Psicoterapie. Modelli a confronto 9788843019083

Il campo della psicoterapia è caratterizzato da una pluralità di proposte teoriche e metodologiche che si concretizza ne

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Psicoterapie. Modelli a confronto
 9788843019083

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QUALITY PAPERBACKS Libri informativi. aggiornati e chiari. per rispondere alle esigenze e alle curiosità culturali di chi studia e di chi ritiene che nella vita non si smetta mai di imparare.

Il campo della psicoterapia è caratterizzato da una pluralità di proposte teoriche e metodologiche che si concretizza nell'esistenza di molteplici indirizzi psicoterapeutici.

l progressi della conoscenza psicologica, i fermenti e gli sviluppi verificatisi all'interno di ciascun modello psicoterapeutico hanno determinato, negli ultimi anni, una de-radicalizzazione delle rispettive posizioni, facilitando scambi e confronti e consentendo una sostanziale legittimazione reciproca, pur nella restante diversità. In questo libro. otto fra i più importanti esponenti italiani di altrettanti indirizzi psicoterapeutici- psicoanalitico, cognitivo-comportamentale, cognitivo-costruttivista, sistemico-relazionale, analitico transazionale, centrato sul cliente. gestaltico, corporeo-funzionale- espongono il proprio modello clinico utilizzando una griglia comune, proposta loro dal curatore, che rende ogni contributo facilmente e direttamente confrontabile con gli altri. Il primo e l'ultimo capitolo affrontano inoltre alcuni temi generali: la definizione di psicoterapia e la valutazione della sua efficacia; il problema dell'integrazione fra i diversi modelli; le problematiche della formazione.

lorenzo Cionini è professore associato di Psicologia elinica all'Università di Firenze.

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ISBN 978-88-430-1908-3

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QUALITY PAPERBACKS

15

l lettori che desiderano informazioni sui volumi pubblicati dalla casa editrice possono rivolgersi direttamente a: Carocci editore Corso Vittorio Emanuele 11, 229

00186 Roma telefono o6 42 81 84 17 fax o6 42 74 79 31

Siamo su: www.carocci.it www.facebook.com/caroccieditore www.twitter.com/caroccieditore

PSICOTERAPIE Modelli a confronto

A cura di lorenzo Cionini

Carocci editore

rr ristampa, ottobre 2017 1' edizione, "Studi superiori" 1998

CD copyright 1998 e 2001 by Carocci editore S.p.A., Roma Finito di stampare nell'ottobre 2017 da Grafiche VD srl, Città di Castello (PG) ISBN

978-88-430-1908-3

Riproduzione vietata ai sensi di legge {art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633) Senza regolare autorizzazione,

è vietato riprodurre questo volume anche parzialmente e con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche per uso interno o didattico.

Indice

Gli autori

13

Piano dell'opera

15

I,

La psicoterapia di Lorenzo Cioni'ni

19

I. I. 1.2. 1.3. 1.4.

Relazione terapeutica e setting Ortodossia ed eclettismo I risultati della psicoterapia Limiti della psicoterapia e rischi iatrogeni

22 23 26 34

Le psicoterapie psicoanalitiche

39

:z.

di Daniela Bolelli e Ingo Stermann 2.1.

Il modello di uomo: presupposti teorici di base 2.1.r.

2.2.

39

Funzionamento psicologico dell'uomo

.

Sviluppi storici e orientamenti principali all'interno del modello psicoterapeutico psicoanalitico

50

2. 2. I.

Concetti fondamentali comuni a tutte le psicoterapie psico· analitiche

2.3.

Il modello clinico

2 .3. 1.

55

,

Spie azione dello scompenso psicopatologico l 2 .3. 2 . Il modello de 'intervento terapeutico l 2.3.3. La relazione terapeutica

7

PSICOTERAPIE

La teoria della cura: il cambiamento, sua natura e come lo si ottiene Letture di approfondimento



La psicoterapia comportamentale e cognitivo-com· portamentale di Gian Franco Goldwurm

3-I. 3-2. 3·3·

n modello di uomo: presupposti teorici di base

Sviluppi storici Il modello clinico

3·3· 1.

85

85 87 92

Spiegazione dello scompenso psicopatologico l 3·3·.1. Il modello dell'intervento terapeutico l 3·3·3· La relazione terapeutica

3·4·

La teoria della cura: quale cambiamento e come indurlo Letture di approfondimento

1 07 109



La psicoterapia cognitivo·costruttivista

III

4·1.

Presupposti teorici di base

4.2.

Sviluppi storici e orientamenti principali all'interno del modello cognitivista

di Lorenzo Cionini

4.1.1.

D modello di uomo nell'ottica cognitiva l 4.1 . .1. L'organizzazione della conoscenza l 4 ·I.J. Sviluppo e organizzazione di un sistema conoscitivo

4. .1.1.

Le terapie cognitivo-razionaliste l vo-costruttiviste

4·3·

4 . .1 . .1.

n modello clinico

4·3·1.

f.

III

1 17

Le terapie cogniti·

4·J

128

Spie azione dello scompenso psicopatologico l . .1. Il modello del 'intervento terapeutico l La relazione terapeuti· ca

4·4·

4·3·3·

La teoria della cura Letture di approfondimento

8

152 155

INDICE

15 7



La terapia sistemico·relazionale

5-I .

Il modello di uomo: presupposti di base e teoria generale del funzionamento psicologico Sviluppi storici e orientamenti principali all'interno del modello sistemico-relazionale

5 .2.

di Maurizio Andolfi

'. :z. I. Pragmatica e/o estetica della comunicazione umana: una vecchia diatriba o una nuova riproposizione dello stesso problema tra ruolo e persona del terapeuta? l ,.:z.:z. La psicoterapia fami­ liare in Italia

5 · 3· 5· 4 · 5· 5 ·

6.

1 60

n modello clinico

'.3. I . Spiegazione dello scompenso psicopatologico l '. 3. :z. Il modeUo dell'intervento terapeutico

La teoria della cura: spazio e tempo, parametri del cambiamento La valutazione a distanza Letture di approfondimento 1 93

L'analisi transazionale

di Carlo Moiso 6.1.

157

n modello di uomo: presupposti teorici di base 6. I. I. n livello intrapsichico l 6. I 6. 1. 3. n li veUo esistenziale

.

:z .

193

Il liveUo relazionale l

Sviluppi storici e orientamenti

n modello clinico

6.3.1. Spie_gazione deUo scompenso psicopatologico l 6.3.:z n modeUo dell'intervento terapeutico l 6.3.3. La.relazione terapeuti· ca



La teoria della cura Letture di approfondimento

216 217

La terapia centrata sul cliente di Cari Rogers

219

di Valerz'a Vaccari e Alberto Zucconi Il modello di uomo: presupposti teorici di base Sviluppi storici

9

219 220

P S ICOTERAPIE

7·3·

n modello clinico

'J!

;N

223

7·3·1. Spi azione dello scompenso psicopatoi co l 7·3·2· I l modello d 'intervento terapeutico l 7·3·3· La r azione e il processo terapeutico

7+

La teoria della cura Appendice Letture di approfondimento

235 236 239

8.

La terapia della Gestalt di Riccardo Zerbetto

24I

8. 1 . 8.2.

n modello di uomo: presupposti teorici di base

Sviluppi storici

24I 242

8.3.

Il modello clinico

2,52

8.2. I. I modelli di riferimento

,

8.3.1. Spie azione dello scompenso psicopatologico l 8.3.2. Il modello de 'intervento terapeutico l 8.3.3· La relazione terapeutica

8 .4.

La teoria della cura Letture di approfondimento

262 263



La psicoterapia corporea e il suo sviluppo funzio· naie

265

di Luciano Rispoli 9·1. 9.2. 9·3·

n modello di uomo: presupposti teorici di base

Sviluppi storici Il modello clinico

,

265 270 274

9. 3. 1. Spie azione dello scompenso psicopatologico l 9. 3. 2. Il modello de 'intervento terapeutico l 9·3·3· La relazione terapeutica

9 · 4·

La teoria della cura Letture di approfondimento

286 290

IO,

La formazione in psicoterapia

293

di Lorenzo Cionini

IO . I . La preparazione teorica I0.2. La formazione personale

296 299 IO

ISO I C E

10.3. La formazione tecnico-professionale 10-4- La supervisione 10.5 . La normativa di legge 10.6. Le scuole di formazione

Bibliografia

31I

II

Gli autori

MAURIZIO ANDOLFI, neuropsichiatra infantile e psicoterapeuta, è pro­

fessore associato di Psicodinamica dello sviluppo e delle relazioni fa­ miliari alla Facoltà di Psicologia dell'Università di Roma "La Sapien­ za" e direttore dell'Accademia di Psicoterapia della Famiglia di Ro­ ma. È autore di Il colloquio re/azionale e con C. Angelo di La famiglia rigida e Tempo e mzto nella psicoterapia famzliare. DANIELA BOLELLI, psichiatra e psicoterapeuta, è primario dirigente di uno dei servizi psichiatrici della ASL 5 di Pisa, socio ordinario della Società Italiana di Psicoterapia Psicoanalitica nella quale insegna Psi­ coterapia nelle istituzioni . Fa parte del direttivo della Società Italiana di Psicoterapia Medica. È autore di Andare a tempo; un modello di

psicoterapia psicoanalitica breve. LORENZO CIONINI, psicologo e psicoterapeuta, ricercatore universita­

rio, insegna Psicologia all'Università di Firenze e Psicoterapia all'Uni­ versità di Siena. È codirettore della Scuola di Psicoterapia Cognitiva Costruttivista del CESIPC di Firenze, didatta e past-president della So­ cietà Italiana di Terapia Cognitiva e Comportamentale (siTcc), presi­ dente designato della Federazione Italiana delle Associazioni di Psico­ terapia ( FIAP ) e membro del direttivo dell'Associazione Italiana di Psicologia e Psicoterapia Costruttivista ( AI PPC ). È autore di Psicotera­

pia cognitiva: teoria e metodo dell'intervento terapeutico. GIAN FRANCO GOLDWURM, psichiatra e psicoterapeuta, è libero do­ cente presso l'Università di Milano; ha diretto l'Ospedale psichiatrico di Trento, di Pavia, il "Paolo Pini" di Milano e il Centro di Medicina Comportamentale dell'Ospedale generale di Milano-Niguarda ed è past-president dell'Associazione Italiana Analisi e Modificazione del Comportamento ( AIAMc ) . È direttore della Scuola di Psicoterapia Comportamentale e Cognitiva di Milano. È autore con G. De lsabel13

PSICOTERAPIE

la, D. Sacchi e A. Scarlato di I disordini schizofrenia:· aspetti teorici e metodologici dell'intervento cogniti'vo-comportamentale e con D. Sacchi e A. Scarlato di Le tecniche di nlassamento nella terapia comportamentale. CARLO MOISO, medico, psicologo, psicoterapeuta, ha fondato il primo istituto italiano di formazione in analisi transazionale, Associazione Italiana di Analisi Transazionale ( AIAT). È stato lecturer all'Università di J ohannesburg e di Besançon e insignito del premio scientifico Eric Berne nel 1 987 . È membro del direttivo dell'Associazione Internazio­ nale di Analisi Transazionale. È autore con M . Novellino di Stati del­

l'Io .

LUCIANO RISPOLI, psicologo, psicoterapeuta, ha partecipato alla fon­ dazione del Centro Studi W. Reich di Napoli che attualmente dirige; è presidente della Società Italiana di Psicoterapia Funzionale Corpo­ rea ( SIF ) e della Società Italiana di Psicologia Clinica e Psicoterapia, membro della European Association of Body-Psychotherapy ( EABP), del Comité Scientifique lnternational pour la Thérapie Psycho-Cor­ porelle ( csiTP) e del Conseil d'Administration de l'Association lnter­ nationale de Somatothérapie ( Ais) . È autore con B. Andriello di Psi­ cologia funzionale del Sé e di Psicoterapia corporea e analisi del carattere. INGO STERMANN, neuropsichiatra e psicoterapeuta formatosi a Diis­

seldorf in Germania, dal 1 992 vive e lavora in Italia. È socio della Società Italiana di Psicoterapia Medica e si è occupato in particolare di riabilitazione psichiatrica e gruppi terapeutici.

VALERIA VACCARI, medico, psicoterapeuta, didatta della Scuola del­ l'Istituto dell'Approccio Centrato sulla Persona ( IACP) . RICCARDO ZERBETTO, psichiatra e psicoterapeuta, ha insegnato all'U­ niversità di Siena Psicopatologia presso la Scuola di specializzazione in Psichiatria e, come professore a contratto, Psichiatria dell'adole­ scente. È direttore del Centro Studi di Terapia della Gestalt di Siena e presidente della Federazione Italiana delle Scuole e Istituti di Ge­ stalt (FISIG ) e past-president della European Association for Psycho­ therapy ( EAP) . ALBERTO zuccoNI, psicologo, psicoterapeuta, è stato il fondatore con C. Rogers e C. Devonshire dell'Istituto dell'Approccio Centrato sulla Persona ( IACP) di cui è l'attuale presidente. È il segretario del Coor­ dinamento Nazionale delle Scuole Private di Psicoterapia ( CNSP) .

Piano dell'opera

Una delle peculiarità della psicologia, rispetto alle altre discipline scientifiche, è la mancanza di un nucleo fondamentale di principi unanimemente condivisi dagli addetti ai lavori e di conseguenza un diverso modo di definire il suo oggetto di studio, i meccanismi fon­ damentali del funzionamento psichico e i criteri metodologici utilizza­ bili nella ricerca e nelle applicazioni. Fin dalle origini si sono svilup­ pate diverse tradizioni di ricerca che hanno determinato suddivisioni e contrapposizioni tra gli psicologi che si riconoscevano in differenti teorie psicologiche. Una delle ragioni principali di questo fenomeno può essere identificata nella complessità dell'oggetto di studio e nel fatto che ciascuna teoria ha scelto di focalizzare la propria attenzione su certi aspetti, piuttosto che su altri del funzionamento psicologico. Come afferma Mecacci ( I 992), la storia e lo sviluppo della psico­ logia, dalle origini ad oggi, non si presentano quindi nei termini di un progresso coerente, graduale e lineare della conoscenza nel quale una teoria si sostituisce alla precedente dopo averne dimostrato l'in­ fondatezza, ma in quello della fondazione di diverse teorie psicologi­ che fra loro concorrenti. Alcune sono state sviluppate in periodi sto­ rici contemporanei o successivi; in certi momenti si sono contrappo­ ste più decisamente fra loro, in altri si sono riavvicinate, frequente­ mente si sono ignorate a vicenda. Ogni teoria ha spesso sviluppato un proprio lessico specifico non condiviso o solo parzialmente condi­ viso dalle altre. Taluni hanno proposto di utilizzare il concetto di ri­ voluzione sdentifica formulato da Kuhn ( I 962) anche nell'ambito della psicologia. Si è parlato così di rivoluzione psicoanalitica, di rivoluzione comportamentista , di rivoluzione cognitivista ecc., ma il concetto di rivo­ luzione scientifica è difficilmente applicabile alla psicologia, poiché non vi è mai stata una vittoria netta di una teoria sull'altra, ma sol­ tanto una relativa egemonia culturale in diversi periodi storici. Se dalla psicologia si passa a considerare la psicoterapia questo fenomeno si ripresenta in misura forse ancora più accentuata. Gli Ij

P S I COTERAPIE

psicoterapeuti si sono divisi per scuole, parrocchie, gruppi e sotto­ gruppi, spesso tanto più agguerriti, gli uni contro gli altri, quanto maggiori erano le somiglianze fra le teorie di partenza. Negli ultimi anni, con i progressi della conoscenza, la situazione si è deradicalizzata sia nell'ambito psicologico che psicoterapeutico, con una maggiore disponibilità al dialogo fra i diversi orientamenti, un'accentuata tendenza a un interscambio di concetti teorici e lo sforzo nel considerare fenomeni che precedentemente sembravano es­ sere appannaggio di una sola delle teorie esistenti, riformulandoli in coerenza con i concetti e nel linguaggio caratteristico della propria teoria. Oltre alle differenze di scuola, la psicoterapia si è sviluppata di­ versamente nelle varie parti del mondo anche in relazione alle tradi­ zioni politiche e culturali esistenti nei diversi paesi. Per fare soltanto alcuni esempi, la psicoanalisi ha avuto un impatto e una diffusione maggiore in Italia che nei paesi di cultura anglosassone, nei quali ha invece avuto maggior influenza inizialmente l'ottica comportamentista e più recentemente quella cognitivo-razionalista. L'obiettivo di questo volume è duplice: da un lato, offrire uno strumento che permetta un reale confronto fra i principali indirizzi psicoterapeutici; dall'altro, quello di inserire questo confronto nella realtà e nella tradizione italiana. A ciascun autore è stato quindi chiesto di organizzare il proprio contributo seguendo fedelmente una griglia comune e unitaria in ma­ niera che ogni presentazione risultasse realmente confrontabile con le altre. Gli autori hanno accettato di "costringersi" all'interno di questa griglia, nonostante le differenze fra i vari approcci, e ciò ha compor­ tato un certo sforzo per adattarvi la loro presentazione. All'interno della griglia ovviamente ciascun autore ha privilegiato alcuni aspetti, rispetto ad altri, in relazione alla maggiore importanza che essi rive­ stono all'interno del suo particolare modello. Come si noterà, gli autori di questo libro sono esclusivamente ita­ liani (l'unico autore non italiano, lngo Stermann, vive e lavora in Ita­ lia da anni) . Tale scelta è finalizzata all'obiettivo di illustrare i princi­ pali orientamenti terapeutici cosi come si sono sviluppati e caratteriz­ zati nel contesto culturale italiano che ha, in alcuni casi, peculiarità del tutto specifiche rispetto al panorama internazionale. Il volume si apre e si chiude con due capitoli che esulano dalla suddetta griglia. Il primo, dedicato alla psicoterapia, a prescindere dai suoi orientamenti, intende presentare alcune riflessioni di caratte­ re generale su alcuni dei suoi aspetti più problematici e critici; l'ulti­ mo, dedicato alla formazione, si propone di offrire sia spunti di di16

. PIANO DELL OPERA

scussione rispetto al difficile compito di "crescere" psicoterapeuti, sia informazioni teoriche e pratiche utili per chi sia interessato a intra­ prendere questo percorso . Ovviamente questo non è un testo da cui si può imparare a fare psicoterapia (nessun libro d'altra parte può porsi un obiettivo cosi ambizioso che richiede un addestramento pratico, lungo e difficile); vuole essere invece uno strumento offerto principalmente agli studen­ ti dei corsi di laurea in Psicologia e in Medicina, interessati a una successiva formazione in psicoterapia, per aiutarli ad orientarsi fra i diversi indirizzi in modo che possano scegliere con maggiore consa­ pevolezza quello più congruente al proprio modo di essere e pensare. Può essere inoltre un testo utilizzabile nelle stesse scuole di formazio­ ne postuniversitarie come base di informazione e di confronto fra i diversi approcci. La speranza inoltre è che un testo di questo tipo possa facilitare e incrementare quel processo di confronto e di scambio fra approcci psicoterapeutici diversi che ha caratterizzato - diversamente da un non lontano passato - questi ultimi anni e che può consentire un arricchimento reciproco e forse una conoscenza più unitaria dei feno­ meni psicologici, della sofferenza mentale e del suo trattamento. LORENZO CIONINI

17

I

La psicoterapia di Lorenzo Cionini

Negli anni Ottanta, prima dell'entrata in vigore della legge .56!1989 che ha regolamentato sia la professione di psicologo sia quella di psi­ coterapeuta, si calcolava che in Italia il numero di scuòle di psicotera­ pia, di diverso approccio, fosse approssimativamente di 400-700 . Na­ turalmente questo rifletteva più un fenomeno di mercato, che una realtà scientifica e culturale: da un lato, c'era l'esigenza di differen­ ziarsi dagli altri per "vendere" meglio il proprio prodotto; dall'altro - nell'assenza di normative -, alcuni si erano improvvisati psicotera­ peuti formatori proponendo "un proprio modello" che spesso non aveva corrispondenza con nessun altro esistente nella comunità scien­ tifica nazionale e internazionale, se non in qualche generico riferi­ mento teorico. D'altra parte, procedendo per paradosso, sarebbe possibile affer­ mare che il numero dei modelli psicoterapeutici è pari a quello degli psicoterapeuti, poiché ogni professionista interpreta in modo perso­ nale il proprio orientamento e lo applica in maniera peculiare e non ripetibile. Ovviamente un'affermazione di questo genere, come tutte quelle che negano la possibilità di operare concettualizzazioni identifi­ cando comunalità fra entità non identiche, è eccessiva e fuorviante. Esistono milioni di automobili che circolano per le nostre strade, ognuna diversa da tutte le altre, ma per comunicare con i nostri simi­ li e con noi stessi siamo soliti raggrupparle per marche, modelli e tipologie di vario genere. Ogni volta, tuttavia, che ci si propone di classificare i modelli psi­ coterapeutici esistenti, le opinioni tendono a divergere sia sul nume­ ro, sia sul tipo. La scelta operata in questo testo è sicuramente discu­ tibile. Il numero di approcci considerati avrebbe potuto essere mino­ re degli otto illustrati nei capitoli successivi, cosl come avrebbe potu­ to essere maggiore, e la soluzione adottata rappresenta indubbiamen­ te un compromesso fra l'esigenza di mantenersi fedeli a un criterio più rigoroso e quella di fornire un maggior ventaglio di prospettive 19

PSICOTERAPIE

che permettesse di descrivere modelli operativi che, pur derivando da comuni radici teoriche, si sono sviluppati in maniera notevolmente difforme rispetto alle loro origini. Prendendo in considerazione i presupposti psicologici di base che definiscono i modelli del funzionamento umano, ci saremmo potuti limitare a quattro o cinque prospettive identificabili, dal punto di vi­ sta storico, nei maggiori orientamenti della psicologia dalle sue origini ai nostri giorni. La prospettiva psicodinamica che ha le sue radici nella psicoanalisi freudiana; quella comportamentista che a partire da Watson e Skinner focalizza la sua attenzione sul comportamento in­ tersoggettivamente osservabile negando la rilevanza delle dimensioni intrapsichiche; quella fenomenologica (comprendente l'approccio esi­ stenziale e quello umanistico) che rifacendosi alla filosofia di Husserl e Heidegger viene definita in psicologia dalla metà degli anni Trenta (da autori come Allport, Maslow, Snygg e Combs) sottolineando la soggettività dell'esperienza e l'essere della persona nella sua totalità; quella cognitivista che a partire dalla fine degli anni Cinquanta ha privilegiato lo studio dei processi mentali e dell'elaborazione dell'in­ formazione e quella sistemico-relazionale che ha avuto origine nella cultura americana degli anni Cinquanta e si occupa prevalentemente dei fenomeni interpersonali e dei contesti in cui hanno luogo. Da ciascuna di queste prospettive si sono poi sviluppati diversi sottoindi­ rizzi che talvolta hanno finito per differenziarsi fra loro, e dall' ap­ proccio teorico dal quale derivavano, anche in maniera tanto signifi­ cativa da arrivare a somigliargli solo minimamente. In particolare questo fenomeno si è verificato a partire dal modello psicodinamico, quello storicamente più "antico", che per primo, e fin dall'inizio, si è occupato prevalentemente dei problemi clinici e della loro cura. L'attuale varietà dei modelli di intervento psicoterapeutico com­ porta una difficoltà a trovare una definizione univoca di psicoterapia che possa essere condivisa da qualsiasi scuola o da tutti i terapeuti. Tuttavia la maggior parte di questi dovrebbe poter concordare alme­ no su alcuni aspetti generali: in primo luogo che la psicoterapia rap­ presenti una modalità di intervento psicologico finalizzata ad aiutare le persone nella soluzione dei propri problemi affettivi, emotivi, com­ portamentali, interpersonali di vario genere e a incrementare la quali­ tà della vita; quindi che la psicoterapia porti a cambiamenti personali che implicano uno sviluppo del modo di vedere, pensare, sentire, agire. Frank ( I 96 I ) sostiene che qualsiasi tipo di psicoterapia condivide almeno quattro caratteristiche fondamentali: 20

I.

LA PSI COTERAPIA

a ) una relazione interpersonale di tipo del tutto particolare fra pa­

ziente e terapeuta che comporta un'alleanza a esclusivo beneficio del paziente; b) un luogo specifico - il setting - all'interno del quale si svolge questa relazione, luogo sicuro nel quale tutto ciò che avviene è confi­ denziale e distinto dal resto delle normali attività e relazioni interper­ sonali; c) l'offerta, da parte del terapeuta, di nuove prospettive, nuovi modi di vedere o fare le cose diversi da quelli abituali e in grado di dare un senso a sensazioni confuse e indefinite; d) un insieme di procedure o tecniche che specificano il modo di operare del terapeuta. Secondo Engler e Goleman ( I 992 ), inoltre, ogni psicoterapeuta condivide, in modo più o meno esplicito, alcuni assunti di base: che qualcosa nel paziente o nei suoi comportamenti limiti la sua libertà di essere se stesso e vivere la propria vita in maniera positiva, che alme­ no per alcuni aspetti del problema portato in terapia egli sia poten­ zialmente in grado di fare qualcosa, anche se per qualche ragione non lo sta facendo e che ogni persona abbia - entro certi limiti risorse personali, capacità di sviluppo, di conoscenza di sé e abilità di effettuare le proprie scelte, maggiori di quelle che ritiene di avere. A parte aspetti generali di questo tipo, ogni approccio terapeuti­ co differisce però sensibilmente dagli altri, sotto molti punti di vista. Oltre agli assunti teorici, al modello di uomo e del suo funzionamen­ to psichico - e in conseguenza a questi - troviamo diversi modi di impostare il contratto terapeutico e il setting, diversi sistemi diagno­ stici utilizzati per definire la psicopatologia, diversi stili per impostare e utilizzare la relazione terapeutica e ovviamente diverse modalità tecniche e procedurali di condurre il trattamento e diverse concettua­ lizzazioni di quella che viene definita la "teoria della cura", ovvero in cosa consiste il cambiamento e cosa, all'interno del processo terapeu­ tico, dovrebbe indurlo. Ogni approccio tende inoltre a utilizzare un linguaggio almeno in parte peculiare e talvolta non del tutto traduci­ bile in quello degli altri; in alcuni casi gli stessi concetti vengono espressi in modi differenti, in altri gli stessi termini vengono utilizzati per riferirsi a concetti almeno in parte diversi. Tuttavia, mentre fino a non molti anni fa le contrapposizioni, o se vogliamo le "guerre di religione", fra gli psicoterapeuti di diverso orientamento erano così nette e forti da impedire quasi qualsiasi pos­ sibilità di dialogo, negli ultimi tempi questa situazione è notevolmen­ te cambiata. I fermenti e gli sviluppi verificatisi all'interno di tutti gli indirizzi esistenti, che hanno portato a una loro progressiva comples21

PSICOTERAPIE

sificazione e flessibilizzazione, e la presa di atto di una sostanziale efficacia della psicoterapia in sé (quando condotta in maniera ade­ guata e coerente alle sue specifiche premesse) hanno portato a un · lento e graduale processo di relativo awicinamento reciproco, a scambi e confronti prima inimmaginabili e a una sostanziale legitti­ mazione reciproca, pur nella restante diversità. Questo libro si inserisce indubbiamente in questo percorso; nove importanti esponenti italiani di otto indirizzi psicoterapeutici hanncr accettato di confrontarsi, collaborando alla sua stesura, e di articolare i loro contributi seguendo una griglia comune che li rendesse diretta­ mente comparabili rispetto alle dimensioni sopra elencate. Esistono poi altri aspetti, non specificamente considerati nella gri­ glia di questo volume, ma in parte desumibili - per lo più indicati in ogni contributo, che riguardano: a) la durata del trattamento: alcune psicoterapie - cosiddette "bre­ vi" - possono prolungarsi per un massimo di sei-dodici mesi (venti­ cinquanta sedute), altre durano normalmente diversi anni, con una frequenza settimanale delle sedute variabile da una a quattro; b) il numero di persone coinvolte: da due (paziente e terapeuta) nelle terapie individuali, a tre nelle terapie di coppia, a un numero variabile in quelle familiari, a dieci-quindici nelle terapie di gruppo; c) la modalità di utilizzazione della terapia e i suoi scopi: la psicote­ rapia può rappresentare un intervento per affrontare e risolvere una situazione acuta di crisi in un momento di emergenza psicologica; può essere una fonte di sostegno e aiuto nell'affrontare le difficoltà in situazioni nelle quali la persona si sente temporaneamente sommersa e incapace di cavarsela da sola; può essere un modo per alleviare direttamente alcuni sintomi psicopatologici; può rappresentare, infine, un veicolo di promozione della crescita individuale mediante il cam­ biamento di alcuni aspetti strutturali di sé. 1.1 Relazione terapeutica e setting

La relazione merita un paragrafo a parte poiché, se pur utilizzata in modi difformi e con una diversa centralità da ciascun approccio, rap­ presenta tuttavia uno degli elementi sui quali si registra il maggiore accordo rispetto alla sua rilevanza nel processo terapeutico. Alcuni autori hanno ipotizzato che uno dei motivi fondamentali per cui, al di là delle differenze teoriche e metodologiche, tutte le psicoterapie risultano avere una loro efficacia, se condotte da psicoterapeuti validi, risieda proprio nella rilevanza di questo fattore comune. 22

I.

LA PSI COTERAPIA

In termini generali essa può essere descritta come una relazione (Engler e Goleman, 1992, p. 19) probabilmente dissimile da ogni altra di cui si sia fatta esperienza; una cu­ riosa combinazione di intensità emozionale e distacco, di coinvolgimento in­ timo e distanza oggettiva che permette di condividere e confrontare i propri problemi personali, la propria vulnerabilità, le proprie fantasie più oscure e le proprie paure più profonde con un'altra persona addestrata ad aiutare senza giudicare, il cui esclusivo interesse è rappresentato dai tuoi bisogni e dal tuo beneficio.

Gli aspetti fondamentali che rendono possibile la sua efficacia sono la fiducia e lo stabilirsi di un'alleanza cooperativa. Per quanto il ruolo qel terapeuta possa essere più o meno attivo a seconda del suo orientamento, rimane il fatto che qualsiasi cambiamento psicologico non può attuarsi esclusivamente in base a ciò che egli fa. La relazio­ ne psicoterapeutica è profondamente diversa da quella medica; nono­ stante che spesso i pazienti si rivolgano alla psicoterapia con aspetta­ tive di questo tipo, nessuno psicoterapeuta è in grado di indurre au­ tonomamente e automaticamente dei cambiamenti, come invece può fare il medico - mediante un farmaco - con un organismo biologico. La psicoterapia può offrire soltanto gli strumenti attraverso cui il pa­ ziente può riuscire a trovare la propria strada verso il cambiamento. Comunque vengano stabilite le regole del setting, è importante quindi che esse abbiano una chiara definizione fin dall'inizio, in mo­ do da precisare i ruoli che ciascuno deve giocare all'interno della re­ lazione e garantire il paziente rispetto alle dimensioni fondamentali di riservatezza, assenza di giudizio, disponibilità del terapeuta e assenza di un suo interesse personale e dell'interferenza dei suoi principi, dei suoi valori, della sua visione del mondo nel percorso che si sta intra­ prendendo. I,:l

Ortodossia ed eclettismo

Il problema dell'ortodossia e dell'eclettismo ha diviso e continua a dividere gli psicoterapeuti. Da un lato, c'è chi ritiene necessario il riferimento a modelli teorici chiaramente identificati, che possano vantare un'ampia letteratura a loro sostegno - che normalmente si ri­ conosce in una delle comunità scientifiche e associative consolidate -; dall'altro, c'è chi, a partire dalla constatazione che nessuno degli ap23

P S ICOTERAPIE

procci esistenti può considerarsi del tutto esaustivo e completo, so­ stiene l'opportunità di utilizzare tecniche provenienti da teorie diver­ se combinandole in maniera nuova e originale. Il dibattito è tuttavia più complesso di quanto appaia in prima istanza, poiché sia ortodossia che eclettismo possono essere intesi in maniere diverse. In alcuni casi, il richiamo all'ortodossia ha rappresentato, anche storicamente, sia un irrigidimento conformistico e una chiusura intel­ lettuale all'interno del proprio indirizzo che portava a demonizzare le spinte innovative finalizzate a possibili ampliamenti teorici, sia un modo per contrapporsi nettamente agli spunti, alle idee e alle propo­ ste derivabili da approcci diversi e concorrenti. Contemporaneamen­ te, l'eclettismo è stato e viene spesso invocato per validare un'assenza di formazione e un pressappochismo metodologico consistente nell'u­ tilizzare - in assenza di un reale progetto unitario - tecniche prove­ nienti da orientamenti diversi, senza tenere conto sufficientemente del fatto che ogni elemento tecnico può essere valido e si giustifica quando sia inserito in un progetto complessivo guidato da una strate­ gia internamente coerente, da un linguaggio omogeneo e da una teo­ ria che giustifichi concettualmente le scelte effettuate I. Tecniche dif­ ferenti possono implicare un diverso modo di impostare la relazione terapeutica e, quando miscelate senza un'adeguata considerazione di questo aspetto, possono diventare confusive per il paziente, se non addirittura dannose. r.

Novellino, un terapeuta di orientamento transazionale, in un libro intitolato

Scegliere lo pricoterapeuta e destinato al pubblico degli utenti afferma rispetto all'eclet­ tismo: cL . . ] lo psicoterapeuta eclettico [. . . ] di solito si descrive come un professioni­ sta che non rientra in nessuna delle scuole codificate [ . . . ] affermando di aver preso dalle varie correnti quanto gli è necessario per poter svolgere il suo lpvoro. [. .. ] Una persona del genere può rientrare in una delle seguenti categorie: a) �i tratta di un

genio della psicoterapia, che è riuscito a realizzare la mitica "integrazione" delle psico­ terapie, di cui si favoleggia da anni, più o meno come una sorta di pietra filosofale della psicologia; b) è un professionista molto esperto che, dopo un training in una delle scuole riconosciute, ha svolto una lunga pratica alla fine della quale ha potuto astrarre i principi generali sul lavoro che gli permettono di non "irreggimentarsi" in una scuola; c) ci troviamo di fronte a un furbo millantatore. I geni sono rari: temo che nella psicologia lo siano ancora di più; i professionisti seri e maturi non sbandie­ rano le loro capacità di porsi sopra le scuole; i millantatori sono pericolosi e astuti L . ] difficilmente hanno completato qualsivoglia corso di formazione: nel migliore dei casi ne hanno fatti molti, ovviamente iniziandoli senza completarli [. . ] e senza alcuna supervisione del lavoro svolto. [. ..] Difficilmente uno psicoterapeuta serio proviene da una storia di tanti corsi iniziati e non conclusi; di solito si tratta di personaggi che cercano un'identità professionale volendo sfuggire a quella dura ginnastica richiesta dalla specializzazione• ( Novellino, 1994, pp. 26-7 l. .

