Noi, inventori del cinema. Interviste e scritti scelti (1894-1954) 888033039X, 9788880330394

Lo sguardo ostinato. Riflessioni di un cinefilo raccolte da Serge Toubiana

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Italian Pages 159 [138] Year 1995

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Noi, inventori del cinema. Interviste e scritti scelti (1894-1954)
 888033039X, 9788880330394

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Louis e Auguste Lumière

NOI, INVENTORI DEL CINEMA Interviste e scritti scelti 1894-1954

Prima edizione novembre 1995 Louis e Auguste Lumière Noi, inventori del cinema Interviste e scritti scelti 1894-1954 a cura di Renata Gorgani

© Editrice II Castoro S.r.L, Milano, via Paisielio 6 Tutti i diritti riservati © Editions Seghers per le interviste di Georges Sadoul © Le Colombe per Le cin&natographe di Auguste Lumière.

ISBN 88-8033-038-1

Traduzione di Pico Floridi

Progetto grafito di Giorgio Bulzi e Antonina Taccori

Louis e Auguste Lumière

NOI, INVENTORI DEL CINEMA Interviste e scritti scelti 1894-1954

a cura di Renata Gorgani

traduzione di Pico Floridi

NOI, INVENTORI DEL CINEMA

Introduzione di Renata Gorgani

Ci sono storie che sembrano apparecchiate dal destino. I protagonisti che le abitano somigliano piuttosto a perso­ naggi da leggenda, per l’eccezionaiità degli eventi che ne hanno scandito la vita, per la magica facilità con cui essi assumono il loro ruolo, per l’aura che li avvolge. Così acca­ de per i due fratelli lionesi Louis e Auguste Lumière, inventori, un secolo fa, del cinematografo. D'altro canto, con un nome simile, era davvero difficile sfuggire al mito. «Potevano chiamarsi abat-jour, e invece si chiamavano Lumière» sottolinea divertito Jean-Luc Godard nelle sue Histoire(s) du cinéma, all’inizio delle sequenze a loro dedica­ te. Pur essendo quasi nostri contemporanei (Louis muore nel 1948 e Auguste nel 1954) i Lumière sembrano apparte­ nere ad un mondo lontano. Innanzitutto perché le grandi invenzioni che li hanno visti protagonisti, e soprattutto il cinematografo, appartengono all’Ottocento, a quel periodo straordinariamente fecondo di idee in cui si sposano l’arte, la tecnica e la nuova società industriale. E poi per una sorta di volontario ritiro: lungi dall’essere al centro del futuro delle loro invenzioni, se ne allontanano rapidamente decre­ tandone la raggiunta maggiore età e l’autonomia. Come spesso accade ai padri, non sapranno comprendere il desti­ no della loro discendenza. Louis e Auguste Lumière, con l’arrivo del nuovo secolo, smettono di occuparsi del cinematografo. L’invenzione tanto prestigiosa non ritorna più nei loro scritti, nelle loro lettere, sembra essere uscita dalla loro vita. A interrompere questo silenzio solo qualche celebrazione, per i venti, trenta e quarantanni del cinema; qualche amarezza per le contestazioni della paternità del cinematografo; un tentativo negli anni Trenta di dare vita al cinema in rilievo e, infine, le richieste di coloro che, di tanto in tanto, bussano alla 9

porta dei due fratelli avidi di sapere che fine hanno fatto gli inventori del cinema e che cosa pensano del cinema con­ temporaneo, dei film, degli attori. Un pensiero di cui que­ ste interviste e scritti sparsi sono nell’arco di mezzo secolo l’unica testimonianza, per voce degli stessi protagonisti. Fratelli maggiori di una famiglia con sei figli, Louis e Auguste imparano i rudimenti della fotografìa nel laborato­ rio del padre Antoine. Antoine Lumière è un personaggio esuberante e con il senso dell’avventura. Dopo essere stato pittore d’insegne e decoratore a Besan^on, aveva intravisto un futuro nella nuova arte della fotografìa e si era trasferito con l’intera famiglia a Lione per aprire uno studio. Quella dei due fratelli è un’infanzia felice (come non si stancheran­ no di ripetere). Compiono studi alla scuola della Mattinière, di impostazione tecnico-scientifica, che si gua­ dagnerà da loro, ormai adulti e famosi, molti elogi e grati ricordi. Auguste ne tesse ancora le lodi nella sua autobio­ grafìa del 1957: «I metodi pedagogici della Mattinière hanno sempre suscitato in me grande entusiasmo, e sono all’origine della mia ardente passione per la ricerca scienti­ fica». Un primo evento, a suo modo straordinario, rivela la precoce genialità dell’inventore. Egli stesso lo racconta a Georges Sadoul nell’intervista del 1946. Non ancora ven­ tenne, studia un procedimento che gli permette di miglio­ rare sensibilmente il sistema di sviluppo delle lastre foto­ grafiche rispetto agli standard dell’epoca. «Mio padre si era rifiutato di procurarmi la bilancia di precisione di cui avrei avuto bisogno per i dosaggi, dicendomi che sarebbe stata sufficiente la bilancia di cucina. Utilizzavo per pesare la bilancia di un farmacista lì vicino...»: il giovane Louis deve ancora lottare per dimostrare la sua serietà di ricercatore. Ma la scoperta è di tale rilevanza che il padre Antoine deci­ de di abbandonare l’attività di fotografo per dedicarsi alla fabbricazione delle lastre. Ben presto, quella dei due ragazzi posati, inventivi e industriosi e del padre che nella stessa intervista Louis definisce «un poeta» che «appena guada­

lo

gnava un po’ di soldi li sperperava», ma dotato di una straordinaria intuizione che lo guidava nei campi più avan­ zati delle conoscenze del tempo, si rivela un connubio che darà grandi frutti. Secondo evento, ancora in materia di fotografia. La costruzione della nuova fabbrica, intrapresa dal padre Antoine senza risorse adeguate, sta per condurre la famiglia alla rovina. Ma ecco che Louis inventa delle nuove lastre destinate ad avere un clamoroso successo, le famose Etiquette bleue. Racconta Louis Lumière: «Eravamo in quel momento in difficoltà. La fabbrica ci era costata molto e mio padre era sull’orlo del fallimento, con un passivo di 275.000 fran­ chi. Un vecchio notaio un po’ pignolo ci prestò i 50.000 franchi che servivano per le nuove installazioni e per conti­ nuare l'attività. Le lastre Etiquette bleue furono molto più di un successo: furono un vero colpo di fortuna. Guadagnammo solo nel primo anno 500.000 franchi.» La fabbrica si ingrandisce, arrivano decine di operai e da quel momento la famiglia Lumière diventa una famiglia di industriali. La vita privata non sfugge a queste combinazioni fortuna­ te. L’intraprendente padre organizza un incontro con la famiglia di un fabbricante di birra di Lione, il signor Winkler, allo scopo di far conoscere le sue figlie ai due fra­ telli. Come poteva concludersi il tentativo? Louis e Auguste sposano le due sorelle, mentre una sorella minore sposa uno dei fratelli Winkler. Se si tiene conto che dieci anni dopo altri due rampolli delle rispettive famiglie convoleranno a nozze, la vicenda assume i tratti dell’incredibile. Questi matrimoni incrociati creeranno quello che sarà negli anni a venire un vero e proprio clan. I partecipanti a questa ricca e tranquilla vita borghese saranno il primo gruppo di attori della storia del cinema, i protagonisti di quasi tutti i primi film girati da Louis Lumière. È il 1894, Louis ha trent’anni, Auguste trentadue. In quell’anno avviene l’incontro, secondo i due dettato dal il

caso, che doveva dare l’avvio alle ricerche sul cinemato­ grafo: i Lumière si imbattono nel kinetoscope di Edison. Si trattava di una specie di cassa di legno all’interno della quale si potevano vedere, attraverso un foro, delle brevi scene in movimento. Da quel momento i due fratelli hanno un solo pensiero: proiettare immagini in movimento su uno schermo. Molte volte questa storia viene ripetuta agli inter­ vistatori, senza variazioni di sorta. Solo che ognuno dei fra­ telli attribuisce a sé questa prima intuizione. «Fui io ad avere la prima idea del cinematografo» afferma Louis Lumière. Auguste, nell’autobiografìa, racconta invece che fu lui, in realtà, ad avere la prima idea, e solo dopo alcune settimane di ricerche Louis intervenne nel progetto. Il det­ taglio sarebbe inessenziale, se non fosse che per la prima volta nelle parole di Auguste si nota una leggera insofferen­ za, un senso di ingiustizia per essere stato nel corso del tempo tagliato fuori dalla paternità dell’invenzione. Comunque, che l'idea sia venuta per prima alla mente dell’uno o dell’altro, il risultato non cambia. Le settimane successive sono dedicate a trovare una soluzione per rendere possibile la proiezione di immagini in movimento. Il pro­ blema principale era quello di ottenere immagini chiare e definite e inoltre illuminate a sufficienza. La soluzione al problema, come si conviene ai veri lampi di genio, è trovata da Louis durante una notte insonne. Su questa intuizione improvvisa entrambi i fratelli concordano fin nei minimi particolari. Ecco il racconto di Auguste: «Da tre mesi circa facevo questi esperimenti quando mio fratello, che fino a quel momento mi aveva lasciato fare, si ammalò e fu costretto a letto per qualche giorno. Una mattina mi sono recato da lui per sapere come stava. Mi disse che durante la notte, non riuscendo a dormire, aveva rimuginato sulla que­ stione e che pensava di aver trovato una soluzione razionale. Bisognava costruire un dispositivo che agganciando la pelli­ cola ferma, la trascinasse con un movimento accelerato e poi rallentato fino a una nuova immobilità durante la quale doveva avvenire la proiezione. Questa operazione doveva 12

essere ripetuta quindici volte al secondo. Per arrivare a que­ sto proponeva di utilizzare un movimento alternato, analo­ go a quello delle macchine per cucire, ottenibile attraverso un sistema di artigli che sarebbero penetrati nei buchi della pellicola trascinandola, per poi ritrarsi lasciandola ferma durante la proiezione; il tutto da ripetersi alla velocità richiesta. Compresi subito che questo dispositivo avrebbe portato all’esatta realizzazione dell’effetto che cercavamo e dunque lasciai la questione nelle mani di mio fratello, che peraltro aveva trovato la soluzione in una sola notte.» Ma ancora più importante, per capire la genesi del cine­ matografo, è il contesto in cui avvenne questa scoperta. Se Louis o Auguste, davanti all’apparecchio di Edison, ebbero subito l’idea delle proiezioni, è perché vari ricercatori stava­ no lavorando in quegli anni a questa possibilità. Almeno due furono i tentativi di proiezione di immagini in movi­ mento che precedettero il cinematografo. Ci provò Edward Muybridge, che fin dagli anni Settanta in America condu­ ceva per mezzo della fotografìa esperimenti sul movimento degli animali. Sono celebri le sue fotografìe di cavalli al galoppo. Nel 1880, a San Francisco, servendosi di uno stru­ mento derivato dallo zootropio, giocattolo popolare all’epoca poiché permetteva, guardando delle figure attra­ verso le fessure di un cilindro di cartone, di avere l'illusione del movimento, proiettò su uno schermo immagini di cavalli al galoppo. E ci provò Georges Demeny, insegnante di ginnastica e esperto in fisiologia, cui alcuni tentarono a un certo punto di attribuire la paternità del cinema. Egli fece uso del phonoscope, un proiettore che richiedeva lastre di vetro impressionate, per proiettare un volto che pronun­ ciava poche parole: «Je vous aime», «Vive la France». Del resto lo stesso Louis Lumière, con modestia perfino eccessiva, dirà «Che cosa ho fatto? Era tutto nell’aria. I lavo­ ri precedenti, quelli di Jannssen, di Edison e soprattutto di Marey e dei suoi allievi, dovevano prima o poi condurre al risultato a cui ho avuto la fortuna di arrivare per primo». Ma non si trattò soltanto di “fortuna”, e nemmeno della

maggiore capacità inventiva dei Lumière. Il cinematografo fa parte di quelle invenzioni che, se da un lato assolvono a una richiesta di conoscenza e di rappresentazione estetica, per mezzo dell’analisi e della riproduzione del movimento, dall'altro sono figlie della nuova epoca industriale e richie­ dono, per poter nascere, investimenti, lavoro di tecnici e ingegneri, e un mercato. Se molti furono coloro che tenta­ rono la riproduzione del movimento - scienziati, fisiologi, fotografi o amatori — l’impresa riuscì solo a chi aveva consi­ stenti capitali da investire: Thomas Alva Edison negli Stati Uniti e i Lumière in Europa. Edison e i Lumière appartengono alla nuova stirpe di inventori-industriali della seconda metà dell’ottocento. Certamente essi hanno una vera passione per la ricerca. In un’intervista del 1953 Auguste può ancora dire: «A novan­ tuno anni, considero perduto ogni giorno in cui non ho imparato nulla». E Louis, dal canto suo: «Guidato dal desi­ derio, e dal bisogno di conoscere, mi sono follemente diver­ tito a lavorare tutta la vita». Ma mentre i ricercatori di epo­ che precedenti si sarebbero fermati all’aspetto scientifico della loro scoperta, trovando volgare occuparsi del lato pra­ tico e anche commerciale dei loro studi, nei laboratori Lumière un’invenzione non è tale se non ha una possibilità di utilizzazione concreta. Louis Lumière insiste spesso su questo argomento nelle sue interviste. Molti ricercatori hanno idee, e molti brevetti vengono presi. Ma poi le invenzioni non funzionano sul piano pratico. E per piano pratico si intende la possibilità di produrre in serie gli apparecchi, di trovare loro, insomma, uno sbocco industria­ le. Louis Lumière tornerà su questi argomenti varie volte, fino alla metà degli anni Trenta, quando si troverà ancora una volta di fronte ai problema di una soluzione “pratica” nella realizzazione del cinema in rilievo. Il primo brevetto è del 13 febbraio 1895. La prima proie­ zione avviene il 22 marzo alla Société d’encouragement pour (’Industrie nationaie, a Parigi. Il primo film è il cele-

