Linguistica testuale. Un'introduzione
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Carocci editore

@ Studi Superiori

Questo manuale introduttivo è indirizzato a un pubblico di studenti universitari, o di studiosi con una minima preparazione linguistica. e ha l'obiettivo di fornire l'apparato terminologico e nozionale di base per un avviamento agli studi di linguistica del testo e del discorso. Il primo capitolo traccia un percorso fra gli ambiti di interesse della disciplina e de:fmisce le proprietà costitutive dell'oggetto "testo", mentre i successivi affrontano altrettanti temi e livelli di analisi testuale: il secondo capitolo si occupa delle espressioni referenziali nei testi e affronta le nozioni di referente testuale, dennitezza, anafora e deissi; il terzo si occupa della distribuzione dell'informazione nel discorso e dennisce le nozioni di focus e topic; i capitoli quarto e quinto sono dedicati alla logica e pragmatica del discorso a partire dalle feconde teorie di Austin e Searle e di Grice; sono quindi dennite le nozioni di atto linguistico, forza illocutiva, la distinzione tra informazione asserita, inferita e presupposta; innne. vengono proposte le fondamentali unità di analisi e nozioni adottate dall'analisi conversazionale. Il testo propone quindi un percorso .. dal prodotto al processo

n.

ovvero dall'oggetto testuale all'agire comunicativo, ripercorrendo l'evoluzione di interessi che è stata propria della ricerca linguistica del campo testuale.

Cecilia Andorno è professore associato di Glottologia e linguistica presso la facoltà di Lettere e filosofia dell'Università di Torino.

€ 21,00

158.36

STUDI SUPERIORI f 664 LINGUISTICA

A Bice

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229

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Cecilia Andorno

Linguistica testuale Un'introduzione

Carocci editore

3" ristampa, aprile 2014 1" edizione Studi Superiori, febbraio 201 r r• edizione Università, 2003 (4 ristampe) © copyright 2003 by Carocci editore S.p.A., Roma Finito di stampare nell'aprile 2014 da Grafiche VD srl, Città di Castello (PG)

Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633) Senza regolare autorizzazione, vietato riprodurre questo volume anche parzialmente e con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche per uso interno o didattico. è

Indice

Premessa

I. r. r . I .2 .

9

Introduzione

I temi della linguistica testuale Che cos'è un testo

r.2.r. Principi costitutivi e principi regolativi l transfrastica e oltre

1.2.2.

Grammatica

2.

Referenti testuali

27

2.I.

Il riferimento lessicale

29

Descrizioni definite l 2.1.2. Riferimento e quantificazione l 2.1.3. Identificabilità e attivazione l 2.r+ Dato e nuovo l 2.1.5. Defi­ nitezza l 2.1.6. Scale di accessibilità 2.1.r.

2.2 .

L'anafora 2.2 .r.

Riferimento e rinvio l 2.2 .2. Istituzione di un referente testuale l 2.2.3. Mezzi linguistici per il rinvio anaforico l 2.2.4. Relazioni fra an­ tecedente e anafora

La deissi Riferimento deittico !2.3.2. Campi indicali e riferimento deitti­ co e anaforico l 2-3·3· Deissi e anafora l 2-3·4· Deissi testuale

2.3.1.

La distribuzione dell 'informazione nel testo

3-I.

Le unit à

minime di an ali si della struttura informativa dell'enunciato

I tre livelli di strutturazione dell'enunciato l 3.1.2 Topic l Topic e status dei referenti l 3-1-4- Tipi di frase sulla base del­ l'articolazione topic-comment l 3-I.5. Focus l 3.1.6. Focus e nuovo l 3-L7- Topic e focus l 3.r.8. Mezzi per l'espressione della struttura informativa 3.1.1. 3-1.3.

7

45

3 .2 .

T opic discorsivo y:z.I. Background e foreground

l 3.2..2.. Un'applicazione all'analisi de­ scrittiva: il modello Quaestio per l'analisi delle varietà di apprendi­ mento

95

Frase, proposizione ed enunciato

105

Atti linguistici

105

Asserzioni, inferenze, presupposizioni

I2I

La conversazione

1 39

La logica della conversazione

J40

L'analisi della conversazione

157

4· r. 1.

Enunciato come azione l 4· 1.2.. La struttura di un atto lingui­ stico l 4·1.3. Indicatori di forza illocutiva l 4·I+ Atti linguistici di­ retti e indiretti

4.2..1. Asserzioni l 4.2..2. Inferenze e conseguenze l 4.2..3. Presupposi­ zioni l 4·2.-4- Asserzioni e struttura informativa l 4.1..5. Conclusione: tipi di inferenza

5·1 .

La teoria del significato NN l 5.1.2. Le massime conversazionali l 5·I.J. Applicazioni l 5·1.4. Problemi del mqdello

5. 1. 1.

5.2 .

Approcci all'analisi delle conversazioni l 5.2.2. La turnazione l 5.2..3. Le mosse conversazionali l 5.2..4. L'interazione asimmetrica: la dominanza e il potere l 5.2..5. La gestione della "faccia" e la cortesia 5.2..I.

5· 3 ·

banco di prova per la linguistica testuale: le parti­ celle discorsive

Un

Bibliografia

8

q6

Premessa

Lo studio dei testi, in origine ambito di competenza della retorica e della critica letteraria, si è progressivamente esteso, in particolar modo a partire dal secolo scorso, a discipline diverse, dalla linguistica alla sociologia alle scienze cognitive. Anche limitandosi al solo settore degli studi di tradizione linguistica, gli approcci possibili per una "linguistica del testo" sono diventati numerosi e variegati, dotati di metodi e finalità diverse. Non è ambizione o obiettivo di questo libro offrire una rassegna del vastissimo panorama di studi dedicati al testo e alla testualità. Suo intento è piuttosto quello di dotare il lettore - studente o studioso competente di linguistica o interessato al linguaggio - di un apparato concettuale e terminologico di linguistica del testo e del discorso, specie di matrice semantica e pragmatica, e di gettare cosi le basi per­ ché questi possa, in seguito, orientarsi e applicarsi con maggior auto­ nomia nello studio su temi e ricerche del settore. È parere dell'au­ trice che il minimo bagaglio nazionale proposto, spesso trascurato dai manuali introduttivi di linguistica, non dovrebbe invece mancare in una formazione linguistica di base, tanto più che la disomogeneità terminologica e di approccio fra studi di diverso orientamento au­ menta le difficoltà di una formazione autonoma. Gli argomenti affrontati hanno come denominatore comune l'o­ biettivo di delineare una "grammatica della competenza testuale", ov­ vero regole e principi su cui sono selezionati, costruiti e interpretati gli enunciati e le sequenze di enunciati di cui un testo si compone. I principi illustrati, soprattutto di matrice semantico-pragmatica, sono direttamente rilevanti per giustificare fenomeni di selezione lessicale o morfosintattica, ovvero aspetti linguistico-formali del testo. È questa correlazione che consente di avvicinare la linguistica del testo ad altri livelli di analisi linguistica, quali la fonologia e la morfosintassi, e anzi costringe a incorporare il livello testuale fra i livelli della competenza comunicativa di un parlante. Tale aspetto della competenza, fra l'al9

LINGUISTICA TESTUALE

tra, si rivela prioritario nell'apprendimento di una prima o una se­ conda lingua, mentre il componente morfosintattico si sviluppa in se­ guito a partire da questo. Privilegiare questo approccio al testo ha comportato la necessità di rinunciare ad esaminarne altri, orientati a uno sguardo più globale al fenomeno testuale, come lo studio delle tipologie testuali o le nuo­ ve teorie retoriche r. Non è stato sviluppato inoltre il filone degli ap­ procci cognitivi all'interpretazione e alla produzione dei testi, filone di indagine probabilmente ora fra i più proficui e innovativi ma che, proprio per i suoi attuali fluidi e "magmatici" sviluppi, non offre fon­ damenta consolidate e universalmente condivise e pertanto poco si presta ad essere esaminato in un manuale che vorrebbe essere "di base" . Il volume segue un percorso " dal testo agli interpreti" che, come si vedrà nel CAP. I, rispecchia anche un progressivo mutamento di attenzione della linguistica testuale nei confronti del proprio oggetto. Il CAP. I definisce l'oggetto "testo" rispetto alle altre unità di ana­ lisi linguistica e giustifica e delimita l'ambito di studi della linguistica testuale. I CAPP. 2 e 3 si occupano principalmente del modo in cui l'infor­ mazione viene codificata nei testi. In particolare, il CAP. 2, attraverso i concetti di referente testuale, anafora e deissi, mostra come in un te· sto si costruisca il riferimento agli oggetti testuali. Il CAP. 3, introdu­ cendo alle fondamentali nozioni di analisi della struttura informativa della frase, si occupa di come l'informazione di volta in volta trasmes­ sa possa essere strutturata in modo da segnalare all'interprete il suo rapporto con l'informazione già presente nel testo e nell'universo di discorso, ovvero nell'insieme di conoscenze e credenze condivise dai parlanti; le unità di analisi individuate sono qui le dicotomie topic­ comment e background-focus. Nei CAPP. 4 e 5 vedremo sempre più chiamata in causa l'intenzio­ nalità del parlante e i suoi obiettivi, secondo la descrizione dell'agire comunicativo offerta da due teorie chiave della pragmatica linguistica: la teoria degli atti linguistici di Austin e le teorie del significato non­ naturale e della logica della conversazione di Grice. Sono illustrate, a partire dalla distinzione fra proposizione ed enunciato, le nozioni di r. Lavoro fondante per questo approccio è Werlich (1975) . Per una rassegna sui lavori italiani cfr. Mortara Garavelli (r988). In Skytte, Sabatini (1999) una raccolta di studi su tipologie di testi in prospettiva comparativa. Alcuni modelli di teorie retori­ che sono presentati in Sinclair, Coulthard (r975); Mann, Thompson (r98 8); Cristea, Ide, Marcu (1999); Kruijff-Korbayovà, Steedman ( 2oor ) .

IO

PREMESSA

atto linguistico, di asserzione e i fenomeni inferenziali classici della presupposizione, dell'implicazione e dell'implicatura. In ultimo si de­ scrivono metodi e risultati dell'analisi conversazionale, che mostra un'attenzione alle dinamiche del discorso in atto e all a gestione del­ l'interazione, allargando le osservazioni dal testo - osservato a partire dalle nozioni di turno e mossa comunicativa - al mondo oltre il testo, ovvero non solo all'universo di discorso costruito (cioè al mondo a cui il testo fa riferimento e che è evocato dal testo), ma al contesto comunicativo in cui la conversazione avviene o il testo è prodotto: i ruoli dei parlanti e del contesto sociale. Qui la linguistica del testo si avvicina alla sociologia e all 'antropologia. È stata posta attenzione a proporre il più possibile esempi tratti da testi reali, orali e scritti, di vario tipo: questa scelta ha lo scopo di mostrare come le " regole" e le nozioni illustrate siano effettive com­ ponenti della competenza comunicativa di ogni parlante, che si mani­ festano nelle scelte linguistiche concrete; una sensazione che non sempre si riesce ad avere di fronte a esempi " costruiti in laboratorio". La scelta di proporre esempi prevalentemente in lingua italiana è le­ gata allo stesso intento di consentire al lettore di verificare personal­ mente il funzionamento della lingua nei testi, attingendo alla propria competenza di parlante nativo e, possibilmente, di stimolare la sua curiosità verso la lingua che ha intorno ogni giorno. Nel congedare questo libro desidero ringraziare per il loro tempo e la loro attenzione le persone che mi hanno aiutato a concepirlo e perfe­ zionarlo: in particolare Bice Mortara Garavelli, Carla Marello e Anna Giacalone, che ne hanno incoraggiato e seguito la nascita e la cre­ scita, contribuendo, con un'accurata e paziente lettura e con osserva­ zioni e suggerimenti preziosi, a migliorarlo sostanzialmente; Michele Prandi si è gentilmente prestato a una lettura in tempi strettissimi di parti del volume, permettendomi di precisare alcuni passi: della sua disponibilità gli sono molto grata. Un grazie anche alle colleghe e ai colleghi del Dipartimento di Linguistica dell'Università di Pavia con i quali il confronto anche occasionale è sempre fonte di stimolo e ri­ flessione; grazie a Barbara Businaro e Michela Biazzi per i suggeri­ menti bibliografici. Grazie infine ad Anna Casalino e alla redazione che ha seguito l'edizione del volume, in particolare Mariacristina Pa­ risi, per la pazienza e la competenza dimostrate. Tengo in ultimo a ricordare le persone che ho avuto vicino nei mesi in cui ho scritto queste pagine e grazie alle quali ho potuto lavo­ rare in un'atmosfera vivace, allegra e affettuosa, piena di comprensio­ ne: oltre ai miei genitori e ai miei fratelli, che hanno sopportato la II

LINGUISTICA TESTUALE

mia latitanza, un grazie ai miei coinquilini e agli amici con cui ho condiviso giornate per sentieri e rifugi di montagna e serate più o meno casalinghe. Grazie agli amici che tramite e-mail o oralmente hanno involontariamente fornito numerosi esempi per questo libro e a quelli che ho un po' trascurato nei momenti più "caldi" del lavoro. In particolare, a Daniele e a Roberto, veri supporters e "angeli cu­ stodi" di questi mesi, per la loro amicizia e la loro discreta e sicura presenza, grazie.

I2

I

Introduzione

I. I I temi della linguistica testuale

La linguistica testuale e, più in generale, gli studi di analisi del testo e del discorso coprono un ambito vastissimo di indagini, intraprese a partire da tradizioni di ricerca diverse, ciascuna con un proprio og­ getto di indagine, propri metodi analitici e apparato terminologico. Schiffrin (199 4 ) individua, all'interno del filone degli studi linguistici, almeno sei diverse tradizioni che si occupano di analisi del discorso e che si ricollegano alla logica e alla pragmatica filosofica (la teoria de­ gli atti linguistici e l'approccio pragmatico griceano) , alla sociolingui­ stica (l'analisi variazionista), alla sociologia (la linguistica interazionale e l'analisi dell a conversazione) , all'antropologia (l'etnografia della co­ municazione). Gli studi relativi al testo hanno del resto una tradizio­ ne molto più antica, risalente alla retorica classica, continuata oggi dal filone degli studi di stilistica e retorica 1 e dagli approcci al testo più propriamente semiotici 2• Infine, non si possono trascurare gli ap­ porti e le suggestioni che provengono alla linguistica testuale da disci­ pline non strettamente interessate al linguaggio in sé e per sé, ma alla comunicazione in quanto forma di comportamento sociale o di attivi­ tà cognitiva: fra queste, la sociologia, l'antropologia, la psicologia, gli studi cognitivi. Ciò che unisce questi diversi ambiti è un comune interesse per "la lingua in atto" , ovvero per l'uso della lingua nelle molteplici forme di " uso" che essa può prevedere, dalla conversazione quotidiana alla r. Per una panoramica sulle radici storiche della linguistica del testo cfr. Holker (2oor) . Per un approccio linguistico alla stilistica cfr. Sornicola (r9 8 8 ) . 2 . Cfr. per questi approcci in Italia Mortara Garavelli (1988) e i lavori della scuola di Segre (1979; 1999).

LINGU ISTICA TESTUALE

scrittura letteraria, dalla comunicazione mediatica ai disturbi del lin­ guaggio. Questo interesse comune ha portato nel tempo ad una mag­ gior comunicazione fra modelli e approcci e quindi ad un maggior confronto fra apparati terminologici e concettuali diversi: l'eteroge­ neità è tuttavia ancora ampia e, d'altronde, un approccio unitario ed esclusivamente linguistico non è probabilmente nemmeno auspicabile, data la complessità intrinseca dell'oggetto di analisi: esiste infatti, fra la lingua intesa come sistema - la langue saussuriana - e le istanze comunicative concrete - i diversi atti di parole -, una differenza qua­ litativa sostanziale data dal fatto che le ultime, ma non la prima, come oggetti comunicativi attualizzati traggono la propria forma non solo dal codice di cui si servono - la langue - , ma anche dal contesto in cui avviene la loro attualizzazione; e tale contesto è un oggetto ex­ tralinguistico complesso , che comprende, fra il resto, delle cooordina­ te spazio-temporali e degli individui dotati di intenzioni, aspettative, conoscenze e collocati all'interno di una cultura specifica. Come os­ servava Maria Elisabeth Conte (1977) in una delle prime raccolte ita­ liane dedicate a queste tematiche, la linguistica testuale, più che indi­ viduare un nuovo e diverso oggetto nel campo degli studi linguistici, inaugura un nuovo e diverso modo di fare linguistica. Soprattutto il legame fra il testo e i suoi interpreti è preso in con­ siderazione dai diversi approcci sopra riportati: del resto, dei «princi­ pi c o stitutivi della testualità» che Beaugr an de e Dressler, in uno dei più noti tentativi di sistematizzazione della disciplina, porrebbero come parametri per la delimitazione e la descrizione dell'oggetto te­ sto , nessuno può essere definito esclusivamente a partire dal sistema linguistico (Beaugrande, Dressler, 1981, p. 45): I nostri concetti di "coesione" e "coerenza" possono rendersi utili nell'esame

dei testi solo se vengono analizzati tenendo presente come si stabiliscono ef­ fettivamente le connessioni e le relazioni fra gli avvenimenti comunicativi. Studiando l'atteggiamento di chi produce il testo ("intenzionalità"), di chi lo riceve ("accettabilità") e della cornice comunicativa ("situazione") si affron­ tano gli aspetti concernenti la pragmatica.

È possibile allora definire unità di analisi e principi che regolano l'e­ spressione linguistica in un testo, collocandosi nell'ambito di una "grammatica testuale", adottando una concezione di grammatica più ampia di quella normalmente intesa. Evidentemente, le regole che si possono individuare a livello testuale non hanno lo stesso statuto del­ le regole che si individuano a livello morfosintattico o fonetico; tutta-

I. INTRODUZIONE

via, l'approccio è legittimo se si guarda a un sistema linguistico non solo da un punto di vista strettamente formale, come a un sistema di unità minime dotate di regole combinatorie, ma anche, tenendo con­ to della sua funzione comunicativa, come a un insieme di opzioni vir­ tualmente disponibili all'utente per esprimere, nei termini di Halli day (1970), determinate funzioni ideazionali, interpersonali e testuali (Halliday, 1 97 0, trad. it. 1975, pp. 17 1-2):

La lingua serve per l'espressione del «contenuto»: vale a dire dell'esperienza che il parlante ha del mondo reale, compreso il mondo interiore della pro­ pria coscienza. Questa si può chiamare funzione ideativa. [ ] La lingua serve a stabilire e a mantenere i rapporti sociali [ . .] funzione che possiamo chia­ mare interpersonale [. . .]. Infine la lingua deve provvedere a stabilire legami con se stessa e con le caratteristiche della situazione in cui è usata. Questa funzione possiamo chiamarla testuale. ...

.

È possibile allora, e necessario a chi voglia descrivere il funzionamen­ to della lingua nell'uso, individuare una grammatica di livello supe­ riore alla morfosintassi, la quale descriva i principi che regolano la scelta fra opzioni alternative per l 'espressione linguistica di oggetti concettuali (Beaugrande, Dressler, 1 9 8 1 , p. 5 0):

Mentre la lingua è un sistema VIRJUALE di selezioni possibili ma non ancora realizzate, il testo rappresenta un sistema AT1UALIZZATO in cui sono state ese­ guite e realizzate certe selezioni possibili per dar forma a una determinata STRUT1URA (una relazione fra elementi) . Questa strutturazione viene ottenuta tramite procedure di AT1UALIZZAZIONE. Tale grammatica è parte della competenza linguistica del parlante

(ibid.) :

Ciò non significa, tuttavia, che l'oggetto precipuo dell'analisi della linguistica testuale debba essere l'esecuzione, così come la intende Chomsky [r 965 ; cfr. la "parole" di Saussure, r 9r6J. Quindi, non interessano tanto i procedimenti specifici per produrre e comprendere la presentazione attuale di un testo, ma piuttosto i principi generali di questi processi o le caratteristiche comuni del­ le enunciazioni testuali individuali, cioè della competenza nell'esecuzione. Una grammatica di questo tipo spiegherà, ad esempio, in base a quali principi un p arlante italiano valuterebbe i seguenti testi come anomali o inaccettabili 3: 3· Negli esempi riportati adottiamo le seguenti convenzioni, poi valide per tutta l'opera. Indichiamo con punti interrogativi iniziali la scarsa accettabilità e appropria-

LINGUISTICA TESTUALE

(r) (2)

? ?? Carlo1 è uscito di casa e luii ha telefonato poco dopo - Quando ti sei accorto di aver perso il portafoglio? ?? -Sono io che me ne sono accorto stamattina

(3)

(in una sala d'attesa a una donna sconosciuta accompagnata da un bambino che strilla) - Può farlo smettere? ? -No n cane abbaiava per il TEMPORALE, non perché avesse visto un malin­ tenzionatoi. ?? Poco dopo questi1 fu sotto le finestre della villa.

(4)

mentre, ad esempio, valuterebbe come perfettamente accettabili i se­ guenti: (.5)

Carlo1 e Monica sono usciti di casa e lui1 ha telefonato poco dopo -So che qualcuno recentemente si è accorto di aver perso il portafoglio -Sono io che me ne sono accorto stamattina ( 7 ) (a un meccanico a cui si sta mostrando ·il rumore fastidioso che produ­ ce il motore dell'auto) - Può farlo smettere? - No (8) n cane abbaiava per il temporale, non perché avesse visto il malinten­ zionatoi. Poco dopo questii fu sotto le finestre della villa .

(6)

Come gli esempi m ost rano , certe frasi o costrutti non sono inaccetta­ bili o agrammaticali di per sé, cioè non sono frasi mal formate dal punto di vista del sistema linguistico, ma sono inappropriate in de­ terminati contesti. Una grammatica della competenza comunicativa dovrà cioè descrivere da un lato la capacità del parlante di seleziona­ re, per un determinato contesto, le opzioni linguistiche appropriate per trasmettere un determinato contenuto comunicativo e dall ' altro la capacità dell'ascoltatore di inviduare, a partire dal contesto, il valore comunicativo dell'opzione linguistica offerta dal parlante.

tezza nel contesto dell'espressione che segue - non si t r atta di un giudizio di agram­ maticalità in senso tradizionale, poiché il giudizio di accettabilità riguarda qui il con­ testo: l'espressione, anche quando perfettamente g ramm aticale , non è adeguata nel contesto. Indichiamo con un numero a pedice il riferimento ad un refe rente testuale (cfr. CAP. 2): nell'esempio, il fatto che le espressioni Carlo e lui abbiano lo stesso nu­ mero a pedice significa che si riferiscono allo stesso referente , cioè una persona di nome Carlo; l ' enunciato è inaccettabile nel senso che nessun ascoltatore di questo enunciato collegherebbe il riferimento di lui a quello di Carlo. Indichi amo con il maiuscoletto l'accento prominente dell ' en unc iato (dr. CAP. 3).

r6

I.

INTRODUZIONE

1,2

Che cos ' è 1.2. r.

un

testo

Principi costitutivi e principi regolativi

Beaugrande e Dressler ( 1 9 8 1 ) individuano sette «principi costitut1v1 della testualità», ovvero sette condizioni che devono essere soddisfat­ te perché un testo abbia un valore comunicativo. Due di esse descri­ vono proprietà del testo: la coesione, ovvero «il modo in cui le com­ ponenti del testo di superficie, ossia le parole che effettivamente udia­ mo o vediamo, sono collegate fra di loro», e la coerenza, che «ri­ guarda le funzioni in base a cui le componenti del mondo testuale, ossia la configurazione di concetti e relazione soggiacente al testo di superficie sono reciprocamente accessibili e rilevanti». Le altre condi­ zioni riguardano il rapporto fra il testo e i suoi interpreti oppure, più in generale, il rapporto fra il testo e le condizioni in cui esso è pro­ dotto: l'intenzionalità «si riferisce all'atteggiamento del producente te­ stuale che vuole formare un testo coesivo e coerente capace di soddi­ sfare le sue intenzioni»; l'accettabilità «concerne l'atteggiamento del ricevente ad attendersi un testo coesivo e coerente che sia utile e rile­ vante»; l'informatività riguarda «la misura in cui gli elementi testuali proposti sono attesi o inattesi oppure noti o ignoti/incerti»; la situa­ zionalità «riguarda quei fattori che rendono un testo rilevante per una situazione comunicativa»; l'intertestualità «concerne quei fattori che fanno dipendere l'utilizzazione di un testo dalla conoscenza di uno o più testi già accettati in precedenza» (ivi, pp. 1 8-26). In ambito italiano, Conte ha fin dal 1 980 discusso la coppia con­ cettuale di coerenza-coesione sottolineando la necessità di un ordina­ mento gerarchico fra i due principi. Innanzitutto, Conte (1980) di­ stingue la coerenza come concetto positivo, che riguarda la presenza in un testo di una globale unità di senso, dalla non contraddittorietà, proprietà negativa, relativa all ' assenza di contraddizione fra le parti di un testo. Nella coerenza così intesa Conte individua un principio so­ vraordinato rispetto agli altri, che costituisce la vera quidditas del te­ sto, ciò che fa di un insieme di enunciati un testo. Le altre proprietà, e in particolare la coesione e la non contraddittorietà, descrivono le qualitas di un testo, ma non ne sono condizioni di esistenza necessa­ rie e sufficienti. In assenza di una qualsiasi delle diverse proprietà in­ dividuate saremo in presenza di testi anomali, malformati, come negli esempi riportati in (r)-(4); in assenza di coerenza, invece, è la stessa qualifica di testo che viene a cadere. La coerenza è dunque principio costitutivo, ciò che e/ficit un testo, mentre le altre proprietà ne sono

LING UISTICA TESTUALE

principi regolativi, riguardanti il modo in cui i testi sono costrUiti. Nel corso di questo volume vedremo frequentemente come le aspet­ tative degli interpreti rispetto alle proprietà tipiche di un testo li in­ ducano a fare congetture sulle informazioni che il testo stesso intende trasmettere. Ad esempio, se una frase di un testo riporta la verità del­ l'informazione a, ci si aspetterà anche - per il principio di non con­ traddittorietà - che non sia valido non-a, indipendentemente dal fatto che questa informazione sia esplicitamente trasmessa dal testo o meno. Ciò significa che gli interpreti di un testo hanno delle attese su come è costruito un testo, e fra queste attese figurano le proprietà suddette (intenzionalità, informatività, accettabilità, situazionalità, non contraddittorietà, coesione). Tuttavia, queste non sono condizioni ne­ cessarie alla testualità, ma ne costituiscono delle qualità eventuali; possono esistere, ad esempio, sequenze di frasi non informative o contraddittorie, che tuttavia conservano lo status di testi, come il noto paradosso: (9)

Pericle, ateniese, dichiarò: «Tutti gli ateniesi

sono

bugiardi».

La coesione, che Conte preferisce scomporre, sulla scia di Hatakeya­ ma, Petofi e Sozer (1988), nelle due nozioni di coesione e connessità, riguarda proprietà intrinseche ad un testo, che scaturiscono dalle scelte contenutistiche e espressive locali. In particolare, la coesione ri­ guarda la presenza fra le parti del testo di relazioni semantiche e te­ matiche: ad esempio, in un testo narrativo, si riscontra coesione nel costante riferimento agli stessi personaggi, a luoghi, a sequenze tem­ porali concatenate. La connessità riguarda invece la presenza fra le parti del testo di relazioni formali di rinvio e connessione (cfr. Conte, 1989): si intende con rinvio un legame che si istituisce fra un'espres­ sione che "rinvia" ad una precedente - ad esempio, un pronome -, mentre le connessioni sono portate in un testo da tutte le espressioni che segnalano in che modo le varie parti sono legate - ad esempio, congiunzioni e avverbi connettivi. Le relazioni di coesione e connessi­ tà presenti in un testo guidano l'attività interpretativa, la ricerca del senso globale, ma non sono né sufficienti né necessarie a produrre la coerenza di un testo. La sola condizione veramente necessaria per poter assegnare lo status di testo a una sequenza di frasi è dunque, nei termini di Conte ( 1989), la coerenza, intesa nel senso precisato sopra di esistenza di una globale unità di senso. Essa non è però una proprietà intrinseca del testo, ovvero non è 18

I.