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È però opportuno approfondire il possibile significato di entram­ bi i termini. Iniziando con eclettismo, è intanto possibile operare una distinzione fra eclettismo tecnico e integrazionismo teon'co. Il primo si riferisce all'utilizzazione sistematica di un insieme di tecniche prove­ nienti da orientamenti diversi senza la definizione di metamodelli; il secondo si propone di superare il relativismo dell'eclettismo attraver­ so l'impegno di costruire una teoria della psicoterapia di ordine supe­ riore ( Norcross, Golfried, 1992; Prochaska, Norcross, 1994, in Giu­ sti, 1997) in grado di rendere conto dell'unitarietà e della complessi­ tà dell'uomo. Mentre l'eclettismo tecnico ricade automaticamente al­ l'interno delle critiche sopra formulate, il progetto dell'integrazioni­ smo è interessante, ma estremamente ambizioso. Forse, considerando i graduali, anche se lenti, movimenti di awi­ cinamento fra prospettive teoriche diverse, è possibile pensare che in un futuro - non si sa quanto lontano - la psicoterapia, cosi come la psicologia, possa trovare un linguaggio comune in grado di spiegare contemporaneamente i diversi livelli di complessità del funzionamen­ to umano. n progetto tuttavia è futuribile, non certamente a portata di mano, e richiede comunque di rendere conto sia dei fenomeni di­ versi che le attuali teorie hanno identificato e spiegato in modo più o meno approfondito, sia di come sia possibile integrare spiegazioni teoriche differenti degli stessi fenomeni. Chi pretenda oggi di aver già trovato questa soluzione, proponendo modelli ipersemplificati che, ancor più delle teorie esistenti, prendono in considerazione pre­ valentemente una parte del funzionamento psichico fa un'operazione inutile e pericolosa. D'altra parte, se una teoria integrativa di questo genere esistesse già, essa avrebbe convinto molti più addetti ai lavori - sia clinici che ricercatori - di quanto sia awenuto. Contempora­ neamente, anche l'idea che la peculiarità individuale dell'essere uma­ no sia cosi ampia da non poter essere spiegata da una teoria unitaria (come alcuni integrazionisti sostengono ) porta facilmente, ancora una volta, a suggerire un relativismo che può tradursi in improvvisazione approssimativa. Senza demonizzare per partito preso proposte nuove e diverse, purché teoricamente fondate e internamente coerenti, che possano ampliare la predicibilità delle reazioni umane (questo in fondo è lo scopo di qualsiasi teoria psicologica), ritengo che un progetto di inte­ grazione a lungo termine possa nascere più facilmente da una prose­ cuzione del confronto e dell'interscambio fra le attuali teorie cliniche che tenga conto anche dei progressi e delle scoperte della psicologia di base. In quest'ottica, ortodossia ed eclettismo possono essere visti non più contrapposti, ma come un processo di allentamento e re25

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stringimento ciclico delle teorie esistenti che permetta gradualmente una mutua compenetrazione. Un modo diverso, e positivo, di affrontare il problema dell'orto­ dossia, non più intesa come conformismo e chiusura intellettuale al­ l'interno del proprio indirizzo, è quindi quello di sottolineare il fatto che, in ciascun setting, le diverse operazioni terapeutiche devono es­ sere coerenti fra loro e ciò può avvenire soltanto se esse derivano da una visione unitaria dei processi in corso e dal costante riferimento a uno specifico modello di intervento, nel rispetto dei suoi principi teo­ rici e metodologici ( Cionini, 1 996b) . Ogni approccio psicoterapeutico tende però a privilegiare alcuni aspetti del funzionamento del sistema psichico (l'elaborazione propo­ sizionale, i codici analogici, i processi immaginativi, l'elaborazione emozionale e affettiva, i codici corporei, l'organizzazione comporta­ mentale ecc. ) sottovalutandone o sottoutilizzandone altri; la ricerca di spunti e suggerimenti di lavoro appartenenti a indirizzi terapeutici di­ versi può quindi arricchire il proprio repertorio metodologico, per­ mettendo di aff rontare le problematiche cliniche del paziente attra­ verso canali comunicativi altrimenti poco considerati. In questo senso l'eclettismo può corrispondere allo sviluppo della creatività personale e rispondere ai problemi pratici che nascono dal fare psicoterapia. Come sostiene Friedman ( 1988, trad. it. p . xxm) «la teoria, soprattutto la teoria della psicoterapia, non può essere compresa qualora si prescinda dai problemi pratici diretti per il cui superamento essa viene formulata» e specularmente quindi la spinta a risolvere i problemi pratici che si presentano in terapia può portare anche a sviluppi di tipo teorico. L'uso di strumenti tecnici pensati all'interno di setting diversi è però ammissibile solo se si rispetta il criterio di una continua verifica della coerenza interna nel proprio modo di porsi nei confronti del paziente e delle problematiche che porta in terapia. Se ogni nuovo elemento metodologico viene ad inse­ rirsi e integrarsi pienamente all'interno del modello fondamentale di lavoro che ciascuno psicoterapeuta utilizza, eclettismo e creatività possono coniugarsi con ortodossia senza comportare l'utilizzazione contemporanea di teorie difformi in base a criteri mutevoli o indefi­ niti. 1 .3 I risultati della psicoterapia

La prima ricerca su vasta scala sui risultati della psicoterapia con pa­ zienti nevrotici fu effettuata nel 1952 da Eysenck; egli sostenne l'inef-

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ficacia della psicoterapia poiché trovò che, nell'arco di due anni, il miglioramento ottenuto con trattamenti di diverso tipo corrispondeva al tasso di remissioni spontanee (circa i due terzi del campione) in gruppi di controllo non trattati. Numerosi studi successivi hanno evi­ denziato una serie di errori metodologici e interpretativi nella ricerca di Eysenck cosi che attualmente c'è un accordo unanime nel conside­ rare inattendibili i suoi risultati (Luborsky, Singer, Luborsky, I975 ) . I problemi della ricerca in questo ambito sono tuttavia tutt'altro che risolti anche per una difficoltà intrinseca a predisporre metodolo­ gie adeguate ai diversi tipi di psicoterapia e a raccogliere dati signifi­ cativi e facilmente generalizzabili. L'orientamento all'interno del quale la ricerca empirica ha avuto maggiore sviluppo è quello componamentale e cognitivo-compona­ mentale e questo essenzialmente per due ragioni: da un lato, gli psi­ coterapeuti comportamentisti hanno una forma mentis più vicina a quella dei ricercatori rispetto a quella di qualsiasi altro psicoterapeu­ ta; dall'altro, il carattere prescrittivo del loro approccio, l'esistenza di procedure prestabilite, la brevità del trattamento e il fatto di definire gli obiettivi in termini di comportamenti sintomatici osservabili e mi­ surabili rende il processo di verifica empirica decisamente più sempli­ ce. Diversa è la situazione per tutte quelle psicoterapie che si pro­ pongono cambiamenti strutturali (o di personalità) conseguibili sol­ tanto in tempi decisamente più lunghi e molto più difficili da eviden­ ziare mediante criteri oggettivabili; in questo caso la verifica dei risul­ tati costituisce una vera e propria sfida metodologica e intellettuale. Le ricerche condotte nei quarant'anni successivi alla "provocazio­ ne" di Eysenck si sono occupate di diversi aspetti: verificare i benefi­ · ci della psicoterapia in genere rispetto all'assenza di trattamento e a trattamenti farmacologici; verificare la stabilità nel tempo dei cambia­ menti ottenuti; valutare le differenze di risultati fra varie forme di psicoterapia, rispetto alle diverse problematiche psicopatologiche e della possibile interazione fra tipo di trattamento e tipo di problema; esaminare l'efficienza di specifiche procedure nel trattare singoli pro­ blemi clinici; identificare le effettive differenze nel modo di condurre la terapia fra professionisti che si richiamano a modelli teorici diversi. Negli ultimi venti-venticinque anni, una piccola rivoluzione nella ricerca e nella pratica si è avuta con la pubblicazione dei cosiddetti "manuali di psicoterapia"; manuali che specificano chiaramente i principi terapeutici dell'approccio, che offrono una guida pratica per applicare le tecniche e scale per valutare tale applicazione. I manuali hanno permesso di effettuare paragoni più obiettivi negli studi delle psicoterapie, di confrontare le differenze nel modo di condurre la te27

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rapia fra terapeuti di indirizzo diverso e di valutare la loro coerenza nel tradurre in comportamenti reali nel setting i principi del proprio modello di riferimento. Si è così visto, ad esempio, che la terapia cognitivo-comportamentale, la psicoterapia psicoanalitica e la consu­ lenza farmacologica sono chiaramente distinguibili fra loro soltanto per tre categorie, misurate obiettivamente, del comportamento verba­ le del terapeuta: la percentuale di frasi non direttive, la percentuale di frasi di chiarificazione e interpretazione e la percentuale di doman­ de (Luborsky, 1 98 4 ) . Il problema della coerenza fra il pensare e l'agire assume, nel­ l' ambito della psicoterapia, una rilevanza decisamente maggiore di quella che può avere in altre professioni. «L . . ] il terapeuta al lavoro di solito non è un teorico troppo convinto. Nella sua pratica quoti­ diana egli tiene assai meno in conto la propria scienza di quanto non faccia ad esempio il medico internista» (Friedman, 1 988, trad. it . p. 6 ) . L'esperienza della psicoterapia è qualcosa di diverso dalla teoria della psicoterapia; quando riflettiamo sulla terapia, riflettiamo su un qualcosa in parte differente dalla situazione in cui ci troviamo mentre lavoriamo. Questo contrasto costituisce contemporaneamente sia una difficoltà, per il rischio di scollamento sempre presente fra teoria e pratica, come anche un'opportunità. Quando l'agire di un buon tera­ peuta si discosta dalla sua teoria, ciò awiene presumibilmente poiché egli si trova ad affrontare problemi che non sono stati ben definiti dalla teoria stessa e una riflessione sul proprio agire può portare, in questi casi, a uno sviluppo e a una revisione critica di essa. Come affermato nel paragrafo precedente, questo tipo di riflessione può probabilmente portare nel tempo (e in parte lo ha già fatto in passa­ to) a un graduale processo di integrazione fra modelli diversi. Una preoccupazione che infatti è stata espressa riguardo ai manuali di psi­ coterapia (Seligman, 1 995 ) deriva dal fatto che potrebbero funziona­ re più come «camicie di forza che come insiemi di linee guida» con una diminuzione dell'efficacia del trattamento ( Golfried, Wolfe, 1 996 ) . Castonguay et al. ( 1 996 ) analizzando il processo della terapia psicodinamica e di quella cognitiva hanno trovato che i terapeuti che subordinavano il loro giudizio clinico alla fedeltà a un manuale risul­ tavano clinicamente meno efficaci; al contrario, una recente metanalisi condotta da Anderson e Lambert ( 199 5 ) ha trovato dati a favore dei manuali, poiché gli studi nei quali questi venivano utilizzati risultano produrre maggiori effetti degli studi condotti senza l'ausilio dei ma­ nuali. Tornando alla valutazione dei risultati della psicoterapia, nono­ stante centinaia di studi abbiano dimostrato che in generale le perso-

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ne che si rivolgono alle diverse forme di psicoterapia ne traggano complessivamente beneficio (cfr. le rassegne di Luborsky, Singer, Lu­ borsky, 1975 ; Smith, Glass, Miller, 1 98o) e che i miglioramenti che ottengono siano superiori a quelli attribuibili a un semplice effetto placebo, il dibattito continua a essere acceso sugli aspetti più specifici del problema. Per riassumere alcuni fra i nodi centrali della ricerca in questo ambito possiamo soffermarci su una recente indagine ( 1995 ) condotta negli Stati Uniti dalla rivista "Consumer Reports" che ha inviato a 1 84.000 suoi abbonati (campionati casualmente fra più di 4 milioni) un questionario con circa 100 domande, 68 delle quali rela­ tive ai problemi della salute mentale e della psicoterapia, le altre sulle automobili. Ai lettori veniva chiesto di rispondere alle domande sulla salute mentale nel caso in cui negli ultimi tre anni avessero avuto fasi di stress o altri problemi emotivi per i quali avevano richiesto aiuto a qualcuno. Complessivamente le risposte sono state 22.000, di cui 6. 900 alla parte del questionario sulla salute mentale; in queste ulti­ me si riscontrava che circa 2.8oo persone avevano parlato del loro problema soltanto con parenti o amici e 4· 100 si erano rivolti a pro­ fessionisti della salute, a medici di famiglia o gruppi di aiuto. La ricerca, presentata da Seligman nel numero del dicembre 1995 dell"'American Psychologist" (organo della American Psycholo­ gical Association) , ha dato luogo a un ampio dibattito pubblicato in un numero dell'anno successivo della stessa rivista. In sintesi i principali risultati emersi da questa indagine sono: utilizzando una valutazione basata su tre parametri (cambiamenti rispetto al problema specifico portato in terapia, soddisfazione perso­ nale rispetto al trattamento, miglioramento globale dello stato emoti­ vo) , una percentuale compresa fra 1'87 e il 92% di coloro che si sono rivolti a un professionista della salute mentale dichiara di essere mi­ gliorata; - la terapia a lungo termine ha dato luogo a benefici maggiori di quella a breve termine; non c'è differenza fra la psicoterapia da sola e la psicoterapia as­ sociata a farmaci; - l'intervento dei medici di famiglia risulta equivalente a quello dei professionisti della salute nel breve periodo (meno di sei mesi) , ma porta a miglioramenti decisamente inferiori in tempi più lunghi; - i clienti attivi (nella ricerca del terapeuta e nello svolgimento della terapia) sono migliorati più di quelli passivi; nessuna modalità specifica di psicoterapia risulta superiore alle al­ tre (questo dato va però valutato considerando che il questionario

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prevedeva soltanto: terapia psicoanalitica o psicodinamica, comporta­ mentista, cognitivo-razionalista, femminista (?)) ; quando l'intervento terapeutico viene limitato nel tempo dalla co­ pertura assicurativa, i risultati sono inferiori; - gli interventi della Anonima Alcolisti sono più efficaci della psico­ terapia con professionisti. Prendendo spunto da questa indagine e dall'attendibilità dei suoi risultati, il dibattito si è acceso sugli aspetti metodologici che devono caratterizzare le ricerche in questo ambito. Esistono due metodi fon­ damentali per valutare se la psicoterapia funziona: quello sull'efficù:n­ za e quello sull'efficacia che corrispondono, grosso modo, alla distin­ zione fra metodi sperimentali e metodi naturalistici in psicologia. Gli studi sull'efficienza si propongono, in linea generale, di control­ lare l'influenza delle variabili terapeutiche considerate sul risultato. Come in ogni studio sperimentale, i ricercatori identificano e isolano alcune di queste variabili, stabiliscono con esattezza le condizioni nel­ le quali esse vengono fatte agire, definiscono quali sono i parametri rispetto ai quali vanno valutati i risultati e li misurano con attenzione; in questo modo possono sostenere di aver identificato relazioni causa­ li fra le variabili indipendenti (i fattori terapeutici considerati) e quel­ le dipendenti (le risultanti modificazioni comportamentali, cognitive, affettive ecc. adeguatamente misurate) . Seligman ( 1995 ) ha identifi­ cato otto componenti fondamentali che caratterizzano gli studi sull' ef­ ficienza. I . I pazienti vengono selezionati casualmente per l'assegnazione al gruppo che riceve il trattamento e ai gruppi di controllo. 2. Per verificare i fattori aspecifici del trattamento (connessi con la relazione interpersonale e con l'aspettativa di un miglioramento), ol­ tre al gruppo di controllo senza trattamento, viene previsto un gruppo placebo nel quale i soggetti sono in interazione con un terapeuta che non applica le procedure considerate, ma si limita a offrire un' atten­ zione empatica. 3. I terapeuti che partecipano alla ricerca devono attenersi fedel­ mente a un manuale di psicoterapia; la fedeltà al manuale viene valu­ tata e gli scostamenti corretti. 4· I pazienti vengono visti per un numero fisso di sedute; solitamen­ te per breve tempo (sei-quindici sedute) . 5 . I risultati del trattamento vengono valutati a partire da categorie ben definite (diagnosi secondo il osM IV, specifiche misure comporta­ mentali, strumenti psicometrici ecc.) . 6. Coloro che valutano i risultati del trattamento sono all'oscuro del

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gruppo dal quale proviene il paziente (quale trattamento ha ricevu­ to) . 7 . Vengono selezionati pazienti con un singolo disturbo diagnostica­ to; le persone con disturbi multipli o non chiaramente categorizzabili vengono escluse dalla ricerca. 8. Viene effettuata una valutazione di /ollow-up per valutare la stabi­ lità dei cambiamenti. Le critiche fondamentali mosse agli studi sull'efficienza riguarda­ no il fatto che, per quanto ben controllati - anzi proprio per questo - essi analizzano situazioni che sono troppo distanti da ciò che avvie­ ne nel mondo reale della psicoterapia e sono quindi privi di validità ecologica; i risultati sono difficilmente generalizzabili e interpretabili ovvero di scarsa utilità per coloro che utilizzano, come utenti o come professionisti, la psicoterapia. Raramente gli psicoterapeuti trattano pazienti con le stesse carat­ teristiche di quelli inseriti negli studi sull'efficienza; più comunemente le persone che richiedono psicoterapia presentano problemi multipli, talvolta non chiaramente identificabili all'interno di precise categorie diagnostiche come quelle previste dal DSM IV. Inoltre difficilmente i terapeuti utilizzano trattamenti o tecniche in forma pura, attenendosi strettamente ai manuali; più facilmente adattano le tecniche e l'ordine della loro applicazione alle caratteristiche del paziente e alle sue rea­ zioni alla psicoterapia. Le psicoterapie, poi, non prevedono un nume­ ro fisso e preqeterminato di sedute e non sono finalizzate esclusiva­ mente alla soluzione di problemi focali, ma a un miglioramento delle capacità generali di funzionamento del paziente e a un incremento della qualità della sua vita. Talvolta i pazienti scelgono il loro tera­ peuta in modo casuale, ma più spesso vengono indirizzati da un altro professionista a un certo tipo di psicoterapia oppure scelgono - dopo una ricerca personale - il tipo di terapia alla quale rivolgersi perce­ pendola più congruente al proprio modo di essere e ai propri proble­ mi; in alcuni casi non si limitano a scegliere l'approccio, ma selezio­ nano anche un terapeuta mediante un certo numero di primi collo­ qui con professionisti diversi. Infine gli studi sull'efficienza sono diffi­ cilmente applicabili alle terapie lunghe, che durano diversi anni; il loro costo sarebbe enorme e la possibilità di tenere per anni senza trattamento, o in un gruppo placebo, persone che richiedono psicote­ rapia sarebbe di dubbia eticità. Gli studi sull'efficacia sono invece costruiti per verificare che cosa avviene realmente nella pratica clinica. Sono studi naturalistici rispet­ to a pazienti che sono liberi di scegliere il trattamento che preferisco-

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no, pazienti che si sottopongono alla psicoterapia per i loro problemi (che possono essere multipli e di vario tipo ) , che cercano attivamente di fare qualcosa per risolverli e che credono quindi alla possibile uti­ lità di un trattamento psicologico per affrontare i loro disturbi. Le psicoterapie non hanno una durata o un termine prefissato (possono essere incluse anche le terapie "lunghe" che si propongono cambia­ menti strutturali ) , i terapeuti vengono identificati dal loro approccio di appartenenza e sono liberi di condurre il trattamento modifican­ dolo in corso d'opera in funzione delle reazioni del paziente. Essen­ do relativamente meno costosi, questi studi possono prendere in esa­ me campioni di dimensioni molto più ampie. I risultati dell'intervento vengono solitamente valutati rispetto a criteri di vario tipo. Strupp e Hadley ( I 977 ) sostengono che, per tentare di superare gli innumerevoli problemi connessi alle definizioni non univoche di psicoterapia e di salute mentale, dovrebbero essere considerate prospettive multiple: a ) quella della società (incluse le persone importanti nella vita del paziente) che tende a definire la salute mentale in termini di stabilità, prevedibilità e conformità alle norme; b ) quella del professionista che definisce la salute mentale in riferi­ mento al suo modello teorico del funzionamento mentale; c) quella del paziente che considera il proprio benessere da un pun­ to di vista soggettivo . Quest'ultima, in particolare, dovrebbe essere specificata distin­ guendo (come è avvenuto nella ricerca di "Consumer Reports" ) : la soddisfazione personale per i cambiamenti ottenuti, i miglioramenti specifici rispetto ai problemi portati in terapia, gli effetti di questi miglioramenti sulla propria vita lavorativa, affettiva, interpersonale ecc. La ricerca condotta da "Consumer Reports" ha riattivato il dibat­ tito fra i sostenitori di un metodo e quelli dell'altro. Molte sono state le critiche al suo impianto metodologico, da parte di chi privilegia gli studi sull'efficienza (Mintz, Drake, Crits-Cristoph, I 996; Jacobson, Christensen, I 996; Brock et al. , I 996) ; alcune fondate e dovute a reali insufficienze della ricerca, altre riferibili prevalentemente a una presa di posizione aprioristica contraria agli studi sull'efficacia. Altri ricercatori (VandenBos, I 996; Strupp, I 996; Golfried, Wolfe, I 996 ), pur senza nascondere i limiti di questo studio, ne hanno viceversa sottolineato i meriti; in primo luogo la sua validità ecologica che per­ mette generalizzazioni difficili da raggiungere con ricerche sull' effi­ cienza. A prescindere da questa specifica ricerca, le critiche che vengono

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mosse agli studi sull'efficacia si riferiscono essenzialmente alla man­ canza di rigore metodologico. Più in dettaglio i sostenitori delle ricer­ che sull'efficienza sostengono fra l'altro che: a) gli studi naturalistici impediscono di effettuare inferenze sulle re­ lazioni causali fra la psicoterapia e i suoi effetti poiché i miglioramen­ ti potrebbero essere avvenuti a prescindere dal fatto di aver ricevuto o meno il trattamento (Hollon, 1996 ) ; b ) la mancanza di veri e propri gruppi di controllo impedisce di di­ scriminare gli effetti della terapia dalle remissioni spontanee in parti­ colare per le terapie di più lunga durata; c) i risultati sono di difficile interpretazione in quanto basati su si­ stemi metrici privi di un significato inerente; d) è difficile stabilire l'accuratezza di valutazioni soggettive e retro­ spettive che potrebbero amplificare i reali effetti del trattamento; e) i pazienti possono non essere in grado di riferire con esattezza l'orientamento teorico del loro psicoterapeuta e ciò rende impossibile trarre conclusioni valide relativamente alla relazione fra il tipo di trat­ tamento e le altre variabili considerate ecc . . Ovvi amente per ciascuna di queste critiche esiste una risposta che rimette la partita in gioco . Ad esempio che, nonostante l'esperi­ mento venga considerato il metodo per eccellenza per identificare rapporti di causa-effetto fra le variabili considerate, anche le ricerche naturalistiche possono portare a inferenze di questo tipo mediante il ricorso a modelli causali che misurino specifiche cause alternative giungendo a scartarle (la funzione dei gruppi di controllo può essere svolta dai cosiddetti "controlli interni"); non è necessario che gli stu­ di sull'efficacia ricorrano (come quello di "Consumer Reports") a va­ lutazioni retrospettive, ma è anche possibile organizzarli secondo una metodologia prospettica che analizzi un campione di persone subito prima dell'inizio della terapia e a lavoro concluso; le valutazione sog­ gettive dei pazienti possono essere affiancate da valutazioni effettuate da altre prospettive ecc. Senza entrare però in maggiori dettagli, difficili da approfondire in questo contesto, si può concludere con Seligman ( 1 996) che en­ trambi i metodi hanno punti di forza e di debolezza complementari. La complessità del campo rende d'altra parte insolubile il problema di una ricerca perfetta dal punto di vista metodologico e contempo­ raneamente di piena validità ecologica. Come afferma Patterson ( 1 987) se anche avessimo a disposizione una tassonomia condivisa dei disturbi psicologici, delle personalità dei pazienti, delle tecniche terapeutiche, delle caratteristiche dei terapeuti, delle condizioni di applicazione e ipotizzassimo per ciascuna di queste cinque variabili 33

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dieci categorie, il disegno di ricerca richiederebbe un numelio di celle ( roo.ooo) impossibile da considerare. Qualsiasi progetto di ricerca deve quindi rinunciare ad alcuni aspetti (di tipo metodologico o eco­ logicamente significativi) per poter essere concretamente realizzato. 1 .4 Limiti della psicoterapia e rischi iatrogeni

La psicoterapia non è per tutti e non può far tutto; esistono limiti che attengono alle caratteristiche personali dei potenziali pazienti, li­ miti relativi al tipo di problema presentato, limiti di ciascun orienta­ mento teorico rispetto alle possibili problematiche di applicazioni, li­ miti di compatibilità fra le caratteristiche personali di ciascun pazien­ te e di ciascun terapeuta, limiti agli obiettivi che si possono porre. L'indicazione per un trattamento psicoterapeutico e la compatibilità fra l'insieme delle caratteristiche del paziente (compreso il suo pro­ blema) e un determinato approccio terapeutico dovrebbero essere ac­ curatamente valutate nell'ambito dei primi colloqui di accoglimento. Tralascio tuttavia di approfondire questo aspetto poiché esso verrà trattato dai contributi che seguono in relazione al proprio specifico punto di vista teorico e tecnico. Un altro problema - non compreso nella griglia degli argomenti proposta agli autori di questo testo - che può essere invece affronta­ to in termini generali a prescindere dall'approccio di appartenenza è il cosiddetto rischio iatrogeno della psicoterapia. Con questo termine ci si riferisce alla possibilità che gli effetti della terapia siano dannosi anziché benefici ovvero che il trattamento si concluda con un peggio­ ramento delle condizioni del paziente, rapportabile in qualche modo alla cura stessa. Il tema dei rischi impliciti nel processo della psicoterapia viene spesso tralasciato nei testi di psicoterapia, per un insieme di ragioni; intanto perché è più gratificante per gli psicoterapeuti riportare i propri successi piuttosto che i propri fallimenti e poi perché interro­ garsi sui fallimenti può implicare la necessità di prendere in conside­ razione eventuali errori nella conduzione del trattamento o mettere in discussione alcuni aspetti del proprio modello teorico elo metodolo­ gico di riferimento. La difficoltà di un'analisi dei rischi iatrogeni della psicoterapia ha comunque a che vedere anche con la complessità in­ trinseca dell'argomento. Se, come abbiamo visto nel paragrafo prece­ dente, è assolutamente non semplice e scontato definire cosa possa intendersi per miglioramento terapeutico ed efficacia della psicotera­ pia, gli stessi problemi si presentano nello stabilire i criteri definitori

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di "peggioramento" dello stato psicologico del paziente al termine del processo. Ancora una volta ci troviamo di &onte alla possibilità di utilizzare parametri diversi e non necessariamente concordanti &a lo­ ro: esiste il punto di vista interno al modello teorico-clinico del tera­ peuta, il punto di vista del paziente e quello dell'ambiente sociale e delle persone che hanno relazioni significative con il paziente stesso: « [ . .] ciò che appare terapeutico da un punto di vista può essere con­ siderato potenzialmente dannoso da un altro [. ] ciò che l'un para­ digma teorico ritiene utile può essere giudicato patogeno coerente­ mente ad un altro paradigma teorico, o, ancora, ciò che appare cura­ tivo entro un arco di tempo limitato può rivelarsi dannoso in un arco di tempo più lungo» ( Bianciardi, Telfener, r 998, p . 40) . Comunque, anche quando ci sia accordo rispetto al punto di vi­ sta da assumere nel definire cosa si intende per effetto iatrogeno del­ la psicoterapia, ad esempio assumendo un atteggiamento sovraordina­ to che tenga conto di prospettive multiple, il problema da affrontare è quello della spiegazione. Di fronte a un esito infausto della cura i tipi di spiegazione che i terapeuti hanno teso a dare ruotano intorno a due cardini. Quello più rassicurante tende ad attribuire la respon­ sabilità al paziente con i concetti variamente espressi di "resistenza al cambiamento", "gravità diagnostica", "incurabilità" ecc . ; l'altro ugualmente riduttivo - consiste invece nel considerare responsabili del fallimento gli errori del terapeuta. Bergin e Lambert ( r 978 ) sti­ mano ad esempio che il 5 - r o% dei pazienti peggiori durante la tera­ pia e combinano queste due spiegazioni affermando che ci sono pa­ zienti che peggiorerebbero con qualsiasi terapeuta e terapeuti distur­ bati che non riescono a evitare che i loro problemi interferiscano con il processo clinico. I possibili errori dei terapeuti - che condurrebbe­ ro a questi esiti - sono stati classificati in vario modo da diversi au­ tori: un eccesso di attivismo del terapeuta nella relazione o una sua eccessiva passività, la cattiva valutazione dell'opportunità di far intra­ prendere una psicoterapia a determinati pazienti, una sottovalutazio­ ne del rischio di scompenso psicotico particolarmente con pazienti borderline, caratteristiche del terapeuta come un eccessivo narcisismo, una serie variegata di errori tecnici, un mancato rispetto dei limiti del setting, una formazione non rigorosa del terapeuta ecc. Ma al di là degli errori del terapeuta o della troppo facile scappatoia di attribuire gli esiti infausti ai terapeuti "selvaggi", altri hanno cercato di andare oltre queste spiegazioni riduttive interrogandosi sulla possibilità che anche un trattamento privo di errori, derivante da un'applicazione del metodo perfettamente coerente con i dettati del modello di riferi­ mento, possa portare a esiti negativi. .

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Fruggeri ( 1 995 ) , ad esempio, dopo aver analizzato i possibili er­ rori tecnici del terapeuta per un'applicazione scorretta del proprio modello di intervento e la responsabtlità epistemologica del rischio ia­ trogeno derivante dall'inadeguatezza dei presupposti teorici ed episte­ mologici del modello teorico, ipotizza che la responsabilità dei falli­ menti cui anche "bravi" terapeuti possono andare incontro sia, in al­ tri casi, "relazionale", ovvero il prodotto di una cattiva interazione fra i sistemi di riferimento epistemologici e di significato del terapeuta, del paziente e del contesto sociofamiliare più allargato . Anche un professionista che applichi correttamente un approccio terapeutico appropriato potrebbe quindi partecipare all'esito infausto del proces­ so, per il fatto di non aver analizzato e compreso il processo di co­ struzione sociale che si realizza nella sua interazione con il paziente e il suo sistema di significati. In questo caso non si dovrebbe parlare di un vero e proprio errore del terapeuta, quanto di una sua responsa­ bilità nella mancata lettura di ciò che sta avvenendo. Qualsiasi rela­ zione terapeutica, per quanto impostata in termini cooperativi, è ca­ ratterizzata da aspetti di asimmetria non ascrivibili a una diversità di livello gerarchico fra i suoi partecipanti, ma a una diversità di livelli di osservazione. In questo senso, afferma Fruggeri ( ivi, p . 2 r ), «men­ tre [. . . ] il paziente è responsabile del proprio punto di vista e delle proprie azioni, attraverso cui partecipa alla costruzione del processo terapeutico, il terapista è anche responsabile del processo interattivo che emerge dal coordinamento del proprio e dell'altrui punto di vi­ sta, delle proprie e delle altrui azioni». Similmente Bianciardi e Telfener ( 1 998) sostengono che i succes­ si e i fallimenti della psicoterapia non sono da ascrivere in modo uni­ laterale al paziente o al terapeuta, ma si generino nella storia della loro relazione e da un felice o infelice coordinamento fra le premesse implicite del paziente e le teorie del terapeuta. Dal loro punto di vista teorico - che integra il modello sistemico-relazionale con il co­ struttivismo - affermano che il rischio iatrogeno per un terapeuta che applichi coerentemente i presupposti del proprio modello sia riporta­ bile a due fattori fondamentali: la sua cecità rispetto a ciò che il pa­ ziente porta in terapia o a quanto avviene nella relazione e la confu­ sione che il terapeuta può fare fra la realtà oggettiva delle cose e le proprie teorie interpretative della realtà. Nel primo caso il problema non consiste tanto nel fatto che il terapeuta ignori, non sappia una serie di cose relative al paziente (fatto inevitabile) , ma che «non sap­ pia di non sapere», ovvero che «ignori le caratteristiche costitutive di parzialità e di riduttività dei propri percorsi e delle proprie modalità conoscitive» Ovi, p. 63 ) , Nel secondo caso, il problema consiste nel-

I.

LA PSICOTERAPIA

l'utilizzare i concetti teorici del proprio modello come se questi fosse­ ro dati di realtà e non modi per interpretare la realtà (ivi, p. 6 5 ) :

[. ] all'interno di un processo psicoterapeutico non vi è comprensione o interpretazione che possa essere considerata vera o falsa di per sé, né vi è intervento clinico che possa considerarsi giusto o sbagliato in sé; ma ogni lettura ed ogni intervento potranno rivelarsi dannosi piuttosto che utili se li crediamo veri o giusti e quindi se ci affidiamo ad essi piuttosto che alla pratica della relazione che costantemente li rimetterà in discussione. . .

Queste considerazioni sui rischi iatrogeni della psicoterapia hanno una notevole rilevanza rispetto al tema della formazione degli psicote­ rapeuti che verrà affrontato nell'ultimo capitolo. È attraverso un'ade­ guata gestione del processo formativo che i rischi iatrogeni della cura possono essere minimizzati : una formazione che non sia soltanto in grado di fornire una buona preparazione teorica, personale e tecnica, ma che sia anche capace di trasmettere il messaggio della relatività dei propri punti di vista, quali che siano, e che quindi crei terapeuti aperti a considerare ( non necessariamente a condividere) prospettive epistemologiche diverse e disponibili a una propria continua autove­ rifica in base alla consapevolezza dei limiti del proprio sapere .

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2

Le psicoterapie psicoanalitiche di Daniela Bolelli

e

lngo Stermann

.Z . I

n modello di uomo: presupposti teorici di base lnterrogarsi su quale sia il modello di uomo in relazione a una tecni­ ca psicoterapeutica significa cercare una risposta alla domanda se e come questa tecnica sia appoggiata o agganciabile a una teoria che abbia una complessità filosofico-antropologica che va al di là del con­ testo medico curativo che l'ha generata. Per quanto riguarda la psi­ coanalisi riteniamo che questo sia vero in quanto essa, come com­ plesso di conoscenze della psicologia umana, non ha sviluppato sol­ tanto una nosologia, ma anche una teoria della mente che ha influen­ zato tutti gli altri campi delle scienze umane. Infatti se la psicoanalisi deve i suoi inizi ai bisogni legati agli obiettivi terapeutici per i quali è stata creata, tuttavia nell'arco soltanto di un mezzo secolo, o meglio, di due generazioni scientifiche, i suoi concetti fondamentali hanno in­ fluenzato quasi tutte le altre scienze, in particolare la pedagogia e la sociologia, ma potremmo dire tutta la cultura, giacché hanno subito il suo influsso anche lo studio dell'arte e della letteratura e le scienze politiche e teologiche. Per meglio comprendere la concezione psicoanalitica dell'uomo è utile ricordare che Freud come pensatore e scienziato era materialista e razionalista, come medico specializzato in neurologia era un "orga­ nicista", come psicoterapeuta partiva da una psicologia della coscien­ za tutta tesa a descrivere e quantificare i fenomeni dell'attività menta­ le umana nell'ottica particolare del razionalismo critico. Con questo retroterra culturale Freud concepisce l'esistenza umana, intesa sia nel­ la sua espressione individuale che collettiva, fondata sull'incontro tra un organismo determinato dalla sua biologia, specialmente dalle parti dedicate alla percezione e all'elaborazione dei dati, e l'ambiente ani­ mato e inanimato che lo circonda. È il sistema nervoso centrale che svolge la funzione di mediatore attraverso un apparato percettivo che

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PSICOTERAPIE

raccoglie gli stimoli provenienti sia dal mondo interno ( comprendente la parte corporeo-viscerale e l'intrapsichica) sia da quello esterno, te­ nendo conto anche della percezione del proprio corpo e dei suoi confini con il mondo circostante. Questo sistema neurofisiologico im­ pegnato nella ricezione, valutazione, conservazione ed elaborazione dei dati, sviluppa, nell'arco della maturazione neuromotoria e psichi­ ca dell'individuo, uno stato di coscienza della propria esistenza, del proprio corpo, della sua parte interna, dei suoi confini fisici e del mondo circostante, soprattutto delle persone che gli stanno intorno. L'organismo umano sarebbe, secondo Freud, contraddistinto da bisogni di natura fisiologica e dalla dinamica di pulsioni vitali irridu­ cibili come la fame, la sessualità, l'aggressività distruttiva ecc. : che tendono alla loro soddisfazione (pn'ncipio del piacere, 1 900) 1 per arri­ vare a un certo equilibrio fisiologico e a una omeostasi che viene vissuta soggettivamente come benessere. Tale omeostasi è per sua na­ tura uno stato approssimativo e labile che esiste soltanto in forma passeggera e che si estingue appena raggiunto, cosicché necessita di continui sforzi per tornare in equilibrio. Su queste premesse neurofisiologiche si inserivano le scoperte compiute da Freud nel corso della sua pratica psicoterapeutica che portano a una concezione dell'uomo e del suo sviluppo psicologico radicalmente innovativa rispetto al passato. Tentiamo qui di compi­ larne una breve sintesi . Come primo aspetto dobbiamo considerare il riconoscimento e l'elaborazione del concetto di inconscio ( 1 9 1 5 ) 2 : Freud illustra e dà valore a quella parte della vita psichica che si sottrae alla coscienza. Essa sarebbe innanzitutto la dimensione propria delle pulsioni, intese x . È uno dei due principi che regolano il funzionamento mentale. È rappresen­ tato dalla tendenza dell'attività psichica nel suo insieme a evitare il dispiacere e a procurarsi il piacere. 2. È invalsa l'abitudine a considerare l'inconscio come una scoperta freudiana, senza considerare che il concetto di inconscio era ben noto fin dall'antichità anche se la sua tematizzazione esplicita comincia con Leibniz. È però con Freud che il concet­ to di inconscio diviene una costruzione teorica rigorosa e comprensiva degli aspetti motivazionali della personalità sia sana, sia patologica. Ciò che vi è di innovativo nella concettualizzazione freudiana è la scoperta del­ l'influsso che l'attività inconscia ha su quella cosciente. L'inconscio freudiano è nello stesso tempo un concetto topico e dinamico in quanto è considerato come un sistema con meccanismi propri e con contenuti propri che però possono diventare accessibili alla coscienza. La prima concettualizzazione della personalità ( prima topica) si fonda sull'esistenza di tre sistemi, Inconscio, Preconscio e Conscio con loro proprie funzioni e contenuti. I vari sistemi sono separati da censure che inibiscono e controllano il passaggio in senso progressivo e regressivo dall'uno all'altro.

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LE PSICOTE R A P I E PSICOA N A L I T I C H E

come derivati dei bisogni e dinamismi organico-naturali del corpo umano che hanno una tendenza incessante a manifestarsi nella ma­ niera più immediata possibile. Nasce così una nuova topologia della psiche umana che sarebbe divisa in questi due "regni" di qualità e principi di funzionamento nettamente diversi, con possibilità di tran­ sito dall'uno all'altro e con loro vicende suscettibili di essere ricono­ sciute, "interpretate", mediante il metodo psicoanalitico. La scoperta dell'inconscio porta Freud a sostenere che vi è un determinismo causale nelle manifestazioni della vita psichica '. Ogni atto può essere spiegato nelle sue motivazioni originarie il più delle volte ignote alla coscienza giacché gli eventi mentali, secondo questa teoria, non sono fenomeni casuali, fortuiti e slegati tra di loro. Pen­ sieri e sentimenti sono eventi concatenati, frutto di precedenti espe­ rienze. Infatti, data l'immaturità e la limitata capacità dell'apparato psicomentale del bambino di comprendere e inquadrare stimoli quantitativamente o qualitativamente inadeguati e quindi altamente angoscianti, molte delle esperienze infantili rimangono senza una inte­ ) grazione armoniosa e vengono vissute come una minaccia, tanto da dover essere tenute fuori della coscienza. Per questo scattano dei meccanismi primitivi di difesa come la scissione e la proiezione di quelle esperienze e informazioni non "digeribili" allo scopo di proteg­ gere il funzionamento della vita psichica. Nasce così la n'mozione ( 1 894) 4 di parti dell'esperienza che vengono respinte fuori dalla co­ scienza verso l'inconscio da dove tentano di riemergere. Con questa concettualizzazione dell'articolazione tra il mondo inconscio e la co­ scienza la teoria psicoanalitica offre un modello che consente la com­ prensione, nello sviluppo della psiche, sia dei meccanismi costruttivi

3 . Nd sottolineare il determinismo causale dei fenomeni psichici è importante ricordare che si fa un torto alla ricchezza e alla complessità del pensiero freudiano quando comunemente si rimprovera alla psicoanalisi di ridurre al passato infantile l'insieme delle azioni e dei desideri di un individuo. La nozione di Nachtriiglichkeit supera il riduttivismo di una causalità psichica fondata unicamente sull'azione del pas­ sato sul presente. Questo concetto che Freud usò frequentemente senza mai sistema­ tizzarlo, sta a indicare che esperienze, impressioni, ricordi vengono rielaborati succes­ sivamente in funzione di nuove esperienze o per il conseguimento di un altro livello di sviluppo, acquisendo un nuovo significato. Da questa rielaborazione successiva de­ gli eventi passati può derivare un'efficacia o una potenzialità patogena. 4· · La rimozione è un meccanismo specifico di difesa con il quale il soggetto tenta di respingere o mantenere nell'inconscio pensieri, immagini, ricordi legati a una pulsione che, se soddisfatta, rischierebbe di provocare dispiacere rispetto ad altre esi­ genze.

PSICOTERAPIE

e di crescita, sia di quelli disfunzionali e patologici . Ed è quindi an­ che possibile, proprio perché questa concezione può spiegare il fun­ zionamento normale, che nei successivi sviluppi della teoria psicoana­ litica venga superata la prima posizione freudiana che fondava la pa­ tologia sui conflitti dello sviluppo psicosessuale ( come vedremo tra poco) per sottolineare i deficit e i conflitti dell'Io come istanza co­ struttiva dell'intera personalità. Cosicché molti eventi patologici pos­ sono essere riportati a un cattivo funzionamento dell'Io e non soltan­ to a squilibri inerenti le pulsioni ' . Questa concettualizzazione fa s i che la sintomatologia psichica ac­ quisti un senso e possa essere letta alla luce delle vicende biografiche del soggetto, soprattutto quelle della prima infanzia in precedenza as­ solutamente ignorate. Essa comporta inoltre una rivoluzione per quanto riguarda i concetti di salute e malattia poiché determina la caduta della barriera di confine tra questi due modi di essere. Innan­ zitutto perché le modalità di funzionamento psichico che stanno alla base della patologia sono presenti anche nel sano, ma anche perché viene riconosciuta nell'organizzazione psichica umana cosiddetta sana la presenza di meccanismi e zone disfunzionali che potremmo dire "malate" anche se in quantità ridotta. Lo stato di malattia consiste­ rebbe dunque in un p revalere delle parti malate tale che nell'organiz­ zazione finale risulterebbe poi un'alterazione qualitativa. Altra concettualizzazione innovativa è quella relativa alla sessuali­ tà. Infatti, contro la concezione della sua epoca che vedeva la sessua­ lità come un comportamento adulto preformato, istintuale, tipico del­ la specie che porta all'accoppiamento, Freud introduce un'estensione di tale concetto. Innanzitutto ne riconosce l'esistenza già nell'infanzia e la considera comprendente tutta una serie di attività ed eccitazioni che procurano un piacere non riconducibile al soddisfacimento di un bisogno fisiologico fondamentale ( fame, escrezione, respirazione

:; . I contributi forniti dallo sviluppo della teoria delle relazioni oggettuali e della psicologia del Sé hanno portato a una revisione della teoria classica che inquadrava la psicopatologia in termini di conflitto. Questi nuovi apporti hanno messo in luce un altro meccanismo patogenetico, quello del deficit che consisterebbe in difetti intrasi­ stemici intesi come carente strutturazione del Sé, non raggiunta costanza dell'oggetto, diffusione del Sé. Pertanto oggi si tende a integrare la psicologia del deficit alla con­ cezione psicoanalitica tradizionale del conflitto. Sul piano clinico questo si traduce nello sforzo del terapeuta di rendersi conto se il materiale presentato dal paziente sia espressione di un conflitto o di un deficit e, di conseguenza, nel mettere in atto una strategia orientata a svelare significati o piuttosto a costruirne. La prima si serve soprattutto di interpretazioni, mentre la seconda si avvale di interventi tesi a confermare i sentimenti e le percezioni del paziente.

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2.

