La debolezza di Dio per l'uomo: la visione di Dio di papa Francesco 9788826600475

Titolo Originale: Gottes Schwäche für den Menschen Traduzione dal tedesco di Fabrizio Iodice

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La debolezza di Dio per l'uomo: la visione di Dio di papa Francesco
 9788826600475

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LIBRERIA EDITRICE VATICANA

JORGEN WERBICK

LA DEBOLEZZA DI DIO PER L'UOMO LA VISIONE DI Dm DI PAPA FRANCESCO

LIBRERIA EDITRICE VATICANA

Titolo originale: Gottes Schwii.che fiir den Menschen Traduzione dal tedesco di Fabrizio Iodice

© Copyright 2017 - Libreria Editrice Vaticana 00120 Città del Vaticano Tel. 06.698.81032 - Fax 06.698.84716 [email protected] ISBN 978-88-266-0047-5 www.vatican.va www.libreriaeditricevaticana.va TIPOGRAFIA VATICANA

COLLANA LA TEOLOGIA DI PAPA FRANCESCO

J URGEN WERBICK: La debolezZfl di Dio per l'uomo. La visione di Dio di papa Francesco Lucm CASULA: Volti, gesti e luoghi. La cristologia di papa Francesco PETER HONERMANN: Uomini secondo Cristo oggi. L'antropolo­ gia di papa Francesco ROBERTO REPOLE: Il sogno di una Chiesa evangelica. L'ecclesio­ logia di papa Francesco CARLos GALLI: Cristo, Maria, la Chiesa e i popoli. La mariolo­ gia di papa Francesco SANTIAGO MADRIGAL TERRAZAS: "L'unità prevale sul conflitto". L'ecumenismo di papa Francesco ARISTIDE FUMAGALLI: Camminare nell'amore. La teologia mo­ rale di papa Francesco J UAN CARLos SCANNONE: Il Vangelo della Misericordia nello spirito di discernimento. L'etica sociale di papa Francesco MARINELLA PERRONI: Kerigma e prefezia. L'ermeneutica bi­ blica di papa Francesco PIERO CODA: ''La Chiesa è il Vangelo". Alle sorgenti della teologia di papa Francesco MARK.o IVAN RuPNIK: Secondo lo Spirito. La teologia spiritua­ le in cammino con la Clùesa di papa Francesco

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ABBREVIAZIONI AL

Amoris Laetitia

EG

Evange!ii gaudium

EN

Evange!ii nuntiandi

ES

Esercizi Spirituali

GS

Gaudium et spes

LG

Lumen gentium

LS

Laudato si'

MeM Misericordia et Misera RS

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Ratio studiorum

PREFAZIONE ALLA COLLANA

Sin dal primo apparire in piazza san Pietro, la sera della sua elezione, è stato chiaro ai più che il pontificato di Francesco si presentava all'insegna di una novità di stile. Il vestire sobrio, il chiamarsi vescovo di Roma, il chiedere - nel "silenzio assordante" di una piazza gremita - la pre­ ghiera del popolo, il salutare con un semplice "buonasera" i presenti ... sono stati tutti segni eloquenti del fatto che era in atto un mutamento nel "modo di porsi" e, dunque, nel "linguaggio". I gesti e le parole che da lì in poi sono seguiti non hanno fatto che confermare e consolidare la prima im­ pressione. Si potrebbe anzi dire che, in questi anni, l'im­ magine del papato ne sia uscita decisamente trasformata, in un mutamento che investe anche le omelie tenute, i di­ scorsi fatti e i documenti promulgati. Ciò - com'era prevedibile - ha ingenerato pareri anche molto discordanti tra loro, specie per quel che concerne il suo insegnamento. Se molti hanno infatti accolto con gran­ de entusiasmo e simpatia il suo magistero, sentendovi il fre­ sco soffio del Vangelo, alcuni lo hanno invece accostato con distacco e, talvolta, con sospetto. Non sono mancati giudizi anche molto perentori, giunti. a mettere in forse l'esistenza stessa di una teologia nell'insegnamento di Francesco. 5

