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Italian Pages 376 [356] Year 2012
Testatina
COLLANA DI TEOLOGIA diretta da Piero Coda 72 Viviana De Marco
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L’ESPERIENZA DI DIO NELL’UNITÀ
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a mio padre
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Viviana De Marco
L’ESPERIENZA DI DIO NELL’UNITÀ il pensiero filosofico, teologico ed estetico di Klaus Hemmerle
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Testatina
© 2012, Città Nuova Editrice Via Pieve Torina, 55 - 00156 Roma tel. 063216212 - e-mail: [email protected] Con approvazione ecclesiastica ISBN 978-88-311-3377-7 Finito di stampare nel mese di marzo 2012 dalla tipografia Città Nuova della P.A.M.O.M. Via Pieve Torina, 55 00156 Roma - tel. 066530467 e-mail: [email protected]
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Abbreviazioni e sigle
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Sigle
AAS AS AZ BA BH BK BR DG DN EE EV FB GD GE GW GZ H HS
Acta Apostolicae Sedis, Roma 1909K. HEMMERLE, Ausgewählte Schriften, Freiburg 1996, 5 voll. K. HEMMERLE, Anfang bei der Zukunft, Anfang beim Vater, in AS II, pp. 238-257. K. HEMMERLE, Bonaventura und der Ansatz theologischen Denkens, in AS II, pp. 164-175. K. HEMMERLE - B. CASPER - P. HÜNERMANN, Besinnung auf das Heilige, Freiburg 1966. K. HEMMERLE, Botschaft. Kirchenbau, in AS V, pp. 267-280. K. HEMMERLE, Besprechung H.Rombach, Strukturontologie, Freiburg 1971, in AS I, pp. 416-432. K. HEMMERLE, Der Gekreuzigte, in AS V, pp. 374-380. K. HEMMERLE, Das Neue ist älter. Hans Urs von Balthasar und die Orientierung der Theologie, in AS II, pp. 201-223. Enchiridion delle Encicliche, Bologna 1994Enchiridion Vaticanum, Bologna 1966K. HEMMERLE, Franz von Baaders Weg philosophischer Gotteserkenntnis, in AS I, pp. 58-92. K. HEMMERLE, Gott und das Denken nach Schellings Spätphilosophie, in AS I, pp. 192-201. K. HEMMERLE, Gestalt als Zeugnis: zu Beethovens letztem Klavierstück, in AS II, pp. 258-279. K. HEMMERLE, Glauben wie geht das?Wege zur Mitte des Evangeliums, Freiburg 1978. K. HEMMERLE, Gottes Zeit - unsere Zeit. Gedanken für jeden Tag, München 1994. Pubblicazioni di Hemmerle citate da Schriftenverzeichnis Bischof Dr. Klaus Hemmerle, (1955-1994), Aachen 1995. K. HEMMERLE, Das Heilige und das Schöne, in AS V, pp. 257-266. 5
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Sigle
HZ IG LE LI LThK OI PG PH
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TF TK TN TT UE UL VAS VT WD WE WG
K. HEMMERLE, Der Himmel ist zwischen uns, München 1977. K. HEMMERLE, Die Ironie Gottes, in AS V, pp. 18-26. K. HEMMERLE, Leben aus der Einheit, Freiburg 1995. K. HEMMERLE, Linien des Lebens, München 1996. Lexikon für Theologie und Kirche. K. HEMMERLE, Oikonomia, in AS V, pp. 281-287. K. HEMMERLE, Pilgerndes Gottesvolk, geeintes Gottesvolk, in AS V, pp. 85-103. K. HEMMERLE, Eine Phänomenologie des Glaubens, in AS I, pp. 476-497. K. HEMMERLE, Theologie in Fragmenten. Franz von Baader, in AS I, pp. 204-220. K. HEMMERLE, Trinität und Kirche, in AS V, pp. 72-84. K. HEMMERLE, Theologie als Nachfolge. Bonaventura, ein Weg für heute, Freiburg 1975. K. HEMMERLE, Thesen zu einer trinitarischen Ontologie, in AS II, pp. 124-161. K. HEMMERLE, Das unterscheidend Eine, in AS II, pp. 333-353. K. HEMMERLE, Unser Lebensraum - der Dreifaltige Gott, in AS V, pp. 296-305. Classificazione delle opere di Hemmerle secondo AS V. K. HEMMERLE, Vorspiel zur Theologie. Einübungen, Freiburg 1976. K. HEMMERLE, Weite des Denkens im Glauben- Weite des Glaubens im Denken, in AS II, pp. 354-370. K. HEMMERLE, Wegmarken der Einheit, München 1982. K. HEMMERLE, Wie Glauben im Leben geht, München 1995.
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Un breve profilo biografico
Klaus Hemmerle (1929-1994), teologo, filosofo, artista, vescovo, è una personalità di grande statura umana, spirituale, intellettuale. Nato a Freiburg im Breisgau in una famiglia profondamente religiosa con particolare vocazione per l’arte e per la musica, studia filosofia e teologia presso la Ludwigs-Albert Universität dal 1947 al 1951. Tra i suoi maestri assumono rilievo gli esegeti Alfons Deissler e Anton Vögtle. Fondamentale per la formazione filosofica e per il tema dell’esperienza di Dio è Bernhard Welte, professore di filosofia della religione. Importante punto di riferimento nel periodo dell’ordinazione sacerdotale nel 1952 è Rudolf Herrmann: grazie a lui Hemmerle intensifica la vita spirituale ed entra in contatto nel 1958 con il Movimento dei Focolari. Nel 1957 consegue il dottorato con una tesi su Il pensiero filosofico di Franz von Baader sulla creazione; nel 1967 consegue l’abilitazione con un lavoro su Dio e il pensiero secondo la filosofia dell’ultimo Schelling. In questo periodo Hemmerle vive una feconda esperienza di ricerche comuni con Bernhard Casper e Peter Hünermann: nascono Besinnung auf das Heilige (1966), opera in cui Hemmerle propone un contributo significativo sulla fenomenologia del sacro, e il saggio Theologie als Wissenschaft (1970). Nel 1956 gli viene affidato l’incarico di fondare e dirigere l’Accademia Cattolica di Freiburg, mentre nel 1968 è nominato assistente spirituale nel Comitato centrale dei cattolici tedeschi. Hemmerle inizia la docenza universitaria nell’Università di Freiburg nel 1967, nel 1969 insegna a Bonn e dal 1970 al 1973 a Bochum. Nel 1973 è nominato successore di B. Welte sulla cattedra di filosofia della religione a Freiburg. In questi anni la sua riflessione si concentra sulla teologia fondamentale: scrive un importante studio su Bonaventura, Theologie als Nachfolge. Bonaventura, ein Weg für heute (1975), un originale saggio sul gioco come preludio alla teologia, 7 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.
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Un breve profilo biografico
Vorspiel zur Theologie (1976), a cui segue il saggio teologico Glauben: wie geht das? (1978). Nel 1976 nasce il capolavoro filosofico Thesen zu einer trinitarischen Ontologie, dove Hemmerle esprime un pensiero maturo, innovativo e originale. Nel 1975 Hemmerle diventa vescovo di Aachen. Da questo momento lascia l’attività accademica pur restando legato alla Facoltà di Freiburg come professore onorario. Continua l’attività di ricerca a livello filosofico e teologico dando vita a un migliaio di pubblicazioni raccolte in gran parte nei cinque volumi degli Ausgewählte Schriften. Si dedica intensamente all’attività richiesta dal ministero episcopale. Un’attività su più fronti: sul fronte pastorale, con particolare impegno nei confronti dei giovani, dei lavoratori e in ambito sociale; sul fronte ecclesiologico, con i contributi offerti in diversi Sinodi dei vescovi1 e con alcune riflessioni che sono state un prezioso apporto alla stesura di alcuni documenti magisteriali ed ecclesiali2, tra cui la Christifideles laici. Molto importante è l’impegno sul fronte ecumenico: accogliendo un desiderio di Giovanni Paolo II, Hemmerle si fa promotore di convegni ecumenici e dell’attuazione di un’originale realtà di comunione tra vescovi cattolici e delle diverse Chiese3 che assume particolare rilievo per la sua vita e per il suo ministero episcopale. Sono convegni in cui si approfondisce la spiritualità dell’unità e si vive un’intensa esperienza di reciprocità e condivisione. Di notevole rilevanza sono gli interventi di Hemmerle alle scuole ecumeniche e ai convegni internazionali. Nel 1988 è insignito del dottorato in filosofia honoris causa nella Rheinisch-Westfälische Teehnische Hochschule di Achen. La riflessione filosofica e teologica dell’Autore degli anni Novanta risulta particolarmente originale grazie all’esperienza vissuta alla Scuola Abbà, un centro di studi interdisciplinari 1 Oltre all’impegno nella Conferenza Episcopale Tedesca, è importante l’apporto al Sinodo straordinario dei vescovi del 1985, al Sinodo del 1987 sulla vocazione e missione dei laici, al Consiglio del Segreteriato Generale dei Sinodi romani dal 1987 al 1990, al Sinodo del 1990 sulla formazione dei sacerdoti. 2 Cf. Mysterium, communio, missio, per il Sinodo dei vescovi del 1987; i contributi all’ecclesiologia della Christifideles laici; i contributi al Comitato Centrale dei Cattolici Tedeschi e l’attività nella Conferenza Episcopale Tedesca. 3 Per approfondimenti sulla vita, sull’esperienza spirituale e pastorale di Klaus Hemmerle, e sulle forme di vita di comunione da lui attuate tra vescovi a livello ecumenico, si rimanda all’opera di W. Hagemann, una solida biografia completa di testimonianze e documenti: W. HAGEMANN, Verliebt in Gottes Wort. Leben, Denken und Wirken von Klaus Hemmerle, Bischof von Aachen, Würzburg 2008, tr. it., W. HAGEMANN, Innamorato della Parola di Dio, in corso di pubblicazione.
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Un breve profilo biografico
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da lui fondato insieme a Chiara Lubich: è un vissuto fondamentale dal punto di vista personale e intellettuale4. Nell’ultimo anno di vita Hemmerle fa esperienza della prova; è un anno di luce straordinaria e di un’esperienza di Dio profonda che trova spazio in alcuni scritti postumi e in altri ancora inediti5. Hemmerle muore il 23 gennaio 1994. Sulla sua tomba, nel Duomo di Aachen, c’è una Parola che sintetizza l’impegno di vita: ut omnes unum sint.
4 Hemmerle collabora a questa esperienza non solo con l’intelligenza, ma anche con la vita spirituale. Blaumeiser ricorda che furono preziosi gli anni dalla prima ideazione della Scuola Abbà nel 1985 all’effettiva realizzazione nel 1991, anni che Hemmerle sfruttò «per impegnarsi con specialissima intensità nella vita della Parola». Hemmerle «con la sua caratteristica concretezza, un giorno espresse così quest’esperienza: non basta avere Gesù in mezzo a noi (cf. Mt 18, 20); occorre essere Gesù in mezzo a noi» (H. BLAUMEISER, Il patto di unità come accesso esistenziale e metodo della teologia, in «Nuova Umanità» XXII [2000], 132, pp. 775-791). 5 Hemmerle racconta questa sua esperienza spirituale in Lebenslinien, in AS V, pp. 306-308.
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Introduzione
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Introduzione
La realtà più antica, quell’amore che è il Dio trinitario stesso, è la realtà più nuova che genera la comunicazione di sé, il dono di sé, la consegna di sé da parte di Dio. Resta compito della teologia pensare a partire da questo centro e da quest’unica sorgente originaria tutto ciò che la fede le offre da pensare. Pensare questo liberamente in modo tale che non ne sorga un sistema in cui possa esserci un’altra interconnessione, un’altra logica, un’altra costrizione, un altro trionfo se non la libertà dell’amore. Il pensiero deve essere attuazione dell’amore che sorprende e si lascia sorprendere, dona ed è ridonato1. Lo specifico cristiano che ci viene rivelato e donato in Cristo, cioè il mistero d’amore che il Dio trinitario è eternamente, costituisce il fondamento e il fulcro della riflessione filosofica, teologica, antropologica ed estetica di Klaus Hemmerle. Le prospettive e gli orizzonti che si aprono per la teologia e la filosofia sono raggi che irradiano a partire da questo centro focale: non conseguenze di tipo deduttivo, ma espressione di un’attuazione dell’amore che sorprende e si lascia sorprendere. Ne deriva sul versante filosofico un pensiero particolarmente originale che capovolge l’impostazione della metafisica tradizionale delineandosi come possibile prospettiva filosofica cristiana per la nostra epoca. Sul versante teologico ne deriva una teologia sapienziale, iconica ed esperienziale. Filosofo particolarmente originale e figura di primo piano della teologia postconciliare, è poco conosciuto in Italia; ma attraverso un’intensa attività di ricerca che conta più di mille pubblicazioni tradotte in diverse lingue oltre a un’ampia quantità di materiale inedito o in corso di pubblicazione, egli ha dato un contributo prezioso al pensiero filosofico, teologico ed estetico. 1
DN, p. 205.
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L’esperienza di Dio nell’unità
Personalmente mi sono confrontata col pensiero di Hemmerle nel corso di quasi vent’anni: a partire dalla sua morte nel gennaio del 1994 è nato in me il desiderio di affrontarne lo studio sistematico e ho voluto avvicinarmi alle sue opere, attratta dall’originalità speculativa e affascinata dalla figura di filosofo, teologo e artista, uomo di profonda spiritualità. In questi anni ho pubblicato diversi saggi sul pensiero di Hemmerle e ho potuto tradurre in italiano alcune opere dell’Autore e due importanti biografie2. Da queste ricerche nasce il presente lavoro, con l’intento di rivolgermi al pubblico di lingua italiana per far conoscere il pensiero di Hemmerle nella sua unitarietà. Si tratta, per quanto mi risulta, della prima ricerca monografica in Italia che tenta di affrontare globalmente il pensiero filosofico, teologico ed estetico dell’Autore: una ricerca che intende essere incentrata sulla sua prospettiva beim Proprium des Christlichen, cioè lo specifico cristiano. Ho scelto di effettuare una lettura dall’interno, nel tentativo di dare in qualche modo voce all’Autore affinché il suo pensiero possa affiorare con immediatezza e almeno per questa prima monografia sistematica in italiano, senza essere filtrato attraverso il dibattito critico su interpretazioni e problematiche lasciate aperte. Nella consapevolezza dell’impossibilità oggettiva di presentare tutta la riflessione hemmerliana sulle diverse tematiche, esula dal presente lavoro l’intento di una trattazione enciclopedica, mentre è fondamentale l’intento di voler essere uno studio serio e documentato sul pensiero filosofico, teologico, antropologico ed estetico dell’Autore affinché sia usufruibile da parte del grande pubblico e dagli studiosi specifici del settore, e abbia la funzione di stimolare il pensiero verso nuovi orizzonti di senso e di interpretazione.
2 Pubblicazioni: Il matrimonio nella dimensione antropologico-trinitaria di K. Hemmerle, in «Firmana» 12/13 (1996), pp. 151-162; Il pensiero filosofico di Klaus Hemmerle. Dalla fenomenologia del sacro all’ontologia trinitaria, in «Firmana» (Supplementi) 7 (2009); Il contributo di Klaus Hemmerle al mondo dell’arte, in «Lateranum» LXXV (2009), 2, pp. 411-438; Klaus Hemmerle e la fenomenologia, in «Nuova Umanità», in corso di pubblicazione; K. Hemmerle: l’ecumenismo come stile di vita, in «Nuova Umanità», in corso di pubblicazione. Traduzioni: K. HEMMERLE, Partire dall’unità, Roma 1998; K. HEMMERLE, Verità e testimonianza, Roma 2000; K. HEMMERLE, Preludio alla teologia, Roma 2003; W. HAGEMANN, Un vescovo secondo il cuore di Dio, Roma 2001; W. HAGEMANN, Verliebt in Gottes Wort, cit. (in corso di pubblicazione); W. HAGEMANN, Innamorato della Parola di Dio, cit.
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Introduzione
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1. ASPETTI METODOLOGICI In questo lavoro di ricerca non si intende rendere sistematico ciò che per precisa scelta dell’Autore non si delinea in modo sistematico, ma si intende con Hemmerle palesare il centro speculativo e la sorgente originaria da cui tutto fluisce. Si intende esplicitare e ricercare la coerenza interna: non la coerenza logico-deduttiva dell’approccio sistematico, ma la coerenza tematica che nasce dal mistero trinitario di Dio. Nel ricercare tale coerenza interna è venuta in luce una precisa chiave ermeneutica che consente di meglio comprendere il pensiero di Hemmerle: l’esperienza di Dio nell’unità. In un approccio ermeneutico è necessario lasciarsi coinvolgere: seguendo le indicazioni metodologiche di Hemmerle3 ho preferito superare l’impostazione trattatistica che intende scrivere su un Autore, per tentare di scrivere con l’Autore ripercorrendone le tracce e il percorso speculativo. Essendo l’esperienza di Dio nell’unità l’oggetto formale del presente lavoro, mi è sembrato di non poter eludere da parte mia il coinvolgimento esperienziale e il conoscere teologico come Mitdenken, camminando insieme all’Autore nell’esporre il pensiero secondo il suo esplicito invito a porsi nella Weltanschauung in cui si pone. Il pensiero di Hemmerle si sviluppa a partire dall’unico centro: non ha un andamento lineare e sistematico ma concentrico, che nella prospettiva di Rombach potrebbe essere definito strutturale, dove la struttura è un evento ricorrente, sempre aperto e dalle molte origini. Nelle diverse opere Hemmerle ritorna sugli stessi temi proponendo nuove chiavi di lettura e prospettive4: si potrebbe parlare di uno stile 3 In riferimento a Balthasar, Hemmerle afferma: «Esiste un motivo per cui non intendo scrivere un contributo su von Balthasar, ma un contributo per lui e rivolto a lui. La fonte resta aperta così che si possa attingere ad essa. Ma si può pensare al nuovo solo attraverso una realtà nuova. Alla Parola si deve una risposta che tenta, a partire da lei, di lasciar scaturire il nuovo, ciò che a lei viene donato attraverso la Parola alla quale risponde» (DN, p. 202). E conclude dicendo: «In ogni passo del nostro pensiero abbiamo camminato con lui. I suoi motivi hanno accompagnato i nostri pensieri, i suoi impulsi lo hanno stimolato» (DN, p. 219). 4 Ad esempio in Vorspiel zur Theologie il Regno di Dio è trattato con impostazione fenomenologica, nelle Thesen ritorna nella sua valenza ontologica, in Leben aus der Einheit nel suo valore esperienziale, dove l’esperienza diventa anche conoscenza. La Trinità in Vorspiel è trattata alla luce del gioco, nelle Thesen nel suo valore ontologico, in Leben aus der Einheit nel suo valore teologico, gnoseologico, speculativo ed esperienziale.
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L’esperienza di Dio nell’unità
speculativo che si sviluppa a spirale. Il ricorrere del mistero trinitario di Dio non è pleonastico o ripetitivo poiché si tratta dell’oggetto formale e dell’orizzonte ermeneutico da cui si sviluppa la riflessione sui vari temi. Nel presente lavoro si tenta di distinguere e analizzare iuxta propria principia le tematiche estetiche, filosofiche e teologiche anche se sono strutturalmente interrelate. Data la vastità del compito si è reso necessario operare delle scelte: a livello filosofico vengono messi in particolare rilievo gli aspetti ontologici e gnoseologici, mentre a livello teologico si è scelta una presentazione tematica incentrata sulle intuizioni cristologico-trinitarie, mariologiche, ecclesiologiche. 2. LA PROSPETTIVA SPECULATIVA E L’OGGETTO FORMALE: L’ESPERIENZA DI DIO Esperienza di Dio e radicale domanda che viene dal mondo e dal pensiero umano: questa tensione è come la molla del mio teologare5. Caratteristica fondamentale dell’Autore è quella di scegliere un approccio in cui la dimensione speculativa si interfaccia con quella esperienziale. Emerge la portata speculativa della Rivelazione che consente di pensare il novum. Pensiero filosofico e teologico si intersecano: il locus dell’ontologia trinitaria è la relazione reciproca tra filosofia e teologia nella luce del mistero trinitario di Dio. Hemmerle ne parla in termini di evento (ein Geschehen), a sottolinearne il carattere storico ed esperienziale anche se ineffabilmente trascendente: non una realtà statica, ma un dono continuo e inesauribile. Hemmerle amava pensare nelle linee di interfaccia tra le discipline6 pur tenendo conto della specificità: il partire dal Dio trinitario non porta ad assorbire l’una nell’altra o a un sincretismo nei risultati o nei metodi. Nella reciprocità tra filosofia e teologia si mantiene l’autonomia 5 Cit. in H. BLAUMEISER, Il contributo teologico del vescovo Klaus Hemmerle, in «Nuova umanità» XIX (1997), 109, p. 131. 6 Cf. H. MUSSIGHOFF, Prefazione, in W. BADER - W. HAGEMANN, Klaus Hemmerle. Un vescovo secondo il cuore di Dio, Roma 2001.
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Introduzione
del metodo e dei fondamenti nel comune luogo speculativo. Storicamente in teologia si sono profilati un approccio dal basso (Ansatz von Unten) e un approccio dall’alto (Ansatz von Oben): sulla scia di Bonaventura Hemmerle evidenzia la possibilità di un approccio dal centro (Ansatz von Mitte) in cui convergono approccio dall’alto e approccio dal basso, poiché la centralità è il mistero trinitario che si rivela e si dona in Cristo. Di questo approccio dal centro l’esperienza di Dio costituisce l’oggetto formale. Nell’espressione «esperienza di Dio» c’è un genitivo soggettivo e oggettivo: soggettivo, perché è l’esperienza che Dio stesso fa in Cristo; oggettivo, perché l’uomo può fare esperienza di Dio solo in Cristo che si dona nell’esperienzialità, altrimenti sarebbe hybris o errore metodologico pretendere di esperire Colui che trascende ogni esperienza. Per l’Incarnazione, il Verbo di Dio scende nell’esperienza umana, la assume, la rende propria e la redime (nihil redemptum nisi assumptum) permettendo all’uomo di fare esperienza di Dio. Bernardo ne aveva intuito l’importanza e sottolinea che Cristo ha voluto reimparare attraverso l’esperienza ciò che conosceva eternamente: Quod Filius Dei ab aeterno sciebat, hoc temporaliter didicit per experimentum per carnem7. L’esperienza di Dio è strutturalmente cristologica poiché per l’Incarnazione in Cristo si rende visibile, percepibile e tangibile il Dio trinitario e in lui sono presenti tutti gli uomini con la loro esperienzialità. E questo è fondamentale per il pensare, poiché per Hemmerle il pensiero è esperienza di Dio prima che un atto speculativo. Non un’esperienza accanto alle altre, non l’esperienza di un sacro anonimo o il dialogo con un Tu personale irraggiungibile nella trascendenza: l’esperienza di Dio è esperienza dello specifico cristiano nello specifico dell’evento cristiano, cioè esperienza del Dio trinitario che si rivela in Cristo. Proprio in quanto esperienza, fa sorgere l’interpretazione e il pensiero non come conseguenze deducibili, ma come espressione della libertà dell’amore. Nel XX secolo diversi autori hanno sottolineato il ruolo dell’esperienzialità. Secondo Rahner la filosofia della religione «è la conoscenza che l’uomo può raggiungere sul suo esatto rapporto con Dio, 7 BERNARDO DA CHIARAVALLE, De gradibus humilitatis et superbiae, III, 6-10, in Opera omnia I, Roma 1984.
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L’esperienza di Dio nell’unità
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l’Assoluto»8, mentre l’esperienza di Dio è «immediatezza mediata»9 in strutturale relazione con l’esperienza del sé10. Giovanni Paolo II presenta Teresa di Lisieux come modello del pensare teologico perché solo l’amore può creare una teologia viva: La teologia sapienziale di santa Teresa di Gesù Bambino mostra la via maestra di ogni riflessione teologica e ricerca dottrinale: l’amore dal quale dipendono la Legge e Profeti, è amore che tende alla verità e in questo modo si conserva come autentica agape verso Dio e verso l’uomo. È importante per la teologia oggi recuperare la dimensione sapienziale che integra l’aspetto intellettuale e scientifico con la santità della vita e l’esperienza contemplativa del Mistero cristiano11. Benedetto XVI afferma che i santi nella loro esperienza di unione con Dio «raggiungono un sapere così profondo dei misteri divini nel quale amore e conoscenza si compenetrano, da essere di aiuto agli stessi teologi nel loro impegno di studio, di intelligentia fidei»12. Mentre l’esperienza del sacro è individuale nel percorso fenomenologico che il soggetto compie verso l’Origine, per Hemmerle lo specifico dell’esperienza cristiana è il carattere comunitario: non un’esperienza individuale, ma un’esperienza in cui Cristo si rende presente in mezzo a due o più uniti nel suo nome (cf. Mt 18, 20). In Hemmerle viene in rilievo la coincidenza tra esperienza di Dio e teologia, tra esperienza del vivere l’amore reciproco e possibilità di scoprire un nuovo soggetto del pensare, con conseguenze impensate sul piano speculativo. L’esperienza di Dio Gotteserfahrung diventa von Gott erfahren, venire a sapere di Dio, conoscerlo per averlo ascoltato e sperimentato: non ha solo importanza tematica, ma ha valore epistemologico come fulcro da cui scaturisce l’analisi filosofica e teologica. In ultima analisi, l’esperienza di Dio coincide con l’esperienza K. RAHNER, Uditori della Parola, Roma 1988, p. 33. K. RAHNER, Corso fondamentale sulla fede. Introduzione al concetto di cristianesimo, Cinisello Balsamo 1990, p. 118. 10 Cf. K. RAHNER, Esperienza di se stessi ed esperienza di Dio, in Nuovi Saggi, V, Roma 1975. 11 GIOVANNI PAOLO II, Ad sodales Congregationis pro Doctrina Fidei [24.10.1997], in AAS, XC (1998), 8, 588-591. 12 BENEDETTO XVI, Catechesi del mercoledì [12.01.2011], in «L’Osservatore Romano», 13.01.2011. 8
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Introduzione
dell’unità: l’unità ne è sua realtà peculiare, ma è importante chiarirne il significato. È necessario ricercare un principio che caratterizzi l’unità: Hemmerle propone un primo percorso fenomenologico e un secondo itinerario a partire dalla Rivelazione. Sul piano teoretico l’unità non è da intendersi nel senso dell’individualità monistica, né della totalità; non si tratta dell’Uno platonico o plotiniano, né dell’Uno parmenideo o aristotelico come assoluta identità con sé, ma si tratta dell’Unico Dio che è amore fino alla fine, unità nella distinzione e distinzione nell’unità. Dal punto di vista esperienziale, l’unità non è la risultante di uno sforzo umano, di un impegno etico e antropologico, e non è da intendersi come convergenza a posteriori o uniformità. La reciprocità che caratterizza l’esperienza dell’unità non ha solo valenza orizzontale sul piano della relazionalità umana, ma ha fondamento nel Dio trinitario: è compartecipazione alla vita trinitaria, è esperienza che è dono e azione di grazia, poiché si tratta di essere una cosa sola nel Padre e nel Figlio, come il Padre e il Figlio, con il Padre e il Figlio. Dal punto di vista antropologico si delinea l’originale prospettiva dell’identità come dialogo. Non un’identità che sussiste individualmente in sé per poi aprirsi al dialogo, ma un’identità diversa rispetto al tradizionale modello antropologico e che esprime ontologicamente ciò che realizza la grazia del battesimo. Si delinea un’antropologia secondo il profilo «dell’essere figlio nel Figlio, secondo il ritmo trinitario del riceversi (dal Padre), formarsi (nel Cristo) e donarsi (nello Spirito)»13. È l’essere persona che ha impresso in sé il marchio indelebile della comunione. A completamento della presentazione della prospettiva di Hemmerle è importante evidenziare il circolo ermeneutico che si crea tra sviluppo diacronico del suo pensiero ed elemento esperienziale che lo attraversa sincronicamente. In senso diacronico Hemmerle passa dal pensare il sacro secondo un modello di pensiero che lo accoglie con gratitudine, a una seconda fase in cui il Dio trinitario è fondamento del pensare e dell’essere, a un’ultima fase negli anni Novanta in cui il pensiero non si limita a intenzionare l’esperienza dell’unità ma sgorga da essa in modo creativo. La spiritualità dell’unità di Chiara Lubich viene vissuta in profondità da Hemmerle e accolta nella sua portata speculativa, per cui il pensiero viene proiettato verso nuove prospettive. 13
156.
P. CODA, Per un’ontologia trinitaria della persona, in «Sophia» I (2009/2), p.
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L’esperienza di Dio nell’unità
Parafrasando le espressioni classiche di fides quae e fides qua, potremmo parlare di esperienza di Dio nell’unità sia nel senso dell’unitas quae, in cui l’unità è contenuto della fede poiché è il mistero trinitario di Dio, sia nel senso dell’unitas qua, cioè della realtà di amore reciproco in cui si fa esperienza di Dio. Per Hemmerle porsi «nella luce dell’Uno» significa porre al centro il Dio trinitario e nella sua luce delineare l’ontologia e la teologia seguendo il Leitfaden del suo amore così come lo si coglie nell’esperienza dell’unità in cui il Cristo Risorto si rende presente diventando il soggetto del conoscere e del pensare teologico. La teologia di Hemmerle nasce dall’incontro tra riflessione speculativa, carisma dell’unità e Tradizione teologica. Egli è tra i primi ad avere attinto alla spiritualità dell’unità per dar vita a una riflessione telogica originale con un taglio esperienziale e asistematico, come nello stile di tutta la sua produzione. E la novità di tale teologia viene sapientemente innestata nella Tradizione e nella modernità. Ogni tema teologico non è mai pura riflessione speculativa, ma viene proposto con agganci esperienziali non per un intento pastorale o omiletico, ma in base alla consapevolezza che il pensiero può trovare una feconda radice nel vissuto spirituale ed esperienziale. Anche il metodo fenomenologico è importante: egli lo applica all’esegesi per vedere come si manifestano nel testo le diverse tematiche. In tutti i temi teologici, il mistero di Dio, l’Eucaristia, il battesimo, Gesù Abbandonato, Maria, la Chiesa, ritorna il tema dell’esperienza di Dio nella reciprocità dell’amore in direzione di una spiritualità collettiva. Nella prospettiva di Hemmerle il mistero di Gesù Abbandonato ha valenza teologica, gnoseologica ed esperienziale. Come nella Trinità kenosi e pericoresi sono una realtà indissolubile che costituisce il fondamento dell’unità di Dio nella diversa identità delle Persone, così la radice dell’esperienza dell’unità è Cristo Crocifisso e Abbandonato. Per Hemmerle Gesù Abbandonato «è la più grande scoperta del XX secolo»14 ed è «il sacramento dell’incontro con Dio nella nostra epoca secolarizzata»15. Viene spontaneo pensare alle istanze emerse in Bonhoeffer, cioè il problema di pensare Dio in un mondo divenuto adulto etsi Deus non daretur, o in Buber nell’epoca dell’eclissi di Dio, o in Jonas, col problema di pensare Dio dopo Auschwitz. 14 15
WE, p. 28. WE, p. 38.
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Introduzione
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3. STRUTTURA E CONTENUTI Ci siamo chiesti se nel presentare il pensiero di Hemmerle fosse più opportuno procedere secondo un andamento lineare, ma ci sembrava che questa scelta non ne rispettasse lo stile. La struttura del presente lavoro intende rispecchiare lo stile speculativo dell’Autore e presentarne il pensiero fenomenologico, ontologico, antropologico, teologico ed estetico attraverso nove capitoli, ognuno dei quali è concepito come un’entità a sé stante che permette di gettare uno sguardo al centro tematico, il Dio trinitario. Da qui, si intende coglierne i riflessi sulla specifica tematica trattata. Nel primo capitolo viene presentato il rapporto di Hemmerle con gli autori e le scuole di pensiero più rilevanti nella sua formazione. Non si tratta di un iter formativo, di una sorta di Bildung, ma si tratta di mettere in luce le prospettive e gli elementi più significativi che Hemmerle ha saputo valorizzare nella fenomenologia di Husserl e di Welte, nell’idealismo di von Baader e di Schelling, nella filosofia cristiana medievale, nel pensiero dialogico ebraico, nella prospettiva di Balthasar e nell’incontro col carisma dell’unità. Si può sintetizzare con tre verbi la peculiarità di Hemmerle nel rapportarsi alle fonti: accogliere, interpretare, ricreare. Non un rapporto puramente recettivo, ma un ascolto attento teso a valorizzare il pensiero degli autori. Hemmerle interpreta e ricrea con originalità ciò che proviene dalle fonti, per cui i concetti sono tematizzati in modo nuovo mettendo in luce conseguenze e spunti che nemmeno l’autore era riuscito a intravedere. Il secondo capitolo delinea il percorso di Hemmerle dalla fenomenologia del sacro all’esperienza di Dio trattando in maniera unitaria il saggio sulla fenomenologia del sacro Besinnung auf das Heilige (1966) e il saggio di teologia fondamentale Vorspiel zur Theologie (1976). In queste opere il metodo ha forte impronta fenomenologica: dalla ricerca del sacro nel manifestarsi al pensiero si passa all’analisi del gioco come preludio alla teologia, mentre viene in rilievo il nodo teoretico del rapporto tra filosofia e teologia. Il capitolo ha un’unità cronologica perché riguarda la produzione antecedente alle Thesen, un’unità metodologica perché l’indagine sul sacro e il tema del gioco come preludio alla teologia seguono l’approccio fenomenologico, e un’unità di contenuto perché il sacro acquisisce fisonomia sempre più personale fino a delinearsi come il Dio trinitario che si rende presente 19 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.
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L’esperienza di Dio nell’unità
nella reciprocità di cui il gioco è icona. Si accenna all’esperienza di Dio come luogo della teologia, che costituisce il leit-motiv del pensiero di Hemmerle della piena maturità. È chiaro l’immediato passaggio alle Thesen, con tutta la novità dell’ontologia trinitaria delineata nel terzo capitolo e nei successivi che costituiscono il novum del pensiero hemmerliano. Nel terzo capitolo, attraverso le Thesen zu einer trinitarischen Ontologie (1976), viene messa in luce la valenza ontologica, metafisica e speculativa del mistero di Dio. Nello scritto Das unterscheidend Eine (1994) con esposizione estremamente concisa l’Autore approfondisce la prospettiva delle Thesen offrendo alcuni spunti decisivi per un’interpretazione cristiana dell’unità, come afferma il sottotitolo. È un’opera molto significativa per l’acume delle riflessioni in cui si approfondisce la base esegetico-teologica e la valenza speculativa dell’esperienza dell’unità. Nei capitoli successivi si presenta l’epistemologia filosofica, antropologica, estetica e teologica che Hemmerle delinea «nella nella luce dell’Uno». Nel quarto capitolo si tematizza l’esperienza di Dio nell’unità nella polivalenza degli aspetti: ne viene chiarita la valenza metodologica e gnoseologica per lo speculativo, mentre si delinea la prospettiva dell’antropologia trinitaria, dove il mistero della persona e le relazioni intersoggettive si profilano nella luce del mistero di Dio. Nella sezione teologica del presente lavoro si è attinto alle riflessioni contenute in Leben aus der Einheit (1994): è un’opera matura, una sorta di testamento teologico e spirituale dell’Autore. Essa ha una struttura incentrata sull’esperienza dell’unità, di cui i vari temi teologici sono sfaccettature. Non si tratta di pura riflessione intellettuale, né di un trattato di teologia sistematica, ma di un pensiero teologico che emerge nella forma di intuizioni vivaci nella loro novità. Si delineano in questo senso il capitolo quinto, riguardante il mistero di Dio, la Persona dello Spirito e la teologia sacramentaria; il capitolo sesto, che presenta il mistero di Cristo Crocifisso e Abbandonato; il capitolo settimo, dedicato a Maria; e il capitolo ottavo, in cui si delinea l’ecclesiologia. La teologia sacramentaria di Hemmerle è originale nel caratterizzarsi in risposta alle sfide dell’oggi: battesimo ed Eucaristia sono un’immersione nella vita trinitaria e una possibilità di attuare il vivere a partire dall’unità. La riflessione teologica su ogni tema si traduce in un progetto di vita articolato in alcuni punti fondamentali che 20 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.
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Introduzione
possono essere attuati da tutti, poiché non si tratta solo di pensare ma di vivere a partire dall’unità. Un posto di particolare rilievo spetta al contributo offerto da Hemmerle al mondo dell’arte. È un contributo prezioso, sconosciuto al grande pubblico e finora non evidenziato nelle pubblicazioni sull’Autore. La genialità di Hemmerle si riflette nella sua sensibilità di artista e si esprime in senso poliedrico nei vari settori dell’arte: dalla riflessione teorica sul rapporto tra arte, sacro e bello, alla trattazione critica sulle arti figurative; dalla meditazione sugli affreschi di Michelangelo o sull’ultimo brano scritto da Beethoven, alla musica da lui suonata ogni sera fino agli ultimi giorni di vita, ai cinquecento acquerelli da lui dipinti, alle meravigliose poesie da lui composte in cui si esprime la ricchezza e la profondità della sua anima. Lo abbiamo collocato a conclusione del presente lavoro perché ci sembra essere un coronamento del pensiero di Hemmerle. 4. ASPETTI LINGUISTICI E FILOLOGICI Dal punto di vista stilistico l’opera di Hemmerle presenta una multiforme varietà di toni e di registri linguistici. La lingua di Hemmerle è creativa, originale e ricca di sfumature che ne riflettono la genialità: egli ne fa uno strumento vivo da piegare alle esigenze del contenuto che viene espresso in un’ampia gamma che va dal lessico filosofico e teologico al parlato quotidiano. Egli piega la lingua tedesca alle esigenze del novum creando neologismi e giochi di parole, e usando parole composte con un significato nuovo rispetto al consueto o parole proposte nel significato etimologico16, per cui l’ontologia trinitaria e il pensiero teologico risultano originali anche a livello linguistico. Per quanto possibile si è tentato di rendere in lingua italiana tale caleidoscopica. Le opere di Hemmerle sono state lette e analizzate nel testo tedesco originale, secondo l’edizione degli Ausgewählte Schriften. Ho effettuato personalmente la traduzione in italiano dei brani citati, evitando di riportare in nota il testo tedesco per non appesantire l’esposizione, dato che l’originale è facilmente reperibile. Nell’elaborazione 16 In filosofia c’è un illustre precedente: Heidegger conia neologismi e propone etimologie di non consolidata tradizione nello sforzo di esprimere la prospettiva dell’analitica esistenziale.
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L’esperienza di Dio nell’unità
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del presente lavoro mi sono confrontata con tutte le sue opere edite in lingua tedesca (una trentina di libri, più un migliaio di pubblicazioni, di cui solo poche decine sono tradotte in italiano) e con quanto editorialmente sta venendo fuori, nella consapevolezza che esiste del materiale inedito specie riguardo ad alcune riflessioni degli ultimi anni su cui sarà necessario far luce. Il seme da cui tutto fiorisce è lo specifico cristiano, la realtà di comunione trinitaria, dono divino da vivere nell’esperienza dell’amore reciproco come in cielo così in terra.
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La prospettiva biblica di Giuseppe Ghiberti
I.
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Accogliere e ridonare. Il percorso formativo e le fonti
Il rapporto di Hemmerle con le fonti si delinea non solo come iter formativo, ma come possibilità di tematizzare l’esperienza di Dio partendo dai più svariati punti di vista. Con particolare sensibilità Hemmerle valorizza apporti di esperienze culturali diversissime: la filosofia cristiana, il razionalismo cartesiano e kantiano, l’idealismo, la fenomenologia, l’esistenzialismo, il pensiero dialogico ebraico, la mistica, la teologia classica e postconciliare, la teologia della Riforma e dell’ortodossia. Questa attenzione a rileggere il vetus alla luce del novum potrebbe definirsi ermeneutica dell’ascolto: dalla tensione tra ascolto e innovazione si sviluppano le linee di una Philosophia christiana e di una nuova prospettiva teologica del Terzo millennio. La spiritualità dell’unità per Hemmerle non è un’esperienza culturale tra le altre, ma diventa l’angolo prospettico e la realtà esperienziale attraverso cui è possibile una relecture della filosofia e della teologia: i vari ambiti del sapere e gli apporti dei diversi autori vengono messi in dialogo fra loro. Nel rapporto con le fonti Hemmerle non si ferma ad attingere, ma crea una sorta di reciprocità intellettuale in cui il pensiero dell’altro è ascoltato e re-interpretato: un rapporto che nel suo pensiero maturo sarà interpretato come conseguenza della communio sanctorum in cui è possibile vedere nella luce dell’altro ciò che non si vedrebbe se quell’autore non ci fosse1: una luce in cui le diverse prospettive si illuminano a vicenda permettendo di vedere più lontano.
1
Cf. LE, p. 203.
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L’esperienza di Dio nell’unità
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1. ALLA SCUOLA DI B. WELTE E A.VÖGTLE B. Welte (1906-1983)2, filosofo fenomenologo formatosi alla scuola di Husserl e Heidegger, docente all’Università di Freiburg, ha avuto un profondo influsso sul pensiero di Hemmerle, che lo definisce un uomo del dialogo, ne apprezza l’originalità e ne approfondisce il pensiero in numerosi scritti3. Il pensiero di Welte sfugge alle etichette perché è «una libera presa di posizione davanti al libero appello dei grandi interrogativi filosofici della storia»4. Welte è un acuto pensatore capace di operare nel confine tra filosofia e teologia e di porre la Rivelazione e l’esperienza di Dio in dialogo con le istanze della filosofia contemporanea. Kant, Schelling, Hegel, Husserl, Heidegger, Jaspers, per Welte costituiscono l’orizzonte attuale per tutto ciò che concerne la religione: partendo dall’esperienza del nulla egli riflette sull’esistenza per «tracciare delle vie lungo le quali Dio ci può venire incontro e possiamo vederlo, cioè farne esperienza» e vedere se è possibile acquisire un nuovo concetto di Dio. 2 Opere di B. WELTE: Der philosophische Glaube bei Karl Jaspers (1949); Nietzsches Atheismus und das Christentum (1958); Auf der Spur des Ewigen (1965); Heilsverständnis (1966); Im Spielfeld von Endlichkeit und Unendlichkeit. Gedanken zur Deutung des menschliches Daseins (1967); Determination und Freiheit (1969); Dialektik der Liebe. Gedanken zur Phänomenologie der Liebe (1973); Zeit und Geheimnis (1975); Die Würde des Menschen und die Religion (1977); Religionsphilosophie (1978); Das Licht des Nichts. Von der Möglichkeit neuer religiöser Erfahrung (1980); Der Ernstfall der Hoffnung (1982); Zwischen Zeit und Ewigkeit (1982); Was ist glauben? Gedanken zur Religionsphilosophie (1982). Tra i saggi su Welte: L. WENZLER, Mut zum Denken, Mut zum Glauben. B. Welte und seine Bedeutung für eine künftige Theologie, Freiburg 1994, in cui sono contenuti B. CASPER, Verhaltenheit. Zum Styl des Denkens B. Weltes; I. FEIGE, Denken als dialogische Öffenheit; K. KIENZLER, B. Welte und der philosophische Glaube bei K. Jaspers; P. HÜNERMANN, Fragen der Christologie im Werk B. Weltes. 3 Hemmerle scrive su Welte i saggi: Weite des Denkens im Glauben, Weite des Glaubens im Denken; Eine Phänomenologie des Glaubens. Erbe und Auftrag von B. Welte, in AS I, pp. 472-497; Denken der Grenze, Grenze des Denkens. Zur Phänomenologie B. Weltes, in AS I, pp. 239-258; Wandlungen des Gottesbildes seit dem II Vatikan, in AS I, pp. 433-455; Geschenk der Freiheit. Zu B. Welte, Determination und Freiheit, in «Christ in der Gegenwart» (1969) 21; Leben und Denken aus dem Ursprung. B. Welte 70 Jahre, in «Christ in der Gegenwart» (1976) 28; Glaube ist dem Denken Freund. B. Welte 75 Jahre, in «Christ in der Gegenwart» (1981) 33; Fragend und lehrend den Glaube weit machen. Zum Werk B. Weltes anläßlich seines 80. Geburtstages (1987); B. Welte und M. Heidegger. Zur Stellung B. Weltes im christlichen Denken des 20. Jahrhunderts; Art. Welte, Bernhard, in B. OTTNAD, Badenwürtt. Biographie I (1994), p. 378. 4 K. HEMMERLE, Geschenk der Freiheit, cit., p. 344.
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I. Accogliere e ridonare
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L’inesauribilità del pensiero si manifesta nel continuo tentare strade nuove e nel fatto che le vecchie strade filosofiche come la filosofia greca presentano un interesse sempre nuovo. Chi pensando si accompagna con loro, ha sempre qualcosa di nuovo da imparare a vedere e al contempo diventa capace di percorrere strade nuove e personali. Le vere idee filosofiche non sono mai superate e mai compiute. L’inesauribilità della filosofia non è un’imperfezione da superare ma appartiene alla sua essenza. La filosofia è simile all’arte: l’antico non è mai superato e il nuovo non è mai definitivo5. Per Welte la filosofia presuppone la religione come esperienza all’interno della quale si sviluppa il pensiero. Adottando l’epochè husserliana, Welte osserva che il dato che non si può mettere tra parentesi è l’esistenza nel mondo come spazio aperto di esperienza. Dobbiamo fare i conti con l’esperienza del nulla: c’è un passato in cui non esistevamo e un futuro in cui non ci saremo, il nulla è abisso che ci precede, ci inghiottirà e a cui non si sfugge. Esistenza e nulla pongono un’alternativa: «O il nulla è pura forza nientificante e tutto è sprovvisto di senso oppure tutto ha senso: questa è la trasparente istanza etica fondamentale, il grido della coscienza»6. L’esistenza ha senso solo se il nulla «non è un vuoto niente, ma cela la presenza della Potenza infinita che custodisce il senso di tutto e a tutto dona senso. Presenza nascosta: senza chiasso, senza volto, oscura, ma pura presenza»7. Nell’abisso del nulla «si annuncia il mistero che regge e decide ogni essere, il perché nascosto, l’origine taciuta, fondamento incondizionato»8. Welte non arriva a Dio come causa sui, ma al mistero che «è l’alfa e l’omega, la fine di ogni ente e il suo centro»9. L’Assoluto ha un volto personale avvolto nella trascendenza: l’uomo è toccato dal mistero, ma il mistero si sottrae10. La fede biblica invita a non afferrare il sacro, ma ad B. WELTE, Religionsphilosophie, cit., p. 12. Ibid., p. 57. 7 Ibid. 8 Ibid., p. 80. 9 Ibid., p. 81. 10 R. Otto in Das Heilige definisce il sacro come mysterium tremendum et fascinans, distante infinitamente nella trascendenza, affascinante nell’attirare a sé. Max Scheler in Vom Ewigen im Menschen afferma che nell’esperienza del nulla l’uomo si apre all’esperienza religiosa. 5
6
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L’esperienza di Dio nell’unità
abbandonarsi a Dio che si manifesta nella cifra della trascendenza11 all’interno dell’esistenza: il mistero di Dio si rivela nel farsi realtà di dono. Hemmerle individua in Welte tre istanze: il diritto della realtà a manifestarsi ed essere accolta, la centralità dell’uomo e il diritto di ogni pensiero di essere pensato, da cui consegue la scelta di valorizzare i più vari approcci speculativi. Per Welte prima che «un teologo possa essere teologo, deve come uomo e con gli uomini imparare ad interrogare»12. Egli si apre al sacro cogliendo in ogni cosa il rinvio al mistero: la realtà diventa continua meraviglia e questa, sin da Platone, è l’origine della filosofia. Alla scuola di Welte Hemmerle si confronta col pensiero di Heidegger e Jaspers e definisce l’esistenza come Gegeben-Sein, Selbst-Sein, Mit-Sein. L’espressione Gegeben-Sein (essere-donato) indica che l’esistenza non è un dato di fatto ma è dono che ci interpella. L’espressione Selbst-Sein (essere-se-stessi) indica l’identità con sé che acquista spessore in senso comunitario: Hemmerle sottolinea il valore del noi, WirSein e Mit-Sein come chiave del Selbst-Sein. Le realtà del Gegeben-Sein e del Selbst-Sein prendono forma dal Mit-Sein (essere-insieme): superando la prospettiva heideggeriana, nel Mit-Sein emerge la relazionalità come fondamento dell’esistenza13 e dell’identità con sé. Hemmerle definisce Welte «avvocato del sacro nel pensiero»14 e gli dedica l’opera Eine Phänomenologie des Glaubens (PH). Pensare il sacro significa pensare le condizioni del suo manifestarsi. L’espressione che indica il rapporto tra fides quae e fides qua viene traslata: in Welte la fenomenologia qua permette di accedere alla fenomenologia quae. Hemmerle narra: Ogni volta che con Welte tentavo di vedere una cosa o di percepire un fenomeno, scoprivo che valeva la pena abbandonare il modo tradizionale per reintrodurlo impostato di nuovo. Pensare con Welte significava pensare qualcosa per la prima volta. 11 Seguendo Jaspers, Welte afferma che la cifra è il modo meno inadeguato per parlare della trascendenza. 12 Cf. B. CASPER, Die Herausforderung des Glauben durch das Denken, in L. WENZLER (a cura di), Mut zum Denken Mut zum Glauben, Freiburg 1994, p. 35. 13 Cf. K. HEMMERLE, Kirche und Freiheit, in «Oberrheinisches Pastoralblatt» (1957), 58, pp. 312-323. Hemmerle parla di «reciprocità costitutiva dell’esistenza (Dieses Mitsein als Konstitutivum des Daseins)». 14 B. CASPER - K. HEMMERLE - P. HÜNERMANN, Besinnung auf das Heilige, Freiburg 1966, p. 5.
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I. Accogliere e ridonare
Questa è l’esperienza che ho fatto da studente, esperienza che è continuata rinnovandosi nei successivi percorsi e diversi piani del pensare con lui. I discorsi e gli insegnamenti contenevano il monito “pensa ogni cosa per la prima volta, guarda ogni cosa per la prima volta, vedila in modo tale che tu non veda il tuo vedere, ma la cosa. Lascia che il tuo vedere diventi la cosa e la cosa diventi totalmente il tuo vedere”15.
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Hermeneia significa togliere le barriere al manifestarsi della cosa. È un invito: Lascia ciò che sai, lascia le modalità di impossessarti, di disporre, di potere: lascia le tue classificazioni, lasciati attraversare da ciò che si apre a te, metti via tutto ciò che impedisce al tuo occhio di essere puro strumento16. Epochè significa fare spazio a ciò che si manifesta per poi rimettere in gioco le precomprensioni: in tal senso «la negazione (das Nicht) è lo spazio del sorgere della cosa»17. La fenomenologia non appartiene ai preambula fidei ma è conseguenza della fede: «la fenomenologia che va verso la fede e la fenomenologia che parte dalla fede sono in rapporto reciproco. […] Ripensare a Welte e alla fenomenologia non è epilogo ma prologo»18. L’influenza di Welte si riflette in Hemmerle nell’impegno ad accogliere la verità che si dona: è condicio sine qua non per l’esperienza di Dio. Hemmerle vede in Maria l’espressione più alta del farsi vuoto per accogliere ciò che si rivela. L’esperienza del nulla, che in Welte prelude al mistero assoluto, confluisce in Hemmerle nella teologia della kenosi. Da Welte viene ripresa la realtà del gioco che diventa preludio alla teologia in Vorspiel zur Theologie, mentre in Leben aus der Einheit esprime la reciprocità dell’amore. Durante gli studi teologici, Alfons Deissler lascia un’impronta in Hemmerle per quanto riguarda «l’approccio al testo biblico, per il PH, p. 479. PH, p. 481. 17 PH, p. 480. 18 PH, p. 497. «La teologia deve diventare fenomenologia della fede (genitivo soggettivo e oggettivo), per percepire l’unità tra fides qua e fides quae e la corrispondenza tra luce interiore della fede e luce interiore della ragione in cui vediamo ciò che si manifesta di per sé». 15 16
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L’esperienza di Dio nell’unità
modo in cui apriva nuove vie di incontro con la Scrittura, quindi nuove vie per il pensiero a partire dalla Scrittura»19. Ma l’influsso decisivo proviene da Anton Vögtle: è una nuova comprensione del Regno di Dio. Hemmerle ricorda:
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Vögtle ci aveva fatto comprendere quello che Gesù intendeva quando annunciava il Regno di Dio. Mi fu chiaro: il Regno di Dio non si può delimitare spazialmente, non è un sistema di verità o di comandamenti, ma è Dio stesso. Dio non è più orizzonte lontano o principio supremo, ma in Gesù ha fatto irruzione in mezzo a questo mondo20. Il concetto del Regno di Dio matura nell’incontro col carisma dell’unità e diviene idea centrale nel pensiero di Hemmerle tanto da costituirne una chiave ermeneutica. 2. FRANZ VON BAADER:
L’UNITÀ NELLA DIFFERENZA
Franz von Baader (1765-1841) è un esponente cattolico dell’idealismo tedesco. La sua filosofia è molto originale poiché interpreta in chiave cristiana il pensiero di Schelling, suo maestro, e di Hegel, con cui ha avuto scambi epistolari. Nel suo pensiero confluiscono idealismo, patristica, mistica tedesca, criticismo kantiano, filosofia cristiana. Per certi versi anticipa qualche intuizione della filosofia dialogica e della fenomenologia. Baader è «l’unico cattolico tra gli intellettuali dell’idealismo tedesco, molto religioso e convinto, ma scomodo e capace di rompere gli schemi»21. Una peculiarità è l’impostazione sistematica del pensiero pur nel carattere frammentario: il singolo frammento diviene «stigma della cosa stessa» in cui si pensa il tutto. Hemmerle nota: «Esistono uomini che comprendono la correlazione del tutto, al punto che sono
19 Cf. W. BADER - W. HAGEMANN, Klaus Hemmerle. Grundlinien eines Lebens, München 2000, pp. 40-43. 20 UL, p. 297. 21 K. HEMMERLE, Todestag von F. von Baader, in R. ENGLERT (ed.), Woran sie glaubten, wofür sie lebten, 365. Wegbegleiter für die Tage des Jahres, München 1993, p. 151.
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I. Accogliere e ridonare
capaci di esprimerla anche solo nel frammento»22. Il frammento permette di ricercare totum in toto et totum in qualibet parte. L’idealismo tedesco viene riletto alla luce della fede: la religione non viene superata dalla filosofia, né compresa nello schema dialettico. Il rapporto tra unità e differenza non è pensato a partire dall’Io puro come in Fichte, né a partire dall’Assoluto come unità indifferenziata come in Schelling, ma in Baader «con l’incremento dell’unità avanza di pari passo la differenziazione»23. Mentre Hegel pensa la Trinità attraverso la dialettica senza restare nel solco cristiano24, Baader pensa la Trinità alla luce dell’unità che in Dio implica la differenza ma non annulla lo specifico delle Persone. Pensare l’unità implica pensare la differenza in modo tale che l’identità e l’alterità non siano assorbite nella dialettica dell’Assoluto: l’Altro resta altro e pur essendo correlato all’Io non può essere definito come non-io. Permane un’eco fichtiana nel considerare l’altro come resistenza originaria, ma il contesto è diverso: affermare che l’identità viene esperita con la resistenza originaria significa che l’identità ha una struttura dialogica, per cui si giunge a se stessi giungendo all’altro. L’uomo è «l’unico evento in cui Dio si manifesta nel mondo nella sua divinità»: egli «è par excellence lo specchio in questo mondo del divino nella sua totalità»25. Baader parla di Dio come forma dell’uomo e origine della sua identità, e dell’uomo come forma di Dio, cioè manifestazione e traduzione di Dio. Dio non si attua nelle tappe dialettiche di un sistema che riduce i singoli ad astuzie della ragione, ma Dio resta Dio e l’uomo resta uomo. L’esperienza di Dio viene tematizzata a partire dalla coscienza di sé come realtà pensante. Se penso, devo ammettere che un Altro mi ha fatto essere e pensare: capovolgendo il cogito cartesiano si può dire cogitor, ergo cogitans sum. L’uomo è in primis pensato da un Altro che lo fa essere: nel pensare fa esperienza della sua esistenza. Il participio cogitans suggerisce la relazione tra essere, 22 Ibid. Hemmerle scrive i saggi: Franz von Baaders Weg philosophischer Gotteserkenntnis (FB); Theologie in Fragmenten. Franz v. Baader (TF); Franz v. Baaders philosophischer Gedanke der Schöpfung, in «Symposion» (1963), 13, p. 10. 23 TF, p. 211. 24 Per Hegel la differenza è il superamento dell’unità posta in modo immediato, mentre l’identità si raggiunge nell’Aufheben togliendo e conservando la differenza. La sintesi è unità nella differenza. Ne consegue che la Trinità è considerata come sintesi di opposti cioè delle tre Persone: ognuna è negazione e superamento dell’altra. 25 FB, p. 62.
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L’esperienza di Dio nell’unità
pensiero e Colui che si cela nel cogitor. Il pensiero ha carattere esperienziale e non solo teoretico poiché scimus quae facimus: il sapere si sviluppa attraverso l’esperire e il fare26. La situazione concreta mi spinge verso l’evento che Baader designa col termine Blitz, lampo di luce, oltre il quale c’è il Padre della luce. Egli utilizza una duplice terminologia Himmel/Vater per esprimere l’attività creatrice; Mutter/ Erde per il dare alla luce e prendersi cura. In tale analogia la frase Pater in filio, filius in matre esprime il rapporto tra uomo e Dio: Dio si manifesta attraverso l’uomo e l’uomo sussiste in chi lo genera come una madre. Dio si rispecchia nell’uomo Pater in filio, ma l’esperienza dell’identità avviene in matre, nel rapporto con chi si prende cura di lui. In una prospettiva fenomenologica ante litteram, nell’atto conoscitivo la cosa si manifesta toccandomi da vicino. Baader afferma che l’esistenza è nell’affezione, perché ciò che non mi tocca è nulla per me: solo l’affezione implica l’impulso a conoscere e a entrare in relazione con l’altro da me. La relazione col Tu di Dio tocca l’uomo: nel conoscere Dio l’uomo realizza la sua dignità. Il fine è arrivare a pensare Dio nella sua divinità, ma questo è possibile se Dio si rivela, altrimenti sarebbe contraddizione in terminis pensare Colui che per definizione trascende ogni pensabile. Non è possibile dimostrare l’esistenza di Dio in modo teoretico, ma è possibile entrare in rapporto con lui: se il pensiero parte da se stesso o dalle cose per raggiungere Dio, «si taglia la strada verso la meta: Dio resta Dio solo dove la sua insuperabile originarietà viene attuata e la risposta umana resta risposta, cioè giunge come seconda»27. Dio sorge come evento che il pensiero può accogliere: l’unica via filosofica che porta a lui è questa risposta. Resta il carattere trascendente: l’uomo è luogo dell’epifania divina, ma Dio è mistero che l’uomo può testimoniare senza poterne disporre. Alcuni temi proposti da Baader ritornano in Hemmerle: in Besinnung auf das Heilige il pensiero nasce dall’esperienza di essere pensato, in Vorspiel zur Theologie l’affezione è ripresa nel senso del mettersi in gioco, Cogitor e cogito diventano elementi importanti per l’esperienza di Dio. La relecture proposta da Hemmerle è stata molto apprezzata 26 Cf. FB, p. 67. G. Vico in De Antiquissima Italorum sapientia tematizza il principio verum factum convertuntur come criterio di conoscenza. A differenza di Vico, in Baader non si tratta di verità storica, ma esperienziale: attraverso il fare si percepisce l’appello che mi viene rivolto. 27 FB, p. 60.
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I. Accogliere e ridonare
dalla critica. Il saggio Franz von Baaders philosophischer Gedanke der Schöpfung non è una semplice esposizione del pensiero di Baader, ma un’interpretazione che sa pensare ulteriormente28.
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3. F.W. SCHELLING: IL PENSARE DIO E L’ANALOGIA DIALOGICA Nell’opera Gott und das Denken nach Schellings Spätphilosophie (Freiburg Freiburg 1968)) Hemmerle continua il confronto con l’idealismo riguardo a un possibile accesso al mistero di Dio. Nell’idealismo il pensiero si avvicina a Dio partendo dall’Io. Rispetto a Kant si avanzano pretese maggiori: non solo un accesso a Dio da parte della ragione, ma un pensiero che partendo dal soggetto tenta di arrivare a Dio nella sua realtà. Schelling si rivolge alla natura e all’arte; in seguito, il problema religioso diventa centro della sua attività speculativa29. Nel Sistema dell’idealismo trascendentale Schelling afferma che l’Assoluto si rivela nella storia e nell’arte: accetta di essere chiamato panteista solo se ciò 28 Cf. W. LAMBERT, Franz von Baaders Philosophie des Gebets. Ein Grundriß seines Denkens, in «Innsbrücker Theologische Studien» (1978), 2, p. 22; cf. B. CASPER, Damit es dem Denken heilig sei, (contributo presentato al convegno “Brückenbauer im Glauben. Das theologische und spirituelle Vermächtnis von Bischof Klaus Hemmerle”, Freiburg 28-29 gennaio 1995), ms.; cf. A. FRICK, Der dreieine Gott. Christlicher Glaube und ethische Öffentlichkeit im Denken Klaus Hemmerles, Würzburg 1998, p. 35. 29 Il pensiero di Schelling si sviluppa in diverse fasi: prima fase, filosofia della natura (1797-1799): Idee per una filosofia della natura (1797); Intorno all’anima del mondo (1798); Primo progetto di un sistema di filosofia della natura (1799); seconda fase, filosofia dell’identità (1801-1804); Sistema dell’idealismo trascendentale (1800); Esposizione del mio sistema filosofico (1801); Ulteriori esposizioni (1801); Bruno (1802); Filosofia dell’arte (1802); 14 lezioni sull’insegnamento accademico (1803); fase teosofica o filosofia della libertà (1804-1811): Filosofia e religione (1804); Ricerche filosofiche sull’essenza della libertà umana (1809); ultima fase (dal 1815), filosofia positiva: Età del mondo, Filosofia della mitologia, Empirismo filosofico, Filosofia della Rivelazione. Sul rapporto tra Schelling e il problema di Dio: A. BAUSOLA, Metafisica e Rivelazione nella filosofia positiva di Schelling, Milano 1965; W. KASPER, L’Assoluto nella storia nell’ultima filosofia di Schelling, Milano 1965; L. PAREYSON, L’estetica di Schelling, Torino 1964; X. TILLIETTE, Attualità di Schelling, Milano 1972; F. MOISO, Vita, natura, libertà. Schelling, Milano 1990; F. TOMATIS, Kenosis del Logos. Ragione e Rivelazione nell’ultimo Schelling, Roma 1994, p. 29; P. CODA, Critica illuministica ed ermeneutica romantica. Dalla Kritik aller Offenbarungen di Fichte alla Philosophie der Offenbarung di Schelling, in «Lateranum» LXI, (1995) 2-3, pp. 79-121.
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L’esperienza di Dio nell’unità
significa che tutto è in Dio e non che tutto è Dio. Nella fase teosofica egli parla di un’ambigua figura cosmico-divina che si afferma nella lotta tra luce e aspetto abissale, tra razionalità e irrazionalità. Schelling distingue la filosofia negativa, che riflette sull’essenza universale, dalla filosofia positiva, che riguarda l’esistenza reale delle cose e può integrarsi con la Rivelazione. Egli sostiene che le religioni sono la rivelazione progressiva di Dio e si chiede se dopo la confutazione kantiana delle prove tradizionali sia possibile pensare Dio senza ricorrere alle categorie della metafisica. Per Hemmerle non si può ignorare il tentativo di Schelling poiché è doveroso porsi la domanda se ci sia un accesso del pensiero coi suoi mezzi e nel suo specifico orizzonte alla realtà e al concetto di Dio. Schelling «indica la via del pensiero verso la meta, verso un concetto filosofico attuale di Dio non più compreso in modo metafisico»30. Si tratta del «pensiero di Dio (genitivo soggettivo e oggettivo) con l’aiuto del pensiero»31. Se in precedenza aveva parlato dell’Assoluto e del pan cosmico, Schelling parla ora del Dio divino che sta di fronte all’uomo e si rivela. L’approccio resta filosofico in quanto giunge a Dio attraverso il pensiero, ma il problema è superare l’autoriflessione per arrivare a Dio come Altro. Se Dio fosse pensato “come me” si arriverebbe solo a una proiezione di me stesso. Schelling sembra cercare un Dio che “non è come me, ma è come l’altro”. Partendo da Schelling, Hemmerle tematizza l’analogia dialogica tra l’uomo e Dio, in cui il «logos dell’essere si svela come dialogos»32. Il pensiero riceve un criterio normativo: si può pensare Dio solo se Dio si fa incontro all’uomo. Come noto, il termine logos era in origine collegato al dialogo prima che con la filosofia avesse il significato di ragione: si può quindi dire che il logos dell’essere e del pensiero si rivela come dialogos. Il dia-logo svela l’ana-logia, la dimensione del “tra”/dia svela il “verso l’alto”/ana: la trascendenza ana si rivela nel dia dell’interrelazione. Il dia entra nell’ana del logos, il pensiero si eleva verso Dio e nel dialogo Dio si rivela come Altro. L’analogia dialogica viene espressa dalla formula «l’altro è come me, ma Dio non è come me, ma è come l’altro». Dio non è lontano dalla filosofia, ma a condizione di pensare Dio come l’altro con cui entro in relazione e non come proie30 K. HEMMERLE, Dia-logische Ana-logie als Weg des Denkens zum göttlichen Gott, in AS I, pp. 192-201. 31 GD, p. 193. 32 GD, p. 198.
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I. Accogliere e ridonare
zione dell’io. «L’altro è come me» indica che l’io e l’altro mantengono la specificità. Dire che Dio è come te non significa ridurlo: è Altro come te senza essere te. La relazione con gli altri è assente nell’idealismo e non compare nel concetto scolastico di analogia entis, dove l’analogia ha fondamento ontologico e non dialogico33. In Hemmerle ana non indica proporzione e somiglianza, ma alterità e trascendenza: non un’analogia entis, ma un’analogia relationis. Hünermann osserva che l’analogia avviene per mezzo del dia-logo: «con questa spiegazione del centro Hemmerle guadagna il punto a partire dal quale diventa possibile mediare questa prospettiva con la fede nel Dio trinitario»34. In Cristo l’analogia dialogica si realizza in modo perfetto aprendo la possibilità di pensare Dio. Per Tilliette35 e Ogiermann36 il valore di questo studio su Schelling consiste nella forza speculativa che apre nuove prospettive. Sono interessanti i saggi di Duque e Tomatis37 che recepiscono l’analogia dialogica in una nuova lettura di Schelling. Con la sensibilità artistica che lo caratterizza, Hemmerle individua nel pensiero di Schelling la reciproca implicazione di libertà e necessità. In Schelling nell’opera d’arte la libertà si coagula in forma artistica38: il pensare la libertà all’interno della necessità e la necessità all’interno della libertà è geniale, ma resta circoscritto all’ambito dell’Assoluto nell’arte senza svilupparsi in senso ontologico.
33 Przywara riscopre l’analogia entis mentre K. Barth afferma che il pensiero analogico è un buon motivo per non essere cattolici: è necessaria la sola fides e l’analogia fidei si fonda in Cristo. Per Balthasar l’analogia entis e l’analogia fidei si realizzano in Cristo come analogia cristologica. 34 P. HÜNERMANN, L’altro è come me, ma Dio è come l’altro, in «Nuova Umanità» XVIII (1995), 103, p. 67. 35 X. TILLIETTE, Bulletin de l’Idealisme Allemand, in «Archives de Philosophie» 34 (1971), pp. 305-306. 36 H. OGIERMANN, Besprechung K. Hemmerles Gott und das Denken nach Schellings Spätphilosophie, Freiburg 1968. 37 F. DUQUE, Dolorosa rivelazione del profondo. Verso l’ontologia trinitaria con Schelling, in P. CODA - L. ŽÁK, Abitando la Trinità. Per un rinnovamento dell’ontologia, Roma 1998, pp. 95-108; F. TOMATIS, Trinità e inizio in Schelling, in ibid.; ID., Kenosis del Logos, cit.; ID., Schelling: mysterium Trinitatis, in P. CODA - A. TAPKEN, La Trinità e il pensare, Roma 1997; ID., L’argomento ontologico. L’esistenza di Dio da Anselmo a Schelling, Roma 1997. 38 TT, p. 155.
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L’esperienza di Dio nell’unità
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4. NEL SOLCO DELLA TRADIZIONE CRISTIANA Con il pensiero cristiano Hemmerle sviluppa un dialogo fecondo. Agostino è apprezzato per il carattere esperienziale del pensiero e per aver messo in luce la realtà di Dio come amore39. Solo nel rapporto con Dio c’è libertà ipso solo iubente liberrimus. Hemmerle interpreta in senso esperienziale la definizione di tempo come distensio animae e la triade memoria intellectus amor. Bisogna prendere posizione davanti alla realtà: la memoria ne diventa custode, l’intellectus diventa comprensione, l’amor la risposta personale40. Attraverso memoria intellectus amor scopro che «non sono un qualsiasi io che proviene da un punto zero, ma sono donato a me stesso e sono chiamato. Come cristiano posso dire: sono amato»41. Anselmo mette in luce la fecondità conoscitiva dell’esperienza di fede: fides quaerens intellectum. Una ricerca filosofica che prescinda dall’esperienza di fede per Anselmo non è cristiana e neppure filosofica, poiché è nell’esperienza di fede che la ragione esplicita le sue capacità e avviene «una generazione interna dell’intelletto, che è un volgersi della fede oltre sé»42. Prendendo spunto da Anselmo, Hemmerle tematizza la possibilità di una filosofia capace di generare una comprensione intellettiva a partire dallo specifico cristiano e il duplice a priori di filosofia e teologia. Il confronto si amplia sulla prova ontologica. Anselmo deduce a priori l’esistenza dall’essenza e dal concetto di Dio come essere perfetto arriva all’esistenza reale. Secondo Hemmerle Anselmo esprime la tensione esistenziale dell’umanità verso qualcosa di più alto e di più grande. Hemmerle non parte dall’essenza, ma dall’esistenza dell’amore che si dona in Cristo: questo amore di cui non esiste nulla di più grande è costitutivo dell’essere di Dio. Nella croce Dio si rivela «amore di cui non si può pensare nulla di più grande»43. Tale interpretazione supera il piano filosofico e mette in rilievo la perfezione di Dio che si rivela nella kenosi: non una prova filosofica, ma l’incontro col Dio vivente. L’esperienza (Erfahrung) diventa Cf. TT, p. 140. LE, p. 22. 41 LE, p. 29. 42 K. HEMMERLE, Das problematische Verhältnis von Philosophie und Theologie, in AS I, p. 44. 43 LE, p. 89. 39 40
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I. Accogliere e ridonare
erfahren, venire a conoscere Dio attraverso la perfezione dell’amore che si manifesta in Cristo Crocifisso e Abbandonato. Nei confronti della Scolastica Hemmerle combina recezione critica e rielaborazione. La Scolastica ha delineato i concetti teologici fondamentali, ma questo non significa che «la teologia debba mantenere fisse le formule tradizionali senza pensare ulteriormente e andare oltre»44. Pensare oltre significa coraggio di ascoltare e di aprire nuove prospettive. Hemmerle definisce teologia traducente il rapporto di Tommaso col pensiero classico, poiché la Rivelazione viene compresa a partire da modalità filosofiche preesistenti. Ponendo al centro l’actus, Tommaso coglie la novità della pericoresi trinitaria e della relatio subsistens che caratterizza le persone divine, ma non ne trae le conseguenze nel senso di una nuova prospettiva ontologica45. Hemmerle rilegge il concetto di analogia entis non solo come rapporto tra l’essere e gli enti, ma come struttura relazionale che gli enti rivelano e che in Dio si rivela come sussistenza pericoretica. Hemmerle apprezza l’apertura universale dell’anima, Anima est quodammodo omnia (TOMMASO D’AQUINO, Questiones disputatae de veritate q. 1, a. 1), in sintonia con la visione fenomenologica dell’uomo aperto al manifestarsi della realtà. Alla luce dell’Eucaristia Hemmerle suggerisce una sfumatura che arricchisce il senso proposto da Tommaso: se l’apertura universale dell’uomo si realizza nella capacità di accogliere, è possibile vivere l’Eucaristia accogliendo gli altri in noi e diventare noi stessi persona eucaristica46. L’appetitus che nella Scolastica indica la tensione verso qualcosa, nella rilettura di Hemmerle assume il valore di risposta: si lega all’interesse che suscita in me l’oggetto spingendo a mettermi in gioco. La Scolastica ha evidenziato la funzione ontologica della causa finalis; Hemmerle afferma che nel finalismo l’essere manifesta una dinamica relazionale poiché negli enti «si rispecchia il gioco vicendevole dell’essere l’uno nell’altro»47. Nella Scolastica la struttura etica fondamentale è la ratio boni verso cui è orientato l’agire: l’intenzionalità al bene dilata ogni azione fino a tendere al Sommo Bene che si diffonde oltre sé, trabocca sulle cose e le fa essere. Ne consegue in Tommaso che l’uomo è in originaria relazione con il bene, poiché è il bene ciò che lo determina. VT, p. 60. Cf. TT, p. 140. 46 Cf. LE, p. 125. 47 VT, p. 25. 44 45
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L’esperienza di Dio nell’unità
Hemmerle afferma che il bene si comunica creando comunione tra lui e me, per cui si deve supporre che «il vero fenomeno della libertà sia nella libertà dell’amore più che nella scelta tra diverse possibilità. Quanto più profondo regna l’amore, tanto più esclude la possibilità dell’infedeltà e del rifiuto»48. Hemmerle ne mette in rilievo la portata: nel dono che Dio fa di sé in Cristo viene rivelato che il «bonum diffusivum sui è anche il segreto dell’uomo»49. Bonaventura e Bernardo sono importanti per l’approccio speculativo che attinge alle fonti della mistica. Hemmerle ritiene che «Bonaventura sia un teologo per l’oggi capace di indicare la via»50. Una teologia con carattere esperienziale «è riferimento non solo per la comprensione della fede, ma per la traduzione in vita, per la sequela»51. Lo speculativo nasce dalla sequela Christi, che è il massimo livello della teologia52. Bonaventura si lancia nella sorgente «senza la quale non gli appare possibile comprendere ciò che ne scaturisce. Il salto nella sorgente originaria53 precede il primo passo del pensiero»54. Bonaventura esprime una teologia creativa che testimonia, poiché «il pensiero si abbandona alla radicale iniziativa di Dio, alla Rivelazione. Si delineano un approccio dall’alto, un approccio dal basso, un approccio dal centro, che Bonaventura fonde in modo armonico: l’uomo è imago Dei, le creature sono vestigia Dei. Approccio dall’alto significa «da un lato, il Dio sopra di noi da cui il cammino speculativo trova il punto di partenza; dall’altro, il Dio in noi, cioè quello che è in noi non proviene da noi, ma da Dio»55. L’itinerario del pensiero che culmina nell’amore di Dio si fonda sulla grazia: il pensiero deve essere in Dio prima di riflettere su di lui. Così «la verità può essere vista. Una realtà senza Dio non riuscirà mai a penetrare la realtà di Dio»56. L’uomo è invitato VT, p. 29. VT, p. 31. 50 TN, p. 5. 51 TN, p. 6. 52 «Teologia alla prima potenza significa: la sequela riflette il vangelo; teologia alla seconda potenza significa: mediante la sequela il vangelo riflette l’uomo e il mondo; teologia alla terza potenza significa: il vangelo, l’uomo e il mondo, si riflettono reciprocamente, ma questa è sequela riflessa» (TN, p. 27). 53 In tedesco c’è un gioco di parole: Der Sprung in den Ur-sprung, il salto (Sprung) è nella fonte originaria (Ursprung) che lo precede (Ur-sprung). 54 BA, pp. 164-175. 55 BA, p. 167. 56 BA, p. 169. 48 49
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I. Accogliere e ridonare
a tornare a sé: Redde ergo te tibi, per scoprire la presenza di questo amore. In Bonaventura le linee verso il basso, verso l’alto e in direzione comunitaria partono da Cristo unico centro: a medio, quod est Christus, quod medium si negligatur, nihil habetur57. Il Padre si dona in Filio seu in isto medio incontrando in lui l’uomo; la ratio originantis e la ratio finientis sono mediate da Cristo, ratio exemplantis: principio e fine comunicano nel medio58. Bonaventura vede l’identità della chiesa nell’amore reciproco che la fa essere: ecclesia enim mutuo se diligens59. Nell’amore reciproco si intrecciano tre elementi costitutivi, lex, pax e laus. Particolarmente originale è l’intuizione di Cristo crocifisso come centro della geometria: la teologia di Bonaventura si sviluppa a partire da questo punto geometrico60. Cristo è il centro che irradia l’amore che si dispiega universalmente. L’approccio dal centro è approccio che parte dalla centralità di Dio, è approccio che parte dalla direzione verso cui è rivolto l’amore, cioè l’uomo e il mondo, è teologia che nasce «nella reciprocità, che attraverso il centro comune viene mediata e aperta»: da essa si sviluppano quella «comunicazione e comprensione che garantiscono all’uomo di poter comprendere da credente Dio, se stesso, gli altri»61. La sequela di Cristo che per Bonaventura si esprime sulla strada di Francesco, genera la riflessione teologica e filosofica a partire da tale carisma, tanto che Bonaventura è riconosciuto come secondo fondatore dell’Ordine francescano. Bernardo da Chiaravalle offre un importante contributo nell’evidenziare il ruolo che l’esperienza può avere per Dio. Oltre all’esperienza di Dio in cui l’uomo è soggetto che esperisce Dio, esiste un’esperienza di Dio vissuta da Cristo con l’Incarnazione. Cristo apprende nell’orizzonte umano e nel tempo ciò che conosceva eternamente in quanto Figlio di Dio: Quod Filius Dei ab aeterno sciebat per divinitatem, hoc temporaliter didicit experimento per carnem62. Emerge il carattere kenotico: per amore Cristo si spoglia di ciò che conosce per reimpaBONAVENTURA, Hexaemeron, I, 1, in Opera omnia VI, Roma 1994. BONAVENTURA, Hexaemeron, I, 13, in ibid. 59 LE, pp. 184-185. 60 Hemmerle approfondisce tale intuizione alla luce del mistero dell’abbandono di Gesù. Cf. LE, p. 65. 61 BA, p. 175. 62 BERNARDO DA CHIARAVALLE, De gradibus humilitatis et superbiae, III, 6-10, in Opera omnia I, cit. 57
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L’esperienza di Dio nell’unità
rarlo con l’esperienza umana che viene assunta e redenta. L’esperienza di Dio diventa possibile poiché Cristo ha voluto dalla prospettiva degli uomini «sillabare la sua natura divina facendo sì che il mondo umano diventasse esperienza di Dio. Lui, seconda Persona della Trinità, ha fatto esperienza del mondo e della storia dall’interno»63. Il tempo diventa forma della vita di Dio: non una temporalità accidentale, ma un’esperienza nel tempo che l’Eterno compie. Se Cristo impara nel tempo ciò che egli è in eterno come Figlio di Dio, «allora questo vale per noi invertendo i termini: assumendo su di sé la nostra temporalità, impariamo l’eternità per l’oggi e per l’eterno»64. Rilevante è il contributo di Bernardo su Maria. Con intuizione profonda che testimonia il suo amore a lei, egli evidenzia il rapporto che la unisce al Crocifisso realizzando in lei la più alta partecipazione al dolore del Figlio e quindi la pienezza dell’esperienza di Dio. L’esperienza mistica di Bernardo rende possibile una profonda riflessione, è esperienza di Dio purissima che diventa teologia. 5. IN DIALOGO CON L’EBRAISMO Con particolare sensibilità al dialogo interreligioso, Hemmerle si dimostra attento alla filosofia ebraica del XX secolo e partecipa attivamente alla Commissione cattolica di dialogo sul tema Juden und Christen65. Il pensiero ebraico non costituisce per Hemmerle una fonte in senso tecnico, ma con esso ci sono significative consonanze. Peculiarità del pensiero ebraico è tematizzare Dio partendo dalla Rivelazione biblica e prescindendo dalle categorie metafisiche. Hemmerle conosce Buber e Lévinas66 e apprezza Rosenzweig. Dichiara di aver potuto «indicare a molte persone che non credono una via nella fede grazie alla teoria della conoscenza messianica di Rosenzweig». Solo «col sangue e con le ossa» per Rosenzweig si percepisce Dio. Questa intuizione colpisce Hemmerle: LE, p. 112. LE, p. 65. 65 Cf. K. HEMMERLE, Aufbruch in Gottes Zukunft – Anbruch der Zukunft Gottes, in AS V, pp. 317-325. 66 Cf. Ein Gespräch zwischen Emmanuel Lévinas, Klaus Hemmerle, Hans Hermann Henrix, Bernhard Casper, Heinz-Jurgen Görtz und Herman Heering, in AS V, pp. 326-340. 63 64
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I. Accogliere e ridonare
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È straordinario che ciò che guida Rosenzweig sulla via del giudaismo, permette a me come cristiano di comprendere l’Eucaristia: l’amore di Gesù nei miei confronti è amore con il cuore, con il sangue e con le ossa. Per questo posso credere con le ossa. Nell’incontro col Vangelo Rosenzweig mi ha liberato dall’atteggiamento metafisico che cerca di sistemare tutto attraverso dei concetti già definiti67. Considerando il diverso contesto si può delineare un confronto tra la Weltanschauung di Hemmerle e quella di Rosenzweig, Buber e Lévinas68. Le affinità sono nelle comuni radici: la fenomenologia, la filosofia esistenziale, la ricerca di Dio. Rosenzweig (1886-1929) in Der Stern der Erlösung69 contrappone all’hegelismo, al kantismo e alla metafisica il nuovo pensiero che nasce dal campo aperto della realtà in cui è possibile fare esperienza di Dio scoprendo la stella della redenzione. Per il ruolo centrale assunto dall’esperienza, tale opera all’epoca fu definita70 come passaggio dalla filosofia alla vita. Lévinas considera la filosofia di Rosenzweig una profonda novità poiché intende delineare un’ontologia alla luce dell’orizzonte biblico. La Rivelazione assume valenza conoscitiva che si dispiega in concetti nuovi71. Per Rosenzweig Dio è l’unica realtà: solo di Lui si può dire «Egli è». L’ebraismo diventa metodo di conoscenza: «La stella ha il suo centro nella Rivelazione: è qui che batte il suo cuore, da questo centro inizia Ibid., p. 331. La filosofia di Rosenzweig si incentra sul rivelarsi di Dio nell’esistenza. Buber e Rosenzweig collaborano alla traduzione della Bibbia dall’ebraico in tedesco. Rosenzweig pone le basi del pensiero dialogico senza coglierne i frutti per la morte improvvisa, mentre Buber ne tematizza le conseguenze. Lévinas approfondisce il pensiero di Rosenzweig nei saggi: E. LÉVINAS, Entre deux mondes. La voie de F. Rosenzweig, in Difficile Liberté. Essai sur le Judaisme, Paris 1976, pp. 235-260; tr. it., Tra due mondi: la via di F. Rosenzweig, in Difficile libertà. Saggi sul giudaismo, Brescia 1986, pp. 93-119; F. Rosenzweig. Une pensée juive moderne, in Hors sujet, Montpellier 1987, pp. 71-96; tr. it., F. Rosenzweig: un pensiero ebraico moderno, in Fuori dal soggetto, Genova 1982, pp. 51-68. 69 F. ROSENZWEIG, Der Stern der Erlösung, Den Haag 1976. 70 Recensione di Ehrenberg in «Frankfurter Zeitung», 29.12.1921. Rosenzweig rifiuta tale affermazione, perché non si può contrapporre la vita alla filosofia in quanto nella vita si fa filosofia. Cf. H.J. GÖRTZ, Rosenzweigs “erfahrende Philosophie” und Hegels “Wissenschaft der Erfahrung des Bewusstseins”, Düsseldorf 1984, p. 327. 71 Cf. E. LÉVINAS, F. Rosenzweig, cit., p. 212. 67
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L’esperienza di Dio nell’unità
e si ordina la totalità»72. Il vecchio pensiero è la filosofia che non sa nulla del cielo perché si trova al di là dell’esperienza possibile, ma pretende di sapere tutto della terra. Il nuovo pensiero è considerato un commento alla “stella” che si sviluppa come filosofia esperienziale73. La “stella” è il libro dell’esperienza che il pensiero fa di sé, del mondo e di Dio. Per erfahrende Philosophie, filosofia esperienziale, Rosenzweig intende la filosofia che guarda con coraggio alla finitudine, alla morte, al nulla e al destino del singolo proclamando il bisogno di redenzione. Rosenzweig ne sottolinea il valore conoscitivo parlando di anschauliches Wissen der Erfahrung ed erfahrendes Denken, pensiero esperienziale74. Alla nuova filosofia corrisponde la nuova teologia: entrambe hanno in cuore la «verità della realtà, che attendono come unica verità nel futuro eterno del mondo ultraterreno»75. Per parlare di Dio la filosofia deve abbandonare l’approccio speculativo aprendosi all’esperienza biblica in cui il Dio lontano diventa vicino rivelando la redenzione del pensiero. Rosenzweig parla di conoscenza messianica nell’incontro tra Dio e l’uomo. Non conosciamo ciò che Dio è in sé, ma l’esperienza ci parla di lui e del suo agire. Alla luce della dottrina della shekinah Rosenzweig mette in luce l’esperienza di Dio che il resto di Israele fa nel dolore, e l’esperienza che Dio fa nel condividerne la sofferenza76. La “stella” della redenzione è dialogo d’amore tra Dio e il suo popolo. Hemmerle apprezza il concetto di erfahrende Philosophie e di Gesprächphilosophie, filosofia dialogica nel senso di pensiero che nasce dalla reciprocità. Il tema del Dio vicino 72 H.J. GÖRTZ, Rosenzweigs “erfahrende Philosophie” und Hegels “Wissenschaft der Erfahrung des Bewusstseins”, cit., p. 332. 73 Cf. F. ROSENZWEIG, Das neue Denken. Einige nachträgliche Bemerkungen zum “Stern der Erlösung” (1925), p. 397, in H.J. GÖRTZ, Rosenzweigs “erfahrende Philosophie” und Hegels “Wissenschaft der Erfahrung des Bewusstseins”, cit., p. 46. 74 H.J. GÖRTZ, Rosenzweigs “erfahrende Philosophie” und Hegels “Wissenschaft der Erfahrung des Bewusstseins”, cit., p. 65. 75 Ibid., p. 95. 76 F. ROSENZWEIG, Der Stern der Erlösung, cit., p. 129: «Fra il Dio dei nostri padri e il resto di Israele, la mistica getta il ponte della shekinah. La shekinah, l’abbassarsi di Dio all’uomo e l’abitare di Dio in mezzo agli uomini, viene raffigurata come una divisione che avviene in Dio stesso. Dio si divide da sé, si dà al popolo, soffre la sua sofferenza, con esso accetta la miseria dei paesi stranieri, pellegrino con esso nelle sue peregrinazioni. […] Dio stesso, come è naturale per il Dio dei nostri padri, si vende a Israele e soffre la sua stessa sorte, per cui si rende bisognoso di redenzione. Il rapporto tra Dio e il resto in questa sofferenza va oltre se stesso».
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I. Accogliere e ridonare
che diventa lontano e poi vicino con la drammaticità della ricerca e dell’attesa percepita dal mondo ebraico, viene recepito da Hemmerle che colloca la riflessione su Maria nell’orizzonte ebraico di speranza e delusione: Maria sarà definita come colei che porta alla luce quel Dio assente e nascosto dell’ebraismo. Martin Buber (1878-1965), amico di Rosenzweig, rielabora temi del misticismo e della tradizione chassidica sviluppando una filosofia centrata sul principio dialogico77. Il principio dialogico si fonda sul rapporto con il Tu eterno di Dio. La relazione io-tu è indispensabile per l’io e l’esperienza di Dio è possibile in questo dialogo che si alimenta nel dialogo con il tu degli altri uomini: ogni tu diventa uno sguardo verso il Tu eterno. Per Buber la teologia ha la pretesa di ridurre Dio a oggetto di conoscenza, mentre il Dio vivente si rivela nel dialogo: si può parlare con Dio ma non di Dio. Per comprendere Buber non si può prescindere dall’orizzonte dell’ebraismo: Dio si rivela e si nasconde, si manifesta e si ritrae, ma l’uomo cerca la sua presenza, soffre della lontananza attendendo una manifestazione. Il dialogo non avviene visà-vis in posizione di reciprocità perché il volto di Dio è nascosto: il dialogo è condizionato dall’assoluta trascendenza di Dio e dall’egoismo umano che ha fatto eclissare Dio. Oggi non si deve parlare di morte di Dio ma di eclissi di Dio: Dio si è eclissato perché fra l’uomo e lui si è frapposta la realtà onnipotente dell’Io che vuole fagocitarlo e farne un contenuto psicologico che non esiste fuori della soggettività umana78. Una fusione non è possibile: senza un dialogo in cui il tu e l’io restano tali non si può parlare di esperienza di Dio. Buber non comprende la mistica perché resta ancorato a un modello antropologico di dialogo: a suo avviso nella unio mystica verrebbero meno il dialogo e l’identità dell’uomo, per cui essa sarebbe la negazione (sic!) dell’esperienza di Dio79. Il pensiero ebraico è attento al tu dell’altro e di Dio, ma non riesce a superare la dimensione bipolare. Per Hemmerle il dialogo iotu si apre al noi, è dialogo tra gli uomini e il noi trinitario di Dio: nel 77 M. Buber propone tre modalità originarie: io (Ich-sein), tu (Du-sein), esso (Essein). Mentre nell’Es-sein si scade a livello delle cose, nel rapporto io-tu l’uomo prende coscienza di sé attraverso la relazione con l’altro e nel tu può cogliere un alito del Tu eterno. Opere: Ich und Du, Heidelberg 1954; tr. it., Il principio dialogico, Milano 1958; Gottesfinsternis, Zürich 1953; tr. it., Eclissi di Dio, Milano 1961. 78 Buber rimprovera a Jung di aver trasformato Dio in un contenuto psicologico della coscienza. 79 M. BUBER, Confessioni estatiche, Milano 1987, p. 27.