LE P S I COTERAPIE PSICOANALITIC H E

ecc. ) . Egli descrive un processo maturativo delle pulsioni attraverso fasi distinte che si riferiscono a zone specifiche del corpo e che sono le fasi orale, anale e fallica 6 . Nel corso di questo sviluppo nota che, quando il soggetto passa da una fase all'altra, non perde del tutto l'interesse per la gratificazione della fase precedente. Descrive inoltre due caratteristiche di questo processo evolutivo. La prima è che si può registrare un attaccamento forte e persistente a una particolare gratificazione libidica che viene detta fissazione 7, che è generalmente inconscia e che spesso rappresenta un punto focale attorno al quale si struttura la formazione del sintomo in età più avanzata. La secon­ da caratteristica è rappresentata dalla potenzialità di regredire, cioè di riattivare o ritornare a una modalità precedente di gratificazione libi­ dica che non necessariamente è da considerarsi come un processo patologico (regressione, I 9 I .5 - I 7 ) 8• La sessualità infantile, poiché è ca­ ratterizzata dal soddisfacimento legato al funzionamento di un organo o all'eccitazione di una molteplicità di zone erogene e si sviluppa pri­ ma della formazione delle pulsioni genitali propriamente dette, viene descritta come autoerotica, polimorfa e pervertita ( I 90.5 ) . Questa concezione della sessualità come elemento fondante della natura umana fa sì che in pratica quasi tutte le azioni umane possano essere ricondotte alla sessualità e in particolare i sintomi nevrotici che costituiscono un appagamento di desideri sessuali attraverso sposta­ menti, compromessi con le difese ecc . Da un punto di vista storico possiamo dire che Freud, con questa concezione innovativa della ses­ sualità, ha aperto un orizzonte nuovo su una zona sana della psicolo­ gia umana infantile fino ad allora misconosciuta e ha costretto a con­ siderare la sessualità adulta, al contrario di come era avvenuto fino ad allora, non come un dato della natura umana, ma come il frutto di un complicato e delicato intreccio nello sviluppo di fattori biologici e psicologici. 6. Tali fasi vengono distinte a seconda che l'organizzazione libidica si incentri particolarmente su una di quelle zone erogene che caratterizzano anche un particolare modo di porsi in relazione (incorporare, espellere e ritenere, sentirsi potenti o castra­ ti ) . 7 . Con i l termine fissazione viene indicato quel processo per cui una persona diventa o resta legata in maniera ambivalente a un oggetto che era appropriato in uno stato precedente dello sviluppo. 8. Da un punto di vista tecnico con il termine regressione è indicato in generale il ritorno a uno stato o un modo di funzionare precedente e, più specificamente, quel processo difensivo tramite il quale il soggetto ritorna a uno stadio di sviluppo libidico e dell'lo antecedente. Talora in un senso più generale, con il termine regressione si indica una condizione di destrutturazione e abbassamento dd livello di funzionamen­ to psichico.

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PSICOTERAPIE

Alla luce di queste nozioni vediamo che lo sviluppo dell'individuo

è considerato come sviluppo psicosessuale fin dalla nascita, si basa sulla natura biologico-pulsionale dell'uomo ed è costituito dal susse­

guirsi di stati risultanti da dinamiche di energie psichiche in ricerca di un equilibrio. Poiché le pulsioni intrinseche alla natura dell'uomo tendono alla loro espressione immediata e al loro soddisfacimento senza riguardo per le possibili conseguenze negative per il soggetto, con la maturazione questi sviluppa un'istanza psichica (l'Io) che per­ cepisca e valuti la situazione circostante in modo da arrivare al soddi­ sfacimento delle pulsioni senza subirne ripercussioni devastanti. L'Io però, oltre a tener conto di questo complesso di pulsioni ( Es ) , deve mediare anche con le esigenze poste dall'insieme dei valori morali, normativi e culturali ( Super-lo) che si impongono all'uomo a motivo del suo essere collocato, già dalla nascita, in una rete di rapporti in­ terpersonali b 92o) 9. Esso riesce dunque a controllare parte dell'e­ nergia psichica pulsionale e ad adoperarla per realizzare l'obiettivo di sopravvivere fra esigenze istintuali, realtà ambientale e vincoli cultura­ li della società cui il soggetto appartiene, che il più delle volte entra­ no in conflitto tra di loro. È evidente a questo punto come nel pen­ siero freudiano ci sia la ricomposizione dell'unità corpo/mente rispet­ to alla visione dualistica precedente. Arriviamo cosl a un altro degli elementi fondamentali che caratte­ rizzano il modello di uomo secondo la teoria freudiana: la conflittua­ lità. Diceva Ernst Kris che la psicoanalisi può essere definita come la natura umana guardata dal punto di vista del conflitto e, in realtà, la psicoanalisi considera l'uomo fondato e immerso nel conflitto (cfr. nota 5 ) : da un lato, la mente è espressione di forze contrastanti, quelle consce e quelle inconsce, che la costituiscono dall'altro, l'indi­ viduo entra in conflitto con le istanze sociali che limitano o precludo­ no la realizzazione dei suoi desideri opportunistici. Secondo la psicoanalisi l'esistenza umana individuale, ma anche sociale, si svolge all'insegna di una dinamica tesa, inevitabile e inter­ minabile fra i bisogni dell'organismo e il principio del piacere e la capacità di ragionare, di riconoscere i vincoli imposti dalla realtà ma9· La concezione della personalità come articolazione dinamica fra tre istanze psichiche, Io, Es e Super-Io (seconda topica), segue la prima concenualizzazione freudiana dell'apparato psichico come risultante dei tre sistemi, Conscio, Preconscio e Inconscio. Essa si fonda sull'importanza sempre maggiore anribuita alle difese incon­ sce che rendeva sempre più difficile far coincidere il rimosso con l'Inconscio e l'Io con il sistema Preconscio Conscio . Infatti, anche se è nell'Es che sono rintracciabili le principali caratteristiche del sistema Inconscio, viene attribuita un'origine e una parte inconscia anche alle altre due istanze: l'Io e il Super-lo.

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LE PSICOTERAPIE PSICOANALITICHE

teriale e sociale (principio di realtà, 1 9 1 1 ) 1 0 • In questo continuo con­ trasto l'uomo non è considerato buono o cattivo per sua natura ( e quindi neppure la società), m a l a condizione umana si esprimerebbe nella necessità continua, del singolo e dei gruppi, di rivedere con la massima lucidità mentale possibile la dinamica e l'economia delle proprie forze psichiche. Da ciò deriva l'inevitabile sforzo e la conti­ nua sfida a trovare sempre nuovi compromessi e a stabilire equilibri sufficientemente stabili nell'immediato futuro. In questa ottica la cultura viene vista come contenitore di com­ promessi sociali per la realizzazione di quello che possiamo conside­ rare un paradosso antropologico. Infatti, se da un lato l'uomo viene spinto potentemente dalla sua natura e dai suoi istinti verso la realiz­ zazione opportunistica di ogni tipo di suo bisogno, senza riguardo per le conseguenze che ne derivano su se stesso e sul suo gruppo di appartenenza, da un altro egli è anche vincolato per la sua sopravvi­ venza allo stare insieme con i suoi simili . In questo modo la concezione psicoanalitica può dirsi sia intra che interpersonale perché, anche se ne sono stati sempre particolar­ mente sottolineati gli aspetti di dinamica intrapsichica, essa considera l'uomo immerso fin dalla nascita in una rete di rapporti che lo in­ fluenzano, cosicché la sua individualità si sviluppa in un contesto re­ lazionale. Senza negare la rilevanza dei fattori costituzionali ereditari e organici, essa ha aperto la strada alla comprensione della nascita e dello sviluppo dei disturbi mentali e psicosomatici nel soggetto sullo sfondo e attraverso l'insieme dei rapporti con chi gli sta intorno: i familiari prima e il contesto sociale poi, comprendendo anche l'in­ fluenza di schemi relazionali e comportamentali delle generazioni pre­ cedenti e della cultura tradizionale. Questa ottica relazionale e aperta a spiegare l'htc et nunc di un sintomo attuale e dello stato di malesse­ re individuale tramite l'impiego del passato in una maniera così com­ plessa e transpersonale ha aperto nuovi orizzonti in due direzioni. Infatti nella medicina e in particolar modo nella psicoterapia, oggi­ giorno, si riconoscono largamente la rilevanza dell'influenza del con­ testo relazionale nella genesi del disagio psichico, cosicché si è dato spazio anche a nuove forme di valutazione diagnostica e di tratta­ mento come la terapia di coppia e la terapia familiare. Ma, oltre a

IO. Il principio di realtà è l'altro dei due principi che regolano il funzionamento mentale. Esso fa sl che la ricerca del soddisfacimento non si effettui per la via più breve, ma passi per vie indirette e rinvii, in funzione delle condizioni imposte dal mondo esterno. Compare secondariamente come modificatore dd principio del piace­ re.

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ciò, tanti problemi di comunicazione, di funzionamento e rendimento poco soddisfacente in istituzioni, imprese e progetti lavorativi vengo­ no sottoposti a riflessioni, controlli e procedimenti di miglioramento che sono basati su concetti relazionali e gruppali provenienti dalle scoperte della psicoanalisi sui meccanismi di difesa e resistenza incon­ scia dei singoli all'interno dei loro rapporti familiari, di coppia o so­ ciali. Naturalmente è da notare che gli aspetti interpersonali, presenti in nuce nella concezione freudiana, hanno avuto maggiore attenzione e rilievo in sviluppi più recenti della teoria dove sono messi in primo piano. Queste teorie relazionali arrivano a considerare la mente come fondamentalmente interattiva, alla ricerca di un contatto con le altre menti, e l'organizzazione psichica come costruita dai modelli che danno forma a tali interazioni. L'individuo viene descritto non più come un coacervo di pulsioni, ma come un essere costruito da una matrice di relazioni con i suoi consimili e in esse inglobato. I suoi desideri non vengono più considerati come fini a se stessi, ma vissuti in un contesto di relazioni che ne definiscono il significato. Ci sembra dunque di poter dire, per sintetizzare quale sia il mo­ dello di uomo secondo la teoria psicoanalitica, che, contro la visione razionalista dei suoi contemporanei, ci troviamo di fronte a un uomo mosso se non dominato da pulsioni vitali e da tendenze inconsce, inglobato in una matrice di relazioni, in perenne conflitto, suscettibile di autoinganni, la cui forza sta nella possibilità di riconoscere e accet­ tare la propria verità, elementi sui quali può fondare la riduzione del­ la sofferenza dell'esistere e gli aspetti costruttivi di compromesso con la realtà esterna. Una visione dell'uomo che nasce dallo scetticismo vers0 la coerenza e la bontà della natura umana come veniva propo­ sta a quell'epoca, basti pensare alla concezione del bambino come innocente e asessuato, e che, quindi, rappresenta un potente ridimen­ sionamento dell'illusione scientista dell'uomo razionale retaggio del secolo dei lumi. Questo nuovo modo di concepire l'uomo trascina di conseguenza una rivoluzionaria concezione della cura in quanto capovolge l'impo­ stazione tradizionale che vede il medico manipolatore direttivo delle sorti psicofisiche del paziente il cui corpo e la cui mente plasma e modifica. Infatti a un curante che accoglie, comprende e aiuta a com­ prendere, offrendosi come interlocutore dialogico che consente una nuova esperienza umana potenzialmente trasformatrice, corrisponde un paziente protagonista della cura perché considerato soggetto atti­ vo, artefice del proprio cambiamento che avviene in presenza e attra­ verso l'aiuto del terapeuta. Quest'ultimo viene assunto a catalizzatore

2.

LE PSICOTERAPIE PSICOANALIT I C H E

della trasformazione del paziente e, come viene sottolineato in visioni più recenti, esce anch'egli modificato dall'incontro. Per concludere, il lavoro terapeutico non consiste come in prece­ denza nel prescrivere, introdurre o togliere attivamente qualcosa dal paziente, ma nel favorire un'indagine, nel rendere possibile il compi­ mento, nell'ambito di una relazione carica di emozioni, di un' espe­ rienza conoscitiva trasformatrice che dipenderà in ultima istanza dal paziente di compiere. Infatti starà proprio a lui, soggetto e artefice del suo cambiamento, accettare o meno le informazioni, a seconda che lo convincano, che emergono dall'incontro promotore di cono­ scenze nuove, come anche dipenderà da lui elaborare e mettere a frutto la nuova esperienza. 2 . r . r . Funzionamento psicologico dell'uomo Riteniamo di avere già fornito molte informazioni che ci aiutano a capire come funziona la psiche nel corso del nostro tentativo di illu­ strare il modello di uomo, ora cercheremo di offrire soltanto una sin­ tesi di questo funzionamento; ma, prima di farlo, desideriamo consi­ derare gli aspetti suggestivi e insidiosi di questo titolo dal momento che l'obiettivo del libro è di mettere a confronto le varie scuole psi­ coterapeutiche. Esso è suggestivo in quanto induce a pensare alla psi­ che come a un apparato complesso, ma coerente e armonioso, quasi una macchina. Insidioso in quanto invita a un approccio oggettifican­ te che rende la psiche un oggetto misurabile da sottoporre ai criteri del positivismo scientifico. È stato discusso a lungo, senza che si sia potuto raggiungere un risultato unanime, se la psiche umana possa essere sottomessa a criteri di questo tipo, ossia provenienti dalle scienze naturali, quindi dalla psicologia accademica e dalla medicina che, con metodo deduttivo, arrivano a concetti generali e quadri sin­ dromici partendo dai disagi e dai sintomi. Senza entrare nel merito di questo dibattito, possiamo dire che la psicoanalisi è stata attaccata come procedimento non scientifico, e le polemiche non si sono anco­ ra spente, proprio perchè, più di qualsiasi altro approccio psicotera­ peutico, ha messo l'accento sull'individualità del paziente e sull'indivi­ dualità del terapeuta nella loro reciproca interazione per fondare il trattamento. Secondo questa concezione la disponibilità empatica del terapeuta e la comprensione del paziente sono tanto strumenti che obiettivi della cura e questi fattori non sono certo inquadrabili facil­ mente con i criteri positivistici. Ma, nonostante questa accentuazione dell'aspetto soggettivo e relazionale, vi sono nella psicoanalisi, in quanto metodo ermeneutico, deduzioni e ipotesi di indirizzo genera-

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PSICOTERAPIE

le. Essa rappresenta senza dubbio una teoria molto complessa della mente umana e l'aspetto dinamico, quello che riguarda il funziona­ mento e la disfunzione della vita psichica dell'essere umano, è uno degli elementi che maggiormente la caratterizzano. Ma questa teoria non può inscriversi tra le teorie mediche e deve essere considerata per il suo potenziale di spiegazione dei conflitti come un metodo che spinge alla riflessione e alla ricerca. La psicoanalisi non perde i suoi elementi ermeneutici neanche nelle sue applicazioni terapeutiche: le psicoterapie psicoanalitiche. Abbiamo già descritto le tre istanze psichiche Es, Io, Super-Io che vanno a costituire il cosiddetto "modello strutturale", una conce­ zione che vale come teoria dello sviluppo della psicologia umana e si presta anche a fornire le basi per la comprensione della patologia e istituirne un possibile trattamento ( r 920 ) . Infatti secondo questo mo­ dello la psiche umana sarebbe costituita e diretta dalla coesistenza conflittuale delle tre istanze, Es, Super-Io e Io, rappresentanti rispet­ tivamente delle pulsioni biologico-costituzionali, dell'insieme dei valo­ ri morali e normativi della cultura e di un'attività mediatrice e orga­ nizzatrice. L'attività dell'Io si esprime massimamente nell'organizza­ zione cosciente delle funzioni psichiche di adattamento e controllo dell'individuo incalzato dalla necessità di cercare un modo di soprav­ vivenza personale tra i propri bisogni e la realtà esterna materiale e socioculturale. È però da notare che essa non è tutta cosciente, bensi è in larga parte inconscia. In una prospettiva storica possiamo dire che c'è stato un progres­ sivo spostamento dall'interesse per l'inconscio ( prevalente nei primi decenni dell'attività di Freud) verso la gestione di esso da parte del­ l'Io organizzatore di un clima intra ed extrapersonale, e che questo spostamento è stato decisivo per lo sviluppo di tante tecniche psico­ terapeutiche meno legate alla teoria delle pulsioni e sensibili alle in­ fluenze individuali della biografia del paziente e all'influenza della sua cultura, come nel caso dei culturalisti nordamericani e dei neofreu­ diani. Partito dall'assunto, derivato dalle scoperte cliniche effettuate con il suo trattamento, che la p arte pulsionale inconscia rappresenta una parte primaria e basilare dell'esistenza umana che influenza l'attività mentale consapevole, Freud organizza la vita psichica in tre compar­ timenti di diverso livello di coscienza. ll primo è l'Inconscio appunto, che trae origine nelle radici pulsionali e organiche del corpo ed è dominato da dinamiche e meccanismi qualitativamente diversi da quelli della vita cosciente: alogici, scollegati tra loro, ma con amplissi­ me possibilità di fondersi, sovrapporsi e sostituirsi tra di loro. Esso

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influenza la vita cosciente nell'intento di soddisfare le proprie esigen­ ze senza riguardo ai vincoli posti dalla realtà . Le manifestazioni più vistose di quest'attività inconscia sarebbero, oltre ai fenomeni psico­ patologici nevrotici e psicosomatici, i sogni, i lapsus e gli atti mancati della vita quotidiana. Manifestazioni dell'inconscio in forma di com­ promesso sono rintracciabili anche in certi rituali e certe usanze che comportano una scarica emotiva e che sono previste dall'organizza­ zione sociale, come ad esempio il carnevale e la relativa libertà rispet­ to alla morale corrente di cui godono le produzioni artistiche. D secondo è il Preconscio . Esso rappresenta una sorta di antica­ mera della coscienza che fa da deposito per qualsiasi materiale men­ tale che può essere tenuto in disparte rispetto alla coscienza perché non è funzionale alla gestione dell'attualità, ma è volontariamente evocabile secondo la necessità. Il terzo è il Conscio che per le sue caratteristiche è assimilabile al concetto di coscienza della cultura psicologica tradizionale, anche se dobbiamo tenere conto che Freud ne mette in luce la sua influenza­ bilità da parte dell'inconscio e quindi ne ridimensiona l'importanza rispetto a quello che credevano i suoi contemporanei. La coscienza così intesa è uno stato mentale legato a un Io sufficientemente matu­ ro e funzionante, e che pertanto è suscettibile di indebolimenti in relazione a variazioni della forza dell'lo e della potenza delle pulsioni. Preconscio e coscienza si presentano come compartimenti di uguale qualità e funzionamento cognitivo e seguono tutti e due le regole della logica e razionalità come abitualmente le intendiamo. All 'interno del modello strutturale l'lo ha il compito di trasforma­ re, deviare e scaricare le traiettorie delle pulsioni in modo tale da rendere possibile una loro realizzazione soddisfacente senza provoca­ re danni e pericoli insopportabili per l'esistenza psicofisica, oltre che di mediare con le istanze sociali. Data la complessità di tale obiettivo, che è dinamico e soltanto approssimativamente realizzabile, tanto che forse è più corretto · considerarlo più come una linea di tendenza che come una meta definitivamente acquisibile, l'Io diventa anche l' orga­ nizzatore di meccanismi di difesa e sistemi di resistenza contro le pulsioni inaccettabili e il loro accesso alla coscienza. L'Io rimuove, scinde, respinge tali tentativi, costringe certi impulsi a un'esistenza inconscia, contribuendo così alla nascita di disagi psichici e al manife­ starsi di sintomi come espressioni patologicamente deviate e alterate di contenuti dell'inconscio. L'lo quindi è mediatore fra quei due principi che vigono in grande contrasto tra il mondo dell'inconscio e quello della coscienza che sono il principio del piacere e quello di realtà ( cfr. note I e I O ) . Tale facoltà mediatrice e autorevole si espri49

PSICOTERAPIE

me sia nella gestione della vita intrapersonale sia nelle manifestazioni esterne e relazionali. Infatti, a seconda della maturità e della forza che l'Io ha di imporsi sulle esigenze provenienti sia dalle pulsioni, sia dalle obiezioni morali e dai pericoli reali, e di trovare soluzioni inte­ grate, esso può essere considerato più o meno sano e funzionale, più o meno vincolato da ostacoli e vicende traumatiche del passato, più o meno flessibile e creativo nell'adoperare le esperienze pregresse in maniera adatta alle esigenze dell'attualità.

2.2 Sviluppi storici e orientamenti principali all'interno del modello psicoterapeutico psicoanalitico Ci limitiamo a indicazioni storiche generali sull'origine della psicoana­ lisi e sullo sviluppo delle psicoterapie psicoanalitiche da quella matri­ ce originaria giacché, essendo molti i modelli psicoterapeutici, non abbiamo qui la possibilità di illustrare in dettaglio la storia neppure dei principali di essi. Per quanto riguarda l'intervento terapeutico psicoanalitico possia­ mo dire che è stato contraddistinto da una fase sperimentale ben lunga e sofferta, nella quale Freud, scienziato panicolarmente capace di autocritica, nel tentativo di liberare i suoi pazienti nevrotici dai loro disagi tanto vistosi quanto inspiegabili, adoperò quella che era la tecnica allora più recente e raccomandata, l'ipnosi, con risultati poco durevoli e insoddisfacenti: era possibile, attraverso gli ordini del me­ dico, riprodurre e influenzare la sintomatologia sotto condizioni d'ip­ nosi, ma quella stessa caratteristica di panicolare alterazione e inde­ bolimento dello stato mentale del paziente che permetteva l'interven­ to dall'esterno faceva si che l'azione curativa non potesse essere dura­ tura nel tempo perché legata al momentaneo alterato stato di co­ scienza e perché vissuta con sentimenti di estraneità. Da un altro la­ to, attraverso gli svariati casi sotto cura, si confermò l'osservazione che lo stato di ipnosi ponava i pazienti al ricordo, carico di emozio­ ni, di eventi del passato, in panicolar modo eventi vissuti nell'infan­ zia, che tradivano nessi e affinità con i disturbi nevrotici. A questo punto, Freud intraprese varie modificazioni tecniche af­ finché le facoltà dei pazienti di ricordare e di riportare eventi biogra­ fici alla coscienza, e quindi di comunicarli, crescessero. Abbandonò il classico assetto autoritario dell'ipnosi e cercò di creare delle circostan­ ze situazionali e relazionali favorevoli sia a ridurre l'imbarazzo e l'an­ goscia dei suoi pazienti a esprimersi, sia ad aumentare la loro capaci­ tà di ricostruire eventi del passato. Molti di questi elementi innovati-

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LE PSICOTERAPIE PSICOANAL I T I C H E

vi sono ritrovabili ancora oggi nelle tecniche terapeutiche adoperate dalle varie scuole di psicoterapia psicoanalitica, come ad esempio la necessità di istituire un setting 1 1 , l'invito alla lihera associa1.ione ( r 89; ) u e la rinuncia all'ambiente autoritario caratteristico del medi­ co. Infatti questa strategia portò a risultati positivi e durevoli, ossia a un cedimento della pressione ripetitiva dei sintomi coatti man mano che i pazienti scoprirono, attraverso il ragionare e il ricordare libera­ mente eventi della loro biografia, possibili spiegazioni dei loro com­ portamenti, connessioni associative fra le vicende di allora e i loro disagi attuali, una logica in grado di dare delle risposte agli interroga­ tivi posti dal malessere, e il fatto che esso è condizionato da precisi vincoli e conflitti irrisolti del passato insieme alla prospettiva di trova­ re delle vie d'uscita. È evidente che un assetto di questo tipo, che esorta il paziente all'introspezione e alla massima libertà espressiva, porta a un'intimità ed esclusività del rapporto fra medico e paziente che rende necessa­ rio sia porvi dei limiti ( regole del setting) , sia che l'indagine si svolga all'insegna di un atteggiamento di alta professionalità. Tale atteggia­ mento comporta l'evitamento di ogni contatto extraseduta e che la

I I . La psicoanalisi ha mutuato il termine setting dal linguaggio teatrale dove sta a indicare la messa in scena nel senso di tutto ciò che sulla scena vi è di fisso ed entro cui awerrà l'azione teatrale. In psicoanalisi il termine setting designa il complesso di regole che consentono lo svolgimento del lavoro analitico . Attraverso la precisa definizione e ripetitività dei dati reali che caratterizzano l'incontro terapeuta-paziente ( numero, durata e cadenza delle sedute, costanza dell'ambiente, modalità di pagamento e di svolgimento delle ferie) è favorita l'espressione da pane del paziente delle creazioni del suo mondo interno, come anche lo sviluppo e la riconoscibilità e interpretabilità del transfen. È da notare che Freud non ha usato nessun termine panicolare per designare il complesso di regole instaurate per lo svolgimento del trattamento. E. stato con il progredire dello studio sulla tecnica e la teoria della tecnica che è stata introdotta questa terminologia. 12. La libera associazione è la diretta espressione delle idee che vengono in mente che, apparentemente isolate, sono elementi che rinviano, coscientemente o me­ no, ad altri elementi. Il procedimento delle libere associazioni è costitutivo della tecni­ ca psicoanalitica in quanto rappresenta il metodo privilegiato di investigazione dell'in­ conscio. Va sotto il nome di regola fondamentale e fu messo a punto da Freud quando abbandor.ò il metodo ipnotico. Esso consiste nel richiedere al paziente di riferire i propri pensieri senza riserve, quindi senza alcun riguardo per le regole morali, cultu­ rali e la logica, e di non sforzarsi di concentrarsi mentre parla. Non sfugge l'elemento paradossale insito nell'ingiunzione di spontaneità, anche se il senso dell'operazione, che pane dalla presunzione che la resistenza diminuisca con il rilassamento e sia mas­ sima nella concentrazione, sta fondamentalmente nel favorire l'alleanza terapeutica, e nel delegittimare reticenza e vergogna.

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comunicazione si limiti alla verbalizzazione ed escluda qualsiasi altro comportamento. Con la formulazione di queste regole fu definitiva­ mente messo a punto il modello psicoanalitico di intervento terapeu­ tico che è ancora oggi in uso. Nel delineare la storia delle psicoterapie psicoanalitiche, è neces­ sario ricordare che psicoanalisi è un termine al quale possiamo attri­ buire tre significati e precisamente: quello di un procedimento per l'indagine di processi psichici ai quali altrimenti sarebbe pressoché impossibile accedere; ma anche quello di un metodo di cura dei di­ sturbi nevrotici basato su tale indagine e quello di una serie di cono­ scenze psicologiche, acquisite per questa via, che gradualmente si as­ sommano e convergono in una nuova disciplina scientifica. Quindi quando parliamo di psicoterapie psicoanalitiche intendia­ mo quei metodi di cura che utilizzano la teoria psicoanalitica ( terza accezione del termine psicoanalisi ), ma si differenziano dalla psicoa­ nalisi (intesa nella sua seconda accezione) perché diversi nel procedi­ mento tecnico. Ci soffermiamo su questa distinzione perché è facile una confu­ sione terminologica ( in fondo la psicoanalisi, nella sua seconda acce­ zione, potrebbe a buona ragione essere considerata la prima psicote­ rapia psicoanalitica) . Ed è tanto più facile perché le psicoterapie psi­ coanalitiche trovano la loro origine proprio nei tentativi di modifica­ zione del trattamento psicoanalitico, quando i primi psicoanalisti si trovarono di fronte a delle impasse nella conduzione della cura o ad allungamenti che, allora, furono considerati intollerabili giacché i pri­ mi trattamenti in genere non superavano l'anno 1 3 , Già nel I 9 I4- I 8 furono sollevati problemi di tecnica e, alla luce delle successive distinzioni, potremmo dire che, da un punto di vista tecnico, Freud stesso praticò sia la psicoanalisi che la psicoterapia psicoanalitica anche se limitò il lavoro di concettualizzazione e siste­ matizzazione alla psicoanalisi. Egli non volle però accettare ufficial­ mente modifiche alla tecnica psicoanalitica limitandosi a ipotizzare che di fronte alla «enormità della miseria nevrotica» si dovesse adat­ tare la tecnica alle nuove condizioni ( I 9 I 8 ) . Egli scelse di mantenere fissa la tecnica per approfondire la teoria anche perché assisteva al fatto che le modificazioni della tecnica trascinavano dietro di sé mo­ dificazioni della teoria che non condivideva ( cfr. ad esempio le modiI 3. Oggigiorno non sorprendono analisi che super�no i sei anni in conseguenza dello sviluppo della concezione freudiana espressa in Analisi terminah1le e interminabile che essa è potenzialmente illimitata in funzione del suo obiettivo eminentemente co­ noscitivo: «la cura segue• ( I937l.

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LE PSICOTERAPIE PSICOANALITI C H E

ficazioni nella durata del trattamento introdotte da Rank e la sua teo­ ria del trauma della nascita, I 924) . La sperimentazione intanto continuava a ritmo sempre più serra­ to; ricordiamo soltanto i lavori di Ferenczi e poi di F. Alexander e French, come ricerca di metodi più brevi ed efficaci, e fu cosl che nel I 948 si tenne il primo Panel su psicoterapia e psicoanalisi. Ma, in virtù di quella stretta articolazione tra teoria e tecnica alla quale abbiamo accennato, il dibattito sulla tecnica degenerò in un dibattito sull'ortodossia. Non ci addentreremo qui nella discussione sulle diffe­ renze tra psicoanalisi e psicoterapie, ritenendo utile sottolineare come l'unico aspetto distintivo certo tra loro resti il criterio degli obiettivi: più limitati quanto all'esplorazione e più orientati alla guarigione nel­ le psicoterapie e più rispondenti a finalità euristiche nella psicoanali­ si . Già nel Panel sopramenzionato venne introdotta, nell'ambito di questi nuovi trattamenti più decisamente finalizzati alla cura, una fon­ damentale distinzione tra quelle che vennero definite psicoterapie supportive o di sostegno ed esplorative o espressive. Negli anni Cin­ quanta cominciarono dei veri e propri gruppi di studio su trattamen­ ti che già allora vennero definiti psicoterapie psicoanalitiche, anche se· spesso essi venivano considerati inscritti in un continuum con la psi­ coanalisi, come ad esempio il gruppo di studio sulle "psicoterapie fo­ cali" di Balint ( I 9 55 ) . Mentre è da notare che nelle precedenti speri­ mentazioni, ad esempio di Alexander, i trattamenti, anche se modifi­ cati, venivano dai loro autori chiamati ancora psicoanalisi (Alexander, French, I 946 ) . È poi da dire che a rinforzare l'impulso alla ricerca contribuisco­ no vari eventi socioculturali di quella prima metà del secolo, tra i quali ricordiamo soltanto i problemi socioeconomici legati alla guerra, che portarono alla ribalta le nevrosi belliche, e l'ingresso della psicoa­ nalisi nelle università che determinò l'ampia diffusione culturale della nuova scienza . Questi eventi dettero un impulso alla ricerca psicoanalitica e an­ che la tecnica psicoanalitica cominciò a cambiare in parallelo con l'e­ voluzione della teoria e con l'estensione del suo trattamento a nuove fasce di utenza: psicotici, bambini, coppie, famiglie, gruppi. Possiamo dire in sintesi che come non è più possibile parlare di una sola psicoanalisi, giacchè dall'originario pensiero freudiano si so­ no sviluppate molte teorie psicoanalitiche e di conseguenza tante va­ riazioni tecniche, anche in psicoterapia psicoanalitica ci troviamo di fronte a tanti modelli terapeutici diversi, fatto questo che compliche­ rà necessariamente il nostro discorso nel prosieguo. Desideriamo però sottolineare che la molteplicità di modelli psi53

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coterapeutici deriva anche dalle diverse categorie di soggetti che ci si propone di trattare ( se singoli individui, coppie, famiglie o gruppi), ma poiché in questo libro illustriamo le psicoterapie psicoanalitiche individuali, la trattazione di tale molteplicità di modelli sarà in parte ridotta. Essa riguarderà essenzialmente le differenze nel senso di un orientamento prevalentemente espressivo o supportivo del trattamen­ to (psicoterapie psicoanalitiche tout court e psicoterapie psicoanaliti­ che di sostegno ) e della intenzionale limitatezza sia della durata ( psi­ coterapie brevi e a tempo definito ) , sia del campo di intervento ( psi­ coterapie focali ) .

2 . 2 . 1 . Concetti fondamentali comuni a tutte le psicoterapie psicoanalitiche Abbiamo detto che vi sono tanti modelli di psicoterapia psicoanaliti­ ca; pertanto, prima di addentrarci nella spiegazione dello scompenso psicopatologico, dobbiamo premettere che ci atterremo a quegli as­ sunti fondamentali della psicoanalisi clinica e a quegli aspetti della tecnica che sono comuni nei vari trattamenti di ispirazione psicoana­ litica. Riassumiamo dunque questi concetti fondamentali, tenendo conto del fatto che molti di essi hanno avuto una loro evoluzione con il progredire della teoria psicoanalitica, ma che al nostro scopo in questa sede non interessa tanto tracciare la storia della loro evoluzio­ ne, quanto riprenderne la loro origine in Freud. Innanzitutto il con­ cetto di inconscio inteso come insieme di contenuti mentali non pre­ senti nel campo attuale della coscienza. Infatti la teoria psicoanalitica presuppone che i veri motivi psicogeni dei comportamenti, ma anche di molte reazioni somatiche, non possono essere conosciuti dal pa­ ziente perché non sono nella sua coscienza e che il soggetto ha inte­ resse da un punto di vista psicoeconomico a mantenerli non cono­ sciuti tanto da offrire resistenza l4 al loro riconoscimento. È quindi da considerare che l'effetto curativo è diretta conseguenza dell'accresci­ mento dell'integrazione che si ottiene attraverso l'acquisizione di con­ sapevolezza (insight; cfr. in/ra, p. 67), ma, poiché tali contenuti men­ tali vengono attivamente mantenuti al di fuori della coscienza, questa consapevolezza non può essere raggiunta attraverso l'indagine diretta bensi aggirata attraverso le libere associazioni ( cfr. nota 1 2 ) e l'inter­ pretazione dei sogni. Il secondo fondamentale presupposto teorico riguarda il diretto 14. Termine tecnico che designa ogni atto o discorso del paziente che durante il trattamento si oppone al rendere consci i processi inconsci.

2.

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collegamento tra mondo interno dell'individuo e ciò che egli esprime nella relazione con gli altri e anche la correlazione tra rapporti inter­ personali attuali e passati. n collegamento tra mondo interno e rela­ zioni attuali si fonda sulla naturale tendenza a rivolgere sulle persone che ci circondano gli impulsi e le fantasie del nostro passato infantile e anche le difese e le resistenze che abbiamo messe in atto per argi­ narli e trasformarli (trans/ert ) '' . È l'esplorazione di questi collega­ menti l'oggetto della ricerca che sostanzia il lavoro psicoterapico psi­ coanalitico che si indirizza al riconoscimento dei processi psichici in­ consci. Esso consente l'attribuzione di un significato che va al di là del senso che appare evidente in ogni momento. È poi da notare che questa ricerca di senso, che si traduce nel­ l' acquisizione di una maggiore consapevolezza da parte del paziente e, quindi, in una possibilità di maggiore integrazione delle varie com­ ponenti della personalità, può prodursi soltanto attraverso e all'inter­ no di una specifica relazione con il curante. Relazione particolare perché, protetta da specifici accorgimenti (setting, cfr. nota I I ) , con­ sente la riattualizzazione delle problematiche conflittuali del paziente e utilizza proprio il sintomo come inizio del percorso di ricerca di senso. Infatti, anche se il transfert è un fenomeno quotidianamente e ubiquitariamente riscontrabile, può essere riconosciuto ed elaborato soltanto mediante la tecnica psicoanalitica e cioè attraverso un corret­ to uso del setting e dell'interpretazione, concetti dei quali parleremo più avanti in maniera maggiormente dettagliata. La seduta psicotera­ peutica diventa cosi una sorta di laboratorio dove viene favorita e amplificata l'espressione dei fenomeni di transfert in modo da rende­ re possibile la loro analisi e la loro elaborazione.

2 .3

Il modello clinico 2. 3 . 1 . Spiegazione dello scompenso psicopatologico Per illustrare le cause dello scompenso psicopatologico niente ci sem­ bra più chiaro delle parole di Freud . Nel 1905 , nella conclusione ai tre saggi sulla sessualità, egli scrive: 1 ' . Transfert è il termine tecnico che designa il processo per cui il paziente sposta sul terapeuta, durante il trattamento, sentimenti, pensieri, desideri che deriva­ no da esperienze fatte con precedenti persone significative ddla sua vita. Nella cura i fenomeni di transfert mostrano la tendenza del conflitto rimosso ad attualizzarsi nella relazione con il terapeuta, espressione di quella che viene chiamata

coazione a ripetere. 55

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non è facile calcolare nel rappono reciproco la efficacia dei fattori costituzio­ nali e accidentali. In teoria si è sempre propensi a sopravvalutare i primi; la pratica terapeutica invece esalta l'imponanza dei secondi. Non si dovrebbe però per nessun motivo dimenticare che la relazione tra i due è di coopera­ zione e non di esclusione reciproca. Il fattore costituzionale deve passare attraverso le esperienze prima che possa avere effetto; il fattore accidentale, a sua volta, perché entri in funzione, deve avere una base costituzionale. Freud espone quindi la teoria delle serie complementari distinguendo una serie disposizionale e una serie definitiva. La serie disposizionale consterebbe dell'insieme dei fattori costituzionali e delle esperienze infantili. Quella definitiva comprenderebbe la serie disposizionale e quella dei fattori attuali di possibile effetto patogeno 1 6 • Tale impostazione viene poi ripresa nel r 9 r 5 , nella lezione 22, dove, all'interrogativo se le nevrosi siano endogene o esogene: «inevi­ tabile conseguenza di una certa costituzione� o invece «il prodotto di certe impressioni vitali dannose� ( traumatiche) , risponde che «en­ trambe le condizioni sono ugualmente indispensabili» . Viene cosl di­ segnata una serie con ai due estremi i casi di coloro che possono ammalarsi quali che siano le loro esperienze e di coloro che certa­ mente non si sarebbero ammalati se la vita non li avesse esposti a situazioni altamente drammatiche. All'interno un'infinità di combina­ zioni risultanti dall'integrazione tra aspetti positivi o negativi predi­ sponenti ed esperienze positive o negative traumatiche. Anche tra l'intensità e l'importanza delle esperienze infantili e di quelle successi­ ve esiste un rapporto di complementarità simile a quello delle serie complementari già dette. A volte le esperienze sessuali dell'infanzia hanno un effetto traumatico determinante, a volte sono i conflitti successivi quelli più importanti e le impressioni infantili sono unica­ mente opera della regressione ( cfr. nota 8 ) . Troviamo l'inibizione evolutiva da un lato e la regressione dall'altro e tra questi due estre­ mi tutte le possibili combinazioni in cui tali fattori agiscono congiun­ tamente. Come vediamo, il concetto di causalità invocato non è lineare: i fattori attuali potenzialmente scompensanti si connettono alla disposi-

r6. La teoria delle serie complementari può essere visualizzata schematicamente nel seguente modo: Fattori costituzionali +

Esperienze infantili

=>

Serie

disposizionale +

Fattori attuali

=>

Serie definitiva

2.