Un tale sommario giudizio poteva far leva sulla dif­ ferente provenienza tra Francesco e il suo predecessore, Benedetto XVI. Quest'ultimo, lo si sa, è stato uno dei più illustri e rilevanti teologi del Novecento e ha indubbia­ mente fatto tesoro della sua personale elaborazione teolo­ gica nel ricco magistero papale, di cui non si finisce né si finirà di apprezzare la profondità. Bergoglio ha alle spalle, soprattutto e primariamente, la lunga e radicale esperienza del religioso e del pastore. Ciò non significa, però, che il suo magistero sia privo di teologia. Il fatto che egli non sia stato, per lo più o sol­ tanto, teologo "di professione" non vuol dire che il suo magistero non sia supportato da una teologia. Se così fos­ se, si dovrebbe con rigore dedurne eh� la maggioranza dei suoi predecessori siano stati privi di teologia, dal momen­ to che Ratzinger rappresenta l'eccezione più che la regola. In ogni caso, il fatto che si sia potuto discutere della portata teologica del magistero di Francesco così come il fatto che, molto spesso, alcune sue espressioni altamente evocative e immediate siano state talmente abusate - in ambiente giornalistico come in quello ecclesiastico - da farne smarrire la profondità, rende sensata un'operazione come quella cui intende rispondere la collana che ho l'o­ nore di presentare. Avvalendosi della competenza e dello studio rigoro­ so di teologi provenienti da diversi contesti e dalla serietà ormai assodata, si è inteso ricercare quale sia il pensiero teologico che supporta l'insegnamento del Papa, quali ne 6

siano le radici, quale la novità e quale la continuità con il magistero precedente. Il risultato è racchiuso negli 11 volunù che vengono a formare la presente collana, dal titolo semplice e imme­ diato: "La teologia di papa Francesco". Essi possono venire letti in modo autonomo l'uno dall'altro, ovviamente; così come in modo autonomo sono stati redatti dai singoli autori. L'auspicio, tuttavia, è che la lettura dell'intera collana possa rappresentare non solo un valido supporto per cogliere la teologia su cui si fonda l'insegnamento di Francesco nei diversi ambiti del sapere teologico, ma anche un'introduzione ai punti cardine del suo pensiero e del suo insegnamento complessivi. L'intento, dunque, non è di tipo "apologetico" né, tanto meno, di aggiungere ulteriori voci alle tante che già parlano del Papa. Lo scopo è quello di cercare di vedere e di aiutare a vedere quale sia il pensiero teologico su cui si basa Francesco e che si esprime, con novità di accento, nel suo insegnamento. Tra le molte scoperte che il lettore potrà fare, leggen­ do i volunù, ci sarà certamente quella di dover constatare come nel magistero di Francesco confluisca tanto la be­ nefica novità dell'insegnamento conciliare, quanto quella della teologia che lo ha preparato e che vi ha fatto seguito. Dal momento che è forse ancora troppo presto perché tutta questa ricchezza costituisca un patrimonio comune, pacifico e pienamente recepito da tutti, non stupisce che 7

l'insegnamento del Papa possa risultare, talvolta, non im­ mediatamente comprensibile a tutti. Allo stesso modo, nell'insegnamento di Francesco ap­ pare ormai come un punto di non ritorno ciò che tanto la teologia recente quanto il magistero conciliare hanno inse­ gnato: che la dottrina, cioè, non è né può essere qualcosa di estraneo rispetto alla cosiddetta pastorale. La verità che la Chiesa è chiamata a custodire è quella del Vangelo di Cristo, che deve essere comunicato alle donne e agli uomi­ ni di ogni luogo ed ogni tempo. Per questo il compito del magistero ecclesiale deve essere anche quello di favorire la comunicazione del Vangelo. E per questo, la teologia non potrà mai ridursi ad un asettico esercizio da tavolino, sganciato dalla vita del popolo di Dio e dalla sua missione di far incontrare le donne e gli uomini del proprio tempo con la novità perenne e inesauribile del Vangelo di Gesù. Non sono mancati, in questi anni, coloro che ascol­ tando alcune espressioni critiche di Francesco concernen­ ti la teologia o i teologi, hanno pensato di doverne dedur­ re una sua personale incondizionata svalutazione. Forse, uno studio più puntuale dell'insegnamento del Papa, come quello offerto dalla presente collana, potrà essere anche utile a mostrare che, se occorre rimanere sempre critici rispetto ad una teologia che smarrisse il suo vitale anco­ raggio alla viva fede della Chiesa, è invece indispensabile una teologia che assuma con "fedeltà creativa" il compito di pensare criticamente quella stessa fede, affinché conti­ nui ad essere annunciata. 8

Di una tale teologia non è certo privo l'insegnamento di Francesco; ed una tale teologia è certo auspicata da un magistero come il suo, così desideroso che l'amore miseri­ cordioso di Dio continui a toccare il cuore e la mente delle donne e degli uomini del nostro tempo. Il curatore ROBERTO REPOLE

