Linguistica e retorica della tragedia greca [First ed.]


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Linguistica e retorica della tragedia greca [First ed.]

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Linguistica e retorica della tragedia greca Book · January 2008

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Luigi Battezzato Amedeo Avogadro University of Eastern Piedmont 48 PUBLICATIONS   71 CITATIONS    SEE PROFILE

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LUIGI BATTEZZATO

LINGUISTICA E RETORICA DELLA TRAGEDIA GRECA.

L. Battezzato, Linguistica e retorica

19/01/12

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Il volume è pubblicato con il contributo del Dipartimento di Studi Umanistici dell'Università degli Studi del Piemonte Orientale e del Progetto di Ricerca ― Ricezione, trasmissione, trasformazione dei testi teatrali nel periodo ellenistico e romano‖ (responsabile: prof. R. Ferri), Università degli Studi di Pisa, Dipartimento di Filologia Classica.

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INTRODUZIONE

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INTRODUZIONE 1. Linguistica, poetica, filologia E‘ possibile offrire una descrizione teorica del linguaggio poetico? E a cosa servirebbe una tale descrizione? Queste sono due delle domande a cui questo libro cerca di rispondere. Il linguaggio poetico è per sua natura ispirato, irrazionale, imprevedibile: se non lo fosse, non riuscirebbe ad agire su di noi. Questa è una visione antica e diffusa. Altrettanto antica e diffusa è quella secondo cui il linguaggio poetico segue delle tecniche codificate e prevedibili: chi studia i manuali di retorica può diventare poeta, o almeno scrivere poesie. Ma il linguaggio poetico è davvero qualcosa di completamente differente dal linguaggio comune? E perché studiarlo? Secondo Jacobson ― un linguista sordo alla funzione poetica del linguaggio e uno studioso di letteratura indifferente ai problemi linguistici, e non familiare con i metodi linguistici sono due anacronismi ugualmente flagranti‖1. In realtà il tumultuoso progresso della linguistica contemporanea è stato spesso ignorato negli studi classici, e ci si è spesso accontentanti di abbandonare alcune delle più vistose incoerenze delle sintassi tradizionali. Quando chi si occupa di letteratura studia la lingua di un autore lo fa per fini molto diversi da quelli del linguista. Molti critici del passato studiavano lo stile per arrivare a comprendere lo scrittore; erano convinti, con Buffon, che ― lo stile è l‘uomo‖, e lo stile sembrava a loro il modo migliore per comprendere l‘autore, la sua mente e le sue convinzioni; perché l‘autore, piuttosto che l‘opera, era il loro oggetto di studio2. Altri studiosi avevano un fine pratico: insegnare a scrivere versi latini corretti ed eleganti. Altri ancora miravano più modestamente a farci capire esattamente il senso letterale della lingua antica. Negli ultimi anni si sono aperte molte nuove prospettive di ricerca per lo studio della lingua poetica greca. I nuovi mezzi elettronici permettono di effettuare rapidamente studi esaustivi su un corpus enorme (TLG versione E); ma soprattutto il progresso è reso possibile dalle chiarificazioni e i raffinamenti concettuali nell'analisi sintattica introdotti dalla linguistica moderna, e dal rinnovato interesse per alcuni problemi che apparivano senza via di uscita con gli strumenti concettuali della linguistica ottocentesca. Questo lavoro di analisi linguistica ha importanti conseguenze per l‘interpretazione letteraria e linguistica. Di particolare importanza sono i lavori di Devine e Stephens3. Anche la critica del testo è influenzata dalle nuove ricerche linguistiche. Cercheremo di mostrare che la pragmatica, e la linguistica statistica possono essere di utilità per la filologia; in particolare la statistica permette una ridefinizione del concetto di ‗raro‘ e ‗frequente‘, offrendo argomenti per contrapporsi, in alcuni casi, a recenti tendenze normalizzatrici.

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Jakobson, Essays, 322. Austin, Language Crafter, 1-16 presenta un panorama sul dibattito teorico antico e moderno relativo alla possibilità di uno studio dello ‗stile‘. Si veda anche Eco, Sulla letteratura, 172-190. Sullo stile come segno del carattere individuale nella letteratura greca cfr. Worman, Cast (anche se la Worman intende per ‗stile‘ un complesso di atteggiamenti e modi di autopresentazione che va oltre lo stile verbale). Importanti sono i lavori di Bers, Enallage e Poetic Syntax. Willi, Languages discute variazioni nell‘esperessione individuale in Aristofane, ma si concentra su modi propri di categorie sociali o professionali (registri nel linguaggio religioso, linguaggi scientifici o tecnici, linguaggio femminile). 3 Cfr. Devine e Stephens, Language and Metre; Devine e Stephens, Prosody; Devine e Stephens, Syntax. Tra gli altri lavori importanti apparsi di recente si possono ricordare anche Bakker, Discourse; Bakker, Boundaries; Bakker, Poetry; H. Dik, Word Order. Un panorama sui recenti studi di sintassi è offerto da Teffeteller, Syntax. I lavori di Moorhouse, Syntax e Matino, Sintassi offrono una analisi della sintassi di Sofocle e Eschilo. 2

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Ci sono in effetti due modelli epistemologici differenti in filologia; due modelli che si intersecano e combattono dall'antichità fino ad oggi: il filologo come medico, che studia, raccoglie i dati e analizza (Hermann), e il filologo come profeta, che deve 'divinare' il testo corretto tramite una intuizione (Aristarco, Bentley, Housman). Per Hermann i filologi sono come i medici: devono prestare la loro opera a tutti coloro che ne anno bisogno; inoltre i filologi devono esporre in dettaglio le ragioni delle loro scelte, perché ― parlare dal tripode è proprio di Apollo‖4. Non c‘è una distinzione tra testi nobili e testi plebei: anche un testo letterariamente infelice, solo per il fatto di essere antico, non merita di essere trascurato. Non solo: il filologo deve esporre le proprie ragioni, non vaticinare. Hermann polemizzava implicitamente con una famosa definizione antica. Il filologo ellenistico Aristarco fu detto ― l‘indovino, il profeta‖ (o| maéntiv) da Panezio5. Aristarco però, secondo Panezio, limitava le sue capacità profetiche all‘indovinare il senso del testo che egli intendeva interpretare. Bentley, nella prefazione alla sua edizione di Orazio, riprende questo paragone, sostenendo che, per comprendere questo poeta, è necessaria la capacità divinatoria di un Aristarco6. La metafora divinatoria ha offerto a Bentley la possibilità di giustificare il suo interventismo congetturatorio: non a caso la sua edizione di Orazio è il modello principale della tradizione filologica più incline ad offrire rimedi congetturali alle ‗corruttele‘ del testo. Hermann stesso utilizza una versione attenuata della metafora divinatoria, ma lo fa non quando cerca di ricostruire un testo frammentario antico, i drammi di Eschilo su Licurgo: ― Nec temere hariolando est in antiquitatis pervestigatione, neque carere divinationis adiumento possumus‖7. Nella De emendationibus per transpositionem verborum dissertatio (un testo del 1824), dopo aver indicato varie case delle traspozioni di versi o passi nella tradizione manoscritta di autori antichi conclude: ― mihi quidem hoc tantum propositum erat, ut paucis ostenderem, quemadmodum caussae et modi transpositionis multum inter se differrent, ita etiam usum debere diversum esse. Ex quo apertum est, inconsiderate statuere, qui illam emendandi viam facillimam esse ac tutissimam credunt. Non magis enim aut facilis aut tuta est, quam quodvis aliud genus emendandi. Nam ut in medicorum arte illud tantum, quod cuique morbo accommodatum est remedium, optiumum habetur atque tutissimum, ita in arte critica qui transpositione pro panacea utetur, quid aliud quam medico similis erit, qui cuivis aegroto artus luxatos esse suspicans, dum reponere laboret, evellat potius ac distendat, morboque veteri superaddat novum?‖8 ‗Il testo è sano‘, rispondono i filologi più conservatori, perpetuando la metafora medica; e per mostrare che è sano è necessario offrire analisi dettagliate delle ‗patologie‘ della lingua. Anche questa è una metafora antica: già Aristotele parlava di ― sofferenze, accidenti della lingua‖ (paéqh th%v leéxewv) il cui uso, come quello delle metafore e delle parole rare, è concesso ai poeti (Po. 1460 b 12). 2. Allusione, retorica, pragmatica 4

Cfr. Timpanaro, Filologia, 18. Athen. XIV 634: maéntin… diaè toè r|adòwv katamanteuéesaqai th%v tw%n poihmaétwn dianoòav. Pfeiffer, Storia, 359 n. 132, per questa fama di Aristarco nell‘antichità, rimanda a Cic. Att. 1.14.3, Fam. 3.11.5, 9.10.1; Pis. 73; Hor. Ars 450. 6 Pfeiffer, Storia, 359 n. 131, citando l‘edizione di Orazio di Bentley del 1711, xx: opus … est, ut de Aristarcho olim praedicabant, divinandi quadam peritia et mantikh%i. 7 De Aeschyli Lycurgia dissertatio, del 1831: cfr. Hermann, Opuscula V, 3. Per una discussione recente dell'attività filologica di Hermann, con attenzione agli aspetti metodologici, si veda Medda, La filologia. 8 Cfr. Hermann, Opuscula III, 98-112, spec. 110. 5

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I personaggi tragici spesso parlano utilizzando parole o sintagmi omerici. Non sempre lo fanno a proposito. Un caso semplice e interessante si trova nella Medea di Euripide, dove la nutrice chiede al coro (Eur. Med. 168-170): kluéeq} oàa leégei ka\piboa%tai Qeémin eu\ktaòan Zh%naé q}, o£v o$rkwn qnhto_v tamòav nenoémistai; ― ascoltate ciò che dice ed esclama, chiamando Themis, oggetto di invocazioni, e Zeus, che è considerato dai mortali dispensiere dei giuramenti‖ La nutrice utilizza una perifrasi per Zeus: lo chiama ― dispensatore dei patti‖. Facendo ciò allude ad Omero, secondo cui Zeus è ― dispensatore di guerra‖ (Il. 4.84 = 19.224 Zeuév, o$v t} a\nqrwépwn tamòhv poleémoio teétuktai). In nessuno dei due casi Omero però fa riferimento all‘attività di Zeus come garante dei patti. Onofrio Vox ha messo in luce come la prima di queste occorrenze omeriche sia quella decisiva9. Il passo del quarto libro dell‘Iliade è all‘interno di una sezione narrativa cruciale: Zeus, tramite Atena, spinge i troiani a violare il giuramento da essi prestato. Per questo motivo già Platone parlava del passo citato implicando che Zeus fosse uno ― spergiuro‖ (Pl. R. 379 c 9-380 a 1): Ou\k a"ra, h&n d} e\gwé, a\podekteéon ou"te {Omhérou ou"t} a"llou poihtou% tauéthn thèn a|martòan perì touèv qeouèv a\nohétwv a|martaénontov kaì leégontov w|v doioò te pòqoi katakeòatai e\n Dioèv ou"dei khrw%n e"mpleioi, o| meèn e\sqlw%n, au\taèr o£ deilw%n ... ou\d} w|v tamòav h|m_n Zeuèv "a\gaqw%n te kakw%n te teétuktai". thèn deè tw%n o$rkwn kaì spondw%n suégcusin, h£n o| Paéndarov suneéceen, e\aén tiv fh%i di} }Aqhna%v te kaì Dioèv gegoneénai, ou\k e\painesoémeqa, ou\deè qew%n e"rin te kaì kròsin diaè Qeémitoév te kaì Dioév "Non è dunque da approvare, continuai, né Omero né altro poeta che commetta sugli dèi lo sciocco errore di dire che su la soglia di Zeus due giare sono poste piene l'una di sorti felici l'altra di infelici … né deve dire che per noi Zeus è dispensiere "di beni come di mali". Veniamo poi alla violazione dei giuramenti e della tregua commessa da Pandaro: se uno ne incolpa Atena e Zeus, non gli daremo approvazione, così come se incolpa Temi e Zeus della contesa e del giudizio delle dee" (tr. it. Sartori, Repubblica). La nutrice dunque sceglie l‘allusione sbagliata: un brano omerico famoso proprio perché Zeus scandalosamente sovvertiva il giuramento prestato; un brano che probabilmente già prima di Euripide era l‘oggetto di imbarazzata esegesi. All‘inizio del dramma, l‘allusione sembra suggerire che Medea troverà poco aiuto da parte degli dèi nel punire Giasone. In realtà il tema dei giuramenti non rispettati sarà cruciale, e, secondo Medea, Zeus sa bene quanto Giasone sia colpevole (Eur. Med. 1352)10: l‘allusione sbagliata della nutrice suggerisce però agli ascoltatori fin dall‘inizio la solitudine di Medea, abbandonata dagli dèi. Sembra un altro caso di suggestio falsi, uno dei modi in

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Vox, Zeus. Su Zeus nella Medea si veda Mastronarde, Medea, 32, con bibliografia.

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cui Euripide, all‘inizio del dramma, svia gli ascoltatori facendo loro pensare uno sviluppo che poi non si realizza. Il presente volume cerca quindi di integrare analisi dettagliate di alcune particolarità linguistiche con alcuni spunti tratti dalla riflessione teorica recente sul linguaggio. Il volume va dal generale al particolare: comincia dalla retorica per terminare con discussioni di metrica e di prosodia. Nel primo capitolo vengono discusse alcune allusioni omeriche presenti nell‘Edipo Re. Anche in questi casi l‘allusione gioca contro il personaggio che incautamente la pronuncia. L‘allusione, in un caso, avviene tramite una figura retorica abbastanza diffuso: l‘hysteron proteron. Le figure retoriche vengono presentate, nei manuali, nelle grammatiche e nei commenti ai testi, come una modificazione arbitraria dell'ordine delle parole e della relazione naturale dei pensieri, una modificazione permessa soltanto dalla licenza concessa a chi scrive in uno stile elevato, in versi o in prosa. In realtà alcuni fenomeni della lingua omerica, legati alle peculiarità della sintassi arcaica, hanno in Omero una funzione linguistica pragmatica, e diventano fenomeni retorici (cioè di lingua artificiale) solo con l'imitazione nella poesia successiva. Con una analisi dei passi omerici e tragici, si può mostrare che, in un contesto linguistico cambiato, lo stesso fenomeno passa da fatto di lingua a fatto di stile. Cioè: mentre il primo capitolo analizzava come le allusioni omeriche scardinassero l‘intenzione del personaggio, il secondo capitolo guarda al linguaggio poetico dal punto di vista della tradizione, di come alcuni usi si consolidino nel passaggio da un testo all‘altro, e di come si finisca per leggere Omero con le lenti fornite dagli autori che lo hanno imitato. Nel terzo capitolo si analizza una serie di espressioni ricorrenti nella letteratura greca arcaica e classica, espressioni che hanno una rilevanza sia linguistica che filosofica. Divinità e concetti astratti sono spesso qualificati da superlativi, in alcuni casi con evidenti contraddizioni logiche o filosofiche. Una raccolta molto esaustiva di questo topos del linguaggio religioso mostra il passaggio di questa predicazione all'ambito filosofico (e comico), e permette di valutarne la funzione retorica. Il quarto capitolo discute un problema di pragmatica. Le lingue classiche hanno un ordine delle parole 'libero'. L'analisi di solito si fermava alla dimostrazione della varietà di ordini possibili all'interno di un'unica frase presa singolarmente. In realtà la flessibilità della lingua greca è spiegabile con la pragmatica, un settore relativamente nuovo della linguistica che studia la relazione tra le varie frasi di un testo, e delle implicazioni sottointese a ciascuna affermazione 11. Esistono vari ordini possibili, ma presentano differenze semantiche facilmente rilevabili. L'analisi si concentra sulle frasi interrogative, introducendo alcuni concetti della linguistica contemporanea. Grazie alla formalizzazione del codice linguistico della tragedia è possibile stabilire norma e scarti dall'uso. Il quinto capitolo tratta dell‘enjambement. Questo fenomeno è stato studiato a fondo per Omero, con notevoli raffinamenti concettuali e prosodici; una applicazione di questi criteri, con appropriate modifiche, allo studio dell'enjambement in tragedia ci permette di mettere in luce alcune significativi cambiamenti nello stile di recitazione da Eschilo a Sofocle, e all'interno della produzione di Euripide. Nel concludere questo lavoro mi corre il piacevole obbligo di ringraziare G. Avezzù, M. Cantilena, G. B. Conte, G. B. D'Alessio, E. Dettori, A. Devine, V. Di Benedetto, F. Ferrari, R. Ferri, M. C. Martinelli, D. J. Mastronarde, J. Méndez Dosuna, M. Mueller, R. Pretagostini, V. SamekLodovici per aver letto e commentato parti di questi lavori, offrendo correzioni e suggerimenti. V. Di Benedetto mi ha avviato agli studi di filologia greca, e ho verso di lui un grandissimo debito di riconoscenza. Alcune sezioni di questo volume hanno la loro lontana origine in studi condotti sotto la guida paziente, esperta ed acuta dello stesso V. Di Benedetto, di F. Ferrari e di D. J. Mastronarde. La responsabilità di errori di giudizio o di fatto che possano essere presenti in queste pagine rimane 11

Si vedano ad es. Sbisà, Linguaggio, S. Dik, Theory, 263-287, Siewierska, Grammar, 146-180, H. Dik, Word Order.

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in ogni caso mia. V. Citti, R. Di Donato e F. Ferrari mi hanno sostenuto nella preparazione di questo volume; R. Ferri ne ha discusso con me in dettaglio il progetto e ne ha favorito la pubblicazione. G. Avezzù, G. B. Conte, e L. E. Rossi hanno permesso di riprodurre qui con alcune modifiche lavori pubblicati in volumi da loro curati, o in riviste da loro dirette (cfr. Battezzato, Linguistica; Battezzato, Retorica; Battezzato, Enjambement). I colleghi dell'Università del Piemonte Orientale la rendono un luogo dove è piacevole insegnare e fare ricerca: ringrazio in particolare Raffaella Tabacco, P. Accattino, C. Brusa, G. Ferrari, C. Marazzini, U. Perone, G. Tesio, G. Vanotti, G. Zaccaria. Ringrazio inoltre i miei genitori Leopoldo e Rosa, mia sorella Laura, i miei zii Giuseppe e Michele per i motivi che loro sanno, in primo luogo per la pazienza. Questo libro è dedicato a mia moglie Paola.

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CAPITOLO 1 EDIPO E OMERO La sera, quando si trovavano ai due estremi opposti del salotto in cui Mme de Bonnivet riuniva quanto c‘era allora di più notevole e influente a Parigi, se Octave doveva rispondere a una domanda usava una certa parola che Armance aveva appena usato, e lei vedeva che il piacere di ripetere quella parola gli faceva dimenticare l‘interesse che avrebbe potuto provare per quanto diceva. Senza premeditazione, si stabilì così fra loro, in mezzo alla gente più piacevole e animata, non una conversazione particolare ma come una sorta di eco che senza esprimere niente di preciso sembrava parlare di amicizia perfetta e di simpatia illimitata. Stendhal, Armance, cap. XXIV12

1. Il linguaggio poetico: complessità e controllo politico La tragedia attica porta le tracce linguistiche dei generi letterari che hanno contribuito alla sua formazione fornendo parole, elementi narrativi, miti, forme, immagini. Le difficoltà dei lettori nel capire la complessità della lingua poetica sono anticipate dalle difficoltà esperite dai personaggi della tragedia. Ora sono in pochi a credere che i personaggi siano prigionieri del linguaggio del genere letterario a cui appartengono13, ma certo succede che i personaggi subiscano il loro fato perché si smarriscono nell'indeterminatezza e nella complessità della lingua poetica: in Eschilo Agamennone non comprende il discorso ambiguo di Clitemestra, Clitemestra nell'Elettra di Euripide non coglie i doppi sensi della figlia, Penteo non capisce le minacce di Dioniso nelle Baccanti14. L‘esatta interpretazione della lingua poetica, e in particolare l‘interazione tra linguaggio esametrico e linguaggio tragico, è uno dei nodi centrali dell‘Edipo Re: al livello della trama, l‘attenzione esplicita è sull‘interpretazione del linguaggio oracolare; a livello intertestuale, uno degli elementi cruciali è la reinterpretazione del linguaggio omerico 15. Questo corrisponde alle pratiche 12

Trad. it. di Franco Cordelli, Milano 1978, 146. A. M. Parry Language of Achilles = A. M. Parry Language, 1-7; l'interpretazione di Parry è contestata con interessanti considerazioni da Reeve, Language e Di Benedetto, Omero, 111 n. 7. 14 Cfr. Ae. Ag. 855-974, Eur. Med. 869-905, 923-931, El. 1093-1096, Ba. 787-846. Sull'ambiguità del linguaggio tragico si veda Goldhill, Reading Greek Tragedy, 1-32; Di Benedetto in Di Benedetto e Cerbo, Medea, 62-75 sottolinea come l'ambiguità sia tra due possibili sensi. 15 La presenza di Omero nella tragedia attica è uno dei temi più studiati, ed ha ricevuto ottime trattazioni; ma la maggior parte dei lavori si concentra su nuclei tematici, o, nell‘analizzare legami 13

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della società ateniese, che mirava a controllare e reinterpretare tanto la poesia epica e tragica quanto quella oracolare. Non è un caso che la poesia fosse al centro delle due feste principali celebrate ad Atene. Ad Atene il testo omerico veniva recitato alle feste Panatenaiche, nel mese di Hecatombaion, attorno al solstizio estivo16. In modo analogo, alle Dionisie cittadine, nel mese di Elaphebolion (marzo/aprile) un gran numero di cittadini assisteva alla rappresentazione di tragedie, commedie e drammi satireschi in onore del dio Dioniso. L‘organizzazione di questi due festival è parte di un programma politico della fine del sesto secolo a. C. Un dialogo pseudo-platonico attesta che Ipparco, il figlio di Pisistrato, ― portò‖ ad Atene i poemi di Omero e che ― obbligò i rapsodi alle Panatenee a narrarli17 in ordine [nella performance], susseguendosi l‘uno all‘altro, così come essi fanno ancora adesso‖18. Questo deve riferirsi al periodo tra il 528 e il 510 a. C. La famiglia di Pisistrato ricava naturalmente crediti politici dall‘organizzare festival cittadini in onore di Omero. Ne ricava anche crediti poetici: non a caso Pisistrato è ritenuto responsabile di aver interpolato in vari passi il testo omerico per motivi politici19. Il primo festival drammatico è datato tradizionalmente al 534 a. C., quando il tiranno pisistrato era al potere20. C‘era un altro tipo di poesia che attirò l‘attenzione dei leader politici: gli oracoli. Gli Acmeonidi ebbero stretti contatti con i sacerdoti di Delfi e con l‘oracolo Pitico. Erodoto narra che Clistene, discendente di Alcmeone, riuscì a corrompere la Pizia, e che le sue profezie convinsero gli Spartani a liberare Atene dai tiranni (Hdt. 5.63.1). Sempre Erodoto ricorda che in quell‘occasione il re di Sparta Cleomene si impadronì degli oracoli appartenuti ai Pisistratidi, e da loro abbandonati ad Atene con la fuga (Hdt. 5.90.2)21. Nel V sec. a. C. Atene e Sparta lottarono per controllare Delfi, e gli oracoli fornirono agli spartani una giustificazione ‗religiosa‘ per attaccare Pericle 22. L‘attenzione per gli oracoli è evidente anche nel caso di altri tiranni23. 2. Gli oracoli

linguistici, si limita a elencare ‗omerismi‘. Tra gli studi più significativi o utili si vedano Breitenbach, Untersuchungen, 266-288 (Euripide), Sideras, Aeschylus (Eschilo), R. B. Rutherford, Form (elementi tragici nell‘Iliade, con bibliografia), Easterling, Tragic Homer (con speciale attenzione a Sofocle), Garner, From Homer to Tragedy, Gould, Myth, 158-73 (Omero e la tragedia), Lange, Euripides und Homer (con una abbondante bibliografia). Sul linguaggio di Edipo è importante Gould, Myth, 244-262. 16 Parke, Festivals, 29. 17 Il termine greco è diieénai, ― attraversare‖, ― percorrere‖. 18 [Pl.] Hipparch. 228 b 7-c 1: taè {Omhérou e"ph prw%tov e\koémisen ei\v thèn gh%n tauthnò, kaì h\naégkase touèv r|aywidouèv Panaqhnaòoiv e\x u|polhéyewv e\fexh%v au\taè diieénai, w$sper nu%n e"ti oi$de poiou%sin. Cfr. T. W. Allen, Homer, 225-238, Janko, Iliad, 30, Nagy, Questions, 73-82, Di Benedetto, Omero, 372, Graziosi, Inventing Homer, 221, West, Studies in the Iliad, 17-19. 19 Cfr. sch. Il. 10.0b Erbse, con l‘apparato di Erbse stesso, e la bibliografia alla nota precedente. 20 Sulla controversia relativa alla data si veda ora Scullion, Dates, forse eccessivamente scettico verso i dati tradizionali. 21 ― The possession of poetry was a primary sign of the tyrant‘s wealth, power, and prestige‖ (Nagy, Pindar's Homer, 158). Si veda anche Hdt. 7.6.3-5. Sulla ‗tesaurizzazione delle profezie‘ cfr. Prandi, Considerazioni. Sul linguaggio degli oracoli e degli enigmi si veda Pucci, Enigma. 22 Si vedano Giuliani, Atene; T. Harrison, Divinity, 141-145; più in generale Parke e Wormell, Oracle, I, 141-202; Nilsson, Cults, 124-130. 23 Il problema dell'interpretazione omerica è particolarmente vivace nel V sec. a. C.: Richardson, Professors, West, Studies in the Iliad, 23-28. Sulle strategie di interpretazione ‗simblica‘ in età preellenistica è importante Struck, Birth of the Symbol, 21-110 (p. 26-29 e 43-49 in particolare su Omero).

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Il controllo sugli oracoli e il problema dell‘interpretazione ‗letteraria‘ di questi testi poetici è uno dei temi più importanti dell‘Edipo Re. I personaggi e il coro lottano su chi ha il diritto di interpretare gli oracoli, e come. Edipo in particolare è scettico sugli oracoli ascoltati e interpretati da altri; non si fida di Tiresia, e Creonte deve difendersi dal sospetto di aver manipolato le rivelazioni di Apollo24. E‘ vero che gli oracoli sono per natura ambigui e che qualsiasi piccolo errore nell‘interpretarli o riportarli può essere cruciale. Edipo, in realtà, è famoso proprio per la sua abilità nel risolvere enigmi, come egli stesso sottolinea (Soph. OT 390-398, 440-441). E‘ stato Edipo, non Tiresia, a risolvere l‘enigma della ― cagna-rapsodo‖, la Sfinge. Così chiede Edipo al profeta (Soph. OT 391-392): pw%v ou\c, o$q} h| r|aywidoèv e\nqaéd} h&n kuéwn, hu"dav ti to_sd} a\sto_sin e\kluthérion; ― Come mai, quando la cagna rapsodo era qui, tu non hai detto niente a questi cittadini che potesse liberarli dalla sventura?‖ La Sfinge è detta ― cagna-rapsodo‖. E‘ una espressione straordinaria. I rapsodi ‗cucivano insieme‘ i canti omerici25. Questa è una delle prime occorrenze della parola, ed è l‘unica in poesia prima dell‘età ellenistica26. Oracoli ed enigmi venivano spesso composti in esametri, lo stesso metro della poesia dei rapsodi; e in realtà le prime attestazioni della parola ― esametro‖ si riferiscono a 27 oracoli e iscrizioni, piuttosto che alla poesia epica . Euripide, in un frammento del suo Edipo trasmmessoci da un papiro, usa la parola ― esametri‖ proprio in riferimento all‘enigma della 28 Sfinge : x h g ]ai"nigm} h| miaif[oénov koérh x h e\]peipou%s} e|xaé[m]et[r(a) ― …enigma, la (ragazza) insozzata di sangue … …avendo aggiunto esametri … ‖ E‘ notevole che nell‘Edipo Re la Sfinge sia detta anche ― aedo‖, oltre che ― rapsodo‖: il sacerdote, all‘inizio del dramma, rivolgendosi ad Edipo, spiega che ― tu, giunto alla città di Tebe, hai posto fine al dazio che pagavamo, imposto dal femminile aedo crudele (sklhra%v a\oidou% dasmoén)‖ (34-35). Se la Sfinge è capace di riunire in sé le caratteristiche, di solito pensate come contrapposte, di aedo e di rapsodo, di inventore di canti propri e di riadattatore di canti altrui, essa 24

Sugli oracoli nell‘Edipo Re cfr. ad es. Pucci, Enigma, 34-36. L‘altra etimologia antica attestata è meno rilevante in questo caso: alcuni collegavano ‗rapsodo‘ a ‗rhabdos‘, il ‗bastone‘ a cui i rapsodi si appoggiavano per cantare (Pi. I. 3.55-57 [4.37-39]). In un passo di Callimaco entrambe le etimologie sono adombrate: toèn e\pì r|aébdwi mu%qon u|fainoémenon (Call. fr. 26.5 Pfeiffer). Per una discussione delle etimologie, con bibliografia e riferimenti, cfr. Schmitt, Dichtung, 300-301, Durante, Preistoria, 177-179, Nagy, Questions, 1996, 83-84, Graziosi, Inventing Homer, 23-25. 26 E‘ possibile che la Eraclito alluda alla parola rapsodo in 22 B 42 DK (Graziosi, Inventing Homer, 29 con bibliografia). Il termine è sicuramente attestato in una breve iscrizione della metà del quinto secolo, proveniente da un tripode ritrovato a Dodona, forse in onore di un rapsodo della Ionia d‘Asia: Teryiklh%v : tw%i Dì : Naiéwi : r|aywidoèv : a\neéqhke (GDI, III.2: 5786; cfr. Graziosi, Inventing Homer, 25). 27 Oracoli: Hdt. 1.47.2, 1.62.4, 7.220.3. Iscrizioni: Hdt. 5.60; 5.61.1. 28 Cfr. P. Oxy. 2459 fr. II 5-6 = Oedipe, fr. 2, II 5-6 Jouan e van Looy, Fragments 2 = fr. 540a.5-6 Kannicht, TrGF 5. Accetto i supplementi di Snell al v. 5 e di Barrett al v. 6, stampati da Jouan e van Looy, per dare una indicazione sul senso; altre possibilità sono aperte. 25

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però ha un cantore rivale nel dramma: Apollo. Gli oracoli di Apollo sono spesso presentati, come ‗canti‘, come testi poetici affascianti per la loro bellezza e oscurità; e questo avviene anche nell‘Edipo Re, dove il coro narra che ― la profetica pietra di Delfi cantò‖ il colpevole della contaminazione tebane29. 3. Il padre di Edipo Edipo dunque è interprete di due diversi testi poetici: il canto della Sfinge e quello di Apollo. Il suo successo con la prima lo porta a credere di essere perfettamente in grado di affrontare le complessità delle profezie apollinee. Egli spiega che, quando era ancora a Corinto, qualcuno insinuò che lui non fosse il figlio di Polibo, come credeva. Andò a Delfi per una risposta ai suoi dubbi (OT 788-793): kaò m} o| Fo_bov w/n meèn i|koémhn a"timon e\xeépemyen, a"lla d} a\qlòwi kaì deinaè kaì duésthna prou\faénh leégwn, w|v mhtrì meèn creòh me meicqh%nai, geénov d} a"tlhton a\nqrwépoisi dhlwésoim} o|ra%n, foneuév t} e\soòmhn tou% futeuésantov patroév. ― Febo ricusò di rispondere alle mie domande, e tutavia si dichiarò a me predicendomi altre sciagure, gravi, inaudite: che era destino che mi unissi con mia madre e generassi una prole intollerabile agli occhi del mondo; e che avrei ucciso il padre che mi aveva dato la vita‖ (trad. Ferrari, Antigone, Edipo Re). Questo è caso più famoso di hysteron proteron in Sofocle; esso rivela i pericoli del passaggio dalle espressioni dell'epica alla lingua della tragedia. Edipo pericolosamente riassume l'oracolo di Apollo, e trae una inferenza sbagliata, ingannato da uno stilema tipico della lingua tragica. Così Edipo riporta la profezia L'espressione tou% futeuésantov patroév è normalmente da intendere come pleonastica30 nella lingua tragica. Così ad esempio troviamo: Soph. OT 1482 tou% futourgou% patroév OT 1514 tou% futeuésantov patroév, Ai. 1296 o| fituésav pathér El. 1412 o| gennhésav pathér Trach. 311 tòv h| tekou%sa, tòv o| fituésav pathér; Eur. Alc. 1137-1138 eu\daimonoòhv kaì s} o| fituésav pathèr / swéizoi31. 29

Si vedano Soph. OT 463-464: a| qespieépeia Delfìv h&ide peétra, adottando, con Lloyd-Jones e Wilson, Sophoclis Fabulae, la congettura di J. E. Powell, per l‘incolore eùpe dei manoscritti, la cui genuinità è messa in dubbio dalla variante eùde del manoscritto K. 30 Su questa ambiguità ha attirato l'attenzione Bollack, Oedipe roi, ad loc. L'espressione è pleonastica perché non sembra selezionare una persona diversa da quella indicata da pathér, ma ha solo una funzione di dare solennità allo stile tramite la ridondanza: i due termini, per usare la definzione linguistica, sono "c-sinonimi" (cioè assolutamente intercambiabili: per la definizione si veda Chierchia, Semantica, 129). Anche in Soph. OT 793 i due termini sono c-sinonimi ma "che ti ha generato" è un elemento contrastivo rispetto a un sottointeso "non il padre che ti ha allevato e che tu consideri tale". 31 Si vedano inoltre, Soph. fr. 880 }Alfesòboian, h£n o| gennhésav pathér, Eur. Tro. 459 cw\ tekwèn h|ma%v pathér, Hel. 87-88 o| deè fuésav pathèr / Telamwén, IA 1177 o| futeéusav pathér (fituésav Blomfield e Elmsley: cfr. Stockert, Iphigenie in Aulis, ad loc.) fr. 1007e+f.2 t[w%i] tekoén[ti] patrò.

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Nel caso dell'Edipo Re però la specificazione è importante: Apollo si era appena rifiutato di rispondere ad Edipo che chiedeva se Polibo era il suo vero padre (vv. 788-789).32 Nelle parole di Apollo la specificazione "che ti ha generato" è un elemento focale ("del padre, quello che ti ha generato") mentre per Edipo è una risposta implicita alla sua prima domanda. Nell'interpretazione di Edipo, il participio è pleonastico come negli altri casi della lingua poetica tragica. Quando racconta del suo dilemma, Edipo lo presenta in questo modo (OT 825-827): h! gaémoiv me de_ mhtroèv zugh%nai kaì pateéra kataktane_n Poélubon, o£v e\xeéqreye ka\xeéfuseé me33. ― altrimenti devo unirmi in matrimonio con mia madre e uccidere il padre Polibo, che mi allevò e mi generò‖ e\xeéqreye ka\xeéfuse P. Oxy 1369, HNOVZr: e\xeéfuse ka\xeéqreye ACDFGLPPaRTXrXs L'atto del generare viene dopo, e viene aggiunto come dettaglio ovvio e secondario rispetto all'allevare, che è l'unico dato di cui Edipo è veramente sicuro. Il linguaggio di Edipo riprende,

Troviamo addirittura Eur. HF 1367 w& teékn}, o| fuésav kaì tekwèn u|ma%v pathér (con espansione patetica) e Soph. fr. 64.2 proèv touèv tekoéntav kaì futeuésantav (senza sottolineatura patetica, ma con una certa solennità timorosa da parte del parlante, una ragazza che sa di non avere molto diritto di parlare). Naturalmente o| futeuésav da solo basta per indicare "il padre": Soph. Trach. 1244, Phil. 904, Eur. Andr. 49; cfr. anche il plurale in Soph. OT 1007 to_v futeuésasin, 1012, Dicaeogenes 52 F 4.1 Snell, TrGF 1 e, per riferirsi al solo padre, OC 1377. Allo stesso modo è frequentissimo l'uso di o| tekwén e h| tekou%sa per "il padre" (Soph. OC 1108, Eur. Hipp. 1040, etc.) e "la madre" (e. g. Soph. OT 985, El. 470). Un'analoga serie di espressioni si trova in Soph. Ai. 1172 patroèv o$v s} e\geònato, El. 261 mhtroèv h$ m} e\geònato, fr. 187.2 mhtroèv h$ s} e\geònato, Eur. El. 964 thèn tekou%san h$ m} e\geònato, Or. 29 mhéter} h$ sf} e\geònato. Naturalmente in molti di questi casi (Soph. El. 261, Eur. El. 964, Or. 29, etc.) l'insistenza sulla maternità o paternità biologica serve a sottolineare l'innaturale rapporto di odio o la violenza esercitata tra genitore e generato. Notevole anche la negazione del pleonasmo in Ae. Eu. 736 mhéthr gaèr ou"tiv e\stìn h$ m} e\geònato, e la modificazione di queste espressioni in Eur. Pho. 996 patròdov h$ m} e\geònato (dove è chiara l'immagine della "patria" come "madre/padre"). Discussione di queste espressioni in Collard, Supplices, ad Eur. Supp. 896, Bruhn, Anhang, 119-120; Frijs-Johansen e Whittle, Suppliants, ad Supp. 313 mostrano che fituéw e futeuéw sono varianti dovute a convenienza metrica. 32 Sul tema della paternità nell'Edipo Re cfr. Pucci, Oedipus; Paduano, Storia, 3-70; Di Benedetto, Sofocle, 128-130. 33 Dawe, Oedipus Rex, ad loc. nota, contrastando così l'ipotesi di espunzione del v. 827 avanzata da Wunder: "it is vital that the audience should not be confused by its own superior knowledge: hence 'father' is expanded by 'Polybus, who gave me life and brought me up'". Ferrari, Studi, 35, giustamente preferisce l'ordine di alcuni manoscritti e del papiro e\xeéqreye ka\xeéfuse, contrastando Dawe che sceglie l'ordine della maggioranza dei manoscritti medievali. L'ordine e\xeéqreye ka\xeéfuse era stampato già da vari editori, ad es. Hermann, Oedipus Rex.

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come è stato notato34, una serie di espressioni omeriche in cui la successione naturale ― generare/allevare‖ viene invertita: Il. 1.250-251 tw%i d} h"dh duéo meèn geneaì meroépwn a\nqrwépwn e"fqiaq} oi$ oi| proésqen a$ma traéfen h\d} e\geénonto Il. 2.547-548 dh%mon }Erecqh%ov megalhétorov, o$n pot} }Aqhénh qreéye Dioèv qugaéthr, teéke deè zeòdwrov a"roura35 Od. 4.723 o$ssai moi o|mou% traéfen h\d} e\geénonto Od. 10.417 i$na t} e"trafen h\d} e\geénonto Od. 14.201 traéfen h\d} e\geénonto Od. 12.134 qreéyasa tekou%saé te36 Eur. Supp. 918-919 dustuch% / s} e"trefon, e"feron u|f}h$patov Eur. El. 969 h$ m} e"qreye ka"teken Eur. Hec. 762 e"tekon ka"feron zwénhv u$po. L'errore di Edipo è tanto più semplice in quanto il passivo di treéfw in tragedia, e specialmente in Sofocle, a volte assume un senso molto ― sbiadito‖, e vale quasi come ― essere cresciuto‖37. Sofocle ci presenta un Edipo che viene giocato dal linguaggio poetico. Edipo scivola nell'uso di una espressione di tipo epico-formulare, dando per scontato proprio ciò che non lo era: equipara, con un costo altissimo, il modulo espressivo dell'epica (― nutrì e generò‖) al modulo 38 espressivo del linguaggio tragico/oracolare (tou% futeuésantov patroév) . 34

Ferrari, Studi, 35. Si noti anche Soph. OT 1090-1091: il Citerone è patriwétan Oi\dòpou kaì trofoèn kaì mateér(a) una coppia che ricorre in Pl. R. 470 d 8-9; è naturalmente anche usata in riferimento a due gruppi separati ("nutrici" e "madri") cfr. Pl. Lg. 794 e 1, 808 e 2, 887 d 2. 35 Il. 2.548 è una modificazione dell'espressione "crescere e generare" che si ritrova in Il. 1.252 etc.; solo qui viene enfatizzato il fatto che ha generato è diverso da chi ha allevato. A questo passo su Eretteo allude probabilmente X. Mem. 3.5.10 thèn }Erecqeéwv ge trofhèn kaì geénesin. Senza allusione omerica invece Pl. R. 436 b 1 thèn trofhèn te kaì geénnhsin h|donw%n. Si noti che (secondo gli editori) Omero ha sia l'aoristo secondo passivo (3 p. pl. e"trafen/ traéfen: Il. 1.251, 266, 23.348, Od. 4.723, 10.417, 14.201; 3 p. sg. traéfh Il. 11.222) che l'aoristo secondo attivo usato in senso intransitivo (3 p. sg. traéf} Il. 2.661; 3 p. pl. e"trafon variante in Od. 10.417; infinito trafeémen Il. 7.199, 18.436, Od. 3.28): cfr. Schwyzer, Grammatik, 747, 756 e spec. 759; Chantraine, Phonétique et morphologie, 390; LSJ s.v. treéfw, B. 36 L'espressione nell'ordine "normale" geneésqaò te trafeémen te si ritrova in vari passi: Il. 7.199, 18.436, Od. 3.28. 37 Cfr. Soph. Ai. 556-57 de_ s} o"pwv patroèv / deòxeiv e\n e\cqro_v oàov e\x oi$ou }traéfhv, 1229 trafeòv… mhtroèv eu\genou%v a"po, Phil. 3 w& kratòstou patroèv {Ellhénwn trafeòv, OT 1123 dou%lov ou\k w\nhtoév, a\ll} oi"koi trafeòv, 1380 e"n ge ta_v Qhébaiv trafeòv (di Edipo, che è nato a Tebe ma è cresciuto a Corinto), Eur. Ion 692-693 o| pa_v a"llwn trafeìv e\x ai|maétwn. Su quest'uso cfr. Jebb, Philoctetes, ad Soph. Phil. 3, Renehan, Sophocles, 361. In riferimento al nutrimento dato dalla madre nel grembo cfr. Ae. Th. 754, Eu. 665, e il senso "coagulare" (del latte, etc.: Od. 9.246). 38 Edipo era stato più attento quando Tiresia per la prima volta aveva accennato alla questione (OT 435-446): h|me_v toioòd} e"fumen, w|v meè soì doke_, / mw%roi, goneu%si d}, oi$ s} e"fusan, e"mfronev. Edipo aveva subito capito che goneu%si d} oi$ s} e"fusan celava un insidia e si affretta a chiedere (437): poòoisi; me_non. tòv deé m} e\kfuéei brotw%n; ma non ottiene risposta. Si veda inoltre il nuovo, più corretto riassunto ai vv. 994-996 eùpe gaér me Loxòav poteè / crh%nai migh%nai mhtrì th\matou%, toé te / patrw%ion aàma cersì ta_v e\ma_v e|le_n, e le distinzioni dei vv. 1007

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4. La madre di Edipo Edipo allude ad Omero in un‘altra occasione nel dramma. Egli sostiene di essere innocente della morte di suo padre Polibo (Soph. OT 967-970): o| deè qanwèn keuéqei kaétw dhè gh%v: e\gwè d} o$d} e\nqaéde a"yaustov e"gcouv, ei" ti mhè tw\mw%i poéqwi kateéfqiq}: ou$tw d} a!n qanwèn ei"h }x e\mou%. ― lui è morto, e giace sotto terra; e io invece sono qui, senza aver toccato un‘arma—a meno che non sia morto per la nostalgia di me: così sarebbe morto per opera mia‖. Nel momento in cui Edipo scusa se stesso per la morte del padre, affiorano alla sua bocca le parole di Omero. La nostalgia di Odisseo è ciò che ha ucciso sua madre—e che quasi uccide sua moglie (Od. 11.202-203): a\llaé me soév te poéqov saé te mhédea, faòdim} }Odusseu%, shé t} a\ganofrosuénh melihdeéa qumoèn a\phuéra ― ma la nostalgia di te, e i tuoi pensieri, splendido Odisseo, e la tua gentilezza tolse a me la vita che è dolce come il miele‖. Penelope desidera morire (Od. 18.203-205) i$na mhkeét} o\duromeénh kataè qumoèn ai\w%na fqinuéqw, poésiov poqeéousa fòloio pantoòhn a\rethén ― così che io non consumi più la mia vita piangendo, provando nostalgia per tutte le splendide virtù di mio marito‖39. Per Penelope si veda anche Od. 19.136: a\ll} }Odush% poqeéousa fòlon katathékomai h&tor. ― ma per nostalgia di Odisseo mi consumo nel mio cuore‖. Si osservi che in Soph. OT 970 il verbo katephthito, ― egli morì‖, richiama phthinuthô di Od. 18.204, il passo su Penelope. Edipo, alludendo a Omero, riesce a riunire in un‘unica frase una allusione a ‗madre‘ e ‗moglie‘—proprio l‘unione di cui parla l‘oracolo che egli ha frainteso. 5. Creonte futeéusasin, 1012 futeusaéntwn, 1015, e"fun, 1017 ou\ gaèr Poélubov e\xeéfuseé me;. In sostanza Edipo è sempre attento a fare queste distinzioni tranne nel momento in cui spiega per la prima volta agli spettatori l'oracolo che ha ricevuto. Dodds, Ancient Concept of Progress, 64-77 è essenziale sulla colpa e la consapevolezza nell‘Edipo Re. 39 Si veda inoltre Eumeo in Od. 14.144: a\llaé m} }Odussh%ov poéqov ai"nutai oi\comeénoio.