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berrimo La Sortie des usines Lumière, in cui si vedono gli ope­ rai uscire dai cancelli della fabbrica. Ma l’epoca in cui que­ sto primo film viene girato è un piccolo mistero che lo stes­ so Lumière non riesce, a distanza di cinquantanni, a risol­ vere. Le persone nel film hanno vestiti estivi. Gli uomini portano cappelli di paglia. È perciò alquanto improbabile che le riprese siano state fatte durante l’inverno. Se, come sostiene Louis Lumière, di questo film è stata fatta un'unica versione, le riprese devono necessariamente risalire all’estate precedente. Ma i documenti provano che la prima appari­ zione francese del Kinetoscope di Edison, da cui sarebbe nata la prima idea del cinematografo, avviene solo nell ’autunno del 1894... Il 1895 è interamente dedicato alla messa a punto dell’invenzione, che deve diventare un oggetto perfetta­ mente funzionante e, soprattutto, riproducibile. La realizza­ zione tecnica è affidata all’ingegnere Jules Carpentier. Quanto le fasi di questo lavoro appassionino committente e realizzatore, e con quanta precisione i due mettano a punto ogni minuscola parte del cinematografo, lo testimonia l’intenso carteggio ora raccolto in volume in un’edizione eccellentemente annotata da Jacques Rittaud-Hutinet, che contiene tutta la corrispondenza di Louis e Auguste Lumière. Dopo mesi di lavoro, finalmente, il 28 novembre, l’annuncio di Carpentier: «Il vostro apparecchio è stato spe­ dito». Ma due giorni dopo Louis Lumière scrive una lettera che inizia così: «Abbiamo appena ricevuto l’apparecchio e l’abbiamo subito messo in funzione. Lei dirà che sono noio­ so, ma pazienza. Vorrei fare qualche osservazione...» La risposta di Carpentier gareggia in perfezionismo con quella del suo committente: «Caro amico, vi proibisco di darvi del noioso, dello scocciatore o di dire che cercate il pelo nell’uovo quando mi segnalate difetti da correggere o miglioramenti da apportare agli apparecchi che stiamo costruendo per voi...» L’importante è che il cinematografo funzioni alla perfezione. 15

Si arriva così al 28 dicembre 1895: a Parigi, in boulevard des Capucines, nella sala sottostante il Grand Café, la prima proiezione pubblica. L'evento segna la nascita ufficiale del cinema, che Louis Lumière sintetizzerà in modo molto effi­ cace: «Fino al giorno prima nessuno era mai andato al cine­ ma. Da quel momento questo non si è più potuto dire.» Eppure, curiosamente, quella sera Louis e Auguste non sono presenti. Dopo aver mostrato i loro primi film in varie occasioni “private", alla Société d'encouragement citata prima, al Congresso della Société franose de photographie il 10 giugno, nei locali della Revue générale des sciences in luglio, all'Association Belge de Photographie in novembre, all'apertura dei corsi alla Sorbonne, sempre in novembre, quella prima proiezione a pagamento non doveva interessa­ re molto i due fratelli. L’unico presente della famiglia è il padre Antoine. Questa assenza dovrebbe fare giustizia di un’affermazione entrata nella leggenda, sempre citata e ricordata quando si parla dei Lumière. Subito dopo la proiezione, Louis avrebbe risposto a Georges Méliès che gli chiedeva di poter avere un cinematografo per il suo teatro: «Il cinematografo è un’invenzione senza futuro commerciale». L’affermazione è talmente clamorosa, alla luce degli imperi industriali che si sono creati attorno al cinema, da aver colpito la fantasia dei commentatori di ogni tempo. La fonte è il libro pubblicato da Maurice Bessy e Lo Duca nel 1948 con il titolo Louis Lumière inventeur. Nella sua ultima intervista con George Sadoul, Louis Lumière ancora s’indigna per quella che sostiene essere una falsità: «Se mai quella frase fu pronun­ ciata, fu per bocca di mio padre, Antoine». Ma se ancora oggi, nonostante tutto, l’affermazione è uni­ versalmente conosciuta e accettata come autentica è perché contiene una verità che non potrebbe essere meglio espressa. Con la proiezione del 28 dicembre 1895, in quella data simbolica in cui la storia del cinema comincia, si chiude la storia dei fratelli Lumière inventori e si apre quella deH'industria del cinema da un lato, e di un’arte nuova 16

dall'altro, con il riconoscimento di Louis Lumière come primo cineasta della storia. E non è possibile non paragona­ re le mani sicure che avevano guidato la costruzione del cinematografo alle stesse mani, impacciate, che ne hanno tentato lo sfruttamento commerciale. E a quelle mani, sem­ pre le stesse, inconsapevoli, che hanno inaugurato l’arte del cinema.

I Lumière ritenevano il loro apparecchio interessante dal punto di vista delle ricerche tecnico-scientifiche, e sperava­ no che piacesse al pubblico per la novità della proposta. Non sapevano di aver innescato il detonatore di un evento che avrebbe pervaso il nuovo secolo. Non immaginavano nemmeno che nel giro di qualche mese il cinematografo si sarebbe sparso per tutto il mondo, e che di lì a due anni il catalogo delle “riprese" Lumière avrebbe contato circa due­ mila titoli. I due industriali avevano pensato a un'organiz­ zazione commerciale alquanto approssimativa, come spiega­ no in una lettera al padre del 14 ottobre 1895: «Poiché abbiamo già molte richieste, sarà sufficiente un impiegato intelligente che risponda alle lettere e offra l'apparecchio in locazione un tanto a sera: cento o duecento franchi, a secon­ da dell'importanza della località. Formeremo poi alcuni tec­ nici che sappiano far funzionare l’apparecchio, e faremo pagare le loro spese di viaggio ai locatari.» È una ricetta semplice per un’invenzione «senza futuro». Ma il cinematografo stupirà le folle, dilagherà come un virus, troverà un suo linguaggio, sovvertirà le coscienze, cambierà l’immaginario umano, diverrà un’industria poten­ te. Questo davvero nessuno poteva immaginarlo. Certo non Louis Lumière mentre si dilettava a girare i primi film facendo “recitare” i membri della sua famiglia. Nel 1895 realizzerà circa cinquanta riprese. Alcuni tra questi primi film sono molto noti, come L’arrivée d'un train en gare à La Ciotat, in cui un treno taglia diagonalmente lo schermo, apparendo da lontano e avvicinandosi fino al pri­ missimo piano; Le dejeuner de bébé in cui due amorevoli geni­ 17

tori, il fratello Auguste e la moglie, danno la pappa al loro fìgl ioletto; L’arroseur arrosta la prima gag della storia del cinema, degna di Chariot; La partie d’écarté, con il padre Antoine, il suocero Winkler e l’amico prestigiatore Trewey che giocano a carte intorno a un tavolo. Sono le prime inquadrature, una sorta di grado zero del cinema, che se non ha ancora trovato una “scrittura”, ha già una lingua e uno stile che si impongono con forza alla visione. La sensa­ zione di meraviglia, di compiutezza, di qualcosa che va al di là della "ripresa”, che coglie lo spettatore di allora, come quello di oggi, di fronte a questi primi film è solo in parte dovuta alla capacità compositiva, e allo sguardo del primo, quasi involontario, operatore. Essa si deve soprattutto alla potenzialità immensa di una tecnica che sembra realizzare un desiderio profondo dell’uomo, un mezzo d’espressione che gli era fino ad allora mancato, quasi aprisse gli occhi dopo una lunga cecità, o conoscesse improvvisamente i colori dopo essere vissuto tra le ombre. C’è una potenza nel cinema, prima che esso diventi un fenomeno sociale, industriale, un linguaggio, uno spettaco­ lo, un’arte. C’è una potenza in quella scatola nera che può catturare la vita e restituire un mondo. E allora, l’emozione originaria di ogni spettatore che va al cinema è ancora quel­ la degli spettatori di quelle prime proiezioni: «Lontano e tanto tempo fa, come dice una vecchia canzone, piccole folle si raccoglievano fremendo, in una penombra che non era ancora buio, avvolte da un brusio che non era ancora suono e non era più (ma lo era mai stato?) silenzio. A voce alta, ridendo sarcastici e spaventati, si spingevano e si incantava­ no, pieni di innocenza, affascinati e già cinici, davanti al loro primo cinematografo. Loro, quelli che lo hanno visto, per la prima volta, nel momento stesso in cui esso nasceva. Ogni mangiatore di film percepisce in modo netto, quasi fisico, la responsabilità, il peso e la maledizione di questa discendenza. Dello spettatore primitivo gli è rimasta la meraviglia mascherata di cinismo che accompagna la visio­ ne. È un tumulto del corpo, più che dello spirito.» IH

{Confessioni di un mangiatore di film di Enzo Ungati, in aper­ tura al libro Schermo delle mie brame, Firenze,Vallecchi, 1978.) E d'altro canto è singolare notare come, nelle note dei commentatori del tempo alle prime proiezioni, sia sottoli­ neato l’elemento di assoluta novità, la meraviglia e lo stu­ pore del movimento. Su «La Poste» del 30 dicembre 1895, a proposito della proiezione al Grand Café si legge: «Sullo schermo appare una proiezione fotografica. E fino a questo momento niente di nuovo. Ma improvvisamente, l’immagi­ ne a grandezza naturale, o ridotta, a seconda delle dimen­ sioni della scena, si anima e diventa viva. È la porta di una fabbrica che si apre e lascia uscire una quantità di operai e operaie con le loro biciclette, cani che corrono, vetture. Tutto si agita e brulica. È la vita stessa, il movimento colto sul vivo (...) La fotografia ha smesso di fotografare l’immo­ bilità. Essa perpetua l’immagine del movimento.» Ancora oggi, un regista come Wim Wenders descrive il suo primo cortometraggio come se tornasse a quel punto d’inizio dove il cinema comincia: «Dieci o dodici anni dopo ho realizzato il mio primo cortometraggio in 16 mm. I rulli duravano all’incirca tre minuti. Ho ripreso un incrocio stadale di Monaco, dal sesto piano, senza muovere la macchina da presa, dall’inizio di ogni rullo finché il caricatore non fosse completamente vuoto. Non mi è neppure balenata l’idea di fermare la cinepresa. Ora posso immaginare che un atto del genere dovesse sembrarmi un sacrilegio.» {Perché lei fa cine­ ma? in Stanotte vorrei parlare con l’angelo, Milano, Ubulibri, 1989). Louis Lumière, dal canto suo, continuerà a non rendersi conto di essere stato oltre che l’inventore del cinema, il pre­ cursore di una nuova arte. Sollecitato dagli intervistatori al riguardo, si schermisce, affermando di andare molto poco al cinema, di avere gusti molto antiquati, di non essere in grado di giudicare e ripete, appena può, di essere un tecni­ co. Durante la seduta del 1937 con il gruppo interparla­ mentare per il cinema, cui Louis Lumière era stato invitato 19

come esperto, egli sembra molto più preoccupato di salvare le prime pellicole del cinematografo come prova di un risultato tecnico, che per il loro contenuto. Ribadisce anche che egli non ha mai pensato di fare della “messa in scena”, ovvero non ha mai pensato alle riprese come possibile spet­ tacolo. E le poche scenette comiche sembrano girate più per il divertimento familiare che non per suscitare l’interesse del pubblico. I principi cui Lumière si ispira per le inqua­ drature devono essere molto simili a quelli che espone nell’unico scritto in cui abbandona le considerazioni tecni­ che per fornire un piccolo breviario estetico ad uso di coloro che vogliono cimentarsi con la fotografia, (non datato, ma probabilmente del 1894), e che abbiamo posto in appendice alle interviste. La sua è una visione della composizione che si rifa alla pittura naturalistica di fine Ottocento. I principi suggeriti sono la naturalezza, l’equilibrio delle linee, il con­ trasto di luci e ombre, la giustapposizione dei piani. I Lumière non hanno mai pensato di divenire imprendito­ ri di cinema, pionieri dei produttori. «Noi non eravamo in grado di sfruttare il cinematografo. Eravamo soprattutto, e prima di tutto, dei chimici, dei fìsici, dei fabbricanti di lastre e carte fotografiche e non potevamo dedicarci a pro­ durre film di una certa importanza», ripeteranno spesso. È che il cinema, nato nell’ottocento, cresce nel nuovo secolo, e in esso assume tutto il carico di spettacolo di massa, star system, comunicazione globale, industria multinazionale. Louis e Auguste Lumière sono personaggi del secolo scorso, e ad esso rimarranno saldamente ancorati per tutta la prima metà del Novecento. Torneranno a fere gli inventori, chiusi nei loro laboratori, defilati dal cinema e dal suo destino. Usciranno dal loro silenzio solo per difendere la paternità della loro invenzio­ ne, come nella lettera inviata a «Ciné-tribune» nel 1920 per contestare il tentativo di un giornalista di attribuire l'invenzione del cinema a Georges Demeny. Oppure in occasione delle celebrazioni, che non saranno sempre esenti da amarezze. Gome accade nel 1945, quando viene posta 20

sulla facciata del palazzo che aveva ospitato il Grand Café una targa in onore di Demeny, Marey e Méliès: «Quello che mi ha colpito è che la targa sia stata messa sull’edifìcio dove si è tenuta la prima rappresentazione del mio apparecchio nel 1895. Quella targa non è al suo posto in quel luogo» commenterà Louis Lumière. Solo intorno al 1935, Louis Lumière tornerà a interessarsi attivamente al cinema, nel tentativo di trovare una soluzione per il cinema in rilievo. Tentativo riuscito, a livello sperimentale, ma non nella pra­ tica commerciale. Dopo la seconda guerra mondiale, due interviste di Georges Sadoul, la prima in occasione della seconda edizio­ ne del suo libro dedicato a Louis Lumière, e la seconda per la televisione, danno la testimonianza più approfondita del pensiero dell'inventore del cinema, a mezzo secolo di distanza. A Sadoul spetta anche il merito di aver sollevato il velo sull’unica questione che getta un’ombra sulla tranquil­ la vita borghese di Louis Lumière e sulla sua condotta esemplare. Nel 1939 egli firma una dichiarazione voluta dal Maresciallo Pétain (che nell’intervista chiama Presidente, tra la costernazione di Sadoul) e partecipa a una commissione della Repubblica di Vichy. Questa macchia gli costerà, in occasione del centenario, la mancata emissione di un francobollo commemorativo. Unica piccola ammenda, nel riconoscimento definitivo del suo essere padre non solo del cinematografo, ma della nuova arte.