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L’esperienza di Dio nell’unità
dialogo entra un Terzo che è molto più dell’io e del tu perché è Cristo presente fra gli uomini. Una prospettiva in cui permangono la differenza e l’identità dell’io e del tu, un’esperienza di unità che non è fusione o confusione, ma è identità come dialogo. Per Emmanuel Lévinas80 (1906-1995) il principio dialogico è una critica alla metafisica dominata dal principio di identità. Occorre superare sia l’identità chiusa in sé, sia l’il y a anonimo e impersonale, sia l’essere di Heidegger. L’Altro viene incontro col suo volto che si rivolge a me implorando di non fargli violenza, il suo volto diviene traccia dell’infinito, l’appello «non non ucciderai»» è l’istanza fondamentale. Il rispetto della trascendenza dell’Altro permette di cogliere in lui un orizzonte di senso: il volto dell’Altro diviene epifania della trascendenza. Dio è insondabile e non lo si conosce: non si parla di esperienza di Dio, ma di esperienza assoluta dell’alterità81. Una relazione asimmetrica in cui l’Altro è in posizione di superiorità e interpella la mia responsabilità da una trascendenza infinita. L’asimmetria dei piani viene definita come curvatura dello spazio intersoggettivo che mette in rilievo l’intenzione divina di ogni verità: «Questa curvatura dello spazio intersoggettivo è forse la presenza stessa di Dio»82. Una presenza che non rivela il volto di Dio, poiché Dio resta totalmente altro. Il rapporto con l’Altro in Lévinas si lega alla traccia della trascendenza che permane nella dimensione dell’illeità. Il nome di Dio è avvolto dall’ineffabilità, resta obliquo nel rapporto con l’Altro, non è mai il tu diretto con cui dialogare come in Buber. Non è possibile un rapporto alla pari perché verrebbe meno la trascendenza: Dio è kadosh, santo e separato, si manifesta con la sua gloria che non può essere vista. In nome di Dio si può pronunciare «Eccomi!», ma la realtà divina resta un retro-pensiero (arrière pensée): nella frase in cui Dio viene per la prima volta a mescolarsi con le parole «Dio è ancora assente. Non si annuncia in alcun “io credo”. Testimoniare Dio non è enunciare questa parola straordinaria. “Eccomi” significa: eccomi 80 Opere di E. LÉVINAS: Totalitè et infini. Essai sur l’exterioritè, La Haye 1961; tr. it., Totalità e infinito. Saggio sull’esteriorità, Milano 1990; Autrement qu’être ou au-delà de l’essence, La Haye 1974; tr. it., Altrimenti che essere o al di là dell’essenza, Milano 1983; De l’existence à l’existant, Paris 1978; tr. it., Dall’esistenza all’esistente, Casale Monferrato 1986. 81 Cf. G. FERRETTI, La filosofia di Lévinas, Torino 1996, p. 22. 82 E. LÉVINAS, Totalità e infinito, cit., p. 300.
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I. Accogliere e ridonare
in nome di Dio a servizio degli uomini»83. Parlando di relazione metafisica, egli tematizza la possibile struttura multipla dell’essere come una frattura interna: la creazione implica la separazione tra Creatore e creatura, per cui «l’essere si produce come multiplo e come scisso in medesimo e altro: questa è la sua struttura ultima»84. Ma Lévinas non ne trae le conseguenze ontologiche. Lévinas non influisce direttamente sul pensiero di Hemmerle: le possibili analogie sono diverse tematizzazioni. Per Hemmerle l’approccio è dall’alto: la reciprocità non nasce da un’istanza etica, ma dal darsi trinitario di Dio. Un merito di Lévinas è aver intuito che la curvatura dello spazio intersoggettivo diventa presenza divina. Parlando con Hemmerle, Lévinas affermò di aver iniziato un confronto col pensiero cristiano. Quando sentì parlare dell’Eucaristia per la prima volta, comprese che «la vera Eucaristia è in questo momento presente in cui l’Altro mi si fa incontro: lì è davvero presente la realtà personale del divino»85. Il mistero divino è inaccessibile nella trascendenza infinita, ma l’altro uomo diventa sacramento del divino, segno e realtà della presenza di Dio. 6. L’ONTOLOGIA STRUTTTURALE DI H. ROMBACH Nel 1971 Rombach pubblica Strukturontologie86 proponendo una nuova prospettiva ontologica. Nel saggio Besprechung von H. Rombachs Strukturontologie87 Hemmerle ne coglie la novità. Rombach invita a pensare con lui: leggendo l’opera non si può essere spettatori, ma bisogna coinvolgersi nel movimento che la costituisce. Rombach definisce l’ontologia strutturale come fenomenologia della libertà: la libertà emerge nel manifestarsi dinamico della realtà88. Per Hemmerle questa è la chiave ermeneutica. Il genitivo “della libertà” ha valore soggettivo e oggettivo: oggettivo in quanto l’approccio strutturale crea libertà, E. LÉVINAS, Altrimenti che essere, cit., p. 187. Ibid., p. 277. 85 K. HEMMERLE, Ein Gespräch zwischen Emmanuel Lévinas, Klaus Hemmerle, Hans Hermann Henrix, Bernhard Casper, Heinz-Jurgen Görtz und Herman Heering, cit., p. 327. 86 H. ROMBACH, Strukturontologie. Eine Phänomenologie der Freiheit, Freiburg 1971. 87 BR, pp. 416-432. 88 Cf. BR, p. 426. 83
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L’esperienza di Dio nell’unità
soggettivo in quanto la libertà si esprime nel libero dono degli eventi all’interno della struttura. La struttura non è un concetto o un’entità, ma è l’autocostituirsi. Non la si può definire in modo statico, ma solo nel costituirsi dinamico come evento attraverso il libero dono dei fenomeni. L’ontologia strutturale è alternativa al tradizionale pensiero ontologico89, poiché la struttura non fiorisce su un sostrato ontologico esistente, ma «è processo che produce relazione e nella relazione produce la realtà»90. La relazionalità assume rilevanza ontologica: il pensiero strutturale evidenzia «la la sussistenza dell’uno nell’altro e la reciprocità dell’uno con l’altro della struttura, la pluralità degli elementi all’interno dell’individualità ed esclusività della struttura»91. Gli elementi sono «legati l’uno con l’altro a partire da questa relazione che li spinge l’uno verso l’altro solo a partire da questo evento di libertà»92. Le singole identità prendono forma in relazione con il tutto e la struttura trova identità nella «generazione della relazione che dona liberamente ciò che contiene»93. Nella struttura il soggetto si attua nel verbo94. La struttura è evento che diviene «presenza dell’Assoluto»95. Dio è definito Projekt/Projektion: non una proiezione dell’uomo o un ottativo del cuore, ma un progetto che apre un cammino. L’incontro col pensiero di Rombach è importante per Hemmerle per la maturazione di una visione relazionale dell’ontologia in cui la struttura si configura come evento delle molte relazioni. Secondo Frick, Hemmerle apprezza Rombach perché è sua caratteristica il non poter pensare in schemi rigidi: «Il Il pensiero e il linguaggio di Hemmerle nell’incontro col pensiero di Rombach guadagnano un profilo che dà un timbro significativo alle Thesen»96. Nelle Thesen Hemmerle utilizza concetti come la struttura, l’incremento, l’evento, il processo, adatti a esprimere il novum. Egli rilegge tali concetti alla luce del Dio 89 L’ontologia tradizionale è paragonata da Rombach a un museo i cui pezzi sono pietrificati nella staticità dell’essere poiché non esprime la relazione che spinge gli elementi l’uno verso l’altro formando un’unica realtà. 90 BR, p. 421. 91 Ibid. Per indicare la reciprocità viene usata l’espressione das Ineinander und Miteinander. 92 BR, p. 420. 93 H. ROMBACH, Strukturontologie, cit., p. 54. 94 Cf. BR, p. 422. 95 BR, p. 423. 96 A. FRICK, Der dreieine Gott, cit., p. 66.
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I. Accogliere e ridonare
trinitario spingendosi più in là di Rombach: la struttura esprime la dinamica del dono e il mezzo per pensare il nuovo. Se in Rombach la struttura esprime la relazione, in Hemmerle diviene struttura di comunione che si fonda sulla reciprocità. Significa partire dal centro, quel centro che Rombach indica come punto di partenza per un evento di libertà ma che resta anonimo: in Hemmerle questo centro ha il volto del Dio trinitario. 7. H.U. VON BALTHASAR: Documento acquistato da () il 2023/04/13.
LA SORGENTE SEMPRE ANTICA E SEMPRE NUOVA
Hemmerle e Balthasar, legati da stima e amicizia, presentano notevoli affinità nell’originalità del pensiero. Hemmerle è acuto interprete di Balthasar, con cui si sente in profonda sintonia. Le loro teologie «si toccano con grande rispetto»97. Nelle opere di Balthasar98 emergono «le prospettive di una mutata comprensione dell’essere che impronta la consapevolezza moderna». Si rinnovano «la struttura del pensiero, la modalità del vedere, l’incontro con la realtà, l’atteggiamento 97 Ibid., p. 63. Secondo Frick, Hemmerle nelle Thesen «voleva dire, pensando in modo nuovo e diverso e per suo conto far venire fuori come risposta ciò che in lui era maturato nell’incontro con von Balthasar. Questo rimanda al metodo imparato da Welte». 98 Opere di H.U. VON BALTHASAR: Gloria. Un’estetica teologica (1975-1983); Teodrammatica (1980-1986); Teologica (1989-1992); Verbum Caro (1970); Sponsa Verbi (1969); Spiritus Creator (1972); Teologia dei tre giorni (1990); il saggio K. Barth. Darstellung und Deutung seiner Theologie (1951). Per approfondimenti bibliografici: G. MARCHESI, La cristologia trinitaria di H.U. von Balthasar, Brescia 1997; H. HEINZ, Der Gott des Je-mehr. Der christologische Ansatz H.U. von Balthasars, Frankfurt 1975; H. DE LUBAC, Un testimone del Cristo nella Chiesa: Hans Urs von Balthasar, in Paradosso e mistero della chiesa, Milano 1979; B. LEAHY, The Marian Principle in the Church according to H.U. von Balthasar, Frankfurt 1996; K. LEHMANN - W. KASPER, H.U. von Balthasar, figura e opera, Casale Monferrato 1991; M. LOCHBRUNNER, Analogia caritatis. Darstellung und Deutung der Theologie H.U. von Balthasars, Freiburg 1981; P. MARTINELLI, La morte di Cristo come rivelazione dell’amore trinitario nella teologia di H.U. von Balthasar, Milano 1996; A. MODA, H.U. von Balthasar. Un’esposizione critica del suo pensiero, Bari 1976; A. RIGOBELLO, H.U. von Balthasar. La bellezza radicata nell’essere, in «Studium» (1988), 64, pp. 667-678; A. TONIOLO, Croce e modernità nel pensiero di H.U. von Balthasar, in A. TONIOLO, La theologia crucis nel contesto della modernità. Il rapporto tra croce e modernità nel pensiero di E. Jüngel, H.U. von Balthasar, G.W.F. Hegel, Roma 1995. Molto importante il saggio di Hemmerle Das neue ist älter. H.U. von Balthasar und die Orientierung der Theologie.
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L’esperienza di Dio nell’unità
personale» sapendo che «con la teologia si rinnovano la filosofia e la spiritualità. E non da un punto di partenza qualsiasi, ma dal fulcro della nostra fede: l’evento Cristo interpretato in senso trinitario»99. Dio è sorgente antica e sempre nuova e Balthasar «ha assaporato la novità della sorgente, l’ha comunicata e dischiusa in una riflessione stupefatta e adorante: è capace di scoprire sorgenti dovunque nel deserto anche dove la teologia a stento avrebbe osato»100. In Dio c’è qualcosa di più grande del carattere di Incondizionato: è l’amore che ci è dato in Cristo. È il senso della Teodrammatica ed è il punto focale dell’Estetica teologica: amore non come principio di astrazione, ma come principium che è evento. La Cristologia dei tre giorni è dedicata al mistero pasquale che è culmine della Rivelazione, poiché dove l’amore si spoglia di sé, è in massimo grado se stesso e si rivela. La certezza di questo amore spinge Balthasar a osare la riflessione su ciò che la teologia non aveva osato approfondire, come la discesa agli inferi. La comprensione di questo articolo del Credo «è il più grande regalo teologico che Adrienne von Speyr ha ricevuto da Dio e ha lasciato in eredità alla Chiesa»101. Balthasar chiarifica questo articolo di fede delineando nuove prospettive102. In Cristo la realtà di Dio che ama fino alla fine e la salvezza che arriva fino all’ultimo uomo negli inferi rivelano l’unità profonda del mistero di Dio nella teodrammatica del donarsi. Un’unità profonda che è il cuore del grandioso affresco che l’opera di Balthasar costituisce, e che viene paragonata a una cattedrale gotica, riprendendo un’immagine di Claudel. Per Marchesi la 99 TT, p. 7 (Vorrede). In questo caso ci si riferisce all’edizione Johannes Verlag, Einsiedeln 1992 delle Thesen, e non ad AS II, poiché la prefazione alle Thesen non viene riportata da AS II. 100 DN, p. 202. 101 H.U. VON BALTHASAR, La vita, la missione teologica e l’opera di A. von Speyr, in A. VON SPEYR, Mistica oggettiva, Milano 1989, pp. 11-57. 102 Cristo discende nella realtà di peccato «non agendo più, ma fin dalla croce e in rapporto ad essa, spogliato di ogni potere e iniziativa propria come colui del quale si è pienamente disposto, come colui che è abbassato a pura materia, l’Obbediente (a modo di cadavere) nell’indifferenza assoluta, senza residui, incapace di qualsiasi solidarizzare attivo, meno che mai di qualsiasi predicazione ai morti. Egli (ma per un amore supremo) è morto insieme con loro. E appunto perciò egli disturba l’assoluta solitudine cui anela il peccatore: questi, che vuole essere dannato, allontanato da Dio, nella propria solitudine ritrova Dio, ma Dio nell’impotenza assoluta dell’amore che solidarizza senza limiti col non-tempo, con chi danna se stesso» (H.U. VON BALTHASAR, Sulla rappresentanza vicaria, in Lo Spirito e l’istituzione, Brescia 1979, p. 351).
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I. Accogliere e ridonare
trilogia Estetica, Teodrammatica, Teologica forma l’area sacra della cattedrale a cui si accede attraversando il pensiero occidentale. Cristo è Gestalt teofanica dell’Estetica, centro della Teodrammatica, Verità della Teologica103. Nell’analogia cristologica104 proposta da Balthasar, il concetto di analogia entis converge con l’istanza barthiana dell’analogia fidei: «all’interno dell’analogia cristologica resta l’originaria infinita distanza tra Dio e creatura», una distanza che «verrà trasfigurata nell’infinita distanza tra le divine Persone all’interno dell’identica divina natura»105. Hemmerle parla del rapporto con Balthasar come di due diversi percorsi nello stesso giardino. Della visione di Balthasar «non è necessario acquisirne i dettagli, poiché il fatto che il giardino che ha preparato, piantato e coltivato possa essere ripercorso anche per un’altra via», diversa da quella che egli percorre, «conferma l’intimo accordo e l’inesauribile riserva del suo pensiero con l’originalità della sua prospettiva»106. Hemmerle e Balthasar hanno in comune l’impronta giovannea: approfondendo la realtà di Dio Amore, ne fanno il punto di partenza della riflessione teologica. Condividono una particolare sensibilità ecumenica che li porta a riformulare temi specifici della Traditio cattolica in una teologia che non disdegna di accogliere i contributi delle altre chiese. Balthasar vede in Cristo la «vasta sfera di una logica trinitaria»107, ma l’impostazione resta teologica: «non approfondisce questa linea di pensiero: si tratta di un’indicazione che poi viene compresa come annuncio di elaborare un’analogia amoris»108. Esiste tra Balthasar ed Hemmerle un legame profondo nel non aver ricusato di attingere dalla mistica e dai carismi di spiritualità facendone una scuola di teologia che nasce dall’esperienza di Dio. Filosofia e teologia 103 Balthasar fa uso dell’analogia entis e dell’analogia fidei e inverte l’ordine dei trascendentali delineando «la trilogia teologica: Estetica teologica, rivelazione visibile della gloria di Dio (pulchrum), Teodrammatica o azione salvifica di Dio entro lo scenario del teatro del mondo (bonum) e la Teologica, rivelazione divina della verità che è Dio stesso (verum)» (G. MARCHESI, La cristologia trinitaria di H.U. von Balthasar, cit., p. 610). 104 «Cristo, essendo Dio, è universale concretum, un concretum universale» (H.U. VON BALTHASAR, Verbum Caro, cit., p. 183). 105 H.U. VON BALTHASAR, Teologica II, Jaca book, Milano 1991, p. 276. 106 DN, p. 219. 107 H.U. VON BALTHASAR, Teologica II, cit.; tr. it., Verità di Dio, Milano 1990, p. 3. 108 L. ŽÁK, Premessa. Verso un’ontologia trinitaria, in P. CODA - L. ŽÁK, Abitando la Trinità, cit., p. 10. Per l’analogia amoris, cf. M. LOCHBRUNNER, Analogia caritatis, cit.
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L’esperienza di Dio nell’unità
sono in continuo dialogo: «un teologo può seriamente esistere solo se è anche, e prima, filosofo»109. Entrambi condividono la convinzione che con la teologia si rinnova la filosofia e da un’esperienza di spiritualità nasce un nuovo pensiero, poiché la teologia non è riflessione speculativa, ma è contemplazione sapienziale e intuizione mistica. Se per Hemmerle è fondamentale l’incontro con il carisma dell’unità di Chiara Lubich, per Balthasar è decisivo l’incontro con l’esperienza mistica di Adrienne von Speyr, tanto che a suo dire «non ci sarà una conoscenza effettiva di tutto ciò che io ho scritto, se non quando ci si sarà occupati seriamente di Adrienne von Speyr»110. In questa affinità si delinea una convergenza riguardo alla cristologia trinitaria e alla centralità del mistero pasquale approfondito da Hemmerle alla luce dell’abbandono e da Balthasar alla luce della discesa agli inferi. Nelle Thesen si prospetta l’integrazione ontologica di ogni cosa in Cristo che scende nel silenzio dello sheol111. Per Hemmerle non si può prescindere da alcuni punti che Balthasar ha messo in luce, come la teologia del sabato santo, il principio mariano, il significato dell’arte: «La forza originaria di tale teologia nel duplice senso di una spinta a ritroso verso ciò che è antico e in avanti verso ciò che è nuovo»112. Originale è la riflessione di Balthasar sul principio mariano della chiesa113 che mette in luce la dimensione carismatica in modo complementare al principio petrino. Il pensiero ontologico di Hemmerle nasce in risposta a Balthasar: egli non scrive su di lui, ma per lui. Esiste un motivo per cui non intendo scrivere un contributo su Balthasar, ma un contributo per lui e rivolto a lui. La sorgente è aperta e si può attingere ad essa. Ma si può pensare al nuovo solo mediante qualcosa di nuovo114. Hemmerle approfondisce l’analogia cristologica: Cristo è il termine analogico per il dialogo tra uomo e Dio. Grazie alla sua presenza in H.U. VON BALTHASAR, Teologica I, Jaca book, Milano 1989, p. 13. M. ALBUS, Geist und Feuer. Ein Gespräch mit Hans Urs von Balthasar, in «Herder Korrespondenz» (1976), 30, p. 73. 111 Cf. TT, p. 153. 112 DN, p. 220. 113 Cf. B. LEAHY, The Marian Principle in the Church according to Hans Urs von Balthasar, cit.; tr. it., Il principio mariano nella Chiesa, Roma 1999. 114 DN, p. 202. 109
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I. Accogliere e ridonare
mezzo agli uomini si può parlare di analogia dialogica. Significativa è la sintonia metodologica: l’approccio dall’alto non esclude l’approccio dal basso che riceve luce dal centro, cioè la sorgente antica e sempre nuova di Dio Amore. Le prospettive di Hemmerle e di Balthasar sono un invito a tradurre in vita. Non è possibile una pura comprensione speculativa, ma si comprende la prospettiva di Balthasar «solo se entrando nel suo gioco vi prendiamo parte»115. Preziosa è l’intuizione dell’amore come trascendentale assoluto e fondamento dell’essere creato116: in Cristo l’amore diventa centro della metafisica117. Balthasar non ne sviluppa le conseguenze filosofiche: sarà compito di Hemmerle scoprire il mistero trinitario di Dio come centro focale delineando l’ontologia trinitaria nella teodrammatica del suo donarsi. Per Hünermann il pensiero di Hemmerle è «affine alla concezione trinitaria di Balthasar, ma libera tale concezione dalle limitazioni e dai rigori di un vincolo metafisico fortemente speculativo»118. L’originale prospettiva delle Thesen è il più prezioso dono che Hemmerle effettua al pensiero cristiano e il più grato tributo che rivolge a Balthasar. 8. L’INCONTRO CON IL CARISMA DELL’UNITÀ Parlare del rapporto di Hemmerle con la spiritualità dell’unità significa toccare il nucleo centrale del suo pensiero e della sua vita. Il carisma dell’unità illumina la sua riflessione facendo maturare una sintesi tra esperienza di Dio ed elemento speculativo che si sviluppa in varie direzioni, dalla teologia alla filosofia, dall’ecclesiologia alla politica, dall’etica all’antropologia, dall’economia all’ecologia, dall’estetica alla sociologia. Egli vi ha trovato «vitalmente realizzato quello che aveva cercato sulla via del pensiero»119. Balthasar afferma che i carismi sono «una nuova interpretazione della Rivelazione, un arricchimento della dottrina riguardo a nuovi tratti finora poco considerati». Sono «sguardi nel centro della Rivelazione, sguardi che arricchiscono la Chiesa in modo quanto mai inaspettato e tuttavia perenne»120. DN, p. 222. G. MARCHESI, La cristologia trinitaria di H.U. von Balthasar, cit., p. 169. 117 H.U. VON BALTHASAR, Teologica II, cit., pp. 171-172. 118 P. HÜNERMANN, L’altro è come me, ma Dio è come l’altro, cit., p. 63. 119 K. LEHMANN, Der grösste Dank an ihn: das Zeugnis unseres Lebens, in «Das Prisma» (Sonderheft) (1994), 6, p. 79. 120 H.U. VON BALTHASAR, Teologica III, Milano 1992, p. 22. 115 116
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Fare della chiesa la casa e la scuola della comunione: ecco la grande sfida che ci sta davanti nel millennio che inizia. […] Occorre promuovere una spiritualità della comunione facendola emergere come un principio educativo in tutti quei luoghi dove si plasma l’uomo e il cristiano121. Secondo Giovanni Paolo II questo può realizzarsi anche con il contributo dei diversi carismi. Se i carismi esprimono «quella parte viva ed essenziale della Tradizione che in tutti i tempi mostra lo Spirito Santo nell’atto di interpretare in modo vivo la rivelazione di Cristo fissata nella Scrittura»122, essi non hanno solo valenza spirituale ed esperienziale, ma gettano luce in ambito speculativo. Per Greshake ogni carisma apporta uno specifico contributo dottrinale perché le persone «non vivono di una dottrina, ma è proprio la loro vita a produrre una dottrina»123. Secondo Ciardi ogni spiritualità «getta nuova luce sulle esperienze precedenti, le arricchisce e le fa progredire col progredire del cammino ecclesiale».. Questo vale anche per la spiritualità dell’unità, che può offrire «una luce nuova nell’ambito delle spiritualità e della teologia spirituale»124. Secondo Lehmann, Hemmerle e il Movimento dei Focolari si sono fertilizzati a vicenda: egli «ha illuminato dal di dentro il Movimento dei Focolari e la sua teoria ha trovato nutrimento, fondamento e solidità attraverso l’esperienza spirituale e la vita in comunione tipica del Movimento dei Focolari»125. In un’intervista rilasciata negli ultimi giorni di vita, Hemmerle rilegge i tratti di questo incontro avvenuto nel 1958: «Tutto il valore e la novità del Movimento dei Focolari consiste nella specifica esperienza di Dio. Essa è legata alla persona e alla storia di Chiara Lubich, ma si profila sin dall’inizio come esperienza di Dio comunitaria»126. Lo spe121 GIOVANNI PAOLO II, Lettera Apostolica Novo Millennio Ineunte 43 [06.01.2001], in EV 20, 12-122. 122 H.U. VON BALTHASAR, Nella pienezza della fede, Roma 1992, p. 464. 123 G. GRESHAKE, L’uomo e la salvezza di Dio, in K.H. NEUFELD (ed.), Problemi e prospettive di teologia dogmatica, Brescia 1983, p. 301. 124 F. CIARDI, I carismi, parole di Dio vive, in «Nuova Umanità» XIX (1997), 3-4, pp. 111-112, 387-404. «Il carisma dell’unità si pone a servizio di un progetto di identità e di comunione tra le spiritualità fiorite nella storia». 125 K. LEHMANN, Der grösste Dank an ihn, cit., p. 80. 126 Hemmerle muore il 23 gennaio 1994 e l’intervista è del 16 gennaio 1994. È stata pubblicata in K. HEMMERLE, Unser Lebensraum – der Dreifaltige Gott. Die Gotteserfahrung von Chiara Lubich, in AS V, pp. 296-305; tr. it., K. HEMMERLE, La nostra
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I. Accogliere e ridonare
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cifico sta nell’esperienza di Dio nell’unità, ossia esperienza del Risorto che si rende presente tra coloro che vivono l’amore reciproco. L’intuizione dell’unità tra le cose nella luce del Regno di Dio «era lo squarcio di una nuova prospettiva di vita in cui tutto entrava in correlazione con Dio e nella correlazione reciproca, entrava in una nuova unità»127. Una prospettiva che si fonde con l’aspetto esperienziale: «Per la prima volta avevo davvero fatto un’esperienza di Dio. […] Era una vicinanza e una presenza di Dio che nonostante gli intensi studi teologici non avevo mai vissuto e compreso»128. Un’esperienza di Dio profonda: Dio è amore, Dio ti ama immensamente. In questo dono Dio era completamente diverso da come io l’avevo concepito prima. Fino ad allora avevo pensato a Dio come il vertice della creazione, punto di fuga di tutte le linee, concetto che non si può nemmeno comprendere perché di fronte a tale mistero ammutoliamo. Qui questo mistero era mantenuto, ma c’era qualcosa in più di un semplice mistero. Dio, il Padre, era realtà tangibile, era realtà di cui si poteva fare esperienza. Mai come allora mi sembrava di aver compreso il Padre Nostro e l’invocazione Abbà, Padre. D’un tratto il mondo mi si rivelò come lo spazio infinito che tuttavia raccoglie e custodisce, nel quale Dio è Padre e possiamo affidarci a Lui, mettere tutto nelle sue mani, seguirlo incondizionatamente129. Nel suo pensiero maturo Hemmerle afferma che in Dio si percepisce l’unità del tutto. Quando si vive l’amore reciproco «scopriamo di essere accolti in questo spazio divino e di essere avvolti da Lui. Si tratta di un’unica dimora in cui viviamo insieme e che ha come centro il Risorto»130. L’impegno di vivere a partire dall’unità si concretizza per Hemmerle nella vita personale e pastorale e nell’impegno di condividere l’esperienza dell’amore reciproco con vescovi cattolici e delle diverse chiese cristiane. Secondo Lehmann «Hemmerle ha vissuto tutta la vita giorno per giorno a partire da questo». L’espressione Weggemeinschaft cammino in comunione, è la «parola-guida del suo dimora: il Dio trinitario. L’esperienza di Dio di Chiara Lubich, in «Nuova Umanità» XVII (1995/1), p. 11. 127 K. HEMMERLE, Einheit als Lebensstil, in AS III, p. 121. 128 UL, p. 297. 129 UL, p. 299. 130 UL, p. 303.
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L’esperienza di Dio nell’unità
servizio sacerdotale e episcopale»131. Ut omnes unum sint è la Parola riportata sulla lapide della tomba di Hemmerle nel Duomo di Aachen come sintesi della sua vita. Hemmerle evidenzia che la peculiarità dell’esperienza di Dio nell’unità sta nell’essere radicata nel mistero di Cristo Crocifisso e Abbandonato132. E l’unità e Gesù Abbandonato entrano a far parte del suo metodo nel fare teologia133. Nel sottolineare la portata rivelativa dell’Abbandono e dell’esperienza dell’unità, si delinea in Hemmerle un fulcro da cui si sviluppano le più diverse riflessioni, dal conoscere teologico all’atto del pensare, dall’ontologia trinitaria all’antropologia. Nell’incontro con la spiritualità dell’unità e col mistero dell’abbandono «si trasformano i parametri teologici personali di Hemmerle, la sua vita e il suo pensiero»134.
131 K. LEHMANN, Der grösste Dank an ihn, cit., p. 80. L’espressione Weggemeinschaft, che nel 1989 Hemmerle propone come programma e sintesi del suo ministero episcopale, va tradotta come “comunità in cammino”, “cammino in comunione”, “via di comunione”, mantenendo la sinergia e la polivalenza di questi significati. 132 Balthasar si rivolge così ad alcuni esponenti del Movimento dei Focolari: «Rimanete alla prima intuizione di Chiara, all’abbandono di Cristo. Se si dimentica ciò, tutto si appiattisce», cf. «Mariapoli» (1986), 4, p. 13. 133 Cf. P. CODA, Alcune riflessioni sul conoscere teologico nella prospettiva del carisma dell’unità, in «Nuova Umanità» XXI (1999), 122, p. 191. 134 A. FRICK, Der dreieine Gott, cit., p. 69.
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II.
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Ricerca filosofica ed esperienza del sacro. Un preludio
Il contributo filosofico di Hemmerle alla fenomenologia del sacro viene in rilievo nel saggio Das Heilige und das Denken. Zur philosophischen Phänomenologie des Heiligen, contenuto nell’opera Besinnung auf das Heilige che accoglie anche i contributi di B. Casper e P. Hünermann (Freiburg 1966): un’opera che si pone in dialogo con Welte effettuando una ricerca del sacro in spirito di comunione. Questo saggio che costituisce una pietra miliare nell’itinerario intellettuale dell’Autore, è volto a chiarire cos’è la fenomenologia filosofica del sacro e quale rapporto si crea quando il sacro si manifesta nell’orizzonte del pensiero. L’originaria apertura alle cose diventa possibilità per il pensiero di aprirsi al manifestarsi di Dio. Il sacro è presentato nella dimensione apofatica del manifestarsi, quindi nella differenza radicale dal pensiero e dall’essere. La riflessione di Hemmerle si snoda intorno a un punto: il sacro non è il numinoso che nasce dal pensiero, ma precede il pensiero, lo coglie di sorpresa e lo trasforma. La prima forma di esperienza del sacro è la trasformazione che potrebbe essere definita metanoia del pensiero: da qui nasce un’indagine a ritroso verso l’origine1: «Che cosa mi è successo? All’improvviso tutto è cambiato! Tutto è diverso». Il pensiero scopre di essere generato da un’origine che si trova oltre sé, di essere pensato e chiamato. L’indagine sul sacro diventa risposta a un appello che interpella il pensiero invitandolo ad andare oltre sé: «Vieni!». Resta aperta la domanda fondamentale: come si può pensare il sacro in modo che resti tale? Pensare il sacro significa lasciare che si manifesti: l’obiettivo è portare il pensiero a fare spazio al 1 Si tratta di un cammino a ritroso verso il proprio fondamento, poiché «il pensiero si accorge di volgersi al sacro non come a qualcosa di esterno e di estraneo a lui, ma si accorge di entrare nella propria profondità impensabile. Esso è a partire da se stesso, sulla traccia del sacro» (BH, p. 5).
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L’esperienza di Dio nell’unità
sorgere del sacro e a diventarne testimone. Condizione fondamentale è che il sacro prenda l’iniziativa e il pensiero accolga. Il sacro non è un oggetto, ma è pietra miliare (Denkmal) da custodire: non si tratta di pensare il sacro, ma di ripensare al sacro (an-denken) ricordando la presenza originaria di cui il pensiero deve farsi custode memore. 1. VERDANKENDES DENKEN:
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IL PENSIERO CHE ACCOGLIE
Hemmerle distingue due tipologie di pensiero che corrispondono a due diverse modalità di rapportarsi all’oggetto. Esiste un tipo di pensiero che afferra l’oggetto pretendendo di poterne disporre: è il pensiero afferrante che raggiunge l’evidenza a partire dal soggetto (fassendes und verfügendes Denken). Esso stabilisce cosa può manifestarsi e a quali condizioni: il carattere costrittivo si esprime nella pretesa di poter disporre a proprio piacimento. Si cade in un’ambiguità strutturale: il pensiero vuole piegare tutto sotto le sue strutture, ma alla presa afferrante sfugge la modalità del suo essere. Davanti al pensiero che afferra, il sacro non si piega ma si ritrae: è tanto più sacro, cioè realtà incomparabile e incommensurabile, quanto più sfugge al pensiero afferrante. Il postulato fondamentale della fenomenologia è non imporre condizioni a ciò che si manifesta: è necessario sviluppare un’altra modalità di accostarsi al sacro, in cui il pensiero si abbandona e si lascia ferire. È il sacro a porre condizioni al pensiero e non viceversa. Al posto del pensiero afferrante (fassendes) si sviluppa un pensiero che si apre al sacro e lo lascia essere (lassendes Denken). È un pensiero che accoglie con gratitudine il sorgere del sacro (verdankendes Denken): il gesto non è l’afferrare come una mano che tutto vuole serrare in sé, ma è quello di accogliere come una mano che si apre. Il pensiero che lascia essere non smette di cogliere poiché il gesto di ricevere qualcosa la prende; ma questa «mano è pronta per altri movimenti che vanno oltre l’afferrare»2. Il gesto di accogliere diventa un segno che rinvia alla profondità del sacro. Il domandare diviene richiesta (Anfrage): una domanda (Frage) che è un appello (Anrede). La domanda si orienta verso il fatto (daß), verso il che cosa (was), verso il perché 2
BH, p. 24.
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II. Ricerca filosofica ed esperienza del sacro
(warum). Il was è il contenuto, il daß è la certezza del fatto, il warum è la causa che fa essere. Nel manifestarsi della cosa sorge l’immagine che è luce (was) che rimanda a ciò che rappresenta (daß): qui si apre una via che spinge il pensiero verso l’origine (woher), verso la meta (wohin) e verso il perché (warum). Se il pensiero si chiudesse in sé nel ricercare il senso ultimo dell’interrogare resterebbe senza risposta. Potrebbe porsi come totalità assoluta o chiudersi nei suoi limiti, ma in entrambe le situazioni non può esserci nulla di sacro: nella prima, perché è il pensiero che si pone come assoluto incondizionato; nella seconda, perché il pensiero si chiude nella finitudine che non riesce a superare. Quando il pensiero afferrante vuole proiettarsi oltre i limiti di ciò che è possibile comprendere, si arriva all’idolatria del concetto e siamo agli antipodi dell’incontro col sacro: è una tentazione per il pensiero, è idolatria. Da questa situazione di impasse il pensiero esce quando scopre di essere donato a sé da una presenza che avviene in lui, ma che è prima di lui e lo precede, nella direzione agostiniana dell’interior intimo meo. Il pensiero che si dona in modo libero scopre che è risposta a un dono libero, non costringibile e non esauribile, un dono originario che gli consegna la sua essenza e la libertà e lo rende donato a sé3. Quando davanti al sacro il pensiero prova meraviglia e si lascia trasformare dallo stupore, diviene verdankendes Denken, pensiero che accoglie con gratitudine: «nella domanda che va oltre sé il pensiero scopre di essere stato donato a se stesso e diventa pensiero che accoglie con gratitudine»4. La svolta avviene in tre fasi: nella prima, davanti all’impossibilità di rispondere alla domanda sull’origine, il pensiero urta contro il limite; nella seconda, si sente in debito per il fatto di pensare e si trova davanti al mistero; nella terza fase si accorge di essere stato donato. Il pensiero che accoglie «ha in mano una sorta di monumento che ricorda (Denk-Mal), è memore di chi lo ha concesso, e che non può essere fissato in qualcosa di afferrabile»5. Il pensiero che accoglie non conta in modo quantitativo (zählt), ma rac-conta (er-zählt) ciò che custodisce: testimonia di essere stato donato, divieBH, p. 31. BH, p. 32. 5 BH, p. 35. 3 4
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ne memoria dell’evento che lo ha originato. Se il pensiero afferrante ha l’evidenza quantitativa del was, il pensiero che accoglie raggiunge un’evidenza che è presenza: «in questo Qualcosa la grazia indicibile che concede si rivolge a me dicendo se stessa»6. Nel pensiero che accoglie, la spazialità non è il susseguirsi di punti geometrici uguali ma è una dimensione che accoglie eventi sempre nuovi: Hemmerle parla di «spazialità come paesaggio» in cui il pensiero diviene spazio che abbraccia ciò che esiste. Il tempo dell’esistenza diviene una storia caratterizzata dal dono. 2. IL PENSIERO COME TESTIMONIANZA E MEMORIA Con la radicale trasformazione del pensiero che decide di non afferrare ma di accogliere con gratitudine, si trasformano le strutture del daß, was, warum. Per il pensiero che accoglie, il daß, cioè il fatto di pensare, diventa il dato di fatto in cui si annuncia l’Altro che sorge come libertà pura. Il sorgere dell’Altro non è un dato spiegabile o prevedibile: se il pensiero lo accoglie, al posto della spiegazione subentra la testimonianza che ne rispetta la libertà. Si rovescia il significato del was: non un contenuto da afferrare, ma un dono da accogliere e testimoniare. La testimonianza diventa lode, poiché il pensiero testimonia e celebra Colui che lo fa essere: «Al posto del was della cosa entra il mistero. Mistero significa il capovolgimento dell’essenza che tutto accorda e determina ma si sottrae a ogni determinazione»7. Quando il pensiero supera il rapporto causa-effetto e percepisce il motivo del suo esistere nella luce del sacro, si trasforma il warum e si fa esperienza del prodigioso. Il prodigioso non è qualcosa che non si spiega in base a cause naturali, ma è ciò che porta ad ammutolire spezzando la catena delle spiegazioni e rovesciando la causalità. Il prodigioso pone al pensiero la domanda del perché e la risposta del dono. È una conoscenza esperienziale antitetica a quella consequenziale di causa-effetto perché «il miracolo non può essere spiegato, può solo essere raccontato: questo è avvenuto, di questo ho fatto esperienza. Nel miracolo la causalità è superata dal puro evento»8. Giocando sulla contrapposiBH, p. 37. BH, p. 40. 8 BH, p. 42. 6 7
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II. Ricerca filosofica ed esperienza del sacro
zione tra erzählen (raccontare) e aufzählen (enumerare), si afferma che solo il pensiero che accoglie può raccontare il prodigioso. Il raccontare è diverso dall’enumerare una serie di eventi legati da causaeffetto, poiché ciò che si narra non è frutto di causalità ma di libertà. Il pensiero che accoglie diviene «pensiero che racconta, che si rende attento al prodigioso da raccontare e si fa capace di testimonianza. Davanti all’evento mirabile della sua gratuita fondazione da parte del mistero, diviene pensiero che crede»9. Nel percepirsi come realtà che è stata originata, il pensiero crede nel sacro come provenienza: «Credo a me in te; credo in te a partire da me». L’atteggiamento dell’afferrare è rovesciato: non il dato di fatto (daß) ma la libertà, non l’oggetto (was) ma il mistero, non la causa (warum) ma il miracolo. Il pensiero scopre in sé le tracce del sacro e rimanda alla relazione con l’origine. 3. IL SORGERE DEL SACRO Solo quando Mosè si trovava già su un suolo sacro, il sacro si aprì a lui ed egli si accorse che doveva togliersi i calzari poiché il luogo era consacrato dalla presenza del sacro. Il grido di Giacobbe «questo luogo è sacro e non lo sapevo» o i discepoli di Emmaus che si accorgono che il Signore li aveva accompagnati quando sparisce, testimoniano un elemento essenziale del sorgere del sacro decisivo per la fenomenologia filosofica10. Se la fenomenologia del sacro volesse fissare i canoni del suo manifestarsi, il sacro cesserebbe di essere tale divenendo proiezione del pensiero. Nei riguardi del sacro il pensiero deve compiere un’inversione di rotta a partire dall’esperienza di essere donato. La dimensione dell’An-denken, pensiero memore, custodisce la presenza del sacro. Il sacro si offre «nel pensiero memore che lo annuncia rinviando a lui finché egli venga, lo annuncia come Qualcuno che viene e fa esperienza della sua presenza che colpisce, trasforma e accompagna a partire dal suo ritrarsi»11. Il sacro non è solo punto di arrivo del cammino Ibid. BH, p. 46. 11 BH, p. 47. 9
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a ritroso del pensiero, ma è punto di partenza, presenza originaria che precede e viene incontro: una presenza che non può essere concettualizzata ma custodita con gratitudine. Il linguaggio più adatto è quello della testimonianza. Il sacro si apre al pensiero «che percorre il cammino a ritroso verso l’origine fino all’ammutolire di ogni risposta nella domanda ultima, e trabocca trasformandosi nel rinvio che accoglie con gratitudine»12. L’ammutolire di ogni risposta coincide con l’esperienza biblica del togliersi i calzari: un silenzio eloquente che dice la presenza del sacro. Affiora la domanda: «Cosa mi è successo? All’improvviso tutto è diverso». In un istante «che non è stato dedotto dal pensiero, ma che è concesso nel suo irrompere, è avvenuta la metamorfosi del pensiero e del tutto»13. L’esperienza del cambiamento permette di scoprire che il pensiero e il tutto, il nuovo senso dell’essere sono presenti a partire dall’attimo del dono che il pensiero memore custodisce non in base a un suo potere, ma custodendo nell’intimo la grazia che concede. L’eterno precedere del sacro che in quest’attimo entra nel pensiero, non è una situazione definita, ma è la potenza che continua ad agire nel pensiero, nel tutto, nell’essere14. Il pensiero aperto alla speranza diventa luogo in cui sorge il sacro. E la presenza del sacro riempie di senso la temporalità: il futuro si apre come speranza, il passato come memoria, e nel presente si intrecciano memoria e speranza: «che il sacro si è donato non significa che è un evento confinato nel passato ma significa che è per via, è in cammino, qualcosa che si può sperare». L’improvvisa trasformazione del pensiero indica un taglio netto col passato nel senso direzionale di un evento evidente e irreversibile, poiché dopo questa svolta non può tornare indietro. Non esiste una geometria continua della sua curva, ma rimane solo la presenzialità sempre aperta in cui il pensiero si distende verso il futuro sulla base della speranza memore. Così resta presente e a lui giunge il sacro nella sua pura presenzialità15. BH, p. 48. BH, p. 49. 14 BH, p. 50. 15 BH, p. 51. 12 13
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II. Ricerca filosofica ed esperienza del sacro
Alla presenza del sacro, l’ente, il pensiero e il tempo si trasformano. L’ente non è più identità con sé, ma nell’attimo che interrompe la linea temporale nasce una nuova identità a partire dal nuovo inizio. È la rinascita del pensiero che comprende di non poter nulla in base alle sue forze ma di essere in dialogo con il mistero indicibile: grazie a questo dialogo è reso capace di pensare e la sua storia diventa storia del dono ricevuto e dell’identità come dono a sé e agli altri.
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4. ETERNITÀ DEL SACRO E TEMPORALITÀ DEL PENSIERO La nuova dimensione della temporalità si colloca nell’esperienza del dono e «si trasforma nel tempo dell’attimo in cui il soggetto non è più colui che pone, ma che è chiamato ed è responsabile: è colui che risponde»16: una temporalità che «apre la storia dei momenti non prevedibili attraverso la continuità della fedeltà e dell’essere-con»17. Per il sacro l’eternità si esprime nel continuo donare l’essere: «Il mistero non si capovolge nel diventare una cosa passata, già pensata o pensabile dal pensiero, un perfetto potenziale, ma è puro concedere, puro rendere presente ed evenienziale». Il pensiero è inesauribile se custodisce il mistero con speranza e gratitudine. Anche il “tu” resta nel mistero: se lo si afferra, cessa di essere un “tu”. La reciprocità salvaguarda la realtà inoggettivabile dell’“io” e del “tu” poiché i partner si delineano «l’uno all’interno dell’altro, sono un evento l’uno per l’altro, sono eterni e temporali al tempo stesso»18. Il pensiero viene considerato evenienzialità perché è in continuo accadere. L’evenienzialità tocca l’oggetto ma in sé è intangibile; si rivela ma non è afferrabile: è il miracolo del dono. Il sacro si rivela al pensiero che percepisce se stesso come pensiero memore e si trova coinvolto nell’essere donato e nell’essere in debito verso chi gli sta di fronte come mistero intangibile. Il pensiero riconosce di essere stato donato, si accoglie con gratitudine e speranza giungendo davanti al sorgere del sacro, do-
BH, p. 58. BH, p. 54. 18 BH, p. 56. 16 17
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L’esperienza di Dio nell’unità
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ve l’ineffabile provenienza e la direzione si palesano dentro di lui. La sua evenienzialità è il sorgere del sacro19. Nel sorgere del sacro si delinea una dimensione della temporalità che viene definita struttura eucaristica. L’aggettivo eucaristico indica che la temporalità è densa di memoria, gratitudine, dono, speranza, tanto che il pensiero viene definito «eucaristia del sorgere del sacro»20. Si tratta di un’espressione densa di significato che sbiadirebbe nella sua pregnanza se si volesse oggettivarne i significati: si contestualizza nell’ambito del pensiero che accoglie poiché la gratitudine rende il pensiero eucaristia del sacro, cioè ringraziamento. È il grazie del pensiero a quella presenza che ha reso possibile un cambiamento che è azione di grazia: Quando il pensiero si accorge che qualcosa è avvenuto e tutto è cambiato all’improvviso, nell’accogliere con gratitudine celebra la presenza dell’attimo che ha trasformato il suo corso. Tale presenza rende efficace in lui la grazia della libera originarietà che lo concede e si concede restando nascosta. È grazia che il pensiero accoglie con gratitudine, mistero intangibile che tutto tange, in virtù del quale il pensiero può e deve pensare. L’ingresso del mistero sacro nel pensiero memore rende presente in modo nuovo tutto ciò che si trova sulla via del pensiero21. La via del pensiero trasformata dalla grazia si proietta verso il futuro: il sorgere del sacro «è promessa e futuro. La comunione del pensiero col mistero impensabile è presenza da parte del mistero che si è dato al pensiero e presenza da parte del pensiero». Il pensiero che rinvia oltre sé «vola libero, divenendo sacrificio perché cessa di imporsi nella sua presenzialità. Un sacrificio in cui nasce il dono della nuova temporalità»22. Si chiarisce il senso del sacrificio e della struttura eucaristica della temporalità: nell’attimo del cambiamento il pensiero sperimenta la nuova temporalità entrando in comunione con chi lo ha fatto essere. In questa esperienza il pensiero «diviene comunione, BH, p. 59. Ibid. 21 BH, p. 60. 22 BH, p. 61. 19 20
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II. Ricerca filosofica ed esperienza del sacro
pensare comunitario, cena eucaristica. Il pensiero come eucaristia del sorgere del sacro è il presupposto per la comprensione dell’eucaristia cristiana»23.
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5. L’ESSERE COME RELAZIONALITÀ E DIALOGO Nell’accogliere con gratitudine nasce l’indagine di senso che porta all’esperienza dell’essere. Hemmerle concorda con Heidegger sul fatto che non si può ricondurre l’essere alla semplice presenza e che le determinazioni dell’essere avvengono sul piano storico. La novità di Hemmerle sta nella struttura relazionale dell’essere: l’essere si manifesta al pensiero come molteplicità che implica l’unità, unità che implica la relazione reciproca. Se l’unità fosse pensata come principio posto dal pensiero, l’essere scomparirebbe sotto la presa afferrante: ma se «l’unità dell’essere fosse dono libero della molteplicità delle realizzazioni, essa porterebbe il dialogo all’interno dell’essere». Si tratta di uno dei punti più alti della filosofia di Hemmerle, poiché il dialogo si delinea come dimensione costitutiva dell’essere. Sin dalle prime opere Hemmerle individua nell’unità intesa come reciprocità e dialogo, la legge dell’essere e del pensare: L’unità come dialogo si sviluppa dai partner e va oltre loro: l’unità porta al dialogo perché lo portano avanti reciprocamente. Essi si donano l’un l’altro questa unità: essa si dona loro donando la loro reciprocità. L’unità non è qualcosa di preconfezionato, ma è qualcosa che sussiste in loro e resta in sospeso: si tratta dell’unità del dialogo24. L’essere si manifesta nel dialogo: è «un orizzonte che non è prodotto dai partner, ma che si apre a loro e su di loro»25. Nel rivolgere l’appello, il sacro dimostra di avere la struttura dell’essere: unità nel dialogo. Hemmerle utilizza i termini polarità e polarizzazione per esprimere l’interazione reciproca tra i poli, e cioè l’unità nel dialogo, l’esperienza della reciprocità che caratterizza l’essere, il pensiero e il Ibid. BH, p. 65. 25 BH, p. 66. 23 24
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L’esperienza di Dio nell’unità
sacro. Il pensiero è polarizzato verso il mistero che chiama e il sacro polarizza il pensiero nel senso che lo rende capace di porsi in dialogo. L’orizzonte della reciprocità dischiude il panorama dell’essere e del pensiero in cui il sacro si manifesta e invita ad avvicinarsi.
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6. L’ESPERIENZA DEL SACRO La domanda «che cosa mi è successo?» diventa un criterio euristico che permette al pensiero di volgersi verso il dono. La risposta viene cercata in due direzioni: la prima procede verso il nuovo senso dell’essere; la seconda va verso il «luogo del nulla» da cui l’evento è stato generato. Il «luogo del nulla» non è inteso in senso nichilistico, ma come in Welte è un non-luogo, realtà del sacro non raggiungibile. Paradossalmente è pienezza dell’essere, luogo a cui l’uomo accede con l’invocazione e in cui irrompe il Potente. La domanda «che cosa mi è successo?» richiama le parole «grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente» e risuona come «il silenzio di ogni suono, come il timore che resta senza parole all’apparire dell’angelo». Il sacro irrompe rivolgendo la parola. Sotto la spinta dell’evento in cui diviene se stesso il pensiero diventa consapevole di essere voluto intenzionalmente. L’essere intenzionato e la sua chiarezza autorevole lo chiamano all’attuazione di sé diretta, positiva, traboccante oltre sé, fatta di invocazione e di rivolgere la parola. Qui irrompe la seconda differenza racchiusa nella domanda “che cosa mi è successo?”: è la differenza del sacro. L’evento che rende evenienziale il pensiero gli dice: “Sii! Pensa!” Il pensiero può e deve pensare. La ricerca filosofica diventa un modo di corrispondere all’essere: «è il pensiero che si accoglie con gratitudine nella modalità del pensare». Il grazie del pensiero guarda il donatore e arriva alla soglia del non pensare più restando in silenzio davanti al mistero: «Esiste un grazie che il pensiero attua nel non-pensare-più. Nell’urto dell’evento e nell’imperativo “Sii! Pensa!” non avviene solo la chiamata all’essere e al pensare, ma il rivolgere la parola che riceve risposta»26. Si apre 26
BH, p. 67.
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II. Ricerca filosofica ed esperienza del sacro
una prima direzione in cui il pensiero è spinto ad andare oltre sé nel «Va’!», e una seconda direzione che nel «Vieni!» invita ad avvicinarsi. Il pensiero è chiamato nel «Va’!» ad attuarsi mediante il pensare; ma la sorpresa del dono in cui l’origine gli dona le facoltà e lo chiama, si esprime «nell’imperativo del “vieni!”, nella pura conversione che lascia libero il pensiero e l’essere nell’attuazione del compito più alto, cioè il pensare intenzionale che è risposta»27. Hemmerle parla di lassendes Denken, un pensiero capace di lasciare se stesso per andare nella direzione in cui è chiamato. Nel rispondere, il pensiero supera l’individualità aprendosi al tu: «Il pensiero stesso si fonde nel luogo del nulla: è il tu pensato intenzionalmente e chiamato dal sacro che pensa e chiama»28. Il pensiero non può fare esperienza del sacro finché non è coinvolto, ma quando riesce a mettersi in gioco come “io”, si apre al sorgere del sacro. Accade qualcosa di straordinario: nell’indagine di senso effettuata dal pensiero vibra, nascosto, Colui che lo pensa intenzionalmente e il suo grido che chiama. Il sacro è inafferrabile, non oggettivabile, è santo. Davanti alla domanda «Cos’è l’origine che mi concede di essere?» il pensiero non può fermarsi al piano dell’ente perché tutte le risposte pensate sono incommensurabili: esso resta in silenzio. L’ammutolire «ha un carattere di rinvio al sacro e si attua nell’estremo abbandonarsi nella sua direzione»29. Il pensiero si consegna al sacro, la domanda «cosa mi è successo?» sfocia nel grido che chiama e nell’appello che risponde: «Solo sulla via del suo essere e pensare gli si fa incontro e lo coinvolge quell’appello che avviene nell’essere e nel pensare, ma si nasconde». La chiamata «prende la colorazione del tono e dell’intonazione armonica dell’essere, è plasmata nella forma della modalità storica in cui l’essere si abbandona al pensiero e il pensiero abbandona se stesso». Colui che viene toccato dall’appello del sacro «lascia il suo io, l’hic et nunc, l’essere e il pensare, li distoglie da sé e li porta all’interno della risposta e dell’esperienza del sacro»30. Un’esperienza in cui il sacro permane nelBH, p. 68. BH, p. 69. 29 BH, p. 70. 30 BH, p. 71. 27 28
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L’esperienza di Dio nell’unità
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la sua purezza incommensurabile, Potenza che in sé resta intangibile affinché l’essere non sia obliato. Seguendo Heidegger, Hemmerle afferma che nelle epoche in cui c’è un oblio dell’essere in favore dell’ente, non può esserci una vera esperienza del sacro. La ricerca filosofica è aperta al sacro se supera il livello del puro speculativo divenendo impegno nel rispondere: La situazione fondamentale dell’esperienza del sacro è la chiamata dell’io. La chiamata, l’invito al «vieni!» avviene nel «va’!». È accessibile alla ricerca filosofica, è qui che si esplica l’essere donato a sé di cui fa esperienza il pensiero e nei cui confronti è in debito. Ma la ricerca filosofica viene meno alla chiamata quando si ferma a riflettere su di essa; la chiamata è vera solo nel «vieni!» autentico, dove cessa la pura ricerca filosofica, dove non solo il pensiero viene, ma io stesso vengo31. Nell’invito «vieni!» il pensiero e l’io sono invitati ad abbandonare se stessi. Un distacco che prelude all’epifania del sacro: «la suprema dimenticanza di sé avviene nell’essere estaticamente rapiti dalla straordinaria potenza del sacro che chiama. Ma la dimenticanza di sé è ciò che permette all’io di attuarsi nel dono». Nell’essere rapito dal sacro «l’io non viene rituffato in ciò che gli è proprio, ma l’ex-stasis autentica porta l’io via da sé e oltre sé verso l’Altro, invocato come onnipotente»32. Solo il pensiero che risponde alla chiamata abbandonando le proprie sicurezze si fa capace del sacro nel senso che diviene capace di donarsi a lui. Il numinoso è la traccia del sacro nell’essere, nel vero, nel bello, nel buono. Una traccia che resta ambigua: se il pensiero si mantiene in questa traccia, viene meno la sacralità del sacro. Ma se il pensiero abbandona tale traccia per rispondere alla chiamata del «vieni!», lì riscopre un’autentica traccia del sacro. Il sacro si manifesta nel crollo dei paradigmi umani: dove il numinoso scompare e incombe il pericolo della perdita del sacro, lì il sacro si rivela. È un paradosso che ricorda il paradosso della croce e ne contiene la logica: l’epifania del sacro avviene nell’assenza di ogni prospettiva, nell’abbandono di ogni certezza, come nella morte avviene la resurrezione. 31 32
BH, p. 76. Ibid.
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II. Ricerca filosofica ed esperienza del sacro
Dove storicamente la traccia si ritrae, dove il numinoso non viene esperito e la meraviglia delle cose scompare, dove il pensiero e il Sé sono al limite estremo di se stessi nell’estrema profanazione, nel più grave pericolo di perdita del sacro, allora il fatto che il pensiero e l’essere siano posti nella profondità senza limiti della domanda ultima può rivelarsi come immensa profondità della pura chiamata33.
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È una profondità che si raggiunge solo se si accogliere il sacro nella sua santità. In tale esperienza vale solo una cosa: il mistero che ora mi tocca e mette tutto in crisi, può rendere tutto buono, tutto nuovo. Cosa accade dove sorge il sacro? Le categorie con la loro logica vengono spezzate. Il mistero inafferrabile al di là di tutte le categorie, è vicino, concreto, presente: qui, adesso. Sorge il mio tutto, e io resto davanti a lui. Esso prende la mia vita dentro di sé, tuttavia faccio esperienza della più profonda differenza ontologica: come posso vedere Dio e rimanere in vita34? Rispondendo al «vieni!» il pensiero sperimenta il punto estremo: «è chiamato alla scelta decisiva nell’attuazione del distacco. Si apre una nuova differenza: la differenza del sacro, del “va’!” e del “vieni!” nell’evento del pensiero, si rivela come differenza della salvezza»35. L’esperienza del sacro diventa esperienza di salvezza quando l’io si mette in gioco: Il «vieni!» che interpella il pensiero e implica me totalmente contiene un’infinita trascendenza. Davanti alla presenza del sacro posso contrapporre solo quel nulla che io sono in me e che il pensiero è in se stesso. Il distacco che avviene nel «vieni!» deve essere attuato nella risposta che diventa preghiera. Affidando al sacro tutto, persino l’io che prega, essa riceve tutto: non più il pensiero e il sacro, ma io davanti al Dio vivente, lui solo, tu solo36.
BH, p. 77. BH, p. 95. 35 BH, p. 77. 36 BH, p. 78. 33 34
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L’esperienza di Dio nell’unità
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La ricerca fenomenologica del sacro cede il posto alla preghiera che non si rivolge al sacro generico, ma al Dio vivente. In questa indagine si è percepito il sacro dapprima nel sorgere come origine e mistero insondabile, mantenendo contorni anonimi; si è poi sperimentata la presenza che chiama e il sacro ha acquisito un volto personale e una voce. Il sacro si è rivelato come dono infinito, l’esperienza del sacro si è delineata come dialogo. Ora la preghiera spalanca la porta al Dio vivente: non coinvolge solo il pensiero ma tutta la persona, non è solo invocazione ma adesione totale. Si tratta di mettersi davanti a Dio e pregare perché sia lui a svelare il nome. Quando nella preghiera risuona il nome del Dio vivente, quando il tu viene chiamato dentro l’abisso del sacro, la preghiera avviene dove non si dice più “Dio” e “tu”, ma nel nulla di tutto restano in silenzio sia l’essere che il pensiero. È l’esatto contrario del pensiero che vuole oggettivare il sacro come persona infinita o come ens realissimum facendo della divinità un predicato. La preghiera, l’ingresso nel «vieni!» nel nulla del pensiero e dell’essere è per l’io che prega un rischio totale. Le ultime parole della fenomenologia si trasformano nella richiesta implorante che non si ferma ad accogliere il manifestarsi della cosa in base alla forza del pensiero e non è più in grado di dire una parola propria. Queste parole dicono: «Mostraci il tuo volto e saremo salvi!» e «Di’ alla mia anima: io sono la tua salvezza!»37. La fenomenologia del sacro si conclude con l’implorazione, l’esperienza del sacro culmina nell’adorazione del Dio vivente. Il sacro, da realtà insondabile, diviene mistero di salvezza. 7. UN PRELUDIO ALLA TEOLOGIA Se fede e teologia stanno accanto alla vita e all’esperienza senza nessuna relazione con esse, perdono non solo la capacità di incidere ma anche la credibilità. Oggi manca una relazione, una sintesi, un’unità. […] Solo se la vita, il pensiero, il mondo vengono esperiti come il paesaggio sul quale la fede getta luce, solo se la 37
BH, p. 79.
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II. Ricerca filosofica ed esperienza del sacro
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vita, il pensiero e il mondo sono il permanente orizzonte storico nella storia della fede, allora fede e teologia acquistano dimensione piena38. Con tale premessa Hemmerle introduce Vorspiel zur Theologie, un’opera che raccoglie le lezioni di filosofia della religione effettuate nel 1974 all’Università di Freiburg, dove si sentiva l’autorevolezza di Husserl e Heidegger essendo questi ancora vivente. Anche Hemmerle parte dall’esistenza per ricercare l’essere e delinea l’essere con altri come preludio all’esperienza della reciprocità, nell’intento di individuare un approccio alla reciprocità che possa essere condivisibile da molti. In questo contesto è molto originale la riflessione che prende in considerazione il gioco nel manifestarsi quotidiano, in coerenza con l’approccio fenomenologico. Hemmerle si propone di gettare luce sull’esistenza e sul rapporto tra teologia e filosofia individuando nel gioco non solo un possibile preludio alla teologia (Vor-Spiel, pre-ludio), ma la realtà della reciprocità come esperienza di Dio. Potremmo dire che Vorspiel si colloca come un ponte tra la prima riflessione hemmerliana di tipo fenomenologico e la riflessione matura delle Thesen: il ludus diventa cifra che esprime la reciprocità, cioè l’esperienza che per Hemmerle diviene locus theologicus. È preludio alle Thesen, in quanto è una prima tematizzazione della centralità del Dio trinitario con accenni a una nuova impostazione ontologica; è preludio alla teologia fondamentale; è preludio all’estetica per alcune intuizioni sull’interpretazione musicale. Vorspiel costituisce una sorta di turning point intorno a cui il pensiero di Hemmerle gira per prendere una direzione nuova e originalissima. 8. IL GIOCO DELLA RECIPROCITÀ Il gioco è un tema ricorrente nella filosofia contemporanea39, ma mentre Wittgenstein ne sottolinea il carattere convenzionale, l’originalità di Hemmerle è quella di interpretare il gioco come possibilità di VT, p. 12. Per approfondimenti sul tema del gioco, cf. F. GIACCHETTA, Gioco e trascendenza. Dal divertimento alla relazione teologica, Assisi 2005. 38 39
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sussistere all’interno della relazione reciproca. Il gioco è un molteplice intreccio di relazioni che coinvolge me, gli altri giocatori e la cosa che è in gioco: i centri diventano «poli, sorgenti attive di un avvenimento che si estende». ».. Come soggetto «da un lato vengo preso, afferrato, coinvolto con ciò che avviene», ma d’altro lato «sono parte attiva: mi impegno, in me vengono liberate forze che prima non conoscevo: io stesso entro in gioco completamente»40. Nel gioco i poli sono, cioè sussistono ontologicamente, solo in quanto sono in gioco. Hemmerle nota: È possibile comprendere ogni processo, ogni ambito, ogni relazione leggendoli in base alla loro struttura di interazione ludica. In essa viene in luce l’unità nella molteplicità delle origini, il processo come simultaneità di procedere, ritornare ed essere in relazione, risulta evidente l’identità come incremento41. Il gioco mantiene la duplice valenza che ha in tedesco il termine spielen: giocare e suonare. Se gioco con un altro o metto in gioco qualcosa con me stesso, si crea sempre una realtà di reciprocità. Sono io a giocare, ma ciò che nasce dal gioco mi sorprende e mi pone in una situazione nuova alla quale reagisco. Ricevo me stesso nel gioco in modo nuovo e ciò che è giocato diventa nuovo nel gioco. Questa è la tensione che caratterizza ogni interpretazione artistica42. Il gioco non è manipolabile perché «ciò che avviene nel gioco è sorprendente, è straordinario. Il suo corso è aperto, fa parte dell’identità del gioco il fatto che avvenga qualcosa di nuovo e imprevedibile». Nel gioco si intrecciano dono, sorpresa, libertà e capacità personale come nel football o negli scacchi, in cui le identità dei giocatori si delineano nel corso di ogni partita. Nel gioco l’identità «viene compresa in maniera straordinaria come identità comunitaria. Il gioco rimane lo stesso in quanto si modifica. L’unità è data dall’unità dell’evento, che ha i tratti fondamentali della sorpresa e dell’incremento»43. È il contrario dell’efficientismo: VT, p. 15. TT, p. 145. 42 Ibid. 43 VT, p. 19. 40 41
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Chi fa una prestazione brillante non ha mai giocato. Nel gioco l’unica prestazione brillante è quella del dono, che non diminuisce l’impegno e le capacità ma li aumenta. Non posso dire “l’ho fatto io”, ma piuttosto “è riuscito, è venuto bene”. Questa è la differenza, il surplus del gioco sull’interesse, in cui si palesa l’essenza dell’interesse: nel gioco l’unità e l’ordine regnano come sorpresa. Nel gioco sono impegnato totalmente, ma questo è decisamente un dono44. Una peculiarità del gioco è il carattere di continua sorpresa e dono reciproco. Si palesa un’unità multipolare in cui interagiscono gli elementi del gioco, i giocatori, le regole, il procedere del gioco. È sempre gioco di insieme (Zusammenspiel) anche se si pensa di essere soli, come nel caso della musica in cui nell’unica armonia entrano in gioco il compositore, l’interprete e una terza polarità che si potrebbe definire il “genio” della musica. Se sto suonando Mozart, egli entra in gioco passando a me se stesso: la sua musica prende suono attraverso di me e mi coinvolge nel suo stesso corso. Mozart è la parte attiva e io mi metto a sua disposizione come spazio che accoglie. In gioco non ci sono soltanto io con le mie capacità, ma c’è anche lui. […] Io suono Mozart solo se nel mio suonare Mozart resta tale, ma se suono bene Mozart allora Mozart diventa “più” Mozart attraverso di me e io divento più “io” attraverso lui45. Nell’interpretazione musicale si crea un’interazione reciproca che «lascia scaturire la mia musica da me e me dalla mia musica». Il campo del gioco «è lo spazio interrelazionale tra coloro che nella reciprocità percepiscono e affermano ciò che è»46. A differenza del concetto classico di spazio vuoto o primum continens, Hemmerle parla di spazio interrelazionale (Zwischenraum): non è lo spazio in cui avviene l’interrelazione, ma lo spazio che avviene all’interno della reciprocità. Ognuno diventa “più” ciò che lui è, in quanto ciò che giochiamo diventa “di più”, diventa “più grande”. Emergono tre fonti VT, p. 17. VT, p. 18. 46 VT, p. 20. 44 45
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originarie: noi (e nel noi, tu, io, noi), ciò che è in gioco, e il genio del gioco. […] La struttura del gioco è caratterizzata da tre fonti originarie e attive, dalle quali procede l’unico gioco in modo che le tre fonti originarie entrino in gioco l’una dopo l’altra con un ruolo sempre diverso mettendosi in gioco a vicenda47. 9. I GIOCHI FONDAMENTALI:
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INTERESSE, ESISTENZA, LINGUAGGIO
Interesse, esistenza, linguaggio e gioco sono definiti da Hemmerle come la «stampa stampa a quattro colori della realtà». ».. Questi «giochi giochi fondamentali» nascono l’uno dall’altro: l’interesse, poiché mi spinge a mettermi in gioco e cresce nel gioco; l’esistenza, perché viene messa in gioco e lo spazio del gioco è la mia vita; il linguaggio, perché mettersi in gioco significa comunicare. Insieme formano un unico gioco, in cui si sviluppano l’uno nell’altro. La molla che spinge a entrare in gioco è l’interesse nel senso della curiositas che apre a ciò che non si conosce: essere interessati fa parte della vita, è un motore dell’esistenza, è «il gioco di apertura con cui ogni altro gioco procede». ».. Nel provare interesse mi sento attratto: entrano in gioco la cosa che attira, io che sono attirato e ciò che garantisce la corrispondenza. Così nell’unico evento entriamo in gioco insieme. Nella logica del gioco, che è la stessa logica dell’interesse o dell’amore, l’originarietà di un’unica sorgente e l’originarietà molteplice che nasce da poli differenti, non sono realtà che si escludono. È sempre un’unica realtà: la grazia, l’amore, la musica, il gioco del calcio. E l’evento di quest’unica realtà fa entrare in gioco le molteplici sorgenti originarie lasciandosi mettere in gioco da loro48. L’interesse può trasformarsi in amore: l’attuazione perfetta «di ogni interesse è la pura gratuità del Bene che si dona in modo disinteressato. Dall’eros, dall’amore che attira verso il fine, la via del Bonum porta
47 48
VT, p. 19. VT, p. 30.
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II. Ricerca filosofica ed esperienza del sacro
all’agape, all’amore che si dona gratuitamente»49. Alla luce dell’interesse come dono agapico, il gioco diviene paradigma della reciprocità, perché un polo emerge mettendo in rilievo gli altri. Anche i trascendentali dell’essere sono riletti alla luce del gioco: «Bonum, ens, verum designano i tre fondamenti del gioco, dell’interesse, dell’esistenza, del linguaggio. Il carattere del gioco che li lega diviene manifesto nel bello»50. Il gioco si attua «come unità nella differenza tra unum et aliud. Per questo c’è bisogno di poli differenti: ogni polo deve essere consistente in sé e diverso da ogni altro per rendere possibile la relazione»51. Si tratta ora di chiarire il significato dell’esistenza alla luce del gioco. Il fatto che esisto non è scontato, ma è un evento che ha quattro componenti: io sono a partire da me (ich bin von mir aus), io sono già (ich bin schon), io sono ancora (ich bin noch), anch’io sono (ich bin auch). «Io sono a partire da me stesso» significa che nell’attuare l’esistenza è in gioco la mia libertà personale: «è come un raggio la cui fonte di luce sono io, come un flusso la cui origine sono io. Io sono a partire da me, io sono in quanto attuo il mio essere»52. Io sono già indica che l’io esiste in una realtà in cui è da sempre inserito come «un torrente che fa scaturire me stesso dalla sorgente». Io sono «centro vivo, sorgente originaria dalla quale irradia l’essere. Ma il fatto che io sono centro e sorgente originaria è qualcosa che prima mi è stato dato ed è stato irradiato verso di me»53. Io sono ancora indica l’andare verso il futuro che è dono: Se fosse un’esistenza che è solo mia ad andare verso il futuro non potrei mai esser sicuro di non andare verso il nulla. Ma il futuro scorre dentro alla mia esistenza, mi viene a prendere a partire dal mio passato di provenienza e dal mio presente. Il futuro è libera disponibilità e dono54. Anch’io sono indica che il mio io sono si determina a partire dagli altri e contribuisce al tutto. Il fatto che io sono «plasma plasma l’altro, plaVT, p. 32. VT, p. 70. Hemmerle evidenzia le relazioni che l’essere buono, l’esserci e l’essere vero esprimono: il bonum è rapporto tra bene e appetito; l’ens è rapporto tra potenzialità e attuazione; il verum è adaequatio intellectus ad rem et adaequatio rei ad intellectum. Il bello è armonia che nasce dal gioco reciproco. 51 VT, p. 71. 52 Ibid. 53 VT, p. 33. 54 VT, p. 34. 49 50
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sma tutto l’insieme. Io sono dono e libera decisione non solo per me, ma anche per gli altri»55. L’identità dell’io si manifesta come identità donata, «come spazio luminoso ed evento in cui due cose diventano una»56. Il linguaggio è il terzo gioco fondamentale: non uno strumento convenzionale, ma, come mostra Heidegger, il luogo in cui l’essere diventa comunicabile e si manifesta. Nel linguaggio si crea un’interazione tra soggetto parlante, la cosa detta e gli interlocutori. La parola nasce nel soggetto, ma deve tenere conto dell’interlocutore e riferirsi al linguaggio: le componenti del comunicare, cioè parola, espressione, forma, destinatario, «hanno radice in me, ma io come soggetto parlante ho le mie radici, e la mia parola in quanto è mia, ha le sue radici nelle altre origini»57. Il linguaggio si attua in queste relazioni in cui il soggetto si spoglia della sua interiorità per comunicare: il parlante si dà e si comunica, la cosa si dà e si comunica da me verso l’altro e dall’altro verso di me. Le sorgenti si accordano: «l’interrelazione che unisce interno e esterno è l’autentica e piena dimensione del linguaggio che ne edifica lo spazio»58. Parola e linguaggio si accrescono attraverso il mio dire, ma non posso assolutizzare la prestazione perché «le sfumature specifiche del modo di esprimermi, la mia grammatica personale sono poco più che un granello di sabbia della grande montagna del linguaggio che cresce e si trasforma»59. Anche la forma diventa patrimonio della comunità. Hemmerle fa l’esempio degli scritti paolini: attraverso le parole Paolo esprime se stesso, esprime Cristo e la comunità. Il linguaggio diviene comunione: non una convenzione linguistica, ma una communio che nasce dal darsi in quelle parole consegnate ad altri. Quando parlo con il mio essere mi faccio garante di qualcosa e la mia parola diventa la “pelle” nella quale divento percepibile come vivo, il linguaggio diventa testimonianza. Nella testimonianza il carattere creativo del linguaggio, la sua capacità di dar forma raggiunge il punto più alto60. Ibid. VT, p. 39. 57 TT, p. 143. 58 VT, p. 44. 59 TT, p. 144. 60 VT, p. 50. 55 56
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Per Hemmerle «il punto più profondo della forma è il punto alto del darsi e dunque è il punto di passaggio per la communio»61. La verità del linguaggio che per la Scolastica è data da adaequatio, conformitas e convenientia, per Hemmerle nasce dal dono tra chi parla e chi ascolta. L’interesse si attua come darsi disinteressato, l’esistenza è possibilità di darsi, il linguaggio si rivela nel darsi. Nel dire prendono vita tre sorgenti: quella del parlante, quella della cosa detta e quella del linguaggio che si parla. Il dire palesa la dimensione dell’interno, la dimensione dell’esterno e l’interrelazione reciproca. Il dire è adaequatio alla cosa, al mistero, agli altri. […] Il significato più perfetto del linguaggio è la communio, è l’accordo su cui tutti convergono. Nel linguaggio avviene la costituzione del sé, lo spogliamento di sé, la costituzione della cosa e il suo spogliamento. Il significato di tale drammatica è il dare. […] Il dono comune in cui si spogliano le sorgenti è il punto di convergenza. Ma in esso viene in luce la verità autentica, e cioè che la ragione fondamentale, lo scopo ultimo e il significato di tutto, che differenzia e vincola si chiama darsi62. È paradossale il tentare di dire l’Indicibile. Se la parola non vuole venire meno a se stessa, deve custodire l’Indicibile che in essa si fa presente nella differenza. La parola deve proteggere come un mantello il “di più” che caratterizza l’Indicibile. Il tempo del gioco può aprirsi a un darsi eterno: Il tempo dei giochi fondamentali dei quali è intessuto il nostro destino, diventa domanda, richiesta di un darsi di cui non siamo capaci […] Ma dove il darsi si donasse dalla sua altezza, i giochi sarebbero trasformati. Il gioco dell’interesse e cioè il gioco del futuro diverrebbe gioco della redenzione: il gioco dell’esistenza, cioè il gioco della provenienza, si aprirebbe come gioco della creazione; il gioco del linguaggio, cioè il gioco del presente e della contemporaneità sarebbe il gioco della Rivelazione63.
VT, p. 51. VT, p. 52. 63 VT, p. 59. 61 62
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L’esperienza di Dio nell’unità
Il gioco è «preludio a ciò che la fede sa essere il gioco di tutti i giochi»64: il mistero di Dio.
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10. L’ESPERIENZA DI DIO E IL GIOCO Il darsi non è solo verità del linguaggio o verità della verità, ma è anche la verità dell’interesse. Il bene deve darsi, e io devo darmi a lui. Il darsi è anche la verità dell’esistenza: l’originarietà, la forza della provenienza si chiama darsi. Solo ciò che si dona oltre sé, è e fa essere. La differenza dei tre giochi si riflette di nuovo nell’unità: essi sono tutti darsi, tutta la loro verità è il darsi65. Nei giochi fondamentali «lo lo stesso gioco è presente in ogni gioco» e «nessun gioco è senza l’altro»66. L’unità del darsi non nasce da una naturale rispondenza, ma si guadagna a caro prezzo: Nel darsi è in gioco l’unità. L’altro deve avere ciò che ho io, deve essere se stesso a partire da ciò che sono io. Ma nel centro focale del darsi non c’è tanto l’unità che lega insieme in armonia molteplicità e movimento individuale, ma c’è piuttosto il prezzo che questa unità costa, e cioè la frattura attraverso la quale soltanto avviene l’unità67. Siamo debitori di noi stessi al gioco e a ciò che nel gioco si sottrae ma chiede la nostra risposta. Esso si dona a noi come la realtà più nascosta nel dono manifesto del gioco, e da parte sua è la sola realtà che davvero vale e che ci consente il dono totale di noi stessi. […] Può essere un Ultimo, un Supremo, la più analoga di tutte le analogie in cui facciamo esperienza dell’essere e del pensare come di quel limite che nel gioco ci rinvia al di là del gioco: il mistero, Dio stesso, risplende nel gioco dell’analogia68. VT, p. 21. VT, p. 55. 66 VT, p. 53. 67 VT, p. 56. 68 TT, p. 149. 64 65
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II. Ricerca filosofica ed esperienza del sacro
Viene in luce la reciprocità di cui il gioco è analogia: un preludio all’esperienza di Dio. Nella reciprocità che c’è tra noi prende contorno ciò che ci giochiamo: l’identità scaturisce dalla nostra reciprocità. E nell’unità di questo gioco diventiamo una cosa sola l’uno con l’altro: un’unità che non è uniformità, perché ci distinguiamo venendo in luce l’uno a partire dall’altro69.
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Se la verità del gioco è il darsi, questo si realizza perfettamente solo in Dio. Nell’amore perfetto dove la libertà è in gioco totalmente, continua ad esserci l’incontro senza l’ombra di una possibile perdita, con quella realtà che sempre sorprende, che è sempre nuova e sempre più grande. Nella prospettiva della fede possiamo dire che il gioco che costa il prezzo del darsi e fa esperienza dello splendore e della gratuita felicità che si dona, è in primo luogo il gioco della vita del Dio trinitario e della nostra partecipazione a lui70. Tutta la storia si svolge come un gioco. Passato, presente e futuro portano il marchio di qualcosa di grande: il passato ha il marchio dell’origine che dona il tempo, il presente implica la responsabilità nel rispondere, il futuro è puro dono. L’attimo presente del gioco si apre all’eterno del darsi di Dio: Il tempo del gioco si misura dall’interno. Il tempo è un istante unico, in sé illimitato. È come il lampo dell’eternità che la Tradizione ha cercato di definire con l’espressione nunc stans, un attimo presente che continua ad essere. […] Nell’attimo presente del gioco tutto il tempo è presente e viene incrementato, il suo tranquillo scorrere si trasforma in un irrompere entusiasmante. Essendo armonia e consonanza all’unisono, il gioco è specchio dell’eternità. Poiché il gioco è darsi, esso ha un suo tempo, il più intenso dei tempi e per questo è specchio dell’eternità. Possiamo
69 70
VT, p. 19. VT, p. 56.
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intuire come eternità, immutabilità di Dio e la sua storicità non siano contrari, ma la stessa realtà in unità dinamica71. La svolta radicale nella temporalità avviene quando Dio iscrive il tempo dell’uomo nella realtà dell’Alleanza. Un Dio vicino, ma che si ritrae nell’infinito mistero: nell’infinita differenza tra noi e Dio «il campo da gioco è illuminato, Egli gioca con noi e noi con lui, ma Egli non sta in questo campo da gioco». Con l’Incarnazione la differenza viene colmata e la temporalità trasformata: Dio entra nel gioco della finitudine umana. Se attraverso i giochi si scopriva la caducità del tempo e la fragilità umana, con l’avvento del Regno di Dio l’uomo scopre il Dio con noi, per cui il gioco diventa un lavoro a due: Dio «ha dato la vita al punto di donare se stesso. Egli è venuto a giocare con noi, gioca sullo stesso piano, sul campo da gioco dell’esistenza e del nostro mondo»72. Tutti i giochi sono capovolti: non sono più io a protendermi nell’interesse verso un bene più grande ma è Dio che si dona, l’esistenza è caratterizzata da Colui che è presente fra noi, nel linguaggio non sono più io a raggiungere gli altri con le parole, ma ci viene incontro «Colui che è più intimo a noi della nostra realtà più intima ed è la comune presenza “tra noi” che ci contiene e ci custodisce». Il Regno di Dio è spazio che ci contiene: un’esperienza più forte di qualsiasi comunicazione verbale. Dio entra nel gioco degli uomini e gli uomini entrano nel gioco di Dio: il giocatore non conta solo sul suo impegno ma su Colui che inizia il gioco e ne regola la riuscita. I giochi sono ridisegnati in un orizzonte nuovo percepibile nel cammino dei discepoli: Solo se ci innestiamo nel gioco della sequela e spinti dallo Spirito con Gesù percorriamo il suo cammino verso il Padre, i nostri pensieri non restano mera speculazione. Il fatto che veniamo introdotti in Gesù implica che in lui non solo è Dio a giocare con noi il nostro gioco, ma anche noi giochiamo il suo: è la misura piena, la comunione totale alla quale mira il darsi di Dio73.
VT, p. 57. VT, p. 109. 73 VT, p. 107. 71 72
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II. Ricerca filosofica ed esperienza del sacro
L’esperienza della sequela diviene conoscenza sapienziale: Solo se ci lasciamo coinvolgere dal gioco della sequela trinitaria, sequela di Gesù verso il Padre nello Spirito Santo, solo se mettiamo in pegno la nostra esistenza si rivela quale davvero sia il pegno di Dio in Gesù che egli ha messo in gioco nella nostra esistenza e nella storia74.
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L’esperienza della sequela e della testimonianza apre a un “di più”: partecipando al gioco di Gesù, «il gioco si apre a qualcosa di nuovo, in forza dello Spirito e attraverso di noi: il gioco della testimonianza per il mondo»75. Si apre una dimensione comunitaria: Come dall’abbandono di Gesù è stato liberato lo Spirito e in lui si è elevata la nostra comunione col Padre, così deve crescere la comunione a partire dalla sequela personale che resta insostituibile. Il fine di Dio è quello di introdurre nel gioco della vita trinitaria non solo ciò che è in noi, ma anche ciò che è fra noi. La sua vita deve ripetersi e riattualizzarsi non solo nel rapporto tra noi e lui ma nella reciprocità fra noi. Dio si è dato totalmente per darci di vivere la sua vita come vita umana, di uomini fra gli uomini. Non nel senso che si possa stilizzare la misura umana e applicarla alla vita trinitaria ma nel senso che la vita trinitaria diventa misura traboccante che garantisce quella vita di unità che il Figlio ha chiesto al Padre per noi76. Entrare nel gioco di Dio significa trovare in Dio il punto di riferimento, il centro di gravità, il criterio assiologico: non un punto di arrivo, ma un punto di partenza, una luce che si irradia nei vari ambiti. Colui che crede riconosce in Dio il riferimento assoluto: «Tutto ciò che è, può essere per lui solo nella luce di Dio. Se non fosse così, la fede non sarebbe credibile. Un Dio che avesse qualcosa da dire in un solo settore dell’esistenza, non sarebbe Dio»77. Nell’esperienza di Dio «chi si abbandona a Dio si abbandona a un’avventura, chi crede può dire: al gioco di tutti i giochi»78. VT, p. 118. VT, p. 119. 76 Ibid. 77 VT, p. 101. 78 VT, p. 17. 74 75
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L’esperienza di Dio nell’unità
I giochi fondamentali della vita, tutti i giochi dell’interpretare e dar forma sono reimpostati, superati e capovolti. Non solo Dio entra in un unico gioco con noi, entra nel campo dei nostri giochi, ma egli dona noi e manda noi che siamo con lui, introdotti in lui, a continuare a giocare al suo posto il gioco della sua vita nella storia. Noi testimoniamo il gioco trinitario e lo rendiamo presente dove siamo una cosa sola nel suo nome79.
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11. IL GIOCO DELL’ESSERE. VERSO L’ONTOLOGIA TRINITARIA In Vorspiel il darsi come carattere originario dell’essere viene colto da un approccio che parte dall’esistenza e in cui essere ed esistenza si chiarificano a vicenda. Scopriamo che la finitudine non è qualcosa a cui rassegnarci, «ma è l’invito a lasciar sussistere forza e debolezza al contempo, è l’invito a donarle sintonizzandole in modo armonico con il senso dell’essere, con la comunione con l’onnipotenza dell’essere che si chiama darsi»80. Anche dal punto di vista filosofico il darsi non è un’idea aggiuntiva a ciò che si manifesta nel gioco dell’esistenza. Se restiamo in questo gioco, scopriamo che non solo siamo dati in dono a noi stessi, ma che l’intero gioco si dona a noi. […] In principio è il darsi81. Hemmerle ripercorre la storia della filosofia per mettere in luce diversi significati dell’essere. Facendo riferimento al De ente et essentia di Tommaso, alla teologia apofatica e al Concilio Lateranense IV, Hemmerle nota che «esiste un pensiero per il quale l’essere è la parola ultima»: fondamento di ogni linguaggio, «l’essere non ammette nessun linguaggio che possa ricondurre il suo mistero a qualcos’altro. L’essere si rivela nel pensiero come sovraeccedenza su ogni pensiero». Una seconda linea interpretativa è quella in cui l’essere perma-
VT, p. 119. VT, p. 40. 81 Ibid. 79 80
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II. Ricerca filosofica ed esperienza del sacro
ne identico a sé, è ciò che oppone resistenza e non si lascia risolvere dalle operazioni del pensiero: i termini chiave sono la sostanza e l’oggetto. Hemmerle fa riferimento alla filosofia classica, ma anche a Descartes e Spinoza anche se «c’è una differenza profondissima: il modello del pensiero speculativo fondato sulla sostanza e sull’oggetto non è l’atto puro, ma è l’oggetto, la res». Il soggetto e l’intelletto sono complementari nel riferirsi all’essere: quanto più l’essere è se stesso, tanto più entra in gioco l’identità. La pienezza dell’essere è «l’essere che possiede se stesso ed è evidente a sé: è un incremento di essere, è “più” essere, è puro possedersi, il puro sorgere di per sé per poi tornare a sé». Tutto ciò che esiste ed è “altro”, diventa una tappa del cammino dell’intelletto che parte da sé per giungere a sé. Hemmerle ascrive a questa prospettiva la linea del pensiero classico e medievale della reditio in se completa, una linea che con Cartesio supera l’approccio soggettivo e si interseca col concetto di sostanza arrivando a Schelling ed Hegel. Queste prospettive non riescono a delineare tutto il mistero dell’essere ma non escludono strade nuove, perché si può pensare «il tutto e riflettere su di esso a partire da diversi punti di vista, poiché il tutto si pone come tale proprio attraverso le prospettive differenti»82. Hemmerle delinea un’altra strada, poiché l’unico e irriducibile evento dell’essere avviene nel gioco di contrappunto tra essere sé ed essere donato, tra essere sorgente originaria e opporre resistenza. L’evento dell’essere è relazione, struttura che fa entrare in gioco i diversi poli facendoli fluire l’uno all’interno dell’altro83. Nella dimensione ludica viene in luce «una nuova ontologia rende manifesto ciò che è e ciò che accade»84. I rapidi cenni che troviamo in Vorspiel saranno approfonditi nelle Thesen. VT, p. 39. VT, p. 37. «Evento, struttura relazionale, relazione come senso dell’essere: qui sono importanti da menzionare le riflessioni del teologo medievale Bonaventura, qui alle soglie dell’epoca moderna c’è da nominare Cusano, qui c’è Leibniz, c’è la filosofia dell’identità di Schelling, e sono da menzionare molteplici tentativi del nostro secolo, da Rosenzweig ad Heidegger, fino all’ontologia strutturale di Rombach». Alla luce dell’ontologia di Rombach, Hemmerle dà al termine Gefüge il significato di struttura come realtà di interrelazione. 84 TT, p. 145. 82 83
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L’esperienza di Dio nell’unità
La forza pura dell’essere si è fatta comprendere come darsi. Certamente l’essere è il gioco in cui entrano in campo contemporaneamente sia il sorgere a partire da se stessi che la resistenza di ciò che si incontra ed è dato. Possiamo dire insomma che l’altro e la connessione delle due cose, la relazione e la strutturalità, entrano in gioco insieme nella stessa realtà. Ma l’essere è molto più di un semplice gioco. È tutto il gioco, perché nell’essere avviene l’evento del gioco, avviene la serietà del darsi. Nel darsi ritornano gli stessi momenti in modo sempre nuovo. Si chiamano “dare”, “dono”, “unità di dare e dono”, essere donati a se stessi dal dare e dal dono. Qui si può intuire che il dogma cristiano del Dio trinitario non può essere considerato una mera speculazione teologica, poiché in esso si condensa e si riassume profondamente l’originaria spiegazione del senso e dell’origine dell’essere85. Hemmerle considera la scienza e la filosofia come gioco di interpretazione. Nella scienza «non può venir fuori nulla che non sia plasmato dal metodo e dall’oggetto formale», e una delle funzioni della filosofia è quella epistemologica «come riflessione su ciò che rende tale la scienza e unisce le scienze differenziandole per oggetto formale e metodo ma ne determina il rapporto reciproco». ».. La filofilosofia «non può più consegnare ad altre istanze il loro fondamento e il principio della loro unità ma deve riflettere in se stessa ed esserne responsabile»86. Alla filosofia è assegnato il compito di pensare la totalità, e questo le chiede di pensare l’unità, quell’unità che tutto abbraccia. Ma pensare l’unità richiede l’unità del pensiero, la consistenza, l’autoevidenza. Il pensiero deve essere responsabile di ogni suo passo davanti a se stesso. E pensare la totalità richiede un’apertura mai conclusa: non c’è alcun fenomeno davanti al quale la filosofia non può ritrarsi indietro davanti a un fenomeno come se non la riguardasse. Non può rifiutare nessuno spunto di pensiero senza averlo prima verificato e riguadagnato. Non può lasciare cadere nessun tipo di pensiero senza aver tentato di chiarirlo dal suo interno, senza aver contribuito ad attuarlo. Per il metodo filosofico 85 86
VT, p. 40. VT, p. 91.