INTRODUZIONE

intrinsecamente contenuta nelle espressioni che compongono il testo, ma proviene ad esso dall'attività interpretativa del ricevente. Per parafrasare un noto esempio di Conte, la coerenza del testo seguente: (Io)

Elena sa pattinare magnificamente. Simone va al lavoro in bicicletta ogni giorno. E Andrea ha perfino vinto una medaglia alle olimpiadi: tutti i miei figli sono degli sportivi.

è assicurata dalla frase finale, che ne fornisce la chiave interpretativa:

possiamo individuare un elemento di coesione nel legame che unisce espressioni come pattinare, andare in bicicletta, vincere una medaglia alle olimpiadi in una stessa area semantica, quell a dello sport evocato nell'ultima frase. Minimi elementi di connessità, come la congiunzio­ ne e che indica che le prime tre frasi vanno lette come un elenco, e i due punti finali, che fungono da connettivo di tipo esplicativo, com­ pletano il quadro degli indizi forniti al lettore per ricostruire il senso globale 4. Può darsi tuttavia un insieme di frasi coese e connesse ', cui non si può dare però coerenza, ovvero un senso globale. È il caso della seguente filastrocca, che sfrutta sistemi di connessione e coesione per costruire un testo non-sense, che solo apparentemente racconta una storia, ma è in realtà privo di coerenza: (I I)

Loro mi han detto una cosa: l che tu visitasti colei e han fatto il mio nome alla sposa l di lui e allo sposo di lei. Per lei ero un bravo figliolo l pur non sapendo nuotare; ma a lui non andavo a fagiolo l e disse che io ero al mare (Dogdson, Alice nel paese delle meraviglie,

p.

r

q).

Viceversa, un interprete può trovare coerenza in un testo indipenden­ temente dalla presenza di mezzi espliciti che la segnalino. La seguente

4· Un esempio simile era proposto da Conte (1977) come testo privo di relazioni coesive: con la distinzione operata fra relazioni di coesione e di connessità, tuttavia, possiamo descrivere il testo come - quasi - privo di relazioni di connessità, ma dotato almeno dell'elemento coesivo lessicale indicato. 5· Dovremmo forse dire "apparentemente coese", poiché è dubbio che una se­ quenza di frasi che non hanno effettivamente identità di riferimento e di temi possano dirsi coese per il semplice fatto di esibire a livello superficiale forme di coesione e connessione - riferimenti lessicali alle stesse aree semantiche, rimandi anaforici, con­ nettivi (cfr. per la terminologia il CAP. 2).

LINGUISTICA TESTUALE

sequenza di frasi, prive di coesione tematica e di relazioni di connes­ sione: ( r:z)

Carla suona il pianoforte. Gigi fa gli straordinari oggi

può diventare un testo coerente se si forniscono al lettore alcune in­ formazioni contestuali, come il fatto che Carla è la moglie di Gigi, il quale non sopporta il suono del pianoforte, per cui Carla evita di suonare quando il marito è in casa. La presenza di elementi tematici in relazione fra loro - ad esempio, i due membri di una coppia e le loro abitudini - non deve necessariamente essere esplicitata attraverso elementi che garantiscano coesione: l'interprete può ritrovare la coe­ renza di un testo basandosi su informazioni extracontestuali. Per questo, nella propria impostazione, Conte sottolinea il prima­ to della coerenza rispetto agli altri principi organizzatori del testo e il primato del lavoro interpretativo (a parte subiecti) rispetto al significa­ to della lettera del testo (a parte obiecti) nell'individuare il valòre co­ municativo di un testo: in questa impostazione si riconoscono tutti gli approcci più recenti di linguistica del testo, in un percorso teorico che si sviluppa dalla riflessione sul significato nell'uso nata nell'ambi­ to dell a scuola filosofica di Oxford e di cui si tratterà qui a partire dal CAP. 4, fino alla nozione di "rilevanza" su cui Sperber e Wilson (r986) fondano la loro intera teoria del significato, riconducendo il significato di o g ni testo all'attività interpretante del ricevente, che in­ terpreta ogni testo guidato da ipotesi sulla rilevanza che l'evento co­ municativo può avere per la situazione 6. Prima di procedere oltre nella definizione dell'oggetto, riprendiamo la dicotomia fra 'testo' e 'discorso' con cui abbiamo aperto questa introduzione per una preci­ sazione terminologica che ci introduce a una duplice prospettiva sul nostro oggetto di analisi. Normalmente la dicitura discorso è riferita a un oggetto più vasto rispetto all a dicitura testo: mentre il primo ter­ mine riguarda in senso lato il linguaggio in uso, potendo quindi rife­ rirsi sia al processo comunicativo sia al suo prodotto, col secondo si fa riferimento più precisamente al prodotto linguistico che dall'attivi­ tà comunicativa scaturisce. Il testo è quindi un oggetto statico, men­ tre il discorso è un oggetto più dinamico e processuale. Ragioni di 6. Rispetto all'impostazione di Conte, nelle più recenti ricerche di analisi testua­ le, soprattutto in alcuni approcci che affronteremo nei CAPP. 4 e 5, è messo maggior­ mente in evidenza il ruolo degli scopi e delle intenzioni del parlante/scrivente come elemento chiave per l'interpretazione dei testi e, quindi, come principio guida della loro coerenza. 20

I.

INTROD UZIONE

tradizione storica - per cui la linguistica del testo è nata nell ' ambito degli studi di critica letteraria e filologica, mentre la linguistica del discorso è nata a partire dallo studio delle conversazioni orali - lega­ no spesso la nozione di testo al linguaggio scritto e quella di discorso al linguaggio orale. L'oggetto di indagine di questo volume sarà prin­ cipalmente il testo, nel senso che il punto di partenza della nostra osservazione sarà il prodotto linguistico, ma non potremo, per capire tale oggetto, non fare regolare riferimento al processo comunicativo che ne accompagna la produzione e l'interpretazione, quindi al di­ scorso. Il nostro impiego di tale opposizione sarà quindi legata ad un diverso punto di vista - attenzione al prodotto vs attenzione al pro­ cesso - mentre non opporremo attraverso questa coppia terminologi­ ca oralità e scrittura. r .2.2 .

Grammatica transfrastica e oltre

Storicamente, l'interesse per il livello testuale nasce, nell'ambito della linguistica, come interesse per le relazioni di connessione che si mani­ festano a livello superiore alla frase. Esistono infatti relazioni di tipo morfosintattico che agiscono oltre i confini della singola frase, ad esempio le relazioni di accordo fra un sostituente e il suo anteceden­ te, o le relazioni fra i tempi verbali in una narrazione; esistono inoltre relazioni tematiche e logiche fra le frasi di un testo che sono segnala­ te da congiunzioni e connettivi. Nel testo che segue possiamo indivi­ duare moltissimi esempi di queste relazioni (Maraini, 2oor ): (r3)

Mi accorsi di un trafiletto che diceva come il professar Tucci, persona che io non conoscevo, se non vagamente di fama, sarebbe ripartito presto per il Tibet dove sarebbe rimasto alcuni mesi per fare ricerche sull'archeologia, le religioni e la storia di quel lontano paese. La lettura di quelle poche righe mi emozionò moltissimo. Subito presi penna e calamaio e scrissi al professore dicendogli che, se aveva bisogno di un compagno, sarei stato felicissimo di accompagnarlo, e specificai che ero pratico di fotografia. Questa fu una buona idea perché il professo­ re non aveva mai fotografato personalmente, mai toccato una macchi­ na, però ci teneva a documentare i suoi viaggi. Inoltre il compagno delle sue spedizioni precedenti, il capitano Ghersi della Regia Marina, non era in quel momento disponibile. Così, per due casi straordinari, la mia proposta venne presa in considerazione e potei partire per il Tibet.

Un testo, in quanto dotato di coesione, fa riferimento a temi e oggetti concettuali ricorrenti, e ciò è segnalato da elementi di rinvio: quelle 2!

LING UISTICA TESTUALE

poche righe sono le righe del trafiletto menzionato nel contesto prece­ dente; il professore è evidentemente lo stesso già citato nella frase precedente; questa (idea) è l'idea di scrivere al professore, esplicitata dalle frasi precedenti; le sue spedizioni sono le spedizioni dello stesso professore; i due casi straordinari, come la proposta , sono anch'essi già stati espressi nelle frasi precedenti. Non è solamente nel ripetersi del riferimento agli stessi oggetti che si esplicitano i legami tra le frasi. Anche la scansione temporale e la selezione di tempi verbali e avverbi temporali è regolata da vincoli transfrastici: la successione di passati remoti indica che i diversi eventi vanno letti come costituenti una se­ quenza temporale; subito si riferisce ad un momento immediatamente seguente quello in cui si colloca l'evento della frase precedente. Infi­ ne, altri connettivi esplicitano delle relazioni logiche tra fatti espressi in frasi diverse: inoltre indica che la circostanza della non disponibili­ tà del capitano Ghersi è da leggersi come "aggiunta" a quella men­ zionata nella frase precedente, relativa alla dimestichezza con la foto­ grafia dello scrittore, come sfondo di un'affermazione o fatto; il fatto in questione è quello introdotto nella frase successiva, come risulta chiaro dal connettivo così, che serve a presentare la frase come con­ clusiva del testo. Accanto alle relazioni interne al testo, esistono relazioni di riferi­ mento e rinvio fra il testo e il contesto discorsivo in cui esso è situa­ to, ovvero relazioni che collegano il testo alle condizioni in cui esso è stato attualizzato. Nel nostro testo troviamo riferimenti alle coordina­ te temporali, nell'uso di tempi come il passato remoto e l'imperfetto, che collocano gli eventi del testo in un momento passato rispetto a quello del racconto; troviamo riferimenti alle coordinate personali, nel rimando all'io narrante. Da questi pochi esempi emerge chiaramente l'esistenza di relazio­ ni di livello superiore a quello frastico, tanto interne, tra elementi di frasi diverse nel testo, quanto esterne, tra elementi del testo ed ele­ menti del contesto: queste relazioni condizionano tanto la morfosin­ tassi quanto le scelte lessicali. La linguistica testuale, constatando l'in­ sufficienza di grammatiche che si limitino a considerare il livello di frase, nasce in effetti come grammatica transfrastica, ovvero come grammatica della coesione e della connessità, che descrive le relazioni tematiche e formali interfrasali. Tuttavia, tale livello di rappresentazione "lineare" e monodimen­ sionale dell a struttura di un testo non è sufficiente per descriverne la natura, per diverse ragioni. Le relazioni di coesione e connessità non possono infatti essere descritte e risolte solamente sul piano formale­ semantico: se la comprensione del rinvio che lega le poche righe al 22

r.

I NTRODUZIONE

trafiletto può essere giustificata anche solo a livello semantico-lessicale come dovuta alla conoscenza del significato dei lessemi riga e trafi­ letto, altre relazioni richiedono una comprensione di livello più alto: l'individuare ad esempio qual è il contenuto proposizionale cui il sin­ tagma una buona idea fa riferimento, o il capire di che natura è il legame che unfsce le due frasi collegate da inoltre sono operazioni che richiedono non solo una comprensione dei singoli lessemi e nem­ meno solo delle singole frasi e degli eventi cui esse rimandano, ma richiede una comprensione della storia nel suo complesso, come con­ catenazione finalizzata di eventi, e quindi del testo come evento co­ municativo globale e finalizzato - in questo caso, una narrazione. Solo ad un livello di comprensione globale, cioè guidati dalla ricerca della coerenza del testo, si può riconoscere che la buona idea è quella di segnalare la propria abilità di fotografo - e non, ad esempio, quel­ la di prendere penna e calamaio -, o si può riconoscere che l'affinità fra i due eventi congiunti da inoltre - l'idea di comunicare la propria abilità di fotografo e l'assenza del fotografo ufficiale - sta nel loro qualificarsi come circostanze propizie alla conclusione annunciata da così, cioè il coinvolgimento nella spedizione. Ancora, il fatto che il testo sia qualificabile come una narrazione, o che sia possibile sce­ gliere per il testo un titolo più pertinente di un altro, sono tutte cir­ costanze dipendenti dalla natura di "testo" dell a sequenza di frasi in ( r 3 ) , che possiede proprietà che non sono condivise dalla seguente sequenza di frasi , benché essa non sia priva di legami coesivi e mostri una ricorrenza di temi affini: ( 1 4)

Un sociolinguista non può non essere funzionalista. li suono di g lati­ na davanti a vocali chiare (genus) pare che non sia stato differente da quello in gallus. Se poi ci trasferiamo fuori dell'ambito delle lingue in­ doeuropee, come ho già detto, gli intraducihili diventano legione. Noi non sappiamo, signore, perché lei ossessivamente ribadisca questo suo trisillabo parossitono 7•

Le considerazioni svolte fanno appello a proprietà dei testi che non riguardano più il livello locale, ma sue caratteristiche di oggetto uni­ tario e coerente, dotato di un senso globale. A questo livello descritti­ vo una grammatica transfrastica non è più sufficiente. In questo primo momento si è posto il dilemma: è sufficiente, per trattare quei fenomeni, fare intervenire il contesto nella grammatica dell'enunciato 7· Le frasi sono tratte nell'ordine da: Berruto ( 1 995) ; Rohlfs

( 2oor ) ; Benni (1984) .

23

(r966);

Maraini

LING UISTICA TESTUALE

(cioè costruire una grammatica dell'enunciato entro il suo contesto)? O inve­ ce una grammatica dell'enunciato nel contesto è per essi insufficiente, ed è invece necessario costruire una grammatica nuova, una grammatica del testo? Ecco i termini del dilemma: grammatica dell'enundato nel contesto e gramma­ tica del testo (Conte, 1977, p. q).

Per affrontare la descrizione del "senso globale" dei testi, la lingui­ stica testuale si è orientata in due direzioni. Una prima direzione di indagine ricerca nel testo delle macrofunzioni attraverso cui esprime­ re la sua struttura di senso; in questa direzione si sono mossi ad esempio gli studi di semantica e pragmatica del discorso (cfr. van Dijk, 1977), alla ricerca di unità di analisi primitive e di regole di connessione semantica, partendo spesso dall'analisi di testi costruiti in laboratorio e funzionanti come modelli. L'obiettivo di questi lavori è la costruzione di una grammatica testuale. Una seconda direzione di analisi guarda alle relazioni fra il testo e i suoi utenti, elaborando ca­ tegorie per la descrizione del senso del testo a partire dalle intenzioni che muovono i parlanti nel costruirlo e nell'interpretarlo. A questa caratterizzazione del testo si rivolge già uno dei fondatori della disci­ plina, Peter Hartmann, ricordando che «con la parola 'testo' si deve qui intendere un fatto generalmente riconosciuto, e cioè che la lingua è realizzata (impiegata) in un'azione comunicativa» (Hartmann, 1 97 1 , p . r r, cit. d a Holker, 200 1 , p. 70) . I n quest'ottica diventa estrema­ mente utile la nozione di "universo di discorso" (cfr. Levelt, 1989): con questa nozione ci si riferisce all'insieme organizzato di informa­ zioni, conoscenze e credenze che i partecipanti a una conversazione o gli interpreti di un testo possiedono, condividono, credono di condi­ videre o di non condividere nel corso dello scambio comunicativo. L'universo di discorso viene continuamente modifìcato a mano a mano che il testo si sviluppa (perché ad esempio nuove informazioni vengono condivise, o conoscenze pregresse vengono attivate o smenti­ te) , e, reciprocamente, i cambiamenti nell'universo di discorso in­ fluenzano il modo in cui l'informazione è codificata nel testo (perché ad esempio, un'informazione precedentemente segnalata come "nuo­ va" viene in seguito segnalata come condivisa). Le diverse opzioni lin­ guistiche a disposizione del parlante/scrivente per codificare l'infor­ mazione possono essere considerate in questo senso come una segna­ letica che consente all'ascoltatore/lettore di orientarsi nel testo, di co­ struirsene una mappa concettuale e di collocare tale mappa all'inter­ no dell'insieme delle proprie conoscenze. Mentre una concezione di­ namica del testo è già nel concetto di dinamismo comunicativo della

I.

I NTRODUZ IONE

Scuola di Praga 8 , la necessità di un approccio procedurale e non pu­ ramente strutturale al testo, sottolineata da Beaugrande e Dressler ( r 9 8 r ) e da Levinson (r983, p. 293): «L'ordine e la coerenza nella conversazione possono rinvenirsi non già al livello delle espressioni linguistiche, bensì al livello degli atti linguistici o delle mosse intera­ zionali costituite dall ' enunciazione di quelle espressioni», è già conte­ nuta nei lavori di Wegener ( r 8 85) e di Biihler ( 193 4 ), come rilevato da Conte ( r986). Il testo è cioè un oggetto che non può essere capito a fondo se non si tiene conto, oltre che del prodotto statico finale, dei processi che ne permettono tanto la produzione quanto l'interpretazione. Ciò è certamente più evidente nel discorso orale, specie dialogico, dato che il prodotto testuale si sviluppa temporalmente come il suo pro­ cesso di produzione, mentre il testo scritto si offre come prodotto statico, presente tutto insieme all ' attenzione del lettore; anche in que­ sto caso, tuttavia, tanto il processo di costruzione quanto quello di interpretazione del testo si sviluppano nel tempo, e la struttura del testo scritto, proprio come quello orale, reca tracce di questo pro­ cesso. Il concetto di dinamismo, come processo di costruzione e modifi­ cazione di un universo di discorso comune, è fortemente sottolineato anche dagli autori recenti. Così per Levelt ( r 989) la struttura di un testo funziona, come si è detto, come una segnaletica che consente il costante allin e am ento degli universi di discorso sviluppati nell ' event o comunicativo da parlante e ascoltatore (o scrittore e lettore). Nel mo­ dello neo-griceano di Sperber e Wilson ( r986), il senso di ogni enun­ ciato si identifica con il lavoro inferenziale che il parlante compie nel cercare la rilevanza dell'enunciato stesso per la situazione comunicati­ va; il senso di un testo è cioè del tutto ridotto alla sua rilevanza co­ municativa.

8. Cfr.

CAP.



25

2

Referenti testuali

Nel corso di questo libro ci troveremo spesso nella necessità di di­ stinguere fra oggetti della realtà e oggetti del testo, o dell 'universo di discorso. La linguistica del testo studia infatti quale forma assumono gli oggetti della realtà, o meglio la loro rappresentazione concettuale nella mente del parlante una volta che questa è espressa in forma lin­ guistica all'interno di un testo. Introduciamo ora per la prima volta questa distinzione attraverso il concetto centrale di referente testuale. Questo termine indica ogni entità o evento che entra a far parte del discorso in atto e che quindi diventa un "oggetto" del discorso. Con referente testuale si intende quindi qualcosa di diverso da ciò che si intende con 'referente' , come espressione contrapposta a 'si­ gnificato' e 'significante', nella classica rappresentazione triadica del segno linguistico proposta da Saussure ( 1 9 1 6), qui rappresentata nella FIG. 2 . 1 . F I G URA 2 . 1

La triade saussuriana: significante/significato/referente

SIGNIFICATO

REFERENTE SIGNIFICANTE

La rappresentazione della FIG . 2 . 1 descrive gli elementi costitutivi del segno linguistico rana secondo Saussure. Esso è composto da una 27

LINGUISTICA TESTUALE

parte materiale, fonico-acustica il significante -, nel caso specifico la sequenza di suoni l' rana/ - o, nello scritto, la sequenza di grafemi < rana > -; la sua parte astratta, concettuale - il significato -, nel caso specifico l'immagine mentale che un parlante può avere di una rana o una sua descrizione composta ad esempio dei tratti: {anfibio, gracidante, piccolo . }; il segno rimanda a un riferimento concreto nella realtà il referente -, ovvero l'animale gracidante vero e pro­ prio, di cui ovviamente nella FIG. 2. r non abbiamo potuto dare che una rappresentazione disegnata (che non è quindi propriamente il re­ ferente, ma ancora un segno, iconico e non linguistico; per dare un esempio esatto del referente 'rana' avremmo dovuto allegare una vera rana al volume). Quando parliamo di referente testuale non intendiamo invece l'oggetto reale, ovvero il referente nel senso della FIG. 2 . r , e nemme­ no semplicemente il significato "rana" proprio della parola rana, ma un oggetto concettuale specifico, attuale, che viene evocato nel di­ scorso da uno dei parlanti e a cui, una volta evocato, si possono attri­ buire proprietà, azioni, eventi. Per esplicitare la distinzione fra questi diversi livelli ricorriamo ad un esempio concreto. L'espressione una ran a , che contiene il nome rana dal significato di «anfibio, gracidante, piccolo » , ha come referente, nel mondo extratestuale, un individuo qualunque dell'insieme di animali gracidanti. L'espressione una rana instaura n el breve testo che segue un referente testuale specifico, ov­ vero rimanda a una rana specifica che, una volta evocata nel discorso, può essere oggetto di predicazioni successive: -

..

-

...

(r )

Una giovane principessa passeggiando nel parco del suo castello un giorno incontrò sul bordo di un pozzo una rana I.

Un referente testuale può cambiare il proprio status nel discorso sia in relazione alla conoscenza che gli interlocutori hanno di esso o di alcune sue proprietà o caratteristiche sia in relazione al ruolo che esso ha come " centro di attenzione" del discorso stesso: a questi due concetti fanno riferimento rispettivamente le nozioni di identificabilità e di attivazione, che affronteremo nel PAR. 2. I . Per esempio, la rana di cui si parla in ( I ) è un referente testuale di nuova introduzione, e l'articolo indeterminativo nell'espressione una rana segnala questo fatI. Altre espressioni che instaurano referenti testuali in questo breve inizio di rac­ conto sono: una giovane principessa, un castello, il parco del castello, un pozzo, il bordo del pozzo, un giorno.

2.

REFERE N T I TEST UALI

to al lettore, ovvero lo informa che è stato introdotto nel testo un nuovo referente testuale. S e il racconto proseguisse in questo modo: (2)

Appena la principessa le si avvicinò, la rana le disse ...

l'uso dell'articolo determinativo nell'espressione la rana segnalerebbe che, a questo punto, il referente testuale è già noto al lettore, che non avrebbe allora difficoltà ad identificarlo con la rana introdotta dalla frase precedente, così come non avrebbe difficoltà a ricondurre a questo stesso referente testuale anche il primo clitico le. Le tre espressioni una rana, la rana, le si riferiscono allo stesso referente te­ stuale: il fatto che si ricorra a espressioni diverse segnala che lo status del referente è diverso nei diversi punti del testo. In questo capitolo parleremo in particolare dei diversi status che i referenti testuali possono assumere nel discorso e dei mezzi linguistici attraverso cui questi status possono essere segnalati. Ci occuperemo quindi del modo in cui un referente testuale può essere introdotto nel discorso, di come, una volta che esso è introdotto, si può fare riferimento ad esso e di come tale riferimento può essere mantenuto o ripreso nell'evoluzione del discorso. 2. 1 n riferimento lessicale

2 . r . r . Descrizioni definite

Il modo più immediato attraverso cui possiamo introdurre nell'uni­ verso di discorso un referente testuale è l'uso di un'espressione lessi­ cale che lo designi 2• Nell'enunciato seguente: (3)

Nella quinta giornata di campionato l a squadra granata h a conseguito

un

nuovo risultato negativo

le varie espressioni in corsivo rinviano a entità extratestuali e attiva­ no ciascuna un referente testuale. Si tratta di sintagmi a testa nomina2. Oltre al riferimento lessicale, esistono altri mezzi linguistici per fare riferimen­ to a referenti testuali introdotti nel discorso o per introdurre referenti testuali nel di­ scorso: ne p arleremo nei PARR . 2 . 2 e 2 . 3 . In questo paragrafo, per semplicità di esposi­ zione, ci occuperemo principalmente del riferimento ad entità e non del riferimento ad eventi. Anche un evento, tuttavia, è un referente testuale possibile, cui si può fare riferimento con espressioni lessicali definite, espressioni anaforiche o espressioni deit­ tiche.

29

LINGUISTICA TESTUALE

le: i nomi infatti hanno precipuamente funzione referenziale, ovvero funzione di riferimento a referenti extratestuali e, quindi, funzione di instaurare referenti testuali 3. L'esempio più evidente di questa fun­ zione è illustrato dai nomi propri: nominando il Kilimangiaro, l'A­ frica, oppure Vasco de Gama introduciamo nel discorso un referente testuale che ha un rimando definito e unico nell a realtà - definito e unico, perlomeno, per gli interlocutori del discorso in atto -, e che noi riteniamo il nostro interlocutore sappia individuare. Non è questo però il modo di riferimento tipico dei nomi: i nomi comuni, infatti, presi fuori contesto, non rinviano a un singolo individuo definito, ma piuttosto delimitano una classe di individui che possiede l'insieme dei tratti semantici che compongono il significato del nome. Ad esempio, l'insieme dei tratti che definisce il significato del nome padre, ovvero dei suoi tratti intensionali, è il seguente 4: (4)

{ essere umano, maschio, con figli).

Questo insieme di tratti delimita, nella realtà, una classe di individui ai quali l'espressione è applicabile: questa cla,sse di individui è detta l'estensione della parola padt'e. Secondo la definizione di Lyons ( 1999 ) , i nomi o i sintagmi nominali funzionano come 'descrizioni de­ finite' , ovvero sono espressioni che ascrivono proprietà a una partico­ lare entità 5 . È possibile restringere il valore estensionale di un nome, ovvero restringere la classe degli individui cui esso si applica, aumentando, attraverso descrizioni definite sempre più dettagliaté, il numero dei tratti intensionali. Ad esempio, l'espressione padre anziano ha un trat­ to intensionale in più il tratto {anziano} - rispetto all ' espressione padre, e ha un'estensione più ristretta, corrisponde cioè a una sotto-

3 · I nomi, come è noto, possono anche avere funzione predicativa o attributiva, come nei casi seguenti: "Uno dei miei nonni era maresciallo dei carabinieri. La nonna, maestra, ha vissuto a lungo con noi". Qui i nomi maresciallo e maestra non instaurano nuovi referenti testuali rispetto ai nomi nonno e nonna , bensì attribuiscono loro pro­ prietà aggiuntive. 4· Trascuriamo qui la sinonimia con il significato di " responsabile di una con­ fraternita" e i casi di uso metaforico. 5· Noi useremo l'espressione composta descrizione definita in questo senso, ri­ servando però all'aggettivo 'definito', al di fuori dell'uso nell'espressione suddetta, un valore particolare e diverso, per il quale cfr. PAR. 2 . 1 .5. In questo libro, dunque, l'ag­ gettivo 'definito ' ha ovunque il valore assegnatogli in PAR. 2. 1 . 5, tranne che nell'e­ spressione descrizione definita.

JO

2 . REFERENTI TESTUALI

classe della classe di individui designata dal nome padre. È possibile delimitare il valore estensionale di un'espressione fino a individuare un unico referente, come accade nelle espressioni il padre della ra­ gazza che abita nell'appartamento di fronte al mio, ma anche nell'e­ spressione mio padre. Come questi esempi mostrano, gli elementi mo­ dificatori del sintagma nominale - come aggettivi, sintagmi preposi­ zionali con valore attributivo, subordinate relative - contribuiscono alla delimitazione della classe di referenti designata da un'espressione nominale. La classe degli specificatori 6 del sintagma nominale, che comprende in italiano articoli, dimostrativi, indefiniti, numerali, se­ gnala invece in che modo vada inteso il riferimento del sintagma stes­ so, secondo parametri che illustreremo nei prossimi paragrafi. 2. r . 2 .

