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Italian Pages 376 [373] Year 2003
Ernst Cassirer
Metafisica delle forme simboliche a cura di Giulio Raio
SANSONI,$
Proprietà letteraria riservata © 1995 Fwix Meiner Verlag, Hamburg © 2003 RCS Libri S.p.A., Milano
ISBN 88-383-4805-7 Titolo originale dell'opera: Zur Metaphymk der symboliBchen Fbrmen
Prima. edizione: novembre 2003 traduzione e cura cli Giulio Raio
Indice
p. va XLV
xr..vu 3
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Introduzione Avvertenza Elenco delle abbrevi.azioni Parte prima. Sulla metafisica delle forme simboliche I. "Spirito" e "vita"
IL Il problema del simbolo come problema fondamentale delle forme 1 Il problema dell'antropologia filosofica 2. Vita e forma simbolica Parte seconda. Sui fenomeni di base
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I.
Posizione del problema. a Carattere di oggettività della percezione
iJ Carattere di oggettività della funzione
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dell'espressione 159 159 168 174 185 199
II.
Sui fenomeni di base Fenomeni di base (Fenomeno originario) Visione d'insieme dei fenomeni di base 3. Fenomeni di base (Rapporto con la psicologia) 4. Fenomerù di base (Rapporto con la metafisica) 5. Fenomeni di base (Teoria della conoscenza) 1. 2.
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266 268 270 273 273 281 288
Parte terza. Fbrme simboliche. Per il wvolume I. Per l'introduzione 1. Il concetto dell'intero 2. Il problema della conoscenza come problema della forma
n. "Spirito" e "'vita" 1. "Spirito" e "vita": Klages 2. '"Vita" e "spirito": Simmel 3. •spirito" e "'vita": Heidegger 4. Heidegger e il problema della morte 5. Tempo in Bergson e Heidegger 6. Sulla differenziazione dell'ordinamento di tempo III.
Sul capitolo finale 1. Cosa, significato, metafisica 2. Filosofia della vita, sfera della cosa, sfera del senso 3. Mito. sfera del senso, identità
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Appendice. Concetto di simbolo: metafisica del simbolico 1. Meta.fisica dell'essere e della vita 2. Sull'idealismo della funzione simbolica 3. Conoscenm idosofica 4. L'opposizione fondamentale della filosofia moderna 5. Il simbolico e l'intuitivo 6. Metafisica e logica
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Indice dei nomi
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Introduzione
Alla memoria dei miei genitori
Nella prefazione alla Fenomenologia della conoscenza, il terzo volume della Filosofia delle forme simboli.che, Cassirer annunciava un futuro libro, intitolato "Vita" e "spirit.o". Per la critica della filosofia contemporanea, che avrebbe dovuto contenere l'ultima parte, la "parte critica" del terzo volume, non aggiunta a quest'ultimo per non accrescerne la mole. Scelta, dettata da un motivo di equilibrio, ma, in fondo, anche da un motivo di pertinenza, perché "in definitiva" l'argomento della parte procrastinata era, per così dire, "fuori della strada", estraneo alla problematica di fondo della Fenomenologia della conoscenza. In effetti il piano origmario del terzo volume prevedeva una sezione finale sul rapporto della filosofia delle forme simboliche con la filosofia contemporanea, nello stesso spirito metodico, presente nei primi due volumi e in genere nelle opere di Cassirer, di una stretta connessione della trattazione teoretica con quella storica. Ma, mentre l'integrazione di teoria e storia, per il problema del linguaggio e del mito, come del resto anche per il problema della conosce:çiza, si può realizzare in quanto si limita alla storia dei concetti, il nuovo tema, e cioè il rapporto tra i principi e le idee-guida della teoria morfologica cassireriana e le filosofie della vita, esula dalla sfera della storia dei concetti. e si pone, con una sua autonomia fuori dal piano originario, come un volume successivo, un altro horo. Si potrebbe già vedere in questa posposizione della nuova materia, dopo, f.LE1:Ò, i "libri" che trattano delle singole forme simboliche del linguaggio, del mito, della conoscenza, l'origine inconscia, la cifra della caratterizzazione metafisica del "quar-
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to volume" della Filosof'ra delle forme simboliche. Heidegger nel Kantbuch sostiene che la trasformazione dell'espressione J.'E'tÙ 'tà cfn,01Xa dal significato tecnico al significato filosofico non è irrilevante. anzi è fortemente incidente nell'interpretazione dei trattati aristotelici così denominati, anche se non tutto quello che rientra nella Metafisica di Aristotele è metafisico. F.gli ricorda che lo stesso Kant considera non casuale, non incidentale. la formazione del termine "metafisica". tale è la precisione che s'addice alla scienza così designata. Ma.. al di là della facile suggestione di una coazione a ripetere della filosofia mete.fisica. più realisticamente, nel differimento dell'ultima parte progettate. del teno volume si può vedere invece l'origine - sì incidentale - della questione storiografica e filosofica del cosiddetto "quarto volume" della Filosofia delle forme simboliche, della questione della sua elaborazione "a tappe", della sua struttura composita. Un frammento o un'anticipazione della pubblicazione annunciata da Cassirer è il saggio su Max Scheler, principale autore di riferimento nell'elaborazione del problema del fenomeno espressivo quale si configura nella Fenomenologia della conoscenza. Pubblicato nel 1930 sulla "Neue Rundschau" con il titolo "Spirito# e "vita" nella filosofia contemporanea, che riprende quasi alla lettera il titolo della pubblicazione progettata. il saggio sviluppa i temi tocca.ti nella conferenza di Davos: "Spil'ito" e ..vita .. nella filosorm di Max Scheler, il cui resoconto fu pubblicato sulla "Davoser Revue", in quel numero storico del 1929 che contiene i resoconti delle quattro conferenze di Cassirer, sullo spazio, sul linguaggio, sulla morte e su Scheler, e delle tre conferenze di Heidegger su Kant e il problema della meta.fisica. Questo articolo sembra così appartenere al contesto tematico e temporale della fine degli anni Venti. ma di certo non esaurisce il confronto decisivo con le filosofie della vita. Intanto, l'iniziale rispetto del piano progettato una conseguenza l'aveva avuta: la Fenomenologia della conoscenza. già terminate. nel 1927, veniva. pubblicata solo nel 1929. Gli ultimi anni Venti sono anni crucie.li per la filosofia e la cultura
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europea, in particolare tedesca. Nel 1927 appaiono Essere e tempo di Martin Heidegger e La posizione dell'uomo nel cosmo di Max Scheler, nel 1928 Le lezioni sulla coscienza interna del tempo di Husserl, a cura dello stesso Heidegger, e La costruzione logica del mondo di Carnap, nel 1929 appare il Kantbuch. I riferimenti storico-teorici della Fenomenologia della conoscenza non si possono che fermare al 1927: c'è solo la possibilità di inserire tre note su Essere e tempo, in particolare la nota su tempo e temporalità, per situare la filosofia delle forme simboliche proprio nel passaggio dalla temporalità esistenziale, dall'originario senso ontologico dell'esistenza, al tempo-forma. Il primo a parlare di un "quarto volume" della Filosofia delle forme simboliche è stato Donald Phillipe Verene, noto studioso di Vico e autore di numerosi contributi critici su Cassirer. Nel 1979 Verene pubblicò un'ampia scelta di testi inediti di Cassirer, risalenti all'ultimo decennio della sua vita e della sua opera 1935-1945: Symbol, Myth and Culture. Questi scritti, in massima parte conferenze e lezioni americane, testimoniano, all'interno dell'elaborazione di una filosofia generale della cultura, la presenza significativa di due linee di ricerca inedite, destinate a incidere fortemente sulla più recente critica cassireriana: l'estetica e l'etica, la forma dell'arte e la forma della morale. Alla dimensione estetologica è ricondotta la stessa nozione di forma simbolica, mentre alla dimensione etica è ricondotta la nozione di libertà, e di liberazione, termine-chiave del pensiero cassireriano a partire dal dibattito di Dà.vos, che segna l'incontro, anche politico, con Heidegger. Nell'Appendice, che fornisce una prima documentata descrizione del Nachlass cassireriano, Verena dà notizia del manoscritto 184, identificato come "Filosofia delle forme simboliche, volume IV" che contiene l'abbozzo dello studio annunciato da Cassirer sui rapporti tra la filosofia delle forme simboliche e le filosofie della vita. La prima parte è costituita da 284 pagine manoscritte, formato quaderno, con il titolo "Sulla metafisica delle forme simboliche", suddi-
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visa in due capitoli: "Spirito e vita" e "Il problema del simbo-
lo", cui seguono vari materiali critici, tra i quali gli appunti della quarta conferenza di Davos su Max Scheler, poi confluiti nel saggio a lui dedicato. Secondo Verene la mancata conclusione del volume è dovuta o all'esaustività del saggio su Scheler o alfinconciliabilità di uno scritto di •critica", come quello sulle filosofie della vita, con la Filosorr.a delle forme simboliche, opera di "filosofia costruttiva". In effetti Verene nel 1979 non poteva ancora dominare la portata e la rilevanza del Nachlass. Anzi, in un certo senso ne sottovalutava l'importanza, confrontandolo con i due lasciti - questi sì rilevantissimi - di altri due filosofi contemporanei, Peirce e Husserl, all'origine l'uno del Peirce Edition Project, l'altro dell~hivio Husserl di Lovanio. Nel 1995, anno del cinquan-: tesimo anniversario della morte del filosofo, in un articolo sulle "Carte" di Cassirer, Krois osserverà che gli inediti sviluppano la sua concezione "più matura" e si situano "al culmine della sua parabola intellettuale". Nello stesso anno prendeva il via la Nach'tass Edition, l'edizione critica dei Nachgelassene Manuskripte und Te.xte di Ernst Cassirer, curata da john Michael Krois e Oswald Schwemmer, prevista in venti volumi (comprensivi di un volume di Corrispondenze e di un supplem~nto di Forschungsgrundlagen) di cui il presente volume è il primo e più emblematico. Sostenuta dalla "Deutsche Forschungsgemeinschaft", l'edizione ha sede presso la Humboldt Universitat di Berlino ed è pubblicata dall'editore Meiner di Amburgo, le due città "'cassireriane". Dopo la morte di Cassirer, avvenuta nel 1945, e dopo la morte nel 1961 della moglie 'funi Bondy, "prima" e sfortunata curatrice naturale del lascito, Charles W. Hendel, curatore dell'edizione postuma di The .Myth of the State (1946) e editor americano di The Philosophy of Symboli,c Fbrms (1953 sgg.), porta a Yale le Carte-Cassirer, i cui diritti appartengono dal 1964 alla Yale University Press e la cui proprietà, prima della stessa )up, è passata dal 1987 alla Beinecke Library. "Oggi le carte" scrive Krois "sono collocate nella Yale Beinecke Rare Book
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and Manuscript Library dove occupano 1141 cartelle in 59 scatole che occupano oltre 8 metri di spazio." Il progetto dell'edizione del Na.chlass si deve a Krois, allievo di Verene, autore della più importante monografia "'di svolta" nella critica cassireriana.--Cassirer. Symbolic Forms and Histo,y (1987), e a Schwemmer, autore di uno dei primi e più illuminanti saggi sugli inediti, di un breve Kommentar in tesi della. Filosofia delle forme simboli.che e della più recente monografia Emst Cassirer. Ein Philosoph der europtti.sche Moderne (1997). Nell'83 Krois pubblica un estratto del quarto volume, il manoscritto su Heidegger, tradotto in Italia da Roberto Racinaro nel fortunatissimo Spirito e vita, che raccoglie tra l'altro anche il saggio su Scheler. Racinaro già nella scelta del titolo coglie e intuisce la centralità. della coppia metafisica spirito-vita cosi significativa nella. problematica della Metafisica delle forme simboli.che. Nell'introduzione affronta il problema della. conciliabilità tra immanenza della vita e trascendenza del mondo-di-senso, il mondo configurato dal conferimento di senso, il nostro mondo "anulare", e contrappone la caratterizzazione ..sostanziale", e in fondo-metafisica, della coppia spirito-vita data da Scheler e la caratterizzazione "metodologica" della stessa data da Cassirer, che sembra richiamarsi qui più al concetto di vita del giovane Hegel fino alla. Fenomenologia dello spimo che alla filosofia della vita di Simmel. Anche Racinaro, che si muove come Verene "prima." dell'edizione della Metafisi.ca, sembra interpretare il saggio su Scheler come la. resa dei conti definitiva, e in un certo senso hegelianamente oggettiva, con le filosofie della vita e l'opposizione enfatica di spirito e vita: "c'è soltanto Geist o Ungeist". Nel già citato articolo di Krois sulle Carte inedite di Emst Cassirer, al di là del piano e dei criteri generali dell"edizione critica, si può trovare un'illustrazione tematica "per tratti" salienti dei contenuti dell'opera postuma di Cassirer. Abbiamo già anticipato il giudizio complessivo sull'importanza dell'opera postuma, legata alla maturità della vicenda intellet-
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tu.ale di Cassirer e all'esplorazione di "nuove vie di pensiero". La maggior parte degli inediti appartiene al periodo svedese, agli anni dell'insegnamento a Goteborg (1935-1941). fino al maggio del '41, data del viaggio in America. Un asse principale di interesse è il rapporto con i filosofi del Circolo di Vienna. in particolare con Schlick e Carnap. A Carnap sono dedicati uno studio destinato a "Erkenntnis" sullo "psichico dell'estraneo" e vari scritti sull'Aufbau. Alla nozione carnapiana dei "fenomeni di base" si richiama - come si vedrà. più avanti - la stessa dottrina "precedentemente sconosciuta" dei fenomeni di base o fenomeni originari, elaborata nel presente volume. Per Krois proprio il confronto con il Circolo di Vienna costituisce il contesto per una rivisitazione degli stessi fondamenti teorici della filosofia delle forme simboliche che Cassirer compie negli anni Trenta. Altro asse tematico è costituito dall'intreccio di filosofia e storia della scienza, del resto già presente negli scritti editi. Krois segnala fra l'altro un voluminoso manoscritto su Goethe, trascrizione di un ciclo di conferenze tenute alla Lund New Society of Letters nel 1941, "il libro su Goethe che Cassirer aveva sempre voluto scrivere". Il primo volume degli Scritti inediti di OJssirer - qui presentato al lettore italiano come Metafisica delle forme simboliche - è stato pubblicato in Germania nel 1995. È curato da John Michael Krois con la collaborazione di Anne Appelbaum, la figlia "americana" di Cassirer, di Rainer Bast, di Klaus Christian Kohnke e di Oswald Schwemmer. Il volume è apparso con il titolo: Zur Metaphysik der symbolischen Formen - MetafJ.Bica delle forme simboliche - primo volume dei Nachgelassene Manuskripte und Texte - Manoscritti e testi. postumi. Lo stesso Krois e Verene ne hanno curato l'anno dopo l'edizione americana con il titolo: The Philosophy of Symbolic Fo1"1n8, w: The Metaphysics of Symbolic Forms. In questa duplicità del titolo, in questa duplicità ed emblematicità del "nome" è contenuta la chiave della questione del "quarto volume".
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Nei cenni editori.ali all'edizione tedesca Krois ripercorre la genesi del progetto di sistemazione e di edizione dei manoscritti del Nachlass e soprattutto ricostruisce i caratteri materiali e la struttura delle singole carte e delle cartelle (Konvolut) dalle quali sono tratti i testi che costituiscono la Metafimca delle forme simboliche. Formano la Metaphysik materi.ali tratti da due cartelle: il Konvolut 184 e il Konvolut 107. Il primo contiene tre testi identificati come: 184a, Forme simboliche. Per il w volume, databile 1928 circa; 184b, Sulla metarr.sica delle forme simboli.che, databile 1928; 184c, Sui fenomeni di base, databile 1940 circa. I testi 184a e 184b della fine degli anni Venti costituiscono sicuramente parti del quarto volume e risalgono al periodo immediatamente successivo alla stesura del terzo volume: Fenomenologia della conoscenza, ultimato, come ricorda Cassirer, già nel 1927. Il testo 184c, sui fenomeni di base o fenomeni originari, risale agli inizi degli anni Quaranta ed è contemporaneo alla stesura del quarto volume dell'Erkenntnisproblem (scritto a Goteborg tra il luglio e il novembre del 1940 e pubblicato postumo nel 1950 in traduzione inglese e a cura di Hendel) e alla stesura della Logik (gli studi Zur Logik der Kultwwissenschaften, pubblicati in Svezia nel 1942) con la quale intreccia significativi rapporti contenutistici e strutturali. Il secondo Konvolut, la cartella 107, contiene alcuni brevi materiali sotto il titolo Concetto di simbolo: metafisica del simbolico, risalenti al periodo 1921-1927, cioè al periodo di elaborazione e stesura della Filòsofia delle forme simboli.che, che attestano immediatamente la coappartenenza della problematica della metafisica a quella del simbolo e la lunga gestazione della "metafisica del pensiero simbolico", per usare una formula dello stesso Cassirer. Le. Metafisica presenta allora questa struttura: parte prima Sulla metafisica delle forme simboliche, il testo più ampio e organico; parte seconda Sui, fenomeni di base, il testo più innovativo, che esplora "nuove vie", incompiuto, ma con un alto
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grado di organicità; parte terza Forme simboliche. Per il w volume, il testo più frammentario, strutturato per autori e temi. "tracce" e "sohemi destinati alla successiva elaborazione e stesura, e infine l'appendice Conoetto di simbolo: metafisica del simbolico, testo organico strutturato in brevi capitoletti o "tesi" sul rapporto fra "simbolo e "metafisica". La questione centrale sollevata da Krois nelle sue preziosissime "note'" filologiche e critiche è il rapporto del Konvolut 184 con la .liènomenologia della conoscenza, il terzo volume della Filosofia delle forme simboliche, rapporto non solo storico-genetico, ma soprattutto filosofico-genealogico. Per quanto riguarda l'aspetto di un rimando diretto, al di là del notissimo passo della prefazione in cui Cassirer rinvia alla futura pubblicazione Leben und Geist, e dell'irriducibilità di quest'ultima al saggio su Scheler Geist wid Leben, Krois riporta il contenuto di due decisive lettere di Cassirer. Una del 13 febbraio 1928 nella quale Cassirer confida al cugino Kurt Goldstein la speranza di poter ultimare nelle vacanze fra febbraio e aprile il terzo volume, che invece, come abbiamo ricordato, risulta concluso già nel 1927. Ciò testimç,nia che il progetto originario del terzo volume comprendeva sicuramente quelle parti successivamente escluse e destinate a un "quarto volUiil.e": le note di Cassirer alla prima parte, SuUa metafisica delle forme simboliche, rinviano spesso alla "trattazione precedente". Nell'altra lettera del 29 dicembre 1928, Cassirer racconta a Aby Warburg di aver sperato di concludere entro l'anno il terzo volume, al quale non aveva potuto mettere mano per molti mesi: dimostrazione non solo della brusca interruzione della prima parte, comunque incompiuta, ma anche della stessa "mole e complessità della stesura della "critica della filosofia contemporanea". Per quanto riguarda il secondo aspetto, la dimensione geaealogica più complessa e cruciale, Krois nota in Cassirer un "passaggio" o un'evoluzione - in verità un po' schematica e a posteriori - da un "concetto negativo" a un "concetto positivo di metafisica. Fino al terzo volume Cassirer si sarebbe attenu0
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to a un concetto negativo di metafisica. sulla scorta della sua critica alla nozione di sostanza. Ancora nel terzo volume domina una caratterizzazione negativa dell'ontologia che volge ogni problema del senso in puro problema di essere, ogni problema simbolico in problema ontologico, del fondamento. "Una filosofia delle forme simboliche è fin qui esplicite.mente l'opposto di ogni metafisica". Il "quarto volume" dimostra che "più tardi" Cassirer perviene invece a un concetto positivo di metafisica. Questo è comprovato ulteriormente e in modo filosoficamente pregnante dall'uso dell'espressione "fenomenologia della conoscenza" a.ll'interno della quale Cassirer vuole comprendere non solo la materia del terzo volume, la trattazione specifica della forma simbolica della oonoecenza, dopo il linguaggio e il mit.o, ma l'intero disegno dell'opera: infatti - come attesta il manoscritto della prefazione al primo volume (Konvolut 159) - originariamente Cassirer voleva dare all'intera opera il titolo di Fenomenologia della oonoscenza, dato poi al solo terzo volume. La cover page, manoscritto per la copertina, datato 3 aprile 1923, mostra il titolo originario della Filosofia della forme Bimbolime: Ph4nomenologie der Erkenntnis; sottotitolo; Grundzage einer Theori,e der geisti,gen Ausdrucksformen - Lineamenti fondament.ali di una teoria delle forme spirituali di espressimre. Al centro pagina presenta un grande segno a forma di S contenente nell'ansa alta il titolo del primo volume: Das sprachliche Denken - n pensiero linguisti.co - e nell'ansa basse. il nome dell'autore. In basso il logo dell'editore Bruno Cassirer, la città, Berlino, l'anno 1923. In alto a destra la scritta: Manuskript zum Titelblatt/NB: Das Manuskript zur 1-brrede fo/,gtlin einigen Tagen, (Manoscritto per la oopertina/NB: il manoscritto per la prefazione segue in pochi giorni) e a matita "anbei" (qui accluso). Questa "carta", questa oover page, è doppiamente importante: infatti non solo attesta il titolo originario dell'opera capitale di Cassirer, inserendola decisamente tra Kant e Hegel. tra neokantismo e neohegelismo ( tra l'altro il sottotitolo getta una chiara luce sullo stesso concetto di forma simbolica, come forma spirituale di espressioné, indicando nell'Ausdruck il livel-
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lo e il senso prevalente delle funzioni simboliche) ma, per quanto riguarda il linguaggio (Sprache ), spinge a ricondurre la concezione cassireriana del linguaggio in quella linea di sviluppo che dal Tractatus di Wittgenstein giunge fino a Apel, passando proprio per il Circolo di Vienna ( verso il quale sembra cosi orientato il Cassirer postumo), o almeno spinge a riconsiderare l'interpretazione della forma simbolica del linguaggio sulla. base di un rivisitato rapporto di pensiero e linguaggio. Per Krois e Verene "'questo cambiamento da( ... ) 'pensiero linguistico' a 'linguaggio' esprime una svolta nell'orientamento dal pensare in un medium al medium stesso". Krois e Verena nell'introduzione all'edizione americana istituiscono un nuovo rapporto storico-critico tra metafisica e (filosofia della) vita, tra la concezione di Cassirer della storia della metafisica e la sua nozione di filosofia della vita, che retrodata già al 1923 la critica alla Lebensphil.osophie e ne proietta retrospettivamente il significato. La nozione di Lebensphilosophie - già definita nell'introduzione generale alla Filosofia delle forme simboliche come la forma contemporanea della metafisica non identifica per Cassirer il pensiero di Bergson, Dilthey e Simmel, ma più in generale la filosofia post-idealistica da Schopenhauer a Heidegger, una nozione ampia di filosofia della vita. Da qui l'uso del plurale: filosofie della vita. Anche alla luce di questa definizione: Lebensphilosophie = post-idealismo, il "breve scritto" su Scheler "non può essere considerato il testo" dell'annunciata critica della filosofia contemporanea. La stessa nozione di Basisphanomen, elaborata nel manoscritto del 1940, viene retrodatata ai primi anni Venti sulla scorta della "cover pa.ge" e ricondotta alla "teoria delle forme spirituali di espressione", al rapporto fondamentale di "conoscenza" e "espressione", di "'conoscenza" e '"forma di espressione,.: "la funzione espressiva è the most basic manifestation" dello spirito, "ma spirito ( ... ) è una trasformazione della vita". Per Krois e Verene, Cassirer procederà a un "adattamento" della nozione (goetheana) di Urphanomen - fenomeno originario "termine ricorrente in tutti e tre i volumi della Filosoria delle
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forme simboliche" nella nozione di Basisphèl.nomen, sulla scorta della nozione di Basis elaborata da Carnap nel Logische Aufbau derWelt.