LE PSICOTERAPIE PSICOANALITI C H E

zione, a sua volta intreccio di fattori costituzionali ed esperienze in­ fantili . Lo stesso disturbo, una volta instaurato, influenza i fattori at­ tuali in quanto ha una ricaduta negativa sulle articolazioni del sogget­ to con il contesto sociale creando ulteriori elementi esperienziali sfa­ vorevoli. Ad esempio, a seguito di un episodio depressivo si può per­ dere il lavoro e la perdita, a sua volta, può configurarsi come evento traumatico potenzialmente scompensante. In questo modo l'inventore della psicoanalisi sembra prefigurare le più moderne teorie etiopato­ genetiche della malattia mentale che si fondano sui concetti di vulne­ rabilità e di causalità multifattoriale in quanto comprende elementi biologici, psicologici e sociali. Date queste premesse fondamentali, Freud fa risalire la spiegazio­ ne di come avvenga lo scompenso psicopatologico all'instaurarsi di un «contrasto tra diversi impulsi di desiderio» ( I 9 I 5 - I 7 lezione 2 2 ) . Tale conflitto viene scatenato dalla frustrazione del desiderio che fa si che la libido I 7 si orienti verso altri oggetti e vie di soddisfacimento. Se queste nuove vie e oggetti suscitano l'opposizione di una parte della personalità le tendenze libidiche riescono ugualmente a imporsi in una maniera indiretta che dovrà tenere conto dell'opposizione in­ contrata. Pur riconoscendo che questo meccanismo fondamentale è alla ba­ se dell'insorgere di ogni nevrosi, Freud si diffonde dettagliatamente sulla formazione dei sintomi nell'isteria ( I 9 I .5 - I 7 lezione 2 3 ) . Rite­ niamo utile riportare tale descrizione per esemplificare come si arriva ai sintomi. È quindi importante sapere che quando si verifica la ne­ cessità della libido di sottrarsi all'Io essa lo può fare ripercorrendo regressivamente le tappe precedenti (fissazioni; cfr. nota 7 ) . Questo è possibile perché gli oggetti e gli orientamenti della libido non sono abbandonati completamente. Una parte di essi o di loro derivati è trattenuta nelle rappresentazioni della fantasia e, a partire da esse, la libido può trovare via libera a tutte le fissazioni rimosse. Le fantasie sono tollerate dall'Io se quantitativamente limitate, ma il reflusso del­ la libido può determinare un aumento dell'investimento energetico che determina una potente spinta verso la realizzazione. Cosicché na­ sce il conflitto tra esse e l'Io. Freud introduce quindi nell'eziologia delle nevrosi, accanto al fattore dinamico, quello economico. 1 7 . Con il termine libido Freud intese indicare la manifestazione dinamica della pulsione sessuale nella vita psichica. Passò poi, da questa definizione iniziale che con­ siderava la libido legata alle pulsioni sessuali, al riconoscimento di una sua connessio­ ne con le rappresentazioni dell'oggetto (libido oggettuale e libido dell'Io, in quanto per quest'ultima l'oggetto diventa la propria persona, cosicché viene anche detta libi­ do narcisistica ) .

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Abbiamo già detto che la libido tenderà forzatamente a imporsi; se non vi riesce direttamente lo farà in maniera indiretta e, in tal caso, porterà il segno dell'opposizione incontrata. Tale maniera indi­ retta è quella della formazione dei sintomi che rappresentano il sod­ disfacimento nuovo, sostitutivo, divenuto necessario a causa della fru­ strazione. Il sintomo ripete quindi un qualche soddisfacimento otte­ nuto nella prima infanzia, ma sarà deformato dalla censura '8 derivata dal conflitto, verrà convertito in sofferenza e sarà mescolato a ele­ menti che provengono dal motivo occasionate della malattia. Il sinto­ mo rappresenta dunque un compromesso tra desiderio e difesa. Nel­ l'isteria i sintomi sostituiscono un cambiamento del mondo esterno con un'alterazione delle funzioni del corpo, pongono quindi un' azio­ ne interna al posto di una esterna, un adattamento invece di un' azio­ ne. Come il sogno il sintomo raffigura qualcosa come appagato, ma è difficile riconoscere questo soddisfacimento perché esso può subire una condensazione '9 ed essere compresso in un'unica sensazione o azione ed essere limitato, mediante uno spostamento 20, a un piccolo particolare dell'intero complesso libidico ( I 900 ) . Questa spiegazione della formazione dei sintomi che dà loro si­ gnificato è estremamente importante ai fini dell'intervento terapeuti­ co. Infatti toglie il sintomo dalla posizione fino ad allora rivestita di fattore negativo da eliminare, per collocarlo in una dimensione cono­ scitiva e di ricerca, in quanto elemento segnale da comprendere e da spiegare. Poiché per illustrare lo scompenso ci siamo riferiti a titolo esem­ plificativo all'isteria, è opportuno ricordare che la psicoanalisi è nata come metodo di trattamento delle nevrosi e che Freud escluse dai criteri di indicazione quelle che nominò nevrosi narcisistiche ( I 9 I 4) (corrispondenti alle psicosi; c&. nota 2 3 ) , ritenendo che i pazienti che ne erano affetti fossero incapaci di stabilire una relazione con il terapeuta tale da consentire lo svolgimento dell'analisi ( I 9 I 7 ) . Con il progredire degli studi e lo sviluppo della concettualizzazione psicoa1 8 . Con il termine censura è indicata quella funzione che tende a proibire ai desideri inconsci e ai loro derivati l'accesso al sistema Preconscio Cosciente. 1 9 . Condensazione, dal punto di vista tecnico, indica come una rappresentazio· ne unica rappresenti varie catene associative delle quali costituisce il punto di interse· zione. 20. Con il termine spostamento viene indicato il processo mediante il quale l'e· nergia viene trasferita da un'immagine mentale a un'altra. Più in generale indica il processo mediante il quale l'individuo sposta l'interesse da un oggetto o un atto a un altro in modo che quest'ultimo diventa l'equivalente o il sostituto del primo. È uno dei modi di funzionamento dei processi inconsci.

2.

LE PSICOTERAPIE PSICOANALITIC H E

nalitica si è avuta un'estensione del campo di intervento della tecnica psicoanalitica che, a sua volta, si è modificata in parallelo con l' evolu­ zione della teoria, ma sono soprattutto le psicoterapie psicoanalitiche che hanno allargato il campo delle indicazioni rispetto al trattamento psicoanalitico dal quale sono originate. Cosicché possiamo dire che oggigiorno non vi sono pressoché esclusioni ai trattamenti psicotera­ pici psicoanalitici, anche se in molte situazioni è indispensabile intro­ durre un trattamento psicofarmacologico concomitante e, talora, que­ sto tipo di psicoterapie non rappresenta il trattamento psicoterapico di elezione, essendo preferibili psicoterapie di altro indirizzo teorico.

2 . 3 . 2. Il modello dell'intervento terapeutico

Criteri diagnostici Quanto ai criteri diagnostici utilizzati dagli psicoterapeuti di forma­ zione psicoanalitica è oggi unanimemente accettato che la diagnosi psicopatologica, pur necessaria, non è sufficiente per l'inquadramento del caso né per poter considerare indicata una psicoterapia psicoana­ litica. In realtà ciò che interessa non sono soltanto gli aspetti patolo­ gici che dicono poco circa la trattabilità del paziente, come già sotto­ lineato da Freud nel 1 90 4 (conferenza del 1 2 dicembre sulla psicote­ rapia) , bensi una valutazione della personalità complessiva del soggetto. Dunque l'insieme dei sintomi passa in secondo piano rispetto alla strutturazione della personalità e alle modalità con le quali il paziente entra in relazione con i suoi oggetti 2 I . TI criterio non è più nosografi­ co, ma relazionale. È quindi estremamente importante, accanto alla valutazione anamnestica, un'attenta analisi delle modalità con le quali il paziente entra in contatto con il terapista che valuta. La diagnosi che ne risulta non è finalizzata all'inquadramento della malattia, né da tale inquadramento dipendono eventuali diversificazioni nelle mo­ dalità degli interventi successivi. Lo psicoterapeuta di formazione psi­ coanalitica si adopererà per arrivare a una comprensione il più possi­ bile approfondita del funzionamento delle modalità di comunicazione della persona in esame, con il preciso intento di valutame la capacità

2 I In psicoanalisi il termine oggetto ha un significato specifico che entra in contrasto con il significato prioritario che tale termine ha nell'uso corrente di "cosa" in contrapposizione a persona. Infatti, nel designare ciò verso cui si dirige l'azione o il desiderio del soggetto, I'oggetto indica per lo più una persona. Può anche designare pani del corpo reali o fantasmatiche e, in tal caso, si parla di oggetti parziali . .

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e la modalità di entrare in relazione nello specifico dell'incontro allo scopo di giudicare se potrà accedere al trattamento. Sono questi dati relativi alla personalità complessiva e alle modali­ tà di comunicazione del soggetto che, al di là della diagnosi psicopa­ tologica, consentono al terapeuta di valutare la trattabilità del pazien­ te. Trattabilità che deve essere intesa, oltre che nel senso già detto di possibilità del paziente di intraprendere la cura, anche in quello della possibilità del terapeuta di eseguirla proprio con lui . Naturalmente in questa ottica entrano in gioco anche le problematiche controtransfe­ rali (controtrans/ert) zz e il terapeuta deve essere in grado di ricono­ scere e controllare le proprie reazioni di fronte alle comunicazioni del paziente. Quindi la possibilità di esprimere un'indicazione per un trattamento psicoterapeutico a orientamento psicoanalitico non si fonderà soltanto sulla psicopatologia 23 e la sua gravità, ma anche su altre caratteristiche. Queste si riferiscono alla persona e vanno dalla forza dell'Io, dalla storia e dall'esito di tutti i suoi precedenti rapporti interpersonali, dando particolare attenzione a quelli più significativi, alla sua motivazione alla conoscenza di sé, ma anche all'incontro. In­ fatti è fondamentale la percezione, che il terapeuta ricava nella con­ sultazione, che sia possibile stabilire con quel paziente un lavoro tera­ peutico da svolgere insieme.

Il contratto Dopo avere svolto i colloqui di valutazione è possibile formulare la proposta terapeutica e, se il paziente l'accetta, stipulare il contratto terapeutico. Nelle psicoterapie psicoanalitiche con il termine contrat­ to intendiamo l'accordo che ratifica la decisione di intraprendere il trattamento psicoterapico e stabilisce le modalità secondo le quali verrà svolto. Esso comprende pertanto sia la proposta del terapeuta relativa al 22. Il termine controtransfert designa l'insieme delle reazioni inconsce dell'anali­ sta alla persona del paziente e più particolarmente al suo transfert. Il controtransfert può essere considerato come il transfert dell'analista sul paziente e quindi ritenuto (come inizialmente fece Freud) elemento disturbante il trattamento e da controllare. Nell'interpretazione più limitativa che considera il controtransfert come la reazione che il transfert del paziente induce nell'analista, viene considerato strumento utile per orientare l'interpretazione. 2 3 . È qui opportuno osservare che esiste una psicopatologia psicoanalitica. Essa ha significati suoi propri, ma usa una terminologia che solo in parte è nuova, mentre in parte è comune con quella psichiatrica; fatto questo che può ingenerare confusio­ ne. Ad esempio: nevrosi narcisistica e nevrosi d'angoscia sono termini nuovi, mentre depressione e psicosi vengono presi dalla psichiatria, ma usati con significati diversi.

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tipo di trattamento da compiere, sia la successiva accettazione da parte del paziente. Con la proposta vengono esplicitate le regole ne­ cessarie per eseguire la cura che riguardano la· sede, l'orario, la fre­ quenza, la durata e le modalità di svolgimento delle vacanze e del pagamento, come anche l'impegno richiesto al paziente (ivi compresa la richiesta di riferire ogni pensiero che venga associato spontanea­ mente) . Quando si parla di contratto ci si riferisce a un libero accordo tra due contraenti che implica che vi sono aspetti suscettibili di negozia­ zione e altri no. Nell'ambito del contratto terapeutico l'ipotesi di trattamento spetta al terapeuta, come anche alcune regole che riguardano l'essen­ za stessa della cura, mentre altre possono essere concordate. Ad esempio le regole riguardanti la sede e la durata delle sedute non possono essere discusse, al contrario la frequenza, il periodo delle va­ canze e le modalità del pagamento spesso vengono definite sulla base di un accordo. È evidente che, poiché nel contratto vengono esplicitate le regole di svolgimento del trattamento, per ogni tipo di psicoterapia verran­ no indicate delle norme specifiche caratteristiche di quel trattamento; ad esempio, nelle psicoterapie psicoanalitiche a tempo determinato verrà indicata dal terapeuta la durata della terapia. In realtà sono proprio le regole che sono diverse nei vari tipi di psicoterapia psicoa­ nalitica e da ciò discendono le singole varianti del contratto . A questo punto siamo arrivati alla descrizione dell'intervento te­ rapeutico che, a grandi linee, consta di due insiemi di elementi: quel­ li che costituiscono il setting e quelli che costituiscono il processo .

Il setting Con il termine setting indichiamo quell'insieme di costanti che crea­ no le condizioni più favorevoli per lo svolgimento della cura. Esso consiste in una serie di norme empiriche suggerite da Freud e che inizialmente non furono codificate in maniera rigida (si veda ad esempio l'uso del lettino che egli suggerì come preferibile, 1 9 1 3 ) , ma che hanno acquistato nel tempo caratteristiche di immutabilità per quanto riguarda il trattamento psicoanalitico, soprattutto in relazione a problemi di salvaguardia dell'identità di fronte al dilagare delle mo­ difiche alla tecnica introdotte dallo sviluppo delle psicoterapie. Ciò che definisce il setting sia in psicoanalisi che in psicoterapia psicoanalitica è la sua stabilità in quanto è proprio il fatto che vi sia una cornice che non muta che consente la massima libertà e mutevo61

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lezza nell'espressione degli affetti e dei pensieri al suo interno, c1oe garantisce lo sviluppo del processo terapeutico. Sono dunque le nor­ me che possono cambiare e, a seconda di esse, si distinguono le psi­ coterapie dalla psicoanalisi e le psicoterapie tra di loro, con la conse­ guenza di determinare modifìcazioni del processo, ma, una volta defi­ nite, esse sono caratterizzate dalla stabilità che deve essere mantenu­ ta. Le norme che costituiscono il setting di tutte le psicoterapie psi­ coanalitiche riguardano gli stessi elementi già menzionati nel contrat­ to e precisamente la sede, l'orario, l'onorario, la posizione del pazien­ te, la frequenza e la durata delle sedute e le ferie. Alcuni trattamenti comprendono un elemento aggiuntivo che è la durata del trattamen­ to, come le psicoterapie psicoanalitiche brevi. Dobbiamo però ricordare che la nozione di setting psicoanalitico comporta che a questo insieme di regole si aggiunga un particolare atteggiamento mentale del terapeuta che chiamiamo setting mentale o setting interno; anzi forse potremmo dire che le regole sono proprio funzionali a preservare questo assetto mentale del terapeuta che con­ sente lo sviluppo del processo psicoanalitico. Esso si fonda su una specifica e naturale attitudine della mente umana, ma è volutamente assunto e costantemente mantenuto mediante uno sforzo intenziona­ le. È caratterizzato da un fluttuare della mente tra stati diversi (vive­ re emozioni e osservarle, ascoltare l'altro e se stesso, accogliere i si­ gnificati palesi e quelli latenti ecc. ) che il terapeuta mette a disposi­ zione del paziente in modo da offrire ascolto e accoglimento, ma an­ che da creare uno spazio intermedio potenziale tra se stesso e il pa­ ziente che sia per lui fruibile nel senso di consentirgli di fare espe­ rienza di nuove possibilità relazionali . Ma le regole del setting e il setting mentale del terapeuta sono reciprocamente interconnessi in quanto l'assetto mentale sopradescritto comporta che il terapeuta ten­ da a introdurre il minor numero di variabili nello svolgimento del processo. Tale condizione è resa possibile proprio dall'esistenza delle regole del setting, che però a loro volta richiedono una mente che vigili su di esse. Questo atteggiamento mentale è fondamentale e deve essere man­ tenuto in qualsiasi modello di trattamento psicoterapeutico di tipo psicoanalitico, mentre alcune regole del setting sono diverse nei di­ versi modelli. Infatti vediamo, ad esempio, che la frequenza può es­ sere diversa a seconda dei modelli psicoterapici e, come già detto, le psicoterapie psicoanalitiche brevi prevedono una durata limitata del tempo di trattamento e quelle a termine addirittura che tale durata sia prefissata.

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Quanto aDe regole, abbiamo già detto parlando del contratto che alcune di esse possono essere concordate con il paziente, altre no e che, una volta definite, esse devono assumere carattere di stabilità. Qui vogliamo sottolineare che possono anche essere rimesse in di­ scussione dal terapeuta in fasi successive del trattamento e quindi ri­ concordate, ma, anche in questo caso, devono poi tornare a essere fisse, sia pure in un diverso assetto, e non possono essere variate dal paziente, a riconferma di quella caratteristica di stabilità che è fon­ dante del concetto di setting. Parliamo ora in maniera dettagliata dei singoli elementi del set­ ting delle psicoterapie psicoanalitiche, sia per quanto riguarda le re­ gole che il setting interno del terapeuta. Quanto alle regole cominciamo dalla durata delle sedute: essa si aggira dai quarantacinque ai sessanta minuti: in generale infatti si preferisce una seduta maggiormente prolungata (cinquanta-sessanta minuti) , quando la frequenza è di una sola volta alla settimana, men­ tre la durata di quarantacinque minuti viene utilizzata nelle frequenze bi- e trisettimanali. Anche l'onorario spesso viene modificato sulla base della frequen­ za delle sedute, nel senso di una riduzione del prezzo della seduta là dove il contratto prevede una frequenza maggiore. È inoltre da ricor­ dare che, per rispettare quelle caratteristiche di stabilità che sono la principale peculiarità del setting, in genere non vengono richiesti au­ menti economici in corso di trattamento se non ne era già stata pre­ vista la possibilità in sede contrattuale. La frequenza può variare da una a massimo tre sedute alla setti­ mana, mantenendo costante la regolarità degli intervalli fra le sedute. È da sottolineare come la frequenza sia un aspetto degno della massi­ ma attenzione ed è importante effettuare un'attenta valutazione del­ l'opportunità di scegliere una frequenza piuttosto che un'altra. Sap­ piamo infatti che la frequenza ridotta fa aumentare la tensione colle­ gata con i sintomi e spinge il paziente a lavorare, anche nel periodo intervallare tra i colloqui, sui suoi problemi e su quanto avvenuto nell'incontro precedente con il terapeuta. Oltre a ciò dobbiamo con­ siderare che l'incontro con il terapeuta ha sempre anche un effetto di gratificazione narcisistica ed è evidente che questo tipo di soddisfa­ zione è diminuito se si riduce la frequenza. Poiché la sofferenza può essere considerata il motore della terapia, la maggiore frustrazione del paziente legata aDa diminuzione della frequenza ha come conseguen­ za di rendere più incisivo ed efficace il trattamento e di accorciarne la durata. La frequenza ridotta è anche considerata come un elemento che

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frena la regressione. Questo è vero se intendiamo la regressione nel senso di un evitamento di quella condizione di destrutturazione e ab­ bassamento del livello di funzionamento psichico che consente la massima ripetizione per quanto possibile del processo patologico du­ rante il trattamento (cfr. nota 8 ) . Questo effetto, che è attivamente ricercato in psicoanalisi anche attraverso altri elementi del setting per estendere l'esplorazione, non è utile in psicoterapia psicoanalitica do­ ve l'obiettivo è eminentemente curativo. Al contrario, se la regressio­ ne è intesa come ritorno a uno stato infantile di dipendenza, di ab­ bandono del controllo e prevalenza del principio del piacere, essa è da considerare un'esperienza ineliminabile che fa parte del processo di cura presente tanto nella psicoanalisi che nella psicoterapia psicoa­ nalitica. Essa è indotta dall'insieme delle regole del setting e dalla libera associazione ed è meno influenzata dalla frequenza. È poi da notare che per valutare correttamente la frequenza dob­ biamo metterla in relazione con gli altri elementi del setting quali la posizione del paziente e la durata complessiva del trattamento. Infat­ ti, quando si lavora in posizione vis-à-vis con una frequenza ridotta, lo spostamento verso il mondo del reale indotto dall'invasione di in­ formazioni sulla realtà fisica del terapeuta attraverso gli stimoli visivi risulta frenato cosi da rendere possibile il lavoro sul mondo interno. Al contrario l'alta frequenza associata alla posizione faccia a faccia, attraverso il riavvicinamento degli incontri, opera a favore di un so­ vraccarico degli elementi conoscitivi sulla realtà della persona del te­ rapeuta e accentua sentimenti di familiarità che ostacolano lo svilup­ po del transfert. Questo aspetto, che rende meno incisivo il lavoro sul mondo interno, è più indicato nelle psicoterapie psicoanalitiche di sostegno dove può risultare funzionale agli obiettivi di supporto all'Io che tali trattamenti si prefiggono. Anche tra la frequenza di una e due sedute alla settimana vi sono delle differenze che devono essere considerate a seconda delle neces­ sità del paziente. Esse riguardano soprattutto il ritmo; infatti, rispetto alla frequenza giornaliera interrotta solo dal week-end richiesta dalla psicoanalisi, che più si avvicina alla ritmicità del modello biologico alimentare nel quale l'apporto di nutrimento è quotidiano, con le fre­ quenze maggiormente rarefatte entriamo in ritmi più riferibili all'or­ ganizzazione socioculturale della temporalità. La frequenza di due, tre volte a settimana parte dall'accettazione della settimana come uni­ tà precostituita di organizzazione del tempo, la suddivide in due, tre periodi mediante la scansione delle sedute e mantiene inalterato il problema della separazione legato al fine settimana. Con la frequenza unisettimanale usciamo da questo schema per introdurre noi un rit-

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m o diverso sia da quello della quotidianità riferibile all'alimentazione, sia da quello della scansione su base settimanale, riconosciuta social­ mente. In pratica viene introdotto un nuovo ritmo nella vita dell'in­ dividuo che diventa una sorta di perno per l'attività autoriflessiva del paziente che ivi convoglia la messa a punto dei segnali che provengo­ no dal suo mondo interno e nei confronti dei quali si sente sollecita­ to a una personale attenzione e a una prima rudimentale elaborazio­ ne nel cospicuo tempo intervallare. Un ritmo che, inoltre, probabil­ mente pone il soggetto in maniera diversa di fronte ai problemi di separazione . È sulla base di queste differenze che viene fatta una valutazione rispetto ai soggetti da trattare. Infatti è possibile che vi siano persone che non riescono ad adattarsi a un ritmo unisettimanale in quanto percepiscono l'intervallo come eccessivamente lungo rispetto a una molteplicità di elementi quali, ad esempio, le proprie capacità di tol­ lerare l'angoscia, di elaborare da soli elementi emersi in seduta, di sopportare la separazione e così via. Come anche, del resto, è possi­ bile che questo ritmo sia per taluni preferibile rispetto a una fre­ quenza maggiore che potrebbe essere vissuta come troppo incalzante. In questa ottica la frequenza di due sedute alla settimana può essere considerata come più supportiva, ma meno responsabilizzante. È ov­ vio poi che tre sedute alla settimana sono una frequenza maggior­ mente contenitiva, quindi più utile con pazienti fortemente angosciati o che presentano ·una grave patologia dell'organizzazione del Sé e hanno bisogno di interventi ampiamente ricostruttivi cosicché neces­ sitano di cure intensive. Quanto alla posizione del paziente, in generale nelle psicoterapie psicoanalitiche viene usato il vis-à-vis che risulta più indicato soprat­ tutto nelle frequenze a una, due sedute alla settimana. Al contrario, l'uso del lettino con queste frequenze sembra meno opportuno in re­ lazione agli effetti regressogeni ( nella prima delle due accezioni rive­ stite dal termine già citate ) che esso esercita. Infatti questi effetti ri­ sultano poco funzionali quando gli incontri sono rarefatti nel tempo, in quanto meno controllabili da parte del terapeuta. La posizione faccia a faccia del resto sembra un elemento favore­ vole al rafforzamento dell'Io e allo stabilirsi di una relazione paritaria che stimola l'alleanza terapeutica particolarmente utile nelle psicotera­ pie brevi e nei trattamenti supportivi; essa inoltre esercita un effetto attivante sul terapeuta molto opportuno quando le sedute sono meno frequenti. L'uso del lettino nelle psicoterapie è meno frequente e in genera­ le è praticato soltanto quando si adotta la frequenza di tre volte alla

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settimana. In questo caso sarà l'atteggiamento del terapeuta maggior­ mente orientato alla considerazione degli elementi del mondo esterno e degli obiettivi terapeutici, rispetto a quelli conoscitivi, del tratta­ mento a segnare la differenza tra trattamento psicoterapeutico a orientamento psicoanalitico e psicoanalisi. La sede, in conformità con l'imperativo di stabilità del setting, non può essere variata se non in circostanze straordinarie, ed è da notare come anche l'ordine all'interno di essa debba essere mantenu­ to il più possibile uniforme. Bisognerà fare attenzione a questo, so­ prattutto nel caso che si usi il vis-à-vis, perché il paziente ha maggio­ ri possibilità di osservare la stanza e, quindi, di utilizzare ogni varia­ zione di essa per fare resistenza al lavoro terapeutico di fronte alla faticosità e al dolore che esso inevitabilmente comporta. Le ferie sono un elemento importante del setting che deve essere definito in ambito contrattuale. Esse infatti istituiscono un'interruzio­ ne forzata nel trattamento, mobilizzando le angosce di separazione e sottolineando la dipendenza dal terapeuta. Per questo è necessario precisare sempre la data dell'incontro dopo le vacanze e preavvisare dell'interruzione con un anticipo di alcune sedute.

Andamento del processo terapeutico Quanto all'andamento del processo terapeutico ricordiamo la metafo­ ra freudiana del gioco degli scacchi per esprimere l'impossibilità di descrivere lo svolgimento della cura psicoanalitica nella sua interezza e complessità, giacché al di là delle mosse di apertura e di chiusura, ciò che accade non è prevedibile. Anche per le psicoterapie psicoana­ litiche come per l'analisi è dunque possibile dire che: « L . ] soltanto le mosse di apertura e quelle finali consentono una presentazione si­ stematica esauriente, mentre ad essa si sottraggono le innumerevoli svariatissime mosse che si succedono dopo l'apertura» ( I 9 I 3 ) . Que­ sto non significa che il terapeuta non possa influire in modo decisivo sia in senso positivo che negativo, ma che complessivamente, sempre come dice Freud, «il processo una volta avviato [ . . ] non si lascia prescrivere né la direzione, né la sequenza dei punti da intaccare» ( I9IJ). Dare suggerimenti tecnici specifici è difficile perché il significato e le funzioni di un dato intervento tecnico sono determinati dal conte­ sto dell'azione terapeutica e dobbiamo tenere presente che ciò che avviene nella relazione non ha significato di per sé, bensi ha quello che gli viene conferito. Ovviamente l'intervento del terapeuta nel­ l' ambito del processo dipende dall'esistenza nella sua mente di un .

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modello che non è univoco e il senso che il terapeuta attribuisce agli eventi relazionali in seduta dipenderà strettamente dal modello che ha adottato, oltre che dalla rete di significati che egli ha interiorizzato in relazione all 'organi�zazione e al decorso del processo di cura attra­ verso la sua personale analisi, la formazione e la pratica clinica. n modello in questo caso è da intendersi come un riferimento conosci­ tivo orientativo di una ricerca, sempre nuovo, buono soltanto per formulare ipotesi tutte da verificare e per istituire un qualche ordine nella gran massa delle informazioni fornite dal paziente. Anche se il processo terapeutico non è descrivibile nel suo svolgi­ mento, è comunque possibile orientarsi nella sua comprensione, te­ nendo presente alcuni concetti che riguardano gli obiettivi della cura e gli accadimenti relazionali. L'obiettivo della psicoterapia psicoanalitica è arrivare a far svilup­ pare nel paziente la capacità di padroneggiare i conflitti facendoglieli sperimentare in condizioni più favorevoli di quelle che hanno consen­ tito loro di instaurarsi. La terapia pertanto consiste nel favorire l' ana­ lisi del conflitto mediante lo sviluppo e l'elaborazione del transfert. Questo può essere realizzato soltanto instaurando una particolare re­ lazione che, sotto la protezione del setting, porta il paziente a capire i suoi veri sentimenti facendoli venire in superficie e sperimentandoli. Il paziente inizialmente percepisce nel trattamento tutto quello che serve a promuovere la ripetizione sulla base delle sue aspettative in­ consce. Le nuove esperienze che fa nella particolare situazione tera­ peutica, così come viene creata dalle regole e dagli interventi dello psicoterapeuta di formazione psicoanalitica, lo mettono in grado di conoscersi meglio e di trovare una soluzione ai problemi fino ad allo­ ra ritenuti insolubili. La conoscenza di sé viene facilitata dalle inter­ pretazioni del terapeuta che permettono di superare le resistenze in­ consce e avviene per il susseguirsi di esperienze illuminanti chiamate insight. Nell'insight si combina l'esperienza emotiva del comporta­ mento conflittuale attualizzato nel transfert con la comprensione co­ gnitiva dei legami tra i conflitti attuali e quelle che sono state ipotiz­ zate come le loro origini infantili . Tali insight intervengono nell'espe­ rienza vissuta modificandola attraverso un'elaborazione che continua nella vita quotidiana del paziente. È in questo modo che, nel contesto di una nuova esperienza, vengono effettuati dei cambiamenti negli apprendimenti scorretti che il paziente si trascina dal passato prevalentemente attraverso misure non prescrittive (non si tratta né di addestramento né di persuasio­ ne) , ma di comprensione del significato simbolico dei comportamenti e di ricostruzione di eventi passati con una nuova coerenza. Taie

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comprensione è resa possibile dall'intervento interpretativo del tera­ peuta teso a favorire l'esame sistematico e approfondito degli schemi di azione ripetitivi �4 del paziente e dei loro effetti sull'interazione della coppia costituita da sé e dal paziente. Questo lavoro è ciò che tecnicamente viene chiamato analisi del transfert e del controtransfert nel gui e ora. E importante che l'esame dello schema di azione del paziente av­ venga proprio quando è messo in atto perché egli può riconoscerlo soltanto mentre lo vive, con tutto il doloroso corredo affettivo che lo accompagna. Questo fa sl che la comprensione si configuri come una nuova esperienza carica di emozione e, quindi, possa innescare un processo di cambiamento proprio per la sua immediatezza affettiva. Come ha osservato Frieda Fromm-Reichmann ( 1 9 .5 0 ) il paziente ha bisogno di un'esperienza, non di una spiegazione.

Gli interventi del terapeuta Se, come abbiamo detto, non è possibile descrivere il processo che si sviluppa e si costruisce in maniera interattiva possiamo però illustrare gli interventi del terapeuta. Essi non possono prescindere da una preliminare illustrazione dell'atteggiamento che il terapeuta deve te­ nere con il paziente, una componente del quale è già stata menziona­ ta quando abbiamo parlato del setting interno. Quindi, oltre a quella particolare disposizione della mente, il terapeuta deve tendere il più possibile a evitare di intervenire mediante la suggestione attiva; te­ nendo conto che una quota di suggestione è sempre presente in qualsiasi trattamento psicoterapeutico, dovrà adoperarsi per limitarla piuttosto che utilizzarla. n terapeuta deve quindi rinunciare a seguire i propri pregiudizi e a perseguire nel trattamento valori personali e il soddisfacimento dei propri desideri (astinenza ) �, . Il terapeuta inoltre deve astenersi il più possibile dal soddisfare le richieste del paziente e dallo svolgere effettivamente i ruoli che questi tende a imporgli. 24. Abbiamo già accennato ( cfr. nota 1 .5 ) alla coazione a ripetere ( tendenza in­ nata a tornare alle condizioni precedenti) come espressione della resistenza dell'incon­ scio al cambiamento terapeutico. Notiamo qui che a causa di essa è necessario un periodo di elllhorazione analitica anche dopo che il paziente ha acquistato comprensio­ ne della natura e delle funzioni della sua difesa e ha deciso di abbandonarla. 2.5. Per astinenza si intende il rifiuto dd soddisfacimento dei desideri dd tera­ peuta; esso va inteso in senso allargato: da quelli pulsionali come la gratificazione sessuale, a quelli narcisistici come il voler apparire intelligenti, professionalmente ca­ paci o suscitare ammirazione.

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LE PSICOTERAPIE PSICOANALITIC H E

Illustrati sia pur sommariamente i principi ai quali il terapeuta si ispira per condurre la cura descriviamo gli interventi che caratterizza­ no la sua attiva partecipazione in seduta. Essi possono essere suddivisi a grandi linee in tre gruppi. I . Interventi tesi a istituire e mantenere l'alleanza terapeutica.

2 . Interventi volti all'interpretazione e all'elaborazione dei significati

simbolici presenti nel materiale offerto dal paziente che sottendono la sua modalità di mettersi in relazione. 3 . Interventi di sostegno. Ricordiamo qui che sta nella diversa combinazione, nel senso della prevalenza tra gli interventi di secondo e di terzo tipo, che possiamo distinguere le psicoterapie psicoanalitiche in espressive e supportive secondo un continuum che rende difficile una distinzione netta. Al contrario quelli del primo gruppo sono presenti indifferentemente in ciascun trattamento. Nell'ambito del primo gruppo ricordiamo l'ascolto empatico che consiste nel tentare di comprendere il paziente con continuità e con­ centrazione, accompagnandolo con risonanza emozionale nei suoi sentimenti, nelle sue angosce e nelle sue preoccupazioni, lasciandogli il più possibile l'iniziativa per esprimersi. Oltre a questo anche gli interventi di rassicurazione e di gestione dell'ansia vanno a cementare l'alleanza terapeutica. La rassicurazione non è mai diretta, ché altrimenti diventerebbe un intervento suggesti­ vo, quindi esclude la minimizzazione dell'allarme del paziente per i sintomi, come anche l'enfatizzazione degli aspetti positivi della sua personalità e del suo iter esistenziale, come gli eventuali successi nel campo del lavoro e degli affetti. La rassicurazione viene attuata prevalentemente attraverso l'uso delle informazioni e degli interventi che descrivono meccanismi di di­ fesa superficiali, comuni alla generalità degli uomini . Le informazioni possono riguardare il mondo esterno e il procedimento della cura. Quanto alla gestione dell'ansia può essere utile comunicare al pa­ ziente la necessità di tollerare l'ansia che si libera nel trattamento, dimostrando di comprenderla e riconoscendone l'inevitabilità. L' at­ teggiamento di condivisione, ma senza allarme, del terapeuta esercita di per sé un profondo effetto di rassicurazione. Il secondo gruppo comprende fondamentalmente gli interventi di interpretazione che possono essere sinteticamente rappresentati dai due triangoli descritti da Malan ( I 979 ) . Il triangolo del conflitto, co­ stituito da "difesa, ansia e sentimento nascosto", e quello delle perso-

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ne, derivato dal triangolo dell'interpretazione di Menninger, costituito da "l'altro, il transfert e i genitori" rappresentati rispettivamente con le lettere DAI il primo e OTP il secondo 26 . Le due punte dei due triangoli, nelle quali sono collocati il sentimento nascosto e i genitori, vengono volte verso il basso a significare che gli interventi del tera­ peuta sono volti ad arrivare, al di sotto della difesa e dell'ansia, al sentimento nascosto per poi riportarlo dall'attualità al passato, nella relazione con i genitori, dove d'abitudine si è originato, con un possi­ bile, ma non sempre inevitabile, passaggio per il transfert. Infatti le interpretazioni sono di vario tipo a seconda che si riferiscano alla sto­ ria del paziente o ai conflitti attuali, al transfert sul terapeuta o su altri. L'interpretazione di transfert, che ricolloca i sentimenti e le paure infantili nel loro contesto originario e fornisce un'esperienza affettiva che collega il passato al presente, è privilegiata in psicoanali­ si, mentre è meno utilizzata nelle psicoterapie psicoanalitiche. Oltre all'interpretazione il terapeuta usa la chiarificazione e la co­ struzione ( cfr. infra, p. 77 ) . La chiarificazione si riferisce a qualcosa che il paziente oscuramente già sa e che il terapeuta nomina e defini­ sce con chiarezza. La costruzione designa un'elaborazione del tera­ peuta tesa a ricostruire una parte della storia infantile del paziente nei suoi aspetti reali e fantasmatici, che, secondo Freud, ha lo stesso effetto terapeutico di un ricordo ritrovato. Gli interventi di sostegno, che sono poco praticati nelle psicotera­ pie psicoanalitiche espressive e assai frequenti in quelle supportive, dal punto di vista dei pazienti vengono vissuti come immediati e sen­ sibili aiuti per loro. Sono quelli che vengono attivamente promossi dal terapeuta e quindi da distinguere da quegli elementi di sostegno che sono intrinseci al trattamento stesso, come ad esempio la stabilità e regolarità del setting e l'ascolto empatico che sono di notevole sup­ porto al paziente ed esercitano questa loro funzione in ogni tipo di trattamento psicoanalitico. Gli interventi attivi di sostegno consistono nell'esprimere verbal­ mente un appoggio nei confronti di certe iniziative difensive e ten­ denti all'autoaffermazione del paziente, attraverso il loro riconosci­ mento ( del tipo : «Vedo che si sta adoprando per . . . » ) . O, ancora, nel comunicare un atteggiamento di fiducia nei confronti del possibile raggiungimento degli obiettivi terapeutici e nell'incoraggiamento a 26. Le lettere inglesi corrispondono rispettivamente a Defence, Anxiety, Impu/se per il primo triangolo e a Others, Therapist e Parents il secondo. Questi termini corri­ spondono in italiano rispettivamente a Difesa, Angoscia, Sentimento nascosto (spesso un impulso) e Altri, Terapeuta, Genitori.

