Poesie


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GRANDI CLASSICI

Emily Dickinson Poesie a cura di Massimo Bacigalupo

Arnoldo Mondadori Editore

@ 1995 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano l edizione Oscar Grandi Classici aprile 1995 ISBN 88-04-38641-X

Questo volume è stato stampato presso Arnoldo Mondadori Editore S.p.A. Stabilimento Nuova Stampa - Cles (TN) Stampato in Italia - Printed in ltaly

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Introduzione

per Anna Crovetti

1946-1989

To bave been immortal transcends becoming so. E. Dick.inson, 187.5

Amherst, dove Emily Dic kinson nacque nel 1830 e mor ì nel 1886, è una cittadina del Massachusetts, a circa 150 chilometri a ovest di Boston. Si trova nella fertile vallata superiore del Connecticut River, nota come Pioneer Valley perché nel secolo XVII costituiva la frontiera occidentale del New England, resi ­ denza dei "pionieri" inglesi che non si arrischiavano a ovest nel collinoso Berkshire e nella valle dello Hudson, dominio degli olandesi. La valle è protetta da ripidi rilievi basaltici, fra cui Mount Holyoke (300 metri), meta di escursioni che offre una bella vista sull'ansa a ferro di cavallo del Connecticut. Massachusetts e Connecticut sono nomi indiani. La natura con la sua drammaticit à, con le sue stagioni fredde e tempera ­ te molto differenziate, resta presente sullo sfondo della vita sonnolenta della Amherst vittoriana, dove i Dickinson erano una famiglia ragguardevole. Il padre Edward, avvocato e par ­ lamentare , dominava la famiglia a lui devota : la moglie Emily e i tre figli Austin, Emily e Lavinia. Questi vissero in qualche modo alla sua ombra: Austin, anch'egli avvocato, nella casa che il padre gli fece costruire accanto alla sua quando si sposò, Emily e Lavinia nella casa paterna , che non lasciarono, rima ­ nendo nubili. Emily espresse il suo genio poetico in maniera pressoché segreta e privata, come per non interferire nell'im ­ magine pubblica del padre e della famiglia . C'era in lei qualco ­ sa della riserva dell'aristocratico che non scrive o fa altro per denaro, ma lavora disinteressatamente a quello che, secondo il detto biblico, è più prossimo alla sua mano. Byron avrebbe vo ­ luto poter fare così, ma poi gli ingenti proventi dei suoi best ­ seller poetici gli fecero cambiare parere. Un più tardo poeta

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americano, Wallace Stevens, anch'egli vissuto sulle sponde del Connecticut, a Hartford, fu un a vvocato dirigente di compa ­ gnia di assicurazione, e destinava di solito ad altri i compensi delle sue pubblicazioni, peraltro non lauti, con lo stesso disin ­ teresse per il guadagno letterario. Ma la Dickinson non entrò nemmeno nell'arena editoriale, come ripetendo in pieno Otto ­ cento la curiosa vicenda del suo conterraneo d'adozione Edward Taylor (c. 1 645- 1729), pastore di Westfield, Massa ­ chusetts, la cui ingente e notevole produzione poetica fu sco ­ perta solo negli anni 1 930, e proprio da quel Thomas H. John­ son che nel 1955 pubblicò la prima edizione critica dell'opera della Dickinson. Così fu solo alla morte di Emily che la sorella Lavinia scoprì nella sua camera una scatola contenente il gros ­ so della sua opera poetica. Convinta dell'importanza dei ma ­ noscritti della sorella maggiore, Vinnie si diede da fare attiva ­ mente perché una scelta di poesie vedesse la luce, e fu accontentata nel 1 890, a soli quattro anni dalla morte di Emily. La Dickinson era probabilmente troppo sicura della propria forza e indifferente al giudizio del pubblico, per occuparsi del ­ la pubblicazione della propria opera. La poesia era stata per lei una maniera di riflettere e cercare in privato, di dire quello che aveva da dire, anche se la sua opera non ha niente di tra ­ scurato come potrebbe avere una notazione diaristica fatta so ­ lo per i propri occhi. La Dickinson cerca appassionatamente di incarnare più o meno definitivamente la sua visione po etica , proponendo va ­ rianti, riscrivendo testi a distanza di anni, sempre alla ricerca della perfezione espressiva, della parola giusta, della frase me­ morabile: diversa da quello che ci si potrebbe aspettare eppure perfettamente adeguata. Era una scrittrice, più di tanti suoi coetanei e successori che scrivevano per pubblicare, abbassan ­ dosi al livello delle aspettative convenzionali del loro pubbli ­ co. ll pubblico della Dickinson era il più esigente che ci potes ­ se essere: lei stessa . La sua capacità di mantenere questa tensione per tutto l'arco della sua opera silenziosa rivela un'energia intensissima, e ricorda quei vulcani che essa tanto spesso evoca nelle sue metafore della vita psichica . Tutto pare tranquillo e silenzioso nella casa ordinata dietro la siepe della

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via principale della cittadina. Ma nella stanza c' è qualc Wlo che sc nve: My Life had stood- a Loaded Gun­ In Comers - till a Day The Owner passed - identified And carried Me away... [7.54]

È un'altra immagine di un'energia allo stato puro - il fucile ca ­

rico dimenticato nell'angolo - che attende di es sere impiegata con la precisione del tiratore scelto. Mettiamo insieme le due cose, violenza e precisione, e abbiamo la poesia, non s ol o della Dickinson. Questa ricerca dell'espressione perfetta che la Dickins on compie quando scrive si riscontra anche nelle oltre mille lette ­ re e biglietti conservati, che spesso passavano attravers o diver­ se stesure, proprio come se si trattasse di Wl testo che cerca la forma ottimale. Lo sappiamo perché di alc Wle lette re si s ono conservate le minute, che presentano varianti e cancellatu re, e anche perché alcune frasi vengono riprese con variazioni mini ­ me in lettere a diversi corrispondenti. Per esempio in due let ­ t ere scritte a persone diverse a distanza di tredici anni ( 1 8 69, 1882 ) si trova la frase seguente: "Una lettera mi è sempre sem ­ brata come l'immortalità, perché non è forse come la mente sola, senza amico corporeo? " . La Dickinson affermò anche che " una lettera è una gioia della terra - è negata agli Dei" (1639). Avrebbe potuto affermare la stessa cosa della poesia. Queste frasi ricorrenti avevano raggiunto la forma desidera ­ ta, e potevano essere comunicate senza sospetto di ripetitivit à: erano come poesie che si trasmettevano ai destinatari . Tale modo di procedere va messo in relazione con un'altissima c on ­ siderazione della parola scritta, di sé e della persona con cui si comunica . La Dickinson non si rilassa quasi mai, n on chiac ­ chiera, se non con piena consapevolezza del gioco che sta gio­ cando . Da ciò l'impressione registrata dal su o corrispondente e quasi consulente letterario Thomas Wentworth Higgins on, quando la conobbe nel 1 870, dopo ott o anni di corrisp ond en ­ za (Emily aveva quarant'anni, Higginson quarantasette): " N on sono mai stato con qualcuno che mett esse a c os ì dura p rova la

