diocesi in cui era Leptis Magna, nonché loro concittadino. Se l'ipotesi di un incarico cronologicamente omogeneo per il proconsole e i suoi due legati é valida, il dossier sui lavori di abbellimento della provincia proconsolare condotti sotto il controllo di Aristobulus si arricchisce. Alle iscrizioni appena esaminate, che riportano il nome del proconsole, potrebbero aggiungersi, infatti, alcune epigrafi frammentarie in cui compaiono i nomi dei suoi legati, Sossianus e Cerealis, ma non il nome di Aristobulus, che potrebbe essersi accidentalmente perduto nelle lacune della pietra. Per quanto riguarda Cerealis, oltre alla dedica lepticiana esaminata (IRT 544), si conosce soltanto un'altra iscrizione, sempre di Leptis, in cui egli & detto v(ir) cl(arissimus) et co(n)s(ularis) cur(ator) rei p(ublicae) suae, ma non legatus. Con ogni probabilità, come ritengono G. Di Vita-Evrard e M. Christol, questa dedica & successiva alla legazione sulla diocesi e non aggiunge nulla a quanto sappiamo della portata dell'intervento di Aristobulus in Africa Proconsolare 125. Più proficuo il quadro epigrafico offerto dall' azione di Macrinius Sossianus, legato per la diocesi numidica. Due frammenti provenienti da Thugga Terebinthina (CIL, VIII 11768) e da Henchir Sidi Ahmed (CZL, VIII 27816) sembrano aver contenuto anche il nome di Aristobulus, se si accettassero le probabili integrazioni [Aur(elius) Aristobulus proconsul Afric]ae, per instantiam C(ai) Malcrini Sossiani c(larissimi) v(iri) leg(ati)] e [--- Aur(elium)

col territorio affidato alla loro supervisione durante 1] proconsolato di Aristobulus. Inoltre l'iscrizione di Calama valorizza la testimonianza di Aurelio Vittore sull'assorbimento e Ja promozione dei funzionari scelti da Carino nell'amministrazione di Diocleziano.

124 IRT 522 e IRT 544. L'identificazione del proconsole dal nome frammentario di /RT 522, Jaudio A[, con Aristobulus era stata proposta da BARNES, 1982, p. 168, nota 75, oltre che da G. Di Vita-Evrard, che ha conosciuto l’ipo-

tesi del collega inglese solo dopo aver formulato l'analoga integrazione; cfr. Di VITA-EVRARD, L. Volusius Bassus Cerealis cit. (sopra, a nota 100), nota 27. 125 Cfr. Di VrrA-EvRARD, L. Volusius Bassus Cerealis cit., pp. 159-160, e CunisTOL, Hommages publics cit. (sopra, a nota 122), pp. 341-343. L’assenza di iscrizioni che menzionino gli interventi del collegio in Tripolitania puó essere

spiegata con un migliore stato di conservazione dell'edilizia pubblica nella regione oggetto delle cure dei Severi.

84

Aristobulu]m p(roconsulem) p(rovinciae), per instantiam Macrin[i Sossiani c(larissimi) v(iri) leg(ati)]. Stessa ipotesi per un recente ritrovamento epigrafico da Sufes, che celebra la costruzione di un arco in onore dei Tetrarchi 126, La formula dell'ultima linea, una cum Macrinio Sossiano leg(ato) suo, imporrebbe la presenza nella lacuna del nome del proconsole Aristobulus. Appare meno certo, anche se probabile, che 11 suo nome comparisse accanto a quello di Sossianus in un frammento da Madauros (AE 1933, 60).

La documentazione attualmente in nostro possesso può essere sintetizzata nel modo seguente: il proconsole d’ Africa Ti. Claudius Aurelius Aristobulus fu onorato a Leptis Magna come patrono; egli compare con sicurezza in dieci epigrafi che ricordano lavori di costruzione o di restauro nella Proconsolare; compariva molto probabilmente in altre quattro iscrizioni lacunose del medesimo tipo, nelle quali resta solo il nome di uno dei suoi legati. Nella maggior parte di esse egli è non solo il dedicante, ma anche il promotore e il supervisore dell'iniziativa 127, Siamo di fronte a una serie notevolissima di testimonianze 128, Queste quindici attestazioni

126 A. BESCHAOUCH, Un arc de la Tétrarchie à Sufes, en Afrique proconsulaire, in "BSAF" 1989, pp. 258-260 (ZAE 1992, 1763, con proposte di integrazione degli editori dell Année Epigraphique).

127 Sulle possibilità di intervento dei proconsoli d’Africa nella vita civica e sulla loro prerogativa di dedicare edifici pubblici cfr. M. DONDIN-PAYRE, L’intervention du proconsul d'Afrique dans la vie des cités, in L'Afrique dans l'Occident Romain (Ie s. av. J.-C.-IV* s. ap. J.-C.), Roma 1990, pp. 333-349. 128 Alle dediche africane si aggiunga la lettera conservata in C7 II 13, 1, del 10 settembre, sembra, del 293. Essa fu inviata, sembra da Massimiano, ad Aristobulus durante il suo proconsolato, probabilmente in risposta a un quesito sollevato dallo stesso proconsole in merito al comportamento da tenere nel caso in cui, nelle cause civili, una delle due parti ottenga la vittoria grazie alle pressio-

ni di un potente senatore sulla parte avversa. Non c'é dubbio che la lettera sia stata inviata ad Aristobulus durante il suo proconsolato, terminato nel 294. La datazione tradita, AA. III et II conss., non corrisponde a nessun anno consolare noto. Poiché la corruttela nella subscriptio, anche per la sua isolata posizione in

quel titolo della raccolta, è difficilmente sanabile, si accetta l'ipotesi dell'anno 293, anche se due altri consolati potrebbero teoricamente prestarsi alla datazione della lettera: il 290 e, addirittura, il 287. Sulla lettera cfr. CORCORAN, p. 130, n. 22. Aristobulus deve essere inoltre il v(ir) c(larissimus) proconsul Africae amicus noster anonimo, menzionato in un rescritto di Diocleziano emanato a Sirmium il 25 settembre 293 e conservato, attraverso il Codex Hermogenianus, in CHV 2, 1. E incerto, invece, se il sigillo bronzeo della Collezione Chátelain, di provenienza africana (CIL, VIII 22652, 2), che reca inciso il nome T: Aur(eli) Arlistoboli, sia appartenuto al proconsole.

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superano di gran lunga qualunque altra documentazione su un proconsole africano durante l’età imperiale 12. Siamo consapevoli del fatto che ogni statistica sul numero dei ri-

trovamenti epigrafici deve tenere conto della casualità della conservazione e della scoperta degli stessi. Il caso delle iscrizioni attribuibili al proconsole Aristobulus è comunque sorprendente per la quantità e la qualità delle testimonianze. Il confronto con le iscrizioni di altri proconsoli d’ Africa di età imperiale è per lo meno indicativo: L. Caesonius Ovinius Manlius Rufinianus Bassus fu in carica tre anni: nessuna iscrizione; L. Aelius Helvius Dionysius fu in carica quattro anni: tre iscrizioni (CIL, VIII 12459; 26562=/LAfr. 531; ILAfr. 441); l'anonimo di Bulla Regia fu in carica quattro anni: una iscrizione (ZLAfr. 456); Cezeus Largus Maternianus fu in carica tre anni: due iscrizioni (CIL, VIII 14436-ILS 5518; ILAlg. 1, 4012=AE 1922, 17); M. Pompeius Silvanus Staberius Flavinus fu in carica tre anni: tre iscrizioni (AE 1948, 17=/RT 338; CIL, VIII 11006; AE 1968, 59). Ci sono poi casi di proconsoli in carica per un solo anno, di cui abbiamo diverse testimonianze epigrafiche, ma si tratta per lo piü di dediche poste dal proconsole al sovrano e agli dei, o dagli abitanti delle città africane in onore del proconsole stesso, e solo di rado commemorazioni di interventi edilizi: L. Hedius Rufus Lollianus Avitus, quattro iscrizioni (IRT 372; 533; 534; 535); C.

Pomponius Rufus Acilius [Pri]scus Coelius Sparsus, sette iscrizioni (AE

1909, 239=/LAlg. 1, 1230; AE 1909, 238=/LAlg. 1, 1231; 1232; 1233; AE 1917/18, 34=ILAlg. 1, 1282; AE 1909, 240=/LAfr. 13; CIL, VII 1777); C. Paccius Africanus, quattro iscrizioni (AE 1951, 206=/RT 342;

AE 1949, 76 e 1955, 147; AE 1968, 551; CIL, VIII 7019=/LAlg.

1,

551); Aconius Catullinus, tre iscrizioni (CIL, VIII 14453; 24582; ILA-

fr. 269); M. Ceionius Iulianus Camenius, cinque iscrizioni (CIL, VIII

14431; 14436=/LS 5518; 15269; 25525; AE 1922, 16=/LAlg. 1, 4011).

In Aristobulus dobbiamo riconoscere un infaticabile e fidato collaboratore di Diocleziano e Massimiano, impegnati nel riordino monumentale delle città dell'impero 130. Diocle-

129 Sulla tipologia delle iscrizioni dei proconsoli d' Africa in età altoimperiale cfr. J. KOLENDO, L'activité des proconsuls d'Afrique d’apres les inscrip-

tions, in EOS 1, pp. 351-365, con le osservazioni di Fr. Jacques, ivi, p. 366. 130 Alla base dei lavori di rifacimento delle aree pubbliche delle città africane sembra esserci stato un progetto unitario, come mostra il formulario di

quattro dediche, poste durante il proconsolato di Aristobulus al felicissimum saeculum dei Tetrarchi, quorum virtute ac providentia omnia in melius refor-

mantur (CIL, VIII 608+11772=ILS 637; CIL, VII 11774; CIL, VIH 624411782; PICARD, Civitas Mactaritana cit., pp. 100-103). Sul fervore edilizio dei Tetrarchi si vedano i giudizi opposti di Lattanzio da un lato (Pers. 7, 8-10) e di Eumenio e di Zosimo dall'altro (Pan. Lat. 5 (9), 3 e 18, e Zos. II 34, 1).

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ziano, rompendo nettamente con la prassi per cui i cavalieri che rivestirono le grandi prefetture equestri non furono mai destinati al proconsolato africano, scelse proprio il suo ex prefetto del pretorio per rinnovare il volto dell’illustre provincia africana. Ma 1] patrimonio epigrafico relativo al nostro proconsole si segnala non solo per la quantità degli interventi. Come ha sottolineato recentemente Cl. Lepelley, questo dossier di età dioclezianea mostra l'instaurarsi di un nuovo rapporto tra autorità imperiale e finanze cittadine, il cui controllo passó, in quegli anni, in buona parte, alla supervisione del governatore di provincia 131. Il punto, che maggiormente interessa in questa sede, è che la dinamica ‘accentratrice’ introdotta da Diocleziano nel rapporto tra autorità provinciale e autonomie cittadine ha richiesto, nella prima fase della sua realizzazione, e in una provincia densamente urbanizzata come la Proconsolare, l’azione di una personalità di rilievo, quale fu certamente Aristobulus. La cronologia del proconsolato africano di Aristobulus è importante per tentare di individuare il momento in cui egli fu congedato dalla prefettura del pretorio. Purtroppo i dati delle fonti sui proconsoli d’Africa della fine del III secolo non permettono di restringere l’arco cronologico 285-290. Aristobulus fu proconsole d’Africa almeno durante il quadriennio 290-294, ma è possibile che il suo incarico sia iniziato prima del 290 132, [ultimo proconsole d' Africa sicura-

13! Cfr. CL. LEPELLEY, Vers la fin du “privilège de liberté”: l'amoindrissementde l’autonomie des cités à l’aube du Bas-Empire, in Splendidissima civitas. Etudes d’histoire romaine en hommage ἃ Fr. Jacques, Paris 1996, pp. 207220 e Temoignages épigraphiques sur le contröle des finances municipales par les gouverneurs à partir du règne de Dioclétien, in Il capitolo delle entrate nelle finanze municipali, Roma 1999, pp. 235-247, in particolare pp. 242 sgg. Il

controllo dell’autorità provinciale sulle risorse delle città appare ancora più netto dall’età costantiniana, cfr. A. CHASTAGNOL, La législation sur les biens des

villes au IV* siècle à la lumière d'une inscription d'Ephése, in Atti dell'Accademia Romanistica Costantiniana 6, Perugia 1986. pp. 77-104 (=Aspects de l'Antiquité Tardive, Roma 1994, pp. 143-170). 132 Il calcolo del periodo in cui Aristobulus fu proconsole d' Africa è stato effettuato da Ch. Tissot (Fastes de la province romaine d’Afrique, Paris 1885,

pp. 183-185), e confermato poi da A. C. Pallu de Lessert (p. 4), e da A. Chastagnol (1962, pp. 22 sg.). Il ragionamento è il seguente. Aristobulus inaugurò la sua prefettura urbana l'11 gennaio 295 e verosimilmente qualche tempo prima doveva essersi concluso il suo incarico proconsolare. L'iscrizione di Calama (CIL, VIII 5290=/LS S477=ILAlg. 1, 179, non databile) ricorda il quarto anno di

proconsolato di Aristobulus e del suo legato Macrinius Sossianus. Un'iscrizio-

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mente databile prima della sua nomina fu L. Iulius Paulinus, conosciuto grazie a una sola dedica, da lui posta all’imperatore Caro nella città di Leptis Magna nel 283 133, Il congedo di Aristobulus dalla prefettura del pretorio e la nomina a proconsole d' Africa potrebbero essere avvenuti prima del 290. Dal punto di vista del cursus del funzionario, questa data re-

sta al momento il discrimine tra le due dignità. La portata degli interventi del proconsole nella provincia africana, testimoniati dal ricco patrimonio epigrafico esaminato, rendono tutt'altro che improbabile l'ipotesi di un congedo di Aristobulus dalla prefettura del pretorio anteriore al 290 e di un proconsolato di durata superiore ai quattro anni 155. Con cautela è stata avanzata, a proposito del passo di Aurelio Vittore sul prefetto Aristobulus (vd. sopra, p. 75), l’ipotesi che Diocleziano, rimasto unico Augusto dopo la battaglia di Margum, abbia affian-

cato Aristobulus, prefetto del defunto Carino, a un suo prefetto del pretorio, che egli avrebbe eventualmente nominato dopo la cerimonia di Nicomedia. Se questa ipotesi fosse esatta, sarebbe molto probabile che ne di Mididi (CIL, VIII 608+11772=ILS 637) indica il proconsole in carica nel corso del 294 (in essa compare il consolato dei Cesari Costanzo e Galerio). Il 12

marzo 295 era proconsole d’Africa Cassius Dio (Acta Maximiliani

1,1, in

A.A.R. BASTIAENSEN, Atti e passioni dei martiri, Milano 1987, p. 238). Ne con-

segue che il periodo 293-294 corrisponde all’ultimo anno del proconsolato di Aristobulus, che nel 290 egli doveva essere già in carica e che Cassius Dio fu il suo successore nel corso del 294, 133 JRT 461; su Paulinus vd. da ultimo THoMmasson, Fasti Africani cit. (so-

pra, a nota 122), p. 94, n. 131. 134 La PLRE (I, p. 72) ha inserito tra Paulinus e Aristobulus il proconsolato africano di Aurelius Antioch[us?], che durò almeno un biennio e che è noto grazie a una sola iscrizione frammentaria, non datata, da Thugga (ILAfr. 513). La datazione di questo proconsolato è stata ricostruita, ipoteticamente, solo sulla base del confronto con la documentazione superstite, cronologicamente molto in-

certa, relativa ai proconsoli d' Africa del periodo 284-312 (cfr. PLRE I, pp. 1072 sg.). L'integrazione del nome dell’ Augusto

è ipotetica, ma le lettere superstiti

possono adattarsi soltanto all’onomastica di Massimiano o di suo figlio Massenzio. La colonia di Thugga intese celebrare il sovrano, ma anche la sua famiglia. Sembra difficile che una simile epigrafe, con menzione della domus divina, possa risalire all’età tetrarchica, quando pare essersi fatto raro l’uso di celebrare le quattro famiglie degli Augusti e dei Cesari. L'iscrizione di Antioch[us?] potreb-

be dunque risalire al periodo 285-290. Sembra, invece, escluso che 1’ Augusto destinatario della dedica di Thugga possa essere Massenzio. Non si conosce nes-

sun proconsole d' Africa del regno di Massenzio, sia nel periodo precedente che in quello successivo alla rivolta di L. Domitius Alexander, ma l’indicazione della domus divina deve far propendere per una-datazione anteriore alla morte del

giovane figlio di Massenzio; tuttavia l’intervallo tra l’ascesa di Massenzio e l’usurpazione di Domitius Alexander è inferiore a un biennio.

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nei primi mesi del 286, quando Massimiano Augusto si dotò verosimilmente di un suo prefetto del pretorio, Aristobulus possa essere stato congedato. Dopo un periodo di riposo potrebbe aver ottenuto, anche prima del 290, il proconsolato d' Africa.

Il senatore Aristobulus coronó infine la sua prestigiosa carriera ricoprendo la prefettura urbana dall'11 gennaio 295 al 18 febbraio 296 55. L’onore fu ottenuto dieci anni dopo il consolato ordinario. Nella seconda metà del III secolo i senatori resi illustri dalla famiglia di nascita, o elevati al claris-

simato per meriti e promossi alla prefettura urbana rivestivano il consolato ordinario durante il prestigioso incarico romano, o in prossimità di esso. Le due cariche formavano il fastigio della loro carriera. La lunga distanza che separa 1l consolato di Aristobulus dalla sua prefettura di Roma si spiega con la particolare situazione in cui, alla fine del 284, 1] pre-

fetto del pretorio era stato repentinamente designato console e costituisce un'ulteriore prova dell'eccezionalità di quella promozione. Al contrario, la breve distanza che divide il congedo dal proconsolato africano dalla nomina alla prefettura di Roma potrebbero mostrare il desiderio dei sovrani che questo capace e, dobbiamo presumere, maturo funzionario raggiungesse quanto prima il vertice della carriera senatoria. 5. IL CASO DI MATRONIANUS

Se una certa ricchezza documentaria ha permesso di tracciare un profilo soddisfacente della carriera di Aristobulus, il

caso di Matronianus si segnala per la povertà e la problematicità delle fonti !36, Sul personaggio abbiamo soltanto una notizia isolata contenuta nell’Historia Augusta, che lo pre-

senta come prefetto del pretorio di Carino 137, Il passo è inse135 MGH AA IX, Chron. Min. 1, p. 66. 136 Su Matronianus vd. A. STEIN, Matronianus, RE XIV/2, col. 2309; PIR? M 371; Passerini non lo include nella sua prosopografia; Howe, pp. 93 e 115 sg.;

un cenno in R. SvME, Ammianus and the Historia Augusta, Oxford 1968, pp. 159 sg.; PLRE I, p. 568; T. D. BARNES, Some Persons in the Historia Augusta, in “Phoenix” 26 (1972), pp. 163 sg.; E. BIRLEY, Some Names in the Historia Au-

gusta, in BHAC 1979/81, Bonn 1983, pp. 81 sg. 137 SHA, Car. occidit;

in

eius

16, 4 sg.: (Carinus) praef(ectum) praetorii, quem habebat, locum

Matronianum,

veterem

conciliatorem, fecit,

unum

ex

his notariis, quem stuprorum et libidinum conscium semper atque adiutorem habuerat.

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rito in un panorama della cattiva gestione delle cariche pubbliche, che costituirebbe una delle colpe di questo imperatore. Secondo il redattore dell’ Historia Augusta il pessimo sovrano avrebbe eliminato il suo (anonimo) prefetto del pretorio e lo avrebbe sostituito con Matronianus, uno dei suoi se-

gretari, ma anche un ruffiano e un collaboratore delle sue violenze e dei suoi abusi sessuali. La notizia appare sospetta. Sappiamo che Carino ebbe due prefetti del pretorio, Sabinus Iulianus, in carica da un

momento ignoto precedente il dicembre 284, quando usurpò la porpora all’annuncio della morte di Numeriano, e Aristobulus,

suo successore,

attivo probabilmente

dalla fine del

284 e certamente in carica nella primavera del 285, all’epoca dello scontro di Margum. Carino divenne Augusto al più tardi nei primi mesi del 283, quando Caro e Numeriano muovevano per la guerra orientale 1538, Allora egli potrebbe essersi affiancato un suo prefetto del pretorio, secondo la prassi istituzionale per cui I’ Augusto neo-eletto si legittima anche attraverso la nomina di questo alto funzionario. Considerato che durante tutto il regno di Carino fu sempre attivo un membro del collegio prefettizio, Aper, prefetto del pretorio di Caro prima, di Numeriano poi, tenuto conto delle riflessioni svolte nelle pagine precedenti sul numero dei prefetti durante le coreggenze di due Augusti, sembra improbabile che Carino abbia nominato come suo collaboratore più di un prefetto del pretorio alla volta 139. Gli elementi in nostro possesso farebbero propendere, quindi, per la presenza di una coppia di prefetti in carica contemporaneamente durante i regni della famiglia di Caro, l’uno al servizio dell’ Augusto impegnato in Persia, l’altro agli ordini dell’ Augusto rimasto nella parte occidentale dell’impero. Se accettassimo la notizia su Matronianus della biografia di Carino nell’ Historia Augusta, dovremmo supporre che l’imperatore, durante il biennio del suo regno (dai primi mesi del 283 alla primavera del 285), abbia avuto ai suoi ordini una sequenza di quattro prefetti del pre-

138 La documentazione numismatica relativa alla famiglia dell’imperatore Caro spinge a concludere che l'investitura di Carino sia avvenuta nei primi mesi del 283, al termine della campagna sarmatica, condotta nei Balcani prima della partenza per l'Oriente di Caro e Numeriano; sul problema vd. bibliografia cit.

sopra, nota 107. 13? Vd. sopra, pp. 75-77.

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torio: l'anonimo prefetto fatto uccidere dallo stesso sovrano (SHA, Car. 16, 4), Matronianus, Sabinus Iulianus, Ti. Clau-

dius Aurelius Aristobulus. La cosa non è del tutto impossibile, ma appare poco credibile, se la si confronta, per esempio, con il contemporaneo, ininterrotto e solitario incarico di Aper. La presunta serie di quattro prefetti del pretorio sembra inoltre difficilmente conciliabile con l’attività militare di Carino. Questo imperatore, abile generale, sembra essere stato

quasi costantemente impegnato a respingere i nemici dell’impero nelle Gallie e sul Danubio, se coglie nel vero la nostra lettura degli spostamenti di Carino ricordati da Zosimo e da Aurelio Vittore 10. È logico supporre che Carino, ansioso di proteggere l’impero durante la guerra persiana del padre e del fratello, abbia cercato di svolgere la sua attività di controllo e di tamponamento alle frontiere con l’adeguato sostegno logistico e in un clima di relativa sicurezza. Solo la fiducia in un valido prefetto del pretorio poteva garantirgli la stabilità e l’appoggio di cui necessitava. Per quanto tormentato possa essere stato il suo regno, sembra innaturale che si siano succeduti ai suoi ordini ben quattro prefetti del pretorio in così poco tempo. Un secondo problema è costituito dal contenuto e dal tenore del passo dell’ Historia Augusta su Matronianus. Come

è noto, la biografia di Carino intende presentare in cattiva luce la vita del sovrano, i suoi comportamenti e le sue scelte politiche. L'ostilità verso questo imperatore è una tendenza caratteristica della storiografia antica ed è opportuno chiedersi quanto questo atteggiamento possa aver influito sulla stesura del passo su Matronianus. Alla pessima reputazione di Carino potrebbe aver contribuito in una certa misura, che è difficile determinare con si-

curezza, la propaganda dioclezianea. Ma non si può sottovalutare lo sfondo politico in cui maturarono 1 fatti degli anni 282-285. A quell’epoca il mondo romano fu chiamato a sostenere dei sacrifici per fare fronte alla politica bellica della dinastia di Caro, l’imperatore che si sentiva destinato alla vittoria sui Sassanidi !*!. Carino dovette giocare allora il ruolo 140 Vd. sopra le nostre interpretazioni di Aur. Vict., Caes. 39, 9-10 e di Zos.

I 73 nel $3. 141 Cfr. Anon. post Dionem, FHG 4, p. 198, fr. 12, cit. sopra, p. 32. L'anonimo

storico tardoantico, continuatore di Cassio Dione,

trovava nelle sue fonti la

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difficile di garante degli equilibri interni dell’impero esposto ai pericoli e sottoposto ai costi di un’ambiziosa politica militare. Non è un caso che, in coincidenza con la morte di Caro e con quella di Numeriano, sorsero nell’impero tre usurpatori, un senatore e due illustri cavalieri, segno che nei due or-

dines esisteva un’esigenza di alternativa. Debolezze e ambiguità del programma politico della famiglia regnante dovettero generare tensioni nel mondo romano, esplose con vio-

lenza in seguito alle crisi acute sul fronte persiano e — questo è il punto — sempre risolte con estrema decisione da Carino. Il difensore del primato della sua dinastia potrebbe aver attirato su di sé l’astio almeno di una parte della classe dirigente dei suoi tempi. In questa dinamica, fatta di rapporti di forza tra i progetti militari di Caro e della sua famiglia e il peso di tale politica sulle élites dell’impero, potrebbe nascondersi la genesi remota dell’avversione della storiografia antica nei confronti di Carino. Le radici di questa ostilità potrebbero dunque affondare nel periodo della reggenza dell’imperatore. À noi restano per lo più resoconti storici lontani circa un secolo dai fatti, nei quali emerge una tradizione avversa ormai consolidata. Un recente ritrovamento papirologico e gli studi di S. Mazzarino consentono di tratteggiare alcuni momenti impor-

contrapposizione tra la politica temporeggiatrice di Probo nel 282, che sollevò le critiche dei suoi ufficiali (cfr. Anon. post Dionem cit., fr. 11), e quella aggressiva

di Caro, che si diceva destinato alla riscossa sui Persiani. Siamo di fronte a due testimonianze vicine agli avvenimenti. Esse illustrano i motivi di fondo del dissenso dei militari contro Probo e del loro favore verso Caro. Nel programma bellico antipersiano di Caro risiedeva la ragione del suo successo politico; per gli analoghi progetti, irrealizzati, di Treboniano Gallo e di Valeriano cfr. di recente J.-Cn. BALTY, Apamée (1986): nouvelle données sur l'armée romaine d’Orient et les raides sassanides du milieu du III* siècle, in "CRAT"

1987, 213-241. Nel sol-

co della tradizione “pacifista” sull' "ultimo" Probo, l'Historia Augusta attribuiva all'imperatore filosenatore la previsione di un'imminente inutilità dei soldati (Prob. 20). Vera o falsa che fosse questa affermazione, il redattore, che visse in un'epoca segnata dalla forte pressione del fisco sul latifondo senatorio, sentiva di poter attribuire a Probo un atteggiamento favorevole agli interessi del senato e contrario a una politica bellicosa. Il ritratto di Probo nell' Historia Augusta, per quanto idealizzato, contiene i tratti salienti della politica filosenatoria di questo imperatore. Η ritratto di Caro fu invece glorificato in virtà della sua vittoria persiana. L'interpretazione della storiografia antica su Probo, Caro e Carino — e del-

le sue deformazioni — deve tenere conto dello sviluppo della politica di questi imperatori. Sul problema della figura di Probo nell' Historia Augusta cfr. A.

GIARDINA, Claudii e Probi, in "Helikon" 15-16 (1975/76), pp. 308-318.

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tanti della riflessione storiografica antica su Carino. L’analisi permette di collocare il passo su Matronianus in un contesto interpretativo adeguato. Gli esametri contenuti nel P. Oxy. 4352 (fr. 5, II, vv. 18 sgg.), risalenti all'estate o all'autunno del 285, all’indomani

quindi della battaglia di Margum, celebrano l’età dell’oro inaugurata in Egitto dall’affermazione di Diocleziano e dalla fine delle guerre civili !42. Nel testo poetico trovato in Egitto l’antitesi Carino-Diocleziano è un motivo panegiristico privo di spunti originali, svolto in modo abbastanza generico. Il nuovo imperatore, incoronato da Giove Capitolino, ha liberato il mondo dall’oscurità (ἀφεγγέος χώρου) e dalle catene (aivoîg δεσμοῖσιν) in cui l’aveva costretto Carino. Aleggia in questi versi la sensazione che l’oppressione sia finalmente finita, ma

nulla più. Anche tenendo conto che un poema d’occasione come questo non ha gli scopi e il grado di elaborazione critica di un racconto storico, tuttavia è interessante che le accuse mosse dall’anonimo poeta all’imperatore sconfitto non contengano nessun accenno a un suo comportamento depravato. La nostra attenzione viene attratta, semmai, dai versi 18-20. In essi

si tratteggia, con rapidità e chiarezza, la difficile conquista del potere imperiale da parte di Diocleziano, elemento che conferma la validità della tradizione che attribuiva la vittoria di Margum a Carino. Il poeta, in apertura della sezione panegirica del suo componimento (appunto i versi 18-20), affermava che Giove Capitolino solo con una certa fatica (μόγις), causata

evidentemente dalla tenace opposizione di Carino, era riuscito ad “accordare la sovranità su tutta la terra e tutto il mare all’imperatore Diocleziano simile al dio” 143, Nel 285 la tradi142 Per la datazione cfr. P. Oxy. LXIIL pp. 1 sg. Il papiro contiene i resti di

un poema mitologico in esametri. Verso la fine del componimento il poeta ha inserito il breve encomio dell’ascesa al trono di Diocleziano, allo scopo di lodare il sovrano, ma anche l’allora prefetto d'Egitto, M. Aurelius Diogenes, e un anonimo procuratore dell’Eptanomia. Riguardo all’occasione della recitazione l'editore ipotizza che i versi siano stati recitati ai Ludi Capitolini di Ossirinco, nel-

l’estate o nell’autunno del 285. 143 L'editore del papiro ha tradotto il μόγις del v. 18 con “at last”, riferen-

dolo alla pietà di Giove verso gli abitanti dell’impero: “Capitoline Zeus took pity at last on the human race [...]”. L’interpretazione dell’avverbio e la sua collocazione sintattica paiono un poco forzate. Sulla scorta delia tradizione storica che ricordava la vittoria di Carino a Margum sembra logico e corretto rendere all’avverbio di modo il suo valore modale, non temporale, e riferirlo al verbo principale del periodo (ὦπασεν). Con grande aderenza alla realtà dei fatti l'a-

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zione che avrebbe prodotto la lettura assolutamente negativa, deformata, della personalità di Carino non sembra ancora operante, neanche a livello dei panegirici. E merito di S. Mazzarino aver evidenziato il ruolo che sembrerebbe avere svolto Onesimus, storico dell’età di Co-

stantino unico Augusto e fonte dell’ Historia Augusta, nella costruzione della figura di Carino imperatore corrotto !4. Per esaltare Costanzo, padre di Costantino, Onesimus diffamava

Carino, affermando che per i suoi pessimi costumi Caro avrebbe voluto togliere al figlio la dignità di Cesare e darla a Costanzo, allora praeses Dalmatiae 14. Onesimus scrisse in

un periodo sufficientemente lontano dal regno di Carino per poter utilizzare la contrapposizione, poi canonica, tra Caro buon principe e vincitore dei Persiani, e Carino pessimo imperatore. La storiografia pagana successiva — gli Epitomatori, Eunapio-Zosimo, l’Historia Augusta — ereditò questa impostazione ostile a Carino. In particolare | Historia Augusta, abbiamo visto, è fortemente avversa alla memoria di Carino.

Le ragioni andranno ricercate in una duplice linea interpretativa che verosimilmente caratterizzava la sue fonti e che il redattore ha assorbito. Da un lato il biografo desiderava denigrare il nemico di Diocleziano per far risaltare la provvidenzialità del regno dell’ultimo grande sovrano pagano. In questo egli ha accolto gli elementi della storiografia filodioclezianea. Dall'altro egli sembra ereditare quella tendenza filocostantiniana che si ritrova nella storiografia pagana su que-

nonimo poeta egiziano ha voluto dire che Giove Capitolino ha stabilito la vitto-

ria finale di Diocleziano su Carino, ma che, per la resistenza di quest’ultimo al compimento del suo destino, ha potuto concedergli la supremazia sul mondo solo a prezzo di difficili lotte. 144 S. MAZZARINO, Il pensiero storico classico, 3, Roma-Bari 19903, pp. 218-243. Lo storico ha esaminato la tradizione storiografica pagana e cristiana facente perno su Costantino, su Carino e sulle tendenza ideologiche dell’ Historia Augusta, tracciando un quadro dell’ambiente sociale e gentilizio in cui la raccolta di biografie vide la luce. La sua interpretazione è alla base della nostra lettura della figura di Carino. Su Carino e l' Historia Augusta vd. inoltre gli stu-

di A. Chastagnol: Carinus effeminatus, in BHAC 1972/74, Bonn 1976, pp. 8490; Carin et Elagabal, in BHAC 1979/80, Bonn 1983, pp. 99-113; Non est meus,

in HAC Genevense, Bari 1994, pp. 89-99. 145 SHA, Car. 7, 3; 16, 1 e 17, 6 (=FGrHist 216, F 3 e 4); cfr. anche Prob.

3, 3 e le considerazioni di GIARDINA, Claudii cit. (sopra, a nota 141), pp. 317 sg. Sulla reale esistenza di questo storico citato dall’ Historia Augusta non dovrebbe sussistere dubbi, dal momento che la Suida gli ha riservato un lemma ('Ováσιμος, O 327, pars III, p. 537 Adler?=FGrAist 216 T 1).

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sto imperatore, e di cui possiamo farci un’idea attraverso i frammenti di Onesimus, di Prassagora e dell’ Anonymus

Va-

lesianus. Almeno uno di questi storici pagani che davano una lettura positiva della figura di Costantino, Onesimus, descri-

veva la corruzione di Carino per lodare la probità di Costanzo I. Il redattore della raccolta di biografie imperiali, che esaltava Diocleziano, cui ha dedicato otto vitae, ma ammirava anche Costantino, cui ne ha dedicate sei, riceveva dalle

sue fonti pagane, favorevoli a Diocleziano così come a Costantino, un ritratto decisamente negativo di Carino. Il redattore dell’Historia Augusta ha raccolto dunque i frutti di un lavorìo storiografico durato circa centoventi anni. Nella vita Carini egli mostra di conoscere alcuni dati autentici del regno e della personalità di questo sovrano, che ama tuttavia rielaborare, deformare o capovolgere allo scopo di svilirne il ritratto 146. Tutta la tradizione precedente in un certo senso lo “autorizzava” a una simile manipolazione. Abbiamo già individuato questo modo di procedere a proposito dell’allusione molto velata che 1] redattore fa all’abilità e alla fermezza di Carino nel reprimere le usurpazioni di Iulianus e di Sabinus Iulianus e nel contrastare Diocleziano: nec ei tamen defuit ad vindicandum sibimet imperium vigor mentis 147. La notazione — l’unica positiva dell’intera vita Carini a proposito di questo imperatore — di per sé avrebbe ben poco senso se non potessimo valutare, attraverso il confronto con le altre fonti, che il redattore certamente leggeva, l’importanza delle rivolte dei tre usurpatori nel 283 e nel 284/285. Il biografo non poteva dilungarsi sulla gravità delle tre rivolte senza esaltare automaticamente le doti di Carino che le aveva domate. Di qui l’accenno incolore al vigor mentis dell’imperatore nel difendere il suo imperium, che era

146 Per intendere il grado di deformazione raggiunto dalla storiografia su Carino possiamo confrontare la vita Carini dell’ Historia Augusta con il passo di Eunapio conservatosi nella Suida (lemma Kaptvog, K 391, pars III, p. 33 Adler?) e con il testo di Eunapio confluito in Zosimo (I 73). Eunapio presentava in una pessima luce il comportamento di Carino, ma non taceva gli avvenimenti bellici del suo regno e ricordava — come leggiamo in Zosimo — la vittoria vero-

nese dell’imperatore su Sabinus Iulianus. L' Historia Augusta, come vedremo nel testo, è andata oltre: ha costruito un racconto quasi privo di avvenimenti storici e ha utilizzato le notizie superstiti sull’operato di Carino allo scopo di aggravare le accuse di immoralità contro l’imperatore. 147 Vd. sopra, nota 98.

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stato un tratto saliente dell’azione di questo sovrano. La stessa posizione interpretativa giustifica la presentazione capovolta degli esiti della battaglia di Margum. L' Historia Augusta afferma che Carino contra Diocletianum multis proeliis conflixit, sed ultima pugna apud Margum commissa victum occubuit (Car. 18, 2), ma noi sappiamo, attraverso la notizia confluita in Aurelio Vittore (Caes. 39, 11-12), confermata ora dall’allusione di P. Oxy. 4352 (fr. 5, II, vv. 18-20),

che a Margum l’esito dello scontro campale era stato sfavorevole a Diocleziano. In altri punti della biografia il redattore mostra di conoscere dei nuclei di verità storica sulla vicenda di Carino, che

presenta, però, in forma alterata. Nel 283 fu prefetto di Roma un senatore di nome Titucius Roburrus !4, Non sappiamo null’altro di questo personaggio, che presenta un’onomastica rara e non pare collegabile con nessuna famiglia clarissima precedente, contemporanea o successiva. La fonte che ricorda il suo incarico, la lista dei prefetti urbani del Cronografo del 354, è degna di fede e, fermo restando l’isolamento prosopografico, non ci sono seri motivi per dubitare della stori-

cità del personaggio. Il redattore dell’ Historia Augusta afferma che Carino, cattivo dispensatore delle cariche pubbliche,

praef(ectum) urbi unum ex cancellariis suis fecit, quo foedius nec cogitari potuit aliquando nec dici (Car. 16, 3) !^?. Sem-

bra assai probabile che il biografo abbia esagerato un dato autentico, l'accesso alla prefettura urbana di un homo novus,

facendo dell’oscuro senatore un cancellarius. Il cognome dell’ignoto prefetto, Roburrus, si prestava del resto all’invenzione di tale carica servile: la solidità, robur, è qualità es-

senziale di un buon cancello. Un altro passo permette di cogliere il grado di rielaborazione cui il redattore ha sottoposto le sue fonti. Il biografo ha accusato il depravato Carino di essersi abbandonato a vizi e delitti ancora più gravi dopo la morte del padre e del fratello, quasi iam liber a frenis domesticae pietatis suorum mor-

148 La notizia della prefettura urbana è nel Cronografo del 354 (MGH AA IX, Chron. Min. 1, p. 66). Su Titucius Roburrus vd. BARBIERI, p. 311, n. 1733; PLRE I, p. 767; CHRISTOL, p. 133. 149 Sui cancellarii cfr. R. GUILLAND, Etudes sur l’histoire administrative de l'Empire Byzantin. Le questeur: ὁ KOIAIZTOP, quaestor, in "Byzantion" 41 (1971), p. 85.

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tibus absolutus (Car. 18, 1). Ma il giudizio dello scrittore è

palesemente in contraddizione con la propaganda che Carino affidò alla sua produzione numismatica, sia dopo la morte di Caro, sia dopo la morte di Numeriano, quando la zecca di Roma, sottratta a Sabinus Iulianus, produsse negli ultimi me-

si del suo regno moltissimi conii — moltissimi in relazione al breve tempo in cui la zecca restò in mano a Carino — celebrativi di tutta la dinastia 150. Queste monete, specialmente le ultime, testimoniano il forte sentimento di pietas domestica che animò l’azione di Carino, ormai unico esponente della

famiglia regnante 151, In questo caso la realtà storica poteva soltanto essere capovolta. Di una simile distorsione potrebbero essere stati oggetto anche il primo consolato di Carino, rivestito secondo il biografo invito patre, e il matrimonio dell’imperatore, cui il redattore ha attribuito nove mogli (Car 16, 6-7). Carino inaugurò 1] suo primo consolato, l’unico ri-

coperto durante la vita di Caro, proprio col padre, Augusto e consul iterum, il 1 gennaio 283 152. Le parole del redattore sembrano suggerire un'iniziativa personale di Carino, una specie di usurpazione della carica. Ma il consolato del 283, il primo esclusivamente composto da membri della famiglia, e certamente programmato in anticipo da Caro, non può essere stato l’esito di un contrasto, bensì un’affermazione di concordia e di unità dinastica, sentimenti che, peraltro, caratte-

rizzarono l’ideologia di questa famiglia fino alla scomparsa del suo ultimo esponente. Qui la realtà dei fatti è stata parzialmente trasformata nell’unico modo possibile: muovendo da un dato inconfutabile (la coppia consolare del 283 composta da padre e figlio), si è fatto di Carino un console contro la volontà paterna. Quanto al problema delle mogli di Carino, oltre al fatto che un biennio di regno non era sufficiente a contrarre nove matrimoni, anche ammettendo che più di

uno risalisse a un momento anteriore all’affermazione della dinastia di Caro, le fonti numismatiche ed epigrafiche cono150 Per l’ultima serie romana di Carino celebrativa dei divi Caro, Numeriano e Nigriniano, cfr. R/C V/2, pp. 140, 196, 202 sg.

13! La famiglia di Caro fu particolarmente attaccata al principio dinastico, vero punto di forza della sua politica. Dopo quindici anni in cui gli imperatori non avevano potuto assicurarsi una legittima successione, Caro riuscì ad attuare per mezzo dei suoi figli un pacifico avvicendamento alla guida dell’impero. Sull’esaltazione di temi dinastici da parte di Carino vd. sopra, nota 16.

152 Sul consolato del 283 cfr. DEGRASSI, p. 75, e CHRISTOL, p. 118.

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scono sempre 6 soltanto una moglie di Carino, Magna Urbica, sposata nel giugno 283. La propensione alle relazioni extraconiugali e a una certa libertà di costumi, che la tradizio-

ne attribuiva al sovrano, e che potrebbe contenere un fondo di verità, è stata trasformata qui in un’improbabile proliferazione delle mogli. Fermo restando che una tendenza storiografica avversa a Carino maturò ben prima della redazione dell’ Historia Augusta, possiamo concludere che l’autore della vita Carini sembra aver manifestato una netta propensione ad accentuare la lettura negativa che la tradizione dava dell’operato di questo imperatore. Torniamo alla notizia su Matronianus. A ben vedere anch’essa contiene un nucleo di autenticità. La tradizione storica conservatasi in Zosimo ricordava che Carino aveva eliminato un suo prefetto del pretorio, Sabinus Iulianus, acclama-

to Augusto. Come sappiamo, il redattore si rifiutava di trattare delle vittorie di Carino sugli usurpatori del suo regno, perché nessuna gloria circondasse questo imperatore. Un brevissimo accenno al suo vigor mentis era più che sufficiente a schizzare questa qualità precipua dell’azione dell’ Augusto. Non è fuor di luogo ipotizzare che il biografo possa aver lavorato sul dato, autentico, dell’eliminazione del prefetto del pretorio Sabinus Iulianus, ucciso da Carino — ma anche su elementi come la nomina di un oscuro senatore, Titucius Roburrus, alla prefettura di Roma — per evidenziare quella che egli voleva far apparire come una tendenza politica deplorevole di Carino: eleggere pessimum quemque alle alte dignità della res publica (Car.

16, 3). Nulla di strano

quindi che il redattore parlasse di un prefetto del pretorio ucciso da Carino — un prefetto del pretorio che egli presenta privo di nome e di collocazione spazio-temporale — e attribuisse a Carino la scelta di un successore, l'immaginario Matronianus 155, caratterizzato come ruffiano e complice delle per153 Matronianus non è un nome comune in età imperiale. È utilizzato in età tardoantica e appare diffuso — non sappiamo in che misura — all’epoca della redazione dell’ Historia Augusta. Si conoscono un Matronianus, comes Isauriae nel 382 (cfr. PLRE I, p. 568, da aggiornare con AE 1985, 819 e 820); un vir illustris della fine del V secolo (cfr. PLRE Ἡ, pp. 735 sg.) e un prefetto del pretorio di Anastasio I (cfr. PLRE II, p. 736). Sui motivi della scelta di questo nome per il prefetto del pretorio depravato ἃ difficile pronunciarsi. Possiamo avanzare un' ipotesi. La tradizione greca conservata in Zosimo e quella confluita in Au-

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versioni dell’imperatore. Il tenore del passo dell’ Historia Augusta sembra inoltre considerare come un fatto normale che l’anonimo prefetto fatto eliminare da Carino fosse anche l’unico prefetto del pretorio in carica accanto a questo Augusto. Il redattore mostra dunque di conoscere quella che abbiamo visto essere una tendenza caratteristica nell’istituzione prefettizia quando l’impero è governato da una coppia di Augusti: un solo prefetto del pretorio al fianco di ogni singolo Augusto coreggente. Questa prassi era scomparsa da molto tempo quando fu scritta l’ Historia Augusta, ma il redattore l’ha evidentemente accolta, forse involontariamente, dalla lettura

delle sue fonti sull’età di Caro e dei suoi figli. Anche questo elemento conferma l’ipotesi di un’interpretazione deformante da parte dell’Historia Augusta di fonti aderenti alle reali vicende storiche degli anni 282-285, ma già orientate in senso ostile a Carino. Naturalmente non sorprende l’assenza di qualunque accenno nella vita Carini all’ultimo prefetto del pretorio dell’imperatore, Aristobulus. Troppo coinvolto nel tradimento che aveva consegnato l’impero a Diocleziano, doveva apparire al redattore dell’ Historia Augusta un personaggio scomodo.

relio Vittore, in Eutropio e nell’Epitome, erano concordi nell'attribuire all’inclinazione di Carino a insidiare le mogli dei suoi subalterni il motivo scatenante della sua rovina.

A Margum

l’imperatore era stato ucciso da un suo tribuno, al

quale aveva sedotto la moglie: così Zosimo, I 73, 3, a conclusione dell’ottimo passo sulla rivolta di Iulianus (τῶν χιλιάρχων ἑνός, où τὴν γυναῖκα διαφθείρας ἔτυχεν, ἀνελόντος αὐτόν), con maggiori dettagli Aurelio Vittore, Caes. 39, 11, che, abbiamo visto, si serviva di una fonte molto ben informata sugli avvenimenti (Carinus [...] suorum ictu interiit, quod libidine impatiens militarium multas affectabat, quarum infestiores viri iram tamen doloremque in eventum belli distulerant. Quo prosperius cedente metu, ne huiuscemodi ingenium magis magisque victoria insolesceret, sese ulti sunt). Tale debolezza è sintetizzata anche da Eutropio (IX 19, 1, matrimonia nobilia corrupit) e dall’ Epitome (38, 7-8, matrimonia nobilium corrupit |...) ad extremum trucidatur eius praecipue tribuni dextera, cuius dicebatur coniugem polluisse). Siamo di fronte a una tradizione storica unitaria sul comportamento dell’imperatore, confluita in linee storiografiche differenti, che l’ Historia Augusta non poteva ignorare. Essa potrebbe aver giocato sulla debolezza di Carino per le matronae e aver coniato il nome

del veferem conciliatorem,

che stuprorum

et libidinum

conscium

semper atque adiutorem habuerat, usando un cognome che alludesse alla categoria di donne oggetto delle volgari attenzioni del cattivo sovrano. E comprensibile, inoltre, che l'episodio del tribuno autore dell’uccisione di Carino non comparisse nell’ Historia Augusta: il fatto era strettamente collegato alla vittoria di Carino a Margum su Diocleziano, avvenimento che il redattore si rifiutò di ricordare.

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L'analisi delle personalità dei prefetti del pretorio della dinastia di Caro ha evidenziato alcuni elementi degni di riflessione. I prefetti del pretorio di questa fase, posti in stretta relazione col loro Augusto, hanno avuto un peso nelle vicende politiche degli anni 282-285. Caro, che a buon diritto

appartiene alla serie dei prefetti del pretorio do, usurpò la porpora e contribuì alla caduta dei pochissimi prefetti del pretorio a riuscire Aper si addensò il sospetto, infondato, del

di questo periodi Probo. Fu uno nell’impresa. Su cesaricidio e del

tentativo di usurpazione, e, tuttavia, egli svolse una parte nel-

la scelta che portò Diocleziano al trono. Sabinus Iulianus usurpò la porpora, ma fu sconfitto dal suo Augusto. Aristobulus ebbe, probabilmente, una certa responsabilità nell’eliminazione di Carino dopo la vittoria di Margum. Con loro si chiude la pagina dei prefetti del pretorio protagonisti delle successioni imperiali. Il secondo punto degno di riflessione consiste nel fatto che la prefettura del pretorio dell’età di Caro e dei suoi figli, una serie di due coreggenze in cui gli Augusti agirono sempre in settori lontani, mostra già la presenza di un solo prefetto del pretorio al fianco di ciascun Augusto. È l’assetto prefettizio documentato poi nell’età dioclezianea, tetrarchica e post-tetrarchica. La documentazione superstite sui prefetti del pretorio della seconda metà del III secolo è ridotta e frammentaria. Pertanto è difficile individuare con certezza il momento in cui invalse la consuetudine istituzionale per cui

ciascuno dei due coreggenti ha un solo prefetto del pretorio al suo fianco. Di certo questa prassi sembra un fatto acquisito all’epoca dell’elevazione di Caro. Forse non saremmo troppo lontani dal vero se ipotizzassimo che essa si affermò all’epoca di Valeriano e Gallieno, quando giunsero a maturazione forme di esercizio del potere da parte di imperatori coreggenti che appaiono ormai metabolizzate nell’azione politica di Caro e

dei suoi figli, o di Diocleziano e Massimiano.

L'intensità delle vicende politico-militari degli anni 282285 — un susseguirsi di guerre esterne su tre fronti, e di usurpazioni — riflette ancora una situazione caratteristica della crisi del III secolo. Non sorprende di veder emergere su questo sfondo le personalità di prefetti del pretorio impegnati in campagne militari in settori vitali per la sicurezza dell’impeΤῸ, € protagonisti di battaglie decisive per la successione imperiale. Con ogni probabilità siamo di fronte a dei cavalieri 100

dotati di un’adeguata formazione militare. Aper accompagnò Caro e Numeriano nella spedizione persiana, Aristobulus, con ogni probabilità, era accanto a Carino durante le campagne contro Sabinus Iulianus e Diocleziano; a Sabinus Iulia-

nus l'imperatore affidó una missione di controllo di un settore prossimo all'Italia, mentre egli combatteva, sembra, nelle

Gallie, analogamente a quanto aveva fatto, per esempio, Probo con il suo prefetto Caro, inviato in Rezia. Infine & opportuno sottolineare, pur nell’individuazione di tendenze interpretative diverse, la precisione storiografica delle fonti relative al periodo esaminato. Aurelio Vittore, I' Epitome de Caesaribus (Eunapio-)Zosimo e, in minor grado,

l'Historia Augusta, hanno riportato fedelmente i dati contenuti nelle loro (ottime) fonti. Avremo modo di apprezzare l’acribia di questi storici, come vedremo, anche nelle pagine seguenti.

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CAPITOLO IT LA PREFETTURA DEL PRETORIO DURANTE IL REGNO DI DIOCLEZIANO E DEI TETRARCHI

1. PREMESSA

L'indagine svolta in questo capitolo verte sull’esame dell'assetto della prefettura del pretorio nel periodo compreso tra il 286 e il 305. Essa si sviluppa intorno all’analisi di due importanti testi epigrafici: le iscrizioni di Oescus ($2) e di Brescia (ὃ 3).

Il valore dell'epigrafe di Oescus, nota dall'inizio del secolo, risiede nel fatto che essa ὃ la fonte principale sui prefetti del pretorio del periodo della diarchia di Diocleziano e Massimiano. Lo studio dell'iscrizione consente di tracciare un profilo delle personalità dei prefetti autori 46] monumento e di avanzare nuove ipotesi sulla sua datazione e sull’occasione che ne determinó la realizzazione. A differenza della dedica di Oescus, l'iscrizione di Bre-

scia è frutto di un recente e fortunato ritrovamento. La sua analisi permette di ricostruire, meglio che in passato, la serie

dei collegi dei prefetti del pretorio di età tetrarchica. Questo progresso nella conoscenza dell'assetto della prefettura di questa fase, ha permesso di risolvere il problema del numero

dei prefetti del pretorio attivi durante la Tetrarchia, oggetto per molto tempo di incertezze e di fraintendimenti. Oltre ad aver contribuito a una migliore conoscenza dello stato della prefettura del pretorio e della serie dei suoi titolari negli anni 286-305, le iscrizioni di Oescus e di Brescia rappresentano delle testimonianze significative anche per un altro aspetto. 51 tratta, infatti, delle prime due dediche, giunte fino a noi, incise su monumenti fatti realizzare in onore di

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un sovrano per ordine 6 ἃ nome del collegio dei prefetti del pretorio!. Si conoscono sette esemplari di questo particolare genere di monumenti prefettizi. Essi risalgono a un periodo compreso tra il regno di Diocleziano e Massimiano e i primi anni del regno congiunto di Costanzo II e Costante. Come vedremo, infatti, la prima dedica nota, quella di Oescus, non

può essere anteriore al 286, mentre l’ultima, quella di Traiana, non può essere posteriore al 342. Per facilitarne l’identificazione le abbiamo indicate con il nome della città in cui furono elevate (in ordine cronologico): iscrizione di Oescus,

di Brescia, di Tropaeum Traiani, di Efeso, di Tubernuc e di Antiochia, di Traiana. Per motivi di chiarezza espositiva e per il fatto che ognuna di queste epigrafi pone problemi di datazione di un certo rilievo, è stato necessario presentare e

discutere singolarmente queste testimonianze nel corso dell’intera trattazione. Si rimanda pertanto all’analisi puntuale di ciascuna di queste iscrizioni, sviluppata nelle pagine seguenti, anticipando in questo secondo capitolo alcune conclusioni, utili per evidenziare le principali specificità di questo tipo di monumenti onorari 2. Questo genere di realizzazioni, come vedremo, riveste un valore notevole nell’indagine sulla prefettura del pretorio del periodo compreso tra il regno di Diocleziano e il regno congiunto di Costanzo II e Costante. Il testo di ciascuna dedica permette, infatti, di cono-

scere il numero, il rango sociale e l’anteriorità nella nomina ! Non si conoscono al momento dediche ad imperatori, anteriori all’iscrizione di Oescus, fatte incidere da tutti i prefetti del pretorio in carica esclusivamente a loro nome, senza il concorso di altri funzionari, o ufficiali, o corpi di truppa. In proposito si vedano, per esempio, la dedica a Marco Aurelio Cesare

fatta incidere dai prefetti del pretorio Petronius Mamertinus e Gavius Maximus, con le coorti pretorie e urbane (CIL, VI 1009=/LS 2012=CIL, VI, p. 4315); o la

dedica del prefetto Timesitheus e del suo collega, cum maioriaris, a Gordiano III (CIL, VI 1611=31831=CIL, VI, p. 4719); o l'iscrizione realizzata da due pre-

fetti del pretorio anonimi della seconda metà III secolo, con le coorti pretorie

(CIL, VI 31352-40710). ? Per le dediche di Oescus e di Brescia vd. oltre $ sgg.; per le dediche di Tropaeum Traiani e di Efeso, vd. cap. III, $ 4; per le dediche di Tubernuc, di Antiochia e di Traiana, vd. cap. IV, 84. È probabile che un’iscrizione di difficilissima lettura, incisa sulla base di un monumento del Foro Romano, sia quanto resta di un'altra dedica prefettizia collegiale, forse di età tetrarchica (CIL, VI 36947=CIL, VI, p. 4354, e PLRE I, pp. 1000 e 1003). Purtroppo l’erosione della superficie inscritta non consente di verificare con sicurezza l'appartenenza del testo epigrafico alla categoria delle dediche prefettizie collegiali e, per questo motivo, si ὃ ritenuto opportuno escluderla dalla serie.

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di tutti 1 prefetti del pretorio in carica quando venne decretata la costruzione del monumento. Queste testimonianze epigrafiche forniscono, quindi, un’istantanea dello stato della

prefettura del pretorio in un determinato momento della sua evoluzione e apportano un contributo importantissimo all’indagine sulle origini della prefettura del pretorio tardoantica. Le caratteristiche originali che contraddistinguono la genesi e la diffusione di questo tipo di monumenti, e che li differenziano dalla grande massa dell’epigrafia onoraria romana, ci ha spinto a considerarli come un’espressione originale e peculiare dell’istituzione prefettizia in questo periodo della sua evoluzione. Abbiamo pertanto ritenuto opportuno definire questo gruppo di iscrizioni ‘dediche prefettizie collegiali”. L’espressione intende riassumere le tre caratteristiche essenziali di questo genere di iscrizioni. a) L'essere dediche fatte incidere su monumenti offerti dai soli prefetti del pretorio ai sovrani (documenti ben diversi nella loro genesi, nella loro realizzazione e nel loro destinatario, per esempio, dalle epistole e dagli atti redatti dalle cancellerie dei prefetti del pretorio, benché anch’essi siano formalmente collegiali) 3. b) L’es-

sere state decretate da tutti i prefetti del pretorio in carica — funzionari con un mandato territoriale e delle responsabilità più ampie rispetto agli altri amministratori dell’impero — ed essere state realizzate su loro ordine. c) L'essere collegiali, cioè incise per volontà e a nome di tutti i prefetti del pretorio in carica nell’impero, elencati in ordine di anzianità nella nomina alla prefettura, ed essere, quindi, la manifestazione di una decisione concorde del collegio dei prefetti, e non il ri-

sultato dell’iniziativa di un solo prefetto del pretorio. Come 3 A partire dall’età costantiniana e fino all’intero VI secolo le fonti letterarie si arricchiscono di documenti di varia natura (epistole, editti, verbali) che emanano formalmente dal collegio dei prefetti del pretorio, pur essendo stati

concretamente redatti dalla cancelleria di un solo prefetto. In questi documenti — che rappresentano soltanto una piccolissima parte di quanto prodotto dalle cancellerie prefettizie — al pari delle dediche prefettizie collegiali compaiono nell’intitulatio i nomi gerarchicamente ordinati dei prefetti dell’intero collegio. A differenza delle dediche prefettizie collegiali, però, i documenti cartacei

emessi dalle cancellerie prefettizie non furono mai l’esito di una consultazione tra i titolari della carica; essi rappresentano piuttosto il prodotto ordinario, e per molti versi standardizzato, dell’attività di un solo prefetto del pretorio. Per una sintesi su questi documenti

di cancelleria cfr. D. FErssEL, Praefatio

chartarum

publicarum. L'intitulé des actes de la préfecture du prétoire du IV* au VI* siécle, in "T&MByz" 11 (1991), pp. 437-464 (e vd. sotto, a nota 37).

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si vedrä, questa serie di caratteristiche sono presenti giä nelle dediche di Oescus e di Brescia. L'ultima parte del capitolo ($ 4) è dedicata all’indagine sugli agentes vice praefectorum praetorio. Lo studio di questa categoria di funzionari, la cui diffusione è stata general-

mente attribuita a Diocleziano in età tetrarchica in connessione con l'istituzione delle diocesi, merita di essere affrontato di nuovo. La presenza dei vice prefetti inviati nel territorio e la creazione delle grandi diocesi riguarda strettamente il problema della nascita della prefettura del pretorio regionale, che é la forma caratteristica assunta dalla prefettura

in età tardoantica. Furono le diocesi a costituire la base territoriale delle grandi prefetture, e il sorgere della necessità dei vicari dei prefetti, inviati in settori diversi dell'impero, testi-

monia il primo stadio del radicamento territoriale della prefettura del pretorio. Attraverso l'esame delle testimonianze sugli agentes vice praefectorum praetorio, e l'analisi della documentazione superstite, si cercherà di ricostruire 1l percorso che all’epoca della prima Tetrarchia portò all’affermazione della forma tarda dell' impero. 2. L'ISCRIZIONE DI OEscus

L'iscrizione di Oescus ὃ un'epigrafe incisa su un monumento in onore di Diocleziano fatto realizzare dal collegio dei prefetti del pretorio ^. La pietra é stata rinvenuta nella no4 L'iscrizione, scoperta nel 1906 da H. Skorpil, è stata pubblicata nel 1916 da H. Dessau nelle sue /ZS, n. 8929, seguendo il testo comunicatogli da E. Bormann. E stata ripubblicata di recente, da B. Gerov in ILBulg. U2, 8a. L'epigrafe prefettizia & incisa sulla faccia anteriore di una base, sulla quale, verosimilmente, fu collocata una statua di Diocleziano. Sul lato opposto della base venne fatta redigere a cura di Flavius Zosimus, officialis della provincia d' Asia, promosso primipilarius, una dedica a carattere sacro in onore di Liber pater, conservator di due Augusti non nominati (cfr. AE 1927, 45=/LBulg V2, 8b). Di recente A. BRESSON, TH. DREW-BEaR e C. ZUCKERMANN, Une dédicace de primipilaires à Novae pour la victoire impériale, in "AntTard" 3 (1995), pp. 139-146, hanno proposto una nuova cronologia del monumento, datandolo, con buoni argomenti, agli anni 367-368. I due Augusti anonimi della base di Oescus sarebbero,

quindi, Valentiniano I e Valente. Se questa proposta di identificazione & esatta, avremmo la possibilità — caso unico — di misurare la ‘vitalità’ di una dedica prefettizia a un imperatore. Il monumento offerto a Diocleziano dai prefetti del pre-

torio nella città di Oescus tra il 286 e il 291 (su questa datazione vd. oltre nel testo) fu riutilizzato circa ottant' anni dopo. L'altare fu girato, il suo profilo rimo-

dellato e la sua superficie fu fatta incidere dal funzionario Flavius Zosimus, dopo

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ta città militare sita alla confluenza del fiume Oescus nel Danubio, allora nella provincia di Dacia Ripensis. Si tratta del-

la prima dedica prefettizia collegiale conservatasi: Imp(eratori) Caes(ari) C(aio) Aurel(io) / Val(erio) Diocletiano, | P(io), F(elici), invic(to) Aug(usto), pont(ifici) / max(imo), Germanico | max(imo), trib(unicia) potes(tate), p(atri) p(atriae), proco(n)s(uli), / Afranius Hannilbalianus, Iul(ius) As/clepiodotus v[v(iri)] / eemm(inentissimi) praelff(ecti) praet(orio duo)] / d(evoti) n(umini) m(aiestati)[q(ue) e(ius)]. I dedicanti del monumento, due importanti cavalieri del-

l'età che va da Aureliano alla Tetrarchia, sono i due prefetti del pretorio collegialmente in carica: Afranius Hannibalianus e Iulius Asclepiodotus, come vedremo meglio oltre, prefetti del pretorio rispettivamente di Diocleziano e di Massimiano ?. La datazione dell’iscrizione di Oescus è naturalmente di grande importanza per la ricostruzione della sequenza dei prefetti del pretorio di età dioclezianea. Per procedere a un corretto inquadramento cronologico del monumento è opportuno fissare l’attenzione preliminarmente su quanto conosciamo delle carriere dei dedicanti e passare in seguito all’esame degli elementi interni dell’iscrizione (onomastica e titolatura di Diocleziano).

Del cursus dei due personaggi prima della nomina alla prefettura del pretorio non conosciamo nulla di preciso e l'iscrizione di Oescus è la prima testimonianza storica certa sulla loro carriera. Un passo dell’ Historia Augusta, ingiustamente svalutato, ricorda fra i grandi meriti del buon imperatore Probo quello di aver forgiato con la sua disciplina insigni generali, come Caro, Diocleziano, Costanzo, Asclepioaver portato a termine la sua missione di rifornimento delle truppe distaccate

presso la città. 5 Su Afranius Hannibalianus vd. A. STEIN, Hannibalianus 1, RE VH, coll. 2351 sg.; PIR? A 444; PASSERINI, p. 344, n. CVI; Howe, p. 84, n. 59; CHASTAGNOL 1962, pp. 27-29; 1970, pp. 54, 67; PLRE I, p. 407; BARNES 1982, pp. 33 sg., 98, 113, 124 sg.; CHRISTOL, pp. 120, 122. Restano molti dubbi (già espressi da L. L. Howe e da A. Chastagnol) sulla possibilità che il consolare Hannibalianus menzionato su un'iscrizione di Tralles sia un parente o un ascendente del

prefetto di Diocleziano; cfr. BARBIERI, p. 354, n. 2039. Su Iulius Asclepiodotus vd. A. STEIN, Julius Asclepiodotus 93, RE X, col. 172; PIR? I 179; PASSERINI, p. 344, n. CVII; Howe, p. 84, n. 60; CHAsTAGNOL 1970, pp. 54 e 67; PLRE I, pp. 115 sg.; BARNES 1982, p. 126; CHRISTOL, p. 122.

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dotus, Hannibalianus (e altri sei comandanti non meglio identificabili) $. La considerazione del redattore dell’ Historia

Augusta è inserita nell’apologia di Probo, ma ha un suo fondamento storico, perché anche Aurelio Vittore, in un conte-

sto del tutto diverso — l’analisi delle qualità e dei difetti dei tetrarchi — e l'Anonymus Valesianus, a proposito della carriera di Costanzo, confermano l’importanza della formazione militare ricevuta dai quattro sovrani al servizio di Aureliano e di Probo". Le fonti cui attinsero Aurelio Vittore e l’ Historia Augusta insistevano sul valore positivo di questa militanza per quei comandanti di origine illirica che avrebbero governato l'impero dopo Probo. Anche Hannibalianus e Asclepiodotus dovettero far parte del gruppo di ufficiali cresciuti in quegli anni. Come gli altri prefetti del pretorio della seconda metà del III secolo provenivano dai quadri dell’esercito. Avendo raggiunto il culmine della carriera militare ed equestre durante il regno di Diocleziano é logico pensare che avessero alle spalle una lunga e brillante milizia, che avrà coinciso necessariamente con le campagne di Aureliano, di Probo e di Caro. I due prefetti del pretorio, cavalieri di nascita e ascesi al rango di eminentissimi con la nomina alla massima prefettura, entrarono nell'ordine senatorio ricoprendo congiuntamente il 6 SHA, Prob. 22, 3: Multa manu sua (Probus) fecit, duces praeclarissimos instituit. Nam ex eius disciplina Carus, Diocletianus, Constantius, Asclepiodotus, Annibalianus,

Leonides,

Cecropius,

Pisonianus,

Herennianus,

Gaudiosus,

Ursinianus et ceteri, quos patres nostri mirati sunt et de quibus nonnulli boni

principes extiterunt. Sul passo cfr. l'opinione di R. SYME, Emperors and Biography, Oxford 1971, pp. 2121-2124; la diffidenza verso il contenuto del passo era stata mostrata già da Howe, p. 84, e da E. Hour, Vopiscus und Pollio, in

“Klio” 12 (1912), p. 479. ? Aur. Vict., Caes. 39, 28: Sed horum concordia maxime edocuit virtuti ingenium usumque bonae militiae, quanta his Aureliani Probique instituto fuit, paene sat esse. Indirettamente Anon. Vales. Y, 2: Constantius |...] protector primus, inde tribunus, postea praeses Dalmatiarum fuit. Dal momento che Co-

stanzo avrebbe ricoperto l'incarico di governatore in Dalmazia durante il regno di Caro (SHA, Car. 17, 6; CIL, III 9860 e 87162), la sua militanza come ufficia-

le protector deve essersi compiuta al fianco di Aureliano e di Probo. Un altro elemento a favore della bontà della notizia dell’ Historia Augusta potrebbe essere costituito dalla riabilitazione della memoria di Probo dopo la morte di Carino, attestata, per esempio, dalla bella iscrizione di L. Caesonius Ovinius Manlius Rufinianus Bassus (AE 1964, 223, lin. 11). Diocleziano Augusto potrebbe

aver restaurato la fama dell’imperatore Probo, immediatamente dopo la sua elevazione a Nicomedia, non solo per una scelta propagandistica, ma anche perché il defunto era stato importante per la sua formazione professionale.

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consolato ordinario nell’anno 292 8. Certamente Asclepiodotus coniugó per un certo tempo il clarissimato con la prefettura del pretorio, dal momento che era ancora in carica come

prefetto nel 296, all'epoca della spedizione contro l'usurpatore Allectus (vd. oltre). E certo, invece, che Hannibalianus

non era piü prefetto del pretorio nel 297, quando fu elevato al fastigio della carriera senatoria divenendo prefetto di Roma. Come era stato per L. Petronius Taurus Volusianus e per Ti. Claudius Aurelius Aristobulus, prefetti del pretorio e con-

soli ordinari rispettivamente nel 261 e nel 285, quindi prefetti urbani nel 267-268 e nel 295, anche Hannibalianus giunse

all'onore dell'amministrazione della capitale. Il prefetto del pretorio Iulius Asclepiodotus é ricordato nelle fonti per avere affiancato Costanzo Cesare nella campagna vittoriosa contro l'usurpatore Allectus in Britannia nel 296 10, Con un'abile strategia Costanzo e Asclepiodotus re3 Per il consolato ordinario, naturalmente privo di iterazione, di Hannibalianus e Asclepiodotus cfr. DEGRASSI, p. 76; BARNES 1982, pp. 93 e 98; CHRISTOL, p. 122; Consuls, pp. 118 sg. I prefetti del pretorio del III secolo appartengono all'ordine equestre e accedono all'ordine senatorio mediante l'esercizio

del consolato ordinario, su questa prassi vd. sopra cap. I, pp. 80-82. La rarità, che caratterizza in questo periodo, la promozione di importanti cavalieri me-

diante il consolato ordinario potrebbe avvalorare l'idea che i due prefetti del pretorio raggiunsero l'eponimia dopo qualche anno di attiva e fedele milizia. La loro nomina potrebbe, quindi, essere ben anteriore all'anno 292. L’iscrizione ro-

mana di Septimius Valentio, risalente al periodo 293-296, allude a due prefetti clarissimi, che devono essere i dedicanti di Oescus; un'analisi dell iscrizione ro-

mana nel $ sg. Come vedremo, anche nel 310 due prefetti del pretorio godettero simultaneamente della promozione al clarissimato mediante il consolato ordinario (vd. sotto, cap. III, $2). ? MGH AA IX, Chron. Min. 1, p. 66. Il Cronografo del 354, l'unica fonte che ricordi la prefettura urbana di Hannibalianus, pone il suo nome accanto ai consoli del 297, senza indicare il giorno di ingresso in carica. In questo caso — e nei casi analoghi in cui la lista dei prefetti urbani del Cronografo non contie-

ne l'indicazione del giorno di ingresso nella carica — & probabile che il prefetto abbia inaugurato il suo mandato il 1 gennaio; diversamente T. D. Barnes (1982, pp. 112 sg.). 10 Se jl'anonimo retore del Panegirico a Costanzo Cesare, Pan. Lat. 4 (8), non ha menzionato il nome del prefetto del pretorio, gli storici e gli autori di cronografie hanno evidenziato invece il ruolo di Asclepiodotus nella vittoria britannica (cfr. Aur. Vict., Caes. 39, 42; Eutr. IX 22, 2; Hier., Chron., p. 227 Helm; Oros. VII 25, 6; Zon. XII 31, p. 160 Dindorf). Per l'esame delle fonti, princi-

palmente numismatiche, sulla secessione della Britannia durante i regni di Carausius e Allectus cfr. la recente messa a punto di P. J. Casey, Carausius and Allectus: the British Usurpers, London 1994, con le considerazioni di H. HuveLIN, Carausius et Allectus, usurpateurs britanniques. Apport de la numismatique, in "JRA" 9 (1996), pp. 505-514. Il Panegirico a Costanzo Cesare, Pan. Lat.

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cuperarono all’impero l’isola 6 il controllo del braccio di mare che la separava dalle Gallie. Il successo fu salutato con entusiasmo, perché ottenuto dopo dieci anni di separazione e diversi infruttuosi tentativi di riconquista. Questa spedizione vide ancora Asclepiodotus in carica come prefetto. La vittoria, nella quale egli ebbe un ruolo primario — dato che dovrebbe dissipare qualunque dubbio sulla formazione militare del funzionario — rappresentò il momento di massimo fulgore della sua carriera. Non abbiamo ulteriori informazioni sul personaggio e non conosciamo la data del suo congedo dalla prefettura, ma la recente scoperta di un’iscrizione bresciana

(su cui vd. $ sg.) dimostra che egli conservò l’incarico più a lungo del suo collega Hannibalianus. La PLRE (vol. I, p. 115) ha attribuito al prefetto del pretorio Asclepiodotus quattro costituzioni conservate nel Codice di Giustiniano. Esse furono inviate tutte a un destinatario di nome Asclepiodotus: C/ V 30, 2 e 31, 9, due parti del medesimo documento firmato a Bisanzio, naturalmente da Diocleziano, il 3 aprile 293; V 70, 4, anch’esso firmato a Bisanzio, il 13 aprile 293; VII 17, 9 del 2 dicembre 294. Benché le date delle costituzioni rientrino tutte nel periodo della prefettura di Asclepiodotus, S. Corcoran (p. 140, D 4) ha espresso dei dubbi sulla possibilità che questi testi siano lettere inviate a un prefetto del pretorio. Nella forma in cui è pervenuta, la documentazione non contiene nessun ele-

mento che faccia pensare a lettere indirizzate a un funzionario, piuttosto che a rescritti destinati a privati. Manca in tutti e quattro i testi la specificazione dell’eventuale carica del destinatario — nel nostro caso sarebbe dovuto essere p(raefecto) p(raetorio), è vero che non sempre essa è indicata negli estratti della giurisprudenza dioclezianea, ma in questo caso è assente in ben quattro documenti. Il caso di Crispinus, praeses Syriae, potrebbe essere analogo: restano cinque testi inviati al governatore e confluiti nel Codice di Giustiniano, tre senza l’indicazione della carica (cfr. CI VII 35, 4; IX 9, 25; X 62, 3), ma due in cui essa

4 (8), è la fonte più dettagliata sulle campagne di Costanzo nel 293 (6-7) e nel 296 (in partic. 12 sgg.); sul panegirico cfr. il recente commento di Nrxon, In Praise of Later Roman Emperors cit. (cap. I, a nota 50), pp. 104 sgg. Per cele-

brare la riconquista della Britannia fu coniato a Treviri il famoso medaglione d’oro raffigurante la resa di Londra al Cesare, o il suo adventus, cfr. P. BASTIEN e C. METZGER, Le trésor de Beaurains (dit d’Arras), Wetteren 1977, p. 94, n. 218. Sulle emissioni monetarie di Allectus, importanti per la cronologia del suo regno, e sulla personalità dell'usurpatore cfr. di recente anche i contributi di H. HuvELIN, Note sur le monnayage de Carausius à la marque RSR, e di X. LoRIOT, La carriére d'Allectus jusqu'à son élévation à la pourpre, entrambi in Institutions, société et vie politique dans l'empire romain au IV* siècle ap. J-C.,

Roma 1992, pp. 169-181.

110

è esplicitamente specificata o deducibile (C/123, 3; IX 2, 11). Le quattro costituzioni ad Asclepiodotus sono prive di qualunque traccia di una formula di saluto o di confidenza, che si usavano nelle lettere tra Augusti e funzionari (specialmente i senatori), per esempio have... carissi-

me nobis (cfr. CI II 13, 1; VII 62, 9; IX 2, 10; Coll. 1, 10; FIRA 12, n. 92). Mancano riferimenti alle qualità del funzionario, come la gravitas,

la devotio, la sollertia, la sollicitudo, l’experientia, la prudentia (cfr. CI X 10, 1; II 3, 3; V 73, 4; Coll. 15, 3). E assente una formula statutiva con cui l'imperatore introduce talvolta la sua decisione in merito ἃ] quesito postogli dal funzionario, come decernimus, statuimus (cfr. CI II 51,

2; VII 64, 9; IX 9, 27). Nel contenuto non si fa menzione di alcuna procedura processuale, che avrebbe avuto in Asclepiodotus il giudice, né a litterae inviate dal funzionario all' Augusto per sottoporgli la questione risolta nel testo a noi pervenuto (cfr. C/IX 9, 19: ex litteris tuis cogno-

vimus). Il fatto che l'imperatore si rivolga al destinatario con la seconda persona singolare non é tipico soltanto delle lettere ai funzionari, ma anche dei rescritti ai privati (cfr. CI IV 19, 18 a Violentilla, VIH 13, 13 a Matrona, VIII 42, 11 a Capitolina, tre donne, naturalmente destinata-

rie di rescritti privati). Inoltre la materia del consulto, la tutela e il pignus, potevano interessare un prefetto del pretorio, ma non sono di per sé dirimenti, perché non riguardano competenze esclusive di questo funzionario. Non é casuale che l'unica lettera superstite inviata dal collegio degli Augusti e dei Cesari ai prefetti del pretorio (CI X 42, 10) riguardi la riscossione dei munera extraordinaria da parte dei praesides. E molto difficile, dunque, stabilire se i tre documenti degli anni 293294 inviati genericamente a un Asclepiodotus siano lettere destinate al prefetto del pretorio. Non si puó del tutto escludere che i compilatori abbiano a tal punto ridotto una o piü epistole dell'imperatore al prefet-

to da far scomparire qualunque elemento che ricordasse il loro originario aspetto di epistole destinate a un funzionario.

Quanto

si conosce

delle

carriere

di

Hannibalianus

e

Asclepiodotus suggerisce che essi furono attivi come prefetti del pretorio durante una parte consistente del regno congiunto di Diocleziano e Massimiano Augusti. I due personaggi assistettero certamente alla creazione della prima Tetrarchia nel corso del loro incarico prefettizio. L'iscrizione di Oescus rappresenta, però, l'unico documento capace di fissare un termine cronologico all'attività di questo collegio. Un primo elemento che abbia un valore datante per la dedica proviene proprio dall' indicazione del rango dei due dedicanti (lin. 8): entrambi sono indicati come eminentissimi,

che ὃ il titolo spettante ai soli prefetti del pretorio. I due sono quindi membri dell'ordine equestre di cui hanno raggiunto, con la nomina alla massima prefettura, il livello piü alto.

111

Poiché entrambi furono introdotti nell’ordine senatorio con l’accesso al consolato ordinario nell’anno 292, come era nor-

male per due importanti cavalieri versati nella carriera militare, l'epigrafe deve essere stata redatta prima dell’inizio di quell’anno, altrimenti Hannibalianus e Asclepiodotus si sarebbero qualificati come viri clarissimi. Il 1 gennaio 292 è il terminus ante quem della dedica di Oescus. Accanto al rango dei due prefetti, anche l’onomastica di Diocleziano contiene un elemento cronologico importante per la datazione del monumento di Oescus. Nell’epigrafe l’imperatore ha il gentilizio Aurelius (lin. 1), che non sembra, però, aver fatto parte della denominazione originaria dell’ Augusto. C. Valerius Diocles assunse al momento dell'acclamazione a Nicomedia il nome ufficiale di C. Valerius Diocletianus !!. I documenti epigrafici e papirologici sembrano indicare che il gentilizio Aurelius fu premesso al gentilizio Valerius al momento della nomina di Massimiano ad Augusto 12, Il fenomeno trova la sua naturale spiegazione nella relazione di parentela che Diocleziano istituì nel promuovere !! Per il nome di Diocleziano prima dell’assunzione della porpora cfr. Lact., Pers. 9, 11; 19, 5 e 52, 3; Lib., Or. XIX 45 sgg.; Epit., 39, 1. 2 L'assunzione “ritardata” del gentilizio Aurelius fu notata da W. SESTON,

Diocletien et la Tétrarchie, Paris 1946, pp. 39-41; sul problema cfr. X. LoRIOT, Débuts du règne de Dioclétien d’après une inscription trouvée à Ayasofya (Pamphylie), in “BSAF” 1973, pp. 71-75, con le opportune osservazioni di BARNES 1996, p. 536. La documentazione papirologica ed epigrafica degli anni 285-286 è senza dubbio significativa. Nei papiri e nelle iscrizioni dell’anno 285 é sempre assente il gentilizio Aurelius, che compare solo dal 286, quando Dio-

cleziano é affiancato da Massimiano Augusto. Grazie al fatto che i papiri conservano spesso la data della loro stesura & possibile ricostruire agevolmente

il periodo in cui Diocleziano ebbe il solo gentilizio Valerius. Tralasciando 1 papiri datati col solo cognome dell’imperatore, senza gentilizio, i documenti che

ricordano il primo anno di regno di Γάϊος Οὐαλέριος Διοκλητιανός sono: P. Michael. 21, 12-14, datato 10 febbraio 285; P. Oxy. 3295, datato 24-28 agosto 285; P. Princ. Univ. AM 8946, 23-25, edito da H. B. Van HoESsEN e A. C. JoHNsON, Five Leases in the Princeton Collection, in “JEA” 14 (1928), p. 120, n. 3 (=SB IV 7443), datato 30 dicembre 285; P. Oxy. 1456, 4-9, fine 284-inizi 286. Il 31 marzo 286 il papiro BGU IV 1090, col. 4, 34-36, è il pri-

mo documento egiziano in cui i due Augusti hanno entrambi i gentilizi: Γαΐου Αὐρηλίου Obarepiov/AliorAnrilavoo xoi α΄ Μάρκου Αὐρηλίου Οὐαλερίου Μαξιμ]ιανοῦ Σεβαστῶν. In seguito la formula di datazione regale di Diocleziano e Massimiano, quando contiene l'onomastica completa dei due

imperatori; presenta entrambi i gentilizi. Alle stesse conclusioni spingono le iscrizioni risalenti al primo biennio di governo di Diocleziano Augusto; per non appesantire troppo la trattazione si sorvola sull’esame di questo nutrito gruppo

di epigrafi.

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Massimiano alla coreggenza. I due Augusti si consideravano fratelli e vollero rendere esplicito questo legame attraverso l’onomastica. Pertanto assorbirono ciascuno il gentilizio del collega, divenendo C. Aurelius Valerius Diocletianus et M. Aurelius Valerius Maximianus. L'assunzione del gentilizio Aurelius da parte di Diocleziano sembra risalire dunque ai primi mesi del 286, quando Massimiano divenne Augusto 13. Questo avvenimento è anche il terminus post quem dell’iscrizione di Oescus. L'arco cronologico di massima nel quale collocare l'incisione della dedica prefettizia è compreso,

quindi, tra gli inizi del 286 e la fine del 291. Tentare di restringere ulteriormente questo periodo a prima vista non sembra un'operazione agevole, a causa dell'assenza di elementi datanti nella titolatura di Diocleziano. Per un fenomeno che si diffonde dalla metà del III secolo, le de-

diche dei sudditi e dei funzionari ai sovrani tendono a impoverirsi negli attributi magistraturali classici. Cosi la tribunicia potestas

di Diocleziano,

come

talvolta

accade,

anche

quando viene ricordata, ὃ priva di iterazioni 14. Del resto nel caso dell'iscrizione di Oescus non puó trattarsi della prima potestà dell'imperatore, perché l'epigrafe fu incisa quando Massimiano era già stato elevato ad Augusto, promozione che cade durante la terza potestà tribunizia di Diocleziano 15. 13 Il problema della cronologia della nomina di Massimiano a Cesare e della sua successiva promozione ad Augusto ἃ molto dibattuto e di non facile soluzione. Ragioni di spazio non consentono di affrontare in questa sede la questione. Ci limitiamo a collocare i due avvenimenti rispettivamente nell'estate del

285 e nei primi mesi (gennaio-aprile) del 286. Sul problema cfr. la sintesi di F. Kors, Diocletian und die Erste Tetrarchie. Improvisation oder Experiment in der Organisation monarchischer Herrschaft ?, Berlin-New York 1987, pp. 2267, con relative indicazioni bibliografiche, e B. LEADBETTER, "Patrimonium indivisum"? The Empire of Diocletian and Maximian, 285-289, in "Chiron" 28

(1998), pp. 213-228. 14 Per le iscrizioni di Diocleziano e dei suoi coreggenti in cui la tribunicia potestas, pur non essendo la prima, è priva di iterazioni cfr. CIL, I 4104;

CIL,

III 6746; CIL, VI 1117 (cfr. ora CIL, VI, p. 4325); CIL, VII 10367422204 (=ILM 3); CIL, VII 21918; 22099; 22102; ILAlg. 1, 3938; CIL, X 7282; CIL, XII 5572; ILS 639; AE

1973, 540 (su cui cfr. ora BARNES

1996, pp. 535 sg.); AE

1902, 48-ILS 6790; AE 1909, 193 (ZIGRRP 4, 1380). 15 I] rapporto tra potestà tribunizie e acclamazioni imperiali di Diocleziano

e Massimiano è strettamente connesso col difficile problema dell'elevazione di Massimiano a Cesare e ad Augusto. I] confronto tra la documentazione superstite spinge a concludere che fino al 292, e quindi ancora al momento della redazione della dedica di Oescus, ci fossero due potestà tribunizie di differenza tra i due Augusti e che Massimiano divenne Augusto quando Diocleziano rivestiva

113

Anche il consolato dell’imperatore, che, quando compare, di norma è posizionato tra la tribunicia potestas e l'epiteto pater patriae, nel nostro caso, purtroppo, è assente. Tuttavia,

proprio il criterio con cui i prefetti dedicanti hanno dosato gli elementi della titolatura dell’imperatore, spinge a fare alcune osservazioni che consentono, con cautela, di avanzare alcune

ipotesi sulla sua genesi, in relazione al problema, più ampio, della preparazione delle dediche prefettizie collegiali. L'aspetto che maggiormente colpisce nella dedica prefettizia di Oescus è il carattere decisamente neutro della titolatura di Diocleziano, in cui spicca, alla linea 4, 1] cognome Germanicus inciso per esteso. Questo elemento potrebbe essere tutt'altro che secondario,

se esaminato

alla luce della

diffusione dei cognomi di vittoria in età dioclezianea. Grazie all'intitulatio delle costituzioni imperiali conservatesi epigraficamente e ai diplomi militari rilasciati dai Tetrarchi è possibile conoscere la serie ufficiale, cronologicamente ordi-

nata dalla cancelleria di corte, dei cognomi di questi sovrani. I cognomi di vittoria di Diocleziano, Massimiano, Costanzo

e Galerio appaiono numerosi e caratterizzati da molte iterazioni. Tale ricchezza rappresenta una novità rispetto alle titolature degli imperatori precedenti e si spiega con l’estensione a tutti i Tetrarchi del singolo cognome, o della sua iterazione, in virtù della vittoria ottenuta anche da uno solo dei

membri del collegio imperiale. Diversi studi hanno contribuito a spiegare le modalità di assunzione di questi epiteti da parte dei quattro sovrani e a ricollegare l’inserzione, cronologica, dei vari cognomi con gli eventi bellici, che intervennero negli anni 285-306. I risultati sono talvolta discordanti e restano condizionati dallo stato insufficiente delle fonti,

che non consentono di individuare sempre la vittoria che produsse l’assunzione del cognome, o di una sua iterazione, nella titolatura dei quattro imperatori. Tuttavia non sembrano esserci dubbi sul fatto che la serie conservata nei documenti ufficiali di età tetrarchica rifletta l’ordine cronologico delle

vittorie, e che i successi bellici di un membro del collegio

la terza potestà tribunicia. Sul problema cfr. ancora Kors, Diocletian und die Erste Tetrarchie cit. (sopra, a nota 13).

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imperiale, come accennato, incrementassero la titolatura di

tutti i Tetrarchi !6. In sintesi, la serie completa e ufficiale dei cognomi di vittoria desumibile dai documenti tetrarchici, emessi verosimil-

mente dalle cancellerie degli Augusti stessi, è, alla fine dell’anno 301, la seguente: Germanicus (VI per Diocleziano, V per Massimiano, // per i Cesari), Sarmaticus (IV per Diocleziano, ZII per Massimiano, // per i Cesari), Persicus (II per tutti), Brittannicus,

Carpicus, Armenicus,

Medicus, Adiabe-

nicus (senza iterazione per tutti). Questa premessa sulla titolatura ufficiale dei Tetrarchi è necessaria per procedere al confronto col restante patrimonio epigrafico relativo a Diocleziano e ai suoi colleghi. Esso si compone in massima par-

te di dediche di funzionari e comunità civiche ai sovrani e di miliari, e rivela alcuni aspetti interessanti. Innanzi tutto non si sono conservati documenti ufficiali, emessi con sicurezza

dalle cancellerie di corte, che ricordino 1 cognomi di vittoria di Diocleziano e Massimiano unici Augusti (dal 286 al marzo 293). L'adozione dei cognomi di vittoria di questa fase si ricostruisce esclusivamente muovendo dalle iscrizioni ufficiali dell'avanzata età tetrarchica. A fronte di un numero elevato di cognomi

e, soprattutto,

di iterazioni nelle iscrizioni

redatte dai sovrani, si nota una loro scarsissima presenza nel-

le dediche agli imperatori fatte incidere da privati, anche funzionari di alto rango, da comunità civiche o da contingenti

16 Per uno sguardo d'insieme sui cognomi di vittoria delle prime due Tetrarchie, con attenzione alla loro sequenza cronologica, e per il problema, connesso, della ricostruzione delle campagne dei Tetrarchi vd. BARNES 1982, pp. 17-29 e Tables 4-8, con la messa a punto di P. BRENNAN, Diocletian and the Goths, in “Phoenix” 38 (1984), pp. 142-146; A. ARNALDI, La successione dei cognomina devictarum gentium e le loro iterazioni nella titolatura dei primi Tetrarchi, in “RIL” 106 (1972), pp. 28-50; K. A. WonP, Kaisertitulaturen in Papyri aus dem Zeitalter Diokletians, in “Tyche” 4 (1992), pp. 229-231. Per un esame dei documenti emessi dai Tetrarchi, in cui compaiono le sequenze ufficiali

dei cognomi di vittoria, cfr, di recente, D. FEisseL, Les constitutions des Tetrarques connues par l'épigraphie: inventaire et notes critiques, in "AntTard" 3 (1995), pp. 33-53 e Deux constitutions tétrarchiques inscrites à Ephése, in "AntTard” 4 (1996), pp. 273-289. A questa documentazione vanno aggiunti due diplomi militari del 304 e del 306; cfr. G. Forni, /I diploma militare frammentario CIL XVI 157 della prima tetrarchia, in "BIDR", s. 3*, 62 (1959), pp. 247-

266 (=AE 1959, 291), e M. ΒΙΖΖΑΒΕΙ, G. Forni, Diploma militare del 306 d.C. rilasciato ad un pretoriano di origine italiana, in "Athenaeum", n.s., 38 (1960), pp. 3-25 (=AE 1961, 240- Suppl. It., 16, Roma 1998, pp. 140-144, n. 50), con riflessioni sulle incongruenze nelle iterazioni dei cognomi.