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I «LA GLORIA DI DIO È L'UOMO VIVENTE» (IRENEO DI LIONE) CAPITOLO

Con questa frase, Ireneo - forse il teologo più indi­ cativo del secondo secolo - ha offerto una visione che è servita da riferimento sia per la cristianità occidentale come anche per quella orientale, e che riassume valida­ mente pure il modo con cui papa Francesco vuole incen­ trare il discorso teologico su Dio. Parlare di Dio richiede che si parli dell'uomo e del modo con cui la sua vita si sviluppa secondo un'autentica natura umana. Ma parlare dell'uomo e della sua vita in pienezza richiede che si par­ li di Dio. Per prima cosa, allora, si dovrebbe diffondere l'idea che: « Chi esclude Dio dal suo orizzonte falsifica il concetto di "realtà" e, in conseguenza, può finire solo in strade sbagliate e con ricette distruttive». 1 Le concezioni politiche e i sistemi ideologici che mettono da parte Dio hanno provato più volte la loro disumanità. 2 Fin dal di1 Discorso di apertura di papa Benedetto XVI alla V Assem­ blea generale dell'Episcopato dell'America Latina e dei Caraibi ad Aparecida, 13 maggio 2007. 2 Secondo il Documento conclusivo della V Assemblea enerale di g Aparecida (n. 405), alla cui stesura il cardinale Bergoglio ha collabo-

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ciassettesimo secolo, un «umanesimo esclusivo» (Charles Taylor) è partito sempre più decisamente dall'idea che gli uomini possano perseguire le loro mete più elevate e i loro obblighi «senza che entri in gioco Dio»; secondo questo tipo di umanesimo, inoltre, anche «le risorse morali e spi­ rituali sono qualcosa di puramente immanente». Non solo a partire dal crollo del socialismo reale esso si è dimostrato profondamente contraddittorio. 3 Non si può tuttavia negare che si è arrivati a questa centralità esclusiva dell'uomo anche perché era opinione comune che ci si dovesse difendere da una teologia teo­ centrica, la quale erroneamente escludeva ciò che è umano. L'orientamento verso Dio della vita umana e la salvezza escatologica furono ritenute un passaggio obbligato per i bisogni originari dell'uomo e le sue aspettative. A molti sembrava che l'uomo dovesse rinunciare alla realizzazione della sua vita in questo mondo, se voleva credere in Dio e alla sua vocazione alla beatitudine eterna. Dio e il mondo, una vita dedicata alla signoria di Dio e la gioia nella vita rato in modo decisivo. Nel seguito del testo, gli ultimi documenti del magistero ecclesiale vengono indicati con la sigla e il numero, secondo gli Acta Apostolicae Sedis. 3 Cfr. CH. TAYLOR, Ein sakulares Zeitalter, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 2009, 401s. o anche 418. Nel suo libro, Taylor ha delineato in modo preciso e dettagliato come questa cultura di un umanesimo senza limiti si sia guadagnata una plausibilità per così dire «auto­ sufficiente».

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in questo mondo, furono percepiti come elementi in con­ trasto tra loro, davanti a cui ci si doveva decidere per una delle due realtà, negando di conseguenza l'altra. L'emarginazione reciproca tra la fede in Dio e la «laici­ tà» risaliva a un profondo fraintendimento dell'elemento costitutivo del cristianesimo, in particolare dell'annuncio fatto da Gesù Cristo della prossimità della signoria di Dio, anzi della sua presenza già tra i credenti. Questo frain­ tendimento ha profondamente segnato e compromesso la situazione della fede, almeno in Europa e in America a partire dall'Illuminismo. Nessuno è riuscito a esprimere questa cosa in modo tanto provocatorio quanto il filosofo tedesco Friedrich Nietzsche. Per lui, il Dio cristiano è « ne­ mico della vita»,4 « degenerato a contraddizione della vita, invece di rappresentarne la trasfigurazione e un sì eterno». Se­ condo la visione di Nietzsche, quella dei filologi classici, questo «sì eterno» alla vita sarebbe l'essenza della religio­ ne pagana. Egli si scaglia con disprezzo contro il cristiane­ simo e il suo «Dio in croce»: «In Dio [viene] annunciata 4 Crepuscolo degli idoli in G. Com - M. MONTINARI (eds.), F. Nietzsche: Il caso Wagner. Crepuscolo degli idoli. L'Anticristo. Scelta

di .frammenti postumi (1887-1888). A cura di Giorgio Colli e Mazzino Montinari. Con una cronologia della vita dell'autore e dei suoi tempi e note introduttive, Mondadori, l\1ilano 1981, 436 [Giitzen-Dà'mmerung, in G. Com - M. MoNTINARI (eds.), F. Nietzsche: Sà'mtliche Werke, Kriti­ sche Studienausgabe (KSA), Deutscher Taschenbuchverlag, Miinchen - Berlin/New York 1980, vol. 6, 85].