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Edipo ha tentato di presentare se stesso come l‘unico dotato dell‘autorità necessaria per interpretare e riferire enigmi ed oracoli. In un passo famoso del dramma, Giocasta contesta la credibilità degli oracoli—e nel farlo offre dettagli che li confermano (707-725). Il membri del coro aggiunge se stessi al numero di quelli che tentano di interpretare le parole divine, e falliscono nel modo più struggente, cullandosi nell‘idea che Edipo sia il figlio di un dio, sia esso Pan, Apollo, Hermes o Dioniso (1086-1109). Alla fine della tragedia, Edipo si sente incatenato alle parole di Apollo e alla maledizione che egli stesso ha proclamato (226-275): dovrà essere espulso dalla città. Con una stupefacente fiducia nelle proprie capacità intellettuali, Edipo afferma che ― tutto è ora chiaro‖ (Soph. OT 1440-1441): a\ll} h$ g} e\keònou pa%s} e\dhlwéqh faétiv, toèn patrofoénthn, toèn a\sebh% m} a\polluénai. ― ma la parola di lui (Apollo) è stata resa completamente chiara: che l‘assassino del padre, l‘empio, io, vada in rovina‖ Creonte è molto meno fiducioso (Soph. OT 1442-1443, 1445): ou$twv e\leécqh tau%q}: o$mwv d}, i$n} e$stamen creòav, a"meinon e\kmaqe_n tò drasteéon. … kaì gaèr suè nu%n g} a!n tw%i qew%i pòstin feéroiv. ― Sì, così sono state dette queste cose: ma nel punto di necessità in cui ci troviamo, è meglio imparare bene che cosa si debba fare. … E infatti tu ora forse crederai al dio‖ Gli oracoli utilizzano il linguaggio poetico, specialemente quello epico-omerico. Nell‘Edipo Re, Edipo presenta se stesso come capace di interpretare il linguaggio poetico: il linguaggio della Sfinge e il linguaggio di Apollo. Addirittura riprende espressioni omeriche nei suoi discorsi—ma sbaglia nel capire il senso, e sceglie le allusioni sbagliate. Alla fine Creonte deve assumersi il compito di interpretare l‘oracolo. La lotta sull‘interpretazione degli oracoli, la lotta per controllare gli oracoli sono alla fine. Il dramma ha insegnato a Creonte che gli oracoli sono veritieri, ma opachi all‘interpretazione: lui, rappresentante della comunità, non ha più la fiducia di credere nella ‗chiarezza‘ delle parole divine per il cui controllo si è lottato.

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CAPITOLO 2 LINGUISTICA E FIGURE RETORICHE HYSTERON PROTERON E PLEONASMO DA OMERO A SOFOCLE

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CAPITOLO 2 LINGUISTICA E FIGURE RETORICHE: HYSTERON PROTERON E PLEONASMO DA OMERO A SOFOCLE 1. Problemi linguistici dell'hysteron proteron: lingue antiche e moderne Ma come è possibile che esista una cosa così strana come l'hysteron proteron? E che cos'è esattamente? Qual è il meccanismo linguistico che lo spiega? Non tutti sono convinti che l'hysteron proteron esista. ― I do not believe there is any such monster in literature—Latin or other—as a u$steron proéteron‖, scriveva Norwood, discutendo di Virgilio40, e T. E. Page protestava, più di cento anni fa: ― is it not time such rubbish was definitely excluded from notes and grammars? How long are we going on accusing Virgil of mentioning that last 'which naturally comes first'?‖41. Io non propongo di abbandonare l'etichetta dell'hysteron proteron, che ha il vantaggio di essere ben nota, e che giustamente sottolinea una particolarità linguistica reale, ma, nel seguito di questo intervento, intendo sottolineare alcuni problemi e porre alcune domande: a) se esiste l'hysteron proteron, cos'è? che definizione se ne può dare? (sezione 4) b) come funziona dal punto di vista linguistico? come mai è comprensibile? e come mai è accettabile? che cosa vuole mettere in rilievo? (sezioni 3, 5-8) c) come viene utilizzato negli autori successivi ad Omero (sezioni 10-11)? quale è il legame tra hysteron proteron e pleonasmo? Nelle appendici indicherò alcune definizioni e spiegazioni antiche dell'hysteron proteron, e ipassi omerici e sofoclei che ritengo pertinenti a questa particolare relazione semantica fra elementi di una serie. 2. Esiste un ordine naturale dei pensieri? Le figure retoriche vengono presentate, nei manuali, nelle grammatiche e nei commenti ai testi, come una modificazione arbitraria dell'ordine delle parole e della relazione naturale dei pensieri, una modificazione permessa soltanto dalla licenza concessa a chi scrive in uno stile elevato (sia in versi che in prosa). Questo è il motivo per cui, nel caso dell'hysteron proteron, si discute se ciò che si mette in rilievo sia il primo o il secondo elemento: per Kühner e Gerth42 il primo elemento; per Collard43 il secondo. In effetti, in una modificazione arbitraria l'enfasi può essere su uno qualsiasi degli elementi arbitrariamente trasposti. Questa teoria che opponeva ordine naturale e ordine artificiale era normalmente usata nell'antichità per spiegare fenomeni di lingua poetica a livello delle singole parole44, a livello sintattico45, e a livello semantico, come è il caso per l'hysteron

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Norwood, Virgiliana, 149. T. E. Page, Notes, 203. 42 Kühner e Gerth, Grammatik, II, 603. 43 Collard, Supplices, ad Eur. Supp. 494-495, 918-920. 44 Gli studiosi dell'antichità, da cui questa teoria deriva, a volte usavano per hysteron proteron termini come u|peérqesiv (sch. Eur. Med. 1 Schwartz) e u|perbibasmoév, che si riferivano a quello che noi chiamiamo metatesi: ad esempio per lo sch. Od. 3.180 Dindorf l'aggettivo o\qne_ov "straniero" deriva da noéqov e noqe_ov "bastardo", per u|peérqesiv. Si veda la rassegna dei "metaplasmi" in Mortara Garavelli, Manuale, 122-133. 45 Ad es. per l'iperbato si vedano le fonti raccolte da Lausberg, Handbuch, 357. Sulla sovrapposizione di hysteron proteron e iperbato cfr. Torzi, Ratio, 185-275. Per una trattazione linguistica moderna si veda Devine e Stephens, Syntax. Catrein offre una ampia discussione sulla figura retorica della sinestesia nella letteratura latina, con analisi teorica (Catrein, Vertauschte Sinne, 37-42). 41

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proteron46; questa teoria è ancora alla base di molti studi moderni. Io non credo che esista un ordine naturale dei pensieri. La teoria dell'ordine naturale deriva da una concezione del linguaggio molto differente da quella che si è imposta, con ottime ragioni, nell'età moderna. La linguistica contemporanea considera il linguaggio umano (anche quello poetico) come sempre e inevitabilmente sottoposto a regole che è possibile individuare e descrivere. Soprattutto viene fatto notare che gli elementi della lingua non sono collocati uno accanto all'altro in una serie legata solo da un rapporto di successione: gli elementi sono governati da una struttura gerarchica. Queste considerazioni sono importanti anche per l'hysteron proteron. Esite sicuramente, all'interno di una frase, un ordine standard delle parole e un ordine marcato47; quello che io sostengo è che l'hysteron proteron riguarda la connessioni tra frasi (o tra elementi coordinati: ― Ha messo il mantello e la tunica‖48), e che la selezione della connessione tra le frasi non è prestabilita e naturale ma dipende dal parlante, anche se la connessione sintattica tra le diverse frasi viene a volte espressa diversamente da varie lingue: i casi in cui sono possibili, impossibili o necessarie la paratassi, la coordinazione o l'ipotassi variano da lingua a lingua, e anche da stile a stile. 3. Congiunzioni e simmentria In questa prospettiva è facile spiegare perché a noi l'hysteron proteron sembri strano: perché per noi la congiunzione non collega elementi simmetrici, ma presuppone un certo grado di subordinazione. ― Congiunzioni e disgiunzioni sono simmetriche, ossia […] l'ordine dei coordinati è invertibile senza che cambi il significato complessivo della frase. Tuttavia, mentre le disgiunzioni […] non sono mai Ho asimmetriche […], talune congiunzioni sembrano esserlo‖ (Scorretti, Strutture, 257)49. La frase ― sentito un strillo e ho sfondato la porta‖ ha un senso diverso da ― Ho sfondato la porta e ho sentito un strillo‖. Inoltre la frase ― Entra e siediti‖ è perfettamente possibile, mentre *― Siediti ed entra‖ sembra inaccettabile. Allo stesso modo la prima di queste due coppie di frasi è considerata dubbia: ?― Oggi in effetti diluvia e qui d'autunno piove molto‖; ―Qui d'autunno piove molto e oggi in effetti diluvia‖; ?― Giovanni ha fatto subito centro e ha una buona mira‖; ― Giovanni ha una buona mira e ha fatto 46

Choerob., perì troépwn poihtikw%n, in Spengel, Rhetores III, 244 righe 10-12: leégontai deè poihtikoì troépoi, dioéti paraè to_v poihta_v pleonaézousin thèn koinhèn sunhéqeian u|perbaònontev. Cherobosco elenca, tra le altre figure poetiche, u|perbatoén, a\nastrofhé, sunedkoché, suéllhyiv. 47 Sull'ordine standard ("naturale") delle parole cfr. già Demetr. Eloc. 199-201, che segnala come all'inizio della frase ci sia di solito il topic (perì ou/), espresso al nominativo o all'accusativo. Anche D. H. comp. 5.36 presuppone che, nella struttura della frase, si debba fulaéttein o"pwv taè proétera to_v croénoiv kaì th%i taéxei proétera lambaénhtai, un fatto che, secondo Dionigi stesso, non avviene a livello della frase, come egli stesso mostra sulla base di esempi omerici. Sul concetto di topic cfr. Devine e Stephens, Prosody, 456-497, H. Dik, Word Order, 19-30, Budelmann, Language, 31-50, e sotto, capitolo 4. I concetti di topic e focus sono preannunciati da Weil, Ordre: per topic si veda "point de départ " e per focus si veda "but du discourse" (20-23). 48 Queste sono sintattiche con "gapping", in cui cioè viene soppressa la ripetizione di un elemento sintattico. Sono strutture sintattiche normali in tutte le lingue, e molto diffuse. In lingue come l'italiano e l'inglese è normale che un elemento sia presente solo nel primo di due elementi in parallelo ("forward gapping"). Questo è comune anche nel greco, che però presenta anche l'inverso: le strutture sintattiche a\poè koinou% sono un tipo di gapping in cui l'elemento sintattico compare solo nel secondo degli elementi in parallelo ("backward gapping"). La presenza di due tipi di gapping probabilmente rispecchia il fatto che il greco ha sia un ordine 'da destra a sinistra' (preposizione > nome) sia, più raramente, 'da sinistra a destra' (nome < preposizione). Cfr. Johannessen, Coordination, 56 e Ross, Gapping, 249-259. 49 Sulla simmetria cfr. anche Grice, Studies, 66-68 = Grice, Logica, 107-109.

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subito centro‖.50 Questo è perché ― di solito le congiunzioni tra frasi tendono a venir interpretate come coppie 'causa-effetto' o 'premessa-seguito' […] L'interpretazione di una frase come una serie 'causa-effetto' si ottiene anche quando le due (o più) coordinate che la costituiscono sono ordinate secondo una scala di generalità che permette di identificare la prima come nomica, cioè un enunciato di carattere generale, […] e la seconda come eventiva, cioè descrivente un evento, un fatto chiaramente localizzabile nel tempo e nello spazio‖ (Scorretti, Strutture, 257-258)51. Si noti che in assenza di una congiunzione la seconda frase può essere facilmente accettabile come spiegazione: ― Giovanni ha fatto subito centro. Ha una buona mira‖. E' inoltre di solito impossibile aggiungere con una coordinazione una seconda frase cronologicamente anteriore (*― Mario si riposò e aveva lavato i piatti‖)52. Se questa è la situazione per l'italiano, nel greco antico le cose stanno diversamente. Per enunciazioni in cui il secondo elemento menzionato è cronologicamente precedente si vedano gli esempi già ricordati di Od. 4.723 e Soph. OT 827 (in contrasto con casi come Od. 3.27-28 ou\ gaèr o\òw / ou" se qew%n a\eékhti geneésqai te trafeémen te). Per un caso in cui la sequenza degli ordini (espressi all'imperativo) è invertita si veda Od. 19.535 a\ll} a"ge moi toèn o"neiron u|poérkinai kaì a"kouson ― su, via, spiegami questo sogno e ascoltalo‖53. In Od. 8.134 oùdeé te kaì dedaéhke troviamo coordinati due verbi che (per quanto entrambi forme di perfetto) indicano uno uno stato presente e l'altro una azione anteriore (― so e ho appreso‖). Altre collocazioni ― illogiche‖ sono state notate. Ad esempio in si dice che il suolo in cui si trova Edipo è (Soph. OC 39) a"qiktov ou\d} oi\khtoév "che non può essere toccato né abitato", così come l'isola di Lemno è a"stiptov ou\d} oi\koumeénh (Phil. 2). Si proclama (Eur. Pho. 886-887) tw%n Oi\dòpou / mhdeéna polòthn mhd} a"nakt} eùnai cqonoév "che nessuno dei discendenti di Edipo sia cittadino né sovrano di questa terra"54. In questi ultimi due passi il secondo elemento coordinato è compreso nel primo, e la successione invertita è logica piuttosto che cronologica55. 50

Tutti questi esempi, e le loro valutazioni, sono date da Scorretti, Strutture, 257-258. Si ricordi che l'asterisco indica che la frase viene considerata non accettabile dai parlanti madrelingua, mentre il punto di domanda marca frasi considerate dubbie. 51 La situazione è molto simile per la lingua inglese: Quirk et alii, Grammar, 930-932. 52 Così anche per la lingua inglese: Quirk et alii, Grammar, 930-931: ― if the second clause is tensemarked to indicate that its content is prior chronologically, coordination of the two clauses is unacceptable in the intended meaning. […] Parataxis differs from coordination in allowing a relation between two clauses whereby the second gives the REASON or EXPLANATION for the event described in the first.‖ 53 Si noti che l'ordine normale viene ristabilito dai traduttori: "senti e spiegami questo sogno" (Calzecchi Onesti, Odissea). Altri intendono il secondo imperativo come non riferentesi a toèn o"neiron, ma in ogni caso l'inversione "logica" è presente: "interpretami questo sogno e ascolta" (Ferrari, Odissea). Nel seguito di questo lavoro citerò spesso traduzioni moderne per far vedere quali strategie linguistiche vengono adottate in una lingua moderna da parlanti competenti; i traduttori offrono un corpus di materiale linguistico di controllo. 54 Il passo delle Fenicie è espunto da Fraenkel, seguito da Diggle, Euripidis Fabulae III; per una difesa del testo si veda Mastronarde, Phoenissae, ad loc. 55 Si noti che spesso la coordinazione tra frasi dichiarative negative non implica una sequenza temporale specifica. Secondo sch. Od. 3.467 Dindorf, Omero in questo passo e in ou\d} a\peéluse quégatra kaì ou\k a\pedeéxat} a"poina (Il. 1.95) inverte il rapporto cronologico: toè deuéteron prw%ton eùpen. In realtà è difficile vedere come il verso dell'Iliade possa essere considerato un hysteron proteron quando nessuno dei due fatti è avvenuto. Liberare la figlia sarebbe condizionato all'accogliere i doni, ma le azioni non sono necessariamente collegate, e possono essere negate indipendentemente. I casi in cui invece il primo termine sia iponimo del primo ("né re né cittadino": Eur. Pho. 886-887) implicano necessariamente che la serie "non… e non" vada analizzata come

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Questi fatti sono noti e sono stati catalogati, con discussione di molti altri passi, sotto l'etichetta del cosiddetto hysteron proteron56. Nonostante le proteste di Norwood e T. E. Page, risulta difficile negare che parecchi dei casi omerici, e anche alcuni di quelli sofoclei o virgiliani, coordinino degli elementi in un modo che noi consideriamo non corretto. Naturalmente è possibile lasciare l'ordine degli elementi intatto, rendendo però il secondo elemento subordinato invece che coordinato: "Polibo, che mi allevò dopo avermi generato"57. Lo scarto dalla norma linguistica può essere ridotto, in alcuni casi, introducendo nella traduzione elementi che marcano la precedenza logica o cronologica (Eur. Pho. 886-887: "che nessuno dei discendenti di Edipo sia cittadino né sovrano di questa terra"). Vedremo che queste due strategie sono importanti: ci sono paralleli linguistici importanti per ritenere che la coordinazione non leghi sempre elementi che si trovano sullo stesso piano; vedremo inoltre che in alcuni casi la lingua non possedeva o comunque non usava segnali che per marcare la precedenza cronologica (assenza del piucheperfetto/ trapassato). Il problema forse più difficile è stabilire quando l'"hysteron proteron" diventa una figura retorica: sosterrò nelle sezioni 4-5 che, nella lingua omerica, quello che noi percepiamo come hysteron proteron era linguisticamente regolare anche se pragmaticamente marcato. In molti passi della tragedia (ad esempio quello di OT 827) mi pare chiara la volontà di rifarsi a un modello letterario e di scegliere un ordine degli elementi che presenta uno scarto rispetto all'ordine "normale". 4. Definizione dell'hysteron proteron Il termine hysteron proteron è stato usato per indicare fenomeni assai diversi, e le definizioni proposte non sono, a mio parere, molto soddisfacenti. Si noti che hysteron proteron è un termine raro nella terminologia retorica antica. Erano usati più di frequente i termini u|sterologòa o prwquésteron (vedi appendice 1 al capitolo). Vediamo alcune definizioni: u|sterologòa e\stì meérov loégou o$tan o£ prw%ton de_ leégein u$steroén tiv taéxhi, {w|v o"tan ei"pwmen} oàon (Il. 1.251) a$ma traéfen h\d} e\geénonto, (scholia londinensia in Dions. Thrac. artem gramm. in Hilgard, GG I III, 462, righe 32-35)58 "la hysterologia è una figura retorica che si verifica quando si pone dopo ciò che bisogna dire prima, come ad esempio "insieme [a lui] furono generati e nacquero" (Il. 1.251) " "Lo hysteron proteron (u|sterologòa, prwquésteron) corrisponde all'anastrofe ed è l'ordo artificialis di una successione di avvenimenti in cui viene collocato dapprima lo stadio finale

"non … e neppure". Mastronarde, Phoenissae, ad Pho. 886-887 cita per questo Alc. 549-550, Hec. 277-278, Dem. 18.85. 56 Sch. Eur. Pho. 887 Dindorf; Torzi, Ratio, 185-275; Lausberg, Handbuch, 440-441, J. Classen, Beobachtungen, 199-204, Jacobsohn, Tagen baren, Jacobsohn, Hysteron Proteron, Jacobsohn, Epos, Spitzer, Hysteronproteron, Norden, Aeneis Buch VI, 379, McDevitt, Hysteron Proteron, Zaffagno, Hysteron proteron, Görler, Lingua, 276, Ferrari, Odissea, 204-205 n. 58. 57 Spiegazioni simili in schol. Il. 22.468b Erbse. Un altro caso interessante in cui la coordinazione è inaccettabile, e la subordinazione è indispensabile, è quello di espressioni come *"John and the hammer broke the window". Questa frase è inaccettabile, mentre sia "John broke the window (with a hammer)" che ― the hammer broke the window‖ sono perfettamente accettabili (Johannessen, Coordination, 254). In questo caso l'assenza di subordinazione è percepita come inaccettabile perché gli elementi coordinati hanno ruoli tematici differenti (Agente e Strumento): in generale si veda Grimshaw, Argument Structure. 58 Cfr. Choerob., perì troépwn poihtikw%n, in Spengel, Rhetores III, 255 righe 14-18.

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della successione medesima (che interessa particolarmente dal punto di vista emozionale e quindi urge)" (Lausberg)59 "Die so bezeichneten rhetorische Figur liegt vor, wenn in der Mikrostruktur eines Textes die Reihenfolge zweier Sachverhaltsbenennungen eine vorgegebene Reihenfolge oder Rangfolge der benannten Sachverhalt umkehrt" (H. G. Coen)60 Il problema maggiore di queste definizioni è che inversioni dell'ordine logico o cronologico sono frequentissime in ogni testo, letterario o meno61. Qualunque parlante, nel raccontare una serie di fatti, seleziona alcuni elementi importanti, e li mette in primo piano, inserendo poi, se necessario, il racconto di elementi anteriori di minore importanza. Inoltre secondo queste definizioni si ha un hysteron proteron anche nei casi in cui la sintassi marca chiaramente l'ordine cronologico, come quando un participio che descrive un'azione successiva compare, nell'ordine delle parole, prima del verbo principale che defiinisce uno stato logicamente anteriore. Prima regola da aggiungere: gli elementi il cui ordine cronologico è invertito devono essere sintatticamente coordinati, e coordinati da una congiunzione che li mette sullo stesso piano62. Questo corrisponde alla definizione dell'hysteron proteron di Kühner e Gerth, molto più precisa delle altre riportate sopra: "Zuweilen werden die Prädikate zweier beigeordneter Sätze gegen die natürliche Ordnung gestellt, indem das, was der Zeit nach dem andren nachfolgen sollte, vorausgeschickt wird. Man nennt eine solche Wort- und Satzfolge Hysteron proteron (u$steron proéteron). Sie wird dann angewandt, wenn der in der natürlichen Ordnung nachfolgende Begriff oder Gedanke als der gewichitgere, als der Hauptbegriff oder Hauptgedanke dargestellt werden soll" (Kühner e Gerth, Grammatik, II, 603) Bisogna comunque aggiungere (anche rispetto a Kühner e Gerth) una seconda regola: devono mancare segnali linguistici che indichino la successione logico-temporale. Si noti che i segnali linguistici possono essere vari: non solo il tempo del verbo ma anche la presenza di un avverbio temporale come ad esempio "prima", o di segnali come gaér "infatti"63. Ad esempio un passo come Od. 10.352-353 59

Lausberg, Elementi, 230. La definizione in Lausberg, Handbuch, 440 non presenta differenze di sostanza. 60 Cfr. Ueding, Wörterbuch, 128-131, s. v. Hysteron Proteron. Altre definizioni simili: ― Hysteron proteron (u$steron proéteron) is an arrangement reversing the natural order of time in which events occur. It is used when an event, later in time, is regarded as more important than one earlier in time‖ (Smyth, Grammar, 679); ― die hysterologia gehört dem ordo artificialis (s. § 452) an und besteht in der dem natürlichen Geschehensablauf entgegengesetzetn Anordnung zweier Satzinhalte‖ (Lausberg, Handbuch, 440); ― figura di pensiero impostata su di un ordine artificiale dell'enunciato, per cui vengono anticipati nella successione logico-temporale elementi susseguenti, in modo da giungere, invertendoli, alla loro focalizzazione‖ (Zaffagno, Hysteron proteron, 871). Sulle definizioni antiche si veda Torzi, Ratio, 174-80 e 185-275 61 Cfr. ad es. Genette, Figure III, 85-93. 62 Non è un hysteron proteron Od. 3.449 h"lasen a"gki staév come sembra presupporre D. H. comp. 5.36 né Il. 4.504 douéphsen deè peswén, come pensa Lausberg, Handbuch, 440. Non è un hysteron proteron ― è uscito senza pagare ma si è scusato di non avere i soldi‖, e nemmeno "è stato scorretto; infatti è uscito senza pagare". Si veda Bakker, Poetry, 112-15 su "infatti" come segnale temporale in Omero, ad es. in Il. 16.787-791. 63 "L'ha ucciso, e prima l'ha anche torturato". W. Klein, Time, 14 e 142-58 sottolinea come spesso gli studi sulla temporalità si concentrino su tempo, aspetto e Aktionsart trascurando altri segnali della temporalità. Si ricordi che il gaér parentetico è frequente in greco.

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taéwn h| meèn e"balle qroénoiv e"ni r|hégea kalaè porfuérea kaquéperq}, u|peénerqe deè l_q} u|peéballen "la prima gettava sui troni bei drappi purpurei, sopra, e sotto stendeva dei lini" (Calzecchi Onesti, Odissea) va escluso dai casi di hysteron proteron perché u|peénerqe segnala chiaramente la successione delle azioni. A maggiore ragione va escluso Il. 1.13, passo per il quale gli scoli ginevrini parlano di prwquésteron64. Crise era andato da Agamennone lusoémenoév te quégatra feérwn t} a\pereòsi} a"poina. "per liberare sua figlia portando moltissimi doni" (Ciani, Iliade). In questo passo il tempo dei participi indica chiaramente la successione cronologica (un verbo spiega l'intenzione, l'altro un fatto). C'è una terza e ultima precisazione da fare. I casi in cui vengono coordinati due verbi sono diversi da quelli in cui vengono coordinati due sintagmi nominali: nel verbo è normalmente intrinseca l'idea di temporalità, mentre questo non avviene con nomi, se non in serie particolari di nomi che si riferiscono a fasi successive di un processo, come in Od. 5.229 au\tòc} o| meèn cla_naén te citw%naé te e$nnut} {Odusseuév "subito mantello e tunica Odisseo riverstì" (Calzecchi Onesti, Odissea)65 Od. 8.69 paèr d} e\tòqei kaéneon kalhén te traépezan "vicino poi gli metteva un canestro e una tavola bella" (Calzecchi Onesti, Odissea)66. Per semplicità e per brevità in questo mio lavoro discuterò in particolare di inversioni della successione cronologica riguardanti verbi di modi finiti. Elementi diversi da verbi possono essere ordinati in serie non cronologiche con una libertà leggermente maggiore: "Vado a Siena e ad Arezzo" non è necessariamente diverso da "Vado ad Arezzo e a Siena" (e non è essenziale che vada prima ad Arezzo); "ho fatto il viaggio e l'acquisto" (in un ordine qualsiasi: un'enfasi prosodica marcata può essere usata per specificare l'ordine); si vedano, nell'appendice, i passi citati per Od. 1.93 peémyw d} e\v Spaérthn te kaì e\v Puélon h\maqoéenta. L'hysteron proteron è più notevole quando coinvolge una coppia di elementi legati: *"mi metto il cappotto e la camicia". Propongo quindi questa definizione modificata: "Lo hysteron proteron mette sullo stesso piano, attraverso una congiunzione coordinante, due verbi (o due nomi) in un'ordine inverso rispetto a quello della successione cronologica degli eventi (o della successione implicata dai due nomi), affidando la comprensione della successione cronologica al rapporto semantico fra i verbi (o i nomi) coinvolti, senza dare segnali tramite il tempo dei verbi o avverbi temporali" 5. Condizioni linguistiche per l'hysteron proteron: congiunzioni coordinanti e subordinazione logica Dobbiamo ora esaminare almeno sommariamente alcune delle condizioni linguistiche dell'hysteron proteron: il tipo di congiunzione usato, la relazione semantica tra i verbi, e il legame con il contesto. 64

Sch. Il. 1.13 Nicole (vol. II, p. 6). Cfr. Od. 10.365, 451, etc.; per l'ordine "corretto" si veda Il. 2.262. 66 Cfr. invece l'ordine "corretto" in Od. 10.354-355: il canestro è posto sulla tavola. 65

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Un elemento cruciale per la realizzazione dell' hysteron proteron è la congiunzione coordinante. Le congiunzioni infatti, come si è detto, non sono sempre simmetriche. A volte, come si è detto, cambiando l'ordine delle frasi coordinate cambia il significato; a volte invece, si ottiene una sequenza impossibile in italiano, come *"ah, se potessi ammazzarlo e averlo a tiro!". Questa sequenza è invece possibile in Omero (Il. 5.118-119): doèv deé teé m} a"ndra e|le_n kaì e\v o|rmhèn e"gceov e\lqe_n o$v m} e"bale fqaémenov (Atena) "fa' che io uccida quest'uomo, fa' che mi venga a tiro di lancia" (Ciani, Iliade) "Dammi ch'io uccida quell'uomo—e venga a tiro di lancia— che mi colpì per primo" (Calzecchi Onesti, Iliade) Si noti che traduttori moderni eliminano la congiunzione per rendere accettabile la frase, o ricorrono ad accorgimenti tipografici per chiarire la natura parentetica (e quindi subordinata) del secondo elemento, ed evitare l'implicazione cronologica derivante dalla presenza della congiunzione. Questa implicazione cronologica deriva dal fatto che nelle lingue moderne l'asindeto è frequente: quando una congiunzione è presente, ha un significato più forte che nel greco antico. La lingua greca evita in grandissima misura l'asindeto, e Omero in particolare crea lunghe sequenze di verbi coordinati da deé o kaò, senza specificare in dettaglio la relazione temporale o logica fra le frasi67. La tendenza alla coordinazione, la prevalenza della paratassi e l'assenza di tempi verbali specificamente dedicati a marcare l'anteriorità nel passato autorizzano linguisticamente l'hysteron proteron. Gli editori moderni hanno spesso cercato di attenuare la continuità delle serie legate da congiunzioni con l'introduzione di punteggiatura. Si osservi Il. 22.466-468: thèn deè kat} o\fqalmw%n e\rebennhè nuèx e\kaéluyen, h"ripe d} e\xopòsw, a\poè deè yuchèn e\kaépusse. th%le d} a\poè kratoèv baéle deésmata sigaloéenta "Una notte oscura le discese sugli occhi, cadde all'indietro, perdendo i sensi. Dalla testa lasciò cadere la bella acconciatura" (Cerri, Iliade) In questo caso gli editori moderni introducono un punto fermo dopo e\kaépusse. I traduttori cercano di attenuare l'incongruenza che deriverebbe dal dare a baéle un senso di azione volontaria ("gettò via")68, e spesso seguono (esplicitamente o implicitamente) la lezione della vulgata medievale ceée69. Per un altro caso di hysteron proteron che occorre in una serie di verbi coordinati con deé si veda Il. 22.406 (la punteggiatura moderna non interviene a contrastare l'hysteron 67

Si osservi che le frasi possono essere legate da deé, mentre nomi, aggettivi, sintagmi con preposizione possono essere coordinati solo da kaò: sulla differenza tra queste congiunzioni si veda Ruijgh, "te épique", 130-135, Bakker, Boundaries e Poetry, 71-74. Bakker, Poetry, 68-69 discute altri esempi di serie narrative con deé. Sulla paratassi nella narrativa di livello stilisticamente non alto cfr. Trenkner, Style. J. S. Klein, Systems, confronta il sistema di coordinazione omerico con quello del sanscrito e del persiano antico. 68 Per il senso di azione volontaria cfr. soprattutto Il. 2.183, Od. 14.500 (variante qeéto, come in Od. 21.118), 14.520, e poi Il. 11.846, 13.35, 21.51; per un movimento involontario, collegato alla morte, cfr. Il. 8.306 mhékwn d} w|v e\teérwse kaérh baélen (non molto vicino al nostro passo: non si tratta di allontanare qualcosa che è fissato al corpo). 69 La lezione baéle è di Aristarco: si vedano gli scoli ad Il. 22.468c1-2 Erbse; van der Valk, Researches 2, 166 (a favore di ceée); Roemer, Homerexegese, 216-217.

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proteron): tòlle koémhn, a\poè deè liparhèn e"rriye kaluéptrhn "si strappava i capelli, gettato lontano il bel velo" (Cerri, Iliade). Non solo questo: nel greco di Omero i rapporti causali possono essere espressi tramite la coordinazione. Chantraine, Syntaxe, 357-358, segnala vari esempi di frasi coordinate usate per esprimere una motivazione: Il. 5.390-391 o| d} e\xeékleyen ’Area / h"dh teiroémenon, calepoèv deé e| desmoèv e"damna "di nascosto il dio liberò Ares, ch'era sfinito ormai, vinto dalle catene crudeli" (Ciani, Iliade). Il verbo e"damna è sintatticamente parallelo a e\xeékleyen "lo sottrasse", ma si riferisce a un elemento cronologicamente precedente ad esso, e da un punto di vista logico spiega teiroémenon, un elemento sottoordinato rispetto a e\xeékleyen. Una serie di frasi con valore causale presenta l'inversione della sequenza "particolaregenerale" (cfr. la distinzione fra " frase eventiva" e "frase nomica"). Ad esempio in Il. 4.438 il grido dei troiani non era omogeneo, e il loro linguaggio non era unico: a\llaè glw%ss} e\meémikto, poluéklhtoi d} e"san a"ndrev "ma era mescolata la lingua ed erano uomini di vari paesi". In Il. 3.114-115 i Greci e i Troiani fanno una tregua: taè meèn kateéqent} e\pì gaòhi / plhsòon a\llhélwn, o\lògh d} h&n a\mfìv a"roura "le posarono (le armi) in terra, / le une presso le altre; poca piana era in mezzo" (Calzecchi Onesti, Iliade) (=le armi dei Greci sono vicine a quelle dei Troiani perché lo spazio tra i due eserciti era poco). Il valore causale a volte è assunto anche da una frase coordinata introdotta da kaò: Od. 1.434-435 h$ oi| a$m} ai\qomeénav dai^dav feére, kaò e| maélista / dmwiaéwn fileéeske, kaì e"trefe tutqoèn e\oénta "accanto a Telemaco torce accese recava: fra tutte le serve era quella che lo amava di più perché lo aveva nutrito quand'era piccino" (Ferrari, Odissea). L'espressione kaì e"trefe introduce la spiegazione per fileééeske. Si osservi inoltre in questo passo la commistione di fatti particolari ("portava le torce") e di fatti generali ("lo amava"), che in italiano di solito non vengono collegati da coordinazione70. Chantraine, Syntaxe, 358 nota che la paratassi può inoltre veicolare altri rapporti logici, ad esempio introducendo un valore concessivo (come in Od. 6.108); si può aggiungere che il valore concessivo di una frase coordinata che viene in fine è rimasto anche nella lingua della tragedia (ad es. Soph. Ant. 99). In conclusione, si può dire che Omero spesso non usa segnali linguistici espliciti per indicare la connessione tra frasi coordinate, e introduce come elemento coordinato, con valore di causa logica, un fatto cronologicamente anteriore o tipologicamente diverso (una verità più generale, relativa a una situazione che continua). Nell'hysteron proteron, l'inversione viene marcata semplicemente utilizzando la relazione semantica dei verbi coinvolti. Si osservi che una sequenza temporale di questo genere è possibile, in assenza di segnali di anteriorità (avverbi, trapassati prossimi71) solo quando il primo elemento presuppone ed include il secondo da un punto di vista semantico generale o contestuale. E' la relazione semantica fra i due verbi in hysteron proteron a segnalare l'inversione della serie cronologica. Questo è uno dei motivi per cui i due verbi fanno parte di una serie il cui ordine non può essere invertito: molti casi di hysteron proteron coinvolgono verbi con il senso di "nascere" o "morire" (Eur. Hec. 266, Soph. OC 1388, V. Ae. 2.353); in questi casi l'inversione temporale è sicura perché questi verbi implicano uno specifico ordine cronologico72. 6. Tipologie della relazione semantica tra i verbi in hysteron proteron: esempi da Omero e Sofocle 70

Un'altra motivazione introdotta con kaò è in Od. 8.89. Sulla questione dell'anteriorità nel passato e dei tempi verbali si veda la sezione 8. 72 Sul morire e i tempi verbali si veda anche Weinrich, Tempus, 167-171 (anche se la sua è un una prospettiva diversa da quella discussa qui). 71

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I casi che abbiamo esaminato nella sezione precedente sono quasi tutti casi di presupposizione circostanziale. Riesaminiamo il primo passo discusso: Il. 5.118 doèv deé teé m} a"ndra e|le_n kaì e\v o|rmhèn e"gceov e\lqe_n. L'azione A "uccidere" presuppone, in queste circostanze, l'azione B ("venire a tiro"); naturalmente questa non è una presupposizione in senso generale, perché il rapporto di presupposizione vorrebbe che l'azione B debba essere data per scontata in ogni contesto 73. L'hysteron proteron aggiunge un elemento specifico alle circostanze e utile a precisare i dettagli della narrazione o della conversazione, ma non sposta dalla posizione saliente l'elemento testualmente più importante74. Si noti che moltissimi dei casi omerici di hysteron proteron coinvolgono un verso solo: il primo elemento ha una certa salienza testuale a motivo della posizione iniziale, mentre il secondo elemento, cronologicamente antecedente, aggiunge dettagli che danno maggiore pienezza alla descrizione. Un altro caso di presupposizione circostanziale occorre in Od. 3.391-392 toèn e|ndekaétwi e\niautw%i / w"i=xen tamòh kaì a\poè krhédemnon e"luse: la dispensiera doveva aver sciolto la chiusura del contenitore del vino prima di aprirlo effettivamente. In vari casi c'è un rapporto di iponimia: uno dei due elementi indica una classe di azioni o stati che è inclusa nella classe di azioni o stati espressa dall'altro elemento. Sono molto meno "forti" per noi i casi in cui il secondo elemento è iponimo del primo. Ad esempio in Il. 3.318 laoì d} h\rhésanto, qeo_si de ce_rav a\neéscon "tutti pregavano, sollevando le braccia agli dèi" (Cerri, Iliade) il sollevare le mani agli dèi è necessariamente compreso nel pregare, ma non è l'unico atto necessario per compiere la preghiera. Si tratta di una relazione simile a quella tra "sommario" e "descrizione dettagliata", e non è sempre possibile riconoscere in questa tipologia di relazione semantica la figura dell'hysteron proteron: la si riconosce solo in quanto il primo elemento indica un'azione compiuta, che presuppone e include gli elementi singoli. Nel caso specifico, per aver pregato bisogna aver già alzato le mani agli dèi e in più anche aver pronunciato o pensato una formula verbale rivolta agli dèi (cfr. vv. 319-324). In questi casi il contrasto con le lingue moderne è meno forte, in quanto esempi di questo tipo vanno probabilmente catalogati come semplici esempi di pleonasmo, che è ammesso molto più liberamente nella lingua poetica antica e moderna e anche in quella comune. Per esempi di pleonasmo con iponimia in Sofocle si vedano OC 423-424 th%v maéchv peéri, / h/v nu%n e"contai ka\panaòrontai doéru, 434-435 h$diston deé moi / toè katqane_n h&n kaì toè leusqh%nai peétroiv (cfr. OT 1411-1412; Ant. 688-689), Ant. 298 toéd} e\kdidaéskei kaì parallaéssei freénav. Sono più forti per noi i casi di hysteron proteron in cui il primo degli elementi coordinati è iponimo del secondo, come in Eur. Supp. 494-495: suè d} a"ndrav e\cqrouèv kaì qanoéntav w\fele_v, / qaéptwn komòzwn q} u$briv ou£v a\pwélesen; "seppellendo e prendendoti cura di persone che sono state portate alla rovina dalla loro hybris"75. Per seppellire è necessario "prendersi cura" del cadavere, e quindi il primo termine include logicamente il secondo, come aspetto più generale. Da Omero si può ricordare Od. 3.211 e\peì dhè tau%taé m} a\neémnhsav kaì e"eipev: l'azione di "far ricordare" si compie tramite il "dire". Una relazione particolare di iponimia occorre tra verbi che si differenziano non per la generalità o specificità dell'azione descritta ("prendersi cura"/"seppellire"), ma per la completezza o meno dell'azione. Esaminiamo ad esempio Od. 1.293 e\phèn dhè tau%ta teleuthéshiv te kaì e"rxhiv 73

Per discussioni del concetto di presupposizione si vedano Chierchia, Semantica, 133-139, Levinson, Pragmatica, 175-231. 74 Sulla relazione dell'hysteron proteron con il contesto si veda la sezione 7. 75 Si noti che anche e\cqrouèv kaì qanoéntav presenta una congiunzione inusuale nelle lingue moderne. Al v. 495 è possibile anche pensare che il q} sia intrusivo e vada espunto: per participi in asindeto all'inizio di verso cfr. Bond, Heracles, ad Eur. HF 602, e anche Mastronarde, Phoenissae, ad Eur. Pho. 1193; ma contro l'espunzione del q} c'è il fatto, notato da Mastronarde, che "the two verbs are often synonymous, or the second is more specific and colourful than the first" (con l'eccezione di Eur. Hipp. 356 r|òyw meqhésw).