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Interviste e scritti scelti 1894-1954

«Ciné-Tribune», 30 giugno 1920 Lettera di Louis Lumière

Signor redattore capo, benché io non sia di indole battagliera, pure sono costret­ to a protestare per gli articoli tendenziosi che il suo giorna­ le ha pubblicato con il titolo Annates retrospectives de la cinématographie francasse, nei numeri di giovedì 10 e 24 giugno, e nei quali sono chiamato in causa. Tali articoli contengono varie inesattezze che vorrei cor­ reggere. Nel penultimo paragrafo del primo articolo, l’autore, Francis Mair, scrive: «Demeny, rimasto solo al laboratorio, conduceva le sue ricerche. In una conferenza del 6 dicembre 1891 al Conservatoire des Arts et Métiers davanti a 1200 persone, prediceva un grande avvenire alla sintesi del movi­ mento per mezzo della fotografia; mostrava che a quel punto la sintesi del movimento poteva essere ottenuta per mezzo degli stessi strumenti che ne permettevano l’analisi.» Questa affermazione è assolutamente falsa. La conferenza cita­ ta è stata pubblicata integralmente (30 pagine) a nome di Demeny negli Annales du Conservatoire des Arts et Métiers, seconda serie, tomo IV, e non vi si dice niente di simile. L’unica allusione alla sintesi del movimento è la seguente: «Recentemente, sono riuscito a fotografare i movimenti della parola e della fisionomia. Costruendo uno zootropio speciale, e ricostituendo l’illusione di questi movimenti, ho potuto leggere sulle labbra di una fotografìa parlante.» Questo è tutto! Siamo dunque molto lontani dalle affermazioni di Francis Mair. La reversibilità dell'apparecchio per l’analisi era così lontana dalla mente di Demeny che nel suo brevetto del 10 ottobre 1893, e cioè due anni più tardi, essa è ancora mate­ rialmente impossibile, poiché il campo ottico era ostruito dal meccanismo di trascinamento della pellicola. E comun­ 25

que nemmeno ne parla. Inoltre, in questo brevetto, come in quello di Friese-Greene e Evans del 21 giugno 1889, di Evans dell’8 marzo 1890, di Varley del 26 marzo 1890, di Bouly del 12 febbraio 1892, che hanno preceduto quello di Demeny e i cui risultati erano simili, l’equidistanza e la localizzazione delle immagini non erano affatto assicurate, poiché le pellicole non erano perforate e nessuna parte dell'apparecchio era dentellata. Solo in un brevetto aggiunto depositato da Demeny il 25 maggio 1895, egli cita la reversibilità, libera il campo ottico dal meccanismo e usa pellicole perforate e tamburi dentati. Ma que­ sta data è posteriore di due mesi a quella della mia conferenza del 22 marzo alla Société d’encouragement pour ^Industrie nationale, nel corso della quale proiettai davanti ad alcune centinaia di spettatori una lunga serie di immagini fotografiche (più di ottocento) per mezzo dell’apparecchio che io e mio fratello avevamo brevettato il 13 febbraio 1895, e che dava una solu­ zione pratica e completa al problema. Demeny, al quale riconosco un grande sapere nel campo della fisiologia e una scienza consumata nel campo dell’edu­ cazione fìsica, sfortunatamente ha alterato la verità, come è facile dimostrare. Aprite il suo libro Les bases scientifìques de I’Education physi­ que (F. Alcan edit., 1911) alla pagina 316. Vi noterete una figura al di sotto della quale si legge: «Fig. 195. Apparecchio cronoforografico Demeny (anno 1893)». Bene, questo è falso. Questa figura non corrisponde affatto al suo brevetto del 1893, ma al brevetto aggiuntivo depositato il 25 maggio 1895. La differenza è fondamentale. L’apparecchio del 25 mag­ gio 1895 è reversibile e assicura la localizzazione, ma è posteriore a quello realizzato da me, mentre quello del 1893 non è reversibile e non assicura in alcun modo l’equi­ distanza delle singole immagini. Demeny gioca con le parole quando scrive nel suo opusco­ lo Origines du cinématographe a pagina 26: «Indicai subito nel mio brevetto del 1893 un perfezionamento importante. Si trattava di mettere l’elemento eccentrico nel circuito della 26

pellicola che passava da una bobina contenitore grossa quanto desideravo, a una bobina raccoglitore. A quel punto, per ottenere l’equidistanza delle immagini, sarebbe stato sufficiente tagliarla con un laminatoio o con un rullo denta­ to, impiegando un meccanismo già usato nel telegrafo. Questo apparecchio funzionò bene e dette subito risultati positivi, tanto che fui in grado di riprendere su una pellico­ la larga sei centimetri i funerali di Pasteur.» Ma Pasteur è morto il 28 settembre 1895! Che cosa pensare di questi risultati definitivi dell’inizio dell’ottobre 1895 che egli cerca di avvicinare a quelli del 1893? La verità è che se gli restava solo da «tagliare con un rullo dentato», egli l'ha fatto nel suo brevetto aggiuntivo del 25 mag­ gio 1895. Nella pagina seguente dell’opuscolo, Demeny si guarda bene dal mettere una data sotto la figura «apparecchio reversibile o Cinematografo Demeny», mentre si cura di mettere accanto la figura corrispondente al suo brevetto del 1893, con la sua data (apparecchio non reversibile). Del resto si trovano, nello stesso opuscolo, altre contraddizioni abilmente esposte, sulle quali non voglio dilungarmi. Nel secondo articolo firmato Francis Mair in data 24 giu­ gno 1920 si legge: «In quel periodo, altri inventori si dedi­ carono a ricerche sul modo migliore per ottenere immagini in movimento. Tra di essi Louis Lumière, che conosceva i lavori di Demeny e pensava di trovare da lui la soluzione del problema.» Questa affermazione gratuita e offensiva oltrepassa ogni limite. Perché avrei dovuto «trovare da lui la soluzione al problema»? Forse per rubargliela? Chiunque mi conosca non potrebbe attribuirmi un simile pensiero. La verità è un’altra. Su richiesta di Demeny, andai a fargli visita. È stata l’unica volta in cui l’ho incontrato in vita mia. Dopo esserci scritti nell’ottobre del 1893, a proposito della fornitura di lastre positive speciali che servivano al suo phonoscope, ci scrisse questa lettera il 5 ottobre 1894:

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Ai signori Lumière figli, ho già avuto modo di corrispondere con voi a proposito della pre­ parazione industriale di dischi di vetro perforati da usare come clichés zootropici per le proiezioni luminose. Conosco inoltre il vostro interesse per la divulgazione dei pro­ gressi scientifici in campo fotografico. Io ho costruito apparecchi semplificati, dal funzionamento elementare, e abbastanza sicuri per poter essere messi in mano agli amatori, e cioè uscire dai laboratori. Tali strumenti sono di due tipi. Un apparecchio per le serie fotografiche in grado di impressiona­ re da una a venti immagini al secondo su un’unica immagine, o in serie successiva ininterrotta da 1/10 a 1/1000 di secondo di posa per immagine e in ogni grandezza. Io ho adottato due for­ mati per le immagini, 4x6 cm. e 9x6 cm. Il secondo apparecchio porta il nome phonoscope, perché innan­ zitutto mi serviva a riprendere i movimenti del parlare. È l’appa­ recchio di sintesi inseparabile dal primo. Ha varie applicazioni: vedere in trasparenza i positivi su vetro in tutte le loro finezze o ingrandire le immagini in movimento per mezzo della proiezio­ ne. Quest’ultima applicazione è del più grande interesse dal punto di vista dei ritratto parlante che ho inaugurato. Vi chiedo se non dobbiate passare per caso a Parigi prossima­ mente e, in questo caso, vi invito a casa mia, dove ho installato un laboratorio di ricerca. Potrei mostrarvi i modelli e chiacchie­ rare con voi del loro possibile sfruttamento. Fino ad ora ho avuto due accomandanti che mi hanno aiutato nelle ricerche, ma credo di avere per le mani qualcosa che merita una forza maggiore, e quindi sto per ingrandire la nostra piccola Société d'études. Mi farebbe molto piacere che voi ne faceste parte e, per darvi delucidazioni sulla nostra associazione, vi invio il progetto di sta­ tuto e una nota sull’apparecchio amatoriale. Sarei onorato di ricevere una risposta favorevole a quest’idea e, nell’attesa di avere il piacere di incontrarvi, vi invio i miei migliori saluti. Georges Demeny

Come si può vedere da questa lettera del 5 ottobre 1894, gli apparecchi non erano reversibili, dato che «erano di due tipi, il secondo inseparabile dal primo» e che, per la sintesi, egli fa uso di immagini positive su vetro. Il nostro dovere di direttori di una Società il cui compito 2H

era la costruzione di lastre sensibili ci imponeva di interes­ sarci a un affare che poteva essere uno sbocco per le nostre lastre. Gli rispondemmo che durante il viaggio seguente, uno di noi sarebbe andato a trovarlo. Il 1 novembre 1894, nuova lettera di Demeny, di questo tenore: Signori Lumière, vedo dalla vostra lettera del 9 ottobre che siete interessati alla divulgazione dei lavori sul movimento per mezzo della fotografìa. Poiché noi ci riuniremo la prossima settimana per stabilire la strategia migliore per distribuire al pubblico i risultati delle nostre ricerche, sarei molto felice che nel caso aveste l’intenzione di venire a Parigi prossimamente, voi faceste cadere la vostra visita in questa data. Potreste darci un aiuto prezioso grazie alla vostra esperienza e autorità. Nell'attesa, vogliate gradire i miei più cordiali saluti. G. Demeny

Approfittando di un viaggio a Parigi, gli feci visita. Ma non parlammo affatto di quattoni tecniche. Egli si dilungò sulle difficoltà con i suoi accomandanti e insistette perché ci interessassimo all’affare. Si trattava del suo phonoscope su lastre di vetro, lo non vidi nasun apparecchio. E non posso sbagliarmi perché ancora adesso posso dire di non avere mai visto un apparecchio di Demeny. Gli spiegai come fosse per noi impossibile entrare nella sua società e che solo quando si fosse sbarazzato dei suoi soci ci saremmo potuti interessare alla faccenda. Gli dissi inoltre che da tempo studiavo il modo per proiettare immagini in movimento in lunghe serie. E con quato si esaurì la nostra relazione verbale. Mi scrisse il 28 dicembre 1894: Signore, ho incontrato Lavanchy Clarke, uno dei miei soci, di cui vi avevo parlato. Sta per partire per il Sud e vorrebbe incontrarvi per la strada domenica o lunedì. Vi sarei molto grato se poteste parlare un po’ con lui del nostro affare, perché sono certo che voi troverete una soluzione pratica 29

per utilizzare il mio lavoro. Il tempo è troppo brutto perché si possano stampare delle prove. Ve ne invierò tra qualche giorno. Con molta simpatia. Georges Demeny Poi, il 19 marzo 1895:

Signore, con grande piacere ho saputo che verrete a Parigi per una confe­ renza sulla fotografia. Vi chiedo di dedicarmi qualche minuto per continuare i discorsi fitti durante il nostro incontro. Con i miei più cordiali saluti. Demeny Vi prego di inviarmi un messaggio telegrafico, perché le lettere qui non sono puntuali come in provincia.