Riferimento e quantificazione

Dal punto di vista dell'estensione del riferimento, una descrizione de­ finita può riferirsi a un'intera classe di individui (riferimento generi­ co) o a singoli individui, i quali possono essere o meno specificati (riferimento singolare specifico e non specifico). Le seguenti ricorren­ ze dell'espressione barca a vela illustrano rispettivamente questi tre casi: (5 ) a)

La barca a vela è particolarmente silenziosa br) Quella barca a vela è panicolarmente silenziosa b2 ) Una barca a vela di queste appartiene a un mio amico c) Comprerei volentieri una barca a vela

[riferimento generico]

[riferimento singolare specifico] [riferimento singolare specifico] [riferimento singolare non specifico]

L'enunciato ( 5 )a fornisce un esempio di riferimento generico, cioè di riferimento alla classe; dal punto di vista della teoria della quantifica­ zione, questo modo di riferimento equivale a una quantificazione di tipo universale 7 :

6.

Per l a nozione d i specificatore cfr. Andorno ( r 999b, cap. 2 . 5 ) . 7- Una quantificazione universale indica appunto la totalità degli individui appar­ tenenti alla classe considerata e ha come simbolo 'il: l'espressione significa "per ogni x appartenente alla classe {barca a vela} si verifica che essa è particolarmente silen­ ziosa".

3I

LINGUISTICA TESTUALE

'V x, x = barca a vela, (x è particolarmente silenziosa)

Gli enunciati ( 5 )br, b e c sono invece esempi di riferimento singola­ re; dal punto di vista della quantificazione, essi equivalgono a una quantificazione di tipo esistenziale 8 : 3x, 3x, 3x,

x

=

x

=

x

=

barca a vela, (x è particolarmente silenziosa) barca a vela, (x appartiene a un mio amico) barca a vela, (comprerei volentieri x)

Un riferimento individuale specifico (casi b1 e b2 ) individua però un referente preciso, anche se non sempre identificabile con certezza da parte degli interlocutori (caso b2 ); un riferimento individuale non specifico (caso c) designa invece un qualsiasi individuo appartenente all a classe. Possiamo quindi tratteggiare, sulla base della quantificazione in­ dotta sul referente individuato, lo schema della FIG. 2 . 2 . FIGURA 2.2

Riferimento e quantificazione riferimento generico (quantificazione universale): alla classe singolare (quantificazione esistenziale): non s pe cifico : a un individuo qualsi as i della classe s pecifico: a un individuo p reciso della classe

Per indicare che tipo di riferimento ha un'espressione nominale, le lingue possiedono delle marche specifiche. L'italiano, come diverse altre lingue indeuropee, possiede, come si è visto, diverse classi di specificatori del nome: due serie di articoli, dimostrativi, numerali, indefiniti. Il riferimento generico è realizzato tipicamente dall'articolo de­ terminativo: (6)

a) I dogon mi erano sembrati affascinanti e magici esattamente come me li aspettavo (Aime, Diario dogon , p. I I )

8. Una quantifìcazione esistenziale indica almeno un individuo della classe consi­ derata e ha come simbolo 3: l'espressione significa "esiste almeno un x appartenente alla classe {barca a vela} per il quale si verifica che essa è particolarmente silenzio­ sa".

32

2.

REFERENTI TESTUALI

h) Gli etnologi dogonneux ritengono che la parola dogon abbia il potere di generare (Aime, Diario dogon, p. 1 3 )

mentre l'articolo indeterminativo si riferisce sempre a un individuo specifico o non specifico. Anche attraverso un riferimento non speci­ fico, però, è possibile fare un riferimento all'intera classe 9• (7 )

Chi sceglie di recarsi in Mali difficilmente è un viaggiatore alle prime armi e quasi sempre è un individuo che nel viaggio cerca non solo un momento di svago, ma anche un 'occasione di approfondimento e di cono­ scenza (Aime, Diario dogon, p. r 9 ·2o) .

Riferimento all 'intera classe può essere fatto attraverso alcuni indefi­ niti che esprimono una quantificazione universale: (8)

a) In realtà, come tutte le popolazioni del Sahel, i dogon commerciano con i paesi circostanti (Aime, Diario dogon, p. 1 8) h) n tono enfatico è ovviamente comprensibile nell'ambito della promo­ zione di una qualsivoglia meta turistica (Aime, Diario dogon, p. 19) c) Qualunque vt'aggiatore attento, prima della partenza, si prepara con letture più o meno approfondite (Aime, Dz'ario dogon, p. 1 7) . 2 . r . 3.

Identificabilità e attivazione

Nelle frasi (5 )hi e b.2 abbiamo visto opp or si due tipi

di riferimento singolare specifico: l'opposizione di valore fra i due esempi non è in termini di quantificazione, ma di altri parametri che chiameremo, sul­ la scorta di Lambrecht ( 1 994), di identificabilità e di attivazione del referente testuale da parte degli interlocutori. n primo parametro, quello dell ' identificabilità, riguarda la capaci­ tà degli interlocutori di individuare il referente testuale a cui un'e­ spressione singolare si riferisce. L'opposizione fra le frasi (5 )a e (5 )h è descrivibile in termini di identificabilità: la barca a vela di ( 5 )a è identificabile da parte del parlante, che la presenta come tale all ' a9· In questo caso, il riferimento è esteso all'intera classe poiché ciò che vale per un individuo qualsiasi della classe vale di conseguenza per ogni membro della classe, cioè per tutti. È il tipo di predicazione che consente o meno questa lettura. L'enun­ ciato: " C 'è da spostare una macchina" non può essere inteso come " tutte le macchine sono da spostare" , perché il tipo di predicazione in cui l'espressione è inserita induce necessariamente la lettura di quantificazione esistenziale singolare specifica. Il partitivo plurale, che ha intrinsecamente quantificazione esistenziale, non può per questo consentire una lettura universale e quindi un riferimento alla classe (cfr. (22)b. Per questo complesso ordine di problemi, cfr. Longobardi ( 1 988).

33

L I N G U I S T I C A TESTUALE

scoltatore, mentre la barca a vela di (5)b non lo è né per il parlante né per l'ascoltatore. Un referente testuale può essere identificabile per varie ragioni. Può essere intrinsecamente identificabile, perché ha un referente uni­ co nella realtà: è il caso di entità come il sole, il re del Marocco o quelle designate dai nomi propri: il Rio de la Plata, Francesco Moser. L'unicità di un referente può non essere assoluta, ma essere tale in una situazione data: la professoressa di matematica o Federico non de­ signano referenti unici in assoluto, ma che possono essere tali all'in­ terno dell'universo di discorso in quel momento condiviso dagli inter­ locutori. L'identificabilità è legata dunque anche all'esistenza di cono­ scenze condivise fra gli interlocutori, e a ciò che essi suppongono che sia condiviso: per cui, ad esempio, un parlante, pur conoscendo mol­ te persone di nome 'Federico', può rivolgersi a un interlocutore usan­ do il solo nome proprio, in una frase come «È arrivato Federico», senza temere che il riferimento non sia compreso, se sa che esiste un solo Federico di cui entrambi sono a conoscenza, o che un solo Fe­ derico è quello atteso nell'universo di discorso. Le conoscenze condivise dagli interlocutori possono formarsi e accrescersi all'interno del discorso: un referente testuale diventa quin­ di identificabile dopo che è entrato a far parte dell'universo di di­ scorso in atto. Così, un referente non identificabile per l'interlocuto­ re, come il cane evocato in: (9)

Ieri sono stato inseguito da un cane

entra, in seguito a questa menzione , a far parte dell'universo di di­ scorso condiviso, per cui, in turni successivi, entrambi gli interlocuto­ ri possono riferirsi a questo stesso referente con espressioni designan­ ti referenti identificabili: ( x o)

E il cane che fine ha fatto?

Perché un referente prima non condiviso entri a far p arte dell'uni­ verso di discorso condiviso non è neppure necessaria una preliminare menzione esplicita, purché sia evocato il contesto appropriato in cui esso sia immediatamente collocabile. Così, il riferimento a un cane attraverso l'espressione il cane in un discorso in cui il parlante stia raccontando le proprie vicissitudini domestiche, sarà immediatamente identificabile con il cane del parlante: (u)

Oggi una giornataccia a casa ! Il cane è rientrato dalla passeggiata spor­ co di fango e i bambini lo hanno lasciato salire sul divano. 34

2 . REFERENTI TES TUAL I

Si osservi che non è necessario che l'interlocutore sia a conoscenza preliminarmente dell'esistenza del referente in questione: anche se non era al corrente del fatto che il suo interlocutore possedesse un cane, l'ascoltatore di ( n ) aggiungerà immediatamente questa cono­ scenza al suo universo di discorso e su questa base potrà dare per identificabile il referente "cane " . Si osservi inoltre che , in questo caso, il p arlante non solo può presentare il referente in questione come identificabile, anche se esso non fa ancora parte dell'universo di discorso condiviso: questa scelta è per lui l'unica possibile, se deside­ ra che il suo interlocutore interpreti correttamente il suo messaggio. La frase seguente: (12)

Oggi una giornataccia a casa! Un cane è rientrato dalla passeggiata sporco di fango e i bambini lo hanno lasciato salire sul divano

costringe l'interlocutore a interpretare il referente in questione con un cane " sconosciuto" , cioè come un referente non identificabile nep­ pure dal parlante e che, quindi, non può essere il suo cane. Analoga­ mente, nel caso seguente, le espressioni il treno e un treno non posso­ no essere ricondotte allo stesso referente testuale, poiché la seconda espressione è marcata da un articolo indeterminativo come referenza non identificabile, e quindi non p uò essere interpretata come coinci­ dente con quella immediatamente precedente: (13)

Il mio treno non è ancora passato. C'è stato un guasto sulla linea

e

un

treno era in ritardo. La scelta del parlante di segnalare l'identificabilità di un referente te­ stuale è dunque obbligata. Non è sempre obbligata invece la segnala­ zione della sua non identificabilità. Sulla base di intenzioni comunica­ tive specifiche, è possibile marcare con un articolo determinativo, quindi con un segnale di identificabilità, un referente che non fa an­ cora parte dell'universo condiviso, come nel caso di ( 1 4 )b, in cui "il maglione " , identificabile dal parlante, non lo è per l'interlocutore: ( 1 4)

a) Penso di comprare un maglione che ho visto in una vetrina in centro b) Penso di comprare il maglione che ho visto in una vetrina in centro

Si consideri anche il seguente contesto: Gianluca pranza con Chiara, una ragazza presentatagli dall'amico Giorgio e che, come entrambi sanno, è vicina di casa del comune amico Francesco. Nel raccontare l'evento a Giorgio, Gianluca potrà dire:

35

L I N G UISTICA TES TUALE

(15)

a ) Ieri h o pranzato con Chiara, la/quella vicina di casa di Francesco che mi avevi presentato qualche tempo fa b) Ieri ho pranzato con Chiara, una vicina di casa di Francesco che mi avevi presentato qualche tempo fa

L'uso dell' articolo indeterminativo in ( r 5 )b non è dovuto alla volontà di presentare come non identificabile il referente Chiara, che l'interlo­ cutore può identificare, né l'informazione che Chiara è una vicina di casa di Francesco, cosa che l'interlocutore sa, ma è legata al fatto che Gianluca ritiene che in quel momento Giorgio possa non aver pre­ sente la Chiara di cui si sta parlando. Gli esempi ( q) e ( r 5 ) appena visti ci mostrano che non è la sola identificabilità a determinare il modo in cui un referente testuale viene espresso , ma entra in gioco il secondo dei parametri che abbiamo cita­ to: l'attivazione, ovvero lo status di un referente testuale rispetto all'at­ tenzione degli interlocutori in un determinato punto del discorso. Un referente testuale può essere al centro dell'attenzione del parlante, op­ pure può essere ai suoi margini o essere del tutto assente dalla sua attenzione. A seconda dello stato di attivazione di un referente in un determinato momento, il parlante che vi vuole fare riferimento userà un mezzo espressivo o un altro. Normalmente, un referente testuale è al massimo grado di attiva­ zione quando è stato appena menzionato. Nell'enunciato seguente, "le donne" attivate all'inizio del discorso come referenti testuali re­ stano al centro dell'attenzione fino al termine, per cui non c'è biso­ gno di menzioni ripetute perché sia chiaro chi è l'attore delle azioni successive:

( r 6)

In un angolo altre donne battono ritmicamente i loro cucchiai di legno su un impasto bianco e denso. Poi ne raccolgono una cucchiaiata e la gettano nella pentola con l'olio bollente per farne dei bignè dolci (Ai­ me, Diario dogon, p. 3 9 ) .

U n referente può poi essere indirettamente attivato d al riferimento a una situazione, un frame

ro

che lo richiami. Nella sequenza seguente:

r o . La nozione di frame è stata introdotta negli studi di scienze cognitive da Minsky ( 1 97 5 ) , ma è già contenuta nella nozione di schema kantiano. Uno schema è «un principio ordinatore dei dati dell'esperienza [ . ]. L' aspetto più interessante di queste strutture di conoscenze è il fatto che esse spiegano bene il lavoro inferenziale della mente. [. ] Essi funzionano come fonti di conoscenze utili al controllo delle infe­ renze necessarie per capire un testo» (Como, Pozzo , 1 99 1 , pp. XII-XIV) . ..

..

2 . REF ERENTI T ES T U ALI

( r 7)

Appena entrati al ristorante, il c ap osala ci venne incontro con fare

cerimonioso

il referente testuale "caposala " , benché non attivato esplicitamente in precedenza, non è del tutto inatteso, perché viene attivato indiretta­ mente dal frame " entrare al ristorante" menzionato poco prima: al­ l'interno di questo frame, ci si aspetta che accadano alcune cose e che esistano alcuni oggetti e individui, come ad esempio un caposa­ la r r . Anche u n frame può essere evocato non per via verbale, m a semplicemente essere p arte costitutiva dell'universo di discorso in atto. Fra due compagni di scuola il referente dell'espressione la pro­ fessoressa di matematica è facilmente identificabile nella professoressa di matematica della classe che i due frequentano: questo accade non tanto perché questa sia l'unica professoressa di matematica che essi conoscono, ma piuttosto perché, dato il loro status reciproco di com­ pagni di classe, il contesto " classe " condiviso rende facilmente attiva­ bile un referente di questo tipo. 2 . 1 .4.

Dato e nuovo

La linguistica del testo ha lavorato per un certo tempo, e in parte continua tuttora a lavorare, ai concetti di identificabilità e attivazione sfruttando la dicotomia, particolarmente fortunata, di 'dato'/'nuovo ' , incentrata principalmente s ul parametro dell'attivazione, m a in modo strettamente intrecciato all'identificabilità (cfr. Chafe, r 9 7 6). È nor­ malmente definito come dato un referente già presente nell 'universo di discorso al momento considerato, mentre è nuovo un referente nel momento in cui viene introdotto per la prima volta nel discorso. A questa opposizione sarebbero collegati alcuni fenomeni morfosintatti­ ci come, in italiano, la selezione fra articolo indeterminativo (marca di elemento nuovo) e determinativo (marca di elemento noto) nelle frasi seguenti:

( r 8)

C'era una volta

un

re,

che aveva

una figlia. Un giorno il

figlia rimase da sola al governo del regno.

re

morì e

la

Il re e la figlia di cui si parla nella seconda frase sono sempre gli stessi della prima, ma la diversa marca di dato/nuovo - evidenziata

r r. Si osservi che anche l'ambiguità possibile del termine 'caposala' (che può de­ signare anche un infermiere, oltre che un cameriere) decade a causa dell'attivazione del frame "entrare al ristora.!lte " : l'interpretazione è immediatamente univoca.

37

LING UISTICA TEST UALE

dalla diversa selezione dell' articolo - è dovuta al loro status nel di­ scorso : mentre nella prima frase i due personaggi vengono introdotti nella storia come elementi nuovi, vengono cioè istituiti come referenti testuali, nella seconda menzione essi sono referenti noti, già presenti nell'universo di discorso: l'uso dell'articolo determinativo nel secondo caso sarebbe allora una sorta di istruzione all' ascoltatore per indicare che si tratta di una seconda menzione. Questa descrizione, appropriata nel caso appena visto, non con­ sente però di dare una descrizione appropriata di altri fenomeni, come l'uso dell'articolo determinativo per referenti nuovi, o dell'inde­ terminativo per referenti noti, come nel caso seguente:

(r9)

C'era una volta un re, che aveva due figlie. Una figlia venne chiesta in sposa dal principe di un lontano paese.

un

giorno

In questo caso la figlia menzionata nella seconda frase è certamente nota, poiché è una delle figlie di cui si parla nell'enunciato prece­ dente; il principe d'altronde è certamente nuovo, perché non è stato menzionato precedentemente: tuttavia l'uso degli articoli è inverso ri­ spetto a ( r 8). L'opposizione fra dato e nuovo non sembra quindi ne­ cessaria né sufficiente a giustificare l'opposizione fra articolo determi­ nativo e indeterminativo. Per questo motivo, sembra utile complessifi­ care la dicotomia distinguendo come parametri più pertinenti i due criteri distinti dell'identificabilità e dell'attivazione. Il ricorso a tali parametri non è del resto sufficiente a descrivere e giustificare la gamma di possibilità espressive delle espressioni definite. Si consideri il caso seguente, in cui Gianluca racconta a Giorgio di aver visto il comune amico Francesco andare al cinema: (2o)

a) Ho incontrato Francesco: stava andando al cinema b) *Ho incrociato Francesco e Chiara: stava andando al cinema

In entrambe le frasi abbiamo un referente, Francesco, che è identifi­ cabile da entrambi gli interlocutori ed è attivo in quanto appena menzionato . Tuttavia, l'uso nella seconda parte dell'enunciato di un soggetto non espresso - marca di massima identificabilità e attivazio­ ne - è consentito solo in (2 o)a. n motivo di questo, intuitivamente, ci pare legato al fatto che l'effettivo soggetto di tale frase in questo con ­ testo non è identificabile. Non si tratta, però, di una difficoltà nel reperire e identificare i referenti reali dei due referenti testuali evoca­ ti, entrambi attivi nel testo e conosciuti dagli interlocutori: ciò che resta non identificato è quale dei due occupi il posto vuoto nella pro -

2.

REFERE N T I TES T UALI

pos1z10ne "x andava al cinema" . In questo caso, cioè, abbiamo un problema non di identificabilità fra un referente testuale nell'universo di discorso e il suo referente nella realtà, ma di identificazione di un referente testuale con il suo ruolo all'interno dell'enunciato. Tornere­ mo su questo ordine di problemi nel CAP. 3·

2 . L 5 . Definitezza L'individuare parametri come l'identificabilità e l' attivazione di un re­ ferente testuale ha ragion d'essere in linguistica perché tali opposizio­ ni concettuali hanno effetto sull ' espressione linguistica, condizionano cioè le scelte che un parlante fa o può fare nell'espressione di un de­ terminato referente. Esistono diversi mezzi morfologici, sintattici, prosodici per esprimere l'identificabilità e l'attivazione di un referente testuale. All'espressione linguistica del complesso intreccio fra quanti­ ficazione, identificabilità e attivazione fa riferimento la nozione di definitezza 1 2 • Una marca dedicata a d esprimere l a definitezza o non definitezza di un'espressione è in molte lingue tipicamente la classe degli specifi­ catori dei sintagmi nominali: in italiano, come in molte lingue indeu­ ropee, la classe comprende gli articoli, i dimostrativi, i numerali, i possessivi, gli indefiniti. Le opposizioni d'uso di questi elementi non sono identiche da lingua a lingua. In italiano, l'opposizione fra artico­ lo determinativo e indeterminativo (al plurale, nella forma di un par­ titivo) può valere per distinguere un riferimento generico e uno sin­ golare:

(2 I )

a) Gli insetti hanno sei zampe b) Degli insetti hanno sei zampe

o per distinguere un referente identificabile e uno non identificabile:

(22)

a) H o conosciuto l a ballerina di flamenco b) Ho conosciuto una ballerina di flamenco

r 2 . Il modo di espressione della definitezza in lingue diverse è un argomento vastissimo che è impensabile esaurire in questa sede. Ci limitiamo nel seguito a dare alcuni esempi che servono a mostrare quali classi di elementi linguistici sono chiamate in gioco e quali valori consentono di esprimere. Per una discussione del fenomeno e un'ampia descrizione dei modi di espressione della definitezza su base interlinguistica cfr. Lyons ( r 9 9 9 ) . Sull'italiano cfr. Renzi ( r 9 88).

39

L I N G UISTICA TESTUALE

In inglese, il riferimento generico è espresso da sintagmi plurali privi di specificatore (o con «articolo zero» IJ) , mentre negli stessi sintagrni l'articolo determinativo indica necessariamente un riferimento specifi­ co. Con (23)a il parlante intende che non ama i biscotti allo zenzero in generale, mentre con (23 )b intende che, fra i tipi di biscotti cui si sta facendo riferimento, e che hanno un rimando concreto nella real­ tà ( ad esempio, si trovano in una credenza di fronte agli interlocuto­ ri), quelli allo zenzero non gli piacciono: (23)

a) I don't like ginger biscuits b) I don't like the ginger biscuits

In italiano, l'uso dell'articolo zero per il riferimento generico non è consentito: (24)

a) Mi piacciono i biscotti allo zenzero b) *Mi piacciono biscotti allo zenzero

L'articolo zero è invece consentito, in italiano, per il plurale dei nomi numerabili e il singolare dei nomi di massa, quando questi abbiano un riferimento singolare non specifico:

(25 )

a) Non compro mai biscotti allo zenzero b) Non compro mai té alla frutta

Altri parametri indicatori di definitezza possono essere la presenza o meno di flessione, o altre peculiarità morfologiche. In italiano, ad esempio, l'opposizione fra congiuntivo e indicativo nelle relative re­ strittive dipendenti da un sintagma nominale può distinguere un rife­ rimento singolare specifico da uno singolare non specifico:

(26 )

a) Cerco un libro che mi appassiona b) Cerco un libro che mi appassioni

In turco, l'uso combinato dell'opposizione fra marcatura e non mar­ catura di caso e fra uso o meno del numerale consente di individuare quattro casi:

(27)

a) Ahmet okuz-ii

aldi Ahmet bue-Ace comprò

1 3 . Sull'articolo zero cfr. Renzi

(riferimento specifico, identificabile)

(1985 ) .

2.

REFERE NTI TESTUALI

b) Ahmet bir okuz-ii aldi (riferimento specifico , identificabile) Ahmet un bue-Ace comprò c) Ahmet bir okuz aldi (riferimento specifico, non identificabile) Ahmet un bue comprò d) Ahmet okuz aldi (riferimento non specifico) Ahmet bue comprò In (27 )h l'espressione è marcata contemporaneamente con una marca di definitezza, l'uso della declinazione, e con una di indefinitezza, il numerale bir. Il valore di (27)b è analogo a quello dell'esempio in (2 8)b: come osserva Lambrecht ( r 994), esiste in francese, e, aggiun­ giamo noi, anche in italiano, la pos sibilità, attraverso l'uso del dimo­ strativo, di presentare come identificabile e noto un referente nuovo, segnalando così la volontà di instaurarlo come topic ( cfr. CAP. 3) per gli enunciati successivi:

(28)

a) Rientrando da Pavia, h o incontrato un turista giapponese b) Rientrando da Pavia ho incontrato questo turista giapponese che ha p a rlato al telefono fino all'arrivo

Come si è già avuto occasione di dire, infatti, le regole d'uso delle marche di definitezza non vincolano ogni scelta espressiva: se, da un lato, è necessario che il parlante segnali la definitezza di un riferimen­ to, se vuole che questo sia riconosciuto come tale, gli è però possibile marcare come definito un riferimento non pienamente attivo o identi­ ficabile, quando sia sua intenzione, per qualche motivo comunicativo, il presentare il referente come definito, ovvero identificabile. La mar­ catura della definitezza non è cioè semplicemente una marça di se­ gnalazione di un valore in qualche modo "intrinseco " al riferimento in questione, ma è piuttosto ciò che in ultima analisi determina la definitezza o meno del riferimento. Su quali proprietà del referente testuale si basi la sua (in)definitezza - sui parametri della quantifica­ zione, dell'identificabilità, dell'attivazione - è poi chiarito contestual­ mente. Nell'esempio seguente, solo l'uso dell' articolo indica al desti­ natario del messaggio se il referente testuale in questione vada inter­ pretato come definito o indefinito:

(29 )

a) Quella è la mia vicina di casa b) Quell a è una mia vicina di casa

La definitezza espressa dall'uso dell'articolo determinativo in (3 o)a può essere dovuta al fatto che si tratta di un referente unico (perché

LINGUISTICA TESTUALE

chi parla non ha altri vicini di casa) , che si tratta di un referente identificabile dall'ascoltatore (ad esempio perché gli interlocutori han­ no già parlato di questa vicina, o comunque il parlante è a conoscen­ za del fatto che l'interlocutore è in grado di identificare la persona in questione come una specifica vicina di casa) o che si tratta di un refe­ rente attivo nella mente del parlante (che, ad esempio, è in stretti rapporti con questa vicina e per il quale essa è quindi la vicina di casa più facilmente "attivata" in un discorso), il quale così intende presentarlo all'interlocutore: la corretta interpretazione dell 'intenzione comunicativa del parlante dipenderà dall a conoscenza del contesto nel suo complesso. Resta costante la segnalazione del suo desiderio di presentare il referente testuale in questione come definito. Proprio questa differenza concettuale fra, da un lato, le proprietà intrinseche di un referente testuale in termini di quantificazione, identificabilità, attivazione in un determinato punto del discorso e, dall'altro, le intenzioni comunicative del parlante sul modo di pre­ sentare il referente in questione rende importante tenere distinti i due piani di analisi: la definitezza sarebbe cioè, in questa visione, la gam­ ma di opzioni che una lingua mette a disposizione del parlante per­ ché questi scelga come strutturare ed esprimere lo spazio complesso di relazioni fra i valori di quantificazione, identificabilità e attivazione propri di ogni referente testuale in ogni momento del discorso. 2 . r .6. Scale di accessibilità Alcune proposte descrittive dello status dei referenti testuali nel di­ scorso hanno tentato, considerando di fatto congiuntamente i para­ metri di identificabilità e attivazione, di stilare delle «scale di acces­ sibilità», a cui sarebbero legati i modi di espressioni dei referenti testuali stessi. Noi illustreremo qui, nella FIG. 2 . 3 , quella proposta da Chafe ( r987), sostanzialmente ripresa in Lambrecht ( r 994 ) , e, nella FIG . 2 .4, quella di Levelt (r 989). FIGURA

2 .3

Gradi di attivazione

(activation states) di un referente testuale

Attivo: presente nel centro di attenzione Semiattivo (accessibile): presente nelle conoscenze Inattivo: presente nella memoria a lungo termine Fonte: Chafe ( 1 987).

2 . REFERENTI TESTUALI FIGURA 2.4

Scala di accessibilità (accessibility

status)

di un referente testuale

In focus: presente nel centro di attenzione Nell'universo di discorso: disponibile nell'universo di discorso Accessibile: inferibile Inaccessibile: totalmente nuovo

L'accessibilità di un referente testuale, cioè la sua possibilità di essere univocamente identificato con un'entità precisa, può essere motivata, come si è detto, da fattori di diversa natura, sintattici, semantici o pragmatici. Motivazioni sintattiche sono alla base dell ' accessibilità di referenti che sono già stati menzionati nel testo, come per la salsa richiamata dal clitico la nell'esempio seguente: (3 o)

Unire le spezie alla salsa e mescolar/a fino a ottenere un impasto omo­ geneo (ricettario di cucina) .