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"quando infine avrai fatto e compiuto ogni cosa" (Calzecchi Onesti, Iliade). Le espressioni "quando avrai compiuto ogni cosa" e "quando avrai fatto ogni cosa" sono perfettamente equivalenti 76, ma confrontandole emerge una differenza: "finire" è il corrispondente telico di "fare". I verbi telici si riferiscono appunto a un evento finale ("attraversare la strada" vs. "camminare"), ed esistono alcuni test per poterli individuare con chiarezza (quando si hanno dei parlanti madrelingua) 77. Questa distinzione aiuta forse a comprendere meglio il passo di Soph. El. 12-13, dove il pedagogo dice di aver "portato, salvato e cresciuto" Oreste "dopo averlo preso in cosegna" dalla sorella (proèv sh%v o|maòmou kaì kasignhéthv labwèn / h"negka, ka\xeéswsa ka\xeqreyaémhn) 78: l'azione di "portare" esprime un continuo (che probabilmente non finì con il "salvare"), mentre l'azione di salvare indica un punto specifico nel tempo (è "telica"). L'incongruità del passo, almeno per noi moderni, consiste nel fatto che è difficile decidere esattamente a quale punto esatto del "portare" si colloca il "salvare". Il problema nell'analisi semantica di questi passi, specialmente per la tragedia, è tracciare il confine tra iponimia e equivalenza. In un passo come Ai. 274 nu%n d} w|v e"lhxe ka\neépneuse th%v noésou la relazione tra i due verbi è di equivalenza, ed è difficile sentire una inversione cronologica l'hysteron proteron: anche se "prendere respiro" sembra più limitato e specifico, esso indica soltanto la cessazione del male, e corrisponde in questo contesto a e"lhxe, che pure può avere (in altri contesti) un impiego più vasto. Esistono vari esempi di serie pleonastiche in Sofocle che coinvolgono verbi in parallelo79: Soph. Ai. 997 diwékwn ka\xicnoskopouémenov, El. 283 klaòw, teéthka, ka\pikwkuéw, 575 biasqeìv pollaè t} a\ntibaév, 804 a\lgou%sa kw\dunwmeénh, 805 dakru%sai ka\pikwku%sai, OT 39 leéghi nomòzhi q} h|mìn o\rqw%sai bòon, 450 a\peilw%n ka\nakhruésswn foénon, Ant. 1036 e\xhmpoélhmai ka\kpefoértismai, Trach. 88-89 ou\k ei"a… / h|ma%v protarbe_n ou\deè deimaònein80, Phil. 644 kleéyai te ca\rpaésai, OC 285 r|uéou me ka\kfuélasse, 448-449 qroénouv / kaì skh%ptra kraònein kaì turanneuéein cqonoév, 547 e\foéneusa a\poè t} w"lesa, 770 e\xewéqeiv ka\xeéballev, 927 ou"q} eàlkon ou"t} a!n h&gon, 1304 prw%toi kalou%ntai kaì tetòmhntai dorò, 1330 o$v m} e\xeéwsen ka\pesuélhsen paétrav, 1334 piqeésqai kaì pareikaqe_n. Come si vede anche da questo elenco, l'Edipo a Colono presenta un numero piuttosto elevato di queste dittologie, che rappresentano una particolarità espressiva del personaggio di Edipo, e, in misura minore, di Polinice (1304, 1330, 1334; 927 è pronunciato da Teseo). 7. Rapporto dell'hysteron proteron con il contesto Un ulteriore aspetto da esaminare è il rapporto dell'hysteron proteron con il contesto. Collard sosteneva che "the stronger idea comes second"81. Si tratta di un'opinione isolata. E' certo che in molti passi il verbo più semanticamente caratteristico, o che offre dettagli più vividi, è il secondo, ma si può facilmente osservare che il primo verbo della serie in hysteron proteron ha una funzione linguistica pragmatica: serve a stabilire un legame con il contesto, ad annunciare l'elemento più 76

O c-sinonime: possono essere scambiate senza differenza per il senso (cfr. sopra, capitolo 1, n. 19**). 77 Chierchia, Semantica, 363-367 con bibliografia. Uno dei test è il paradosso del progressivo: "Giovanna stava attraversando la strada" non significa che "Giovanna ha attraversato la strada", mentre "Giovanna stava camminando" significa che "Giovanna ha camminato". 78 Ringrazio V. Di Benedetto per aver attirato la mia attenzione su questo passo. 79 Escludo qui casi in cui i verbi in parallelo sono in asindeto, come in Soph. Ai. 60, Trach. 787, Phil. 11: cfr. gli esempi e i riferimenti in Mastronarde, Phoenissae, ad Pho. 1193, e quelli in Kannicht, Helena, ad v. 930. 80 Un esempio di dittologia è anche in Soph. Trach. 191 proèv sou% ti kerdaénaimi kaì ktwéimhn caérin, ma i termini caériv e keérdov hanno connotazione molto diverse. 81 Collard, Supplices, ad Eur. Supp. 495 e 918-920.

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importante della frase, in collegamento o in contrasto con quanto precede. Ad esempio, nel passo più volte citato di Il. 1.250-252 tw%i d} h"dh duéo meèn geneaì meroépwn a\nqrwépwn e"fqiaq}, oi$ oi| proésqen a$ma traéfen h\d} e\geénonto e\n Puélwi h\gaqeéhi, metaè deè tritaétoisin a"nassen è importante sottolineare il fatto che chi nacque assieme a Nestore anche raggiunse la maturità, prima di morire. In Od. 12.133-135 troviamo una successione teéken – qreéyasa – a\pwéikise in cui si nota una progressione temporale lineare, con l'inserzione di tekou%sa, un elemento secondario e parentetico. a£v teéken }Helòwi {Uperòoni d_a Neéaira. taèv meèn a"ra qreéyasa tekou%saé te poétnia mhéthr Qrinakòhn e\v nh%son a\pwéikise thloéqi naòein (Faetusa e Lampetia) "che Neera luminosa generò al Sole Iperione, Dopo averle allevate e partorite la madre veneranda le spedì ad abitare lontano, nell'isola Trinachia" (Ferrari, Odissea). In Il. 5.115-120 klu%qò meu, ai\gioécoio Dioèv teékov, }Atrutwénh, ei" poteé moi kaì patrì fòla froneéousa pareésthv dhi^wi e\n poleémwi, nu%n au&t} e\meè f_lai }Aqhénh: doèv deé teé m} a"ndra e|le_n kaì e\v o|rmhèn e"gceov e\lqe_n, o$v m} e"bale fqaémenov kaì e\peuécetai, ou\deé meé fhsi dhroèn e"t} o"yesqai lamproèn faéov h\elòoio l'argomento generale è "uccidere/morire" e questo viene messo in primo piano ottenendo la posizione iniziale e finale nel contenuto della preghiera (e|le_n/ ou\(deé) o"yesqai faéov). Un caso di particolare rilievo è in Od. 5.229: Odisseo indossa la chlaina e il chitōn (in quest'ordine), e poi il testo continua parlando del pharos di Calipso: la menzione del "mantello" di Odisseo è in parallelo al "manto" di Calipso (descritto in dettaglio ai vv. 230 ss.), e il chiton viene lasciato in secondo piano, in quanto meno importante per il testo. Quindi chlaina serve a introdurre un topic per la sezione. La rilevanza linguistica del primo elemento è a mio parere chiara anche in molti passi tragici (si veda sotto, nella sezione 10, la discussione di OC 429-430). In quello che ho detto c'è una certa somiglianza con la spiegazione dell'hysteron proteron data da J. Classen. Classen partiva dalla percezione e dalla psicologia del parlante: "der natürliche Ausdruck [cioè l'espressione in hysteron proteron, che corrisponde alla "naturalità" dell'espressione linguistica e dello spirito greco in generale] folgt der sinnlichen Wahrnemung, unbekümmert um das Gesetz des Werdens und der zeitlichen Folge, welches für uns Neuere gewönlich das bestimmende ist" (J. Classen, Beobachtungen, 200). Quello che voglio sottolineare è il fatto che la rilevanza del primo elemento è testuale e non semplicemente percettiva o psicologica. 8.1 Il tempo in Omero: l'inversione della successione cronologica nella sequenza "scena generale-particolari"

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L'inversione della sequenza cronologica all'interno di una singola sequenza narrativa è evidente in alcuni casi discussi da Krischer e Bakker82: viene presentata prima una descrizione generale della scena, e poi si ritorna a discutere i singoli particolari. L'esempio migliore è dal quarto libro dell'Iliade: gli eserciti dei greci e dei troiani, dopo essersi mossi per la battaglia (vv. 422-445) si scontrano (vv. 446-456), e Omero descrive lo scontro degli scudi, il gemito dei morenti e il grido di gioia degli uccisori, il sangue che cola sulla terra. Al v. 457 Omero passa a narrare i dettagli: prw%tov d} }Antòlocov Trwéwn e$len a"ndra korusthèn "e Antiloco per primo uccise un valoroso guerriero troiano che si batteva tra i primi" (Ciani, Iliade). Anche in questo caso non ci sono segnali espliciti che la narrativa ritorni indietro all'inzio della scena descritta ai vv. 446-467. L'unico elemento è prw%tov: questo aggettivo, a rigore, indica solo che ci sarà una sequenza successiva, ma in realtà ci fa capire che dobbiamo ritornare indietro nel tempo, al momento dell'inizio della descrizione. Anche se prw%tov non ci fosse stato, sarebbe stato semplice capire che si doveva ritornare "indietro" nel tempo: si è passati da una sezione di "sfondo" a una di "primo piano". La sezione della descrizione introduttiva dello scontro inizia con aoristi (446 i$konto, 447 e"balon), ma al suo interno si passa poi all'imperfetti, tipico tempo di sfondo (e. g. 450-451 peélen… r|eée). Quando la descrizione finisce si ritorna all'aoristo (456 geéneto), per ricollegarsi al primo piano; l'aoristo viene mantenuto nella sezione iniziata con Antiloco (457 e$len, 459 e"bale, 460 ph%xe). 8.2 Il tempo in Omero: azioni simultanee e il piucheperfetto In questa sezione discuterò alcuni casi in cui si trova una inversione in una serie narrativa estesa. Questi esempi riguardano sezioni di testo più lunghe di quelle interessate dall'hysteron proteron, ma è a mio parere interessante vedere che la narrazione omerica ha una struttura temporale complessa, e non necessariamente lineare. Le conclusioni di questa sezione sono utili, ma solo comparativamente, per il problema dell'hysteron proteron. L'inversione narrativa sembra strana soprattutto perché si considera che la voce del narratore omerico procede soltanto in avanti nel tempo; i casi in cui si ritorna indietro nel tempo sono affidati alla narrazione di personaggi e riguardano situazioni ben determinate: flashback, che concernono avvenimenti precedenti al punto di partenza cronologico del poema in cui sono narrati; riassunti di avvenimenti già narrati dal narratore principale83. Zieliński ha sostenuto che in Omero non ci sono azioni simultanee: "Nei casi in cui il poeta non voleva omettere nessuna di due azioni che noi, secondo la logica naturale delle cose, dobbiamo pensare come parallele e che ogni poeta moderno avrebbe rappresentato come contemporanee, le raccontava entrambe, ma non come azioni parallele, bensì come successive l'una all'altra"84. 82

Cfr. Krischer, Konventionen, 132-134, Bakker, Poetry, 86-87. Anche se trovo la prospettiva di Bakker interessante (cfr. Edwards, Sound, 9-13 e 18-37), non sono convinto che i suoi presupposti siano del tutto convincenti: cfr. le osservazioni di Devine e Stephens, Syntax, 206-207 e di Friedrich, Enjambement, 14 (non 11-12). Bakker confronta molte particolarità linguistiche e narrative del testo omerico con la grammatica e la tecnica narrativa di testi orali prodotti da parlanti di lingue moderne; in particolare egli si basa su lavori di Chafe, in cui si studiano testi narrativi orali molto informali (ad es. riassunti di un breve film). Il presupposto di Bakker è che il testo omerico sia, in quanto testo orale, tanto improvvisato e informale quanto un testo moderno composto oralmente; l'opinone opposta, che cioè il testo omerico sia molto attentamente organizzato da un punto di vista narrativo e molto elevato da un punto di vista stilistico, è largamente prevalente fra gli studiosi. Cfr. anche sotto, p. *** n. *248**. 83 Cfr. Zieliński, Behandlung, 441; Krischer, Konventionen, 94. I casi di flashback omerici corrispondono alle "analessi esterne" nella terminologia di Genette, Figure III, 97. 84 Zieliński, Behandlung, 432: 'Wenn der Dichter von den beiden Handlungen, die wir nach den natürlichen Logik der Thatsachen uns als parallel zu denken haben und die jeder moderne Dichter als parallel dargestellt haben würde, keine missen wollte, so berichtete er sie beide, aber nicht als parallele, sondern als auf einderfolgende Handlungen.' Il corsivo è di Zieliński. Si noti

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Questa è la cosiddetta "legge di Zieliński"85. Un esempio spesso citato è il caso di Iris e Apollo in Il. 15.150-235: Zeus affida ad Iris la sua missione, la fa partire, e aspetta che la missione sia compiuta, prima di mandare Apollo. Questa interpretazione è allo stesso tempo rigidamente lineare (Omero non torna indietro) e rigidamente "anacronica" (il tempo della "azione reale", che noi ricostruiamo, va indietro, di minuti, di ore, o anche di parecchi giorni). Nella "azione reale" Apollo parte insieme a Iris, non dopo. Io credo che la distinzione tra "azione apparente" e "azione reale" sia insostenibile a livello teorico: non è stato mai chiarito a che livello si situi l'azione "reale". Se il poeta presuppone l'azione apparente, ricostruire l'azione "reale" significa presuppore che ci sia una realtà oggettiva dei fatti dietro alla narrazione poetica. Inoltre gli esempi discussi da Zieliński sono assolutamente fuorvianti. Patzer ha sostenuto con buoni argomenti che Zieliński, nel discutere il passo del libro 15 dell'Iliade, si basava su una lettura non convincente del testo omerico. Zeus chiaramente non può mandare Apollo finché non è sicuro che Poseidone abbandoni il campo, perché altrimenti Apollo e i troiani avrebbero la peggio. Le azioni narrate in successione devono essere in successione86. Se il narratore omerico procede soltanto in avanti nel tempo, naturalmente non può né ha bisogno di narrare un'azione con il piucheperfetto. Secondo Zieliński un ritorno indietro nel tempo esplicito a livello di narrazione omerica (non di "azione reale") è un fatto molto raro 87. L'interpretazione lineare è stata sviluppata e resa più rigida da Delebeque; e anche Olson, che contrasta Delebeque, ammette che "Homer's storytelling style does have obvious consecutive tendencies" (Olson, Blood, 95)88. Credo però che il tempo in Omero non sia sempre completamente lineare, e che si trovino dei casi di analessi almeno all'interno di una singola scena o sequenza narrativa. Questo è stato sostenuto con buoni argomenti da Rengakos (Zeit, 23-25 e Zeitstruktur, 55-60). Un esempio che io rintengo chiaro è Il. 5.720-752. Hera convince Atena a scendere in battaglia con lei per aiutare i greci: Hera prepara il carro con Hebe, e aggioga i cavalli (720-732). Atena (nota au\taér al v. 733) si arma, indossando la tunica, l'egida e l'elmo, e poi (al v. 745) balza sul carro. Non c'è nessun segno che le due azioni siano posteriori una all'altra: Omero fa di tutto per far innestare una azione sull'altra89. Tutto questo ha ovvie conseguenze linguistiche. Per realizzare la simultaneità ci vuole un punto in cui la narrazione ritorna indietro: questo punto però non è marcato da un avverbio come "intanto", "nel frattempo". Come si è visto, in Il. 4.457 è l'aggettivo prw%tov a segnalare il ritorno indietro nel tempo; in altri passi troviamo semplicemente au\taér (Il. 5.733) oppure un verbo al piucheperfetto (Il. 4.211, Od. 17.61), o un imperfetto di oi"comai, corrispondente a un piucheperfetto (Od. 24.225):

l'espressione "la logica naturale delle cose", che ricorre anche in molte delle descrizioni dell'hysteron proteron riportate sopra, nella sezione 4. Per una trattazione della struttura temporale di Iliade 13-15 sulla linea di Zieliński, cfr. Whitman e Scodel, Sequence and Simultaneity. 85 Si veda Rengakos, Zeit, 1-2 per utili precisazioni e dettagli sulle varie versioni correnti. 86 Patzer, Ereignisse, 156-158; si veda anche Rengakos, Zeit, 20-23. 87 Zieliński, Behandlung, 443 cita Od. 24.222-225 e 386-390 come esempi di narrazione anteriore (ciò che in italiano sarebbe espresso con il trapassato prossimo). 88 Cfr. Delebeque, Télémaque. Rengakos, Zeitstruktur, 45-54 critica Olson, Blood, in maniera convincente. Una osservazione di Rengakos mi sembra passibile di modificazione. A proposito del passo di Od. 1.109-149 discusso da Olson, Blood, 103-104 Rengakos ha probabilmente ragione a dire che i proci non sono presenti nella sala al v. 133 (come vuole Olson). Tuttavia quando i proci entrano al v. 144, Atena e Telemaco non hanno ancora finito il loro pasto, e i due gruppi terminano il pasto insieme: Telemaco parla ad Atena solo quando, alla fine del pasto dei proci (e quindi anche suo e di Atena), Femio comincia a cantare. Rengakos, Zeitstruktur, 51 parla invece di "zwei sukzessive und nicht eine gemeinsame Mahlszene". 89 Cfr. la discussione di Rengakos, Zeit, 25 n. 74. Anche Zieliński, Behandlung, 443 segnalava Od. 17.48-62 come uno dei pochi esempi di "ritorno indietro" nel tempo.

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Il. 5.733-734 au\taèr }Aqhnaòh, kouérh Dioèv ai\gioécoio, peééplon meèn kateéceuen e|anoèn patroèv e\p} ou"dei Il. 4.210-212: a\ll} o$te dhé r|} i$kanon o$qi xanqoèv Meneélaov blhémenov h&n, perì d} au\toèn a\ghgeéraq} o$ssoi a"ristoi kukloés}, o£ d} e\n meéssoisi paròstato i\soéqeov fwév Od. 17.61-62 Thleémacov d} a"r} e"peita dieèk megaéroio bebhékei e"gcov e"cwn, a$ma tw%i ge duéw kuénev a\rgoì e"ponto Od. 24.225 oi"cont}, au\taèr o| to_si geérwn o|doèn h|gemoéneue In Il. 4.211 non sarebbe stato possibile usare l'hysteron proteron, perché la sequenza "arrivarono"/"si riunirono" non offre segnali semantici per una analisi cronologica, e l'interpretazione ovvia (e diversa da quella che l'autore voleva dare) sarebbe stata che la folla si assembrò solo dopo l'arrivo di Menelao. Si noti comunque che, il piucheperfetto in Omero non esprime in senso proprio l'anteriorità nel passato, ma "sert parfois à indiquer de façon expressive que le procés verbal est déjà réalisé", come ad esempio in Il. 11.296 au\toèv d} e\n prwétoisi meéga froneéwn e\bebhékei "il avait déjà pris place au premier rang" (Chantraine, Syntaxe, 200)90. Non solo. Il piucheperfetto può essere usato addirittura per la posteriorità (immediata) nel passato, presentata come un fatto "già" avvenuto91. In Od. 13.163-164 Omero racconta che Poseidone pietrificò Scheria: o$v min la%an qh%ke kaì e\rròzwsen e"nerqe ceirì kataprhne_ e\laésav: o| deè noésfi bebhékei "che pietra la fece, la radicò nel profondo, a mano aperta colpendola: e poi se n'andò" (Calzecchi Onesti, Odissea) "la pietrificò, la radicò al fondo del mare, colpendola col palmo della mano, e già era lontano" (Ferrari, Odissea). In generale bisogna osservare che in greco, non solo in Omero, l'idea di anteriorità nel passato non viene espressa solo dal piucheperfetto (Kühner e Gerth, Grammatik, I, 151; Stahl, Syntax, 121), ma anche con l'aoristo (Kühner e Gerth, Grammatik, I, 151 e 169; Stahl, Syntax, 140) e con l'imperfetto (Kühner e Gerth, Grammatik, I, 145; Stahl, Syntax, 107). Cioè: il tempo verbale non indica di norma il rapporto cronologico con altri tempi verbali ma piuttosto altre relazioni: il rapporto sfondo/primo piano; l'aspetto (momentaneo/durativo); il rapporto con il tempo dell'enunciazione (passato/presente/futuro) e la relazione con l'enunciante (tempi commentativi/narrativi)92. In conclusione si può dire che nel testo omerico esistono casi di analessi del narratore principale, ma che sono casi limitati nel numero e di ampiezza cronologica non molto estesa; a questo corrisponde un ruolo abbastanza limitato dei tempi con valore di " anteriorità nel passato", e il fatto che il piucheperfetto non abbia, se non in alcuni casi, questo valore. Come l'anteriorità nel 90

Simili osservazioni in Kühner e Gerth, Grammatik, I, 151-152; si veda anche Moorhouse, Syntax, 201. 91 Alcuni esempi di quest'uso sono da individuare nei passi citati da Kühner e Gerth, Grammatik, I, 153, ad es. Il. 5.65. 92 Su sfondo/primo piano cfr. Weinrich, Tempus, 150-171; Pinkster, Sintassi, 291-293; su tempi narrativi e commentativi Weinrich, Tempus, 44-69.

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passato ha un ruolo limitato nella narrazione omerica, così a livello linguistico l'anteriorità nel passato non viene sempre marcata, e si creano vari casi di hysteron proteron. 9. La paratassi: stile o lingua? I fenomeni discussi nei paragrafi precedenti rientrano in un aspetto generale della lingua omerica per il quale sono state proposte varie etichette: "paratassi" e "stile appositivo" (e. g. Chantraine), "adding/unperiodic style" (Parry), "cumulation" (Kirk), "continuation/progression" con successione di "foci of consciousness" e "intonation units" (Bakker)93. Questi approcci tentano di spiegare perché la lingua omerica non è organizzata gerarchicamente come l'inglese (o l'italiano, o il francese, o, in una certa misura, come il greco classico): la lingua omerica è meno "gerarchica" in quanto questo è lo stile di Omero, uno stile che presenta "liberté" e "souplesse" nella collocazione delle frasi94; in quanto "arcaica"; in quanto si tratta di una lingua orale. Se si attribuisce la paratassi omerica a un fatto di stile, si implica che questa sintassi sia una scelta del poeta tra varie scelte possibili. Anche chi parla di stile orale, in una certa misura, implica che la lingua di Omero è tipologicamente la stessa di Callimaco, ma che viene realizzata in modi differenti a motivo della differente tecnica compositiva ("composition in performance" o "oral dictated text"). Secondo Bakker l'organizzazione frammentaria del discorso in unità di intonazione sarebbe parallela alle stesse caratteristiche che si ritrovano in testi orali informali prodotti da parlanti di lingue moderne. Devine e Stephens propongono una spiegazione diversa. Esistono varie lingue che presentano una tipologia sintattica particolare, detta "nonconfigurational": "the term nonconfigurational implies that the language has a rather flat (as opposed to hierarchical) phrase structure" (Devine e Stephens, Syntax, 142). Tra gli elementi che si ritrovano in queste lingue sono: ordine verbale grammaticalmente libero; omissione del soggetto pronominale; concordanza libera (tipo Od. 12.73); preferenza per l'uso di avverbi rispetto alle preposizioni; assenza di articolo determinativo; paratassi95. Quale che sia il valore di questi confronti con lingue non indoeuropee, mi sembra comunque che sia condivisibile (e scontata) l'affermazione secondo cui la sintassi omerica è molto diversa da quella del greco successivo. "In Homer there survives a strong residue of a stage in the history of Greek when the syntax of the language was typologically quite different. Simply put, the characteristic flavour of Homeric syntax is ultimately a question not of style but of grammar" (Devine e Stephens, Syntax, 207). Il testo omerico, preservatosi grazie al prestigio ben presto acquisito, è stato letto in un periodo in cui la sintassi è molto cambiata. In particolare, nel passaggio da Omero al greco classico, la coordinazione, specialmente la coordinazione con deé, diminuisce grandemente di importanza. Ho analizzato OT 1237-1285 e Il. 16.777-829, due brani narrativi comparabili per tema (descrizione della morte di Giocasta e della morte di Patroclo). Nell'Iliade troviamo una grande prevalenza di congiunzioni coordinanti (50, tra cui 27x deé, 5x kaò, 3 dimostrativi) e 6 congiunzioni subordinanti (di cui 2x w|v). Nel passo dell'Edipo Re troviamo una frequenza minore di congiunzioni coordinanti (35, tra cui 14x deé, 6 gaér, 4x a\llaé) e una maggiore di congiunzioni subordinanti (15, di cui 3x o$pwv). Si noti che nel passo dell'Edipo Re ci sono vari casi di subordinate di terzo grado, e molte coordinazioni tra subordinate; inoltre anche fra le congiunzioni coordinanti c'è un grande numero di gaér, che indica uno "sfondo". Ai lettori del V sec. alcune espressioni omeriche sembravano presentare uno scarto molto forte con quanto veniva normalmente letto e detto: questo processo di rilettura le ha fatte diventare 93

Cfr. la panoramica di Bakker, Poetry, 39-41. Chantraine, Syntaxe, 350: "les propositions se succèdent sans que les rapports qui les unissent soient analysés. C'est, pour une part, un procédé de style"; cfr. anche p. 353 e 355. 95 Si vedano Devine e Stephens, Syntax, 142-148 per una presentazione dettagliata. Del gruppo "nonconfigurational" fanno parte vari linguaggi australiani e amerindi. 94

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"figure retoriche" nel testo di Omero per quei lettori, che poi le hanno introdotte nei loro propri testi, anche se in misura piuttosto limitata, e spesso con intento allusivo verso il testo omerico96. 10. Alcuni esempi sofoclei97 Nella tragedia, il funzionamento linguistico dell'hysteron proteron è lo stesso: assenza di segnali espliciti dell'inversione cronologica a parte il rapporto semantico tra i verbi. Il legame con il contesto funziona in modo analogo: l'elemento più in rilievo è posto per primo. Così ad esempio in OC 427-430 oi$ ge toèn fuésant} e\meè ou$twv a\tòmwv patròdov e\xwqouémenon ou\k e"scon ou\d} h"munan, a\ll} a\naéstatov au\to_n e\peémfqhn ka\xekhruécqhn fugaév "loro [Eteocle e Polinice], quando io fui scacciato via dalla patria in maniera così disonorevole, non mi trattennero né mi difesero, ma come una persona sradicata fui mandato via dalla città, per quel che li riguardava, e fui bandito in modo da diventare esule" Sofocle crea una linea che mette in risalto e"scon e e\peémfqhn rispetto a h"munan e e\xekeruécqhn: ma Eteocle e Polinice avrebbero dovuto "difendere" Edipo nell'assemblea che decretò l'espulsione, e (successivamente) "trattenerlo" quando Edipo materialmente si allontanava da Tebe. Si noti anche che e\peémfqhn in quanto testualmente legato a ciò che precede: cf. 428 e\xwqouémenon (e poi anche 441 h"laune). Edipo sottolinea il dato fattuale dell'essere mandato via, e mette in secondo piano il fatto che c'era stato un bando, cosa che sgravava Eteocle e Polinice dalla loro responsabilità. Si noti che l'inversione è tale solo per un determinato contesto culturale. In OC 429-430 c'è hysteron proteron solo se si pensa che (come sembra il caso) la proclamazione del bando di espulsione di qualcuno che è nella città normalmente avveniva quando la persona era ancora nel territorio: cfr. in generale la Medea di Euripide (70-73, 271-276, 340-354), e (con meno dettagli) Hdt. 3.148-149, Aeschin. 3.258. Collard commentando i vv. 495-496 delle Supplici di Euripide (suè d} a"ndrav e\cqrouèv kaì qanoéntav w\fele_v, / qaéptwn komòzwn q} u$briv ou£v a\pwélesen;) sostiene che "the stronger idea comes second"98. Non penso che questo sia convincente in questo passo. Ciò che conta nel v. 495, e nelle Supplici in generale, è il termine qaéptwn, che ha un rilievo molto forte nel dramma (cfr. ovviamente 121, 174, 282-285, 309), non komòzwn (cfr. 126). Un altro caso in cui l'hysteron proteron produce uno scarto espressivo importante è Soph. OC 1383-1388: suè d} e"rr} a\poéptustoév te ka\paétwr e\mou%, kakw%n kaékiste, taésde sullabwèn a\raèv, a$v soi kalou%mai, mhéte gh%v e\mfulòou 96

Si noti in ogni caso che a volte le lingue moderne preferiscono la coordinazione rispetto a una coordinazione rispetto a una subordinazione participiale. Si veda Od. 10.230-231 (cfr. 10.256-257, 312-313): h| d} aùy} e\xelqou%sa quérav w"i=xe faeinaèv / kaì kaélei "ella subito uscì, spalancò i fulgidi battenti e li invitava dentro" (Ferrari, Odissea). La traduzione della Calzecchi Onesti, Odissea "subito lei, uscita fuori, aperse le porte splendenti / e li invitava" è poco idiomatica, in quanto il participio "uscita" suggerisce una azione precedente a quella del verbo principale, che invece deve essere successiva. 97 Si veda l'appendice 3 per una rassegna più completa dei passi. 98 Cfr. sezione 7 su questo passo, e nn. 35 e 39** per i verbi in asindeto.

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doérei krath%sai mhéte nosth%saò pote toè ko_lon ’Argov, a\llaè suggene_ cerì qane_n ktane_n q} u|f} ou/per e\xelhélasai L'ultimo elemento (uccidere chi ti ha esiliato) è presentato a parte: uccidere chi ci bandisce dalla patria non può essere presentato (nella civiltà greca) come una maledizione, ma lo è per implicazione, visto che si tratta di condannare un fratello. L'inversione è anche in questo caso un tratto recuperato dal linguaggio 'omerizzante', ma con una sofisticazione retorica ulteriore: l'elemento che viene posto alla fine della catena di maledizioni viene presentato come uno scarto rispetto al resto della serie, ma proprio questa collocazione inusuale spinge il pubblico a guardare più a fondo e a capire che si tratta effettivamente di una maledizione. 11. Virgilio: l'hysteron proteron da lingua a stile Virgilio utilizza l'hysteron proteron per imitazione omerica arcaizzante. Questa figura retorica è usata con particolare predilezione, e si accorda bene con un principio stilistico importante. Già un detrattore antico di Virgilio eum…appellabat novae cacozeliae repertorem, non tumidae nec exilis, sed ex communibus verbis atque ideo latentis (― lo chiamava inventore di un nuovo tipo di affettazione stilistica, dovuta non ad ampollosità né a secca concisione ma costruita partendo da parole comuni e perciò surrettizia‖)99. Come ha fatto notare Conte, questa predilezione per le parole comuni si rivela in maniera particolarmente netta nei moltissimi esempi di enallage virgiliana. Questo vale anche per gli esempi più noti e discussi di hysteron proteron100. Lo scarto dalla lingua comune viene operato non con la scelta di un lessico ricercato, ma con un forte scarto cronologico. Tra i casi più famosi e discussi si possono ricordare: Verg. A. 2.353 moriamur et in media arma ruamus A. 6.567 castigatque auditque dolos subigitque fateri A. 10.819-820 tum vita per auras concessit maesta ad manis corpusque reliquit Gli esempi virgiliani sono molto numerosi e molto discussi101, e non è questa la sede per riprendere il problema. Quello che si vuole far notare è che l'uso virgiliano presuppone che l'inversione non fosse accettabile nel discorso comune: non solo l'ipotassi è perfettamente accettabile in poesia102, ma l'asindeto è frequente103 e la lingua latina di età classica ha un sistema piuttosto rigido di relazioni temporali tra verbi. E' proprio la semplicità delle parole scelte e della loro collocazione a riuscire straniante, facendo di un fatto di lingua (omerica) un fatto di stile.

99

Cfr. Don. Vita Vergili 44; Görler, Kakozelia; Conte, Virgilio, p. 9. Görler, Kakozelia, 185 nota semplicemente la presenza di stilemi enniani, seguendo Norden. 101 Norden, Aeneis Buch VI, 379, McDevitt, Hysteron Proteron, Zaffagno, Hysteron proteron, Görler, Lingua, 274 e 276. 102 Norden, Aeneis Buch VI, 378 offre un istruttivo confronto con Lucrezio. 103 Pinkster, Sintassi, 301-304 e 315-316. 100

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Appendici 1. Termini tecnici retorici per "hysteron proteron" a) tw%i u|steérwi prw%twi kecrh%sqai: hypoth. Med. r. 32 Diggle (Euripidis Fabulae I), sch. Eur. Med. 1 Schwartz; Cic. Att. 1.16.1 respondebo tibi u$steron proéteron {Omhrikw%v… iam proèv toè proéteron revertar104. Cfr. toè deuéteron prw%ton eùpen in sch. Od. 3.467 Dindorf. Nel P.Oxy. 1086 (metà I sec. a. C., nella tradizione di Aristarco; cfr. Basset, Hysteron Proteron, 47), commentando Il. 2.763, si osserva, al rigo 11, proèv toè deuéteron proéteron a\phénthken. Al rigo 18 il commento conclude la discussione osservando: [o| poihthèv ou$twv ei\v taè u$stera proé]terov a\panta%i kataè i\dòan sunhéqeian. b) prwquésteron: Eust. ad Od. 1.93 etc.; molto frequente; il termine si trova anche in Michael Apostolius, Collectio paroemiarum 14.75: Prìn e\sfaécqai deérei: e\pì tw%n prwquésteroén ti poiouéntwn. c) u|sterologòa: ad es. scholia londinensia in Dions. Thrac. artem gramm. in Hilgard, GG I III, 462, righe 32-35 u|sterologòa e\stì meérov loégou o$tan o£ prw%ton de_ leégein u$steroén tiv taéxhi, {w|v o"tan ei"pwmen} oàon (Il. 1.251) a$ma traéfen h\d} e\geénonto; Greg. Cor. trop. in Spengel, Rhetores III, 225 riga 26 (cfr. Lausberg, Handbuch, 440). d) a\nastreéfousin: sch. Il. 6.80-81 Erbse a\nastreéfousin w|v toè "ei$mata †a\mfieésasa quwédea kaì louésasa" (cfr. sotto, g)) e) u|peérqesiv "posticipazione": sch. Eur. Med. 1 Schwartz; un termine che serve a descrivere un fatto morfologico (cfr. schol. Od. 3.180 Dindorf) viene qui usato per un fatto narrativo/sintattico f) u|perbibasmoév "trasposizione": un termine che descrive un fatto morfologico (o\loumeénh per hyperbibasmos diventa ou\lomeénh secondo Epim. Hom. 2, a1) viene occasionalmente usato per un fatto narrativo/sintattico (in sch. Od. 3.467 Dindorf). g) w|v toè "qreéyasa tekou%saé te" (schol. Il. 22.468b Erbse) = " come implicatura conversazionale generalizzata > implicatura convenzionale. Questo potrebbe essere precisamente quello che è successo nel caso del superlativo retorico. Noi siamo abituati a leggere una implicatura convenzionale quando troviamo un quantificatore universale, e in generale siamo portati ad 128

Sulla implicatura conversazionale si veda Andorno, Linguistica, 148-149, che riassume Grice e Horn. Come ricorda la Andorno, in una asserzione ― [l]e presupposizioni costituiscono la parte dell‘informazione […] che […] non viene messa in discussione da una negazione o da una smentita dell‘asserzione stessa‖ (Andorno, Linguistica, 127). Il tipo di inferenza legata al significato lessicale del superlativo è di solito obbligatoria ma viene in realtà indebolita dalla convenzionalità del superlativo retorico. ― La comprensione del significato non convenzionale è legata alla capacità dell‘interlocutore di ricostruire le intenzioni comunicative del parlante‖ (Andorno, Linguistica, 142).

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aggiungere per implicatura convenzionale un tale quantificatore quando esso manca. Invece la situazione linguistica del greco non prevederebbe una implicatura convenzionale né una conversazionale e lascerebbe aperta la possibilità di smentita. Questo può essere dovuto anche al fatto che, da un punto di vista semantico e morfologico la situazione del greco è differente. Ad esempio il termine basileuév non implica, come per noi, sovranità assoluta: nell'orizzonte omerico ci sono molti re129, e gli eroi omerici sono a"ristoi. Agamennone, quando invita Diomede a scegliersi un compagno per la sua pericolosa spedizione, lo esorta a scegliere il migliore, senza farsi intimorire dal fatto che qualcuno sia ― più re‖, ― di stirpe maggiormente nobile‖ (10.239 basileuééterov). Nella confusione del libro secondo dell'Iliade Odisseo deve ribadire a "ciascun re" (2.188) che bisogna rimanere a Troia, e inoltre è costretto ad aggiungere, parlando a soldati del demos, che ci deve essere "un solo sovrano, un solo basileus" (2.203-204). C'è un'altra osservazione linguistica da fare. Il superlativo assoluto in realtà è spesso più debole del superlativo relativo. La frase con superlativo assoluto ("Maria è un'ottima nuotatrice") è meno forte di alcune versioni del superlativo relativo ("Maria è la migliore nuotatrice della classe"; "Maria è la migliore nuotatrice torinese"; "Maria è la migliore nuotatrice italiana"; "Maria è la migliore nuotatrice del mondo"). Non solo: se io dico che "Maria è un'ottima nuotatrice" posso comunque dire che "Giovanna è un'ottima nuotatrice" senza smentire la prima affermazione. Inoltre è possibile usare superlativi assoluti al plurale, in riferimento a persone differenti: "Maria e Giovanna sono ottime nuotatrici/sono le nuotatrici migliori del mondo". Questo è esattamente quello che accade anche nell‘Iliade, quando si tratta di stabilire chi sia ― il migliore degli achei‖. Con una differenza. In italiano, così come in altre lingue moderne (francese, inglese, tedesco) c'è una chiara distinzione sintattico-morfologica tra il superlativo relativo e quello assoluto. In greco antico invece la stessa modifica morfologica del grado positivo crea una forma dell'aggettivo che funziona sia da superlativo assoluto che da superlativo relativo. Nel proto-indoeuropeo esistevano diversi modi di qualificare la forza di un aggettivo (enfasi, accento, contrasto, peggioramento), alcuni dei quali si sono evolui nei suffissi di comparativo e superlativo che troviamo in greco130. Risulta quindi chiaro che, sia per ragioni di linguistica generale, che per questioni specifiche della lingua greca, il superlativo non si presta ad essere analizzato per trarre conclusioni filosoficamente inevitabili, come è avvenuto nel caso dei passi dell‘Ecuba citati ad inizio di capitolo. E l‘uso ‗retorico‘ del superlativo si sviluppa ed espande, passando ad essere uno dei tratti che la tragedia riprende dalla lingua poetica greca arcaica. 4. Il migliore degli Achei Queste possibilità linguistiche vengono sfruttate nell‘Iliade a proposito del titolo di ― migliore degli Achei‖. Nagy (Best, 26-42) ha dimostrato che tale titolo è oggetto di una ardente contesa. Esso viene attribuito a vari eroi: naturalmente ad Achille, ma anche ad Agamennone, come abbiamo visto, ad Aiace, a Diomede, e a Patroclo131. In alcuni casi è ovvio che è l‘eroe stesso ad attribuirsi 129

Cfr. ad es. Raaflaub, Homeric Society, p. 633-634, con bibliografia. Sihler, Grammar, 356-368; Wackernagel, Vorlesungen II, 65. 131 Per a"ristov nell‘Iliade in riferimento ad Achille cfr. ad es. 1.244 (Achille parla di sé stesso); 1.412 (Achille parla di sé stesso); 2.769 (parla il poeta: il più forte dei greci; non è compreso tra i combattenti); 11.784 (Peleo ordina al figlio di essere il migliore degli Achei). Per Agamennone: 1.91 (parla Achille: ― Agamennone, che afferma con vanto di essere il migliore degli Achei‖); 2.82 (parla Nestore: ― che afferma con vanto di essere il migliore degli Achei‖); 2.580 (parla il poeta); 11.288 (parla Ettore: ― a temporary distinction, cf. the description of Diomedes during his aristeia (5. 414, 5. 839)‖, Hainsworth, Iliad, 258); Aiace: 2.768 (parla il poeta: è aristos tra i guerrieri greci, nel periodo in cui Achille era irato); 7.289 (parla Ettore: Aiace è il più forte tra gli Achei nell‘uso della lancia; Achille non combatte; cfr. 7.50); Diomede: 5.103 (parla Pandaro, che lo ha ferito); 5.414 (parla Dione: Diomede deve stare attento, perché può venire ucciso, anche se è il migliore degli 130

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questo vanto (ad es. Agamennone in 1.91), e talvolta il primato è dovuto all‘assenza di Achille dal campo di battaglia (Aiace in 7.289), ma in alcuni casi si tratta di un primato non contestato, ma legato a una particolare circostanza, come l‘aristia (appunto) di Diomede, o la morte di Patroclo (detto il migliore dopo la sua fine)132. D‘altra parte la stessa alternativa vige per Calcante ed Eleno: ciascuno di loro è detto ― di gran lunga il migliore fra coloro che interpretano il volo degli uccelli‖ (Il. 1.69 e 6.76). Il primo libro dell‘Iliade, come è noto, è tra l‘altro incentrato su una disputa linguistica sul valore dei superlativi. Calcante (vv. 78-79) fa notare che Agamennone ― domina su tutti gli Argivi, e a lui obbediscono gli Achei‖. Agamennone è disposto ad ammettere che Achille è il ― più tremendo fra tutti gli uomini‖ (Il. 1.146: paéntwn e\kpagloétat} a\ndrw%n), un complimento abbastanza ambiguo, che non vincola Agamennone ad attribuirgli il titolo di a"ristov. Achille continua la contesa affermando che Agamenonne non ha il coraggio di tendere un‘imboscata ai nemici ― insieme quelli degli Achei che eccellono in valore‖ (suèn a\risthéessin }Acaiw%n 1.227). Achille afferma inoltre, rivolgendosi ad Agamennone, che egli si pentirà della sua scelta quando i Troiani metteranno alle strette i greci in battaglia: Agamennone si strazierà il cuore per non aver onorato il migliore degli Achei, cioè Achille (1.244), un concetto che Achille ribadisce parlando con la madre (1.412). Il poeta tiene in sospeso gli ascoltatori sull‘effettivo rango dei guerrieri: infatti lascia alle voci dei contendenti il compito di affermare la loro superiorità. Lascia addirittura a Nestore l‘occasione per dire che Agamennone ― afferma con vanto di essere il migliore dei Greci‖ (o£v meég} a"ristov }Acaiw%n eu"cetai eùnai 2.82) e, nel catalogo delle navi, afferma che egli ― spiccava tra tutti gli eroi / perché era aristos e conduceva il contingente di gran lunga più numeroso di soldati‖ (2.579-580). In questo caso Omero svia intenzionalmente gli ascoltatori: Agamennone è aristos in quanto guida il contingente più numeroso, e questo accumulo di superlativi spinge a credere che egli sia non solo ― ottimo‖, ma anche ― il migliore‖, come egli afferma (secondo Achille). In realtà Omero, alla fine del catalogo, chiede alla Musa di dire chi fosse il più forte ― tra gli uomini e i cavalli che seguivano i due Atridi‖ (2.762). I cavalli più forti sono quelli di Eumelo, a cui li aveva dati Apollo. Per gli uomini la risposta è di nuovo una sorpesa: Aiace è il più forte. Ma Omero immediatamente qualifica questa affermazione specificando ― nel periodo in cui Achille era irato: infatti egli era di molto più forte (feértatov) / e (molto più forti di tutti erano) i cavalli che portavano l‘impeccabile figlio di Peleo‖ (2.769-770)133. Omero si è dunque corretto su tutta la linea? Sembra di sì. Ma egli formula la sua domanda alle Muse in modo da lasciarsi molte scappatoie. Chiede alle muse chi fossero ― i più forti tra quelli che seguivano i due Atridi‖ (2.762). Agamennone quindi è fuori gara: egli non seguiva gli Atridi, ma era uno di loro. 5. Il peggiore degli dei

Achei); 5.839 (parla il poeta; Diomede è detto ― uomo ottimo‖); Patroclo: 17.689 (parla Menelao: è morto Patroclo, il migliore degli Achei); 18.9-11 (parla Antiloco: si è avverata la profezia secondo cui sarebbe morto il migliore dei Mirmidoni mentre Antiloco era ancora in vita). Su questa contesa cfr. Nagy, Best, 31 e Latacz, Ilias, 82, e sotto, nota **132**. Achille è anche detto ― il più terribile di tutti gli uomini‖ (paéntwn e\kpagloétat} a\ndrw%n) in Il. 1.146 (parla Agamennone) e 18.170 (parla Iris), ma l‘epiteto è attribuito occasionalmente anche a Ifitione proprio da Achille stesso, in maniera ironica (Il. 20.389). 132 La contesa si estende anche al titolo di ― più forte‖ (feértatov), solitamente attibuito ad Achille: cfr. Il. 2.769 (parla il poeta); 16.21 (parla Patroclo) e in 19.216 (parla Odisseo; così anche in Od. 11.478). In Il. 7.289 è attribuito ad Aiace da Ettore: cfr. la nota seguente. 133 Infatti anche Ettore, quando lo giudica il più forte (Iliade 7.289), sa che Achille si è ritirato dalla lotta (Iliade 7.229-232).