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militari. In questo genere di dediche, poi, non compationo

mai le iterazioni, numerose nell’epigrafia ufficiale 17, Inoltre nella titolatura ufficiale dell’ultima fase della Tetrarchia, un

periodo di pace secondo le fonti, le iterazioni dei cognomi bellici tendono a crescere rapidamente !8. Si nota, dunque, un certo scollamento tra la sequenza ufficialmente adottata dai Tetrarchi nell’ordine dei cognomi, quale traspare dai documenti redatti a corte, e i cognomi attribuiti ai sovrani nelle dediche loro poste da privati. In esse non solo si menzionano pochi cognomi, spesso con omissioni o in sequenza diversa da quella ufficiale, ma si inseriscono arbitrariamente cognomi che non fecero mai parte della titolatura ufficiale di Diocleziano e dei coreggenti. Una dedica dei fabri tignarii di Ostia a Diocleziano Augusto (CIL,

XIV 128-ILS 615) posta nel 285 attribuisce all’imperatore i titoli di Brittannicus e Germanicus, mentre Diocleziano e i suoi colleghi assunsero il cognome Brittannicus tutti insieme nel 296 grazie alla vittoria di Costanzo e Asclepiodotus su Allectus. Nel 287 il consolare e corrector Italiae T. Aelius Marcianus dedicò a Firenze un monumento a Diocleziano (CIL, XI 1594) che ha il solo titolo di Germanicus, ma non quello di Sarmaticus, che pure ci si sarebbe aspettati. La stessa cosa accade nell’iscrizione che Septimius Valentio, praeses Raetiae, fece inci-

dere ad Augusta Vindelicorum nel 290 per Diocleziano (CIL, II 5810=/LS 618); in essa l’ Augusto ha i cognomi Germanicus e Persicus, che contrastano con la sequenza ufficiale nota dai documenti di corte dell’età tetrarchica. Oltre alla consueta assenza di ogni iterazione, manca il cognome Sarmaticus, che sarebbe dovuto comparire tra i due; inoltre l’epiteto Persicus entrò a far parte dell’onomastica ufficiale di Diocleziano e dei coreggenti grazie a un’affermazione militare avvenuta dopo la creazione dei Cesari, il 1 marzo 293. Nel 290 Diocleziano non si fregiava ancora a livello ufficiale dell’epiteto Persicus. Il governatore della Rezia operò quindi una scelta a favore di due epiteti che dovevano apparire a lui, e ai fruitori del monumento elevato ad Augusta Vindelicorum nel 290, come i più rappresentativi delle vittorie delΤ᾽ Augusto. Il fatto che il cognome Persicus non compaia nella dedica di Oescus ha fatto fissare il terminus ante quem dell’iscrizione a quell’anno, ma si deve tenere presente che l’inserzione di Persicus appare un’iniziativa di Valentio. Una dedica a Diocleziano elevata a Tingi nel

17 Fanno eccezione tre iscrizioni provenienti da installazioni militari del basso Danubio (CIL, IN 6151=/LS 641; AE 1936, 10; AE 1966, 357), che presentano iterazioni, ma mostrano errori nella serie dei cognomi (vd. oltre nel testo).

18 Cfr. in proposito le osservazioni di FoRNI, 71 diploma militare, e di ARNALDI, La successione citt. (sopra, a nota 16).

116

291-292 da un dedicante ignoto (CIL, VIII 9989—ILM 3=IAM 2, 4) mostra il solo cognome Germanicus, ma né Sarmaticus, né Persicus, evidenziato da Septimius Valentio; sull'iscrizione mauretana cfr. ora R.

REBUFFAT,

La frontiere du Loukos

au Bas-Empire,

in Lixus, Roma

1992, p. 367. La dedica a Diocleziano e Massimiano elevata a Cirta dal

praeses Numidiae Aurelius Maximianus (CIL, VIII 7003=/LAlg. 2, 579) attribuisce ai sovrani la sequenza: [Germ(anicis), Par]thicis o [Germ(anicis), Go]thicis, Persicis, Sarmati[cis maximis], anch’essa per piü aspetti aberrante: Sarmaticus segue anziché precedere Persicus, titolo preceduto a sua volta da un cognome certamente estraneo alla titolatura ufficiale dei sovrani. Altrettanto eccentrica la sequenza proposta nelle dediche elevate dalla città di Gunugu in onore di Diocleziano e Massimiano (e dei Cesari) nel 297 su sollecitazione del praeses Mauretaniae Caesariensis (CIL, VIII 21447-21450): G[ermanico, G]otico, [Sarma]tico, Brit[tannico]. Inversione dell'ordine dei cognomi anche in una dedica romana a Galerio Cesare (CIL, VI 1137) e in una dedica frammentaria del 302 posta dal praefectus classis praetoriae di Miseno (CIL, X 3343). Potrebbe essere corretta la menzione del solo Germanicus in una dedica della città di Nicomedia a Costanzo Cesare console, se il consolato fosse il primo (nel 294, CIL, III 326).

Un gruppo consistente di iscrizioni relative a costruzioni civili e militari furono incise su ordine dei sovrani stessi, ma furono realizzate in loco dai beneficiari dei provvedimenti imperiali. In alcune di esse si alternano sequenze esatte, ma sempre senza iterazioni, e serie alterate di cognomi: CIL, III 22=/LS 617 del 288: Germanici (cfr. anche CIL, III 13578, dello stesso anno); /LS 640 del 294: Germanici, Sarmatici, Persici; AE 1895, 17 del 295: Germanicus, Persicus. Fra queste epigrafi im-

periali si segnala una serie di cinque iscrizioni, dal formulario molto omogeneo, che ricordano la costruzione di importanti fortificazioni militari sul basso corso del Danubio volute dai Tetrarchi, su cui cfr., di recente, M. ZAHARIADE, The Halmyris Tetrarchic Inscription, in “ZPE”

119 (1997), pp. 228-236. Anche in queste iscrizioni imperiali appaiono turbamenti della serie ufficiale dei cognomi: AE 1979, 519 (Donje Butorke): Germanici, Sarmatici, senza iterazioni; CIL, III 6151=/LS 641 (Transmarisca) e AE 1966, 357 (Sexaginta Prista): Germanici V, Sarmatici IV, Persici II, Britannici con iterazioni uniche per tutti e quattro i sovrani, ma sono omessi i titoli Carpici, Armenici, Medici, Adiabenici

connessi con la seconda vittoria persiana; seguono i frammenti dell’i-

scrizione da Halmyris, pubblicati e integrati da M. Zahariade (cit., p. 233): [Germanicis max(imis), Got]hicis max(imis), [Sarmaticis max(imis), Britannicis max(imis)], Persicis [max(imis)], ma l’osservazione della foto consente forse proporre un’integrazione dei frammenti secondo la sequenza ufficiale; infine AE 1936, 10 (Durostorum): Germanici [V, Sarmatici INI, Gothici, [- - -], che mostra l'inserimento di un cognome estraneo alla titolatura ufficiale. A proposito del cognome Gothicus, presente in alcune dediche ai Tetrarchi, ma assente dalla serie

ufficiale nei documenti redatti a corte, appare interessante l’episodio descritto da Lattanzio all’epoca dell’affissione del primo editto anticristia-

117

no a Nicomedia (Pers. 13, 2). Un cittadino indignato strappò il proclama affermando che l’editto sembrava un bollettino di guerra contro i Goti e i Sarmati (irridens diceret victorias Gothorum et Sarmatarum propositas). I Goti, che non figurano ufficialmente fra gli avversari sconfitti dai Tetrarchi, erano sentiti, nel 303, dai cittadini di Nicomedia — e probabilmente di molte altre comunità dell'impero — come uno dei nemici usuali nelle campagne vittoriose di quei sovrani. Più lineare la situazione dei cognomi di vittoria nei papiri di Diocleziano e dei coreggenti. Questi elementi della titolatura compaiono raramente, ma in modo selettivo e uniforme, e sempre senza iterazioni.

Nei papiri è attestato esclusivamente il cognome Γερμανικός per i soli Diocleziano e Massimiano Augusti durante la loro coreggenza: P. Oxy. 2477, del marzo-aprile 288; 1252, II, del 14 settembre 289; P. Stras. I, 29, del 30 settembre 289: P. Oxy. 4121, dell’agosto 289-gennaio 290; 1702, del 10 giugno 290; SB XVI 13059, del giugno 290; P. Oxy. 1208, del gennaio-febbraio 291; 2855, del 4 aprile 291; P. Cornell 18, del 24 luglio 291; P. Oxy. 3136, del 21 giugno 292; 1715, del 25 giugno 292; 2712, dell’agosto 292-marzo 293; SB XI 11153, di datazione incerta. Per la fase della diarchia fa eccezione il solo P. Oxy. 4120, del 1 gennaio 287, che pur essendo datato con i nomi dei due Augusti assegna il cognome Γερμανικός al solo Diocleziano. Con la creazione dei Cesari si aggiunse dapprima il cognome Σαρματικός per i so-

li Augusti: P. Lips. 4 e 5, II, del 10 settembre 293; molto probabilmente P. IFAO I, 9, dell’agosto 293-agosto 294; P. Oxy. 2849, del 19 maggio 296. In seguito, nell'ultima fase della prima Tetrarchia, come acca-

de nelle intitulationes dei grandi editti, anche sui papiri aumentano i cognomi

di vittoria, ma

anche

in questo

caso

senza

iterazioni

e con

qualche confusione rispetto alla serie canonica: SB IV 7338, del gennaio-agosto 300 (solo Diocleziano e Massimiano hanno i titoli Γερμα-

νικός, Σαρματικός, Περσικός, mentre i Cesari ne sono privi); SB XII 10880=P. NYU I, 20=P. Mich. II 636, del gennaio-marzo 302 (Diocleziano e Massimiano Γερμανικοΐῖ, Σαρματικοί, Περσικοί, Βρετταν-

vıxot, Καρπικοΐ, Costanzo e Galerio Περσικοί, Βρετταννικοίΐ, Καρrıkot); P. Thead. 2=P. Sakaon 59, dell'11 marzo 305 (Diocleziano e

Massimiano Tepnavıroi, Σαρματικοί, ᾿Αρμενικοί, Περσικοί, Βρετzavvıroi, Καρπικοί, ᾿Αδιαβηνικοί, Μηδικοί, Costanzo e Galerio solo Γερμανικοί). Il quadro offerto dalla documentazione epigrafica e papirologica mostra una costante incertezza e una sorta di avversione da parte dei sudditi, anche impiegati nella pubblica amministrazione, nell’utilizzo della titolatura bellica dei sovrani di questo periodo, quale è ricostruibile dai documenti ufficiali redatti a corte.

Il contrasto tra la sistemazione ufficiale della cospicua serie dei cognomi di vittoria dei Tetrarchi e l’uso, assai limitato e libero, che ne fecero funzionari e sudditi nelle loro de-

diche potrebbe essere giustificato dall’evoluzione di questa 118

titolatura dall’etä dei Severi in poi. Gli imperatori dei primi due secoli ottenevano vittorie di prestigio al termine di campagne circoscritte nello spazio e nel tempo, e assumevano, celebrando a Roma i rispettivi trionfi, pochi e circostanziati cognomi di vittoria. Il ricordo di queste affermazioni belliche — e con esso dei relativi cognomi — entrava a far parte della memoria delle comunità civili e militari dell’impero fissandosi nel calendario. E per questo motivo probabilmente che i cognomi di vittoria compaiono con frequenza e precisione nelle dediche di funzionari e sudditi dei primi due secoli dell’impero. La situazione mutò nel III secolo. I successori di Severo Alessandro furono quasi costantemente impegnati contro nemici esterni, spesso contro usurpatori. Alle poche grandi spedizioni militari e ai relativi trionfi, ben scanditi nel tempo civico, si sostituì uno stato di guerra continuo, diffuso

e caratterizzato dal rapido alternarsi di vittorie e sconfitte. Le affermazioni militari di sovrani dai regni di breve durata avevano spesso effetti molto limitati e finirono con l’apparire sempre più effimere per gli abitanti dell’impero e, quindi, difficili da fissare nel tempo. Per contro l’instabilità dilagante nell’impero produsse uno sviluppo sensibile proprio degli elementi militari dell’ideologia imperiale 19, Un aspetto caratteristico è costituito dal processo di po-

tenziamento dei cognomi di vittoria. Iniziato alla fine del II

19 A questo proposito si pensi, per esempio, all’iconografta monetale degli Augusti, in cui prevalgono nel III secolo l'abbigliamento militare e la presenza della Victoria. Parallelamente l'iconografia dei Vota Decennalia finisce con l'esaltare l’aspetto della fortuna bellica del sovrano: nell’età di Antonino Pio e Marco Aurelio il clipeus contenente i vota appare ancora circondato dalla corona civica di foglie di quercia, l'onorificenza concessa ad Augusto nel 27 a.C.; nel III secolo il clipeus è invece coronato da foglie d'alloro - attributo del trionfatore — e sorretto da una Vittoria (che fa la sua prima apparizione già con Commodo). All’ideologia del princeps optimus civis 51 è sostituita, attraverso un rapido e significativo slittamento, l’immagine dell’imperatore-condottiero di eserciti. Un’accelerazione in questo senso potrebbe essere stata impressa da Setti-

mio Severo che celebrò congiuntamente trionfo e Decennalia (cfr. Dio LKXVII 1, 3-5). Sul tema della trasformazione ideologica dei vota cfr. P. ΝΈΥΝΕ, Vénus, l’univers et les voeux décennaux sur les reliefs Médicis, in “REL” 38 (1960), pp. 306-322; sull'evoluzione della figura della Victoria nel III secolo, cfr. S. Mac-

GI, La figura di Victoria nelle rappresentazioni di profectio e di adventus di età imperiale, in “Ostraka” 2 (1993), pp. 81-91, in particolare pp. 89 sg. Sulla commistione, nel III secolo, tra adventus, giubileo imperiale e trionfo, con accentuazione della virtù bellica del sovrano, cfr. S. BENOIST, Le retour du prince dans

la cité (juin 193-juillet 326), in “CCG” 10 (1999), pp. 149-175.

119

secolo, sembra aver raggiunto il suo culmine a cavallo tra il ΠῚ e il IV secolo 20. Questi elementi della titolatura, già accresciuti dall’aggettivo maximus, conobbero l’uso delle iterazioni (a partire da Valeriano e Gallieno) e si moltiplicarono con lo sminuzzamento etnico (già da Filippo, ma una spinta in questa direzione la impresse Aureliano): a Parthicus / Persicus si affiancarono Adiabenicus, Armeni(a)cus, Arabicus, Medicus; lonnicomprensivo Germanicus fu ridotto dalla concorrenza di Sarmaticus e Dacicus, poi di Carpicus, Go-

thicus, Alamannicus, in seguito Francicus, Gepidicus, Herulicus, Vandalicus, con una tendenza ancora operante nell’Im-

pero d’Oriente agli inizi del VII secolo. L'aumento di epiteti causò, a partire dal regno di Gallieno, la loro parsa dalle iscrizioni monetali e privò 1 sudditi di un strumento di aggiornamento della titolatura imperiale.

questi scomfacile L’in-

flazione dei cognomi produsse, però, come è logico, una di-

minuzione della loro incisività. All’ipertrofia dei titoli di vittoria si affiancò, probabilmente nel corso del III secolo, una

concreta difficoltà da parte dei sudditi a collegare il cognome a un preciso evento bellico. Questa difficoltà doveva necessariamente acuirsi nel caso in cui le vittorie avvenivano contemporaneamente su più fronti ad opera di diversi sovrani, che è la situazione tipica del periodo 286-305. E possibile, dunque, che in età tetrarchica la corte avvertisse l’esigenza di fissare una sequenza ufficiale dei numerosi cognomi bellici e delle loro iterazioni, mentre i privati, anche funzionari pubblici, nel fare incidere le loro dediche ai sovrani sentissero

come meno significativo il loro uso. La documentazione spinge a ritenere che cittadini e funzionari tendessero a selezionare spontaneamente il cognome (o i cognomi) sentito al momento della dedica come il più rappresentativo. Questa tendenza generale dell’epigrafia di età dioclezianea ci riporta al problema della titolatura di Diocleziano sull’iscrizione di Oescus. All’epoca della redazione dell’iscrizione di Oescus i prefetti del pretorio potrebbero aver evidenziato il cognome Germanicus di Diocleziano in quanto evocativo di una vitto20 Sullo sviluppo e il valore dei cognomi di vittoria nel corso dei secoli HI e IV cfr. di P. KuzissL, Die Siegestitulatur der römischen Kaiser, Göttingen 1969, pp. 174-185; per un panorama completo sulle titolature imperiali del IIT secolo cfr. PEACHIN, Roman Imperial Titulature cit. (sopra, cap. I, a nota 107).

120

ria recente su popolazioni germaniche 21, La menzione del solo cognome Germanicus potrebbe acquistare un rilievo ancora maggiore, se collegata agli altri elementi della titolatura dell’imperatore sul monumento di Oescus. Abbiamo accennato al carattere neutro di questa dedica. In essa manca del tutto l’indicazione del consolato dell’imperatore. Mentre nelle successive dediche prefettizie i titoli magistraturali dei sovrani onorati, come vedremo, sono completamente omessi,

nel nostro caso una parte di essi compare. La mancanza del consolato nell’iscrizione di Oescus potrebbe non essere del tutto casuale. È opportuno prendere in considerazione l’ipotesi che la dedica possa risalire a un anno in cui l’imperatore dalmata non era console in carica. Se essa fosse stata redatta durante uno degli anni consolari dell’ Augusto, sarebbe stato probabilmente più difficile per i prefetti del pretorio tacere questo prestigioso onore e più agevole ricordarlo, se volevano collocare il loro monumento, oltre che nello spazio, anche

nel tempo. Tenuto conto della cronologia di massima della dedica, l’assenza dell’indicazione del consolato potrebbe riportarci agli anni 286, 288, 289, 291. Tra il 20 novembre 288

e il 20 novembre 289 cadeva il quinto anno di regno di Diocleziano. La celebrazione dei Quinquennalia aveva acquisito un'importanza crescente nella seconda metà del III secolo, in

un periodo che aveva conosciuto dinastie imperiali condannate a una breve esistenza 22. Diocleziano festeggiò l’ingres-

2! L'assenza di iterazioni non significa che quella ricordata sulla pietra fosse la prima vittoria germanica di Diocleziano. Se si muove dalla sequenza ufficiale dei cognomi presente nell' intitulatio dell’Editto dei Prezzi, al momento della promozione di Massimiano ad Augusto Diocleziano avrebbe già adottato gli epiteti Germanicus e Sarmaticus, ancora non condivisi dal collega. Ma il titolo Sarmaticus

nella dedica di Oescus,

incisa, come

abbiamo

visto, quando Massi-

miano era già Augusto, non compare. Piuttosto sarebbe opportuno chiedersi, sul-

la scorta della testimonianza delle iscrizioni e dei papiri esaminati in precedenza, se, nei primi anni del regno congiunto di Diocleziano e Massimiano, i due Augusti e le loro cancellerie non abbiano adottato, o privilegiato, il solo cognome Germanicus, mentre la ricca sequenza dei cognomi di vittoria, testimoniati nell'epigrafia ufficiale della tarda età tetrarchica, non sia il frutto di un riassetto delle titolature. In questo senso si veda la serie dei cognomi di Galerio Augusto, testimoniata nel suo famoso editto del 311 (Eus., H. E. VIII 17, 3), dove l'imperatore sembra aver inserito i cognomi Aegyptiacus e Thebaicus tra Germanicus e Sarmaticus: tutto lascia supporre che egli, divenuto Augusto, abbia voluto ritoccare la titolatura adottata in età dioclezianea, celebrando le vittorie da lui conseguite in Egitto molti anni prima, quando era ancora Cesare di Diocleziano. 22 Sul prestigio assunto dai Quinquennalia a partire dalla seconda metà del

121

so nel suo quinto anno alla guida dell’impero, come avrebbe fatto in seguito anche Massimiano, e diede vigore a una tradizione che si perpetuò oltre il suo regno 23, Ma il 288 fu per Diocleziano un anno caratterizzato anche da due avvenimenti notevoli: una vittoriosa spedizione in profondità oltre il limes retico, contro popolazioni che venivano senz'altro raccolte sotto il nome di Germani, e l’incontro con l’altro Augusto, suo fratello Massimiano 24. I due episodi, celebrati dal

panegirico gallico del 289, rappresentarono una significativa novità per il principe, assorbito normalmente dai problemi dell’Illirico e dell’Oriente. La vittoria germanica di Diocleziano, ottenuta oltre il limes, ebbe un’eco notevole e permise

anche uno spostamento in avanti del confine dell’impero. La dedica collegiale di Oescus potrebbe aver visto la luce in occasione dei festeggiamenti per il quinto anno di regno di Diocleziano — del solo Diocleziano, perché Massimiano avrebbe celebrato il suo quinto anno regale non prima degli inizi del 290. Questa ipotesi di datazione permetterebbe di armonizzare quelli che abbiamo rilevato essere i tre elementi caratteristici della nostra iscrizione. a) Il ricordo di un’importante vittoria germanica, quella al di là della Rezia, che

III secolo vd. A. CHASTAGNOL, Les jubilées impériaux de 260 à 337, in Crise et redressement dans les provinces européennes de l'empire (milieu du III*-milieu

du IV* siécle ap. J.-C.), Strasbourg 1983, pp. 14-25; Le feste giubilari (quinquennali, decennali...) degli imperatori da Gallieno a Costantino, in Atti dell'Accademia Romanistica Costantiniana 7, Perugia 1988, pp. 501-513. 23 Non si conoscono emissioni monetarie di Diocleziano e di Massimiano per i loro Quinquennalia, ma ὃ certo che Massimiano Augusto festeggiö il suo quinto anno di regno nel 290. L’oratore Mamertinus, all'inizio del suo panegirico per il compleanno di Massimiano Augusto nel 291, accenna al discorso da lui

composto per i Quinquennalia dell'imperatore e mai pronunciato, e si augura di poterlo riutilizzare per i Decennalia dell' Augusto; cfr. Pan. Lat. 3 (11), 1-3. Sui giubilei di Diocleziano e di Massimiano cfr. S. D’ELIA, Ricerche sui panegirici

di Mamertino a Massimiano, in “AFLN” 9 (1960/61), pp. 179-220; A. CHASTAGNOL, Les années régnales de Maximian Hercule en Egypte et les fétes vicennales du 20 novembre 303, in “RN”, 6° s., 9 (1967), pp. 54-81; Maximien Hercule à Rome, in "BSAF" 1980/81, pp. 183-191 (=Aspects de l'Antiquité Tardive, Roma 1994, pp. 303-308). 24 Sugli avvenimenti del 288-289 cfr. SEsTON, Dioclétien cit. (sopra, a nota

12), pp. 72 sg.; P. BASTIEN, Le médaillon de plomb de Lyon, Wetteren 1989, pp. 3-45. Per la spedizione germanica di Diocleziano nel 288 fondamentale Pan. Lat. 2 (10), 9, 1; l'eco della spedizione anche nel panegirico del 291, Pan. Lat. 3 (11), 5, 4 e 7, 1; per il commento al brano del panegirico del 289 cfr. D’ELIA,

Ricerche sui panegirici cit. (alla nota precedente), pp. 228-237 e 278-288, e NIXON, In Praise cit. (cap. 1, a nota 50), pp. 66 sg.

122

poteva valere al principe il cognome che spicca al centro della dedica fatta incidere dai prefetti Hannibalianus e Asclepiodotus; il titolo sarà stato selezionato secondo i “liberi” criteri di attribuzione dei cognomi di vittoria caratteristici delle dediche poste dai funzionari di questo periodo 25. b) Il silenzio sul consolato dell’imperatore; Diocleziano fu console per la terza volta nel 287, e per la quarta volta nel 290; alla fine

del 288 Diocleziano non era più console da un anno e, in prospettiva, non lo sarebbe stato per un altro anno 26. c) L’occasione di un anniversario imperiale del solo Diocleziano. L’incontro tra Diocleziano e Massimiano avvenuto in Occidente nel 288, e ricordato nel panegirico del 289 insieme alla spedizione germanica, potrebbe essere stato progettato da Diocleziano in previsione dei suoi Quinquennalia, celebrati il 20 novembre 288 27. L'ipotesi che la dedica di Oescus possa aver visto la luce in occasione di un giubileo imperiale — i Quinquennalia di Diocleziano — potrebbe trovare sostegno in un confronto con le altre dediche collegiali, che i prefetti del pretorio offrirono 3 Il patrimonio epigrafico degli anni 285-305, di cui è possibile tentare una datazione, suggerisce che il cognome Germanicus, da solo, trovi una maggiore attestazione nella titolatura di Diocleziano e Massimiano proprio nelle iscrizioni e nei papiri degli anni 287-290; cfr., per esempio, CIL, III 22=ILS 617; CIL,

III 4826; CIL, III 13578; CIL, ΧΙ 1594 (per i papiri vd. sopra). 26 Alla fine del 288, all'epoca dei Quinquennalia, certamente già si conoscevano i nomi dei consoli dell'anno successivo, i senatori Magrius Bassus e Ragonius Quintianus. 27 Mamertinus, nel suo panegirico a Massimiano Augusto recitato a Trevi-

ri 11 21 aprile 289, definisce l’incontro e la vittoria di Diocleziano come avvenimenti conclusisi da non molto tempo (nuper). Essi potrebbero quindi risalire all'autunno del 288 e coincidere con i Quinquennalia di Diocleziano. Il silenzio sulla ricorrenza si spiega con la volontà dei panegiristi di porre gli Augusti fratelli, Diocleziano

e Massimiano,

su un piano di parità. In un discorso in onore

di Massimiano l'oratore si sentiva autorizzato a sorvolare sulla recenziorità della nomina dell' Augusto, tacendo dei Quinquennalia di Diocleziano ed esaltando soltanto la gloria bellica che circondó i due sovrani al momento del colloquio. I successi militari nel comune impegno per la difesa del mondo romano in un certo senso livellavano le differenze tra i due Augusti; cfr. in proposito, ultimamente, M. CHRISTOL, Le métier d'empereur et ses représentations à la fin du II° et au début du IV* siècle, in “CCG” 10 (1999), pp. 355-368. Il conloquium

del 288 potrebbe essere stata la prima occasione che Diocleziano e Massimiano ebbero di incontrarsi dopo l’investitura di Massimiano Cesare nel 285. Se l’incontro coincise con 1 Quinquennalia, il 20 novembre di quell'anno, esso potrebbe essere avvenuto in una delle residenze vicine alla Rezia e alle Gallie, for-

se a Milano. E possibile che in quell'occasione i prefetti del pretorio fossero con i loro Augusti.

123

ai sovrani nel cinquantennio successivo. Certi elementi caratteristici di questa categoria di monumenti iscritti compaiono, infatti, giä nell’iscrizione di Oescus. Motivi di chia-

rezza espositiva suggeriscono pertanto di anticipare alcune conclusioni che sono frutto delle analisi svolte nei capitoli seguenti. La titolatura di Diocleziano mostra, come notammo, un carattere neutro e uniforme, che anticipa la scomparsa della

titolatura nelle altre dediche prefettizie collegiali note, sempre prive degli attributi magistraturali. L’epigrafe di Oescus, con l’indicazione del pontificato massimo, del cognome Germanicus, della tribunicia potestas e del proconsolato, presenta tratti di arcaismo che saranno ben presto eliminati nelle successive dediche prefettizie. Immediatamente dopo la dedica di Oescus, infatti, le titolature degli imperatori cele-

brati nelle iscrizioni decretate loro dai prefetti del pretorio tendono a scomparire del tutto. Gli autori di queste iscrizioni hanno preferito lodare le qualità umane e regali dell’imperatore onorato. E una scelta che si inquadra nella tendenza, tipica dell’epigrafia imperiale tardoantica, a privilegiare l'esaltazione delle virtù personali dell’imperatore, il suo carisma. Naturalmente questo patrimonio innato di ciascun sovrano tendeva a sfuggire a una precisa fissazione nel tempo. I prefetti della prima metà del IV secolo hanno celebrato la nascita divina, la clementia, la providentia, la pietas, l’aeternitas, la doctrina e il iudicium, 11 desiderio di pace, l’eccel-

lenza in tutte le virtù, che appartenevano ab aeterno all’imperatore e avevano avuto modo di manifestarsi per il bene comune con l’elevazione, diis auctoribus, del prescelto alla

porpora. Educati alla teologia del potere imperiale quale si era sviluppata nel corso del III secolo, i prefetti del pretorio di questa fase hanno voluto celebrare l’ Augusto o il Cesare esaltandone le doti e le virtù connesse con una guida sapiente della cosa pubblica. E, quindi, nella persona dell’ Augusto o del Cesare e nella prima manifestazione della sua regalità — il suo dies imperii — che andrà cercata l’occasione delle onorificenze prefettizie. Se la dedica di Oescus venne fatta redigere dai prefetti del pretorio per il solo Diocleziano all'epoca dei suoi Quinquennalia, potrebbe sorprendere l’assenza di qualunque accenno sulla pietra alla celebrazione di quell’anniversario. Ma nelle dediche prefettizie collegiali manca sempre qualunque 124

riferimento

ἃ ricorrenze ufficiali. Per almeno

due dı esse,

però, è estremamente probabile che furono fatte redigere dal collegio dei prefetti del pretorio, in più esemplari paralleli, per i Vicennalia di Costantino II Cesare, celebrati il 1 marzo 336. Grazie a un fortunato e recente ritrovamento avvenuto nel Museo di Antiochia, si possiedono due esemplari — che,

per comodità, definiamo gemelli — di una stessa dedica prefettizia elevata, appunto, a Costantino II Cesare. Si tratta di

un'epigrafe africana, proveniente da Tubernuc, redatta in latino, e di una siriana, rinvenuta appunto ad Antiochia, redat-

ta in greco 28, Entrambe sono prive del ricordo della solennità, ma per gli onori al solo Costantino II Cesare e per la cronologia delle carriere dei prefetti dedicanti sono riconducibili, con un buon margine di sicurezza, ai Vicennalia del Cesare. Questo dato invita ad approfondire la riflessione sulle finalità che si prefissero 1 prefetti che decretarono le dediche collegiali. Nell'affrontare l'esame dei monumenti prefettizi collegiali si ha generalmente la tendenza a concentrare l'attenzione sulle personalità dei prefetti dedicanti. Questa scelta é dettata, naturalmente, dalle esigenze della ricerca sulla storia amministrativa e sociale dell'impero. L'atteggiamento è giu-

stificato in parte anche dal fatto che di ogni monumento prefettizio è giunta a noi solo l’epigrafe, e il testo iscritto diventa l'oggetto unico delle osservazioni degli studiosi. Ma non si dovrebbe mai trascurare il fatto che gli sguardi degli osservatori antichi si fissavano prima di tutto sul vero fulcro dell'opera fatta realizzare dai prefetti: la statua del sovrano. Lo scopo per cui il collegio prefettizio decretava 11 monumento era, infatti, la celebrazione dell' Augusto o del Cesare.

L'elenco dei nomi dei dedicanti nell'epigrafe cosütuiva naturalmente un elemento celebrativo anche per i prefetti, ma non c'é dubbio che il protagonista del monumento fosse il sovrano. A questo proposito & interessante notare che nelle iscrizioni prefettizie collegiali i prefetti del pretorio non esaltarono mai contemporaneamente nello stesso monumento Augusti o Cesari che avessero dies imperii differenti. Nell'unico

caso in cui questo si verifica 1 prefetti del pretorio 51 sono premurati di specificare nel testo l'occasione, speciale, della 28 Su queste due importanti dediche collegiali e sulle loro leggere differenze vd. oltre cap. IV, $4.

125

dedica 29. Il fenomeno merita attenzione. Tutto fa il collegio prefettizio decretasse la costruzione mento al sovrano in occasione di una ricorrenza deva o ricordava il dies imperii dell’imperatore,

pensare che del monuche coincidel Cesare,

o dei Cesari (nel caso in cui la loro elevazione fosse stata si-

multanea). Se gli onori decisi dal collegio prefettizio fossero indipendenti dal ricordo dell’investitura del sovrano, avremmo potuto incontrare dediche collegiali all’intera famiglia imperiale, per esempio a Diocleziano e Massimiano Augusti, eventualmente accanto ai loro Cesari, o, a Costantino e ai

suoi figli, o a Costanzo II e Costante Augusti. Una simile manifestazione di fedeltà dei prefetti del pretorio all’intera dinastia sarebbe, anzi, ampiamente comprensibile e giustificata. Ma questo non accade mai nelle iscrizioni prefettizie collegiali, benché esse siano state tutte redatte in un periodo — il cinquantennio che va da Diocleziano a Costanzo II e Costante — in cui furono attivi sempre collegi imperiali composti da più sovrani. I dati presi in esame confermano che l’occasione delle dediche prefettizie, frutto di una decisione collegiale, difficilmente potrebbe essere immaginata come svincolata da una ricorrenza specifica del sovrano onorato: la più probabile è la celebrazione del suo dies imperii, o di una ricorrenza legata a quel fatidico giorno (Quinquennalia, Decennalia, Vicennalia).

Riguardo alle occasioni da cui scaturirono le dediche prefettizie collegiali, ogni alternativa a quanto finora ipotizzato appare difficilmente sostenibile. Si potrebbe pensare a monumenti fatti realizzare dai prefetti del pretorio, per esempio, per la formazione o il congedo del collegio prefettizio dedi-

2 Nell’iscrizione di Tropaeum Traiani (vd. cap. III, ὃ 4), elevata in onore di

Costantino e Licinio Augusti, l'occasione che ha spinto i prefetti del pretorio a realizzare il monumento è stata la ricostruzione della città della Scizia e del limes contiguo, a conclusione di operazioni militari sul basso Danubio. I prefetti hanno avuto cura di specificare l'occasione nella dedica. Il dies imperii di Costantino è il 25 luglio 306, quello di Licinio l' 11 novembre 308, ricorrenze che

non possono in nessun modo coincidere. Diverso il caso dell' iscrizione prefettizia di Efeso in cui sono onorati esplicitamente, secondo la nostra ipotesi rico-

struttiva, Crispo Cesare, e, implicitamente, Licinio II e Costantino II Cesari (vd. sotto, cap. III, $ 4). A Efeso i prefetti del pretorio hanno celebrato sullo stesso

monumento i giovani principi, ma, al pari di quanto accade con tutte le altre dediche prefettizie collegiali, non hanno sentito il bisogno di specificare l’occasione dell'onorificenza, perché i tre Cesari avevano lo stesso dies imperii (il 1 marzo 317).

126

cante. Ma quest’ipotesi contrasta col fatto che 1 prefetti del pretorio sono sempre 1 collaboratori degli Augusti, da cui sono nominati e congedati, mentre alcune dediche prefettizie sono state elevate in onore di Cesari, che non avevano alcun

potere riguardo alla creazione o alla dimissione del prefetto del pretorio 3°, La storia amministrativa dell'impero in questo senso non lascia spazio a dubbi: i prefetti del pretorio dipendono sempre e soltanto dagli Augusti. Appare illogico che il collegio prefettizio per celebrare la sua costituzione elevasse monumenti a sovrani, i Cesari, che non avevano al-

cuna relazione con la nomina o il congedo dei prefetti del pretorio. Inoltre i collegi prefettizi potevano variare anche con relativa frequenza, dal momento che il mandato di ogni prefetto non fu mai vincolato da alcuna scadenza cronologica, ma solo dalla volontà dell’ Augusto.

E in età costantinia-

na i collegi dei prefetti del pretorio saranno composti, come vedremo, anche da cinque titolari alla volta, nominati e congedati certamente in date diverse. I numerosi avvicendamenti, che provocarono la frequente formazione di nuovi collegi,

anche tenendo conto della casualità dei rinvenimenti epigrafici, avrebbe dovuto provocare una moltiplicazione delle dediche prefettizie collegiali, che invece non

subiscono

alcun

incremento. D'altra parte la nomina e il congedo di ciascun prefetto del pretorio riguardava, a rigore, direttamente il funzionario e solo secondariamente il collegio nel suo insieme.

La realizzazione di un monumento al principe a titolo personale appare la risposta più adeguata del singolo funzionario per ricordare la sua promozione alla massima prefettura. Gli altri magistrati e funzionari civili e militari dell’impero offrivano simili omaggi nella sede della loro circoscrizione amministrativa. Sembra escluso che i prefetti del pretorio decretassero collegialmente i monumenti ai sovrani per ricordare un incontro tra i prefetti stessi o tra sovrani. La scoperta delle iscrizioni gemelle per Costantino II Cesare, in Africa e in Siria — ambiti amministrativi del tutto diversi — invita a respingere la possibilità che l’occasione della dedica sia scaturita da un contatto diretto dei prefetti del pretorio in una determinata città, e spinge a ipotizzare un criterio di distribuzione 30 Cfr. le iscrizioni di Brescia ($ sg.), di Efeso (cap. II, ὃ 4), di Tubernuc e

di Antiochia (cap. IV, ὃ 4).

127

delle dediche prefettizie svincolato dalla presenza del prefetto nella cittä dove la dedica fu elevata. Inoltre, come vedre-

mo tra breve, alcune cittä che ospitarono nei loro spazi pubblici questo genere di monumenti appaiono caratterizzate dal fatto di non essere affatto rilevanti dal punto di vista politico: esse non furono mai residenze amministrative dei prefetti del pretorio, né dei sovrani. Quanto si conosce degli spostamenti degli imperatori in coincidenza con le date di preparazione delle dediche prefettizie non suggerisce alcun legame certo tra le città scelte per elevare i monumenti prefettizi e gli itinera principum ?\. Sembra esclusa, infine, anche la possibilità che le dediche collegiali fossero elevate in occasione di particolari successi bellici, perché nessuna città interessata dalla loro realizzazione fu in quegli anni teatro di operazioni militari e perché nell'unico caso in cui questa congiuntura si è verificata i prefetti del pretorio si sono premurati di specificarlo nel testo dell’epigrafe 32. Anche l’aspetto della collegialitä delle dediche prefettizie deve essere tenuto nella giusta considerazione. La genesi di questi monumenti è frutto di un’iniziativa congiunta. I particolari della consultazione tra i prefetti in merito alla costruzione degli onori sfuggono 33. Ma l’ipotesi che dietro ogni dedica prefettizia collegiale ci fosse una reale decisione unanime dei prefetti del pretorio è avvalorata dal testo delle epigrafi stesse e dal fatto che nelle fasi di tensione o di con3 Per limitarci al caso delle dediche prefettizie gemelle di Tubernuc e Antiochia, è certo che nessun sovrano dopo Massimiano Erculio soggiornò in Africa Proconsolare. All’epoca della redazione dell’iscrizione di Tubernuc non c’era nessun principe costantiniano in Africa. Parimenti ad Antiochia risiedette Costanzo II Cesare verso la fine del regno di Costantino, ma la dedica di Antiochia fu elevata per suo fratello Costantino II Cesare. La sua costruzione appare del tutto svincolata dalla presenza di un determinato sovrano nella città. 32 Escluse forse Oescus e Traiana, le città di Brescia, Efeso, Tubernuc e An-

tiochia non sembrano essere in alcun modo collegate con le guerre dei sovrani del periodo 293-342; certamente non ospitarono episodi bellici all'epoca delle

redazioni delle dediche prefettizie rinvenute nei loro spazi urbani. Nelle dediche prefettizie collegiali il silenzio sulle imprese militari dei diversi sovrani è tota-

le, a differenza, come notammo, dell’iscrizione di Tropaeum Traiani (vd. sopra, nota 29, e cap. IMI, $ 4). Quanto alla dedica di Oescus, se il cognome Germani-

cus che spicca nella titolatura è connesso con le recenti imprese di Diocleziano, ben difficilmente ]' Augusto avrebbe potuto fregiarsi di quel cognome per vittorie ottenute nella zona di Oescus, allora nella provincia di Dacia Ripensis. 33 Sul problema della genesi delle dediche prefettizie collegiali vd. sotto, cap. IV, $4.

128

flitto fra più Augusti mancano, stando alla documentazione superstite, questo genere di dediche. Nei periodi di ostilità tra imperatori i singoli prefetti del pretorio dei diversi sovrani hanno onorato ciascuno esclusivamente il rispettivo Augusto 34. Questo comportamento appare giustificato dalla situazione politica. I prefetti del pretorio di due sovrani rivali, o addirittura in guerra tra loro, non potevano pensare di procedere alla realizzazione collegiale di un monumento a uno dei due imperatori nemici. Gli elementi esaminati inducono, quindi, a collegare a una ricorrenza legata al dies imperii del sovrano onorato la decisione comune dei prefetti del pretorio di realizzare monumenti a nome del collegio prefettizio, e a collocare questa iniziativa in un orizzonte di concordia politica. Una riflessione merita il luogo di rinvenimento della dedica danubiana. Come accennato, la cittadella militare di Oe-

scus non sembra avere meriti speciali per possedere, essa sola, una simile dedica a Diocleziano, soprattutto se si considera che il monumento fu offerto non dalla comunità civica,

ma dai prefetti del pretorio 35. Se la dedica fosse stata ritrovata a Nicomedia, ad Antiochia, a Sirmium, a Treviri o a Mi-

lano, residenze privilegiate di Diocleziano e Massimiano Augusti e, verosimilmente, dei rispettivi prefetti del pretorio, si sarebbe potuto pensare a una scelta dei prefetti finalizzata alla celebrazione dell’imperatore e dei suoi più stretti colla-

3 Su questa prassi vd. cap. sg., pp. 188, 280-282.

35 La città di Oescus fu importante principalmente per la sua posizione strategica. Sita alla confluenza tra l’omonimo fiume e il Danubio, nella provincia di

Mesia Inferiore, costituì un naturale avamposto sul fiume fino alla creazione

traianea della provincia di Dacia. Un cambiamento nella vita di Oescus dovrà essere ipotizzato, anche in assenza di fonti chiare, nel momento

in cui Aurelia-

no abbandonò la Dacia: la città fu inserita nella nuova provincia cis-danubiana della Dacia Ripensis e tornó a essere uno stanziamento militare di confine. Nella sostanza, peró, Oescus restó una città di dimensioni e d'importanza minori rispetto alle vicine città dell'entroterra: Serdica, Filippopoli, Ratiaria (capoluoghi di province), forse anche meno significativa di Nicopoli all’Istro e di Marciano-

poli. Per un inquadramento storico e geografico di Oescus cfr. C. M. DANOFF, Oescus, RE XVII/2, coll. 2033-2038; B. Gerov, Nouvelles données sur le début

de l'histoire d'Oescus, in Beitrdge zur Geschichte der rómischen Provinzen Moesien und Thrakien, Amsterdam 1980, pp. 1-21; V. VELKov, Cites in Thrace and Dacia in Late Antiquity, Amsterdam 1977, con vari riferimenti alla città, e

Thrace and Lower Moesia during the Roman and Late Roman Epoch, in “Klio” 63 (1981), pp. 473-483 (=Geschichte und Kultur Thrakiens und Mösiens. Ge-

sammelte Aufstze, Amsterdam 1988, pp. 139-150).

129

boratori nel cuore di quelle capitali, ma Oescus rappresenta una sede eccentrica. Questa dedica evidenzia un’altra carat-

teristica comune ad una parte consistente delle dediche prefettizie collegiali: la scarsa rilevanza strategico-amministrativa e la mediocre importanza di alcune città in cui questi monumenti furono elevati. Oescus condivide con Brescia, Tubernuc e Traiana Augusta, città che ospitarono dediche prefettizie, la caratteristica di non essere sede imperiale, né prefettizia, né capoluogo di provincia. La stessa città di Efeso, che ha restituito un’epigrafe prefettizia, pur vantando un glorioso passato, dall’età tetrarchica era il capoluogo di una provincia, l’ Asia, che aveva visto il suo territorio drasticamente ridotto, e che appare fuori dal circuito delle grandi re-

sidenze tardoantiche. Torneremo su questo problema a proposito dell’analisi dell’iscrizione di Traiana 36. Per il momento si propone, con cautela, di considerare la ridotta impor-

tanza della città di Oescus come un indizio a favore della possibilità che la nostra dedica prefettizia sia solo l’esemplare superstite di una serie di monumenti decretati da Hannibalianus e Asclepiodotus, e destinati, probabilmente,

a più

ampia diffusione. L’eccentricitä rispetto alle sedi e agli itinerari dei comitatus imperiali di età dioclezianeo-costantinina delle città che ospitarono delle dediche prefettizie collegiali contribuisce a evidenziare l'originalità di queste testimonianze monumentali all’interno del vasto panorama dell’epigrafia in onore degli imperatori. Le realizzazioni in onore di sovrani decretate dalle comunità cittadine, dai corpora e dai collegia, da grandi e piccoli contingenti militari, o quelle fatte elevare dai diversi funzionari dell’amministrazione civile e militare, sono per lo più il risultato di una decisione presa nel luogo in cui venne costruito il monumento, e questo luogo coincide con la residenza o l’area di competenza dei dedicanti. Per le iscrizioni prefettizie collegiali è necessario immaginare un percorso ge-

netico più complesso. La distanza che separa tra loro i prefetti dedicanti al momento della progettazione del monumento e della stesura del testo dell’iscrizione, così come la distribuzione delle dediche in città diverse dall’effettivo luogo di residenza dei prefetti isolano questa categoria di monumenti dal

36 Vd. sotto, cap. IV, $ 4, pp. 490-496.

130

resto delle onorificenze elevate normalmente agli imperatori. Proprio la lontananza fisica tra i singoli prefetti dedicanti, e tra questi ultimi e i monumenti da loro decretati, rappresenta una peculiarità di queste realizzazioni onorarie. Si tratta di una caratteristica significativa. Essa presuppone ed esalta al tempo stesso la concordia e la compattezza del collegio prefettizio, e sottolinea la fisionomia collegiale del monumento,

soprattutto in quegli spazi urbani non immediatamente riconducibili alla presenza dei prefetti del pretorio. Concludiamo tornando ai prefetti dedicanti dell’iscrizione di Oescus. Nel testo della dedica il nome di Afranius Hannibalianus precede quello di Iulius Asclepiodotus. Questa disposizione non è casuale, ma risponde al criterio gerarchico che regolò l’ordine di enumerazione dei prefetti del pretorio dall’istituzione della carica fino alla fine del IV secolo. Il prefetto nominato prima alla massima prefettura precede sempre, nel protocollo di qualunque documento relativo al collegio prefettizio, il collega nominato più tardi 37. Possiamo essere certi, dunque, che Hannibalianus aveva una maggiore anzianità di servizio rispetto ad Asclepiodotus. Tale preminenza è confermata,

come

si vedrà nel paragrafo se-

37 Sul criterio gerarchico che regola l’ordine di enumerazione dei prefetti del pretorio cfr. CHAsTAGNOL 1968, pp. 334-337 (=pp. 192-195), e 1986, p. 272

(7p. 91), con problematiche riprese da D. FEISSEL, Inscriptions inédites du Musee d’Antioche,

I, Une dédicace en honneur de Constantin II César et les pre-

fets du prétoire de 336, in “T&MByz” 9 (1985), p. 428, e approfondite in Praefatio cit. (sopra, a nota 3), pp. 437-464, e in L'ordonnance du préfet Dionysius inscrite à Mylasa en Carie (1* aoüt 480), in "T&MByz" 12 (1994), pp. 263297. Quando il collegio prefettizio era composto da due membri, il prefetto di

nuova nomina occupava il secondo posto nell’ordine di enumerazione dei titolari, dopo il collega in carica (nei casi di nomina contemporanea di due prefetti

probabilmente la precedenza spettava al funzionario anagraficamente più anziano). Quando, poi, in età costantiniana, come vedremo, i prefetti del pretorio furono cinque in carica contemporaneamente, il neo-titolare vedeva il suo nome inserito al quinto posto nell'elenco dei membri del collegio. FEissEL, Praefatio cit., ha dimostrato che questo criterio venne sostituito da una gerarchia ‘a base geografica' agli inizi del V secolo, quando ormai si erano radicate da tempo nel territorio dell'impero le prefetture regionali tardoantiche: l'ordine di enumera-

zione dei membri del collegio prefettizio nel V e VI secolo si costrui non in base all'anteriorità della nomina alla prefettura del singolo prefetto, ma in base all'importanza che si attribuiva, nell'una e nell'altra pars, alle diverse prefetture (lo stesso criterio invest, dal 421, la datazione mediante i consoli ordinari, che

appaiono disposti in ordine inverso nelle due partes: in Oriente precede il console orientale, in Occidente l'occidentale).

131

guente, dall’ordine di enumerazione dei dedicanti della successiva dedica collegiale di Brescia. E logico dedurre che Hannibalianus sia stato nominato prefetto del pretorio prima del collega 38, Purtroppo, anche se si accetta l’ipotesi di una datazione della dedica di Oescus nel periodo novembre 288novembre 289, anno dei Quinquennalia di Diocleziano, non

è possibile fissare con sicurezza le date di promozione dei comandanti Hannibalianus e Asclepiodotus alla prefettura del pretorio. Abbiamo, comunque, alcuni punti fermi su cui è opportuno riflettere. Massimiano divenne Augusto nei primi mesi del 286. In virtù di tale promozione il nuovo Augusto poté avvalersi immediatamente della collaborazione di un suo prefetto del pretorio. Dal 286 al 305 dobbiamo quindi attenderci la presenza costante di due prefetti del pretorio attivi nell'impero, uno accanto a ciascuno dei due Augusti, che è esattamente la situazione testimoniata dalla dedica di Oescus. Il prefetto del pretorio Ti. Claudius Aurelius Aristobulus, possibile predecessore di uno dei due dedicanti di Oescus, è già titolare del

proconsolato africano nel 290. Abbiamo visto che il suo passaggio dalla prefettura al proconsolato potrebbe essere anteriore al 290. Se la nostra ipotesi di ancorare la dedica di Oescus al Quinquennalia di Diocleziano fosse esatta, Aristobu-

lus sarebbe stato congedato dalla prefettura del pretorio prima del novembre 288, poiché egli non compare nel collegio dei prefetti dedicanti del monumento rinvenuto nella città danubiana. Iulius Asclepiodotus fu artefice, insieme a Costanzo Cesare, della riconquista della Britannia nel 296. Il

dato spinge a ritenere che egli fosse il prefetto del pretorio di Massimiano, perché è estremamente probabile che I’ Augusto affidasse un’azione bellica così difficile — si pensi ai precedenti fallimenti dello stesso Massimiano contro Carausius — al prefetto che aveva maggiore familiarità con il teatro bellico, maggiore conoscenza del nemico, e che godeva della completa devozione delle truppe scelte per la missione. Ne consegue che Afranius Hannibalianus fu il prefetto del pretorio di Diocleziano. Nel capitolo precedente abbiamo avanzato l’ipotesi che Diocleziano, rimasto unico Augusto nella

38 Nell’eventualità, remota, di una nomina simultanea dei due funzionari, Hannibalianus sarebbe il prefetto più anziano.

132

primavera del 285, possa essersi avvalso, prima della promozione di Massimiano ad Augusto (gennaio-aprile 286), della collaborazione di due prefetti del pretorio. Egli avrebbe potuto affiancare, con inusitata clemenza, Aristobulus, il

prefetto del rivale, all’eventuale prefetto del pretorio, da lui verosimilmente nominato all’indomani dell’acclamazione di Nicomedia 39. Se, infatti, volessimo vedere in Aristobulus 1]

primo e unico prefetto del pretorio di Diocleziano nel 285, dovremmo immaginare che l’imperatore, dopo l’uccisione di Aper, prefetto del defunto Numeriano, non avesse nominato alcun prefetto prima dell’incerto scontro con Carino, cosa che è possibile, ma improbabile. La testimonianza di Aurelio Vittore sulla generosità di Diocleziano nel cooptare nel suo comitatus il prefetto del nemico sembra invece meglio contestualizzata, da un punto di vista istituzionale, se pensiamo

all'ampliamento del collegio prefettizio a due membri nel 285, in un momento in cui c'era un solo Augusto in carica. E certo, peró, che, con la promozione di Massimiano ad Augusto, Diocleziano, poté conservare uno solo dei suoi prefetti

del pretorio, perché il secondo posto nel collegio prefettizio spettava, da quel momento,

al prefetto di Massimiano.

E,

quindi, possibile che Diocleziano abbia congedato Aristobulus dalla prefettura del pretorio nei primi mesi del 286, tenendo accanto a sé il prefetto da lui nominato subito dopo l'elevazione di Nicomedia. Secondo l'ordine di enumerazione dei prefetti testimoniato dalla dedica di Oescus, sarebbe possibile ipotizzare, con prudenza, che Afranius Hannibalianus e Iulius Asclepiodotus — due ufficiali che avevano percorso, come 1 sovrani, un’eccellente carriera sotto Aureliano

e Probo — siano stati i prefetti del pretorio, rispettivamente di Diocleziano e di Massimiano, a partire dalle loro rispettive elevazioni ad Augusti. 3. L'ISCRIZIONE

DI BRESCIA

E ALTRI

TESTI:

SULLA

SERIE

DEI

COLLEGI PREFETTIZI DI ETÀ TETRARCHICA

La dedica prefettizia collegiale di Oescus mostra che durante la diarchia di Diocleziano e Massimiano ciascuno dei

due Augusti ebbe un prefetto del pretorio nel suo comitatus.

39 Vd. sopra, cap. I, pp. 74 sg., e 88 sg.

133

Sul numero dei prefetti del pretorio dopo l’investitura, il 1 marzo 293, di Costanzo e Galerio Cesari, invece, c’è stata a

lungo una notevole incertezza. Gli studiosi si sono chiesti se in età tetrarchica i Cesari avessero avuto anch'essi i loro prefetti del pretorio, e, dunque, se il collegio prefettizio fosse

stato portato, dal 293, a quattro membri. La questione ha attraversato tutta la storia degli studi sull’amministrazione romana tardoimperiale, con riflessi importanti sulla percezione delle origini della prefettura del pretorio tardoantica. L'indagine fu impostata da 1. Godefroy. Convinto della moltiplicazione dei prefetti del pretorio in età tetrarchica, egli collegò la presenza e l’azione di ciascun prefetto, nel quarto di impero destinato al suo sovrano, con la regionalizzazione della prefettura del pretorio 4°. La ricostruzione gotofrediana si affermò nella storiografia del XVIII e del XIX secolo. In una serie di contributi apparsi tra la fine dell’ Ottocento e i primi vent'anni del Novecento, O. Seeck sostenne,

con nuovi argomenti — soprattutto grazie ai risultati delle ricerche sul Codice Teodosiano, confluiti nei Regesten — l’esistenza di una stretta relazione tra la presenza di prefetti del pretorio accanto ai Cesari, tetrarchici e, soprattutto, costantiniani, e la nascita delle prefetture regionali tardoantiche 4!. La ricostruzione di Seeck ha influenzato, direttamente o in-

direttamente, tutte le ipotesi sull’origine della prefettura del pretorio tardoantica formulate successivamente 42. L’influsso è stato diretto su quegli studiosi che hanno accettato l’idea dell’esistenza di prefetti del pretorio dei Cesari, e della con-

seguente creazione di prefetture regionali nelle loro aree di

40 Cfr. 1. GODEFROY, Codex Theodosianus cum perpetuis commentariis (da consultarsi nell’edizione curata da J. Ritter), vol. II, Leipzig 1737, p. 236 (commento a CTh VI 35, 5 del luglio 328, con svalutazione dell’importante notizia di Zosimo, Π 32, su cui vd. sotto cap. IV, $ 5). 41 Cfr. O. SEECK, Zur Echtheitsfrage des Scriptores Historiae Augustae, 1. Gardepräfektur und Magisterium Militum, in “RhM” 49 (1894), pp. 210-215; Geschichte des Untergangs der antiken Welt, II, Verwaltung des Reiches, Berlin 1901, pp. 62-70, in particolare pp. 64, 68-70 (Stuttgart 1921 2, pp. 62-73; con note alle pp. 505-512); Anhang zum zweiten Band della Geschichte des Untergangs der antiken Welt, Berlin 1902, p. 505; Die Reischspräfektur des vierten Jahrhunderts, in “RhM” 69 (1914), pp. 1-39, in particolare pp. 28-37; 1919, pp. 142 sg. Sulla posizione di Seeck vd. sotto, cap. IV, pp. 358-363.

4 Per una sintesi sulla storia degli studi sulle origini della prefettura del pretorio tardoantica, dopo l'ipotesi seeckiana, cfr. MigL, pp. 11-21.

134

competenza 9. Indiretto su quegli studiosi che hanno seguito la tendenza inaugurata dalla risposta, critica, di Th. Mommsen alle tesi di Seeck *. Nel 1901, infatti, Mommsen ritenne

opportuno fare il punto sulla controversa questione e, prendendo

le distanze

dall'interpretazione

seeckiana,

sostenne

che la nascita della prefettura del pretorio regionale non avesse alcun legame con l'investitura dei Cesari tetrarchici e costantiniani. Egli propose, con cautela, che il radicamento territoriale della prefettura del pretorio non fosse anteriore ai regni di Costanzo II e Costante, e potesse risalire, probabil-

mente, a un' iniziativa di questi due imperatori. Dell' ipotesi mommseniana ὃ stata ripresa e sviluppata di recente, in modo piü o meno consapevole, l'idea che l'istituzione della prefettura del pretorio regionale non sia anteriore alla scomparsa di Costantino ^. Come si vedrà, le scoperte epigrafiche avvenute negli ultimi anni impongono un riesame del problema. I risultati di questa analisi invitano ad abbandonare sia le ipotesi di Seeck, sia quelle di Mommsen, sia quelle degli studiosi che ad essi si sono ispirati. Nel 1983 é tornata alla luce a Brescia un'epigrafe che ha permesso di risolvere definitivamente la questione del numero dei prefetti del pretorio attivi durante le prime due tetrarchie (293-306). Si tratta di una dedica prefettizia collegiale,

incisa su un monumento fatto elevare dai prefetti del pretorio in onore di Costanzo Cesare ‘6:

43 Muovendo dalla ricostruzione di O. Seeck, hanno valorizzato 1] ruolo dei (presunti) prefetti dei Cesari nella regionalizzazione della prefettura del pretorio E. Stein, J.-R. Palanque, W. Ensslin, A. H. M. Jones (e la PLRE I), A. Chastagnol (sui rispettivi contributi cfr. Mior, cit. alla nota precedente). La rilettura delle dinamiche connesse con l'origine della prefettura del pretorio regionale proposta da A. Chastagnol (1968) ha ispirato le posizioni di D. Feissel Unscriptions inédites, e Praefatio citt. sopra, alle note 37 e 3), R. Delmaire (Largesses sacrées et res privata. L'aerarium impérial et son administration du IVe au VI*

siecle, Roma 1989, p. 37), J.-M. Carrie (L'Empire romain en mutation, des Severes à Constantin, 192-337, Paris 1999, pp. 186 sg., 213, 263). 4 Cfr. TH. MOMMSEN, Die diokletianische Reichspräfektur, in “Hermes” 36 (1901), pp. 201-217, in particolare pp. 203-207 (=Gesammelte Schriften, VI,

Berlin 1910, pp. 284-299). 4 Sono propensi a posticipare la regionalizzazione della prefettura del pretorio, come Mommsen, dopo il principato costantiniano, con interpretazioni variabili, però, circa il ruolo dei prefetti dei Cesari, M. Sargenti, C. Vogler, T. D. Barnes e 1. Migl (sui rispettivi contributi cfr. MiGL, cit. sopra alla nota 42). 46 La lastra fu ritrovata durante uno scavo a cura della Soprintendenza Archeologica della Lombardia nel 1983 e pubblicata, tre anni dopo, da A. Alberti-

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[F]lavio Vlallerio)]/Constanltio]/fortissim|o ac]/nobiliss(imo) Claes(ari)],/[Mul(ius) Asclepio[dot(us)]/ v(ir) c(larissimus) et Aur(elius) Her[mo]/genianus v(ir) [em(inentissimus)]/praeff(ecti) praelt(orio duo))/d(evoti) n(umini) m(aiestati)q(ue) eius.

Questa dedica mostra inequivocabilmente che durante la reggenza di Diocleziano e Massimiano Augusti, con Costanzo e Galerio Cesari, furono attivi nell'impero soltanto due prefetti del pretorio. Il testo dell'iscrizione di Brescia ha tolto qualunque valore all' ipotesi dell'esistenza in età tetrarchica di quattro prefetti del pretorio, due per gli Augusti e due per i Cesari. Quello che per lungo tempo fu ritenuto il primo momento genetico della prefettura del pretorio tardoantica — l'assegnazione di prefetti del pretorio anche ai Cesari — si è dimostrato privo di fondamento. Il presunto precedente tetrarchico non può essere più invocato, quindi, neanche per

ipotizzare l’affiancamento di prefetti del pretorio ai Cesari di Costantino ^". Come vedremo nelle pagine seguenti, un cambiamento nell’assetto della prefettura del pretorio si verificò certamente in età tetrarchica, ma non riguardò il numero e la

distribuzione dei prefetti del pretorio, bensì la diffusione nell'impero dei loro supplenti 48, L’aver pensato che i Cesari tetrarchici potessero essere affiancati da prefetti del pretorio deriva da un’interpretazione approssimativa dell’organizzazione del potere in età tetrarchica. La storiografia moderna ha immaginato che negli anni 293-306 fosse avvenuta una quadripartizione dell’impero romano in aree amministrativamente autonome, affidate

ciascuna a un Augusto o a un Cesare 9. Non c’è dubbio, inni, Dedica a Costanzo Cesare ritornata alla luce a Brescia (1983), in “Com-

mentari dell’ Ateneo di Brescia” 1986, pp. 53-66 (=AE 1987, 456). Il testo dell’iscrizione proposto sopra accoglie le correzioni apportate successivamente da A. CHASTAGNOL, Un nouveau préfet du prétoire de Dioclétien: Aurelius Hermogenianus, in “ZPE” 78 (1989),

165-168 (=Aspects de l’Antiquité Tardive, Roma

1994, pp. 171-176) e da A. GARZETTI, Brixia. Monumenti epigrafici riediti o nuovi, in Suppl. It., 8, Roma 1991, pp. 200-202, n. 1. 47 Sulla debolezza del nesso tra investitura dei Cesari costantiniani e nasci-

ta delle prefetture regionali vd. sotto cap. IV. 48 Sugli agentes vice (=vicari) praefectorum praetorio vd. sotto, ὃ sg. 4 Nello studio dell’età tetrarchica si deve tenere conto del fatto che la terminologia comunemente utilizzata (Tetrarchia, tetrarchi, tetrarchico, ecc.), significativamente, è estranea alle fonti antiche. Coniata verso la fine dell’Otto-

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vece, che Diocleziano e Massimiano considerassero l’impero come un’unitä, territoriale e ideale, indivisibile, allo stes-

so modo in cui potevano averlo concepito, trent’anni prima, Valeriano e Gallieno, con i loro Cesari, e, dopo di loro, i restitutores Illirici 59. Quando, nel 293, Diocleziano e Massi-

miano procedettero all'investitura dei due Cesari non intaccarono affatto l'idea di unità dell'impero, che era, anzi, un

punto chiave della loro concezione politica. La possibilità dei quattro sovrani di spostarsi, senza barriere, nei settori nevralgici per la difesa dell'impero, e di coordinare i loro interventi, in modo che nessuna zona restasse esposta, fu uno

dei segreti del successo della trarchi 51. La cooperazione di presuppose, dunque, a livello zione territoriale dell'impero.

restaurazione attuata dai Tedue Augusti e due Cesari non istituzionale, una quadripartiTuttavia la tendenza alla sud-

divisione dell'impero in vaste aree, amministrativamente au-

tonome, come vedremo, fu una conseguenza delle esigenze pratiche di organizzazione e di mantenimento dei quattro comitatus imperiali e delle truppe sottoposte ai loro ordini. Gli effetti concreti di questo fenomeno si manifestarono, in tutta

cento, si ὃ diffusa fra gli studiosi moderni soprattutto dopo Ia pubblicazione, nel 1946, di un famoso saggio di Seston (Dioclétien cit., sopra, a nota 12). Per una consuetudine ormai entrata nel patrimonio espressivo e concettuale della disciplina, utilizziamo questi termini per indicare i molteplici aspetti inerenti i regni congiunti di Diocleziano, Massimiano, Costanzo e Galerio. Benché sia moder-

na, questa terminologia ha il pregio di circoscrivere un'esperienza politica per certi aspetti unica nella storia di Roma;

sul problema cfr., di recente, D. VoLL-

MER, Tetrarchie. Bemerkungen zum Gebrauch eines antiken und modernen Begriffes, in "Hermes" 119 (1991), pp. 435-449, e CARRIE, ROUSSELLE, L'Empire romain en mutation cit. (sopra, a nota 43), pp. 145 sgg. 50 Una testimonianza esplicita, per esempio, in Pan. Lat. 3 (11), 6, 3. La compattezza, la cooperazione e l'unità del collegio imperiale si coglie pienamente, per esempio, nell'omogeneità della ritrattistica ufficiale; cfr. F. BARATTE,

Observations sur le portrait romain à l'époque tétrarchique, in "AntTard"

3

(1995), pp. 65-76, e R. R. ΒΕ. SMITH, The Public Image of Licinius I. Portrait Sculpture and Imperial Ideology in the Early Fourth Century, in "JRS" 87 (1997), pp. 170-202. 5! Oltre ai compiti ordinari di difesa e controffensiva sui diversi confini, i Tetrarchi realizzarono spedizioni militari coordinate. Per esempio Costanzo Cesare attaccó la Britannia mentre Massimiano Augusto difendeva il confine rena-

no. Α sua volta Massimiano intraprese azioni miliatri in África mentre Costanzo, dopo la riconquista delle Britannia, presidiava le Gallie. Galerio si alternò con Diocleziano nella difesa del Danubio, attaccò i Persiani in Armenia e in Mesopotamia, scese in Bgitto; nelle campagne in queste aree Galerio Cesare coordinó le sue azioni con quelle di Diocleziano.

137

la loro novità, solo nell’età delle guerre tra i Tetrachi (306-

313), quando l’impero fu effettivamente diviso in partes. La dedica prefettizia di Brescia, oltre ad aver risolto l'an-

nosa questione del numero dei prefetti del pretorio attivi durante la Tetrarchia, ha consentito di ricostruire, meglio che in

passato, la sequenza dei collegi prefettizi di questo periodo. La coppia di prefetti che decretò il monumento bresciano è composta dal senatore Iulius Asclepiodotus e da un prefetto finora sconosciuto, il cavaliere Aurelius Hermogenianus 52. Questi sostituì Afranius Hannibalianus, che figurava al primo posto nella dedica di Oescus. Secondo la prassi gerarchica, che informa l’ordine di enumerazione dei membri del collegio, il prefetto più anziano precede quello di nomina più recente, a prescindere dall’ appartenenza del prefetto al comitatus di Diocleziano o a quello di Massimiano 53. Hermogenianus, che è stato nominato dopo Asclepiodotus, lo segue nel protocollo della dedica. Resta aperto, per il momento, il problema dell’identificazione del prefetto Aurelius Hermogenianus, di cui si ignora completamente la carriera, con l’Hermogenianus, magister libellorum di Diocleziano, autore dell'omonimo Codex e di

una Juris Epitome. L'omonimia e la contemporaneità tra i due alti funzionari, il fatto che il Codex Hermogenianus fu

redatto alla corte di Diocleziano verso il 295 e che il prefetto del pretorio Aurelius Hermogenianus sostituì il prefetto di Diocleziano,

Hannibalianus,

probabilimente

nel

corso

del

296 (vd. oltre), potrebbero avvalorare l’idea che il giurista e il prefetto siano la stessa persona 5^. Grazie agli studi condotti da A. Chastagnol, già prima del fortunato rinvenimento bresciano, è possibile cercare di circoscrivere il periodo in cui il monumento prefettizio fu ele-

52 Sul prefetto Iulius Asclepiodotus vd. sopra, ὃ precedente, pp. 107-112.

53 Sul criterio di enumerazione dei prefetti del pretorio vd. sopra, $ precedente, p. 131. 54 Incerti, ma possibilisti, sull’identificazione tra il giurista, magister libellorum (di cui si ignora, come è noto, il gentilizio), e il prefetto del pretorio so-

no CHASTAGNOL, Un nouveau préfet cit. (sopra, a nota 46), p. 168 (=pp. 175 sg.), e D. Lmss, Hermogenianus Prätorianerpräfektur inschriftlich bezeugt, in “ZRG” 107 (1990), p. 386. Si sono pronunciati decisamente a favore dell’identificazione T. Honoré, Arcadius, also Charisius: Career and Ideology, in “In-

dex” 22 (1994), p. 166, e CORCORAN, pp. 85-90, cui si rinvia per un inquadramento della vita e dell’opera del giurista.

138

vato 55, La dedica, infatti, essendo priva di elementi datanti

interni — è una delle caratteristiche di questa categoria di iscrizioni — andrebbe altrimenti collocata durante il cesarato di Costanzo (1 marzo 293-1 maggio 305). Per procedere all’inquadramento cronologico del monumento è necessario passare all’esame di due testi epigrafici contemporanei. Il primo è costituito da un’iscrizione romana in onore di Massimiano Augusto proveniente dal Palatino 56: Magno et invicto ac/ super omnes retrolprincipes fortissimo,/Imp(eratori) Caes(ari) M(arco) Aur(elio) Valerio! Maximiano, Pio, Fel(ici),/ invicto Aug(usto), co(n)s(uli) III, p(atri) p(atriae), proco(n)s(uli),/ Septimius Valentio v(ir) p(erfectissimus)/a(gens) v(ice) praeff(ectorum) praett(orio) cc(larissimorum) vv(irorum duorum)/d(evotus) n(umini) m(aiestati)q(ue) eius.

Il dedicante del monumento, Septimius Valentio, fu praeses Raetiae nel 290 57, A] termine del suo mandato provinciale il cavaliere ebbe, probabilmente da Massimiano Augusto, l'incarico prestigioso di supplire a Roma i prefetti del pretorio. Non sappiamo se la dedica romana di Valentio fu inaugurata all'inizio, durante o alla fine della sua supplenza; quel che interessa notare e che l'iscrizione é databile con sicurezza, grazie all'indicazione del quarto consolato di Massimiano, tra il 1 gennaio 293 e il 31 dicembre 296. Massi-

miano fu infatti console per la quarta volta nel 293 e per la quinta nel 297 58. Torneremo fra breve sul problema della ca55 Cfr. A. CHASTAGNOL, Deux chevaliers de l'époque de la Tétrarchie, in " AncSoc" 3 (1972), pp. 223-231 (=L’Italie et l'Afrique au Bas-Empire: études administratives et prosopographiques. Scripta Varia, Lille 1987, pp. 323-334); quindi Un nouveau préfet cit. (sopra, a nota 46), pp. 167 sg. (2174 sg.).

56 CIL, VI 1125=/ILS 619=CIL, VI, p. 4326. 57 Su Septimius Valentio vd. PLRE I, p. 937. Questo cavaliere perfettissimo è noto come praeses Raetiae grazie a un'iscrizione che egli fece elevare in onore di Diocleziano ad Augusta Vindelicorum, capoluogo della provincia, databile con precisione per via degli attributi magistraturali dell'imperatore (CIL, ΠῚ

5810=/LS 618). Il suo incarico si colloca subito dopo la vittoriosa spedizione di Diocleziano nella Germania al di là della Rezia, avvenuta nel 288. 58 Cfr. Consuls, pp. 120 sg., e 128 sg. Per quanto riguarda la dedica di Valentio a Massimiano proveniente dal Palatino, si noti che nell’arco cronologico

della sua preparazione cadono i Decennalia dell’ Augusto, celebrati nell'estate del 294. Con la creazione dei Cesari nel 293, dotati della tribunicia potestas dal dies Caesaris, il computo delle tribuniciae potestates di Massimiano, origina-

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rica che Valentio rivestì a Roma. È sufficiente anticipare che il suo incarico consistette nel supplire concretamente l’intero collegio dei prefetti del pretorio assente, ormai in modo definitivo, dalla città.

L'iscrizione romana offre due elementi importanti per la ricostruzione della prefettura del pretorio dioclezianea. In primo luogo in un momento compreso tra il 293 e il 296 quando furono alla guida dell’impero due Augusti e due Cesari — erano attivi due soli prefetti del pretorio, come indicato dall’abbreviazione alla linea nove 59. Il dato conferma la tesi dell’esistenza di due soli prefetti del pretorio in età tetrarchica, i prefetti del pretorio dei due Augusti. In secondo luogo i due prefetti suppliti da Valentio sono entrambi viri clarissimi. Come ha opportunamente notato A. Chastagnol,

in età dioclezianea 1 prefetti del pretorio sono ancora di estrazione equestre e accedono all’ordine senatorio rivestendo il consolato ordinario 6°. I due prefetti rappresentati da Valentio tra il 293 e il 296 devono essere Afranius Hannibalianus e Iulius Asclepiodotus, che furono consoli ordinari nel 292 e che, in base ai fasti consolari, sono gli unici cavalieri eminentissi-

mi ad aver goduto durante il regno di Diocleziano di una simile promozione. l'iscrizione di Septimius Valentio permette, quindi, di precisare la durata della prefettura del pretorio di Hannibalianus. Essa mostra, infatti, che il funzionario cu-

riamente calcolato dal dies Augusti (286), fu equiparato al sistema adottato per i Cesari del 293. 1 Decennalia di Massimiano iniziarono cosi nel 294, anziché nel 295. A titolo puramente ipotetico, si potrebbe pensare, con prudenza, che la

dedica di Valentio, supplente dei prefetti del pretorio a Roma, sia stata elevata presso il Palatium in occasione di quella ricorrenza. 59 L'abbreviazione praeff(ectorum) praett(orio) cc(larissimorum) vv(irorum duorum), fatta incidere da Valentio sulla pietra, ha un valore numerico. Lo

51 deduce dal confronto con la contemporanea iscrizione di Ostia (CIL, XIV 4455, su cui vd. oltre), nella quale, per indicare la medesima carica, si legge l'abbreviazione prae[ff(ectorum) praet(orio)] eemm(inentissimorum) vv(irorum

duorum). E chiaro che Valentio intendeva specificare che nella sua supplenza egli aveva fatto le veci di due prefetti clarissimi, a differenza del titolare dell'epigrafe ostiense che aveva supplito due eminentissimi. Il valore numerico di simili abbreviazioni è ancora operante almeno trentacinque anni dopo, come si deduce dal testo dell'epigrafe costantiniana di Ain Rchine, dove (lin. 4) l'abbreviazione ccccc(larissimorum) et i[llus]trium vvvv[v(irorum quinque) segna-

la il rango di cinque prefetti del pretorio clarissimi (vd. sotto, cap. IV 83). $9 Sul clarissimato dei prefetti del pretorio vd. sopra, cap. I, p. 81.

140

mulò la prefettura pretoriana col consolato nel 292 e restò in carica, dopo l’anno dell’eponimia, come prefetto del pretorio clarissimus accanto ad Asclepiodotus, dopo il 1 gennaio 293, quando Massimiano inaugurò il quarto consolato ricordato da Valentio. Questo spinge a credere che Hannibalianus e Asclepiodotus fossero i prefetti del pretorio in carica all’epoca dell’elevazione dei Cesari, e che rivestissero insieme l’incarico ancora per qualche tempo dopo quella cerimonia 61, Il congedo di Hannibalianus potrebbe non essere molto anteriore alla promozione del personaggio alla prefettura urbana, inaugurata, come sembra, il 1 gennaio 297. Pertanto

la dedica collegiale di Brescia non può essere stata decretata per la creazione dei Cesari, il 1 marzo 293, perché quel giorno erano prefetti del pretorio i senatori Hannibalianus e Asclepiodotus, non la coppia formata da Asclepiodotus ed Hermogenianus, certamente successiva. Il terminus post quem della dedica bresciana va collocato, dunque, un certo tempo dopo il 1 marzo 293 ed entro la fine del 296. E possibile a questo punto fissare la sequenza di almeno due collegi di prefetti del pretorio: uno composto da Afranius Hannibalianus e Iulius Asclepiodotus, viri eminentissimi prima del 292, viri clarissimi dopo il 1 gennaio 292;

l’altro, successivo, composto da Iulius Asclepiodotus, clarissimus e Aurelius Hermogenianus,

vir

vir eminentissimus;

questo secondo collegio si formò tra il 293 e il 296 ed era molto probabilmente attivo nel 297. Quell’anno, infatti, Han-

nibalianus fu prefetto urbano, mentre di Asclepiodotus sappiamo che era ancora prefetto del pretorio nel corso del 296, quando si coprì di gloria partecipando alla riconquista della Britannia. Salvo ipotizzare un congedo immediatamente dopo quell’impresa, egli poteva essere ancora in funzione nel 297. Meno agevole è stabilire 1] terminus ante quem della dedica prefettizia di Brescia. Anche in questo caso è necessario, sulla scorta degli studi di A. Chastagnol, avvalersi del contributo offerto dall’esame di un’altra iscrizione, questa volta proveniente dal foro di Ostia. Essa consente di fare luce sulla serie dei collegi prefettizi di età tetrarchica e, indi-

6! È quanto notava già CHASTAGNOL,

Un nouveau préfet cit. (sopra, a nota

46), p. 167 (=p. 174).

141

rettamente, Brescia 82:

sul problema

della datazione

dell’epigrafe di

Manilio Rus|ticiano v(iro) p(erfectissimo)]/praeflecto) ann(onae), a(genti) v(ice) prae[ff(ectorum) praet(orio)]/ eemm(inentissimorum) vv(irorum duorum), curato[ri et paltronol splendidissim(a)e col(oniae) Ost(iensium), ob eius fidem acímeri[ta] erga rem [pu]blicam, ordolet populus Ostiensi[um], quo civitas! titulis administra|tio]nis eius/fieret inlustrlior], decrevit adq(ue)! const[itui]t.

Il testo fu inciso sulla base di una statua equestre eretta nel foro di Ostia dall'ordo e dalla cittadinanza al loro patrono e amministratore Manilius Rusticianus. Avremo modo di tornare a parlare di questo cavaliere nel capitolo seguente, perché egli divenne, dopo aver ricoperto le cariche ricordate dagli abitanti di Ostia, prefetto del pretorio di Massenzio ®. E evidente che l’insieme delle funzioni ricordate sull’epigrafe ostiense è anteriore alla prefettura del pretorio, rivestita

durante il regno dell’usurpatore. I dedicanti non avrebbero mai omesso la menzione della promozione del loro patrono alla massima prefettura, se essa fosse avvenuta all’epoca del-

62 CIT, XIV 4455. Il testo dell’iscrizione ostiense, qui riprodotto, accoglie le correzioni proposte da CHASTAGNOL (Deux chevaliers cit. sopra, a nota 55, pp.

227 sg.=pp. 327 sg.). In occasione della rilettura di questa iscrizione, lo studioso ha riesaminato accuratamente anche il testo dell’iscrizione CIL, VI 36949-ILS

8934, proveniente dal Foro Romano, che Rusticianus fece incidere in qualità di prefetto del pretorio per Massenzio Augusto; su questa iscrizione e su un recen-

te ritrovamento epigrafico relativo al nostro prefetto vd. sotto, cap. III, $3. A. Chastagnol ha corretto un errore rilevante per la ricostruzione della carriera di Rusticianus. Alla prima linea il gentilizio del personaggio era stato letto dall’editore dell'epigrafe, D. VAGLIERI, Nuove scoperte al Foro Romano, in

“BCAR” 28 (1900), p. 65, come Manli(us). A causa di questa lettura per molto tempo Manlius Rusticianus, prefetto del pretorio di Massenzio, e Manilius Rusticianus, prefetto dell’annona, supplente dei prefetti del pretorio e curatore di Ostia, sono stati ritenuti due personaggi diversi; così, per esempio, in H. PAVIS D’Escurac, La Préfecture de l’annone, service administratif impérial d’Augu-

ste à Constantin, Roma 1976, p. 369 e PLRE I, p. 787; diversamente già A. STEIN, Stellvertreter der praefecti praetorio, in "Hermes" 60 (1925), pp. 95 sg. e in RE XIV, col. 1142. Non c’è dubbio, invece, che siamo di fronte allo stesso

personaggio, ricordato in momenti diversi del suo cursus honorum. La correzione opportunamente proposta da Chastagnol è stata accolta recentemente da L. Petersen, in PIR? M 139, e da W. Eck, Manilius Rusticianus, RE Suppl. XV,

col. 129. 63 Vd. sotto, cap. sg., pp. 275-283, e nota 197.

142

la costruzione del monumento. Non c’& dubbio che 1 decurioni di Ostia non avevano il minimo sentore di una simile promozione quando decretarono gli onori a Rusticianus. L’anterioritä dell’iscrizione ostiense all’usurpazione di Massenzio appare confermata da alcuni indizi. Con l’acclamazione ad Augusto da parte dei pretoriani di Roma, il figlio di Massimiano avrà nominato un suo prefetto del pretorio. E estremamente probabile che i pretoriani esigessero dal loro Augusto, finalmente residente a Roma, l’investitura di un prefetto delle coorti che stabilisse la sua sede nella città. La presenza del prefetto del pretorio a Roma potrebbe aver reso superflua la nomina di un supplente che ne facesse le veci. Questo non significa che i prefetti di Massenzio risiedessero costantemente in città. Sappiamo che un prefetto del pretorio di Massenzio combatté con certezza in Africa contro l’usurpatore L. Domitius Alexander nel 310; un altro combatté (e

morì) nella pianura padana nel 312 contro Costantino; molto probabilmente un prefetto del pretorio fu coinvolto nella guerra contro Severo Augusto, sempre in Italia, nel 307 9. Ci furono, dunque, durante la reggenza dell’imperatore, tre periodi in cui 1] prefetto del pretorio non era in Roma, ma si trattó di assenze momentanee, legate a episodi bellici circostanziati. Siamo di fronte a una situazione diversa da quella dei decenni precedenti, quando i prefetti del pretorio erano di fatto quasi costantemente assenti da Roma e vi soggiornavano solo per brevi periodi. Inoltre nelle campagne militari il prefetto del pretorio di Massenzio doveva comandare un esercito composto dalla maggior parte delle coorti pretorie — probabilmente ampliate dall'usurpatore, dopo le riduzioni degli effettivi volute da Diocleziano — dagli equites singulares e da truppe reclutate in suolo italico e africano 9. E pro-

6 Su questi episodi

vd. oltre, cap. III, $3.

A. STEIN, Stellvertreter cit.

(sopra, a nota 62), p. 102 — che per primo intuì l’identità tra il dedicatario dell'epigrafe ostiense e il prefetto del pretorio di Massenzio - collocò la suppienza

di Rusticianus nel 307, perché convinto che egli potesse fare funzione solo di prefetti del pretorio di un imperatore stabilmente residente a Roma. Pensò quindi che Rusticianus sostituisse i prefetti di Massenzio impegnati nella guerra contro Severo. Contro la ricostruzione di A. Stein, vd. le considerazioni svolte nel testo.

65 Sull’esercito di Massenzio, composto dalle truppe del defunto imperatore Severo, ma anche da contingenti reclutati in Italia e in Africa, vd. sotto, cap.

II, p. 255.

143

babile che la cittä di Roma si trovasse allora fortemente sguarnita di truppe e che la nomina di un supplente del prefetto non fosse necessaria. A queste considerazioni 51 aggiunga che, come vedremo nel capitolo seguente, le fonti superstiti farebbero pensare che Massenzio abbia avuto un solo prefetto del pretorio alla volta 66, Abbiamo visto che durante i regni di Caro e dei figli, e, come vedremo,

ancora nel periodo successivo, fino alla

coreggenza di Costantino e Licinio Augusti, la prefettura del pretorio sembra essere stata ricoperta da un solo titolare per ogni Augusto quando l'impero fu governato da più sovrani 9". Sull’epigrafe di Ostia Rusticianus appare come il supplente di due prefetti del pretorio proprio nella zona che fu sotto il controllo di Massenzio. Il suo incarico deve quindi essere precedente all’affermazione dell’usurpatore e alla nomina del suo (unico) prefetto del pretorio. Esso deve precedere inoltre di un certo tempo la nomina di Rusticianus stesso alla prefettura pretoriana durante il regno di Massenzio. Questi elementi portano a datare l’iscrizione di Ostia all’età dioclezianea. Abbiamo visto che Septimius Valentio ricoprì la stessa funzione di agente dei prefetti del pretorio nella stessa area in un periodo compreso tra il 293 e il 296. Questo periodo andrà dunque scartato, perché è impossibile che ci siano stati due funzionari identici per la medesima carica. Inoltre Valentio ha supplito due prefetti clarissimi, mentre Rusticianus fa le veci di due eminentissimi. E chiaro che si tratta di due collegi prefettizi diversi, attivi in periodi diversi. Che la supplenza dei prefetti esercitata da Rusticianus si svolse in Roma appare estremamente probabile, perché i decurioni di Ostia esaltarono 1 tituli administrationis del loro patrono come fonte di distinzione per l’intera colonia. E la carriera di Rusticianus, prima e dopo l’usurpazione di Massenzio, appare tutta imperniata sulla città di Roma e sul suo porto. Per la data della supplenza prefettizia del nostro cavaliere non può essere trascurato il fatto che i collegi prefettizi successivi al gennaio 292 sono composti da due clarissimi prima e da un clarissimus e un eminentissimus dopo, mentre 66 Cfr. già CHASTAGNOL, Deux chevaliers cit. (sopra, a nota 55), p. 230 (=p.

333); sul numero dei prefetti del pretorio di Massenzio vd. le considerazioni sviluppate nel cap. sg., $3. 67 Vd. sopra, cap. I, pp. 76-78, 100, e, sopra, pp. 131-133.

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Rusticianus fa le veci di due prefetti eminentissimi. Questa serie di elementi obbliga a circoscrivere, dunque, le funzioni di supplente dei prefetti esercitate da Rusticianus soltanto a due periodi: prima del 292, quando Hannibalianus e Asclepiodotus formavano ancora un collegio di prefetti entrambi eminentissimi, avanti il loro ingresso nell’ordine senatorio mediante il consolato ordinario 6; oppure dopo il 296, quan-

do il clarissimus Asclepiodotus ottenne il congedo dalla prefettura 9. Va detto subito che questa seconda ipotesi appare molto più probabile. Come vedremo oltre, Manilius Rusticianus fu prefetto del pretorio di Massenzio, con ogni probabilità, nel 311. Se questo cavaliere avesse rivestito la carica di agens vice praefectorum praetorio prima del 292, dovremmo immaginare un divario cronologico di circa diciannove anni tra due incarichi tanto vicini dal punto di vista delle competenze. Sembra molto più naturale che la supplenza dei prefetti preceda non di molto la prestigiosa promozione alla prefettura del pretorio, così che l’una aprirebbe, dopo un intervallo non troppo lungo, la strada all’altra. I cittadini illustri della colonia di Ostia potrebbero aver colto l’occasione della promozione del loro patrono alla prefettura dell’annona per elevargli il monumento nel foro della città. Il breve cursus redatto dai dedicanti nella prima metà dell’iscrizione ha una sua funzione strutturale all’interno del testo. Esso sembra ricordare solo incarichi strettamente collegati con l’area di Roma, comprensiva anche di quello che fino a Costantino fu il suo porto. Queste cariche furono evidenziate dagli Ostiensi perché rappresentavano 1 tituli administrationis grazie ai quali Rusticianus aveva reso la civitas inlustrior. A. Chastagnol ha ipotizza-

to che “la base d’Ostie honorerait Manilius Rusticianus comme prefet de l’annone au moment précis où il abandonait sa charge; les décurions du port de Rome ne pouvaient alors faire autrement que d’ajouter sur leur pierre la mention de la nouvelle fonction dans laquelle il était déjà

68 Cfr. la testimonianza dell’iscrizione di Oescus nel $ precedente. Teoricamente sarebbe possibile, anche se alquanto improbabile, che Rusticianus abbia supplito un collegio di prefetti del pretorio eminentissimi precedente quello formato da Hannibalianus e Asclepiodotus, ma l’ipotesi, indimostrabile allo stato attuale della documentazione, comporterebbe un divario eccessivo tra la suppienza e la prefettura ricoperte dal personaggio.