Accertata l'appartenenza della prima (Ms 184b) e seconda parte (Ms 184a) al "quarto volume", i curatori americani si pongono due domande cruciali. La prima riguarda l'appartenenza del manoscritto 184c sui fenomeni di base al progettato "quarto volume", la seconda invece, il motivo per cui Cassirer non ultimò e non pubblicò il "quarto volume". Dal punto di vista filologico della ricostruzione materiale del manoscritto, va osservato che la cartellina in cui è inserito riporta la scritta: Erkenntnisproblem I Bd. IV (Problema della conoscenza / volume IV) e l'abbreviazione Allg. (generale). Ma questa scritta si riferisce al quarto volume dell'Erkenntnisproblem o al "quarto volume" della Filosofia delle forme simboliche sul problema della conoscenza nel suo rapporto con l'espressione? "Una cosa è chiara: il contenuto del Ms 184c è sistematico e non mostra alcuna affinità con il metodo storico del Problema della conoscenza." Nella. sua autobiografia, La mi.a vita con Emst Cassirer, la moglie Toni Bondy ricorda che durante una passeggiata, in una mattina della primavera 1940, Cassirer le aveva detto che stava lavorando proprio al "quarto volume" delle "forme simboliche". Krois e Verene credono che il testo sui fenomeni di base sia questo lavoro. Tuttavia, proprio per la costante incertezza filologica, nel frontespizio dell'edizione americana troviamo la scritta: Including the text of Cassirers manu.script on Basis Phenomena. Quanto alla seconda domanda, Krois e Verena adducono come motivi della mancata ultimazione e pubblicazione del "quarto volume" l'impegno di rettore all'Università di Amburgo, l'abbandono della Germania il 2 maggio del '33, gli anni di guerra - "the 'malice', or Ungunst, of the times". Già alla fine degli anni Quaranta si è incominciato a discutere espressamente di una "questione metafisica,. in Cassirer in alcuni contributi della miscellanea The Philosophy of Emst Cassirer (1949), curata da Paul Arthur Schilpp, che segna, per
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cosl dire, il vero inizio storico della critica cassireriana, se si eooettuano le numerose recensioni "d'autore" alle opere di Cassirer (Troelt.sch, Schlick. Mauss, Heidegger, Vossler, Bréhier, Meinecke. Berlin, Foucault, Geymonat, Strauss) e ovviamente i '"dibattiti" con i contemporanei: il dibattito sulle "Kant-Studien" con Heymans, il dibattito di Davos con Heidegger. il dibattito sul "Bulletin de la Société Française de Philosophie.. con Basch, Bouglé, Gilson, Lenoir, Léon, e il di.oattito su "Theoria" con Marc-Wogau. Nel saggio Cassirers Conception of Philosophy, Carl Hamburg - poi autore della prima monografia teorica sul simbolismo e la semiotica cassireriana - dopo aver definito il concetto di forma simbolica e aver introdotto il tema del passaggio, della transizione dalla '"critica della ragione" alla "critica della cultura" (formula e topos ricorrenti in tutta la letteratura su Cassirer) esamina le forme fondamentali e funzionali di sintesi •oltre Kant" e in tale contesto pone il problema di quale "type of metaphysics" sia compatibile, conciliabile o possibile con la Fil.osofi.a delle forme simboliche. Una prima riflessione sulla metafisica è la critica all'ipostatizzazione, contenuta nell'introduzione generale all'opera.: Cassirer considera "antinominale", in contrasto con il concetto di forma culturale, la tendenza ariversare sulla "totalità dell'essere" una specifica forma di interpretazione e l'uso di specifici orientamenti filosofici per giungere a un sistema assoluto. L'ipostatizzazione, insieme al metodo proiettivo, costituirà nella Metaphysik il nucleo della critica della meta.fisica e la premessa per un nuovo modello o tipo cli metafisica non antinomico. Un altro aspetto prospettico messo in luce da Hamburg è lo sviluppo di una "metafisica dell'esperienza": questa espressione apparentemente contraddittoria, che contrasta con la polemica antimetafisica - certo non neopositivista, ma neotrascendentalista di Cassirer - mira a presentare unitariamente le modalità, i "modi" della relazione simbolica quali si configurano nella teoria delle forme simboliche. Per Hamburg non si tratta della possibilità o legittimità della metafisica come prospettiva sistematica, ma piuttosto
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della "messa in questione" del "termine" stesso di metafisica. in una dialettica di "rejection". "rigetto" e "acceptance''. "accettazione": Cassirer riconosce il carattere "vero" - non "falso" come per i neopositivisti - dei "problemi" della metafisica ma. allo stesso tempo, st.\gmatizza il carattere parzialmente vero delle soluzioni della metafisica come ipostatizzazione di un singolo "aspetto della simbolizzazione" - una prima versione di quella distinzione tra "concetto negativo" e "concetto positivo" di metafisica. In Cassirer and Metaphysics - contributo molto critico nei confronti di Cassirer - Wtlliam Curtis Swabey. in virtù della propria concezione tradizionale della metafisica. come "teoria dell'essere in generale", colloca Cassirer tra gli "idealisti" kantiani secondo i quali la natura è il prodotto di sintesi di sensazioni e la sciema un processo intellettuale di continua ricreazione del proprio oggetto. Per Swabey, che commenta soprattutto Sost.anza e funzione, Cassirer considera "obsoleta." la metafisica. ma in fondo usa il termine "metafisica" c01ne un pragmatista e un neopositivista; "metafisica" è un termine per indicare e stigmatizzare "bad habits" del pensiero. "sfortunate" tendenze intellettuali che "spariscono nella luce della filosofia critica"! Cassirer vede nella falsa "opposizione di cose". che nel processo conoscitivo si trovano nell'unità delle sue condizioni, il "vizio" della meta.fisica. Per Robert Hartma.nn. Cassirer è come Rodin. La sua filosofia. non è né "metaphysics" né "psychology": come Rodin dà vita alla pietra. Cassirer "rivitalizza" la meta.fisica. le sue "forme simboliche" sono 'come le "figure" di Rodin "'sotto il gioco della luce"! Il superamento della metafisica dogmatica.. della sua "caratteristica procedura" o "artificio" dell'opposizione di soggetto e oggetto. il superamento della "crisi metafisica." del "popolo più metafisico", è possibile solo grazie alla "critica della cultura", alla "responsabilità" dell'uomo con il suo mondo come quella dello scultore con il suo materiale. con la pietra.I Nel saggio di Susanne Langer - la prima vera cassireria.na..
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Giulio Raio
già curatrice nel 1946 dell'edizione americana di Sprache und Mythos (Language and .Myth), poi teorica dell'arte "in chiave"
simbolica - troviamo significativamente l'espressione "met.aphysics of mind" a indicare !'"isolamento" della questione me-
tafisica dalla teoria scientifica dei fenomeni mentali: Cassirer "rompe l'isolamento del pensiero speculativo, utilizzando la dottrina kantiana secondo la quale la mente è costitutiva del 'mondo esterno"' per aprire la via al mondo dell'esperienza, al mondo fattuale - il termine "costitutivo" ha per Hendel un significato "quasi-ontologi.cal". "Profeticamente" Wtlbur Urban ritiene che per essere completa la filosofia delle forme simboliche dovrebbe includere la forma della "metafisica". Nell'introduzione al terzo volume Caasirer affronta il problema della metafisica moderna, la critica a Bergson, e a questo punto si ferma: "aber wir brechen an diesem Punk.te ab". Ma "la filosofia delle forme simboliche (_.) non può fermarsi qui" scrive nel 1949 Urban anticipando "alla lettera" l'incipit della Metafisica delle forme simboliche. Le forme simboliche formano una "méthaphysi,que figurée": deve essere possibile allora un'ermeneutica delle forme figurate, un linguaggio della metafisica, una forma simbolica della metafisica, un metalinguaggio. Si potrebbe supporre che le inedite tesi "metafisiche" siano filtrate nell'ambiente americano - nel quale come sappiamo prenderà il via il progetto della Metarisica postuma - "dalla viva voce" di Cassirer, in una sorta di "trasmissione orale", attraverso le conferenze. le lezioni, le discussioni, gli incontri privati, tutte quelle testimonianze vive dei filosofi di cui purtroppo l'Europa per troppo tempo si è dovuta privare. A questo stesso filone "americano" della "messa in questione" di un "Cassirer metafisico", che in qualche modo sembra anticipare, intuire o presagire problemi sollevati negli inediti, si può ricondurre anche l'Introduzione (1953) di Charles Hendel all'edizione americana: The Philosophy of Symbolic Forms. Nell'ultimo paragrafo Hendel pone il problema delle "consequences" della filosofia delle forme simboliche per il pensiero
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contemporaneo, di quegli stessi esiti che Cassirer avrebbe voluto mostrare nella sezione non scritta del terzo volume. Hendel riporta il famoso passo della prefazione e, poiché il saggio su Scheler non è sufficiente da solo a mostrare le "consequences", limitato com'è a un solo confronto, Hendel le "deduce" logicamente - e suggestivamente - dalle Symboli,c Forms e dalle opere dell'ultimo Cassirer, An Essay on Man e The Myth of the State, e le espone in forma di "tesi metafisiche". Esse riguardano il problema dell'oggettività (dall'angusto concetto kantiano alla sua estensione alle forme culturali); il significat.o della soggettività (il soggett.o, la libertà, lo spirito); la correlazione di spirit.o e vita (la loro "interpenetrazione" nella costruzione del mondo del significato); un idealismo filosofico modificato (una specie di fenomenologia idealistica della cultura); un nuovo umanismo (la "volontà di configurazione"); il compito etico (l'autoliberazione dell'uomo). Dopo il primo periodo "fondativo" della critica cassireriana, caratterizzato dall'edizione di scritti postumi - opere già pronte per la pubblicazione: RoU88eCI.U Kant Goethe, The Myth of the St,at,e, The Problem of Knowledge: w. Phil.osophy, Science, and History since Hegel - dal primo fiorire di studi critici monografici
(Leander, Liebrucks), e da una "recezione" diretta e un'apertura, suggestiva, ma approssimativa, della "questione metafisica", fino agli anni Settanta la critica vive una lunga stagione di esegesi e interpretazione, di consolidamento dell'immagine "storiografica" di Cassirer, di internazionalizzazione della ricerca. Non mancano studi innovativi che aprono nuove prospettive e questioni di confine - come il già citato libro di Hamburg. gli studi di W. Marx, di Doherty, di Blumenberg, di Lo.bbe. La "questione metafisica" rimane marginale ed è limitata al rapporto con Hegel, con la Ferwmenologio. dello spirit.o (Verene). Tra la metà degli anni Settanta e gli inizi degli anni Ottanta si apre una nuova stagione della critica, caratterizmta dall'affermarsi dell'interesse per la "svolta normativa": antropologica, sociologica e politica, degli anni Trenta (Verene, Orth).
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Nello stesso periodo e in parte ad opera degli stessi studiosi - come abbiamo fin qui visto - prende il via, con la comparsa dei primi frammenti di inediti, la "questione metafisica".
Proprio la comparsa dei primi frammenti inediti su Heidegger - che abbiamo gìà ricordato - conferma l'emergenza del problema metafisico. Il problema della metafisica è legato fondamentalmente al rapporto Cassirer-Heidegger quale si configura nel dibattito di Davos e negli scritti che l,..accompagnano". la recensione di Heidegger al Pensiero mitico che precede il dJ.òattito, le osservazioni di Cassirer al Kantbuch che lo seguono. I frammenti inediti di Cassirer su Heidegger - presenti nella versione integrale nella terza parte di questo volume spostano il baricentro del dibattito dalla Critica di Kant e dal Kantbueh di Heidegger a Essere e tempo, l'opera filosofica più importante nel Novecento europeo: Cassirer già nel '28 coglie il significato dell'opera, la differenza della filosofia di Heidegger dalla "biologia", dalla filosofia della vita, e il fascino del "gergo dell'autenticità". Di Kant e del "problema della metafisica" in Cassirer e Heidegger si discute ampiamente nei testi del dioattito raccolti da Aubenque già nel 1972; i tempi sono "maturi". La "questione metafisica" appare allora come la questione della "metafisica", in primo luogo come problema filologico della ricostruzione del t.eeto della Metafisica, in secondo luogo come problema filosofico di "nuove vie" dell'interpretazione sulla scorta delle '"nuove vie di pensiero" tracciate da Cassirer. Sono numerosi i primi studi sulla Metafìswa e sul "Cassirer postumo" (Krois, Schwemmer, Orlik, Janz, Knoppe, Ferrari. Mockel). In questa prima critica e lettura della Metafisica prende corpo una scissione - o come si diceva un tempo un conflitto - delle interpretazioni: da un lato vi è una linea per così dire più rivoluzionaria che vede nella Metafisica delle forme simboliche motivi e contenuti che mutano radicalmente il quadro interpretativo - rapporto con l'ontologia - e gettano nuova luce sulla teoria delle forme a partire dall'inedita dottrina dei fenomeni di base o fenomeni originari (Schwemmer,
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Krois, Orlik), dall'altro una linea per così dire più conservatrice che, pur riconoscendo l'importanza del cosiddetto quarto volume, non rintraccia in esso elementi innovativi di fondo, tali da mutare il quadro interpretativo fin qui consolidato (Ferraci). La questione interpretativa si concentra in massima parte sull"'ontologia", sul problema del trascendentalismo "oltre" Kant e il neokantismo marburghese. In particolare, Schwemmer pone il problema. dell'"asimmetricità" tra "costituente" e "costituito" all'interno della teoria trascendentale del soggetto, mentre Ferrari, per il quale la vera novità della Metafisica è la "retrodatazione" alla fine degli anni Venti (1928) della tarda "svolta antropologica", ritiene che "la "metafisica' abbia per Cassirer un significato kantiano, identificabile con il principio "ultimo' della Formgebung e della Sinngebung". I problemi interpretativi tendono però a complicarsi e a.d approfondirsi già con la pubblicazione dei due nuovi volumi di scritti inediti della seconda metà degli anni Trenta: Ziele und Wege der Wirklichkeitserkenntnis, in cui Cassirer riprende il problema dei fenomeni originari, delle "tre sfere dell'essere" come "direzioni fondamentali" della conoscenza della realtà, e Geschichte. Mythos, in cui anche la "'conoscenza storica" è post& in rapporto con i fenomeni di base o fenomeni originari, "fenomeni fondamentali". I testi "contemporanei" e più vicini all'elaborazione e alla stesura della Fil.osofia delle forme simboliche - i materiali data. ti 1921-1927 in qualche modo "estranei" al quarto volume e quindi "più antichi" degli inediti - sono pubblicati nell'appendice, raccolti sotto il titolo Concetto di simbok,: metafisica del simbolico, e attestano, come abbia.mo già detto, la coappartenenza del problema del simbolo e del problema della metafisica e la gestazione ininterrotta di una metafisica del pensiero simbolico. Questi brevi frammenti di pensiero sono al tempo stesso prospettici e riduttivi rispetto alla questione della metaf'urlca. Infatti, se da un lato anticipano la problematica del quarto volume, introducendo anche terminologicamente no-
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vità espressive e concettuali, dall'altro però ne riducono la portata, delimitando metodologicamente il campo semantico della metaiJSica e costituendo una sorta di barriera a difesa della morfologia fino a quel momento delineata, una sorta di "limite" invalicabile della filosofia cassireriana: una premessa, quindi, un'anticipazione, ma allo stesso tempo un limite, .un conime. In altri termini, grazie anche alla loro forma apodittica, si potrebbe scorgere in questi frammenti un significato propedeutico, o, meglio, vedere in essi la fissazione di criteri interpretativi della questione metafisica del simbolico, criteri prefissati e in quanto tali destinati forse a vacillare nel confronto più diretto e aperto con i pensatori "metafisici". In primo luogo Cassirer definisce la propria concezione filosofica come "idealismo simbolico", sulla scia dei sintagmi contrapposti di idealismo critico" e "idealismo assoluto", ma anche in riferimento all'"idealismo logico" di Emil Lask. L'idealismo simbolico è un idealismo critico, trascendentale, "delle condizioni", ma le condizioni non sono ormai le condizioni "della conoscenza". Nel passaggio dalla "critica della ragione" alla "critica della cultura", nel passaggio dalla teoria delle forme della conoscenza alla teoria delle forme spirituali di espressione, sono le condizioni "della simbolizzazione", le forme di configurazione e di donazione di senso. Come l'idealismo critico, l'idealismo simbolico non è pregiudizialmente "antimetafisico", ma nega ogni forma ontologica, ogni "forma dell'essere" "fuori, "prima" o "indipendentemente" dall'attività spirituale, dall'attività simbolica - si potrebbe dire, anticipando una conclusione: "indipendentemente" dalla sfera dell'opera. È così fissato il principio o criterio fondamentale dell'interpretazione della metafisica.: la riconduzione - o incorporazione - della forma ontowgica alla - o nella - forma simbolica, l'impossibiltà del "punto zero" dell'ontologia. Ne consegue una rappresentabilità per gradi, differenziale, per forme, del concetto di essere, una prospettiva ontologica di tipo "regionale", una fondazione di "ontologie regionali", come nel tardo HusserL Si delinea una critica dell'ontologia sulla base di un nuovo funzionalismo: il 0
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funzionalismo simbolico. Si riproduce sul piano ontologico il passaggio dalla sostanza alla funzione già compiuto sul piano logico: l'idealismo simbolico prende le mosse dall'"unità della funzione". Questa "svolta ontologica" è una nuova versione della "svolta al soggetto" di Kant - "soggettivo, in luogo di oggettivo" - che non si limita al problema della "critica della conoscenza" ma che va "oltre Kant" alla critica e alla metacritica del linguaggio, del mito, della religione, dell'arte, della conoscenza, alla critica e alla metacritica delle forme simboliche incorporanti differenti forme ontologiche. In questo primo approccio alla questione metafisica. si pone il problema dell'"origine", di un piano originario: la filosofia delle forme simboliche non prende le mosse dall'ontologia, ma - parafrasando lo stesso Cassirer postumo - dalla "biologia", non dal "fatto originario" dell'essere, ma dal "fatto originario" della vita, non dal Sein, ma dal Leben. Per quanto riguarda il Leben, Cassirer distingue tra "fatto originario" della vita e "fenomeno originario" della vita - al "fatto" è essenziale il "fenomeno" - dove per "fenomeno originario" si deve intendere la separazione, la scissione, dell'unità della vita nella molteplicità, nella divergenza., di differenti direzioni. Cassirer distingue inoltre tra Leben e Symbol, tra "vita" e "simbolo" - anticipando il "dialogo" con Simmel si potrebbe già dire: tra "vita" e "cultura" - tra fenomeno originario della vita e fenomeno originario della funzione simbolica. Il primo è il processo di creazione o produzione, trasformazione e distruzione delle forme, il secondo è il processo di simbolizzazione. Questa differenza sembra potersi ricondurre alla differenza di matrice leibniziano-kantiana di intuitivo e simbolico, di intelletto assoluto e intelletto discorsivo, di archetipico ed ectipico. Tra il primo e il secondo processo c'è un rapporto di corrispondenza.. Per chiarire il significato non ontologico, ma simbolico o funzionale di questa corrispondenza, è necessario, per così dire, convertire e allo stesso tempo differenziare la nozione ontologica di "corrispondenza" nella nozione ermeneutica di "comprensione" del processo nelle singole funzioni simboliche - l'espressione, la
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rappresentazione, il significato - e all'interno delle singole forme simboliche. Il suo essere originario mette in mora la totalità che resta inesprimibile, irrappresentabile, inconoscibile. La porta del paradiso terrestre della "totalità" è sbarrata, l'unica via d'accesso - a una "regionalità,. - è la via funzionalistica della comprensione della singola funzione simbolica: il regno dell'espressione, il regno della rappresentazione, il regno del significato. La processualità mette in mora l'universalità delle forme e delle strutture simboliche. La forma è critica, è storica, "in bilico". Il secondo principio o criterio di interpretazione della metafisica è allora il principio della corrispondenza. Alla luce del principio di incorporazione della forma ontologica nella forma simbolica, quale criterio di interpretazione della metaf'Jsica, e del principio della corrispondenza tra vita e forma, tra vita e simbolo, quale criterio di interpretazione della "metafisica della vita", prende corpo una metaf'Jsica del pensiero simbolico, definita ora "filosofia", non come una nuova forma simbolica o nuova modalità simbolizzatrice, ma come critica delle forme ·simboliche (potemmo anche dire una metacritica, un metalinguaggio), ora "metaf'Jsica". La filosofia è metasimbolica, va oltre 1a simbolicità del segno, dei sistemi di segni, radicalizzando così una tendenm già operante nelle singole forme simboliche, in una progressiva rarefazione del segno. La filosofia è meta.simbolica anche e soprattutto in quanto unica forma di "hòerazione ideale dalla costrizione della simbolica". Questa liberazione ideale consiste nella comprensione, nell'interpretazione del carattere simbolico della conoscenza, un ideale ermeneutico di hòerazione. Anche la "meta.f'J.Sica nella nostro concezione" scrive Cassirer - è metasimbolica: essa è definita come processo di comprensione (ermeneutica.), di fondazione (onto-logica) e di relativizzazione (storia) dei "livelli di simbolo" o "stadi" simbolici delle "forme simboliche": linguaggio, mito, conoscenza. A questo abbozzo di metafisica del pensiero simbolico e al suo intrinseco limite si possono ricondurre anche le riflessioni critiche sulla metafisica della conoscenza. di Hartmann e sulla
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metafisica defigu,rée di Bergson. Cassirer riformula in nuovi termini il principio che abbiamo definito di incorporazione dell'ontologico nel simbolico, sulla scorta del problema più generale del significato quale problema unificante delle filosofie post e neotrasoendentaliste e post e neofenomenologiche: i rapporti di significato o rapporti semasiologi.ci non si possono ridurre a rapporti di essere o rapporti ontologici, le determinazioni "intenzionali" non si possono rappresentare. raffigurare, nelle determinazioni "cosali", ..fattuali". Hartmann prende, per cosi dire. alla lettera il linguaggio metaforico della conoscenza, interpreta letteralmente le metafore, le espressioni metaforiche create dal linguaggio per il fenomeno della conoscenza. Bergson, all'opposto, considera ogni "costruzione in simbolo", ogni costruzione simbolica, non solo come un processo di mediazione, ma come un processo di "cosalizzazione", la "forma di cosa" essendo il prototipo di ogni concezione mediata, non intuitiva, della realtà. Cassirer sostiene la necessità - già posta da Fritz Mauthner e dagli ambienti neopositivistici, ma in senso antimetafisico - di una "critica del linguaggio" come propedeutica alla metafisica, come "prolegomenon" a "ogni metafisica futura", la necessità di una critica dell'universale funzione simbolica. I testi e i frammenti raccolti in Forme Bimboliche. Per il wvolume, databili 1928, presentano il piano, o forse più piani di progettazione ed elaborazione del quarto volume o meglio di parti o capitoli del quarto volume: l'introduzione (Per l'introduzione) sul rapporto di forma e simbolo; il più composito capitolo: Spirito e vita, sulle filosofie della vita, piano o schema, limitatamente a Simmel e a Klages, del capitolo definitivo della Metafisica; il capitolo finale sul problema della "sfera del senso". Nei frammenti Per l'introduzione Cassirer si propone di sviluppare l'Erkenntnisproblem, il "problema della conoscenza.", non più dal punto di vista storico, ma dal punto di vista teoretico, sistematico o tipologico. Questo criterio tipologico o carattere di tipologia del pensiero cassireriano ritorna nello
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schema dei "tipi di metafisica" fondato sui fenomeni di base. A partire dalla posizione di ogni teoria della conoscenza rispetto al concetto (ontologico?) di forma e al concetto (linguistico?) di simbolo o rappresentazione (o raffigurazione), rispetto alla "corrispondenza" di forma e simbolo, si possono distinguere tre "posizioni fondamentali" - come le "posizioni" hegeliane del pensiero rispetto all'oggettività: l'identità o coincidenza di essere e pensare, di forma e simbolo, nella quale non c'è raffigurazione; la causalità e le sue varianti, nella quale la raffigurazione è idolatrica; la metessi, che costituisce una svolta nel rapporto di forma e simbolo. In questo terzo tipo - come poi nel terzo tipo di metafisica dopo un'altra svolta epocale - si colloca l'idealismo simbolico. La "metessi" è la parola chiave del rapporto ontologico e simbolico di idea e fenomeno: è lo stesso problema "costellare" - il rapporto di stelle e costellazioni - o "matriarcale" - la metafora delle madri - già affrontato da Walter Benjamin nella Premessa gnoseol.ogica al Dramma barocco tedesco. Gli esponenti della Lebensphilosophie considerati da Cassirer nell'abbozzo del capitolo Spimo e vita sono nell'ordine Klages e Simmel ai quali seguono, ma nell'accezione ampia di "filosofia della vita", Heidegger e Bergson. Anche se Heidegger non appartiene propriamente alla filosofia della vita, come del resto affermerà egli stesso nel dibattito con Cassirer. La Lebensanschauung di Simmel è del '18, l'Eros cosmogonico di Klages è del '22. Cassirer parte da Klages, dal rapporto spirito-vita, dal problema dell'immagine (o raff"igurazione, visione) e del suo rapporto ("visionario") con il Leben. Sulle orme di Kant, di un fenomenismo figurativo, Klages formula una teoria idolatrica delle cose - si potrebbe dire "spiritistica" - dove l'idolo, il demone, è una metaforizzazione, una psichizzazione, o meglio. anticipando le considerazioni di Heidegger sul mana che Cassirer ha qui presenti. una mitizzazione (mana), un'autonomiz-z.azione, un'elevazione a "potenze" autonome delle funzioni intellettuali che nel kantismo condizionano la cosa. Per il filosofo della forma (Gestalt) e della configurazione
