Presagi, previsioni e predizioni nel lessico di Virigilio


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Italian Pages [69] Year 1987

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Presagi, previsioni e predizioni nel lessico di Virigilio

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GIOVANNI GASPAROTIO

Presagi, previsioni e predizioni nel lessico di Virgilio

LIBRERIA UNIVERSITARIA EDITRICE VERONA 1987

Proprietà letteraria riservata

In

copertina: Michelangelo, La Sibil/a Delfica Vaticano (Cappella Sistina).

PRESAGI, PREVISIONI E PREDIZIONI NEL LESSICO DI VIRGILIO

PREMESSA Per entrar subito nel complesso intreccio della mantica classica uti)izzata in misura tanto estesa da Virgilio, quasi certo anche per l'apporto delle sue componenti poetico­ religiose, è opportuno rifarsi a quello che Cicerone realisticamente tiene a rilevare a proposito di genesi e diffusione dell'arte divinatoria fra i popoli antichi e della sua utilità in sede politica, nei tempi di pace cosl come in guerra: Diu. I 93-95,

Ac mihi quidem uidentur e locis quoque ipsis, qui a quibusque incolebantur, diuinationum opportunitates esse ductae. Etenim Aegyptii et Babylonii in camporum patentium aequoribus habitantes, quum ex terra nihil emineret quod contemplationi caeli officere posset, omnem curam in siderum cognitione posuerunt. Etrusci autem, quod religione imbuti, studiosius et crebrius hostias immolabant, extorum cognitioni se maxime dediderunt...... et portentorum exercitatissimi interpretes exstiterunt. Quorum quidem uim. . .uerba ipsa prudenter a maioribus posita declarant. Quia enim ostendunt, portendunt, monstrant, praedicunt, ostenta, portenta, monstra, prodigia dicuntur. Arabes autem et Phryges et Cilices, quod pastu pecudum maxime utuntur, campos et montes hieme et aestate peragrantes, proptereafacilius cantus auiumet uolatus notauerunt. Eademque et Pisidiae causafuit et huic nostrae Umbriae. Tum Caria tora praecipueque Telmesses. .. . quod agros uberrimos maximeque ferri/es 5

incolunt, in quibus multa propter fecunditatemfingi gignique possunt, in ostentis animaduertendis diligentesfuerunt. Quis uero non uidet in optima quaque re publica plurimum auspicia et re liqua diuinandi genera ualuisse? Quis rex umquam fuit, quis populus qui non uteretur praedictione diuina? Neque solum in pace, sed in bello multo etiam magis, quo maius erat certamen (et discrimen) salutis. In sostanza: a Cicerone sembra che l'opportunità del ricorso alle pratiche divinatorie debba connettersi con la natura dei luoghi e delle popolazioni presso cui venivano esercitate. Egizi e Babilonesi, abitanti di regioni di pianura, non avendo, nei loro territori, alcuna altura che potesse ostacolare l'osservazione del cielo, posero ogni cura, alzando lo sguardo, nel conoscere le stelle. Gli Etruschi, particolarmente dediti alle manifestazioni religiose e al sacrificio di vittime, si diedero ad esaminare con la massima attenzione le viscere degli animali sacrificati trovandovi indizi, e divenendone esperti interpreti, di presagi divini. Cosl gli antichi diedero origine al vario e preciso vocabolario dell'arte divinatoria, per cui da verbi corrispettivi si ebbero nomi, quali ostenta, portenta, monstra, prodigia. Gli Arabi, inoltre, e i Frigi e i Cilici, dediti alla pastorizia vagando estate ed inverno per pianure e montagne, si dedicarono con più facilità a studiare il canto e il volo degli uccelli: identica fu la cura della Pisidia e della nostra Umbria. Tutta la Caria e i Telmessi, abitanti di terre fertilissime e ubertose, per cui vi si producevano molte cose, furono diligenti nello scoprire ciò che ingenera curiosità A nessuno inoltre sfugge qual'era l'importanza degli auspici e delle altre forme dell'arte divinatoria nelle forme 6

mi gl iori di governo della cosa pubblica. Non c'era sovrano o popolo che non ricorresse alla divinazione, sia in pace che soprattutto in guerra, specialmente nei casi più complessi.

La varietà delle pratiche, da Cicerone qui sopra globalmente definite auspicia e diuinandi genera, è bene evidenziata in Latino tramite la diversità dei loro nomi, legati alle caratteristiche salienti di ciascuna di esse. Un cenno a sè esige anzitutto praesagium, ch e entrerà nell'uso corrente a partire dal l 0 sec. d. Cr., in particolare nei poeti (Ovidio, Stazio, Claudiano) e in Columella, Patercolo e che, nel corrispettivo iL presagio (fr. presage), sarà destinato a indicare genericamente qualunque premonizione di un evento futuro. Praesagium, com'è noto, risale a prae-sagus (< sagire aver fiuto; cfr. sagax, sagacia. Più precisamente: "andare in cerca", nel senso della caccia). Sagus, -a, -um per estensione passava ad esprimere la facoltà, o anche abilità, d'interpretare il manifestarsi di una premonizione. In Virgilio appare due volte l'aggettivo: Aen. X 843, praesaga (nom.) mali mens; ib. 1 77, praesagi (nom.) fulminis ignes. Quanto al verbo, Cic. diu. I 65-66: - Sagire-enim sentire acute est: ex quo -sagae- anus, quia multa scire uolunt, et -sagaces- dicti canes. fs igitur, qui ante sagit quam oblata res est, dicitur praesagire, id estfutura ante sentire. Inest igitur in animis praesagitio extrinsecus iniecta atque inclusa diuinitus. Ea si exarsit acrius,furor appel/atur, quum a corpore animus abstractus diuino instinctu concitatur. =