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mia energia nervosa. Senza che la toccassi, essa mi svuotava. Sono contento di non viverle vicino". Higginson, letterato af­ fermato di Boston e valoroso combattente, non aveva ragione di provare disagio davanti alla sua "poetessa eccentrica", ma fu lei a dominare la conversazione:

Disse con una piccola affannata voce di bambina [. ..] "Scusate se ho paura, non vedo mai sconosciuti e quasi non so quel che dico"- ma subito cominciò a parlare, e poi continuamente- e deferentemente - a volte fermandosi per chiedere a me di par­ lare invece di lei - ma presto ricominciando... L'autorevole visitatore è compiaciuto dalla deferenza della donna, vestita "in un picché bianco semplicissimo e assoluta­ mente lindo e uno scialle blu a rete di lana pettinata". Ma è chiaramente convinto di avere a che fare con qualcuno di ec­ cezionale. Scrive queste notizie alla moglie dall 'albergo la sera dell'incontro, come se avesse visitato uno dei luminari dell'epoca, e chiama la sua interlocutrice "E.D. " Ne registra anche alcune battute a futura memoria, e descrive casa e per­ sona con l'attenzione dello scrittore e dell'osservatore privile­ giato a vedere un mondo segreto. Higginson non era un personaggio di primo piano come quel Ralph Waldo Emerson a cui Walt Whitman inviò nel 18 55 la prima edizione, autofinanziata, di Leaves o/ Grass. La Dickinson si era formata sugli entusiasmanti saggi e le discrete poesie di Emerson, che nel18 57 aveva anche pernottato pres­ so il fratello A ustin in occasione di una sua conferenza ad Amherst. Se nel 18 62 essa avesse scritto a lui anziché al più giovane Higginson è probabile che Emerson avrebbe incorag­ giato la maggiore diffusione della sua lirica e ne avrebbe com­ presa la portata, come fece genialmente con Whitman, eccen­ trico quanto e più della Dickinson, e perdipiù alquanto osé. Ma Higginson aveva scritto un articolo dedicato agli aspiranti scrittori che alla Dickinson era piaciuto (''provai onore per voi"), ed essa scelse lui e non il saggio di Concord per averne un giudizio. Le lettere di Higginson non si sono conservate. Forse, apprezzando le poesie e insieme dichiarandole troppo particolari per essere pubblicate, disse alla Dickinson proprio

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ciò che essa voleva sentirsi dire. "Sorrido qu ando mi suggerite di 'aspettare a pubblicare'" gli scrisse nella sua terza lettera , il 7 giugno del 1862, ciò essendo lontano dal mio pensiero, come firmamento da pinna-Se la fama mi appartenesse, non potrei sfuggirle-se in­ vece no, il giorno più lungo mi passerebbe nella caccia-e l'ap­ provazione del mio cane mi verrebbe a mancare -perciò - il mio grado scalzo è miglioreRitenete il mio passo "spasmodico" -Sono in pericolo, si­ gnoreMi ritenete "incontrollata"-Non ho tribunale. Avreste forse tempo di essere !"'amico" di cui pensate che io abbia bisogno? Ho una figura piccola -non affollerebbe la vostra scrivania - né farebbe più chiasso del topo, che rode i vostri soppalchi -

Higginson le aveva evidentemente consigliato di fidarsi di un amico, e aveva espresso i giudizi che lei gli ripete fra virgolette in un brano di una maestria espressiva indimenticabile. Hig­ ginson si guardò bene dal cestinare i manoscritti della sua ec­ centrica corrispondente. Per un letterato in daffarato che rice­ ve sollecitazioni da poetesse sconosciute questo è già un merito notevole. Se non fosse per lui queste lettere impagab ili si sarebbero perse. In una celebre poesia forse di quello stesso 1862, la Dickin ­ son aveva sc ntto This is my letter to the World That never wrote to MeThe simple News that Nature told­ With tender Majesty-

La metafora della lettera vale per tutta la scrittura, un'at tività gestita dal singolo e senza risposta o richiesta (come è invece nel mondo dell'editoria). Ma nella seconda strofa appare un pubblico di lettori: Her Message is committed To Hands I cannot seeFor lave of Her- Sweet- countrymenJ udge tenderly - of Me [441]

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È un pubblico invisibile, presentito, a cui il poeta chiede in­ dulgenza in nome di quella natura di cui dice di essere inter­ prete. E countrymen ha forse il doppio senso di "compatrioti" e "paesani", uomini della campagna. Notiamo ancora una dif­ fidenza nel presentarsi, una richiesta di discrezione, come nel­ la lettera sopra citata. Ma accanto a questa reticenza c'è l'asso­ luta chiarezza d eli' enunciato, la capacità dichiarativa e metaforica: "Questa è ... " - quasi a dettare la legge. E l'assoluta maestria nel semplice giro della prima frase, con la sua caratte­ ristica inversione: " my letter to" l "never wrote to me" . Si pre­ sentano due percorsi opposti, la frase torna ed è incancellabi­ le. Forse "tender Majesty" potrebbe anche leggersi come una definizione della qualità cui la Dickinson ambisce. Ma nel suo mondo c'è più maestà e passione (violenza, visione), che tene­ rezza. Essa non piange: vede, ricorda, medita: spara e colpisce il segno, come quel fucile che sappiamo. La poesia è una lettera privata, un messaggio affidato spe­ ranzosamente a una bottiglia. Così doveva essere per le centi­ naia di poesie non divulgate che la Dickinson rilegò rudimen­ talmente e chiuse nella sua scatola senza dire niente a nessuno su ciò che se ne doveva fare, lasciando che il tempo le desse o no la fama, come esso poi fece senza alcuna esitazione. D'altra parte occorre tenere presente che essa diede alle sue poesie una forma tutta particolare di pubblicazione, inviandole rego­ larmente ai suoi corrispondenti, e facendo delle lettere stesse, come si è visto, dei prodotti letterari finiti. Era un metodo che fra l'altro garantiva che le poesie fossero lette esattamente co­ me essa le aveva pensate, senza dover passare attraverso una revisione e regolarizzazione della particolare punteggiatura e metrica dickinsoniana (vedi Nota linguistica) da parte di re­ dattori vari, come avvenne con suo disappunto per le nove poesie che vide pubblicate anonime, a volte senza il suo con­ senso. Visto che i contemporanei non l'accettavano cosl com'era, meglio affidarsi alle mani invisibili dei posteri. O alla lettera personale. Così è documentato l'invio a diversi corrispondenti di 581 poesie, di cui 276 alla sola cognata Sue, con cui ebbe un rap­ porto intenso e complesso. Da notare fra l'altro che questi in-