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(Gestaltung), forma e configurazione stanno insieme, non si
presentano come "potenze autonome": l'assoluta potenza della forma. dell'immagine, condurrebbe all'assoggettamento dello spirito, alla maledizione, alla morte dello spirito; l'assoluta potenza. della configurazione condurrebbe alla spiritualizzazione dello spirito, all'angelizzazione, all'immortalità dello spirito. Il concetto simmeliano di "trascendenza della vita" si muove in un'altra direzione della filosofia della vita, più vicina alla f"ùosofia delle forme simboliche. Anzi la concezione cassireriana delle forme simboliche consente di superare lo stesso conflitto "tragico" tra vita e spirito presente in Simmel, la "tragedia della cultura", l'opposizione tragica dei "poli". Per Cassirer la stessa "polarità" - trascrizione tarda. dovuta all'incidenza del dialogo con i filosofi della vita, del concetto criticistico di "relazione", formulato fin dal Leibniz'System - è Urphitnomen, il "vero fenomeno originario", irriducibile. La Fbrm (Gestalt) non limita il Leben, il Leben, come "potenza. di forma" (Potenz zur Form) oltrepassa la Fbrmung (Gest.altung). Nella stesura definitiva all'espressione "vitalistica", dal "punto di vista della vita". a Potenz zur Form corrisponderà, come vedremo, l'espressione "dal punto di vista della forma" Wille zur Gestaltu.ng, traduzione morfologica e eulturologica della formula nietzscheana: Wille zur Macht. I frammenti su Heidegger - non più ripresi da Cassirer sono appunti di lettura di Essere e tempo e precedono le conferenze e il dibattito di Davos: in un certo senso sono la parte mancante del dibattito, la parte intenzionale, in absentia, di un confronto critico, di rottura sulla metafisica, di un dialogo impossibile tra l'esoterica metafisica del pensiero simbolico (inedita, ancora marginale, germinale) e l'essoterica ontologia fonda.mentale di Heidegger, "incompiuta" ma per "questioni di linguaggio", quasi inattaccabile nella sua "provvisorietà", proprio per la sua consapevolezza dei problemi linguistici, del "simbolismo della metafisica", decostruito fino in fondo nell'analitica esistenziale, ricondotto semmai a un simbolismo (a un gergo) dell'EssercL
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Nei suoi frammenti di lettura e interpretazione di Essere e tempo Cassirer non pone Heidegger tra i filosofi della vita. non lo colloca nella "biologia" - come scrive usando un archeologismo - ma lo inscrive nella grande tradizione della filosofia della religione di matrice kierkegaardiana. per la quale la temporalità dell'esistenza. si fonda sul "fenomeno originario" della. morte (e dell'angoscia. "segna.tura" del Dasein) e non della vita. Una matrice teologica che tuttavia in Heidegger non perviene né a una soluzione teologica - cristiano-luterana - né a una soluzione filosofica, platonica. della filosofia come apprendistato della morte. In Heidegger il rapporto 8J)irito-vita si coniigura in una nuova modalità idealistica - ricordiamo la formulazione onnicomprensiva di post-idealismo - nella quale il fenomeno originario della morte si contrappone al fenomeno secondario del mondo nelle sue tempo:ralizz.azioni: "se non esistesse alcun esserci non ci sarebbe neppure alcun mondo". Ogni universalità, ogni oggettività, resta preclusa all'Esserci. "Qui· scrive Cassirer "'le nostre strade si separano". È la metafora del '"dipartirsi delle vie" usata anche recentemente per enfatiz?.are gli esiti del dibattito di Davos, il dipartirsi delle vie di Cassirer e Heidegger (e Carnap). Al di là. della metafora, da Davos, dall'incontro tra Cassirer e Heidegger, dal loro dialogo a distanza sui problemi del linguaggio, sembra piuttosto nascere, tramite la distinzione di analitici e continentali, la separazione di due vie della filosofia: quella della filosofia analitica e quella della filosofia continentale, "casa. comune" quest'ultima di Cessirer e Heidegger. Eppure, la separazione delle vie è una metafora angusta che fmalmente con il dialogo forzato che Apel ha istituito tra Cassirer, Wittgenstein e Heidegger sembra almeno per certi aspetti decaduta. Lo "spirito oggettivo", la realtà, la "sfera dell'opera", sono preclusi a Heidegger, cosi come il paradiso terrestre e la storia. Per Heidegger la storia (Geschichte) è "ripetizione" di "destini personali". Questo carattere esistenzialistico della storia per Cassirer è un carattere archetipico molto profondo, un carattere fondamentale della storicità, che tuttavia non costituì-
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sce, non fonda la i:rt;oria come •storia del senso", come "storia della cultura", il "senso" essendo in Sein und Zeit prerogativa esclusiva dell'Esserci. Per Cassirer il senso non sorge nell'Esserci, ma si dà "senso" impersonale, fuori dei destini personali. senso "sovrapersonale" o "sfera del senso", come vediamo negli appunti per il "capitolo finale". Cassirer distingue tra "sfera della cosa" e "sfera del significato", tra "sfera dell'espressione" e "sfera dello spirito". La sfera dell'espressione rinvia a Klages, alla nostalgia del paradiso della vita, sempre serrato; la sfera della cosa è una categorizzazione, legata al carattere di oggetto del linguaggi.o, intermedia fra l'immagine demoniaca, momentanea, del mito e il concetto, il significato, legato al carattere di oggetto della conoscenza. La sfera dello spirito è il ritorno alla soggettività, a una nuova soggettività, è la sfera del senso sovra.personale, la "sfera della cultura": "La nostra metafisica: accorgersi della vita., ritorno della vita al suo 'fondamento' - per questo la vita deve "andare a fondo', ma è superata nella sfera dello spirito. La sostanza della vita è divenuta soggett;o, pura sfera di senso, sovracosale e sovmpersonale". Cade qui la critica alla concezione organologica della cultura che, secondo un principio organologico, biologico o fisiologico-fisiognomico, analizza la cultura come unità di cosa e vita e non come "unità di senso", come forma di vita e non come forma di senso, forma storica. Le culture per Cassirer sono unità di funzione, "strati" di senso, per l'attualizzazione del senso. L'incipit della Metafisica - "la filosofia delle forme simboliche non può fermarsi qui", alla totalità-di-senso del mondo teoretico, alla relazione teoretica con il mondo - segna il passaggio dal terzo al quarto volume delle Forme simboliche. Esso cerca di connettere vecchia e nuova ricerca: la trattazione già compiuta delle singole forme simboliche e la riflessione ancora da compiere sulla Form-~rdung, sull'"enigma" del divenire delle forme; l'analisi e la sintesi, l'analisi fenomenologica della fol'Ill8. originaria, dell'Urlorm, del linguaggio, del mito, della conoscen-
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za, l'analisi delle strutture, l'analisi delle differenze, e la sintesi
- dal discretum al continuum - delle differenze in una nuova unità comprensiva: l'immagine naturale del mondo che, nella metafora cassireriana ricorrente della rifrazione, è ora il raggi.o di luce che non si è ancora rifratto nei mezzi di rifrazione, nelle forme, nelle "dominanti ora il nuovo focus della soggettività.. 0
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E, tuttavia, la semplice posizione dell'unità della "vita" di contro alla diversità delle "forme" non è altro che una nuova forma della metafisica, la forma della meta.f"ISica contemporanea, la trasformazione di tutte le coppie concettuali della metafisica - essere e divenire, unità e molteplicità, materia e forma - nell'unica opposizione di spirito e vita, come un nuovo centro della meta.f"ISica, una reductio ad unum. Lungi dall'essere un movimento "alla moda", come lo definisce Rickert, la filosofia della vita - o al plurale: le filosofie della vita - per Cassirer è un movimento composito costituito da filosofi di diversa provenienza e da filosofi che vi convergono per un tratto di strada, un movimento che a volte si confonde con la definizione più ampia di post-idealismo, che, proprio per l'eterogeneità delle ascendenze e la instabilità dei confini, Cassirer non interpreta in modo unitario e sistematico, ma "per temi", intrecciando un dialogo serrato, aperto, un "dialogo circolare" con i filosofi contemporanei da Schopenhauer a Nietzsche, da Simmel a Klages, da Begson a Heidegger. Il carattere circolare del dialogo, del confronto, indubbiamente anche critico, con la filosofia della vita sta nel riconoscimento dei motivi di fondo del vitalismo primo-novecentesco, della "modernità" dei concetti di "vita" e "cultura", nel riconoscimento dell'incontro, dell'intersecarsi della problematica delle forme simboliche con la metafisica della vita, nel riconoscimento di un'intersezione, di una linea o di una regione di conime, di una "marca" - direbbe Heidegger - tra l'idealismo simbolico e il post-idealismo. Se da un lato allora Cassirer stigmatizza la vetustà, la tradizionalità del metodo della nuova metafisica, il metodo della
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proiezione all'infinito delle opposizioni, dall'altro - secondo quella dialettica di acceptance e rejection segnalata da Hamburg - ne accoglie il problema di fondo: nella formulazione simmeliana, il problema della "svolta all'idea", della "rotazione assiale..; nella formulazione klagesiana, il problema ontologico dell'immaginazione, della "valenza ontologica.. (termine gadameriano) dell'immagine. L'incontro con Simmel e Klages - e attraverso Klages con Schopenhauer e Nietzsche - introduce nuovi elementi teorici e terminologici nella filosofia delle forme simboliche e mette in luce nuove possibilità di comprensione e di interpretazione dei principi della morfologia cassireriana, in una sorta di inedito connubio. La "svolta all'idea" di Simmel si traduce nella "svolta alla forma simbolica" e tra le due svolte è posto un rapporto trascendentale, di condizione: la svolta all'idea presuppone la svolta alla forma. La figura ermeneutica dell'intersezione si risolve così in nuove figure interpretative .e critiche: l'inveramento - della svolta all'idea; la decostruzione - delle metafore, degli schemata spaziali, della nuova metafisica, delle sue ipostatizzazioni di vita e forma; la traduzione analogica (per certi versi vicina alle ardite etimologie heideggeriane) - della platonica yéveoiç elç ovmav nel Werden zur Form. L'ontologia dell'immagine di Klages - l'anti-Simmel - la dottrina dell'immagine non come "fenomeno secondario", oggettivo, ma come "fenomeno originario", si traduce nella peculiarità e autonomia della· forma simbolica del mito, nel carattere produttivo, nella funzione produttiva e non puramente riproduttiva dell'immaginazione - unico punto di convergenza con Heidegger nel dibattito di Davos. La figura dell'intersezione - con la filosofia di Klages, e con Schopenhauer e Nietzsche - si risolve in altre figure: la demitizzazione del mito, del suo carattere di mana (ancora una risposta a Heidegger); il depotenziamento dell'ipostasi mitica; il dissolvimento (terapeutico) del suo carattere allucinatorio,
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fantasmatico; la traduzione sintagmatica del niet7.scheano Wdle zur Ma.cht nell'espressionistico (e debole) Wille zur Gestaltung; in un passaggio dalla Wirk-Welt del mito all'Anachauungswelt. · Il confronto della filosofia delle forme simboliche con la filosofia della vita si sviluppa ulteriormente su un altro versante, in un crocevia dove si incontrano le problematiche dell'umanesimo contemporaneo e dell'antropologia filosofica.. Il confronto si estende alla "filosofia del senso". Con questa nuova espressione Cassirer intende riferirsi da un lato agli esiti secessionistici della fenomenologia di Scheler (e dello stesso Heidegger) e all'antropologia filosofica di Helmut Plessner, dall'altro alla stessa filosofia della vita, alla compresenza e interferema dei suoi motivi di fondo nel costituirsi della prospettiva del senso. La filosofia del senso è in qualche modo una direzio~ ne della filosofia della vita. L'antropologia filosofica contemporanea, fondamentalmente fenomenologica, di Scheler e Plessner, si origina da una svolta culturologica che si situa tra Kant e Husserl. riprendendo in epoca post-positivistica la questione kantiana della posizione dell'uomo nella creazione e della natura ideale dell'uomo e la dottrina husserliana delle essenze. Questa antropologia si caratterizza per la concezione dell'uomo non solo come soggetto-oggetto della natura, ma allo stesso tempo come soggetto-oggetto della cultura: nei termini della teoria plessneriana dei "livelli" o "stadi", l'incrociarsi, il conflitto del livello dell'esistenza spirituale e del livello dell'esistenza corporea. Anche la "svolta alla cultura" dell'antropologia filosofica presuppone la svolta alla forma simbolica.,. La teoria delle forme simboliche rappresenta per Cassirer l'unica possibilità di determinare i livelli di Plessner, e dunque anche quello dell'attività spirituale dell'uomo, di stabilire criteri - non valori per la determinazione dei livelli. Solo nel medium delle forme simboliche, nel linguaggio, nel mito, nella conoscenza, si compie l'Umkehr, la svolta, la "differenza ontologica" di uomo e vita, di uomo e totalità del vivente, quella dialettica configurati11
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va, "delle forme''. di "vicinanza" e "lontananza" rispetto al "mondo" (è possibile qui un riferimento all'analitica dell'esse-
re-nel-mondo di Heidegger). La svolta alla forma simbolica ridefinisce altresì il rapporto di essenza e forma, il rapporto tra il concetto dell'antropologia filosofica dell'essenza dell'uomo - da Kant a Scheler, passando per Husserl - e il concetto di forma simbolica. Nella prospettiva della filosofia delle forme simboliche il problema dell'essenza dell'uomo si converte nel problema della struttura (delle "opere", dirà. l'ultimo Cassirer). Alla filosofia del senso si contrappone allora una filosofia della struttura, ma allo stesso tempo l'antropologia filosofica segna la filosofia delle forme simboliche, lascia una traccia.. L'incontro, già alla fine degli anni Venti, con l'antropologia filosofica - seppure all'interno del confronto con la filosofia della vita, nel contesto metafisico dell'opposizione di vita e forma simbolica - è molto fecondo e conferma la circolarità del dialogo con le filo- . sofie contemporanee. Dall'e886nza alla strutturo, ma anche dall'origine alla struttura, dall'origine al contenuto. Al concetto evolutivo dell'origine (del linguaggio in Wundt) e alla legge dell'evoluzione Cassirer contrappone il concetto di struttura delle "forme chiuse", delle forme "ontologiche", del loro contenuto, in una teoria generale della ricostruzione storico-morfologica e storico-fenomenologica delle forme dalle configurazioni e dalle totalità-disenso semplici alle configurazioni e alle totalità-di-senso complesse - il concetto di atomo-di-senso è in sé contraddittorio e in una teoria generale dèl "divenire alla forma" "per salti", "per rotture,, della continuità vitalistica ed evoluzionistica. Anche la metaf"isica della vita di Bergson si caratterizza per l'opposizione alla continuità degli ambiti vitali, per la loro fondamentale "discrezione", l'irriducibilità dei "livelli". Su questa analogia nella separazione di spirito e vita, sul discretum, si misura la "vicinanza" di Cassirer e Bergson. E, tuttavia, per Cassirer la scissione degli ambiti di vita - torpeur, instinct, intelligence - è in contraddizione con l'unità del sapere: la sinos-
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si della totalità. è impossibile dal punto di vista parziale di uno degli ambiti. l'intelligence; una teoria della causa è impossibile dal punto di vista dell'effetto. L'inveramento, la condizione critica, della scissione, della differenza ontologica, è ancora la teoria delle forme simboliche che, come abbiamo visto, pur riconoscendo e ponendo la differenza di uomo e totalità del vivente, resta nei limiti dell'immanenza, delle "ontologie regionali", nella sfera della donazione di forma e senso. Il rapporto di vita e forma simbolica si presenta come svolta dall'essere-in-sé all'essere-per-sé: ogni forma simbolica non è un ponte tra un mondo interno e un mondo esterno, tra un io e un non-io, ma è un medium dell'opposizione, del confronto io-mondo, della "tensione". Il rapporto vita-forma simbolica non è rappresentabile dal simbolismo spaziale, dal dualismo immanenza-trascendenza, dal linguaggio metaforico della metafisica della vita, dal momento che questa stessa dualità è una modalità spirituale: "c'è solo il punto di vista dello spirito" (c'è solo il Geist). La scissione però sorge perché ogni direzione spirituale include in sé la possibilità dell'inversione, della riflessione: il punto di vista dello spirito è in sé "antinominale". Ritorna il principio trascendentale dell'incorporazione della forma ontologica, dell'essere-in-sé, nella forma simbolica, nell'essere-persé, come "svolta" dall'essere-in-sé all'essere-per-sé. Ogni forma simbolica partecipa alla "svolta" al per-sé nella sua modalità coniigurativa, contribuendo alla formazione della coscienza simbolica. L'uomo coniigura un oontromondo simbolico opposto al mondo dell'esistenza immediata, della totalità del vivente. Cassirer afferma l'ineguaglianza delle forme nella partecipazione alla trasiigurazione della vita organica nella sfera umana. L'ineguaglianza delle forme è criterio differenziale ed ermeneutico del processo dell'antropogonia: nel passaggio dalla forma-mito alla forma-linguaggio e dalla forma-linguaggio alla forma-conoscenza, nel passaggio dalle coniigurazioni complesse del pensiero mitico - figurazioni e dèi personali, teogonie alle comigurazioni del pensiero linguistico e del pensiero teore-
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tico, il mutamento del "punto di vista.. spirituale. simbolico, offre differenti prospettive che concorrono alla visione d'insieme, alla sinossi del processo dell'antropogonia. La metacritica ritorna alla critica, la metafisica alla filosofia, all'analisi delle forme simboliche del mito, del linguaggio, della conoscenza, alle quali si aggiungono significativamente l'arte, la configurazione di immagine, la "critica" dell'arte (dialogo con Fiedler), e la storia, la coscienza storica. Il passaggio si compie dall'analisi alla sintesi e dalla sintesi all'analisi. alle differenziazioni delle forme, alla ripresa anche contenutistica dei risultati delle precedenti trattazioni, che si sostanzia nei continui rinvii ai volumi precedenti e a Linguaggio e mito; ora però il momento analitico è al servizio del momento sintetico, è orientato nella direzione dell'unità della coscienza simbolica. "In tutto il corso della tra~tazione, di cui siamo giunti alla fine" scrive Cassirer "abbiamo cercato di mostrare questo passaggio": il passaggio dallo schematismo al simbolismo, dalla rappresentazione al significato, dalla conoscenza alla comprensione simbolica delle strutture e degli ordini di senso. Oltre i poli contrapposti dell'io e del mondo, oltre la sfera dell'azione e della visione, l'uomo "rischia il volo" per raggiungere "un nuovo cielo e una nuova terra", un nuovo "cosmo intelligibile". La Metafi8ica si chiude con la metafora "kantiana,. del volo, del passaggio dal regno della natura al regno della libertà. Giungiamo così al testo Sui fenomeni di base. La nozione di "fenomeno di base" o "fenomeno originario" ha indubbiamente due fonti teoriche e terminologiche: Carnap e Goethe - il termine "fenomeno originario" è certamente più antico e, come abbiamo già detto, ricorre in più luoghi dell'opera di Cassirer (ma non è presente nell'lndex di Noack). Un accenno alla nozione carnapiana di Basi8 si trova negli appunti di teoria della conoscenza che precedono il testo Sui ferwmeni di base, laddove si richiama, riguardo il problema dell'og-
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gettività della percezione, la posizione del positivismo del circolo di Vienna che postula una base di costruzione di ogni deduzione e che pone questa base nella "percezione": la percezione dischiude la realtà., è "l'unica apertura (immediata) sulla realtà". La fonte diretta dell'espressione "fenomeno di base" è la nozione fisicalistica di base - abbiamo già ricordato altri "inediti" su Carnap. Un altro riferimento a Carnap riguarda la questione del senso, o meglio, la negazione del senso. Per Carnap la percezione è la base, ma non ha "senso" psichico (un riferimento a Carnap, alla negazione del senso, della psichicità dell'estraneo, si trova anche nella Logik): la nozione di base è angusta, la realtà è in bilico, "sulla punta'° della percezione. La fonte diretta dell'espressione "fenomeno originario" è l'Urphanomen di Goethe. Il riferimento a Goethe in Cassirer è ininterrotto, aperto e sotterraneo, costante. Tuttavia la fonte testuale, letterale, scritturale della nozione di fenomeno originario è una fonte criptica, letteraria, mitologica: le massime 391, 392, 393, dove non compare l'espressione Urpha.nomen. Una fonte fisicalistica e una fonte mitologica. Due fonti contrapposte, irriducibili l'una all'altra: per il fisicalismo il testo mitologico sarebbe insensato, "senza senso'°. L'espressione prevalente "fenomeno di base" si costruisce negli inediti solo sul testo mitologico, comunque a indicare un'innovazione, un "adattamento" - come sostengono Krois e Verene - rispetto all'espressione già. consolidata di "fenomeno origina.rio". I fenomeni di base o fenomeni originari sono tre: l'io (Ich); il tu (Du); l'Es (Es). In altri termini: il fenomeno dell'io (IchPho.nomen); il fenomeno dellagire (Wirken-Pha.nomen); il fenomeno dellbpera (Ukrk-Pha.nomen). In una terminologia. fenomenologica (ma anche esistenzialistica e psicoanalitica): il fenomeno del Sé; il fenomeno dell~ltro (dello "psichico dell'estraneo"); il fenomeno del Mondo. In una prima approsi:rimazinne sono presentati come "stadi" o "livelli" di una "costruzione della vita" (Aufbau dee Leben, sintagma. analogo al carnapiano Aulbau der Welt), come gradi
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di una "differenziazione" della vita ideata e raffigurata in mitologemi da Goethe nelle massime 391, 392, 393. La massima 391 rappresenta la vita come il primo dono degli dèi e della natura, come dono di "potenze" ultraterrene e come enigma, mistero, e ricorre per la sua caratterizzazione al termine platonico-leibniziano di monade. La 392 raffigura la monade come. sconfinata interiormente e limitata esteriormente (simbolismo spaziale) e come secondo dono degli dèi pone la nostra esperienza - che resta un mistero per gli altri del mondo esterno. La massima 393 allude alla totalità dell'agire verso il mondo esterno, all'opera (artistica) che appartiene più al mondo che a noi stessi Ai fenomeni originari dell'io e del tu corrispondono enigmaticamente "parole originarie", "orfiche": all'io il Aa(µrov, il demone; al tu la Tum, il destino. Al fenomeno originario dell'opera corrispondono la "parola" stessa (il linguaggio, la voce) e la "scrittura", la 'tov OEK'tLKOV, del mondo degli oggetti in generale, esso conferisce a ogni essere il suo luogo fisso e il suo sostegno stabile. Ma, se negli stadi iniziali questa specie di "solidificazione" dello spazio o, per meglio dire, questa specie di solidificazione dell'intuizione obiettiva dello spazio non è ancora raggiunta, negli stadi finali è già abbandonata e superata. In essi, alla concezione sostanziale dello spazio è subentrata una concezione puramente funzionale: lo spazio non è più uno spazio di cose, ma un puro sistema dello spazio. In tal modo il punto di partenza e il risultato sembrano incontrarsi in un tratto comune, in quanto in entrambi si mostra un'opposizione completamente determinata alla struttura del "mondo delle cose", al mondo dell'oggettività empirica. Ma questa opposizione non ha per entrambi lo stesso senso e la stessa direzione. Si potrebbe dire che la concezione "primitiva" dello spazio sta prima della forma del mondo delle cose, e che l'interpretazione concettuale, esatta, dello spazio sta oltre di e88a: che quella è, per co-
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sì dire, sub-cosale, questa sovra-cosa.le. Lo spazio della "percezione" e della "rappresentazione" animale, e in un certo senso anche lo spazio mitico, non è ancora lo spazio fisso degli oggetti. che è determinante e caratteristico per il mondo dell'intuizione empirica - lo spazio di ordine, lo spazio fisicomatematico non lo è più. Il primo non è tanto una totalità di cose, quanto un'unità di azioni e direzioni di azioni; il secondo non è tanto un complesso di elementi oggettivi, quanto, piuttosto, un sistema di relazioni. Nonostante tutti gli sforzi della biologia e della psicologia animale, non è ancora del tutto chiaro in quale modo e sulla base di quali dati sensibili abbia luogo l'orientamento spaziale degli animali: una teoria realmente soddisfacente ed esauriente che renda ragione di tutti i fenomeni osservati è ancor lungi dall'essere raggiunta." Ma una cosa appare certa, che lo spazio dell'animale non è un vero e proprio "spazio visivo", nel quale i singoli elementi si differenziano e si distinguono l'uno dall'altro secondo "contrassegni" oggettivi, ma che esso deve essere pensato come puro "spazio d'azione". Bethe l].a stabilito in una serie di accurate osservazioni che le api che ritornano a casa ritrovano sempre con grande sicurezza la collocazione spaziale da cui si sono allontanate, al contrario, non sono più in grado di trovare immediatamente il loro alveare al ritorno, qualora la sua posizione sia stata modificata durante la loro assenza."" Sulla base di questo esperimento e di esperimenti simili, Ré.dl conclude che ciò che possiamo definire lo "spazio" degli animali non è altro che un sistema di forze direttrici, ognuna delle quali pone l'organismo in im equilibrio rispetto a se stesso.
* Cfr. su questa questione. per esempio, il ricco materiale contenuto nello studio di Rudolf Brun, Die Raumorientierung der Ameisen und das Orientierungsproblem im allgemeinen {Eine kritisch-experimentelle Studie; zugleich ein Beitrag zur Theorie der Mneme, G. Fischer], Jena. 1914. ** A. Bethe. Darfen wirden Ameisen und Bienen PB)'Chische Qualiti.tten zuschreiben? "Pflogers Archiv" ["Archiv fo.r die gesa.mmte Physiologie des Menschen und der Tiere"], 70, 1898 [pp.15-100]; cfr. H. Volkelt, op. cit., pp. 23 sgg.