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II. Ricerca filosofica ed esperienza del sacro
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questo ha come conseguenza il fatto che da un lato si tratta del metodo più radicale: esso infatti non trascura la propria origine che si trova oltre sé, non tralascia alcun presupposto su cui non abbia indagato espressamente. D’altro lato, si tratta di un metodo minimale poiché a ogni nuovo oggetto e a ogni nuova domanda deve trovare un accesso sempre nuovo; solo così una cosa può sorgere e manifestarsi in quanto tale87. La filosofia ha come orizzonte il tutto «non se cerca di risolvere il tutto in se stessa, ma solo se lascia che ogni cosa sia quello che è. Per questo motivo il suo compito più alto è quello di pensare l’altro da sé come altro». Per la filosofia «l’essere è ciò che le appartiene come sua peculiarità se lo lascia essere come altro da sé e lo riconosce come suo confine»88. La domanda sull’essere è condizione di verità per la filosofia. […] Si potrebbe definire la filosofia come gioco trascendentale, illimitato, onnicomprensivo, che interagisce con tutti i giochi: abbraccia i giochi fondamentali e il loro gioco comune insieme ai giochi dell’interpretare e dar forma. Anche in questo gioco valgono l’interesse e l’impegno incondizionato, l’accordo senza limiti e la presenza pura di ciò che si manifesta, di ciò che è così com’è, di ciò che fa riuscire il gioco: questi sono i caratteri della filosofia89. Il pensiero testimonia l’essere perché si interroga su di esso. Ma per il sacro è diverso: Se il pensiero non pensa l’essere, non pensa affatto. Se il pensiero non pensa il sacro, può continuare a essere pensiero. Non è che il sacro sia “più debole” dell’essere, ma è che il sacro è un evento che nel suo stesso sorgere crea l’organo che lo pensa. Quando sorge il sacro, il pensiero può riconoscere che il sacro era in gioco già da sempre. Il fatto che il sacro sorga per il pensiero, implica che non può essere lui a costituirselo. Il sacro diventa scandalo del pensiero e sua provocazione. […] Il fatto che il pensiero possa incontrare anche ciò che non può progettare con le sue forze, VT, p. 93. VT, p. 94. 89 Ibid. 87 88
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L’esperienza di Dio nell’unità
innalza il pensiero oltre sé collocandolo in uno spazio infinito e illimitato90.
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Le parole della Rivelazione hanno origine nello spazio del Dio Santo. Emergono i presupposti filosofici della Rivelazione: Dio deve tener conto del pensiero e del linguaggio in cui si dona. Quando il pensiero è pronto a chiedersi cosa dice la Rivelazione, fa esperienza dell’origine incondizionata, del mistero che in sé si ritrae ma che si dona dentro allo spazio del pensiero e dell’esistenza umana. Questo mistero si consegna, si sottopone alle condizioni oltre le quali si trova, affinché possa donarsi completamente, e in tal modo ancorare l’uomo e il pensiero a un nuovo fondamento. Il pensiero è reimpostato in maniera tale da poter comprendere se stesso e ogni cosa sotto una luce nuova a partire da questo evento. Esso riconosce che da sempre è aperto a comprendere l’istanza assolutamente superiore che lo sovrasta. Nell’appello ad abbandonarsi in modo incondizionato alla sovranità del Dio che si manifesta, spetta al pensiero il compito di spiegare e tramandare la Parola rivelata partendo dalle sue possibilità e nella sua mediazione91. In questo brano sembra essere condensato il cammino filosofico di Hemmerle: nel percorso fenomenologico la filosofia arriva davanti al sacro, ma davanti al suo sorgere ammutolisce. Un silenzio che non è assenza di parole o di contenuti, ma è pienezza dell’esperienza di Dio. Si verifica la svolta: non più dire qualcosa sul sacro come oggetto di riflessione, ma dire l’Indicibile con il silenzio della contemplazione e dell’esperienza mistica, perché la filosofia trovi nuovo vigore. Non una filosofia della religione o un’indagine sul sacro, ma una filosofia che parta dal darsi di Dio in Cristo. Si sviluppa un duplice movimento, un «duplice a priori»: da un lato il pensiero si chiede cosa sia la Rivelazione e si apre ad essa, dall’altro, Dio si consegna al pensiero e si sottopone alle condizioni umane. Un evento di portata filosofica perché «il pensiero è aperto oltre il suo ultimo confine»; un evento di portata teologica che sottolinea «fino a che punto Dio si sia donato 90 91
VT, p. 95. VT, p. 96.
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II. Ricerca filosofica ed esperienza del sacro
nella Rivelazione, fino a che punto Dio si sia spogliato di sé e si sia consegnato all’uomo e al pensiero»92. 12. UN GIOCO TRINITARIO
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Molto originale è la teologia trinitaria di Hemmerle proposta alla luce del gioco. Come nel gioco di Dio in Cristo leggiamo i giochi della realtà umana, così a partire dalla dimensione ludica possiamo rileggere il gioco del mistero di Dio. La vita trinitaria è un gioco. Tutto l’umano pensare riguardo a questo mistero inconcepibile, sa fondamentalmente una cosa sola: è un mistero unico e indivisibile. Nella pura origine non può esserci alcuna divisione che possa inficiare quell’alta unità più forte tra causa iniziale e meta finale, tra aspirazione e piena realizzazione. Il messaggio di Gesù dice con forza: «Soltanto Uno è buono: Dio. Soltanto da Uno tutto dipende: da lui». L’unità e l’unicità di Dio sono un dato fondamentale della fede dell’Antico e del Nuovo Testamento. Ma questa unità entra in gioco a partire da molte origini. Non è lacerabile perché non è isolata in sé, ma è una realtà che si riproduce e si incrementa nell’amore reciproco, amore che proviene dall’uno e dall’altro e va verso l’uno e verso l’altro, è unità che si chiude in sé aprendosi al tempo stesso fuori di sé. L’unico gioco nasce dalle molteplici origini, tutto il gioco proviene da ciascuna origine93. Attraverso l’icona del gioco Hemmerle parla del Dio trinitario che entra a giocare con noi. Ritornando all’icona del gioco, possiamo dire che lo Spirito è quel polo che garantisce che i poli entrino in gioco l’uno all’interno dell’altro, è il polo che fa giocare i poli l’uno con l’altro entrando in gioco lui stesso. C’è un gioco molteplice che viene aperto dallo Spirito Santo e solo per mezzo di lui. Il primo aspetto è che Gesù non si limita a giocare una parte del gioco, ma lo gioca tutto insieme con noi e fino al punto estremo. In lui anche Dio gioca con 92 93
VT, p. 97. VT, p. 112.
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L’esperienza di Dio nell’unità
noi. […] Ma se Dio gioca con noi, il nostro gioco diventa divino, restando al tempo stesso un gioco pienamente umano, un gioco che è nostro […] Nel Figlio si apre a noi quel gioco trinitario che c’è tra Padre e Figlio. Il Figlio accetta con obbedienza il volere del Padre, entra in questo gioco con quell’amore a noi che arriva fino al punto estremo. Anche il Padre e il Figlio hanno la loro storia, il loro gioco, che è il gioco del reciproco donarsi nella glorificazione reciproca. Per mezzo dello Spirito, Dio stesso si rivela in Gesù in modo nuovo e diverso. Dio stesso in sé è relazione, è comunione, gioco di inabitazione reciproca. […] Il gioco di Dio non è un circolo che resta chiuso in se stesso. È un gioco che si apre all’esterno includendo anche noi, è il gioco del donarsi amando. Donarsi amando: è il contenuto del gioco divino in sé ed oltre sé94. In Cristo per mezzo dello Spirito entriamo nelle profondità di Dio: è una conoscenza esperienziale, «ma è più di un conoscere, è lo Spirito: lo Spirito è questa relazione vivente, è il suo evento»95. Nella vita trinitaria l’unità del gioco è garantita dal dono continuo. Questa unità non è rigida e morta, ma è evento di unità, è unità che avviene in una continua attuazione. Ricorrendo alla terminologia scolastica, si potrebbe parlare di actus. È unità viva, la sua vita è continuo incremento perché scaturisce da molteplici sorgenti tutte necessariamente uguali per essenza, e fluisce in molteplici direzioni. E in ogni direzione c’è un “verso dove” e un “da dove” che costituiscono un “di più” rispetto ad essa: proprio questa è l’intima identità di tale vita. La vita è una realtà che fa parte intrinsecamente della vita piena e realizzata, e dunque di quella vita che non ha bisogno di andare oltre sé, ma che è vita traboccante che può e vuole andare oltre sé. Il donarsi reciproco è una realtà che fa intrinsecamente parte di quella pura autosufficienza che pur bastando a se stessa, è pura libertà di donarsi oltre sé. In nessun altro luogo c’è più gioco, un gioco più puro e originario, che nel gioco della vita trinitaria96. VT, p. 110. Ibid. 96 VT, p. 112. 94 95
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II. Ricerca filosofica ed esperienza del sacro
Nella pericoresi delle Persone divine si afferma l’uguaglianza e unità nell’assoluta differenza: è il gioco divino del reciproco sussistere, è l’essere radicato nella reciprocità del gioco.
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Non c’è prima il Padre, il Figlio e lo Spirito e poi il loro gioco; non c’è prima la divinità, la natura divina, e poi gli attori che la mettono in scena. Il gioco divino, cioè Dio stesso, non è altro che questo: non c’è nient’altro oltre, prima, al di fuori o dopo il loro reciproco darsi97. È importante sottolineare la differenza radicale tra la vita trinitaria e i giochi fondamentali: nella Trinità il gioco del darsi è dato dall’assoluta originarietà fontale del Padre. La croce e l’abbandono sembrano smentire questo gioco a due: lì «il gioco estremo e supremo Gesù lo ha vissuto senza l’altro giocatore, senza sostenersi nel Padre»98. Ma il donarsi per amore fino all’estremo attua in modo paradossale la trasformazione della realtà umana, il punto zero del nuovo inizio. C’è un doppio rovesciamento: nell’esperienza del Regno di Dio si capovolgono i giochi in un nuovo inizio; ma nella croce il nuovo inizio si realizza con un capovolgimento degli schemi umani. Questo darsi per amore rivoluziona l’immagine di Dio, l’immagine del mondo, di noi stessi, dei giochi. Il darsi non è l’orizzonte senza il quale non si riesce ad avere se stessi: il darsi è il centro, è la cosa. Noi siamo solo in quanto ci doniamo. I giochi funzionano in quanto attuano il darsi. E il darsi viene sottratto al conflitto tra perdita e guadagno in quel sì che è Dio stesso che si dona99. Hemmerle nota che non ci siamo proiettati in Dio per riflettere sulla Trinità, ma «abbiamo tentato di mettere in pratica nel pensiero quella conversione radicale che il messaggio del Regno di Dio e dell’amore del Padre richiede»100. Possiamo «rendere rendere ragione del darsi di Dio mediante il nostro reciproco dar-ci»: è la possibilità di continuare a giocare nella vita con il ritmo del darsi di Dio. VT, p. 113. Ibid. 99 Ibid. 100 VT, p. 114. 97
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L’esperienza di Dio nell’unità
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Questo è il movimento della nostra vita. Condizione e origine del nostro essere cristiani è il dono dello Spirito. Possiamo vivere solo a partire da questo dono. Ma, a partire dallo Spirito, viviamo rivolti verso il Padre, Egli diventa il nostro unico perché e la nostra unica meta. Così diveniamo conformi al Figlio, percorriamo la sua via, diventiamo sue membra. Qui la nostra sequela ha il suo luogo autentico fino a dire con il Figlio e nello Spirito il nostro totale e definitivo “Abbà, Padre”101. Partendo dalla dimensione ludica in Vorspiel la riflessione trinitaria si fa altissima e arriva a mettere in luce uno dei punti cardine del pensiero di Hemmerle: il darsi reciproco delle Persone divine come fondamento dell’essere, del pensiero e delle relazioni tra gli uomini.
101
VT, p. 118.
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III.
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L’ontologia trinitaria
Non basta introdurre accenti nuovi, nuove combinazioni e legami in una comprensione ordinaria dell’essere, ma è la stessa comprensione dell’essere che diventa nuova, se l’essere diventa nuovo. L’essere è amore, è relazione. Il donarsi è dunque essere e, se bene inteso, è essere il perdersi in ogni altro ma per rinascere, per essere. La dinamica interiore dell’amore è la stabilità e la permanenza dell’essere1. Questa affermazione esprime la convinzione radicale che spinge Hemmerle a delineare sin dal 1976 le linee fondamentali di un’ontologia trinitaria. Si comprende in prima battuta la novità di una prospettiva che capovolge l’impostazione della filosofia tradizionale: si tratta di non fermarsi a leggere il mistero di Dio in base a una precomprensione dell’essere secondo i moduli dell’ontologia classica, ma di tentare di leggere l’essere alla luce del mistero di Dio rivelato in Cristo. L’intento è vedere se è possibile delineare una nuova ontologia partendo dallo specifico cristiano. L’ontologia trinitaria è il centro speculativo, metodologico e tematico del pensiero filosofico di Hemmerle. Non si profila come un’esposizione coesa e sistematica dal punto di vista testuale e argomentativo, ma si delinea attraverso una serie di intuizioni originali che irrompono una dall’altra componendo una prospettiva filosoficamente coerente. Non è un trattato, ma una prospettiva delineata nelle Thesen e in altre opere2, mettendo in luce il senso del pensiero e dell’essere a partire dal mistero di Dio. LE, p. 53. Thesen zu einer Trinitarischen Ontologie (TT); Das unterscheidend Eine (UE); Leben aus der Einheit (LE); Das Neue ist älter. Hans Urs von Balthasar und die Orientierung der Theologie (DN). 1 2
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L’esperienza di Dio nell’unità
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1. RISCOPRIRE L’ONTOLOGIA Nella storia del pensiero occidentale l’ontologia trinitaria si colloca come risposta da un lato alle istanze di una filosofia che, come lamenta Heidegger, ha smarrito il senso dell’essere e lo sta cercando, dall’altro lato all’esigenza di una filosofia che sia cristiana nel suo fondamento3. Nella celeberrima analisi delineata in Essere e tempo e vent’anni dopo in Lettera sull’umanismo, Heidegger mette in luce l’oblio dell’essere che caratterizza il pensiero moderno: mentre il mondo classico è caratterizzato dalla parousia come presenza dell’essere e apertura dell’ente nei suoi confronti, il mondo contemporaneo che si è confrontato col nichilismo di Nietzsche, ultimo dei metafisici, e con l’esasperato tecnicismo che manipola l’ente provocando lo scadimento dell’uomo al livello delle cose, ha dimenticato l’essere e non è in grado di interrogarsi su di esso, né di cogliere le tracce della sua luce che filtra in chiaroscuro. Dopo l’invito di Heidegger a recuperare il senso dell’essere facendosi pastore e custode dell’essere, alla fine del XX secolo l’ontologia non trova posto nel pensiero funzionalista e pragmatico, né nel pensiero debole, né nella filosofia che si concentra sull’analisi del linguaggio e sceglie di tacere su ciò di cui non si può parlare4. L’ontologia non è al centro dell’interesse scientifico perché si considera la domanda sull’essere inutile e al di fuori del verificabile. Anche teologia e filosofia si rapportano col pensiero ontologico con difficoltà pur avendo bisogno di riscoprire i fondamenti. L’asserto di Hemmerle è che «abbiamo bisogno di un’ontologia. Questo postulato è da intendersi sia in senso filosofico che in senso teologico»5. La filosofia effettua una scelta ermeneutica davanti al problema dell’essere: se volesse ignorarlo, dovrebbe interrogarsi sulle motivazioni di questa scelta e sui fondamenti, il che rimanda alla questione ontologica. Solo una filosofia che riflette sulle precomprensioni riguardo al problema dell’essere è in grado di rispondere «alle istanze di una ragione critica, solo una 3 Tale esigenza emerge in teologi come Balthasar, Lehmann, Hünermann, oltre che nell’enciclica Fides et ratio. 4 L. Wittgenstein nel Tractatus logico-philosophicus afferma (prop. 6.53): «Il metodo corretto della filosofia sarebbe questo: nulla dire se non ciò che può dirsi. […] dunque, ogni volta che altri voglia dire qualcosa di metafisico, mostrargli che a certi segni delle sue proposizioni, egli non ha dato significato alcuno». A conclusione ribadisce (prop. 7): «Su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere». 5 TT, p. 125.
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III. L’ontologia trinitaria
filosofia che riesce a elevare una specifica comprensione dell’essere e a riconoscersi come tale, è in grado di riflettere su se stessa». La filosofia deve interrogarsi ex novo: «l’ontologia che oggi è necessaria è radicale, è un’ontologia dei fondamenti»6. Per quanto riguarda la teologia, il pensiero greco è il medium attraverso il quale è stato formulato il dogma cristologico-trinitario. L’ontologia classica è divenuta il sostrato del pensiero teologico per l’impostazione concettuale e per la modalità espressiva, per cui, constatando i condizionamenti operati dalla metafisica, alcuni oggi vorrebbero rivedere le formulazioni del dogma che sembrano lontane dalla sensibilità moderna, mentre altri rifiutano l’ontologia a vantaggio di una teologia pratica e antropologica. I rischi sono evidenti: disinteressandosi del problema ontologico la filosofia si ridurrebbe ad epistemologia o pragmatismo, mentre la teologia potrebbe ridursi a fenomenologia della religione, a fideismo, a un’etica o a un’antropologia che commisura la Rivelazione ai bisogni umani, ma così «la fides quae si inabisserebbe nella fides qua»7. L’ontologia, «cioè la visibilità e l’esprimibilità del senso dell’essere è il presupposto attraverso cui può rivelarsi ciò che Dio stesso vuole dire, dare ed essere a partire da sé dalla propria originarietà»8. Essa permette di recuperare l’aspetto oggettivo dell’esperienza di Dio, che è personale ma non soggettiva poiché si fonda su Cristo. Si tratta di vedere se è necessario identificare il rapporto tra teologia e ontologia con quello che storicamente è stato il rapporto con la metafisica classica, o se è possibile profilare l’ontologia ridefinendo termini, concetti, comprensione dell’essere. Nella Logica Hegel delinea i concetti di essere, nulla, divenire e i principi di identità e contraddizione in modo radicalmente diverso dal pensiero classico. Essere e nulla sono pensati a partire dal divenire che ne costituisce la sintesi: fondare l’ontologia e la logica sul divenire significa «indicare nel movimento e nello sviluppo la struttura fondamentale del pensiero e della realtà, privilegiando la relazione e rinunciando all’approccio sostanzialistico dell’ontologia tradizionale»9. Heidegger pone il problema dell’essere in relazione all’ermeneutica: se la storia della metafisica è storia dell’essere che si esprime nel linTT, p. 126. Ibid. 8 Ibid. 9 G. LUPPI in AA.VV., Corso di Filosofia, III, Milano 1997, p. 100. 6 7
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L’esperienza di Dio nell’unità
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guaggio, per riscoprire l’essere è necessario studiare il linguaggio. Gadamer evidenzia che l’esperienza dell’essere è ermeneutica poiché coincide con l’esperienza del mondo in cui si vive e con il linguaggio che si parla. Rombach propone la struttura come concetto-chiave per comprendere l’essere nella relazione tra le molte origini. Balthasar intuisce che l’amore è il trascendentale in assoluto e fondamento dell’essere creato, e Cristo è il centro della metafisica10. È un impulso importante per Hemmerle che sviluppa questa intuizione: partendo dal Dio trinitario scopre che il darsi creativo e redentivo è fondamento dell’essere di ogni ente. Le Thesen, dedicate a Balthasar per il settantesimo compleanno, sono un approfondimento e una risposta. 2. PROBLEMI ERMENEUTICI E METODOLOGICI L’ontologia trinitaria ha un punto focale: «l’amore, il reciproco essere uno, risplende come il più intimo segreto del Dio trinitario e con ciò vengono trasformati il nostro essere e l’essere in generale»11. L’essere si definisce come “darsi”, la struttura dell’essere si rivela come reciprocità pericoretica, il fondamento dell’analogia entis è nell’Analogia Trinitatis in cui l’essere si definisce nella reciprocità (das Ineinander und Auseinander des Seins). Parlando di ontologia trinitaria è chiaro che i termini sono indissociabili: non si tratta di una qualsiasi ontologia che viene qualificata come trinitaria, poiché l’aggettivo trinitaria non è specificazione del nome ma è la realtà fondante. Solo perché è fondata sull’evento trinitario, è coerente e sussiste come ontologia. Il criterio metodologico è quello di un’ontologia fenomenologica e non deduttivo-sistematica: si tratta di ricercare lo specifico cristiano come si manifesta in Cristo. Hemmerle non si limita a un confronto con l’ontologia classica perché non intende fermarsi alla relecture dell’essere, ma vuole interrogare ex novo la Rivelazione. Un’ontologia nuova richiede apertura verso il novum che si manifesta: l’andare alle cose stesse, imperativo della fenomenologia, implica il ricercare l’essere nel suo manifestarsi. Seguendo il metodo husserliano è necessario mettere tra parentesi conoscenze, giudizi e comprensione classica dell’essere per accogliere la Rivelazione nella sua portata ontologica 10 11
Cf. H.U. VON BALTHASAR, Teologica II, cit., pp. 171-172. LE, p. 53.
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III. L’ontologia trinitaria
e speculativa. L’approccio fenomenologico sfocia nel mistero di Dio: «le cose stesse» non sono gli enti finiti, ma Cristo che rivela l’essere di Dio come amore. Da qui si riguadagna il piano del pensiero e dell’essere in una nuova esperienza del loro darsi. Si può parlare di ontologia fenomenologica cristiana in due sensi: sia perché si fonda sullo specifico cristiano (die beim Proprium des Christlichen ansetzt), sia perché è fenomenologia che mette in luce il manifestarsi dell’amore come ritmo dell’essere di Dio e degli enti. Novità metodologica è l’Ansatz von der Mitte, partire dal centro speculativo per muoversi nelle varie direzioni. È una prospettiva che individua il criterio della verità nella pericoresi dell’amore12 accennando a importanti intuizioni come l’identità come dialogo e l’unitas quaerens intellectum. Hemmerle traccia con rapidi tocchi alcune linee come spunto, ma resta aperto il compito di accogliere il mistero trinitario guardando la filosofia a partire da qui. L’orizzonte ermeneutico è l’interfaccia tra filosofia e teologia: «nella relazione di interscambio tra filosofia e teologia è insita ancora oggi una chance per guadagnare in modo nuovo l’ontologia: questo sarebbe di estrema importanza per la teologia e la filosofia»13. In questo contesto si colloca il problema del linguaggio: come esprimere il novum servendosi del vetus, cioè di parole e concetti dell’ontologia tradizionale? Si tratta di ridefinire la terminologia o di pensare il novum attraverso un novum concettuale? Ma come comunicare il novum se non con categorie linguistiche che permettano di comprendere? Hemmerle non fornisce soluzioni, ma indica una direzione invitando a mettersi dal punto di vista in cui lui si pone. 3. UN DUPLICE A PRIORI L’ontologia trinitaria ha le radici «in una profondità a cui è impossibile accedere dal basso: nel mistero trinitario di Dio che si rivela nella fede»14. Hemmerle propone come assioma fondamentale
12 Cf. Wahrheit und Liebe: ein perichoretisches Verhältnis, in AS II, pp. 315-332; Wahrheit und Zeugnis, in AS I, pp. 221-238. 13 TT, p. 127. 14 TT, p. 150.
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L’esperienza di Dio nell’unità
un’affermazione filosofica e teologica al tempo stesso: quando Dio si rivela all’uomo, quando Dio dice a lui una parola divina, questo avviene dentro alla parola umana. Questa affermazione è filosofica poiché evidenzia le condizioni del pensiero umano in cui si inserisce l’ipotesi filosoficamente non dimostrabile, non rappresentabile e non disponibile di un Dio che si rivela. Il pensiero umano può rilevare che Dio non può parlare all’uomo se non con parole che l’uomo possa comprendere, cioè con parole umane. Il pensiero umano sa che quando Dio si rivela deve tener conto di questa sua necessità. Esistono dunque delle condizioni trascendentali che il pensiero umano rileva con chiarezza e che sono una precomprensione del pensiero riguardo a Colui che per definitionem trascende il pensiero e le sue condizioni. […] Questo fa riflettere sul fatto che la predisposizione del pensiero nei confronti di Dio che si rivela e la predisposizione di Dio nel rivelarsi al pensiero abbiano una natura specifica e diversa, e che esista un a priori filosofico per la teologia e un a priori teologico per la filosofia, ciascuno con significato differente15. Il rivelarsi di Dio nel linguaggio abilita le parole ad accedere al suo mistero. Egli travasa la sua Parola al punto che il divino è raggiungibile solo con parole umane. «In questa parola l’umano e il divino non possono essere separati e distinti: come potremmo esprimere il divino insito nella Parola se non in parole umane?»16. Questa peculiarità costituisce un duplice a priori, «un a priori del divino per l’umano e un a priori dell’umano per il divino»17. Filosofia e teologia si aprono l’una all’altra: l’uomo è creato capax Dei, per cui il pensiero si fa «realmente trascendentale, diviene talmente vasto da avere spazio anche per ciò che trascende il pensiero e che in quanto tale, scende nel pensiero». Entrando nel pensiero, Dio si spoglia di sé consegnando il suo specifico «a un orizzonte di comprensione predeterminato dallo specifico e dalle possibilità dell’altro, cioè l’uomo»18. Si delinea un circolo ermeneutico: Dio trascende il pensiero, ma scende in esso per elevarlo. È il paradosso della Rivelazione: Dio giunge ad “aver bisoTT, p. 127. Ibid. 17 TT, p. 130. 18 TT, p. 128. 15 16
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III. L’ontologia trinitaria
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gno” del pensiero per comunicarsi e si sottopone alle sue strutture. La Parola eterna che tutto precede si lascia mediare nel pensiero e nel linguaggio e ne segue i passi. Hemmerle evidenzia il carattere kenotico: La Parola di Dio si eleva abbassandosi, facendosi Parola in parole umane, Parola tra le parole umane. La Parola di Dio ha di per sé il potere di far essere l’altro-da-sé. Ma sottoponendosi alle condizioni di ciò che è altro da sé, cioè spogliandosi nella parola umana, la Parola assume la forma di impotenza, diventa fraintendibile, manipolabile e profanabile. Nell’impotenza acquisisce qualcosa in più: diviene realtà attraverso l’altro, diventa realtà dell’altro. Proprio in questo processo di kenosi ed elevazione avviene la Rivelazione. Questo rapporto non è qualcosa di aggiuntivo, ma è il contenuto stesso della Rivelazione. Dio è identità con sé nell’andare oltre sé e donarsi totalmente19. Kenosi ed elevazione esprimono lo stile del donarsi di Dio: sono «un’affermazione di una portata straordinaria su Dio stesso». La Parola scende nel circolo ermeneutico: una kenosi che qualifica come cristiana la Rivelazione. Dio non si limita a comunicare un messaggio, ma si fa evento di grazia. Alla luce dell’Incarnazione Hemmerle rilegge la lezione heideggeriana e gadameriana sull’ermeneutica secondo cui l’uomo non è tabula rasa ma tabula plena di pre-comprensioni e pregiudizi20. Le condizioni dell’uomo diventano condizioni del rivelarsi di
TT, p. 129. Gadamer afferma: «Chi vuol comprendere un testo esegue sempre un progetto. Non appena si rivela un primo senso nel testo, già l’interprete produce un senso della totalità. Ma a sua volta quel primo senso si rivela solo perché si legge il testo con determinate aspettative nei confronti di un senso determinato. La comprensione di ciò che è contenuto nel testo consiste nella messa a punto del progetto preliminare, certo costantemente rivisto dall’ulteriore addentrarsi nel senso». Per Gadamer il comprendere avviene alla luce della perfezione: «Il presupposto della perfezione, che guida ogni nostro comprendere si dimostra sempre determinato dal contenuto. Non solo si presuppone una immanente unità di senso che guida il lettore: la sua comprensione è anche orientata da aspettative trascendenti di senso, che scaturiscono dal fatto che ciò che il testo dice è in rapporto con la verità. Il presupposto della perfezione implica non solo che un testo debba esprimere compiutamente il suo punto di vista, ma anche che ciò che dice sia perfettamente vero» (H.G. GADAMER, Verità e metodo, in M. MARASSI, Gadamer e l’ermeneutica contemporanea, Milano 1998, pp. 38-40). 19 20
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Dio, ma devono mantenersi trascendentali21 e abbandonarsi a ciò che entra in loro. Storicamente tra filosofia e teologia si è creata un’alterna subordinazione: da un lato la filosofia è stata considerata ancilla theologiae, dall’altro la teologia ha attinto al pensiero greco accogliendo le categorie e correggendo i concetti che deformavano il senso dello specifico cristiano. Il pensiero cristiano ha proposto diversi sguardi sul mistero di Dio: Agostino vede nella Trinità la relazione tra l’Amante, l’Amato e l’Amore, una relazione sostanziale e non accidentale; Bonaventura introduce «nella speculazione sull’essere la fenomenologia dell’amore scoprendo l’amore come nucleo ontologico dei misteri del cristianesimo e dell’essere degli enti»22; per Tommaso la relazione intratrinitaria è relazione ontologica in cui le Persone divine sussistono in comunione. Hemmerle evidenzia due tipologie nel rapporto con la Rivelazione: la teologia traducente esemplificata in Tommaso e la teologia creativa e testimoniante di Bonaventura. Egli nota che il pensiero cristiano ha dato apporti significativi alla filosofia, ma nella simbiosi con l’ontologia è passato inosservato come un ospite, senza rinnovare «né la precomprensione dell’essere, né l’impostazione dell’ontologia nel complesso»23. Agostino, Bonaventura, Tommaso sono arrivati a un’illuminante comprensione del mistero di Dio, ma non sono giunti a un pensiero ontologico che nasca dal Dio trinitario come fondamento speculativo. Il limite è dato dall’assumere concetti precostituiti come la sostanza in se subsistens e l’identità con sé, per cui il novum cristiano non viene in rilievo nella valenza ontologica: Una comprensione dell’essere per la quale la realtà ultima siano la sostanza, lo stare in sé, l’opporre resistenza, la sussistenza in sé o un modello fondato sulla reditio in se, sul circolo chiuso dell’alienazione da sé e del ritorno in sé, cioè l’autocoscienza, hanno una dimensione troppo esigua per poter pienamente esplicitare il dono trinitario della comprensione cristiana dell’essere24.
21 Il termine “trascendentale” mantiene il senso kantiano dell’a priori, ma è integrato alla luce della Rivelazione. “Trascendentale” indica: 1) l’a priori, come duplice a priori della Rivelazione; 2) il trascendere se stessi per accogliere il dono; 3) l’apertura alla Trascendenza. 22 TT, p. 140. 23 TT, p. 132. 24 TT, p. 140.
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III. L’ontologia trinitaria
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Hemmerle interroga la Rivelazione per vedere se è possibile indicare una nuova impostazione attraverso un’analisi «di ciò che alla fine della modernità giunge alla fine e attraverso la riflessione sul proprium del cristianesimo che finora non ha esercitato un ruolo guida tale da segnare un’epoca»25. Partire dal Dio trinitario senza ricorrere a moduli ontologici precostituiti significa prenderne sul serio la radicalità. Una svolta decisiva che supera ogni misura del pensiero tradizionale dell’uomo su Dio, su se stesso, sul mondo, sull’essere. La semplice relecture della precomprensione ontologica tradizionalmente portata avanti della fede non arriva a cogliere ciò che si rivela e si comunica all’essere e all’intelletto dell’uomo. L’esigenza di una nuova ontologia, un’ontologia trinitaria, è conseguenza diretta di questa fede26. 4. LO SPECIFICO CRISTIANO Hemmerle si propone di indagare «in che modo si trasformano dal di dentro le esperienze e le concezioni fondamentali che l’uomo ha di Dio, del mondo e dell’uomo quando irrompe la fede in Gesù Cristo»27. L’esperienza è il locus in cui Dio si manifesta: essa non si limita a veicolare il dono, ma esperisce una profonda trasformazione poiché l’irrompere della novità cristiana scardina e rovescia rinnovando. Hemmerle analizza lo specifico cristiano rilevando le differenze rispetto a due tipologie di esperienza del sacro, definite come esperienza della religione ed esperienza del Logos. Nell’esperienza della religione «l’asse intorno a cui ruota la vita non sono più le problematiche e capacità umane, ma la comparsa e l’irruzione di un Altro, la sua chiamata, la sua epifania, il suo messaggio, il suo rivelarsi»28. Si tratta di una pretesa totale: è paradossale il fatto che non si parta dall’uomo e che il Trascendente possa manifestarsi pur continuando a trascendere. La pretesa della religione si scontra con l’esigenza di autonomia dell’io. L’uomo può reagire in due modi: o si annienta davanti al TT, p. 133. TT, p. 139. 27 Ibid. 28 TT, p. 134. 25 26
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L’esperienza di Dio nell’unità
Mistero o riduce la religione al nucleo razionale. Un atteggiamento diverso è l’esperienza del Logos, in cui l’uomo ritiene che ogni cosa sia permeata da un’intima razionalità divina. Il Logos «non sta come nella religione di fronte, ma dentro. Il Supremo, il Tutto è più grande di tutto eppure è in tutto come realtà profonda di ogni cosa»29. Dove il Logos diventa realtà assoluta, la sua ampiezza si capovolge nel restringimento perché non ci riguarda in concreto: c’è il rischio di ridurre l’io a un’espressione della razionalità del tutto come in Spinoza e in Hegel. La Rivelazione biblica supera l’esperienza del Logos: Dio è kadosh Totalmente Altro, ma rende possibile l’Alleanza. Con l’Incarnazione la svolta è data dalla presenza di Dio in mezzo agli uomini: Dio entra nella nostra esperienza e nella nostra finitudine. Il novum è il Regno di Dio che si realizza in Cristo: è una conversione, è il superamento dell’esperienza della religione e del Logos. Tutto trova senso: la parola umana ha nuovo significato in rapporto alla Parola di Dio30, l’esistenza è avvolta dall’amore. «Vivere solamente di Dio e a partire da lui: è l’atteggiamento della conversione. Il tempo è compiuto, il ritmo della pura speranza sfocia in un nuovo irrevocabile presente di Dio»31. Sul piano della Trinità economica, Dio si fa evento di salvezza senza lasciare nulla che non sia rivelato e donato in Cristo: niente di lui e niente di noi ne resta fuori. Tra noi e Dio ha luogo una comunicazione radicale, senza riserve. Egli condivide in Gesù tutto ciò che è nostro e tutto ciò che è suo. Niente di sé resta fuori dal dono che egli ci fa in Gesù Cristo; niente di noi resta fuori dalla storia, che è storia propria di Dio32. La verticale della kenosi che Cristo percorre verso il basso apre a noi la dimensione verso l’alto: TT, p. 135. Nella prospettiva cristiana «la parola che il mondo mi dice non è solo parola sua o mia, ma diventa la storia della Parola che viene detta da Dio che in essa si rivela: Dio compare e opera in essa rivelando il senso del tutto e a tutto dando senso. Tale correlazione diventa la correlazione della mia e della nostra esistenza: diventa la parola che io e noi attuiamo a partire dalla nostra origine: è parola come risposta» (TT, p. 138). 31 TT, p. 137. Il termine Um-kehrung esprime la conversione richiamando anche a livello lessicale la metanoia come svolta esistenziale richiesta da Mc 1, 15. 32 TT, p. 138. 29 30
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III. L’ontologia trinitaria
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Non Dio sopra di noi che ci schiaccia nel nostro nulla e ci risucchia nel suo tutto, ma Dio al di sopra di noi che ci risponde e viene incontro al Dio che è fra noi, che ci sostiene, ci afferra, ci accoglie: noi tra Dio e Dio. […] Ciò che unisce il Dio sopra di noi e il Dio tra noi, e cioè l’amore incondizionato, lo Spirito Santo, ci viene dato perché per mezzo di lui e portati dal Figlio, siamo capaci di dare quella risposta che lui porta con sé33. Il termine “evento” va compreso come realtà in cui Dio opera: il “per noi” salvifico caratterizza il farsi evento da parte di Dio. L’esperienza di Dio non è un tentativo umano di esperire Dio, ma si fonda sul dono che Dio fa di sé nell’hic et nunc della realtà umana: un evento in cui gli uomini sono portati in Dio dal Figlio, e avvolti dallo Spirito vengono a trovarsi tra Dio e Dio. L’evento trinitario ha valenza ontologica, salvifica, rivelativa: «Dal momento che Dio è trinitario e la sua storia avviene nella nostra storia, la nostra situazione di uomini, il pensare, il nostro essere e tutto l’essere fanno esperienza di una conversione»34. 5. L’ESSERE COME AMORE Se il mistero trinitario precede l’essere, non si può partire da una comprensione precostituita dell’essere per comprendere la realtà trinitaria e tirarne le conseguenze sul piano ontologico, ma il compito del pensiero è pensare l’essere a partire da qui: Il mistero più profondo di tale mistero si chiama amore, si chiama darsi. A partire da questo fulcro si dischiude tutto l’Essere, tutto il pensiero, tutto l’accadere nella loro struttura. Ne risulta una relecture di ciò che per la fede si rivela nei fenomeni in uno sguardo immediato35. Rilevare e fare spazio a ciò che viene letto nell’amore significa garantire l’a priori del pensiero. Lungi dall’essere un sentimento, l’aTT, p. 139. Ibid. 35 TT, p. 150. 33 34
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more si fonda sul mistero trinitario di Dio in cui i fenomeni si danno sia in senso ontologico (ci sono, es gibt)36, sia nel senso del loro donarsi. «Darsi: non si tratta di un’aggiunta esteriore ai fenomeni finora considerati», ma di una realtà che produce l’attuazione ontologica e «rimette in gioco la sostanza, il sostantivo, in un senso del tutto nuovo»37. L’ontologia trinitaria si delinea a partire da una fenomenologia dell’amore. L’amore è una cifra che contiene il significato più profondo dell’essere e che si può decifrare con il concorso del pensiero: Una tale fenomenologia dell’amore costituisce lo sfondo e il supporto delle affermazioni che seguono. Non si tratta di inserire il fenomeno dell’amore e del darsi all’interno della fenomenalità che abbraccia tutto ciò che esiste, ma si tratta di leggere in modo nuovo e totale a partire dall’amore e dal darsi la fenomenalità di tutto ciò che esiste. Conseguenza paradossale: in questo modo non diamo voce all’amore in quanto tale, ma a ciò che viene letto nell’amore con un profilo quanto più possibile universale e formale. Si chiarisce come una fenomenologia dell’amore possa esprimere l’originario manifestarsi dell’essere e dell’ente38. Per esprimere la dynamis dell’amore Hemmerle utilizza il termine Vorgang39 nel senso di evento continuo, realtà che fluisce, dinamica inesauribile del dono. Il termine indica il procedere del darsi in 36 Il senso ontologico del darsi è chiaro nell’espressione tedesca es gibt, che significa «c’è, ci sono», ma letteralmente sarebbe «esso dà», o meglio, «si dà». 37 TT, p. 146. 38 TT, p. 141. 39 L’edizione italiana (1996) traduce con il termine “processo”, che rende il carattere dell’evento ma non esprime la provenienza dell’origine. A nostro avviso, Hemmerle utilizza i termini vor-gehen e aus-gehen per designare il pro-venire da un’origine, per cui si può tradurre con evento in corso, realtà che fluisce da un’origine: non un fluire senza soluzione di continuità, ma la reciprocità come evento. Hemmerle parla di geschehende Beziehung, che si può tradurre «relazione evenienziale», «evento di relazione». Ricorrendo alla terminologia della teologia trinitaria, più adeguato potrebbe essere il latino processio che ha il carattere dell’attuazione ontologica nella relazione e il carattere dell’Origine da cui tutto pro-viene. Il termine processio in teologia trinitaria indica il pro-cedere dello Spirito a partire dal Padre, unica origine, e dal Figlio eternamente rivolto verso il Padre: processio non nel senso dell’emanazione di Plotino, ma nel senso delle relazioni intratrinitarie col carattere dell’attuazione ontologica, poiché lo Spirito è l’ipostasi dell’amore reciproco tra Padre e Figlio.
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III. L’ontologia trinitaria
cui si manifesta l’interrelazione del tutto che prende forma a partire dall’origine da cui procede e in cui ogni ente è inscritto. Superando il concetto di soggetto in se subsistens che entra in relazione in modo accidentale e la prospettiva del continuo fluire in cui i poli si dissolvono, l’ontologia trinitaria mette in rilievo che nulla sussiste al di fuori dell’atto divino che comunica l’essere come dono e che contiene in sé la relazionalità come elemento costitutivo dell’essere.
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Una cosa, un soggetto, un ente si lascia comprendere e può attuarsi solo nel suo atto. Questo atto è costituzione, comunicazione, delimitazione e inserimento nella correlazione che tutto abbraccia. Al di fuori di tale atto non esiste nulla40. È un’affermazione importante: gli enti non sussistono prima in sé per poi porsi in relazione, ma sussistono all’interno dell’attuazione che li fa essere. Hemmerle osserva che l’analogia entis come proporzionalità non esprime l’intuizione originaria: è meglio il termine actus nel senso dinamico dell’uscire da sé per donarsi. Nell’ontologia tomistica l’actus essendi esprime l’essere di Dio che è partecipato agli enti, ma nell’ontologia trinitaria si accentua il carattere dinamico e relazionale: l’attuazione non definisce lo status ma la dynamis del dono che fa essere gli enti all’interno della correlazione originaria che tutto abbraccia41. Il movimento e la relazione non fluiscono nel senso del panta rei eracliteo né come necessità dialettica, ma esprimono la libertà del dono. Se in Aristotele la relazione è la più debole categoria dell’essere e l’essere ha un prius ontologico rispetto alla relazione, nell’ontologia trinitaria l’essere di Dio si esprime nell’amore reciproco tra le Persone che fluisce ad extra creando gli enti e facendoli partecipare all’essere dell’agape. Alla luce di 1 Cor 13, 13 «solo l’amore rimane», si delinea un nuovo concetto di essere. Hemmerle ne mette in rilievo la forza rivoluzionaria: se solo l’amore rimane, allora solo l’amore è in senso assoluto e costituisce il fondamento dell’essere. Se ciò che rimane è l’amore, il baricentro si sposta dal sé verso l’altro e vengono posti al centro il movimento non più inteso in senso TT, p. 142. In Aristotele il termine dynamis indica una potenzialità non attuata, mentre per Hemmerle indica l’evento del darsi di Dio, cioè un’attuazione che non perde mai il carattere del dono. 40 41
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L’esperienza di Dio nell’unità
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aristotelico, e la relatio, anch’essa non più intesa come categoria, come il più debole accidente dell’essere. […] Una sola cosa rimane: la compartecipazione a quel movimento che è l’agape stessa. Questo movimento è il ritmo dell’essere, è ritmo del donare che dona se stesso42. L’essere non è il permanere della sostanza nell’identità con sé, ma è amore che si svuota e si dona, è movimento di agape che negli enti partecipa dell’agape trinitaria. In Dio l’essere è kenosi e pericoresi, è un non essere sé per essere l’altro. Essere e amore coincidono: l’essere amore è non essere se stessi per essere in modo più autentico43. L’amore ha consistenza ontologica: è la sola cosa che rimane poiché costituisce l’essere di Dio e degli enti che partecipano al suo mistero. 6. L’IDENTITÀ COME DIALOGO L’essere di Dio è mistero di comunione che si dona ad extra imprimendo negli enti la forma di identità nella libertà del dono. In questo senso si delinea l’identità come dialogo: il senso è che il fulcro dell’identità personale non è in se stessi, ma nell’aprirsi all’altro in direzione del dono. Ogni soggetto sussiste come identità all’interno della realtà di reciprocità: una sussistenza relazionale, poiché ogni soggetto sussiste nella relazione con l’altro e a partire dall’altro. La relazione è costitutiva in senso ontologico poiché l’essere si attua nel darsi: non ci sarebbe senza il rapporto reciproco dei poli tra i quali intercorre, poli che sussistono l’uno per l’altro, uno nell’altro, uno a partire dall’altro (Zueinander, Ineinander, Auseinander). L’unità e l’identità del soggetto si attuano nella relazione: in quanto si dona e si comunica, il soggetto è44. Parlando di relazione costitutiva e di soggetto in se subsistens è da chiarire se si intende in senso assoluto o relativo. Hemmerle dice: 42 43
1991.
TT, p. 141. Cf. LE, p. 153. Per approfondimenti cf. G.M. ZANGHÍ, Dio che è amore, Roma
44 Fondendo il concetto di hypostasis, realtà ontologicamente sussistente, e prosopon, maschera, un volto che si rapporta con altri, il pensiero cristiano afferma che la persona è identità relazionale, è realtà di comunione, superando la rigida distinzione tra uno e molteplice tipica del pensiero classico.
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III. L’ontologia trinitaria
I poli non hanno uno status isolato al di fuori dell’evento, poiché sono all’interno dell’evento e sono evento essi stessi. Essi sono il comunicarsi, il relazionarsi, il darsi all’interno del processo e il ricevere in cambio, il farlo essere e l’essere fatti essere. In ogni polo è l’intero processo, l’intero processo è l’essere di ogni singolo polo. I poli si differenziano in base al modo in cui il processo procede da loro ed essi da lui. La differenziazione dei poli è la differenziazione del processo, l’articolarsi in membra diverse, da cui riceve unità, differenziazione e struttura. […] L’unico evento ha la sua unità, il suo unico corso e la sua unica direzione a partire dai molti poli che dalla loro direzione di volta in volta diversa, interagiscono insieme con l’intero processo45. L’ontologia trinitaria mette in luce l’unità nella molteplicità e la molteplicità in unità, Einheit in Mehrursprünglichkeit46. Il soggetto ne esce rafforzato perché è libero di donarsi: riscopre l’esistenza come pro-esistenza. I poli non si fluidificano nel processo perché sono soggetti liberi: se fossero dissolti, non potrebbe esserci né relazione né dono. La partecipazione ontologica non va pensata come analogia ma come comunione: L’Essere supera se stesso donando agli enti la possibilità di partecipare a lui: l’Essere in se stesso è evento di partecipazione. L’Essere è communio che non dissolve i poli ma li costituisce. L’unità verso l’esterno è unità verso l’interno: in questo modo l’unità è Essere47. L’identità personale ne risulta arricchita: si fa esperienza dell’identità «come incremento e drammatica trasformazione»48. In tedesco dramatisch non significa “drammatico” nel senso corrente, ma significa “in azione” come nel significato greco di drama: fatto, evento, azione. «Drammatica Drammatica trasformazione» designa l’attuarsi della trasformazione e il fatto che l’attuazione ontologica avviene perdendo se stessi in direzione del dono. L’identità come dialogo non è il punto di TT, p. 143. Con l’espressione Einheit in Mehrursprünglichkeit Hemmerle indica l’unità che nasce dalle molte relazioni. 47 DN, p. 210. 48 TT, p. 144. 45 46
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L’esperienza di Dio nell’unità
partenza di un sistema deduttivo, né va inquadrata in una prospettiva in cui il pensiero è spettatore esterno all’oggetto, ma si realizza sul piano ontologico e sul piano esistenziale nella libertà di amare esprimendo la sovrabbondanza di essere nell’essere amore.
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7. SOSTANZA E COMUNIONE Nella prospettiva dell’identità come dialogo, il perdere se stessi è dono e incremento: «senza cedere non c’è pro-cedere». Resta da chiarire il senso ontologico della sostanza, la resistenza opposta dalla cosa, il diritto del sostantivo, la consistenza ontologica che non si dissolve nel fluire della relazione. Il darsi non è un’azione che si riflette su di sé come in un verbo mediale o riflessivo, ma ha come oggetto il dono: darsi significa donare se stessi. È un’azione protesa verso l’altro che ha effetti su di sé in quanto dona: «Il dare non mantiene stretto ciò che possiede, ma contiene ciò che dona». Se dare significa contenere ciò che si dà, il perdere se stessi non è perdita ma attuazione. Dal punto di vista ontologico ne deriva che la sostanza è concrezione ontologica del darsi. Non può esserci nessuno status ontologico (Stand) che non sia in corso, nessuna stabilità se non nel superamento, nessun punto fermo se non nella relazione oltre sé. La sostanza, ciò che è, si costituisce nell’identità con sé (Selbststand) e nel rapporto con ciò che è altro. Solo così il processo raggiunge completezza ed equilibrio interno. La sostanza, l’essere in sé e l’altro da sé non sono punti di arrivo in cui l’evento si svuota e defluisce, ma sono dei limiti entro i quali l’evento rifluisce in se stesso: sono la pelle che circonda e racchiude l’unità dinamica dell’evento49. In questo limite si salvaguarda la potenza dell’origine: essa può toccarci. 49 Nell’edizione italiana (1996) l’espressione spannungsvolle Einheit è tradotta come «unità dialettica». Parlare di “dialettica”, che in filosofia è termine tecnico, può indurre in errore, richiamando la prospettiva hegeliana ben lontana da quella di Hemmerle. Noi preferiamo tradurre con «unità dinamica». Una traduzione più letterale sarebbe la perifrasi «l’evento di unità che nasce dalla tensione reciproca tra i poli». Scegliamo di tradurre il termine Grenze non nel senso di “confine”, come proposto dall’edizione italiana, ma nel senso di “limite”, per la pregnanza ontologica ed esistenziale che questo termine ha in relazione alla finitudine.
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Ma in questo limite si rivela la sua debolezza: può essere toccata, diventa tangibile50. L’identità specifica di ogni cosa invita ad andare verso fuori, a donarsi e porsi in dialogo. L’evento fluisce in direzione del dono trovando nella sostanza un limite entro il quale rifluisce in sé. Un primo significato del limite è quello di forma che determina e individua. Per la filosofia presocratica il limite è perfezione perché implica la determinazione51. Nella filosofia classica è necessario che la forma determini la materia che sarebbe altrimenti pura potenzialità, chora indeterminata. Se il limite è determinazione, anche nell’ontologia classica lo si può intendere come possibilità di incontro con l’altro in quanto definisce l’identità con sé. Ma esiste un altro significato: il limite come finitudine, dimensione strutturale della realtà creaturale. Sullo sfondo della filosofia contemporanea che ha rivalutato la finitudine52, risulta molto originale il concetto di limite che in Hemmerle ha valore ontologico poiché delimita l’essere aprendolo in direzione del dono. Il limite crea una determinazione che permette di aprirsi all’altro, mentre «ciò che si apre soltanto su se stesso non perviene a sé»53. Superamento significa superare il limite dell’essere in sé per donarsi oltre sé54. Un limite che non è visto come un ostacolo, ma come ciò che caratterizza l’essere della creatura nel suo donarsi. L’identità individuale si comunica all’esterno superando il limite, ma il limite delimita lo specifico individuale rendendo possibile il dono. Nell’analogia di essere, pensiero e linguaggio, il concetto di limite riguarda anche il dire e il pensare. Il pensiero e la parola sono il limite che dà identità a ciò che è pensato e detto; sono il contorno che definisce lo specifico nel farlo incontrare con l’alTT, p. 146. Pitagora considera più perfetto il limitato (i numeri dispari in cui prevale l’elemento limitante), mentre per Parmenide l’essere è lo Sfero, una totalità determinata, finita e compatta in sé. 52 La rivalutazione del limite è il grande contributo offerto dalla filosofia dell’esistenza; Jaspers vede nella situazione-limite la cifra in cui si rivela la Trascendenza; per Heidegger la morte è possibilità dell’impossibilità, è il limite come orizzonte che costringe a scegliere tra esistenza autentica ed esistenza inautentica. 53 TT, p. 146. 54 La volontà libera caratterizza la gratuità del darsi, a differenza della prospettiva di Fichte del continuo superamento del limite da parte dell’Io. 50 51
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tro. Il limite è ciò che è comune e universale tra coloro che si affacciano su tale limite, è la loro unità e il terzo elemento tra loro, il loro specifico ma anche l’elemento a loro estraneo; solo così si ha il superamento, il dono che contiene ciò che dà e dà ciò che afferra55. Il limite dell’individuazione, cioè la delimitazione dell’identità che rende individuum, definisce l’interno delineando il lato comune con esterno: in questo punto di incontro costituisce l’individuum in comunione con altri. Per Hemmerle il principium individuationis è la communio nel darsi: attraverso il darsi si delinea la forma solida dell’ontologia. Da tutto ciò la “forma solida”, il profilo, i limiti, la consistenza ricevono un nuovo significato. Essi sono realtà donate (Gegebenheiten) in cui l’origine, che è il dare, trova se stessa in maniera tale da entrare in relazione oltre sé, in una relazione che la dona oltre sé56. Identità e sostanza sono concrezione ontologica del darsi57. Hemmerle ricorre alla geometria per esprimere la struttura dell’ontologia e parla di una linea in cui il molteplice si addensa e si distingue. L’evidenza delle determinazioni è evidenza di una linea sulla quale il molteplice urta e si divide, entrando gli enti l’uno in tangenza con l’altro, l’uno in legame con l’altro. All’evidenza univoca della forma in sé corrisponde il molteplice rinvio oltre sé. La struttura è sempre la stessa: un evento che procede da molte origini e sussiste insieme ad altri eventi, un evento identico e sempre nuovo, un procedere come ritornare a sé e andare oltre sé. […] Si tratta di un libero dono in ciò che è personale e insostituibile: è il limite TT, p. 147. Ibid. 57 Questo è evidente in tedesco: geben/Gegebenheit: la sostanza non si definisce in base all’essere (ousia, essentia), ma a partire dal darsi (sich geben). Aristotele definisce la sostanza «ciò che era essere» (to ti en einai). Hemmerle parla di Gegebenheit, realtà donata e che si dà ontologicamente perché si dona: la sostanza rappresenta la concrezione ontologica del darsi. L’edizione italiana del 1996 traducendo con “datità” il termine Gegebenheit, non rende il rapporto con il darsi. Proponiamo di tradurre con l’espressione «realtà donata». 55 56
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III. L’ontologia trinitaria
a partire dal quale una realtà si allontana da se stessa in ciò che è proprio e distintivo comunicando col diverso da sé, con l’altro. La nuova ontologia non priva il pensiero della possibilità di diventare sempre nuovo davanti ad ogni evento e ad ogni fenomeno58.
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Per tentare un possibile paragone con un’immagine fisico-geometrica, a nostro avviso si potrebbe proporre lo spazio gaussiano caratterizzato dalle interazioni di campo in cui hanno luogo i fenomeni elettromagnetici: ogni polo sussiste in se stesso nell’interazione con altri e con il campo59. Lo spazio gaussiano permette di visualizzare la molteplicità relazionale in cui sussistono le diverse polarità. 8. ONTOLOGIA TRINITARIA E LINGUAGGIO Per esprimere la reciprocità che costituisce la struttura dell’essere, Hemmerle ricorre all’analogia del linguaggio in cui le tre origini, soggetto, linguaggio e destinatario, scaturiscono l’una dall’altra e si intersecano. Il pensiero e il linguaggio segnano la linea di confine in cui i vari elementi del molteplice differenziato si incontrano l’uno con l’altro, si distinguono l’uno dall’altro, si donano l’uno all’altro, si palesano e si rendono estranei. Abbiamo interpretato questa relazionalità multiforme, questa correlazione tra unità e distinzione come analogia60. Hemmerle apporta un importante contributo al pensiero analogico proponendo un nuovo significato di analogia entis. Il termine analogia non indica il rapporto proporzionale tra essere e pensiero, ma la relazione che costituisce la struttura del linguaggio, del pensiero e dell’essere. Una relazione che è espressa con i termini Ineinander, Auseinander, Füreinander, di difficile resa in italiano, ma tutti in riTT, p. 148. Nei limiti dell’analogia, potremmo accostare l’ontologia classica al modello fisico newtoniano in cui la relazione avviene tra masse distinte e determinate in una precisa direzione di forza, mentre si può accostare l’ontologia della reciprocità a un modello relativistico in cui massa ed energia, spazio e tempo interagiscono tra loro e non hanno più un valore assoluto in se stessi nel senso newtoniano. 60 TT, p. 149. 58 59
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ferimento alla reciprocità come struttura dell’essere in cui avviene il sussistere l’uno nell’altro (Ineinander), sussistere a partire dall’altro (Auseinander), sussistere uno per l’altro (Füreinander).
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L’analogia del pensare e del parlare attua e rivela l’analogia dell’essere che, in quanto attuazione, è superamento, comunione, darsi. Analogia entis significa che l’essere è essere l’uno nell’altro e l’uno a partire dall’altro (das Ineinander und Auseinander des Seins), il cui significato profondo si rivela come essere l’uno per l’altro (das Füreinander)61. La sostantivizzazione dei termini das Ineinander, das Auseinander, das Füreinander, usati di solito come avverbi, esprime la sussistenza ontologica: questi termini designano una struttura dell’essere non più monadica e autocentrata, ma relazionale e pericoretica. L’ontologia trinitaria proietta sul piano logico la novità rispetto alla logica tradizionale evidenziando la preminenza del verbo rispetto al sostantivo. Se la metafisica aristotelica proietta sul piano logico la centralità della sostanza con la preminenza del sostantivo rispetto al verbo che è predicato della categoria dell’agire, per l’ontologia trinitaria consegue sul piano logico che la parola-cardine (Hauptwort) sia il verbo. L’approccio a partire dall’amore, dal darsi è un approccio a partire dall’evento, dall’attuarsi. Il problema non è tentare di capire come faccia il soggetto a trascendersi andando oltre se stesso per pervenire a sé, né quello di chiarire come la sostanza giunga alla differenziazione e determinazione, ai suoi effetti, senza diminuire o modificare il suo ruolo o il suo status in se stessa. Il pensiero non resta dietro al processo ma si trova immerso in esso. La parola-cardine di tale pensiero non è più il sostantivo ma il verbo. Esso accompagna il corso del processo mettendo in luce cosa procede, chi procede, da dove viene e verso dove si dirige il procedere62. Rispetto al sostantivo, il verbo è espressione più adeguata della dynamis dell’amore poiché esprime il fluire di un dono che pone in relazione il soggetto con l’origine, la meta, gli altri soggetti. Il verbo 61 62
TT, p. 148. TT, pp. 141-142.
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III. L’ontologia trinitaria
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assume funzione primaria e solo a partire dal verbo nasce la concrezione sostantivale63. Da un lato il sostantivo conserva una sfumatura verbale, dall’altro il verbo ha valore di sostantivo. Hemmerle esemplifica in riferimento al tedesco, in cui il termine Leben ha funzione verbale e sostantivale: il sostantivo Leben indica il vivere (leben), mentre il verbo leben esprime la vita (Leben)64. Se la parola chiave della nuova ontologia è il verbo, al posto dell’unico soggetto subentra una molteplice originarietà. Nei processi di reciprocità avviene un unico processo in cui i poli si rapportano l’uno all’altro. L’accadere singolo ha la sua unità, il corso e la direzione a partire dai molti poli che dalla direzione di volta in volta diversa, lasciano scaturire se stessi e l’intero processo nella relazione reciproca65. Ontologia e linguaggio si riflettono: il sostantivo è interpretato attraverso il verbo. Interpretare il sostantivo aprendosi al verbo, le cose aprendosi ai processi, i processi aprendosi alla molteplicità delle origini che li contraddistingue: è questo che rende giustizia ai fenomeni, e tuttavia è una radicale trasformazione dell’abituale modo di vedere e di dire66. Il centro ontologico non è il soggetto, ma l’interrelazione che lo origina. Rendere giustizia ai fenomeni significa essere attenti al loro manifestarsi in cui si svela la verità dell’essere.
63 Hauptwort significa «parola principale», «parola cardine», mentre in ambito grammaticale significa “sostantivo”. Questo mostra come solitamente si identifichi il sostantivo con la parola-chiave. Hemmerle dice: «Das Hauptwort ist nicht mehr das Substantiv, sondern das Verb»: il verbo è la parola cardine e sostantivo e verbo nascono l’uno dall’altro. 64 TT, p. 142. 65 TT, p. 143. 66 TT, p. 144.
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9. UNA RILETTURA DEI TRASCENDENTALI Alla luce dell’ontologia trinitaria Hemmerle procede a un’originale rilettura della dottrina dei trascendentali. Nella Scolastica Bonum, ens, verum, pulchrum, unum, aliquid, res rappresentano le proprietà originarie dell’essere, si manifestano negli enti e li innalzano dal livello della oggettualità fino a farne un’icona dell’essere. Secondo Hemmerle questo carattere iconico libera l’ente del pensiero medievale dai suoi limiti rendendolo oggetto in senso fenomenologico moderno. In un’ontologia incentrata sulla stabilità della sostanza, attraverso i trascendentali si recupera il senso della relazione e la prospettiva ne riceve impulso dinamico67. Grazie ai trascendentali l’ente è caratterizzato «non solo dal permanere in sé, dallo status e dalla resistenza, ma dall’accadere e dalla relazione»68. L’uomo medievale sapeva cogliere la bellezza universale in ogni ente, percepito in modo evidente come vero, buono, bello. Per la Scolastica tutto è orientato al bene: il male e il negativo sono visti come privazione di essere, per cui risulta naturale, cioè conforme alla propria natura, cogliere il bonum di ogni ente alla luce del summum bonum. Il mondo moderno mette invece in evidenza che il male non è il venire meno del bene, ma è sopraffazione sul bene, per cui il bene non risulta evidente; non trovano posto l’essere e l’ente, ma i dati e la misurabilità. Hemmerle osserva che la dottrina dei trascendentali acquista plausibilità per chi si apre ai fenomeni e ne propone una rilettura. Egli si chiede se il sacro può essere annoverato tra i trascendentali e se oltre ad omne ens est unum, bonum, verum, si può dire omne ens est sanctum. Il sacro è diverso dai trascendentali per la gratuità: «è il rovesciamento dell’essere e delle determinazioni trascendentali nel mistero»69. Se fosse una proprietà dell’essere nell’ente, non sarebbe più sacro ma un numinoso generico. Il sacro resta un mistero ineffabile solo se mantiene la differenza e la libertà. Non tutti gli enti sono sacri per il fatto che esistono, ma tutti gli enti possono definirsi sacri se diventano segno di Colui che li fa essere. Hemmerle nota che nei trascendentali vive una sorta di relazione poiché nel vero, buono e bello l’essere entra in relazione con la persona: la metafisica dell’essere può diventare metafisica dell’anima Cf. VT, p. 61. VT, p. 62. 69 BH, p. 75. 67 68
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III. L’ontologia trinitaria
attraverso la metafisica della relazione. Nella Scolastica la relazione non riguarda l’essere in sé ma il rapporto con l’anima nell’atto conoscitivo: attraverso l’unum, il bonum, il verum l’essere si dice all’anima come aliud, unum, res70. Mentre i trascendentali si comunicano in tutti gli enti, il sacro si comunica in modo esclusivo e irripetibile:
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Il bene rende buona una cosa, l’essere la fa essere. Ma il sacro non rende sacro nello stesso senso. È esclusivo, ma il volto di Mosè risplende della luce del Signore nella quale vede. Questa luce non è proprietà dell’ente: è evento che non parla di Mosè, ma solo di Dio. Si potrebbe dire che il sacro sia il capovolgimento dei giochi e dei trascendentali71. Qui c’è solo un polo dal quale tutto dipende: il sacro che sorge. I trascendentali preludono all’esperienza del sacro: «chi incontra i trascendentali, riconosce in loro il marchio del sacro»72. Per Hemmerle il sacro, l’essere e l’ente sono caratterizzati dalla relazione che rende possibile l’essere unum. Se il fondamento ontologico è il mistero di Dio, Hemmerle afferma che da questo amore cresce la santità di tutto l’essere. È la tesi centrale da cui consegue una relecture dei trascendentali a partire dall’amore che si supera e si abbassa73: al verum corrisponde il sanctum, all’ens l’unum, all’unum il catholicum, al bonum l’apostolicum, alla res il donum, al pulchrum il marianum. Omne ens est sanctum. Il primo trascendentale è il santo: omne ens est sanctum, ens et sanctum convertuntur. Uno solo è il Santo, Colui che trascende i trascendentali e davanti a cui pensiero e linguaggio ammutoliscono. Ma il nucleo più santo della santità di Dio, il nucleo in cui Egli è Deus semper maior, è l’amore: 70 L’ente è aliud poiché è diverso dal nulla: essendo determinato, è diverso dagli altri enti. L’ente è unum, uno: in quanto identico a sé comunica con l’altro; unum è il presupposto della comunicazione con aliud. La res è il contenuto di un ente che si definisce nella differenza con gli altri; res è l’unità determinata, e l’essenza, il quid est, esprime l’unità di quella cosa nella differenza dall’altro da sé. 71 VT, p. 75. 72 VT, p. 76. 73 Cf. DN, p. 207. Hemmerle gioca sulla correlazione dei termini überbietet e unterbietet.
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L’amore è ciò che viene comunicato, ciò che tutto trasforma ponendolo sotto nuova luce. È la nuova luce che abbraccia tutto ciò che esiste penetrando ogni cosa dall’interno in una corrispondenza che è adaequatio e conformitas con sé. Perché ogni cosa è amata, ogni cosa è santa. Nel tutto risplende il mistero dell’amore con cui ogni cosa è creata in modo mirabile, è redenta e rinnovata. Santificazione attraverso l’amore: questo è il nuovo evento della verità. […] Il santo assume significato trascendentale nell’ordine dell’amore. Il suo significato si colloca nel posto in cui nell’antica dottrina dei trascendentali sta il verum. Questa è la verità di tutto: tutto è santo, santificato dal solo Santo, dall’amore. L’amore stesso è santo. Dio è amore: è più vicino, ma anche più grande, la sua verità che è amore, è mistero sempre più grande74. La verità di una cosa, il suo verum, sta nell’essere amata e resa sancta da Dio. Nell’ontologia trinitaria il fondamento del verum è Dio che fa esistere le cose in unità tra loro: Il suo mistero più proprio e inaccessibile, l’amore, suggella, custodisce e trasforma tutto ciò che è. Solo se il pensiero garantisce la santità dell’essere come essere amato, giunge alla corrispondenza con tutto ciò che è. Nell’ordine dell’amore il nuovo nome del vero è sanctum75. Omne ens est unum. Hemmerle interpreta l’unum come significato del trascendentale ens. Sul piano ontologico l’unum non esprime l’identità con sé ma la realtà di unità reciproca che ne è il fondamento ontologico. Al posto dell’ens è introdotto l’unum. Si deve interpretare la parola “uno” (eins) come unificante (einend) o unito (geeint). In un pensiero plasmato dall’amore, la permanenza della sostanza, il possesso di sé o l’autocomunicazione non vanno associati al nome Essere come sua realtà propria. Anche l’ analogia entis come
74 DN, p. 209. La verità come evento viene espressa col termine Wahrheitgeschehen. 75 Ibid.
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III. L’ontologia trinitaria
proporzionalità non esprime l’intuizione originaria. È meglio il termine actus, perché l’atto è comunicazione76.
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Sul piano ontico l’unum esprime la reciprocità che si crea tra tutti gli enti a partire dall’amore perché l’essere diviene evento di compartecipazione. L’unum esprime la realtà propria dell’ens: Se la Trinità di Dio non è qualcosa che viene dopo o che viene aggiunto al suo essere, se il suo essere stesso è amore, l’amore stesso non è altro se non evento trinitario. Poiché l’essere è evento di dono che non divide, ma unisce, tutto ciò che esiste sussiste solo in questo processo di unità. Ente significa unente e unito (einend/ geeint). Tutto ciò che è, è unito con ciò che unisce e con se stesso. […] Essere e unità sono convertibili; la prospettiva in cui l’Essere sorge come Essere è quella dell’unità come communio, unità in cui ciò che unisce e viene unito è se stesso e dunque è unum77. Essere unito non in senso passivo, ma nel senso che l’ente riceve l’essere restando unito con la sorgente. L’unità è la realtà di reciprocità in cui tutto ciò che esiste sussiste originariamente. Tutto ciò che esiste, sussiste nel senso e nella misura in cui è origine che irradia e suscita unità. La sintesi verso l’interno nel comunicarsi verso l’esterno: è la struttura di ogni singolo atto dell’Essere, di ogni partecipazione all’Essere78. Un ulteriore spostamento di significato riguarda ciò che Tommaso definisce unum: nell’ontologia trinitaria l’unum si trasforma in catholicum esprimendo universalità e capacità di trascendersi: Essere uno significa giocare con l’altro, contribuire all’altro, essere aperto all’altro. L’unità interna si costituisce nell’azione reciproca in questa tensione verso l’uno. In questa azione reciproca l’unità interna è costituente e costituita al contempo. L’azione reciproca non è aggiuntiva all’unità ma è coessenziale, è ciò che rende uno l’essere uno. […] Ciò che esiste supera se stesso in DN, p. 210. Ibid. 78 DN, p. 211. 76 77
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L’esperienza di Dio nell’unità
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direzione del tutto, sussiste a partire dal tutto, riceve la sua realtà ontica specifica nella relazione col tutto. Questo è segno distintivo e peculiare della cattolicità, che qualifica la trascendenza di sé e l’unità dell’ente79. L’unum si esprime come catholicum nel donarsi: «la cattolicità intesa come essere uno con sé nell’essere uno con il tutto e nel tutto caratterizza uno dei punti più alti e più profondi dell’essere». Hemmerle parla di trascendenza dell’ente intendendo la capacità di superare l’individualità in direzione del dono: ogni ente può trascendersi, niente è marginale o effimero perché può donarsi. L’essere e l’ente non si attuano «in senso binitario, ma trinitario. L’essere tutto per il prossimo, l’essere solo per uno, si custodisce solo nell’apertura per il tutto»80. Si tocca la realtà più intima dell’essere, il senso della sua cattolicità: «L’Uno e Unico Dio che è numerabile solo in sé e non può aggiungersi ad altro, diventa numerabile come Uno nella creazione in quanto catholicum»81. Omne ens est apostolicum. In Tommaso il bonum degli enti si esprime nella tensione (appetitus) verso il bene. Bonum est diffusivum sui: poiché si riversa oltre sé, il bonum può essere definito apostolicum. «La luce è tale se emana raggi, la sorgente è tale se fluisce e zampilla. Nella missione del Figlio e dello Spirito diventa presente nel mondo la più intima realtà di Dio: la comunicazione, il dono, l’uscire da sé». Comunione con Dio significa «penetrare dentro al più intimo movimento dell’essere di Dio, nella sua Bonitas, perfezione che dona la realtà più amata»82. Tutto ciò che esiste è un dono per chi crede all’amore: «l’Essere è messaggio, è dono». L’apostolicità come possibilità di donarsi nella propria missione caratterizza l’esistenza umana. In riferimento a Balthasar, Hemmerle afferma che «tutto ciò che esiste avviene nella drammatica dell’apostolicità, del continuare a donare e della risposta, in cui si attuano libertà e nuovo inizio». Il trascendentale res può essere riscritto omne ens est donum. Ibid. DN, p. 212. 81 Ibid. 82 DN, p. 213. 79 80
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III. L’ontologia trinitaria
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Ogni ente è dono. La proprietà, il contenuto, il senso intimo di ciò che esiste lo scopro nell’ordine originario dell’amore scoprendo qual è il dono. La realitas, la cosalità, il contenuto interno dell’ente, la sua proprietà trascendentale è ciò che a lui è donato e che in lui si dona. Nell’attuazione della bonitas, nella missione dell’ente nel contesto del tutto, si manifesta questo contenuto83. Omne ens est marianum. I trascendentali valgono sia per l’essere increato di Dio che per l’essere creato. Nella relecture effettuata alla luce delle caratteristiche della Chiesa una, santa, cattolica, apostolica, Hemmerle introduce una determinazione ulteriore che esprime un particolare significato dell’essere: Omne ens est marianum84. La realtà di Maria Madre di Dio, spazio in cui Dio si incarna e si dona nella gloria, esprime la bellezza dell’essere nel senso più alto e completo: «la bellezza non consiste nella forma che si ha in se stessi, ma nella pura disponibilità e recettività ad essere forma dell’amore»85. Il nome che esprime il senso del trascendentale pulchrum è il marianum. 10. IL LIVELLO ONTICO: FINITUDINE E INTEGRAZIONE
Nell’esperienza umana si sperimenta l’assurdo, l’impotenza, la colpa, il non senso, la solitudine, la disperazione. Un’obiezione che si può avanzare nei confronti di un’ontologia trinitaria è che tutto ciò che nell’esistenza non è amore sembrerebbe non ricondursi ad essa. E a livello ontico emerge la finitudine degli enti: se l’essere è dato dalla partecipazione all’agape trinitaria, il livello di attuazione non può dipendere da quanto il singolo ente partecipi, altrimenti ci sarebbe il venire meno dell’essere per ogni venire meno dell’amore, quindi per il peccato e per la finitudine dell’uomo. In senso più radicale, da un’ontologia che è pienezza dell’amore sembra essere escluso l’ambito del rifiuto libero e cosciente di Dio, quello che in teologia è lo sheol. 83 84
lavoro. 85
DN, p. 214. Ibid. Al pulchrum come marianum è dedicato il nono capitolo del presente DN, p. 218.
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Il peccato come amartia sarebbe “mancare il bersaglio” dal punto di vista ontologico. È il negativo esistenziale inteso come rifiuto cosciente a Dio o come limite della libertà finita, ma è anche il negativo ontologico: se l’essere è essere amore, il consapevole non voler essere amore è una mancata attuazione anche dal punto di vista ontologico. Finitudine, assurdo, limite, colpa, peccato: questo sarebbe escluso se l’ontologia trinitaria avesse come fondamento l’essere e non il Dio trinitario. Hemmerle afferma che «tutto non giunge all’accordo e alla perfezione in modo veloce e senza saldature. Ma vale la pena di affidarsi alla realtà antica dell’approccio a partire dall’amore di Dio che si dona»86. L’ontologia trinitaria non si fonda sulla capacità umana di donarsi, ma sulla gratuità del dono di Dio, dono ontologicamente costitutivo, amore che fa essere ed è essere. La finitudine, la colpa, il peccato sono realtà assunte e redente in Cristo: in lui, l’essere di Dio arriva nella finitudine ontica portandola alla attuazione. Il rapporto tra creazione e compimento, tra Trinità come origine e Trinità come patria secondo la nota espressione di Forte, si dispiega in Cristo come «amore che sta all’inizio, al centro e alla fine». Il ritmo del donarsi di Dio si comunica agli uomini che liberamente possono inserirsi in esso: diventa così plausibile l’approccio dal basso. Si tratta di vedere in quale direzione si orienta l’esperienza umana: in una prospettiva orientata a una cultura del dare si può cogliere l’amore come il senso più profondo dell’essere, mentre in una prospettiva pragmatica e utilitaristica non si coglie il manifestarsi di un’ontologia dell’amore. Resta un dato di fatto: Colui che non dovesse interrogarsi al di là di queste nozioni, non terrebbe adeguatamente conto di ciò che si manifesta nella storia, di ciò che si palesa nella tensione verso il senso e la pienezza che caratterizza l’essere dell’uomo e della creazione, ciò che interagisce nell’interconnessione indissolubile tra essere e pensiero, io e tu, uomo e mondo. Deve far riflettere il fatto che per quanto riguarda i dati dell’esperienza l’ontologia trinitaria è sicuramente molto più integrale rispetto ad altre ontologie87.
86 87
DN, p. 222. TT, p. 152.
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III. L’ontologia trinitaria
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Si potrebbe avanzare un’obiezione: si tratta di capire se l’ontologia trinitaria possa essere recepita universalmente o se sia riservata a chi ha incontrato Cristo. Hemmerle non limita l’accesso a chi fa una scelta di fede, ma sembra vincolarlo a chi vive un’esperienza di dono. Essa si rivela solo a chi dona se stesso al donarsi di Dio, a chi offre nel movimento di risposta del darsi non solo il proprio pensiero, ma tutta la sua esistenza, e non solo nella sfera privata ma in tutti gli ambiti. […] Chi sceglie di credere all’amore trae la conseguenza del dono di sé per amore, scopre nelle cose, nelle relazioni, in tutti gli ambiti e attuazioni di questo mondo ciò che essi dicono e manifestano nella loro realtà più profonda. Questi irrompe in un nuovo centro della fenomenalità che si testimonia anche a chi ne sta al di fuori, in modo non automatico né costrittivo ma invitando a prendere una decisione88. L’ontologia dell’amore, avendo un’impostazione fenomenologica, si manifesta a chi si apre al linguaggio dell’amore. Questo sembrerebbe restringere il campo dell’ontologia trinitaria, ma in realtà lo apre in senso universale perché ogni uomo inserito per grazia nel ritmo del darsi di Dio è in grado di amare e di scoprire nell’amore la legge di ogni cosa fino a incontrare Dio fonte dell’amore. Un’esperienza umana di dono di sé non può non incontrarsi con lo specifico che caratterizza l’esperienza cristiana. È una possibilità per tutti: è la chance di libera risposta. Come afferma Heidegger, non si può restare indifferenti davanti all’essere, ma bisogna coinvolgersi. E coinvolgersi significa rispondere a Colui che per primo è e dona ciò che esiste. Questa svolta esistenziale rende possibile accedere al mistero dell’essere degli enti. All’irrompere di Dio fa eco il rivelarsi del fenomenico trasformato dal dono: la mistica ha saputo leggere nel creato l’armonia e il riecheggiare dell’amore tra le cose. Si manifesta l’amore che lega ogni cosa all’altra come in un eterno Cantico delle Creature: ogni ente è inscritto nel mistero di Dio. È uno svelarsi che non si impone in maniera cogente, ma interpella ognuno costringendo a prendere una decisione. È possibile andare alle cose stesse nella loro realtà originaria d’amore se si inizia ad amare.
88
TT, p. 151.
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11. UN’ONTOLOGIA EUCARISTICA L’ontologia trinitaria può essere definita come ontologia eucaristica. Nell’interfaccia tra filosofia e teologia è molto originale il riferimento che Hemmerle fa all’Eucaristia non solo nell’utilizzare la terminologia, ma nel tentativo di leggere l’essere in questa luce. Molto importante è l’affermazione: «La sostanza esiste (ist da) per la transustanziazione, per la comunione»89. Nell’originalità dei termini si delineano i concetti: la sostanza è per la transustanziazione, esiste nel dono di sé; la forma considerata tradizionalmente come in-sé o per-sé, viene considerata per l’altro. La corporeità che in senso paolino è tempio del sacro, racchiude l’interiorità e rende possibile l’incontro con l’esterno. L’individualità è transustanziata e conservata come mistero intangibile che si dona attraverso la forma corporea. Questo vale per la forma come principio che delimita, il cui senso è accogliere e porgere ciò che in essa si sostanzia, portando avanti il processo del rifluire in sé e del donarsi oltre sé, aprendo verso l’esterno ciò che si delimita nella forma. Il corpo che caratterizza un essere vivente, o la figura in cui un processo confluisce, è manifestazione in cui l’interno si conserva e si salvaguarda comunicandosi e aprendosi; è il luogo in cui l’interiorità viene protetta in quanto mistero intangibile e al contempo si dischiude verso l’esterno e si abbandona ad esso. Senza la forma l’interno non si potrebbe riunire e raccogliere, ma non potrebbe neppure incontrarsi con l’esterno90. La relazione reciproca si sostanzia nella forma e si solidifica nel corpo e nella res, affinché possa donarsi verso l’esterno. Si palesa la correlazione tra dimensione interiore ed esteriore dell’ente, ciò che la terminologia classica definisce come ad intra e ad extra: l’interiorità esprime l’essere in sé, mentre l’esteriorità è il lato esterno dell’ente, la possibilità di comunicarsi ad altri. L’interiorità del singolo si definisce in direzione del dono, dove coincide con l’esteriorità: nel dono di sé «avviene l’assimilazione dell’esterno, l’assunzione dell’esterno
89 90
TT, p. 147. Ibid.
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III. L’ontologia trinitaria
nell’interno»91. Il rapporto di dono tra interiorità ed esteriorità viene in rilievo nello Spirito Santo, che è stato definito come «il lato più interno e il lato più esterno di Dio»92: l’effondersi dello Spirito ad extra è il dono di ciò che Dio è ad intra eternamente. La permanenza dell’essere si attua con la permanenza dell’amore:
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Se l’amore è ciò che rimane, se perdere se stessi è il giungere a sé, se la kenosi è il sorgere dell’essere, allora i diversi poli, ciascuno dei quali è inderivabile e sembrerebbe escludere l’altro, si appartengono l’un l’altro senza annullarsi93. L’identità è evento dinamico Weg-Sein94, nella correlazione tra novum et ipsum, libertà e necessità: Darsi significa irrompere, essere-via (Weg-Sein) da se stessi: questa è l’identità del darsi, in questo sussiste. Il suo donare è conservare. Il novum (libertà, sintesi) è identità con sé (necessità, analisi). In tale prospettiva l’identità ha origine nell’evento, nella novità del darsi95. Nel Dio trinitario tutto è libertà pura e si manifesta come libertà di amare. Libertà e necessità si esplicano a livello ontico venendo in luce nella fenomenalità del darsi. La libertà del darsi è a livello intratrinitario pura unità in se stessa necessaria e al tempo stesso è libertà di andare oltre sé, libertà di lasciar essere il non-necessario in maniera non necessaria. […] Dal fulcro del darsi incondizionato si chiarisce e si conferma la reciproca inclusione di analisi e sintesi, di essere e accadere, di permanenza ed evento, di libertà e necessità96.
TT, p. 142. M. BORDONI, Per una cristologia dello Spirito, Brescia 1995. 93 TT, p. 154. 94 L’espressione Weg-Sein ha diversi significati: essere in cammino; essere-via in senso strumentale, cioè costituire una via; esser-via (la grafia sarebbe weg-sein), cioè essere via da sé, uscire da sé per aprirsi verso l’altro, dar-via sé per l’altro; non esserci (er ist weg, è andato via, sta fuori, non c’è). Questi significati convergano tutti nel darsi come fondamento dell’identità con sé. 95 TT, p. 155. 96 TT, p. 156. 91 92
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L’esperienza di Dio nell’unità
Anche a livello ontico c’è un dato di fatto essenziale:
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L’esperienza originaria della fede si radica nella morte e resurrezione di Gesù. Essa fa esperienza del fatto che Gesù ha donato se stesso per noi, e il suo dono è dono di Dio. In questo dono la vita e il mondo, il senso dell’essere e tutte le cose davvero si trasformano, perché tutto viene donato dalla sua origine e assunto nel ritmo del suo darsi. È questa l’intima legittimazione e la necessità di un’ontologia nuova, dell’ontologia trinitaria97. Alla luce di 1 Cor 13, 13 e Rm 8, 32 Hemmerle evidenzia che l’essere e le cose sussistono all’interno del dono che Dio fa di sé in Cristo, dono che iscrive in ogni realtà creata la legge dell’amore. Sul piano ontico il fondamento ontologico è che «il donarsi di Dio dona Dio». Il dono di Dio, dove Dio è soggetto e oggetto del dono, è efficace, crea l’essere come darsi, è redenzione, è grazia di partecipare alla sua stessa vita. Ogni cosa si compie e attua la sua realtà specifica entrando nella relazionalità, nel trascendersi e andare oltre sé, nel possedersi attraverso il donarsi, nell’essere verso l’altro e per l’altro. Ogni cosa ha di per sé il valore che ha nell’evento dell’amore98. L’amore è il senso dell’essere dal punto di vista ontologico ed esistenziale. Credere in Cristo è credere in un amore che non si limita a riparare a posteriori ciò che esiste, ma in un amore che sta al principio, al centro e alla fine, all’amore come senso dell’essere. Ma l’amore nel suo senso più profondo visto da un punto di vista cristiano, è amore trinitario. Partendo dall’alto, cioè dalla Rivelazione del Dio trinitario, il postulato di un’ontologia trinitaria è dunque coerente99. L’essere-amore non è attributo dell’essere, ma è realtà ontologica che sussiste e si attua nel dono. L’ontologia trinitaria oltre che coerente in sé risulta esplicativa riguardo ai dati dell’esperienza, poiché tutto viene a trovarsi all’interno di questo amore che è al principio, al cenTT, p. 151. Ibid. 99 TT, p. 152. 97 98
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III. L’ontologia trinitaria
tro e alla fine. Il fondamento cristologico-trinitario è decisivo a livello ontico: la plausibilità dell’ontologia trinitaria sta nel fatto che l’amore intratrinitario di Dio trabocca ad extra come creazione e Redenzione.
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12. UN’ONTOLOGIA KENOTICA La dimensione kenotica caratterizza lo specifico dell’ontologia trinitaria differenziandola da altre ontologie basate sull’amore o sul dialogo. Nel pensiero dialogico ebraico e nelle forme di ontologia caritatis il dialogo si sviluppa in senso orizzontale, mentre in Hemmerle la kenosi è la dimensione verticale che dà fondamento al darsi, al dialogo e all’amore, ed è costitutiva in senso ontologico. Dal punto di vista ontologico la kenosi radica l’essere nell’abbassamento, nel non essere per essere amore, che dal punto di vista teologico si realizza nel mistero di Gesù Crocifisso e Abbandonato. Hemmerle mette in luce le conseguenze filosofiche e ontologiche dell’abbandono. Il primo dato che emerge è la coincidenza tra essere ed essere amore. L’abbandono ne mette in luce la validità sia sul piano dell’Essere di Dio, sia sul piano ontico. Una delle più grandi intuizioni di Hemmerle riguardo al mistero di Dio sta nel trasporre la definizione che Anselmo propone di Dio come Essere perfettissimo di cui non si può pensare nulla di più grande, dal piano dell’essere al piano dell’amore. Solo l’amore che si rivela nella croce e nell’abbandono è quanto di più grande esista: la vera tendenza al massimo è la tendenza al minimo, a quel divino annientamento di sé in cui diventa visibile cosa Dio è realmente: amore. Il fatto che l’uomo tenda non solo a ciò che è, ma a ciò che infinitamente è più grande di lui, è l’immagine speculare di Dio che trascende se stesso e si dona a noi con un amore di cui non si può pensare nulla di più grande100. Il secondo dato ontologico è che la coincidenza di essere e amore è valida sul piano ontico. L’essere esprime la pienezza dell’attuazione e dell’identità nel donarsi fino a diventare non essere. È un’ontologia kenotica in cui l’essere si spoglia di sé arrivando a farsi non essere per 100
WE, p. 224.
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L’esperienza di Dio nell’unità
essere amore. La kenosi di Cristo è pienezza dell’Essere e dell’ontologia dell’amore:
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Il punto più profondo di un’ontologia trinitaria è il fatto che nella kenosi del Figlio ogni finitudine e contraddizione sia assunta nell’evento di Dio che dona se stesso. Nel “perché” gridato sulla croce e nel silenzio dello sheol in cui il Figlio discende, tutto viene integrato e tuttavia niente è fagocitato101. L’amore non è solo solidarietà, condivisione o filantropia, ma va inteso in senso radicale: l’amore riempie ontologicamente il nulla, lo rende pienezza di essere ed espressione dell’essere di Dio. E il nulla, attraversato e riempito da Cristo, prelude alla resurrezione. Nell’amore che sta all’inizio, al centro, alla fine, che tutto assume e redime, avviene l’integrazione ontologica di ogni cosa: Cristo riempie il nulla ontologico e il finito ontico rendendoli pienezza di essere. Hemmerle col termine “integrazione”102 designa la redenzione e unificazione del tutto secondo 1 Cor 15, 28. Un’integrazione che avviene su diversi piani, nell’ordine della grazia che scandisce il progressivo accedere della realtà finita alla realtà di Dio. Nell’abbandono si palesa la nuova ontologia trinitaria in cui scopro una logica davvero meravigliosa, un circolo mirabile che può essere descritto così: Dio è amore; amare è donare se stessi; donare se stessi significa perdere e diventare nulla; ma l’essere nulla è espressione dell’amore, che è Dio. In tal modo, nel nulla e nel perdere Dio c’è la pienezza e questa pienezza è di nuovo un donarsi e perdersi nel nulla. Questo circolo, questa Pasqua permanente, questo consumarsi nel nulla e attraverso il nulla in Lui, è il circolo della nostra vita103. Se l’essere è amore, anche l’amore è essere: non nel senso di un predicato ma in senso ontologico, poiché costituisce l’essere dall’interno. Il «circolo ontologico di una Pasqua permanente» sintetizza efficacemente l’ontologia trinitaria, poiché esprime l’essere che si dona scegliendo di non essere per amore, ma in tal modo si realizza come essere: un circolo in cui l’essere stesso diventa Pasqua. TT, p. 153. Il termine Integration esprime l’essere inseriti in una totalità (Einbeziehung, Eingliederung) e la perfetta attuazione della totalità (Vervollständigung). 103 LE, p. 153. 101 102
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III. L’ontologia trinitaria
La perfetta attuazione dell’ontologia trinitaria avviene nel mistero pasquale, in cui si realizza la salvezza della finitudine e Dio diventa tutto in tutti e in ogni cosa: è l’attuazione dell’essere degli enti, nulla dell’essere o dell’esperire ne resta fuori. Una luce di speranza scende nello sheol, poiché l’essere di Dio arriva nel punto più basso della realtà creaturale fino agli inferi. Ogni cosa viene fatta entrare in Dio: «Tutto è assunto da Dio, sostenuto, patito, fatto entrare in Dio e in tal modo trova in lui il suo luogo, la sua unità, la sua integrazione. Qui irrompe il regno di Dio»104. Si tratta di una svolta nella comprensione del negativo: la filosofia ha interpretato il negativo ontologico o come privazione di essere o come dimensione necessaria della finitudine. In Hegel il negativo è momento necessario della dialettica: esso caratterizza strutturalmente il finito, tanto che si parla di mestizia del finito, poiché il finito deve essere conservato e superato nel movimento dell’Aufheben. Nell’ontologia trinitaria il negativo non è il momento di un processo dialettico di ritorno a sé, ma è l’attuazione dell’essere come amore e dono. Hemmerle ritiene che si possa comprendere in modo nuovo il concetto di pura negazione das Nicht e il concetto di incremento das Mehr inserendoli dentro al pensiero dell’unità. Ed è intuizione sorprendente l’affermare che il carattere kenotico sia fondato nell’essere stesso piuttosto che nella finitudine degli enti. Esiste un modo erroneo, ma esiste anche un modo autentico e chiarificante di introdurre nel pensiero dell’unità la negazione e l’incremento. Questo significa vedere radicato il carattere kenotico all’interno dell’essere più profondamente, piuttosto che circoscriverlo alla finitudine del finito. Entrambe le prospettive, quella dell’impossibilità di perdere l’identità e quella del perdersi come identità, possono essere messe in relazione reciproca ed essere considerate nel loro diritto relativo e relazionale: ma si può riuscire in questo soltanto quando, in senso stretto, riesce un’ontologia dell’amore. C’è qui un impulso biblico che il pensiero teologico e il pensiero filosofico alla luce della Rivelazione non hanno ancora afferrato fino alle conseguenze e nei suoi principi105.