69 Julius Asclepiodotus compare nelle nostre fonti per i'ultima volta nel 296 in occasione della riconquista della Britannia. Il suo congedo deve essere successivo alla spedizione transmarina. I dati che ci accingiamo a esaminare nelle pagine seguenti spingono a ipotizzare che egli fu congedato dopo i primi mesi

del 297 ed entro la fine del 298.

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nommé et pour laquelle il les quittait"”. I] cursus non avrebbe pertanto un andamento cronologico, ma tematico. Gli Ostiensi avrebbero messo al primo posto le cariche amministrative maggiori, al secondo posto le cariche municipal. Cosi avrebbero elencato dapprima la prefettura dell'annona, appena conclusa, quindi la vice prefettura del pretorio, assunta al momento del congedo dalla sua prefettura dell'annona, e non

ancora completamente esercitata. La ricostruzione é plausibile, ma non si puó scartare l'eventualità che Rusticianus abbia cumulato la prefettura dell'annona con la supplenza dei prefetti del pretorio in Roma. La somma dei due incarichi — o di incarichi legati alla città di Roma e al suo porto — é sicuramente testimoniata per l'anonimo prefetto dell’annona di un'iscrizione di Camarina e per l'anonimo prefetto dell' annona di CIL, XIV 134, entrambi prefetti dell'annona e supplenti dei prefetti

del pretorio in Roma. Valerius Valens nel 241 rivesti simultaneamente un altro incarico romano, la prefettura dei vigili, con la supplenza di due prefetti del pretorio eminentissimi. Ma anche la curatela e/o il patronato di Ostia erano talvolta cumulati con la prefettura dell'annona, come accadde a Hostilius Antipater e, molto probabilmente, a Scribonius R... (anche su questi funzionari vd. ὃ sg.). Addirittura Scribonius R..., un contemporaneo di Rusticianus, potrebbe presentare in una dedica, purtroppo frammentaria, da lui stesso elevata a Diocleziano, o a Massimiano il cumulo delle tre funzioni di prefetto dell' annona, supplente dei prefetti del pretorio (o del prefetto del pretorio) e curatore della colonia di Ostia. E possibile, dunque, che i decurioni e i cittadini di Ostia abbiano deciso di onorare il loro patrono quando questi arrivò ad esercitare contemporaneamente, o a breve distanza l'uno dall'altro, i primi due incarichi ricordati nell’epigrafe, la prefettura dell' annona e la supplenza dei prefetti del pretorio assenti da Roma. Se le due cariche furono esercitate in virtù di un solo mandato, è possibile che i decurioni di Ostia elencassero prima la prefettura dell’annona, poi la supplenza dei prefetti del pretorio, perché la prima era un vero e proprio incarico prefettizio, la seconda solo una vice prefettura.

L'ipotesi sulla cronologia della vice prefettura del preto-

rio di Manilius Rusticianus spinge a concludere che in età tetrarchica, dopo il collegio prefettizio composto da Asclepiodotus e da Hermogenianus, fu attivo nell’impero un collegio formato da due prefetti del pretorio viri eminentissimi. Questo terzo collegio si colloca dopo gli altri due precedente-

mente individuati. Uno dei suoi due membri potrebbe essere Aurelius Hermogenianus, l’altro sarà verosimilmente il successore di Asclepiodotus. Naturalmente la dedica prefettizia

Τὸ Cfr. CHASTAGNOL, Deux chevaliers cit. (sopra, a nota 55), p. 230 (=p. 333).

146

collegiale di Brescia fu realizzata prima della formazione di questa terza coppia di prefetti, entrambi eminentissimi. Accanto al cursus honorum di Manilius Rusticianus da Ostia un altro documento di età tetrarchica sostiene e precisa l’ipotesi dell’esistenza di un collegio di prefetti del pretorio eminentissimi successivo al congedo del senatore Iulius Asclepiodotus dalla massima prefettura. Si tratta del P. Oxy.

1469. Esso contiene una petizione indirizzata a un altro vice

prefetto del pretorio, attivo in Egitto. E uno dei primissimi funzionari inviati da Diocleziano, con un intervento innovativo, in alcune regioni dell’impero per svolgere le funzioni dei due prefetti del pretorio "!. Questo cavaliere, come indica l’intestazione del documento, ha supplito due prefetti del pretorio eminentissimi 72. Per nostra fortuna il papiro conserva in calce, secondo la prassi estesa da Diocleziano alle cancellerie egiziane, la datazione consolare dell’anno 298. Il vice prefetto destinatario della petizione conservata nel P. Oxy. 1469 si chiama Aemilius Rusticianus ?3. Il funzionario presenta lo stesso cognome del Manilius Rusticianus onorato dalla colonia di Ostia e ricopre la stessa carica. E probabile tuttavia che 1 due cavalieri siano persone diverse. Oltre alla differenza dei gentilizi, la carriera di Manilius, con la curatela di Ostia, la prefettura dell' annona e, in seguito, la

prefettura del pretorio nella capitale, appare legata alla città di Roma. L'alternativa sarebbe di dover ipotizzare un errore del redattore della

petizione egiziana, che avrebbe frainteso e semplificato il gentilizio Manilius nel più comune Aemilius. Paleograficamente la confusione non sarebbe impossibile. Nel caso in cui i due fossero la stessa persona, Rusticianus avrebbe supplito due prefetti del pretorio eminentissimi

7! Non ci soffermiamo sul problema della carica del funzionario e del contenuto della petizione, che esamineremo nel $ sg., pp. 165 sg.

72 Cfr. P. Oxy. 1469, lin. 1: Αἰμιλίῳ ‘Povotiriavò τῷ διασημ(οτάτῳ) diaδεχο(μένῳ) tà μέρη τῶν ἐξοχοτάτων ἐπάρχων. La formula della carica è largamente attestata nel greco amministrativo di età imperiale per indicare una supplenza e corrisponde al latino agens vice praefectorum praetorio eminetissimorum virorum. Si vedano, per esempio, fra i testi contemporanei, il P. Flor. I 33:

[διαδεχ]ομένων τὰ μέρη τῶν ἐξοχωτάτων ἐπάρχων (anno 307 circa). Per la formula della vice prefettura del pretorio in latino in un documento redatto da una cancelleria egiziana cfr. il recente P. Oxy. 2952: Iulianus v(ir) p(erfectissimus) a(gens) v(ice) praeff(ectorum) praett(orio); su questo formulario cfr. in generale H.J. Mason, Greek Terms for Roman Institutions. A Lexicon and Analysis, Toronto 1974, pp. 131 sg., 146, 207; O. HIRSCHFELD, Die Rangtitel der rónischen Kaiserzeit, in Kleine Schriften, Berlin 1913, pp. 646-681. 3 Su Aemilius Rusticianus vd. PIR? A 400, e PLRE T, p. 787.

147

in Egitto e sarebbe poi rientrato nella capitale in qualitä di prefetto dell’annona. Da un punto di vista della ricostruzione della serie dei collegi prefettizi di età tetrarchica l’eventualità di una identificazione dei

due Rusticiani non cambierebbe nulla. Se, come sembra, l’intitulatio della petizione egiziana è esatta — se, cioè, lo scriba che la redasse non attribuì il titolo di eminentissimus, per esempio, a uno dei due prefetti, allora

clarissimus — nel corso del 298 erano in carica due prefetti del pretorio, entrambi eminentissimi. Quando il documento fu redatto Iulius Asclepiodotus era stato già congedato dalla prefettura del pretorio e un terzo collegio prefettizio era in attività. Questo elemento avvalora le ipotesi avanzate sulla cronologia della supplenza esercitata da Manilius Rusticianus (dopo e non prima della vice prefettura di Septimius Valentio) e fornisce anche il terminus ante quem della dedica prefettizia collegiale di Brescia. La realizzazione del monumento fu decisa prima della sostituzione del senatore Asclepiodotus, che deve essere avvenuta dopo la riconquista della Britannia, di cui fu artefice

il prefetto stesso nel 296, e prima della stesura della petizione rinvenuta a Ossirinco, in un momento non meglio precisabile del 298. Questa cronologia trova sostegno nella constatazione che proprio all’inizio del 297 il prefetto del pretorio Afranius Hannibalianus, predecessore di Hermogenianus,

fu promosso prefetto urbano. L’avvicendamento tra i due prefetti del pretorio di Diocleziano potrebbe essere avvenuto poco prima, nel corso del 296 74.

L’arco cronologico di massima in cui collocare la dedica di Brescia va dall’inizio del 294 alla fine del 297. In questo periodo andrà ricercata l’occasione che spinse i prefetti del pretorio Asclepiodotus e Hermogenianus a celebrare Costanzo Cesare. Il 1 marzo 297 furono inaugurati i festeggiamenti

74 La cronologia del congedo del prefetto Hannibalianus qui sostenuta si adatterebbe alla ricostruzione della carriera del giurista Hermogenianus proposta da Honoré, Arcadius cit. (sopra, a nota 54), p. 166, che, come detto, pro-

pende per l'identificazione tra il giurista e il prefetto: magister libellorum di Diocleziano dal 293 al 295, avrebbe pubblicato il Codex Hermogenianus in una

prima edizione (orientale) nel 295, e sarebbe stato promosso prefetto del pretorio di Diocleziano nel 296-297; durante quell'incarico, verso il 300, avrebbe scritto i sei libri della sua Juris Epitome.

148

per i Quinquennalia dei Cesari”. È possibile ipotizzare, con cautela, che i prefetti del pretorio abbiano scelto questo avvenimento per decretare la realizzazione di monumenti in onore dei Cesari. L'iscrizione di Brescia potrebbe essere una testimonianza della devozione dei prefetti al regime tetrarchico in occasione del primo giubileo dei Cesari. Può sembrare strano che la dedica bresciana commemori il solo Costanzo Cesare e non 1] collega Galerio. I loro dies imperii coincidevano ed essi celebrarono i Quinquennalia lo stesso giorno. Era quindi possibile onorarli insieme nello stesso monumento. Ma il testo dell’epigrafe di Brescia e la forma della lastra su cui essa fu incisa dimostrano, inequivocabilmente, che questo monumento ricordava solo Costanzo.

Sull’assenza di Galerio si possono avanzare delle ipotesi. E possibile che a Brescia fossero stati elevati due monumenti gemelli, uno per Costanzo e uno per Galerio Cesari, ma che

la casualità abbia permesso la conservazione solo dell’iscrizione del monumento di Costanzo. A questo proposito si ten-

ga presente che per ragioni storiche una dedica a Costanzo, anche se divenuta obsoleta con l'elevazione del principe ad Augusto e il congedo del collegio prefettizio dedicante, aveva buone possibilità di sopravvivere nel foro di una città italiana 76. La dinastia costantiniana regnò ininterrottamente

75 Sui Quinquennalia di Costanzo e Galerio Cesari cfr. CHASTAGNOL, Les jubilés impériaux cit. (sopra, a nota 22), p. 15, e Les années régnales cit. (sopra, a nota 23), pp. 62 sg. Il 1 marzo 297 un anonimo retore pronunciò di fronte a Costanzo Cesare, con ogni probabilità a Treviri, il Panegirico 4 (8). Che il panegirico sia stato pronunciato nel giorno dei Quinquennalia è l'opinione di E.

GALLETIER, Panégyriques Latins, 1, Paris 1949, pp. 71-76, condivisa, oltre che da A. Chastagnol e da BARNES 1982, pp. 59 sg., e 1996, pp. 540 sg., recentemente da R. REBUFFAT, Comme les moissons à la chaleure du soleil, in L'Africa Romana 6, Sassari 1989, pp. 120-123. Diversamente C. E. V. Nixon ha ipotizzato, con cautela, un possibile spostamento del panegirico 4 (8) al 298 (In Praise cit., sopra, cap. I, a nota 50, pp. 105 sg., dove, però, malgrado la proposta di posticipare l’orazione, si continua a considerare il discorso come recitato il 1 marzo 297). I Quinquennalia dei Cesari sono ricordati nelle emissioni successive alla riforma monetaria dioclezianea del 294: gli aurei della zecca di Aquileia (R/C VI, p. 311, n. 5-7), gli antoniniani delle zecche di Ticino (RIC VI, p. 285, n. 36-

42) e di Cartagine (RIC VI, p. 427, n. 35-38), tutti con, sul verso, la leggenda: vot(a) X Caess(arum).

76 Si noti che l'iscrizione di Brescia non fu aggiornata e l'indicazione nobiliss(imo) Caes(ari) alla linea 4 non fu corretta in Aug(usto), come invece accadde, per esempio, per la dedica prefettizia di Tubernuc a Costantino II Cesare (vd. cap. IV, $4).

149

nella penisola dal 312 al 350 6 difficilmente in quegli anni si sarebbe provveduto ad eliminare un monumento del padre di Costantino. Al contrario le tensioni che caratterizzarono i rapporti di Costantino e di Massenzio con Galerio Augusto potrebbero aver provocato la scomparsa precoce di una dedica al Cesare di Diocleziano. L'alternativa è che a Brescia venne onorato effettivamente soltanto Costanzo Cesare. Questa possibilità chiama in causa il problema della genesi dei monumenti decretati dai prefetti del pretorio, cui si è accennato in parte nel paragrafo precedente. Come vedremo a proposito della dedica prefettizia collegiale di Traiana, sembra certo che i governatori di provincia realizzassero le singole dediche prefettizie collegiali su ordine dei prefetti del pretorio (o, come è verosimile, del prefetto del pretorio responsabile dell’area in cui si trovava la provincia) ”. I risultati dello studio dell'epigrafe di Traiana lasciano supporre, inoltre, che il governatore selezionasse le sedi adatte a ospitare le realizzazioni volute dai prefetti. Nel caso di Brescia 1 prefetti del pretorio Asclepiodotus e Hermogenianus potrebbero aver lasciato alle autorità provinciali, quindi al corrector Venetiae et Histriae, la libertà della scelta della città, o, eventualmente, delle città, destinate a

ospitare il loro monumento. Il governatore potrebbe aver fatto erigere un monumento a Costanzo Cesare in una città, uno a Galerio Cesare in un’altra città della sua provincia. E più incerto, invece, se 1 prefetti lasciassero al funzionario un cer-

to margine di libertà anche in merito alla scelta del Cesare da onorare. Ma se l’epistola prefettizia, che lo informava della decisione del collegio di costruire monumenti ai Cesari, consentiva al corrector di prediligere nella realizzazione delle opere uno dei due principi, è ampiamente possibile che nella città transpadana il governatore scegliesse di onorare il genero di Massimiano Augusto. Su un punto, comunque, non dovrebbero sussistere dub7? Per l’intervento del governatore di provincia nella costruzione dei mo-

numenti prefettizi, testimoniato nella dedica di Traiana, vd. sotto, cap. IV, $ 4; per le differenze tra le istruzioni ricevute dalle diverse cancellerie prefettizie vd. il caso delle due redazioni delle dediche prefettizie collegiali di Tubernuc e Antiochia (sotto, cap. IV, $ 4). Le differenze linguistiche e testuali potrebbero risa-

lire alle due diverse copie redatte dalle due cancellerie dei prefetti del pretorio d' Africa e d'Oriente e inviate ai governatori di provincia incaricati della costruzione dei monumenti.

150

bi. La difficile congiuntura strategica che vide impegnati 1 Tetrarchi in una serie di campagne militari negli anni 296298, epoca della realizzazione prefettizia di Brescia,

deve

aver coinvolto anche i prefetti del pretorio 78, In una simile congiuntura è assai improbabile che Asclepiodotus o, eventualmente, Hermogenianus possano aver soggiornato in una città così lontana dai teatri bellici come Brescia. La dedica, dunque, deve essere il frutto di un ordine impartito da una

delle cancellerie dei prefetti, verosimilmente quella di Asclepiodotus. La città di Brescia condivide, infatti, con altre città

nelle quali furono elevati monumenti prefettizi la caratteristica di non essere una delle residenze imperiali, né un capoluogo di provincia, né un centro strategicamente rilevante. Queste prerogative spettavano allora nell’Italia settentrionale a città come Milano, Aquileia e, in misura diversa, Vero-

na 79, Da questo punto di vista Brescia appare come una sede ancora più eccentrica di Oescus, pur tenendo conto delle di-

stinzioni tra due città tanto diverse. Quanto è stato ipotizzato a proposito del monumento prefettizio danubiano, potrebbe valere, dunque, anche per la dedica bresciana: è possibile che essa sia solo un esemplare di una serie di omaggi paralleli

78 Sulla ricostruzione delle complesse vicende belliche del periodo 296-298 esiste un'abbondante bibliografia. L'esame più approfondito fu condotto da SESTON, Diocletien cit. (sopra, a nota 12), pp. 101-183. Le scoperte di nuovi documenti, epigrafici e papirologici, hanno permesso di riconsiderare la cronologia di alcune campagne tetrarchiche, cfr. R. REBUFFAT, Maximien en Afrique, in “Klio”

74

(1992),

pp.

371-379;

C. ZUCKERMANN,

Les campagnes

des

Tétrar-

ques, 296-298. Notes de chronologie, in “AntTard” 2 (1994), pp. 65-70; E Kors, Chronologie und Ideologie der Tetrarchie, in "AntTard" 3 (1995), pp. 21-31;

BARNES 1996, pp. 542-544. Nel caso del prefetto Asclepiodotus le fonti assicurano la sua decisiva partecipazione almeno in occasione della campagna britan-

nica del 296. 19 Su Brescia cfr., di recente, G. L. GREGORI, Brescia Romana. Ricerche di prosopografia e storia sociale, 1, I documenti, Roma 1990. Su Milano, residenza imperiale e sede del vicarius Italiae e del consularis Aemiliae et Liguriae, cfr.

L. Cracco RUGGINI, Nascita e morte di una capitale, in "QCCCM" 1990, pp. 551. Sulla crescita d'importanza di Aquileia, che nel IV condivise con Milano l'onore di ospitare la corte imperiale durante i suoi viaggi da e per l’Illirico, cfr. M. BonrloLI, Soggiorni imperiali a Milano e ad Aquileia da Diocleziano a Valentiniano III, in "AA Ad" 4 (1973), pp. 125-149, e L. Cracco RUGGINI, Aquileia e Concordia: il duplice volto di una società urbana nel IV secolo, in "AAAd" 29 (1987), pp. 57-95. Anche Verona giocó un ruolo importante nella difesa della penisola. Da questo punto di vista Brescia appare una città più decentrata, essendo situata, come Bergamo, in un'area meno cruciale, lungo gli assi viari di collegamento con le valli alpine.

151

che i prefetti del pretorio decisero di realizzare collegialmente in onore dei Cesari in città diverse dell’impero. 4. DAI SUPPLENTI STRAORDINARI DFI PREFETTI ALLA DIVISIONE DELL'IMPERO IN DIOCESI

DEL PRETORIO

Nella ricostruzione della serie dei collegi prefettizi di età tetrarchica ha un ruolo importante l’indicazione del rango dei prefetti del pretorio suppliti a Roma da Septimius Valentio e da Manilius Rusticianus 8°. La formula che fu utilizzata per indicare le loro cariche mostra che il primo fece funzione in luogo di due prefetti entrambi clarissimi, il secondo di due prefetti entrambi eminentissimi. Gli studiosi moderni si sono interrogati a lungo sulla natura dell’incarico di questi due cavalieri. La questione non è di secondaria importanza, perché coinvolge direttamente il problema più generale dell’accorpamento delle province dioclezianee in diocesi e dell’istituzione dei vicari della prefettura del pretorio a capo delle diocesi. Ci si è domandati opportunamente se in Septimius Valentio e in Manilius Rusticianus debbano vedersi due supplenti temporanei dei prefetti del pretorio nella città di Roma, secondo il modello altoimperiale, o i primi vicari di diocesi, secondo un nuovo assetto amministrativo che sarebbe da ricondursi a Diocleziano. L'introduzione delle diocesi coinvolse direttamente il problema della trasformazione della prefettura del pretorio agli inizi del IV secolo. La delimitazione di regioni amministrative omogenee sotto il controllo di un vicario dei prefetti del pretorio è una novità nella lunga storia dell’amministrazione dell’impero, e può essere considerata, a tutti gli effetti, un momento importante nella trasformazione della prefettura del pretorio in prefettura regionale. L’organigramma dell’impero tardoantico,

da Costantino

all’età di Giustiniano,

mostra, infatti, un legame forte tra la diocesi (o più diocesi) e l’area di competenza del prefetto del pretorio 81. Le grandi prefetture del pretorio dal IV al VI secolo furono costituite da

80 Cfr. in particolare l'esame delle iscrizioni

CIL, VI

1125=/LS

619=CIL,

VI, p. 4326, e CIL, XIV 4455 nel $ precedente. 81 La testimonianza più esplicita è costituita, naturalmente, dalla Notitia Dignitatum; cfr. NDOcc. U 1-8 (pp. 197 sg. Seeck); III 1-4 (p. 110 Seeck); NDOr

II 1-6 (p. 5 Seeck); III 1-6 (pp. 8 sg. Seeck).

152

(una o più) diocesi. E la diocesi trova la sua genesi nella in-

novativa organizzazione data ai supplenti dei prefetti del pretorio, trasformati in vicari diocesani, tra l’età di Diocleziano

e la diarchia costantino-liciniana. Nella storia degli studi sull’assetto dell’impero tardoantico la storiografia moderna ha generalmente attribuito a Diocleziano una riforma globale del sistema amministrativo, che avrebbe prodotto la provincializzazione dell’Italia, la moltiplicazione del numero delle province dell’impero attraverso la drastica riduzione della superficie delle grandi province di età severiana, la creazione delle dodici diocesi ritratte nel La-

terculus Veronensis, nelle quali le nuove numerose province venivano ad essere accorpate, e l’istituzione a capo delle diocesi stesse di vicari dei prefetti del pretorio. Costantino e i suoi successori avrebbero ereditato questo nuovo schema amministrativo. La fortunata riforma dioclezianea avrebbe avuto, il che è senza dubbio vero, una vita assai lunga, fino

al periodo della dominazione ostrogota in Occidente, fino all’età di Giustiniano in Oriente 82, Le fonti concorrono a sostenere la paternità dioclezianea

della moltiplicazione delle province. Questo provvedimento, volto ad aumentare l’efficacia della presenza e del controllo sul territorio e sui cittadini, appare fortemente in linea con gli sforzi di riorganizzazione e di potenziamento dell’impero voluti da Diocleziano, soprattutto nell’ultima fase del suo re-

gno: un’esazione fiscale capillare, che assicurasse l’efficienza di un apparato militare e burocratico di dimensioni maggiori rispetto al passato; l’estensione della cognitio dei prae-

sides a tutti gli ambiti della giustizia, anche a livello locale, con il rafforzamento della lingua latina come lingua amministrativa universale; un controllo diffuso non solo della vita

economica e municipale delle province — come mostrano, per 82 In Occidente la diocesi Italiciana con un prefetto del pretorio (a Ravenna) e un vicario (a Roma), prima nominati dai re Ostrogoti, poi, con la riconquista giustinianea, dall'imperatore d'Oriente, sembrano scomparire solo all’epoca di Gregorio Magno (allora esisteva un vicario a Milano, cfr. Greg., Ep. IX 104). In Oriente Anastasio eliminò il vicariato della diocesi Tracica e Giustiniano procedette all’abolizione dei vicariati delle diocesi Asiana, Pontica, nel 535,

e del comes Orientis nel 539 (Nov. Iust. 8, 2-5); cfr. in proposito A. H. M. Jones, The

Later

Roman

Empire.

A

Social,

Economic

and

Administrative

Survey,

Oxford 1964, 1, pp. 280 sg. e 374, e, ultimamente, FEISSEL, Vicaires et proconsuls d'Asie cit. (sopra, cap. I, a nota 36), pp. 102 sgg.

153

esempio, l’Editto dei Prezzi o gli interventi edilizi del console Aristobulus in Africa — ma anche delle relazioni cittadini e l’autorità, come testimoniano, per esempio, editti anticristiani e antimanichei. Per quanto riguarda la questione dell’organizzazione

protra i gli del-

le province in diocesi rette da vicari, la documentazione è

meno chiara, e l’attribuzione a Diocleziano anche di questa riforma amministrativa richiede un’analisi puntuale. In età tetrarchica è possibile incontrare una serie di funzionari qualificati, come Valentio e Rusticianus, agentes vice praefecto-

rum praetorio. Come vedremo, la loro presenza in aree diverse dell’impero mostra una diffusione dell’incarico che non ha precedenti nella storia dell’istituzione e che fu senza dubbio una misura voluta da Diocleziano. Tuttavia la creazione dei supplenti dei prefetti del pretorio non può essere attribuita a Diocleziano, che la ereditò dai suoi predecessori. Essa risale ad almeno un secolo prima. Nell’età dei Severi, che fu particolarmente feconda dal

punto di vista della sperimentazione amministrativa 83, 1] grande giurista e prefetto del pretorio Ulpiano nella sua trattazione sul fidei commissum cita tra le autorità incaricate di

procedere alla deportazione dei condannati praefectis vero praetorio vel eo, qui vice praefectis ex mandatis principis cognoscet 84. L'esistenza di un supplente dei prefetti del pretorio incaricato dall’imperatore di espletare le funzioni dei titolari della carica, compresa la cognitio menzionata da Ulpiano, trova una precisa corrispondenza nelle carriere di al-

83 Per limitarci a un’innovazione di cui abbiamo già trattato in questa ricerca (vd. cap. I, $ 3), si pensi alla creazione da parte di Caracalla di un funzionario electus ad corrigendum statum Italiae, embrione dei correctores (totius)

Italiae del III secolo e dei correctores provinciali di età tetrarchica. 84 Dig. XXII X

1, 4. Il passo risale al regno di Caracalla, come indica la ci-

tazione dell'epistula indirizzata da Settimio Severo, ormai divus, e Caracalla Augusti al prefetto urbano. Ulpiano mostra che l'imperatore — non il prefetto del pretorio — creava con un mandato speciale un agens vice praefectorum praetorio. Questa prassi è attestata per l'età severiana, ma non è escluso che una simi-

le supplenza, sulla cui natura il giurista non si sofferma, possa essere stata inaugurata da un imperatore precedente. E interessante che da un punto di vista istituzionale Ja procedura di investitura del vice prefetto si sia conservata invariata

fino alla fine dell'impero romano. Anche i vicarii praefectorum tardoantichi sono promossi dall' Augusto, mai dai prefetti del pretorio, che pure godevano ormai di una importanza e di un margine di autonomia (nelle rispettive prefetture

regionali) superiore ai loro predecessori di età severiana.

154

cuni cavalieri conservate epigraficamente proprio a partire dai regni di Settimio Severo e di Caracalla. Il primo agens vice praefectorum noto è Sex. Varius Marcellus, padre del futuro imperatore Elagabalo, di cui è giunto a noi il cursus honorum bilingue inciso sul suo sarcofago venuto alla luce a Velletri. Il suo incarico di vice prefetto risale con grande probabilità al regno congiunto di Settimio Severo, Caracalla e Geta, forse in coincidenza con la loro campa-

gna britannica 85. E possibile che l’imperatore, in partenza per la Britannia, non se la sentisse di lasciare la seconda legione Partica e le altre forze militari a presidio della capitale sotto il comando del prefetto urbano. Un senatore padrone assoluto della capitale poteva, come la storia recente aveva drammaticamente dimostrato, trasformarsi in un pericoloso usurpatore. Marcellus, marito di sua nipote Soemia, poteva essere l’uomo di fiducia cui affidare il delicato incarico. In merito alla presente analisi è molto interessante notare che Varius Marcellus supplì non solo i prefetti del pretorio, che normalmente seguivano l’ Augusto lontano da Roma, ma anche il prefetto urbano, che generalmente non si allontanava dalla città. Questo prova che la supplenza dei prefetti del pretorio si svolgeva allora nella città di Roma. La supplenza dei pre85 CIL, X 6569=ILS 478=IG XIV 911=/GRRP 1, 402. Su Varius Marcellus esiste una ricca bibliografia alla quale si rimanda per un esame accurato della

carriera e del peso giocato dai legami familiari sulle promozioni del personaggio; vd. PFLAUM, Carrières, 2, pp. 638-642, n. 237; M. CORBIER, L'aerarium Saturni et l'aerarium militare. Administration et prosopographie senatoriale, Ro-

ma 1974, pp. 437-448, e passim (cfr. indice p. 770); H. HALFMANN, Zwei syrische

Verwandte des severischen Kaiserhauses,

in "Chiron"

234; P. M. M. LEUNISSEN, Konsuln und Konsulare in der Zeit Severus Alexander, Amsterdam 1989, pp. 309, 323, 395; M. ce Caesaris. Deputy Emperors and the Administration of Principate, Stuttgart 1996, pp. 157 e 236. Di questo siriano sua moglie Iulia Soemia,

12 (1982), pp. 226-

von Commodus bis PEACHIN, Judex viJustice during the di Apamea, come

l'iscrizione funebre ci rivela che, dopo le procuratele

centenaria, ducenaria e trecenaria, egli ha supplito contemporaneamente

due

prefetti del pretorio e il prefetto di Roma. La prima procuratela, quella delle acque, é databile al periodo della reggenza di Settimio Severo e di Caracalla Augusti con Geta Cesare (198-209) grazie all' iscrizione posta su una fistula romaπὰ (CIL, XV 7326-1LS 8687). La praefectura aerari militaris, primo incarico da

senatore, risale al regno del solo Caracalla (cfr. Dio LXXVII 24, 1). Quando nel maggio 218 suo figlio Varius Avitus Bassianus fu proclamato Augusto a Raphaneae, in Siria, Marcellus era già morto; manca, infatti, qualunque accenno alla porpora del figlio sull'epigrafe posta da Soemia sul suo sarcofago, e il nome di Elagabalo si perde in un anonimo cum filis. La carriera di Marcellus si svolse dunque tra il 198 e il 217.

155

fetti del pretorio appare, dunque, fin dalla sua prima manifestazione come una carica legata strettamente alla cittä di Roma, ed & un aspetto, come vedremo, non trascurabile.

Varius Marcellus non fu l’unico fiduciario dei Severi a fare le veci dei prefetti del pretorio in Roma. Cassio Dione ed Erodiano, a proposito della spedizione partica di Caracalla (215-217), ricordano il nome di un funzionario, Flavius Ma-

ternianus, devoto all’imperatore e da questi incaricato di controllare le truppe di stanza a Roma. Forte di tanto potere egli ebbe in mano la capitale durante la campagna orientale in cui il giovane Augusto cadde vittima della congiura del suo prefetto del pretorio 86, Sulla fedeltà di Maternianus a Caracalla non si può dubitare, visto che Macrino Augusto lo fece assassinare. La formula con cui i due storici hanno definito il suo incarico non è agens vice praefectorum praetorio, ma le espressioni usate da Cassio Dione ed Erodiano non lasciano dubbi sul fatto che la sua funzione sia stata identica alla supplenza di Varius Marcellus qualche anno prima 87. Recentemente G. Manganaro ha ripubblicato un’epigrafe frammentaria proveniente dalla zona di Camarina, databile al regno dei Severi 8. L'iscrizione commemora dei lavori con-

86 Dio LXXVIII 4, 2: Φλαουίῳ Ματερνιανῷ τῷ τότε τῶν ἐν τῷ ἄστει στρατιωτῶν ἄρχοντι; Herod. IV 12, 4 (-Ioh. Ant., FHG 4, P. 590, fr. 133):

(’Avtwvivoc) ἐπιστέλλει Ματερνιανῷ τινί, τότε πάσας or αὐτοῦ τὰς ἐν Ρώμῃ πράξεις ἐγκεχειρισμένῳ, πιστοτάτῳ εἶναι. Su Flavius Maternianus vd., di recente, HALFMANN, Zwei syrische Verwandte, e PEACHIN, Judex citt. (sopra, nota 85), risp. pp. 232 e 236.

8? Mentre Maternianus aveva il controllo di Roma, i due prefetti del pretorio di Caracalla, Oclatinius Adventus e Opellius Macrinus, erano in Siria al se-

guito dell’imperatore; lo si desume dal confronto tra CI IX 51, 1 e l'iscrizione di Goharia (AE 1947, 182=SEG XVII 759) del maggio 216, su cui cfr. ultimamente K. BRINGMANN, Ein Dekret des Kaisergerichts. Bemerkungen zu P. Oxy. XLVII 3361, in “Klio” 81 (1999), pp. 491-495. E incerto, invece, se il senatore [-- -]us Paulinus, noto da un'iscrizione di Sparta (7G V/1, 538=AE 1913, 244), sia stato o meno supplente dei prefetti del pretorio e del prefetto di Roma nel

corso del III secolo; sul problema della sua carica e della sua cronologia cfr. di recente PEACHIN, Iudex cit. (sopra, nota 85), p. 237. 88 (5. MANGANARO, Iscrizioni latine nuove e vecchie della Sicilia, in “Epi-

graphica" 51 (1989), p. 185, n. 68 (AE 1989, 343): ------ fT- - MEC - -7 [7 - - provide]ntia/l- - v(iri)) p(erfectissimi) praef(ecti) ann(onae)/ [idemq(ue) v(ices) a(gentis) praeff(ectorum) pr]aetorio eemm(inentissimorum) vv(irorum duorum).

Lo studioso ha avanzato la proposta che nell'erasione fosse inciso il nome di Geta; in questo caso l'anonimo funzionario sarebbe il successore alla vice prefettura romana di Varius Marcellus, tra il 211 e il 212. Benché questa datazione sia ve-

rosimile, non si puó escludere completamente l'eventualità che nell'epigrafe fos-

156

dotti da un anonimo vir perfectissimus praefectus annonae, facente funzione anche dei prefetti del pretorio eminentissi-

mi. Come nel caso di Varius Marcellus, supplente tanto dei prefetti del pretorio quanto del prefetto urbano, anche nel caso dell’anonimo troviamo collegate la supplenza dei prefetti del pretorio con una carica della città di Roma, la prefettura

dell’annona. Questo connubio tra sostituzione dei prefetti del pretorio assenti e prefettura dell’annona, che a Camarina risulta attestato per la prima volta, sembra essere stato praticato con una certa frequenza nel corso del III secolo. Tra il regno di Severo Alessandro e il regno di Filippo l'Arabo il cavaliere C. Attius Alcimus Felicianus assunse il medesimo incarico di vice praefectorum praetorio, praefec-

tus annonae, come sappiamo da un'iscrizione africana che conserva il suo cursus honorum 8°. Questo abile amministra-

tore di origine africana, dopo una serie di procuratele in Italia e nelle province, espletó la seconda parte della sua lunga carriera esclusivamente a Roma, in qualità di procurator sacrae monetae, procurator hereditatium Romae,

curator ope-

ris theatri, magister summarum rationum, quindi summae privatae, infine vice praefectus vigilum. A coronamento degli incarichi romani fu promosso alla supplenza prefettizia e alla prefettura annonaria. Nel caso di Felicianus, come in altri casi dove, nel cursus, la prefettura dell'annona appare ac-

canto alla supplenza dei prefetti del pretorio, & difficile dire se le due cariche fossero rivestite contemporaneamente o se fossero, invece, ricoperte in successione.

Il caso dell'anoni-

mo di Camarina, se, come pare, l'integrazione proposta & esatta, farebbe propendere nettamente per la possibilità che prefettura dell'annona e supplenza dei prefetti del pretorio se ricordato Geta Cesare e che l'anonimo supplente sia stato in carica durante uno dei viaggi degli anni 198-204. In alternativa si potrebbe pensare a un altro Augusto della prima metà del III secolo, che, con i suoi prefetti del pretorio, fu assen-

te da Roma e subi la damnatio, almeno su alcune iscrizioni, per esempio Macrino, o Elagabalo (prima del suo adventus a Roma). Meno probabile che l'imperatore il cui nome venne eraso sull' iscrizione siciliana fosse Severo Alessandro, all'epoca delle spedizioni orientale o germanica, i cui prefetti ebbero il clarissima-

to, o Massimino il Trace, che lasció uno dei suoi due prefetti del pretorio a Roma. 39 CIL, VII 23963-1LS

1347 (Municipium Aurelium Commodianum Tur-

cetanum, Africa Proconsolare, con le integrazioni proposte in AE 1993, 1700). Su C. Attius Alcimus Felicianus vd. PFLAUM, Carrières, 2, pp. 843-851, n. 327; Pavis D’ESCURAC, La Préfecture de l'annone cit. (sopra, nota 62), p. 362; PEACHIN, Iudex cit. (sopra, nota 85), p. 237.

157

fossero incarichi che tendevano piü di altri, per i motivi che vedremo fra breve, a essere cumulabili. Durante il regno di Gordiano III, in occasione della sua

spedizione orientale, Valerius Valens fu supplente dei prefetti del pretorio eminentissimi e, per un certo periodo, contemporaneamente, prefetto dei vigili. In questa veste egli ebbe, a Roma, il controllo delle reliquationes della seconda legione

Partica e delle altre forze armate che non avevano seguito l’imperatore in Mesopotamia °°. Fin dalle sue prime attestazioni, dunque, la supplenza dei prefetti del pretorio, coniugata o meno con la vice prefettura urbana, o con la prefettura dell'annona, o con quella dei vigili, ha la caratteristica di es-

sere un incarico strettamente collegato con la città di Roma. Come accade per gran parte della storia amministrativa della seconda metà del III secolo, anche per la supplenza dei prefetti del pretorio la documentazione si fa piü rara o di difficile inquadramento 91. Allo stato attuale, le testimonianze

relative agli agentes vice praefectorum praetorio successive al regno di Filippo l’ Arabo sembrano riconducibili quasi integralmente agli ultimi due decenni del II secolo. Nel com-

99 L'incarico di Valerius Valens è segnalato da una dedica di Ostia fatta incidere dal personaggio, e da altri ufficiali con incarichi nella capitale, a nome delle sette coorti dei vigili in onore di Tranquillina Augusta (CIL, XIV 4398=/LS 2159). Di recente si è aggiunta una seconda iscrizione, datata 24 luglio 242, fatta incidere dallo stesso Valens, con procedimento analogo a quello dell’epigrafe ostiense, per il ritorno di Gordiano II, a nome dei soldati della seconda legione

Partica prossimi al congedo (AE 1981, 134). Gli elementi a disposizione lasciano ipotizzare che Valerius Valens fu il supplente di Furius Sabinius Aquila Timesitheus e di Iulius Priscus, poi del futuro imperatore Filippo, prefetti del pretorio di Gordiano III negli anni 242-244, quando il gruppo era in Oriente per la guerra persiana, e che mantenne il suo incarico romano fino al rientro di Filippo, Augusto, nel 244. Su Valerius Valens vd. PFLAUM, Carriéres, 2, pp. 830 sg., n. 323; PEACHIN, Judex cit. (sopra, nota 85), p. 237. Per il contesto storico in cui maturò

la supplenza romana di Valens cfr. M. CunisroL, L’Empire romain du II° siècle cit. (sopra, cap. I, a nota 2), pp. 95-98; P. A. HoLDER, Legio II Parthica in Italy

in the Reigns of Gordian III and Philip, in “LCM” 19 (1994), pp. 145 sg. ?! Può apparire strano che non si abbia notizia certa della supplenza dei prefetti del pretorio durante i regni di Gallieno, Aureliano e Probo, che trascorsero,

insieme ai loro prefetti del pretorio, lunghi periodi lontano da Roma. La causa

potrebbe trovarsi nella generale contrazione del patrimonio epigrafico di questa fase. Tuttavia & possibile che alcune notizie frammentarie su probabili agentes vice.praefectorum risalgano ai regni di questi imperatori. Potrebbe essere il ca-

so di un'iscrizione sepolcrale da Manliana, in Mauretania Caesariensis, dove ἃ ricordato un Bassus, forse supplente dei prefetti del pretorio (CIL, VIN 9611);

sul personaggio vd. ultimamente PEACHIN, ludex cit. (sopra, nota 85), p. 237.

158

plesso 1 dati a disposizione si rivelano significativi e sembrano indicare una sostanziale continuitä con l’etä severiana.

Un’iscrizione frammentaria da Ostia ricorda dei restauri eseguiti da un Augusto, il cui nome ἃ purtroppo caduto in una lacuna della pietra, per mezzo dell’intervento di un anonimo

prefetto dell’annona, incaricato al contempo della supplenza dei prefetti del pretorio 92. Lo stato della pietra non consente una datazione precisa dell’iscrizione, ma è importante sotto-

lineare come, ancora una volta, la supplenza dei prefetti del pretorio sia collegata alla prefettura dell’annona. Il legame tra la supplenza dei prefetti del pretorio e il processo di approvvigionamento annonario di Roma attraverso il porto di Ostia sembra confermato da un'iscrizione frammentaria e di incerta datazione, proveniente da Ostia o da Roma, dedicata

dai navicularii e dai codicarii della capitale a un vice prefetto anonimo 93. Naturalmente resta una pura ipotesi l’eventualità che questo supplente dei prefetti del pretorio sia stato anche prefetto dell’annona, ma appare molto probabile che egli abbia favorito le associazioni addette al rifornimento della metropoli nel corso del suo mandato imperiale pro praefec-

9? CIL, XIV 134: [---]+us Pius Felix invictus Augus[tus -- -/- - -thermas? -- de]formatas ruinosa labe |- - -/ - - -] Ostiensibus integrav|it- - -/ - - - praefect]o annonae, v(ice) a(gente) praeff(ectorum) [praet(orio duorum) - - -]. Il testo dell'iscrizione, perduta, é noto solo in tradizione manoscritta grazie a una scheda, redatta da una mano ignota, diversa da quella dell'autore, conservata negli appunti di E. Q. Visconti (Paris, Bibliothéque Nationale, cod. Lat. 9697, If, f? 43).

In base alla trascrizione proposta dall'autore della scheda, alla prima linea gli

editori del CIL, seguiti dalla PLRE (I, p. 1014, Anonymus 50), hanno proposto l'integrazione [- - - Pro]bus Pius ecc., che permetterebbe una datazione al periodo 276-282. Questa lettura resta soggetta a cautela. La prima lettera trascritta, dopo la lacuna, dal redattore della scheda, infatti, appare semplicemente come un lungo tratto verticale con una singola mezza luna in basso (b). E, quindi, difficile dire se si tratti dei resti di una B o, complice una scalfittura, di una N o di una R. I lavori di rifacimento ricordati nell’epigrafe invitano a integrare il testo, alla linea 4: [curante - - - v(iro) p(erfectissimo)? praefect]o annonae, ecc. Su questo anonimo prefetto dell’annona vd. Pavis D’Escurac, La Préfecture de l'annone cit. (sopra, nota 62), p. 378; PEACHIN, Judex cit. (sopra, nota 85), p. 237. 93 CIL, VI 1639=3811=XIV 185=CIL, VI, p. 4724. In base alla fotografia pubblicata da I. Dı SrEFANO

(Index Inscriptionum

Musei

Vaticani,

1. Ambula-

crum Iulianum sive "Galleria Lapidaria”, Città del Vaticano 1995, fig. 38 b, n. 13), si sarebbe tentati di integrare il frammento: [- - - - - - /---v(iro) p(erfectissimo)? praeflecto) annofnae?, a(genti) v(ice)] praeff(ectorum) praelt(orio) eemm(inentissimorum) vv(irorum duorum)],/ codicarii, nav[icularii - - -Ἰ infra pontem S|ublicio? - - -]/foti auxil[io eius - - -] patrono, pe[c(unia) sua?]. L'anonimo non compare nella PLRE I.

159

tis. È possibile che la sostituzione dei prefetti assenti da Roma consentisse al funzionario di intervenire nell’ambito dell’approvvigionamento urbano. Il cumulo degli incarichi di vice prefetto del pretorio e prefetto dell’annona potrebbe essersi verificato nel caso di Scribonius R..., che fu preposto all’annona in un momento

non meglio precisabile del regno di Diocleziano e Massimiano ?4. Purtroppo anche in questo caso la pietra è in cattive condizioni, ma non c’è dubbio che 1] titolare della dedica affiancò alla prefettura dell’annona un altro incarico svolto simultaneamente. Potremmo ipotizzare una supplenza dei prefetti del pretorio, che appare come il mandato più probabile, senza escludere naturalmente altre possibilità. Scribonius potrebbe dunque essere uno dei viceprefetti che — come Septimius Valentio e Manilius Rusticianus — svolsero il loro incarico a Roma nel corso del lungo regno di Diocleziano e dei Tetrarchi. Inoltre Scribonius sembra aver ricoperto anche la curatela della città di Ostia 95. Questo particolare contribuirebbe a collocarlo pienamente nel contesto amministrativo ostiense della fine del III secolo. Una delle prerogative degli alti funzionari legati al porto di Roma verso la fine del secolo consiste, con eccezionale frequenza, nell’essere curatori e

patroni della città di Ostia. Il legame tra il rifornimento della capitale e la cura dell’amministrazione della colonia è documentato, come abbiamo visto, per Manilius Rusticianus. E lo

è anche per Flavius Domitianus e Hostilius Antipater, entrambi prefetti dell’annona e curatores rei publicae Ostiensium, i cui incarichi, in mancanza di una datazione precisa,

vengono generalmente situati verso la fine del III secolo ?6. 94 CIL, XIV 4403 (Ostia): [-- - restitutor]i or[bis - --)/Caes(ari) M(arco) Aur(elio) Vallerio Diocletiano o Maximiano]/ Pio Fel(ici) invic[to Aug(usto) - -,/ Scribonius R[--- praef(ectus)|/ann(onae), idemque [a(gens) v(ice) praeffectorum) praet(orio) eemm(inentissimorum) vv(irorum duorum)?, patr(onus) col(oniae)]/ Ostiensi[um- -/ - --]T EV[---]. Su Scribonius R... vd. PLRE I, p. 761; Pavıs D'Escunac, La Préfecture de l'annone cit. (sopra, nota 62), p. 370. 95 Dal momento che Scribonius ἃ l'autore della dedica, patronus coloniae sembrerebbe l'integrazione più probabile della parola Ostiensi[um] (linn. 5 sg.). 96 Per Flavius Domitianus (CIL, XIV 5342) vd. PLRE I, p. 263; Pavıs D’ESCURAC, La Préfecture de l'annone cit. (sopra, nota 62), p. 379. Per Hostilius Antipater (AE 1941, 98; AE 1948, 126; AE 1971, 66) vd. PLRE I, p. 73; Pavıs p'ESCURAC, La Préfecture de l'annone cit., p. 367. Sulle curatele civiche cfr. G. CaMODECA, Ricerche sui curatores rei publicae, in ANRW II/13, Berlin-New York

1980, pp. 474-490 (sull'evoluzione della funzione) e pp. 469-499 (sui curatori

160

La curatela della città di Ostia in connessione con la prefettura dell’annona potrebbe rappresentare la naturale evoluzione di una situazione di fatto, in cui l'importante funzionario

con sede nella colonia assumeva anche l’onere della sovrintendenza della città. Il fenomeno potrebbe essere anteriore alla fine del III secolo, quando appare documentato. Domitianus e Antipater potrebbero, perciò, aver svolto il loro incarico annonario e la curatela ostiense nel corso del III secolo, prima dell’età dioclezianea. La prassi appare comunque ben radicata nel periodo tetrarchico. In età tetrarchica la supplenza dei prefetti del pretorio è testimoniata dalle iscrizioni di Septimius Valentio e di Manilius Rusticianus 57, Il primo fu senza dubbio attivo in Roma negli anni 293-296, come mostra la sua dedica a Massimiano posta sul Palatino. Per quanto riguarda il secondo, abbia-

mo visto che la sua supplenza dovrà collocarsi dopo quella di Valentio. In questo scorcio di III secolo la vice prefettura di Manilius Rusticianus appare tradizionale per le relazioni con le altre cariche che formano il cursus del cavaliere. Come i sostituti dei prefetti del pretorio che lo hanno preceduto a Roma nel corso del secolo il funzionario rivestì, infatti, una serie di

incarichi legati alla capitale e al suo porto. Al pari di C. Attius Alcimus Felicianus, dell’anonimo di Camarina,

dell’a-

nonimo di CIL, XIV 134 egli fu praefectus annonae. Al pari di Scribonius R..., di Hostilius Antipater, di Flavius Domitianus fu curator et patronus coloniae Ostiensium. Non è age-

vole stabilire con esattezza se la supplenza dei prefetti del pretorio e gli incarichi ostiensi siano stati cumulati, o in quale ordine cronologico siano stati rivestiti 98. In ogni caso quanto si conosce della carriera di Rusticianus — futuro prefetto del pretorio di Massenzio a Roma — dà la sensazione di una sostanziale identità tra la sua vice prefettura del pretorio, ricoperta in età tetrarchica, e il medesimo incarico destinato

a sostituire i prefetti del pretorio assenti dalla capitale attestato dall’età severiana. Anche il contesto storico in cui egli

ostiensi); E. Jacques, Le Privilège de liberté. Politique impériale et autonomie municipale dans les cités de l'Occident Romain (161-244), Roma 1984, pp. 1-317, e Les Curaseurs de cités dans l'Occident romain de Trajan à Gallien, Paris 1983. 97 Per le iscrizioni di Valentio e di Rusticianus vd. ὃ precedente.

% Sul problema vd. $ precedente.

161

espletò il suo mandato contribuisce a sostenere l’ipotesi della continuità. Il rapporto tra prefettura dell’annona e supplenza dei prefetti del pretorio appare un elemento rilevante nel corso del III secolo e ancora durante il regno di Diocleziano. In età dioclezianea i prefetti del pretorio quasi certamente non risiedettero mai a Roma. Ancora fortemente legati alle persone dei rispettivi Augusti e inseriti nei loro comitatus, essi accompagnarono i sovrani, durante gli anni dal 285 al 305, nei loro differenti itinerari,

e collaborarono

alle numerose

im-

prese belliche da loro compiute lungo e oltre 1 confini dell’impero ®. L'assenza dei prefetti del pretorio dalla capitale era divenuta ormai permanente. Le dieci coorti pretorie, ancora in servizio a Roma fino alla caduta di Massenzio, do-

vettero rappresentare un motivo di preoccupazione per Diocleziano e Massimiano 100, Essi, pur riconoscendo a Roma l’assoluto primato ideale su qualunque altra città dell’impero, abitarono,

e abbellirono, residenze più vicine a settori

strategici per la difesa e l'amministrazione dell'impero. In queste città essi trasferirono i loro comitatus e le truppe destinate alla loro difesa personale. Questa scelta rese urgente

99 Per una sintesi degli spostamenti di Diocleziano, Massimiano e dei Cesari negli anni della loro coreggenza cfr. BARNES 1982, pp. 49 sgg. Massimiano

Augusto, il principe che si mantenne più vicino alla capitale, privilegiò Milano e Aquileia quali residenze in Italia, salvo, sembra, un soggiorno a Roma nel 298. Grande rilievo ebbe quindi, nel 303, la celebrazione dei Vicennalia di Diocleziano e Massimiano Augusti a Roma, proprio per il fatto che la capitale non aveva mai ospitato, in venti anni, i due sovrani (forse nell’occasione affiancati dai Cesari); cfr. in proposito CHASTAGNOL, Maximien Hercule à Rome cit. (sopra, a nota 23), pp. 183-191 (=pp. 303-307), e BARNES 1996, pp. 544-546. Per la presenza dei prefetti accanto ai sovrani vd. sotto, nota 139, e pp. 318 e 334 sg. 100 Le coorti pretorie continuarono a essere dieci fino al loro scioglimento

avvenuto dopo la battaglia di Ponte Milvio. Il loro numero è testimoniato dal diploma militare rinvenuto

a Campagnatico (Grosseto) e datato 7 gennaio 306,

l’ultimo noto prima della scomparsa delle coorti; sul documento cfr. BIZZARRI, Forni, Diploma militare del 306 cit. (sopra, a nota 16). Il diploma del 306 ha

confermato i dati contenuti in un diploma del 298, che menzionava sempre lo stesso numero di dieci coorti pretorie (CIL, XVI 156). Il confronto tra i due di-

plomi consente di rileggere il passo di Aurelio Vittore (Caes. 39, 47) nel senso di una riduzione degli effettivi per coorte. Sulle basi relative alle coorti che stazionavano a Roma in età massenziana ritrovate nel Foro di Traiano cfr. R. PARIBENI, Iscrizioni del Foro di Traiano, in “NSA” 1933, pp. 484-489, ristudiate da M. SPEIDEL, Les prétoriens de Maxence. Les cohortes palatines romaines, in

“MEFRA” 100 (1988), pp. 183-186 (=Roman Army Studies, 2, Stuttgart 1992, pp. 395-389).

162

il problema del destino delle coorti pretorie acquartierate in Roma, divenute, nel corso della seconda metä del III secolo,

sempre più estranee alla loro funzione di scorta imperiale. Diocleziano e Galerio pensarono che fosse giunto il momento di scioglierle, ma incontrarono sempre una forte opposizione a questo progetto, e dovettero soprassedere !?!, Con ogni probabilità ridussero gli effettivi dei pretoriani, finché le coorti di stanza a Roma, nel momento di instabilità politica creatosi alla morte di Costanzo Augusto e alla proclamazione di suo figlio a Eburacum, nel luglio 306, non realizzarono

quanto Diocleziano temeva e si diedero un loro Augusto: Massenzio !°2. Durante il suo mandato in vece dei prefetti del pretorio, o a breve distanza da esso, Manilius Rusticianus

esercitò proprio quella funzione, essenziale e delicata nella vita di Roma,

costituita dall’amministrazione

dell’annona.

L’accostamento tra i due incarichi rivela quanto fosse viva negli imperatori, costretti lontano dalla capitale, la preoccupazione del mantenimento della pace nella città. Il funzionario che comandava le coorti pretorie era lo stesso che controllava tutto il processo di rifornimento e di distribuzione dei beni di consumo nella metropoli. Questo cumulo di prerogative si spiega agevolmente con il legame stretto che esisteva tra rifornimento regolare della città e mantenimento dell’ordine pubblico. Non a caso, accanto ai tribuni dei pretoriani, uno dei più attivi sostenitori di Massenzio a Roma nei giorni della sua usurpazione fu Lucianus, il tribunus fori

suari, sottoposto al prefetto dell’annona e incaricato delle distribuzioni di caro porcina alla plebe romana 103. Negli anni immediatamente successivi alla vice prefettura romana di Septimius Valentio, mentre,

secondo

la rico-

struzione proposta, il suo successore Manilius Rusticianus espletava sempre in Roma lo stesso mandato, è testimoniata per la prima volta in alcune aree dell’impero la presenza simultanea di altri agentes vice praefectorum praetorio. Il 30 ottobre 298 ebbe luogo a Tingi, in Mauretania Tin-

101 Oltre al passo di Aurelio Vittore (cit. alla nota precedente) cfr. Lact., Pers. 26, 3, sullo svuotamento dei Castra Praetoria in Roma ad opera di Galerio e Severo Augusti. 102 Sui disordini e il contesto politico che portarono all’acclamazione di Massenzio vd. oltre, cap. III, 3, pp. 243 sgg. 103 Zos. II 9, 3.

163

gitana, il processo contro il centurione Marcellus, i cui verbali sono conservati (probabilmente in parte rielaborati) negli Acta S. Marcelli. Il testo è generalmente ritenuto degno di fede 194, Il giudice che condannò Marcellus era Aurelius Agricolanus, agens vice praefectorum praetorio, alla cui giurisdizione si era rivolto il superiore di Marcellus, Astasius For-

tunatus, probabilmente praeses Beticae (o Gallaeciae). Aurelius Agricolanus, supplente dei prefetti del pretorio, era allora attivo in Mauretania. Secondo gli Acta il centurione Marcellus si era macchiato di insubordinazione e lesa maestä, rifiutandosi di celebrare una ricorrenza imperiale che cadeva il 15 luglio 298. Il suo superiore, Fortunatus, compiuta una sommaria istruttoria, preferi deferire l'ufficiale al tribunale di Aurelius Agricolanus, agens vice praefectorum a Tingi. Il processo si concluse con la condanna del centurione cristiano. La critica ammette la presenza di un nucleo autentico alla base di questi acta. Certamente il testo, filologicamente cosi discusso, é difficile da utilizzare nei particolari. Due elementi sembrano tuttavia militare a favore della veridicità della vicenda narrata e dell'iter giudiziario descritto. Prima di tutto la formula della carica di Agricolanus è adeguata cronologicamente alla storia amministrativa degli ultimi anni del III secolo. Oltre alle fonti che stiamo esaminando, i frammenti di un papiro, redatto circa quindici anni dopo il processo celebrato da Agricolanus, hanno recentemente restituito una parte, minima purtroppo, dei verbali di un interrogatorio tenuto in Egitto da un funzionario che, come Agricolanus, fu agens vice praefectorum praetorio (P. Oxy. 2952). Questo prova che il supplente dei prefetti del pretorio poteva sottoporre un imputato a un procedimento analogo a quello ricordato negli Acta Marcelli. Inoltre la letteratura agiografica, specialmente quella gravata dal dubbio della faisificazione, attribuisce la maggior parte degli interventi persecutori ai governatori di provincia (in Italia, talvolta, al prefetto urbano; in Egitto al prefetto d'Egitto). Un processo tenutosi di fronte a un agens vice praefectorum praetorio in Mauretania rappresenta una rarità difficilmente costruibile senza l'ausilio di un testo contemporaneo ai fatti. Si consideri infatti che: a) i vice prefetti non sono normalmente annoverati fra i funzionari persecutori; b) da un punto di vista della storia amministrativa, non sono neanche mai attestati come residenti in Maure-

104 Esistono diverse redazioni degli Acta S. Marcelli. Per un quadro della tradizione manoscritta e degli studi fino agli anni '60 cfr. G. LANATA, Gli atti del

processo contro il centurione Marcello, in "Byzantion" 42 (1972), pp. 513-522; gli Acta S. Marcelli sono stati riediti da H. Musumgm Lo, The Acts of the Christian Martyrs, Oxford 1972, pp. XXXVII-XXXIX e 250-259, e da G. LANATA, Gli atti dei martiri come documenti processuali, Milano 1973, pp. 201-208, dal qua-

le si cita. Su Aurelius Agricolanus vd. PLRE T, p. 31.

164

tania, dove, invece, nel 297, aveva combattuto Massimiano Augusto; c)

i poteri coercitivi in campo militare dei vice prefetti, poi vicari, sembrano venire meno alla fine degli anni '20 del IV secolo 105, Se gli Acta Marcelli fossero una tarda invenzione, dovremmo immaginare un

falsificatore capace di riesumare questa serie di elementi, il che appare poco probabile.

Quello stesso anno un altro vice prefetto, Aemilius Rusticianus, è segnalato in carica in Egitto. Il P. Oxy. 1469 ha restituito integralmente una petizione che i comarchi del villagio di Paimis, nel nomos Ossirinchite, gli consegnarono nel corso del 298 106, Il P. Oxy. 1469 è indirizzato ad Αἰμιλίῳ Ῥουστικιανῷ τῷ διασημίοτάτῳ) διαδεχο(μένῳ) τὰ μέρη τῶν ἐξοχοτάτων ἐπάρχων, ed è datato all’anno 298, mediante la coppia consolare, secondo la prassi di cancelleria introdotta in Egitto da Diocleziano (linn. 24 sg.) 17. Il contenuto della petizione sembra, a prima vista, riguardare un affare di

scarsa importanza. È stato stimato dal δημόσιος γεωμέτρης che la riparazione di una diga pubblica a sud del villaggio necessiti di quattrocento vavßia di terra; gli abitanti di Paimis ne hanno già elevati duecentocinquanta per contraffortare l’argine, ma l’assistente dello strate-

go (ὁ βοηθὸς τοῦ στρατηγοῦ) ne ha riconosciuti al villaggio solo cento, assegnando

l’innalzamento dei restanti centocinquanta ad altre co-

munità in vista di un qualche guadagno personale, come ritengono i comarchi di Paimis. I petitori segnalano che in proposito l’ufficiale preposto-alle verifiche sulle dighe dal prefetto d’Egitto (ὁ πεπιστευμένος

τὰ χώματα ὑπὸ τῆς ἡγεμονίας) ha riconosciuto le ragioni accampate dagli abitanti di Paimis, e chiedono l’intervento di Aemilius Rusticia-

nus affinché attraverso un suo ordine scritto (δι ἱερᾶς σου ὑπογραφῆς) imponga di ricalcolare l’opera prestata dal villaggio. Questa petizione, che concerne un affare per molti versi di scarsa entità, si rivela invece, dal punto di vista della storia amministrativa, densa di novità. Per la

prima volta nell’ambito della giustizia civile i sudditi dell’impero po105 La disciplina strettamente militare passò ai magistri militum e ai loro comites dall'età di Costantino unico Augusto, mentre, nel IV secolo, i contenziosi civili che coinvolgevano dei militari tendevano a essere giudicati da comites anziché da vicari (cfr. CTh 1 15, 7, del gennaio 377). 106 Su] personaggio vd. sopra, ὃ precedente, pp. 147 sg. 107 Probabilmente il ricorso fu inoltrato nel periodo immediatamente suc-

cessivo alla repressione della rivolta egiziana di L. Domitius Domitianus e di Aurelius Achilleus. Non sappiamo se, allora, Diocleziano avesse già nominato

il prefetto d'Egitto Aelius Publius, il primo prefetto successivo alla rivolta, che è attestato non prima della fine di agosto del 298. Su Aelius Publius cfr. PLRE I, pp. 754 sg., con gli aggiornamenti di G. BASTIANINI, Lista dei prefetti d'Egit-

to dal 30? al 299», in “ZPE” 17 (1975), p. 321.

165

tevano ricorrere ἃ] tribunale dei prefetti del pretorio per mezzo di un loro supplente inviato nella provincia.

Sempre in una regione orientale dell’impero, probabilmente nell’area pontica o siro-palestinese, poco prima dell’inizio della grande persecuzione anticristiana del 303, fu attivo come supplente dei prefetti del pretorio Sossianus Hierocles. Questo colto e fervente funzionario pagano fu tra gli ispiratori dei provvedimenti contro i cristiani. Autore di un’opera che confutava ı principi della rivelazione cristiana e la divinità di Cristo, espletò la sua carriera durante i regni di Diocleziano, Galerio e Massimino Augusti !98, Hierocles è indicato come ex vicario (=agens vice praefectorum praetorio) in un importante passo di Lattanzio, su cui torneremo diffusamente oltre !®. Il polemista cristiano presenta il filosofo pagano nella veste di praeses persecutore, con ogni probabilità a Nicomedia, durante il regno di Galerio Augusto (negli anni 305-309 circa), ma accenna anche alla carica da questi ricoperta prima della presidenza: la supplenza dei prefetti del pretorio. L’accenno di Lattanzio al vicariato non è casuale. Durante quell’incarico, infatti, Hierocles si era rivelato alle comunità cristiane (d’Oriente), e ai sovrani, per la sua attività letteraria anticristiana. Lattanzio sentì che l’allusione rapida alla viceprefettura del personaggio sarebbe stata evocativa per i lettori del suo scritto sulla caduta dei persecutori. La carriera, tutta orientale, del funzionario, la sua produzione letteraria anticristiana e il suo diretto coinvolgimento nella pianificazione della persecuzione dioclezianea invitano a concludere che egli fu vice prefetto nella pars di Diocleziano, poi di Galerio, prima del 303. La notizia di Lattanzio sul vicariato di Hierocles è confermata da un altro scrittore cristiano, Eusebius, che compose — sembra proprio negli anni della viceprefettura del filosofo — un libello (Contra Hieroclem) in risposta agli scritti anticristiani del funzionario !!9, In due passi della sua confutazione Eusebius descrive Hierocles come il presidente del tribunale piü elevato fra tutte le corti di giustizia !!!, Benché lo scrittore cristiano non utilizzi esplicitamente le espressioni agens vice praefectorum praetorio o vicarius per indicare la funzione di Hierocles, il confronto con l'indicazione di Lattanzio (ex

108 Su Sossianus Hierocles vd. sotto, cap. III, pp. 208-211. 109 Lact., Pers. 16, 4, esaminato oltre e sotto, cap. III, $2. 110 Su Eusebius, autore del cosi detto Contra Hieroclem, conservatosi fra le

opere di Eusebio di Cesarea, e su questa opera polemica vd. sotto, cap. III,

pp. 209 sg. 11 Eusebius, Contra Hier. 4 (p. 108 Forrat): τὰ ἀνωτάτω xe xoi καθ᾽ ὅλων δικαστήρια διειληφότος; 20 (p. 144 Forrat): τὰ ἀνωτάτω καὶ καθόλου δικαστήρια πεπιστευμένῳ.

166

vicario) e con quanto si conosce della carriera del personaggio spinge a concludere che Eusebius con le sue perifrasi faccia riferimento al vicariato di Hierocles !!2, Non c’è dubbio, infatti, che l'esercizio della giustizia di grado superiore a quella dei governatori provinciali (diretta e d’appello) e il controllo dell’attività giudiziaria dei praesides sia uno

dei compiti

istituzionali fondamentali,

fin dall’origine,

dei vice-

prefetti del pretorio !!3. In età dioclezianea questa prassi è testimoniata, come abbiamo visto, dal ricorso del praeses Fortunatus presso la corte

superiore di Aurelius Agricolanus e dalla petizione indirizzata dagli abitanti di Paimis ad Aemilius Rusticianus, anziché al prefetto d’Egitto. L'insistenza di Eusebius sull’affidamento a Hierocles del tribunale più importante, senza l'indicazione né della carica del funzionario, né della vasta circoscrizione su cui si estendeva la sua giurisdizione, è si-

gnificativa. Essa da un lato mostra che i lettori del Contra Hieroclem conoscevano bene l’incarico del filosofo pagano, dall’altro rivela un intento polemico. Nella sua opera Hierocles accusava, infatti, più volte i cristiani di essere creduloni e superficiali, ma, al tempo stesso, mostra-

va di credere ciecamente alle mirabolanti avventure e agli inverosimili miracoli del celebre Apollonio di Tiana, descritti da Filostrato. Eusebius, con l’insistenza sull’altissima responsabilità giudiziaria affidata al funzionario pagano, intendeva sottolineare il paradosso e il pericolo costituito dall’aver affidato a un uomo così fazioso e intellettivamente poco dotato un ruolo delicato ai vertici dell’amministrazione territoriale dell’impero.

Nell’anno del primo editto anticristiano è segnalato in Africa un altro supplente dei prefetti del pretorio, che restò in carica, con mandato sull’intera regione africana, fino al regno di Massenzio. Si tratta di Valerius Alexander, talvolta

identificato con l’usurpatore L. Domitius Alexander. Valerius Alexander è ricordato come supplente dei prefetti del pretorio da due iscrizioni. La prima proviene da Ain Naimia,

sul limes di

Numidia presso l’antica Calceus Herculis (AE 1942/43, 81). L’iscrizione era posta sopra la porta ovest del forte romano di Aqua Viva a ricordo della costruzione dell’installazione militare nel 303. Essa venne realizzata su ordine di Alexander e del praeses Numidiae Valerius Florus e sotto il controllo del praepositus limitis Valerius Ingenuus. La seconda iscrizione, in onore di Massenzio, proviene da Leptis Magna in

11? Per la resa in greco di agens vice praefectorum praetorio e vicarius vd. sopra l'inscriptio del P. Oxy. 1469, e vd. oltre. 13 Cfr. W.

ENssLIN,

Vicarius, RE VIII A 2, coll. 2030

sg. e 2034-2042;

E

DE MARTIND, Storia della costituzione romana, 5, Napoli 1967 (19752), pp. 269275, e, soprattutto, P. BARRAU, A propos de l'officium du vicaire d'Afrique, in

L'Africa Romana 4, Sassari 1987, pp. 89 sg.

167

Tripolitania (ΚΤ 464). La data di questa dedica & discussa. Essa fu posta mentre Massenzio controllava ancora, o di nuovo, I’ Africa, verosimilmente all’indomani di una sua affermazione, come sembrerebbero

indicare gli epiteti indulgentissimus ac libertatis restitutor victoriosissimusque. La PLRE (I, p. 44) e Barnes (1982, pp. 14 sg. e 145) propendono per una datazione all’epoca della vittoria di Massenzio su Severo nel 307, e adombrano una possibile identità tra Valerius Alexander e un altro personaggio segnalato dalle fonti come supplente dei prefetti in Africa durante il regno di Massenzio, l’usurpatore L. Domitius Alexander. Se l’ipotesi cogliesse nel vero, quest’unico vice prefetto del pretorio, in Africa nel periodo 303-308, si sarebbe rivoltato contro Massenzio, avrebbe usurpato la porpora e avrebbe abbandonato il gentilizio ‘massenziano’ Valerius a favore del gentilizio Domitius !!4. Quanti si oppongono all’identificazione tra Valerius Alexander e L. Domitius Alexander interpretano le carriere di questi due personaggi nel senso di un avvicendamento dei due alla medesima carica. Aurelio Vittore (Caes. 40, 17) e Zosimo

(II 12, 2) affermano,

infatti, che l’u-

surpatore africano fu acclamato Augusto mentre esercitava, in Africa, la supplenza dei prefetti del pretorio — 0, con maggiore probabilità, dell’unico prefetto del pretorio — di Massenzio !!5. AI di là del problema

dell’identificazione tra i due Alexander — che la coincidenza cronologica e amministrativa rende ampiamente possibile — sente ricerca è interessante notare che l’iscrizione di der da Leptis Magna è il primo documento dedicato praefectorum praetorio fuori d’Italia. Le due epigrafi

ai fini della preValerius Alexanda un agens vice africane di Vale-

rius Alexander mostrano che l’area di competenza del supplente dei prefetti del pretorio si estendeva in età dioclezianea e massenziana almeno dalla Numidia alla Tripolitania, e che il funzionario aveva com-

piti di controllo e organizzazione militare del territorio.

L’esame delle testimonianze relative ai quattro agentes vice praefectorum praetorio attivi in età tetrarchica fuori della città di Roma mostra inequivocabilmente l’affermarsi, nel-

la fase avanzata del principato di Diocleziano, di una novità 114 Peri pareri contrari all' identificazione tra il supplente e l’usurpatore cfr.

BARNES 1982, p. 14, nota 16, cui si aggiunge DI VITA-EvRARD, L. Volusius Bassus Caerealis cit. (sopra, cap. I, a nota 100), p. 173, nota 100. 115 Sull’usurpatore L. Domitius Alexander vd. ora la bibliografia citata da S. PANCIERA, Un prefetto del pretorio di Massenzio, Manilius Rusticianus, in Institutions, société et vie politique dans l'empire romain au IV* siècle ap. J.-C., Roma 1992, p. 257, e vd. sotto, cap. III, $ 3. Sembra escluso che l' Alexander comes ordinis primi e agens vice praefectorum praetorio, ricordato in una dedica da Vina, in Proconsolare (/LAfr. 321), sia da identificarsi col Valerius Alexander dell'inizio del IV secolo; cfr. in proposito G. DI Vrra-EvRARD, Le comte Alexandre?, in L'Afrique, la Gaule, la Religion à l'époque romaine. Mélanges à la mémoire de M. Le Glay, Bruxelles 1994, pp. 275-284 (=AE 1994, 1845).

168

amministrativa di rilievo. Abbiamo visto che Diocleziano e Massimiano Augusti si avvalevano della collaborazione di due prefetti del pretorio, anche dopo l’elevazione dei Cesari. In linea con la tradizione, gli Augusti conservarono per i rispettivi prefetti le competenze che la carica possedeva alla fine del III secolo: la giurisdizione d’appello vice sacra, testimoniata da due rescritti conservati nel Codice di Giustiniano 116; la repressione di alcuni fenomeni criminali, come ri-

corda Lattanzio descrivendo l’attacco alla chiesa di Nicomedia il 23 febbraio 303, quando il prefetto di Diocleziano fece abbattere l’edificio cristiano e sequestrare gli arredi e le Scritture !!7; il comando di spedizioni militari, attestato dalla

campagna vittoriosa di Asclepiodotus in Britannia, che probabilmente non fu l’unica operazione guidata da un prefetto del pretorio in età dioclezianea. Ma — questo è il punto chiave — a partire almeno dall’anno 298 i due prefetti del pretorio hanno visto rafforzata la loro presenza sul territorio dell’impero grazie alla moltiplicazione dei loro supplenti. Diocleziano e Massimiano non si limitarono a nominare un agens vice praefectorum per il controllo delle truppe di stanza nella città di Roma, come avevano fatto, prima occa-

sionalmente, poi con maggiore frequenza, i loro predecessori fin dall’età dei Severi. Muovendo da una prassi istituzionale che aveva allora già un secolo circa di vita, essi procedettero, come detto, almeno dal 298, alla moltiplicazione e

all’invio in aree diverse dell’impero di vice prefetti appartenenti all’ordine equestre, con mandato di rappresentare i due prefetti del pretorio dell’impero in regioni diverse del mon-

116 CT VII 35, 2, del 18 febbraio 286, e C/1 19, 1, dell’8 ottobre 290. 117 Lact.,

Pers.

12, 2-4, con

il commento

di 1. Moreau,

Lactance,

De

la

mort des persécuteurs, 2 (SC 39), Paris 1956, pp. 274-276. All’alba del 23 febbraio 303 il prefetto del pretorio di Diocleziano — di cui purtroppo Lattanzio tace il nome — con un drappello di pretoriani attaccò e fece radere al suolo la chiesa di Nicomedia, In quei giorni nella città bitinica risiedeva l’imperatore con la corte e il suo Cesare Galerio. Diocleziano volle che l’azione coercitiva contro i cristiani, sancita l'indomani dalla promulgazione del primo editto persecutorio,

iniziasse dalla sua residenza favorita e affidò la guida delle operazioni al suo prefetto del pretorio. Per il contesto spaziale del passo lattanziano cfr. le recenti indagini sulla topografia della Nicomedia di età dioclezianea condotte da P. BoULHOL, L’apport de l'hagiographie à la connaissance de la Nicomedie paléochrétienne, in “MEFRA” 106 (1994), pp. 926, 931 e 940 sgg. Sulla giurisdizione del prefetto del pretorio di Diocleziano in materia di repressione anticristiana, vd. sotto il caso di Flaccinus, cap. III, pp. 194-212.

169

do romano. Nel caso di Aurelius Agricolanus, il funzionario

agi in Mauretania Tingitana, ma aveva un mandato esteso alle province spagnole — visto che il praeses Beticae o Gallaeciae lo considerava un suo diretto superiore — e si occupó di giustizia militare. Nel caso di Aemilius Rusticianus, il mandato appare esteso almeno alla provincia d'Egitto, da dove proviene una petizione inviata al vice prefetto in materia di giustizia civile. Nel caso di Valerius Alexander, sappiamo che l'area di sua competenza si estendeva sull'intera Africa,

dalla Numidia alla Tripolitania, dove fu impegnato in interventi di edilizia militare. L'introduzione di agentes vice praefectorum praetorio, con un mandato su un territorio ampio, superiore all'estensione di una provincia, e, come

sembra, ben circoscritto e

omogeneo, rappresenta una novità molto significativa nell'evoluzione della prefettura del pretorio verso l'assetto regionale tardoantico. La presenza dei nuovi vice prefetti indica che negli anni immediatamente a cavallo tra il III e 11 IV secolo fu avvertita da parte del potere centrale l'esigenza di estendere simultaneamente la presenza dei prefetti del pretorio in aree dell’impero che da sempre erano lontane dal controllo di questi funzionari, ancora fortemente collegati all'imperatore, alla sua corte, alle sue residenze privilegiate !!$. I vice prefetti testimoniati in età tetrarchica agiscono tutti in regioni eccentriche rispetto alle principali “capitali” del tempo (Treviri, Milano, Sirmium, Serdica, Eraclea, Nicomedia, Antiochia). Questo significa che essi furono inviati a

svolgere il loro mandato lontano dalle sedi e dagli itinerari consueti dei prefetti del pretorio. In un certo senso si potrebbe affermare che nell’avanzato periodo tetrarchico per la prima volta i sudditi, le autorità cittadine e provinciali, e la prefettura del pretorio si trovarono a essere più vicini. Prima ancora che nella moltiplicazione del numero dei prefetti del pretorio — che, come vedremo, è un fenomeno di età costantiniana — è nell’istituzione di vice prefetti attivi in aree vaste e diverse dell’impero che dovrebbe essere individuata la radice e l’inizio del processo di trasformazione della prefettura del pretorio nella sua espressione ‘regionale’ tar-

118 Sul legame stretto tra i prefetti del pretorio e il comitatus dell’imperatore vd. sotto, cap. II,

170

doantica 119, Naturalmente molto ci sfugge riguardo alle relazioni tra questi nuovi funzionari di età tetrarchica e le altre cariche civili e militari dell’impero. Non sappiamo con esattezza se tutte le competenze dei titolari della massima prefettura fossero delegate a questi nuovi vice prefetti e, per loro tramite, ‘decentrate’ nelle province. Del resto le attribuzioni stesse dei prefetti del pretorio, certamente ampie già in età dioclezianea, per lo meno in ambito giudiziario e militare, forse anche fiscale, solo in minima parte risultano bene individuabili. Quel che si può affermare con sicurezza è che l’estensione della supplenza dei prefetti del pretorio ad ampie aree dell’impero fu una novità destinata a un grande successo. Mentre nominava e distribuiva i nuovi agentes vice praefectorum nell’impero, Diocleziano rispondeva a un’esigenza dei suol tempi. Ma è lecito chiedersi se nel fare questo egli procedesse anche alla suddivisione del mondo romano in diocesi, secondo un piano di riordino globale — è la tesi maggiormente accreditata da sempre negli studi — o se, invece, gli agentes vice praefectorum di età tetrarchica, pur essendo attivi ciascuno in un determinato settore dello spazio amministrativo romano, siano stati un’innovazione circoscritta a certe zone dell’impero e indipendente dalla sua suddivisione

in diocesi, che andrà quindi attribuita ad altri sovrani 120, Co119 Analogo il giudizio espresso in un recente contributo di F. GRELLE, La forma dell’Impero, in Storia di Roma IV, L'età Tardoantica. Crisi e trasformazioni, Torino 1993, p. 80: “Sebbene la prefettura del pretorio continui ad essere una funzione complementare di quella del principe, come sottolinea Arcadio Carisio, e assuma perciò in età tetrarchica un’accentuata mobilità, l’istituzione dei vicari ne avvia un collegamento funzionale con l' amministrazione ter-

ritoriale, e apre così la strada a un suo dislocamento regionale”. 120 L'ipotesi tradizionale tende a far coincidere la comparsa dei primi supplenti dei prefetti del pretorio con la creazione

delle diocesi (ca. 297-298);

cfr.

in proposito, accanto alle ricostruzioni di SESTON, Diocletien cit. (sopra, a nota 12), pp. 320-340, e di Jones, The Later Roman Empire cit. (sopra, a nota 82), 1, pp. 46 sg. e 373-377, Barnes 1982, pp. 224 sg. (che l’anticipa al 293); CHaSTAGNOL, L’Evolution politique cit. (sopra, cap. I, a nota 78), pp. 237-255; CHRISTOL, L’Empire romain du III * siécle cit. (sopra, cap. I, a nota 2), pp. 208 sg.; CARRIE, ROUSSELLE, L'Empire romain en mutation cit. (sopra, a nota 43), pp. 185 sg. e 191 sg. Per l'ipotesi di una creazione delle diocesi da parte di Costan-

tino tra il 314 e il 324 cfr. K. L. NOETHLICHS, Zur Entstehung der Diözese als Mittelinstanz des spátrómischen Verwaltungssystems, in "Historia" 31 (1982), pp. 70-81; MiGL, pp. 54-69. Ultimamente appaiono propensi a diluire le riforme amministrative di Diocleziano, anche negli anni successivi al 305, M. CHRISTOL e TH. DREW-BEAR, Antioche de Pisidie capitale provinciale et l'oeuvre de M. Valerius Diogenes, in “AntTard” 7 (1999), p. 39, nota 2.

171

me accennato, il problema non è di secondaria importanza nello studio dell'evoluzione che porterà alla costituzione delle prefetture regionali tardoantiche. Le grandi aree su cui si estese il controllo dei prefetti del pretorio con mandato regionale, dal IV al VI secolo, furono costituite da una o più

diocesi. Purtroppo l’indagine sull’origine dell’assetto diocesano è resa difficile dalle lacune della documentazione. A differenza di quanto accade per la riforma costantiniana della prefettura del pretorio, non possediamo nessuna descrizione antica delle trasformazioni amministrative introdotte da Diocleziano !2!. Per tentare di fare luce sulla questione è necessario, quindi, esaminare una serie di indizi di diversa natura.

La divisione dell'impero in diocesi fu una novità amministrativa per certi versi ancora piü 'rivoluzionaria' della moltiplicazione dei vice prefetti del pretorio. Quando negli ultimi anni del III secolo Diocleziano decise di affidare mandata vice praefectorum a funzionari inviati contemporaneamente in diverse regioni dell'impero certamente innovava — e dal punto di vista della storia della prefettura del pretorio innovava notevolmente — ma non creava qualcosa di completamente nuovo. Egli poteva fondare il suo intervento su una tradizione istituzionale che rimontava almeno all'età severiana, e che sappiamo essere già largamente assimilata nella giurisprudenza ulpianea: l’esistenza di un cavaliere che eccezionalmente vice praefectis ex mandatis principis cogno-

scet. Al contrario le grandi diocesi, nella forma che fu loro propria fin dal momento della comparsa agli inizi del IV secolo, non hanno alcun precedente istituzionale 122,

121 Per l’analisi delle fonti letterarie sulla riforma

costantiniana

vd. sotto,

cap. IV, 85.

122 L’amministrazione romana di età tardo repubblicana e imperiale ha ereditato dalle monarchie ellenistiche il concetto di dioecesis (διοίκησις). Nel linguaggio amministrativo romano il termine indicava una circoscrizione di dimensioni contenute, affidata a legati di governatori consolari. Nella provincia

d' Africa Proconsolare, per esempio, esistevano due diocesi, la Carthaginensis e l'Hipponensis, in cui operavano i due legati proconsulis, uno per ciascun distretto (cfr. Di VITA-EVRARD, L. Volusius Bassus Cerealis cit., sopra, cap. I, a no-

ta 100, pp. 155 sg.). Talvolta διοίκησις indicava il distretto affidato a un procuratore del fisco imperiale (per esempio del procurator ad dioecesim Alexandrinae o dioeceseos Hadrumetinae, dove il termine & sinonimo di regio o tractus), o segnalava il conventus iuridicus del governatore di provincia, come mostra la recente testimonianza del P. Euphr. 1 (lin. 15), dell'agosto 245, su cui cfr. FEISSEL, GASCOU, Documents d'archives romains inédits du Moyen Euphrate (III *

172

Il confronto con le realtà amministrative che in età altoimperiale venivano associate al termine dioecesis obbliga a concludere che le grandi — talvolta enormi — diocesi tardoantiche furono delle strutture molto diverse, per dimensioni e per funzione, dalle antiche diocesi augustee. Mentre la diocesi altoimperiale fu sempre la porzione di una circoscrizione amministrativa più ampia (nell’estensione massima essa coincise con una provincia, 0, più spesso, con la frazione di una provincia), la diocesi tardoantica fu, al contrario, il distretto più esteso dell’amministrazione romana, concepito,

fin dall’origine, come un insieme di province. La divisione dell’impero in diocesi rappresentò, dunque, una novità assoluta nell’organizzazione, e nell’interpretazione, dello spazio amministrativo romano. La macrostruttura diocesana vide la luce, probabilmente,

allo scopo di contrastare il processo centrifugo che, dall’età dioclezianea, il frazionamento provinciale e la crescita improvvisa del personale amministrativo rischiava di provocare. È difficile dire se la creazione delle diocesi ebbe finalità principalmente fiscali, aspetto di cui ultimamente si dubita 123. E probabile che la razionalizzazione del prelievo e della redistribuzione fiscale fosse, nella mente dei riformatori,

solo uno degli elementi destinati a essere ordinati nel nuovo sistema di organizzazione e di controllo, esercitato attraver-

so 1 vice prefetti. Su un aspetto, invece, conviene fissare l’attenzione. L’accorpamento di tutte le province in diocesi è, per sua natura, un provvedimento sistematico e unitario che deve aver coinvolto l’impero romano nella sua interezza. Per un intervento rivoluzionario come l’istituzione delle diocesi pare logico ipotizzare un atto creativo unico e circoscritto nel tempo, avvenuto, con ogni probabilità, in un periodo in cui l’impero era politicamente unito. Sembra quindi da escludere la fase turbolenta delle lotte tra i successori di Diocleziano e Massimiano, che si aprì nel 306 e si chiuse nel 313, e che fu caratterizzata, come vedremo, da un deciso e insupe-

siècle après J.-C.), in "CRAT" 1989, pp. 549 e 554 sgg., e Documents d’archives romains cit. (sopra, cap. I, a nota 33), pp. 83 sg. Per un panorama dell’uso della parola dioecesis nella storia amministrativa romana cfr. E. KORNEMANN, Dioecesis, RE VII, coll. 716-734. 123 Cfr., di recente, J.-M. CARRIÉ, Dioclétien et la fiscalité, in "AntTard" 2

(1994), pp. 33-64.

173

rabile frazionamento territoriale 124. Il clima di discordia che regnò tra gli Augusti di questo periodo produsse non solo una divisione dell’impero in partes, per molti versi impermeabili, ma contribuì a mettere in crisi l’idea di una collegialità prefettizia, che, invece, era stata uno dei cardini dell’ammi-

nistrazione imperiale all’epoca delle dediche prefettizie collegiali di Oescus e di Brescia. Sembra poco credibile che si procedesse a moltiplicare i nuovi supplenti dioclezianei dei prefetti del pretorio, trasformandoli in responsabili diocesani, in un momento in cui erano venute meno l’unità politica

dell’impero e la compattezza del collegio prefettizio; in una fase, inoltre, in cui i numerosi prefetti del pretorio dei diversi sovrani agirono su porzioni dell’impero decisamente più circoscritte rispetto al passato. In questo periodo l’esigenza di vice prefetti dislocati nel territorio dovette essere meno urgente e il controllo diretto dei prefetti più agevole. Sembra, quindi, opportuno ipotizzare che le diocesi siano state istituite prima o dopo la crisi politica degli anni 306-313. Le fonti superstiti non nominano esplicitamente le diocesi in relazione all’opera di Diocleziano. La prima fonte storica che mostra l’impero romano suddiviso in diocesi è il Laterculus Veronensis. Si tratta, come è noto, di un registro, for-

se parte di un laterculus amministrativo più ampio, in cui sono elencate tutte le province dell’impero, da Oriente a Occidente, raccolte in dodici diocesi 125, La ripartizione diocesana e provinciale proposta in questo documento presenta trat-

ti di forte continuità, sotto tutti i punti di vista, con la divisione dell’impero in diocesi quale è testimoniata nei duecentocinquant' anni successivi 126. Non c’è dubbio, quindi, che la riforma diocesana, attestata per la prima volta nel documento veronese, sia il frutto di un incisivo intervento istituziona-

le. Malgrado le discussioni sollevate in passato sulla sua datazione e sulle modalità della sua stesura, il Laterculus Veronensis è un testo compatto e cronologicamente omogeneo, 124 Sull’instabilità politico-istituzionale del periodo 306-313 vd. sotto, cap. sg. 125 Per il Laterculus Veronensis, cfr. O. Seeck, in appendice alla sua edizio-

ne della Notitia Dignitatum, Berlin 1876, pp. 247-251, e, recentemente, BARNES 1982, pp. 201-208, cui si rinvia per un’introduzione generale al documento, con

le revisioni dello stesso BARNES 1996, pp. 548-550. 126 Per un rapido confronto tra il Laterculus Veronensis e le altre testimonianze sulla geografia amministrativa dell'impero romano fino al VI secolo cfr. Jones, The Later Roman Empire cit. (sopra, a nota 82), 3, pp. 381-391.

174

databile, con un buon margine di sicurezza, all'anno 314 127. Esso riproduce l’organizzazione data all’impero romano da Costantino e Licinio nel periodo immediatamente seguente alle loro affermazioni su Massenzio e su Massimino. Tuttavia è lecito avanzare l’ipotesi che la struttura amministrativa ritratta nel documento non sia una creazione dei due Augusti, che, per primi, dunque, avrebbero escogitato la divisione in

diocesi. E possibile che il Laterculus Veronensis sia soltanto il testimone della suddivisione provinciale e diocesana data dai due Augusti a tutto l’impero nel 314, muovendo, però, da

uno schema diocesano istituito prima di loro. Questa ipotesi sarebbe sostenuta da un elemento di natura linguistica. L'aspetto che maggiormente colpisce nella formula della carica di Valentio e di Rusticianus, agentes vice praefectorum praetorio clarissimorum! eminentissimorum virorum, e nel cursus ‘romano’ del secondo, è la spiccata

continuità con l'età severiana. L'indicazione del rango dei due prefetti del pretorio suppliti è senza dubbio un elemento dal sapore antico per quel che riguarda la storia della terminologia amministrativa romana. Esso trae origine dal mandato imperiale straordinario con cui un funzionario agiva vice praefectorum, per usare le parole di Ulpiano, e sostituiva concretamente e temporaneamente una determinata coppia di prefetti del pretorio assenti dalla capitale. Valentio e i decurioni di Ostia, che elevarono il monumento a Rusticianus, fe-

deli a questa tradizione, vollero precisare il rango dei prefetti sostituiti.