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l'ostilità alla vita, alla natura, al desiderio di vita; Dio [è] la formula per ogni negazione della vita, per ogni menzogna sull"'aldilà"; in Dio, il nulla [viene] divinizzato, [viene] ca­ nonizzata la volontà del nulla!... così in là abbiamo fatto andare la cosa!... / non lo si sa ancora? Il cristianesimo è una religione nichilista - per amore del suo Dio ...».5 A tale cristianesimo, Nietzsche contrappone la sua religione dio­ nisiaca: «Mi si è inteso?-Dioniso contro il crocifisso ... ». 6 Zaratustra, il «profeta» di questa religione, invita i suoi discepoli a seguire la loro strada: Io vi scongiuro, fratelli miei, restate fedeli alla terra e non prestatefede a coloro che vi parlano di speranze ultraterrene! Sono avvelenatori, lo sappiano o no. Spregiatori della vita sono, moribondi e loro stessi avvelenati, di cui la terra è stanca: vadano dove vogliono! Un tempo il sacrilegio contro Dio era il maggiore dei sa­ crileg� ma Dio è morto e con esso sono morti anche questi sacrileghi. Un sacrilegio contro la terra è ora la cosa più ter­ ribile, e venerare le viscere dell'imperscrutabile più del senso della terra/ 7 Cfr. F. NIETZSCHE, Nachgelassene Fragmente Mai-funi 1888, 17 [4], KSA 13, 525. 6 F. NIETZSCHE, Ecce homo. Warum ich ein Schicksal bin 9, KSA 6,374. 7 F. NIETZSCHE, A/so sprach Zarathustra, Zarathustra's Vorrede 3, KSA 4, 15 (tr. it. Cosìparlò Zarathustra. Un libro per tutti e per nessu­ no, Prefazione di Zarathustra 3, Newton, Roma 1996]. 5

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La «maledizione sul cristianesimo» lanciata da Nietzsche8 si può spiegare in gran parte con la sua bio­ grafia di fede o di mancanza di fede. Però ha trovato una straordinaria risonanza tra gli intellettuali, anche perché per molto tempo l'annuncio cristiano contro la fierezza dei cosmopoliti «illuminati» non ha saputo fare altro che evocare il fallimento di una ricerca secolare della fortuna e del successo. 9 In tal modo, sia tra i «colti» borghesi sia anche nella classe degli operai - ben poco considerati dalla Chiesa - si è sviluppata una cultura di scetticismo religioso in ragione di una terrenità coscientemente vissuta che so­ spettava in blocco il cristianesimo di essersi fossilizzato in un'ostilità nei confronti del mondo. 10 8

Così il sottotitolo del suo scritto postumo L'Anticristo in G.

Cow-M. MoNTINARI (eds.), cit., 503 [Der Antichrist, KSA 6, 165]. 9 Un'idea di questa strategia omiletica fatale è offerta da B. GROETHUYSEN, Die Entstehung der biirger!ichen Welt- und Lebensanschau­ ung in Frankreich, 2 voli., ristampa della 1 ° edizione del 1927, Fi~ scher, Frankfurt a. M. 1978, la cui documentazione contiene molti testi di prediche del periodo antecedente la rivoluzione francese. 10 Un'espressione importante, divenuta addirittura proverbia­ le, di questa autocoscienza culturale critica nei confronti del cri­ stianesimo l'ho trovata in H. HEINE, Una fiaba d'inverno al capitolo I, dove si dice: « Un nuovo canto, un canto migliore, / O amici, voglio poetarvi! Noi vogliamo costruire già qui sulla Terra/ il regno dei cieli... Qua giù cresce abbastanza pane/ per tutti i figli,