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vii e scambi epistolari fra cognate avvenivano fra due case di­ stanti poche decine di metri ... A Higginson la Dickinson inviò circa cento poesie in ventiquattro anni. Anche se spesso le stesse poesie venivano inviate a diversi corrispondenti, il nu­ mero delle poesie pubblicate ad personam in questo modo si aggira probabilmente intorno a un terzo dell'opera complessi­ va di circa 1770 testi noti. Infatti occorre tenere conto di di­ versi epistolari perduti. Dunque nell'immediato la Dickinson usò la sua poesia strumentalmente, per dire alle persone care quel che le stava a cuore: come una forma di comunicazione che ha spazio all'interno del discorso quotidiano. Solo a Hig­ ginson e pochi altri letterati essa inviò delle poesie in quanto poesie. Per tutti gli altri corrispondenti la poesia era una forma trasparente di comunicazione, una ripetizione ( come diceva) delle notizie apprese dalla natura. In questo modo semplicissimo la Dickinson diede al mondo una parte cospicua della sua opera, sicura che essa non sarebbe stata travisata, e si creò un pubblico che altri poeti potrebbero invidiarle. I suoi amici e parenti si abituarono e apprezzarono le sue comunicazioni più o meno sibilline, le conservarono e le ri­ lessero. Così il poeta scendeva dal pwpito e si sottoponeva al giudizio degli amici, ben più severo in certi casi di quello dei re­ censori. Per un conoscente l'affettazione o l'irrilevanza è subito evidente, e la pazienza è poca. Un recensore o lettore davanti a un libro di poesia confezionata come tale da un editore accet­ terà per buone espressioni che non perdonerebbe a un amico. Questo test per la poesia, la rilevanza alla vita comune, fu quel­ lo che alla Dickinson più importava. Le notizie che aveva da da­ re erano atte a interessare anche e soprattutto dei lettori non professionali. Da ciò l'immensa fortuna postuma della sua poe­ sia, che prescinde dalla letterarietà, non cerca il consenso degli arbitri della capitale ctÙturale, ma parla direttamente all'inti­ mo. li rischio di questa scelta poteva essere il provincialismo e l'intimismo. Ma della debolezza la Dickinson si fece una forza, insistendo stÙ carattere particolare, angolato, della sua visione, e approfittando della vitalità disincantata del suo mondo yankee e della sua lingua. Essa non chiedeva ai destinatari delle sue lettere di tollerare i suoi esercizi letterari, non pretendeva

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da essi un mutamento di registro e di aspettative. Usava invece le stesse parole della comunicazione ordinaria, gli stessi giri di frase svelti, gli stessi anacoluti e licenze, facendone un uso con· sapevole ed espressivo. La colloquialità controllata è una delle grandi forze della sua poesia. Nel 1915 Ezra Pound scriveva a Harriet Monroe, direttrice di "Poetry", una celebre ricetta per la poesia moderna come la intendeva lui:

Oggettività e ancora oggettività, ed espressione: nessuna inver­ sione, nessun aggettivo spostato... nessun tennysonismo della lingua; nulla, nulla che non si potrebbe, in qualche circostanza, sotto la spinta di qualche emozione, effettivamente dire. Questo la Dickinson non ebbe bisogno di scoprirlo faticosa­ mente, esponendosi a continue ricadute: lo faceva abitualmen­ te, giacché non vi era per lei distinzione essenziale fra poesia e dire. Sorprendentemente, la sua scelta di una scrittura privata, per pochi, non diminuisce affatto quella che Pound chiama oggettività. Non abbiamo mai l'impressione di avere a che fare con una grafomane eccentrica, di cui sopportiamo le debolez­ ze per le espressioni saporite che ci regala nei momenti di gra­ zia. n suo privato, il suo io, vede solo o scopre quel che è sotto gli occhi di tutti, e lo dice quasi sempre in modo perfettamen­ te risolto. Essa aveva ben chiaro questo ruolo di interprete col­ lettivo del poeta, come appare dalla poesia sulla lettera al mondo, che dunque si offre alla lettura del mondo, o dall'altra memorabile definizione, anch'essa avviata da un perentorio "Questo era.... "·

This was a Poet - lt is That Distills amazing sense From ordinary Meanings­ And Attar so immense From the familiar species That perished by the Door We wonder it was not Ourselves Arrested it - before... [448]

n poeta estrae, spreme, il senso e il nettare dell'esperienza pas­ seggera, dandovi forma definitiva, e stupendoci con la inevita-

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bilità della sua parola, che sentiamo nostra, come se anche noi l'avessimo potuta dire. C'è un passaggio dall'ordinario al sor­ prendente che però non è ghiribizzo ma espressione risolta, che "arresta" il battito della vita. La Dickinson indicò a chiare lettere questo carattere para­ dossalmente impersonale della sua poesia privata avvertendo Higginson: "Quando presento me stessa come protagonista dei versi - non significa che sia io - ma una persona ipotetica" (luglio 1 862). La poesia usa la prima persona con totale consa­ pevolezza retorica. È il modo più efficace di parlare, e una per­ centuale consistente dei testi della Dickinson ci presenta il mondo attraverso questo io, questa " supposed person", con cui siamo invitati drammaticamente a identificarci. Qui si può ben dire che la Dickinson compì un esercizio di impersonalità e oggettività, superando con vigore incomparabile i limiti del suo tempo e della sua cultura. Fra i poeti di lingua inglese dell'Ottocento essa è uno dei più letti, e forse leggendola sia­ mo meno consapevoli della lettura come operazione di recu­ pero, ascolto di un mondo lontano (quello di Byron o di John Keats). La lettera sembra impostata l'altroieri. L'io poetico della Dickinson è così intrigante e sfuggente che lettori e biografi hanno cercato di darsi ragione della passiona­ lità dell'opera, specialmente sensibile nella produzione del 1862, anno in cui, se accettiamo la datazione dell'edizione criti­ ca, essa scrisse o copiò nei suoi quaderni 365 poesie (oltre a comporre le mirabili lettere a Higginson). In questo periodo, forse pensando a quello che avveniva nel suo animo, essa scrisse in tono di sfida: "Dare you see a Soul at the White Heat?". Osa­ te vedere un'anima al calore bianco? (365). La temperatura del­ la sua officina in quel periodo era evidentemente incandescen­ te. Molte delle poesie introducono le metafore delle nozze (Wild Nights- Wild Nights! 249), dell'amore infelice destinato a compiersi attraverso la rinuncia, della dedizione totale... Cosa corrispondesse nell'esperienza personale della Dickinson a questa fiammata sconvolgente che la battezzò nel fuoco della poesia, !asciandola in seguito alquanto bruciacchiata e provata, non è noto, anche se molti propendono per un'esperienza amo­ rosa reale. Ma l'oggettività dell'espressione e la sua letterarietà