104 105
HZ, pp. 145-146. UE, p. 349.
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IV.
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Partire dall’unità. Prospettive antropologiche, speculative, esperienziali
Essere-in-Cristo è la nuova modalità di esistenza in cui il credente colloca se stesso e il suo mondo. Il rapporto di Gesù col Padre, l’Ethos trinitario, diventa ethos dell’attuazione dell’identità cristiana e del mondo in quanto tale. L’essere-in-Cristo non si limita ad aprire a noi l’ingresso nella vita trinitaria, ma apre in mezzo a noi nei diversi ambiti dell’esistenza nel mondo, le relazioni trinitarie1. L’umanità è alla ricerca della vera unità. È questo, in ultima analisi, il segno della nostra epoca. Se una parola centra il cuore del nostro tempo, questa parola è: unità2. L’unità è un’istanza del mondo contemporaneo, è la sfida di un diverso stile di vita ed è realtà peculiare dell’esperienza di Dio. Il vivere a partire dall’unità viene delineato da Hemmerle a partire dal mistero trinitario di Dio percorrendo diverse linee di riflessione: una prima linea è incentrata sul rapporto tra personalità e comunione, una seconda linea definisce i contorni esperienziali dell’arte di amare, una terza linea legge l’esperienza dell’unità nella Rivelazione cristiana, una quarta linea presenta l’esperienza della reciprocità come esperienza di Dio nell’unità nei suoi risvolti sul piano speculativo. Nel punto di confluenza tra percorso fenomenologico, percorso teologico e percorso esperienziale, si aprono nuove prospettive alla luce della reciprocità. Per Hemmerle
1 TT, p. 154. L’espressione zwischen uns, in mezzo a noi, è in corsivo nel testo dell’Autore. 2 WE, p. 206.
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IV. Partire dall’unità
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vivere la comunione significa vivere il nostro fondamentale rapporto con Dio, vivere con Dio solo, in maniera tale che in questa realtà ci troviamo a vivere gli uni con gli altri e vivere gli uni con gli altri in maniera tale che in questa realtà viviamo con Dio solo. Trovarci in Dio laddove cerchiamo gli altri, trovarci in mezzo agli altri laddove cerchiamo Dio: questo è l’incancellabile sigillo del cristianesimo e esplicitato alla lettera nelle sue ultime conseguenze, il sigillo stesso del divino e dell’umano3. Hemmerle afferma «la parola con cui lo Spirito Santo contraddistingue la nostra epoca suona: unità»4. In ultima analisi sul piano antropologico e speculativo si tratta di «mostrare l’alternativa di un pensiero cristiano che si fonda su un modo di pensare trinitario»5. 1. PERSONA E COMUNIONE La prospettiva antropologica di Hemmerle non parte dall’io, né dalla relazione dialogica io-tu, ma da un asserto fondamentale: il mio io mi è stato donato in maniera tale che «è uno in se stesso solo in quanto è inteso e attuato in relazione con l’altro come unità con l’altro», poiché «nella comunione tra le persone si costituisce l’unità della persona in se stessa». Il fatto che nell’io ci sia una presenza del noi non significa che «io sono tu e noi nello stesso senso in cui sono me stesso», ma significa che nell’amore reciproco «giungiamo a noi stessi oltre noi», per cui siamo individualità «in senso insostituibile e molto più che un io soltanto»: è dunque essenziale «pensare la comprensione dell’io e del tu partendo dalla comprensione della relazione e del noi, ed è fondamentale tradurlo in vita»6. Hemmerle constata che l’io, il tu e il noi fanno parte di un unico gioco in cui viene in luce «il sorgere della comunione dall’intimo fondamento dell’essenza della persona e della persona dall’intimo fondamento dell’essenza della comunione»7. Secondo gli assiomi individuum est ineffabile e anima est quodammoLE, p. 84. WE, p. 201. 5 LE, p. 28. 6 LE, pp. 78-79. 7 LE, p. 80. 3 4
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L’esperienza di Dio nell’unità
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do omnia, l’individuo è unico, ma in lui è presente la relazione con il tutto e con tutti. Per Hemmerle personalità e comunione «si postulano e si originano reciprocamente, sono contenute una nell’altra. In questo emerge una realtà nuova, la realtà della personalità come comunione»8. La vera realtà «è nell’interrelazione reciproca. La realtà non è solo in me o in te, ma è fra noi»9. Alla luce del Dio trinitario scopriamo che il nostro essere e l’essere in quanto tale sono relazione. Io sono me stesso solo quando mi dono all’altro e accolgo l’altro. Essere uomini significa essere se stessi nell’altro. In definitiva, posso essere veramente me stesso nella misura in cui sono l’altro. Nella misura in cui sono l’altro, sono tutto, poiché sono molto più che me stesso soltanto. […] In ciò è racchiusa l’unità del tutto che comprende in sé anche le differenze10. In una visione antropologica tradizionale non sempre si percepisce la trasformazione dell’io e dell’identità con sé alla luce della Rivelazione, ma «siamo comunque tentati di immaginare l’essere e l’identità con sé in maniera tale che il punto di partenza di tutto il mio pensiero sono e resto io»11. In un’antropologia fondata sul mistero di Dio, antropologia, teologia e ontologia si interfacciano. Il nostro essere personale è assunto nella comunione di vita e di amore tra Padre, Figlio e Spirito; ma con ciò io e soltanto io non posso più rappresentare il punto di partenza, il centro, e il punto finale del mio essere, ma posso vivere l’esistenza trinitaria soltanto nella reciprocità, nel noi che tuttavia non dissolve l’io e il tu ma li costituisce12. L’essere e la persona diventano analogia della Trinità: si delineano a partire dal darsi di Dio.
Ibid. LE, pp. 112-113. 10 K. HEMMERLE, Presupposti teologici per l’ingresso in una visione cattolica della mariologia, in «Nuova Umanità» XXI (1999), 123/124, p. 358. 11 LE, p. 77. 12 LE, p. 53. 8 9
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IV. Partire dall’unità
Se nella Trinità economica si dischiude la Trinità immanente con un intento economico, cioè il dono della partecipazione e della nostra assunzione nella realtà più intima di Dio, allora l’analogia dell’essere diventa analogia della Trinità13.
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L’antropologia trinitaria intende «dilatare l’io attraverso le dimensioni del lui, del tu, del noi. L’essere è relazione: questo si manifesta nell’accedere al Dio trinitario e nel partire da lui»14. Le conseguenze si riflettono sul piano speculativo in una nuova esperienza del pensare in cui c’è veramente la stessa luce in te e in me. C’è davvero qualcosa che avviene nell’unico e identico centro di questo noi. C’è questo essere uno, avere quell’unica Parola sulla base di ciò che vive in mezzo a noi15. In ambito antropologico ed esperienziale si apre una mistica comunitaria: La conseguenza più audace dell’indissolubile interconnessione tra personalità e comunione riguarda il nostro rapporto con Dio, quello che si potrebbe definire un “rapporto trinitario con Dio”, anzi: una mistica trinitaria16. 2. LA DIMENSIONE COMUNITARIA DELL’IO PENSO Ripercorrendo la storia del pensiero occidentale Hemmerle concorda con Heidegger nel considerare la parousia, presenza e apertura dell’essere, come il principio caratterizzante l’epoca classica. Mentre il tema fondante l’epoca medievale è la traditio, nell’epoca moderna il principio fondante è la costruzione del mondo a partire dall’io in un percorso che dal cogito cartesiano arriva all’io penso kantiano e all’idealismo. Hemmerle si chiede se sia possibile delineare una comprensione dell’unità partendo dall’io penso kantiano, di cui viene proposta TT, p. 151. LE, p. 63. 15 LE, pp. 112-113. 16 LE, p. 92. 13 14
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L’esperienza di Dio nell’unità
un’analisi fenomenologica. È necessaria un’osservazione: mentre l’io penso è inteso da Kant come forma a priori dell’intelletto che deve poter accompagnare tutte le mie rappresentazioni, per Hemmerle l’io penso è inteso come atto del pensare che di per sé implica la relazione con altri. Hemmerle non effettua un’analisi teoretica dell’io penso in conformità col kantismo, ma si propone di accogliere l’istanza del soggettivismo dilatandola in prospettiva dell’unità. Partendo da un’impostazione fenomenologica, egli evidenzia quattro componenti che emergono nell’atto del pensare: Andenken, Gedenken, Zudenken, Mitdenken. Sulla scia di Agostino, Hemmerle ritiene che il pensiero sia memoria e che la percezione dell’individualità nasca dall’essere memori di un dono: Io non sono un io qualsiasi che proviene da un punto zero, ma sono donato a me stesso, sono destinato a me stesso e sono chiamato. Come cristiano posso dire: io sono amato. Penso, dunque sono, e penso se sono memore di quella realtà, anzi di quella persona che mi chiama ad essere. Il mio io penso è accompagnato da questo sì che mi è stato detto e a cui ripenso ricordando17. La capacità di amare si sviluppa dall’esperienza di essere amato: «amo perché sono amato»» è una prospettiva illustrata da recenti studi teologici18. Il pensiero (Denken), nel prendere coscienza di essere amato e nel farne memoria, si trasforma in Andenken, pensiero memore. Nella libertà di accogliere ciò che è donato, il pensiero diventa Gedenken: il pensiero «non è pura forma, ma è responsabilità davanti a colui che mi ha chiamato a essere me stesso: io credo in quell’amore che mi ha donato a me stesso. Il mio io penso è accompagnato dal ricordo della responsabilità». ».. Il pensiero rivolto a un destinatario diviene Zudenken: «posso concepire il mio pensiero solo in maniera tale che esso sia anche una parola per te. Il pensiero esce dal disimpegno solo se è rivolto all’altro». ».. Il quarto aspetto delinea una modalità comunitaria nel pensare, il Mitdenken. Nell’io penso è necessario simultaneamente pensare anche il noi. Non solo io penso all’altro, penso rivolto verso l’altro, ma nel pensiero c’è una LE, p. 28. Cf. R. GERARDI, La gioia dell’amore. Riflessioni sull’ordo amoris per una teologia della vita cristiana, Città del Vaticano 2009. 17 18
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IV. Partire dall’unità
sorta di comprensione comunitaria. Nel pensiero c’è una specie di parola unica che ci lega ed è sempre comune19.
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È interessante ricordare che anche Heidegger, pur in un diverso contesto, mette in rilievo una certa dimensione comunitaria nel pensare: Mai siamo noi a pervenire ai pensieri. Sono essi che giungono a noi. È questa l’ora opportuna del dialogo. Esso ci rasserena nella riflessione fatta insieme. Ciò non pone in evidenza l’ambizioso contrasto, né tollera un arrendevole consenso. Il pensiero rimane irrigidito al vento della cosa. Da questa esperienza fatta in comune può sorgere forse una comune attività di pensiero. Affinché uno tra loro divenga maestro in modo impensato20. Per Hemmerle unità come stile di vita significa far entrare in noi queste quattro affermazioni e accoglierle in modo tale che il nostro io penso sia accompagnato da loro. In ultima analisi l’io penso deve essere dilatato pensando a Lui dal quale io sono, pensando al tu e pensando all’interno del noi. […] Non posso in alcun modo dire “io penso” e “io sono” senza che le altre dimensioni che mi costituiscono vi siano comprese originariamente e simultaneamente21. 3. ETICA DELL’AMORE Se sul piano fenomenologico la persona trova la sua identità scoprendo di essere amata, sul piano etico ed esperienziale Hemmerle delinea il vivere a partire dall’unità a partire da cinque punti basilari che potrebbero sembrare elementari, ma che rappresentano dei puntelli concreti che possono essere compresi ed attuati da tutti. Credere all’a-
LE, pp. 112-113. M. HEIDEGGER, Aus der Erfahrung des Denkens; tr. it., L’esperienza nel pensare, Roma 2000, p. 53. 21 LE, p. 124. 19 20
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L’esperienza di Dio nell’unità
more di Dio e vivere l’amore reciproco: sono le coordinate dell’esperienza cristiana definita22 arte di amare. Il primo punto è «ama l’altro come te stesso». Se mi interrogo sul fondamento dell’esistenza e credo nell’amore di Dio che mi fa esistere, questo mi rende unico poiché Dio pone me e te sullo stesso piano e posso amare te «a partire dall’unico e identico sguardo creatore e salvatore che mi raggiunge e mi dona a me stesso. L’amore a me non è mai possibile senza l’amore agli altri che sono come me»23. Non una solidarietà, ma amore all’altro in risposta all’amore di Dio che ama me e l’altro24. Il secondo punto è «ama il tuo prossimo come il Signore stesso». L’amore che si dilata verso tutti costituisce «il sorgere di Dio in se stesso, la teofania vera e propria». ».. Socialità e spiritualità si intersecano: l’esperienza di Dio si attua nel riconoscere la sua presenza in ogni essere umano, che va amato «con quell’amore che Dio ha e che Dio è: questa è la condizione perché possa nascere la comunione»25. Il terzo momento esprime la dimensione universale: «amare sempre». Hemmerle afferma che «l’amore è elettivo, ma non è selettivo: non esiste alternativa all’amare tutti» perché «il sì di Dio che raggiunge te e me e ogni uomo è indivisibile». Realisticamente Hemmerle osserva che la scelta di amare si confronta con la fallibilità e la finitudine: Il carattere ontologico e costitutivo dell’amore in cui persona e comunione si corrispondono reciprocamente potrebbe essere distrutto dalle eccezioni nella nostra disponibilità ad amare. L’interruzione temporale dell’amare, l’oscillazione tra amare e non amare sarebbe in contrapposizione con l’unità dell’essere che si attua nell’amore e si esprime nel tempo come continuità26. Ma il carattere divino dell’amore che si imprime «come sigillo nella comunione tra gli uomini può contribuire a salvare la natura umana dell’amore». Così nella finitudine 22 Hemmerle delinea l’arte di amare rielaborando quanto Chiara Lubich ha detto a riguardo. 23 LE, pp. 81-82. 24 Il tema dell’altro che «è come me, ma Dio è come l’altro» è approfondito da Hemmerle negli studi sul pensiero di Baader. È anche il titolo dell’articolo di P. HÜNERMANN, L’altro è come me, ma Dio è come l’altro, cit., pp. 59-74. 25 LE, p. 87. 26 LE, p. 85.
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IV. Partire dall’unità
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risplende qualcosa di Dio stesso: amore come dono che nel tempo non fa a meno del carattere del dolore e della speranza di una attuazione finale e perfetta che esca dai confini della finitudine temporale. Ma l’essere pronti ad amare tutti e ad amare sempre, se si accompagna alla disponibilità al dono e al distacco, è segno di quell’apertura divina e libertà che mi lascia intuire nella finitudine del mio io e del momento presente la gloria dell’eterna comunione dei santi27. Come la persona deve se stessa all’atto creatore di Dio, così avviene per la comunione: non possiamo crearla, è dono di Dio. La massima attività «è quella in cui partecipiamo all’atto di Dio, contribuiamo a compiere l’opera di Dio. Dio solo significa io e Dio; io e Dio significa Dio solo»28. Si tratta di amare per primi con lo stile di Dio: «l’amore non attende e non si attende nulla, l’amore non pretende nulla, l’amore comincia e basta, l’amore ama». L’iniziativa individuale rappresenta «il carattere dell’amore che crea la comunità e l’avanzare di quello spazio in cui tu e io siamo nelle stesso tempo tu, io, noi e l’intera collettività»29. Il quarto aspetto è «amare fino alla fine». In una fenomenologia dell’amore nella prospettiva giovannea questo andare fino al punto estremo che significa al tempo stesso dono totale e attuazione perfetta, fa parte proprio dell’inconfondibile carattere divino dell’amore di Dio come si manifesta in Gesù. Non c’è nulla di se stesso che l’amore non doni: è un puro abbandono all’altro. Ed è proprio così in se stesso, nella sua divinità, che l’amore non si inabissa ma si innalza. Amore di cui non si può pensare nulla di più grande30. Il quinto aspetto è «farsi uno con l’altro»: un amore che genera la reciprocità. Questa è l’eccedenza della comunione sull’amore e il passo conclusivo dell’amore, poiché porta all’unità dei partner e dunque alla comunione. Farsi uno significa tutto fuorché adattarsi, ma è LE, p. 86. LE, p. 87. 29 LE, p. 88. 30 LE, p. 89. 27 28
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L’esperienza di Dio nell’unità
qualcosa di più di una tecnica per avvicinarsi all’altro ed entrare nell’altro. Farsi uno con l’altro è in sostanza la perfetta attuazione del carattere divino e deiforme dell’amore31.
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Hemmerle osserva che Dio crea in maniera tale che dal suo atto non sorgano solo effetti, ma partner liberi. È un dialogo che fa venire fuori l’altro al punto di generare amore in lui. La libertà dell’amore che si fa uno con la libertà di amare dell’altro diventa per così dire uno spazio vuoto, un nulla che contiene e in cui la libertà del partner può dispiegarsi, donarsi, articolarsi […] Tale spazio si costituisce e cresce solo se l’inizio gratuito dell’amore significa farsi vuoto, aprirsi, far venire fuori l’altro per la persona che è, per quello che è, così come è, perché è importante di per sé. La parola dell’altro diventa in un certo senso anche parola mia. Io vi prendo parte, poiché ascoltando la lascio venir fuori, la libero. Lo stare di fronte all’altro e l’inabitare in lui diventano due facce di un’unica realtà in cui spontaneamente anche il partner prende parte alla mia parola e si apre a me, così che possa dire a lui la mia parola e aprirgli il mio essere senza calcolo, senza un piano prestabilito, ma nella dinamica interiore del farsi vuoto, dell’accogliersi l’un l’altro, del donarsi l’un l’altro32. La comunione inizia col mio nulla, col mio silenzio «che attende e genera la parola nell’altro in modo tale che possa essere parola pienamente sua e pienamente mia. Così il mio silenzio diviene espressione dell’altro, parola dell’altro». L’amore fa essere sfondo silenzioso per l’altro e al tempo stesso parola che illumina e chiarifica. Amare per primi «vuol dire porre il proprio baricentro nell’altro»33. La validità e l’efficacia dell’agire cristiano dipendono dal fatto che Cristo possa essere in mezzo a noi annuncio e testimonianza di se stesso: così «siamo sulla traccia del nuovo io, del nuovo tu, del nuovo noi che accompagnano le nostre domande e la nostra ricerca»34. I cinque momenti dell’arte d’amare non costituiscono una tecnica, ma descrivono LE, p. 90. LE, p. 91. 33 LE, p. 92. 34 LE, p. 94. 31 32
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IV. Partire dall’unità
un orizzonte in cui possono svilupparsi personalità e comunione contribuendo a delineare l’esperienza della reciprocità. La reciprocità dell’amore è il quinto momento del nascere della comunione dall’amore. È il momento più delicato: non costringe assolutamente, non stabilisce unilateralmente, ma è dono dei partner che nasce soltanto dalla loro libertà, anzi è dono ai partner che scaturisce dalla vera fonte originaria, da quel Dio che è amore35.
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Un amore che ha questa misura «fa della nostra reciprocità un’icona vivente del mistero di salvezza e del Dio trinitario stesso»36. 4. L’UNITÀ ALLA LUCE DELLA RIVELAZIONE CRISTIANA L’unità non è solo una meta da raggiungere da un punto di vista esperienziale, ma fa parte del cuore della Rivelazione poiché è frutto dall’irrompere del Dio trinitario nella storia. Hemmerle evidenzia alcuni termini che nella Scrittura richiamano l’unità: l’Uno (Einer), una cosa sola (Eins), l’Unico (Der Einzige), solo (allein), il primo (Erster). L’unico Signore rivolge al suo popolo un’unica Parola eterna e definitiva: il Dio vivente è il solo che ha in mano la storia dei popoli e dei singoli. L’uomo è chiamato a orientarsi verso l’unicità di Dio, vedendo tutto nella sua luce. Nel Nuovo Testamento l’unicità di Dio si esprime nell’unicità del suo Regno presente in Cristo che richiede una risposta unica, la scelta del porro unum, l’unica cosa necessaria. La realtà del Regno di Dio rivela che Dio non è soltanto il punto più alto, la ragione più profonda o l’orizzonte più vasto della nostra vita, ma Dio diventa immediatamente noi, si lascia calare nella nostra vita. Noi stessi e ogni cosa ne veniamo plasmati e trasformati. […] Nel Nuovo Testamento l’unità ha il primo e fondamentale significato nel fatto che questa è l’ora del Regno di Dio, ora conta soltanto un’unica cosa e un’unica persona e di conseguenza tutto viene capovolto37. LE, p. 91. Ibid. 37 UE, p. 335. 35 36
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L’esperienza di Dio nell’unità
La realtà dell’unità è decisiva per comprendere lo specifico cristiano: nel Corpus Paulinum, nei Vangeli e negli Atti degli Apostoli vengono in luce varie espressioni che ne dispiegano i diversi aspetti (cf. Mt 18, 19-20; Mt 23, 8-12; Gv 17; At 2, 42-47; 4, 32-34; 1 Cor 12; 10, 17; 11, 17-22; 14; Gal 3, 28; Ef 4, 1-16; 5, 21-33; Fil 2, 1-11). Cristo è evento di unità, evento esclusivo e inclusivo al contempo: abbraccia l’uomo, il creato, ogni cosa. In lui «è presente qui e ora l’unità del tutto. Gesù è l’anakephalaiosis del tutto»: è Lui «la via sulla quale Dio crea una nuova unità»38. L’espressione più forte dell’unità è l’identificazione con Cristo: in At 9, 4 si parla di destino unitario, in Gal 3, 28 nell’esperienza di amore reciproco siamo una cosa sola e veniamo considerati «come unica persona (Einer): una nuova personalità collettiva che si fonda su Cristo. Qui l’immagine e l’esperienza dell’unità confluiscono nell’essere un sol corpo»39. L’unità è la realtà tangibile del Corpo mistico: si tratta di «vivere e attuare nei molti l’Uno e dispiegare quell’Unico e quella realtà di unità nella molteplicità delle relazioni»40. Nel quarto Vangelo vivere un’esistenza chiusa nell’individualismo equivale a vivere nelle tenebre, mentre l’essere una cosa sola come il Padre e il Figlio è vivere nella luce: «il sussistere di Gesù nel Padre e del Padre in Gesù non si limitano a rispecchiarsi, ma mirano al sussistere di Gesù in noi e al nostro sussistere in Gesù»41. Ne consegue la piena realizzazione dell’uomo, poiché siamo noi stessi in modo autentico «quando Gesù vive in noi e noi in lui, come Gesù è se stesso nella sua maestà ed unicità essendo “nient’altro” che Colui nel quale vive il Padre e che vive nel Padre»42. Nei testi giovannei l’unità si esprime in senso individuale (Gv 14, 21.23) e collettivo (Gv 14, 20) nella connessione di diversi piani, poiché «l’essere una cosa sola inteso come essere in Gesù, è il rapporto di reciprocità tra i credenti»43. Si delinea l’esperienza di Dio nell’unità: nell’amore reciproco per grazia possiamo partecipare a quell’unità che vive tra Padre e Figlio e diventiamo l’unica dimora in cui inabita Gesù e per lui, il Padre e lo Spirito. UE, p. 340. UE, p. 343. 40 Ibid. 41 UE, p. 346. 42 Ibid. 43 Ibid. 38 39
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IV. Partire dall’unità
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Vivere l’unità significa vivere l’amore secondo il modello trinitario: è l’essere «l’una nell’altra delle Persone: tu in me, io in te; io nel Padre, il Padre in me; voi in me, io in voi; l’uno nell’altro, l’altro in ognuno»44. Il mistero pasquale è la radice (cf. Mc 10, 45; Gv 3, 16; 13; Gv 12, 32; At 4, 12; Rm 5, 6-11; 15, 5-13; 2 Cor 5, 14-21; Ef 1, 10; 2, 11-20; Fil 3, 7-11; Eb 2, 14-18)45. La nuova unità con Gesù e per mezzo di lui con il Padre significa unità in Gesù, e dunque nuova unità nella reciprocità. In quanto Gesù nel suo morire ci riconcilia con Dio, cade il muro di separazione tra Giudei e Greci e prende forma il nuovo evento di un’unità umanamente impossibile: tutti sono amati dall’unico amore di Dio, tutti sono compresi nel suo unico donarsi che assume in sé, fanno parte di quel Terzo, Gesù che muore in croce, che contiene e determina il loro essere più intimo, il rapporto con Dio e l’essere insieme in una realtà di reciprocità46. In Cristo Crocifisso e Abbandonato «Dio si dona dentro alla separazione e l’accoglie in sé, trasformandola mediante tale amore in unità». Al dono di sé corrisponde «l’assunzione: nel Regno di Dio l’umanità diventa una cosa sola poiché tutti sono assunti da lui»47. L’esperienza di Dio nell’unità «è il punto decisivo in cui la Trinità diventa visibile per il mondo»48. 5. L’ESPERIENZA DI DIO NELL’UNITÀ Se l’essere in quanto tale è relazione e riesce a raggiungere l’identità permanente solo nella relazione, allora la mia vita trova unità nella relazionalità, nel reciproco scambio di vita, nella pericoresi, nella comunione dei beni, nella glorificazione reciproca49.
LE, p. 44. UE, p. 341. 46 Ibid. 47 UE, p. 340. 48 LE, p. 44. 49 LE, p. 73. 44 45
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L’esperienza di Dio nell’unità
La reciprocità nasce dall’unità con Cristo e col Padre: è una realtà di grazia che ci tocca nell’intimo permettendoci di oltrepassare l’io in direzione del tu e del noi. La reciprocità è un “di più” rispetto all’amore e delinea il «dettato del testo trinitario originale che è alla base di un nuovo pensiero e di un nuovo essere». Vivere così «significa vivere in maniera trinitaria»50. È esperienza trinitaria sia per il fondamento cristologico, poiché il Risorto innesta gli uomini per grazia nella vita trinitaria, sia perché nella reciprocità i partner si pongono a vicenda nel ruolo del Padre che dona e del Figlio che ascolta. Il partner mediante il quale l’altro giunge alla parola diventando Parola «si pone nel ruolo del Padre. Ma poiché in questo ruolo del Padre il partner porta l’altro alla parola donandogli il proprio essere Parola, è per lui il Padre e l’altro è per lui la Parola»51. La vita di Dio si apre a noi: Il nostro essere uno con il Padre per mezzo di Cristo nello Spirito genera l’essere uno nella reciprocità diventa […] una presenza di Dio nella storia. Noi “viviamo” la Trinità e quello che nasce da questa vita è la sua presenza autentica, il suo testimoniarsi partendo da se stessa. Dio vuole nascere e può nascere in mezzo a noi, e il nostro amore, che non cerca altro che lui tra l’altra persona e me, purifica la nostra comunione e la nostra identità tanto da renderle aperte e trasparenti per Dio stesso. Rimanere in Dio significa rimanere nell’amore, donare nient’altro che questo amore nello spazio del rapporto reciproco52. Solo quando viviamo in modo tale che «tu sei la mia vita in me e io sono la tua vita in te, solo quando la Trinità si realizza in mezzo a noi, il senso della missione di Gesù è compiuto e la vita di Dio è divenuta vita del mondo»53. Hemmerle osserva che reciprocità non significa «essere cortesi l’uno con l’altro, ma significa avere tutto in comune con gli altri; significa vivere un’unica vita indivisibile»54, che si concretizza nel condividere ogni cosa:
LE, p. 35. LE, p. 91. 52 Ibid. 53 LE, p. 43. 54 LE, p. 45. 50 51
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IV. Partire dall’unità
La comunione di sostanza intradivina stabilisce la misura normativa e scandisce il ritmo della nostra vita come partecipazione alla vita di Dio. L’essere una cosa sola che viene qui in luce spinge ad una forma di concretizzazione. Possiamo vivere in maniera trinitaria solo se questo ci tocca anche nel portafoglio, nel senso della ricchezza sia interiore che materiale. Ciò significa imparare ad avere in comune sia i beni di Dio che i beni del mondo […], ciò che è mio personale dà forma al tutto, vive del tutto, imprime il suo sigillo nel tutto. La vita nostra e la vita mia, i beni nostri e i beni miei non sono realtà che si escludono a vicenda, ma sono realtà che si contengono reciprocamente e si imprimono l’una nell’altra55. In Dio il dono di sé è povertà totale che è espressione della massima ricchezza, l’essere amore. Nella logica della comunione ogni persona porta gli altri dentro di sé. L’amore reciproco tra le Persone divine «diviene il ritmo della vita della comunione personale»56. Il rapporto tra il Padre e il Figlio è «lo “spartito” a cui la comunità deve attenersi affinché il messaggio di Cristo risuoni in lei»57. L’antropologia trinitaria ha il punto di riferimento nello Spirito Santo: Egli, Persona-amore, «nella Trinità è l’esplicitazione dello scambio reciproco, del superamento di sé intradivino», per cui fonda l’identità personale. Un’antropologia che va non dall’io al noi, ma dal noi all’io: questa è la nuova via dello Spirito. Quando prendiamo sul serio questa via scopriamo che non è un cammino di distruzione dell’identità e della rinuncia a sé, ma è il cammino in quella ampiezza e profondità che rendono uno la vita e la persona58. Nell’esperienza della reciprocità «io divento uno con me stesso diventando uno con gli altri per mezzo del suo Spirito» in maniera tale che «il Signore possa essere il centro tra noi. In questo modo egli diventerà anche il centro della mia persona». Si può incontrare Cristo LE, p. 46. LE, p. 92. 57 LE, p. 53. 58 LE, p. 74. 55 56
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L’esperienza di Dio nell’unità
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nella Parola, nell’Eucaristia, in ogni prossimo e nell’interiorità dell’anima: ma alla luce della Parola Hemmerle invita a scoprire la presenza di Cristo dove due o più sono uniti nel suo nome. Egli osserva che nella riflessione teologica si è sottolineata la presenza sacramentale di Gesù e il rapporto verticale con Dio, piuttosto che la sua presenza fra gli uomini che vivono l’amore reciproco. Nel periodo che intercorre tra i secoli V-VI e Paolo VI la Parola di Mt 18, 20 non è mai stata citata nei documenti ufficiali di Magistero della Chiesa. Troppo spesso abbiamo confinato la presenza di Gesù all’interno della sua oggettività al punto da dimenticare quello che in base al battesimo e alla confermazione è il nostro pieno mandato e potere di trasformazione della realtà storica. La storia può diventare spazio della presenza di Cristo. Per il futuro della storia è di capitale importanza che il mondo sia costellato di cellule di uomini che nel nome di Gesù consapevolmente lo cercano come sorgente e centro della loro vita e lo rendono presente, uomini che si interrogano vicendevolmente su quanto lui ha detto e vivono reciprocamente in maniera tale che Lui diventi norma e misura59. L’accogliere e donarsi «come ritmo fondamentale della Trinità, dell’Incarnazione e dell’evento pasquale ha come conseguenza la pericoresi nel nostro rapporto reciproco e nella realtà ecclesiale realizzata»60. Non può esserci vera unità senza dono di sé: il prezzo della pienezza e della ricchezza della pericoresi è la kenosi. Solo quando si esce da se stessi spogliandosi di sé, «quando si è per l’altro, si può essere nell’altro come in se stessi»61. Nelle difficoltà che l’amore reciproco comporta, possiamo creare la condizione per la presenza di Gesù attraverso l’abbraccio della croce: «dobbiamo essere crocifissi gli uni per gli altri affinché lui sia in mezzo a noi. Significa che tra me e te deve esserci la cellula in cui lui vive come Crocifisso»62. Aspetto esperienziale e intuizione mistica si fondono. È quanto Hemmerle intuisce seguendo il «sentiero di una mistica trinitaria». LE, p. 129. UE, p. 349. 61 Ibid. 62 LE, p. 129. 59 60
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IV. Partire dall’unità
Quando entro in questo spazio, dove sono gli altri? Dov’è il mondo? Tu dove sei? Tu sei con me nel Figlio. Lui dice il suo sì a me e in lui il Padre dice il suo sì a me, egli è colui che dice il suo sì anche a te in maniera indivisa. Mi viene detto sì da questo Dio in maniera del tutto personale e individuale. Mentre viene detto sì a me in modo personale e individuale anche a te viene detto sì. Con quello stesso unico amore che vale personalmente per me, sei amato anche tu. Vale per ognuno. Non posso escludere nessuno da quest’unico sì che il Padre dice al Figlio e il Figlio dice al Padre: ognuno ne viene coinvolto. Posso così scoprire cosa significhi amare il prossimo come me stesso. E così in ogni tu scopro il Figlio, poiché ogni uomo e ogni donna portano il suo volto63. Alla luce del Dio trinitario la persona riscopre se stessa nel senso di identità come dialogo, poiché l’io, il tu, il noi sussistono in Cristo nel seno del Padre. Vedere me in te, te in me e vedere tra noi l’unica vita e l’unico amore: questo è l’atto del nostro essere nel quale attuiamo la globalità della nostra vita e della nostra persona. Il “comandamento nuovo” (cf. Gv 13, 34), il “testamento di Gesù” (cf. Gv 17, 2123), l’amore reciproco intessuto spiritualmente che ci rende capaci di diventare una cosa sola nella reciprocità come il Padre e il Figlio sono uno e proprio perché sono uno, caratterizzano non solo il nostro compito trinitario, ma anche il nostro essere personale, la nostra identità, l’unità della nostra vita64. 6. VIVERE LA PAROLA Per Hemmerle «vivere la Parola significa vivere la Trinità»65. La Parola è un orizzonte di senso in cui è possibile rileggere tematiche antropologiche come l’identità, la temporalità, l’esperienzialità. Chi cerca la sua identità chiudendosi in se stesso, corre il rischio di frammentare la propria individualità, ma se si apre alla Parola nella quale è stato detLE, p. 38. LE, p. 73. 65 LE, p. 47. 63 64
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L’esperienza di Dio nell’unità
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to e donato a sé, trova la sua identità nell’ascolto e nella risposta. Nella Parola di Dio viene in luce un nuovo significato dell’esistenza: Se dovessimo dare un titolo alla nostra giornata o a tutta la nostra vita, dovremmo probabilmente cercarlo a lungo: ci sarebbero molti titoli possibili. Ma se dovessimo scegliere un solo titolo? Sarebbe questo: Dio ha già dato alla nostra vita il titolo del suo amore. Egli ha scritto la parola del suo amore sopra tutto quanto è stato, è e sarà nella nostra vita, non come una formula ma in forma viva e personale: come il suo unico Figlio diletto fatto uomo. Cercare la mia unità interiore significa cercare la sua Parola in cui egli mi dice se stesso e me stesso. […] Così la Parola inizia a imprimere il suo marchio nel mio comportamento e sempre più scandisce lettera per lettera la mia vita. Le mie relazioni, le mie paure, le mie gioie, il mio futuro, il mio passato, le relazioni della mia vita e il mio lavoro sono così plasmati da questa Parola che io stesso divento Parola viva66. Hemmerle osserva che se plasmo la mia vita «in modo tale che la Parola sia forma della mia vita», se divento «Parola e la Parola vive e diventa soggetto in me» scopro che la mia identità e il mio tempo sono la Sua Parola. In questo senso «il tempo non sarebbe più solo una forma rappresentativa dell’io ma una fondamentale modalità di riferirsi reciprocamente, di accogliere e di comprendere l’essere»67. Vivere la Parola significa vivere il presente. Fondamentalmente ho sempre tempo: ma ho tempo solo nello spazio di quest’attimo. Vive l’attimo presente colui che costantemente abbandona nel Padre tutto ciò che accade. Egli si pone interamente in quest’attimo. Ora ci sei soltanto tu, l’altro viene dopo. Ora non mi assilla la preoccupazione di quello che è stato o che sarà, poiché Uno che li ha presi su di sé. Il mio tempo non è sottoposto al peso di dover far fronte contemporaneamente a passato, presente e futuro, ma ho ceduto tutto ciò che è stato e che verrà e sto solo nell’attimo presente68. LE, p. 71. LE, p. 63. 68 LE, pp. 67-68. 66 67
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IV. Partire dall’unità
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Tempo ed eternità non sono opposti perché «l’eternità non è nient’altro che il tempo rappresentato nella sua relazionalità» e «il mio tempo si fa tempo totale solo se è tempo condiviso»69. L’esperienza della reciprocità alla luce della Parola spalanca l’orizzonte in cui il tempo si apre all’eterno. Io sono in te, tu sei in me, la stessa realtà è in noi, a partire da questo essere siamo l’uno nell’altro e siamo fusi in uno in maniera sempre nuova. […] Ciò che assume il ruolo di io, tu, noi, lui, tra i partner del tempo, assume contemporaneamente lo stesso ruolo tra le dimensioni temporali di presente passato e futuro. Possiamo designare l’evento temporale con la parola pericoresi. Non solo sto di fronte a ogni altra cosa come soggetto unico e individuale, ma lo stare di fronte è al contempo il mio inabitare nell’altro e l’inabitare dell’altro in me70. La presenza di Cristo in mezzo agli uomini è l’esperienza di Dio per l’oggi, in una nuova dimensione della temporalità e dell’esistenza. Essere se stessi nella Parola significa ritrovarsi nel Verbo di Dio non in un cammino individuale, ma nella dimensione comunitaria in cui è possibile condividere la vita trinitaria vivendo la reciprocità dell’amore. 7. L’UNO DISTINTIVO E L’ACTUS UNITATIS Nel saggio Das unterscheidende Eine si delinea un orizzonte speculativo che contribuisce ad approfondire l’ontologia trinitaria. Il Dio trinitario è l’Uno distintivo, mistero di unità e distinzione, che nella creazione imprime il suo marchio di unità nella distinzione. Piano esperienziale e piano speculativo si intrecciano. L’actus essendi dell’ontologia tomistica nella prospettiva di Hemmerle diventa actus unitatis, che da un lato indica l’atto originario in cui Dio comunica il suo essere-amore, dall’altro lato, la risposta umana nell’attuare l’unità. Tenendo presente il diverso livello di attuazione sul piano ontologico e sul piano ontico, Hemmerle afferma:
69 70
LE, p. 72. LE, p. 63.
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L’esperienza di Dio nell’unità
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Questa misura perfetta è data soltanto nell’unità delle tre Persone divine in un’unica sostanza. All’interno dell’essere creaturale […] che è non necessario, l’unità della persona in se stessa e l’unità con le altre persone non si attuano insieme indissolubilmente e incancellabilmente. Ma intanto le proporzioni, il progetto di realizzazione e la consistenza dell’unità non possono aver luogo in altra maniera se non in quella in cui l’essere si attua e si dona71. Hemmerle chiarisce che l’unità non è frutto di un processo deduttivo che parte da Dio come principio primo, perché altrimenti «il processo deduttivo e il principio di deduzione verrebbero ad essere il vero “dio” che determina l’unità, e non Dio stesso». L’unità si fonda sul fatto che «Dio è uno e tutto dipende da questo uno: un’unità che non fosse conseguita in lui e per mezzo di lui non potrebbe sussistere di per sé»72. In Dio si percepisce l’unità che contiene in sé la distinzione: per grazia diventa possibile al cristiano prendervi parte secondo quanto affermano i testi paolini e giovannei (cf. Gv 14, 20; 17, 21-23; Gal 4, 6; Rm 8, 15-17; 1 Gv 4, 12-16): le formule giovannee del reciproco sussistere tu in me, io in te, voi in me, io in voi, noi l’uno nell’altro descrivono questa esperienza di unità. Se l’unità mancasse di reciprocità o non si fondasse sul Dio trinitario, sarebbe una parvenza di unione senza fondamento. Hemmerle delinea il rapporto tra intellectus e actus unitatis mettendo in luce i tratti che caratterizzano l’Uno distintivo e si riflettono nell’esperienza dell’unità: relazionalità, carattere pericoretico, carattere kenotico, storicità. L’unità implica sempre la relazionalità: i diversi poli sussistono nell’unità e l’unità sussiste nell’interazione reciproca, come avviene nel rapporto tra le Persone divine: Dio è colui che si dona e ci accoglie, è reciproca glorificazione di Padre e Figlio, è in se stesso donarsi e accogliersi in quella doxa, gloria che non senza ragione è stata identificata dai Padri con lo Spirito Santo. L’unità è relazionale nel suo fondamento, una relazione che mettendo in comunione l’unica realtà e partecipando ad essa, mette i poli non solo in relazione con questa, ma in relazione reciproca e immediata tra loro: la realtà comune nasce nella 71 72
LE, pp. 77-78. UE, p. 347.
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IV. Partire dall’unità
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relazione reciproca, la relazione reciproca si attua nel reciproco sussistere in ciò che è comune73. Emerge il carattere pericoretico dell’unità, definito das gegenseitige Innesein und Enthaltensein ihrer Pole ineinander. Un’espressione efficace: l’essere dei poli si delinea nel sussistere reciproco dell’uno nell’altro. La reciprocità dei poli è ontologicamente costitutiva: sussiste a partire dall’altro e nell’altro. Il termine Vollbringung indica l’attuazione ontologica nella relazione pericoretica: è l’actus unitatis in cui ogni polo sussiste nell’altro e costituisce il contenuto dell’altro74. Unità e ontologia trinitaria si rispecchiano, nel senso che l’ontologia trinitaria rappresenta l’attuazione ontologica del mistero di unità che caratterizza il Dio trinitario, mentre per gli uomini il vivere l’unità comporta sempre un’attuazione ontologica. In questo senso Hemmerle afferma che «il carattere relazionale dell’unità è il carattere relazionale dell’essere»75. Solo in un’ontologia dell’amore riescono a conciliarsi le due prospettive, quella del non perdere la propria identità e quella del perdersi come identità. La relazionalità reciproca si attua nella kenosi per amore: il carattere kenotico che illumina il piano dell’essere illumina l’esperienza dell’unità. Un ulteriore carattere dell’unità è la storicità: «Esistendo storicamente, sto già da sempre in quel fondamento di unità senza il quale non potrei essere, né potrei tendere verso l’unità»76. Il carattere storico implica che l’unità è realtà presente ed è futuro da attendere nell’eschaton: «l’unità suprema sarà raggiunta quando Dio sarà tutto in tutto, è per noi nell’ordine del Regno di Dio che in Gesù è arrivato, nella priorità delle cose ultime sulle prime: lo zero diventa dunque l’involucro dell’Uno»77. L’essere custoditi in Dio dà significato profondo 73 UE, p. 348. L’espressività della lingua tedesca legata alla sostantivizzazione dell’aggettivo neutro è più pregnante della traduzione italiana da me proposta: ben consapevole di questi limiti, ho cercato di rendere das Eine und Selbe con «l’unica e medesima realtà», das Gemeinsame con «la realtà comune», die gegenseitige Beziehung ereignet sich als Innesein im Gemeinsamen con «la relazione reciproca avviene come reciproco sussistere in ciò che è comune». 74 La traduzione del termine Innesein proposta dall’edizione italiana delle Thesen (1996) ci sembra discutibile: l’espressione «inerire in ciò che vi è di comune» rende il senso della relazione ma non la realtà ontologica; l’inerire potrebbe riguardare una relazione accidentale e non un fondamento ontologico. 75 UE, p. 349. 76 Ibid. 77 UE, p. 336.
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L’esperienza di Dio nell’unità
alla storicità ed evidenzia che «l’amore è l’avventura di ciò che è imperituro e incancellabile, l’unità è l’evento sempre nuovo»78. L’esperienza della reciprocità ha i caratteri dell’Uno distintivo: è quell’unità feconda e molteplice che è icona del Dio trinitario.
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8. ONTOLOGIA E PENSIERO. LA VERITÀ COME EVENTO PERICORETICO Commisurare il pensiero al modello trinitario e prendere sul serio l’analogia di pensiero ed essere comunicata al creato nel dono di se stesso del Mistero originario: questo getta nuova luce sui problemi filosofici che risultano difficilmente risolvibili con un’ontologia di tipo deduttivo o costruttivo o con un’ontologia soltanto induttiva e descrittiva79. L’ontologia trinitaria non è soltanto un contenuto o un oggetto del pensiero, ma è l’attuazione del pensiero. Pensare l’ontologia trinitaria significa entrare nel suo ritmo con il pensiero, con la parola e con l’esistenza. Io sono in grado di vedere solo ciò che lascio che mi sia donato, sono in grado di vedere solo ciò a cui mi dono. Il vedere avviene nella simultaneità di proposta che si dona e comprensione che accoglie80. Darsi come puro inizio, come evento incondizionato: questo approccio speculativo mostra la più alta conseguenza e la prima fonte originaria nelle affermazioni teologiche fondamentali sul Dio trinitario. In nessun altro luogo la radicalità dell’essere oltre sé e dell’essere-in-sé è così visibile come nella dottrina delle processioni intratrinitarie81. Nello scritto Wahrheit und Liebe. Ein perichoretisches Verhältnis82 Hemmerle afferma che la reciproca implicazione tra verità e amore è essenziale per comprendere la novità speculativa dello specifico cristiano: «il fatto che la verità sia veritas nel senso più pieno nella caUE, p. 350. TT, p. 154. 80 TT, p. 157. 81 TT, p. 156. 82 WL, pp. 315-332. 78 79
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IV. Partire dall’unità
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ritas e che l’amore sia caritas nel senso più pieno, è una conseguenza irrinunciabile»83. Una prospettiva che può sorprendere solo se si confina la verità al puro speculativo e l’amore al piano etico. Il concetto che può meglio esprimere la reciproca implicazione di verità e amore è quello di pericoresi, preso a prestito dalla teologia trinitaria. Pericoresi significa il reciproco circondarsi dei poli, il loro vicendevole essere fedeli l’uno all’altro, poli in cui unità, identità e differenziazione diventano visibili nell’interdipendenza reciproca in modo dinamico e relazionale. Dove l’amore è in gioco e diventa costitutivo per la verità, avviene la piena donazione e comunicazione di ciò che è specifico e personale dell’uno nell’altro, e l’assunzione dell’altro all’interno di sé. La relazione, l’agire, il conoscere possono essere compresi solo in senso pericoretico. I poli della relazione, della realtà e della conoscenza non sono collocati l’uno accanto all’altro e al di fuori dell’altro, ma ogni polo in se stesso viene determinato dall’altro, porta l’altro dentro di sé e in un certo senso porta il tutto dentro di sé. Non sono parti diverse che entrano in contatto solo esteriormente, o una totalità che in modo accidentale e aggiuntivo al proprio essere si lascia toccare dalla relazione, ma le diversità si delineano nel modo specifico in cui ogni diversa realtà porta in sé l’altro e il tutto, donando l’impronta personale e il contributo all’altro e al tutto84. Riprendendo l’affermazione anima est quodammodo omnia collocata sul piano dell’analogia entis e dell’adaequatio intellectus ad rem, Hemmerle afferma che anche in Tommaso l’evento dell’essere che si illumina e si rende manifesto nel pensiero e l’evento del pensiero che si illumina e si rende manifesto nell’ente è un evento pericoretico. L’ente contiene come suo specifico la forma che viene strutturata dal pensiero e cioè quello che viene conosciuto, e il pensiero contiene l’essere del conosciuto. Nel percepire e identificare l’essere che perviene a lui, il pensiero giunge alle cose, alla loro verità e contiene in sé questa verità. La verità è un evento pericoretico in cui l’essere trova la sua pensa83 WL, p. 315. È interessante la percezione del rapporto tra veritas e caritas che anticipa di quasi vent’anni la prospettiva della Caritas in Veritate di Benedetto XVI. 84 WL, p. 317.
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L’esperienza di Dio nell’unità
bilità e il pensiero trova la realtà ontologica dell’ente. L’essere è nel pensiero, il pensiero è nell’essere e la verità è nel pensiero e nell’essere85.
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Un’altra dimensione della verità riguarda il piano del linguaggio: quando l’essere giunge al linguaggio, giunge al dialogo che nasce dall’interazione dei parlanti. Per Hemmerle si può dire anima est quodammodo omnes, nel senso che ogni partner contribuisce al dialogo e si delinea come identità attraverso la reciprocità. La verità è evento pericoretico che avviene nel dono della sorgente originaria e nel dialogo, cioè «tu in me, io in te, il tutto è in me ed è in te». Il luogo della verità è il rapporto pericoretico tra i soggetti pensanti e parlanti nella loro reciprocità. […] Oltre alla dimensione verticale della verità come rapporto pericoretico di pensiero ed essere, e alla dimensione orizzontale della pericoresi tra i partner del dialogo che è verità, si deve guardare alla dimensione verso l’alto della pericoresi tra verità finita e verità infinità, tra soggetto umano e Dio. La pericoresi dice che il conoscere umano è contenuto nel conoscere di Dio e prende parte al conoscere di Dio. Anche nella forma finita in cui viene data a noi, la verità ha di per sé una luce e una forza che ci porta fino alla Ipsa Veritas, a Dio stesso: d’altra parte il nostro conoscere si radica nel fatto che la Verità assoluta si comunica a noi, esseri finiti86. In questo orizzonte l’attuazione della dimensione speculativa avviene nell’incontro tra il darsi di Dio nel pensiero e il darsi del pensiero come risposta. Questo punto di incontro nell’evento del reciproco darsi, attua la realtà nuova del comprendere e pensare: L’attuazione intellettiva si colloca nelle tre direzioni del via-dame (Von-mir-weg), del verso-me (Auf-mich-zu) e della reciprocità (Ineinander) che abbraccia e distingue i due momenti. La dinamica del pensiero e dell’essere implica ricevere, accogliere, congiungere. Queste tre posizioni che si palesano nell’evento trinitario, diventano elementi costitutivi di ogni attuazione: non solo della mia attuazione personale, ma di quell’attuazione del pensiero, del 85 86
WL, pp. 318-319. WL, p. 321.
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IV. Partire dall’unità
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linguaggio e dell’essere che sorpassa l’io: è l’attuazione del noi, dell’interrelazione reciproca87. L’attuazione del noi ha priorità ontologica sull’io: il principium individuationis si delinea nella reciprocità in cui sussistono i partner, la parola, il pensiero, pur nel ruolo differenziato di ciascuno. Nello scritto Wahrheit und Zeugnis88 l’approccio filosofico al tema della testimonianza si integra con quello teologico: la verità si delinea non come eidos immutabile, ma come realtà testimoniata che si lascia mediare. La dimensione esperienziale diventa il luogo in cui verità e testimonianza si incontrano, in una realtà dove i singoli interagiscono in una testimonianza corale. Hemmerle si muove nella prospettiva della pericoresi tra verità e testimonianza: la verità si manifesta attraverso l’atto del testimoniare, la testimonianza avviene nella luce della verità che risplende in coloro che testimoniano, in coloro che ascoltano e nel contenuto che viene comunicato. Nella testimonianza la verità si genera come verità per gli uomini attraverso gli uomini, per cui la testimonianza permette di comprendere sia la verità in se stessa, sia la realtà dell’uomo come custode e testimone della verità. La prospettiva della verità come testimonianza e della verità come pericoresi dell’amore viene approfondita dall’Autore alla luce dell’esperienza dell’unità, per cui egli parla di unitas quaerens intellectum. 9. UNITAS QUAERENS INTELLECTUM L’esperienza della reciprocità può considerarsi come «una profezia intorno alla pertinenza antropologica, all’altezza metafisica e alla vocazione comunitaria dell’amore»89. In ultima analisi l’esperienza di Dio nell’unità è trovare dimora nel Dio trinitario in Cristo e per mezzo dello Spirito, e vivere e pensare partendo da lui. È un’esperienza che postula la comprensione intellettiva aprendo a nuove prospettive. Questa dimensione speculativa viene definita da Hemmerle Unitas quaerens intellectum e si incentra su alcuni concetti come l’unità, Gesù TT, p. 158. WZ, pp. 221-238; tr. it., P. CIARDELLA - M. GRONCHI (edd.), Testimonianza e verità. Un approccio interdisciplinare, Roma 2000. 89 L. ALICI, in «Sophia» II ( 2010/1), p. 101. 87 88
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L’esperienza di Dio nell’unità
Abbandonato, l’essere-amore di Dio. L’unità e Gesù Abbandonato vengono visti non solo «come temi della teologia, ma come modalità, come metodo del fare teologia»90. In questo senso l’evento dell’unità «designa una specifica metodologia teologica che si riassume in una riscoperta di Gesù stesso, del “dimorare” per l’unità in Lui come methodos e cioè come via del conoscere Dio in Dio»91. Hemmerle parla di questa esperienza come di un «pensare alla rovescia», cioè pensare non a partire da sé ma a partire dalla grazia di Dio che è donata in Cristo e attualizzata nell’amore reciproco. Pensare alla rovescia significa che la riflessione si fonda non sullo speculativo del singolo, ma si sviluppa dall’esperienza di comunione in cui Cristo è presente. Se l’esperienza di Dio implica che «non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me», si potrebbe dire parafrasando Paolo «non sono più io che penso, ma Cristo che pensa in me» o meglio, «è Cristo in mezzo a noi che pensa anche attraverso di me». L’unità sollecita a ricercare nel profondo e a donare quella luce in cui essa è appunto unità e spiega in che modo essa è unità. Come la fede cerca e genera il proprio intellectus a partire da se stessa, così fa l’unità con la sua luce. L’actus unitatis è certamente l’unico in grado di ricevere e ridonare a sua volta l’intellectus unitatis, la luce dell’unità92. Se nella riflessione medievale si è delineata la posizione della fides quaerens intellectum, in Hemmerle si delinea la prospettiva dell’unitas quaerens intellectum a partire dall’esperienza di amore reciproco in cui Cristo è il maestro di un nuovo pensare che genera luce e un nuovo intellectus, un nuovo soggetto pensante della teologia e filosofia. Hemmerle delinea i tratti fondamentali dell’intellectus unitatis e dell’actus unitatis accennandone le direzioni. L’intellectus non è un momento puramente teoretico, ma è espressione dell’attuazione esperienziale dell’unità. Tale prospettiva è stata illustrata da recenti studi teologici93: un’esperienza in cui «il soggetto vero del pensiero diventa, 90 P. CODA, Alcune riflessioni sul conoscere teologico nella prospettiva del carisma dell’unità, cit., p. 191. 91 Ibid., p. 199. 92 UE, pp. 344-345. 93 Per approfondimenti cf. i contributi contenuti in «Nuova Umanità» XXII (2000/6), 132.
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IV. Partire dall’unità
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nello Spirito, il Cristo Risorto che ci fa uno rivestendoci progressivamente di sé e facendoci dunque partecipi del suo stesso pensare»94. L’esperienza di reciprocità diventa il luogo dove si sviluppa un tipo di riflessione teologica in cui si parte non da se stessi ma da ciò che si è in Cristo come realtà di comunione. Si potrebbe delineare un rapporto con la spiritualità di comunione di cui parla Giovanni Paolo II. Spiritualità di comunione significa sguardo del cuore portato sul mistero della Trinità che abita in noi e la cui luce va colta anche sul volto dei fratelli che ci stanno accanto. Spiritualità della comunione significa inoltre capacità di sentire il fratello di fede nell’unità profonda del Corpo mistico, dunque, come uno che mi appartiene. […] Spiritualità della comunione è pure capacità di vedere innanzitutto ciò che c’è di positivo nell’altro, per accoglierlo e valorizzarlo come dono di Dio: un dono di Dio per me, oltre che per il fratello che l’ha ricevuto. Spiritualità della comunione significa saper far spazio al fratello95. Dal punto di vista dell’ontologia trinitaria questa esperienza è possibile perché nel Dio trinitario «vengono trasformati anche il nostro essere e l’essere in generale». Anche a livello speculativo possiamo vivere «l’esistenza trinitaria soltanto nella reciprocità, nel noi che non dissolve l’io e il tu ma li costituisce»96. Il fondamento dell’intellectus unitatis è la kenosi come dono di sé per amore. Se ciò che ci rende uno con Dio e con gli altri è la kenosi di Cristo come realtà suprema di amore, anche nel pensare si può attuare una kenosi di sé per mettere in luce l’altro: l’annientarsi non è altro che amore che si dona. Secondo la Lubich solo nella disponibilità a perdere il proprio punto di vista unilaterale «la nostra mente sarà tutta aperta e riceverà costantemente la luce di Dio e sarà canale. È richiesto il distacco dal nostro modo di pensare, dal pensare stesso: è questo il non essere della mente»97.
94 P. CODA, L’itinerario e il contributo di Hemmerle per un “nuovo” pensiero, introduzione a K. HEMMERLE, Tesi di ontologia trinitaria, Roma 1996, p. 18. 95 GIOVANNI PAOLO II, Lettera Apostolica Novo Millennio Ineunte 43. 96 LE, p. 53. 97 C. LUBICH, cit. in G.M. ZANGHÍ, Spunti per una teologia di Gesù abbandonato, in «Nuova Umanità» XVII (1995/6), 102, 39.
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L’esperienza di Dio nell’unità
Secondo Zanghí
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l’atto del pensare, è chiaro, parte da me, ma da un me che ospita nella sua radice, non solo naturalmente, ma intenzionalmente, l’altro. L’altro abita il mio pensare, come lo abito io. Io e l’altro pensiamo l’uno nell’altro, ciascuno avendo in sé, essendo, l’altro, nell’intenzionalità che l’amore fa reale. Questo significa fare del pensare un atto d’amore: è il pensare che, come dice Tommaso d’Aquino, sboccia in amore. E ciascuno torna in sé […] non in un pensare nostro ma in un pensare del soggetto dilatato, fatto se stesso nella comunione98. La prospettiva che Hemmerle delinea alla luce della spiritualità di Chiara Lubich e di cui negli ultimi anni di vita fornisce rapide pennellate, è alla base dell’esperienza della Scuola Abbà che egli fonda con la Lubich99 nel 1990 e dell’Università Sophia che la Lubich fonda nel 2008. La metodologia è quella in cui l’impegno personale di ciascuno è quello di «essere essere niente per sé ma solo amore, come Gesù Abbandonato, mettendo le proprie acquisizioni culturali, le proprie idee e ispirazioni a servizio degli altri». ».. Bisogna farsi “nulla”, ma in senso positivo. «Ciò si verifica in due direzioni: essendo pieno dono ed essendo pieno ascolto e piena accoglienza, fino a comprendere l’altro in sé» per cui «è la mutua kenosis culturale che genera una cultura nuova»100. Hemmerle non ha il tempo di effettuare una trattazione sistematica dell’intellectus unitatis: è consapevole che sta solo «indicando alcune direzioni in cui il pensiero dovrà successivamente esercitarsi»101. Altri autori hanno accolto la sfida. Commentando la prospettiva di Hemmerle secondo cui l’identità personale si realizza nel dono totale, per cui lo «spogliarsi di sé equivale a sorgere, all’aprirsi dell’essere», la Pelli osserva che nella kenosi del pensare si tratta di G.M. ZANGHÍ, Gesù abbandonato maestro di pensiero, Roma 2008, p. 23. Nel 1990 Chiara Lubich accoglie un desiderio di Hemmerle: formare un gruppo interdisciplinare di ricerca in cui mettere come fondamento della vita e degli studi l’amore reciproco. In questa realtà si approfondisce speculativamente il carisma dell’unità nel riflettersi nelle varie discipline e in una nuova modalità di pensare, nella certezza che «se una spiritualità genera una vita, una vita contiene in sé una dottrina» (cf. C. LUBICH, Una scuola di Maria, in «Città Nuova», [1980], 24). 100 J. POVILUS, La novità dell’oggetto e del soggetto di una cultura dell’unità, in «Sophia» II (2010/1), p. 99. 101 UE, p. 344. 98
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IV. Partire dall’unità
donare il pensiero, donare la volontà, donare la fantasia. Donare fino a privarmene totalmente. Donare dunque con la radicalità di Gesù Abbandonato che “non è perché ama”, ma proprio perché tale, “è”. Essendo infatti egli dono totale di sé e non possesso di sé, tanto da poter dire che in un certo modo, “non è”, di fatto, proprio così, “è”: è amore, per cui il suo donarsi, il suo annullarsi è in realtà ciò che gli dà di essere: essere amore,
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per cui, di conseguenza, è dato ritenere che è nell’amore che si schiude la forma più alta, più pura di conoscenza, poiché è nell’amore che la nostra mente, fattasi realmente nulla, diventa ricettacolo in cui la verità può riversarsi; fattasi tutta aperta, diventa capace di ricevere costantemente la luce di Dio e di esserne canale102. Si potrebbe parlare di «ragione come accoglienza dell’altro»: conoscenza comunitaria significa «aprire all’altro l’io moderno e la ragione che sono chiusi in loro stessi»103. Secondo Baggio anche nella filosofia classica si è coltivata una certa esperienza comunitaria nel pensare: Platone «sapeva bene che non si può disincarnare l’esercizio della razionalità dalla relazione tra coloro che la usano», poiché «la metodologia socratica che Platone trasmette, consisteva nel partire dal dato comune agli interlocutori per muovere oltre gli interlocutori»104. Questa base antropologica riceve una luce tutta nuova a partire dal Dio trinitario. Secondo Foresi oggi si sta andando incontro a una nuova fase culturale, quella dell’approfondimento a tutti i livelli della conoscenza collettiva. Si entra in un nuovo tipo di storia del pensiero, quello della conoscenza pienamente e consapevolmente intersoggettiva. Questa scoperta del collettivo non deve però trarre in inganno,
102 A. PELLI, Il darsi della verità nell’amore. Prime riflessioni sul conoscere come comunione, in «Sophia» I (2009/2), p. 169. 103 S. LUCIANO, Ragione come accoglienza dell’altro, in «Nuova Umanità» XXV (2002/3), 146, p. 198. 104 A.M. BAGGIO, Innovazione e comunità: l’amicizia come condizione della conoscenza nella filosofia, in «Sophia» II (2010/1), p. 39.
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L’esperienza di Dio nell’unità
perché significa allo stesso tempo una scoperta del personale nella sua individualità105. Secondo Foresi si può avere una più oggettiva comprensione di se stessi
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mediante una conoscenza che definirei di tipo collettivo. Io infatti ho di me una conoscenza soggettiva che si muove entro i limiti di quanto personalmente afferro di me stesso. L’altro, ogni altro a sua volta, mi conosce in maniera sua propria, diversa dalla mia. Dio invece, e lui solo, mi conosce oggettivamente. […] Come possiamo allora conoscere oggettivamente una cosa? Lo possiamo cogliendola da due punti di vista opposti. Questo congiungimento è reso possibile soltanto dall’agape, dall’amore. Io mi conosco trasferendomi nell’altro e vedendomi col suo occhio. Mi conosco non intellettivamente, ma attraverso un tale atto d’amore. Questo atto di inserimento nell’altro mi permette di cogliere quel tanto che l’altro conosce di me, che unito alla conoscenza soggettiva che ho di me, mi consente di conoscermi oggettivamente. In questo senso io posso entrare in unità con l’altro su un piano nuovo, quello del conoscermi e del conoscere. […] Il far filosofia diventa dialogo con gli altri nel dialogo con l’Altro. Il pensare insieme agli altri, il dialogare coi loro pensieri è un motivo necessitante per chi accetta l’Altro, Dio come realtà d’Amore nella quale è spiegata la mia esistenza e l’esistenza di tutti gli altri. Il cristianesimo ha rivelato al pensiero questa realtà grandiosa: Dio è Amore. […] Pensare quindi significa non solo essere soli con Dio ma sentirsi nello stesso tempo in comunione con tutti gli altri esseri dell’universo. […] Il mio modo di pensare diventa, quindi, pensare “con”. Il dialogo diventa il mio modo di pensare. Dialogo che significa il darsi del pensiero dell’altro a me, di me all’altro, nella reciprocità; e in questo mutuo scambio ci muoviamo in una verità sempre più piena, più compiuta. È nel dialogo laricchezza del mio pensare. È lì che il mio occhio si apre alla meta che mi è offerta da Dio in Dio106.
105 P. FORESI, Conoscenza e comunione, in «Nuova Umanità» XXIII (2001/2), 134, p. 228. 106 P. FORESI, Fare filosofia, in «Nuova Umanità» XXIII (2001/1), 133, p. 30.
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IV. Partire dall’unità
Nel conoscere teologico l’esperienza della reciprocità ci rende partecipi della vita della Trinità anche nel senso che per grazia ci fa partecipare per quanto è possibile nei limiti umani, «alla conoscenza che il Padre ha del Verbo e il Verbo ha del Padre. È questo il tipo di conoscenza cui il mondo contemporaneo anche se talora inconsciamente anela»107. Zanghí osserva che se il pensiero
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non nasce anch’esso dall’alto, morendo nel Cristo sulla croce, non può parlare del Regno di Dio, che è poi il Padre-Amore che genera il Verbo e spira lo Spirito e noi in loro […] Occorre ricondurre compiutamente il pensiero che deve fare teologia nel grembo del Padre, là dove nella fede già realmente siamo. Questo significa riscoprire, o meglio scoprire in maniera più intensa, che il soggetto che fa teologia è il popolo di Dio, la chiesa, se essa vive realmente e intensamente nel seno del Padre, l’unità chiesta da Gesù al Padre108. Una teologia che nasce dall’essere una cosa sola in Cristo è quella che vorrei chiamare la grande teologia, la vita nello Spirito, la vita nella Trinità, nella quale sono entrati anche conoscitivamente i santi che hanno varcato la porta buia delle notti. Teologia fatta non di parole, ma della Parola. Teologia che è puro essere nell’Essere, appresa non con la riflessione della mente ma con l’amore che è vita. È la trasformazione della creatura nei Tre. Perché ciò avvenga compiutamente e sia compiutamente sperimentato occorre però che non sia il singolo come tale a cercare di penetrare in questa teologia, ma il singolo come membro del Corpo di Cristo nella piena consapevolezza di questa realtà. Il soggetto di questa teologia non sono io come io, né un noi inteso in senso esterno, sociologico: il soggetto è la nostra persona teologica, il Cristo fra noi come nostro ricapitolatore, così da poter dire ciascuno: io, ma un io che nell’unico Cristo e da lui assunto, è inclusivo degli altri che si aprono alla stessa esperienza109. 107
539.
P. FORESI, Il mistero dell’essere, in «Nuova Umanità» XXV (2003/5), 149, p.
108 G.M. ZANGHÍ, Dio Padre e la teologia, in «Nuova Umanità» XXI (1999/3-4), 123/124, pp. 353-354. 109 G.M. ZANGHÍ, Spunti per una teologia di Gesù abbandonato, cit., p. 22.
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L’esperienza di Dio nell’unità
Naturalmente quello che avviene per l’esperienza dell’unità avviene anche per il pensiero come intellectus unitatis: la radice è il mistero di Cristo Crocifisso e Abbandonato. In riferimento anche ad Hemmerle, secondo A. Pelli si può parlare del mistero dell’abbandono come criterio ermeneutico ed epistemologico: esso «svela nel caratteristico e profondo intessersi con la dimensione esistenziale, un’inusitata dimensione conoscitiva. […] L’abbandono, che è sommo amore, è veicolo alla partecipazione della luce dell’amore» e diventa «il punto prospettico, il criterio ermeneutico del pensiero» e «porta d’accesso al mistero di Dio. Qui ci è data una vera teo-logia»110. L’ontologia trinitaria è radicata nel mistero dell’abbandono poiché in esso avviene una sorta di integrazione ontologica di tutto ciò che esiste nell’Essere di Dio e tutto l’essere si rivela come essere-amore111. Secondo la Lubich Gesù Crocifisso e Abbandonato è maestro di luce, di pensiero, di filosofia. Nella kenosi l’Essere si rivela custodiente nel suo intimo il non essere del dono di sé. Non il non essere che nega l’essere, ma il non essere che rivela l’Essere come amore: l’Essere che è le tre divine Persone. Nella luce di Gesù Abbandonato il soggetto, l’essere di tutte le cose create e l’Essere Assoluto trovano una nuova spiegazione che può rifondare una nuova filosofia dell’essere112. Nell’abbandono, Cristo manifesta l’Essere della Trinità come Amore. Di questo mistero, egli crocifisso è l’immagine visibile, la traduzione perfetta nel mondo crea-
110 A. PELLI, Carisma e approfondimento teologico dell’abbandono di Gesù, in «Nuova Umanità» XVIII (1996), 105/106, p. 335. «La novità di tale ontologia consiste nel prendere avvio dal mistero trinitario di Dio manifestatosi in Gesù abbandonato e il cui nome è amore, dono di sé. Nel donarsi di Gesù per noi è infatti il donarsi stesso di Dio in cui tutto è trasformato, la vita, il mondo, il senso stesso dell’essere». 111 Ibid., p. 335: «La novità di tale ontologia consiste nel prendere avvio dal mistero trinitario di Dio manifestatosi in Gesù Abbandonato e il cui nome è amore, dono di sé. Nel donarsi di Gesù per noi è infatti il donarsi stesso di Dio in cui tutto è trasformato, la vita, il mondo, il senso stesso dell’essere». 112 C. LUBICH, Per una filosofia che scaturisca dal Cristo, in «Nuova Umanità» XIX (1997), 111/112, pp. 372-374.
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IV. Partire dall’unità
to. Gesù Abbandonato è il miracolo dell’annullamento di ciò che è, perché l’essere sia. Per questo egli, “potenza di Dio, e sapienza di Dio” (1 Cor 1, 24), ci è apparso quale finestra di Dio spalancata sul mondo e finestra dell’umanità attraverso la quale si può contemplare Dio113.
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Alla luce del mistero pasquale come kenosi per amore si profila un metodo nuovo adatto alla novità di pensiero e di vita: è «come una pericoresi trinitaria nell’attività del pensare inteso d’ora in avanti come evento vissuto e voluto come comunitario». Se l’atto del pensare è intenzionalmente riconosciuto e coscientemente esercitato da me come amore kenotico (e solo allora è pensare-nel-Cristo), esso, fatto amore, viene da me perso nell’altro cui sempre mi rivolgo (pensare è sempre dialogare con gli altri). Questo altro a sua volta, nel suo ascolto inteso anch’esso come amore kenotico e quindi in reciprocità, me ne spoglia facendolo suo, consentendomi così di attuare fino in fondo il pensare come dono114. In riferimento ad Hemmerle, Zanghí osserva che nell’amore reciproco il pensiero è sciolto dai suoi schemi ed è immerso nella vita, sempre come pensiero, ma vivente. È solo nel darsi reciproco delle persone (quel darsi che le immola e le fa non essere), che le persone sono (in quell’attualità pura cui siamo chiamati a partecipare, che niente limita, perché assolutamente e puramente è non essendo). È qui che l’Essere non è perché è infinitamente dato: amore. E il non essere è, perché è infinitamente restituito: amore. Nella solitudine, ciascuno dei due termini, essere e non essere, si immobilizza e nega l’altro. La storia del pensiero è la grande e sofferta testimonianza di questa verità. Possiamo intuire che bisogna accedere a una grande rivoluzione ontologica. Si apre finalmente un’ontologia trinitaria115.
113 C. LUBICH, Spiritualità dell’unità e vita trinitaria, in «Nuova Umanità» XXVI (2004), 151, pp. 14-15. 114 G.M. ZANGHÍ, Spunti per una teologia di Gesù abbandonato, cit., pp. 23-25. 115 Ibid., p. 29.
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L’esperienza di Dio nell’unità
Un’autorevole conferma proviene da Benedetto XVI, che illustra il rapporto tra lo speculativo e il logos dell’amore:
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La verità è logos che crea dia-logos, quindi comunicazione e comunione. La verità, facendo uscire gli uomini dalle opinioni e dalle sensazioni soggettive, consente loro di portarsi al di là delle determinazioni culturali e storiche e di incontrarsi nella valutazione dei valori e delle cose. La verità apre e unisce le intelligenze nel logos dell’amore116.
116 BENEDETTO XVI, Lettera Enciclica Caritas in Veritate, 4 [29.06.2009], in AAS, CI n. 8, 641-709.
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V.
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Aspetti teologici. Uno sguardo nel mistero di Dio
Dio è amore ed è colui il cui amore, poiché è divino, deve essere tale che non si possa pensare nulla di più grande. L’amore oltre il quale non si può pensare nulla di più grande è il contrassegno e il marchio divino di Dio stesso1. Nel parlare di Dio come mistero d’amore Hemmerle attinge al dogma trinitario, alla Tradizione cristiana, ad alcuni spunti provenienti da Balthasar e alla spiritualità di Chiara Lubich: il tutto è riflesso dalla sua intelligenza e dalla sua esperienza di fede. Hemmerle parte da un punto focale attraverso cui rilegge la Tradizione e tutto quanto è stato detto su Dio: Dio è amore nel suo stesso essere, l’essere di Dio è comunione e amore reciproco delle Persone, continuo perdere sé per accogliere l’altro e donarsi, eterno mistero di kenosi e pericoresi. Da questo fulcro si apre la riflessione teologica sulla Persona dello Spirito, sulla realtà del battesimo e dell’Eucaristia. Nella prova ontologica Anselmo definisce Dio id quo maius cogitari nequit. La più bella intuizione di Hemmerle riguardo a Dio è che questa definizione «deve essere trasposta dal piano del pensiero e dell’essere al piano dell’amore»2. È un’affermazione straordinaria dal punto di vista teologico e filosofico, poiché non si limita ad affermare l’esistenza dell’Essere Perfettissimo, ma rivela chi è Dio nel suo mistero: Dio è amore di cui non si può pensare nulla di più grande. Se davanti alla prova ontologica impostata è stata sollevata una lunga serie di obiezioni in un percorso che va da Gaunilone a Kant, davanti all’amore di cui non si può pensare nulla di più grande e che si dona in Cristo fino all’abbandono, non ci si può porre con obiezioni teoretiche, ma 1 2
LE, p. 143. LE, p. 89.
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L’esperienza di Dio nell’unità
con la responsabilità di accogliere un dono. La prova più forte che Dio può dare della sua esistenza non è sul piano teoretico dell’Essere perfetto, ma sul piano del dono perfetto di sé, rivelando che l’essere è amore. È un piano che mantiene la valenza ontologica e speculativa.
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1. IL MISTERO TRINITARIO DI DIO L’unità e l’unicità di Dio si rivelano in maniera nuova e inaudita poiché Dio stesso nella sua unità e unicità è unità di Padre, Figlio e Spirito. In questa realtà l’amore, il reciproco essere uno, risplende come il più intimo segreto del Dio trinitario3. In Dio possiamo riconoscere «l’amore che inizia incausato e ha fine nel non conoscere alcuna fine», »,, un amore incondizionato, libero e gratuito: «poiché è il primo ed è inizio originario e originante, Dio non “può” in alcun modo amare diversamente, è assolutamente il primo, colui prima del quale non c’era nulla»4. Questa divina libertà di amare, cioè il darsi, funge da criterio ermeneutico per comprendere e interpretare quanto nella storia del pensiero occidentale è stato detto su Dio: Dal punto di vista cristiano ciò che intendiamo con la parola Dio cioè la sua realtà incondizionata, l’unità, l’immutabilità, l’eternità, l’onnipotenza non sono altro che questo: il darsi. Non esiste nessun residuo che resti al di fuori del darsi. Dio è completamente dentro al suo darsi: il darsi è la sua incondizionatezza, unità, immutabilità, eternità, onnipotenza5. L’unità di Dio non è l’unità dell’essere parmenideo eternamente immobile e identico a sé, ma è unità del darsi. L’immutabilità non è statica identità, ma è la dinamica del dono nell’Incarnazione e nella kenosi. Onnipotenza significa libertà nel darsi, massima espressione della sovranità di Dio nel dono di sé. Avviene un capovolgimento radicale: non si tratta di applicare a Dio attributi secondo la via eminentiae, ma di effettuare una conversione del pensiero partendo dalla LE, p. 53. LE, p. 88. 5 VT, p. 113. 3 4
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V. Aspetti teologici
realtà di Dio Amore per comprendere cosa significhino gli attributi. Hemmerle definisce “ritmo” il darsi eterno di Dio: è un tentativo di parlare del mistero trinitario senza ricorrere ai termini metafisici di ousia, hypostasis, physis, prosopon, come aveva fatto Ireneo di Lione parlando del ritmo trinitario e della risposta dell’uomo6. L’unità trinitaria non viene pensata in base all’unica essenza divina, ma a partire dall’amore reciproco tra il Padre, il Figlio e lo Spirito: le Persone divine si delineano nell’unico ritmo del darsi in cui ognuna opera, sussiste e si dona in maniera personale. Nella visione trinitaria di Agostino e di Tommaso il Padre è origine incondizionata, il Figlio è Parola, Sapienza e Verità, lo Spirito è Amore. Agostino parla della Trinità in analogia con le facoltà dell’anima umana: la memoria, presenza di ciò che è, è letta in relazione al Padre; l’intelletto, facoltà della Parola, è letto in relazione al Figlio; la facoltà dell’amore è letta in relazione allo Spirito. Anche le dimensioni temporali contribuiscono a delineare il mistero trinitario nell’orizzonte della nostra esperienza: il Padre come provenienza e origine, il Figlio come presente che illumina e lo Spirito come l’ultimo, il frutto, il futuro. Agostino resta legato a un modello di analogia intrasoggettivo e non sviluppa l’intuizione del mistero trinitario nella dimensione intersoggettiva. Per Hemmerle l’analogia trinitatis è l’esperienza di Dio nell’unità: l’analogia è pensata come intersoggettiva sul piano esperienziale e sul piano ontico, dato che lo stesso essere di Dio è pensato a partire dalla reciprocità dell’amore tra le Persone. Tuttavia Hemmerle nell’intento di non sminuire il contributo della Tradizione, afferma che la sua visione trinitaria e quella di Agostino «non si escludono a vicenda, ma si conciliano». Riguardo allo sviluppo del dogma trinitario, Hemmerle osserva che le formulazioni di Nicea, Calcedonia, Efeso abbattono le strutture speculative da cui prendono il materiale concettuale. Ma la realtà antica e sempre nuova dell’amore viene espressa tra le righe: che cosa è eterno, identico a sé, onnisciente, onnipotente, che cosa non può mai venire meno? L’amore, la cui libertà si comunica e si dona 6 Riflettendo sul Dio trinitario Ireneo non ricorre alle categorie del pensiero classico che nel II secolo non erano recepite dal dogma, ma parla di ritmo: «Tale è l’ordine, il ritmo, il movimento col quale l’uomo creato e modellato diventa immagine e somiglianza del Dio increato. Il Padre decide e ordina, il Figlio esegue e plasma, lo Spirito nutre e incrementa, e l’uomo a poco a poco progredisce» (IRENEO DI LIONE, Adversus Haereses, IV, 38, 5).
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L’esperienza di Dio nell’unità
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sopra ogni misura, lascia la sorgente originaria identica a se stessa nel dono sempre nuovo. Il Dio trinitario è uguale a se stesso superandosi infinitamente nell’amore. Questa è la sua identità ad extra, nell’apertura verso ciò che deve essere. Ciò che può essere a partire dall’amore, deve essere a partire dall’amore7. L’interpretazione teologica del mistero di Dio risente della prospettiva antropologica e ontologica in cui si delinea la riflessione, e si riflette con profonde conseguenze in questi ambiti. Così, se nella prospettiva dell’antropologia trinitaria il mistero trinitario ha permesso di comprendere l’uomo imago Dei come persona in comunione, storicamente un’antropologia incentrata sul concetto di identità individuale e di sostanza ha influenzato alcuni nel rappresentare la Trinità in modo erroneo, come se in primo luogo ci fosse il Padre a cui si aggiunge la relazione col Figlio e lo Spirito Santo. Ben diversa è la posizione della Scolastica secondo cui Dio è un unico actus: «Dio “è”, e in questo “è” è contenuta la pienezza delle relazioni: non qualcosa che viene dopo, ma che c’è sin dall’inizio». Hemmerle valorizza il contributo della teologia trinitaria in Oriente e in Occidente secondo due prospettive che «si completano e illuminano reciprocamente in maniera pericoretica»8. La teologia occidentale parte dall’unità della sostanza che si attua nella Trinità delle Persone. Viene pensata in primo luogo l’unità che ontologicamente appartiene a Dio e questa unità stessa si dispiega come evento trinitario personale. Nella teologia orientale gli accenti sono diversi: il pensiero parte dall’inizio assoluto, dal Padre che viene pensato come relazione. Non esiste un’identità ontologica di quest’origine che sia separabile dalla generazione del Figlio e dal soffio dello Spirito. Così si attua l’unità della sostanza nella dinamica del dono che è lo stesso essere di Dio9. La visione trinitaria tradizionale condizionata dall’analogia con l’anima individuale sembra non approfondire la realtà comunitaria nello Spirito che caratterizza la vita di Dio. In tale visione DN, p. 204. LE, p. 79. 9 Ibid. 7 8
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V. Aspetti teologici
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il Padre è presente a sé, trasparente a sé nella Parola, nel Figlio. […] Ciò che Egli vuole è l’unità col Figlio, nello Spirito. Lo Spirito come dono che il Padre e il Figlio reciprocamente si fanno è la meta. Il Padre manda il Figlio nel mondo, si fa presente a noi nel Figlio. Ma questo non è il punto finale del movimento. La meta è l’invio dello Spirito in cui riconosciamo il Padre e il Figlio ed entriamo in unità col Padre e il Figlio10. Bonaventura ha messo in rilievo che in Dio Amore il rimanere in sé è pura effusione di sé. Secondo Bonaventura «un’unità puramente materiale, un’unità puramente concettuale e un’unità riferita solo all’ego non sono unità in senso pieno perché non portano in sé il principio che le rende uno». Un’unità perfetta non può essere a due, ma è necessario un tertium in cui esprimersi: «l’unità raggiunge la sua misura perfetta solo nel comunitario essere uno di due che donandosi l’uno all’altro e l’uno con l’altro traboccano in un Terzo e in una terza Persona»11. Guardando alla Tradizione l’antico detto conserva la sua validità: relatio Dei ad extra est una, dove una significa comune. Il donar-si di Dio dona Dio. In quest’unico donarsi Padre, Figlio e Spirito operano con efficacia ognuno nella sua modalità e ognuno è decifrabile nel modo che gli è specificamente proprio12. Hemmerle percorre un itinerario che conduce dalla Trinità economica alla Trinità immanente. Il punto di partenza è la Trinità economica: Dio si dona ad extra come creazione, Rivelazione e Redenzione rivelando chi è lui ad intra e qual è il disegno sulla creazione: Dal momento che la Trinità immanente si rivela in modo economico, ci viene rivelato che l’economia della creazione confluisce verso l’assunzione nella vita trinitaria. L’ordine della creazione è provvisorietà che tende verso la piena realizzazione e il compimento trinitario. Realizzazione e compimento sono un dono ulte-
VT, p. 116. LE, p. 76. 12 TT, p. 151. 10 11
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L’esperienza di Dio nell’unità
riore rispetto al dono iniziale della creazione, ma il significato positivo del dono iniziale diventa visibile solo nel dono ulteriore13.
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La storia è inserita nell’evento trinitario: non un inarrestabile fluire in cui il passato scompare, il presente è inafferrabile e il futuro non c’è ancora, ma una realtà che è presenza nel mistero di Dio in cui tutto è. Il presente è possibilità di esperire nel kairos dell’oggi la pienezza del Regno di Dio in Cristo nell’attesa del dono definitivo. Questo presente trinitario in cui siamo collocati è sottoposto alla legge del tempo. In quanto presente è darsi ad un futuro ancora da venire. Il tempo nel suo complesso si rivela come il presente del donarsi, che deve passare in un futuro che è dono definitivo che sovrasta il tempo portandolo a pienezza. L’ontologia trinitaria è aperta all’escatologia14. Hemmerle evidenzia che in Gesù «Dio si è donato totalmente a noi e dunque non c’è alcun mistero di Dio che resti irrelato e irrivelato “dietro” l’evento della venuta di Gesù»15. Questo dono radicale ha una forte portata rivelativa: scopriamo che in Dio «la realtà trinitaria non è un elemento aggiuntivo al suo essere, ma il suo stesso essere è amore, l’amore non è altro che l’evento trinitario»16. Hemmerle osserva che il Deus semper maior, Amore che è assoluta sovrabbondanza, si manifesta abbassandosi nella forma finita: nel gioco d’amore divino entrano sia il magis dell’amore che non ha misura, sia il minus, in cui la libertà dell’amore decide di donarsi. L’amore come mistero indicibile sovrabbonda e va oltre sé rendendosi visibile nella forma e nella realtà visibile, facendosi evento nel sorgere per noi. E si spoglia di sé, si svaluta lasciandosi calare nel gioco dei ruoli del finito, si consegna come partner, assume un ruolo entrando nel gioco della storia in cui Dio gioca con noi. La sovrabbondanza dell’estetica e lo spogliamento della drammatica, il sorgere e consegnarsi fanno parte dell’unico gioco della teologia che nasce dall’amore. Il magis, il semper maior, in cui l’amore si TT, p. 153. TT, p. 154. 15 UE, p. 338. 16 DN, p. 210. 13 14
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V. Aspetti teologici
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attua in modo sempre nuovo e mai concluso, e il minus, la consegna e l’esposizione, alienandosi in ciò che è altro da sé. L’elevarsi in alto dentro allo spogliamento sempre più profondo, la gloria sempre più grande dentro all’abbassamento sempre più umile: il duplice movimento è l’unico e identico ritmo dell’amore, il sempre più e sempre meno in cui l’amore diviene identico a se stesso e si corrisponde17. Prendendo spunto dalla prospettiva di Balthasar, Hemmerle osserva che la teologia che «rispecchia magis et minus, sorgere e spogliarsi di sé, forma ed evento dell’originaria sorgente di Dio, è in tal modo teologia, estetica e drammatica»18. Nel mistero trinitario Il Padre si comunica totalmente al Figlio, per cui il Tutto è totalmente presente in lui. Ma il Tutto è presente nel Figlio poiché il Figlio si comunica totalmente al Padre lasciando scaturire il dono reciproco, lo Spirito, in modo che l’unico Tutto che vive nel Padre e nel Figlio si riveli nello Spirito. Il Tutto è dato in Dio nel mistero trinitario ed è il trascensus di Dio, l’apertura all’altro da sé come libera possibilità19. La comunione dei beni intradivina non riguarda qualcosa che Dio possiede, ma la stessa divinità: La comunione dei beni interna a Dio stesso non si può estendere a un “qualcosa”: in Dio non c’è nessun’altra cosa accanto alla sua divinità. Dio è così “povero” che non possiede nient’altro che se stesso. E nient’altro che se stesso significa che in sé, nel suo essere, Dio possiede tutto. Ma significa anche che questo tutto, il divino, la divinità stessa, in lui diventa il dono che Padre e Figlio si scambiano reciprocamente. Dio è dono a Dio, lo stesso unico dono tra Padre e Figlio, e questo dono è lo Spirito Santo20. Reciprocità non significa confusione, né sovvertimento dei ruoli. Nella divina libertà il Figlio sorga dal Padre in un continuo sì a lui: DN, pp. 206-207. DN, p. 207. 19 DN, p. 212. 20 LE, p. 99. 17 18
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L’esperienza di Dio nell’unità
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«questa è la realtà del Figlio, questo è lui, uguaglianza incondizionata col Padre, incondizionata relazione a lui e incondizionata differenza da lui»21. Guardando alla vita trinitaria viene in luce la realtà di paternità del Padre come ouverture della vita trinitaria. Egli è provenienza incondizionata, inizio incondizionato. Ma in questo senso si potrebbe dire che l’inizio dell’inizio è il Figlio, poiché lui è l’interesse del Padre, il futuro che il Padre si apre. Il Figlio è la Parola nella quale il Padre vuole uscire fuori, il bene incondizionato, ciò che dischiude il suo seno. Il Figlio è tutto a partire dal Padre, deve se stesso al Padre e poiché la natura del bene è diffusiva Egli è rivolto al Padre e ritorna al Padre. Entrambi si donano l’uno all’altro e in tal modo si attua l’accordo nella dimensione della presenzialità, lo Spirito. Il Padre è nel Figlio, il Figlio è nel Padre, lo Spirito rende Padre e Figlio presenti l’uno all’altro, li garantisce nell’essere l’uno a partire dall’altro, l’essere l’uno rivolto verso l’altro. Puro spazio interno della vita divina, Egli è in uno la forza dell’apertura ad extra, così che possiamo entrare ed essere inclusi nella vita trinitaria col Padre e il Figlio22. In riferimento al tentativo della teologia tradizionale di comprendere il mistero trinitario attraverso le determinazioni temporali, Hemmerle mette in rilievo la reciprocità che c’è fra loro, poiché si può comprendere il presente «solo dal passato e dal futuro insieme, poiché è il loro confluire nella simultaneità»23: in questo senso lo Spirito esprime la presenzialità del Padre e del Figlio. Da un lato lo Spirito è il presente che anticipa il futuro della venuta di Cristo, dall’altro lato lo Spirito è il futuro del compimento finale mentre il presente è un cammino verso la meta. Hemmerle delinea una prospettiva definita Spielart, variazione ludica. La novità sta nel vedere il Padre come futuro: Il senso direzionale della vita trinitaria non è invertibile: il Padre resta Padre, resta origine senza inizio. Il suo esser Padre è far venire fuori il Figlio. E da entrambi avviene in modo simultaneo il procedere dello Spirito. Ma poiché avviene una comunicazioVT, p. 113. VT, p. 114. 23 VT, p. 115. 21 22
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V. Aspetti teologici
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ne totale, un darsi totale, si può leggere l’intero gioco partendo da ogni persona, anche a partire dal Figlio e dallo Spirito. […] Poiché Figlio e Spirito vengono dal Padre e il Padre è origine del darsi, Egli è la meta, è l’unico bene, Colui al quale la vita trinitaria ritorna. Il movimento verso il Padre è la dinamica dello Spirito: nello Spirito la Parola è risposta al Padre. Questo è il movimento della vita di Gesù. Generato dallo Spirito Santo, mosso dallo Spirito, il suo unico fine, la sua unica meta è il Padre. La sua vita è un eterno procedere dallo Spirito ed essere in cammino verso il Padre24. Il rapporto tra le Persone divine è stato definito da Giovanni Damasceno come pericoresi. L’esperienza dell’unità che ha come modello il Dio trinitario ha un carattere pericoretico. Pericoresi è originariamente il nome di una danza: uno danza intorno all’altro, l’altro danza intorno a lui e così tutto fluisce in maniera reciproca, l’uno nell’altro. E in realtà è così che scorre la vita nella dinamica di quell’amore che Gesù insegna e ci dona: l’altro è l’asse della mia vita, io sono l’asse della sua vita. Tutto si svolge in questo gioco assiale del reciproco circondarsi. Possiamo dire, con la grande teologia greca dei primi secoli, che la pericoresi divina si rivela e si comunica nella pericoresi tra il divino e l’umano in Gesù Cristo. Questa realtà si realizza nella nostra reciproca pericoresi. Finché noi come chiesa non dispieghiamo questo amore che reciprocamente ci fa danzare uno intorno all’altro, che reciprocamente, in ogni dono e compito dell’altro, ci fa giocare e prendere sul serio, una grande “scuola di danza” non troverà la sua realizzazione. Ma da essa non si può essere dispensati25. 2. LO SPIRITO SANTO, PERSONA-AMORE Quando Dio dice “io”, dice anche “tu” / e questa non è una seconda parola, ma è la medesima / è la Parola in cui egli si esprime.