Infine, il 27 marzo 1895, quest’ultima lettera:

Signore, mentre eravate a Parigi, recentemente, vi ho inviato un biglietto all'hotel (Rougemont) per chiedervi un incontro. Non so se l’avete ricevuto, e mi dispiace davvero di aver saputo in ritardo della vostra conferenza, soprattutto da quando so che avete parlato dei vostri successi in questioni che mi interessano moltissimo. Vi chiedo se siete sempre disposto a studiare insieme a me e a unire i vostri risultati con quelli che ho ottenuto io, e che sono del tutto pratici. In attesa di un vostro cenno, invio i migliori saluti. Demeny Non è abbastanza evidente che era Demeny che ci solle­ citava? E non è chiaro che quando io mostrai per la prima volta il 22 marzo 1895 una proiezione animata per mezzo di un apparecchio interamente originale, che dava la soluzione completa e pratica del problema, Demeny era rimasto anco­ ra al phonoscope? Si vorrà infine ammettere che il mio appa­ recchio non è apparso come per incanto, e che ha richiesto un certo numero di mesi di studio e di lavoro. D’altro

canto, come ho già detto, io iniziai a studiare la questione dall’autunno del 1894, quando vidi il kinetoscope di Edison. Mi sono rassegnato a scrivere questa precisazione con molta pena, perché credo sia meglio lasciare riposare in pace lo sfortunato Demeny. Ma nessuno, credo, potrà biasi­ marmi per aver difeso la verità storica che il signor Francis Mair, spinto senza dubbio dall’amicizia per Demeny, ha incontestabilmente deformato negli articoli apparsi su «Ciné-Tribune». Mi affido alla vostra equità per veder pubblicata la pre­ sente lettera e vi prego di gradire distinti saluti. Louis Lumière

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Il cinematografo costruito da Jules Carpentier

7 giugno 1922 Intervista a Louis Lumière di Auguste Nardy

Nel centro di Lione, se lasciate le sponde del Rodano per percorrere il corso Gambetta, che giunge fino allo splendido Dauphiné, incontrerete vicino alla piazza prin­ cipale di Monplaisir una fabbrica dominata da una grande ciminiera. In questo stabilimento è nato il cinema. Esso è stato la culla di quest’invenzione meravigliosa che illumina oggi tutto il mondo e incrementa l’attività degli uomini. Louis e Auguste Lumière abitano vicino al loro laborato­ rio, in una graziosa dimora accanto alla fabbrica. Dalla tranquilla rue Saint-Victor si accede al cortile degli Etablissements Lumière et Jougla. È un cortile semplice e piacevole. Due canarini cantano in una gabbietta; dei fiori spuntano dai vasi appoggiati vicino a un muro. Tutto è pervaso di quiete e laboriosità. Non è una fabbrica americanizzata, piena di macchine rumorose, ma una fabbrica che evoca il lavoro tenace, lo sforzo assiduo di due studiosi lionesi che operano con coraggio e fede. Vengo accompagnato in una sala lunga e fresca, rischiara­ ta da una vetrata. È circondata da una galleria colma di libri. Un uomo alto, con le spalle larghe, mi viene incontro. Un sorriso scopre l’oro dei denti e illumina lo sguardo. Ha una voce dolce e tranquilla.

L. Lumière — Ricordi della mia prima proiezione cinema­ tografica? Ma sì... Prima dello spettacolo al Grand Café del 28 dicembre 1895 mio fratello e io tenemmo una con­ ferenza con una dimostrazione il 25 marzo 1895 al Congresso della Société fran^aise de l’Industrie nationale. Proiettammo La sortie de l’usine. Era l’uscita dei nostri operai. 33

È così che Louis Lumière è diventato il primo operatore al mondo! L. Lumière - Progettammo la pellicola e affidammo la costruzione del nuovo apparecchio al signor Carpentier, che l’assemblò seguendo le nostre istruzioni. Jules Marey aveva realizzato l’analisi delle immagini, noi realizzammo la sin­ tesi. Demeny aveva mostrato un ritratto parlante in trenta immagini che chiamò phonoscope. L’apparecchio di Edison, dal canto suo, permetteva la visione soltanto a una persona alla volta. L’illuminazione era debole, da 1/600 millesimo al secondo, mentre la nostra era da 1/25 millesimo al secondo. Il posizionamento era ottimo ed è stato conservato. A. Nardy — Quali furono i vostri primi film? L. Lumière - Dopo La sortie de Ìusine, abbiamo cinemato­ grafato le nostre nipotine in giardino, poi un incendio, delle gare a cavallo, delle scene sulla spiaggia. Ho un ricordo abbastanza divertente che risale al Congresso della Fotografia di Lione del 1895. Tutti i congressisti erano andati in gita sul fiume Saóne. Io sbarcai per primo, ripresi la loro discesa dal battello e la mostrai loro l’indo­ mani. Furono molto stupiti. Lo stesso giorno tentai una sin­ cronizzazione abbastanza semplice e primitiva, che ora le spiegherò. Feci recitare al signor Janssen un monologo mentre lo riprendevo. Feci la stessa cosa con il signor Lagrange e l’indomani proiettai questi due film mentre i due protago­ nisti, nascosti, recitavano il monologo del giorno prima. Non è curioso questo primo tentativo di sincronizzazione? Louis Lumière sorride di questi ricordi. Il suo viso è segnato da una bonarietà e una serenità commoventi. Che bella figura di bontà, di dolcezza, di modestia... Parliamo del cinema attuale, della situazione pietosa di quest'arte di casa nostra...

A. Nardy — Le cause di questa crisi? L. Lumière - Il problema è molto complesso. Bisognerebbe esaminare per bene la questione sotto tutti i punti di vista

vi

per rispondere seriamente. Le cause? La guerra... le condi­ zioni di vita difficili e gli sprechi di alcuni che hanno sco­ raggiato i finanziatori. Mi racconta un fatto, ma mi fa promettere di non rivelarlo.

A. Nardy - E lo Stato? L. Lumière - Ah, sì, lo Stato! Perché poi non vengono diminuite le tasse... Si vuole uccidere la gallina dalle uova d’oro. La uccideranno.

Leggo una grande tristezza negli occhi di Louis Lumière, che le lenti degli occhiali non riescono a nascondere. Dò voce ai suoi pensieri. È doloroso vedersi spodestare da altri, dopo essere stati i primi. L. Lumière - Perché non si pensa, all’importanza del cine­ ma nella vita dei popoli? Questo non dovrebbe dimostrare a sufficienza la necessità di incoraggiare e proteggere il cine­ ma?

Lasciamo l’ufficio e attraversiamo il cortile. Gli uccellini cantano. La fabbrica è lì accanto. L. Lumière - Io e mio fratello abbiamo fatto un buon lavo­ ro. Ah, gli inizi non furono facili! A. Nardy - State lavorando a qualcosa? L. Lumière - Sì, ma la prego, non ne parli. Ci avviciniamo a un portone rustico. Ecco la strada, per­ corsa rumorosamente da un tram. Louis Lumière mi chiede ancora, tanto è grande la sua modestia, di essere riservato.

L. Lumière — Non esageri. Darebbe molto fastidio a me, e anche a mio fratello. 35

«Excelsior», 11 marzo 1926 Intervista a Louis Lumière di Roger Valbelle

La targa commemorativa sul palazzo in boulevard des Capucines, dove un tempo cera il Grand Café, che sarà scoperta ufficialmente il prossimo mercoledì, ricorderà ai parigini e ai turisti che dobbiamo ai fratelli Lumière le prime proiezioni pubbliche del cinema. Il debutto dell'invenzione che avrebbe introdotto il mondo delle immagini animate nella vita intellettuale di tutti i popoli, fu abbastanza modesto. Trent anni fa, sotto al Grand Café si proiettavano pellicole di soli 17 metri. Pagando 50 cen­ tesimi si poteva vedere un treno arrivare in stazione, degli operai uscire da una fabbrica, un battello lasciare il porto. Era veloce, corto e sorprendente, e questo era sufficiente a soddisfare il pubblico. Il proprietario del Grand Café non credeva al successo di questa curiosa esibizione. Partecipare agli incassi gli era sembrato meno conveniente che affittare la sala per trenta franchi al giorno. Gli incassi toccarono presto i due-tremila franchi, poiché le proiezioni non duravano più di un quarto d’ora. In meno di un mese, c'erano concessioni in tutto il mondo. Per la loro collezione di venti pellicole, i Lumière dovettero creare, a Lione, un nuovo studio per lo sviluppo dei positivi e un esercito di operai. Formarono poi degli operatori che andarono a filmare le folle. L'anno successivo, il successo del cinema era all’apice, e queste corte pellicole erano sufficienti a soddisfare la curiosità di tutti i paesi. Quando la curiosità fù soddisfatta, l’interesse del pubblico venne meno fino all’epoca in cui si cominciarono a produr­ re negativi di lunga durata e a utilizzare le risorse del tea­ tro per la nuova arte. Poco inclini a reclutare artisti e ad animare le folle, i fratelli Lumière abbandonarono lo sfrut­ tamento commerciale del cinema per dedicarsi a fornire le pellicole sensibili, gli apparecchi e il materiale. Altri lavo­ ri, altre ricerche li aspettavano. w>

I due nacquero a Besangon, lo stesso mese, a due anni di distanza: Auguste nell’ottobre 1862, Louis nell’ottobre 1864. Essi hanno vissuto fino in tempi recenti nella più stretta collaborazione — sia pur con impegni di lavoro separati — e nell’intimità delle due famiglie. Erano sposaci con due sorelle e avevano unito i focolari domestici. Una casa spa­ ziosa, con due appartamenti simmetrici, li riuniva sotto lo stesso tetto. I pasti erano comuni. La felicità ha fatto parte della vita delle due famiglie per quasi trentanni. A tutto ciò ha posto fine un evento crudele. Un grande lutto ha col­ pito recentemente questa vita patriarcale immersa in un’opulenza moderna. Rimasto vedovo, Louis Lumière ha deciso di lasciare Lione per trasferirsi vicino ai nipoti che abitano a Parigi. Si sta ora sistemando a Neuilly, in un albergo intimo ed elegante che chiama — con un sorriso un po' triste — una bicocca e dietro al quale vi sono cantieri dove nasceranno piccoli laboratori di chimica e fotografia nonché un'officina meccanica nella quale passerà il suo tempo, immerso in un ambiente che sembra creato solo per trattenerlo. È qui che, malgrado non ami le interviste, ci ha parlato dei suoi primi film.

L. Lumière - Sono stato il primo operatore. Il metodo più pratico per fare delle esperienze di movimento era di siste­ marmi vicino al portone della fabbrica all’ora in cui escono gli operai. Era il 1894. L’anno seguente, in marzo, ho fatto la prima proiezione pubblica alla Société d'encouragement a Rue de Rennes. Provocò stupore ed entusiasmo. Mi chiese­ ro di ripeterla. Ma non avevo l’apparecchio per riavvolgere. Allora feci quest’operazione a mano. Continuai le mie ricer­ che per la messa a punto e il miglioramento dell’apparec­ chio iniziale. L’estate, nel Midi, a La Ciotat, approfittai del sole per filmare l’arrivo del treno alla stazione, della nave nel porto. Ripresi mia cognata e mio cognato che davano la pappa ai loro bébé, i bambini che pescavano i pesci rossi... delle scenette familiari, insomma. L’apparecchio permetteva di impressionare i negativi, sviluppare i positivi e proiettar37

li. Le pellicole venivano esposte utilizzando come sorgente luminosa un muro coperto da una tela bianca e illuminata dal sole. Lo sviluppo si faceva dentro a dei secchi. L'asciuga­ tura su delle corde, alla meglio. In luglio ci fu il Congresso internazionale di fotografìa di Lione presieduto da Janssen, un precursore, che aveva rea­ lizzato una sequenza di cinematografia lenta del passaggio di Venere sul sole. Proiettai le riprese di La Ciotat. Poi fu organizzata una gita e allora portai l’apparecchio. Fissai i congressisti sulla pellicola sensibile. Una delle scene fu ripresa dalla terrazza dopo il pranzo. L’indomani mattina i positivi furono sviluppati per poter essere proiettati la sera al banchetto di chiusura. Il presidente del foto-club di Lione, l’avvocato Lagrange, aveva preparato un discorso. Lo ripetè dietro lo schermo durante la proiezione, cercando di sincronizzarsi con la sua stessa immagine. Fu il primo ten­ tativo di cinema parlato. Ci vollero poi ancora alcuni mesi per costruire alcuni apparecchi, il primo dei quali servì per aprire la prima sala di proiezioni pubbliche in boulevard des Capucines. R. Valbelle - Come le venne l’idea di una rappresentazione dell’immagine animata? L. Lumière - Dal kinetoscope di Edison che, per primo, nel 1893, dimostrò la possibilità di una realizzazione pratica. Questo apparecchio, nel quale la pellicola era mossa da un movimento continuo, necessitava di una enorme brevità di illuminazione di ogni singola immagine (1/6000 di secon­ do). Questa durata non permetteva un flusso luminoso suf­ ficiente alla proiezione. Pensai allora che sarebbero stati opportuni piccoli arresti della pellicola a ogni immagine. Riuscii a realizzarli grazie a un telaio che rallentava la velo­ cità utilizzando le perforazioni della pellicola.

Louis Lumière iniziò presto le sue ricerche scientifiche con la preparazione delle emulsioni sensibili e con le loro applicazioni industriali. I suoi lavori lo condussero alle lastre autocrome per la fotografia dei colori e agli schermi in tricromia ad elementi geometrici regolari. In acustica, il rumore prodotto dalla percussione al centro di un comune

ventaglio fatto di catta pieghettata lo portò a realizzare grandi diaframmi e ad applicarli come riproduttori alle macchine parlanti e al telefono. Durante la guerra inventò diversi tipi di ricevitori acustici in grado di localizzare, con qualche grado di approssimazione, la direzione e l’origine di un suono. L’aviazione gli chiese di ricercare un sistema di riscaldamento delle carlinghe degli aeroplani che prevenisse l’inspessimento o il congelamento dell’olio d’ingrassaggio, e lui consegnò quarantamila riscaldatori catalitici. Su richiesta dei medici del servizio di sanità studiò una protesi per mutilati agli arti superiori; l'adozione della sua mano a pinza articolata si trasformò in una fornitura di cinquemila apparecchi. Una sola delle sue invenzioni non ebbe il successo spera­ to dopo due anni di prova a Parigi: il fotorama, che permet­ te una proiezione a giro completo d’orizzonte. Ma il cine­ ma è arrivato in tutto il mondo e lo ha conquistato defini­ tivamente.