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Il passo dell‘Ecuba da cui siamo partiti presenta un problema teologico: quale delle divinità è la più potente? Già nell‘Iliade vari personaggi e il poeta affermano che Zeus è il dio supremo. Ad esempio Menelao, in Il. 13.631-632, ne parla come di una verità assodata: Zeu% paéter, h& teé seé fasi perì freénav e"mmenai a"llwn a\ndrw%n h\deè qew%n O padre Zeus, dicono che per saggezza tu sei sopra tutti gli uomini e i numi (Calzecchi Onesti, Iliade). In realtà Menelao elogia Zeus per preparare una sua critica: se è così potente e saggio, come mai permette ai Troiani di avere successo, se essi hanno un atteggiamento di superbia folle (Il. 13.634 meénov…a\tasqalon)? Non a caso Menelao lascia ad altri il compito dell‘elogio di Zeus 134. Altri personaggi iliadici esplicitamente criticano Zeus in quanto bugiardo (12.164, parla Asio), oppure lo accusano di essere una divinità ― distruttrice‖, ― funesta‖. Agamennone non riesce a colpire Paride: la sua lancia lo manca, e la spada si spezza inaspettatamente; perciò accusa Zeus (Il. 3.365): Zeu% paéter, ou" tiv se_o qew%n o\lowéterov a"llov Questa osservazione viene ripresa nell‘Odissea (20.201) da Filezio, il quale, parlando ad Odisseo:, lamenta le sofferenze che Zeus ha imposto ai mortali135. Anche Achille accusa Zeus in quanto ha permesso o causato la contesa con Agamennone (Il. 19.270); Achille poi si rivolge ad Apollo, affermando che egli è ― il più dannoso degli dei‖ (Il. 22.15 e\blaéyaév m} e\kaéerge, qew%n o\lowétate paéntwn). D‘altra parte Achille stesso aveva pregato Zeus di concedere a Patroclo di respingere l‘attacco troiano alle navi, e di farlo tornare salvo: solo il primo desiderio viene accolto (16.233252). Achille inoltre, dopo la sfiduciata constatazione di Il. 19.270, prega Zeus e gli altri dei di salvarlo dalla furia del fiume (21.273-283) e Zeus lo aiuta: Poseidon e Atena arrivano ― col consenso di Zeus‖ (21.290). Non ci sono qui contraddizioni logiche tra le varie affermazioni o problemi teologici: queste poco prudenti lamentele (o prese d‘atto della situazione) sono sulla bocca di personaggi diversi o riguardano situazioni contingenti, e stati d‘animo che cambiano. Ma quest‘uso mostra come le implicazioni teologiche e filosofiche del superlativo non sono in realtà del tutto ‗assolute‘, bensì legate a situazioni contingenti, e a presupposti linguistici derivanti dalla situazioen di fatto. Quest‘uso ‗contingente‘ e retorico del superlativo sarà poi ripreso in una lunga tradizione della poesia e filosofia arcaica greca. 6. Retorica e filosofia Il ‗superlativo retorico‘ ha una importante funzione nella storia del pensiero e della letteratura greca arcaica e classica. Confluiscono in esso due tradizioni: il linguaggio religioso e il linguaggio sapienziale. Era normale nell'uso "popolare" chiedere "qual è la cosa più bella, utile, desiderabile": enigmi e indovinelli, ma anche canti di contesto simposiale offrono abbondati attestazioni di questo tipo di domanda. Abbiamo versioni filosoficamente più avvertite di questi enigmi, e che prendono sul serio l'espressione: specialmente autori di testi filosofici sostengono che l'elemento che domina (kratei) su tutto è davvero più importante che ogni altra cosa (cfr. sotto, sezioni 5-6); questo è collegato, in alcuni autori, con la divinizzazione di uno o più elementi naturali. 134

Janko, Iliad, 125: ― Menelaos leaves praise of Zeus‘s wisdom to others, as does Agamemnon at 19.96f.‖ 135 Questa espressione di tipo formulare è modificata sulla bocca di Menelao, in riferimento a un mortale (Il. 23.439 }Antòloc}, ou" tiv se_o brotw%n o\lowéterov a"llov).

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Esiste infatti anche un altro paradigma concettuale: quello religioso, che attribuisce a una singola divinità il potere supremo: e la divinità non è sempre Zeus. In tragedia l'espediente retorico della divinizzazione viene a riguardare anche sentimenti, stati d'animo, oltre che personificazioni di attività, valori religiosi etc. (cfr. la sezione 7, sugli Augenblicksgötter). Questo uso ha una importante linea di sviluppo nella poesia arcaica: concetti, attività intellettuali o qualità morali vengono divinizzati. L‘attestazione più famosa è nel frammento 169a di Pindaro, in cui il nomos viene detto essere basileus, ― sovrano‖. Questo frammento ha avuto numerose imitazioni ed è frequentemente riecheggiato nella letteratura greca e latina, come nel brano dell‘Ecuba da cui la discussione è partita. Il frammento di Pindaro inoltre è stato centrale nel dibattito nomos/phusis del V e IV sec., soprattutto tramite una reinterpretazione in senso relativistico, attestata a partire da Erodoto (3.38). Gli autori comici, e anche Euripide in un importante passo del Ciclope, hanno fatto frequente uso di questo gruppo di figure retoriche in senso burlesco o parodiando lo stile filosofico. L'uso del superlativo retorico viene anche applicato a divinità, in contesti di preghiera o di eulogia, per sottolineare una speciale devozione. Si può notare infine un uso rovesciato del superlativo, nella tradizione dello psogos. Per valutare l‘importanza di questa tradizione linguistica e concettuale è necessario raccogliere il maggior numero possibile di passi, cercando di ordinare le differenti sfumature di significato e la loro relazione a differenti metafore. Una lista al termine del capitolo offre un catalogo di "re" e "regine"; la discussione che segue analizza in forma discorsiva i vari esempi, mostrando la connessione di questo schema di pensiero con vari generi letterari e con altri tipi di immagini ed esperssioni. Tra le altre figure del discorso collegate a questa si devono ricordare non solo l'uso di verbi di "regnare" (turanneéw e soprattutto krateéw), ma anche la divinizzazione di un concetto, gli appellativi padre/madre (spesso usati per affermare la preeminenza di una divinità), e poi i superlativi 'normali', e la Priamel. 7. I presupposti dei superlativi Cosa blocca l‘eccesso di significato nei superlativi? Cosa interviene perché l‘eccesso linguistico non sovverta l‘ordinamento del mondo? Il problema è, come spesso, la presupposizione136. Quando si dice che Eros è sovrano sugli uomini, o sugli dèi, in realtà lo stesso nome di Eros indirizza l‘interpretazione verso una qualità o attività particolare: questo lascia alle altre divinità la supremazia in altri campi, ad es. la guerra. In un certo senso si presuppone che il superlativo riguardi solo una particolare qualità o attività; inoltre sembra che il dio sia solo una personificazione. Il bagaglio di presupposizioni insomma neutralizza il potenziale dirompente insito in espressioni come ― Eros è il tiranno degli dèi e degli uomini‖, e lo rende molto simile ai casi in cui l‘aggettivo al superlativo focalizza una qualità troppo specifica per garantire una vera supremazia sugli altri enti (si veda sotto, sezione 10): se Afrodite è la dea ― più dolce‖, si implica già che non sia ― la più violenta‖. Solo Dioniso è insieme ― il più terribile‖ e ― il più mite‖ (Eur. Ba. 860861)137. Quando si parla di altre entità non identificabili con un aspetto parziale della vita umana (fato, caso, necessità) la sovrapposizione con il potere di Zeus sembra totale, e non lascia apparentemente campo per manovre. Quello di ― Vortice‖ (Ar. Nu. 380-381) è un caso interessante, perché si tratta di un principio astratto di tipo fisico, e Aristofane sceglie di collocare il suo Socrate sulla linea dei filosofi presocratici, alla ricerca dell‘a\rché. 8. Enigmi

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Per un orientamento su questi problemi teorici si vedano Sperber e Wilson, Pertinenza, 103-177, Chierchia, Semantica, 133-138, Andorno, Linguistica, 121-138. 137 Non accetto al v. 860 la correzione e\n meérei di Diggle, Euripidea, 468-470 stampata in Diggle, Euripidis Fabulae III. Si veda Di Benedetto, Baccanti, ad loc.

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Il superlativo retorico è legato agli enigmi e alle gare di ingegno: nella poesia e filosofia arcaica è comune trovare risposte a domande come ― cos‘è la cosa più bella?‖ (tò toè kaélliston;). Si veda ad esempio il fr. 16 di Saffo, secondo cui «Alcuni dicono che sulla terra nera la cosa più bella sia un esercito id cavalieri, altri di fanti, altri di navi, io invece ciò di cui uno è innamorato» (vv. 1-4, trad. Ferrari, Saffo). Analogamente in Thgn. 255-256 si dice che «la cosa più bella è ciò che è più giusto; la cosa più utile è avere buona salute; la cosa più piacevole, ottenere ciò che uno ama» (kaélliston toè dikaioétaton: lw%iston d} u|giaònein: / pra%gma deè terpnoétaton, tou% tiv e\ra%i, toè tuce_n)138. La Priamel, come si è già osservato, è spesso impiegata in collegamento con il superlativo retorico139. L'uso di questa figura retorica nella poesia gnomica e in detti 'popolari' è probabilmente all'origine del topos, ma venne ben presto ripreso nel contesto di una speculazione filosoficamente più avvertita. Di particolare interesse è la serie di superlativi attribuiti a Talete in Diogene Laerzio (si tratta probabilmente di un pastiche di età posteriore a Talete): ― si trasmettono anche queste sue sentenze: la più antica fra le cose che esistono è il dio; infatto è una cosa che non è stata generata. La cosa più bella è il mondo; infatti è opera del dio. […] La cosa più forte è la necessità: domina infatti su ogni cosa. La cosa più sapiente è il tempo; infatti scopre ogni cosa‖140. 9. Uso filosofico del superlativo retorico La prima attestazione di un superlativo retorico che si può attribuire con sicurezza ad un filosofo è il passo di Eraclito secondo cui "la Guerra [il termine è maschile in greco] è padre di tutte le cose, re di tutte le cose, e alcuni ha mostrato essere dèi, altri uomini"141. Come osservava già Gigon, la "predicazione", gli attributi di Polemos, "guerra", sono una "aperta parodia della predicazione di Zeus"142. Collegato a questo passo, e vicino anche a Eur. Hec. 800, è anche un ulteriore frammento eracliteo, secondo cui ― tutte le leggi traggono nutrimento dall‘unica legge divina: essa domina quanto vuole, ed è sufficiente per ogni cosa e ancora sopravanza‖143. Queste affermazioni di tono proberbiale hanno grande importanza come modelli retorici per i tentativi successivi di stabilire cosa sia "l'elemento più importante nell'universo", l'archē. Si può ricordare il frammento di Anassagora secondo cui il nous ― è la più sottile e la più pura di tutte le cose‖ e ― domina su tutte le 144 cose‖ . La forma del discorso scientifico e filosofico di Anassagora ha un debito chiaro verso 138

Si possono ricordare anche Soph. fr. 356 kaéllistoén e\sti tou"ndikon pefukeénai, / lw%iston deè toè zh%n a"noson, h$diston d} o$twi / paéresti lh%yiv w/n e\ra%i kaq} h|meéran e Carmina convivalia 890 PMG. Cfr. Fraenkel, Agamemnon, 407-408, Stinton, Papers, 21 e n. 16, Griffith, Contest, passim, spec. 193-194, 199. 139 Cfr. Race, Priamel, 2 n. 3; 15 n. 48. 140 Thal. 11 A 1 § 35 DK (= D. L. 1.35): feéretai deè kaì a\pofqeégmata au\tou% taéde: presbuétaton tw%n o"ntwn qeoév: a\geénhton gaér. kaélliston koésmov: poòhma gaèr qeou% … i\scuroétaton a\naégkh: krate_ gaèr paéntwn. sofoétaton croénov: a\neuròskei gaèr paénta. Si veda anche l‘importanza di questo procedimento retorico nella tradizione pitagorica (58 C 4 = Iamb. VP 82-83; Burkert, Lore, 167-170) e l'imitazione in Plu. Moralia 153 a 2-d 10 (Convito dei sette sapienti). 141 Heraclit. 22 B 53 DK: si veda il testo sotto, nel catalogo (paragrafo 17). 142 Già Gigon, Untersuchungen, 119 osservava che la "predicazione", cioè gli attributi di Polemos, "guerra", sono una "aperta parodia della predicazione di Zeus". Per basileuév come appellativo di Zeus (non in Omero, ma comune a partire da Esiodo) cfr. LfgrE s. v. basileuév, con bibliografia: si vedano ad es. Ae. Pers. 532, Ag. 355, Ar. Nu. 2. 143 Heraclit. 22 B 114 DK: treéfontai gaèr paéntev oi| a\nqrwépeioi noémoi u|poè e|noèv tou% qeòou: krate_ gaèr tosou%ton o$koson e\qeélei kaì e\xarke_ pa%si kaì perigònetai. 144 Anaxag. 59 B 12 DK e"sti gaèr (scil. o| nou%v) leptoétatoén te paéntwn crhmaétwn kaì kaqarwétaton, kaì gnwémhn ge perì pantoèv pa%san i"scei kaì i\scuéei meégiston. kaì o$sa ge yuchèn e"cei kaì taè meòzw kaì taè e"lassw, paéntwn nou%v krate_. Il passo è citato da Lanza,

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saggezza "tradizionale": risponde all'enigma "che cos‘è la cosa più sottile?‖, e esprime il potere del nous usando il verbo kratein. Cfr. anche Emp. 31 B 17.27-30 DK [cfr. 31 B 26.1] tau%ta gaèr ùsaé te paénta kaì h$lika geénnan e"asi, / timh%v d} a"llhv a"llo meédei, paraè d} h&qov e|kaéstwi / e\n deè meérei krateéousi periplomeénoio croénoio. In Diogene di Apollonia (64 B 5 DK) troviamo la formula con krate_n usata insieme alla divinizzazione dell'archē: kaì moì doke_ toè thèn noéhsin e"con eùnai o| a\hèr kalouémenov u|poè tw%n a\nqrwépwn, kaì u|poè touétou paéntav kaì kuberna%sqai kaì paéntwn krate_n: au\toè gaér moi tou%to qeoèv doke_ eùnai kaì e\pì pa%n a\f_cqai kaì paénta diatiqeénai kaì e\n pantì e\ne_nai. La traduzione di Diels e Kranz ha un punto interrogativo qui ("denn gerade dies, scheint mir, ist Gott (?) und überall zur Stelle und verwaltet alles und ist in allem darin"). Ma troviamo spesso che il concetto, elemento etc. che sta al centro del superlativo retorico viene considerato un "dio", talvolta addirittura "il più potente, importante, etc. fra gli dèi": cfr. [Pl.] Ep. VIII 354 e 7-8 qeoév deè a\nqrwépoiv swéfrosin noémov, Cyc. 316 e 334 ss. (citati sotto)145. Cfr. anche Xenoph. 21 A 28 DK (=[Arist.] De Melisso Xenophane Gorgia 977 a 27-28): tou%to gaèr qeoèn kaì qeou% duénamin eùnai, krate_n, a\llaè mhè krate_sqai, kaì paéntwn kraétiston eùnai. 'Senofane' sviluppa un argomento a favore del monoteismo (cfr. le rr. 24-26 ei\ d} e"stin o| qeoèv a|paéntwn kraétiston, e$na fhsìn au\toèn proshékein eùnai. ei\ gaèr duéo h! pleòouv eùen, ou\k a"n e"ti kraétiston kaì beéltiston au\toèn eùnai paéntwn). Questo è precisamente l'argomento di Lanza, che cioè krate_n è un'attività specifica della entità suprema, e non può essere predicata di nessun altro o di niente altro. Ma il punto principale (e il problema teologico) del politeismo è proprio che ci siano diversi dèi e poteri in conflitto, e poeti e filosofi (tra gli altri) possono creare nuovi 'dèi' o identificare poteri o elementi naturali con essi, o ricordare che il fato o l'anankē sono più forti degli dèi stessi (cfr. Eur. IT 1486 toè gaèr crewèn sou% te kaì qew%n krate_). Ci sono ovvi problemi logici e teologici se si sostiene allo stesso tempo che gli dèi sono potenti e che il destino (o il nomos, o l'anankē) governa su di essi; ma mi sembra arduo provare che chi esprimeva questa visione fosse sempre cosciente della contraddizione logica (e si rendesse conto che era in ultima analisi insostenibile), anche se certamente ci sono casi in cui gli aspetti paradossali vengono individuati e discussi (cfr. Eur. fr. 820b.4-5 ei\ meèn gaèr h| tuéch }stin, ou\deèn de_ qew%n, / ei\ d} oi| qeoì sqeénousin, ou\deèn h| tuéch). Si vedano invece le formulazioni conciliatorie di Eur. El. 892 toèn tw%n qew%n te th%v tuéchv q} u|phreéthn, Diagora di Melo (fr. 2 Winiarczyk): kataè daòmona kaì tuécan taè paénta broto_sin e\ktele_tai146. Il famoso passo delle Nuvole di Aristofane Una parodia di questo uso ricorre in un famoso passo delle Nuvole di Aristofane, in cui Strepsiade dice: ― Questa m‘era sfuggita: Zeus non esiste e al suo posto ormai il re è Vortice‖ (Ar. Nu. 380-381, trad. Grilli, Nuvole: toutò m} e\lelhéqei / o| Zeu%v ou\k w"n, a\ll} a\nt} au\tou% D_nov nunì basileuéwn). Come nota Dover, il vortice ha un nome, Dinos, che lo fa suonare come un parente di Zeus147; al Vortice viene trasferita il ruolo di ―r e‖ dell‘universo. Nomos, 419-420 per spiegare Hec. 799-800 ('dominare secondo ragione' è la traduzione che Lanza offre per krate_n, cfr. la traduzione in Lanza, Nomos, 439 "hanno però forza gli dei e la legge che intimamente li regola"), in correlazione con Heraclit. 22 B 114, C 1 § 10 DK, Archelao 60 A 1 § 17 DK (cfr. Lanza, Nomos, 437 "krateéw mi pare non si possa qui assolutamente allontanare dal significato concreto e fisico di "avvolgere"", con parlalleli e una interessante discussione). Cfr. anche 60 A 4 § 3 DK. 145 Laks, Diogène d'Apollonie, 44 (ad loc.) nota la "allure d'un hymne" del frammento (con riferimenti bibliografici). 146 Henrichs, Kritik, 22, col. XI, 31-34. 147 Dover, Clouds, ad Ar. Nu. 381 ― the word suggests to Strepsiades that someone connected with Zeus (Di-) has overthrown Zeus as ruler just as Zeus overthrew Kronos; cf. 1471. –_nov occurs in well-known proper names, e. g. Fil_nov, and it is possible that Sophron (124) used pallak_nov

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10. Augenblicksgötter Un altro stilema collegato al superlativo retorico è la divinizzazione dei concetti (Augenblicksgötter "divinità create sul momento"), anche dei più bizzarri, in tragedia. "Riconoscere una persona cara" (Hel. 560148) è una divinità, secondo Elena, e, secondo la terminologia dei filologi tedeschi, appartiene alla razza degli Augenblicksgötter. Altri dèi di questa classe sono ricordati in Eur. frr. 250, 1018, Pho. 506, 531-532, 782, 798, Or. 213, 398-399 (cfr. Di Benedetto, Orestes, ad loc.), 1682-1683, IA 392 (cfr. anche Ae. fr. 70, Eur. fr. 941). Crisippo interpretò il frammento B 53 di Eraclito in un modo che mostra chiaramente che una interpretazione religiosa della formula non era affatto impossibile: ―g uerra e Zeus sono lo stesso essere, come afferma anche Eraclito‖149. 11. Padri e madri nel superlativo retorico Una strategia simile si può ritrovare anche nell'uso di appellativi come "padre" (Zeus, molto spesso; Chronos, il tempo, in Pi. O. 2.17; il sole in Ae. Ch. 984-987, Soph. fr. 752.2-3 gennhthèn qew%n / pateéra paéntwn e cfr. anche il catalogo, sotto) e "madre" (la Terra, Gē: Eur. fr. 839.7 mhéthr paéntwn, Afrodite: Hipp. 448 paénta d} e\k tauéthv e"fu). 12. Uso comico del superlativo retorico In Euripide l‘empio Ciclope sostiene che ― per i saggi la ricchezza è dio‖ (Cyc. 316) e dice di voler sacrificare ― alla più grande delle divinità, cioè al questa mia pancia‖ (334) 150 Questo riuso umoristico del superlativo retorico ‗teologico‘ occorre varie volte in commedia: Eupoli parla di qualcuno per cui ― il ventre è dio‖, un personaggio di Anassandride considera l‘anguilla ― la divinità più grande‖, mentre un frammento adespota afferma che ― il vino‖ sia la ― divinità suprema‖151. 13. Superlativi aggettivali Quando, in un passo di Euripide si afferma che ― Cipride è di gran lunga la dea più dolce‖ (Alc. 790 thèn ple_ston h|dòsthn qew%n Kuéprin), il superlativo retorico si riferisce a un solo aspetto (la dolcezza), anche se il procedimento implica una preferenza espressa dal parlante. Questo esaltazione di una divinità attraverso un aggettivo specifico è molto comune: cfr. Hel. 1105 h|dòsth qew%n / peéfukav a\nqrwépoisin–in Hipp. 1301 Afrodite è, tra tutti gli dèi e dee, la più odiata da chi ha fatto voto di eterna verginità), Phaeth. 232 (cfr. Diggle, Phaethon, e la sua nota ad loc.) (= fr. 781.19 Kannicht, TrGF 5) Kuépri qew%n kallòsta, Hel. 1348 kallòsta … makaérwn Kuépri, IA 553, Hipp. 71 kallësta tw%n kat} ’Olumpon [scil. Artemide], Or. 1682-1683 thèn kallòsthn qew%n Ei\rhénhn timw%%ntev, Eur. fr. 453.1-2 Ei\rhéna baquéploute kaì kallòsta makaérwn qew%n, Pi. N. 10.18 ‘Hba…kallòsta qew%n. Simile è il caso dell'uso di moénov / moéna nel contesto di eulogie (cfr. Hipp. 1282 e Barrett, Hippolytus, ad loc., Diggle, Phaethon, ad Phaeth. 243, e

in the sense ‗son of a concubine‘; cf. Chantraine [Formation], 203 f.‖. Cfr. anche Guidorizzi, Nuvole, ad loc. 148 Kannicht, Helena, ad loc., Paganelli, Echi, 25 e n. 15; 38 e n. 12. 149 Cfr. Chrysipp. Stoic. in Arnim, SVF II, fr. 636 (cfr. Radice, Stoici, 660-661): kaì toèn poélemon kaì toèn Dòa toèn au\toèn eùnai, kaqaéper kaì toèn {Hraékleiton leégein e Gigon, Untersuchungen, 119. 150 Cfr. Eur. Cyc. 316 o| plou%tov… to_v sofo_v qeoév, 334-37 a|gwè ou"tini quéw plhèn e\moò, qeo_si d} ou", / kaì th%i meégisthi, gastrì th%ide, daimoénwn. / w|v tou\mpie_n ge kaì fage_n tou\f} h|meéran, / Zeuèv ou/tov a\nqrwépoisi to_si swéfrosin. 151 Eup. fr. 187 KA, koiliodaòmwn ("is cuius deus venter est"), Anaxandr. fr. 40.5-6 KA, thèn e"gcelun meégiston h|ge_ daòmona, / h|me_v deè tw%n o"ywn meégiston paraè polué. Cfr. Paganelli, Echi, 39 and n. 1.

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Euripidea, 197152), usato anche se la qualità, il potere etc. di cui si parla non riservato unicamente alla divinità, persona etc. di cui si parla (Hipp. 1280-1281 sumpaéntwn basilhòda timaèn, Kuépri, tw%nde moéna kratuéneiv). Per altri casi in positivo, senza divinizzazione, cfr. Eur. frr. 1029.1 (ou\k e"stin a\reth%v kth%ma timiwéteron) e 1030 (a\rethè meégiston tw%n e\n a\nqrwépoiv kaloén), Or. 1155-1156, e poi, in ambiti più limitati, Alc. 319 (al momento delle nozze e del parto ou\deèn mhtroèv eu\meneésteron), Andr. 985-986, Eur. Supp. 1101-1102, fr. 316.5-7, frr. 358, 566, 788. 14. Psogos e superlativo retorico Il superlativo retorico funziona in entrambe le direzioni, non solo per l'elogio ma anche per il biasimo. Oltre ai passi omerici ricordati sopra (sezione 5) cfr. Eur. Pho. 531-532 tò th%v kakòsthv daimoénwn e\fòesai / Filotimòav, pa_; e poi Med. 471-472 a\ll} h| megòsth tw%n e\n a\nqrwépoiv noéswn / pasw%n, a\naédei(a) e frr. 248 (ou\k e"sti Penòav i|eroèn ai\scòsthv noésou), 403.7 (dove si dice che lo fqoénov è pasw%n megòsthn tw%n e\n a\nqrwépoiv noéswn), 282.1-2 (gli atleti sono il peggiore dei mali della Grecia), Supp. 429 ou\deèn turaénnou dusmeneésteron poélei, fr. 1113b.4, Soph. El. 1047 boulh%v gaèr ou\deén e\stin e"cqion kakh%v. A metà tra l'elogio e il biasimo è Soph. Ant. 332-333 kou\deèn a\nqrwépou deinoéteron peélei. 15. Il nomos basileus C‘è ancora un importante gruppo di superlativi retorici da esaminare, prima di tornare all‘interpretazione del passo di Euripide da cui siamo partiti. La più famosa e più discussa attestazione del superlativo retorico è in Pindaro, e riguarda proprio il nomos (fr. 169a.1-4): ― la legge, che è regina di tutti gli esseri, mortali e immortali, fa da guida, rendendo giusto con la sua mano sovrana ciò che è pieno di violenza‖. Anche per Pindaro si discute se nomos indichi specificamente una ― legge‖ o un ― uso, costume‖153. In ogni caso a Pindaro il discorso di Ecuba (799-801) chiaramente allude. Crisippo imita il brano di Pindaro, e forse anche quello dell‘ Ecuba, quando scrive che ― la legge è regina di tutte le cose, divine e umane: è necessario che essa sia ciò che sorveglia i beni e i mali, che sia governante e guida e, in base a ciò, deve essere canone di ciò che è giusto e ingiusto [kanona … dikaiôn kai adikôn]‖154. Questo non solo riprende i versi 800-801 dell‘Ecuba (― è grazie alla Legge che crediamo agli dèi, e viviamo 152

Non considero probabile la congettura a Alc. 122 proposta da Diggle, Euripidea, 196-199 e stampata in Diggle, Euripidis Fabulae I: negli altri passi in cui si trova l'uso "iperbolico" di moénov non segue immediatamente una frase che smentisce l'iperbole, come nell'Alcesti. Si veda Parker, Alcestis, ad loc. 153 Il testo greco è: noémov o| paéntwn basileuèv qnatw%n te kaì a\qanaétwn a"gei dikaiw%n toè biaioétaton u|pertaétai cerò. Il passo era discusso già nell‘antichità, in particolare da Erodoto (3.38) e Platone (Grg. 484 b 1-c 3). Si veda in generale Gigante, Nomos, e, per una bibliografia aggiornata, Asheri, Erodoto III, 256. Lloyd-Jones, Pindar, 55 (= Papers, 163-164) offre una breve e chiara panoramica delle interpreazioni, dividendo gli studiosi in due gruppi. Tra gli studiosi che traducono nomos come ― uso, costume‖ si possono ricordare Wilamowitz, Pindaros, 462; Pohlenz, Nomos, 139 [=Pohlenz, Kleine Schriften, II, 337]; Theiler, Nomos, 75. L'altra interpretazione (nomos come ― legge‖) è preferita da Lloyd-Jones, Pindar, 55 (= Papers, 163-164), a cui si rimanda anche per l‘amplia bibliografia: ― law of the universe and particularly law of Zeus‖; ― Law for him [scil. Pindar] was identical with the will of Zeus […] he gives nomos the title ‗king of gods and men‘. That title is commonly given to Zeus, so that a hearer would very likely infer that Zeus' nomos was in question‖. Si veda anche Gentili, Eracle e Gentili, Poesia, 188-189. 154 Per il testo cfr. Chrysipp. Stoic. in Arnim, SVF, III fr. 314 (cfr. Radice, Stoici, 1122-1123): o| noémov paéntwn e\stì basileuèv qeòwn kaì a\nqrwpònwn pragmaétwn: de_ deè au\tonè prostaéthn te eùnai tw%n kalw%n kaì tw%n ai\scrw%n kaì a"rconta kaì h|gemoéna kaì kataè tou%to kanoéna te eùnai dikaòwn kaì a\dòkwn. Si veda Gigante, Nomos, 265 n. 2.

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distinguendo fra il bene e il male‖) ma sembra anche riecheggiare il verso 602 (di autenticità discussa, ma probabilmente già presente in epoca antica), secondo cui chi è nobile ― conosce il male per averlo appreso con il canone del bene‖ [kanoni tou kalou]. E' notevole che l'affermazione di Crisippo a proposito del nomos imiti la gnome di Pindaro non solo nel suo contenuto, ma anche nella posizione, all'inizio del libro. Marciano, un giurista di età imperiale a cui dobbiamo la citazione, dice appunto che ― anche il sommo filosofo stoico Crisippo così inizia, nel suo libro Sulla legge [peri nomou]‖—e questa citazione non a caso viene dal primo libro delle Institutiones di Marciano155. Se l‘impiego e la funzione del superlativo retorico sono ora abbastanza chiari, è forse opportuno fare alcune osservazioni sulla nascita di questa figura, e sulle contraddizioni logiche che essa comporta. Un'altra celeberrima affermazione dalla retorica simile apriva un libro famoso. La frase sull'uomo che è misura di tutte le cose, architettata come straordinario incipit da Protagora, dà particolare luce al suo sconvolgente contenuto mettendo l‘uomo nel posto che il superlativo retorico generalmente riservava alla divinità: ― iniziando dunque i suoi Discorsi demolitori dichiarò: di tutte le cose misura è l‘uomo, di quelle che sono in quanto è, di quelle che non sono in quanto non è‖ (80 B 1 DK e\narcoémenov gou%n tw%n Kataballoéntwn a\nefwénhse: paéntwn crhmaétwn meétron e\stìn a"nqrwpov, tw%n meèn o"ntwn w|v e"stin, tw%n deè ou\k o"ntwn w|v ou\k e"stin) 156. L'uso incipitario è un'altra caratteristica che il superlativo retorico ha in comune con la Priamel. 16. Contraddizione e complessità E‘ facile costruire una critica filosofica contro le argomentazioni di Ecuba, così come contro altre affermazioni in cui il superlativo retorico esalta un concetto o una divinità singola. Come abbiamo visto, già Senofane, secondo uno scritto aristotelico, sostenave che ci deve essere una sola divinità, perché l‘essenza della divinità consiste nel ― dominare [kratein]‖, non nell‘ ― essere dominato‖, e 157 nell‘essere ― superiore [kratiston] a ogni cosa‖ . Questo è precisamente l'argomento di Lanza, che cioè il dominare [kratein] è un'attività specifica della entità suprema, e non può essere predicata di nessun altro o di niente altro. Ma il punto principale (e il problema teologico) del politeismo è proprio che ci siano diversi dèi e poteri in conflitto. Gli dèi antichi, come ben sappiamo già da Omero, non erano onnipotenti. Ci sono ovvi problemi logici e teologici se si sostiene allo stesso tempo che gli dèi sono potenti e che il destino (o il nomos, o l'anankē) governa su di essi. Euripide stesso a volte mette in luce gli aspetti paradossali della coesistenza di varie entità supreme: ad esempio in un suo frammento un personaggio sostiene che ― se infatti esiste la sorte [tuchē] non c‘è nessun bisogno degli dèi, e se invece sono gli dèi ad avere forza, la sorte non è nulla‖ 158. Ma chi afferma la supremazia del nomos o dell‘ anankē vuole che la contraddizione logica esploda? Ecuba sceglie una formula retorica che esalta il nomos sopra ogni cosa. Nomos però vuol dire anche ― convenzione‖, ― norma umana‖. L‘ex regina dei barbari riecheggia, rovesciandolo, un slogan sofistico per sostenere una teodicea che sembra smentita dalle vicende viste sulla scena fino a quel momento. Euripide impiega in maniera provocatoria il linguaggio filosofico e retorico; l‘appello alla ‗convenzione‘ (nomôi) per affermare nella maniera più recisa una verità che sembra antichissima: l‘esistenza degli dèi. L‘effetto è paradossale: la religiosità viene sostenuta con parole potenzialmente blasfeme. Il linguaggio di Ecuba non può non essere quello dei contemporanei di 155

Cfr. Chrysipp. Stoic. in Arnim, SVF, III fr. 314 (cfr. Radice, Stoici, 1122-1123): sed et philosophus summae stoicae sapientiae Chrysippus sic incipit libro suo quem fecit perì noémou. 156 Si veda 80 B 1 DK (da S. E. M. VII 60), riportato sotto nel catalogo (paragrafo 17). Su questo frammento dall'interpretazione controversa cfr. Guthrie, History, 183-192, e gli articoli raccolti in C. J. Classen, Sophistik, 257-270 e 290-297. Cfr. anche C. J. Classen, Protagoras' Aletheia, e Soverini, Sofista, 57-65. 157 Xenoph. 21 A 28 DK = [Arist.] De Melisso Xenophane Gorgia 977 a 27, citato sopra, sezione 5. 158 Eur. fr. 820b.4-5, citato sopra a testo.

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Euripide, che la fa parlare. La lettura di Henimann metteva in contraddizione autore dell‘opera e parole del personaggio: le parole di Ecuba, proprio perché riecheggiano quelle del V secolo, non possono non mettere in crisi i contenuti stessi che Ecuba vuole esprimere. Questo corrisponde ad una immagine di Euripide come scrittore ― irreligioso‖ o ― ateo‖ che si ritrova già in alcuni passi di Aristofane, e che fu condivisa da molti studiosi del novecento; corrisponde anche ad una visione della sofistica che si sovrappone a una certa corrente illuminista antireligiosa e atea 159. Euripide però neutralizza le implicazioni atee degli slogan sofistici sulla ‗convenzione‘ innestando un diverso tipo di linguaggio filosofico: quello della tradizione filosofica e sapienziale arcaica, quello che non temeva di pronunciarsi sull‘ ― elemento dominante‖ nel cosmo, e non sembrava temere le difficoltà a cui questa presa di posizione poteva portare. Il discorso di Ecuba si basa dunque su un equilibrio filosofico rischioso. Lei si preoccupa di mantenere questo equilibrio proclama la ― Persuasione‖ unica regina degli uomini. Evita accuratamente di affermare che il dominio della persuasione si estende agli dèi. Ecuba è consapevole dei limiti e delle implicazioni del linguaggio filosofico, e si tiene ben lontano dal pericolo di una palese empietà. Non solo: sta bene attenta a formulare le due espressioni in maniera da non contraddire se stessa. Afferma che il nomos domina sugli dèi, e che gli uomini definiscono ciò che è giusto e ciò che è ingiusto sulla base di esso; ma non afferma che il nomos governa la vita degli uomini. Purtroppo non è così: è vero che a volte dipende dagli uomini attuare il nomos nel mondo; ora ad Agamennone far rispettare la giustizia; se non succederà così non ci sarà più nulla di ― giusto‖ [ison: letteralmente ― uguale‖] per gli uomini (798-805). Ma tutto questo non fa che confermare l‘assunto di base: gli dèi sono giusti, e perciò il nomos domina su di loro; gli uomini possono essere ingiusti, e il nomos non domina su di essi, anche se ha una funzione fondamentale nella loro vita. Sugli uomini domina invece la Persuasione, una divinità mercenaria e incostante (815). Se le due affermazioni di Ecuba possono essere riconciliate da un punto di vista logico e di tecnica retorica, la contraddizione però rimane. Le due affermazioni hanno funzioni retoriche differenti. Ecuba vuole che Agamennone punisca Polimestore perché questo è giusto (798-808), e perché Agamennone ha degli obblighi nei confronti di lei (814-835). Ma le due motivazioni presuppongono strategie e rapporti di forza differenti. La giustizia delle ordinarie leggi umane presuppone una organizzazione sociale stabile, assente in una situazione di guerra. L‘appello alla giustizia divina, nonostante la sua rispettabilità filosofica, non ha nessun effetto pratico, e compare precisamente perché Ecuba non si può appellare a una giustizia umana stabilmente organizzata. Il secondo argomento si basa sull‘obbligazione di Agamennone nei confronti di Ecuba; ma questa obbligazione è minima. Il fatto che lei ne parli è un segno della sua debolezza: non c‘è un controllo sociale che possa spingere Agamennone a restituire i favori alla madre della sua concubina, così come Odisseo già prima non si era sentito in dovere di farlo—e i favori ricevuti da Odisseo erano ben maggiori. Non a caso anche parlando con Odisseo Ecuba aveva ricordato il nomos dei Greci; un nomos democratico, che considerava allo stesso modo persone libere e schiavi, di fronte alla morte (291). La contraddizione tra nomos e charis, tra appello alla giustizia divina o politica, e appello ai rapporti sociali aristocratici, è la contraddizione che definisce Ecuba. Ecuba tenta di tenere insieme le vicende che la colpiscono interpretandole; tenta di ‗tenere insieme‘ due tradizioni etiche e politiche diverse: la giustizia divina, la giustizia democratica e reciprocità aristocratica. Ecuba tenta di tenere insieme il suo passato aristocratico e il futuro di schiava. Nessuna delle due vie porta il successo a Ecuba. L‘unica soluzione aperta a lei è quella della furia femminile, dell‘eccesso di violenza a cui le donne ricorrono nel mito: lei stessa evoca come suo modello di comportamento, l‘unico modello rimasto, le Danaidi e le donne di Lemno, collettività femminili che uccidono gli uomini in massa (886-890). 159

Sul problema della religiosità in Euripide si vedano Di Benedetto, Euripide, 273-302 (Euripide e Dioniso), Lefkowitz, Euripides e Lefkowitz, Impiety, Mastronarde, Tragedy, 17-25, Wildberg, Hyperesie.

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La giustizia trova paradossali risorse in un gruppo di donne-cagne che, come le Erinni, vendicano una uccisione, e incarnano le inquietanti potenzialità delle risorse femminili. Ecuba cerca di riconciliare opportunismo aristocratico, doveri di reciprocità e retorica filosofica, ma per affermare la giustizia deve ricorrere a ciò che l‘ideologia greca considerava più immutabile e più teatrale nella psicologia femminile: la capacità di adescare e di ingannare. 17. "Re" e "regine" nei superlativi retorici greci: un catalogo Nomos160 P. fr. 169a.1-4 noémov o| paéntwn basileuèv qnatw%n te kaì a\qanaétwn a"gei dikaiw%n toè biaioétaton u|pertaétai ceirò Hdt. 7.104.4 e"pesti gaér sfi despoéthv noémov Pl. Smp. 196 c 2-3 a£ d} a"n e|kwèn e|koénti o|mologhéshi, fasìn oi| poélewv basilh%v noémoi dòkaia eùnai Pl. Prt. 337 d 2 (= Hippias 86 C 1 DK)161 o| deè noémov tuérannov w!n tw%n a\nqrwépwn pollaè paraè thèn fuésin biaézetai Pl. Ep. VIII 354 b 8-c 2 noémov e\peidhè kuériov e\geéneto basileuèv tw%n a\nqrwépwn, a\ll} ou\k a"nqrwpoi tuérannoi noémwn 354 e 7-8 qeoév deè a\nqrwépoiv swéfrosin noémov 355 e 2-3 despozoéntwn noémwn tw%n te a"llwn politw%n te kaì tw%n basileéwn au\tw%n (Gigante, Nomos, 263) Arist. Rh. 1406 a 22-23162: Alcidamante viene criticato per il suo uso pleonastico della costruzione perifrastica; egli diceva ou\cì touèv noémouv a\llaè touèv tw%n poélewn basile_v noémouv Hp. Genit. I 1 noémov meèn paénta kratuénei Ananke Eur. Alc. 965-966 kre_sson ou\deèn }Anaégkhv / hu&ron Hel. 514 deinh%v }Anaégkhv ou\deèn i\scuéein pleéon Ares Tim. 790 PMG ’Arhv tuérannov: crusoèn {Ellaèv ou\ deédoike. Dike Critias 88 B 25.6 DK i$na Dòkh tuérannov h&i. (DK, così come Snell, TrGF 1, 43 F 19.6, stampano dòkh). Eros Eur. Hipp. 538 ’Erwta deè, toèn tuérannon a\ndrw%n Eur. fr. 136.1 suè d} w& qew%n tuéranne ka\nqrwépwn ’Erwv Eur. fr. 269 ’Erwta d} o$stiv mhè qeoèn krënei meégan / kaì tw%n a\paéntwn daimoénwn u|peértaton / h! skaioév e\stin h! kalw%n a"peirov w!n / ou\k oùde toèn meégiston a\nqrwépoiv qeoén. Il testo è 160

Cfr. Hirzel, Themis, 380-381. Altri passi paralleli si possono trovare nell'apparato nell‘apparato di Turyn, Pindari Carmina, ad fr. 187 (= fr. 169a Snell e Maehler), e in Gigante, Nomos, passim. 161 Cfr. Guthrie, History, 120. 162 Cfr. Vahlen, Alkidamas, 494 = Vahlen, Schriften, 119, cita alcuni passi paralleli, inclusi sopra nella lista.