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VT, p. 117. LE, p. 45.
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L’esperienza di Dio nell’unità
/ E questo io e tu in lui / si rivolgono l’uno all’altro / si dicono “tu” l’un l’altro, / sono reciprocamente armonia e dono. / E questo dono è il terzo elemento, lo Spirito26.
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In Vorspiel zur Theologie attraverso l’icona del gioco Hemmerle offre una profonda riflessione sul mistero trinitario e sulla Persona dello Spirito. Nello Spirito si apre uno squarcio sul rapporto che c’è tra il Padre e il Figlio, tra il Figlio e noi e tra noi e il Padre. Ma lo Spirito è molto più di uno sguardo prospettico: lo Spirito è questa relazione vivente, è il suo evento. Ritornando all’icona del gioco possiamo dire che lo Spirito è quel polo che garantisce che i poli entrino in gioco l’uno all’interno dell’altro, è il polo che fa giocare i poli l’uno con l’altro entrando in gioco lui stesso. C’è un gioco molteplice che viene aperto dallo Spirito Santo e solo per mezzo di lui. […] per mezzo dello Spirito, Dio stesso si rivela in Gesù in modo nuovo e diverso: Dio in sé è relazione, è comunione, è gioco di inabitazione reciproca. […] il gioco di Dio non è un circolo che resta chiuso in se stesso. È un gioco che si apre all’esterno includendo anche noi, è il gioco del donarsi per amore. Il contenuto del gioco di Dio all’interno e all’esterno è questo dono reciproco per amore27. Nello Spirito Santo che in Dio è la persona-dono, si realizza il livello più alto dell’esperienza di Dio, cioè l’inabitazione trinitaria: In riferimento al Dio trinitario e alla sua storia con noi in Cristo, il Padre è Padre in quanto genera il Figlio e sono rivolti l’uno all’altro e presenti l’uno all’altro nello Spirito Santo. Il Padre glorifica il Figlio, la sua volontà è la glorificazione di Gesù in quanto Figlio, il suo innalzamento alla destra. E l’unità e l’uguaglianza di Padre e Figlio qui postulata, nasce e diventa presente anche per noi nello Spirito Santo. Il Padre vuole renderci figli nel Figlio: questo è lo scopo della storia della salvezza, così ci troviamo tra Padre e Figlio, siamo in cammino verso la meta nello Spirito 26 K. HEMMERLE, Dreifaltigkeit, Geheimnis der Nähe. Das unerhörte Neue des christlichen Glaubenserfahrung, in «Antwort des Glaubens» (1979), 11, p. 14. 27 VT, pp. 110-111.
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V. Aspetti teologici
Santo. Egli è lo spazio in cui noi viviamo, lo spazio del nostro presente28.
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Hemmerle parla dello Spirito Santo proponendo una definizione umanissima e molto bella: lo Spirito Santo è «in un certo qual modo l’unico bacio dell’unico amore che entrambi si donano e non due baci simultanei». ».. Il punto chiave è che lo Spirito Santo nella Trinità esprime l’unità ad intra e quindi la attua ad extra: Egli è il più intimo e interno legame tra Padre e Figlio e al contempo è il principio dell’apertura e della diffusione ad extra della realtà trinitaria: l’Incarnazione, l’unione della natura umana con la natura divina, avviene nello Spirito Santo. Egli è principio dell’unità nell’amore tra Padre e Figlio, dell’unità tra realtà umana e divina in Gesù e della nostra unità con lui e fra noi29. Lo Spirito esprime la gloria e la reciprocità del Dio trinitario. L’identità dello Spirito è nel reciproco essere nell’altro che fa sorgere e mettere in luce l’altro ponendo sé nell’ombra: proprio così viene in luce egli stesso. […] La gloria che il Padre e il Figlio reciprocamente si donano non può essere qualcosa che in Dio si aggiunge alle Persone divine, ma è quel dono personale che è lo Spirito. Come Spirito e gloria […] siano identici, lo ha dimostrato Gregorio di Nissa traducendo la parola doxa con Spirito. Il reciproco essere nell’altro è il movimento della vita di Dio: io sono in quanto tu sei e proprio questo è il mio essere. E così possiamo dire per analogia: vivere in maniera trinitaria significa per noi vivere in maniera tale che in noi si manifesti e risplenda l’unico Spirito, e sarà proprio lui che farà risplendere noi nella nostra unità nella diversità30. Questo orizzonte trinitario permette di comprendere che a livello esperienziale
VT, p. 116. TK, p. 77. 30 LE, pp. 46-47. 28 29
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L’esperienza di Dio nell’unità
non sono su una strada a senso unico, personale e individuale verso l’interiorità, ma lo spazio si allarga e trovo il Figlio dovunque. Lo Spirito mi trasporta fuori e così questo spazio interno, il più intimo, diviene sconfinato spazio del mondo, spazio in cui si può svolgere la storia: ognuno in quanto persona viene preso dentro questo spazio. L’unico Spirito che ci unisce e ci porta a dire reciprocamente l’uno per l’altro «Abbà, Padre!» fa risplendere il Figlio in ogni volto umano e fa riconoscere la sua orma in ogni creatura. Quest’unico Spirito, quest’unica atmosfera divina diventa lo spazio vitale in cui è possibile un nuovo noi. Solo nello Spirito può realizzarsi l’unità che cerchiamo; solo nello Spirito in cui ci amiamo reciprocamente come il Padre e il Figlio si amano. È lo Spirito in cui dico all’altro: ti lascio essere, sono qui per te, ti voglio bene. E posso dire all’altro: per me sei fondamentale e determinante, ti ascolto fino in fondo, sono espressione di te. Solo così l’unità diventa possibile31. Nell’esperienza della reciprocità prendiamo parte all’unico Spirito e all’unico mistero di Dio: partecipando di questa divina realtà, «siamo resi capaci di partecipare gli uni degli altri. Questo avviene perché se sono in te e tu in me, vivo della tua grazia e faccio vivere te della mia grazia»32. 3. L’INCARNAZIONE DEL VERBO E L’ESPERIENZA DI DIO Nel parlare dell’Incarnazione Hemmerle mette in luce un’affermazione di Bernardo di Chiaravalle: Quod Filius Dei ab aeterno sciebat per divinitatem, hoc aliter temporali didicit experimento per carnem. Cristo impara nell’esperienza umana ciò che eternamente conosce in quanto Figlio di Dio e quindi l’esperienzialità viene assunta e redenta dal Figlio di Dio che in essa si dona. Egli ha voluto sillabare la sua natura divina dal di sotto, dalla prospettiva degli uomini, facendo sì che il nostro mondo umano di-
31 32
LE, pp. 38-39. LE, p. 199.
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V. Aspetti teologici
ventasse esperienza di Dio. Lui, la seconda persona della Trinità, ha fatto esperienza del mondo e della nostra storia dall’interno33.
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Con l’Incarnazione l’eternità di Dio si apre al tempo dell’uomo: il Dio Eterno non è oltre il tempo, ma dentro al tempo. Il momento presente diviene kairos incastonato in Dio, la finitudine del tempo si inserisce in una sorta di sentiero trinitario. Il Figlio di Dio vuole vivere nel mezzo del tempo ciò che vive in eterno, e in eterno non vive altro che la sua unità col Padre nello Spirito, in quanto il Verbo si è fatto carne assumendo su di sé le condizioni della nostra esistenza e donando in loro se stesso. Qui la nostra temporalità diventa forma della vita di Dio; la continua alienazione di una possibile perdita di identità nel tempo viene assunta dal Figlio di Dio come espressione del culmine dell’amore e della comunione con noi, come contemporaneità dell’eterno con noi nel tempo. La nostra vita, il nostro tempo vengono vissuti insieme a noi da Dio nell’Incarnazione, nella vita e nella morte di suo Figlio. Nel Figlio di Dio divenuto uomo il nostro tempo è custodito, è salvato, è aperto non solo a una vita eterna oltre sé, ma è in se stesso partecipe di questa vita, partecipe dell’unità di Dio nel suo rapporto trinitario. Il carattere di perdita della temporalità, il non poter fissare l’attimo presente, il non poter anticipare il futuro, tutto ciò diviene comunione col dono d’amore del Figlio al Padre […] Se Gesù impara nell’esperimento della temporalità ciò che egli è, può e possiede in eterno come Figlio di Dio, questa stessa cosa vale anche per noi invertendo i termini: prendendo su di noi la nostra temporalità impariamo l’eternità per l’oggi e per l’eterno. […] Il nostro tempo nella sua relazionalità è custodito nell’eternità di Dio mediante la partecipazione del Dio eterno nell’Incarnazione di suo Figlio al nostro tempo. La nostra vita nella sua globalità e unità, la coerenza del nostro tempo sono in lui che ci ha assunti e presi su di sé. Ma spetta a noi in questo piccolo attimo presente, in questo piccolo istante, adottare e far nostra la nostra vita custodita in Dio34.
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LE, p. 114. LE, p. 65.
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L’esperienza di Dio nell’unità
Hemmerle osserva che l’eternità «non è altro che il tempo rappresentato nella sua relazionalità, solo che l’unità dei poli che si donano l’uno nell’altro e si ricevono l’uno dall’altro è assolutamente inseparabile»35. L’uomo può immergersi nell’eternità: Io sono immerso nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo mediante il Figlio che ha assunto in sé il mio tempo e la mia vita, portandoli nella sua relazione trinitaria. […] Io sto dunque nella relazione col Padre che per amore mi dona suo Figlio e il suo Spirito36.
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Ne deriva che in Cristo ogni uomo si ritrova in una realtà di communio universale: In questo singolo cuore umano c’è una meravigliosa contemporaneità di tutta la storia, c’è un cuore umano in cui tutta la storia degli uomini è simultanea. Questa è per me una cosa immensa, questa per me è la salvezza della storia. Non posso incontrare nessun volto d’uomo, nessun nome d’uomo, nessuna impronta d’uomo, nessun relitto d’uomo, nessuna esistenza umana passata che non sia all’interno di questa communio che Gesù crea con questo uomo. In lui che è divenuto uomo ed è rimasto uomo, è presente la storia umana. La storia ha un luogo nel cuore di colui che è diventato uomo per noi e con noi. La storia si trasforma dall’interno, la storia riceve la sua unità37. Il culmine della communio si realizza nel mistero dell’abbandono: Noi ci incontriamo vicendevolmente, siamo legati gli uni agli altri nella ferita mortale dell’abbandono di Gesù sulla croce. Non esiste un punto dell’esperienza che si trovi più in basso e più in profondità nella storia umana di quello dell’abbandono radicale sulla croce38. Il sì di Cristo come amore kenotico e ascolto obbediente del Padre, sul piano esistenziale fonda la libertà del sì dell’uomo e sul piano ontologico permette l’attuazione di ciò che esiste. Ibid. LE, p. 66. 37 LE, p. 115. 38 LE, p. 117. 35 36
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V. Aspetti teologici
Questo sì tra Padre e Figlio è lo spazio in cui anche a noi viene detto sì, nel quale anche noi siamo stati pensati intenzionalmente, ci è stata data la possibilità di essere, siamo stati creati e salvati. Questo sì tra il Padre e il Figlio fonda e racchiude in libertà me, noi tutti, tutte le cose39.
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L’esperienza umana entra nella Trinità, la storia si trasforma: nella kenosi, ogni esperienza umana viene assunta da Cristo diventando esperienza che Dio stesso fa: essa è prova che Dio non sta al di là di questo destino. Se egli si limitasse a imporre a un altro come carico questo destino, non sarebbe un atto del suo amore, ed egli non sarebbe Colui che ha assunto l’uomo fino al punto estremo […] Ma se Dio assume il destino di un uomo e lo rende suo, in questo destino tutto l’uomo e tutti gli uomini sono assunti dal di dentro, sono presi e adottati in sostituzione vicaria40. In Cristo si realizza l’unità che lega tutti gli uomini, pur nella libertà personale di orientarsi a lui. Commentando l’assioma quod semel assumpsit numquam dimisit, Hemmerle afferma: La natura umana di Gesù non è stata solo uno strumento per operare la nostra salvezza, come se poi si fosse tolto l’uniforme del Salvatore per volatilizzarsi nella sua eterna gloria divina; ma il Figlio di Dio fatto uomo prende con sé anche noi in questa realtà. Sì, noi siamo nel seno del Dio trinitario. Un volto umano concreto è parte del Dio trinitario e in questo volto umano concreto vedo l’uomo: Ecce homo, ecco l’uomo, ecco tutti gli uomini, ecco l’umanità. Questa è conseguenza naturale della fede nell’Incarnazione. Ma ci sfugge e riflettiamo troppo poco su questa interazione dell’intimo legame della storia in Gesù Cristo. Egli ha messo in moto quel movimento reciproco e pericoretico mediante il quale l’uomo è nella Trinità e la Trinità è nell’umanità. […] Da quando il Figlio è divenuto uomo, è tornato al Padre e noi siamo in lui, la nostra vita è materia del dialogo della Santissima Trinità. E da quando egli è venuto a portarci il Padre e a donarci lo Spirito, 39 40
LE, p. 36. VT, p. 109.
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L’esperienza di Dio nell’unità
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la Trinità è nell’umanità e nella storia materia del dialogo e della vita. In questo evento enorme per il quale noi siamo materia del dialogo intratrinitario e il Dio trinitario è divenuto materia del dialogo tra gli uomini, la storia si è trasformata in una direzione completamente nuova. Posso comunicare con tutti: so che si trovano da qualche parte. Egli è immediatamente in tutti, tutti sono immediatamente in lui. In ciò si costituisce l’interrelazione reciproca in cui noi, pur vivendo e interagendo reciprocamente in modo frammentario e momentaneo, possiamo insieme plasmare la storia, esserne insieme responsabili41. 4. L’EUCARISTIA E LA COMMUNIO SANCTORUM Hemmerle definisce l’Eucaristia come l’attuazione dell’unità della storia e della creazione. Nell’Eucaristia c’è la grazia per vivere a partire dal Dio trinitario. Senza nulla togliere alla validità oggettiva ex opere operato, senza nulla aggiungere alla presenza sostanziale, si deve riconoscere che nell’Eucaristia il piano esperienziale è inscindibile dalla realtà sacramentale: Presenza reale e relazione comunionale sono interdipendenti e non separabili: non può essere che l’una venga prima e l’altra dopo. Ma se è cosi, allora qui non è contenuto soltanto il dovere e il dono della riconciliazione reciproca, ma è compreso anche il dono e il dovere della sostituzione vicaria per tutti […] poiché l’Eucaristia è il compimento dell’unità della storia mondiale42. Evangelizzare non significa cercare di convertire, ma si tratta di «sanare le piaghe dell’altro in noi stessi»43 fino a sperimentare come propria l’esperienza che l’altro vive. Anche oggi è fondamentale saper vivere la sostituzione vicaria. Se portiamo tutti in noi e andiamo verso di lui in questo modo, l’umani-
LE, pp. 116-117. LE, p. 123. 43 K. HEMMERLE, Presupposti teologici per l’ingresso in una visione cattolica della mariologia, cit., p. 358. 41 42
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V. Aspetti teologici
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tà e la chiesa hanno già iniziato a essere uno. Questo significa vivere l’unità della storia; qui con la storia avviene qualcosa. Ma non possiamo farlo noi, è una cosa che solo Lui può fare. E tuttavia possiamo agire, pensare e partecipare alla storia in modo tutto diverso se in noi c’è questa realtà dell’Eucaristia44. Sul piano antropologico l’Eucaristia dilata l’io nel senso dell’apertura al tu, al lui, al noi, per cui possiamo vivere in maniera tale da condividere la vita e le esperienze degli altri fino a farle nostre e portarle dentro di noi. Hemmerle rilegge gli spunti della Scolastica alla luce dell’ontologia trinitaria. Cambia il punto di vista: l’affermazione anima est quodammodo omnia non si fonda sull’essenza dell’anima, ma sulla sostituzione vicaria che in certo modo rende presente nel singolo l’umanità. Se vivo l’Eucaristia così, se vivo la relazionalità così, allora ciò che è altro da me, ciò che sta fuori, non resta fuori ma è dentro. Quella meravigliosa ed elementare espressione di Aristotele e di Tommaso anima est quodammodo omnia è il fondamento per riconoscere che l’uomo come essere spirituale ha il dono di essere l’altro e le altre cose. Ciò che nel nostro essere spirituale è astratto si realizza concretamente se viviamo l’Eucaristia e facciamo venire gli altri verso di noi. Possiamo far venire verso di noi il loro destino, la loro vita, le loro esperienze, al punto che possiamo dire di queste cose “questo sono io”. In questo senso è decisivo che ogni singolo individuo si faccia totalità, che io mi faccia umanità45. In riferimento a Cristo e alla sostituzione vicaria attuata nel sacramento eucaristico, Hemmerle parla della realtà del corpo mistico delineando il concetto di persona eucaristica: Possiamo incontrarci solo se ognuno porta l’altro dentro di sé, e diventare così uomini che hanno dentro di sé il mondo con le sue necessità e interrogativi, con le diverse nazioni e le tensioni del mondo. Solo così vivo come persona eucaristica. Se nell’Eucaristia ci facciamo uno con Gesù Cristo che porta tutti dentro di sé, diventiamo uomini che portano dentro di sé l’unità della storia. 44 45
LE, p. 124. LE, p. 125.
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L’esperienza di Dio nell’unità
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Non abbiamo bisogno di una cultura di unità (Einheitskultur) nel senso che tutte le culture debbano livellarsi, ma abbiamo bisogno di una cultura dell’unità (Kultur der Einheit) in cui vivere la nostra personale cultura in maniera che sia dono per gli altri46. Questa prospettiva non propone un dialogo come convergenza tra culture, ma suggerisce un dialogo “dall’interno”, prendendo su di sé le varie culture. Si tratta di farsi carico delle lacerazioni delle chiese, delle religioni e dell’umanità per essere dono in tali situazioni: «vivere l’Eucaristia significa diventare l’uomo che porta il mondo dentro di sé»47. Dove viviamo l’Eucaristia e la realtà della communio, viene realizzata la presenza sociale di Cristo. Nell’Eucaristia ognuno è accolto e redento in Cristo, per cui «siamo posti in un’intima realtà di unità che né io né altri da soli potremmo mai realizzare»48. Cristo è «garanzia dell’andare verso l’altro nell’esperienza della reciprocità»49 e questa realtà, vista come confluire della storia e dell’umanità in Cristo, sussiste oltre le barriere della morte e della finitudine. Si apre la prospettiva della communio sanctorum alla luce della tradizione teologica orientale e occidentale. L’espressione greca koinonia ton hagion sottolinea che la comunione è nelle cose sante: il genitivo plurale ton hagion è interpretato dalla cristianità orientale in riferimento a ta hagia, cioè il Santo, il mistero di salvezza, e non in riferimento a hoi agioi, cioè i credenti santificati in Cristo. C’è una comunione nel mistero di salvezza. E questo mistero di salvezza è la carne di Cristo; è Cristo fatto uomo che si comunica a noi in maniera suprema nell’Eucaristia. […] In lui possiamo incontrare tutto il Dio trinitario e siamo introdotti nella vita di Dio. Quando ci comunichiamo eucaristicamente ci comunichiamo con Cristo e per lui col Padre e con lo Spirito; in lui ci comunichiamo simultaneamente con tutti coloro che credono, e in loro e in Cristo con coloro che sono dentro alla storia dell’umanità. Comunicarsi significa comunicare con tutta l’umanità e tutta la storia. Questa è la koinonia ton hagion. Noi siamo uno in questo mistero in cui c’è LE, p. 126. LE, p. 127. 48 WE, p. 236. 49 GD, p. 200. 46 47
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V. Aspetti teologici
tutta l’umanità. La formulazione latina communio sanctorum evidenzia che la comunione si realizza in Cristo tra coloro che sono santificati da lui. È unità che si attua sul piano esperienziale come communio di sostituzione vicaria, reale ed efficace communio con tutta la storia, con l’umanità di ogni epoca della storia. Ma se in questa realtà siamo una cosa sola con Lui, con l’essere di Dio e con l’essere dell’umanità, allora siamo uno gli uni con gli altri, e cioè tu a tu […] In quest’unità in Cristo si realizza un’unità a carattere personale tra coloro che sono in lui. E poiché sono in Cristo anche coloro che non sono in lui, poiché egli ha preso tutti con sé e in lui c’è già tutto, nella communio sanctorum viene contemporaneamente fondata la nostra comunione con tutta l’umanità. Credo nella comunione dei santi significa: credo in Gesù Cristo, credo che noi siamo in lui e lui in noi, e in tal modo siamo immersi nella vita trinitaria e la Trinità ci avvolge. Credo che qui c’è l’intera umanità. La communio sanctorum è il luogo in cui si attua l’unità della storia50. In ultima analisi, la communio sanctorum è l’esperienza della reciprocità vista dalla prospettiva del mistero di salvezza che unisce cielo e terra oltre le barriere spazio-temporali, mentre l’esperienza della reciprocità è attuazione della communio sanctorum sul piano esistenziale ed ecclesiale. C’è un forte legame tra esperienza dell’unità ed eucaristia: l’Eucaristia e i discorsi sull’unità che troviamo nei testi giovannei si rispecchiano. Entrando nel mistero eucaristico, «diventiamo unità, comunione, unico corpo in cui Gesù si offre al Padre per tutto il mondo, offriamo noi stessi e ogni cosa con lui e diventiamo dono reciproco l’uno per l’altro»51. Nel Dio trinitario scopriamo una nuova antropologia in cui la persona è mistero di donazione e kenosi, di relazione e comunione. La piena realizzazione avviene in Maria: in lei si legge la trasformazione del nostro io. Maria è questo “io” trasformato. Il concetto di “io” non significa più partire da me stesso, esistere per conto mio e restare nell’ambito di me, ma significa che la mia vita e il mio io diventano testimonianza di questo rapporto: Lui mi ama, eccomi, sono pronto. 50 51
LE, p. 122. LE, p. 101.
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L’esperienza di Dio nell’unità
A partire da questo io trasformato diviene possibile donarsi a tutti come fratelli e sorelle di Gesù, esistere per gli altri e guardare se il vino non sia finito durante le nozze: si attua qui la realtà del tu insieme al noi52. L’unità tra gli uomini ha per misura normativa la Trinità: «la Trinità diventa misura traboccante di quella vita dell’unità che il Figlio ha chiesto al Padre per noi»53.
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5. L’EUCARISTIA E L’ONTOLOGIA TRINITARIA La riflessione sull’Eucaristia mette in luce la realtà di dono che lega natura, essere, vita dell’uomo e delle cose. Nell’Eucaristia è assunta la realtà dell’essere e della creazione, della materialità e della sostanzialità poiché Cristo stesso si fa res e inscrive nella realtà sacramentale l’unità dell’essere e l’unità tra uomo, Dio e tutti gli enti. Il mistero trinitario svela il senso eucaristico dell’essere. Quell’intimo dono intradivino dello Spirito che fonda e genera l’unità non trova in nessun altro luogo espressione più alta e totale, un’azione più ricca e conglobante che nell’Eucaristia. Ciò che avviene tra Padre e Figlio, tra Figlio e Padre nello Spirito e in quanto Spirito diventa comunicabile a noi, si esprime, vive, diventa davvero res, perfetta attuazione dell’essere-dono di tutto il creato nell’Eucaristia. Nello Spirito Santo il Figlio ha fatto suo tutto quanto è umano, potremmo dire tutto quanto c’è di creaturale, per donarci in questa realtà se stesso e tutto il divino. Egli si è fatto uno in maniera così totale con quanto è nostro, si è talmente fatto noi nella sua natura umana unica e singolare, da donare al Padre simultaneamente tutta l’umanità, la creazione, la vita e la morte di ognuno di noi. L’assunzione dell’umano mediante Dio e del divino mediante l’uomo, un dono che verso l’esterno elargisce e verso l’interno glorifica e si immola, questo evento unico e singolare di Incarnazione, morte e resurrezione che avvolge la creazione e la storia, è presente nella singolarità del suo carattere 52 53
LE, p. 165. VT, p. 119.
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V. Aspetti teologici
di evento e nella forma che rimane e mai si consuma: nell’Eucaristia, come Eucaristia54.
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L’Eucaristia rende visibile «la novità di un’ontologia, di una comprensione dell’essere che scaturisca dalla visione trinitaria dell’essere» e che si palesa «in questa realtà che rende uno la creazione»55. Nell’Eucaristia l’essere del Dio trinitario si lascia esperire in modo tangibile. Gesù è totalmente presente nell’Eucaristia come Dio e come uomo, con la carne e il sangue, come unità del corpo fatto da molte membra che siamo noi, come totalità di umanità e cosmo che è stata assunta. Egli è tutto questo, egli è qui. E in questo essere ed esserci sono presenti Padre e Figlio in forza del reciproco circondarsi delle divine Persone, in forza della pericoresi. Questo essere non dipende da noi ma ci viene dato in maniera ineguagliabile e indistruttibile. L’essere nella sua consistenza difficilmente si lascia esperire in altro luogo con altrettanta densità e spessore come nell’Eucaristia56. Sul piano ontico, nell’Eucaristia convergono le linee degli enti poiché Cristo ricapitola in sé tutte le cose e le consegna al Padre. L’Eucaristia esprime l’attuazione e la perfezione ontologica di ogni ente nel senso della sussistenza in Cristo. L’Eucaristia apre un’illuminante prospettiva sul piano ontico e ontologico: è l’ontologia trinitaria significata, resa visibile e attuata sacramentalmente. Allo Spirito è “riuscito” nell’Eucaristia di scrivere e creare la sintesi che esprime la globalità del rapportarci con Dio, con la creazione e l’umanità. Tutte le linee dell’essere della creatura e della creazione si congiungono nell’Eucaristia. Solo partendo da essa si può leggere dove tendono tutte le cose, che cosa sono tutte le cose, secondo la loro disposizione già ora, secondo la loro perfezione poi, quando il Figlio porrà se stesso e ogni cosa nelle mani del Padre e Dio sarà tutto in tutti. A ben comprendere, la più alta dignità della creazione, la più alta vocazione di tutte le cose, LE, p. 101. LE, p. 102. 56 LE, p. 103.
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L’esperienza di Dio nell’unità
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è diventare materia e sostanza per l’Eucaristia; il senso di ciò che avviene nella storia con le cose e con la creazione è l’offertorio da cui derivano e si sviluppano la consacrazione e la comunione che si attuano escatologicamente57. Nell’Eucaristia trovano soluzione tre relazioni fondamentali per comprendere l’essere: il rapporto tra essere e funzione, tra scomparire e rimanere, tra consumare e adorare. Nell’ontologia classica c’è una netta distinzione tra essere e funzione: una cosa è l’essere, impassibile nel permanere della sostanza identica a sé, altra cosa è la funzione accidentale subordinata alla sostanzialità. Nel percorso che va dalla Sofistica all’empirismo moderno, l’essere scompare a vantaggio di funzionalità e usufruibilità. Nell’Eucaristia avviene un’integrazione reciproca tra essere e funzione perché la pienezza dell’essere si esprime nella kenosi del dono, cioè nella funzione, e la funzione ha spessore ontologico poiché in essa l’essere si dona e si rende esperibile. L’essere è donarsi. Tutto in Gesù, tutto del suo essere e dell’essere presente nell’Eucaristia è un gesto di dono verso di noi. Dobbiamo poter vivere di lui. Egli non ha sprecato se stesso entrando nella funzione con tutto il suo essere. La contrapposizione tra pensiero ontologico e pensiero funzionale viene superata: tutto è funzione e tutto è essere. Sì, l’essere e la funzione sono uno nell’amore, sono una cosa sola in quanto amore. L’amore è servizio e non si degrada nel farsi servo. Al contrario: l’autodegradazione costituisce la sua dignità e la sua identità. La sostanzialità dell’essere inteso come amore è dono. In questo senso è valida l’affermazione: l’essere e la funzione sono un’unica cosa58. L’Eucaristia è sigillo sacramentale dell’ontologia dell’amore, poiché esprime l’essere che si dona per amore entrando nella funzione, che acquista valore ontologico. Un’importante affermazione sull’Eucaristia getta luce sulla realtà degli enti evidenziandone la sussistenza pericoretica:
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LE, p. 102. LE, p. 104.
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V. Aspetti teologici
L’Eucaristia è il legame di fondo e l’interconnessione di tutto ciò che esiste in quell’unico amore in cui il Signore nel suo donarsi in croce si è dato a tutto e ha assunto tutto in sé come proprio59. L’episodio della lavanda dei piedi riportato dal quarto Vangelo
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vela e rivela insieme quanto avviene nell’Ultima Cena […] La sua peculiarità è nel non essere un sacramento diverso dall’Eucaristia: l’essere più intimo e più profondo di Dio. L’essere di Dio che si dona fino al punto estremo è amore, e questo amore ha la forma del servire che si spoglia di sé, cioè della funzione60. L’essere si attua nel saper perdere e il rimanere nello scomparire. Nell’Eucaristia c’è l’evento che tutto unisce, il mistero pasquale che compie e mette in luce l’Incarnazione; qui è presente il Signore vivente come centro personale e completamento dell’intera creazione. L’esserci e il permanere della persona del Signore della Pasqua sono fondati nel dono della morte e dunque nello scomparire di Gesù. Il suo dono è amore e solo l’amore “è”. E poiché l’amore è, il mistero pasquale guida attraverso la morte alla vita che rimane. La presenza permanente del sacrificio di Gesù nell’Eucaristia, il suo darsi in essa a noi, la sua presenza personale nel sacramento si palesano solo a partire da quell’ontologia in cui scomparire significa rimanere, rimanere significa scomparire ed entrambi non significano nient’altro che l’essere è amore e l’amore è essere61. Questo si riflette nella creazione con profonde conseguenze: «la creazione rimane solo in quanto è impresso in lei in maniera sempre nuova il segno della caducità»62. Il disorientamento davanti alla finitudine può aprirsi alla speranza considerando che nella finitudine entra in gioco ciò che rimane. È importante precisare che «non esiste un’ontologia dell’amore già compiuta: essa può attuarsi solo in quanto noi la facciamo attuare, testimoniando in maniera sempre nuova la Ibid. Ibid. 61 LE, p. 105. 62 LE, pp. 105-106. 59 60
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L’esperienza di Dio nell’unità
sua plausibilità nel coraggio di scomparire per amore»63. L’Eucaristia esprime questa realtà e questo coraggio. Hemmerle reinterpreta le immagini tradizionali del sacrificio e del banchetto alla luce dell’amore:
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Nel sacrificio viene dato via quello che è mio, viene annullato perché rinasca in te e a partire da te, perché il sacrificio è per te. Quello che ho e che è mio deve essere tuo, deve essere ciò in cui tu rinasci […] Banchetto significa cibarsi della stessa realtà perché in noi possa vivere e rinascere quella stessa realtà come gioia e forza della nostra vita, come realtà preziosa in noi e nella nostra comunione reciproca64. La dimensione sacrificale si trasforma in kenosi che costruisce la comunione. Nell’Eucaristia dove il consumarsi si fonde con l’adorare e il sacrificio con il banchetto riscopriamo che la realtà della reciprocità e del dono continuo di sé è il significato e l’unità della creazione. 6. IL BATTESIMO E LA VITA TRINITARIA «Essere in Cristo (Sein-in-Christus): è la nuova modalità di esistenza in cui la persona inserisce se stesso e il suo mondo»65. Mentre per Heidegger l’esistenza è stare fuori e si attua nell’essere-nel-mondo ed essere-con-altri, nell’antropologia trinitaria l’esistenza è Sein-in-Christus. Esperienza di Dio significa esperire in Cristo e con Cristo il nuovo modo di esistere in rapporto col mondo, con se stessi e con la storia. L’esperienza di Dio non si effettua a partire da noi che camminiamo come singoli su strade parallele, ma si effettua tra noi, a partire da Colui che si fa presente in mezzo a noi. Essere in Cristo significa restare nell’amore reciproco: una realtà che fonda l’unità tra gli uomini come henosis, essere una cosa sola nel ritmo del darsi: L’essere in Cristo non solo apre a noi l’accesso alla vita trinitaria, ma apre anche tra noi, nella realtà del mondo un rapporto trinitario. È tra noi che il “come” di Giovanni entra in gioco: dobbiamo LE, p. 107. LE, p. 108. 65 Ibid. 63 64
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V. Aspetti teologici
amarci reciprocamente come Gesù ci ha amati, essere una cosa sola nella reciprocità, come Lui e il Padre sono una cosa sola66.
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L’esperienza dell’unità è una realtà universale che tutti gli uomini possono vivere: si può vivere l’amore reciproco anche a prescindere da una posizione di fede, ma questo non si sostituisce all’esperienza di fede o all’orientamento a Cristo, perché il fondamento dell’unità è il Dio trinitario. Nella sacramentalità del battesimo l’immersione nel Dio trinitario viene attuata in modo indelebile: Questa nuova vita che di fatto è già presente in noi dal battesimo è spesso nascosta. Conosciamo questo Dio che è Padre e Figlio a partire dal suo intimo? È veramente il nostro spazio vitale? Con il battesimo Dio è lo spazio in cui noi veniamo immersi: io ti battezzo, io ti immergo nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo. Il battesimo fa capire chiaramente a ognuno: tu vieni fatto entrare nel fondamento e nella ragione della tua vita, nello spazio delle relazioni divine che esiste eternamente, ti si apre e diviene tuo in Gesù Cristo. Questo è il contenuto peculiare del battesimo67. L’immersione battesimale nella vita trinitaria è un dono di grazia che rende possibile il vivere a partire dall’unità: l’identità individuale è inserita nella vita trinitaria, perché nell’ordine della grazia «io sono un individuo unito con Dio, con me stesso e col mio prossimo a partire dall’unità del Padre del Figlio e dello Spirito Santo»68. Per vivere «il percorso in cui mi calo e mi immedesimo nel battesimo del mio tempo e della mia vita» Hemmerle invita ad affidarsi a Dio, a vivere la Parola, essere uno grazie allo Spirito. Affidarsi a Dio significa scoprirsi figli nel Figlio: Il Padre mi ha dato tutto, ha preso in sé tutto ciò che è mio in Gesù. Posso così mettere tutto nelle mani del Padre in maniera sempre nuova e lo riceverò dalle mani del Padre completamente trasformato, intimamente diverso. […] Proprio quando la affido a lui e so che ogni cosa è cosa sua, posso fare anch’io la mia parte. Diversamente Dio rimane un tappabuchi che fa quello che non Ibid. LE, p. 37. 68 PG, p. 92. 66 67
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L’esperienza di Dio nell’unità
posso fare; ma Dio è tutto in ogni cosa! La nostra maturità di uomini si fonda con la maturità del bambino evangelico che lascia tutto al Padre. Così nei confronti della realtà che viviamo l’invocazione “Abbà, Padre!” diventa l’intimo moto fondamentale del nostro cuore69.
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È una nuova presenza di Dio nella storia. Noi viviamo la Trinità e quello che nasce da questa vita è la sua presenza autentica, il suo testimoniarsi da sé. Dio vuole nascere e può nascere in mezzo a noi: il nostro amore che non cerca altro che lui tra l’altra persona e me, purifica la nostra comunione e la nostra identità tanto da renderle aperte e trasparenti per Dio stesso. Rimanere in Dio significa rimanere nell’amore, donare nient’altro che questo amore nello spazio del rapporto reciproco70. Si fa esperienza di un Dio radicalmente diverso da quello filosofico o della religiosità naturale: Ci viene incontro un altro Dio, un altro Dio rispetto a quello che solitario sta al vertice di tutto e distribuisce soltanto comandi o favori. Un altro Dio rispetto a quello che si trova al di là della linea di incrocio di ogni esperienza, che non è afferrabile in nessun luogo e di cui non sappiamo nulla di preciso. Un altro Dio rispetto a quello che alla fine serve come formula che spiega e giustifica tutto ciò che accade. Un altro Dio certamente rispetto a quello che viene stimato come ciò che c’è di più grande, ma che resta chiuso nella sua ineffabilità. Come è diverso questo Dio! È un Dio che mi abbraccia completamente. Il dire “credo all’amore! eccomi! Sono pronto! Lui mi ama!” sono incastonati e intrecciati, resi possibili e fondati nel rapporto vivo tra Padre e Figlio71. L’aspetto esperienziale porta ad evidenziare la grazia che rende possibile la risposta. Nel credere all’amore di Dio, «vivo come vive il Figlio col Padre. Vivo l’esperienza di Colui che nel battesimo nel Giordano e sul monte Tabor si sente dire “Questi è il mio figlio LE, p. 67. LE, p. 93. 71 LE, p. 37. 69 70
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V. Aspetti teologici
prediletto”»72. L’immersione battesimale nella Trinità si rinnova ogni attimo se si ricerca nel Dio trinitario la nostra dimora.
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Lasciamoci incastonare in questa vita: allora oltre al Padre e al Figlio ci si manifesterà anche un’altra Persona. Ci immergiamo in un’atmosfera di vita che non può essere posta da noi né costruita successivamente. Ci tuffiamo nello Spirito Santo e improvvisamente comprendiamo che «Nessuno può dire Gesù è il Signore se non sotto l’azione dello Spirito Santo». E nessuno può dire a Dio «Abbà, Padre!» se non nello Spirito che in noi grida «Abbà, Padre!»73.
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LE, p. 35. LE, p. 37.
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VI.
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Gesù Crocifisso e Abbandonato
Se dovessi dire soltanto un’unica cosa, se dovessi parlare di una cosa soltanto, se dovessi vivere soltanto una cosa e guardare soltanto a quella, quest’unica cosa sarebbe la sua croce. Questo è il luogo in cui lui si è fatto vicino a noi fino all’abbandono di Dio. In tal modo Dio diventa tutto in ogni cosa1. Il mistero di Gesù Crocifisso e Abbandonato è un punto nodale che emerge negli scritti a carattere teologico, antropologico, filosofico e nella produzione artistica di Hemmerle. In prospettiva staurologica la teologia di Hemmerle «si rivela non solo come speculazione teologica ma come relecture carismatica della storia della salvezza che porta allo specifico del cristianesimo»2. La croce è culmine della Rivelazione e fondamento dell’esperienza dell’unità. Se vogliamo parlare di unità e della vita trinitaria la croce è dunque il punto nodale. Soltanto là dove egli ha preso dentro di sé ogni singolo individuo, dove non c’è nulla che resti fuori dal suo dolore e dalla trasformazione di questo dolore in amore puro, solo là può esserci unità3. Parlare della croce per Hemmerle non implica solo il piano della riflessione, ma significa toccare la realtà che costituisce la sintesi della sua vita e della sua esperienza di Dio. Sin da ragazzo egli si è trovato a riflettere sull’abbandono4, un mistero che fa parte del patrimonio LE, p. 136. A. FRICK, Der dreieine Gott, cit., p. 71. 3 LE, p. 136. 4 Cf. W. BADER - W. HAGEMANN, Klaus Hemmerle, cit., pp. 32-34. A quindici anni Hemmerle compone un racconto in cui un giovane sacerdote si confronta con il grido di abbandono di Gesù. 1
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VI. Gesù Crocifisso e Abbandonato
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fondamentale della fede e che viene scoperto in modo nuovo nell’incontro con il carisma dell’unità. Nella luce di tale carisma egli fornisce un prezioso contributo per l’approfondimento: questa è «fino a oggi in lingua tedesca l’unica utilizzazione e contestualizzazione a livello teologico di questa comprensione dell’abbandono di Gesù»5. In questo capitolo abbiamo scelto alcuni fili conduttori: i testi evangelici letti nella prospettiva del Deus semper maior, Gesù Abbandonato rivelazione di Dio e dell’uomo, Gesù Abbandonato come «punto geometrico», Gesù Abbandonato chiave dell’esperienza dell’unità. 1. NEL CUORE DELLA RIVELAZIONE Alla luce degli scritti neotestamentari Hemmerle mette in rilievo il mistero dell’abbandono, definito come «ciò che nel vangelo è tipicamente evangelico»6. Nei Sinottici la croce è lo sfondo della vita di Gesù. In Lc 23, 46 le parole «Padre, nelle tue mani consegno il mio Spirito» » testimoniano il motivo portante della teologia dell’evangelista: Gesù «entra dentro alla lontananza estrema, trasforma tutto in obbedienza e dono, e questo avviene nella più grande fiducia nella misericordia di Dio». La lontananza vissuta da Gesù e donata come amore obbediente fa spazio all’agire del Dio di misericordia che trasforma il no dell’uomo nel sì totale. Così «il vangelo che inizia con il sì di Maria, si conclude con questo sì, con l’obbedienza del Figlio che si dona nelle mani del Padre»7. In Marco il grido dell’abbandono è riportato in aramaico come logion autentico. Cristo scende «nella massima profondità, nella massima distanza da Dio, giunge nell’esperienza della lontananza da Dio». Un mistero abissale che rivela «la logica interna dell’amore che Dio stesso è. In questa logica non esiste nulla di più divino dell’abbandono di Dio. È la più grande espressione dell’amore, il massimo dell’amore, il massimo del divino»8. Hemmerle confida: «l’approfondimento della teologia della croce giovannea è stato per me commovente». Tre parole greche – meizon, telos, hypsoun – sono chiave ermeneutica. In Gv 15, 13 troviamo la parola meizon (più A. FRICK, Der dreieine Gott, cit., p. 71. LE, p. 141. 7 LE, p. 150. 8 LE, p. 151.
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L’esperienza di Dio nell’unità
grande): «Nessuno ha amore più grande di colui che dà la vita per gli amici». Dio è la realtà più grande che si possa pensare: mistero dell’abbandono e Deus semper maior sono un’unica realtà. Con rapidi cenni Hemmerle ripercorre la filosofia evidenziando negli autori il tendere dell’uomo a qualcosa di più grande9. L’istanza dell’uomo si incontra con l’offerta di Dio di un amore più grande (oltre ai sinottici, Hemmerle cita Gv 13, 1; 15, 13; Rm 8, 32; 1 Cor 3, 21-23; Mc 9, 33-36; 10, 41-45): amore che ama fino alla fine e si rivela nell’abbandono. La seconda parola-chiave è telos (fine), cui si collegano i verbi telein (finire, portare avanti fino alla fine) e telejoun (attuare in modo completo e perfetto). L’espressione «li amò fino alla fine», eis to telos, all’inizio del racconto della Passione, è in relazione con l’ultima parola «tutto è compiuto», tetelestai, perché l’amore è arrivato al punto estremo. Il Padre affida a Gesù la comunicazione di questo amore, l’agire di questo amore fino al punto ultimo. Solo partendo da qui nasce la perfezione, il fatto che il Padre e il Figlio siano perfetti telejoun nell’unità. Qui si manifesta l’intima interconnessione della teologia della croce in Giovanni: l’amore va fino alla fine e questo si realizza nella croce. Così si attua quell’unità in cui si fa tutto quello che è opera di Dio, cioè l’amore fino al punto estremo10. La terza parola-chiave approfondisce la dimensione trinitaria: hypsoun (innalzamento) correlato alla glorificazione reciproca di Padre e Figlio attraverso la croce. Cristo entra dentro al destino degli uomini, e in questa impotenza, in quanto lui stesso fallisce, viene glorificato donandoci la partecipazione alla sua gloria. Gesù […] muore come colui che accetta la sua impotenza facendosi uno con la nostra impotenza, e in questo riceve la gloria donata dal Padre e la dona a noi. Questa 9 Hemmerle evidenzia che questa tensione si esprime in Tommaso con l’assioma Anima est quodammodo omnia e in Agostino con Il nostro cuore è inquieto finchè non riposa in te. Anche in Kant «la speculazione teoretica riconosce che ogni concetto tende a qualcosa di più grande, all’idea di Dio che tutto abbraccia e trascende». Per Lessing l’essenza dell’uomo è nell’inquietudine che lo spinge verso la verità sempre più grande; per Pascal l’homme passe infinitement l’homme, cf. WE, pp. 221-222. 10 LE, p. 144.
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VI. Gesù Crocifisso e Abbandonato
è la dimensione basilare della teologia paolina che fonda anche il principio della giustificazione11.
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Nel quarto Vangelo i logia «ho sete» » e «tutto è compiuto» » vengono letti alla luce della consegna dello Spirito (Gv 19, 30). Come noto, nel testo giovanneo esiste un’evidente simbologia dell’acqua (cf. Gv 4; 7, 37-39). I «fiumi di acqua viva» scaturiscono dal dono dello Spirito che avviene in croce: Cristo patisce la sete dello Spirito, ne sperimenta la privazione per consegnarlo a noi. Ma in che cosa consiste questo amore fino al punto estremo? Egli che possiede lo Spirito in pienezza, dona lo Spirito. Egli dona ciò che lo lega al Padre in maniera tale da patire realmente la sete lui stesso. […] Questa è la prima cosa che il Risorto fa dopo la Resurrezione: comunica lo Spirito che ha consegnato al Padre e che ha ricevuto dal Padre di nuovo. Gesù dona l’esperienza del suo essere compenetrato dallo Spirito. Egli dona se stesso nella solidarietà con la nostra mancanza di Spirito Santo, con il nostroesser-privati-dallo-Spirito, donandosi in questa sete estrema, in questa impotenza radicale, in questa estrema e minacciosa aridità. Così è andato fino alla fine, fin dove siamo noi, come chi ha sete, come chi ha bisogno lui stesso dello Spirito12. L’amore che si dona nella privazione dello Spirito si esprime nei testi paolini al farsi maledizione e peccato per liberare e giustificare l’uomo. In Fil 2, 6-8 Cristo si svuota di sé e arriva nel punto più basso della finitudine fino a coprire la verticale della distanza tra Dio e l’uomo: Fa parte del paradosso della croce il fatto che siamo forti attraverso la debolezza, che siamo nella pace attraverso il peccato e la maledizione, e il fatto che lui ha realmente fatto buone tutte le cose. Secondo la prospettiva paolina nella croce si realizza l’unità. Lui ha assunto in sé e sopportato ogni separazione, ha infranto ciò che separa l’uomo da Dio e separa l’uomo dall’uomo. Questa è la teologia della croce della lettera agli Efesini, in cui Cristo è nostra pace, pace dei lontani e dei vicini e nell’unità della Chiesa 11 12
LE, p. 145. LE, p. 151.
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L’esperienza di Dio nell’unità
che cresce attraverso la croce, il segno distintivo di questa realtà è che è già iniziata la fine e il compimento della storia13. 2. L’ABBANDONO:
UN’EPIFANIA DEL VOLTO DI
DIO
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Nel corso dei secoli nella riflessione sulla croce l’aspetto salvifico è sempre emerso, mentre l’aspetto rivelativo non sempre è stato messo a fuoco. Hemmerle considera l’abbandono come epifania del volto di Dio, rivelazione completa e definitiva del Deus semper maior. Di fatto non esiste altro accesso a Dio, alla vita di Dio che si è comunicata totalmente in noi se non lui solo, Gesù Crocifisso e Abbandonato. Egli è l’insuperabile epifania di Dio. Il Dio che si è manifestato a noi attraverso Cristo è questo e nessun altro. Gesù Crocifisso e Abbandonato è l’Emmanuele, il Dio con noi e per noi14. Non si può pensare Dio come massimo assoluto se non lo si pensa come massimo dell’amore, cioè capacità di farsi minimo per amore. Il Dio pensato solo come massimo sarebbe troppo piccolo per riempire l’estrema solitudine e l’aspirazione profonda del cuore umano. Il Dio del massimo amore, il Dio della donazione nuziale, placa l’anelito del cuore umano al magis liberandolo dalla sua autosufficienza15. Nello stile fenomenologico dell’accogliere ciò che si manifesta egli volge lo sguardo alla croce come Ereignis, evento del mistero trinitario. Una prospettiva in cui aspetto rivelativo e aspetto esperienziale coincidono: «l’incontro con Cristo Crocifisso e Abbandonato è il luogo insostituibile in cui la vita trinitaria si rivela e si apre alla nostra vita»16. Per introdurci all’aspetto rivelativo può essere utile una meditazione che ha il colore del colloquio intimo:
LE, p. 148. WE, p. 234. 15 WE, p. 232. 16 LE, p. 153. 13 14
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VI. Gesù Crocifisso e Abbandonato
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Gesù, tu non solo ci hai donato una nuova immagine di Dio, in te Dio si è rivelato a noi in modo nuovo, in te Dio ci è apparso come è realmente. E così tutto è nuovo, anche il mondo è nuovo. Ma dove trovo in te il nuovo Dio e il nuovo mondo? Dov’è che diventa presente per opera tua e in te in mezzo a questo mondo, l’enorme mistero di Dio? Tu mi indichi la croce, tu mi indichi la tua ferita, tu mi conduci al grido del tuo abbandono da parte di Dio e al gran passo del tuo sacrificio che ti introduce nella gloria del Padre e ti rende presente in mezzo a noi come il glorificato; tu ci conduci nel mistero pasquale17. In una poesia Hemmerle usa l’efficace espressione «luce inchiodata»: Oh, una luce coi chiodi! / Così un bambino davanti al cero pasquale / I chiodi li sentiamo / Ma la luce la vediamo? E noi siamo luce? / Noi siamo inchiodati: / a noi stessi e agli altri / al nostro tempo e alle nostre responsabilità / Uno si è lasciato inchiodare alla nostra croce / E da essa non è sceso / Inchiodato sino alla morte / In questo modo è divenuto la luce / luce che penetra attraverso le porte chiuse / Egli è risorto / e mostra i segni dei chiodi / Luce inchiodata / I chiodi li sentiamo / Ma la luce la vediamo? E noi siamo luce18? È importante precisare che l’aspetto rivelativo riguarda tutta la Trinità e non solo la persona Christi: Il luogo in cui la Trinità si manifesta e si rivela a noi è la croce. Là ci viene donato tutto l’amore del Padre, là il Figlio nel modo più radicale dice il suo sì al Padre dall’interno dell’esistenza umana. Là egli è Parola completamente dispiegata in cui dice a noi tutto ciò che ha da dirci del Padre e dice al Padre tutto ciò che ha da dirgli di noi. Là egli dice a noi e al Padre l’amore totale nel suo infinito sì. È il luogo dove lui consegna lo Spirito nelle mani del Padre donandolo a noi, perché possa riversarsi in noi. Là il cielo
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GZ, p. 93. GZ, p. 104.
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L’esperienza di Dio nell’unità
chiuso si apre, siamo presi dentro questo cielo e il cielo scende in mezzo a noi19.
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Nella realtà dell’Abbandonato l’uomo cade in adorazione davanti al Deus semper maior: «l’incontro con Cristo abbandonato diventa ciò che ogni giorno ci spinge alla più grande, abissale e stupita adorazione e ammirazione dell’amore di Dio»20. Non può esistere una più alta comunicazione di sé, un diffondersi più totale di quello della vita trinitaria: Dio si comunica come Dio in se stesso in modo così perfetto che il Padre ritrova sé nel Figlio, e Padre e Figlio si ritrovano nello Spirito, in quell’amore divino, unico e indivisibile che è Dio stesso. Soltanto qui l’uomo ha raggiunto ciò di cui non si può pensare nulla di più grande, ma lo raggiunge solo in quanto l’amore trinitario raggiunge lui, si comunica e si dona a lui21. È il punto in cui ci viene incontro l’amore più grande, un amore che ci raggiunge lì dove siamo. Questo è il punto dove possiamo scoprire il mistero di Gesù che ci ha amato fino al punto di condividere con noi e portare per noi tutti i dolori della separazione da Dio, della lontananza da Dio, dell’abbandono di Dio. È il punto unico in cui le vie del Dio trino e le vie dell’umanità si incrociano e si uniscono22. Nell’abbandono Gesù ci dona il suo rapporto col Padre23: In lui ci viene incontro l’amore di Dio fino al punto estremo e al punto più basso dove noi e il mondo rischiamo di cadere, nel distacco da Dio. Riconoscerlo e amarlo significa entrare totalmente nel suo amore e nella vita col Padre nello Spirito Santo, accoLE, p. 135. LE, p. 153. 21 WE, p. 224. 22 WE, p. 225. 23 Nella Salvifici Doloris si afferma che le parole dell’abbandono «nascono sul piano dell’inseparabile unione del Padre col Figlio» (GIOVANNI PAOLO II, Lettera Apostolica Salvifici Doloris, 18 [18.02.1984], in EV 9, 650). Per approfondimenti cf. A. PELLI, L’abbandono di Gesù e il mistero di Dio uno e trino, Roma 1995. 19 20
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VI. Gesù Crocifisso e Abbandonato
gliendo nella vita il suo essere, il mondo, le miserie e gli abissi per trasformare tutto ciò nel suo amore24.
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Il mistero pasquale è espressione dell’amore di Dio che tutto abbraccia: «è l’amore più grande ed è la conseguenza più totale del regno di Dio, poiché Dio stesso irrompe dalla periferia al centro, si dona nel centro della nostra vita»25. Nell’abbandono si realizza il Regno di Dio: Dove Dio deve diventare tutto in tutto, dove nasce il suo regno, dove deve diventare lui il centro attivo della vita e della storia, là si offre la croce come follia e scandalo perché in essa Dio si renda visibile, lui che è il solo sapiente e il solo potente. Questo non avviene togliendo all’uomo ciò che è suo, ma nella grandezza dell’amore che chiama l’uomo a lasciare se stesso, la sua sapienza, le sue capacità e aspettative, per crescere nella grandezza del Dio che ama e che dona. Il Dio che si fa debolezza e follia nella croce di Cristo è il Dio sempre più grande e più divino26. In Cristo il regno di Dio è presente «nella realtà più interna e più esterna, nel totale abbandono del cuore umano a partire dalla situazione di lontananza da Dio, di abisso, di morte». Il sì di Gesù alla volontà del Padre è l’irrompere del regno di Dio: in Gesù Crocifisso e Abbandonato «Dio arriva nel punto della creazione più lontano da Dio e si carica del peso e dell’abbandono di tutto il mondo prendendo su di sé tutta la storia dell’umanità»27. Il Deus semper maior si rivela nell’intreccio tra la logica della croce che lascia essere solo Dio come colui che è grande e nel dolore contiene, ripete e rispecchia la grandezza di Dio e una logica dell’integrazione che crea unità a livello universale attraverso il patire di Cristo che sostiene la storia umana e la realtà della creazione. La prima è una logica verso il Padre: lui solo deve essere grande, in lui solo dimorano il significato e la pienezza. La seconda è una logica che proviene dal Padre: la sua
WE, p. 226. GW, p. 79. 26 GW, p. 82. 27 GW, p. 84. 24 25
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L’esperienza di Dio nell’unità
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volontà che tutto unifica, raduna, lega insieme diventa efficace in quanto il tutto viene patito e redento28. La croce è vertice dell’esperienza di Dio nel senso del genitivo soggettivo e oggettivo: è esperienza che il Verbo di Dio fa della realtà creaturale integrandola e trasformandola in nuova creazione, ed è esperienza che l’uomo fa di Dio nella sua rivelazione. Nell’abbandono si compie l’Incarnazione, poiché Cristo scende nell’esperienza umana vivendo le conseguenze della separazione da Dio: «Dio è andato in Gesù proprio là dove Dio non c’è più, Dio ha fatto sua in Gesù l’assenza di Dio degli uomini; il suo amore va fino al punto che, per parlare con Paolo, si fa maledizione e peccato»29. Ma poiché getta nel cuore del Padre il no, l’esperienza umana ne viene illuminata: Cristo si è fatto peccato per noi. È andato là dove in lui non c’è più nient’altro che il no, dove non fa esperienza di nient’altro che di questo no: ma per amore, egli prende su di sé questo no e lo getta nel cuore del Padre: così avviene il superamento del no per mezzo del sì. Ciò che ci separa da Dio diventa ciò che ci unisce con Dio, la conseguenza del contro-Dio diventa qui un puro perDio, qui tutto viene trasformato in amore puro. Questo si realizza nella croce, non è teoria, ma è Lui30. Così Dio si manifesta come Signore della creazione e della storia: l’atto della più umile obbedienza al Padre è atto del massimo amore reciproco tra Padre e Figlio e atto del loro amore nei confronti dell’umanità. Il Figlio dice al Padre nella nostra carne: “solo Tu”. Al Figlio che si carica di tutto il Padre dona tutto: dona a lui la possibilità di attuare nella sua umanità l’inizio della nuova creazione. Il Padre e il Figlio ci donano insieme quell’amore di cui non può esistere nulla di più grande, l’amore che porta tutto il nostro carico, l’amore che dalla lontananza ci fa entrare nella vicinanza e nella comunione con Dio. È l’amore che il Padre e il Figlio si donano reciprocamente come Spirito Santo, affinchè nell’amore che è stato riversato nei nostri cuori, nella fede nell’atGW, p. 83. UL, p. 304. 30 LE, pp. 147-148. 28 29
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VI. Gesù Crocifisso e Abbandonato
to redentivo di Gesù possiamo trasformare pezzo per pezzo la nostra vita e la storia31. 3. L’ABBANDONO:
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UN PUNTO GEOMETRICO
L’abbandono di Gesù è una sorta di vertice geometrico della storia e dell’esperienza umana, e a livello ontologico e teologico ha una centralità tale da essere paragonato al punto geometrico. È il punto di incontro tra l’esperienza umana e divina, il punto più alto e più basso. Hemmerle lo spiega ricorrendo a una luminosa intuizione di Bonaventura: Non esiste un punto dell’esperienza che si trovi più in basso e più in profondità nella storia umana di quello dell’abbandono radicale sulla croce. Bonaventura lo ha espresso una volta molto bene, riflettendo su Gesù Cristo come centro della geometria (cf. Hexaemeron, I, 21-24). Egli diceva: la vera geometria è fondata sulla croce. Esiste infatti un punto nello spazio in cui tutte le linee convergono e a partire dal quale si uniscono: è il punto più basso a partire dal quale soltanto viene plasmato lo spazio infinito. Questo punto è l’abbandono in croce di Gesù. Nulla nel senso umano di spazio può essere più in basso e più profondo di questa lontananza di Dio da Dio nell’abbandono umano di Dio32. Questo punto, espressione dell’ontologia dell’amore, è un punto spaziale non solo in senso geometrico, ma anche fisico. È il punto più basso in cui il Dio Altissimo scende percorrendo una linea verticale: in tale verticalità viene tracciato lo spazio dell’esperienza umana assunta da Dio e dell’esperienza di Dio resa accessibile all’uomo. Così il punto più basso viene riempito dalla realtà di Dio diventando ontologicamente pieno. Lo spazio fisico, lo spazio esistenziale ed esperienziale vengono plasmati nel punto più basso che diventa il punto più alto perché è il punto del dono di Dio. Le linee dell’esperienza trovano
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GW, p. 85. LE, p. 119.
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L’esperienza di Dio nell’unità
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convergenza in Dio, ma paradossalmente il vertice di questo poliedro non è verso l’alto ma verso il basso. Per meglio dire, il vertice è nell’alto che si dona nel punto più basso. Attraverso la donazione kenotica di Cristo il punto più basso viene assunto nella realtà intratrinitaria divenendo il più alto. In questo punto c’è l’integrazione ontologica di ogni cosa, che trasformata dall’amore viene attuata perfettamente in sé e viene fatta entrare in Dio. Si può parlare dell’abbandono come del centro geometrico: ma l’analogia geometrica è superata perché il centro si dona nel suo intorno, si dona alla periferia e assume la periferia dentro di sé: Pasqua è la prova che il centro si fa periferia: non vi si eclissa, non si perde, ma fa dono di sé alla periferia, si fa incontro alla periferia, se ne carica, rivelando così in modo splendido la propria natura di centro. Ora non c’è più alcun punto della periferia che non sia pervaso e colmato dal centro33. Nella compenetrazione tra periferia e centro si realizza la prospettiva di 1 Cor 15, 28 ta panta en pasin. In questa logica l’abbandono «diventa la più grande teofania, poiché Cristo è tutto in tutto solo là dove è tutto nel contrario di sé, nella distanza massima da se stesso»34. In Cristo che scende nel fondo della finitudine creaturale, Dio diventa tutto in tutti e in ogni cosa e la finitudine riceve perfetta attuazione ontologica. Se Dio vuole operare nel mezzo della finitudine, se Dio vuole operare qualcosa nella storia, non può fare nulla di più grande che andare lui stesso là dove non c’è Dio a trasformare la pura assenza di Dio per mezzo dell’amore che la condivide, nella più alta prossimità di Dio. Qui lui dona a noi di essere ciò che lui è; qui ci dona il suo Spirito; qui ci viene donato tutto. L’abbandono di Dio fino al punto ultimo è il “caso serio”, il caso più estremo di Dio35. Dal punto di vista ontologico è importante la trasformazione del negativo per mezzo dell’amore: HZ, pp. 145-146. LE, p. 152. 35 Ibid. 33 34
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VI. Gesù Crocifisso e Abbandonato
Là anche l’opposto di Dio, la colpa, il no a Dio sono forma dell’esistenza di Dio, quella forma d’esistenza in cui il Figlio di Dio si abbassa per pronunziare dall’esperienza del no e delle tenebre, il proprio sì al Padre. Là è la totale illimitata dedizione di Dio al mondo36.
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Percorrendo la verticale della distanza tra Dio e il peccato, nell’abbandono Cristo vive da Figlio la distanza dal Padre: Nella croce Dio arriva a quel punto che si trova molto al di là di quanto ci separa da Dio. La distanza più grande, la distanza dell’inferno dal cielo, la distanza tra il peccato e il Dio santo, tra la morte e la vita, tra il nulla e il tutto, questa stessa distanza intercorre tra il Crocifisso e il Padre. Per questo motivo ogni cosa si trova tra loro. Gesù arriva proprio là dove tutto è realmente sopra di lui ed egli sta sotto, tapeinos. Per questo motivo egli scende e si abbassa fino alla morte di croce37. L’abisso di separazione da Dio viene trasformato in pienezza di comunione, salvezza, unità attuata in senso ontologico ed esistenziale. Il crocifisso si è fatto maledizione (Gal 3, 13) e peccato (2 Cor 5, 21). La maledizione e il peccato diventano nome di Gesù. Perché? Perché li carica su di sè, perché è rimasto sotto e quindi ciò che ci separa da Dio si trova tra Dio e Dio: ciò che divide è trasformato e superato nell’unità38. Ma se le realtà creaturali e persino il peccato e il negativo vengono a trovarsi tra Dio e Dio, nella croce ci è stato davvero donato tutto. Non esiste nessuna realtà che non sia attraversata da Cristo nella kenosi che, per così dire, abbraccia “da sotto” ogni cosa e la trasforma in amore. Se tutto ciò che ci separa da Dio è ora dentro a Gesù Cristo, e se tutto è riguadagnato nella sua donazione in croce, allora nella croce tutto ci è stato donato […] Il tutto che lui ha assunto su di GZ, p. 74. LE, p. 146. 38 Ibid. 36 37
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L’esperienza di Dio nell’unità
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sé viene ora trasformato nel tutto che ci viene donato. Nella croce incontriamo quel meraviglioso paradosso divino per cui nel no a Dio viene detto il sì più grande: Dio dice il suo sì a noi. Nella croce il no parla improvvisamente il linguaggio del sì ed il sì si dona nel linguaggio del no39. Nel donarsi dall’abisso del negativo, Cristo «ha detto al Padre il nostro sì. Le dissonanze e consonanze dell’uomo nei confronti di Dio e del prossimo sono riassunte nel suo sì e trasformate in preghiera che presenta al Padre a nome dell’umanità»40. Continuando l’analogia geometrica, si può dire che tutte le realtà ontologiche ed esperienziali sono assunte e redente da Cristo nel punto più basso; ma nel donarsi, Cristo rovescia il punto più basso e dal vertice più basso le fa culminare verso l’alto, nel seno del Dio trinitario. 4. L’ABBANDONO, RIVELAZIONE DEL VOLTO DELL’UOMO Ricercando uno sviluppo autonomo etsi Deus non daretur l’uomo contemporaneo approda alla solitudine e all’isolamento. Secondo Hemmerle, l’immagine di Gesù sospeso tra cielo e terra che fa esperienza dell’essere abbandonato dagli uomini e dal Padre suo è l’Ecce homo per antonomasia per l’uomo d’oggi. È uno specchio in cui l’uomo può contemplare se stesso e ciò che lo trascende infinitamente. La solitudine e l’abbandono diventano il luogo in cui l’amore di Dio si dona nella stessa situazione dell’uomo e gli viene incontro: dove fa esperienza della propria impotenza, l’uomo può riconoscere il Dio che gli è venuto vicino e può imparare a credere all’amore. L’incontro con Gesù Abbandonato è sacramento dell’incontro con Dio a livello secolare. I suoi segni sono l’abbandono, l’impotenza, gli abissi in noi e attorno a noi; ciò che si comunica sotto questi segni è l’amore di Dio che assume e trasforma tutto questo dal di dentro. L’effetto è un nuovo incontro con gli uomini, una-
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LE, p. 147. GZ, p. 27.
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VI. Gesù Crocifisso e Abbandonato
nuova comunione nella reciprocità, un nuovo volgersi al mondo partendo da una nuova comunione con Dio41.
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Il mistero di Cristo va letto nella duplice direzione dell’uomo verso Dio e di Dio verso l’uomo. Dal punto di vista di Dio, l’amore raggiunge il punto estremo. Per riempirci totalmente, egli deve scendere dove siamo noi nel vuoto più totale […] Dio ha donato suo Figlio arrivando così lontano nelle nostre condizioni, nella nostra esperienza, nel nostro destino, che non c’è e non può esserci nulla, nessun punto nell’esistenza e nella storia umana che Egli non abbia raggiunto nel Figlio, assunto e riguadagnato amando. Soltanto così Dio è davvero tutto in ogni cosa, solo così nessun ambito è sottratto alla sua signoria, una signoria d’amore, signoria del darsi. Tutto diventa suo: anche i nostri peccati, la nostra impotenza, la morte. E questo è l’amore più grande: invece di limitarsi a sopprimere il negativo, ciò che del suo partner era caduto e corrotto, egli lo ha voluto patire fino in fondo trasformandolo in amore. Poiché la morte di Gesù è obbedienza, in lui possiamo vedere quanto grande è Dio e quanto piccolo è l’uomo. Poiché la morte di Gesù è amore, possiamo vedere quanto lontano arriva Dio e quanto prezioso per lui è l’uomo, ma questo significa vedere quanto Dio ha voluto farsi piccolo per rendere grande l’uomo42. Nell’abbandono è tracciata la via in cui la nostra vita trova posto nel cuore di Dio: «solo nel punto zero in cui Gesù arriva al dono totale di sé fino all’abbandono di Dio tutte le esperienze umane sono unificate e rese compatibili l’una con l’altra»43. Dal punto di vista antropologico l’abbandono mette in luce la realtà di una temporalità redenta in cui presente e passato si intersecano col futuro di Dio. Il muro di separazione tra l’uomo e Dio abbattuto con l’Incarnazione, nell’abbandono
WE, p. 229. VT, p. 108. 43 PG, p. 103. 41 42
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L’esperienza di Dio nell’unità
sembra alzarsi impenetrabile nel destino di Gesù. Il tempo che nel nuovo ordine del vangelo non porta più il marchio dell’insicurezza e dell’impotenza, ma promette di essere l’infinito dono del Dio vicino, nel tempo di Gesù ripiomba nella più finita finitudine. Possiamo chiamare Gesù l’uomo assolutamente temporale. Poiché a lui nella morte si è sottratto non solo il tempo, ma la sorgente del tempo, il Padre. Il gioco estremo e supremo Gesù lo ha vissuto senza l’altro giocatore, senza sostenersi nel Padre44.
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Nel mistero di Incarnazione e kenosi Cristo entra fino in fondo nella temporalità. Gesù, l’uomo assolutamente temporale, è il temporale assoluto. Egli è colui che assume tutta la finitudine del tempo e la consegna, donandola con obbedienza nelle mani di Colui che può operare il cambiamento radicale. La vita di Gesù radicata momento per momento nel volere del Padre, il suo non poter sapere e non poter disporre nulla, l’obbedienza fino alla morte, l’estrema donazione dentro al ritrarsi del Padre, sono l’estrema conseguenza che rivela chi è l’uomo e chi che è Dio. Solo in questo dono totale viene donato a Dio ogni futuro e ogni tempo, così che il futuro e il tempo dipendano soltanto da lui. La Pasqua si manifesta nel fatto che Dio dona questo tempo e questo futuro, nel modo in cui li dona45. Il tempo è compiuto perché nell’abbandono la finitudine diventa pienezza: Il dolore della finitudine non viene tolto: la finitudine diventa guscio della pienezza. Il venerdì santo diventa guscio della Pasqua, la Pasqua irrompe dal venerdì santo. Questo non riguarda solo il Salvatore, ma è annuncio di ciò che sarà di noi, è inizio di un tempo nuovo, del tempo compiuto che già da ora abbraccia il nostro tempo vuoto e carico di tensione, realtà che con la fede possiamo leggere in Maria46. VT, p. 105. VT, p. 108. 46 GW, p. 164. 44 45
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VI. Gesù Crocifisso e Abbandonato
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La riflessione sulla persona alla luce dell’Incarnazione porta Hemmerle a scoprire che il punto più profondo di ogni uomo, quello per cui individuum est ineffabile, è stato assunto da Gesù laddove egli dona la sua individualità di persona fino all’abbandono. Gesù si svuota donando il mistero della sua persona, la figliolanza intratrinitaria col Padre: in questo punto, il più intimo e personale di Gesù, viene assunto e redento il mistero più intimo di ogni persona umana. Gesù ha assunto in sé la mia esistenza individuale, insostituibile, incomunicabile ad altri […] Gesù ha assunto in sé sia te che me, nello stesso amore, nella morte, nella stessa solitudine, nello stesso abbandono di Dio e così nelle mani trapassate dai chiodi, nel suo cuore aperto, ha portato al Padre me e te. Per questo sia tu che io apparteniamo a quella profondità che non dipende dal nostro volere e potere, siamo parte di quella profondità che nessuno potrà toglierci: siamo una cosa sola in lui47. È un mistero di grazia in cui la realtà umana individuale entra a far parte della vita trinitaria. È il culmine dell’Incarnazione, una realtà di salvezza con forte valenza rivelativa: rivelando il volto del Dio trinitario, Gesù rivela il mistero della persona e della comunione tra gli uomini. Nell’abbandono Cristo ha messo a disposizione il suo punto più intimo. Lì si è svuotato di se stesso, spogliò se stesso fino al punto estremo. E in questo spazio vuoto ci sono dentro io. Egli ha preso dentro di sé, donandoli al tempo stesso, il mio essere solo, il mio essere rivolto verso di me, il mio abbandono di Dio e il tuo, l’abbandono dell’uno e dell’altro, di ognuno. E ora nella mia unicità individuale mi trovo in questo cuore. Sono liberato dal blocco di essere solo in me. In lui, che ha potuto stendere la mano verso ciò che è in me più profondamente intimo, poiché ha creato lui questa realtà intima che ora è nascosta in lui che ha fatto suo tutto ciò che è umano, in questo punto posso realmente incontrare me stesso. Ma in quest’unico e identico punto zero, nell’unico e identico nulla che è diventato il suo cuore, qui anche tu trovi te stesso e ogni uomo trova se stesso. E in tal modo incontro il mistero della 47
GZ, pp. 341-342.
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L’esperienza di Dio nell’unità
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mia vita personale incontrando il mistero della tua vita e della vita di tutti48. Nel vuoto riempito dall’amore avviene una nuova creazione: la realtà personale di ogni uomo è riportata alla purezza del disegno di Dio, all’essere persona in comunione. Si scopre il mistero della propria vita scoprendo il mistero della vita di tutti nell’intreccio tra persona e comunione. Si apre la prospettiva di un futuro nelle mani del Padre quando umanamente non c’è più futuro. «Poiché Gesù pone senza riserve il proprio futuro nelle mani del Padre, il Padre gli dona un futuro senza fine, quella gloria che non conosce confini e che sarà gloria anche nostra»49. Nella logica di Dio la croce non è fine, ma principio, è trionfo del nuovo futuro che egli è e dona. Perché? Dio è presente nella storia come Signore quando è Signore di tutto, quando la contraddizione, il peccato, la morte, la lontananza da Dio non li esclude da fuori, né li risolve dall’alto, ma li sostiene e li risana dall’interno e da sotto. Nella croce il punto più basso e interno della fuga del mondo e degli uomini da Dio è riguadagnato nell’obbedienza del Figlio fatto uomo e nell’amore di Dio che dona suo Figlio per il mondo. Dio non risparmia la croce a suo Figlio, non va a togliere il Figlio dalla croce, ma risuscita dai morti colui che sulla croce è morto gridando l’abbandono di Dio. Questa è l’impotenza di Dio più potente degli uomini, è la stoltezza di Dio più sapiente degli uomini. Dobbiamo lasciarci sorprendere, vincere e convertire da questo modo in cui il Regno di Dio viene e il futuro di Dio ha inizio: il futuro vince sulla croce50. Il futuro di Dio è il tempo riempito dalla sua presenza in tutto e in ogni cosa. Nell’abbandono avviene la riconciliazione di ogni cosa con tutte le altre nella dimensione della Pasqua: Tutto è simultaneamente presente. Qui c’è tutto il mondo. Qui c’è Dio totalmente. Qui ci sono tutti e tutte le cose sono in sincronia e unite. Qui io sono assunto, sostenuto, trasformato, reLE, p. 118. GZ, p. 17. 50 GZ, p. 90. 48 49
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VI. Gesù Crocifisso e Abbandonato
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dento. […] Il punto dell’abbandono divino di Dio è il punto di pesach, del passaggio, è l’irruzione che avviene attraverso la croce nella realtà della Pasqua, della resurrezione. Colui che è appeso, mediatore tra Dio e uomo, tra me e te, tra tutti coloro che sono separati e isolati, fa l’ingresso pasquale attraverso le porte chiuse come il Vivente in mezzo a coloro che credono in lui; là inizia il centro nuovo ed eterno del mondo redento51. Hemmerle mette in rilievo che Dio non è solo l’attimo eterno e infinito, non è solo l’eterno presente, ma «in Dio il futuro è l’altro: il Figlio per il Padre, il Padre per il Figlio nello Spirito Santo. Ma nel Figlio, Dio ci ha reso accessibile il suo futuro. Per questo motivo per il cristiano vale che il futuro è l’altro»52. Anche dal punto di vista antropologico Pasqua è l’evento radicale della fede: un uomo si spinge sino al punto ultimo ed estremo, pone fisicamente il suo essere e la realtà di uomo nelle mani di Dio. Non indietreggia dinanzi al timore della perdita di sé nell’abbandono estremo di Dio, nell’estremo disconoscimento degli uomini, nell’esser schiacciato come un verme, lacerato tra cielo e terra. Qui davvero si giunge all’estremo dell’uomo. Ma questo essere alla fine e all’estremo dell’uomo pronuncia nell’agonia ancora una parola: Padre nelle tue mani consegno il mio Spirito. Qui il nulla dell’uomo è realmente divenuto quel nulla che non cerca di preservarsi, che non intralcia il progetto di Dio con il proprio, ma che dinanzi a Dio è solo questo: un nulla. È per questo che lui che ha creato il mondo dal nulla può creare una nuova esistenza e una nuova natura umana53. Nel mistero pasquale Cristo abbatte le mura dell’individualismo e apre il cuore umano all’unità: Pasqua è la festa della porta aperta. Il Signore ha varcato la porta della nostra colpa, della nostra morte, della nostra solitudine e ci ha dischiuso per l’eternità la porta nel futuro di Dio. Attraverso le porte serrate della nostra paura e impotenza, è entrato nella stanza della nostra vita e incessantemente ci offre di vivere con lui. Il suo GZ, pp. 92-93. GZ, p. 40. 53 GZ, p. 102. 51 52
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L’esperienza di Dio nell’unità
amore, la sua pace hanno aperto le porte che si ergevano tra uomo e uomo. Dove siamo uniti nel suo nome, egli dimora tra noi54.
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5. L’ABBANDONO E L’ESPERIENZA DELL’UNITÀ Il «vivere a partire dall’unità riceve la sua forma inconfondibile dove prendiamo come misura normativa la vita del Dio trinitario»55. Hemmerle definisce il mistero dell’abbandono «chiave e porta d’ingresso per la vita dell’unità»56: nel vivere alla luce di questo mistero si crea lo spazio in cui «comincia la nuova unità del Regno di Dio. Il fatto che il Risorto possa vivere tra noi suscita anche a livello sociale e mondiale tra noi un nuovo tipo di rapporto: il rapporto trinitario»57. Nell’abbandono l’amore si comunica generando amore, poiché bonum diffusivum sui. Tutto deriva dal fatto che l’uomo creda a questo amore. Credidimus caritati (1 Gv 4, 16): è l’espressione più concisa dell’intera fede cristiana. Qui l’uomo raggiunge la suprema altezza del suo essere e la trascende. E fa cose che non può fare di per sé, ma che può fare perché Dio stesso gliene fa dono58. Gesù Abbandonato è fondamento dell’esperienza dell’unità sia perché sana le ferite del peccato e introduce l’uomo nella comunione col Dio trinitario, sia perché è amore che crea unità superando gli ostacoli del dolore, della finitudine, del non amore. Hemmerle osserva che il peccato e il dolore chiudono l’uomo nell’isolamento, ma nell’abbandono ogni peccato e dolore è assunto, superato e posto nelle mani del Padre. Quando una persona scopre questa realtà, si libera da ciò che la imprigiona in sé e nel fondo più intimo del suo cuore si apre la strada per la gioia. Guardando l’Abbandonato «non posso fare altro che aprirmi alla radicalità del suo dono» e dare in ogni situazione «risposta a
GZ, p. 103. LE, p. 153. 56 WE, p. 226. 57 K. HEMMERLE, Die theologische Relevanz der Spiritualität des Werkes Mariens, in P. WEZEL (ed.), Eine Botschaft an unsere Zeit, Berlin 1984, p. 55. 58 WE, p. 224. 54 55
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VI. Gesù Crocifisso e Abbandonato
colui che mi ha amato in questo modo: a lui posso dare solo una risposta d’amore»59. Nasce un’apertura nuova nei confronti dell’umanità:
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Vale la pena abbracciare questa unità per scoprire l’apertura verso ogni prossimo che non si basa sulla simpatia esteriore. Ci si riconosce membra del corpo di Cristo che non appartengono solo a se stesse, non mirano alla perfezione individuale, ma ci si affida alla vita del Signore che fluisce in tutte le membra. Il cammino personale non è più un volere esistere e agire da soli: è la compartecipazione al mistero dell’estremo abbandono di Gesù sulla croce60. Nel mistero dell’amore che si spoglia e si dona fino al limite della maledizione e del peccato (cf. 2 Cor 5, 21) Hemmerle parla di Maria che partecipa all’esperienza di abbandono del Figlio. Anche noi non possiamo fare nulla di più divino dell’unirci con colui che per noi ha affrontato l’abbandono della croce. Se diventiamo peccato con lui, se tutto ciò che è maledizione, peccato, morte, entra dentro di noi perché noi, amando, restiamo in piedi là, allora questo è il massimo, la realtà suprema61. Nel grido dell’Abbandonato sono compresi tutti i sentimenti d’abbandono, tutte le separazioni degli uomini da Dio e tra loro. Proprio questo è il punto dell’unità. Ma Gesù non rimane in questo abbandono, in questo iato, ma immette tutto nel Padre e il Padre lo risuscita. E qui nel Risorto tutti saremo donati a noi stessi in modo nuovo, la nostra unità ci verrà donata nel corpo di Cristo, nel suo mistero salvifico. Per questo non possiamo abbandonarci l’un l’altro, abbiamo tutti a che fare l’uno con l’altro nella reciprocità, abbiamo a che fare con tutti gli uomini62. Nel riconoscere il volto dell’Abbandonato nelle fratture, nelle separazioni, nell’esperienza del dolore, si può dare quella risposta che 59 60
p. 34. 61 62
LE, p. 136. K. HEMMERLE, Ausstellung Gottes, in «Der christliche Sonntag» (1959), 11, LE, p. 171. GZ, p. 28.
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L’esperienza di Dio nell’unità
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supera le lacerazioni e costruisce unità. Come in un colloquio intimo Hemmerle afferma: Tu porti la croce che svetta in cima alle nostre chiese, ai nostri monti e sui nostri altari e negli abissi della vita di tutti i giorni. Niente può capitarmi nella vita che non sia già contenuto nel tuo offrirti per amore alla morte, nella tua azione salvifica che trasforma la morte in vita. Dove incontro qualcosa che non si risolve, qualcosa che non ha a che fare con te, che è in contrasto o in contrapposizione con te, in me e intorno a me nel mondo, anche dove tu non ci sei, tu sei là. Là infatti c’è la tua croce, là c’è il Padre e lo Spirito. Là c’è il tuo amore che si dona fino all’estremo e dona Dio fino all’estremo. Là ci sei tu, Figlio che non fugge via come un mercenario, ma resta al suo posto e si carica sulle spalle e custodisce nel suo cuore chi si è smarrito. Divenuto per noi peccato e maledizione, tu potrai interamente sanarlo e ricondurlo nel seno del Padre. E ovunque io mi imbatta in separazioni, fratture, disunità, rotture, là c’è la tua croce e in essa la possibilità e la realtà dell’unità e della riconciliazione. Dove si spalanca un baratro invalicabile, là è la tua croce, e lo spazio interposto diventa spazio abitabile che attende la tua presenza pasquale in mezzo a noi63. L’Abbandonato è la Parola che per amore diventa grido e ammutolisce, è la sola Parola capace di dire la realtà ineffabile del Padre e di rendere il linguaggio umano capace di rivolgersi al Padre: Solo il Figlio irrigidito nell’abbandono di Dio e ammutolito nel morire dice e rivela che cosa è l’uomo senza Dio, separato da Dio. Solo in quanto la Parola in cui siamo stati creati ci attira, si offre e si dona a noi perché in essa possiamo dir-ci al Padre, è realmente detto ciò che dobbiamo dire davanti a Dio. Solo portando con noi Cristo come Parola avviene la conversione radicale. Egli che spogliò se stesso prendendo la nostra forma di peccato, è l’unica Parola onnipotente e valida che può dire dentro il seno del Padre la nostra impotenza64. Ma la Parola che si fa grido e silenzio diventa risposta: 63 64
GZ, pp. 93-95. GV, p. 86.
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VI. Gesù Crocifisso e Abbandonato
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La Parola che sin dal principio è presso Dio ed è Dio, è un grido. E questo grido è essere chiamato, diventa risposta. Nell’evento in cui la storia dell’umanità si condensa come storia dell’essere chiamato, si attua la storia della conversione di tutta l’umanità. In Cristo è presente sia l’ammutolire dell’umanità peccatrice che il grido dell’umanità allontanatasi da Dio che diventa parola accolta nel Verbo. Dio ha reso peccato colui che non conosceva peccato: qui avviene la confessione dell’umanità. Come Ecce Homo ha reso forma della sua carne tutte le colpe della storia umana e la ha fatte divenire Parola nella sua esistenza, nel suo abbandono, nella sua morte. Parola che si consegna al Padre65. Poiché il no dell’uomo a Dio è la realtà del peccato, nessuna forza umana, ma solo Dio «intervenendo di persona direttamente può portare salvezza e redenzione. Il peccato si erge contro Dio spezzando il rapporto con lui: solo Dio può ripristinarlo. Ciò che è caduto chiede una creazione nuova e radicale»66. In Dio la creazione nuova si realizza come unità. Credo che l’unità esista e sia dentro un cuore umano. Vi è Uno da cui ogni cosa ha origine, è stata creata, senza cui nulla è stato fatto di tutto ciò che esiste. E questo Uno è entrato dentro alla storia. L’ha assunta concretamente in un destino umano, in un’esperienza umana, in un punto di questo tempo. Ma in quest’unico punto ha assunto tutti noi comunicando con ogni destino umano. In lui viene unito tutto ciò che è al di là della storia, egli è Parola in cui ogni cosa è stata creata: questa Parola si è fatta una cosa sola con noi, si è fatta storia e porta in sé la storia. Non in uno spettacolo grandioso, non con l’estro di un progetto intellettuale o di un sistema dialettico, ma nella solidarietà del soffrire prendendo su di sé tutta la realtà dell’uomo, inscrivendo nel suo cuore ogni abbandono dell’umanità67. Nel mistero di Gesù Abbandonato si saldano in unità persone, cose e circostanze, per cui anche i momenti difficili e di buio diventano esperienza di Dio. GV, p. 85. GV, p. 185. 67 GZ, p. 29. 65 66
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L’esperienza di Dio nell’unità
Tutto ciò che accade e deve accadere nel mondo trova la misura nel fatto che Dio è amore. In questo amore, colui che sa di essere redento dal dono di Gesù sulla croce fino all’abbandono di Dio, riesce a credere in ogni circostanza anche la più incomprensibile; con questo amore riesce a collegare tutto ciò che sperimenta e incontra; da questo amore nasce per lui la consegna di testimoniare l’amore e di lasciarlo prendere forma in tutto ciò che deve fare, strutturare, superare68.