Sono accessibili grazie a specifiche proprietà semantiche del referente le espressioni dotate intrinsecamente di referenza unica, come i nomi propri o alcune descrizioni definite già più volte menzionate (Niccolò Carosio, la nazionale di calcio paraguaiana, la navicella spaziale Apollo r 3 ) e i referenti evocati da altri cui sono legati da relazioni lessicali, come il rapporto metonimico che si istituisce nel caso seguente· fra uova e tuorli: (3 r )

Aprire le uova nella padella ponendo attenzione a non rompere i (ricettario di cucina) .

tuorli

In tutti questi casi, però, l'accessibilità del referente è resa possibile anche grazie a una componente pragmatica, ovvero alla disponibilità, nell'universo condiviso dai parlanti, di una serie di conoscenze sul modo in cui il mondo e gli oggetti che ne fanno parte sono orga­ nizzati: il fatto che fra uova e tuorli si istituisca una relazione metani­ mica, infatti, è una quest ione di competenza lessicale relativa al si­ gnificato dei due nomi, ma anche di conoscenza enciclopedica relati­ va al modo in cui sono fatte le uova; così, il fatto che esista una e una sola nazionale di calcio paraguaiana al momento in cui il discorso 43

LINGUISTICA TESTUALE

è in atto, per cui il riferimento ad essa con una marca di referenza definita (l'articolo determinativo) non crea alcuna difficoltà all' ascol­ tatore, è legato alla conoscenza che i due parlanti hanno sul mondo del calcio; infine, il fatto che un parlante possa menzionare un refe­ rente con la sola espressione nominale Niccolò Carosz'o è legata alla sua congettura che l'interlocutore condivida una serie di informazioni che gli consentono di legare questa espressione a un referente cono­ sciuto. Altri casi di accessibilità di referenti dipendenti da un intreccio fra semantica e pragmatica sono i referenti accessibili grazie a frame (cfr. PAR. 2 . r . 3 ) , mentre legata prevalentemente a fattori pragmatici è l'accessibilità, già alla prima menzione, di referenti come la portt'naia, che fa riferimento a una persona conosciuta da entrambi i parlanti (ad esempio due condomini) , o mz'o fratello, referente per la cui iden­ tificabilità è necessaria la conoscenza dell'identità del parlante (cfr. PAR. 2.3), Data l'alta pervasività del livello pragmatico nel determinare l'ac­ cessibilità di un referente testuale, alcuni autori impostano in modo unificato la descrizione dell'accessibilità dei referenti a partire da que­ sto livello. Lambrecht ( r 994) , ad esempio, propone una visione ampia del concetto di universo di discorso, includendovi tutto l'insieme del­ le conoscenze condivise dai partecipanti: referenti testuali accessibili sono quindi quelli i cui referenti nel mondo sono presenti all 'interno dell'universo di discorso condiviso, del quale entrano a far parte per vie diverse: per esplicita menzione nel discorso in atto, o per evoca­ zione a partire da un frame attivato nel discorso in atto, oppure per­ ché parte di uno dei frame di conoscenze, personali e universali, "permanentemente" presenti nella mente degli interlocutori. Si può riformulare in questo senso anche il concetto per cui può essere il parlante stesso a scegliere se presentare come accessibile o meno un referente nel discorso: così facendo, egli richiama e rende attivo nell 'universo di discorso, qualora ancora non lo fosse, il frame necessario perché un'interpretazione definita del referente menziona­ to sia possibile. Un impiegato che, verso le dieci del mattino, volendo proporre un caffè ai suoi colleghi dica: (32)

a ) L o prendete u n caffè? b) Lo prendete il caffè?

evoca, scegliendo la variante b, un'abitudine radicata alla consumazio­ ne di un caffè nella mattinata, grazie alla quale si può dire che, in 44

2 . REFERENTI

TESTUALI

quel particolare momento, il caffè sia un elemento "pragmaticamente attivo" dell 'universo di discorso. :z . :z

L 'anafora

2.2 . r .

Riferimento e rinvio

Come abbiamo visto, il fatto che si sta facendo riferimento a un re­ ferente già istituito nel testo deve essere segnalato, pena la mancata identificazione del referente nelle diverse ricorrenze. Le descrizioni definite che segnalano che il referente cui rimandano è già presente nel testo hanno dunque, oltre alla funzione di riferimento, funzione di rinvio alla menzione precedente. Nell'esempio seguente, la descri­ zione definita la donna fa riferimento allo stesso referente dell'e­ spressione la vecchia Diondioré: l'uso dell'articolo determinativo se­ gnala che la donna in questione deve essere considerata identificabi­ le, e il referente più probabile risulta essere la vecchia della frase precedente. (33)

Poco distante, ai margini dei campi di miglio, c'è una piccola abitazio­ ne. Qui vive la vecchia Diondioréi> figlia di Ogotemmeli: «È la più an­ ziana del villaggio, avrà più di novant'anni>> dice Missirì, avvicinandosi alla porta per chiamare la donnai (Aime, Diario dogon, p. 3 3 ) .

In questo caso, la descrizione definita la donna ha funzione di riferi­ mento a un referente extratestuale e, anche, di rinvio interno al testo all'espressione la vecchia Diondioré. Il legame che si istituisce fra le due espressioni si dice di tipo anaforico. Si definisce infatti comune­ mente anafora la relazione fra due elementi linguistici in cui l'inter­ pretazione di uno, detto anaforico, richiede in qualche modo l'inter­ pretazione dell'altro, detto antecedente (Huang, 2ooo). Una volta che un referente testuale è attivato nel discorso, è possibile fare di nuovo riferimento ad esso sia attraverso una nuova descrizione definita, sia attraverso un elemento linguistico che funziona come segnale di rin- · vio alle menzioni precedenti. Le lingue possiedono inoltre solitamente mezzi specifici per istituire legami di tipo anaforico fra espressioni re­ ferenziali in un testo. Un mezzo diffuso è quello delle pro-forme, cioè di elementi che non consentono un riferimento autonomo ma hanno intrinsecamente funzione di rinvio, rimandando necessariamente, per la propria interpretazione, ad altre espressioni del testo. L'italiano di­ spone di un ampio inventario di pro-forme, di cui le più tipiche sono i pronomi personali, i relativi e i dimostrativi: 45

L ING U I S T I C A TESTUALE

(34)

a) Tre ragazzinii ci superano di corsa e si precipitano attraverso il tun­ nel. [. . ] Missirì mi dice che bisognerebbe dar loroi qualcosa (Ai­ me, Diario dogon , p. 3 5) b ) Anche i turisti seduti lì davanti in fondo sanno benissimo che le danze che stanno osservandoi non sono rituali e forse non riusci­ rebbero neppure a comprenderne gli aspetti più profondi se que­ stei fossero eseguite nel loro contesto naturale (Airne, Diario dogon, p. 5 4) . .

Nei paragrafi successivi approfondiremo il fenomeno dell'anafora dal punto di vista degli elementi linguistici che possono essere interessati da anafora (PAR. 2.2.3 ) e dal punto di vista dei tipi di relazione che possono instaurarsi fra i due elementi legati da anafora (PAR. 2.2.4) . Nel prossimo paragrafo discutiamo però brevemente una questione preliminare, ovvero la correlazione fra rinvio anaforico e instaurazio­ ne di referenti testuali. 2 .2.2. Istituzione di un referente testuale La possibilità di rimando anaforico a un referente extratestuale è le­ gata evidentemente alla sua preliminare introduzione come referente testuale nel discorso 14. Con il riferimento esplicito a un referente at­ traverso una descrizione definita, esso viene istituito come referente testuale ed entra così a far parte dell'insieme di elementi attivati nel­ l'universo di discorso, ai quali è possibile fare rimando anaforico r ' ; tuttavia non ogni descrizione definita di per sé istituisce nel discorso un referente testuale: ciò dipende anche dall'enunciato in cui tale de­ scrizione è inserita e dal ruolo che essa svolge nell'enunciato di cui fa parte 1 6 • Il riferimento generico e il riferimento non specifico, ad esempio, 14. Cfr. Conte (r98o, p. 32): «lnstaurazione di un referente testuale e possibilità di ripresa anaforica sono fenomeni correlativi: riferimento anaforico è possibile se, e solo se, un referente testuale è stato instaurato nel testo (in altri termini: un referente testuale è instaurato nel testo se, e solo se, in quel testo è possibile fare riferimento anaforico ad esso)». 15. Ricordiamo che la menzione non è necessaria perché un'entità faccia parte dell'universo di discorso, ma lo è normalmente perché esso venga reso effettivamente attivo nel testo. Così, l'attivazione di un frame evoca tutti i componenti del frame stesso (li rende cioè " accessibili " ) , ma perché qualcuno di questi componenti si in­ stauri come referente testuale - e sia quindi passibile di ripresa anaforica - ne è ne­ cessaria la menzione (con eccezioni che vedremo) . Cfr. PAR. 2 . 2 . 3 . r 6 . Aggiungiamo che non solo le descrizioni definite instaurano referenti testuali, ma anche, ad esempio, espressioni deittiche: cfr. PAR. 2 . 3 .

2.

REF E R E N T I TESTUALI

non instaurano un referente testuale singolare, come è mostrato dal­ l'impossibilità di fare una ripresa anaforica a partire da espressioni di questo tipo r 7 : (3.5)

(3 6)

L'animale con le maggiori affinità genetiche con l'uomo è lo scimpan­ zé. *Lo si vede ogni mattina aggirarsi per l'accampamento (riferimento generico) a) In questa zona è frequente incontrare uno scimpanzé;. Lo; si vede ogni mattina aggirarsi per l'accampamento (riferimento singolare specifico) b) Non è facile avvicinare uno scimpanzé che non fugga alla vista un uomo. *Lo si vede ogni mattina aggirarsi per l'accampamento (rife­ rimento singolare non specifico) .

Nella frase (36), la ripresa anaforica con il pronome lo è consentita in a, perché l'espressione uno scimpanzé consente una lettura specifica e instaura così un referente testuale, mentre nella variante b il pronome Lo resta privo di riferimento poiché non può rinviare all'espressione uno scimpanzé, che ha qui necessariamente lettura non specifica e quindi non instaura un referente testuale. Il riferimento generico e il riferimento non specifico instaurano invece un riferimento alla classe, per cui è possibile un rinvio che abbia come referente l'intera classe: L'animale con le maggiori affin ità genetiche con l'uomo è lo scimpan­ zé. Esso vive in clan famigliari piuttosto ampi. Uno scimpanzé; app rende dalla madre nei primi anni di vita a servirsi di alcuni utensili. E frequente ad esempio osservar/o; mentre appunti­ sce un bastoncino per catturare le termiti nei cunicoli dei termitai.

Negli enunciati negativi, le espressioni indefinite hanno normalmente interpretazione non specifica, per cui non consentono, come visto, ri­ presa anaforica con interpretazione singolare: ( 3 9)

a) n cane abbaiava a un passante;. Dopo qualche minuto, questi; se ne andò infastidito. b) n can e non abbaiava a un passante, ma per un rumo re persistente. *Dopo qualche minuto, questi se ne andò infastidito.

17. Molti degli esempi che seguono sono più naturali se, anziché con il pronome personale o col dimostrativo, la ripresa anaforica avviene mediante un'anafora zero, ovvero con ellissi del soggetto: la ripresa con una marca esplicita ci serve qui a fini di maggior evidenza. Cfr. PAR. 2 . 2 . 3 .

47

LING UISTICA TESTUALE

Le espressioni definite, invece, possono istituire referenti testuali tan­ to in frasi affermative quanto in frasi negative r s . L'istituzione di un referente testuale dipende anche dal tipo di predicato coinvolto. Si osservi come, negli esempi seguenti, la negazione (frasi b) non con­ sente di instaurare il sintagma nominale oggetto come referente te­ stuale nell'esempio ( 41 ) , ma lo consente in (4o), ( 4o) ( 4I )

a) n ragazzo aprì il cancello;. Questo; scricchiolò. b) n ragazzo non aprì il cancello;. Questo; scricchiolò. a) n giardiniere ha già costruito la staccionata;. Essa; separa il giardino dall'orto b) n giardiniere non ha ancora costruito la staccionata. *Essa separa il giardino dall'orto

La differenza di comportamento è data dal diverso rapporto che in­ tercorre fra il verbo e il sintagma nominale oggetto da esso dipen­ dente (il cancello e la staccionata) : nel caso di (4o), il sintagma è un obiectum affectum, per il quale cioè l'azione del predicato modifica il referente cui il sintagma fa riferimento ma non ne intacca l'esistenza; nel caso di (41 ) il sintagma è un obiectum e/fectum, per il quale cioè la sussistenza dell'azione del predicato è necessaria per l'esistenza del referente cui il sintagma fa riferimento (se il giardiniere non ha co­ struito la staccionata, la staccionata non esiste e non è possibile farne oggetto di predicazione successiva): venendo meno l'azione espressa dal predicato, anche il referente cui il sintagma oggetto fa riferimen­ to viene meno, e il sintagma non instaura quindi alcun referente te­ stuale. 2.2.3 . Mezzi linguistici per il rinvio anaforico

Diversi tipi di costituenti possono essere interessati da ripresa anafo­ rica e i mezzi linguistici di ripresa in una lingua possono essere di­ versificati a seconda dell'antecedente che riprendono. Negli esempi seguenti si illustrano, rispettivamente, esempi di rimando anaforico a un'entità, un'azione, una proprietà, un evento, rispettivamente espresr 8 . Questa p rop rie tà è legata all a presupposizione di esistenza che , secondo una diffusa interpretazione logico-semantica, accompagna le descrizioni definite con riferi­ mento definito: l'uso di un'espressione come il passante nella frase Il can e non abbaiò al passante porterebbe con sé una presupposizione di esistenza del referente designa­ to, la quale non sarebbe intaccata dalla negazion e : nell'universo di discorso considera­ to il passante esiste, insomma, indipendentemente dal fatt o che il cane gli abbai con­

tro o meno. Cfr.

PAR.

4-2.2.

2,

REFERENTI TESTUALI

si attraverso un sintagma nominale, un sintagma verbale, un sintagma aggettivale e preposizionale, una proposizione: (42)

a) Il cavallo biancoi era in testa. Loi vedevamo sopravanzare gli b)

(4 3 )

a) b)

(44 )

a) b)

(45 )

avver­

sari di almeno una lunghezza. Il cavallo biancoi era in testa. L'animalei sopravanzava gli avversari di almeno una lunghezza. n cavallo bianco superò con agilità il primo ostacoloi, mentre gli av­ versari lo /eceroi con difficoltà. n cavallo bianco superò con agilità il primo ostacoloi, mentre gli altri ebbero molta difficoltà nella provai. Carla ha una borsa giallai l con la tracollai e anche Anna ne ha una così l simile. Carla ha una borsa giallai l con la tracollai e anche Anna ne ha una

dello stesso tipoi. a) Il trattato di pace è stato firmatoi. Loi riportano in prima pagina tut­ ti i giornali. b) Il trattato di pace è stato firmatoi. La notiziai è riportata in prima pagina.

Negli esempi a la ripresa anaforica è effettuata attraverso pro-forme, cioè elementi linguistici che hanno intrinsecamente funzione di sosti­ tuzione e rinvio anaforico: si tratta non solo di pronomi, ma anche di aggettivi, di avverbi e di verbi (il predicato farlo è un mezzo di ri­ presa anaforica per sintagmi verbali) 1 9 . Elementi con funzione chiaramente anaforica rispetto a proposi­ zioni e predicati sono poi alcuni avverbi, come sì e no e il focalizzato­ re anche 2 0 • Il loro comportamento è petò leggermente diverso, come i seguenti esempi mostrano: (46)

a) Gianni era un artista, Ann a no.

(47)

b) Gianni era un artista, Anna non era un'artista. c) *Gianni era un artista, Anna no era un'artista. a) Gianni non era un artista, Anna sì. b) Gianni non era un artista, Anna era un'artista . c) *Gianni non era un artista, Anna sì era un'artista

21•

1 9 . Molte delle forme d i rimando anaforico qui descritte possono svolgere anche funzione di riferimento deittico: ne riparleremo nel PAR. 2 . 3 . 2 0 . Torneremo su altre proprietà d i anche nel CAP. 3 · 2 1 . L'enunciato è inaccettabile con una intonazione piana, analoga a quella di Anna lo era. Sarebbe accettabile con una lettura enfatica di sì: Anna sl lo era, identica nella funzione a una frase scissa del tipo Anna sì che lo era , o con una cesura intonati­ va dopo sì: Anna sì, lo era, corrispondente a una dislocazione a destra. In questi casi

49

LINGUISTICA TESTUALE

(48 )

a) Gianni era un artista e Anna anche. b) Gianni era un artista e Anna era un'artista. c) Gianni era un artista, e Ann a anche l anche Anna era un'artista.

Come si osserva, gli avverbi sì e no si comportano da sostituenti ana­ forici, occupando esattamente il posto della predicazione cui rinviano (esempi b) e non potendo occorrere congiuntamente ad essa (esempi c) . Anche, viceversa, può ricorrere anche congiuntamente all a predica­ zione cui rimanda, per cui non può essere considerato un sostituente anaforico. Tuttavia, la sua presenza è necessaria perché l'ellissi sia consentita: (49)

*Gianni era

un

artista e Anna

e, da questo punto di vista, anche ha una funzione precipuamente anaforica nei confronti del predicato. Come gli esempi precedenti mostrano, un legame anaforico si in­ staura anche attraverso l'ellissi, ovvero l'omissione, in una seconda menzione, di un costituente già menzionato. Come i seguenti esempi illustrano, l'ellissi può riguardare diversi costituenti (il verbo, un suo argomento, un'intera proposizione) 22: (5o) (5 1 ) (5 2 )

Carla prende; la margherita, Sandra 0; la napoletana Carla adora, e Sandra detesta 0;, la musica folk Carla avrebbe voluto che Sandra comprasse un disco di musica folk;, ma Sandra ha rifiutato 0;

Si può evidentemente parlare di ellissi, cioè di om1ss10ne, solo per confronto rispetto a un modello: è proprio nel confronto con un mo­ dello di frase completa (ovvero, una frase a nodo verbale compren­ dente tutti gli argomenti richiesti dal verbo) che emerge l'assenza di un elemento. Si può considerare un caso di ellissi anche l'omissione del sogget­ to che riprende anaforicamente un costituente precedente: (5 3 )

Carla; ordinerà le pizze e 0; le porterà subito

a

casa

L'omissione del soggetto è però un fenomeno parzialmente distinto dall'ellissi perché non si tratta di un caso di semplice cancellazione: però il sì conserverebbe la propria funzione anaforica, analogamente a quanto avviene per i costituenti spostati delle frasi scisse e dislocate (per questi concetti cfr. CAP. 3 ) . 2 2 . I l segno 0 indica il luogo da cui è stato cancellato il costituente ellittico.

50

2 . REFERENTI TESTUALI

in lingue come l'italiano, in cui il verbo accorda in persona, numero ed eventualmente genere con il soggetto, il soggetto non espresso è marcato dalla flessione di persona del verbo, ovvero esiste un mezzo grammaticale di segnalazione del referente testuale non espresso. Nel­ l'esempio seguente, è possibile determinare il referente dei diversi soggetti non espressi grazie alla flessione personale del verbo. In par­ ticolare, il referente contrassegnato con ii coincide con il narratore. (54)

Sekoui indossai il tradizionale abito di cotofle bianco sopra i jeans e 0i si unisce agli altri suonatori del piazzale. Loi 0ii seguo con Youssou/ Tata Cisséiii , un anziano etnologo maliano che 0ii ho conosciuto al Campement. 0ili È un uomo imponente, 0ili vestito con un bel bou­ bou verde e un fez rosso in testa (Aime, Diario dogon, p. 5 1 ) .

Talvolta le connessioni anaforiche non sono così chiaramente identifi­ cabili. Nell'esempio seguente, il sintagma verbale la pensa così riman­ da anaforicamente non alla precedente proposizione subordinata eh� Anna partisse o all'intera proposizione vorrebbe che Anna partisse ma piuttosto a una proposizione non esplicitata Anna farebbe bene a

partire: (5 5)

Gianni vorrebbe che Anna partisse, e anche Paolo la pensa cosz�

In altri casi, la reintegrazione degli elementi ellittici richiederebbe una riformulazione della frase, che quindi non subisce semplicemente cancellazione di elementi. Riportiamo un esempio citato da Marello ( r 984): (56)

a) Io ti avevo dato maggior prova di amicizia che lei 0 di amore (To­ mizza, r98o) b) Io ti avevo dato prova di amicizia maggiore della prova d'amOre che lei ti aveva dato

La sostituzione anaforica può avvenire anche attraverso descrizioni definite (cfr. le frasi b degli esempi da 42 a 45 ): si prestano a questo scopo espressioni che intrattengono con l' antecedente una relazione semantica di iperonimia o di sinonimia. Ne vediamo di seguito due esempi: n pittore Cimabue nacque a Firenze nel r 2 4o ca. n noto artista venne preso giovanissimo a bottega da Giotto. (5 8) Una maschera eschimese tridimensionale con dodici braccia e una quan­ tità di buchii è appesa accanto a una tela su cui Juan Mirò ha dipinto /orme colorateii. ll pubblico, a New York, guarda i due oggettii + ii e

(57)

51

L I N G UISTICA TESTUALE

vede che si somigliano (Clifford, I /rutti puri impazziscono, cit. in Ai­ me, Diario dogon, p. 7 1 ) .

La ripresa attraverso descrizioni definite consente di aggiungere tratti denotativi o connotativi al referente testuale, per cui il rapporto che si instaura fra anafora e antecedente non è di semplice "riattualizza­ zione" , ma anche di arricchimento semantico o pragmatico. Si veda il seguente passo tratto da V erga, in cui il referente testuale padron 'Ntoni è ripreso dalle espressioni il malato e il poverino: (,9)

Per due o tre giorni padron 'Ntoni fu più di là che di qua. La febbre era venuta, come aveva detto lo speziale, ma era venuta così forte che stava per portarsi via il malato. Il poveraccio non si lagnava più, nel suo cantuccio, colla testa fasciata e la barba lunga. Aveva solo una gran sete, e quando Mena o la Longa gli davano da bere afferrava il boccale con le mani tremanti, che pareva volessero rubarglielo (Verga, I Malavoglia, cap_ w) .

Lo stesso accade nel caso seguente, in cui il sintagma il tradizionale saluto rinvia all a sequenza di frasi successive, connotandone il valore conversazionale e la forza ill ocutiva 2 3 ; (6o)

Missirì e l'uomo snocciolano il tradizionale saluto: come va? bene, e la casa? bene, e la famiglia? bene . . . (Aime, Diario dogon, p. 3 4) -

Conte ( r 996) designa i nomi che fungono da parafrasi riassuntive di intere porzioni di testo con il nome di incapsulatori anaforici. Conte ( r 9 8 8b) ha poi osservato come anche le pro-forme possano essere sfruttate per esprimere valori connotativi oltre che per la sem­ plice funzione denotativa di rinvio an aforico: commentando un passo de La metamorfosi di Kafka, Conte nota come, nel procedere dell a narrazione, il riferimento al personaggìo di Gregor Samsa sia fatto dapprima con il pronome maschile er, successivamente con il prono­ me neutro es e infine nuovamente con er: questo mutamento non è legato al cambiamento del referente, ovvero non avviene in concomi­ tanza con la trasformazione del protagonista da essere umano a inset­ to, ma coincide con il mutare dell'atteggiamento dei parenti nei con­ fronti di Gregor, da un sentimento di pena a uno di fastidio e sop ­ portazione e nuovamente ad uno di pietà. La selezione di mezzi diversi per il rinvio anaforico è in parte re­ golata dall'accessibilità del referente testuale: a referenti altamente ac23. Cfr. per questo concetto il CAP.

4· 52

2.

REFERENTI TESTUALI

cessibili corrispondono mezzi di ripresa meno "pesanti" , mentre refe­ renti meno accessibili sono segnalati attraverso mezzi linguistici più pesanti. Nel caso seguente, in a l'immediata adiacenza fra l'antece­ dente e il riferimento anaforico - che fa sì che il referente testuale sia non semplicemente accessibile ma nel centro di attenzione del discor­ so - richiede una ripresa con pronome clitico. In caso contrario, come in b, è richiesto un mezzo di ripresa più pesante, come una ripetizione del sintagma nominale 24: a ) Tritate finemente le cipollei e unite lei al soffritto l * e unite le ci­

(6 I )

pollei al soffritto b) Tritate finemente le cipollei. Preparate un soffritto di aglio e pepe­ roncino e unite le cipollei al soffritto l *e unitelei al soffritto.

Riportiamo nella FIG . 2 . 5 la scala dei mezzi di ripresa anaforica in relazione all'accessibilità dell'antecedente individuata da Giv6n (!983)

2' ·

FIGURA

2.,

Mezzi di ripresa anaforica, accessibilità e continuità referenziale

Re/erente più discontinuo l inaccessibile

Re/erente più continuo l accessibile

anafora zero > pronomi atoni o accordo > pronomi tonici > SN definiti > sN indefiniti Fonte: Giv6n ( 1 9 83).

Un altro fattore che entra in gioco nella selezione dei mezzi di ri­ presa anaforica è il ruolo sintattico, semantico e pragmatico 26 svolto dal referente testuale cui si fa rinvio: si fa ricorso a mezzi di ripresa anaforica più leggeri quando tale ruolo è mantenuto rispetto all ' ante­ cedente, si ricorre a mezzi di ripresa più pesanti quando il ruolo cambia. Diamo qui un esempio di (non) mantenimento del ruolo sin24. Analoghe restrizioni si osservano per l'ellissi, cfr. Marello (1 984). 2 5. La scala di accessibilità di Giv6n riguarda più precisamente l'accessibilità dei

soli costituenti in topic (cfr. CAP. 3 ) . Per questo motivo, nel riportarla, abbiamo trala­ sciato i costrutti dedicati a modulare il ruolo informativo del costituente (come le di­ slocazioni, le frasi scisse, la posizione lineare del costituente nell'enunciato). Cfr. CAP.



2 6 . Per la distinzione fra livello sintattico, semantico e pragmatico di analisi di un enunciato, e per la descrizione dei diversi ruoli che un referente può assumere a questi tre livelli cfr. CAP . 3 ·

53

LINGUISTICA TESTUALE

tattico fra antecedente e rinvio anaforico, che porta alla selezione di due diversi mezzi di ripresa anaforica: ( 62)

a) Giannii ha incontrato Carloii e 0i loii ha invitato a una festa (0 = Gianni, mantenimento del ruolo sintattico dell'antecedente) b) Giannii ha incontrato Carlou e luiu loi ha invitato a una festa (lui = Carlo, mutamento del ruolo sintattico rispetto all'antecedente)

2 . 2 .4.

Relazioni fra antecedente e anafora

Le anafore presenti in un testo possono essere considerate come se­ gnali lasciati all'interprete sul fatto che il riferimento a uno degli ele­ menti del testo corrente va cercato nel co-testo precedente. All'inter­ prete spetta dunque il compito, in presenza di un'anafora, di indivi­ duare correttamente l'antecedente. Per fare ciò egli si serve di strate­ gie morfosintattiche, semantiche e pragmatiche. Gli elementi anaforici spesso possiedono delle marche che guidano nel recupero dell' antece­ dente. In italiano, come abbiamo visto, tanto il sistema dei pronomi personali, dimostrativi - quanto l'accordo personale del verbo (che, come abbiamo visto, può essere considerato uno strumento di rinvio anaforico) consentono di segnalare alcune proprietà morfologiche dell'antecedente, ovvero il genere, il numero e la persona: il sistema di rinvio anaforico dell'italiano marca quindi sull'elemento anaforico alcune proprietà lessicali dell'antecedente. Nell'esempio che segue, i pronomi e i verbi si accordano in gene­ re e numero ai nomi che fungono da antecedente, e i verbi segnalano, attraverso il ricorso alla terza persona, che il loro soggetto non coin­ cide con il mittente o il ricevente del testo. Si crea in questo modo una rete di marche formali che aiutano la corretta interpretazione delle catene di anafore 27: ( 6 3) a scrutare un gruppetto Dopo pochi metri Missirì si mette Missirì III mettere-IIIS scrutare di uomini che camminano su un sentiero poco lontano dal nostro. uomo-MP camminare-IIIP 2 7 . Abbiamo inserito nell'esempio (63) delle glosse lessicali e morfologiche - re­ lative ai soli tratti maschile (M), singolare (S) , plurale (P) , terza persona (III) - sulle espressioni che rinviano ai referenti «Missirì» e «i due uomini». In questo modo il testo è maggiormente comparabile con i più "esotici " esempi in (64) e (65 ) a e b. Per omogeneità, in questi esempi abbiamo limitato le glosse morfologiche ai tratti perti­ nenti per il nostro discorso (oBv e PROX per il Plains Cree in (64) , s s e DS per il Harway in (65 )a e b).