Non c’è dubbio, infatti, che nel IH secolo la sup-

plenza dei prefetti del pretorio a Roma fosse avvertita, pur nella sua relativa frequenza, come un incarico straordinario. L’unico supplente dei prefetti del pretorio — ribadiamo — sostituiva effettivamente quella determinata coppia di titolari.

127 II Laterculus Veronensis è databile attraverso l'esame del periodo di vita (istituzione, fusione, eliminazione) delle province elencate. Questo tipo di analisi ha fatto sì che gli studiosi proponessero, nel tempo, non solo datazioni diverse del documento nella sua interezza, ma anche datazioni differenti per l’insieme delle province accorpate nelle diocesi orientali e per quelle raccolte nelle diocesi occidentali. Questa lettura de! Laterculus come di un documento

diviso in due sezioni, redatte in momenti diversi, è senz’altro da respingere. Per la sua datazione si rinvia alle proposte avanzate, in particolare, da JONES, The Later Roman Empire cit. (sopra, a nota 82), 1, p. 43, e 3, p. 381, con le recenti

considerazioni di BARNES 1996, pp. 548-550, e si propende per una redazione del documento nella seconda metà del 314.

175

Tuttavia la specificazione del rango dei prefetti del pretorio suppliti dall’agens vice praefectorum venne meno tra la tarda età tetrarchica e il periodo di instabilità che investì l'impero tra il 306 e il 313. Questa scomparsa è un fatto compiuto già prima della diarchia di Costantino e Licinio, prima, insomma, della stesura del Laterculus Veronensis. A partire da questa fase nessun vice prefetto, sia che adotti la formula agens vice praefectorum praetorio, sia che adotti il termine vicarius (praefectorum praetorio) per definire il suo incarico, sentì più l’esigenza di indicare il rango dei prefetti del pretorio da lui suppliti. La specificazione del rango dei prefetti del pretorio appare ancora, oltre che nelle dediche di Septimius Valentio e di Manilius Rusticianus e nella petizione indirizzata ad Aemilius Rusticianus nel 298 (vd. sopra), in un papiro frammentario, databile al 307 128, Si tratta, probabil-

mente, di una comunicazione ufficiale relativa a problemi di procedu-

ra amministrativa e contiene l’ultima testimonianza databile dell’indicazione del rango praefectorum. Già pretorio scompare der (vd. sopra), in

dei prefetti del pretorio suppliti dagli agentes vice in quegli anni l’indicazione del rango dei prefetti del dalla titolatura dei loro supplenti. Valerius Alexancarica tra il 303 e il 308, è indicato nelle iscrizioni di

Aqua Viva e di Leptis Magna, contemporanee al suo mandato, semplicemente come agens vice praefectorum praetorio, senza l’indicazione del rango dei prefetti del pretorio suppliti. Da questo momento — se si eccettua il documento del 307 segnalato sopra — nelle testimonianze epigrafiche e papirologiche sui supplenti dei prefetti del pretorio non si trova più la specificazione del rango dei funzionari suppliti. Per le fonti letterarie il quadro è analogo. Le costituzioni dei Codici tardoantichi, nelle loro intitulationes e nel testo, gli storici e gli scrittori cristiani,

quando parlano di vice prefetti, non segnalano mai l’indicazione del rango dei prefetti suppliti 129. Se si estende l'analisi alle testimonianze

128 Il documento del 307 è

il P. Flor. I 33, di cui cfr., in particolare, lin. 18:

τῶν [διαδεχοϊμένων o τῶν [διεπο]μένων τὰ μέρη τῶν ἐξοχοτάτων ἐπάρχων. Il papiro è databile grazie a un riferimento al praeses Thebaidos, il persecutore

Satrius Adrianus, in carica nel 307; su Satrius Adrianus vd. PLRE I, p. 14. 122 Fa eccezione una lettera di Costantino

a Macario,

vescovo

di Gerusa-

lemme, scritta nel 325-326, in cui si auspica la costruzione di una basilica cristiana a Gerusalemme sul Santo Sepolcro. Nel testo l'imperatore delega alcune

responsabilità nella realizzazione dell'opera a Dracilianus (PLRE I, p. 271), vicario della diocesi d' Oriente, definito agens vice praefectorum (praetorio) clarissimorum virorum (traduzione latina del testo greco, conservato da Eusebio di

Cesarea, VC. III 31: διέπων τῶν λαμπροτάτων ἐπάρχων τὰ μέρη). Probabilmente in questo caso l' Augusto ha indicato il rango dei prefetti del pretorio, per sottolineare che quei funzionari non erano più dei cavalieri, ma, grazie a una sua

176

epigrafiche degli agentes vice praefectorum / vicari praefectorum del IV e del V secolo si puö constatare facilmente che l'indicazione del rango dei prefetti suppliti non compare più 130,

E possibile che questa evoluzione nella titolatura della carica, che coincide con le prime attestazioni della diffusione di agentes vice praefectorum praetorio nell' impero, corrisponda anche alla trasformazione della supplenza dei prefetti del pretorio da carica straordinaria, esercitata esclusivamente a Roma, in una nuova funzione amministrativa, quel-

la di responsabile di una diocesi. Le testimonianze superstiti mostrano che a partire dall'età tetrarchica, e, ininterrottamente, nei due secoli e mezzo

seguenti, per indicare la carica di vicario diocesano dei prefetti del pretorio furono utilizzate una serie di espressioni diverse, ma equivalenti: agens vice praefectorum, agens pro praefectis, agens vicariam praefecturam, vicarius 131. Questa

pluralità espressiva per definire un solo incarico ὃ un fenomeno singolare nel panorama delle titolature degli amministratori dell'impero. Essa ha creato un certo imbarazzo fra gli

recentissima riforma, divenivano senatori al momento della nomina alla massima prefettura. Sulla riforma costantiniana e sul suo contenuto sociale vd. sotto, cap. IV, $5. 130 Negli anni della diarchia di Costantino e Licinio cfr. P. Oxy. 2952 e

AE 1924, 89; tra il 317 e il 326 cfr. CIL, VI 1704-ILS 1214; durante il regno di Costantino cfr. CIL, II 2203

e 4107;

CIL, XI 831=/LS

1218. Nel IV secolo cfr.

AE 1915, 75; CIL, VI 1698=/LS 1257; CIL, VI 1774=ILS 5906; CIL, VI 510zILS 4152; CIL, VIII 783; CIL, VII 10609 e 14752-ILS 763; CIL, VIII 22830; CIL, VIII 7014-ILS 758-ILAlg. 2, 591; CIL, VIII 7037 e 7038-ILS 5534=/LAlg. 2, 624; CIL, VIII 7068=/1Alg. 2, 653; CIL, X 1692=ILS 792; ILAfr. 314; ILS 8948; IRT 57; 58; 472; 473; 475; 519; 558. Nel V secolo cfr. AE 1968, 123; AE 1994, 1845. 131 Sui vicari diocesani e le loro titolature cfr. ENSSLIN, Vicarius cit. (sopra, a nota 113), coll. 2023-2044, e, ultimamente, FEISSEL, Vicaires et proconsuls d'A-

sie cit. (sopra, cap. I, a nota 36), pp. 91-104. Sulle titolature dei singoli vicari dalIa fine del III al VI secolo cfr. 1 lemmi dei funzionari elencati nella PLRE I, pp. 1077-1082 e 1085 sg., e PLRE II, pp. 1275 sg. e 1281. In greco si constata la stes-

sa coesistenza di più espressioni per indicare l'incarico del vicario: διαδεχόμενος ovvero διεπόμενος τὰ μέρη τῶν ἐπάρχων (agens vice praefectorum ovvero agens pro praefectis), διοικήσας ovvero διέπων τὴν ἔπαρχον ἐξουσίαν (agens vicariam praefecturam), βικάριος (vicarius); talvolta, in poesia, la carica & defi-

nita dai termini ὕπαρχος ο ἔπαρχος, con cui le fonti indicano normalmente i prefetti del pretorio, ma la segnalazione della diocesi o il contesto letterario svelano trattarsi del vicario diocesano; raramente si incontra il termine ἄρχων, seguito dalla segnalazione della diocesi (per esempio ᾿Ασίας, Ἰταλίας).

177

studiosi moderni, incerti se la differenza espressiva non ce-

lasse una divergenza di funzioni. In realtà l'esame della documentazione spinge a concludere che queste espressioni indichino sempre l’incarico di vicario diocesano. Non solo si può constatare un’identità nel ruolo degli agentes vice praefectorum e dei vicari, ma è agevole rilevare come uno stesso

funzionario sia indicato nelle fonti ora come vicarius, ora come agens vice praefectorum praetorio durante il suo manda-

to diocesano 132, È possibile, dunque, constatare che già nella tarda età tetrarchica si utilizzavano per indicarei vice prefetti del pretorio espressioni che nei decenni e nei secoli seguenti avrebbero segnalato, senza dubbio, l'incarico del vi-

cario diocesano. Abbiamo visto che l'espressione agens vice praefectorum praetorio tu impiegata nel corso del III secolo per indicare i supplenti dei prefetti temporaneamente assenti da Roma e che fu estesa, da Diocleziano in età tetrarchica, ai vice

prefetti distribuiti nell'impero. Si noti che la comparsa del sinonimo vicarius accanto al piü antico agens vice praefectorum (affiancato dalla formula parallela agens vicariam praefecturam) fu precoce. Il termine é attestato in un documento ufficiale già all'inizio della diarchia di Costantino e Licinio 133. Esso tende a prevalere nella documentazione tardoantica, soprattutto, come è noto, nelle inscriptiones delle

costituzioni dei Codici 134. Il motivo di questo successo va

132 Cfr. i casi di Aelius Paulinus (nel 314, PLRE I, p. 678); Crepereius Ma-

dalianus (nel 341 PLRE I, p. 530); Flavius Magnus (nel 354, PLRE I, p. 535); Alypius (nel 358, PLRE I, pp. 46 sg.); Claudius Avitianus (nel 362/63, PLRE I,

pp. 126 sg.); Placidus Severus (nel 364/65, PLRE I, pp. 836 sg.); Antonius Dracontius (nel 364/67, PLRE I, p. 271); Marius Artemius (nel 369, PLRET, p. 113);

Maximinus (nel 370/71, PLRE I, pp. 577 sg.); Virius Nicomachus Flavianus (nel 376/77, PLRE I, pp. 347-349); Valerius Anthidius (nel 381, PLRET, p. 70); Menander (nel 385, PLRE I, p. 596); Turranius Decentius Benignus (nel 399-400,

PLRE II, p. 224). La coincidenza geografica del mandato come agentes vice o come vicari in fonti differenti, o la presenza nel cursus honorum di questi personaggi di un solo incarico diocesano, spinge a identificare la funzione definita attraverso le due diverse titolature. 133 Lact., Pers. 48, su cui vd. oltre. 134 Per quanto riguarda le costituzioni dei Codici, vicarius indica il respon-

sabile diocesano già in una comunicazione di Costantino al proconsole d' Africa Aelianus del 25 febbraio 315 (CTh IX 34, 2) e compare per la prima volta nell'inscriptio di una costituzione del Codice Teodosiano il 6 marzo 314 (CTA 11 7,

1). Per quanto riguarda 14 documentazione epigrafica, le prime attestazioni del

178

probabilmente ricercato nel fatto che la formula vicarius era piü breve e agile di agens vice praefectorum praetorio. 1] termine vicarius era forse piü generico, ma aveva il vantaggio di poter essere privato agevolmente della precisazione praefectorum (praetorio), cosa impossibile quando si impiegava la perifrasi agens vice. L'uso di vicarius consentiva, inoltre, di collegare facilmente al sostantivo indicante la carica, vi-

carius appunto, la diocesi su cui il funzionario esercitava il suo mandato attraverso un semplice complemento di specificazione. Cosi l'espressione vicarius Africae era piü diretta dell'equivalente agens vices praefectorum (praetorio) per provincias Africanas, o di agens vicariam praefecturam per provincias Africanas 135.

L’aspetto più significativo dell'uso, precoce, del semplice sostantivo vicarius per segnalare l'incarico dell’agens vice praefectorum praetorio consiste nel fatto che il termine, di per sé generico — i vicariati di funzioni amministrative o militari potevano essere numerosi — indicó, immediatamente e

senza equivoci, il sostituto diocesano dei prefetti del pretorio. La diffusione del sostantivo vicarius, nell'accezione am-

ministrativa che abbiamo visto, e l'apparizione nella documentazione, agli inizi del IV secolo, di un'espressione come vicaria praefectura, sono certamente fenomeni importanti. Essi mostrano che alla supplenza occasionale e temporanea dei prefetti del pretorio si è sostituita nell’orizzonte amministrativo dell’impero una carica del tutto nuova, con un asset-

to differente dalle supplenze prefettizie del III secolo esercitate a Roma. E, soprattutto, l'espansione dei termini vicarius e vicaria praefectura indicano che la novità istituzionale è stata assimilata rapidamente. Le due espressioni, vicarius e agens vice praefectorum — di cui agens vice avvertita come più antica e, forse, come più prestigiosa — continuarono a essere utilizzate per setermine vicarius risalgono all’età di Costantino unico Augusto, ma in riferimento a incarichi ricoperti, probabilmente, nel periodo della diarchia con Licinio;

cfr. la famosa dedica a C. Caelius Saturninus signo Dogmatius

(CIL, VI

1704=/LS 1214, su cui vd. sotto, cap. IV, $4) e l’epigrafe sul sarcofago di Vinicia Marciana, figlia del vicario Caecilianus (CIL, XI 831=/LS 1218). 135 Emblematico, per esempio, il caso di Antonius Dracontius (PLRE I, p. 271), indicato come vicarius Africae nell’inscriptio di dieci costituzioni del Codice Teodosiano, e agens vice praefectorum praetorio per Africanas provincias in sette iscrizioni realizzate in Tripolitania.

179

coli 136. [uso di più titoli per segnalare lo stesso incarico, tuttavia, generò talvolta qualche perplessità fra 1 romani stessi. Nel VI secolo il grammatico Cledonius, studioso sensibi-

le all'evoluzione del linguaggio amministrativo, dette una definizione precisa della differenza tra la supplenza prefettizia straordinaria e il vicariato ordinario 137, Egli contestò l’uso promiscuo che — come mostrano le testimonianze antiche — si faceva della perifrasi agens vice praefectorum e del sostantivo vicarius. A differenza di quanto normalmente si credeva, le due espressioni, secondo Cledonius, non erano equi-

‘valenti. A suo avviso il sostantivo vicarius avrebbe dovuto indicare soltanto l’incarico, ordinario, dell’ amministratore di

una diocesi (vicarius dicitur is qui ordine codicillorum vices agit amplissimae praefecturae). Un funzionario, cioè, inserito in modo permanente, come 1 suoi colleghi, nell’organigramma amministrativo dell’impero, e nominato dal sovrano

per estendere a un determinato gruppo di province le competenze della prefettura del pretorio (tardoantica). Con la perifrasi agens vice praefectorum, invece, si sarebbe dovuto indicare, secondo Cledonius, esclusivamente quel funzionario nominato saltuariamente con l’incarico, straordinario e tem-

poraneo, di sostituire 1 prefetti del pretorio momentaneamente assenti (ille vero cui vices mandantur propter absentiam praefectorum, non vicarius, sed vices agens, non praefectu-

rae, sed praefectorum dicitur tantum). L’ambiguitä espressiva, denunciata a livello linguistico da Cledonius, non deve essere sottovalutata. La polemica del tardo grammatico

è, in realtà, un interessante documento

di

storia amministrativa, e riflette un serio problema di natura

istituzionale. Per più di tre secoli, fino alla riforma di Costantino, i pre-

fetti del pretorio non ebbero mai un mandato circoscritto a un determinato distretto dello spazio amministrativo romano. 136 Le testimonianze sono innumerevoli. Indicativo l’uso misto, nei primi decenni del VI secolo, dei termini vices agentes, vicarius e vicaria dignitas nel-

la Formula vicariis u(rbis) R(omae) di Cassiodoro (Var. VI 15). 137 Cledonius, in GL, V, p. 13, linn. 29-34, Sul grammatico cfr. G. Goetz,

Cledonius, RE IV/1, col. 10. Cledonius si segnala per le sue acute analisi del valore della terminologia sante riflessione sulla LELENBERST, Beiträge Amtsbezeichnungen, in

180

amministrativa romana, Si veda, in proposito, l'interesformula praefectus praetorio, su cui cfr. C.G. VAN aus der Thesaurus-Arbeit XXH. Zu zwei lateinischen "MH" 43 (1986), pp. 179-183.

Formalmente essi furono gli ufficiali preposti dall’ Augusto, in veste di imperator, allo spazio in cui egli risiedeva come comandante (il praetorium) 138. A differenza del pretorio dei governatori di provincia, quello del principe era un luogo difficilmente circoscritto. Esso coincideva necessariamente con la località e con l’edificio dove si trovava l’imperatore stesso. Così i prefetti del pretorio, salvo ordini diversi, erano ovunque fosse il principe !??. I lunghi soggiorni degli Augusti dei primi due secoli a Roma, e l’acquartieramento delle coorti pretorie nella capitale, trasformarono i prefetti del pretorio in funzionari radicati nell’urbe. La crisi del III secolo accentuò la mobilità del principe e dei suoi prefetti. Tutto lascia supporre che questi funzionari, duttili e affidabili, accumulassero col tempo, per necessità di governo, competenze diverse, con riflessi sull’amministrazione civile e

militare delle province. Diocleziano, per primo, sentì l’esigenza di intervenire su un elemento importante di questa dinamica: il vincolo stretto tra il prefetto e la corte. Dando mandato territoriale super-provinciale agli agentes vice praefectorum avviò il processo, nuovo ed originale nella storia di quell’istituzione, di regionalizzazione della prefettura del pretorio. Tuttavia — questo è il punto — a dispetto della loro

titolatura, e a differenza degli altri incarichi suppletivi attivati fino ad allora, gli agentes vice praefectorum praetorio dioclezianei, distribuiti nell’impero, non sostituivano affatto 1 ti-

tolari della carica, momentaneamente

assenti, in alcune im-

portanti sedi provinciali, perché i prefetti del pretorio non avevano mai avuto, né avevano allora, un mandato ammini-

strativo circoscritto alle aree affidate da Diocleziano ai loro “sostituti”. Dal momento

che gli agentes vice praefectorum

estendevano su gruppi di province tutte o parte delle attribuzioni dei prefetti del pretorio residenti a corte, Diocleziano non coniò un nuovo termine per definire quelli che, di fatto, erano dei funzionari nuovi. Utilizzò l’espressione che, fino

ad allora, aveva indicato i supplenti dei prefetti del pretorio temporaneamente assenti da Roma — espressione simile alle molte supplenze, per esempio, vice praesidis, vice proconsu-

138 Sulle valenze del termine praetorium cfr. TRLL X/2, coll. 1071-1074. 13? Su] rapporto stretto tra l’imperatore e i suoi prefetti del pretorio cfr. F. MILLAR, The Emperor in the Roman World (31 BC-AD 337), London 1977 (19922), pp. 121-131.

181

lis -- anche quando il vicario dei prefetti risiedeva, per esempio, a Cartagine, a Vienne, o a Sirmium 140. Questa scelta linguistica permetteva, probabilmente, di stemperare il trauma dell’innovazione. Ma non c’è dubbio che i contemporanei colsero la novità dell’intervento amministrativo dioclezianeo, come mostra la rapida affermazione del termine, più duttile e appropriato, di vicarius per indicare un funzionario nuovo: quel sostantivo, anche senza ulteriori specificazioni,

dai primi del IV secolo indicò, inequivocabilmente, il governatore della diocesi. Abbiamo visto come il Laterculus Veronensis sia un documento fondamentale per determinare la cronologia della riforma. Ai fini dell’indagine sull’introduzione dell’assetto diocesano nell’impero è interessante notare come il termine vicarius sia utilizzato con grande disinvoltura in alcune testimonianze relative all’età tetrarchica e post-tetrarchica, che

precedono la stesura del Laterculus Veronensis. Nel così detto Editto di Milano, pubblicato a Nicomedia nel giugno 313, circa un anno prima della stesura del Laterculus Veronensis, Licinio ordinò ai governatori delle province, passate sotto il suo controllo dopo l’affermazione su Massimino, di procedere alla restituzione dei beni confiscati alle comunità cristiane durante la persecuzione inaugurata da Diocleziano e proseguita da Massimino. In questo documento, pubblico e ufficiale, l’imperatore invitava i governatori provinciali a indirizzare presso il vicarius, naturalmente dei prefetti del pretorio, quanti avrebbero chiesto un risarcimen-

to per 1 beni dei cristiani entrati in loro possesso all’epoca della persecuzione, e ora restituiti alle chiese 14!, Ogni ricorso relativo all'applicazione della costituzione liciniana, dunque, doveva essere delegato dall’autorità provinciale al suo diretto superiore, il vice prefetto del pretorio 142. L'uso che l’imperatore Licinio fa del termine vicarius, impiegato senza alcuna ulteriore specificazione, indica che i destinatari del

140 Per una sintesi degli incarichi dei diversi agentes vice di età imperiale cfr. ENSSLIN, Vicarius cit. (sopra, a nota 113), coll. 2018 sg. 141 Lact., Pers. 48, 8; Eus., H.E. X 5, 10. Si tratta, con ogni probabilità, di

una lettera circolare di Licinio destinata ai governatori delle province della pars sottratta a Massimino, che ebbero cura di renderla pubblica fra i sudditi.

142 A Roma i ricorsi nell’età di Massenzio erano gestiti dal prefetto del pretorio residente allora nella capitale, vd. sotto, cap. sg., pp. 257 sg.

182

documento, governatori e provinciali, avevano pienamente assimilato la riforma che aveva introdotto i vice prefetti del pretorio nell’impero. L’indicazione sommaria di questa procedura mostra che essa doveva rappresentare allora un fatto ordinario, e, soprattutto, che il vicario, superiore del governatore di provincia, aveva un mandato circoscritto a un ben

preciso gruppo di province, era, insomma, il responsabile della diocesi. Naturalmente & escluso che Lattanzio, inserendo il docu-

mento nel suo scritto contro i sovrani persecutori, possa, ἃ pochi anni di distanza dai fatti, aver modificato il testo del provvedimento imperiale, inserendo la parola vicarius. Non solo il testo di Lattanzio corrisponde alla traduzione dello stesso documento preparata da Eusebio di Cesarea, ma la costituzione, grazie alla pubblica affissione, era certamente in

possesso delle chiese dell’impero, fortemente interessate a quella normativa, e, per la sua importanza, era ampiamente

nota ai suoi lettori. Difficilmente si poteva modificare un passo — quello relativo alla procedura per richiedere la restituzione dei beni confiscati e per dirimere i contenziosi — cruciale per il suo pubblico cristiano. Anche la famosa epistola di Costantino a Ceciliano, vescovo di Cartagine, sul sostentamento del clero cattolico nel-

le province Africane, fu redatta nel 313 ed è anteriore al Laterculus Veronensis 14. Nell’ultima parte della lettera l'imperatore, preoccupato del pericolo di scismi fra i cristiani della regione, invita il vescovo a rivolgersi alle maggiori autorità presenti a Cartagine, il proconsole d’Africa Anullinus (responsabile della provincia) e il vicario dei prefetti del pretorio Patricius (responsabile della diocesi). Anche in questo caso le parole dell’imperatore tradiscono il fatto che il vicario prefettizio ha un mandato esteso alla diocesi e che questo assetto amministrativo è ormai pienamente radicato. Un riscontro analogo si ha anche con la documentazione relativa

ai primi anni dello scisma donatista !*. Se dai testi ufficiali si passa a esaminare fonti letterarie di 143 Bus., H.E. X 6, 1-5. 144 Cfr, per esempio, la lettera di Costantino al vicario d' Africa Aelafius, redatta tra l'ottobre del 313 e l'agosto del 314 (in Opt., App. III, CSEL 26, pp.

204-206 Ziwsa); o i documenti citati negli Acta purgationis Felicis episcopi Autumnitani, con riferimenti all'attività dei vicari d' Africa Verus e Aelius Paulinus,

183

natura diversa, l’idea che il mandato diocesano sia un attri-

buto originario dei vice prefetti del pretorio distribuiti nell’impero appare confermata. Nel celebre e polemico passo sugli effetti negativi delle riforme di Diocleziano, Lattanzio annovera 1 vicarii praefectorum fra i responsabili dell’insostenibile pressione esercitata sui sudditi di ogni parte dell’impero 145. Più oltre, lo scrittore ricorda la carriera di un famoso funzionario persecutore, Sossianus Hierocles, che era

stato, intorno al 303, semplicemente vicarius 149. Lattanzio scrisse il De mortibus persecutorum tra il 314 e 11 318 (al più tardi), all'epoca, dunque, della stesura del Laterculus Vero-

nensis, e, comunque, fu un contemporaneo della riforma che istituì i vicari diocesani. La nuova dinamica amministrativa voluta da Diocleziano, anche per i dannosi effetti di cui egli la riteneva responsabile, doveva essergli ben chiara. Ebbene, nel primo passo, egli inserisce i vicari dei prefetti del pretorio in un elenco di funzionari che avevano un preciso mandato territoriale: i praesides, i rationales del fisco e i magistri della res privata. Ma, soprattutto, un testimone attento come Lattanzio alla storia contemporanea non coglieva alcuna cesura, nella titolatura e nelle funzioni, tra 1 vicari praefectorum, responsabili di angherie sui provinciali durante l’età tetrarchica, e la realtà amministrativa dei suoi tempi,

quando senza dubbio le diocesi coi loro responsabili erano diffuse nell’impero, come mostra inequivocabilmente il Laterculus Veronensis. L'immediatezza dell’uso del termine vicarius in Lattanzio, in riferimento alla situazione amministrativa di età tetrarchica, mostra che quel termine evocava

per i suoi lettori, negli anni della diarchia costantino-liciniana, una realtà istituzionale identica. Nel caso di Lattanzio,

anche se l'espressione vicari praefectorum fosse stata coniata in base alla realtà amministrativa degli anni della diarchia

nel corso del 314 (Opt., App. II, CSEL 26, soprattutto pp. 197 sg. e 200 Ziwsa). La documentazione confluita nell' opera di Optatus è originale e non sembra essere stata manipolata. L'uso di espressioni come vicarius, o vicaria praefectura, nei passi in cui il vescovo fa riferimento a vicende di età costantiniana, sono confermate dal] medesimo uso che ne fece Costantino in documenti certamente fedeli all'originale. Su queste testimonianze cfr., di recente, Y. DuvaL, Chrétiens d'Afrique à l'aube de la paix Constantinienne. Les premeiers échos de la grande persécution, Paris 2000. 145 Lact., Pers. 7, 4.

146 Lact., Pers. 16, 4, su cui vd. sotto, cap. III, pp. 194-212.

184

costantino-liciniana -- cosa che sembra esclusa -- non c’è dubbio che la sua proiezione all’etä tetrarchica confermi l’identità dell’assetto amministrativo diocesano del periodo tetrarchico e degli anni del governo di Costantino e Licinio. Queste

considerazioni

sui testi letterari trovano

un ri-

scontro nella documentazione sui primi agentes vice praefectorum appena esaminata. Come abbiamo visto, il praeses (Beticae o Gallaeciae) Fortunatus era pienamente cosciente che il suo superiore fosse Agricolanus; gli abitanti di Paimis sapevano che la loro petizione andava inoltrata all’officium di Aemilius Rusticianus; Valerius Ingenuus, praepositus limitis Numidiae, diresse la costruzione del campo militare di Aqua Viva secondo gli ordini ricevuti, in via gerarchica, da Valerius Alexander attraverso Valerius Florus, praeses Numidiae. Queste dinamiche amministrative ‘verticali’ mostrano da un lato che gli agentes vice praefectorum di età tetrarchi-

ca agivano a un livello superiore a quello dei governatori di provincia, come accade a tutti i vicari diocesani del IV-V secolo; dall’altro che il mandato di questi agentes vice praefectorum, in carica contemporaneamente, doveva essere circoscritto ad alcune, ben precise province. I casi di Agricolanus, con mandato esteso alle province spagnole e alla Mauretania Tingitana, e di Valerius Alexander, con mandato

sul-

la Numidia e sulla Tripolitania, suggeriscono, grazie al confronto con la situazione ritratta nel più tardo Laterculus Veronensis, che 1 due supplenti dei prefetti del pretorio possano essere i primi due vicari noti delle diocesi delle Spagne e d' Africa. Gli elementi emersi in questa indagine spingono a ipotizzare che la diffusione degli agentes vice o vicari praefecto-

rum praetorio nell'impero, documentata in età tetrarchica, sia stata accompagnata dalla creazione delle diocesi, la amplissime e nuove circoscrizioni amministrative in cui vennero accorpate le province dioclezianee, in corso di riorganizzazione, e su cui si esercitó, da allora, il mandato dei vicari

dei due prefetti del pretorio. L'introduzione di vicari diocesani dei prefetti del pretorio fu definitiva e costitui un momento essenziale nel processo evolutivo della prefettura del pretorio verso la sua espressione regionale tardoantica. Come vedremo, dopo la vittoria di Crisopoli intervenne la riforma costantiniana dell' istituzione,

che avrebbe rimodellato definitivamente la struttura delle 185

prefettura del pretorio, fino alla sua scomparsa. Tuttavia la trasformazione dell’istituzione prefettizia da parte di Costantino, pur essendo, come vedremo, un evento di portata rilevante per la storia dell’amministrazione tardoromana, fu possibile grazie alla ripartizione dell’impero in diocesi. Questa novità rappresenta un passaggio chiave per intendere le origini della prefettura del pretorio tardoantica.

186

CAPITOLO III LA PREFETTURA DEL PRETORIO DALLA SECONDA TETRARCHIA ALLA ‘PACE DI SERDICA' (306-317)

1. PREMESSA

Nel terzo capitolo sono raccolte ed esaminate le frammentarie, ma numerose, testimonianze sui prefetti del pretorio attivi nell'impero durante il critico periodo che va dall’acclamazione di Costantino, nel luglio 306, all’elevazione dei Cesari Crispo, Licinio II e Costantino II a Serdica, nel

marzo 317. La scelta di limitarsi a un arco di tempo tanto disomogeneo da un punto di vista degli avvenimenti storici è dettata da due motivi. In primo luogo l’insieme dei fatti storici che caratterizzarono questa fase della vita dell’impero ha una sua unità, in quanto fu l’espressione della crisi del sistema tetrarchico. In secondo luogo la prefettura del pretorio di questo periodo mostra il primo radicarsi dell’istituzione nella nuova configurazione diocesana e provinciale data da Diocleziano all’impero. Questo processo, sviluppatosi sullo sfondo delle divisioni territoriali imposte dai conflitti tra i diversi imperatori, precorre, per certi aspetti, soluzioni ed equilibri amministrativi di età costantiniana. Inoltre la varietà delle testimonianze sui prefetti del pretorio di questi anni, insieme alla relativa ricchezza delle fonti storiche sul periodo,

consente di ricostruire, meglio che per l’età tetrarchica, lo stato della prefettura del pretorio alla vigilia degli interventi istituzionali che, dopo la vittoria di Costantino su Licinio, la

condussero verso il definitivo assetto regionale tardoantico. Per chiarezza si è proceduto nell’analisi delle testimonianze seguendo un criterio geopolitico. Dapprima ($ 2) verranno analizzate le fonti sui prefetti del pretorio degli Augu187

sti dell'area orientale e illirica dell’impero tra il 306 e il 313 (Galerio, Licinio, Massimino). Quindi ($ 3) le fonti sui pre-

fetti degli Augusti dell’area occidentale dell’impero durante lo stesso periodo (Severo, Massenzio,

Costantino).

Questa

bipartizione si concilia con la relativa autonomia politica di cui le due zone dell’impero godettero in quegli anni. L’Oriente romano mantenne, durante la reggenza di Galerio, l’ Augusto più anziano del collegio, una sua compattezza politica e una sua unità, mentre l'Occidente fu sempre sostan-

zialmente diviso a causa delle barriere sorte con l’elevazione di Massenzio — mai legittimato nel collegio imperiale —, della debolezza di Licinio, Augusto in Pannonia, e dell’indipendenza politica di Costantino nelle Gallie. Anche la storia della prefettura del pretorio contribuisce a rafforzare questo quadro. Mentre tra i prefetti del pretorio di Galerio e Licinio Augusti, infatti, regnò una concordia tale da far ipotizzare

una

loro

collegialità,

questa

compattezza

istituzionale

mancò, anche a livello amministrativo, in Occidente. A que-

sto proposito è opportuno premettere che la crisi del sistema tetrarchico si manifestò, a livello istituzionale, attraverso la

crisi della collegialità prefettizia. Mancarono allora i presupposti politici per cui i prefetti del pretorio dei diversi Augusti formassero un collegio unico e formalmente unito per tutto l’impero. Questa assenza di collegialità 51 manifesta nelle nostre fonti attraverso la scomparsa delle dediche prefettizie collegiali nel periodo 306-313. Nell’ultima parte del capitolo ($ 4) sarà illustrato il processo di recupero della collegialità prefettizia. Esso è testimoniato, dopo le vittorie di Costantino su Massenzio e di Licinio su Massimino Daia, da tre importanti documenti collegiali che verrano analizzati in questo paragrafo: le dediche prefettizie di Tropaeum Traiani e di Efeso, e l’epistola prefettizia al vicario d’ Africa Domitius Celsus. 2. SUI PREFETTI DEL PRETORIO DI GALERIO, Licinio E MASSIMINO AUGUSTI

Per la ricostruzione della serie dei prefetti del pretorio di età dioclezianea ci si è potuti avvalere del contributo delle due dediche prefettizie collegiali di Oescus e di Brescia. Nel caso dei prefetti del periodo 306-313 mancano, invece, iscri-

zioni di questo tipo, che ci forniscano un’istantanea dello sta188

to della prefettura del pretorio. Dobbiamo quindi basarci su testimonianze sparse e, spesso, molto sintetiche. Tatius Andronicus e Pompeius Probus Nell’anno 310 furono consoli ordinari due prefetti del pretorio: Tatius Andronicus e Pompeius Probus !. Le fonti sul loro consolato sono tutte di origine orientale. La loro eponimia per l’anno 310 fu riconosciuta infatti soltanto nelle partes di Galerio, Licinio e Massimino Daia 2. La battaglia politica in quegli anni, infatti, si combatteva anche con lo strumento delle designazioni consolari. La diffusione della pratica di datare i documenti amministrativi egiziani per mezzo del consolato — accanto alla datazione, consueta in Egitto, mediante gli anni regali dei sovrani — risale alle direttive emanate da Diocleziano al fine di uniformare il protocollo dei documenti amministrativi 3. L'adozione nella provincia di questa nuova prassi di cancelleria ha permesso agli studiosi di appurare che i consoli ordinari del 310, Andronicus e Probus, erano anche prefetti del pretorio in carica. Alcuni documenti egiziani di quell’anno, datati per mezzo del consolato ordinario, riportano l’indicazione della prefettura del pretorio rivestita dai due eponimi. Il consolato di Andronicus e Probus insieme alla specificazione della carica prefettizia è ricordato in alcuni papiri

egiziani nella forma ὑπατείας Τατίου ᾿Ανδρονίκου καὶ Πομπηΐου Πρόβου τῶν λαμπροτάτων ἐπάρχων, talvolta completata dall’indicazione τοῦ ἱεροῦ πραιτωρίου:

P. Sakaon

1, 1, del 27 febbraio; P. Cair.

Isid. 50, linn. 13, 29, 44, del 16 maggio; P. Heid. IV 323, A 12, B 14, C 14, del 15-24 maggio; P. Kell. G. 41, 20 (il gentilizio del primo console è scritto: Στατίου), del 12 luglio; P. Cair. 1514. 127, 14, del 29 luglio; P. Cair. Isid. 118, 9, del gennaio-agosto; P. Col. VII 141, 99 (il

gentilizio del primo console è scritto: Στατίου), del 18 ottobre; P. Panop. 3, 12 (=SB XII 10970), dell’ottobre-novembre; P. Cair. Isid. 69, 32

! Su Tatius Andronicus

vd.

O.

SEECK,

Andronikos

18, RE

1/2, col. 2163;

CHÒastaGnoL 1970, p. 68; PLRE I, p. 66; BAnNES 1982, p. 126. Su Pompeius Probus,vd. W. EnssLin, Probus 5, RE XXIIW/1, col. 56; CuAsTAGNOL 1970, p. 68; PLRE I, p. 740; BARNES 1982, p. 127. Sul consolato dei due prefetti del pre-

torio nel 310 cfr. DEGRASSI, p. 78; Barnes 1982, pp. 94 e 99; Consuls, p. 155. ? Nel 310 Massimino

Daia Cesare fu elevato, in primavera,

ad Augusto

e

accolse nelle province orientali, allora sotto il suo controllo, il consolato di Andronicus e Probus. 3 Cfr. R. S. BAGNALL, K. A. Worr, The Chronological System of Byzantine Egypt, Zutphen 1978, pp. 50 e 103 sg.; P.J. SuESTEIN, Some Remarks on Roman Dates in Greek Papyri, in “ZPE” 33 (1979), pp. 229-240; Consuls, pp. 10 sgg. e 67 sgg.

189

(cfr. SB ΝῚ 9186), privo dell’indicazione del giorno e del mese; P. Grad. inv. 124 R7, 9 sg., edito da D. HAGEDORN e K. A. Wonr, Papyri aus der Sammlung Gradenwitz im Kloster Beuron, in “ZPE” 134 (2001), pp. 170 sg., anch’esso privo dell’indicazione del giorno e del mese (il gentilizio del primo console è scritto: Στατίου). Alcuni papiri riportano la datazione frammentaria con i nomi della coppia, ma senza l’indicazione della prefettura (ἐπάρχων); si tratta di tre documenti privi del giorno e del mese: P. Panop. 20, 15 (=SB XII 11213, il gentilizio del primo console è scritto: Στατίου); P. Panop. 24, 4 (=SB XII 11217, stesso errore nel gentilizio di Andronicus; il documento contiene l’inizio di una petizione a Valerius Victorinianus, praeses Thebaidos nel 322-326, per cui la data del 310 è secondaria); P. Erl. inv. 52 A/B, edito da R. S. BaGNALL e K. A. Won», P. Erl. 52 B Recto: A Reediction, in “ZPE” 28 (1978), pp. 231 sgg. (=SB XIV 12167, A, r. 4). Se non avessimo le datazioni consolari sui papiri egiziani, recentemente introdotte nelle cancellerie egiziane, non sarebbe possibile individuare in Andronicus e Probus due prefetti del pretorio. Non si conosce, infatti, nessuna data-

zione consolare conservata in documenti papiracei anteriori al 310, in cui uno dei due, o entrambi i consoli, siano stati anche prefetti del pretorio, benché il cumulo delle due cariche si verificò con L. Petronius Taurus Volusianus nel 261, con Iulius Placidianus nel 273, con Ti. Claudius Aurelius Aristobulus nel 285, e con Afranius Hannibalianus e Iulius Asclepiodotus nel 292. Per quanto riguarda l’anno 310, le liste

consolari tardoantiche di origine occidentale non ricordano mai questa coppia consolare 4. Diversa è la situazione delle liste consolari di origine orientale, area dove il consolato di Andronicus e Probus fu riconosciuto. I tardi fasti consolari redatti dall’astronomo Theon ad Alessandria e da Heraclianus a Costantinopoli datano l’anno 310 con i cognomi dei nostri prefetti del pretorio, ma si limitano, come è tipico di queste liste, a ricordare soltanto il cognome dei consoli: ᾿Ανδρονίκος καὶ Πρόβος 5. L’omissione dei gentilizi e dell’indicazione della loro prefet-

41 fasti consolari del Cronografo del 354 datano l’anno 310 con il secondo post cons(ulatum) X (di Diocleziano) et septimum (di Massimiano Galerio); cfr. MGH AA IX, Chron. Min. 1, p. 60. Si tratta della datazione accolta nella pars di Costantino. Essa ha prevalso poi nei fasti successivi che, fino al 330, mostrano di attingere a liste occidentali. La si trova nei Fasti Vindobonenses Priores (MGH

cit., p. 291) e nell’ Epitoma Chronicon di Prosperus Tiro (MGH cit., p. 448). La sì incontra nei così detti Fasti Hydaziani, cioè i fasti copiati in calce al Chronicon del vescovo spagnolo Hydatius, la cui origine occidentale, per l’anno 310, è confermata dall’aggiunta del lemma quod est Maxentio III solo, che deriva senza dubbio da una fonte ‘romana’ (MGH cit., p. 231, cfr. R. W. Buncsss, The Chronicle of Hydatius and the Consularia Constantinopolitana, Oxford 1993, p. 235). Nel 310 Massenzio oppose al consolato dei due prefetti del pretorio il suo terzo consolato, che rivestì senza collega; i fasti della lista dei prefetti urbani del già citato Cronografo del 354 — lista redatta a Roma — adottano, infatti, il consolato ‘romano’ di Massenzio: Maxentio III consule (MGH cit., p. 67). 5 Cfr. rispettivamente MGH AA XIII, Chron. Min. 3, pp. 380 e 397.

190

tura del pretorio ὃ normale in queste liste tarde, che sono semplicemente delle epitomi dei fasti originari, sottoposti a ‘normalizzazione’.

Della carriera dei due prefetti del pretorio ‘orientali’ precedente all’anno 310 non si conosce nulla, eccetto un’impor-

tante notazione dell’ Anonymus Valesianus che riguarda, con grande probabilità, Pompeius Probus 6. Narrando della fallita spedizione militare di Galerio Augusto in Italia — intrapresa, nella seconda metà del 307, per vendicare l’uccisione di Se-

vero e costringere Massenzio a deporre la porpora — l'anonimo redattore dell’ Origo Constantini spiega che l’ Augusto inviò dal suo campo, posto a Interamna ad Tiberim (presso Narni), ambasciatori a Roma per cercare un’intesa che evitasse lo scontro: tunc legatos (Galerius) ad urbem misit Licinium et Probum, per conloquium petens ut gener apud soce-

rum, id est Maxentius apud Galerium, precibus magis quam armis optata mercaretur. I due ambasciatori di Galerio sono il futuro imperatore Licinio e un certo Probus, che potrebbe essere identificato con il prefetto del pretorio e console nel 310. Purtroppo l’anonimo storico tardoantico non ha segnalato la carica dei due fiduciari di Galerio e, quindi, non è pos-

sibile sapere se nel 307 Probus fosse già prefetto del pretorio. Come vedremo, è probabile che nel 307 Tatius Andronicus e Pompeius Probus non fossero stati ancora promossi alla massima prefettura. La notizia dell’ Anonymus Valesianus permette comunque

di attribuire a Probus — se l’identifica-

zione col prefetto del pretorio del 310 fosse esatta — un ruolo politico e militare di prestigio nel comitatus che accompagnò Galerio in Italia e di ipotizzare una certa intesa col futuro Imperatore Licinio; entrambi questi elementi si adattano pienamente alla personalità di un (futuro) prefetto del preto-

rio attivo nel 310 nelle partes inoltre, avvalora l'ipotesi che peius Probus, come Licinio e riodo, appartenesse all’ordine zione al consolato ordinario. I lerio Augusto, infatti, vengono

di Galerio e Licinio. Il passo, il prefetto del pretorio Pomgli altri ufficiali di questo peequestre prima della promoprincipali collaboratori di Gapresentati dalle fonti come uf-

ficiali, suoi compagni d'armi durante il cesarato (cosi Massimino, Severo, Licinio), in un’epoca in cui 1 comandanti mi-

6 Anon.

Vales. I, 7.

191

litari dell’impero erano rigorosamente di rango equestre 7, Il rango equestre e un cursus caratterizzato da una prevalente attività militare — similmente a quanto accadde per i prefetti Afranius Hannibalianus, Iulius Asclepiodotus e per Costanzo

Cesare — potrebbero essere ipotizzati anche per Tatius Andronicus 8. Considerata la netta inclinazione di Galerio a circondarsi di collaboratori scelti fra i suoi ufficiali, è possibile che Andronicus e Probus appartengano al gruppo dei comandanti illiriciani cresciuti durante le guerre di età tetrarchica. La fedeltà di Probus e di Andronicus a Galerio — anche per Andronicus, pur in assenza di ulteriori testimonianze, è opportuno pensare al favore dell’imperatore che lo volle eponimo per l’anno 310 — potrebbe spiegare il rifiuto del loro consolato in Occidente. In una fase politica caratterizzata da continue tensioni, Costantino e Massenzio potrebbero aver avvertito la decisione, peraltro legittima, di Galerio di eleva-

re al prestigio dell’eponimia due dei suoi seguaci come una manifestazione di superbia ?. 7 L’amicizia e la comune esperienza militare univano Galerio Cesare sia con Severo (cfr. Anon. Vales. I, 9; Lact., Pers. 18, 2) sia con Licinio (cfr. Lact., Pers. 20, 3; Eutr. X 4, 1; Aur. Vict., Caes. 40, 8; Soc., H. E. 12; Zos. II 11), en-

trambi ufficiali di sua fiducia prima della loro elevazione alla porpora. Com'é noto, Massimino Daia era il figlio di una sorella di Galerio (cfr. Lact., Pers. 18, 13 sg.; Epit. 40, 1 e 18; Zos. II 8, 1); la carriera di Massimino anteriore al cesarato è tutta militare (cfr. Lact., Pers. 19, 6: scutarius, protector, tribunus) e ricalca in buona parte quella, precedente, di Costanzo I Cesare (cfr. Anon. Vales. I, 2: protector, tribunus, praeses) e quella, contemporanea, di Costantino; sulla parentela e la carriera di Massimino cfr., ultimamente, C.S. Mackay, Lactantius and the Succession of Diocletian, in "CPh" 94 (1999), pp. 198-209. La tendenza dei tetrarchi a favorire loro commilitoni ἃ testimoniata anche dal fallito coinvolgimento di Senecio, amico di Licinio Augusto, e di suo fratello Bassianus, marito di una sorella di Costantino Augusto, nella soluzione dei contrasti tra Co-

stantino e Licinio nel 316, all'epoca del loro primo conflitto (cfr. Anon. Vales. I, 14 sg.). E molto probabile che Senecio sia l'omonimo comandante agli ordini di Galerio e di Licinio, attivo in Mesia agli inizi del IV secolo (AE 1903, 301) e nel Norico verso il 310 (CIL, III 5565=/LS 664). Per il rango equestre degli ufficiali dell'esercito romano (praefecti, tribuni, praepositi, duces) tra la fine del III e l'inizio del IV secolo vd. sopra, cap. I, p. 55.

8 L'ipotesi che Tatius Andronicus fosse un cavaliere fino al suo consolato ordinario appare rafforzata dal fatto che nessun senatore del III e del IV secolo ebbe il gentilizio Tatius.

? Nel 310 la parte orientale dell’impero e l’IMirico apparivano saldamente in mano a Galerio, che aveva portato all’augustato, al cesarato e al consolato quattro uomini a lui devoti: Licinio, Massimino, Andronicus e Probus. La coppia consolare scelta dall’ Augusto più anziano del collegio imperiale si poneva formalmente come la coppia eponima legittima dell’anno.

192

Andronicus e Probus sono senza dubbio due prefetti del pretorio attivi nell’area orientale dell’impero. Entrambi sembrano essere entrati in carica come prefetti in un momento precedente al 1 gennaio 310, perché il P. Sakaon 1 li mostra già come insigniti della prefettura e del consolato il 27 febbraio di quell’anno. E assai probabile, dunque, che, al pari di

Hannibalianus, di Asclepiodotus e di altri prefetti del pretorio dell’avanzato ΠῚ secolo, accedessero al consolato, sempre e soltanto ordinario, ed entrassero nell’ordine senatorio du-

rante il loro incarico prefettizio 10, La probabilità di una nomina alla prefettura precedente al 1 gennaio 310 — o al massimo un cumulo delle due promozioni il primo giorno dell’anno — inviterebbe a scartare la possibilità che uno dei due prefetti possa aver servito Massimino. Questi ottenne da Galerio il riconoscimento della sua acclamazione ad Augusto solo nel corso del 310. Dal momento che i Cesari non avevano un loro prefetto del pretorio, sembra escluso che uno dei due consoli del 310 possa essere.il prefetto del pretorio di Massimino. L'ipotesi è confermata, come vedremo, da Eusebio di Cesarea, che, nella sua Historia Ecclesiastica, menziona un funzionario di nome Sabinus come prefetto del pretorio di Massimino Augusto negli anni 311-313. In tutte le datazioni consolari superstiti Andronicus precede sempre il suo collega Probus. L'ordine di enumerazione dei due prefetti & vincolato dal criterio gerarchico, basato sul-

l’anterioritä nella nomina alla prefettura, che abbiamo visto operare nelle dediche prefettizie collegiali di Oescus e di Brescia. Non c'é dubbio, quindi, che Andronicus sia stato no-

minato prefetto prima di Probus. Abbiamo notato che, secondo una prassi radicata nella storia dell'istituzione, e ancora operante non solo in età tetrarchica, ma anche, come vedre-

mo, durante la fase della diarchia di Costantino e Licinio, nel caso di coreggenze di due o più Augusti, ogni imperatore si avvaleva della collaborazione di un solo prefetto del pretorio. Dal momento che nel 310 nell'area orientale e illirica dell'impero governavano due Augusti, Galerio e Licinio, Andro-

nicus e Probus devono essere i prefetti del pretorio di questi due imperatori. Proprio la gerarchia operante fra i due ha

!0 Per l'ingresso nell'ordine senatorio di prefetti del pretorio per mezzo del

consolato ordinario vd. sopra, cap. I, pp. 59, 60, 81, cap. II, p. 109.

193

spinto a ipotizzare che Andronicus sia il prefetto dell’ Augusto più anziano, Galerio, e Probus del più giovane, Licinio !!. La ricostruzione si baserebbe sull’idea che al momento della loro acclamazione, rispettivamente nel maggio del 305 e nel novembre del 308, i due Augusti abbiano scelto direttamente

Andronicus e Probus come loro prefetti del pretorio. Questi due funzionari sarebbero stati gli unici prefetti dei due Augusti fin dalla loro elevazione. Per verificare la validità di questa ipotesi è necessario esaminare un passo di uno scrittore molto informato sulle vicende di questo periodo, Lattanzio. Flaccinus

Nel De mortibus persecutorum, dopo aver narrato gli esordi della grande persecuzione e i suoi terribili effetti specialmente a Nicomedia e nella corte stessa di Diocleziano, che

risiedeva nella città, il polemista cristiano ha inserito un’apostrofe all'amico e confessor Donatus, destinatario dell’ope-

ra 12. [L'importanza del passo risiede nel fatto che esso contiene l'unico ricordo di un prefetto del pretorio attivo presso la corte ‘orientale’ in carica prima della coppia formata da Tatius Andronicus e Pompeius Probus (Pers. 16, 3 sg.):

Verum quid opus est illa narrare praecipue tibi, Donate carissime, qui praeter ceteros tempestatem turbidae persecutionis expertus est? Nam cum incidisses in Flaccinum praefectum, non pusillum homicidam, deinde in Hieroclem ex vi-

cario praesidem, qui auctor et consiliarius ad faciendam persecutionem fuit, postremo in Priscillianum successorem eius,

documentum omnibus invictae fortitudinis praebuisti. Lattanzio, nel rivolgersi al suo destinatario, Donatus, ri-

corda le angherie cui l'amico fu sottoposto ad opera di tre funzionari diversi: Flaccinus, Hierocles e Priscillianus. Come vedremo, il confessore e dedicatario del libro subi sei an-

ni di detenzione, durante i quali fu sottoposto nove volte al!l Cfr. PLRE I e BARNES, citt. sopra, a nota 1.

12 Un Donatus appare come il destinatario anche del trattato lattanziano De ira Dei. Sul problema se il Donatus del De Ira sia lo stesso personaggio cui fu offerto anche il De mortibus persecutorum cfr. C. INGREMEAU,

Lactance,

La

colere de Dieu (SC 289), Paris 1982, pp. 26-28; J. L. CREED, Lactantius, de mortibus persecutorum, Oxford 1984, p. XXXI.

194

la tortura, rifiutandosi sempre di abiurare la fede cristiana 13. Dei tre persecutori di Donatus, Flaccinus è qualificato come

praefectus, senza ulteriore specificazione !4. Lo scrittore non ha sentito il bisogno di indicare la natura di questa prefettura, perché evidentemente il funzionario era assai conosciuto fra i suoi lettori. Di questa circostanza non si può dubitare: l’incisiva e asciutta notazione del polemista non pusillum homicidam ha senso solo se riferita a un personaggio tristemente famoso fra le comunità cristiane del tempo. Tuttavia da un punto di vista espressivo la terminologia, apparentemente incompleta, adottata da Lattanzio per segnalare l’incarico del persecutore non appare un fatto isolato. In opere letterarie contemporanee — o che si riferiscono alla situazione del principio del IV secolo — il termine praefectus usato senza la specificazione praetorio indica senza dubbio il prefetto del pretorio. Abbiamo visto che lo stesso Lattanzio faceva riferimento al prefetto del pretorio (anonimo) di Diocleziano,

incaricato di dare il via alla persecuzione contro la chiesa di Nicomedia all’alba del 23 febbraio 303, definendolo semplicemente praefectus 15. Anche un altro scrittore contempora-

neo, l’anonimo oratore che pronunciò nell’autunno del 313 a Treviri il panegirico a Costantino signore dell’Occidente, ha indicato con il termine praefectus, senza ulteriori precisazio-

ni, il prefetto del pretorio dell’imperatore presente alla resa di Aquileia 16, Infine l’anonimo redattore dell’Origo Constantini, nel biasimare la propensione di Galerio Augusto all’ebbrezza, ha riportato il seguente aneddoto, dal vago sapore di Historia Augusta: il prefetto del pretorio (anonimo) di Galerio avrebbe esortato il suo sovrano a disporre che gli ordini impartiti dopo pranzo, quando di norma l' Augusto era ubriaco, non venissero eseguiti 17. Anche in questo caso lo

storico non ha sentito il bisogno di aggiungere alcuna precisazione alla parola praefectus. Il retore cristiano di Nicome-

13 Lact., Pers. 16, 5-11 e 35, 1 sg., su cui vd. oltre.

14 Su Flaccinus vd. O. SEEcK, Flaccinus 1, RE VI/2, col. 2433, che ne fa genericamente un prefetto attivo negli ultimi anni del regno di Diocleziano; PLRE I, p. 342, dove si resta incerti sulla sua qualifica di prefetto del pretorio; BARNES 1982, pp. 124, nota 7, e 126, che lo ritiene il prefetto del pretorio di Galerio Cesare nel 303, con revisione in BARNES 1996, p. 546. 15 Lact., Pers. 12, 2, su cui vd. sopra, cap. II, nota 117. 16 Pan. Lat. 9 (12), 11, 4, su cui vd. sotto, pp. 283-289. " Anon.

Vales. I, 11.

195

dia, l’oratore pagano di Treviri e il tardo redattore dell' Origo Constantini (ma forse sarebbe più giusto parlare della sua fonte) — autori di tre opere molto diverse per occasione, contenuto, diffusione e destinatario — usavano il termine praefectus in senso assoluto per designare il prefetto del pretorio. In tutti i casi esaminati il praefectus appare sempre al fianco della persona dell’ Augusto e agisce nel suo comitatus: alla corte di Nicomedia in Lattanzio, nello stato maggiore di Costantino durante la spedizione italica nel panegirico gallico, a pranzo con Galerio Augusto nell’Origo Constantini. All’inizio del IV secolo la vicinanza al principe in pace e in guerra continuava a essere una caratteristica essenziale della prefettura del pretorio, a differenza di quanto accadeva, per esempio, alle altre due grandi prefetture dell’impero, di Roma e d’Egitto, vincolate alla gestione dell’urbe e della provincia nilotica. Anche il caso del praefectus Flaccinus mostra un funzionario che, come illustreremo oltre, agisce in una resi-

denza imperiale. E escluso, naturalmente, che con il termine praefectus Lattanzio abbia voluto alludere a una prefettura urbana di Flaccinus. La lista dei prefetti urbani del Cronografo del 354, che risale a una fonte completa e abbastanza accurata per gli anni della grande persecuzione, non contiene il nome di Flaccinus 18, Inoltre, come avremo modo di illustrare tra bre-

ve, il teatro dell’intervento coercitivo di Flaccinus e di quello dei suoi successori, Hierocles e Priscillianus, contro Do-

natus è certamente la parte orientale dell’impero, dove la persecuzione fu ininterrotta fino alla morte di Galerio e riprese ad opera di Massimino Augusto, poco dopo la scomparsa del sovrano. D’altra parte appare assai improbabile che Lattan18 MGH AA IX, Chron. Min. 1, pp. 66 sg. Come vedremo, non si conosco-

no con precisione le date di nomina e di congedo di Flaccinus dal suo incarico prefettizio, ma è possibile che esso abbia coinciso con una parte del regno di Massenzio. Questo imperatore, a differenza degli Augusti d’Oriente, perseguì una politica religiosa improntata all’apertura verso il cristianesimo; la comunità cristiana di Roma non subì attacchi da nessun prefetto urbano attivo durante il

suo regno. Presso i cristiani la fama del prefetto Flaccinus era, invece, quella di essere un feroce assassino. Sulla politica religiosa di Massenzio e sul suo diretto coinvolgimento nel ristabilire la pace all’interno dell’episcopato romano nei tormentati anni 306-311 cfr. D. DE DECKER, La politique religieuse de Maxence, in “Byzantion” 38 (1968), pp. 472-562, e il recente contributo di B. KRIEGBAUM, Die Religionspolitik des Kaisers Maxentius, in “Archivum Historiae Pontificiae” 30 (1992), pp. 7-54.

196

zio con il termine praefectus abbia voluto indicare che Flaccinus rivestiva la prefettura d’Egitto. Nessun papiro egiziano conserva traccia della prefettura di un Flaccinus e la serie dei governatori della provincia prefettizia durante il periodo 303-313, ricostruibile in modo soddisfacente attraverso la documentazione egiziana, non sembra lasciare spazio al nostro funzionario !9. La stessa menzione dei due praesides, quali responsabili dell’ulteriore detenzione di Donatus non si adatta all’iter di un procedimento se lo si immagina svolto nella provincia d’Egitto. In una seconda, importantissima, apostrofe di Lattanzio a Donatus, il polemista lascia intende-

re che il confessore trascorse il periodo della sua detenzione nello stesso luogo 29, La prigionia era la conseguenza, come si deduce dal passo di Lattanzio che stiamo esaminando, dell’azione coercitiva condotta dal prefetto e proseguita, al termine di successivi procedimenti, dai due praesides ?!. Ma la provincia d’Egitto fu retta ininterrottamente fino al 314 -l’anno del riassetto temporaneo ad opera di Licinio — esclu19 Come vedremo tra breve (vd. oltre l’analisi di Pers. 35, 1 sg.), Flaccinus, il primo persecutore di Donatus, condannò il confessore nei corso del 305. Quando con ogni verosimiglianza il praefectus Flaccinus ordinava di imprigionare Donatus, il prefetto d'Egitto era — e sarebbe stato ancora l'anno seguente — Clodius Culcianus. Quando la persecuzione anticristiana fu estesa all' Egitto, verosimilmente nel marzo-aprile del 303, era già prefetto Clodius Culcianus, in carica almeno dal giugno del 301 (P. Oxy. 3304, 8, del 6 giugno 301). Questi è segnalato ininterrottamente in funzione fino al maggio 306 (P. Oxy. 1104, 9 sg.), ma il testo del P. Oxy. 3529 farebbe pensare che egli reggeva ancora la provinοἷα nel 307.

Su questo funzionario,

amico

di Massimino

e famoso

persecutore,

cfr. J. LALLEMAND, Les préfets d'Egypte pendant la persécution de Dioclétien, in Mélanges H. Grégoire, 3 (="AIPhO” 11), Bruxelles 1951, pp. 185-194, e, in sintesi, PLRE I, pp. 233 sg., con gli aggiornamenti di P. 1. Supesteun, K. A. WORP, Bittschrift an einem praepositus pagi (?), in “Tyche” 1 (1986), p. 192. 201 act., Pers. 35, 1 sg., su cui vd. oltre.

2! Sembra fuor di dubbio che le nove volte in cui Donatus fu sottoposto ai tormenti (cfr. Lact., Pers. 16, 5) corrispondano ad altrettanti interrogatori svoltisi nel corso degli anni della prigionia del confessore davanti al tribunale di

Flaccinus, poi di Hierocles, infine di Priscillianus. Resta aperta la questione sulla natura della prigionia di Donatus, se si tratti di una pena comminata in seguito a una condanna per il reato di cristianesimo — cfr. A. Lovaro, Il carcere nel diritto penale romano. Dai Severi a Giustiniano, Bari 1994, in particolare pp. 28 Sg., 53-55, 157-168 — o di un'inusitata estensione della carcerazione preventiva allo scopo di indebolire il confessore — cfr. J.-U. KRAUSE, Gefüngnisse im Römischen Reich, Stuttgart 1996, pp. 122-131 e, con riferimenti anche al caso di Donatus, pp. 223-247; Y. Rivi&nE, Détention préventive, mise à l'épreuve et dé-

monstration de la preuve (I-II

siécles ap. J.-C.), in Carcer. Prison et priva-

tion de liberté dans l'Antiquité Classique, Paris 1999, pp. 57-73.

197

sivamente da prefetti, non da praesides 22. Il processo e la prigionia di Donatus possono avere avuto luogo, secondo la testimonianza di Lattanzio, solo in una città o in una provin-

cia dove l’inquisizione contro il reato di cristianesimo fosse intrapresa e condotta per un certo tempo da un prefetto, quindi proseguita da praesides. Questa procedura non è immaginabile nella provincia prefettizia d’Egitto all’epoca della grande persecuzione. Infine il polemista collega strettamente l’affissione dell’editto di tolleranza di Galerio a Nicomedia con la scarcerazione di Donatus, si che l'una appare l'immediata conseguenza dell’altra 23. In realtà vedremo che l’estensione del provvedimento filocristiano del senior Augustus all’Egitto, e al resto dell’area controllata da Massimino Augu-

sto, incontrò la decisa opposizione del giovane sovrano. Questi riuscì a evitare la pubblicazione dell’editto di Galerio nell’area sottoposta al suo controllo e si limitò ad attenuare temporaneamente nei giudici della sua pars lo zelo anticristiano 24. Se al momento della diffusione dell’editto Donatus fosse stato in catene in una città della pars di Massimino (tra la Siria e l'Egitto), è molto probabile che avrebbe goduto della clemenza imperiale solo alcuni mesi dopo l’affissione dell'editto a Nicomedia e, certamente, non in virtù dell’ affissione pubblica di quella costituzione. Questo aspetto, annullan-

do il nesso di causa-effetto che Lattanzio ha sottinteso tra l’affissione dell’editto e la scarcerazione di Donatus, invita a concludere che Donatus non subì la prigionia in una provin-

cia compresa tra la Siria e l'Egitto e che, dunque, l'incarico di Flaccinus non puö essere stato la prefettura d'Egitto. La prassi espressiva in uso ai primi del IV secolo e l'esa22 La provincia prefettizia d’Egitto — già ridotta a sud dalla creazione della provincia di Thebais (testimoniata nel 298), a nord-ovest dall'istituzione delle

province di Lybia Superior et Inferior (testimoniate nel 309) — fu suddivisa da Licinio, dal 314 al 324, nelle nuove province di Aegyptus Iovia e di Aegyptus Herculia. Queste furono governate da due praesides, in luogo dell'antico prefetto d’Egitto, restaurato solo in seguito alla vittoria costantiniana. Sulla riforma liciniana cfr. L. DE SALVO, La data d'istituzione delle province d'Aegyptus Iovia e d'Aegyptus Herculia, in "Aegyptus" 44 (1964), pp. 34-46 e, di recente, J. D. THoMAs, Sabinianus, praeses of Aegyptus Mercuriana?, in "BASP" 21

(1984), pp. 224-234, con l'introduzione al P. Oxy. 3619, a cura di J. R. REA, in The Oxyrhynchus Papyri, LI, London 1984, pp. 46-49. 3 Lact., Pers. 35, 1 sg., su cui vd. oltre. 24 Sull'opposizione di Massimino alla pubblicazione dell'editto di Galerio nelle province della sua pars vd. oltre.

198

me della serie dei titolari delle grandi prefetture dell’impero durante il periodo delle persecuzioni avvalorano fortemente l’ipotesi che il praefectus Flaccinus, esecrato da Lattanzio, sia stato un prefetto del pretorio attivo nella parte orientale dell’impero. Egli appare impegnato nella persecuzione dei cristiani e come tale si rese famoso. E interessante notare che i prefetti del pretorio non compaiono negli atti dei martiri maggiormente degni di fede come giudici del reato di cristianesimo 25. [l'applicazione dei diversi editti anticristiani fu demandata, in misura preponderante, ai governatori di provincia, che figurano di regola come i persecutori nelle passioni dei martiri 26, Fra i prefetti in carica nell’impero soltanto tre avevano competenze nella giurisdizione criminale e potevano istruire processi contro i cristiani: il prefetto di Roma, il prefetto d’Egitto e il prefetto del pretorio. I prefetti di Roma e d’Egitto avevano in comune con i governatori delle province la caratteristica di esercitare la loro giurisdizione su un territorio ben circoscritto, costantemente sottoposto al loro controllo 27, In questo senso al principio del IV secolo 1] loro mandato somigliava molto a quello dei praesides. Si incontrano, infatti, questi due prefetti fra 1 persecutori negli at-

ti dei martiri (specialmente i prefetti d’Egitto, area ampiamente cristianizzata nell’età di Diocleziano e dei suoi successori) 28. Rispetto al mandato dei prefetti di Roma e d’Egitto la sfera di azione della coercitio del prefetto del pretorio appare più sfuggente. Essa era estesa a tutto il territorio 25 Cfr. in proposito le recenti selezioni di atti dei martiri, con le relative introduzioni critiche, curate da MusuRILLo, The Acts of the Christian Martyrs cit. (sopra, cap. II, a nota 104), e da BASTIAENSEN, Atti e passioni dei martiri, cit. (sopra, cap. I, a nota 132).

26 Cfr. LANATA, Gli atti dei martiri cit. (sopra, cap. II, a nota 104), pp. 41 sgg. e 74 sgg. 27 Sulla giustizia civile e penale amministrata dal prefetto urbano, anche in rapporto a quella del prefetto del pretorio, cfr., accanto a G. VITUCCI, Ricerche

sulla praefectura urbi in età imperiale, Roma

1956, pp. 43 sgg. e ad A. CHa-

STAGNOL, La Préfecture urbaine à Rome sous le Bas-Empire, Paris 1960, pp. 84 sgg. e 141-144, di recente, B. SANTALUCIA, La giustizia penale, in Storia di Roma H/3. L'impero mediterraneo. La cultura e l’impero, Torino 1992, pp. 223228; D. MANTOVANI, Sulla competenza penale del praefectus urbi attraverso il Liber singularis di Ulpiano, in Idee vecchie e nuove sul diritto criminale romano, Padova

1988, pp. 171-223; W. Eck, L'Italia nell'impero romano.

ministrazione in epoca imperiale, Bari 1999, p. 20, nota 60. 28 Sulla coercizione anticristiana dei prefetti in Egitto cfr.

Stato e am-

H. DELEHAYE, Les

martyrs d'Egypte, in "AB" 40 (1922), pp. 5-154 e 299-364.

199

dell’impero per quel che riguarda la giurisdizione d’appello, ma per quanto riguarda la repressione criminale e l’azione processuale di primo grado, conseguente, per esempio, all’applicazione dei diversi editti contro i cristiani, la coercitio del prefetto del pretorio doveva avere dei limiti molto variabili. Essa non poteva applicarsi entro i confini di una circoscrizione territoriale fissa, come di norma accadeva per tutti

gli altri giudici ricordati come persecutori, perché il prefetto del pretorio non amministrava direttamente ancora nessuna delle grandi diocesi dell’impero. La soluzione al problema della giurisdizione del praefectus Flaccinus potrebbe trovarsi in un altro passo del polemista cristiano, per molti aspetti complementare al nostro. A proposito degli esordi della persecuzione, lo scrittore afferma che la prima azione contro la chiesa di Nicomedia fu condotta dal prefetto del pretorio di Diocleziano e dai suoi pretoriani 29. Nella città residenza dell’ Augusto, dove probabilmente aveva sede anche l’officium del governatore della provincia di Bitinia, l’iniziativa della coercitio contro 1 cristiani impegno il prefetto del pretorio nel periodo in cui 1’ Augusto soggiornò nella “capitale” 30. Lattanzio ricorda, infatti, che quel giorno il sovrano poté assistere alla distruzione del più importante edificio cristiano della città dalla terrazza del palazzo imperiale ?!. Anche la repressione interna al palazzo imperiale di Nicomedia, nelle settimane successive all’affissione del primo editto persecutorio, potrebbe aver coinvolto il prefetto del pretorio 32. Parallelamente la notizia di Lattan29 Lact., Pers. 12, 2 e 12, 4, su cui vd. sopra, cap. II, nota 117.

30 Per la valorizzazione di Nicomedia come sede imperiale ad opera di Diocleziano, in virtù della sua posizione strategica tra la via danubiana e l'Oriente, cfr. P. DEBORD, Comment devenir le siège d'une capitale impériale: le parcours de la Bithynie, in “REA” 100 (1998), pp. 164 sg. Sul problema dell’ubicazione della sede principale del governatore della provincia di Bitinia, a Nicomedia o a Nicea, cfr., di recente, R. HAENSCH, Capita provinciarum. Statthaltersitze und

Provinzialverwaltung in der römischen Kaiserzeit, Mainz 1997, pp. 282-290 e 598-609. 31 Lact., Pers.

12,3.

2 Lact., Pers. 14-15, 3; Eus., H. E. VIII 5-6, 7. Secondo 14, 4) Diocleziano Augusto, Galerio Cesare e tutti gli iudices lazzo di Nicomedia furono impegnati tra la fine di febbraio e 303 in processi contro il personale palatino e i cristiani della

Lattanzio (Pers. presenti nel pal’inizio di marzo città, accusati di

aver appiccato il fuoco alla residenza imperiale. E estremamente probabile che anche il prefetto del pretorio di Diocleziano, che aveva appena condotto la prima azione contro la chiesa maggiore di Nicomedia, collaborasse alle indagini.

200

zio sui giudici persecutori di Donatus, con grande probabilitä a Nicomedia,

indica senza dubbio che nella città il primo

processo fu istruito dal praefectus, mentre il prosieguo dell’azione coercitiva fu lasciata ai praesides Hierocles e Priscillianus. Il confronto tra i dati forniti dal retore cristiano suggerisce che agli inizi del IV secolo — quando, come abbiamo visto, il prefetto del pretorio appare ancora strettamente legato alla persona dell’ Augusto — la giurisdizione criminale del funzionario fosse vincolata agli itinerari del comitatus dell’imperatore. Essa sembra esplicarsi in interventi coercitivi e in istruttorie processuali limitati, da un punto di vista spaziale, alla città di residenza dell’ Augusto, da un pun-

to di vista temporale, al periodo di soggiorno del sovrano nella città. Gli elementi forniti dalla cronaca di Lattanzio concorrono a sostenere l'idea che Flaccinus fu un prefetto del pretorio impegnato ad esercitare la sua coercitio contro i cristiani nella città di residenza dell’ Augusto. Resta il problema di determinare il periodo in cui Flaccinus rivestì la sua prefettura del pretorio, in altri termini, quando egli processò e condannò il confessore Donatus. Nell'economia del De mortibus Persecutorum l’apostrofe al coraggio di Donatus si situa tra il ricordo della promulgazione dell'editto anticristiano a Nicomedia, il 24 febbraio 303, e la successiva partenza di Galerio e di Diocleziano, sembra nel marzo-aprile del 303, dalla città bitinica. Questa

posizione nell' architettura narrativa del trattato puó aver ingannato gli esegeti del passo, che hanno pensato di fissare l'incarico di Flaccinus nel 303. Ma le lodi del confessore Donatus sono di per sé un inciso senza pretese cronologiche. Esse sono state inserite subito dopo la descrizione della violenza anticristiana che si scatenó all'indomani della promulgazione dell’editto, perché il tema si prestava a introdurre l'e-

saltazione del coraggioso amico e correligionario che aveva sperimentato direttamente le ferocia dei sovrani e al quale il trattato di Lattanzio era destinato. Più oltre, infatti, parlando

dell’affissione dell'editto di tolleranza di Galerio a Nicomedia il 30 aprile 311 — il racconto del polemista fa perno su questa città — Lattanzio ha affermato indirettamente, ma con chiarezza, che Donatus non fu fra le prime vittime della persecuzione (Pers. 35, 1 sg.): Hoc edictum (l’editto di tolleranza di Galerio) proponitur

201

Nicomediae pridie Kalendas Maias ipso octies et Maximino iterum consulibus.

Tunc apertis carceribus,

Donate

carissi-

me, cum ceteris confessoribus e custodia liberatus es, cum ti-

bi carcer sex annis pro domicilio fuerit. Il confessore fu liberato nell’aprile 311 dopo sei anni di carcere: egli era stato processato e imprigionato, quindi, nel corso del 305 33. Dalle parole di Lattanzio si deduce con sicurezza che Flaccinus fu il primo giudice a perseguitare Donatus. La sequenza dei tre funzionari che si accanirono contro il confessore riflette certamente un ordine cronologico. Lattanzio afferma infatti che Donatus dapprima cadde nelle mani del prefetto Flaccinus (incidisses in Flaccinus praefec-

tum), poi passò in quelle del praeses Hierocles (deinde in Hieroclem ex vicario praesidem), infine in quelle del suo successore, il praeses Priscillianus (postremo in Priscillianum successorem eius). E logico che Donatus fini in catene all’epoca del suo primo processo, nel 305. Pertanto nulla lega l’intervento coercitivo del prefetto Flaccinus alla promulgazione del primo editto anticristiano a Nicomedia alla fine di febbraio del 303. Il processo intentato da Flaccinus contro Donatus deve essere posticipato al 305. Sulla base del passo relativo all’affissione dell’editto di tolleranza di Galerio, pare estremamente probabile che Donatus sia stato liberato a Nicomedia o nei pressi della città.

33 A rigore i sei anni della detenzione di Donatus dovrebbero andare dall’aprile 305 all’aprile 311, considerando sei anni astrali completi. Ε possibile, però, che Lattanzio calcolasse la prigionia di Donatus come un periodo compreso entro sei anni consolari. Computando, per esempio, le frazioni di anno co-

me anni interi, poteva considerare l’anno consolare in cui Donatus subì il primo processo e la prima condanna come il primo anno di prigionia, e l’anno conso-

lare in cui l’amico venne scarcerato, in seguito alla pubblicazione dell’editto di Galerio, come l’ultimo anno di prigionia. In questo caso la detenzione di Donatus corrisponderebbe a un periodo compreso nei sei anni consolari 306-311 e,

dunque, l’arresto del confessore risalirebbe al 306, anziché al 305. Naturalmente questo computo tenderebbe a dilatare fino a sei anni una detenzione di fatto più breve. Il margine di incertezza circa il sistema di calcolo utilizzato da Lat-

tanzio (anni astrali o anni consolari) e la trama delle vicende politiche di quel periodo consiglia di datare l’istruttoria condotta dal prefetto Flaccinus contro Donatus tra la primavera del 305, al più presto, e l’autunno del 306, al più tardi, prima, comunque, della crisi apertasi con l'usurpazione di Massenzio. Tuttavia una data compresa entro la fine del 305 presenta l’indiscutibile pregio di valorizzare pienamente l’espressione (sex annis) usata da Lattanzio.

202

Le parole di Lattanzio tradiscono un nesso spazio-temporale tra la pubblicazione dell’editto nella città bitinica e la liberazione del confessore. I due fatti appaiono strettamente collegati. Dal momento che Massimino Augusto non fece pubblicare l’editto di Galerio nei suoi dominii originari (dalla Siria all’Egitto) e si mostrò restio alla concreta applicazione delle direttive in esso contenute, è assai probabile che l’immediata scarcerazione del correligionario, di cui Lattanzio si mostra lietissimo, fu possibile perché Donatus era in catene nel capoluogo della Bitinia, nell’area ancora sotto il controllo di Galerio 34. Qui l’editto fu pubblicamente affisso e trovò una subitanea e piena applicazione, prima che, morto Galerio, Massimino

occupasse la penisola anatolica (nel giugno-lu-

glio 311 circa) 35. In Oriente — l’area governata da Massimino Augusto prima della morte di Galerio — la liberazione dei cristiani in catene fu più lenta e si manifestò nella forma di una tacita sospensione temporanea degli editti dioclezianei. Essa iniziò certamente diverse settimane dopo l’affissione dell’editto a Nicomedia e proseguì per non più di sei mesi, durante la seconda metà del 311. Trascorso questo periodo, la persecuzione riprese. Come vedremo tra breve, nelle province dove Massimino aveva impedito l'affissione dell’editto di Galerio (come detto, dalla Siria all'Egitto) la validità degli editti anticristiani non fu mai abrogata, se non, in extremis,

all’epoca dello scontro con Licinio 36. Nella regione anatolica, invece,

dove

la pubblicazione

dell’editto di tolleranza

aveva fornito ai cristiani una base giuridica che garantiva loro almeno 1] diritto all’esistenza, è molto probabile che 1 confessori scarcerati nella primavera del 311, secondo le direttive di Galerio, restassero liberi e fossero accolti nelle comu-

nità religiose dalle quali erano stati strappati 37. L’apostrofe di Lattanzio indica con certezza che Donatus

non tornò in

prigione dopo la sua scarcerazione in seguito alla pubblica34 Sulla reticenza di Massimino a pubblicare l’editto di tolleranza di Galerio nella sua pars vd. oltre.

35 Eus., HE

IX 1, 1.

36 Eus., H. E. IX 10, 1-13, su cui vd. oltre. 37 Sulla grande persecuzione e sul problema dell'applicazione dell' Editto di Galerio nella pars di Massimino vd. oltre e cfr., in generale, la recente sintesi di A. MARCONE, La politica religiosa: dall'ultima persecuzione alla tolleranza, in Storia di Roma IIV1, L'età tardoantica. Crisi e trasformazioni, Torino 1993, pp.

240-245.

203

zione dell’editto di Galerio 38, Questo elemento avvalora de-

cisamente l’ipotesi che Donatus sia stato processato, imprigionato e scarcerato a Nicomedia, in una cittä della pars di Galerio. Del resto & assai probabile che Massimino Augusto si sia trovato in difficoltà quando decise di inasprire la persecuzione nelle province dove Galerio era risuscito a far pubblicare il suo editto. Massimino giunse infatti in Bitinia dalla Siria dopo aver ricevuto la notizia della morte dell’ Augusto, avvenuta circa un mese dopo l'emanazione dell’editto di tolleranza. L'imperatore orientale non poté impedire la pubblicazione del testo dell’editto,

diramato

alcune

settimane

prima da Serdica: il decreto del senior Augustus era pervenuto ai praesides nei capoluoghi della penisola anatolica prima dell’arrivo di Massimino in quelle città 3°. Qui la persecuzione era terminata a tutti gli effetti con l’affissione dell’editto. Le iscrizioni di Arykanda e di Colbasa (nella provincia di Licia e Pamfilia) e quella di Tiro, tramandata da Eusebio di Cesarea, mostrano che dall’inizio del

312 Massimino Au-

gusto ostacolò l’applicazione dell’editto di tolleranza nella sua pars — anche nelle province dove esso era stato pubblicato — per mezzo di rescripta in risposta a petizioni delle singole comunità cittadine ^. Questa prassi è la logica conseguenza dell’ambigua situazione giuridica creatasi nell’area sottoposta alla sua autorità. Nella regione anatolica Massimi-

38 In proposito appare inequivocabile la testimonianza di Lattanzio, Pers.

16, 10. 39 Lact., Pers. 36, 1,

40 Per l'iscrizione di Arykanda cfr. IK Arykanda, 12; per quella di Colbasa cfr. S. MitcHELL, Maximinus and the Christians in A.D. 312: A New Latin In-

scription, in “TRS” 78 (1988), pp. 105-124 (=AE 1988, 1046), e C. E. CONRAD, Das Datum der neuen Maximinus-Inschriften von Colbasa, in “EA” 13 (1989), pp. 89 sg.; per l’iscrizione di Tiro cfr, Eus., H. E. IX 7, 3-14. Sulla politica di Massimino volta ad aggirare l’editto di Galerio mediante l’invio di rescripta anticristiani alle singole città cfr. Lact., Pers. 36, 3-7 ed Eus., H. E. IX 2-4. Eusebio appare molto più informato di Lattanzio su questa pratica, probabilmente perché egli descrive la persecuzione di Massimino dall’area in cui l’editto di tolleranza non era stato pubblicato, e non poteva essere utilizzato dai cristiani per difendersi dalle accuse mosse loro dai maggiorenti delle città orientali. Sulla politica religiosa di Massimino Augusto cfr., oltre al contributo di S. Mitchell e al saggio classico di H. CastRITIUS (Studien zu Maximinus Daia, Kallmünz 1969, pp. 48-76), di recente, J. van HEESCH, The Last Civic Coinages and the Reli-

gious Policy of Maximinus Daza, in “NC” 153 (1993), pp. 65-75; O. NicHoLSON, The

"Pagan

Churches" of Maximinus Daia and Julian the Apostate, in

“TEH” 45 (1994), pp. 1-10.

204

no Augusto, anche per le pressioni di Costantino 6 Licinio, non poteva opporre un suo editto persecutorio all’editto di tolleranza di suo zio Galerio. Il provvedimento, stilato e fat-

to divulgare dall’Augusto più anziano, e di gran lunga più autorevole del collegio, era un edictum ad universos provin-

ciales, emanato da Galerio, ma a nome dei quattro imperatori legittimi allora in carica — anche di Massimino — e applicato in tutto l’impero per il bene del mondo romano. A Massimino non restò che puntellare la sua politica anticristiana annullando localmente gli effetti del provvedimento generale per mezzo dell’invio, alle singole città che lo avevano consultato, di rescripta di contenuto anticristiano. I risultati di questa politica di ‘persecuzione locale’ non sono sempre documentabili. Certamente essi dovettero essere condizionati dal grado di intolleranza delle diverse città orientali, dal numero e dal peso dei cristiani all’interno della cittadinanza e dall’accanimento anticristiano dei maggiorenti cittadini e dei singoli governatori di provincia, capaci di influenzare le scelte della comunità. Dalle parole di Lattanzio si ha l’impressione che la persecuzione di Massimino sia stata più efficace in Oriente, nelle province dove l’editto non era stato pubblicato, e questo è logico: in quelle regioni la persecuzione non

era mai ufficialmente terminata. Il polemista descrive con ogni probabilità la situazione di queste province quando parla delle torture inflitte a1 confessores nel corso del 312 ^!. E

interessante notare che simili supplizi furono invece risparmiati all’amico Donatus. Evidentemente nella città in cui egli scontò la sua pena, e fu poi scarcerato, la comunità cristiana

non fu oggetto di un nuovo attacco dopo l'affissione dell’editto di Galerio. Lo stesso imperatore Massimino, in un do-

cumento stilato subito dopo l’affermazione di Costantino su Massenzio, ma in cui si fa riferimento a una situazione maturata già verso la fine del 311, conferma la sua difficoltà di

riprendere la persecuzione nella città di Nicomedia 42,

4! Lact., Pers. 36, 6 sg.; cfr. anche Eus., H. E. IX 2 sgg. #2 Eus., H. E. IX 9a, 4-6, su cui vd. oltre. E significativo il fatto che Massi-

mino, in questa epistola, resa nota ai provinciali della sua pars, per sottolineare la sua buona disposizione verso i cristiani ricordi esplicitamente un solo rifiuto da lui opposto alla richiesta di una comunità cittadina di colpire i cristiani: quello di Nicomedia.

205

In sostanza 1] quadro che sembra emergere dal resoconto di Lattanzio spinge a ritenere che a Nicomedia e nelle regioni anatoliche la persecuzione, ripresa da Massimino ai primi del 312, avesse un’incidenza diversa rispetto all’Oriente. Nelle province anatoliche, se la cittadinanza non inviava al-

l’imperatore una sua petizione per l’allontanamento dei cristiani, questi, in virtù dell’editto di Galerio, potevano sfuggire a misure repressive sistematiche. Inoltre, ed è il caso di Ni-

comedia, per ragioni di opportunità l’imperatore poteva respingere un’eventuale petizione contro 1 cristiani. Questo sembra essere stato il contesto in cui, nel 311, maturò la li-

berazione di Donatus e la sua reintegrazione all’interno di una comunità cristiana che, negli anni successivi, visse in relativa sicurezza. Ε a Nicomedia che, con ogni probabilità, il

prefetto del pretorio Flaccinus aveva processato il confessore sei anni prima. Ed è in quella città, negli anni in cui Lattanzio vi insegnava retorica latina, che, probabilmente, era

nata l’amicizia tra l’autore e il destinatario del De mortibus persecutorum ®. Torniamo al problema amministrativo sollevato dai processi intentati a Donatus dal praefectus, poi da due praesides. L’idea che Nicomedia possa essere il teatro della vicenda del confessore si concilia bene con le notizie fornite dal polemista cristiano sull’iter giudiziario, in apparenza tanto insolito,

del correligionario. Un prefetto del pretorio poteva essere impegnato nella repressione del cristianesimo nella città che ospitava la residenza dell’ Augusto e dove il funzionario verosimilmente si trovava temporaneamente a risiedere con la corte. Lo afferma Lattanzio stesso, testimone del primo at43 Per la presenza di Lattanzio a Nicomedia durante il regno di Diocleziano cfr. Hier., Vir. ill. 80; Lact., Inst. V 2, 2 e 12 sg. Non c’è dubbio che Lattanzio durante la persecuzione assistette di persona ad alcuni processi condotti dal governatore della provincia in Bitinia e protrattisi per almeno due anni (Lact., Inst. V 11, 15). Numerosi indizi contenuti nel testo del De mortibus persecutorum, su cui è impossibile soffermarsi in queste pagine, mostrano che la splendida città della Bitinia fu l’osservatorio privilegiato dello scrittore cristiano durante gli anni della persecuzione, come sembra, fino alla caduta di Massimino e, forse, anche nel corso della stesura dell’opera sui persecutori, quasi certamente

nel 314. Il complesso problema del luogo e della data di composizione dell’opera, delle sue relazioni con le due edizioni delle Institutiones e con il trasferimento dello scrittore alla corte di Costantino resta aperto; sulla questione cfr., ultimamente, E. DE PALMA DIGESER, The Making of a Christian Empire. Lactantius and Rome, Ithaca-London 2000, pp. 133 sgg.

206

tacco alla chiesa di Nicomedia. E comprensibile che nella città dove soggiornava 1’ Augusto il prefetto del pretorio conducesse istruttorie ed emettesse sentenze contro 1 cristiani che si opponevano alla normativa contenuta nell’editto sul cristianesimo. Il proseguimento dell’azione anticristiana nella città passava integralmente al praeses della provincia nel momento in cui il prefetto del pretorio 51 spostava insieme al comitatus dell’ Augusto, o era inviato per esigenze strategiche a operare altrove, o, eventualmente, era sollevato dall’at-

tività coercitiva per fare fronte ad altre necessità ^. Questa è esattamente la procedura che Lattanzio descrive a proposito della condanna e della prigionia di Donatus, perseguitato da un prefetto, poi da due praesides. Essa presuppone un trasferimento di competenze che trova la sua naturale spiegazione solo se la si circoscrive a una città che, per il suo ruolo speciale di sede del tribunale del governatore di provincia e di residenza dell’ Augusto, era temporaneamente

soggetta alla

giurisdizione concomitante di due funzionari. La possibilità che l’azione coercitiva di Flaccinus si attuasse a Nicomedia potrebbe essere confortata anche dalle coordinate cronologiche proposte per la vicenda di Donatus. Se si prendesse in considerazione l’ipotesi che Flaccinus sia stato il prefetto del pretorio di Galerio Augusto nel 305, dovremmo supporre che il funzionario abbia risieduto con la corte dell’imperatore a Nicomedia. Non si conoscono gli spostamenti del sovrano negli anni 305-306, ma è possibile che durante questo periodo pacifico Galerio abbia fissato la sua corte nella fastosa

città, cara

a Diocleziano,

dove

egli

stesso era stato promosso Augusto 11 1 maggio 305. Di certo la situazione mutò notevolmente già alla fine del 306. La crisi apertasi con l’usurpazione di Massenzio richiamò in Italia prima Severo, con un contingente che si consegnò all’usurpatore; poi, dopo l’assassinio di Severo, obbligò Galerio stesso a marciare sulla penisola con un suo esercito. Se nel periodo 305-307 Flaccinus fu il prefetto di Galerio, è estre4 Se Nicea, e non Nicomedia, fosse la sede principale del praeses Bithyniae in età tetrarchica, l’affidamento della coercizione anticristiana nella città di Nicomedia al prefetto del pretorio di Diocleziano, testimoniata con sicurezza nel 303 e nel 305, sarebbe la naturale conseguenza di una maggiore presenza del prefetto, anziché del praeses, nella città-residenza imperiale, in un momento in cui l’aumento delle istruttorie impegnò tutti i giudici disponibili nella regione e impose una suddivisione razionale delle loro aree di intervento.