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estranea a ogni artificio ed esercizio è tale da non lasciare spira­ gli documentari. Le poesie amorose della Dickinson, come i so­ netti di Shakespeare, continueranno a sollecitare l'immagina­ zione di lettori e biografi. Quello che conta è l'impressione di realtà che la "persona ipotetica" ci dà. Un evento c'è, dietro la parola, la crea. Ma la metafora non si lascia fissare in un'unica direzione. Così, dicendo una passione incandescente nella ma­ niera più eloquente, la Dickinson non ha rivelato nulla di preci­ so di sé. La parola è tutt'uno col segreto. D'altra parte si può ipotizzare una corrispondenza a grandi linee fra la parabola del­ la poesia e la vita della donna. È troppo evidente la congiunzio­ ne di creatività e fisicità nella Dickinson trentenne, passionale adulta che tocca il culmine delle sue forze per poi ripiegare ra­ pidamente nel clima più rarefatto, asciutto e didascalico degli ultimi decenni della sua non lunga vita. La misura della poesia della Dickinson è breve. Una delle sue forme preferite è la definizione aforistica, che va a com­ porre un dizionario poetico. (Una per tutte: Presentiment- is that long Shadow- on the Lawn, 764.) Per diversi anni della formazione, secondo quanto scrisse a Higginson, "il mio dizio­ nario fu il mio solo compagno" . Da ciò derivò presumibilmen­ te il gusto di misurarsi con le definizioni tautologiche che i di­ zionari offrono. Soprattutto derivò la straordinaria ampiezza del suo lessico, che mescola concreto e astratto, linguaggio tec­ nico e linguaggio familiare, con una spregiudicatezza presso­ ché ignota agli altri poeti, non solo dell'Ottocento. Accanto a questo dizionario sentimentale argutamente rivisitato, la sua poesia si presenta come una serie di lezioni, più o meno para­ dossali, di storia naturale, dove fiori alberi animali monti stelle geli e tempeste sono perpetuo oggetto di studio. È una natura umanizzata, incorniciata in quadretti che possono ricordare i pittori naif americani. Ma l'antropomorfismo della Dickinson, la sua capacità di intrattenersi con un uccellino, un topo o il vento che la viene a trovare (328, 436, 1356), affonda le radici in un retroterra primitivo e animistico, e ha un sapore voluta­ mente stregonesco. Il mondo è visto come qualcosa di magico, da cogliere nel suo movimento, con arte profonda, giocando con l'io narrante che a volte è esplicitamente mediatore del

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quadro, a volte scompare. Anche qui però non resta alcun res�­ duo privato o superstizioso, l'impressione nella sua resa cn­ stallina è quello che conta. Si confrontino gli uccellini della Dickinson con l'usignolo stupendamente invocato dal s uo amato John Keats nell'Ode to a Nightingale: la visione della Dickinson è per certi versi più arcaica, settecentesca, può ri­ cordare La Fontaine, d'altra parte è spoglia, ha una musica contenuta, dice senza dire e facendo l'occhiolino, evita i senti­ menti oceanici, sa ridere di sé. Tutti tratti, fra cui la concisio­ ne, che la rendono più vicina al lettore moderno della grande sinfonia patetica di Keats. Da una parte essa sa assumere il tono della maestrina spiri­ tosa, dall'altra, come nel celebre colibrì di A Route o/ Evane­ scence (1 463 ), essa è capace di dissolvere la parola in pura evo­ cazione. Q uesta poesia del colibrì unisce la commozione davanti al palpito più segreto della natura alla pacata osserva­ zione conclusiva, quasi una freddura: "The mail from Tunis, probably" . La geografia della Dickinson è un argomento ine­ sauribile: basti dire che dal Seicento - da Shakespeare, John Donne e Milton - non si trovava un poeta con un simile gusto della metafora geografica, del nome fascinoso. Ma appunto, dire "ll viaggio del postale da Tunisi, probabilmente, l facile corsa d'una mattina", significa attaccare alla metafora ardita il tono dell'osservazione asciutta. Nell'altra poesia sul colibrì, Within my Garden ndes a Bird (500), del18 62, il volo saettan­ te dell'uccellino era oggetto di discussione comica fra la Dickinson e il suo grosso cane. Con questo spirito sempre pre­ sente essa condisce il suo corso di storia naturale, che non ha nessun cedimento melenso. Da segnalare infine come l' espres­ sione A Route o/ Evanescence attacchi l'astratto al concreto giocando liberamente con parole, sinestesie e metafore, e che route è in parte un americanismo (che nel N uovo Mondo si pronuncia alla francese o, barbaramente e bellamente, /raut/, e non sorprenderebbe che fosse questa la pronuncia preferita dall'autrice del fulmineo avvio). Pur utilizzando una lingua che si differenzia scarsamente dalla lingua d'uso, la Dickinson è fra i poeti più originali della letteratura moderna. Questo è dovuto alla genesi domestica

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della sua poesia, fatta in casa come i fascicoli da lei cuciti, e in genere alla novità e nudità dello spazio americano, che invita a considerare il mondo come se nessuno l'avesse guardato pri­ ma. Se in America si poteva fondare una società nuova, nel 1620 e poi nel 1776, anche le arti potevano e dovevano partire da capo, basandosi su quello che il nuovo continente aveva da offrire (vedi la poesia sulla rivoluzione, 1082). La Dickinson era lettrice appassionata dei classici inglesi, da Shakespeare a Dickens, e ammirava profondamente le Bronte (148), la Bar­ rett Browning (312, 593) e George Eliot: quest'ultima esempio di una donna profondamente intellettuale oltre che grande ar­ tista, preoccupata dei temi religiosi come erano sentiti nell'Ot­ tocento, con l'emergere del darwinismo e l'affermarsi della cri­ tica storica della Bibbia. La Bibbia era con Shakespeare il libro più frequentato dalla Dickinson, educata in una società ancora severamente religiosa, che tuttavia lasciava al singolo la deci­ sione di come regolare i propri rapporti con Dio, e dunque in­ coraggiava posizioni autonome come quelle di lei. Così essa sottopone a una critica ironica, o poetica, talvolta risentita, il racconto biblico (597, 1317, 1545): non ne è soddisfatta, ma ciò nondimeno lo accetta come una forma dell'esperienza. La doppiezza di Dio nel creare l'uomo cattivo e poi punirlo (se­ condo la rigida visione calvinista) non cessa di suscitare le sue proteste (1461, 1601). Essa vive la crisi della fede del suo tem­ po, una crisi che però non si placa nell'adesione o nel rifiuto definitivo. "La fede è una bella invenzione l quando gli uomi­ ni vedono l ma un microscopio è più prudente l in un'emer­ genza" (185). Gli uomini hanno ormai cessato di vedere, e la vita è sempre un'emergenza, sicché occorre attenzione e pru­ denza: il microscopio della critica. Così le poesie sono sempre sospese, e la Dickinson ritorna con frequenza ossessiva al tema o alla questione dell'immortalità. C'è il sogno di un momento risolutivo, di riconciliazione e riunione, oltre il tempo e la morte (193), c'è la consapevolezza delle lacune dell'insegna­ mento tradizionale e dell'imprescindibilità del dolore presente (501, 576), c'è anche il suggerimento che comunque il teatro decisivo dell'uomo, il suo aldilà, è solo e sempre nel presente della sua vita: questo sì fuori dal tempo tanto quanto è nel