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incerto; meégan è troppo debole prima di u|peértaton e meégiston. Si osservi che Athenaeus XIII 600 d omette il secondo verso, e legge moénon krònei qeoén (assurdamente, in vista del v. 4). L'omissione del v. 2 potrebbe essere citata a sostegno della sua trasposizione dopo il v. 4, suggerita da Enger; ma anche la trasposizione attutisce solo, non elimina, la debolezza di meégan. Inoltre Cecilio Stazio, pur offrendo una versione abbreviata, presuppone però il v. 2 nella posizione attestata in Stobeo. Si veda l‘apparato in Kannicht, TrGF 5 per i dettagli. Helios Ae. Bassarides cfr. Eratosth. Cat. 24 (Radt, TrGF 3, p. 138, cfr. West, Studies in Aeschylus, 40) toèn deè ‘Hlion meégiston tw%n qew%n e\noémisen eùnai, o£n kaì }Apoéllwna prosegoéreusen. Soph. OT 660-661 toèn paéntwn qew%n qeoèn proémon ‘Alion. Kypris Soph. fr. 941.14-15 ei" moi qeémiv—qeémiv deè ta\lhqh% leégein— / Dioèv turanne_ pleumoénwn. Peitho Eur. Hec. 816-817 Soph. fr. 865 deinoèn toè ta%v Peiqou%v proéswpon Ae. fr. 161.4 (Qanaétou) moénou… Peiqwè daimoénwn a\postate_. Questo frammento andrebbe posto sotto la classificazione "elogio del potere di Thanatos", ma mostra almeno indirettamente l'importanza di Peitho, il cui potere è secondo solo a quello della Morte. Polemos Heraclit. 22 B 53 DK Poélemov paéntwn meèn pathér e\sti, paéntwn deè basileuèv, kaì touèv meèn qeouèv e"deixe touèv deè a\nqrwépouv Tyrannis Eur. Pho. 506 thèn qew%n meégisthn w$st} e"cein Turannòda (Mastronarde, Phoenissae, ad loc. ricorda Eur. fr. 250.1 turannòd} h£ qew%n deuteéra nomòzetai) 17.2 Sovranità limitata In alcuni casi queste metafore di regalità hanno un regno più limitato. Hygieia Licymnius 769.1-3 PMG: liparoémmate ma%ter u|yòsta qroénwn semnw%n }Apoéllwnov basòleia poqeinaè prau^gelwv {Ugòeia cfr. Ariphron 813.1 PMG {Ugòeia broto_si preésbista makaérwn (già S. E. M. 9.49 notava la somiglianza e citava insieme parte di entrambi i frammenti, ma non l'inizio di quello di Arifrone). Canto Pratin. 708.6 PMG taèn a\oidaèn kateéstase Pierìv basòleian. Vino Ione di Chio, fr. 26.11-12 West, IEG = 1.11-12 Gentili e Prato, PE = 89.11-12 Leurini, ICTF: il testo dei manoscritti è tou% qalòai fòla teékna filofrosuénai te coroò te / tw%n a\gaqw%n basileuèv oùnov e"deixe fuésin. West stampa tw%n a\gaqw%n < … / … / ... > basileuèv oùnov e"deixe fuésin e propone come supplemento basileuèv oùnov e"deixe fuésin in modo che questi versi esprimano il luogo comune in uino ueritas (in questa direzione già

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Diehl, e poi Gentili e Prato, PE163). West cita paralleli da Tegnide e da altri poeti lirici: Thgn. 500 a\ndroèv d} oùnov e"deixe noéon, Adesp. el. 22 West, IEG, Alcaeus 333 Voigt164. E‘ però anche possibile che il vino sia presentato come un prw%tov eu|rethév che mostra agli uomini l‘esistenza di piaceri inaspettati; in questo modo la frase sarebbe riassuntiva di ciò che precede 165. Cfr. Od. 10.302-303 w£v a"ra fwnhésav poére faérmakon a\rgeifoénthv / e\k gaòhv e\ruésav, kaò moi fuésin au\tou% e"deixe, Titanomachia fr. VI Allen = 11 Bernabé, PEG = Eumelus fr. 13 West166 ei"v te dikaiosuénhn qnhtw%n geénov h"gage de_xav / o$rkou kaì qusòav i|laraèv kaì schémat} }Oluémpou, Ae. Pr. 457-458 a\ntolaèv e\gwè / a"strwn e"deixa e 482 e"deixa kraéseiv h\pòwn a\kesmaétwn e, per antifrasi, Xenoph. 21 B 18.1 DK ou"toi a\p} a\rch%v paénta qeoì qnhto_s} u|peédeixan. Si veda inoltre h. h. Dem. 473-477 basileu%si / d[e_xe] … / … / drhsmosuénhn q} i|erw%n kaì e\peéfrade o"rgia pa%si167. Questa interpretazione porta a leggere, con Schneidewin, tw%nd} a\gaqw%n basileuèv oùnov e"deixe fuésin. Si può considerare tw%nd} a\gaqw%n dipendente a\poè koinou% da "re" e da "natura": "il vino, re di questi piaceri, ne svelò la natura (agli uomini)". Il testo tràdito non va bene, in questa prospettiva, perché troppo vago: "la natura dei piaceri" è poco chiaro, e ci si aspetterebbe "di tutti i piaceri"/"di tanti piaceri", ma / tw%n a\gaqw%n sarebbe poco convincente come stile: iniziare una frase nell'ultimo piede dattilico è poco elegante. In ogni caso se non si vuole accettare la dipendenza a\poè koinou%, si può pensare che basileuév non abbia nessuna qualificazione: il caso di noémov però era proverbiale, e l'assenza di qualificazioni più accettabile. La costruzione a\poè koinou% mi sembra migliore. Leurini, ICTF, ad loc. intende come West, anche se non accetta nessuna lacuna e mantiene tw%n a\gaqw%n e traduce "dei nobili re il vino mostrò la natura", con riferimento ad a\naéktwn del v. 2, tradotto "re". Mi sembra difficile che l'azione del vino debba essere specificamente limitata ai "re", e non è chiaro perché, a differenza che nei passi citati da West e da Leurini stesso, tw%n a\gaqw%n non significhi semplicemente "i buoni, la persone per bene". Credo che la correzione di Schneidewin, tw%nd} a\gaqw%n basileuèv, sia la soluzione migliore ai problemi di questo passo.

163

Per i riferimenti bibliografici si veda l'apparato di Leurini, ICTF, ad loc. Wilamowitz, Lesefrüchte, 279-283 = Wilamowitz, Kleine Schriften IV, 434-438 discute il frammento e stampa tw%n a\gaqw%n. Così anche D. A. Campbell, Greek Lyric IV, 362-363 (fr. eleg. 26). 164 Cfr. West, Studies in Greek Elegy, 172-173. Si vedano gli apparti di West, IEG, Leurini, ICTF, e Gentili e Prato, PE ad loc. per riferimenti ad altre congetture e ad altra bibliografia. Le altre osservazioni di West al testo tràdito sono di minore importanza: l'asindeto è accettabile in una frase che riassume e conclude una parte del discorso; e dire che "we expect more about the symposium itself" è un'affermazione molto soggettiva. 165 Cfr. e.g. la traduzione di Gulick, Deipnosiphists: "of these blessings King Wine hath shown us the true nature" (Gulick legge tw%n a\gaqw%n basileuèv oùnov e"deixe fuésin, senza postulare lacuna, ma traduce come se avesse stampato la congettura di Schneidewin tw%nd}). 166 Cito dal testo di West, Epic Fragments, non da Bernabé, PEG. 167 Richardson, HHD, ad h. h. Dem. 474-476 raccoglie molti passi in cui deòknumi e verbi correlati sono usati per descrivere l'invenzione dei culti misterici; si tratta di un termine tecnico per i misteri, ma connesso all'uso di deòknumi che ritengo si trovi nel passo di Ione di Chio.

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CAPITOLO 4 PRAGMATICA E RETORICA DELLE FRASI INTERROGATIVE IN EURIPIDE

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CAPITOLO 4 PRAGMATICA E RETORICA DELLE FRASI INTERROGATIVE IN EURIPIDE 1. Un passo dell’Andromeda di Euripide Il testo dell'Andromeda di Euripide è stato esaminato in dettaglio in anni recenti in vari commenti e edizioni critiche168. Alcuni problemi del fr. 125 però non sono stati affrontati in maniera convincente. Questo è il testo di Nauck, ripreso senza mutamenti da van Looy169: e"a, tòn} o"cqon toénd} o|rw% peròrruton a\frw%i qalaésshv; parqeénou t} ei\kwé tina e\x au\tomoérfwn lai^nwn tukismaétwn sofh%v a"galma ceiroév. La costruzione delle parole da parqeénou in poi è problematica. Le possibilità prese in considerazione dagli editori sono varie. Nel testo di Nauck e van Looy la congiunzione t} è fuori luogo in una risposta. La difficoltà appare evidenta dalla traduzione di van Looy in Jouan e van Looy, Fragments 1, 174: «Hé, quel est ce rocher que je vois, entouré par la mer écumeuse? Et la figure d'une vierge formée de pierres brutes, une statue dressée par une main habile». L‘ultima frase della traduzione si perde nel vuoto, senza nessuna reggenza sintattica. Se questa frase costituisce una risposta alla domanda precedente (cfr. Hel. 71-73), il t} va eliminato. Però, anche scrivendo parqeénou g} ei\kwé tina170, la logica della risposta rimarrebbe comunque insoddisfacente. Perseo identificherebbe la roccia con l'immagine di una fanciulla (Andromeda). Euripide sta giocando qui sull'ambiguità tra artefatto e natura171, ma questo non vuol dire che la roccia non esista, e ci sia soltanto Andromeda in mezzo al mare. Questa proposta va abbandonata. 168

Cfr. principalmente Bubel, Andromeda, Klimek-Winter, Andromedatragödien, van Looy in Jouan e van Looy, Fragments 1, 148-190. 169 Van Looy in Jouan e van Looy, Fragments 1, 174 (Andromède fr. 10); riferisco a van Looy le parti di cui egli si assume la responsabilità principale, anche se tutto il lavoro è frutto di un impegno comune tra van Looy e F. Jouan. Questo testo era accettato anche da Wecklein, Tragödien, 90. Seek, Fragmente, stampa lo stesso testo di Nauck per questo frammento, ma lo traduce come un'unica domanda. 170 Cfr. Denniston, Particles, 133. 171 Si ricordi che esistevano, nella tradizione religiosa greca, vari esempi di statue 'animate' che dovevano essere legate o incatenate perché non si muovessero: cfr. Eur. fr. 372, Ar. fr. 202 KA con riferimenti, Pl. Euthphr. 11 b 9-e 1, Men. 97 d 6-e 5, e, fra tante, le rassegne di Frontisi-Ducroux, Dédale, 102-104 e Faraone, Talismans, 18-35 e 94-112. Al contrario nel mito Perseo usa la testa di Medusa, che rende di pietra (come una statua) chi la guarda; nel frammento dell'Andromeda lo sguardo di Perseo vede Andromeda come una bellezza imprigionata nella pietra. La complessa relazione di metafore e immagini in questo frammento meriterebbe di essere analizzata più dettagliatamente. Altri casi di bellezza umana paragonata a quella di una statua si trovano in Eur. Hec. 558-561, Pl. Chrm. 154 c 9, Men. Dys. 677, con Gomme e Sandbach, Menander, ad loc. Si veda naturalmente anche Ae. Ag. 242 preépousaé q} w|v [twèv P. Maas] e\n grafa_v. Per il rapporto tra statue, immagini e attrattiva erotica cfr. Ae. Ag. 414-426. Klimek-Winter, Andromedatragödien, 199 è fuori strada quando ritiene di individuare un elemento di comicità nella scena, perché Perseo prenderebbe Andromeda per una statua.

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Bubel, come già faceva Dindorf, presenta tutto il frammento senza punto interrogativo, ma mantenendo tòna al v. 1172. Una frase interrogativa indiretta non sembra possibile in vista dei molti paralleli per e"a seguito da domanda173. Il frammento iniziava sicuramente con una domanda diretta, anche se non possiamo essere sicuri che la domanda finisse esattamente con ceiroéév. Le punteggiature di Nauck, van Looy e Bubel vanno dunque scartate. 2. Il personaggio e la scena Le parole da parqeénou alla fine del frammento sono in parallelo a quelle precedenti e devono fare parte di una domanda. Questa è l'interpretazione di gran lunga preferibile, ed è sostenuta da molti passi simili. La prima parte della domanda di Perseo è sull'ambiente circostante (le rocce), la seconda riguarda una parte specifica di quello che egli vede, come in Pr. 561-562 tòv gh%; tò geénov; tòna fw% leuéssein toénde calino_v e\n petrònoisin ceimazoémenon;. L'esclamazione e"a introduce spesso una serie di domande, una prima più generica, seguita da un'altra più specifica: Eur. El. 341343 e"a: tònav touésd} e\n puélaiv o|rw% xeénouv; / tònov d} e$kati taésd} e\p} a\grauélouv puélav / prosh%lqon;, HF 1172-1175 e"a: tò nekrw%n tw%nde plhquéei peédon; / ou" pou leéleimmai kaì newteérwn kakw%n / u$sterov a\f_gmai; tòv taéd} e"kteinen teékna; / tònov gegw%san thénd} o|rw% xunaéoron;, Or. 385 w& qeoò, tò leuéssw; tòna deédorka nerteérwn;, Ae. Pr. 114-115 e 124-125 a& a& e"a e"a: / tòv a\cwé, tòv o\dmaè proseépta m} a\fegghév; / … / feu% feu% tò pot} au& kinaéqisma kluéw / peélav oi\wnw%n;. Anche la parodia di Aristofane sembra indicare che egli leggeva la seconda parte del frammento come parte della domanda: Ar. Th. 1105-1106 e"a, tòn} o"cqon toénd} o|rw% kaì parqeénon / qea_v o|moòan nau%n o$pwv w|rmismeénhn;. Vari editori hanno quindi seguito questa possibilità. Così fanno ad esempio già Mette174, e poi Klimek-Winter, il cui testo riproduco: e"a, tòn} o"cqon toénd} o|rw% peròrruton a\frw%i qalaésshv parqeénou t} ei\kwé tina e\x au\tomoérfwn lai^nwn tukismaétwn, sofh%v a"galma ceiroév h f h g h ; «Oh! qual è questa roccia che vedo, circondata dalla spuma del mare, e un'immagine di fanciulla, fatta di pietre lavorate di forma precisamente somigliante, statua opera della mano di un abile artista?»

172

Cfr. Dindorf, Poetae Scenici Graeci (ANDROMEDA fr. VII, p. 79 della sezione dedicata ai frammenti) e Dindorf, Euripidis tragoediae (ANDROMEDA fr. 7 p. 857). 173 Cfr. e.g. Eur. Hec. 733-734 e"a: tòn} a"ndra toénd} e\pì skhna_v o|rw% / qanoénta Trwéwn;, e sotto, n. 11. Le domande che seguono e"a sono spesso del tipo definito «agnoetico» da Mastronarde, Contact, 10-11. 174 Mette, Euripides, 50 (F 172) (cfr. anche Mette, Bruchstücke, 53, F 175) stampa il seguente testo: e"a, tòn} o"cqon toénd} o|rw% peròrruton a\frw%i qalaésshv, parqeénou t} ei\kwé tina, e\x au\tomoérfwn lai^nwn †teicismaétwn sofh%v a"galma ceiroév < h x h g x> nau%n o$pwv w|rmismeénhn; Non è affatto sicuro che nau%n o$pwv w|rmismeénhn di Ar. Th. 1106 (cfr. anche Eur. HF 1094) facesse parte del frammento dell'Andromeda: si vedano le convincenti osservazioni di Nauck, Fragmenta, p. 397 e Klimek-Winter, Andromedatragödien, 202-204.

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3. Interrogativi e indefiniti A proposito di un testo così costruito Diggle, Studies, 42 n. 2 osserva che «we have in effect tòna ei\kwé tina o|rw%», e che questo è inaccettabile. Diggle ha ragione. Non ha senso unire un pronome indefinito e uno interrogativo in riferimento allo stesso nome, tanto più che l'immagine della fanciulla non è indefinita e introvabile, ma davanti agli occhi di Perseo e del pubblico. L'unione di una forma del pronome indefinito tiv e dell'interrogativo tòv riferiti a uno stesso nome in una stessa domanda non è attestata in Eschilo, Sofocle, Euripide e Aristofane175. Diggle propone di leggere tinov. Klimek-Winter, Andromedatragödien, 197 respinge l'emendamento di Diggle con una buona argomentazione. Egli nota che «l'immagine di una qualche fanciulla» non è molto diverso da «qualche immagine di una fanciulla». Il genitivo tinov dipende strettamente dal nome ei\kwé e ei\kwè parqeénou è quasi una perifrasi per parqeénon. Klimek-Winter però non offre nessuna risposta al problema che spinge Diggle a congetturare, e mantiene l'insoddisfacente tina di Nauck176. 4. Da indefinito a interrogativo La soluzione che io ritengo corretta è quella stampata da Rutherford nel 1896, e scartata da Diggle: leggere tòna177. Con questo testo la domanda di Perseo è strutturata in maniera simile ad altre domande di personaggi che arrivano in scena e si interrogano su quello che vedono, come nei casi di domande introdotte da e"a che abbiamo visto in precedenza178: prima si pone una domanda in generale su quello che si vede in scena (la roccia) e poi una più particolare sulla bella sconosciuta.

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Naturalmente pronomi indefiniti compaiono in molte domande introdotte dal pronome interrogativo tòv, ma con referenti diversi: ad es. Eur. Hec. 313-314 tò dh%t} e\re_ tiv…; «che cosa diranno allora… ?», Ar. Lys. 1080, Thesm. 707; Eur. Hec. 1202-1203, IA 1423. In Or. 1269-1270 o$de tiv e\n tròbwi †proseércetai†: tòv o$d} a"r} a\mfì meélaqron pole_ soèn a\groétav a\nhér; il primo tiv è da intendersi come interrogativo (cfr. Di Benedetto, Orestes, ad loc.) oppure bisogna porre punto o punto in alto tra o$de tiv e tòv o$d} a"r} (Diggle, Studies, 43; Willink, Orestes, ad loc.). Naturalmente l'indefinito tiv si combina con vari altri pronomi interrogativi diversi da tòv: ad es. Ar. Lys. 23 tò toè pra%gma; phlòkon ti; «cos'è la faccenda? quant'è grande pressappoco?» (cfr. anche Heracl. 668). I miei controlli per questa questione sono stati eseguiti sul TLG Disk D usando il programma SNS Greek. 176 Anche Bubel, Andromeda, 124 mantiene tina al v. 2, pur ammettendo che non ci sono paralleli in Euripide per l'aggettivo interrogativo seguito dall'aggettivo indefinito. 177 Cfr. sch. ad Ar. Th. 1105 Rutherford. La stessa proposta è stata avanzata da Housman: Carden, Fragments, 240. Diggle, Studies, 42 n. 2: «I do no recommend that we read tòna for tina. I should prefer tinov». Diggle non cita Rutherford e non spiega i motivi per cui disapprova tòna. Diggle tende a limitare i casi di posposizione dell'aggettivo interrogativo. Questa soluzione è ora sostenuta da Falcetto, Andromeda, 122-123 (non sa che la proposta è già di Rutherford); Gibert, Andromeda, 146-147 e 160-161; Kannicht, TrGF 5, pagine 246 e 1160 (apparsi dopo la pubblicazione di questo saggio in rivista: Battezzato, Retorica). 178 Probabilmente il fr. 124 Kannicht, TrGF 5 (= fr. 11 Bubel, fr. 9 van Looy in Jouan e van Looy, Fragments 1) va collocato verso l'inizio della rhesis di Perseo all'arrivo in scena: Mastronarde, Contact, 24, Klimek-Winter, Andromedatragödien, 190. Forse Perseo arrivava trasportato da una mechane: Mastronarde, Actors, 286 e n. 10. Il fr. 125 (= fr. 12 Bubel, fr. 10 van Looy in Jouan e van Looy, Fragments 1), introdotto da e"a, segnava il momento di presa di contatto visuale con i personaggi o la situazione della scena, secondo una articolazione che si ritrova in molti passi euripidei, ad es. Hel. 1165-1183, Cyc. 203-227: cfr. Mastronarde, Contact, 24 e Klimek-Winter, Andromedatragödien, 198.

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L'aggettivo interrogativo TINA fu scambiato per aggettivo indefinito nei manoscritti a causa dalla sua collocazione inusuale dopo il sostantivo a cui si riferisce179. L'aggettivo indefinito è enclitico e per questo compare quasi sempre immediatamente dopo il sostantivo a cui si riferisce. In alcuni casi ben individuabili anche l'aggettivo interrogativo è posto dopo il sostantivo; questa collocazione è idiomatica quando si vuole dare un certo rilievo al sostantivo (vedi sotto). Questi casi di 'posposizione' dell'aggettivo interrogativo ingannano talvolta gli editori e più spesso i copisti, che tendono ad accentare le forme di tòv posposte al sostantivo come se derivassero dall'aggettivo indefinito. Ad esempio in Hipp. 803 luéphi pacnwqe_s} h! }poè sumfora%v tònov; l'accento corretto tònov è solo in M e gB, mentre tinoév è attestato da BOAVL e gBc. In Hec. 876878 poétera faésganon cerì / labou%sa graòai fw%ta baérbaron ktene_v / h! farmaékoisin h! }pikouròai tòni; la lezione tòni è congettura di Barnes180, mentre i codici hanno tinò181. 5. La posposizione dell’aggettivo interrogativo Quali sono i casi in cui l'aggettivo interrogativo viene posto dopo il sostantivo a cui si riferisce? Si deve innanzitutto notare che di solito avverbi, pronomi e aggettivi interrogativi sono collocati all'inizio di frase in greco antico182. La posizione di inizio frase (d'ora in avanti P1) è una posizione 'marcata' non solo in greco183 ma anche da un punto di vista linguistico comparativo184. Gli elementi interrogativi, che sono in linea di principio l'elemento più saliente di una frase interrogativa, sono spesso, ma non sempre, collocati in questa posizione. Si deve notare che non solo gli aggettivi interrogativi, ma anche gli avverbi e i pronomi interrogativi possono essere 'spostati' in avanti nella frase. E' probabile in linea di principio che lo spostamento serva a lasciare libero lo spazio in P1 per una nuova parola di particolare importanza. Troviamo lo spostamento di un elemento interrogativo già in Omero (Il. 5.703; 8.273; 11.299; 16.692: di valore minimo, e sempre dopo un iniziale e"nqa), in Alceo (fr. 345 Voigt) e in Empedocle (31 B 17.32 DK = v. 263 Martin-Primavesi)185. Questo spostamento non è particolarmente frequente: nell'Ecuba, da un mio calcolo basato sul testo di Diggle, ci sono solo 8 casi su 105 in cui un pronome, aggettivo o avverbio interrogativo non viene

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Sull'eccezionalità della posposizione di tòv nelle espressioni tòv o$de / o$de tòv e tòv ou/tov / ou/tov tòv insiste Diggle, Studies, 42-43. 180 Biehl, Textkritik, 70 nota che già Stiblinus traduceva Hec. 878 interpretando tini come un pronome interrogativo. 181 Le informazioni sul testo dei codici in Hipp. 803 e Hec. 878 sono tratte da Diggle, Euripidis Fabulae I. Diggle stampa l'aferesi h! }pikouròai nel passo dell'Ecuba, e la sinalefe h! a\poè sumfora%v nel passo dell'Ippolito, dove però i codici AL presentano il testo con aferesi (h! }poè sumfora%v). E' impossibile determinare come i due versi venissero effettivamente pronunciati, e i manoscritti medievali sono di scarsa autorità su queste questioni, ma i due passi vanno presentati con una grafia uniforme, con aferesi o sinalefe in entrambi i casi. 182 Cfr. ad es. Schwyzer e Debrunner, Grammatik, 213; Dover, Order, 20. Ad inizio di frase l'elemento interrogativo forma un colon a sé stante: Fraenkel, Kolon und Satz, 136-137. 183 Cfr. Thomson, Postponement, 147 e H. Dik, Word Order, 11-12 et passim. Gli studi di Fraenkel, Kolon und Satz e Noch einmal zur Kolon und Satz sono dedicati alla individuazione dei cola della lingua greca, ma rivolgono particolare attenzione alla funzione del primo colon all'interno di ogni frase. 184 Cfr. S. Dik, Theory, 348-349, 359-365; Siewierska, Grammar, 149 (con riferimenti a studi anche al di fuori dell'ambito della Grammatica Funzionale). 185 Cfr. l‘edizione di Martin e Primavesi, Empédocle.

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collocato all'inizio di frase186. Nelle mie statistiche, qui e nel seguito dell'articolo, prendo in considerazione solo domande dirette187. Thomson ha studiato questo fenomeno nel dramma attico e elencato molti passi; secondo Thomson la posposizione è dovuta in molti casi alla volontà di 'enfatizzare' l'elemento portato in P1, ad esempio il nome, nel caso della posposizione di aggettivi188. In altri casi invece Thomson sostiene che la posposizione è dovuta a una 'perdita di forza' dell'interrogativo all'interno di una sequenza di domande189, o quando la domanda «è virtualmente equivalente a una affermazione enfatica» (cioè è una domanda retorica, ad es. Ae. Pr. 500-503)190. Ma la 'perdita di forza' viene dimostrata proprio sulla base della posposizione dell'elemento interrogativo191; il fatto che la posposizione capiti con domande retoriche è solo un fattore concomitante, non necessario né sufficiente per la posposizione. E' probabile che in tutti i casi di posposizione dell'elemento interrogativo il parlante volesse evidenziare l'elemento in P1. Questo è confermato dal fatto che, quando l'ordine del nesso aggettivo interrogativo-sostantivo192 viene invertito, il sostantivo viene di regola messo in P1: questo si verifica 33 volte su un campione di 38 casi in Euripide. I 38 casi, ricavati dalle liste di Thomson integrate con controlli sistematici in Ecuba, Supplici, Elettra, Eracle e Fenicie oltre che con controlli sporadici in altre tragedie, sono: Cyc. 138, 549, Alc. 479193, Heracl. 86, Hec. 878, Supp. 1060, El. 237, 254, HF 548, 559, 714 (congettura di Boissonade), Tro. 505, 899, IT 499, 625, 916, 926, 1168, 1219, Ion 289, 353, 536, 770, 800, 1004, 1012, 1420, Hel. 113, 186

Lo spostamento si riscontra in Eur. Hec. 658, 763, 773 (due volte), 777, 878, 960 e 1009. Le tragedie più tarde di Euripide e le commedie di Aristofane presentano una frequenza maggiore di questo spostamento, che va inteso come un tratto del parlato. 187 Escludo i casi in cui l'elemento interrogativo (aggettivo, avverbio o participio) non compare in P1 perché tale elemento fa parte di una frase subordinata dei tipi descritti in Kühner e Gerth, Grammatik, II, 519-520. Anche in un caso come Eur. Or. 526-527 (e\peì tòn} eùcev, w& taélav, yuchèn toéte / o$t(e)…;) non si può propriamente parlare di posposizione, in quanto l'elemento interrogativo è il primo all'interno della subordinata; per venire prima della congiunzione la frase dovrebbe diventare indipendente. Escludo anche i casi in cui l'elemento interrogativo viene incluso tra articolo e nome/aggettivo/participio (Kühner e Gerth, Grammatik, II, 521), e quelli di domande con due elementi interrogativi (Kühner e Gerth, Grammatik, II, 521-522). Dal mio calcolo ho escluso infine anche le domande disgiuntive, incluse quelle introdotte da poétera. 188 Così anche, con discussione di alcuni esempi, Collard, Supplices, ad Eur. Supp. 127; Diggle, Studies, 43. Collard e Diggle, come Thomson, parlano di «emphasis». 189 Thomson, Postponement, 148. Collard, Supplices, ad Eur. Supp. 600 (vedi nota precedente), rifacendosi a Thomson, sostiene invece che «the postponed interrogative in the second question helps to stress the first». Sembra improbabile che la seconda frase (che poteva esserci o non esserci) riuscisse ad enfatizzare un singolo elemento interrogativo della prima frase, elemento che poteva anche non essere ripetuto, oppure veniva ripetuto in riferimento a un altro verbo o nome. 190 Si veda Thomson, Postponement, 148-149. 191 In molte lingue (ma non necessariamente nel greco) la posizione atipica dell'elemento interrogativo, lontano da P1, sembra indicare una sua speciale importanza: cfr. S. Dik, Theory, 392393. 192 Sono stati esclusi casi di inversione che riguardano il pronome, ad es. Eur. Pho. 171 ou/tov… tòv kure_;. 193 E' opportuno inserire punto interrogativo alla fine della frase in Eur. Alc. 479-480, come suggeriva Thomson, Postponement, 149: a\ll} ei\peé, creòa tòv se Qessaélwn cqoéna / peémpei, Fera_on a"stu prsobh%nai toéde;. Gli editori stampano i due versi come una affermazione, ma cfr. le punteggiature di Hipp. 1171-1172, Andr. 192-193, 555-557, Pho. 124 e 278-279, etc., Ar. Ach. 157, Nu. 1247-1248, Av. 998-999. Non è necessario segnare punto in alto dopo ei\peé in Alc. 479 (il punto in alto è stampato da vari editori, tra cui Diggle, Euripidis Fabulae I, in una frase simile presente in Hec. 983-895).

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1208, Or. 101, 749, 1611, Ba. 473, 830, 832, IA 700 (le parole tou% d} Ai\akou% pa_v formano un sintagma unico), 712, 821 (thénde tòna leuéssw poteè / guna_ka: thénde anticipa guna_ka). In questo elenco le eccezioni sono IT 499 e Cyc. 138 (dove P1 è occupata da un elemento in focus di contrasto, cfr. sotto per la definizione), e poi Supp. 1060 nikw%sa nòkhn tòna;, Ba. 473 e"cei d} o"nhsin to_si quéousin tòna; IA 712 oi\ke_ d} a"stu po_on {Ellaédov; in cui un verbo strettamente legato al sostantivo ha la funzione annunciare il topic194. 6. Topic e focus Lo slittamento del pronome, avverbio o aggettivo interrogativo a una posizione successiva nella frase si spiega bene ricorrendo a due categorie di pragmatica del discorso: il topic e il focus. La pragmatica offre un approccio nuovo e promettente a vari problemi di ordine delle parole e di sintassi; il punto d'interesse cruciale consiste nel fatto che le frasi di un testo non esistono in un vuoto, ma fanno parte di un contesto linguistico e extralinguistico e fanno riferimento l'una all'altra; la coerenza del discorso viene mantenuta richiamando e selezionando elementi presenti in precedenza e introducendone di volta in volta dei nuovi195. La pragmatica del greco antico è stata oggetto di un certo interesse in anni recenti, e ha permesso di dare una nuova interpretazione di molti problemi di ordine delle parole e di sintassi196. I concetti di focus e topic sono comunemente usati in maniera abbastanza uniforme da linguisti di varie tendenze197. Il topic è l'elemento presente o sottointeso in una frase che ne 194

Per quanto riguarda e"cei si tratta di un elemento semanticamente vuoto con funzione di presentazione: questo concetto è detto dummy topic da H. Dik, Word Order, 209-210 e 228-229. Si veda anche h&lqon in Eur. El. 353. Ho escluso dal conto HF 528, una frase affermativa che si tramuta in interrogativa nell'ultimo colon, con il nesso sostantivo-aggettivo interrogativo in dipendenza da un participio (cfr. Pl. Thg. 123 e 16; sopra, n. 20***). 195 Per brevi introduzioni ai principali problemi di pragmatica cfr. S. Dik, Theory, 263-287, Siewierska, Grammar, 146-180, H. Dik, Word Order, 9-15. H. Dik, che discute il greco antico, in particolare Erodoto, segue la teoria detta «Grammatica Funzionale», una teoria che ha dato contributi importanti alla comprensione dell'aspetto pragmatico della lingua. La mia discussione non si fonda in maniera particolare sui principi teorici della grammatica funzionale né dipende da essa. In particolare accolgo le critiche di Siewierska, Grammar, 160-163 e 168-176 sull'uso di New Topic da parte di S. Dik. Accetto anche la modificazione proposta da H. Dik, Word Order, 207-235 secondo cui i predicati possono costituire un topic; cfr. anche Browne, Predicates. 196 I contributi più importanti sono Devine e Stephens, Prosody, 456-497 e H. Dik, Word Order. Si vedano anche Panhuis, Prolepsis, Rijksbaron, Différences, Slings, Language (che discute, fra l'altro, il nominativus pendens e la 'prolessi'), Slings, Figures of Speech, Sansone, Doctrine. Per il latino cfr. Bolkenstein, Functional Grammar, e Pinkster, Sintassi, entrambi con ricca bibliografia. Molti di questi studi seguono il filone della grammatica funzionale (vedi nota precedente). 197 Fondamentali sui concetti di focus e topic sono Strawson, Reference, e Reinhart, Pragmatics. Siewierska, Grammar, 153-180 confronta l'uso di questi termini nella Grammatica Funzionale e in altre teorie linguistiche; si veda Erteschik-Shir, Dynamics, 7-13, con bibliografia, per altri approcci al problema, e per definizioni più rigorose e formalizzate di topic e focus. Nell'ambito del presente articolo è sufficiente dare una introduzione generica ai concetti di focus e topic, e le formulazioni offerte sopra servono come orientamento; più dettagliate discussioni per le lingue antiche si troveranno nei lavori menzionati alla nota precedente, specialmente nel capitolo 10 di Devine e Stephens, Prosody. Per problemi di topic e focus in italiano si vedano i capitoli cap. 2 e 3 di SamekLodovici, Constraints, consultabile tramite il sito http://ruccs.rutgers.edu/roa.html. La distinzione fra focus e topic coincide solo in parte con quella (usata specialmente dalla cosiddetta Seconda Scuola di Praga) tra «tema» e «rema»: cfr. ad es. Lepschy e Lepschy, Lingua, 145 e il volume a cura di Stammerjohann, Tema-Rema. Hajičová, Partee e Sgall, Topic-Focus utilizzano i concetti di topic e focus nell'ambito della tradizione 'praghese'.

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costituisce l'argomento, ciò di cui la frase parla; il topic riprende elementi già presenti, esplicitamente o implicitamente, nella conversazione precedente. Il focus di una frase è l'elemento o il sintagma su cui il parlante vuole dirigere l'attenzione dell'interlocutore; si tratta spesso di un elemento nuovo o di un elemento posto in contrasto con elementi di frasi precedenti, e riguarda il topic. Ogni lingua ha speciali mezzi (suffissi, particelle, collocazione delle parole, enfasi prosodica) per indicare il focus e il topic198. In greco ge, dhé, meén e mhén hanno spesso funzione focalizzante. Si noti che topic e focus sono funzioni pragmatiche e si ritrovano all'interno di un discorso avviato199. La pragmatica delle domande in greco antico non è stata studiata in dettaglio, e questo è tanto più sorprendente in quanto si tratta di una categoria di frasi con tratti peculiari e di interpretazione relativamente agevole. Vediamo un esempio di topic e focus in domande. In Ae. Pers. 231-232 Ba. Co.

pou% taèv }Aqhénav fasìn i|dru%sqai cqonoév; th%le proèv dusma_v a"naktov {Hlòou fqinasmaétwn.

«Atene» (implicita nei precedenti riferimenti alla guerra combattuta da Serse) è il topic della domanda e della risposta, mentre pou% è il focus della domanda. Pronomi, aggettivi e avverbi interrogativi sono per definizione il focus della domanda, anche se non sono necessariamente l'unico elemento della frase che riceve focus200. Il focus della risposta è th%le, seguito dalla specificazione «ad occidente». Una risposta «Atene si trova lontano, ad occidente» avrebbe avuto il topic Atene espresso, seguito dal focus «lontano». Il focus spesso sposta l'attenzione da un elemento ad un altro; si parla in questo caso di un focus di contrasto201. Devine e Stephens, Prosody, 475 giustamente notano che il concetto di focus di contrasto, almeno per i pronomi personali, era già chiaro ai grammatici antichi, che parlavano di a\ntidiastolhé. Quando si propone, in contrasto con il discorso precedente, un focus che sostituisce quello precedente si può parlare di focus sostitutivo, una sottocategoria del focus di contrasto202. Si veda ad esempio Eur. IA 498-499: ei\ deé ti koérhv sh%v qesfaétwn meétesti soò, mhè }moì meteéstw: soì neémw tou\moèn meérov. La seconda occorrenza di soò costituisce focus sostitutivo. 7. Topic, focus e posizione di aggettivi, pronomi e avverbi interrogativi Nell'uso della tragedia, della commedia e della prosa attica203 gli aggettivi, pronomi e avverbi interrogativi perdono la posizione di inizio frase quando il parlante seleziona per la prima posizione 198

Alcuni esempi in S. Dik, Theory, 285-287, Siewierska, Grammar, 64-45, 177-178, Devine e Stephens, Prosody, 460-474. 199 Una frase composta di soli elementi nuovi (ad es. «un uomo è stato appena investito da una macchina») non ha topic (Siewierska, Grammar, 161). Si noti inoltre che i concetti di topic e focus si sovrappongono in parte (S. Dik, Theory, 266) e che talora in una frase il topic stesso può venire focalizzato (Devine e Stephens, Prosody, 459). 200 S. Dik, Theory, 280, Siewierska, Grammar, 244 n. 27, Devine e Stephens, Prosody, 458. 201 Questa categoria era già sostanzialmente individuata da Fraenkel, Kolon und Satz, 114-117 e Fraenkel, Noch einmal zur Kolon und Satz, 47-49 anche se Fraenkel usava una nomenclatura abbastanza generica, che poteva comprendere anche elementi di topic ('Antithese'). 202 S. Dik, Theory, 283 parla appunto di «replacing focus». Devine e Stephens, Prosody, 458 usano una terminologia leggermente differente. 203 I miei esempi sono tratti da tragedia e commedia di età classica ma il fenomeno è piuttosto diffuso. Alcuni esempi dalla prosa sono raccolti da Fraenkel, Kolon und Satz, 115-117, Thomson,

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un topic diverso da quello della frase precedente, oppure un focus di contrasto (cfr. Devine e Stephens, Prosody, 478)204. La distinzione è importante perché Thomson (Postponement, 152) concepiva l''enfasi' come identica con il focus di contrasto (pur usando una terminologia diversa), ed era quindi costretto a spiegare molti casi con il vago concetto di enfasi che dà «un tono di intensità o animazione alla domanda» (p. 150). E' opportuno offrire una discussione di alcuni tipi di topic e dei casi in cui compaiono in P1, provocando la posposizione dell'elemento interrogativo. In moltissimi dei casi di 'posposizione' dell'interrogativo, l'elemento spostato in P1 è un argomento che viene selezionato tra quelli menzionati in una fase precedente del discorso (resumed topic), oppure si tratta di un argomento che è implicito in alcune delle parole precedenti (inferred topic205), o che costituisce un sottogruppo di un argomento già trattato (sub-topic206). 8. Alcuni esempi di posposizione Vediamo alcuni esempi. In Ae. Pr. 484-495 Prometeo elenca le cose che ha insegnato agli uomini nell'ambito della mantica: [484] troépouv te pollouèv mantikh%v e\stoòcisa /… / [488] … pth%sin oi\wnw%n skeqrw%v / diwéris}, oi$tinev te dexioì fuésin / eu\wnuémouv te, kaì diaòtan h$ntina / e"cous} e$kastoi kaì proèv a\llhélouv tònev / e"cqrai te kaì steérghqra kaì xunedròai, / splaégcnwn te leioéthta kaì croiaèn tòna / e"cous} a!n ei"h daòmosin proèv h|donhèn / colhé. L'argomento generale è esposto al v. 484 (topic: insegnamenti sulla mantica), e Prometeo seleziona poi vari sotto-argomenti (sub-topic), che evidenzia ponendoli all'inizio delle varie frasi coordinate (488: il volo degli uccelli; 490 il loro modo di vita; 491 le loro relazioni reciproche; 493 l'aspetto liscio delle interiora e il loro colore), estromettendo spesso i pronomi interrogativi dalla prima posizione. Nella competenza 'enciclopedica'207 dei destinatari del discorso è compresa l'informazione che i sotto-argomenti evidenziati da Prometeo (il volo degli uccelli, etc.) fanno parte dell'argomento principale (la divinazione)208. Per un chiaro esempio di inferred topic possiamo analizzare Soph. OT 1122-1127. Edipo interroga in maniera incalzante il servo, continuamente cambiando l'argomento delle sue domande: (Oi.) Qe. Oi. Qe. Oi.

Lai^ou pot} h&sqa sué; h&, dou%lov ou\k w\nhtoév, a\ll} oi"koi trafeòv. e"rgon merimnw%n po_on, h! bòon tòna; poòmnaiv taè ple_sta tou% bòou suneipoémhn. cwéroiv maélista proèv tòsi xuénaulov w"n;

Postponement, 151 e Denniston, Style, 48 (=Denniston, Stile, 79-80). Ho controllato personalmente i libri I e X della Repubblica di Platone e il Teage (un dialogo del corpus platonico di autore incerto). Nello spoglio di questi testi ho trovato i seguenti casi di 'posposizione': R. 332 c 6, 332 d 2, 338 c 6-7, 599 e 1, 599 e 3, Thg. 123 d 15, 124 d 5-. 204 Devine e Stephens, Prosody, 478 indicano pochissimi esempi, e non rimandano a studi usciti a stampa. 205 Cfr. S. Dik, Theory, 267; H. Dik, Word Order, 20-22 e 27-28. Cadono automaticamente in queste classi gli esempi catalogati da Thomson, Postponement, sotto le categorie: «it serves to recall something previously said» (5x) (p. 150; resumed topic); «the emphasis is designe to mark successive stages in the interrogation» (72x) (p. 149-150; sub-topic). Molti degli esempi di posposizione di elementi interrogativi raccolti da Fraenkel, Kolon und Satz, 116-117 presentano un resumed topic in P1; cfr. anche Fraenkel, Noch einmal zur Kolon und Satz, 26. 206 Nella terminologia di S. Dik, Theory, 266-268 un sub-topic è equivalente a un inferred-topic; seguo H. Dik, Word Order, 27-28 nel distinguere sub-topic da inferred-topic, anche se la distinzione ha valore di classificazione pratica più che di distinzione teorica. 207 Eco, Trattato, 143-144. 208 Per altri esempi cfr. Eur. Supp. 756, 760, Ar. Eq. 1235, Ra. 83, 1034-1035, 1422.