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Radice dell’esperienza di Dio è l’incontro con l’Abbandonato. Si tratta di riconoscerlo: Vivere con lui significa che non posso imbattermi in nessuna situazione che non sia in lui. Non posso conoscere alcuno sgomento, alcun abisso, alcuna colpa in me e nell’altro che non sia Lui. E così lo incontro sempre, ogni giorno. Se do spazio a questo amore, il perché del mio vivere può diventare il perché del mio morire. Acquisto così quella sensibilità interiore che sa vedere dov’è Lui e in questa sensibilità posso essere vicino a Lui. Mi faccio continuamente uno con Lui dicendo: «Sei tu!». Quando Teresa di Lisieux vide i segni della morte, esclamò: «Lo sposo viene!». Così anche noi ogni giorno nelle piccole cose dobbiamo dire: «Sì, sei tu! Sei tu che aspettavo!»69. Questa esperienza di intimità con Cristo non è riservata ai grandi santi ma è accessibile a tutti. Sulla base del suo vissuto personale Hemmerle afferma: Anche se un giorno non ce la facessi più, se qualcosa andasse oltre le mie forze, vivere con lui significherebbe domandarmi nonostante tutto: “Chi ho scelto? Ho scelto realmente Lui? Posso scegliere Dio se non lo scelgo nel suo abbandono di Dio?”. La prima cosa per vivere con Lui è riconoscerlo in ogni cosa70. È una sensibilità che sa farsi attenta alla sua presenza, che riconosce in ogni situazione come Sposo dell’anima: GZ, p. 265. LE, p. 155. 70 LE, p. 154. 68 69
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VI. Gesù Crocifisso e Abbandonato
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Vivere con Lui significa realmente dirgli di sì non con rassegnazione, ma un sì innamorato come risposta e come abbraccio: «Sì, sei tu! Tu mi vuoi bene!». Quando dico a Lui il mio sì costruttivo, quando resto fermo in questo sì d’amore all’Abbandonato dove forse non si può più fare nulla, solo allora Lui può operare. Vivere con Lui significa entrare dentro la piaga, incastonarmi nell’intima dinamica della sua Pasqua permanente entrando a far parte del circolo di vita dell’amore trinitario. Allora sono libero, allora subito sono nella Terra promessa dell’attimo dopo e in quest’attimo posso dedicarmi all’altro in libertà, libero con l’altro71. È un’esperienza unica e altissima che nella quotidianità realizza la libertà dell’uomo. Sulla croce Gesù «dall’abisso del nostro “no” ha detto al Padre il nostro “sì”. Le dissonanze e consonanze dell’uomo nei confronti di Dio e del prossimo sono riassunte nel suo sì e trasformate in preghiera»72. Per noi è il modello di un amore che condivide l’esperienza di abbandono e di fallimento dell’altro. Se l’altro è nel dolore, se l’amato è lontano, allora l’amore giunge fin lì. L’amore condivide il dolore e il peso, persino il peso del peccato, e li fa propri. E in questo modo andare là dove è il no, entrare nel mondo del no, si trasforma nel sì più grande, nell’amore più grande: non nel senso che divento peccatore con i peccatori, ma nel senso che faccio mio il fardello del suo peccato e non mi fermo al di fuori73. In ogni situazione di dolore incontriamo Colui che tutti ci abbraccia nel suo abbandono. Se ci caliamo in questo con tutta la nostra vita, allora abbiamo l’esperienza di Dio più grande possibile e più abissale possibile. […] È un’esperienza che vivo solo se continuamente mi lascio calare in questa realtà. Così scopro il Deus semper maior. Solo se faccio esperienza di Gesù nel suo abbandono e lo riconosco posso consegnarmi in modo radicale a questo Dio e condividere la sua donazione agli uomini e al mondo. Se dentro all’abisso LE, p. 155. GZ, p. 27. 73 LE, p. 147. 71 72
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L’esperienza di Dio nell’unità
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dell’abbandono di Dio dico anch’io «Abbà, Padre», ho raggiunto il punto ultimo. Se entro dentro a questa assenza di Dio, la sostengo senza protezione e mi consegno a Dio completamente, allora è presente il regno di Dio […] Entrando nell’abisso di Dio e dell’umanità e nella beatitudine di Dio e dell’umanità e con Gesù diciamo a ogni uomo: sto con te e porto il tuo peso74. L’unità si delinea come esperienza dell’Abbà: essere figli nel Figlio, e in Lui e per mezzo dello Spirito, nel Padre. L’esperienza dell’unità nasce dal condividere insieme e superare ciò che fa male e che divide, con un amore che non si ferma davanti alla croce ma che in essa si consolida diventando Pasqua permanente. Non si tratta di un cammino solitario, ma di un cammino collettivo. Mi unisce all’altro proprio ciò che più divide, che è più vergognoso e opprimente nel suo dolore e nella sua oscurità. In quest’unico abbandono, infatti, vi sono gli abbandoni di tutti gli uomini e tutti gli uomini sono una cosa sola. Qui il Padre mi dice: «Tu sei il mio figlio prediletto, la mia figlia prediletta». Qui lui dice a te: «Tu sei con me». E qui lui dice a noi: «Voi tutti siete in me una cosa sola». In questo modo lui può donarci il suo Spirito e noi entrando nella piaga, troviamo il Signore Risorto in mezzo a noi75. 6. UNA MEDITAZIONE SULL’ABBANDONATO A conclusione della riflessione di Hemmerle sul mistero dell’abbandono presentiamo un commento dell’Autore a un noto testo meditativo di Chiara Lubich, Ho un solo sposo sulla terra76. La figura UL, p. 304. LE, p. 155. 76 Cf. C. LUBICH, Scritti Spirituali/1, Roma 1984, p. 45. Riportiamo questo testo del 1949: «Ho un solo sposo sulla terra: / Gesù crocifisso e abbandonato. / Non ho altro Dio fuori di lui. / In lui è tutto il Paradiso con la Trinità / e tutta la terra con l’umanità / Perciò il suo è mio e null’altro. / E suo è il dolore universale e quindi mio. /Andrò per il mondo cercandolo / in ogni attimo della mia vita / Ciò che mi fa male è mio / Mio il dolore che mi sfiora nel presente. / Mio il dolore delle anime accanto / Mio tutto ciò che non è pace, / gaudio, bello, amabile, sereno […] / Così per gli anni che mi rimangono: / assetata di 74 75
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VI. Gesù Crocifisso e Abbandonato
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sponsale di Cristo è prefigurata in Osea e nel Cantico dei Cantici, tematizzata nel Nuovo Testamento e ricorrente nella mistica (cf. Gv 3, 29; Ef 5, 22-33; Ap 19, 7; 21, 9). Nella prospettiva della Lubich tale sponsalità viene collegata all’abbandono dove l’amore è tutto donato: Gesù Abbandonato è unico Sposo. In questa meditazione Hemmerle ravvisa un testo che porta «al contenuto teologico, alla profondità e alla concreta conseguenza di questa esperienza spirituale»77. Hemmerle osserva che è giusto definire il grembo della Vergine Maria come la «stanza nuziale» in cui il Verbo sposa la realtà umana. Ma il significato dell’Incarnazione nella sua pienezza raggiunge la misura massima nel punto massimo della donazione divina e dell’assunzione dell’umano da parte di Dio. Ciò avviene lì dove il Figlio di Dio sparge il sangue per noi, lì dove egli si appropria di tutto quello che appartiene alla sposa: tutto il peso e tutte le colpe dell’umanità, ogni solitudine e lontananza da Dio. In nessun momento della vita e della morte di Gesù questo evento diventa più profondo e radicale che nel momento in cui morendo dona se stesso, nel grido dell’umano abbandono di Dio78. Hemmerle spiega la frase «non ho altro Dio fuori di lui» » affermando che Gesù Abbandonato è il punto della storia universale in cui il rapporto di Dio con l’umanità e il rapporto dell’uomo con Dio si compenetrano intimamente. La sponsalità della Chiesa sta nel credere all’amore di Dio che si incontra nell’Abbandonato e nel corrispondere come in una consacrazione sponsale: una realtà che non è riservata a chi è chiamato a una consacrazione particolare, ma in cui emerge la comune vocazione del cristiano nel suo punto-chiave. Chi abbia una volta interiormente sperimentato il fatto che l’uomo venga qui accettato e amato da Dio fino all’estremo, non può più allontanarsi da questo punto, ma deve restarvi, nel senso della
dolori, di angosce, / di disperazioni, di distacchi, / di esilio, di abbandoni, di strazi, / di tutto ciò che è lui / E lui è il Dolore. / Così prosciugherò l’acqua della / tribolazione in molti cuori vicini / e, per la comunione con / lo Sposo mio onnipotente, lontani. / Passerò come fuoco, che consuma ciò che ha da cadere / e lascia in piedi solo la verità». 77 WE, p. 221. 78 WE, p. 233.
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L’esperienza di Dio nell’unità
logica dell’amore. La sua via non porta fuori da questa piaga, ma solo sempre più profondamente in essa79. Il Dio che si rivela in Cristo «è questo e nessun altro. Gesù Crocifisso e Abbandonato è l’Emmanuele, il Dio con noi e per noi»80. Nell’abbandono c’è la rivelazione definitiva del Dio trinitario: mistero di amore puro, mistero eterno di kenosi e pericoresi.
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Dovunque incontro Dio posso leggere il suo nome a partire dalla profondità di questa radice: Gesù Crocifisso e Abbandonato. Ne consegue che in lui è tutto il paradiso con la Trinità e tutta la terra con l’umanità. Certamente ciò suona paradossale, poiché Dio sembra essere assente: il Padre assai lontano e Gesù non nella gloria del Figlio ma nell’estrema povertà della forma di servo da lui assunta. Anche l’umanità è lontana, poiché Gesù è abbandonato dagli uomini, solo, sospeso tra cielo e terra. Un paradosso che si risolve dal di dentro: se Gesù ha preso su di sé tutto l’umano, ogni peso, ogni colpa del mondo, non esiste nulla nella storia che sia rimasto al di fuori della vita di Dio, tutto è compreso nella vita di Dio e fa parte del dialogo tra Padre e Figlio, dell’incondizionato amore tra il Padre e il Figlio. Il Padre si esprime e si comunica in eterno nella sua Parola come amore puro che si dona. E questa Parola si riversa nel mondo mediante la donazione del Figlio fino al nostro smarrimento e abbandono. Il Figlio è la Parola eterna del Padre, Parola che lo rivela integro e puro in se stesso e lo glorifica quale eterna e consustanziale risposta al Padre. E ora questa Parola si pronuncia nella situazione della nostra separazione dal Padre e dell’abbandono del Padre. I suoni in cui questa Parola divina si articola sono il grido, il perché, il silenzio dell’uomo separato da Dio: essi vengono trasformati in dono che risuona al Padre. Così procede dal Padre e dal Figlio l’unico Spirito in cui si donano reciprocamente, lo Spirito che ora viene donato come respiro della vita divina a noi destinati alla morte, si rivela in modo nuovo perché possiamo vivere con Dio e in Dio. Il paradiso e la vita trinitaria sono il lato interno di ciò che avviene tra
79 80
Ibid. WE, p. 234.
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VI. Gesù Crocifisso e Abbandonato
Padre e Figlio nel dono di Cristo abbandonato sulla croce, nel dono del Figlio da parte del Padre per noi e per la vita del mondo81.
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L’espressione «in lui è tutto il paradiso e la Trinità e tutta la terra con l’umanità»» indica che nel mistero dell’abbandono c’è tutta la Trinità che si dona a ogni uomo realizzando l’unità. Col suo grido Gesù dice nel seno del Padre la mia lontananza e il mio abbandono di Dio e così il tuo e quello di ogni uomo. Tutta la nostra colpa, miseria, solitudine trovano un’unica Parola. In quest’unica Parola, Parola di Dio fatta carne, siamo in comunicazione gli uni con gli altri nella reciprocità, in lui troviamo la Parola nella reciprocità, in lui siamo già uniti […] Veramente in Gesù Abbandonato sulla croce siamo tutti una cosa sola, c’è tutta la terra con l’umanità. Se lo sappiamo, lo riconosciamo, ci crediamo e lo accogliamo con amore, ogni cosa si trasforma e si converte82. La frase «perciò il suo è mio e null’altro. E suo è il dolore universale e quindi mio» sintetizza il gesto di un amore totale come risposta. Gesù mi ha amato senza misura, si è fatto nulla, vuoto per me. Ora voglio rendere mio ciò che è suo, voglio abbracciare in me il suo nulla, il suo vuoto. Non vivo più io, ma egli in me. La sua vita è mia, il suo amore è mio; ciò che egli ama è ciò che io amo. Questo trapianto dal mio cuore nel suo, questo scambio di cuori è la necessaria conseguenza. Vivere la mia vita significa vivere con lui il suo rapporto col Padre. È questa la gioia e la redenzione per essere stato redento da lui. Ma non si può separare l’altro aspetto: vivere con lui significa vivere con tutti la loro vita, poiché ha accolto nella sua la vita e la morte di tutti. Io sono in rapporto inscindibile con tutto ciò che Gesù ama, vale a dire con ogni prossimo, con l’intera umanità. Se tutta la vita divina è mia, è mio tutto il dolore umano divinizzato da Dio. Poiché nulla è a lui indifferente, nulla lo lascia insensibile, nulla può essere indifferente a me, nulla può lasciarmi insensibile83. WE, pp. 235-236. WE, p. 236. 83 WE, p. 237. 81 82
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L’esperienza di Dio nell’unità
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Nella luce di questo mistero il dolore che porterebbe a chiudersi in se stessi, apre invece l’anima in senso universale: Il dolore è la parola per ciò che riguarda solo me, che mi isola e mi fa ripiegare su me stesso. Ma da quando lui ha assunto il mio dolore nel suo, è nato un soffrire insieme che risana e trasforma in relazione anche ciò che isola. Ciò che mi stacca dai rapporti di vita e li ostacola, ciò che fa male diventa per me attraverso il dolore di Gesù Abbandonato, unione con Dio e con tutti […] Ciò che è suo è mio, diventa contenuto della mia vita. Ma suo è ciò che è di tutti e quindi in lui tutti sono miei e il peso di tutti è il mio peso. L’amore di Dio e del prossimo si dimostrano ancora una volta come la stessa, unica e inscindibile virtù divina84. Vivere nella luce di Cristo Crocifisso e Abbandonato significa vivere per realizzare l’unità in una via che «cerca Gesù Abbandonato nelle circostanze della vita giornaliera, in tutto ciò che incontriamo di tenebre e di colpa, di dolore e separazione»85. Ogni situazione diviene un incontro con Cristo: Se trovo Dio in colui che grida «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?», allora è logico incontrare Dio proprio lì dove sembra essere assente. Si è fatto assenza di se stesso, persino l’assenza l’ha fatta diventare se stesso. Riconoscerlo dovunque, chiamarlo per nome e amarlo dovunque: questo è il contenuto nuovo della vita che diventa una continua comunione con lui e nella comunione con lui diventa comunione con tutto e tutti. Il rapporto che lui ha fatto nascere sulla croce con tutto e con tutti deve essere da me vissuto e realizzato. Se corrispondo a Gesù Abbandonato divento luogo di risonanza dove risuona l’unità che lui ha fondato sulla croce86. Davanti alla realtà «non occorre nascondere o reprimere nulla: tutto può essere così com’è. Ma nel buio che emerge viene alla luce l’amore più grande di colui che ha assunto e trasformato tutto ciò»87. WE, p. 238. Ibid. 86 WE, p. 239. 87 WE, p. 240. 84 85
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VI. Gesù Crocifisso e Abbandonato
L’esperienza dell’unità è in ultima analisi una realtà pasquale:
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Spetta a noi vivere con Gesù Abbandonato. Che poi lui viva in mezzo a noi e il frutto di questa vita sia l’esperienza pasquale dell’unità, questo dipende solo da Colui che ha risuscitato Gesù Cristo dai morti. Non esiste unità al di fuori di Gesù Crocifisso e Abbandonato, non esiste resurrezione senza venerdì santo. La vita con Gesù in mezzo a noi cresce dal vivere nella sua piaga attraverso cui soltanto passa la via che conduce alla Pasqua. L’Abbandonato è il solo sposo, è il solo Dio. In lui è tutto il Paradiso con la Trinità e tutta la terra con l’umanità88. Il vivere nella luce dell’Abbandonato è vita del magis che fa parte dell’esistenza umana e cristiana e scoperta del magis divino che solo può liberare l’uomo dalla solitudine e dalla prigionia in se stesso. Vivere con l’abbandonato è la via verso quell’unità che tutto abbraccia, unità a cui anela tanto ardentemente l’umanità d’oggi e per la quale Gesù ha preparato la sua Chiesa come segno e sacramento89. Attraverso rapide pennellate Hemmerle formula in una breve poesia l’augurio di vivere l’esperienza di Dio come esperienza della Pasqua: Auguro a tutti noi occhi di Pasqua / capaci di guardare / nella morte sino a vedere la vita / nella colpa sino a vedere il perdono / nella separazione sino a vedere l’unità / nelle ferite sino a vedere la gloria / nell’uomo sino a vedere Dio / in Dio sino a vedere l’uomo, / nell’io sino a vedere il tu / E insieme a questo, tutta la forza della Pasqua90!
Ibid. WE, p. 241. 90 K. HEMMERLE, Pasqua 1993, in GZ, p. 105. 88 89
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VII.
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Maria e la Trinità
«Colui che il cielo non può contenere è racchiuso, Maria, nel tuo grembo!». Nel silenzio di Maria il Verbo si è fatto carne. Nel silenzio la creatura trova la sua parola, nel silenzio la creatura supera se stessa divenendo spazio per ciò che è più grande di noi e del mondo. Non è silenzio vuoto, ma è silenzio che si propone. Questo silenzio è il sostrato sul quale la Parola può rifulgere, è spazio di adorazione in cui la parola può assumere un suono. Colei in cui la Parola si fece carne restò in silenzio anche ai piedi della croce del Figlio silenzioso1. Nella figura di Maria traspare un rapporto unico e straordinario con la Trinità. È questa l’originalità della mariologia di Hemmerle. Nel ripercorrere la riflessione dell’Autore coerentemente con l’approccio dal centro partiremo dal mistero di Maria Madre di Dio. Da questo fulcro si illuminano i vari aspetti: Maria e la duplice Incarnazione della Parola, Maria nascosta nel Dio trinitario, Maria come cielo del Dio trinitario, l’Immacolata, la madre desolata, Maria madre della Chiesa e dell’unità. La realtà della Theotòkos illumina la figura di Maria in rapporto alla Chiesa e all’umanità, ma soprattutto nell’ineffabile rapporto con il Dio trinitario. Per mantenere la dimensione contemplativa che caratterizza l’approccio di Hemmerle, ogni paragrafo sarà introdotto da una breve meditazione. 1. MARIA MADRE DI DIO La storia dell’uomo confluisce in una realtà incredibile che il concilio di Efeso del 431 espresse col titolo di Theotòkos, Madre di 1
GZ, p. 148.
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VII. Maria e la Trinità
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Dio. Il Dio dal quale tutto proviene, la Parola nella quale tutto è creato, si fa debitore della sua esistenza e della sua presenza tra noi come uomo, si fa dipendente da noi. Il fatto che nella storia un essere umano possa far “nascere” da sé, nel vero senso del termine, Dio, è la somma vetta di ciò che si può dire di un essere umano. Un essere umano che regala Dio, che dà la vita a Dio. È un evento che mi parla di Dio, ma anche dell’uomo. Dio è amore, è dono di sé al punto di consegnarsi a un essere umano e farsi dipendente da un essere umano. L’essere umano è talmente grande che non solo può dare se stesso a Dio, ma può a sua volta dare Dio agli altri2. Maria Madre di Dio: in questo mistero si rivelano la realtà di Dio, la realtà umana, il disegno unico e singolare di Maria. Per donarsi all’uomo Dio sceglie di aver bisogno di una creatura, del silenzio e del suo vuoto per poter dire e dare la Parola fatta carne. Questo rivela chi è Dio, Colui che per amore si dona, chi è la creatura, una realtà partecipe all’agire di Dio, e chi è Maria, colei che racchiude in sé Colui che il cielo non può contenere. Maria mostra come la creatura diviene spazio dell’agire di Dio e si lascia riempire dalla grazia, diventando capace (nel senso della capacità ricettiva che con la grazia diviene possibilità) di donare Dio. Maria è umile sfondo all’azione di Dio, ma nel suo libero sì mostra che «la storia di Dio non cresce sulle possibilità già sfruttate degli uomini, ma sul fondamento delle impossibilità dell’uomo che diventano doni»3. La figura di Maria si staglia sullo sfondo della storia di Israele: l’Antico Testamento si delinea come «la storia sempre nuova del portare alla luce il Dio che appare assente»4: Dio esce dal nascondimento e si manifesta come colui che dona speranza e futuro. Nell’intreccio tra fedeltà e infedeltà, tra presenza e assenza di Dio, si delinea la grandezza di Maria: Madre di Dio, Theotòkos. E qui entra una donna, nella quale la storia si adempie in maniera totale. Nell’assenza di Dio sperimentata così spesso, all’improvviso c’è la Vergine, la donna che si pone davanti all’angelo e si offre GZ, p. 150. LE, p. 140. 4 LE, p. 158. 2 3
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L’esperienza di Dio nell’unità
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oltre i suoi limiti, in modo che Dio possa operare in lei: così porta alla luce in senso radicale, universale, definitivo, quel Dio che può affermare «Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo». Lo ha portato alla luce una volta per tutte e lo ha fatto entrare in gioco nella storia dell’umanità5. Maria non è protagonista: colui che agisce è sempre Dio. La maternità verginale di Maria si colloca in linea con l’Antico Testamento, ma trascende la storia in modo radicale. Nell’Antico Testamento la fede implica una trasformazione: il futuro che non è possibile in base alle forze umane viene donato da Dio, ma l’uomo deve fidarsi della promessa come nella maternità di Sara o nella nascita di Sansone che avvengono per intervento divino. Ma la maternità verginale di Maria è la vetta più alta: In lei Dio non solo dilata le possibilità umane oltre la loro misura, ma crea dall’impossibilità una nuova possibilità, è lui a porre l’inizio nel punto zero. La fede di Maria fa il primo passo insieme all’inizio divino della creazione. In Maria Dio prende la creatura umana per condividere e assumerne la natura […] La fede di Maria, la maternità verginale è il punto più alto dell’attività creatrice della creatura: il punto più alto è al contempo un punto zero, un puro abbandonarsi, un puro donarsi e lasciarsi donare6. Hemmerle delinea il rapporto tra il punto zero dell’inizio divino e il consenso della creatura: Dio vuole essere in questo mondo nel proprio Figlio non solo per effetto dello Spirito Santo, ma anche per opera di Maria Vergine. Dio vuole assumere la nostra dimensione non appropriandosene indebitamente o prendendola in prestito: Maria viene assunta in ciò che da lei procede, in questa presenza di Dio nel mondo. E ciò accade per intervento di Dio con una tale forza che coinvolge Maria in modo totale: ella è la Madre. Ma essendo reclamata radicalmente da parte di Dio soltanto, qui si assiste a un inizio affine a quello della creazione e della resurrezione dai morti, cioè dal nulla. Ritengo che questo sia uno dei tre momenti della storia in 5 6
Ibid. GW, p. 163.
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VII. Maria e la Trinità
cui si assiste a un inizio radicale simile: creazione dal nulla, resurrezione dai morti e nascita da una vergine7. Il mistero di Maria Madre di Dio è collocato accanto alla creazione e alla Resurrezione:
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Sono questi i tre principi che avvengono per opera di Dio solo. In un punto zero della storia, in cui viene meno qualcosa nella nostra catena di causalità e per così dire qualcosa viene lacerato, lì Dio nonostante tutto stende la mano sull’umana catena di causalità, su tutta l’umanità e fa venire alla luce il Figlio di Dio. Questo è il mistero di Maria8. Per spiegare il gioco tra libertà di Dio e libertà di Maria, Hemmerle mette in rilievo un principio sotteso alla realtà dell’Incarnazione: «ciò che viene dal cielo, deve crescere dalla terra». Viene in luce la caratteristica del Dio trinitario: l’amore divino trabocca sulla creatura rendendola partner, soggetto che offre una risposta libera. Dicendo «Dio solo» non si intende un Dio chiuso nel solipsismo, ma il Dio trinitario che riversa il suo essere-amore sull’umanità. Il sì di Maria riflette lo stile di Dio che lascia crescere dall’umanità la Parola che è discesa dal cielo. Il Dio trinitario agisce così perché ciò corrisponde al ritmo della sua vita. Lui solo è colui che agisce, ma lui solo è tale da includere il partner già nell’essere lui solo. Ciò che viene da Dio solo, viene simultaneamente dall’uomo ed è al tempo stesso risposta […] La Parola di Dio viene dall’alto in maniera non derivabile, ma al contempo viene anche dal basso: solo ciò che proviene dal cielo può crescere dalla terra. […] Questo principio fondamentale della storia di salvezza è inscritto nell’Incarnazione della Parola in Maria. Per questo motivo Maria come Vergine e madre appartiene al cuore del messaggio cristiano. Ella è l’antitesi di un Dio che opera da solo, e di una prestazione dell’uomo che agisce solo in base alle sue forze. Maria è totalmente affidata a Dio: come vergine non può concepire e partorire con le sue forze. In questo, ella porta con sé tutta la realtà umana: l’umanità non può dare alla 7 8
GZ, p. 153. LE, p. 160.
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L’esperienza di Dio nell’unità
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luce Dio. Ciò che assolutamente non può accadere in base all’uomo, accade in lei a partire da Dio, ma si attua in maniera tale che Maria vi porta in dote l’umanità e il suo sì9. Il problema della cooperazione che crea difficoltà nella comprensione di Maria da parte di alcuni cristiani della Riforma, viene superato in un’ottica in cui la risposta non proviene dalle forze dell’uomo, ma è suscitata da Dio. È il suo amore che suscita il sì di Maria, permettendo alla Parola che scende dal cielo di fiorire sulla terra. Maria è kecharitomène, colei che viene riempita dalla grazia: il suo sì non toglie nulla alla centralità del solus Deus e del solus Christus, ma ne mette in rilievo l’onnipotente azione divina. Il mistero di Maria è quello di una creatura che vive «sola con Dio solo» e accoglie la grazia divenendo causa libera dell’Incarnazione. È la logica di Dio: L’amore dona all’altro non solo l’essere amato, ma anche il poter amare. L’amore non produce solo effetti, ma produce nuove cause. Proprio così è causa. Dio è “più” Dio se crea non solo colui che riceve, ma anche colui che dà, non solo l’amato ma anche l’amante. E l’amore nella sua totalità desidera che l’altro sia partner. La natura umana di Gesù non piove dal cielo come se fosse già fatta, ma deve venire dall’umanità. […] È la conferma della proprietà intrinseca dell’amore: non solo ama, ma fa amare10. La definizione di Maria Theotòkos è una rivelazione su Dio stesso: Dio è colui che può essere generato e partorito. Egli può donarsi in un contesto di interrelazioni in cui riceve persino se stesso in modo nuovo da parte di ciò che gli fa spazio, di ciò che lo accoglie e che tende a lui in modo incondizionato come pura attesa e pura obbedienza. La seconda divina Persona si incarna assumendo la realtà umana al punto di farne un suo predicato. In Maria il predicato dell’umanità del Figlio di Dio raggiunge il vertice dentro alla determinazione specifica di una creatura: Maria Madre di Dio11.
LE, p. 159. GZ, p. 156. 11 DN, p. 215. 9
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Nello svuotarsi di sé per riempirsi della grazia viene in luce la personalità di Maria. Maria non è un modello ideale, ma una persona che rende possibile l’Incarnazione: «Poiché è la creatura in cui Cristo ha scelto di venire per tutti, pur nella sua unicità storica Maria è una realtà che riguarda noi e che noi dobbiamo essere»12. Ed essendo una persona concreta, si può parlare di stile di vita mariano che corrisponde a quanto della sua personalità emerge dai vangeli. La realtà di Maria Madre di Dio è il centro più profondo del suo mistero, il culmine da cui si dispiegano le linee della fede. In uno splendido passo Hemmerle afferma: Maria ha condotto un “dialogo al vertice”, si è lasciata coinvolgere in quell’incontro al vertice dell’umanità in cui la porta si è aperta, Dio è venuto incontro all’essere umano. […] Questo dialogo al vertice è necessario a tutti noi. Ogni uomo è il vertice dell’umanità, in ognuno accade qualcosa che solo attraverso di lui può verificarsi. Così Dio attende da ognuno un sì che solo ciascuno può donare nel posto in cui si trova13. L’Incarnazione è evento unico, ma ognuno può riviverla. In Maria viene in luce la nostra vocazione: È un appello rivolto a me: l’Incarnazione di Gesù si è verificata una volta per tutte, ma accadrà di nuovo là dove sono e mi apro alla voce del Signore, mi svuoto di me stesso come Maria divenendo sfondo. Questa vocazione vale sul piano personale e comunitario: insieme dobbiamo essere Maria, perché Cristo possa rinascere nel mondo14. Hemmerle delinea i tratti salienti della figura di Maria per vedere se «possiamo racchiudere il mistero di Maria e la sua concreta persona umana in una figura, in un’immagine, in un modello di vita che dica qualcosa su noi e sulla forma della nostra vita»15. Le caratteristiche dell’esperienza di Dio vengono delineate in senso mariano, 12 LE, p. 128. In questo senso Maria è accolta anche dal mondo della Riforma, come sottolinea Hemmerle riferendo l’esperienza del vescovo luterano M. Kruse. 13 GZ, p. 94. 14 GZ, p. 151. 15 LE, p. 161.
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L’esperienza di Dio nell’unità
poiché il mistero di Maria si dispiega in uno stile di vita (mariologische Lebensgestalt) che palesa la vocazione ad essere Maria.
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2. RIVESTITA DI PAROLA Vivere della Parola di Dio, lasciare che essa accada, concederle spazio al di là dei confini delle possibilità e della ragionevolezza: Maria è tutto questo. Il Magnificat altro non è che la lode a Dio composta dei frammenti della Parola di Dio; la sua vita è tutta intessuta della sua Parola. Dinanzi alla Parola ella retrocede. […] Maria si lascia identificare solo attraverso la Parola a cui ha creduto e ha fatto spazio così che si incarnasse in lei16. Hemmerle vede Maria totalmente rivestita della Parola di Dio: Maria è «colei che è interamente incastonata nella Parola e che vive interamente e completamente in Dio»17. Anche per Maria la vita è un’esperienza in cui attraverso le circostanze si impara a saper perdere. L’atteggiamento di Maria e dei discepoli è uno solo: accogliere la Parola di Dio, portarla alla luce dentro di sé, farla diventare in sé vita e forma. La Parola si è fatta carne dalla vergine Maria: questo non è solo un fatto biografico, ma è la realtà fondamentale della vita di Maria18. Hemmerle parla di duplice Incarnazione della Parola: una realtà che evidenzia la grandezza di Dio e il libero dono che Maria fa di se stessa alla Parola. La Parola si è fatta carne nel grembo della Vergine Maria: lei ha accolto il Verbo incarnato e lo ha dato alla luce donandoci Dio. Ciò che è determinante avviene oltre lei e al di sopra di lei: la Parola è oltre lei. Maria viene sempre lasciata indietro dalla storia di questa Parola: non è al centro, non viene alla ribalta e se mai accade, viene risospinta indietro. Solo da Gesù dipende tutto e GZ, p. 158. LE, p. 164. 18 GW, pp. 158-159. 16 17
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VII. Maria e la Trinità
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lui è la Parola […] Questa prima Incarnazione della Parola è in relazione con una seconda Incarnazione della Parola nella vita di Maria Madre di Dio: poiché ha accolto la Parola che è divenuta carne in lei, la Parola diventa forma della sua vita. Maria custodisce nel cuore la Parola: dovunque vada, la si vede sempre in rapporto con la Parola19. La Parola agisce su una donna che vuol capire e interagire: Dio non respinge l’uomo in un ruolo puramente passivo, ma lo innalza «fino a fargli prendere parte all’agire di Dio. In nessun altro luogo questo avviene in modo più radicale che in Maria, madre della Parola fatta carne, madre della Parola in noi»20. Maria «è eccezionale nel Regno di Dio non perché è la madre, ma deve essere chiamata beata perché ha creduto»21. In questo contesto si colloca il Magnificat: il mistero di Maria «non è altro che la Parola di Dio che in lei e nella sua vita si fa spazio e forma. Una fede che precede, che porta avanti, che apre a Dio il punto di inizio della sua opera nella storia»22. Mentre la Parola viene in luce, Maria scompare per lasciare spazio a Dio: Fedeltà nel buio della fede, nella più profonda compartecipazione alla croce e alla sua fecondità, penetrazione della Parola di Dio, attuazione e incarnazione della Parola in tutta la vita: questa è l’esperienza di sequela che si legge in Maria. Una sequela che non si limita a seguire Gesù, ma che prepara la via. […] La donna dell’Apocalisse è la Chiesa degli ultimi tempi che si delinea secondo il modello originario di Maria23. E del fatto che la Parola è oltre lei deve farne esperienza nella difficile storia del suo essere respinta. I Vangeli mostrano «un sorprendente atteggiamento da parte di Gesù, una sorta di rifiuto nei confronti della madre che è sospinta indietro per significare che non sono decisivi i legami di sangue e l’appartenenza familiare, ma la fede»24. LE, pp. 162-163. LI, p. 67. 21 LE, p. 163. 22 GW, p. 159. 23 Ibid. 24 LI, p. 63. 19 20
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L’esperienza di Dio nell’unità
Nella prospettiva del Regno di Dio ciò che può sembrare distacco e separazione fonda la vicinanza in modo nuovo e più profondo. In Lc 11, 27 una donna chiama beata la madre di Gesù, ma Gesù afferma che nel vivere la Parola ognuno prende parte al privilegio della madre: «il mistero di Maria si apre a coloro che nel momento presente sono toccati dalla Parola di Dio attraverso le parole di Gesù: anch’essi entrano a far parte della fede, della fecondità e della grazia di Maria»25. Quando cerca Gesù tra i dottori, o nelle nozze di Cana, Maria «sembra essere respinta, perché lui non si cura dei riguardi umani, ma soltanto dell’ora che il Padre ha fissato per lui. Ma a partire dal Padre la preghiera della madre viene realizzata nell’agire di Gesù che opera il miracolo della pienezza di Dio»26. Maria è certa che Gesù può fare qualcosa, ed effettua una radicale mediazione. È stupefacente: anche se viene respinta, si rivolge ai servi preparandoli: «Fate quello che egli vi dirà!». Se e quando viene l’ora, state pronti alla luce della Parola. Ella non è mediatrice del miracolo, ma è mediatrice dell’obbedienza alla Parola che è il presupposto per il miracolo, è mediatrice della fede che fa esperienza del miracolo, è madre della Parola in noi. Abbattuta interiormente da Gesù, lei è per noi ciò che è stata per Gesù: accoglie la Parola che contrasta con i suoi progetti, ma dalla sua fede la fa sorgere nel mondo27. La mediazione di Maria è possibile solo in quanto ella scompare facendo spazio a Cristo unico mediatore. Nei testi lucani Maria è «nella sua obbedienza totale il puro negativo, la forma vuota della Parola fatta carne»28. Maria è il vuoto che accoglie la Parola, Maria resta indietro e viene intravista in controluce come in un negativo fotografico. Rientra in una precisa logica il fatto che questo guscio umano che lo custodisce, lo porge e lo dona, si tiri indietro rispetto a ciò che abbraccia. Il “negativo”, la forma vuota, deve in un certo senso rompersi affinché la forma, il “positivo” da cui essa è plasmata venga alla luce29. GW, p. 157. GW, p. 155. 27 LI, p. 67. 28 GW, pp. 157-158. 29 GW, p. 151. 25 26
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VII. Maria e la Trinità
È interessante l’espressione “forma”: già Grignion de Montfort aveva parlato di Maria come forma Dei, stampo adatto a modellare: «chi è gettato in questo stampo divino viene presto formato e modellato in Cristo, e Cristo in lui»30. In tedesco Hemmerle utilizza le espressioni Form e Gestalt: Maria è forma vuota Hohlform, vuoto totale di sé che diviene forma di Dio, poiché è la kecharitomène riempita e plasmata dalla grazia. Questa forma è il puro negativo che mette in luce il positivo, come avviene col negativo fotografico. L’esperienza che rende beata Maria è la dimensione kenotica. Si può parlare di forma anche in senso ontologico, poiché la Parola di Dio determina la realtà esistenziale di Maria. Ricorrendo alla terminologia classica si può parlare della Parola come forma determinante e di Maria come forma che è determinata dalla Parola. La forma ontologica, il positivo espresso dal termine Gestalt, non è Maria, ma Cristo che plasma la forma vuota e la fa essere: l’esistenza di Maria prende forma nel marchio della Parola. «Maria è colei, così la Chiesa vede Maria e per questo la chiama beata, che ha impresso in se stessa il marchio della Parola che ha donato a noi»31. Mettere in rilievo il ruolo attivo della Parola è importante nel dialogo ecumenico32. Vivere la Parola non è un imperativo etico, ma qualcosa che attua ontologicamente la realtà di Maria e di ogni creatura che ripercorre la via mariae. «La Parola di Dio rendila parola tua / la tua parola rendila sua parola / la parola dell’altro rendila tua parola / In Maria la Parola di Dio si fa carne / ella è in quanto non ha da dire e da dare null’altro che lui»33. È singolare che l’Incarnazione della Parola in Maria, un evento unico nella storia della salvezza, possa diventare un’esperienza accessibile a tutti nel senso del permettere alla Parola di incarnarsi nella vita. Diventare Parola implica un cambiamento della natura umana: «è la qualità di un io trasformato, che ha il punto di partenza e di arrivo non in se stesso, ma è in tutto accompagnato dalla Parola»34. Con il suo io 30
2000.
L.M. GRIGNION
DE
MONTFORT, Trattato della vera devozione a Maria, Roma
LE, p. 163. Nel Commento al Magnificat Lutero afferma: «Maria confessa che la prima opera di Dio in lei è lo sguardo divino che si è posato su di lei, ed è anche l’opera maggiore, quella da cui tutte le altre scaturiscono. […] Si dirà soltanto che Dio ha guardato a lei, e per questo è beata» (M. LUTERO, Scritti religiosi, a cura di V. VINAY, UTET, Torino 1967, p. 464). 33 GZ, p. 155. 34 LE, p. 175. 31 32
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L’esperienza di Dio nell’unità
femminile Maria mette in risalto la capacità di incarnazione tipica della donna. Un’esperienza descritta in modo figurativo: se la Parola diventa carne in noi, non può essere oggetto di comprensione intellettuale, non deve trovarsi solo nella testa ma in ogni fibra della persona
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anche nella punta delle dita, nel mio andare, nel battito del mio polso, nel cuore, nei miei affetti, nei miei progetti, nelle mie vie, nelle mie azioni. Penso che sia bene che una donna abbia mostrato cosa significa questo, perché la capacità di incarnazione della donna manifesta qualcosa che appartiene all’umanità originaria, che non appartiene solo alle donne, ma a noi tutti e che diventa visibile nelle donne e nella donna Maria35. Questa tipica capacità femminile può essere intesa come capacità di ascoltare e di amare: «Maria non ha capito: ha amato. Una sola cosa è importante: non che io veda, ma che Dio veda. Quando questo mi basta, comincio anch’io a vedere»36. La grandezza di Maria è nel vivere la Parola. La duplice Incarnazione della Parola è la chiave per comprendere l’intima dialettica in cui Maria viene respinta ma viene lodata come beata, è la più piccola e la più grande. Il fatto che sia madre di Dio, da un lato non significa nulla poiché sono beati coloro che credono, ma dall’altro lato significa tutto: tu sei madre nella tua fede e per la tua fede, per la Parola che vive in te: poiché hai custodito in te la Parola, hai fatto sì che fosse possibile diventare la Madre di Dio37! 3. NEL GIARDINO DELLA TRINITÀ Maria è la creatura perfettamente riuscita. Maria è talmente plasmata dalla Parola, è talmente divenuta Parola da essere “nulla”. Ma questo nulla è il cielo della Trinità. In questa coincidenza, nel punto di incontro tra l’universalità del cielo e questo nulla, Maria LE, p. 174. GZ, p. 41. 37 LE, p. 164. 35 36
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VII. Maria e la Trinità
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è colei in cui la redenzione ha raggiunto la misura totale e il disegno d’amore è riuscito38. L’esistenza di Maria è pura disponibilità che si trascende. Nella “forma vuota” della sua vita, ella riceve da Dio pienezza e compimento e accoglie in modo ineffabile le tre divine Persone: «Maria non vive a partire da sé, ma da una profondità più intima. Lo Spirito Santo in lei: da lui proviene non solo suo Figlio, ma l’attuazione e la forma della sua vita»39. L’intreccio tra la grazia della divina maternità e il vivere in Dio sola cum solo, mette in luce un rapporto unico tra Maria e la Trinità. La Lumen Gentium mette in luce il rapporto con le tre Persone definendo Maria «Madre del Figlio di Dio, perciò figlia prediletta del Padre e tempio dello Spirito Santo»40. Giovanni Paolo II osserva che «colei che ha introdotto nell’umanità il Figlio eterno di Dio non potrà mai essere separata da Colui che si trova al centro del disegno divino attuato nella storia»: con l’Incarnazione Maria è «entrata ad essere parte integrante nella economia della comunicazione della Trinità al genere umano»41. Hemmerle coglie questo singolare rapporto di Maria non solo con ogni persona della Trinità, ma con tutta la Trinità: Maria è madre del Dio trinitario, è colei che sussiste nel Figlio, vive per il Padre ed è plasmata dallo Spirito Santo, per cui è avvolta dal Dio trinitario: Maria, creduta e conosciuta dalla Chiesa come colei che è interamente incastonata nella Parola e che vive interamente e completamente in Dio è per così dire nel recinto della Trinità. Ella è completamente avvolta e circondata dal Dio trinitario e vive interamente della chiamata di grazia del Padre. In quanto imprime la Parola, Maria imprime il carattere della figliolanza, tanto che lei che non è figlia di Dio per natura, lo diviene per grazia. Ella impersona l’essere bambini davanti a Dio e il librarsi della Sapienza davanti a Dio che è Padre, ma è anche colei che sussiste totalmente nel Figlio, colei il cui sì è contenuto totalmente nel sì del Figlio,
LE, p. 167. GZ, p. 160. 40 CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Costituzione dogmatica Lumen Gentium, 53 [21.11.1964], in EV 1, 284-456. 41 GIOVANNI PAOLO II, Maria in prospettiva trinitaria [10.01.1996], in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XIX/1 (1996), Città del Vaticano 1998, pp. 46-47. 38 39
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L’esperienza di Dio nell’unità
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ed è colei che sta interamente nello spazio dello Spirito. E in tutto questo, Maria resta nascosta42. Lo straordinario rapporto di Maria con la Trinità viene delineato alla luce della Parola. Hemmerle, vedendo Maria rivestita di Parola e totalmente incastonata nella Parola di Dio, la vede non solo in rapporto con la Trinità, ma in un certo senso “nella” Trinità, e cioè custodita, avvolta e circondata dal Dio trinitario e sussistente nel Dio che si fa carne in lei. Maria vive del Padre, Maria dice il proprio sì nel Figlio, Maria vive nello spazio dello Spirito: vive nella realtà del noi del Dio trinitario che in lei si è fatto carne. E questo sembra delinearsi non solo in senso esistenziale, ma anche in senso ontologico, poiché Maria sussiste nel Figlio, non è altro che Parola e volontà del Padre e vive nello spazio dello Spirito, per cui si può dire che Maria “è” nel recinto della Trinità, cioè è abbracciata e custodita dalla Trinità stessa, ed “è”, cioè sussiste, in questo noi trinitario (sie ist in diesem Wir43). Hemmerle vede il rapporto tra Maria e la Parola non solo in senso ricettivo, cioè che Maria è plasmata dalla Parola, ma anche in senso attivo da parte di Maria, poiché è lei a imprimere il marchio della Parola, quindi il carattere della figliolanza, pur ricevendolo lei stessa per grazia. La sua maternità è tale da imprimere la realtà della figliolanza e nella sua realtà di Madre di Dio viene in luce un disegno di grazia che le permette di cooperare alla salvezza. Giovanni Paolo II afferma: A lei è concessa una somiglianza del tutto speciale tra la sua maternità e la paternità divina. […] La relazione privilegiata di Maria con la Trinità le conferisce pertanto una dignità che supera di molto quella di tutte le altre creature. […] Emerge qui il significato autentico dei privilegi di Maria e dei suoi rapporti eccezionali con la Trinità: essi hanno lo scopo di renderla idonea a cooperare alla salvezza del genere umano44. Nella sua teologia iconica Hemmerle utilizza alcune immagini. La realtà di Maria custodita e avvolta dal Dio trinitario viene espressa con l’immagine del recinto e del giardino: LE, pp. 164-165. LE, p. 166. 44 GIOVANNI PAOLO II, Maria in prospettiva trinitaria, cit., p. 48. 42 43
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VII. Maria e la Trinità
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Maria è nel giardino della Trinità, custodita dal Padre che è sopra di lei e che la ama, dal Figlio dentro di lei e nel prossimo, dallo Spirito che forma il nuovo noi, il nuovo popolo di Dio. Maria in cui la Parola si fa carne, è nascosta nel Dio trinitario45. Il mistero di Maria Madre di Dio viene rappresentato con l’immagine del cielo: Maria viene definita «il cielo della Trinità». Maria non solo è custodita dalla Trinità, ma a sua volta, per la grazia della maternità divina, custodisce, e in un certo senso “contiene”, la Trinità, come il cielo contiene ciò che lo illumina e lo rende tale. Questo è possibile per il fatto che la realtà della vita trinitaria è il reciproco circondarsi: in questo senso Maria è custodita e custodisce, è abbracciata e abbraccia, è contenuta e contiene, come suggerisce l’immagine del cielo, che non è sfondo inerte ma è realtà che tutto abbraccia. Maria Madre di Dio ci dona nel Figlio tutta la Trinità: In quanto Theotòkos-Madre di Dio, Maria è il cielo della Trinità: da lei infatti il Figlio di Dio viene nel mondo. Così ella dona al mondo Colui che insegna a dire «Abbà, Padre» e ci dona il suo Spirito, così che siamo uno gli uni con gli altri, uno con lui e uno con lei. Donandoci il Figlio, ci dona ciò che il Figlio ci dona: il Padre sopra di noi e lo Spirito in noi. Non nel senso di una causalità originaria che possa sottrarre alla causalità originaria del Figlio la minima parte, ma nel senso dell’essere-con-lui (Mit-sein), essere all’interno (Drinnen-sein) del suo agire, come sempre corrisponde alla realtà di Dio il fatto che Dio solo o Cristo solo significhino Dio e qualcuno, Cristo e qualcuno46. Con particolare sensibilità ecumenica Hemmerle precisa che tale ruolo di Maria non toglie nulla alla causalità originaria del Padre o del Figlio. Maria è il cielo della Trinità perché è incastonata nella Trinità: la pone in risalto, come uno sfondo contiene e mette in risalto un’opera d’arte. Logicamente non si tratta di qualcosa che contiene perché è maggiore del contenuto, ma di un recipiente vuoto che accoglie. Si chiarisce il problema del contributo personale di Maria: se il suo agire avviene grazie all’agire di Cristo e lei «è interamente custodita nel re45 46
LE, p. 166. LE, p. 169.
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cinto del Dio trinitario ed è lo spazio ed il cielo della Trinità»47, non si può parlare di prestazione umana, ma del contributo di una persona totalmente immersa in Dio che per singolare disegno diviene spazio e cielo del Dio trinitario. Maria non è in concorrenza con Cristo, ma è lo sfondo. Uno sfondo che non va inteso come falsa umiltà che si esprime nel sevizio esteriore, ma in senso totalmente diverso, cioè nel creare spazio dentro di sé in modo che da lei Dio venga alla luce. […] Questo è il cielo di cui abbiamo bisogno sulla terra: non abbiamo bisogno di un cielo di grandi personaggi. Abbiamo bisogno di quel cielo che è il seno di una Vergine, dal quale in Gesù Cristo viene alla luce il Dio vivente48. 4. L’IMMACOLATA L’uomo è pervaso dal desiderio di poter contemplare in tutta purezza in qualcuno la natura umana che così spesso è allo stremo delle forze, insudiciata e deturpata dal peccato, ed è pervaso dal desiderio di poter vedere Dio con l’infinita sua potenza di rendere pura la natura umana. E dove Dio rende pura la natura umana, se non in quella donna, la madre del Figlio suo, madre di tutti noi? La maternità come punto in cui la natura umana viene elevata oltre sé per farsi amore, misericordia, prossimità e dimora per gli altri, la natura umana nella sua verginità in cui tutto si strugge e sboccia, è presente e si dona: questo si manifesta in Maria. È questo un desiderio primordiale dell’umanità, e per questa ragione Maria fa parte della nostalgia dei popoli49. Maria come tutti gli altri esseri umani ha bisogno di redenzione e viene redenta. Non è dotata di una natura umana speciale come se fosse discesa direttamente dal paradisiaco scenario dell’Eden prescindendo da Adamo ed Eva. È Immacolata, è colei che è senza peccato soltanto perché ha ricevuto in pienezza la grazia di cui Ibid. LE, p. 167. 49 GZ, p. 365. 47 48
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VII. Maria e la Trinità
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Dio fa dono in Gesù. La Chiesa crede che questa pienezza sia così totale, cioè che il Redentore possa donare la sua grazia con una pienezza tale che la natura umana ne viene sanata sino all’essenza più intima, sin dal principio primo. Questa grazia in Maria è così forte che in piena corrispondenza con il suo “sì” la salvaguarda dalle tenebre del “no” e la immette nella pienezza totale della resurrezione. Il senso teologico di questo dogma mariano è grande quanto la redenzione. […] In un unico punto ecco l’essere umano pienamente redento50. Il rapporto ineffabile di Maria con la Trinità apre orizzonti inediti per la riflessione teologica e antropologica. In Maria la redenzione ha raggiunto la sua misura totale e il disegno di Dio sulla creatura è perfettamente riuscito: Maria Immacolata è «colei in cui si realizzano il sogno di Dio e il suo progetto sull’uomo in tal modo ci dona la nostra pienezza redenta»51. Dopo aver definito Maria come il cielo della Trinità, nel mistero dell’Immacolata Hemmerle mette in risalto il disegno di Dio sull’uomo. Maria diviene il punto di riferimento dell’antropologia trinitaria: in lei si coglie il frutto anticipato della redenzione, un io trasformato che vive nella dimensione del noi poiché si è dilatato sulla dimensione dell’amore. Maria è talmente vuota di sé da essere trasparenza di Dio: il suo io è tutto nella realtà del noi, presentando un’identità umana perfettamente riuscita, sanata e redenta alle radici. E l’identità umana che si legge in Maria è immagine e somiglianza del Dio trinitario: è l’io che non è più centrato su se stesso ma è dilatato in direzione della reciprocità. In lei si legge la trasformazione del nostro io. Maria è questo io trasformato. […] Maria appartiene alla schiera dei discepoli, appartiene al piccolo resto della nuova Sion sotto la croce, appartiene alla comunità che prima di Pentecoste è radunata unanime in preghiera: ella vive nella realtà del noi52. Maria è umanità realizzata nella dimensione kenotica e comunionale. La sua personalità è caratterizzata dal “noi”, è persona del GZ, p. 164. LE, p. 174. 52 LE, p. 165. 50 51
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L’esperienza di Dio nell’unità
Mit-sein, con-essere col Figlio, ed è personalità kenotica, vuoto che accoglie la Parola. È la persona umana che per grazia diviene il cielo della Trinità.
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È il capovolgimento dell’uomo, una prospettiva che non si basa sui progetti e sulle possibilità dell’io, ma si fonda su Dio. Possiamo vedere in profondità il capovolgimento dell’esistenza umana solo in Maria Immacolata. […] Maria, semplice creatura umana, esce fuori dalla storia della colpa e del suo peso e si consegna totalmente a Dio tanto che nella sua esistenza non viene alla luce altro se non il donare e comunicare lui. Questo dono giunge a lei, precede il suo agire e si risolve nella risposta di fede: corrisponde a lei53. La riflessione teologica sfocia nella meditazione: Questo ha grande significato per la mia realtà personale. Nella mia realtà umana mi trovo a sperimentare delle fratture, cosa che mi fa sentire vicino a molti altri che fanno esperienze simili. Sono contento di poter confidare in Gesù in cui tutte le fratture sono sanate. Ma se continuo a vagare con lo sguardo cercando aiuto, è perché sarei ancor più felice se da qualche parte, in una figura creaturale pura, si potesse vedere concretizzato ciò che Dio ha pensato sull’uomo. Certo so che in Gesù c’è la pienezza della realtà umana sanata e salvata, ma ciò nonostante mi chiedo: c’è da qualche parte accanto a lui una creatura che sia sanata sino alle fessure della sua origine, tanto che in essa si manifesti la forma perfetta della salvezza? Dio ha potuto realizzare da qualche parte il suo sogno sulla creatura umana nonostante la nostra colpa? Non esiste da qualche parte l’uomo sanato fino alle radici? Esiste l’uomo nel quale sboccia l’originario piano dell’amore di Dio54? Come in uno squarcio sulla realtà dei cieli nuovi e delle terre nuove, Hemmerle vede l’amore come spazio vitale in cui ogni cosa sussiste nel tutto:
53 54
GW, p. 161. LE, p. 168.
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VII. Maria e la Trinità
Quando sono amato sono me stesso, sono nel tutto e sono il tutto. L’amore fa sì che io possa vivere come persona, è lo spazio vitale in cui respiro. […] Nell’amore vengo compreso nell’orizzonte onnicomprensivo del tutto. […] In base a questa logica si comprende che Maria, l’essere umano pienamente redento, ha lo sguardo rivolto a tutta l’umanità55.
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Maria «è l’Alleluia dell’umanità», »,, è defi definita nita «vaso del vangelo, apertura inaugurale per il vangelo, la lieta novella di cui Dio fa dono»56. L’incontro con l’Immacolata è fonte di gioia nel ritrovare la propria identità: È il desiderio struggente della natura umana di essere custodita da qualche parte per sbocciare come Dio l’ha pensata. Per questo sono felice che la Chiesa mi abbia donato Maria e mi abbia posto dinanzi agli occhi l’Immacolata. Ella è divenuta preziosa per me, poiché la mia identità personale dipende dal fatto che io possa vedere da qualche parte la mia realtà umana sanata fino alle radici. Ho più fiducia nell’uomo e in ciò che Dio vuole fare con l’uomo perché esiste Maria57. Ella fa parte di me. E lei non mi contesta il fatto che non sono così risanato. No. Apparteniamo l’uno all’altra, e se lei è totalmente in questa luce, irrompe luce nel mio buio. Maria come disegno d’amore riuscito58. Il rapporto con l’Immacolata arriva a sfiorare i livelli della mistica: si instaura un’appartenenza tra l’anima e Maria, per cui Maria entra nell’anima portando la sua luce di creatura redenta. Maria è disegno d’amore ma non è l’Autore del disegno: è lo specchio cristallino che riflette, è il cielo azzurro che è sfondo e trasparenza di Dio.
GZ, p. 159. GZ, p. 162. 57 LE, p. 168. 58 Ibid. 55 56
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L’esperienza di Dio nell’unità
5. LA DESOLATA
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In Maria è presente il sì dell’umanità intera e questo sì incondizionato è un guscio che si offre, che accoglie e continua a donare. Così è madre di misericordia, salute degli infermi, rifugio dei peccatori, regina degli apostoli e della pace, madre di tutti noi e immagine vivente della Chiesa59. Maria è Madre di Dio, è l’Immacolata, ma è anche la Desolata, la madre sotto la croce che ben conosce il dolore. Non si tratta di una figura ideale priva di attrito terreno lontana dalla realtà: nella sua grandezza, non si deve dimenticare la sua esperienza profondamente umana. Il sì verticale di Maria nel silenzioso abbandonarsi del diletto Figlio al Padre, in dimensione orizzontale significa accogliere il discepolo al posto del Figlio. La sua esistenza non ha altro senso che esserci, per coloro per cui il Figlio sta morendo. Il rapporto di madre con Gesù diventa rapporto di madre con coloro in mezzo ai quali vuole restare vivo60. Nella mariologia giovannea la scena di Maria sotto la croce fa da contrappunto alle nozze di Cana: i due episodi racchiudono in un abbraccio la vita pubblica e la passione di Gesù. Come a Cana, Maria è l’esclusa, colei che viene respinta: Maria sta lì di nuovo. Quando suo figlio compie la sua opera, di nuovo viene respinta dal figlio, ma in un amore che va al di là di tutto e che affida il discepolo a lei e lei al discepolo. Tutte e due volte la via di Gesù va oltre Maria, ma è con Maria. Lei e la sua fede confluiscono e sono incastonate nel movimento della vita di Gesù che continua verso il Padre, ma che continua anche nei discepoli e dentro la Chiesa. La preghiera non è per lei ma per gli altri, e lei viene donata a un altro come suo figlio. Come alle nozze di Cana
59 60
GZ, p. 152. GZ, p. 136.
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VII. Maria e la Trinità
Maria deve limitare i propri desideri e aspettative e commisurarli con l’ora che il Padre ha fissato per Gesù61.
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La separazione dal figlio che Dio le impone, genera un rapporto nuovo con lui nei discepoli e nella Chiesa. Perdendo il figlio «ella perde il suo tutto. E non viene consolata da questa perdita per il fatto che un altro al posto del figlio si prende cura di lei». L’esperienza dell’unità si attua quando il discepolo prende con sé la madre di Gesù. Accogliersi reciprocamente sotto la croce nel suo amore e nel suo nome: questo rende presente Cristo che sembrava essere assente. Per questo motivo far entrare la madre in ciò che il discepolo ha di proprio e far entrare il discepolo in ciò che la madre ha di proprio, costituisce il punto esatto in cui la preghiera di Gesù comincia a realizzarsi e in modo sommesso muove i primi passi quell’unità che Dio vuole attuare per mezzo di Cristo62. Un gesto che va al di là della solidarietà nel comune destino poiché esprime una profondissima realtà in cui ognuno diviene madre dell’altro nell’amore reciproco e nel custodire la Parola: «qui Maria diventa Theotòkos nel discepolo, nella comunità di discepoli»63. In Gv 19, 25-27 guardando all’Abbandonato si comprende Maria, guardando a Maria si comprende l’amore e il mistero dell’abbandono a cui partecipa come Desolata: L’Abbandonato, che mi ha assunto fin nelle più intime profondità dell’abisso, è appeso là ed è lasciato solo da tutti. Non deve essere accompagnato da qualcuno? Non deve esserci da qualche parte un punto attraverso il quale la sua solitudine estrema possa entrare nel cuore della tradizione e della fede? Colui che là era completamente solo deve darsi a noi ed essere donato anche per mezzo di creature umane perché possiamo conoscerlo e trovarci là anche noi64.
GW, p. 155. LI, p. 68. 63 Ibid. 64 LE, p. 170. 61 62
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L’esperienza di Dio nell’unità
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L’esperienza di Gesù nell’abbandono e l’esperienza di Maria sembrano convergere. Alla luce di un’affermazione di Bernardo da Chiaravalle, Hemmerle coglie in Maria il punto in cui la solitudine estrema dell’Abbandonato trabocca e si consegna a noi. Bernardo afferma che la lancia che ha trafitto il costato di Cristo aveva già trafitto Maria. Una spada ha veramente trapassato la tua anima, o santa madre nostra! Essa non avrebbe raggiunto la carne del Figlio se non passando per l’anima della madre. Certamente dopo che il tuo Gesù, che era di tutti ma specialmente tuo, era spirato, la crudele lancia non poté arrivare alla sua anima. Quando infatti non rispettando neppure la sua morte, gli aprì il costato, ormai non poteva più recare alcun danno al Figlio tuo. Ma a te, sì. A te trapassò l’anima. L’anima di lui non era più là, ma la tua non se ne poteva assolutamente staccare65. Per Hemmerle questa è una delle più belle meditazioni su Maria poiché descrive la partecipazione al dolore del Figlio: se nell’abbandono l’amore di Dio raggiunge il culmine nella condivisione da parte di Maria c’è l’esperienza di Dio più profonda, perché si inserisce nella kenosi divina. L’ultima realtà del dolore di Gesù è presente nell’umana compartecipazione a questo dolore da parte della madre sotto la croce, Madre Desolata. L’umano compartecipare al dolore è la più alta partecipazione dell’uomo a Dio. Ciò è vero anche per noi. […] Forse per questo motivo sono persone nel senso più pieno quelle madri che stanno in piedi impotenti davanti alla mancanza di fede dei loro figli e delle loro figlie. Forse per questo motivo sono persone nel senso più pieno coloro che oggi in ogni luogo restano in piedi sotto la croce66. Hemmerle osserva che «l’unione intima tra l’uomo e Dio si realizza in maniera suprema dove la croce diventa forma della nostra vita e sotto la croce diventiamo uno tra noi»67. Nello stare in piedi come 65 BERNARDO DA CHIARAVALLE, Discorsi nella domenica fra l’ottava dell’Assunzione, 14-15, in Opera omnia V, Roma 1968, pp. 273-274. 66 LE, p. 172. 67 Ibid.
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VII. Maria e la Trinità
Maria davanti al dolore abissale, al buio e alla lontananza da Dio, si realizza l’esperienza di Dio e in essa, l’uomo fa esperienza dell’essere persona nel senso dell’esistenza eucaristica.
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6. MADRE DELL’UNITÀ Maria viene inscritta nella storia della Chiesa, nell’essere madre per gli altri, il che non si esaurisce in una sollecitudine e in un aiuto, ma si realizza nel custodire la Parola e l’amore per mezzo di cui Gesù è presente. Con Maria nasce questa realtà: il nostro essere madri, figli e figlie nella reciprocità tra noi. Viene alla luce l’impronta contenuta nel testamento di Gesù: che tutti siano uno68. Hemmerle vede in Maria la realizzazione dell’unità. Egli applica a Maria una formula pasquale: «essere cristiani significa vivere con colei che è viva. Vivere con lei per sua intima dinamica porta a vivere con colui che è vivo»69. La Chiesa contempla Maria come Immacolata, colei nella quale sin dal principio senza le rotture e gli annebbiamenti della nostra libertà caduta, la grazia di Dio ha potuto operare tutto ciò che Egli voleva. La Chiesa contempla Maria come Madre Vergine del Signore, colei che ha immesso tutta la sua corporeità nell’Incarnazione del Verbo in modo tale da offrire in modo casto la sua realtà corporea a Dio solo, a Dio che crea e opera. La Chiesa contempla Maria come Madre di Dio, colei che non solo è creatura riempita da Dio e dalla sua grazia, ma che dona la vita umana al Figlio di Dio, grazie alla potenza dello Spirito di Dio che opera in lei. La Chiesa contempla Maria come assunta nella gloria con corpo ed anima, quindi con tutta la sua esistenza umana passata dalla morte al compimento perfetto70. Commentando Col 3, 3 secondo cui la nostra vita è nascosta con Cristo in Dio, Hemmerle osserva: LI, p. 68. GW, p. 160. 70 GW, pp. 160-161. 68 69
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L’esperienza di Dio nell’unità
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Il nascondimento ci rende insieme a Maria un guscio che accoglie il Signore, lo racchiude e lo porge agli altri; così diventiamo lo sfondo che egli può riempire, sfondo sul quale può prendere forma e venire in luce per il mondo. Se siamo nascosti con lui egli può venire in luce e far luce in noi. In questo si ricapitola il mistero mariano della nostra esperienza di fede personale71. Il silenzio di Maria dice la Parola: «Ella è quel puro silenzio, il tacere assoluto in cui non c’è più nulla dell’essere umano, ma in cui la misericordia e la grazia di Dio hanno preso forma piena»72. Consapevole della fragilità umana, Hemmerle osserva che noi non siamo l’Immacolata, ma abbiamo bisogno di conversione «in comunione con colei nella quale la nuova creazione e la conversione della storia nel nuovo inizio di Dio diventano visibili: questa è la via della fede»73. Nel quotidiano si apre la dimensione mistica, si può essere contemplativi nell’agire e scoprire il volto di Dio in ogni circostanza. Essere Maria significa riscoprire un’esperienza di Dio possibile in ogni vocazione. Ogni vocazione cristiana e l’essere cristiani ha questo fondamento contemplativo: dovunque io vada e qualunque cosa io faccia, rimango in Lui. Devo sempre e solo guardare a Lui lì dove Lui è, e avvicinarmi a Lui. Scopro l’abbandonato nei dolori, scopro il suo Spirito nei piccoli, scopro il suo dolore nei sofferenti, scopro la sua vicinanza là dove gli uomini sono uniti nel Suo nome. Vedere questo, chiamare questo per nome e metterlo in luce: è tutto qui. Ecco un modo per vivere come Maria: essere contemplativi nell’agire, rimanere in Lui. […] Essere Maria, Maria che non è nulla di grande e che non significa nulla di grande, ma che genera il Figlio e porta il Figlio, Dio in mezzo a noi, Io non sono l’Immacolata, sono l’uomo finito e peccatore. Ma se guardo a Maria, allora sono l’uomo che può ricominciare sempre, perché sono sempre riportato alla sorgente del primo amore. È un continuo ritornare alla spontaneità del primo amore, è rinfrescarsi nella sorgente, è partecipare all’Im-
GW, p. 165. GZ, p. 251. 73 GW, p. 162. 71 72
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VII. Maria e la Trinità
macolata, in cui posso vivere come natura umana incorrotta nella fede in Colui che mi ha amato e mi ha salvato74.
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Partecipando all’Immacolata si può rivivere «come natura umana incorrotta»75 confidando nella fede e nella grazia. Maria è oggetto di una particolare elezione da parte di Dio che anticipa in lei i frutti della Redenzione, ma l’essere Immacolata è inserito nella Communio Sanctorum in una dimensione a cui tutti per grazia possono attingere. È la vocazione universale ad essere Maria: vivendo come Maria, questo Hemmerle intende dire, per grazia si diventa un’altra lei. Una bella poesia lo esprime: Vieni, abbi il coraggio di essere uomo / il coraggio di conformarti ai parametri di Dio / tu non sei solo! / Gesù ti precede / Maria ti accompagna! / Sillaba il tuo sì / negli attimi della tua vita / e se il tuo sì sempre / continua a incrinarsi / confida anche nei cocci / dell’amore di Gesù morto in croce per te / e della madre sua, madre di misericordia / ai piedi di quella croce / Liberiamo il nostro cuore diamolo all’angelo / che ci chiama / Ascoltiamo la sua voce / non temere anche tu non temere / Perché tu, anche tu, hai trovato grazia presso Dio76. Vivere Maria significa vivere secondo i tratti rilevati nella sua figura, cioè la duplice Incarnazione della Parola, Maria nascosta nel Dio trinitario, Maria umanità realizzata, Maria Desolata, Maria, madre dell’unità. Significa fare entrare nella nostra realtà personale, eis tà idià (Gv 19, 27) e quindi rimanere in piedi sotto la croce e diventare una cosa sola nella reciprocità. Dove perdo per gli altri il mio Dio, sto in piedi come Maria là dove Lui è; dove non sfuggo l’Abbandonato, ma come Maria mi metto davanti a Lui, resto saldo nell’amore di Dio; dove in nome dell’Abbandonato accolgo l’altro, percorro la via dell’unità. Così la via di Maria diventa la nostra via77.
LE, p. 176. Ibid. 76 GZ, p. 164. 77 LE, p. 176. 74 75
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L’esperienza di Dio nell’unità
In un certo senso Maria è in noi e noi siamo in Maria. Sotto la croce e a Pentecoste è decisivo il fatto che non si raduna soltanto il gruppo maschile degli apostoli, ma l’intera comunità e in essa, Maria come il punto più intimo della Chiesa. In questo modo Maria diventa madre dell’unità, mater unitatis78.
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In Maria, cielo della Trinità e trasparenza di Dio, si può vivere un’autentica esperienza di Dio. 7. PHILOSOPHARI IN MARIA Guardando Maria si può fare teologia e pensare in modo autentico. È una profonda convinzione di Klaus Hemmerle. Sia nel Magistero che nella riflessione teologica sta venendo in luce negli ultimi anni la figura di Maria come luogo della teologia e della filosofia, e questo è in profonda sintonia con il pensiero di Hemmerle e con quanto egli aveva anticipato alcuni anni prima. Giovanni Paolo II ha messo in luce che Maria Madre di Dio è «parte parte integrante nell’economia della comunicazione della Trinità al genere umano»79. Ma la prospettiva mariana è valida anche per la filosofia e il pensiero tout-court. Giovanni Paolo II ha additato Maria come punto di riferimento per coloro che fanno ricerca80. Nella Fides et ratio si afferma: Si può intravedere una profonda consonanza tra la vocazione della Beata Vergine Maria e quella della genuina filosofia. Come la Vergine fu chiamata ad offrire tutta la sua umanità e femminilità. […] così la filosofia è chiamata a offrire tutta la sua opera razionale e critica. […] E come Maria nell’assenso dato all’annuncio di Gabriele nulla perse della sua vera umanità e libertà, così il pensiero filosofico nell’accogliere l’interpellanza che gli viene dalla verità del vangelo, nulla perde della sua autonomia, ma vede
LE, p. 173. GIOVANNI PAOLO II, Maria in prospettiva trinitaria, cit., p. 48. 80 Cf. GIOVANNI PAOLO II, Lettera Enciclica Fides et ratio, 108 [14.09.1998], in EE 8, 1808-2001. 78 79
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VII. Maria e la Trinità
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sospinta ogni sua ricerca alla più alta realizzazione. Questa verità l’avevano ben compresa i santi monaci dell’antichità cristiana, quando chiamavano Maria «la mensa intellettuale della fede». In lei vedevano l’immagine coerente della vera filosofia ed erano convinti di dover philosophari in Maria81. Oggi esistono diversi studi che approfondiscono il rapporto tra Maria e la filosofia82. In uno di essi si afferma: «Philosophari in Maria è compiere nuovamente, anche in filosofia, quell’atto coraggioso e affascinante, ragionevole ma insieme drammatico, del pensiero e della vita, di scegliere Dio»83. G.M. Zanghí, che ha condiviso la riflessione di Hemmerle nella Scuola Abbà, sottolinea che quando la Parola si dispiega nell’ambito della creazione per dire Dio come parola creata, ecco allora Maria, spazio creato che è come il riflesso dello Spazio increato che è il Padre. […] Il nostro fare teologia accade tra questi due fuochi che sono uno in Gesù: il Padre, che è il fondamento divino della teologia, e Maria, che è il fondamento umano della teologia. Se ci poniamo di fronte a Maria possiamo capire cosa ci è chiesto per essere teologi84. In riferimento specifico ad Hemmerle, Zanghí afferma che oggi «bisogna accedere ad una grande rivoluzione ontologica. Si apre finalmente un’ontologia trinitaria» e conclude affermando che «solo alla scuola di Maria potremo imparare questa antica novità di pensiero che il mondo attende»85. Si delinea un profondo rapporto tra Maria e la filosofia:
Cf. ibid. Cf. P. FORESI, Conversazioni di filosofia, Roma 2001, p. 133. «Che Che cos’è la fi filolosofia? È Maria, in quanto è la natura umana elevata al piano divino, che pur rimane natura umana» (ibid.). 83 M. MANTOVANI, Philosophari in Maria, in «Nuova Umanità» XXV (2003/3-4), 147/148, p. 350. 84 G.M. ZANGHÍ, Il Padre come luogo della teologia, in «Nuova Umanità» XXII (2000/6), 132, p. 833. 85 G.M. ZANGHÍ, Spunti per una teologia di Gesù abbandonato, cit., pp. 30-31. Zanghí aggiunge che Maria è luogo della teologia perché è «calice creato che, tutto vuoto, è solo accoglimento della sussistenza dei Tre, quasi triipostatizzata, per culmine di amore, dai Tre». 81
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L’esperienza di Dio nell’unità
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Maria è la filosofia nel senso più profondo, chiamata a legare cielo e terra; non come ancella della teologia o delle scienze, bensì madre che nel suo essere tutta a servizio, dà a ciascuno di essere ciò che deve essere. La domanda della Vergine «Come è possibile ciò?» e il suo fiat, sono la forma della filosofia, la forma che la filosofia rivela al pensiero, perché questo la faccia sua. E in essa trovano spazio e alimento, ma nei loro modi, teologia e scienza86. Per quanto riguarda Hemmerle, si può dire che Maria sia stata il modello del suo pensare. Egli ha inteso la ricerca come cammino nella conoscenza e nell’esperienza di Dio attraverso un camminare nell’amore. La particolare dimensione mariana del suo pensare viene sottolineata da B. Leahy, che in una bella monografia ha evidenziato il profilo mariano della Chiesa: La teologia è vivere la passività/attività di Maria che esprime la Chiesa nella sua conoscenza che è la conoscenza stessa di Cristo. Come Maria e partecipando al suo sì, la teologia diventa un partecipare nella fede alla conoscenza che Gesù ha del Padre nello Spirito. Qui forse si illumina il significato dello spunto di Klaus Hemmerle sul pensare alla rovescia: la teologia nella prospettiva del principio mariano è un pensare non a partire da sé ma a partire dall’agire di Dio; non un pensare prima di fare, ma a partire da ciò che si è fatti dalla grazia di Dio87.
86 G.M. ZANGHÍ, La filosofia ha oggi ancora un destino?, in «Nuova Umanità» XVIII (1996) 108, p. 638; cf. anche ID., Maria e il cammino della ragione, in «Nuova Umanità» XVIII (1996/5), 107, pp. 509-514. 87 B. LEAHY, L’Anima-Chiesa nella prospettiva del principio mariano, in «Nuova Umanità» XXII (2000/6), 132, p. 922.
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VIII.
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La Chiesa, spazio della Comunione trinitaria
Se mi si chiedesse che cosa amo di più e ho di più caro al mondo, non risponderei altro che la Chiesa! Se mi si chiedesse qual è la cosa al mondo che è più transitoria e dovrebbe essere diversa, risponderei di nuovo: la Chiesa! Perché amo la Chiesa più di ogni altra cosa al mondo? Perché credo che in questa Chiesa con tutte le sue mancanze, i bisogni, la precarietà e tutto ciò in cui potrebbe essere diversa, Dio sta dalla parte dell’umanità. Se amo tutti gli uomini perché ho a cuore l’umanità, devo amare la Chiesa: essa non è altro che il segno che Dio ha accolto e assunto gli uomini così come sono nella loro povertà, nel nulla della loro provvisorietà e relatività1. L’ecclesiologia è un aspetto fondamentale del pensiero di Hemmerle per due motivi. Il primo è di ordine biografico: la sua attività episcopale è stata caratterizzata da un intenso impegno che lo ha visto protagonista di Sinodi dei vescovi e di convegni ecumenici tra vescovi di diverse chiese, importante punto di riferimento per il dialogo ecumenico in Germania. Il secondo motivo è teologico: egli scrive numerosi saggi sviluppando la riflessione su tematiche ecclesiologiche a partire dal mistero trinitario di Dio2. La Chiesa icona della Trinità è l’idea centrale dell’ecclesiologia di Hemmerle. Ed è la realtà che viene in rilievo nell’ecclesiologia neotestamentaria e che si sviluppa nelle intuizioni di Cipriano e Bonaventura confluendo nell’ecclesiologia della Lumen Gentium e della Christifideles laici. Il mistero della ChieIG, p. 19. Per approfondimenti sull’ecclesiologia di Hemmerle si rimanda all’intero volume V degli AS: Gemeinschaft als Bild Gottes. Beiträge zur Ekklesiologie. Per approfondimenti sulla sua attività episcopale in ambito pastorale e nel dialogo ecumenico e interrreligioso, cf. W. HAGEMANN, Verliebt in Gottes Wort, cit.; tr. it., W. HAGEMANN, Innamorato della Parola di Dio, cit. 1 2
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L’esperienza di Dio nell’unità
sa rappresenta la realizzazione più alta dell’esperienza di reciprocità dell’amore, innalzata sul piano dell’universalità, della sacramentalità e della missione. Il disegno sulla Chiesa si staglia alla luce del mistero di Gesù Abbandonato e di Maria.
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1. LINEE ECCLESIOLOGICHE DEL NUOVO TESTAMENTO Nel Nuovo Testamento i diversi modelli mostrano «come l’unica essenza della Chiesa possa presentarsi nella molteplicità delle forme di incarnazione»3. È sorprendente vedere che essi presentano gli stessi tratti «caratteristici di una vita trinitaria, cioè di una vita del reciproco essere Padre e Figlio l’uno per l’altro, una vita nella dimensione della storia della salvezza»4. La certezza che Gesù è con noi tutti i giorni fino alla fine del mondo imprime un marchio sul vangelo di Matteo ed è determinante per la Chiesa, le cui coordinate si delineano nel Discorso della Montagna: Questo nuovo modo di comportarsi vicendevolmente e nei confronti degli altri alla luce della radicalità del Vangelo, costituisce un’affermazione basilare sulla realtà della Chiesa. La Chiesa è l’inizio della nuova umanità che si abbandona alla Provvidenza di Dio e si consegna con unico amore a una nuova reciprocità che nasce dal perdono e dal prendere sul serio l’amore personale per ogni uomo, anche nemico. Qui viene abbozzata una sorta di relazionalità trinitaria. Vivere reciprocamente riconciliati, evitare i giudizi sugli altri, gettare via le preoccupazioni personali dedicandoci ai vicini come ai lontani, è la fondamentale novità qualitativa della comunicazione trinitaria tra gli uomini. La Chiesa c’è per questo, perché possiamo trovare in lei lo spazio per interagire reciprocamente nello stile del Discorso della Montagna5. In Mt 18 si afferma il primato dei piccoli, il perdono reciproco, l’autorità come servizio: qui «la Chiesa viene in rilievo in modo così gran-
LE, p. 179. LE, p. 192. 5 LE, pp. 180-181. 3 4
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VIII. La Chiesa, spazio della Comunione trinitaria
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de e così umile come in nessun altro luogo del Nuovo Testamento»6. Emerge la priorità della communio, il primato dell’unità: Questi versetti sintetizzano l’essere della Chiesa. Certamente la Chiesa esiste in base al mandato di battezzare o in base alla missione e al fondamento dell’autorità petrina: questo la costituisce in senso assoluto. Ma in primo piano sta la priorità dell’unità, che postula e include la priorità del perdono e dei piccoli. E per questo in Mt 18, 19-20 c’è una specie di patto eucaristico: la Chiesa si sviluppa in maniera tale che diventiamo capaci di essere liberi da noi stessi come bambini, di perdonarci reciprocamente, di essere insieme un’anima sola. Essere un’anima sola per volere di Cristo, vivere nel perdono reciproco per volere di Cristo, costituiscono questa sinfonia synphonein, l’unisono e l’unanimità che ci rivelano che Lui è in mezzo a noi e vive tra noi. Tutto questo si esprime nell’Eucaristia ma non solo in essa, si realizza sempre dove siamo realtà di comunione nella Parola e nel suo nome, siamo riconciliati e viviamo l’Eucaristia7. La reciprocità «è la realtà in mezzo alla quale si incontra Cristo vivente», per cui si fa esperienza di una preghiera comunitaria che diventa onnipotente: Come in cielo così in terra. Questo contiene un’affermazione: qualunque cosa chiediamo sulla terra in modo unanime, il Padre nei cieli lo farà. E il fondamento di tale uguaglianza tra cielo e terra è evidente: Gesù è vivo in mezzo alla comunità dei suoi se siamo una cosa sola l’uno con l’altro nel suo nome e nel suo Spirito. Il cielo può essere sulla terra se il Signore che rimane nella Chiesa, può sussistere e agire nella concreta reciprocità8. Il symphonein, il risuonare sinfonico nell’amore reciproco, permette a Cristo di far diventare «affare suo la preghiera comunitaria al Padre, in modo tale che il nostro rapporto con Dio entri nel rapporto di Gesù col Padre: da qui emerge l’intima certezza dell’adempimento»9. GW, p. 118. LE, p. 183. 8 GW, p. 116. 9 UE, p. 342. 6 7
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Se vogliamo che la Chiesa sia Chiesa e gli uomini credano, «se vogliamo trovare il cielo e dare il cielo, questo può accadere nel nostro cielo, quello in cui il Signore con noi e in mezzo a noi invoca il Padre nello Spirito e dal Padre viene esaudito»10. La forza della preghiera sta nel partecipare alla comunione trinitaria: Ciò che due persone chiedono al Padre in maniera unanime, direi sinfonica, Egli lo darà loro. Perché avviene questo? perché là dove due o tre sono riuniti e uniti nel nome di Gesù e nella sua realtà è presente lui stesso. Ma dove c’è lui, là c’è anche il suo rapporto col Padre, là entra lui per noi nel Padre: questa comunione tra Padre e Figlio è lo spazio di pienezza realizzata del nostro vivere e pregare. La nostra comunione reciproca in Gesù è compartecipazione alla comunione di Gesù col Padre e in tale comunione prendiamo parte a quell’unità che tutto può, unità del Figlio col Padre11. Nell’ecclesiologia lucana Hemmerle individua tre aspetti. Il primo è l’universalità, per cui il binomio comunione e missione «diventa il ritmo fondamentale della vita e dello sviluppo della Chiesa, che all’interno si lega in unità e all’esterno si apre verso orizzonti sempre nuovi»12. Il secondo aspetto è lo Spirito di Dio che è la forza propulsiva dell’amore che emerge in rapporto a Maria e alla Chiesa. In Lc 1 e in At 1 davanti al dono dello Spirito «la prima volta c’è Maria da sola che si mette a disposizione della volontà di Dio diventando strumento dello Spirito. La seconda volta c’è la comunità dei discepoli intorno a Maria»13. La venuta di Gesù ha bisogno delle creature: la disponibilità nell’accogliere il dono di Dio «è presupposto della Pentecoste e della crescita della Chiesa. Apertura incondizionata come condizione da parte dell’uomo per lo Spirito e per ciò che lo Spirito opera: questa è Maria»14. Garanzia e contrassegno dello Spirito nella Chiesa «è l’unità, che nelle diverse lingue comprende l’unica Parola facendo di molti un cuor solo e un’anima sola»15. II terzo aspetto è la comunioGZ, p. 219. LE, pp. 48-49. 12 GW, p. 114. 13 GW, p. 153. 14 Ibid. 15 LE, p. 187. 10 11
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VIII. La Chiesa, spazio della Comunione trinitaria
ne che si esprime nella condivisione dei beni. In Atti viene in luce che la comunione dei beni non riguarda solo l’aspetto economico, ma significa condividere la vita, le esperienze e le situazioni degli altri. Emerge una prospettiva «economica ed ecclesiologica: nella Chiesa la comunione è così radicata nell’amore universale agli uomini e nella misericordia di Dio da arrivare a una nuova reciprocità che coinvolge tutta la vita»16. L’esperienza di comunione caratterizza l’ecclesiologia paolina: la Chiesa si delinea nel «vivere nella reciprocità il mistero di Cristo in modo che questo mistero diventi misura della nostra realtà di vita reciproca». Nella vita comunitaria vige la stessa realtà di kenosi che è in Cristo: solo nello svuotarsi di sé è possibile amare con quell’amore che ha come fonte e modello la Trinità. Ciò che avviene tra il Padre e il Figlio in quanto a missione, obbedienza e glorificazione, deve diventare realtà tra noi: questa è la misura della vita nella reciprocità e in questo sta il senso della Chiesa. […] Voler essere sapienti da soli, volersi differenziare nell’essere superiori all’altro significa contrapporsi al fatto che tutto è solo opera sua. Ma se tutto è solo opera di Dio, il theologoumenon autentico in Paolo, questo è possibile solo in quanto siamo uguali di fronte a lui e siamo una cosa sola nella reciprocità. La nostra unità rivela che Lui solo opera tutto in tutto17. L’inno alla carità è fondamentale per la Chiesa, poiché l’amore è l’unica cosa necessaria, la sola cosa che rimane (cf. Rm 12, 9-21; 13, 8-10; 1 Cor 12, 13). La diversità di ministeri e carismi è espressione di un ordine che nasce dall’amore. Non si tratta di un ordine esteriore, ma del fatto che in quest’ordine diventa visibile l’unità e può agire efficacemente lo Spirito profetico che dice a coloro che non conoscono la comunità: qui scopro l’amore, cado in ginocchio riconoscendo che davvero Dio è in mezzo a loro. Il dispiegarsi dei molteplici doni, l’interdipendenza vicendevole nell’unica vita dell’unità e dell’amore sono i segni di riconoscimento della comunità. In tal modo ognuno deve agli altri la sua vita personale18. Ibid. LE, p. 189. 18 LE, p. 190. 16 17
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L’esperienza di Dio nell’unità
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Nella diversità dei ministeri c’è «una più grande unità reciproca che tutto abbraccia. Forma di vita della Chiesa è l’essere l’uno per l’altro e inabitare l’uno nell’altro, mediante cui si attua e si manifesta l’essere di Cristo in noi e per noi»19. Per Hemmerle il ministero ordinato e i carismi «sono aspetti dell’unica struttura di quell’amore che è donato in modo gratuito da Dio»: il ministero sacerdotale «si attua e si comprende come amore e nient’altro che amore»20. Nelle lettere a Timoteo e Tito si afferma che il ministero ordinato ha un ruolo costitutivo in funzione dell’unità perché l’unità può essere vissuta solo all’interno di un ordine strutturato e nel rinvio all’origine apostolica. Tale rimando all’origine in Gesù Cristo mediante il servizio apostolico è essenziale e costitutivo per la Chiesa. Il ministero apostolico non ha tuttavia un valore in se stesso, ma è un servizio perché si realizzi l’unità. Esso è essenziale e inalienabile affinché la Chiesa viva nell’unità reciproca. […] Il ministero apostolico è incluso in maniera basilare come servizio nella Chiesa, ma non è mai il punto terminale di ciò che l’unità ecclesiale significa21. La dimensione universale della Chiesa che in Luca è vista come missio, nel Corpus Paulinum si esprime nell’unità che si crea in Cristo. È un’unità che si realizza all’interno per riflettersi all’esterno: giudei e greci, schiavi e liberi sono un corpo solo. Le tradizioni dell’umanità, le diverse religioni sono illuminate da Cristo se la comunità ecclesiale «vive nell’unità e nell’amore reciproco. L’umanità deve saper leggere la sua storia nella Chiesa, nell’andare verso l’unità»22. In Efesini l’intera storia dell’umanità viene vista in una sola e unica economia, in un unico disegno di salvezza che culmina in Gesù Cristo come la ricapitolazione della creazione. Tutta la creazione e la storia dell’umanità hanno un capo e in lui trovano la loro unità e il loro significato23.
GW, p. 125. GW, p. 126. 21 LE, p. 193. 22 LE, p. 192. 23 Ibid. 19 20
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VIII. La Chiesa, spazio della Comunione trinitaria
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Cristo è «il principio che genera unità nella storia e nel mondo»24: Vivere la Chiesa nella prospettiva di Efesini significa vivere con Cristo. Cristo è la relazione verticale dell’uomo con Dio, poiché ha superato nella sua croce ciò che separa l’uomo da Dio. Egli è anche la relazione orizzontale, la pace che costituisce in nuova unità ciò che era separato. Questo piano di salvezza si manifesta nella Chiesa che abbraccia in una nuova unità giudei e pagani. Cristo, punto finale della creazione è anche pietra angolare della Chiesa. In quanto fine egli è al contempo il principio che tutto unisce, capo del corpo che si sviluppa nei diversi servizi e doni del Signore, che sono da affidare al singolo per il tutto. Così la Chiesa diventa lo spazio in cui Dio e la sua salvezza vivono nel mondo in Cristo vivente25. Nella lettera di Pietro viene in rilievo lo scongiurare l’unità e l’amore reciproco che viene prima di ogni altra cosa, ma che deve verificarsi nell’essere pronti alla croce e nella gioia pasquale viene vissuta nella croce. Segno di riconoscimento della Chiesa in tale situazione missionaria è vivere in mezzo al mondo con lo stile di vita del Vangelo: esistenza nella croce e nella gioia della Pasqua, esistenza nella comunione reciproca26. Questa è l’esperienza che vive Maria. Nell’ecclesiologia giovannea viene in luce con chiarezza che «l’essenza della Chiesa in Giovanni è l’amore reciproco». Chiesa «significa rimanere nel Signore e il rimanere del Signore tra i suoi grazie allo Spirito nell’amore reciproco e nell’unità»27. La Chiesa esiste perché l’unità che vive in Dio possa vivere tra noi «mediante Dio e a partire da lui, affinché lui, il Dio nascosto, il Dio trinitario, nella nostra reciprocità e nell’essere una cosa sola possa testimoniare al mondo se stesso»28. Reciprocità significa «essere dono l’uno per l’altro: questa è la realtà più interna ed esterna della
Ibid. GW, p. 121. 26 LE, p. 195. 27 GW, p. 126. 28 IG, p. 21. 24 25
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L’esperienza di Dio nell’unità
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Chiesa, la realtà più interna ed esterna di Dio e dell’uomo stesso»29. La missionarietà non è predicazione, ma scaturisce dalla vita di comunione: non può andare verso l’esterno senza accertarsi che all’interno ci sia amore reciproco. La Chiesa è missionaria, ma il carattere missionario consiste nel vivere l’unità in maniera radicale […] Ne scaturisce una nuova qualità missionaria: soltanto Dio può convincere di Dio. Solo se la vita trinitaria di Dio viene vissuta in noi e trova un’icona in noi, solo se la nostra vita presente è immersa nella vita trinitaria poiché è vivere come il Padre e il Figlio sono uno, vivere perché il Padre e il Figlio sono uno, vivere nella realtà del Padre e del Figlio che sono uno, solo allora Dio si rivela in tutto questo. Solo la doxa, la gloria di Dio può convertire e attirare gli uomini30. Nei testi giovannei l’esperienza dell’unità è frutto di una triplice pericoresi: la pericoresi tra il Padre e il Figlio, l’inabitazione della Chiesa nel Dio trinitario e la pericoresi nell’amore reciproco. Essere Chiesa significa «che il nostro luogo non è qui ma con Gesù nel Padre»: rimanere nell’amore «è la via attraverso cui la Chiesa cammina nel mondo»31. Un’esperienza di autentica mistica, poiché è «l’essere insieme una cosa sola in cui c’è lo spazio perché il Signore vivente possa rivelarsi»32. 2. LA TRINITÀ, ICONA DEL POPOLO DI DIO IN CAMMINO La vita trinitaria plasma la Chiesa, la supera, è presente in lei e rimane in lei come origine e futuro sempre più grandi. È necessario prendere come normativo questo modello ontologico e questa misura: l’unica via perché la Chiesa possa sempre rinnovarsi in modo autentico a partire dall’origine33. LI, p. 74. LE, p. 196. 31 GW, pp. 128-129. 32 GW, p. 129. 33 PG, p. 96. 29 30
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VIII. La Chiesa, spazio della Comunione trinitaria
La Trinità è icona della Chiesa. Guardando al Dio trinitario la Chiesa vede se stessa collocando il proprio mistero nell’essere pellegrinante. Cosa si vede in questa icona? Da un lato il potente amore del Padre, la libertà obbediente del Figlio, il soffio dello Spirito dispensatore di vita, di unità, in correlazione indissolubile; dall’altro lato si vede l’unità e unicità dell’amore che è Dio, e l’uguaglianza e la differenziazione di Padre, Figlio e Spirito a partire da questa unità. Nell’Abbà Padre la Chiesa tocca il fondamento di una fiducia che mai sarà delusa o potrà essere persa e la potenza dell’origine che tutto sostiene e a cui deve se stessa, l’identità, il significato. […] Guardando al Padre la Chiesa si ritrova nel Figlio, è nella libertà del Figlio. […] Nell’apertura allo Spirito scopre la molteplicità dei doni34. Tale prospettiva è approfondita alla luce della nota definizione ecclesia populus ex unitate Patris et Filii et Spiritus Sancti adunatus. La Chiesa ha una forma istituzionale e gerarchica, ma essa «deve essere intesa in maniera trinitaria e vivere come comunione trinitaria»35. L’espressione di Cipriano evidenzia che come nella Trinità c’è la reciprocità delle Persone divine, così l’essere una cosa sola fonda e costituisce la Chiesa. La definizione di Bonaventura Ecclesia enim mutuo se diligens est viene considerata «la più audace definizione di Chiesa che io conosca nella letteratura teologica». ».. Sono possibili due traduzioni: «la Chiesa è amarsi reciprocamente»; «è Chiesa chi si ama reciprocamente». In due diverse sfumature si sottolinea che la Chiesa è l’unità di coloro che si amano reciprocamente. Non si intende relativizzare l’oggettività del ministero ordinato ma piuttosto evidenziare la koinonia: Ecclesia enim mutuo se diligens est. Una formulazione molto forte sin dall’espressione linguistica: la Chiesa è l’amarsi reciprocamente. La Chiesa è unità che si costituisce mediante l’amore reciproco. In Bonaventura questo […] rimanda al triplice carattere della Chiesa che si fonda sulla Parola di Dio: essa viene definita lex, legge di Dio, pax, pace di Dio e laus, lode di Dio. La Parola su cui dobbiamo costruire, cioè il Discorso della Montagna, è la lex.
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PG, p. 94. LE, p. 177.