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tem po (324, 370, 463). Comunque la Dickinson può essere de­ finita poeta religioso come poeta amoroso, e fra i maggio ri: senza che per questo si possa stabilire l'oggetto della religione più di quello dell'amore. Non c'è dubbio che la morte occupi nei suoi pensieri o co­ munque nella sua opera uno spazio molto ampio. Per questi fi­ gli dei pionieri la vita è rimasta un'incognita piena di traboc­ chetti, un'esperie nza precaria che può terminare da un momento all'altro nello strano mondo nuovo. Così la morte è spesso nei loro pensieri. È il nodo che la Dickinson continua a cercare di sciogliere, proponendone infinite variazioni, forse ossessive nel ripresentarsi, mai per il modo in cui sono svolte. Il pensiero, qui come altrove, è sempre fresco. Questo senti­ mento radicato di precarietà ha aspetti involontariamente co­ mici nelle lettere di Emily giovane, che non manca di ricordare a ogni passo alle amichette, che ha lasciato per pochi giorni, che forse non sono destinate a rivedersi in questo mondo, e a trarre soddisfazione da queste riflessioni malinconiche. Del momento del trapasso tratta una poesia fra le sue maggiori, I heard a Fly buzz- when I died (465) , che veramente si limita al dato di fatto e restituisce al mondo tutta la sua ambiguità. La morente attende il "Re" (la morte, forse Cristo), e invece la sua ultima percezione è il ronzio di una mosca. Un simile realismo metaforico non ha forse l'eguale nella storia della poesia. (Ma si veda il "bottone" di cui parla re Lear nella sua ultima battu­ ta.) Per una parola come buzz dobbiamo essere molto grati al dizionario che le fu compagno, ma soprattutto alla spregiudi­ cata familiarità del suo lessico. Un altro testo principe, Because I could not stop /or Death (712), descrive metaforicamente un funerale come un viaggio tranquillo in compagnia di un genti­ luomo e novello sposo gentile, la morte. Qui ogni termine è trasposto allegoricamente, come in un quadretto di vita cam­ pestre, ma la vicenda termina di nuovo con una sospensione: la tomba, e il ricordo dell'ipotesi dell'eternit à. Che però ipote. . st nmane. Per i calvinisti il momento decisivo dell'aldilà è il Giudizio universale, e l'Apocalisse è il libro biblico più amato, e para­ frasato (325), dalla Dickinson. Insieme alla p rofetica Seconda

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Lettera ai Corinzi ("Morte, dov'è il tuo pungolo ? Tomba, dov'è la tua vittoria?" 15:55). Ma l'attesa della resurrezione dei morti è lunga, forse interminabile, e la Dickinson si ferma a evocare le "camere d'alabastro" (216). "Vado sempre vicino al fuoco per riscaldarmi dopo aver pensato a quella poesia", le scrisse efficacemente la cognata Sue. Come Emily disse in un'altra fulminante poesia aforistica, My li/e closed twice be/o­ re its dose (1732), tutto ciò che l'uomo conosce dell'aldilà è la separazione dalla persona cara: tutto ciò che sa del paradiso, e quanto gli basta dell'inferno. Così la Dickinson costruisce il suo mondo in maniera asso­ lutamente personale. Ogni poesia è un piccolo microcosmo ben distinto da tutte le altre. I primi curatori le divisero per te­ mi, poi ha prevalso l'ordine cronologico, peraltro approssima­ tivo, dell'edizione critica. È nondimeno difficile scoprire un'evoluzione tematica o stilistica, anche se la passione sembra dominare il periodo vulcanico dei primi anni 1860, poi alla fi­ ne del decennio il torrente si riduce a uno stillicidio di pochi aforismi. Le poesie successive passano da una tonalità elegia­ ca, la consapevolezza che la grande stagione all'inferno (e al paradiso, e in terra) è terminata, alla nuova robustezza etica dei quadretti naturali (soprattutto di uccelli) degli ultimi anni. La protesta teologica, la difesa dell'indisciplina (dei monelli contro gli adulti: 1201, 1522), si fa più insistita dopo gli anni incandescenti. La stupenda Further in Summer than the birds (1068), poe­ sia senza un narratore esplicito del 1866, descrive con tratti quasi astratti il sentimento arcano della fine dell'estate, evo­ cando senza dirlo il canto dei grilli. Ma già nella celebre There's a certain slant o/ light (258), del 1861, la Dickinson aveva disegnato un momento di perdita metamorfica colta nel variare minimo della luce, che non lascia cicatrice ma crea una "differenza interna". I temi insomma oltre a evolversi ricorro­ no, e il momento della fine dell'estate è uno di quelli che più la commuovono. Si veda il paesaggio concisamente evocato in A Fie/d o/Stubble, lying sere (1407), testo minimo a cui essa asse­ gnò un titolo figurativo: A Portrait o/ the Parish, un ritratto della parrocchia. E probabilmente si tratta del grande campo

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coltivato che stava proprio accanto a casa Dickinson: uno spettacolo muto che, come essa dice, è frequentemente visto ma di rado sentito. È il poeta che deve sentire e vedere per tut­ ti, dal suo punto di vista defilato eppure centrale. La finestra da cui la Dickinson contempla pacatamente il suo "angolo di paesaggio" (375). Tutto sta nell'incorniciare il flusso della realtà per fissarlo poeticamente e rivelarne il segreto. Ogni volta che la Dickinson comincia a parlare lo fa con un 'urgenza che richiede tutta la nostra attenzione. Alcune poesie si sono imposte come le più memorabili e significative, i pezzi da antologia, ma la lettura dell'intero corpus riserva con­ tinue sorprese, e del resto col mutare degli interessi culturali nel corso dei decenni cambiano anche i testi ritenuti più signi­ ficativi. Per esempio l'area dell'esperienza femminile, il matri­ monio e le sue ambiguità, straordinariamente evocato in Title divine- is mine! (1072) e nella dolente I learned- at least­ what Home could be (944), è diventata oggetto privilegiato di indagine negli anni 1970. Certo la Dickinson non può soffrire la pretenziosità e il perbenismo della "genteel tradition" dell'America vittoriana (401, 479, 1711). Ma non si può estra­ polare un racconto o una critica del costume sociale dalla poe­ sia della Dickinson senza impoverirla. Essa coglie l'esperienza sul nascere, in tutta la sua ambiguità, complessità e anche feli­ cità. La Dickinson è una ballerina all'opera, come dice in un suo testo euforico, abilissima nelle movenze (326); essa beve "un liquore mai prima distillato", "ubriaca di rugiada". È il li­ quore dell'estate, che la fa barcollare dall'ebbrezza e appog­ giarsi a un lampione che è nientemeno che il sole:

Till Seraphs swing their snowy Hats And Saints - to windows run To see the little Tippler [214] Leaning against the - Sun Della chiusa il manoscritto offre anche la variante "To see the little Tippler l From Manzanilla come". Una delle spericolate metafore geografiche che conosciamo: Manzanillo è un porto a Cuba, manzanilla è "uno sherry molto secco", quello stesso che la Carmen di Bizet invita Don ]osé a bere sui bastioni di

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Siviglia. La differenza fra le due immagini - i Caraibi e il lam. pione solare - ci ricorda quanto la Dickinson fosse disposta a sperimentare con le parole, a coglierne i suggerimenti. Esse hanno però in com une l'estensione spaziale: dal piccolo al grande. Qui come altrove, la piccola donna dai capelli rossi, che una volta si firmò a Higginson "il vostro gnomo", rivela di essere della razza magniloquente di Walt Whitman e Herman Melville. Lo scenario della sua avventura spirituale è tutto l'universo. Massimo Bacigalupo