207

mamente probabile che al più tardi verso la metà del 307 lasciasse la residenza di Nicomedia insieme all’ Augusto per marciare sull’Italia e per riorganizzare le difese del settore 11lirico, certamente squilibrate dopo la defezione dell’esercito di Severo, confluito fra le forze di Massenzio.

Se la nostra

ipotesi è esatta, l’attività coercitiva e giudiziaria nella città bitinica dovette passare tutta nelle mani del praeses nel momento in cui la corte e il prefetto del pretorio partirono da Nicomedia. Ed è notevole che il governatore di provincia che subentrò al prefetto del pretorio nella lotta al cristianesimo fosse Sossianus Hierocles, il funzionario e scrittore pagano che era stato fra i promotori della persecuzione nel 303 e, possiamo immaginare, era stimato da Galerio, anch’egli per molti anni convinto assertore della necessità di contrastare il cristianesimo. L'ipotesi che Nicomedia possa essere il teatro della vicenda di Donatus e dell'azione coercitiva di Flaccinus si concilia bene con quanto sappiamo della carriera degli altri due giudici persecutori del confessore: Hierocles e Priscillianus. Su Hierocles, giustamente identificato con il filosofo pagano e attivo persecutore Sossianus Hierocles, siamo meglio informati, anche se l'esatta cronologia delle diverse cariche rico-

perte dal funzionario non è sempre determinabile con precisione ^. Il suo primo incarico noto fu quello di praeses della Siria Coele o dell'Augusta Libanensis in età tetrarchica 46, Fervente pagano, come accennato, fu fra i consiglieri che spinsero Diocleziano a decretare nel 303 la repressione dei cristiani nell’impero *7. Fu anche autore di due libri ad Christianos (il titolo greco era probabilmente Φιλαλήθης

45 Su Sossianus Hierocles vd. PLRE I, p. 432, con revisione del lemma a cura di J. R. MARTINDALE, Addenda et corrigenda, in “Historia” 23 (1974), p. 248; T. D. BARNES, Sossianus Hierocles and the Antecedents of the “Great Persecution", in "HSPh" 80 (1976), pp. 239-252, e Constantine and Eusebius, Cambridge Mass.-London 1981, pp. 164-167; M. FORRAT (a cura di), Eusebe de Césarée, Contre Hiéroclès (SC 333), Paris 1986, pp. 11-26; W. SPEYER, Hierokles I (Sossianus Hierocles), in RLAC, Lief. 113 (1989), pp. 103-109. 46 CIT, II 133 e 6661=J. CANTINEAU, Inventaire des inscriptions de Palmyre, 6, Beyruth 1931, pp. 7 sg., n. 2; J. CANTINEAU, Inscriptions Palmyréniennes,

Chalon-sur-Saóne 1930, p. 33, n. 49, revisione a cura di H. SEYRIG, Antiquités Syriennes. 2 Notes épigraphiques, in "Syria" 12 (1931), pp. 321-323=AE 1932, 79=SEG VII 152, entrambe da Palmira. 47 Lact., Inst. V 2, 12 sg. e Pers. 16, 4 (vd. sopra). Lattanzio ricorda che un

gruppo ristretto di iudices e di militares fu invitato a corte e consultato da Diocleziano in merito all'opportunità e alle modalità di una persecuzione sistematica del reato di cristianesimo (Pers. 11, 4-6). Hierocles fu senza dubbio fra quei funzionari.

208

λόγος πρὸς Χριστιανούς), perduti, in cui si celebrava il taumaturgo pagano Apollonio di Tiana per svalutare la figura di Cristo. L’opera di Hierocles è nota attraverso la confutazione che ne fece uno scrittore cristiano di nome Eusebius in un trattato che si è soliti indicare col titolo di Contra Hieroclem “8. Il libro, salvatosi perché attribuito al corpus degli scritti di Eusebio di Cesarea, è con grande probabilità opera di un omonimo e contemporaneo polemista cristiano 35. Lattanzio, nel passo del De mortibus persecutorum (16, 4) esaminato sopra, ricorda che Hierocles, oltre all’attività di consigliere di Diocleziano favorevole alla persecuzione, ebbe la presidenza di una provincia, non specificata, all’epoca della detenzione di Donatus, e che la ottenne dopo un vicariato diocesano. Inoltre, nei capitoli 2-4 del quinto libro delle sue /nstitutiones, Lattanzio procede alla confutazione di due pensatori pagani suoi contemporanei, di cui tace i nomi, il secondo dei quali era l’autore di un’opera ad Christianos. Come egli stesso

afferma, fu costretto ad ascoltare le teorie dei due dottori pagani a Nicomedia, quando vi insegnava retorica latina. Non c’è dubbio che il secondo filosofo pagano (anonimo), ricordato dal retore cristiano anche come persecutore, sia Sossianus Hierocles, allora impegnato a diffon-

dere il suo pensiero nella città di residenza dell’ Augusto °°. I tratti dello Hierocles attaccato dal cristiano Eusebius nel suo Contra Hieroclem concordano con quelli del personaggio descritto da Lattanzio nel De mortibus persecutorum e nelle Institutiones 5. Tuttavia conviene riflettere su alcune interessanti differenze fra i due scrittori cristiani nella descrizione della personalità di Hierocles. Eusebius presenta il funzionario e scrittore pagano esclusivamente come titolare di una giurisdizione superiore a quella dei normali governatori, ma non come un persecutore; all'epoca della divulgazione del suo trattato egli era, con ogni probabilità, un vicario dei prefetti del pretorio (uno degli agentes vice praefectorum praetorio di età tetrarchica presentati nel capitolo precedente) 52. Lattanzio, invece, nelle Institutiones e nel De mortibus per48 Per il testo del trattato vd. ora la recente edizione curata da FORRAT, Eu-

sebe de Césarée cit. (sopra, a nota 45). 4 Cfr. T. HAgG, Hierocles the Lover of Truth and Eusebius the Sophist, in

"SO" 67 (1992), pp. 138-150. 50 L'espressione utilizzata da Lattanzio nelle Institutiones e nel De morti-

bus persecutorum per indicare la funzione (iudex) del filosofo pagano e le notizie sulla sua attività come consigliere di Diocleziano e come praeses persecuto-

re obbligano a identificare il personaggio descritto nelle due opere di Lattanzio con Sossianus Hierocles. 51 Cfr. Lact., Inst. V 2, 2; 2, 9; 2, 12 sg.; 3, 22; 4, 1, ed Eusebius,

Contra

Hier. 4 e 20 (pp. 108 e 144 Forrat). Non sembra lecito affermare, in base al contenuto di Lact., Inst. V 2, 12 sg., che l'azione repressiva di Hierocles preceda la

diffusione dei suoi scritti (cfr. in proposito anche HAGG, Hierocles the Lover of Truth cit., p. 142). Sembra invece probabile che Hierocles abbia offerto a Nicomedia letture pubbliche dell'opera da lui scritta in precedenza solo dopo lo scoppio della persecuzione.

32 Vd. sopra, cap. II, in particolare pp. 166 sg.

209

secutorum, ricorda le letture di Hierocles a Nicomedia durante la persecuzione dioclezianea, annovera lo scrittore pagano fra gli iudices, e lo indica come un persecutore; inoltre, come abbiamo visto, nell’apostrofe all’amico Donatus, menziona, accanto alla presidenza di provincia, anche il vicariato, ormai terminato, del filosofo. Il confronto tra i resoconti dei due autori cristiani, Eusebius e Lattanzio, spinge a ipotizzare che, dopo il governatorato palmireno, Hierocles divenne famoso grazie alla produzione anticristiana, pubblicata in coincidenza col suo vicariato. Questo spiega l’insistenza, altrimenti superflua, di Lattanzio sulla vice prefettura, ormai conclusa, di Hierocles. Rivolgendosi a dei correligionari, contemporanei e testimoni dei fatti, Lattanzio sentì di poter tratteggiare rapidamente alcuni aspetti caratteristici dell’attività dei persecutori dell'amico, perché essi apparivano significativi per i suoi lettori: Flaccinus, non pusillum homicidam, e Hierocles ex vicario

praesidem, qui auctor et consiliarium ad faciendam persecutionem fuit. E molto probabile, dunque, che Hierocles fosse diventato famoso fra i cristiani a causa della sua pericolosa produzione letteraria all’epoca del vicariato, ma prima della persecuzione,

visto che Eusebius,

nella sua

confutazione lo ricorda come giudice supremo e come scrittore anticristiano, non come persecutore. Probabilmente Eusebius non avrebbe mancato di sottolineare l'impostura contenuta nell'atteggiamento filo-

cristiano sbandierato da Hierocles nel suo Φιλαλήθης λόγος (indirizzato appunto πρὸς Χριστιανούς, ad Christianos) e la sua violenta azione coercitiva come

giudice, incoerenza, invece, puntualmente

stigma-

tizzata da Lattanzio 53. L'attività letteraria valse al vicario Hierocles la confutazione del cristiano Eusebius, ma anche l’onore di essere fra i consiglieri di Diocleziano nel momento in cui l’imperatore rifletteva sull’opportunità di pianificare la persecuzione (fine 302-inizi 303). Purtroppo non è possibile appurare se agli inizi della persecuzione Hierocles fosse ancora vicario o fosse già praeses, perché il termine utilizzato da Lattanzio per indicare la carica del consigliere e persecutore, iudex, è del tutto generico. Certamente nel corso della persecuzione, come emerge dall’esame della vicenda di Donatus, Hierocles era praeses 54. E in questa veste che, probabilmente, il funzionario tenne le sue

Ietture a Nicomedia. Non c’è dubbio, infatti, che Lattanzio, nel corso della persecuzione, ascoltò a Nicomedia le letture dall’opera ad Chri-

stianos (il Φιλαλήθης λόγος πρὸς Χριστιανούς) dalla bocca dell’autore, al tempo stesso filosofo pagano e iudex persecutore 55, La notizia della ‘promozione’ di Hierocles da vicarius a praeses — tale era senza dubbio la sua carica, come abbiamo visto, quando processò Donatus —

è apparsa agli studiosi imbarazzante, perché l’incarico di vicario era più prestigioso di quello di governatore di provincia. In realtà la spiegazione dell’organizzazione della carriera di Hierocles potrebbe risiedere

53 Lact., Inst. V 2, 13 e 3, 22. 54 Vd. sopra Lact., Pers. 16, 4.

55 Lact., Inst. V, 2, 12 sg.

210

nelle doti intellettuali di questo pagano e nella sua intransigenza 56, Dal momento che i funzionari incaricati di applicare gli editti anticristiani a livello locale erano i praesides, è probabile che l’imperatore residente

in Oriente (Diocleziano prima, Galerio poi) affidasse a Hierocles la persecuzione dei cristiani in Bitinia, nella provincia dove sorgeva la residenza imperiale 57. Per il suo zelo come persecutore egli ottenne da Galerio, al più tardi nella primavera del 310, la prefettura egiziana: in una terra dove il cristianesimo era allora diffuso e caratterizzato da una certa intransigenza era necessario inviare un funzionario deciso nell’opera di indebolimento della fede 58, Gli elementi emersi dall’indagine su

Hierocles invitano a datare la presidenza di una provincia, che le testimonianze delle Institutiones di Lattanzio e l’iter del processo a Donatus suggeriscono essere la Bitinia, in un periodo compreso tra il 306 circa (reiterazione della condanna del confessore emessa da Flaccinus) e l'inizio del 310 (trasferimento alla prefettura d'Egitto). Del terzo persecutore di Donatus, Priscillianus, non si conosce nulla oltre alla menzione di Lattanzio. Tuttavia è rilevante che il Martyrologium Romanum, alla data del 12 giugno, ricordi: apud Nicaeam Bithyniae Diocletiano et Maximiano imperatoribus, Priscilliano praeside, Antonina in christianae fidei confessione constanter perseverans, demum gladio percussa, martyrio coronata est. Similmente anche il Martyrologium Hieronymianum, alla data del 4 maggio, e il Synaxarium Ecclesiasticum Constantinopolitanum, alla data del 12 giugno, indicano un biennio di detenzione per la santa, torturata e condannata al rogo dal praeses Priscillianus 59. Le fonti martirologiche indicavano in

56 Così già BARNES, Sossianus Hierocles cit. (sopra, a nota 45), p. 243. 57 L'importanza di un comportamento palesemente anticristiano, quale requisito privilegiato nella scelta dei funzionari al servizio di imperatori impegnati nella lotta al cristianesimo, è dimostrata, per esempio, dalla promozione, nel 312, del curatore della metropoli di Antiochia, Theotecnus, a praeses Galatiae da parte di Massimino Augusto; sul funzionario vd., in sintesi, PLRE I, p. 908. 58 Sulla prefettura egiziana di Sossianus Hierocles, rivestita tra il 310 e il 311, cfr. H. MAEHLER, Zur Amtszeit des Präfekten Sossianus Hierocles, in Collectanea

Papyrologica. Texts Published in Honor of H.C. Youtie, 2, Bonn 1976, pp. 527533. Eusebio di Cesarea ricorda che ai suoi tempi l’Egitto e la Tebaide avevano donato alla chiesa più martiri della altre regioni dell’impero (H. E. VII 13, 7) e indica proprio Hierocles fra i prefetti persecutori nella provincia (Eus., Mart. Pal. 5, 23, recensione greca lunga, pp. 136-138 Bardy; versione siriaca, pp. 44 sg. Violet). 59 Syn. Const., pp. 500 e 746; AASS, maggio, I, pp. 464 sg. Il valore documentario del lemma dei Martyrologia fu evidenziato da H. DELEHAYE, Commentarius perpetuus in Martyrologium Hieronymianum, Bruxelles 1931, p. 229, e, di recente, riconsiderato ai fini prosopografici da D. Woops, Some Hagiographical Addenda to PLRE, in “Latomus” 51 (1992), p. 873, che hanno ritenuto le notizie agiografiche in linea col passo di Lattanzio. Resta incerto se l’anonimo governatore di Bitinia, obbligato da Massimino a condannare tre innocen-

ti amiche di Valeria, vedova di Galerio, e definito da Lattanzio aequus et diligens (Pers. 40, 3) sia in realtà Priscillianus, che il polemista cristiano, nell’elogio del confessore Donatus, non accusa di malvagità.

211

un Priscillianus praeses in Bitinia (apud Nicaeam, in alcuni manoscritti in Nicomedia) il responsabile della condanna di una martire di nome Antonina (in alcuni manoscritti Antonia). La vaga indicazione cronologica, Diocletiano et Maximiano imperatoribus (nel Syn. Const., cit., Si

ha: κατὰ τοὺς χρόνους Διοκλητιανοῦ καὶ Μαξιμιανοῦ) non coincide con quanto possiamo ricostruire dalla vicenda di Donatus, ma è molto probabile che la datazione proposta nel lemma del Martirologio sia il risultato della semplificazione di un origine Maximiano, cioè Galerio, imperatore. Le fonti agiografiche hanno spesso la tendenza a raccogliere sotto i nomi di Diocleziano e Massimiano anche le persecuzioni condotte da Galerio e da Massimino, la cui politica religiosa si fondava sulla validità degli editti anticristiani degli anni 303-304. Il fatto che, come sembra, la formula Diocletiano et Maximiano imperatoribus non sia una datazione consolare, ma solo l’indicazione della persecuzione in cui la santa fu martirizzata, rende possibile attribuire il processo contro Antonina al Priscillianus che Lattanzio, un contemporaneo dei fatti,

annoverava fra i persecutori della regione. E significativo che le uniche

fonti alternative a Lattanzio, e, a quanto pare, indipendenti dalla tradizione lattanziana, sul praeses Priscillianus collochino questo personaggio proprio in Bitinia.

Prima di Tatius Andronicus e di Pompeius Probus, in carica insieme nel 310, fu prefetto del pretorio nella pars orientale Flaccinus. Gli elementi ricavabili dal testo di Lattanzio spingono a porre la sua prefettura in un momento non precisabile dell’anno 305, l’anno dell’abdicazione di Diocleziano

e della promozione di Galerio ad Augusto. Questa posizione di Flaccinus “al limite" tra due Augusti pone il problema dell'identità dell'imperatore da lui affiancato. Abbiamo ipotizzato che il prefetto possa aver servito Galerio nei primi anni del suo regno, ma a rigore tre soluzioni appaiono al momento legittime. Flaccinus potrebbe essere stato l'ultimo prefetto del pretorio di Diocleziano Augusto e si sarebbe trovato per questo a Nicomedia prima dell' abdicazione del suo sovrano. Nella città presiedette alcuni processi contro 1 cristiani, fra cui quello a Donatus. Al momento dell’abdicazione di Diocleziano il prefetto potrebbe essere stato congedato e il suo posto sarebbe stato preso dal nuovo prefetto del pretorio di Galerio Augusto. Oppure Flaccinus, prefetto del pretorio di Diocleziano, potrebbe essere diventato 1] prefetto di Galerio subito dopo la cerimonia di investitura di Nicomedia. O, ter-

za possibilità, Flaccinus potrebbe essere stato il primo prefetto del pretorio di Galerio Augusto, nominato dal nuovo sovrano dopo la sua elevazione a Nicomedia. Nel 305, dopo il 212

1 maggio, durante il soggiorno del comitatus dı Galerio neoAugusto a Nicomedia, il prefetto del pretorio avrebbe giudicato e condannato dei cristiani, fra cui Donatus. Quest’ulti-

ma ipotesi ha il pregio di coniugare una datazione piü credibile del primo processo a Donatus — nel corso del 305 — con la nomina da parte di Galerio di un prefetto selezionato, verosimilmente, fra i collaboratori di sua fiducia.

Se Flaccinus fu il primo prefetto del pretorio di Galerio Augusto, è necessario sottoporre a revisione il problema degli Augusti coadiuvati da Andronicus e da Probus. Come accennato, la preminenza gerarchica di Andronicus su Probus,

testimoniata in modo unanime dalle fonti, ha spinto a ipotizzare che Andronicus appartenesse al comitatus di Galerio e Probus a quello di Licinio. Come detto, questa ricostruzione si basa sull’idea che al momento delle loro acclamazioni, nel

maggio del 305 e nel novembre del 308, 1 due Augusti scegliessero rispettivamente Andronicus e Probus come loro prefetti del pretorio. Ma se dal maggio del 305 Galerio si avvalse della collaborazione di Flaccinus — di cui purtroppo ignoriamo la durata del mandato — esiste l’eventualità che questo prefetto del pretorio sia stato congedato dopo il novembre 308. Del resto Andronicus e Probus compaiono co-

me prefetti in carica solo all’inizio del 310. La prassi istituzionale in uso durante l’intera età imperiale obbliga ad ammettere che nel novembre del 308 Licinio, acclamato Augusto, abbia provveduto a nominare immediatamente un suo prefetto del pretorio, quale segno della sua legittima eleva-

zione. Nel caso in cui il prefetto di Galerio che successe a Flaccinus sia entrato in carica dopo il novembre 308 — cioè dopo la nomina del prefetto del pretorio di Licinio —, il secondo prefetto del pretorio di Galerio avrà occupato il secondo posto nella gerarchia dei prefetti della pars orientale. In questo caso l’ordine gerarchico che testimonia l’anzianità di nomina dei due prefetti nei documenti egiziani del 310 indicherebbe in Tatius Andronicus il prefetto di Licinio, nominato nel novembre 308, e in Pompeius Probus quello di Ga-

lerio, succeduto a Flaccinus dopo il novembre 308. Dal momento

che, allo stato attuale della documentazione,

non è

possibile determinare la data dell’avvicendamento tra Flaccinus e il suo successore, resta aperta la questione dell’appartenenza di Andronicus e di Probus ai comitatus di Galerio e di Licinio. 213

Sabinus

Nella primavera del 310 Massimino Cesare fu proclamato Augusto dalle truppe sottoposte al suo comando in Oriente 60. Galerio, I’ Augusto anziano del collegio imperiale, ricevuta dal neo-eletto comunicazione dell’avvenuta proclamazione, la ratificò. Massimino dopo il convegno di Carnuntum era rimasto di fatto l’unico Cesare dell’impero, perché Costantino, in contrasto con le decisioni del congresso, si con-

siderava Augusto nella sua pars. Galerio col passare del tempo non poté che rassegnarsi alla promozione di entrambi 1 Cesari di Carnuntum. Nel corso del 310, dunque, l’impero fu governato da quattro Augusti legittimi, Galerio, Massimino, Costantino,

Licinio,

e, come

vedremo,

da due usurpatori,

Massenzio e L. Domitius Alexander. Con grande probabilità Massimino, divenuto Augusto, si dotò immediatamente di un

suo prefetto del pretorio. Grazie all’attenzione di Eusebio di Cesarea per i documenti originali, e all’abitudine di inserirli,

rigorosamente in lingua greca, nella sua Historia Ecclesiastica, possiamo essere certi che dalla primavera del 311 agli inizi del 313 Massimino si avvalse della collaborazione di un suo prefetto del pretorio: Sabinus $!. Non sappiamo quando questo personaggio fu nominato alla massima prefettura, ma le testimonianze farebbero pensare, con un certo margine di sicurezza, che Sabinus sia stato il primo e l’unico prefetto del pretorio di Massimino Augusto. Della sua carriera precedente alla prestigiosa promozione non si conosce nulla. Del resto il cognome con cui il funzionario è ricordato, Sabinus, è talmente diffuso da ren-

dere difficoltosa l’identificazione con altri amministratori omonimi, attivi prima del 311 nella parte orientale dell’impero. La storia politica di questo periodo, come abbiamo illustrato a proposito dei prefetti Andronicus e Probus, invita a 60 L'anonimo redattore dell’ Epitome de Caesaribus (40, 18) parla di tre anni complessivi di regno per Massimino Augusto, elemento che consente di porre la sua elevazione all’incirca nell’aprile del 310. Lattanzio (Pers. 33, 1) associava l’acclamazione di Massimino ad Augusto con l’inizio della malattia di Galerio, che durò un anno; dal momento che Galerio morì a Serdica con sicurezza nel

maggio del 311, la promozione di Massimino deve risalire alla primavera del 310 - probabilmente dopo il 27 febbraio 310, visto che quel giorno la dichiarazione contenuta nel P. Stras. I, 42 (=P. Sakaon 1) definisce ancora Massimino e Costantino filii Augustorum, titolo che essi portarono in Oriente solo come Cesari.

61 Su Sabinus vd. PLRE I, p. 791; BARNES 1982, pp. 126 e 137.

214

credere che Massimino scelse fra 1 funzonari della sua pars il suo luogotenente ὅ2, Sabinus è segnalato dalle fonti per la prima volta nel periodo immediatamente successivo alla promulgazione dell’editto di tolleranza di Galerio, pubblicato a Nicomedia il 30 aprile 311 63. Eusebio di Cesarea afferma che Massimino Augusto, ricevuta copia dell’editto, non condivise la decisione

di interrompere la persecuzione contro i cristiani 9^. Tuttavia, come abbiamo visto, essendo gerarchicamente sottoposto all’ Augusto più anziano, non poté ignorare il provvedimento (un edictum ad universos provinciales) che abrogava i precedenti editti dioclezianei, né poté opporsi frontalmente a una disposizione importante per la pace nell’impero, che — non va dimenticato — risultava formalmente emessa anche a suo nome 65. Per questo 1] giovane sovrano preferì ricorrere a un’applicazione del contenuto dell’editto che gli consentisse di riprendere, appena possibile, la persecuzione 66, Invece di fare affiggere il testo dell’editto nelle città delle province sottoposte allora al suo controllo (dalla Siria all’ Egitto) — come avevano fatto nelle loro partes Galerio, Licinio e Costantino

— Massimino ordinò ai governatori di provincia della sua pars, attraverso una comunicazione non destinata alla pubblicazione, di rallentare la lotta ai cristiani 67. In sostanza, da 62 Alcune epigrafi da Salamina di Cipro testimoniano l’esistenza di un praeses Cypri di nome Antistius Sabinus, certamente attivo in età tetrarchica e noto nella letteratura agiografica orientale come persecutore; cfr. I. MICHAELIDOU NICOLAU, Antistius Sabinus, an unknown praeses of Cyprus, in Acts of the

V International Congress of Greek and Latin Epigraphy, Oxford 1971, pp. 381383. Si potrebbe ipotizzare, con prudenza, che il Sabinus governatore di Cipro

possa eventualmente essere il futuro prefetto di Massimino. 63 Sull’editto (trascritto da Lattanzio, Pers. 34, e, in traduzione greca, da Eusebio di Cesarea, ἢ. E. VIII 17, 3-10) cfr. di recente MARCONE, La politica religiosa cit. (sopra, a nota 37); P. KERESZTES, From the Great Persecution to the Peace of Galerius, in “VChr” 37 (1983), pp. 379-399; P. SINISCALCO, L'editto di Galerio del 311. Qualche osservazione storica alla luce della terminologia, in

Atti dell'Accademia Romanistica Costantiniana 10, Napoli 1995, pp. 41-53. 6 Eus., H.E. IX 1, 1-6. $5 Sull'ambiguo atteggiamento di Massimino nei confronti della nuova politica religiosa inaugurata da Galerio nel 311 vd. sopra, pp. 203-206. Sulla presenza del nome di Massimino nell’intitulatio dell'editto di Galerio vd. oltre. 66 Sulle forme che assunse Ia persecuzione di Massimino dalla fine del 311 agli inizi del 313 vd. sopra, pp. 204 sg.

67 Eus., H.E. IX 1, 1: Μαξιμῖνος [...] ἀντὶ τοῦ προτεθέντος γράμματος λόγῳ προστάττει τοῖς ὑπ᾽ αὐτὸν ἄρχουσιν; la comunicazione di Massimino viene definita, poco oltre, ἄγραφον πρόσταγμα. Dal passo di Eusebio si dedu-

215

un punto di vista della divulgazione della volontä imperiale, Massimino adempiva soltanto a una parte di quanto decretato nel provvedimento di Galerio: senza procedere all’affissione pubblica dell’editto ad provinciales, egli si limitava a dare istruzioni al suoi governatori di provincia riguardo all’applicazione della nuova normativa. Queste istruzioni, normalmente dettate e diffuse dall’imperatore stesso attraverso la cancelleria di corte, erano un complemento necessario per

la trasmissione, la pubblicazione e la corretta interpretazione dell’editto. Anche nelle partes degli altri Augusti, oltre all’invio agli officia presidali delle copie dell’editto, i sovrani si erano premurati di fornire disposizioni ai singoli praesides in merito alla sua pubblicazione e alla sua concreta attuazione, come testimonia il testo stesso della legge 68. Ma le istruzioni erano solo un allegato dell’editto. Massimino, limitandosi a impartire le disposizioni ai governatori in merito all'applicazione dell’editto, in realtà trascurava coscientemen-

te un aspetto indispensabile per la validità del provvedimento: la sua pubblica affissione, con cui si manifestava l’in-

dulgentia dell’ Augusto verso i cittadini cristiani dell' impero, e, soprattutto, si abrogava la legislazione anticristiana di Diocleziano. In questo modo il sovrano orientale impediva che l’editto avesse validità legale in quelle province della sua pars in cui era riuscito a proibirne la pubblicazione. Tut-

ce chiaramente che Massimino dettò a voce (λόγῳ προστάττει) alcune istruzioni, i cui contenuti non differivano da quelli di un vero e proprio editto di portata generale (πρόσταγμα). Ma a differenza dell’editto di Galerio, regolarmente pubblicato (ἀντὶ τοῦ προτεθέντος γράμματος), le disposizioni di Massimino, benché diffuse tra i suoi funzionari provinciali, non erano destinate a essere rese note ai suoi sudditi attraverso la pubblicazione di un testo scritto. Come spiega Eusebio, dunque, il πρόσταγμα dettato a corte da Massimino raggiunse per

iscritto i governatori della sua pars (τοῖς ὑπ᾽ αὐτὸν ἄρχουσιν), ma non pervenne mai ai suoi sudditi, per i quali esso restò ἄγραφον.

68 Nel testo stesso dell’editto Galerio specificava: aliam autem epistolam iudicibus significaturi sumus quid debeant observare (Lact., Pers. 34, 5; similmente nella traduzione di Eusebio di Cesarea, H. E. VIII 17, 9); analoghe indicazioni anche nell'editto acefalo di Lyttos (CIL, III 13569=/C 1, 189, linn. 36

sgg.) e nel famoso editto De Accusationibus (CIL, III 12043=/C 1, 188, linn. 46 sgg.). Gli editti imperiali dovevano pervenire ai funzionari provinciali della pars di ciascun sovrano attraverso lettere di trasmissione, che potevano contenere istruzioni leggermente diverse a seconda del funzionario recettore; questa tecni-

ca di divulgazione é testimoniata dagli editti dei prefetti d'Egitto, diffusi fra gli stateghi, cfr. R. Karzorr, Prefectural Edicts and Letters, in "ZPE" 48 (1982), pp. 209-217.

216

tavia nell’azione coercitiva l’imperatore dovette, almeno in un primo momento, estendere a tutta la sua pars gli effetti benefici del provvedimento. Pertanto nei sei mesi successivi alla divulgazione dell’editto di Galerio i sudditi cristiani della pars di Massimino godettero di una sospensione della persecuzione 99, Il dato più interessante di questo iter legislativo consiste nel ruolo inedito svolto dal prefetto del pretorio Sabinus. Lo strumento attraverso il quale Massimino diffuse le sue disposizioni in merito all’interruzione dell’azione anticristiana nella sua pars, non appena l’editto di Galerio raggiunse la sua corte, fu, infatti, il suo prefetto del pretorio (Eus., H. E.

IX1,1sg.): Μαξιμῖνος [...] τὸν προεκτεθέντα νόμον (l’editto di Galerio) ἐν παραβύστῳ θεὶς καὶ ὅπως ἐν τοῖς ὑπ ᾿αὐτὸν μέρεσιν μὴ εἰς προῦπτον ἀχθείη, φροντίσας, ἀγράφῳ προστάγματι (le istruzioni di Massimino) τοῖς ὑπ ᾿αὐτὸν ἄρχουσιν τὸν καθ᾽ ἡμῶν διωγμὸν ἀνεῖναι προστάττει" οἵ δὲ τὰ τῆς παρακελεύσεως ἀλλήλοις διὰ γραφῆς ὑποσημαίνουσιν. Ὁ γοῦν nap ᾿αὐτοῖς τῷ τῶν ἐξοχωτάτων ἐἐπάρχων ἀξιώματι τετιμημένος Σαβῖνος πρὸς τοὺς κατ᾽ ἔθνος ἡγουμένους τὴν βασιλέως ἐμφαίνει γνώμην διὰ Ῥωμαϊκῆς ἐπιστολῆς. L’espressione di Eusebio παρ᾽ αὐτοῖς τῷ τῶν ἐξοχωτάτῶν ἐπάρχων ἀξιώματι τετιμημένος non dovrebbe lasciare dubbi sulla prefettura del pretorio rivestita da Sabinus 70, Il

9? La durata di questa pausa nella persecuzione è esplicitamente ricordata

da Eusebio di Cesarea (H. E. IX 2: ὅλους ἐπὶ μῆνας ἕξ). Questi sei mesi di sospensione della persecuzione nella pars di Massimino andranno spiegati con la

congiuntura politica creatasi alla morte di Galerio. Poco dopo la ricezione dell’editto di tolleranza Massimino dovette essere informato anche della morte di Galerio, conosciuta a Nicomedia nel maggio 311 (Lact., Pers. 35). Da questo momento, e per tutta l’estate del 311, Massimino fu completamente assorbito dalla presa di possesso dell’area asiatica dei domini di Galerio e dal problema della difesa degli Stretti (Lact., Pers. 36). ΑἹ di là della Propontide, infatti, l’esercito di Licinio aveva occupato nello stesso tempo l’area illirica della pars di Galerio. I due nuovi signori delle regioni appartenute al defunto Augusto giun-

sero a un accordo e spostarono temporaneamente le loro verso gli Stretti, trasformatisi in un’area strategicamente 10} perfetto passivo di τιμάω unito ai termini ἀξία, genitivo della carica è una perifrasi relativamente diffusa

residenze privilegiate critica, ἀξίωμα, ἐξουσία e il per indicare l’incarico

di un funzionario. Espressioni analoghe ricorrono spesso nell’opera di Eusebio

217

vescovo ha voluto specificare con questa perifrasi quale fosse la posizione di Sabinus rispetto all’insieme dei funzionari di Massimino Augusto, ai quali lo scrittore ha fatto e sta facendo riferimento in merito alla questione dell’applicazione dell’editto di Galerio. Le direttive di Massimino emanate dopo la ricezione dell’editto, erano indirizzate a tutti i funzionari della sua pars (τοῖς èdr’adtòv ἄρχουσιν), cioè ai governatori delle province dalla Siria all Egitto, compresi il prefetto d' Egitto e, verosimilmente, anche i rationales del fisco.

Rispetto ai funzionari di Massimino (παρ᾽ αὐτοῖς), afferma Eusebio, Sabinus era investito della carica dei praefecti praetorio eminentissimi (τῶν ἐξοχωτάτων ἐπάρχων). All'epoca della diffusione dell'editto di Galerio, nella primavera del

311, il personaggio era, dunque, uno dei quattro prefetti del pretorio degli Augusti legittimi. Secondo

quanto

testimoniato

da Eusebio

di Cesarea,

l'imperatore Massimino comunicó oralmente le sue istruzioni al suo prefetto del pretorio. Sabinus le recepi e le ordinó in una lettera prefettizia redatta in latino (διὰ Ῥωμαϊκῆς ἐπιστολῆς), di cui Eusebio presenta la traduzione in greco. La cancelleria del prefetto preparó numerose copie, identiche, della medesima epistola prefettizia, ciascuna indirizzata al-

l'officium di ogni singolo praeses di provincia dell'area controllata da Massimino (ἐν τοῖς ὑπ᾽ αὐτὸν μέρεσιν [...] τοῖς ὑπ᾽ αὐτὸν ἄρχουσιν e, poco oltre, ἐπὶ τούτοις οἱ κατ᾽ ἐπαρχίαν). Queste lettere contenevano le disposizioni dell’imperatore, non destinate alla pubblicazione, in merito alla condotta da adottare verso 1 cristiani. Nella sostanza, come si de-

duce dalla copia tradotta da Eusebio di Cesarea, esse coincidevano con il contenuto dell’editto di Galerio e ordinavano la sospensione della persecuzione ?!. Le espressioni con cui il prefetto del pretorio di Massimino si rivolge al suo (anoni-

di Cesarea; cfr. per esempio H. E. I 3, 7; VII 14 e 15, 1; VIIL 9, 7; VIII 13, 11; IX 11, 3; Mart. Pal. 11, 1; 4; 21; 24; VC. I1 5, 1; INI, 1; III 59, 3; IV 66, 2; Praep. Evang. VII 8, 57; X 1, 6; Com. in Isaiam II 42 sg.; Com. in Psalmos, in

PG 23, coll. 504; 988; 992; 1212; 1273. 7! Tl testo dell’epistola prefettizia è riportato, tradotto in greco, da Eusebio di Cesarea, H. E. IX 1, 3-6, e compare solo in alcuni manoscritti dell'opera (cfr.

p. 44 Bardy); sul testo della lettera prefettizia cfr. di recente CORCORAN, pp. 148 Sg., n. 54; per i contenuti dell'editto di Galerio vd. sopra la bibliografia cit. a nota 63. E difficile dire in quale modo Eusebio di Cesarea riusci a venire in possesso di questo documento prefettizio.

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mo) interlocutore 6 la notazione inserita in calce all’epistola (vd. oltre), mostrano che l'esemplare confluito nell Historia

Ecclesiastica riproduce la copia della lettera che la cancelleria del prefetto del pretorio inviò a ciascun governatore. Le istruzioni di Massimino sono presentate dal prefetto del pretorio nella forma di un ordine, congiunto, degli Augusti, cosa che è storicamente credibile e formalmente corretta, dal

momento che l’editto di Galerio si apriva, nell’intitulatio originale, con i nomi e la titolatura completa di Galerio e, con i

nomi e la titolatura ridotta degli altri tre Augusti legittimi 72, Benché Sabinus diffonda le istruzioni dettate da Massimino come il prodotto di una decisione di tutti gli Augusti, la lettera prefettizia non emana formalmente da Massimino Augusto, il cui nome non compariva nell’intitulatio dell epistola. L'autore della comunicazione é il suo prefetto del pretorio, come indica Eusebio e come confermano alcune espressioni contenute nel testo della lettera 73, In realtà l'epistola, nella forma in cui Eusebio l’ha inserita nella sua opera, è priva del-

l'intitulatio originaria e si apre direttamente con il testo della comunicazione. Con ogni probabilità, al di sopra del testo attualmente conservato nell' Historia Ecclesiastica, la lettera prefettizia originale conteneva — nella sua formulazione piü completa — il gentilizio, il cognome, il rango e la carica del nostro prefetto del pretorio (al nominativo) e del destinatario (al dativo) 75. Il destinatario delle disposizioni imperiali dif72 Nella lettera prefettizia si fa riferimento due volte alla volontà dei (quattro) sovrani: ἡ θειότης τῶν δεσποτῶν ἡμῶν τῶν δυνατωτάτων αὐτοκρατόρων (Eus., H.E. IX 1, 3 e 5). L’editto di Galerio ha nell' unica inzitulatio superstite, quella tramandata da Eusebio di Cesarea (H.E. VIII 17,3 sg.), solo i nomi di Galerio e di Costantino, ma in alcuni codici compare in ultima posizione anche il nome di Licinio (cfr. p. 39 Bardy). Tuttavia ὃ certo che l'editto fosse emesso dal senior Augustus a nome dei quattro Augusti legittimi, nell’ordine: Galerio, Massimino, Costantino e Licinio; su questa sequenza gerarchica cfr., di recente, M.

CHRISTOL, TH. DREW-BEAR, L'intitulatio de la constitution de Galére et de ses collegues affichée à Sinope (CIL HI 6979), in “Tyche” 14 (1999), 44-55, e Antioche de Pisidie cit. (sopra, cap. II, a nota 120), pp. 39-71. I nomi dei persecutori sarebbero stati poi eliminati dall inzitulatio: quello di Massimino nel 313, quello di Licinio nel 324, come indica la sua sopravvivenza solo in quattro ma-

noscritti dell' Historia Ecclesiastica, che attingevano quasi certamente a copie non rivisitate dell'opera. 73 Oltre al passo di Eusebio, riportato sopra, cfr. i riferimenti alla devotio

(καθοσίωσις) del prefetto Sabinus e alle prudentia e sollicitudo (ἀγχίνοια, ἐπιστρέφειαλ) dell'anonimo governatore destinatario in Eus., H. E. IX 1, 5 sg. 74 Cfr. le epistole prefettizie di cui si conserva l'intitulatio: P. Vindob. Lat. 31, riedito da J. KRAMER, Schreiben der Prätorialpräfekten des Jahres 399 an

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fuse dal prefetto è con ogni probabilità uno dei praesides, anonimo

nel documento

eusebiano,

di una provincia della

pars di Massimino. L'anonimato è normale all’interno del testo di lettere ‘circolari’ come queste, riprodotte dalla cancelleria prefettizia in molti esemplari identici, poi singolarmente intestati con il nome e la carica del destinatario 75. Che la lettera di Sabinus trasmessa da Eusebio sia una delle numerose copie della stessa circolare, destinata a raggiungere tutti i diversi officia presidali, lo mostra la nota di cancelleria,

estranea al testo vero e proprio dell’epistola, posta in calce ad essa: ἐπὶ τούτοις οἱ κατ᾽ ἐπαρχίαν, cioè “sopra al testo delle disposizioni i nomi dei praesides di ciascuna provincia”. Questa notazione diplomatica è importante, perché contribuisce a escludere che la lettera prefettizia fosse una circolare in senso stretto, una lettera, cioè, redatta in un’unica copia,

trasportata da un messo attraverso le sedi presidali delle singole province, e ivi copiata dal personale dell’officium del governatore. La cancelleria prefettizia preparava, dunque, molte copie identiche della stessa missiva e aggiungeva nell’intitulatio, sopra al testo della comunicazione,

i dati del

den praeses provinciae Arcadiae in lateinischer und griechischer Version, in “Tyche” 7 (1992), pp. 157-162, con commento a cura di FEISSEL, Praefatio cit. (sopra, cap. II, a nota 3), pp. 441 sgg.; IK Ephesos Ia, 44 (e Addenda p. 3), e IV, 1345, con le correzioni di FEISSEL, Praefatio cit., pp. 448 sg. e 455 sg.; P. Mich.

XV 738, con le correzioni di FerssEL, Praefatio cit., pp. 458 sg.; Nov. Iust. 166. Le lettere scritte da Cassiodoro come prefetto del pretorio (533-537), e riunite

nei libri XI e XII delle Variae, sono la più cospicua raccolta superstite di lettere prefettizie, ma le singole intitulationes non riflettono più la disposizione protocollare degli originali, e le lettere mancano tutte della subscriptio. In alcuni casi, si conservano lettere prefettizie, destinate a singoli funzionari, con intitulationes prive dell' indicazione della carica del mittente e del destinatario: la lettera prefettizia a Domitius Celsus (Opt., App. VIII, CSEL 26, p. 212 Ziwsa) esaminata sotto, ὃ 4; due lettere inedite da Delfi, descritte da T. D. BARNES, Praetorian Prefects, 337-361, in "ZPE" 94 (1992), p. 252. La perdita dell’intitulatio

della lettera prefettizia di Sabinus non consente di appurare se accanto al nome del prefetto di Massimino comparissero anche i nomi degli altri prefetti del pretorio legittimi, disposti in ordine gerarchico di anzianità. 75 Cfr. la lettera prefettizia conservata nel P. Vindob. Lat. 31, dove il nome

e la carica del destinatario, un praeses Arcadiae, il cui nome è scomparso in una lacuna, sono stati inseriti, in caratteri minori nell'intitulatio della lettera, dopo la

stesura del testo (fr. a, recto, lin. 2, su cui cfr. KRAMER, Schreiben cit., p. 160, nota 2, e FeisseL, Praefatio cit., p. 442, nota 27); cfr. anche l’intitulatio dell'editto del prefetto d' Oriente Dionysius, del 1 agosto 480, riedito da FEISSEL, L’ordonnance cit. (sopra, cap. II, a nota 37), pp. 263 sgg.

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funzionario destinatario e, in calce al testo, nella subscriptio,

la data di emissione, cui il prefetto aggiungeva di suo pugno i saluti al funzionario, con una procedura analoga a quella seguita a corte dalla cancelleria imperiale 76. Nel caso della circolare di Sabinus, l'intitulatio e la subscriptio non sono state copiate da Eusebio nella sua trascrizione del documento, perché del tutto superflue rispetto al contenuto della comunicazione. Lo stesso criterio ha decretato la scomparsa, o la ri-

duzione, dell'intitulatio e l'eliminazione totale della subscriptio di lettere prefettizie confluite in altre opere letterarie, come, per esempio, nelle Variae di Cassiodoro, o negli atti

conciliari 77. Alla fine della lettera, Sabinus invitava ogni governatore a divulgare a sua volta le istruzioni imperiali presso i curatores cittadini, 1 duoviri e i praepositi pagorum delle comunità della sua provincia 78, Il documento inserito da Eusebio nell’ Historia Ecclesiastica merita attenzione non solo perché testimonia l'esistenza, nel 311, di un prefetto di Massimino Augusto, ma anche

76 [inserimento fettizio & testimoniato cit., esaminata sotto, zia, confluite in CTh

della data in calce alla nella lettera prefettizia ὃ 4) e in alcune lettere VIII 4, 6; 11, 3 e in FV

missiva da parte dell' officium prea Domitius Celsus (Opt., App. VIII divulgate dalla cancelleria prefetti35 (su cui vd. sotto, cap. IV $ 4).

7 Cfr., per esempio, la lettera del prefetto del pretorio d'Oriente, e console, Antiochus (PLRE II, pp. 103 sg.) all'eresiarca Nestorio, copiata negli Atti del concilio di Efeso del 431 (ACO V1, 7, p. 71, n. S5=ACO 1/1, 4, p. 64, n. 112). Simili riduzioni degli elementi protocollari di lettere amministrative, trasformate in opere letterarie, si riscontrano, oltre che nelle Variae di Cassiodoro, anche nell'epistolario simmachiano e nella Collectio Avellana.

78 Eus., H. E. IX 1, 6: γράψαι τοιγαροῦν πρὸς τοὺς λογιστὰς καὶ τοὺς στρατηγοὺς καὶ τοὺς πραιποσίτους τοῦ πάγου ἑκάστης πόλεως ἡ σὴ ἐπιστρέφεια ὀφείλει. Questa prassi appare diffusa e ben documentata, già durante il principato, in Egitto, dove il prefetto ordinava ai responsabili dei villaggi e dei nomi la diffusione locale delle sue disposizioni, cfr. KATZOFF, Prefectural Edicts cit. (sopra, a nota 68), e S. Strassi, Problemi relativi alla diffusione delle disposizioni amministrative nell’Egitto romano, in “ZPE” 96 (1993), pp. 89-107. L'importanza dell'organizzazione paganica nel tardo impero, anche nelle province occidentali e in Italia, è stata valorizzata, di recente, dalla scoperta della Tavola di Trinitapoli, pubblicata e studiata da A. GIARDINA e F. GRELLE, La Tavola di Trinitapoli: una nuova costituzione di Valentinaino I, in "MEFRA" 95 (1983), soprattutto pp. 263 sgg. e 295 sgg. (=AE 1984, 250=ERC 1, 11). Il do-

cumento di Trinitapoli e la lettera di Sabinus invitano ad attenuare l’idea diffusa le A. un

di una provincia egiziana amministrativamente originale e isolata rispetto alaltre province dell’impero; in questo senso cfr. le riflessioni di G. GERACI e GIARDINA in Egitto e storia antica dall’ellenismo all’età araba. Bilancio di confronto, Bologna 1989, pp. 56-103.

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perché fornisce interessanti informazioni sui compiti istituzionali che il funzionario è chiamato a svolgere. L'incarico dato dal sovrano al prefetto Sabinus di divulgare fra i funzionari della sua pars le disposizioni imperiali relative alla coercitio anticristiana suggerisce che il prefetto sì trovasse a corte, vicino all'imperatore, quando questi decise la linea da adottare all’indomani della ricezione dell’editto di Galerio. Eusebio di Cesarea sottolinea, infatti, che gli

ordini contenuti nella lettera fatta redigere da Sabinus erano stati impartiti oralmente da Massimino, evidentemente al pre-

fetto del pretorio, incaricato della loro diffusione ?. Anche Sabinus, come 1 prefetti del pretorio (persecutori) di Diocleziano e di Galerio a Nicomedia, o di Galerio, di Severo e di

Costantino in campagna militare, appare saldamente inserito nel comitatus imperiale al fianco del suo Augusto 89. Questo aspetto tradizionale dell'istituzione, peró, risulta proiettato in una dimensione nuova e originale, non appena si riflette sull'attività del funzionario. La lettera circolare emessa nel 311 dalla cancelleria di Sabinus, infatti, rivela che il prefetto del

pretorio si trova, allora, a] vertice dell'amministrazione provinciale. Questo collegamento tra l'alto funzionario, inserito

nel comitatus accanto all'imperatore, e le province rappresenta un'importante novità. All'epoca della redazione del documento appare operante la prassi di trasmettere ai funzionari provinciali istruzioni di carattere amministrativo attraverso la cancelleria del prefetto del pretorio. Il documento diffuso da Sabinus mostra che la prefettura del pretorio è ascesa a un ruolo direttivo e di controllo sull’amministrazione territoriale caratteristico e fondamentale per la carica prefettizia tra il IV e il VI secolo, quando l’istituzione ha definitivamente assunto la sua forma regionale tardoantica.

La lettera di Sabinus può essere considerata il primo e uno dei pochi esemplari superstiti, completo anche del testo, delle numerosissime lettere circolari che i prefetti del pretorio continuarono a diffondere nell’impero finché fu in vita l’amministrazione romana tardoantica. In base alla documentazione superstite, costituita per lo più dagli accenni contenuti in numerose costituzioni imperiali confluite nei Codici tardoantichi, la maggior parte di queste comunicazioni epi7? Eus., H. E. IX 1, I, sul passo vd. sopra nota 67.

80 Vd. sopra, pp. 195, 200, 206; sotto, pp. 237 sgg., 283 sgg.

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stolari serviva a diffondere le leggi del sovrano presso i go-

vernatori di provincia e i sudditi 81]. Nel caso della lettera di Sabinus, l’imperatore Massimino si è servito del suo prefetto per far conoscere la propria opinione riguardo all’atteggiamento che l’autorità provinciale e civica doveva tenere verso i cristiani della sua pars. Naturalmente la paternità e la veste formale del documento redatto e divulgato da Sabinus escludono che la lettera prefettizia sia assimilabile a una costituzione imperiale. Tuttavia — ed è un aspetto significativo — la tecnica di diffusione della circolare di Sabinus, contenente le istruzioni di Massimino, non si discosta affatto dal-

le forme e dai canali di divulgazione presso i funzionari provinciali di una parte consistente della legislazione imperiale, per mezzo, appunto, delle cancellerie dei prefetti del pretorio, quale sarà praticata nei tre secoli successivi. È difficile dire quando con esattezza 1 prefetti del pretorio iniziarono a comunicare loro disposizioni ai funzionari imperiali distribuiti nelle province, o quando assunsero l'onere della diffusione della legislazione imperiale fra i responsabili dell'amministrazione periferica. Questo compito sembra essere stato loro del tutto estraneo durante i primi tre secoli di vita dell' istituzione €. Naturalmente le lacune della documentazione sulla prefettura del pretorio del III secolo potrebbero avere un peso nella nostra ricostruzione. Da Gordiano III ai primi anni del regno di Diocleziano le fonti, soprattutto legislative, sono decisamente avare di informazioni 8, Il caso delle sacrae litterae di età tetrarchica inviate ad praefectos praetorio e confluite in CI X 42, 10 — l'unica let-

8! Su] problema della diffusione e della pubblicazione delle legislazione imperiale ad opera dei prefetti del pretorio vd. oltre.

82 Cfr. W. Eck, Zur Durchsetzung von Anordnungen und Entscheidungen in der hohen Kaiserzeit: Die administrative Informationsstruktur, in “SIFC” 85 (1992), pp. 915-939, e / sistemi di trasmissione delle comunicazioni d’ufficio in età altoimperiale, in Epigrafia e territorio, politica e società 4, Bari 1996, pp. 331-352. Non mancano nelle fonti accenni alla diffusione di misure legislative dalla corte imperiale presso tutti i governatori di provincia (per esempio la generalis epistula divi Marci et Commodi sui fuggitivi di Dig. XI 4, 1, 2), ma i prefetti del pretorio non appaiono mai coinvolti in questo processo. 83 Alla generale rarefazione delle fonti letterarie ed epigrafiche sui prefetti del pretorio nella seconda metà del III secolo si aggiunga che dal 243 (C7 IX 2, 6) al 286 (CI VII 35, 2) il Digesto e il Codice di Giustiniano non hanno conser-

vato nessuna riflessione giurisprudenziale e nessun estratto legislativo riguardante, direttamente o indirettamente, i prefetti o la prefettura del pretorio.

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tera superstite indirizzata da Diocleziano e Massimiano ai loro prefetti — non chiarisce se il contenuto del provvedimento (le istruzioni imperiali per l’esazione dei munera extraordinaria) dovesse essere diffuso attraverso epistole prefettizie, simili alla circolare di Sabinus; o se, invece, l’epistola costi-

tuisse una semplice comunicazione destinata a informare i prefetti del pretorio, mentre l’onere della divulgazione del provvedimento nelle province competesse alla cancelleria imperiale 84. La stessa incertezza avvolge l’iter divulgativo, dalla corte alle province, dei grandi editti di età tetrarchica 85. Solo con molta cautela, dunque, è possibile avanzare l’ipote51 che le riforme provinciali e diocesane di Diocleziano, e la valorizzazione di strumenti legislativi quali gli editti di portata universale abbiano prodotto un’estensione delle competenze dei prefetti del pretorio nell’ambito delle comunicazioni tra il comitatus e l'amministrazione provinciale. In ogni caso la lettera di Sabinus del 311 rappresenta una testimonianza decisiva sull'ampliamento delle funzioni della prefettura del pretorio in direzione di competenze tipiche della carica all'epoca della sua dislocazione regionale. Il documento mostra che agli inizi del IV secolo le comunicazioni epistolari tra il prefetto del pretorio e l'amministrazione del territorio provinciale dell'area governata dal suo Augusto

fanno

parte in modo stabile delle incombenze ordinarie della prefettura del pretorio. Accanto alla diffusione dei vice prefetti alla guida delle diocesi, le nuove funzioni documentate per la prima volta con Sabinus, ma, come vedremo, usuali negli anni immediatamente seguenti 86, rappresentano un elemento 84 Su CI X 42, 10 cfr. in sintesi CORCORAN, pp. 36, 138 n. 43 (dove si propende per una divulgazione del provvedimento attraverso i prefetti del pretorio) e

201 sg. Il punto chiave è costituito dalla formula praesidibus significamus: essa è presente in forme analoghe nell’Editto di Galerio (Lact., Pers. 34, 5) e nell’editto, all'incirca contemporaneo, ma acefalo, di Lyttos (CIL, III 13569=/C 1, 189, linn. 36 sg.), ma in entrambi i casi non si può essere certi che i prefetti del pretorio sia-

no stati in qualche modo coinvolti nella diffusione della normativa imperiale. 85 Su questi documenti legislativi, conservati nelle fonti letterarie, epigrafiche e papiracee, cfr. FEISsEL, Les constitutions des Tétrarques — importante anche per le considerazioni dell’autore sull’incremento sensibile dell’uso dell’editto imperiale in età tetrarchica — e Deux constitutions tétrarchiques citt. (sopra, cap. II, a nota 16); CORCORAN, pp. 170 sgg.; CHRISTOL, DREW-BEAR, L’intitulatio cit. (sopra, a nota 72).

86 La diffusione di documenti da parte della cancelleria prefettizia è testimoniata in quegli anni anche dalle lettere del prefetto di Massenzio al prefetto urbano (Aug., Brev. Coll. III 18, 34, CSEL 53, p. 84 Petschenig; C. part. Don.

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significativo del processo di radicamento territoriale della prefettura del pretorio. La prassi divulgativa testimoniata dalla lettera prefettizia del 311 è confermata e arricchita da un altro importante documento contemporaneo, conservato anch’esso da Eusebio di Cesarea e riguardante, ancora una volta, il prefetto del preto-

rio Sabinus. Si tratta della lettera con cui Massimino Augusto comunicò al suo prefetto del pretorio il testo del suo primo, ambiguo,

provvedimento

di tolleranza

verso

i cristiani 87.

Questa è l’ultima testimonianza superstite sul funzionario e risale, molto probabilmente, alla fine del 312 o agli inizi del 313, poco dopo la vittoria di Costantino su Massenzio 88,

Il vescovo di Cesarea afferma che, dopo l’ingresso di Costantino a Roma, Massimino ricevette dal vincitore una co-

municazione ufficiale, emessa anche a nome del collega Licinio. In essa si forniva il resoconto della disfatta di Massenzio, la notizia della nomina di Costantino a primo Augusto da parte del senato e il testo di alcune disposizioni a favore delle comunità cristiane, che doveva suonare come un forte invito a porre fine a ogni forma di persecuzione 8. Alla ricezione della missiva dei due Augusti, Massimino, probabilmente sotto la pressione degli avvenimenti politici, redasse e fece pubblicare nella sua pars il primo provvedimento volto

post gesta 13, 17, CSEL 53, pp. 113 sg. Petschenig), dalla lettera prefettizia al vicario d' Africa Domitius Celsus (Opt., App. VIII, CSEL 26, p. 212 Ziwsa) e dalla circolare prefettizia menzionata, in Egitto, da] P. Oxy. 3791; su questi documenti vd. oltre e $ sg. 87 Eus., H.E. IX 9a. Per motivi di spazio non si riporta il testo del documento, su cui cfr., in sintesi, CORCORAN, p. 152, n. 57. 88 Per il contesto storico in cui vide la luce questo provvedimento di Mas-

simino cfr. Eus., H. E. IX 9, con la ricostruzione cronologica di BARNES, 1982, pp. 67 sg. Sul secondo editto di tolleranza di Massimino vd. oltre. 89 Eus., H. E. IX 9, 12 e 9a, 10-12. Eusebio collega la promulgazione del

primo editto di tolleranza di Massimino con la ricezione alla corte dell'imperatore orientale della notizia della vittoria di Ponte Milvio. Resta incerto se la “legge perfettissima" (il νόμος τελεώτατος di Eusebio), notificata nell'occasione a Massimino, sia 1l cosi detto editto di Milano (Eus., H. E. X 5, 2-13; Lact., Pers. 48) — diffuso da Licinio nella pars sottratta a Massimino, cominciando dalla Bi-

tinia, solo dopo la sua vittoria sul rivale (giugno 313), in ossequio agli accordi di Milano (febbraio 313) — o siano disposizioni filocristiane di Costantino, ratificate dagli accordi di Milano, ma già comunicate a Massimino alla fine 312 (come farebbe intendere la cronologia eusebiana, cfr. H. E. IX 10, 8). problema del cosi detto editto di Milano cfr. MARCONE, La politica religiosa

poi del Sul cit.

(sopra, a nota 37), pp. 244 sg.; CORCORAN, pp. 158-160, n. 66.

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a sospendere la persecuzione contro i cristiani °°. Dal momento che l’editto di Galerio nelle province comprese tra la Siria e l’Egitto non era mai stato pubblicato, la legislazione anticristiana di Diocleziano aveva continuato a conservare validità in quelle regioni. La costituzione emessa a cavallo tra il 312 e il 313 fu, dunque, il primo provvedimento generale di Massimino in materia, pubblicato nella sua pars dopo gli editti persecutori di Diocleziano e di Galerio. Tuttavia questa prima costituzione filocristiana di Massimino, pur richiamandosi ai contenuti dell’editto di Galerio del 311, non

mutava nella sostanza la sua politica a favore della religione pagana: l’atteggiamento del sovrano restava su posizioni molto distanti da quelle dei suoi due colleghi. Solo dopo la sconfitta di Campus Ergenus, probabilmente verso la metà del 313, Massimino si piegò ad accettare completamente la normativa sul cristianesimo già applicata da Costantino e Licinio nelle rispettive partes, ed emise il suo secondo provvedimento, un vero e proprio editto di tolleranza, destinato ai provinciali dell'area ancora sotto il suo controllo 951. Pertanto tra la fine del 312 e la metà del 313, nel corso della crisi po-

litico-militare che lo avrebbe travolto, Massimino pubblicò nella sua pars due diverse costituzioni, che ridefinivano il rapporto tra l’autorità imperiale, i sudditi cristiani e le comunità ecclesiali. Il vescovo di Cesarea inserì con diligenza nell’ Historia Ecclesiastica il primo provvedimento di tolleranza di Massimino nella forma in cui venne pubblicamente affisso nelle città orientali, riportando, cioè, la traduzione della lettera con

cui Massimino lo trasmise al suo prefetto del pretorio. La natura epistolare della costituzione è garantita in primo luogo dall’intitulatio del documento trascritto da Eusebio 92. Inoltre lo storico ecclesiastico ha distinto, da un punto di vista di-

plomatico, la prima costituzione filocristiana di Massimino (la lettera inviata a Sabinus dopo la battaglia di Ponte Milvio) dalla seconda (l’editto affisso alla metà del 313). Per il primo

% Sulla priorità di questo provvedimento di Massimino non ci sono dubbi (Eus., H. E. IX 9, 13: τὸ πρῶτον ὑπὲρ Χριστιανῶν [...] τὸ γράμμο). Sulla natura di questa costituzione, un’epistola, non un editto, vd. oltre. . 9! Eus., H. E. IX 10, 6-12, su cui cfr. CORCORAN, p. 189, n. 33. E probabile che l'editto sia stato redatto e pubblicato nel maggio 313.

22 Eus., H.E. IX 9a, 1: Ἰόβιος Μαξιμῖνος Σεβαστὸς Σαβίνῳ.

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provvedimento del sovrano, Eusebio parla esplicitamente, nel titolo del documento, di copia della traduzione di un’epistola, per il secondo di copia della traduzione di un editto 93. Le differenti intitulationes dei due documenti — onomastica e titolatura ridotta di Massimino con indicazione del destinatario nel primo; onomastica e titolatura più ampia del sovrano e assenza di destinatario nel secondo -- e i riferimenti interni alla gravitas (στιβαρότης) e alla devotio (καθοσίωσις) del prefetto Sabinus, presenti nel primo documento, ma assenti nel secondo, sono pienamente adeguati alla loro veste, rispettivamente, epistolare ed edittale. Infine, tanto Massimino, l’autore dei due documenti, che Eusebio, il loro trascrittore, fanno riferimento ai due provvedimenti filocristiani utilizzando termini con cui di solito si potevano indicare, rispettivamente, un'epistola e un editto 9. Non c’è dubbio, quindi, che, sul finire del 312, Massimino inviò a Sabinus il

testo della sua prima normativa filocristiana sotto forma di epistola al prefetto del pretorio, e gli affidò l’onere della diffusione del provvedimento presso i governatori di provincia 95. Come nel caso delle precedenti disposizioni di Massimino ai funzionari della sua pars all’epoca della pubblicazione dell’editto di Galerio, circa un anno e mezzo prima, an-

che in questo caso l’imperatore ha utilizzato la cancelleria del suo prefetto del pretorio per divulgare, ai vari livelli dell’amministrazione imperiale, il testo della sua legislazione.

Tuttavia, a differenza di quanto previsto per le disposizioni impartite nel 311, la legislazione contenuta nella lettera del

sovrano a Sabinus era a tutti gli effetti una costituzione imperiale ed era destinata non solo a raggiungere gli officia dei 9 Eus., H.E. IX 9a: ἀντίγραφον ἑρμηνείας ἐπιστολῆς; H. E. IX 10, 7: ἀντίγραφον ἑρμηνείας τῆς τοῦ τυράννου ὑπὲρ Χριστιανῶν διατάξεως. Con altrettanta precisione Eusebio di Cesarea, poco prima, aveva opportunamente definito rescriptum o subscriptio la risposta scritta data da Massimino alla peti-

zione anticristiana inoltrata dagli abitanti di Tiro: ἀντίγραφον ἐρμηνείας τῆς Μαξιμῖνου [... ἀντιγραφῆς (H. E. IX 7, 3). 9 La prima costituzione è detta genericamente γράμμαίταλ) (=litterae, cfr. Eus., H. E. IX 9, 13; 9a, 7; 9a 11;

10, 8), mentre la seconda è definita esplicita-

mente νόμος (=lex) e διάταξις (edictum, o constitutio; cfr. Eus., H.E. IX 10, 6; 10, 10; 10, 12). 95 La normativa contenuta nella lettera di Massimino a Sabinus del 312-313

era sicuramente destinata a tutti i governatori della pars dell'imperatore, cfr. Eus., H. E. IX 9, 13: τοῖς ὑπ᾽ αὐτὸν ἡγεμόσιν; e IX 10, 8: πρὸς τοὺς ἡγεμόνας ἐκάστης ἐπαρχίας.

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funzionari della pars di Massimino, ma anche ἃ essere resa di pubblico dominio. Nell’iter di pubblicazione del provvedimento — questo è l’elemento più importante — la comunicazione della normativa ai provinciali della pars di Massimino avvenne attraverso l'affissione del testo della lettera dell’imperatore, accompagnato (preceduto o seguito) da un editto redatto dal prefetto del pretorio. Questo è il senso dell’espressione dell’imperatore posta alla fine della sua missiva: “affinché quest'ordine giunga a conoscenza di tutti i nostri provinciali, avrai cura di manifestare quanto disposto con un editto pubblicato da te" 96, La notazione dell'imperatore Massimino, inserita con naturalezza alla fine della lettera a Sabinus, à estremamente si-

gnificativa, perché mostra che tra il 312 e il 313 1 prefetti del pretorio possedevano la prerogativa, caratteristica della prefettura del pretorio regionale, dal IV al VI secolo, di emette-

re propri editti, destinati a divulgare la legislazione inviata loro sotto forma epistolare dagli Augusti 97, Da questo punto di vista, la lettera inviata da Massimino Augusto al suo prefetto Sabinus può essere considerata una testimonianza chiave del processo di radicamento del sistema di legiferazione tardoantico. Com'é noto, dall'età costantiniana alla fine del VI secolo

migliaia di costituzioni confluite nelle raccolte legislative tardoromane mostrano che la quasi totalità della produzione normativa imperiale era redatta e trasmessa in forma episto% Eus., H. E. IX 9a, 9: ἵνα δὲ αὕτη ἡμῶν ἡ κέλευσις εἰς γνῶσιν πάντων τῶν ἐπαρχιωτῶν τῶν ἡμετέρων ἔλθῃ, διατάγματι ὑπὸ σοῦ προτεθέντι τὸ κεκελευσμένον ὀφείλεις δηλῶσαι. Il termine διάταγμα, utilizzato da Massimino, è sinonimo di sostantivi come edictum, programma, e, in greco, πρόγραμ-

μα, πρόσταγμα, κήρυγμα, ἤδικτον, che nel lessico amministrativo tardoantico indicano sia l’editto dell’imperatore, sia quello di un funzionario, 9? Sul ruolo dei prefetti del pretorio tardoantichi nella divulgazione della legi-

slazione imperiale cfr. SEECK, 1919, pp. 9 sg.; W. EnssLIN, Praefectus praetorio, RE XX1U2, coll. 2454 sg.; Jones, The Later Roman Empire cit. (sopra, cap. II, a nota 82), 1, pp. 372 e 473; DE MARTIND, Storia della costituzione romana cit. (so-

pra, cap. II, a nota 113), pp. 300, 473, 478. Sulle forme della diffusione e della pubblicazione della legislazione tardoantica cfr. N. VAN DER WAL, Die Textfassung der spätrömischen Kaisergesetze in den Codices, in "BIDR" 83 (1980), pp. 1-27, ed Edictum und lex edictalis. Form und Inhalt der Kaisergesetze im spätrömischen Reich, in “RIDA”, 3° s., 28 (1981), pp. 277-313; M. BrancHI FossaTI VANZETTI, Le Novelle di Valentiniano III, 1. Fonti, Padova 1988; D. FEisseL, Epigraphie et constitutions impériales: aspects de la publication du droit à Byzance, in Epigrafia

medievale greca e latina. ideologia e funzione, Spoleto 1995, pp. 67-79.

228

lare. I numerosi proposita presenti nelle subscriptiones di queste lettere testimoniano della loro avvenuta pubblicazione, da parte del funzionario ricevente, nella veste epistolare in cui venivano redatte e trasmesse. Questa è la dinamica do-

minante della circolazione e dell’affissione legislativa tardoantica. A questo proposito non si dovrebbe dimenticare che ogni epistola dettata dall’imperatore era e restò, per sua natura, uno

strumento

di comunicazione

privata, anche

se

questa comunicazione interveniva tra le più alte autorità dell’impero. Essa poteva servire a divulgare testi di contenuto normativo elaborati a corte, non necessariamente a pubblicarli, cioè a sottoporli, per un tempo più o meno lungo, alla lettura dei sudditi. Non è un caso che nel testo delle lettere dell’imperatore a suoi funzionari, che sappiamo essere state pubblicate dall’autorità ricevente, il sovrano inviti esplicitamente il suo interlocutore a pubblicare l’epistola: tutto lascia supporre che, senza l’ordine dell’imperatore, la lettera sarebbe stata semplicemente letta e archiviata ?5. L’epistola imperiale al funzionario — a differenza degli editti, e dei rescritti posti in calce a libelli e preces di cittadini — non era, dunque, un documento di per sé destinato alla pubblicazione 59. Nel corso dell'intera età imperiale romana,

e ancora in età tar-

98 Cfr., per esempio, la copia della traduzione della lettera di Adriano al prefetto d'Egitto Ramnius Martialis (BGU I 140=FIRA I? 78, linn. 28 sgg.); similmente la Tavola di Brigetio (F7RA I? 93, linn. 29 sgg.) e il così detto Fditto di Milano

(Lact., Pers. 48,

12 sg.; Eus., H. E. X 5, 13); per l'ordine di pubblica-

zione dell'epistola nelle costituzioni confluite nei Codici vd. oltre. Molte altre

epistole imperiali indirizzate a funzionari e pubblicate in forma epigrafica non devono ingannare: si tratta di copie trasmesse per conoscenza dal funzionario ai sudditi interessati, e fatte incidere dai sudditi stessi di loro iniziativa, senza alcun ordine di pubblicazione del sovrano o del funzionario. Sugli scambi epistolari tra l'imperatore e i suoi funzionari durante i! Principato cfr. ultimamente F. ‘Arcaria, Referre ad principem. Contributo allo studio delle epistulae imperiali in età classica, Milano 2000. 9? I rescritti, in quanto risposte dell’imperatore a quesiti sollevati da singo-

li individui, non erano in origine documenti redatti per la pubblicazione, ma si trasformarono presto in uno strumento fondamentale di diffusione della giurisprudenza imperiale attraverso la pubblica affissione; cfr., in sintesi, di recente, J.-P. Conuar, La technique du rescrit à la fin du principat, in " SDHI" 51 (1985), pp. 319-348. Diverso il caso delle lettere dell'imperatore in risposta ad amba-

scerie o a suppliche di città e di grandi assemblee provinciali: queste comunicazioni, di contenuto legislativo e molto diffuse durante i] principato, erano pubblicate nel luogo di ricezione per decisione e a cura dei destinatari, solo raramente per ordine del sovrano (come mostra, per esempio, ancora in età costan-

tiniana, la famosa iscrizione di Orcistus, vd. sotto cap. IV, p. 411).

229

doantica, la forma classica, e indispensabile, di pubblicazio-

ne della legislazione da parte dell’autoritä fu l’editto. Esso permetteva di diffondere e di sottoporre all’attenzione dei sudditi, temporaneamente o in modo permanente, la legislazione imperiale. Come accennato, a partire dall’età costantiniana si moltiplicano le costituzioni imperiali redatte in forma epistolare, indirizzate a diversi funzionari imperiali e, con un incremento costante, ai prefetti del pretorio. Nel caso di epistole inviate a prefetti del pretorio, si può essere certi che la lettera imperiale originale, giunta all’officium del prefetto, veniva copiata, divulgata e pubblicata nella sua veste epistolare. Essa era, però, sempre preceduta o seguita da un editto redatto dal prefetto del pretorio stesso, come avvenne nel caso della lettera al prefetto Sabinus contenente il primo provvedimento filocristiano di Massimino 100, Nei Codici Teodosiano e di Giustiniano sono stati inseriti soltanto i testi, o

meglio, parti del testo, di costituzioni imperiali originariamente più ampie, inviate ai prefetti del pretorio, ma non gli editti prefettizi che ne accompagnarono la pubblicazione. I compilatori del V e del VI secolo, per ragioni di sintesi, hanno eliminato dalle costituzioni non solo gran parte delle espressioni di cortesia, tipiche del linguaggio epistolare, che il sovrano utilizzava per rivolgersi al suo illustre interlocutore, ma

anche le istruzioni dei sovrani ai loro prefetti circa la pubblicazione della normativa attraverso editti prefettizi 101. Nelle 100 Sulla diffusione e pubblicazione della legislazione tardoantica cfr. la bi-

bliografia cit. sopra, a nota 97. Sugli editti dei funzionari tardoantichi cfr., in generale, P. CLASSEN, Kaiserreskript und Königsurkunde. Diplomatische Studien zum Problem der Kontinuität zwischen Altertum und Mittelalter, Thessaloniki 1977, pp. 92-98. L’editto prefettizio, come quello di altri funzionari, poteva precedere o seguire l’epistola imperiale; nel primo caso la costituzione era affissa sub edicto, o sub (o in) programmate

(CTh XI

1, 25; Sirm.

12; Nov.

Val. 3; 26),

nel secondo caso essa era antelata edicto, o praelata programmati (Lact., Pers.

48, 12 sg.; Eus., H. E. X 5, 13; FV 249; CTh IX 3, 4; XVI 5, 37; Nov. Val. 20; 22; 24). In generale ditto del funzionario va la reale sequenza disposizione testuale

l'affissione della costituzione dell'imperatore sopra all'eesaltava l'importanza della decisione imperiale e rispettacausale e cronologica dei documenti; sul valore di questa cfr. D. FEissEL, Les priviléges de Baitokaiké: remarques

sur le rescrit de Valérien et le colophon du dossier, in "Syria" 80 (1993), pp. 1326. Come vedremo (cap. V $4) anche nell'iscrizione di Orcistus due documen-

ti di Costantino precedono le preces dei cittadini petitori, benché queste ultime siano cronologicamente anteriori. 19! Considerato l'elevato numero di costituzioni confluite nelle due raccolte, l'invito dell'imperatore al prefetto del pretorio, affinché pubblichi la normativa ricevuta attraverso editti prefettizi, si conserva di rado nei Codici Teodosia-

230

raccolte di Novelle e nelle Sirmondiane, invece, dove sono

confluite costituzioni imperiali ai prefetti del pretorio piü complete, e più vicine agli originali, di quelle confluite nei Codici Teodosiano e di Giustiniano, generalmente si conserva l’ordine dell’imperatore di procedere alla pubblicazione del provvedimento mediante affissione di un editto prefettizio. La frequenza del riferimento agli editti prefettizi consente di affermare che questa prassi di pubblicazione fu largamente diffusa 192, Tuttavia la documentazione diretta di questo processo di pubblicazione & abbastanza rara. L'affissione della lettera dell'imperatore al prefetto del pretorio, preceduta o seguita dall’editto del prefetto destinatario, & testimoniata in qualche caso negli atti conciliari 103, Dai pochi esemplari superstiti sembra potersi dedurre che gli editti dei prefetti del pretorio tendevano a ripetere in sintesi 1 contenuti della costituzione emanata dal sovrano. Il prefetto si limitava a parafrasarne ed esaltarne pedissequamente i contenuti 104, Pur-

no (II 27, 1; VI 23, 4; VII 19, 1; VIII 4, 26; IX 38, 9; 42, 14; X 6, 1; 10, 29; 19, 7: XI 13, 1; XVI 5, 37) e di Giustiniano (Summa 5; 127, 1, 43; VI 51, 1, 16; XI 11, 3; 76, 1). 102 [ordine dell'imperatore al prefetto del pretorio di pubblicare l'epistola per mezzo di editti prefettizi &, in proporzione, frequente nelle Sirmondiane e

nelle Novelle post-teodosiane, giustinianee e post-giustinianee; cfr. Sirm. 2; 9; 10; 14; 16; Nov. Theod. 1, 8; 3, 10; 4, 3; 5, 2, 2; 5, 3, 2, 7,1, 3; 7,2, 337, 3,2; probabilmente 7, 4, 10; 8, 3; 9; 10, 1, 5; 11, 4; 12, 2; 13, 3; 14, 9; 15, 2, 4; 16, 9; 17, 1, 5; 17, 2, 7; 20, 5; 22, 1, 10; 22, 2, 17; 23, 3; 26, 7; Now Val. 2,2, 552, 4; 3, 5; 7, 1, 5; 10, 4; 13, 16; 14, 3; 18, 1; 21, 1, 7; 21, 2, 6; 22, 5; 23, 9; 25, 10; 26, 1; 27, 8; 31, 7; 32, 9; 34, 6; 35, 20; Nov. Maior. 2, 6; 6, 12; 7, 18; Nov. Marc. 2, 7, 4, 5; 5, 4; Nov. Sev. 1, 2; Nov. Anth. 1, 5; 2, 1; 3, 3; (nell’epilogo di) Nov. Just. 1; 4; 8; 15; 18; 19; 20; 22; 36, 6; 37, 12; 39; 47-49; 51-54; 58; 60; 61; 66; 68-74; 76; 78; 82-84; 89; 94; 97; 107-109; 111-120; 123-131; 134; 145; 146; 159. Per le Novelle post-giustinianee cfr. J. e P. ZEPos, Jus Graecoromanum,

1.

Novellae et Aureae Bullae imperatorum post Justinianum, Athinai 1931, Nov. 5 (=Nov, Just. 149); 7 (Nov. lust. 144); 8 (2Nov. Iust. 164); 9 11 (2Nov. Iust. 163); 13. 103 Cfr. l’editto del prefetto d'TItalia-Illirico- Africa Iunius in G. HAENEL, Corpus legum ab imperatoribus Romanis ante rum, quae extra constitutionum codices supersunt, Leipzig

(Nov. Just. 161); Quartus Palladius, Iustinianum lata1857, rist. Aalen

1965, p. 238, n. 1171; l'editto di del prefetto d'Oriente Flavius Anthemius Isidorus, in ACO I/3, p. 182; l'editto, probabilmente del prefetto d'Oriente Flavius

Antiochus, in HAENEL, Corpus Legum cit., p. 249, n. 1201 (2C7I del prefetto

d'Italia Felix

Himilco,

in HAENEL,

Corpus

legum

1, 3); l'editto cit., p. 260,

n.

1226; l'editto del prefetto d'Oriente per la seconda volta Petrus, in calce a Nov. Just. 159. Sull intitulatio collegiale di questi atti prefettizi cfr. FerssEL, Praefatio cit. (sopra, cap. II, a nota 3).

104 I prefetti del pretorio tardoantichi, come i governatori delle province, i

231

troppo la rarefazione dell’epigrafia imperiale romana, ἃ partire dagli inizi del IV secolo, ha fatto si che, a differenza dei

primi tre secoli dell’impero, e fatta eccezione per la si tetrarchica, si conoscano pochissime costituzioni li tardoantiche incise su pietra o bronzo 195. Questa non deve ingannare. Tanto le numerose costituzioni

parenteimperiacarenza imperia-

li, che i relativi editti prefettizi di età tardoantica erano re-

datti, di regola, su supporti deteriorabili ed esposti per periodi di tempo limitati, e questo spiega la loro scomparsa. Soltanto alcuni fortunati, ma frammentari, ritrovamenti epigrafi-

ci consentono di avere un’idea della reale struttura delle costituzioni sottoposte alla pubblica fruizione. Nei resti di un’iscrizione di Amorgo, riesaminati recentemente da D. Feissel,

si riconosce parte della lettera inviata nel luglio 362 da Giuliano Augusto al suo prefetto del pretorio d'Oriente Saturninus Secundus Salutius, pubblicata integralmente per mezzo dell'editto del prefetto stesso, che segue l’epistola 106. Nella Tavola di Trinitapoli si legge parte del testo della lettera con cui Valentiniano I, tra il 368 e il 375, illustrò al suo

prefetto del pretorio d’Italia-Illirico-Africa, il potente senatore Sex. Petronius Probus, un nuovo sistema di controllo del-

prefetti di Roma, di Costantinopoli e i responsabili degli scrinia palatini, potevano emettere editti (formae, τύποι) non solo ai fini della divulgazione della le-

gislazione imperiale, ma anche per introdurre i più svariati regolamenti (giudiziari, economico-fiscali, ecc.) nell’area di loro competenza. Non è possibile entrare nel merito di questa importante, e spesso trascurata, categoria di docu-

menti; cfr. in proposito C. E. ZACHARIAE VON LINGENTHAL, Anekdota, Leipzig 1843, pp. 227 sgg. (che ha pubblicato l’antologia di editti prefettizi del VI secolo, confluita nei Codices Bodleianus 264 e Marcianus 179); G. DAGRON, Un tarif des sportules à payer aux curiosi du port de Séleucie de Piérie (VI * siècle), in "T&MByz" 9 (1985), pp. 435-455; FEIssEL, Praefatio cit. (sopra, cap. If, nota 3), e L'ordonnance cit. (sopra, cap. II, nota 37). Sul problema, connesso, della capacità per i prefetti del pretorio di emettere formae valide come regolamenti, anche di portata generale, in relazione alla discussa costituzione di Severo Alessandro confluita in CI I 26, 2, cfr. F. ARCARIA, Sul potere normativo del prefetto del pretorio, in *SDHI" 63 (1997), pp. 301-342. 105 Cfr. in proposito FEISSEL, Epigraphie et constitutions impériales cit. (sopra, a nota 97), pp. 70 sgg. 106 I). FEISSEL, Une constitution de l'empereur Julien entre texte épigraphique et codification (CIL, III, 459 et CTh I, 16, 8), in La Codification des lois

dans l'Antiquité, Paris 2000, pp. 315-337. I frammenti dell'esemplare di Amorgo riproducono la copia della lettera di Giuliano al suo prefetto del pretorio d'O-

riente Salutius e la copia dell’editto prefettizio, diramati dalla cancelleria del prefetto, allora residente ad Antiochia con l’imperatore, e fatti incidere sull’isola di Amorgo dal praeses Insularum.

232

l’esazione fiscale nelle province occidentali. Il suo contenuto spinge a ipotizzare che sulla pietra fosse stata incisa, secondo l’ordine imperiale, la costituzione in forma epistolare,

preceduta o seguita dall’editto del prefetto del pretorio, purtroppo perduto 107 Del resto la giustapposizione di un'epistola e di un editto è documentata da altre iscrizioni contenenti testi legislativi tardoantichi 108, La documentazione invita a concludere che 1 prefetti del pretorio — come gli altri funzionari a Roma, a Costantinopoli e nelle province — provvedevano

a far pubblicare la normativa imperiale, ricevuta

sotto forma di epistola, semplicemente facendo affiggere il testo integrale della lettera imperiale, preceduto o seguito da un editto che ne riassumeva le direttive. Quanto

emerso

dall’analisi del circuito di diffusione e

pubblicazione delle costituzioni tardoantiche spinge a ipotizzare, con un certo margine di sicurezza, che agli inizi del 313 Eusebio di Cesarea copiasse agevolmente e fedelmente, nella città dove risiedeva, la prima, ambigua, costituzione filo-

cristiana di Massimino nella forma epistolare in cui il prefetto del pretorio Sabinus la ricevette e la fece pubblicare, ma non trascrisse, perché ritenuto superfluo, l’editto prefettizio che certamente accompagnava l’epistola imperiale. Lo storico ecclesiastico, interessato — come, più tardi, 1 compilatori

dei Codici tardoantichi — ai contenuti della normativa imperiale, ha valorizzato naturalmente

la lettera di Massimino,

espressione diretta della volontà del sovrano, piuttosto che 107 Non c’è dubbio che l'iscrizione di Trinitapoli riproduca la lettera di Valentiniano I al suo prefetto del pretorio; cfr. GIARDINA, GRELLE, La Tavola di Tri-

nitapoli cit. (sopra, nota 78), pp. 259 sg., linn. 17-21, e pp. 264 sg. L'epistola dell'imperatore venne emessa probabilmente a Treviri (dove, com'é noto, lentiniano I soggiornò tra il 368 e la primavera del 375) e il suo prefetto del torio d'Italta-Illirico-Africa la ricevette verosimilmente a Sirmium, dove malmente il funzionario risiedeva (cfr. Amm., XXIX 6, 9-11; XXX 3, 1;

VaprenorCTh

VII 4, 16; 23, 1; VII 4, 12+XII 1, 78; VIII 5, 28; 15, 5; XII 6, 15; 13, 3; XIII 3, 7; XV 1, 18). L'ordine ta l'area sottoposta al confermato proprio dal sarà stata incisa, forse

imperiale al prefetto di diffondere la costituzione in tutsuo controllo, contenuto nei frammenti di Trinitapoli, & rinvenimento della pietra nel territorio di Canosa, dove dalle autorità cittadine, per ordine del corrector Apuliae

et Calabriae. 108 Cfr., per esempio i frammenti del dossier epigrafico di Casae in Pamfilia, pubblicato da G. E. BEAN e T. B. MITFORD, Journeys in Rough Cilicia 1964/68,

Wien 1970, pp. 51-59, n. 31. Sulla forma epistolare di quasi tutte le costituzioni tardoantiche note epigraficamente cfr. FEissEL, Epigraphie et constitutions impériales cit. (sopra, a nota 97), pp. 79 sgg.

233

l’editto del suo prefetto del pretorio. Similmente, alcuni me-

si dopo, Eusebio copiö il secondo e ultimo provvedimento filocristiano dell’imperatore nella forma di editto imperiale ad provinciales in cui il governatore di provincia lo ricevette dal sovrano e ne curò la pubblicazione 109. La veste formale assunta dalle costituzioni di Massimino sollecita

alcune riflessioni. Nei modi della divulgazione dei tre provvedimenti dell’imperatore sul cristianesimo, emessi negli anni 311-313, si coglie

un progressivo esporsi del sovrano nella manifestazione della sua volontà. Dalla circolare redatta dal suo prefetto del pretorio, "celata" ai

sudditi, si passa all’epistola del principe al prefetto, una comunicazione privata resa, però, di pubblico dominio, fino a pervenire a un editto ad provinciales, dove Massimino “parlava” direttamente ai suoi sudditi (e, indirettamente, al rivale Licinio). Naturalmente un editto imperiale per sua natura manifestava e amplificava la voce del sovrano stesso presso i suol sudditi e aveva, necessariamente, un impatto ideologico superiore a qualunque lettera imperiale a un funzionario, anche se il sovrano pregava l’illustre destinatario di rendere la sua comunicazione accessibile ai provinciali. E probabile che nel corso del 313 Massimino, schiacciato dall'avanzata dell’esercito di Licinio, cercasse, invano,

di rinnegare la sua politica anticristiana. Essa era divenuta per i suoi avversari, dopo l’editto di Galerio, da Iui mai condiviso, e, ancora di più, dopo i recenti accordi filocristiani, intervenuti tra i due principi cognati, una giustificazione dell’intervento militare; per Massimino stesso e per i suoi sostenitori l’opposizione al dio dei cristiani costituiva, dopo il rovescio di Campus Ergenus (e l’affermazione di Ponte Milvio), un fattore di debolezza. Nella fase critica del conflitto, dunque, Massimi-

no ricorse allo strumento dell’editto imperiale, dopo aver percorso la via della circolare “segreta” e della lettera al suo fidato e potente prefetto del pretorio, proprio per l’alto significato ideologico e per il valore propagandistico di quel genere di documento diplomatico.

La documentazione conservata da Eusebio di Cesarea consente di inquadrare l’evoluzione dell’istituzione prefettizia degli inizi del IV secolo in un contesto più ampio. Abbiamo visto che la lettera di Massimino a Sabinus del 312-313,

diffusa e pubblicata col relativo editto prefettizio, e la circolare prefettizia inviata da Sabinus nel 311 ai funzionari della 109 Eus., H. E. IX 10, 6-12. L’editto di tolleranza di Massimino del 313 presenta le caratteristiche strutturali e formali tipiche degli editti imperiali classici; cfr. M. BENNER, The Emperor Says. Studies in the Rhetorical Style in Edicts of the Early Empire, Göteborg 1975; G. Ris, Prolog und Epilog in Gesetzen des Altertums, Minchen 1983.

234

pars del suo sovrano rappresentano una testimonianza significativa dell’ampliamento delle competenze civili della prefettura del pretorio in ambiti che saranno caratteristici e fondamentali nella vita dell’istituzione all’epoca della sua organizzazione regionale tardoantica. La documentazione del regno di Massimino, conservata da Eusebio di Cesarea, testi-

monia, da un lato, il ruolo chiave del prefetto del pretorio, e del suo officium, nei processi di divulgazione di una parte importante della legislazione imperiale agli inizi del IV secolo; dall’altro, rivela l’esistenza di forme e canali di diffusione

delle costituzioni imperiali — le epistole prefettizie circolari e gli editti prefettizi — che resteranno strumenti insostituibili della diffusione e della pubblicazione della normativa imperiale fino alla fine del VI secolo. La dilatazione delle competenze della carica in questo ambito sembra aver costituito un aspetto di quella più ampia trasformazione, costituita dall’ affermarsi esclusivo, definitivo e capillare della legislazione dell’imperatore come forma unica di produzione di diritto 110. Questo fenomeno, caratteristico dell’età tardoantica, ha pro-

dotto una valorizzazione estrema delle potenzialità fornite dalle comunicazioni epistolari e dalla nuova dimensione del codice. Non è casuale che i prefetti del pretorio tardoantichi siano i maggiori ricettori e divulgatori di epistole imperiali e, parimenti, i custodi — forse, già con Hermogenianus, anche 1 redattori — dei grandi Codici legislativi. L’accelerazione del (parallelo) processo di riduzione delle autonomie all’interno dell’impero e di unificazione degli schemi dell’amministrazione civile e fiscale — strategie, efficaci, volte alla soluzione

della crisi politico-militare del III secolo — potrebbe aver facilitato una ridefinizione del ruolo della prefettura del pretorio, inserendola nei nuovi equilibri amministrativi della fine del III secolo. E da questa fase che le comunicazioni epistolari tra il comitatus imperiale, i funzionari distribuiti nelle province e i sudditi, sempre più spesso per il tramite della prefettura del pretorio, assurgono, attraverso l’affissione per

mezzo di editti, a strumento privilegiato della diffusione e della pubblicazione del diritto romano. Come accennato, la documentazione superstite testimo"0 Cfr. A. SCHIAVONE, Dai giuristi ai codici. Letteratura giuridica e legislazione nel mondo tardoantico, in Storia di Roma IIU2, L'età tardoantica. I luoghi e le culture, Torino

1993, pp. 963-983.