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Sulla metaf'"isica delle forme simboliche
"Questo equilibrio è l'orientamento dell'animale. Gli spazi non sono uguali l'uno all'altro per differenti animali: mentre per uno è più sviluppato uno spazio di luce, per un altro è più sviluppato uno spazio di gravità e per un altro uno spazio di superficie e per un altro ancora uno spazio di pressione; è probabile che molti spazi. simili siano presenti allo stesso organismo, ma che qui prevalga l'uno, là l'altro.... Un tale carattere dinamico sembra proprio anche allo spazio dell'immagine mitica del mondo. Anche qui le differenze dell'orientamento spaziale non sono ottenute separando dalla totalità dell'ambiente intuitivo determinate unità distinte attraverso contrassegni oggettivi e usandole come centri fissi di coordinate. Piuttosto, si verifica il processo opposto: l'ordinamento della realtà oggettiva si costruisce sulla differenza di certi sentimenti primitivi di direzione. Il "sopra" e il "sotto", "a destra" e "a sinistra": hanno tutti un primario "senso" mitico grava su di essi un peculiare sentimento mitico di valore, al quale prendono parte in qualche modo tutti i contenuti della realtà e secondo il quale ora incominciano a ordinarsi egraduarsi in se stessi Anche qui si mostra la demonizzazione come inizio e primo stadio di ogni individualizzazione. Il nord. il sud, l'est, l'ovest - sono tutti concepiti originariamente come forze demoniche, ognuna delle quali racchiude in sé una certa direzione di azione e di tensione, ed è la totalità di queste linee di forza ciò su cui si costruisce lo spazio come campo di forze mitico.... Una svolta diversa in linea di principio, un nuovo modo della configurazione ci viene incontro nella sfera del linguaggio. Il mondo del linguaggio qui è caratterizzato e distinto dal fatto che in esso l'equilibrio semplicemente labile comincia a trasformarsi in un equiliorio statico. La designa• E. Ré.dl. Untei-suchungen aber den Phot,otropismus der Tiere, [W. Engelmann,] Leipzig 1903 (citato da J. v. UexkUll. Cbnwelt und lnnenwelt der Tiere, [cit.J p. 208). "" Maggiori approfondimenti in [PhsF], n. pp. 108 sgg.• pp. 122 sgg. [ GW, 12, pp. 98 sgg.. pp. 112, sgg.; DA. Il, pp. 104 sgg., pp. 118 sgg.; FFS, Il, pp. 121 sgg., pp.137 sgg.].
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zione linguistica non fissa solo le singole determinazioni spaziali, ma crea tra di esse anche una nuova relazione. Ora esse non risultano solo distinguibili, ma mantengono una posizione reciproca; si inseriscono in uno spazio obiettivo onnicomprensivo. Il linguaggio procura i mezzi espressivi grazie ai quali ci si può riferire a un "qui" e "là", a un "vicino" o "lontano", grazie ai quali, a partire da un determinato punto dello spazio, può essere abbracciata obiettivamente la sua totalità."' Ma questa specie di sguardo d'insieme, in quanto si compie sulla base dei concetti linguistici e sulla base dei concetti empirici di oggetti condizionati e determinati dal linguaggio, non è in alcun modo l'ultimo e più alto risultato della pura teoria in generale. Questa non si ferma a una semplice sinoBBi del reale, ma esige e crea una nuova forma di sint,esi. E questa sintesi puramente intellettuale ha la peculiarità che in essa lo spazio non è più presentabile come "oggetto" isolato e isolabile. Esso non può più in nessun modo essere vierto e rappresentato come una specie di oggetto, ma è solo un mezzo fondamentale dell'oggettivazione, e può adempiere a tale compito sempre solo in congiunzione con altre categorie della conoscenza della natura, innanzitutto in "unione" con il concetto di tempo. Con questa rottura del rigido schematismo spaziale, con questa elevazione dello spàzio al puro livello del concetto, a simbolo di ordit;te, la realtà59 sembra aver ritrovato quella mobilità e fluidità che possedeva nei primi stadi "realistici" della riflessione. Ora appare non tanto come una totalità di cose, quanto, piuttosto, come una totalità di eventi. Ma la fluidità che le appartiene non ha nulla in comune con quella labilità e volubilità, con quella fugacità che le era propria all'inizio. Infatti, il pensiero ora ha trovato i mezzi grazie ai quali può rinsaldarsi e sostenersi nell'illimitata variabilità dei fenomeni. Non più con il concetto di
• Sull'intera questione, cfr. [PhsF], I. pp. 146 sgg.; III, pp. [176) sgg. sgg.; DA. 1, pp.149 sgg., m, pp.176 sgg.; FFS. I, pp. 175 sgg., m/1, pp. 201 sgg.] et passim. [GW, 11, pp.147 sgg.; 13, pp.170
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cosa, ma con il concetto di legge, ora conquista e domina il flusso del divenire. In luogo della presupposizione di cose costanti, ora utilizza. l'assunzione di relazioni invarianti come punto di sostegno e punto d'appoggio. Solo apparentemente anche qui ha luogo un movimento in circolo; solo apparentemente la riflessione, con la sua fine. ritorna di nuovo al suo inizio. Infatti, tra inizio e fine ora c'è un mondo: il mondo che si è costituito attraverso i puri concetti di ordine, attraverso i presupposti e i principi della conoscenza scientifica. D'altra parte, abbiamo visto quali difficoltà si oppongono all'ascesa in quest'ultima sfera. La pura teoria deve conquistarsi passo passo il nuovo territorio che varca. È come se il pensiero non osasse separarsi in qualche punto del suo sviluppo dal vero medium fondamentale dell'oggettivazione al quale deve la struttura del mondo empirico della percezione. Esso si regge sempre a questo mezzo fondamentale come con "organi che si avvinghiano",60 si mantiene fermo alla categoria della cosa. Anche là dove il mondo della percezione, considerato dal punto di vista puramente contenutistico, non gli appare più come la realtà ultima, "vera", dove comprende la necessità di passare in un'altra realtà, non rinuncia alla forma nella quale l'ha colta. Ora richied!3 un fondamento più stabile: in luogo delle qualità sensibili pon~ altre determinazioni nelle quali crede di possedere la vera "essenza" delle cose. Ma questa nuova determinazione ontologica non cambia nulla nella pura determinazione metodologica. Infatti, anche la "seconda realtà" è compresa come la prima in modo ancora assolutamente cosale. Privando i contenuti della percezione del loro assoluto carattere sostanziale, il pensiero non eUroina questo carattere, puramente in quanto tale, ma lo sposta soltanto in un altro luogo. Dietro il primo mondo di cose, che ormai è lasciato alla "soggettività", si erge un altro mondo - e ad esso sembra spettare in primo luogo il vero carattere di cosa, la vera solidità e durata. Quando comincia a mostrare la struttura di questo mondo e a determinarla compiutamente, la conoscenza teoretica si riconosce in un nuovo territorio; ma il suo sforzo, ciononostan-
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te, rimane orientato ad assimilare, per quanto è possibile, questo territorio al precedente, a concepirlo secondo la "similarità" al precedente. Continua a sottostare alla costrizione di questo pensiero analogico: sempre di nuovo nella formulazione delle leggi fondamentali dell'accadere si insinua un'immagine presa dalla particolare conformazione concreta delle cose sensibili. In luogo del pensiero secondo principi subentra un pensiero secondo schemi e modelli. Sono necessari sforzi sempre rinnovati per impedire questa cancellazione - non solo per adoperare i fondamentali me-ai teoretici dell'oggettivazione, ma per comprenderli anche nella loro funzione peculiare e per accordare ad essi il loro proprio significato, la loro piena autonomia. L'intera storia della moderna conoscenm della natura è dominata da questa lotta. Ma, alla fine, sembra che sia stato raggiunto lo scopo al quale fin dall'inizio tendeva con consapevolezza metodica più e meno chiara: la sua pura forma di concetto si è separata in modo chiaro e rigoroso dalla semplice forma di cosa." Ma abbiamo qui ricordato questo passaggio dalla dimensione della "rappresentazione" alla nuova dimensione del "significato", così come si compie nella conoscenza teoretica della natura, solo per collega.re a questa ricapitolazione un'altra questione più generale. Si può mostrare un ..cambiamento di significato" analogo anche là dove si tratta, invece che della configurazione del mondo "esterno", di quella del mondo "interno"? Il fatto che entrambi i mondi corrispondano metodicamente l'uno all'altro secondo i loro puri principi di costruzione e che presentino lo stesso ritmo architettonico è stato sempre confermato nell'intero corso della nostra ricerca. Già per questo motivo potremmo supporre che anche all'ultima grande svolta attraverso la quale, per così dire, il concetto di cosa cresce oltre se stesso, corrisponde una non meno sig:nifi• Sull'intera questione cfr. le esposizioni precedenti; in particolare [PhsF], libro - cap.- pp. - [Cfr. PhsF, m, Parte a-, ca.p. m, pp. 381-414: GW, 13, pp. 377-410; DA, IIl, pp. 383-416; FFS, m/2, pp. 65-104].
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cativa trasformazione nel campo dell...esperienza interna". Mentre la costruzione del mondo esterno è governata dalla categoria della cosa, è dalla categoria della peT'SOnalità che dipende la struttura del mondo interno. Mentre là siamo nel campo dell'intuizione spaziale, qui ci muoviamo nel medium del tempo. C'è - così si può formulare il nostro problema - un modo per trascendere la sfera peT'SOnale nello stesso senso in cui un oltrepassamento della sfera rosale si è dimostrato possibile e necessario? Può e deve la trattazione parimenti ergersi sulla forma del tempo e staccarsi da essa nello stesso modo in cui ha dovuto superare lo schematismo dell'intuizione spaziale? Dal punto di vista della pura "filosofia della vita" già questa impostazione del problema deve apparire paradossale ed eterodossa. Infatti, la filosofia della vita distingue !'"interno" dall"'esterno", distingue il tempo dallo spazio, sulla base del fatto che qui abbiamo di fronte a noi un essere assolutamente mediato e derivato, là al contrario un es~re assolutamente originario, immediatamente certo. Una volta che siamo entrati nel territorio di questo essere originario, ci siamo liberati dal mondo raffigurativo dello spazi.o, per ritornare nel mondo del tempo e per entrarvi completamente, allora per noi non può più darsi nessun "al di là", nessuna "trascendenza". Stiamo alle colonne d'Ercole: l'assoluto stesso è ciò che si apre per noi nell'intuizione della pura durata, della durée reélle. Come si dimostra necessaria la rottura. della forma dello spazio e della cosa, così appare assurdo ogni tentativo di una rottura della forma del tempo e dell'io. E, tuttavia, anche qui si è immediatamente spinti verso un altro punto di vista, se sottoponiamo a una prova rigorosa. la struttura di quel "tempo dell'esperienza" al quale si riferisce la f"ùosofia della vita come al dato ultimo e a.Ila certezza ultima. Essa ora non si mostra. più assolutamente come qualcosa di semplice, ma racchiude una peculiare tensione, una relazione verso due poli in sé contrapposti. Il processo delle forme simboliche ci ha ripetutamente confermato e mostrato questa polarità. Solo la setie delle esperienze vissute, ma non ciò che in esse viene esperito e vissuto, resta legata alla forma
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del tempo; solo gli atti dell'intendere e del pensare. ma non gli stati di cose ai quali si riferiscono, le appartengono. Ma con questa prospettiva siamo ormai pervenuti al limite metodologico dell'intuizione temporale, come prima eravamo giunti a quello dell'intuizione spaziale. Il mondo ideale della forma che costituisce il medium obiettivo, senza la cui sussistenza i singoli mondi dell'esperienza non potrebbero entrare in relazione l'uno con l'altro, non potrebbero rendersi "comprensibili" l'uno all'altro, non si può ridurre a un particolare ambito dell'esperienza, delimitato dalla temporalità e legato alla temporalità, o alla totalità di questi ambiti Esso, piuttosto, possiede rispetto ai singoli mondi un proprio contenuto, che non si può più designare nel linguaggio dell'intuizione temporale e misurare nelle sue dimensioni Qui non si tratta tanto di un essere 80V1'atemporale quanto, piuttosto, di un essere in linea di principio in-temporale; di un puro "sussistere in se stesso», che appartiene a una dimensione completamente diversa da ogni divenire, da ogni esistenza e ogni durata nel tempo. E ogni forma simbolica nella sua propria modalità e direzione mira a un tale puro senso dell'io, che si differenzia da ogni semplice senso dell'io. Nel linguaggio il senso dell'io appare nel modo più caratteristico là dove giunge all'espressione ad esso adeguata, dove distingue in modo chiaro e rigoroso l'"è" della copula, in cui si afferma la validità e la stabilità di una pura relazione, dalle asserzioni su un esserci spaziale e temporale." Ma lo.stesso mito, che come nessun'altra forma sembra radicarsi nel mondo dell'io e immergersi completamente in esso, ci ha fatto conoscere certi motivi, che già indicano chiaramente in un'altra direzione. Nel mezzo del mondo mitico dell'io, nel mondo dei dèmoni personali e degli dèi personali, talvolta ci vengono incontro figure che ci sembrano estranee. Esse non posseggono nulla di quella pienezza di vita individuale, di quella immediatezza concreta, propria delle forme del Pantheon mitico; rispetto • Maggiori approfondimenti in [PhsFJ, J.pp. 286 sgg. [GW, 11, pp. 293
sgg.; DA, I, pp. 293 sgg.; FFS, I, pp. 346 sgg.].
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ad esse appaiono come formazioni stranamente astratte, senza corpo e sangue. Nella totalità del "senso" mitico esse hanno un significato e una funzione del tutto determinati. Appaiono come figure che amministrano e mettono in atto una potenza del destino, che incombe sull'intera accidentalità del volere personale e dell'agire personale ed è concepita libera da ogni arbitrarietà individuale. Non agiscono più, ma, piuttosto, misurano: e le misure che utilizzano non sono mutevoli nel tempo, ma sono ordinate e prescritte da tempi remoti In tal senso nel mondo greco la potenza della Moira sovra.sta tutto l'essere e l'agire degli dèi. Ma la grecità non ha creato la figura della Moira.; l'ha solo espressa. Qui abbiamo un tratto comune alla storia della religione di quasi tutti i popoli, un tratto veramente tipico. Dappertutto incontriamo la concezione fondament~le secondo la quale la totalità dell'accadere temporale sottostà a un potere che non appartiene più a questo accadere, che non è più determinabile attraverso di esso. L'ordinamento secondo il quale il tempo scorre via e secondo il quale a tutto ciò che è e diviene in esso appartiene un determinato lasso di tempo, una delimitata durata della vita, non è visto come qualcosa che diviene, ma come qualcosa che è, come qualcosa di non-temporale, di eterno. Nella sfera di pensiero religiosa cinese incontriamo questa intuizione nella nozione del Tao, in quella indiana nella nozione di Rita, nelli\vesta in quella dell'.Asha." In tutte queste nozioni si esprime la credenza che la legge che domina sul tempo, che governa su tutto ciò che va su e giù, che nasce e che muore in esso, non è essa stessa temporale, ma è una potenza sovratemporale e per questo anche sovrapersonale. In tal modo già a questo livello, dove ci muoviamo ancora nella sfera fondamentale del pensare e del rappresentare mitico, alla coscienza si rivela un primo presentimento che la legge del divenire e del trapassare a cui sottostà tutta la vita non può • Più specifici riferimenti in [PhsF], n, Parte 2a, cap. n, in particolare pp. 141 sgg. [GW, 12, pp. 131 sgg.; DA, II, pp. 137 sgg.; FFS. n. pp. 160 sgg.].
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più assolutamente essere concepita come appartenente alla sfera della vita e alla sfera del singolo essere. Nella costruzione della coscienza mitica resta una tensione, una contraddizione latente: l'immagine dell'universo mitico, dell'ordine onniabbracciante e onnidoroioante del tempo e del destino, è ottenuta attraverso una specie di allentamento e di dissoluzione della categoria mitica dell'individualità. Questa contrapposizione continua e si acutizza non appena la concezione mitica del mondo si eleva a concezione religioea del mondo. Infatti, in quest'ultima entrambi i motivi contrapposti hanno conseguito una forza e una profondità del tutto nuova. La concezione dell'individualità solo ora sembra pervenire alla sua vera determinatezza e chiarezm: si è· compiuto il passaggio dal sentimento mitico dell'io al sentimento disé e alla coscienza di sé. Ma, d'altra parte, sempre di nuovo viene in luce che il pensiero religioso non può trovare il suo deimitivo compimento, la sua completa e adeguata espressione in questa sfera che esso stesso crea e costituisce. Infatti, ogni individualità sembra allo stesso tempo significare limitazione: omniB determinatio est negatio.61 Vediamo racchiusa in questa contraddizione l'intera storia del "teismo" filosofico, vediamo come esso lotti sempre di nuovo con il compito di fissare la pe1'80nalità. di Dio senza legare il divino alla sfera del imito, dell'esistenza limitata. È in primo luogo l'idealismo filosofico a trarre da questa dialettica· l'ultima decisiva conseguenza. Rinuncia a costringere l'ordine intelligibile, che esso concepisce come il divino, nella forma dell'esistenza individuale o della personalità individuale. Può compiere definitivamente questa rinuncia poiché per esso la relazione di valore tra "essere" e "senso" si è capovolta, poiché non fonda il senso sull'essere, ma l'essere sul senso. Nel modo più rigoroso e chiaro questa inversione e le sue conseguenze speculative si evidenziano nella filosofia della religione di Fichte. Essa vuole preservare la "realtà", il purosignincato del divino nel suo senso, distinguendo in linea di principio questo significato da tutte le specie e le forme dell'esistenza, della realtà empirica. In essa Dio non è il creatore del-
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l'ordine intelligibile; egli è questo stesso ordine, in quanto è concepito non come ordine finito, ma come ordine del compimento, come ordo ordinans, non come ordo ordinatus.62 Il senso del compimento di questo ordine non discende da un essere assoluto, non è da questo prodotto e posto; piuttosto, esso è ciò che è veramente originario, ciò che fonda l'essere. Ma con questa radicale conclusione, con questo primato della categoria del significato sulla cat.egoria dellesisten.za, formulato da Fichte come principio trascendentale e fondamento della sua filosofia della religione, siamo ormai di nuovo di fronte alla stessa svolta che abbiamo visto prodursi prima in un campo del tutto differente e in una connessione di problemi del tutto diversa. Ora ci viene richiesto lo stesso passaggio, viene richiesto che, per cogliere un determinato "senso" spirituale, ci consegna.mo esclusivamente a esso, invece di avvolgerlo nelle immagini che prendiamo dalla realtà sensibilmente data e di raffigurarlo con esse. Anche qui si tratta perciò di lasciare tutte le abitudini mentali di un pensiero semplicemente "analogico", "schemat:izmnte", per entrare nella sfera del puro pensiero del significato. E con ciò è divenuto necessario un ulteriore sacrificio: ora dobbiamo rinunciare, come prima alla cosa sostanziale, al sostanziale della "persona". La dottrina della religione di Fichte contrappone radicalmente ai suoi avversari questo decisivo postulato del met,odo." Ma si capisce subito che contro l'applicazione di questo metodo si elevano sempre nuove e sempre maggiori resistenze. Infatti, ciò che qui si pretende dal pensiero, • Cfr. per esempio, l'appello al pubblico di Fichte contro l'accusa di ateismo: "lo dico che il concetto di Dio come di una. 808tanza particola.re, è un concetto impossibile e contraddittorio(... ). Io dico che la prova dell'esistenza di Dio dall'esistenza di un mondo sensibile è impossibile e contraddittoria. Io quindi nego un Dio sostanziale, deducibile dal mondo sensibile. Per il fatto che io nego questo, divento per essi ( ...) negatore di Dio in generale. Quindi, ciò che affermo per essi non è niente, assolutamente niente: per essi non si dà in generale nient'altro che il sostanziale e il sensibile. quindi anche soltanto un Dio sostanziale e deducibile dal mondo sensibile" ([J.G. Fichte. Appellation an dos Publicum. in] Sammtliche Werke. [cit.J, 5, pp. 216 sgg.).
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sulle prime sembra. essere niente di meno che la. rinuncia a ogni fermo sostegno sulla "realtà,. delle cose, come a quella del soggetto individuale. Ma, in quartto cerca di adempiere a. questa richiesta, ad esso rimane ancora. un'altra. specie di essere che non sia il suo stesso essere, l'essere delle sue proprie "astrazioni"? Non si vede ora rinchiuso come in uno spazio vuoto, nello spazio della "pura validità". della. "verità. in sé", dal quale per esso non si dà più nessuna. via di ritorno alla pienezza e all'immediatezza della vita? Da. questo dilemma sembra che per il pensiero alla fine si dia solo una via d'uscita. Esso non può arrestare l'ascesa dal particolare all'universale, il progresso dalla percezione e dall'intuizione sensibile alla sfera. del puro "significato"; ma non sembra nemmeno poter rinunciare a vedere l'universale nell'immagine del particolare. Così qui deve cercare una direzione intermedia, nella quale poter sperare di riuscire almeno a stabilire la rel.azi.one con entrambi i poli contrapposti, sebbene non possa assolutamente fonderli in un'unità.. Abbiamo precedentemente visto in quale modo questo acca.da. nell'ambito dell'intuizione della cosa. Invece di staccarsi dal suo principi.o, dalla. categoria della cosa in generale, il pensiero, piuttosto, muta soltanto la qualità, la natura delle cose. Attribuisce ad esse nuove proprietà, che la percezione immediata non contiene e non presenta, ma non tocca il nucleo dello stesso mondo delle cose. E questa via d'uscita è ancora più vicina, deve apparire ancor più come la sola possibile e praticabile, se, invece della costruzione del mondo delle cose, si tratta della configurazione del ~ondo interno, "spirituale". Anche qui naufraga ogni tentativo di voler spiegare le forme dello "spirito oggettivo" a partire dai semplici dati e mezzi della coscienza individuale. Rispetto ai fenomeni di questa coscienza esse mantengono sempre una propria autonoma. e irriducibile "essenza": come dice Platone dell'idea del Bene, si dimostrano superiori ad essi per dignità e antichità. 63 Ma anche qui sembra possibile conservare il peculiare significato e la dignità di questi fenomeni, senza rimuoverli e alienarli dalla sfera della spiritualità soggettiva. Come il pensiero, a un determinato li-
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vello del processo dell'oggettivazione teoretica, ha dovuto porre C08e di una nuova specie e natura, così ora dovrà esigere una specie di soggetto spirituale diversa da quella che poniamo alla base dei fenomeni individuali della coscienza. E, in tal modo, sembra risolta d'un sol colpo la difficoltà, sembra mitigata l'opposizione tra le richieste dell'individuale e quelle dell'universale. Le pure forme di senso sembrano essere infinitamente superiori ai semplici mondi dell'io dei singoli soggetti - ma questa superiorità non vuol dire nient'altro che in esse si esprime e opera uno spirituale sovraindividuale. Per rendere giustizia al contenuto oggettivo e universalmente valido di queste forme, non dobbiamo spingerle oltre i limiti della vita e del divenire temporale - possiamo, piuttosto, pensarle come appartenenti alla vita stessa e provenienti dalle sue profondità, in quanto ci eleviamo all'intuizione di centri veramente onnicomprensivi e universali della vita. L'opposizione di universale e particolare si risolve e si supera ormai all'interno del livello dello stesso accadere della vita: infatti, alla fine il processo dal quale sorgono le forme organiche, le forme del linguaggio e della religione, della scienza e dell'arte, è uno e medesimo. Questa soluzione sembra così attraente e allettante che è stata sempre di nuovo tentata, da quando esiste in generale un'autonoma "filosofia della cultura". Nella filosofia della cultura è parsa sempre necessaria l'assunzione di unità di vita sovraindividuali, che sembravano offrire l'unico sicuro punto d'appoggio e di sostegno. Le idee fondamentali della filosofia organologica della storia, come si è sviluppata a partire da Vico e come ha definito la su.a propria forma nel Romanticismo, hanno da sempre costituito le autentiche forze vive della filosofia della cultura. Non è dir troppo, se si afferma che in queste idee si ritrova in primo luogo la stessa moderna "filosofia dello spirito", che attraverso tali idee ha delimitato in modo rigoroso il suo ambito problematico. Ma, per quanto altamente possiamo valutare il valore storico della fondamentale visione organologica, non possiamo, d'altra parte, illuderci sul limite sistematico posto ad essa in linea di principio. Questo limite consiste nel
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fatto che anch'essa compie il tentativo di risolvere i problemi del puro "significato" relegandoli al livello dell'accadere e trasformandoli nei problemi dell'accadere. Il "senso", in sé sovratemporale, deve erompere dallo stesso sviluppo temporale, deve nascere da esso. Ma qui si dà solo un'alternativa. O, con Hegel, si deve porre prima il regn9 del senso, il regno dell'"idea" come sussistente in sé, come la vera sostanza dello spirito, che poi emerge nella storia, ma non è in alcun modo costituito attraverso di essa, attraverso i mutamenti e le trasformazioni delle forme del tempo in quanto tali. Oppure, si traspone puramente ogni contenuto spirituale nello stesso processo storico; lo si ricerca nella successione e nel ritmo delle configurazioni storiche. Quindi alla fine questo contenuto è determinato solo attraverso la posizione temporale in cui si trova. Esso appare legato a questa posizione a tal punto che già il semplice tentativo di pensarlo indipendentemente dal suo ambiente storico e dalle condizioni del suo accadere storico si rivela un'impresa contraddittoria. La determinazione individuale, che compete ad ogni accadere in quanto tale, ora deve essere applicata senza limitazione ai puri contenuti di senso. Ciò che essi "sono", non lo sono in un senso universale, sovratemporale, ma solo in un determinato momento e per quel momento. Questo loro presente, questa esistenza in un singolo inconfondibile "ora", non costituisce un limite a cui soggiacciono, ma l'unica forma possibile della loro attualità, del loro essere reali Non si può negare che questa interpretazione sia contenuta già nelle premesse. generali ~lella metafisica organologica della storia. Ma solo all'ultima forma storica di questa metafisica era riservato il compito di trarre da ciò la conclusione metodologica veramente decisiva. La forma dell'organologia che prevaleva nei sistemi romantici non era ancora abbastanza dominata da idee e ideali provenienti da altre sfere di pensiero, da poter percorrere realmente fino alla fine la strada intrapresa.. Solo la filosofia della storia di Spengler ha aggiunto all'edificio dell'organologia la sua vera chiave di volta. L'impronta scettica non è stata introdotta solo da Spengler nella dot-
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trina organologica - ma egli forse per primo ha avuto il pieno coraggio di tale scepsi. Se le pure strutture di senso, come le troviamo nella poesia e nel linguaggio, nella religione o nella conoscenza scientifica, non sono nient'altro che creazioni e prodotti di un determinato spirito di un popolo o di una cultura, allora è assolutamente logico che, come ne sono sorte, periscano con esso. La loro nascita e il loro fiorire, il loro appassire e perire ora significano allo stesso tempo anche l'invecchiamento e la morte di queste strutture: infatti queste, al di fuori del proc8880 in cui si dispiegano, non hanno più alcuna sUBSistenza autonoma e indipendente. Esse "sonon in senso stretto, hanno significato e valore, solo finché si trovano nel fulgore dell'immediato presente storico e finché mantengono questa loro posizione nel sole della realtà storica. Una durata che vada oltre questi Iimit,;i è ad esse negata - e tale deve restare, poiché ogni esistenza organica è legata a una dimensione organica fissa, a un essere qui ed ora. La filosofia del tramonto della cultura. di Spengler è perciò solo il completamento, solo la continuazione e la conversione metodica della filosofia della "nascita della cultura", così come quasi tutta la metafisica organologi.ca l'aveva asserita prima di lui. "Queste civiltà, organismi viventi d'ordine superiore, crescono in una magnifica assenza di fini, come i fiori dei campi. Come le piante e gli animali, esse appartengono alla natura vivente di Goethe e non a quella morta di Newton. Nella storia mondiale io vedo un eterno formarsi e disfarsi, un meraviglioso apparire e scomparire di forme organiche..... Non dobbiamo qui entrare nei dettagli di questa immagine, come viene sviluppata da Spengler: ci limitiamo soltanto a • O. Spengl.er, Untergang de8 Abendlandes [ Umrisse einer Morphologie der Weltgeachichte I, Geetalt und Wirklichkeit, C.H. Beck, Mo.nchen 1923 (19181)) Introduzione [p. 29; ed it., n tramonto dell'Occidente. Lineamenti di una morfologia della &oria mondiale, nuova ed. a cura di R. Calabrese Conte. M. Cottone, F. Jesi (tr. di J. Evola, Longanesi, Milano 1957, riveduta da e a cura di R. Calabrese Conte, M. Cottone), Introduzione di F. Jesi. Longanesi. Milano 1981. p. 41).