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I contesti cristiani e una devozione popolare che a lungo sono entrati difficilmente in contatto con quella cul­ tura che escludeva Dio, fino al presente si sono mostrati ampiamente immuni a questa critica al cristianesimo. L'e­ norme incremento della mobilità e in fondo il superamen­ to dei confini di ogni contesto per mezzo della comunica­ zione digitale attraverso il web hanno tuttavia contribuito a fare in modo che i temi della critica al cristianesimo e a Dio nel ventesimo secolo siano diventati ovunque accessi­ bili e siano stati ripresi proprio là dove le chiese locali era­ no saldamente legate alle élite di potere ed economiche. Tali élite erano fortemente interessate alla «prospettiva ultraterrena [Veryenseitigungl » della fede in Dio affinché nel «terreno [Diesseits] » per quanto possibile tutto rimanesse così com'era, a loro vantaggio. Tuttavia, la formula di Karl Marx diventata celebre, secondo cui la religione è «oppio del popolo», 11 in seguito, soprattutto nel periodo successima anche rose e mirto, bellezza e piacere, / e perfino piselli. Già, piselli per tutti, / non appena i baccelli scoppiano! Lasciamo il cielo / agli angeli e ai passerotti». Sigmund Freud ha ripreso questo tema nel suo scritto pro­ grammatico di analisi della religione Die Zukunft einer Illusion; cfr. Io., Studienausgabe, a cura di A. M:rTSCHERLICH - A. RlcHARDs J. STRACHEY, vol. IX: Fragen der Gesellscheft. Urspriinge der Religion, Fischer, Frankfurt a. M. 1974, 135-189. 11 K MAR:x . , Zur Kritik der Hegelschen Rechtsphilosophie. Einlei­ tung, in Marx-Engels-Werke, vol. 1, Dietz, Berlin 1970, 378-391, qui 16

vo al Concilio Vaticano II, è stata intesa in teologia e nella coscienza di fede come un appello a respingere il fatto che la fede in Dio fosse messa al servizio degli interessi degli oppressori e degli sfruttatori, mettendo in risalto che i credenti sono chiamati a operare per la liberazione nel mondo. Sulla spinta dell'impressione suscitata dalla Costitu­ zione pastorale Gaudium et spes (GS) del Vaticano II e in continuità con essa, in America Latina sorsero diverse correnti di una teologia della liberazione, che talora ricorreva­ no alle analisi marxiste per opporsi alla tentazione di aco­ smismo della fede cristiana in Dio e per mettere al centro della teologia l'incontro con Cristo o con Dio che avviene nell'incontro con i poveri come anche nella solidarietà con i« popoli crocifìssi». 12 Anche la teologia delpopolo, così come era stata elaborata in quello stesso periodo soprattutto in Argentina, si riteneva una teologia della liberazione, ma si definiva più chiaramente contraria agli approcci di anali­ si marxista. In essa vi era la coscienza di essere obbligati ali'opzione preferenziale per i poveri come anche alla fede popolare, e nei poveri ci si vedeva provocata a fare rife378. Lenin ha poi definito la religione l'oppio del popolo: sommini­ strato da quanti hanno interesse a distogliere gli oppressi dalla loro sofferenza. 12 Tipico è I. Eu.ACURIA - J. SoBRINO (eds.), Mysterium Lib­ erationis. Grundbegrif.fe der Theologie der Befreiung, Exodus, Luzern 1995/1996.

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rirnento all'incontro liberatorio con Dio. A tale teologia era ed è vicino Jorge Mario Bergoglio. Da Papa, egli ne ha ripreso spesso gli approcci in prediche e testi, e ritorna continuamente su questa idea centrale, che rappresenta un tema conduttore della sua riflessione su Dio: Dio è e vuole inclusione; egli opera questa inclusione negli uomini e con gli uomini e insieme a loro vuole operare l'inclusione degli esclusi, affinché tutti partecipino alla pienezza della vita. Il pericolo basilare della nostra cultura, dunque, è rappre­ sentato dall'esclusione, anche nel senso di un'esclusione di Dio dalla cultura del quotidiano frutto dell'indifferenza dei credenti nei confronti dei bisognosi: «Quando nel no­ stro cuore trova posto il più piccolo dei nostri fratelli, è Dio stesso che vi trova posto. Quando quel fratello viene lasciato fuori, è Dio stesso che non viene accolto».13 Le metafore esclusione/ emarginazione e inserimen­ to/ inclusione per molti aspetti possono essere ritenute istruttive riguardo alla situazione della riflessione su Dio. Al fine di delineare e contestualizzare la «dottrina» di Dio di papa Francesco, voglio attribuire a tali metafore una funzione ermeneutica chiave; e questo sia in considerazio­ ne delle loro ricadute in teologia fondamentale e pastorale fondamentale, come anche nella spiritualità, sia anche per 13 FRANCESCO, Omelia, Concistoro per la creazione dei nuovi cardinali, Basilica Vaticana 23 febbraio 2014.