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L’esperienza di Dio nell’unità
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Se seguiamo questa lex, si realizza tra noi la pax dei riconciliati, l’unità di coloro che si amano reciprocamente36. Nell’amore reciproco si intrecciano i tre elementi, lex, pax e laus. La Chiesa si fonda sulla Parola come lex: la Parola di Dio «è normativa per la reciprocità. Solo in questo modo è lex che costituisce la Chiesa»37. La Parola (lex), la reciprocità (pax) e la lode comunitaria (laus) costituiscono la Chiesa. Nella reciprocità si realizza la pax, parola di grande significato per un seguace di Francesco: la Chiesa diventa pax incarnata e così si realizza la laus, lode che torna a Dio nella risposta comunitaria. Nelle Collationes la riflessione sulla Chiesa emerge da una fenomenologia dell’amore: Parlare di unità o tendere all’unità in Bonaventura non significa unità di idee, unità dell’individuo o unione di singoli, né un sistema che tutto unifica, o un concetto di Uno-tutto cosmico o intellettuale: è una cosa sola quell’amore totale e assoluto che non essendo altro che se stesso, è in sé relazione e comunione. […] Si può parlare di unità pericoretica, reciproco essere uno all’interno dell’altro, ognuno nell’altro e nell’Uno. Solo perché Padre, Figlio e Spirito sono l’uno nell’altro, non sono null’altro che reciproca relazione: il mutuo essere l’uno nell’altro, l’unica, identica e indivisibile essenza divina è in loro ed essi in lei. Solo quest’unità è aperta al libero andare oltre sé. La fenomenologia dell’amore lascia una traccia positiva in direzione di questa riflessione che esplica il mistero trinitario38. Parlando della Chiesa come icona della Trinità si deve tenere presente che l’unità della Chiesa e l’unità a cui l’umanità tende sul piano storico non sono da intendersi in senso univoco ma in rapporto di analogia con l’unità trinitaria di Dio. La differenza ontologica tra creatura e Creatore, tra finito e Assoluto, tra un ente e l’altro all’interno dell’ordine creaturale deve sempre essere salvaguarLE, p. 185. BA, p. 172. 38 PG, p. 91; cf. BONAVENTURA, Collationes in Hexaemeron, XI, 8, in Opera omnia VI, cit. 36 37
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VIII. La Chiesa, spazio della Comunione trinitaria
data quando si parla di partecipare per grazia alla vita e all’essere di Dio. Mantenendo l’analogia trinitaria è di grande significato il fatto che la vita divina è la realtà originaria e il prototipo in base al quale tutto ciò che è creaturale trova la sua misura specifica39.
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Guardando alla realtà, non si può trascurare il fatto che il partecipare alla vita divina avviene nella realtà di una Chiesa pellegrinante fatta di uomini coi loro limiti: La vita trinitaria di Dio è fondamento della Chiesa, provenienza, direzione, modello, sostegno, misura e forza del suo cammino presente. Questo implica una doppia relazione descritta da due espressioni: la Trinità è icona del popolo di Dio pellegrinante in cammino- il popolo di Dio pellegrinante in cammino è icona della Trinità40. In sintesi, «la Trinità è icona del popolo di Dio pellegrinante in cammino». Nella differenza ontologica tra Creatore e creatura, tra vita trinitaria e realtà umana della Chiesa, lo Spirito «opera l’analogia e costituisce il principio strutturale»41. Lo specifico della Chiesa è essere riverbero di una luce che appartiene non a lei ma a Cristo: una luce che risplende come segno di unità. Nella Chiesa ha luogo un’unità verticale che è unità con Cristo e un’unità orizzontale che è unità con gli uomini. L’una non può esistere senza l’altra. Gli uomini sono segno dell’unità con Dio solo se questo li fa essere una cosa sola tra loro. Se l’unità con Dio vive nell’unità reciproca e la Chiesa si rende visibile come comunione con Dio e in Dio, diventa visibile ciò che Dio vuole dall’umanità: la Chiesa come segno. Un segno visibile è come un magnete che attira altri, è trasmissione e diffusione dell’amore nel mondo, perché tutti siano una cosa sola42. La direzione dell’unità non ha il punto di arrivo nella Chiesa ma abbraccia il genere umano. PG, p. 92. PG, p. 93. 41 TK, p. 78. 42 GZ, p. 173. 39 40
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L’esperienza di Dio nell’unità
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Dio si è fatto uno con l’umanità, questa è la realtà della Chiesa: unità verticale. […] La reciprocità è il luogo in cui Cristo irradia la sua luce al mondo […] La Chiesa è segno e strumento di unità orizzontale, poiché Dio chiama all’unità tutti gli uomini, vuole che la comunione con lui diventi comunione reciproca tra gli uomini. Entrambe le dimensioni, unità orizzontale e unità verticale si implicano a vicenda e sono inscindibili. Il carattere della Chiesa come sacramento di unità corrisponde al kairos della storia che oggi come non mai rivela che il mondo e l’umanità tendono all’unità43. Nella reciprocità dell’amore «viene resa visibile la vita trinitaria che Cristo ha donato e rivelato nel dono di sé»44. In LG 9 si afferma che il comandamento nuovo è la legge della Chiesa45: «non si tratta di un’aggiunta di tipo etico alla sacramentalità della Chiesa che è efficace e valida in sé», ma è ciò che la costituisce perché «nel comandamento nuovo la vita diventa gioco trinitario di ruoli che rende visibile la realtà di Dio che la Parola annuncia e il sacramento comunica»46. Al di là dei limiti umani alla Chiesa è affidata «la chance della vita trinitaria per l’umanità». 3. MYSTERIUM, COMMUNIO, MISSIO L’unità più alta e la piena uguaglianza richiedono la più profonda differenziazione: questo è il nucleo della teologia trinitaria e dell’ecclesiologia di comunione. Essa non è altro che la traduzione fedele della vita trinitaria nelle nostre relazioni47. L’ecclesiologia trinitaria è un filo d’oro che dalla Lumen Gentium passa per il documento del Sinodo dei vescovi del 1985 arrivando alla Christifideles laici. 43 K. HEMMERLE, Einheit als Leitmotiv in Lumen Gentium und im Gesamt des II Vatikanums, in E. KLINGER, Glaube im Prozess. Christsein nach dem II Vatikanum, Freiburg 1984, p. 210. 44 PG, p. 96. 45 Cf. CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Costituzione dogmatica Lumen Gentium 9, cit. 46 PG, p. 97. 47 K. HEMMERLE, Im Austausch Gestalt gewinnen, in J. MÜLLER - E.J. BIRKENBEIL (a cura di), Miteinander Kirche sein. Idu und Praxis, München 1990, p. 12.
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VIII. La Chiesa, spazio della Comunione trinitaria
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Personalmente introdotti e assunti nel Figlio, personalmente circondati da lui, siamo inseriti nel suo rapporto con gli altri che con quell’unico ed identico amore sono assunti e redenti da lui. A partire dalle intime radici, la vita del singolo con Cristo è vita con gli altri che sono in Cristo. Così si costituisce la Chiesa come corpo dell’unico Signore in cui l’uno è membro dell’altro poiché è membro di Cristo: si forma così il popolo che ha la sua unità nell’unità del Padre e del Figlio nello Spirito. Queste tre inseparabili pericoresi nella reciproca implicazione formano l’intreccio teologico che sostiene le affermazioni teologiche dell’intero documento48. Particolarmente importante è il contributo di Hemmerle al Sinodo del 1985. Communio e missio sono le due facce dell’unico mysterium della Chiesa: dal mistero del Dio trinitario nasce «la communio come attuazione e struttura, compito e ritmo della vita della Chiesa»49. Emerge «una fondamentale struttura pericoretica: mysterium, communio, missio si compenetrano, ogni aspetto è illuminato, vivificato dagli altri due»50. Viviamo la communio «se portiamo in noi la realtà senza confini di quell’amore che è del Figlio, colui che porta tutti in sé, nell’Uno»51. Lo Spirito è sorgente della communio e della missio: grazie allo Spirito «la testimonianza di unità, dialogo e solidarietà sono i binari su cui la Chiesa attua la missione per il mondo comunicando il mistero che proviene dal Dio trinitario»52. È la compartecipazione alla vita trinitaria. L’economia della salvezza è presenza della Trinità immanente dentro alla dimensione economica ampliata in dimensione ecclesiale: Chiesa come popolo adunato nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, popolo incorporato a Cristo che porta nel
TK, p. 76. K. HEMMERLE, Ist das Konzil schon angekommen?, in AS V, p. 70. 50 A. FRICK, Der dreieine Gott, cit., p. 162. 51 K. HEMMERLE, Communio als Denk und Lebensweise, in G. BIEMER - B. CASPER J. MÜLLER, Gemeinsam Kirche sein. Theorie und Praxis der Communio, Freiburg 1992, p. 81. 52 PG, p. 101. 48 49
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L’esperienza di Dio nell’unità
mondo la vita del Dio trinitario e porta il mondo dentro alla vita del Dio trinitario53.
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La diversità ottiene «forza, testimonianza e plausibilità attraverso la vita trinitaria che nella Chiesa diventa visibile come agape, come amore reciproco»54. Nel rapporto tra unità e diversità si dispiega l’icona trinitaria della Chiesa: «l’unità trinitaria non è solo misura normativa del comportamento, ma è principio strutturante la vita ecclesiale»55. Questo stile di vita fonda in analogia con la vita trinitaria l’uguaglianza di coloro che sono immersi e battezzati nella vita del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. […] Come nella Trinità l’unità dell’amore e della vita fonda l’uguaglianza e la diversità, così nella Chiesa. I diversi doni, servizi, vocazioni, i vari modi di partecipare alla missione della Chiesa e il ministero ordinato non creano differenza di rango, non sono in contrasto con l’uguaglianza di tutti, ma esistono perché l’unica vita divina che Dio dona possa essere un dono che ci facciamo reciprocamente e che facciamo agli altri56. La Chiesa ha il compito di dire a ogni uomo: «tu tu sei amato infi infininitamente da Dio al punto che egli ha dato suo Figlio per te. E nella certezza di questo amore si dischiude l’inaudita novità, il futuro sempre più grande»57. La communio è il modo di essere dei redenti: si tratta di fare in modo che il nostro specifico sia dono per gli altri e che i doni degli altri siano dono per noi: questo è lo stile della Chiesa, la sua carta di identità. Siamo riconoscibili come discepoli di Cristo e come Chiesa per l’amore reciproco che abbiamo tra noi58. La reciprocità è «realtà prima e ultima: la vita del Dio trinitario è comunicazione e l’attuazione escatologica è communio sanctorum, TK, pp. 83-84. PG, p. 97. 55 TK, p. 83. 56 PG, p. 95. 57 GZ, p. 170. 58 LI, p. 71. 53 54
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VIII. La Chiesa, spazio della Comunione trinitaria
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inclusione dell’umanità redenta nella vita trinitaria di Dio»59. Questa realtà si riflette nel dialogo ecumenico e interreligioso, e nel rapporto tra Chiesa locale e Chiesa universale. La collegialità e la partecipazione alle conferenze episcopali, ai consigli parrocchiali, sono espressioni della communio. Nell’aggiornamento e nell’inculturazione la Chiesa deve essere fedele traduzione del messaggio trinitario. Per quanto riguarda l’opzione per i poveri, e l’apertura agli ultimi, Hemmerle vede la Chiesa di domani alla luce dell’icona di san Martino. La Chiesa del futuro è Chiesa che protegge Dio dal gelo del mondo. Una Chiesa in cui i più piccoli e poveri sono importanti. Una Chiesa in cui si impara a condividere reciprocamente gli uni cogli altri, in carne e ossa, senza vergognarsi ad andare in giro con metà del mantello. Condividere significa spezzare a metà. […] La cosa singolare della storia di Martino è che Cristo è presente due volte: una volta è presente nel povero a cui Martino dona il suo amore; una seconda volta è presente in Martino che ama come Cristo stesso ama. Per la Chiesa significa che in ogni mossa Cristo è presente due volte: una volta in chi riceve il nostro amore, una seconda volta in noi che doniamo l’amore di Cristo. E dove è presente due volte, in realtà è presente tre volte: Cristo nell’altro, Cristo in noi, Cristo in mezzo a noi. Diventiamo quel seno in cui Cristo prende forma ed è generato. Nella reciprocità costruiamo lo spazio in cui lo Spirito ci unisce, lo spazio che riscalda, in cui Dio non ha freddo, ma risplende in Cristo che dimora in mezzo a noi60. Hemmerle confida: «spero che la Chiesa diventi sempre più Chiesa di Martino e Chiesa di Maria». Viene in rilievo il rapporto che c’è tra la Parola e il ministero ordinato: chi è mandato in qualità di diacono, di sacerdote o di vescovo a rendere presente la Parola è plasmato nella sua intima realtà ontologica dall’oggettività della Parola, tanto che in lui viene impresso a fuoco il sigillo della Parola. Egli può essere solo quel testimone vivente che recupera
59 60
K. HEMMERLE, Zwischen Bistum und Gesamtkirche, in AS V, p. 139. K. HEMMERLE, Eine Martins - und eine Marienkirche, in AS V, p. 106.
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L’esperienza di Dio nell’unità
l’oggettività all’interno della soggettività vivendo la Parola di Dio61. La traditio riceve nuova luce dalla consegna che il Crocifisso fa di sé per amore. Hemmerle distingue un’ecclesialità recettiva nell’accogliere la traditio da un’ecclesialità attiva come missio:
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Donarsi significa consegnarsi. Il Dio che in Gesù Cristo si dona è il Dio che si consegna agli uomini. La conseguenza più radicale è che Dio si lega alla trasmissione storica del suo donarsi attraverso gli uomini a cui ha affidato la sua missione. Non solo il puro nulla dell’obbediente autoconsegna di Gesù alla volontà del Padre o il nulla della Madre di Gesù che nella fede totale si dona alla grazia totale, ma anche la realtà impura del nulla dei credenti, un nulla macchiato dalle proprie colpe del volere essere e volere avere, diventa via e strumento del donarsi di Dio al mondo. Solo chi accetta questo tipo di trasmissione entra in contatto nella sua vita con la realtà di Dio che si è consegnato in modo così radicale. Chi crede in Cristo, crede in Dio che si abbassa in una realtà come la Chiesa in una comunicazione umana e finita. All’ecclesialità recettiva corrisponde un’ecclesialità attiva: lasciarsi mandare nella Chiesa raccogliendo i fili concreti, storici, tesi lungo i secoli, della missione di Cristo in un luogo impopolare. Bisogna identificarsi non solo col proprio nulla, ma anche con la povertà degli altri per continuare a donare colui che in sé supera e colma ogni nulla62. 4. LA CHIESA NEL MISTERO DI GESÙ ABBANDONATO E IL DIALOGO ECUMENICO
Vivere con l’Abbandonato è la via verso l’unità che tutto abbraccia, verso cui l’umanità oggi tende in modo sempre più forte e verso cui Gesù tende: per questo ha preparato la Chiesa come segno e sacramento63.
LE, p. 164. K. HEMMERLE, Weihnachtsbrief an die Laien im pastoralen Dienst (1979), inedito. 63 WE, p. 241.
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VIII. La Chiesa, spazio della Comunione trinitaria
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La centralità del mistero di Gesù Abbandonato è fondamentale per l’ecclesiologia trinitaria. In Gesù Abbandonato cade il muro di separazione: «è l’inizio dell’umanità unita, qui è il fulcro e l’asse portante della vita della Chiesa. Ciò che Gesù ha detto al Padre una volta per tutte la Chiesa deve saperlo dire insieme come preghiera in comunione, da tutti i luoghi e in tutti i tempi»64. Nelle difficoltà che il costruire la communio comporta, nelle divisioni all’interno della Chiesa, nella separazione delle Chiese cristiane, c’è il Suo volto. Legittimazione fondativa è Cristo crocifisso che ha sostenuto e patito fino in fondo la lontananza di Dio, il silenzio di Dio, l’abbandono di Dio. […] Per il popolo di Dio in cammino adunato a partire dalla Trinità, la decisione di dare la vita nel servizio diventa valida ed efficace nel rinnovare ogni giorno il sì alla croce, punto chiave della storia di Dio e dell’uomo65. In Gv 19 nella Madre di Gesù è rappresentata la comunità che sta in piedi sotto la croce. Nel buio «più totale e nella durezza estrema, quando non ci comprendiamo più e non si riesce più a interagire l’uno con l’altro, proprio lì siamo in rapporto l’uno con l’altro in modo radicale e nell’altro possiamo vedere Dio»66. Anche se limiti e peccati possono essere di scandalo, i cristiani scoprono nella croce «la via dell’amore più grande che assume la negatività per trasformarla passando per il punto zero della propria impotenza»67. Nasce uno sguardo di misericordia che si apre alla contemplazione. Vedere tutto con amore, non vedere solo se stessi, ma anche il mondo, la Chiesa, con l’amore di colui che non abbellisce o accomoda nulla, ma tutto assume in sé e trasforma redimendolo: è il compito della contemplazione. Ciò fa sì che Dio appaia in tutte le cose, traspaia da ogni realtà68. Passione per la Chiesa significa passione per l’ecumenismo. Ci limitiamo a riferire alcuni accenni che Hemmerle fa al dialogo ecuGZ, p. 27. PG, p. 103. 66 IG, p. 23. 67 GZ, p. 175. 68 GZ, p. 203. 64 65
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L’esperienza di Dio nell’unità
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menico nell’ambito dell’ecclesiologia trinitaria. Per Hemmerle l’ecumenismo è fedeltà alla Parola e al disegno di Dio sulla Chiesa, per cui «solo se la Parola sarà forma della nostra vita, diventerà la realtà e la forma che dalla nostra vita zampilla nella vita degli altri e dei molti»69. Nella separazione tra le Chiese, oltre alle cause storiche e teologiche, dobbiamo cogliere il grido dell’Abbandonato e sostenere con amore le difficoltà. È una responsabilità enorme per noi. Che siamo divisi in Chiese diverse è una colpa. Ma se il peso, la colpa, il peccato sono stati trasformati da Dio, allora la divisione nella Chiesa è solo un grido perché possiamo vivere tra noi nella reciprocità in modo più profondo e radicale, più fondante e più divino, l’essere una cosa sola del Padre col Figlio. […] La tensione della croce che con le nostre forze non siamo in grado di sostenere, dobbiamo avere il coraggio di sostenerla a partire da colui che è appeso alla croce: bisogna che la facciamo sostenere da lui in noi. Un sì radicale degli uni agli altri, nella sincerità dello sforzo e del confronto, perché sia lui a fare il lavoro, pezzo dopo pezzo. Non possiamo risparmiarci nulla, se il Padre e il Figlio non si sono risparmiati nulla70. Alla luce della croce «diventiamo straordinariamente creativi» in ambito ecumenico, sperimentiamo forze che non sapevamo di avere e scoprire nuove vie per venirci incontro. Non sono vie che passano accanto a lui o lo evitano, o gli girano intorno, ma sono vie che passano attraverso lui e la sua croce. Questo è il compito della Chiesa da cui consegue ogni altra cosa: è la mia speranza per la Chiesa. Nella necessità e nell’abbandono la Chiesa prende parte a lui. Tutto ciò che nell’umanità c’è di bisogni, interrogativi, difficoltà, deve vivere nelle chiese ed essere patito in lui […] E noi abbiamo in lui la porta per accedere gli uni agli altri, quella porta che ci mette in collegamento fra noi proprio là dove non ci comprenLE, p. 164. IG,, p. 24. Per approfondimenti sul rapporto tra Gesù Abbandonato e il dialogo ecumenico, cf. J.P. BACK, Spunti per una riflessione su Gesù Abbandonato in relazione alla riconciliazione fra i cristiani, in «Nuova Umanità» XXIII (2001/1), 133, pp. 31-49. 69 70
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VIII. La Chiesa, spazio della Comunione trinitaria
diamo, dove ci fermiamo davanti al “perché”. Io credo che Cristo sia all’opera in ogni persona che ha una confessione diversa dalla mia, e nella comunità a cui appartiene. Adoro Gesù presente in ognuno di loro, adoro Gesù presente in mezzo alle loro comunità. Nel timore e nell’adorazione a lui possiamo sostenerci a vicenda, venirci incontro andando avanti nella reciprocità, finché lui sia presente in mezzo a noi in pienezza […] Se non sono pronto ad accogliere Dio lì dove lui è, se non amo Dio nella Chiesa dei fratelli separati e voglio risparmiarmi la via del dolore, del sostenere il confronto, dell’amore, del perché, non dico a Dio un sì autentico. È necessario fare questa scelta. Opzione per Dio significa opzione per i fratelli e per Gesù in mezzo ai fratelli separati nelle altre chiese. Fare questa opzione sul serio nell’onestà estrema della fede in lui e nell’impegno con la mia Chiesa: questa è la via. Vale amare Dio, accoglierlo totalmente attraverso la croce in chi è diverso da me. Allora lui potrà essere presente in mezzo a noi come Risorto che dice a noi e alle Chiese: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose»71. Ecumenismo significa fede in Cristo che opera con la grazia oltre le divisioni. In Gesù Abbandonato troviamo la porta per accedere gli uni agli altri, poiché la Pasqua viene dal venerdì santo. Gesù passa per l’abbandono e la morte per risorgere ed essere presente in mezzo a noi. La via più breve per la presenza di Gesù in mezzo fra le Chiese non è data dallo schivare ciò che ci divide, né dall’incollare ciò che separa, né dall’apparente venirsi incontro in compromessi formali, né dal livellamento, ma dal sì al Crocifisso. […] Ciò che ci divide diventa chiave per l’unità, ciò che ci fa male diventa porta alla gioia, ciò che non è paradiso diventa la porta chiusa passando per la quale egli viene in mezzo in noi72. Partendo dal fatto che il Risorto si rende presente tra i cristiani delle diverse Chiese, l’ecclesiologia trinitaria non passa sopra alle differenze dottrinali, ma le mantiene nella sincera ricerca dell’unità nella verità. Nel Nuovo Testamento i diversi modi di interpretare il messaggio cristiano «rappresentano la pienezza rendendo visibile l’unità e 71 72
IG, p. 25. HZ, pp. 187-188.
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L’esperienza di Dio nell’unità
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rendono visibile l’unità rendendo visibile la pienezza»73. Ecumenismo significa fedeltà alla propria Chiesa e al contempo significa affrontare le difficoltà finché non sia stabilita l’unità e sia suggellata con l’Eucaristia. Il dialogo ecumenico si sforza di comprendere le ragioni dell’altro in un ascolto profondo per poi donare un contributo. Vivere l’unità è dono di Dio: nella disponibilità all’amore reciproco e ad accogliere la grazia divina «l’unità comincia a percorrere il suo cammino, la via del comandamento nuovo dentro alla storia»74. Cristo crea una realtà di Chiesa viva tra cristiani delle diverse confessioni che vivono l’amore: Penso che verrebbe a risplendere di luce nuova ciò che nella Chiesa è dono e vita al di là della pura oggettività. E penso che allora Cristo sarebbe colui che agisce nella storia […] tra i popoli, tra le razze, tra le culture, così da avvertire realmente in mezzo a noi il Signore del cosmo e dell’umanità75. Hagemann mette in rilievo che Hemmerle ha sempre espresso la profonda convinzione secondo cui prima di tutta la teologia ecumenica e prima di ogni dialogo ecumenico deve esserci la vita: si tratta di vivere con uno stile ecumenico, vivere a partire dalla comune radice della Parola di Dio, vivere in comunione con Gesù Cristo. Dall’unità vissuta si può arrivare ad una nuova comprensione e a nuove prospettive. L’ecumenismo per Klaus Hemmerle è in primo luogo non tanto qualcosa che si colloca a livello teologico, ma qualcosa che sta in profondità, uno stile di vita che impegna le forze dell’anima, dello spirito e dell’intelligenza76. Lo stile di vita trinitaria è il punto di riferimento nel cammino verso la verità tutta intera, e per un’esperienza di condivisione e di amore reciproco tra cristiani delle diverse Chiese. L’ecumenismo spirituale richiede una spiritualità dell’unità anche se l’unità non è stata ancora raggiunta nella professione di fede: questo PG, p. 99. PG, p. 101. 75 LE, p. 130. 76 W. HAGEMANN, Verliebt in Gottes Wort, cit., p. 208. 73 74
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VIII. La Chiesa, spazio della Comunione trinitaria
è uno dei più importanti presupposti per il cammino verso l’unità nella verità. L’amore come condizione per poter vedere non si sostituisce allo sguardo verso la verità, ma rende capaci e spinge verso tale sguardo. E lo sguardo verso la verità riesce a vedere la verità solo in quanto la vede come amore e nell’amore. Il comandamento nuovo, il vivere secondo la vita trinitaria, non sono solo condizione per la verità, ma aprono una nuova via al vedere, una via che costituisce dall’interno l’essere una cosa sola e il diventare uno77.
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5. CAMMINO IN COMUNIONE La riflessione ecclesiologica di Hemmerle trova una parola chiave nel termine Weggemeinschaft, «cammino cammino in comunione»: »:: questo diventa il leit-motiv della sua attività episcopale e pastorale. Cammino in comunione non significa soltanto avere uno scopo comune e percorrere fondamentalmente lo stesso cammino, nello stesso panorama delle diverse situazioni. Significa invece vivere la reciprocità nel condividere le esperienze e le preoccupazioni, condividere il tutto, lasciare libero l’altro ma essere al contempo legato a lui, perché il suo cammino riguarda il mio e in un certo senso è anche mio78. Il segreto del cammino in comunione è ancora una volta il mistero trinitario. Hemmerle afferma che il cammino in comunione si caratterizza per lo stile evangelico, e quindi per la capacità di accogliere e perdonare, di andare verso gli ultimi e i piccoli, per la capacità di donarsi totalmente, di vivere l’unità nella diversità, di impegnarsi totalmente nel dialogo ecumenico, nel dialogo con le religioni e con il mondo contemporaneo. Hagemann osserva che «cammino in comunione» non indica un qualsiasi cammino da percorrere insieme, ma un cammino in cui è presente il Signore Risorto che vive in mezzo al suo popolo e si mette in strada insieme al suo popolo. Può esserci 77 78
52-53.
PG, p. 100. K. HEMMERLE, Dienst aus dem Glauben, Dienst in der Kirche, in AS V, pp.
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L’esperienza di Dio nell’unità
un cammino in comunione solo se coloro che sono in cammino hanno in cuore e negli occhi l’intera comunità, i compagni e il Signore che camminano insieme a loro79.
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Per Hemmerle la pericoresi trinitaria è il riferimento della Chiesa come cammino in comunione. La parola pericoresi ci viene incontro di nuovo. È il contrario di un’unità sommativa che giustappone pezzi in sé autonomi, fa slittare i confini per poi cucirli insieme. La pericoresi è anche il contrario di un’unità intesa come blocco compatto e sistematico in cui non trovano spazio la molteplicità o la relazionalità. Pericoresi significa che i partner abbracciano l’unico tutto e sono abbracciati da esso abbracciandosi reciprocamente: uno è nell’altro e l’altro è nell’uno. Questa arte è l’amore, lo stile è la sussistenza reciproca delle Persone nella Trinità, l’essere l’uno nell’altro e l’uno a partire dall’altro80. Hemmerle mette in luce due diversi piani di cattolicità: una cattolicità verso l’esterno che abbraccia i popoli, le culture e le tradizioni, e una cattolicità verso l’interno che va vissuta nella Chiesa: il ricercare l’unità all’interno della comunità permette di essere credibili nel dialogo con le religioni e con le culture. Cammino in comunione significa riscoprire la Chiesa come servizio all’unità. Servizio all’unità: un servizio comune ai consacrati che hanno ricevuto il ministero e a tutto il popolo di Dio, perché la Chiesa sia Chiesa, perché sia una cosa sola. La spiritualità del servizio pastorale è spiritualità dell’unità. Può costruire l’unità solo chi vive l’unità. Un collaboratore nella pastorale è chiamato al servizio concreto all’unità, ogni giorno è necessario un passo verso l’unità, una conversione all’unità81. Secondo Hagemann, per il vescovo Hemmerle il «cammino in comunione» W. HAGEMANN, Verliebt in Gottes Wort, cit., p. 161. PG, p. 100. 81 K. HEMMERLE, Merkmale der Kirche, Kennmale des Geistes, in AS V, p. 33. 79
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VIII. La Chiesa, spazio della Comunione trinitaria
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era molto più di un programma spirituale o pastorale: il cammino in comunione era la sua vita. Cammino in comunione ed esperienza di Dio nella prospettiva di Hemmerle si compenetrano profondamente e reciprocamente. […] Nell’ultima lettera pastorale per la Quaresima 1994, Parlami di Dio, egli diede nuovo impulso spirituale al cammino in comunione. Chi vuol parlare di Dio agli altri, deve aprire e percorrere un cammino in comunione. E parlare di Dio era per Hemmerle l’impulso decisivo. In ogni occasione egli ha parlato di Dio con la sua persona e la sua vita, in maniera tale da aprire un cammino in comunione82. Per Hemmerle il principio guida è: «amare la comunità del prossimo come la propria. La tua diocesi è la mia diocesi, la mia comunità è il mondo, il mondo è presente nella mia comunità»83. Egli ha vissuto in prima persona la conversione all’unità facendo di Gv 17, 21 la Parola-guida della sua vita. Molto bella è la realtà di amore reciproco che lo lega ad altri vescovi, di cui racconta: In occasione di un incontro promisi ad alcuni vescovi che la loro diocesi sarebbe stata la mia e viceversa. Da allora pregai ogni giorno per quei vescovi e le loro diocesi. E recandomi in visita da loro sentii che quanto ci eravamo detti quella volta non era un gioco di parole ma una realtà. Con i vescovi e con le diocesi che nella preghiera uno porta nel cuore, si crea un rapporto intimo e immediato. Poter stare insieme in comunione è uno straordinario ampliamento di orizzonti. I problemi personali non vengono considerati come se fossero l’unica cosa importante al mondo. Dalla vicinanza fraterna si trae forza per aiutarsi reciprocamente a risolvere i problemi, anche i più difficili e personali84. Questo si riflette in ambito ecumenico nell’impegno ad amare la Chiesa dell’altro come la propria: Io stesso ho fatto l’esperienza che riesco a capire meglio un partner che proviene da un’altra Chiesa […] se comprendo la sua personale esperienza di fede. Nella luce di questa esperienza vedo W. HAGEMANN, Verliebt in Gottes Wort, cit., p. 171. GZ, p. 186. 84 GZ, p. 187. 82
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L’esperienza di Dio nell’unità
il theologoumenon presentato in modo totalmente diverso rispetto a come lo vedrei se mi limitassi a rifletterci sopra85. Nell’unità nella diversità la Chiesa riscopre il suo essere icona della Trinità.
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È tempo che la Chiesa diventi icona e noi diventiamo una nuova icona, una nuova traduzione del vangelo. Allora l’Abbà del bimbo ci parlerà di nuovo e ci trasmetterà il messaggio del Padre che è nei cieli, della gloria di Dio, della pace e salvezza in terra86. In una bella riflessione Hemmerle afferma che in Cristo diventiamo trasparenti l’uno all’altro nella luce dell’Agnello: «Le cose non sono soltanto come sono: le cose sono così come vengono amate. Viviamo l’uno accanto all’altro nel sì di Dio, nel nostro sì reciproco. Abitiamo l’uno accanto all’altro nella stessa città». Nella Gerusalemme celeste si legge il disegno di Dio sulla Chiesa: La Scrittura dice tre cose di questa città: in essa tutto è trasparente, tutto è di cristallo, tutto è strada, contatto, legame; nella città, ecco il secondo aspetto, non ci sono lampade e non c’è sole, perché Dio e l’Agnello sono la sua luce; e il terzo aspetto è che non ci sono chiese, né alcun tempio, perché tutti dimorano in Dio87. 6. ESSERE CHIESA. I SETTE ASPETTI DELLA COMMUNIO La Chiesa è il luogo in cui Dio agisce perché gli uomini siano una cosa sola nel suo nome e vivano in modo tale che sia presente il Dio trinitario: così il Signore in mezzo a noi può inserire la nostra vita nella vita di Dio88.
85 K. HEMMERLE, Erfahrungen mit Wort und Sakrament, in «Jahresbuch des Evangelischen Bundes» (1983), 26, p. 69. 86 GZ, p. 324. 87 K. HEMMERLE, Dio si è fatto bambino, Roma 1995, p. 57. 88 Cf. LE, p. 184.
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VIII. La Chiesa, spazio della Comunione trinitaria
Il mistero della Chiesa è la communio del Dio trinitario che si esprime nella communio dei credenti. L’amore, che è «il più puro dono di Dio e il più libero sì dell’uomo»89, prende forma nei vari ambiti della vita umana ed ecclesiale: economia e lavoro, testimonianza e irradiazione, spiritualità e culto, relazioni sociali ed ecologia, arte, cultura, mezzi di comunicazione. Hemmerle delinea i tratti fondamentali di sette aspetti che esprimono le possibili concretizzazioni. Nella realtà trinitaria tutto ciò che è del Figlio è anche del Padre, tutto ciò che è del Padre è anche del Figlio, hanno in comune il loro essere e ogni cosa: in questo senso la comunione dei beni rappresenta l’aspetto visibile e la prima forma di concretizzazione. Secondo Atti la Chiesa si edifica nella comunione delle testimonianze e nello scambio dei doni, per cui la comunione dei beni «non è un’appendice, ma fa parte essenzialmente del modo di essere Chiesa e vivere come Chiesa»90. Ognuno è legato agli altri e fa crescere la comunione col suo contributo: «Il dispiegarsi dei molteplici doni, l’interdipendenza dei molti doni in quest’unica vita dell’unità e dell’amore sono segni di riconoscimento della comunità. Ognuno deve agli altri la sua vita personale»91. Teresa di Lisieux nella «piccola via» rivela «l’unica vocazione sottesa a tutte le vocazioni della Chiesa: la vocazione a essere amore»92 e afferma: «In cielo non incontreremo nessuno sguardo indifferente, poiché riconosceremo che tutti noi dobbiamo la nostra grazia gli uni agli altri»93. Hemmerle osserva: Per il fatto che partecipiamo di quest’unica realtà, partecipando a Gesù stesso veniamo resi capaci di partecipare gli uni degli altri e questa partecipazione avviene proprio perché essendo io in te e tu in me, vivo della tua grazia e faccio vivere te della mia grazia. La realtà della communio è avere il proprio cielo in ogni altro e avere il cielo tra noi94. 89 K. HEMMERLE, Einheit als Leitmotiv in Lumen Gentium und im Gesamt des II Vatikanums, cit., p. 220. Questa tematica dei sette aspetti è ripresa da un’originale intuizione di Chiara Lubich. Per la trattazione dei sette aspetti, cf. LE, pp. 199-204 e PG, p. 103. 90 LI, p. 73. 91 Ibid. 92 GZ, p. 294. 93 LE, p. 191. 94 LE, p. 199.
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L’esperienza di Dio nell’unità
Il secondo aspetto è la testimonianza e missione che nascono dall’amore.
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L’unica realtà in cui il mondo può riconoscere Gesù è il nostro essere uno nella reciprocità. Annunciare la Parola dunque, ma in maniera tale che in essa si annunci l’amore. Questo è decisivo: l’amore che costituisce il contenuto e la forza di questa Parola e si afferma nel trasformarci in sé. Diventare comunità che realmente attrae, che dà testimonianza autentica. Essere comunione in cui il mondo nella sua fragilità e divisione riconosce che l’unità è possibile95. La via della Chiesa va verso l’esterno, va in profondità e verso l’alto. È importante riscoprire la vita spirituale e radicarsi in Dio in un rapporto personale e comunitario in cui come “corpo” ci si offre per riportare ogni cosa al Padre: è il terzo aspetto. Si tratta di attuare la realtà dell’Eucaristia. Se l’Eucaristia è la nostra vita, se il mistero della Chiesa è ciò che conta, non è sufficiente che questo mistero sia celebrato sacramentalmente, ma deve esser celebrato con la vita e questo ha a che fare con il sacramento. È decisivo quanto abbiamo visto riguardo alla croce e all’abbandono di Gesù. È lì che stiamo noi, è il cuore e il nucleo della spiritualità della Chiesa per portare al Padre in modo permanente per mezzo della croce, il mondo intero e l’intera realtà. Questo è il nostro ministero96. Non basta che sia segno e strumento del mistero pasquale la celebrazione liturgica, ma è necessaria una celebrazione con la vita. Senza svalutare la realtà sacramentale e oggettiva del ministero ordinato, Hemmerle mostra che il sacerdozio regale ha radici innestate nel mistero pasquale: per tutti i battezzati l’esistenza può diventare Eucaristia, lode e ringraziamento. Lodare Dio, questo è il nostro ministero: significa donare tutto attraverso la piaga del Crocifisso nella gloria del Padre consegnarlo a lui. Incontrare il Signore in questo modo e non per noi ma per 95 96
LE, pp. 199-200. LE, p. 201.
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VIII. La Chiesa, spazio della Comunione trinitaria
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gli altri e per il mondo: questo è il significato dell’affermazione che la Chiesa nella globalità vive il mistero97. L’esistenza eucaristica è un riflesso della Chiesa come corpo mistico (è il quarto aspetto): «La realtà viva del corpo consiste nella solidarietà dell’aiuto, nel reciproco accettare e donare bisogni, limiti, doni che Dio ci ha dato»98. In questo senso «sarebbe un compito encomiabile e proficuo sviluppare una teologia della creazione e una dottrina sociale cristiana a partire dall’essere come essere-dono»99. Nella piena comunione tra ministri ordinati, laici, vocazioni e carismi, la Chiesa diventa (è il quinto aspetto) «casa di Dio e degli uomini». Il ministero ordinato e la successione apostolica sono i pilastri su cui si edifica la communio, ma affinché la Chiesa sia una casa che accoglie e non solo una struttura, deve essere riempita da un amore che abbraccia l’umanità: Noi siamo fondati sul sacramento, sul ministero ordinato e sulla Parola di Dio. Con questo non siamo ancora una casa, ma la struttura portante. Dobbiamo riempire la struttura con un amore che accoglie e racchiude in sé, e aprirla con un amore che si apre: come casa per tutti, come casa per gli altri. La Chiesa è casa per quelli che vengono da lontano, casa per quelli che non hanno casa e casa per quelli che cercano un posto nel mondo. L’amore di Dio ci spinge a essere la casa in cui ha luogo il banchetto che la Trinità prepara per tutti. L’icona della Trinità è icona di una casa. Questa icona dice a ogni uomo: «In questa casa tu trovi il Dio trinitario e il suo amore: qui sei invitato»100. L’amore fa della Chiesa la casa del Dio trinitario e va incontro agli altri in forma di misericordia: Il cammino verso la Chiesa e verso la casa fanno parte della celebrazione dell’Eucaristia. La Chiesa è cammino verso la casa, cammino in cui ci si raduna, ci si riunisce, ci si saluta, ci si riconcilia, si solleva chi è caduto, si è l’uno a servizio dell’altro portando con Ibid. Ibid. 99 LE, p. 100. 100 LE, p. 203. 97 98
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L’esperienza di Dio nell’unità
sé il Signore che si dona ogni volta eucaristicamente per tutti e per il mondo101!
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L’immergersi nella Sapienza è esperienza di amore reciproco in cui si attinge all’unica fonte e si vede il tutto nella luce dell’altro. Il carisma dell’uno risplende di più grazie al carisma dell’altro in un gioco di amore in cui si rende presente l’unico Maestro. La Chiesa è (sesto aspetto) il segno della via della Sapienza. Il cammino dei popoli con i loro doni e la loro storia sono in questa Chiesa. La Chiesa deve essere il luogo in cui vediamo le diverse correlazioni e il contesto della storia è illuminato. Dobbiamo essere Chiesa per i vicini e per i lontani, Chiesa in cui molti carismi si illuminano e si clarificano reciprocamente. Dovremmo sentire che nella luce di Francesco d’Assisi vediamo cose che non vedremmo qualora ci fosse soltanto Ignazio di Loyola, e così possiamo vedere cose nella luce di Ignazio di Loyola, che non vedremmo se ci fosse soltanto Francesco d’Assisi. Penso che il vedere la pienezza del tutto con gli occhi degli altri, il riconoscere la Sapienza dell’insieme, il punto di vista della globalità del tutto sia nei carismi, sia nelle vie dei popoli, sia in ciò che Dio scrive non solo nella storia dei singoli ma anche nella storia della Chiesa e del mondo: questo vedere nella luce dello Spirito può far diventare la Chiesa la sede vivente della Sapienza102. Alla luce dello Spirito la Chiesa fa esperienza della Sapienza che valorizza il cammino dei popoli. Il settimo aspetto della communio è l’essere Chiesa-mondo, comunione universale, esperienza di mondialità in cui molti sono un sol corpo e ogni singolo vive e sente suo ciò che gli altri vivono. L’unità che valorizza la diversità nasce da un amore capace di spogliarsi della propria cultura: lo stile del Vangelo è mettersi in ascolto di ciò che gli altri hanno da dire e da donare. L’unità della Chiesa ha come fondamento il mistero pasquale e come modello il Dio trinitario. Hemmerle effettua un accorato invito a vivere a partire dall’unità: questo resta il suo testamento spirituale103. GZ, p. 182. LE, pp. 203-204 103 È quanto troviamo in Leben aus der Einheit, l’ultima opera scritta da Hemmerle e pubblicata postuma. 101 102
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VIII. La Chiesa, spazio della Comunione trinitaria
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In tutti e sette gli aspetti abbiamo parlato di una cosa sola, cioè della relazionalità trinitaria: tu in me e io in te. Questo è tutto il segreto. Se inabitiamo l’uno nell’altro, noi siamo in Lui ed egli è in noi. Siamo una cosa sola col Dio trinitario. Rimaniamo nella reciproca pericoresi, pensiamo gli uni agli altri e sosteniamoci a vicenda. In questo modo il nostro cammino diventa un cammino collettivo con tutti. La Chiesa diventa via, una via collettiva in cui ci apriamo l’uno per l’altro in modo tale che ognuno nella quotidianità possa far nascere e sviluppare un seme di questa meravigliosa comunione della vita trinitaria104. 7. IL PRINCIPIO MARIANO DELLA CHIESA Il vivere sulle orme di Maria si riflette profondamente nell’ecclesiologia di Hemmerle. La Lumen Gentium inserisce Maria all’interno della riflessione ecclesiologica: questo non sminuisce Maria, ma permette alla Chiesa di riscoprire in lei il suo disegno. Per Hemmerle fa parte del carattere mariano della Chiesa «la fedeltà pazzesca alla sorgente originaria, a ciò che le viene affidato e consegnato, ma in questa fedeltà pazzesca matura un’apertura inaudita in cui diventa luogo di Dio, dell’uomo e del mondo»105. La Chiesa è una, santa, cattolica, apostolica solo se è mariana. La Chiesa può ritrovarsi in ciò che la Theotòkos le dice: Maria è la creatura umana che dentro all’assenza di Dio porta alla luce Dio. Dobbiamo riconoscere che una Chiesa senza Maria non potrebbe esistere. Ribadisco con fermezza il significato costitutivo del ministero apostolico nella Chiesa, e una Chiesa senza apostoli non riuscirei neppure ad immaginarla; sarebbe tuttavia più facile immaginare una Chiesa senza apostoli, piuttosto che senza Maria. Maria e il suo ministero sono la cosa più importante nella Chiesa106. È un’affermazione che non mette in ombra il ministero petrino, ma ne esalta il valore, nel senso del generare la presenza di Cristo LE, p. 205. DN, pp. 215-216. 106 LE, p. 173. 104 105
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L’esperienza di Dio nell’unità
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come Maria. Sulla scia di Balthasar e di Giovanni Paolo II, i quali sostengono che la Chiesa deve essere plasmata più dal profilo mariano che dal profilo petrino, Hemmerle afferma che nel profilo mariano si delinea il profilo della Chiesa: Portare alla luce Dio dove non c’è, vivere con lui dove è nascosto e donarlo nella povertà e semplicità di Maria nella vita di fede lontana da compromessi e da autogiustificazioni trionfalistiche: questa è l’immagine della Chiesa. Così essa vive ed è testimone, può essere invito per gli uomini. Il singolo e la comunità trovano il modello e compito nell’immagine di Maria che sta lì e genera Cristo, tiene Dio in braccio, lo offre e lo dona nel bambino. Senza importunare e senza ritirarsi, nel bambino che la madre dà alla luce e offre, la Parola fatta carne può entrare in dialogo e aprire i dialoghi più urgenti: dialogo tra i discepoli separati di Gesù, dialogo tra le religioni, dialogo col mondo lontano da Dio e che in segreto cerca Dio. Maria sarà la sede della Sapienza. Anche nelle voci estranee saprà trovare le tracce della Parola che da lei nasce e saprà ricondurle all’unità. E da lei semplice presenza che c’è dove lui c’è, pastori e dotti potranno imparare a non essere rappresentanti di una grande istituzione, ma ad essere sede della Sapienza, coloro che offrono ed espongono il Dio che è nascosto e lo portano in mezzo agli uomini, come Maria107. Davanti al mosaico di S. Sofia, Hemmerle vede in Maria l’immagine del futuro della fede e della Chiesa. Egli descrive la situazione di S. Sofia come «esperienza dell’assenza di Dio in cui Dio è dimenticato e sfrattato, affossato nell’elemento storico e museale»: Nel 1984 mi recai con un gruppo di vescovi di diverse confessioni nella basilica di S. Sofia a Istanbul. Restammo colpiti dall’edificio imponente poiché vi potevamo percepire in modo tangibile una presenza enorme della storia della Chiesa e dell’umanità. Ci trovavamo in un edificio dell’antica tradizione cristiana, dell’epoca in cui la cristianità era unita e l’Asia minore era il centro del mondo cristiano; ma eravamo anche nel luogo in cui si consumò la rottura tra Oriente e Occidente e si spezzò l’unità. Nei grandi cu107
K. HEMMERLE, Eine Martins - und eine Marienkirche, cit., p. 107.
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VIII. La Chiesa, spazio della Comunione trinitaria
nei vedevamo enormi le scritte tratte dal Corano, il sopravvento di un’altra religione sulla cristianità lacerata. Davanti a noi i cartelli dicevano «Vietato pregare» […] Questa assenza di religione in quello che una volta era un luogo sacro, era terribile. Fummo sopraffatti dalla caduta: unità originaria, unità lacerata, diverse religioni, niente più religione. Gli sguardi vagavano disorientati in cerca d’aiuto quando all’improvviso là sopra la cupola scintillava dolcemente e senza farsi notare un antico mosaico: Maria che offre suo Figlio. Lì ho capito chiaramente: sì, questa è la Chiesa: esserci, semplicemente, e a partire da se stessi generare Dio, quel Dio che appare assente. La parola Theotòkos, Madre di Dio, colei che genera Dio, acquistò per me improvvisamente un suono completamente nuovo108. Il mosaico diventa uno squarcio sulla realtà di Maria che mostra come si può donare Cristo: Anche noi possiamo esserci e portare alla luce quel Dio che appare assente. Non dobbiamo fabbricare Dio, ma portarlo alla luce; non possiamo dimostrarlo con argomentazioni, ma possiamo essere la coppa che lo contiene, il cielo nel quale pur nella scarsa appariscenza Egli rifulge. Ho così compreso non solo il nostro compito come Chiesa, ma anche come la Chiesa sussista nella figura di Maria e come Maria sussista nella figura della Chiesa, come queste due figure siano una cosa sola109. L’elemento mariano mette in luce che la Chiesa è circondata dal sì che riceve ed è grata a questo sì che è pura positività; in questo senso la Chiesa è il negativo fotografico in cui la pienezza di Dio si delinea e si comunica. La via di Maria diviene la carta d’identità della Chiesa: È Chiesa chi comprende Maria così e in questo modo la vive. Questa è la nostra vocazione: essere noi la contemporaneità di Maria e della Chiesa, in modo che vivendo Maria diventiamo Chiesa, e vivendo la Chiesa siamo Maria110. LE, p. 156. Ibid. 110 Ibid. 108 109
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IX.
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Il pensiero estetico: il pulchrum come marianum
Il rapporto tra dimensione estetica e pensiero teologico e filosofico è importante per chiarire la prospettiva di Hemmerle: sono realtà profondamente intrecciate e complementari. Hemmerle non si limita a scrivere di estetica, ma la dimensione artistica caratterizza profondamente il suo esprimersi e il suo essere. Personalità poliedrica, ha trovato modo di esprimersi come poeta, pianista e pittore, oltre che come filosofo, teologo e vescovo. Egli esprime la sua visione sull’arte in preziosi scritti di estetica, nei saggi sull’arte figurativa, in testi di analisi musicale. Nel presentare il contributo di Hemmerle al mondo dell’arte, sceglieremo come chiave ermeneutica il rapporto tra il sacro e il bello cercando di vedere in che senso si può parlare di estetica e in che modo il mistero di Dio possa rendersi visibile nella aisthesis. Attraverso il saggio Der Gekreuzigte, attraverso alcuni frammenti della produzione pittorica e poetica di Hemmerle e l’originale interpretazione del pulchrum scopriremo il rapporto tra estetica ed esperienza artistica di Hemmerle. 1. IL SACRO E IL BELLO. GLI SCRITTI DI ESTETICA Nel saggio Das Heilige und das Schöne (HS) la riflessione estetica si sviluppa in direzione di un possibile rapporto tra la ricerca del bello e il sacro. L’arte è definita evento del bello nella forma: Col termine “bello” intendo la dimensione e la prospettiva fondamentale dell’essere in cui l’arte si manifesta, a cui l’arte appartiene e in cui è la sua essenza. […] La bellezza è la non ovvietà dell’essere, in senso medievale si direbbe la nobilitas, il grado peculiare più intimo dell’essere che all’essere appartiene in modo 270 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.
IX. Il pensiero estetico: il pulchrum come marianum
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intrinseco ma che sorge in modo sempre nuovo, mirabile e mai manipolabile. Il bello è l’evento di ciò che non è ovvio e si ritrae nel suo mistero. È evento che accade nella forma: il bello è il sorgere di questo evento nella forma e oltre essa. La coincidenza di evento e forma, la forma come evento, è l’essenza dell’arte1. Hemmerle ritiene che l’arte sia una caratteristica dell’essere, nobilitas che è irradiata attraverso la forma. Si tratta di vedere se il darsi, che nelle Thesen è fondamento dell’ontologia trinitaria e nobilitas più profonda dell’essere, possa essere la chiave ermeneutica dell’estetica dell’Autore e se in tale direzione si possa leggere la reciproca implicazione di libertà e necessità2. Le forme di arte che esprimono il quotidiano, il banale e il brutto rientrano nell’ambito del bello se ne mantengono la caratteristica fondamentale, cioè il rivelare il mistero nella forma anche se la forma è spezzata. La tesi secondo cui l’arte corrisponde al bello non deve essere intesa come se il brutto, il banale o il terribile debbano essere rifiutati come non-arte. Il bello non deve essere inteso in senso contrapposto al sublime o a ciò che non è bello3. «Forma come evento, evento come forma»: è la caratteristica essenziale dell’arte in cui si manifesta il sacro. La possibilità dell’arte sacra si colloca nell’ambito dell’originaria appartenenza di sacro e opera d’arte. La forma artistica è un evento che va oltre sé, ma il bello e il sacro si rapportano ad essa in modo diverso: Il bello è bello in quanto esso penetra e permea di sé la forma come suo luogo e lì si manifesta. L’arte è la forza potente della forHS, p. 257. Nelle Thesen Hemmerle fa riferimento al pensiero di Schelling, secondo cui la forma artistica nasce dal coagularsi della libertà ed è libertà che si estrinseca come armonia divenendo forma attraverso l’opera d’arte: «L’opera d’arte è tale grazie all’intrinseca armonia e coerenza, grazie alla sua necessità. Essa è necessità della libertà della produzione artistica che prende forma, mentre la libertà è libertà di produrre forme necessarie» (TT, p. 155). 3 HS, p. 257. A proposito del brutto Hemmerle osserva: «L’opera d’arte in quanto ha forma dice “Guardate! Ascoltate!” anche quando sta lì, esprimendo apparentemente incomunicabilità. O il brutto è in grado di acquisire forma anche se in contrasto con la nobilitas dell’essere, o comunque è un rinvio ad essa, è un appello rivolto ad essa, che viene fatta trapelare proprio nella contrapposizione». 1 2
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L’esperienza di Dio nell’unità
ma che diviene evento, un evento che non avviene oltre la forma poiché la permea dall’interno, ma si attua pienamente nella forma e attraverso la forma va oltre lei. Il sacro invece avviene nella forma come rinvio che dalla forma va in direzione del Mistero che si sottrae. La direzione del sacro non è l’attuarsi del Mistero trascendente all’interno della forma, ma è piuttosto nel senso che la forma rinvia al Mistero trascendente e quasi sprofonda in esso. L’arte è evento del bello nella forma, mentre l’evento del sacro spezza la forma così che essa non sia un semplice rinvio al Mistero che si sottrae, ma ne diventi la testimonianza che rinvia ad esso. L’arte e il sacro si trovano all’interno della polarità di forma ed evento giocando in direzione opposta: l’arte va verso la forma e dentro la forma, l’appello del sacro invece è nell’hic et nunc l’uscire della forma da se stessa per andare oltre sé4. Mentre una religione potrebbe essere debole nella forma ma capace di rivelare del sacro, l’arte non può mai essere debole nella forma, anche se non sempre una forma artistica ben realizzata riesce a esprimere il sacro. Non è necessario che l’arte esprima una tematica religiosa, poiché ogni realtà può esprimere il sacro e «anche un oggetto neutro o la pura forma sono capaci di testimonianza»5. Hemmerle chiarisce che l’arte sacra non va identificata con l’arte a tematica religiosa e non può essere vincolata a un canone di regole formali: «quando si tratta di autentica arte sacra, essa non attesta la sacralità attraverso elementi stilistici fissati a priori»6. Realizzando il bello nella forma, l’arte rinvia oltre sé ed è diretta testimonianza del sacro. Questo vale per l’arte tout-court. L’arte e il bello hanno un riferimento trascendentale alla forma: ogni forma che si presenta davanti a noi può essere percepita in senso artistico e può essere espressa in forma artistica e trasformarsi nella nuova forma dell’opera d’arte7. L’arte sacra non è l’arte prodotta da artisti che sono religiosi nella vita privata. Attraverso la forma artistica il mistero dell’essere attira a sé, e quindi «tutta l’arte può essere capace del sacro». HS, p. 259. HS, p. 261. 6 HS, p. 260. 7 Ibid. 4 5
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IX. Il pensiero estetico: il pulchrum come marianum
L’arte sacra deve essere capace di una forte testimonianza: è arte in cui, proprio in quanto arte, il sacro si manifesta in quanto sacro. Il bello è lo spingersi del mistero trascendente all’interno della forma. L’arte in quanto tale è forma, ed è il manifestarsi del mistero sacro nella forma8.
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Nell’arte, come in un’autentica esperienza del sacro, non esiste un ambito sacro e un ambito profano. In tutta l’arte la forma può diventare un potente rinvio al mistero sacro: La testimonianza diretta avviene a partire dal mistero indicibile che spinge l’artista alla forma, in modo che egli da un lato voglia la forma, dall’altro lato nella forma voglia comunicare l’Indicibile sempre incommensurabile rispetto alla forma, anche se si rivela e si attua in essa9. Attraverso l’opera d’arte si può fare un’esperienza estetica ed esistenziale al contempo. Per percepire la realtà più profonda dell’arte è necessario «camminare insieme all’opera d’arte in tutte le dimensioni»10. Esiste però una differenza tra arte religiosa e arte toutcourt: Un gioco che dà forma, un gioco nel quale il mistero mirabile giunge alla forma: questo è quello che definiamo come arte. La comprensione del mistero che si testimonia nella forma e si comunica in essa: questo è quello che definiamo come arte religiosa11. Nell’arte religiosa si riflettono i tratti del sacro e del bello: «differenziando l’arte religiosa dall’arte sacra in senso specifico, potremmo dire che tutta l’arte sacra può definirsi arte religiosa, ma non tutta l’arte religiosa può definirsi arte sacra»12. Secondo Hemmerle sia l’arte che l’esperienza del sacro hanno origine e radice nell’esperienza di una festa condivisa. Il dialogo della comunità con il sacro «è lo spazio dentro cui si colloca l’arte sacra, dentro cui essa supera i limiti Ibid. HS, p. 261. 10 HS, p. 262. 11 Ibid. 12 HS, p. 263. 8 9
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L’esperienza di Dio nell’unità
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in modo che la forma non si rinchiuda in sé ma si collochi nell’evento del radunarsi della comunità»13. Richiamandosi a un linguaggio liturgico, Hemmerle afferma che la forma dell’opera d’arte esprime l’esperienza comunitaria e si determina a partire dalla festa della comunità celebrante. L’arte sacra è definita come «arte mediale» nel senso che comunica la forma della festa. Questa non è una limitazione dell’arte, ma è il suo ampliamento nel contesto di una comunità che la abbraccia e che fa parte essenzialmente dell’opera d’arte. […] L’arte sacra è forma che è evento (Gestalt als Ereignis), evento che prende forma nella forma della comunità celebrante: in mezzo a essa non solo l’arte ma il sacro stesso deve farsi evento. Così l’opera d’arte vibra in una specifica discrezione, in un’essenziale apertura oltre sé, nel far silenzio e rinviare oltre sé. In tal modo l’arte riesce a plasmare in modo imprevedibile, nuovo e libero la sua forma storica14. L’arte ha sempre a che fare con la storicità, poiché rispecchia il momento storico dell’esperienza in cui sorge. L’attenzione al presente permette di comprendere la storicità delle forme senza fissarsi su forme prestabilite. In ogni epoca il rapporto tra arte sacra e bellezza si delinea in modo nuovo: Nella sua forma l’arte sacra verrà ad avere una relazione sempre nuova con la realtà del mondo a seconda di quanto il suo mondo storico sta in rapporto col sacro, ne fa esperienza e lo testimonia15. Quando si pensava che il mondo fosse pervaso dalla sacralità come nell’antichità e nel medioevo, «lo specifico dell’arte sacra faticava ad andare oltre la superficie della forma». Con la Riforma la forma artistica non rispecchia la festa delle celebrazioni sacre, «ma ma testimonia nell’immediatezza espressiva la vicinanza della rivelazione di Dio all’uomo». L’interrogativo fondamentale è se oggi può esistere un’arte sacra, visto che «l’arte sacra viene a sprofondare in una particolare Ibid. HS, p. 264. 15 HS, p. 265. 13 14
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IX. Il pensiero estetico: il pulchrum come marianum
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debolezza di forma»16. Hemmerle afferma che la festa della comunità significa l’immediata condivisione con gli uomini, per cui proprio «nella festa e nella comunità l’arte potrebbe trovare il suo posto adeguato». Hemmerle individua alcune caratteristiche per l’arte oggi: Esiste anche oggi un’arte sacra nella sua essenza e nel suo compito. Essa non intende dimostrare la sua sacralità con segni vistosi e appariscenti, né con il nostalgico rimando ad altre epoche, né con lo splendore trionfale del suo stesso affermarsi, ma è un’arte che intende rispecchiare il sì di Dio al mondo e agli uomini di questo momento storico. L’arte sacra anche oggi deve essere profondamente spirituale. […] Sarà arte autenticamente mondana perché spiritualità e mondanità sono inseparabili17. Il sacro si esprime anche attraverso un’arte drammatica che in una forma franta può esprimere il sublime18. Hemmerle si interessa all’arte contemporanea che esprime la drammaticità dell’esistenza e non per questo è meno bella. Aristotele individua nella catarsi mediante pietà e terrore la caratteristica più alta della tragedia greca: ma mentre la tragedia esprime il dramma all’interno di una forma perfetta, l’arte contemporanea nella pittura, nella scultura, nella musica, nella poesia e nel teatro esprime il dramma interiore individuale e collettivo, psicologico, esistenziale e sociale all’interno di una forma franta, spezzata, disarmonica o dissonante, priva di un baricentro che non sia il dramma testimoniato. Hemmerle sa cogliere questa caratteristica dell’arte contemporanea e fa persino un riferimento allo Spirito come possibile risposta al dramma esistenziale testimoniato dall’arte contemporanea: L’arte ha la funzione di fotografare l’evolversi dell’animo umano ed ha espresso nel cubismo la distruzione del volto umano e della persona umana. C’è nel nostro tempo la minaccia all’unità della persona. Di qui l’importanza di avere un volto. Ma chi lo può dare? Quell’Amore che mi ama in ogni momento in tutto quello che Ibid. HS, p. 266. 18 Per approfondimenti sul rapporto tra arte drammatica, arte contemporanea ed esperienza del sublime, mi permetto di rinviare al mio studio V. DE MARCO, La forza del sublime, in «Nuova Umanità» XXXI (2009), 184/185, pp. 567-589; ID., L’Eucarestia e la via pulchritudinis, in «Nuova Umanità» XXXIII (2011/6), 198, pp. 695-711. 16 17
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L’esperienza di Dio nell’unità
è spezzato e non unito in me! Solo questo Amore, mi raccoglie e mi custodisce. Quando il suo Spirito vive in me, è allora che sono, e sono uno19.
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2. UN COMMENTO SUGLI AFFRESCHI DELLA SISTINA Uno scritto particolarmente importante per quanto riguarda le arti figurative è Anfang bei der Zukunft: Anfang beim Vater (AZ). Esso nasce come commento all’affresco di Michelangelo sulla Creazione: dall’intuizione estetica scaturisce una riflessione teologica su Dio Padre. Se Dio Padre dovesse darsi in un’immagine umana, probabilmente il ritratto più eloquente, accanto all’opera di Rembrandt che ritrae il Padre misericordioso che accoglie il figliol prodigo, potrebbe essere la Creazione di Adamo che troviamo negli affreschi della Sistina20. La riflessione sul Padre come origine della vita si sviluppa attraverso i piani strutturali dell’affresco. Dal punto di vista strutturale l’affresco può essere definito come immagine-ponte. Sono presenti due ambiti: la terra, che nasconde il corpo di Adamo, che inizia a sollevarsi nel senso del crescere verso la vita: il mantello ondeggiante di Dio creatore, che avvolge lui e la schiera dei testimoni dell’evento, gli angeli, ed Eva, che ancora doveva essere creata. Tra loro si apre l’abisso, sul quale nello spazio centrale aperto si stendono i due “ponti”, il braccio sinistro di Adamo e il braccio destro di Dio rivolti l’uno verso l’altro, che si toccano sfiorandosi sulla punta delle dita. Il movimento dell’essere rivolti l’uno verso l’altro, acuito nelle braccia, nelle mani, nella punta delle dita, viene sostenuto sia attraverso gli sguardi-ponte tra Adamo e Dio Padre, sia attraverso le linee che dalla direzione delle
K. HEMMERLE, Un grido che invoca lo Spirito, in «Gen’s» XXI (1991), p. 6. AZ, p. 238. Giovanni Paolo II ha dato rilievo poetico, spirituale e teologico agli affreschi della Sistina come rivelazione del volto di Dio e dell’uomo. Cf. GIOVANNI PAOLO II, Trittico Romano, Città del Vaticano 2003. 19
20
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IX. Il pensiero estetico: il pulchrum come marianum
membra delle figure tendono verso questo dinamico punto centrale che misurato nell’ampiezza totale del quadro, contrassegna la sezione aurea facendo emergere in tutta l’armonia e proporzionalità la sovraeccedenza del Creatore nei confronti della creatura. […] Nella scrittura occidentale le righe cominciano a sinistra, ma qui il Creatore proviene da destra. Entrambe le assi dei corpi di Adamo e di Dio Padre, e l’abisso da superare tra la terra e il mantello di Dio, corrono in parallelo da destra in basso verso l’alto a sinistra: questo movimento fondamentale agisce come contromovimento contro la tendenza di Adamo che risvegliandosi si spinge in avanti verso il futuro. Il futuro proviene a lui da Dio Padre, di cui l’osservatore ha l’impressione che si pieghi e si muova verso dietro, creando e dando vita all’uomo. Questo non si evince dall’immediato movimento del corpo che in realtà porta verso Adamo, ma dall’impressione globale di ciò che il mantello di Dio abbraccia e nasconde: gli altri osservatori, tra cui la forma accennante alla futura Eva, si guardano intorno e all’indietro verso Adamo21. Dio è prima di tutto, ma nell’affresco si trova davanti, nella direzione da cui irrompe il futuro. Dio è futuro senza fine, solo lui è pieno futuro in unico istante eterno, e risveglia qualcosa che non è, affinché si apra e abbia futuro, avendo lui come futuro. Il futuro si inclina all’indietro verso di me, mi chiama, mi tocca. La prima cosa che accade quando la creatura apre gli occhi sia in senso figurativo che reale, è lo sguardo in avanti, è l’entrare nel futuro. Il futuro promesso viene accolto e può cominciare. A partire dal futuro i ponti della creazione portano verso il presente in modo che possano essere percorsi verso il futuro22. Dio Padre apre un futuro dal nulla, dove umanamente sarebbe impensabile. Il futuro accade proprio là dove non ha alcuna opportunità. Questo è il ritmo fondamentale della storia della salvezza. Il Dio che 21 22
AZ, p. 239. AZ, p. 240.
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L’esperienza di Dio nell’unità
ha creato il mondo dal nulla è iniziatore e promotore del futuro. E ricomincia sempre dal nulla23. Il rapporto con il futuro caratterizza la fede cristiana poiché Dio Padre è sorgente del futuro:
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L’atteggiamento fondamentale è la fiducia che osa spingersi in avanti perché da lì proviene l’invito, l’incoraggiamento a essere, la garanzia dell’essere e della vita, la promessa del futuro. L’invito «Vieni! Apriti! Osa!» si compie nell’invisibile mistero dove si può osare pronunciare la parola “Padre”24. Adamo si protende verso il futuro osando guardare in faccia Dio creatore e Padre e stendendo la mano in avanti: «nel senso più profondo la richiesta del futuro è richiesta del volto del Padre»25. Sulla destra dell’affresco è rappresentata una triplice struttura: c’è la sorgente, c’è la Parola che chiama, c’è la tensione che attrae. Sono raffigurati «il volto del Padre da cui provengono lo sguardo e la Parola, e la forza viva e vivificante del dito di Dio che irrompe sulla mano addormentata di Adamo»26. È evidente il riferimento allo Spirito, digitus paternae dexterae. Lo sguardo di Adamo da sguardo che attende e accoglie diventa sguardo che domanda. Il gesto complessivo del corpo è protendersi ad afferrare qualcosa che di per sé non riuscirebbe ad afferrare. La parola che gli viene detta opera, ma non è ancora tutta dentro di lui: sta già prendendo spazio in lui, ma ancora non è diventata risposta27. Adamo è l’uomo che si interroga interrogando la sorgente del futuro. Hemmerle osserva che il domandare filosofico avviene di solito in direzione opposta a quella dell’affresco: Dio si trova alla sinistra del rigo di scrittura, mentre noi stiamo in mezzo o alla fine e procediamo a ritroso nell’interrogarci ponenGZ, p. 277. AZ, p. 241. 25 Ibid. 26 AZ, p. 243. 27 Ibid. 23 24
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IX. Il pensiero estetico: il pulchrum come marianum
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doci il problema dell’origine. Qui invece guardiamo al margine vuoto, non ancora scritto del foglio infinito, guardiamo al futuro non avvenuto e crediamo che da lì si protende la mano che deve scrivere28. Le vie tradizionali del pensiero vanno in questa direzione: noi esistiamo perché il Bene ci chiama e ci attira verso di sé, per cui la causa finale mi determina oggi a partire dal futuro. La critica alle prove dell’esistenza di Dio da parte del pensiero moderno nasce in un terreno in cui il pensiero e l’essere non vengono percepiti come testimonianza e rinvio. Hemmerle mette in rapporto il tendere verso il futuro con la prospettiva di Tommaso secondo cui l’ente è in cammino (unterwegs) e tende oltre sé. Le cinque vie possono essere rilette come vie per penetrare in quel futuro a cui tendiamo. Il fatto che l’ente sia in cammino è la traccia che permette di comprendere l’appello che a partire dall’Incondizionato come causa originaria, lo tocca. L’origine incondizionata non è un punto iniziale che rimanda a un nulla intorno a lui, ma è la pienezza che sempre riempie e supera ogni altro vuoto. Questo vuoto non è nulla in sé, ma è lo spazio frapposto che si apre all’ente che è in cammino29. Nell’affresco si comprende che il pensiero umano si trova nella posizione di Adamo: Si solleva verso il suo contenuto, verso il suo oggetto, si muove in avanti. Adamo è capace di guardare e questo significa che è guardato e illuminato da una luce senza confini. Le possibilità del pensiero non sono quelle di uno spazio vuoto e infinito in cui proiettare le immagini finite, ma lo spazio infinito è spazio della luce che lo illumina. Non è l’occhio che crea la luce, ma è la luce che crea per sé un occhio che possa percepirla. Ciò che nel pensare si fa incontro al pensiero e si trova oltre ogni pensiero rende libero il pensiero: il pensiero della realtà suprema e universale che tutto abbraccia non è un mero pensiero, ma è l’annuncio che nasce 28 29
AZ, p. 247. AZ, p. 248.
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L’esperienza di Dio nell’unità
dalla sorgente del futuro che si trova di fronte a ogni pensiero e in direzione della quale il pensiero può pensare30.
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Nell’esperienza di Israele il futuro è realtà dell’Alleanza. Il Dio di Abramo, di Mosè, dei Profeti imprime il sigillo sulla storia di Israele aprendola verso il futuro. Il rapporto di Dio con Israele diventa per gli uomini l’impegno ad essere l’uno il futuro dell’altro, poiché Dio garantisce il futuro restando presente nella realtà della tenda e dell’Alleanza. La mano di Dio che viene tesa al popolo per stringere l’Alleanza, è la mano del Padre dal quale la vita irrompe nella mano di Adamo. Si può leggere in senso inverso: il dito del Padre che tocca e fa vivere il dito di Adamo è il culmine di quella mano che si stende verso la nostra aprendo il patto dell’Alleanza31. L’affresco rappresenta Dio Padre con volto e mani di uomo senza spezzare la sacralità del mistero, ma delineando il cammino dell’uomo che parte da lui come origine e tende a lui come meta. 3. ARCHITTETTURA, ESPERIENZA DEL SACRO, EKKLESIA Particolarmente interessante è una riflessione sull’architettura che trova posto in un volume di ecclesiologia (BK). Il dialogo tra Chiesa e artisti è considerato di importanza fondamentale: «Gli artisti per la loro sensibilità sono particolarmente aperti nei confronti di un’epoca» e da parte sua «la Chiesa deve essere una sorta di sismografo che registra i segni di Dio nel tempo». Per la Chiesa «poche cose sono così necessarie come il contatto vivo con coloro che come artisti rappresentano la sensibilità dell’umanità per ciò che si realizza nella storia»32. Hemmerle analizza il rapporto tra desacralizzazione e sacralizzazione dell’architettura. Il termine “desacralizzazione” può avere valore positivo perché la natura è luogo dell’incontro con Dio e
AZ, pp. 248-249. AZ, pp. 253-254. 32 BK, p. 267. 30 31
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IX. Il pensiero estetico: il pulchrum come marianum
l’Incarnazione rivela una dimensione nuova di sacralità33. Hemmerle tenta di delineare una via teologica per l’architettura sacra e osserva che nel Nuovo Testamento «il sacro, il luogo di Dio, si manifesta negli uomini che portano il Signore in loro e in mezzo a loro. Questa è la nuova sacralità profana»34. Ripercorrendo il percorso che ha portato all’architettura delle chiese a partire dai concetti di ekklesia e Kyriake, Chiesa come assemblea e spazio di Cristo nel mondo, Hemmerle nota che l’architettura sacra non è un’aggiunta alla realtà della chiesa, ma nell’architettura di questa chiesa specifica si deve poter percepire la Chiesa. Il criterio normativo per l’architettura sacra non è solo tecnico, ma è l’impegno a essere Chiesa viva: «La norma della chiesa da edificare è la Chiesa viva, la Chiesa come comunità»35. Uno spazio sacro non è fatto da elementi sacrali aggiuntivi. Sacralità non significa aggiungere degli utensili religiosi. La sacralità non si trova nello stravagante, ma in ciò che nella lotta per il normale rende visibile l’Altro, ciò che è ricco di segni. Penso che questo sia un grande compito36. Nello scritto Oikonomia Hemmerle affronta il nesso tra architettura e teologia: Percezione teologica e percezione estetica devono entrare in un gioco di reciprocità. Partiamo da una percezione teologica, dalla pienezza che un concetto quotidiano forse latente ma certamente non secondario in ambito estetico, viene ad avere se lo inseriamo in un contesto teologico: il concetto di Oikonomia. Questo concetto arricchito e approfondito, ispira una visione estetica che permette di entrare nella peculiarità delle strutture architettoniche. Nel gioco reciproco teologia e architettura si illuminano e si chiarificano a vicenda lasciando intravedere un’intima interconnessione37.
33 Cf. BK, pp. 268-269. Hemmerle riporta numerose citazioni di testi, tra cui Mt 9, 20-22; 26, 61; Gv 4, 21-23; At 17, 24; Eb 12, 18; 1 Cor 6, 13; Ef 2, 20-22; 1 Pt 2, 5. 34 BK, p. 271. 35 BK, p. 272. 36 BK, p. 280. 37 OI, p. 281.
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L’esperienza di Dio nell’unità
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Hemmerle sceglie come prospettiva ermeneutica il concetto di oikonomia nella valenza etimologica, quindi come legge strutturale (nomos) della casa (oikia)38. In architettura «la struttura della casa, il servizio che l’abitare e il vivere insieme portano in una visione globale di ordine armonico è oikonomia»39. Hemmerle mette in luce tre piani essenziali: la funzionalità rivolta a un fine, la forma e il rispecchiare in immagine strutturale il mondo40. Su questi piani l’architettura si avvicina al concetto di oikonomia, che in teologia indica la rivelazione del Mistero di Dio nella storia. Architettura e teologia possono dare forma al mistero: sobrietà e pienezza, conoscenza e sapienza si postulano a vicenda. La forma rende visibile il mistero nel senso che il Mistero e la più profonda visione dell’uomo e del mondo sono inseriti costruendo dentro all’utilità e utilizzabilità, dentro alla regolarità in spazio e tempo. In tal modo il Mistero prende forma e nella forma la vita, la quotidianità, la storia si innalzano nel loro significato portante e chiarificante. L’architetto deve costruire bene e in modo funzionale, sapendo quale immagine dell’uomo e del mondo può imprimere nel costruire, nelle forme, nel convergere dei differenti scopi e utilità41. Sul piano teologico il fatto che il Verbo ha posto la sua tenda e la sua casa fra noi è fondamento della oikonomia. Nella forma architettonica si può esprimere la realtà dell’Incarnazione: Il prendere dimora del Verbo in mezzo a noi è in modo diverso la stessa realtà per il teologo che rende il mistero abitabile per il pensiero e per l’architetto che costruisce la casa per l’uomo e per il Verbo che abita fra noi42. Hemmerle afferma che tutta l’architettura è in rapporto col Mistero, ma «nell’architettura sacra l’intimo nesso tra teologia e architettura, e la struttura economica dell’architettura viene palesata nel
Hemmerle utilizza i termini Hausgesetzlichkeit e Hausgefüge. Ibid. 40 Hemmerle parla di Funktionalität, Gestalt, Spiegelung. 41 OI, p. 284. 42 OI, p. 285. 38
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modo più profondo»43. Confrontando gli aspetti architettonici del Duomo di Aachen, splendido gioiello dell’arte carolingia, con quelli di una chiesa parrocchiale (St. Fronleichnam, Aachen) costruita in stile funzionale, al di là delle enormi differenze artistiche e stilistiche Hemmerle evidenzia una stessa realtà che «si fonde in modo convincente nella forma abbracciando il duplice significato funzionale: la Chiesa come casa di Dio e casa di questa comunità»44. Questo concetto viene espresso in modo diverso a seconda dell’epoca storica e della sensibilità artistica oltre che dell’aspetto funzionale, poiché architettura e teologia sono in stretto rapporto con la storia: Il carattere storico non è aggiuntivo all’architettura e alla teologia. Nella teologia è struttura portante l’oikonomia di Dio. La teologia è oikonomia che si compone. Ma questa è architettura: bisogno e grandezza, preoccupazione e fiducia dell’uomo di impiantarsi e mettere casa sulla terra e poterle dare forma per il futuro. Nella sua funzionalità e nella capacità di dar forma, l’architettura delinea l’uomo e la sua speranza. In quanto è oikonomia che si compone, è storia che si compone. La storia è lo spazio in cui teologia e architettura si sviluppano e si intersecano reciprocamente»45. 4. L’ARTE DRAMMATICA, LA MUSICA, L’INTERRELAZIONE RECIPROCA Caratteristica di Hemmerle è la capacità di condensare in un frammento acume critico e profondità dell’intuizione. La particolare sensibilità nei confronti dell’arte musicale, coreutica e drammatica emerge non in saggi strutturati, ma in alcuni rapidi cenni che risultano particolarmente originali nel mettere in rilievo lo specifico della musica, della danza, dell’arte drammatica, e colgono l’intuizione teologica nella forma artistica. Per quanto riguarda danza e arte drammatica, è interessante un’osservazione fatta ad attori, ballerini e musicisti nel 1991. Hemmerle mette in rilievo che le espressioni artistiche non sono un elemento accessorio della vita cristiana o un piacevole diversivo,
Ibid. OI, p. 286. 45 OI, p. 287. 43 44
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ma qualcosa che ne esprime l’essenza. Mimi, danza, canzoni, musica «non sono una cosa da cui si può prescindere» nell’esprimere l’esperienza di Dio. Particolarmente interessante è che mimi, danze e musica non sono visti come rappresentazione descrittiva dell’esperienza cristiana, ma come sua attuazione, per cui il momento artistico espressivo e quello esperienziale sono fusi in uno: Essere un mimo, fare un mimo vuol dire: “Io sono l’altro”, è l’arte del farsi uno, essere l’altro. Se non facessimo questo, il mimo non avrebbe senso. Il teatro è la forza dell’“essere l’altro” ed “essere l’altro” è la nostra vita nell’amore. E che cosa è la danza? Il nome della chiesa antica per le relazioni tra le tre persone della SS. Trinità è “pericoresi”, cioè una danza nella quale uno gira attraverso l’altro, circonda l’altro; io non mi giro attorno a me stesso, ma all’altro. Questo “io sono in te, tu sei in me”, “io vivo per te, tu vivi in me” è la forma più alta della danza: questa danza eterna è la prima e l’ultima che avviene, è la vita della SS. Trinità. Vi auguro che tutta la vita sia sempre un canto, un mimo, una danza, un unico gioco d’amore46. Hemmerle è molto sensibile alla musica per aver ricevuto una specifica formazione come pianista ad opera della madre e dello zio, il musicista Franz Philipp. Nel corso della sua vita Hemmerle ha quotidianamente suonato il pianoforte eseguendo in pubblico brani di Mozart, Bach, Beethoven. Non raggiunge livelli da professionista, ma questo vissuto gli permette di cogliere la realtà dell’interpretazione musicale riletta nel senso della reciprocità che caratterizza l’esperienza di Dio. Nelle Thesen si afferma che l’interpretazione musicale è caratterizzata dalla profonda tensione che intercorre tra autore, interprete e ascoltatore: «Solo se Mozart rimane Mozart posso suonarlo bene; ma se lo suono davvero bene Mozart diventa “più” Mozart e io divento “più” io»47. In Vorspiel zur Theologie la musica è vista come gioco reciproco: l’autore interagisce con l’interprete continuando a vivere grazie a lui. Ognuno è se stesso grazie all’altro: attraverso il contributo di compositore e interprete si sviluppa la musica come gioco di armonia. 46 La presente citazione è trascritta da una conversazione tenuta da Hemmerle a Loppiano (Firenze) nel novembre del 1991. 47 TT, p. 145.
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Se suono il pianoforte, nessuna nota può avere un suono se non la suono io. Se suono Mozart, egli suona con me e la sua musica giunge a risuonare attraverso di me, anzi, prende me dentro al suo corso. Mozart è la parte attiva, nei cui confronti mi pongo a disposizione come spazio che accoglie. Non sono in gioco io con le mie capacità, ma è in gioco lui. Ma proprio questo è quello che viene richiesto a me e fa di me un giocatore all’interno del gioco. L’interpretazione è molto più che una mera riproduzione: l’interpretazione è attività, è qualcosa di originario e originale. Io suono Mozart solo se Mozart rimane Mozart, ma se suono bene Mozart, per mezzo di me Mozart diventa più Mozart e io divento più io per mezzo di lui. Due origini e un unico gioco. Ma in modo lieve e potente entra in gioco una terza sorgente originaria, quella che fa suonare me e Mozart a vicenda: fa suonare me per la sua musica e la sua musica per me. Il fatto che possa suonare la musica di un altro come musica mia e che un altro possa comporre musica che diventa musica per me e per mezzo di me è quell’unità che né io né Mozart abbiamo creato. La dinamica che ci lega insieme e ci fa suonare in uno è la forza ispiratrice per colui che compone e per colui che interpreta. La musica non è solo consonanza di molte note nella triplice unità di melodia, armonia e ritmo, ma è consonanza di diverse sorgenti originarie nell’unico evento del creare, ascoltare e interpretare: qui entra in gioco il genio della musica, cioè la terza sorgente originaria misteriosa che accresce e libera l’originalità di compositore e interprete48. Ascoltare e interpretare significa suonare insieme all’autore. La musica si profila come gioco che nasce dalla reciprocità tra tre sorgenti originarie, chi suona, chi compone, ciò che viene suonato. Questi rapporti si mantengono anche nell’improvvisazione, dove la musica esce da me ed entra dentro di me. Ascoltandomi resto sorpreso e colpito, chiamato a rispondere alla situazione che affronto nel suonare. C’è l’intreccio tra suonare e suonare insieme, l’intreccio tra azione e dono che apre spazio all’improvvisazione che lascia scaturire la mia musica da me e me dalla mia musica. […] Nell’interazione reciproca ciò che suoniamo riceve contorno 48
VT, p. 19.
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e identità, nasce a partire dalla reciprocità. Nell’unità di questo gioco diventiamo una cosa sola nella reciprocità: ma non si tratta di uniformità poiché ci differenziamo l’uno dall’altro. Quanto più ciò che suoniamo diventa “di più”, tanto più ognuno diventa di più ciò che lui stesso è49. In un breve scritto dedicato all’ultima composizione di Beethoven per pianoforte Gestalt als Zeugnis. Zu Beethovens letztem Klavierstück (GE) Hemmerle combina un’analisi musicale effettuata con perizia tecnica con un’interpretazione originale della forma musicale. Attraverso una riflessione analitica sulle tredici battute dell’Allegretto quasi Andante in sol minore del 27.9.1825, Hemmerle mette in rilievo il carattere di narrazione assoluta della musica di Beethoven: una narrazione preter-oggettiva che non narra un contenuto, ma si incentra sulla drammaticità del narrare. Hemmerle mostra che l’espressione musicale esprime l’evento del parlare. Questa musica non è solo gesto dell’espressione nel senso del riprodurre il linguaggio, non è imitazione del linguaggio, ma è evento che caratterizza l’intima dinamica del linguaggio: stare dentro al tempo e dare forma al tempo, ripetere il tempo, portarlo a compimento, addensarlo, caricarlo. Così plasmando il tempo vi entro dentro e vi porto me stesso50. Nelle sonate e nelle fughe il gesto narrativo e il tono discorsivo sono inseriti nella struttura formale. Beethoven plasma questo movimento in modo tale che avvenga qualcosa di nuovo. Qui la forma viene generata dall’interno con l’irrompere dell’idea improvvisa. L’ascoltatore viene coinvolto e fatto entrare nella tensione narrativa, viene consegnato a ciò che gli viene incontro51. Il brano Allegretto quasi andante in sol minore è costruito in questo modo e viene definito narrazione in sé. Hemmerle mette in luce la narrazione analizzando la forma e tentando di renderne visibile Ibid. GE, p. 263. 51 GE, p. 265. 49 50
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il messaggio. L’aspetto originale è che non si assegna un contenuto alla forma, ma si intuisce un contenuto che viene in rilievo all’interno della forma. Il percorso di Hemmerle procede dall’analisi formale al contenuto: la forma diviene testimonianza. Egli prende in considerazione alcuni aspetti tecnici come l’apoteosi del breve istante, l’apertura dall’alto, l’indugiare e trattenere per sfociare nella conclusione. Nel rapporto tra tema principale e secondo tema vede un gesto che proviene dall’alto, abbraccia e contiene a partire dal basso, mentre nel primo tema individua una sorta di inversione che delinea l’innalzamento come abbassamento e l’abbassamento come innalzamento. Nell’intreccio tra prima e seconda voce c’è l’innalzamento della seconda voce a partire dal basso perché come in un cristallo si possa restare in alto. Nell’innalzamento della seconda voce, questo è il paradosso, avviene un cadere. Il tema cade alla fine verso l’alto. Per questo si innalza verso il basso. È interessante l’inversione, cioè il fatto che il tema di ascesa che raggiunge il punto più alto nella forma originaria ora è nella più estrema profondità, mentre il tema di caduta che originariamente riportava al tono fondamentale in basso qui è mantenuto in alto. Salire verso il basso e abbassarsi verso l’alto. Questa è l’inversione che entrambe le voci esperiscono. È meraviglioso, perché non è un innalzamento trionfale o un abbassamento arrendevole, ma è salire verso il basso e sprofondare verso l’alto52. Peculiarità di questo brano è la narrazione assoluta (narra in quanto tace) in cui la forma musicale si profila come testimonianza: non viene in rilievo non un soggetto, ma un inizio dall’alto che è dono gratuito e in cui il soggetto si trova inserito. Questo brano narra tacendo. Ma cosa narra, se non narra un contenuto? Narra un gesto! Un gesto che si esprime attraverso il triplice breve istante, ed è l’inizio dall’alto. Qui al primo posto non c’è l’io nel senso del “comincio io” come nella terza sinfonia di Beethoven, l’Eroica. Lì uno dice: “Io sono l’eroe, adesso comincio io” e si comincia al primo colpo. Ma in questo brano non sono io a cominciare perché sprofondo nell’inizio, mi trovo nell’inizio, 52
GE, p. 277.
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entro in armonia nell’inizio. L’inizio mi viene donato. Cosa accade se l’inizio mi viene donato? Scorre tutto automaticamente? No, c’è esitazione. Sono chiamato a prendere una decisione, mi si chiede risposta. C’è l’apertura all’inizio, il breve istante del fremere, molleggiare, contenere. E infine il breve istante del chiudere. L’ultima battuta si chiude verso l’alto e verso il basso simultaneamente. Ma l’elemento decisivo non sta nel chiudere verso l’alto, non è un trionfo, ma è indugiare nell’alto che si fa incontro: è lasciarsi andare in alto. Mentre nel tema di apertura la prima nota è “non io” e la seconda è “io”, qui la prima nota è “io”, la seconda “non io”53. Per Hemmerle questo brano esprime un’intensa esperienza religiosa: la forma musicale diviene testimonianza del rapporto con Dio che deve essere conquistato in un confronto continuo come fece Giacobbe, un rapporto che nasce dall’affidarsi a Dio come nell’ordinazione sacerdotale54. Nella narrazione assoluta la forma musicale diventa testimonianza religiosa. Se mi chiedete cosa esprime di religioso questo brano di Beethoven, allora non direi altro se non ciò che quell’uomo che disse a Giacobbe: «Perché chiedi il mio nome?»55. Hemmerle sintetizza così la comprensione della musica come espressione dell’esperienza di Dio: Che cos’è la musica? È più di una parola! È come il vento che sparge il seme del Verbo. È come quel soffio che porta via la Parola perché sia un seme e cresca ovunque. Questo capita col canto. E il canto è quel “di più” che significa il Verbo assieme allo Spirito, Spirito che opera ed entra nell’anima e viene fuori dall’anima, ed GE, p. 278. Hemmerle testimonia: «Recentemente durante un’ordinazione sacerdotale ho conferito il sacramento dell’Ordine a un sacerdote che poco prima aveva suonato questo pezzo. Davanti a lui ho sintetizzato con un’immagine questa inversione delle voci. Gli ho detto: “Quando lei mi porgerà entrambe le mani piegate nel gesto della promessa e io metterò le mie mani intorno alle sue, allora pensi, e anch’io lo farò, alle ultime due battute di questo brano per pianoforte”. È come in questo parallelo delle due mani piegate che si lasciano circondare da altre due mani» (GE, p. 277). 55 GE, p. 279. 53 54
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è melodia, voce che si sente, è ritmo, cioè un filo d’oro che lega l’uno all’altro ed è armonia, atmosfera divina. Nella musica possiamo pensare agli effetti tipici dello Spirito Santo che è Voce che suggerisce ciò che la Parola vuol dirci, è ritmo, è filo d’oro che lega l’uno all’altro, è armonia che produce l’atmosfera divina in cui cresce l’unità56.
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5. ESPERIENZA MISTICA NEL FRAMMENTO. POESIE SU UNO SCRITTO DI GIOVANNI DELLA CROCE L’arte può farsi veicolo della più profonda esperienza di Dio fino ad esprimere le vette dell’esperienza mistica. È quanto Hemmerle mette in rilievo riguardo a un disegno eseguito a penna da Giovanni della Croce. Questi nel ritrarre il Crocifisso rappresenta il rapporto personale con lui, un’esperienza di vita che si concretizza in arte: Nonostante la dimensione esigua e il modesto dispendio di mezzi, un disegno a penna di pochi centimetri quadrati è un grande quadro. Sì, un grande quadro eseguito da uno che non è considerato grande pittore. Giovanni della Croce lo fece nel 157757. Il punto decisivo del suo cammino è il Crocifisso. E chi si meraviglia del fatto che una persona che non è altro che questo rapporto vivo con il Crocifisso, lo plasmi in forma visibile non solo dentro di sé, ma anche al di fuori di sé? Non si intende effettuare un’opera d’arte o rappresentare un’immagine da meditare, ma questo disegno è piuttosto il tentativo di esprimere con una forma colui a cui si anela con l’anima e a cui ci si consegna nell’eseguire questa rappresentazione. La grandezza del quadro è nella sorprendente immediatezza in cui parla la forma se non ci fermiamo all’esterno ma lasciamo che gli occhi siano catturati58. 56 La presente citazione è trascritta da una conversazione tenuta da Hemmerle a Loppiano (Firenze) nel novembre del 1991. 57 Hemmerle osserva che a partire dal 1577 «egli fu scalzato dai suoi avversari e fino alla morte patì umiliazione, persecuzione, misconoscimento, contestazione e malattia. In questi anni maturò la produzione letteraria che rappresenta una singolare testimonianza della sua unione mistica col Dio vivente e ancora oggi indica la via che porta a questa meta» (DG, p. 375). 58 Ibid.