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«Comoedia», 26 marzo 1928 Intervista a Louis Lumière di Pierre Chanlaine

Louis Lumière, inventore della cinematografia, ha accon­ sentito a ricevermi e a precisare i tre campi nei quali la ricerca scientifica si sta esercitando per perfezionare la sua invenzione. L. Lumière — Innanzitutto, la cinematografìa a colori. È già stata realizzata e la migliore applicazione è stata quella di Gaumont. Bisogna tuttavia aggiungere che l’analisi croma­ tica per mezzo di schermi colorati non è e non può essere perfetta. Le svariate condizioni che sono necessarie vengono realizzate sempre approssimativamente. Se, ad esempio, si fotografano dei colori vivaci, della verzura, o dei fiori, l’impressione finale può essere soddisfacente. Ma se si tratta di riprodurre dei colori tenui, le differenze minime posso­ no, nella ricostituzione dei colori, produrre risultati disa­ strosi: un cielo può virare tra il rosa e il verde, il colore della pelle può diventare cadaverico. Non si hanno sempre a disposizione dei materiali coloranti in grado di assorbire solo la giusta quantità. Alcune radia­ zioni mancanti vengono sostituite da radiazioni simili. Il risultato è che ciò che si vede sullo schermo luminoso è solo una traduzione. Se la cinematografia a colori monopolizzasse tutti i film che sono proiettati, non tarderebbe a stancare lo spettatore per via di questo carattere d’interpretazione più o meno lontano dalla verità. Nella proiezione in bianco e nero, ogni spettatore traduce ciò che vede. Si distacca dalla nozione di colore: ma, in realtà, la riprende, la ricostruisce attraverso una sorta di automatismo psichico. È un fenomeno analogo a quello che avvertiamo davanti a una statua di marmo: ci piace così come ci appare, con i toni del bronzo e del marmo, che sono pure molto dissimili da ciò che ci offre la natura. Eppure troveremmo inaccettabile che si dipingesse 40

la materia per darle un aspetto che non fosse altro che un’interpretazione della natura. Ciò malgrado, è interessante introdurre alcuni frammenti colorati nello spettacolo cinematografico; questo interrom­ pe la monotonia e, per quanto i film siano interpretati, il pubblico li accetta volentieri. Ce molto da sperare in questa direzione? Non lo so. Poi, la cinematografia in rilievo. A parte la foto-stereo-sin­ tesi e cioè la ricostituzione nello spazio di una serie di sezio­ ni parallele rappresentanti la figura o il paesaggio fotografa­ ti - che mi scuso di citare dato che ne sono l’autore - e che adesso è realizzata per dei soggetti ravvicinati, sembra impossibile poter dare l’impressione del rilievo senza l’uti­ lizzo di un dispositivo ausiliario che permetta a ogni occhio di percepire solo l’immagine che gli è diretta. È il principio degli anaglifi, un tipo di occhiali con un vetro colorato di verde e l’altro di rosso. Il primo dà un’immagine particola­ re, composta solo dai raggi di colore verde che il vetro colo­ rato ha lasciato passare; il secondo un’altra immagine parti­ colare, rossa. Verde e rosso si confondono sulla retina, e da questa fusione risulta un’immagine normale, ma in rilievo, come se fosse vista allo stereoscopio. Accade lo stesso per la luce polarizzata, gli otturatori sincroni ecc. Terzo e ultimo punto: il cinema sonoro. In questo campo si è arrivati, forse più che negli altri, a dei risultati interessanti. Numerose soluzioni, alcune delle quali sembrano notevoli, sono già state sottoposte al mondo scientifico. Sono fondate, per quanto riguarda l’analisi dei suoni, sulla loro registrazione fotografica, grazie all’utilizzo di una pellicola sensibile, e sulla loro produzione fonetica. In base a quale principio? Ecco qui. Le variazioni d’intensità del fascio luminoso che passa attraverso la pellicola, sono trasformate in corrente elettrica tramite il selenio o una lampadina fotoelettrica, come quelle di cui ci si serve nelle televisioni. Questa cor­ rente agisce su un altoparlante. Voglio precisare. Supponete che io parli, qui, davanti a un microfono collegato ad un amplificatore: le vibrazioni emesse agiscono, dopo l’amplificazione, su di un dispositivo 41

ingegnoso che fa oscillare uno specchio. Ciò è possibile, poiché nulla impedisce di utilizzare l'energia delle vibrazio­ ni sonore per produrre del movimento. Davanti a questo specchio che oscilla passerà a velocità costante una pellicola trascinata da delle perforazioni. Questa pellicola sarà impressionata dai raggi luminosi riflessi dallo specchio. In un’unità di tempo determinata, la sua superfìcie sarà tanto più colpita dall’impressione luminosa quanto maggiore sarà l’oscillazione dello specchio, dunque quanto più forti sono le vibrazioni sonore. Se si fanno quindi intervenire la lam­ padina fotoelettrica, un amplificatore a lampade potenti e l’altoparlante di cui parlavo prima, resta solo da mettersi in ascolto. Sono stati ottenuti dei risultati notevoli in questo campo, ed è probabile che lo sfruttamento industriale di questi pro­ cedimenti non tarderà a lungo. Il sincronismo si ottiene facilmente perché la pellicola che riceve l’immagine fotografica può essere la stessa di quella impressionata dal raggio luminoso proveniente di riflesso dallo specchio. Una parte della pellicola è riservata a questo utilizzo. La ricostruzione è in questa maniera praticamente perfetta, perché le armoniche, che caratterizzano il timbro, possono essere molto ben conservate. Operando bene si può evitare ogni deformazione, sia nell’incisione che nella ripro­ duzione. Riassumendo, avremo sicuramente ben presto il cinema sonoro. Ciò costituirà un progresso importante nell’evolu­ zione della settima arte? Non ho opinioni a questo proposi­ to. Dal punto di vista scientifico sarà sicuramente un’inte­ ressante innovazione: sia per gli editori, che per i gestori delle sale, che per il pubblico: sarà una rivoluzione delle abitudini acquisite. Ma le rivoluzioni, in questo mondo, di qualsiasi natura esse siano, hanno mai cambiato qualcosa di ciò che si propone­ vano di distruggere?

E su questo assioma di amara filosofia, mi congedo dal celebre inventore. 42

Auguste e Louis Lumière nel 1895

«L’intransigeant», 20 dicembre 1930 Intervista a Louis Lumière di Hervé Lauwick

Leggo su tutti i giornali che vogliono innalzare una sta­ tua a Le Prince, l’inventore americano del cinema. Oh, oh! Ecco ('incredibile notizia che il cinematografo non è nato in Francia. Ma io ho appena chiacchierato con un grand’uomo. Ed ecco il resoconto. Un giardino a Neuilly, della verzura in mazzi che freme appena e dell’erba come un ricco tappeto. Poi, viali puliti e ben rastrellati, rosai e ancora rosai, come alla Malmaison. Un odore di acqua e di erba e poi di Parigi, per via delle automobili sulla strada. Colui che vive qui è un uomo ricco e semplice. Il salone accentua l’impressione di avere a che fare con un artista e non con un uomo d’affari. Il caminetto è anch’esso alto e grande. Davanti, una sorpresa: un lungo canapé all’inglese su cui ci si può arrostire in tre o in quattro, come in un club. Lo spiritoso Lucien Vogel ha un salotto simile, e d’inverno è davvero delizioso. Qui, il telefono senza fili e il fonografo, cioè quanto di più perfetto ha prodotto l’indu­ stria, spariscono discretamente dentro ai mobili. Dico Lumière, e non signor Lumière. Non perché egli non sia un importante personaggio, ma perché vorrei che i nostri nipotini ritrovassero per caso questo articolo tra molto tempo e comprendessero come egli sapesse parlare con dolcezza, con modestia, con troppa dolcezza, con trop­ pa modestia; e ne immaginassero il viso buono sotto i capelli bianchi... Nessuno mette in dubbio che abbia inventato il cinema­ tografo, con suo fratello. Hanno detto: anche Marey... Perbacco, Marey aveva creato il fucile cronofotografìco per cronometrare i movimenti, per giudicare la velocità di un corridore. Non ha mai pensato di perforare una pellicola, di proiettare le immagini per il divertimento o l’educazione degli uomini... Ho potuto vedere una lettera dove dichiara: 44

I signori Lumière sono gli inventori del cinematografo. Sì, di suo pugno. Sembra difficile poter tornare sopra l’argomento. Il caso è chiuso!

H. Lauwick — In quale modo, ho chiesto a Louis Lumière, lei ha inventato il cinema? Non trova straordinario che quel piccolo meccanismo da lei progettato, tale e quale, non abbia mai dovuto essere modificato in seguito? In tutto il mondo, ogni giorno, si fanno film seguendo il suo antico procedimento. È l’unico caso in cui possiamo parlare di un’invenzione durevole. L’automobile, ad esempio, si è modificata in ogni bullone e l’aereo è ancora lontano dalla sua versione futura, esita, fa passi falsi. È appena nato! L. Lumière — Ah, siamo stati fortunati — risponde sorriden­ do il grand’uomo -. Abbiamo disegnato subito un meccani­ smo che non era migliorabile nelle sue parti importanti... ecco tutto. Non aggiunge altro. Parla della sua invenzione come del risultato fortunato di una bella passeggiata. Non sembra particolarmente fiero di aver dato ore di felicità a milioni di uomini. Quando penso alle mille piccole vanità che ci cir­ condano! È grande, rasato, sorridente e sembra robusto. La sua espressione è amichevole anche se vi appare un’ironia genti­ le quando evoca alcuni ricordi. Avrebbe potuto essere un attore tragico. Alcuni attori, quando sono fuori scena, hanno lo stesso sguardo dolce e buono. Ispira una sincera simpatia.

L. Lumière — Sì - risponde a una delle mie domande, e il volto si illumina improvvisamente - quando abbiamo cominciato le nostre ricerche certo non pensavamo che sarebbe nata un'immensa industria del cinema. Eppure, non appena l’invenzione cominciò a dare risultati soddisfacenti, non appena il pubblico cominciò a fare la coda davanti al Grand-Café, dove si pagavano dieci franchi a biglietto, le nostre speranze si fecero più ambiziose. Emile Picar, il responsabile dell’Esposizione universale del 1900, mi chiese 45

di far restare il pubblico all’Esposizione anche la sera. Ma era un grosso problema! Decisi allora di prendere la galleria delle macchine. Si ricorderà di quel luogo deserto. Vi installai una tela di ventiquattro metri per trenta e proiet­ tammo venti minuti di film, sempre gli stessi, che ebbero un successo enorme. Da allora si risvegliò la curiosità del pubblico, gli industriali fiutarono l’affare e crearono dei teatri, girarono opere complete. Noi non avevamo mai pen­ sato di andare oltre i venti minuti. H. Lauwick — Che cosa si pensò intorno a voi di ciò che ave­ vate appena scoperto? Si fecero spallucce, come accadde per Bernard Palissy, i fratelli Wright o Fernand Forest? E questo non vi ha portati alla rovina, come i vostri predecessori? L. Lumière — Ebbene no. Il cinema al suo debutto era attor­ niato da un’atmosfera di simpatia. Nessuno, ovviamente, immaginava dove sarebbe arrivato... Ma tutti seguivano le nostre esperienze di buon occhio e tutti le trovavano molto divertenti. Ecco tutto!

«Excelsior», 2 febbraio 1935 Intervista a Louis Lumière di Réne Brunschwick

Come abbiamo già annunciato, il primo film della Comédie Frangaise sarà proiettato il 22 febbraio a Rue de Richelieu a benefìcio della cassa dei pensionati del persona­ le secondario della Comédie Franqaise. Il galà sarà un even­ to importante perché in seguito questa produzione non sarà più visibile per un raggio di cento chilometri da Parigi. Il presidente della Repubblica darà lustro con la sua presenza a questa presentazione che sarà preceduta da un discorso di Louis Lumière, padre del cinema. Abbiamo potuto raggiungere nel suo ritiro di Neuilly colui che, nel 1895, girò, sviluppò e proiettò i primi film muti, dalle caratteristiche del tutto differenti da quelle dei film di oggi. Infatti i reportages proiettati al Grand Café misuravano appena diciotto metri. Da allora la scienza dell’immagine si è evoluta. La sua importanza, all’inizio solo pedagogica, si è progressivamente allargata al campo artistico al punto di trovarvi piena cittadinanza e di rifor­ mare le leggi dell’industria dello spettacolo e le nostre abi­ tudini. Louis Lumière, che è uomo di scienza, ha seguito solo da lontano questa rapida evoluzione. Eppure è stato lui a darle l’avvio, perché nei laboratori di Lione o di Neuilly ha messo a punto le ricerche sugli apparecchi che a poco a poco hanno condotto il cinema fino allo stadio attuale. Lavoratore accanito, apostolo della lanterna magica, Louis Lumière si sta occupando attualmente di una invenzione della quale parleremo tra qualche tempo, quando ne darà comunicazione all’Académie des Sciences. Ma torniamo a Molière... L. Lumiere - Qualche giorno fa ho ricevuto la visita di Emile Fabre, amministratore generale della Comédie Fran^aise, accompagnato dal segretario generale Jean 47