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i loro riferimenti ai temi principali della teologia dogma­ tica.14 L'orientamento di teologia fondamentale e di pasto­ rale fondamentale della sua dottrina di Dio è caratteriz­ zato dal ritenere che sia una contraddizione l'esclusione reciproca tra il rapporto con Dio e la presenza nel mondo dell'uomo, così come si è fissata a partire dall'Illuminismo europeo, almeno nella cultura intellettuale occidentale. Questa prospettiva inclusiva era stata stabilita dal nume­ ro 38 della GS, dove si parla della presenza della Chiesa nel mondo come sua vocazione elementare e tale vocazione viene intesa a partire dall'incarnazione del Verbo: Il Verbo di Dio, per mezzo del quale tutto è stato creato, fattosi carne lui stesso e venuto ad abitare sulla terra degli uomini, entrò nella storia del mondo come uomo peifetto, assumendo questa e ricapitolandola in sé. Egli ci rivela "che Dio è carità" (1 Gv 4,8) e insieme ci insegna che la legge

14 È caratteristico della teologia del popolo ispirata soprattutto da Lucio Gera, che queste dimensioni del discorso su Dio si pos­ sano sviluppare solo contestualmente. Su Gera, cfr. M. EcKHOLT, ,, ... bei mir enJJàchst die Theologi,e aus der Pastora!". Lucio Gera - ein ,,Lehrer der Theologie" von Papst Franziskus, in: Stimmen der Zeit 232 (2014), 157-172. Cfr. L. GERA, Evangelisierung und Forderung des Menschen, in P. HùNERMANN - J. C. ScANNONE (eds.), Lateinamerika und die katholische Soziallehre: ein deutsch-lateinamerikanisches Dialogpro­ gramm, Parte 1: Wissenschaft und kulturelle Praxis, Evangelisierung, Grii­

newald, Mainz 1989, 245-299.

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fondamentale della umana perfezione, e perciò anche della trasformazione del mondo, è il nuovo comandamento dell'a­ more. Coloro pertanto che credono alla carità divina, sono da lui resi certi che la strada della carità è aperta a tutti gli uomini e che gli .ifo,z,i intesi a realizzare la fraternità universale non sono vani.

La presenza incarnata del Verbo di Dio nel mondo costituisce il metro di misura della missione della Chiesa, la quale - come la missione del Logos che si è fatto carne - dev'essere una presenza di servizio, affinché gli uomi­ ni possano riconoscere e comprendere attraverso l'amo­ re la sua presenza, e la loro vocazione alla partecipazione all'amore di Dio che porta a perfezione il mondo.15 In Gesù Cristo, Dio rivela all'uomo la sua umanità e la dignità divina che gli è propria. È da qui, allora, che prende spun­ to tutta la riflessione cristiana su Dio. E pure da qui deve nascere una riflessione che includa questa visione all'in­ terno della dignità eterna dell'uomo come nell'impegno per essa. Il numero 27 del documento post-sinodale Eccle­ sia in America di Giovanni Paolo II, del 22 gennaio 1999, esprime tale importante intenzione teologica e pastorale di fondo: «Gesù Cristo è [ ... ] il volto umano di Dio e il volto divino dell'uomo». 16 15

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Cfr. l'articolo 3 della GS che allude a Mc 10,44-45. La frase è ripresa in Aparecida, n. 392.

Da un punto di vista cristiano si può parlare di Dio se ci si riferisce in modo coerente ali' autorivelazione di olo s Dio in Gesù Cristo. L'idea di Dio deve riferirsi a questa realtà di Dio, deve riflettere su di essa, 17 chiarirla nella fede e fare riferimento alla realtà della vita umana nel mondo e nella storia. Anche e in modo particolare per la riflessio­ ne su Dio vale il principio che gli «apparati concettuali» esistono per «favorire il contatto con la realtà [ ... ] e non per allontanarci da essa» (Evangelii gaudium, n. 194, EG). Ma proprio guardando alla storia della teologia, difficil­ mente ci si può sottrarre a una comprensione critica: «L'i­ dea staccata dalla realtà origina idealismi e nominalismi inefficaci, che al massimo classificano o definiscono, ma non coinvolgono. Ciò che coinvolge è la realtà illuminata dal ragionamento» (EG, n. 194 e n. 232). L'uomo viene messo in discussione e sfidato fin nel più profondo del proprio essere dalla realtà di Dio, così come essa gli viene incontro in Gesù Cristo e se ne impossessa nello Spirito Santo. L'uomo si abbandona a tale realtà quando lascia che all'interno della sua vita parli il Logos di Dio così come è pronunciato e ha preso forma nella vita umana di Gesù Cristo. Il Logos di Dio parla là dove gli uomini percepisco­ no in Gesù Cristo il volto di Dio: presenza provocatoria 17

Così è enunciata una delle massime guida di papa France­ sco, che egli ripete spesso: «La verità è più importante dell'idea» (EG, n. 231; Laudato sì, n. 110).