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metterne in risalto quei tratti che sono significativi per il nostro proprio problema sistematico, per il problema della formazione simbolica. Spengler sembra aver colto questo problema nella sua vera profondità e in tutta la sua ampiezza: infatti, per lui tutto il linguaggio della cultura e il linguaggio della storia è scritto in simboli. Solo allo sguardo che penetra questi simboli, che coglie dietro di essi l'essenza che vi si manifesta, si dischiude la struttura di senso dell'accadere. Ma, sebbene il concetto di simbolo sembri il vero punto foca.le metodologico della filosofia di Spengler, nel suo sviluppo mette in luce solo un determinato aspetto. solo un momento spirituale fondamentale. Infatti. anche per Spengler l'intera portata della funzione simbolica si risolve nella pura funzione dell'espressione. Il suo caratteristico procedimento, applicato ovunque, consiste nel fatto che egli - per dirlo nella nostra terminologia - trasforma ogni senso della rappresentazione e del significato nel puro senso dell'espressione. Qui si ripresenta in tutta la sua . pregnanza e chiarezza quella. impostazione del problema del simbolo che abbiamo trovato nella dottrina. dell'espressione di Klages." Solo la pura "fisiognomica", non una astratta logica reale, una logica dei fatti ideali, ci schiude il contenuto e ci spiega. il segreto di ogni esistenza storica. Non solo la religione e l'arte, ma anche la conoscenza storica, non solo la musica, ma anche la matematica appaiono costrette in questa sfera, nella totalità delle pure funzioni di annunci.o. Ciò che in esse si rappresenta non sono connessioni strutturali che racchiudono in sé un proprio senso oggetµ.vo e una propria "verità,. oggettiva, ma soltanto stati interni che appartengono non tanto alle singole anime, quanto, piuttosto, alle anime della totalità, alle "anime culturali". Divenendo in tal modo la morfologia della storia del mondo una "simbolica universale", questo significa. allo stesso tempo che ogni pretesa del pensiero di conoscere verità generali e atemporali risulta nulla - infatti, si danno "veritàn solo in rapporto a una particolare umanità. L'unità. e • Cfr. supra pp. [28 sgg.].
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l'unicità. la singolarità, che spetta ad ogni vero fenomeno di espressione, rende caduca la credenza nell'universalità della verità. Se la funzione espressiva è l'unico organo della conoscenza del mondo, non l'unico mezzo attraverso cui l'uomo coglie la realtà, ma, se in essa è anche racchiuso tutto il conosciuto, cosi come ogni "oggetto" della conoscenza, allora il pensiero di una verità che trascenda tale funzione e la sua condizionatezza storica appare come un'illusione vuota e pericolosa, perché destinata a ottundere in noi il senso dell'assoluta particolarità, irripetibilità e irrecuperabilità di ogni momento. Le conclusioni che Spengler trae da qui sono ben note. Non ci sono più scultura. pittura, matematica, fisica, se intendiamo con esse una forma generale di rappresentazione e configurazione, che si fondi su determinati principi generali di configurazione: ci sono solo specie di scultura, di pittura, di matematica, di fisica, distinte l'una dall'altra nella loro essenza profonda e completamente diverse. Ognuna di esse "è" solo in quanto e fino a quando è vivente e colma la durata della sua vita continuamente e necessariamente limitata. La determinatezza che crediamo di cogliere in ognuna non riposa sulla sussistenza di verità "atemporali" e di forme atemporali, ma esprime, piuttosto, solo il carattere fisiognomico di una cultura e di un'epoca. L'oggetto-polo scompare da tutti questi mondi di forme e al suo posto rimane solo l'io-polo, Upolo dell'anima.. Anche ogni specie di matematica che si presenta come sistema scientifico non può essere che il riconoscimento di un'anima. "Quanto è certo che il ime che essa si era proposto appartiene solo a.l1e. superficie della storia, altrettanto è certo che la sua parte inconscia, lo stesso numero e lo stile secondo cui il suo edificio si compie come un conchiuso mondo di forme è espressione dell'essere, del sangue.~ Tralasciamo qui tutte le obiezioni di principio che si potrebbero sollevare dal punto di vista della critica della conoscenza a questa dissoluzione della matematica nella psicologia, dell"'essere" nell'"esistenza". Poniamoci esclusivamente sul terreno della storia e consideriamo il problema soltanto nei termini posti dallo stesso Spengler. Ma, se ci poniamo in tal modo nel-
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lo stesso punto di vista di Spengler. ne risulterà una sorpresa metodologica e un paradosso metodologico. Infatti. l'oggettività teoretica, l'oggettività della conoscenza che sembrava superata, che sembrava essere la chimera di un pensiero astratto e astorico. ora riemerge proprio nel momento in cui si tratta di fondare la filosofia. della storia e la sua specifica "verità". Una tale "verità" non si poteva ma.i ottenere da una visione fisiognomica in quanto tale; infatti. la sua pot.enza e la sua form consistono proprio nel lasciare il cont.enuto che essa tratta al posto in cui lo trova, senza cercare di estrarlo dal suo ambiente storico. di "trasporlo", per cosi dire, in un altro momento. Ma senza quest'atto di trasposizione alla fine viene meno ogni possibilità di "confrontare,. l'uno con l'altro due contenuti separati temporalment.e l'uno dall'altro, o di identificarli l'uno con l'altro secondo il loro puro "significato". Ogni contenuto è ciò che è solo in rapporto a se stesso, non in rapporto a qualcosa di assolutamente diverso, appartenente a un altro tempo e a un altro regno dell'anima. Se la nostra esistenza e il nostro sapere si dissolvono interamente nel flusso eracliteo, allo stesso tempo vale il principio eracliteo secondo il quale nessuno può calarsi due volte nello stesso fiume, perché vi affluiscono correnti sempre nuove. Ma. anche se ammettessimo che tutta la vita storica non consiste in nient'altro che in questo flusso continuo, questo non varrebbe mai per la conoscenza storica, e ancor meno per la filosofia della storia. Infatti. questa consiste sempre soltanto nel saper f'l.88al'e in se stessa dei punti fermi che le permettano di cogliere nello scorrere delle singole forme un'unità e similarità della forma. Proprio la filosofia della storia di Spengler sta completamente nel segno di questa tendenza ed esigenza metodica; infatti. essa non vuole essere nient'altro che dottrina di forme, "morfologia,. della storia del mondo. Ma già nell'assunzione di questo compito ha oltrepassato la semplice dimensione dell'espr-esaione fisiognomica. Nel tema fondamenta.le della morfologia è di nuovo posta e riconosciuta la form, la peculiarità, l'indipendenza del "logos". E ancora di più: qui il logos non solo sembra posto implicitamente, ma ci sta dinanzi in un singolare po-
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tenziamento, in una sorta di accrescimento e di intensificazione. Infatti, la dottrina di Spengler vuole realizzare proprio ciò che tutte le precedenti filosofie della storia non sono riuscite a fare: vuole spingere la conoscenza. delle pure leggi di forma dell'accadere al punto da rendere possibile non solo la visione d'insieme. la sinossi del passato, ma anche la predetermina.zinne del futuro. Questa predeterminazione costituisce il vero fine della trattazione. I .'immagine della storia del mondo si forma solo per chi ha imparato a comprendere la sua "logica" immanente. per chi riconosce il tipico nei destini mutevoli delle culture individuali, il necessario nell'imprevedibile copiosità del casuale. Giungiamo qui al limite della scepsi di Spengler: infatti ora riserva in granòiss:ima misura alla "logica della storia" proprio quella compiutezza., quella incrollabile necessità che egli ha negato alla ·logica della matematica". Niente di particolare, nessuna singola esistenm e nessun accadere individuale può prescindere da essa e dalla sua universalità. Il destino della nostra cultura futura diventa, in riferimento alla forma e alla durata, un evento particolare strettamente limitato e inevitabile, che può essere rivelato dagli esempi precedenti e può essere calcolat.o nei tratti essenziali."' In tal modo nella dottrina di Spengler si evidenziano chiaramente due linee di ricerca del tutto differenti tra loro. L'ideale della "morfologia", nel quale egli stesso vede il compimento dell'ideale della "fisiognomica", si converte, piuttosto, in una non misconoscibile e inconciliabile opposizione ad esso. Infatti, come si può pensare in realtà una fisiognomica che non vuole vedere e interpretare, ma calcolare? Si potrebbe cercare di confutare questa obiezione ricordando che il concetto di "calcolo" che Spengler attnòuisce e riserva alla filosofia della storia è specificamente distinto da tutte le forme di calcolo e di definizione della matematica. Il "numero cronologico" è assolutamente altro dal numero matematico. La legge matematica è il mezzo per conoscere forme morte; il mezzo per comprendere forme viventi è l'analogia. L'analogia scopre il linguag* Cfr. in particolare O. Speng]er,. Unt:ergang de8 Abendlandes, [cit.J, Introduzione,§§ 13 e 14 {pp. 51-58; ed. it. cit. pp. 64-72).
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gio delle forme della storia. Essa mostra che il numero delle forme che si manifestano nel mondo è strettamente limitato. che età, epoche. situazioni, persone si ripetono secondo il tipo. Ma qui di nuovo si solleva la questione: questa ripetizione, ammesso che abbia luogo, potrebbe anche essere compresa e corwsciuta in quanto tale. se ogni regno dell'anima restasse strettamente confinato nei suoi limiti. se si muovesse sempre soltanto nel suo proprio livello di vita, senm innestarsi oltre di esso nel puro medium del "senso" ideale. oggettivo? Una coscienza che consistesse puramente di valori d'espressione. e che non potesse comprendere nient'altro che puri fenomeni d'espressione, sarebbe in fondo altrettanto poco capace di pensare per analogie quanto di pensare per leggi matematiche. Infatti, anche la conoscenza per analogia presuppone alla fine la visione in specifici stati di cose oggettivi e senza di essi perderebbe ogni sostegno e deterrn.inate?2.a. Si può distinguere una forma faustiana e una forma apollinea di matematica, una scienza faustiana e una scienza apollinea della natura e non vedere in entrambe nient'altro che le modalità di espressione dell'anima apollinea e faustiana. Ma questa stessa differenza non può mai essere ottenuta solo dalla dimensione dell'anima, piuttosto emerge solo se ci riferiamo a dimensioni che non provengono più da essa. Una conoscenza che non fosse capace di ricbiarn8l'A alla mente il senso e l$8enza di un principio matematico in quanto tale, in quanto puro senso di giudizio, non avrebbe neanche alcun appiglio per cogliere la differente impronta di questo senso nelle differenti "anime culturali". Dobbiamo sempre cogliere già prima l'idea della matematica come l'idea di una sfera totalmente determinata di proposizinni obiettivamente possibili, dobbiamo, per cosi dire. aver già conosciuto il suo tipo di essere logico, prima di poter mostrare rome questo tipo di essere si muta e si differenzia nel campo del divenire storico. Ogni epoca storica allora può porre in risalto un campo particolare di questa sfera; ma non lo crea, né lo esaurisce, conferisce ad esso la sua attualità e attualizzazione storica, sempre limitata. Alla fine il genus proximum della matematica resta ancora l'unico mezzo per rendere visibili le differenm specifiche tra le singole "matematiche". Ciò che Platone dice in generale dei
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fenomeni, che possono essere conosciuti solo per partecipazione alle idee. si evidenzia con particolare pregna.Dm e chiarezza in tutti i fenomeni spirituali, in tutti i fenomeni della "cultura". Dobbiamo conoscerli secondo il loro tipo ideale e distinguerli l'uno dall'altro. prima di poter cominciare a interpretarli come puri fenomeni di vita e comprenderli in tal senso come tipi organici. Una volta colta l'essenza, l'eido6 di ciò che è matematico, allora possiamo cominciare a ricercarlo nelle sue differenti forme temporali di rappresentazione e malizmzinne, nella t.otalità delle sue manifestazioni storiche - ma ogni eccumulazione di queste manifestazioni non ci sarebbe di alcun aiuto per rinvenire e concepire questa stessa essenza, se non la potessimo già cogliere in modo paradigmatico in un unico caso di J"'lAliz:iazinue. E questo non vale solo per la mat.ematica. ma anche per la scultura o la musica - anche nella ricchezza delle singole opere, delle creazioni che compaiono nel tempo. domina una forma caratteristica del formare medesimo, un principio produttivo della formazione. Non si "spiegano" questi principi e non si perviene a una loro profonda comprensione, concependoli come emergenti dalla unità sovraindividuale di vita della metafisica organologica. Infatti, nel caso migliore, da queste unità di vita si riconquista solo quel contenuro che precedentemente si è introdotto in esse. Bisogna includere già nel concetto di questi soggetti l'intera ricchezza dello spirito "oggettivo" e le differenti direzioni del senso oggettivo, per farli poi risorgere e riemergere da essi come loro apparente opera reale e prodotto: • Nella critica della concezione· •organotogica" concordo soprattutto con Th. Litt. "Divenendo l'ingresso nella struttura esperienziale della realtà sociale per l'io l'occasione per oggettivare la sua vita interiore in forme simboliche" cosi scrive Litt nel senso della fondamentale prospettiva met.odologica qui stabilit.a e sostenuta •a11o stesso tempo esso si inserisce nella sfera di un altro 'monclo', diversamente foggiato e strutturato, nel mondo del •senso•, liberato da tutte le relazioni col 'tempo' e la 'realtà' anch'esso un mondo che come quell'altro conduce l'io irresistibilmente oltre se stesso, trasportandolo continuamente dal singolo e limitato contenuto di senso alle tessiture di senso che si intrecciano con quello ( ...). Una relazione ideale-at.em,porale deve { .••) estendersi soprattutto oltre le asserzioni dei differenti soggetti, là dove la vit.a dell'anima entra in contatto con una formazione simbolica." {Individuum und Gemeinschaft, lGrundlegung der Kidtwphiloeophie, B.G. 'Thubner], Leipzig [ -Berlin], 19242, pp. 180 e 183).
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E ora si può mostrare allo stesso modo con molta chiarezza in che senso la costruzione del mondo specificamente "spirituale" può essere completata solo in quanto il pensiero, a un determinato livello del suo sviluppo, su.pera non solo le categorie della cosa e della cosalità, ma anche le categorie dell'essere "personale". È in primo luogo quest'ultima forma della "trascendenza" che veramente gli dischiude l'ambito dello spirituale. È certo comprensibile che il pensiero si decida solo con grande difficoltà a questo superamento dei limiti e che mantenga solo faticosamente la posizione che ha conseguito. Infatti, oltrepassando la sfera della cosalità, come quella personale, ha lasciato il sicuro fondamento e il terreno dell'esistenza specificamente umana. Nel frammento Prometeo di Goethe, Prometeo, come simbolo dell'umanità., alla domanda: "Quanto è ciò che dici tuo?", dà la risposta: "Tutto ciò ch'è compreso dentro il cerchio della mia attività. E nulla fu.or di esso!".65 Ma il cerchio dellagire umano sembra in effetti essere determinato da entrambi i poli contrapposti dell'"io" e del "mondo" ed esaurito dallo spazio che si estende tra loro. Uuomo non può fare altro che dividere la totalità dell'essere in unità parziali e scomporla in forme di cose e forme dell'io. E come il suo agire, così tutta la sua comprensione concretamente intuitiva del mondo è legata a queste due forme fondamentali e costantemente serrata in esse. D'altra parte, l'uomo non resta fermo in questi limiti immanenti del suo vedere e del suo agire, ma rischia il volo oltre di essi. E, in tal modo, raggiunge un nuovo cielo e una nuova terra, un nuovo "co.smo intelligibile". Sarebbe contraddittorio in se stesso, sarebbe una ricaduta nelle vecchie abitudini del pensiero e dell'intuizione, se volesse di nuovo fissare e descrivere in immagini questo cosmo. Esso può essere concepito solo nei simboli del linguaggio, dell'arte, della religione, della conoscenza teoretica. In tutto il corso della trattazione, di cui siamo giunti alla fine, abbiamo cercato di mostrare questo passaggio - abbiamo cercato di dimostrare come la via della conoscenza umana conduca dalla "rappresentazione" al "significato", dallo schematismo dell'intuizione alla comprensione
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simbolica di una pura struttura di senso e di un ordine di senso. Ma tutti questi ordini, per quanto possiamo pensarli come un assoluto, sussistente in sé, sono in realtà solo "per" l'uomo, in quanto egli partecipa al loro compimento. La sua vita in essi non può consistere in una intuizione passiva, ma è legata al fatto che egli li produce e che in forza di questa produzione nella sua coscienza egli eleva il suo sapere. In quest'atto del divenire cosciente e del rendersi cosciente non domina più quella semplice forza del destino, che domina nel regno del divenire organico, ma qui è raggiunto il regno della libertà. L'autentica e più alta funzione di ogni "forma simbolica" consiste nel fatto che essa contri"buisce, con i suoi mezzi e nella sua propria e peculiare direzione, a questo scopo: al passaggio dal regno della "natura" al regno della "hòertà".
Note del curatore 1. Cfr. J-:W. Goethe, Faust, WA, I. 14, pp. 90 sgg., vv. 1918-26; ed. it., Faust, tr. di V. Errante, in JW. Goethe, Opere, a cura di L. Mazzucchetti, Sansoni, Firenze 1952 sgg., iv. p. 85: •Quindi. v'insegnerao per giorni e giorni, che quanto, prima d'ora, facevate · in piena Ubertà, di un getto solo, (come bere e mangiare. eumpli gratia), deve eseguirsi, invece, col ritmo di tre tempi: uno, due, tre. Il fabbricar pensieri, in verità, somiglia a quanto avviene sul tela.io del tessitore. dove mille fili mette in moto un sol premere di piedi. Scattan su e giù le spole; invisibile, via, corre ogni stame; e una percossa sola intrecci innumerevoli compone". 2. Cfr. Anassagora A45 e Aristotele, Fisica, 203a. 3. Anassagora B8; tr. it. di R. Laurenti, in I presocratici, a cura di G. Giannantoni, Laterza, Roma-Bari 19752, II. p. 605; "Non stanno disgiunte le une dalle altre [le cose} nell'unico ordine di mondo né sono tagliate con la scure, non il caldo dal freddo. non il freddo dal caldo".
4 Eraclito, Fr. B51 [citazione libera]; tr. it. di G. Giannantoni, ibid., I, p. 208: "Non comprendono come. pur discordando in se stesso, è concorde: armonia contrastante, come quella dell'arco e della lira•. 5. G. Simmel, Lebensanschauung. Vier mma.physische Kapitel, cit., p. 7; ed. it. cit., p. 6. 6. lbid., p. 22; ed. it. cit., p. 17. 7. Spinoza, Ethica, l, def. 3 in Opera quotquot reperta sunt, a cura di J. van Vloten e J.P.N. Land, Editio 'Tortia, 4 voll., M. Nìjhoff. Den Haag 1914, 1. p. 37; ed. it., Ethica, tr. di G. Durante, note di G. Gentile. riveduta e ampliata da G. Radetti, Sansoni, Firenze 19842 , p. 5. 8. Platone. Filebo, 26d8.
9. JW. Goethe, Epigramme. "1nedig 1'190, Epigramma 29, in WA, I, 1, p. 314; ed. it., Epigrammi veneziani, tr. di G. Manacorda, in JW. Goethe. 0pe:'. re, cit., II, p. 259.
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10. J-:W. Goethe. Spraclw, in WA, I, 2, p. 256; ed it., Lingua, in "Poesie epigrammatiche", tr. di M. T. Gi.annelli. in J.W. Goethe, Tutte le poegie, ed diretta. da R. Fertonani con la collaborazione di E. Ga.nni. I, 1, Mondadori, Milano 1989, p. 865. 11. Cfr. J)N. Goethe, Eins und AUes, WA, 1, 3, p. 81; ed. it., L'uno e il tutto, in ·Le ultime poesie", tr. di F. Amoroso, in J-:W. Goethe, Opere, cit.. v, p. 925: "E a. ricrea.re il già creato, percM non si corazzi nell'irrigidimento, opera l'eterna.vitale attività".
12. Platone. Fedone, 80h1: tr. it. di M. Valgimigli, in Platone, Opere, La.tena, Roma-Bari 19743, r, p. 133.
13. G.G. Byron. Manfred. A Dramatical lbem, in The Works of Lord Byron, a cura di E. Hartley Coleridge, London 1905, v, p. 85.
14. Nota in margine: "Su questo carattere fondamentale dell"immagine' mitica, cfr. [PhsF] n, pp. (293 sgg.; GW, 12, pp. 279 sgg.; DA, n, pp. 285 sgg.; FFS, II, pp. 331-333]". 15. JW. Goethe. Zur Fbrbenlehre, WA, Il, 1, p. IX; ed it., La t.eoria dei colori, in "Scritti scientifici", tr. di B. Maffi, in JW. Goethe, Opere, cit., v, p. 289.
16. Cfr. F. Schlegel, Idylle aberden MtlBBiggang, in Lucinde. Ein Roman, (1799), Insel, Frankfurt a.M. 1981. 17. Cfr. J)N. Goethe, Parabase, WA, I, 3, p. 84; ed. it., Pambasi, in "Dio e mondo", tr. di M. Specchio, in ;rN. Goethe, Tutte le poem.e, cit., I, 2, Milano 1989, p. 1005: "Ed è l'eterno Uno che in forme molteplici si manifesta: piccolo il Grande e grande il Piccolo, tutto secondo la sua specie; sempre variando, in sé saldo restando, vicino e lontano, lontano e vicino, cosl dando forma, mutando forma per stupire sono qua". 18. Cfr. JW. Goethe, Das GMtliche, WA, 1, 2, p. 84; ed. it., n divino, in "Poesie sparse", tr. di M. Specchio, in JW. Goethe, Tutte le poesie, cit.. ,. 1, Milano 1989, p. 639: "Ma solo l'uomo puO l'imposm"bile: egli distingue,
Note
141
giudica e sceglie; egli può a.ll'attimo dare durata".
19. E. Morieke. A:u.f eine Lampe, in Gedichte, E. Schweizerbart. Stuttgart 1890, p. 113.
20. I. Kant, Kritik der reinen ~rnunft, Prefazione a.Ila 1• ed., KGS, 4, pp. 11-12; ed. it., I. Kant, Critica della ragione pura, a cura di G. Colli, Adelphi. Milano 1976, p. 13.
21. Not,a in margine (a matita): "N.B. pp. 105-151 [del Ms] prese a Berlino il 23. xn. per la conferema su Bergson!". 22. Si tratta di Helmuth Plessner. 23. Cb. Darwin, The Expression of Emotion in Animals, D. Appleton. New York 1873; ed. tedesca: Der Awidruck der Gemathsbewegungen bei dem Menschen und den Tieren, tr. di r,t. Carns, in Ch. Darwin~ gesammelte Werke. 7, E. Schweizerbart, Stuttgart 1877. 24. W. Wundt, Vo.lke,psychologie. Eine Untersuchung der Entwicklungsgesetze 1/00 Sprache, .Mythos und Bitte, 1 vol,. Die Sprache, W. Eogelmann,
Leipzig 19041• 25. F. Schiller. Das Glack, in F. Schiller, &J.mtliche ~ (8akular-Ausgabe in 16 voJL, a cura di E. von der Hellen), I, Gedicht.e 1, introduzione e note di E. von der Hellen, J.G. Cotta, Stuttgart-Berlin 1904. p. 121.