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LE PSICOTERAPIE PSICOANALITICHE

esprimerst m cene occasioni attraverso la sottolineatura tanto della difficoltà a farlo, quanto della mancata espressione del paziente. Vi sono anche interventi che intendono potenziare attivamente l'alleanza terapeutica, al di là degli interventi destinati a instaurarla e consoli­ darla dei quali abbiamo già detto. Essi sono rappresentati da panico­ lari atteggiamenti del terapeuta che vanno dalla sottolineatura esplici­ ta dell'alleanza attraverso l'uso del "noi" e dal fare riferimento a esperienze passate nel trattamento come a vicende vissute insieme, al comunicare apertamente il riconoscimento dell'accresciuta capacità del paziente di utilizzare gli strumenti appresi nel trattamento. 2. 3 . 3 . La relazione terapeutica n paragrafo sul processo terapeutico ci ha già indotti a parlare della relazione che intercorre tra il terapeuta e il paziente; qui ne sottoli­ neeremo maggiormente l'importanza ricordando come la teoria psico­ analitica si sia sempre più spostata da un modello pulsionale a uno relazionale, che considera cioè le relazioni con gli altri e non le pul­ sioni l'elemento fondamentale della vita mentale. Nella teoria freudia­ na la relazione terapeutica diventa fondamentale in quanto stimola desideri a lungo sopiti. Nella sua concezione del trattamento tali de­ sideri vengono a essere frustrati determinando così un potenziamento del transfen. n compito del terapeuta è di interpretare desideri e conflitti, recuperare ricordi e fornire consapevolezza. L'interpretazio­ ne, ricollocando i sentimenti e le paure infantili nel loro contesto di origine, permette di fare un'esperienza affettiva che fa da ponte tra il passato e il presente. Quindi il terapeuta sta nella relazione come in­ terprete, per svolgere la sua funzione deve sapere resistere al tran­ sfert del paziente mantenendosi obiettivo e neutrale, non può essere una persona con desideri e paure propri. Come già detto, con l'evoluzione della teoria, si ha un progressi­ vo aumento della considerazione dei vari aspetti delle relazioni pri­ marie sia nel senso dell'arresto evolutivo che del conflitto (dr. nota 5 ) . Il modello dell'arresto evolutivo è un modello relazionale che si basa sulla relazione precoce madre-bambino. n processo maturativo sarebbe arrestato per distorsioni e carenze nella fornitura di cure pri­ marie (Winnicott, Guntrip e Kohut ) : nel modello del conflitto rela­ zionale i disturbi nelle relazioni precoci con chi si prende cura del bambino deforrriano gravemente le successive relazioni. Ne deriva pertanto una diversa visione della relazione terapeuti­ ca. Sempre più l'accento si sposta sulla disponibilità a essere di aiuto del terapeuta che deve mettere a disposizione funzioni materne al Sé

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nascente del paziente o prestarsi a una ristrutturazione del suo mon­ do relazionale attraverso la sua partecipazione a nuove forme di inte­ razione e l'incoraggiamento a tentare modalità di relazione diverse. È evidente che rispetto a questa evoluzione la concettualizzazione della relazione paziente-terapeuta cambia profondamente. n rapporto con il terapeuta comincia a essere considerato come la prima effettiva relazione oggettuale affidabile nella vita del paziente e si inizia a dare un peso rilevante alla persona "reale" del terapeuta e agli aspetti "reali" della relazione. Quindi la relazione nel qui e ora tra paziente e terapeuta, pm che replica e veicolo di relazioni passate, viene considerata per ciò che contiene di nuovo. Anche se il passato del paziente continua a essere importante, la cura si sposta sempre più verso l'elaborazione delle caratteristiche della relazione attuale con il terapeuta. Naturalmente anche le psicoterapie psicoanalitiche risentono di questa evoluzione nonostante sia verosimile che esse abbiano dato maggior valore fin dal loro inizio alla relazione attuale con il terapeu­ ta, indotti a questo dalla potente spinta determinata dal vis-à-vis. % .4 La teoria della cura: il cambiamento, sua natura e come lo si ottiene Le psicoterapie psicoanalitiche si propongono come loro obiettivo di ottenere nel paziente un cambiamento psichico che dia il via a una crescita psicologica e allo sviluppo di una maggiore integrazione psi­ chica. È però da precisare, per evitare confusioni, che con la parola cambiamento indichiamo sia il cambiamento psichico duraturo che perseguiamo come meta del trattamento psicoterapeutico, come an­ che qualsiasi tipo di mutamento nello stato mentale dei nostri pazien­ ti, a prescindere sia dal loro stato complessivo come anche dalla du­ rata e dalla qualità del cambiamento stesso, quindi tanto che vada verso il progresso che verso il regresso del soggetto in cura. In que­ sto senso il cambiamento fa parte del processo psicoterapico, si veri­ fica continuamente nel corso della terapia e deve essere accolto e se­ guito momento per momento. Infatti anche quelle variazioni che ap­ paiono come peggioramenti del paziente in quanto regressive sono funzionali al processo di cura e non devono essere ostacolate. Se torniamo al concetto di cambiamento psichico nel senso di un mutamento più stabile e duraturo, e quindi come risultato da ottene­ re mediante il trattamento, dobbiamo dire che è un argomento com­ plesso che si è evoluto nel corso dello sviluppo della teoria psicoana-

2. LE PSICOTERAPIE PSICOANALITICHE

litica. Riassumeremo qui tre aspetti fondamentali che sono presenti in diversa misura nella mente di ogni psicoterapeuta di formazione psicoanalitica e che rappresentano i punti di riferimento per la valu­ tazione del cambiamento operato dal paziente nel corso della cura. Infatti cambiamenti del comportamento che non siano conseguenti a questo tipo di modificazioni non vengono considerati significativi. Il primo di questi aspetti riguarda il rendere consci gli impù.lsi e porli sotto il controllo dell'Io, cioè rendere conscio l'inconscio sinteti­ camente espresso da Freud nella nota formulazione «Là dove era l'Es regnerà l'lo» ( I 9 3 3 ) . Esso si riferisce alla modificazione dei rapporti tra le strutture psichiche dell'Es, Io e Super-Io e, proprio perché rife­ rito a queste strutture psichiche, il cambiamento viene denominato "strutturale" . Esso va nel senso di un'espansione dell'Io a scapito del polo pulsionale della personalità e di una diminuzione della forza del­ le istanze superegoiche che diventerebbero meno persecutorie. n secondo aspetto riguarda il recupero di parti del Sé preceden­ temente scisse che verrebbero reirnmesse nella psiche con il risultato di costituire un nuovo equilibrio caratterizzato da una maggiore inte­ grazione. Il terzo aspetto si riferisce a un cambiamento nei rapporti tra og­ getti interni e tra questi e oggetti esterni. Questi due ultimi aspetti tengono conto degli apporti teorici di M. Klein che descrive le cosiddette "posizioni schizoparanoide e de­ pressiva". La prima si fonda sulla necessità che il bambino ha nelle primissime fasi della vita, di fronte all'angoscia, di scindere e proiet­ tare negli oggetti circostanti parti di sé fonte di turbamento e senti­ menti dolorosi in modo da liberarsene (posizione schizoparanoide; Klein, I 946 ) . Successivamente il bambino progredisce nel riconosci­ mento sia dei propri impulsi sia del fatto che possono coesistere l'o­ dio e l'amore per la stessa persona con il conseguente emergere di sentimenti di colpa e di sollecitudine che aprono alla riparazione (po­ st'z.ione depressiva; Klein, I 935 ) . In quest'ottica il cambiamento è co­ stituito dalle oscillazioni tra l'assumersi la responsabilità dei propri impulsi e l'allontanarsene, tra l'emergere della sollecitudine e della colpa e il desiderio di aggiustare le cose o il fuggirne, e sarebbe fina­ lizzato al raggiungimento di un equilibrio di sempre maggiore inte­ grazione tra amore e odio, tra l'assunzione della colpa, anche attra­ verso il tentare atti riparativi, e la fuga da essa, tra il desiderio di affrontare l'angoscia e quello di negarla. Quindi, secondo questa teoria, il cambiamento psichico rispetto agli oggetti comporta una variazione nella capacità dei pazienti di ri­ prendersi le loro proiezioni, di assumersi la responsabilità per i pro73

PSICOTERAPIE

pri impulsi e, inoltre, di affrontare la separatezza dei loro oggetti e i loro sentimenti verso di essi. In sintesi possiamo dire che il cambiamento psichico che ci pro­ poniamo di raggiungere con la psicoterapia psicoanalitica è relativo a un equilibrio nuovo e più soddisfacente nei rapporti interpersonali e nel modo di affrontare le angosce che derivano sia dal contatto con gli altri che dall'interno di se stessi. A questo punto può essere utile tentare di sintetizzare a grandi linee quali sono i fenomeni osservabili clinicamente che segnalano un cambiamento psichico reale e duraturo al di là delle modificazioni della sintomatologia. Essi sono fondamentalmente cambiamenti nella natura degli impulsi, degli affetti e degli atteggiamenti verso gli ogget­ ti sia interni che esterni e nelle modalità di funzionamento mentale quali il modo di pensare e di sognare. Oltre a questi sono indicativi anche i cambiamenti relativi all'esperienza del Sé in termini di senso della propria realtà, pienezza e integrità. È necessario ricordare nuovamente che questi cambiamenti, per diventare stabili, attraversano vicende di avanzamenti e retrocessioni che sono indispensabili al processo stesso del cambiare, e soprattutto è da tenere presente che il cambiamento terapeutico non è mai rag­ giunto una volta per tutte, in senso assoluto; esso rappresenta piutto­ sto la tendenza a sviluppare uno stato di equilibrio di forze migliore e più sano all'interno della personalità che sarà sempre in movimen­ to, naturalmente anche dopo la terapia. Ed è quindi da notare che è necessario che il trattamento aiuti il p aziente ad acquisire consapevo­ lezza di questo. Infatti è fondamentale che il paziente sviluppi questa ottica rispetto al significato del suo cambiamento ricercato con la cu­ ra perché essa lo aiuterà a cambiare ulteriormente una volta finita la terapia. Infatti l'accresciuta capacità di essere · più tollerante verso le inevitabili oscillazioni nel senso della progressione e della retrocessio­ ne lo aiuterà nella gestione dei nuovi possibili futuri conflitti. Ma cos'è che induce tali cambiamenti? lnnanzitutto bisogna pre­ mettere che, oltre ai fattori terapeutici di base non tecnici o aspecifici presenti in qualsiasi trattamento psicoterapico, ve ne sono alcuni spe­ cifici dei trattamenti psicoanalitici da distinguere da quelli pur speci­ fici, ma comuni a tutte le psicoterapie a prescindere dal loro orienta­ mento teorico. Tra questi ultimi ne ricordiamo due che ci sembrano centrali. La relazione emotiva che si instaura tra terapeuta e paziente, centrata sull'accettazione e l'interessamento, che viene espressa, oltre che con la comunicazione verbale, anche con tutti gli altri modi di comunicazione dei quali disponiamo: mimica, gestualità, vocalizzazio­ ne, ritmo dell'eloquio ecc . che risulta essere un potente fattore tera74

2 . LE PSICOTERAPIE PSICOANALITICHE

peutico specifico di qualsiasi trattamento psicoterapico. E anche l'i­ dentificazione con il terapeuta che, lo si voglia o no, viene a rappre­ sentare un modello idealizzato da imitare. Fattore significativo, nono­ stante si tenda a non considerarlo molto perché enfatizza l'aspetto pedagogico insito nella psicoterapia e tende a sminuire il rigore della tecnica adottata. Cerchiamo adesso di illustrare gli agenti di cambiamento specifici delle psicoterapie psicoanalitiche, tenendo conto che è abbastanza ar­ tificioso parlare dell'interpretazione o di qualsiasi altro fattore come mediatore unico del cambiamento psichico giacché tutti emergono gradualmente da una complessa matrice di interazioni. Ciò nonostan­ te, per facilitare l'esposizione li descriviamo come fattori isolati, in sé completi e separati. Innanzitutto il setting. La concettualizzazione del setting ha com­ piuto una lunga e complessa evoluzione nel pensiero psicoanalitico. Considerato inizialmente come un elemento tecnico strategico che consente lo svolgimento del processo psicoanalitico, per qualche ver­ so inerte, è passato a essere considerato sempre più come elemento che influenza il processo, fino a essere visto come importante fattore terapeutico. Infatti, mentre nel pensiero di Freud le regole del setting avevano il significato di mantenere le condizioni più favorevoli per lo sviluppo del transfert e la sua interpretazione, nel progredire del pen­ siero psicoanalitico venne sottolineato come il setting, per certe sue caratteristiche, svolgesse una funzione di attivazione del processo. Ad esempio è stato messo in luce che esso induce la regressione attraver­ so la riproposizione di una relazione sbilanciata, infantilizzante, oppu­ re che mobilita le angosce di separazione attraverso il fatto di presta­ bilire il termine come nelle psicoterapie psicoanalitiche brevi. Succes­ sivamente è stato sottolineato come le costanti del setting garantisca­ no quella funzione dell'analista-ambiente che nella concettualizzazione di Winnicott ( 1 97 1 ) ripropone il periodo della non integrazione nel quale la madre si costituisce come orizzonte esperienziale del bambi­ no. Indubbiamente è abbastanza evidente come la continuità e stabi­ lità di quell'impostazione cerimoniale del trattamento che fissa il tem­ po e lo spazio dell'incontro non possa che esercitare un effetto bene­ fico su quei pazienti che non sono capaci di stabilità nelle relazioni, che soffrono di carenze affettive e di insicurezza negli apporti emoti­ vi. La certezza negli orari, la ripetitività della situazione che si awale di un ambiente stabile, rappresentano un valido aiuto per soggetti insicuri quanto alla loro identità e che tendono alla dispersione dei contenuti mentali e alla confusione. Ma, al di là di questi effetti che 75

PSICOTERAPIE

potremmo considerare non specifici del setting psicoterapeutico psi­ coanalitico, dobbiamo considerare le funzioni specifiche di esso nel­ l'insieme di tutte le sue caratteristiche: la posizione del paziente e la frequenza delle sedute, oltre alla precisione nel rispetto dell'orario e la costanza dell'ambiente. Vediamo cosi che la continuità e la regola­ rità del setting, variamente articolate agli altri elementi sopramenzio­ nati in combinazioni che hanno diversi e specifici effetti, svolgono una funzione terapeutica e di crescita. Un altro fattore terapeutico specifico fondamentale è l'interpreta­ zione che rappresenta il principale strumento che il terapeuta ha per fare accedere il paziente al senso latente insito nei suoi discorsi e nei suoi comportamenti, nel "materiale" che presenta in seduta. Queste comunicazioni del terapeuta tendono a mettere in luce le modalità del conflitto difensivo e a esplicitare il desiderio che si esprime in ogni produzione dell'inconscio. In questo senso si applica ai sogni, ai sintomi, agli atti mancati e a tutto ciò che nel discorso e nel comportamento del soggetto porta il segno del conflitto difensivo. È opportuno distinguere le interpretazioni di transfert da quelle extratransferali 27 poiché sul loro uso in psicoterapia vi sono pareri discordi . La cosiddetta interpretazione di transfert, quella cioè tesa a delucidare l'attualizzazione che il paziente fa nella relazione con il te­ rapeuta dei suoi desideri inconsci, è considerata il massimo fattore di cambiamento in psicoanalisi e molti ritengono che essa non sia da usare in psicoterapia. Pur non condividendo questo convincimento, è senz' altro accettato da tutti che in questi trattamenti sono da privile­ giare le interpretazioni extratransferali. Sono il più esplicito fine cura­ tivo delle psicoterapie e l'introduzione nella maggior parte dei model­ li di psicoterapia psicoanalitica del controllo percettivo attraverso l'u­ so del vis-à-vis che sconsigliano l'uso sistematico delle interpretazioni di transfert a favore di quelle extratransferali e di interventi che, par­ tendo dalla realtà, utilizzano i movimenti transferali per indirizzare verso il riconoscimento dei significati affettivi, senza che a essi si deb­ ba necessariamente accompagnare ogni volta l'interpretazione del transfert sullo psicoterapeuta. L'interpretazione extratransferale si ri­ ferisce ai rapporti oggettuali e all'ambiente del paziente al di fuori della terapia, sia nel presente sia nel passato. L'effetto dell'interpretazione di transfert consiste nel determinare una diminuzione della forza del Super-Io. Questo avverrebbe perché 27. Questa dizione può ingenerare confusione in quanto anche le interpretazioni extratransferali possono riguardare il transfert purché non sia quello diretto sul tera­ peuta.

2 . LE PSICOTERAPIE PSICOA�ALITIC HE

vengono delucidati al paziente gli impulsi diretti sul terapeuta e le sue fantasie sul comportamento di quest'ultimo nell'hic et nunc della seduta, mentre egli compie un'esperienza di come il terapeuta è nei suoi confronti in quel momento e sa come è stato nel precedente corso della relazione. Questo può aprire a una nuova modalità di percepire l'oggetto e può consentire di introiettare un oggetto più benevolo nel proprio Super-Io, determinandone cosi una diminuzio­ ne nella severità. Anche le interpretazioni extratransferali possono di­ minuire la persecutorietà del Super-Io attraverso la ricomposizione di scissioni operate negli oggetti dell'ambiente attuale o del passato fa­ vorendo nel paziente l'esame di realtà. Le interpretazioni possono anche essere rivolte alla storia del pa­ ziente quando ipotizzano ciò che egli può aver vissuto in epoca in­ fantile e ricordare in maniera frammentaria. Quando i vissuti sogget­ tivi dell'infanzia vengono organizzati dal terapeuta in modo da rico­ struire anche parzialmente la storia infantile del soggetto nei suoi aspetti reali e fantasmatici viene operata quella che Freud designò come costruzione ( 1 937) . Questa particolare elaborazione del materia­ le, che nelle intenzioni freudiane mirava per qualche verso a superare la difficoltà oggettiva di riuscire con l'analisi a rievocare tutti i ricordi eliminando l'amnesia infantile, è stata successivamente ancor più va­ lorizzata da alcuni psicoanalisti come uno dei cardini della cura nel­ l'ambito di una concezione "narrativa" del processo terapeutico. Il tema del cambiamento come obiettivo del trattamento ci con­ duce direttamente a quello della conclusione della cura della quale, a nostro parere, si parla sempre troppo poco. È invece da sottolineare come sia necessario che lo psicoterapeuta abbia sempre in mente che è opportuno che il trattamento non si dilunghi troppo ed eviti il ri­ schio di assumere quell'atteggiamento senza tempo che è favorito dal fatto di lavorare con i processi inconsci che, per loro natura, sono atemporali. L'obiettivo più strettamente terapeutico dei trattamenti psicoterapici rispetto a quelli analitici impone che il piacere legato all'attività di esplorazione del mondo interno non sia tale da allonta­ nare il terapeuta dall'impegno a conseguire nel minore tempo possi­ bile un equilibrio nella personalità del paziente diverso e più armo­ nioso, oltre che più soddisfacente per lui. È da notare che questo particolare piacere si risveglia sempre anche nel paziente e quindi, sommandosi a quello del terapeuta, tende a stimolare quest'ultimo a estendere il lavoro analitico. La valutazione di quanto il paziente sia cambiato, come anche di quanto egli abbia progredito nell'acquisizione di strumenti di auto­ comprensione e autoesplorazione sul modello di quanto awenuto in 77

PSICOTBRAPIB

sede di trattamento, deve indurre il terapeuta a proporre una data di termine della cura che non potrà mai essere a brevissima scadenza. Infatti un congruo lasso di tempo dovrà essere lasciato all'analisi delle angosce di separazione e alla verifica, da fare in comune, del cambia­ mento che il paziente ha effettuato e di quanto sia padrone dei nuovi strumenti che egli ha acquisito, anche rispetto a possibili future diffi­ coltà esistenziali da fronteggiare. Fondamentale in questa fase è la valorizzazione del lavoro fatto, come anche della capacità che il pa­ ziente ha dimostrato di ricorrere all'aiuto terapeutico. Quest'ultimo ha lo scopo di rendere pensabile come non fallimentare un nuovo ricorso alla psicoterapia in futuro, se ve ne fosse la necessità. Infatti, così facendo, non è necessario che il terapeuta debba esplicitare tale possibilità se il paziente non la menziona, rischiando nel farlo di in­ trodurre elementi di sfiducia per i risultati raggiunti e di indurre insi­ curezze. Letture di approfondimento

A termine di questa sintesi illustrativa delle psicoterapie psicoanaliti­ che desideriamo suggerire alcune letture di testi italiani o tradotti in italiano, utili ad ampliare i temi trattati. Infatti vogliamo ancora una volta ricordare sia che esistono molti modelli di psicoterapie di ispi­ razione psicoanalitica, sia che la teoria psicoanalitica alla quale essi fanno riferimento ha subito nel tempo una profonda evoluzione che ha determinato notevoli modificazioni tecniche. Per questi motivi, anche se non è stato facile, abbiamo cercato di estrapolare i concetti psicoanalitici fondamentali comuni a tutte le psicoterapie psicoanaliti­ che, ma anche di sottolineare di volta in volta le differenze tra i prin­ cipali modelli psicoterapeutici, facendo nel contempo continui riferi­ menti all'evoluzione della teoria psicoanalitica. È per mantenere que­ sta impostazione strettamente aderente al tema delle psicoterapie a orientamento psicoanalitico che nel PAR. 2 . 2 sulla storia non abbiamo inserito l'illustrazione dei diversi indirizzi psicoterapici derivati dall'o­ riginaria impostazione freudiana. Abbiamo preferito fornire, nell' ap­ pendice che segue, uno schema �8 sia delle teorie derivate dal pensie-

28. Ci preme molto sottolineare quanto sia problematico e riduttivo della com­ plessità schematizzare l'evoluzione del pensiero psicoanalitico nella sua fioritura di in­ dirizzi e correnti che, ovviamente, si sono sempre influenzati a vicenda in un intrec­ cio tale da rendere quanto meno discutibile qualsiasi tentativo di sintetizzarli. Ritenia­ mo ciò nonostante che possa essere utile a fini didattici abbozzare uno schema, av­ vertendo però il lettore di tenere conto dei suoi limiti.

2 . LE PSICOTERAPIE PSICOANALITICHE

ro psicoanalitico che sono entrate in aperta dissidenza con la concet­ tualizzazione originaria e hanno dato origine a scuole psicoterapeuti­ che diverse da quella psicoanalitica (ad esempio quelle di Jung, Ad­ ler, Reich ) , sia degli indirizzi teorici che vengono oggigiorno conside­ rati, al di là di forti contestazioni iniziali, più che deviazioni, sviluppi dell'originaria teoria (come ad esempio quello kleiniano) . È da sotto­ lineare che gli apporti di questi ultimi sono stati recepiti, sia pure in misura variabile, da tutti gli psicoanalisti e gli psicoterapeuti di orien­ tamento psicoanalitico e quindi, anche, hanno influenzato le tecniche psicoterapeutiche psicoanalitiche �9. Per quanto riguarda dunque un possibile approfondimento sulle psicoterapie di orientamento psicoanalitico suggeriamo le seguenti let­ ture: D. H. Malan, Psicoterapia in pratica (Cappelli, I 98I ); L. Lu­ borsky, Principi di psicoterapia psicoanalitica (Bollati Boringhieri, I989 ) ; R. Rossi, Psicoterapie a indirizzo psicoanalitico {Etas Libri, I 974) ; S . Turillazzi Manfredi, La linea d'ombra delle psicoterapie (Edi­ zioni del Riccio, I 979 ); B. B. Wolman, Manuale delle tecniche psicoa­ nal#iche e psù:oterapeutiche (Astrolabio, I 974) . Chi desideri inoltre approfondire gli aspetti legati ai differenti modelli può leggere per la psicoterapia focale: M. Balint, P. H. Orn­ stein, E. Balint, Psicoterapia focale (Astrolabio, I 974) ; per le psicote­ rapie di sostegno: L. H. Rokland, La terapia di sostegno (Astrolabio, I 994 ) . Quanto alle psicoterapie psicoanalitiche brevi, molti sono i modelli, tanti da suggerire, a chi intendesse addentrarvisi, tre prelimi­ nari letture illustrative: W. V. Flegheneimer, Psicoterapia breve (Raf­ faello Cortina, I 986); M. Grasso, B. Cordella, Psicoterapie dinamiche brevi (La Nuova Italia Scientifica, I 989); D. Bolelli, Andare a tempo (Boria, I 996 ) . Segnaliamo poi alcuni volumi ognuno dei quali illustra in particolare un modello di psicoterapia breve di orientamento psi­ coanalitico: D. H. Malan, Uno studio di psicoterapia breve (Astrolabio, 29. Desideriamo qui ricordare che è particolarmente difficile, nell'illustrare le scuole e i principali indirizzi psicoanalitici, distinguere quelli più vicini all'originaria impostazione freudiana da quelli che maggiormente se ne distaccano. In realtà quasi tutti sono stati oggetto di dibattito quanto a ortodossia. Lo stesso si può dire per i vari autori: infatti ve ne sono alcuni che, pur avendo avuto una formazione psicoana­ litica rigorosa, per il fatto di avere arricchito la teoria e la tecnica, trattando pazienti prima ritenuti inaccessibili alla psicoanalisi, sono stati considerati psicoterapeuti di orientamento psicoanalitico più che psicoanalisti (basti pensare, come esempio, a Ko­ hut ) . Dato l'allargamento del dibattito scientifico sul piano mondiale per l'attuale am­ pia circolazione delle informazioni in tempo reale, è forse utile, rispetto a questo pro­ blema, assumere un atteggiamento di apertura che consenta di considerare che certi contributi hanno finito per esercitare un'influenza ed essere usati al di là dei confini di singole scuole e del pensiero di un singolo autore.

79

PSICOTERAPIE

1 973 ) ; L. Bdlak, L. Small, Psicoterapia d'urgenza e psicoterapia breve (TI Pensiero Scientifico, 1 983 ) ; E. Gilliéron, Manuale di psicoterapia analitica breve (Edizioni Universitarie Romane, 1 993 ) ; H. Davanloo (a cura di) , Psicoterapia dinamica a breve termine (Armando, 1987 ) ; H. H. Strupp, J. L. Binder, Psicoterapie dinamiche brevi ( Il Mulino, 1 99 4 ) ; G. Schiappoli, G. Vetrone, La psicoterapia breve psicoanalitica delle crisi emozionali (Bulzoni, 1 978) ; P. E. Sifneos, Psicoterapia a bre­ ve termine ansia provocante (Edizioni Universitarie Romane, 1 993 ) .

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SCHEMA 2 . 1



Adler fu il fondatore della Società di Psi­ cologia Individuale. Ipotizzò all'origine della nevrosi un sen· timento di inferiorità che porta alla costru· zione di uno stile di vita fittizio. Adler sottolineò il legame tra conflitti psichici e fattori storico socia· li. n punto di mag· gior dissenso con Freud riguardò il ri· fiuto del riconosci· mento dell'importan· za della forza motri­ ce sessuale in favore della volontà di au­ t o a ff e r m a z i o n e dell'individuo: "vo­ lontà di potenza•, "protesta virile".

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Jung entrò in aperto colUiltto con rreua nel 1913 perché rifiutò la teoria della libi­ do sessuale considerandola riduttiva. Svi­ luppò la concezione di un'energia più ge­ nerale, includente anche quella sessuale, che si esprimerebbe in natura come pulsio­ ne di vita e nel vissuto soggettivo come vo­ lontà. Partendo da una concezione dell'uo­ mo nella sua completezza, fondò una psi­ cologia che utilizza nelle sue spiegazioni sia il punto di vista biologico che quello "spiri­ tuale" e che identifica la cura con un pro· cesso di individuazione e con la ricerca di un significato simbolico di ciò che è nasco­ sto. Negando valore generale alla teoria psicoanalitica che considerava una testimo­ nianza soggettiva dell'epoca repressiva in cui Freud aveva vissuto, riteneva che le idee provenissero da qualcosa di più gran­ de detla persona singola. Distinse pertan­ to, in quella che chiamò psicologia analiti· ca, un inconscio personale e uno collettivo le cui componenti strutturali sono rappre· sentate da immagini originarie autonome, gli archetipi.

+

Scissioni con fondazione di altre scuole

Psicoanalisi freudiana (trattamento individuale dei disturbi nevrotici)

l Reich ruppe con la società di psicoanalisi nel 1934 dopo aver dato un contributo fonda­ mentale alla teoria della temi­ ca con il suo lavoro Atftdisi del C4Nitert. n contrasto maggio­ re con Freud fu per il rifiuto di riconoscere l'esistenza di una pulsione distruttiva innata. Egli individua l'eziologia delle nevrosi nell'alterazione della sessualità genitale e centra il trattamento sulla restaurazio­ ne della potenza orgastica del paziente. Ebbe particolare in­ terease per lo studio del carat­ tere, in quanto riteneva che parte della libido rimossa ve· nisse utilizzata dall'Io ai fini della costituzione del caratte· re e che le resistenze caratte· riali impedissero all'energia li­ bidica di fluire nella potenza orgastica.

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Principali scuole e indirizzi psicoanalitici

Sviluppo del pensiero psicoanalitico e delle principali scuole dissidenti



Lacan ha rielaborato la teoria freudiana a par· tire dai contributi for­ niti dall'antropologia strutturale e dalla lin­ guistica di De Saussu­ re sviluppando la con· cezione dell'inconscio come linguaggio. Protagonista nel 19H di una prima scissione della Société Psycha­ nalytique de Paris, fonda nel 1963 l'�co­ le Freudienne de Pa­ ris mai riconosciuta dalla Società di psicoa­ nalisi internazionale. n pensiero di Lacan ha profondamente in­ fluenzato la psicoanali­ si francese e sudameri· cana.

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Rank si distaccò dal movimento psicoana­ litico nel 19:13. Privi­ legiò il rapporto ma­ temo a scapito del le­ game col padre. La sua teoria si basa sul trauma della nascita considerato come de· mento centrale fon· dante il limite tra psi· chico e biologico. A questo awenimento si connetterebbe tut· ta la successiva dina· mica psichica, finaliz. zata al superamento dell'angoscia origina· ria. n problema della cura, che riattualizze­ rebbe con il transfert il legame con la ma­ dre, diventa la gestio­ ne del distacco.

Scuola di M. Klein Psicologia dell'Io Scuola neo&eudiana Psicologia del Sé Corrente relazionale



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Sin dalla prima ap· parizione della psi· coanalisi negli USA ( I9IO) vi fu una no· tevole opposizione allo scetticismo freu· diano della teoria degli istinti; con l'arri· vo degli psicoanali · sti emigrati, nel par· ticolare clima politi· co presente negli USA, fu privilegiata l'influenza delle for· ze educative e cultu· rali sulla crescita e la arigione delle ma· ttie psichiche. Rap· presentanti di que· sta scuola sono: S. Rado, K. Horney, E. Fromm, E. H. Erik· son, H. S. Sullivan.

La scuola culturalista e i neofreudiani

e

� ella:

Raccoglie gli stimoli offerti dal­ la psicologia del Sé e dalle nuo· � teorie del contro-transfert e tenta di integrare i principali approcci relazionali interperso· nali e delle relazioni oggettuali interne. Un suo esponente di rilievo, S. Mitchell, parla di «prospettiva relazionale conflit· tuale». Assumendo come aspet· to centrale il fatto che la psi · coanalisi opera in un campo bi· personale, ridimensiona l'im· portanza del conflitto a favore della relazione che si instaura tra due sosgettività, entrambe portatrici di un loro bagaglio di relazioni interne. Anche l'inter· pretazione è vista come un evento relazionale complesso la cui importanza sta nel dire co· me l'analista si pone con l'ana· lizzando e che tipo di rapporto c'è tra loro.

Corrente relazionale

na. L'interpretaziooe diventa soprattutto un O'l!anizzatore psicolosico dell'attuolltì. La funzione mitopoietica nell'ambito del rapporto trlllloferale viene inteu non come riedizione, ma come produzio­ ne del tutto nuova (0. P. Spence).

Negli ultimi trent'anni molti aono stati i contributi teorici che hllllno ponato a revisioni critiche e a parzi.U p_roposte per nuove teorie della mente, l'illustrazione delle quoll uucende gli scopi di questo lavoro. Citiamo qui soltanto i nomi di llcuni tra gli autori più liflnilìcativi: E. Peterfreund, R. Schafer, G. Klein, A. Modell , E. A. Levenaon, E. Gendlin, l. Matte Bianco. Ci soffermiamo soltanto sul penaiero di D. P. Spence per l'inOuenza che hs avuto wlla tecnica psicoterapeutica. Easo infatti hs contribuito a sottolineare la funzione cosiddetta di "fornitura" e di integrazione della relazione tera· peutica a scapito della dinienaione interpretativa. Penanto aegnwamo la C»Wmlt """"livislica che fonda il proceuo an.Utico sulla ""ritì narrativa che viene distinta dalla ""ritì storica. Ponendo dall'u­ aunto che il pusato non può euere ricoatruito viene nepta qulloiui funzione ricoauuttiva al lavoro an.Utico che conaiaterebbe nel coatruin: nell'hic el """' una veritì che abbia una aua coerenza inter·

J

Sempre più im ante dqli anni Sessanta, ozione del "Sé", come nu1 1 concetto complesso, comp rende l'insie· me delle varie componenti pe �nalità e la •rzi i d oro mtegraz1one ltreJUamen• te collegato alla t1 ria delle re· !azioni oggenual in origine, questo concettc si ritrova all 'interno di q1 i tutte le correnti psicoaru che attua· li. n Sé è consic rato un og· getto interno all ' ed è valo· rizzato il rappon dell'Io con se stesso. Kohut ha elabon una psico· patologia del Sé ' no specifi· i disturbi co trattamento 1 narcisistici. In relazione alla 1 Lpia dei di­ sturbi narcisistici borderline è da segnalare ar e il contri· buto di O. F. Ke1 erg.



La psicologia del "Sé"

Ricerche e studi sugli elementi costitutivi del rapporto tra madre e neonato (ln/ant research;J. Bowlby, D. Stern).



x



M. Klein ha introdotto il con· cetto di fantasia inconscia come motore della dinamica psi· cbica e di mondo interno co· me complesso costituito da una molteplicità di oggetti. Ha studiato le prime fasi dello sviluppo mentale nel bambino e, di cons enza, ha posto l'ac· cento s o svil nonnale e •tologico rapporto ma re-bambino. Questi studi hanno portato a un ap rofon· dimento, sul versante ella sa· Iute, del concetto di creatività e, su quello della patologia, delle psicosi infantili. Rappresentanti: P. Heimann, R. Mo ·Kyrle, D. W. Win· nicott, . R. Bion. Si fonda su questi studi la psi· cologia delle relazioni ogget· tuali (R Fairbairn, O. F. Kernbug).

A partire dalla seconda topica freudiana viene a rofondito lo studio d fonnarsi dei mecca· nismi di difesa. L'Io vie· ne pertanto valorizzato rispetto alle pulsioni in· consce. I contributi di A Freud, A. Aichorn, H. Hartmann , E. Kris ven· gono approfonditi e am· pliati negli studi clinici di R. Spitz e M. Mahlu sullo sviluppo depressi· vo e schizofrenico di bambini recocemente separati d e madri Ò fì. gli di madri disturbate psichicamente, dando il via a una concettualizza· zione che fa risalire il fonnarsi dell'lo ai primi mesi della vita.



La scuola di M. Klein

Psicologia dell'Io (psicoanalisi strutturale)

Principali scuole e indirizzi psicoanalitici

SCHEMA 2 . 2

2. LE PSICOTERAPIE PSICOANALITICHE

A questo punto può essere utile sintetizzare schematicamente l'e­ voluzione della psicoanalisi anche nei diversi percorsi curativi, sia nel senso dell'estensione della tecnica di cura psicoanalitica al di là del singolo individuo, sia in quello della penetrazione del pensiero psi­ coanalitico in psichiatria e nella medicina generale.

SCHEMA 2 . 3

Dalla cura dell'individuo a quella delle relazioni familiari e gruppali

�erta e nella cura

Il paradigma psicoterapeutico della psicoanalisi consiste nella scodi sofferenze soggettive in un setting fondato sula disponibilità dello psicoanalista a riconoscere il paziente nel suo essere "diverso" senza im orsi come istanza superiore o autoritaria. Gli dementi essenziali de a cura risiedono nell'interpretazione e nella qualità correttiva dell'esperienza della relazione terapeutica contraddistinta dall'elaborazione del rapporto transferale e controtransferale tra paziente e terapeuta.



+

+ L'approccio gruppodinamico e gruppoterapeutico di base psicoanalitica (S. H. Foulkes, W. Bion).

Contributi della sicoanalisi allo sviluppo de i interventi di consulenza e terapia della coppia, della famiglia e delle istituzioni, socioanalisi (N. W. Ackerman, E. Jaques, J . Bleger).

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SCHEMA 2 .4

Influenza della psicoanalisi sulla psichiatria e la medicina generale Per S. Freud la psicoanalisi come tecnica curativa non è indicata nei disturbi narcisistici (psicotici); però molti concetti psicoanalitici si rivelano di enorme valore per la comprensione dei disturbi psichiatrici più gra-

vi.

+

+ Eugen Bleuler intraduce l'approccio psicoanalitico nella discussione scientifica sulla nosologia e com rensibilità della se izofrenia.

h

L'influenza della psicoanalisi sulla medicina porta all'approfondimento della ricerca in psicosomatica e a sot­ tolineare l'importanza della relazio­ ne medico-paziente nella diagnosi e nella terapia (M. Balint).

P. Fedem, E. Weiss sviluppano concetti basilari per un aproccio terapeutico psicoanatico dei disturbi psicotici, ai quali si rifanno gli autori più recenti che trattano le psicosi (H. A. Rosenfeld, P. N. Pao, H. F. Searles, P. C. Racamier).