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La peculiarità che distingue questo disegno da migliaia di rappresentazioni della Croce è l’aver trasfuso nella forma artistica il rapporto personale con Colui che è il centro l’esistenza dell’Autore. In questa immagine Hemmerle coglie la realtà dell’Abbandonato, la trasforma in poesia e vi infonde la sua esperienza personale. Senza il Padre, Senza uomini, Senza mondo, Senza croce (Vaterlos, Menschenlos, Weltlos, Kreuzlos) sono le parole chiave su cui si impernia un testo drammatico e meditativo che condivide con la poesia contemporanea l’immediatezza della parola e del verso franto59. Oltre al valore artistico, queste poesie forniscono una testimonianza dell’esperienza di Dio vissuta dall’Autore. Sono poesie del 1992, un periodo che riflette tutta la luce della maturità e della profondità della sua personale esperienza. Senza il Padre L’immagine è chiusa in se stessa / Anzi: il Crocifisso è chiuso in se stesso / Egli non guarda a quel volto che lo guarda. / E il suo sguardo cade verso il basso senza trovare un seno che lo accoglie. / Le mani inchiodate sulla croce non sono tese in avanti o in alto come in un gesto di preghiera. / Appeso e contratto / al tempo stesso è il suo corpo / Ma dove arriva il mio sguardo in questa immagine? / Trova una via da dietro a lato verso l’alto / E incontra colui che pende nudo dalla croce. / Quale via! Da dietro a lato in alto fino a colui che è nudo! / Lo sguardo fiancheggia la lenta trave della croce / finché non coglie il corpo del Crocifisso. / Ma così si trasforma l’immagine. / La tensione irrigidita in sé e l’incurvatura / del corpo entrano in relazione / In relazione a cosa? / Luogo di relazione: la nuca / Cosa si abbatte sulla nuca? / Il nulla. / Un nulla pesante, che irrompe senza limiti dall’alto. / E subito lo sguardo vuole di più: / avanti a sinistra e sopra / il crocifisso: nulla. / Anche in basso e dietro la croce: nulla. / E dove le ginocchia piegate in avanti toccano il margine del disegno / e dove la testa inclinata / e i piedi inchiodati indicano: / di nuovo nulla. / Nel nulla, dal nulla, verso il nulla. / Senza il Padre. Senza Dio. / Sei tu.
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Cf. DG, pp. 375-379.
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IX. Il pensiero estetico: il pulchrum come marianum
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E stai qui / E qui sostieni il mio sguardo e mi proibisci / di restare vicino a te / E tu, inchiodato curvo su di te / Staccato e rinchiuso in te / Mi tocchi, mi rendi silenzio / Sei per me Parola. / Mi parli. Di che cosa? / Del nulla sopra di te, sotto di te, intorno a te. / E se fin troppo ti ho fatto parlare con me / Nel tuo silenzio / Ora non posso più dire: senza il Padre. Senza Dio60. In questa poesia si fondono l’elemento poetico, l’elemento figurativo e l’elemento mistico-esperienziale. È singolare l’addensarsi in questi versi dell’esperienza di abbandono del Padre vissuta da Cristo, in cui si riflette il nada di Giovanni della Croce. La forma poetica scarna ed essenziale risponde efficacemente alla cruda essenzialità dell’abbandono, «senza il Padre», e della raffigurazione del Crocifisso realizzata con pochi tratti di penna. Le domande incalzano come echi dell’unica domanda Elì, Elì lema sabactani? Domande che risuonano trovando in risposta il nulla che irrompe dall’alto, un nulla sopra, sotto, intorno. Ma è un nulla pieno, riempito dal Crocifisso, dall’essere Parola nel silenzio e nel nulla che sono trasformati in esperienza di Dio: chi sta accanto al Crocifisso cercando di incontrarne lo sguardo pur nell’esperienza del nulla, riceve uno sguardo d’amore tale da non poter più dire nella propria esperienza personale: «senza il Padre». C’è una compenetrazione tra la solitudine dell’uomo che entra nel Crocifisso e la solitudine del Crocifisso che entra nell’uomo: un’esperienza in cui nell’anima si fa presente Maria. Sorprende il tentativo di esprimere un’esperienza profonda in pochi versi, come con pennellate impressionistiche. Senza uomini Davvero la nostra sorte umana / è essere soli senza uomini? / Un’altra via allo sguardo: tentativo / di entrare nell’immagine per forza da un altro lato / Eppure dentro non c’è posto / per riuscire a entrare dentro al tuo guardarmi. / E se io resto fuori davanti all’immagine / Anche là il tuo sguardo non incontra il mio. / Oppure forse il tuo volto oscurato e sfuggente si gira / Segretamente
60
DG, pp. 375-377.
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L’esperienza di Dio nell’unità
a lato, fuori l’immagine? / E forse cerca la mia solitudine uguale alla tua? / In modo tale che là fuori davanti all’immagine / io vengo scoperto, guardato, / fatto oggetto della sua attenzione? / È dentro di me la tua solitudine? / La mia solitudine è dentro di te? / La Madre e il discepolo non sono nell’immagine. / Sono dentro di me / quando il mio sguardo cerca una via / Da fuori / Verso il tuo sguardo61.
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Nell’assenza di ogni cosa, il Crocifisso su cui sembra abbattersi la maledizione si dona lasciandosi quasi inghiottire dal nulla come in un supremo dono eucaristico: Senza mondo Null’altro che il Crocifisso e la croce. / Altrimenti null’altro. / Ma chi ha visto questa immagine / Ha visto il mondo. / Colui che è inchiodato / Alla croce, saldato ad essa / È in uno slancio / Guarda la sua nuca: / Quale maledizione scende a picco dall’alto! / È respinto / O forse è mandato! / E se fosse per lui un dovere? In tutto il dolore / Un balzo verso il nulla sotto di lui e intorno a lui / Dall’alto, da Ciò che è sopra lui. / L’immensità sconfinata / Verso cui sta facendo un balzo / forse non lo inghiottirà? / Lo si mangerà: / Pane per la vita del mondo62. L’ultima lirica mette in luce che la croce è il culmine dell’esperienza di Dio. Senza croce Mondo assurdo, croce assurda! / Si gira l’immagine e il Crocifisso / si trova a giacere su di essa. / Ma guarda: non giace! / Viene come sospinto via dalla croce sulla quale è inchiodato / Come se un colpo di vento lo percuotesse / Voltato indietro: / non c’è più alcuna superficie d’attrito tra il corpo e la croce / Avvolto su se stesso e incurvato / L’appeso / Inchiodato e saldato è colui che 61 62
DG, p. 377. DG, p. 378.
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IX. Il pensiero estetico: il pulchrum come marianum
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è libero / Io lo sento: è senza croce / È lui che passa per le porte chiuse / Che alita sui suoi / Il santo soffio divino / Che rende liberi / Laddove siamo inchiodati / E ancora: senza croce. / La croce non è croce / Due travi incrociate sono croce / Ma c’è ancora una cosa in mezzo all’abbandono / Altezza e abisso, il Padre e lui / E noi siamo là dentro, io e te e noi. / Perché siamo una cosa sola / Come il Padre e lui / Perché il mondo creda / Meravigliosa storia della croce questa immagine / Che dalla sconfinata solitudine / Porta all’unità. / Ma colui che è senza croce ci mostra la piaga63. Hemmerle conclude con le parole di Giovanni della Croce: è evidente che Cristo fosse annientato anche nell’anima senza alcuna consolazione o sostegno perché il Padre lo lascia nella più profonda aridità interiore. È il più grande abbandono che egli abbia sperimentato nella vita. Ma attraverso questo abbandono egli ha operato in te l’opera più grande, più grande di tutte quelle che ha fatto nella sua vita con i miracoli e le azioni64. Nell’esprimere una consonanza d’animo con Giovanni della Croce, Hemmerle risponde all’arte di questo disegno con l’arte della sua poesia. È espressione della genialità di Hemmerle il condensare in pochi versi riflessione mistica ed esperienziale, alta poesia e condivisione dell’esperienza e dell’arte del grande mistico spagnolo. Molto significativo è un commento di Reinhard Feiter che con singolare intuizione mette in rilievo il rapporto che Hemmerle ha con l’Abbandonato e che permea in profondità la riflessione su quest’opera. Secondo Feiter Hemmerle non si limita a commentare questo capolavoro ma esprime una preghiera del tutto personale. È un testo che in ogni sua riga fa risplendere la personalità di Hemmerle. La trattazione dell’immagine di Giovanni della Croce traccia una via che non si sviluppa in modo rettilineo: Hemmerle comincia con l’osservare DG, pp. 378-379. GIOVANNI DELLA CROCE, Salita del monte Carmelo, I, 2, 7, in Opere, Roma 1979, pp. 92-93; cf. DG, p. 380. 63 64
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L’esperienza di Dio nell’unità
l’immagine: nient’altro vale se non l’immagine. Ma non si limita all’immagine, non si ferma, non smette di cercare vie che portano all’immagine, vie dentro l’immagine verso percorsi visivi tra l’immagine e l’osservatore. Cerca lo sguardo del crocifisso, ma questi non lo guarda65.
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Il rapporto di Hemmerle col Crocifisso viene visto in tensione drammatica: L’immagine che non conosce il mondo, non conosce Dio e gli altri uomini, l’immagine da cui non proviene nessuno sguardo e a cui non giunge nessuno sguardo. L’immagine di colui che è inchiodato fissa Klaus Hemmerle che cerca vie e costruisce ponti di dialogo. Da solo egli resiste davanti a colui che è solo, rimane con lui, lui che è solo e come incatenato sta lì. Non potrebbe essere che solo il resistere alla solitudine, alla perdita, al fatto che l’uomo si senta tagliato fuori da Dio, dal mondo e dall’uomo ci permetta di fare esperienza della situazione di Dio nel rapportarsi agli uomini, situazione in cui Egli parla a noi e noi possiamo parlare a lui e di lui? Come cenno, come parola sottovoce che non può tacere nonostante i possibili fraintendimenti. Hemmerle ha sempre posto questa domanda e l’ha posta alla fine della vita in modo molto significativo66. Molto bella è una poesia del 1988 in cui l’esperienza dell’amore a Cristo crocifisso viene interiorizzata nel vivere al di là della piaga l’esperienza della Pasqua: Libero è quell’uomo / Che ha la morte dietro di sé / E la vita davanti a sé. / Un uomo che non deve dimenticare / Perché a lui è stato perdonato / E lui stesso ha perdonato. / Un uomo che non deve fuggire davanti a nulla / Perché sa passare attraverso porte chiuse / E sa camminare sugli abissi / Un uomo che non deve preoccuparsi / Perché è sempre in cammino / Verso uno e insieme ad uno / Che lo ama infinitamente / Libero è quell’uomo aperto a tutti / Perché tutti / Ha racchiuso nel suo cuore / Libero è quell’uomo / Che vive al di là della piaga: / L’uomo della Pasqua. 65 66
R. FEITER, Erzähle mir von Gott, in Bilder sind Wege, Aachen 1999, p. 39. Ibid., p. 40.
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6. IL CONTRIBUTO DI HEMMERLE ARTISTA Hemmerle è cresciuto in ambiente artistico ed è stato educato all’arte figurativa dal padre. La pittura di Franz Valentin Hemmerle è legata alla rappresentazione della Crocifissione, della vita di Maria o dei santi, rispecchiando uno stile figurativo che secondo Reidt67 da un lato ricorda le icone orientali, dall’altro la Beuroner Schule68 con la prevalenza di colori caldi e vivaci. Klaus Hemmerle è autore di una collezione di acquerelli di indubbio valore artistico, che dimostrano la conoscenza della pittura contemporanea e la padronanza dei mezzi espressivi. Pur non essendo professionista, alla sua morte lascia una collezione di 500 opere tra disegni e acquerelli; tra questi solo alcuni recano la data effettiva di composizione, mentre pochissimi hanno un titolo dato dall’autore. Non si tratta di una pittura descrittiva o illustrativa o a soggetto religioso, ma di una pittura, così afferma Michel Pochet, moderna ed esperienziale che riflette la personale esperienza di Dio e la percezione di Dio come Bellezza. I suoi acquerelli riflettono la presenza di Dio nella natura, un’esperienza che non si riflette in rappresentazioni idilliache del paesaggio alpino o mediterraneo ma nei cromatismi e nella scelta coraggiosa dei mezzi espressivi dell’arte contemporanea. Utilizza colori vivaci e caldi, ma anche toni freddi e decisi, contrasti di luci e ombre, nel tentativo di cogliere l’elemento della luce nell’esperienza del buio, l’elemento della gioia nel dolore, la presenza di Dio nelle situazioni più difficili. L’elemento realistico viene dipinto ricordando e interiorizzando: è rappresentato nel suo carico simbolico secondo modalità espressive e cromatiche che ricordano l’espressionismo e la grande pittura del XX secolo (Matisse, Dufy, Cleo). Nella rappresentazione simbolica dell’elemento realistico confluisce l’elemento esperienziale dell’Autore. Una pittura di qualità sorprendente con scelte non lontane dalla perizia dei professionisti. Annemarie Baumgarten mette in rilievo la particolare levità che caratterizza disegni e acquerelli: Hemmerle si avvicina alla natura con 67 F. REIDT, Wort Sinn Bild. Zum bildnerischen Nachlass von Bischof Hemmerle, in Bilder sind Wege, cit., p. 49. 68 Si tratta di una scuola di pittura di monaci benedettini legata ai nomi di padre Desiderius Lenz (1832-1928) e padre Gabriel Würger (1829-1892) che aspira a un rinnovamento dell’arte religiosa mediante la stilizzazione delle forme e il simbolismo delle immagini.
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L’esperienza di Dio nell’unità
cautela e tenerezza riuscendo ad afferrarla in un’immagine pittorica. Egli ama alternare pennellate brevi a pennellate più lunghe, accentuando il tratto pittorico. Le sovrapposizioni di colore avvengono raramente, spesso si lascia spazio al bianco. Si tratta di cromatismi chiari, traslucidi, estrosi, utilizzati in modo sobrio permettendo all’osservatore di guardare oltre e pensare. Si tratta di sguardi pittorici e meditativi che Hemmerle rivolge al mondo, sguardi pensanti e intuitivi. Secondo la Baumgarten i dipinti di Hemmerle esprimono l’interagire giocoso con la natura e gli oggetti. Come una poesia che con poche parole comunica un contenuto profondo, nei pochi elementi delle rappresentazioni pittoriche si trova espresso l’essenziale con luminosa semplicità. Secondo Reidt Hemmerle ha voluto essere fedele alla natura nell’interiorizzare e rivivere ciò che vede in essa: il campo sperimentale è la scelta dei colori e delle composizioni di colore in cui si manifestano creatività e gioco. Negli acquerelli ricorrono alcuni elementi che fungono da correlativo oggettivo della sua esperienza di Dio. Nella rappresentazione della città esprime l’esperienza dell’unità come piena comunione tra gli uomini e presenza di Dio: secondo Hagemann, egli ha voluto esprimere la Gerusalemme celeste, splendore di Dio in mezzo agli uomini, piena comunione degli uomini con Dio e tra loro. Molto importante è l’elemento della porta che apre l’accesso a un giardino: si può vedere in questa porta l’accesso a una realtà di paradiso come realtà di comunione degli uomini con Dio. E nella porta si riflette Maria: Il mistero profondo della porta che introduce in uno spazio che ancora non si vede completamente, porta che lascia passare invitando a entrare in un giardino, ricorda spesso ad Hemmerle Maria, la madre di Gesù che si era fatta lei stessa così trasparente da lasciar passare l’operare di Dio69. Secondo Schreier la “via” è un elemento fondamentale per Hemmerle: la fede e la Chiesa sono via nel senso che sono realtà in cammino. La teologia di Hemmerle è definita come teologia della via, che negli ultimi anni si precisa come cammino in comunione, che trova
69 W. HAGEMANN, Weggemeinschaft durch Weggefährtenschaft, in Bilder sind Wege, cit., p. 21.
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IX. Il pensiero estetico: il pulchrum come marianum
pienezza nell’essere in Dio e nella sua luce70. Il saggio dedicato agli acquerelli di Hemmerle si intitola Bilder sind Wege poiché le immagini pittoriche sono delle vie che veicolano l’esperienza di Dio indicando un cammino di comunione, la Weggemeinschaft, una via comunitaria caratterizzata dall’amore reciproco. Anche secondo Reidt la “via” è il motivo centrale della sua produzione artistica: la sua pittura esprime delle variazioni sul tema, cioè il cammino comunitario, in coerenza col programma di vita scelto dall’Autore, Ut omnes unum sint71. Talvolta negli acquerelli l’elemento della via è riprodotto come via che porta all’Invisibile, via che conduce a una porta e a un’altra via che si apre, oppure porta a una casa o a una montagna come simbolo del divino. Osserva Hagemann: Le immagini dipinte da Hemmerle sono testimonianza di un cammino e di un’esperienza comunitaria vissuti. Queste immagini pittoriche possono diventare segnavia per coloro che hanno il coraggio di costruire un cammino in comunione e osare esperienze comunitarie72. Secondo Feiter «cammino in comunione»» signifi significa ca per Hemmerle «vivere prendendo come criterio normativo la vita del Padre che ama per primo e ama tutti, e la vita dello Spirito, che rende morbido ciò che è rigido e unisce ciò che è separato»73: questa è la realtà che permea la riflessione teologica, l’attività pastorale, la produzione artistica. Secondo Michel Pochet la realtà più profonda dell’esperienza di Dio come presenza del suo Regno tra gli uomini viene espressa da Hemmerle come luce che vivifica dall’interno e dal di sotto il paesaggio. Particolarmente significativo è un acquerello che ritrae una finestra che racchiude un paesaggio spezzando la prospettiva: la finestra è in realtà una sorta di sole che illumina il paesaggio abbracciandolo in sé. Hemmerle traduce in rappresentazione pittorica il legame d’amore reciproco tra persone e cose, all’interno del quale esse sussistono 70 Cf. J. SCHREIER, Weggemeinschaft durch Weggefährtenschaft, in Bilder sind Wege, cit., pp. 26-27. 71 Cf. F. REIDT, Weggemeinschaft durch Weggefährtenschaft, in Bilder sind Wege, cit., p. 51. 72 W. HAGEMANN, Weggemeinschaft durch Weggefährtenschaft, cit., p. 21. 73 R. FEITER, Weggemeinschaft durch Weggefährtenschaft, in Bilder sind Wege, cit., p. 32.
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nell’unico sì di Dio. Un’alta esperienza mistica diviene forma artistica. Viene spontaneo pensare alla splendida poesia del Natale 1993 composta un mese prima della morte e che costituisce un testamento spirituale e una cifra della sua esperienza di Dio nell’unità. Durante il mio riposo nelle Alpi / in una passeggiata / ho avuto a un tratto l’impressione / che il sole fosse caduto nella valle. / La sua luce avvolgeva il paesaggio / non più dal di sopra e dall’esterno, / bensì brillava dal di sotto e dal di dentro. / Monti, sentieri e acqua erano infuocati / dal sole in loro e sotto di loro. / Recentemente mi sono imbattuto / in una rappresentazione del presepio / nel quale la fonte di luce era il bambino. / Sì, questo è il Natale: vedere le persone, le cose, la vita / nella luce di quel sole che si è immerso in noi / per far sorgere dal di dentro e dal di sotto / nel piccolo e nel quotidiano / Dio fra noi.
7. L’ARTE E MARIA Per concludere questa sintesi sul contributo di Hemmerle al mondo dell’arte, risulta significativo il saggio Das neue ist älter. H.U. v. Balthasar und die Orientierung der Theologie (DN), in cui il rapporto tra ontologia trinitaria e dimensione estetica è sintetizzato con profonda sensibilità religiosa e artistica. Tommaso aveva intuito che il pulchrum è carattere fondamentale di Dio insieme all’unum, al bonum e al verum. E il pulchrum secondo l’analogia entis rifulge negli enti come partecipazione all’essere e alla pulchritudo di Dio. Balthasar parla di estetica teologica, tematizzando la profonda interconnessione tra dimensione estetica e teologia. La dimensione teologica rifulge nella dimensione estetica come doxa, gloria di Dio che si manifesta. Il pulchrum, la bellezza, è lo strumento adatto per rendere accessibile la Rivelazione nel nostro tempo. Nell’intuizione estetica ciò che si rivela non viene costretto da categorie conoscitive limitate, ma l’essere diventa visibile come in nessun altro luogo. La bellezza circonda il divino di splendore ed è il modo con cui si comunica il volto del bonum et verum di Dio. Per Balthasar l’estetica e la drammatica sono caratteri fondamentali della teologia e Gloria è la categoria più adatta a esprimere l’amore di Dio, gloria che rifulge nella croce di Cristo. 298 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.
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Prendendo spunto da Balthasar, Hemmerle afferma che la teologia nasce dal comprendere che Dio è amore: essa deve rendere visibile il duplice movimento del donarsi di Dio, la dinamica dell’amore tra sovrabbondanza di sé e spogliamento di sé74. La dimensione estetica esprime la sovrabbondanza di Dio nel suo mistero ed è la possibilità per l’Ineffabile di manifestarsi nella forma al di là delle parole. Ma il manifestarsi nella aisthesis non è disgiunto dalla kenosi: l’arte nasce non solo dalla sovrabbondanza, ma dalla kenosi che esprime la libertà del dono. Estetica e bellezza non esprimono solo la perfezione di forme, ma la Perfezione che si manifesta nella forma e che può manifestarsi in forma kenotica, come kenosi della forma. Per i greci l’agathòn si manifesta nel kalòn: nella prospettiva platonica il mondo delle Idee diviene accessibile nella bellezza. La più alta esperienza del Dio trinitario esperita da uomini è la Trasfigurazione (cf. Mc 9, 2-8; Mt 17, 1-8; Lc 9, 28-36), un’esperienza ineffabile che viene espressa da Pietro come esperienza del bello: «È bello per noi stare qui» (kalon estin). Questa bellezza è la gloria di Dio che si rende visibile nel Figlio che è presente in mezzo a loro. Non resta altro, non si vede intorno più nulla e nessuno se non Gesù in mezzo a loro. Ma la bellezza del Padre che risplende nel volto del Figlio rende visibile il darsi di Dio come sovrabbondanza e kenosi. Se il Deus semper maior, Amore che è assoluta sovrabbondanza, si manifesta abbassandosi nella forma finita, di questo gioco divino fanno parte il magis, il semper maior, in cui l’amore si attua in modo sempre nuovo e mai concluso, e il minus, la consegna e l’esposizione, alienandosi in ciò che è altro da sé. L’elevarsi sempre più in alto dentro allo spogliamento sempre più profondo, la gloria sempre più grande dentro all’abbassamento sempre più umile: questo duplice movimento è l’unico e identico ritmo dell’amore, il sempre più e sempre meno in cui l’amore diviene identico a se stesso e si corrisponde. […] La teologia che rispecchia magis et minus, sorgere 74 Hemmerle parla di Selbstüberbietung e Selbstunterbietung: «L’amore come mistero indicibile sovrabbonda e va oltre sé rendendosi visibile nella forma e nella realtà visibile, facendosi evento nel sorgere per noi. E si spoglia di sé, si svaluta lasciandosi calare nel gioco dei ruoli del finito, si consegna come partner, assume un ruolo entrando nel gioco della storia in cui Dio gioca con noi. La sovrabbondanza dell’estetica e lo spogliamento della drammatica, il sorgere e consegnarsi fanno parte dell’unico gioco della teologia che nasce dall’amore» (DN, pp. 206-207).
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e spogliarsi di sé, forma ed evento dell’originaria sorgente di Dio è in tal modo teologia estetica e drammatica75. Questo è importante per l’arte, perché in Cristo si manifesta la forma estetica visibile. Nella prospettiva dell’ontologia trinitaria i trascendentali prendono la sfumatura del dono di sé che nasce dal dono del Dio trinitario e si tingono di quegli aspetti che caratterizzano l’esperienza di Dio nell’unità. In questo contesto si colloca la riflessione sul pulchrum. Hemmerle mette in evidenza che la gloria di Dio nella sua bellezza irraggia e risplende in forma visibile nel Verbo fatto carne. Ma questo significa che Maria, la Theotòkos nel cui seno il Verbo si è fatto carne, è la manifestazione piena della gloria che trapela in forma visibile e kenotica. In Maria «ciò che c’è di più umano e di più divino diventa evento: qui Dio stesso, l’Amore, diventa forma»76. Maria è la più grande epifania del divino in una realtà creaturale: il Verbo si fa carne nella forma di Maria. In Maria l’umanità del Figlio di Dio raggiunge il vertice dentro alla determinazione specifica di una creatura: Maria madre di Dio. Solo in Maria Dio entra dentro all’apparenza sensibile prendendo la nostra carne. La prontezza di Maria, l’apertura obbediente che si svuota di sé, è il luogo in cui la gloria di Dio risplende per noi. […] Il luogo dove avviene l’epifania di Dio Amore, il luogo della sua manifestazione diventa non solo glorioso, ma innanzitutto bello77. Maria, nel vuoto totale di sé e nella perfetta obbedienza kenotica, diventa forma e luogo in cui la gloria di Dio risplende. Se per Balthasar la Gloria si manifesta nella croce di Cristo, per Hemmerle Maria esprime il pulchrum in quanto è forma vuota (Hohlform) che accoglie la gloria di Dio e la fa risplendere. In Maria viene in luce il pulchrum come marianum, una nuova dimensione di bellezza che capovolge le categorie abituali di forma e perfezione e si attua nel dono di sé nella kenosi per amore: La bellezza non consiste nell’avere forma in se stessi, ma nell’essere disponibilità pura, pura prontezza recettiva per la forma dell’ADN, p. 207. DN, p. 223. 77 DN, p. 215. 75 76
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more. L’elemento mariano e la sua bellezza si attuano sotto la croce, nella scena della Pietà. Dove Maria dona tutto ciò che aveva ricevuto e il suo svuotamento si attua per la seconda volta diventando radicale, lì la sua verginità e la maternità, la sua pura disponibilità per Dio e la maternità per tutti gli uomini raggiungono la vetta più alta. In lei ogni cosa e tutto ciò che è debole, che non ha apparenza o forza, viene chiamato alla bellezza della perfezione78. Ogni cosa, anche ciò che non è bello, armonico, equilibrato, attraente, ha una vocazione alla bellezza e attende una redenzione che si realizza nella forma dell’amore. La massima realizzazione del pulchrum è nel marianum, in Maria desolata, vuoto totale e accoglienza della volontà di Dio che rifulge. Così Maria avvolge della sua bellezza tutte le cose.
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DN, p. 218.
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Conclusione
Percorrendo questo cammino trinitario siamo entrati in quella nuova realtà che postula anche un nuovo pensiero. Con la mia vita, anche il mio pensiero viene immerso nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. È qui che la vita e il pensiero diventano uno. È qui che il mondo può diventare uno. Solo se siamo in questa realtà possiamo nei molteplici ambiti della nostra vita preparare le vie all’unità1. 1. ALCUNI FILI CONCLUSIVI Pur nella consapevolezza di aver trattato solo alcune tematiche, nel presente lavoro ho avuto modo di apprezzare la genialità speculativa di Hemmerle nei diversi ambiti. Nell’intento di mettere in rilievo le tematiche più originali, si è fatta attenzione a evidenziare i nodi teoretici tentando di analizzare coerenza e profondità speculativa dell’approccio e della tematizzazione ontologica, insieme ai nessi e ai fondamenti del pensiero teologico. Ho potuto apprezzare l’originalità di una teologia iconica ed esperienziale profondamente incentrata sul mistero trinitario di Dio e sul mistero di Cristo Crocifisso e Abbandonato, ho ammirato la capacità di penetrazione del pensiero estetico dell’Autore nel mistero del bello profondamente intrecciato con l’esperienza di Dio e col mistero di Maria, ho tentato di raccogliere la sfida esperienziale a vivere a partire dall’unità da cui scaturisce la prospettiva dell’antropologia trinitaria, ho potuto ammirare la novità di uno speculativo che matura e si alimenta in una dimensione comunitaria. Per quanto riguarda i “fili fondamentali” emersi nel corso della trattazione, in sede di conclusio1
LE, p. 39.
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Conclusione
ne, non si intende riprendere in mano temi e contenuti già ampiamente affrontati, ma ci si propone di evidenziare gli aspettiepistemologici e i possibili spunti che ne derivano. Attraverso tali fili conduttori emerge un pensiero innovativo che trasfonde il pensiero teologico del Vaticano II in una teologia tematizzata alla luce dell’esperienza di Dio e dell’intelligenza teologica dell’Autore, e una significativa prospettiva filosofica che non può essere ignorata nel panorama del Secondo Novecento. L’intento che mi ha guidato in questa ricerca è stato quello di presentare il pensiero di Hemmerle nella sua globalità: la mancata unità formale di alcuni scritti e la complessa polivalenza del pensiero trovano un’unità strutturale qualora ci si ponga nella luce dell’Uno. Non si pretende di essere stati esaustivi, di aver risolto tutte le questioni o chiarito tutti i punti nodali: si chiede al lettore di non cercare il dettaglio, ma di mantenere un’apertura nei confronti del pensiero di Hemmerle nel suo complesso. Con questa richiesta mi sembra di rispettare lo stile dell’Autore che ha preferito delineare la sua prospettiva in senso globale e in tratti essenziali piuttosto che nei dettagli. Guardando una montagna da lontano la si vede in modo completamente diverso che guardandola da vicino. Guardando a distanza sfuggono dettagli importanti, ma viene fuori una forma nel suo insieme che non si potrebbe ottenerla così partendo solo dai dettagli. Una prospettiva non può essere contrapposta all’altra ritenendola come la vera visione. In una fenomenologia del vedere diviene chiaro che ogni sguardo è costituito da due movimenti, quello che parte dai singoli dettagli e va verso l’insieme e quello che parte dall’insieme e va verso i singoli dettagli. Qui io scelgo la perdita dei dettagli e della differenziazione per rendere possibile uno sguardo sintetico e panoramico al tutto. Sarebbe stimolante trattare il tema dell’unità a partire dalla storia del pensiero filosofico e dall’odierna situazione ermeneutica, ma scelgo l’approccio immediato a partire dal messaggio cristiano per portare alla luce a partire da esso ciò che ha da dire l’unità riguardo ai problemi più urgenti della Chiesa e del mondo2. L’esperienza di Dio nell’unità è il filo conduttore che mi ha guidato nell’avvicinarmi alla Weltanschauung di Hemmerle: essa è il leit-motiv della sua riflessione teologica e filosofica contenuto in nuce e sot2
UE, p. 334.
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L’esperienza di Dio nell’unità
teso alla sua produzione sin dai primi scritti. Hemmerle intraprende un cammino che ha l’esperienza di Dio come punto di partenza, come orizzonte e punto di arrivo, sviluppando una sintesi che si alimenta nella personale esperienza di Dio e nell’ascolto della Rivelazione oltre che nella riflessione speculativa. L’unità nasce nel seno della Trinità e si realizza nella reciprocità dell’amore: un’esperienza da cui scaturisce una potente forza innovatrice per la teologia, per la filosofia, per l’arte. Un’affermazione fondamentale di Hemmerle è che la Trinità è la nostra dimora. Il Verbo di Dio che ha posto la sua tenda in mezzo a noi «ci invita a essere là dove lui è, ci dona di prendere parte alla sua esperienza con il Padre: sì, è lui la casa di Dio in questo mondo, la sua dimora»3. Questa esperienza plasma il pensiero e l’esistenza di Klaus Hemmerle: non solo l’intuizione, ma anche la vita di un cristiano che ha fatto dell’unità lo stile di vita. Non solo una diversa metodologia di ricerca, ma una realtà esperienziale ed esistenziale: è il «vivere vivere a partire dall’unità» che diventa locus della teologia e della filosofia. L’andare in profondità in questo cammino non significa solo andare verso l’alto o verso l’interiorità, ma significa andare verso gli altri per aprire orizzonti di dialogo. L’assioma che illumina la ricerca è che Dio si pone in relazione con i nostri interrogativi, col nostro pensiero, con le nostre possibilità, con il nostro tempo. Dio stesso entra in relazione con noi: in tal modo ciò che noi siamo, il luogo dove siamo e il come siamo, diventa un luogo teologico4. Qui si radicano i diversi punti del suo pensiero: il duplice a priori, il verdankendes Denken, l’ontologia e la teologia che hanno il Dio trinitario non come oggetto ma come soggetto e origine, la comprensione di Gesù Abbandonato come di un “punto zero” che è via e methodos della teologia, e infine Maria, custodita nel grembo del Dio trinitario in cui la Parola si dice e prende forma. Se il luogo della teologia e della filosofia è il darsi di Dio all’interno del pensiero e dell’esperienza umana, allora nell’Ecce homo si manifesta l’Ecce philosophia. Nella prospettiva di Hemmerle il Dio trinitario è GW, p. 127. K. HEMMERLE, Das problematische Verhältnis von Philosophie und Theologie, cit., p. 33. 3 4
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Conclusione
la luce dell’Uno in cui si illumina e si rende percepibile l’identità come dialogo nel senso di un’Anima-Chiesa, soggetto dell’esperienza di Dio e del pensare. La prospettiva di Hemmerle precorre di alcuni anni la linea tracciata nella Fides et Ratio: l’autonomia di filosofia e teologia nel segno della relazionalità reciproca rappresenta una sfida nell’interrogarsi a vicenda, poiché mai la Rivelazione si oppone a quanto è raggiunto dalla ragione5. E la novità di Klaus Hemmerle è quella di proporre il mistero trinitario di Dio come fondamento ontologico di una filosofia che resta tale, cioè indaga con coerenza teoretica il problema dell’essere e della conoscenza. Hemmerle attinge alla spiritualità dell’unità prendendone lo specifico, cioè l’unità e il mistero di Gesù Abbandonato. Ne risultano una teologia e un’ontologia innovative, insieme alla possibilità di un pensiero che potrebbe definirsi comunitario e pericoretico, un “pensare alla rovescia” che rovescia il ruolo del soggetto pensante. Per Hemmerle come per Bonaventura, parlare di centralità cristologica significa parlare di centralità dell’amore reciproco che è esperienza di Chiesa e scuola di teologia. Questo approccio a partire dal centro caratterizza lo speculativo di Hemmerle e secondo Hünermann6 ne rende il pensiero più solidamente incentrato e innovativo rispetto alle pur originali prospettive di Rahner e Balthasar. In questo contesto ci proponiamo di evidenziare per rapidi cenni sia i limiti nella recezione del pensiero dell’Autore, sia i risultati filosofici e teologici più rilevanti emersi nel nostro lavoro per proporli come possibili prospettive per il dibattito e per un ulteriore pensare. 2. ALCUNE DIFFICOLTÀ In Italia sono stati pubblicati numerosi saggi e articoli sul pensiero di Hemmerle, ma non ancora monografie di un certo rilievo, probabilmente perché la maggior parte degli scritti dell’autore non è ancora stata tradotta e quindi non è immediatamente fruibile per tutti. Certamente è molto positiva l’attenzione che si sta risvegliando anche negli ambienti accademici italiani per il tema dell’ontologia trinitaria grazie ad una serie di convegni, seminari o cattedre universitarie che sono fioriti negli ultimi anni. È un interesse che potrà essere incentivato 5 6
Cf. GIOVANNI PAOLO II, Lettera Enciclica Fides et ratio, cit. P. HÜNERMANN, L’altro è come me, ma Dio è come l’altro, cit., pp. 59-74.
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L’esperienza di Dio nell’unità
dalla pubblicazione della traduzione delle opere di Hemmerle di cui Città Nuova Editrice si sta prendendo cura da diverso tempo. Ma un dato di fatto è che il pensiero filosofico e teologico di Hemmerle non è conosciuto in profondità negli ambienti accademici o tra il grande pubblico. Questa situazione porta ad interrogarci sui limiti e sulle difficoltà che possono esserci nella recezione. Una caratteristica di Hemmerle è il non esporre il proprio pensiero in forma sistematica o trattatistica, ma per nuclei tematici e intuizioni che irrompono su piani diversi nelle varie opere. Questa è una prima difficoltà per chi intenda confrontarsi con la sua filosofia, poiché non si riesce a comprendere a fondo il pensiero leggendo un’opera, ma è necessario guardare all’opera omnia. Un altro limite potrebbe essere rappresentato dal linguaggio dell’Autore. Se è apprezzabile il tentativo di liberarsi di definizioni e concetti già consolidati nell’uso per esprimere il novum attraverso un linguaggio che irrompe dalla novità speculativa e che viene plasmato in modo creativo, si deve ammettere che tale linguaggio non è sempre facilmente comprensibile. Ancora una volta risulta indispensabile calarsi in tutta la prospettiva hemmerliana per meglio comprenderne il linguaggio. Un limite di Hemmerle è quello di non aver sviluppato le intuizioni filosofiche in tutti i passaggi: il compito di interpretare il suo pensiero e ricostruirlo nella globalità e coesione interna risulta piuttosto difficile, perché non sempre si riesce a esplicitare la serie di nessi teoretici che ne sono alla base. Hemmerle non ha voluto dare una veste sistematica all’ontologia trinitaria; non ha tematizzato nei dettagli, né ha esplicitato tutti i contenuti, ma ha preferito delineare una direzione in cui diventa possibile incamminarci. Del resto, Hemmerle riconosce come compito della Chiesa l’essere segnavia (Wegzeichen) della Sapienza e probabilmente ha voluto essere in prima persona una sorta di segnavia della nuova prospettiva ontologica. Nella prefazione alle Thesen afferma di aver voluto conservare il carattere di frammento per mantenere aperti spunti e interrogativi per una riflessione ulteriore. Spesso nella storia del pensiero filosofico si parte da una domanda iniziale per sviluppare un pensiero che va molto al di là di essa, basti pensare a Platone che inizia a filosofare partendo dagli interrogativi suscitati dalla morte di Socrate, o ad Aristotele, a quella pagina del De anima sull’intelletto agente che non chiarisce tutta la prospettiva ma lascia spazio a una serie di interpretazioni che nel 306 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.
Conclusione
pensiero medievale hanno dato origine alla quaestio de intellectu, o a Kant che inizia la Critica della Ragion Pura chiedendo se è possibile una metafisica come scienza. Il pensiero nasce come domanda, ma si sviluppa profilando una risposta molto più ampia del domandare. Il fatto che Hemmerle non abbia esplicitato tutti i passaggi teoretici può rendere più difficile la comprensione immediata, ma non ci sembra che questo possa limitare la sua statura: anzi, è qualcosa che stimola il pensare e il compito ermeneutico.
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3. IL PENSIERO FILOSOFICO: RISULTATI E PROSPETTIVE
Nella riflessione di Hemmerle l’amore reciproco ha una centralità assoluta fino ad assumere valore speculativo, poiché lo speculativo non è mai dissociato dall’aspetto esperienziale del dono di sé. La filosofia non consegue alla contemplazione del mistero trinitario come da un principio deduttivo, ma come possibilità di accogliere la realtà di Dio. In tale luce è possibile una relecture ontologica che evidenzia un particolare criterio ermeneutico: la ricerca della verità come pericoresi dell’amore7. In questo sguardo globale emergono alcuni elementi che caratterizzano in senso peculiare il pensiero di Hemmerle. Ma prima ancora che la peculiarità del novum, ci sembra importante sottolineare la sensibilità nel rileggere il vetus e che abbiamo definito «ermeneutica dell’ascolto»: egli riesce a far parlare l’autore con cui si confronta e ne fa emergere significativi spunti restati in ombra nella critica filosofica o non evidenziati in tal senso. Ad esempio, è significativo che già nello studio sull’analogia dialogica in Schelling, Hemmerle parli di ascolto e comprensione comunitaria di Dio. Attraverso le peculiarità metodologiche dell’ermeneutica dell’ascolto e dello specifico cristiano emergono le linee tematiche più originali come l’ontologia trinitaria, l’identità come dialogo, il pensare alla rovescia. Per quanto riguarda l’ontologia trinitaria è venuta in luce la fondamentale differenza che la caratterizza in senso peculiare rispetto ad altre prospettive dialogiche o ad alcune forme di ontologia caritatis: è la kenosi che radica l’essere nell’abbassamento e nel non essere per essere amore, 7
Cf. Wahrheit und Liebe - ein perichoretisches Verhältnis, cit.
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L’esperienza di Dio nell’unità
e che si esprime nel mistero di Gesù Crocifisso e Abbandonato. L’essereamore non è specificazione attributiva dell’essere, ma una realtà che si attua attraverso il dono di sé fino allo svuotamento: in questo senso l’essere passa attraverso il non essere per essere amore. L’ontologia trinitaria è ontologia kenotica in cui il momento negativo, cioè il passaggio per il non essere, è caratterizzato dalla libertà e dal fatto che lo svuotamento non è fine a se stesso, ma è espressione di dono: questo la differenzia dalla necessità hegeliana in cui l’essere si costituisce dialetticamente attraverso il non essere. Anche riguardo all’identità come dialogo la prospettiva di Hemmerle si differenzia da quella hegeliana in cui l’identità si costituisce attraverso la dialettica di differenziazione e contraddizione e la molla di tutto è la necessità dialettica sul piano logico e ontologico. Per Hemmerle la libertà del dono avviene in duplice direzione, sia come libero dono di sé nella reciprocità all’interno della quale viene a costituirsi l’identità dialogica, sia nel senso del libero dono di questo nuovo tipo di identità: è un tertium quid che si dona gratuitamente e non una risultante che scaturisce necessariamente dalle relazioni. Rispetto al pensiero dialogico, in Hemmerle l’espressione «identità come dialogo» non indica un’identità in se subsistens che si pone in dialogo, ma un’identità si costituisce ontologicamente attraverso il dialogo. Un dialogo che passa per la dimensione kenotica, un’identità che passa attraverso il dono totale di sé. Ma mentre il dialogo avviene tra due o più persone come comunicazione, Hemmerle sottolinea un “di più”: la realtà di reciprocità che emerge all’interno della situazione dialogica non è la somma delle diverse direzioni di comunicazione, ma appunto è il tertium quid che è molto più dei singoli poli in gioco. Questo “di più” viene a costituire l’identità come dialogo, che si profila all’interno dell’esperienza della reciprocità come sua espressione e concezione ontologica. L’identità come dialogo diventa soggetto dell’esperienza di Dio nell’unità e dunque luogo e soggetto del pensiero secondo la prospettiva del “pensare alla rovescia” che Hemmerle ha tematizzato sebbene solo in nuce nelle riflessioni degli ultimi anni. Il punto di partenza dello speculativo non è il soggetto individuale, ma è la realtà della reciprocità in cui Cristo si rende presente: si tratta di pensare non più a partire da se stessi, ma a partire da ciò che si è fatti dalla grazia di Dio. Questo non sopprime l’individualità del soggetto ma la potenzia e la realizza, poiché gratia naturam non tollit sed perficit. È un pensare che si esprime attraverso le competenze, le capacità e le intuizioni del singolo, e tuttavia il singolo non si pone in maniera monistica e autocentrata ma in 308 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.
Conclusione
ascolto e in donazione reciproca con gli altri, cioè nel senso dell’identità come dialogo. La realtà comunitaria diviene indispensabile al cammino speculativo del soggetto, la cui individualità resta unica e insostituibile sia nel pensare che nel vivere la realtà di reciprocità. 4. IL PENSIERO TEOLOGICO:
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RISULTATI E PROSPETTIVE
In questa ricerca sono venuti ampiamente in rilievo diversi aspetti del pensiero teologico di Hemmerle: una prospettiva esperienziale e sapienziale che in sede di sintesi conclusiva potrebbe essere qualificata con tre aggettivi: teologia pasquale, teologia trinitaria, teologia mariana. È una teologia pasquale incentrata nel mistero del Crocifisso Risorto. Ne è il riflesso in due direzioni: è teologia che nasce dal mistero di Cristo Crocifisso e Abbandonato; è teologia che nasce dall’esperienza del Risorto che si rende presente in mezzo a coloro che vivono la reciprocità dell’amore. Il Crocifisso Risorto è punto di partenza del pensare teologico perché è il culmine della Rivelazione ed è fondamento dell’esperienza di Dio nell’unità in cui si delinea un soggetto comunitario e comunionale che negli ultimi scritti di Hemmerle viene definito come Anima-Chiesa. Un’esperienza pasquale nel fare teologia, un innestarsi in Cristo Risorto e in lui e per mezzo dello Spirito nel Padre: il locus theologicus per eccellenza8. È una teologia trinitaria nel fondamento e nel fulcro speculativo: a partire dalla Trinità si guarda alla cristologia, all’ecclesiologia, alla mariologia e si profilano le prospettive della teologia morale, sociale, pastorale, ecumenica. Singolare caratteristica del pensiero di Hemmerle è che i temi teologici sono intrecciati in una sorta di rapporto pericoretico. Ogni tema è una prospettiva attraverso cui è possibile cogliere tutti gli altri: partendo da Gesù Abbandonato si coglie più in profondità il mistero trinitario, il mistero di Maria e della Chiesa; partendo da Maria si coglie sotto quella specifica angolatura le altre tematiche teologiche. Un ulteriore tratto peculiare è che in Hemmerle non si può scindere la dimensione speculativa da quella artistica. Se per Balthasar si 8 Cf. G.M. ZANGHÍ, Il Padre come luogo della teologia, cit.; cf. anche B. KÖRNER, Il Padre come luogo della teologia e i loci teologici, in «Nuova Umanità» XXII (2000), 132, pp. 851-861.
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L’esperienza di Dio nell’unità
parla di estetica teologica, per Hemmerle si potrebbe parlare di teologia con una forte connotazione estetica: egli pensa esprimendosi artisticamente e contempla il mistero di Dio con gli occhi dell’artista. Per Hemmerle l’arte non è qualcosa di marginale ma è il modus essendi: in tutto il suo essere Hemmerle esprime «una sorta di libertà dell’artista»9. Hemmerle pensa da artista, sente da artista, fa filosofia e teologia con profonda sensibilità artistica: una filosofia e una teologia a partire dall’esperienza di Dio che rifulge nella sua bellezza e in cui è fondamentale il momento della scintilla intuitiva e creativa. Infine, è una teologia che ha una profonda impronta mariana. Una teologia che non si limita a presentare Maria come contenuto, poiché la propone come soggetto che fa teologia: Maria come segnavia della Sapienza, secondo la prospettiva del philosophari in Maria. La personale esperienza di Dio e il rapporto con Maria pervadono profondamente tutte le modalità espressive della filosofia, della teologia e dell’arte di Hemmerle imprimendo un timbro particolare al pensiero. Egli ha tentato di concretizzare nella vita e nel modus del pensiero quanto è teorizzato nei suoi scritti. Nella globalità del suo pensiero e della sua arte, si può dire che egli abbia fatto rifulgere un’unica realtà: Dio Bellezza. Attraverso il pulchrum identificato con il marianum rifulge il bonum e il verum; attraverso il pensiero teso ad approfondire il verum et bonum egli ha fatto rifulgere il pulchrum, secondo la pericoresi dei trascendentali che ha evidenziato. In studi recenti sul rapporto tra Maria e il pensare, emerge che l’evento della teologia in quanto è Dio che conosce sé a partire da noi e in noi, è già compiuto ed è sempre nuovo in Maria. L’Anima-Chiesa come soggetto della teologia trova in lei la sua forma nella trasparenza del rapporto a Gesù che nello Spirito Santo ci porta nel seno del Padre, vero luogo della teologia10. Nella profonda convinzione che la teologia nasca dall’esperienza di Dio prima che dalla riflessione speculativa, Hemmerle sostiene: È vera e autentica solo quella teologia che è teologia per santificare ed è volta a renderci santi per mezzo dell’amore nel quale noi crediamo e nel quale soltanto noi possiamo credere se noi siamo pronti 9 10
Cf. Chiara Lubich, in W. BADER - W. HAGEMANN, Klaus Hemmerle, cit., p. 77. B. LEAHY, L’Anima-Chiesa nella prospettiva del principio mariano, cit., p. 924.
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Conclusione
ad attuarla. Ha consistenza solo quella teologia che ci rende uno con Dio e tra noi, e in tal modo ci rende uno con noi stessi, quella teologia che ci rende capaci di vivere e attuare la communio. Solo una teologia “cattolica” sostiene il nostro mondo, una teologia che risponde alle nostre esigenze per gli altri, per il tutto. E la teologia non può limitarsi ad analizzare le testimonianze, deve essere essa stessa testimonianza e rendere capaci di testimonianza: teologia apostolica. Deve costarci la nostra tranquillità e la nostra distanza critica, insegnarci a dire: chiamami, vado, manda me. In tale teologia Maria non è semplice oggetto della riflessione e dell’adorazione: tale teologia deve farci diventare Maria, facendoci diventare recettivi come lei. Allora diventiamo quel nuovo che è antico, diventiamo quella sorgente – ed esiste un modo soltanto nel quale possiamo essere sorgente e origine: come risposta. La Parola di Dio vuole attuarsi nella nostra risposta, nel nostro sì, nel nostro fiat mariano. […] In questo modo si attua ciò che c’è di più umano e di più divino, qui “avviene” Dio stesso, qui l’amore diventa forma. Noi diventiamo nuovi e Dio stesso sorge in maniera nuova in noi per il mondo11. Guardando a Maria come modello del vivere a partire dall’unità trinitaria, Hemmerle ha saputo credere e pensare, entrare in dialogo nella linea di confine tra le più diverse realtà e sostenere «l’interfaccia tra due poli». Afferma Mussinghoff: Il luogo naturale di Klaus Hemmerle è l’interfaccia tra due poli: tra fede ed epoca moderna, tra filosofia e teologia, tra sfide sociali e concretizzazione della fede, tra vita quotidiana e spiritualità cristiana. In queste realtà di interfaccia si collocava come uomo che crede profondamente e che pensa lontano, “oltre”. E come uomo che si interroga12. E nell’interrogarsi pensando e vivendo a partire dall’unità trinitaria Hemmerle ha indicato vie finora inesplorate aprendo nuove prospettive alla riflessione teologica e filosofica del Terzo Millennio.
11 12
DN, p. 223. H. MUSSINGHOFF, Prefazione, in W. BADER - W. HAGEMANN, Klaus Hemmerle, cit.
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Bibliografia
Nella bibliografia è stato osservato un criterio cronologico per i documenti del Magistero e per le opere di Klaus Hemmerle, mentre è stato seguito un ordine alfabetico per autore per quanto riguarda la letteratura secondaria. 1. DOCUMENTI DEL MAGISTERO – OPERE DEI SOMMI PONTEFICI Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione dogmatica Lumen Gentium [21.11.1964], in EV 1, 284-456. GIOVANNI PAOLO II, Lettera Apostolica Salvifici Doloris [18.02.1984], in EV 9, 620-685. –, Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XIX/1, Città del Vaticano 1996. –, Ad sodales Congregationis pro Doctrina Fidei [24.10.1997], in AAS, XC (1998), 8, 588-591. –, Lettera Enciclica Fides et ratio [14.09.1998], in EE 8, 1808-2001. –, Lettera Apostolica Novo Millennio Ineunte [06.01.2001], in EV 20, 12-122. –, Trittico Romano, Città del Vaticano 2003. BENEDETTO XVI, Lettera Enciclica Deus est Caritas [25.12.2005], in EV 23, 1538-1605. –, Lettera Enciclica Caritas in Veritate [29.06.2009], in AAS, CI, 8, 641-709. 2. OPERE DI KLAUS HEMMERLE 2.1 Volumi Franz von Baaders philosophischer Gedanke der Schöpfung, Freiburg 1963 (VAS 9; H 31). 313 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.
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Bibliografia
CASPER B. - HEMMERLE K. - HÜNERMANN P., Besinnung auf das Heilige, Freiburg 1966. Gott und das Denken nach Schellings Spätphilosophie, Freiburg 1968. Estratto contenuto in AS I, pp. 192-201 (VAS 22; H 54). Offene Weltformel. Perspektiven christlicher Bewusstseinsbildung, München 1969; ora in Wie Glauben im Leben geht, München 1995; tr. it., Cosmologia, Antropologia, Sociologia e Religione, Roma 1970 (VAS 28; H 67a1). HAGEMANN W. - HEMMERLE K., Kirchen - wollt ihr euch behaupten? Zur Glaubensproblematik heute, München 1970 (VAS 34; H 93a). CASPER B. - HEMMERLE K. - HÜNERMANN P., Theologie als Wissenschaft. Methodische Zugänge, Freiburg 1970. Vi è contenuto Wahrheit und Zeugnis; ora in AS I, pp. 221-238 (VAS 33; H 91). HAGEMANN W. - HEMMERLE K., Ein Gott ohne Zukunft? Glaube zwischen Idealen und Widersprüchen unserer Zeit, München 1971 (VAS 45; H 126a-128). Unterscheidungen. Gedanken und Entwürfe zur Sache des Christentums heute (1972) (VAS 52; H 148a). Im Konkurrenzkampf der Weltanschauungen. Meditationen zu Zeitfragen, München 1972 (VAS 53; H 144a). Die Botschaft von Gott. Orientierungen für die Praxis, Freiburg 1974 (VAS 67; H 186-189). HEMMERLE K. - HOLLERBACH A. - SPAEMANN R., collana “Symposion. Philosophische Schriftenreihe” (vol. 51-100), Freiburg (19751994). Theologie als Nachfolge. Bonaventura - ein Weg für heute, Freiburg 1975 (VAS 79; H 208). Das Wort für uns. Meditationen, Freiburg 1976 (VAS 89; H 225a). Thesen zu einer trinitarischen Ontologie, Freiburg 1976; ora in AS II, pp. 124-161 (VAS 88; H 227a); tr. it., Tesi di ontologia trinitaria, Roma 1996. Vorspiel zur Theologie. Einübungen, Freiburg 1976; ora in AS II, pp. 12-121 (VAS 87; H 226); tr. it., Preludio alla teologia, Roma 2003. Der Himmel ist zwischen uns, München 1977; ora in Wie Glauben im Leben geht. Schriften zur Spiritualität, München 1995 (VAS 97; H 254a). Glauben wie geht das?Wege zur Mitte des Evangeliums, Freiburg 1978 (VAS 106; H 279a). 314 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.
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Bibliografia
Christus nachgehen. Jungen Menschen den Weg finden helfen, Freiburg 1980; ora in AS IV, pp. 269-323 (VAS 127; H 385a). Das Haus des barmherzigen Vaters, Freiburg 1982 (VAS 152; H 484a). Sag mir, was du glaubst. Betrachtungen von zwölf Bischöfen über das Glaubensbekenntnis, München 1982. Vi è contenuto Empfangen durch den Heiligen Geist, geboren von der Jungfrau Maria, pp. 2733; tr. it., Dimmi in cosa credi. Dodici vescovi confessano la propria fede, Roma 1985 (VAS 154; H 482a). Wegmarken der Einheit. Theologische Reflexionen zur Spiritualität der Fokolar-Bewegung, München 1982; ora in Wie glauben im Leben geht. Schriften zur Spiritualität, München 1995; tr. it., Vie per l’unità. Tracce di un cammino teologico e spirituale, Roma 1985 (VAS 151; H 485a1). Aus den Quellen leben. Besinnung auf das Glaubenbekenntnis und die Sakramente, Freiburg 1983. Brücken zum Credo. Glaubenswege, Freiburg 1984 (VAS 183; H 579a). Dein Herz an Gottes Ohr. Einübung ins Gebet, Freiburg 1986 (VAS 204; H 655a1); tr. it., Con l’anima in ascolto. Guida alla preghiera, Roma 1989. Gerufen und verschenkt. Theologischer Versuch einer geistlichen Ortsbestimmung des Priesters, München 1986; tr. it., Scelto per gli uomini. Profilo del sacerdote, Roma 1995 (VAS 203; H 654b1). Die leise Stimme. Ulrika Nisch - ihr Weg und ihre Botschaft, Freiburg 1987. Fragend und lehrend den Glauben weit machen. Zum Werk Bernhard Weltes anlässlich seines 80. Geburtstages, München 1987. Wegzeichen zur Neuen Stadt. Geistliche Spüren von Heiligtumsfahrten und 89. Katholikentag, Aachen 1987. Dreifaltigkeit - Schlüssel zum Menschen, Schlüssel zur Zeit. Beiträge zu Zeitfragen des Glaubens, München 1989. Und das Wort ist Kind geworden. Gedanken zur Weihnacht, München 1991; tr. it., Dio si è fatto bambino. Meditazioni sul Natale, Roma 1994 (VAS 257; H 875a1). Wo Gott aufgeht. Das “Neue” in der Spiritualität von Mutter Clara Fey, Aachen 1993.
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Bibliografia
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2.2 Opere postume Frühling in Alghero. Sardische Notizen. März 1988, Aachen 1994 (H 1018). Gottes Zeit - unsere Zeit. Gedanken für jeden Tag, München 1994 (VAS 294; H 1021). Hirtenbriefe, Aachen1994: Lettere pastorali (1975-1994) (VAS 293; H 1020). Nicht Nachlassverwalter, sondern Wegbereiter. Predigten 1993, Aachen 1994. Dio si è fatto bambino, Roma 1995. Leben aus der Einheit. Eine theologische Herausforderung, Freiburg 1995 (VAS 302); tr. it., Partire dall’unità, Roma 1998. Scelto per gli uomini, Roma 1995. Wie Glauben im Leben geht. Schriften zur Spiritualität, München 1995 (VAS 303). Linien des Lebens. Meditationsimpulse zum Johannesevangelium, München 1996 (VAS 304). Dein Herz an Gottes Ohr. Einübung in Gebet, München 1999. HEINZ H. (a cura di), Worte ins Spiel gebracht. Hundert Worte von Klaus Hemmerle, München 1999. Predigten von Klaus Hemmerle, Aachen 1999 (CD). Briefe an Kindern und jungen Leuten, München 2000. 2.3 Articoli e contributi Der Ort der Akademie in der Kirche, in «Oberrheinisches Pastoralblatt» (1957), 58; ora in AS IV, pp. 260-264 (VAS 1; H 4a). Baader, Franz von, in LThK I, 1161. Ausstellung Gottes. Zu Mariapoli und der Bewegung der Focolarini, in «Der Christliche Sonntag» (1959) 11, pp. 34-36 (H 8). Krise des Hörens, in Gespräch ohne Partner. Die Krise des Hörens, Freiburg 1960; ora in AS III, pp. 17-35 (VAS 5; H 12/13). Franz von Baaders Weg philosophischer Gotteserkenntnis, estratto di Franz von Baaders philosophischer Gedanke der Schöpfung, in «Philosophisches Jahrbuch» (1962/1963), 70; ora in AS I, pp. 58-92 (VAS 10; H 33). Eine Einführung in die Theologie, Freiburg 1962. 316 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.
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Bibliografia
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Andere Ikonen? Gedanken zur Aackener Heiligtumfahrt, in «Christ in der Gegenwart» (1986), 38; ora in AS IV, pp. 384-388. Arbeiterpastoral. Eine Herausforderung für Theologie und Kirche, Herzogenrath 1986. Berufungspastoral um die Jahrtausendwende, in H. HEINZ - K. HEMMERLE, Heute Berufung vermitteln, Freiburg 1986; ora in AS IV, pp. 70-89 (VAS 206; H 652). Botschaft: Kirchenbau, Aachen 1986; ora in AS V, pp. 267-280 (VAS 210; H 687). Oikonomia. Zum inneren Nexus zwischen Architektur und Theologie (1986), in AS V, pp. 281-287 (VAS 211; H 685). Das ist mir heilig - Du bist ihm heilig (1987), in AS IV, pp. 389-394 (VAS 223; H 709). Dein Reich komme, in Dein Reich komme, 89. Deutscher Katholikentag (1987), pp. 88-93 (VAS 219; H 706a). Eine Phänomenologie des Glaubens - Erbe und Auftrag von Bernhard Welte, in Fragend und lehrend den Glauben weit machen. Zum Werk Bernhard Weltes anlässlich seines 80° Geburtstages (1987); ora in AS I, pp. 476-497 (VAS 217; H 711). La Trinità. Dalla vita di Dio un progetto per l’uomo, in AA.VV., Trinità, Roma 1987. Maria Mutter des Lebens, in Dein Reich komme, 89. Deutscher Katholikentag (1987) (VAS 220; H 707a). Theologie in Fragmenten. Franz von Baader, in A. HALDER - K. KIENZLER - J. MÖLLER (edd.), Auf der Suche nach dem verborgenen Gott, Düsseldorf 1987; ora in AS I, pp. 204-220 (VAS 218; H 729). Ansprache zum Gedenken an die Pogromnacht 1938, in «Die Menorah» (1988); ora in AS V, p. 316 (VAS 238; H 787). Quale profilo per il laico? Riflessioni dopo il Sinodo, in «Nuova Umanità» X (1988), 55, pp. 3-12. Auf der Suche nach dem Profil der Kirche. Überlegungen zur Römischen Bischofssynode 1987, in «Das Prisma» (1988), 23-28 (VAS 233; H 758a). Bildung und Bistum, in H. HAMMANS - H.H. HENRIX (edd.), Bildung und Bistum, Aachen 1988, pp. 18-29; ora in AS IV, pp. 282-293. Chiesa trinitaria, Chiesa comunione. Una prospettiva ecclesiologica a partire dal mistero trinitario, in «Gen’s» XVIII (1988/6-8), pp. 26-33. 324 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.
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Communio als Schlüsselwort für das Verständnis Mariens. Skizze zur Phänomenalität christlicher Persongestalt, in J. SCHREINER - K. WITTSTADT (edd.), Communio Sanctorum. Einheit der Christen Einheit der Kirche, Würzburg 1988, pp. 303-309 (VAS 231; H 766a). Eine Martins - und eine Marienkirche, in M. ALBUS (ed.), Feuer in der Nacht. Ein Lesebuch zur Zukunft von Glaube und Kirche, Düsseldorf 1988; ora in AS V, pp. 104-107 (VAS 232; H 774). Propädeutische Überlegungen zur Glaubensvermittlung, in «Katechistische Blätter» (1988), 113; ora in AS IV, pp. 351-362 (VAS 228; H 761). Technik und Weisheit, in «Alma Mater Aquensis» Aachen (1988-89), 25; ora in AS III, pp. 230-240 (VAS 227; H 775a). Trinitarische Kirche, Kirche als Communio, in «Gemeinsam für die Menschheit», Internationaler Priesterkongress 1988 (Neue Stadt Dokumentation 2) (1988), pp. 43-61 (VAS 230; H 777b). Die Stunde des Neubeginns. Ein theologischer Gedanke zur Evangelisierung heute, in «Das Prisma» (1989), 1; ora in AS IV, pp. 40-52 (VAS 244; H 818a). Maria, Mutter der Glaubenden, und die Priester, in G. ROVIRA (ed.), Maria, Mutter der Glaubenden, Essen 1989, pp. 305-312. Randbemerkungen eines Katholiken, in R. RUNGE - C. KRAUSE (edd.), Zeitansage. 40 Jahre Deutschen Evangelischer Kirchentag, Stuttgart 1989, pp. 145-154. Reinhold Schneider, Der Turm des Freiburger Münsters, in H. KIRCHHOFF - M. SALLER (edd.), Im Dialog mit texten. Zum Umgang mir literarischen Texten in Religionsunterricht und Gemeindarbeit, Donauwörth 1989, pp. 63-71. Trinità e Chiesa. Sulla teologia della Trinità nella Christifideles laici, in D. TETTAMANZI (ed.), Laici verso il terzo millennio. Esortazione apostolica Christifideles laici, Roma 1989, pp. 187-200; testo ted., Trinität und Kirche. Zur Trinitätstheologie von “Christifideles laici”, in AS V, pp. 72-84 (VAS 243; H 815). Wandern mit deinem Gott - religionsphilosophische Kontexte zu Mi 6, 8, in R. MOSIS -L. RUPPERT (edd.), Der Weg zum Menschen, Freiburg 1989; ora in AS II, pp. 295-314 (VAS 242; H 811). Was haben Evangelium und Wirtschaft miteinander zu tun?, Aachen 1989; ora in AS III, pp. 194-205 (VAS 241; H 808). 325 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.
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Im Austausch Gestalt gewinnen, in J. MÜLLER - E.J. BIRKENBEIL (edd.), Miteinander Kirche sein. Idee und Praxis, München 1990, pp. 1118 (VAS 254; H 744a). Lo Spirito Santo e la sua azione nel mondo di oggi. Una lettura del nostro tempo, in «Gen’s» XX (1990/5), pp. 169-172 (H 863). Mistero, comunione, missione. Intervista su alcune priorità nella formazione presbiterale, in «Gen’s» XX (1990/5), pp. 196-198. Politik und Ethik. Phänomenologische Randbemerkungen, in «Studien zur Politik» (1990), 15; ora in AS III, pp. 160-179 (VAS 250; H 861). Wert und Wirkungen der Religion, in R. BISKUP (ed.), Werte in Wirtschaft und Gesellschaft, Bern 1990; ora in AS III, pp. 101-113 (VAS 251; H 835). Die geistige Grösse Edith Steins, in L. ELDERS (ed.), Edith Stein. Leben, Philosophie, Vollendung, Würzburg 1991, pp. 275-289 (VAS 260; H 887). Die Kirche in der ersten Collatio des “Hexaemeron” von Bonaventura und in “Lumen Gentium”, in H. HAMMANS - H.J. REUDENBACH H. SONNEMANS (edd.), Geist und Kirche. Studien zur Theologie im Umfeld der beiden Vatikanischen Konzilien, Paderborn 1991, pp. 3-15 (VAS 259; H 894). Eine neue Stadt ersteht, Bonn 1991; ora in AS III, pp. 131-139 (VAS 263; H 904). Einheit als Lebensstil, in H. ADOLPHSEN - G. HARIG (edd.), Bischöfe kommentieren Fragen der Zeit, Stuttgart 1991; ora in AS III, pp. 114-130 (VAS 261; H 900a). Pilgerndes Gottesvolk, geeintes Gottesvolk, Frankfurt 1991; ora in AS V, pp. 85-103 (VAS 258; H 893). L’ora del nuovo inizio. Una riflessone teologica sull’evangelizzazione oggi, in «Gen’s» XXI (1991/3-4) (testo originale in italiano). Un grido che invoca lo Spirito, in «Gen’s» XXI (1991/6), pp. 179-183 (testo originale italiano). Was bewegt die Fokolarbewegung?, in ThPQ (1991), 139, pp. 349-354. Wie im Himmel, so auf Erden, in Wie im Himmel, so auf Erden, 90. Deutschen Katholikentag, Paderborn 1991, pp. 59-63. Communio als Denk - und Lebensweise, in G. BIEMER - B. CASPER - J. MÜLLER (edd.), Gemeinsam Kirche sein. Theorie und Praxis der Communio, Freiburg 1992, pp. 77-89 (VAS 266; H 929). 326 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.
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Politik und Zeugnis, in «Studien zur Politik» (1992), 19; ora in AS III, pp. 180-192 (VAS 267; H 924). Wahrheit und Liebe, ein perichoretisches Verhältnis, in P. JASKOLY (ed.), Veritati et caritati, Opole 1992, pp. 106-118; ora in AS II, pp. 315-332. Ansprache in der Christlich-jüdischen Gemeinschaftsfeier, in Eine neue Stadt ersteht - Europa bauen in der Einen Welt, 91. Deutscher Katholikentag, Karlsruhe 1993 (VAS 272; H 956). Ich sah die heilige Stadt, das neue Jerusalem von Gott her aus dem Himmel herabkommen, in Eine neue Stadt ersteht - Europa bauen in der Einen Welt, 91. Deutscher Katholikentag, Karlsruhe 1993, pp. 618ss. (VAS 275; H 958). Der Gekreuzigte, in R. GÖLLNER (ed.), Glaubend sehen lernen. Praktische Beiträge einer Theologie des Bildes, Hildesheim 1993; ora in AS V, pp. 374-380 (VAS 271; H 991). Die Mutter, in «Pastoralblätter für die Diözesen Aachen, Berlin» (1993), 45 (VAS 289; H 1007). Ein lebendiges Modell vor Augen, in C. LUBICH, Familie und Liebe. Reden an Familien, München 1993, pp. 19-21 (H 973b). Einander Geschenk sein, in «Pastoralblätter für die Diözesen Aachen, Berlin» (1993), 45 (VAS 290; H 1008). Eucharistische Not - eucharistische Erneuerung, in «Pastoralblätter für die Diözesen Aachen, Berlin» (1993), 45 (VAS 285; H 1003). Lebenslinien, in «Pastoralblätter für die Diözesen Aachen, Berlin» (1993), 45; ora in AS V, pp. 306-308 (VAS 291; H 1009). Person und Gemeinschaft - eine philosophische und theologische Erwägung, in N. GLATZEL - E. KLEINDIENST (edd.), Die personale Struktur des gesellschaftlichen Lebens, Berlin 1993; ora in AS III, pp. 299-314 (VAS 269; H 980). Proportio aequalitatis - eine Erwägung zu Bonaventura, Itinerarium II 6, in R. BREIL - S. NACHTSHEIM (edd.), Vernunft und Anschauung. Philosophie - Literatur - Kunst, Bonn 1993, pp. 203-210 (VAS 270; H 990). Seine Stunde, unsere Stunde, in «Pastoralblätter für die Diözesen Aachen, Berlin» (1993), 45 (VAS 286; H 1004). Spielräume Gottes und der Menschen, in «Katechistische Blätter» (1993), 118; ora in AS IV, pp. 363-368 (VAS 278; H 954). Todestag von Franz von Baader (1765-1841), in R. ENGLERT (a cura di), Woran sie glaubten - wofür sie lebten, München 1993, p. 151 (H 986). 327 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.
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Verherrlichung, in «Pastoralblätter für die Diözesen Aachen, Berlin» (1993), 45 (VAS 283; H 1001).
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2.4 Articoli e saggi postumi Welte, Bernhard, Religionsphilosoph und Theologe, in B. OTTNAD (ed.), Baden Württenberg. Biographie I, Stuttgart 1994, p. 378. Das unterscheidend Eine. Bemerkungen zum christlichen Verständnis von Einheit, in B. FRALING - H. HOPING - J.C. SCANNONE (edd.), Kirche und Theologie im kulturellen Dialog, Freiburg 1994; ora in AS II, pp. 333-353 (VAS 295; H 1028). Der Religionsunterricht als Vermittlungsgeschehen. Überlegungen zum Korrelationsprinzip, in «Katechistische Blätter» (1994), 119; ora in AS IV, pp. 369-381 (VAS 297; H 1026a). Weite des Denkens im Glauben - Weite des Glaubens im Denken, in L. WENZLER (ed.), Mut zum Denken, Mut zum Glauben. Bernhard Welte und seine Bedeutung für eine künftige Theologie, Freiburg 1994, pp. 222-239; ora in AS II, pp. 354-370 (VAS 296; H 1032). Unser Lebensraum - der Dreifaltige Gott. Die Gotteserfahrung von Chiara Lubich, in «Das Prisma» (Sonderheft) (1994), 6; ora in AS V, pp. 296-305 (VAS 299; H 1029); tr. it., La nostra dimora: il Dio trinitario. L’esperienza di Dio di Chiara Lubich, in «Nuova Umanità» XVII (1995), 97, pp. 11-20. Il testamento ecumenico di Klaus Hemmerle, in «Gen’s» XXV (1995/1), pp. 28-32. La vita che mi ha affascinato. Il sacerdote: saper essere nulla per creare l’unità, in «Gen’s» XXV (1995/1), pp. 16-19. Anfang bei der Zukunft, Anfang beim Vater, in AS II, pp. 238-257. Die Ironie Gottes, in AS V, pp. 18-26. Presupposti teologici per l’ingresso in una visione cattolica della mariologia, in «Nuova Umanità» XXI (1999), 123/124, pp. 357-371 (testo originale in italiano). Come comunicare la Parola, in «Gen’s» XXXII (2002/2), p. 43. L’uomo, nostra via a Dio, in «Gen’s» XXXIV (2004/2), p. 35. L’incontro con l’Abbandonato. I quattro passi: predisporsi, riconoscerlo, chiamarlo, fargli festa, in «Gen’s» XXXVI (2006/1), p. 3.
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Esistenza sacerdotale: dire “Abbà Padre” dai confini del mondo, in «Gen’s» XXXVI (2006/3-4), pp. 133-136. Il dono dell’unità, in «Gen’s» XXXVII (2007/1-2), p. 3. 2.5 Selezione degli scritti di Klaus Hemmerle
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È in corso di pubblicazione l’opera omnia di Klaus Hemmerle. Al momento attuale, un’ampia e accurata selezione dei suoi scritti è pubblicata in Hemmerle K., Ausgewählte Schriften, voll. I-V, Freiburg 1996: vol. I: Auf den göttlichen Gott zudenken. Beiträge zur Religionsphilosophie und Fundamentaltheologie 1; vol. II: Unterwegs mit dem dreieinen Gott. Beiträge zur Religionsphilosophie und Fundamentaltheologie 2; vol. III: Die Alternative des Evangeliums. Beiträge zu gesellschaftlichen Fragen; vol. IV: Spielräume Gottes und der Menschen. Beiträge zu Ansatz und Feldem kirchlichen Handelns; vol. V: Gemeinschaft Gottes als Bild Gottes. Beiträge zur Ekklesiologie. 3. LETTERATURA SU KLAUS HEMMERLE 3.1 Opere e saggi sul pensiero e sulla vita di Klaus Hemmerle AA.VV., Klaus Hemmerle, in «Das Prisma» (Sonderheft) (1994), 6. AA.VV., Leben und Wirken von Klaus Hemmerle, zum 10. Todesjahr, in «Das Prisma» (Sonderheft) (2004/2). AA.VV., Nahaufnahme - lernen von Klaus Hemmerle, in «Das Prisma» (2009/2), p. 21. ALBUS M., Ein Freund konnte er sein, in «Das Prisma» (Sonderheft) (1994), 6, pp. 7-8. ALBUS M. - GÖLLNER R. - GÖRTZ H.-J., Der dreieine Gott und die eine Menschheit, Freiburg 1989.
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Indice dei nomi
Agostino d’Ippona: 34, 94, 126, 157, 184 Albus M.: 48 Alici L.: 145 Anselmo d’Aosta: 34, 119, 155 Aristotele: 99, 104, 171, 275, 306 Baader F., von: 19, 28, 29, 30, 31, 128 Back J.P.: 256 Bader W.: 14, 28, 182, 310, 311 Baggio A.M.: 149 Balthasar H.U., von: 13, 19, 33, 45-50, 52, 88, 90, 112, 155, 161, 268, 298-300, 305, 309 Barth K.: 33 Baumgarten A.: 295, 296 Bausola A.: 31, 339 Beethoven W.A.: 21, 284, 286-288 Benedetto XVI (papa): 16, 143, 154 Bernardo da Chiaravalle: 15, 36, 37, 38, 166, 232 Biemer G.: 251 Birkenbeil E.J.: 250 Blaumeiser H.: 9, 14 Bonaventura da Bagnoregio: 7, 15, 36, 37, 79, 94, 159, 191, 239, 247, 248, 305
Bonhoeffer D.: 18 Bordoni M.: 117 Buber M.: 18, 38, 39, 41, 42 Casper B.: 5, 7, 24, 26, 31, 53, 251 Ciardella P.: 145 Ciardi F.: 50 Cipriano: 239, 247 Claudel P.: 46 Cleo: 295 Coda P.: 17, 31, 33, 47, 52, 146, 147 de Lubac H.: 45 De Marco V.: 275 Deissler A.: 7, 27 Descartes R. (Cartesio): 79 Dufy R.: 295 Duque F.: 33 Ehrenberg H.: 39 Englert R.: 28 Feige I.: 24 Feiter R.: 293, 294, 297 Ferretti G.: 42 Fichte J.G.: 29, 103 Foresi P.: 149-151, 237, 239 345
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Indice dei nomi
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Forte B.: 114 Francesco d’Assisi: 37, 248, 266 Frick A.: 31, 44, 45, 52, 182, 183, 251 Gadamer H.-G.: 90, 93 Gaunilone: 155 Gerardi R.: 126 Giacchetta F.: 67 Giovanni Damasceno: 163 Giovanni della Croce: 289, 291, 293 Giovanni Paolo II (papa): 8, 16, 50, 147, 188, 223, 224, 236, 268, 276, 305 Görtz H.J.: 39, 40 Gregorio di Nissa: 165 Gronchi M.: 145 Hagemann W.: 8, 12, 14, 28, 182, 239, 258-261, 296, 297, 310, 311 Hegel G.W.F.: 24, 28, 29, 45, 79, 89, 96, 121 Heidegger M.: 21, 24, 26, 42, 61, 64, 67, 72, 79, 88, 90, 104, 116, 127, 129, 181 Heinz H.: 45 Herrmann R.: 7 Hünermann P.: 5, 7, 24, 26, 33, 49, 53, 88, 128, 305 Husserl E.: 19, 24, 67 Ignazio di Loyola: 266 Ireneo di Lione: 157 Jaspers K.: 24, 26, 103 Jonas H.: 18
Jung C.G.: 41 Kant I.: 24, 31, 126, 155, 184 Kasper W.: 31, 45 Kienzler K.: 24 Klinger E.: 250 Kruse M.: 217 Lambert W.: 31 Leahy B.: 45, 48, 238, 310 Lehmann K.: 45, 49-52, 88 Lenz D.: 295 Lévinas E.: 38, 39, 42, 43 Lochbrunner M.: 45, 47 Lubich C.: 8, 17, 48, 50, 51, 128, 147, 148, 152, 153, 155, 156, 158, 206, 207, 263, 310 Luciano S.: 149 Luppi G.: 89 Lutero M: 221 Mantovani M.: 237 Marassi M.: 93 Marchesi G.: 46 Martinelli P.: 45 Matisse H.: 295 Michelangelo Buonarroti: 21, 276 Moda A.: 45 Mozart W.A.: 69, 284, 285 Müller J.: 250, 251 Mussighoff H.: 14 Neufeld K.H.: 50 Nietzsche F.: 88 Ogiermann H.: 33 Ottnad B.: 24 Otto R.: 25
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Indice dei nomi
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Paolo VI (papa): 136 Pareyson L.: 31 Parmenide: 103 Pelli A.: 148, 149, 152, 188 Philipp F.: 284 Pitagora: 103 Platone: 26, 149, 306, 152 Pochet M.: 295, 297 Povilus J.: 148 Przywara E.: 33 Rahner K.: 15, 16 Reidt F.: 295-297 Rembrandt: 276 Rigobello A.: 45 Rombach H.: 13, 43-45, 79, 90 Rosenzweig F.: 38, 39-41, 79 Schelling F.W.: 19, 24, 28, 29, 31, 32, 33, 79, 271, 307 Schreier J.: 296 Socrate: 306 Speyr A., von: 46, 48 Spinoza B.: 79, 96
Tapken A.: 33 Teresa di Lisieux: 16, 204, 263 Tilliette X.: 31, 33 Tomatis F.: 31, 33 Tommaso d’Aquino: 35, 78, 94, 111, 112, 113, 143, 148, 157, 171, 172 184, 279, 298 Toniolo A.: 45 Valentin F.: 298 Vico G.: 30 Vinay V.: 221 Vögtle A.: 7, 24, 28 Welte B.: 7, 19, 24-27, 45, 53, 62 Wenzler L.: 24, 26 Wezel P.: 200 Wittgenstein L.: 67, 88 Würger G.: 295 Žák L.: 33, 47 Zanghí G.M.: 100, 147, 148, 151, 153, 237, 238, 309
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Indice generale
SIGLE. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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UN BREVE PROFILO BIOGRAFICO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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INTRODUZIONE. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1. Aspetti metodologici. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. La prospettiva speculativa e l’oggetto formale: l’esperienza di Dio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3. Struttura e contenuti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4. Aspetti linguistici e filologici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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I. ACCOGLIERE E RIDONARE. IL PERCORSO FORMATIVO E LE FONTI 1. Alla scuola di B. Welte e A. Vögtle . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. Franz Von Baader: l’unità nella differenza. . . . . . . . . . . . 3. F.W. Schelling: il pensare Dio e l’analogia dialogica . . . . 4. Nel solco della tradizione cristiana. . . . . . . . . . . . . . . . . . 5. In dialogo con l’ebraismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6. L’ontologia strutturale di H. Rombach . . . . . . . . . . . . . . 7. H.U. von Balthasar: la sorgente sempre antica e sempre nuova . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8. L’incontro con il carisma dell’unità . . . . . . . . . . . . . . . . .
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II. RICERCA FILOSOFICA ED ESPERIENZA DEL SACRO. UN PRELUDIO 1. Verdankendes Denken: il pensiero che accoglie . . . . . . . 2. Il pensiero come testimonianza e memoria . . . . . . . . . . . 3. Il sorgere del sacro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4. Eternità del sacro e temporalità del pensiero . . . . . . . . . . 5. L’essere come relazionalità e dialogo . . . . . . . . . . . . . . . . 6. L’esperienza del sacro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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53 54 56 57 59 61 62 349
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7. Un preludio alla teologia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8. Il gioco e la reciprocità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9. I giochi fondamentali: interesse, esistenza, linguaggio. . . 10. L’esperienza di Dio e il gioco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11. Il gioco dell’essere. Verso l’ontologia trinitaria . . . . . . . 12. Un gioco trinitario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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66 67 70 74 78 83
III. L’ONTOLOGIA TRINITARIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1. Riscoprire l’ontologia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. Problemi ermeneutici e metodologici. . . . . . . . . . . . . . . . 3. Un duplice a priori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4. Lo specifico cristiano. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5. L’essere come amore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6. L’identità come dialogo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7. Sostanza e comunione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8. Ontologia trinitaria e linguaggio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9. Una rilettura dei trascendentali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10. Il livello ontico: finitudine e integrazione . . . . . . . . . . . 11. Un’ontologia eucaristica. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12. Un’ontologia kenotica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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87 88 90 91 95 97 100 102 105 108 113 116 119
IV. PARTIRE DALL’UNITÀ. PROSPETTIVE ANTROPOLOGICHE, SPECULATIVE, ESPERIENZIALI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1. Persona e comunione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. La dimensione comunitaria dell’io penso. . . . . . . . . . . . . 3. Etica dell’amore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4. L’unità alla luce della Rivelazione cristiana . . . . . . . . . . . 5. L’esperienza di Dio nell’unità. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6. Vivere la Parola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7. L’Uno distintivo e l’Actus Unitatis . . . . . . . . . . . . . . . . . 8. Ontologia e pensiero. La verità come evento pericoretico . 9. Unitas quaerens intellectum . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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122 123 125 127 131 133 137 139 142 145
V. ASPETTI TEOLOGICI. UNO SGUARDO NEL MISTERO DI DIO . . 1. Il mistero trinitario di Dio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. Lo Spirito Santo, Persona-amore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3. L’Incarnazione del Verbo e l’esperienza di Dio . . . . . . . . 4. L’Eucaristia e la communio sanctorum . . . . . . . . . . . . . .
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155 156 163 166 170
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5. L’Eucaristia e l’ontologia trinitaria . . . . . . . . . . . . . . . . . 6. Il Battesimo e la vita trinitaria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
pag. 174 » 178
VI. GESÙ CROCIFISSO E ABBANDONATO . . . . . . . . . . . . . . . . . 1. Nel cuore della Rivelazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. L’abbandono: un’epifania del volto di Dio . . . . . . . . . . . . 3. L’abbandono: un punto geometrico . . . . . . . . . . . . . . . . . 4. L’abbandono, rivelazione del volto dell’uomo . . . . . . . . . 5. L’abbandono e l’esperienza dell’unità . . . . . . . . . . . . . . . 6. Una meditazione sull’Abbandonato. . . . . . . . . . . . . . . . .
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182 183 186 191 194 200 206
VII. MARIA E LA TRINITÀ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1. Maria Madre di Dio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. Rivestita di Parola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3. Nel giardino della Trinità. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4. L’Immacolata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5. La Desolata. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6. Madre dell’unità. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7. Philosophari in Maria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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212 212 218 222 226 230 233 236
VIII. LA CHIESA, SPAZIO DELLA COMUNIONE TRINITARIA . . . . 1. Linee ecclesiologiche del Nuovo Testamento . . . . . . . . . . 2. La Trinità, icona del popolo di Dio in cammino . . . . . . . 3. Mysterium, Communio, Missio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4. La Chiesa nel mistero di Gesù Abbandonato e il dialogo ecumenico. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5. Cammino in comunione. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6. Essere Chiesa. I sette aspetti della Communio . . . . . . . . 7. Il principio mariano della Chiesa . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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239 240 246 250
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254 259 262 267
IX. IL PENSIERO ESTETICO: IL PULCHRUM COME MARIANUM . . . 1. Il Sacro e il Bello. Gli scritti di estetica . . . . . . . . . . . . . . 2. Un commento sugli affreschi della Sistina . . . . . . . . . . . . 3. Archittettura, esperienza del Sacro, Ekklesia . . . . . . . . . . 4. L’arte drammatica, la musica, l’interrelazione reciproca . 5. Esperienza mistica nel frammento. Poesie su uno scritto di Giovanni della Croce . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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270 270 276 280 283
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6. Il contributo di Hemmerle artista . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7. L’arte e Maria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
pag. 295 » 298
CONCLUSIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1. Alcuni fili conclusivi. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. Alcune difficoltà . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3. Il pensiero filosofico: risultati e prospettive . . . . . . . . . . . 4. Il pensiero teologico: risultati e prospettive . . . . . . . . . . .
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302 302 305 307 309
BIBLIOGRAFIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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INDICE DEI NOMI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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TEOLOGIA Coda, Piero Il negativo e la Trinità ipotesi su Hegel, 1987
Vandeleene, Michel Io, il fratello, Dio nel pensiero di Chiara Lubich, 1999
Bulgakov, Sergej Nikolaevic L’Agnello di Dio il mistero del Verbo Incarnato, 1990
Coda, Piero Hennecke, Christian (edd.) La fede evento e promessa, 2000
Zanghí, Giuseppe M. Dio che è Amore Trinità e vita in Cristo, 1991, 20043 Ciardi, Fabio Koinonia itinerario teologico-spirituale della comunità religiosa,1992, 20073 Durrwell, François-Xavier La risurrezione di Gesù, mistero di salvezza, 1993 «Études Mariales» Maria e la fine dei tempi approccio biblico patristico storico, 1994 Durrwell, François-Xavier Il Padre Dio nel suo mistero, 1995, 19995, Ciardi, Fabio In ascolto dello Spirito ermeneutica del carisma dei fondatori, 1996 Coda, Piero L’altro di Dio rivelazione e kenosi in Sergej Bulgakov. In appendice: Sergej Bulgakov, Sofiologia della morte, 1998
Ciardella, Piero Gronchi, Maurizio (edd.) Testimonianza e verità un approccio interdisciplinare In appendice: Klaus Hemmerle, Verità e testimonianza, 2000 Sgubbi, Giorgio L’intelligenza del mistero dialogo con Eberhard Jüngel, 2000 Reali, Nicola Fino all’abbandono l’eucaristia nella fenomenologia di Jean-Luc Marion, 2001 Vitiello, Vincenzo Il Dio possibile esperienze di cristianesimo, 2002 La Delfa, Rosario (ed.) Comunione ecclesiale e appartenenza il senso di una questione ecclesiologica oggi, 2002 Coda, Piero Crociata, Mariano (edd.) Il Crocifisso e le religioni compassione di Dio e sofferenza dell’uomo nelle religioni monoteiste, 2002 353
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Testatina
Coda, Piero Il Logos e il nulla Trinità religioni mistica, 2003, 20042
Razzano, Luigi L’estasi del bello nella sofiologia di S.N. Bulgakov, 2006
Crociata, Mariano (ed.) Il Dio di Gesù Cristo e i monoteismi, 2003
Benats, Bart Il ritmo trinitario della verità la teologia di Ireneo di Lione, 2006
Cicchese, Gennaro Coda, Piero Žák, L’ubomír Dio e il suo avvento luoghi momenti figure, 2003 Kasper, Walter (ed.) Il ministero petrino cattolici e ortodossi in dialogo, 2004 Ales Bello, Angela Messinese, Leonardo Molinaro, Aniceto (edd.) Fondamento e fondamentalismi filosofia teologia religioni, 2004 Marianelli, Massimiliano La metafora ritrovata miti e simboli nella filosofia di Simone Weil, 2004 Crociata, Mariano (ed.) L’uomo al cospetto di Dio la condizione creaturale nelle religioni monoteiste, 2004 La Delfa, Rosario (ed.) La Chiesa tra teologia e scienze umane una sola complessa realtà, 2005 Crociata, Mariano (ed.) Teologia delle religioni la questione del metodo, 2006
Crociata, Mariano (ed.) Per un discernimento cristiano sull’Islam storia e teologia, 2006 Sguazzardo, Pierluigi Sant’Agostino e la teologia trinitaria del XX secolo, 2006 Di Pilato, Vincenzo All’incontro con Dio in dialogo con la teologia di Hans Waldenfels, 2006 Ferri, Riccardo Gesù e la verità Agostino e Tommaso interpreti del Vangelo di Giovanni, 2007 Truini, Fabrizio La pace in Tommaso d’Aquino, 2008 La Delfa, Rino (ed.) Primato e collegialità “partecipi della sollecitudine per tutte le Chiese”, 2008 Zoppi, Matteo La verità sull’uomo l’antropologia di Anselmo d’Aosta, 2008 Zurra, Gianluca «I nostri sensi illumina» coscienza, affetti e intelligenza spirituale, 2009
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Testatina
Tobler, Stefan Tutto il Vangelo in quel grido Gesù abbandonato nei testi di Chiara Lubich, 2009
Monaco, Davide Deus Trinitas Dio come non altro nel pensiero di Nicolò Cusano, 2010
Paradiso, Marcello Nell’intimo di Dio la teologia trinitaria in Hans Urs von Balthasar, 2009
Salvadori, Ivan L’autocoscienza di Gesù “in tutto simile a noi eccetto il peccato”, 2011
Prenga, Eduard Il Crocifisso via alla Trinità l’esperienza di Francesco d’Assisi nella teologia di Bonaventura, 2009
La Delfa, Rino Il compiersi del corpo ecclesiale “mi hai preparato un corpo”, 2011
Farina, Paolo Dio e il male in Simon Weil, 2009
Demelas, Nicola Le apparizioni di Gesù risorto in dialogo con G. Ghiberti, H. Kessler e D. Barsotti, 2012
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