26. ~ Goethe, Allerding& Dem Physiker, WA, I, 3, p. 105; ed. it., Sen:za dubbio (Al fisico). in "Le ultime poesie", tr. di F. Amoroso, in J'Ntl. Goethe, Opere, cit., v. p. 923: "la Natura non ha un nocciolo e una !IC01'Z8, è tutta d'un sol getto". ~- Nota in margine: rinvio a PhsF, I, pp. 254 sgg.; GW, 11. pp. 258 sgg.; pp. 258 sgg.; FFS, 1, pp. 305 sgg.; e a E. Cassirer, Sproohe und Mythos, Ein Beitrag zum Problem der Gotternamen. "Studien der Bibliothek Warburg", VI. pp. 32 sgg.; ora in E. Ca.BBi.rer, Wesen und Wirkung deB Symbol'begriffs, Primus. Darmstadt 1997, pp. 104 sgg.; ed. it., E. Cassirer, Linguaggio e mito. Contributo al problema del nome degli dèi, tr. di V.E. Alfieri, Il Saggiatore, Milano 1968, pp. 61 sgg. DA, I,
28. I. Kant, Kritik der Urteilskraft, KOS. 5, §2, pp. 204-205; ed. it., Critica del giudizi.o, tr. it. di A. Gargiulo, riveduta da V. Verra, Later:za, Bari 1960. pp. 44-46.
142
Sulla metafisica delle forme simboliche
29. Cfr. Aristotele, De anima, r4, 429a 15-16: "ÀnaOÈç OQCl Mavru. ooi.tixòv pars] debet quidem esse impassibilis attamen capax recipiendi formam)", e r4, 429a 27-28: •xaì ei'i fu'! ol À.ÉyOV'teç 'tÌfV $UX1JV dvw. woov abwv (Quapropter recte [faciunt] qui dioant ani.mam esse locum formarum)". l>È 'tOii doouç (Quare [haec animae
30. F. Schiller, Ober die D.Bthetische Erziehung des Menschen in einer Reihe von Briefen (25° lettera), in F. Schiller, Samtliche Werke, cit., XII, Philosophische Schrilten, introduzione e note di O. Walzel, 2" parte, J.G. Cotta Stuttgart-Berlin (senza anno), p. 99; ed it., Lettere sulleducazione estetica dell'uomo, a cura di A. Sbisà, La Nuova Italia, Firenze 1970. p. 95. 31. Cfr. JJN. Goethe. W&ederholte Spiegelungen, WA, I, 42.2., pp. 56-57.
32. Cfr. I. Kant. Kritik der praktischen Vemunft, KGS, 5, p. 92; ed it., Critica della ragion pratica. tr. di F. Capra. riveduta da E. Garin. Laterza, Bari 1963, p. 116. 33. I. Kant. Kritik der Urteilskraft, KGS, 5, § 77, in particolare pp. 407408; ed. it. cit. pp. 280-282. 34. lbid., § 80, p. 419n.; ed. it. cit. pp. 294n.-295n.
35. L Kant. Kritik der rein,m lwnunft, KOS. 3, p. 12; ed. it. cit., p. 24.
36. Not.a in margine: "Su questo punto cfr. [I. Kant,] Kritik der reinen lémanlt, 'Nota all'anfibolia dei concetti di riflessione', [B), pp. 324 sgg. [KGS, 3, pp. 219 sgg.; ed. it. cit., pp. 340 sgg.J". 37. Cfr. PhsF. m. pp. 66-68; GW, 13, pp. 62-63; DA, m, pp. 66-67; FFS, m/1, pp. 74-75.
38. Eraclito 851. Cfr. p. 8 del presente volume e nota 4. 39. J. v. Uexktl1l. Umwelt und Innenwelt der Tiere, cit., p. 151. 40. Cfr. H. Volk.elt, Ober die \brstellungen der Tiere. Ein Beitrag zur Entwicldungspeychologie, W. Engelmann, Leipzig-Berlin 1914, pp. 17 sgg. 41. L. Lévy-Bruhl, Les Fonctions mentales dans le sociétés inferieurs, F. Alcan, Paris 1910, p. 101. 42. T. Vignoli, Mit.o e scienza. Saggio. Fratelli Dumolard. Milano 1879.
43. Cfr. W. Kohler, Zur Psychologie des Schimpansen, "Psychologische Forsahung", 1. 1921, pp. 2-46. 44. Cfr. W. Mannbardt, U.Wd-und Feldkulte, 2 voll., Fratelli Borntraeger, Berlin 1875-1877. 45. Cfr. JJN. Goethe, Faust, WA, I, 14, vv. 146-147; ed. it. cit., p. 11:
Note
143
"chi scandisce il monotono fluire dei sempre stessi eventi e li fa vivere nel palpito del Ritmo?". 46. Cfr. J.W. Goethe, Legende, WA, I, 3, pp. 10-15.
47. J.W. Goethe, Einfache Nachahmung der Natur. Manier, Stl1, WA, I, 47, p.80. 48. J-:W. Goethe, Mcuumen u.nd Renexionen, secondo i Manoscritti del Goethe-Schiller-Archiv, a cura di M. Hecker, Bohlhans Weimar 1907, n. 183, p. 32: ed. it., Massime e rifle88ioni, a cura di S. Giametta, Rizzali, Milano 1992, p. 52. 49. Riferimento al motto dello scultore J.G. Schadow (1764-1850): ·Zeichen ist Weglassen", "disegnare è tralasciare", spesso citato dal pittore Max Liebermann, come ricorda G. Busch nell'Introduzione a M. Liebermann, Die Phantasie in der Malerei. a cura di G. Busch, S. Fiecher, Frankfurt a.M. 1978, pp. 5-21. 50. Cfr. J.W. Goethe, Zur Morphologie, WA, II, 8, p. 37. 51. Cfr. B. Croce, Estetica come scienza deUèspressione e linguistica generale, I. Teoria, n. Storia, R. Band.rom, Milano-Palermo-Napoli 1902; cfr. anche B. Croce, Tesi fondamentali di unéstetica come scienza clell68pl'e8sione e linguistica generale, "Atti dell~ccademia Pontiniana", xxx, Napoli 1900, rist. anastatica, Bibliopolis, Napoli 2002. 52. Cfr. G.W.F. Hegel, Ph4nomenologie des Geistes, in Samtliche Werke, Jubilll.umsausgabe, a cura di H. Glockner, F. Frommann, Stuttgart 1927, u, p. 28 sgg.; ed. it., Fenomenologia dello spirito, 2 voll., tr. di E. De Negri, La Nuova Italia. Firenze 1960, I, p. 20: "Da parte sua la scienza chiede che l'autocoscienza si sia elevata a tale etere. perché questa possa vivere in lei e con lei, e per vivere. Viceversa l'individuo ha il diritto di pretendere che la scienza gli fonùsca almeno la scala che conduce a quella superiore posizione, indicandogliela in lui stesso". 53. Riferimento al titolo dell'opera di J.G. Herder, A.lteste UrkWlde des Menschengeschlechts, I, in Sammtliche Werke, cit., 6, Berlin 1883, pp. 193511; a, in Sammtliche Werke, cit., 7, Berlin 1884, pp. 1-171. 54. J.J. Bachofen, ltalien und der Okzident (Die Sage von 7b.naquil), in Der Mythos van Orient und Occident. Eine Metaphysik der alten Welt, cit., pp. 540 sgg. 55. lbid, p. 578. 56. Cfr. J.W. Goethe, Granzen der Menschheit, WA, I, 2, pp. 81-82; ed. it.,
144
Stilla metafisica delle forme simboliche
Limiti dell'uomo, in "Poesie diverse", tr. di M. Specchio, in J.W. Goethe, Tutte le poesie, cit., I. 1, p. 635: "Giacché oon gli dèi nessun mortale deve provarsi. Se egli si innalza e con il capo sfiora le stelle, allora in nessun luogo poggiano i piedi incerti e con lui giuocano nuvole e venti.
..
(. )
Cosa distingue gli dèi dagli uomini? Che innanzi a loro molte onde scorrono, un fiume eterno: noi l'onda innalza, noi l'onda inghiotte, e sprofondiamo".
57. rw. Goethe, Faust.. n, I, 15.1, p. 70, vv. 6222 sgg.; ed it. cit., p. 278:
·Faust Quale la via? Mefi.swfe"le
Nessuna. Verso l'Inesplorato inesplorabile".
58. Cfr. PhsF, m, parti n-m. 59. Nota in margine: "Non più futeiJ; toiv XEQOiv [Platone, Teeteto, 155 e 5 ], lo spazio della fisica moderna non è così difficile da afferrare, poiché non è più qualcosa che deve essere 'afferrato' con le mani!". 60. J.W. Goethe. Faust, I, 14. p. 57, v. 1115; cfr. ed. it. cit., p. 53, vv. 111115: Faust "Entro il mio petto, albergano due anime. Svincolarsi dall'altra, ognuna brama. Siccome per hbidine amorosa, ooi sensi tutti quanti, una aderisce al mondo, e gli si avvinghia". 61. Spinoza, Epist.ola L, in Opera, cit., 3, p. 173; ed. it., B. Spinoza, Epist.olario, a cura di F. Droetto, Einaudi.. Torino 1951, p. 226.
Note
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62. Cfr. J.G. Fichte, Aus einem Privatschreiben, in Sammtliche 1.¼1rke, a cura di I.H. Fichte, Veit & Comp., Berlin 1845-1846, 5, pp. 381 sgg.
63. Riferimento al concetto della vita migliore espresso nel Filebo 16c-d. 64. O. Spengler, Der Untergang des Abendlandes, cit., p. 137; ed. it. cit., p.163. 65. JW. Goethe, Prometheu.s. Dromatisches Fragment. WA. 1, 39, p. 198; ed. it., Prometeo, in "Frammenti D~ammatici", tr. di O.E. Vellani, in JJ>l. Goethe, Opere, cit., I, pp. 399-400:
"Epimeteo Quanto è ciò che dici tuo? Prometeo Tutto ciò ch'è compreso dentro al cerchio della mia attività! E nulla fuor di esso_. Qual diritto han le stelle su di me, da starmi n in alto a guardare?".
Parte seconda Sui fenomeni di base [Konvolut 184c-c. 1940)
1.
Posizione del problema
Carattere di oggettività ( valore di verità) a) la percezione [-Wahr" nehmung] costruzione dell'esperienza "esterna" fisica etc. - anatura" ~) la funzione dell'"espressione" costruzione dell'esperienza ainterna" mondo dello "spirito" - cultura Come deve essere accertata questa oggettività? Possibili forme dell'accertamento.
« Carattere di oggettività della percezione A) Accertamento logico-(formale) "conclusione", "prova", accertamento sillogistico Difetti di tale accertamento: a) in rapporto all'esperienza "esterna" - percezione. Se non avesse "in sé" un determinato contenuto di verità. non potrebbe prodursi per essa attraverso la prova (sillogisticamente). Infatti la sillogistica (conclusione, prova) non può in generale "creare" alcun contenuto di verità - può solo "trasportarlo", trasferirlo - essa dice che se A è vero, allora anche B e C, ma non dice mai che A è vero; essa consiste di [proposizioni] pu-
150
Sui fenomeni di base
ramente ipotetiche, non assertorie (proposizioni di verità, di realtà); !"'assertorio" deve sempre sopravvenire da un'altra fonte; l'"essere" può solo essere "posto", non ·dimostrato". Tutte le dimo6trozioni sillogistiche che sono sta.te tentate per la "realtà" delle cose si impigliano sempre di nuovo in un circolo Descartes - veracitas Dei. Che cosa consegue da questa rinuncia all'accertamento sillogistico (accertamento mediante prova) per la verità, l'oggettività. la "veridicità" della •percezione"? Dal punto di vista teoretico si presentano diverse possibilità. a) lo scetticismo di principio1 I tropi di Enesidemo - confutazione del valore di verità della percezione sensibile. Velo di Maya - mondo come illusione - "ciò che già i poeti cantano"2 - inganno dei sensi. Carattere di inganno trasfe!ito sul tutto. Scepsi greca - scepsi "problematica" di Descartes: (non credere a nessuna funzione, che possa ing&nnare almeno una volta). Dunque, dal momento che la verità "assoluta" della supposta "percezione" ["Wahr"-Nehm~g 1non può essere mai accertata, ora rimane l'assoluto inganno. Indegnità della fiducia - la "vi.ta un 80f1110" - in linea di principio, sembra che questa visione non possa essere confutata rimane solo una forma di confutazione - non dipende dalla verità "assoluta", ma da quella relativa. Non dall'essere-vero (=essere riproduzione [Abbild] di una verità assoluta), ma dall'essere "più vero": essere espressione della totalità dell'esperienza. Per questa totalità la domanda se essa sia vera o non vera perde il suo significa.to - il predicato vero o non vero non è applicabile alla stessa, poiché questo predicato si applica sempre e soltanto nella relazione alla totalità. Non posso più porre la questione della verità per la totalità dell'esperienza, come non posso più porre la questione del dove per la totalità dell'universo.
Posizione del problema
151
Questa [è] la difesa teoretica dello scetticismo assoluto (cfr. anche Honigswald). Altre critiche (in fondo non sono soluzioni critiche, ma metafisiche). B) La teoria della "conoscenza immediata" La teoria della "conoscenza immediata" è giustificata in ciò che rifi.uta - nel rifiuto della dimostrazione sillogistica come mezzo di accertamento dell'"oggettività" della percezione - è discutibile in quanto si pone in luogo di questa dimostrazione. a) La filosofia del "common sense" nella forma di Reid.3 ogni giudizio universalmente accettato in generale è eo ipso garantito rispetto a ogni dubbio teoretico - la filosofia non può rovesciare il giudizio del "comune intelletto umano" - non può porre nessuna ragione "più alta" al posto dell'universale ragione umana - può solo registrare i giudizi di quest'ultima; appurare ciò che è universalmente creduto o non creduto - ma non ha nessuna possibilità di critica di questi giudizi. Infatti, in che modo potrebbe condurre questa critica - quale organo ha avuto per fare questo - al di fuori dell'"universale" ragione umana? Non c'è nessun organo particolare del pensiero filosofico e della "verità" filosofica - al di fuori del pensiero in generale - non c'è nessuna "critica" della ragione - infatti. come vorremmo criticare la ragione attraverso la ragione medesima? Si tratta solo di stabilire il suo diritto più generale e le sue mire, per essere sicuri della su.è. pretesa di validità. Per quanto riguarda le reali verità fondament.ali, il "qui.cl, facti" e il "quid jurw" coincidono. Altre forme (più moderne) del medesinw punto di vista: u) La teoria della "fiducia in sé della ragione" di Fries nella versione di Nelson.A impossibilità della teoria della conoscenm (giusto, se con ciò si intende solo la confutazione della dimostrazione sillogistica, sbagliato, f!-0 con ciò viene intesa la rela-
Sui fenomeni di base
152
tiva criti.ca della conoscenza - questa non può essere rigettata).
P) La teoria del "Belier' di Rum.e Teoria pragmatica La questione del "quid juri,s", in contrasto con la filosofia del common senee, non viene rifiutata da Rum.e - piuttosto, viene posta in modo più rigoroso. Ma viene dichiarata teoreticamente irrisolvibile. Noi possiamo 80lo "risolverla" praticamente, tagliando il nodo biologicamente, non logicamente - superando tutti gli scrupoli teoretici. Soltanto la "spensieratezm (Hume, cfr. Treatise... ) 5 ci può salvare. La credenza (psicologica) è indimostrabile, ma inevitabile - il suo "quid juris" è assolutamente problematico, ma nulla si può opporre alla superiorità del "quid facti". Questo è il ruolo dell'"immaginazi.one" - di una funzione completamente a-teoretica - nel sistema di Hume. 0
La dottrina della "fede" di Jacobi come versione religiosometafisica della teoria humeana del Belief. I "fondamenti" della nostra "fede nella realtà del mondo esterno" non possono essere fondamenti teoretici, logici - devono essere ricercati in un altro posto. y)
Ma la soluzione psicologica di Hume è solo una soluzione apparente - dà campo libero allo scetticismo, ponendo la domanda sul "quidjuris", ma allo stesso tempo dichiarandola irrisolvibile. Noi possiamo e dobbiamo rispondere a questa domanda - ma questo è possibile solo attraverso il ricorso ad un'altra fonte di certezza - la fonte dell'intuizione religiosa ("Fede" nel senso religioso-intuitivo come fondamento ultimo di certezza, che non può essere raggitmto attraverso il "sapere"). Il "sapere" non giunge mai all'"essere" - possiamo cogliere l'essere solo attraverso la "fede" e ciò vale non solo per l'essere "trascendente", ma anche per l'essere immanente. a) Soluzioni analoghe in Dilthey, Sui fondamenti 6
153
Posizione del problema
Soluzione a-teoretica - come in· Jaoobi - ma. basata su altri fondamenti: volontariBtici - sulle "esperienze della volontà", invece che sulla "fede" religiosa - ampliamento della base dell'"esperienza vissuta". Ma a tutte. queste soluzioni "assolute.. si contrappone la soluzione critica in quanto soluzione "relativa.. - essa non mette in questione la verità della percezione come t.otalità - si interroga sulla posizione di ogni particolare "percezione" nella totalità, nel "contesto dell'esperienza". Questo contesto, il "sistema." non ha bisogno di alcuna "dimostrazione" - è la misura, non il misurato - ma ogni singola percezione deve essere misurata in questa totalità e dimostrata come "vera" o "falsa" - nessuna si può appellare a una certezza "immediata". Le "invarianti" ultime non sono date, devono essere cercate, "fissate". E questa fissazione non è mai assoluta», ma dipende dal progresso della scienza. 0
Le "invarianti" cambiano "da luogo a Iuogo"7 come nella teoria generale della relatività; questo è il senso della ..soggettivazione" - la soggettivazione non può mai riguardare la "totalità dell'esperienza" - resta sempre una "struttura" "invariante" questa stessa struttura non è fissa, ma mobile. Considerazioni analoghe per la funzione deUespressione cfr. A2.B Il "positivismo" del circolo di Vienna vede correttamente che la "realtà" in senso stretto non può essere mai accertata attraverso un procedimento semplicemente formale (attraver~ la "logica" pura, attraverso "dimostrazione" e argomentazione). Il positivismo richiede per sé una base indipendente, su cui costruire ogni (mediata) deduzione - cerca questa base nella "percezione". La percezione è l'unica cosa che ci dischiude la realtà - noi non
154
Sui fenomeni di base
"deduciamo" (in modo logico-formale) da essa la realtà - ma è la percezione che dischiude la realtà; la percezione ci fornisce l'unica apertura (immediata) sulla realtà, che non può [essere] mai raggiunta per via puramente concettuale, logica. In quest.o viene riconosciuta la particolare posizione della "base". Ma nel "fieicalismo" questa base è ottenuta in maniera troppo ristretta. L-espressione" deve sopravvenire come una seconda dimensione - come la chiave per il mondo della "vita", dell"'anima", dello '"spirito". Senza di essa questi tre mondi ci restano per sempre preclusi: dalla semplice percezione (di cose) nessuna via conduce ad essi. La "realtà" del fisicalismo è in bilico sulla punta della semplice percezione [Wahr-NehmungJ - essa non ha nessun "senso" per ciò che si intende per anima, vita, spirito. E il fisicalismo è solo l'ammissione che la semplice percezione obiettivante per tutto ciò "non ha alcun senso". Ma è falso concludere che ciò "sia" realmente senza senso, possiamo solo concludere che dal punto di vista della fisica e dei suoi metodi non è possibile rendere visibile questo senso. Dunque, "Non è precluso il regno degli spiriti. Chiusa è la mente tua. Morto, il tuo cuore".9
p Carattere di oggettività della funzione dell'espressione Anche qui si ripresentano esattamente gli stessi problemi che abbiamo potuto rintracciare nella "percezione" ( costruzione dell'esperienza '"esterna"). A) Preliminari Accettazione acritica, indifferenziata della funzione dell'espressione - esse. è assolutamente espressione della "realtà" - (e certamente della reità '"mitica"). Immagine magico-demonica del mondo (dèi momentanei etc.).
Ciò corrisponde e. quell'immagjne teoretica del mondo, in cui
Posizione del problema
155
non si è inserita. ancora nessuna. "critica del senso" - in cui ancora ogni percetto (in quanto preso per vero) è anche eo ipso "vero". Con la scienza (la fil.osofia greca etc.) si introduce il dubbio su questa "realtà", ed esso conduce fino al suo completo annientamento. Nel pensiero moderno [si danno] due forme di questo annientamento (negazione totale): behaviorismo - fisicalismo. La negazione giunge fino al disconoscimento della questione del senso (Carnap): non si può interrogare sensatamente nessun altro essere che l'essere fisico. La fisica come "linguaggio universale della scienza":10 non si danno altre dimostrazioni scientifiche che quelle accertabili nella forma fisicalistica. (Contro ciò, [può essere] innanzitutto [sqllevata] l'obiezione che la filosofia non ha a che fare solamente con la scienza, ma con tutt,e le forme della "comprensione del mondo" - e che sussiste una distinzione che lo stesso Carnap deve ammettere obiezione del verme11 cfr. funzione dell'espressione - ma risulta in ogni caso una differenza dimostro.bile - dunque, la domanda non è "senza senso".) Anche qui probabilmente sarà come per lo "scetticismo" assoluto della percezione; possiamo certo delimitare criticamente la "verità" [Wahrheit] della percezione [Wahr-Nehmung] (e della funzione dell'espressione), ma non possiamo eliminarla o confutarla scetticamente. Negativamente corretto: non può essere addotta una prova formale-sillogistica della "legittimità" (quidjuris) della funzione dell'espressione. Dal punto di vista 1,ogwo il "solipsismo" è una visione "possibile" e ciononostante è in realtà "assurdo" (Schopenhauer - fortezza - manicomio etc). Che cosa significa questo ..in realtà" rispetto al punto di vista "logico"? Qui [si danno] proprio le stesse alternative che nel caso del problema teoretico (della percezione). (Cfr. A1.)12
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Sui fenomeni di base
I) Teoria della conoscenza immediata Non abbiamo bisogno di dedurre l'"io estraneo" - noi lo esperiamo, lo viviamo •immediatamente". molto più sicuramente e immediatamente dell'essere delle cose. Confutazione delle teorie della deduzione: teoria della "deduzione analogica" etc. Giustamente confutata, per esempio, da Scheler13 - ma salt.o nella metaiJ.sica della Rconoscenza immediata" o nel senso del "common sense" (cfr. Reid) o dell'"intuizionismo" metafisico (questo corrisponde al punto di vista di Jaoobi - in rapporto al problema dell'espressione rappresentato da Scheler e Bergson). Bergson: tutta la realtà è la realtà della "vita", il cosiddetto ·mondo delle cose" (fisica, fisicalismo) [è] solo un'illusione della "scienza"; il conoscere scientifico è necessariamente reificazione. stabUizzazione, rrwrtif'&Ca.Zione della vita. La vita [è] assolutamente reale, ma inconoscibile, solo intuitivamente coglibile. Questa è l'inversione del "f'J.sicalismo". La fisica è illusi.on.e - solo la vita (che si manifesta nella funzione di espressione) è reale, data, vera. La funzione dell'espressione [èJ une donnée immediate de la conscience. Lo stesso per Klages .•. II nostro punto di vista è quello "critico": non falsità (scepsi) } della funzione dell'espressione o verità (metafisica) ma "delimitazione" critica.: delimitazione critica e giustificazione critica della sua incidenza; costruzione del "mondo della cultura".
Come sicuro punto di partenm. rimane sempre il fatto che non può essere contestato da nessuna scepsi scientifica, che il "proprio io" sia dato come fenomeno - e certo come un fenomeno che non è descrivibile in linea di principio "dal punto di vista fisicalistico".
Posizione del problema
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Rispetto a questo fenomeno la fisica come "linguaggio universale della scienza" viene meno - dal punto di vista matematico-fisicalistico, non è possibile descrivere, "deimire" ciò che vuol dire la parola "io". (Questo è già stato visto da Leibniz. La "perception" non è un fenomeno esprimibile in termini fisicalistici - se potessimo girare intorno, come in un mulino...:H Tutta la sua filosofia si basa su questo: ce moi qui dit beaucoup. )15 Le proposizioni "io voglio", "io penso.. sono "sensate" sen:za essere "fisicalistiche". Cfr. su questa irriducibilità dell'"io" (non riducibile a una "cosa visiva") anche le osservazioni di Cohn contro Carnap: pp. 65 sgg.16 Ma un'altra e più difficile domanda è se questo punto d'appoggio, questo ooç µoi. .n:où otro17 è estensibile alla conoscen:za del "proprio" io - se dal punto di vista fisicalistico è posflibile una conoscenza dell'"io estraneo". Qui una risposta sorprendente l'abbiamo da Schr6dinger, le "ipotesi .n:"18 - un tale sapere non solo è possibile, ma è necessario. La fisica come scienza deve incorporare nel suo sistema· generale anche le ipotesi .n: - almeno riconoscerle tacitamente. Senza il presupposto che il "percetto" è "dato" non solo a me, ma anche agli altri, non si va avanti. "Dato" significa sempre dato a un soggetto, "a me" o "a.gli altri". Gia i "data" della fisica. includono anche questo fenomeno fisicalisticamente irriducibile (cfr. Scbrodinger... ) nella funzione dell'espressione. Nell'ipotesi di Scbrodinger c'è almeno quest'unica oosa, che l'io-inizio, sebbene irriducibile fisicalisticamente, non esprimibile nel linguaggio della fisica, non contraddice in nessun modo questo linguaggio - ma che "tacitamente" (cioè inespresso, quindi inesprimibile) entra in esso - si danno, infatti, anche tali "premesse" implicite, non esprimibili. Il fatto che i "data" della fisica sono dati "a qualcuno" è un carattere generale, che aderisce ad essi, quindi un carattere fisicalisticamente iJlsignificante (che si "comprende da sé"), che
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può essere lasciato da parte ("eliminato") in ogni asserzione fisicalistica: ma esso SUBBiste nonostante questa "eliminazione"; non è filosoficamente senza significato, bensì appartiene alla completa descrizione della realtà. Così anche la teoria positivistico-fi.sicalistica della conoscenza parla delle "esperienze" sensibili; ma tali "esperienze" includono sempre il fattore-io, che non è descrivibile in modo puramente fisicalistico, ma è definibile solo come "punto di riferimento" generale (cfr. anche Natorp, Psicologia, 1° ed.!).19
II.