Valmy-Raysse e dal direttore di scena Louis Bourny. Venivano per conto della Comédie Francois? a chiedere la mia collaborazione per la presentazione del film realizzato da Leo nce Petret. Non avevo alcuna riserva da formulare sul conto del regista, sul repertorio o sulla prima compagnia drammatica di Francia. Non dubitavo che questi tre elementi fossero suffi­ cienti ad assicurare il successo della produzione. L’insistenza dei tre ambasciatori, unita alla consapevolezza delle mie prevenzioni riguardanti il cinema parlato, mi hanno impedito di opporre un rifiuto senza avere prima riflettuto meglio. Mi hanno invitato allo studio di Joioville e hanno fatto sfilare sotto i miei occhi, e solo per me, l’album di Léonce Perret con il commento dei testi di Molière, di Sacha Guitry, di Jean Valmy-Bayssc c le musi­ che di Lulli, Marcel Dclannoy c Larmangcat. Devo onestamente riconoscere che questa produzione farà epoca. Mi ha totalmente riconciliato con il cinema parlato e riconcilierà quest’ultimo con il teatro. Sono convinto che quest'impressione sarà condivisa. Infatti io vado al cinema solo durante le vacanze, perché la mia età mi proibisce veglie prolungate, c quando ho visto i primi film parlati o sonori, ho temuto una sproporzione incolmabile tra la gran­ dezza dei personaggi e la loro potenza vocale. Ben presto ho dovuto riconoscere che era un falso problema e gli adattato­ ri di Molière lo provano in modo esemplare. La sincronizza­ zione della voce con l’immagine è perfetta. Il volume del suono è correttamente proporzionato all’importanza dell’immagi ne. 1 nostri archivi si arricchiranno non solo di una testimonianza visiva, ma anche sonora. Ecco ciò che dichiarerò fra qualche giorno sul proscenio della Comédie Francai se. Sono convinto che a. questo tentativo ne seguiranno altri perché al successo artistico seguirà certamente un successo commerciale. Quanti tra i nostri liceali che non hanno mai conosciuto le opere classiche saranno felici di potersi avvici­ nare a dei testi che talvolta sembrano loro così ostici! La vita dei personaggi sembrerà loro meno fittizia. I loro sensi, così come la loro intelligenza e la loro immaginazione, 48

saranno stimolati più. rapidamente. Lungi dal nuocere all’arte drammatica, questa propaganda le servirà. Questo esperimento è interessante anche sotto altri punti di vista. Permetterà di rispettare meglio i testi, espressi dalle voci che li hanno letti, e consentirà la loro trasmissione alle future generazioni. A teatro, fatta eccezione per gli spetta­ tori in prima fila, nessuno può cogliere i movimenti del volto degli attori, che possono commuovere quanto il dialo­ go. Un primo piano ben cinematografato colpirà l’immagi­ nazione quanto il testo. Quanti insegnamenti questa tecni­ ca rifrutterà agli scolari, agli studenti, ai letterati e agli attori di domani, e ben oltre le nostre frontiere, entro le quali l'arte drammatica gode già di tanto prestigio! Anche per la Comédie Fran^aise il cinema può essere una propaganda eccellente. Un buon film provoca sempre il desiderio di vedere il lavoro teatrale da cui è stato adattato. Che errore pensare che il cinema e la radio possono nuocere al teatro. Quanta gente va a vedere uno spettacolo oppure un concerto perché ne hanno prima sentito l’esecuzione a casa loro! Gli artisti drammatici hanno a lungo visto nell’arte muta una rivale che metteva in pericolo i loro interessi. La tecnica attuale dimostra al contrario che la settima arte può offrire loro uno sbocco importante. Alcuni, grazie a una plastica speciale, diventano fotogenici e possono aspirare a fatti che i loro mezzi vocali o la loro sensibilità non avrebbero saputo sostenere in scena. Altri, al contrario, che non hanno grande presenza fisica, hanno una voce che possono impostare e trovano nel doppiaggio una risorsa che i loro predecessori non avevano. Lungi dal nuocersi, cinema e teatro si completano. Parlano al nostro cuore e alla nostra intelligenza con mezzi differen­ ti. Sarò felice di poter dimostrare, nel corso di questo gala, che l’arte, la scienza e la bontà possono costituire un trio felice.

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Auguste Lumière Prova di una emulsione fotografica ultrarapida

«Le jour», 25 febbraio 1935 Intervista a Louis Lumière di Hervé Lauwick

«Le jour» è stato il primo giornale francese ad annuncia­ re, qualche mese fa, che gli Americani hanno messo a punto un procedimento per il cinema in rilievo che pro­ mette grandi risultati. Tale procedimento utilizza uno schermo speciale che proietta l’immagine fuori dal quadro. Purtroppo, dopo un inizio promettente, sembra che que­ sto sistema abbia incontrato difficoltà impreviste. Pare infatti che l’immagine sia chiaramente visibile e nitida solo per gli spettatori vicini all’asse centrale mentre sembra che essa si sfuochi a una certa distanza. Sono ostacoli gravi che stanno cercando di superare. Intanto, Louis Lumière, il grande scienziato francese dal viso intelligente e buono, capace di farci dimenticare, con la sua modestia, i pavoneggiamenei di tanti piccoli perso­ naggi vanitosi, presenterà oggi stesso all’Académie des sciences una nuova invenzione: la sua soluzione per ottene­ re il cinema in rilievo. Abbiamo parlato con l’illustre fìsico della sua nuova invenzione nella bella casa di Neuilly, dove regnano l’ordi­ ne e la pulizia, al contrario di quanto avveniva nella casa di Edison, che peraltro rideva per primo del suo disordine. Siamo circondati dagli apparecchi elettrici. Due telegrafi senza fìli solo in sala da pranzo, accanto a un barometro pessimista e a una quantità di telefoni sufficiente a metter­ lo in contatto dal letto con il mondo intero. È evidente che siamo nella casa di un appassionato d’elettricità, casa che ricorda quella memorabile di Georgia Knapp.

L. Lumière - Oddio, dice il grande scienziato, ho solo segui­ to un semplice ragionamento seguendo una via tracciata sin dal 1855, un po’ come è accaduto per il cinema, per il quale ho avuto la fortuna di trovare la formula definitiva, dato che i miei apparecchi non sono stati modificati da allora... 51

H. Lauwick — Il che costituisce un evento unico nella sto­ ria delle invenzioni moderne! L. Lumière — Beh, non esageriamo. Siete un po’ troppo generosi con me. La verità è che invece di concentrare la mia attenzione sullo schermo in rilievo, di difficile proget­ tazione, ho realizzato un sistema stroboscopico che non stanca la vista...

Ci offre una prima visione del suo film L’arrivée du train, che ha voluto filmare, come delizioso omaggio, negli stessi luoghi della prima ripresa del cinematografo nell’ottobre del 1895... Nella stazione di La Ciotat si vede il treno che si precipita verso gli spettatori: il risultato è sorprendente. La cosa più notevole è, effettivamente, l’assenza di qualsiasi affaticamento per l’occhio. L. Lumière - È naturale, dice il maestro. Helmholtz, molto prima di me, sapeva bene che il filtraggio attraverso vetri rossi e verdi non è sufficiente. Io ho previsto due schermi, uno per ogni lente degli occhiali dello spettatore. Il primo lascia passare le radiazioni da 540 a 640 mm, l’altro da 400 a 540 e da 640 a 700. In questo modo si ottiene lo spettro completo. Prendo in mano il minuscolo spettroscopio portatile sul quale ha lavorato il geniale inventore. I due schermi sovrap­ posti impediscono totalmente alla luce di filtrare. È un oggetto lussuoso? No, è inchiodato su due tavole. È esclusi­ vamente fatto dalla mano del maestro.

L. Lumière - Non ho nessuno che mi aiuta, dice con fare gentile. Io stesso limo, sego, faccio gli ingranaggi. Lavoro il rame, utilizzo i vecchi portalampade, i pezzi del Meccano. Il segreto è lavorare con pazienza e precisione. Ecco il mio tornio, le mie lime, i miei attrezzi! Il lavoro manuale è riposo per lo spirito. Il primo cinematografo fu montato da qualcuno delle nostre officine. Ma in seguito, e ho dovuto studiare ben 1500 sostanze coloranti, il che mi ha certa­ mente sporcato le mani, ho avuto solo collaboratori volon­ 52

tari. Così, per fare L’arroseur ho preso un impiegato delle nostre officine di Lione, e il bambino che calpesta il tubo esiste ancora, lavora ancora per noi e ha 52 anni! La prima partita a carte fu ripresa a La Ciotat, il personaggio comico era il domestico di mio padre, un tipo incredibile... si chia­ mava Féraud ed era di Gonfaron. H. Lauwick - Fu lui il primo comico dello schermo? L. Lumière - Eh, certo non sospettava di essere un precur­ sore di Chariot! Ho continuato in quei luoghi a studiare il rilievo. Ecco perché questa sera mostrerò all'Académie un film girato a La Ciotat. Purtroppo abbiamo ormai venduto la nostra vecchia casa... H. Lauwick - Sulla quale, aggiungo io, sarebbe ora di mettere una targa! Louis Lumière alza le braccia al cielo. L’idea lo sgomenta. Solo, davanti ai suoi modesti attrezzi, con i capelli bianchi lucenti sembra l’immagine del buon operaio del Vangelo, colui al quale ricompense più preziose del denaro sono offerte dalla benevolenza di Dio...

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«L’intransigeant», 30 marzo 1935 Intervista a Louis Lumière di Maurice Montcarré

M. Montcarré - Come le è venuta l’idea del cinema? L. Lumière — Oh, in modo molto semplice: io e mio fratel­ lo eravamo interessati al kinetoscope di Edison; sono riusci­ to a mettere a punto in pochi mesi un apparecchio in grado di proiettare immagini corrette dal punto di vista cinema­ tico. Prendemmo il brevetto nel febbraio del 1895. La prima proiezione ebbe luogo, come lei sa, il 28 dicembre, sotto il Grand Café in Boulevard des Capucines. Fino al giorno prima nessuno era mai andato al cinema. Da quel momento non si è più potuta dire una cosa simile. M. Montcarré - Questa invenzione vi ha procurato molti guadagni? La risposta che avevo voluto provocare non si è fatta aspettare:

L. Lumière - Per niente. Non è possibile brevettare un’idea. M. Montcarré - Lei va spesso al cinema? L. Lumière - Ma sì. Non però quanto vorrei, ho tante cose da fare! M. Montcarré - Rimpiange il cinema muto? L. Lumière - All’inizio non pensavo che il sonoro avrebbe avuto successo, devo confessarlo. Mi sembrava sbagliato che personaggi più grandi del reale sullo schermo emettessero dei suoni che non fossero in scala. Invece ho dovuto consta­ tare presto che lo spirito umano non rifiuta mai l’inverosi­ mile. Il nostro cervello fa la compensazione. M. Montcarré - Quali film preferisce? L. Lumière - Non vorrei dispiacere nessuno. E poi ce ne sono molti che mi piacciono. M. Montcarré - Per esempio? L. Lumière - Per esempio Poti de carotte, La Matemelle., 54

Maria Chapdelaine, Ilio, Le Grand Jeu, Pension Mimosas, A I’etranger, Little Women, Symphonic Inachevée e tanti altri... M. Montcarré — Il cinema in rilievo è prossimo alla rea­ lizzazione? L. Lumière - Ho fabbricato degli occhiali che ne permetto­ no la realizzazione, ma ogni spettatore è costretto a metter­ seli sul naso, e questo è fastidioso. Ci saranno presto delle novità. Ma non ne parli troppo: ho messo a punto uno schermo che può essere fissato sullo schienale delle poltrone nelle sale di proiezione, in modo che ogni spettatore se ne trovi uno davanti senza dover tenere un oggetto sugli occhi con la mano. Questo schermo trasparente, che appare rigo­ rosamente bianco e lascia alle immagini i loro colori natura­ li, è di due colori, giustapposti e complementari, il giallo e il blu. Essi emettono lunghezze d’onda differenti, il che permette agli occhi di sovrapporre le immagini riprese con un apparecchio speciale. Ho fabbricato questo apparecchio sull'angolo di un tavolo l’estate scorsa a fìandol, e poi ho girato dei film per dimo­ strazione: il porto di Tolone, l’arrivo di un circo con una sfi­ lata di elefanti. A La Ciotat ho filmato l’arrivo di un treno, esattamente nello stesso punto in cui avevo registrato una delle mie prime pellicole, trentanove anni prima. M. Montcarré - E il nuovo schermo dà l’impressione del rilievo? L. Lumière - Al punto che si perde completamente la memoria dello schermo su cui le immagini sono proiettate. I personaggi si muovono nella sala. È come una finestra aperta sulla vita reale.

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«Le journal», 28 novembre 1935 Intervista a Louis Lumière di Leo Marches

Un giardino fiorito ne) parco di Neuilly. Rose rosse. Prati verdi. Viali bianchi. Sullo sfondo una casa chiara, dalle linee armoniose, dalle aperture sorridenti... Sembra che questa cornice sia stata costruita per la feli­ cità, non una felicità fugace e tumultuosa nata ieri e desti­ nata, forse, a morire domani, ma una felicità seria e duratu­ ra, la felicità del saggio, costruita con pazienza, che non deve nulla ai capricci del destino e della fortuna. La fortuna? Louis Lumière, padrone di questa gradevole dimora, non ci crede... Un grande chirurgo diceva: «L’anima? Non l’ho mai tro­ vata sotto il mio bisturi!» Allo stesso modo, l’inventore del cinematografo non ha mai filmato la fortuna. Ne nega l’esistenza, con tranquilla certezza di studioso e di materialista.