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Emily Dickinson nacque il 10 dicembre 18 30 ad Amherst, cittadina del Massachusetts occidentale, che contava 26 00 abitanti. Il padre, Edward Dickinson ( 18 0 3-7 4), era un influente avvocato che aveva studiato a Yale, era divenuto tesoriere di Amherst College ( 18 35 ), poi rappresentante del suo distretto alla corte generale del Massachusens a Boston, infine deputato al Congresso di Washington ( 18 53- 55 ). Eb­ be un ruolo importante nella fondazione del partito repubblicano e antischiavista ( 18 52), che con Lincoln guidò il Paese nella crisi decisi­ va della guerra civile. Nel 1828 sposò Emily Norcross ( 18 04- 8 2), figu­ ra remissiva e un po' sbiadita, che gli diede tre figli: William Austin ( 1829-9 5), E.D. e Lavinia ( 18 33 -99). La famiglia viveva nell'elegante casa costruita nel 18 13 dal nonno su Main Street, alla periferia di Amherst, ma nel 18 40, in seguito alle difficoltà finanziarie del vecchio Dickinson, la residenza dovette esse­ re venduta. E.D. passò l'adolescenza in una casa di Pleasant Street, contigua al cimitero della cittadina, di cui serbò un ricordo luminoso. Frequentò dal184 0 la Amherst Academy e, per intraprendere gli stu­ di superiori, si trasferì nel 1847 nel collegio femminile della vicina South Hadley, il Mount Holyoke Female Seminary. Qui si rivelò di salute cagionevole e sentì molta nostalgia dei familiari, sicché fu con­ tenta di interrompere gli studi dopo un solo anno. A Mount Holyoke la Dickinson si trovò per la prima volta a confronto con un'ondata di evangelismo protestante, che chiedeva alle ragazze una nuova profes­ sione di fede o. " conversione" , ma se ne tenne in disparte, quasi unica nel collegio. " Negli anni successivi, mentre l'ondata di fervore religio­ so non diminuiva, essa mantenne la sua resistenza, con non poca an­ sia via via che sorella, fratello e padre, ognuno a suo modo, cedevano alla corrente emotiva [. ] A ventiquattro anni scelse definitivamente di non allinearsi alla struttura religiosa tradizionale, per quanto conti..

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nuasse a frequentare le funzioni sporadicamente fino a trent'anni cir­ ca... " (Charles Anderson). Rientrata ad Amherst, la diciottenne E.D. continuò la sua educa­ zione per proprio conto, stimolata anche da un giovane assistente del padre, Benjamin Newton ( 182 1-5 3), che la introdusse alla lettura di Emerson, la incoraggiò a scrivere, e in seguito, sposatosi, scambiò let­ tere con lei. Essa lo definì "il primo dei miei amici" e dopo la sua morte ( a cui forse allude nella poesia 49 ) scrisse al suo pastore per informarsi dei suoi ultimi giorni. I primi esercizi letterari di E.D., nel­ la forma di"valentine" comici per amici e coetanei, apparvero anoni­ mamente nel 18 50 sulla rivista di Amherst College e nel 1852 sullo "Springfield Daily Republican", uno dei giornali più influenti del New England. E.D. strinse una calda amicizia con la coetanea Susan Gilbert ( 18 30- 19 13), una ragazza orfana "dai gusti decisamente ari­ stocratici" che venne ad abitare presso parenti ad Amherst nel 18 50, insegnò per un periodo a Baltimore ( 185 1-52 ), si fidanzò con Austin ( 185 3 ) e ne divenne moglie nel 18 56 . Austin aveva studiato legge ad Amherst College e poi a Harvard, mantenendo una fitta corrispon­ denza con E.D. durante gli anni di lontananza da casa. Accarezzò il progetto di tentare la fortuna a Ovest, ma fu persuaso dal padre a esercitare l'avvocatura nella cittadina natale. Infatti nel 1855 Edward Dickinson, congressista al culmine della sua carriera, poté ricomprare la casa di famiglia alienata anni prima, e vicino a essa intraprese la co­ struzione di una seconda abitazione per Austin e Susan, "The Ever­ greens". A novembre la famiglia si trasferì nell'antica dimora, dove E.D. e Lavinia avrebbero passato il resto della vita. Nella primavera del 18 55 , le due sorelle andarono per tre settima­ ne a trovare il padre parlamentare a Washington, visitarono Mount Vernon e sulla via del ritorno sostarono due settimane a Filadelfia. Qui sembra che E.D. abbia conosciuto il reverendo Charles Wads­ worth ( 18 1 4-82 ) , noto predicatore, per cui espresse sempre una grande e affettuosa considerazione ("il mio più caro amico terreno", "il mio pastore dalla fanciullezza", "l'uomo dalla voce profonda"). Nelle lettere essa ricordò due visite di lui ad Amherst, a distanza di vent'anni ( 18 6 0 e 188 0). Secondo diversi biografi, Wadsworth sareb­ be stato oggetto di un innamoramento della passionale venticinquen­ ne, e il destinatario delle tre dolenti lettere ( c. 18 58 , 18 6 1 , 18 62 ) in­ dirizzate a un "Dear Master" ('Caro ' Maestro") le cui minute furono scoperte postumamente fra le carte di E.D. In particolare, il trasferi­ mento di Wadsworth da Filadelfia a San Francisco, nella Chiesa del Calvario, avvenuto nel 18 62 e durato fino al 187 0, avrebbe scatenato

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la fase più intensa e soffena del lavoro poetico di E.D. (1862-64), e provocato i numerosi riferimenti al Calvario. Ma la sola lettera a E.D. che si sia conservata di Wadsworth (che fra l'altro era sposato con figli) è un biglietto pieno di sollecitudine pastorale, sicché non esistono prove certe di un amore, anche se sulla devozione e amicizia non c'è dubbio. La giovane donna condusse una vita sociale relativamente norma­ le, coltivando gli affetti familiari e le amicizie, che hanno un ruolo preponderante nella corrispondenza e nella vita emotiva. Kate Anthon (1831-1917), che dal 1859 fu diverse volte ospite della com­ pagna di studi Susan, ricordò "quelle felici visite, quelle serate cele­ stiali [ .. ] Ernily - Austin - la musica - l'allegria chiassosa - le risate ininterrotte [. . . ] Ernily era spesso al pianoforte, suonava melodie stra­ ne e bellissime di sua invenzione". Le lettere di E.D. a Kate sono alle­ gre ed euforiche, piene di ammirazione per l'arnica elegante. La casa paterna era "il centro deli' ospitalità della cittadina, specie nei vent'anni prima della morte di Edward Dickinson, e spesso attraeva visitatori di riguardo dal mondo esterno. Religiosi locali, professori, uomini politici e d'affari della regione vi erano benvenuti, e col tem­ po il cerchio si allargò a statisti di calibro, giudici, conferenzieri di passaggio al College, importanti giornalisti e direttori di riviste, persi­ no qualche scrittore. Era un gruppo stimolante anche se non eccezio­ nale" (C. Anderson). In questo ambiente E.D. maturò le proprie facoltà poetiche. Dal 1858 compose con l'assiduità e sicurezza di una scrittrice pienamente consapevole della sua arte, e a poco a poco fu trascinata in un vero e proprio vortice creativo. L'edizione critica di Thornas H. Johnson as­ segna circa 80 poesie per anno al periodo1858-61, poi con prodigio­ sa impennata il1862 vede la composizione di circa 3 6 5 poesie. In se­ guito la piena creativa decresce, dapprima lentamente:140 poesie nel 186 3 , 172 nel186 4, 84 nel186 5 . E.D. ordinò i testi che andava accu­ mulando rnettendoli in bella copia su fogli di carta da lettera piegati in due, che poi univa a gruppi (da 4 a 6), forava in due punti e cuciva con uno spago legato sul davanti. Fra 1858 e 1864 essa produsse in questo modo quaranta fascicoli, contenenti oltre 400 poesie. In segui­ to continuò a trascrivere i testi su fogli piegati, ma senza legarli, forse per facilitare la consultazione, e nell'ultimo decennio lasciò i mano­ scritti nella forma in cui erano stati composti, su pezzi di carta di di­ verso formato. I fascicoli, anche se privi di indice, erano una sorta di archivio da cui essa traeva versi da inviare, evenrualrnente adattati, ad amici e corrispondenti, come cominciò a fare regolarmente dal 1858. .