&

3

La psicoterapia comportamentale e cognitivo-comportamentale di Gian Franco Goldwurm

J.I n modello di uomo: presupposti teorici di base

Le idee di Sechenov e i primi esperimenti di Pavlov e di Thorndicke hanno ormai più di cent'anni, mentre l'atto di nascita del comporta­ mentismo fu sancito da J. B. Watson nel 1 9 1 3 . Le terapie comporta­ mentali (Te) si sono sviluppate, dopo un lungo periodo di ricerche sperimentali sia in campo fisiologico che psicologico, a partire dagli anni Cinquanta. L'evoluzione cognitivista invece, nella sua dimensio­ ne terapeutica, ha preso corpo in modo significativo negli ultimi tren­ t'anni. Il filone cognitivo-comportamentale, iniziato alla fine degli an­ ni Sessanta, oggigiorno a mio avviso è accettato implicitamente o esplicitamente nella prassi clinica dalla maggior parte dei terapeuti di quest'area. Fin dalla nascita le varie correnti comportamentali e co­ gnitivo-comportamentali hanno sottolineato la necessità per la psico­ logia e la psicoterapia di avere una base sperimentale e un metodo scientifico, collocandosi all'interno delle scienze naturali. Dietro i vari comportamentismi, cognitivismi e relative terapie vi sono varie meta­ teorie e presupposti filosofici bene illustrati da Meazzini in vari scritti. Nel 1995 egli afferma che nell'universo cognitivo-comportamenta­ le vi sono tre orientamenti epistemologici: il primo (Watson, Ey­ senck, Wolpe ecc . ) è connesso storicamente al neopositivismo logico e al realismo; il secondo, proprio dei ricercatori più vicini al polo cognitivista, si basa su un'epistemologia di tipo ermeneutico e co­ struttivista; il terzo, skinneriano e operante, si richiama al pragmati­ smo e all'evoluzionismo. Per quanto la nostra disciplina cerchi di elaborare al suo interno proprie finalità e metodi di ricerca scientifici e di dispiegarsi nella prassi in modo originale e autonomo, non può ovviamente prescinde-

PSICOTERAPIE

re da una base epistemologica e anche da influenze sociali e sociopo­ litiche che mutano nel tempo. Moderato e Ziino ( 1 994) illustrano l'evoluzione del paradigma comportamentista, dal meccanicismo al contestualismo. Benché le concezioni materialiste e meccaniciste, particolarmente nel secolo scorso, abbiano portato eccezionali risultati nella ricerca scientifica, e Skinner affermi ( cfr. ivi, p . 540 ) : «L'analizzare il comportamento umano in termini meccanici non assimila l'uomo ad una macchina [ . . . ] . L'uomo è una macchina nel senso che egli è un sistema com­ plesso che si comporta in modo governato da leggi», (togliendo così di mezzo polemiche banali e strumentali) , il contestualismo allarga la dimensione euristica in senso diacronico e in senso sistemico, e non è incompatibile con la metafora meccanicista del comportamentismo watsoniano. «L'analisi del comportamento (Behavior Analysis ) studia e descrive le proprietà della relazione fra l'organismo e l'ambiente e i suoi obiettivi sono la previsione e il controllo» (ivi, p. 5 3 6 ) . Le stu­ dia però nel loro divenire, interagenti in e con un contesto a sua vol­ ta storicamente determinato che attribuisce, aggiunge o toglie valen­ za, funzione e significato agli stimoli specifici dell'ambiente. «L'analisi del comportamento possiede una visione olistica, che sostiene la con­ cezione di un organismo attivo. Il concetto di adattamento agisce sia a livello biologico, coerentemente con i principi della biologia evoluzio­ nista, sia a livello psicologico individuale, attraverso una selezione per mezzo delle conseguenze, sia a livello sociale, attraverso meccanismi di trasmissione culturale» (i vi, p. 53 7 ) . Ancor più che la concezione skinneriana appare contestualista l'intercomportamentismo di Kantor. Comunque sia, il comportamen­ tismo che stressa il ruolo determinante dell'ambiente e dell'apprendi­ mento nell'adattamento sia naturale che sociale dell'individuo valoriz­ za anche il ruolo attivo di quest'ultimo nel modificare l'ambiente per i suoi scopi e, in primo luogo, nel ricercare i rinforzi di cui ha biso­ gno. L'interazione fra le variabili ci porta inevitabilmente a una mo­ derna visione sistemica (è una delle nuove acquisizioni del comporta­ mentismo ) delle relazioni fra le varie componenti biopsicosociali nelle loro dimensioni sia diacroniche che sincroniche. Sotto questo profilo, come osserva Meazzini ( 1 995 ) , potremmo concepire un modello d'uomo man as an explorer che può legittimamente contrapporsi alla formulazione cognitivista di man a.r a scientist. Quest'ultimo modello sottolinea la funzione dei processi cognitivi nel gestire il comporta­ mento, nell'interpretare e anche nel costruire l'ambiente Oa nicchia ecologica) . La parte più importante del funzionamento psicologico, più, che l'interazione uomo-ambiente del comportamentismo radicale, 86

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riguarda le funzioni cognitive, la creatività, la razionalità, il metodo per risolvere i problemi . L'influenza reciproca delle varie funzioni psichiche avviene tutta all'interno della mente ed è lì che lo psicote­ rapeuta cognitivista deve ricercare l'origine e la fine del cambiamen­ to. A mio avviso, fra comportamentismo radicale e cognitivismo radi­ cale, esiste una via più equilibrata, il cognitivo-comportamentiSmo che cerca di usare nella prassi terapeutica gli aspetti più fecondi e utili dei due approcci (e anche di altri), senza nascondersi le difficoltà dell'incontro e dell'integrazione. Insomma io direi man as a man, un uomo assai più complesso di un esploratore e anche di uno scienzia­ to, un uomo che soffre, cerca aiuto, con difetti e virtù che da molto tempo abbiamo cominciato a scoprire, ma che non termineremo mai di definire completamente. J.Z Sviluppi storici

La terapia comportamentale (Te) e quella cognitivo-comportamentale (Tec) si sono sviluppate sulla base delle ricerche sperimentali nel­ l' ambito delle teorie dell'apprendimento e su ricerche elaborate in ambito clinico. Il primo modello sperimentale è quello del condizio­ namento classico (o rispondente o pavloviano ) . Uno stimolo neutro (per esempio, suono) quando viene associato più volte a uno stimolo incondizionato (per esempio, cibo) (che dà regolarmente la reazione incondizionata salivazione) , cambia il suo valore segnaletico; lo stimo­ lo neutro si trasforma in stimolo condizionato capace di dare la rea­ zione salivare anche in assenza dello stimolo incondizionato. Questa reazione appresa si chiamerà condizionata; questa forma di apprendi­ mento molto semplice può essere notevolmente complicata da una gran quantità di variazioni sperimentali. La reazione condizionata, es­ sendo basata su un legame temporaneo, è un fenomeno dinamico; può infatti generalizzarsi, differenziarsi, estinguersi, essere recuperata o trasferirsi da un sistema di segnalazione all'altro ecc. La scuola fi­ siologica pavloviana, che deriva da quella di Sechenov, si è servita del metodo dei "riflessi condizionati" per studiare l'attività nervosa supe­ riore, che a quei tempi difficilmente poteva essere analizzata con me­ todi più fini. Il lavoro di Pavlov e dei suoi allievi non si è limitato tuttavia a fornire il primo modello sperimentale di apprendimento, sul quale Watson in gran parte ha fondato le sue idee sul comportamentismo (la psicologia S-R ) . Esso rappresenta un corpus sperimentale e dot-

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trinario molto ampio, che va al di là del comportamentismo watso­ niano e che spazia dalle leggi del comportamento motorio e vegetati­ va ( primo sistema di segnalazione) a quelle del linguaggio ( secondo sistema di segnalazione) , dal funzionamento della neurodinamica ce­ rebrale alle connessioni corticoviscerali, dalle nevrosi sperimentali alle escursioni interpretative nella psicopatologia umana, ai tentativi di te­ rapia condizionata. Uno dei meriti principali di Pavlov è stato quello di connettere sempre fisiologia e psicologia, e di adottare un rigoroso metodo sperimentale nello studio del comportamento. I suoi allievi hanno poi sviluppato ampiamente le sue teorie e ricerche ( cfr. Gold­ wurm, 1 965, 1 970, 1 984) . Un altro filone di ricerche assai ampio e consolidato h a dato luo­ go al modello del condizionamento operante (o skinneriano o instru­ mentale) . In questo caso il comportamento detto operante, in quanto facente parte del repertorio del soggetto, può essere aumentato o di­ minuito in funzione del rinforzo che esso provoca. Skinner ( 1 9 3 8), nei meccanismi d'apprendimento, sposta l'accento sul rinforzo, stimo­ lo capace di modificare il comportamento di cui è la conseguenza. Egli chiama contingenze di rinforzo l'insieme delle situazioni e intera­ zioni che precedono, accompagnano e seguono immediatamente il comportamento. È rinforzante tutto ciò che aumenta la probabilità di emissione di una risposta. Il rinforzo positivo (per esempio, cibo) è un evento che rinforza le risposte ( schiacciamento di una leva) oche determinano la presentazione dello stimolo rinforzante, mentre il rin­ forzo negativo ( per esempio, assenza di shock doloroso) è quello che rinforza le risposte (fuga, evitamento ) che rimuovono la presentazio­ ne dello stimolo avversivo. Il primo è presentato contingentemente all'operante, il secondo è tolto contingentemente all'operante. Gli sti­ moli avversivi (punizione) possono distinguersi dai rinforzi negativi se vengono usati per sopprimere delle risposte indesiderate. Questo modello, al pari di quello pavloviano, può essere notevol­ mente complicato ( per il tipo di rinforzi e per le modalità sperimen­ tali ) dando un quadro assai complesso del comportamento e dell' ap­ prendimento. Anch'esso può essere applicato al linguaggio che è sot­ toposto alle leggi dell'apprendimento e che può gestire il comporta­ mento umano mediante "regole" che descrivono verbalmente le con­ tingenze di rinforzo senza che queste abbiano mai toccato realmente l'individuo. Varie sono state le influenze di questo modello nelle terapie com­ portamentali: dall'uso sistematico del rinforzo sociale all'intervento sull'ambiente sociale per modificare le contingenze di rinforzo, all' ela­ borazione sistematica di tecniche come la Token Economy e il Social 88

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Skill Training. Kohlenberg e Tsai ( I 99 I ) hanno da qui elaborato una specifica psicoterapia (Functional Analytic Psychotherapy) e Hayes et al. ( I 987, I 989, I 990, I 992 ) un'altra chiamata Acceptance and Committment Psychotherapy (cfr. Meazzini, I 995 ) . Due modelli possono essere considerati dei momenti di passaggio dal comportamentismo più onodosso al cognitivo-componamenti­ smo. Uno è il comportamentismo sociale paradigmatico di Staats ( I 975, I 988 ) che vede i processi cognitivi come epifenomeni e solo talvolta come causa dei comportamenti, e comunque come eventi costruiti se­ condo le leggi dell'apprendimento . L'altro è l'apprendimento sociale di Bandura ( I 969) che vede nei processi cognitivi una tra le cause co­ stanti del componamento e non mostra difficoltà a usare il linguaggio cognitivista. Il lavoro di Staats è volto a trovare punti d'accordo fra il condizionamento classico e quello operante e a elaborare un unico modello teorico molto più articolato ed estensibile dei precedenti; nella sua teoria trifunzionale dell'apprendimento ogni stimolo contempo­ raneamente attiva, rinforza e dirige l'organismo. Uno stimolo interno o esterno, che provoca innatamente o mediante condizionamento classico una risposta vegeto-emozionale, acquisisce anche la funzione di rinforzo ed elicita inoltre una risposta direzionale di avvicinamento o allontanamento . La risposta emozionale ha una funzione di raccor­ do ed è al centro di questa sintesi, ove praticamente gli stimoli attivi ( anche cognitivi, verbali e non verbali ) possono diventare numero­ sissimi. Il componamentismo paradigmatico contribuisce alla TC in tre modi (Meazzini, I 995 ) : a ) con modelli esplicativi elaborati per spiegare i fenomeni patologi­ ci; b ) con una proposta tassonomica fondata sul concetto di personalità; c) con strategie d'intervento in pane comuni ad altre forme di com­ ponamentismo, in pane originali. Ci sembra opponuno soffermarci qui sull'interpretazione del con­ cetto di personalità, data la sua importanza clinica. Secondo Staats ( I 988 ) la personalità è un insieme di abilità che possono formare tre repenori componamentali di base: a) emozionale-motivazionale, costituito dagli stimoli interni ed ester­ ni che elicitano risposte emozionali con valore rinforzante e che for­ mano il sottosistema motivazionale della persona; b ) senso-motorio ( sottorepenori: attentivo, senso-motorio in senso stretto e senso-motorio imitativo ) , nel cui interno si realizzano le abi­ lità sociali che permettono alla persona di fronteggiare l'ambiente so­ ciale e le sue aspettative;

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c) linguistico-cognitivo, formato da una serie di sottorepertori che sarebbero la base del funzionamento dei processi cognitivi quali il ragionamento e l'elaborazione dei concetti tra cui quello del Sé e del­ la concezione del mondo. Questi repertori si influenzano reciprocamente e possono contem­ poraneamente essere causa ed effetto del comportamento e dell' ap­ prendimento. È questa duplice possibilità che produce la relativa sta­ bilità di comportamenti consolidatisi e stratificati nel tempo e l'insta­ bilità relativa a fattori stimolanti contingenti. La concezione di Staats ha in comune con quella di Bandura il progetto di superare il tradi­ zionale comportamentismo ( S-R) e di avere una visione deterministi­ ca, circolare e interattiva degli eventi . Più conosciuta è la teoria dell'apprendimento sociale di Bandura ( I 976, I 977a) . Questa teoria si presenta da un lato come una sintesi del condizionamento classico e operante e dall'altro introduce varia­ bili cognitive, facendo perno sull'apprendimento vicario e sui processi simbolici e autoregolatori. Secondo Bandura, il funzionamento psico­ logico avviene attraverso un determinismo circolare o reciproco ove fattori ambientali, fattori personali ( in particolare eventi interni e co­ gnitivi) e il comportamento dell'individuo si influenzano e determina­ no reciprocamente. Questa teoria, che si colloca in una visione siste­ mica, dà notevole importanza ai fattori cognitivi. Nell'apprendimento per osservazione di un modello (che Bandura considera il più fre­ quente e tipico), due sono i momenti essenziali: a ) l'acquisizione che avviene mentre il soggetto osserva il modello

(no-trial learning ); b ) l a prestazione (performance) successiva alla precedente che però riceve rinforzi estrinseci, vicari o autorinforzi. Bandura pone poi l'accento sul fatto che l'uomo non subisce solo l'influenza dell'ambiente, ma a sua volta tende a modificarlo. In que­ sta prospettiva i processi cognitivi sono importanti non solo nell'ap­ prendimento, ma anche nell'autoregolazione del comportamento che viene determinata dalla rappresentazione del fine, dall'aspettativa, dall 'anticipazione delle conseguenze e dagli autorinforzi. n pensiero tende poi a rendersi indipendente dagli stimoli ambientali, concreti e immediati, e cerca momenti di verifica prevalentemente nelle proprie regole logiche e in quelle della sua cultura ( modellamento simbolico) . Un ultimo concetto infine caratterizza il pensiero di Bandura ( I 977a ) , quello della sel/-efficacy Oa percezione della propria efficacia personale) . Questa percezione, elaborata cognitivamente mediante autovalutazioni, attribuzioni e previsioni, sarebbe la determinante di

3 · LA PSICOTERAPIA COMPORTAMENTALE E COGNITIVO-COMPORTAMENTALE

tutti i comportamenti. Correggere le distorsioni dell'autoefficacia sa­ rebbe un punto cruciale per ogni terapia comportamentale e ciò av­ verrebbe mediante l'azione, l'osservazione del modello, la ristruttura­ zione cognitiva e la riduzione dell'attivazione emotiva. Sanavio ( I 99 I ) elenca le ragioni e le modalità del passaggio dal comportamentismo al cognitivismo. In realtà Wolpe sottolineava po­ lemicamente che mai i comportamentisti hanno pensato di non pen­ sare o che i loro clienti non pensassero. E Meazzini ( I 995 ) osserva che ogni terapia o tecnica comportamentista coinvolge aspetti cogniti­ vi a cominciare dalla desensibilizzazione sistematica. n problema è come analizzare con una metodologia scientifica gli "eventi privati", cosa che si è iniziata a fare negli ultimi decenni a cominciare con la Human Informational Processing. Ma il comportamentismo anche più ortodosso si era già orientato verso questi problemi e, oltre alle cose già dette, ricordiamo i coverant di Homme (comportamento operante nascosto: immagini, pensieri, ricordi ecc. ) e tutte le tecniche proposte da Cautela sul comportamento covert. n comportamentismo scivola lentamente nel cognitivismo e insieme si integrano, ove possi­ bile, o si sovrappongono, dando luogo al cognitivo-comportamenti­ smo. Secondo Meazzini ( I995 ) le diversità &a comportamentismo e cognitivismo possono essere sintetizzate in alcune proposizioni: a) il tempo dedicato a modificare l e cognizioni; b ) la marginalità o centralità causale delle cognizioni rispetto al com­ portamento; c) l'ottica del neopositivismo logico ( S-R) o quella pragmatica ed evoluzionistica (condizionamento operante) rispetto a quella costrutti­ vista (cognitivismo); d) la diversa derivazione del procedere prevalentemente dal labora­ torio (comportamentismo ) o dalla clinica (cognitivismo ) . Fra i poli estremi, comportamentismo radicale e cognitivismo co­ struttivista, oscilla il cognitivo-comportamentismo. Gli assunti e le ca­ ratteristiche che unificano l'approccio cognitivo-comportamentale so­ no i seguenti.

Assunti: I . il soggetto elabora una rappresentazione mentale della realtà ed è a questa che si riferiscono le sue reazioni. 2 . Eventi cognitivi, emozioni e comportamenti si influenzano reci­ procamente e ogni sistema può subire o provocare cambiamenti negli altri due. 3 . L'apprendimento si verifica sempre attraverso una mediazione cognitiva.

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4· È possibile modificare il comportamento modificando eventi co­ gnitivi (pensieri disfunzionali) , processi cognitivi (meccanismi di pen­ siero) e strutture cognitive ( assunzioni e credenze profonde) .

Caratteristiche: a ) integrazione di strategie comportamentiste e cognitiviste, anche se l'obiettivo finale sono i cambiamenti cognitivi;

b ) verifica empirica dei risultati terapeutici; c) terapia breve nel tempo; d) natura pedagogica e direttiva dell'intervento. Il termine cognitivo-comportamentismo, coniato negli anni Set­ tanta - Ottanta da autori diversi (Kendall, Hollon 1 979; Mahoney, 1 974; Meichembaum, 1 986) , a parte iniziali polemiche, ci sembra oggi diventato un punto di riferimento di studiosi provenienti da va­ rie aree. Per quanto riguarda l'influenza sulla psicoterapia ci sembra che, oltre all'impostazione strategica e all'apertura e flessibilità teorica ed empirica, vi sia stato un notevole arricchimento di tecniche e pro­ cedure.

3·3

Il modello clinico

Dal punto di vista dell'intervento psicoterapeutico ci sembra utile schematizzare i fattori messi in gioco nel comportamento umano. Co­ me si è detto, sia nello sviluppo che nella condotta attuale dell'uomo è centrale il suo rapporto con l'ambiente sia naturale che, soprattut­ to, sociale. È opportuno tener presente che sia l'individuo sia l' am­ biente, e la loro relazione, hanno una storia che va analizzata in mo­ do diacronico. Contemporaneamente è necessario considerare anche l'esistenza di una realtà sincronica relativamente stabile, strutturatasi nel tempo, costituita dai tratti biopsicologici dell'individuo, dalle re­ gole della società e della natura, e dalla relazione attuale con l' am­ biente interno ed esterno . Il modello proposto nella FIG. 3 . 1 prevede una continua intera­ zione e un'influenza reciproca fra questi elementi, e l'attenzione dello psicoterapeuta è focalizzata prevalentemente sull'individuo di cui ana­ lizza i comportamenti, pensieri ed emozioni, senza dimenticare la sua realtà biologica. Questi fattori psichici sono fra loro strettamente in­ teragenti e interdipendenti, di modo che non è possibile modificare un fattore senza influire in qualche modo sugli altri. L'elaborazione, la modifica, il mantenimento, la differenziazione o l'estinzione dei comportamenti motori o verbali, cognitivi o emotivi sono in gran parte regolati dalle leggi dell'apprendimento. I comportamentisti per-

3 · LA PSICOTERAPIA COMPORTAMENTALE E COGNITIVO-COMPORTAMENTALE

FIGURA J . I

Modello d'interazione biopsicosociale nell'uomo. Fattori rilevanti nelle psicotera­ pie cognitivo-comportamentali e possibili livelli d'intervento INDIVIDUO Tratti personologici acquisiti stabilmente Abitudini Abilità Attitudini Schemi cognitivi

Fattori biologici

Fattori psichici Pensieri

/

i





Comportamenti

......

Innati Acquisiti

Emozioni

Sviluppo storico personale Sviluppo della relazione

AMBIENTE Regole sociali Regole ecologiche

Fattori sociali Ambiente

Microsocietà

Ambiente

culturale

Macrosocietà

naturale

Sviluppo storico familiare e sociale

tanto considerano centrale l'apprendimento sia nell'instaurarsi di comportamenti devianti che nell'intervento psicoterapeutico. Inoltre, benché i comportamentisti considerino molto importante conoscere la catena degli eventi che nella storia del soggetto ha portato al compor­ tamento problematico, essi rivolgono la loro attenzione particolar­ mente all'attualità, nella convinzione che un cambiamento stabile sia realizzabile qui e ora, senza dover presumere di intervenire su un passato ormai vissuto e lontano. Privilegiando i problemi attuali, il cliente apprende a identificare e a modificare i propri comportamenti disfunzionali imparando ad autoregolarsi anche per il futuro . È possi­ bile pensare che la soluzione di un problema attuale, se fatta critica­ mente in modo esteso e radicale, possa riflettersi anche nel passato togliendo problematicità a quelle esperienze che finiranno con il ri­ manere un ricordo sempre meno significativo. Per la legge della ge­ neralizzazione e dell'influenza reciproca, modificando alcuni aspetti critici di un comportamento, si realizzano cambiamenti anche in altri settori, con un ampliamento dell'effetto terapeutico che non richiede di inseguire i mille rivoli del comportamento umano. Nella psicotera-

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PSICOTERAPIE

pia vi è un punto cnttco ove il miglioramento si fa generale svilup­ pandosi rapidamente e quasi spontaneamente. Il cambiamento migliorativo si generalizza e sembra percorrere in senso inverso quella generalizzazione che aveva caratterizzato lo svi­ luppo psicopatologico. 3 .3 . 1



Spiegazione dello scompenso psicopatologico

n comportamento di un cliente, nelle sue diverse dimensioni, può risultare nella norma o essere abnorme, può essere adattivo o disa­ dattivo rispetto alle finalità dell'individuo e della società e può gene­ rare sofferenza al soggetto stesso, agli altri o a entrambi. Un compor­ tamento abnorme non è tuttavia sempre patologico. I comportamenti patologici sono definiti convenzionalmente dalla psichiatria e rappre­ sentano delle costellazioni di comportamenti abbastanza ben identifi­ cabili nella nosografia. Tuttavia a volte è difficile e forse non del tut­ to lecito distinguere un comportamento semplicemente abnorme da uno patologico. Le emozioni negative e la sofferenza sono spesso il punto di par­ tenza che conduce a un approccio psicoterapico. I disturbi emotivi si esprimono con comportamenti neurovegetativi, motori e verbali ca­ ratteristici che influenzano un comportamento più generale e com­ plesso, nell'interazione uomo-ambiente. Da questo comportamento i disturbi emotivi a loro volta possono essere determinati e mantenuti, e il comportamento stesso è considerato un disturbo. Da un punto di vista comportamentista la sequela di comportamenti che porta alla sofferenza patologica può essere determinata, nella relazione dell'indi­ viduo con il suo mondo interno o con quello esterno, da un appren­ dimento disadattivo, in quanto o deficitario o abnorme. Gli eventi della vita portano un soggetto ad apprendere comportamenti normali o abnormi, e nell'interazione il soggetto appare inoltre attivo nel mo­ dificare adattivamente o disadattivamente l'ambiente che lo circonda. Per le leggi del condizionamento stimoli o rinforzi ( anche parziali o simbolici) possono scatenare o mantenere il comportamento proble­ matico . Nel corso dell'esistenza un individuo acquisisce una serie di abilità sociali, di competenze e di attitudini che costituiscono una modalità generale e aspecifica di reagire agli stimoli ambientali e di regolare attivamente il comportamento. Questi aspetti più basali e stabili rappresentano per cosl dire dei "tratti di personalità" anch'essi appresi e mantenuti ora in modo adeguato ora abnorme. Essi co­ munque influenzano notevolmente la reattività specifica agli eventi at­ tuali.

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3· LA PSICOTERAPIA COMPORTAMENTALE E COGNITIVO-COMPORTAMENTALE

Importanza sempre maggiore ha acquisito negli ultimi decenni il ruolo delle cognizioni nell'ambito della psicologia e della psicoterapia; i comportamentisti e soprattutto i cognitivo-comportamentisti accetta­ no in gran parte le formulazioni teoriche della psicologia cognitivista e le tecniche e le procedure della psicoterapia cognitiva integrandole con quelle comportamentiste. Pur dando ora più peso alle une ora alle altre, dal punto di vista terapeutico non ci sembra facile separare i due approcci che a nostro avviso concorrono al medesimo risultato. Resta comunque acquisita l'importanza delle cognizioni che mediano e regolano emozioni e comportamenti. Esse consistono nella forma­ zione, nell'organizzazione e nell'utilizzazione della conoscenza di se stessi e del mondo esterno. L'informazione viene selezionata ed ela­ borata a livello mentale mediante schemi mentali situati nella memo­ ria a lungo termine. Questi schemi, che contengono la conoscenza su se stessi e il mondo, guidano l'attenzione e la percezione selettiva degli stimoli esterni e permettono un più adeguato adattamento al mondo interno ed esterno dell'individuo. Essi rappresentano l'orga­ nizzazione della conoscenza sulla base di esperienze passate, che può modificare la percezione e l'attenzione, nonché l'elaborazione di nuo­ ve conoscenze, e quindi sono un filtro personale per interpretare la realtà, o per costruirla, sulla base delle caratteristiche di ogni indivi­ duo. È evidente che nell'ambito psicoterapeutico è importante cono­ scere le modalità di percepire, memorizzare, pensare e prendere delle decisioni da parte dei nostri clienti. Rendere coscienti schemi, mecca­ nismi di pensiero e pensieri disfunzionali, e ristrutturare l'attività co­ gnitiva del paziente, è quindi centrale nelle terapie cognitivo-compor­ tamentali. Il doppio legame che esiste fra cognizioni, emozioni e azio­ ni, da un lato conferisce un significato e un valore ai pensieri, e dal­ l' altro pone il problema di poterli modificare ( o cambiarne il valore) non solo per via cognitiva ma anche modificando emozioni e com­ portamenti. Il risultato finale deve essere un cambiamento cognitivo, che, date queste strette correlazioni, diventa un cambiamento globale del comportamento del soggetto e del suo rapporto con il proprio mondo interno ed esterno .

3 · 3 · 2 · n modello dell'intervento terapeutico I modelli possono essere vari a seconda della diagnosi, della sintoma­ tologia, delle aspettative e dei problemi portati dai pazienti. Possono essere individuali o di gruppo, e possono variare anche a seconda delle preferenze e convinzioni del terapeuta. Qui riportiamo in sintesi 95

PSICOTERAPIE

le linee direttrici di un intervento individuale di tipo cognitivo-com­ portamentale in soggetti nevrotici (disturbi d'ansia, depressione, di­ sturbi psicologici connessi a malattie somatiche) , che mediamente noi mettiamo in atto nella nostra attività professionale. Per gli interventi su psicotici rimandiamo ad altri lavori (Goldwurm et al. , 1987).

Caratteristiche del contratto e del setting terapeutico Le sedute si svolgono in uno studio con delle poltrone, un tavolino o una scrivania, e una poltrona relax. Vi è la possibilità di modulare l'illuminazione e la stanza è poco rumorosa. Normalmente le sedute si svolgono faccia a faccia, ma la disposizione del terapeuta e del cliente può variare a seconda che la terapia sia più direttiva o più collaborativa, o nel caso che si usino particolari tecniche (relax, role­ .playing, modeling ecc. ) . La durata delle sedute è di circa un'ora e la loro frequenza è settimanale o più raramente bisettimanale. Oltre al lavoro in seduta, il cliente a seconda dei casi sarà invitato a fare un lavoro personale a casa (homework), come raccogliere dati, riempire schede, fare diari oppure fare esercizi di vario tipo. In tal modo si stimola maggiormente la partecipazione attiva del soggetto e le sue capacità di autosservazione e di autocontrollo. Dopo i primi colloqui, quando il caso è abbastanza chiaro al tera­ peuta, nei limiti del possibile e con un linguaggio comprensibile egli proporrà al cliente un contratto terapeutico. Il terapeuta riassumerà quindi i risultati delle sue valutazioni, prospetterà, con molta pruden­ za, la sua interpretazione degli eventi e le sue ipotesi. Delineerà un progetto terapeutico, con obiettivi concreti, utili e raggiungibili. Obiettivi che saranno connessi non solo con i problemi, ma anche con le motivazioni e le aspettative del cliente. Cercherà poi di dare un'idea oltre che delle finalità della terapia, dei principi teorici e delle tecniche che possono essere usate. Anche i tempi, il costo e le proba­ bilità di successo saranno definiti il più esattamente possibile. Nel caso che il cliente abbia altre alternative terapeutiche, si può farle presenti e dargli il tempo per fare le sue scelte. A volte, tuttavia, mentre si hanno chiare le prime tappe della terapia vi può essere una sospensione di giudizio sulle altre, che potranno essere chiarite sol­ tanto nel corso del trattamento e delle successive analisi funzionali. Anche il cliente spesso non è in grado di comprendere il processo terapeutico e le finalità ultime, nella loro interezza. Per cui a volte è preferibile contrattare per stadi o per tappe, basandosi anche sulle sue aspettative e motivazioni. Progredendo l'analisi del suo compor­ tamento e dei suoi problemi, ottenendo i primi risultati e miglioran-

3 · LA PSICOTERAPIA COMPORTAMENTALE E COGNITIVO-COMPORTAMENTALE

do la sua idea di autoefficacia è possibile proporre altre tappe e an­ che una diversa prospettiva terapeutica. Anche l'idea di un cambia­ mento radicale può risultare ostica inizialmente al paziente, che chie­ de soltanto un aiuto per migliorare alcuni suoi disturbi. Inducendo con interventi semplici e direttivi i primi cambiamenti, si può deter­ minare l'esigenza nel cliente di un cambiamento più profondo. Spes­ so modificando i suoi comportamenti si può indurre nel sistema delle sue relazioni eventi nuovi che opportunamente gestiti facilitano l'evo­ luzione della terapia o ne modifìcano il corso. Criteri

diagnostici utilizzati per l'inquadramento del caso

Per la diagnosi clinica normalmente si fa riferimento al DSM IV, anche se alcuni termini sono mutuati dalla tradizionale nosogra6.a psichiatri­ ca italiana. Tuttavia per un'analisi comportamentale e cognitiva utile all'intervento psicoterapeutico non è sufficiente una diagnosi. L' asses­ sment comportamentale e cognitivo è un atto complesso, che solo in parte viene fatto nei primi colloqui. La valutazione continua durante tutto il processo terapeutico, in modo più o meno formale, e serve a vagliare i risultati raggiunti, ma anche a guidare di volta in volta le scelte terapeutiche. Assessment e terapia si intrecciano continuamen­ te, formulando ipotesi di lavoro e verifìcandole poi con correttezza metodologica. Inoltre le valutazioni che il paziente fa di se stesso, l'analisi funzionale comportamentale e cognitiva, la registrazione dei successi ecc. hanno una forte valenza terapeutica di per sé, per cui assessment e terapia nella pratica a volte si confondono. L'assessment va inteso comunque sia come osservazione e misu­ razione, sia come valutazione sperimentale del comportamento. Nel primo caso si possono valutare, secondo Adams, Doster e Calhoun ( 1 977 ) sei sistemi di risposta: motorio, percettivo, biologico, cogniti­ vo, emozionale, sociale. Proposta analoga è quella dell'analisi multimodale di Lazarus ( 1 973 ) . Questo modello è presentato sotto forma di acronimo BASIC m dove B = Behavior, A = Affect, s = Sensation, I = Imagery, c = Cognition, I = Interpersonal relations, D = Drugs. Secondo Laza­ rus, l'analisi di ciascuno di questi aspetti del comportamento permet­ te un intervento multimodale che quanto più è completo tanto più perme�te al soggetto di migliorare e mantenere lo stato di migliora­ mento. Un approccio multidimensionale secondo Sanavio ( 199 1 ) va­ luta tre sistemi di risposte interagenti, ma non sovrapponibili tra lo­ ro: cognitivo-verbale, comportamentale-motorio, psico6.siologico. In sintesi, a nostro avviso, la valutazione va fatta seguendo lo schema 97

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proposto nella FIG . 1 ed è una valutazione biopsicosociale ove lo psi· chico ha tre dimensioni: cognitiva, comportamentale ed emotiva. L'aspetto più caratteristico dell' assessment comportamentale è quello della "valutazione sperimentale", cioè dell'analisi funzionale. Dopo aver classificato un comportamento, l'ulteriore analisi consiste nell'evidenziare i rapporti fra il comportamento problematico e le va· riabili indipendenti che lo mantengono o lo fanno variare. In sostan· za nell'acronimo ABC (Antecedent, Behavior o Belief, Consequence) è riassunta l'analisi funzionale dove un comportamento, nelle sue varie dimensioni, è posto in relazione con gli antecedenti e le conseguen· ze del comportamento stesso. Questa relazione funzionale, seconde O'Brien e Haynes ( ! 993 ) , può essere causale oppure no. Le relazioni funzionali causali fra comportamento problematico ( b ) ed eventi con­ trollanti ( A e c ) sono descritte dalla maggiore probabilità che il com­ portamento si verifichi in presenza dell'evento controllante (probabi­ lità condizionata) . Le relazioni funzionali causali sono un sub-set del­ le relazioni funzionali in generale (probabilità incondizionata o di ba­ se) , ma sono anche le più importanti nell'applicazione clinica dell'as­ sessment comportamentale e cognitivo, e pertanto vanno accurata· mente ricercate. Esse inoltre sono tanto più causali quanto più eleva­ ta è la probabilità condizionata rispetto a quella incondizionata. Que­ sta valutazione probabilistica è congeniale alla formulazione di ipotesi e alla loro verifica. Le connessioni fra gli eventi e la probabilità che si verifichino vanno ricercate nella storia del soggetto, ma vanno anche ipotizzate e verificate sia rilevandole quando si presentano spontanea· mente, sia determinandole introducendo delle variabili e modificandc delle situazioni che presumibilmente stimolano o rinforzano il com­ portamento problematico. Tenendo presente questi principi dell' assessment si inizia esami· nando il problema presentato dal cliente e valutando gli antecedenti immediati Oe circostanze nelle quali compare il disturbo) e le conse­ guenze esterne (rinforzi sociali o ambientali) o interne (pensieri, sen­ timenti, anticipazioni e aspettative) al comportamento problematico. Successivamente si raccoglie la storia del soggetto nelle varie tappe della vita, nei suoi rapporti con la famiglia, le amicizie, gli amori, la scuola, il lavoro, il suo ambiente culturale e naturale. In tal modo si cerca di evidenziare non solo la relazione fra specifici fattori ambien· tali e specifici comportamenti di risposta, ma anche le abilità più ge· nerali del soggetto rappresentate da modelli di comportamento asso­ ciati a date classi di stimoli. Per attuare un buon assessment, lo strumento fondamentale è il colloquio clinico mediante il quale si raccolgono le informazioni, si

3· LA PSICOTERAPIA COMPORTAMEXTALE E COGXITIVO·COMPORTAMENTALE

danno informazioni e si crea la relazione terapeutica, anch'essa fonte di non poche informazioni (cfr. Goldwurm, I 99 7 ) . Per completare e rendere più precise le informazioni si possono usare inventari (per esempio, l'Inventario delle paure) , questionari (per esempio, l'Eysenck Personality Questionnaire) e batterie come il CBA 2 .o (Cognitive Beha­ vioral Assessment) . Assai utile è anche l' assessment psicofisiologico (cfr. Sanavio, I 99 I ) . N eU' assessment comportamentale, oltre all' os­ servazione diretta e indiretta di comportamenti overt e covert, sono utili le procedure di automonitoraggio mediante schede di registrazio­ ne comportamentale e cognitiva, i diari e i sel/-reports. Nell' asses­ sment cognitivo si usa normalmente la registrazione di pensieri di­ sfunzionali con la tecnica a più colonne (evento, emozioni, pensieri automatici, altre interpretazioni possibili ecc . ) , applicata anche quoti­ dianamente. L'uso del videoregistratore può essere utile specie nei trattamenti di gruppo. L'uso del role-playing (simulazione del gioco delle parti) , cosi come le prove di interazione reale o di contatto con lo stimolo, possono dare molte informazioni. Queste e altre modalità d'indagine sono usate nel nostro approccio (cfr. Sanavio, I 9 9 I ) . Qui ci limitiamo a ripetere che nel contesto psicoterapeutico la maggior quantità di informazioni ci viene dal contatto diretto con il paziente, dal suo modo di comunicare verbalmente o non verbalmente, dalle sue parole, dai suoi silenzi, dai suoi racconti, dalle sue interpretazioni e dal come noi percepiamo la relazione interpersonale.

Andamento generale del processo terapeutico La psicoterapia può essere descritta come un complesso processo co­ gnitivo, emotivo, comportamentale e sociale di cambiamenti in un contesto interpersonale (Kanfer, Schefft, I988 ) . L'approccio cogniti­ vo-comportamentale presenta alcune caratteristiche, per altro assolu­ tamente non rigide. La terapia si definisce breve prospettando cam­ biamenti entro i primi sei mesi e se necessario cambiamenti più so­ stanziali entro un anno o due. È una terapia direttiva ( il terapeuta assume il ruolo di "insegnante" o di consigliere esperto) , però con vari gradi di direttività, a seconda del caso. Successivamente tende a diventare più collaborativa ( terapeuta e cliente collaborano per risol­ vere i problemi) . Il terapeuta fin dall'inizio cerca di coinvolgere il cliente nel pro­ cesso terapeutico, di attivizzarlo, di renderlo autonomo e capace di autogestirsi. Lo stile terapeutico è molto flessibile, aderente al caso concreto, ai comportamenti più che alle categorie diagnostiche, obiet­ tivo e metodologicamente critico. La terapia mira a modificare i com99

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portamenti e le emozioni disadattivi, nonché la mediazione cognitiva e lo stile cognitivo in generale. Il terapeuta inizialmente cerca di sta­ bilire le condizioni generali perché i processi di apprendimento pos­ sano agire nel cliente. L'interazione fra terapeuta e cliente ha un ruo­ lo importante in questo e nei processi di cambiamento, come hanno messo in rilievo vari autori (Wolpe, Lazarus, 1 966; Kanfer, Phillips, 1 970; Wilson, Evans, 1 977 ) . La possibilità di disporre di numerose tecniche nel contesto psi­ coterapeutico è una caratteristica dell'approccio cognitivo-comporta­ mentale. All'inizio l'approccio è più generico, tende alla diagnosi, al­ l' assessment, a percepire le motivazioni, le aspettative, la disponibilità al cambiamento del cliente e a fornirgli una base sicura, e cioè sicu­ rezza, fiducia e credibilità, stabilendo una buona relazione terapeuti­ ca. Successivamente può essere privilegiato un metodo prevalente­ mente comportamentista o cognitivista o misto. Schematicamente è più opportuno adottare all'inizio un approccio comportamentista per poi proseguire con quello cognitivista. Tuttavia è facile rendersi con­ to come in tutto il processo terapeutico principi e metodi dell'uno e dell'altro tipo si affianchino e spesso si sintetizzino nella mente del terapeuta e del cliente prevalendo solo momentaneamente l'uno sul­ l'altro . Per meglio spiegare il processo terapeutico lo descriveremo suc­ cintamente per fasi, richiamandoci a quelle indicate da Kanfer et al. (riassunte in Schaap et al. , 1993 ) , ma avvertendo che tutto ciò è pu­ ramente indicativo. Nella prima fase si ascolta il problema del cliente e si procede all' assessment, alla raccolta dei dati anamnestici, di quelli testali e delle notizie provenienti dall'ambiente. Le prime battute so­ no importanti perché sono volte anche a creare una relazione di fidu­ cia, precondizione per una terapia efficace. Inoltre il pattern d'intera­ zione terapeuta-cliente una volta stabilitosi tende a rimanere stabile nel corso del trattamento. Il terapeuta deve avere un atteggiamento empatico ed accettante. Cerca di entrare nel mondo concettuale del soggetto e di conoscerlo e capirlo il più completamente possibile. Raccoglie informazioni con domande finalizzate ora aperte ora chiu­ se. La comunicazione e le autoaperture, in questa fase, avvengono in modo asimmetrico. Lo stile di comunicazione del terapeuta è impor­ tante: sottolineare o ignorare parti del racconto, fornire feedback, riassumere e rilanciare il dialogo. Anche il contatto oculare deve esse­ re modulato, né troppo invadente, né distratto o assente, con tutte le sfumature delle comunicazioni non verbali. Esprimendo simpatia e riflessione sui problemi del cliente si eviteranno valutazioni negative e critiche, accettando il suo mondo senza valutario. Se il paziente au100

3 · LA PSICOTERAPIA COMPORTAMENTALE E COGNITIVO-COMPORTAMENTALE

menta la sua fiducia, accetta la divisione dei ruoli e riconosce nel terapeuta un esperto che può aiutarlo. Questi esamina il realismo delle sue aspettative e dà spiegazioni finalistiche al riguardo, cerca di modulare le motivazioni e la disponibilità al cambiamento, illustra i processi che ci si aspetta, fornisce spiegazioni e porta esempi che ser­ vono da modello. Gli ingredienti della seconda fase servono ad aumentare ulterior­ mente volontà e fiducia nel cambiamento. Si induce il cliente ad aspettarsi che il cambiamento sia possibile. Aumentare la self-efficacy è un passaggio essenziale in psicoterapia, come osservava Bandura. Per far questo si "rinforzano" ed enfatizzano i comportamenti positi­ vi ed efficaci che il paziente riferisce, anche quelli relativi alla sua vita passata. L'azione di "supporto" del terapeuta è mantenuta elevata (valutazioni positive, incoraggiamenti, affermazioni di conforto) . Con­ tro la demoralizzazione serve discutere vantaggi e svantaggi della pre­ sente situazione, prospettare e informare sugli aspetti della sua modi­ ficazione, sul contenuto e sul processo di cambiamento. Nella terza fase, dopo aver stabilito il quadro generale del tratta­ mento si fa un'analisi comportamentale più approfondita del proble­ ma e si comincia a introdurre un modello esplicativo per i comporta­ menti problematici. Partendo dal quadro referenziale del cliente lo si conduce a piccoli passi verso il proprio. È importante che il paziente accetti un modo funzionale di considerare attitudini e comportamen­ ti. Le "spiegazioni" ora finalizzate all'analisi funzionale possono ba­ sarsi su esempi della vita del paziente stesso e sulla ridescrizione del problema. L"'interpretazione" degli eventi si basa sulla loro descrizio­ ne in termini delle teorie dell'apprendimento. Si cerca in sostanza di far imparare al cliente a ragionare come il terapeuta e ad assumere il suo modello interpretativo. Questo processo si prolunga nella quarta fase quando si elabora un programma di trattamento. Costruendo un preliminare modello condizionato si spiega al cliente l'origine e i fattori di controllo del problema. Il modello va adattato al paziente e va reso plausibile nella sua realtà. Si chiariscono i problemi centrali, le connessioni biopsico­ sociali, l'origine, i fattori di controllo esterni ed interni e i possibili cambiamenti, elaborando delle ipotesi realistiche. Si deducono poi gli interventi terapeutici bersaglio e si descrivono le tecniche proposte, il loro uso, i loro effetti e il loro significato. Già nelle precedenti fasi le spiegazioni potevano avere determinato una certa dissonanza cogniti­ va nel cliente. Se lui ora accetta questo modello può verificarsi un aumento della dissonanza poiché il modello implica la possibilità di cambiamento, e quindi egli esperimenta contraddizione e tensione

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PSICOTERAPIE

emotiva. Questo può determinare una forte spinta terapeutica che, se usata opportunamente, può indurre il cambiamento di attitudini e comportamenti problematici. Fase quinta: conduzione del trattamento. Nell'ambito della tera­ pia pianificata si possono introdurre nuove proposte e tecniche. Spesso questi mutamenti, anche momentanei, sono suggeriti da even­ ti imprevedibili nella vita del paziente, da mutamenti repentini del suo sistema di relazioni, o da suoi improvvisi cambiamenti. Il tratta­ mento non deve mai essere rigido e schematico, ma flessibile e ade­ rente alla realtà dinamica. Come il programma cosi pure le modifica­ zioni di decorso devono rispettare il livello di tolleranza al cambia­ mento del cliente. I passi terapeutici non devono essere troppo diffi­ cili né di eccessivo costo per il paziente. n successo nei piccoli com­ piti significa facilitare quello per compiti più importanti e difficili . Questa fase è caratterizzata dai "consigli" e dalle "riflessioni" , mentre diminuiscono le affermazioni empatiche. Si va instaurando, meno di­ rettivamente, una collaborazione centrata sul metodo ipotetico dedut­ tivo del problem solving. Una particolare attenzione va posta alle in­ fluenze disturbanti, al rischio di fallimento per drop out, non com­ pliance, resistenze ecc . Normalmente a un alto livello di supporto cor­ risponde un basso livello di resistenza. In ogni caso tutto ciò va rico­ nosciuto e vanno elaborate in tempo soluzioni razionali . Vi sono va­ rie strategie per maneggiare la resistenza, come ad esempio le pre­ scrizioni paradossali o l'offerta di false alternative. La sesta fase sottolinea il monitoraggio e la valutazione del pro­ gresso, cosa per altro da farsi in varia misura in tutto il corso della terapia. A ogni stadio dell'apprendimento i clienti vanno sensibilizzati e abituati a rilevare i progressi verso l'obiettivo terapeutico. Compito del terapeuta è " supportare" questo processo dando feedback positivi a ogni cambiamento avvenuto, riconoscendo innanzitutto i cambia­ menti raggiunti e prospettando il modo di affrontare l'obiettivo tera­ peutico. È noto che dimostrare la capacità di cambiamento incorag­ gia a ulteriori tentativi. Le riflessioni e i confronti aiutano notevol­ mente in questa fase a comprendere il processo terapeutico. La fase settima prende in considerazione la generalizzazione del processo e la dissoluzione del legame terapeutico. Il terapeuta diven­ ta sempre meno direttivo e sempre più collaborante e supportivo. Il paziente ha fatto proprio, almeno in parte, lo stile del terapeuta, le sue interpretazioni, le sue ipotesi, le modalità di intervento e di veri­ fica. n terapeuta quindi rinforzerà le abilità di autoaiuto del cliente. Mano a mano che quest'ultimo aumenterà le sue capacità di autocon-

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3· LA PSICOTERAPIA COMPORTAMENTALE E COGNITIVO-COMPORTAM ENTALE

trollo e di autogestione, il controllo del terapeuta andrà lentamente a ridursi fino a essere superfluo. Quando il cliente si sente sicuro di poter maneggiare i problemi, magari con l'aiuto di persone del suo ambiente, la terapia può dirsi in via di conclusione. La conclusione tuttavia può avvenire lentamente diradando fino a esaurimento gli in­ contri, ponendo però attenzione alla prevenzione delle ricadute, indi­ viduando cioè situazioni che abbiano un alto rischio di far ricadere in attitudini e comportamenti problematici . Questo modello fasico naturalmente non è rigido e prevede che le fasi possano allungarsi, accorciarsi o talvolta non essere ben distinte. Anche gli incidenti di percorso vanno previsti, specie all'inizio quando i primi approcci e i primi cambiamenti possono dar luogo a crisi o nel paziente o nel suo ambiente relazionale. Inoltre, come si è detto, conoscenze o fatti nuo­ vi durante il percorso terapeutico possono indurre a modificazioni anche notevoli nella strategia e perfino negli obiettivi da perseguire.