L. Lumiere — Non credo né alla métapsichica, né alle pre­ monizioni, né alla bacchetta magica. Esistono soltanto ipo­ tesi e coincidenze... La fortuna è una creazione della nostra immaginazione. Mi rifiuto di prendere sul serio questa divinità fantasiosa che appiana le difficoltà per nostro conto e che ci serve il suc­ cesso già pronto, senza che abbiamo fatto nulla per meri­ tarlo. Credo che sia il lavoro personale, lo sforzo continuo che permettono di raggiungere gli obbiettivi. La fortuna... è meglio farsela da soli. L. MarchÉs - L’esempio della sua vita laboriosa rafforza questa tesi. Eppure lei non ha conosciuto un periodo di lavoro più facile e più fecondo all’epoca in cui ha realizzato la straordinaria invenzione che ci ha dato un nuovo mezzo di espressione? L. Lumière — Quell’invenzione è il risultato di un'opera perseguita tenacemente, pazientemente e senza fretta. Io e 56

mio fratello, basandoci su dei lavori di analisi del movi­ mento abbiamo ottenuto la sintesi. Ci sono bastati tre mesi per raggiungere il risultato che perseguivamo con fiducia dal primo giorno, e per dare a ogni aspetto del problema la giusta soluzione. Dopo che nel gennaio del 1896 le prime immagini animate furono proiettate in una sala di tue de la République a Lione, abbiamo perfezionato la nostra inven­ zione, ma non si è trattato di modifiche fondamentali. Alcuni dispositivi essenziali dell'apparecchio sopravvivono tuttora senza cambiamenti. L. Marchés - Avete anche risolto il problema del cinema in rilievo... L. Lumière - È un problema più arduo e complesso del primo. Sono stati necessari due anni di ricerche, di studi e di sforzi. Oggi il risultato è stato raggiunto. Il cinema in rilievo sarà presentato al pubblico il prossimo ottobre. Non si vedrà più lo schermo. La vita apparirà allo spettatore in tutta la sua realtà, come se la si guardasse attraverso una finestra aperta.

Come Newton aveva trovato la legge della gravità riflet­ tendoci in continuazione, come Leverrier aveva scoperto nuove stelle senza guardare il cielo, mettendo delle cifre su un foglio, Louis Lumière ha ricostruito l’immagine esatta della vita con la sola forza del ragionamento e del calcolo. La Francia ha festeggiato questa grande invenzione fran­ cese il cui fulgore ha conquistato il mondo. Altri paesi hanno fatto ancora di più. Louis Lumière ha portato con sé da un viaggio trionfale in Italia una foto con questa dedica: A Louis Lumière, Accademico di Francia. Con ammirazione. B. Mussolini (1935)

Dalla parete dello studio del grande scienziato, sopra il ritratto del Maresciallo Foch, il viso volitivo del Duce sem­ bra ascoltare ed approvare... Anche lui è uno di quelli che si sono costruiti da soli la loro fortuna! 57

«Minerva», 31 dicembre 1935 Intervista a Louis Lumière di Régis-Leroi

Il 6 novembre scorso, davanti al Presidente della Repubblica, ai ministri, agli ambasciatori, ai rappresen­ tanti di trenta nazioni e a un numeroso pubblico, abbia­ mo assistito all’apoteosi del grande scienziato francese, Louis Lumière, inventore del cinema. Si accusa il nostro paese - spesso a ragione - di non saper mettere in luce gli uomini di genio che hanno arricchito il patrimonio spiri­ tuale dell’umanità... Ora, non solo la Francia, ma il mondo intero è qui a onorare e a esprimere la propria gratitudine a Louis Lumière, che ha creato quarant’anni fa il cinemato­ grafo e ha avuto la gioia di vederlo crescere e prosperare. I bambini di tutte le scuole di Francia sono stati coinvolti in questo omaggio, e non si potrebbe proporre alla gioventù un esempio più fulgido di vita e di nobile incitamento alla ricerca, della vita e dell’opera del grande scienziato. Per avere la gioia di sentire raccontare, da parte del suo creatore, la nascita di un’arte e di un linguaggio nuovi, abbiamo invaso il suo ritiro e raccolto la testimonianza semplice e nobile dell’illustre inventore. A Neuilly, a qualche centinaio di metri dalla città rumo­ rosa, fra gli alberi autunnali e gli ultimi crisantemi, vi è un laboratorio che ospita i lavori e le ricerche di Louis Lumière. A settant’anni, dopo una feconda e laboriosa car­ riera di oltre mezzo secolo, Louis Lumière è rimasto l’arti­ giano modesto e coraggioso di un tempo. Ogni mattina, qui, il suo pensiero affronta l'ignoto, la sua attenzione interroga i segreti dell’universo ed egli insegue instancabil­ mente, fra i suoi strumenti di lavoro, gli enigmi di dimen­ sioni nuove. Sono quarant’anni che il cinematografo di Louis Lumière fa parte dell’avventura umana, è diventato una delle princi­ pali necessità della nostra vita quotidiana, ne ha ampliato gli orizzonti, accresciuto le misure, moltiplicato le emozio­ 5H

ni. Nato come un fenomeno da baraccone, ha invaso a poco a poco il destino dello spettacolo, modificando i nostri gusti. Iniziato come un gioco, il cinematografo è oggi una delle industrie più potenti del mondo e una delle pulsioni poetiche del nostro tempo. Considerato alla sua prima apparizione come una sorta di illusione ottica, si è imposto come un bisogno essenziale, alla stregua del sonno, del cibo, dell’amore, dei sogni... L’uomo del Rinascimento ha visto il suo destino modifi­ carsi con la stampa. Il nostro secolo è stato segnato da due invenzioni essenziali e simmetriche: il telegrafo senza fili e il cinema. Un grande scienziato francese, Branly, ha creato i presup­ posti per realizzare la prima. La Francia onora oggi l’univer­ salità eterna del genio di Louis Lumière che ha stupito il mondo moderno con la seconda di queste invenzioni. Alcuni giorni dopo i festeggiamenti alla Sorbona, nel silenzio del suo laboratorio, Louis Lumière ha concesso di evocare le circostanze che hanno favorito il prodigio della sua invenzione. I ricordi si affollano e attraversano lo sguar­ do dell’illustre erudito lionese. Nella sua voce limpida, appena velata dagli anni, traspare una leggera emozione. L. Lumière — Ho avuto un’infanzia malinconica, malaticcia. Soffrivo costantemente di emicrania, perciò i miei studi furono abbreviati. La mia famiglia, originaria di Besangon, si era stabilita a Lione, dove mio padre aveva aperto nel 1881 un negozio di accessori fotografici. Dopo aver fatico­ samente frequentato la scuola professionale della Mattinière, fui colpito nuovamente dai miei malesseri e dovetti rinunciare al Polytechnique. Era probabilmente scritto nel mio destino... Mi rassegnai a un modesto ruolo di collaboratore nel labo­ ratorio di mio padre. La fotografìa faceva i primi passi e disponeva solo di alcune vaghe ed incerte nozioni scientifi­ che. Mio fratello ed io cercavamo allora di perfezionare la fabbricazione delle lastre. I nostri esperimenti ebbero suc­ cesso e per produrre le nuove lastre sensibili creammo gli stabilimenti di Monplaisir, dei quali io divenni condiretto­ 59

re. Il nostro debutto industriale fu durissimo, molto scorag­ giante. Fummo più volte sull’orlo del fallimento e non so come non rinunciammo alla nostra impresa. Ma era il momento storico della fotografìa e due anni dopo la nostra fabbrica forniva 80.000 lastre al giorno e occupava 500 operai. Malgrado ciò non interruppi mai i miei esperimenti in laboratorio in collaborazione con mio fratello. Una sera del 1893 ho visto fra i baracconi di una fiera — la come la chiamano a Lione — uno strano apparecchio che mostrava, a una sola persona per volta e attraverso un vetro, una successione rapida di immagini fìsse. Questo apparecchio potrebbe chiamarsi oggi kinetoscope. In mancan­ za di un nome preciso, esso veniva considerato come una lanterna magica un po’ raffinata. Costruii un apparecchio simile e, dopo svariati tentativi, riuscii ad applicare un dispositivo che permetteva all’immagine di fissarsi per 1/25 di secondo e dunque permetteva la proiezione delle imma­ gini su uno schermo e davanti a numerose persone. Il mio dispositivo era il cinematografo. Brevettammo la nostra invenzione il 12 gennaio 1895 e il 25 marzo, nella sala della Société d’Encouragement pour les Inventeurs, presentai un film: La sortie des ouvriers de l’usine Lumière à Lyon. La proiezione ebbe un successo enor­ me. Girai allora i due famosi film che hanno scritto il primo capitolo delia storia del cinema: L’arrivée d’un train en gare e una scena comica: L’arroseur arrosé. Il ragazzino dispettoso che nel film aziona la pompa per annaffiare il giardiniere è ancora impiegato nei nostri stabilimenti. Eppure va considerato come il primo divo cinematografico della storia. Nel luglio del 1895 ebbe luogo a Lione il Congresso della Société Photographique fran^aise. Durante il soggiorno dei congressisti filmai una gita sulle rive del fiume Saóne. Nacquero così i film di attualità. Avevo pregato il Presidente di quel Congresso di fare il suo discorso di chiusura davanti al mio apparecchio. Filmai i suoi gesti, le sue espressioni. Poi proiettai il film chiedendo al Presidente di ripetere il suo discorso dietro lo schermo. Era nato il cinema parlato. 60

Il 28 dicembre 1895 presentai i miei film nel salone sotto­ stante il Grand Café di boulevard des Capucines a Parigi. Quella rappresentazione fu il primo spettacolo di cinema del mondo. L’incasso ammontò alla somma derisoria di 35 franchi. L’industria del cinema ha debuttato su basi economiche poco confortanti! Eppure oggi l’incasso quotidiano dei cine­ ma in tutto il mondo è di 125 milioni di franchi! Quello spettacolo eccezionale attirò presto le folle. Tre mesi dopo, la polizia doveva fare servizio d’ordine davanti alla porta. Istruii degli operatori alle officine. Il primo camera­ man fu Félix Mesguich, che avrebbe poi fatto il giro del mondo con la sua macchina per immagini e organizzato, il 18 giugno 1896, il primo spettacolo in America. Gli opera­ tori si chiamavano allora proiezionisti. Questo mestiere nuovo suscitò ben presto entusiasmi. Io consideravo il cine­ ma come un gioco e non come un affare. Io fornivo l’appa­ recchio. Il proprietario della sala pagava l’operatore, poi ci dividevamo il guadagno. Quella contabilità semplice ed onesta era ben lontana dagli espedienti frenetici e misteriosi dell’industria cinematografica attuale. E quando gli domando se è soddisfatto della sua creatura, egli aggiunge: L. Lumière - Vado raramente al cinema; la mia età non mi consente più le veglie prolungate, eppure sono sorpreso dell’espansione straordinaria dei film. Per molto tempo si è cincischiato, oggi si fanno delle cose proprio belle. Forse si abusa un poco del divismo e si dà troppa importanza al sor­ riso o ai begli occhi di una star.

Desidera che suo fratello venga associato al suo successo. Hanno sempre lavorato in stretta collaborazione e mentre Louis tentava di perfezionare il cinema, gli altoparlanti, la foto in rilievo ed esplorava i campi dell’acustica e dell'otti­ ca, Auguste Lumière si dedicava in particolare alle ricerche mediche e biologiche e metteva la sua intelligenza creativa al servizio della scienza e della carità. 61

Testimonianze di gratitudine sono giunte al laboratorio di Neuilly da ogni angolo del mondo. Una delle più com­ moventi è una lettera firmata da centinaia di bambini che ringraziano Louis Lumière per aver inventato quel magico mondo di immagini animate nel quale si incontra Topolino. Una mostra al Museo Gal lieta offrirà un’ampia retrospet­ tiva di film e la ricostruzione del laboratorio dei Lumière nel 1895. Per l’occasione, i ragazzi delle scuole porteranno il loro omaggio al grande scienziato e le personalità più importanti ribadiranno a Louis Lumière l'importanza socia­ le, intellettuale e morale della sua scoperta. Tutti questi festeggiamenti, questi slanci entusiasti vengono tributati a un erudito il cui nome verrà iscritto accanto a quello dei benefattori dell’umanità: Gutenberg, Papin, Pasteur irrom­ pono in questo laboratorio che osservo con emozione. L’evocazione di tutti questi magnifici ricordi ha affievoli­ to un poco la voce di Louis Lumière. Sul suo tavolo si profi­ la un apparecchio dall’aspetto di giocattolo misterioso. Il glorioso inventore posa uno sguardo illuminato dalla bontà e avido di nuovi segreti sull'apparecchio che ha diviso con lui il suo eccezionale destino... Tornando a Parigi, dove si accendono migliaia di sale cinematografiche, penso che non sono ancora state realizza­ te tutte le possibilità di questo meraviglioso strumento di lavoro; che nel nostro amore per le immagini della natura, dell’uomo, del movimento, dei mondi più segreti, vi è una parte importante di speranza, spesso delusa e sempre rina­ scente. E sono ammirato che il padre del cinema abbia saputo mantenere, nella gloria universale, tanta semplicità, gentilezza, benevolenza e queirincredibile modestia che è il segno del vero genio.