235

nia un’esplosione senza precedenti di questo percorso legislativo. Probabilmente il successo dell’epistola imperiale come mezzo

di trasmissione e, accompagnata

dall’editto del

funzionario, di pubblicazione della normativa imperiale ὃ legato anche alla sua praticitä. Nel caso del primo provvedimento

filocristiano di Massimino,

infatti, l’imperatore, in-

viando una sola lettera (l’originale) al suo prefetto del pretorio, poté agevolmente scaricare l’onere della divulgazione del testo (trascrizione in più copie, dispaccio nelle province) sulla cancelleria prefettizia, alleggerendo i compiti della cancelleria di corte. A sua volta, la cancelleria prefettizia poteva

delegare l’onere della pubblicazione, nelle città e nei villaggi delle singole province, agli officia dei praesides e alle cancellerie civiche e paganiche; al tempo stesso essa provvedeva, com'é largamente attestato, alla pubblicazione dell’epistola imperiale nella città di residenza del prefetto, che, nel-

l’età di Massimino, spesso coincideva ancora con quella del comitatus. Al contrario, l’editto di Massimino, contenenete il secondo provvedimento filocristiano, sembra essere stato sottoposto a un iter divulgativo parzialmente diverso. È probabile che, secondo una prassi antica, il testo dell’editto imperiale raggiungesse tutte le sedi amministrative provinciali attraverso lettere di trasmissione, ben attestate dagli editti

imperiali di età tetrarchica, redatte e diffuse presso le sedi provinciali dalla cancelleria di corte, senza il sostegno di quella prefettizia. Il successo della produzione della legisla-

zione tardoromana in veste epistolare sembra rispondere alle esigenze di un comitatus chiamato a legiferare a ritmi più elevati che nel passato, su un ventaglio di materie più ampio e preoccupato di far pervenire direttamente nelle province le sue disposizioni. Potenziare la diffusione e l'affissione ‘delegata’ da parte degli amministratori periferici sembra essere diventato, agli inizi del IV secolo, un imperativo pressante.

In questo senso non può sfuggire il ruolo fondamentale che dovette assumere la prefettura del pretorio come cancelleria ‘di sostegno’ per gli scrinia epistularum del sovrano. Nel momento in cui, come vedremo, i titolari della prefettura del pretorio aumentarono di numero, vennero inviati lontano dal-

la corte e si trovarono a essere decentrati in sedi strategiche per le comunicazioni tra il centro e la periferia dell’impero, l’iter divulgativo della legislazione imperiale trovò nell’ officium del prefetto del pretorio regionale un valido e flessibile 236

centro di propulsione e di distribuzione delle decisioni del sovrano nel territorio dell’impero. Questo è uno dei motivi — accanto, naturalmente, al notevole ampliamento delle competenze civili dei prefetti del pretorio — per cui i compilatori del V e del VI secolo avevano fra i loro antigrafi tante costituzioni indirizzate a questi illustri funzionari. Concludiamo tornando al prefetto del pretorio Sabinus. La documentazione inserita da Eusebio di Cesarea nella sua Historia Ecclesiastica mostra che Sabinus fu il prefetto del pretorio di Massimino almeno dalla primavera del 311 alla fine del 312 o ai primi del 313. Il suo incarico coincide con la maggior parte del regno di Massimino ed è probabile che il funzionario sia stato l’unico prefetto del pretorio dell’imperatore, dall’elevazione alla scomparsa del sovrano. Questa ipotesi è in sintonia con l’assetto della prefettura del pretorio nell’età delle coreggenze della dinastia di Caro e di Diocleziano

e Massimiano,

quando,

come

abbiamo

visto,

ciascun Augusto 51 avvalse della collaborazione di un solo prefetto del pretorio. Quale sia stata la sorte del prefetto Sabinus dopo la caduta di Massimino è difficile dire. Dal momento che poche settimane prima della sfortunata battaglia di Campus Ergenus egli aveva ricevuto la lettera del suo sovrano col testo del primo provvedimento di tolleranza da affiggere in Oriente, sembra altamente improbabile che sia stato sostituito nel delicato frangente in cui Massimino muove-

va contro Licinio. E possibile che, al pari di molti funzionari legati al regime di Massimino, sia finito vittima delle epu-

razioni condotte da Licinio Augusto signore dell’ Oriente nell'estate del 313 111, 3. SUI PREFETTI DEL PRETORIO STANTINO AUGUSTI

DI SEVERO,

MASSENZIO

E Co-

Anullinus

La parte occidentale dell’impero negli anni 306-312 fu il teatro della crisi del sistema tetrarchico. Qui la rottura con

l’ideale dioclezianeo fu più precoce e più netta. Con il ritiro dell’imperatore dalmata dalla scena politica il suo successore,

ΠῚ Sull’eliminazione dei collaboratori Eus., H.E. IX 11, 3 sgg.; Lact., Pers. 50.

e dei familiari di Massimino

cfr.

237

Galerio, non ebbe 1] carisma sufficiente ἃ mantenere la colla-

borazione tra i sovrani in un clima di concordia. La stabilitä prodotta dalle imprese vittoriose dei Tetrarchi, la fedeltä degli eserciti da loro guidati e le entrate garantite dall’introduzione di un nuovo e più efficiente sistema fiscale fornirono ai successori di Diocleziano la base su cui ciascun principe costruì una personale politica di indipendenza e di egemonia. L'opposizione fra i sovrani e le fragili alleanze che essi tentarono di costruire, a più riprese, negli anni 306-313 sono comprensibili in questa prospettiva, ma devono essere intese anche come una manifestazione dell’opposizione alla politica di Galerio, volta a restringere il collegio imperiale a uomini di sua fiducia. Proprio questa tendenza del conquistatore di Ctesifonte contribuì al distacco dell’area occidentale dell’impero da quella orientale, iniziata con le affermazioni

di Costantino in Britannia e di Massenzio in Italia. L’acclamazione del figlio maggiore di Costanzo Augusto, il 25 luglio 306 a Eburacum, a opera dell’esercito del de-

funto imperatore aprì una breccia nel sistema creato da Diocleziano e difeso dall’ Augusto più anziano, Galerio. Come vedremo, questi non ritenne opportuno, forse per motivi strategici, opporsi alla volontà dell’esercito di Costanzo. Ratificò l'acclamazione e legittimò l'elevazione di Costantino inserendolo, come Cesare, nel collegio imperiale. Ma

con il

consenso del senior Augustus a questa elevazione il principio ereditario faceva irruzione nel sistema adottivo tetrarchico. E con esso si valorizzava anche un altro aspetto che avrebbe avuto un peso notevole nelle vicende di quegli anni: la volontà di eserciti che si caratterizzavano in modo sempre più spiccato per essere milizie devote ai singoli imperatori, in un certo senso trasmissibili ereditariamente !!?, Quando nel 305

Galerio impose l’elevazione al cesarato occidentale di Severo, destinò al controllo degli eserciti di Massimiano Erculio e di Costanzo un ufficiale suo commilitone, ma che, con ogni probabilità, aveva operato esclusivamente sul fronte

orientale 113. Il suo prestigio negli stati maggiori degli eserciti occidentali, come avrebbero mostrato gli eventi successivi,

112 Su questa tendenza cfr. J.-M. CARRIÉ, Eserciti e strategie, in Storia di Roma, II/1, L'età tardoantica.

Crisi e trasformazioni, Torino

113 Sui legami tra Galerio e Severo vd. sopra, a nota 7.

238

1993, p. 108.

doveva essere scarso. Per questo gli ufficiali di Costanzo, alla morte dell’ Augusto, non attesero, come sarebbe stato op-

portuno e conforme alla prassi, le disposizioni di Galerio in merito alla promozione di Severo ad Augusto, ma acclamarono il primogenito del defunto imperatore. Similmente il 28 ottobre dello stesso anno le truppe di Roma, preoccupate dal programma di soppressione dei contingenti urbani, e la plebe romana, scontenta delle misure fiscali imposte da Galerio,

elevarono alla porpora il figlio di Massimiano Erculio, che Galerio, però, non riconobbe. Subito dopo la ricezione delle notizie della morte di Costanzo e dell’acclamazione di Costantino, Galerio aveva provveduto, secondo i principi della Tetrarchia dioclezianea, a promuovere 1] suo antico compa-

gno d'armi, Severo, da Cesare ad Augusto. Ma l'autorità di questo imperatore, nel giro di pochi mesi era stata intaccata prima dall'acclamazione di Costantino ad Augusto — ridotto poi a Cesare e, in questo modo, ‘imbrigliato’, nelle intenzio-

ni di Galerio, nel sistema tetrarchico —, quindi da quella di Massenzio, che stava sottraendo al controllo di Severo l’Italia e l' Africa. I principi del sistema tetrarchico vacillavano e, soprattutto, appariva minacciata la politica di Galerio volta a porre suoi favoriti alla guida dell'area occidentale dell'impe-

ro. L' Augusto maggiore impose al collega Severo di abbattere l'usurpatore Massenzio

e di recuperare al suo legittimo

controllo l’Italia e l' Africa. L'elemento su cui è opportuno fissare l'attenzione ὃ costituito dal fatto che sugli esiti negativi della spedizione italica di Severo, intrapresa all'inizio del 307, potrebbe aver avuto un peso non indifferente il comportamento del prefetto del pretorio di questo imperatore. . Un passo di Zosimo -- la fonte principale sugli avvenimenti italici degli anni 306-307 insieme a Lattanzio — contiene l'unica menzione del prefetto del pretorio di Severo Augusto. Lo storico bizantino ricorda che Massenzio ottenne facilmente la vittoria sul corpo di spedizione di Severo, perché si acquistó il favore dei soldati del nemico con distribuzioni di denaro e riusci ad attirare dalla sua parte il prefetto del pretorio dell’ Augusto legittimo (II 10, 1):

Ταῦτα μαθὼν Μαξιμιανὸς ὁ Γαλέριος ἐκπέμπει τὸν Καίσαρα Σεβῆρον πολεμήσοντα Matevtio: ἐξορμήσαντος δὲ αὐτοῦ τοῦ Μεδιολάνου καὶ διὰ τῶν Μαυρουσίων ἐλθόντος ταγμάτων, χρήμασι τὸ πολὺ μέρος τῶν σὺν αὐτῷ 239

στρατιωτῶν διαφθείρας Μαξέντιος, ἤδη δὲ καὶ τὸν τῆς αὐλῆς ὕπαρχον προσποιησάμενος ᾿Ανουλλῖνον, ἐκράτησεν Ῥᾷστα Σεβήρου συμφυγόντος εἰς τὴν Ῥάουνενναν, πόλιν ὀχυρωτάτην τε καὶ πολυάνθρωπον καὶ τροφῶν ἔχουσαν πλῆθος αὐτῷ τε καὶ τοῖς σὺν αὐτῷ στρατιώταις ἀρκοῦν. Secondo Zosimo il prefetto del pretorio di Severo Augusto, Anullinus, al fianco dell’imperatore durante la sua campagna italica, al momento dello scontro col nemico si allineò

alla causa di Massenzio. Abbandonato dalle sue truppe e dal suo luogotenente, passati al nemico, Severo fuggì a Ravenna,

dove fu assediato. Abdicò e lasciò spontaneamente la città al termine di diverse trattative, che coinvolsero Massimiano Erculio, di nuovo Augusto. Quindi, consegnatosi, fu assassina-

to su ordine di Massenzio nell'estate del 307. Sull’ Anullinus prefetto del pretorio di Severo non si ha nessun’altra notizia e non si conosce la sua sorte dopo il fallimento della spedizione del suo Augusto. Per procedere a una valutazione del passo di Zosimo è opportuno analizzare i dati forniti da una fonte lontana dal racconto dello storico bizantino. La lista dei prefetti urbani del Cronografo del 354, estratta da un originale romano, ricorda che tra il 19 marzo 306 e il 27 agosto 307 fu prefetto di Roma Annius Anullinus !!^. L'omonimia e la contemporaneità tra l’ Anullinus prefetto del pretorio di Severo ricordato da Zosimo e il senatore Annius Anullinus, prefetto urbano,

inserito nella lista dei prefetti di Roma nel Cronografo, hanno indotto gli studiosi a porre in dubbio l'esattezza della carica attribuita da Zosimo al funzionario menzionato nella sua

1i MGH AA IX, Chron. Min. 1, pp. 66 sg. Sul prefetto urbano vd. CHASTA-

GNOL 1962, pp. 45-48; PLRE I, p. 79; BARNES 1982, pp. 116 sg.; JACQUES, p. 159. Di C. Annius Anullinus non si conserva purtroppo il cursus honorum. I dati sui magistrati e funzionari di questo periodo di nome Anullinus farebbero pen-

sare che lo stesso senatore C. Annius Anullinus sia stato console ordinario nel 295, proconsole d' Africa negli anni 303-304 e, sembra, due volte prefetto urba-

no, come abbiamo accennato, nel 306-307, quindi, nell'imminenza della caduta di Massenzio, dal 27 ottobre al 29 novembre 312. Tuttavia l'assenza di iterazione per la seconda prefettura urbana di Annius Anullinus ricordata nel Cronografo del 354 — che di regola registra le iterazioni — spingerebbe a prendere in

considerazione, con cautela, l'ipotesi che i prefetti di Roma omonimi del 306307 e del 312 siano due senatori diversi appartenenti alla stessa famiglia.

240

esposizione del tradimento dell’esercito di Severo. Si ὃ pensato cioè che lo storico abbia potuto confondere un prefetto

urbano (τὸν τῆς πόλεως ὕπαρχον) con un prefetto del preto-

rio (τόν τῆς αὐλῆς ὕπαρχον) e che il personaggio attratto da Massenzio nel suo campo sia soltanto il prefetto di Roma ricordato nel Cronografo del 354 !!5, A favore della possibile identità tra i due Anullini — e, quindi, a favore di un’inesattezza di Zosimo — milita il fatto che senza dubbio il prefetto urbano C. Annius Anullinus decise ad un certo punto di riconoscere in Massenzio il suo sovrano. Il senatore era stato nominato alla prefettura della capitale da Costanzo Augusto il 19 marzo 306 ed era in carica quando scoppiò la rivolta dei pretoriani e della plebe di Roma che si concluse con l’elevazione di Massenzio. La lista prefettizia romana del Cronografo del 354 suggerisce che Annius Anullinus espletò il suo mandato senza soluzione di continuità e che fu congedato da Massenzio nell’agosto del 307, quando l’usurpatore governava in Italia ormai da dieci mesi. E chiaro che Massenzio non sentì il bisogno di sostituire questo personaggio preposto al controllo dell’urbe nel periodo delicato delle spedizioni italiche di Severo e di Galerio, perché era certo della sua lealtà. Appare inoltre interes-

15 Fu O. Seeck ad attirare l'attenzione sul problema della coesistenza di

due Anullini nel periodo dell’usurpazione di Massenzio e della spedizione di Severo Augusto (cfr. Geschichte des Untergangs der Antiken Welt, Stuttgart 19214, pp. 79, 83, 130). Lo studioso pensò che il prefetto del pretorio e il prefetto ur-

bano fossero effettivamente due personaggi distinti, ma legati da una parentela familiare. L' Anullinus prefetto urbano del 312 potrebbe essere stato a suo avviso l’ex prefetto del pretorio di Severo. La povertà della documentazione spinge a essere cauti verso questa ipotesi. A. CHASTAGNOL

(1962, p. 47) e la PLRE

(I,

Ρ. 79) attribuiscono a Zosimo un errore di lettura o di interpretazione della sua fonte, tale da trasformare l’ Anullinus prefetto urbano in un prefetto del pretorio

di Severo. Appaiono invece propensi a dare credito alla correttezza della notizia di Zosimo J. Moreau, Lactance, De la mort des persécuteurs, 2 (SC 39) Paris 1956, p. 353; T. D. BARNES, More Missing Names (A.D. 260-395), in “Phoenix" 27 (1973), p. 139, e 1982, pp. 116 sg. e 126; J. R. MARTINDALE, Prosopography of the Later Roman Empire. Addenda et Corrigenda to Volume I, in "Historia" 29 (1980), p. 476. Barnes, riprendendo in parte l'ipotesi di O. Seeck, ha proposto che il prefetto urbano del 312 possa essere diverso dal prefetto urbano del 306-307 e sia identificabile col prefetto del pretorio. Tuttavia, di regola, 1 prefetti del pretorio accedevano all'ordine senatorio, e a un'eventuale prefettura urbana, attraverso il consolato ordinario; dal momento che nessun Anullinus fu console durante il regno di Massenzio, la proposta di identificazione appare problematica.

241

sante che un Annius Anullinus sia indicato di nuovo dalla lista del Cronografo come prefetto urbano per soli trentaquattro giorni dal 27 ottobre al 28 novembre 312, a cavallo della disfatta di Massenzio, e che la sua prefettura si inserisca tra

due incarichi di Aradius Rufinus, prefetto urbano dal 9 febbraio al 26 ottobre 312 e, di nuovo, dal 29 novembre 312 al

7 dicembre 313. La critica è propensa a ritenere che questo secondo Annius Anullinus sia lo stesso senatore che aveva rivestito la prefettura urbana nel 306-307. Nell’eventualità che si tratti di un altro clarissimus, è certamente un parente del primo prefetto 16, Massenzio, il giorno precedente la sua sconfitta, lo avrebbe nominato alla prefettura urbana (per la

seconda volta). L’usurpatore proseguiva nella prassi inaugurata nel 309 di nominare il prefetto di Roma in occasione del suo dies imperii 117, Ma dopo un solo mese di attività Annius Anullinus fu sostituito da Costantino, allora residente a Ro-

ma e signore della città, con Aradius Rufinus, iterum praefectus urbis, come nota il Cronografo con precisione. Questi restó in carica un anno intero. La sequenza dei prefetti urbani del periodo 312-313 sembra suggerire che Costantino, trascorsa una breve fase di assestamento dopo Ponte Milvio,

volle "restituire" ad Aradius Rufinus l'opportunità di ricoprire una prefettura urbana almeno annuale, e per questo congedò, dopo appena trentaquattro giorni, Annius Anullinus. Se questo avvicendamento non fu casuale, ὃ possibile che Costantino vedesse nel senatore Anullinus, nominato da Mas-

senzio alla prefettura urbana alla vigilia della battaglia di Ponte Milvio, un sostenitore del suo nemico.

Benché

Co-

stantino si sia mostrato molto aperto nei confronti della nobiltà romana dopo la sua vittoria, la “restaurazione” di Aradius Rufinus potrebbe avere avuto, nel novembre 312, un si-

gnificato politico. Tanto piü che Costantino si mostró sensibile durante tutto il suo regno al prestigio della famiglia degli Aradii, pur senza guastarsi con gli Annii Anullini 118, La 116 Vd. sopra, a nota 114, e CHRISTOL, pp. 122-124. 117 Aurelius Hermogenes fu nominato prefetto urbano da Massenzio il 30 ottobre 309, Rufius Volusianus il 28 ottobre 310, Iunius Flavianus il 28 ottobre 311 e Annius Anullinus, come accennato, il 27 ottobre 312 (cfr. MGH AA IX, Chron. Min. 1, p. 67). 118 Cfr. l'epistola costantiniana al senato di Roma sugli onori da attribuire a L. Aradius Valerius Proculus signo Populonius, probabilmente il figlio del pre-

fetto urbano del 313-313, vd. AE 1934, 158=CIL, VI 40776. Sugli Aradii cfr. S.

242

nomina di Annius Anullinus alla prefettura urbana il 27 ottobre 312, probabilmente l’ultima decisione amministrativa di Massenzio, e il repentino congedo del senatore un mese dopo ad opera di Costantino potrebbero avvalorare l’idea che gli Annii Anullini siano stati fra i fautori dell’usurpatore all’epoca della sua elevazione. A prima vista la tendenza filomassenziana degli Annii Anullini potrebbe essere confermata dal ruolo del prefetto urbano nei giorni critici della rivolta romana che portò all’elevazione di Massenzio. In quel frangente il prefetto urbano Annius Anullinus,

il funzionario più importante

dell’urbe,

avrebbe potuto essere in condizione di influenzare profondamente,

col

suo

comportamento,

l’esito

dell’insurrezione

massenziana. Tuttavia — ed è un aspetto di rilievo - il resoconto dei fatti romani che leggiamo in Zosimo (cioè nella sua fonte) invita a ritenere che Annius Anullinus non fosse a Ro-

ma il 28 ottobre 306. Lo storico greco ha descritto con particolari che tradiscono una conoscenza molto accurata dei fatti le fasi dell’elevazione di Massenzio !?, Zosimo ha valorizzato un elemento cronologico certo per l'inizio dell'insurrezione, l'esposizione nella capitale del ritratto di Costantino Cesare, cooptato da Galerio nel collegio imperiale. Se l'ostensione dell imago

di Costanüno ha offerto a Zosimo lo spunto per screditare i natali di Costantino, non c’è dubbio che l’arrivo dell'imma-

gine imperiale ufficiale a Roma sia un fatto autentico. L'imago palesava l'introduzione del principio ereditario nella nomina dei Tetrarchi e apriva la strada alla candidatura di Massenzio alla porpora. Il 28 ottobre i tribuni delle coorti

PANCIERA, Due famiglie senatorie di origine africana e una di origine italica: Aradii, Calpurnii e Suetrii alla luce di una nuova iscrizione urbana, in L'Africa Romana 3, Sassari 1986, pp. 251 sgg. e Ancora sulla famiglia senatoria

"africana" degli Aradii, in L'Africa Romana 4, Sassari 1987, pp. 547 sgg.; M. CHRISTOL, A propos des Aradii: le stemma d'une famille sénatoriale au 1115 siècle ap. J.-C., in "ZPE" 28 (1978), pp. 145 sgg.; JACQUES, pp. 159-160. Nel 313 troviamo proconsole delia provincia d' Africa, sottratta a Massenzio, l' Annius

Anullinus noto attraverso i primi documenti della controversia donatista, forse un figlio, certamente un parente, del nostro prefetto urbano. Sull’ Anullinus pro-

console d' Africa nel 303-304 cfr. CHRISTOL, pp. 122-124, e S. LANCEL, Le proconsul Anullinus et la grande persécution en Afrique en 303-304 ap. J.-C.: nouveaux documents, in "CRAT" 1999, pp. 1013-1022. 119 Zos. II 9, 2 sg.

243

pretorie Marcellinus e Marcellus guidarono la sollevazione delle truppe di stanza a Roma, mentre il tribunus fori suarii (o tribunus trium cohortium urbanarum et fori suarii) Lucianus sobillava la plebe urbana. La sedizione, preparata, se-

condo Zosimo, dallo stesso candidato alla porpora nei giorni precedenti, culminò

nell’acclamazione del figlio di Massi-

miano, che risiedeva nella sua proprietà sulla via Labicana 129. Per portare a termine il disegno, gli ufficiali interessati al complotto procedettero all’eliminazione di un funzionario che, secondo loro, si sarebbe opposto all’iniziativa: Abellius. In quei giorni, spiega la nostra fonte, egli faceva le veci del prefetto urbano (τοῦ τῆς πόλεως ὑπάρχου τόπον

ἐπέχων), che, come sappiamo dal Cronografo del 354, era

Annius Anullinus. La documentazione a nostra disposizione mostra che la nomina di un vicario del prefetto di Roma segnala sempre l’assenza del titolare della prefettura da Roma (perché in missione, perché deposto o per una morte improvvisa). Verso la fine di ottobre del 306 Annius Anullinus con

grande probabilità era fuori Roma e il comando delle coorti urbane era stato affidato verosimilmente al suo vicario, Abel-

lius. Questa sembra essere la ragione per cui i pretoriani e il il tribunus fori suarii, in quel frangente ufficiale agli ordini di Abellius, diffidando della sua adesione al complotto e forti del sostegno popolare, si premurarono di eliminarlo 121, La relazione tra la carica di Abellius, agens vice (=vicarius) praefecti urbis (questa ὃé la traduzione del greco τοῦ τῆς πόλεως ὑπάρχου τόπον ἐπέχων) nei giorni della rivolta romana, e il mandato del prefetto urbano Annius Anullinus non é stata finora opportunamente valorizzata. Le fonti permettono di individuare almeno cinque casi nel corso del IV secolo in cui il prefetto di Roma fu sostituito temporaneamente da un vicarius praefecti urbis o vicarius praefecturae urbis. Due di essi sono ricordati dalla lista dei prefetti urbani del Cronografo del 354. Dal 13 luglio al 13 agosto 318 Iulius Cassius sostitui il prefetto di Roma Septimius Bassus, che aveva lasciato la città per recarsi da Costantino Augusto 122, Similmente dal 5 maggio al 10 giugno 340 Iunius Tertullus sostitui il prefetto di Roma Fabius Titianus, partito da Roma per

120 Sulla residenza di Massenzio cfr. Epit. 40, 2. 121 L'assassinio di Abellius e di altri funzionari attivi

a Roma è generica-

mente ricordato anche da Lattanzio che sottolinea il sostegno della plebe all'epurazione (Pers. 26, 3). 12 MGH AA IX, Chron. Min. 1, p. 67.

244

recarsi in visita presso Costante Augusto !23, I motivi dei soggiorni a corte di Septimius Bassus e di Fabius Titianus non sono ricordati, e non è chiaro se i due prefetti urbani siano stati convocati o se andassero dai rispettivi Augusti di loro iniziativa. La loro visita appare comunque successiva a due avvenimenti politici importanti, rispettivamente, l'elevazione dei figli di Costantino a Cesari, e il passaggio dell’Occidente romano nelle mani di Costante dopo la morte del fratello Costantino II presso Aquileia. E probabile, dunque, che nell’estate del 318 Septimius Bassus approfittasse della presenza di Costantino e dei suoi giovani figli nell’Italia settentrionale per porgere i suoi omaggi al nuovo collegio imperiale !24. La corte costantiniana si era infatti trattenuta nei Balcani dal giorno della cerimonia di Serdica e non c’era stata occasione per il prefetto di recarsi in visita. Parimenti nel maggio del 340 Fabius Titianus, eletto prefetto urbano durante il regno di Costantino II, che evidentemente ne aveva stima, sarà andato ad Aquileia per rendere omaggio al nuovo signore dell’area occidentale dell’impero. Vincolati alla necessità di allontanarsi il meno possibile dalla capitale i prefetti urbani avranno approfittato delle occasioni in cui la corte era raggiungibile in tempi brevi. I viaggi e i soggiorni a corte di Bassus e di Titianus 51 compirono infatti in trenta e trentacinque giorni. In loro assenza la prefettura urbana fu retta da un vicario del prefetto di Roma. La lista dei prefetti urbani del Cronografo romano si interrompe, come è noto, nel 354. Tuttavia si conoscono attraverso altre fonti almeno tre vicari di prefetti urbani. Un importante funzionario dell’età di Costanzo I e di Costantino Augusti, C. Caelius Saturninus signo Dogmatius, rivestì il vicariato di diocesi in Roma e la supplenza della prefettura urbana (vicarius praefecturae urbis iudex sacrarum cognitionum), non sappiamo se insieme, o in due momenti

distinti, tra il 317 e i primi anni ’30 del

IV secolo !25. Purtroppo il suo incarico, come nel caso di Abellius nel 306, non è ricordato nella lista prefettizia del Cronografo del 354 e non sappiamo in quale frangente egli supplì il prefetto di Roma. Alla fine di agosto del 359 morì all’improvviso il prefetto di Roma Iunius Bassus signo Theotecnius, figlio dell’omonimo potente prefetto del pretorio di Costantino 126, Ammiano Marcellino ricorda che in quel triste frangente Artemius, vicario della prefettura del pretorio in Roma, assunse temporaneamente anche l’incarico di vicario della prefettura urbana, il cui seggio era rimasto improvvisamente vacante per I inaspettata morte di

Theotecnius 127, È interessante che la sua supplenza sia stata segnata da 123 MGH AA IX, Chron. Min. 1, p. 68. 124 La presenza di Costantino ad Aquileia il 18 luglio 318, nei giorni in cui Septimius Bassus si recò in visita all’imperatore, sembra essere confermata dalla subscriptio di CTh VIII 18, 1, su cui si tornerà in altra sede.

125 CIT, VI 1704 (+p. 4739)-1LS 1214; per l'esame di questa iscrizione romana e del lungo cursus honorum del personaggio vd. sotto, cap. IV, pp. 442-448. 126 Su] prefetto del pretorio e sul figlio, prefetto urbano, vd. sotto, cap. IV, pp. 342-345. 17 Amm. XVII 11, 5.

245

sedizioni. Probabilmente la plebe romana era consapevole del fatto che il vicario godeva di minore autoritä rispetto al grande senatore romano e sostenne con la forza rivendicazioni che non avrebbe osato avanzare di fronte a Iunius Bassus. Infine una dedica da Pozzuoli ricorda la vice prefettura urbana di Fabius Pasiphilus, che è possibile collocare tra la vittoria di Teodosio I al Frigido (6 settembre 394) e la scomparsa dell’imperatore (17 gennaio 395). Il funzionario in quel delicato frangente politico rivestì un doppio incarico, nella sostanza, se non nel contesto storico in cui maturò, identico a quello di Artemius trentacinque anni prima: agens vicem praefectorum praetorio et urbi ??. In questo caso Pasiphilus fu chiamato da Teodosio a sostituire il prefetto urbano Virius Nicomachus Flavianus iunior, prefetto di Roma nominato dall’usurpatore Eugenio e deposto dopo la vittoria dell' Augusto legittimo. La sua supplenza fu cumulata con un normale vicariato di diocesi, come nel caso di Artemius. Il quadro sinteticamente delineato conferma che il vicariato della prefettura urbana veniva attivato dall’imperatore sempre in occasione dell’assenza nella città del titolare della carica. Questa

prassi spinge a concludere che l' Abellius ricordato da Zosimo fra le vittime dei pretoriani il 28 ottobre 306 sia il sostituto temporaneo di Annius Anullinus, prefetto urbano in carica, evidentemente impossibilitato allora a esercitare il suo mandato nella città. Resta incerto, invece, se Abellius, come altri vicari della prefettura urbana nel IV secolo, fosse

contemporaneamente anche il vicario dei prefetti del pretorio (agens vice praefectorum praetorio in urbe Roma), costantemente assenti, in età tetrarchica, dalla città di Roma. Se il funzionario, nell’ottobre del 306, avesse cumulato i due vicariati, si sarebbe trovato a capo sia delle coorti urbane, sia delle coorti pretorie. Questo spiegherebbe la necessità per i congiurati filo-massenziani, ufficiali di entrambe

le coorti, di elimi-

narlo immediatamente.

Per individuare i movimenti di Annius Anullinus nei giorni della rivolta urbana che vide l’affermazione di Massenzio, è necessario prestare attenzione agli avvenimenti che

scossero il mondo romano nella seconda metà del 306. Alla morte di Costanzo a Eburacum, il 25 luglio, seguirono le esequie dell’imperatore e l’acclamazione di Costantino, che era riuscito a staccarsi, non senza difficoltà, dal con-

trollo di Galerio e a raggiungere suo padre !?. Il resoconto della scomparsa e dei funerali di Costanzo, insieme all’ima128 CIT, X 1692-ILS 792; cfr. CIL, X 1694 e CTh Il 1, 8; sul personaggio

vd. PLRE I, p. 669. 129 Sulla politica successoria della dinastia costantiniana cfr., di recente, I. TANTILLO, La prima orazione di Giuliano a Costanzo. Introduzione, traduzione

e commento, Roma 1997, pp. 256-263; "Come un bene ereditario": Costantino e la retorica dell'impero-patrimonio, in "AntTard" 6 (1998), pp. 251-264.

246

go laureata del nuovo Augusto, partirono qualche giorno dopo alla volta di

Nicomedia, dove verosimilmente Galerio Au-

gusto soggiornava. E difficile calcolare con sicurezza la velocitä di marcia della legazione di Costantino, ma & probabile che essa coprisse gli oltre tremila chilometri che separano Eburacum da Nicomedia in circa quarantacinque giorni, al più presto 3°, All’arrıvo dei nunzi, dobbiamo immaginare intorno alla metà di settembre, Galerio dovette decidere come comportarsi di fronte all’imprevista, forse temuta, elevazione del principe ereditario. Rimase in dubbio se prendere fra le mani il ritratto di Costantino o farlo bruciare. Alla fine cedette ai consigli di quanti temevano le reazioni dell’esercito di Costanzo. Accettò l’immagine di Costantino, ma lo inserì

nel collegio come

Cesare

di Severo,

promosso

Augusto.

Quindi inviò messi a Costantino Cesare, probabilmente in Gallia, e a Severo Augusto, forse in Pannonia, con i segni

della ratifica del nuovo status 131. Contemporaneamente si provvide a diffondere nell’impero imagines (εἰκόνας) con i ritratti del nuovo collegio imperiale. Probabilmente dopo la metà di ottobre i ritratti giunsero anche a Roma, dove il mal-

contento della plebe urbana verso la politica fiscale di Galerio si univa a quello delle truppe incaricate di tutelare l’ordi-

ne nella città. Zosimo sottolinea l’iniziativa di Massenzio nell’organizzare la sua acclamazione, mentre Lattanzio attri130 Una comunicazione della massima importanza come la morte di Costanzo Augusto e l’elevazione di suo figlio dovette essere affidata a esperti e fidati corrieri militari a cavallo, non gravati dal bagaglio e autorizzati a usufruire

a pieno dei mezzi forniti dal cursus publicus (per le facilitazioni riservate ai corrieri speciali del così detto cursus velox cfr. CTh VII 5, 35). Sappiamo che in un viaggio di piacere in Italia si potevano coprire, a seconda dei percorsi e procedendo abbastanza speditamente, dai trenta ai cinquanta chilometri al giorno (Cic., Att. V 1; 5, 1; 6, 1; Orat., Sar. I 5). La posta imperiale percorreva agevolmente anche sessanta chilometri al giorno (Ovid., Pont. IV 5, 7), e un cavaliere

abile e motivato come Giulio Cesare raggiunse, nel 58 a.C., la cifra record di centoquaranta chilometri di percorrenza al giorno (Plut., Caes. 17). Nel 306 una media di settanta chilometri al giorno avrebbe consentito ai corrieri costantinia-

ni, che si spostavano in piena estate (con molte ore di luce a disposizione e un clima propizio), verosimilmente lungo l'ottimo asse di collegamento militare Bonomia-Durocortorum-Vindonissa-Carnuntum-Singidunum-Serdica, di raggiungere gli Stretti in circa quarantacinque giorni, Naturalmente, se nell’agosto-

settembre 306 Galerio avesse soggiornato in Illirico, per esempio a Serdica, anziché, come supposto, a Nicomedia, il dispaccio costantiniano sarebbe arrivato prima nelle mani dell’ Augusto. 33! I] racconto più dettagliato è quello di Lattanzio, molto attento al punto di vista della corte orientale (Pers. 25).

247

buisce la responsabilitä ai soldati di Roma col concorso del popolo. In ogni caso in ottobre a Roma si cominciò a vedere nel figlio di Massimiano Erculio un candidato alla porpora, sensibile agli interessi della città ed eventualmente gradito agli eserciti che avevano servito l’ex Augusto e che gravitavano ancora intorno alla penisola. Mentre questa situazione maturava in Roma non sappiamo dove fosse Severo Augusto, se in Italia settentrionale o in

Pannonia. E escluso che fosse a Roma o nelle sue vicinanze, perché la rivolta non sarebbe scoppiata se l’ Augusto fosse stato nei pressi della capitale. L'incarico di Abellius, e quanto si conosce delle vice prefetture urbane successive, rende

molto probabile che nel mese di ottobre Severo non si trovasse troppo lontano dai confini d’Italia, perché con grande probabilità, in quel momento, Annius Anullinus prefetto di Roma si assentò dalla città per raggiungerlo. E difficile che la sua sostituzione, ricordata incidentalmente da Zosimo at-

traverso la menzione del vicarius praefecti urbis Abellius, fosse motivata da una malattia tanto grave da imporre la nomina di un sostituto, perché Anullinus continuò a rivestire il suo mandato nei dieci mesi seguenti e, di nuovo, come sem-

bra, cinque anni dopo. E probabile piuttosto che, come nel caso di Septimius Bassus nel 318 e di Fabius Titianus nel 340, Annius Anullinus partisse per incontrare e riverire il nuovo Augusto. La sua posizione di funzionario gradito al defunto Costanzo I lo avrà spinto a esprimere personalmente

le sue congratulazioni all’imperatore che era subentrato da poche settimane nel governo dell’Occidente. Il momento sembrava propizio: la notizia della promozione di Severo era recente, la diffusione delle immagini del terzo collegio tetrarchico aveva fugato i timori di una guerra civile e, verosimilmente, l' Augusto era prossimo ai confini d’Italia. Secondo la nostra ipotesi in quel frangente Annius Anullinus fu sostituito in Roma da Abellius, vicarius praefecti urbis. L’as-

senza del titolare della grande prefettura romana potrebbe essere stato uno dei motivi che spinsero i sostenitori di Massenzio a innescare la rivolta che portò all’acclamazione dell’usurpatore 132, Il vicario si trovò subito coinvolto nei disor132 Come accennato, una sommossa della plebe si verificò, per esempio, nel 359 mentre il vicario Artemius suppliva il prefetto urbano Iunius Bassus Theotecnius, morto all’improvviso.

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dini collegati all’usurpazione, forse tentö di opporsi e fu ucciso. A differenza di quanto accadde per Iulius Cassius e Iunius Tertullus la supplenza romana di Abellius non è segnalata nella lista prefettizia del Cronografo del 354. Ma il fenomeno può essere spiegato dall’origine romana dei fasti della prefettura urbana confluiti nell’opera. L’allineamento di Annius Anullinus alla fazione di Massenzio consigliò la cancellazione dai fasti della prefettura di Roma, già in età massenziana, di qualunque traccia di quell’ Abellius, che era stato vittima della factio del tiranno, e del ricordo della visi-

ta del prefetto urbano a Severo Augusto. Galerio, avuta notizia della rivolta romana, si incontrò,

probabilmente in una località non troppo distante da Nicomedia o da Serdica con Severo Augusto per decidere la linea da seguire nei confronti di Massenzio !33. Questi era consapevole della debolezza del suo ridotto contingente militare e pensò di rivolgersi a suo padre, Massimiano Erculio, che soggiornava in Lucania, affinché lo aiutasse a evitare i danni di un attacco di Severo o, peggio, di Galerio 134. l'incontro tra 1 due Augusti legittimi e il richiamo da parte di Massenzio di suo padre implicano il trascorrere di un certo tempo dopo il 28 ottobre. Galerio dovette ricevere e rifiutare l’imago di Massenzio, e questi averne notizia e prepararsi allo scontro. La lentezza della reazione di Galerio e Severo all’usurpazione appare comprensibile se si pensa che ormai si doveva essere in pieno inverno e la debolezza militare e strate-

gica di Massenzio non doveva preoccupare. Se la nostra ipotesi ricostruttiva delle vicende della seconda metà del 306 è esatta, e se le ragioni della supplenza di Abellius sono da ricercarsi, come sembra probabile, in una profectio del prefetto urbano dalla città, Annius Anullinus si

trovava lontano dalla sua sede di Roma proprio nei giorni della rivolta. Il rientro del prefetto

a Roma, specialmente se,

come pare verosimile, questi si trovava temporaneamente alla corte di Severo, si trasformava necessariamente in un atto di lealtà politica verso l’usurpatore. Sia che Annius Anullinus fosse già in viaggio di ritorno per Roma, sia che si trovasse 133 La notizia riportata da Lattanzio è molto importante per l’interpretazione della reazione di Galerio alla rivolta massenziana e per la cronologia della spedizione di Severo in Italia (Pers. 26). 134 Lact., Pers. 26, 6 sg.

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ancora nel comitatus di Severo quando lo raggiunse la notizia dell’usurpazione, due alternative gli si offrivano: tornare nella cittä e abbandonare spontaneamente la sua legazione presso Severo, scegliendo Massenzio (non è escluso che Severo lo ritenesse in qualche modo responsabile per non aver saputo prevenire la crisi); oppure seguire l' Augusto legittimo nella sua marcia contro Massenzio in Italia. In questo caso non sarebbe improbabile che Annius Anullinus, giunto nelle vicinanze di Roma, cedesse alle offerte di Massenzio. Non c’è dubbio, comunque, che in un modo o nell’altro il prefet-

to urbano si allineò alla causa dell’usurpatore. Tuttavia alcuni elementi di un certo rilievo si oppongono alla possibilità che nell’ Anullinus, prefetto del pretorio di Severo, ricordato nel passo di Zosimo si nasconda il nostro prefetto di Roma. Un esame dei sei libri dell’opera dello storico bizantino mostra che Zosimo non confonde mai un prefetto del pretorio con un prefetto di Roma. Questo sarebbe l'unico caso 155. In secondo luogo è lecito chiedersi quale influenza potesse avere il tradimento di un prefetto urbano, fosse anche un se-

natore illustre, nella defezione dell’esercito guidato da Severo Augusto e passato a Massenzio. L’ascendente dell’ordine senatorio sui vertici militari degli eserciti romani e sulle forze armate dall’epoca dell’editto di Gallieno era nullo. Non si deve trascurare infine il fatto che, in seguito alla sua promo-

zione ad Augusto, Severo poteva nominare un suo prefetto del pretorio. Questa nomina contribuiva a sottolineare la sua posizione di Augusto (legittimo) in seno al collegio imperiale, perché, secondo la tradizione, solo gli Augusti avevano

diritto alla collaborazione del prefetto del pretorio. Quando Severo, nei primi mesi del 307, mosse da Milano verso Ro-

ma alla testa dell’esercito che aveva combattuto agli ordini di Massimiano Erculio, era già Augusto da alcuni mesi e aveva

avuto tutto il tempo di nominare un suo prefetto del pretorio. Come abbiamo visto, gli Augusti di questo periodo erano ufficiali di carriera che tendevano a scegliere fra i comandanti più esperti del loro stato maggiore i propri prefetti del preto135 Nella sua opera Zosimo fa riferimento cinquantasei volte a titolari della prefettura del pretorio e della prefettura di Roma e, a parte il dubbio su Anullinus, il confronto con fonti parallele mostra che lo storico bizantino non ha mai confuso il titolare di una prefettura del pretorio con un prefetto urbano o vice-

versa; sui passi in questione vd. sopra, cap. I, pp. 41 sg.

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rio 136. Questi funzionari erano dotati ancora di ampi poteri militari, appartenevano all’ordine equestre e, soprattutto, potevano influire in modo determinante sulle scelte delle truppe poste ai loro ordini, perché, spesso, le avevano comandate con successo nel recente passato 137, D'altra parte non c’è alcun dubbio che in questo periodo 1] prefetto del pretorio potesse affiancare il proprio Augusto impegnato in una delicata campagna militare, come è testimoniato per le spedizioni di Galerio e di Costantino contro Massenzio 138. Appare, dunque, molto probabile che il prefetto del pretorio di Severo abbia avuto effettivamente il ruolo importante che (la fonte di)

Zosimo sembrerebbe riconoscergli nella defezione del corpo di spedizione disceso in Italia per stroncare il tentativo di Massenzio. I] problema delle acclamazioni-usurpazioni di Costantino e di Massenzio nel 306 si configurava, come sempre in questi casi, anche come un problema di eserciti. Abbiamo segnalato l'importanza della congiuntura strategica nella valutazione delle usurpazioni di Iulianus, di Sabinus Iulianus e di

Diocleziano e abbiamo notato il grado di allarme della reazione di Carino, l’ Augusto legittimo, a seconda della forza

militare che ciascuna acclamazione esprimeva 139. Anche nella seconda metà del 306 le fonti concorrono a delineare due diversi atteggiamenti di Galerio Augusto nei confronti delle ‘iniziative’ di Costantino e di Massenzio. Galerio, pur riluttante, comprese di dover accettare senza ulteriori indugi l’acclamazione di Costantino in Britannia, perché questi era so136 Per le eccezioni costituite dalle prefetture del pretorio di C. Ceionius Rufius Volusianus e di Manilius Rusticianus vd. oltre. 137 Quanto conosciamo delle carriere e dell’attivitä bellica dei prefetti del pretorio dei Tetrarchi, di Galerio, di Massenzio e di Costantino conferma la loro provenienza dai quadri dell’esercito. Per la formazione militare e il rango dei prefetti del pretorio a cavallo tra III e IV secolo vd. sopra, cap. I, pp. 52 sgg. 138 Per i] prefetto di Galerio, nel contesto della guerra del 307, cfr. Anon.

Vales. Y, 11 (su cui vd. sopra, p. 195); per il prefetto di Costantino, presente alla vittoria di Aquileia del 312, cfr. Pan. Lat. 9 (12), 11, 4 (su cui vd. oltre). 139 Abbiamo visto che l'usurpazione del senatore Tulianus, impegnato

in

Pannonia contro i barbari era sentita da Carino come meno pericolosa di quella congiunta di Sabinus Iulianus nell'area Veneto-danubiana e di Diocleziano sugli Stretti. Il corpo di spedizione orientale di Diocleziano si accingeva a marciare sull’Italia attraverso l’Illirico, mentre Sabinus Iulianus avrebbe provveduto ad agevolare la sua avanzata bloccando Carino che scendeva dalle Gallie. Per Carino fu di vitale importanza abbattere al piü presto Sabinus Iulianus nell’Italia settentrionale per bloccare Diocleziano nei Balcani.

251

stenuto e benvoluto dall’esercito renano di Costanzo 1, di stanza nelle Gallie, trasmesso in eredità dall’imperatore mo-

rente al suo primogenito. Nel 306 questo possente apparato bellico consentiva a Costantino di scatenare una guerra civile. AI contrario Galerio non ebbe esitazioni nell’opporsi decisamente all’acclamazione di Massenzio a Roma, non solo

perché questi aveva osato sottrarre a Severo Augusto la sua pars, ma soprattutto perché, nell’ottobre-novembre del 306,

il giovane usurpatore non era sostenuto da nessun esercito tetrarchico. Galerio sapeva che Severo poteva occupare agevolmente Milano, da dove infatti mosse per la sua campagna italica 1, e poteva avere ragione facilmente delle poche truppe romane di Massenzio. Pertanto convocó con calma Severo a corte e congegnò un piano di intervento da attuarsi dopo la fase più rigida dell’inverno. Il progetto si concretizzò in una spedizione guidata da Severo, posto al comando di un grande contingente militare, formato, però, dalle truppe dell’esercito tetrarchico che aveva servito, circondandosi di gloria, sotto Massimiano Erculio !*!. Fu una scelta molto infeli-

ce. Lo stato maggiore e le truppe di Massimiano, ora agli ordini di Severo, non volevano uccidere il figlio dell’ex Augusto e loro condottiero, e cedettero alle offerte del giovane im-

peratore. Al momento dello scontro la gran parte del corpo di spedizione di Severo Augusto abbandonò il principe e passò a Massenzio, che si trovò d’un tratto in possesso di un esercito tetrarchico. In questo modo Massenzio entrò nella partita, affiancato dal padre, Massimiano Erculio, che aveva rive-

stito di nuovo la porpora nell’imminenza dell’attacco di Severo. Fu un colpo durissimo per Galerio, che aveva sottova-

140 Zos. H 10, 1: ἐξορμήσαντος δὲ αὐτοῦ (ΞΣεβήρου) τοῦ Μεδιολάνου. 141 L’esercito affidato a Severo era quello guidato un tempo da Massimiano Erculio, cfr. Lact., Pers. 26, 5: (Galerius) mittit eum (Severum) cum exercitu Maximiani ad expugnandum Maxentium; Pers. 44, 2 (in occasione della spedizione italica di Costantino nel 312): plus virium Maxentio erat, quod et patris sui exercitum receperat a Severo. Le notevoli dimensioni dell’esercito di Seve-

ro sono esplicitamente ricordate dal retore che pronunciò il panegirico del 313 dopo la vittoria di Ponte Milvio (cfr. Pan. Lat. 9 (12) 3, 4: duxerat magnum Se-

verus exercitum). Si noti che la fonte di Zosimo sottolineava la presenza nel contingente di Severo delle truppe Maure (Zos. II 10, 1: διὰ τῶν Μαυρουσίων ἐλθόντος ταγμάτων), che costituivano già un corpo fedele a Massimiano Erculio e che troviamo schierato nel 312 a difesa di Massenzio (Pers. 44, 2).

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lutato il peso del fattore ereditario nello stimare la fedeltä delle truppe affidate a Severo. Alla notizia della fuga e della cattura di Severo a Ravenna, il senior Augustus tentò di rimediare scendendo personalmente in Italia con un suo esercito, ma era tardi. Massenzio

aveva giocato bene le sue carte. Massimiano Erculio, di nuovo Augusto, si era recato presso Costantino Cesare in Gallia per concludere un’alleanza dinastica (Herculia), proprio nel timore che Galerio avanzasse sull’Italia con un suo contingente (o, peggio, col supporto anche di Massimino Cesare) 142. Costantino accettò l'offerta di Massimiano Erculio. Così Galerio Augusto, posto il campo in Umbria, ma immo-

bilizzato in un vano assedio alla capitale, si rese conto che stava perdendo la fiducia delle sue truppe e che rischiava concretamente di restare imbottigliato tra l’esercito romano di Massenzio e quello transalpino di Costantino 143. Si ritirò. Severo era morto, l’Italia e l’ Africa restavano sotto il controllo

di Massenzio, Costantino si considerava Augusto in Gallia e sposava Fausta, la sorella dell’imperatore di Roma !*. Alla fine del 307 la politica occidentale di Galerio Augusto e la sua aspirazione a porre l’impero sotto il controllo di un collegio di sovrani a lui fedeli poteva dirsi naufragata. Nel momento critico del conflitto che aveva portato alla scomparsa di Severo Augusto

e all’affermazione di Massenzio,

quando il contingente di Severo stava per annientare Massenzio e i suoi — come era logico vista la disparità delle forze —, un ruolo importante, forse decisivo, potrebbe averlo

avuto proprio la scelta a favore del giovane usurpatore ope-

142 Lact., Pers. 26, 6-11. È incerto se Massimiano Erculio nell'imminenza dell’attacco di Severo fosse invitato a riprendere la porpora dal figlio Massenzio, timoroso per la sua debolezza militare (Lattanzio), o se prendesse egli stesso l’iniziativa di schierarsi come Augusto in difesa del tentativo del figlio (Zosimo). Le fonti concordano nell’attribuire all’anziano sovrano l’inseguimento e l’assedio di Severo a Ravenna. 143 Nel racconto delle complesse vicende degli anni 307-308 Zosimo ha

commesso senza dubbio degli errori di composizione (anticipando e posticipando alcuni avvenimenti) che solo il confronto con le altre fonti permette di sanare. Tuttavia egli mostra di avere estratto da una buona fonte i resoconti che ricompone; cfr. Zos. II 10-12, con il commento di F. PASCHoUD, Zosime, Histoire Nouvelle, I, Paris 1971, pp. 195 sgg. 14 Testimonia l’avvenuta alleanza tra Costantino e Massimiano Erculio il panegirico 6 (7) del 307 (per le nozze di Costantino e Fausta e la promozione di Costantino ad Augusto ad opera di Massimiano Erculio cfr. in particolare 5, 3).

253

rata dal prefetto del pretorio di Severo, Anullinus. Il peso del suo tradimento potrebbe essere stato tutt’altro che marginale, dal momento che contribui all’acquisizione da parte di Massenzio di un esercito tetrarchico e decretö il fallimento definitivo della politica di Galerto in Occidente. La ricostruzione del contesto storico, in cui (la fonte di) Zosimo ha inserito la sua notizia sulla decisiva defezione di Anullinus, sostie-

ne fortemente l’ipotesi che il personaggio sia stato effettivamente il prefetto del pretorio di Severo Augusto. C. Ceionius Rufius Volusianus, Manilius Rusticianus, Ruricius Pompeianus

Massenzio

doveva la sua elevazione all’audacia delle

coorti pretorie che, pur numericamente

ridotte, lo avevano

sostenuto col concorso della plebe alla fine di ottobre del 306. Le coorti pretorie conobbero sotto l’imperatore, che aveva scelto di nuovo l’antica capitale come sua residenza, l’ultima gloriosa stagione della loro storia, prima che Costantino, nel 312, portasse radicalmente a termine il progetto di Diocleziano e di Galerio e le sopprimesse per sempre. I pretoriani durante il regno di Massenzio difesero il loro sovrano contro i suoi nemici, esterni ed interni, ed egli li dotò

di nuovo di un prefetto del pretorio finalmente attivo nei castra praetoria della capitale. Le coorti pretorie sono ricordate dalle fonti per aver sostenuto fedelmente Massenzio nei momenti di maggiore difficoltà. Tra il 308 e il 310 la rivolta di L. Domitius Alexander privò Roma degli approvvigionamenti regolari. La carestia fece esplodere una violenta rivolta, repressa nel sangue dai pretoriani, che avrebbero ucciso seimila Romani |^, Nel 310 furono probabilmente le coorti pretorie guidate dal loro prefetto a catturare ed eliminare lo stesso Domitius Alexander in Africa. Nel 312 alla battaglia di Ponte Milvio 1 pretoriani resistettero fino all’ultimo all’urto della cavalleria costantiniana e, a differenza di altri contingenti,

caddero

tentando

di difendere

le sorti di Massenzio !4.

Due basi inscritte provenienti dal Foro di Traiano testimoniano la volontà di Massenzio di esaltare le sue coorti pretorie in uno dei luoghi più prestigiosi del centro monumentale di Roma. Nel pubblicarle R. Paribeni notò che le basi erano state incise in onore di alcune cohortes

145 Eus., H. E. VII 14, 3 e 6; VC. I 35; Chron. 354, in Min.

1, p. 148; Aur. Vict., Caes. 40, 24; Zos. II 13.

146 Pan. Lat. 9 (12), 17, 1.

254

MGH AA IX, Chron.

praetoriae, probabilmente nel 167 o 168, all’epoca della difesa del Ve-

neto dall’assalto dei Marcomanni, e trasformate in cohortes “palatinae Romanae" a cura di Massenzio !#?. E interessante che l’imperatore residente nella città di Roma abbia voluto sottolineare l'appartenenza di queste coorti pretorie al palatium dell’ Augusto nella capitale. Accanto

alle dieci, rinvigorite e agguerrite, coorti pretorie, la gran parte dell’esercito di Massenzio era di origine italica e africana. Il fenomeno appare naturale se si pensa che durante il suo regno egli poté reclutare truppe solo in queste regioni. Tuttavia Lattanzio ha spiegato chiaramente che la consistenza numerica delle forze armate di Massenzio era legata anche alla circostanza di aver assorbito l’esercito di Massimiano Erculio, sottratto a Severo Augusto nel 307, e rinforzato da Massenzio con contingenti Mauri (che già erano fra le truppe di suo padre) e reclute italiche !48, Il fatto che gli Italici continuassero a fornire soldati alle dieci coorti pretorie è provato dalla menzione di un Valerius Clemens natione Italus su un diploma militare di pretoriani datato 7 gennaio 306 "45, Il documento conferma l’esattezza della notizia di Lattanzio e contribuisce ad accettare la forma tràdita del passo dove il polemista descrive l’esercito che Massenzio oppose a Costantino nel 312 come composto de Mauris atque Italis !50.

Non si conosce con esattezza l' identità del primo prefetto del pretorio di Massenzio all’indomani della sua elevazione. Per alcuni mesi (sei o sette) l’imperatore portò il titolo di princeps, non di Augustus, probabilmente in attesa di essere riconosciuto e legittimato, come Costantino, da Galerio Augusto 151, Il rifiuto del titolo di Augusto farebbe supporre che

egli non si arrogasse la facoltà, propria esclusivamente degli 147 Cfr. PARIBENI, Iscrizioni cit. (sopra, cap. II, a nota 100), pp. 484-489. Le basi sono state riesaminate di recente da M. P. SPEIDEL, che ne ha migliorato la lettura; cfr. Les prétoriens de Maxence. Les cohortes palatines romaines, in

“MEFRA” 100 (1988), pp. 183-186 (=Roman Army Studies, 2, Stuttgart 1992, pp. 385-389). 148 Lact., Pers. 44, 2; analogamente Zos. Il 15, 2.

149 Cfr. BIZZARRI, FORNI, Diploma militare cit. (sopra, cap. II, a nota 16), pp. 7 sg. e 22-25. 150 La correzione de Mauris atque (Gaetulis), proposta da C. H. Heumann, nella sua edizione critica del De mortibus persecutorum (Göttingen 1736), e accolta unanimemente in seguito, deve essere, quindi, respinta, dovendosi preferire la lezione originaria del MS

Parisinus 2627, f.? 13r. In questo senso cfr. an-

che J. N. ADams, P. M. BRENNAN, The Text at Lactantius, De Mortibus Persecutorum 44, 2 and Some Epigraphic Evidence for Italian Recruit, in “ZPE” 84

(1990), pp. 183-186. 131 Sull’uso del titolo princeps nelle prime monete di Massenzio cfr. M. CULLHED, Conservator urbis suae. Studies in the Politics and Propaganda of the

Emperor Maxentius, Stockholm 1994, pp. 32-44.

255

Augusti, di nominare un suo prefetto del pretorio. Del resto non si conosce la sorte del prefetto di Severo, Anullinus, che,

dopo il tradimento dell’esercito severiano non poté che restare in Italia. Si ignora, dunque, se egli possa essere diventato eventualmente il (primo) prefetto del pretorio di Massenzio. Alcune fonti, di diversa natura e fra loro indipendenti,

hanno conservato il ricordo di tre prefetti del pretorio di Massenzio: Rufius Volusianus, Manilius Rusticianus — ex prefetto dell’annona, curatore di Ostia e vice prefetto del pretorio in età tetrarchica, di cui si è parlato 152 — e Ruricius Pompeianus. Nelle pagine seguenti esamineremo i dati superstiti su questi tre funzionari. Conviene, però, anticipare una riflessione utile per lo sviluppo della nostra analisi. Tutti e tre i prefetti del pretorio di Massenzio noti sembrano essere stati in carica alcuni anni dopo l’acclamazione dell’usurpatore 153. La documentazione invita a collocarli negli anni 310-312. Questo aspetto ha sollevato la questione del numero dei prefetti del pretorio di Massenzio contemporaneamente in carica. Il problema non può dirsi perfettamente risolto, ma ci sono alcuni elementi che spingono a ritenere

che I’ Augusto ebbe al suo fianco soltanto un prefetto del pretorio alla volta. - Le dediche fatte incidere dal prefetto Manilius Rusticianus in onore di Massenzio contengono, come vedremo, soltanto il

suo nome. Potrebbe trattarsi di monumenti realizzati su sua personale iniziativa, senza la partecipazione del suo eventuale collega nella prefettura. Ma l’area da cui provengono, il Foro Romano, valorizzato allora dagli interventi edilizi del sovrano, e la probabile coincidenza delle dediche con il quinto anno di regno di Massenzio — l’anno, solenne, dei suoi Quin-

quennalia — rendono poco verosimile che solo uno dei due prefetti, dell’ipotetico collegio prefettizio, si avvalesse del privilegio di eternare la sua memoria attraverso una serie di monumenti all’ Augusto nel cuore di Roma. Sembra più coerente supporre che le dediche siano state realizzate da un solo prefetto del pretorio, perché questi era l’unico allora in carica. Due fonti letterarie molto lontane tra loro spingono a 152 Vd. sopra cap. II, pp. 142-147, e 161-163.

153 Come vedremo, non ci sono prove che Volusianus, il primo prefetto del pretorio di Massenzio a comparire nelle fonti, sia stato anche il primo prefetto

nominato dal sovrano.

256

conclusioni analoghe. Aurelio Vittore ricorda che l'usurpatore africano L. Domitius Alexander rivestì la porpora a Cartagine (nel 308) mentre esercitava la carica di vice prefetto del

pretorio per le province africane. Egli era, insomma, uno degli agentes vice praefectorum praetorio attivi nell'impero dall’età tetrarchica. E interessante che lo storico utilizzi in questo caso un’espressione che non sembra avere paralleli per definire l’incarico: apud Poenos Alexander pro praefecto gerens !54. Probabilmente in questo caso la fonte di Aurelio Vittore faceva riferimento alla supplenza dell’unico prefetto del pretorio di Massenzio. L’isolamento politico in cui Massenzio era caduto, specialmente dopo la rottura con Massimiano Erculio, rendeva impossibile qualunque inserimento, anche teorico, del suo prefetto del pretorio in un collegio prefettizio. La singolare formula utilizzata, con grande probabilità, dalla fonte dell’epitomatore appare isolata nel panorama della terminologia amministrativa romana. Il lessico amministrativo tardoromano conosce sinonimi come vicarius praefectorum,

agens

vice praefectorum

0 agens pro

praefectis, caratterizzati sempre dal riferimento a una pluralità di prefetti del pretorio. L'espressione pro praefecto potrebbe tradire un' aderenza profonda alla realtà della supplenza africana di Domitius Alexander. Questi avrebbe fatto le veci di un solo prefetto del pretorio, cioè dell’unico, e isola-

to, prefetto che Massenzio aveva al suo fianco. In tutt'altro contesto si situa l’altra testimonianza sull’ampiezza del collegio prefettizio di Massenzio. Nel 411 Agostino partecipò ai lavori del Concilio di Cartagine che si concluse con una netta affermazione dei cattolici sugli scismatici donatisti. Il vescovo di Ippona ebbe cura di redigere un sunto del lungo dibattimento (collatio) tenutosi nei giorni del concilio e scrisse il Breviculum collationis cum Donatistis. Il confronto era stato aspro ed erano stati vagliati molti documenti di archivio risalenti ai primi anni dello scisma donatista. Durante il dibattito, i donatisti tentarono, invano, di

dimostrare la fondatezza dell’accusa di traditio contro il vescovo cattolico di Roma Milziade. A questo proposito diedero lettura del verbale di un procedimento tenutosi davanti a un prefetto urbano e relativo all’attività del vescovo romano.

154 Aur. Vict., Caes. 40,

17.

257

Nel sunto del verbale prefettizio di etä massenziana, inserito da Agostino nel Breviculum, si ricorda che il vescovo di Ro-

ma aveva recuperato alla chiesa romana le proprietà confiscate dall’autorità durante la grande persecuzione, la cui restituzione era stata decretata in precedenza, con un provvedimento generale, dall’imperatore Massenzio: Miltiades misis-

se diaconos cum litteris Maxentii imperatoris et litteris praefecti praetorio ad praefectum urbis, ut ea reciperent, quae

tempore persecutionis ablata memoratus imperator christianis iusserat reddi 155. Attraverso le copie delle litterae i messi del vescovo Milziade poterono chiedere al prefetto di Roma la restituzione delle proprietà ecclesiastiche confiscate durante la persecuzione. L'espressione utilizzata da Agostino, litteris praefecti praetorio, non dovrebbe lasciare dubbi sul fatto che Massenzio si avvaleva, all’epoca della sospensione della persecuzione nella sua pars, della collaborazione di un solo prefetto del pretorio. L’intitulatio dell’epistola prefettizia in possesso del vescovo di Roma portava evidentemente un solo nome, quello dell’unico prefetto del pretorio di Massenzio, autore del documento. Poiché il prefetto del-

l’usurpatore non poteva fare parte del collegio prefettizio allora attivo nell'impero — ammesso che negli anni 306-313 esistesse una concordia sufficiente a riunire i prefetti degli Augusti legittimi in un collegio — è inevitabile che gli atti della sua cancelleria fossero emanati esclusivamente a suo nome. Dal momento

che Agostino nel 411 era certo che la

lettera emanasse da un solo prefetto, non c’è dubbio che que-

155 Aug., Brev. Coll. III 18, 34 (CSEL 53, p. 84 Petschenig). Lo stesso verbale è citato da Agostino anche nel Contra partem Donati post gesta 13, 17 (CSEL 53, pp. 113 sg. Petschenig). Su queste litterae cfr. CORCORAN, pp. 144 sg.,

n. 52. Non è chiara la natura delle lifterae in possesso dei diaconi romani. Potrebbe trattarsi di una copia del presunto editto di tolleranza di Massenzio e di una

copia dell'editto prefettizio, che il prefetto del pretorio avrebbe affisso insieme all'editto imperiale, in cui si ordinava la restituzione dei beni confiscati alle chiese cristiane. Forti dei due documenti i diaconi romani avrebbero richiesto al pre-

fetto urbano l'applicazione della normativa massenziana. Oppure potrebbe trattarsi di un rescritto di Massenzio in risposta a una petizione del vescovo di Roma, insoddisfatto del comportamento del prefetto urbano, e di una lettera del pre-

fetto del pretorio, forse al vescovo stesso — difficilmente una lettera del prefetto del pretorio al prefetto urbano poteva essere in possesso del vescovo -, con cui si esortava l'attuazione delle decisioni imperiali. Sulla politica religiosa di Mas-

senzio e sull'ipotetica datazione dei documenti citati da Agostino cfr. la bibliografia cit. sopra, a nota 18.

258

sti non aveva colleghi. Se Massenzio si fosse avvalso della collaborazione di un collegio di due prefetti del pretorio contemporaneamente in carica, entrambi i loro nomi sarebbero stati apposti certamente nell’intitulatio di un'epistola diffusa dalla cancelleria prefettizia e destinata a essere prodotta presso il tribunale del prefetto urbano. 51 deve considerare, infine, il peso della prassi che abbiamo visto operare della seconda metà del III secolo, e ancora

viva in età tetrarchica e durante la diarchia costantino-liciniana, per cui, durante le coreggenze, ciascun Augusto ha al suo fianco un solo prefetto del pretorio. Sembra, dunque, assai probabile che Massenzio, signore solo dell’Italia e, a parte un periodo compreso tra il 308 e il 310, dell’Africa, non abbia avuto più di un prefetto del pretorio alla volta accanto a sé 156, Come accennato, il primo prefetto di Massenzio noto è Rufius Volusianus 157, Aurelio Vittore e, con maggiori particolari, Zosimo hanno conservato le uniche notizie relative al-

la prefettura del pretorio di questo personaggio 158. Esse riguardano la vittoriosa spedizione militare condotta dal prefetto di Massenzio contro l’usurpatore africano L. Domitius Alexander 1595. l'esposizione (della fonte) di Zosimo, meno

156 Sull’estensione dei domini di Massenzio, Costantino e Severo e sulla posizione della penisola Iberica e della Rezia cfr. M. CHRISTOL, P. SILLIERES, Constantin et la péninsule Ibérique: à propos d'un nouveau milliaire, in “REA” 82 (1980), pp. 70-80, e CULLHED, Conservator urbis suae (cit. sopra, a nota 151), pp. 68 sg. 157 Su]l' identità di questo prefetto vd. sotto, nota 165. 158 Aur, Vict., Caes. 40, 17-19 e 28; Zos. II 14. 15? Sulla natura e la durata dell'usurpazione di L. Domitius Alexander i pareri sono discordi. Per le diverse posizioni cfr. la bibliografia citata nei recenti contributi di V. AIELLO, Costantino, Lucio Domizio Alessandro e Cirta: un caso di rielaborazione storiografica, in L'Africa Romana 6, Sassari 1989, pp. 179-196, e di S. PANCIERA, Un prefetto cit. (sopra, cap. II, a nota 115), p. 257, nota 35. L'inizio della rivolta è stato datato opportunamente nel corso del 308. L'iscrizione numidica CIL, VIII 10382222423-ILS 668 mostra che Massenzio fu riconosciuto come Augusto e console nella provincia. Il primo consolato fu rivestito da Massenzio col figlio Romulus il 20 aprile 308 (cfr. Consuls, p. 150); nel maggio 308, quando l'iscrizione fu redatta, Alexander non controllava ancora la Numidia. Nella stessa direzione la testimonianza di Zosimo (II 12), che attribuisce l'inizio della secessione africana alla reazione delle truppe di stanza nella regione all'arrivo a Cartagine dei ritratti del solo

Massenzio, dopo la rottura col padre Massimiano Erculio (non Galerio, come vorrebbe lo storico bizantino) avvenuta nei primi mesi (aprile?) del 308. Sulla cronologia dell'epilogo della secessione, per l'intervento del prefetto Volusianus, vd. oltre.

259

sintetica di quella di Vittore, contiene alcune indicazioni sul contesto politico in cui maturò quell’intervento militare e offre maggiori elementi per l’analisi e per la datazione dell’episodio (II 14): Ἐντεῦθεν (Μαξέντιος) προφάσεις ἀναζητεῖ. τοῦ πρὸς Κωνσταντῖνον πολέμου, καὶ ποιησάμενος ἐπὶ τῷ θανάτῳ τοῦ πατρὸς ὀδυνᾶσθαι, Κωνσταντίνου δεδωκότος αἰτίαν αὐτῷ τῆς τελευτῆς, ἐπὶ Ῥαιτίαν ἐλαύνειν διενοεῖτο ὡς τοῦ ἔθνους τούτου καὶ Γαλλίᾳ καὶ τοῖς Ἰλλυριῶν κλίμασι πλησιάζοντος ὠνειροπόλει γὰρ καὶ Δαλματίας καὶ Ἰλλυριῶν περιέσεσθαι διὰ τῶν ἐκεῖσε στρατιωτικῶν ἡγεμόνων καὶ τῶν Λικιννίου δυνάμεων. Ταῦτα κατὰ νοῦν ἔχων Μαξέντιος φήθη δεῖν τὰ ἐν Λιβύῃ πρότερον διαθεῖναι, καὶ συναγαγὼν δυνάμεις ἀνδρῶν, ἡἡγεμόνα τε ταύταις ἐπιστήσας Ῥούφιον Βουλουσιανὸν τὸν τῆς αὐλῆς ὕπαρχον, È εἰς τὴν Λιβύην διαβιβάζει, συνεκπέμψας αὐτῷ Ζηνᾶν, ἄνδρα καὶ ἐπὶ πολεμικῇ πείρᾳ. καὶ πραότητι διαβόητον. Τῇ δὲ πρώτῃ προσβολῇ τῶν σὺν ᾿Αλεξάνδρῳ στρατιωτῶν ἐγκλινάντων ἐπὶ στρατιωτικὸν τάγμα συνέφευγε καὶ ᾿Αλέξανδρος: οὔτινος ὑπὸ τοῖς πολεμίοις γενομένου καὶ αὐτὸς συλληφθεὶς ὁἀπεπνίγη; [...] εἰσήγετο δὲ θρίαμβος εἰς τὴν Ῥώμην ἐκ τῶν ἐν Καρχηδόνι κακῶν. Secondo Zosimo, L. Domitius Alexander fu assediato — ἃ Cirta, come ricorda Aurelio Vittore 160 — quindi catturato ed

eliminato da un contingente militare comandato da Rufius Volusianus, prefetto del pretorio di Massenzio, coadiuvato da

un comandante esperto di nome Zenas. Il successo della spedizione avrebbe permesso a Massenzio di recuperare definitivamente il controllo delle province africane, staccatesi dalla sua pars nel corso del 308. La spedizione che costò la vita all’usurpatore non appare

facilmente databile. Tuttavia Zosimo - il cui resoconto risale a un’ottima fonte per il periodo a cavallo tra III e IV secolo, come abbiamo notato più volte — ha inquadrato la vicenda della secessione africana nello sviluppo della politica di Massenzio. Lo storico bizantino spiega che l’eliminazione di Domitius Alexander e della sua factio faceva parte di un disegno più ampio, volto a dare vigore a una politica aggressi160 Aur. Vict., Caes. 40, 28.

260

va di Massenzio nei confronti di Costantino, che egli riteneva responsabile della morte di suo padre Massimiano Erculio, e di Licinio. L'anziano Massimiano Erculio morì a Mar-

siglia nei primi mesi del 310. La campagna africana di Volusianus, premessa indispensabile alla ultio contro Costantino, deve essere, quindi, successiva agli inizi del 310. Il recupero

dell’ Africa, dopo le difficoltà e i contrasti interni degli anni 308-309, era funzionale all'avvio di una politica di espansione. Secondo Zosimo, Massenzio pensava di impossessarsi dei dominii di Licinio, che evidentemente, all'epoca dell'e-

laborazione del progetto, riteneva un avversario più debole di Costantino. Massenzio concepi l'idea di procedere parallelamente in direzione della Rezia, per interrompere le comunicazioni tra Costantino e Licinio, e verso la pianura pannonica, per avere poi mano libera contro Costantino. Le regioni esposte alle mire di Massenzio corrispondono all'estensione della pars di Licinio Augusto prima della morte di Galerio: la Rezia, la Dalmazia e “le terre degli Illiri” (‘Partiav [...],

Δαλματίας καὶ Ἰλλυριῶν). Con l'etnico Ἰλλυριῶν Zosimo intendeva probabilmente la parte più settentrionale dell’Illirico, quella a ridosso dell’arco alpino, come si deduce dalla sua descrizione della posizione della Rezia, καὶ

Γαλλίᾳ καὶ

τοῖς Ἰλλυριῶν κλίμασι πλησιάζοντος 161. È possibile che Zosimo

volesse

alludere

a un programma

massenziano,

ir-

realizzato o fallito, pianificato quando Licinio governava le

province comprese tra l'alto corso del Danubio, le Alpi el’ Adriatico (1’Illirico settentrionale), ma non le Mesie, la Tracia, la Macedonia e la Grecia, che egli riuscì a occupare nel mag-

gio-giugno del 311 alla morte di Galerio Augusto 162, La spe161 Sul valore lyricum, RE IX/I, “Die Sprache” 11 i recenti contributi

dei termini Illyrii (Ἰλλυρίοι), Illyricum cfr. G. WEICKER, Ilcoll. 1085-1088; H. KRoNassER, /llyrier und Illyricum, in (1965), pp. 155-183; sugli aspetti politico-amministrativi cfr. raccolti in Westillyricum und Nordostitalien in der spätrömi-

schen Zeit, Ljubljana 1996. 162 In base ad alcuni ritrovamenti numismatici, V. Picozzi, Una campagna di Licinio contro Massenzio nel 310 non attestata dalle fonti letterarie, in “NAC” 5 (1976), pp. 267-275, ha ipotizzato l’esistenza di un tentativo di invasione dell’Italia ad opera di Licinio Augusto nel 310, Al di là di queste deboli testimonianze, è possibile che siano avvenuti degli scontri nell’area istriana per iniziativa di Licinio all’epoca della spedizione africana di Volusianus; 0, viceversa, che Massenzio abbia tentato invano un attacco sul confine dalmatico, epi-

sodio che corrisponderebbe a una delle linee di attuazione del progetto politicomilitare massenziano ricordato da Zosimo.

261

dizione di Volusianus, preludio ἃ un progetto di espansione di Massenzio al di là delle Alpi orientali, potrebbe risalire, dun-

que, a un momento successivo alla scomparsa di Massimiano Erculio (primi mesi del 310) e anteriore alla morte di Galerio (primavera del 311).

Anche la monetazione massenziana emessa dalla zecca di Ostia farebbe propendere per una vittoria di Volusianus in Africa all’incirca nello stesso periodo, più precisamente prima dei Quinquennalia di Massenzio, celebrati a Roma il 28 ottobre 310. Alcune coniazioni di Massenzio, in oro e in bronzo placcato d’argento, inneggiano alla victoria aeterna Aug(usti) n(ostri) e celebrano 1 vota Quinquennalia, Decen-

nalia e Vicennalia dell’imperatore 163, Un’altra moneta d’oro, ricollegabile alle precedenti emissioni, ricorda la pax aeterna Aug(usti) n(ostri) e mostra sul verso le personificazioni di

Roma e dell’ Africa (riconoscibile dal copricapo a protome di elefante) 161, E possibile che queste serie monetali siano state coniate all’epoca delle vittorie su Severo e Galerio Augusti nel 307 e dell’assunzione del titolo di Augusto da parte di Massenzio, ma non è affatto sicuro che allora la zecca ostiense fosse già attiva. Al contrario, la zecca di Ostia funzionava

verso la fine del 310, quando Massenzio celebrò il suo quinto anno di regno, ed è possibile che sia stata inaugurata in seguito alla chiusura di quella “ribelle” cartaginese dopo la caduta di Domitius Alexander. Se queste serie inneggianti alla victoria aeterna, con i vota per Massenzio, e alla pax aeterna, con figurazione dell’ Africa, videro la luce in occasione

delle feste quinquennali, avremmo un indizio a favore dell’anteriorità della spedizione di Volusianus al 28 ottobre 310. L'elemento che invita maggiormente a porre la spedizione africana di Rufius Volusianus nel corso del 310 ὃ l’identificazione del prefetto del pretorio con un nobile senatore che compi una brillante carriera, quasi esclusivamente in Italia, tra il regno di Probo e quello di Costantino: C. Ceionius Rufius Volusianus 165, Abbiamo accennato agli esordi della car16 RIC VI, p. 401, n. 8 sg.; p. 406, n. 60-64. Cfr. A. ARNALDI, Il motivo dell'aeternitas Augusti nella monetazione di Massenzio, in "NAC" 6 (1977), pp. 271-280.

164 RIC V], p. 401, n. 4. 165 Su C, Ceionius Rufius Volusianus vd. O. SEEck, Ceionius 17 e 18, RE III,

col. 1859; PIR? R 161; PALLU DE LESSERT, pp. 16-18; L. PomssoT, La carriere de trois proconsuls d’afrique contemporains de Dioclétien, in "MSNAF"

262

76

riera di questo clarissimo ἃ proposito di due sue correcturae Italiae, anteriori alla provincializzazione della penisola, esercitate senza soluzione di continuitä entrambe in Campania

negli anni '80 del III secolo 166, Senza entrare nel merito della discussione sulla sua lunga carriera, è sufficiente delinearne le tappe. Questo consentirà di precisare il contesto politico in cui maturò, contro una prassi radicata, la scelta di Mas-

senzio di nominare un senatore alla prefettura del pretorio. Oltre ad alcuni sacerdozi pagani, C. Ceionius Rufius Volusianus ricoprì, dopo la (duplice) correttura italica in Campania, il proconsolato d' Africa, con grande probabilità negli anni 305-307. E possibile che l'usurpazione di Massenzio lo sorprese nella sede di Cartagine e che Volusianus, nominato proconsole d' Africa da Massimiano Erculio o da Costanzo I, accettasse — come, per esempio, il prefetto urbano Annius Anullinus — l'elevazione del giovane principe 167, La fiducia di Massenzio nel nobile Volusianus ὃ testimoniata, senza om-

bra di dubbio, dagli incarichi di grande prestigio che egli rivesti durante il governo dell'usurpatore: oltre alla prefettura del pretorio, una prefettura urbana nel quinto anno di Massenzio, dal 28 ottobre 310 al 28 ottobre 311, e un consolato

ordinario Dopo la surpatore prosegui

massenziano dal settembre al dicembre del 311. vittoria di Ponte Milvio il favore accordato dall’ual senatore non compromise la sua carriera. Essa sotto Costantino per alcuni anni con altri incarichi

eccellenti !68, (1919/23), pp. 323-341; BARBIERI, p. 265, n. 1508; CuasrAGNOL 1962, pp. 52-58; PLRET, pp. 976-978 e 1138; M. T. W. ARNHEIM, The Senatorial Aristocracy in the

Later Roman Empire, Oxford 1972, pp. 40 sgg., 49 sgg., 130, 135, 195 sg.; T. D. BARNES, Two Senators under Constantine, in “TRS” 65 (1975), pp. 40-49 (=Early

Christianity and the Roman Empire, London 1984, IX), e 1982, pp. 94 sg., 100, 111, 114, 121, 127; JACQUES, p. 170; KUHOFF, pp. 32, 34, 121, 151, 154, 178, 180, 230 e 282, nota 87, con ulteriore bibliografia; Consuls, pp. 156 e 162 sg. 166 Vd. sopra, cap. I, pp. 62-64. 167 Il fatto che il proconsolato d' Africa compaia nel cursus honorum del senatore redatto dopo la vittoria di Costantino a Ponte Milvio (cfr. CIL, VI 1707, con p. 4740=/LS

1213, esaminato oltre), dove si tace delle cariche massenziane,

obbliga a porre la nomina di Volusianus alla guida dell’illustre provincia africana in un momento precedente all'usurpazione di Massenzio. Tuttavia la serie delle testimonianze sui proconsoli d' Africa degli anni 284-306 (cfr. PLRE I, p. 1073) valorizza l'ipotesi che il proconsolato di Volusianus possa aver coinciso col critico passaggio dell' Africa Proconsolare dal controllo legittimo di Massimiano Erculio, quindi di Costanzo I, a quello di Massenzio. 168 Dopo

l'affermazione di Ponte Milvio,

il senatore Volusianus,

allora al-

263

Per un fenomeno

diffuso in età tardoantica, nelle iscri-

zioni fatte incidere da Volusianus, e in quelle incise su monumenti realizzati in suo onore, si evitò, per un certo tempo, di indicare o di fare riferimento implicito alle cariche rivestite durante l’usurpazione di Massenzio 169. Per questa ragione non resta traccia epigrafica della sua prefettura del pretorio. Questa rimozione, anziché indebolire l’identità tra il senato-

re e il prefetto del pretorio, permette di saggiare l’importanza di quell’incarico nella storia del principato di Massenzio e di restituirlo all’atmosfera politica di quegli anni. Nel corso del 314 Volusianus, allora console ordinario e prefetto urbano vice sacra iudicans, fece elevare nel Foro di

Traiano — spazio per eccellenza solenne della Roma tardoantica - un monumento, oggi perduto, a Costantino 170. Nell’indicare le cariche ricoperte al momento della stesura della dedica, Volusianus si limitó a qualificarsi come consul ordinarius e praefectus urbi vice sacra iudicans, benché a rigore egli fosse allora sia console ordinario, sia prefetto urbano per la seconda volta (iterum, piuttosto che bis, perché l'iterazione è indicata mentre l'incarico è in corso). E evidente che il senatore ne] 314 voleva cancellare la memoria delle cariche

ricevute dal defunto Massenzio. Questa accortezza ebbe anche l'ignoto dedicante — o gli ignoti dedicanti — di un monumento, coevo o di poco successivo alla dedica dal Foro di Traiano, realizzato 1n onore dell'illustre senatore romano. La

dedica riporta il cursus honorum di Ceionius Rufius Volusianus senza ricordare le cariche massenziane !?!, Tuttavia un'i-

l'incirca sessantacinquenne, fu comes di Costantino e rivesti una seconda prefettura urbana (dall'8 dicembre 313 al 20 agosto 315), che coincise con i Decennalia celebrati dall’imperatore a Roma; inoltre cumuló l’incarico prefettizio

con la cognitio vice sacra, primo prefetto urbano a coniugare i due incarichi. Fu di nuovo console ordinario, 1] primo membro niani che il maximus Augustus impose a tutto mine delle guerre tra 1 successori dei Tetrarchi pretorio di Costantino Petronius Annianus (su

della coppia di consoli costantil'impero il 1 gennaio 314, al ter— il suo collega fu il prefetto del cui vd. oltre).

16? Su] problema del silenzio delle fonti epigrafiche sulle cariche ricoperte durante il regno degli usurpatori nei cursus di senatori del IV-V secolo cfr. D. VERA, La carriera di Virius Nicomachus Flavianus e la prefettura dell'Illirico orientale nel IV secolo d.C., in "Athenaeum", n.s., 61 (1983), pp. 24-64 (su C.

Ceionius Rufius Volusianus in particolare p. 61 e nota 131). 170 CIT, VI 1140, con p. 4328-ILS 692. 171 CIL, VI 1707, con p. 4740=/LS 1213, una dedica rinvenuta a Roma nel-

la chiesa di S. Pudenziana e successivamente scomparsa.

264

scrizione frammentaria, oggi perduta, elevata dal senato sul Campidoglio alla fine del regno di Costantino in onore del figlio di Volusianus, Ceionius Rufius Albinus, allora prefetto urbano, conteneva anche la menzione degli incarichi ricoperti da Volusianus durante l’usurpazione di Massenzio 172, Nell'epigrafe si celebravano, infatti (almeno), i due consolati ordinari del senatore (bis ordinarius consul), quello massenziano del 311, e quello costantiniano del 314, mentre una lacu-

na dell’iscrizione permette solo di ipotizzare la menzione delle prefetture massenziane e costantiniane. All’epoca della redazione di questa epigrafe, negli anni 336-337, venticinque anni dopo la caduta dell’usurpatore, non si sentiva più il bisogno di tacere dei trascorsi massenziani del senatore. Un recente ritrovamento epigrafico, di provenienza ignota e conservato nel giardino dell’ Antiquario del Celio, ha restituito un frammento di una dedica a C. Ceionius Rufius Volusianus, contenente anche il cursus honorum, purtroppo, lacunoso, del senatore 173, Gli editori hanno proposto la seguente restituzione del frammento: [- c. 6 -]ii/ [- c. 20 ]mio Ceionio Rufio!{Volusian]}o, (vac.)/ [v(iro) c(larissimo), praef(ecto) urbi iudici sacraru]m cognitionum,/ [consuli ordinario, comiti] d(omini) n(ostri) Constantini / [-c. 18- Pii Felici]s semper Aug(usti), / [praef(ecto) urbi iterum, consuli ordinario] iterum,I[---]+e/------ . Secondo gli editori nel cursus honorum di Volusianus dopo la menzione della prima prefettura urbana e del primo consolato ordinario (massenziani) seguivano la comitiva costantiniana, la seconda prefettura urbana e il secondo consolato ordinario (costantiniani); a questo secondo consolato sì riferirebbe l’iterum della linea 7. L'iscrizione ricorderebbe, dunque, anche due cariche massenziane e potrebbe risalire, come la

dedica capitolina del senato al figlio di Volusianus, Ceionius Rufius Albinus, a una fase avanzata del principato di Costantino, quando il ricordo di Massenzio era meno forte. Eventualmente il monumento, con

gli incarichi massenziani, poteva trovare la sua collocazione in ambito privato, per esempio nella domus dei Ceionii. Questa ricostruzione è 172 CH, VI 1708+31906=41318=/LS 1222. U' iscrizione è certamente cessiva al 1 gennaio 335, quando Rufius Albinus divenne console ordinario, via della menzione del suo consolato. Anche il ricordo, nell’iscrizione, dei centottantuno anni post Caesariana tempora (45-44 a.C.) trascorsi prima

sucper treche,

grazie a Rufius Albinus, il senato ottenesse la facoltà di creare tutti i questori (e

i pretori?), riporta al periodo 336-337 (su questa cronologia cfr., ultimamente,

G. Alföldy, in CIL, VI, p. 5051). 173 Cfr. M. BuronI, S. PANCIERA, Iscrizioni senatorie di Roma e dintorni, in

EOS 1, pp. 644-647 (=AE 1984, 145=CIL, VI 41319). Il ricordo della comitiva costantiniana (lin. 5) obbliga a riconoscere in questo Ceionius Rufius il nostro Volusianus, console ordinario nel 311 e nel 314.