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Destinataria privilegiata (276 poesie fra 1858 e 1885) fu la cognata Sue, del cui giudizio E.D. faceva gran conto. Nel 1861 le sottopo­ se varie versioni alternative della seconda strofa della poesia 2 16, Sa/e in their Alabaster Chambers, e le dichiarò che " rendere te e Austin­ orgogliosi- un giorno - lontanissimo- mi allungherebbe le gambe" ("Could I make you and Austin - proud - sometime - a great way off- 'twould give me taller feet"). Un altro destinatario di poesie e confidenze a partire dal 1 858 fu Samuel Bowles ( 1826-78), amico di famiglia e direttore dello " Springfield Daily Republican ". Bowles pubblicò nel suo giornale fra 1 86 1 e 1 866 quattro poesie di E.D. (2 14, 2 1 6,228,986),anonime e lievemente ritoccate. L'awio nel 1858 di una corrispondenza personale con Bowles ri­ vela il bisogno di E.D., raggiunta la maturità, di confrontarsi con per· sone di rilievo imponendo uno scambio paritetico. Nell'aprile 1862 essa si aprì un altro importante canale di comunicazione, inviando delle poesie a Thomas Wentworth Higginson ( 1 823- 1 9 1 1 ), letterato abolizionista e pastore unitariano di Boston. Higginson aveva pubbli­ cato sull"'Atlantic Monthly" dell'aprile 1862 una Lettera a un giovane collaboratore, ricca di consigli e inviti a farsi avanti. Alla prima curio­ sa lettera di E.D. egli rispose con un giudizio incoraggiante e qualche riserva. Ne nacque una lunga relazione epistolare,in cui E.D. recitava la parte della "scolara", ma nel contempo incantava e dettava le sue condizioni al corrispondente, che comprese subito di avere a che fare con una personalità eccezionale. Nonostante la sua sensibilità ironica, E.D. nutrì sincera amicizia e gratitudine per Higginson, lo invitò insi· stentemente a venirla a trovare, e nel 1 869 gli scrisse: " Dei nostri maggiori atti siamo inconsapevoli. Voi non sapete che mi avete salva· to la vita. Ringraziarvi di persona è stata da allora una delle mie poche preghiere". Nelle lettere citava spesso il cane Terranova che il padre le aveva regalato verso il 1850, compagno delle sue passeggiate solita· rie, e che morì nel 1 866, come essa non mancò di comunicargli: " Car­ lo è morto- E. Dickinson. Vorrete ora istruirmi?" (cfr. p. 3 18). Hig· ginson non poté che soccombere al fascino della magistrale corrispondente, come raccontò nel 1891 in un altro articolo sull"' Atlantic Monthly" ( rist. in Selected Poems and Letters o/ E. D. , a cura di Robert N. Linscott, New York, Doubleday, 1959). Poco dopo l'awio della corrispondenza con E.D., Higginson rinunciò al suo mi­ nistero unitariano e ottenne un ruolo di comando ( 1 862) nel primo reggimento nero dell'esercito unionista, il "54th Massachusetts Vo­ lunteers" . Combatté accanto al colonnello Robert Shaw, che morì a Fort Wagner e fu sepolto coi suoi soldati, come ricorda il bel monu·

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mento di Augustus Saint-Gaudens nel centro di Boston. E.D. seguì con trepidazione le vicende di Higginson (che fu ferito, v. p. 249), de­ dicò una poesia a un caduto di Amherst (596) e consentì la pubblica­ zione di tre suoi testi ( 1 30, 1 3 7 , 228) su un giornale di Brooklyn, "Drum Beat" (febbraio-marzo 1864 ), finalizzato alla raccolta di fondi per la sanità. (Vedi Karen Dandurand, New Dickinson Civzl War Pu­ blications, "American Literature" 56 ( 1984 ), 1 7 -27 . ) Due altre poesie (67 , 324 ) apparvero nel marzo-aprile 1 864 sul " Brooklyn Oaily Union " e il " Round Table" di New York. Le liriche di " Drum Beat" furono ristampate fra marzo e aprile su giornali di Springfield e Bo­ ston: E.D. sembra avere sfiorato in questo momento quella popola­ rità che in seguito avrebbe evitato, forse anche per un rapido declino delle sue condizioni fisiche e mentali. Nel 1864 e 1865 E.D. doveue passare diversi mesi a Boston per un disturbo agli occhi. L 'edizione Johnson assegna solo 48 poesie al 1866 e 9 al 1867. Essa condusse una vita via via più ritirata, dichiaran­ do esplicitamente a Higginson, che l'aveva incautamente invitata a un tè leuerario a Boston, che "non attraverso il terreno di mio padre per andare in qualsiasi altra casa o ciuà " (giugno 1869) . Higginson la vi­ sitò finalmente nell'agosto 1 870, ricavandone un'impressione indi­ menticabile: " U n passo irregolare come di bambina, e scivolò nella stanza una piccola donna non bella, con due bande di capelli rossastri e lisci [. . ] senza alcun tratto distinto, in un picché bianco semplicissi­ mo e assolutamente lindo e uno scialle blu a rete di lana pettinata. Venne verso di me con due emerocallidi [day lilies], me le pose in mano con fare infantile e disse: 'Queste sono la mia presentazione' " . Ma poi la reclusa cominciò a parlare in modo arguto e asciuuo, per nulla svenevole, con uno scoppiettio di banute, anch'esse registrate dal visitatore, compreso dell'importanza dell'occasione. Nel 1 874 Edward Dickinson morì improvvisamente a Boston, a settantun anni. E.D. ne ricordò la figura imponente in alcune notevo­ li leuere (v. pp. 3 18-9) e forse in un'ermetica poesia ( 1393 ) , ma non si spinse mai fino alla sua tomba nel cimitero di Amherst. Nel 1 875 la madre ebbe una paralisi, divenendo, come disse E.D., figlia delle fi­ glie, e per questo più amata. La nascita nel 1 875 del nipote Gilben, terzogenito di Austin e Sue, diede molta felicità alle zie, ma il bambi­ no era destinato a perire di tifo a otto anni, nel 1 883. E.D. uscì forse l'ultima volta di casa per visitare il nipotino morente. Le lettere erano divenute per lei la forma pressoché unica di comunicazione col mon­ do esterno. La maggior parte di quelle che si sono conservate risalgo­ no agli ultimi dieci anni di vita (laddove solo trecento poesie, poco .