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Qe.

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h&n meèn Kiqairwén, h&n deè proéscwrov toépov.

Visto che l'interlocutore dichiara di essere un servo, è implicito che avesse una occupazione (e"rgon) o, più in generale, un tipo di vita (bòov). La parola bòov, nuovo argomento, è ripresa dal servo (con un senso un po' diverso). Data la sua attività, è implicito che il servo portasse gli animali al pascolo e Edipo passa a una domanda più specifica: «in quali luoghi?». La pertinace e urgente volontà di sapere di Edipo si manifesta nel suo continuo enfatizzare nuovi dettagli. Il concetto di inferred topic permette di comprendere anche i casi che Thomson, Postponement, 150 trovava «senza spiegazione»: in Cyc. 502 quéran è implicito nel concetto di kw%mov (v. 497) e in Hipp. 1382 e"mole specifica e continua l'azione di e\xoròzetai (1381). Per un altro esempio di inferred topic cfr. Eur. Hec. 777. Un'ultima importante categoria è quella del resumed topic, cioè di un argomento di discorso già menzionato nel corso della conversazione, ma tralasciato nelle ultime frasi, e poi ripreso dal parlante. Anche in questo caso il topic viene messo in P1. In Eur. Hel. 1196 Elena annuncia falsamente a Theoklymenos che Menelao è morto (Meneélaov—oi"moi, pw%v fraésw—teéqnhkeé moi), e che la notizia è stata portata da un testimone oculare (in realtà Menelao stesso in incognito). Questo 'testimone' viene presentato al sovrano egiziano, che chiede informazioni su di lui. Poi Theoklymenos ritorna all'argomento del v. 1196, che è scelto per la posizione ad inizio di frase: qanaétwi deè poòwi fhsì Meneélewn qane_n; (Eur. Hel. 1208). Lo spostamento dell'elemento interrogativo, come si è già accennato, riguarda anche avverbi o pronomi, non solo aggettivi interrogativi. Ad esempio in Eur. El. 612-614 Oreste e il pedagogo discutono della necessità di uccidere Egisto e Clitemestra; in un primo tempo la conversazione si concentra su Egisto (vv. 621-639), e il pedagogo suggerisce un efficace piano di azione. Oreste risponde (v. 640) kalw%v e"lexav. h| tekou%sa d} e\stì pou%;, ricollegandosi a mhteéra del v. 613209. In Eur. El. 1043 soév (=«il padre che tu ami tanto»), un altro caso considerato «inspiegabile» da Thomson, è semplicemente un caso di resumed topic, ripreso dal v. 1011210. Infine lo spostamento dell'elemento interrogativo avviene in casi in cui una parola presente nelle frasi immediatamente precedenti non con funzione di topic viene ripresa ed elevata a topic della domanda, e collocato all'inizio211. La caratteristica comune di questi tipi di topic è di essere assunti come topic solo al livello della frase interrogativa e non prima; essi vengono scelti dal parlante come argomenti per le future frasi (nell'ipotesi che l'interlocutore collabori al discorso); questo elemento di novità e di centralità per le frasi future viene enfatizzato con la collocazione in P1. 9. Focus Vediamo ora dei casi in cui P1 è occupata da un elemento focalizzato, che fa spostare in avanti nella frase l'aggettivo, avverbio o pronome interrogativo. In Eur. HF 1419 Eracle ordina al padre Anfitrione di seppellire i figli: 209

Ci sono molti esempi in cui un resumed topic occupa P1 a scapito di un aggettivo/avverbio/pronome interrogativo: cfr. ad es. Eur. Hec. 773 (cfr. nekroén 760), El. 353 (cfr. 347), 527 (cfr. 520), 650 (cfr. 647 e\xartuésomai), 1043 (cfr. 1018), HF 548 (cfr. 526), Ar. Eq. 102 (cfr. 74-79), 206 (cfr. 198). Si noti però che in Eur. El. 353 il sintagma interrogativo dipende dal participio, non dal verbo principale (cfr. sopra, n. 20 e Kühner e Gerth, Grammatik, II, 519-520). 210 Cfr. Ion 1307 e Panhuis, Prolepsis, 35 n. 13. L'aggettivo possessivo anticipa il nome: cfr. Eur. IA 821. Il testo di IT 873, l'ultimo caso «inspiegabile» per Thomson, è incerto proprio negli elementi che vengono posti ad inizio di frase, e non è possibile azzardare una analisi. 211 Thomson, Postponement, 148: «a word is taken up from a speaker from another or from a previous remark by the same speaker» (50x). Si vedano ad es. Eur. El. 254, HF 559; cfr. Seaford, Cyclops, ad Eur. Cyc. 521.

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Hr.

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qaéfq} w$sper eùpon pa_dav.

Am. e\meè deè tòv, teéknon;

Il pronome e\meé è in contrasto con «i figli», e li sostituisce come focus dell'attenzione (il topic è «seppellire»); per questo motivo viene introdotto all'inizio della frase, e spodesta dalla P1 il pronome interrogativo212. Gli elementi focus e topic possono essere entrambi esplicitamente presenti e venire posti in particolare rilievo a inizio domanda. In questo caso l'elemento interrogativo slitta in di solito terza posizione, o a fine frase. Questo ordine delle parole si ritrova ad esempio in Eur. IT 497-499: If. Or. If.

poéteron a\delfwè mhtroév e\ston e\k mia%v; filoéthtò g}: e\smeèn d} ou\ kasignhétw, guénai. soì d} o"noma po_on e"qeq} o| gennhésav pathér;

Ifigenia sceglie uno solo dei due amici, e focalizza l'attenzione su di lui (soò); l'argomento della domanda è o"noma, un inferred topic (tutti gli esseri umani hanno un nome213). Il sostantivo o"noma, a cui si riferisce l'aggettivo interrogativo posposto, non è in P1, come di solito, ma slitta alla seconda posizione. In P1 troviamo invece un elemento con funzione di focus di contrasto. Per altri esempi dell'ordine focus + topic + elemento interrogativo cfr. Eur. Med. 565, IA 722, 890, 1366. Si noti che l'ordine focus + topic è quello che ci aspetteremmo in linea di principio; esso viene invertito in Eur. Supp. 127. Si noti la differenza nell'ordine delle parole tra IT 499214 e il seguente passo dello Ione, tratto da una zona del discorso in cui Creusa era l'argomento del discorso. Ione chiede a Creusa (vv. 258259): tòv d} eù; poéqen gh%v h&lqev; e\k poòav paétrav peéfukav; o"noma tò se kale_n h|ma%v crewén; Ione sceglie di evidenziare o"noma come inferred topic, ma non ha bisogno di evidenziare se come focus di contrasto o sostitutivo, né ha la necessità di esplicitare sué nella prima domanda. 10. 'Posposizione' Per i fenomeni che abbiamo osservato, Thomson, seguito da molti studiosi, parla di 'posposizione'. Si noti che il termine 'posposizione' è in una certa misura fuorviante. L'aspetto più importante del fenomeno è lo spostamento all'inizio di frase di un elemento che viene evidenziato come topic o come focus sostitutivo, non l'enfasi posta sull'aggettivo. E' possibile (ma non credo dimostrabile) che un pronome, aggettivo o avverbio interrogativo 'posposto' ricevesse un'enfasi prosodica 212

Casi analoghi si ritrovano in Eur. El. 1087, HF 1415, Pho. 412, Or. 745, Ar. Eq. 733, 1003, 1007, Ra. 993, 1177, 1430, Pl. R. 599 e 1-2. Si veda anche Eur. Hel. 557-558. 213 Lo è anche in Heracl. 86, Ion 800. Si noti che il patrimonio di informazioni presupposte è vasto, ma ben delimitato. Il nome è un topic presupposto dall'idea di un essere umano; pubblicare articoli e libri lo è per chi si dedica alla ricerca scientifica; il prezzo di vendita lo è per un prodotto industriale: se si parla di un essere umano in genere è naturale chiedere «come si chiama?», ma non lo è chiedere «quanti articoli ha pubblicato?» o «quanto è costato?». Su queste questioni si vedano principalmente Strawson, Reference e Reinhart, Pragmatics. Hdt. 4.184.1 esplicitamente osserva che tutti gli esseri umani hanno un proprio nome: l'unica eccezione è costituita dai membri dell'etnia degli Atarantes, in Africa. 214 Si veda anche suè d} eù tòv (…); in Eur. Ion 308, Hel. 558, Ar. Eq. 733; in Heracl. 638 tòv d} eù sué; il focus di contrasto è a fine frase.

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particolare per mantenere il suo status di focus215. Questo è confermato dalla tendenza a collocarsi in posizione preverbale o in fine di frase o colon. In tre tragedie di Euripide (Ecuba, Elettra ed Eracle) ci sono 37 casi in cui l'elemento interrogativo non viene posto in P1. In 12 di questi viene spostato nella posizione immediatamente prima del verbo216, in 12 è alla fine della frase217 e in 13 casi in altre posizioni218. Il quadro è più netto in Aristofane, dove, sui 31 esempi presenti in Cavalieri e Rane, l'elemento interrogativo viene collocato immediatamente prima del verbo in 15 casi219; in 8 casi è alla fine della frase220 e solo in 8 è collocato in altre posizioni221. Si ricordi inoltre che gli interrogativi, nella teoria dell'accento comunemente accolta, non perdono mai l'ortotonia222, e quindi mantengono sempre un certo speciale status prosodico rispetto alle altre parole. Io ritengo che la scelta di un topic diverso da quello della frase precedente o l'introduzione di un focus di contrasto sia condizione necessaria perché un elemento allontani il pronome, aggettivo o avverbio interrogativo dalla sua posizione privilegiata di inizio frase. Non ritengo che la 'posposizione' sia però obbligatoria ogni volta che viene promosso a rango di topic un particolare termine. Non è necessaria nemmeno quando si riprende un termine della frase precedente (Ae. Pr. 514-515): (Pr.) teécnh d} a\naégkhv a\sqenesteéra markw%i. Co. tòv ou&n a\naégkhv e\stìn oi\akostroéfov;223 La posposizione non è necessaria nemmeno quando ci sono domande in parallelo. Si veda ad esempio Eur. Alc. 912-914: w& sch%ma doémwn, pw%v ei\seélqw, pw%v d} oi\khésw metapòptontov daòmonov; La 'posposizione' dell'interrogativo era solo una delle strategie che il parlante poteva scegliere: il topic poteva non essere considerato abbastanza importante per meritare la prima posizione, o poteva essere abbastanza chiaro dal contesto, oppure poteva forse essere enfatizzato prosodicamente. 215

Per una discussione generale si veda S. Dik, Theory, 392-393. Eur. Hec. 960, El. 237, 254, 353 (in dipendenza però da un participio, cfr. sopra, nn. 20 e 42), 527, 1087, 1113, HF 540, 714, 1270, 1307, 1415. In molti di questi casi la posizione prima del verbo viene anche ad essere la seconda posizione nella frase. Lo stesso vale per gli esempi raccolti sotto alla n. 52. 217 Eur. Hec. 773 (proèv tou%), 878, 1009, El. 248, 547, 640, 974 (segue però un sintagma participiale), HF 528 (cfr. sopra, nn. 20 e 42), 559, 1181, 1246, 1419. 218 In molti casi l'elemento interrogativo passa in seconda posizione (P2); in altri casi è ancora più avanti nella frase. Considero P1 formato da parola metrica: Eur. Hec. 658 (P2), 763 (P2), 773 (P2), 777 (P2), El. 276 (P2), 650, 1043 (P2), 1047-1048 (P2), HF 206 (P2), 548, 618 (P2), 714 (P2), 910 (P2), 1114. 219 Ar. Eq. 102, 237, 999, 1238, 1361, Ra. 38, 83, 158, 181, 438, 865 (con il testo di Dover), 1064 (con il testo dei mss.; ti Bentley), 1177, 1209, 1422. 220 Ar. Eq. 206, 1003, 1005, 1007, 1078, Ra. 630, 770, 1439. 221 Ar. Eq. 733, 1235, 1241 (P2), Ra. 805 (P2), 993 (P2), 1034-1035 (P2, dopo un sintagma costituito da articolo, nome e aggettivo), 1424, 1430 (P2). 222 Cfr. tra gli altri Devine e Stephens, Prosody, 454-455. 223 In questo passo è possibile che giocassero un ruolo anche fattori metrici: non era possibile collocare a\naégkhv all'inizio di verso. 216

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11. Paralleli scenici Ritorniamo ora alla discussione del fr. 125 di Euripide. Perseo, dopo aver fatto una domanda più generale, sceglie l'ordine parqeénou ei\kwè tòna per indica che il resto del suo discorso riguarderà un nuovo argomento, più limitato ma più importante. Questo ordine trova paralleli in un paio di scene di Aristofane in cui un personaggio formula prima una domanda di carattere generale su chi o cosa appare in scena, e poi su un aspetto particolare di quello che si vede, ponendo il termine ad inizio frase. In Ar. Ach. 155-158 viene presentato in scena l'esercito degli Odomanti, una tribù della Tracia: Kh. Di. Di.

oi| Qra%ikev i"te deu%r}, ou£v Qeéwrov h"gagen. toutì tò e\sti toè kakoén; Qe. }Odomaéntwn stratoév. poòwn }Odomaéntwn; ei\peé moi, toutì tò h&n; tòv tw%n }Odomaéntwn toè peéov a\poteqròaken;

L'espressione toutì tò e\sti / h&n (…); è usata frequentemente in Aristofane per presentare un personaggio o un oggetto in scena dall'aspetto sorprendente, o che arriva di sorpresa224. Si tratta di solito di presentare un nuovo topic, già presente visivamente agli spettatori225. In questo passo degli Acarnesi il processo di evidenziazione viene utilizzato anche per un particolare dell'aspetto dei nuovi arrivati (il pene). Allo stesso modo negli Uccelli, quando entra in scena Metone, Peisetairos gli rivolge varie domande sul suo aspetto, nome e attività (992-998), e infine gli chiede (vv. 998-999) tautì deé soi tò e\sti;

ei\peé moi, Me. kanoénev a\eérov.

Anche in questo caso il parlante si concentra su un oggetto (i «metri», i «righelli» per misurare la nuova città aerea) che appariva in scena fin dal momento del primo contatto visuale, e su cui solo ora decide di concentrarsi. In questi passi in cui si discute quello che si vede in scena, il campo visivo viene trattato come un unico topic, i cui particolari possono di volta in volta venire selezionati ed evidenziati per ulteriori domande, dopo quelle generali. Così succede anche nell'Andromeda. Perseo arriva in scena e si chiede (Eur. fr. 124.1-3): w& qeoò, tòn} ei\v gh%n barbaérwn a\fògmeqa tace_ pedòlwi; diaè meésou gaèr ai\qeérov teémnwn keéleuqon poéda tòqhm} u|poépteron... 224

Cfr. anche Ach. 284, 767, 910, Nu. 184, 385, 1248, V. 183, 844, 1136, 1509, Pax (44), 181, Av. 93, 859, 999, 1030, 1036, Lys. 350, 445, Thesm. 733, 904, Ra. 181, 442, 1209. Si noti che in molti di questi casi viene usato l'imperfetto (ad es. Ar. V. 183 toutì tò h&n;). Questo uso dell'imperfetto viene spiegato con il fatto che il parlante scopre di essersi sbagliato su un elemento della realtà; questo implica che esistevano già nel passato tanto lo stato di cose venuto allo scoperto quanto l'erroneo convincimento del parlante; in sostanza, il parlante aveva già in mente il topic, cioè l'elemento della situazione (verbale, fattuale o visiva) di cui passa a parlare (cfr. Kühner e Gerth, Grammatik, I, 146). 225 Si noti che le circostanze esterne di una conversazione sono potenziali topics per ogni conversazione; lo stesso vale per le identità degli interlocutori («io» e «tu») e quanto normalmente associamo con l'identità di un essere umano: Erteschik-Shir, Dynamics, 19 e 26-27. Iniziare una conversazione parlando del tempo è la strategia linguisticamente più semplice quando non ci sono molti topics in comune tra i parlanti.

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Poi prende visione della scena226, e formula prima una domanda più generale sulla roccia che egli vede circondata dalle onde, e poi sulla figura che sembra unita alla roccia (fr. 125): e"a: tòn} o"cqon toénd} o|rw% peròrruton a\frw%i qalaésshv; parqeénou d} ei\kwè tòna, e\x au\tomoérfwn lai^nwn tukismaétwn, sofh%v a"galma ceiroév; La figura femminile risulta un sub-topic delle precedenti domande del fr. 124 e 125, cioè un elemento più ristretto e particolare dell'intero campo visivo. In questa interpretazione è preferibile scrivere d} invece di t} nel v. 2 del fr. 125, ottenendo un contrasto che segna il passaggio ad un nuovo argomento, come in molti dei passi sopra citati227. Per la confusione di deé e te si vedano i molti casi elencati da Diggle, Studies, 59 e Euripidea, 91. 12. Il testo di Eur. fr. 125 C'è un ultimo problema da affrontare per questo frammento: il senso di au\toémorfov. La traduzione di au\toémorfov più in voga presso gli interpreti moderni è quella fornita dal LSJ: «selfformed, natural»228. Questa spiegazione però è in contraddizione con l'espressione che segue immediatamente sofh%v a"galma ceiroév. Se la roccia ha quella forma naturalmente non può essere anche descritta come opera di un abile artista. Alcuni discussioni recenti hanno percepito la difficoltà, ma hanno cercato di risolverla attenuando arbitrariamente la parte che Perseo attribuisce alla mano dell'uomo nel creare l'immagine di donna229. Per un simile contrasto tra natura e arte si veda Theoc. 9.23-24: koruénan, taén moi patroèv e"trafen a\groév, au\tofuh%, taèn ou\d} a!n i"swv mwmaésato teéktwn, un passo in cui, in maniera opposta a quanto succede nel fr. 125 di Euripide, si nega l'intervento di un artefice umano nella fabbricazione dell'oggetto (un tipo di mazza ricurva). 226

Cfr. sopra, n. 11, per paralleli e bibliografia. Per una serie di due domande, la seconda delle quali caratterizzata dalla posposizione dell'elemento interrogativo e introdotta da deé, si veda in particolare Eur. El. 1043-1044 soèv deè pw%v pathèr / h\neéscet} a!n tau%t(a);. Cfr. anche Eur. Supp. 756. Denniston, Particles, 173-175 riporta numerosi esempi di deé in domande, in molti dei quali il topic o il focus occupano P1, e l'elemento interrogativo è spostato in avanti. 228 L'aggettivo sarebbe equivalente a au\toéglufov: cfr. [Plu.] De fluviorum et montium nominibus 12.2 (in Müller, GGM, II, 651) 229 Ad esempio van Looy in Jouan e van Looy, Fragments 1, 174 traduce lai^nwn tukismaétwn con «pierres brutes». La sua versione è imprecisa. L'espressione indica «opere in pietra lavorata»: tuékisma deriva da tuékov «picco», attrezzo per lavorare la pietra. Il senso di «grezze» («brutes») è contraddetto proprio dalla parola corrispondente nel testo greco, cioè tukismaétwn, oltre che dal successivo sofh%v a"galma ceiroév. Bubel invece spiega au\toémorfov dicendo che si riferisce a «Felsstücke, die schon von selbst Gestalt angenommen haben, d.h. dem Bildhauer durch ihre formale Beschaffenheit einen günstigen Ausgangspunkt für sein Werk lieferten» (Bubel, Andromeda, 124). La seconda parte della spiegazione è in contrasto con la definizione che Bubel offre all'inizio. Bubel comprende che bisogna lasciare spazio, nell'espressione au\tomoérfwn teicismaétwn (meglio tukismaétwn, si veda sotto), per l'attività dell'artista, ma non segue le implicazioni della sua corretta intuizione. 227

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Massimo Confessore (PG 4, col. 424 A) cita il frammento per spiegare il senso di au\tofuhév, che considera sinonimo di au\toémorfov. Gli interpreti moderni hanno generalmente tralasciato di discutere la sua spiegazione230. Massimo Confessore intende l'aggettivo come «formata da un unico blocco di pietra, un blocco unito alle rocce». Il termine non implica l'assenza di lavoro umano, ma semplicemente l'utilizzazione di un materiale come è in natura, e non separato dal luogo in cui si trova. Gli esempi immediatamente portati a confronto da Massimo Confessore sono il letto di Odisseo, e i simboli di vittorie militari scolpiti nel legno vivo degli alberi231. Questa interpretazione dà un senso buono, e si integra bene con l'interpretazione della collocazione parqeénou d} ei\kwè tòna data sopra: l'immagine della ragazza è parte delle rocce, quindi un sub-topic rispetto al topic più generale introdotto nella prima domanda. Il problema però è giustificare questa interpretazione da un punto di vista linguistico. L'equivalenza con au\tofuhév è solo parziale: il senso «nato/originato sul luogo» è dato dal secondo elemento del composto. Nemmeno il termine au\tofuhév sembra avere comunemente il valore datogli da Massimo Confessore (cfr. ad es. LSJ e DGE s. v.). Altri riscontri per questo tipo di composti non sono molto soddisfacenti. Si vedano ad es. Hes. Op. 433 au\toéguov di aratro «la cui bure (guéhv) forma un pezzo unico con il ceppo (e"luma)», Ae. Ch. 163 au\toékwpov, di armi fatte «di un pezzo solo con l'impegnatura», Soph. Phil. 35 au\toéxulov «pezzo unico di legno», Soph. fr. 130 au\toceileési lhkuéqoiv, e inoltre au\toglwécin, au\toépremnov232. In tutti questi aggettivi composti il secondo elemento è tratto da un sostantivo che indica un materiale o un oggetto, e non possono essere paragonati direttamente a au\toémorfov. Si può avanzare anche un'altra possibilità. Il prefisso au\to- potrebbe significare qui «esatto, preciso, conforme alla realtà», come in au\teékmagma soén Ar. Th. 514, «la tua immagine uguale spiccicata», da confrontarsi con Cratin. fr. 275 KA e\ke_nov au\toèv e\kmemagmeénov. Cfr. anche Sem. fr. 7.12 West, IEG au\tomhétwr («her mother's very child» LSJ), Thuc. 5.20.1 au\toédeka «proprio dieci anni», Soph. Trach. 826 au\toépaiv, h. hom. Merc. 86 au\totrophésav, Ar. Pl. 82-83 e\ke_nov o"ntwv eù sué; :: naò / :: e\ke_nov au\toév; :: au\toétatov, e le espressioni idiomatiche au\toè tou%to e au\toév e\ke_nov233. Si veda invece a\lloémorfov «di forma strana», cfr. Hp. vict. 4, 93 (v. 6, p. 660 r. l Littré) o|koésa deè a\lloémorfa swémata faònetai e\n to_si u$pnoisi e (v. 6, p. 662 r. 3 Littré) o|pl_tai poleémioi kaì teérata a\lloémorfa nou%son shmaònei h! manòhn. Il senso sarebbe «che immagine di fanciulla è questa che vedo, fatta di pietre lavorate che ne rappresentano perfettamente la forma». Questa interpretazione sarebbe più agevole se ci fosse un termine di corrispondenza espresso («con la stessa forma »), ma la presenza di koérhv al verso precedente doveva essere abbastanza per garantire una corretta interpretazione da parte degli ascoltatori.

230

Solo Wecklein, Tragödien, 90 n. 1 intende «aus dem natürlichen Felsen herausgehauen», «intagliato dalle rocce naturali». 231 PG 4, col. 421 D au\tofueèv deè a"galmaé fhsin, o£ gònetai e\n u$lhi a\tmhétwi, oàon e\n peétrai o|loklhérwi, e\n [424 A] o$swi e$sthken, o$tan gluéyhi tiv zw%oén ti, w|v dhlo_ kaì Eu\ripòdhv e\n }Andromeédai: parqeénou t} ei\koéna tinaè e\x au\tomoérfwn lai^nwn teicismaétwn, sofh%v a"galma ceiroév. au\toémorfon gaèr a"galma th%v peétrav toè au\tofueèv eùpen: a\llaè kaì o$tan meérov ti tou% deéndrou gluéyhi e|stw%tov kaì a\nqou%ntov, kaì meérov klònhv poihéshi, o$per w$v fhsin ‘Omhrov e\n }Odusseòai e\poòhsen }Odusseuév: h! kaì e\n tw%i toiouétwi deéndrwi e"gluye troépaion nòkhv. 232 Su questo tipo di aggettivi si veda A. C. Pearson, Fragments, ad Soph. fr. 130. Su au\toéguov e anche in generale su questi aggettivi si veda West, Works and Days ad Hes. Op. 433, con l'illustrazione dell'aratro a p. 266. 233 Cfr. Janko, Autos, 20 e n. 1, p. 25 su Ar. Pl. 82-83.

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Bubel difende il tràdito teicismaétwn contro le congetture tukismaétwn (Jacobs) e tucismaétwn (Maas234) «pietre lavorate, cesellate», ma la difesa è inefficace. Secondo Bubel non c'è niente di male a mantenere teòcisma dato che «die Höhe eines teòcisma nirgendwo eindeutig festgelegt ist» (Bubel, Andromeda, 125). Ma l'altezza non è certo il problema. Se è chiaro come mai belle donne o begli uomini vengano paragonate a statue, o dipinti, il paragone con un muro è nettamente meno lusinghiero. In conclusione, si legga: e"a: tòn} o"cqon toénd} o|rw% peròrruton a\frw%i qalaésshv; parqeénou d} ei\kwè tòna, e\x au\tomoérfwn lai^nwn tukismaétwn, sofh%v a"galma ceiroév; «Oh! che roccia è questa che vedo, circondata dalla spuma del mare? e che immagine di fanciulla, fatta di pietre lavorate che ne rappresentano perfettamente la forma, statua opera della mano di un abile artista?»235

234

Tra tukismaétwn e tucismaétwn la differenza è minima; si tratta semplicemente di stabilire quale sia l'ortografia di età classica della stessa parola. Bond, Heracles, ad Eur. HF 1096 e KlimekWinter, Andromedatragödien, 197 offrono riferimenti e discutono i meriti della due congetture. Klimek-Winter, Andromedatragödien e van Looy in Jouan e van Looy, Fragments 1 accolgono la congettura di Jacobs. Falcetto, Andromeda, 123-126 presenta alcune obiezioni a tukismaétwn, obiezioni che ritengo deboli ("au\toémorfov …è aggettivo adatto a definire ciò che ha assunto una certa forma spontaneamente; tukòsmata, invece, è sostantivo che indica pietre tagliate e modellate dalla mano dell'uomo": p. 125; ma il verso seguente in effetti indica che si tratta proprio di opera di una "mano sapiente"). Falcetto congettura t} ei\kasmaétwn, producendo un testo ripetitivo e poco elegante: l'"immagine" (ei\kwé) di una (singola) ragazza sarebbe fatta da "immagini" (ei\kasmaétwn) di pietra. 235 E' teoricamente possibile anche una articolazione diversa, immaginando che la frase fosse completata con una risposta, ad esempio: e"a: tòn} o"cqon toénd} o|rw% peròrruton / a\frw%i qalaésshv, parqeénou d} ei\kwè tòna; / e\x au\tomoérfwn lai^nwn tukismaétwn, / sofh%v a"galma ceiroév, . Questa interpretazione mi sembra molto meno probabile di quella indicata a testo.

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CAPITOLO 5 ENJAMBEMENT E RECITAZIONE

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CAPITOLO 5

Enjambement, iati e stile di recitazione nella tragedia greca

Osserva lo Śatapatha Brāmaņa: ― se [l‘officiante] riprendesse fiato a metà del verso, sarebbe una lesione del sacrificio‖ […] ― egli recita i versi in modo continuo, innanzitutto: così egli rende continui i giorni e le notti dell‘anno, e così si alternano in modo continuo e ininterrotto i giorni e le notti dell‘anno. E in questo modo egli non lascia scoperta alcuna via d‘accesso per il malevolo nemico‖ R. Calasso, La letteratura e gli dèi, Milano 2001, p. 133 1. Introduzione 1.1 Fine di verso e iato Molti versi terminano in vocale, e alcuni di essi sono seguiti da versi che cominciano con vocale. Lo iato tra verso e verso (anche detto ‗iato interlineare‘), non è di per sé eccezionale. E' anzi uno dei segni che indicano la presenza di fine di verso e il blocco della sinafia. In tragedia la proporzione di iati tra verso e verso è molto minore, nei trimetri giambici, quando i versi sono collegati da enjambement. E. Harrison e Brožek hanno notato questo fenomeno236. Essi però non enunciavano i criteri da loro seguiti per individuare gli enjambement e i loro dati non potevano essere integrati in ricerche successive. Stinton ha raccolto i dati in maniera più accurata per Sofocle, Eschilo e alcuni drammi di Aristofane e Euripide, ma ha scelto una presentazione statistica inadatta (si veda sotto, sezione 2). Sviluppando le osservazioni di Stinton, è possibile precisare i criteri per l'individuazione di diverse categorie di enjambement (sezione 3), mostrando che l'avversione per lo iato aumenta quanto più stretto è l'enjambement. Euripide in alcune tragedie limita anche il numero di sillabe brevi in fine di verso, quando i versi sono uniti da enjambement (sezione 6). Le frequenze di enjambement (tavola 4) e di iato in enjambement (tavole 5 e 6) in tragedia danno risultati utili per questioni di attribuzione e di cronologia (sezione 7), e permettono alcune conclusioni sullo stile di recitazione (sezione 8). L'avversione allo iato in enjambement è una tendenza di cui gli autori non erano necessariamente coscienti: essi sentivano lo iato in enjambement come una scelta di versificazione 236

Cfr. E. Harrison, Hiatus I e Hiatus II, Brožek, Observationes, 116-119, Stinton, Hiatus = Stinton, Papers, 362-368. L. Pearson, Catalexis, 179-184 e Hiatus, 141-142 analizzava solo brevi passi in modo impressionistico, senza conoscere i lavori di E. Harrison e Brožek, ma alcune sue osservazioni sono interessanti.

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poco armonica, ma questo non portava a regole e proibizioni assolute. Gli iati in enjambement venivano tollerati meglio in stili di recitazione più formale come quelli dell'epica e, in una certa misura, di Eschilo. L'avversione allo iato in enjambement porta ad alcune conseguenze di tipo teorico (sezione 9): si può dimostrare che tra i versi stichici, nonostante il blocco della sinafia coincidente con la fine di verso, sussisteva una sinafia prosodica limitata, che si nota non solo nell'avversione per gli iati in enjambement ma anche in alcuni altri fenomeni. Una nota di cautela: nell'individuazione dell'enjambement è impossibile eliminare del tutto un certo elemento di soggettività. E' impossibile offrire criteri di catalogazione che prevedano tutti i possibili casi di enjambement: si creerebbe una borgesiana mappa dell'impero, estesa tanto quanto il territorio stesso che riproduce. Qualunque serie di criteri lascia sempre spazio per margini di soggettività, anche a causa dell'influenza della lingua madre di chi compie la ricerca per quanto riguarda questioni di pausas e di punteggiatura. Per questo motivo si deve evitare di trarre conclusioni in base a differenze percentuali minime. Nelle tavole offro dati approssimati all'unità, e su questi dati baso le mie considerazioni a testo. I dati da me raccolti per Eschilo, Sofocle ed Euripide sono basati rispettivamente sulle edizioni di Page, Lloyd-Jones e Wilson, e Diggle, con alcune integrazioni o cambiamenti per Medea, Fenicie ed Ifigenia in Aulide237. 1.2 Tragedia e commedia L'avversione per lo iato in enjambement si dimostra facilmente confrontando tragedia e commedia. Basandoci sui dati raccolti da Stinton nel 1977 (vedi Stinton, Papers, 367) si nota che quando i versi non sono collegati da enjambement stretti non si nota una grande differenza tra commedia (24%) e tragedia (19%). Quando gli enjambement sono stretti la percentuale di iati rimane all'incirca allo stesso livello nelle tre commedie analizzate (26%), mentre è nettamente inferiore in tragedia: 8% (vedi tavola 1). La discrepanza è statisticamente molto significativa. In tragedia c'è una forte tendenza ad evitare lo iato tra versi in enjambement stretto, anche se questa tendenza non si formalizza mai in un divieto assoluto. In alcune tragedie vengono limitati anche gli iati tra versi in enjambement lieve (enjambement C, vedi sezione 3.6 sulla Medea). Questo spiega come mai la tragedia abbia un valore più basso di quello della commedia, anche per i versi non legati da enjambement stretti. In alcune delle ultime tragedie di Euripide, invece, gli iati sono poco limitati anche negli enjambement di tipo più stretto (18% nel tipo D nell'Elena, vedi tavola 5238). (Vedi tavola 1). 2. Gli studi di Stinton 2.1 A Stinton dobbiamo la trattazione più rigorosa e più ricca di dati di questo problema, ma le sue conclusioni non sono tutte convincenti. Stinton in particolare sostiene che non ci siano differenze sostanziali fra i tre tragici nell'evitare lo iato in enjambement (Stinton, Papers, 366), mentre si può dimostrare che il comportamento di Eschilo è significativamente differente. Per Stinton le Trachinie sarebbero il dramma sofocleo più antico per il basso numero di iati in enjambement; vedremo che il basso numero di iati dipende dalla più alta frequenza di enjambement molto stretti. E' infatti opportuno distinguere tra diversi tipi di enjambement, a differenza di quanto fa Stinton. Ma soprattutto le conclusioni di Stinton non sono affidabili perché il modo in cui egli ha valutato i dati è fuorviante239.

237

Cfr. Page, Aeschyli Tragoediae; Lloyd-Jones e Wilson, Sophoclis Fabulae; Diggle, Euripidis Fabulae I, II e III; cfr. inoltre sotto, note a tavola 5, e nn. 30 e 39**. 238 Sull'evoluzione euripidea nei versi non collegati da enjambement stretti cfr. già Devine e Stephens, Prosody, 426. 239 Questo è presupposto anche da Devine e Stephens, Prosody, 426 che calcolano la percentuale di iati sostanzialmente nel modo da me adottato.

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2.2 Per le sue conclusioni Stinton si basa sulla colonna 13 della sua tavola (Stinton, Papers, 367; cfr. qui la tavola 2). Stinton considera significativi solo i trimetri non seguiti da cambio di battuta, i cosiddetti 'trimetri liberi'. Egli conta quanti, tra i trimetri liberi, siano in enjambement (col. 9) 240; conta poi quanti, tra gli iati nei trimetri liberi, siano in enjambement (col. 12)241 e infine calcola il rapporto tra queste due percentuali (col. 13: col. 9 come percentuale della col. 12). Stinton in questo modo confronta non due classi di fenomeni, ma una classe con una sua sottoclasse 242. Infatti gli iati in enjambement (col. 12) sono già inclusi negli 'enjambement nei trimetri liberi' (col. 9). Questo aspetto rende i suoi risultati poco precisi e affidabili. (Veda tavola 2). Inoltre Stinton include nel suo calcolo elementi che non sono soggetti a restrizione. In Euripide il numero di versi in enjambement varia da tragedia a tragedia (vedi sotto, tavola 4), e dipende anche dalle particolari esigenze espressive di ogni dramma243. Calcolare la percentuale di un fenomeno 'sorvegliato' (gli iati in enjambement) in rapporto a un fenomeno indipendente e abbastanza casuale (il numero di versi enjambement) significa rendere meno evidente quanto stretta fosse la sorveglianza su quel fenomeno. Che dato bisogna osservare dunque? Bisogna osservare, sui versi in enjambement di ogni tragedia, quanti di essi presentano iato244. Solo il gruppo di versi in enjambement è soggetto alle restrizioni, e proprio questa è la base per lo studio stesso fatto da Stinton. Stinton non ha nemmeno calcolato questa percentuale. Intendiamoci. Stinton ha fatto bene a controllare se anche i versi senza enjambement fossero sottoposti a particolari restrizioni, ed era indispensabile provare che non lo fossero per poter stabilire quali generi limitassero lo iato, e quali non lo limitassero. Però, per trarre indicazioni sulla cronologia delle tragedie, e sulle tendenze dei singoli autori, il dato più importante è la percentuale di iati sul numero di enjambement. La sezione 3 sarà dedicata a discutere i criteri per la raccolta dei dati: quali casi di enjambement controllare? E' giusta la selezione di Stinton? 3. Criteri per individuare l'enjambement 3.1 I criteri di Stinton Il merito maggiore della trattazione di Stinton consiste nell'aver adottato dei criteri abbastanza rigorosi per individuare la presenza di 'pausa' sintattico-prosodica (e di conseguenza l'assenza di enjambement, e viceversa). Stinton partiva da una serie di osservazioni di Fraenkel245, basate sui dati riguardanti la posizione di elementi che marcherebbero la fine o l'inizio di un colon, come a"n, o i vocativi.

240

Stinton conta i trimetri liberi (col. 4), i trimetri in enjambement (col. 7), e infine la percentuale di enjambement sui trimetri liberi (col. 9). 241 Stinton conta gli iati tra trimetri liberi (col. 5), gli iati in enjambement (col. 10), e infine la percentuale di iati in enjambement sul numero totale di iati tra trimetri liberi (col. 12). 242 La formula per calcolare la col. 13 è infatti (100 x col. 10 x col. 4) / (col. 5 x col. 7). Si noti che i versi calcolati nella col. 10 sono già compresi nella col. 7, così come quelli di col. 5 sono compresi in col. 4. La col. 12 corrisponde a (100 x col. 10) / (col. 5) e rappresenta una sottoclasse della col. 9, che è uguale a (100 x col. 7) / (col. 4). 243 Stinton, Papers, 366 ritiene che il numero degli enjambement non segua nessun particolare andamento evolutivo in tragedia. Vedremo che è possibile percepire una certa evoluzione e alcune differenze importanti fra i vari autori (sezione 4 e tavola 4). 244 Devine e Stephens, Prosody, 426 hanno valutato proprio questa percentuale, calcolata in base ai dati di Stinton; essi la confrontano con la percentuale di iati non in enjambement. 245 Cfr. Fraenkel, Kolon und Satz e Fraenkel, Noch einmal zur Kolon und Satz. Il lavoro di Stinton sulla pausa fu pubblicato nel 1977 (Stinton, Pause = Stinton, Papers, 310-361). I criteri di Stinton sono in parte diversi da quelli di Fraenkel, e con essi Fraenkel non era totalmente in accordo: Stinton, Papers, 315.

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Stinton dà per scontato che ci sia pausa: A) a inizio e fine di periodo sintattico; B) a inizio e fine di frasi principale e subordinata. Oltre a questi ovvi criteri Stinton (Papers, 315-322; 365) considera che ci sia pausa prima e dopo: 1. frase subordinata con infinito (ma non c'è pausa quando la frase è formata da un solo infinito dipendente); 2. frase subordinata participiale (participio congiunto; genitivo assoluto; aggettivo avente forza verbale); 3. apposizione; 4. serie (sintagmi allineati in asindeto, in congiunzione o in alternativa); 5. una nuova idea che si aggiunge ad un senso già completo; 6. sintagma che ha la valenza di una frase subordinata (e. g. Ae. Ag. 748 pompa%i Dioèv xenòou); 7. vocativo; 8. sintagma di connessione (‗linking phrase‘) (Ae. Ag. 158-159 to_sd} o|moéfwnon / ai"linon ai"linon ei\peé); 9. altre costruzioni come similitudini o complementi di paragone a seconda della struttura della frase. Questa lista suona abbastanza eterogenea. Alcuni dei criteri proposti sono oggettivi e dipendono dalla sintassi, mentre altri sono estremamente soggettivi. I criteri 1, 2, 4, 7 e tutto sommato 9 sono chiari e facili da applicare. Se si può restare incerti quando i cola isolati sono formati da elementi molto piccoli (ad esempio un participio usato da solo, o un paio di brevi aggettivi o nomi coordinati), in generale questi criteri funzionano bene. Il criterio numero 4 poi è supportato dalle regole della prosa post-isocratea: gli autori che evitano lo iato lo ammettono però prima di a\llaé, h", ou\deé, e prima del secondo termine di una coppia di ou"te e ei"te246. E' probabile che queste regole si appoggiassero a tendenze prosodiche della lingua greca già presenti in età classica. Le cose diventano invece più difficili per il criterio 6, visto che non è semplice decidere quando un complemento ad esempio di modo o di tempo o di luogo 'ha la valenza di una frase subordinata'. Il problema è quasi insolubile per i criteri 3, 5 e 8, per i quali non si riesce ad arrivare a una definizione che permetta una applicazione univoca. Una mia verifica sui testi mi ha portato a trovare circa il 10% di casi di effettiva incertezza; questo significa che è possibile effettuare una ricerca che si basi sui criteri di Stinton, o sui dati da lui raccolti, ma che alcune modifiche e discussioni possono essere opportune. 3.2 Il problema dell'iperbato Un problema che non è stato affrontato da Stinton è quello di come valutare i casi di iperbato. Alcuni studiosi (ad esempio Filippo e Guido, Aspetti dell'enjambement), nello studio dell'enjambement, prendono soltanto in considerazione la relazione tra l'ultima parola di un trimetro e la prima del trimetro seguente. Questo procedimento porta ad alcune incoerenze: secondo Filippo e Guido Ae. Pr. 243-244 so_sin ou\ sunascala%i / moécqoiv e addirittura Pr. 8-9 toia%sdeé toi / a|martòav sono legati da enjambement meno stretti di quello di Pr. 219-220 Tartaérou melambaqhèv / keuqmwén. Questo procedimento è tanto meno accettabile da quando Devine e Stephens hanno mostrato che sintagmi in 'iperbato' sono strettamente legati prosodicamente. Una struttura YXY, del tipo di Eur. Ion 422-423 dafnhfoérouv / labou%sa klw%nav, è addirittura più strettamente connessa prosodicamente di una struttura XYY o YYX come quella di Ion 1138-1139 muròwn / podw%n a\riqmoén247. Non è necessario creare una sottocategoria per i casi di enjambement in iperbato, per non frammentare troppo i campioni, ma essi vanno inseriti nel calcolo degli enjambement. Sintagmi in iperbato però non vanno considerati in enjambement stretto quando interviene una interpunzione o un segno di pausa. Ad esempio in Ion 1182-1184 l'aggettivo viene separato dal nome a cui si riferisce da un intera frase subordinata implicita (participiale): o| deè labwèn e\xaòreton, / w|v tw%i neéwi dhè despoéthi caérin feérwn, / e"dwke plh%rev teu%cov. In casi come questi (vedi ad es. Heracl. 1026) è necessario considerare l'esistenza di una pausa prosodica prima e dopo la frase subordinata participiale. Nel compilare le statistiche per questo mio articolo è stato 246

Reeve, Hiatus, 518, 522, 526, 529; Devine e Stephens, Prosody, 424 citano anche esempi di iato prima di un primo ou"te. 247 Sulla prosodia dell'iperbato cfr. Devine e Stephens, Prosody, 480-494. Per una brillante trattazione dell'iperbato da un punto di vista sintattico si veda Devine e Stephens, Syntax.