54

2 . REFERE N T I TEST UALI

Sono controsole e se ne scorgono solo i profili, ma Missirì esclama: Missirì esclamare-IIIS essere-IIIP «Sono loro». «Chi?». «Goumo, i due fratelli, quelli della foto essere-IIIP IIIP-MP MP due fratello-MP MP - anche lui conosce il libro del Campement. - Stanno andando stare-IIIP andare IIIS-MS conoscere-BIS due si dirigono al mercato di Ibi». Missirì li chiama ei Missirì IIIP-MP chiamare-IIIS MP due III dirigere-IIIP verso di noi. (Aime, Diario dogon, p. 63 -4).

Altri sistemi linguistici marcano il legame anaforico segnando sull'a­ nafora altre proprietà dell'antecedente: ad esempio, un referente te­ stuale può essere marcato per la sua maggiore o minore centralità come oggetto di discorso, e le espressioni anaforiche marcano questa proprietà. Un esempio spesso citato di Bloomfi.eld ( 1930) proviene dal Plains Cree, lingua amerindia che qui riportiamo in (64) da Huang (2 ooo) . In questo testo è ben esemplificato come i due perso­ naggi cui si fa riferimento ( un indiano Cree e un Blackfoot) sono ri­ spettivamente marcati dai morfemi di valore «proximate» (PROX) , che segnala un referente centrale nel discorso, e «obviative» (oBv) , che segnala un referente periferico nel discorso. In tutto il testo è possibi­ le attribuire correttamente le azioni espresse dai verbi e le entità espresse dai nomi all'uno o all'altro dei due referenti testuali in gioco grazie a questo sistema di marche: (64)

Mekw

mentre

e -pimohte-t camminare-PRO X

e-amaciwe-ytt arrampicare-OBV

aysiyiniw-a persona-OBV

Ekwa kitapam-e-w poi

ispatinaw collina

wapaht-arn vedere-PROX

napew-a uomo OBV -

kit ap akan

osservare-PROX

e-kanawapakanehike-yit guardare-attraverso-OBV e-nanatawapam- a-yit guardare-OBV

ayisiyiniw-a

p ers ona OBV -

Kiskeyim-e-w conos cere PROX -

55

ayahciyiniw-a Blackfoo t OBV -

L INGUISTICA TESTUALE

Ekea poi

o- p askis ikan PROX-fucile

mostkistaw-e-w

attaccare-PROX

pihtas6-w

caricare-PROX

e-pimisini-yit giacere-OBV

«Mentre (il Cree) camminava, vide una collina su cui qualcuno, un uomo (il Blackfoot) , stava arrampicandosi. Poi (il Cree) osservò che (il Blackfoot) guardava cercando delle persone. (li Cree) riconobbe che (il Blackfoot) era un Blackfoot. Poi (il Cree) caricò il suo fucile e lo attaccò mentre (il Black­ foot) si gettava a terra».

Altri sistemi marcano su uno degli elementi coreferenti (l'antecedente o l'anafora) il mantenimento o il non mantenimento del ruolo sintat­ tico o semantico rispetto alla o alle espressioni coreferenti. L'esempio seguente (tratto da Comrie, 1989, cit. in Huang, 2ooo) mostra una lingua africana, il Harway, in cui il verbo principale è accompagnato da una marca (on o mon) che segnala se il rimando anaforico del sog­ getto del verbo seguente è da legare al soggetto del primo verbo (ss: stesso soggetto) o a un altro elemento (os: diverso soggetto) : (65 )

a) Ha doyw nwgw-on bor dw-a bambino ratto vedere-SS correre andare: «li bambino vide il ratto e corse via>> b) Ha

doyw nwgw-mon bor dw-a bambino ratto vedere-DS correre andare: «li bambino vide il ratto e questo corse via>>

In lingue come l'italiano questo fenomeno esiste in quanto l'ellissi del soggetto tende ad essere interpretata come coincidenza con il sogget­ to della frase precedente, o della frase reggente (cfr. ad esempio ( 62)a): in questo senso si potrebbe dire che l'ellissi del soggetto, al­ meno in frasi coordinate o subordinate dello stesso enunciato o di enunciati contigui, sia in italiano un modo di marcare la continuità del soggetto. Si tratta però in realtà di una tendenza legata ai fenome­ ni congiunti dell'alta accessibilità e del ruolo topicale (cfr. CAP. 3) as­ sunto dal soggetto, e non di una regola sintattica rigida. Qualora il contesto lo suggerisca, è infatti possibile riferire il soggetto ellittico di una frase a un altro elemento presente nello stesso momento nel cen­ tro di attenzione: (66)

a) Giannii ha cercato tuo fratelloii a casa, ma 0i non gliii ha parlato b) Gian nii ha cerc at o tuo fratelloii a casa, ma 0ii non c'era

2 . REFERENTI TESTUALI

L'esempio mostra come il reperimento dell'antecedente di un elemen­ to anaforico, seppure guidato da mezzi grammaticali come sono i di­ versi tipi di accordo illustrati finora, fa anche affidamento sulle cono­ scenze semantico-pragmatiche degli interlocutori. La necessità di co­ noscenze supplementari, di tipo semantico e pragmatico, è partico­ larmente evidente nel caso di anafora lessicale, come negli esempi (57) e (5 8): in (57), il collegamento anaforico fra artista e Cimabue è consentito anche grazie alle conoscenze enciclopediche dell'interpre­ te, che sa che al referente Cimabue è ascrivibile la qualifica di artista; in (5 8), è grazie alle nostre conoscenze del significato delle parole che possiamo mettere in relazione maschera e tela con oggetti. Tuttavia, anche per il rimando effettuato attraverso mezzi grammaticali, i soli riferimenti grammaticali non sono sufficienti p er individuare l'antece­ dente. Nell'esempio seguente, il clitico lo potrebbe gramm aticalmente riferirsi sia a telo sia a cotechino; la corretta interpretazione scaturisce da vari fattori: le conoscenze lessicali dell'interprete rispetto agli og­ getti 'telo' e 'cotechino', per cui l'espressione 'fare a fette' risulta più appropriata per il secondo; le sue conoscenze in merito a una ricetta di cucina, in cui ci si aspetta che sia un cotechino ad essere preparato e non un telo; le aspettative in merito alla tipologia di testo e quindi la maggior centralità del referente 'cotechino', che perciò risulta un referente più accessibile per il rinvio anaforico. Si osservi che, invece, il ruolo sintattico rispettivo dei due p os sibil i antecedenti non sembra avere un ruolo nel guidare o indirizzare l'interpretazione - ovvero, (67)a non è interpretabile in modo diverso rispetto a ( 67)b. (67 )

a) Eliminate il tela dal cotechino, tagliate/o a fette, tenete in caldo in poco brodo bollente. b) Liberate il cotechino dal tela, tagliate/o a fette, tenete in caldo in poco brodo bollente.

Un ultimo punto che desideriamo toccare riguarda il tipo di legame referenziale che si istituisce fra anafora e suo antecedente. Negli esempi finora mostrati, il rapporto fra anafora e antecedente è di co­ referenza, ovvero il referente dell'anafora coincide con il referente dell'antecedente. Fra anafora e ant ec edente c'è identità di significato. Un legam e anaforico però può instaurars� anche ad altri livelli. Il caso seguente è un noto esempio di lazy pronoun (pronome pigro, per Con­ t e , r 9 8o) citato da Karttunen ( r 9 69): (68 )

L'uomoi che ha dato la busta-pagaii alla moglie è stato più saggio di quelloi che l'il ha data all'amante.

57

LINGUISTICA TESTUALE

In questo caso, il dimostrativo quello, che rimanda all'antecedente uomo, non istituisce con questo un rapporto di coreferenza, poiché il referente del primo non coincide con quello del secondo; l'uomo del­ la prima frase, in altre parole, non è lo stesso della seconda: si tratta di due diversi referenti che possono entrambi essere richiamati dall'e­ spressione uomo; allo stesso modo, il pronome clitico lo non rimanda allo stesso referente del suo antecedente stipendio, ma a un diverso referente che pure può essere ricondotto a questa espressione. Fra anafora e antecedente c'è identità non di significato ma di senso: fra i due c'è un rapporto di cosignificanza (cfr. Conte, 19 8o) . Infine, nell'esempio seguente (l'esempio è di Quine, cit. in Conte, 1 9 8o): (69 )

li pittore Giorgione era chiamato così per la sua mole

l'anafora non rinvia al referente dell'antecedente Giorgione (cioè al pittore in carne ed ossa) , ma direttamente all'espressione 'Giorgione' e più precisamente alla sua natura di accrescitivo. Conte parla in que­ sto caso di «anafora con salto di suppositio», dato che l'anafora non rinvia, come accade nell ' anafora propria - sia coreferenziale sia cosi­ gnificante -, all'antecedente in suppositione formali, cioè al suo conte­ nuto referenziale (nel nostro caso, il referente Giorgione in carne ed ossa) , ma all'antecedente in suppositione materiali, ovvero al suo si­ gnificante (nel nostro caso il nome Giorgione) . 2 .3 La deissi

2. 3. 1 . Riferimento deittico In questa sezione descriviamo un ultimo modo di riferimento al con­ testo extralinguistico che si affianca al riferimento lessicale attraverso descrizioni definite e al riferimento anaforico, ovvero il riferimento deittico. Possiamo accogliere la definizione di deissi data da Vanelli (Vanelli, Renzi, 1 995 , p. 262): Per «deissi» s i intende quel fenomeno linguistico per cui determinate espres­ sioni richiedono, per essere interpretate, la conoscenza di particolari condi­ zioni contestuali che sono l'identità dei partecipanti all' atto comunicativo e la loro collocazione spazio-temporale.

Nel corso di questo capitolo abbiamo già visto che molte espressioni linguistiche, per poter essere correttamente interpretate, richiedono

2.

REFERE N T I

TESTUALI

da parte dei partecipanti una serie di conoscenze condivise che trava­ licano la semplice conoscenza lessicale del significato delle espressioni usate. Riprendiamo qui di seguito alcuni esempi: (7o )

a) Ho finalmente visto la portinaia b) Sarebbe opportuno parlar/e !

c) Ecco ! È lei, la portinaia !

In (7o)a il riferimento la portinaia è interpretabile lessicalmente da entrambi gli interlocutori, ovvero entrambi hanno accesso all 'informa­ zione semantica contenuta nel lessema portinaia, ma per l'esatta indi­ viduazione del referente (che l'articolo determinativo presenta come identificabile) è necessario che i due interlocutori condividano una serie di conoscenze (ad esempio l'ascoltatore dovrà essere a cono­ scenza del fatto che il suo interlocutore ha problemi con la portinaia, oppure i due interlocutori abitano nello stesso palazzo per cui il rife­ rimento è chiaramente interpretabile come quello alla comune porti­ naia). In (7o)b il riferimento di le è di tipo anaforico e per essere interpretato richiede da parte dell'interlocutore una condivisione del contesto discorsivo con il parlante, ovvero una conoscenza del discor­ so svoltosi fino a quel momento (il co-testo, che comprenderà, ad esempio, un enunciato come (7o)a); un ascoltatore che intervenisse nella conversazione solo al momento in cui è proferito (7o)b non sa­ rebbe in grado di interpretare il riferimento di le. In (7o)c, invece, l'interpretazione del riferimento di lei richiede una conoscenza del contesto situazionale in cui il discorso avviene, ovvero delle sue coor­ dinate spazio-temporali, poiché è possibile capire il riferimento di lei solo in presenza della scena in cui l'evento discorsivo si svolge. Ri­ chiedono tipicamente una conoscenza del contesto situazionale in cui si svolge il discorso diverse espressioni personali, temporali e spaziali, come gli esempi seguenti rispettivamente illustrano: (7 1 )

(7 2 )

a) Vieni anche tu? b) Ci vediamo domani, allora ! c) n posto che cercate è qui.

a) Viene anche Carlo?

b) Verrò sabato. c) Dopo la curva bisogna andare a destra.

È opportuno tuttavia distinguere gli esempi in (7 1 ) da quelli in (72 ) . Sebbene tutte l e espressioni evidenziate abbiano infatti bisogno di co­ noscenze contestuali per poter essere interpretate, solo per quelle contenute in (7 1 ) questa è una necessità intrinseca. Queste espressio59

L I N G UISTICA TESTUALE

ni sono dette deittiche: non è mai possibile infatti assegnare un riferi­ mento ad espressioni come tu, qui, domani in assenza di informazioni sul contesto situazionale, mentre è possibile farlo per espressioni come Carlo, sabato, destra, come mostrano gli esempi seguenti: (73)

a) Alessandro Manzoni ebbe una famiglia piuttosto numerosa ma con molti lutti. Il figlio Carlo morì giovanissimo. b) Nel 1 999, la settimana di Pasqua piovve incessantemente. Solo il sabato il tempo iniziò a schiarire. c) Volgendosi verso la facciata, a destra di palazzo Ducale a Venezia si trova il Ponte dei Sospiri.

Oltre alle espressioni lessicali, anche la morfologia destinata ad espri­ mere relazioni spazio-temporali può avere funzione inerentemente deittica. Può essere il caso di tempi verbali, perciò detti deittici, quali sono in italiano l'imperfetto e il passato remoto da un lato e il futuro dall'altro, che collocano gli eventi rispettivamente prima o dopo il momento in cui avviene l'enunciazione e, in particolare: (7 4)

(n )

Eppure sono ancora molti i libri che vorrei scrivere, e mi dispiace, perché so che ormai non ne avrò più il tempo (Maraini, Viaggiator curioso, p. 69) (non avrò il tempo: nel periodo collocato dopo il mo­ mento in cui awiene l'enunciazione) Quando nacqui io, il genitore, ormai saldamente laureato come voleva il nonno , si stava dedicando a tempo pieno alla professione d'artist-a (Maraini, Viaggiator curioso, p. 75 ) (nacqui: in un momento collocato prima del momento in cui avviene l'enunciazione)

Funzione deittica possono poi avere i dimostrativi. Negli esempi se­ guenti, in questo momento significa 'nella stessa epoca in cui il testo è stato scritto '; i giorni scorsi sono i giorni precedenti il momento in cui il testo è stato scritto: (7 6)

(77)

In Giappone in questo momento ci sono molte nuove religioni e i giappo­ nesi in genere non fanno pesare le loro convinzioni (Maraini, Viaggiator curioso, P- 2 6 ) . Sono stata a San Miniato a riascoltare in cuffia le conversazioni dei giorni scorsi (Maraini, Viaggiator curioso, p. 4 1 ) .

2. 3 .2. Campi indicali e riferimento deittico e anaforico L'insieme delle conoscenze contestuali necessarie per l'interpretazione dei riferimenti deittici è detto 'campo indicale' di un determinato di­ scorso: esso comprende la conoscenza dell'identità dei parlanti, delle 6o

2 . REFERE NTI TESTUALI

coordinate temporali e delle coordinate spaziali di svolgimento dd di­ scorso considerato. Un campo indicale ha un'origine, detta "origo" , che è il parlante: le coordinate spaziali, temporali e personali deitti­ che sono orientate rispetto a questa origine. Quindi, tu si riferisce alla persona cui il parlante si rivolge; qui al luogo in cui il parlante si trova; domani al giorno successivo a quello in cui il parlante si trova; questo a uno spazio o tempo che include lo spazio-tempo del parlan­ te. Se l'origo cambia - come avviene nel discorso riportato, in cui un parlante riferisce le parole di un altro parlante - o non è individuabi­ le - come in un testo scritto di cui non si conoscano le circostanze in cui è stato scritto 28 - gli elementi deittici possono non essere più interpretabili. All'interno di un discorso vengono poi costruite linguisticamente nuove coordinate spazio-temporali: l'evocazione nel discorso di eventi e referenti mette in scena altrettanti campi indicali secondari a partire dai quali altre espressioni possono essere orientate. Il ricorso, per l'interpretazione di espressioni del testo, a questi campi indicali se­ condari, costruiti nel testo, è un meccanismo di tipo anaforico, poi­ ché richiede appunto il rinvio ad elementi del testo per l'interpreta­ zione. È possibile allora allargare il concetto di rinvio anaforico, che abbiamo finora riservato esclusivamente alle espressioni referenziali, fino a comprendere qualunque atto di interpretazione che richieda il ricorso a un elemento interno al testo. Come per i fenomeni di deissi, avremo allora anafore temporali e spaziali, e espressioni di spazio e tempo inerentemente anaforiche, come accade rispettivamente nei casi seguenti per gli aggettivi precedente e contigue: ( 7 8)

( 7 9)

Secondo i dati fomiti dal responsabile ufficio consultori della Regione Lazio, Ugo Brasiello, a Roma nel '92 l'utenza è aumentata del 22 per cento rispetto all'anno precedente ( "Corriere della Sera" , 1.5 giugno 1 99 4) . L'epicentro è stato localizzato [ ... ] nel basso Tirreno. Alessandro Ama­ to, dirigente di ricerca dell'Istituto di Geofisica e Vulcanologia, spiega: " Siamo in una fase di costante osservazione e di attesa, stiamo monito­ rando tutti i possibili campanelli d'allarme in quanto non possiamo escludere che il terremoto di questa notte possa scatenarne altri in aree contigue" ( "la Repubblica" , 6 settembre 2 002 ) .

28. Pensiamo qui a testi "di servizio " , non a costruzioni letterarie in cui una nar­ razione in prima persona può essere fittizia (cioè il narratore non coincidere· con l'au­ tore) , per cui l'origo centrata sul narratore è una deissi fittizia, che non corrisponde all'origo dell'autore. 6r

L I NGUISTICA TESTUALE

Si tratta, come avevamo già osservato per analoghe espressioni deitti­ che, di espressioni che richiedono inerentemente un riferimento ana­ forico per poter essere interpretate. Anche strutture grammaticali possono avere inerentemente riferi­ mento deittico. Accanto ai tempi inerentemente deittici, il sistema verbale dell'italiano prevede dei tempi inerentemente anaforici, come il trapassato remoto o il futuro anteriore, che collocano rispettiva­ mente gli eventi in un momento anteriore rispetto a un momento di riferimento dato nel discorso: (8o)

(8r )

«Don Giuseppe» diss'egli quando il domestico lo ebbe avvertito che la carrozz ella era pronta, «crede proprio che il Signore vorrà aiutarmi? (Fogazzaro, Piccolo mondo moderno, Rif. 2,1 . 1 1 .5 29 ) [ebbe avvertito: l' evento si colloca in un momento anteriore rispetto al momento dd­

l'evento disse] . Lei mi deve dire cosa farà poi che avrà ceduto tutto il Suo (Fogazzaro, Piccolo mondo moderno, Rif. 6,4.27) [avrà ceduto: l 'evento si colloca in un momento anteriore rispetto al momento dell'evento farà] .

L' anaforicità intrinseca di questi tempi verbali è illustrata dalla loro impossibilità di ricorrere in contesti privi di momenti di riferimento ai quali ancorarsi: (8 2 ) ( 83 )

* il domestico lo ebbe avvertito *Avrà ceduto tutto il suo 30

così come sarebbe impossibile per aggettivi e avverbi intrinsecamente anaforici ricorrere in isolamento. I seguenti non sarebbero infatti buoni incipit di un discorso o di un testo: (84) (8.5)

*Secondo i dati della Regione Lazio, l'anno precedente l ' u tenza è au­ mentata del 2 2 % *L'epicentro di un sisma è stato localizzato ieri in aree conti gu e

Casi particolarmente complessi di rinvio insieme deittico ed anaforico sono dati dal discorso riportato, in cui intervengono i campi indicali di due diversi parlanti: il parlante secondario che ha prodotto il di29. Per i testi citati dalla LIZ (Letteratura Italiana Zanichelli, a cura di Stoppelli, Picchi) il riferimento al luogo del testo è dato con il numero di riferimento generato dal sistema di interrogazione stesso. 30. Escludiamo qui le letture di tipo epistemico del futuro, cioè quelle di valore suppositivo col valore "probabilmente ha ceduto tutto il suo " .

2 . REFERENTI TESTUALI

scorso riportato e il parlante primario che produce il discorso in cui viene riferito il discorso riportato. Diamo di seguito un esempio in cui il parlante primario è il narratore, che parla in terza persona, mentre il parlante secondario è Jeanne: ( 86)

«Spero che non vengano» disse Jeanne (Fogazzaro, Piccolo mondo mo­

derno, Rif. 3 ,3 ·55 ) .

I campi indicali relativi alle due diverse origo (il narratore e Jeanne) restano indipendenti: il fatto è segnalato graficamente da una serie di espedienti, come il ricorso a specifici segni di interpunzione. In un testo orale il salto di campo indicale sarebbe segnalato da vari feno­ meni prosodici e da strategie paralinguistiche come il ricorso a una resa imitativa dell'intonazione del parlante secondario. Questo tipo di resa del discorso riportato è detto discorso diretto. Il campo indicale del discorso riportato (nel nostro caso, quello di J eanne) può essere però "traslato" in quello del discorso primario (nel nostro caso, quello del narratore) secondo varie modalità. Posso­ no essere traslate tutte le componenti del campo indicale, ovvero quelle personali, spaziali e temporali: (87) Jeanne disse che sperava che non venissero. Il campo indicale di Jeanne, traslato in quello del narratore, si colloca in un tempo anteriore rispetto ad esso (ovvero, le vicende di Jeanne si collocano nel passato rispetto al racconto del narratore) . Questo secondo momento di riferimento, cioè il momento in cui Jeanne par­ la, collocato nel passato rispetto all'origo primaria (quella del narrato­ re) , funge da momento di riferimento anaforico (e non più deittico) per collocare l'evento "sperare": l'evento "sperare" , che era espresso, deitticamente, come presente rispetto all'o rigo secondaria, è collocato ora, anaforicamente, come successivo ad un momento di riferimento collocato nel passato rispetto all'erigo primaria; l'uso dell'imperfetto ha proprio la funzione di collocare un evento come contemporaneo a un momento di riferimento a sua volta collocato nel passato rispetto all'o rigo primaria. Dal punto di vista del riferimento personale, J eanne, che costitui­ va l'origo personale (espressa dalla flessione verbale di prima persona, come nel verbo spero) diviene, nel nuovo campo indicale con origo nel narratore, una persona non coincidente né con il parlante né con

LINGUISTICA TESTUALE

l' ascoltatore, e come tale identificata con la flessione verbale di terza persona, come nel verbo sperava. La completa traslazione del campo indicale illustrata dall'esempio (87) è detta discorso indiretto. Potremmo raffigurare le due rese collocando le origo su una linea del tempo:

origo narratore (primaria)

origo Jeanne (secondaria) Momento dell'evento sperare

origo narratore (primaria) Momento dell'evento dire Momento dell'evento sperare

altri tipi di discorso riportato la traslazione dei campi indicali av­ viene solo parzialmente. Si osservino i seguenti esempi del cosiddetto stile indiretto libero (citati da Mortara Garavelli, 1 9 9 5 , pp. 463 , 468): In

(88) (89 )

Adesso cominciava a vederci chiaro. [. ] Conveniva dire al professore di bruciar tutto. (Fogazzaro, Piccolo mondo antico) Improvvisamente s'interruppe per ordinare che, perdio, quel figliuolo se ne poteva andare a piangere di là (Pirandello, Superior stabat lupus, in Novelle per un anno) . ..

In questi casi, la traslazione dei campi indicali avviene per tempi verbali: cominciava, conveniva, poteva; e per il riferimento personale: il parlante è nominato alla terza persona. Non sono invece traslati nel

2.

REFERE NTI TESTUALI

nuovo campo indicale anaforico gli elementi lessicali deittici di tempo e spazio: adesso, di là J r . 2.3 .3.

Deissi e anafora

Anafora e deissi sono state spesso accomunate nella descrizione lin­ guistica: Halliday e Hasan ( r 976) si riferiscono ad esempio a questi due fenomeni con le espressioni, rispettivamente, di endofora (owero di "rimando all'interno ") ed esofora (ovvero di "rimando all'ester­ no" ) , mettendo in evidenza l'aspetto comune di necessità di riferi­ mento a elementi esterni all'espressione linguistica per la sua inter­ pretazione. Il riferimento deittico, o esoforico, sarebbe l'uso di un'e­ spressione linguistica come indice di un referente nella realtà: TESTO

REALTÀ

espressione deittica

referente reale atto di riferimento

Il riferimento anaforico, o endoforico, sarebbe invece l'uso di un'e­ spressione linguistica come indice di un'altra espressione linguistica presente nel testo, la quale, a sua volta, fa riferimento a un referente nella realtà:

REALTÀ referente

TESTO descrizione definita,

reale

antecedente atto

di riferimento

+---

espressione an afo rica

atto di rinvio

3 r . Si osservi inoltre che vengono conservati elementi propri del discorso diretto

e normalmente non trasportabili in un discorso indiretto canonico, come le esclama­ zioni: perdio.

L I N G U I S T I C A TEST UALE

Così descritti, i due fenomeni appaiono piuttosto diversi fra loro: il riferimento deittico costituisce un atto di riferimento vero e proprio, analogo a quello delle descrizioni definite, mentre l'anafora è un sem­ plice rinvio fra espressioni linguistiche. Tuttavia, il fatto che in molte lingue gli stessi elementi linguistici (ad esempio i pronomi personali o i dimostrativi) siano sfruttati tanto per il riferimento deittico quanto per quello anaforico, spinge a cerca­ re fra essi maggiori somiglianze. In realtà, anche nel caso del riferi­ mento deittico, il legame che si istituisce fra referente e espressione linguistica non è diretto, ma è mediato da una descrizione definita non espressa, cui l'elemento deittico fa riferimento. Questo sarebbe mo­ strato dal fatto che l'elemento deittico assume su di sé le marche mor­ fologiche dell'espressione usata per la designazione (cfr. Corblin, 1995 ). L'espressione deittica seguente potrebbe ad esempio essere rife­ rita a una sedia (nome femminile) , ma non a un tavolo (nome ma­ schile) : ( 9 o)

Togli/a di mezzo !

Questa restrizione sarebbe indizio del fatto che il clitico, anche in funzione deittica, non rimanda direttamente al referente sedia o tavo­ lo, ma all'espressione lessicale sedia o tavolo, rispetto alla quale assu­ me le marche morfologiche di genere e numero - in italiano obbliga­ torie. n riferimento deittico conterrebbe allora anche un atto di rin­ vio a un'espressione lessicale non menzionata, il cui referente reale è presente nell ' universo di discorso:

TESTO

REALTÀ

(descrizione definita, implicita)

referente reale atto di riferimento

i

atto di rinvio

espressione deittica

Mentre il riferimento anaforico conterrebbe un atto di rinvio a un'e­ spressione lessicale menzionata il cui referente testuale è presente nel­ l'universo di discorso: 66

2.