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di Dio nel mondo degli uomini. In modo molto concreto, il Logos di Dio parla e lo si legge in coloro che Gesù Cristo vuole incontrare qui e oggi: nei poveri e negli esclusi, che invitano i loro fratelli e sorelle - i fratelli e le sorelle di Gesù Cristo - ad aprirsi alla signoria di Dio aprendosi alla compassione per i «più piccoli» (cfr. Mt25,31-46). La loro realtà mostra il volto divino dell'uomo; di quell'uomo, partecipando alla vita del quale Dio pone la sua «gloria», nel riconoscimento del quale come fratello o sorella di Cristo Dio stesso vuole essere riconosciuto e onorato. L'incontro con Dio e con Cristo nei poveri rivela il loro «volto divino». È una realtà che spinge tutti quelli che in questo incontro si lasciano toccare intimamente alla loro vocazione e dignità divina di testimoniare ai poveri la volontà buona di Dio in quanto creatore: quella cioè di diventare egli stesso realtà in un mondo che umilia e disprezza l'uomo. La realtà di Dio mette a confronto gli uomini con la realtà dell'essere umano. Altrimenti, Dio non vuole essere né cercato né trovato. Gli uomini sono immagine di Dio. Il suo Cristo è l'icona di Dio nella quale gli uomini devono riconoscere chi è Dio e com'è Dio. 18 Egli è il «volto di Dio [ ... ]per mezzo del quale Dio diviene visibile e si rivela». 19 18

Il Figlio è «irradiazione della gloria [del Padre] e impron­ ta della sua sostanza» (Eb 1,3a), è «immagine del Dio invisibile» (Co/1,15). 19 CLEMENTE ALESSANDRINO, Paidagogos I, 57, 2.

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I poveri e gli esclusi sono immagine di Dio e sua supplica vivente di non venire disonorato in loro. I credenti sono immagine di Dio; e lo sono quanto più - per la grazia di Cristo - la volontà buona di Dio viene mostrata in loro e diventa realtà nel mondo. In tal modo abbiamo delineato il quadro di una dottrina di Dio, come la si può articolare a partire dalla teologia della liberazione del popolo e come la si può riconoscere in molti testi e dichiarazioni dell'uo­ mo di Chiesa Jorge Mario Bergoglio, in definitiva cioè di papa Francesco.

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II DIO CREATORE E LA SUA PASSIONE DI CREATORE CAPITOLO

Quando si parla dell'uomo come immagine di Dio, la prima cosa a cui si pensa è l'opera creatrice di Dio, così come viene testimoniata nel primo capitolo del libro del­ la Genesi (1,26-27). I termini ebraici che vengono usati in quel caso ($elem, demiìth) come anche il loro contesto caratterizzano gli uomini come collaboratori di Dio nella sua creazione: 1 non devono sottomettere la terra al loro dominio, ma svilupparla e goderne insieme a Lui. Per gli uomini, la creazione appare un dono buono e insieme un compito provocante; essa - come sollecitato con insisten­ za nell'enciclica Laudato si' (LS) di fronte a una distruzione dell'ambiente in via di estinzione - è affidata alla cura degli uomini, perché rimanga un dono buono di Dio. Se si parla in questo senso dell'uomo come colla­ boratore di Dio Creatore, ciò presuppone una teologia della creazione che intenda la creazione come un processo iniziato e sostenuto da Dio, come creatio contz'nua seu con­ tinuata. Ciò corrisponde alle concezioni delle moderne Cfr. LS, n. 117 con riferimento all'enciclica Centesimus annus del 1 maggio 1991, n. 37 di Giovanni Paolo Il. 1