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necessario semplificare le regole suggerite da Devine e Stephens. Il criterio che ho adottato è il seguente: considero che non ci sia pausa tra gli elementi in iperbato a meno che gli elementi in iperbato non vengano interrotti da uno dei fattori che abbiamo elencato come segno di pausa (vedi sopra, sezione 3.1, casi B e 1, 2, 4, 7 e 9). In un caso come Soph. Trach. 576-577 w$ste mhétin} ei\sidwèn / steérxei guna_ka ke_nov a\ntì sou% pleéon la separazione tra mhétin} e guna_ka non è piccola, ma i due termini mhétin} e guna_ka sono 'accavallati' attorno al nesso verbo finito + participio, che qui sembra formare un colon sintattico-prosodico non scindibile. I due versi 576 e 577 vanno dunque considerati in enjambement. Lo stesso vale ad esempio per Eur. Ion 616-617, 1165-1166, 1196-1197, mentre Andr. 9-10 viene escluso per la presenza di una frase relativa. 3.3 Criteri per individuare l'enjambement: gli studi sull'epica I criteri elaborati da Stinton possono essere precisati grazie ad alcune osservazioni fatte da chi si è occupato dell'enjambement in epica, un argomento che ha ricevuto molta attenzione, soprattutto in una prospettiva oralista. L'impostazione di Parry248 è stata ripresa e raffinata negli studi di Edwards, Kirk, Cantilena, Higbie, Clark e altri249, in parte modificando le conclusioni di Parry250. Il principio fondamentale di questi studi è che l'enjambement si colloca su una scala progressiva (Kirk, Homer, 148). Il legame fra i versi può essere più o meno stretto, su una scala che va dall'assenza assoluta di collegamento (fine di periodo sintattico marcata da punto fermo: enjambement 0) al collegamento più stretto (ad esempio quando la fine di verso separa l'articolo e il nome: Soph. Ant. 409 toèn / neékun, enjambement 4). La classificazione di Kirk251 è ripresa, con utili precisazioni, da Cantilena252. 3.4 Unità prosodico-sintattiche e unità di senso

248

Cfr. M. Parry, Character = M. Parry, Making, 251-265. Edwards, Features; Kirk, Homer, 146-182 (che riprende Kirk, Studies); Cantilena, Enjambement e Cantilena, Ponte di Nicanore; Dukat, Enjambement; Clark, Out of Line, 1-51; Vivante, Rhythm, 39-70 (un approccio 'estetico'). Sul Higbie, Measure, si vedano le giuste critiche di Barnes, Enjambement, 163-179 e di Friedrich, Enjambement, 5. La Higbie ignora completamente il concetto di colon sintattico-prosodico. Prospettive diverse in Clayman e van Nortwick, Enjambement, Barnes, Rec. Higbie. Bakker, Discourse, sostiene che non si possa parlare di enjambement in quanto la frase omerica non è una unità, e il discorso procede per aggregazioni paratattiche di elementi. E' vero che alcuni elementi (topic/focus: cfr. sopra, pp. ***-***, e sotto, n. 20**) sono dislocati a sinistra e isolati dal resto della frase. Questo però (come osservano Devine e Stephens, Syntax, 206207) non prova che la frase non esistesse come unità, e che non venisse sentito il conflitto fra sintassi e verso. In particolare, gli elementi dislocati a destra o a sinistra gravitano comunque attorno al verbo: in "è tornata a Viareggio Chiara" ci può essere pausa prima di "Chiara" se "Chiara" è il focus o il focus della frase, ma "Chiara" è comunque legata alla frase. Giuste critiche a Bakker anche in Friedrich, Enjambement, 14 (non condivido quelle delle pp. 11-12) 250 Su oralità e enjambement cfr. A. Parry in M. Parry, Making, LXI n. 1; Cantilena, Enjambement, 34 e 39-40; Dukat, Enjambement, 313; Dunkel, Orality, 201 n. 2; Friedrich, Enjambement, 17, e le loro indicazioni bibliografiche. 251 Riporto per comodità le cinque categorie di enjambement secondo Kirk: 0: frase grammaticalmente completa seguita da pausa forte, con punteggiatura; 1 (enjambement progressivo): il periodo potrebbe essere concluso ma viene continuato; 2 (enjambement periodico): un verso contiene la subordinata, ed è seguito dalla principale; 3 (enjambement integrale): il senso della proposizione si completa al verso seguente, senza possibilità di interpunzione; 4 (enjambement violento): la fine di verso interviene fra parole strettamente unite fra di loro. Si veda Kirk, Homer, 148-150. 252 Si veda anche Cantilena, Enjambement, spec. 11-14. 249

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I criteri di Kirk e Cantilena sono compatibili con l'impostazione di Stinton e la integrano utilmente. Parry e Kirk consideravano innanzitutto la disomogeneità della metrica con le unità di senso. Quello che interessa qui è la disomogeneità con le unità prosodiche253. Lingue sia antiche che moderne permettono o addirittura obbligano a inserire fine di colon prosodico all'interno del periodo sintattico anche quando il senso del periodo non è completo. Come si è già visto per l'iperbato, ci sono molti casi di versi non completi per il senso ma interrotti da una pausa prosodica 254. Ad es. in Eur. Heracl. 1026-1028 thénde deè ptoélin, / e\peì m} a\fh%ke kaì kathideésqh ktane_n, / crhsmw%i palaiw%i Loxòou dwrhésomai l'espressione thénde deè ptoélin anticipa l'argomento generale della nuova sezione del discorso, frase subordinata compresa: nella terminologia della pragmatica, è un topic dislocato a sinistra255. La realizzazione della pausa dopo un topic all'inizio di frase poteva variare, e non siamo autorizzati a postulare la presenza di una pausa se non troviamo una indicazione ulteriore: ad esempio la presenza di una frase subordinata, di un vocativo, di un a"n dopo la prima parola del colon seguente (cfr. Eur. Andr. 934-935). Stinton non prendeva in considerazione la possibilità che ci fossero diversi gradi di discontinuità prosodica (pausa) anche all'interno di un periodo, cosa che è invece normalissima 256. Inoltre in greco antico, come in tutte le lingue, la realizzazione delle pause di uno stesso testo dipendeva in una certa misura dall'arbitrio dei parlanti257. Possiamo formulare dei criteri di massima, ma è importante ricordare che il discrimine tra varie categorie di pausa è fluido e variabile. 3.5 Nuova classificazione degli enjambement. Le classi di enjambement verranno indicate con le lettere A, B, C, D ed E, in modo da non suggerire una completa sovrapponibilità tra le mie categorie e quelle adottate per studiare Omero 258. Le categorie A e B in realtà indicano assenza di enjambement, con diversi gradi di incompletezza sintattica, ma per brevità verranno chiamate tipologie di enjambement (casi di enjambement assente). E' inoltre necessario eliminare dal calcolo i trimetri che non possono essere seguiti da enjambement perché seguiti da cambio di interlocutore. Questi trimetri vanno a formare una categoria a parte. Escludo invece completamente i trimetri giambici seguiti da un verso in un metro diverso. Cambio di battuta: si include ogni trimetro giambico seguito da un trimetro giambico non recitato dallo stesso interlocutore. Enjambement: si include ogni trimetro giambico seguito da un trimetro giambico recitato dallo stesso interlocutore;

253

La fine di colon prosodico-sintattico era il criterio usato da Dionigi di Alicarnasso (de comp. verb. 26) per misurare la congruenza fra frase e verso; i cola individuati sono spesso non autonomi per il senso, che deve essere completato nel resto della frase. Dalla sua importante discussione parte anche Stinton. 254 Così già Kirk, Homer, 150-151 a proposito di Il. 16.433-434: 'in grammatical terms the enjambement is integral, type 3; in phonetic or auditory terms it is akin to periodic, type 2 enjambement'. 255 Cfr. Fraenkel, Kolon und Satz, 116-117; Fraenkel, Noch einmal zur Kolon und Satz, p. 26; Devine e Stephens, Prosody, 456 ss. Si tratta in questo caso di un resumed topic: cfr. sopra, capitolo 4, paragrafo 7**. 256 Cfr. gli esempi discussi in Devine e Stephens, Prosody, 432-433. 257 Cfr. Rossi, Metrica, 82-88; Devine e Stephens, Prosody, 91, 225, 410, 414. 258 In particolare le classi A, B e C comprendono tutti i casi delle classi 0/1/2 di Kirk, anche se li dividono in una maniera leggermente diversa.

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A: la fine del trimetro coincide con fine di periodo o di frase principale seguita da frase principale259; B: la fine del trimetro coincide con pausa segnata da interpunzione; C: la fine del trimetro non coincide con enjambement A, B, D o E260; D: la fine di verso separa: 1. soggetto / verbo, e viceversa; 2. soggetto / copula, e viceversa; 3. predicato / copula (soggetto in frasi nominali), e viceversa; 4. oggetto (diretto e indiretto) / verbo reggente, e viceversa; 5. nome / participio, e viceversa; 6. complemento d'agente o causa efficiente261 / verbo, e viceversa; 7. moto a luogo o da luogo / verbo di movimento, e viceversa; 8. altre espressioni preposizionali strettamente collegate al verbo262 / verbo, e viceversa; 9. aggettivo / caso retto dall'aggettivo, e viceversa; 10. nome / aggettivo; 11. nome / genitivo retto. Risulta difficile in alcuni casi stabilire se il soggetto vada collegato al verbo principale oppure al participio congiunto (Stinton, Papers, 316). Il participio congiunto o l'infinito sono a volte strettamente legati al verbo. L'apposizione, quando costituita da una sola parola, viene considerata unita al sintagma a cui si riferisce263. In tutti i casi di enjambement D il confine di verso non coincide con fine o inizio di frase principale o subordinata con verbo di modo finito (anche sottointeso), frase subordinata con infinito, frase subordinata participiale (sia participio congiunto che genitivo assoluto), inizio di una serie o inizio di elemento di una serie (sintagmi allineati in asindeto, in congiunzione o in alternativa), vocativo (i criteri 1, 2, 4, 7 di Stinton, in parte coincidenti con criteri adottati da Cantilena). E: si ha enjambement di tipo E quando la fine di verso separa: 1. articolo / sostantivo; 2. aggettivo / sostantivo; 3. genitivo / sostantivo reggente; 4. avverbio / parola a cui si riferisce; 5. parola prepositiva, congiunzioni (ad es. kaò), particelle negative (ou\, mhé etc.), pronomi relativi264. 3.6 Verifica dei nuovi criteri e considerazioni finali Se applichiamo questo metodo di divisione alla Medea abbiamo i dati riassunti nella tavola 3 (si veda, in fondo, tavola 3)265. 259

Questo corrisponde grosso modo all'enjambement 0/1 di M. Parry, Kirk e Cantilena, ma senza l'aspetto soggettivo di M. Parry: "the sentence, at the verse end, already gives a complete thought, although it goes on in the next verse, adding free ideas by new word groups" (M. Parry, Making, 253). Con la definizione di Parry e Kirk, si includono nell'enjambement 1 anche frasi relative, participiali e altre. 260 Le categorie B e C sono intese come categorie miscellanee; non sostengo che tutti i casi di enjambement compresi della categoria C siano esattamente comparabili in termini prosodici; quello che si cerca di dimostrare è che però gli enjambement di tipo B sono equivalenti dal punto di vista prosodico a quelli di tipo A, e perciò da eliminare dal nostro calcolo. 261 Ad esempio Eur. Med. 255-256 u|bròzomai / proèv a\ndroév. 262 Questo corrisponde al concetto di 'argomento': un verbo ha tanti argomenti quanti sono gli elementi di una frase che sono collegati da esso: 'dare' ha tre argomenti, 'uccidere' due, 'morire' uno (cfr. ad es. Haegeman, Introduction, 41-44). 263 Ad esempio Eur. Andr. 898-899 h$nper… Tundarìv tòktei gunhè / {Eleénh è stato catalogato come un caso di enjambement C. 264 Cfr. anche Cantilena, Enjambement, 14; van Raalte, Rhythm, 164-165. 265 Si noti che nei miei calcoli per questa tabella ho considerato soltanto i trimetri giambici seguiti da trimetri giambici: se il trimetro è seguito da un verso in un altro metro è stato escluso anche dalla categoria 'cambio di battuta', in quanto non poteva essere in enjambement con il verso successivo, e non può essere nemmeno comparato al cambio di interlocutore in una scena in trimetri; il numero e la frequenza di scene in metri lirici o in trochei e anapesti varia da dramma a dramma, e non deve influenzare le statistiche. Ho incluso il 'grande monologo' di Medea (vv. 1053-1080), espunto in Diggle, Euripidis Fabulae I, su proposta di Reeve: cfr. Battezzato, Scena e testo (il testo dei vv. 1059-1064 è molto discusso).

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Da questi dati si possono trarre le seguenti conclusioni: a) Si nota chiaramente che le classi C, D ed E hanno percentuali di iati nettamente inferiori a quelle delle altre classi; la classe B è ancora all'incirca al livello casuale di iati, poco sotto il 20%. b) La punteggiatura moderna all'interno di periodo (classe B) sembra effettivamente corrispondere a una pausa prosodica nella pronuncia del greco antico, data l'indifferenza allo iato di questi casi di enjambement 'leggero'. c) Una definizione 'stretta' di enjambement considererebbe solo i casi della classe E, ma dalla tabella si nota che il comportamento della classe D nella Medea è molto simile. d) La costrizione si opera in maniera graduale; la classe C nella Medea sembra presentare restrizioni per quanto riguarda gli iati. In ogni caso questo prova che la restrizione verso lo iato in enjambement si applica a un largo spettro di casi, ed era perciò sentita con particolare forza. e) Se uniamo le classi D ed E (166 casi di enjambement) abbiamo un gruppo di versi comparabile ai versi presi in considerazione da Stinton (206 trimetri non seguiti da pausa), e la percentuale di iati risulta sostanzialmente la stessa (3.40% per Stinton, 3.61% per noi). Lo stesso vale per altre tragedie. Sostanzialmente i dati di Stinton sono confermati, come si vede per Coefore, Prometeo, Trachinie e Filottete (tavole 5 e 6). Questa concordanza è importante, perché mostra che i dati di Stinton possono essere usati insieme ai nostri per considerazioni sulle tragedie di Sofocle ed Eschilo. f) I risultati delle classi D ed E ottenuti in questo modo sono comparabili ai dati ottenuti per gli enjambement 3 e 4 in epica da Cantilena. Naturalmente è possibile pensare ad altri metodi per esaminare l'avversione della tragedia allo iato tra versi in enjambement, ad esempio includendo nella categoria più stretta di enjambement solo parole o sintagmi inferiori ad un certo numero di more; altre restrizioni sono state proposte 266. Tutti questi procedimenti restringerebbero di molto il campione esaminato, aumentando l'effetto delle variazioni casuali, e escluderebbe molti casi in cui la restrizione contro gli iati sembra essere attiva. 4. L'evoluzione dell'enjambement in tragedia In questa sezione presento i dati sull'enjambement in rapporto al numero di trimetri liberi, cioè seguiti da trimetri pronunciati dallo stesso interlocutore. I dati da me calcolati sono divisi per i due tipi più stretti di enjambement (tavola 4). Questi dati forniscono una base per osservazioni stilistiche e sull'evoluzione del trimetro tragico267. Come termine di confronto presento anche i dati ricavati da Stinton (tavola 4b). Il dato che emerge con maggiore evidenza è che Sofocle tende ad unire strettamente i versi, più degli altri autori. Sofocle presenta una forte percentuale di enjambement di tipo E: Trachinie 15%; Filottete 12%. Solo il Prometeo, con l'11%, si avvicina a questi valori. Le Coefore (7%) ed Euripide (5.5%) hanno valori molto inferiori. Omero rarissimamente usa gli enjambement più stretti (meno dell'1%)268. E' notevole il fatto che in Sofocle si trovino brani in cui la pausa sintatticoprosodica cada sistematicamente a metà verso, e che la fine di verso non coincida affatto con una spezzatura sintattica. Si veda ad esempio Soph. Trach. 767-761 i|drwèv a\nhéiei crwtò, kaì proptuéssetai / pleura_sin a\rtòkollov, w$ste teéktonov / citwén, a$pan kat} a"rqron: h\lqe d} o\steéwn / o\dagmoèv a\ntòspastov: eùta foéiniov / e\cqra%v e\còdnhv i\oèv w£v e\daònuto. Sofocle scrive delle frasi che hanno la misura di un trimetro giambico ma le distribuisce a cavallo fra due 266

Filippo e Guido, Aspetti dell'enjambement, considerano solo il nesso fra la parola in fine di verso e quella all'inizio del successivo, e non danno importanza all'iperbato; Kirk, Studies, ripreso in Kirk, Homer, 146-182, e Cantilena, Enjambement, segnalano la posizione della pausa sintattica/interpunzione all'interno del verso; in maniera simile anche van Raalte, Rhythm, 217. 267 Sull'enjambement in tagedia vedi Prato, Enjambement, van Raalte, Rhythm, 157-163 con bibliografia. 268 Cantilena, Enjambement, 94.

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versi (o\dagmoèv a\ntòspastov h&lqen o\steéwn) oppure dà loro un andamento trocaico (w$ste teéktonov citwén, a$pan kat} a"rqron). Si vedano anche Trach. 40-47, 161-165, 329-334, 712-718, 923-927, 1053-1056, 1070-1072, 1097-1110. In questi brani le cesure pentemimere e soprattutto eftemimere minacciano di diventare le pause più importanti nel fluire sintattico, e l'importanza sintattica della fine di verso viene ridotta. Di questo procedimento si trova qualche traccia anche in Euripide: Andr. 345-348, 1111-1113, Or. 55-59, 674-676. Si confrontino invece passi come SophTrach. 461-467, 610-612, 1193-1201, 1049-1050, Eur. Andr. 41-47, 885-889, Or. 467-469, 891-898 in cui gli enjambement sono frequenti ma le pause sintattiche si trovano distribuite in maniera più varia, e in diverse posizioni nel verso, non solo alle cesure. Nel complesso Euripide ha un numero abbastanza costante di enjambement, e non si notano grandi cambiamenti nel corso della sua produzione poetica: l'enjambement D si attesta su valori tra il 16% e il 21%, con poche eccezioni al di fuori di questa fascia (Supplici, Ione, Elena), e con una media del 19.3%. Lo stesso vale per l'enjambement E, che varia tra il 4% e il 7%, con poche eccezioni e una media del 5.5%. Va notato il fatto che i valori delle Fenicie siano chiaramente inferiori, sia per la percentuale di enjambement E (vedi tavola 4) che per i valori di iato in enjambement (tavola 5); questo è probabilmente dovuto al fatto che le numerosissime espunzioni operate da Diggle sulla scia di Fraenkel portano a un testo che non è veramente rappresentativo, e che esclude un numero di brani autentici. Già Cropp e Fick avevano osservato che, accettando tutte le espunzioni proposte o raccomandate da Fraenkel, il testo delle Fenicie avrebbe una percentuale di soluzioni meno in linea con l'evoluzione del trimetro euripideo269. Con espunzioni meno drastiche (vedi tavola 5) i valori riscontrati sono maggiormente in linea con quelli delle tragedie cronologicamente vicine. E' notevole il fatto che, nonostante i rilevanti cambiamenti nella tecnica versificatoria che si riscontrano nel tardo Euripide270, le percentuali di enjambement non subiscano una parallela evoluzione: la maggiore libertà versificatoria riguarda il ritmo ed è legata a innovazioni nel lessico tragico271, ma non influenza il rapporto fra sintassi e verso. (Vedi tavole 4 e 4b) 5. Enjambement e iato interlineare in tragedia 5.1 Dati Si vedano ora le mie statistiche relative ad Euripide nella tavola 5 (con due tragedie di Eschilo e due di Sofocle), e quelle basate sui dati raccolti da Stinton per Sofocle ed Eschilo, e per alcune tragedie euripidee (tavola 6). (Vedi tavole 5 e 6). 5.2 Considerazioni cronologiche Notiamo innanzitutto che Eschilo ha i valori più alti di iati in enjambement, attorno al 12%, con una punta al 15% per il Prometeo (se suo). Sofocle presenta valori molto più bassi (tra il 3% e l'8% 272), con una tendenza a una maggiore tolleranza nelle tragedie più tarde. E' interessante il caso di Euripide, che nelle opere dello stile severo e semisevero273 (dall'Alcesti all'Ecuba) presenta una media del 5% (enjambement DE); i valori salgono nello stile 'libero' (dalle Supplici all'Elena) dove la media si assesta al 9%; scendono al 7% nel gruppo Fenicie, Oreste, Baccanti, Ifigenia in Aulide. 269

Secondo i calcoli di Cropp e Fick, Resolutions, 5 e 13 n. 3 le percentuali per Ifigenia in Tauride, Elena, Fenicie, Oreste, Baccanti e Ifigenia in Aulide sono rispettivamente 29.3, 35.5, 34.8 (33.1 con le espunzioni di Fraenkel), 49.3, 43.8, 43.6. Vedi sotto, sezione 5.2 e n. 39**. 270 Cfr. in generale Zieliński, Tragodoumenon, Devine e Stephens, Rules, 63-79, Devine e Stephens, New Aspect, Cropp e Fick, Resolutions, con bibliografie. 271 "Ciò che […] determina in notevole misura l'incremento delle 'soluzioni' in Euripide è l'adozione, via via sempre più larga, del lessico mutuato dall'uso corrente e dalla prosa": Prato, Ricerche, 125-126. 272 Tra il 2.40% e l'8.73% in base ai dati di Stinton. 273 Le classificazioni severo, semisevero etc. risalgono a Zieliński, Tragodoumenon.

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Per le Fenicie i valori calcolati includendo i trimetri considerati autentici da Mastronarde (7%) sono maggiormente in linea con i valori delle tragedie coeve di quelli calcolati sul testo di Diggle (5%)274. Il Reso (6%) sia esso di età classica o post-classica, si inserisce nella tradizione teatrale, retorica e mitologica del teatro ateniese, e rispetta in pieno la tradizionale avversione per lo iato in enjambement (si veda sotto la sezione 7.4). Invece il rifacimento dei modi della tragedia classica operato da Ezechiele nella sua Exagōgē ammette con estrema liberalità lo iato in enjambement. Ezechiele si allinea sui livelli della commedia (19%), con valori al di sopra dei picchi più alti attestati per la tragedia classica (Elena e Prometeo), e non mostra nessuna particolare restrizione per i casi di enjambement più stretti (iati in enjambement E: 21%). La sua 'tragedia ebraica' nasce al di fuori della tradizione metrico-recitativa (e teatrale) della tragedia classica, anche se ad essa si ricollega con una operazione antiquario-libresca275. 6. Sillabe brevi finali e enjambement Dall'esame dei versi in enjambement emerge un altro dato importante: in Euripide le sillabe che risulterebbero brevi se non ci fosse fine di verso sono meno frequenti nei casi di enjambement. In questa categoria di 'sillabe brevi finali' includo sia sillabe aperte con vocale breve seguite, al verso dopo, da consonante o gruppo di consonanti che 'non fa posizione' (simbolo v± /cv), sia sillabe chiuse con vocale breve seguite al verso dopo da vocale (simbolo v± c/v)276. Il caso più evidente è la Medea, dove tutti i tipi di sillabe brevi finali sono meno frequenti (tavola 7). Alcuni di questi gruppi presentano una limitazione più spiccata di altri, e nel caso di v± /cv la flessione non è statisticamente significativa, ma nel complesso l'indicazione è chiara: i casi di sillabe brevi finali senza iato vengono limitati, sia pure in misura minore rispetto agli iati. (Vedi tavola 7). Da un controllo a campione su altre tragedie risulta che questa avversione si riscontra soltanto in Euripide (tavola 8). I casi di v± /cv e v± c/v si attestano sempre attorno al 20% se non ci enjambement stretti (casi ABC)277. Valori attorno al 20% si riscontrano anche nei casi di enjambement DE per le opere di Eschilo e di Sofocle controllate (incluso il Prometeo). Invece molti drammi di Euripide mostrano un numero significativamente più basso per gli enjambement DE, tra il 7% e il 13%. Nell'Eracle e nelle Baccanti le sillabe brevi finali non sono limitate in maniera significativa. Questi dati corrispondono abbastanza bene all'evoluzione degli iati in enjambement: si riscontra anche in questo caso un aumento progressivo e una serie di picchi in alto nelle ultime opere di Euripide. Se si sommano iati e sillabe brevi finali (ultima colonna di tavola 8) l'incidenza percentuale di questi due fenomeni aumenta in maniera costante.

274

Vedi sopra, sezione 4 e n. 34. Per l'Ifigenia in Aulide invece è più in linea con l'evoluzione della prassi euripidea il valore ricavato considerando solo i versi sulla cui autenticità Diggle ha meno dubbi. 275 Cfr. Snell, Jamben, 32; la pratica versificatoria di Ezechiele, per quanto si sforzi di avvicinarsi alla tragedia, presenta comunque significative differenze (cfr. spec. Snell, Jamben, 29-30). 276 Devo a G. B. D'Alessio il suggerimento di indagare questo aspetto della versificazione della tragedia. Nelle tavole, per concisione, userò brevis nel senso di 'sillaba breve finale'. Questo è diverso dal concetto di brevis in longo. Si ricordi che una sillaba chiusa, anche se contiene una vocale breve, è senz'altro lunga se la sinafia viene bloccata: W. S. Allen, Accent, 55-56 e 204-207. Per altre possibilità di interpretazione si veda Rossi, Anceps, 66 n. 1. La spiegazione quantitativa della legge di Wernicke però è stata confutata da Devine e Stephens, Homeric Hexameter; cfr. comunque anche Devine e Stephens, Prosody, 402. Sul problema dell'anceps cfr. anche Devine e Stephens, Anceps. 277 Lo stesso valore si può riscontrare nei versi seguiti da cambio di battuta: ad esempio si ha il 17% nell'Eracle (33 casi su 199), il 17% nelle Baccanti (40 casi su 242), il 18% nel Prometeo (30 casi su 170).

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Il Reso è eccezionale in quanto limita il numero di breves anche nei casi di enjambement lieve (ABC: 11%) oltre che in quelli di enjambement forte (DE: 10%). Non pone invece limitazioni nei versi seguiti da cambio di interlocutore (21%, con 33 casi su 154). (Vedi tavole 8 e 8a). La limitazione dei casi di sillabe brevi finali nei versi legati da enjambement DE può essere spiegata in base a vari fattori. Versi legati tra di loro da enjambement particolarmente stretti erano separati da una pausa eccezionalmente breve. L'elemento finale del trimetro giambico era ritmicamente prominente, cioè una tesi (indipendentemente dalla durata effettiva della sillaba). L'elemento breve finale in enjambement veniva sentito come non abbastanza marcato ritmicamente. La tendenza non era attiva in Eschilo, che presupponeva uno stile di recitazione più lento, né in Sofocle. Sofocle sembra considerare ritmicamente elegante legare i versi tra loro con enjambement strettissimi, e con conseguenti pause minime. La preoccupazione di Sofocle è per il cattivo effetto fonico derivante dallo iato, non per il risultato ritmico. Inoltre l'enjambement provocava una pressione a ridividere in sillabe fini di verso come Eur. Supp. 6-7 tw%i Pandòonov / Ai\ge_, lasciando così finire il verso in sillaba breve e soprattutto eliminando totalmente la pausa fra di essi: -no-/ sai-. Come ci si poteva aspettare, i versi in enjambement DE terminanti in -v± c sono seguiti da consonante in proporzione eccezionalmente alta (21% nella Medea), molto più di quanto non accada per versi analoghi in enjambement ABC (16%) o con cambio di interlocutore (10%: tavola 7). Si noti che anche passi come Eur. Med. 12471248 thénde ge / laqou% brace_an h|meéran, Eur. Supp. 21-22 … o$de / ke_tai venivano limitati da Euripide, ma in misura minore, come si vede nelle tavole 7 e 8b. Sarebbe utile condurre una analisi dettagliata secondo la lunghezza metrica delle parole, ma anche in base ai dati raccolti è possibile supporre che il differente trattamento sia una questione di strategia compositiva. Parole (o parole metriche) che terminano in -v± , se polisillabiche (come thénde-ge o$de , sono più difficili da collocare all'interno del trimetro, perché implicano quasi sempre una soluzione, un fenomeno che viene limitato abbastanza strettamente nel primo Euripide (solo ogni 14 versi circa nella Medea). Per questo motivo appaiono in fine verso anche in enjambement, in una posizione dove sembra che la breve fosse limitata. Al contrario parole che terminano in -v± c possono più facilmente realizzare un elemento lungo se seguite da consonante, e vengono perciò più facilmente collocate all'interno del trimetro piuttosto che nella posizione finale sfavorita. E' interessante notare che altri generi letterari limitano il numero di sillabe aperte con vocale breve in fine di verso, mentre Euripide sembra limitare soprattutto le sillabe chiuse con vocale breve, e solo in enjambement. E' vero che la quantità della vocale finale di un verso veniva chiaramente sentita, nonostante la pausa (Rossi, Anceps, 63-66), e che certo deé in fine verso non poteva essere confuso con dhé o de_ (cfr. Hipp. 503, Alc. 63, Med. 1311)278. Però si riscontra che sillabe aperte con vocale breve sono limitate alla fine dei pentametri elegiaci, e in Pindaro, con valori che oscillano tra il 3 e l'8% circa279. In epica280 e in tragedia281 i valori sono attorno al 17%. I 278

Per una discussione di possibili casi di allungamento di sillabe finali brevi prima di pausa cfr. Devine e Stephens, Prosody, 79, 116 e 427-428, dove si segnalano due casi in cui una sillaba breve aperta in fine di verso viene contrassegnata con una nota musicale lunga. 279 Vogt, De metris, 13 calcola il 2.8% per Pindaro nell'edizione di Boeckh; Barrett nota che la percentuale è del 5% quando il verso finisce in h g W ||; dello 0.83% negli altri casi; in Bacchilide v± || è il 10% circa (West, Metre, 61). Per Devine e Stephens, Prosody, 82-83 e 144 la percentuale nei pentametri dell'elegia arcaica che terminano in -v± è del 7.96%. Già Havet aveva notato questo fenomeno: W. S. Allen, Accent, 205. Allen ritiene che anche Eroda eviti -v± ||, ma la percentuale è più alta (12%). Per una tendenza a evitare sillabe brevi alla cesura dell'esametro o del pentametro cfr. Devine e Stephens, Prosody, 402. 280 Vogt calcola il 17% per Il. 13, e il 17.8% per i Persiani di Eschilo. Rossi, Anceps, 66 n. 1 calcola il 21.77% per Il. 1 e così anche Barrett apud West, Metre, 61 (22% circa per Omero e i poeti di Lesbo). West, nella sue edizione di Omero (1998, XXV) sostiene la necessità di stampare sempre il

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dati per Euripide quindi sono paragonabili a quelli calcolati per Omero e Eschilo. La conclusione è che né in epica282 né in tragedia è riscontrabile una tendenza generale a evitare in fine di verso una sillaba aperta con vocale breve, anche se il numero di breves in fine di verso viene ridotto nei casi di enjambement in Euripide. 7. Osservazioni su tragedie specifiche 7.1 Eschilo e il Prometeo I dati del Prometeo sono peculiari. Da un certo lato la vicinanza ad Eschilo risulta confermata, al contrario di quanto sostenuto da Herington e Stinton. La percentuale di iati in enjambement del 15% è più vicina alla media per Eschilo, del 12%, che a quella per Sofocle, 6%, o Euripide, 7.5%. Solo l'Elena ha un valore comparabile (15%). Al contrario di quanto sostenuto da Stinton e Herington, il Prometeo è molto distante dalla commedia (26%)283. D'altra parte il Prometeo è differente da tutte le altre tragedie inclusa l'Elena perché non mostra nessuna tendenza a restringere gli iati, nemmeno al livello degli enjambement più stretti (categoria D). (Vedi tavola 9). Griffith negava l'attribuzione della tragedia ad Eschilo, e spiegava l'alto numero di iati in enjambement con il fatto che l'autore avesse un orecchio meno sensibile rispetto a quello degli altri autori di tragedie (Griffith, Authenticity, 101). L'attribuzione è, come è noto, aspramente dibattuta284. Qualunque posizione si prenda su questo problema, il Prometeo è sicuramente opera del V secolo a. C., e bisogna cercare delle ragioni fonostilistiche che spieghino i dati. Anche il Reso, molto probabilmente non euripideo, evita gli iati in enjambement. E' probabile che l'autore del Prometeo pensasse a uno stile di recitazione particolarmente solenne per un dramma in cui comparivano in scena dèi e Titani: una enfatizzazione di quello che pensiamo sia lo stile di recitazione dei drammi di Eschilo (vedi sotto, sezione 8.3). Il fonostile più formale poteva attutire, con le sue pause, gli iati presenti tra verso e verso. E' stato notato che molto spesso l'autore del Prometeo colloca una congiunzione (o$ti, i$na, e\peò) alla fine del verso285, e in alcuni casi esse provocano iato con il verso seguente (259, 377, ny efelcistico in fine di verso, e afferma che i rapsodi preferivano che il verso terminasse in sillaba chiusa piuttosto che in sillaba aperta breve. Questa spiegazione, alla luce dei dati riportati sopra, non è da considerarsi convincente. Bolling, Movable nu, mostra che i papiri omerici tolemaici scrivono sempre il ny efelcistico in fine di verso, mentre gli alessandrini lo scrivono solo quando il verso successivo inizia per vocale. La tendenza a rispettare la norma alessandrina si nota nei manoscritti medioevali della tragedia. 281 Nella Medea troviamo il 17.7% di sillabe aperte con vocale breve in fine di verso (176 su 990 trimetri), nell'Eracle il 16.5% (160 su 970 trimetri giambici). Se contiamo il numero di sillabe aperte con vocale breve quando la fine di parola cade nel quinto elemento, e non è seguita da elisione, troviamo una percentuale comparabile, anche se leggermente più bassa per la necessità di evitare iati interni al verso: 15.1% per HF 1-347 (36 sillabe brevi su 239 casi). 282 Per quanto riguarda l'epica, questa affermazione si basa sul fatto che la percentuale di sillabe aperte finali con vocale breve è vicina a quella della tragedia o, secondo alcuni calcoli, addirittura superiore. Nell'esametro naturalmente non esistono elementi liberi in cui si possa calcolare l'incidenza di sillabe aperte con vocale breve per un confronto, come si è fatto per il quinto elemento dei trimetri giambici. 283 Herington, Author, 40; Stinton, Papers, 366; Schein, Iambic Trimeter, 63 n. 14. Bisogna sottolineare il fatto che dati di Stinton per il Prometeo contengono alcune inesattezze: il numero complessivo dei trimetri è 765 (non 713) e il numero di trimetri seguiti da cambio di interlocutore è 170 (dalla sua tabella si ricava che siano 112). 284 Contro l'attribuzione a Eschilo si sono espressi Griffith, Authenticity; Bees, Datierung; Marzullo, Sofismi (cfr. Battezzato, Rec. Marzullo). A favore di Eschilo Pattoni, Autenticità. 285 Per i dati cfr. Griffith, Authenticity, 96-97, Pattoni, Autenticità, 128-131.

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793). La collocazione di una congiunzione prima di fine verso sviluppa una possibilità insita nella lingua greca. Le congiunzioni sono prepositive, dal punto di vista dell'accento, ma sia in prosa che in poesia sono a volte collocate prima di una pausa richiesta dalla struttura sintattica, ad esempio prima di un'altra subordinata, o di una frase parententica: Soph. Phil. 880-881 i$n}, h|nòk} a!n koépov m} a\pallaéxhi poteé, / o|rmwémeq} e\v nau%n286. Anche una particella negativa si può trovare prima di una presumibile pausa prosodica (Ae. Ag. 1634-1635). Si noti che spesso sintagmi participiali o frasi all'infinito separano la congiunzione dal verbo retto287. Devine e Stephens hanno portato convincenti argomenti per sostenere che enclitiche e proclitiche potessero assumere un certo grado di autonomia prosodica quando la cesura le separava dalla parola a cui si appoggiavano per l'accento288. In questi casi la congiunzione poteva accorparsi al colon immediatamente seguente, oppure, come sembra più probabile, assumeva un certo grado di autonomia prosodica (ortotonia) ed era forse seguita da una pausa nella prosodia di frase; probabilmente questo è quello che avveniva prima di fine di verso nei casi sopra ricordati del Prometeo. 7.2 Sofocle: le Trachinie M. Davies ha riesaminato il problema dello iato fra trimetri nelle Trachinie. Egli sostiene che 'ogni occorrenza [di iato in enjambement nelle Trachinie] dovrebbe metterci sull'allerta'289, e spingerci a considerare interventi testuali. Davies sostiene che solo cinque casi di iato in enjambement nelle Trachinie sono esenti da dubbi, e che gli altri possono essere eliminati con espunzioni o congetture. Davies però non spiega nemmeno quale sia la definizione di enjambement che lui accetta, e ignora completamente la sostanza del lavoro di Stinton. Di conseguenza considera illegitimi e necessari di emendazione casi in cui lo iato fra trimetri è attenuato dalla presenza di fine di colon sintattico secondi i criteri di Fraenkel e Stinton290 (v. 83, 805 sintagmi paralleli, introdotti da h" etc.291; v. 336 frase relativa; v. 380 apposizione; vv. 252, 896, 919 participio congiunto; v. 1049 esclamativa/relativa; 1067 frase condizionale). I casi di iato in enjambement che io ritengo siano da accettare sono ai vv. 277 (enjambement D), 463 (D), 548 (D), 761 (E), 934 (E) e 1196 (E). Lo iato tra 1112 e 1113292 è rimosso da Lloyd-Jones e Wilson, che integrano piuttosto audacemente s} in episinalefe. Il livello particolarmente basso di iati in enjambement nelle Trachinie è in parte dovuto all'alto numero di enjambement di tipo E, che legano più strettamente i versi e che spingono ad evitare con maggiore forza gli iati tra verso e verso. 7.3 Euripide: il Ciclope 286

E anche Eur. Hec. 11; per o$ti Ai. 792, OC 1039 (anche Ant. 758: i"sq} o$ti parentetico); per w|v Ae. Pers. 599, Soph. OT 54, El. 347, fr. 314.263, Eur. Andr. 381, El. 960, Ion 388, Hel. 66, Pho. 1280 (anche Med. 559); per w$ste Ba. 712; per e\peò Soph. OT 390, Eur. Hipp. 1331. Lo stesso accade in testi di prosa: per h" si veda Thuc. 6.24.1, per i$na Hdt. 7.11.3, Thuc. 7.67.4, per w|v Thuc. 1.5.2; 5.89.1 (w|v h!); 6.24.3 (w|v h!); 6.83.2 (w|v h!); 6.103.4 (w|v h!); per o$ti Hdt. 3.71.5; 7.11.2 (o$ti ei\); 9.6 (o$ti ei\); Thuc. 1.20.2 (forse); 1.38.4 (o$ti ei\); 1.122.2 (o$ti ei\); 5.46.4 (o$ti ei\); 5.76.3 (o$ti ei\); Lys. 12.57 (o$ti ei\); 31.26 (o$ti ei\). 287 Ad es. Ae. Ag. 956, Ch. 608, 791 (a"rav), Eu. 799, Eur. Med. 372, El. 292, HF 923. 288 Ad es. a\llaé in Eur. Andr. 562 e forse in Soph. OC 1475, Trach. 1208; w$ste Ant. 560. Devine e Stephens, Language and Metre, 136-137. 289 Mia traduzione da Davies, Trachinae, 270, citando E. Harrison, Hiatus II, 63. Si noti che Davies, Trachinae, 271, infastidito dallo iato in enjambement, inclina ad espungere i vv. 934-935, mentre nel commento ad loc. li difende. 290 Si indica il primo dei due versi legati da enjambement. 291 Per lo iato prima di h" cfr. sopra n. 11****. 292 E' possibile che e$xousan del v. 1113 formasse un colon a sé stante, e che non ci sia enjambement.