REFERE N T I TESTUALI

REALTÀ

TESTO

referente reale

descrizione definita, antecedente atto di riferimento

i

atto di rinvio

espressione anaforica

Questa descrizione renderebbe maggiormente conto, nella prospettiva di Corblin, delle affinità esistenti fra anafora e deissi, che sarebbero all o ra entrambe mezzi di riferimento a referenti testuali presenti nel­ l'universo di discorso e altamente accessibili, per immediata evidenza nel contesto linguistico o extralinguistico, ai quali, proprio per il loro alto grado di attivazione, il parlante può riferirsi con un semplice ri­ chiamo attraverso indici. 2. 3 +

Deissi testuale

Se osserviamo le frasi seguenti: (91 )

Nel capitolo precedente abbiamo trattato il fenomeno del riferimento anaforico. Con questo capitolo int'ziamo a discutere del riferimento deittico, argomento che sarà sviluppato nelle prossime pagine

notiamo che espressioni che abbiamo imparato a riconoscere come intrinsecamente deittiche, come alctini tempi verbali (presente, passa­ to prossimo, futuro), i dimostrativi come questo o aggettivi come prossimo, precedente, vengono usate qui prendendo come punto di ri­ ferimento non elementi del contesto situazionale ma elementi del te­ sto: questo capitolo significa "il capitolo che state leggendo " ; sarà svi­ luppato fa riferimento a un tempo "futuro" in cui il lettore leggerà le pagine prossime, ovvero successive a quelle che si stanno leggendo in quel momento. Ci troviamo insomma di fronte a un campo indicale particolare, che è costituito dal testo stesso e ha come origo il punto del testo in cui il lettore si trova. Questo tipo di riferimento è noto come deissi testuale o logodeis­ si (cfr. Conte, 1 9 78): benché attraverso di esso si rimandi ad espres­ sioni del testo, non si tratta di un meccanismo di tipo anaforico, per­ ché nella deissi testuale il testo è preso come referente in sé, non per

L I N G UISTICA

TESTUALE

i contenuti extratestuali cui esso rimanda; nel caso del rimando ana­ forico invece, come sappiamo, il rinvio è a un antecedente che fa rife­ rimento a un oggetto extratestuale. La logodeissi non può nemmeno essere accomunata all'anafora in suppositione materiali (cfr. 2 .2 .4), la quale pure rimanda ad elementi del testo in quanto referenti in sé, e non al loro riferimento extratestuale, ma si tratta in quel caso di un rimando a un elemento linguistico in quanto type, cioè come elemen­ to della langue, e non in quanto token, cioè come atto di parole. La richiesta di ripetere dell ' esempio seguente si riferisce all ' espressione scansafatiche in quanto elemento linguistico che fa parte del sistema lessicale della lingua italiana: ( 9 2)

Scansafatiche io? Ripetilo s e hai coraggio

mentre con la logodeissi si fa riferimento a un testo in quanto occor­ renza individuale e specifica, owero in quanto parte di un atto lingui­ stico preciso: questo testo specifico, come oggetto concreto, viene preso a riferimento per costruire un campo indicale autonomo rispet­ to a quello extralinguistico, enunciativo.

68

3

La distribuzione dell'informazione nel testo

Nel CAP. 2 , abbiamo visto opporsi concettualmente "la realtà" e "l'in­ formazione relativa alla realtà" , distinguendo referenti nella realtà e referenti testuali: in quel caso ci siamo occupati dello statuto informa­ tivo di un referente testuale all'interno del contesto discorsivo; in questo capitolo ci occupiamo invece del ruolo informativo che, all'in­ terno del contesto discorsivo, hanno gli enunciati e le frasi r. I concetti esposti in questo capitolo si fondano su una distinzione preliminare fra due livelli di significato di un enunciato: il livello del suo contenuto proposizionale e quello del suo valore informativo. Con contenuto proposizionale (state o/ af/air, Dik, 1989) di un enunciato si intende la rappresentazione concettuale del fatto a cui l'enunciato fa riferimento: tale rappres entazione è autonoma e in dip enden te dal contesto discorsivo in cui l'enunciato è inserito e dalle conoscenze relative ad esso che gli intèrlocutori possono avere. Il valore infor­ mativo di un enunciato è dato invece dal contributo che l'enunciato dà al discorso in cui è inserito e dipende quindi anche dallo stato di conoscenze degli interlocutori al momento in cui l'enunciato è proferito. Il contenuto proposizionale di un enunciato è rappresentabile in diversi modi. Se consideriamo l'enunciato in corsivo nel testo se­ guente: (I)

Improvvisamente, un coniglio bianco apparve fra l'erba: i n pochi balzi raggiunse una buca nel terreno e vi si infilò. Alice lo seguz'

possiamo rappresentarcene il contenuto proposizionale attraverso un'im­ magine, quella appunto di una ragazza che segue un coniglio bianco

I.

La distinzione tra frasi ed enunciati verrà esplicitata nel

CAP.



L I N G UISTICA TEST UALE

in mezzo alla campagna. Oppure possiamo darne una rappresentazio­ ne di tipo formale attraverso un metalinguaggio logico, grossomodo così: seguire (a, b) a Alice, b =

e

{coniglio bianco}

t < tE

ovvero: «fra un individuo a identificato come 'Alice' e un individuo b appartenente all'insieme degli individui del tipo 'coniglio bianco' , in un tempo t precedente il momento dell'enunciazione, vale la relazio­ ne: seguire (a, b)». Questa descrizione del contenuto semantico dell'enunciato è, come si è detto, autonoma rispetto al valore informativo che l'enun­ ciato ha nel testo, ovvero non precisa quale sia il contributo che tale enunciato dà allo sviluppo dell'informazio ne nel testo di cui fa parte. Non dice, ad esempio, che nel contesto discorsivo specifico i due personaggi sono presentati come accessibili al lettore e, in particolare, che il coruglio bianco è stato appena introdotto nel testo da una men­ zione nell'enunciato precedente e che è invece nuova l'informazione relativa al fatto che fra a = Alice e b = coniglio bianco si istituisce una relazione del tipo: seguire (a, b). Per mettere in risalto, in modo an­ cora intuitivo, il valore informativo dell'enunciato considerato, possia­ mo parafrasarlo nel modo seguente: (2 )

Ciò che Alice fece fu seguirlo.

L'enunciato in corsivo in ( r ) è sostituibile, con diversa sfumatura, con l'enunciato in (2 ) . Non potremmo invece parafrasarlo nel modo seguente: (3 )

E fu proprio Alice

a

seguirlo.

Ciò accade perché l'enunciato in ( 3 ) è semanticamente equivalente a quelli in ( r ) e ( 2 ) , cioè ha lo stesso contenuto proposizionale, ma non è equivalente ad essi dal punto di vista informativo, cioè non con­ tribuisce allo stesso modo allo sviluppo comunicativo del testo: ha in­ somma una diversa struttura informativa. Secondo la distinzione pro­ posta da Halliday ( r 97o) , gli enunciati ( r ) , ( 2 ) e (3) hanno la stessa funzione ideazionale ma diversa funzione testuale (cfr. CAP . r , p. 1 5 ) . Firbas ( r 987) descrive l'andamento dell'informazione in u n testo in termini di «dinamismo comunicativo» (ivi, p. 198):



' LA D I S T RIB UZIONE D E L L INFORMAZIONE NEL T E S T O

Per grado di dinamismo comunicativo intendo la misura relativa in cui un elemento contribuisce allo sviluppo ulteriore della comunicazione. La distri­ buzione dei gradi di dinamismo comunicativo tra gli elementi della frase de­ termina l'orientamento comunicativo di tali elementi e, in ultima analisi, l'o­ rientamento comunicativo della frase stessa. Essa fa sì che la frase funzioni in una prospettiva particolare: determina la sua prospettiva funzionale.

L'analisi della struttura informativa (information structure) degli enun­ ciati si occupa dunque: da un punto di vista concettuale, di descrive­ re lo statuto informativo che gli enunciati e le parti di enunciato assu­ mono o possono assumere nel discorso; dal punto di vista dell'espres­ sione linguistica, di descrivere le diverse opzioni di cui il parlante di una data lingua dispone per esprimere uno stesso contenuto proposi­ zionale - uno stesso stato di cose - in diversi contesti discorsivi. A questo ambito di ricerca fanno riferimento le denominazioni di Fune­ tiana! Sentence Perspective, adottata dalla scuola praghese, di cui par­ leremo nel PAR. 3 . r . 1 , e di in/ormation packaging, adottata ad esempio da Chafe ( 1976) e da Foley e Van Valin (Foley, Van Valin, 1985 ) , che si muovono in prospettiva tipologica e interlinguistic.a. Una descrizione adeguata degli enunciati dal punto di vista della struttura informativa si pone dunque l'obiettivo di rendere conto del­ l'esistenza e di descrivere il valore e l'uso testuale, anche in prospetti­ va interlinguistica, di varianti come le seguenti (ad esempio in inglese, italiano, francese, giapponese, da Lambrecht, 1994, p. 223 ) 2 : ( 4)

a) My car broke DOWN b) La mia macchina si è ROTTA c) Ma voiture est en PANNE

(, )

a) My CAR broke down b) È la mia MACCHINA che si è rotta c) C'est ma VOITURE qui est en panne

(6)

a) My CAR broke down b) Mi si è rotta la MACCHINA

d) Kuruma wa KOSHoo-shi-ta

d)

KURUMA ga koshoo-shi-ta

c)

J'ai ma voiture qui est en PANNE KURUMA wa KOSHOO-shi-ta

d)

Tutte le frasi proposte nelle tre triplette condividono lo stesso conte­ nuto proposizionale, ma ciascuna delle triplette proposte - ovvero il 2. Le parole in maiuscoletto indicano il luogo in cui cade, nell' oralità , un picco di intensità accentuale.

LINGUISTICA TESTUALE

gruppo delle frasi in (4) , il gruppo delle frasi in (5 ) , il gruppo delle frasi in (6) ha uno specifico valore informativo. Sul modello di allo­ fono e allomor/o, è stato coniato per questi insiemi di frasi (le tre frasi a per l'inglese, le tre frasi b per l'italiano, le tre frasi c per il francese, le tre frasi d per il giapponese) il termine di allo/rasi (allosentences, cfr. Dane5, r964) , cogliendo così l'origine contestuale delle loro rego­ le di alternanza: come gli allofoni sono infatti varianti di uno stesso fonema selezionati in modo dipendente dal contesto fonico, così le allofrasi sono varianti della stessa frase ("stessa" dal punto di vista semantico, cioè avente sempre identico contenuto proposizionale) ri­ chieste da diversi contesti discorsivi. -

J. I

Le unità minime di analisi della struttura inform ativa dell 'enunciato 3. r.r.

I

tre livelli di strutturazione dell'enunciato

Come ambito di studi, l'analisi della struttura informativa dell'enun­ ciato nasce all'interno della scuola funzionalista praghese con la de­ nominazione di Functional Sentence Perspective (cfr. Dane5, 1 974) L'identificazione di un tale livello di analisi nasce dall 'esigenza di su­ perare le difficoltà che incontra una descrizione della sintassi di una lingua su base puramente logico-grammaticale 3. Viene impostata allo­ ra (cfr. Danes, r 964) una prospettiva di analisi articolata in tre livelli: il livello della struttura grammaticale della frase, che concerne le rela­ zioni formali intercorrenti fra i costituenti grammaticali (parole, sin­ tagmi, morfemi ecc.) ; il livello della struttura semantica della frase, .

3· Come osserva Somìcola ( 1 9 9 1 ) nel presentare le linee fondamentali della ri­ cerca praghese, il termine di sintassi continua spesso a conservare nell'uso un'ambi­ guità , essendo adoperato per indicare tanto le relazioni formali quanto le relazioni d'ordine sequenziale che intercorrono fra i costituenti di una frase. Si può infatti dire, ad esempio, che la " sintassi" dell'italiano (nel primo senso) prevede una marca di caso per i pronomi personali, e si può anche dire che la "sintassi" dell'italiano (nel secondo senso) consente di spostare nella posizione iniziale dell'enunciato un elemen­ to topicale (cfr. J . r .8). Questa ambiguità è dovuta al fatto che l'ordine delle parole è in molte lingue regolato dalle relazioni formali fra i costituenti, e viceversa le relazioni formali fra costituenti si manifestano in molte lingue come relazioni d'ordine lineare. I due livelli vanno però tenuti distinti, dato che tutti e tre i livelli di organizzazione della frase (grammaticale, semantico, pragmatico) , e non solo quello grammaticale-for­ male, concorrono alla disposizione lineare dei costituenti nella forma effettivamente realizzata.

3 · LA DISTRIBUZIONE DELL ' INFORMAZIONE NEL TESTO

che concerne il tipo di relazioni semantiche intercorrenti fra i com­ ponenti semantici (oggetti, persone, proprietà, eventi ecc.) ; il livello dell'organizzazione dell'enunciato, che concerne la distribuzione del­ l'informazione. A ognuno di questi livelli si instaurano relazioni spe­ cifiche e valgono unità descrittive proprie. Ad esempio, la frase già citata: ( 7)

Alice lo seguì

è composta, a livello sintattico, da un sintagma nominale in funzione di soggetto e da un sintagma verbale scomponibile a sua volta in un verbo e un elemento pronominale in funzione di oggetto. Dal punto di vista semantico, è strutturata in una relazione a due posti del tipo: (seguire (a, b)), che coinvolge i due individui 'Alice' e 'coniglio bian­ co' (cui il pronome lo rinvia), in funzione rispettivamente di agente e paziente. Per descrivere la frase dal punto di vista della struttura informati­ va occorrono altre unità descrittive: sono state individuate e proposte per questo livello di analisi le nozioni di topic e di focus. 3 . 1 .2 . Topic La nozione di top ic è legata, come molti autori esplicitamente ricono­

scono, a quella aristotelica, ad un tempo logica e linguistica, di 'sog­ getto', in opposizione a quella di 'predicato'. Soggetto è inteso in Ari­ stotele (cfr. Lambrecht, 1994) come "ciò di cui parla la frase" , ovvero ciò a cui la predicazione si riferisce. Nella frase: (8)

La festa di Santa Rosalia durò cinque giorni ( Sciascia, Il consiglio d'E­ gitto, p. 42 )

possiamo individuare nel soggetto la festa di Santa Rosalia l'elemento al quale fa riferimento la predicazione durò cinque giorni. Ma sogget­ to è anche l'elemento che nella frase intrattiefle col verbo particolari relazioni formali (ad esempio di accordo): il verbo durò è alla terza persona singolare perché si accorda con la festa, che è il soggetto della frase. In una lingua che possiede la flessione casuale, il sogget­ to ha un caso dedicato (ad esempio , in latino, greco e tedesco, il nominativo). Nella tradizione linguistica moderna, per evitare l'ambiguità insita in questo doppio valore del termine di 'soggetto', esso è stato dedica73

L I N G U I S T I C A TESTUALE

to a designare il concetto sintattico, mentre per il valore di tipo emi­ nentemente pragmatico si usa il termine di topic "· La predicazione che al topic si riferisce è detta comment. Benché vi sia una tendenza del soggetto a costituirsi come topic dell'enunciato, questa correlazione non vale per ogni enunciato. Nel­ l' esempio seguente: (9 )

La luna, di giorno, nessuno la guarda (Calvino, Palomar, p . 3 5 )

il topic è la luna, mentre il soggetto è, ovviamente, nessuno 5 (cfr. il PAR. 3 . 1 .7 per questo tipo di costruzione in italiano). Con topic si designa dunque un tipo particolare di relazione che un referente testuale intrattiene con la proposizione in cui è inserito, più propriamente la relazione per cui la proposizione "riguarda" , "è a proposito" di quel referente, cioè è costruita in modo da esprimere informazioni riguardanti quel referente. Si tratta di una relazione di tipo pragmatico, poiché l'essere topic di una frase non è una pro­ prietà legata alle qualità intrinseche di un referente, ma dipende dal ruolo che, in quel particolare enunciato, il parlante attribuisce a quel referente in quanto elemento di informazione. La tendenza, che pare universale nelle lingue umane, a costruire gli enunciati secondo una relazione di tipo topic-comment può essere collegata al principio di rilevanza che, secondo Sperber e Wilson ( 1986), informa la comunicazione umana: la ricerca della rilevanza, della pertinenza dell'informazione che viene fornita per il discorso in atto, guida l'attenzione dell'ascoltatore nell'interpretazione, e la se­ gnalazione della rilevanza guida la costruzione del discorso da parte del parlante. La presentazione di un referente come topic è il primo segnale di orientamento offerto all'ascoltatore dal parlante: Levelt ( 1 989) parla di "prospettiva" che il parlante attribuisce al proprio

4· Allo stesso concetto pragmatico fa riferimento l'etichetta di " soggetto della predicazione " , che si trova ad esempio in Salvi ( 1 988). L'etichetta di " soggetto logico" (cfr. , ad esempio, Serianni, 1 989) si riferisce invece al concetto semantico di agente. Questo proliferare di specificazioni della nozione di soggetto è un tÙteriore riflesso dell'addensarsi, su tale termine, di più concetti, che si riferiscono, come si sarà notato, ai tre livelli di analisi dell 'enunciato - sintattico, semantico, pragmatico - individuati dalla scuola di Praga. 5· Il topic non coincide nemmeno, nella nostra prospettiva, con il p rimo costi­ tuente della frase, benché anche fra topic e posizione iniziale vi sia una correlazione. Cfr. invece Halliday ( 1 967 ) .

74



' LA DISTRIB UZIONE DELL INFORMAZIONE NEL TESTO

enunciato, e definisce il topic come !"'indirizzo mentale" sotto il qua­ le il parlante invita l'ascoltatore a rubricare le informazioni che gli sta trasmettendo. Per rappresentare il valore topicale di un costituente sono stati proposti alcuni test utili ad isolarlo e individuarlo. Uno di essi preve­ de l'uso del costrutto quanto a x o per quanto riguarda x: l'elemento dell'enunciato che è possibile inserire al posto della variabile in que­ sto costrutto costituisce il topi c dell'enunciato stesso. Nell'esempio seguente, la possibilità del costituente le penne di essere inserito in tale costrutto ne evidenzia il ruolo topicale 6: (IO)

>. ..

.

L'effetto di un focalizzatore scalare è quello di sottolineare, oltre alla validità della proposizione enunciata, rispettivamente: la validità di proposizioni meno informative (per i focalizzatoti scalari additi­ vi, come perfino) ; la non validità di proposizioni più informative (per i focalizzatoti scalari additivi, come solo). Quindi (22)a signifi­ cherebbe: (24)

L'Italia ha superato perfino i quarti di finale � L' Italia ha superato i quarti di finale � (L'Italia ha superato le qualificazioni) " (l'Italia ha superato gli ottavi di finale) "

i. ii.

...

Si osservi che l'inferenza ii emergerebbe comunque dalla conoscenza del sistema di organizzazione dei tornei calcistici (quindi, emergereb­ be anche dall'asserzione di (23 ) ) . La presenza del focalizzatore scala­ re serve tuttavia a sottolineare la validità di questa inferenza e a metterla in focus, con un effetto di enfatizzazione del valore della proposizione effettivamente asserita rispetto all ' insieme scalare. Vice­ versa (22)b significherebbe: (2 5 )

L Italia ha superato solo i quarti di finale i. � L' Italia ha superato i quarti di finale rz. � --, (l'Italia ha superato le semifinali) '

nale)/\-, . . .

A-,

(l It alia ha vinto la fi­ '

I n questo caso, l'inferenza i n ii potrebbe scaturire anche dall ' enuncia­ to privo di focalizzatore (23 ) come implicatura conversazionale legata 15 1

L I N G U ISTICA TESTUALE

alla massima della quantità. L'uso del focalizzatore ha l'effetto di ren­ dere tale implicatura convenzionale, ovvero non cancell abile, e di porla nel focus informativo dell'enunciato. I focalizzatoci scalari hanno quindi l'effetto di mettere in focus la relazione fra la proposizione asserita e l'insieme delle proposizioni al­ ternative. L'esatta natura dell'ordinamento scalare, ovvero quale sia il fattore su cui si basa l'ordinamento indotto dal focalizzato re non è parte del significato del focalizzatore: esso si limita a segnalare l'esi­ stenza di un insieme di proposizioni alternative ordinate scalarmente secondo un criterio di informatività. L'interpretazione della natura della scala può essere veicolata da altre porzioni dell'enunciato come in (22) e (23), in cui sono il verbo superare e il sintagma quarti di finale, congiuntamente alle conoscenze dei parlanti riguardo all'or­ ganizzazione di un torneo, a indurre la scala -, oppure da conoscenze contestuali, come in (2 ! ) , in cui saranno le comuni conoscenze dei parlanti riguardo alla persona di Gianni a qualificare la scala relativa ai possibili intervenuti all a festa come una scala di pigrizia, di rilut­ tanza alla mondanità, di importanza dell'invitato ecc. Si osservi che non è necessario che una simile scala sia già stata evocata o in qual­ che modo presente nell'universo di discorso: l'uso del focalizzatore scalare è sufficiente di per sé a introdurre nell'universo di discorso una scala ordinata di proposizioni, che i parlanti cercheranno di mo­ tivare con un fattore di ordinamento plausibile sulla base delle infor­ mazioni a loro disposizione. Il rapporto fra implicature conversazionali e convenzionali è stato letto anche in chiave diacronica, per spiegare alcuni percorsi di evo­ luzione semantica di singole espressioni. La progressiva fissazione di implicature conversazionali su un lessema, dipendente dall'uso del lessema in un tipo di asserzione che implica con�ersazionalmente quel significato, sarebbe ad esempio alla b ase di molti processi di evoluzione semantica anche osservati interlinguisticamente (cfr. Trau­ gott, Konig, 1 99 1 ) . Un'evoluzione semantica che avviene ad esempio in modo indipendente ma parallelo in lingue diverse è l'acquisizione di valore avversativo da parte di congiunzioni temporali con valore di contemporaneità come l'italiano mentre e l'inglese while. Negli esem­ pi seguenti, il valore temporale è riportato sotto a e il valore avversa­ tivo è riportato sotto b: (z6) (27)

a) b) a) b)

Alice tende la corda mentre Carlo la fissa a terra Carlo è alto mentre Alice non lo è Jules is leastening while John is talking Jules is tall , while Jim is not

152

5.

LA CONVERSAZIONE

Le due congiunzioni nascono con valore temporale, come indica l'eti­ mologia. n valore avversativo scaturisce, inizialmente, come inferenza dal confronto di due proposizioni in contrapposizione. Negli enuncia­ ti seguenti, è la contrapposizione fra i due fatti presentati a far scatu­ rire, di per sé, un valore avversativo, indipendentemente dalla con­ giunzione usata: (28)

a ) Gianni dorme, e Maria lava i piatti b) Gianni dorme, mentre Maria lava i piatti

Tuttavia, il sottolineare esplicitamente la contemporaneità dei due eventi attraverso l'uso della congiunzione temporale mentre, può, per la massima del modo, contribuire a evidenziare il valore avversativo come implicatura conversazionale: se sottolineo con un'espressione apposita una concomitanza temporale che potrebbe emergere anche solo dalla semplice enunciazione in sequenza dei due eventi, ho pro­ babilmente lo scopo di mettere in risalto questa concomitanza; un motivo per metterla in risalto può essere la sua anomalia o stranez­ za, come appunto accade in (2 8 ) . n valore avversativo non scaturisce dalla congiunzione, ma l'uso della congiunzione incoraggia un pro­ cesso interpretativo che porta a un'inferenza di avversatività. Se la congiunzione mentre comincia ad essere usata con una certa sistema­ deità in questa funzione, il processo inferenziale che porta all ' avver­ satività potrà nel tempo sorgere indipendentemente dal significato delle proposizioni coinvolte (ovvero, indipendentemente dal fatto che queste siano chiaramente leggibili come contrapposte): in questo caso, una lettura avversativa dell'enunciato potrebbe cominciare ad essere attribuita, indipendentemente dal fatto che il contesto la inco­ raggi, semplicemente per il fatto che il parlante ha scelto una forma espressiva frequentemente usata in associazione a un valore avversa­ tivo. Se ciò accade, significa che il valore avversativo si sta progressi­ vamente fissando sulla congiunzione: da implicatura conversazionale, ovvero da significato che può emergere in virtù di un processo prag­ matico legato alla natura delle proposizioni collegate, il valore avver­ sativo diventa un'implicatura convenzionale, ovvero un significato se­ manticamente connesso alla congiunzione, indipendente dalla natura delle proposizioni collegate. Il percorso evolutivo sarebbe quindi il seguente: implicatura conversazionale > implicatura conversazionale generalizzata > implicatura convenzionale I

53

L I N G U ISTI CA TESTUALE

L'ultima tappa del percorso evolutivo, cioè la stabile convenzionaliz­ zazione del nuovo valore, può portare a una delle tre situazioni se­ guenti I 2 : in ogni contesto, il costrutto produce come implicatura conven­ zionale tanto il primo quanto il nuovo valore, ed è compatibile solo con contesti che consentono tanto il primo quanto il nuovo valore: in questo caso il costrutto avrà modificato il proprio significato origina­ rio, arricchendosi di una nuova implicatura convenzionale accanto alla precedente; in alcuni contesti il costrutto produce il primo valore, in altri il nuovo, in altri entrambi, a seconda di quanto il contesto consenta o suggerisca: in questo caso il costrutto è ambiguo fra due valori se­ mantici, ed è il contesto a guidare la lettura verso l'uno o l'altro; in ogni contesto, il costrutto produce come implicatura conven­ zionale il nuovo valore, ed è compatibile solo con contesti che con­ sentono il nuovo valore: in questo caso il costrutto avrà modificato il proprio significato originario, sostituendo alla prima implicatura con­ venzionale quella nuova. Lo stato attuale di convenzionalizzazione di mentre sembra corri­ spondere alla seconda situazione, data la piena accettabilità dei se­ guenti enunciati: (29)

n vicepresidente avanzava un parere favorevole, mentre il presidente

(30)

n vicepresidente ha avanzato un parere favorevole, mentre il presiden­ te lo ha smentito una settimana dopo

approvava col capo

In (29) abbiamo una lettura di contemporaneità temporale, mentre il valore avversativo, non compatibile con il contesto, è cancellato; in (30) abbiamo una lettura avversativa, mentre il valore di contempora­ neità temporale, non compatibile con il contesto, è cancellato: mentre sembra cioè avere attualmente due accezioni - una temporale, una avversativa I 3 •

r 2 . Le prime due situazioni sono soluzioni alternative a l processo evolutivo, mentre la terza è un'evoluzione della seconda situazione: l'ambiguità può risolversi nella sparizione di una delle due letture alternative. r 3 . Può poi assumere entrambi i valori, qualora il contesto lo suggerisca: " Il vi­ cepresidente avanzava un parere favorevole, mentre il presidente disapprovava col capo " . Non è però necessario postulare un terzo valore, temporale-avversativo, accan­ to a quello temporale e a quello avversativo: il "valore aggiunto " avversativo può esse­ re letto come un'implicatura conversazionale del mentre temporale, esattamente come accadeva per l'originario valore di mentre.

I

54

5.