265

possibile. Tuttavia vale la pena di ipotizzare una lettura diversa del frammento epigrafico. L’integrazione delle linee 4 e 7 sembra contenere qualcosa di contraddittorio, perché la prefettura urbana con cognitio vice sacra (lin. 4) non è altro che la prefettura urbana iterum rivestita da Volusianus nel 313-315 (lin. 7), come indicano chiaramente le dediche del Foro di Traiano e di 5. Pudenziana. Volusianus ottenne da Costantino la prefettura urbana con cognitio vice sacra alla fine del 313 e la sua cognitio straordinaria, in vece dell’imperatore, è la prima sicuramente docu-

mentata nella storia della prefettura di Roma. Essa appare adeguata al contesto storico, visto che Costantino, quando la conferì al senatore, sa-

peva che avrebbe lasciato Roma poche settimane dopo la nomina del prefetto urbano per tornare a Treviri. Che una simile cognitio straordinaria fosse stata concessa a Volusianus da Massenzio all’epoca della nomina alla prefettura urbana, nel 310-311, oltre a non essere testimo-

niato nelle fonti, appare contraddetto dal fatto che Massenzio risiedet-

te stabilmente nella capitale. Sembra difficile immaginare che l’imperatore della città di Roma delegasse la capacità istruttoria imperiale al prefetto della città dove egli soggiornava. Pur ammettendo che la prima prefettura urbana di Volusianus (quella del 310-311) fosse già dotata della cognitio vice sacra — cosa che riteniamo improbabile — dovremmo immaginare che il frammento del Celio contenga un cursus honorum ascendente aperto dagli incarichi ricoperti sotto l’usurpatore, ma stranamente privo del ricordo del proconsolato africano e delle corretture italiche, che cronologicamente li precedevano. Il modello del frammento dall’ Antiquario del Celio è rappresentato dalla dedica proveniente da 5. Pudenziana. Anch’essa fu incisa su un monumento elevato a C. Ceionius Rufius Volusianus: si apriva con un elogio — forse col signum del dedicatario — procedeva con l’onomastica e il cursus honorum ascendente del senatore (dai correttorati d’Italia, alla lin. 3, alla prefettura urbana e al consolato costantiniani, lin. 8),

e, con ogni probabilità terminava col nome del dedicante (o dei dedicanti). E probabile che la dedica dell’ Antiquario del Celio, anch’essa priva del nome del dedicante, nella struttura fosse simile a quella di S. Pudenziana ed evitasse di ricordare la milizia massenziana di Volusianus. Possiamo ipotizzare che anche l’epigrafe del Celio abbia contenuto il cursus honorum del senatore, ma, diversamente dall’iscrizione di S. Pudenziana, redatto in forma discendente, se l’indicazione della prefettura urbana all’inizio del cursus (lin. 4) è, come riteniamo per via della cognitio vice sacra, la seconda rivestita dal senatore. Muovendo

dai suggerimenti degli editori, le linee 4 sgg. dell’iscrizione dell’ Antiquario del Celio potrebbero essere integrate, con cautela: [v(iro) c(larissimo) praef(ecto) urbi, iudici sacraru]m cognitionum! [et consuli ordinario, comiti] d(omini) n(ostri) Constantini / [Maximi Pii Felicis invicti alc semper Aug(usti), / [proco(n)s(uli) Africae, correctori Italiae] iterum, | -- ---- . La ricostruzione,

molto ipotetica, tiene conto:

a) del

fatto che le presunte dimensioni dello specchio epigrafico — notevole,

266

se si considerano lo spazio vacante alla destra del cognome Volusiano (lin. 3) e il limitato ricorso alle abbreviazioni — sembrano lasciare spazio all’inserimento del cursus completo del senatore; b) della reticenza del senatore e dei suoi devoti a ricordare le cariche rivestite durante l’usurpazione di Massenzio negli anni in cui Volusianus raggiunse l’apice della notorietà e, verosimilmente, gli furono dedicati i monumenti esaminati; c) del fatto che il cursus di Volusianus si apriva con l’indicazione degli incarichi ricevuti da Costantino negli anni 313-314 e che la prefettura urbana e il consolato costantiniani si sovrapponevano e potevano, quindi, occupare indifferentemente il primo o il secondo posto nel cursus discendente; Volusianus entrò in carica come prefetto di Roma 1°8 dicembre 313, quando senza alcun dubbio egli era già consul ordinarius designatus per il 314, e fu congedato il 20 agosto 315, otto mesi dopo la fine del suo mandato consolare eponimo: le due nomine potevano considerarsi sincroniche 174; 4) del fatto che Volusianus stesso riteneva la sua correttura italica esercitata in Campania come iterata nel momento in cui Caro o Carino rinnovò il suo mandato !^. In un cursus dettagliato, come sembra essere stato quello della dedica del Celio, è possibile che il dedicante intendesse celebrare il duplice mandato che

caratterizzò la correttura italica del senatore. Invece di concentrarsi sulla durata complessiva delle due corretture, come fecero i dedicanti dell'iscrizione di S. Pudenziana 176, e invece di utilizzare l'avverbio bis,

come ci si aspetterebbe per un duplice incarico concluso da tempo all'epoca dell'incisione dell'iscrizione, 1] dedicante dell'epigrafe dell'Antiquario del Celio potrebbe aver indicato due volte l'incarico di corrector Italiae. In ogni caso non é affatto sicuro, e, anzi, appare improbabile, che nel frammento epigrafico del Celio fossero ricordate le cariche massenziane di Volusianus.

All'indomani della battaglia di Ponte Milvio C. Ceionius 174 La precedenza della prefettura urbana sul consolato ordinario nel cursus (discendente) di Volusianus dall' Antiquario del Celio potrebbe spiegarsi nel caso in cui l'iscrizione fosse stata redatta dopo la fine del mandato consolare e prima del congedo dalla prefettura urbana, cioè tra il 1 gennaio e il 20 agosto 315. Il dedicante poteva dare al cursus un andamento rigorosamente discendente ponendo al primo posto la prefettura urbana, carica ancora rivestita al momento della preparazione del monumento, e al secondo posto il pur prestigioso consolato ordinario, allora già concluso. La proposta di integrazione della linea 6 valorizza gli elementi della titolatura di Costantino presenti nelle dediche di S. Pu-

denziana e del Foro di Traiano, e tiene conto della titolatura dell'imperatore diffusasi subito dopo la vittoria su Massenzio, cfr. GRÜNEWALD,

Constantinus, cit.

(sotto, a nota 194), pp. 180 sgg. Alla linea 6, la parte superiore della lettera interessata dalla frattura potrebbe essere il resto di una C, e non di una S (cfr. la foto pubblicata in CIL, VI 41319). 175 CIL, X 1655 (linn. 6 sgg): eorum iudicio beatissimus iterum corrector. U6 CIT, VI 1707, con p. 4740=/LS 1213 (lin. 3): corr(ectori) Italiae per

annos octo.

267

Rufius Volusianus e la cerchia che beneficiava del suo influente patronato volevano cancellare la memoria dell’adesione del senatore al regime di Massenzio. Questo spiega il silenzio sulla sua prefettura del pretorio. La carica di prefetto del pretorio era molto compromettente per via delle alte responsabilitä politiche e militari che comportava. Per la vicinanza e la stretta collaborazione tra l’ Augusto e il suo prefetto — evidente, per esempio, nel caso di Sabinus 177 — essa

presupponeva la fedeltà verso il sovrano e la fiducia di questo verso il titolare della prefettura. Nel gruppo dei senatori che avevano collaborato con Massenzio, quindi, Volusianus doveva essere, o rischiava di apparire, fra i più compromessi. A tale proposito appare istruttivo il confronto con il caso di un altro illustre senatore che svolse la sua carriera politica tra i regni di Massenzio e Costantino: C. Vettius Cossinius Rufinus 178, Nella bella dedica che gli offrirono gli abitanti di Atina in Campania nel 315, a differenza di quanto avveniva in quegli anni per Volusianus in Roma, si ricordano anche le cariche massenziane, rivestite in Italia

e a Roma !7°. I] fatto

potrebbe non sorprendere, soprattutto se si considera che nell'iscrizione il ricordo del governatorato campano ricevuto da Massenzio era inserito per esaltare la prudenza di Rufinus, che aveva tutelato la città di fronte all’oppressione del tiranno: in correctura eius, quae saevissimam tyrannidem incurrerat, nullam iniuriam sustinuerit. Quel che attira l’attenzio-

ne ἃ piuttosto l'indicazione della comitiva di cui Rufinus si fregió dopo la caduta di Massenzio: comes Augustorum nostrorum, cioé comes di Costantino e Licinio Augusti. Volusianus non compare mai come comes di Licinio Augusto, né egli si considerava tale. La documentazione superstite invita a pensare che egli sia stato onorato con l'assunzione fra i comites dal solo Costantino e che la sua comitiva — fosse o meno esplicitamente respinta da Licinio — non poteva estendersi all'Augusto coreggente. Insomma, se Vettius Cossinius Rufinus veniva ricordato per la moderazione con cui aveva amministrato alcune provincie italiche sotto Massenzio e figurava fra i comites di Licinio — la sua personalità in un cer-

177 Vd. sopra, pp. 214-237. 178 Su] personaggio vd., in sintesi, PLRE I, p. 777, e, sotto, p. 363.

V9? CIL, X 50612ILS 1217.

268

to senso riceveva lustro dal suo periodo massenziano e non gli precludeva la stima di Licinio --, Volusianus e i 5001 devoti erano ricorsi a una rimozione sistematica dei trascorsi massenziani del senatore, che in nessun modo poteva rite-

nersi comes di Licinio Augusto. La possibilità che Volusianus non fosse un personaggio particolarmente gradito a Licinio Augusto, comunque non fino al punto di far parte della comitiva di questo sovrano, potrebbe essere avvalorata da un altro particolare. Lo stesso senatore, nel far elevare il monumento a Costantino nel Foro di Traiano, inserì, come logico, le cariche da lui ricoperte al momento della redazione della dedica, consul ordinarius, prae-

fectus urbi vice sacra iudicans, ma tacque della comitiva costantiniana, che pure — a giudicare dal cursus ascendente della dedica di S. Pudenziana e dalla ricostruzione del cursus discendente dell’iscrizione dell’ Antiquario del Celio — egli già possedeva. Nel 314 Volusianus sembra avere passato volontariamente sotto silenzio il suo titolo di comes

Constantini,

che compare nelle dediche romane elevate da altri in suo onore, forse per non dover alludere al fatto che in nessun modo egli poteva essere anche comes Licini. Per obliterare del tutto la memoria

della recentissima militanza massenziana,

su

un monumento che necessariamente spiccava nel centro della capitale, il senatore poteva spingersi fino a cancellare ogni minimo

riferimento,

anche

indiretto,

che

richiamasse

alla

mente dei concittadini le sue precedenti scelte politiche. Egli voleva apparire allora semplicemente prefetto urbano e console ordinario per la prima volta. Da parte sua Licinio avrà accettato il consolato costantiniano del 314, anche perché rifiutando l’eponimia proposta dal maximus Augustus — la designazione consolare era una delle prerogative dell’ Augusto

maggiore — avrebbe potuto provocare una nuova crisi politica. Tuttavia non si dovrebbe trascurare il fatto che Volusianus, prefetto del pretorio di Massenzio, protagonista della caduta di L. Domitius Alexander, dovette essere durante il suo mandato prefettizio, anche, e necessariamente, un oppositore

di Licinio, che era stato elevato a Carnuntum con lo scopo di abbattere l'usurpatore italico. I silenzi e le rimozioni nelle iscrizioni dell'anziano senatore Volusianus, incise negli anni immediatamente successivi alla battaglia di Ponte Milvio, so-

stengono l'ipotesi di una piena identità tra l'illustre personaggio e il prefetto del pretorio di Massenzio e contribuisco260

no ἃ tratteggiare l’atmosfera di conciliazione forzata che caratterizzò le relazioni tra Costantino e Licinio dopo le rispettive affermazioni su Massenzio e su Massimino !80, Volusianus fu promosso prefetto di Roma il 28 ottobre 310, giorno dei Quinquennalia di Massenzio 181, Naturalmente egli deve essere stato congedato poco prima dalla prefettura del pretorio. Il suo incarico di prefetto del pretorio nel comitatus di Massenzio, come anche la spedizione africana contro L. Domitius Alexander, dovranno collocarsi nel corso

del 310. La data della nomina di Volusianus alla prefettura del pretorio resta incerta, mentre la promozione alla prefettura urbana, al principio del solenne quinto anno di regno di Massenzio, dovrà essere interpretata come una gratificazione

verso il funzionario che aveva combattuto per la riconquista dell’ Africa. AI di là del problema cronologico della nomina di Volusianus alla prefettura del pretorio, non c’è dubbio che Massenzio, scegliendo un nobile senatore quale suo prefetto del pretorio, trasgredì sia la norma augustea, che imponeva di

estrarre il prefetto del pretorio dall’ordine equestre, sia la prassi, diffusasi nella seconda metà del III secolo, che consi-

gliava di preferire un comandante con una solida esperienza militare. Il fatto che le operazioni belliche che portarono all'eliminazione di L. Domitius Alexander siano state condotte da Zenas, il vero comandante

militare della spedizione,

conferma indirettamente che 1] prefetto del pretorio Volusianus era un aristocratico, versato nella carriera amministrativa civile, ma, come i membri del suo ordine dopo la riforma

di Gallieno, ben poco esperto di guerra. La scelta di Volusianus appare comunque significativa e potrebbe essere stata 130 A livello onomastico si consideri che esiste una coincidenza tra le testimonianze di Aurelio Vittore e di Zosimo sul prefetto del pretorio (denominato

rispettivamente Rufius Volusianus e Ῥούφιος Βουλουσιανός) e quattro iscrizioni del senatore C. Ceionius Rufius Volusianus. In CIZ, X 1655 e in CIL, VI 2153 il personaggio indica se stesso semplicemente come Rufius Volusianus; in CIL,

X 304* e in CIL, VI 1708+31906=41318=/LS 1222, la stessa onomastica è utilizzata dai dedicanti dei due diversi monumenti per onorarlo. E probabile che, in generale, il prenome Gaius e il gentilizio Ceionius fossero avvertiti come me-

no significativi del gentilizio Rufius e del cognome Volusianus per individuare il personaggio, e il loro uso fosse riservato a testi epigrafici estesi e di particolare prestigio;

sulle varianti

dell’onomastica

tardoromana

cfr., di recente,

AL.

CAMERON, The Antiquity of the Symmachi, in “Historia” 48 (1999), pp. 477-505.

18! MGHAA IX, Chron. Min. 1, p. 67.

270

imposta dall’evoluzione delle vicende politiche. Massenzio era stato acclamato

a Roma,

nell’avanzato

306, perché la

prospettiva di un suo principato coagulò, in quel momento, gli interessi di gruppi diversi: le truppe romane vedevano nel figlio dell’Erculio un difensore della loro integrità, di fronte alle minacce di dissolvimento paventate da Galerio; i senato-

ri romani e italici probabilmente temevano il nuovo, più stringente, census che Galerio stava introducendo nella penisola, e vedevano nel giovane senatore, porfirogenito, ma residente nella capitale, un possibile patrono dei loro interessi; la plebe urbana osteggiava l’estensione del census alla capitale e, probabilmente, sperava nell’incremento dell’indotto economico e del fastoso apparato, fatto di giochi, distribuzioni, edilizia monumentale, privilegi, che la presenza della

corte del sovrano nella capitale avrebbe potuto garantire 182. Questo grappolo di interessi, insieme alla devozione dell’esercito di Severo per la progenie di Massimiano Erculio, può spiegare il successo di Massenzio, ma anche il fenomeno del passaggio di senatori illustri, come Annius Anullinus, Vettius Cossinius Rufinus e Volusianus dalla sua parte. Questo clima positivo creatosi intorno a Massenzio, però, venne meno nel corso del 308, dopo che Massimiano Erculio abbandonò suo figlio, L. Domitius Alexander staccò l’ Africa dai dominii massenziani e le decisioni del Convegno di Carnuntum iso-

larono completamente il giovane imperatore, opponendogli, secondo i desideri di Galerio, un Augusto concorrente, Lici-

nio. Per Massenzio, signore solo dell’Italia, iniziò un biennio

di difficoltà economiche e militari, di cui fecero le spese la classe senatoria, oppressa e delusa, e la plebe romana, le cui

rivolte vennero sanguinosamente represse dai pretoriani !83. 182 Il progetto di Galerio di equiparare la capitale, da un punto di vista fiscale e militare, a qualunque altra città provinciale, e la viva opposizione che esso suscitò a Roma, sono evidenziati da Lattanzio (Pers. 26, 1-3); non c’è dubbio che Galerio, nel 307, individuasse, con profondo disappunto, nel senato e nel popolo di Roma i sostenitori di Massenzio (Pers. 27, 2).

183 Per la repressione delle sommosse popolari a Roma, ordinata da Massenzio durante la carestia, vd. sopra, nota 145. Senza dubbio sorsero tensioni con l'ordine senatorio; cfr. Pan. Lat. 9 (12), 4, 4; 5-7; Pan. Lat. 10 (4), 8, 3; 31,

1; 33, 7; Eus., H. E. VIII

14; Chron.

354,

in

MGH

AA

IX,

Chron.

Min.

1,

p. 148; Aur. Vict, Caes. 40, 24-30; Eutr. X 4, 3; Zon. XII 33 (pp. 165 sgg. Dindorf). E difficile dire, perö, fino a che punto la propaganda costantiniana abbia contribuito a enfatizzare le incomprensioni createsi tra Massenzio e il senato. Appare significativo, comunque, che il senato non compaia mai nella moneta-

271

La sua posizione di Augusto in Roma, 1 rapporti difficoltosi con l’aristocrazia della capitale e, come piü volte notato, le ristrettezze derivanti dalla secessione dell’ Africa, potrebbero aver spinto Massenzio a nominare, contro la prassi, un sena-

tore, già proconsole d' Africa, alla prefettura del pretorio. E possibile, cioè, che, (almeno) nel 310, Volusianus sia stato

uno strumento funzionale alla ricostruzione dei rapporti tra Massenzio e l’ordine senatorio, ma adatto anche a riallaccia-

re le relazioni tra Roma e Cartagine nella prospettiva dell’annientamento di Domitius Alexander. La nomina di un nobile alla prefettura del pretorio restò, anche per il principato massenziano, un’esperienza circoscritta, dettata, come sembra, dalla congiuntura politica. Essa

appare, per certi versi, un fenomeno occasionale, visto che Massenzio, come vedremo, scelse i suoi prefetti del pretorio,

successori di Volusianus, nell’ordine equestre. La nomina di un senatore alla prefettura del pretorio risulta, per altri versi, un fenomeno prematuro, se confrontata con l’amplissimo riordino sociale realizzato più tardi da Costantino; un riordi-

no che conoscerà sia il reclutamento dei prefetti del pretorio tra 1 clarissimi di nascita, appartenenti all’antica nobiltà, sia tra i senatori meno nobili (entrati di recente nell’ordo tramite

adlectio, o la questura e la pretura), sia — ed è l'aspetto più rivoluzionario — l’ingresso sistematico dei prefetti del pretorio nell’ordine senatorio, nel caso della nomina di funzionari di rango equestre, al momento dell’accesso alla massima prefet-

tura, con un’apertura innovativa dell’ordine a personaggi emergenti, spesso dal meriti esclusivamente burocratici. Un altro prefetto del pretorio di Massenzio è conosciuto esclusivamente attraverso fonti letterarie: Ruricius Pompeianus 184, Il suo nome

è tramandato dall’anonimo retore che

pronunciò in Gallia il panegirico del 313 a Costantino Auguzione massenziana, che nessun senatore (eccettuato il breve consolato di Volusianus alla fine del 311) sia stato console ordinario durante la reggenza, tutta romana, di Massenzio, che i prefetti urbani da lui scelti per lo più non appartengano alle maggiori famiglie dell’epoca, che la vittoria di Costantino a Ponte Milvio sia stata accolta con sollievo e con espressioni di giubilo dai senatori, e che le carriere dei senatori romani siano state rivitalizzate durante il governo costantiniano. 184 Su Ruricius Pompeianus vd. O. SEEcK, Ruricius 1, RE I A/1, col. 1232;

PLRE I, p. 713; BARNES 1982, p. 127.

272

sto 6 da Nazarius nel panegirico romano del 321. Pompeianus fu, infatti, il comandante

delle forze dı Massenzio che

tentarono di opporsi a Costantino in Italia settentrionale nel settembre-ottobre del 312 18. Di questo personaggio era ri-

masta celebre la grande perizia militare (expertissimus belli et tyrannicorum ducum columen) e l'accanimento con cui difese, fino alla morte, il Veneto massenziano contro il corpo di

spedizione di Costantino !8. Cadde durante la sanguinosa battaglia di Verona. Le parole dei due oratori gallici conservano le uniche notizie superstiti su Ruricius Pompeianus !97, Questo prefetto del pretorio era in carica all'epoca della spedizione di Costantino, nella tarda estate del 312. Non sappiamo quando ottenne la nomina alla prefettura del pretorio, ma é probabile che egli sia stato l'ultimo prefetto del pretorio di Massenzio. Poche settimane dopo la caduta di Verona l'usurpatore comandó personalmente i pretoriani e le truppe italiche e africane nello scontro finale presso Ponte Milvio, ed & possibile che, in quel convulso periodo, Massenzio non abbia avuto il tempo di nominare 1] successore di Pompeianus. In ogni caso appare rilevante i] fatto che, nel periodo del confronto militare, decisivo, con Costantino, l'imperatore Massenzio si sia avvalso della collaborazione — fedele e, malgra-

do la sconfitta, vigorosa — di un prefetto del pretorio estratto dall'ordine equestre e, soprattutto, secondo la tendenza piü volte evidenziata, dotato di una solida e riconosciuta espe-

rienza militare. La scelta del comandante Pompeianus fu evidentemente dettata a Massenzio dalla consapevolezza che le

185 Per un inquadramento dei due panegirici, 9 (12) e 10 (4), che costituiscono le fonti principali sulla guerra di Costantino nel 312 e, di conseguenza, sul

contesto storico dell'azione del prefetto del pretorio di Massenzio, cfr. GALLETIER, Panégyriques cit. (sopra, cap. I, a nota 50), pp. 105 sgg. e NIXON, SAYLOR RODGERS, In Praise cit. (sopra, cap. I, a nota 50), pp. 288 sgg. e 334 sgg.; sulla guerra tra Costantino e Massenzio cfr., di recente, anche W. Kunorr, Ein

Mythos in der römischen Geschichte: Der Sieg Konstantins des Grossen über Maxentius vor den Toren Roms am 28. Oktober 312 n.Chr., in “Chiron” 21 (1991), pp. 138 sgg. 186 Il sintetico profilo delle qualità del prefetto è in Pan. Lat. 10 (4), 25, 4. 187 L'azione energica, ma vana, di Pompeianus, e la sua morte in combatti-

mento nel tentativo di forzare il blocco posto da Costantino intorno a Verona, colpirono i contemporanei;

cfr. Pan. Lat. 9 (12), 8, 1; 8, 3; 10, 3; Pan. Lat.

10

(4), 25, 4; 25, 7. Un riferimento alla presenza dei generali di Massenzio e, quindi, di Ruricius Pompeianus, nell’Italia settentrionale e alla loro perizia bellica anche in Lattanzio, Pers. 44, 1.

273

giä critiche relazioni politiche con Costantino stavano precipitando e sarebbero sfociate in un difficile conflitto bellico. Il coraggio e l’ostinazione di Ruricius Pompeianus nel difendere fino all’ultimo Verona e il Veneto dall’attacco dell’esercito di Costantino trova la sua naturale spiegazione nell’importanza strategica di questo settore della penisola per il-controllo dell’Italia romana — un fattore che già è emerso a proposito delle guerre civili di Carino. Non è azzardato affermare che, in realtà, la battaglia in cui si decise la vittoria finale di Costantino e la sconfitta di Massenzio non si combatté tra Saxa Rubra e Ponte Milvio, ma a Verona. La caduta della città sull’ Adige e la dispersione dell’esercito massenziano condannarono l’usurpatore e aprirono a Costantino la via per Roma. Il valore chiave della battaglia di Verona risalta se inquadrato nel contesto della guerra italica del 312. La spedizione che Costantino, nel corso del 312, aveva progettato, non

aveva incontrato il gradimento del suo stato maggiore, che evidentemente la riteneva molto rischiosa !88. In effetti il tentativo di Costantino fu davvero molto ardito, se si tiene conto del quadro strategico in cui la sua campagna si inseriva. Nel 312 le partes dei quattro Augusti e i loro eserciti erano disposti in maniera tale che gli squilibri creati dal successo o dal fallimento della spedizione italica di Costantino avrebbero avuto — e di fatto ebbero — un peso enorme sulla sorte di una delle due coppie di alleati. Nella tarda estate del 312, quando varcò di sorpresa le Alpi a Susa, Costantino fu obbligato a vincere, nel più breve tempo possibile, contro l’esercito che Massenzio aveva schierato nell’Italia nord-orientale (punto nevralgico della difesa: da lì, evidentemente, ci si aspettava l’invasione). Costantino sapeva di non poter puntare su Roma senza essersi assicurato il controllo dell’area transpadana, perché altrimenti sarebbe stato attaccato alle spalle da una parte dell’esercito di Massenzio, e sarebbe finito imbottigliato !®. D’altra parte se fosse rimasto bloccato in Veneto, avrebbe rischiato seriamente di es-

sere eliminato e avrebbe certamente messo in pericolo il collega Licinio, schiacciato tra Massenzio

e Massimino.

Per questo Costantino fu

velocissimo nel muovere dal Reno a Susa e nel prendere alle spalle (dalle Alpi Cozie) l’esercito di Massenzio, schierato verso i valichi retico-pannonici !%. Dopo un primo scontro con i catafracti di Massenzio in campis Taurinatibus e un secondo scontro a Brescia, Costantino puntò sul nucleo dell’esercito di Massenzio, dislocato a Verona e protetto dal corso dell’Adige. L'esercito gallico attraversò di sorpresa il fiume e diede vita a due giorni di scontri sanguinosi, che si conclusero con la presa di Verona e con la morte del generale e prefetto del preto-

188 Pan. Lat. 9 (12) 2. 189 I] timore che la discesa in Italia di Costantino si trasformasse in una trappola è espresso anche nel panegirico del 313; cfr. Pan, Lar. 9 (12), 3, 4. 190 Pan, Lat. 9 (12), 5,4-5 e 6,2.

274

rio di Massenzio, Ruricius Pompeianus. Questi, con grande acume stra-

tegico, conosceva l’importanza, fondamentale, del controllo dell’area veneta, che cercò di conservare fino all’ultimo. Dopo Verona, l’ultimo

caposaldo della Transpadana, Aquileia, aprì le porte, dopo un breve assedio, al vincitore e consegnò i suoi presidii 151, Costantino provvide a radunare i vinti e, coperto in retroguardia dalla neutralità di Licinio, spostò decisamente il fronte verso Roma, dove Massenzio era attestato sulla difensiva 152. L'atmosfera della campagna militare dopo la conquista della regione transpadana mutò !93, Costantino poté scegliere il giorno dello scontro di Ponte Milvio — il 28 ottobre, dies imperii del suo nemico — e il 29 ottobre poté fare il suo ingresso trionfale a Roma !%. La vasta eco che circondò subito l’interpretazione della conquista costantiniana dell’Italia nacque anche dalla consapevolezza di Costantino, e dei suoi contemporanei, degli enormi rischi per la stabilità dell’impero romano che la campagna aveva comportato, nonché della destrezza con cui l’operazione era stata condotta a termine. Costantino aveva avuto successo nell’impresa fallita da Severo e da Galerio e mai

seriamente tentata da Licinio. E il momento chiave della campagna militare può essere individuato nell’affermazione sul prefetto del pretorio di Massenzio.

Un terzo prefetto del pretorio di Massenzio è conosciuto attraverso due iscrizioni provenienti dal Foro Romano. Si tratta di Manilius Rusticianus, già prefetto dell’annona, cura-

tore e patrono de probabilità zie all’analisi della colonia

di Ostia e vice prefetto del pretorio, con grana Roma, in età tetrarchica, come sappiamo gradella dedica ostiense elevatagli dai notabili 155. L’identità tra i due Rusticiani è fuori di-

scussione. Dopo aver ricoperto le cariche ricordate sul mo-

numento ostiense, il cavaliere fu dunque promosso da Massenzio alla prefettura del pretorio. Rusticianus è l’unico dei prefetti del pretorio dell’usurpatore a noi noti di cui siano conservate dediche al sovrano. La prima, pubblicata all’inizio del secolo da D. Vaglieri, e

191 Pan. Lat. 9 (12), 11, su cui vd. oltre.

192 Pan. Lat. 9 (12), 15. 193 Pan. Lat. 10 (4), 27, 5. 194 Sul clima ideologico generato dalla vittoria di Costantino a Ponte Milvio cfr., di recente, T. GRÜNEWALD, Constantinus Maximus Augustus. Herr-

schaftspropaganda in der zeitgenossischen Uberlieferung, Stuttgart 1990, in particolare pp. 63-112, e A. FRASCHETTI, La conversione. Da Roma pagana a Roma cristiana, Roma-Bari 1999, pp. 9 sgg. 195 CIL, XIV 4455 esaminata sopra, cap. II, pp. 142 sgg. Su Manilius Ru-

sticianus vd. sopra, cap. II, nota 62.

275

sottoposta ad un’attenta revisione da A. Chastagnol, ὃ incisa sul podio di una statua, rinvenuto nel tratto orientale della Via Sacra, di fronte alla Basilica di Massenzio 196: Domino nostro ἰ clementissimo / et piissimo | Maxentio / invicto | et providentiss(imo) / semper Aug(usto), / Manil(ius) Rusticianus / v(ir) em(inentissimus) praeflectus) praet(orio) / devotus n(umini) m(aiestati)g(ue) e(ius).

Come accade per le altre dediche prefettizie tardoantiche, i titoli magistraturali dell’imperatore sono stati omessi dal dedicante. Questo rende arduo ogni tentativo di datazione della dedica attraverso gli elementi forniti dal testo epigrafico. Abbiamo visto che, con estrema probabilitä, Massenzio sembra essersi avvalso della collaborazione di un solo prefetto del pretorio alla volta. L'esame delle testimonianze sugli altri due prefetti del pretorio di Massenzio conosciuti, C. Ceionius Rufius Volusianus e Ruricius Pompeianus, consen-

te però di fissare l’incarico prefettizio di Rusticianus in due periodi di massima: tra l’assunzione da parte di Massenzio del titolo di Augusto, nella primavera del 307, e la spedizione africana di Rufius Volusianus, verso la metà del 310; op-

pure tra il congedo di Volusianus dalla prefettura del pretorio, al più tardi nell’ottobre 310, e la nomina

di Ruricius

Pompeianus, probabilmente nel corso del 312. La seconda ipotesi cronologica è certamente da preferire, dopo che S. Panciera ha pubblicato, nel 1992, una seconda iscrizione fat-

ta incidere dal prefetto Manilius Rusticianus in onore di Massenzio 157, Anch'essa proviene dal Foro Romano, ma dall’area tra il Comizio e il lato occidentale della Basilica Emilia,

dove l’Argileto entrava nella piazza. Il podio su cui la dedica è incisa è stato variamente riutilizzato, ma il testo epigra-

196 Cfr. D. VAGLIERI, Nuove scoperte ripubblicata senza variazioni dall’editore, “BCAR” 31 (1903), p. 25, nota 1, e da C. Romanum, in “Klio” 2 (1902), p. 243, n.

cit. (sopra, cap. II, a nota 62), p. 65; Gli scavi recenti nel Foro Romano, in HULSEN, Neue Inschriften vom Forum 27; è confluita poi in CIL, VI 36949 e

in ILS 8934; sull’iscrizione cfr. ora CIL, VI, p. 4354. A. CHASTAGNOL, Deux chevaliers cit. (sopra, cap. II, a nota 55), ha corretto opportunamente una cattiva let-

tura del gentilizio del prefetto dedicante. 197 Cfr. PANCIERA, Un prefetto cit. (sopra, cap. II, a nota 115), pp. 249-263 (=AE 1992, 157=CIL, VI 40726).

276

fico ha subito danni sanabili, ed & anche probabile che non

sla stato spostato di molto dal luogo dove il prefetto fece erigere il monumento 198, La dedica, più estesa della precedente, presenta questo testo: [Do]mino nostro / [Impe]ratori Caesari / [Marc]o Aurelio Valerio / [Maxe]ntio Pio Felici / [in]victo Augusto, / [consuli]

saepius, p(atri) p(atriae), proconsuli, / [Manili]us Rusticianus v(ir) em(inentissimus) / [pr(aefectus) prae]t(orio) m(aiestati)q(ue) eius semper / [dlicatissimus.

n(umini)

A differenza della dedica dalla Via Sacra, questa iscrizio-

ne prefettizia dal Comizio contiene un elemento datante, come ha notato il suo editore. Alla linea 6, dopo una lacuna di sette lettere, compare l'avverbio saepius. Dal momento che nelle iscrizioni superstiti di Massenzio non compaiono mai le acclamazioni imperatorie, e le potestà tribunizie non presentano mai iterazioni, mentre talvolta ὃ segnalato il consolato,

l'editore ha sanato opportunamente la lacuna restituendo 1] sostantivo consuli. Ovviamente quando la dedica fu incisa Massenzio poteva fregiarsi di più di un consolato ordinario. L'espressione consuli saepius è un unicum per l'indicazione

dei consolati ed è molto più vaga dei numerali normalmente utilizzati nell'epigrafia latina. Tuttavia l'uso di questa formula non può essere casuale.

S. Panciera ha avanzato una proposta di datazione che appare condivisibile. Massenzio fu console ordinario quattro volte: nel 308, nel 309, nel 310 e nel 312 155. Poiché l'avverbio saepius indica una iterazione, può essere escluso il primo consolato massenziano. Attraverso il confronto con i tre proconsolati d’Asia di L. Egnatius Victor Lollianus e le tre prefetture urbane di Virius Nicomachus Flavianus iunior, la cui

iterazione è indicata epigraficamente con saepius, lo studioso ha ipotizzato che Manilius Rusticianus abbia voluto indi198 Benché non si abbiano notizie riguardo alle circostanze del ritrovamento, è ampiamente verosimile che la base sia stata rinvenuta durante gli

scavi che interessarono, fra il 1934 e il 1943, la zona del Foro compresa tra la Curia e la basilica Emilia; cfr. PANCIERA, Un prefetto cit. (sopra, cap. II, a nota 115), p. 252. Per un esame dello stato attuale del podio e per un'analisi dei reimpieghi che esso ha subito cfr. PANCIERA, Un prefetto cit., pp. 252 sg. e planche XII. 199 Cfr. Consuls, pp. 150, 152, 154, 158.

277

care con l’avverbio il terzo consolato di Massenzio, quello

del 310. Tenendo conto degli incarichi prefettizi di Rufius Volusianus e di Ruricius Pompeianus, l’editore ha proposto di datare la dedica dal Comizio, e, per conseguenza, anche quella dalla Via Sacra e l’intera prefettura del pretorio di Rusticianus, tra la fine del 310 e l’anno 311, quando Massenzio

ricopriva, o aveva appena rivestito, il suo terzo consolato. La promozione di Rusticianus alla prefettura del pretorio verso la fine del 310 potrebbe trovare un sostegno nell’evoluzione del principato massenziano. Dopo il senatore Volusianus, in carica negli anni difficili della secessione africana, e prima del generale Pompeianus, nominato probabilmente in vista dello scontro con Costantino, Rusticianus avrebbe

espletato il suo mandato prefettizio durante il quinto anno di regno dell’usurpatore. Anche se lo stato delle fonti sul principato massenziano, specialmente di tendenza favorevole, rende la ricostruzione lacunosa, sembra che gli ultimi due anni del regno di Massenzio siano stati segnati da una maggiore prosperità generale. Il recupero delle ricche province africane e una certa immobilità di Licinio, causata dalla malattia

e dalla morte dell’amico Galerio e dalla pericolosa espansione di Massimino, probabilmente contribuirono ad allentare la pressione sull’usurpatore e a creare una situazione propizia. Questa sembra essere stata la fase in cui Massenzio portò avanti con energia i suoi ambiziosi programmi di rinnovamento urbanistico della capitale: il restauro del tempio di Venere e Roma, danneggiato qualche anno prima da un incendio, la costruzione della sua Basilica e del così detto tempio di Romolo, in summa Sacra via, la costruzione del monumento a Marte e ai suoi figli Romolo e Remo, accanto alla Curia, forse l’edificazione delle terme sul Quirinale, la co-

struzione della grande residenza tardoantica sulla via Appia, munita,

come i palazzi di Milano, Tessalonica e, poi, Co-

stantinopoli, di un ippodromo e di un mausoleo 20°, Abbiamo 200 Sull’eccezionale programma edilizio attuato da Massenzio in Roma, cfr. F. COARELLI, L’Urbs e il suburbio, in SRIT 2, pp. 2-58; CuLLHED, Conservator urbis suae (cit. sopra, a nota 151), pp. 45-67, con le relative bibliografie. Testimoniano l’attenzione dell’imperatore per l’aspetto monumentale della capitale, fra l'altro, l'iconografia e la leggenda monetale conservator urbis suae (cfr. RIC VI, p. 382, n. 258-263). Anche la rinascita dell'uso dei bolli laterizi, prassi scomparsa all'epoca di Severo Alessandro e riapparsa con Massimiano Erculio nel 299, mostra la grande attività delle figlinae romane durante il regno di Mas-

278

visto che Rusticianus aveva percorso, prima dell’usurpazione di Massenzio, una carriera amministrativa di rilievo legata alla città di Roma, essendo stato prefetto dell’annona, curatore e patrono di Ostia e supplente dei prefetti del pretorio, come sembra, nella capitale. E probabile che Massenzio vedesse in Rusticianus, esperto nell’amministrazione di Roma e del suo porto, un prefetto adatto a collaborare con lui nell'attuazione di un'intensa politica di edilizia monumentale nella metropoli e nel suburbio. È interessante che le due dediche elevate da Rusticianus in qualità di prefetto del pretorio a Massenzio provengano da due zone nel cuore della città

interessate dagli interventi dell’usurpatore: l’area tra il Palatino e il Foro Romano, e l'area del Comizio ??!, Una prefettura del pretorio di Rusticianus tra la fine del 310 e l’anno 311 sarebbe, quindi, storicamente plausibile. La datazione della dedica di Rusticianus dal Comizio è stata discussa da A. Chastagnol 222, Muovendo dall’idea che Massenzio fosse console in carica nel momento in cui il prefetto del pretorio redigeva la sua dedica, lo studioso francese ha interpretato l’espressione consul saepius nel senso di “console in carica e designato per l’anno seguente”. Questa interpretazione lo ha spinto a datare la dedica alla seconda metà del 309, durante il secondo consolato di Massenzio,

quando si sapeva già che l’imperatore avrebbe rivestito 1] consolato (il terzo) anche l’anno seguente. Secondo Chasta-

gnol la prefettura di Rusticianus avrebbe preceduto quella di

senzio; cfr. M. STEINBY, L'industria laterizia di Roma nel tardo impero, in SRIT 2, pp. 99-159. 20! Nell’area più orientale del Foro Romano, tra le pendici del Palatino, la Velia e la summa Sacra via, Massenzio concentrò una serie di interventi

che trasformarono la topografia degli spazi preesistenti: la costruzione della grande basilica, poi costantiniana (che ospitava forse il tribunale della vicina prefettura urbana), e del così detto tempio di Romolo, il restauro del tempio di Venere e Roma. Nell'area occidentale del Foro, oltre al monumento a Marte, Romolo

e Remo,

presso

il Comizio,

resta un'iscrizione

appartenente

a un

monumento elevato in onore di Massenzio accanto alla Basilica Giulia verso il clivo

Capitolino

che

ricorda

la

censura

vetus

del

sovrano

(cfr.

CIL,

VI

1220=31394a=33857b=36891, su cui ora cfr. CIL, VI, p. 4351). Proprio da que-

ste due zone del Foro provengono le due dediche del prefetto del pretorio Manilius Rusticianus all'usurpatore. Non é improbabile che il prefetto del pretorio scegliesse le aree interessate dagli interventi monumentali del suo sovrano qua-

le sfondo per la collocazione delle statue da lui dedicate a Massenzio. 202 Cfr. A. CHASTAGNOL, Consul saepius, in "Latomus" 52 (1993), pp. 856-859.

279

Volusianus. Due aspetti, perö, invitano ἃ discostarsi da questa ipotesi di periodizzazione. Il clima di relativa tranquillità che si dovette respirare a Roma dopo la riconquista dell’ Africa, e la celebrazione del sovrano nel centro della città ad opera di un prefetto del pretorio, la cui carriera era legata alla vita dell’urbe, si adattano bene alle fasi finali del regno di Massenzio, soprattutto all’anno, solenne, dei suoi Quinquennalia (28 ottobre 310-27

ottobre 311). Non appare fuor di luogo ipotizzare che 1 due monumenti a Massenzio dal Foro Romano, con le rispettive

dediche prefettizie, prive del ricordo dell’occasione della loro realizzazione, possano essere il corrispettivo dei monumenti prefettizi collegiali che sembrano aver visto la luce in occasione dei giubilei regali dei sovrani 203. L’usurpatore potrebbe essere stato celebrato dal suo unico prefetto del pretorio, quello che formava in sostanza l’intero collegio prefettizio allora in carica nella pars di Massenzio, nel cuore della

capitale all'epoca dei suoi Quinquennalia. Non c’è dubbio che l’isolamento politico di Massenzio, mai legittimato da Galerio e dagli altri coreggenti e, anzi, palesemente osteggiato nel Convegno di Carnuntum, abbia impedito sempre qualunque inserimento dei suoi prefetti del pretorio in un collegio prefettizio, accanto ai prefetti degli altri Augusti. Sembra certo, quindi, che in occasione dei Quinquennalia di Massenzio una dedica prefettizia potesse essere realizzata solo dall’unico prefetto del pretorio dell’ Augusto. E non è escluso che, negli anni 306-313, mancassero le premesse di concordia politica, necessarie per l’esistenza di un unico col-

legio prefettizio, che riunisse formalmente i prefetti del pretorio degli Augusti legittimi. A differenza dell’età tetrarchica, la concordia fra i sovrani degli an-

ni 307-313 può essere considerata più un fatto formale, che una realtà sostanziale. Essa appare limitata agli imperatori legati alla figura di Galerio — Massimino e Licinio — e solo finché il senior Augustus fu in vita 204. Come

abbiamo visto, Massenzio — ima anche il suo rivale L. Do-

mitius Alexander — non fece mai parte del collegio imperiale. Massi203 Vd. sopra, pp. 121 sgg. e 148 sgg., le ipotesi sull’occasione della realizzazione delle dediche prefettizie collegiali di Oescus e di Brescia. 20 Lo mostra, per esempio, la diffusione della coppia consolare del 310,

composta dai prefetti del pretorio Andronicus e Probus, solo nelle partes di questi tre principi (vd. sopra, pp. 189-191).

280

miano, Augusto per la seconda volta, ebbe rapporti difficili e alterni con tutti gli imperatori di questo periodo. Costantino, che compariva come Cesare nelle intitulationes delle costituzioni emesse da Galerio in Oriente, si considerò sempre Augusto nei suoi dominii e condusse una politica rispettosa nei confronti dei colleghi, ma decisamente indipendente. Lo stesso Massimino, come abbiamo visto, estorse a Galerio la promozione ad Augusto, e osteggiò sempre la politica filocristiana decisa nel 311 da Galerio, benché essa fosse stata accettata dagli altri principi. Con la scomparsa di Galerio i quattro Augusti che governavano l’impero intrapresero una politica autonoma ciascuno nella sua pars, salvo stipulare, spinti dalla necessità, le alleanze incrociate che segna-

rono i destini di Massenzio e di Massimino tra il 312 e il 313 (quanto fossero precarie le alleanze tra i successori dei Tetrarchi lo avrebbe mostrato il rapporto conflittuale tra Costantino e Licinio). In un clima del genere — molto diverso da quello in cui maturarono le dediche di Oe-

scus e di Brescia — resta difficile immaginare che i prefetti di due o più Augusti,

anche

se non

apertamente

in contrasto

tra loro, decidessero

congiuntamente di elevare monumenti a uno dei principi per esempio

in occasione di una solennità.

Non abbiamo, per questa fase, dediche prefettizie collegiali, che, invece, si incontrano in età tetrarchica e, come ve-

dremo, nelle fasi pacifiche della diarchia costantino-liciniana. La carenza potrebbe essere casuale, ma un testo epigrafico, all'incirca contemporaneo delle dediche di Rusticianus,

merita attenzione. Accanto alle iscrizioni romane di Rusticianus, si conserva soltanto un'altra dedica di origine prefettizia risalente agli anni 306-313. Si tratta di un'epigrafe di Perinto (Eraclea di Tracia), purtroppo frammentaria ?5. Il monumento prefettizio celebrava certamente un Cesare — 0, eventualmente, un Augusto e il suo Cesare — signore della parte illirica o orientale dell’impero, forse Massimino. Purtroppo i nomi del principe celebrato — o, eventualmente, dei sovrani celebrati — così come il nome del prefetto dedicante sono perduti. Tuttavia, malgrado i problemi di lettura e di integrazione dell’epigrafe, su un punto importante non esistono dubbi: il monumento venne realizzato da un solo prefetto

205 CIT. II 12326=/LS 665; cfr. ICUR n.s., II/1, p. 369, nota 4, e PLRE I, p. 1003. 1 frammenti dell'epigrafe — perduti già negli anni '60 del XIX secolo, all'epoca delle ricerche per la redazione del CIL, III/1 (Berlin 1873) — si sono conservati grazie alla trascrizione che ne fece il mercante e viaggiatore italiano Ciriaco Pizzicolli di Ancona durante un viaggio sul Bosforo nel 1444. L’analisi di

questa iscrizione, per i problemi che pone, sarà affrontata in altra sede.

281

del pretorio, non da un collegio. Anche nella Perinto (Eraclea) di Galerio, o di Licinio, come nella Roma di Massenzio, nell’età delle tensioni tra 1 successori dei Tetrarchi, cia-

scun prefetto del pretorio sembra aver esaltato, probabilmente in coincidenza con una ricorrenza di rilievo, solo I’ Augu-

sto o il Cesare della sua pars. Inoltre, a differenza delle altre dediche prefettizie note, e pur tenendo conto della casualità

dei ritrovamenti, queste iscrizioni appaiono incise su monumenti elevati in città, sedi di residenze imperiali. La tenden-

za dell’epigrafia prefettizia di questo tormentato periodo a circoscrivere entro 1 confini della pars di ciascun imperatore le sue realizzazioni monumentali, insieme all’isolamento po-

litico dell’usurpatore e dei suoi funzionari e al contesto monumentale prescelto, valorizzano la possibilità che le iscrizioni di Rusticianus dal Foro Romano siano state incise su monumenti fatti realizzare durante il solenne quinto anno di regno di Massenzio.

Nelle loro proposte di datazione della dedica di Rusticianus dal Comizio, S. Panciera — che ha avanzato un’ipotesi cronologica più appropriata — e A. Chastagnol hanno contribuito a sottolineare due aspetti notevoli dell’espressione consul saepius: l’idea che l’avverbio indichi almeno un terzo consolato (Panciera) e la possibilità che saepius, in luogo del semplice ed efficace numerale, proponga un messaggio più complesso, come una designazione per l’anno seguente (Chastagnol). A ben vedere l’uso di saepius sembra suggeri-

re proprio che Massenzio non fosse console quando l’epigrafe fu redatta, ma lo fosse stato più volte in precedenza. Se la

dedica fosse stata incisa nel 309, il prefetto del pretorio, che — si badi — desiderava certamente indicare il consolato del suo sovrano, avrebbe scritto consuli II, se fosse stata incisa

nel 310, avrebbe scritto consuli III, ma se la dedica fosse stata redatta nel corso del 311, anno in cui Massenzio non era

console ordinario, pur avendo già rivestito tre consolati, ed era console designato per l’anno seguente (desig. IV), l’indicazione saepius sarebbe stata certamente più economica della lunga perifrasi, necessaria per indicare la particolare posizione che il principe aveva, nel corso del 311, rispetto alla magistratura eponima. Ai lettori romani, cui la dedica era destinata, non poteva sfuggire il contenuto di quel saepius. La documentazione sui prefetti del pretorio di Massenzio invita a concludere che l’usurpatore ebbe al suo fianco un 282

prefetto del pretorio alla volta. A differenza, per esempio, di Diocleziano o di Massimino Augusti, Massenzio sembra aver

affidato mandati relativamente brevi ai suoi prefetti. Questa scelta potrebbe essere spiegata con la necessitä di valorizzare al meglio le capacitä, la posizione e l’esperienza dei diversi prefetti in relazione all’evolversi dell’orizzonte politico. I tre funzionari noti potrebbero non essere tutti i prefetti del pretorio dell’usurpatore. I loro mandati si concentrano nella seconda parte del principato di Massenzio (in ordine cronologico): C. Ceionius Rufius Volusianus, nel 310, prima

del 28 ottobre; Manilius Rusticianus, probabimente nel quinto anno di regno del sovrano, tra l’autunno del 310 e l’anno 311; Ruricius Pompeianus nel 312 (almeno), all’epoca della

guerra contro Costantino. Un prefetto del pretorio anonimo di Costantino Se i prefetti del pretorio degli Augusti del periodo 306313 sono nel complesso abbastanza ben conosciuti, non sap-

piamo con esattezza chi sia stato in quegli anni il prefetto del pretorio di Costantino Augusto, signore delle province transalpine. Non c’è dubbio che egli abbia avuto da un certo momento della sua reggenza — forse dall’assunzione del titolo di

Augusto nel corso del 307 — un suo prefetto del pretorio 206. Il panegirista che, verso la fine del 313, celebrò a Treviri la

fortunata campagna italica, conclusa felicemente da Costan-

tino circa un anno prima, testimonia la presenza di questo funzionario al fianco dell’ Augusto all’epoca della presa di Aquileia 297, Quando il presidio massenziano, assediato nella città, decise di arrendersi a Costantino, si pose il problema di

radunare e di neutralizzare un contingente molto numeroso di soldati. L'imperatore stupì il suo stato maggiore ordinan-

do di trasformare in manette (gemina claustra) i gladii sottratti al nemico, e di stringere i polsi dei prigionieri con que-

206 È probabile

che Costantino,

dopo

l’acclamazione del 306, abbia atteso

la legittimazione da parte di Galerio prima di procedere alla nomina di un pre-

fetto del pretorio; il suo riconoscimento come Cesare di Severo non gli consentiva, a rigore, di avere un suo prefetto del pretorio, ma l’alleanza Erculia, matu-

rata durante la crisi del 307, ristabilendolo definitivamente come Augusto, permise certamente a Costantino di creare un suo prefetto del pretorio. 207 Pan.

Lat.

9 (12),

11. La cattura di Aquileia

avvenne,

verosimilmente,

non molti giorni dopo la vittoria decisiva di Verona, nella tarda estate del 312.

283

sti strumenti. Fra i consiglieri che affiancavano in quel frangente, ad Aquileia, il principe vincitore, il retore gallico ri-

corda un prefetto del pretorio, purtroppo anonimo: ipsi etiam qui tibi in consilio erant, ipse etiam praefectus haerere, cum tu divino monitus instinctu de gladiis eorum gemina manibus

aptari claustra iussisti. Si tratta dell’unica notizia superstite su un prefetto del pretorio di Costantino durante i primi otto anni di regno del principe. Il passo del panegirista sollecita alcune riflessioni. La cornice di uno dei numerosi consilia, che costellarono la campagna italica di Costantino, costituisce lo sfondo su cui far risaltare l’intuizione dinamica e l’efficacia del comando dell’imperatore, che brilla di fronte all’immobilità dei suoi consiglieri. L’oratore tace il nome del prefetto di Costantino,

ma questo è un atteggiamento consueto nei panegirici ai sovrani, dove la personalità dell’imperatore è pervasiva 208, Il punto chiave è costituito dal fatto che il retore non sentì il bisogno di specificare la natura dell’incarico prefettizio del funzionario, e, con immediatezza, indicò la presenza di un

solo prefetto (del pretorio) accanto a Costantino. Non sappiamo quali fossero le fonti del retore sull’episodio accaduto ad Aquileia. In ogni caso egli ha tratteggiato rapidamente un quadro che, senza dubbio, doveva essere per il suo uditorio

assolutamente consueto. Con la sua ambientazione il retore ha tradito, involontariamente, l’abitudine del suo uditorio a una realtà istituzionale allora evidentemente radicata, quasi scontata: quella in cui l' Augusto, nel corso di una campagna

militare, è assiso in consilio e si avvale della collaborazione di un solo prefetto del pretorio. La presenza di questo (unico) funzionario in un simile contesto è un elemento che fa parte dell’orizzonte d’attesa del suo pubblico. Anche Costantino, come 1 principi suoi contemporanei, negli anni delle guerre tra i successori dei Tetrarchi, si avval-

se, dunque, della collaborazione di un solo prefetto del pretorio. Questi avrà avuto compiti di consulenza logistica e strategica e, verosimilmente, di comando militare sul corpo

di spedizione, e si spostava col sovrano e il suo comitatus. Una situazione simile è stata presentata dall’anonimo autore

208 Cfr., ultimamente, D. LASSANDRO, Sacratissimus imperator. L'immagine del princeps nell’oratoria tardoantica, Bari 2000.

284

dell’Origo Constantini, dove Galerio siede ἃ pranzo col suo

unico e anonimo prefetto del pretorio, probabilmente durante la campagna italica del 307 *?. Analogamente la vicenda di Aper, prefetto del pretorio di Caro, poi di Numeriano, mostra che il funzionario operò a stretto contatto con i due Augusti durante la guerra persiana degli anni 283-284 210, Le testimonianze sull’anonimo prefetto del pretorio di Costantino, che affiancò l’imperatore durante la campagna italica nella tarda estate del 312, e su Ruricius Pompeianus, che tentò

di difendere fino alla fine il primato di Massenzio nella penisola, e, similmente, quelle su Volusianus, inviato da Massen-

zio in Africa per eliminare L. Domitius Alexander, appaiono interessanti anche da un altro punto di vista: si tratta delle ultime notizie certe di prefetti del pretorio direttamente impegnati nella condotta di operazioni belliche in qualità di comandanti militari. Con loro si chiude nella nostra documentazione la stagione dei prefetti combattenti 211, Come vedremo, Costantino priverà per sempre 1 prefetti del pretorio della prerogativa di comandare contingenti dell’esercito romano. Questa trasformazione è senza dubbio notevolissima. I suoi effetti non sfuggirono a Zosimo, un critico parziale, ma attento, dell’età costantiniana, e a Giovanni Lido, un esperto di storia del-

la prefettura del pretorio. Attraverso l’esame di un passo di Lido, nel capitolo seguente si cercherà di fissare il momento in

cui si verificò questa trasformazione essenziale nell’evoluzione della carica nella sua piena espressione (civile) tardoantica 212. Per il momento è sufficiente limitarsi ad anticipare l’ipotesi che la scomparsa dei poteri militari dei prefetti del pretorio non avvenne al termine della campagna italica di Costantino, ma diversi anni dopo. Probabilmente l’assenza di ri-

ferimenti ad azioni belliche condotte da prefetti del pretorio dopo il 312 è da imputarsi a una carenza delle nostre fonti.

209 Anon. Vales. I, 11.

210 Vd. sopra, cap. I, pp. 22-39. 211 [identificazione deli'autore delle epistole pseudo-giulianee, scritte al-

l’epoca del bellum Cibalense, con Iulius Iulianus, prefetto del pretorio di Licinio, farebbe pensare che ancora nel 316-317 un prefetto partecipasse a una campagna militare accanto al suo sovrano; l’assenza di un esplicito riferimento a un suo coinvolgimento bellico, e la parte di ipotesi che circonda questa identificazione suggeriscono di essere cauti; sul problema vd. sotto, $ sg. 212 Sulle testimonianze di Zosimo e di Giovanni Lido vd. sotto, cap. IV, pp. 496 sgg.

285

Nel novembre-dicembre

del 312

Costantino,

residente

nella capitale, operö, invece, un intervento che rappresentava una rottura con la tradizione e che ebbe una certa eco nella pubblicistica del tempo: lo smantellamento definitivo del corpo 8 delle installazioni dei pretoriani 213. Nel procedere a questa totale e definitiva eliminazione egli intese punire le truppe fedeli all’usurpatore, ma, soprattutto, tirò le somme dell'evoluzione avvenuta nei cinquant' anni precedenti. L’abbandono progressivo di Roma come sede principale degli Augusti — un fenomeno accelerato dalle guerre del III secolo e dalle scelte strategiche degli imperatori, soprattutto a partire da Valeriano e Gallieno — ebbe ripercussioni importanti anche sulla presenza dei pretoriani a Roma 214. Il ‘quartier generale’ dell’imperatore, da Augusto, e per quasi tre secoli, ebbe la sua sede naturale nella città di Roma, dove staziona-

vano le coorti pretorie, con il loro corpo di centurioni e di tribuni 215. Nel III secolo la trasformazione del comitatus imperiale in un organismo itinerante, che tendeva a soggiornare sempre più a lungo in città eccentriche dell’impero, e lo spostamento del baricentro della vita politico-militare verso le aree provinciali maggiormente interessate dalla crisi, privarono Roma della sua centralità politica 216. La città si ridusse, 213 Sullo scioglimento del corpo dei pretoriani di Roma e sulla distruzione dei castra praetoria cfr. Aur. Vict., Caes. 40, 25 e Zos. II 17, 2, con le conside-

razioni di M. Durry, Les Cohortes prétoriennes, Paris 1938, pp. 393 sgg. Sul primo soggiorno di Costantino a Roma (29 ottobre 312-fine di gennaio 313), e sul rapporto, difficile, dell’imperatore con la capitale cfr. FRASCHETTI, La conversione cit. (sopra, a nota 194), pp. 9 sgg. 214 Sul ruolo di Roma nel II secolo cfr. i recenti lavori di M. CHRISTOL, Rome 'sedes imperii' au III° siècle ap. J.-C., in "QCCCM" (Studi in memoria di S.

Mazzarino) 1990, pp. 122-147; Le métier d'empereur et ses représentations cit. (sopra, cap. II, a nota 27), pp. 355-368; Rome et le peuple romain à la transition entre le Haut et le Bas Empire: identité et tensions, in Identità e valori, fattori di aggregazione e fattori di crisi nell'esperienza politica antica, Roma

2001, pp. 209-225. 215 Sulla genesi dell'inserimento delle coorti pretorie in Roma cfr., di recente, L. ΚΈΡΡΙΕ, The Praetorian Guard before Sejanus, in "Athenaeum", n.s.,

84 (1996), pp. 101-124; sulla loro presenza nel panorama urbano e sulla loro organizzazione cfr. PASSERINI,

e DURRY, Les Cohortes prétoriennes, cit. (sopra).

216 La crisi del 238, in cui le coorti pretorie eliminarono Pupieno e Balbino, fu l'ultimo avvenimento politico in cui queste formazioni militari furono protagoniste della politica a Roma (l'assassinio di Filippo iunior nel 249 fu molto

meno rilevante). Bisognerà attendere quasi settant'anni, con l'elevazione di Massenzio, per trovare i pretoriani di nuovo politicamente decisivi nella capitale. Tuttavia, come abbiamo visto, il tentativo dell'ottobre 306 non deve ingan-

286

in modo sempre piü evidente ἃ partire dall’etä dei Severi, nel palcoscenico venerabile dei trionfi dei sovrani tardoromani, o, significativamente, di rari adventus, celebrati come trion-

fi, e seguiti da brevi soggiorni 217, Parallelamente l’evoluzione della strategia e della tattica militare nel corso del III secolo potrebbe aver ridotto il peso delle coorti pretorie nella composizione dell’esercito dell’imperatore. Alle coorti pretorie, alloggiate nei castra del Viminale, e chiamate a spostarsi al seguito dell’imperatore, per poi tornare a Roma col sovrano, subentrò un nuovo tipo di corpo di spedizione, formato da vessillazioni legionarie di fanteria e da ali e numeri di cavalleria, distaccate da contin-

genti di stanza nelle province, e destinate a rientrare nelle loro basi, posizionate nelle province di frontiera, come le principali residenze del sovrano. Questo esercito dinamico, pensato per affiancare il principe durante i suoi continui spostamenti e le sue campagne militari, e sostenuto da una numerosa cavalleria, potrebbe aver ridotto notevolmente l’importanza delle coorti pretorie di Roma ?!5. E fra queste vessillazioni e ali che i diversi imperatori e coreggenti della seconda metà del III secolo (anche i Tetrarchi) selezionarono verosimilmente le truppe di scorta del loro comitatus, da cui si sa-

rebbero sviluppate, a partire dalle riforme militari costantiniane, le scholae palatinae 219. Inoltre l'istituzione dei protectores da parte di Gallieno potrebbe aver prodotto un’accelerazione del processo di oscuramento e di eclissi delle coorti pretorie quale corpo militare scelto. Fra gli ufficiali che si fregiarono di questo titolo si incontrano anche tribuni delle coorti pretorie. Sembra probabile, benché la documentazione

nare: il destino incerto di Massenzio, all'indomani della sua acclamazione da

parte dei pretoriani, fu coronato dal successo grazie al provvidenziale, quanto imprevisto, tradimento dell'esercito di Severo. 217 Su Roma,

gli adventus e i trionfi dei sovrani del III secolo cfr. BENOIST,

Le retour du prince dans la cité cit. (sopra, cap. II, a nota 19), pp. 149-175; per l'evoluzione successiva cfr. FRASCHETTI, La conversione cit. (sopra, a nota 194), pp- 239 sgg., e S. ELBERN, Das Verhältnis der spätantiken Kaiser zur Stadt Rom,

in "*RQA" 85 (1990), pp. 19-49. 218 A proposito dell’istituzione dei protectores nell'età di Gallieno vd. sopra, cap. I, pp. 54-56. Alla fine del III secolo si perdono le tracce di due istituzioni militari stanziate a Roma e nelle sue vicinanze: gli equites singulares Augusti e la legio II Parthica. 219 Cfr. R. I. FRANK, Scholae palatinae. The Palace Guards of the Later Roman Empire, Roma 1969.

287

non sia abbondante,

che 1 protectores abbiano

assorbito il

meglio non solo delle legioni e degli auxilia, ma anche delle

coorti pretorie stesse e dei loro comandanti (centurioni e tri-

buni) 22°. E possibile che una parte almeno dei pretoriani sia stata chiamata, nella seconda metà del III secolo, a dare 1]

meglio di sé lontano dalla capitale e a “confondersi” fra 1 protectores dell’imperatore. In ogni caso, malgrado una certa obsolescenza, nel 312 le coorti pretorie stanziate nei castra, lontano dagli Augusti, rappresentavano un focolaio co-

stante di sedizione e una possibile fonte di sostegno per eventuali usurpatori, come aveva mostrato l’esperienza di Massenzio. Così Costantino, signore assoluto della città, ma in procinto di ripartire entro poche settimane alla volta di Milano, quindi delle Gallie, procedette senza indugi alla soppressione delle coorti pretorie di Roma, scioglimento che già Diocleziano e Galerio, dalle loro residenze di Serdica e di

Nicomedia, avevano auspicato. In questa eliminazione un aspetto appare significativo per la storia della prefettura del pretorio. Se le coorti pretorie, a causa del loro intimo legame con la città di Roma, divenne-

ro un fattore di disturbo nel momento in cui gli imperatori lasciarono la capitale e scelsero residenze provinciali meglio rispondenti alle loro esigenze amministrative, 1 prefetti del pretorio, in virtù della notevole elasticità delle loro attribuzioni e del loro legame alla persona del sovrano, continuaro-

no ad avere un ruolo di assoluto rilievo. Il centro dell’impero era l’imperatore, e la città dove egli risiedeva 221, Come vedremo, Costantino che, rompendo con la tradizione, e forte della sua affermazione militare, cancellò le antiche coorti

romane, plasmò in forma nuova 1 prefetti che le avevano comandate, facendone dei funzionari di enorme importanza per gli equilibri dell’impero tardoantico. La presenza dell’anonimo prefetto del pretorio di Co220 Vessillazioni delle coorti pretorie accompagnarono, per esempio, Aureliano nella guerra contro Zenobia nel 272 (Zos. I 52, 4) e Massimiano Erculio in Africa nel 297 (CIL, VII 21021). L. Petronius Taurus Volusianus (sopra, pp. 5355) divenne tribunus protector di Gallieno mentre comandava, come tribuno appunto, la 1 cohors praetoria, e dopo aver comandato la /II/ cohors praetoria.

221 Già alla fine del II secolo si prese coscienza dello spostamento del baricentro dell'impero nel luogo dove la necessità richiedeva la presenza dell’imperatore, come mostra il famoso discorso del senatore Pompeianus al neo-eletto imperatore (e cognato) Commodo, ancora sul Danubio (Herod., I 6, 5).

288

stantino ad Aquileia conferma l’idea che le barriere geografiche e ideologiche, sorte tra i sovrani di questa fase, avevano una proiezione anche in ambito istituzionale, nella nomi-

na di diversi prefetti del pretorio. Il numero complessivo dei prefetti del pretorio attestati dalle fonti negli anni 306-313 appare sensibilmente cresciuto rispetto al ventennio precedente. Durante l’età dioclezianea abbiamo incontrato soltanto quattro prefetti del pretorio: Ti. Claudius Aurelius Aristobulus, Afranius Hannibalianus, Iulius Asclepiodotus, Aure-

lius Hermogenianus. Naturalmente la nostra documentazione è incompleta ed è molto probabile che la serie dei prefetti del periodo 284-305 vada ampliata, inserendo il nome di qualche funzionario ancora ignoto. Ma il confronto con la situazione

del periodo della crisi del sistema tetrarchico resta, comunque, significativo. Nei sei anni in questione le fonti ricordano nove prefetti del pretorio attivi nell’impero: Tatius Andronicus, Pompeius Probus, Flaccinus, Sabinus, Anullinus, C. Ceionius Rufius Volusianus, Manilius Rusticianus, Ruri-

cius Pompeianus e l’anonimo prefetto di Costantino. La spiegazione della crescita del numero dei prefetti del pretorio deve risiedere nella volontà dei diversi Augusti di questo periodo di affiancarsi ciascuno un suo prefetto del pretorio personale. Tuttavia un aspetto, importante per la riflessione sull’evoluzione della prefettura del pretorio verso la sua forma regionale tardoantica, è strettamente connesso col fenomeno dell’aumento dei suoi titolari in questo periodo. In età tetrarchica i diversi settori strategici dell’impero ebbero una loro fisionomia, ma non furono separati da nessuna barriera politica. Le potenzialità logistiche e militari di vasti distretti sovraprovinciali, formatisi nel corso del III secolo, furono sfruttate abilmente da Diocleziano e dai suoi co-

reggenti in un clima di unità e di concordia senza precedenti, che consentì loro una proficua interscambiabilità 222. Questa dinamica coinvolse anche i loro (due) prefetti del pretorio. Abbiamo visto, per esempio, che Iulius Asclepiodotus, prefetto di Massimiano Augusto, affiancò Costanzo Cesare nella guerra contro Allectus in Britannia, mentre lo stesso Massimiano, muovendo da Aquileia, operava tra il Reno e le 222 Cfr., di recente, CARRIÉ, Eserciti e strategie cit. (sopra, a nota 112), pp. 107, 114-117, e L'Empire romain en mutation, cit. (sopra, cap. II, a nota 43),

pp. 145-149.

289

Spagne, da dove sarebbe disceso in Africa. Negli anni 306313, invece, una simile mobilitä fu impossibile, sia per i so-

vrani, sia per i loro prefetti 223, I prefetti del pretorio dei singoli Augusti si trovarono ad esercitare il loro mandato su un territorio limitato alla porzione di impero sotto il controllo di ciascun imperatore. I prefetti di Galerio, di Severo, di Lici-

nio, di Massimino Augusto, di Costantino e di Massenzio, coadiuvati ciascuno dai suoi vicarii, fecero fronte alle onero-

se mansioni logistiche, giudiziarie e militari all’interno della zona dell’impero che il loro Augusto era riuscito a mantenere sotto il suo controllo nel corso delle lotte che segnarono questa fase. Senza procedere a un complessivo piano di riordino amministrativo, si ebbe in questo periodo un’anticipazione naturale e “involontaria” delle prefetture regionali. E interessante notare che le aree governate dai diversi sovrani e dai loro prefetti del pretorio negli anni 306-313 corrispondono spesso all’estensione di prefetture del pretorio regionali tardoantiche: la pars di Costantino coincide con l’area su cui si sarebbe esteso il controllo del prefetto del pretorio delle Gallie; la pars di Massimino (dopo il maggio 311) corrisponde, all’incirca, all’area su cui si sarebbe esteso il con-

trollo del prefetto del pretorio d'Oriente; l'Italia e l' Africa massenziane saranno, nel IV e nel V secolo, le diocesi principali sottoposte al prefetto del pretorio d’Italia-Illirico-Africa, dove l’area illiriciana (la diocesi d’Illirico) ricalcherà i dominii di Licinio prima del maggio 311; la futura prefettu-

ra d’Illirico (orientale) coincide con l’area europea della pars di Galerio. Come vedremo nelle pagine seguenti, il ritorno all’unità con le vittorie di Costantino in Occidente nel 312 e di Licinio in Oriente nel 313 garantì il ripristino dell’ordine anche in seno all’istituzione prefettizia. I due prefetti del pre-

torio dei due Augusti concordi tornarone a formare un collegio valido per tutto l’impero. Non si può tuttavia trascurare il fatto che quando, alcuni anni dopo, Costantino, con un’innovazione radicale, decise di moltiplicare il numero dei suoi

prefetti del pretorio, procedendo alla riforma dell’istituzione, poté tenere conto dell’esperienza degli anni 306-313. Allora numerosi prefetti del pretorio avevano controllato porzioni dell’impero limitate, ma caratterizzate ciascuna da un’esten223 L'unica eccezione potrebbe essere rappresentata dalla possibilità di collaborazione tra Galerio e Massimino Cesare, e tra Galerio e Licinio Augusto.

290

sione territoriale che rispondeva ἃ precise esigenze di ordine amministrativo e strategico. 4. IL RITORNO ALL'UNITÀ: PETRONIUS ANNIANUS, IuLIUS IULIANUS E LE ISCRIZIONI DI TROPAEUM TRAIANI E DI EFESO

All’inizio di maggio del 313 Licinio, raccolte truppe dal fronte danubiano, batté l’esercito invasore di Massimino Au-

gusto in una pianura detta Campus Ergenus a sud di Adrianopoli in Tracia e passò in Bitinia. Massimino si ritirò in Cappadocia, poi in Cilicia, dove cercò di approntare una qualche resistenza presso le Porte Tauriche, ma la morte lo colse a Tarso in agosto. Licinio estese il suo dominio sulle province orientali dell’impero e procedette, a partire dalla metà del 313, all’eliminazione sistematica dei familiari di Galerio, di Severo e di Massimino Augusti, nonché dei fun-

zionari maggiormente coinvolti col regime di Massimino. L'impero romano era, in quel momento,

saldamente gover-

nato da due Augusti, legati da vincoli di parentela e, almeno per un certo tempo, da una politica improntata alla concordia. Uno dei segni della ritrovata unità del mondo romano dopo la crisi apertasi sette anni prima fu la ricostituzione di un unico collegio prefettizio valido per tutto l’impero, formato dal prefetto del pretorio di Costantino e da quello di Licinio. Tre documenti testimoniano l’avvenuta ricomposizione: le dediche prefettizie collegiali di Tropaeum Traiani e di Efeso, e il testo di un’epistola prefettizia tramandata da Optatus di Milevi in appendice al suo trattato antidonatista. L'iscrizione di Tropaeum Traiani è la prima dedica prefettizia collegiale pervenutaci dopo quella tetrarchica di Brescia 224; Romanae

securitatis libertatisq(ue)

[v]indicibus / dd(o-

224 [iscrizione di Tropaeum Traiani fu rinvenuta nel 1893 sul sito della moderna Adamklissi, nella parte rumena della Dobrugia. Si tratta di un'elegante lastra a forma di tabula ansata, rinvenuta negli scavi della grande porta orientale di ingresso della città. E stata pubblicata da G. G. Tocilescu, con note di commento di E. BoRMANN, Neue Inschriften aus Rumänien, in “Archäologisch-epigraphische Mittheilungen aus Osterreich-Ungarn" 17 (1894), pp. 108 sg., n. 52 (=AE 1894, 111). La dedica & stata ripubblicata e discussa piü volte, dapprima in CIL, III 13734, con commento di Th. Mommsen, poi in /LS 8938, quindi in diverse raccolte e contributi minori, per la cui conoscenza si rimanda alla bibliografia redatta da E. Popescu, /R, pp. 183-185, n. 170 e, di recente, da GRÙNEWALD, Constantinus cit. (sopra, a nota 194), pp. 102 e 242, n. 402.

291

minis) nn(ostris) Fl(avio) Val(erio) Constantino [[ [et Val(erio) Liciniano / Licinio] ]] Püs Felicibus aeternis Augg(ustis) (hedera), / quorum virtute et providentia edomitis /

ubique barbararum gentium populis (hedera) / ad confirmandam limitis tutelam etiam (hedera) / Tropeensium Civitas

auspicato a fundamentis / feliciter opere constructa est (hedera), / Petr(onius) Annianus v(ir) c(larissimus) et Iul(ius) Iulianus v(ir) em(inentissimus) praeff(ecti) praet(orio duo) numini eorum semper dicatissimi.

Questa dedica, la piü bella iscrizione del regno di Costantino e Licinio, fu fatta incidere formalmente dagli unici

due prefetti del pretorio attivi nell'impero nel momento in cui l'epigrafe fu redatta: Petronius Annianus, prefetto di Costantino, e Iulius Iulianus, prefetto di Licinio. In realtà, come vedremo, l'onere della concreta realizzazione della dedica spettö a Iulianus, prefetto di Licinio, nella cui pars sorgeva

Tropaeum Traiani. Con grande probabilità tra l'estate del 324 e i primi mesi del 325 il nome di Licinio, sconfitto a Crisopoli e privato della porpora, fu scalpellato (tra le linee 2 e 3 dell'epigrafe), ma non c'é dubbio che il nome del sovrano comparisse nel testo originario. Un primo elemento che consente di avanzare un'ipotesi di datazione della dedica ἃ fornito dall'assenza dei nomi dei Cesari Crispo, Licinio II e Costantino II fra i principi celebrati. E molto probabile che quandoi prefetti del pretorio fecero realizzare questo monu-

mento 1 Cesari non fossero stati ancora elevati alla porpora e accolti nel collegio imperiale. In linea di massima l'epigrafe sembra risalire, dunque, a un momento successivo alla morte di Massimino Augusto (agosto 313) e precedente all'elevazione dei figli degli Augusti onorati (1 marzo 317). Per restringere ulteriormente questa cronologia di massima è necessario esaminare quanto si conosce delle carriere dei due funzionari. La personalità di Petronius Annianus é molto sfuggente ?5. Non sappiamo nulla del suo cursus precedente la no-

25 Su Pefronius Annianus vd. E. STEIN, Petronius Annianus 25, RE XIX, col. 1201; J.-R. PALANQUE, Essai sur la préfecture du prétoire du Bas-Empire, Paris 1933, p. 3; CHAsTAGNOL 1968, pp. 323-329 (=pp. 181-187); 1970, pp. 55-

57 e 68; PLRE I, pp. 68 sg.; Barnes 1982, pp. 100 e 127.

292

mina alla prefettura del pretorio, e anche la data di accesso

all’importante incarico a confronto tra i documenti remo nelle pagine seguenti Annianus divenne prefetto

fianco di Costantino & ignota. Il epigrafici e letterari che esamineindica con chiarezza soltanto che del pretorio prima del suo collega

Iulianus e che, a differenza di quest’ultimo, era vir clarissi-

mus durante il suo mandato prefettizio. Petronius Annianus ricoprì il consolato ordinario ‘costantiniano’ nel 314, insieme

a C. Ceionius Rufius Volusianus 226, Le numerose datazioni consolari superstiti dell’anno 314 conservate su papiro, ed estese da febbraio a dicembre, non indicano mai il nostro se-

natore come prefetto del pretorio 227. Questo fenomeno lascia aperta la possibilità che Annianus non fosse ancora prefetto del pretorio nel 314 e ricevesse la nomina solo dopo la fine del suo consolato. Tuttavia è importante tenere presente il fatto che alcuni prefetti del pretorio attivi nell’area occidentale dell’impero, che cumularono il loro incarico prefettizio con il consolato ordinario, talvolta sono ricordati nei papiri 226 Cfr. Consuls, pp. 162 sg.

227] papiri datati ὑπατίας Ῥουφίου Οὐολουσιανοῦ καὶ Πετρωνίου 'Avνιανοῦ τῶν λαμπροτάτων sono nell’ordine: P. Cair. Isid. 16, 46, del 19 febbraio; PSI VII 820, 31, del 23 febbraio; CPR I 233, 2, del 19 marzo; PSI VII 820, 46, del 16 aprile; R. S. BAGnALL-K. A. Worp, P. Erl. 52 B Recto: A Ree-

diction, in "ZPE" 28 (1978), pp. 231 sgg. (2SB XIV 12167, 13 e 26), del 30 aprile (datazione frammentaria, quasi certamente secondaria); P. Oxy. 3982,

16-17,

del 5 maggio; P. Oxy. 3983, 1, 13, 16, del 7 maggio; BGU II 411, 9, del 27 maggio; P. Gen. 13, 8, del 9 giugno; Pap. Lugd. Batav. ΧΙΠ 7, A 14, del 14 (2) giugno; P. Princ. Roll. IV 20, del 24 giugno, su cui cfr. ora R. S. BAGNALL-K. A. Worp, The Fourth-Century Tax Roll in the Princeton Collection, in “APF” 30 (1984), p. 66, 103; P. Cair. 1514. 128, 18, del giugno-luglio; P. Panop. 21, 16, del 16 luglio (probabilmente una datazione secondaria in un documento datato 26 maggio 315); P. Cair. Isid. 13, 57, del 31 luglio; CPR VIII 22, 3, redatto dopo il 10 settembre; P. Princ. Roll. IN 10, del 1 agosto, su cui cfr. ora R. S. BAGNALLK. A. Won», The Fourth-Century Tax Roll cit., p. 64, 69; PSI VII 820, 72, dell 8 agosto, su cui cfr. R. S. BAGNALL-K. A. Wonr, P. Erl. 52 B Recto: A Reediction cit. (la datazione & quasi certamente secondaria); P. Col. VII 141 a, 1, del 9 agosto; P. Cair. Isid. 55, 7, del 20 agosto; PSI VII 820, 81, del 14 settembre; P. Mi-

ch. inv. 427, 1, edito da A. GARA, Due papiri della collezione Michigan, in “ZPE” 50 (1983), p. 68, 1 (=SB XVI 13004), del 17 settembre; P. Panop. 4, 18 («SB XII 10971), del 19 ottobre; P. Cair. Isid. 122, 7, del 5 novembre; P. Cair. Isid. 55, 12, dei 18 novembre; P. Flor. I 54, 16, del 2 dicembre; P. Cair. Isid. 92, 15, dell'11 dicembre; P. Cair. Isid. 53, 28, e P. Cair. Preis. 40, 1, entrambi risa-

lenti al periodo 29 agosto-31 dicembre; P. Laur. inv. TIV484, 11, edito daR. PınTAUDI, La data della prefettura di Iulius Iulianus, in “ZPE” 46 (1982), pp. 261 sgg. (=SB XVI 12705), e P. Panop. 23, 15 (=SB XII 11216), entrambi con l'indicazione del solo anno consolare.

293

egizi solo come consoli, ma non come prefetti, benché essi

fossero nel corso dell’anno eponimo sicuramente prefetti del pretorio in carica 228, E possibile, dunque, che le cancellerie egizie, sottoposte al controllo di Licinio, fossero solite datare i documenti dell’anno 314 con i nomi dei due consoli scelti da Costantino, ma senza specificare il contemporaneo in-

carico prefettizio, che Annianus svolgeva alla corte di Treviri. Naturalmente il silenzio dei documenti egiziani sulla prefettura del console non aiuta a risolvere il problema dell’accesso di Annianus alla prefettura del pretorio. Restano aperte, in sostanza, due possibilità: Petronius Annianus potrebbe

essere stato nominato da Costantino prefetto del pretorio prima del 314 e per la sua fedeltà ottenne dall’imperatore, dopo un periodo di leale milizia, il consolato ordinario; la sua car-

riera sarebbe grosso modo simile a quella di alcuni prefetti di rango equestre attivi nella seconda metà del III secolo, che

entrarono nell’ordine senatorio grazie alla nomina al consolato ordinario 229. La seconda eventualità è che, con un procedimento fortemente innovativo, Costantino scegliesse il suo prefetto del pretorio fra i senatori oppure offrisse, al più tardi all’inizio del 315, la prefettura del pretorio ad Annianus già console ordinario. Questa seconda possibilità spingerebbe a ritenere che il console fosse un membro dell’ordine senatorio già prima di ottenere l’eponimia. Analogamente al caso di C. Ceionius Rufius Volusianus durante il regno di Massenzio,

il consolato

sarebbe

stato il normale

traguardo

della carriera senatoria di Annianus, mentre la nomina a pre-

fetto del pretorio rappresenterebbe un fatto eccezionale, dal

228 Un esame delle datazioni consolari del IV secolo, negli anni in cui almeno uno dei due consoli ordinari fu in carica simultaneamente anche come pre-

fetto del pretorio, non sembra consentire, al momento, l’individuazione di un criterio univoco che spieghi la presenza o l’assenza del titolo di prefetto del pretorio nelle datazioni consolari egiziane; cfr., in proposito, il caso dei due consoli del 310, i prefetti del pretorio Tatius Andronicus e Pompeius Probus (vd. sopra, $ 2), e Consuls, pp. 189, 199, 215, 217, 221, 223. 229 Si pensi ai casi di Ti. Claudius Aurelius Aristobulus (285), di Afranius Hannibalianus e Iulius Asclepiodotus (292) e, con grande probabilità, di Tatius Andronicus e Pompeius Probus (310). T. D. Barnes (1982, p. 127) propende per l'appartenenza di Petronius Annianus all'ordine equestre e lo identifica con il

prefetto del pretorio anonimo di Costantino presente all'assedio di Aquileia (durante la campagna italica del settembre-ottobre 312). In realtà questa identificazione resta una pura possibilità.

294

momento che i prefetti del pretorio per tradizione, e ancora in questo periodo, non si sceglievano fra i senatori 230, L'ipotesi che Petronius Annianus fosse un senatore di nascita è stata sostenuta da A. Chastagnol, che riconosceva nel personaggio il primo influente rappresentante della potente famiglia senatoria dei Petronii Probi ??!. Resta difficile allo stato attuale della documentazione stabilire un legame sicuro tra il prefetto di Costantino e i famosi Petronii del IV secolo, o, eventualmente, ipotizzare una discendenza del prefet-

to Annianus dai Petronii del II e del III secolo 22. A favore dell'idea che Petronius Annianus fosse un cavaliere promosso prefetto del pretorio, poi entrato, in età avanzata, nell'ordine senatorio mediante il consola-

to ordinario nel 314, potrebbe essere sottolineato 1] fatto che Annianus non proseguì, dopo il consolato, una carriera senatoria. Un altro indizio consiste nel silenzio dell’epigrafia dei Petronii Probi. Di Sex. Petronius Probus si poteva celebrare la discendenza dal nonno Petronius Probianus, proconsole d’Africa nel 315-316, console nel 322 e prefetto urba-

no nel 329-331 233, Se il prefetto di Costantino fosse stato fra gli ascendenti illustri di Sex. Petronius Probus, se, addirittura, fosse stato il capostipite della dinastia, forse sarebbe stato ricordato, come il contemporaneo Petronius Probianus, nelle dediche al potente personaggio. Nell’evidenziare la genealogia di Sex. Petronius Probus i suoi contemporanei esaltavano l’ascendenza (diretta) da Petronius Probianus senza fare cenno ad Annianus. Inoltre appare poco credibile che Annianus sia stato un homo

novus, fondatore della potenza dei Petronii Probi, pro-

prio negli anni in cui Petronius Probianus ricopriva un proconsolato africano, cui accedevano allora membri di famiglie senatorie già affer-

mate. Sembra improbabile che la prestigiosa carriera di Petronius Probianus sia stata possibile grazie al sostegno del prefetto del pretorio di Costantino: in età costantiniana, le carriere degli Iunii Bassi e dei Cae-

Hi Saturnini mostrano un intervallo di diversi anni tra l’ingresso della

230 Si consideri che il caso di C. Caeionius Rufius Volusianus, senatore e prefetto del pretorio di Massenzio, rappresenta una interessante, quanto circo-

scritta, innovazione nel modo di reclutamento dei prefetti del pretorio da parte dell’usurpatore.

231 Cfr. CHAsTAGNOL 1968, p. 325 (=p. 183). Anche ARNHEM, The Senatorial Aristocracy cit. (sopra, a nota 165), pp. 67 sg., e 111 sg., appare convinto dell’esistenza di una parentela tra le famiglie clarissime dei Petronii e degli Annii-Anicii in età costantiniana, per cui il prefetto del pretorio sarebbe un senatore di nascita. 232 Sui Petronii del IV secolo cfr., in sintesi, lo stemma proposto dalla PLRE I, p. 1144, e i rispettivi lemmi. Sui Petronii del II e del III secolo cfr., oltre

alla RE, XIX/1, coll. 1193-1234, e a BARBIERI, pp. 738 sg., PIR? P 264-332. Sul difficile problema delle relazioni tra i Petronii di età tardoantica e i loro eventuali ascendenti cfr. JACQUES, pp. 105 sg., e 204-206.

233 Cfr. PLRE I, pp. 733 sg., e CIL, V 3344=ILS 1266.

295

prima generazione, quella dei prefetti del pretorio, nell’ordine senatorio e il conferimento ai loro figli di incarichi senatorii di prestigio. E possibile che Petronius Annianus percorse una carriera equestre a carattere burocratico, quale si può ipotizzare per Ti. Claudius Aurelius Aristobulus, e quale percorsero, tra la fine del III e i primi del IV secolo, Sossianus Hierocles, forse lo stesso Iulius Iulianus e, come

vedre-

mo, i prefetti Flavius Ablabius e C. Caelius Saturninus. Oppure Annianus percorse una carriera a carattere militare — tipica dei prefetti del pretorio della seconda metà del III secolo — che si potrebbe essere svolta per lo più al servizio di Massimiano Erculio, poi di Costanzo I e di Costantino nelle Gallie, prima della vittoria di Ponte Milvio. Se, con minore probabilità, Annianus fosse stato un senatore o un consolare all’epoca della sua nomina all’illustre prefettura, avremmo un indizio

della precocità delle riforme sociali di Costantino. Rompendo nettamente con la tradizione del principato, Costantino avrebbe inaugurato la prassi, che troveremo affermata in seguito, di scegliere un prefetto del pretorio fra i clarissimi,

anche se resterebbe irrisolto il problema

della eventuale collocazione gentilizia di Petronius Annianus.

Se la carriera di Petronius Annianus resta avvolta nel mistero, quella del prefetto di Licinio Iultus Iulianus appare complessivamente abbastanza chiara 234. Si tratta di un cursus equestre coronato dall’accesso alle maggiori cariche amministrative dell’impero. Il personaggio fu prefetto d’Egitto e, con ogni probabilità, vice prefetto del pretorio. La pubblicazione, nel 1982, di un papiro di Ossirinco ha permesso di fissare definitivamente la prefettura d’Egitto di Iulius Iulianus all'anno 314 235. Il suo predecessore, Aurelius Ammonius, appare ancora in carica nell’agosto 312; quindi si apre un vuoto nella documentazione che si spinge fino ai primi del 314, quando Iulianus 234 Su Iulius Julianus vd. O. SEECK, Iulius Iulianus 32, RE X, coll. 92 sg.; 1. Bmez, Le père de Basilina, préfet d'Egypte, in Melanges P. Thomas, Bruges 1930, pp. 57-63; PALANQUE, Essai cit. (sopra, a nota 225), p. 3; CHASTAGNOL

1968, pp. 323-329 (=pp. 181-187); 1970, pp. 55-57 e 68; PLRE I, pp. 478 sg.; J. R. MARTINDALE, Prosopography of the Later Roman Empire: Addenda et Cor-

rigenda to Volume 1, in “Historia” 23 (1974), p. 249, e in “Historia” 29 (1980), p. 487; BARNES 1982, pp. 128, 141, 150. 235 Cfr. PINTAUDI, La data della prefettura di Iulius Iulianus cit. (sopra, a

nota 227). Il P. Laur. UV/484 contiene parte di un documento inviato dallo stratego dell’Ossirinchite al prefetto d’Egitto Iulius Iulianus datato mediante il consolato dell’anno 314; il giorno e il mese sono purtroppo caduti in una lacuna. In un passo dell’epistola agli Alessandrini, conservata da Socrate (H.E. II 3, 21=Iul., Ep. 60 Bidez-Cumont=21 Wright), Giuliano Augusto faceva riferimento alla prefettura d'Egitto del nonno, il futuro prefetto del pretorio.

296

appare ormai insediato alla guida degli uffici prefettizi di Alessandria 236, E probabile che il suo incarico egiziano sia iniziato nel corso del 313 e si sia protratto fino al riassetto liciniano della regione egiziana, avvenuto, secondo gli elementi forniti dal Laterculus Veronensis, nella seconda metà

del 314 237, E in questo periodo che Iulius Iulianus, l’ultimo prefetto attivo nella valle del Nilo prima della divisione della provincia in Aegyptus Iovia e in Aegyptus Herculia, fu congedato dalla prefettura d' Egitto, verosimilmente per essere promosso da Licinio alla carica di prefetto del pretorio 238, Questo è il terminus post quem della sua nomina alla massima prefettura. L'altro incarico di Iulius Iulianus precedente alla prefettura del pretorio è un vicariato orientale, testimoniato da un verbale proveniente da Ossirinco 229. Se, come sembra lecito

supporre, il vicario dei prefetti del pretorio ὃ il futuro prefetto di Licinio, la sua supplenza deve risalire a un periodo anteriore alla nomina alla prefettura d'Egitto e non successivo, come ha proposto l'editore del documento. Il papiro di Ossirinco non é datato, ma la cronologia della carriera di Iulius Iulianus spinge a ritenere che egli esercitasse la carica di agens vice praefectorum praetorio in Oriente prima del 314, forse durante i regni di Galerio e di Massimino, e ottenesse,

dopo la supplenza, le due prestigiose prefetture equestri. Iulianus fu, dunque, vice prefetto nella zona orientale dell’impero, prefetto d' Egitto, infine prefetto del pretorio del sovrano che aveva conquistato l'Oriente romano.