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1. Fenomeni di base (Fenomeno originario) I) Massime di Goethe 391-93 La cosa più alta che abbiamo ricevuto da Dio e dalla natura...20 Qui si ha il tentativo di una costruzione della vita - secondo il modo del suo essere e secondo il modo in cui è conoscibile per noi stessi e per gli altri - secondo il modo del sapere, che possiamo ottenere da essa. Entrambe le questioni si coappartengono internamente, poiché la vita umana è vita cosciente di se stessa - essa non "è" assolutamente, ma "sa di sé" e questo "sapere di sé" è per essa costitutivo, costituisce la sua differenza specifica. Goethe tenta qui una triplice differenziazione di gradi.
[Primo stadio:J La vita ci è data nella forma dell'essere "monad.ioo" - un "essere" che non deve essere compreso come riposante in sé, ma come processo, come movimento - "stream of conscimume88" il flusso di coscienza che scorre continuamente e non si arresta mai, che non conosce né sosta né quiete. Lo dobbiamo prendere come fenomeno originario, senza tentare una sua "spiegazione". Non devo anche accettare (ammettere) me stesso? In quanto resta un segreto - ma non un "mistero" - la mona-
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de è piuttosto segreta-manifesta; dunque, la stessa rivelazione originaria.. Parole originarie, orfiche: .Aaiµwv21 [Secondo stadio:] Il secondo stadio, che Goethe qui distingue, è quello che "si accorge" di sé nella forma del fare - dell'actio e reacti.o. La "vita" della monade non resta un'esistenza chiusa in sé, viene in luce "all'esterno" - si manifesta nell'agire e nel reagire; solo in questa forma dell'agire troviamo la monade in un nuovo senso, cOine illimitata internamente, come limitata esternamente (cfr. Ficthe: l'io delimita. determina se stesso attraverso un non-io). 3,58: E all'impulso illimitato . segue la gioia, la scelta decisa, nell'amore sia il tuo slancio, e l'azione la tua vita.22
Il tendere "monadico" non resta presso se stesso - abbandona il suo movimento centripeto (ego-centrico), il "movimento rotatorio della monade intorno a se stessa"; si volge all'esterno, agli altri - si dà al "mondo" e perciò all'"esteriorità", alla nix,1123 (secondo stadio delle "parole originarie"). Ora l'io, la monade non è più "incondizionata", non è più assoluta e sovrana - "condiziona" se stessa attraverso l'interesse verso gli altri viventi. Al fenomeno originario dell'io subentra il fenomeno originario dell'amore. E dall'amore segue l'azione. (Espresso in modo insufficiente: .la monade, l'io, come "individuo" si volge verso il mondo "sociale". Fenomeno originario etico: l'io riconosce altri esseri "accanto" a sé, "fuori" di sé, non extra, ma praeter nos, e entra in una relazione attiva con essi) cfr. di nuovo Fichte, Dottrina dei costumi.24 In questo rapporto con gli altri. l'uomo ottiene la prima chiarezza 8U 86 stesso.
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Secondo la convinzione fondamentale di Goethe non può mai raggiungerla attraverso la semplice introspezione, l'auto-osservazione. Mai attraverso la conoscenza, ma attraverso l'azione. Cerca di fare il tuo dovere e saprai subito che cosa hai dentro:25 Solo nell'uomo si conosce l'uomo Nessuno mai ravvisa dall'interno il suo intimo (Tasso).26
Terzo stadio: Come diveniamo conoscibili per gli altri? Non attraverso noi stessi, non attraverso ciò che viviamo e siamo, ma solo attraverso l'oggettivazione, attraverso l'"opera" che creiamo. Solo nella nostra opera siamo conoscibili per gli altri - e cioè come azione e atto, come parola e scritto - come :JtQdl;Lç e Jtotl)m.ç (Aristotele), cfr. Btihler sul linguaggio come poiesir1 - ma qui [ha luogo) uno strano capovolgimento. Ecco che l'opera non appartiene più a rwi - essa è il primo stadio dell'"estraniazione"; l'opera è in un suo proprio ordinamento, che ubbidisce a criteri oggettivi. In essa l'io non si può mai più ritrovare completamente - Parla l'anima...28 (cfr. Simmel, la "tragedia" della cultura, il fatto che essa costringe l'io in forme estranee)29 - è percepita come
ost.acol.o. Faust: Le nostre azioni, ahimé, come i dolori. altro non fanno che inna:1zar barriere di contro al corso della nostra vita. 30 L'opera appartiene più al mondo esterno che a noi stessi... E noi non possiamo neppure più conoscerla pienamente. Infatti, l'essere dell'opera, della creazione sopravvive anche al suo creatore - essa è in un certo senso più del suo creatore rispetto ad esso, mantiene sempre una peculiare "trascendenza" - cfr. il Prometeo di Goethe: Lo so, esse sono eterne - poiché esse sono.31 L'opera ha una singolare oùo{a, una forma (Elooç) che persiste
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in quanto duratura: questa.. la sua eternità - e grazie a ciò continua ad agire in una maniera del tutto incommensurabile per l'individuo creatore. per la monade. che agisce in essa. In questo senso è vero il verso: "ciò che tesse. nessun tessitore lo sa";32 qui il "mondo esterno" (che in questo caso è il mondo storico) può "essere compreso meglio di quanto noi possiamo conoscere noi stessi".33 Ciò che "è" l'opera di Platone - non è rinchiuso nella "coscienza" monadica di Platone - poiché si estende oltre i secoli - diventa chiaro solo nella sua totale incidenza e interpretazione. n) La svolta contro i "fenomeni originari" L'irruzione della "riflessione". Nelle sue tre proposizioni (Massime 391-93) Goethe vuole conservare l'attitudine spirituale "naturale" che sente immediatamente vicina a sé come artista. L'arte non ha bisogno di nessuna profondità "metafisica" - anzi, deve proteggersi da questa pretesa 'profondità'; deve stare in guardia dinanzi ad essa, se non vuole perdere se stessa Infatti, l'arte ha a che fare con la "superficie" del fenomeno (Diderot. Saggio sulla pittura);34 in "riflessi colora.ti"35 ha la sua vita (cfr. Goethe e Platone). Goethe vuole mantenere questo punto di vista anche come pensatore: Dell'assoluto: Massima 261. 36 E in tal modo protesta. contro ogni ritorno indietro ai fenomeni originari - contro ogni tentativo di "spiegarli" - dobbiamo lasciarli essere nella loro magnificenza e incomprensibilità. Goethe non è un filosofo sistematico; non vuole svelare e spiegare l'assoluto. Ma ha un incomparabile sentimento per i veri fenomeni originari. che soltanto appaiorw e sono, ma che non si possono ulteriormente spiegare. Così lo possiamo usare come la vera bacchetta da rabdomante37 che conduce al tesoro nascosto dei fenomeni originari! Ed egli si rivolta violentemente contro !'"intelletto mezzano"38
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che continuamente cerca di sventare ciò - che cerca di ridurre l'immediatamente certo a qualcosa d'altro, di assolutamente problematico (fisica, colore!) - che costantemente è all'opera, per mediare l'immediato - ma in questa presunta mediazione e attraverso di essa lo priva del suo senso peculiare e originario. Fbndarsi nei e sui fenomeni originari: è questa l'attitudine che Goethe ci richiede - e in particolare rispetto al fenomeno originario della vita, dell'agire e del fare - vivere e agire (nel senso della nQd~ e della JtOé.l)mç) sono le cose ultime - non possono essere ulteriormente "conosciute" e spiega.te. Noi siamo in esse, ma non possiamo metterci di fronte, né possiamo considerarle dall'esterno o metafisicamente "da sopra". Ma questa attitudine, richiesta e praticata da Goethe in quanto artista, è poSBibile nella totalità della vita spirituale? È possibile un'unità "immediata", senza rotture?
No, piuttosto, la rottura stessa appare come una necessità immanente ("dialettica"). Infatti, anche la funzione "intellettuale" del domandare appartiene alle funzioni originarie ed essenziali dello spirito - a quelle funzioni, nelle quali soltanto esso Ndiviene" se stesso. ciò che "è". Questa funzione è l'inizio di tutta la filosofia (non è solo l'inizio della cosiddetta "metafisica."). Il 8auµa!;i;Lv come inizio della filosofia. La filosofia comincia con la domanda sul 'ti rotL. È l'irruzione del concetto socratico, l'irruzione della riflessione: Socrate dirige l'interrogazione verso l'autocoscienm morale dell'io, della monade e verso la sua XQvoEL), come le cose della natura - piuttosto, è "fatto"; è prodott;o dall'uomo vo!,UP, 0foEL Perciò tutto questo non ha neppure l'essere immutabile delle cose della natura, che sono e restano come sono - "esiste" soltanto "avendo valore", ma ha valore soltanto finché dura lo stesso atto della pomzione (del voµoç o della 0fot.ç) e non viene sorpassato ed eliminato da un altro. Non si dà qualcosa di materiale come una moralità oggettiva la moralità "oggettiva" è per la sofistica una mostruosità logica. una contradictio in adjecto - infatti, costituirebbe la moralità in un cj>uOEt ov (in una cosa fisica), che è e perdura grazie ~ sua propria "natura" - mentre ogni moralità è l'esatto opposto. F.ssa esiste soltanto trasformandosi: infatti, si radica nel voµoç e questo vòµoç diventa un altro e un altro ancora a seconda che l'uomo, che lo pone e per il quale è posto, diventi un altro JtavtCOV XQl]µùoo, 4>urnOm). È qualcosa di "prodotto", creato dalla mano dell'uomo e dallo spirito dell'uomo. E tutto l'e88ere storico può essere visibile solo in queste creazioni, tutta la struttura degli effetti nella storia "esiste" ed è comprensibile per noi solo per il fatto che si manifesta in certe creazioni durevoli. Queste creazioni non hanno bisogno, come quelle delle "arti figurative", di avere un"'esistenza" fisica, di aderire a qualche determinata materia (come la tela, sulla quale appare il dipinto, il legno, il marmo dell'opera d'arte plastica); possono essere anche completamente "immateriali" - come il diritto, lo staro - è essenziale solo che siano in qualche modo "divenute carne" (come il diritto, lo stato sono costume "incarnato"); il fuggevole, il transitorio, il temporaneo deve essere in qualche modo (wmto in esse, deve divenire, nel senso di Hegel, "spirito oggettivo". Questo avviene solo quando il temporaneo si condensa in un determinato sistema di opere - le opere della politica (costituzioni, codici), opere d'arte, di letteratura, di filosofia e di scienza.
E questa sfera dell'opera pone la metafisica di fronte a compiti del tutto mwvi che: 1) non possono essere superati dal lato dell'essere semplicemente monadico (infatti, ogni opera non è in quanto tale quella di un singolo, ma scaturisce da un'interazione, in essa si manifesta un'agire "sociale" - "storia" e "cultura" sono comprensibili solo come fenomeni sociali);
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2) non possono essere compresi pienamente a partire da una metafisica della volontà . . Infatti, tutte queste particolari creazioni non "sono" quello che sono perché volute da esseri coscienti in quanto tali - perché prodotte volontariamente. Certo è sempre evidente la tentazione di interpretarle iri questo modo, di considerarle come "prodotti", formati secondo un determinato "piano", di trovare la spiegazione delle "opere", riconducendole agli atti della volontà. In tal senso, per esempio, il mito riconduce tutte queste opere a "doni dall'alto", che (per esempio, il linguaggio, la scrittura, il diritto, la costituzione statale e così via, ma anche i singoli strumenti e la conoscenza del loro uso) sono stati portati all'uomo da salvatori (Prometeo e il fuoco) o infusi attraverso l'immediata rivelazione divina. La questione dell'"autore" delle "opere" trova dunque risposta dal punto di vista mitico in quanto è proiettata su un sovrarrwndo, su un mondo di dèi, dèmoni, eroi Non appena questo mondo mitico decade, non appena si instaura l'esigenza. di una spiegazione "immanente" delle "opere", delle "creazioni", non appena la spiegazione si limita strettamente alla sfera umana - sembra che non resti altro che ricondurre le opere alle azioni dei singoli, degli individui, i quali si uniscono nella loro produzione. Così sorgono le teorie del contratto nelle loro diverse versioni e applicazioni - applicazioni all'origine del linguaggio, della società, del diritto, dello stato. Questa è la risposta generale dell'Illuminismo, del "razionalismo" classico. La sua debolezza è evidente: le "opere" non si possono concepire come una somma di azioni individuali, non si basano su convenzione, accordo, contratto etc. Così il Romanticismo rigetta in linea di principio la soluzione dell'Illuminismo - sia nelle teorie organologiche, sia nella svolta fondamentalmente differente di Hegel.
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Ma in questo rigetto c'è un tratto comune nel Romanticismo e in Hegel: entrambi esigono una soluzione che oltrepassi la sfera della coscienza individuale e dello "spirito soggettivo", perché solo in tal modo può essere realmente intesa e garantita !'"oggettività." delle "opere". Le opere non possono essere il risultate, della mera "conven"" zione" e del mero "contratto", non possono essere sorte dalla volontà di un singolo o di un'unione meramente esteriore (associazione) di tali volontà, devono avere un altro e più sicuro sostegno. Ma dove trovare questo sostegno? Per trovarlo, il Romanticismo, così come Hegel, deve trasferire la soluzione nel sovraempirico, nel sovrasensibile. Il Romanticismo ricorre di nuovo al mit.o Immagina un mondo di 8J)iriti, al quale appartengono le opere e dal quale devono originariamente derivare. Gli "spiriti dei popoli" nella loro varietà, particolarità e irriducibilità. sono i creatori della poesia. dell'arte, del diritto, dello stato, della morale e così via. Quello che qui viene costruito non è tanto un sovramondo quanto un sottomondo - sono forze "sotterranee" quelle che qui sono all'opera e dalla cui attività. vulcanica si innalzano le montagne delle "opere" umane - le forze della terra, del sottosuolo, le divinità ctonie fanno sì che tutto questo erompa da profondità ignote, da se stesse. Hegel si oppone a questa soluzione, cerca di liberare l'intero processo - in ciò d'accordo con l'"Illuminismo" - dalle tenebre del Romanticismo, cerca di porlo nella chiara luce del sapere, della filosofia, dell"'idea assoluta"; vuole renderlo completamente trasparente, sebbene non concepibile nel senso della mera filosofia dell'intelletto, della f'ùosofia della riflessione. Da qui sorge la sua concezione dell'"idea" come quell'impulso dal cui autosviluppo si producono le opere con immanente e dialettica necessità. Ma sia gli "spiriti dei popoli" del Romanticismo, sia lo "spi-
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rito del mondo" di Hegel sono soggetti alla stessa obiezione. Entrambi non contengono una risposta soddisfacente - in fondo ci restituiscono solo, in una forma differente. la domanda {la domanda sull'"origine" delle "opere"). Non rispondono alla questione, ma la derwminano solo in un modo nuovo. Infatti. gli spiriti dei popoli, lo spirito del mondo etc. risentono dello stesso errore fondamentale di ogni sostanzializzazi.one e ipostatizzazione metafisica. Si presentano come "spiegazioni" - ma la loro spiegazione non consiste in nient'altro che nel riferire i fenomeni che devono spiegare a una mera ignota X, come loro ultimo "supporto". Questo concetto-sostanza si ·dimostra in fondo inadeguato rispetto ai fenomeni spirituali allo stesso modo in cui nelle scienze naturali la "sostanza" si dimostra inadeguata per la conoscenza di particolari fenomeni della natura. Così, dopo il declino della metafisica di Hegel era necessario un nuovo approccio. Ancora una volta si tentò di raggiungere una soluzione puramente immanent,e del problema. Il mondo dell'uomo - così come è conosciuto e si dà empiricamente - doveva essere interrogato e i principi della spiegazione dovevano essere rinvenuti solo in esso, nella storia dell'umanità e nelle sue condizioni di struttura. Questo è il passo decisivo compiuto da Dilthey. Dilthey è l'avversario dichiarato del "razionalismo", dell'Illuminismo, della filosofia della riflessione; rispetto a queste correnti egli mette in rilievo che la storia non si può costruire a partire da concetti astratti, ma che l'unico accesso ad essa è il mondo dell'"esperienza vissuta" nella sua pienezza e multiformità - solo a partire dalla struttura dell'esperienza vissuta si dischiude per noi il mondo della storia - solo da qui si dà un "comprendere" della realtà storica. D'altra parte, questo "comprendere" secondo Dilthey deve essere distinto rigorosamente e in linea di principio da tutti i diversi tipi della spiegazione metafisica. Sono tutti criticati e rigettati - vedi innanzitutto il primo Dilthey, l'Introduzione alle scienze dello spirito.79
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Tutti i tipi procedono a spiegazioni apparenti; nessuno di essi adempie al compito che si era proposto. Dilthey cerca di nuovo di costruire dal fondamento - di presentare dinanzi a noi le strutture storiche in concreto, di analizzarle, di conoscerle nelle loro particolari condizioni, per renderle in tal modo '"comprensibili".
Il passaggio dall'immediata "esperienza vissuta" all'opera, questo è. indicato in breve, il grande tema generale della filosofia della storia di Dilthey. In tal modo, attl"averso questa sintesi e questa correlazione, Dilthey libera in una sola volta il concetto psicologico di '"esperienza vissuta" dalla sua angustia, dalla sua soggettività meramente psicologica, dalla quale nessun accesso conduce al mondo oggettivo della storia come un x.01.voç ì..oyoç (Eraclito)BO - e inoltre mantiene la storia assolutamente nel "fertile 1Jathos dell'esperienza.", cancella e rigetta ogni mera metafimca del concetto della storia. Questo è il punto decisivo in Dilthey: per lui !"'esperienza. vissuta" non è un concetto né psicologico, né metafisico, sebbene il concetto sia riferito alle problematiche.della psicologia e della metafi.sica. Il problema fondamentale di Dilthey è il problema dell'attività creatrice, cioè dell'attività che produce da sé !"'opera", si ripercuote nell'opera, si manifesta, si rivela nell'opera e solo in essa. L'analisi della mera esperienza vissuta soggettiva, nel senso della psicologi.a, come psicologia dell'esperienza. vissuta, non può ma.i essere sufficiente, deve essere integrata dall'analisi strutturale dell'opera, della cosa creata - poiché solo in essa e attraverso la sua mediazione, attraverso il riflesso della cosa creata, la creazione può comprendere se stessa e divenire chiara a se stessa nelle sue direzioni fondamentali. Dilthey cerca di sviluppare questo tema ·innanzitutto nella poesia. Lo interessa in modo assoluto la "personalità" del poeta, solo a partire da essa crede cli "comprendere" l'opera, l'opera poetica (sua caratterizzazione di Goethe, Leasing, Novalis, Ht>lderlin).
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Ma questa forma di ricostruzione a partire dall'"esperienza vissuta" non coglie assolutamente quest'ultima nella sua mera peculiarità psicologica, biografica.L'esperienza vissuta è qualcosa di meramente casuale, accidentale, solamente soggettivo, da cui non è possibile rendere comprensibile l'oggettività e la peculiarità dell'opera - "comprendere" significa, piuttosto, appropriarsi dell'intero proce880 di creazione, che si basa tanto sulle condizioni della personalità quanto sulle condizioni strutturali (teleologiche) della cosa creata, o meglio, della cosa da creare. L'opera d'arte, per esempio, ha una struttura che si può esaminare obiettivamente, che si può chiaramente distinguere dalla struttura di un'opera filosofica, da quella di un'opera scientifica. E all'interno di queste leggi generali di struttura si compie il processo individuale della creazione del singolo grande artista. Noi possiamo immedesimarci in questo processo creativo, possiamo partecipare creativamente ad esso, poiché queste strutture generali ci sono accessibili - noi le possiamo cogliere ancora una volta in concreto nella mediazione, nella rifrazione attraverso il prisma di una grande personalità artistica - "esperienza vissuta" non significa per Dilthey il mero passivo rivivere, significa il creativo convivere. Solo grazie a questa partecipazione creativa si dà per noi il fatto e il fenomeno: "storia" - su di esso si fondano tutte le possibilità del "comprendere" storico. Il comprendere storico significa rendere visibili le forze che si ripercuotono nelle opere della storia, che si addensano in esse. Anche la storia poli.ti.ca secondo Dilthey non procede diversamente. Per comprendere le sue "re8 gestae" dobbiamo immedesimarci nel processo creativo, -da cui originariamente derivano - in tal senso [possiamo] spiegare il diritto romano, l'impero romano solo a partire dalla particolare direzione della romana volontà di potenza e di ordine - non solo in abstracto, ma come si rappresenta concretamente nelle grandi personalità, per esempio in Cesare.
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A questa visione "personalistica" della storia appartengono per esempio le analisi di Gundolf (cfr. Scheler, Concezione filosofica, 46bl)81 che nell'ambito della scienza letteraria moderna ha realizzato nel modo più puro e compiuto il programma diltheyano. A partire da qui si dà una nuova possibilità di comprendere la storia come un intreccio di azioni e opere - o meglio come una correlazione di entrambe, un calarsi delle une nelle altre - le personalità, che vivono, operano e sono, non nei loro atti di vita accidentali, ma nelle loro opere - le opere, i "monumenta", che in quanto tali "testimoniano", danno testimonianza, aere perennius delle personalità creatrici. La testimonianza attraverso il prodotto, ù creato - questo è il tema del comprendere storico, qualunque possa essere questo prodotto, opera (opus) d'arte, di scienza, di politica, di storia della religione e così via. Un definitivo e fondamentale modo di considerazione, diretto a raggiungere una "comprensione" delle "opere" dello spirito e della loro peculiare oggettività, è il metodo introdotto da Kant nella itlosofia. Questo metodo richiede quel capovolgimento, quel cambiamento in linea di principio del punto di vista e di prospettiva, illustrato da Kant con l'esempio della rivoluzi.one copernicana - non parte da un'analisi delle cose, ma mette in questione lo specifico modo di conoscenza, nel quale soltanto le cose ci possono essere "da.te" e attraverso il quale possono divenire accessibili a noi. E questo concetto: "modo di conoscenza" deve essere qui inteso nel senso più ampio: si dà un determinato modo di conoscenza, il modus cognoecendi della conoscenza teoretica, nel quale ci si schiude la legalità della natura, degli oggetti dell'esperienza nello spazio e nel tempo - si dà un modo di conoscema (conoscenza "pratica", ragione pratica) che ci dischiude la legalità della moralità, l'autonomia della volontà, e si dà infine un terzo modo (il modo di conoscenza della "facoltà del giudizio"), che ci rende il campo dell'arte e la sua specifica verità. e
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oggettività trasparente e comprensibile nei suoi principi costitutivi. Tutti questi termini, intelletto, ragione, giudizio, non devono essere intesi nel senso di una. dottrina. psicologica. delle facoltà, ma in senso rigorosamente trascendentale. Non devono essere ·concepiti come "fatti di coscienza", ma devono essere spiegati e richiesti come "condizioni di possibilità" della scienza della natura, della. moralità, dell'arte...
I termini non si possono intendere in nessun modo come "cose" - né come cose dell'esperienza esterna.. né come cose dell'esperienza interna, né come cose del "mondo esterno". né come cose del "mondo interno"; devono sempre essere pensati in questo puro carattere di condizione. La loro validità, la loro oggettiva. dignità non può essere confusa con l'esistenza di un oggetto, sia empirico, sia. sovra.empirico ("trascendentale"). Kant non A.nalizm direttamente l'essere delle cose nel senso dell'ontologia. antica - analizza il fatto di determinate "opere" (l'opera della "scienza matematica" e così via) e si chiede come quest'opera sia "possibile", cioè su qua.li presupposti e principi logici si basi. Questo è un modo completamente diverso da quello della. "psicologia", e anche completamente diverso da.lla psicologia storico-spirituale di Dilthey - ma. coincide con esso nel fatto che anche qui sono questioni di struttura che stanno al centro - ma non come in Dilthey strutture particolari, che sono effettivamente realizzate qui ed ora in un determinato punto storico dell'essere e che devono essere comprese in questa particolare realizzazione, ma come forme universali: la forma "della" scienza della natura, la forma dell'arte. E qui si collega l'ultimo modo di mettere in questione la "struttura" delle opere; la problematica della filosofia delle forme simboliche.