5. r ·4·

L A CONVERSAZIONE

Problemi del modello

Nonostante i numerosi spunti che il modello delle implicature con­ versazionali ha offerto a questioni di pragmatica e semantica, esso ha ricevuto nel corso del tempo critiche e proposte di modifica I4. I pro­ blemi sottolineati non sono tanto legati al fatto che lo si sia ritenuto inadeguato a descrivere il fenomeno della conversazione, cioè alla va­ lidità del modello delle massime e del principio di cooperazione. Piuttosto è stato osservato - dallo stesso Grice ( r 967) , del resto - che esso descrive solo alcuni tipi di interazione verbale. Non descrive ad esempio i numerosi contesti in cui anche il principio di cooperazione viene violato: parlanti che non cooperano possono, ad esempio, pre­ varicare l'uno sull'altro parlando più di quanto sia necessario, o rifiu­ tando di interpretare in modo cooperativo le parole dell'altro. Tutta­ via, più che intaccare la teoria di Grice, queste obiezioni ne ridimen­ sionano la potenza esplicativa, nel senso che puntano l'attenzione su usi del linguaggio diversi dalla interazione cooperativa IJ: si tratterà quindi di estendere il modello o trovare altri modelli per spiegare usi del linguaggio diversi dall'interazione comunicativa cooperativa, ed eventualmente modi per integrare i diversi tipi di uso del linguaggio in una prospettiva comune. Altre osservazioni critiche riguardano la mancata precisazione dei diversi compiti assegnabili a parlante e ascoltatore nel discorso: la fo rmulazione delle massime indica che esse sono rivolte al parlante, lasciando irrisolto il problema dei parametri sui quali egli si debba appoggiare per essere perspicuo, efficace, chiaro; d'altronde, la chia­ rezza che il parlante ritiene di aver adottato può non essere tale per 14. Alcuni di questi problemi , di cui discutiamo in questo paragrafo, sono ill u ­ strati in Levinson ( r 9 8 3 ) , in Sperber, Wilson ( r 986), in Huang (2 ooo) , autori, tutti, che si riconoscono tuttavia nel modello griceano. 1 5 . Potremmo anche chiederci se l'interazione non cooperativa sia una forma di comunicazione: all'interno di un dibattito, è una forma comunicativa quella di chi urla sovrapponendo la propria voce a quella altrui? O di chi fa ostruzionismo dilungando inutilmente il proprio intervento per impedire agli altri di parlare? E di chi sostiene palesemente il falso? Non ci stiamo chiedendo se siano "buone" forme di comunica­ zione, ovvero non stiamo qui facendo un discorso etico, relativo al " dover essere" della comunicazione, ma ci interroghiamo proprio sulla natura del fenomeno comuni­ cativo: in tutti i casi citati c'è sicuramente un'intenzione da parte dei parlanti di " fare" qualcosa " attraverso" il linguaggio, ma non è così evidente che, relativamente alle azioni citate, si possa parlare di comunicazione e non ad esempio di anti-comuni­ cazione, cioè di mosse per invalidare la comunicazione in corso , o di atti di aggressio­ ne verbale. Forse , quando i principi di cooperazione non vengono rispettati, la comu­ nicazione semplicemente fallisce o non ha luogo.

1 55

L I N G U I S T I C A TESTUALE

l'ascoltatore, e così via. Su questo punto la formulazione delle massi­ me non è probabilmente la più appropriata. La massima della quanti­ tà recita ad esempio: Dà un contributo tanto informativo quanto richiesto dagli intenti dello scam­ bio verbale in corso

quando sarebbe probabilmente più opportuno parlare di intenti "dei partecipanti allo scambio verbale" che non di intenti "dello scambio verbale" ; parlare di intenti propri dello scambio presuppone una co­ munità di intenti da parte dei partecipanti, i quali possono invece non avere gli stessi intenti, originando quindi conflitti che il modello non prevede e di cui non può perciò suggerire vie di soluzione. Inoltre, il comportamento razionale presupposto dal modello come proprio degli interlocutori può non aver luogo non solo per cattiva volontà, ma anche per incapacità degli interlocutori a seguirlo: ci sono persone che si esprimono in modo poco perspicuo non per volontà di essere oscure ma per incapacità oratoria. In questo caso toccherà all'ascoltatore, in accordo col principio di cooperazione, ri­ pristinare la chiarezza, la perspicuità ecc., con strategie compensatorie anche più elaborate che le implicature conversazionali. Anche questo aspetto non è definito in modo preciso. Infine, altre critiche riguardano l'insufficienza e l'eccessiva genera­ lità dei p rin cipi proposti per spieg are in modo più operativo e analiti ­ co il funzionamento effettivo dei processi produttivi e inferenziali. Un tipico caso è il conflitto fra più massime in fase di produzione: come il parlante procede operativamente per risolvere, ad esempio, il con­ flitto fra massima della quantità e del modo, per assolvere il duplice compito di dare tutta l'informazione richiesta e di essere economico nella formulazione dell'informazione? D'altro lato, in prospettiva in­ terpretativa, il modello è troppo generale per suggerire i percorsi operativi che guidano l'ascoltatore, in caso di violazione di una massi­ ma, nel ricostruire le motivazioni di tale violazione. Come soluzione a queste carenze, sono state proposte delle revi­ sioni, che vanno nella direzione di una riduzione o ridistribuzione delle regole, oppure in una loro gerarchizzazione (per cui il rispetto di una regola è subordinato al rispetto di un'altra) . Alcune proposte, come quella di Sperber e Wilson ( r986) osservano come la massima della pertinenza sia quella che, in ultima analisi, giustifica il compor­ tamento comunicativo: il principio della rilevanza comunicativa è vi­ sto come il principio esplicativo fondamentale della comunicazione umana, che si presenterebbe quindi non come un processo di codifi-

5.

LA C ONVERSAZIONE

cazione e decodificazione di messaggi, ma come un percorso di ri­ cerca della rilevanza del messaggio per la situazione in atto. In questa prospettiva, Grice darebbe ancora troppa importanza al momento di codificazione e decodificazione, proponendo il sistema della logica della conversazione come un meccanismo riparatore per spiegare ap­ parenti anomalie del processo di codificazione e decodificazione del significato convenzionale; mentre il significato convenzionale non do­ vrebbe essere visto, nella prospettiva di Sperber e Wilson, che come una "scorciatoia " o un mezzo sofisticato per fornire indizi all'appara­ to inferenziale che porta alla scoperta della rilevanza di un messaggio e, quindi, all'interpretazione del suo valore comunicativo. Infine, non sono mancate osservazioni da una prospettiva interlin­ guistica e ancor più interculturale: le massime, presentate come mas­ sime razionali e quindi universali, potrebbero, a un'analisi transcultu­ rale, risultare non valide universalmente ma appartenenti a culture specifiche e, quindi, non informare universalmente la conversazione (cfr. Wierzbicka, 1 99 ! ) . Anche questo ridimensionerebbe il potere esplicativo del modello e richiederebbe, eventualmente, la sua inte­ grazione in un modello più ampio, che consenta di spiegare e descri­ vere la comunicazione interculturale e i suoi eventuali conflitti '6. 5 ·2

L' analisi della conversazione 5.2. I.

Approcci all'analisi delle conversazioni

La conversazione, ovvero la comunicazione dialogica, è stata oggetto di studio, oltre che della linguistica, di diverse discipline quali la so­ ciologia, l'antropologia, la psicologia, con una conseguente varietà di approcci adottati e di obiettivi di studio. Questo interesse interdisci­ plinare è motivato dal fatto che la comunicazione dialogica è luogo privilegiato di manifestazione di diversi modi dell'agire sociale e psi­ chico dell'uomo. In quest'ultima sezione noi concentreremo la nostra attenzione sulle indagini di taglio maggiormente linguistico, che mirano a fissare 16. Huang (zooo) riporta ad esempio l'osservazione per cui, in alcune culture orientali, la massima della qualità (''non dare informazioni della cui verità non hai prove " ) sia forse tenuta in minor conto della massima della quantità ( "non fornire un contributo comunicativo minore di quanto richiesto" ) , per cui risulterebbe più appro· priato , in tali culture violare la prima massima per non violare la seconda, cioè risulte· rebbe appropriato fornire un'informazione di cui non si è certi pur di soddisfare la richiesta avanzata dall'interlocutore.

15 7

LINGU ISTICA TESTUALE

parametri descrittivi ed esplicativi per analizzare dal punto di vista strutturale gli scambi comunicativi: tali strutture non coincidono con elementi linguistici ma tuttavia si esprimono, per lo più, attraverso il linguaggio. I filoni di studio che più si sono posti questo obiettivo sono quelli noti come analisi conversazionale e sociolinguistica del­ l' interazione. L'analisi della conversazione prende le mosse dal lavoro di Sacks, Schlegoff e Jefferson ( 1 974) e mira ad individuare le unità minime e le regole basilari di combinazione di tali unità negli · scambi comuni­ cativi. L'obiettivo è la ricostruzione delle regole d'uso del linguaggio nella comunicazione, l'individuazione delle procedure di cui i parlanti si servono nella gestione dello scambio comunicativo, ovvero la rico­ struzione della "grammatica dell'interazione" o, altrimenti detto, della competenza comunicativa dei parlanti riguardo all 'interazione. A dif­ ferenza dei lavori di Austin e Grice, che dall a propria origine filosofi ­ ca traggono una predilezione per la modellizzazione teorica e una ve­ rifica deduttiva condotta su materiale " costruito in laboratorio" , l'a­ nalisi della conversazione adotta un metodo rigorosamente empirico e induttivo, basandosi sulla minuziosa analisi della struttura di numero­ si scambi comunicativi reali. L'analisi di comunicazioni reali non co­ stituisce solo l'oggetto della ricerca, ma anche la fonte da cui origina­ re categorie descrittive: i modelli interpretativi dell'analisi della con­ versazione trovano nel comportamento e nelle aspettative dei parlanti le prop rie categorie di definizione, che sono quindi pre teorich e e non legate a un modello teorico preliminarmente ipotizzato. Si tratta quindi di un approccio costruttivista: l'idea di fondo è che siano i parlanti stessi a costruire, attraverso l'interazione, le categorie che ne regolano il funzionamento, e pertanto la descrizione deve tenere con­ to delle intuizioni che i parlanti hanno relativamente agli scambi co­ municativi in cui sono coinvolti. L'analisi conversazionale ha ottenuto notevoli successi nella defi­ nizione di alcune categorie di base della struttura delle conversazioni, che descriveremo e discuteremo in parte nei paragrafi successivi. È stata tuttavia oggetto di critica per la minuziosità descrittiva che ha impedito di ottenere generalizzazioni significative o, viceversa, per un'eccessiva vaghezza dei risultati generalizzabili. Ulteriori critiche sono state mosse alla scarsa attenzione dedicata al contesto situazio­ nale, ad esempio ai ruoli sociali reciproci degli interlocutori, al ruolo delle specificità culturali in cui la conversazione si svolge r 7 . L'analisi -

1 7 . Su quest' ultimo aspetto sono incentrati gli studi di etnografia della comuni­ cazione che originano dai lavori di Hymes (cfr. Hymes, 1 964) .

5 . LA CONVERSAZIONE

della conversazione non ignora comunque la rilevanza di tali fattori nell'interazione, pur non ponendoli al centro della propria ricerca: nel - sempre piuttosto parco - quadro concettuale di riferimento sono infatti state inglobate nozioni mutuate dalla sociologia della co­ municazione, come quelle di 'faccia' o di 'potere'; del resto, gli indi­ rizzi di ricerca più recenti dell'analisi della conversazione si sono orientati allo studio di specifiche situazioni e tipologie comunicative, oppure di specifiche sequenze comunicative: da questi studi di detta­ glio emerge un quadro a un tempo più articolato e più attento al ruo­ lo dei parlanti come attori sociali in termini non solo linguistici. 5 .2 . 2 .

La turnazione

L'osservazione di qualunque conversazione porta facilmente all'indivi­ duazione del turno come sua primaria unità di costruzione: con turno si intende la porzione di discorso pronunciata da un parlante com­ presa fra le parole di un parlante precedente ed uno successivo. La conversazione è costituita da sequenze di turni temporalmente ordi­ nati, ovvero dall'alternarsi di interlocutori diversi alla parola. L'avvi­ cendamento dei turni avviene in modo piuttosto regolare: i casi di interruzione e di sovrapposizione sono limitati I 8 , e non costituiscono la normalità dell'interazione nelle attese dei parlanti - come è dimo­ strato dall'esistenza di meccanismi di "riparazione" che intervengono quando }"'incidente" di una sovrapposizione si verifica. Questa rego­ larità di avvicendamento presuppone l'esistenza di strategie di alloca­ zione dei turni condivise dai parlanti: regole di questo tipo, cioè re­ gole di pianificazione locale dell'interazione, costituiscono le fonda­ menta del modello dell ' analisi della conversazione. Un turno coincide tendenzialmente con unità linguistiche compiute, ma non predefinite, ovvero può corrispondere a una singola parola, a un sintagma, a una frase o a più sequenze di frasi, così come a un'interiezione o anche a un silenzio: i turni non hanno quindi una lunghezza predeterminata, ma contengono dei punti in cui è possibile porre un loro termine. Questi punti sono detti punti di rilevanza transizionale e sono i punti in cui un nuovo parlante può iniziare il proprio turno, nel caso che il parlante attuale si interrompa. La selezione del nuovo parlante può r 8 . Questa generalizzazione, riportata ad esempio da Levinson ( r 9 83 ) , non trova in realtà conferma per tutti i tipi di interazione: nelle conversazioni informali fra ami­ che (gossip), Coates ( r988) riscontra un' alta percentuale di sovrapposizioni, che non sono però percepite dalle partecipanti come " disturbo" o " incidente" comunicativo.

I5 9

LINGUIST ICA TESTUALE

FIGURA 5 . 2

Regole di allocazione del turno

a) b) c)

Se il Parlante seleziona il parlante Successivo nel corso del suo turno, deve smettere di parlare al successivo Punto di Rilevanza Transizionale e far prose­ guire S; Se al successivo Punto di Rilevanza Transizionale in cui S tace nessun S è stato selezionato da P, qualsiasi altro partecipante può autoselezionarsi; il pri­ mo che parla si assicura il diritto al turno successivo; Se al successivo Punto di Rilevanza Transizionale in cui S tace nessun S è stato selezionato da P e nessun altro partecipante si autoseleziona, P può continuare a parlare. ·

Fonte: Sacks, Schlegoff, Jefferson ( r 974l .

avvenire per chiamata del parlante precedente, oppure per autosele­ zione. Sacks, Schlegoff e Jefferson ( I 974) formulano tali regole secon­ do lo schema di procedure riportato nella FIG . 5 .2. È importante sottolineare che questa sequenza di regole non è una semplice sistematizzazione di intuizioni riguardo alle modalità se­ condo cui procede la conversazione, ma la spiegazione offerta per al­ cuni fenomeni osservativi di conversazioni reali, relativi ad esempio alla durata delle pause e delle esitazioni nei punti di rilevanza transi­ zionale. Il fatto, ad esempio, che gli intervalli fra turni di parlanti di­ versi siano più brevi degli intervalli fra turni diversi dello stesso par­ lante (cioè, un p arl ant e , una volta arrivato a quell a che considera la fine del proprio turno, riprende a parlare solo dopo aver constatato che nessun altro si è selezionato) induce a scrivere la sequenza di re­ gole nel modo riportato, ovvero con la regola c successiva alla regola b e non come un semplice caso particolare della regola b: le regole mostrano cioè di avere una realtà psicologica, e di non essere solo l'esplicitazione di un modello razionale. La reale esistenza delle regole nella competenza comunicativa dei parlanti è mostrata anche dall'esistenza di procedure riparatorie per ovviare ai casi di interruzione e sovrapposizione involontaria, e dall'e­ sistenza di procedure diverse per le interruzioni volontarie, che si configurano come vere e proprie azioni di disturbo della comunica­ zione. Le interruzioni involontarie - o sovrapposizioni - sono dovute a ipotesi errate sulla fine di un turno: un parlante può interpretare un punto di rilevanza transizionale come una fine turno effettiva e quin­ di iniziare a parlare mentre il turno precedente è ancora in corso. In questo caso, la sovrapposizione sarà breve - poiché il parlante "non autorizzato" si interromperà immediatamente - e seguita eventual­ mente, da parte del parlante in atto, dalla ripresa del turno a partire r 6o

5.

LA C O NVERSAZ I O N E

dall'ultimo punto di rilevanza transizionale, quello su cui si è verifica­ ta la sovrapposizione 19: (3 r )

A

-

B -

perché non ti puoi fidare, hai visto = = l/sì

A-

hai visto anche tu

Viceversa, in caso di interruzioni volontarie, in cui il nuovo parlante prende la parola prima che il vecchio parlante intenda cedere il tur­ no, si innesca un sistema competitivo di conquista del turno, per cui il parlante interrotto produce un innalzamento del volume di voce e un rallentamento del ritmo elocutivo fino a che il nuovo parlante tor­ na a tacere 2 0 : (32 )

- ma sta // persona che L'HA FATTO * DEVE ESSERE Vse ho capito bene la persona

J

J -

: :

ru�

Un altro problema può verificarsi quando nessun parlante si seleziona per il turno successivo: l'interpretazione e la gestione del silenzio che ne segue sono discusse nel PAR. 5 . 2 . 3 . Se la sintassi della turnazione è regolata dai punti di rilevanza transizionale, i quali tendono a ricorrere in punti di confine fra unità linguistiche, la sintassi della conversazione sembrerebbe in ultima analisi governata dalla sin tassi linguistica degli enunciati. T aie affer­ mazione va però attenuata da almeno due osservazioni. Innanzitutto, dall'esistenza di una struttura semantica-pragmatica soggiacente che informa · la conversazione - il sistema di mosse comunicative che ve­ dremo nel prossimo paragrafo - genera nei parlanti un sistema di aspettative sui turni successivi che non si basa sulla forma linguistica degli enunciati; grazie a tali attese vengono interpretate come turni anche azioni comunicative non verbali, come la mimica gestuale o facciale o il silenzio. In secondo luogo, possono essere non verbali anche i meccanismi di feedback su cui gli ascoltatori fanno affida­ mento per controllare la corretta gestione della turnazione e del cana­ le comunicativo - anche se questi possono venir meno in conversa­ zioni svolte attraverso canali particolari, come le conversazioni telefo­ niche e le chat; in questo caso, la gestione dell'interazione può avve­ nire solamente per via verbale. 1 9 . Gli esempi riportati, tranne dove diversamente indicato, sono stati raccolti da chi scrive. 20. Esempio citato in Levinson ( r 9 8 3 ) .

r6r

L I N G U I S T I C A TESTUALE

5 .2.3. Le mosse conversazionali Il sistema di turnazione ora illustrato descrive solamente, per così dire, il livello puramente coesivo dell'organizzazione interazionale, ma non dice ancora nulla sulla gestione e la struttura dei contenuti, ovve­ ro sul livello della coerenza. Il contenuto delle azioni o mosse comu­ nicative nell'interazione potrebbe essere espresso in termini di atti linguistici: l'analisi della conversazione diventerebbe in questo senso una descrizione degli atti linguistici nel discorso. Di fatto questa stra­ da, che pure viene seguita, presenta alcune difficoltà (cfr. Levinson, 1983). In primo luogo, l'accento posto dalla teoria degli atti lingui­ stici sulla convenzionalità degli atti in campo conversazionale si mo­ stra di fatto di difficile applicazione, dato che da un lato lo stesso atto linguistico può essere realizzato nell'interazione in molti modi di­ versi e, dall'altro, sembra difficile circoscrivere in un numero limitato le tipologie di forza illocutiva esprimibili attraverso una mossa comu­ nicativa 2 1 • In secondo luogo, la teoria degli atti linguistici si occupa in ultima analisi delle intenzioni comunicative e non invece di tutta l'attività interazionale che il parlante svolge puramente per gestire l'interazione e la propria e altrui identità sociale. Questi ultimi tipi di attività sono invece stati l'oggetto prediletto degli studi di analisi conversazionale. L'analisi conversazionale utilizza quindi la nozione di mossa con­ versazionale: esse possono essere in parte assimilabili ad atti lingui­ stici, ma in parte sono descrivibili come procedure rituali confronta­ bili con altre forme di comportamento non verbale. Una mossa conversazionale non coincide con un turno; un turno può infatti contenere più mosse. (33)

M - Pronto? P Marco? Sono Paola, ciao (conversazione telefonica) -

Il turno iniziale di P contiene le tre mosse di 'riconoscimento', 'iden­ tificazione' e 'saluto'. Le stesse tre mosse comunicative potrebbero però essere sviluppate in una sequenza più ampia, con una mossa sola per ogni turno:

2 1 . Non mancano tuttavia gli spunti forniti dall'analisi conversazionale alla teoria degli atti linguistici, ad esempio il tentativo di motivare l'esistenza e descrivere la for­ ma degli atti indiretti sulla base delle nozioni di cortesia e salvaguardia della " fac­ cia".

r 62

5.

(34)

M P M P M P

-

LA C O N VERSAZIONE

Pronto? Marco? Sì? Sono Paola Oh ciao ! Ciao

Una determinata mossa comunicativa può avere un insieme di poten­ ziali repliche attese. Ad esempio, una mossa iniziale di 'appello' pre­ vede una probabile mossa successiva di 'risposta', alla quale il primo parlante può far seguire il 'primo argomento' 2 2 : (35)

(appello) P - Marco? (risposta) M - Sì? P - Puoi farmi un favore? (primo argomento) (conversazione faccia a faccia)

Le mosse comunicative che si susseguono in modo preferenziale sono dette 'sequenze complementari'. L'osservazione empirica rileva anche l'esistenza di sequenze apparentemente "vuote" , cioè prive di conte­ nuto informativo, come le sequenze di apertura (costituite da una coppia appello-risposta, da una coppia di identificazione-riconosci­ mento e da una coppia di saluti) e le sequenze di chiusura. Queste ultime sono costituite da una sequenza di prechiusura, dalla chiusura e dai saluti: (3 6)

P - Va bene M - Ok P - Allora a dopo M - Sì ciao P - Ciao (conversazione telefonica)

(prechiusura) (accettazione della chiusura) (chiusura) (saluto)

Le sequenze di prechiusura sono un tipico esempio di mosse conver­ sazionali volte alla gestione dell'interazione: esse hanno lo scopo di segnalare che chi parla ha concluso gli argomenti e si dispone a chiu­ dere, a meno che l'interlocutore non abbia qualcosa da aggiungere; in questo caso, egli segnalerà questo con una strategia marcata nel pro­ prio turna.: 2 2 . Nelle telefonate, si considera lo squillo del telefono come appello e la rispo­ sta dell'appellato come risposta. A questa sequenza seguono normalmente l'identifica­ zione e i saluti.

L I N G U ISTICA TESTUALE

(37)

P M

-

Ok allora Sì senti dovevo poi ancora dirti una cosa

(p re-chiusura) (riapertura)

Le sequenze complementari non devono quindi essere considerate strutture rigide, ma modelli che generano un insieme di attese da parte degli interagenti: la prima mossa di una sequenza richiede una specifica mossa di risposta nell'interlocutore e, se questa non viene, ciò è marcato in vario modo. Di fatto, esistono moltissime possibili risposte a una mossa conversazionale, ma esse non sono tutte equiva­ lenti: esistono cioè mosse preferenziali, non marcate, e mosse non preferenziali, che quando vengono eseguite vengono in vario modo evidenziate da strategie di segnalazione o di giustificazione 23. Un ti­ pico segnale che evidenzia una mossa non preferenziale è l'esitazione, come quella che nell'esempio seguente precede una dichiarazione di incapacità a rispondere - ovviamente, la replica preferenziale a una 'domanda' sarebbe una 'risposta' : (38)

P - Vieni anche tu? M. - Eh sì non so ancora (conversazione faccia a faccia)

Le mosse interne alle sequenze possono avere diverso grado di co­ genza, per cui alcune possono essere cancellate senza che questo crei un'aspettativa delusa 24. Altra turbativa alla successione lineare delle sequenze è poi la possibilità che una sequenza sia incassata in un'al­ tra. Nel caso seguente, all 'interno di una sequenza di richiesta-accet­ tazione-ringraziamento è incassata una sequenza di domanda-rispo­ sta: (39)

G - Mi apri un momento? C - Che succede? G - Ho dimenticato le chiavi C - Ok sali G - Grazie (conversazione al citofono)

(richiesta) (domanda) (risposta) (accettazione della richiesta) (ringraziamento)

Infine, sequenze altamente routinarie possono non svolgersi in turni successivi e nell'ordine canonico, ma essere assorbite su un unico tur2 3· La salvaguardia della " faccia" è alla base di molte scelte preferenziali, cfr. 5 .2 . � . 24. È il caso della sequenza ringraziamento - minimizzazione nelle sequenze di riparazione, cfr. PAR. � . 2 .5 .

PAR.

5 . LA

C O NVERSAZIONE

no generando un ordine non canonico. Si osservino le seguenti se­ quenze di richiesta-accoglimento-ringraziamento inserite linearmente fra un rituale di apertura e uno di chiusura nel primo esempio e in­ tersecate con questi nel secondo: (4o)

(4 r )

(appello) (risposta + identificazione) (riconoscimento; saluto + identificazione) (riconoscimento + saluto; invio) P - Ciao ! dimmi M - Senti passi tu a prendermi? (richiesta) P - Va bene non c'è problema (accoglimento della richiesta; minimizzazione) (pre-chiusura; ringraziamento) M - Va bene grazie P - Ok (accettazione della chiusura) (saluto) M - A dopo ciao (saluto) P - Ciao (conversazione telefonica) (appello) [suono di citofono] (risposta) V - Sì? A - Ciao senti, posso prendere (saluto + identificazione; richiesta) la bici? V - Ciao ! sì sì non preoccuparti (saluto + riconoscimento; accoglimento della richiesta) (ringraziamento; saluto) A - Grazie arrivo subito ciao (accoglimento del ringraziamento; salu­ V - Va bene ciao to) (conversazione al citofono; V e A sono vicini di casa e hanno una bici in comune) [squillo di telefono] P - Pronto? M - Pronto ciao

5 . 2 .4.

L'interazione asimmetrica: la dominanza e il potere

All'analisi della conversazione sono state mosse critiche di una visione troppo neutra e asettica delle dinamiche comunicative, una visione che ne ignorerebbe l'aspetto più propriamente sociale e i condiziona­ menti che questi aspetti impongono alla gestione dell'interazione. Questa critica, secondo Orletti ( 1 994) , è superata dall 'attenzione che gli studi più recenti hanno riservato alle concrete condizioni e moda­ lità con cui si sviluppa l'interazione. Alcuni concetti inseriti nel mo­ dello riguardano proprio le relazioni sociali intercorrenti fra i parlan­ ti: in particolare, la nozione di potere e quella di faccia, dalle quali dipende la nozione di cortesia. n potere cui si fa riferimento (cfr. Brown, Levinson, I 9?8) è il potere che i parlanti hanno in un'interazione. Una disparità - o asim-

L I N G U I S T I C A TESTUALE

metria - di potere interazionale si ha quando «non si realizza fra gli interagenti una parità di diritti e doveri comunicativi, ma i parteci­ panti si differenziano per un accesso diseguale ai poteri di gestione dell'interazione» (Orletti, 2ooo, p. 1 2 ) . Le asimmetrie di una interazione possono manifestarsi su diversi livelli, e non necessariamente sono appannaggio dello stesso interlo­ cutore. Linnell e Luckmann ( 1 99 1 ) individuano quattro diversi tipi di dominanza che possono ricorrere in un'interazione, qui riportati nella FIG. 5 · 3 ·

FIGURA 5 · 3

Forme della dominanza nell'interazione 2 ' Dominanza quantitativa: relativa al numero di parole e di turni a disposizione

Dominanza interazionale: relativa alla possibilità di compiere mosse forti nel con­ trollo delle sequenze interazionali Dominanza semantica: relativa alla possibilità di controllare gli argomenti e di imporre un punto di vista Fonte: Linnel, Luckmann ( 1 9 9 1 ) .

La dominanza quantitativa è un fenomeno di più immediata evidenza, relativo allo «spazio interazionale a disposizione» di ogni interlocuto­ re (Orletti, 2ooo, p. r4). È impanante sottolineare che la dominanza quantitativa è determinata non solo dall ' ampiezza dei turni, ma anche dal loro numero. In una situazione di intervista, ad esempio, la domi­ nanza quantitativa in termini di parole appartiene normalmente all'in­ tervistato - cui è normalmente concesso di dilungarsi nelle risposte -, ma il numero di turni è identico nei due interlocutori; in caso di un'intervista di gruppo (ad esempio, ad una squadra di calcio negli spogliatoi dopo una partita) il numero di turni a disposizione dell'in­ tervistatore sarà probabilmente superiore a quello di ogni intervistato. Diamo qui due esempi di un particolare tipo di intervista, l'intervista nativo-non nativo a scopo di indagine sociolinguistica 2 6 : in questo 25. Tralasciamo dal modello di Linnell e Luckrnann quella che viene chiamata la dominanza strategica, poiché agisce a un piano più alto, al livello degli scopi dell'ime­ razione che travalicano l'interazione stessa, e come tale non è immediatamente con­ statabile sul piano dell'analisi dell'interazione stessa. 26. I dati sono tratti dal corpus di italiano come seconda lingua del Progetto di Pavia (cfr. Banca Dati di Italiano L:z, :z o o r ) . liTI individua l'intervistatore nativo, IMK/, /MT/ e, più avanti, /XI/, gli intervistati non nativi.

r 66

5.