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La credenza nei presagi (con senso corrispondente, quasi, a omina ttpata) già in antico si fonda su una concezione più o meno inconscia della connessione universale degli eventi. Nella interpretazione di essi entrano associazioni di idee, o l'abilità di associarle, ricordi di coincidenze sperimentate o presupposte, talora le componenti del pensiero magico o, più diffu samente, dell'arte denominata magia. Il pensiero religioso, poi, interviene a stabilire un nesso tra i p r e s a g i e la divinità: in tal caso essi sono ritenuti manifestazioni della volontà divina, rivolte agli uomini. Nella pratica religiosa e superstiziosa, si può distinguere tra presagi casuali, la cui interpretazione può essere fatta da chiunque, ih base a tradizioni vigenti e a una prassi consueta, e presagi appositamente richiesti o provocati, da interpretarsi da parte di esperti, quali indovini od oracoli. Fra i primi possono classificarsi i fenomeni naturali e meteorici, fra i secondi quelli che vengono affidati alla divinazione, come l'osservazione degli astri e i fatti che in genere rientrano nell'antica "scienza" della astrologia, come quella dell'antica Babilonia, o degli Etruschi (i fulmini assumevano significati diversi, secondo la regione del cielo in cui apparivano). E così, in questa divinazione, con forti connotazioni naturalistiche, per taluni rientrava l'osservazione di fatti fisici quali l'evolversi delle fi amm e in un fuoco (piromanzia), lo scorrere delle acque (idromanzia), il comportamento delle vittime sacrificali e delle loro viscere durante le cerimonia. Quale effetto di ogni presagio discende la previsione, ossia l'atto del prevedere ciò che avverrà nel futuro sulla base di indizi più o meno certi. E viene di conseguenza la predizione, intesa come preannuncio del futuro, della quale sempre Cic., nat. de. II 7: =

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Praedictiones uero et praesensiones rerum futurarum quid aliud est declarant nisi hominibus ea quae sint ostendi, monstrari, portendi, praedici? Ex quo illa ostenta, monstra, portenta, prodigia dicuntur. In Italiano, presagio, previsione, predizione sono tre termini che abbracciano, com'è noto, un ampio spettro di accezioni e che vengono usati con una interscambiabilità non sempre corretta e talora non aderente al preciso significato dei corrispettivi (non pochi) nomi latini, quali augurium, auspicium carmen, fatum, monstrum, omen, oraculum, portentum, praedictum, prodigium, signum, tutti adoperati da Virgilio, specie in materia religiosa e liturgica, con connotazioni puntuali e diversificanti, riferite a situazioni specifiche e ad immagini ben definite, rilevanti un'antica connessione con ceppi linguistici legati alla religiosità che permeava la vita delle primitive popolazioni laziali e l'età arcaica della Romanità. Corrispondevano, perciò, al complesso rituale di una prassi già diventata, per l'impulso anche delle sue ascendenze preromane, specie etrusche, sempre più complicata ed espressiva. Anche dall'insistente ricorrere di questi nomi nell'universo virgiliano, in particolare nell'Eneide, l'autore fa emergere, con prepotenza quasi, il valore della missione che grava sull'Eroe e sul suo "destino", la quale si concretizza seguendo i fata (Virgilio preferisce il plurale) che, per volontà divina, vogliono assegnato il dominio del mondo alla città fondata dagli Eneadi, da cui scaturirà, in lontana prospettiva, quella pax Romana che Augusto avrà il privilegio di instaurare secondo il canto celebrativo del vate. Nella voce di costui risuonano appunto premonizioni, annunci e responsi che precorrono, accompagnano, seguono imprese eroiche e no, e •.

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fatti in cui agiscono di volta in volta divinità, eroi ed uomini comuni, nello sconfinato scenario di cielo, terra e oltretomba, dove si attuano i destini preconizzati, che coinvolgono l'eroe e una moltitudine di attori più o meno secondari. Giova a proposito rifarsi ancora a Cic., diu. I 1: Vetus opinio est iam usque ah heroicis ducta temporibus eaque et populi Romani et omnium gentiumfirmata consensu uersari quandam inter homines diuinationem, quam Graeci J.llXV'rlzTIV appellant, id est praesentionem et scientiam rerumjuturarum. Magnifica quidem res et salutaris, si modo ulla est, quaque proxime ad deorum uim natura mortalis possit accedere. In sintesi: è antica opinione, discesa fmo dai tempi eroici e consolidata dal consenso del popolo Romano e di tutte le altre genti, che fra gli uomini si praticasse una forma del divinare che i Greci chiamano J.lavttXT\v, intesa come presentimento e scienza del futuro. Cosa grandiosa ed utile, che riesce ad avvicinare la natura all'essenza del divino. E', in effetti, l'arte che accosta l'uomo alla potenza degli dei e che si riteneva distinta, fin dai tempi primitivi, in divinazione intuitiva, quando si pensava che i responsi provenissero direttamente dalla divinità attraverso apparizioni, sogni o voci di "profeti invasati", e in divinazione induttiva, quando i responsi venivano colti, e poi interpretati, da fenomeni naturali o dal componamento di animali, piante, oggetti inanimati, di cui s'è fatto più sopra cenno. Vediamo, ora, in Virgilio come si attuano le presenze di questa arte, nel susseguirsi dei citati termini e nel contesto delle vicende narrate o rappresentate in diretta, a partire da quel nome che ricorre con maggiore frequenza nella sua opera.

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FATIJM-FATA Occorrenze 149: 2 1 e 1 28. FATIJM inteso come "detto" (