F.ssa ritorna all'impostazione "'cPitica" di Kant; ma dà ad essa un
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ambito contenutistico più ampio: tutte le "opere" della cultura devono essere poste in questione con riguardo alle loro condizioni. devono essere presentate nella loro "forma" generale. Questa "forma" può essere rinvenuta solo con l'immergersi nel materiale empirico - e questo non ci è accessibile che nella forma storica - in ciò la nostra analisi concorda con Dilthey.
Ma la storia, dal punto di vista della filosofia delle forme simboliche, è solo il punto di partenza, non il punto d'arrivo - terrninus a quo. non terminus ad quem - stadio di passaggio, non scopo della conoscenza filosofica - la storia del linguaggio, la storia del mito. la storia della religione, la storia dell'arte, la storia della sciell7.à: tutte formano la "materia" della filosofia delle forme simboliche, e senza questa materia, di cui è debitrice alle scienze particolari, essa non potrebbe fare un solo passo avanti - ma ora la filosofia delle forme simboliche compie la sua svolta nel generale - che non la conduce né a generalità psicologiche (fondamentali forze dell'"anima") né a generalità met.afi.siche ("fenomenologia dello spirito"· nel senso hegeliano come presentazione degli stadi dialettici del suo sviluppo e del suo autodispiegamento), ma la conduce a una interpretazione generale "del" linguaggio in generale - della sua "forma interna", del mito in generale, della conoscenza della natura, della matematica in generale. Ciò non è una mera astrazione, che in quanto tale rimarrebbe un "flatus vocis", è piuttosto una vera costituzrone. (Il fatto che porre la questione in t.al senso sia assolutamente giustificato ora è riconosciuto e approvato anche dal punto di vista della ricerca psicologica - ne è la prova più importante la teoria del linguaggio di Bo.hler.) La filosofia delle forme simboliche afferma che in tal modo si apre il vero aoceB80 alla sfera delle "opere". Ora non abbiamo più bisogno di spiegare le "opere" come qualcosa di "ultraterreno" (Hegel) o di "sotterraneo" (Romanticismo, spirito del popolo) - né abbiamo bisogno di ricondurle immediatamente alle personalità creatrici, per interpretarle e "comprenderle" a partire da esse.
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Questa forma del comprendere non può essere considerata come non necessaria - ma deve essere preceduta da un'altra comprensione generale, una conoscenza del 'ti Èo'tL (dell'"eidos" o "telos") del linguaggio, dell'arte, sempre come specifiche, ma in tale specificità assolutamente universali e originali (poiché originarie), forme della donazione di senso.
5. Fenomeni di base (Teoria della conoscenza) La diversa dimensione dei fenomeni di base fa valere i suoi diritti in particolare nella costruzione della teoria della conoscenza.; infatti, all'interno di ogni dimensione il problema della conoscenza assume una diversa forma e un diverso "senso" cioè una diversa struttura teleologica - di volta in volta è inteso con "conoscenza" qualcosa d'altro, poiché con essa è "pensato", è voluto, qualcosa di dive!so. Le diverse "teorie della conoscenza", che sono sorte nella storia della filosofia, esplicano solo queste diverse "idee" del concetto "conoscenza" - la teoria della conoscenza in fondo non è altro che un'enneneutica della conoscenza - un'ermeneutica che prende sempre una particolare "direzione" della conoscenza, assumendola come fondazione dell'interpretazione - queste diverse forme dell'interpretazione mettono in risalto sempre un determinato fenomeno di base come centrale, anzi unico - riconducono ad esso la totalità che chiamiamo conoscenza, cercano di costituirla e ridurla analiticamente, determinano le molteplici direzioni fondamentali della teoria della conoscenza. Compito di una dottrina della conoscenza veramente univerBale sarebbe quello di comprendere tutte queste interpretazioni nella loro condizi.onalità - cioè nella loro riferibilità a una determinata classe fonda.mentale di fenomeni di base, come loro "interpretazione di senso", "esegesi" - e di unificarle sinteticamente l'una con l'altra al punto da rendere ugualmente giustizia a tutti gli aspetti della conoscenza della realtà. Ma il corso storico della teoria della conoscenza è sempre stato
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un altro: esso consiste nel definire un aspetto come quello propriamente legittimo, il solo fondante e nell'assegnare poi indirettamente agli altri la loro verità e validità relativa, il loro "qu;,d juris", per riconduzione (riduzione) e derivazione (deduzione). Ma tutto questo produce solo prospettive unilaterali ... Nella presentazione di questo stato di fatto, tuttavia, non dobbiamo lasciarci fuorviare da quegli schemata convenzionali secondo i quali si è soliti caratterizzare le diverse "direzioni,. e "scuole" della teoria della conoscenza. Qui non si tratta delle tradizionali contrapposizioni di realismo e idealismo, di empirismo e razionalismo, ma di una distinzione che si trova molto più in profondità, rispetto alla quale quelle contrapposizioni appaiono categorie meramente superficiali. Categorie come "empirismo" o "razionalismo" si riferiscono alla questione dell'"origine" della conoscenza - non in senso genetico, ma nel senso della "dignità". Dobbiamo cercare r-"origine" della conoscenza e il criterio della sua verità nella "ragione" o nell'"esperienza" pura? È il "senso" o l"'intelletto" il fondamento della certezza e della validità e a quale di essi appartiene la verità "originaria"? A quale modus della conoscenza dobbiamo affidarci se vogliamo penetrare f"mo al primo inizio della certezza? Nella risposta a queste domande si differenziano le varie scuole della teoria della conoscenza.
Ma dalla questione del "modus", e dalle sue diverse qualità di certezza, di evidenza (evidenza "sensibile", evidenx.a logica, matematica) si differenzia ancora la questione della base della conoscenza. Infatti, ognuno dei tre fenomeni di base che abbiamo distinto può essere visto e interpretato in un determinato modus della conoscenza - e da ognuno di questi modi risulta sempre una specifica caratteristi.ca della teoria della conoscenza. Questi due aspetti, la base della conoscenza ( cioè il fenomeno originario, che è posto a fondamento) come la fonte dalla quale sorge e proviene ogni certezza e il modus della conoscenza., nel quale questo fenomeno è "colto" e "interpretato", devono
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essere distinti se vogliamo ottenere una visione sistematica delle possibili forme della "teoria della conoscenza... [La triplice base] Se cominciamo con la determinazione della base della cono-
scenza., conformemente alle nostre precedenti elaborazioni. possiamo partire da una triplice base, che corrisponde sempre a un determinato fenomeno originario: per brevità le chiamiamo base dell'io, base del tu, base dell'Es. A ognuna di esse è associata sempre una determinata, caratteristica forma della conoscenza: la forma dell'"intuizione", dell'"azione", della "contemp1.azione". Questo necessits. innanzitutto di una spiegazione più approfondita. A) {La "prima dimensione":] l'aspetto dell'io; !'"aspetto monadico".
Come si può caratterizzare il sapere che si dà originariamente, che appartiene e corrisponde ad esso? Quale specie di conoscenza è quella che schiude il mondo dell'io come totalità - permettendo di distinguere al suo interno diverse strutture? A ciò si può innanzitutto rispondere negativamente; la specie di conoscenza qui in questione è specificamente diversa da quella che è valida. nelle scienze obiettivanti - sia in quelle dell'esperienza "esterna" sia in quelle dell'esperienza "interna". La conoscenza obiettivante - conoscenza di oggetti - è diretta a "dati di fatto" o "stati di cose", a "matt,erof fact" o "reJations ofideas".
Questi sono i due contenuti fondamentali di questa specie di conoscenza - non possiamo fare nessun passo al di là di essi. (In tutto il suo rigore e la sua pregnanza questo ideale della conoscenza obiettivante è stato stabilito e fissato nell'Enquiry di Hume - ciò che non si può includere in questa cerchia non deve, non può, essere altro che mera finzione e illusione - Does it contain any abstract rea80ning concerning
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quantity or number? No. Does i.t contain any experimental reasoning concerning matter of fact and existence? No. Commit it then to the flames: for it can contain nothing but sophistry and illusion, II, 135 Ess.')82 Una volta che si è preso a fondamento questo criterio di conoscenza. (obiettivante), anche il fenomeno (di base) dell'io è soggetto a.I.lo stesso verdetto: è "sophistry" o "illusion". Infatti, l'io non ci è dato né come fatto (matter of fact), né è dimostrabile per via logica come una "verità generale" (relations of ideas) - non ci è "accessibile" per queste due vie. I "fatti" ci sono accessibili per via induttiva attraverso l'osservazione e la comparazione - devono poter essere provati attraverso "percezioni" (impressioni). Si danno percezioni di determinati contenuti (rosso, duro, acido), ma non si dà una percezione dell'io (cfr. Treatise... ).83 L'io non è dato attraverso una singola percezione, è un mero nome collettivo per un fascio di percezioni, un nome, che non corrisponde a una propria, autonoma realtà. E anche la comparazione induttiva delle percezioni non può renderci accessibile questa realtà - infatti, dove potrebbe trovarsi nella mera somma ciò che non è contenuto in nessuna percezione per sé? Allo stesso modo non si dà una via razionale per puntare all'io; tutti i concetti generali che la metafisica ha coniato dell'"anima", tutta la psicologia "razionale,. con le sue dimostrazioni logiche sulla sostanza dell'anima, sono completamente vuoti, sono semplici nomi. In tal modo il fenomeno dell'io viene negato e dissolto nominalisticamente - a meno che non si riesca a trovare un altro "accesso" all'io diverso da quello che ci è dato nella "induzione" (psicologica) - o nella deduzione e dimostrazione logico-metafisica. Se non si riesce a dimostrare un tale accesso (al di fuori dell'induzione o della deduzione), allora la verità dell'io è perduta e dobbiamo riconoscerlo come un'illusione "sofistica". Ma si dà un tale accesso - ed è quello che sempre è stato de-
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scritto da tutti i filosofi teoretici che hanno costruito la loro dottrina della conoscenza sul fenomeno dell'io. La designazione che hanno scelto per esso suona: "intuizione"; i filosofi teoretici credettero di aver fissato con questo una fonte della conoscenza specificamente correlata all'io che, in un peculiare, imparagonabile modo del vedere, dischiude la nuova, peculiare "forma" ("volto") dell'io. Questo "volto" è primigenio, originario - ma questo originario può essere spiegato, interpretato in diversi modi - in diversi "modi" della conoscenza - per cui ogni modus indica una. determinata "elevazione" della conoscenza, un certo suo "niveau". Cerchiamo innanzitutto di distinguere più da vicino queste "elevazioni", queste differenze di niveau. le une dalle altre. Comune ad esse è il loro éloç µobrou o,;oo, l'io-base, su cui poggiano, che considerano come originariamente ( =intuitivamente) dato - diverso è il "modus di conoscenza." che inte,preta e spiega questa datità originaria, questa intuizione originaria. Distinguiamo qui tre stadi, che si possono designare con i nomi di Bergson, Descartes, Husserl. Tutti loro si richiamano alla fonte della conoscenza dell'intuizione, che per essi è indispensabile come fondamento della certezza. Per Bergson l'intuizione dell'io si fonde con l'intuizione della "vita" o della "durata vissuta", della durée vécue. In questa "durata" è a noi data la forma originaria della vita e quella dell'io. Questa specie di durata è inaccessibile, preclusa in linea di principio alla considerazione obiettivante, la considerazione del concetto scientifico. Questo non coglie la durata, la uccide, e tutta la cosiddetta "scienza" non è nient'altro che un tale irrigidimento, una tale mortificazione della "durata". Dobbiamo liberarci da questa forma della "concettualizzazione" scientifica per ottenere di nuovo una visione dell'io o della vita nel suo significato specifico e nella sua totalità. Questo è il carattere dell'intuizione metafisica rispetto all'"induzione" empirica e alla "deduzione" razionale.
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Le cose stanno diversamente con Descartes: egli scioglie in linea di principio il legame che collega il fenomeno dell'io con il fenomeno della vita. Descartes ottiene il fenomeno dell'io nel puro isolamento, nella netta contrapposizione al fenomeno della vita. "Natura.. e "io.. non possono essere ricondotti a un denominatore comune, si contrappongono in una rigida distinzione metodica come opposti inconciliabili. La "natura" è abbandonata al meccanismo, al matematicismo; ciò che siamo soliti chiamare la "vita" della natura è mera apparenza (gli animali sono "automi", "senz'anima"), il fenomeno della vita si contrae sul fenomeno dell'io e con ciò sul fenomeno del pensiero, della "cogitati.o"; solo nel pensiero e grazie al pensiero cogliamo la nostra "vita", la nostra "esistenza", il nostro '"io": "oogit,o ergo sum". Tuttavia questa proposizione deve essere interpretata in modo da non eliminare, ma esplicare l'originaria intuizione dell'io (la sua "certezza di sé"). Anche per Descartes la pura certezza dell'io è una certezza sui generis - che non si può ricondurre alla certezza di.soorsiva (logica), ma, piuttosto, deve essere "presa a fondamento" di quest'ultima come qualcosa di indipendente. L'io del '"cogù;o.. in Descartes non è dunque trovato e provato attraverso il cogit,o - attraverso un processo logico deduttivo. Descartes ha espressamente respinto questa prova nelle Meditazioni - qui ricorre espressamente all...intuizione". Ma una volta trovata questa intuizione originaria, questa "fonte" di ogni certezza, questo ooç µoi. nou O'tW - allora la deduzione ottiene il suo riconoscimento - possiamo e dobbiamo ricondurre ad essa nella forma di un procedimento dimostrativo razionale ogni altra cosa che reclama la pretesa alla certezza. Ciò che può darci certezza non è !'"intuizione" della vita multiforme, né l'immersione nelle sue molteplici forme. L'intuizione (bergsoniana) ci fornisce nel senso di Descartes nient'altro e niente di più che una mera fantasmagoria - a partire da es-
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sa non si può mai e poi mai ottenere un "sapere deUessere", come lo esige la filosofia. Il "cogito ergo sum", il "mun cogitans", così come il "programma del razionalismo", significa qualcosa di diverso, esso significa, ridotto al suo elemento essenziale: il fenomeno originario dell"'io" - che è accertato e dato attraverso intuizione, come fenomeno "assoluto" - nel modus (nel modo dell'interpretazione) della conoscenza logica (deduttiva, dimostrativa). "Verità", "certezza", ha soltanto ciò in cui penetrano queste due forme (totalmente differenti) della conoscenza - ciò che partecipa nello stesso tempo, JUo'tÉXEt, al fenomeno dell'origine: io, ego cogito e al modo. alle forme. ai modi di deduzione della "cogitatio". Il "cogito" e la "mq.thesis universalis", in quanto poli della filosofia cartesiana - la certezza del "mondo dei corpi" è un fenomeno mediato, bisognoso di "prova" e che ammette la prova... Un'altra via dell'intuizione in HusserL Anch'egli è "razionalista", ma in un senso più azµpio di quello della "mathesi,s universalis" di Descartes. La sua "ratio" abbraccia l'intero ambito di "noesis" e "noema", tutta la molteplicità delle possibili intenzioni di senso, delle possibili "noesi". Ma tutto questo è fondato, in Husserl come in Descartes, nell'intuizione originaria, "trascendentale" dell'io, del "ego cogito". Tutta la realtà delle cose viene rimossa attraverso la riduzione fenomenologica, l'btoxti, "messa tra parentesi", schermata; rimane soltanto la realtà del flusso di coscienza, del "puro io", a cui è riferito e in cui è "fondato". tutto il cosiddetto essere, tutta. la verità. Maggiori approfondimenti su questo punto in particolare nelle Méditations Cartésiennes di HusserL84 Questo punto di vista husserliano [è] la più conseguente esposizione del puro aspetto dell'io, dell'"idealismo trascendentale" nella filosofia. moderna.
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In questa caratterizzazione della "prospettiva" monadica, tuttavia, non dobbiamo perdere di vista il fatto che nessuna vera dottrina della conoscenza si può limitare a un determinato aspetto. Deve rendere giustizia ai differenti momenti. alle differenti "dimensioni" dell'essere - deve esprimerli e comprenderli in qualche modo. Non nega questi momenti - e non può fare a meno di essi, se vuole adempiere al suo compito - di rendere visibile, accessibile latotalità della conoscenza (dell'"esperienza possibile" nel senso più ampio, che comprende l'esperienza dell'io, del tu, del mondo - che comprende il "mondo sensibile" così come il "mondo sovrasensibile"). Ma la domanda suona cosi: quale sistema di relazioni deve [essereJscelto e dove [è] posto il centro delle coordinate sulle quali è regolata e orientata ogni conoscenza? Che cosa è considerato }'"immediato" (per sé certo,perse rwtum, evidente), che cosa il mediato? Le interpretazioni "monadiche" posseggono questo centro delle coordinate nella "intuizione pura" dell'io, dalla quale ogni altra cosa (il "tu", l'"Es") deve essere "dedotta", per raggiungere un'evidenza mediata.
In tal modo si spiega la metodica dei singoli sistemi di teoria della conoscenza che rappresenta un loro tratto veramente universale - una vera forma di struttura, che si estende al di là di tutte le ancora cosi grandi differenze "materiali". Consideriamo per esempio le tre teorie "monadiche" della conoscenza di Bergson, Desca.rtes, Husserl Esse sono completamente diverse per il loro contenuto e le loro conclusioni; assolutamente divergenti e inconciliabili - per esempio il meccanismo di Descartes e il vitalismo di Bergson, il "realismo" di Bergson confrontato con l'idealismo trascendentale di Husserl e cosi via. Ma nella misura in cui esse elaborano, raggiungono, assicurano il loro centro (!'"intuizione pura" dell'io), seguono una via ben definita, assolutamente coincidente.
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Qual è questa via? Nessuna "teoria della conoscenza,. sussiste da sé e per sé, si collega sempre a un determinato contenuto fattuale del sapere, che presuppone come "dato", questa presupposizione non è assoluta, insopprimibile, ma relativa, provvisoria. È costituita da una particolare riserva, la riserva dell'autocorrezione. La "tecnica" della teoria della conoscenza consiste nel porre un determinato sapere, un insieme di conoscenze, per poi annullarlo ipoteticamente e vedere che cosa segue da questo annullamento; solo in tal modo essa può penetra.re fino al suo "centro", fino al centro delle coordinate, im all'"incondizionata" (cioè insopprimibile) evidenza (al "punto archimedeo"). Que8t,o metodo è, come si dimostra nella prossima considerazione, comune a tutte le teorie della conoscenza di un determinato tipo - a dispetto di tutte le divergenze del risultato, che deriva dal materiale di partenza. Questo si può vedere chiaramente nell'opposizione Descartes-Bergson-Husserl; essi mirano allo stesso punto (l"'intenzione" pura dell'io) ma lo raggiungono per vie del tutto diverse. Innanzitutto è comune ad essi la caratteristica forma del "prescindere da" - che è qualcosa di completamente diverso dalla corrente "astrazione" - infatti, consiste, piuttosto, in senso positivo, nel guardare a, mirare a, nella caratteristica intenzione, direzione di senso ( vedere = sequi cfr. Bii.hler ),85 nella fissazione di una determinata direzione dello sguardo. Per rendere giustizia a questa intenzione, non dobbiamo tanto domandare da che cosa si prescinde, quanto piuttosto verso cosa è diretto il prescindere, l'intenzione. Per le teorie "monadiche" della conoscenza è essenziale che esse "prescindano" dal "tu" e dall'"Es", non nel senso di dichiararli ontologicamente irreali, non validi, ma nel senso di orientarli, dirigerli verso l'io puro. Ma questo orientamento (direzione-verso) ha innanzitutto il carattere di una vera. esecuzione che "porta alla scomparsa" di altri aspetti che si pretende siano qualcosa di indipendente - un essere "assoluto" o una verità
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"assoluta" al di fuori della relazione con l"'io" (come centro delle coordinate dell'"evidenza"). Questa illusione deve essere dissolta - questo avviene attraverso il caratteristico metodo della riduzione, della messa tra parentesi - che abbraccia anche l'intero materiale di partenza. Un materiale, derivante dai metodi scientifici dell'"induzione" e della "deduzione", deve sempre essere assunto (infatti, da dove altrimenti la teoria della conoscenza dovrebbe ottenere la sua materia), ma questa assunzione non può essere scambiata con un'assolutapresupposizione - piuttosto, l'assoluto della presupposizione è annullato per raggiungere l'Òl>Xll àvuJtOOetoç. 86 Platone è il primo che lo ha concepito come l'essenza della conoscenza filosofica, che proprio per questo egli comprende come conoscenza dialettica (come porre nell'annullare e annullare nel porre). Vediamo questo negli esempi di Bergson, Descartes, Husserl. [I)] Bergson L'elemento più evidente nel progetto della "metafisica" di Bergson è il volere separare rigorosamente e in linea di principio la metafisica dalla scienza; "metafisica" per lui è propriamente: non-scienza - l'opposizione di meta.iisica e "science" è assoluta. Ogni vera evidenza è negata alla scienza - appartiene esclusivamente alla metaf°JSica e alla sua intuizione originaria.
Ma, d'altra parte, la dottrina bergsoniana dell'essere e della vita si poggia su un materiale molto vasto e complesso di induzioni bi.alogiche - la costruzione dell'évolution créatrice, la serie di livelli qui presentata di torpeur, instinct, intelligence e così via - tutto questo non è assolutamente pensabile e comprensibile senza le osservazioni della biologia, delle quali è presupposta la verità, l'esattezza. U"artificio" di Bergson consiste nell'accogli.ere tutto questo materiale biologico e psicologico, ma nello stesso tempo nell'invalidarlo, attribuendogli non un significato ontologico, ma solo un significato simbolico - cioè assumendolo nel senso di
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una mera indicazione, di una indicazione del fenomeno dell'io puro, della du.rée vécue. Il valore assoluto (reale) viene sacrificato - il "fattuale" (i rigidi ..fatti" della scienza psicologica e biologica) diventa per il "metafisico" una "similitudine", un'indicazione e un richiamo dell'intuizione originaria. Solo in questo "dissolvimento" i fatti hanno senso; essi non sono gli scopi ultimi del sapere, ma sono vie per qualcosa d'altro, di nuovo, per un "al di là" della mera "scienza", proprio per l'effettiva. e vera "evidenza". Questo metodo di Bergson emerge molto chiaramente nel suo primo scritto, nei Donnée8 immédiates.87 A partire dall'usuale metodo "induttivo", "scientifico" della psicologia empirica egli vuole raggiungere attraverso una "svolta" ("svolta alla luce" nella caverna platonica) l'autentica, vera dottrina dell'io, la psicologia "meta.fisica" - rendere visibile il fatto origina.rio della vita cosciente, la durée vécue. E questo fatto originario, questa intuizione originaria viene adoperata negli scritti successivi di Bergson come chiave che svela il segreto dell'io: [la] "vita" non può essere "spiegata" at. traverso l'accumulazione e il confronto astrattivo dei fatti "biologici", infatti, il "bios" non si sottomette al "logos", il logos resta per esso una forma assolutamente inadeguata. Non appena appare il logos con le sue "rigide" forme, scompare il carattere peculiare, il "flusso" della vita, ma, all'opposto, a partire dalla pura intuizione della corrente vitale si può comprendere la differenziazione' di tale corrente - si può comprendere come essa si scinda in diverse direzioni, si sviluppi in differenti tipiche forme fondamentali, il cui "sviluppo", tuttavia, rimane sempre una sua creazione (évolution créatrice). n) [Descartes1 Confrontiamo il procedimento di Bergson con il procedimento di Descartes. Innanzitutto [si evidenzia] un contrasto estremo: in Bergson la direzione alla vita, in Descartes l'allontanamento da essa, la completa dis-animazione della realtà; in Bergson la frattura.
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l'insanabile separazione tra "metafisica" e "scienza", in Descartes l'esigenza e l'impulso di trasformare la metafisica in scienza, di elevarl,a al rango della conoscenza scientifica. Il suo fondamento ontologico, la sua giustificazione consiste in questa elevazione. E, tuttavia. c'è fra i due una profonda analogia della metodica che deriva dall'appartenenza allo stesso "tipo", al tipo "monadico... Il materiale della scienza, che Descartes assume e presuppone ( vedi sopra) non appartiene alla sfera della scienza induttiva, ma a quella della scienza deduttiva. La deduzione è l'unico tipo di certezza scientifica - al di fuori di essa non c'è nessuna "verità", nessuna "conoscenza", nessuna certezza. Il "materiale" con cui Descartes incomincia non è preso dalle "scienze dei fatti", ma dalle "scienze dell'ideale" - non consiste nelle "vérités contingent.es", ma nelle "vérités universelles", non negli oggetti sensibili, ma negli oggetti della matematica pura, nell'estensione, nel numero, nella grandezza. Ma ora, rispetto a questi oggetti e alle "verità" universali ad essi associate, si introduce la stessa tipica svolta di ritorno, la stessa riduzione che è destinata non a "invalidarli" - ma a "capovolgerli", a orientarli verso un'altra fonte di luce, l'unica accessibile e adeguata - la fonte di luce del "cogito". In questo consiste e da qui si spiega il metodo del dubbio cartesiano - del "dubbio per divenir certi", della negàzione per avanzare verso una nuova posizione. Descartes pone le verità universali, gli assiomi e i principi della matematica - allo stesso modo in cui Bergson pone i "fatti" induttivi della biologia e della psicologia; egli costruisce deduttivamente proposizioni su una "materia", allo stesso modo in cui Bergson costruisce induttivamente proposizioni su una materia, ma entrambi considerano questa prima posizione soltanto come "trampolino" (bapaOEtç xaì. oQµaç), 88 per giungere al1'