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Il primo manifesto per il cinema, disegnato da Henri B rispot

«Air France Revue», n. 6, estate 1936 Intervista a Louis Lumière di Yves Daniel

Louis Lumière ha accettato di riceverci dopo una sempli­ ce telefonata. L. Lumière — Non amo le interviste, mi fanno dire delle cose... Ma Air France! E poi siete stati così cortesi da met­ termi a disposizione un idrovolante, a Marignane, per le riprese del mio primo film in rilievo. Un cancello alto, in un viale tranquillo di Neuilly, un sentiero di rumorosa ghiaia, una villa. Un domestico annuncia al telefono il nostro arrivo e veniamo subito accompagnati nel laboratorio. La costruzio­ ne, a vari piani e quasi severa, si erge dietro la villa, lontana dai rumori del viale. Al pianterreno si apre una biblioteca chiara e ben cerata: grossi libri in bell’ordine, finestre senza tende; su un tavolo un microscopio sotto la sua campana. Un tavolo coperto di carte. L’inventore si alza e tende cordiale la mano all’impor­ tuno che lo disturba nel bel mezzo del suo lavoro. Ciò che colpisce di più nel grande scienziato è l’aria di bontà, alla quale contribuiscono senz’altro i capelli bianchi, la sempli­ cità e la franchezza che emanano dalla sua persona. La segretaria ha discretamente messo via il suo blocco; si è avvicinata alla biblioteca e mette in ordine delle riviste cinematografiche. Immediatamente Lumière comincia:

L. Lumière - Di che cosa vuole che parliamo? Y. Daniel — Innanzitutto, maestro, lasci che mi scusi e che la ringrazi di aver fatto un’eccezione per Air France. L. Lumière - Ah, sì. Air France! Lei deve sapere che sono approdato anch’io all’aviazione. Sono sempre stato tentato dall’aereo, ma mia moglie mi aveva fatto promettere tanti anni fa che non avrei mai utilizzato questo mezzo di loco­ 64

mozione. Ho mantenuto la mia parola per molto tempo. Ora è morta... (c’è tristezza nella sua voce). E poi la sicurez­ za è molto migliore di un tempo. Mi sono lasciato convin­ cere. Un giorno mio nipote Henri Lumière, presidente dell’aeroclub del Rodano, mi ha dato il battesimo dell’aria. Un altro giorno ho visto mia figlia scendere da uno dei vostri aerei con il suo bambino piccolo. Allora mi sono detto: «Perché no?» Il treno mi stanca molto, mentre con l’aereo arrivo fresco e riposato. Ora utilizzo le vostre linee, sono stato a Amsterdam, a Londra. Del resto, forse lei non lo sa, Georges Winckler, vostro primo pilota delle linee orientali, è mio nipote... Io stesso sono iscritto alla Lega aeronautica di Francia e sono socio vitalizio dell’Aeroclub del Rodano.

Lumière parla lentamente; non smette di sorridere con quell’aria di bontà che mi ha colpito fin dal primo sguardo. Con un simile sorriso, anche gli interlocutori più timidi devono sentirsi a loro agio. Il telefono squilla e mentre ricapitolo le cose che ha detto il mio ospite, sento degli spezzoni di frasi; è una faccenda di occhiali, del passo delle stanghette, di taglia-tipo della testa, di dettagli tecnici. In realtà sono venuto soprattutto per sentire Louis Lumière parlare della sua ultima invenzione: il cinema in rilievo. Appena mette giù il ricevitore comincio a interro­ garlo. L. Lumière - La proiezione in rilievo è vecchia come il cucco. D’Almeida, nel 1858, proiettava già una sull’altra su uno schermo le due immagini di un insieme stereoscopico e interponeva sulla traiettoria raggi luminosi provenienti da lenti colorate complementari, rispettivamente rosse e verdi. Ma questo procedimento, ripreso nelle applicazioni recenti, ha lo svantaggio doppio di stancare rapidamente la vista e di provocare un'instabilità costante nella ricomposizione del bianco sullo schermo. La mia invenzione consiste nella scoperta di lenti che realizzano una coppia cromatica blu e gialla, esattamente complementari, che lasciano passare 65

entrambe del verde e del rosso, e corrispondenti al totale della quantità di energia luminosa ricevuta da ciascun occhio. Del resto ecco qui un opuscolo che vi dirà abbastan­ za sull*argomento. Sì, ho messo a punto il cinema in rilievo durante le vacanze. Per me era un lavoro nuovo: non c’è niente di più riposante di cambiare lavoro. Innanzitutto ho filmato io stesso, a La Ciotat, l’arrivo del treno nella stazione, esattamente nel punto in cui mi ero piazzato quarantuno anni fa per filmare la stessa scena, la prima della mia carriera. Da allora il signor de Cuvier, regista molto noto, ha realizzato con il mio apparecchio due film, uno dei quali contiene delle scene riprese a Marignane. I vostri idrovolanti sono stati fil­ mati là... Non c’è nulla di più fotogenico di un aereo o di un idrovolante!

Una pausa. Non so resistere e gli faccio una domanda stupida: Y. Daniel - Maestro, tra i film attuali, quale preferisce? Mi pento immediatamente della mia ovvietà. Ma mi sba­ glio perché arriva subito una risposta divertente:

L. Lumière - Io non vado mai al cinema (sorride)... o così raramente! Non ne ho il tempo, eppure amo il cinema. Mi capita di andarci — quelle rare volte - quando sono in vacanza e mi fa molto piacere vedere delle belle produzioni. Certamente non ho i suoi gusti, allora preferisco tacere. Ho gusti antiquati. I film d'avanguardia, il modernismo... pre­ ferisco la natura, la naturalezza. Preferisco Rembrandt a Picasso. Eppure in pittura e in musica sono tutt’altro che un profano: ho frequentato la Scuola di Belle Arti e mi sono diplomato al Conservatorio di Lione. Guardi, ho qui in un album il mio piccolo museo degli orrori. Ritaglio le fotografìe che mi sembrano più ridicole. Potrà vedere delle anatomie che si possono tranquillamen­ te definire inverosimili. Peccato! Devo averlo mostrato a qualcuno e ho dimenticato di riporlo nel solito cassetto. 66

Ma ecco una cosa che potrà interessarla da tutt’altro punto di vista.

Lumière prende da un cassetto socchiuso una specie di scrigno in cuoio rosso con dei ferri dorati. È una scatola il cui fondo nero ci permette di osservare, riflessa, una lastra fotografica a colori. Una prateria verdeggiante, alta, cospar­ sa di fiori. Una giovane donna, dal delizioso vestito anti­ quato, sta in piedi sotto a dei meli fioriti; una fragile ombra scurisce il suo viso. Chi sarà mai? L. Lumière - Quest’immagine sarà sempre bella: è naturale. Ho messo a punto la fotografìa diretta dei colori. Ho creato le lastre autocrome. Sono ricoperte da granellini di fecola di patate colorata. Ho scelto questa sostanza per via delle pos­ sibilità di calibratura per selezione, ma ho incontrato grosse difficoltà per tingerla di arancio, verde, viola e per conferire gli spettri di assorbimento corretti. Il telefono suona nuovamente. Mi alzo e mi congedo.

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«Noir et blanc», 19 marzo 1937 Intervista a Louis Lumière di Philippe Roland

Il Duce saluta da una cornice nera con la mano tesa, e la sua firma in omaggio a Louis Lumière, a grandi caratteri, attraversa la sua effigie. Accanto, il Maresciallo Pétain rin­ grazia l’inventore del cinema per la sua preziosa collabora­ zione durante la guerra. La calma di Neuilly pervade questa stanza al pianterreno del laboratorio nascosto dietro la villa in Boulevard Bineau dove abita Louis Lumière. L. Lumière — Lei vuole che parli delle prospettive del cine­ ma... Che strana idea domandarmi questo. Non faccio più parte del gioco. Sono quasi in pensione...

La riservatezza e la modestia di Louis Lumière sono leg­ gendarie. Eppure quest’uomo avrebbe il diritto di inorgo­ glirsi di legittima fierezza di creatore! Senza di te non esisterei... La confessione di Hollywood è sotto i miei occhi, su una pergamena scritta in lettere goti­ che, dipinta come un libro miniato, firmata dall’Académie du cinéma e dalla Society of Motion Pictures Engineers. Colore per addizione e sottrazione Ho forse trovato le parole giuste per vincere la reticenza del grande inventore? Fatto sta che si è messo a parlarmi con benevolenza del problema del colore nel cinema. L. LUMIÈRE — Sono almeno trent’anni che lo si studia e i brevetti presi dagli inventori di tutti i paesi sono innumere­ voli. Per la maggior parte essi sono basati sul principio della tricromia, anche se molti utilizzano per semplificare la bicro­ mia, ma in questo caso i risultati sono di qualità inferiore. Ducros de Hauron ha enunciato il principio della tricromia 6H

oltre sessantanni fa in questi termini: «Anche se i colori sono infiniti, essi possono essere tutti riportati, dal punto di vista dell’impressione che suscitano sulla nostra retina, a tre tinte fondamentali: il blu viola, il verde e il rosso aranciato, le cui combinazioni sono in grado di produrre tutte le sfu­ mature possibili.» D'altro canto, tutti questi procedimenti si dividono in due categorie: 1. I procedimenti sottrattivi in cui le immagini che passano nell'apparecchio per la proiezione sono di formato standard e colorate. 2. I procedimenti di addizione nei quali la pellicola porta tre immagini in bianco e nero riprese simultaneamente attra­ verso tre schermi colorati e ridotti in modo da ottenere le dimensioni di un’immagine di film standard. Per produrre il colore sullo schermo con i procedimenti di addizione bisogna munire l’apparecchio di proiezione di un obbiettivo speciale che sovrappone le tre immagini. In realtà, in questo modo il colore è fabbricato al momento di servirsene, se così si può dire, mentre nei procedimenti sottrattivi la pellicola ha già il colore. Basta solo metterla nell’apparecchio di proiezione, come una pellicola norma­ le. È proprio questa facilità di utilizzo la ragione del suc­ cesso del sistema sottrattivo technicolor utilizzato dalle grandi produzioni americane a colori e dai disegni animati di Walt Disney, anche se il costo è cinque volte quello di una pellicola comune. Una pellicola technicolor è compo­ sta in realtà da tre film di spessore minore della pellicola ordinaria, incollati gli uni agli altri in modo che le tre immagini riprese simultaneamente attraverso tre filtri colorati coincidano perfettamente. Le tre pellicole di que­ sto tripach — come dicono negli Stati Uniti — sono colora­ te nella loro massa rispettivamente con uno dei colori dei tre filtri. P. Roland — Potrei sapere, maestro, le sue personali idee sui film a colori?

Louis Lumière apre un cassetto e mi fa vedere un astuccio in cuoio che contiene una bellissima fotografìa su una lastra 69

di vetro: una giovane donna vestita di bianco, con un ombrellino rosso alla moda del 1900, si staglia su un prato verde dalle mille tonalità.

L. Lumière — È una delle mie lastre autocrome. Gli schermi dei colori selettori sono sostituiti, in questo caso, da un mosaico di granelli microscopici di fecola colorati di blu, di verde, di rosso. Questo vecchio procedimento, ottimo per la fotografìa, non si è potuto applicare fino ad alcuni anni fa al cinema perché i grani di fecola, invisibili ad occhio nudo, si distinguono invece con l'ingrandimento della proiezione. Posso solo dirle che a Lione hanno ottenuto risultati eccel­ lenti con possibilità di applicazioni pratiche. Lautocromia ha una fedeltà al colore veramente eccezionale. La diffìcile conquista del rilievo

P. Roland - Per finire, maestro, lei sa già quello che ora vorrei chiederle? L. Lumière — Sì, vuole parlare del cinema in rilievo. P. Roland — Esattamente. L. Lumière — Metta il dito indice a quaranta centimetri dal suo naso. Chiuda e poi riapra alternativamente l'occhio destro e l’occhio sinistro. Vedrà che il suo dito sembra spo­ starsi. Dunque ognuno dei suoi occhi fornisce al cervello un’immagine differente. L’impressione del rilievo si crea con la sovrapposizione nel nostro cervello di queste due immagini differenti, inconsciamente. Ora trasferiamo que­ sto problema al cinema... Non c’è niente di più semplice che ottenere due immagini differenti per mezzo delle riprese. È sufficiente utilizzare una camera con due obiettivi separati alla stessa distanza degli occhi, circa sei centimetri. La difficoltà sta nel trovare il modo in cui durante la proiezione l’immagine destra sia vista solo dall’occhio destro e l’immagine sinistra unica­ mente dall'occhio sinistro. Il sistema più semplice è quello di far portare agli spettato­ ri degli occhiali speciali e io ho utilizzato questo vecchio procedimento durante la proiezione all’Académie des 70

Sciences il 25 febbraio 1935. La sola novità era l’aver otte­ nuto e utilizzato una coppia cromatica - blu e giallo — per far sì che ogni occhio ricevesse la stessa quantità di energia luminosa ed eliminare quindi il sovraffaticamento. Ma non bisogna farsi illusioni: finché il cinema in rilievo avrà bisogno di occhiali non avrà successo. E d’altro canto non credo che il pubblico ne senta davvero il bisogno. Ora gli viene imposto il colore, quando sarà passata la novità forse potrà essere il momento del cinema in rilievo. Anche in questo campo, quante ricerche, quanti brevetti! Io stesso, dal momento che non posso fare grandi sforzi, sto studiando un procedimento derivato dagli anaglifi. Ma vado per i settantaquattro anni...

L’inventore del cinema mi ha detto queste ultime parole come se volesse scusarsi.

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Cel npparetl, immiti par MM. Auguste el Louts Lumière, permei de recueilllr, par des sirlcs d"ipreuves inslantanies, tons les mouuemenls qui, pendant un temps donni, se soni succidi deuant Fobjectif, et, de reproduce ensuite ces mouuemenls en projetant, grandeur naturelie, devant une salle entière, leurs Images sur un icran.

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5. fl. 7. 8. P. 30.

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