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E' notevole il fatto che anche il Ciclope sia conforme all'uso tragico per gli iati interlineari: il valore del 9% si inquadra perfettamente nell'ambito della produzione euripidea tarda293. Anche il dato sulla frequenza delle sillabe brevi finali (14%: si veda la sezione 6) sembra indicare una data posteriore o coeva alle Supplici (13%). Come per altri particolari (frequenza delle soluzioni, uso della cesura, avversione per gli anapesti strappati e split resolution) il trimetro giambico del dramma satiresco è molto simile a quello della tragedia294. L'avversione per gli iati e le brevi in enjambement erano parte normale e probabilmente inconscia della pratica euripidea, e non erano una delle restrizioni del genere tragico che venivano attutite dal passaggio a una scrittura di genere meno sublime. 7.4 Il Reso Il valore di 6% per gli iati in enjambement D ed E permetterebbe di collocare il Reso all'interno di quasi tutti i gruppi della produzione euripidea, e non porta nessun elemento aggiuntivo per escludere la paternità euripidea. I dati sulle soluzioni nei trimetri lo avvicinano a Eraclidi e Ippolito295. Se però, seguendo la maggioranza degli interpreti, si ritiene il dramma non euripideo 296, è notevole che un altro autore di tragedie oltre a Sofocle ed Euripide avesse livelli così alti di sensibilità per il fenomeno dello iato in enjambement. Questo poteva avvenire perché si trattava di una conseguenza necessaria del metro e dello stile di recitazione della tragedia: dato un fonostile che si situava a metà tra quello lento dell'epica e quello più rapido e informale della commedia, chi scriveva trimetri tragici era portato inconsciamente ad evitare gli iati nei punti in cui portavano ostacolo al fluire ininterrotto dei versi. E' notevole che l'autore del Reso limiti anche il numero di sillabe brevi finali (vedi sopra, sezione 6), cosa che si osserva soltanto in Euripide. La limitazione agisce però anche nei casi di enjambement lieve (11%) oltre in quelli di enjambement più stretto (DE: 10%). Questo presuppone che anche la pausa sintattica presente dopo interpunzione venisse sentita come tendenzialmente troppo debole per far comprendere che la sillaba breve era seguita da fine di verso. Questi dati sembrano indicare uno stile di recitazione abbastanza legato, più di quello attestato nei drammi euripidei. 8.Spiegazione prosodica 8.1 La tragedia e gli altri generi letterari Abbiamo visto che la commedia non restringeva lo iato in enjambement (tavole 1 e 6). Nemmeno la poesia esametrica limita lo iato in enjambement con il rigore della tragedia. Sulla base calcoli di Cantilena, troviamo il 15% di iati in Il. 9 e il 17% in Od. 12 per gli enjambement 3 e 4297. Si tratta di valori inferiori a quelli attestati per la commedia, ma più alti di quelli attestati per Eschilo e la tragedia. 8.2 Omero e Callimaco Gli iati in enjambement non sono evitati nemmeno negli esametri stichici di Callimaco. Analizzando la schedatura degli enjambement operata dello stesso Cantilena per gli Inni, troviamo che Callimaco, come Omero, non presenta una forte avversione allo iato tra versi (vedi tavola 10). 293

Sulla datazione del Ciclope cfr. Seaford, Date, Battezzato, Monologo, 134-135. Martinelli, Strumenti, 104-105; Seaford, Cyclops, 45-46. 295 Cfr. Ceadel, Resolved Feet, 72-74 e Ritchie, Authenticity, 260-274. Ritchie considera improbabile una data dopo il 428, e impossibile una data dopo il 420 (Ritchie, Authenticity, 358). 296 Cfr. Fraenkel, Rec. Ritchie, 235; Bryce, Lycian Apollon, 149; Paduano, Reso, 15; Burlando, Reso, 127. 297 Cantilena, Ponte di Nicanore, 18 n. 25: 14.67% e 17.39%. Cantilena offre percentuali solo per i versi legati da enjambement più stretti (3 e 4, come mi ha gentilmente confermato per lettera). Cantilena non fa riferimento a Stinton ma solo a Brožek. Fortassier, Hiatus, 345-347 nega assolutamente che Omero si preoccupasse dello iato tra versi, ma ignora la problematica relativa allo iato in enjambement. 294

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Nei casi di enjambement più stretto (tipo 3/4) gli iati sono presenti nel 16% dei casi. La differenza con gli altri versi (24% di iati) indica una tendenza statisticamente significativa298 ad evitare lo iato in enjambement, ma molto meno pronunciata che in tragedia299. Si deve trattare, per Omero e Callimaco, di una questione di genere letterario e di stile di recitazione associato con il tipo di verso. La continuità della tradizione recitativa degli esametri fino all'età ellenistica è stata ipotizzata su base linguistica. Vari studiosi hanno postulato che rapsodi e cantori si tramandassero di generazione in generazione un particolare stile di recitazione per i versi omerici: questo spiegherebbe come mai si conservasse memoria della corretta accentuazione di parole altrimenti misteriose per gli stessi parlanti, accentuazione che però corrisponde a quello che possiamo ricostruire in base alla linguistica comparata300. La continuità dello stile di recitazione sembra la spiegazione migliore per questi fenomeni. Si noti che la tradizione della recitazione dei trimetri giambici, a differenza di quella degli esametri, ha incontrato forti cambiamenti in età post-classica (Ezechiele: sezione 5.2). (Vedi tavola 10). 8.3 I fonostili di epica, tragedia e commedia Non abbiamo difficoltà ad ammettere che lo stile di recitazione ('fonostile301') dell'epica doveva essere presumibilmente lento e solenne, almeno a confronto con lo stile di recitazione della commedia o dell'ultimo Euripide302. Questa è la spiegazione proposta da Cantilena per spiegare le differenze fra tragedia e epica, e ritengo che colga nel segno. Come osserva Cantilena, chi componeva poesia esametrica in età arcaica ammetteva con facilità gli iati, anche all'interno di verso303, e questo è il segno di una recitazione più lenta; per converso l'assenza di iati è un segno di a\gwghé veloce già secondo Dionigi di Alicarnasso (comp. 20. 19)304. Non solo: l'ethos dell'esametro, con la sua misura di dattili e spondei, è solenne (Arist. Rh. 1408 b 32-32; D. H. comp. 108 = 17.11; 'Long.' subl. 39.4; Aristid. Quint. 1.24 [p. 47, l. 4 Winnington-Ingram]) e lento (Arist. Po. 1459 b

298

Versi con enjambement 0/1/2 senza iato: 530; con iato 159; versi con enjambement 3/4 senza iato: 196; con iato: 45. C'è una possibilità su 40 che la differenza tra i due valori sia semplicemente casuale (in termini statistici, il c2 è 6.3872, in una tabella con un solo grado di libertà; per una introduzione a questi concetti statistici si veda ad es. Butler, Statistics, 112-123). 299 Nella Medea troviamo: versi con enjambement A/B/C senza iato: 525; con iato 114; versi con enjambement D/E senza iato: 161; con iato: 7. C'è meno di una possibilità su 1000 che la differenza tra i due valori sia semplicemente casuale (in termini statistici, il c2 è 19.5140). 300 Cfr. Wackernagel, Kleine Schriften II, 1175-1176; Nagy, Poetry, 125-132 e Nagy, Reading Greek Poetry, 20; West, Ilias I, XXI; Probert, Accentuation, 33-45. 301 Sul concetto di fonostile, cfr. Devine e Stephens, New Aspect, 51 e 61; Devine e Stephens, Language and Metre, 136; Cantilena, Ponte di Nicanore, 17. 302 Sullo stile di recitazione dell'ultimo Euripide cfr. Devine e Stephens, New Aspect, 51 e 61; Devine e Stephens, Language and Metre, 134-136. 303 Per gli iati all'interno di verso in Omero e in epica cfr. Monro, Grammar, 282-285, Chantraine, Phonétique et morphologie, 88-93, Koster, Traité, 42-44, Athanassakis, Hiatus, Wyatt, Hiatus, M. Campbell, Hiatus (anche su Omero). Non condivido affatto l'approccio di Fortassier, Hiatus: cfr. Wyatt, Hiatus, 24 e Wyatt, Rec. Fortassier. Gli 'allungamenti' di sillabe brevi seguite da pause non sono rari: vari vocativi terminano in sillabe brevi aperte, ma queste sillabe valgono come lunghe (e.g. Il. 4.155) perché il vocativo comporta di per sé la presenza di una pausa (Monro, Grammar, 285). Allo stesso modo iati e mancanze di abbreviamenti in iato sono frequenti prima e dopo vocativi e imperativi (Wyatt, Hiatus, 21-22) Alle cesure pentemimere e eftemimere troviamo esempi di iato e di sillabe brevi in luogo di lunghe. E' controverso se la cesura comportasse una pausa; contrario Fränkel, Esametro, 239-240, §§ 43-44. E' possibile che questi casi siano da spiegarsi geneticamente: Gentili e Giannini, Preistoria, 44-48. 304 Cantilena, Ponte di Nicanore, 18; Rossi, Metrica, 40 e 48 n. 111.

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34-35 toè gaèr h|rwikoèn stasimwétaton kaì o\gkwdeéstaton tw%n meétrwn e\stòn)305 mentre i giambi sono veloci (Arist. Po. 1460 a 1 kinhtikaé, Aristid. Quint. 2.15 [p. 83, ll. 2-5 WinningtonIngram]; Hor. Ars 251-252 iambus, / pes citus), più vicini al parlato, e perciò meno formali (Arist. Po. 1459 a 12, Rh. 1408 b 33-35)306. Inoltre l'esametro è un verso più lungo del trimetro giambico: Omero ha una media di 14.7 sillabe per verso307 mentre la tragedia, nel dramma che ha il maggior numero di soluzioni, arriva solo a una media di 12.5 sillabe per trimetro308. La minore lunghezza del trimetro giambico fa sì che le frasi, a parità di numero di sillabe, siano divise fra due versi più di quanto accada negli esametri. Inoltre nei versi 'corti' si deve evitare la monotonia di periodi brevi e paralleli, e perciò si ricorre più spesso all'enjambement. Infatti l'enjambement è più frequente nei trimetri (o senari) giambici di Menandro, Plauto e Terenzio che nei loro tetrametri (o settenari) giambici e trocaici 309. Quanto più l'enjambement è frequente, tanto più è evitato lo iato in enjambement: Sofocle ha la proporzione più alta di enjambement e l'avversione più marcata per gli iati in enjambement (vedi tavole 4-6). Ma perché la commedia tollera gli iati in enjambement? La compresenza di episinalefe310 e di un'alta frequenza di iati in enjambement comporta una irregolarità ritmica. In generale il metro della commedia tollera irregolarità ritmico-prosodiche in misura molto maggiore che la tragedia, e in misura maggiore ammette 'accelerazioni' e 'rallentamenti'. La commedia è più vicina all'irregolarità del parlato, e non a caso accoglie molti fenomeni metrici che la tragedia evita o limita fortemente in quanto turbano la regolarità ritmica: anapesti in sedi pari, anapesti strappati, split resolution311, e alcuni iati interni al verso che la tragedia esclude (o$ti, però, ou\deè eàv)312. 8.4 Iati in enjambement in Sofocle ed Eschilo Possiamo pensare che lo stile di recitazione di Eschilo fosse forse più vicino a quello dei cantori epici rispetto agli altri tragici; che fosse cioè uno stile di recitazione più formale e lento. In generale si può osservare che il trimetro di Eschilo era piuttosto rigido, e ammetteva poche soluzioni. I tipi di 305

Sul problema della velocità di recitazione dell'esametro si vedano anche le considerazioni di Rossi, Colon, 285-304. Rossi sotiene che i cola 'fränkeliani' dell'esametro avessero una recitazione particolarmente 'lenta' se brevi (e viceversa), in modo da ottenere una sostanziale isocronia dei cola in cui l'esametro era diviso. 306 Sull'ethos veloce del giambo nelle fonti antiche cfr. Rossi, Metrica, 89 con bibliografia; West, Music, 158 e nn. 76-77; Brink, Horace on Poetry, ad Hor. Ars 252. 307 Ricavata in base ai dati di La Roche (cfr. Jones e Gray, Hexameter Patterns); cfr. anche West, Metre, 37. 308 Il calcolo è basati sui dati di Cropp e Fick, Resolutions, 5 per l'Oreste: 1139 trimetri con 561 soluzioni. 309 Cfr. Dunkel, Orality: trimetri di Menandro: enj. 0/1/2: 59.7%; enj. 3/4: 40.3%; tetrametri giambici e trocaici di Menandro: enj. 0/1/2: 70.7; enj. 3/4: 29.3%. La spiegazione di Dunkel è completamente diversa dalla mia a testo. Dunkel ritiene che i versi lunghi siano più 'orali' in stile di quelli corti—una spiegazione che stride con la maggiore letterarietà dei versi lunghi plautini e terenziani (Dunkel, Orality, 209). I dati di Dunkel sono da prendere con una certa cautela. Nel campione di versi da lui esaminato, Dunkel non esclude i versi seguiti da cambio di interlocutore, e non controlla se il numero di cambi di interlocutore sia percentualmente comparabile tra trimetri e tetrametri, e tra un autore e l'altro. Questo porta ad alcuni giudizi discutibili. In base ai calcoli di Dunkel, Terenzio ha molti più versi senza enjambement (enjambement 0) di quanti se ne trovino nell'Iliade (Dunkel, Orality, 206)—ma questo è dovuto al fatto che in Terenzio si trovano molti dialoghi con battute brevi, non al fatto che Terenzio avesse uno stile più 'orale' di quello di Omero. 310 Cfr. Ar. Av. 1716, Ra. 298, Ec. 351, Dionysius I fr. 2.33 KA, Men. Perik. 350 (Descroix, Trimètre, 293; West, Metre, 90 n. 48): t}, d}, m}, tra sillabe lunghe. 311 Cfr. ad es. West, Metre, 88-90, Martinelli, Strumenti, 106-112. 312 Cfr. Descroix, Trimètre, 28 e Martinelli, Strumenti, 52.

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enjambement ammessi erano qualitativamente meno violenti. Tutti questi dati sono indizi di un fonostile elevato, cioè di uno stile di recitazione relativamente lento e solenne (cfr. forse anche Ar. Ra. 940). Il fonostile elevato portava Eschilo ad ammettere più iati tra versi di quanto facessero gli altri autori di tragedie a noi noti. E' noto invece che Sofocle tendeva a unire i trimetri fra di loro in maniera molto stretta, e che ammetteva particelle prepositive in fine di verso, o pospositive ad inizio di verso. Questo avveniva in maniera quantitativamente e qualitativamente superiore agli altri tragici: ad esempio Sofocle ammette alla fine di verso articoli (Ant. 409 etc.), preposizioni monosillabiche (e\n OC 495), e parole prepositive come kaò (Ant. 171 etc.). Inoltre Sofocle colloca ad inizio di verso parole pospositive come dh%ta (Ai. 986) e pot(e) (OT 1084-1085: ou\k a!n e\xeélqoim} e"ti / pot} a"llov, dopo una breuis in longo)313. Sofocle inoltre, solo fra i tragici, ammette l'episinalefe314. Inoltre si è visto che Sofocle ha una frequenza eccezionalmente alta di enjambement stretti, di tipo E (sezione 4), e proprio in questi enjambement lo iato è evitato con maggiore cura in tutti gli autori. Lo iato avrebbe portato a una interruzione del flusso ritmico dei versi che il poeta cercava di unire in maniera sempre più forte. 8.5 Iati in enjambement e sillabe brevi finali in Euripide Euripide ha un numero maggiore di iati in enjambement nella sua produzione più tarda. E' probabile che la relativa libertà del tardo Euripide nel trattamento degli iati non vada spiegata allo stesso modo che per Eschilo, per il quale abbiamo postulato un fonostile più solenne e più lento. L'evoluzione del trimetro euripideo spinge a ritenere il contrario, che cioè le opere più tarde avessero un fonostile meno formale delle prime315. Credo che per Euripide entri in gioco lo stesso fattore che contava per la commedia: la tolleranza di irregolarità nel fluire dei versi. Con il passare del tempo Euripide si avvicina sempre più alla libertà del metro della commedia, in particolare nel numero e nella tipologia delle soluzioni316. Allo stesso modo si comporta Euripide nei confronti dello iato tra versi in enjambement: all'inizio è rigido all'incirca quanto Sofocle nell'evitarlo, anche se, a differenza di Sofocle, non ammette l'episinalefe, né un numero particolarmente alto di enjambement di tipo E, né i casi più forti di enjambement E317. Nella evoluzione tarda del suo stile, sempre più propenso ad ammettere libertà e irregolarità nel fluire della metrica, gli iati in enjambement compaiono con frequenza maggiore, forse accompagnati da una realizzazione più 313

Per i dati cfr. Descroix, Trimètre, 291; West, Metre, 84; Martinelli, Strumenti, 96 (con bibliografia); alcuni accenni in Prato, Enjambement, 351-354. 314 Il caso di IT 962-963 è generalmente eliminato dagli studiosi, seguendo Bothe ed Elmsley. Sull'episinalefe cfr. sch. Il. 8.206-207a3 Erbse (con bibliografia); Körte, Episynaloiphe; Descroix, Trimètre, 292-293; Brožek, Observationes, 111-116; West, Metre, 33, 84, 90, 183 n. 67; Martinelli, Strumenti, 96; KA, nota a Men. fr. 305. L'episinalefe coinvolge quasi esclusivamente parole enclitiche (eccezioni: Soph. OT 332, OC 1164?, Call. Epigr. 41.1, e cfr. sotto, sezione 9.2) e può spiegarsi come una tendenza delle enclitiche a comportarsi talvolta come proclitiche, ma probabilmente testimonia anche una particolare coerenza prosodica tra i versi coinvolti, paragonabile alla coerenza che si ritrova alla cesura all'interno di verso. Cfr. Devine e Stephens, Prosody, 312 e Martinelli, Strumenti, 99 sulle enclitiche dopo cesura (e.g. Soph. OT 809). Si trova attestato anche il fenomeno simmetrico: proclitiche diventano ortotoniche (o enclitiche?) di fronte a cesura o ponte, ad es. in Eur. Hel. 1656 (cfr. invece Hel. 978): Devine e Stephens, Language and Metre, 136-137; 1994, 310; Descroix, Trimètre, 284-287. 315 Ad es. Devine e Stephens, Language and Metre, 112 and 134. 316 Per i dati cfr. Devine e Stephens, Language and Metre, 65-89, 95 , 122; per la valutazione della vicinanza con la commedia cfr. West, Metre, 88. 317 Per i dati si vedano Brožek, Observationes, 103-108 e Martinelli, Strumenti, 96-97, specie 97: ― come Eschilo [e a differenza di Sofocle, L.B.], Euripide non usa in fine di verso forme dell'articolo né la congiunzione kaò, ed inoltre non presenta pospositivi in inizio di verso‖.

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marcata della pausa. E' probabile che la stessa tolleranza di irregolarità ritmiche spieghi il numero più alto di sillabe brevi in enjambement (vedi sezione 6). 9. Considerazioni finali 9.1 Iati e pausa in fine di verso Perché alcuni autori erano sensibili agli iati in enjambement? In teoria la presenza di fine di verso dovrebbe annullare ogni influenza prosodica di ciò che segue. In realtà alcuni fenomeni prosodici sembrano aver avuto luogo anche attraverso la barriera della fine di verso. Bisogna considerare due aspetti. Uno è la durata fonetica della pausa che stabilisce il confine di verso: il valore metrico della pausa rimane anche se la concreta realizzazione fonetica è minima. La fine di verso non comportava una pausa prosodica particolarmente diversa da quella richiesta dal fluire della sintassi: sintagmi strettamente connessi sintatticamente richiedevano una pausa minore di quella altrimenti realizzata in fine di verso. Si ricordi che una pausa anche minima c'è sempre quando c'è fine di parola metrica. Una pausa così ridotta però comportava che lo iato potesse essere avvertito, e venisse istintivamente limitato. L'altro aspetto è quello percettivo. Quando la pausa che seguiva fine di parola arrivava alla fine di una serie ritmica ripetuta regolarmente (versi stichici), tale pausa delimitava una unità ritmica percepita come conclusa. Così pure la sillabe brevi finali venivano ridotte in numero perché non abbastanza prominenti ritmicamente. In ogni caso questi risultati su iato e sillabe brevi finali ci fanno vedere che la fine di verso, almeno a livello di strategia compositiva dell'autore, e forse anche a livello di recitazione, non impediva completamente che ciò che seguiva esercitasse una sua azione prosodica: pur non portando, se non rarissimamente, all'elisione, lo iato tra versi disturbava, obbligando a sentire uno scontro di vocali o a inserire una pausa incongrua per essere attutito. 9.2 Accenti e parole proclitiche alla fine del verso West318 sostiene, seguendo Wilamowitz, che gli accenti in fine di verso non diventavano gravi anche se il periodo sintattico continuava al verso successivo; ammette però che l'accento veniva probabilmente influenzato dal verso successivo nel caso di proclitiche a fine verso, che andrebbero quindi accentate con l'accento grave (ad es. Ae. Eu. 238). Ci sono due possibilità: o riteniamo che tutte le proclitiche in fine verso fossero ortotoniche oppure neghiamo la necessità di una pausa prosodica effettivamente percepibile. Lo stesso problema si ha quando una enclitica viene posta all'inizio di verso: Soph. OT 1084-1085 ou\k a!n e\xeélqoim} e"ti / pot} a"llov. La parola enclitica poteva diventare occasionalmente proclitica (Devine e Stephens, Prosody, 367 per casi simili alla cesura) oppure alla fine di verso era possibile mantenere la struttura d'accento enclitica che si sarebbe avuta normalmente. Lo stesso problema si ha nei casi in cui Sofocle e la commedia ammettono l'elisione tra versi (episinalefe). L'episinalefe poteva essere connessa con un cambiamento dello statuto prosodico delle enclitiche elise, ma questa spiegazione non funziona quando la parola coinvolta non è clitica: tau%t} OT 332 e forse moloént} OC 1164; Call. Epigr. 41.1 Pfeiffer ou\k oùd} / ei"t(e), tra esametro e pentametro319. Anche se non abbiamo abbastanza dati per decidere la questione è possibile che almeno in alcuni casi la fine di verso non comportasse un blocco dei fenomeni di sandhi che riguardano l'accento melodico. Questo che sembrerebbe confermare l'esistenza di una sinafia limitata ad alcuni fenomeni prosodici, almeno in alcuni casi. Un problema di sinafia riguarda Eur. fr. 494.19-20 tau%t} e\n a\ndraésin meèn ou\ / o$sia, dove eu / iera del papiro è stato corretto in ou\ / o$sia da Wilamowitz (seguito da Kannicht, TrGF 5) e in ou\c \ / o$sia da Page (seguito da Diggle, TGFS, 125 e da van Looy in Jouan e van Looy, Fragments 2, Mélanippe fr. 14). La congettura ou\c si basa sul presupposto che la sinafia prosodica non venisse 318

West, Aeschyli Tragoediae, XXXI. West rimanda anche alle proprie considerazioni sulla pratica di Nonno (West, Rec. Chrétien, 211), ma questo non è rilevante per Eschilo. 319 Si veda anche Page, Epigrams, 188, versi 684-685 ('Simon.' epigr. I, 1-2): h|nòk} }Aristo/geòtwn e gli esempi citati da Page in nota.

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interrotta dalla fine di verso320. La paradosis suggerisce che gli editori antichi leggessero ou\, ma i dati sullo iato in enjambement sembrano sostenere la bontà della congettura di Page. 9.3 La sinafia prosodica limitata In un importante articolo del 1978, Rossi ha sostenuto la necessità teorica di distinguere diversi tipi di sinafia. Rossi distingueva la sinafia verbale, ritmico-prosodica e ritmica, a seconda che la fine di colon non sia accompagnata da fine di parola, o che lo sia e la sillaba finale debba essere modificata dalla parola del colon seguente, o che infine la sillaba finale non abbia necessità di essere modificata dalla parola seguente321. Ora, sulla base di quello che si è osservato per gli enjambement in iato, si può pensare che alcuni fenomeni prosodici agissero nonostante tutti questi tre tipi di sinafia siano bloccati. In particolare: a) l'accento melodico in fine di verso era influenzato dal verso successivo, almeno in alcuni casi; b) parole proclitiche sono ammesse in fine verso, e enclitiche all'inizio di verso; c) l'elisione, quasi sempre di parole enclitiche (forse connessa con un cambiamento del loro statuto prosodico), viene ammessa tra un verso e l'altro; d) lo iato in enjambement viene limitato; e) sillabe brevi finali in enjambement vengono limitate. Restano margini di incertezza su a), ed è possibile pensare a diverse interpretazioni per b), ma ritengo probabile che i cinque fenomeni elencati vadano considerati insieme, e che si possa trovare la stessa spiegazione. Si può parlare per questi fenomeni di una 'limitata sinafia prosodica', limitata nel senso che agisce solo per alcuni fenomeni, solo su una percentuale ridotta di versi, e spesso solo come pressione ad evitare un fenomeno, non a bloccarlo totalmente. Il confine di verso e il blocco della sinafia impedivano elisioni e ridivisioni in sillabe, e rendevano possibili gli iati, ma lasciavano comunque che in alcuni casi l'inizio del verso seguente venisse percepito anche a livello prosodico. Solo la tragedia classica sembra ammettere tutte e cinque queste possibilità, con Sofocle ed Euripide. La commedia ha a), b) e c). Queste scelte dipendono dallo stile di recitazione, dalla natura del metro scelto, e dalla maggiore o minore tolleranza di irregolarità. Di questi fenomeni solo a) può forse riguardare la maggioranza dei versi, cioè tutti quelli senza interpunzione, ma è possibile che riguardi solo quelli del caso b). I fenomeni d) ed e) riguardano una percentuale considerevole di versi, come si è visto (il 25% circa di versi in Euripide), mentre b) e c) riguardano percentuali bassissime di versi. E' importante sottolineare che i dati qui raccolti per fenomeni di limitata sinafia prosodica riguardano unicamente i versi stichici, e che, se queste considerazioni sono valide, sono però necessarie altre ricerche per asserire o smentire la loro validità per i versi non stichici322. 9.6 Conclusioni Precisando i criteri stabiliti da Stinton, e differenziando diversi tipi di enjambement, emerge una chiara progressione nella frequenza degli iati tra versi. Eschilo è l'autore di tragedie che più spesso li ammette, in media; il Prometeo sembra essere particolarmente vicino alle (altre) tragedie di Eschilo. Uno stile di recitazione più formale e lento permette di tollerare meglio la presenza di iati. 320

Il c di ou\c avrebbe dovuto essere scritto all'inizio del rigo seguente, secondo le convenzioni antiche (cfr. ad es. Phld. Mus. IV, col. IV 23-24 ou\|c u|poé e col. V 33-45 ou\|c a$pasin: Neubecker, Über die Musik, 42 e 43). 321 Cfr. Rossi, Sinafia, 803. 322 Si noti che l'episinalefe è ammessa anche all'interno della strofe saffica (Sapph. 31.9-10 Voigt, leépton / d} au"tika crw%i pu%r), ma tra il primo e il secondo verso, che sono identici. E' ammessa anche nel distico elegiaco tra esametro e pentametro (vedi sopra, sez. 9.2). Si tratta di un caso in cui lo stesso schema ritmico viene ripetuto, anche se con una coda clausulare (la seconda parte del pentametro).

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Sofocle era particolarmente rigoroso nell'evitare gli iati in enjambement perché legava più strettamente i versi tra di loro, fino ad ammettere l'episinalefe. Euripide limita gli iati in enjambement, ma lega tra loro i versi meno strettamente di Sofocle. In alcune tragedie Euripide limita anche i casi di sillabe brevi finali quando i versi sono strettamente legati. C'è una tendenza in Sofocle, e una ancora più marcata in Euripide, ad ammettere più iati con il passare del tempo. Da un punto di vista teorico si deve osservare che il blocco della sinafia coincidente con la fine di verso ammette però nei versi stichici una 'limitata sinafia prosodica' che in alcuni gruppi di versi influisce su alcuni fenomeni prosodici, a seconda dei generi letterari e dei metri.

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APPENDICE: TAVOLE STATISTICHE TAVOLA 1

Iati e enjambement in commedia e tragedia

Ae. Soph. Eur. Totale

Versi iati nei % iati versi in iati nei % iati in senza enj. versi senza enj. enj. stretto versi con enj. stretto stretto senza enj. stretto enj. stretto stretto 3109 583 19% 1085 139 13% 5650 1177 21% 2122 125 6% 3996 707 18% 1143 79 7% 12755 2467 19% 4350 343 8%

Ar.

1974

476

24%

282

74

26%

I dati sono basati sulla tavola di Stinton, Papers, 367. Per Euripide Stinton prende in considerazione Medea, Eraclidi, Andromaca, Ione e Elena; per Aristofane, Acarnesi, Cavalieri e Nuvole. Su alcune imprecisioni nei dati di Stinton si vedano i commenti alle tavole 2 e 4b.

TAVOLA 2

I calcoli di Stinton

4 Trimetri liberi

5 7 iati in trimetri trimetri senza liberi pausa

9 col. 7 come % di col. 4

Pr.

611

74

251

10 12 iati in col. 10 trimetri come % di senza col. 5 pausa 41, 1% 38 51, 4%

Med. Heracl. Andr. Ion Hel.

842 707 789 632 599

115 98 99 107 143

206 230 238 250 219

24, 5% 32, 5% 30, 2% 39, 6% 36, 6%

7 13 7 16 36

6, 61% 13, 3% 7, 1% 15, 0% 25, 2%

13 col. 12 come % di col. 9 125, 0% 24, 9% 40, 9% 23, 5% 37, 9% 68, 9%

Ho riportato solo parte della tavola di Stinton, Papers, 397. Si noti che ci sono alcune imprecisioni nei suoi calcoli: nel Prometeo i trimetri liberi sono 595, e quindi la col. 9 dovrebbe avere il valore 42.2%, e la col. 13 quello di 121.8% (vedi sopra, nota 48); nell'Elena i trimetri liberi, nell'edizione Murray, sono, secondo i miei calcoli, ben 840, non 599 come affermato da Stinton, e quindi la col. 9 dovrebbe avere il valore 26.1%, e la col. 13 quello di 96.6%.

TAVOLA 3

Enjambement nella Medea versi

iati

percentuale

Cambio di battuta A B C D E

183

34

percentuale arrotondata 18.57% 19%

333 183 123 133 35

71 32 11 6 1

21.32% 17.49% 8.94% 4.51% 2.94%

21% 17% 9% 5% 3%

DE

168

7

4.16%

4%

L. Battezzato, Linguistica e retorica

Totale

990

TAVOLA 4

Ch. Pr. Trach. Phil.

103

19/01/12

155

15.56%

16%

Frequenza dei diversi tipi di enjambement in tragedia

Trimetri Enj. D Enj. D Enj. E Enj. E % Enj. liberi % D+E % 455 74 16% 33 7% 24% 595 171 29% 68 11% 40% 760 764

158 157

21% 21%

112 91

15% 12%

36% 32%

550 807 703 739 768 682 670 642 771 668 723 625 760 617 691 691 278 11385

90 133 151 124 142 113 163 123 146 123 132 140 182 127 133 117 53 2192

16% 16% 21% 17% 18% 17% 24% 19% 19% 18% 18% 22% 24% 21% 19% 17% 19% 19.3%

44 35 39 35 49 29 27 42 34 36 52 47 49 19 30 49 13 629

8% 4% 6% 5% 6% 4% 4% 7% 4% 5% 7% 8% 6% 3% 4% 7% 5% 5.5%

24% 21% 27% 22% 25% 21% 28% 26% 23% 24% 25% 30% 30% 24% 23% 24% 24% 24.8%

Cyc.

369

80

22%

22

6%

28%

Rh.

632

122

19%

35

6%

25%

Ezechiel

245

56

23%

7

3%

26%

Alc. Med. Heracl. Hipp. Andr. Hec. Supp. El. HF Tro. IT Ion Hel. Pho. Or. Ba. IA Euripide

Tavola 4b

Pers. Sept. Ag. Ch. Eu.

Trimetri in enjambement secondo Stinton trimetri enjambement percentuale liberi 390 146 37% 401 107 27% 718 226 31% 442 107 24% 500 139 28%

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104

19/01/12

Supp. Ae. (senza Pr.) Pr. Ae. (con Pr.)

331 2782 611 3393

109 834 251 1085

33% 30% 41% 32%

Trach. Ant. Aiax OT El. OC Phil. Soph.

792 672 771 801 822 1066 775 5699

291 244 237 371 318 386 275 2122

37% 36% 31% 46% 39% 36% 35% 37%

Med. Heracl. Andr. Ion Hel. Eur.

842 707 789 632 599 3569

206 230 238 250 219 1143

24% 33% 30% 40% 37% 32%

Si noti che il numero di trimetri liberi calcolato da Stinton per l'Elena (599) è di molto inferiore a quello effettivo (840 nell'edizione di Murray); la percentuale risulterebbe assai inferiore (26%).

TAVOLA 5

Enjambement e iato in tragedia

Enj. D

Iato in % di Enj. E enj. D iati in D

Iato in % di % di enj. E iati in E iati in D +E 33 2 6% 11% 68 12 18% 15%

Ch. Pr.

74 171

10 23

14% 13%

Trach. Phil.

158 157

3 16

2% 10%

112 91

3 5

3% 5%

2% 8%

Alc. Med. Heracl. Hipp. Andr. Hec. Supp. El. HF Tro. IT Ion Hel.

90 133 151 124 142 113 163 123 146 123 132 140 182

4 6 10 11 7 5 16 16 7 10 15 10 33

4% 5% 7% 9% 5% 4% 10% 13% 5% 8% 11% 7% 18%

44 35 39 35 49 29 27 42 34 36 52 47 49

2 1 4 1 1 0 1 1 3 2 3 2 2

5% 3% 10% 3% 2% 0% 4% 2% 9% 6% 6% 4% 4%

4% 4% 7% 8% 4% 4% 9% 10% 6% 8% 10% 6% 15%

L. Battezzato, Linguistica e retorica

Pho. Pho.* Or. Ba. IA** IA***

105

19/01/12

127 173 133 117 53 88

7 13 13 11 4 5

6% 8% 10% 9% 8% 6%

19 28 30 49 13 17

1 1 0 3 0 0

5% 4% 0% 6% 0% 0%

5% 7% 18% 8% 6% 5%

2192

185

8.44%

629

27

4.29%

7.52%

Cyc.

80

4

5%

22

5

23%

9%

Rh.

122

9

7%

35

0

0%

6%

56

12

21%

7

0

0%

19%

Eur.***

Ezechie l

Pho.*: si sono aggiunti i versi non considerati spurii da Mastronarde IA**: ho incluso i versi che Diggle, Euripidis Fabulae III, considera 'fortasse Euripidei' e 'fortasse non Euripidei', escludendo i versi che Diggle considera 'uix Euripidei' e 'non Euripidei'. IA***: ai versi di IA** si sono aggiunti i versi non considerati spurii da Stockert, Iphigenie in Aulis. Per il totale dei versi euripidei (Eur.) non si sono contati i dati di Pho.* e IA***.

TAVOLA 6

Enjambement e iati in tragedia secondo Stinton

Pers. Sept. Ag. Ch. Eu. Supp. Pr.

enjambement iato in enj. percentuale 146 17 12% 107 13 12% 226 28 12% 107 13 12% 139 17 12% 109 13 12% 251 38 15%

Trach. Ant. Aiax OT El. OC Phil.

291 244 237 371 318 386 275

7 11 11 24 19 29 24

2% 5% 5% 6% 6% 8% 9%

Med. Heracl. Andr. Ion Hel.

206 230 238 250 219

7 13 7 16 36

3% 6% 3% 6% 16%

I dati sono tratti da Stinton, Papers, 367.

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19/01/12

Enjambement e brevis in longo nella Medea

TAVOLA 7

versi

v± /v

%

V± /c % v

v± c/ v

%

v± /c % v + v± c/ v

v± c/ c

%

Cambio di battuta ABC DE

183

16

9%

21

11%

17

9%

38

21%

18

10%

639 168

47 4

7% 2%

65 12

10% 7%

63 1

10% 1%

128 13

20% 8%

103 35

16% 21%

Totale

990

67

7%

98

10%

81

8%

179

18%

156

16%

TAVOLA 8

Enjambement e brevis in longo in tragedia

Ch. Pr.

348 356

59 72

17% 20%

107 239

21 40

ABC iati + breues % 20% 33% 17% 37%

Trach. Phil.

490 516

95 91

19% 18%

270 248

46 45

17% 18%

37% 35%

19% 21%

Med. Andr. Supp. HF Or. Ba.

639 577 480 591 528 525

128 97 98 126 108 107

20% 17% 20% 21% 20% 20%

168 191 190 180 163 166

13 13 25 29 18 33

8% 7% 13% 16% 11% 20%

38% 31% 41% 40% 43% 34%

12% 11% 22% 22% 19% 28%

Cyc.

267

49

18%

102

14

14%

42%

23%

Rh.

475

51

11%

157

15

10%

28%

15%

TAVOLA 8b

Tipi di sillabe brevi finali in Medea, Eracle, Supplici e Reso

versi

ABC v± /cv + % v± c/v

versi Med. Supp. HF

v± /c v 639 65 480 54 591 47

Rh.

475

25

versi

DE v± /cv + % v± c/v

ABC %

v± c/ % versi v± /c v v 10% 63 10% 168 12 11% 44 9% 190 15 8% 80 14% 180 21 5%

26

5%

157

5

DE iati + breues % 31% 32%

DE %

v± c/ % v 7% 1 1% 8% 10 5% 12% 8 4% 3%

10

6%

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TAVOLA 9

Enjambement e iati nel Prometeo versi

Cambio di interlocutore Enjambement ABC Enjambement DE Totale TAVOLA 10

107

19/01/12

iati

percentuale

170

32

356 239 765

59 35 126

percentuale arrotondata 18.82% 19% 16.57% 14.64% 16.47%

17% 15% 16%

Enjambement e iati negli Inni di Callimaco versi iati totali

Inni I-IV, VI

930

% iati enj. iati % iati in enj. iati % iati in % iati in in enj. 3 in enj. 3 4 in enj. 4 enj. 3 + 0+1+2 enj.3 enj.4 4 204 24% 196 32 16% 45 7 16% 16%

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BIBLIOGRAFIA

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ABBREVIAZIONI Per gli autori greci si seguono le indicazioni di LSJ con le seguenti eccezioni: Ae. = Eschilo (Ag. = Agememnon), Eur. = Euripide (Tro. = Troades, Pho. =Phoenissae), Soph. = Sofocle (Ai. = Aiax, Phil. = Philoctetes, Trach. = Trachiniae), Thuc. = Thucydides. Per gli autori latini si è seguito lo Oxford Latin Dictionary. Per gli scolii si fa riferimento in particolare alle seguenti edizioni (citate ad es. sch. Eur. Med. 1 Schwartz): sch. Ar. Rutherford =W. G. Rutherford, Scholia Aristophanica… in the codex Ravennas, London 1896 sch. Eur. Dindorf = Scholia Graeca in Euripidis Tragoedias, […] edidit G. Dindorfius, Oxonii 1863 sch. Eur. Schwartz = Scholia in Euripidem, […] edidit E. Schwartz, Berolini 1887-1891 sch. Il. Erbse = Scholia graeca in Homeri Iliadem, edidit H. Erbse, Berolini 1969-1988 sch. Il. Nicole = Les scolies genevoises de l'Iliade, publiées … par J. Nicole, avec une introduction par H. Erbse (Hildesheim 1966) [Genf-Basel 1891] sch. Od. Dindorf = Scholia Graeca in Homeri Odysseam, edidit G. Dindorfius, Oxonii 1855 sch. Od. Ludwich = A. Ludwich, Scholia in Homeri Odysseae A 1-309 auctiora et emendatiora, praefatiunculam […] adiecit H. Erbse, Königsberg 1888-1890 [Hildesheim 1966]. I frammenti di Euripide si intendono citati secondo Kannicht, TrGF 5, salvo diversa indicazione. Lo stesso vale per quelli di Eschilo e Sofocle (citati rispettivamente secondo Radt, TrGF 3 e Radt, TrGF 4). Le indicazioni papirologiche sono state in alcuni casi semplificate: si invita il lettore a consultare l‘edizione critica di riferimento per i dettagli. Per le riviste si seguono le abbreviazioni dell'«Année Philologique» (cfr. tome LXXV, bibliographie de l‟année 2004, Paris, Les Belles Lettres 2004, e annate precedenti). Le riviste non comprese nell‘«Année Philologique» vengono citate per esteso BIBLIOGRAFIA Adkins, Craft = A. W. H. Adkins, Poetic Craft in the Early Greek Elegists, Chicago and London 1985. Allen, Accent = W. S. Allen, Accent and Rhythm: Prosodic Features of Latin and Greek, Cambridge 1973. Allen, Homer = T. W. Allen, Homer: The Origins and the Transmission, Oxford 1924. Ameis e Hentze, Anhang = K. F. Ameis-C. Hentze, Anhang zu Homers Odyssee. Schulausgabe, Leipzig 1879. Andorno, Linguistica = C. Andorno, Linguistica testuale, Roma 2003. Arend, Scenen = W. Arend, Die typischen Scenen bei Homer, Diss. Marburg 1933. Arnim, SVF = H. von Arnim, Stoicorum Veterum Fragmenta, Lipsiae 1903-1905. Asheri, Erodoto III = Erodoto, Le storie. Volume III. Libro III. La Persia, introduzione e commento di D. Asheri, testo critico di S. M. Medaglia, traduzione di A. Fraschetti, Milano 1990. Athanassakis, Hiatus = A. Athanassakis, Hiatus, Word End, and Correption in Hesiod, «Hermes» 98 (1970) 129-145. Austin, Language Crafter = T. R. Austin, Language Crafter. A Linguistic Theory of Poetic Syntax, Bloomington 1984.

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INDICE INTRODUZIONE 1. Linguistica, poetica, filologia 2. Allusione, retorica, pragmatica CAPITOLO 1 EDIPO E OMERO 1. Il linguaggio poetico: complessità e controllo politico 2. Gli oracoli 3. Il padre di Edipo 4. La madre di Edipo 5. Creonte CAPITOLO 2 LINGUISTICA E FIGURE RETORICHE:

HYSTERON PROTERON E PLEONASMO DA OMERO A SOFOCLE

1. Problemi linguistici dell'hysteron proteron: lingue antiche e moderne 2. Esiste un ordine naturale dei pensieri? 3. Congiunzioni e simmentria 4. Definizione dell'hysteron proteron 5. Condizioni linguistiche per l'hysteron proteron: congiunzioni coordinanti e subordinazione logica 6. Tipologie della relazione semantica tra i verbi in hysteron proteron: esempi da Omero e Sofocle 7. Rapporto dell'hysteron proteron con il contesto 8.1 Il tempo in Omero: l'inversione della successione cronologica nella sequenza "scena generaleparticolari" 8.2 Il tempo in Omero: azioni simultanee e il piucheperfetto 9. La paratassi: stile o lingua? 10. Alcuni esempi sofoclei 11. Virgilio: l'hysteron proteron da lingua a stile Appendici 1. Termini tecnici retorici per "hysteron proteron" 2. Spiegazioni per l'hysteron proteron 3. Catalogo degli esempi di hysteron proteron CAPITOLO 3 LA RETORICA DEI SUPERLATIVI 1. Il regno del nomos 2. Il superlativo retorico 3. Linguistica del superlativo 4. Il migliore degli Achei 5. Il peggiore degli dei 6. Retorica e filosofia 7. I presupposti dei superlativi 8. Enigmi 9. Uso filosofico del superlativo retorico 10. Augenblicksgötter 11. Padri e madri nel superlativo retorico 12. Uso comico del superlativo retorico 13. Superlativi aggettivali 14. Psogos e superlativo retorico

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15. Il nomos basileus 16. Contraddizione e complessità 17. "Re" e "regine" nei superlativi retorici greci: un catalogo CAPITOLO 4 PRAGMATICA E RETORICA DELLE FRASI INTERROGATIVE IN EURIPIDE 1. Un passo dell‘Andromeda di Euripide 2. Il personaggio e la scena 3. Interrogativi e indefiniti 4. Da indefinito a interrogativo 5. La posposizione dell‘aggettivo interrogativo 6. Topic e focus 7. Topic, focus e posizione di aggettivi, pronomi e avverbi interrogativi 8. Alcuni esempi di posposizione 9. Focus 10. 'Posposizione' 11. Paralleli scenici 12. Il testo di Eur. fr. 125 CAPITOLO 5 ENJAMBEMENT, IATI E STILE DI RECITAZIONE NELLA TRAGEDIA GRECA 1. Introduzione 1.1 Fine di verso e iato 1.2 Tragedia e commedia 2. Gli studi di Stinton 3. Criteri per individuare l'enjambement 3.1 I criteri di Stinton 3.2 Il problema dell'iperbato 3.3 Criteri per individuare l'enjambement: gli studi sull'epica 3.4 Unità prosodico-sintattiche e unità di senso 3.5 Nuova classificazione degli enjambement. 3.6 Verifica dei nuovi criteri e considerazioni finali 4. L'evoluzione dell'enjambement in tragedia 5. Enjambement e iato interlineare in tragedia 5.1 Dati 5.2 Considerazioni cronologiche 6. Sillabe brevi finali e enjambement 7. Osservazioni su tragedie specifiche 7.1 Eschilo e il Prometeo 7.2 Sofocle: le Trachinie 7.3 Euripide: il Ciclope 7.4 Il Reso 8.Spiegazione prosodica 8.1 La tragedia e gli altri generi letterari 8.2 Omero e Callimaco 8.3 I fonostili di epica, tragedia e commedia 8.4 Iati in enjambement in Sofocle ed Eschilo 8.5 Iati in enjambement e sillabe brevi finali in Euripide 9. Considerazioni finali 9.1 Iati e pausa in fine di verso 9.2 Accenti e parole proclitiche alla fine del verso

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9.3 La sinafia prosodica limitata Appendice: tavole statistiche Indice dei passi discussi [Indice delle cose notevoli ?]

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