Principali aspetti tecnici del trattamento Caratteristica degli interventi cognitivo-comportamentali è l'uso di numerose tecniche per modificare comportamenti, emozioni e cogni­ zioni. Esse derivano storicamente dai vari modelli di apprendimento . Tuttavia le principali tecniche possono talvolta essere interpretate in modi diversi. Si potrebbe dire che un buon terapeuta possieda un certo numero di tecniche utilizzabili nel suo progetto terapeutico adattabili alle circostanze e interpretabili a seconda del suo approccio teorico, in modo da costituire un tutto armonico e coerente; esse non devono risultare meccaniche, rigide e avulse dal contesto relazionale. Anche la loro spiegazione ( principi, modalità ed effettO va fatta al cliente con molta accuratezza affinché esse possano essere capite e accettate; non calate su di lui in modo magico, o forzoso, ma propo­ ste come conseguenza logica dell'impostazione terapeutica. Per dare un'idea delle tecniche, ne nomineremo alcune suddivise con i criteri adottati nel Trattato a cura di Meazzini ( 1 984 ) .

Tecniche che aumentano la probabilità di emissione di un comportamento Quando il comportamento è già nel repertorio del cliente si usano i rinforzamenti overt (eventi oggettivi) positivi o negativi, oppure i rin­ forzamenti covert (eventi soggettivi, per esempio immagini) positivi o negativi. Quando si devono costruire nuovi comportamenti o abilità comportamentali non possedute dal soggetto si usa il modellaggio (shaping) , il concatenamento (chaining ) , il suggerimento (prompting ) ,

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la guida fisica, il confronto (matching ) e l'attenuazione dello stimolo

(fading) . Tecniche che riducono la probabzlt'tà di emissione di un comportamento Quando si desidera eliminare un comportamento disadattivo si pos­ sono applicare tecniche che si richiamano all'estinzione sia nell'ottica pavloviana che skinneriana. Interessante qui ricordare l'estinzione co­ vert suggerita da Cautela ( I97I ) . Anche la desensibilizzazione siste­ matica può essere catalogata in questo gruppo malgrado la sua relati­ va complessità. Cosi pure il flooding, la punizione, il time out, il costo della risposta, l'ipercorrezione (overcorrection) e la sensibilizzazione covert di Cautela ( I 967 ) . Infine le tecniche dell'arresto del pensiero, dell'esposizione in vivo e della prevenzione della risposta.

Tecniche che aumentano o riducono la probabtlità di emissione di un com­ portamento Di questo gruppo ad azione più complessa, ove contem­ poraneamente alla riduzione di un comportamento disadattivo si eli­ cita un comportamento adattivo incompatibile con il precedente, fan­ no parte tecniche per il controllo da parte dello stimolo, il rinforza­ mento differenziale, il controllo degli operanti covert e soprattutto il modellamento (modeling) che si richiama all'apprendimento sociale di Bandura ( I 969) .

Tecniche composite In questo gruppo s1 mseriscono tecniche ancora più complesse e molto diffuse come il training di assertività, la token economy, la stress inoculation, le tecniche di problem solving, l'addestra­ mento all'autoistruzione e all'autocontrollo e le tecniche con biofeed­ back. A queste tecniche vanno aggiunte quelle più tipicamente cogni­ tive, come la ristrutturazione cognitiva, le tecniche di modificazione immaginativa (Sacco, I989 ) , quelle cognitive usate da Beck ( Sanavio, I 99 I ) ecc. Chi conosce la maggior parte delle tecniche nominate non può non riconoscere l'esistenza di molti elementi cognitivi nelle tecniche comportamentiste e viceversa. Basti pensare all'uso dell'immaginazio­ ne nella desensibilizzazione sistematica o nella stress inoculation e in tutte le procedure covert. Cosi le cognizioni sono l'ingrediente princi­ pale nel modellamento, nell'autoistruzione e autocontrollo, nel pro­ blem solving e anche in tecniche di altra derivazione come il training autogeno, l'ipnosi, l'uso di metafore e di analogie. Viceversa nelle tecniche cognitive vi è sempre un quantum di comportamentale. Vale per tutte la regola del rinforzo che è talmente ubiquitaria da essere I 04

3 · LA PSICOTERAPIA COMPORTAMENTALE E COGNITIVO-COMPORTAMENTALE

una procedura implicita o esplicita in tutto il percorso delle terapie cognitivo-comportamentali.

3 . 3 . 3 . La relazione terapeutica Benché i terapeuti del comportamento abbiano sempre considerato il buon rapporto con il cliente un elemento utile per una migliore riu­ scita della terapia (Wolpe, 1 958, 1 9 8 2 ) , è in epoca abbastanza recen­ te che viene focalizzata e studiata la relazione terapeutica in campo comportamentista. Possiamo dire con Sanavio ( 1 99 1 ) che in un pri­ mo momento gli studi comportamentisti erano orientati a dimostrare il primato delle tecniche e la relazione terapeutica non era considera­ ta né necessaria né sufficiente, ma soltanto utile in qualche circostanza. Negli anni Sessanta due modelli si fanno strada. D primo (condi­ zionamento operante) considera il terapeuta come una potente sor­ gente di stimoli discriminativi e di rinforzi, utile per realizzare il pro­ gramma di modificazione del comportamento del paziente. Il secon­ do (apprendimento sociale) vede il terapeuta come un modello posi­ tivo da cui il cliente apprende. La relazione terapeutica è utile dun­ que in quanto il comportamento del terapeuta è fonte di rinforzi e modella il cliente. Negli anni Settanta questo schematismo tende a venir abbandonato e la relazione terapeutica viene vista come una pluralità di "variabili di relazione" fra cui trovano posto le aspettative e i fattori di personalità sia del terapeuta che del paziente. Inoltre la relazione terapeutica viene considerata come un'interazione mediante la quale si possono apprendere modalità relazionali non disfunzionali. Per Bancroft ( 1 976) la relazione terapeutica è una "relazione adulto­ adulto": il terapeuta fornisce le conoscenze tecniche che il cliente ri­ chiede. È una relazione simile a quella consulenziale dove il terapeuta deve mostrare competenza professionale e interessamento, mentre il paziente è considerato adulto e competente per utilizzare l'aiuto che gli viene offerto. Anche Beck ed Emery ( 1 985 ) considerano la rela­ zione terapeutica come il rapporto fra due persone che cercano di risolvere un problema collaborando come fossero un gruppo di ricer­ ca scientifica (ricercatore e supervisore) . In un recente libro sulla relazione terapeutica in psicoterapia comportamentale, Schaap et al. ( 1 993 ) riportano una grande quantità di lavori sull'argomento e dimostrano la complessità del problema an­ che dal punto di vista cognitivo-comportamentale. Ci limiteremo in questa sede a riferire alcune osservazioni che condividiamo anche per esperienza personale. La messa in movimento di un processo tera105

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peutico, la definizione dei ruoli e lo stabilirsi di un'alleanza terapeuti­ ca è spiegabile da un intreccio fra teorie psicosociali e teorie dell' ap­ prendimento. L'interazione terapeutica è vista inizialmente come uno scambio tra due persone (teoria dello scambio) : da un lato entra in gioco l'influenza sociale del terapeuta e dall'altra le aspettative e i bisogni del cliente. Il terapeuta deve avere lo status di esperto e il cliente deve pensare che il terapeuta ha conoscenza ed esperienza. Il terapeuta mostra calore ed empatia e il cliente lo considera attraente ed empatico, talvolta anche un modello. Il cliente accetta la divisione dei ruoli e considera il terapeuta come la persona che dà le informa­ zioni utili di cui ha bisogno. Il cliente poi può rinforzare in vari mo­ di il potere del terapeuta, ma può esercitare anche un contropotere mediante la resistenza (che ha la sua origine dalla natura dell'intera­ zione) e l'opposizione (diretta contro la natura del cambiamento ) , fi­ no al drop out. È evidente che il terapeuta non solo deve modulare la sua influenza sociale ma deve anche maneggiare resistenze e opposi­ zioni per assicurarsi la possibilità che il processo terapeutico si svi­ luppi. Il processo d'influenza sociale è quindi controllato da alcuni fattori. 1 . La situazione del paziente: che riconosce la sua incapacità a risol­ vere il suo problema e pertanto si aspetta e ricerca l'aiuto del tera­ peuta. 2. La situazione del terapeuta: che si presenta come espeno in solu­ zione di problemi emotivi, esibisce il suo status sociale e le sue quali­ fiche professionali. 3 . Lo stabilirsi della relazione terapeutica: il cliente cerca il terapeu­ ta perché non ha trovato altre risposte ai suoi bisogni. n terapeuta accetta il cliente sia per lo stato psicologico di quest'ultimo sia per le sue competenze e la percezione di avere successo. Ambedue cercano una relazione stabile che dipende dalla congruenza interpersonale. 4· Il realizzarsi di alcuni cambiamenti. Rendere cosciente il paziente dei suoi progressi, aumentare l'aspettativa di efficacia e di risultato, e renderlo capace di raggiungere il suo obiettivo. L'influenza sociale quindi aiuta a realizzare una buona relazione terapeutica. Questa poi nel corso della terapia normalmente si trasforma. Alla fine del processo terapeutico anche la relazione non ha più significato terapeutico. In conclusione, a nostro avviso, la relazione terapeutica ha un'importanza notevole nell'avviare, nel condurre e nel rendere possibile il processo terapeutico. Mediante l'interazione tera­ peuta-cliente si creano le condizioni necessarie perché i processi di apprendimento possano agire. Come si è visto però nella descrizione delle fasi della terapia, relazione e apprendimento si mescolano, e an106

3 · LA PSICOTERAPIA COMPORTAMENTALE E COGNITIVO-COMPORTAMENTALE

che quando si usano tecniche ben strutturate che possono essere ma­ neggiate dal cliente pur senza il terapeuta (homework), il modo di illustrare le tecniche, spiegare il loro meccanismo d'azione, e creare le aspettative terapeutiche, è di importanza fondamentale per la riuscita della terapia. Quindi possiamo concludere, con la maggioranza degli autori, che una buona relazione terapeutica, se non è sufficiente agli effetti terapeutici ( tranne in qualche caso) , è però del tutto necessaria e in certi momenti essenziali nelle psicoterapie cognitivo-comporta­ mentali. 3·4 La teoria della cura: quale cambiamento e come indurlo

L'obiettivo finale della psicoterapia non dovrebbe essere solo il supe­ ramento dei disturbi, ma anche il miglioramento della qualità della vita ( Qdv) sia oggettivamente che soggettivamente. È questo un vec­ chio obiettivo di tutti i tempi: la ricerca della felicità, che oggi viene tradotta in ricerca di una migliore Qdv (cfr. Goldwurm, 1995 ) . Sul piano pratico, a nostro avviso, il processo di cambiamento va affron­ tato per stadi; anche l'obiettivo finale può essere individuato e pro­ posto per stadi, rendendolo di volta in volta cosciente e accettabile a paziente e terapeuta. In primo luogo il terapeuta dovrebbe risponde­ re ai bisogni e ai problemi immediati del cliente. Nelle prime fasi della terapia si verificheranno i primi cambiamenti, importanti spesso di per sé, ma anche perché aiutano a individuare altri problemi e ad affrontare cambiamenti più impegnativi . Questo si ripeterà per altri stadi fino a quando il cliente non giudicherà di aver superato le pro­ prie difficoltà, di sentirsi relativamente bene e autonomo. Ma su qua­ li cambiamenti puntiamo: comportamentali, emotivi, cognitivi, super­ ficiali o profondi? E qual è la strada da percorrere, prima l'una o prima l'altra? Quello che ci pare importante è l'acquisizione da parte del paziente di aspettative di efficacia, di capacità di individuare i problemi, di un metodo per interpretare e gestire i fenomeni. Il risul­ tato finale sarà un cambiamento nel comportamento, nelle emozioni e nelle cognizioni superficiali e probabilmente profonde. Certamente questo lavoro può risultare limitato, superficiale e non duraturo. Per­ tanto va dispiegata tutta la gamma delle nostre possibilità di interven­ to in modo completo e radicale, durante un tempo adeguato. Il mo­ do di agire, il modo di sentire e il modo di pensare devono passare contemporaneamente da una modalità disfunzionale a una funziona­ le. È la globalità dell'uomo che deve cambiare in modo più o meno radicale e in funzione dell'ambiente. Se cambia un solo settore il no-

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stro lavoro è parziale e facilmente reversibile, e allora va corretto con altri punti di attacco più specifici. Tuttavia nella pratica clinica si ve· de che tutto ciò si presenta raramente: modificando profondamente un elemento del sistema si modificano anche gli altri. Normalmente gli interventi cognitivo-comportamentali usano più punti d'attacco o contemporaneamente o in successione (training antiansia, allenamenti comportamentali, ristrutturazione cognitiva) e questo può essere utile per la completezza e la rapidità del processo terapeutico. Per concludere, il processo di cambiamento non · si ferma alla constatazione sincronica di un miglioramento globale, ma alla consta­ tazione diacronica che il cliente ha acquisito capacità di autogestione (abilità comportamentali, modalità di pensiero, controllo delle emo­ zioni) che gli permetta di affrontare gli eventi futuri della vita e di gestire adeguatamente il proprio rapporto con l'ambiente per molto tempo dopo la conclusione della terapia. Cosa dovrebbe indurre tale cambiamento? A ciò abbiamo cercato di rispondere in quasi tutto il capitolo, poiché i fattori sono molteplici e attivi nei diversi momenti della terapia. Sicuramente la relazione terapeutica nelle sue dimensio­ ni affettiva e razionale è un motore importante in tutto il corso della terapia. Perché un paziente, bloccato nella sua patologia, dopo i pri­ mi contatti con il terapeuta si mette in movimento e si accinge ad apprendere? Il gioco dell'influenza sociale ci sembra fondamentale in questa fase, e il terapeuta deve saper giocare con grande flessibilità nel mantenerla con giusta misura. Conoscere e informare, dare sicu­ rezza, creare aspettative, modulare le motivazioni, saper ascoltare e dare direttive, rinforzare e proporre modelli adeguati: ecco alcuni in­ gredienti . La comunicazione diadica avviene per via verbale e non verbale, emozioni e riflessioni si susseguono e si scambiano nel pro­ cesso terapeutico. Nello scambio anche il terapeuta cambia, impara e fa nuove esperienze. I nostri pazienti ci insegnano molto sia dal pun­ to di vista professionale che umano. È questa possibilità di scambio che rende la terapia meno asimmetrica e la relazione terapeutica più collaborativa, dove colui che supervisiona (il terapeuta) il ricercatore (il cliente) apprende e ricerca lui stesso e non raramente scopre mol­ te cose di sé. Passando da direttiva a collaborativa la relazione tera­ peutica si fa più serena e più autentica realizzando una vera alleanza lavorativa. Non dobbiamo però dimenticare che la relazione terapeu­ tica è la benzina mentre la struttura della terapia, le procedure e le tecniche sono il motore e gli altri strumenti della nostra macchina. Per cambiare, questi elementi sono imprescindibili e a volte l'applica­ zione di certe procedure determina nei nostri clienti cambiamenti spettacolari. 108

3 · LA PSICOTERAPIA COMPORTAMESTALE E COGNITIVO-COMPORTAMENTALE

Infine non dobbiamo dimenticare i cambiamenti spontanei che si verificano nel paziente o nell'ambiente, a volte per generalizzazione o per un effetto sistemico, ma a volte anche per eventi casuali che ca­ pitano nel corso della terapia. In questi casi il terapeuta flessibile de­ ve essere pronto a cogliere la situazione favorevole, a rinforzare so­ cialmente il cambiamento che va nella direzione voluta e a raggiunge­ re quindi uno stadio più avanzato di comprensione e di progettualità terapeutica. Letture di approfondimento GOLDWURM G. F . , SACCHI D., SCA RLATO A. ( I 986),

Le tecniche di ri­ lassamento nella terapia comportamentale, Franco Angeli, Milano. MEAZZINI P. (a cura di) ( I 984), Trattato teorico-pratico di terapia e modificazione del comportamento, ERIP, Pordenone. m. ( I 995 ) , La terapia del comportamento: una storia, Tecno Scuola, Gorizia.

SANAVIO E.

( I 99 I ) , Psicoterapia cognitiva e comportamentale, La Nuova

Italia Scientifica, Roma.

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La psicoterapia cognitivo-costruttivista di Lorenzo Cionini

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Presupposti teorici di base 4· I.

I. n modello di uomo nell'ottica cognitiva

Ogni essere vivente per interagire con il proprio ambiente e mettere in atto tutti quei comportamenti funzionali alla propria sopravvivenza necessita di un sistema di conoscenza (più o meno primitivo o sofi­ sticato) che gli permetta di percepire ciò che di rilevante avviene nel mondo intorno a lui e di coordinarlo con le proprie azioni. Gli orga­ nismi viventi più elementari sono dotati di sistemi nervosi primitivi con un limitato numero di funzioni che hanno la caratteristica di es­ sere fisse, rigide, scarsamente articolate e differenziate, anche se suffi­ cienti alle loro necessità di sopravvivenza. Procedendo nella scala bio­ logica il sistema nervoso si sviluppa in termini di complessità nella direzione di una crescente differenziazione e gerarchizzazione delle sue parti, acquisendo funzioni sempre più sofisticate. Con la compar­ sa della corteccia cerebrale ( che raggiunge il massimo sviluppo nel­ l'uomo) si acquisisce un centro supremo di coordinamento di tutte le funzioni cognitive e la capacità di costruire rappresentazioni mentali. La funzione principale della conoscenza diviene allora quella di rappresentare la realtà e di formulare previsioni su ciò che può acca­ dere. È in base a tali anticipazioni o aspettative che l'uomo definisce piani di azione e organizza il proprio comportamento in relazione a determinati scopi. L'obiettivo fondamentale della psicologia cognitiva è quello di co­ struire modelli in grado di comprendere e spiegare le modalità di funzionamento dell'uomo in quanto sistema conoscente. È opportuno chiarire che in questo contesto parlando di conoscenza non ci si riferi­ sce soltanto alle conoscenze esplicite, razionali e verbalizzabili, ma a III

PSICOTERAPIE

tutto quell'insieme di informazioni - consapevoli o inconsce, verbaliz­ zabili o meno, concettuali o motorie o emotive - che ciascun indivi­ duo possiede e utilizza nella . sua interazione con l'ambiente (owero l'insieme delle cose e degli esseri viventi con cui entra in relazione diretta o indiretta) per determinare la propria condotta. Uno degli interrogativi - da sempre centrale nella storia del pen­ siero filosofico - che gli psicologi si sono dovuti porre nell'affrontare lo studio della conoscenza individuale concerne la relazione potenzial­ mente esistente fra la realtà in quanto tale (il mondo antologico ) e la sua rappresentazione mentale. Data per scontata l'esistenza della real­ tà oggettiva, dobbiamo chiederci se l'uomo possa acquisirne una co­ noscenza "vera" . In altre parole, è possibile conoscere il mondo anto­ logico per come esso è realmente? È corretto assimilare la nostra co­ noscenza del mondo a una fotografia? La risposta che alcuni psicolo­ gi e psicoterapeuti cognitivisti danno a questo quesito è del tutto ne­ gativa ed è per questa ragione che essi vengono definiti costruttivisti. Il processo percettivo è tutt'altra cosa rispetto a quello fotografi­ co; l'apparecchio fotografico non è dotato di attività autonoma e le immagini si imprimono sulla pellicola meccanicamente. L'uomo, vice­ versa, non si limita a rispondere alle stimolazioni ambientali facendosi plasmare passivamente da esse, ma elabora attivamente le informazio­ ni che ha ricercato e raccolto nella realtà interpretandole in funzione delle conoscenze che già possiede rispetto a sé e al mondo. L'approccio cognitivo, sviluppatosi dagli anni Sessanta, propone quindi un modello di uomo come attivo elaboratore di dati, come generatore - nel rapporto con il suo ambiente - di significati e cono­ scenze personali. Conseguentemente, anche la mente e gli organi di senso non sono considerati passivi e ricettivi, ma attivi costruttori di conoscenza. Al pari di uno scienziato, l'uomo costruisce modelli di sé e del mondo che determinano ciò che percepisce e che gli permetto­ no di formulare ipotesi e aspettative che possono essere messe alla prova - valzdate o invalzdate - tramite esperimenti (i propri compor­ tamenti) . In questo senso è possibile affermare che la nostra conoscenza della realtà non può essere una conoscenza oggettiva; ciò che a noi appare come un dato di fatto indiscutibilmente "vero" risulta essere sempre una costruzione personale derivante dai modelli soggettivi creati in precedenza e ritenuti stabilmente nella nostra memoria. Un aneddoto, narratomi recentemente, illustra con chiarezza que­ sto processo: in un paesino della Toscana, molti anni fa, a un'impre­ sa edile arrivarono i primi bidè che vennero accatastati in un cortile. La gente passava e non avendoli mai visti in precedenza si chiedeva 1 12

4 · LA PSICOTERAPIA COGNITIVO·COSTRUTTIVISTA

che cosa fossero. Una sera se ne parlò anche al bar del paese mentre gli uomini erano a giocare a carte. N el bel mezzo della discussione uno di questi, stupito dei loro dubbi, disse: «0 che siete grulli! Non avete capito che quelli sono stampi per fare le chitarre! ». Egli aveva semplicemente utilizzato le proprie conoscenze assimilando quell' og­ getto mai visto a un qualcosa di conosciuto. 4- r . 2 .

L'organizzazione della conoscenza

Come è noto, le informazioni che costituiscono la nostra conoscenza sono immagazzinate permanentemente in memoria. Per poter essere utilizzate rapidamente ed efficacemente esse devono essere organizza­ te in maniera economica ( per non occupare eccessivo spazio), ordi­ nata e coordinata (per poter essere recuperate rapidamente al mo­ mento del bisogno ) . Al fine di descrivere la modalità di funziona­ mento della mente e dei suoi processi ( percezione, memoria, appren­ dimento, linguaggio, ragionamento, emozioni, abilità motorie ecc. ) la psicologia e la scienza cognitiva hanno proposto diversi modelli di rappresentazione della conoscenza. Tenendo conto della complessità del fenomeno, nessuno di questi può essere considerato esaustivo, per quanto ognuno ne rappresenti una buona approssimazione espli­ cativa. Uno dei modelli più frequentemente utilizzato è quello che ipo­ tizza che la conoscenza sia organizzata mediante strutture dette sche­ mi ( Bardett, r 9 3 2; Piaget, r926; Neisser, r976 ) . Gli schemi non so­ no fedeli rappresentazioni di situazioni particolari, fotografie di even­ ti, ma strutture flessibili di conoscenza generalizzata rispetto al Sé e al mondo. Ogni schema è costituito da variabili o caselle, a ognuna delle quali il soggetto conoscente attribuisce un valore specifico (ogni volta che lo schema viene attivato ) sulla base delle informazioni che è in grado di raccogliere dall'ambiente; questo processo prende il nome di sostanziamento delle caselle ( Rumelhart, Ortony, r 977). Lo schema "donare", ad esempio, prevede necessariamente alme­ no tre caselle: un donatore, un dono e un ricevente. Nel momento in cui osservo Maria che dà un libro a Luigi, se altri elementi percettivi appartenenti al contesto mi spingono ad attivare lo schema "donare", ciò mi induce automaticamente a sostanziare la casella donatore con Maria, quella di ricevente con Luigi e quella di dono con l'oggetto che ho visto passare di mano. Se nella stessa situazione, il contesto mi avesse indotto ad attivare lo schema compra-vendita (che prevede almeno quattro caselle: venditore, acquirente, merce, pagamento) nel I I3

PSICOTERAPIE

sostanziare queste caselle avrei interpretato diversamente l'evento, e avrei anticipato come azione immediatamente successiva al passaggio del libro una qualche forma di pagamento. Talvolta, l'attribuzione del valore a una casella non avviene me­ diante il processo di sostanziamento a causa della mancanza delle in­ formazioni necessarie nell'ambiente o dell'incapacità di ricercarle da parte del soggetto. In questa situazione esso viene determinato me­ diante il processo di assegnazione per difetto che consiste nell'attribuire alla casella il valore ritenuto più probabile su base deduttiva. Se nel percepire l'evento esemplificato avessi attivato lo schema compra-ven­ dita sarei stato indotto a dare per avvenuto il pagamento pur non avendovi assistito. Lo stesso fenomeno può verificarsi nell'ambito del processo di ricostruzione dei ricordi dalla propria memoria. I processi di attivazione, sostanziamento, assegnazione per difetto so­ no solo in minima parte consapevoli (come tutti i processi cognitivi) . I n alcuni casi l a consapevolezza può caratterizzare l'intero processo, ma più spesso è propria solo della sua fase finale. Gli schemi che l'individuo possiede variano per livello di astrat­ tezza: alcuni rappresentano oggetti concreti o azioni specifiche; altri, aspetti più astratti della realtà. Ogni schema del nostro sistema cono­ scitivo è legato ad altri che possono essere sovra o sotto-ordinati a esso, cosicché le nostre conoscenze risultano organizzate in una strut­ tura complessiva di tipo gerarchico. Ad esempio, lo schema "tetto" risulta usualmente sono-ordinato rispetto allo schema "casa" (costitui­ sce cioè una casella di quest'ultimo) e sovra-ordinato rispetto allo schema "tegola" . Gli schemi rappresentano modelli della realtà che definiscono ciò che è possibile attendersi in ciascuna situazione e che quindi oltre al processo percettivo (l'interpretazione della realtà) guidano anche la previsione degli eventi successivi e di conseguenza le decisioni relati­ ve alle nostre azioni. Contemporaneamente però gli schemi che pos­ sediamo definiscono anche il limite di ciò che può essere costruito dal sistema conoscitivo; soltanto gli eventi e gli oggetti per i quali il sistema possiede già un qualche tipo di rappresentazione schematica possono essere costruiti dal soggetto conoscente. L'episodio dei bidè e delle chitarre citato in precedenza ne è un buon esempio. In altri casi informazioni potenzialmente disponibili nell'ambiente vengono del tutto ignorate semplicemente perché si è privi degli schemi che permettono di interpretarle (il rumore del motore di un'automobile guasta può essere un chiarissimo sintomo di diagnosi per il meccani­ co che lo ascolta, mentre è del tutto privo di significato per il pro­ prietario del mezzo che non possieda quella stessa competenza) . II4

4· LA PSICOTERAPIA COGNITIVO·COSTRt.:TTIVISTA

Gli schemi sono quindi strutture strettamente soggettive anche se alcuni, quelli relativi a situazioni condivisibili socialmente, possono essere stati costruiti in maniera analoga (comunque non identica) da individui diversi; ad esempio, lo schema "casa" è presumibilmente abbastanza simile tra individui appartenenti alla nostra cultura e, vi­ ceversa, dissimile per la maggior parte degli abitanti della N uova Guinea. Anche l'organizzazione gerarchica degli schemi è strutturata in maniera soggettiva e individuale; tuttavia ai livelli più elevati di essa troviamo sempre gli schemi relativi al Sé - i più arcaici e stretta­ mente connessi con l'identità personale - mentre ai livelli sotto-ordi­ nati quelli legati alla nostra conoscenza del mondo esterno. 4. 1 . 3. Sviluppo e organizzazione di un sistema conoscitivo Alla nascita il nostro sistema conoscitivo è costituito da strutture ele­ mentari, geneticamente determinate, che permettono di costruire le prime esperienze arricchendosi e articolandosi in maniera sempre più complessa e differenziata. Lo sviluppo consiste essenzialmente in un aumento di complessità del sistema conoscitivo che si attua attraverso tre processi interagenti : la differenziazione, l'integrazione e la gerarchiz­ zazione. Sono le esperienze concrete - costruite in funzione delle ca­ ratteristiche che il sistema di conoscenza possiede in ogni momento della vita - che permettono al sistema stesso di crescere e articolarsi. Più specificamente il processo che induce un sistema conoscitivo a modificarsi e articolarsi in termini di maggiore complessità è quello dell'invalidazione. Quando un'aspettativa, costruita in base alle proprie conoscenze, viene invalidata (a condizione che l'invalidazione sia riconosciuta e accolta) il sistema conoscente si trova nella necessità di dover rivede­ re i propri schemi in maniera da potervi includere anche l'esperienza invalidante e ciò produce un incremento delle sue capacità euristiche. In altre parole, è attraverso l'invalidazione delle aspettative che il si­ stema può riuscire a costruire dei modelli soggettivi della realtà anto­ logica più funzionali al proprio adattamento, anche se non può mai sapere con certezza quanto le sue rappresentazioni si discostino da essa. Per esemplificare quanto appena detto consideriamo la seguente situazione. Un amico mi comunica di aver iniziato una psicoterapia con il dott. X; se il mio schema di "psicoterapia" si identifica con psicoanalisi, dedurrò automaticamente che il dott. X è uno psicoana­ lista, che presumibilmente il mio amico si reca da lui più volte alla settimana e che durante la seduta si sdraia su un lettino. Queste mie I lj

. PS lCOTERAPlE

deduzioni possono essere invalidate se, continuando a parlare dello stesso argomento, l'amico mi fornisce ulteriori informazioni che non collimano (invalidano) con le mie previsioni, ad esempio mi racconta come alcune volte l'intervallo di una settimana fra una seduta e l'altra gli appaia lungo oppure, nel descrivermi lo studio dello psicoterapeu­ ta, mi fa capire che normalmente si siede di fronte a lui. Queste ulteriori informazioni possono inizialmente disorientarmi inducendo­ mi a ricercare altri dati che mi permettano di capire ciò che egli mi sta dicendo . Posso cosi venire a sapere che esistono altre forme di trattamento, oltre a quella psicoanalitica, e che il dott . X è ad esem­ pio uno psicoterapeuta cognitivista. L'esperienza d'invalidazione mi permette allora di modificare lo schema "psicoterapia" che possedevo e di articolarlo in maniera più ampia e dettagliata. L'efficienza di un sistema conoscitivo (ovvero la sua capacità di adattamento al mondo) non è quindi definibile nei termini della veri­ tà/falsità delle sue costruzioni, né di una loro maggiore o minore sim­ metria rispetto al mondo antologico (come affermano i cognitivisti razionalisti; cfr. PAR. 4 . 2 . 1 ) , quanto in quelli della sua maggiore o minore articolazione e complessità e soprattutto di una maggiore o minore capacità di accogliere le invalidazioni e di utilizzarle per atti­ vare un proprio processo di crescita. Tale capacità è funzione di una caratteristica strutturale definibile nei termini di flessibilità del siste­ ma. Un sistema flessibile è un sistema costituito da schemi chiaramen­ te definiti nella loro struttura, articolati in sottosistemi coordinati che possono essere attivati in maniera vicariante in funzione dei propri obiettivi e delle informazioni raccolte nel mondo esterno. Un sistema cosi strutturato è più facilmente in grado di costruire previsioni "sog­ gettivamente certe" e contemporaneamente di modificarle, e modifi­ carsi internamente, quando esse risultino invalidate. In contrapposi­ zione alla flessibilità troviamo due dimensioni fra loro antitetiche ma equivalenti in termini di. incapacità di reagire funzionalmente all'inva­ lidazione: la lassità e la rigidità. Entrambe sono responsabili del disa­ gio individuale o, in altri termini, delle varie forme di psicopatologia. Un sistema è caratterizzato da lassità quando sia la struttura di ciascuno schema, sia le relazioni fra essi sono definite in maniera va­ ga e ambigua. Un sistema di questo tipo, mancando di punti di rife­ rimento stabili e certi, incontra difficoltà a costruire in maniera defi­ nita le proprie esperienze. Se, ad esempio, le caselle costituenti il mio schema "comportamento affettuoso" sono definite in modo lasso po­ trà essere per me difficile decidere se il comportamento di un'altra persona nei miei confronti può essere costruito o meno all'interno

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4· LA PSICOTERAPIA COGNITIVO·COSTRUTTIVISTA

della categoria "manifestazione di affetto". E quand'anche sia arrivato a definirlo come tale, se i legami fra questo schema e quello sovra­ ordinato di "persona affettivamente interessata a me" sono a loro vol­ ta lassi, avrò difficoltà a decidere se questo e altri componamenti si­ mili possano essere considerati prove di interesse affettivo. Questa incenezza mi indurrà facilmente a ricercare continue conferme atti­ vando, ad esempio, comportamenti di ipercontrollo nei confronti del­ l'altro che - quand'anche realmente interessato a me - potrà sentirsi costretto o soffocato ed essere cosi indotto ad allontanarsi. Un sistema è caratterizzato viceversa da rigidità quando sia la struttura interna degli schemi, sia i nessi di implicazione fra essi sono definiti in maniera unica e assolutamente certa. Un sistema di questo tipo è in grado di accettare solo l'informazione strettamente con­ gruente con le sue previsioni non riuscendo cosi, in linea di massima, ad accogliere l'invalidazione: le informazioni non congruenti tendono infatti a non essere raccolte, a essere escluse selettivamente dai propri processi cognitivi. La rigidità dei nessi di implicazione gerarchica fra gli schemi compona che l'invalidazione di uno schema sotto-ordinato si traduca con troppa facilità, per un effetto a catena, in quella di uno schema nucleare, con effetti devastanti per l'intero sistema e per l'identità personale. Una mia paziente con una grave sintomatologia ossessivo-compulsiva, consapevole "razionalmente" dell'assurdità/inu­ tilità di tale sintomatologia, mi ha detto una volta: «l sintomi nella loro apparente assurdità sono un modo per affermare la mia coeren­ za interna; se io una volta non li facessi mi si porrebbe il problema: che senso avrebbero tutte le altre volte che l'ho fatto? Quindi lo de­ vo fare per dovere di coerenza. Se smettessi di farlo mi crollerebbe tutto quello che ho fatto; tutto quello che ho fatto fino a ora non avrebbe avuto senso. Se improvvisamente non avessi più i sintomi avrei la sensazione di una perdita di identità, mi sentirei impazzire». 4·.1

Sviluppi storici e orientamenti principali all'interno del modello cognitivista Le origmi della psicoterapia cognitiva sono databili fra la fine degli

anni Cinquanta e l'inizio degli anni Sessanta. Nel 1 9.5.5 George Kelly pubblicò The Psychology o/ Personal Constructs proponendo una teoria della personalità da cui sviluppò l'approccio psicoterapeutico che va sotto il nome di "psicoterapia dei costrutti personali". Il suo contri­ buto, che anticipava i principi della psicoterapia cognitivo-costruttivi­ sta, era però troppo innovativo per il linguaggio della comunità scienI I7

PSICOTERAPIE

tifica del tempo e venne sottovalutato e ignorato per diversi anni. Solo dopo la sua morte, avvenuta nel I 967, esso fu ripreso e rivalu­ tato come teoria psicologica (Bannister, I 970; Bannister, Fransella, I 97 I ) e come indirizzo psicoterapeutico (Epting, I 984) . Negli stessi anni Albert Ellis mise a punto un altro modello psi­ coterapeutico cui dette il nome di terapia razionale emotiva ( RET) che descrisse dapprima in alcuni articoli ( I 95 7, I958) e quindi in modo più sistematico in un testo dal titolo Reasons and Emotions in Psychotherapy ( I 962 ) . Il primo a parlare di psicoterapia cognitiva fu, nel I 967, Aaron Beck in un breve capitolo inserito in un testo dedicato alla depressio­ ne. La prima illustrazione esaustiva e sistematica del suo modello di intervento terapeutico, che presenta alcune analogie con quello di El­ lis, comparve soltanto alcuni anni più tardi con la pubblicazione del volume Cognitive Therapy and the Emotional Disorders ( I 976 ) . Sia la proposta di Ellis che quella di Beck sono inquadrabili nel­ l' ambito di quella che oggi viene definita "psicoterapia cognitivo-ra­ zionalista" per distinguerla dagli orientamenti cognitivo-costruttivisti. Precedentemente alla pubblicazione del libro di Beck del I 976, la terapia cognitiva aveva avuto scarsa notorietà in Italia anche fra gli addetti ai lavori. All'inizio degli anni Settanta maggiore diffusione eb­ be invece la terapia del comportamento e verso la fine dello stesso decennio i suoi sviluppi in direzione cognitivo-comportamentale (cfr. CAP. 3 ) , L'ottica cognitivo-costruttivista - ricollegandosi in parte .anche al­ la teoria dei costrutti personali di Kelly - iniziò a svilupparsi in ma­ niera più completa soltanto agli inizi degli anni Ottanta a partire da alcuni spunti critici avanzati da Mahoney ( I 98o) e soprattutto con la pubblicazione del testo di Guidano e Liotti Cognitive Processes and Emotional Disorders del I983. A esso sono seguiti numerosi contribu­ ti, in buona parte di autori italiani, come quelli di Chiari e Nuzzo ( I 984) , Mancini e Semerari ( I 985 ) , Reda ( I 986 ) , Guidano ( I 987, I99I ), Safran e Segai ( I990) , Safran c Greenberg ( I 99 d , Mahoney ( I 99 I ) , Cionini ( I 99 I a) e recentemente Bara ( I 996 ) . La psicoterapia cognitivo-costruttivista è nettamente differenziabi­ le da quelle comportamentale, cognitivo-comportamentale e anche dalla cognitivo-razionalista in base a diversi parametri (cfr. Cionini, in stampa) : i presupposti epistemologici, il concetto di guarigione e l'atteggiamento del terapeuta nei confronti delle problematiche pre­ sentate dal paziente, l'approccio alle emozioni, la modalità di impo­ stare la relazione terapeutica e la rilevanza attribuitagli ai fini del cambiamento. I I8

4· LA PSICOTERAPIA COGNITIVO·COSTRUTTIVISTA

4.2. I. Le terapie cognitivo-razionaliste All'ottica comportamentale e cognitivo-comportamentale è dedicato un intero capitolo in questo volume. Sulla terapia cognitivo-razionali­ sta è invece opportuno soffermarsi maggiormente per più di una ra­ gione. In primo luogo poiché essa viene spesso considerata tout court come sinonimo di terapia cognitiva, a causa del predominio culturale che ha acquisito nei paesi di lingua anglosassone grazie alla diffusione delle opere di Ellis e di Beck; secondariamente, poiché in altri casi essa viene quasi sovrapposta all'approccio cognitivo-compor­ tamentale, con il quale d'altra parte presenta numerosi punti di con­ tatto. Dedicarle un paragrafo per descriverla in modo più esteso è quindi utile al fine di chiarire preliminarmente quali siano i punti di contatto e le differenze tra cognitivismo razionalista e costruttivista. La terapia cognitivo-razionalista è ampiamente influenzata dai modelli del funzionamento mentale sviluppati nell'ambito della psico­ logia cognitiva negli anni Sessanta e Settanta: la teoria lineare di ela­ borazione dell'informazione e le prime teorie "valutative" delle emo­ zioni (in particolare quella di Schachter e Singer, r 962 ) 1 • Ellis ad esempio descrive il processo di elaborazione dell'informazione suddi­ videndolo in otto fasi, concatenate linearmente fra loro: l'attenzione selettiva verso alcuni stimoli ambientali; la loro percezione; codifica; ulteriore elaborazione in termini inferenziali; la valutazione della loro valenza rispetto ai propri scopi, al proprio benessere e all'immagine di sé; la reazione emotiva; la reazione comportamentale; le conse­ guenze ambientali, rispetto alle quali può avere inizio un nuovo pro­ cesso di percezione selettiva. Le emozioni vengono così considerate "sottoprodotti del pensie­ ro" (effetti della valutazione cognitiva) e l'ipotesi "forte" di questo approccio diviene l'assunto che per comprendere le reazioni emotive individuali sia necessario e sufficiente individuare i processi di pen­ siero che le hanno precedute. La conseguenza clinica è che, per in­ tervenire sulle emozioni disturbanti, il terapeuta debba ristrutturare quei processi distorti di pensiero che le hanno determinate. Definen­ do i presupposti della terapia cognitiva, Beck afferma infatti: « L .] ci .