236 Aurelius Ammonius è ricordato in carica come prefetto d’Egitto dal P. Flor. I 36, del

17 agosto 312, e dal PSI VIII 886, databile tra l'agosto 311 e l’a-

gosto 312. 237 Laterculus Veronensis, p. 247 Seeck (cfr. Barnes 1982, p. 202). Come accennato (sopra, pp. 174 sg.), questo importante documento amministrativo risale a un esemplare redatto dalle cancellerie palatine di Costantino e di Licinio nella seconda metà del 314.

238 Per la divisione dell’Egitto da parte di Licinio vd. sopra, nota 22. 239 P. Oxy. 2952. Pubblicato e commentato da G.M. Browne (The Oxyrhynchus Papyri, XLI, London 1972, pp. 24-26), il testo contiene frammenti del verbale di un procedimento tenutosi davanti a /ulianus v(ir) p(erfectissimus) a(gens) v(ice) praeff(ectorum) praett(orio). Il papiro conserva l’estremo lato sinistro della colonna col nome del funzionario ed & privo di datazione. Malgrado lo stato imperfetto, il giudice puó essere identificato con Iulius Iulianus; in questo senso anche A. K. BowMaN, Papyri and Roman Imperial History, 1960-75, in "JRS" 66 (1976), p. 162, nota 96.

297

Non c’è dubbio che Licinio stimasse le qualità di questo amministratore. Non solo Iulianus scampò all’epurazione feroce attuata contro i funzionari maggiormente legati a Massimino, ma ottenne da Licinio che la sua carriera, svolta nel-

le regioni orientali dell’impero, fosse coronata da una duratura prefettura del pretorio. Un passo dell’orazione XVIII di Libanio fa riferimento al lungo incarico prefettizio di Iulianus, e consente di ipotizzare con un buon margine di sicurezza che Iulius Iulianus restò in carica per circa dieci anni, fino alla vittoria di Costantino a Crisopoli 240. Anche l'imperatore cristiano doveva tenere in grande considerazione le qualità del prefetto di Licinio. Questi entrò infatti a far parte della famiglia costantiniana grazie al matrimonio di sua figlia Basilina col fratellastro di Costantino stesso, lulius Constantius, alle sue seconde nozze 24. Com'é noto, da quel ma-

trimonio sarebbe nato il futuro imperatore Giuliano, che ricevette il cognome del nonno materno, già prefetto del pretorio di Licinio. Di recente J. Vanderspoel ha proposto di identificare l'autore di alcune lettere confluite nell'epistolario di Giuliano Augusto, ma composte prima della nascita dell'imperatore, con l'omonimo prefetto del pretorio di Licinio, nonno materno dell’imperatore ??. Vanderspoel ha proposto una ricostruzione dei possibili legami di parentela tra Iulius Iulianus e le famiglie dei Tetrarchi e di Costantino. Malgrado la parte di ipotesi che — come spesso accade quando si ricostruiscono ascendenze, legami matrimoniali e consanguineità — condiziona la sua proposta, la ricostruzione ha certamente il pregio di offrire un'ulteriore spiegazione del successo

della carriera di questo

funzionario,

malgrado

cambiamenti di regime politico che essa attraversó 243, In ogni caso, gli elementi a disposizione suggeriscono che Iulius Iulianus sia stato un personaggio particolarmente dotato e un apprezzato amministratore, capace di servire con abnegazione Galerio, Massimino e Licinio.

40 Lib., Or. XVIII 9. 24) Cfr. il testo di Libanio cit. alla nota precedente, e gli stemmi della famiglia costantiniana in PLRE I, pp. 1129 sg., e cfr., ora, VANDERSPOEL, Correspondence cit. (sotto, nota sg.), p. 420. 242 Cfr. J. VANDERSPOEL, Correspondence and Correspondents of Julius Julianus, in "Byzantion" 69 (1999), pp. 396-478; su questa proposta vd. oltre.

243 Cfr. VANDERSPOEL, Correspondence cit., pp. 402-420.

208

i

Sembra potersi escludere che Iulius Iulianus sia uno dei due consoli ordinari dell’anno 325 (Paulino et Iuliano consulibus) ?^. E altresì escluso che lo Iulianus console nel 325 sia Ceionius Iulianus signo Camenius 245 Tre datazioni in documenti papiracei provenienti dall’ Ermopolite, P. Stras. III 137r (19-21), 138 (17-18), e P. Charite 13 (39-40), sono le uniche a conservare i gentilizi dei due consoli del 325 Paulinus et Iulianus, tutti nella forma: ὑπατείας 'Avixiou Παυλίνου xoi Ἰωνίου

Ἰουλιανοῦ. Benché provengano dallo stesso nomos, i tre documenti furono redatti da mani diverse. La concordanza del gentilizio Iunius per il console Iulianus spinge a escludere che questi possa essere l'ex prefetto del pretorio di Licinio. Il gentilizio Iulius era certamente piü familiare di Iunius ai funzionari egizi. Inoltre sembra difficile che i funzionari e gli abitanti della provincia equivocassero sul gentilizio di un personaggio che era stato prefetto d'Egitto. Ci si aspetterebbe, dunque, la ‘semplificazione’ del gentilizio Iunius nel più comune Iulius e non il

contrario 246, Julius Iulianus non concluse la sua carriera con un consolato ordinario nel 325 e, per quanto ὃ possibile appurare, malgrado la stima di cui godette presso Costantino, senza un'eventuale adlectio, non entró nell'ordine senatorio (vd. oltre). Un'iscrizione greca proveniente da Pinarbasi, recentemente pubblicata, potrebbe — il condizionale ἃ d'obbligo - illuminare sugli esordi della carriera equestre di Iulius Iulianus 247, Essa ricorda uno Iulius Iulianus vir egregius procurator Augustorum, agens vice praesidis Phrygiae et Cariae. Con cautela si potrebbe ipotizzare che il cavaliere possa essere il futuro prefetto del pretorio, allora procuratore di Diocleziano e Massimiano Augusti, e governatore della provincia, prima della sua divisione avvenuta verso il 301.

Le carriere dei due funzionari invitano a datare la redazione della dedica di Tropaeum Traiani non prima della fine del 314. Per cercare di circoscrivere meglio la cronologia della prefettura del pretorio comune di Annianus e del suo collega Iulianus, é necessario volgere l'attenzione a un inte-

ressante documento letterario conservatosi grazie allo scrupolo documentario di Optatus di Milevi (App. VIII, CSEL 26, p. 212 Ziwsa) 245:

244 Cfr, SEECK, Iulius Iulianus, RE cit., accolto nei contributi di ΒΙΌΕΖ (Le

pére de Basilina, cit.) e di CHAsTAGNOL (1962, p. 85, e 1968, p. 329=p. 187), nonché 245 GRASSI, 246 titolari

in PLRE I, pp. 479 e 1043, e in BARNES 1982, pp. 96 e 102 sg. Cfr. O. SEECK, Caeionius Iulianus Camenius 19, RE III/2, col. 1859; Dep. 79, in base all'integrazione della lacuna del P. Charite 13. Su] problema delle coppie consolari del 325 e sulla personalità dei loro cfr. Consuls, pp. 185 e 629.

%47 AE 1982, 896. 248 I] testo della lettera è stato riprodotto e commentato da H. von SODEN, H. von CAMPENHAUSEN, H. LIETZMANN, Urkunden zur Entstehungsgeschichte

299

Petronius Annianus et Iulianus Domitio Celso vicario Africae. Quoniam Lucianum, Capitonem, Fidentium et Nasutium episcopos et Mammarium presbyterum, qui secundum caeleste praeceptum domini Constantini maximi, invicti,

semper Augusti ad Gallias cum aliis legis eius hominibus venerant, dignitas eius ad lares proprios venire praecepit, an-

garialem his cum annonaria competentia usque ad Arelatensem portum secundum imperatum aeternitatis eiusdem clementissimi principis dedimus, frater, qua inde Africam navigarent, quod sollertiam tuam litteris nostris scire conveniat. Optamus te, frater, felicissimum bene valere. Hilarius princeps optulit III kal(endas) Maias Triberis. Si tratta di un'epistola emessa dalla cancelleria del prefetto del pretorio Petronius Annianus, allora residente a Treviri, come si ricava dalla subscriptio, e inviata al vicario d' A-

frica Domitius Celsus ?9. Questa lettera è una delle poche epistole prefettizie di cui si conservi il testo. Essa appartiene allo stesso genere diplomatico della lettera che 1] prefetto del pretorio di Massimino Augusto, Sabinus, diramó nel 311 fra

i governatori della pars orientale dell’impero, per diffondere le istruzioni riservate del principe in merito all'applicazione dell'editto di Galerio 259, A] pari dell'epistola di Sabinus, anche la lettera di Annianus era una comunicazione interna, non destinata alla pubblicazione. Tuttavia, mentre la lettera

di Sabinus è una circolare — un testo riprodotto in molte copie identiche, destinate a raggiungere tutti i funzionari dell'area dell'impero governata dall’ Augusto — l’epistola di Annianus é una comunicazione inviata, in un'unico originale, al

solo vicario d' Africa. Redatta in un periodo di concordia ufficiale tra i sovrani dell' impero, la lettera contiene nell’intitulatio anche il cognome del prefetto di Licinio, perché si ri-

des Donatismus, Berlin 19507, p. 34; J.-L. MAIER, Le dossier du Donatisme, 1,

Des origines à la mort de Constance II (303-361), Berlin 1987, pp. 187-189, n. 23. Per un inquadramento dell’opera di Optatus cfr., di recente, C. Mazzucco, Ottato di Milevi in un secolo di studi. Problemi e prospettive, Bologna 1993, e l'introduzione al trattato antidonatista di Optatus a cura di M. LABROUSSE, Op-

tat de Miléve, Traité contre les Donatistes, 1 (SC 412), Paris 1996, pp. 9 sgg. 249 Per un inquadramento diplomatico dell'epistola del prefetto Annianus cfr. CLASSEN, Kaiserreskript cit. (sopra, a nota 100), pp. 50 sg.; CORCORAN, pp. 88 sg., 202. 250 Eus., H. E. IX 1, 1, analizzata sopra, pp. 217-225.

300

tiene formalmente emanata dall’intero collegio prefettizio ?5!, L’indicazione, apposta in calce al testo dal princeps offici del prefetto del pretorio di Costantino, indica la data e il luogo in cui il responsabile dell’officium sottopose la copia alla firma del funzionario. L'assenza dell’anno consolare potrebbe essere spiegata con la collocazione della coppia consolare in un altro punto del testo, e con una sua eventuale scomparsa quando il contenuto della lettera fu copiato, o con un’omissione di Optatus, o della sua fonte 252, La specificazione Hilarius princeps optulit, confluita, insieme

al testo

della lettera, nell’appendice al trattato di Optatus, contribuisce ad avvalorare l’autenticità di questo documento. Purtroppo l’indicazione del lavoro di controllo del direttore della cancelleria prefettizia non aggiunge molto alle nostre conoscenze sull’evoluzione dell’officium in questo periodo, quando certamente ciascun prefetto del pretorio aveva una sua cancelleria 253,

251 Come per l’intitulatio della lettera prefettizia, un segno della concordia fra i sovrani è costituito dall’enunciazione dei nomi di entrambi gli Augusti, gerarchicamente ordinati, nell intitulatio degli atti emessi da ciascun sovrano; cfr. l’intitulatio della lettera inviata, verso la fine del 315, da Costantino al proconsole d’Africa Petronius Probianus, in Aug., Ep. 88, 4 (CSEL 34, pp. 410 sg. Goldbacher). Parallelamente un altro segno di concordia è costituito dalla condivisione della stessa coppia consolare eponima. L’epistola del prefetto Sabinus, nella traduzione di Eusebio, è invece priva dell’intitulario originale (vd. sopra,

p. 219). 252 Sulla data posta a fianco della copia di lettere imperiali cfr., per esempio, le subscriptiones di Nov. Val. 1, 3; 9; 16.

253 Sulla funzione del princeps (officii praefecti praetorio), di cui in questo documento si conserva per una fortuita e rarissima circostanza il nome, cfr. E. STEIN, Untersuchungen über das officium der Prätorianerpräfektur seit Diokletian, Wien 1922 (rist. Amsterdam 1962), pp. 4 sgg., e A. GIARDINA, Aspetti della burocrazia nel Basso Impero, Roma 1977. La presenza di un princeps officii (praefectorum praetorio) accanto ai prefetti durante le riunioni presiedute dall’imperatore è testimoniata nell’età di Caracalla in C7 IX 51, 1, e nella famosa iscrizione di Goharia (AE 1947, 182=SEG XVII 759, col. I, lin. 3); cfr. L. DE-

ROCHE, La carriére de L. Julius Victor Modianus et les bureaux de la préfecture du prétorie sous Septime Severe, in "REA" 51 (1949), pp. 60-67. Notazioni di cancelleria, analoghe a quella della lettera di Annianus, si sono conservate in al-

tri due documenti prefettizi: nell'editto del prefetto del pretorio d' Oriente Petrus (PLRE III, pp. 999-1002) del giugno 555, trasmesso nella Nov. Iust. 159, ep., e nell'editto di Flavius Aurelianus, del 562, pubblicato da J.-O. TJÄDER, Die nichtliterarische lateinische Papyri Italiens aus der Zeit 445-700, 1, Lund 1955, p. 216, P. n. 4-5, B coll. VII linn. 12 sg., e VII, linn. 4 sg.2Chartae Latinae Antiquiores XVII, Zürich 1984, pp. 23-59, n. 653.

301

Abbiamo visto che la lettera di Petronius Annianus ἃ Domitius Celsus è una missiva destinata solo al vicario d’Africa. Un recente ritrovamento papirologico ha permesso di appurare l’esistenza di una lettera circolare, inviata dalle cancellerie di Petronius Annianus e di Iulius Iulianus a tutti i funzionari e le comunità dell'impero. Il P. Oxy. 3791 ha restituito parte del bilancio annuale di un ufficio pubblico egiziano, datato al periodo 29 agosto 317-28 agosto 318. Verosimilmente il redattore del rendiconto inseri nel suo prospetto le spese dell'ufficio a partire dal 1 gennaio dell'anno solare romano, in questo caso il 318. In quel mese (linn. 1 sg.) l'ufficio egiziano pagó una cifra ignota al pittore Artemidorus affinché preparasse un ritratto del collegio imperiale, secondo gli ordini impartiti dagli anonimi prefetti del pretorio: "Apte-

μιδώρῳ ζωγράγῳ ὑ(πὲρ) τι(μῆς) χρωμάτων καὶ ζωγραφίας θείων χαρακτήρων κατὰ κέλευσιν τῶν ἐξοχωτ(άτων) ἐπάρχων 254. Con ogni probabilitä Artemidorus preparö un ritratto (o piü ritratti) di Costantino e Licinio Augusti e dei tre Cesari, Crispo, Licinio II e Costantino II, o eventualmente dei soli Cesari, non sappiamo se su legno, su tessuto o su una parete. L'esecuzione del dipinto avvenne in applicazione di un ordine dei prefetti del pretorio esteso a tutto l’impero. Le epistole prefettizie divulgate dagli officia prefettizi, perdute, dovettero essere simi-

li alle ἐπιστολαὶ κατ᾽ ἐπαρχίαν emanate da Sabinus nel 311. Dal momento che il pittore fu pagato nel mese di gennaio 318, esse devono aver raggiunto l’ufficio di Ossirinco qualche tempo prima, e devono quindi essere state spedite dalle cancellerie prefettizie alcuni mesi prima. Questa cronologia induce a pensare che l’ordine dei prefetti avesse lo scopo di diffondere nell’impero l’immagine del nuovo collegio imperiale accresciutosi dopo l’elevazione di Serdica del marzo 317 255. I prefetti anonimi menzionati nel papiro devono essere Petronius Annianus e Iulius Iulianus, che, come vedremo tra breve, erano ancora in

carica insieme dopo l'elevazione dei Cesari.

Il testo della lettera a Domitius Celsus si rivela ricco di informazioni. Come nel caso di molti prefetti del pretorio suoi contemporanei, Annianus appare inserito nel comitatus accanto a Costantino, a Treviri. A corte, all’epoca del dibat-

tito sulla questione donatista, il prefetto ricevette dall’imperatore l’ordine di rinviare i vescovi e i presbiteri donatisti alle loro sedi africane. E molto probabile, in base a quanto si

254 Si deve forse alla concisione dello scriba egiziano, e alla pratica di un formulario amministrativo ormai secolare, l’estensione del rango mus anche ad Annianus, che allora era certamente un clarissimus.

eminentissi-

255 La stessa cosa era avvenuta, per esempio, nell’autunno del 306, quando il ritratto di Costantino Cesare, cooptato da Galerio nel collegio imperiale, era stato esposto a Roma (Zos. II 9, 2).

302

conosce dello svolgimento del ricorso, ma anche in base agli spostamenti dell’imperatore e alle espressioni utilizzate dal prefetto nella sua comunicazione, che l’ordine di Costantino al suo funzionario sia stato impartito oralmente 25%. Annianus, come già Sabinus, appare il responsabile principale dell'amministrazione provinciale della pars del suo imperatore. L’epistola rappresenta solo una delle numerosissime e frequenti comunicazioni che, allora, contribuivano a

tenere costantemente in contatto il centro e la periferia dell’amministrazione imperiale. Essa costituisce il modello di un genere di documenti diplomatici, che saranno impiegati per collegare, nei tre secoli seguenti, le sedi decentrate dei

prefetti del pretorio, dotati ormai di un mandato regionale, con gli amministratori loro sottoposti 257, Inoltre il rapporto epistolare tra il prefetto del pretorio Annianus, a Treviri, e il suo vicario per la diocesi Africana, Celsus, residente probabilmente a Cartagine, illustra il concreto funzionamento di

certi meccanismi amministrativi esattamente all’epoca della redazione del Laterculus Veronensis, il primo organigramma diocesano dell’impero romano conservatosi. Se la circolare e l’editto di Sabinus offrono le prime testimonianze note del coinvolgimento del prefetto del pretorio nelle comunicazioni legislative tra l’imperatore, le ammi- ^ nistrazioni provinciali e cittadine, e i sudditi, la lettera di An-

nianus rivela, per la prima volta, un'altra competenza che sarà tipica della prefettura del pretorio all'epoca della sua organizzazione regionale tardoantica: l'emissione e il controllo dei permessi per l'utilizzo del trasporto pubblico (evectiones) 8. Non sappiamo quando il controllo sull’uso del cur256 Sugli spostamenti di Costantino negli anni 314-317, collegati al problema della datazione della prima guerra contro Licinio, e sul contesto cronologico dell'appello dei donatisti vd. oltre. ?5? Per la divulgazione e la pubblicazione della legislazione imperiale attra-

verso circolari prefettizie vd. sopra, pp. 228 sgg. Sul percorso inverso, costituito, per esempio, dall'invio, oltre che di lettere, anche di registri (breves) dalle amministrazioni diocesane e provinciali agli officia dei prefetti del pretorio — te-

stimoniato nei Codici e nella Tavola di Trinitapoli (cfr. GIARDINA, GRELLE, La Tavola di Trinitapoli cit., sopra, nota 78, p. 260, lin. 26, e pp. 279 sgg.) -- cfr., ultimamente, L. Di PaoLA, Sull'uso di breves nell'amministrazione tardoantica, in Il Tardoantico alle soglie del Duemila, Pisa 2000, pp. 189-204. 258 Sul cursus publicus cfr., oltre alla sintesi di Jones, The Later Roman Empire cit. (sopra, cap. II, a nota 82), 2, pp. 830-834, di recente, L. Di PAOLA, Viaggi, trasporti e istituzioni. Studi sul cursus publicus, Messina 1999; C. CORSI,

303

sus publicus 518 stato affidato ai prefetti del pretorio, ma sem-

bra certo che esso non figurasse fra le competenze della carica durante il principato 259. Al contrario tra il IV e il VI secolo esso costituì un’importante e — per gli abusi cui si prestava e per gli alti costi di mantenimento — delicata prerogativa dei prefetti del pretorio, delegata anche ai loro vicari (col tempo anche al magister officiorum) ?90. Nella lettera di Annianus, il prefetto comunica al suo vicario di aver concesso al gruppo dei prelati donatisti, su richiesta dell’imperatore, un’evectio, il diritto, cioè, di usufruire del cursus publicus. Questa facoltà che, di norma, non spettava loro, era giustificata, come vedremo, dall’identico

privilegio che Costantino aveva concesso loro circa un anno prima, all’epoca della convocazione del Concilio di Arles. L’evectio si concretizzò verosimilmente nella stesura di un documento, la tractoria, rilasciato dal prefetto del pretorio al

gruppo dei presuli, beneficiari del servizio pubblico 261, In questo genere di documento prefettizio si specificavano lo scopo del viaggio, l’itinerario (tractus), il numero e la tipologia del mezzo di trasporto da impiegare e degli animali da tiro (angarialem, sottinteso probabilmente copiam), nonché

11 vettovagliamento e l’alloggio cui i prelati avrebbero avuto diritto nel corso del viaggio (annonaria competentia). Il do-

cumento, da presentare a ogni stazione di posta e alle autorità locali, era valido per il percorso da Treviri al porto di Arles (usque ad Arelatensem portum), attraverso le province delle diocesi delle Gallie e di Vienne, direttamente controlla-

te dal prefetto. Da Arles 1 presuli fecero vela alla volta dell’ Africa (qua inde Africam navigarent), dove il controllo diretto delle evectiones passava al vicario diocesano dei preLe strutture del cursus publicus in Italia, Oxford 2000. Per la legislazione tardoantica connessa

all’uso del cursus cfr. P. STOFFEL,

Über die Staatspost,

die

Ochsengespanne und requierten Ochsgespanne. Eine Darstellung des ròmischen Postwesen auf Grund der Gesetze des Codex Theodosianus und des Codex Iustinianus, Bern-Berlin-New York 1994.

259 Cfr. in proposito Eck, L'Italia nell'impero romano cit. (sopra, a nota 27), pp. 98, con nota 28, e 108. 260 NDOr. II 72 (p. 7 Seeck) e III 33 (p. 10 Seeck); Cassiod., Var. VI 3, 3; ENSSLIN, Praefectus praetorio cit. (sopra, a nota 97), coll. 2455 sg. ?6! La Jettera di Annianus, naturalmente, non ἃ la tractoria in possesso dei vescovi donatisti, di cui non resta traccia; sulla struttura di questi permessi per l'uso del cursus publicus cfr. CLAssEN, Kaiserreskript cit. (sopra, a nota 100),

pp. 45-53.

304

fetti del pretorio. Nella forma in cui è stata conservata da Optatus, la lettera di Annianus è una semplice comunicazione a scopo informativo del prefetto del pretorio di Costantino al suo vicario per la diocesi Africana. Se l’epistola prefettizia, come sembra, è integra, Annianus non chiese al suo vicario diocesano di estendere l’evectio, voluta da Costantino, anche alla prosecuzione del viaggio dei donatisti nella diocesi di

competenza di Celsus. Probabilmente Annianus volle informare il suo vicario dell’insolito privilegio riservato ai prelati donatisti, in modo che egli potesse vigilare circa un even-

tuale abuso di quell’evectio. Il contesto storico in cui maturò questa comunicazione prefettizia aiuta a inquadrare cronologicamente il documento. I primi anni dello scisma donatista rappresentano lo sfondo della lettera di Annianus 262. Com'è noto, nella primavera del 313 i vescovi numidi elettori di Donatus (donatisti) ri-

corsero all’autorità di Anullinus, proconsole d’Africa, e denunciarono il vescovo di Cartagine Caecilianus, affinché fosse rimosso. Il proconsole inviò a Costantino il ricorso dei donatisti e l’imperatore decise di rimettere l’esame della questione della legittimità del vescovo cattolico a un sinodo di presbiteri gallici presieduto dal vescovo di Roma Milziade. L'incontro si tenne a Roma nell'ottobre del 313: Caecilianus fu assolto, Donatus

e i suoi sostenitori deposti. Il verdetto

provocò disordini in Africa e un nuovo ricorso dei donatisti fu inoltrato a Costantino.

Questi

convocò

un sinodo nella

città gallica di Arles per il 1 agosto 314 e mise a disposizione dei vescovi e dei loro chierici il cursus publicus:

data

evectione publica per Africam et Mauritaniam inde ad Hispanias brevi tractu facias navigare et inde nihilominus his in singulis episcopis singulas tractorias tribuas, ut ipsi ad supra dictum locum intra diem kalendarum Augustarum pos-

262 Sulle origini e le prime fasi dello scisma donatista cfr., oltre alla sintesi di BARNES 1982, pp. 238 sgg., i recenti contributi di K. M. GIRARDET, Die Petition der Donatisten an Kaiser Konstantin (Frühjahr 313). Historische Voraussetzungen und Folgen, in "Chiron" 19 (1989), pp. 185-206; Das Reichskonzil von Rom (313) — Urteil, Einspruch, Folgen, in "Historia" 41 (1992), pp. 104116; B. KRIEGBAUM, Kirche der Traditoren oder Kirche der Martyrer ? Die Vorgeschichte des Donatismus, Innsbruck-Wien 1986, e Zwischen den Synoden von Rom und Arles: die donatistische Supplik bei Optatus, in "Archivum Historiae

Pontificiae" 28 (1990), pp. 23-61; per un riesame di alcune fonti cfr., ultimamente, DuvaL, Chrétiens d'Afrique cit. (sopra, cap. II, a nota 144).

305

sint pervenire 263, Al termine del sinodo, fra le altre cose, fu ribadita la condanna dei vescovi donatisti. Questi contestaro-

no il verdetto e ricorsero per la terza volta in appello contro Caecilianus di Cartagine e, poco dopo, contro Felix di Apthungi. Nel settembre del 314 Costantino scrisse ai vescovi ancora riuniti ad Arles, ordinò ai presuli cattolici di rientrare alle loro sedi e inviò suoi agenti che tradussero i vescovi donatisti alla sua corte, a Treviri 264, L'imperatore li trat-

tenne nella sua residenza gallica per un certo tempo. Inoltre le condizioni climatiche del sopraggiunto inverno 314-315 non consentivano di rinviare i vescovi africani alle loro sedi. A questo punto, come sappiamo dall’epistola del prefetto Annianus, l’imperatore decise di congedare e far tornare alle rispettive sedi i vescovi donatisti trattenuti a corte, e ordinò al

suo prefetto del pretorio di concedere loro l’evectio e di redigere la necessaria tractoria per l'uso del cursus publicus. La sequenza cronologica degli avvenimenti rende probabile che la lettera di Annianus a Celsus risalga alla primavera del 315. Nella prima metà di quell'anno Costantino potrebbe essere stato sollecitato ad affrettare la partenza dei vescovi scismatici da Treviri, avendo progettato di lasciare la corte in pri-

mavera e di assicurare la difesa delle Gallie prima della partenza per Roma, dove avrebbe celebrato, in luglio, i suoi De-

cennalia. Come abbiamo visto, per una fortunata coincidenza, l'e-

pistola prefettizia conserva in calce l'indicazione del giorno e del mese in cui il documento originale fu sottoposto alla firma di Petronius Annianus: il 28 aprile di un anno non indicato. La ricostruzione della cronologia della disputa donatista suggerisce che l'anno in questione sia il 315. L’ipotesi é confermata dall' analisi della serie dei vicari d' Africa di questo periodo. Domitius Celsus fu in carica come vicario d' Africa tra il 1 agosto 315 e 111 gennaio 316 265, Il suo prede263 E un passo della lettera di Costantino ad Aelafius, vicario d' Africa, conservata da Optatus, App. III (CSEL 26, p. 206 Ziwsa). Le convocazioni imperiali di privati o di vescovi, affinché raggiungessero il comitatus, o la sede di un concilio, comportavano l'evectio per il destinatario (queste convocazioni imperiali sono le cosi dette epistulae evocatoriae, o augustae iussiones); cfc, per esempio, Eus., H. E. X 5, 23; VC. ID 6, 1; Soc. H. E. 125; Iul., Ep. 46 Bidez-Cumont=15 Wright; Cassiod., Var. III 22; 28; VII 34-35; X 13. 264 Opt., App. V (CSEL 26, p. 210 Ziwsa). 265 Su Domitius Celsus vd. PALLU DE LEssERT, p. 171; PLRE T, p. 195; il vi-

306

cessore, Verus, appare ancora in funzione il 15 febbraio 315, ma il successore di Celsus al vicariato africano, Eumelius,

compare per la prima volta in carica.il 21 marzo 316, ed è ancora titolare dell’ufficio il 10 novembre 316 266. Datare l’epistola prefettizia all’aprile 314 è impossibile, perché 1] vicario della diocesi era allora Aelius Paulinus, e perché Costantino

non poteva ordinare il rientro dei vescovi africani da Treviri prima ancora della loro partenza per il concilio di Arles, inaugurato il 1 agosto 314. A una datazione all’aprile del 316 si oppone il fatto che allora era vicario d' Africa Eumelius. L'unica datazione possibile per l’epistola emessa dalla cancelleria di Petronius Annianus è il 28 aprile 315. Eumelius era sicuramente in carica il 10 novembre 316, quando ricevette la lettera riassunta da Agostino in due passi di sue opere antidonatiste 267. La famosa costituzione confluita in CTh IX 40, 2, sul divieto di sfigurare il volto dei condannati con la scribtio, è l’altro documento che attesta l’incarico africano di Eumelius. Nei manoscritti la costituzione, emessa a Cavillunum,

è datata 21 marzo

315. O. Seeck,

sulla scorta di Th. Mommsen, ha considerato il consolato un post consulatum, e l’ha spostata al marzo 316 268, Lo spostamento appare giustificato dall’incongruità dell’accavallamento nel medesimo incarico tra Domitius Celsus ed Eumelius. Il primo fu senza dubbio in carica tra il 1 agosto 315 e l’11 gennaio 316, mentre il secondo, in base ai dati del Codice Teodosiano, sarebbe stato in carica tra il 21 marzo 315 e il 10 novembre 316. La maggiore affidabilità della datazione del documento conservato da Agostino spinge a considerare il novembre 316 come la data più sicura del vicariato di Eumelius e a collocare l'avvicendamento tra Celsus ed Eumelius al vertice del vicariato africano tra 1° 11 gennaio e il 21 marzo 316. Parallelamente, la ricostruzione degli spostamenti di Costantino negli anni 315-316, e la datazione della prima guerra con Licinio nell'autunno 316, sostengono l'ipotesi che CTh IX 40, 2 possa essere stata emessa a Cavillunum,

sulla Saöne, nel marzo

316, anziché nel 315 269,

cario è segnalato in carica il 1 agosto 315 da CTA IX 18, 1, e 111] gennaio 316 da CTh122, 1. 266 Su Eumelius vd. PALLU DE LESSERT, p. 173; PLRE T, p. 294. Su Verus vd. PALLU DE LESSERT, pp. 164 sg.; PLRE L, p. 952. 267 Aug., C. Cresc. III 71, 82 (CSEL 52, p. 487 Petschenig), e C. part. Don.

post gesta 33, 56 (CSEL 53, p. 158 Petschenig). 268 Cfr. SEECK 1919, pp. 68, 142 sg., 164, sulla scorta di Th. Mommsen, CTh IX 40, 2, in apparato. 269 Sulla cronologia degli avvenimenti del periodo 315-316 vd. oltre.

307

Il primo documento, sicuramente databile, che indichi Pe-

tronius Annianus e Julius Iulianus contemporaneamente in carica come prefetti del pretorio ὃ, dunque, l'epistola prefettizia del 28 aprile 315. Questa data puó essere considerata anche il terminus post quem della dedica collegiale di Tropaeum Traiani. Si consideri, comunque,

che il congedo di Iulianus

dalla prefettura d' Egitto sarà avvenuto nella seconda metà del 314; al momento della promozione di Iulianus alla prefettura

del pretorio Annianus era già in carica da qualche tempo; inoltre verso la fine di aprile la cancelleria prefettizia di Annianus a Treviri conosceva il nome del prefetto nominato altrove da Licinio. Questi indizi potrebbero anticipare un poco i termini cronologici della formazione di questo collegio prefettizio e, quindi, dell'eventuale realizzazione della dedica.

Abbiamo notato come nell'epigrafe non siano onorati 1 Cesari e come la loro assenza, già sottolineata da Th. Mommsen,

sia un indizio importante per collocare la stesura dell'iscrizione danubiana prima del marzo 317 220. Inoltre il clima di crescente tensione che caratterizzò le relazioni tra Costantino e Licinio nel corso del 316, e che sfociò nella prima guerra tra 1 due sovrani, spinge a ipotizzare che la dedica di Tropaeum Traiani sia stata decretata dai prefetti del pretorio prima che 1 rapporti tra gli Augusti degenerassero 27!, Si sarebbe propensi, dunque, a collocare la realizzazione dell’epigrafe tra gli ultimi mesi del 314 e la metà del 316, al più tardi. 270 Cfr. Tu. MOMMSEN, Zu der Inschrift von Tropaea, in “Archäologischepigraphische Mittheilungen aus Österreich-Ungarn” 17. (1894), pp. 114-116

(=Gesammelte Schriften, VI, Berlin 1910, pp. 300-302). L'assenza dei nomi dei Cesari resta un elemento che non può essere sottovalutato. Le epigrafi che ricordano costruzioni o restauri di edifici pubblici tra il 317 e il 337 contengono anche i nomi dei Cesari; cfr., in sintesi, la silloge di iscrizioni redatta da GRÙNEWALD, Constantinus cit. (sopra, a nota 194), pp. 181 sgg., e le epigrafi monumentali di Aila / Aelana e di Ain Rchine (vd. sotto, cap. IV, 82 e 3).

271 Riguardo al complesso problema della cronologia della prima guerra tra Costantino e Licinio (il così detto Bellum Cibalense), riella presente ricerca si propende per una datazione nell'autunno del 316. Su questa ipotesi di datazio-

ne cfr., accanto all'importante contributo di C. 'HaBicur, Zur Geschichte des Kaisers Konstantin, in "Hermes" NEWALD, Constantinus cit. (sopra, a risultati dell’analisi del patrimonio Quelques mises au point autour de

de.

Dall’antichità

86 (1958), nota 194), epigrafico l'empereur

all’Umanesimo,

pp. 360-378, di recente, GROpp. 108-112, che si & avvalso dei costantiniano; A. CHASTAGNOL, Licinius, in Costantino il Gran-

1, Macerata

1992,

pp.

311-323;

C.

EHRHARDT, Monumental Evidence for the Date of the. Constantine First War against Licinius, in *AncW" 23 (1992), pp. 87-94, con un'interessante’ analisi, dell’iconografia dell’arco di Costantino.

308

In questo periodo la città di Tropaeum Traiani si trovava nella provincia di Scizia, nell’area governata da Licinio 272, Sembra molto probabile che il funzionario incaricato di sovrintendere alla costruzione della città danubiana, e alla concreta realizzazione del monumento prefettizio, sia stato Iulius Iulianus, prefetto di Licinio. La dedica intendeva cele-

brare anche Costantino ed è estremamente probabile che, come sembra accadere per le altre iscrizioni collegiali, i due

prefetti concordassero la realizzazione congiunta del monumento e, forse, la stesura del testo dell’iscrizione. E interes-

sante notare come questa epigrafe si discosti notevolmente dalle altre dediche prefettizie collegiali superstiti, perché sottolinea l’occasione che spinse il collegio prefettizio a realizzare la dedica: la rifondazione della città di Tropaeum Traiani 273. Gli onori resi congiuntamente dai prefetti del pretorio ai loro sovrani sono l’obiettivo di tutte le dediche prefettizie collegiali, anche di quella in esame, ma in questo caso — e solo in questo caso — la celebrazione monumentale è esplicitamente motivata con la nuova dedicazione della città danubiana. L'intervento edilizio coinvolgeva certamente i prefetti del pretorio, che erano fra i funzionari preposti alla cura della ricostruzione e del rafforzamento delle difese del limes 274. 212 Secondo i dati forniti dal Laterculus Veronensis (p. 248 Seeck; cfr. BAnNES 1982, p. 202), nella seconda metà del 314 la regione compresa tra le coste del Mar Nero e l'ansa finale del Danubio & già organizzata nella provincia di Scizia e non appartiene piü all'antica Mesia Inferiore, come talvolta si legge a proposito della nostra iscrizione. La Scizia rimase, con la Mesia Seconda e con

l'intera diocesi Tracica, nella pars di Licinio dopo la sua sconfitta nel primo conflitto con Costantino; passò sotto il controllo di quest'ultimo solo con la sconfitta di Licinio ad Adrianopoli nel luglio 324. 213 Su Tropaeum Traiani cfr. A. e I. BARNEA (a cura di), Tropaeum Traiani, i, Cetatea, Bucuresti 1979, in particolare pp. 233-253; V. VELKOV, Das Zeital-

ter Konstantins des Grossen in Thrakien, in "A AHung" 24 (1976), pp. 397-406 (=Geschichte

und

Kultur

Thrakiens

und Mösiens.

Gesammelte

Aufsätze,

Am-

sterdam 1988, pp. 163-172). Gli scavi archeologici hanno evidenziato una cesura nella riedificazione delle mura di cinta della città in età dioclezianea: è probabile che intorno al 295 un’irruzione di Goti vanificasse l’opera di difesa intrapresa in passato, e che questa venisse abbandonata a vantaggio del rafforzamento di altre roccaforti nell’area basso-danubiana (Durostorum, Dinogeta, Transmarisca, Halmyris, ecc.). Tuttavia si segnala la grande vitalità di questa città dal momento della sua ricostruzione in età costantino-liciniana fino alla fine del VI secolo, quando fu definitivamente abbandonata. 274 L'iscrizione dedicatoria del forte di Aqua Viva, sul limes di Numidia (AE

1942/43, 81), mostra che i vicari dei prefetti del pretorio già in età tetrarchica avevano compiti di sovrintendenza all’edilizia militare; questa funzione, natu-

309

Come spiega il testo dell’iscrizione, la rifondazione di Tropaeum Traiani era strettamente connessa con il consolidamento delle fortificazioni lungo il basso corso del Danubio (ad confirmandam limitis tutelam, ma l’espressione potrebbe essere intesa in senso piü vasto e indicare tutto il limes romano). Essa, dunque, faceva parte di un programma di miglioramento della funzionalità operativa lungo i confini esterni delle province balcaniche e traciche, ma costituiva solo un aspetto di un progetto più ampio. I prefetti del pretorio hanno specificato infatti che anche (etiam) la riedificazione della città aveva lo scopo di rafforzare la sicurezza del limes, il cui risanamento si attuò parallelamente alla rifondazione urbana. È probabile che la colonia fondata da Traiano avesse risentito delle invasioni gotiche che si abbatterono sulla Tracia nella seconda metà del III secolo e che l’opera di ricostruzione delle difese basso-danubiane intrapresa dai Tetrarchi non avesse contemplato il restauro — o la rifondazione — di Tropaeum Traiani. Le espressioni usate da Annianus e Iulianus nella dedica suggeriscono che l’intervento edilizio avvenne come qualcosa di atteso da tempo (auspicato opere). Naturalmente l’enfasi attribuita alla rifondazione della gloriosa colonia traianea è comprensibile. Il rifacimento del limes di una provincia eccentrica come la Scizia offriva meno lustro ai sovrani rispetto alla rifondazione di una città romana che ricordava la vittoria delle armate di Traiano sui Daci. L’opera di riedificazione a fundamentis del municipio rappresentava un evento eccezionale e, a giudicare dai resti archeologici di età tardoantica, diede all’antica colonia traianea un note-

vole e duraturo aspetto monumentale, e un rinnovato prestigio 275. l'intervento edilizio offriva l'occasione di una celebrazione congiunta di due Augusti, la cui virtus et providentia si era mostrata particolarmente efficace in tutto l’impero (ubique) nel piegare le velleità delle popolazioni barbariche. Le testimonianze epigrafiche e numismatiche degli anni

ralmente, doveva far parte delle attribuzioni dei prefetti del pretorio; sull’epigrafe numida vd. sopra, cap. II, pp. 167 sg. 275 La Tropaeum Traiani ricostruita agli inizi del IV secolo appare, da quel momento, un centro esteso, munito di ampie mura turrite e approvvigionato da

un funzionale acquedotto. Nella città furono edificati, tra il IV e il VI secolo, diversi importanti edifici, fra cui sono stati individuati una basilica nel foro e ben cinque chiese cristiane.

310

315-metä 316, quando la dedica collegiale fu incisa, sembrano sottolineare una precisa divisione dei compiti bellici tra i due sovrani. Costantino è celebrato esclusivamente come trionfatore sui Franchi e sugli Alamanni lungo la frontiera renana 276. In questo settore egli continuò l’opera di difesa della romanità gallica iniziata con le spedizioni transrenane di suo suocero Massimiano Erculio e di suo padre Costanzo I, e per questo la tradizione lo ha esaltato. E probabile, dunque, che la ricostruzione della gloriosa città di Tropaeum Traiani offrisse sì l'occasione ai due prefetti del pretorio, incaricati dell’edilizia militare lungo i confini dell’impero, per accomunare nell’esaltazione delle virtù entrambi gli Augusti, ma

che i sovrani fossero e restassero attivi su fronti diversi. Si consideri che nella dedica prefettizia non si fa nessuna allusione a una campagna congiunta dei due sovrani all’origine della rifondazione civica, né a una vittoria su una precisa popolazione barbarica, che presupporrebbe una spedizione degli Augusti contro quel particolare nemico. Se la ricostruzione della città fosse stata in qualche modo connessa con particolari vittorie ottenute nella regione da Costantino e Licinio non c’è dubbio che i loro prefetti del pretorio avrebbero esaltato una simile inusitata manifestazione di concordia 277. Le

276 Sulle difese costantiniane lungo il Reno cfr. T. GRUNEWALD, Ein epigraphisches Zeugnis zur Germanenpolitik Konstantins des Grossen: die Bauinschrift des deutzer Kastells (CIL, XIII 8502), in Labor omnibus unus. Festsch-

rift für G. Walser, Stuttgart 1989, pp. 171-185. Per le emissioni monetali di Ticino, del 315, con celebrazione delle vittorie sui Franchi e gli Alamanni (Francia, Alamannia) cfr. M.-R. ALFÖLDI, Die constantinische Goldprägung. Untersuchungen zu ihrer Bedeutung fiir Kaiserpolitik und Hofkunst, Mainz 1963, pp.

42, 168, n. 146-151, 155-161; R. OvERBECK, Rom und die Germanen. Das Zeugnis der Münzen, Aalen 1985, pp. 53 sg., n. 160-163. ?7 La scoperta della dedica prefettizia di Tropaeum Traiani ha spinto diversi studiosi a ipotizzare l’esistenza di operazioni militari congiunte di Costantino e Licinio in Illirico contro i barbari, culminate con la rifondazione della città e celebrate dall’epigrafe di Annianus e Iulianus. Sul problema cfr. E. DEMOUGEOT,

La formation

de

l'Europe

et les

invasions

barbares,

W/1,

Paris

1979,

pp. 63-65 e note 162 e 165; GRÜNEWALD, Constantinus cit. (sopra, a nota 194), p. 111. Tuttavia l’impressione che si ricava dall’analisi della documentazione è che la dedica prefettizia di Tropacum Traiani abbia influenzato in modo sproporzionato la ricerca, facendo pensare alla presenza dei due Augusti, e forse dei due prefetti del pretorio, nella regione all’epoca della ricostruzione della città. L'iscrizione viene per lo più addotta come prova principale delle presunte operazioni congiunte dei due Augusti. In realtà il testo della dedica non sostiene affatto questa conclusione; a questo proposito cfr. il giudizio, tuttora valido,

311

espressioni dei prefetti del pretorio sembrano invece abbastanza generiche: si afferma che Costantino e Licinio hanno sconfitto i barbari ovunque — ubique, da intendersi "su tutte

le frontiere” — e hanno progettato il rifacimento della città danubiana quale punto di forza — il più glorioso ma non l’unico, come indica l'inserimento di etiam — di un programma di rafforzamento del limes, di tutto il limes romano. Sappiamo,

per esempio, che nell’anno dei suoi Decennalia Costantino provvide personalmente a far edificare il forte transrenano di Castrum Divitiensium (presso Colonia) — a più di duemila chilometri da Tropaeum Traiani — nel territorio occupato dai Franchi, appena sottomessi 278, I soldati che furono incaricati di ricostruire il presidio romano transrenano ci tennero a ricordare la presenza del principe durante i lavori di fondazione del Castrum. Se la dedicazione di Tropaeum Traiani fosse stata frutto dell’azione e della presenza congiunta dei due Augusti,

affiancati

dai rispettivi prefetti del pretorio,

sembra probabile che l’epigrafe danubiana avrebbe sottolineato con espressioni ben più circostanziate un evento così straordinario. Inoltre la dedica prefettizia, posta in prossimità della porta principale della città, fu realizzata con ogni probabilità in occasione dell’inaugurazione del risorto centro urbano, che avvenne quando 1 lavori di costruzione dovevano essere già a buon punto. A giudicare dall’estensione della città dei secoli IV-VI, rivelata dai recenti scavi archeologici,

la sua riedificazione a fundamentis non poté avvenire in breve tempo. Sembra anzi probabile che il progetto di ridare vita alla colonia traianea possa risalire all’iniziativa di Licinio Augusto, che governava l’Illirico meridionale dal maggio del 311. L’opera edilizia, intrapresa da Licinio dopo la morte di Galerio, potrebbe essere stata ultimata durante la fase concorde della diarchia costantino-liciniana, nel periodo fine 314-315. Questa ricostruzione permetterebbe di armonizzare, senza forzarli, i diversi elementi contenuti nell’iscrizione

prefettizia collegiale. Come accennato, è probabile che la dedica di Tropaeum Traiani, al pari delle altre dediche prefettizie collegiali, sia il espresso in passato daR. ANDREOTTI, Licinius (Valerius Licinianus), in DE IV/2, Roma 1959, p. 1010. 278 CIL, XIII 8502=/LS 8937; sull’epigrafe cfr. ora GRÜNEWALD, Ein epi-

graphisches cit. (sopra, a nota 276).

312

prodotto di una consultazione a distanza tra 1 due prefetti del pretorio di Costantino e di Licinio. Malgrado la difficoltä della ricostruzione dei soggiorni dei due imperatori negli anni della loro diarchia, alcuni indizi permettono di avanzare

ipotesi sulla presenza dei prefetti Annianus e Iulianus nei comitatus dei rispettivi Augusti 279. La lettera di Annianus al suo vicario Celsus fu siglata dal prefetto a Treviri il 28 aprile 315. Nel settembre del 314, alla conclusione del Concilio di Arles, Costantino fece trasferire,

alla sua corte, i prelati donatisti che rifiutavano di accettare le decisioni del sinodo 22°. Negli ultimi mesi del 314 Costantino era certamente a Treviri, dove trattenne gli scismatici e dove,

con ogni probabilità, inaugurò il suo quarto consolato il 1 gennaio 315 281, Sempre nella prima metà del 315, tra gennaio e giugno, l' Augusto emise a Treviri una o più costituzioni indirizzate al prefetto dell'annona Amabilianus 282. All’inizio dell'estate l’imperatore mosse alla volta di Roma. Nella capitale celebró i suoi Decennalia tra il luglio e il settembre 315, prima di ripartire per Milano e per le Gallie 283, Le espressioni contenute nella dedica di Tropaeum Traiani invitano ad escludere l’esistenza di una spedizione congiunta di Costantino e

219 Sugli spostamenti di Costantino e Licinio in questi anni cfr. HABICHT, Zur Geschichte cit. (sopra, a nota 271); BARNES 1982, pp. 68 sgg. e 80 sgg., dove si colloca opportunamente la prima guerra tra i due imperatori alla fine del 316. 280 Vd. sopra, pp. 304-306.

281 CTh VI 35, 1 e CTh 12, I furono emesse a Treviri rispettivamente il 29 ottobre e il 30 dicembre 314, Anche alcune costituzioni indirizzate ad Aelianus, proconsole d' Africa, e a Claudius Plotianus, corrector Lucaniae

et Bruttiorum,

sembrano essere state inviate da Treviri nel periodo ottobre-dicembre 314; in proposito cfr., di recente, CORCORAN, pp. 304 sg. Una serie di solidi coniati a Treviri celebrano il felix processus co(n)s(ularis) HII Aug(usti) n(ostri), RIC VII, p. 164, n. 12; ma cfr. anche le monete analoghe da Ticino, RIC VII, p. 363, n. 26.

282 CTh XI 30, 4; XIII 283 Sui Decennalia di cit. (sopra, a nota 194), pp. il nome del prefetto urbano

5, 2-3, su cui cfr. PLRE T, p. 49, e CORCORAN, p. 305. Costantino a Roma cfr. FRASCHETTI, La conversione 9 sgg. FV 273 fu emessa a Milano il 19 ottobre 315; Vettius Rufinus, sicuramente in carica dal 20 agosto

315 al 4 agosto 316, nel testo del rescritto, obbliga a concludere che la costitu-

zione fu emessa a Milano nell'ottobre del 315. Una sosta di Costantino a Milano dopo

i Decennalia

romani

sembra

confermata

dai solidi di Ticino,

che ri-

cordano una /argitio: liberalitas XI imp(eratoris), INI co(n)s(ulis), p(atris) p(atriae), p(roconsulis), e Costantino ebbe l'undicesima acclamazione imperatoria il 25 luglio 315 (RIC VII, p. 368, n. 53). La già citata costituzione CTh I 22, 1, a Domitius Celsus, vicario d' Africa, fu emessa dal sovrano a Treviri I 11

gennaio 316.

313

Licinio lungo il Basso Danubio Decennalia romani di Costantino. 315, emesse rispettivamente 1’8 Naissus, e il 2 giugno a Sirmium,

nella prima metä del 315, prima dei Tre costituzioni della prima metà del marzo a Tessalonica, il 13 maggio a non sostengono l’ipotesi di una pre-

senza di Costantino in Illirico in quel periodo ?84. Le tre costituzioni se pure, come sembra, sono costantiniane, non sembrano databili all’anno

315. Costantino era a Treviri all’inizio dell’anno e difficilmente sarebbe partito in pieno inverno per trovarsi l'8 marzo già a Tessalonica, nella pars di Licinio. Purtroppo gli itinerari e i soggiorni del comitatus di Licinio sono molto incerti. Probabilmente, nell’inverno 314-315 Licinio era ad Antiochia e questo non solo escluderebbe una campagna congiunta sul Danubio, ma rende molto improbabile un’intrusione di Costantino nella pars del collega impegnato altrove 285. Inoltre le costituzioni emesse a Tessalonica e a Naissus furono promulgate da un sovrano che controllava l'Occidente. Per questo, e per la loro datazione mediante un consolato imperiale, è parso opportuno spostarle in un periodo successivo alla prima guerra con Licinio, quando Costantino risiedette nella regione 286, Abbiamo osservato che CTh IX 40, 2, al vicario d’Africa Eumelius, emessa a Cavillunum il 21 marzo 315, deve essere posticipata al 316, per evitare l’accavallamento del suo incarico con quello identico di Domitius Celsus. Nella ricostruzione degli spostamenti di Costantino negli anni 315-316 una costituzione emessa a Cavillunum, sulla Saòne, nel marzo 316 si sposerebbe con altre due costituzioni che segnalano Costantino come presente in Aquitania e nella Narbonense nella primavera del 316: CTh Il 6, 1 emessa il 6 maggio 316 a Vienne, centocinquanta chilometri a sud di Cavillunum, e CTh XI 30, 5-6, emesse il 13 agosto 316 ad Arles. L'imperatore si spostò nella primavera del 316 da Treviri, dov’è ancora segnalato 111 gennaio da CTÀ I 22, 1 (a Domitius Celsus), verso il mezzogiorno francese, forse per l’intensifi-

carsi dei contatti con Licinio in merito alla soluzione del conflitto, sorto allora, e alla proposta di candidare Bassianus al cesarato in Italia 287. La sequenza della quattro costituzioni citate — nell'ordine: CT% I 22, 1;

284 Nell’ordine: CTh VIII 7, 1; XI 27, 1; IL 30, 1. 285 CTh X 14, stituzione liciniana, di Costantino nella The Legislation of

1, emessa ad Antiochia il 21 marzo 315, deve essere una covisto che non esistono testimonianze sicure di un soggiorno città siriana; cfr. CORCORAN, p. 305, e Hidden from History: Licinius, in The Theodosian Code. Studies in the Imperial

Law of Late Antiquity, London 1993, pp. 108-110. 286 CTh VIII 7, 1 fu indirizzata a Versennius Fortunatus, consularis aquarum, ma non può essere di Licinio, sotto la cui competenza non ricadde mai un simile funzionario; cfr. PLRE I, p. 371, e CORCORAN, p. 315, che la posticipano

al 324. CTh XI 27, 1, indirizzata ad Ablabius, probabilmente fu inviata da Costantino al suo prefetto del pretorio nel 329 (vd. sotto, cap. IV, p. 413). CTh II 30, 1 contiene un editto ad universos provinciales, emesso a Sirmium, che, con

cautela, potrebbe essere posticipato al giugno 319. 287 Anon. Vales. 1, 14 sg.

314

IX 40, 2; II 6, 1; XI 30, 5-6 — mostrerebbe la discesa, nel 316, del comitatus di Costantino da Treviri (11 gennaio) a Cavillunum (21 marzo), a Vienne (6 maggio), ad Arles (13 agosto), verso l’Italia. La prima costituzione di Costantino, successiva a queste quattro, che indichi il luogo di emissione è, significativamente, CTh IX 1, 1, emessa il 4 dicembre 316 a Serdica, evidentemente all’epoca della prima guerra con Licinio 288, La presenza di Costantino a Cavillunum nel 316, non nel 315, come erroneamente ritenuto, confermerebbe 1] soggiorno di Costantino a Treviri nell’aprile del 315, quando

i vescovi donatisti erano a

corte,

dopo la conclusione del Concilio di Arles. Fermo restando che la lettera emessa a Treviri il 28 aprile emana da Annianus, non da Costantino, che quel giorno poteva essere altrove, la necessaria posticipazione di CTh IX 40, 2 valorizza la possibilità che Annianus fosse a Treviri ac-

canto al suo imperatore nella prima In base alle subscriptiones del nate, Costantino e il suo comitatus num, quindi a Vienne, poi ad Arles

metà del 315. Codice Teodosiano appena esamiviaggiarono da Treviri a Cavillugià tra la fine di marzo e l’agosto

del 316. Questa discesa, come accennato, può essere motivata con l'e-

sigenza di avvicinarsi alla pars di Licinio durante le difficili e incerte trattative che precedettero la battaglia di Cibalae. La cronologia di questo itinerario appare confermata dal fatto che Costantino ricevette a Serdica, verso i primi di marzo del 317, la notizia della nascita di suo

figlio Costantino II, avvenuta ad Arles al più tardi verso la fine del 316 289. E probabile che Costantino II sia stato concepito a Treviri nel primo trimestre del 316; sotto la spinta delle vicende politiche, Costantino mosse attraverso le Gallie in direzione dell’Italia, avendo anche Fausta nel suo comitatus. Giunti ad Arles in agosto, e minacciando la

guerra, sembrò prudente all’imperatore lasciare sua moglie, incinta, al sicuro nella città e proseguire verso l’Illirico: per questo Costantino II nacque ad Arles. Anche il viaggio di Costantino in Africa, auspicato verso la metà del 315 e mai realizzato, potrebbe essere stato posticipato dapprima a causa dei Decennalia romani, solenni e già pianificati da tempo, quindi per l’imprevisto precipitare della situazione politica nella primavera del 316 299.

Se questa ricostruzione è esatta, Annianus, prefetto del pretorio di Costantino, si trovava nel comitatus, accanto all’imperatore, a Treviri, nell’aprile del 315, quando ricevette da Costantino l’ordine, verosimilmente orale, di assicurare

288 Dopo la proclamazione dei Cesari, Costantino si trattenne a Serdica per

un certo tempo; cfr. ΟΤᾺ IX 10, 1 e VIII 12, 2, dell’aprile 317. 289 Epit. 41, 4; Zos. I 20, 2. 290 Il desiderio di recarsi in Africa è espresso da Costantino in una lettera ai vescovi africani e in un’altra al vicario d' Africa Domitius Celsus, conservate da

Optatus, App. VI e App. VI (CSEL 26, pp. 210-212 Ziwsa).

315

l’evectio per 1 prelati donatisti appena congedati. Anche alcune notizie riconducibili alla personalitä di Iulianus, prefetto di Licinio, sosterrebbero l’idea che il funzionario seguisse il suo

imperatore e fosse normalmente inserito nel suo comitatus. Come accennato, J. Vanderspoel ha recentemente proposto di individuare nell’autore di alcune lettere confluite nell’epistolario dell’imperatore Giuliano — ma scritte da un personaggio omonimo, vissuto nel primo quarto del IV secolo, prima della nascita del futuro imperatore — suo nonno materno Iulius Iulianus, prefetto del pretorio di Licinio 291. L’iden-

tificazione è stata sostenuta principalmente attraverso lo studio della genealogia di Giuliano, della formazione del suo

epistolario e della personalità dei corrispondenti delle lettere non giulianee. Alla fine del XIX secolo gli elementi di natura politico-amministrativa contenuti in questi testi, in particolare nelle famose lettere al filosofo Giamblico, furono esamina-

ti da J. Bidez e F. Cumont 222. In base a una serie di riferimenti alla realtà contemporanea, gli editori delle lettere di Giuliano notarono che l’autore della corrispondenza con Giamblico, oltre che un suo ammiratore, doveva essere un personaggio di rilievo nel primo quarto del IV secolo, ben inserito nella cor-

te di un imperatore. Dall’epistolario si ricava, infatti, con sicurezza che il loro autore affrontò 1 pericoli e le difficoltà di una guerra, che si svolse in inverno, dalla Pannonia Superio-

re fino agli Stretti 293. Dopo una difficile ritirata verso Calcedone, egli e la corte scelsero come residenza Nicomedia 2%. 29! Cfr. VANDERSPOEL, Correspondence cit. (sopra, a nota 242), in particolare pp. 398 sgg. Com'è noto, fra le lettere che, per l’identità dei destinatari e per la forte disparitä stilistica, non possono essere giulianee, le piü note sono le sei epistole a Giamblico: 181 Bidez-Cumont=76 Wright; 183 Bidez-Cumont=77 Wright; 184 Bidez-Cumont=78 Wright; 185 Bidez-Cumont=75 Wright; 186 BidezCumont=74 Wright; 187 Bidez-Cumont-79 Wright. A queste epistole potrebbero aggiungersene, in base agli elementi sopra indicati, altre dodici, i sui contenuti interessano meno questa indagine; sono le lettere 180; 182; 188-197 dell'edizione

Bidez-Cumont, su cui cfr. J. ΒΙΡΕΖ, L'Empereur Julien, Oeuvres complétes, 1/1, Lettres et fragments, Paris 19607, pp. 241 sgg. Si preferisce indicare queste lettere come ‘non giulianee', anziché *pseudo-giulianee', perché il loro autore visse

prima del regno di Giuliano Augusto e, ovviamente, le sue epistole non hanno alcuna pretesa di essere considerate come opera del celebre imperatore. 292 Cfr. gli argomenti sintetizzati da Bez, L'Empereur Julien, Oeuvres cit.

(sopra), pp. 233 sgg. Per una storia della questione cfr. VANDERSPOEL, Correspondence cit. (sopra, a nota 242), pp. 396 sgg. 293 Jul., Ep. 181 Bidez-Cumont=76 Wright, 448 D-449 C. 294 Iul., Ep. 184 Bidez-Cumont=78 Wright, 417 A.

316

Negli anni in cui redasse la sua corrispondenza, l’autore del-

le lettere a Giamblico poteva servirsi agevolmente di una guardia del comitatus dell’imperatore per far recapitare le sue lettere a Giamblico 255, Quando il filosofo Sopatro di Apamea si recò in ambasciata, evidentemente a corte, venne accolto

con affetto dal personaggio, che vi risiedeva 29, I due amici trascorsero un inverno in Tracia, una delle province che ospitava residenze imperiali 297. Infine egli compose un discorso su invito dell’imperatore in occasione del passaggio del comitatus su quello che, molto probabilmente, deve essere considerato lo stretto della Propontide 298, In base a questi elementi — specialmente alla descrizione della guerra illirica — Bidez e Cumont proposero di vedere nell’autore delle lettere a Giamblico un non meglio identificabile sofista pagano, e di collocarlo alla corte di Costantino, negli anni della seconda

guerra contro Licinio, intorno al 324. Questa interpretazione del conflitto illustrato nelle sue lettere dall’autore della corrispondenza non giulianea è stata opportunamente corretta da T. D. Barnes 29. Egli ha mostrato che le coordinate strategiche e geografiche dello scontro possono adattarsi soltanto alla prima guerra tra Costantino e Licinio, combattuta nell' inverno 316-317, e in nessun modo

alla seconda guerra tra 1 due sovrani, combattuta nella seconda metà del 324. L'autore delle lettere non giulianee nel 316-317 era inserito nel comitatus di Licinio e subi le conseguenze delle sconfitte di Cibalae e di Campus Ardiensis 30. Malgrado un migliore inquadramento degli indizi storici contenuti nelle lettere a Giamblico, Barnes non ha avanzato ipotesi sull’identitä del loro autore 391, Le analisi di Barnes,

295 ?96 297 298 299

Iul., Jul., Jul., Jul., Cfr.

Ep. Ep. Ep. Ep. T. D.

184 Bidez-Cumont=78 Wright, 417 A-B. 184 Bidez-Cumont=78 Wright, 417 D. 185 Bidez-Cumont=75 Wright, 438 D e 439 C. 186 Bidez-Cumont=74 Wright, 421 B. BARNES, A Correspondent of lamblichus, in “GRBS” 19 (1984),

pp. 99-106 (z Early Christianity and the Roman Empire, London 1984, XVII). 300 Il confronto tra i resoconti storici più particolareggiati, quello dell’ Anonimo Valesiano (I 14-19) e quello di Zosimo (II 18-20), e le lettere 181 Bidez-

Cumont=76 Wright, 448 D-449 C, e 184 Bidez-Cumont=78 Wright, 417 A, del così detto Pseudo-Giuliano mostra una forte omogeneità. Sulla prima guerra tra Costantino e Licinio vd. sopra, nota 271. 90! Cfr. BARNES, A Correspondent cit., p. 100, con nota 5. L'idea che le lettere del cosi detto Pseudo-Giuliano siano confluite nella raccolta solo perché il

loro destinatario era Giamblico appare superata dall'ipotesi di Vanderspoel, che

317

sullo sfondo storico delle lettere non giulianee, 6 di Vanderspoel, sull’identità del loro autore, potrebbero fondersi. Se, come ha suggerito Vanderspoel, e come sembra probabile, la paternità delle lettere a Giamblico deve essere attribuita a Iulius Iulianus, prefetto di Licinio e nonno materno dell’imperatore Giuliano, e il contesto storico della sua azione, come ha precisato Barnes, fu la corte liciniana, questa identifica-

zione potrebbe rivelarsi importante ai fini della nostra indagine sulla prefettura del pretorio di questo periodo. L’insieme delle epistole a Giamblico mostra un funzionario costantemente

inserito nel comitatus

di Licinio,

dal

quale non può allontanarsi. Non solo Iulianus appare coinvolto nella ritirata dell’esercito di Licinio da Cibalae a Nicomedia, ma le coordinate geografiche contenute nell’epistolario fanno pensare a un personaggio che svolge i suol compiti lontano dalle regioni orientali dove risiedono i suoi corrispondenti. Il prefetto mostra, a più riprese, di soffrire il distacco dal suo illustre maestro, Giamblico, e cerca ansiosa-

mente di tenersi in contatto con lui e col gruppo dei suoi corrispondenti siriani, ai quali chiede insistentemente lettere. Evidentemente i suoi impegni lo trattenevano nelle sedi di Nicomedia e in Tracia, rimasta, dopo la pace di Serdica, nella pars di Licinio. Con cautela è possibile avanzare l’ipotesi che gli incarichi di vicario d'Oriente e di prefetto d’Egitto avessero consentito a Iulianus di raggiungere più rapidamente, anche per lettera, Giamblico e il suo circolo. La situazio-

ne politica degli anni 316-324 potrebbe aver obbligato il prefetto del pretorio a lunghi soggiorni sulle due rive degli Stretti, rendendo più difficoltosi i contatti con i suoi amici siriani. Dal momento che Iulianus si lamenta, più volte, che da quando ha lasciato l'Oriente non gli è stato più possibile incontrare Giamblico, è probabile che il baricentro della politica liciniana trattenne il comitatus lontano dalla città di Apamea, cara al prefetto. L’identificazione dell’autore delle epistole non giulianee, scritte all’epoca del bellum Cibalense, con Iulius Iulianus, prefetto del pretorio di Licinio, mostrerebbe

ritiene all’origine dell’inglobamento l’omonimia dei mittenti, l’imperatore e suo nonno, e la presenza di queste lettere di Iulius Iulianus nell’archivio dello stesso Giuliano Augusto, che le aveva fatte ricercare e raccogliere; cfr. Iul., Ep. 12 Bidez-Cumont=2 Wright, con VANDERSPOEL, Correspondence cit. (sopra, a no-

ta 242), pp. 400 sg. e 465.

318

inoltre un coinvolgimento diretto del funzionario nelle operazioni militari di quel sanguinoso e incerto conflitto. Non c’è dubbio, in base agli elementi forniti dalle lettere, che egli fosse al seguito di Licinio all’epoca della sconfitta di Cibalae, che ripiegasse su Sirmium, dove probabilmente venne assediato, ma riuscisse a riposizionarsi con l’esercito in Tracia; qui, dopo un’altra sconfitta, sembra a Campus Ardiensis, sarebbe riuscito a guadagnare la riva asiatica del Bosforo, riparando a Calcedone e, finalmente, a Nicomedia. L'insieme di queste notizie, comunicate con ansia da Iulianus a Giam-

blico, inviterebbero a pensare che ancora nel 316-317 il prefetto del pretorio potesse partecipare a una campagna militare accanto al suo sovrano, e avesse compiti militari. Come vedremo, tutto lascia credere che i poteri di comando milita-

re dei prefetti siano stati soppressi da Costantino unico Augusto. Naturalmente l’assenza nelle lettere a Giamblico di un esplicito riferimento a un coinvolgimento bellico del loro autore invitano alla prudenza. Tuttavia l'evoluzione dell’istituzione prefettizia in età costantiniana confermerebbe l’intervento diretto di un prefetto del pretorio di Licinio nella guerra esplosa negli ultimi mesi del 316 e giustificherebbe meglio l’itinerario bellico seguito dall’autore delle lettere a Giamblico; i suoi riferimenti ai gravi pericoli occorsi farebbero ipotizzare un suo coinvolgimento sul campo di battaglia o nelle immediate retrovie. Le lettere non giulianee rivelano la ricca formazione culturale del prefetto del pretorio. Dopo una lunga serie di prefetti dei quali è arduo delineare lo spessore intellettuale, in

Iulianus compare una personalità che preannuncia i numerosi prefetti del pretorio colti dei secoli IV-VI, da Tiberianus, in età costantiniana, fino a Cassiodoro, in età teodericiana 392,

Le lettere tratteggiano la personalità di un uomo colto, discepolo di Giamblico e amico del filosofo Sopatro, ma anche 302 Si ignorano i motivi della fama di Ti. Claudius Aurelius Aristobulus, vir insignis; né si può essere certi che Aurelius Hermogenianus sia l'autore del Codice omonimo. Dal IV al VI secolo rivestirono la prefettura del pretorio poeti,

studiosi di antichità, oratori, storici, cristiani esperti di questioni dottrinali; per esempio, Strategius Musonianus, Lollianus Mavortius, il poeta Ausonio, gli storici Eutropius,

Nicomachus

Flavianus,

Nummius

Aemilianus

Dexter,

i letterati

Vettius Agorius Praetextatus, Flavius Mallius Theodorus. Sul legame tra cultura e carriera burocratica cfr. D. NELLEN, Viri litterati. Gebildetes Beamtentum und spätrömisches Reich im Westen zwischen 284 und 395, Bochum 19812.

319

valido oratore. La predilezione di Licinio per i funzionari pagani giustificherebbe la fortunata carriera di Iulius Iulianus 39, Ma l’affinità religiosa non spiega tutto. Anche Costantino mostró grande apertura verso gli allievi di Giamblico, come testimonia l'influenza sul principe del filosofo Sopatro, discepolo del famoso filosofo neoplatonico e corrispondente, come lo stesso Giamblico, di Iulianus ?**, La formazione in-

tellettuale di questo gruppo di siriani fu gradita anche al principe cristiano, e questo apprezzamento giustifica il destino felice del prefetto del pretorio di Licinio e della sua discen-

denza anche dopo la sconfitta e l'esecuzione del suo signore.

La crisi sfociata nella prima guerra tra Costantino e Licinio si concluse con la pace di Serdica. A poche settimane dalla vittoria sul rivale, Costantino investi del cesarato il suo

primogenito Crispo, di circa quindici anni, il secondogenito Costantino II, di pochi mesi, e Licinio II, di venti mesi, pri-

mogenito di Licinio Augusto e di Constantia, sorella di Costantino 395. Dal momento che Licinio non partecipò alla cerimonia, Costantino fu l'unico autore dell' investitura regale di tutti e tre i Cesari. La scelta di un adolescente e di due infanti é estremamente significativa e dimostra l'attuazione di un disegno dinastico puro e rigoroso. Siamo lontani dall'esperienza adottiva tetrarchica, che pure, per certi aspetti, era

ancora di attualità. Meno di un anno prima dell’elevazione di Serdica Costantino, per mantenere la pace con Licinio, era stato pronto a offrire il cesarato e il controllo dell'Italia a un parente acquisito, il cognato Bassianus, marito di sua sorella

Anastasia. Si trattava di un personaggio gradito a Licinio. Tuttavia la scelta di un candidato legato alla famiglia re-

303 Eus., V C. 152 sgg. In precedenza abbiamo notato che la cultura pagana di Sossianus Hierocles sembra aver favorito la sua carriera prima e durante la persecuzione di Diocleziano e di Galerio.

304 Fra 16 Jettere non giulianee si conserva un'epistola a Sopatro, generalmente ritenuto il filosofo fatto eliminare da Costantino, cfr. Iul., Ep. 182 Bidez-

Cumont=61 Wright. Sull'influenza di Sopatro su Costantino, sulla sua partecipazione ai riti di inaugurazione di Costantinopoli e sulla sua caduta provocata dal prefetto del pretorio Ablabius vd. sotto, cap. IV, pp. 410 sg. 305 Cfr. J.-P. CALLU, Naissance de la dynastie constantinienne: le tournant

de 314-316, e Fr. CHAUSSON, Une soeur de Constantin: Anastasia, entrambi in "Humana sapit". Etudes d'antiquité tardive offertes à Lellia Cracco Ruggini, Turnhout 2002, rispettivamente pp. 111-120 e 131-156.

320

gnante solo per via matrimoniale rivela un progetto ‘di spiriti dioclezianei'. La decisione di vestire di porpora il giovane Crispo e i piccoli Licinio II e Costantino Il testimonia, invece, un profondo cambiamento di prospettiva. Mai c’erano stati Cesari tanto giovani, per giunta, contro la prassi tetrar-

chica, acclamati in loro assenza 3%. Nel pensiero politico di Costantino la prima vittoriosa guerra contro Licinio fece giustizia di ogni pretesa di partecipazione al governo dell’impero, immediata o futura, che non nascesse dalla discendenza diretta della famiglia costantiniana, divenuta dinastia. Da

quel momento non ci fu più spazio per tentativi di sapore dioclezianeo: Costantino decise di creare Cesari solo 1 tre figli legittimi dei sovrani regnanti, invertendo la tendenza che, dodici anni prima, aveva escluso lui e Massenzio dalla successione a Costanzo I e a Massimiano Erculio. Almeno due dei tre bambini erano chiaramente impossibilitati nel presente, e negli anni immediatamente seguenti, a partecipare a qualunque forma di governo o di attività bellica, ma dovette apparire evidente a tutti, fin da subito, che essi erano desti-

nati a succedere a Costantino e a Licinio 307, ΑἹ clima relativamente disteso che seguì la pace di Serdica, e al nuovo

assetto dinastico, risale l’ultimo documento

noto sulla prefettura del pretorio di Petronus Annianus e di Iulius Iulianus. Si tratta di un’altra dedica prefettizia collegiale, purtroppo frammentaria, proveniente da Efeso 308;

---.-- 2/[--- HE---]/

[d]oct[rina aequita?/t]e iudiclio

306 E molto probabile che nel febbraio-marzo 317 Costantino II fosse ancora ad Arles con sua madre Fausta e, forse, con Crispo. À differenza di Licinio, Costantino aveva prudentemente deciso di tenere la sua famiglia lontano dalla guerra e soltanto alia fine del conflitto ricevette in Tracia la notizia della nascita ad Arles di Costantino II (Anon. Vales. I 18 sgg.; Zos. II 20, 2). Licinio II potrebbe essersi trovato già a Nicomedia con sua madre, dove la famiglia aveva riparato dopo la fuga da Sirmium, o in un'altra città, comunque diversa da Serdica (Anon. Vales. Y 17; Iul., Ep. 181 Bidez-Cumont=76 Wright, 449 A; Ep. 184 Bidez-Cumont-78 Wright, 417 A). 307 Sull’ideologia successoria costantiniana vd., di recente, TANTILLO, “Come un bene ereditario" cit. (sopra, a nota 129). 308 Cfr. J. Kein, XIX Vorläufiger Bericht über die Ausgrabungen in Ephe-

sos, in "JOAT" 30 (1937), Beiblatt, coll. 205-208, n. 12 (=AE 1938, 85). L’editore ignorava la provenienza del frammento, ma ἃ certo che esso facesse parte

di un monumento realizzato a Efeso. Nel testo si riproduce la trascrizione dell'epigrafe data da Keil, segnalando peró le lettere aggiunte e scritte in litura, e segnalando le tracce della parte inferiore di un tratto verticale di una lettera non

321

reipulb]l[i]cae rec[tori et / F]l(avio) Iul(io) «Conlstantio» nob(ilissimo)] / Caesari [- - - ], / Petron[ius Annianus] / v(ir) c(larissimus) et Iu[I(ius) Iulianus] / v(ir) em(inentissimus) praelfflecti) praet(orio duo) nu]/'m'«ini eius» sempelr dica]'tissi[mi]. L'iscrizione, nello stato frammentario in cui é pervenuta,

appare come parte di un monumento che i prefetti del pretorio, senza dubbio Annianus e Iulianus, fecero realizzare ap-

parentemente in onore di Costanzo II Cesare (Flavius Iulius Constantius). In realtà, come notó opportunamente J. Keil, il testo epigrafico subi almeno due interventi di rimaneggiamento, uno dei quali trasformó la personalità del principe destinatario della dedica. Alla linea 4 del testo superstite (la 5 della numerazione di Keil, che computava in una linea la parte iniziale mancante

dell'epigrafe) le lettere CON del cognome del Cesare appaiono chiaramente incise sopra un'erasione. In origine i prefetti del pretorio dedicarono il monumento a Crispo Cesare, i cui gentilizi sono appunto Flavius Iulius 309. Questi è l'unico Cesare costantiniano ad aver subito la damnatio, dopo la sua eliminazione intorno alla metà del 326, e a poter essere epigraficamente sostituito da un altro Cesare della sua famiglia 319, Inoltre la cronologia degli incarichi prefettizi di Anidentificabile al di sopra della prima linea superstite, chiaramente leggibile nel

fac-simile disegnato dall'editore. Non disponendo di una fotografia della dedica, e non avendo potuto effettuare la necessaria autopsia, ho basato la restituzione e una proposta di integrazione (vd. oltre) sul fac-simile pubblicato da J. Keil nel 1937. L'iscrizione è stata ripubblicata secondo il testo di Keil, senza variazioni, da C. BÓRKER e R. MERKELBACH in /K Ephesos, II, pp. 112 sg., n. 312;

da GRÜNEWALD, Constantinus cit. (sopra, a nota 194), p. 249, n. 444; da D. F. Mc CABE, R. N. ELLIOT, M. A. H. Kang, C. REDMOND, Ephesos. Inscriptions,

Princeton 1991, pp. 275 e 396, n. 2987. 309 Già KEIL (XIX Vorläufiger cit., col. 207) si dichiarava convinto che il Ce-

sare onorato alla linea 4 fosse Crispo. Sull’onomastica di Crispo cfr. M. CHRISTOL, Th. Drew-BEAR, Documents latins de Phrygie, in "Tyche" 1 (1986), pp. 43-51. 310 Anche Costante Cesare ha i gentilizi Flavius Iulius, ma essendo stato

elevato alla porpora nel 333 è più probabile che non sia lui il Cesare che colmò l'erasione nella dedica al fratello. Quando nella seconda metà del 326 l'autorità

efesina ebbe disposizioni di procedere alla cancellazione del nome di Crispo, con grande probabilità avrà immediatamente provveduto alla sua sostituzione

con quello di un Cesare allora in attività e dotato dei medesimi gentilizi del defunto. Questo non può che essere Costanzo H Cesare, non suo fratello Costante,

creato Cesare solo sette anni dopo. Sulla oscura morte di Crispo, seguita a bre-

322

nianus e Iulianus coincise con l'investitura dei Cesari nel 317, mentre i due prefetti erano stati certamente entrambi congedati all'epoca dell'elevazione di Costanzo II Cesare, l'8 novembre del 324. Non c’è dubbio, dunque, che la loro

dedica collegiale onorasse Crispo, e non Costanzo II Cesare. La seconda erasione si trova all'inizio della linea 9 (la 10 della numerazione di Keil), dove le lettere MINI EIVS sono

scritte anch'esse in litura. Opportunamente J. Keil concluse che l'erasione aveva cancellato un'originaria formula di devozione al plurale, di cui si erano conservati, indiscutibilmente, gli elementi semper dicatissimi (o semper devotissimi). In base a questa correzione della formula finale, l'edito-

re pensó che il frammento di Efeso contenesse una dedica prefettizia a due sovrani, Costantino Augusto e Crispo Cesare. Egli ipotizzò che un monumento analogo dovesse essere stato elevato dagli stessi dedicanti a Licinio Augusto e a Licinio II Cesare 3, Avendo interpretato l’erasione su cui era stato inciso il singolare MINI EIVS come una correzione dell'originario plurale, numini eorum, Keil integró, parallelamente, un et alla linea 3 (lin. 4 Keil), prima del nome di 'Cri-

spo'. Nelle prime linee della dedica, accidentalmente cadute, sarebbe stato inciso dunque, secondo l'ipotesi di Keil, il nome di Costantino Augusto. Quando nel 326 il nome di Crispo fu eraso, il lapicida avrebbe corretto la formula numini eorum (certamente abbreviata) riducendola al singolare, l'attuale [nu]/"m'«ini eius», salvo poi “dimenticarsi” di reinseri-

re un plurale quando, forse in un momento successivo, il nome di Crispo fu sostituito da quello del fratellastro Costanzo II Cesare 312. Sembra escluso che l’incisione in litura della formula [nu]/'m'«ini eius» risalga alla prima stesura del testo epigrafico e sia stata dettata

ve distanza dall'eliminazione anche di Fausta, e sulla loro immediata e definitiva damnatio memoriae cfr., di recente, J. W. DRUVERS, Flavia Maxima Fausta: Some Remarks, in “Historia” 41 (1992), pp. 500-506; G. Manasco, Costantino e le uccisioni di Crispo e Fausta (326 d.C.), in “RFIC” 121 (1993), pp. 297-317. 311 Cfr. Ken, XIX Vorläufiger cit. (sopra, a nota 308), col. 207; della stessa

opinione anche CHAsTAGNOL 1968, p. 329 (ΞΡ. 187). Che l'attuale prima linea del testo epigrafico superstite sia in realtà almeno la seconda dell'iscrizione ori-

ginaria & testimoniato dal fatto che al di sopra delle lettere O e C dell'attuale prima linea si vede la base di un tratto verticale. 312 Cfr. Keil, XIX Vorläufiger cit., col. 208.

323

dalla necessità per il lapicida di apportare una correzione a un suo errore. Sarebbe strano che un monumento importante come quello decretato dai prefetti del pretorio, realizzato in una città illustre e ricca di opere d’arte come Efeso, fosse rovinato da un banale errore di incisione. In base al fac-simile di Keil, la posizione dell’attuale MINI EIVS trasgredisce verso sinistra l'allineamento delle righe superiori, pur restando nei limiti imposti allo specchio epigrafico; esso risulta inoltre inclinato (tende in basso a sinistra, in alto verso destra) rispetto all’andamento orizzontale delle altre linee. MINI EIVS appare inciso con lettere di forma diversa dalle altre, più piccole e ravvicinate. Se il fac-si-

mile di Keil è preciso, la prima lettera del gruppo MINI EIVS, la M, non sembra essere stata incisa in litura, ma nello spazio rimasto libero a si-

nistra dell’erasione, verso il margine sinistro della lastra e ha prodotto l’effetto di mancato allineamento verticale della linea 9 (10 Keil) rispetto al testo restante. Questo insieme di osservazioni tradisce l’intervento posteriore di una mano differente da quella dell’estensore del testo originale.

L'ipotesi di Keil solleva alcune perplessità. L’incisione delle lettere MINI EIVS in litura, nella formula di devozione

che chiude l’iscrizione, può essere spiegata, come giustamente vide Keil, con l’erasione di un originario plurale. Il nostro testo epigrafico, dunque, fu pensato come un atto di

devozione verso due o più sovrani, e poi fu ridotto a una dedica per il solo Costanzo II Cesare. Se, come vorrebbe lo studioso, nelle prime linee, perdute, dell’iscrizione, fosse stato

inciso il nome di Costantino Augusto, la dedica prefettizia avrebbe continuato a onorare due sovrani anche dopo la sostituzione di Crispo con Costanzo II Cesare. Nel 326 il nome di Crispo, eraso, dovette essere sostituito contestualmente

con il nome del fratello Costanzo II: avrebbe avuto ben poco senso, infatti, integrare quel vuoto un certo tempo dopo la tragedia che sconvolse la corte costantiniana. Il clima in cui maturò la morte del giovane Cesare spinge a ritenere che, nel caso del monumento efesino, ci si affrettasse a cancellare la memoria del defunto avendo ‘cura di ‘coprire’ l’erasione con il nome del fratellastro, allora già Cesare da quasi due anni,

affinché la sostituzione avvolgesse nel silenzio il ricordo di Crispo. Questa ipotesi potrebbe essere avvalorata dal fatto che nel 326, all’epoca dell’esecuzione del giovane, i due prefetti del pretorio autori del monumento erano stati congedati da tempo dal loro incarico prefettizio. L'iniziativa della sostituzione del nome del primogenito di Costantino con quello di suo fratello nella dedica prefettizia deve essere stata 324

presa dall’autoritä locale. Con prudenza potremmo ipotizzare che

il proconsole

d’Asia,

all’arrivo

della notizia della

scomparsa di Crispo e della sua damnatio, intervenne sui monumenti realizzati nella metropoli provinciale in onore del Cesare defunto. Se nel 326 la dedica, dopo l’intervento teso a far scomparire Crispo, avesse contenuto i nomi di Costantino Augusto e di Costanzo II Cesare, come ipotizzò Keil, risulterebbe del tutto ingiustificatala trasformazione

della formula di devozione al plurale, numini eorum, in una espressione al singolare, l’attuale [nu]'m'«ini eius». E estre-

mamente probabile, infatti, che il nome di Costantino, qualora fosse stato inciso originariamente prima del nome di Crispo, non sarebbe mai scomparso. Tutto lascia supporre che il nome dell’ Augusto non figurò mai sulla dedica di Efeso. Anche tenendo conto delle vicende cui fu sottoposta e dei vuoti della documentazione, l’epigrafia superstite risalente agli anni 317-324 non sembra aver contemplato dediche su monumenti — i miliari presentano caratteristiche un poco diverse — in cui si celebrassero insieme un solo Augusto e un solo Cesare, come immaginò Keil. In quel periodo, secondo uno stile molto diffuso dall’età tetrarchica, la tendenza fu di riunire nella stessa dedica, finché la concordia lo rese possibile, l’intero collegio imperiale, composto dai due Augusti e dai tre Cesari. Parallelamente si potevano dedicare monumenti ai singoli membri del collegio, ma non a uno solo dei due Augusti con uno solo dei tre Cesari. Ovviamente quando, negli anni 321-324, il collegio imperiale si divise, 51 realizzarono, in Oriente, dediche ai due Licinii, in Occidente,

dediche a Costantino, con Crispo e Costantino II Cesari, ma questo assetto non riguarda il caso dell’iscrizione di Efeso, elevata sicuramente

in un momento di concordia imperiale. In base all'idea di Keil, per cui sarebbero esistite dediche a Costantino o a Licinio celebrati, di volta in

volta, con uno dei tre Cesari, si sarebbe dovuto assistere a una proliferazione di dediche. Ma questa prassi non è attestata nell’epigrafia costantino-liciniana e, come vedremo, appare estranea allo stile delle dediche prefettizie collegiali, che tendono invece a circoscrivere, non a moltiplicare, la personalità del sovrano celebrato. Un altro elemento che inficia l’ipotesi di Keil è offerto dall’organizzazione del testo epigrafico di Efeso. L'iscrizione si apre con una formula elogiativa. Normalmente nei testi epigrafici tardoantichi in onore di sovrani non si trova il nome dì un primo imperatore al di sopra di un elogio, e il nome di un secondo imperatore al di sotto dello stesso elogio. Questa prassi compositiva rende improbabile la presenza del nome di Costantino Augusto — o di Licinio, o di un Cesare — sopra quello di Crispo. Anche volendo immaginare che, eccezionalmente, l'elogio della doctrina, dell'aequitas (?) e della iustitia faccia riferi-

325

mento a qualità di Costantino, che avrebbe permesso ἃ Crispo di essere rector rei publicae, resta il problema della presenza del nome di Costantino nelle prime linee (perdute) dell’epigrafe. Come abbiamo visto, la presenza dell’ Augusto avrebbe impedito, all’epoca dell’erasione di Crispo, la riduzione del plurale eorum nel singolare eius. Per i motivi appena esposti, sembra potersi escludere che prima dell’elogio comparisse il nome di Licinio Augusto. In nessun modo, poi, si sarebbe potuto attribuire a Licinio Augusto l’elogio superstite nel caso in cui esso celebrasse la promozione di Crispo Cesare alla guida della res publica, perché Licinio non ebbe alcuna parte nella creazione dei Cesari, decisa e realizzata da Costantino. Inoltre l'ordine gerarchico di enumerazione dei Cesari, negli anni 317-326, testimonia sempre la precedenza di Crispo su tutti gli altri Cesari. Pare quindi logico escludere che al di sopra dell’elogio potesse comparire il nome di Licinio II Cesare o di Costantino II Cesare, perché la gerarchia del collegio imperiale impediva loro di precedere il più anziano Crispo. Per salvare l'ipotesi che sulla pietra di Efeso comparissero i nomi di due principi, si potrebbe pensare, con prudenza, che, eccezionalmente, la dedica di Efeso onorasse in origine i primogeniti degli Augusti regnanti, Crispo e Licinio II, e che a quest’ultimo, non a Crispo, facesse riferimento la formula encomiastica conservatasi nelle attuali prime tre linee del testo. La dedica fu decretata collegialmente da entrambi i prefetti del pretorio, ma fu realizzata a Efeso, nella pars di Licinio, a cura del suo prefetto del pretorio, Iulianus. È possibile che il suo collega, Annianus, procedesse nella pars di Costantino a realizzare uno o più monumenti paralleli all'esemplare efesino in cui il Cesare Crispo potrebbe aver preceduto Licinio II ed essere stato oggetto di una formula encomiastica. Tuttavia a questa possibilità si oppone, accanto agli elementi di ordine testuale indicati sopra, e alla gerarchia del collegio esistente fra i Cesari, il problema che non si conosce con esattezza il progetto successorio attuato da Costantino nel marzo 317, né, quindi, sembra dimostrabile una eventuale posizione preminente di Crispo e di Licinio II rispetto a Costantino II. Si noti infine che, quando, nel 326, 51 intervenne sull'iscrizione di Efeso, il lapicida rielaboró sicuramente solo la parola numen nella formula di devozione finale. Si potrebbe ipotizzare che egli abbia trovato solo parte del sostantivo numen alla linea 9 (10 Keil) e, tenendo conto dello spazio disponibile, lo abbia sviluppato nelle forma conservatasi, nul'm'