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più di un quinto del totale, sono assegnabili a questo periodo). Abi­ tualmente E.D. chiedeva alla sorella di scrivere l'indirizzo sulla busta, come per nascondere ulteriormente la sua mano. La reclusione pressoché completa non impedì a E.D. di vivere in­ tomo al 1878 un ultimo amore, a quanto pare ricambiato, per il giu­ dice Otis P. Lord ( 1 8 12-84 ) di Salem, grande amico del padre, vedo­ vo dal 1877. Vi furono visite ad Amherst e fors'anche progetti di matrimonio, osteggiati dai familiari di lui, che distrussero le lettere di E.D. quando Lord morì pochi anni dopo. (Si conservarono però al­ cune minute, sufficienti a documentare l'episodio, v. p. 3 65 . ) Un'altra amicizia che diede a E.D. molta soddisfazione dal 1875 fu quella del­ la coetanea e concittadina (per nascita, non per residenza) Helen Hunt Jackson ( 1 830-85 ), scrittrice popolarissima, che la convinse a n­ pubblicare una poesia giovanile (n. 67 ) in un'antologia di liriche ano­ nime (1878). La Hunt chiese a E.D. di affidarle il suo lascito lettera­ rio, dichiarandole un'incondizionata ammirazione: "Di sicuro, dopo che sarai ciò che si dice 'morta', acconsentirai che le povere anime che lascerai dietro di te trovino gioia e piacere nei tuoi versi? Certo dovresti. Non credo che abbiamo il diritto di nascondere al mondo una parola o un pensiero non meno di un'azione che possa aiutare una sola anima" ( 1 884 ). E.D. non rispose alla proposta (e comunque la Jackson le premorì ), ma mantenne molta simpatia per la franca col­ lega e la ricordò con versi commossi: " Non sapendo quando essa stessa potrebbe venire l apro tutte le porte ... " (cfr. 1619). La morte di Bowles, della madre, di Wadsworth, del nipote Gil­ bert, di Lord e della J ackson rattristarono gli ultimi anni. Forse E.D. risentì anche della crescente tensione fra Austin e Susan, della quale continuò tuttavia ad avere un'alta considerazione. Nel 1882 le scrisse, ambiguamente, che solo Shakespeare le aveva insegnato più di lei ( " With the exception of Shakespeare, you bave told me of more knowledge than any one living"). Nel 1881 si era trasferito ad Am­ herst David Peck Todd, per insegnare astronomia al College dove aveva studiato, con la moglie Mabel Loomis ( 1 856-193 2 ) , di Wa­ shington, e presto la coppia divenne intima di Austin e Sue, sempre molto attiva come organizzatrice della vita sociale. Nel settembre 1882 Austin iniziò una relazione con Mabel che durò fino alla morte dell'autorevole avvocato e tesoriere del College, col consenso a quan­ to risulta del marito della donna. Susan non era invece altrettanto spregiudicata, e Austin sembra aver cercato conforto confidandosi con le sorelle. Mabel lesse e apprezzò le poesie di E.D. e andò diverse volte a casa sua a suonare il pianoforte, senza poter vedere l'ascolta-

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trice ma ricevendone fiori e versi (fra cui la poesia 1760). In seguito curò le prime edizioni postume delle sue poesie (1890, 1891, 1896) e delle lettere (1894). Promotrice principale della pubblicazione fu La­ vinia, che aveva scoperto fascicoli e abbozzi nella camera della sorella defunta, aveva cercato senza successo di interessare la cognata Susan e infine si era rivolta a Mabel. Ma nel1898, morto Austin, Lavinia in­ tentò causa ai Todd per una cessione di terreno che essi avevano otte­ nuto da lei, a suo dire con la frode, e vinse il processo, che suscitò cu­ riosità e pettegolezzi sui rapporti fra Austin e i Todd. Mabel, che si era impegnata disinteressatamente nella trascrizione e pubblicazione delle poesie di E.D., e si vedeva così mal ripagata, interruppe il lavoro editoriale e mise da parte le seicento poesie inedite rimaste nelle sue mani. Furono pubblicate dopo la sua morte dalla figlia Millicent Todd Bingham ( 1945). Nel 1 884 E.D. ebbe un primo attacco del morbo di Bright (una forma di nefrite). ll male peggiorò all'inizio del 1886. Morì il15 mag­ gio. "Giorno spaventoso" scrisse Austin nel diario. "Cessò di respira­ re quel respiro terribile poco prima che si sentissero i fischi delle sei di sera." Al funerale, il19 maggio, partecipò Thomas Higginson, che lesse versi di Emily Bronte e lasciò una descrizione del viso: "Un mi­ racoloso ritorno di giovinezza - aveva cinquantasei anni e sembrava averne trenta, non un capello grigio né una ruga, e una pace perfetta sulla bellissima fronte". Per volontà di E. D., il funerale non passò per la strada pubblica ma attraverso i campi, dalla casa paterna al cimite­ ro vicino al quale era cresciuta. "Gilbert ebbe dei mughetti" aveva scritto nel giugno 1 884 "e babbo e mamma del biancospino ... Quan­ do sarà il mio turno, voglio un botton d'oro [a Buttercup] . . Di sicuro l'erba me lo darà, perché non rispetta forse i capricci dei suoi figli ca­ pricciosi?" I campi di Amherst, assicurano i testimoni, quel giorno erano coperti di bottoni d'oro e gerani selvatici. .

M.B.

Nota bibliografica [Abbreviazioni: N.Y.

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New York; U.P.

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University Press]

l . Edizioni

Emily Dickinson vide forse solo nove sue poesie (nn. 3 , 67 , 130, 137, 214, 2 16, 228, 324, 986) stampate durante la sua vita, di solito per in· teressamento di amici e contro la sua volontà, e non accolse la propo­ sta dell'editore Thomas Niles, con cui era in corrispondenza, di pub­ blicare una sua raccolta di versi ( 1883 ) . Dopo la sua morte la sorella Lavinia affidò il compito di curare una scelta all'amica Mabel Loomis Todd e a Thomas W. Higginson, e si assunse le spese delle lastre. I curatori operarono tagli e revisioni per rendere più regolari ritmi e ri­ me, e normalizzare la punteggiatura, divisero le poesie scelte remati· camente, e fornirono ai testi titoli esplicativi, con qualche ricercatez­ za. Pocms by E. D. , un volume di 1 15 liriche, uscì nel novembre 1890 presso Roberts Brothers di Boston, anticipato da un articolo di Hig· ginson sul "Christian Union". Ebbe undici edizioni in due anni, sic· ché già nel 1891 Higginson e la Todd curarono una seconda scelta, Poems: Second Series. La sola Todd curò un terzo volume nel 1 896, portando le poesie pubblicate a un totale di 450. Nel secondo e terzo volume i curatori, rassicurati dall'insperato consenso del pubblico, li· mirarono i ritocchi. Inoltre la Todd curò due volumi di Letters