I. Questi due autori sostenevano che le emozioni fossero il risultato dell' elabo· razione concettuale di quegli stati di attivazione fisiologica (arousall per i quali il sog­ getto non dispone di un'immediata valutazione esplicativa (come ad esempio uno sforzo fisico immediatamente precedentel . Dato uno stato di arousal - ritenuto di pet· sé non qualificante in termini emotivi - l'emozione risultante sarebbe determinata dal tipo di valutazione cognitiva (non-emozionale) che il soggetto effettua su di essa.

PSICOTERAPIE

si propone di arrivare alle emozioni della persona attraverso le sue cognizioni. Correggendo le credenze errate, si possono estinguere o rettificare le reazioni emotive inappropriate ed eccessive» (Beck, 1 976, p . 1 5 6 ) . Questo approccio ha portato gli indirizzi cognitivo­ razionalisti a utilizzare prevalentemente metodologie di «ristruttura­ zione razionale» delle «convinzioni disfunzionali» (Ellis) e/o dei «processi distorti di pensiero» (Beck ) per modificare le emozioni e i comportamenti disturbanti . N ella prassi psicoterapeutica lo schema di analisi e di lavoro co­ munemente adottato è sintetizzabile nell'equazione A-B-C, in cui A sta per evento attivante interno o esterno all'organismo, B per siste­ ma di convinzioni (Belie/ System) , ovvero pensieri, convinzioni, imma­ gini che rappresentano il bagaglio cognitivo dell'indiviéluo in funzione del quale vengono effettuate le analisi descrittive, inferenziali e valu­ tative dell'evento attivante e C per gli effetti ( Consequences) dell' ela­ borazione cognitiva sul piano emotivo e comportamentale. Compito primario del terapeuta è quello di identificare le cognizioni relative ai problemi del paziente, aiutarlo a riconoscere le relazioni (causali) esi­ stenti fra queste, le sue emozioni e i suoi comportamenti, aiutarlo a esaminare le prove a favore e a sfavore delle sue convinzioni centrali, incoraggiarlo a verificare concettualizzazioni alternative e a sostituire le sue convinzioni con modalità più razionali e adattive di pensiero. All'analisi basata sulla logica dell'A-B-C segue una fase di "discussio­ ne" - D - (finalizzata alla ristrutturazione razionale) sui contenuti cognitivi e sui processi messi in atto per elaborare l'evento attivante e, al termine di questa, una verifica degli effetti - E - che la nuova concettualizzazione degli eventi produce sul piano dei comportamenti e delle emozioni. Pur all'interno di una cornice concettuale simile, la terapia razio­ nale emotiva (Ellis, 1 962, 1 97 3 ; Ellis, Harper, 1 975 ) e la terapia co­ gnitiva di Beck (Beck, 1 976; Beck et al. , 1 979; Beck, Emery, 1 985; Beck, Freeman et al. , 1 990 ) sono differenziabili fra loro per alcuni aspetti. Ellis si è soffermato prevalentemente su ciò che definisce il sistema delle convinzioni, concentrandosi sulle cosiddette "idee irra­ zionali", idee che, mancando di corrispondenza con la realtà oggetti­ va, interferiscono con il benessere individuale. In un primo momen­ to, adottando un approccio prevalentemente contenutistico, si è occu­ pato di identificare ed elencare le più frequenti "convinzioni irrazio­ nali", proponendone una lista di dodici; successivamente si è orienta­ to verso criteri più formalizzati, raccogliendo le forme di pensiero ir­ razionale in alcune categorie di base come !"'ideologia dei doveri", le "terribilizzazioni", le "insopportabilizzazioni" ecc.

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4· LA PSICOTERAPIA COGNITIVO· COSTRUTTIVISTA

Beck invece ha rivolto la sua attenzione prevalentemente alle mo­ dalità processuali di elaborazione dell'informazione "distorte e irreali­ stiche", definendo come obiettivo fondamentale del lavoro terapeuti­ co l'identificazione di quell'insieme di regole generali che ciascun in­ dividuo utilizza per interpretare la propria esperienza, per definire i propri standard e i propri scopi personali e per monitorizzare - me­ diante il sistema delle autoistruzioni - le proprie risposte comporta­ mentali. Queste regole e i pensieri che, a partire da certi eventi, de­ terminano le reazioni emotive individuali, possono essere o meno im­ mediatamente disponibili alla coscienza. In quest'ultimo caso Beck parla di pensieri automatici, pensieri che tendono a non essere ricono­ sciuti dal soggetto per l'estrema rapidità della loro attivazione. La difficoltà a riconoscere i pensieri automatici non dipende, secondo l'autore, da resistenze o da meccanismi di difesa, quanto dalla non abitudine a parvi attenzione e a metterli a fuoco. Se il terapeuta in­ duce il paziente a spostare la sua attenzione e a identificare quei pen­ sieri automatici che hanno provocato le sue emozioni disturbanti, è possibile che questi riesca ad acquisirne consapevolezza e quindi, successivamente, a ristrutturarli in termini più razionali. La psicotera­ pia, sostiene Beck, rappresenta spesso la prima occasione per il pa­ ziente di esaminare i propri significati nascosti e testare la validità sia delle regole che utilizza, sia dei processi mediante i quali elabora le informazioni. Un aspetto rilevante che accomuna la terapia razionale-emotiva di Ellis alla terapia cognitiva di Beck e che costituisce un ulteriore ele­ mento di differenziazione fra i modelli razionalisti e quelli costruttivi­ sci è la convinzione che la realtà esterna sia approssimabile. Dal pun­ to di vista epistemologico, la posizione razionalista relativamente al rapporto fra conoscenza e realtà è quella del realismo critico o, secon­ do la definizione di von Glasersfeld ( 1 982 ), del costruttivismo banale. Per quanto anch'essi considerino l'uomo come un attivo elaboratore di informazioni che costruisce il mondo antologico in base alle cono­ scenze del suo sistema, tuttavia sostengono che tale costruzione sia incompleta a causa dei limiti del sistema cognitivo e degli organi di senso e che sia possibile valutare la maggiore o minore simmetria tra costruzioni soggettive e mondo antologico utilizzando i criteri della logica e della razionalità. Tali criteri vengono quindi utilizzati dal terapeuta per "corregge­ re" le rappresentazioni irrazionali o le modalità distorte di elaborare l'informazione, e l'acquisizione da parte del paziente della capacità di utilizzarli per costruire le proprie esperienze diviene l'obiettivo della 121

PSICOTERAPIE

psicoterapia. Una volta identificati gli "errori logici" processuali o l'"irrazionalità" dei contenuti, si ripropone l'atteggiamento degli ap­ procci sintomatici (comportamentale e cognitivo-comportamentale) : per eliminare l a sintomatologia e migliorare le capacità adattive del paziente, gli errori devono essere corretti e i contenuti irrazionali so­ stituiti con altri più razionali, proposti in gran parte dal terapeuta. Coerentemente con queste premesse la relazione terapeutica assu­ me (in maniera più accentuata nella prospettiva di Ellis e in modo più sfumato in quella di Beck ) un carattere prevalentemente pedago­ gico e fondamentalmente direttivo . Ellis attribuisce al terapeuta il ruolo del docente che insegna al paziente-discente le modalità per riconoscere i propri pensieri irrazionali, per sostituirli con altri più razionali e per condurre le sue esperienze concrete di verifica dei propri assunti. Beck suggerisce un atteggiamento del terapeuta che, pur rimanendo caratterizzato in termini pedagogici, risulta meno di­ rettivo anche per l'utilizzazione del metodo socratico ( maieuticaL In questo caso, il terapeuta si propone di far acquisire aJ. paziente mag­ giore consapevolezza dei propri processi di pensiero (in particolare dei pensieri automatici) , di fargli accettare l'ipotesi che essi possano essere scorretti - e che di conseguenza possano essere errate certe va­ lutazioni della realtà -, di incoraggiarlo a decentrarsi dalla propria ideazione disadattiva, a formulare nuove ipotesi e inferenze ricercan­ done una convalida esterna, per reperire nuove soluzioni ed esperire modalità più simmetriche di rappresentarsi la realtà. Per tutte queste ragioni, le psicoterapie cognitivo-razionaliste rientrano nell'ambito delle cosiddette "psicoterapie brevi" e i tempi di un intervento sono usualmente prevedibili intorno alle quaranta­ sessanta sedute (con frequenza settimanale, la durata media è di circa un anno) . 4 . 2 . 2 . Le terapie cognitivo-costruttiviste Gli aspetti peculiari dell'approccio cognitivo-costruttivista che lo qua­ lificano e lo differenziano dalle impostazioni precedenti sono vari. I. Il totale abbandono della prospettiva empirista a favore di un'ot­ tica costruttivista radicale ( von Glasersfeld, I984 ) . 2 . n diverso atteggiamento del terapeuta nei confronti della sintoma­ tologia e della sofferenza emotiva del paziente, conseguente sia a tale opzione epistemologica sia all'adozione della prospettiva strutturalista con i concetti di sistema conoscitivo individuale (Guidano, Liotti, I 98 3 ) , di organizzazione gerarchica della conoscenza e del principio (Varela, I 979) della chiusura autoreferenziale dei sistemi viventi. I 22

4· LA PSICOTERAPIA COGNITIVO·COSTRUTTIVISTA

3. La diversa modellizzazione dei processi cognitivi corrispondenti alle emozioni, in coerenza con gli studi più recenti della psicologia e della scienza cognitiva. 4 · La riconsiderazione del problema della coscienza e dell'elabora­ zione inconscia dell'informazione 2 • 5 . L'utilizzazione della teoria dell'attaccamento di John Bowlby h 969, 1 973, 1980) per spiegare i processi e le modalità di sviluppo e costruzione del Sé e per concettualizzare i fenomeni transferali che si verificano nel setting terapeutico. Analizziamo ciascuno di questi elementi singolarmente. 1 . Nelle terapie cognitivo-razionaliste, il primato attribuito ai proces­ si razionali e l'assunto che sia possibile stabilire oggettivamente - da un punto di vista esterno al paziente - quali componamenti siano più adattivi in determinate situazioni di vita e quali elaborazioni co­ gnitive più corrette e idonee, componano, come si è visto, che il te­ rapeuta si ponga come il detentore di un qualche tipo di "verità"; verità che il paziente deve giungere a riconoscere e fare propria. La prospettiva razionalista, quindi, se da un lato condivide la considera­ zione che le rappresentazioni soggettive della realtà corrispondano a processi costruttivi individuali e peculiari, presuppone contempora­ neamente che esistano modalità più co"ette (derivanti dalla logica del­ la razionalità) e meno co"ette di costruire le proprie esperienze. Vice­ versa la concezione della conoscenza del costruttivismo radicale sosti­ tuisce al concetto di simmetria tra costruzioni soggettive e mondo on­ tologico, quello di viahilità o perco"ibzlità (von Glasersfeld, 1982, p . 615): Dal punto d i vista dell'organismo [. . . ] l'ambiente è né più né meno la som­ ma dei vincoli all'interno dei quali l'organismo può operare. Le attività e le operazioni hanno successo quando non sono ostacolate, impedite da vincoli, cioè quando sono viabili. Pertanto è soltanto quando le azioni o le operazio­ ni falliscono che si può parlare di contatto con la realtà, non quando hanno successo.

In altre parole il concetto di adeguatezza delle costruzioni individuali non viene valutato mediante un confronto - considerato inattuabile 2. Alcuni autori, come Guidano e Liotti, utilizzano a questo proposito i concetti proposti da Polany ( 1 966) di conoscenza "esplicita" e conoscenza "tacita"; altri, come il sottoscritto - ricollegandosi alle ricerche sperimentali sull'elaborazione inconscia del­ le informazioni che hanno avuto sviluppo negli ultimi dieci-quindici anni nell'ambito della psicologia cognitiva -, preferiscono utilizzare i termini di conoscenza consapevo­ le e conoscenza inconscia.

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PSICOTERAPIE

con la realtà antologica, ma attraverso il parametro dd successo-m­ successo delle azioni nel raggiungere i propri scopi. 2 . L'adozione di questi presupposti e la considerazione dei sistemi viventi come sistemi organizzativamente chiusi e autoreferenziali mu­ tano radicalmente l'atteggiamento del terapeuta di fronte alle proble­ matiche presentate dal paziente. Il compito del terapeuta non è più quello di valutare se e quanto le costruzioni del paziente corrisponda­ no alla realtà esterna, quanto quello di chiedersi se siano internamen­ te coerenti e in grado di fargli raggiungere i propri obiettivi. Al crite­ rio della razionalità (coerenza fra costruzioni soggettive e realtà onto­ logica) si sostituisce il cnterio della coerenza interna fra costruzioni soggettive, scopi individuali e azioni. Poiché qualsiasi logica soggettiva non è definibile a priori da par­ te di un osservatore esterno, il primo obiettivo da raggiungere è quello della comprensione, o meglio della ricostruzione, della logica interna del paziente. Di fronte a costruzioni apparentemente irrazio­ nali in quanto contrastanti con la logica comune e spesso percepite tali anche dal paziente, il terapeuta anziché chiedersi come il sistema di conoscenza del paziente dovrebbe essere modificato, si pone il problema del perché le sue sensazioni, le sue emozioni e i suoi pen­ sieri siano quello che sono. Questo atteggiamento dd terapeuta deri­ va dall'adozione di alcuni assunti specifici ( Cionini, I 991 a ) : a ) qualsiasi sistema conoscitivo è portatore di una propria logica in­ terna strettamente coerente e qualsiasi logica interna è da considerar­ si "valida" anche se presenta elevati tassi di autocontraddittorietà che possono causare malessere individuale; b) qualsiasi sistema conoscitivo presenta sempre una certa quantità di incoerenza interna; le incoerenze possono riguardare ambiti diversi della conoscenza ( dichiarativa, procedurale, affettivo-immaginativa, episodica) 3, o essere presenti nello stesso ambito; possono riguardare schemi appartenenti agli stessi livelli gerarchici o a livelli fra loro so­ vra o sotto-ordinati (considerazioni del tipo: «Penso che comportarsi così sia del tutto assurdo, ma non posso fare a meno di farlo», «Non c'è nessuna ragione per cui io debba temere questo evento, ma l'idea che possa verificarsi mi mette terribilmente in ansia» oppure « Ovi, p. 9 I ) . Queste parole costituiscono una formulazione già consapevole di quella che sarà poi universalmente nota come la teoria della dissonanza cogniti­ va di Festinger ( I9 5 7 ) . Senonché, Lecky parla di "valori", termine assolutamente inusuale per la psicologia di quegli anni e che contiene una forte carica ideologica, poi fatta propria da Rogers, Maslow e in generale dalla terza forza umanistica. Sebbene non ne fornisca una definizione specifica ( almeno nel testo cui facciamo riferimento ) , Lec­ ky sembra intendere per valori unità culturali che si trasmettono di generazione in generazione attraverso un processo di assimilazione e identificazione: il bambino, egli dice, non soltanto imita i genitori, ma anche, non avendone di propri, adotta i loro punti di vista e le loro opinioni. ll modello illustrato da Snygg e Combs in Individua! Behaviour presentava numerose idee proficue e, se non del tutto originali, alme­ no originalmente organizzate. Vi era anzitutto la novità della posizio­ ne fenomenologica; poi, la ripresa dell'idea secondo cui la nostra per­ sonalità si sviluppa attorno a un Sé, idea che, pur avendo profondis­ sime origini religiose, filosofiche e antropologiche, era ancora piutto­ sto trascurata in psicologia. In terzo luogo, questo modello si potreb­ be definire cognitivista ante litteram; ciò fu un prodotto inatteso della fenomenologia perché quest'ultima, focalizzandosi sulla percezione, si trovò a mettere in luce gli elementi cognitivi ( "valori", "concetti di sé" ) che ne stanno alla base. Secondo Patterson ( I 986 ) , le teorie di Rogers e di Kelly derivano da un ceppo comune e si differenziano

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7· LA TERAPIA CEI':TRATA SUL CLIEI':TE DI C A R L ROGERS

più che altro per l'accento, per l'importanza che attribuiscono all'uno o all'altro dei contenuti : i sentimenti e i punti di vista. Il modello di Snygg e Combs presenta tuttavia un punto debole. Come abbiamo detto, il campo fenomenico è esaustivo della persona­ lità: questo esclude ogni forma di inconscio, perché esso sarebbe l'in­ debito rappresentante di una "realtà" al di fuori delle nostre perce­ zioni . Viceversa, tutto ciò che costituisce il campo fenomenico deve essere, per definizione, cosciente, sebbene con varie gradazioni . Se­ nonché, Snygg e Combs connettono il processo di sviluppo del cam­ po fenomenico al suo ampliamento . Risulta perciò difficile, se si vo­ gliono determinare i limiti e il télos del processo, non ipotizzare una struttura "reale" esterna alla percezione i cui elementi possano venire percepiti oppure no, in base appunto a questo sviluppo. Tale obie­ zione venne posta nel 1 947 ( quando il lavoro di Snygg e Combs era già ben conosciuto, benché Indivzdual Behaviour non fosse ancora pubblicato) alla conferenza annuale deii'American Psychological Asso­ ciation, dalla relazione del presidente uscente, Cari Rogers. Partendo da un riesame del modello di Snygg e Combs, nel giro di quattro anni, Rogers arriverà a proporre, in Client-centered Therapy, una sua teoria, mantenuta nelle trattazioni successive con varie ma non so­ stanziali modifiche.

7·3

Il modello clinico Come abbiamo accennato all'inizio, due sono i principi fondamentali che muovono l'intero modello della personalità. I . Il principio olistico: la sua formulazione è attribuita da Rogers a P. Lecky; esso afferma l'unità psicofisica e la coerenza della personalità. Come vedremo, è per mantenere tale coerenza che i dati esperienziali vengono vagliati prima di arrivare alla percezione. 2. Il principio dinamico o "tendenza attualizzante": per esso, Rogers cita il lavoro del biologo e psicologo K. Goldstein ( 1 9 3 9 ) . La vita non consiste in una mera sopravvivenza ma in un continuo processo verso la differenziazione, l'autonomia e lo sviluppo delle potenzialità innate . Possiamo parlare di una teleologia oggettiva, di un sistema motivazionale che dirige lo sviluppo dell'organismo; nell'individuo ciò sta alla base di una teleologia soggettiva che informa il comportamen­ to. La legge della tendenza attualizzante definisce anche il rapporto con l'ambiente e quindi i bisogni in termini di relazioni interpersona­ li facilitanti. Diversamente da quello di Snygg e Combs, il modello di Rogers 223

PSICOTERAPIE

è bifocale, divide cioè la personalità in due grandi strutture, il "cam­ po esperienziale" e il "concetto di sé"; questi vengono rappresentati da due cerchi secanti più o meno compenetrati a seconda del buono o cattivo funzionamento della personalità stessa, come vedremo più avanti. Il termine "esperienza" ( racchiusa in un campo esperienziale) so­ stituisce quello di campo fenomenico o percettivo, usato da Rogers nei primi scritti; la presa di distanza dalla terminologia di Snygg e Combs ha un valore anche teorico. Per avere un'idea precisa di cos'è l'esperienza assumiamo un punto di vista evolutivo: il neonato vive una serie di accadimenti psi­ cologici senza che però essi siano ancora strutturati in una percezio­ ne. Ciò non gli impedisce di orientare il suo comportamento in mo­ do funzionale alla sopravvivenza e allo sviluppo, in base a una "valu­ tazione organismica" non condizionata: diciamo che il locus o/ evalua­ tzon è interno. Man mano che il bambino cresce una parte dell'espe­ rienza viene organizzata nella percezione e poi simbolizzata, andando a costituire la coscienza. Persino nell'adulto e in condizioni ottimali di funzionamento della personalità non tutta l'esperienza viene sim­ bolizzata : quella la cui intensità non supera un valore-soglia oppure che non viene considerata significativa resta comunque fuori dalla co­ scienza. Ecco quindi che il concetto di esperienza si pone come espressione di una " realtà" esterna alla percezione e alla simbolizza­ zione. Esso è affine, per certi versi, a quello di inconscio freudiano della prima topica, sebbene Rogers non ami questo termine e lo criti­ chi (Rogers, Kinget, I 962 ) da posizioni simili a quelle che saranno poi del cognitivista Erdelyi ( I 985 ) . Un'altra "equivalenza concettua­ le" (Vaccari, I 992) si può trovare fra la dialettica esperienzalsimbo­ lizzazione e quella dei livelli tacito/esplicito proposta da V. F. Guida­ no ( I 987) sulla scia degli studi inaugurati da Pribram ( I 97 I ) attorno alla duplicità dei codici cognitivi. Queste varie formulazioni non sono altro che esempi, i più bril­ lanti, dell'impegno che la psicologia clinica ha profuso fin dai suoi esordi attorno alla constatazione che è presente nel nostro psichismo qualcosa di indisponibile alla coscienza soggettiva e che questo iato è tanto più profondo quanto più è grave il disturbo mentale. Sui moti­ vi per cui ciò avviene la posizione di Rogers è invece piuttosto di­ stante da quella di Freud, perchè ciascuna delle due teorie obbedisce a concezioni della natura umana e del suo funzionamento profonda­ mente diverse. Per Freud, pulsioni e affetti (o meglio le connesse rappresentazioni ) vengono esclusi dalla coscienza secondo i tradizio­ nali meccanismi di difesa . Schematizzando il più possibile possiamo 224

7· LA TERAPIA CENTRATA SUL CLIENTE DI CARL ROGER S

considerare questi ultimi come modalità diverse, più o meno vantag­ giose, con cui si mantiene un relativo equilibrio fra Io, Es e Super-Io. Freud delinea una situazione di conflitto intrapsichico strutturalmente insanabile che tende però alla compensazione in ossequio al principio della costanza dell'eccitamento. Come abbiamo visto, invece, la client­ centered therapy contempla la possibilità di costruire, almeno in linea teorica, un modello non conflittuale, ben funzionante di personalità. Ciò compona che l'esperienza venga liberamente simbolizzata nella coscienza, fatte salve le due condizioni suddette. Viceversa, un con­ flitto contingente e non strutturale può nascere quando la simbolizza­ zione dell'esperienza costituisce una minaccia per ciò che, in un'ottica umanistica, viene considerato il bene supremo da salvaguardare: la nostra identità soggettiva, fornita di potere, autonomia e responsabili­ tà; in altre parole, il Sé. 7 . 3 . I . Spiegazione dello scompenso psicopatologico

Possiamo definire il Sé come una configurazione gestaltica formata da elementi sia esperienziali che simbolizzati. In realtà, Rogers accenna appena alla prima di queste due componenti, limitandosi a definirla come ciò che, del campo fenomenico dell'individuo, si riferisce all'in­ dividuo stesso ( Rogers, I 9 5 9 ) ; invece, si occupa a fondo del "concet­ to di sé", l'insieme degli elementi autodescrittivi coscienti organizzati attorno a "valori" o "costrutti"; termine, quest'ultimo, mutuato dall'o­ pera di G. Kelly ( I 9 5 5 ) . Esso è ovviamente soggetto sia al principio olistico sia a quello dinamico: tende cioè a mantenersi omogeneo, coerente e costante nel tempo pur andando incontro a continui rimo­ dellamenti . Il concetto di sé si forma nell'infanzia, ruotando attorno al biso­ gno psicologico fondamentale del bambino, quello di "accettazione positiva incondizionata". Questo termine riassume un po' i vari biso­ gni categorizzati da A. Maslow ( I 962 ) : amore, stima, sicurezza, con­ siderazione ecc. Se i genitori assicurano a priori tutto ciò, il concetto di sé verrà a plasmarsi sull'esperienza in modo libero e autonomo: il locus o/ evaluation rimarrà interno . Se, viceversa, essi legheranno l'ac­ cettazione positiva a particolari caratteristiche o atteggiamenti, man­ dando un messaggio del tipo: «Ti amo se sei cos} ( come ti voglio) )) , i l bambino, privilegiando per natura la soddisfazione del bisogno, in­ troietterà la valutazione che lo condiziona, arrivando a dire un preca­ rio e inconsistente: do sono cosb . In questo modo, però, il concetto di sé si forma su basi eteronome (il locus of evaluation sarà decentra­ to) e rigide, perchè non modificabili secondo l'esperienza; si potreb-

PSI COTERAPIE

be altrimenti dire che viene compromessa quella facoltà propriamente umana di cogliere le cose in modo diretto, sintetico e originale che già i filosofi della Scolastica chiamavano "intenzionalità" . Una volta formato, il concetto di sé va salvaguardato in ogni ca­ so, sia che risulti funzionale e flessibile sia che si trovi a essere rigido e condizionato. Perciò le varie esperienze che si affacciano nel campo ( emozioni, desideri ecc . ) passano al vaglio della coerenza con esso. Questo confronto awiene a livelli più bassi e indistinti di quelli per­ cettivi, secondo un meccanismo descritto da McCieary e Lazarus ( 1 949) con il nome di "subcezione" . Se l'elemento esperienziale risul­ ta compatibile viene percepito e simbolizzato senza problemi; se non lo è, può divenirlo tramite una modificazione del concetto di sé, ma ciò accade soltanto nel caso più favorevole, quando quest'ultimo è plastico . Viceversa, le esperienze subcepite come incoerenti verranno intercettate prima di arrivare alla percezione oppure percepite corret­ tamente ma simbolizzate in modo distorto . È questa la situazione di malfunzionamento della personalità; l"'incongruenza" fra concetto di sé ed esperienza, visualizzabile come minore compenetrazione fra i due cerchi secanti, priva l'individuo del contatto con le proprie emo­ zioni. Nel migliore dei casi il concetto di sé rimane salvo e integro ma alienato. «Kohut ( I 977) ascrive a se stesso la descrizione dello "uomo tragico" e a Freud quella dell"'uomo colpevole" . Rogers ripor­ ta una condizione esistenziale altrettanto moderna, quella dell'indivi­ duo lontano da se stesso, che dice "io non so chi sono" e che vive in uno stato di costante vulnerabilità proprio perché non può attingere alle proprie risorse profonde» (Vaccari, 1 99 3 , p . 1 2 6 ) . Nel caso peggiore, quando il meccanismo della subcezione-inter­ cezione-distorsione ( l'unico compiutamente descritto da Rogers ) non regge, l'irruzione massiva di elementi esperienziali incoerenti disinte­ gra il concetto di sé. Dal punto di vista psicopatologico, queste due situazioni corrispondono la prima a una problematica di tipo nevroti­ co, la seconda a una crisi psicotica acuta. A grandi linee, questo è l'ambito cui si riferisce il modello rogersiano, sia per quanto riguarda la teoria della personalità, sia per la teoria della terapia. 7. 3 . 2. Il modello dell'intervento terapeutico

Caratteristiche del contratto e del setting Il setting rogersiano non ha particolari caratteristiche se non quelle di rimarcare la sostanziale parità fra i due sottoscriventi il contratto te­ rapeutico. La posizione sarà dunque vis-à-vis e si eviterà con cura al

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7 · LA TERAPIA CEXTRATA S U L CLlE:-lTE Dl CARL ROGERS

cliente di sedersi praticamente ai piedi del terapeuta che troneggia. A quanto ci risulta, Rogers non dà particolari indicazioni sulla durata della seduta, che attualmente varia, a scelta dei singoli professionisti, da cinquanta minuti a un'ora. La frequenza è in linea di massima settimanale. Dai tempi di Rogers si è verificato un progressivo au­ mento della lunghezza complessiva della terapia. Contrariamente a ciò che alcuni pensano, l'accettazione incondizionata del terapeuta ro­ gersiano non si applica alle regole del setting, che il cliente è tenuto a rispettare come in qualsiasi altro tipo di approccio. Piuttosto, ci sono forse maggiori flessibilità e simmetria contrattuale per quanto riguar­ da la gestione delle malattie, ferie ecc.

La diagnosi in clinica e nella ricerca Nella sua battaglia contro il modello psichiatrico tradizionale, Rogers è fortemente awerso alla classificazione diagnostica e nosografica nel­ l' ambito clinico, considerate come etichette che mortificano la ric­ chezza della persona nonché come intralci alla dimensione umana del rapporto terapeutico. Egli inoltre rileva (Rogers, 1 95 7 ) che la monta­ gna del tempo e dell'impegno profusi a fini diagnostici partorisce poi un topolino rispetto alla reale utilità terapeutica. La posizione del Rogers "clinico" è tanto più rilevante in quanto opposta a quella del Rogers "ricercatore", per cui la diagnosi costituisce un indispensabile strumento di indagine. E se attualmente essa ci appare piuttosto dra­ stica, non dobbiamo dimenticare che il dibattito fra le esigenze della clinica e quelle della ricerca resta più che mai aperto come dimostra, ad esempio, la polemica attorno alla speciosità delle categorizzazioni dei DSM CKlerman et al. , 1 984 ) . Tornando alla pratica terapeutica, quanto detto finora significa che la client-centered therapy non prevede alcun intervento a fini dia­ gnostici preliminare alla psicoterapia. Sia nei primi colloqui che in quelli ulteriori, il terapeuta segue senza alcuno schema precostituito il filo del discorso del cliente. La massima cura, infatti, è volta a instau­ rare e mantenere quel "clima facilitante" interpersonale che, nelle sue varie articolazioni di empatia, accettazione e congruenza ( cfr. in/ra, pp. 229 ss. ), costituisce la quintessenza della terapia. Semmai, nelle fasi iniziali, i "rimandi empatici" ( cfr. in/ra, pp . 2 3 3 ss. ) servono an­ che a raccogliere informazioni e ad analizzare la domanda in modo che si arrivi a una corretta formulazione del contratto. Il principio­ guida che viene fruttuosamente seguito è: più vuoi sapere, meno devi chiedere; una raffica di domande, per quanto competenti, rischia di raffreddare sul nascere il rapporto con il cliente e fornisce in definiti227

PS ICOTE RAPIE

va meno dati che un ascolto attento e incoraggiante. Viceversa, pochi rimandi mirati sui punti focali dell'esposizione risultano più efficaci e meno disturbanti. Naturalmente è lecito che il terapeuta ponga qual­ che domanda, se lo ritiene necessario. 7. 3 . 3. La relazione e il processo terapeutico Forse in nessun altro approccio quanto in quello client-centered, il processo terapeutico è cosi strettamente legato alla relazione. Nelle pagine iniziali abbiamo visto come Rogers, partendo da una posizio­ ne fenomenologica, se ne distacchi, almeno parzialmente, nell'elabora­ re un suo modello di personalità. AI contrario, tale dimensione per­ mane saldamente nell'ambito terapeutico, dove ha radici di molto precedenti all'incontro con l'opera di Snygg e Combs. Piuttosto esso si arricchisce, nel corso degli anni, di una sfumatura che viene rico­ nosciuta come esistenziale ( Rogers, 1 9 8oL Con ciò si intende che la terapia è considerata anzitutto un incontro fra due persone, che il terapeuta è mosso dal desiderio di conoscere l'altro nei termini il più possibile vicini a quelli con cui egli stesso si conosce, che qualunque tipo di tecnica terapeutica, per quanto brillante ed efficace, è subor­ dinata a questa dimensione. Cosi si esprime Rogers nel famoso dialo­ go con Manin Buber, tenuto ad Ann Arbor nell'aprile del 1 95 7 ( Kir­ schenbaum, Henderson, 1 989, p . 55 ) :

Non credo che la mia mente sia occupata dal pensiero: «Ora voglio aiutar­ ti•. È molto di più un: «Voglio capirti. Che persona sei, al di là della tua difesa paranoide, di questa confusione schizofrenica o delle maschere che porti nella vita? Chi sei tu?•. Mi sembra che ciò possa essere definito come il desiderio di incontrare una persona [ . . . ] . Mi sembra di avere appreso dal­ la mia esperienza che quando possiamo incontrarci, allora, come conseguen­ za, si verifica un aiuto. Si noti che la domanda ricorrente in questo brano: «Chi sei tu?» è la replica all'inquietante dubbio dell'individuo alienato nonchè l'offena a trovare insieme una risposta. Questa dimensione fenomenico-esistenziale non può essere acqui­ sita attraverso un semplice apprendimento: essa dipende dalle "quali­ tà umane" del terapeuta, dalla sua buona funzionalità come persona ed è anche frutto di una disciplina formativa che va al di là dell' ac­ quisizione di tecniche. Considerata l'importanza che attribuisce all'a­ spetto relazionale, nella contesa "terapia come esperienza" versus "te­ rapia come conoscenza" (i cui termini sono ben riassunti in Migone, 1 9 95, cap . 6), Rogers sembrerebbe schierato nel primo campo; tutta228

7 · LA TERAPIA CENTRATA SUL CLIENTE DI CARL ROGERS

via la sua concezione del rapporto esperienza/conoscenza, che coinci­ de con quello esperienza/simbolizzazione analizzato nelle pagine pre­ cedenti, fa si che i due termini siano inscindibilmente legati. Questa idea è l'applicazione, a livello psicologico, di quanto ] . Dewey ( 1 903 ) aveva espresso sul piano filosofico. La conoscenza, sia quella comune (propria dei rapporti umani ) sia quella scientifica, si svolge lungo un continuum che va dal livello biologico maggiormente semplice a quel­ lo mentale capace delle più astratte operazioni logiche. Ciò significa che un insight è veramente tale soltanto quando è inserito in un glo­ bale processo di sviluppo fondato sulla tendenza attualizzante. Rogers percorre, più o meno negli stessi anni, un cammino inverso a quello degli psicoanalisti, soprattutto americani, con la loro ipervalutazione della componente interpretativa della terapia: la progressiva compren­ sione di sé che il cliente acquisisce non è, a suo avviso, una giustap­ posizione intellettuale come quella fornita in termini già compiuti dal­ l'analista, ma una lenta "costruzione", una progressiva attribuzione di significati che diano voce all'esperienza. Rogers ritiene che il modo migliore per incentivare questo processo sia appunto quello di favori­ re la tendenza attualizzante, che già di per sé implica un'inclinazione a simbolizzare. E, visto che essa è qualcosa di innato, bisognerà agire sull'ambiente, creando il clima facilitante interpersonale caldo, acco­ gliente e sicuro.

Le "condizioni" e la conduzione del processo terapeutico Tale clima si condensa in alcune caratteristiche esplicate dal terapeu­ ta: la congruenza personale, l'accettazione positiva incondizionata e l'em­ patt'a nei confronti del cliente. Queste sono tradizionalmente definite «le tre condizioni necessarie e sufficenti» (o core conditions) a pro­ muovere "una modificazione costruttiva della personalità" come Ro­ gers scrive in un articolo del 1 95 7, il primo in cui esse sono compiu­ tamente enunciate ( Rogers, 1 957 , trad. it. pp. 49-50) . È con «timore e tremore» (ivi, trad. it. p. 6 1 ) , fresco di studi kierkegaardiani, che egli ne generalizza la validità a ogni tipo di relazione terapeutica che rispetti i seguenti requisiti: esista un contatto psicologico fra cliente e terapeuta; il cliente sia in grado di percepire, almeno in parte, l'empatia e la considerazione incondizionata del terapeuta; il cliente sia in uno stato di vulnerabilità e di ansia, dovuti all'in­ congruenza, che lo motivino a ricercare l'aiuto terapeutico. Questi limiti definiscono, in pratica, lo stesso ambito psicopatolo229

PSICOTERAPIE

gico cui abbiamo accennato rispetto alla teoria della personalità. Sono escluse, ad esempio, le tossicodipendenze, perché la vulnerabilità, l'ansia sono compensate dall'uso delle sostanze; la catatonia, in quan­ to manca il contatto psicologico; le sindromi paranoidi perché l' em­ patia può essere vissuta come invasione. Come vedremo, sono stati in seguito messi a punto approcci specifici che, rispettando i principi della client-centèred-therapy, si adattano alle esigenze particolari di queste problematiche. Delle innumerevoli considerazioni che potrebbero farsi sulle core conditions, ne scegliamo due: a) è da sottolineare l'ardire con cui Rogers afferma che esse sono non soltanto necessarie ma anche sufficienti. È seguito un intermina­ bile dibattito, dentro e fuori il movimento rogersiano, fra chi vorreb­ be considerare queste condizioni come base su cui innestare altre ti­ pologie di intervento e chi fa propria la fiducia di Rogers nella loro esaustiva efficacia ( Thorne, 1 99 3 ) ; b) sempre nell'articolo già citato del 1 95 7, s i afferma chiaramente che esse valgono non soltanto nell'ambito della client-centered-therapy ma che coincidono con i