LA C O N V ERSAZIONE

caso, benché gli obiettivi dell'intervistatore siano rispondenti alla si­ tuazione comunicativa istituzionale - cioè porgere domande per rac­ cogliere informazioni dall 'intervistato - si osserva che la dominanza quantitativa può appartenere all'intervistatore. (42 )

\It\ \Mk\ \It\ \Mk\ \It\

quando sei arrivato in Italia? eh + + + un mese fa un mese fa? sì come sei arrivato? [ ] sei partito da + + dunque + + sei partito da Massaua con la nave? no + da Sudan ah dal Sudan sì sei andato fino a Khartum? Khartum sì con cosa? con il treno o? no ae(re) con l'aereo + da Asmara? sì cioè hai fatto Asmara - Khartum con l'aereo + e poi eh Khartum - (Grich) - eh + Cairo - *A?tenes* - *Milan* ah ah + sempre con l' aereo? + un bel viaggio + ...

\Mk\ \It\ \Mk\ \It\ \Mk\ \It\ \Mk\ \lt\ \Mk\ \It\ \Mk\ \It\

(43)

\IT\ \MT\ \IT\ \MT\ \IT\ \MT\ \IT\ \MT\ \IT\ \MT\ \IT\ \MT\

poi %parliamo un po' liberamente % ?tu sei nato" dove_? a Diisseldorf + + + a Diisseldorf Diisseldorf ma- + + ?poi? e poi ? eh + + + ho @vivuto@ mhm tre anni- a Diisseldorf poi- noi siamo trasferi- ?ti? a- Stoccarda mhm per- un anno + abiamo vivuto qua mhm poi siamo andati ad Amburgo + eh + lì ho- + sono stato­ %devo pensare % + sei anni e poi undici anni fa- sono ar­ rivato a Berlino

La differenza di comportamento sarà in parte legata alla diversa com­ petenza del parlante non nativo, che nel primo caso ha bisogno del supporto del nativo per organizzare il proprio discorso; tuttavia,

L I N G U ISTICA TESTUALE

come vedremo p1u avanti, la maggior competenza linguistica non è necessariamente causa di fenomeni di dominanza. La dominanza interazionale riguarda la possibilità di compiere mosse interazionalmente forti, cioè mosse che vincolano una o più mosse successive. Per restare all'analisi della situazione di intervista, la dominanza interazionale è normalmente propria dell'intervistatore, che attraverso un canovaccio di domande guida il comportamento in­ terazionale dell'intervistato, che ha come mossa comunicativa preva­ lente la risposta. Anche in questo caso, tuttavia, non si tratta di una caratteristica necessaria della situazione intervista. Traiamo ancora da un'intervista nativo-non nativo un esempio in cui la dominanza inte­ razionale, nonostante i tentativi dell'intervistatrice di riappropriarsene (cfr. turni n. 4 e n. 8 dell'intervistatrice) , è per qualche tempo presa dall'intervistata: (44)

\!1\ \XI\ \!1\ \XI\ \!1\ \XI\ \!1\ \XI\ \!1\ \XI\ \!1\ \XI\ \!1\ \XI\ \!1\ \XI\ \!1\ \XI\ \!1\ \XI\ \!1\ \XI\ \!1\

eh già + + + e poi dei dolci cinesi dolci certo eh_ uguale Italia no? &però cuci/& &(ce ne saran)& di diversi eh cucina eh diversi eh:_ raccontami &diver/& &un dolce& uno dolce? io ho mangiato una volta al ristorante una banana una banana? + &u&guale no? &sì& sì ma era preparata bene ah: [FA VERSO DI NO] non sai come si fa &la ba&nana? &eh: sì& banana con farina [RIDE] eh (bano) fato vero? probabile non lo so eh banana cruda no era cotta eh ? ra cotta? sì

La dominanza semantica riguarda invece la selezione degli argomenti e l'imposizione di un punto di vista: sotto questo aspetto, nella situa­ zione di intervista, il comportamento dell'intervistato e dell'intervistar68

5

.

LA CONVERSAZIONE

tore sono meno determinati, anche se non necessariamente conflittua­ li: l'intervistatore può selezionare in modo più o meno rigido le aree su cui verterà l'intervista, e normalmente consentirà all'intervistato di esporre il proprio punto di vista, evitando di esporre il proprio. An­ che questa tuttavia non è una regola rigida. Si osservi il seguente esempio tratto da Orletti ( 2 ooo, p. 78): (4 5 )

M:

B:

M:

Senta comunque le sue televisioni/ che le televisioni, che la sua televisione, in qualche modo sia la DIFFERENZA in queste ele­ zioni è chiaro a tutti. A lei è chiaro oppure lei lo nega No, a me è chiaro che la RAI, la televisione pubblica che vive coi soldi di tutti: fa la televisione di UN partito politico = questo non è vero

In questo caso l'intervistatore rinuncia volontariamente al proprio ruolo "istituzionale" intervenendo direttamente nell'interazione come pari, per esporre il proprio punto di vista. La dominanza è, nella prospettiva di Linnel e Luckmann un feno­ meno di disparità nel comportamento interazionale che può ricorrere all'interno di singole sequenze interazionali o permeare interi scambi comunicativi ed è solitamente una manifestazione dell'asimmetria di potere interazionale. Le asimmetrie possono essere previste istituzio­ nalmente da alcuni tipi di interazione, in cui differenze di ruolo o di competenza possono originare un diverso potere nella gestione della comunicazione: è ciò che accade nelle interazioni medico - paziente, professore - alunno, intervistatore - intervistato, o, per diversa com­ petenza linguistica, nelle interazioni fra parlante nativo e non nativo o fra adulto e bambino. Non necessariamente una condizione di asim­ metria porta a una gestione conflittuale: le parti possono accettare il ruolo che la situazione o gli altri parlanti impongono o inducono. Possono però anche verificarsi casi di conflitto, in cui le parti cercano per sé un ruolo diverso: alcuni degli esempi riportati mostrano casi di conflitto (esempi (44) e (45 ) ) , mentre in altri casi una distribuzione "non canonica" della dominanza può essere accettata e anzi costruita congiuntamente dagli interlocutori (esempio (4 3 ) ) . Del resto, benché possa esistere un'aspettativa degli interlocutori su come si svolgerà la comunicazione, i ruoli non sono predeterminati dalla situazione o dal ruolo sociale dei parlanti nell'evento comunicativo, ma sono costruiti dal comportamento dei parlanti a mano a mano che la comunicazione procede. Ad esempio, uno dei parlanti può non accettare il ruolo che l'interlocutore gli assegna e può tentare di rinegoziarlo. Nel seguente

L I N GUISTICA TEST UALE

esempio, tratto da Orletti (2ooo, p. 1 q), un medico nativo italiano diagnostica a una paziente, non nativa e incidentalmente infermiera, un disturbo: (46)

M:

P: M: P: M:

P:

saliva con ( . ) piccoli animali (.) batteri ( . ) capito? sì, ah: ((ride)) capi::to ah ah ((ride)) io parlo così, però (.) porque me parla ll così // capito e:: si per/ come (se) fosse una persona (che) non capisce niente

In questo caso P si trova in una posizione di inferiorità di potere per almeno due motivi: perché è straniera, e perché è in questo momento una paziente. Tuttavia la propria competenza, sia linguistica sia enci­ clopedica, è sottovalutata da M, e per questo motivo P si ribella al controllo che M cerca di esercitare sulla comunicazione, rivendicando un trattamento maggiormente paritario e non protettivo. Analoga­ mente, nel caso seguente (sempre tratto da Orletti, 2ooo, p. u 8 ) , una madre tenta di instaurare una "sequenza pedagogica" , in cui lei come docente ha maggior potere nella comunicazione, ma questo tentativo viene interrotto dalla figlia: (4 7 )

Guarda che bei calanchi, lì in quella valle F: ( . ) M: i calanchi sono ll F: ll ma non voglio sapere che sono i calanchi

M:

..

Questi esempi suggeriscono ancora una volta come sembri essere più appropriata, per l'analisi delle .· interazioni, una prospettiva costruzio­ nista, che imposta la descrizione delle interazioni come regolata da un insieme di convenzioni non preordinate all 'interazione ma che, al­ l'interno dell'interazione stessa, vanno ogni volta rinegoziate. 5 .2 . 5 .

La gestione della "faccia" e la cortesia

Il concetto di "faccia" viene all'analisi conversazionale dalle riflessioni di Goffmann ( 1 964), studioso di sociolinguistica dell'interazione che non si è occupato direttamente di analisi della conversazione, ma di come attraverso l'interazione comunicativa venga costruito il "sé", l'i­ dentità sociale dell'individuo. La prospettiva di Goffmann è appunto costruzionista, ovvero egli vede l'identità sociale di un individuo

5,

LA C O N VERSAZIONE

come qualcosa che non è precostruito attraverso, ad esempio, i dati socioanagrafici, o il carattere o il ruolo sociale specifico che il parlan­ te riveste in una determinata situazione, ma piuttosto come qualcosa che si costruisce e ribadisce - o si mette in discussione - costante­ mente nel corso dello scambio comunicativo. Proponiamo nella FIG . 5 ·4 uno schema relativo alla gestione della faccia. FIGURA 5 · 4

L a gestione della faccia r

2 3

I. partecipanti ad un'interazione intendono salvare la propria faccia L'attenzione alla faccia dell'altro dipende dal potere relativo L'attenzione alla faccia altrui può danneggiare la propria

Fonte: Brown, Levinson ( I 978).

Molta dell'attività interazionale è in questa prospettiva considerata come volta alla costruzione e al mantenimento della "faccia" , cioè del rispetto della propria e altrui identità sociale. Le procedure volte alla gestione della faccia sono sostanzialmente di due tipi: rituali di evita­ mento, che mirano a preservare una distanza dall'interlocutore; rituali di presentazione, attraverso cui i parlanti attestano le proprie posi­ zioni. A tale aspetto nella comunicazione interpersonale è stata da più parti riconosciuta abbastanza importanza da ritenere di dover riserva­ re un posto specifico alle procedure che vi si riferiscono. È questo il senso della nozione di 'cortesia' (politeness, cfr. Brown, Levinson, 1 978) , che raccoglie l'insieme di strategie e procedure che mirano alla salvaguardia della propria e dell'altrui faccia soprattutto attraverso il rispetto della distanza dall'interlocutore, ovvero l'attenzione ad evita­ re di porre l'interlocutore in una situazione costrittiva e, per questo, intrinsecamente aggressiva - nel senso di aggressione simbolica all'i­ dentità individuale. Lakoff ( 1 9 7 3 ) propone che una 'massima di cortesia': "sii cortese" , debba essere istituita come super-massima accanto alle regole sulla logi­ ca conversazionale di Grice ( r 967): sarebbe questa infatti la massima che motiva l'esecuzione di diversi atti linguistici non in modo diretto ma in modo indiretto: essi consentirebbero al parlante di ottenere l'ef­ fetto perlocutivo voluto senza violare la faccia dell'interlocutore. Ad esempio, la richiesta di aprire una finestra attraverso un imperativo:

LINGUISTICA

(48 )

TESTUALE

Apri la finestra !

porrebbe l'interlocutore in una situazione priva di uscita, in cui egli non avrebbe scelta fra un atto di accettazione, ovvero di sottomissio­ ne all'ordine, e quindi di perdita della faccia, e un esplicito rifiuto che genererebbe un conflitto e il rischio di perdita della faccia da parte di chi ha fatto la richiesta. Viceversa, se la richiesta avviene in una forma indiretta, attraverso la constatazione di un dato di fatto: ( 49 )

Che caldo !

il parlante lascia aperta all'interlocutore che non desideri adeguarsi alla richiesta, indiretta ma perfettamente comprensibile - almeno da parte di un interlocutore che condivida le norme comportamentali del parlante -, la possibilità di ignorare la forza illocutiva indiretta e replicare esclusivamente alla forza linguistica diretta: (5o)

Davvero !

27

La nozione di cortesia spiega anche alcune opposizioni fra mosse pre­ ferenziali e non preferenziali nelle sequenze complementari: alcune mosse possono essere non preferenziali perché minano la faccia del­ l'interlocutore o del parlante. Vediamo di seguito due concrete appli­ cazioni delle n ozioni di faccia e cortesia nella descrizione di due tipi di sequenze complementari: gli scambi riparatori, analizzati dallo stes­ so Goffmann ( r 9 7 r ) , e le sequenze per esprimere accordo e disaccor­ do studiate da Pomerantz ( r 984). Le sequenze di riparazione sono sequenze che intervengono nel momento in cui un particolare evento rischia di compromettere la faccia di uno dei partecipanti allo scambio comunicativo. La sequen­ za si apre con una 'riparazione' ed è seguita da un 'conforto'. La ri­ parazione è offerta da un parlante - !'" offensore" - che compie un atto lesivo nei confronti di un altro - !'"offeso " , ad esempio lo urta

27. Di fatto, nel caso specifico, l'alto livello di routinarietà di questa mossa co­ municativa - ovvero, dato che la forza illocutiva indiretta è resa trasparente dalla cri­ stallizzazione di tale routine è probabile che anche l'esplicito ignorare tale atto indi­ retto sarebbe inteso come atto offensivo. È probabile allora che tale risposta, che agi­ sce al livello superficiale come replica a una constatazione, sia seguita da una seconda mossa dell'interlocutore, ad esempio una giustificazione, che esplicita il fatto che egli ha capito le intenzioni del parlante e motiva l'implicito rifiuto, ad esempio così: " Dav­ vero ! È che ho mal di gola, altrimenti potremmo aprire". -

1 72

5 . LA CONVERSAZIONE

per strada; l'interlocutore offre normalmente un conforto come re­ plica 2 8 : (5 1 )

(riparazione) P - Scusi I - Niente (conforto) (conversazione faccia a faccia, per strada, fra sconosciuti)

L'obiettivo di P, nella prospettiva di Goffmann, è quello di evitare che l'atto potenzialmente offensivo venga valutato come tale; la re­ plica vale da parte dell'offeso come assicurazione di aver accettato di evitare tale valutazione negativa. Ora, lo stesso rischio di offesa potenziale scaturisce da molte altre situazioni: ad esempio, possono esserci atti intenzionali che possono essere interpretati come potenzialmente offensivi e, perciò, sono pre­ ceduti da sequenze di riparazione o fondate su di esse. Sono di que­ sto tipo per Goffmann i rituali di richiesta e soddisfacimento di una richiesta: (5 2)

P - Scusi, passo. (richiesta) I - Prego (soddisfacimento) (conversazione faccia a faccia, in autobus)

La sequenza può essere prolungata da una seconda coppia di turni, in cui l'offensore ringrazia per l'accettazione da parte dell'offensore della propria giustificazione ('ringraziamento') e l'offeso minimizza la portata della propria concessione ('minimizzazione') per sancire e ri­ pristinare una parità di dignità fra sé e l'interlocutore: (5 3 )

P - Scusi, mi fa timbrare? I - Prego P - Grazie I - [sorride] (conversazione faccia a faccia,

(riparazione + giustificazione) (conforto) (ringraziamento) (minimizzazione) in autobus)

Gli scambi riparatori possono essere innescati anche dall'offeso. Ciò accade ad esempio quando l'evento offensivo non è provocato da un altro attore: nel caso seguente, in seguito a una "brutta figura" l'offe2 8 . Come per molte mosse comunicative, la mossa di conforto può essere risolta anche da un semplice sorriso, che indica da parte dell'offeso l'accettazione della ripa­ razione offerta dall'offensore.

1 73

LINGUISTICA T E S T UALE

so ripristina la faccia nei confronti di un altro partecipante all'evento innescando per primo uno scambio riparat ore a base non verbale " 9 : (,4) I inciampa nel marciapiede sconnesso. I - [rivolto a un passante sconosciuto che ha assistito all a scena, P, sorride] P - [sorride]

Si osservi che nella stessa situazione lo scambio pot rebbe essere ini­ ziato da P, invertend o cioè l'ordine dei sorrisi, con lo stesso effetto: ottenere un accordo fra i due attori della comunicazione sull'attenua­ re l'offesa arrecata all ' immagine di I. Lo scambio riparatore può essere innescato dall ' offeso anche quando esista un preciso offensore; in questo caso, l'offeso non offre all ' offensore una riparazione ma piuttosto una 'mossa d'avvio' che consenta all'interlocutore di avviare uno scambio riparatore e risolve­ re il conflitto senza danni per le rispettive immagini soci ali: (5 5 )

In treno, P si siede nel posto già occupato da l, che è momentanea­ mente in piedi. I - Scusi, c'ero io (avvio) (riparazione + giustificazione) P - Oh scusi, avevo visto vuoto I - Niente (conforto)

Goffmann cita altre possibili " variazioni sul tema" degli scambi ripa­ ratori , che tutte possono essere ricondotte alla semplice sequenza illu­ strata ora: l'analisi degli scambi conversazionali in termini di funzioni sociali che le mosse adempiono permette cioè di osservare regolarità di comport am ento nell 'interazione fra parlanti che non sarebbe possi­ bile cogliere attraverso, ad esempio, un'analisi contenutistica o lin­ guistica. Anche le sequenze per esprimere accordo e disaccordo mostrano il peso della gestione della cortesia nell'interazione. In generale, per una regola di cortesia, la replica preferenziale a un'espressione di giu­ dizio è un a manifestazione di assenso: 29. Per Goffmann ( 1 97 1 ) «i sorrisi permettono all'individuo di comunicare il suo desiderio di non provocare contestazioni anche prima di sapere su che cosa le conte­ stazioni potrebbero vertere». Nel nostro caso, il sorriso di I è una segnalazione - pre­ ventiva a qualsiasi reazione di P - che il comportamento goffo non va considerato, ad esempio , come provocato da incapacità di reggersi in piedi; è cioè un invito a consi­ derare sotto una luce benevola e positiva l'evento, ad esempio attribuendolo a disat­ tenzione e " scagionando" I da interpretazioni più lesive della sua faccia. Il sorriso di replica di P indica la disponibilità di quest'ultimo a tale interpretazione.

5 . LA C O N V ERSAZIONE

(56)

(giudizio + richiesta di giudizio) C Moltissimo (accordo) (conversazione faccia a faccia; uscita da teatro)

R - Bello, no? -

In generale, le valutazioni positive sono preferenziali a quelle negative: ( 57 )

R - Allora che t e n e pare finora? C C'è una bellissima atmosfera (conversazione faccia a faccia; durante una manifestazione di piazza) -

Una manifestazione di dissenso, o una valutazione negativa sono mos­ se non preferenziali, e come tali vengono infatti segnalate da esitazio­ ni, o da giustificazioni, che eventualmente possono anche essere pre­ messe al disaccordo vero e proprio o sostituirlo: (5 8 )

R - D'accordissimo, e tu?

(giudizio, richiesta di giudizio) C Mah, mica tanto (esitazione, disaccordo) (messaggio sMs) C Che dici del film di ieri? (richiesta di giudizio) R Ma sì no era un po' lungo (esitazione, giustificazione) (conversazione faccia a faccia) -

(59)

-

-

Situazioni di conflitto emergono evidentemente nei casi in cui un in­ terlocutore è chiamato ad esprimere un accordo su una valutazione negativa che un parlante da di sé: in questo caso l'interlocutore si scontra fra le due opposte esigenze di cortesia di manifestare accordo con il parlante e di non darne una valutazione negativa. La strategia preferita sembra essere quella della segnalazione di disaccordo, o, in caso che veriga segnalato un ·accordo, questo viene effettuato con gli strumenti più deboli di cui dispone il repertorio. Un mezzo per se­ gnalare accordo attenuando il danneggiamento della faccia altrui è quello di mostrare una propria appartenenza alla stessa categoria: ( 6o )

C Sono una disordinata cronica Z - Anch'io -

I due esempi brevemente proposti delle sequenze di riparazione e delle manifestazioni di accordo/disaccordo mostrano come l'indivi­ duazione di situazioni di conflitto piuttosto generali può consentire di descrivere con schemi regol ari e semplici un ampio ventaglio di situa­ zioni comunicative. È evidente tuttavia anche dagli esempi che queste descrizioni non hanno alcun intento prescrittivo né predittivo, ma piuttosto si presentano come uno studio etnografico del comporta1 75

L I N G U ISTICA T E S T UALE

mento di attori sociali in un determinato contesto comunicativo e ambiscono, al limite, a individuare delle regolarità di comportamento valide per una certa cultura. In questo caso è infatti più che mai im­ portante un approccio interculturale, che determini le differenze che, all'interno di una griglia descrittiva comune, possono individuarsi da cultura a cultura: il livello di salvaguardia del sé e la soglia oltre la quale ci si può sentire aggrediti o umiliati può evidentemente differi­ re da cultura a cultura, e può essere analizzata solo in prospettiva interlinguistica e interculturale. 5·3

Un banco di prova per la linguistica testuale: le particelle discorsive

Concludiamo il volume con una descrizione della classe delle parti­ celle discorsive, le quali, sfruttando i diversi piani di analisi che fin qui abbiamo individuato come propri della descrizione dei testi, fun­ gono da "banco di prova" della loro appropriatezza ed efficacia espli­ cativa e illustrano bene in che modo essi possono essere applicati. Impostiamo il problema osservando il diverso valore della con­ giunzione perché negli enunciati seguenti: (6r)

nervoso perché ha fame b) Ha fame? Perché sono arrivate le pizze

a) È

La congiunzione perché ha in entrambi gli enunciati significato causa­ le: tuttavia essa non ha lo stesso valore. Questa differenza, a prima vista non evidente, è messa facilmente in luce dal diverso comporta­ mento della congiunzione nei seguenti contesti dialogici: (62 )

a) - Perché è nervoso? - Perché ha fame b) Perché ha fame? ?? Perché sono arrivate le pizze -

-

La trasformazione in coppie dialogiche mostra chiaramente come la relazione fra le frasi legate da perché sia diversa nei due esempi: in (6 r )a un fatto (l'aver fame) è portato come giustificazione di un altro fatto (l'essere nervoso) , mentre in ( 6 r )b non è così: il fatto dell'arrivo delle pizze non spiega il fatto di avere fame. La corretta resa dialogi­ ca di (6r)b sarebbe invece: q6

5.

(63)

L A C O N VERSAZIONE

- Perché chiedi se ha fame? - Perché sono arrivate le pizze

in cui un fatto (l'arrivo delle pizze) è portato come giustificazione non di un fatto ma di una domanda (la domanda relativa all'aver fame) . Un altro modo per evidenziare questa differenza è una para­ frasi del tipo: (64)

a) Dico che è nervoso, e il motivo per cui è nervoso è che ha fame b) Chiedo se ha fame, e il motivo per cui lo chiedo è che sono arrivate le pizze

oppure, come in (65 ) , attraverso un sistema a parentesi che metta in evidenza il diverso ambito d'azione (portata) della connessione causa­ le: una connessione tra eventi in un caso, tra eventi e atti linguistici nell'altro. (65 )

a) Dico che [è nervoso] perché ha fame b) [Chiedo] se ha fame perché sono arrivate le pizze

Le 'particelle discorsive' (discourse particles, Abraham, r99o) - o 'connettivi pragmatici' (pragmatic connectives, van Dijk, r 979), 'avver­ bi pragmatici' (Conte, r988), 'segnali discorsivi' (Bazzanella, 1995 ) sono appunto elementi linguistici di articolazione e di strutturazione che non esprimono relazioni al livello degli eventi evocati dagli enun­ ciati, ma relazioni fra elementi del testo stesso, cioè fra enunciati o fra attj di enunciazione. Possono essere ricondotti sotto una o più di queste categorie, ad esempio, gli elementi in corsivo nel testo se­ guente:

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(66)

Ardeche? No, non sono annegato io ed anche ribaltarsi non è così fa­ cile (addio io sono andato accompagnato da canoista esperto e con poca acqua . . . ) . TI giro è comunque splendido, con acqua tiepida ed un sacco di gente (pure troppa) . Avevo poi dormito in un campeggio con uno splendido arco di roccia e mangiato petto d'anatra in salsa di mir­ tilli, innaffiati da un vino splendido . . (ehm, esagero . ). La discesa era stata fatta in un giorno solo (spero di non averti raccontato già tutto questo, visto che a volte tendo a dimenticarmi ciò che racconto) ed era finita con una strana esaltazione (ci siamo sentiti veramente tosti, un po' come dopo l'Emilius) . Più che altro è il periodo che mi sembra non tanto buono: caldo mostruoso e tanta gente, io ero andato a metà settembre ed era stato veramente bello . . . (messaggio e-mail) .

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L I NG U IS T I C A TESTUALE

La varietà di etichette adottate, etichette che non sono equivalenti ma nemmeno nettamente distinte 30, dà una prima indicazione dello stato ancora aperto e in corso della ricerca linguistica nel campo. Noi adotteremo l'etichetta di ' particella discorsiva' come termine generale per indicare questi elementi, adottando denominazioni specifiche per alcune sottocategorie maggiormente studiate. Sono state proposte nu­ merose analisi di singole particelle discorsive e sono state avanzate va­ rie proposte di classificazione, che rischiano però in molti casi di es­ sere episodiche e asistematiche, da un lato riducendosi a una mappa degli usi osservati, dall'altra mescolando criteri diversi di analisi e classificazione e risultando quindi incomparabili fra loro. Cercheremo nel seguito di mettere in luce i principi generali finora individuati at­ traverso un confronto fra diverse proposte. Tutti gli elementi evidenziati negli esempi proposti sono modifica­ tori che agiscono al livello frasale (cfr. Lonzi, 1 99 1 ; Conte, 1988). Al livello frasale si possono però individuare, come abbiamo visto nei capp. 3 e 4, più piani di significato. In primo luogo, una frase, come proposizione, ha un valore a livello semantico, relativo agli eventi a cui l'enunciato fa riferimento: a questo livello possiamo avere modifi­ catori relativi allo "stato di cose" e al valore di verità di una proposi­ zione. In secondo luogo, una frase, come enunciato, ha un valore di tipo pragmatico, relativo alla funzione che l'enunciato ha nel discor­ so: a questo livello possiamo avere modificatori dell'enunciato, ovvero del testo, e dell'enunciazione, owero dell'atto linguistico come evento in sé. Con le etichette di 'awerbi o connettivi pragmatici' e di 'se­ gnali o particell e discorsive' si fa riferimento ai modificatori del li­ vello pragmatico, owero dei piani dell'enunciato e dell'enunciazione. 30. Le etichette di 'connettivo pragmatico' e 'avverbio pragmatico' nascono in un ambito più legato alle tradizioni logico-pragmatiche di studi di linguistica testuale, mentre le etichette di 'segnale discorsivo' o di 'particella discorsiva' nascono piuttosto nelle tradizioni di studi di analisi della conversazione: da qui discendono classificazio­ ni diverse, che adottano di preferenza le categorie descrittive dell'una e dell'altra tra­ dizione di studi. Si osservi ad esempio questa definizione di 'segnale discorsivo' di Bazzanella ( 1 995 ) , nettamente orientata al versante interazionale: «l segnali discorsivi sono quegli elementi che, svuotandosi in parte del loro significato originario, assumo­ no dei valori aggiuntivi che servono a sottolineare la strutturazione del discorso , a connettere elementi frasali, interfrasali, extrafrasali e a esplicitare la collocazione del­ l'enunciato in una dimensione interpersonale, sottolineando la struttura interattiva della conversazione». Tuttavia è possibile individuare tratti comuni fra queste defini­ zioni, riconducibili sostanzialmente al fatto che gli elementi che vi sono inclusi opera­ no tutti ai livelli pragmatici del significato (Dijk, 1979). Sulle difficoltà della delimita­ zione della categoria e sui più o meno ampi confini attribuiti all'etichetta di 'parti­ cella' (particle) si veda Hartmann (19 94).

5.

LA C O N VERSAZIONE

Secondo la definizione di Moeschler: