L'ideologia del potere e la tragedia greca. Ricerche su Eschilo 8806354698, 9788806354695

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VINCENZO DI BENEDETTO

L'IDEOLOGIA DEL POTERE E LA TRAGEDIA GRECA Ricerche su Eschilo

Piccola Biblioteca Einaudi

Copyright«:) 1978 Giulio Einaudi editore s. p. a., Torino

VINCENZO DI BENEDETTO

l' IDEOLOGIA DEL POTERE E LA TRAGEDIA GRECA Ricerche su Eschilo

Piccola Biblioteca Einaudi

Indice

p. VII

Prelazione

L'ideologia del potere e la tragedia greca 1. 3 16 31 37

Il problema della responsabilità nei Persiani 1. 2. 3. 4.

Il dio che inganna Colpa di Serse e sventura mandata dagli dei Tempi lunghi e tempi brevi I precedenti del 'sistema'

11. Saggezza e conoscenze tecniche nel Prometeo 44 .50 64 78 94 111 120

1. 2. 3. 4. .5. 6. 7.

La 'politicità' del Prometeo La «tirannide» di Zeus Le 'profezie' di Prometeo Il modello mitico della liberazione di Prometeo La linea vincente: la saggezza tradizionale Al di là dell'immedesimazione Le technai e il mondo del lavoro

111. La saggezza di Agamennone: anatomia di un personaggio 137 1.56 16.5

1. La legge del pathei mathos e Agamennone 2. Da Serse ad Agamennone 3. Il dilemma di Agamennone

IV. Strutture sociali e strutture etico-religiose nell'Orestea 1 So 192

1. L'elogio della povertà 2. La necessità della guerra

INDICE

VI p. 199 20, 222

3. La ricchezza di Atene 4. La paura come fondamento dello stato 5. L'areopago

v. Le Erinni: il primitivo e le istituzioni 230 238 26o 276 289

I. Dall'uxoricidio al matricidio 2. La bipolarità delle Erinni nelle Eumenidi 3. Scomposizione e ricomposizione: la convalida delle struttuie istituzionali 4. Sulla struttuiazione interna dell'Orestea Indice dei nomi

Prefazione

Una delle caratteristiche piu specifiche dello stile di Eschilo è il modo come egli costruisce le immagini. Non si ha di regola in Eschilo l'immagine di tipo omerico, ben de­ finita e omogenea, conclusa in se stessa: l'immagine eschi­ lea contiene invece spesso elementi che riconducono al­ l'oggetto che costituisce il termine reale di confronto, sen­ za che si pervenga a un quadro concluso e autonomo. È del tutto estraneo ad Eschilo il vagheggiamento del bel quadro, da fruire a un livello di percezione immediata. La realtà è per lui percorsa da linee di forza, da nervature etico-religiose, che non lasciano spazio al vagheggiamento e alla contemplazione. La ricerca del 'bello', del bello im­ mediatamente fruibile, non si pone certo in primo piano in Eschilo, cos{ come, a un livello piu propriamente tema­ tico, impressiona la quasi sistematica messa fuori campo nelle sue tragedie di un'autonoma valorizzazione della realtà dell'eros. Questi dati possono essere legittimamente messi a con­ fronto con certe tendenze proprie delle arti figu rative che affiorano in Grecia e ad Atene nella prima metà del v se­ colo a. C., e in particolare dopo il 480 a. C. Ma soprattut­ to va notato come sia preminente in Eschilo un intento per cos{ dire didattico, nel senso che egli sente con parti­ colare forza l'esigenza di trasmettere un messaggio - un messaggio etico-religioso e anche, mediatamente, politi­ co - al suo uditorio. La tragedia greca, in quanto spettacolo organizzato dal­ lo stato e profondamente inserito nelle istituzioni dello stato, non poteva non essere in sintonia con la classe diri-

VIII

PREFAZIONE

gente della polis e con le sue strutture fondamentali: pro­ prietà privata, divisioni in classi, famiglia e subordinazio­ ne della donna all'uomo, ecc. Ci sono sempre critici pronti ad allarmarsi ogni qual volta si voglia trovare in un singolo passo di una tragedia greca un riferimento a questo o a quell'avvenimento con­ temporaneo: si combatte accanitamente, per esempio, per negare che nelle Eumenidi sia ravvisabile un accenno alla campagna di Atene in Egitto. Tutta questa difesa della pu­ rezza della poesia ha qualcosa di patetico. La 'politicità' delle tragedie di Eschilo (e anche degli altri tragici a noi noti) non si gioca su questa o quella allusione ad eventi contemporanei (per quanto, per esempio, è fuori discus­ sione che nell'Orestea ci siano chiarissimi echi della rifor­ ma dell'Areopago, della alleanza fra Atene e Argo, ecc.). Ciò che importa è invece un discorso su tempi piu lunghi, che coinvolge le strutture di base della società. E in que­ sto discorso trova posto la considerazione dei limiti della condizione umana, il modo come veniva visto il rapporto uomo/divinità, oppure come veniva valutata la realtà del lavoro umano, ecc. Ed è in relazione a questi temi che si rivela, mediatamente, la politicità della tragedia greca, nel senso che di regola lo sbocco consisteva in un atteggia­ mento che presupponeva il riconoscimento e l'accettazio­ ne delle strutture sociali e politiche fondamentali. Ciò detto, non va comunque misconosciuto quanto di specifico presenta, anche a questo livello, il teatro di Eschi­ lo rispetto a quello di Sofocle e di Euripide, che costitui­ scono i piu autentici termini di confronto. In effetti in Eschilo si avverte una carica 'didattica' assolutamente ec­ cezionale, e molto piu forte rispetto a Sofocle ed Euripi­ de. E (a parte ragioni 'temperamentali' per altro difficil­ mente accertabili) questa eccezionale carica didattica del teatro di Eschilo sembra a me che debba essere posta in relazione, in ultima analisi, con la situazione della polis ateniese nei decenni immediatamente successivi al 480 a. C. e con l'eccezionale tensione politica che l'affermazio­ ne dell'egemonia di Atene comportava: una tensione poli­ tica che, appunto grazie ai margini 'riformistici' che l' 'im­ pero' comportava, coinvolgeva e tendeva a corresponsabi-

PREFAZIONE

IX

lizzare in un impegno comune tutta la polis: fenomeno ca­ ratteristico appunto della prima metà del v secolo a. C., quando la crescita della polis ateniese appariva come un processo emergente, ancora in fieri, con ampie prospetti­ ve di sviluppo. (Naturalmente, però, le incrinature che si determinarono nel quarto decennio del secolo furono av­ vertite anche da Eschilo: la distanza, a questo proposito, tra i Persiani e l'Orestea è assai notevole). Considerare il messaggio etico-religioso delle tragedie eschilee come un involucro esterno da potere 'stralciare' sarebbe un procedimento che precluderebbe la compren­ sione dell'opera di Eschilo anche ai livelli piu propriamen­ te tecnico-formali: il discorso etico-religioso (e, mediata­ mente, politico) determinava in ultima analisi il modo stesso di esprimersi di Eschilo, sia per ciò che concerne, per esempio, l'organizzazione e la disposizione della vi­ cenda tragica, oppure la strutturazione interna dei perso­ naggi, oppure anche il modo di costruire le immagini. Ma c'è di piu. Ciò che è peculiarmente specifico dell'ar­ te tragica di Eschilo è una continua tensione, per cui que­ sto discorso etico-religioso cerca di imporsi su una realtà che da esso non si lascia del tutto dominare. Si ha come il senso di un costante sforzo da parte del poeta, che - con estremo rigore, e orgoglio, intellettuale - cerca di chiudere nel contesto delle sue strutture di pensiero una realtà che va al di là di esse. E questa tensione non è qualcosa di ca­ suale, ma corrisponde all'incontro di linee culturali diver­ se, che avevano un diverso spessore storico: la concezione della divinità come ostile agli uomini e il senso della realtà del male e del dolore nel mondo avevano evidentemente dietro di sé una 'storia' molto piu lunga che non la conce­ zione che aveva nel conseguimento della saggezza il punto di riferimento essenziale. Sulla base di queste considerazioni, in questo mio lavo­ ro su Eschilo ho ritenuto che il compito piu urgente fosse quello di mostrare come questa tensione tra un ordine di­ dattico-religioso e una realtà ad esso non del tutto consen­ ziente si realizzasse nell'opera del grande tragico ateniese. Per questo occorreva prendere in particolare considera-

X

PREFAZIONE

zione le tragedie dove tale tensione si rivela nel modo piu vivo e piu problematico: ai Persiani, al Prometeo e alla tri­ logia delI'Orestea sono specificamente dedicati i capitoli di questo libro.

Elenco delle abbreviazioni piu importanti

Aesch. Aeschin. Aet.

Eschilo Eschine Aezio

Agam.

Agamennone Aiace

«A]Ph» Aristoph. Aristot.

Ai.

«ASNP»

« American Joumal of Philology» Aristofane Aristotele « Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa»

Av. Choeph. Contra Dem.

Uccelli Coefore Contro Demostene

«CQ» «CR»

« Classica! Quarterly» « Oassical Review »

De gen. anim.

La generazione degli animali

Dem. Dinarch. «EAA»

Demostene Dinarco « Enciclopedia dell'arte antica classica e orientale»

Equ. Eum.

Cavalieri Eumenidi

Eur. FGrH

F. JACOBY,

Gorg.

Gorgia

Herodot. Hesiod. Hesych. Hippol. Horn.

Erodoto Esiodo Esichio Ippolito Omero

Hymn. Dem.

Inno a Demetra

Euripide Fragmente der griechischen Historiker

ELENCO DELLE ABBREVIAZIONI

IG

Inscriptiones Graecae Iliade

Isthm.

Istmiche

li. lsocr.

Isocrate

«JHS»

«Joumal of Hellenic Studieu

Leocr.

Contro Leocrate

LS

H. G. LIDDELL - R. SCOTT - H. STUART JONES,

Lyc.

Licurgo

Lys.

Lisistrata

Menand.

Menandro

A Greek-English Lexicon

Nem.

Nemee

Nicol. Damasc.

Nicola Damasceno

Nub.

Nubi Edipo a Colono Odissea Olimpiche Onomastico Le opere e i giorni Edipo re

o.e.

Od. Ol. Onom. Op.

O.R.

Pap. Paus. Perik.

Papiri Pausania

Pers.

La tosata Persiani

Philod. Pind. Plat. Plut.

Filodemo Pindaro Platone Plutarco

Pol. Pomp. Prom. Pyth. Ran.

Politica Vita di Pompeo Prometeo Pitiche Rane Real-Encyclopiidie der classischen Altertumswissenschaft

RE

«REG»

« Revue des études grecques »

Resp. Rhes.

Repubblica Reso

Sch.

Scoli

Sam.

LaSamia

Xl

ELENCO DELLE ABBREVIAZIONI

XII

«sco»

« Studi classici e orientali»

Sept.

Sette a Tebe

Simon. Soph.

Simonide Sofocle

Suppi.

«TAPhA»

TGL

Theog.

Supplici

«Transactions of the American Philolo­ gical Association» Thesaurus Graecae linguae Teogonia

L'IDEOLOGIA DEL POTERE E LA TRAGEDIA GRECA

A mio figlio Saverio

Capitolo primo Il problema della responsabilità nei Persiani

1.

Il dio che inganna.

Ma al subdolo inganno del dio quale uomo mortale po­ trà sfuggire? chi, pur con il suo veloce piede saltando di un agile salto? Infatti, all'inizio Ate benevola blandendo svia l'uomo verso le reti, dalle quali non è possibile per il mor­ tale saltando fuggire. Infatti il destino divino anticamente prevalse e impose ai Persiani di condurre guerre distruttrici di roccaforti e mischie equestri e distruzioni di città. Ed essi impararono a guardare l'umido campo del vasto mare che si imbianca al soffio impetuoso del vento, :fiduciosi in funi sottili impegnate per una costruzione e in congegni che servono per trasportare la massa dell'esercito. Merita di essere notata anzitutto in questo passo della parodo dei Persiani (si tratta dei vv. 93-114) l'immagine della rete di«Ate» (il termine indica«accecamento»,«in­ fatuazione»), dalla quale l'uomo non ha la capacità di bal­ zar via. L'immagine ritorna nei vv. 1375 sgg. dell'Aga­ mennone e non a caso essa è usata da Clitemestra per ren­ dere l'idea del suo subdolo comportamento nei confronti del marito: se ella non avesse mentito non avrebbe po­ tuto chiudere Agamennone in una «rete di dolore», trop­ po alta per poterne uscire con un salto. La rete è quindi associata all'uccisione di Agamennone; e gli spettatori sen­ tendo le parole di Clitemestra ricordavano quel pezzo del­ la concitata profezia di Cassandra, dove la sacerdotessa di Apollo aveva la terrificante visione di una rete che avvi­ luppava Agamennone, e questa rete era da lei identificata ' con la sua compagna di letto, la sposa artefice del delitto. 1

E cfr. anche Choepb.

999-1000,

e anche Choeph.

492.

4

CAPITOLO PRIMO

Del resto, l'immagine della rete era particolarmente adatta a rendere a un livello quasi immediato di percezione vi­ siva l'impotenza dell'uomo che si trova avvolto in una si­ tuazione inestricabile 1: l'immagine che ha un segno chia­ ramente negativo a proposito dell'uccisione di Agamen­ none perpetrata da Clitemestra acquista invece una con­ notazione positiva, almeno a un piu superficiale livello espressivo, nel caso della Notte, la quale, seguendo il vo­ lere di Zeus e realizzando la punizione di un precedente delitto, butta una «ampia rete» sulle rocche di Troia (si tratta dei vv. 355 sgg. dell'Agamennone). È significativo anche che nel v. 147 delle Eumenidi l'immagine della rete venga associata alle Erinni che perseguitano Oreste, anche se in questo caso essh si inserisce in un complesso di im­ magini che richiamano l'attività della caccia: le Erinni so­ no equiparate nell'Orestea a cagne (nel v. 924 e nel v. 1054 delle Coefore esse sono«le irose cagne della madre» uccisa) e il loro inseguire Oreste viene visto come un cac­ ciare la selvaggina. L'immagine, quindi, della rete usata da Eschilo nei vv. 93-100 dei Persiani si rivelò in seguito, in diversi contesti, molto produttiva'. Lo stesso vale per l'immagine del «blandire (scodinzolando)», del sainein, un verbo che in greco era proprio per rendere l'idea del cane che scodin­ zola affettuosamente al padrone. Già prima dei Persiani, Pindaro nella II Pitica (su questa ode ritornerò piu avan­ ti) aveva associato l'immagine del sainein all'uomo «sub­ dolo» 4, e quindi all'inganno (ed è degno di nota anche che all'inganno venga associata la nozione di thrasos, «auda­ cia» I «sfrontatezza»). Eschilo a sua volta riutilizzò l'im­ magine del sainein nell'Agamennone, nel celebre pezzo li­ rico con la 'favola' del leoncino. Qui il verbo è recuperato nel suo senso proprio in quanto è riferito al cucciolo del leone, che allevato in una casa spesso viene preso in brac1 Cfr. già Il. V 487 sgg. (un passo presente a Eschilo quando scriveva Agam. 3" sgg.: dr. E. FB.Al!NKl!L, Aeschylus. Aga,nemnon, Oxford 1962 [r9,o], Il, p. 190). 3 C&. anche, in proposito, J. DUMORTil!I., Les images dans la poésie d'Eschyle, Paris 193', pp. 71-87. 4 C&. Pind., Pyth. II 81-83.

« PERSIANI»

'

cio come un bambino e «scodinzola» quando ha bisogno di mangiare. Senonché - e questo costituisce il nesso piu stretto che unisce questo pezzo dell'Agamennone al passo della parodo dei Persiani che stiamo analizzando - il leon­ cino che quando è cucciolo è cosf affettuoso ma che quan­ do diventa adulto provoca nella casa stragi di bestiame è da Eschilo presentato come 'equivalente' all'opera della divinità che prima si mostra non ostile nei confronti del colpevole e poi impietosamente lo punisce. L'immagine del sainein è quindi recuperata, nei vv. 717 sgg. dell'Aga­ mennone, nel suo valore proprio, e nello stesso tempo con­ tinua ad essere carica di una funzione analoga a quella del­ la II Pitica di Pindaro e della parodo dei Persiani 5. Anche per quel che riguarda piu specificamente il mec­ canismo psicologico attraverso il quale l'inganno del dio si realizza, risulta utile il confronto con un passo dell'Aga­ mennone. A proposito della decisione del re di Argo di sacrificare la figlia per procurare alla flotta il favore del vento si dice nei vv. 222-23 dell'Agamennone: «gli uo­ mini infatti rende audaci una follia disgraziata, vili cose escogitante, la quale è all'origine delle sofferenze». Que­ sto passo dell'Agamennone richiama da vicino la parodo dei Persiani. A parte il contenuto analogo, la definizione della follia come «vili cose escogitante» (aischrometis) 'presuppone' l'aggettivo dolometis, «subdole cose escogi­ tante», riferito nei Persiani all'inganno del dio; significa­ tiva è anche la coincidenza della sottolineatura del fatto che si tratta dell'«inizio» di un processo piu lungo; e non estraneo, infine, all'ordine di idee dei vv. 93 sgg. dei Per­ siani è anche il particolare dell'«audacia» che la follia pro­ voca nell'uomo: all'«audacia», valutata naturalmente in modo negativo, di Serse si fa esplicito riferimento nella tragedia (rimando al v. 744 e al v. 831) e Serse, come è facilmente intuibile, è il personaggio direttamente presup­ posto nelle considerazioni che il Coro fa nei vv. 93 sgg. dei Persiani. D'altra parte, subito prima dei vv. 222-23 dell'Aga5 Cfr. anche Agam. 798, dove analogamente il verbo a-«tvt�v è usato in un contesto di finzione e falsità.

6

CAPITOLO PRIMO

mennone a cui ho accennato, si dice di Agamennone che

egli, una volta posto il collo sotto il giogo della necessità, « cambiò il suo intendimento assumendo un atteggiamen­ to di completa sconsideratezza ». Il verbo usato per indi­ care il cambiamento di atteggiamento di Agamennone, metegno, richiama il v. n o delle Supplici (solo in questi due passi il verbo si trova attestato in Eschilo) dove a pro­ posito della hybris degli Egizi si parla di un cambiare at­ teggiamento che si realizza in una situazione di inganno e che porta alla cecità e alla rovina ' : il « cambiare atteggia­ mento », che si sostanzia di hybris, si pone dunque in un nesso molto stretto con apate (« inganno ») e con ate; e anche per questa via siamo ricondotti alla parodo dei Per­ siani. Infine, i vv. 93 sgg. dei Persiani si devono accostare anche a un altro passo dell'Agamennone - si tratta dei vv. 3 8 .5 sg. -, dove, a proposito ancora del meccanismo 'psi­ cologico' che porta alla hybris e al delitto, si dice : « eser­ cita violenza la disgraziata Persuasione, irresistibile prole di Ate che prende la decisione preliminare ». (Poco piu avanti, al v. 3 89, per rendere il danno che l'uomo ne ri­ ceve è usato il raro termine sinos, che viene usato anche al v. 734 a proposito della sanguinosa attività del leoncino diventato adulto). Dai Persiani sino all'Orestea, dunque, Eschilo per spie­ gare l 'atto delittuoso continua a utilizzare un modello di meccanismo 'psicologico' nell'ambito del quale un tratto essenziale era un inganno esercitato sulla mente dell'uo­ mo, e in modo tale che a esso l'uomo non è in grado di sfuggire. Tutto questo presuppone, certamente, la concezione omerica di ate, in quanto « accecamento », « infatuazione » della mente umana 7 • Ma è specifico di Eschilo il fatto che 6 Cfr. Agam. 220-21 '\'6&!11 ""� m1\l'\'6'\'0À.J..L011 cppowt11 µE'\'tyvw e Suppi. no lh1Jt11 6'a7t4'\'CJ µE'\'Gt'\'IIOÒ.(3ov. • 8vmòv 8V'\'11 del v. 820 richiama direttamente &v!)'\'òc; wv del v. 749, e d'altra parte l'incendio dei templi nel corso della tragedia è presentato con un nesso molto stretto con la costruzione del ponte di navi. • Cfr. vv. 72, e no-,1 .

« PERS IANI »

39

mere un atteggiamento che vada al cli là dei limiti della condizione umana. E anche per quel che riguarda specifi­ camente Serse, Dario invita il Coro nei vv. 829-3 r a edu­ carlo, ad ammaestrarlo, lui a cui fa difetto saggezza e mo­ derazione, con assennati ammonimenti perché cessi cli of­ fendere gli dei con eccessiva tracotanza. Alla rovina che colpisce gli uomini in conseguenza della loro dissennatez­ za si innesta, quindi, per cosi dire un processo didattico, per cui la sciagura è causa cli ammaestramento. Anche in questo caso la 'fonte' si può rintracciare. Esio­ do, infatti, nei vv. 2 r 3 sgg. delle Opere, prevede un pro­ cesso che dalla hybris porta ad ate, con la considerazione aggiuntiva, però, che una volta che si è colpiti dalla scia­ gura anche lo sciocco si rende conto cli come stanno le cose '. Qui Esiodo, com'è noto 7 , utilizza un'espressione proverbiale (che si ritrova già nell'Iliade '), ma in un con­ testo piu ampio, dove entra in gioco il problema dell'af­ fermazione della giustizia tra gli uomini. È significativo, d'altra parte, che in Esiodo abbia gran­ de importanza la ripresa del motivo del nepios, motivo che come ho già accennato si ritrova in Omero ' e gioca un grande ruolo anche nei Persiani. E inoltre, il fatto che nei vv. 293 sgg. delle Opere Esiodo preveda la possibilità che al riconoscimento del proprio utile e della legge cli 6 Ila:&wv lit "\'E vfim� (yvw. 7 Rimando in proposito al saggio di H. Dl>RRIE, Leid und Erfabrung, Mainz 19,6. 1 Cfr. Il. XVII .31-.32 (- XX 197-98) µT)li' 6.v"\'toc; tO"ta:a' ȵEto I 1tplv "\'L xa:xòv TCO:DÉELV" �EXDÉV lit "\'E v'/i1tL0c; (yvw. Nei due passi omerici l'espressio­ ne proverbiale è usata in un ambito ben circoscritto, in relazione al dan­ no che può derivare al singolo dal suo comportamento. ' :8 significativa l'associazione di vfi1tL0c; con il 'non sapere' nella 'for­ mula' omerica v'/imoc; oùliÈ "\'à. flliTJ e nella 'formula' vfi1tL0v -cay6,; di Tharybis, Pers. 23 -cayol IlEpuwv, Pers. 480 vawv . . . -cayol, e cfr. anche -cayliv in Agam. no e -ca yEtv in Pers. 764. Su "\"ay6c; e affini dr. anche FRAENKEL, Agamemnon cit. , II, p. 66. I Cfr. fr. 60,. ' Cfr. BERVE, Die Tyrannis cit., I, p. :,,8 e soprattutto Il, p. 700. La sfiducia del tiranno diventa un dato molto diffuso nel IV secolo a. C.: dr. in particolare lsocr., VIII 1 1 2; Aristot., Pol. 1313 b 30 sgg.

« PROMETEO»

55

La cosa di per sé non deve sorprendere, anche se, come si è visto, altrove nel Prometeo i termini tyrannos e tyran­ nis sono usati di regola in un senso neutro, in relazione all'esercizio di un potere assoluto, di per sé non ulterior­ mente qualificato. In realtà, dal momento che nell'uso di questi termini, nei testi letterari del v secolo a. C ., si ri­ fletteva non solo il ricordo dei regimi monarchici orien­ tali ma anche delle tirannidi del mondo greco, era inevi­ tabile che affiorassero qualche volta anche i giudizi nega­ tivi e le critiche che almeno in certi ambienti erano stati rivolti ai tiranni greci. Ma si tratta, si badi bene, di qual­ cosa di sporadico, dal momento che di regola prevale la considerazione del puro aspetto astratto dell'esercizio di un potere assoluto. È istruttivo a questo proposito il confronto con l'Ore­ stea. Piu volte, infatti, in questa trilogia i termini tyran­ nos e affini sono usati senza risonanze negative, e solo spo­ radicamente, e in contesti del tutto particolari, affiora un giudizio di condanna o di riprovazione 10 • La stessa cosa si ha dunque anche nel Prometeo . Ma c'è di piu. L'accusa che Prometeo rivolge a Zeus nei vv. 224-2 5 è inserita in un contesto, che almeno in parte la svuota del suo significato . Anzitutto, Prometeo informa il Coro che in un primo momento egli stava dalla parte dei Titani e cercava di persuaderli a seguire i suoi consigli che soli avrebbero permesso loro di prevalere su Zeus ; soltan10 Uso 'neutro': cfr. Agam. 828, Choeph. 479, Cboeph. 3'7-,9 dove 'tup11w0L sono detti coloro che comandano nel mondo degli inferi (cfr. Eum. 274 dove Ade è detto E!lauvoc;) , Choeph. 40, , e anche Agam. 1633, dove il Coro vuol mettere in evidenza l'incapacità, la viltà di Egisto, di­ modocché la prospettiva che egli diventi 'tÒp11woc;, cioè « capo i., degli Ar­ givi acquista il CBiattere dell'incredibilità. Invece 'tVPl1W� è usato nega­ tivamente, con riferimento alla illegittimità e al carattere oppressivo del­ l'esercizio del potere, in Agam. 1 3" e 136, (si veda la nota del Fraenkel al primo di questi due passi). Un caso a sé è costituito da Choepb. 973-74 dove Oreste invita a guardare i due cadaveri di Clitemestra ed Egisto con le parole E6tm xwp11c; 't'/Jv 6mli\v 'tVp11wt611 TCl1'tpox't6vovc; 'tE 6WIJ4'tWV TC0p&i)'top11c;. Qui il tono è insultante e 'tVp11wl611 sembra riecheggiare Agam. 1 3" e 136, : « unsres vaterlands tyrannenpar i. traduceva il Wila­ mowitz. Le considerazioni che il Bl!RVE, Die T:,rannis cit., I, pp. 192-93 dedica a Eschilo partono da una impostazione che non permette un reale approfondimento del problema.

CAPITOLO SECONDO to in un secondo momento, data la situazione 11, Prometeo decise di passare dalla parte di Zeus. Non sembra dun­ que che Eschilo abbia voluto presentare Prometeo, per quel che riguarda i suoi rapporti con Zeus, anche in una fase anteriore allo scontro tra Zeus e il Titano, in modo tale che apparisse come il rappresentante genuino del tipo dell'amico, del philos; e questa impressione è confermata dal fatto che nella stessa tragedia la philia - quella delle Oceanine nei confronti di Prometeo, e in questo caso si tratta di « amicizia » autentica - è un motivo che Eschilo valorizza e sviluppa con particolare insistenza. Ma occorrerebbe, infine, fare una considerazione piu generale e chiedersi in che misura per Zeus, per lo Zeus di Eschilo, si possa parlare di « amici », philoi, e se il rap­ porto di philia sia compatibile con la posizione di Zeus in quanto esercitante un potere assoluto e illimitato. Si ha infatti l'impressione che nei vv. 224-25 Prometeo trasfe­ risca indebitamente in un'altra dimensione un modello di rapporti interpersonali, che se era concepibile per Perian­ dro o per Trasibulo, non era ugualmente appropriato per lo Zeus eschileo. In ogni caso, a parte questo sporadico accenno alla sfi­ ducia del tiranno nei propri amici, accenno che il contesto tende a svuotare di significato, in tutta la tragedia di re­ gola la caratterizzazione di Zeus come « tiranno » ha un valore neutro, in quanto vuole mettere in rilievo l'eserci­ zio di un potere assoluto, e senza il coinvolgimento di giu­ dizi negativi sulla tirannide, in quanto riprovevole model­ lo di regime politico 12 . 11 Cfr. vv. 2 1 6- 1 7 xpc't'tr.cr;«i ll-f) 1-LOL -twv 11:«l)EO"t«:m.iv 'tkE fcp«LVE't' Et­ v«L. P. GROENEBOOM, Aeschylus' Prometheus, Groningen 1928, ad loc. ri­ corda Agam. 10,3 'tc't Mj>a-t« 'twv 11:!tPEO"tW'twv llyEL e Aristoph., Equ. 30 xpc't'tr.cr;« -toLwv 'twv 11:«ipbvtwv mt Vlj>v. Ma c'è anche il ricordo della formula omerica lloc'ma«'to xfpllLOv Elv«L, che comporta una scelta in rife­ rimento all'utilità individuale. 12 Su questa linea (nel senso che lo Zeus del Prometeo personificherei,. be un potere tirannico in quanto violento e recente e che nel Prometeo troveremmo già delineato nei suoi tratti salienti quello che nella lettera­ tura posteriore sarà il ritratto standardiz:zato del tiranno) si è posto ulti­ mamente, rifacendosi a una linea di indagine già seguita da altri studiosi, anche G. CERRI , Il linguaggio politico nel « Prometeo » di Eschilo. Saggio di semantica, Roma 197,, pp. 1, sgg. (e cfr. anche pp. 29 sgg. ).

« PROMETEO »

57

Né d'altra parte è legittimo a questo proposito invo­ care ragioni statistiche, nel senso che la particolare insi­ stenza sui termini tyrannos e tyrannis nel Prometeo do­ vrebbe essere carica di una risonanza particolare, da inter­ pretare nel senso di un riferimento alla tirannide in quan­ to aborrito modello di reggimento politico. È vero che i due termini sono attestati nel Prometeo ben tredici volte. Senonché (a parte il fatto che in un caso il termine tyran­ nos è riferito a Urano e Crono, appartenenti a un'epoca anteriore all'aborrita tirannide instaurata da Zeus, a spe­ se tra l'altro proprio di Crono), anche nell'Orestea (per le altre tragedie di Eschilo, come ho detto, non ci sono atte­ stazioni) si ha un uso abbastanza largo di tyrannos e affini, che vengono usati otto volte. Certo, nel Prometeo la fre­ quenza è molto piu rilevante . Ma questo si spiega con il fatto che in nessuna tragedia di Eschilo, tra quelle a noi note, il problema del potere assoluto di Zeus si poneva come nel Prometeo, e perciò era inevitabile che termini indicanti questo potere assoluto fossero usati con partico­ lare insistenza. Solo nel Prometeo si trova usato per indi­ care la sovranità del dio il termine prytanis (si tratta di un termine che richiamava direttamente gli istituti democra­ tici ateniesi, e a Zeus viene attribuito da Prometeo stes­ so) , solo nel Prometeo si trova usato per indicare la so­ vranità della divinità il termine tagos (la parola viene rife­ rita a Zeus da Prometeo) , solo nel Prometeo si trovano at­ testati, in assoluto, il termine monarchos (riferito a Zeus da Oceano) e oiakonomos (« timoniere » : il termine è rife­ rito dal Coro ai « nuovi » dei, e quindi in prima istanza a Zeus ) , e soltanto nel Prometeo, infine, per indicare l'eser­ cizio del potere da parte della divinità e in particolare di Zeus viene usato il verbo koiranein (il verbo è usato una volta da Kratos e un'altra volta, 'strana' coincidenza, da Prometeo} . Né deve sorprendere, per converso, lo scarso uso del termine anax. Questo si spiega con il fatto che già in Omero, e anche in Eschilo, questo termine era dotato, tra le altre, di una risonanza che portava nella direzione della preghiera, e la situazione del Prometeo non lasciava molto spazio a preghiere ; e comunque in un contesto di preghiera, sia pure atipica, il termine è puntualmente ri-

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CAPITOLO SECONDO

ferito a Zeus nel v. 5 84 . Zeus non è detto nel Prometeo basileus : ma Wackernagel e Wilamowitz hanno notato il ristretto uso del nesso di Zeus con basileus nella lette­ ratura greca, e questo principio è confermato da Eschilo, e non solo nel Prometeo . D'altra parte l'assolutezza del potere di Zeus compor­ tava necessariamente il non riconoscimento di leggi che non fossero che le proprie. Piu volte nella tragedia si in­ siste su questo aspetto del potere di Zeus. Nei vv. 403-4 il Coro, mentre sottolinea la superiorità della forza di Zeus di fronte alle divinità « di prima », afferma anche che egli comanda « con leggi proprie », idiois nomois. Lo stes­ so concetto è espresso anche da Oceano il quale, nei vv. 3 2 3-24, invita Prometeo a tener conto del fatto che Zeus è un sovrano (« monarca » dice precisamente Oceano) « aspro » e comanda senza dover rendere conto del suo operato. Sulla stessa linea, anche se con minore forza espressiva, si pone l 'affermazione di Prometeo nei vv. 1 86-87 secon­ do la quale Zeus « ha il giusto presso di sé », nel senso che non deve riconoscere altre leggi di giustizia se non le pro­ prie leggi e, in ultima analisi, la propria volontà u. Que­ sto ultimo passo è stato messo a confronto 14 con un passo delle Supplici di Euripide dove il tiranno (è chiaro il rife­ rimento al modello di regime politico che era stato speri­ mentato nel mondo greco e che Euripide intendeva con­ dannare) comanda da solo e possiede, tiene la legge presso di sé ; ed è noto che un tratto caratteristico del modo co­ me già nel terzo libro di Erodoto e poi nel IV secolo a. C. veniva presentata la tirannide era proprio l'assenza di re­ sponsabilità di fronte alla legge. Senonché (a parte la riso­ nanza dell'immagine secondo cui Dike siede presso Zeus: si ricordi il celebre frammento cosiddetto di Dike), anche u Cfr. vv. 186-87 otli' a"l'L "\'paxù,; xat 1tap' tau"l' "l'Ò 6LxaLOv !xwv ZEuc; (la struttura della frase corrisponde a quella dei vv. 323-24, ed è significa­ tivo anche l'uso del termine "l'paxuc;) . Per il rapporto tra Zeus e la Moira dr. pp. 101 sgg. 14 Cfr. GROENEBOOM, Aeschylus' Prometheus cit. , ad loc. Il passo euri­ pideo è Suppi. 43 1-32 xptx"l'Et li' Etc; "\'IN v6µov XEX�v� IXU"\'Òc; 1tap' aù"l',

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in questo caso sarebbe immetodico, e sbagliato, restrin­ gere l'assolutezza del potere di Zeus, cosi come viene defi­ nita nei vv. 1 86-87 del Prometeo, entro i limiti della tiran­ nide, in quanto preciso modello di regime politico. Certo, in quanto detentori di un potere che si immaginava asso­ luto, anche i tiranni entrano in gioco, ma Eschilo voleva piu generalmente, e piu semplicemente, parlare di un po­ tere assoluto e incondizionato di Zeus, che va al di là an­ che di quello dei tiranni. È significativo che, come si è vi­ sto, Zeus venga definito da Oceano « monarca », monar­ chos, ed è significativo anche che Oceano nello stesso pas­ so sottolinei che egli non deve rendere conto, non è hy­ peuthynos nell'esercizio del potere. Questo passo del Pro­ meteo trova il suo termine di confronto piu preciso nel v. 2 1 3 dei Persiani, dove Atossa afferma che Serse, qua­ lunque cosa accada, non è « responsabile » di fronte alla polis ••. Il modello che quindi Eschilo aveva in mente quando parlava dell'irresponsabilità di Zeus nel Prometeo era piuttosto quello della monarchia persiana, e se la ti­ rannide greca veniva coinvolta, era solo nella misura in cui essa era, per questo aspetto, equiparabile al modello poli­ tico monarchico orientale. Un ulteriore chiarimento a questo proposito è fornito dai vv. 1 49-.5 1 del Prometeo. Qui il Coro, nel contesto di un discorso inteso a sottolineare la 'novità' del potere di Zeus, afferma che egli ha annientato le potenti divinità di prima e comanda « con nuove leggi ». Ma oltre a que­ sta, il Coro fa nella stessa frase un'altra precisazione, che cioè Zeus comanda athetos. Questo avverbio, che non ri­ sulta attestato altrove in età classica, pone qualche pro­ blema di interpretazione. La spiegazione piu giusta è quel­ la secondo cui Eschilo vuole mettere in rilievo il fatto che non ci sono delle leggi, già stabilite, dalle quali Zeus sia condizionato ": l'eccezionalità della cosa è resa con una 1 5 Krxxwc; 6l 1tpli�� oùx wtù&uvoc; 1t6ì.EL. Si noti che qui oùx Ù'ltEù&uvoc; si trova nella stessa sede metrica di où6' WEÙ&uvoc; di Prom. 324. E si ri­ cordi che, per converso, in Pers. 828 Zeus è definito, nella sua attività di punitore di atteggiamenti eccessivi, t!l&uvoc; �pùc; (dr. anche Eum. 273 dove anche Ade, in quanto punitore dei mortali colpevoli, è detto Eil&uvoc; �PO"t"WV). 1 • Cfr. Hesych., s. v. allt"t"wc;· &Dtaµ.wc; i\ (où) avyxrx"t"tx"t"EllELµÉvwc;. At-

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parola 'eccezionale'. E questo non è congruente con l'e­ sperienza politica delle tirannidi, le quali si instauravano in stati che non erano certo senza leggi. La situazione di Zeus nel Prometeo è invece diversa. E ancora una volta un termine di confronto si può trovare nello stesso Eschi­ lo, al di fuori del Prometeo. Nei vv. 595 sgg. delle Sup­ plici, infatti, si dice di Zeus che egli non sta (« non sie­ de ») sotto il potere di nessuno, e tutto ciò che la sua men­ te pensa subito si realizza. Si tratta, è evidente, di un or­ dine di idee tipicamente eschileo (si ricordino anche il no­ to passo dei vv. 86 sgg. delle Supplici e l'inno a Zeus del­ l'Agamennone: c'era dietro naturalmente una precisa tra­ dizione in questo senso, dall'Iliade in poi, ma il modo come in Eschilo queste cose vengono formulate presenta degli elementi di originalità) , e in questo ordine di idee si inserisce anche il fatto che lo Zeus del Prometeo non rico­ nosca altre leggi che non siano le proprie. Il motivo dell'assolutezza del potere di Zeus si associa strettamente nel Prometeo con quello della novità di que­ sto potere. Piu volte si insiste su questo punto. Proprio nel passo che or ora esaminavamo, dei vv. 1 49-5 1 , dove si precisa che Zeus comanda athetos, senza il vincolo di leggi prestabilite, l'accento batte sul fatto che « nuovi » timo­ nieri dominano sull'Olimpo e « nuove » sono le leggi in base alle quali Zeus esercita il suo potere. (Queste nuove leggi sono, è inutile ripeterlo, le leggi « proprie » che al­ trove vengono attribuite a Zeus e coincidono nella sostan­ za con la volontà stessa di Zeus). Sullo stesso motivo della novità ritorna anche Oceano, quando nei vv. 309- 10 in­ vita Prometeo ad assumere nuovi atteggiamenti dal mo­ mento che « nuovo » è anche il sovrano degli dei, e piu avanti lo stesso Oceano definisce Zeus come colui che neon, « da poco », occupa una onnipotente sede 17 • Lo stesO')(u').oç Ilpoµ11ht li � (il Bentley ha corretto, sulla base appunto di Esichio, l'impossibile alttaµ.wc; dei mss in Prom. 1 10, che sa di glossa) . L'avverbio in realtà presuppone l'espressione �LaivaL I �UIEOitaL v6µouc;. Non si vuole dire pertanto che Zeus vada contro le leggi, ma che non ci sono leggi, già stabilite, alle quali Zeus debba uniformarsi. 17 Cfr. v. 389.

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so Prometeo piu volte definisce Zeus come «nuovo » capo e gli dei che ora abitano l'Olimpo come «nuovi » 11 • Dall'esame di tutti questi passi risulta che l'aggettivo neos, «nuovo », non è preferenzialmente associato con ty­ rannos, ma attraverso una molteplicità di nessi è usato per rendere la situazione che 'oggettivamente' si è venuta a creare con la detronizzazione di Crono. È ovvio l'accosta­ mento a questo proposito con la Teogonia di Esiodo. Ma soprattutto è da tenere presente il passo dell'inno a Zeus delI'Agamennone dove la successione Urano Crono Zeus è presentata in modo da sottolineare l'anteriorità dei primi Jue di fronte a Zeus: è produttivo il confronto di questo passo delI'Agamennone anche con i vv. r49-5 r del Pro­ meteo " .

La sottolineatura del motivo della novità non comporta quindi certo l'affermazione di un giudizio di illegittimità ·.;ul potere di Zeus. Una esplicita risonanza in senso nega­ tivo ha invece questo motivo nei vv. 955 sgg. Ma si tratta di un caso del tutto particolare. Prometeo infatti attri­ buisce qui ai «nuovi» dei, in prima istanza Zeus, che da poco hanno preso il comando, la presunzione di occupare delle roccaforti intangibili dalla sofferenza, mentre invece Prometeo esprime la convinzione che Zeus cadrà da que­ sto trono cos{ come egli ha visto cadere dallo stesso trono gli altri due sovrani. Il motivo della novità del potere di Zeus è quindi associato al motivo, già attestato in Solone, e ripreso anche nei Persiani VJ , secondo cui chi si trova in una situazione favorevole si illude che mai questa situa­ zione cesserà. La 'novità' è la causa di una previsione er­ rata. Ma che si tratti di una previsione errata lo dice Pro­ meteo, ma non corrisponde in effetti a verità: in realtà Zeus continuerà a occupare l'Olimpo e non conoscerà la fine che era toccata a Urano e Crono. L'utilizzazione in senso negativo del motivo del nuovo è quindi fatta spo1 8 Cfr. v. 96 6 VÉoc; 'l'r&yòc; µa;xapwv, v. 942 '1'6'1 'l'OU 'l'Upa;wou 'l'OU VÉou lluixovov, v. 439 hotcn 'l'Otc; VÉot.c;, v. 96o 'l'OÙ..xi:oi; delle Supplici richiama direttamente il 6U0'1'Ctt· pttt't1')'tO� di Prom. 34 (e si noti che anche nel passo del Prometeo c'è il nesso dell'inesorabilità di Zeus con i lamenti di chi è colpito dalla sua ira: dr. vv. 33-34 ). Lo stesso concetto è espresso anche in Agam. 70-71 oili:E . . . 6pytii; tii:EvEi:i; 1tttpttOÉl!;EL. Per le precise corrispondenze tra il pas­ so dell'Agamennone e quello delle Supplici cfr. FRAl!NKEL, Agamemnon cit. , II, pp. 43-44, il quale osserva anche che « this agreement cannot be accidental in a sentence that expresses so strongly one of the most funda­ mental convictions of the poet » (il Fraenkel menziona anche Prom. 34 e 184-8,). 25 Si badi bene che il punto di vista che si lascia intravedere nel v. 3' non è affatto coincidente con la prospettiva dell"ammorbidimento' di Zeus a cui guarda Prometeo nei vv. 167-77 e 186-92. Secondo Prome­ teo Zeus si 'ammorbidirà' sotto i colpi del suo 'martellamento' in relazione alle prospettive legate al suo matrimonio. Per Efesto invece si tratta di un processo per cosi dire 'naturale', nel senso che passata la fase iniziale è da aspettarsi in ogni caso un tale 'addolcimento' di Zeus, come di chiunque abbia preso il potere da poco tempo. E anche l'affermazione del v. 981 si pone, come vedremo, su un'altra linea rispetto al v. 3'· Illegittimo sareb­ be, infine, vedere nel v. 3' un riferimento alle tirannidi. Si ricordi che se­ condo Aristot. , Poi. 1 3 1 , b 27 sgg. e anche Nicol. Damasc., FGrH, 90 F '7 Cipselo fu piu mite di Periandro, e questa testimonianza è solo in parte contraddetta da Herodot. , V 9 2 ; e in ogni caso il 'modello' ipotizzato in

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3 . Le 'profezie' di Prometeo. Ma il problema delle prospettive che si aprono per il futuro per Prometeo dopo l'inchiodamento sulla rupe del­ la Scizia è molto complesso e non si può esaurire nell'esa­ me di un singolo verso o di un singolo passo. La questione va vista globalmente, tenendo conto non di una singola affermazione, ma di tutto ciò che in proposito Eschilo mette in bocca a Prometeo, le Oceanine, e Hermes. In par­ ticolare per quel che riguarda Prometeo è immetodico pri­ vilegiare i vv. 1 90-92, dove il Titano afferma che Zeus « dopo avere spianato la sua aspra ira » cercherà, con im­ paziente impegno e incontrando un uguale atteggiamento, uno stretto rapporto di amicizia con Prometeo. Recente­ mente anche il Dodds I ha voluto utilizzare questi versi per trarre delle deduzioni sullo svolgimento della trilogia e sulla presunta evoluzione di Zeus. Ma si tratta di un pro­ cedimento illegittimo. Non si possono staccare i vv. 1 901 92 dai vv. 1 86-89 (che precedono immediatamente e co­ stituiscono con i vv. 1 90-92 un tutto unico), e nemmeno dal precedente discorso, anch'esso in anapesti, che Pro­ meteo pronunzia in risposta ai versi lirici del Coro. Ma leggiamo i vv. 1 6 7-77: Certo, cli me ancora, sebbene in solidi ceppi ignominio­ samente straziato, avrà bisogno il signore dei Beati, perché io gli riveli la nuova trama ond'egli sarà privato degli onori e dello scettro. E me non mi ammalierà con i mielati incanti della persuasione, né mai io, per minacce dure atterrito, gliela rivelerò, se prima le selvagge catene non mi abbia alProm. 3' non si può in nessuna maniera applicare al regime pisistratico. Il WECKLEIN, Prometheus cit., p, 10 (pur nel contesto di una interpreta­

zione della tragedia che è nelle linee fondamentali sostanzialmente giusta) dà credito all'affermazione fatta da Prometeo al v. 192 e ritiene che « ora > che il suo potere si è consolidato Zeus non ha pili nulla da temere e può tendere la mano a Prometeo per una conciliazione (uno spunto in questa direzione si legge già in SCHOEMANN, Vindiciae cit., p. 10.3). Ma nel testo di Eschilo non c'è nulla che dia un qualche appiglio a questa interpreta­ zione. 1 Cfr. DODDS, The Ancienl Concept o/ Progress cit ., p. 40.

« PROMETEO » lentato, e non abbia voluto pagare il fio di questa ignomi­ nia 2• e i vv. 1 86-92: So che Zeus è aspro e presso di sé ha ciò che è giusto; ma tuttavia un giorno sarà morbido d'indole, qualora in questo modo egli venga frantumato. E dopo avere disteso la sua ruvida ira, un giorno verrà da me a ricercare, da me che anch'io li ricercherò, i vincoli dell'amicizia. Va notato anzitutto nelle parole di Prometeo un atteg­ giamento di sfida e di rivincita nei confronti di Zeus. E significativo che l'insistere sulla minaccia dello spodesta­ mento in conseguenza del matrimonio che gli sarà fatale 3 venga definito da Prometeo come un « frantumare » Zeus : c'è indubbiamente, nelle parole di Prometeo, l'eco dd martello con cui Efesto, per ordine di Zeus, lo ha inchio­ dato sulla roccia scitica •. E anche l'affermazione secondo cui Zeus non lo « ammalierà con mielati incantesimi di persuasione » è costruita sulla base di moduli espressivi che in realtà erano usati per Zeus, in considerazione - ne abbiamo già accennato - della sua inesorabilità '. Anche l'accenno al « nuovo » piano •, con cui Prometeo intende minacciare Zeus, appare in questo contesto, con ogni pro­ babilità, come una appropriazione di un motivo, quello appunto del 'nuovo', che invece di regola nella tragedia viene usato per Zeus. 2 Riproduco, con alcune modificazioni, la traduzione di M. VALGJMJ­ GLI, Eschilo: la trilogia di Prometeo, Bologna 1904, p. 171. 3 Cfr. v. 189 �lt\l "\"ltlnl) /iltr.ailfl . 4 Cfr. in particolare v. ,6 /mcr;i\PL hi:vt (si tratta di parole del fedele servitoi:e di Zeus). E dr. anche v. 236, dove Prometeo riferisce a Zeus l'intenzione di sterminare tutta la stirpe umana (per ci:earne una nuova ) , in modo che gli uomini di quella generazione, 6�ppaLCJMV"\"czç, andassero all'Ade. 5 A parte tutto il concetto nella sua globalità, dr. in particolare l'uso al v. 173 del verbo 00..�L, che si può confrontare con Agam. 71 11:1tpdt>..­ �L e Suppi. 386 6vcrrc1tpah>..x-roc; dove queste espressioni, come si è visto, sono riferite a Zeus. 6 Cfr. v. 170 6E�ltL -rb vtov �oÒÀEVJllt . Una utilizzazione dello stesso motivo da parte di Hermes in polemica con Prometeo si ha invece nei vv. 1009-10, dove Prometeo è equiparato a un puledro aggiogato da poco, VEo!;v-rflc;, e come tale non ancora capace di adattarsi alla superiorità del potere di Zeus.

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Già queste indicazioni ci permettono di renderci conto del tono di sfida che c'è nelle parole di Prometeo. Ma ve­ niamo al punto piu specificamente in discussione. Nei vv. 1 90-92, infatti, Prometeo afferma che Zeus ricercherà, lui di sua iniziativa e incontrando una uguale disposizione di Prometeo, l'amicizia del Titano, dopo avere « spianato la sua aspra ira ». È legittimo, sulla base di questi versi, sup­ porre che Eschilo pensasse a un cambiamento del carat­ tere di Zeus? A me sembra che a questa domanda si im­ ponga una risposta negativa. Si osservi, innanzitutto, che come conseguenza di questo cambiamento di atteggiamen­ to Prometeo prevede che Zeus diventi malakognomon, qualcosa come « morbido nella sua indole ». C'è dietro l'uso di questo termine, coniato forse da Eschilo, l'imma­ gine del metallo che sotto i colpi diventa meno duro; ma, a parte ciò, è certo che l'enunciazione della futura trasfor­ mazione di Zeus è fatta in termini provocatori e svuotati di ogni credibilità. Si ricordi che malakos (« morbido », « molle » e simili) detto di persone aveva di per sé un sen­ so nettamente negativo 7 : riferito a Zeus, sia pure attra­ verso un composto come malakognomon, costituiva sem­ plicemente un insulto a cui nessun Greco poteva credere : uno Zeus « molliccio » non aveva diritto di cittadinanza nell'Olimpo. Ora, la 'profezia' secondo cui Zeus ricercherà l'amici­ zia di Prometeo costituisce un tutt'uno con l'affermazione secondo cui Zeus diventerà « molle nell'indole », ed è im­ metodico pertanto postulare un cambiamento di Zeus che deve avere come sbocco il suo diventare malakognomon. Del resto, ma questa è solo una considerazione aggiuntiva, questa prospettiva è esplicitamente negata da Hermes nei vv. 9 5 1-52 , quando afferma che Zeus nonostante le mi­ nacce di Prometeo non si « ammorbidisce » 1 • Fra l'altro, Hermes constata che nemmeno Prometeo, nonostante le sue preghiere, nemmeno lui si « ammorbidisce » '; e questo 7 Cfr. LS, s. v. III 2 (ma anche un caso come Herodot., IX 122 è mol­ to significativo) . 1 Cfr. vv. 9,1-,2 6pq.c; 6' Si:L Ztùc; i:otc; i:owui:oLc; oùxt �Mt:txt�i:11.1.. 9 Cfr. vv. 1008-9 ·d-rTII ydtp où6Èv ou6l �Mdtaan.

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conferma il giudizio secondo cui il diventare « morbido » era sentito come qualcosa di disonorevole 10 • Un altro elemento che toglie credibilità alla 'profezia' di Prometeo relativa all'« ammorbidimento » di Zeus e al suo ricercare l'amicizia del Titano si trova anche nel pri­ mo dei due discorsi la cui traduzione ho riportato sopra. Nei vv. 1 74-77, infatti, Prometeo afferma che egli non ri­ velerà il pericolo che incombe su Zeus, prima che Zeus lo liberi dalle catene e « prima che Zeus voglia pagare il fio di questo maltrattamento ». Già un commentatore antico si meravigliava per questa espressione, « pagare il fio », ri­ ferita a Zeus e vedeva in essa il segno dell'« arroganza » di Prometeo e di Eschilo. E in effetti, che Zeus potesse essere chiamato a una resa di conti e pagare cosi il fio del­ le sue azioni, è qualcosa che nessun Greco al tempo di Eschilo poteva concepire. Ancora una volta, dunque, si resta a livello dell'insulto, al di qua di ogni credibilità. È significativo anche, a questo proposito, che il fatto che Zeus paghi il fio e lo liberi sia per Prometeo una con­ dizione perché egli riveli il pericolo che incombe sul so­ vrano degli dei. La stessa affermazione è fatta da Prome­ teo, nel corso del dialogo con Io, al v. 770, dove in rispo­ sta a una precisa domanda Prometeo dice: « nessuno scam­ po ci sarà per Zeus, se non io, liberato dai ceppi » 1 1 • An­ cora una volta, dunque, prima la liberazione da parte di Zeus, e poi la rivelazione del segreto da parte di Prome­ teo. Le cose invece non andranno in questo modo. C'è una testimonianza che non abbiamo nessuna ragione di met­ tere in dubbio, quella del De pietate di Filodemo, secondo cui nel Prometeo liberato il Titano veniva liberato giac­ ché aveva rivelato la profezia relativa al matrimonio con Tetide 12 • Guardando, dunque, globalmente i due discorsi di Pro­ meteo dei vv. 1 67-77 e 1 86-92 appare come assolutamen1 • Cfr. anche Eum. 134 µ11>..Daxhta' intvlj), detto in modo insultante da C!itemestra alle Erinni. 11 Cfr. v. 770 ou 6ij..ou e v. 6,4 wc; /lv -cò Atov l!µµcz >..wcp-l)an '11:6ltou (il soggetto nel v. 6,4 è l'occhio in quanto or­ gano che è sede del desiderio amoroso). Il termine cppbvriµcz è usato per Zeus anche in Suppi. 100, in un contesto tutto pieno di sebas nei confron­ ti di Zeus. Il verbo >..wcpaw, eccezionalmente con valore transitivo, in ri­ ferimento a chi dovrebbe liberare dai suoi mali Prometeo, si trova usato al v. 27 per il Titano, ma in un contesto negativo. 3 Cfr. v. 9,2, e anche p. 66.

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di Chirone) non si sostituisca a lui accettando di scendere in sua vece nell'Ade. Hermes ricorda nei vv. 1030-33 a Prometeo che tutto questo non è «finto vanto», ma invece è assolutamente vero 4 : «la bocca di Zeus non è in grado di mentire ma compie ogni sua parola». C'è in queste ultime espressioni una critica 5 a Prometeo per il fatto che egli si lascia an­ dare a un atteggiamento di tracotante presunzione (Her­ mes ovviamente si riferisce alle previsioni di Prometeo relative a una detronizzazione di Zeus): il kompos (il «vanto», falso) che al v. 1031 viene negato a proposito di Zeus è esplicitamente ' attribuito da Hermes a Prometeo al v. 947. In tal modo le parole di Hermes vengono a por­ si in consonanza con l'osservazione del Coro, che ho già ricordata, secondo cui Prometeo ciò che desidera questo predice di Zeus 7 • E soprattutto, e questo vale non solo per i vv. 1030-33 ma per tutto ciò che Hermes dice nella par­ te finale della tragedia, è per Hermes fuori discussione che la volontà di Zeus prevarrà ed è a questa volontà che Prometeo dovrà sottostare. Come si accennava, questo punto di vista di Hermes viene a coincidere, nella sostanza, con quello che diceva Prometeo stesso nel v. 258 e nei vv. 375-76 . Non solo. Ma la linea di previsione secondo cui è da Zeus che dipen­ de la liberazione di Prometeo era affiorata anche nella par­ te iniziale della tragedia attraverso le parole delle Ocea­ nine, le quali, come abbiamo visto, nei vv. 165-66 ammo­ nivano Prometeo che Zeus non avrebbe cessato dal suo atteggiamento sino a che non avesse soddisfatto il suo ani4 Al v. 1031 il Page ha 'corretto' ci.lM; xtd dei codici (e di Eschilo 1 ) in ci.ll' E� xcit Si tratta di un'operazione che comporta semplicemente la conseguenza di eliminare un nesso idiomatico: dr. Dinarch., Contra D.:m. 74 où yci.p ,j/Eu6� wnv, ci.lM mi llciv ci.l11Dt,;. Il passo di Dinarco è ci­ tato dal GROENEBOOM, Aeschylus' Prometheus cit., p, 276; e dr. anche la nota dd Wilamowitz ndl'apparato ddla sua edizione. • La critica è resa piu trasparente dal fatto che subito dopo Hermes sposta il discorso su Prometeo, in modo che ndla sostanza Zeus e il Tita­ no vengono a costituire due termini in contrapposizione tra di loro: dr. vv. 1032-33 a-t6µc1t ,:6 Atov, ci.lM 1eii.v lm,; i:ElEt· aù 6i xi:l. E dr. anche vv. 980-82. 6 ar. V. 947 O!ia-tLV!lt; XO!-L1CEL,; ya.µou,;, 7 ar. V. 928.

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1 110 oppure qualcuno gli avesse tolta con la forza la sovra­ nità che deteneva. La seconda di queste affermazioni, che però ogni spettatore riconosceva immediatamente come falsa, si pone in sintonia con le (false) 'profezie' di Pro­ meteo relative alla detronizzazione di Zeus . Ma la prima suggerisce una linea di svolgimento completamente diver­ sa, la quale è nella sostanza quella di Hermes e quella che viene fuori nelle affermazioni di Prometeo del v. 2.58 e dei vv . 3 7.5 -76 . Bisogna, a questo proposito, allargare il discorso al di fuori dell'esame interno del Prometeo incatenato . Nella Teogonia esiodea, infatti, si legge un passo ( si tratta dei vv . .5 2 6-34), dove si parla dell'intervento di Eracle in aiu­ to di Prometeo. (Si ricordi che anche nel Prometeo inca­ tenato piu volte • si accenna all'intervento di Eracle come liberatore del Titano, ed Eracle era uno dei personaggi del Prometeo liberato) . Questo passo della Teogonia è giusta­ mente ritenuto interpolato ', e il tentativo di difenderne l'autenticità fatto recentemente dal West non è convin­ 0 cente 1 • I vv . .5 2 6-34 sono infatti incompatibili con i vv. •9 C&. in particolare vv. 27, 770-74, 872-73 . L'espunzione, proposta dal Paley, è stata accolta anche nella recente edizione di F. Solmsen (Oxford 1970). 1 0 C& . HESIOD, Theogony, by M. L. West, Oxford 1966, p. 313. » condo il West, che riprende delle osservazioni di K. Sittl, nei vv. ,26-34 si parlerebbe solo dell'uccisione dell'aquila da parte di Eracle e non an­ che della liberazione di Prometeo dalle catene che lo legavano: non ci sa­ rebbe quindi incompatibilità con il v. 616. Questo mi sembra molto arti­ ficioso. Anzitutto l'espressione tMcr11ti:o llUCTq>poaw«wv (fra l'altro, il ver­ bo Mw è regolarmente usato nel Prometeo incatenato di Eschilo per in­ dicare la liberazione totale di Prometeo senza riferimento specifico ali'a­ quila: dr. vv. ,10, 770, 771 , 78,, 872-73 8ç ,;6vwv h i:wvli' 4li lucn,, v. 1006) è espressione troppo generica per riferirsi esclusivamente all'a­ quila, come se, una volta uccisa l'aquila, Eracle potesse accomiatarsi da Prometeo lasciandolo tranquillo e contento. Il confronto con Tbeog. 102 suggerito dal West a p. 316 conferma quest'uso molto largo del termit1e liucrcppoO"Ò\llltL (ci si riferisce infatti all'effetto rasserenatore della poesia: cfr. vv. 102-3 11tllj/' I! y1 llUCTq>pocruvtwv lml�,:m oòllt i:L x11lltwv µtµll1)­ ,:11tL, e cfr. anche v. " À1)CTI.IOCTWIJII ,:1 XlltXWII 4µ,;11tuµa "'1:1 IUPI-L11PIUIIII): come poteva Prometeo essere pensato libero da liucrcppl)O'WlltL se continuava ad essere legato con &crµott; clpy11tlloWL (cfr. Theog. ,22) ? Ma c'è di piu. In Theog. ,33 si dice di Zeus che 'KlltòD,i x6lou. Questo non può rifermi al semplice acconsentire da parte di Zeus a che Prometeo, mentre conti­ nua a restare incatenato, venga liberato dal tormento dell'aquila: infatti

CAPITOLO SECONDO 6 1 .5 -1 6, dove si parla di Prometeo che non è riuscito a sfuggire alla « pesante rabbia » di Zeus ed è ancora inca­ tenato. L'interpolazione dei vv. .5 26-34 della Teogonia, con l'intervento liberatore di Eracle, presuppone quindi uno svolgimento della vicenda diverso da quello fatto proprio da Esiodo. A questo proposito una testimonianza molto importante ci è fornita da alcuni documenti dell'arte figu­ 1 rativa. Come è noto 1 , infatti, esiste tra le raffigurazioni piu antiche di Prometeo una serie che va dalla metà del se­ colo VII a. C . fino alla metà del secolo VI a. C., dove com­ 12 paiono Prometeo e l'aquila, ma non Eracle • C'è poi un gruppo di vasi attici che vanno dagli ultimi decenni del se­ colo VII a. C. fino alla metà del secolo VI a. C ., dove com­ pare anche Eracle 13 • Il primo gruppo appartiene all'area peloponnesiaco-dorica, il secondo gruppo esclusivamente all'area attica. Si possono quindi presupporre 14 già nel VII secolo a. C. due diverse versioni del mito, una che preve­ deva il tormento dell'aquila senza l'intervento di Eracle e un'altra che prevedeva il suo intervento liberatore. L'in­ terpolazione, dunque, dei vv. .5 26-34 della Teogonia ri­ prende la versione 'attica' del mito di Prometeo 15 • La liberazione di Prometeo, a sua volta, non va vista isolatamente, ma in concomitanza con altri elementi mi­ tici. Analoga, infatti, all'interpolazione dei vv . .5 26-34 delal v. 61, è proprio l'incatenamento e solo l'incatenamento che è presenta­ to come espressione del xoì.oc; di Zeus, e per di pili �cipòc;. 11 Rimando per questo all'ottimo lavoro di L. ECKHART, che costitui­ sce la seconda parte dell'articolo Prometheus, in RE, XXIII, 702 sgg. 12 Cfr. ECKHART, Prometheus cit., 704-6. 1 3 Si tratta di 2 a-g nell'elenco dell'ECKHART, Prometheus cit., 707-

709.

14 Cfr. ECKHART, Prometheus cit., 709, il quale riprende un lavoro pre­ cedente di L. KUNZE, Olympische Forschungen, Il, Berlin 19,0, pp. 91-92. 15 L'esistenza, già nel VII secolo a. C. e poi nel secolo seguente, di do­ cumenti dell'arte figurativa con Prometeo ( spesso incatenato) e l'aquila, ma senza Eracle, può forse costituire un elemento contrario all'ipotesi del WILAMOWITZ, Aischylos. Interpretationen cit., p. 131, nota 1, che voleva espungere anche i w. ,23-2, della Teogonia insieme ai vv. ,26-34 (la proposta era stata già fatta da E. Gerhard) . Ma l'ipotesi appare molto pro­ babile, dati i preteriti del v. ,24, e dato anche che al v. 616 si parla solo

del desm6s.

« PROMETEO »

la Teogonia è una interpolazione 16 nelle Opere dello stes­ so Esiodo, che si collocava dopo il v. 1 73. In questa inter­ polazione si parlava di Crono che regnava nelle isole dei beati ed era stato liberato da Zeus 17 • Anche in questo caso si tratta di una versione divergente rispetto a quella della Teogonia di Esiodo, dove invece Crono è relegato nel Tar­ taro. A proposito della versione del mito di Crono che è ripresa nella interpolazione delle Opere di Esiodo il Wila­ 11 mowitz, in uno studio molto originale , anche per ciò che riguarda il metodo di approccio ai problemi mitico-reli­ giosi, ha richiamato l'attenzione sulla festa dedicata a Kronos (i Kronia, che erano celebrati ad Atene, a Samo e in altre località della Grecia) e anche sull'uso del nome Kronion per indicare un mese presso alcune città ioniche. l Kronia, osservava il Wilamowitz, presuppongono una cultura diversa rispetto a quella omerica e « un diverso strato sociale », e cioè il mondo contadino che soffre nel procurarsi quotidianamente di che vivere e che ha bisogno quindi di un termine di riferimento liberatorio: questo spiega anche l'associazione di Crono con la cosiddetta età dell'oro. La liberazione di Crono e la sua collocazione nel­ le isole dei beati 1' si pone dunque entro questo contesto; e si tratta di una versione del mito certamente conosciuta da Eschilo, come dimostra una battuta di Apollo nel cor­ "' so del processo di Oreste che si svolge nelle Eumenid{ . D'altra parte anche per i Titani esisteva, rispetto alla Teo16 Su questa interpolazione di cinque versi, nota per ciò che riguarda il primo verso (a parte la sua esatta collocazione) già attraverso gli scol i, alcuni dati nuovi sono apparsi recentemente attraverso la pubblicazione del Pap . Mus. Berol. 2uo7, del II secolo d. C., 11 cura di H. Maehler in « Musaeum Helveticum i., 24, 1967, pp. 63 sgg. L'altro papiro che ci ha tramandato l'interpolazione (parti degli ultimi quattro versi) è tl Pap. Ge­ nav. 94 del v secolo d. C. 17 Cfr. vv. 1-2 dell'interpolazione (- 173 a-b) nel testo dato da F. Solmsen: Tl)ÀOU ci-K'ci&a:va:twv· "l'Oicn.V Kp6voc; iµ(3a:cn.ÀEÒ!L. [a:u"t�c; yd;p µ]w D..IJO'& -Ka:'t[i)p civllpw]v "ti &[wv "ti]. 18 ar. u. VON WILAMOWITZ-MOELLENDORPP, Kleine Schriften, V 2, pp. 117-83 (si tratta di un lavoro pubblicato nel 1929) . 19 Cfr. per questo anche Pind., Ol. II 7' sgg. "' Cfr. Eum. 644-46. Le Erinni avevano rimproverato ad Apollo (il quale nei vv. 613 sgg. si era richiamato a Zeus per difendere Oreste) che Zeus suo padre, il vecchio Crono, lo aveva incatenato: Apollo risponde che delle catene si possono sciogliere: cfr. in particolare v. 64, -Ktlla;c; µ!v /ì.v À.UO'El&V.

CAPITOLO S ECONDO

gonia esiodea, una diversa versione del mito, secondo cui

essi erano stati liberati da Zeus . Questa versione, atte­ stata in Pindaro, è stata, com'è noto, fatta propria da Eschilo nel Prometeo liberato. Il problema del modo come Eschilo vedeva la liberazio­ ne di Prometeo va visto, mi pare, entro questo piu ampio contesto. Nella cultura greca arcaica esisteva già un mo­ dello mitico secondo cui Zeus liberava chi precedente­ mente era stato oggetto della sua ostilità e da lui era sta­ to sottomesso; e non è certo legittimo supporre che que­ sta liberazione, fosse di Crono o dei Titani o di Prome­ teo, avvenisse dopo una modificazione della natura di Zeus. Certo, queste versioni del mito che contenevano la li­ berazione da parte di Zeus di chi prima era stato da lui vinto e sottomesso possono essere il riflesso di atteggia­ menti religiosi diversi 21 rispetto a quelli che sono presup­ posti dai miti che parlano di uno Zeus vittorioso e spie­ tato punitore. Ma qui bisogna essere chiari. Che intorno alla figura di Zeus, o di altre divinità, si aggregassero miti di origine diversa e che presuppongono diverse concezioni religiose non significa affatto che questi miti diversi fos­ sero pensati come corrispondenti a momenti diversi di una 'storia' della natura di Zeus in evoluzione. Del resto, un tale modello mitico-religioso non trova 22 vere attestazioni nella cultura greca • Il caso delle Erinni nelle Eumenidi non costituisce un esempio probante in tal senso. L'accettazione da parte delle Erinni, dopo l'assicu­ razione che esse ad Atene riceveranno culti ed onori, di restare in questa città ed essere propizie agli Ateniesi non comporta la modificazione del tratto essenziale della loro natura che era quello di punire gli empi. Alla fine delle Eumenidi si verifica per ciò che riguarda il rapporto tra Cfr . anche WILAMOWITZ, Aiscbylos. Interpretationen cit., p. 141. Cfr. PAJINELL, The Paradox cit., p. 47. Il passo citato dal DODDS, The Ancient Concept o/ Progress cit., p. 41 n. [I] (si tratta di Hom., Il. XXI 440 dove Poseidone fa osservare ad Apollo che egli è nato prima e sa piu cose: 11:pbflpo,; yt:v6µ11v x11t 11::Utova. ot611) si pone certamente su una linea diversa rispetto all'evoluzione di Zeus che si vorrebbe ipotizzare nel­ la Prometeide eschilea: Poseidone non cambia natura o carattere, ma spe­ rimenta semplicemente un accrescimento delle proprie conoscenze. 21

22

« PROMETEO »

le Erinni e Atene un processo del tutto normale e che era legittimo ipotizzare per qualsiasi divinità: opportunamen­ te placate, esse, da ostili che erano, diventano favorevoli ugli Ateniesi u. Ma della cosa discuterò piu a lungo nel capitolo v. In realtà, lo schema di una evoluzione morale non si può applicare alle Erinni e non si può applicare a Zeus. Questo, ripeto, senza negare la possibilità che presso la figura di Zeus si aggregassero miti eventualmente deri­ vanti da ambienti diversi e presupponenti diverse conce­ zioni religiose. Quando l'interpolatore delle Opere di Esiodo scriveva che «il padre degli dei e degli uomini liberò» Crono, cer­ to egli avvertiva che era intervenuto un fatto nuovo ri­ spetto alla versione mitica accettata nella Teogonia; ma sarebbe assurdo attribuirgli la concezione di una evoluzio­ ne del carattere di Zeus. L'atto della liberazione di Crono appare, a leggere quello che c'è nel testo, il segno di una sovranità non altrimenti qualificata, e proprio la mancan­ za di ulteriori determinazioni dimostra che per l'interpo­ latore la liberazione di Crono non poneva problemi di compatibilità con la figura di Zeus quale era 'conosciuta', anche attraverso le Opere e la Teogonia di Esiodo. Si re­ sta infatti nell'ambito della concezione (espressa anche nei vv . .5-8 delle Opere di Esiodo) in base alla quale Zeus è visto capace di dare successo e insuccesso, prosperità e in­ felicità. Alla successione dei vari momenti del comporta­ mento di Zeus nei confronti degli uomini nessun greco faceva corrispondere diverse 'fasi' del suo 'carattere': in­ vece la continua illimitata alternanza del momento positi­ vo e del momento negativo, e viceversa, era semplicemenu Cfr. anche FARNELL, The Paradox cit., p. 47; e anche LLOYD-JONES, Zeus in Aesch,lus cit., pp. 66-67. (Le conseguenze che il Lloyd-Jones trae dal confronto con le Eumenidi per il Prometeo liberato, nd senso che Zeus deve « bave done a deal with Prometheus, and changed bis attitude in consequence i. non mi sembrano legittime). E già SCHOEMANN, Ueber den Prometheus cit., p. I27 parlava, è vero, di una « Umwandlung i. ddle Erinni, ma la intendeva entro giusti limiti, nd senso che le Erinni, grazie all'intervento di Atena, si convincono che i loro diritti non vengono mes­ si in discussione e che esse, anche in seguito, amtinueranno a essere con­ siderate come divinità potenti e degne di ogni considerazione.

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CAPITOLO SECONDO

te il segno di una illimitata sovranità e di un assoluto po­ tere di Zeus. Nello stesso ordine di idee si resta anche a proposito dei vv. 644 sgg. delle Eumenidi, dove anche Eschilo ac­ cenna al mito della liberazione di Crono da parte di Zeus. Il riferimento a questo atto liberatorio di Zeus è fatto, in polemica con le Erinni, da Apollo in un contesto - il di­ battito al processo di Oreste sull'Areopago - dove l'asso­ luta sovranità di Zeus viene riconosciuta da tutte e due le parti in causa. Eschilo non voleva, e già questo è signi­ ficativo, che si ricercasse una motivazione di questo atto di Zeus; ma se, al di là delle intenzioni di Eschilo, una spiegazione si volesse ricavare dal testo, essa non potreb­ be essere disgiunta da questo senso di un illimitato potere di Zeus che pervade il passo relativo al processo (e tutta la tragedia): in ogni caso, l'ipotesi di una 'evoluzione' della natura di Zeus sarebbe contraddittoria con la posi­ zione che Apollo tiene in tutto il dibattito con le Erinni. Significativo è anche il modo come Pindaro nei vv. 29 r sgg. della IV Pitica parla della liberazione dei Titani da parte di Zeus: « Zeus l'immortale liberò i Titani: con il passare del tempo il vento cessa e si cambiano le vele» 24 • Il riferimento alla liberazione dei Titani è fatto nel conte­ sto di un discorso su Damophilos che intende ritornare a Cirene e spera in un atto di clemenza da parte del sovra­ no Arcesilao. Ci si muove quindi in un ordine di idee che ha il suo punto di riferimento nell'incondizionato potere del sovrano. In piu, il confronto con il vento che, con il trascorrere del tempo, cessa (per poi però eventualmen­ te riprendere forza) dimostra che per Pindaro l'atto con cui Zeus liberò i Titani rientra in un ordine equiparabile a quello naturale: l'ira, col passare del tempo, sbollisce, cosi come il vento si placa; e come il cessare del vento non deriva da una modificazione della natura degli agenti natu­ rali, cosi sarebbe assurdo pensare che Pindaro associasse la liberazione dei Titani a un mutamento dell'essere di Zeus. 2 4 Aiicn: lìÈ ZEùc; licpllL"l'oc; TL"l'livac;. i.v lìÈ XPOvti> µE"l'«Poì.at Ì..T}l;ll""l'o­ pou (O"'l'(w.., (l'ode è del 462 a. C.).

« PROMETEO »

Per quel che riguarda in particolare la liberazione di Prometeo, è sicuro che l'interpolatore della Teogonia non pensava, cosi come non pensava Pindaro per la liberazione dei Titani, a una cosa del genere. Nell'interpolazione dei vv. 526-34 della Teogonia, infatti, si precisa che Zeus ac­ consenti a che Eracle liberasse Prometeo perché la fama di suo figlio si accrescesse sulla terra, e per questo «per quanto adirato cessò dalla rabbia che prima aveva» 25 • La natura di Zeus non si è dunque modificata, egli continua­ va ad essere adirato e solo per una ragione particolare, per la gloria di suo figlio, ha desistito dall'ira. In conclusione, a parte il caso specifico di questo inter­ vento di Eracle nell'interpolazione della Teogonia, per ciò che riguarda la motivazione degli atti liberatori di Zeus si oscilla tra il polo dell'assoluta e imprevedibile sovranità di Zeus e il polo costituito da un ordine 'naturale' entro cui si colloca anche lo sbollire dell'ira di Zeus. E in un contesto del genere si pongono anche gli accenni che nel corso del Prometeo incatenato si fanno a una eventuale cessazione dell'ira di Zeus. Quando il Coro al v. 166 affer­ ma che in futuro Zeus potrà «saziare il suo animo» e desi­ stere dalla sua ostilità nei confronti di Prometeo esso ipo­ tizza un modello di comportamento che si può accostare a quelli di Pindaro e dell'interpolatore delle Opere esiodee ; e lo stesso vale per Prometeo, quando nel v. 376 prevede la possibilità che l'animo di Zeus «cessi dalla sua ira » (e questo fatto viene visto come condizione indispensabile della sua liberazione) . Staccare o comunque non conside­ rare significativa la possibilità di accostamento tra il v. 1 66 e il v. 376 del Prometeo da una parte e dall'altra par­ te i vv. 173 a-e delle Opere esiodee e i vv. 291 sgg. della IV Pitica di Pindaro (e anche l'interpolazione dei vv. 5265 34 della Teogonia e i vv. 644 sgg. delle Eumenidi), e questo per rincorrere un'ipotesi che non è attestata per il mito di Prometeo e che non trova corrispondenti precisi in tutta la cultura greca arcaica, è un'operazione illegitti­ ma che nessuno si dovrebbe sentire autorizzato a fare. 25 Cfr. in particolare v. H3 xat 11:ep xwoµevoc; 11:aulh} xoiou 8v 11:olv fXEO'XEV,

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CAPITOLO SECONDO

Non siamo in grado di dire - la documentazione in no­ stro possesso non ce lo consente - come precisamente av­ venisse la liberazione di Prometeo nel Prometeo liberato, la tragedia che seguiva al Prometeo incatenato. Ma alcuni dati, qualunque fosse il modo come essi si combinavano, sono accertabili con sicurezza. C'era, come è noto, anzi­ tutto l'intervento di Eracle che uccideva l'aquila, secondo la versione presupposta dall'interpolazione dei vv . .5 2 6-34 della Teogonia e nei documenti dell'arte figurativa dell'a­ rea attica appartenenti al v11-v1 secolo a. C. di cui si è già parlato. (Anche se, naturalmente, non c'è nessuna ragione per attribuire a Eschilo la motivazione che dava l'inter­ polatore della Teogonia per il consenso dato da Zeus alla liberazione di Prometeo) . Sicuro è da considerarsi anche un intervento di Gaia sulla scena "'. Non abbiamo d'altra parte - su questo almeno c'è il consenso degli studiosi :n - motivi per escludere che lo scambio con Chirone a cui accenna Hermes nella parte finale del Prometeo incatenato si sia effettivamente avuto nel Liberato 21 • Lo prova già l'affermazione, non smentita, che Hermes subito dopo aver accennato allo scambio con Chirone fa nei vv. 1 032-3 3 del Prometeo incatenato, se­ condo cui la bocca di Zeus non sa dire il falso e compie ogni parola ; del resto, nulla di ciò che dice Hermes nel Prometeo incatenato risulta in qualche modo contraddet­ to dai fatti. E inoltre, il fatto che nel mito Cliifone era strettamente legato a Eracle e che all'intervento di Eracle 26 Tra le dramatis personae del �O'J.LWT'lt; vengono citati r11 'Hpa.x}..ftt;: cfr. in proposito WILAMOWITZ, Aischylos. Interpretationen cit., pp. 1 281 2 9 . Il Wilamowitz ritiene, insieme COI). altri studiosi, che Hermes com­ parisse anche nella seconda ttagedia, e questa sembra essere un'ipotesi probabile. 71 Cfr. già G. HERMANN, De Aeschyli Prometheo soluto dissertatio ( 1 828), in Opusc., IV, Lipsiae 1 83 1 , pp. 26, e 28 1 ; e piu recentenJente, tra gli altri, VALGIMIGLI, Eschilo: la trilogia di Prometeo cit., pp. 249 e 281 ; WILAMOWITZ, Aischylos. Interpretationen cit., p. 1 2 8 ; L. S ÉCHAN , Le mythe de Prométhée, Paris 1 9, 1 , p. n ; w. KRAus , Prometheus, RE, XXIII, 679; H. J. METTE, Der verlorene Aischylos, Berlin 1963, p. 24. 28 Il racconto riportato in [Apoll.], Bibl. II ,.4 non è del tutto con­ gruente con Eschilo, dal momento che Prometeo risulta essere mortale e riceve l'immortalità grazie appunto allo scambio con Chirone. Non incon­ gruente invece con Eschilo è [Apoll .], Bibl. II ,.n.

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accennava nel Prometeo incatenato Prometeo e non Her­ mes è un ulteriore argomento per credere alle parole di Hermes. Ebbene, il particolare dello scambio con Chirone ( « di tali pene - dice Hermes a Prometeo nei vv. 1026 sgg. - non aspettarti un termine prima che appaia un dio che riceva da te i tuoi affanni e voglia andare nell'oscuro Ade e nei tenebrosi recessi del Tartaro ») lascia intravedere una situazione nella quale sembra che ci sia poco posto per una ricerca di un rapporto di amicizia da parte di Zeus e un 'incontro a metà' tra Zeus e il Titano. E significativo in ogni caso mi pare che nel Prometeo liberato l'effettiva li­ berazione di Prometeo venga subordinata a una condizio­ ne enunciata nel Prometeo incatenato, e proprio nel mo­ 29 mento dello scontro piu violento tra Zeus e il Titano , e quindi prima della presunta evoluzione di Zeus verso una superiore 'moralità'. E d'altra parte, come faceva osservare lo Schoemann, all 'inizio del Prometeo liberato vediamo che Zeus ha ad­ dirittura inasprito la pena, con l'intervento dell'aqui­ la, rispetto al Prometeo incatenato : quindi almeno sino all'inizio della seconda tragedia non sembra proprio che la natura di Zeus si sia evoluta verso una maggiore mi­ '° tezza . Ma ancora piu importante è la testimonianza del De pietate di Filodemo, alla quale si è già accennato, secondo cui nel Prometeo liberato Prometeo « veniva liberato poi­ ché aveva rivelato l'oracolo relativo a Thetis » . La libera­ zione di Prometeo è posta come una conseguenza della rivelazione del segreto da parte del Titano. Si tratta di un dato ben circoscritto, dal quale non si possono ricavare deduzioni di carattere generale su tutta la tragedia. E pur tuttavia, la testimonianza di Filodemo, soprattutto se si confronta - come è doveroso fare - con i passi del Pro­ meteo incatenato dove il Titano presupponeva che avreb­ be rivelato il segreto dopo che fosse stato liberato, fa ca­ pire che si doveva essere determinata una situazione in " Si noti la possibilità di un accostamento dei vv. 1026-27 con i vv. n,-,6 e i vv. 2,7-,s. '° Cfr. SOIOEMANN, Ueber den Prometheus cit. , p. 126.

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qualche modo di cedimento da parte di Prometeo, sen­ za che risulti che altrettanto fosse avvenuto da parte di Zeus ' 1 • Una conferma in questo senso è costituita anche dal modo di esprimersi di Prometeo all'inizio del Liberato, in quella parte che conosciamo attraverso la traduzione di 32 Cicerone • Troviamo qui un Prometeo che ha desiderio di morte per trovare un termine ai suoi mali: « sic me ipse viduus - dice Prometeo ai vv. 2 2-23 del frammento di traduzione di Cicerone - pestis excipio anxias, amore mortis terminum anquirens mali ». L'espressione « termi­ 33 num ... mali » ricorda da vicino i vv. 7 5 5-56 dell'Incate­ nato , che sono inseriti in un passo dove Prometeo lamen­ tava che non ci fosse un « termine » per i suoi mali ( se non dopo la caduta di Zeus), dal momento che egli era immor­ tale e non gli era concesso dal fato di morire '4. Sembra dunque che questo passo dell'Incatenato si ponga sulla stessa linea del passo del Liberato noto attraverso Cice­ rone. Le cose stanno in realtà diversamente. La battuta di Prometeo nella prima tragedia veniva in risposta a un pre­ cedente discorso di lo, la quale di fronte alle rivelazioni di Prometeo sul di lei infelice destino si chiedeva perché ella non si buttava ormai giu dalla roccia concludendo con la morte le sue sofferenze. L'accenno dunque all'immorta­ lità da parte di Prometeo è condizionato dalle precedenti considerazioni di lo; e d'altra parte il discorso si sposta subito verso l'attesa della caduta dal trono di Zeus: l'im­ mortalità a prima vista sembra un dato negativo, ma in realtà il prolungamento dei mali che l'immortalità com­ porta per Prometeo trova uno sbocco positivo nella pro­ spettiva della detronizzazione di Zeus. Del resto, al v. 932 - quando il Coro si sorprende che Prometeo non abbia

I

3 1 Su questa linea di interpretazione cfr. SCHOEMANN, Vindiciae cit., pp. n3-14. 32 Che si tratti di Cicerone e non di Accia è sicuro: cfr. E. FRAENKEL, De novo Accii fragmento, « Gnomon ,., 6, 1930, p. 663. 33 Cfr. Prom. n,-,6 "fÉpµa; ••• µ6xOwv, e anche vv. 99-100 µ6xi!wv ••. "fÉpµa;"f«i, V. 183 "fWVIÌE 1t6vt.111 • . • "fÉpµa;, V. 2'7 /Ut},ou "fÉpµ«i, V. 1026 µ61t&o1.1 "fÉpµa: si veda anche VALGIMIGLI, Eschilo: la trilogia di Prometeo cit., p. 242 . 34 Cfr. vv. n2 sgg.

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paura a « scagliare » parole minacciose contro Zeus Prometeo ribatte con sicurezza: « e che cosa dovrei te­ mere, io, a cui non è stata assegnata dal destino la mor­ te? » L'immortalità appare dunque qui alla base di un at­ teggiamento che è agli antipodi di quello che Prometeo descrive nel frammento ciceroniano. E lo stesso atteggia­ mento viene fuori, nell'Incatenato, ancora nei vv. 1 0431 05 3 , quando Prometeo, nel corso del violento dialogo con Hermes, sfida Zeus a lanciare il fulmine e a scuotere la terra fin dalle radici e a confondere gli astri con l'aspro flutto del mare: « in ogni caso egli non sarà in grado di dare a me la morte ». In conclusione, vi sono alcuni elementi che inducono a ritenere che nel Prometeo liberato il Titano dimostrasse un atteggiamento molto meno rigido di quello di cui ave­ va dato prova nell'Incatenato . Non c'è invece, e va sotto­ lineato questo punto che è di grande importanza, non c'è nessun elemento che direttamente o indirettamente indu­ ca a ritenere che qualcosa di simile avvenisse per Zeus E stando cosi le cose, non c'è nessuna ragione per ritenere che nel Prometeo liberato ci fosse un incontro a metà tra Zeus e il Titano, e non c'è nessuna ragione per ritenere che Eschilo non presentasse Zeus anche nel Prometeo liberato come nel resto della sua produzione drammatica, e cioè 36



35 Il verbo bpt11-rwv richiama il rimprovero di Oceano dei vv. 3u-u (l'accostamento è già in Wecklein ad v. 932); e in piu c'è la risonanza del­ l 'immagine (di segno opposto! ) di Zeus che scaglia il fulmine (cfr. \' , 1 043) oppure sprofonda il corpo del suo nemico nel Tartaro (cfr. v. 10.5 1 ) oppure impone a d I o stessa tristi peregrinazioni (dr. v. 738). Il Prometeo è la tragedia di Eschilo dove le forme di pt11-rw e composti sono di gran lunga le piu numerose. 36 Da Plut. , Pomp. 1 che cita il fr. 201 (HERMANN, Opusc. , IV, p. 281 avanzava dubbi sull'autenticità di -rou-ro: il SÉCHAN, Le mythe de Promé­ thée cit., p. 73 citando il frammento 'salta' -rou-ro e l'interpwizione con cui H. J. Mette nella sua edizione dei frammenti di Eschilo (Berlin 19.59) cerca di spiegare -rou-ro è artificiosa) sappiamo che Zeus era detto nemico da Prometeo anche dopo che Eracle aveva ucciso l'aquila: sul senso da dare a crwOEtc; in Plutarco dr. VALGIMIGLI, Eschilo: la trilogia di Prome­ teo cit., p. 274; e anche WILAMOWITZ, Aischylos. Interpretationen cit., p. 128. Il Wilamowitz mette in relazione il fr. 201 con !xov-roc; .6.L6c; di Prom. 771 , ma si tratta di un accostamento illegittimo: anzitutto, e po­ trebbe già bastare, il Coro parla della liberazione dai ceppi e non dell'uc­ cisione dell'aquila, e poi la sottolineatura che la liberazione avverrà !xo"­ -roc; .6.L6c; è condizionata essenzialmente dal verso precedente di Prometeo.

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nell'atto di esercitare un potere assoluto e imprevedibile e tale che nessuno, e nemmeno Prometeo, lo potesse con­ trastare . Ma occorre ancora qualche cenno di chiarimento sul comportamento di Zeus nel Prometeo incatenato . Come si è già accennato, l'estremo rigore con cui Zeus nel Pro­ meteo incatenato punisce Prometeo è del tutto congruen­ te con il modo come Eschilo parla di Zeus nell'inno a Zeus dell'Agamennone e nel celebre passo della parodo delle Supplici. Zeus - ha osservato giustamente il Lloyd-Jones n - può bene onorare la Giustizia ed esigere il rispetto della legge di giustizia in mezzo agli uomini e nello stesso tempo non permettere nessuna sfida alla sua autorità. Ed è sem­ pre lo stesso Zeus che nei vv. 96 sgg. delle Supplici « dalle loro altoturrite speranze abbatte giu i mortali nella piu completa distruzione », senza che per questo venga in que­ sti versi data da Eschilo una qualsiasi motivazione. Bisogna però valutare anche il modo come concreta­ mente si articola la reazione di Zeus di fronte alla sfida del Titano. Non credo che l'invio di Hermes, attraverso il quale Zeus chiedeva di sapere quale fosse il segreto con cui Prometeo lo minacciava, si possa considerare come un 31 segno di paura da parte di Zeus • E pur tuttavia, non c'è dubbio che un episodio del genere (e anche il fatto che l'opposizione di Prometeo al progetto di Zeus di distrug­ gere il genere umano per crearne uno nuovo risulta vin­ cente) doveva essere sentito come appartenente a un pas­ sato ormai irripetibile. Ma questo, si badi bene, non com­ portava per un Greco del v secolo a. C. la necessità di po­ stulare un cambiamento nella natura di Zeus . La 'sovrap­ posizione' di mito e di culto, di una 'storia' ormai trascor­ sa e di una realtà viva ed attuale era un dato di fatto nella cultura religiosa greca arcaica ; ma questo non significa che gli dei nel passato dovevano essere sentiti come diversi nella loro natura rispetto al presente . Semplicemente si 37 Cfr. LLOYD·JONES , Zeus in Aeschylus cit., p. 6,. 31 Era questa la tesi di J. Caesar contro cui lo Schoemann polemizzava in Ueber den Prometheus cit.

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riteneva che gli dei in un passato antico avevano fatto del­ le cose, erano loro successe delle cose che non si ripete­ vano piu nel presente. E che Eschilo a questo passato 'mi­ tico' non intendeva rinunciare (ciò avrebbe comportato tra l'altro una cesura irreparabile con tutta una cultura ' popolare' con la quale egli voleva mantenere i contatti) lo dimostra appunto l'inno a Zeus dell'Agamennone dove Zeus è il dio che avvia alla saggezza gli uomini, ma è an­ che terzo nella serie degli dei che hanno avuto la signoria dell'universo ed anche colui che ha eliminato con la forza il suo immediato predecessore. Eschilo dunque, e con lui i Greci che assistevano alla rappresentazione delle sue tra­ gedie, poteva certo credere che in un passato molto lon­ tano Zeus fosse rimasto coinvolto nella vicenda di Prome­ teo in termini difficilmente recuperabili per il presente, ma senza che ciò comportasse l'ipotesi di un processo per cui Zeus arrivava per varie fasi a una maturità caratteriz­ zata da un piu approfondito senso morale. In questo ordine di idee va visto anche il particolare secondo cui Zeus voleva distruggere l'umanità, incontran­ do in questo l'opposizione di Prometeo. Secondo lo Schoe­ mann 39 l'intento di Zeus doveva essere stato quello di so­ stituire a quella presente una stirpe umana migliore, e quindi Zeus sarebbe stato impedito da Prometeo di rea­ lizzare ciò che si sarebbe rivelato un bene per l'umanità . Una tale interpretazione non trova nessun appiglio nel te­ sto. È vero che l'accenno alla distruzione dell'umanità si trova solo nel contesto di un discorso di Prometeo co­ 40 struito in modo tendenzioso , ma questo non autorizza a leggere ciò che nel testo non c'è. In realtà, anche in que­ sto il mito giocava un ruolo di primo piano. Si ricordi che nelle Opere di Esiodo Zeus, uno Zeus che pur tuttavia è direttamente connesso con l'esercizio della giustizia, di­ struggeva la generazione argentea per crearne un'altra. E ogni Greco sapeva del mito di Deucalione, quando l'uma­ nità si salvò attraverso appunto Deucalione, figlio di Pro39 40

Cfr. p. 46, n. 8. Si tratta dei vv. 197-241 (l'accenno al proposito di Zeus è nei vv. 231-33).

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meteo, e Pirra e grazie alla trasformazione dei «sassi» in «gente» ••. Ma se Eschilo omette ogni accenno specifico a questi miti è perché evidentemente ha voluto che gli spet­ tatori non ricevessero piu informazioni di quante egli ef­ fettivamente ne dà nella tragedia. La cosa è dunque pre­ sentata con un taglio tale che, sia pure attraverso un di­ scorso tendenzioso come quello di Prometeo, l'accento viene a battere sull'esercizio incontrollato del potere da parte di Zeus, un potere che legittima se stesso nell'atto di esercitarsi; e proprio in questo si viene a stabilire un ulteriore nesso molto stretto tra il Prometeo incatenato da una parte e !'Agamennone e le Supplici dall'altra. 5.

La linea vincente:

la saggezza tradizionale.

L'individuazione del modello mitico che la liberazione del Titano nel Prometeo liberato presuppone ha ovvia­ mente notevoli implicazioni anche per ciò che concerne una piu esatta definizione della linea ideologica che Eschi­ lo porta avanti nel Prometeo incatenato, e rilevanti a que­ sto proposito sono anche le considerazioni che ho fatto nelle pagine precedenti sui moduli comportamentali ed espressivi utilizzati da Prometeo. Per nessuna opera letteraria il discorso sull'ideologia può essere considerato - come pure taluni critici rozza­ mente continuano a ritenere - come qualcosa di irrelato rispetto a un discorso che verta sulle realizzazioni piu pro­ priamente formali, un campo di ricerca da lasciare a chi non è in grado di cogliere le raffinate sottigliezze espres­ sive di cui si sostanzia l'opera d'arte. Non occorre leggere le acutissime pagine di Letteratura e rivoluzione di Troc­ kij per capire che le cose non stanno in questi termini. E in particolare per quel che riguarda il Prometeo è indub4 1 II mito di Deucalione ( e anche il gioco di parole su AAOY:t) è atte stato nel Catalogo delle donne ; il mito è attestato anche per Acusilao, ecc . S i noti che secondo [Apoll.], Bibl. I 7.2. i l consiglio d i costruire l a 'cassa' ( M(l'Ja.xtt) è dato proprio da Prometeo; e quando Deucalione arriva, in­ sieme con Pirra, sul Parnaso, egli sacrifica a Zeus q,u!;,oc;. Ma è impossibi­ le stabilire la cronologia di questi mitemi.

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bio che chi volesse prescindere dall'ideologia, dal messag­ gio etico-religioso (o etico-politico) che il poeta intendeva trasmettere agli spettatori si precluderebbe la possibilità di intendere la tragedia anche nei suoi aspetti piu propria­ mente espressivi e formali . Dunque, l'ideologia. E a questo proposito, un elemento di giudizio molto importante ci è fornito dal Coro 1 • È si­ gnificativo anzitutto che il Coro piu volte si appelli alla sophia, alla saggezza, contrapponendosi al comportamen­ to di Prometeo. Al v. 9 3 6 , di fronte all'atteggiamento di sfida di Prometeo nei confronti di Zeus, le Oceanine am­ moniscono che « coloro che si inchinano di fronte ad Adra­ s tea, costoro sono saggi » '. La saggezza viene fatta dunque consistere nell'inchinarsi di fronte alla necessità, in un comportamento che tenga conto dei dati della situazione visti come qualcosa a cui non si può sfuggire. Questo pun­ to di vista si integra con i vv. 8 8 7 sgg., un pezzo lirico do­ ve le giovani del Coro, dopo aver appreso le sventure di Io, dichiarano : Certo fu saggio, veramente saggio colui che per il primo questo in suo pensiero fermò e significò con parola: che cioè contrar matrimonio secondo la propria condizione è di gran lunga il partito migliore ; e chi è povero e plebeo non deve aspirare a nozze né con chi è fatto vano dalle ric­ chezze, né con chi si tiene in gran conto pe' suoi natali J . 1 Sulla particolare funzione del Coro delle Oceanine cfr. già SCHOE· MANN, Ge/esselter Prometheus cit., p. 68 (e cfr. anche pp. 69 e 3 1 ) . L'un­ portanza del Coro per la comprensione di tutta la tragedia è stata messa in rilievo da JAEGER, Paideia cit., p. 462; e cfr. anche, successivamente, PERETTI, Religiosità eschilea cit. 2 Cfr. v. 9 36 ot 11p0CTXwouv"tEc; niv 'A1ìpcicrn1.11v crocpot. L'espressione era proverbiale: cfr. [Eur.], Rhes. 468; Plat., Resp. 4,1 a; Dem., XXV 37; Menand., Perik. 304 S. e altri passi citati da GROENEBOOM, Aeschylus' Pro­ metheus cit., ad loc. (si può aggiungere ora Menand., Sam. ,03 S.). Che l'equiparazione di 'A1ìpcia-;tu1 con la Necessità sia avvenuta sotto l'influs­ so orfico, come sostiene recentemente anche w. FAUTH in « Der kleine Pauly ,., I, pp. 74·7', non è dimostrabile. Né ci sono argomenti per rite­ nere che in questo verso del Prometeo Eschilo recepisse un elemento delle dottrine orfiche: il carattere proverbiale dell'espressione e la sua larga diffusione rendono immetodica l'ipotesi. J Riporto la traduzione di VALGIMIGLI, Eschilo: la trilogia di Prometeo cit., p. 221. Il detto che invitava a sposare secondo la propria condizione: sociale era attribuito comunemente a Pittaco. A proposito di questa nor­ ma, oltre ai passi citati da Groeneboom, cfr. anche il v. 1 7 del Parten;o

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La saggezza viene quindi a coincidere qui nella sostanza con il riconoscimento dei propri limiti, e nel non andare al di là della propria condizione. Si tratta, come si sa, di uno dei motivi fondamentali della cultura greca arcaica. Que­ sto principio, mentre da una parte comportava la presa di conoscenza dei limiti della condizione umana in quanto tale, dall'altra parte assolveva anche a una funzione mode­ ratrice e regolatrice di fronte a eventuali impulsi a modi­ ficare l'ordine sociale costituito (si ricordi il motto delfico « niente di troppo », meden agan) . E questa linea di pen­ siero è fatta propria integralmente da Eschilo, dai Persia­ ni sino all'Orestea. È significativo pertanto che il Coro contrapponga que­ sta sua saggezza al comportamento di Prometeo. Questo avviene con il richiamo alla legge di necessità del v. 936. Ma anche piu avanti, quando Hermes è presente sulla sce­ na e invita Prometeo a desistere dalla authadia (« presun­ zione », « arroganza ») in favore della euboulia (« retto vo­ lere », « assennato intendimento »), il Coro riprende lo stesso discorso sulla saggezza. Le Oceanine infatti afferma­ no, nei vv. 1036 sgg., di consentire con Hermes e ripren­ dendo le sue parole invitano Prometeo ad abbandonare l'authadia e a ricercare • l'euboulia, e significativamente qualificano l'euboulia come « saggia », sophe. È interes­ sante anche il modo come il Coro conclude questo breve appello a Prometeo: « convinciti, perché per chi è saggio è disonorevole continuare a sbagliare ». Il Coro sembra quindi, qui, attribuire a Prometeo la qualifica di « sag­ gio ». Ma si tratta solo di un mezzo di cui il Coro si serve per cercare di persuadere il Titano; il quale nella sua ri­ sposta rifiuta questa definizione attribuendosi invece quel­ 5 la di « colui che sa » : il discorso viene quindi spostato dal di Alcmane. L'invito in Alanane a non volere sposare Afrodite (che vie­ ne dopo la raccomandazione a non volare « verso il cielo ,., � wptitv/iv) è particolarmente congruente con la situazione di Io a cui fa riferimento il Coro: dr. in particolare v. 897 µ116t 11:À.CtDd1JV ylll,lt'f!J 'fwt 'fWV li; oò­ pavoO. • Il termine è tptwiiv, che si pone sulla linea del « trovare ,. che è pr:.,­ prio di Prometeo (dr. p. 99, nota 12). Secondo queste parole del Coro, però, il « cercare ,. deve essere rivolto in tutt'altra direzione. 5 All'inizio del v. 1040 ttlìb'fL riprende e sostituisce O'O..iit. Non è semplice capire che cosa Eschilo intendesse con il termine &pµovl.tx. Una

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ribadito, da un punto di vista particolare, il principio del­ l'assoluta incapacità dell'uomo di fronte alla divinità. Piu specificamente, le parole del Coro si pongono sulla linea di quelle con cui Hermes ammonisce Calipso nel V libro dell'Odissea: «la mente (noos) di Zeus che tiene l'egida non è possibile che un altro dio né la trasgredisca né la renda vana». Il termine con cui è reso il concetto di tra­ sgredire, parexelthein, in questo passo dell'Odissea è mol­ to vicino al parexiasi del v. 5 5 2 del Prometeo. E un verbo analogo, parelthein, si legge anche nel v. 6r3 della Teo­ gonia esiodea per rendere esattamente la stessa idea : «la mente (noos) di Zeus non è possibile ingannarla né tra­ sgredirla». È interessante notare che questo verso della Teogonia appartiene al passo (si tratta dei vv. 6 r3-r 6) con cui nel poema esiodeo si conclude la sezione dedicata a Prometeo, un passo (ne ho già parlato) in cui la validità della legge relativa all'impotenza dell'uomo di fronte alla divinità è confermata dal poeta appunto attraverso l'esem­ pio di Prometeo che, pur di molte cose sapiente, una gran­ de catena, in base alla legge di necessità, tiene avvinto. È molto improbabile che Eschilo nei vv. 550-52 del Prome­ teo non tenesse presente, a un livello di maggiore o mino­ re consapevolezza, il v. 6r3 della Teogonia. In ogni caso anche le Oceanine (come già Prometeo stesso al v. 5 r 4: «la techne è di gran lunga piu debole della necessità») si vengono in tal modo a porre sulla stessa linea di Esiodo per ciò che concerne la valutazione da dare di un aspetto essenziale delle vicende di Prometeo. spiegazione nella sostanza esatta del termine mi pare che sia stata data da w. DINDOKF, in Lex. Aesch. , s. 11. : « de fixo rerum ordine ». Si tratta quin­ di di una connessione (il termine è usato per indicare le « iuncturae » del­ l 'imbarcazione nel V libro dell'Odissea) realizzata oggettivamente da Zeus. Il Paley ad loc. vede in &pµovl.a. « the fixed law or decree of Zeus », ou questo, tra l'altro, sembra poco compatibile con &&t-t� del v. 1,0. D'al­ tra parte, è possibile che ci sia anche una risonanza dell'uso di &pµé!;w nel significato di « comandare » (attestato in Pind., Nem. VIII n ; e cfr. an­ che a.pµ.oa'Tl)c; a Sparta, e dr. anche Eum. 4,6 dove di Agamennone si di­ ce a.vlipwv va.u �a.-twv a.pµ6cr,;opa.). Ed ecco il testo di Od. V 103-4: a.>..M µa.}..' oli -n:� !o-'tL 41.Òc; v6ov a.tyL6xoLO I olhE -n:a.pE�E>..IIEtv ID.>..ov t!Eòv oiilt' a.>..Lwcra.L. Hesiod. Theog. 613 suona: � oùx lCM:L 4Lòc; xllljia.L v6ov oùlil -n:a.pE>..DEtv. E dr. anche [Hom.] Hymn. Dem. 478.

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III

6. Al di là dell'immedesimazione. Ma è significativo il fatto che nei vv. 5 50-5 2 siano chia­ mati in causa esplicitamente gli uomini, mentre nel passo del quinto libro dell'Odissea si parlava di una eventuale opposizione a Zeus da parte di un dio e nei vv. 6 1 3- 1 6 della Teogonia a una enunciazione impersonale seguiva un riferimento esplicito ed esclusivo a Prometeo. In realtà, l'insistenza con cui Eschilo piu volte mostra di estendere il discorso agli uomini in una vicenda che coinvolgeva delle divinità è una spia significativa: il fatto che attraverso la vicenda di Prometeo fossero chiamati in causa i mortali permetteva a Eschilo di stabilire piu diret­ tamente i contatti con il suo pubblico, il destinatario del ' messaggio' che egli intendeva trasmettere. Non è un caso che il Coro nei vv. 55 3-54 presenti le affermazioni prece­ denti relative al tema dell'impotenza degli uomini di fron­ te alla divinità come il risultato di un processo di appren­ dimento che nelle giovani del Coro è stato determinato dalla vista delle sofferenze di Prometeo. (Il principio del pathei mathos, dell'apprendimento della saggezza attra­ verso la sofferenza, un principio che come ho ricordato si rivela piu volte produttivo nel Prometeo, trova anche qui una sia pure atipica applicazione) . « Queste cose io appresi - continua il Coro appunto nei vv. 55 3-54 - guardando le tue luttuose vicende, o Prometeo ». Ma quello che vedeva il Coro vedevano anche gli spettatori, ed era piu che le­ gittimo pensare che secondo Eschilo un processo di ap­ prendimento analogo a quello del Coro si dovesse realiz­ zare negli spettatori: questo, tra l'altro, è un indizio pre­ zioso del modo come Eschilo sentiva la sua arte dramma­ tica e quali funzioni egli intendesse attribuirle. C'è d'altra parte nelle parole del Coro dei vv. 5 5 3-54 l'utilizzazione in una direzione del tutto particolare di un motivo che corre da un capo all'altro della tragedia. È costante infatti in Prometeo l'invito a « guardare », ad « osservare » come egli è stato punito da Zeus. Questo aveva in prima istanza una sua giustificazione interna al modo come la tragedia veniva realizzata sulla scena. Un

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apparato scenografico come quello del Prometeo (un gran­ de ammasso roccioso con sopra il Titano inchiodato, e poi le Oceanine su seggi alati, e poi Oceano su un alato qua­ drupede, ecc.) era assolutamente fuori dell'ordinario, e perciò era ovvio che fosse valorizzato attraverso questi continui richiami degli spettatori a « guardare ». Ma per ciò che concerneva Prometeo questi inviti avevano lo sco­ po di dimostrare la crudeltà di Zeus, che in un modo cosi spietato lo aveva fatto inchiodare sulla rupe scitica. Ai vv. 88 sgg., quando sulla scena non c'è nessun altro, egli si rivolge al cielo, al vento, ai fiumi, al mare, alla terra di tutto madre, al cerchio del sole, perché « vedano » ciò che egli subisce, lui dio, da altri dei, e perché « osservino » co­ me crudelmente è e sarà ancora in un futuro molto lun­ go tormentato da Zeus. Nei vv. 1 1 .5 sgg., non appena Pro­ meteo sente arrivare le Oceanine, è ad esse che l'invito viene piu volte indirizzato (« vedete » al v. 1 1 9, « osser­ vate, guardate » al v. 1 4 1 ) ed esse si affrettano a rispon­ dergli che effettivamente « vedono » e che questa vista è causa per loro di grande paura: « vedo, o Prometeo, e pau­ rosa una nebbia ai miei occhi è giunta piena di lacrime, il tuo corpo vedendo consumarsi su questa roccia, con que­ sti oltraggi di ferrei vincoli ». Ora, lo stesso motivo viene ripreso appunto nel secon­ do stasimo, ai vv. .5 .5 3-.54, quando, come si è visto, il Coro afferma a proposito dell'impotenza degli uomini di fronte a Zeus che queste cose le ha imparate vedendo le luttuose vicende di Prometeo: prosidousa del v. 5.53 corrisponde a eisidousai del v. 1 46. Senonché, a questo motivo si at­ tribuisce ora una funzione del tutto diversa : non si parla piu di paura, ma invece di un processo di apprendimento che la vista di Prometeo determina. In tal modo Eschilo, con l'abilità dell'uomo di teatro consumato, innestava la sua 'lezione' morale-religiosa su una esperienza squisita­ mente teatrale, quale era la ricezione visiva della sceno­ grafia, e !"immedesimazione' con il protagonista. Il coinvolgimento dell'umanità nelle vicende di Pro­ meteo e il coinvolgimento degli spettatori venivano dun­ que a coincidere. Non è un caso che subito dopo, nella

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parte conclusiva dello stasimo, ai vv. 55.5-60, il Coro sot­ tolinei la diversità del suo canto attuale I in confronto al canto che esse cantavano in occasione delle nozze di Pro­ meteo, quando il Titano si prendeva come sposa un'altra figlia di Oceano, Esione. Attraverso la sottolineatura del­ la diversità di questi due canti l'elemento mitico-divino è relegato in lontananza, in una dimensione che appare or­ mai irrecuperabile, mentre l'elemento umano (una umani­ tà che si sostanzia di sofferenze e del riconoscimento della legge degli dei e dell'estrema limitatezza della propria con­ dizione) viene a porsi prepotentemente in primo piano. Nello stesso ordine di idee si pone anche la sottolinea­ tura della philia, dell'amicizia, dell'affettuosa partecipa­ zione delle Oceanine alle vicende di Prometeo. Esse arri­ vavano su dei seggi alati Z, e restavano cos{, nella parte ini­ ziale della tragedia, su un piano piu alto rispetto a quello dell'orchestra: in tal modo, tra l'altro, anche da un punto di vista scenografico si veniva a stabilire un rapporto di corrispondenza tra Prometeo e il Coro. L'arrivo delle Oceanine in un primo momento determina uno stato di paura in Prometeo, ma le giovani del Coro sono pronte a rincuorarlo: « non aver paura » sono le prime parole che esse pronunziano ed aggiungono che la loro è una schiera amica nei confronti del Titano. Questo gioco tra il motivo dell'amicizia e quello della paura continua anche nel se­ guito della parodo. La vista delle sofferenze del Titano provoca, come ho già ricordato, negli occhi delle giovani una nebbia piena di lacrime che esse definiscono « pauro­ sa » . La paura di Prometeo si trasferisce dunque nelle Oceanine, ed esse ribadiscono questo loro atteggiamento nella parte finale della parodo, nei vv. 1 8 1 sgg.: « la paura 1 Di questo canto il Coro dice che « a lei è volato i., suggerendo una origine del canto esterna alla sua soggettività; e in piu probabilmente c'è l'eco del v. u,, quando lo stesso verbo è usato per l'arrivo delle Oceani­ ne: da Prometeo arrivano in volo le Oceanine, ma dalle Oceanine arriva in volo questo canto, che si sostanzia di un tradizionale senso di rispetto e timore nei confronti della divinità. E cfr. anche v. 644. 2 Si veda in proposito l'eccellente lavoro di B. Fl!ABNICBL, De, Binzug des Chors im « Prometheus », « ASNP •, serie Il, 23, 19,4, pp. 269-84 (ora in Kleine Beitriige zur klassischen Philologie, I, Roma 1964, pp. 389406).

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ha penetrato e sconvolto la mia mente e temo per le tue di­ sgrazie » dice il Coro a Prometeo. E naturalmente il mo­ tivo della paura e dell'amicizia del Coro si lega stretta­ mente con quello della spietata implacabilità di Zeus: il 3 Coro stesso lo fa notare piu volte • E d'altra parte paura e amicizia richiamavano con immediatezza negli spettatori il senso di rapporti che si pongono a un livello umano, ed essi venivano sollecitati verso un atteggiamento di 'imme­ desimazione' con il protagonista. Conferma questo anche il primo stasimo •. Qui le Ocea­ nine, che nel frattempo sono scese dai seggi alati e si sono collocate su una dimensione piu 'umana', ribadiscono il loro atteggiamento di affettuosa partecipazione nei con­ fronti di Prometeo : esse lamentano le luttuose vicende del Titano e una « corrente » di lacrime bagna la loro guan­ cia: c'è dunque addirittura un'intensificazione del senti­ mento espresso nella parodo. Nello stesso tempo però es­ 5 se rivelano che al loro pianto si associa quello di tutte le regioni vicine, i cui abitanti anch'essi piangono tutti per Prometeo •. Anche i « mortali » (il termine è usato effetti­ vamente dal Coro, in posizione di rilievo alla fine della prima coppia strofica) partecipano dunque al dolore di Prometeo: e anche in questo modo la vicenda cessava di essere un fatto che riguardava solamente delle divinità per coinvolgere anche gli uomini. Ciò che succede nella parte finale della tragedia si pone esattamente su questa linea. Le Oceanine in un primo momento consigliano a Prometeo di cedere a Hermes in nome, come ho già ricordato, della norma della sophia; ma 3 Cfr. vv. 149 sgg. (dopo cpo(iEpcì ... lia.xpuwv dei vv. 144-46), 160 sgg., 1 84-8,, 242-4, (in questi versi Zeus non viene nominato, ma essi presup­ pongono direttamente i vv. 160 sgg.). • Cfr. vv. 397 sgg. 5 Tra l'altro, a-ro116EV del v. 407 richiama direttamente a-rm messo in posizione di rilievo all'inizio dello stasimo, e cfr. anche v. 413 J.IE'YC1>.ocrr6-

vo1.0"L, 6

A Prometeo vengono associati anche, al v. 410, i « consanguinei », ma cfr. v. 413 crotc; 'IITJl/4CTL, (I problemi posti dai vv. 42, sgg., nonostante i vari tentativi di soluzione che anche recentemente sono stati fatti in proposito, non si possono ancora certamente considerare risolti). Di Atlan­ te e Tifone parla con simpatia Prometeo nei vv. 347-72. Sono notevoli in questo passo le reminiscenze esiodee: cfr. v. 348 e Theog. ,18, v. 349 ICT't'IJXE e Theog. ,19, ecc.

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quando Prometeo insiste nel suo atteggiamento esse rifiu­ tano il consiglio di Hermes (e già in questo c'è una efficace sintonia tra esse e Prometeo) di allontanarsi. Non c'è nes­ sun indizio nel testo che faccia pensare che esse venissero sprofondate insieme con Prometeo: le Oceanine non era­ no sulla roccia che veniva abbattuta insieme con il Titano e dalle parole di Hermes si capisce che esse restano stor­ dite dal tuono sulla scena 7 • Ma anche cosi, naturalmente, il fatto che esse partecipassero della punizione che colpiva Prometeo era qualcosa che doveva impressionare gli spet­ tatori e doveva spingerli verso un atteggiamento per cui essi si sentissero coinvolti con il protagonista. La giusti­ ficazione che le Oceanine dànno del loro comportamento (si tratta delle ultime parole che pronunziano prima della fine della tragedia), e cioè che esse odiano « i traditori », coloro che abbandonano gli amici, si poneva a un livello schiettamente umano, ed era tale che gli spettatori la po­ tessero sentire come propria. C'è dunque nella tragedia, anche attraverso la philia del Coro, un coinvolgimento costante, a un livello di estre­ ma immediatezza, degli spettatori. Lo stesso risultato con­ seguiva anche, naturalmente, la sottolineatura della phi­ lanthropia di Prometeo, il suo amore per gli uomini '. Questo atteggiamento gli viene rimproverato, a livelli espressivi diversi, nella parte iniziale della tragedia sia da Kratos che da Efesto •. Successivamente, con grande ri­ lievo, nel corso dello stasimo dove vengono messi in luce gli angusti limiti della condizione umana, il Coro fa pre­ sente a Prometeo che tiene in « troppa » considerazione i 0 mortali 1 , e un tono di mite rimprovero è presente anche nel v. 507, dove il Coro esorta Prometeo a non aiutare i mortali al di là di ciò che è opportuno. Prometeo stesso, d'altra parte, nei vv. 2 3 9 sgg. contrappone il suo compor­ tamento, che è stato ispirato a compassione verso gli uo­ mini, a quello spietato e crudele di Zeus nei suoi confron7 Cfr. V. 1062. 1 Sulla pbilanthropia di Prometeo cfr. anche JAEGEB., Paideia cit., p. 460, nota n. 9 Cfr. vv. n e 28. '° Cfr. vv. ,42-43.

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ti. E lo stesso gioco di contrapposizione tra Zeus e Pro­ meteo compare anche, poco prima, nei vv. 2 3 1 sgg., dove il Titano ricorda che Zeus non ebbe alcuna considerazione degli infelici mortali, mentre egli si oppose all'intento di Zeus di distruggere il genere umano per crearne uno nuo­ vo. Come ho già detto, Eschilo non ha voluto dare in pro­ posito agli spettatori nessuna spiegazione per il progetto di Zeus, il cui pensiero, per ricordare la parodo delle Sup­ plici, è insondabile; ma nello stesso tempo Eschilo ha vo­ luto che l'atteggiamento di partecipazione e di compassio­ ne di Prometeo nei confronti degli uomini fosse fuori di­ scussione (e, si badi bene, senza che ciò comportasse una valutazione negativa da parte di Eschilo del comportamen­ to di Zeus). In effetti, la philanthropia di Prometeo è nella trage­ dia una costante essenziale: il dio che parlava agli uomini dall'alto di una rupe collocata in una lontana regione non era certo per loro un estraneo. Ma l'intervento di una dimensione umana nella trage­ dia si realizza nel modo piu completo attraverso il perso­ naggio di lo. Anche nelle vicende di lo molti studiosi han­ no voluto vedere la prova di una crudeltà di Zeus che sa­ rebbe incompatibile con la concezione che effettivamente di Zeus aveva il poeta ateniese 11 • Sarebbe facile a questo proposito contrapporre l'odio di lo per Zeus nel Prome­ teo e il pio atteggiamento delle Danaidi nelle Supplici. Ma questa sarebbe una linea di interpretazione sbagliata. In effetti nelle Supplici parlano le discendenti di lo, e la vi­ cenda quindi, a differenza del Prometeo, si colloca dopo e non prima dell'intervento liberatore di Zeus che provoca la nascita di Epafo. In piu, l'atteggiamento di base delle figlie di Danao nei confronti di Zeus è nelle Supplici, data la situazione, quello della preghiera ; e, com'è noto, la pre­ ghiera costituiva un polo di aggregazione per tutta una serie di attributi che mettevano in rilievo la benevolenza della divinità . E d'altra parte, anche nelle Supplici il com­ portamento di Zeus nei confronti di lo, prima del bene11

p . .3 4 .

Cfr . ultimamente

DODDS,

The Ancient Concept o/ Progress cit.,

« PROMETEO i.

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volo tocco della mano (al quale per altro si accenna espli­ citamente anche nd Prometeo, ai vv. 848 sgg.), non è tale da dimostrare alcun sentimento di 'pietà' o di benevolenza nei riguardi della donna 12 • Zeus si unisce a lo nelle Sup­ plici nonostante che Hera abbia trasformato la giovane donna in una giovenca u e nonostante che sia prevedibile conseguenza dell'atto di Zeus un inasprimento delle per­ secuzioni da parte di Hera. Detto questo, però, resta il fatto che nel Prometeo lo compariva effettivamente sulla scena, in modo che gli spettatori percepivano la sofferenza della giovane donna anche su un piano visivo, e comunque in un modo molto piu intenso di quanto poteva avvenire attraverso accenni inseriti nei discorsi di altre persone. Da questo punto di vista tra le Supplici e il Prometeo c'è un enorme salto di qualità. Le descrizioni, a un livello espressivo molto intenso, che lo fa delle sue sofferenze fisiche appena ar­ riva sulla scena e immediatamente prima che ne esca, e il proposito da lei espresso ai vv. 747 sgg. di por fine alla sua vita, concorrono a questo effetto. Si viene quindi a realizzare una situazione di sintonia tra le sofferenze di Prometeo e quelle di lo (tutti e due i personaggi, tra l'al­ tro, sarebbero lieti di veder cadere dal trono Zeus, che essi pongono all'origine dei propri mali); e in tal modo a una dimensione divina si associava concretamente una dimen­ sione umana, in modo che anche per questa via gli spetta­ tori fossero portati a 'immedesimarsi' nella vicenda tra­ gica. In conclusione, la rappresentazione, impressionante ed altamente espressiva, delle sofferenze di Prometeo, l'at­ teggiamento di philia da parte dd Coro, la sottolineatura della philanthropia di Prometeo, il modo stesso come è strutturato il personaggio di lo sono tutti dementi che dovevano concorrere a creare negli spettatori un cointe­ ressamento immediato e un processo di 'immedesimazio­ ne' con il protagonista. Tutto questo può sembrare dissoSu questo particolare e in generale sul comportamento antropomor­ fico, nei confronti delle donne, di Zeus e cli altre divinità in Eschilo cfr. LLOYD-JONES, Zeus in Aeschylus cit., p. 6, e nota 37. 12

13

Cfr.

Suppi. 29, sgg.

I I8

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nante con la linea di interpretazione della tragedia che qui stiamo seguendo . E invece no. La concezione fondamen­ tale di Eschilo era infatti quella che la legge di Zeus no­ nostante tutto si impone : anche a chi non è consenziente, si dice nell'inno a Zeus dell'Agamennone, giunge la sag­ gezza. Ma sul piano della rappresentazione questo « non essere consenziente » non può essere semplicemente enun­ ciato . Se si vuole che lo spettatore sia coinvolto nel di­ scorso dell'autore del testo drammatico occorre che il ter­ mine 'negativo' acquisti sostanza e corpo. Nel Prometeo Eschilo ha spinto le cose sino all'estremo, facendo del mo­ mento del « non consentire » il protagonista che occupa dall'inizio alla fine tutta la tragedia . Paradossalmente, pro­ prio la ' simpatia' che Eschilo creava negli spettatori per Prometeo e per le sue sofferenze diventava nelle sue mani uno strumento conoscitivo . Quanto piu gli spettatori sen­ tivano Prometeo vicino a sé, tanto piu dovevano far pro­ pria anche la superiore legge di Zeus di cui anche le vicen­ de di Prometeo erano una diretta manifestazione. Eschilo non voleva che gli spettatori andassero al teatro solo per abbandonarsi all'onda di un sentimento : l'immedesima­ zione a lui non bastava. Egli voleva che attraverso e al di là (in questo nesso sta la 'difficoltà' del Prometeo) di que­ sto processo di immedesimazione fosse trasmesso un mes­ saggio che egli riteneva universalmente valido. (Si tenga presente che il procedimento dell'immedesimazione nella tragedia greca incontrava forti limiti 'oggettivi' : si pensi in particolare all'uso della maschera, a un tipo di recita­ zione nel complesso assai poco naturalistico, e piu in gene­ rale alla diversa concezione dell'individualità e della coe­ renza psicologica del personaggio) . I l modello Eschilo lo suggeriva agli spettatori attraver­ so il Coro. Le Oceanine sentono pietà e affetto per Pro­ meteo e si lasciano coinvolgere anche nella punizione fina­ le, e pur tuttavia esse , proprio attraverso la « vista » delle sofferenze di Prometeo, apprendono la validità della nor­ ma etico-religiosa che era quella di Zeus (e di Eschilo) ma non quella di Prometeo. Analogo, e ugualmente significativo, è il comportamen­ to del Coro nei confronti di Io. Al v. 69 5 il Coro afferma

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che « avendo visto » la situazione di lo « ha paura ». Anche per lo come già nei confronti di Prometeo si determina nd Coro l'associazione del motivo della paura e di quello dd vedere, anche se nd caso di lo si tratta solo di un ac­ cenno, mentre nei riguardi di Prometeo la cosa ha un ben piu ampio sviluppo. Tuttavia, secondo un modello ana­ logo a quello usato a proposito di Prometeo, anche nei confronti di lo il Coro prende le distanze. Nello stasimo dei vv. 8 8 7 sgg. le Oceanine lodano anzitutto la « saggez­ za » di chi non desidera fare delle nozze che vadano al di là della propria condizione; e successivamente esse dichia­ rano di rifiutare una verginità priva dell'affetto dell'uomo (si ricordi il tema-base delle Supplici) . In tal modo non solo il Coro non recepisce le critiche rivolte a Zeus da lo, ma può anche ribadire, alla fine dello stasimo, l'impossi­ bilità di sfuggire ai disegni di Zeus. Ma c'è un altro aspetto, importante, della questione che deve essere considerato. Ed entra in gioco a questo propo­ sito uno dei nodi essenziali della poetica eschilea. Era una delle costanti fondamentali della poesia eschilea la ten­ denza a inglobare la realtà entro uno 'schema' intellet­ tuale, di ordine etico-didattico. Questo si constata già a livello di singole immagini. Non c'è di regola in Eschilo l'immagine di tipo omerico, conclusa in se stessa, ma al­ l'interno dell'immagine eschilea (attraverso l'inserzione di richiami che dall'illustrans rimandano all'illustrandum e attraverso l'inserzione nell'immagine di termini genera­ lizzanti ad essa estranei) si infiltra il giudizio etico : è co­ me se la realtà fosse percorsa da linee di forza e da ner­ vature (etico-religiose) che ne costituiscono l'ossatura. E la stessa tendenza si verifica anche a livello di articolazione della vicenda tragica nel suo complesso. Senonché, volta per volta, Eschilo si trovava di fronte l'estrema difficoltà (in effetti, l'impossibilità) di un'operazione del genere, che di fatto consisteva nella sovrapposizione sulla realtà di un ordine di idee a cui essa non poteva non essere re­ frattaria. E la realtà, la stessa realtà 'evocata' dal poeta, non si lascia 'eticizzare' del tutto, non si lascia ingabbiare fino in fondo in uno schema etico-didattico. Questo lo ab­ biamo già visto per i Persiani, e lo constateremo anche per

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l'Orestea (rimando al capitolo v ) . Nei Persiani, in partico­

lare, la realtà della sciagura che ha colpito Serse e il suo regno travalica, come ho detto nel capitolo precedente, i limiti di un discorso etico-rdigioso ; e affiora in questo con­ testo, come si è visto, una concezione che Eschilo a un livello etico-intellettuale rifiutava e che intendeva inglo­ bare nel suo discorso, ma di cui tuttavia sentiva la forza: la concezione di una divinità ostile agli uomini e dalla qua­ le derivano i mali che colpiscono gli uomini. Nel Prometeo, non ci sono dubbi sulla valutazione che Eschilo dava del contrasto tra Zeus e Prometeo e che vo­ leva suggerire agli spettatori. E pur tuttavia, anche nel Prometeo non tutto si lascia costringere entro lo schema di questa valutazione . E la realtà delle sofferenze di Pro­ meteo e di Io e della loro protesta contro una divinità considerata ingiusta e artefice dei loro mali, questa realtà non sta del tutto al gioco che Eschilo voleva condurre, e tende invece a porsi autonomamente, con una sua intensa carica di vitalità espressiva. Ma si badi bene. Questa vi­ talità espressiva non va confusa con una espressione di consenso da parte del poeta. Sull'interpretazione del Pro­ meteo ha pesato negativamente proprio il fatto che nella carica espressiva del Titano (e di lo) è stato visto il segno di un consenso di Eschilo con le sue posizioni. Le cose in­ vece non stanno cosf. E negli intendimenti di Eschilo la carica di cui sono dotati i personaggi di Prometeo e di Io è strumento di un discorso che deve andare al di là della immedesimazione degli spettatori con questi personaggi.

7 . Le « technai » e il mondo del lavoro.

Le considerazioni che abbiamo fatto finora non possono non avere, è facile immaginarlo, delle implicazioni impor­ tanti per ciò che riguarda le technai, le ' arti', che Prome­ teo ha dato agli uomini e la valutazione che Eschilo inten­ deva suggerire di esse . Occorre a questo proposito fare anzitutto una osservazione preliminare. Gli attributi, in senso limitativo, che il Coro attribuisce agli uomini nei vv . 545 sgg. (essi sono, come ho ricordato, « effimeri », in-

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capaci di aiutare Prometeo, la loro debolezza è simile a un sogno ed incatena la « cieca » stirpe degli uomini) rie­ cheggiano direttamente il quadro che Prometeo dà degli uomini prima che essi ricevessero il dono delle •arti'. Essi erano, dice Prometeo nei vv. 442 sgg., privi di senno (il termine usato è nepios, che, come ho ricordato, richiama­ va già di per sé tutta la problematica, da Omero in poi, dell'insufficienza del conoscere dell'uomo di fronte alla di­ vinità) , essi « pur vedendo vedevano vanamente » e « sen­ tendo non sentivano », e « simili a forme di sogno in tutta la loro lunga vita tutte le cose confondevano ». Le coinci­ denze tra i vv. 442 sgg., di Prometeo, e i vv. 5.54 sgg., del Coro, non possono essere casuali: si noti specificamente l'equiparazione degli uomini a « forme di sogno », il parti­ colare della loro cecità (il « vedere vanamente » del v. 447 coincide in sostanza con il non vedere, come dimostra al di fuori di ogni ragionevole dubbio la susseguente espres­ sione « sentendo non sentivano » ) , e piu in generale la con­ statazione di una situazione di estrema debolezza e limi­ tatezza delle capacità umane. Se Eschilo ha inserito que­ sti richiami a distanza (a non grande distanza) lo ha fatto con un intento ben preciso. In realtà, in tal modo le tech­ nai che Prometeo ha dato agli uomini vengono tendenzial­ mente a essere svuotate di una reale validità. Anche do­ po che gli uomini hanno ricevuto da Prometeo le tecni­ che della costruzione delle case, della lavorazione del le­ gno, della distinzione delle stagioni, delle lettere, ecc. , es­ si, per ciò che concerne i dati essenziali della loro situa­ zione, continuano a trovarsi nella stessa situazione di de­ bolezza e di impotenza in cui si trovavano prima: l'aver ricevuto il dono di tutte queste tecniche si è dimostrato semplicemente irrilevante per ciò che riguarda una reale modificazione della condizione umana. E questo, si badi bene, nonostante che Prometeo nell'introdurre il suo di­ scorso sulle technai si attribuisca il merito di avere modi­ ficato la primitiva situazione di debolezza degli uomini 1 , I

ar. VV,

443

sgg. �

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e attraverso queste attività gli uomini si procurano da vi­ vere, chi in un modo chi in un altro. L'angolo visuale da cui si colloca Solone è quindi diverso rispetto a quello di Prometeo, il quale invece, parlando delle technai come di doni che egli ha dato agli uomini, non intende certo mettere in rilievo il loro essere esposte all'insuccesso né intende, piu in generale, porre l'accento sull'estrema va­ rietà dell'operosità umana. E pur tuttavia è significativo il fatto che in Solone, in un modo analogo al Prometeo di Eschilo, l'elenco delle varie attività umane dei vv. 43-62 sia preceduto e seguito da considerazioni dove l'accento batte decisamente sulla limitatezza della condizione uma­ na e sul dipendere dell'uomo dalla divinità. Nei vv. 3342, infatti, Solone ricorda la vanità dell'umano opinare, nel senso, tra l'altro, che ognuno spera in qualcosa di a lui favorevole, fin tanto che non gli succeda qualcosa di nega­ tivo: affiora nel v. 35 la problematica relativa al nesso, che nella sostanza è fatto proprio anche da Eschilo, tra sofferenza e acquisizione di un retto sentire. Nei vv. 63 sgg., d'altra parte, dopo l'elenco delle varie attività uma­ ne, l'accento batte sul riconoscimento della legge di neces­ sità e sul fatto che per ogni cosa è la divinità, e non l'uo­ mo, a decidere e a dare agli uomini guadagno e sventura 3 : anche in questo caso si tratta ovviamente di un ordine di idee che era molto sentito da Eschilo e che, come si è vi­ sto, ha lasciato tracce anche nel Prometeo. Fermo restando che Eschilo ha sentito l'influenza di So­ lone anche per elementi essenziali della sua concezione etico-religiosa, non c'è ragione di ritenere che egli si ispi­ rasse a Solone anche per ciò che riguarda lo schema com­ positivo per cui, nel Prometeo, il racconto delle technai è incluso tra due passi fortemente limitativi nei confronti delle capacità dell'uomo. E pur tuttavia la coincidenza non cessa di essere significativa, dal momento che può es­ sere rivelatrice di linee di tendenza 'oggettive' della so­ cietà e della cultura greca piu arcaica. 3 L'espressione /iwpri 6' /icpux-rri hwv del v. 64 si può confrontare con i vv. 147-48 e 2 1 6-17 dell'Inno a Demetra.

r 24

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Ma occorre ora ampliare un poco il discorso e chiedersi che posto avessero nella cultura greca arcaica le tecniche, in quanto attività 'specializzate' e che posto avesse piu in generale in essa il lavoro umano 4 • In realtà, la struttura­ zione della società greca arcaica (non mi riferisco qui esclu­ sivamente alla presenza della manodopera servile) era tale che essa non forniva uno stimolo adeguato a un incre­ mento della produzione e quindi a un progressivo svilup­ po tecnico, anche, e in particolare, per quel che riguarda l'agricoltura. Inoltre, la struttura sociale era tale da resi­ stere nella sostanza (si tenga presente anche il fenomeno della colonizzazione) a carestie e comunque a forti limita­ zioni nella disponibilità di beni di sostentamento, il cui peso era tendenzialmente sopportato dai ceti meno ab­ bienti, tenuti al di fuori del controllo del potere politico. La dissociazione, d'altra parte, tra la classe che control­ lava il potere politico e la cultura da una parte, e i gruppi sociali (servi, meteci, cittadini meno abbienti) sui quali ri­ cadeva il peso del lavoro manuale dall'altra, comportava che nella cultura greca arcaica ciò che era attività pratica occupasse un posto basso nella scala dei valori e fosse con­ siderato nella sostanza incompatibile con la condizione di uomini 'liberi'. Il nostro concetto stesso di lavoro non tro­ va corrispondenti precisi nella cultura greca arcaica : la lingua greca non conosce un termine precisamente corri­ spondente al nostro di « lavoro », e la parola greca ponos sottolineava l'elemento di pena e di costrizione che l'atti­ vità pratica comportava •. 4 Cfr. , tra gli altri, B. FAlllllNGTON, Lavoro intellettuale e lavoro ma­ nuale nell'antica Grecia, trad. it. Milano 19,,; ID. , Storia della scienia greca, trad. it. Milano 1964; J.·P. VERNANT, Mito e pensiero presso i Gre ci, trad. it. Torino 1970 (si vedano in particolare i saggi Lavoro e natur1 nella Grecia antica, Aspetti psicologici del lavoro nella Grecia antica, Os­ servazioni sulle forme e sui limiti del pensiero tecnico presso i Greci) ; M. I. FINLl!Y, L'economia degli antichi e dei moderni, trad. it. Bari 1974 (su quest'opera si vedano anche le mie osservazioni in « Rinascita ,., 32 197', n. 14, pp. 33-34); H. w. PLl!KET, Technology in the Graeco-Roman World: a Generai Report, « Talenta ,., ,, 1973, pp. 6-47. E dr. anche i miei Appunti su marxismo e mondo antico, « Quaderni di storia ,., 4 , 1978, n. 8, pp. '3-98. ' Cfr. VERNANT, Mito e pensiero cit., pp. 1n sgg.

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Tutto questo, naturalmente, viene presupposto e rifles­ so anche nelle testimonianze letterarie. Nell'elegia Alle Muse di Solone all'elenco delle varie attività umane, di cui si sottolinea in piu casi la pericolosità e la possibilità di insuccesso, si associa, come ho ricordato, un messaggio etico-religioso, nel contesto del quale l'accento batte sulla dipendenza dell'uomo dagli dei e sulla necessità dell'os­ servanza della legge di giustizia. Certo, in Solone gioca­ vano un ruolo molto importante considerazioni specifica­ mente politiche nel senso che egli, contrapponendosi a una politica meno lungimirante, cercava di realizzare un ordine sociale e politico tale che recuperasse le capacità lavorative e produttive di gruppi sociali che erano stati emarginati. Solone non negava quindi certo il ruolo del lavoro; ma l'attività pratica dell'uomo doveva per lui es­ sere inserita in un contesto etico-religioso di cui il poeta stesso si poneva come portavoce. Si ricordi anche il modo come Pindaro nella I Istmica parla delle attività dipendenti a pagamento. Il lavoro di­ pendente è contrapposto a chi ottiene gloria negli agoni o in guerra, ed è del tutto assente l'intento di sottolineare l'abilità tecnica, in quanto applicazione di conoscenze spe­ cializzate: l'accento batte invece esclusivamente sullo sfor­ zo per la sopravvivenza. Da un angolo visuale diverso sembra che si ponga Bacchilide nel X epinicio, quando tra le diverse vie per raggiungere gloria o considerazione po­ ne anche l'agricoltura e la cura relativa ai buoi. Senonché Bacchilide non parla specificamente del lavoro dipenden­ te, e l'attività agricola è vista in modo indifferenziato sen­ za che si distingua tra coloro su cui ricade il peso del la­ voro manuale e il proprietario che organizza e utilizza per sé questo lavoro. L'accento batte sull'incertezza dell'esito e nessun rilievo viene dato, nemmeno per via indiretta, all'abilità 'tecnica' 6 • 6 Anche nel settore piu specificamente 'filosofico' queste linee tendono a mettersi in evidenza. G. Cambiano nel suo pregevole saggio Platone e le tecniche, Torino 1971, ha mostrato in modo convincente come, tra l'al­ tro, sia nella filosofia eleatica che in Empedocle si faccia luce un atteggia­ mento che è di opposizione o comunque limitativo nei confronti delle

technai.

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In particolare per quel che riguarda l'Atene della pri­ ma metà del secolo v a. C. non va dimenticata l'essenziale importanza che per questa polis ebbe lo sfruttamento in­ tensivo delle miniere d'argento del Laurio. Certo, questo sfruttamento comportava delle tecniche altamente specia­ lizzate 7 • Ma si trattava di un campo specifico e circoscrit­ to, nel quale, tra l'altro, l'uso della manodopera servile era la regola e non l'eccezione. Ma soprattutto, grazie alla 'convenzione' dello scambio monetario Atene poté 'artifi­ ciosamente' accrescere la disponibilità di beni senza che si avesse un corrispondente incremento della produzione agricola e un miglioramento delle tecniche corrispondenti. E analogamente, la creazione dell"impero', che anch'esso condizionò per varie vie la 'prosperità' di Atene nel v secolo a. C. (fra l'altro, la disponibilità di argento giocò un ruolo essenziale nella creazione della flotta e quindi nella conseguente affermazione egemonica di Atene), era un fenomeno 'politico' che evidentemente poco aveva da fare in ultima analisi con il mondo del lavoro e delle tec­ niche. Non sorprende quindi che anche nel Prometeo le atti­ vità produttive degli uomini vengano poste in un conte­ sto limitativo. Questo avviene, come ho già detto, già at­ traverso uno schema compositivo particolare, per cui il racconto delle technai si colloca tra due passi attraverso i quali, grazie a un preciso gioco di corrispondenze, si af­ ferma invece la linea che punta verso la sottolineatura della debolezza della condizione umana. Ma c'è un altro particolare su cui occorre richiamare l'attenzione. Il Klein­ giinther • ha fatto giustamente notare che nel racconto delle technai Prometeo non solo non sottolinea l'impor­ tanza, ma non accenna nemmeno in nessun modo al fuoco, in relazione alle varie attività la cui conoscenza gli uomini hanno ricevuto in dono dal dio. La cosa effettivamente sorprende, dal momento che nella parte iniziale della tra7 Cfr. E. ARDAILLON, Les mines du Laurion dans l'antiquité, Pari.� 1 897. 1 Cfr . .... KLEINGiiNTHEll, Ilpw-io,; EÙptn),;, Leipzig 1933: dr. in parti­ colare pp. 66-90.

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gedia piu volte si era accennato al nesso tra il fuoco e le 'arti'. Al v. 7 Kratos definisce il fuoco che Prometeo ha rubato come pantechnon (qualcosa come «artefice di ogni arte») ; nei vv. 1 1 0-1 1 Prometeo stesso afferma che il fuo­ co rubato si è rivelato per i mortali «maestro di ogni ar­ te»; nel v. 254, ancora piu sorprendentemente, Prometeo dice che dal fuoco i mortali «impareranno molte arti». Sembra certo quindi che in questi passi Eschilo voglia suggerire una connessione molto stretta tra il fuoco e le varie attività umane che presuppongono delle tecniche specifiche. Invece quando nei vv. 442 sgg. Prometeo viene a parlare diffusamente del suo dono delle 'arti', del fuoco non si parla. Ma c'è di piu. Prometeo conclude tutto il suo lungo discorso con queste parole : «tutte le arti agli uo­ mini da Prometeo » (v. 506). Sia pure attraverso una co­ struzione nominale qui Prometeo presenta l'acquisizione delle 'arti' imparate dagli uomini come sostanzialmente conclusa (tra l'altro, l'affermazione del v. 506 viene dopo che il taglio del discorso si è fatto molto piu rapido sino a ridursi a una veloce enumerazione delle varie 'arti' che gli uomini hanno ricevuto da Prometeo) ; e questo contrasta con il v. 254 dove lo stesso Prometeo aveva detto al Co­ ro : «dal fuoco molte arti gli uomini impareranno». Su un piano del tutto astratto, si potrebbe supporre che, poiché nel v. 506 Prometeo si riferisce al dono che egli ha già fatto delle 'arti' agli uomini, ciò non esclude che essi sulla base di ciò che hanno ricevuto da Prometeo possano in futuro accrescere le loro competenze tecniche. Senonché nel v. 254 l'accento batte sul carattere in fieri di un pro­ cesso che in realtà nel v. 506 tende a essere presentato come concluso; e in piu l'uso del verbo «apprendere» / «imparare» nel v. 254 si pone su una linea totalmente di­ versa rispetto al racconto che fa Prometeo nei vv. 442506, dove mai gli uomini vengono presentati come sog­ getti di un processo di apprendimento. C'è quindi una dissonanza reale, che va spiegata. In realtà, Eschilo ha nel Prometeo operato una associa­ zione tra il mito del furto del fuoco da parte del Titano e il discorso, a esso estraneo, relativo alle origini delle 'arti'

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tra gli uomini •. Si trattava, è facile capirlo, di un'opera­ zione audace, che comportava una certa forzatura; ed era facile che l'associazione delle ' arti' con il tradizionalmente prometeico furto del fuoco portasse a delle dissonanze, come quella in particolare che risulta dal v. 2 .54. E proprio questa dissonanza può essere una spia significativa per co­ gliere a quale filone culturale Eschilo si ricollegava con l'episodio delle ' arti'. La cosa infatti che anzitutto colpisce nel racconto di Prometeo dei vv. 442 sgg. è il fatto che, come ho ricor­ dato, gli uomini non sono essi stessi scopritori delle tech­ nai, ma sono semplicemente i destinatari del dono di Pro­ meteo . A questo proposito occorre ricordare che per quel che riguarda le origini delle ' arti' si erano delineate nella cultura greca arcaica, prima di Eschilo, due linee diverse. C'era infatti tutto un complesso di miti secondo cui gli inventori erano gli dei e dagli dei gli uomini ricevevano le varie competenze specifiche nei diversi settori delle loro attività . Secondo l'inno 'omerico' ad Afrodite (V) Atena aveva insegnato agli uomini a fare i carri; secondo un mi­ to recepito già da Pindaro nella XII Pitica (del 490 a. C.) 0 la stessa dea aveva « trovato » l'arte auletica 1 ; certamente antichi, anche se le testimonianze specifiche compaiono in testi piu tardi, sono da considerare i miti che presup­ pongono Atena come inventrice dell'arte di aggiogare i cavalli o di coltivare l'ulivo ; nella VII Olimpica, da datare • Mi pare che il Kleingiinther abbia ragione quando sostiene che l'at­ tribuzione a Prometeo di tutto il complesso delle technai sia una 'inven­ zione' di Eschilo. A parte tutta una serie di miti relativi alle invenzioni delle varie arti nei quali non c'è dubbio che Prometeo non compariva, per quel che riguarda i numeri Eschilo stesso recep{ in un'altra tragedia il mito che ne attribuiva l'invenzione a Palamede: cfr. fr. adesp. 470 N. - fr. 303 M. Che si tratti del Palamede di Eschilo, come del resto oggi si ritie­ ne generalmente (Hermann pensava ad Euripide), sembra anche a me si­ curo. Una 'citazione' alla lettera del tipo di quella che risulta dal con­ fronto tra il v. 4 del frammento e il v. 459 del Prometeo sembra impossi­ bile riferirla a Euripide. E poi si noti che Euripide nel fr. 578 del Pala­ mede si esprime in termini diversi e se mai 'compete' con i versi corri­ spondenti del Prometeo di Eschilo. t significativo anche che nel fram­ mento del Palamede (- &. adesp. 470 N.) Eschilo al v. 3 qualifichi il nu mero come 11c!:vaoq>ov, mentre tale aggettivo non compare nel passo corri­ spondente del Prometeo: Prometeo non è aoq>bç. IO ar. vv. 6-7 ·dxvQt -i:c!:v "KO"l:E Ilriì..M,; fq>EUPE.

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al 464 a . C., Pindaro racconta che Atena trasmise a i rodii Heliadi « ogni arte », e in particolare quella di costruire 11 statue meraviN1iose • Miti analoghi esistevano anche per altre divinità ; e da tutto questo complesso di miti risul­ tava una concezione secondo cui gli uomini venivano a porsi in una condizione per cosf dire subalterna di &onte alla divinità. Senonché era affiorata nella cultura greca arcaica, anche a proposito delle 'arti', una diversa concezione che poneva nella sostanza l'uomo come artefice delle sue attività. La cosa merita qualche chiarimento. In effetti, nonostante una fondamentale rigidità della cultura greca arcaica e uno scarso rinnovamento della tecnologia per ciò che riguarda le attività produttive fondamentali, erano affiorate in que­ sta cultura già prima della metà del v secolo a. C. degli in­ dirizzi razionalistici, nel cui ambito l'accento batteva non sul riconoscimento di una norma religiosa ma sulla cono­ scenza dei dati obiettivi della realtà. Contribuivano a que­ sto fenomeno vari fattori : una differenziazione di attività e di compiti all'interno di una società pur regolata da strutture rigide, la disponibilità per l'osservazione della realtà garantita da una struttura sociale che permetteva l'otium ad alcuni suoi elementi privilegiati, la ricezione di conoscenze scientifiche da mondi culturali diversi da quel­ lo ellenico, la particolare situazione della Ionia nel VII e nel VI secolo a. C. Resta aperta naturalmente tutta una se­ rie di problemi che non possono essere affrontati qui (il nesso tra lo sviluppo della tecnica e quello della scienza, l'incidenza nel progresso tecnico e scientifico dei bisogni emergenti dalla società, il grado di tollerabilità entro strut­ ture chiuse di una conoscenza scientifica) ; e pur tuttavia è fuori discussione che anche nella cultura greca arcaica esistevano margini per una conoscenza scientifica, la quale per altro non comportava pericoli rilevanti per le strutture sociali e politiche. Entro questa concezione scientifica del11 Cfr. vv. ,o sgg. a:ù-tà. St cnp1aw CmllOl! 1:hv11v x1:À.. t significativo l'uso dd verbo 01ta.l;w che viene usato da Eschilo per Prometeo in Prom. 8, 30 e 2,2. u Su tutto questo complesso di miti, anche per ciò che riguarda in particolare Atena, cfr. KLEINGUNTIIEJl, llpW"to, VII 3,4.,, (e tav. 443).

CAPITOLO QUINTO di epoche posteriori ad Eschilo, che tuttavia possono an­ ch'esse essere di un certo significato n, l'intervento nell'al­ dilà di 'demoni' ostili al morto è sporadicamente, ma sicu­ ramente documentato; e le Erinni di Eschilo che persegui­ tano il morto anche negli inferi si ricollegano a modelli culturali di cui a noi tramite le arti figurative sono arri­ vate, anche se probabilmente parziali, delle tracce inequi­ vocabili. D'altra parte, nel caso del demone della metopa dello Heraion alla foce del Sele la persecuzione si esercita su un morto che in vita si è macchiato di una colpa; per que­ sto aspetto dunque il demone assolve ad un compito di giustizia. La persecuzione nell'aldilà di coloro che in vita hanno commesso delle colpe è una concezione che, com'è noto, non è affatto generalizzata nella cultura greca arcai­ ca. Accenni sporadici in questa direzione si possono rin­ tracciare però nelle formule di giuramento attraverso le quali, già nell'Iliade, chi giurava invocava su di sé una punizione nel mondo degli inferi in caso di spergiuro 21: in un caso all'esecuzione della punizione presiedono le stesse Erinni 29 • Come ha - tra gli altri - osservato il Rohde 30 , nelle formule tendono a sopravvivere elementi del passato. Si intravedono quindi le tracce di modelli cul­ turali molto antichi che sono raffrontabili con la funzione attribuita da Eschilo nelle Eumenidi alle Erinni, anche se il caso dello spergiuro è del tutto particolare, dal momento che è la stessa persona che eventualmente sarà punita a 'chiedere' la punizione. E su questa linea tende a porsi la descrizione della punizione di Tizio, Tantalo e Sisifo nella Nekyia dell'Odissea 3 1 : si tratta sempre però di casi signi27 Cfr. anche « EAA ,., III 416-18. 21 Si vedano su tutta la questione le ottime osservazioni di ROHDE, Psiche cit., pp. 67-68, che riproduco nella sostanza (e cfr. anche NILSSON . Geschichte cit. , I , p. 677, nota 4). 29 Cfr. Il. XIX 2,s sgg. 30 Cfr. Psiche cit., p. 67. 31 Cfr. Od. XI ,16-600. I complessi problemi relativi alle 'sttatificazio­ ni' che certo sono presenti nella Nekyia, non possono essere affrontati in questa sede. Per la concezione che i tre 'penitenti' presuppongono la valu­ tazione piu equilibrata mi pare che sia stata data da ROHDE, Psiche cit. , pp. 64-66. Non c'è nessuna ragione per ritenere che questa parte della Nekyia sia orfica: dr. anche NILSSON, Geschichte cit., I , p. 677 e nota 2

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ficativi, ma eccezionali, che non possono essere genera­ lizzati. D'altra parte, però, nel v secolo a. C. troviamo attesta­ zioni della punizione nell'aldilà di persone che hanno com­ messo colpe 'generalizzabili'. Nella Nekyia di Polignoto appariva un uomo che si era macchiato di colpa nei con­ fronti del padre (« non giusto nei confronti del padre » è l'espressione di Pausania che descrive il dipinto) e veniva punito dal padre stesso, rappresentato nell'atto di stran­ golarlo; e vicino c'era l'immagine di un uomo che aveva commesso sacrilegio, per furti nei templi, e anch'esso ve­ 32 niva punito • Qualche decennio dopo che Polignoto aveva dipinto la Nekyia, nelle Rane Aristofane parlava di coloro che giac­ ciono in molto fango e in sterco eterno (si tratta evidente­ mente di una punizione): sono quelli che in vita hanno commesso spergiuro, hanno picchiato il padre o la madre, sono stati ingiusti nei confronti di un ospite, o hanno truf­ fato un bambino. Ad essi si contrappongono, d'altra par­ te, gli iniziati, che godono di boschetti di mirto e di suoni di flauto, ed è significativo che questi iniziati presentino se stessi come persone che in vita tenevano un comportamen­ to pio sia verso gli stranieri che verso i concittadini ". La punizione nel mondo degli inferi di alcune colpe par­ ticolarmente aborrite appare quindi sufficientemente do­ cumentata nel v secolo a. C. , anche se nemmeno le Rane di Aristofane autorizzano a indebite generalizzazioni (e si ricordi il riecheggiamento di analoghe dottrine 'orfiche' di Pindaro, in particolare nella II Olimpica, del 476 a. C., e in qualche threnos). In questo ordine di idee si pongono certamente anche le Eumenidi di Eschilo. Si è già visto che le Erinni stesse parlano di una loro punizione dei morti. Si deve ora aggiungere che questa loro azione esse la collo­ cano in un contesto piu ampio, al cui centro si pone l'atti­ vità giudicante di Ade. Quando nei vv. 267 sgg. le Erinni minacciano di trasci(non del tutto a ragione il Nilsson vuol far valere il principio della 'ite­ razione' anche per i tre 'penitenti'). 32 Cfr. Paus., X 29. 4-,. 3 3 CTr. Ran. 14, sgg., 1,4 sgg. , 4,6 sgg.

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CAPITOLO QUINTO

nare vivo Oreste nel mondo degli inferi, aggiungono che egli vedrà se altri hanno commesso colpe tenendo un at­ teggiamento empio nei confronti della divinità o di un ospite o dei genitori: le Erinni precisano, e si tratta di una precisazione importante, che ognuno di essi ha ciò che gli tocca secondo giustizia: sotto terra c'è infatti il potente Ade che giudica i morti e ogni cosa vede nella sua mente, dove le colpe degli uomini si iscrivono come su una tavo­ 34 letta • La persecuzione di Oreste è quindi associata con un nesso molto stretto alla punizione, una giusta puni­ zione, che si compie sotto terra di coloro che si sono mac­ chiati di colpe particolarmente riprovevoli: il nesso risul­ ta ancora piu chiaro se si ricorda che precedentemente le Erinni avevano accusato Oreste di essere « empio » e « osti­ 35 le ai genitori » • Eschilo non dice che sono le Erinni a pu­ nire tutti coloro che si sono macchiati delle colpe che ven­ gono enumerate nei vv. 269 sgg., anzi si esprime in modo che la cosa resti deliberatamente non definita. Quello che importa ad Eschilo è che l'attività punitrice delle Erinni nei confronti del matricida venga inserita in un quadro piu ampio, entro al quale trovano posto anche tutti gli al­ tri che commettono colpe particolarmente gravi e che giu­ stamente vengono puniti nel mondo degli inferi. D'altra parte, anche se tace deliberatamente sulle modalità della punizione, Eschilo tiene a sottolineare che l'attività giudi­ cante (un'attività equiparata a quella del pubblico ufficia­ le, l'euthynos, che ad Atene esercitava un'azione di con­ trollo) risiede presso Ade: l'attività delle Erinni trova in Ade un preciso punto di riferimento. La funzione attribuita ad Ade nei vv. 269-75 delle Eu­ menidi coincide nella sostanza con quella attribuita a Zeus stesso in un passo delle Supplici 36, dove si parla di un « al­ tro » Zeus che tra i morti « giudica » delle colpe degli uo­ mini, pronunciando l'estrema sentenza . La concezione di 34 Cfr. V. 27' llt>..i:oyp� 6t iia.v,:' tm.11tq. q>()EVl. In liiwiiq. c'è piu del semplice « vedere » o « guardare », ma si richiama anche l'azione di con­ trollo che la divinità esercita sulle cose degli uomini: dr. anche sopra p. 216, nota 1,. 35 Cfr. Eum. 1,1-,2. 36 Cfr. vv. 230-31.

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uno Zeus ctonio trova precisi, anche se sporadici, punti di riferimento nella letteratura e nelle testimonianze rela­ tive al culto, ma è comunque singolare l'attribuzione a questo Zeus del mondo degli inferi di una funzione, quella di esercitare la giustizia, che Eschilo sentiva come essen­ ziale dello Zeus olimpio. Il fatto dunque che nelle Eume­ nidi Ade prenda per cosi dire il posto che nelle Supplici era di Zeus n conferma che il compito di esercitare la giu­ stizia attribuito ad Ade veniva da Eschilo sentito come qualcosa di essenziale . D'altra parte, l'immagine, impli­ cita ma chiara nel v. 275 delle Eumenidi, secondo cui le colpe degli uomini si iscrivono nella mente di Ade come su una tavoletta, richiama un passo del celebre frammento 11 di Dike recuperato attraverso un papiro di Ossirinco , dove la Giustizia dichiara che le colpe degli uomini ella le scrive sulla tavoletta di Zeus : un'immagine che altrove, in un contesto analogo, Eschilo usa per Dike e per Zeus, nelle Eumenidi viene significativamente riferita ad Ade . Anche altrove nella tragedia si fa luce il nesso tra una norma di giustizia e il compito a cui assolvono le Erinni. Esse stesse se ne mostrano consapevoli. « Rettamente giu­ ste - proclamano esse al v. 3 1 2 servendosi di un termine raro che dà maggiore solennità all'affermazione - noi rite­ niamo essere » . Il modo, poi, come esse si esprimono su­ bito dopo nei vv. 3 1 3-20 rivela la ricezione di moduli espressivi propri di chi esercita la giustizia . Il discorso si articola per via di una contrapposizione, per cui da una parte si pone colui che è in grado di mostrare, pure, le sue mani (e costui non viene colpito dall'ira delle Erinni e « senza danno trascorre la sua vita ») e dall'altra parte si pone colui che invece cerca di nascondere le sue mani in­ sanguinate (e nei riguardi di costui le Erinni, rette testin Anche il termine Ellluvcu; che Eschilo in Bum. 273 riferisce ad Ade era, dato anche il contesto entro cui si trova oollocato, cariai di una riso­ nanza che portava verso Zeus: in Pers. 828 infatti (il solo altro passo do­ ve il termine si trovi attestato in Eschilo) a!!Duva,;, nella stessa sede metri­ ca di Bum. 273, è riferito a Zeus, proprio nella sua funzione di punitore di atteggiamenti di hybris. 11 Cfr_ p_ Oxy. 22,6 fr_ 9 a (- F. no Mette) , v_ 21 (il termine clp.1tÀ.o:x-/Jµ«"ta. ritorna in Suppi. 230-3 1 , dove si parla dell'attività giudican · te dello Zeus ctonio)_

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moni in favore dei morti, si rivelano nella loro funzione di esigere il suo sangue). C'è dunque da una parte una as­ soluzione e dall'altra parte una condanna; e appare chiaro l'intento di Eschilo di equiparare il comportamento delle Erinni al giudice che esercita la giustizia. Naturalmente, in questo passo la sfera di competenza delle Erinni appare limitata ai delitti di sangue: il con­ trassegno distintivo è la presenza o meno del sangue sulle mani che esse giudicano. Pur tuttavia, si intravede anche qui il senso di una consapevolezza che va al di là dell'omi­ cidio. È significativo, al v. 3 1 5 , l'uso del termine asines (senza sinos, senza «danno», detto, come si è visto, di co­ lui che, assolto, trascorre «indenne» la sua vita). Ora, il termine sinos aveva in Eschilo una risonanza del tutto par­ ticolare. Nel v. 389 dell'Agamennone la parola è usata per indicare la punizione che colpisce, inevitabilmente, colui che si è macchiato di colpa (il discorso è condotto in termini assolutamente generali) e si è lasciato guidare dal­ la «disgraziata persuasione». Il termine è usato poi nel v. 734 dell'Agamennone per indicare la strage di bestiame domestico che il leoncino compie nella casa, rivelando cosi la sua natura, una volta adulto, dopo essere stato la gioia della famiglia . Ora, come ho già accennato nel capitolo precedente, la vicenda del leoncino viene chiaramente pre­ sentata da Eschilo come 'simbolo' della punizione che col­ pisce dopo un certo tempo anche colui che in un primo momento è fiducioso e contento di come vanno le cose : in particolare, Eschilo si riferisce alla vicenda di Elena il cui arrivo a Troia sembra all'inizio un fatto lieto e alla fine si rivela come la rovina dei Troiani, per opera , si badi bene, della Erinni: il nome della divinità è messo alla fine della strofe, con grande intensità espressiva . Il termine sinos ricompare dunque, ancora una volta, in un contesto in cui esso, per cosi dire, assolve a una funzione di giustizia, in­ tesa in modo lato, senza limitazioni Dietro al termine 39



39 Il termine a-tvoc; compare solo nell'Agamennone (oltre ai due passi citati, anche in v. ,61 , che però si pone in un contesto diverso), e an-::M l'uso di cla-wf1c; è particolarmente rilevante nell'Orestea (dr. anche Agam. 1341, in un contesto relativo alla punizione che colpisce l'uomo in conoe-

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asines che le Erinni usano al v. 3 1 5 delle Eumenidi c'è quindi una risonanza che dilata i termini del problema al di là del semplice delitto di sangue. Probabilmente non è nemmeno del tutto casuale ( in questo come nel caso precedente non è necessario ovvia­ mente presupporre una esplicita consapevolezza del poe­ ta : si tratta di fenomeni che si possono realizzare a un li­ vello per cosf dire irriflesso) che il termine euthydikaioi attraverso il quale le Erinni nel v . 3 1 2 delle Eumenidi proclamano, come ho già ricordato, di essere « rettamente giuste » ricompaia in Eschilo (si tratta dell'unica altra atte­ '° stazione ) appunto nello stasimo dell'Agamennone dove si parla del leoncino e dell'arrivo di Elena a Troia : nel v. 7 6 1 dell'Agamennone i l termine è usato in un'accezione lata e riferito alle case che, come ricordato nel capitolo precedente, in quanto « rettamente giuste », sono premiate. Guardando per cosf dire in controluce il passo dei vv. 3 1 2 sgg. delle Eumenidi si scopre una :filigrana che richia­ ma un uso della nozione di giustizia che va al di là della competenza relativa ai delitti di sangue. Questo è confer­ mato, nello stesso stasimo, dalle parole del Coro. Nei vv . 3 68 sgg., infatti, le Erinni allargano l a portata del loro discorso. Le glorie degli uomini, anche se molto venerande fin sot­ to il cielo, si dissolvono giu in terra e prive di onore decre­ scono di fronte ai nostri nerovestiti attacchi e alla danza piena di odio dei nostri piedi. Con un grande balzo dall'alto riporto giu la forza dei miei piedi che pesanti si abbattono, arti che provocano la caduta anche di chi velocemente cor­ re, sciagura insostenibile. Egli cade, e non lo sa perché la sua mente è stata sconvolta ; tale tenebra è la contamina­ zione che si è venuta a distendere sull'uomo e una voce densa di pianto parla di una scura caligine nella casa. Va notato anzitutto che attraverso l'immagine della cali­ 41 gine c'è una risonanza di un passo dei Persiani dove i vecguenza di precedenti delitti, e Choeph. 1018, che sembra un'eco del pas, con valore transitivo, è detto di Zeus che agevol­ mente fa decrescere chi spicca e incrementa chi è oscuro. 43 Il concetto espresso in Agam. 46, con "tpLJ3/t J3tou corrisponde a quello reso in Eum. 369 con µwiiltw. 44 Si noti che 1.1,tVEL del v. 381 è richiamato, su un piano puramente fo. nico, da µvfiµowc; del v. 383, con un procedimento che ricorda Agam. 1,4 1,, µ!µwL... µvaµwv µijvw;: i due passi sono accostabili anche a livello di contenuto. Per il significato di l,ltv1L in Eum. 381 e per l'interpretazione di tutto il passo cfr. FRAENKEL, Agamemnon cit., III, p. 737, nota 1 .

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550 sgg., il Coro delle Erinni ricorda, ovviamente consen­ tendo, che chi si arricchisce senza giustizia (nel caso speci­ fico il mercante: ne ho parlato nel capitolo precedente) è .., colpito dalla divinità ed è destinato a oscura morte _ Si ricordi anche che il secondo stasimo è quello dove le Erinni fanno propria la concezione secondo cui la paura può rinsaldare i fondamenti di una giusta convivenza poli­ tica ed enunciano il principio del giusto mezzo : come tut­ to questo costituisca uno dei pilastri ideologici su cui si regge tutta I'Orestea ho detto nel capitolo precedente. In realtà, dalle considerazioni fatte sinora risulta che nelle Eumenidi le Erinni non solo agiscono come impla­ cabili punitrici di delitti perpetrati all'interno del ghenos ma tendono anche a porsi come esecutrici di giustizia, an­ che senza uno specifico riferimento alle vicende interne del ghenos : c'è quindi come una oscillazione, una oscilla­ zione mediata da una gamma di sfumature, tra due poli parimenti significativi. Il rapporto di implicita subordinazione che nei vv. 267 sgg. delle Eumenidi si presuppone tra le Erinni e Ade, il dio che giudica i morti sotto terra, è equivalente nella so­ stanza al rapporto che nel corso dell'Orestea si istituisce tra Dike, la Giustizia, e Zeus (si osservi che, come ho ri­ cordato, la funzione giudicante di Ade è corrispondente a quella a cui assolve Zeus, lo Zeus dei morti, nelle Sup­ plici). Si tenga presente in particolare che a Dike (la quale nel v. 948 delle Coefore è detta, con un gioco etimologico caro a Eschilo, ma che nel caso specifico aveva un preciso 46 precedente in Esiodo, « figlia di Zeus » ) nella parte finale della parodo dell'Agamennone si attribuisce il compito, che è proprio di Zeus, di fornire la saggezza a coloro che sono stati colpiti dalla sciagura. D'altra parte, nel celebre frammento a cui ho già accennato, è Dike che scrive nella mente di Zeus le colpe degli uomini, in modo che esse in 45 In particolare, liVEU 6txric di Eum. "4 richiama liVEU 6txcu; di Agam. 464, e �a-,:oc; di Eum. 565 richiama lv 6'cilcrtoLc; di Agam. 466; e dr. anche xpbllljl di Agam. 463 con �ùv xp6111j1 di Eum. ,,5. E cfr. an.:he Agam. 1005 sgg. 46 Atx11 è Ai.be; x6pci.

CAPITOLO QUINTO seguito possano essere punite ( qui però Eschilo non si ri­ feriva specificamente a punizioni nell'oltretomba) ; e il mo­ do come Dike contrappone i giusti, che sono ricompen­ sati, ai colpevoli ricorda molto da vicino il modo come le Erinni si esprimono nelle Eumenidi, quando - ne ho già parlato - contrappongono chi ha le mani pure a chi invece cerca di nasconderle, per non farle vedere macchiate di sangue. Del resto, un rapporto per cosi: dire di subordinazione tende nell'Orestea a stabilirsi anche tra Zeus e la stessa Erinni. Nei vv. 55 sgg. dell'Agamennone, infatti, a propo­ sito degli avvoltoi che hanno perso i loro piccoli, si dice che Apollo o Pan o Zeus invia contro coloro che hanno portato via i piccoli 47 , come punizione che anche se tardi tuttavia arriva, l'Erinni. Qui si parla di Apollo e di Pan oltre che di Zeus; ma subito dopo, nei vv. 60 sgg., quando si viene a parlare del fatto che ha dato lo spunto alla com­ parazione è solo Zeus che viene presentato come artefice della punizione del delitto di Paride; è chiaro quindi che si stabilisce un rapporto per cosi: dire preferenziale tra Zeus e l'Erinni. E analogamente nei vv. 744-49 dell'Aga­ mennone, quando si dice - dopo la celebre 'favola' del leoncino - che Elena per i Troiani alla fine è apparsa come Erinni, si precisa che ella si è mossa « per impulso », « sot­ 41 to la scorta di Zeus protettore degli ospiti » • In tutti e due i casi quindi l'Erinni appare come ministra di Zeus, come esecutrice di giustizia ; e naturalmente al di fuori di qualsiasi conflitto di sangue interno al ghenos. È significativo, d'altra parte, che l'immagine di Zeus artefice dell'« inviare » ritorni anche nei vv. 382 sgg. delle Coefore, dove di Zeus si dice che (in seguito al delitto per47 Ma si noti che Eschilo usa un'espressione piu generica, TCctpcifiiioi.v: c'è quindi un elemento di generalizzazione e lo slittamento verso una im­ postazione 'astrattamente' etica del discorso. 41 Cfr. v. 748 'l':Oµ'!':� AL�C: �Evlou. L'espressione richiama '1':lµmL di Agam. J9, in un contesto analogo. E nel frammento di Dike Zeus « in­ via ,., '1':lµ'l':EL la Giustizia a coloro ai quali vuole dimostrare la sua bene­ volenza. Il confronto con i due passi dell'Agamennone e con Choeph. 382 sgg. dimostra che l'invio di Dike da parte di Zeus (un fatto certo unico, per quel che noi sappiamo, in Eschilo: su questo si limitava a richiamare l'attenzione il Lobel nell'editio princeps) si inserisce però in un modellJ espressivo tipicamente eschileo.

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petrato: l'espressione è generalizzante, ma c i s i riferisce in prima istanza all'uxoricidio di Clitemestra) manda su da sotto terra « la sciagura, che è punizione, anche se è diffe­ rita nel tempo » . Ora, questa espressione richiama diretta­ mente quella della parodo dell'Agamennone, dove, come ho or ora ricordato, l'Erinni è presentata come punizione 49 che arriva, anche se tardi ; e d'altra parte il nesso tra até 50 (la sciagura) e l'Erinni era strettissimo • L'invio dunque da parte di Zeus della Erinni come esecutrice di giustizia, anche al di fuori del delitto di sangue, è regolato secondo lo stesso modello espressivo che presiede all'invio da par­ te di Zeus della « sciagura » che deve punire, e giustamen­ te, l'omicidio . Affiora quindi, in nuce, una tendenza secondo cui l'E­ rinni, in certi casi, tende a coprire il campo d'azione di Diké, e viceversa . Non a caso talvolta Diké è direttamente associata alla punizione di un delitto di sangue. Nei vv. 3 1 0 sgg. delle Coefore, all'inizio del dialogo lirico dove si fa appello ad Agamennone e a tutto il mondo degli in­ feri perché intervengano nella punizione dell'uxoricidio, della stessa Diké si dice che gridando esige l'applicazione del principio secondo cui a parola nemica segue parola ne­ mica e colpo mortale corrisponde a colpo mortale. E a questo grido di Diké risponde nei vv. 400 sgg. il grido della morte, dell'uccisione stessa che chiama l'Erinni per­ ché sulla strage apporti altra strage. E significativamente nei vv. 1432-33 dell'Agamennone Diké è associata ad Até e all'Erinni nel contesto di un discorso di Clitemestra, la quale dichiara di avere sacrificato - giustamente, secondo lei - Agamennone a queste tre 'divinità' in nome di Ifige­ nia . Denso di risonanze, e non certo casuale, è dunque l'accostamento per cui Diké e i troni delle Erinni vengono invocati insieme, nei vv . .5 u- 1 2 delle Eumenidi, in difesa dell'ordine familiare che si immagina potrà essere minac­ ciato dall'empio comportamento dei figli. Addirittura, nei vv . 646 sgg. delle Coefore è Diké che •• Cfr. Cboepb. 383 ua-ttplrn:owov 11:tav e Agam. ,s-,9 ua-ttplrn:0L11011 ... 'EpLwv. E dr. anche o. HILTBRUNNER, Wiederbolungs- und Motivtecbnile bei Aiscbylos, Bern 1 9,0, p, 71. 50 Cfr. in particolare Agam. 73, e 749; Cboepb. 400-4; Eum. 376 .

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si pone in una posizione per cosi dire di subordinazione nei confronti dell'Erinni. Si afferma infatti che ben salda è la base, il fondamento della Giustizia s' , e successivamen­ te l'immagine si sviluppa nel senso che questa «base» del­ la Giustizia diventa la base dell'incudine (o l'incudine stes­ sa: il discorso si articola in modo molto rapido, per via di accostamenti folgoranti) sulla quale il Destino forgia la spada che poi serve a chi dalle Erinni viene fatto entrare nella casa per punire i precedenti delitti. 3 . Scomposizione e ricomposizione: la convalida delle strutture istituzionali.

È legittimo parlare, come ho già detto, per le Erinni nelle Eumenidi (e piu in generale, nell'Orestea) di una oscillazione tra due poli: esse sono le implacabili, orrende punitrici di un delitto di sangue e nello stesso tempo as­ solvono consapevolmente a un piu ampio ordine di giusti­ zia. Non c'è nelle Eumenidi una progressione dall'una al­ l'altra funzione. Nella parte finale della tragedia, dopo il processo, troviamo due coppie di pezzi lirici ripetuti in cui le Erinni si servono esclusivamente di motivi congruenti con la loro natura di orrende, 'primitive' persecutrici di delitti di sangue 1 • E questo molto dopo il secondo stasi­ mo in cui avevano enunciato i fondamenti stessi su cui se­ condo Eschilo si doveva basare il convivere civile. Ci so­ no tra l'altro alcune corrispondenze espressive - lo ha no­ tato A. Lebeck 2 - che da questi pezzi lirici verso la fine della tragedia rimandano alla parodo, vale a dire a un pez­ zo dove la natura 'primitiva' delle Erinni è messa in par­ ticolare rilievo. C'è quindi una duplicità di funzioni delle Erinni che corre da un capo all'altro della tragedia. Certo, Eschilo s, Cfr. v. 646 b.lxttc; 6'lpd6E'tttL 1Nitµit11. I termine 1Nitµit11 aveva già acquistato nel corso della tragedia una coloritura positiva: dr. vv. 204 e 260 (nei vv . 260 sgg. mi pare di avvertire un'eco del v. 204: dr. v. 26o 1Nitµit11 + vv. 262-63 aµLxpoO . . . µlytt11). 1 Cfr. vv. n8-92 - 808-22 , e 837-47 - 870-80. 2 Cfr. LEBECK, The Oresteia cit., pp. 14,-46.

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per questo trovava degli spunti nella cultura greca arcaica. In Omero, com'è noto, le Erinni, o la Erinni, difendono, spesso attraverso lo strumento della maledizione, i 'diritti' del consanguineo piu anziano, soprattutto la madre, ma anche il padre e il fratello maggiore. Ma in Omero ci sono anche spunti verso una concezione piu lata delle Erinni. Nei vv. 259-60 del XIX dell'Iliade le Erinni, associate alla Terra e al Sole, assolvono alla funzione di punire lo sper­ giuro; al v. 87 dello stesso libro dell'Iliade (ne ho parlato nel capitolo 11) l'Erinni insieme con Zeus e la Moira viene accusata da Agamennone di aver mandato su di lui l'ac­ cecamento (ate) ; nel v. 475 del XVII dell'Odissea le Erin­ ni appaiono (associate, in un nesso significativo, a « gli dei » ) come protettrici e difenditrici dei 'diritti' dei men­ dicanti ; e infine, il celebre v. 4 1 8 del XIX dell'Iliade (dove le Erinni « fermarono la voce » del cavallo Xanto che ave­ va finito di annunziare ad Achille il suo destino di morte) 3 è da interpretare, con J. Harrison , nel senso che il caval­ lo è portavoce del fato e quindi delle Erinni stesse. E al di fuori di Omero, una concezione enormemente ampia della funzione delle Erinni è attestata nel frammento di Eraclito 4, dove si afferma che se il sole andasse al di là della norma nel suo cammino, lo andrebbero a rintraccia­ re, evidentemente in accordo con l'ordine naturale, le Erinni, « che aiutano Dike » . Questi passi omerici (e il frammento eracliteo) costitui­ vano degli ottimi 'precedenti' per il modo come le Erinni sono presentate nell'Orestea da Eschilo. E pur tuttavia, per questo problema, la distanza tra l'Orestea e i poemi omerici resta sensibile (è assente in Omero la concezione secondo cui le Erinni assolvono a un compito di giustizia che ha il suo centro in Zeus) e ancora di piu tra l'Orestea ed Esiodo, per il quale le Erinni sono esclusivamente, se­ 5 condo il modulo 'tradizionale', « le Erinni del padre » • E 3 Cfr. JANE ELLEN HARRISON, Prolegomena to the Study o/ Greek Reli­ gion, Cambridge 1903, p. 216. L'altra interpretazione che spesso viene proposta è che le Erinni vogliono impedire al cavallo di andare, parlando,, al di là dell'ordine naturale. Senonché il cavallo ha già finito di parlare (� lip11. cpwvfJa-11.v-.oç) : il 'blocco' si capirebbe all'inizio e non alla fine. 4 Cfr. B 94. Le Erinni sono dette .Il.� bdxoupo�. ' Cfr. Theog. 472; e cfr. anche Tbeog. 18,. (Delle Erinni si fa memio-

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la distanza è sensibile anche rispetto al resto della produ­ zione drammatica di Eschilo. Nei Persiani e nelle Supplici le Erinni non vengono mai menzionate ; nel Prometeo se ne parla una sola volta, nel nesso 'omerico' insieme con le Moire e con Zeus (ne ho già parlato nel capitolo secondo) ; nei Sette a Tebe l'Erinni è legata strettamente alla maledi­ zione del padre. Come mai dunque questa dilatazione del­ la funzione delle Erinni nell'Orestea? La questione si lega in modo molto stretto a un altro problema. Se le Erinni assolvono, come assolvono, nel­ l'Orestea a una funzione tutelatrice della giustizia (una giustizia incentrantesi in Zeus), riesce strano, a prima vi­ sta, perché esse vengano contrapposte ad Apollo, che pure è portatore di valori non disconosciuti da Eschilo e dalla società ateniese che le sue opere presuppongono. Perché allora il contrasto? Certo, che le Erinni fossero divinità piu antiche di Apol­ lo e di Atena risulta già dalla Teogonia esiodea (esse na­ scono dalle gocce di sangue di Urano evirato da Crono), ma questo non spiega ancora il contrasto, né tanto meno il modo come questo contrasto si configura nelle Eume­ nidi. A questo proposito ha fatto molta impressione nel se­ colo scorso la tesi del Bachofen, secondo il quale nell'Ore­ stea si avrebbe la descrizione drammatica della lotta tra il diritto matriarcale (rappresentato dalle Erinni) al suo tra­ monto e il diritto patriarcale nascente e vittorioso nell'età eroica. F. Engels, che pure riteneva fondamentalmente giusta questa tesi, criticò il Bachofen per il fatto che par­ tiva da una concezione secondo cui la religione rappresen­ terebbe la leva decisiva della storia universale, con la con­ seguenza che secondo Engels era naturale che il Bachofen finisse nel puro misticismo '. Si tratta di una critica giune nei pseudo-esiodei Giorni al v. 803 , in relazione ad "Opxo,;, punitore degli spergiuri). Non mi ha convinto il tentativo di P. SOLMSEN, Hesiod and Aeschylus, lthaca (New York) 1 949 di 'dedurre' le Erinni delle Eu­ menidi da Esiodo, nel senso che, in particolare, Eschilo avrebbe riferito alle Erinni ciò che Esiodo aveva detto delle Ki'\pt,;. 6 Cfr. J. J. BACHOFEN, Dar Mutterrecht, Stuttgart 1861 (dr. ora la tra­ duzione italiana in J. J. BACHOPEN, Il potere femminile. Storia e teoria, a cura di Eva Cantarella, Milano 19n, pp. ,8 sgg.) ; e P. ENGELS, L'origine

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sta, che ricorda tra l'altro la celebre e profonda lettera di Engels a Marx su Feuerbach dell'ottobre del 1 846. Ma le premesse da cui partiva il Bachofen erano piu distanti da Eschilo di quanto non pensasse Engels. Non è affatto certo, anzitutto, che le Erinni rappresen­ tino in prima istanza i diritti della madre. Questa tesi, che ha lasciato traccia anche nel Rohde ', è contraddetta dalla Teogonia esiodea dove le Erinni sono esclusivamen­ te quelle del padre; ed è contraddetta anche dai Sette a Tebe dello stesso Eschilo. Del resto, nelle stesse Eumenidi è sulla consanguineità in generale che batte l'accento e non sul fatto che le Erinni difendano la madre a differenza del padre. Durante il processo, quando Oreste chiede alle Erinni perché esse non abbiano perseguitato Clitemestra cosi come hanno fatto con lui, esse rispondono al v. 605 che ella non era « consanguinea » dell'uomo che aveva uc­ ciso; nel v. 2 7 1 le Erinni parlano genericamente dei « ge­ nitori » come oggetto delle offese dei figli, che per questo sono puniti nell'Ade; nel secondo stasimo, a proposito dei delitti che seguirebbero alla eventuale assoluzione di Ore­ ste, esse parlano senza distinzione sia del padre che della madre. D'altra parte prima, ben prima del processo e della con­ seguente 'riconciliazione' delle Erinni, fin dall'inizio della trilogia la struttura che la vicenda tragica presuppone si incentra tutta intorno al padre: il diritto patriarcale vige già fin dai primi versi dell'Orestea . Questo della necessità di una valutazione globale di tut­ ta la trilogia è un principio che deve essere fatto valere anche nei confronti del Thomson. Anche il Thomson, co­ me il Bachofen, pensava ad una spiegazione 'storicistica' del contrasto che opponeva le Erinni ad Apollo (e di quel­ lo tra Zeus e le Moirai, e della rappacificazione di Atena), nel senso che la vicenda rispecchierebbe un « processo che incominciò con la tribu primitiva e si concluse con la co­ stituzione di uno Stato in cui il popolo comune ha riacquidella famiglia, della proprietà privata e dello Stato, trad. it. Roma 1976, pp. 39-40 (dalla « Prefazione » alla quarta edizione, del 1891 ) . 7 Cfr. ROHDE, Psiche cit., p. , 6 1 , nota 2 .

CAPITOLO QUINTO stato una nuova forma di eguaglianza, che il regime aristo­ cratico gli aveva tolto » •. Del valore, indubbio, dell'opera del Thomson su Eschi­ lo ho già detto nel capitolo II; si può aggiungere che le formulazioni come quella ricordata ora a proposito del­ l 'Orestea, al di là della loro esattezza, hanno avuto e pos­ sono ancora avere un valore di provocazione, certamente salutare, nei confronti di una cultura borghese-accademi­ ca; e d'altra parte, in tesi del genere si pone l'esigenza, in­ dubbiamente giusta, di cogliere i nessi tra l'opera d'arte e la realtà sociale da essa presupposta. Per questo il libro del Thomson su Eschilo costituisce un momento impor­ tante, che non si può mettere tra parentesi, nella storia de­ gli studi classici: basti pensare che cosa in quegli anni scriveva su Eschilo K. Reinhardt. Detto questo, però, si deve riconoscere che la tesi espressa dal Thomson sull'Orestea non trova adeguati punti di riferimento nel testo di Eschilo. Il regime politico che è presupposto nell'Agamennone, prima dunque del processo e della riconciliazione delle Erinni, non è certa­ mente di tipo tribale e non si può nemmeno a rigore defi­ nire aristocratico: anzi, come si è accennato nel capito­ lo III, nell'Agamennone affiorano spunti che portano ver­ so la necessità del riconoscimento del demos. Certo, la situazione politica di Argo non è quella ateniese, quale è presupposta nelle Eumenidi ; e c'è effettivamente nelle Eumenidi, come ho ricordato nel capitolo precedente, una partecipazione popolare sconosciuta alle altre due trage­ die. Ma tuttavia nessuno spunto reale c'è nella trilogia per un confronto tra Argo e Atene che suggerisca di muo­ versi nella direzione di un superamento del modello argi­ vo. Dopo il processo, Oreste, nei vv. 7.54 sgg. delle Eume­ nidi, si avvia ad Argo per ritornare in possesso dei beni « paterni » (c'è un richiamo ai versi iniziali delle Coefore) ' ed è escluso che Eschilo volesse suggerire un qualsiasi cambiamento da apportare al modello 'politico' seguito 1 Cfr. THOMSON, Eschilo e Atene cit., p. 396. • Cfr. v. 7'4 w o-wcro.cra. con Choeph. 2 O'W'nlP "(EVOU , e vv. n1-,s xirfl­ µa.O'l,'11 ... -r.a.'fpr;,01.ç (+ v. n, ya.la.ç -r.a.'fl)lfl4ç) con Cboeph. 1 -r.11'fpiiia. •• ;

Xl)a:'f1),

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da Agamennone : il problema semplicemente non si pone, e in tanto Oreste sente salva la sua casa, come dice al v. 754, in quanto è reintegrato, esattamente come egli vole­ va, nei beni e nella dignità paterna. Anche per quel che riguarda la realtà politica ateniese presupposta nelle Eumenidi, la tesi del Thomson non tor­ na del tutto. Certo, è indubbio in Eschilo l'intento di esal­ tare Atene nelle Eumenidi (si pensi, tra l'altro, al partico­ lare 'inedito' per cui Apollo nel suo cammino da Delo a 0 Del6. passa per la terra attica 1 , e del resto il cambio di scena per cui al tempio di Apollo a Delfi si sostituiva, sic et simpliciter, il tempio di Atena Polias sull'Acropoli era anche da un punto di vista scenico un grosso colpo 'pro­ pagandistico' ) , e a questo fine concorreva anche, certo, il fatto che il primo processo vero e proprio, con uomini nella funzione di giudici, venisse collocato ad Atene. Que­ sto è un indubbio spunto 'storicistico', che sembra porre Atene come termine positivo di un processo evolutivo. E tuttavia, l'accento batte sul fatto che degli uomini, e non degli dei, assolvano a una funzione giudicante nei confron­ ti di un assassino (e infatti l'innovazione rispetto al mito preesistente consisteva proprio nella sostituzione di uo­ mini alle divinità come giudici di Oreste), ed è invece fuo­ ri campo la sottolineatura della partecipazione popolare, in senso democratico, al processo stesso. Atena stessa di­ chiara che il collegio giudicante sarà composto dai « mi­ gliori » dei cittadini ateniesi, e il popolo è durante il pro­ cesso un insieme di comparse. Del resto, anche nella parte finale delle Eumenidi, nel corso dei canti di benedizione delle Erinni in favore di Atene, l'accento batte, come ho ricordato nel capitolo precedente, sulla concordia dei cit­ tadini e non certo sul fatto che il « popolo comune » avreb­ be « riacquistato una nuova forma di eguaglianza » : anzi, il confronto con l'analogo pezzo delle Supplici, dove in­ 11, vece un riferimento alla democrazia argiva è esplicito dimostra che l'esclusione di spunti in questa direzione nel pezzo finale delle Eumenidi è significativa. 1• Cfr. Eum. 10 sgg. 11 Cfr. in particolare Sup pl. 698 sgg.

266

CAPITOLO QUINTO

Infine, è certamente forzato vedere, come fa il Thom­ son 12 , in Apollo il rappresentante del regime dell'aristo­ crazia terriera, che sta in mezzo tra la tribu primitiva e lo Stato democratico dell'Atene eschilea. Il Thomson soste­ neva questo soprattutto in relazione al fatto che nelle Eu­ menidi al rito della purificazione, proprio di un modello politico aristocratico, si sostituiva un processo organizzato nella polis. Senonché, Apollo stesso spinge Oreste fin nel­ l 'inizio della tragedia verso Atene e verso il processo che dovrà sostenere 13 • E quando nei vv. 282-83 Oreste parla di una purificazione consistente nell'uccisione di un por­ cellino, avvenuta presso l'altare di Apollo, non accenna per nulla alla presenza, in questo rito, di elementi della classe sacerdotale-aristocratica ( e si vedano anche, oltre al V. 5 7 8 , i VV. 238-3 9 e 45 1 -5 2 ). Ma se la tesi del Thomson non convince, resta però pur sempre da risolvere il problema a cui accennavo sopra, e cioè il perché di una cosi recisa contrapposizione tra le Erinni, che pure assolvono consapevolmente un compito di giustizia, e Apollo. Il mio punto di vista su tutta la questione è che Eschilo nelle Eumenidi abbia consapevolmente proceduto a un'o­ perazione di scomposizione e di ricomposizione, in fun­ zione di una riconferma delle strutture istituzionali. Come ho detto nel capitolo precedente, di fronte alle minacce di crisi che travagliavano la polis, Eschilo senti che esse potevano essere contrastate attraverso una esalta­ zione del senso del rispetto e della paura; e per questo egli si accorse che poteva far leva sul senso del ghenos, in quanto nesso di consanguinei, con tutte le implicazioni religiose e culturali che esso comportava. Ma per far que­ sto egli aveva bisogno di isolare il principio della consan­ guineità, in modo che esso si ponesse di per sé, e carico di una sua autonoma vitalità. Solo in questo modo la con­ sanguineità, e le Erinni che la rappresentavano e se ne so­ stanziavano, potevano fare scaturire quella forza di sugge­ stione nel senso del phobos, della paura, che Eschilo sen12 12

Cfr. THOMSON, Eschilo e Atene cit., p. ar. vv. 81-82.

399.

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tiva necessario per il rinsaldamento dei fondamenti della

polis. La società civile andava dunque scomposta nei suoi

elementi di consanguineo e di non-consanguineo, proprio perché il primo dei due termini, che di fatto era inglobato e circoscritto nel contesto di piu ampie istituzioni, recu­ perasse tutta la sua vitalità. Ma questa scomposizione mi­ rava, attraverso l'esaltazione del senso della paura di cui era carico il principio della consanguineità, al rinsalda­ mento delle istituzioni stesse. Essa non poteva essere perciò spinta sino alla lacera­ zione estrema. Non a caso, quando si toccano le nervature delle strut­ ture, allora le Erinni non sono in grado di ribattere. Nella parte iniziale della tragedia, che si svolge all'interno del tempio di Delfi, nel corso della sticomitia dei vv. 2or-r2, le Erinni replicano con forza a ogni affermazione di Apol­ lo. Ma nei vv. 2 r3-24 Apollo pronunzia un discorso piu ampio, dove si afferma la legittimità e la 'santità' del ma­ trimonio (c'è un richiamo esplicito al vincolo che ha unito Zeus ad Era). Questo, com'è noto, era stato il motivo ispi­ ratore di un'altra trilogia di Eschilo, quella delle Danaidi; e in effetti Eschilo si rendeva conto che il matrimonio e la famiglia erano elementi costitutivi essenziali dell'orga­ nizzazione statale : anche nella parte finale delle Eume­ nidi, nel contesto delle 'benedizioni' rivolte ad Atene, si esprime l'augurio che le giovinette possano avere una vita 14 in cui a ognuna di esse tocchi il suo sposo • Ora, di fronte al discorso di Apollo che proclama il principio del matri­ monio le Erinni, nella parte iniziale delle Eumenidi, nulla ribattono, e non fanno altro che ribadire, nel v. 2 2 5 , il loro proposito di inseguire Oreste : fra l'altro, nel pezzo sticomitico dei vv. 225-28, e cosi anche nella coppia che segue di battute di tre versi, è Apollo ad avere sempre l'ultima parola e le Erinni appaiono, almeno su un piano verbale, soccombenti. Qualcosa di analogo avviene anche nel corso del pro­ cesso. Durante il violento scontro che oppone, ancora una 14 Cfr. vv. 9,9-6o.

268

CAPITOLO QUINTO

volta, le Erinni ad Apollo nei vv. 6 1 4 sgg., le Erinni dànno prova di un'estrema vivacità. Il culmine lo raggiungono nella battuta dei vv. 6.52-.5 6 , che si conclude, fatto del tut­ to insolito, con una serie di tre versi costituenti tre propo­ 5 sizioni interrogative 1 • Ma a questo punto Apollo si richia­ ma con forza alla teoria secondo cui solo il padre si può considerare genitore del figlio, dal momento che la donna si limita semplicemente a « conservare » il germoglio che è frutto del seme paterno . A queste parole di Apollo Eschi­ lo non fa seguire nessuna replica da parte delle Erinni : Apollo continua il suo discorso rivolgendosi ad Atena ed Atena subito dopo dichiara che è ormai tempo di passare alla votazione, poiché « si è parlato abbastanza » . Non c'è dubbio che Eschilo ha voluto presentare la teoria della generazione patrilinea come tale da non essere contraddet­ ta dalle Erinni ". Eschilo, com'è noto, faceva qui utilizzare da Apollo una teoria scientifica contemporanea, con ogni probabilità 17 anassagorea , ed è significativo che a questa argomenta­ zione scientifica facesse associare da Apollo anche un mo­ tivo mitico, come era la nascita di Atena da Zeus. Pur te­ nendo conto, perciò, della situazione polemica in cui il di­ scorso si inserisce, non c'è dubbio che attraverso questo discorso veniva fuori un principio - l'uomo come punto di riferimento essenziale all'interno della famiglia e la li'-' Si noti lo stacco, con foEL'tll, tra il v. 6,3 e il v. 6,4; e si noti an che l'anafora '!toto= I 'ltot11 all'inizio del v. 6,, e del v. 6,6. 16 E dr. anche vv. 62, sgg. 17 Cfr. vv. 6n sgg. : dopo questo discorso di Apollo Atena invita a vo­ tare, w,; ,iì.,Lo; 1€>..Eyµlvwv. La dottrina della genera2ione patrilinea è con ogni probabilità di derivazione anassagorea, anche se in seguito nel corso del v secolo a. C. ebbe altri sostenitori. Le testimonianze relative alla questione si possono leggere in A. PERETTI, La teoria della generazione pa­ trilinea in Eschilo, « La parola del passato •, 49, 19,6, pp. 241 sgg. Il la­ voro del Peretti pecca di ipercriticismo nei confronti della testimonianza di Azistotele, De gen. anim. 763 b 30 sgg.: il principio dell'attribuzione del seme al solo padre è ben congruente con la teoria della determinazione 'pro-gamica' dei sessi: se la femmina offre solo il ricetto è a fortiori ne­ cessario che la determinazione avvenga già nel seme (paterno). D' altr.i parte Hippol., Ref. I 8.12 e Aet., V 7.4 non coincidono parzialmente con la testimonianza aristotelica (cosf PERETTI, op. cit. , p. 2n) ma si pongono su una linea qualitativamente del tutto diversa (se mai l'accordo, parados salmente, riguarda proprio il principio secondo cui il seme è solo del ma schio e la donna offre -.òv -.6'ltov ).

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nea padre-figlio come la sola culturalmente significativa che Eschilo doveva considerare come fondamentale. Si ricordi a questo proposito il drammatico dialogo tra 1 Oreste e Clitemestra poco prima del matricidio. Quando 1 Clitemestra invita il figlio a parlare anche delle colpe del padre, Oreste contesta alla madre, in quanto donna che se ne sta dentro la casa, il diritto di accusare chi lavora e si dà da fare; e quando Clitemestra ricorda che è doloroso per le mogli trovarsi in casa separate dal marito lontano, Oreste ribatte con 'brutalità', una brutalità che rispecchia­ va la brutalità delle strutture, che il lavoro e l'impegno del marito « nutre » quelle che se ne stanno a casa. Con un procedimento analogo a quello riscontrato nei dialoghi tra Apollo e le Erinni, anche in questo caso Eschilo non fa ribattere a Clitemestra alcunché nei confronti dell'affer­ mazione del figlio se non la constatazione che egli ormai, « com'è chiaro » , è sul punto di ammazzare la madre. Il principio della superiorità dell'uomo nei confronti della donna, o piu specificamente del marito nei confron­ ti della moglie, non si mette dunque in discussione né per le Erinni né per Oreste; e del resto, da un certo punto di vista, tutta la vicenda delle ultime due tragedie della trilo­ gia riguarda la riappropriazione da parte di Oreste dei be­ ni e del modello di vita paterni. Il silenzio delle Erinni, nel processo, di fronte al principio della generazione patri­ linea è la conferma che la loro virulenta vivacità non va, e non può andare, al di là dei limiti imposti dalle strutture fondamentali della società greca arcaica: in realtà il porsi stesso delle Erinni nella loro autonoma violenza è in fun­ zione del rinsaldamento di queste strutture. Non è casuale nemmeno che durante il processo e in tut­ to il resto della tragedia Zeus non venga mai messo in discussione dalle Erinni "; e le Erinni stesse lungi dal con11 Cfr. Choeph. 918 sgg. '" Durante il processo all'autorità di Zeus si rifà non solo Apollo ma anche le Erinni: cfr. vv. 622 sgg. (le Erinni non mettono in discussion� l'autorità di Zeus, ma esprimono il sospetto che Apollo sia in errore: cfr. v. 622 � ÀÉYEt.t; a'Ò), vv. 640-41 ( le Erinni non criticano il comportamen­ to di Zeus, ma da ciò che ha fatto Zeus intendono ricavare delle conclu­ sioni opposte a quelle a cui è arxivato Apollo: cfr. v. 640 't'(j> cr(j> Mw) . Per i vv. 36,-66 mi pare (nonostante il Wilamowitz e il Lloyd-Jones) che

CAPITOLO QUINTO trastare Atena, sono ben pronte ad accogliere e a far pro­ prio il progetto cli Atena ( che, si badi bene, era anche quel­ lo cli Apollo) cli far presentare Oreste davanti a un colle­ 20 gio giudicante : all'inizio del secondo stasimo esse addi­ rittura sono preoccupate che, nel caso cli una assoluzione cli Oreste, si possa avere la fine cli quella istituzione che 2 Atena ha detto cli voler creare 1 • Del resto il modo stesso come nelle Eumenidi si realiz­ za il contrasto tra dei « antichi » e dei « nuovi » merita qual­ che considerazione. Il modello, naturalmente, si ritrovava nella Teogonia di Esiodo (ma compare, come si sa, in al­ tre culture primitive) ed era costituito dal sovrano (degli dei) che viene detronizzato da suo figlio. Da un certo pun­ to cli vista, la situazione per le Erinni è analoga dal mo­ mento che, secondo loro, Apollo minaccia cli togliere loro qualcosa cli cui sino ad allora disponevano, in questo caso l'attribuzione della funzione cli punire, in prima istanza, chi si macchia cli omicidio nei confronti dei genitori. E pur tuttavia la coincidenza con il modello esiodeo è solo mar­ ginale. In effetti, le Erinni vengono presentate da Eschi­ lo nell'atto cli perseguitare il colpevole, e gli spettatori le vedono prima all'interno del tempio cli Apollo a Delfi, poi all'interno del tempio cli Atena Polias sull'Acropoli e poi sull'Areopago insieme a un collegio giudicante. Per quello che gli spettatori vedono (ma nel dramma anche il vedere degli spettatori è ugualmente importante come l'u­ dire) le Erinni vengono a trovarsi inserite in uno spazio che è quello delle ('nuove') istituzioni religiose e politiche. L'inserimento dunque delle Erinni nella realtà politico­ religiosa della polis (una realtà che esse attraverso la loro aggressività e l'effetto cli paura che ne derivava concor­ revano non a scuotere, ma a rinsaldare) è 'preparato' fin dall'inizio della tragedia, e in un certo senso è 'effettivo' nel corso cli tutta la tragedia. sia da accettare l'interpretazione dd Blass, che intende f&vo� "l:66E com� quello degli assassini. 2 ° Cfr. vv. 43r sgg. e vv. 48, sgg. 21 Per l'interpretazione di xa."1:CUT"l:pocpa.t vtwv Dmµtwv mi pare che ab­ bia visto giusto DOVER, The Politica/ Aspect cit. , pp. 230-3 r : le Erinni te­ mono proprio il rovesciamento, la distruzione della nuova istituzione che Atena ha proclamato.

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Uno dei motivi costanti in tutta l a tragedia è l a natura persecutoria delle Erinni, il loro andare errando, a caccia della loro preda; ma nel corso del secondo stasimo esse parlano della paura che deve « restare » ( menein ) « assisa ». In un punto ideologicamente cruciale, e questo prima del­ la 'conciliazione' con Atena, esse fanno proprio un prin­ cipio fondamentale dell'ideologia eschilea e della cultura della classe dirigente della società greca arcaica: il 'resta­ re', la stabilità, che è stabilità della casa e stabilità della legge. E del resto, piu in generale, fin dal primo stasimo, come si è visto, le Erinni recepiscono, pur non svestendosi del loro carattere di aggressività, tutto un complesso di valori fondamentali per la stabilità delle istituzioni. La decisione di restare ad Atene a cui le Erinni perven­ gono alla fine delle Eumenidi dopo una 'contrattazione' 22 con Atena è per cosl'. dire anticipata in tutta la parte pre­ cedente della tragedia. Il restare, lo stabilirsi ad Atene, nel contesto delle istituzioni politico-religiose, corrispon­ de a un dato fondamentale della 'natura' delle Erinni qua­ le si rivela nella tragedia, e, si badi bene, non solo nella parte finale. Certo, alla fine della tragedia le Erinni esprimono nei confronti di Atene una serie di auguri benedicenti, ed esse appaiono in grado di assicurare alla terra attica prolifica prosperità del suolo, del bestiame, delle donne. Ma che delle divinità ctonie fosse proprio assicurare il retto svol­ gimento del ciclo generativo, è noto. Per quel che rigu ar­ da specificamente le Erinni, si ricordi che a Sparta, come ci informa Erodoto ", agli uomini della tribu degli Egidi i figli morivano, ma una volta che essi consacrarono, secon­ do l'ordine dell'oracolo, un tempio alle Erinni di Laio e di Edipo i figli cominciarono regolarmente a sopravvivere. E significativa è anche, mi pare, la denominazione di « De­ metra Erinni » che Demetra aveva nel santuario di On­ cheio in Arcadia 24 • Cfr. vv. 892 sgg. Cfr. IV 149. 24 Cfr. Paus., VIII 2,.4. 22

2l

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CAPITOLO QUINTO

E d'altra parte, gioca un ruolo essenziale il fatto che le Erinni alla fine della tragedia si stabilissero ad Atene per essere oggetto di culto, in relazione in particolare - la coincidenza con la testimonianza di Erodoto merita di es­ 25 sere notata - con il matrimonio e la nascita dei figli : il culto, com'è noto, comportava, anche attraverso le impli­ cazioni derivanti dalla preghiera, un dispiegamento delle potenzialità positive di cui la divinità era dotata. Ma tutto questo non comporta una frattura tra il pezzo finale delle Eumenidi con la parte precedente della trage­ dia. Nei vv. 9 5 r-55 Atena afferma con solennità: « molto può la veneranda Erinni sia presso gli dei immortali che nel mondo degli inferi, e le cose che concernono gli uomini esse manifestamente decidono e portano a compimento, agli uni dando gioia e canti, agli altri invece una vita offu­ scata da lacrime ». In questi versi la contrapposizione bi­ naria tra chi viene premiato e chi viene punito ricorda da vicino l'analoga contrapposizione dei vv. 3 r 3-20 del pri­ mo stasimo, della quale ho già parlato, e non manca nem­ meno qualche richiamo verbale 20 . Soltanto, nel primo sta­ simo, dell'uomo che mantiene pure le sue mani si dice che non viene aggredito dall'ira delle Erinni e che trascorre la sua vita « senza danno » (il termine usato è asines, che richiama tutta la problematica del sinos e della punizione della colpa) ; nel v. 9 5 3 invece si prevedono per chi si com­ porta rettamente aoidai, cioè « canti » in quanto espres­ sione di gioia. È questa accentuazione dell'elemento posi­ tivo che dà la misura del particolare atteggiamento di be­ nevolenza che le Erinni nella parte finale dimostrano per Atene ; ma si tratta pur sempre di una intensificazione di accento che non modifica la sostanza delle cose. E d'altra parte, anche nel pezzo finale della tragedia le Erinni non depongono le loro maschere paurose; l'unica modificazione del loro addobbo era che al momento del­ la processione finale esse apparivano con delle vesti pur­ puree, ma questo avveniva perché esse dovevano presen­ tarsi come meteci: anche durante la processione, come 25 Cfr. vv. 83 4-36. 26 Cfr. V. 320 �a>J� t1pliV1)µav con V. 9,2 lpllVipw; �i� .

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nella parte iniziale della tragedia, esse sono «figlie della Notte» 21 • Anche nel corso delle 'benedizioni' che nel pezzo finale della tragedia rivolgono ad Atene, esse non cessano di es­ sere divinità terribili e tremende. «Colui che non si è in­ contrato con la loro ira - afferma con solennità Atena nei vv. 932 sgg. - non sa da dove vengono i colpi che si ab­ battono sulla vita dell'uomo. Infatti le colpe di quelli del­ le generazioni precedenti conducono l'uomo davanti a co­ storo, e silenziosa la morte distrugge, con rabbia nemica, anche colui che forte grida». Ritorna qui, dunque, l'im­ magine che chiudeva il secondo stasimo, quando le Erinni stesse evocavano la morte del mercante che naufragando chiama chi non sente. E la «rabbia nemica» ricorda !'«o­ stile assalto» con cui le Erinni nel primo stasimo dichia­ ravano di aggredire gli uomini per provocarne la distru­ zione n. Addirittura, la concezione della colpa che i vv. 932 sgg. presuppongono è piu primitiva di quella che è presup­ posta dalle Erinni stesse nella parte della tragedia ante­ riore alla 'conciliazione' con Atena, dal momento che l'in­ tervento delle Erinni è messo da Atena in relazione con le colpe dei padri, mentre nella parte precedente della trage­ dia le Erinni puniscono colpe che trovano la loro origine esclusivamente nella persona che le compie. Il 'positivo' e il 'negativo' delle Erinni sono dunque presenti in tutta la tragedia, senza una cesura di rilievo tra la parte finale e ciò che precede. Ciò che di nuovo avviene nella parte finale delle Eumenidi è solo, in sostanza, lo stabilirsi delle Erinni ad Atene. Ma questo, a parte consi­ derazioni 'patriottiche', era essenziale per il discorso che Eschilo aveva portato avanti nelle Eumenidi e in tutta la trilogia. Perché la positività che scaturiva dal carattere pauroso e tremendo delle Erinni ( e dalla messa in eviden­ za della forza tremenda del ghenos in quanto nesso di consanguinei) trovasse un suo sbocco reale, occorreva che le Erinni si inserissero nel contesto di una polis; e questa 27 Cfr. vv. 1034 e 322. n Cfr. v. 937 txltpa� 6p-ya� con vv. 370-71 lcp61ior.ç ... 6px1)(71.10i:ç -.'fTC�· cplt6vor.ç mli6c; + v . 314 µi\V!,c; (e cfr. anche v. 937 6.µaflòvE� con v. 369 µ1wltoucnv).

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CAPITOLO QUINTO

polis non poteva non essere quella degli spettatori a cui

la trilogia si rivolgeva. (Ed è degno di nota il fatto che Eschilo abbia rifiutato la versione del mito, attestata in Ferecide e, con una variazione, nell'Ifigenia taurica di Eu­ ripide, secondo cui le Erinni anche dopo il processo conti­ nuavano a perseguitare Oreste al di fuori di Atene). Ma quello che di nuovo avviene nella parte finale delle Eume­ nidi è, come ho già detto, 'anticipato' nella parte prece­ dente della tragedia. E d'altra parte, è significativo che nei canti augurali delle Erinni con cui la trilogia si avvia a conclusione, a motivi di estrema attualità politica, quale l'invito alla concordia interna di cui ho parlato nel capi­ tolo precedente, si associno motivi religiosi primitivi, qua­ li le antiche formule di benedizione, relative alla prolificità della terra del bestiame delle donne. Anche a questo livel­ lo, dunque, si realizzava il nesso tra il recupero di elementi religiosi primitivi e la rifondazione etico-politica dello stato. Occorre fare, infine, qualche precisazione a proposito della sede che Eschilo attribuisce alle Erinni alla fine del­ l'Orestea. Si ritiene generalmente che con la processione finale le Erinni si avviassero a occupare il luogo di culto delle Semnai, le dee «venerande». Senonché, come è detto pio volte nelle Eumenidi (ai vv. 805, 1007, 1023, 1036), le Erinni si avviavano a risie­ dere in un recesso sotterraneo. Quello delle Semnai era invece un hieron, che non abbiamo nessuna ragione, an­ che sulla base di ciò che ne dice Pausania, per non rite­ nere che fosse in superficie 29 : non abbiamo dunque nes­ sun elemento per identificare il recesso sotterraneo delle Erinni con il hieron delle Semnai. E del resto le Semnai erano tre ( tre statue dovette vedere Pausania, il quale tra l'altro notò che non presentavano nulla di terribile o di pauroso), mentre le Erinni che compongono il Coro nella tragedia di Eschilo erano dodici. Che le Semnai potessero essere sentite come affini alle " Pausania (cfr. I 28 .6) ha visto questo I.Ep6v, ma dell'uso di rifugi.ar­ si presso le Semnai parlano già Aristofane e Tucidide.

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Erinni è legittimo pensarlo. Il fatto che il comico File­ mone negasse l'identità delle Erinni con le Semnai dimo­ stra che il problema si era già posto. Ma è ancora da di­ mostrare che tale identificazione fosse stata fatta o sugge­ rita da Eschilo nelle Eumenidi. Non può, evidentemente, essere considerato un argomento a favore il fatto che le Erinni al v. ro4r sono dette semnai, «venerande». Ma semnai esse sono dette anche nel v. 383, molto prima del­ la 'riconciliazione', cosi come semnos (un epiteto del tutto ovvio per una divinità) è detto per esempio Apollo nel v. 800 dei Sette a Tebe. Molto problematica è anche la questione della identifi­ cazione delle Erinni con le Eumenidi. Mai nella tragedia si parla delle Erinni come identificantisi o equiparabili al­ le Eumenidi. Di Eumenidi semplicemente non si parla : l'ipotesi che ciò avvenisse dopo una lacuna da postulare dopo il v. r n27 non ha nessun fondamento e l'ipotesi stes­ sa di una lacuna non appare giustificata In pio, per quel che consente di affermare la documentazione in nostro possesso, le Eumenidi non erano oggetto di culto propria­ mente ad Atene, ma a Colono (e fra l'altro, Sofocle ci in­ forma che erano divinità sentite come particolarmente tre­ mende). Certo, la connessione tra le Eumenidi e il mito di Ore­ ste era molto stretta. Secondo Demostene 3 1 , erano le Eu­ menidi che si scontravano con Oreste nel giudizio sul1'Areopago. Un tempio dedicato alle Eumenidi vicino a Megalopoli in Arcadia era messo in relazione con Oreste, e questo tempio si trovava in un complesso di santuari legati a Oreste nel contesto di tradizioni che rivelano un eccezionale carattere di primitività 12 • Con Oreste veniva messo in relazione un altro tempio delle Eumenidi, a Keryneia in Acaia ". E d'altra parte, già nell'Oreste di 30



30 Cfr. w. c. MACLEOD, Clothing in the Oresteia, « Maia ,o, n. s . , 27, 197' , pp. 201 sgg., che riprende osservazioni di K. O. Miiller e di C Robert. 31 Cfr. Dem., XXIII 66. 31 Cfr. Paus. , VIII 34 . " Cfr. Paus., VII 2,.7 e Sch. Soph . , O. C. 42 .

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Euripide è sistematica l'identificazione delle Erinni con le Eumenidi. Tutto questo però ha ben poca forza di fronte al fatto che nella tragedia di Eschilo di questa identificazione non si parla mai. Ma il problema si pone piu a monte. Non siamo infatti nemmeno del tutto sicuri che il titolo di Eu­ menidi sia stato dato da Eschilo alla terza tragedia del­ l'Orestea ed è pertanto metodico non inferire dal titolo delle deduzioni che non trovano conferma nel testo. Se è stato Eschilo a dare il titolo di Eumenidi alla tra­ gedia (il che non è del tutto certo) lo avrà fatto per usare nel titolo al posto del nome delle Erinni un nome 'equi­ valente', ma, almeno a un livello verbale, con minori riso­ nanze negative; e questo (continuiamo a procedere sul filo dell'ipotesi) in armonia con gli effetti positivi che nei suoi intenti dovevano scaturire dalle Erinni pur nella loro ter­ ribilità. Ma tutto questo riguarda il titolo e non la trage­ dia; e in ogni caso non dimostrerebbe ancora che Eschilo pensasse a un cambiamento della natura delle Erinni alla fine della tragedia. Il 'positivo' e il 'negativo', lo ripeto, si intrecciano indissolubilmente nelle Erinni per tutto il corso della tragedia. 34

;

4. Sulla strutturazione interna dell' « Orestea ».

Poco prima di allontanarsi dalla scena per prendere sta­ bile dimora ad Atene le Erinni fanno un appello alla sag­ gezza: State bene, state bene nella giusta fatalità della ricchez­ za, state bene o popolo di questa polis, voi che risiedete presso Zeus e siete amici dell'amica vergine, voi che ormai siete saggi: coloro che sono sotto le ali di Pallade il di lei padre li riverisce 1 • 34 Fraenkel esprimeva, nonostante il parere contrario del Wilamowitz, dubbi in proposito: cfr. Agamemnon cit. , III, p. ,47, nota 2, e anch,: p. 8 3 ,. 1 Cfr. vv. 996-1002.

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Per dire « ormai saggi » le Erinni si servono dell'espres­ sione siiphronountes en chroniii, propriamente « voi che siete saggi dopo del tempo ». L'espressione chroniii, « do­ po del tempo », si era ormai 'specializzata' in Eschilo per indicare la realizzazione della punizione conseguente a una colpa, talvolta in concomitanza con l 'intervento delle 2 stesse Erinni • Qui invece, con un procedimento di rove­ sciamento riscontrato in altri passi di questo pezzo finale delle Eumenidi, l'espressione en chroniii viene usata in un nesso di segno positivo, nel senso che dopo un certo pe­ riodo di tempo si è avuta, non la punizione, ma la sag­ gezza. Delle vicende anteriori al conseguimento di questa sag­ gezza da parte degli Ateniesi nella trilogia non si parla, anche se l'accorato appello a evitare le lotte intestine fatto dalle Erinni poco prima lasciava intravedere (nel testo co­ me una possibilità, ma gli spettatori sapevano che era una realtà) gravi turbamenti e dure prove sperimentate dagli Ateniesi. Ma, a un livello espressivo piu profondo, è dif­ ficile non sentire in questo siiphronountes alla fine della trilogia la risonanza del siiphronein dell'inno a Zeus all'i­ nizio della trilogia stessa, quando si teorizzava il principio secondo cui Zeus attraverso la sofferenza impone la sag­ gezza agli uomini. (La parola chiave siiphronein, e certa­ mente con un richiamo all'inno a Zeus, era stata fatta pro­ pria dalle Erinni già nel secondo stasimo delle Eumenidi, in un pezzo, come si è visto, fondamentale per l'articola­ zione interna di tutta la trilogia) 3 • Attraverso questo ri­ chiamo, che dalla fine porta all'inizio della trilogia, il tem­ po che ha preceduto l'acquisizione della saggezza da parte degli Ateniesi tende inevitabilmente a coincidere con il tempo stesso della rappresentazione della trilogia : il fatto stesso di assistere alla rappresentazione dell'Orestea ha concorso per gli Ateniesi al raggiungimento di quella sag2 Cfr. Suppi. 732; Agam. 126, 462 ; Choeph. 29,, 6,o, 9.3,; Eum. 498 . E cfr. anche Agam. 702 vcrdp(il xp6v(il (e anche Agam. ,s-,9 uaup611:0L­ vov ... 'Epwuv). 3 Al di fuori di questi tre passi le attestazioni del verbo nell'Orestea sono molto scarse: si tratta di Agam. 142, e 1620, dove per altro si avver­ te l'eco dell'inno a Zeus.

CAPITOLO QUINTO

gezza che Eschilo considerava un principio morale fonda­ mentale, garantito dallo stesso Zeus. E questa è una spia importante per renderci conto del modo come Eschilo si poneva di fronte alla sua attività di poeta, e delle implica­ zioni di ordine etico-religioso che l'attività poetica per lui doveva avere : attraverso i suoi drammi egli vedeva realiz­ zarsi la legge di Zeus. Il punto centrale di questa opera di educazione erano le Erinni e il phobos, la paura che da esse si sprigionava. Quando Atena, nei vv. 990-9 r, afferma che ella vede pro­ venire per i cittadini ateniesi «un grande guadagno da questi visi paurosi» 4 , questa precisazione solo a un livello espressivo superficiale vuole far risaltare il contrasto tra la paura che si sprigiona dalle Erinni (che continuano a por­ tare le stesse maschere che avevano all'inizio) e i vantaggi che esse apportano ad Atene; in realtà invece il nesso tra i due termini era strettissimo. Non a caso nello stesso pas­ so 5 Atena osserva che onorando le Erinni gli Ateniesi sa­ ranno in grado di condurre la città per un «rettamente giusto cammino». L'aggettivo usato è orthodikaion che richiama da vicino l'aggettivo euthydikaios di cui le Erin­ ni si erano servite per definire se stesse nella parte iniziale della tragedia, nel primo stasimo, dove il loro aspetto tra­ dizionalmente orrendo era stato messo in particolare ri­ lievo. Si può ora, entro questo ordine di idee, renderci piu adeguatamente conto del modo come per quel che riguar­ da la sua articolazione interna è strutturata l'Orestea . Nel capitolo III si è visto come uno dei fili conduttori piu importanti della prima parte dell'Agamennone, sino all'entrata del re di Argo nella sua casa, sia costituito dal principio del pathei mathos e del conseguimento della sag­ gezza attraverso la sofferenza (principio che attraverso l'espressione sophronountes en chronoi del v. 1000 delle Ettmenidi è riecheggiato alla fine della trilogia). Ma un 4 Si noti la corrispondenza metrico-sintattica tra i visi delle Erinni e i cittadini ateniesi. ' Cfr. vv. 993-9, .

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tale motivo non poteva essere sviluppato al di là di un cer­ to limite . Il motivo del pathei mathos tendeva a svuo­ tare la vicenda di ogni carica drammatica. Se l'acquisizio­ ne della saggezza si realizza attraverso un processo di sof­ ferenza sperimentato nell'intimo del proprio animo e se la conseguita saggezza consiste nel riconoscimento dei pro­ pri limiti e del senso della misura, lo scontro drammatico non ha, tendenzialmente, motivo di essere. Non è un caso che Agamennone non trovi modo di opporsi a Cliteme­ stra e accetti alla fine il suo punto di vista a proposito dei tessuti rossi sui quali deve porre il piede. Senonché, subito dopo che Agamennone è entrato nel­ la casa dove troverà la morte, il canto del Coro - si tratta del terzo stasimo al quale ho già avuto modo di accennare - apre una prospettiva del tutto nuova. Questo terzo sta­ simo si pone come sul ciglio di una profonda dislocazione tettonica. C'è un senso profondo di ansia e di paura :

Perché mai stabilmente questa paura vola davanti al mio cuore vaticinante ponendoglisi davanti come un guardiano e perché mai un canto non richiesto e non pagato fa da pro­ feta, e non mi è possibile scacciarlo via, come si fa con so­ gni confusi, e far si che la fiducia rassicurante sieda sul tro­ no della mia mente? Questa paura si pone a prima vista come qualcosa di non spiegabile, di immotivato, dal momento che il Coro ha visto ritornare dopo tanti anni il suo sovrano, e « pur tuttavia » « l'animo all'interno canta un canto che non gli è stato insegnato, un lamento funebre dell'Erinni ». Ho già detto che l'accenno al fatto che l'animo canti autodi­ daktos, senza maestri, richiama una dimensione nel cui ambito la voce della divinità si pone come punto di rife­ rimento essenziale. E in effetti il Coro si mostra consape­ vole che la paura che scuote il suo animo non è qualcosa di vano, ma corrisponde ai dati oggettivi della realtà • ( « le • Si vedano in proposito, contro ogni suggestione di interpretazioni 'romantiche' , le giuste considerazioni di FRAENKEL, Agamemnon cit. , II, pp. 4'1-,2. E per un'analisi dei termini usati per i vari organi interni dr.

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viscere non cianciano») . Una realtà orrenda e terribile, di fronte alla quale non resta, come possibile scampo, che l'augurio e la preghiera. Certo, questa ansia del Coro va messa in prima istanza in riferimento con l'imminente assassinio di Agamennone. E pur tuttavia, non si tratta solo di questo. Ho già detto che c'è un nesso molto stretto tra questo stasimo e il ritor­ nello di tipo magico che le Erinni cantano nel primo sta­ simo delle Eumenidi, quando vogliono 'incatenare' Ore­ ste. Questo nesso tra l'ansia che pervade il Coro nel terzo stasimo dell'Agamennone e il carattere magico-primitivo delle Erinni si pone certamente, anche perché si realizza a cosf grande distanza, a un livello di maggiore profondità rispetto alla successione terzo stasimo / uccisione di Aga­ mennone. In effetti, tutta la parte dell'Agamennone che segue al terzo stasimo è dominata in larga misura dai due perso­ naggi di Cassandra e di Clitemestra. In questa parte della tragedia la problematica del pathei mathos è nella sostan­ za assente ', e ciò che si pone invece con prepotenza, ap­ punto attraverso, essenzialmente, Cassandra e Cliteme­ stra, è la realtà del ghenos, il senso di una sventura che pesa sulla stirpe e che si trasmette di generazione in gene­ razione. È questa la realtà che viene rivelata da Cassandra. 'Im­ provvisamente', attraverso le visioni e i discorsi di Cas­ sandra, la vicenda di Agamennone acquista uno spessore temporale sino ad allora sconosciuto. Mentre fino ad allo­ ra, nella sostanza, della vicenda della famiglia degli Atridi si era visto solo un segmento, incentrantesi in Agamen­ none, ora si risale all'indietro e si scopre che Agamennone porta il peso di una sciagura di cui egli non è stato parte­ cipe e che è cominciata nella generazione della sua fami­ glia precedente alla sua. La cosa, da un punto di vista astratto, può sorprendere, e si può anche 'scoprire' una incongruenza tra la prima (sino all'ingresso di Agamenv. N. JARCHO, Zum Menschenhild der aischyleischen Tragodie, « Philolo­ gun, u 6 , 1 972 , pp, 1 67-200 : dr. in particolare pp, 169 sgg. 7 Non significativo e senza sviluppo è lo spunto del v. 142,, che fra l'altro, come ha osservato il Fraenkel, si pone sulla linea del v. 7JO.

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none nella sua casa) e la seconda parte dell'Agamennone. In realtà, a partire dal terzo stasimo Eschilo riprende nel­ l 'Orestea un motivo del tutto nuovo rispetto a quello del pathei mathos, il motivo della 'storia' di una stirpe. Que­ sto motivo costituiva il filo conduttore della trilogia te­ bana del 467 a. C. Ma nell'Orestea, egli fece un'operazio­ ne audace e 'difficile'. Egli volle inglobare il motivo della storia di una stirpe, vista come una successione di sven­ ture, in un contesto etico-didattico, attraverso il quale poter trasmettere un ben preciso messaggio agli spetta­ tori. Come ho già detto nel capitolo precedente, Eschilo era convinto di potere stabilire una connessione profonda tra un ordine di idee etico-didattico e il motivo della 'sto­ ria' delle sventure degli Atridi; e perno di questa connes­ sione è il senso di paura che si sprigiona dal ghenos come nesso di consanguinei e che trova la sua espressione con­ creta nelle Erinni. Questo spiega come Eschilo abbia inse­ rito la 'storia' della famiglia degli Atridi in un contesto a essa di per sé estraneo: un contesto costituito dalla pro­ blematica del pathei mathos sviluppata nella prima parte dell'Agamennone (in connessione con le strutture econo­ mico-sociali fondamentali dello stato) e dal procedimento per cui le Erinni nel corso delle Eumenidi appaiono ricet­ trici di valori fondamentali per la sopravvivenza della

polis.

Punto di cerniera tra questi due ordini di idee di per sé diversi è il terzo stasimo dell'Agamennone. E la funzione di rivelare la realtà della stirpe degli Atridi tocca in prima istanza a Cassandra. Proprio per il fatto che la realtà della stirpe appariva, rispetto alla parte precedente dell'Aga­ mennone, come qualcosa di inaspettato, riusciva molto appropriato che questa realtà venisse rivelata da una pro­ fetessa. Ed è importante che Cassandra «veda » tutta una serie di orrende visioni, che vanno dal terribile banchetto di Tieste sino all'uccisione di Agamennone (e di se stessa). Passato e presente, e futuro, si interconnettono indissolu­ bilmente, proprio perché nel ghenos ciò che hanno fatto i padri continua a pesare, come realtà attuale, sui figli. E in quest'ordine di idee è del tutto assente ogni considera­ zione relativa all'uccisione di Ifigenia : la morte imminen-

CAPITOLO QUINTO te di Agamennone, appunto perché vista in connessione con le vicende di Atreo e di Tieste, appare del tutto irre­ lata con ciò che aveva costituito il motivo fondamentale dell'inizio della tragedia (e della trilogia). Le cose a questo proposito si presentano piu articolate per quel che riguarda Clitemestra. Quando la donna ap­ pare agli spettatori con accanto il cadavere di Agamenno­ ne coperto da una veste insanguinata, ella fa al Coro un discorso che si conclude • con l'affermazione che ciò che ella ha fatto è giusto e costituisce un preciso contraccam­ bio per l'uccisione di Ifigenia. E questo motivo è piu vol­ te •, con sistematicità, ripreso piu avanti da Clitemestra. Di fronte a questo atteggiamento di Clitemestra, la di­ stanza tra lei e il Coro appare in un primo momento incol­ mabile. Il Coro deplora con forza la donna, e in piu espri­ me la convinzione che l'atto della donna sarà punito, in modo perfettamente equivalente alla sua gravità. La cosa è espressa due volte da serie allitteranti, per cui il delit­ to e la punizione vengono ad essere, anche su un piano 0• fonico, legati da un nesso indissolubile 1 Senonché, 'improvvisamente' le cose cambiano radical­ mente. C'è nei vv. 1468 sgg. un'invocazione da parte del Coro al demone della casa degli Atridi (« demone, che ti abbatti sulla casa e sui due Tantalidi »), e di questo de­ mone si dice che « postosi presso il cadavere » ( di Agamen­ none ) « si gloria di cantare un inno, al di fuori di ogni rit­ mo ». Ancora una volta, significativamente, siamo ricon­ dotti al terzo stasimo e in particolare al lamento funebre dell'Erinni che l'animo canta (in realtà « inneggia ») senza lira. La realtà della stirpe, che il terzo stasimo presuppo­ neva e che Cassandra aveva rivelato, si impone ora anche nel corso del dialogo tra Clitemestra e il Coro. E in que­ sto momento, improvvisamente, la distanza tra il Coro e Clitemestra si riduce sino ad annullarsi, e la donna elogia il Coro per avere, « ora », corretto la sua opinione, invo­ cando « il ben ingrassato demone di questa stirpe »: « per 1 Cfr. vv. 1 396-98. • Cfr. vv. 1 40,-6 , 141 2 sgg . , 1431 sgg . 1 Cfr. v. 1410 cb:t6�xtc; cbct"t"aµtc; ciTc6'1C"t"OÀ.u; 6'la'[I e v. 1 430 "t"Ul.11,14 "t"Òµµll"t"L "t"ELO'llL,

°

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opera sua un desiderio di sangue da leccare si nutre nelle viscere ». E quando il Coro attraverso un lamento per il suo sovrano morto introduce una nota di condanna per Clitemestra, la donna, nei vv. 1 4 97 sgg., nega che l'atto di uccidere Agamennone possa essere attribuito a lei : lei non è la moglie di Agamennone : è invece l'antico feroce alastor, il genio maligno della stirpe di Atreo, che ha preso l'aspetto della donna e ha compiuto l'uccisione. Il personaggio di Clitemestra attraverso questi discorsi si caratterizza in un modo ben diverso da come si presen­ tava nella prima parte della tragedia, e anche, dopo l'ucci­ sione di Agamennone, nella prima parte del dialogo con il Coro, sino all'invocazione da parte del Coro, nei vv. 1 468 sgg., del demone della stirpe. Sarebbe sbagliato por­ re la cosa in termini psicologistici. In realtà lo 'slittamen­ to' del personaggio di Clitemestra è corrispondente allo ' slittamento' che abbiamo già notato tra la prima e la se­ conda parte dell'Agamennone ; e a partire dal v. 1468 Cli­ temestra e il Coro tendono a sostanziarsi di una linea cul­ turale che non trovava nessuno spazio nella prima parte della tragedia. Naturalmente, l'affermazione di Clitemestra secondo la quale ella non è per nulla responsabile dell'atto che ha commesso, una tale affermazione Eschilo non poteva la­ sciarla senza risposta. E infatti il Coro precisa, nei vv. 1 505 sgg., che ella non può essere considerata anaitios, non colpevole, e che il demone della stirpe può essere con­ siderato solo sylleptor, come uno che ha collaborato all'a­ zione di cui Clitemestra porta la responsabilità. Come si capisce facilmente, qui Eschilo si trovava di fronte a un problema non uguale, ma certo analogo a quello che egli si era trovato di fronte nella parodo dei Persiani, e nella parodo e nel primo stasimo dell'Agamennone . Nella mi­ sura in cui le cose umane vengono viste come determinate da una divinità ostile agli uomini, il problema della re­ sponsabilità dell'uomo tende a porsi fuori campo. In ef­ fetti la concezione secondo cui è la divinità (ostile) a de­ terminare le vicende umane si pone in uno 'strato' piu antico rispetto alla concezione secondo cui l'uomo è re­ sponsabile di quello che fa. (Com'è noto, questa seconda

CAPITOLO QUINTO

concezione è legata alla presenza di precisi istituti giuri­ dici, e non è un caso che il Coro nella sua risposta a Clite­ mestra dei vv. 1505 sgg. si serva di termini giuridici). Eschilo che, come ho osservato piu volte nel corso di questo libro, sentiva il fascino e non voleva rinunziare alla carica 'emotiva' che derivava dalla concezione di una di­ vinità che provoca il male negli uomini, cercò in tutta la sua opera di trovare un accomodamento, nel senso di una eventuale concomitanza tra l'intervento ostile della divini­ tà e la colpa responsabile dell'uomo. E anche qui è in que­ sta direzione che si muove la precisazione che il Coro fa nei vv. 1505 sgg. Senonché, questa precisazione 'legale' del Coro, che per cosf dire metteva a posto le cose da un punto di vista ideo­ logico, ha uno sviluppo del tutto particolare; e se si guar­ da il dialogo tra Clitemestra e il Coro nel suo complesso, si vede che l'accento batte sul senso della forza di cui il demone della stirpe è dotato. Dopo la precisazione dei vv. 1505 sgg. il Coro ripete nei vv. 1513-20 a mo' di ritornello il lamento dei vv. 1489-96, contenente, come ho ricordato, una nota di con­ danna per l'atto di Clitemestra; e la critica a Clitemestra affiora anche nel lamento dei vv. 1538-50 dove il Coro ne­ ga a Clitemestra il diritto di compiere il rito funebre per il marito. Clitemestra dal canto suo, sia dopo il lamento del Coro dei vv. 1513-20 sia dopo quello dei vv. 15 38-50, si richiama ad Ifigenia per la cui uccisione Agamennone ha subito una giusta punizione. E addirittura al v. 1553 Clitemestra si serve contro Agamennone di una serie al­ litterante 1 1 , che suona come una risposta e una sfida nei confronti delle serie allitteranti con cui il Coro aveva espresso la convinzione che la donna avrebbe ricewto una punizione corrispondente all'atto che aveva commesso. Riaffiora dunque il principio secondo cui si deve subire per ciò che si è fatto, un principio che già Esiodo procla­ mava come giusto 12 e che nei vv. 306 sgg. delle Coefore era presentato dal Coro come una norma antichissima 11

12

Kll:mtttn xa."nta.ve xa.t xa."L"a.116:lj/oµEv. Cfr. Hesiod., fr . .286 M.-W.

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connessa con l'esercizio stesso della giustizia. Ma Cliteme­ stra questo principio lo riferisce al passato, il Coro invece pensa al futuro. Senonché anche su questo punto 'improv­ visamente' c'è un incontro tra Clitemestra e il Coro. Nei vv. 15 60-66, infatti, il Coro proclama solennemente, e questa volta in termini generali, il principio del pathein ton erxanta - «chi ha fatto subirà » - come legge univer­ sale garantita da Zeus; ma questo principio viene posto dal Coro in connessione con la maledizione che pesa sulla stirpe degli Atridi : «chi potrà espellere dalla casa il seme della maledizione? il ghenos è indissolubilmente attaccato alla sciagura (ata) ». In tal modo la linea del demone che pesa sulla famiglia degli Atridi e la linea di un contrac­ cambio equivalente all'atto che si è commesso vengono ad incontrarsi. Ed è significativo che immediatamente dopo Clitemestra riconosca la veridicità della «profezia » del Coro («questa profezia con piena verità tu l'hai fatta »): la prospettiva di una (giusta) punizione è resa sicura dal demone della stirpe, a cui ella si era con forza richiamata per negare la responsabilità dell'atto che aveva commesso. E non è casuale che, come già il Coro nel terzo stasimo, Clitemestra non trovi altro scampo che nella preghiera : seguendo il procedimento della apopompe ella si augura che il demone si rivolga ormai verso un'altra stirpe. Proprio perché nella parte finale dell'Agamennone Cli­ temestra recepisce una linea culturale che era assente nel­ la prima parte della tragedia e che per altro aveva radici profondissime, il personaggio acquista ora delle risonanze nuove, nel senso di un accorato riconoscimento della gra­ vità della sciagura entro cui si trova coinvolta . Ciò che è accaduto appare ormai a Clitemestra come qualcosa di gra­ ve e di difficile da sopportare 13, e di fronte al contrasto che oppone il Coro a Egisto la donna invita a «non ag­ giungere altri mali », «perché ce ne sono già molti da mie­ tere, una infelice messe » 14 • Si ha come il senso di un col­ locarsi del personaggio su un'onda piu lunga, rispetto alla prima parte della tragedia ; e tutto questo è naturalmente " Cfr. vv. 1 ,70-7 1 . " Cfr. vv. 16,4-,, .

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da mettere in relazione con l'irruzione della realtà del ghenos che si ha nella tragedia dal terzo stasimo in poi. Ed è significativo anche che quando Cassandra si avvia verso la casa di Agamennone dove sa che la morte l'at­ tende, ella lo faccia utilizzando moduli espressivi e com­ portamentali che ricordano 15 quelli usati da Eteocle nel celebre dialogo lirico dei Sette a Tebe, quando il Coro cer­ cava invano di trattenerlo prima che egli affrontasse il fa­ tale duello con il fratello. In realtà, il motivo del ghenos, di cui si sostanziava la tragedia del 467 a. C., continua a rivelarsi produttivo, ai piu diversi livelli espressivi, anche nell'Orestea. E su questa linea si pone anche il celebre commo delle Coefore, quando Oreste Elettra e il Coro in­ vocano Agamennone che presti loro aiuto nell'impresa imminente. Non si tratta tanto in questo commo, come pure è stato detto, di una assunzione di consapevole re­ sponsabilità da parte di Oreste prima del matricidio; ciò che costituisce la sostanza, a un livello espressivo piu pro­ fondo, di questo dialogo lirico è la rappresentazione di un rito, solenne e impressionante, attraverso il quale la realtà della stirpe, del padre che morto continua a vivere e soccorre i suoi figli, si pone con estrema forza e imme­ diatezza. Certo, tutto questo Eschilo, lo ripeto, ha voluto inse­ rirlo in un contesto etico-didattico che nelle sue intenzioni doveva costituire l'asse portante del discorso che svolgeva, del messaggio che intendeva trasmettere agli spettatori. La distinzione tra ciò che il poeta ha voluto fare e ciò che effettivamente ha fatto può essere pericolosa nella mi­ sura in cui ci si serve di questa impostazione per distin­ guere le parti di un'opera dove aleggerebbe lo spirito del­ la poesia e le parti che non godrebbero di questo privile­ gio. Occorre invece non rinunziare a cogliere le diverse linee culturali che in un'opera d'arte possono essere rece­ pite, e bisogna anche rendersi conto del diverso spessore culturale di cui le diverse parti di un'opera letteraria pos­ sono essere dotate. E nell'Orestea, il terzo stasimo del­ l'Agamennone, il personaggio di Cassandra, il modo co15 Cfr. in particolare vv. I 300 sgg.

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me si configura il personaggio di Clitemestra nella parte finale dell'Agamennone, la scena dell"evocazione' di Aga­ mennone nelle Coefore, e anche la rappresentazione della natura magico-primitiva delle Erinni nelle Eumenidi si pongono su una linea culturale che corrispondeva a strati­ ficazioni piu profonde ('storicamente' piu antiche e dotate di risonanze emotive piu intense) rispetto al discorso etico­ didattico (incentrantesi intorno alla polis), che Eschilo porta avanti nell'Orestea. Eschilo era convinto che nel contesto di questo discorso etico-didattico si dovesse col­ locare anche la rappresentazione della realtà tremenda del­ la storia della famiglia degli Atridi. Eschilo era convinto di questo, e i nessi sono reali e ben individuabili. E tutta­ via, la rappresentazione di questa realtà, proprio per lo spessore storico-culturale di cui era dotata, spesso tende nella trilogia a porsi con prepotenza di per sé, con un suo autonomo valore. E il difficile equilibrio che a questo pro­ posito Eschilo realizzò nell'Orestea è il segno di uno dei nodi piu significativi, e piu specifici, della sua arte teatrale.

Indice dei nomi

Sono omessi il nome di Eschilo, i nomi ricorrenti nei titoli delle opere, i nomi geografici.

Accio, 9o n. Achille, I I , 24, 102, 104, 261 . Acusilao, 9 4 n. Ade, 2 1 , " n, ,9 n, 2,1-'3 , 2'7. Adiastea, 9, e n, 10,. Aerope, 2 3 1 . Aezio, 268 n. Afrodite, 96 n, 128. Agamennone, .3, 4, 6, 102, no n, 1.37, 140-'7, 1,9, 161-6,, 167-69, 17'·78, 180, 181, 188, 191, 19,, 196 n, 206, 208 , 209, 230-.34, 249, 2,9, 261 . 279-84, 286, 287. Aidos, 100 n. Alceo, ,1 n. Alcnane, 96 n. Alcmeone di Crotone, 1.30. Alcmeonidi, .32, .34. Anacarsi , 190. Anassagora, 1 .3 0, 1 .3 1 n. Apollo, .3 , 1 3 , 19, 62, 8.3 e n, 84 n , 8 6 , 1 4 2 , 190, 20, , 206, 21.3, 233, 2.34, 2 .3 8, 240, 241 , 24,-47, 248 n, 2,8, 262, 26.3 , 26,-70, 27, . Apollodoro (Pseudo), 88 n, 91 n. Aiii , 216 n. Arcesilao, 86. Aichelao, 1.31 n. Aichestrato, 224. Archiloco, ,o e n, 1o6 n, 182. Ardaillon, E., 1 26 n. Ares, 9, 200, 201 , 208 n. Aiistofane, ,o e n, ,6 n, 7.3 n, 108 e n, 2.39, 2,1 , 274 n. Aiistogitone, ,1, ,3. Aristotele, ,4 n, 6.3 n, 223, 268 n. Aimodio, , 1 , '3 · Arpie, 2.38-40. Aitabano, 14. Artemide, 1,,, 167, 168. Ate, .3 , 6, 7, 29, 18.3, 2.33, 246, 2,9 .

Atena, 62 e n, 8, n, 100 n, 122, 128, 129 e n, 197, 201 , 204-6, 209, 2 I I , 222, 22,-28, 233, 247, 262, 26,, 268 e n, 270-73, 278. Atlante, II4 n. Atossa, II, 16, 18, 21 n, 22, 24-27, .30, 34, ,9, 1.34. Atreo, 176 n, 196 n, 282, 283 . Atridi, 142, 172, 1 8 1 , 206-10, 214, 21,, 217, 221 , 222, 227, 228, 2.30, 2.31 , 28o-82, 28,, 287. Bacchilide, 12,. Bachofen , J. J., 262 e n, 263 . Bentley, R., 6o n. Berve, H., ,o n, ,4 n, ,, n. Blass, F., 240 n, 243 n, 2,, n, 270 n. Broadhead, H. D., 8 n, 27 n. Caesar, J., 4, , 92 n. Calcante, 1,,, 166-71 , 173, 178, 206, 214. Calipso, I I0, 240. Gallino, 36 n. Cambiano, G., 1 2, n. Cantarella, E., 262 n . Capaneo, 21, 43, 146, 182, 188. Carena, C., 9 n. Casaubonus, I., 143 n. Cassandra, .3, 27, 98 n, 208, 209, 214, 2.30, 232, 280-82, 286 . Cerri, G., ,6 n. Chirone, 80, 88 e n, 89. Cicerone, 90 e n. Cimone, 208 . Cipselo, 63 n. Qearco, 190. Qeomene, 224 n. Clitemestra, 3 , 4, 22, 27, " n, 67 n, 98 n, 104 n, 134, 140, 144-46,

INDICE DEI NOMI

148-,3, 1,4 n, 1,,, I ,9, I 6 I , 203 , 206, 208-IO, 2I4, 230-3,, 237, 242, 24,, 248, 249, 2,9, 263 , 269, 279, 280, 282-8, , 287. Coleman, W. M., 229 n. Coman, J., 40 n. Creonte, ,4. Crono, ,2, ,7, 61, 69, 73, 83-86, 138, I74, 262. Damophilos, 86. Danaidi, 76, n6, 267. Danao, n6, 207 . Dario, 8, I I , 12 e n, 16-26, 28, 30, 3 1 , 33 ·40, 43, 146, I'7, 1,8, I6o163 , 188, 189, 249, 2,6 . Delcourt, M., 199 n. Del Grande, C., 47 n. Demetra, 271 . Democrito, 1 3 1 n. Demostene, 95 n, 2 1 2 n, 27, e n. Denniston, J . D., 147, r,1, 1,9 n, 184. Deucalione, 93, 94 n. Diano, C., 132 n. Di Donato, R., 236 n. Dike (Giustizia) , ,8, 92, 100 n, r,6, 183, 186, 202, 203, 218, 233, 2,3, 2'7-6 1 . Dinarco, 8 0 n . Dindorf, W . , 7 3 n , no n. Discordia, 230. Dissen, G. L., 4,, 47 e n. Dodds, E. R., 47 e n, 64 e n, 68, 76 e n, 84 n, n6 n, 140 e n, 224 n. Dorrie, H., 39 n, 40 n, 47 n. Doyle, R., 6 n. Dover, K. J., 178 n, 217 e n, 218, 221 n, 224 n, 227 n, 270 n. Droysen, J. G., 47, 196 n. Dumortier, J . , 4 n. Ecateo Milesio, 1 3 1 . Eckhart, L. , 82 n . Edipo, 1 7 6 n, 271 . Efesto, 62, 6 3 e n , 6,, 7 1 , 97, 106 n, n , , 122. Efialte, 208 , 222-25, 227, 228. Egisto, " n, 99 n, 1,4 n, 209, 232234, 237, 28,. Elena, 142-44, 167, 187, 2,4, 2, , , 2,8. Elettra, 23', 286. Empedocle, 12, n. Engels, F. , 48, 262 e n, 283 . Epafo, 76 n, n6.

Era, 40, 4 1 , 102, 1 17, 267 . Eracle, 68, 7', 81 e n, 82 e n, 87, 88 e n, 91 n. Eraclito, 261 . Erinni , 4, 26, 6 2 , 6 7 n, 7 7 , 83 n, 84-86, 101·3, 104 n, 167, 172, 1 80, 188, 197, 199-201, 204 e n, 206-9, 2 1 3-19, 221, 22,-29 , 23023', 237-82, 287. Erodoto, 14, 19, 24 n, 32, 33 n, , 1 , ,4, , 8 , 6 3 n , 6 6 n, 102, 1 3 1 , 199 n, 213 n, 224 n, 271, 272. Eschine, 213 n. Esichio, ,9 n, 73 n. Esiodo, 39, 40 n, 6 1 , 72, 73 n, 8183, 8,, 93, 100, ID I , 102 n, I IO e n, 137, 138, 182, 199, 208, 213 n, 2,6 e n, 261, 262 n, 270, 284 n. Esione, n 3 . Eteocle, 146, 1 7 7 n, 286. Ettore, 13, 22 n, 23 . Euforbo, 1 3 . Eumenidi, 2n , 276 . Eurialo, u . Eurinomo, 249. Euripide, VIII, ,4, ,8, 128 n, 132 n, 274, 276. Euritione, 2, . Falivene, R., 40 n. Farnell, L. R., 47 n, 84 n, 8, n . Farrington, B . , 1 2 4 n, 13', 136 n. Fauth, W., 9, n. Femio, 236. Ferecide, 274. Ferrari, F., 177 n, 21, n. Ferrari, W., 141 e n, 177 n. Feuerbach, L., 263 . Filemone, 27'. Filocoro, 223 . Filodemo, 67 e n, 89. Finley, M. I . , 124 n. Fraenkel, E., 4 n, 6 n, 1, n, 17 n, 27 e n, ,4 n, ,, n, 63 n, 90 n, n 3 n, 137 n, 138 n, 139, 140 n, 141 n, 142 n, 147, 148, 1,0, 1,2 n, 1,6, 1,7, 1,8 n, 1,9 n, 168 n, 177 n, 182 e n, 193 e n, 196 n , 1 9 7 n, 1 9 9 n, 208 n, 2 3 2 e n, 2,6 n, 276 n, 279 n, 280 n. Frankel, H., 107 e n, 108 n, 130 n. Gaia (Ge) , 49, 72, 88 e n, 199. Gerhard, E., 82 n. Giapeto, 100. Gige, 190.

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INDICE DEI NOMI Glauco, 108 n. Gomme, A. W., 131 n, 193 n. Gorgia, ,o e n. Gorgoni, 238, 239. Griffith , M., , 1 n. Groeneboom, P., 26 n, 27 n, ,6 n, ,s n, 74 n, So n, 9, n, 21, n. Grossmann, G., 47 n, 72 n, 132 n, 217 n. Gundert, H., 1,2 n. Hammond, N. G. L., 169 e n, 177 n. Harrison, J. E., 261 e n. Heath, B., 143 n . Herington, C. J., ,1 n. Hermann, G., 4, e n, 46, 88 n, 9 1 n, 9 9 n, 1 2 8 n. Hermes, 64, 6, n, 66, 69, 70 e n, 72, 73 n, 74, 7', 79-8 1 , 88 e n, 89, 9 1 , 92, 96 -98, 104 n, 1o6, I I0, I I4, n,. Hiltbrunner, O., 2,9 n. Ierone, 40 n. Ifigenia, 1,,, 1,6, 1,s, 16,, 168, 178, 1 79 , 189, 233, 2,9, 281 , 282, 284. Inaco, 7 1 n. Io, ,4 n, 67, 68, 72, 7', 76 n, 79, 90, 9 1 n, 9, , 96 n, 98, 99 n, n6120, 134. Ippolito, 268 n. Isocrate, ,4 n. Issione, 40-42. I talie, G., 73 n. Jacoby, F., 132 n, 193 n, 223 n , 224 n, 22, . Jaeger, W., 47 n, 9, n, n, n. Jarcho, V. N., 280 n. Keres, 262 n. Keyssner, K., 76 n. Kleingiinther, A., 126 e n, 128 n, 129 n, 1 3 1 n, 132 e n. Kratos, ,3, ,7, 70 n, 7 1 , 97, 98, 99 n, 103, n,, 127. Kraus, W., 88 n. Kybebe, 19. Kunze, L., 82 n. Labdacidi, 2 n , 21,, Laio, 2n n, 271 . Lanza, D., 130 n. Leaf, W., 102 n. Lehay, D. M., 196 n.

Lebeck, A., 1'3 e n, 260 e n. Lewis, D., 198 n . Licurgo, 213 n. Lloyd-Jones, H., 21 n, 47 n, 62 n, 77 n, s, n, 92 e n, I I 7 n, 137 e n, 139, 148 e n, 1,0, 1,2 n, 167 n, 168 e n, 169, 269 n. Lobel, E., 2,s n. Longo, O., 49 e n, ,o, 100 n, 132 n. Macleod, W. C., 27' n . Maehler, H., 83 n. Maltomini, F., 177 n, 200 n. Marx, K., 48, 192, 263 . Mazzarino, S., 223 n. McGregor, M. F., 198 n. Meiggs, R., 198 n. Menandro, 9, n. Menelao, 1 3 , 141, 144, 1,,, 167-69, 176, 193, 196 n. Meritt, B. D., 198 n. Mette, H. J., 88 n, 91 n. Mimnermo, 109 n. Mirto, S., 39 n. Misone, 190. Moira, ,s n, 100-3 , 10,, 261, 262, 268. Miiller, K. O., 8 n, 27' n. Murray, G., 8 n, 21, n. Nicola Damasceno, 63 n. Nilsson, M. P., 248 n, 2,0 n. Notte, 4, 1,s, 273 . Oceanine , ,6, 64, 68, 70, 72, 77' 78, Bo, 9, e n, 96, 106, 107, 109, no, n2-1,, n8, n9. Oceano, ,3, ,4 n, ,7-60, 7 1 , 7 2, 78, 91 n, 1o6 e n, 112, 1 1 3 . Omero, 6 n, 2 , , 3 9 e n, ,7, 8 4 n , 1 0 1 n, 104 n, 108 , U l , 2,6, 261 . Oreste, 4, ,, n, 83 e n, 86, 91 n, 103 D, 140, 20,, 206, 209·I I , 2 1 3 , 214, 222, 230-40, 242-47, 2,2, 2,6, 263, 26,-67, 269, 270, 274, 27, , 2Bo, 286. Paduano, G., 48 n. Page, D . L., So n, 99 n, 137 n, 147, 1 , 1 , 1,9 n, 176 n, 1 84. Palamede, 128 n. Paley, F. A., 73 n, 81 n, no n. Pallade, 22, 3,, 39 n, 128 n, 200, 201 , 212, 27 6. Pan, 2,s . Pandareo, 239, 240.

2 94 Paride, 142, 144, 167, 172, 18,-81, 19.3 , 221, 2,8 . Parke, H. W., 190 n. Pasifae, 241 . Patroclo, 172 . Pausania, 249 e n, 2,1 e n, 271 n, 274 e n, 2n n. Pauw, J. C., 1.3.3 n. Pelasgo, 76, 144, 177 n, 216 n. Penelope, 1.3 , 14. Peretti, A . , 74 n, 9, n, 104 n, 268 n. Periandro, , 6 , 6.3 n. Pericle, 22.3 e n. Perse, 40 n . Persuasione (Peitho), 6 , 10.3 n. Petrounias, E . , 240 n. Pilade, 10.3 n. Pindaro, 4 e n, , , 1.3, 14 e n, 40-42, ,o e n, 72 e n, 8.3 n, 84, 86, 87, 102, 10.3 n, 107, 108 , no n, 12,, 128, 129, 1 .3 1 , 182, 207, 208, 2, 1 . Pirra, 94 e n. Pittaco, 9, n. Pizia, 2.38, 2.39, 241 . Platone, 9 , n, 1 .3 2 n . Pleket, H. W . , 124 n . Plutarco, 9 1 n . Polignoto, 249, 2,1 . Polluce, 74 n . Poseidone, 1 2 , 1 7 , 69, 72, 8 4 n, 146. Priamo, 104, 14,, 148, 149 , 1 67, 209 . Prometeo, 42, 44-46, 47 n, 48-,0, ,2-,8, 60-82, 84, 8, n, 87-10.3 , 10,-7, I I0-2,3, 126-28, 129 n, 1 ,3 1· 1 .3 ,. Pugliese Carratelli, G., ,o n. Quellette, G . P., 196 n. Quincey, J. H., 224 n. Reinhardt, K., 47 n, 62 n, 264. Reitzenstein, R., 109 n. Richardson, N. J., 104 n. Rivier, A., 177 n. Robert, C., 27' n. Rohde, E., 240 e n, 248 n, 2,0 e n, 26.3 e n . Romilly, J. de, 214 n. Salanitro, G., 198 n. Salzmann , G. G., 1,9 n. Sarpedonte, 172. Savalli, I . , 30 n. Schinkel, M., 24.3 n.

INDICE DEI NOMI Schlegel, A. W., 44 e n . Schneider, G. C., 24.3 n. Schoemann, G. F., 4,·47, 62 n , 64 n, 74 n. Schwabl, H., 2.32 n. Séchan, L., 88 n, 91 n . Semnai, 274 e n, 2 n . Semonide, , o e n, 1 0 9 e n. Senofane, 130, 1 3 1 e n. Serse, ,, 7, I 0·.34, .37 •40, 42, 43, ,9, 120, 146, 1'7, 16o-6,, 189, 24.3 . Sideras, A., 23 n. Sikes, E. E., 47 n. Simonide, ,o e n, 102, 108 e n. Sisifo, 249, 2,0. Sittl , K., 8 1 n. Smith, H . W., 47. Sofocle, VIII, ,o e n, ,4, 99 n, 100 n, 108 n, 1.3 .3, 134, 199 n, 21, e n. Solmsen, F., 8 1 n, 8.3 n, 262 n. Solone, 37, .38, 40, 4 1 , , 1 e n, 6 1 e n, 109 n, 122 e n, 12.3, 12,, 1.3,, 1 84, 189, 190, 20.3 , 219 n, 220 e n , 221 . Tantalidi , 282. Tantalo, 41, 42 , 2,0. Telemaco, u, 172 . Temistocle, .3 4. Terra, 261 . Tetide, 6 7 e n , 7 1 , 72, 8 .3 , 9 9 n . Tharybis, , 4 n . Themis, 6 8 e n , 72. Thomson, G., 48, 49 e n, 1.31 e n, 20, n, 263-66 . Tieste, 196 n, 2.32, 2.3 3, 281, 282. Tifone, '3, I I 4 n. Timpanaro-Cardini , M., 1.3 1 n . Tirteo, .36 n . Titani, , , , , 6 , 68, 7 1 , 8 3 , 8 4 , 86 e n, 87. Tizio, 2,0. Trasibulo, ,6. Trockii , L., 94. Tucidide, 22.3, 274 n. Tyrwhitt, T., 14.3 n . Ulisse, n , 1 .3 , 104, 1 0 8 n, 1 7 2 , 240. Urano, ,2, '7, 6 1 , 78, 1.38, 1 74, 262. Valgimigli, M., 6, n, 88 n, 90 n, 91 n, 9, n, 1.33 n, 1.34 n, 2.37 n. Vernant, J.-P., 124 n, 177 n. Vidal-Naquet, P., 177 n.

INDICE DEI NOMI Wackernagel, J.i.]8 . Wade-Gery, H. L, 1 9 8 n . Wecklein, N. , 46 , 47 n, 64 n, 74 n , 91 D. Wekker, F. G., 4 4 e n, 4, e n . West, M. L., 8 1 e n, 18 4 n. Wilamowitz-Moellendorff, U. von, 8 n, 31 n, 47, " n, ,8, 62 n, 72 e n, 73 n, 77 n, 80 n, 82 n, 83 e n, 84 n, 88 n, 91 n, 99 n, 1,9 n, 231 n, 2 43 n, 269 n, 276 n . Winnington-lngram, R. P., 2 1 n. Wormell, D. E . W., 190 n . Xanto, 261 . Yorke, E. C., ,1 n. Zancani-Montuoro, P., 249 n . Zeus, 4 , 2 0 , 2 1 e n, 23, 24 , 2 7 , 40, 4 2 , 4 3 , 44-46, 47 n, 49 , ,o, ,29, , 97, 99-107, 109-1 2 , u 4-20, 1 3 , , 136, 1 37- 4 1 , 1 4 3 , 1 46, 1 47 , 1,2 n, 1,6, 1,8, 1,9, 16,-68, 1 72-74 , 179, 180, 182, 18,, 186, 188, 191, 193, 200, 201 , 2 1 6 n, 232 e n, 233, 2,2, 2'3 e n, 2,62,9, 261-63 , 267-69 , 276-78, 28, .

2 95

Finito di stampare in Torino il 30 dicembre :c978 per i tipi della Casa editrice Einaudi