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teorie evoluzionistiche, ma trova senz'altro le sue radici proprio nelle tradizioni cristiane di fede. Per il gesuita papa Francesco, a partire dalla sua formazione ignaziana il teologumeno della creatio continua acquista un significato spirituale ed etico-teologico centrale. Nella «contempla­ zione per giungere all'amore» del suo libro degli Esercizi spirituali (ES), Ignazio di Loyola ha aperto una prospettiva spirituale della creazione che appare estremamente sor­ prendente per il suo tempo e che conduce a un'esperienza della creazione a partire dalla quale si possono validamen­ te definire anche le attuali sfide nel rapporto con il dono della creazione. Nei suoi testi, papa Francesco ritorna più volte su queste pagine, direttamente o indirettamente. È dunque certamente sensato riportare in questo contesto i passi importanti relativi alla teologia della creazione che si trovano negli ES di sant'Ignazio: Nel primo punto richiamo alla memoria i benefici ricevuti: la creazione, la redenzione, i doniparticolari; esamino con molto amore quanto Dio nostro Signore hafatto per me e quanto mi ha dato di quello che ha;poi ancora quanto egli desidera darsi a me, in tutto quello chepuò, secondo la sua divina disposizione. Quindi rifletto su me stesso, considerando che cosa è ragionevole e giusto che io, da parte mia, offra e doni alla sua divina Ma­ està[. ..]. Nel secondo punto osservo come Dio è presente nelle creature: negli elementi dando l'esistenza, nellepiante dando la vita, negli animali dando la sensibilità, negli uomini dando l'intelligenza; e così èpresente in me, dandomi l'esistenza, la vita, la sensibi-

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lità, l'intelligenza,· inoltre fa di me un suo tempio, poiché sono creato a immagine e somiglianza della sua divina Maestà [. . .]. Nel terzo punto considero come Dio opera ed è attivo per me in tutte le realtà di questo mondo, a somiglianza di uno che lavora: cosi� per esempio, nei cieli, negli elementi; nellepiante, nei frutti, negli armenti; e via dicendo, dando l'esistenza, la conservazione, la vita, la sensibilità, e così via [. . .]. Nel quarto punto osservo come tutti i beni e i doni discendo­ no dall'alto: per esempio, la mia limitata potenza discende da quella somma e infinita di lassù, e così la giustizia, la bontà, la pietà, la misericordia, e via dicendo, come i raggi discendono dal sole, le acque dalla sorgente, e così via [. . .).2

È sorprendente il modo con cui Ignazio dipinge il dimorare di Dio nelle sue creature e soprattutto (ma non

esclusivamente) nell'uomo: stando alla comprensione del­ la creazione che ha Ignazio, Dio opera in ciò che costitui­ sce la dignità delle sue creature, affinché possano portarla a compimento e sviluppare il proprio essere. Egli «cerca» di farle esprimere per ciò che esse sono per dono suo. In particolare, egli fa dell'uomo la sua dimora, il suo tempio in cui si manifestano e devono agire nel mondo la sua poten­ za, giustizia, bontà, amicizia, misericordia. Le potenze che Dio ha dato agli uomini - la libertà, la memoria, la ragione, la volontà, tutto ciò che essi hanno e possiedono3 - vanno 2 3

ES, nn. 234-237. Cfr. Ibidem, n. 234, secondo capoverso.

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ricondotte a Colui che dimora in questo tempio - messe a sua disposizione - affinché ne faccia suoi strumenti per far giungere la creazione a quello sviluppo che il Creatore le ha posto dentro. Ciò che Dio ha posto nella sua creazione e nel suo operato in essa, si sviluppa nell'amore che anima nel suo operare il Creatore e a cui egli vuole che partecipino gli uomini, affinché riconoscano l'opera della sua creazione come suo «lavoro» amorevole e vi collaborino. La teo­ logia della creazione di Ignazio si colloca qui nell'ambito della sua meditazione per giungere all'amore. L'uomo può sentire l'amore come la realtà più intima di tutto l'essere e può farsi possedere da questo amore quando coglie il lavoro che Dio compie amorevolmente nella creazione e sulla creazione e lo contempla nella sua bellezza. Tuttavia, «l'amore si deve porre più nei fatti che nelle parole». 4 Ma quando l'amore che viene da Dio si realizza nell'uomo, allora si può dire che: «L'amore consiste in un reciproco scambio di beni, cioè l'amante dà e comunica all'amato quello che ha o una parte di quello che ha o può, e a sua volta l'amato lo dà all'amante». 5 Si parla dunque proprio Ibidem, n. 230; citato in Amoris Laetitia (AL), n. 94. Ibidem, n. 231; cfr. il piccolo commento su questo passo di W. LAMBERT, ,,Die Liebe besteht im Mitteilen von beiden Seiten". Von der Herzmitte ignatianischer Spiritualitat, in: TH. GERTLER - ST. CH. KESSLER - W. LAMBERT (eds.), Zur grojeren Ehre Gottes. Ignatius von Loyola neu entdeckt far die Theologie der Gegenwart, Herder, Freiburg 4 5

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di restituire a Dio - il quale ama per primo - ciò che l'uo­ mo ha ricevuto; ma si dice pure, in modo meno esplicito, che Dio è anche colui che riceve l'amore, e vi è almeno la tendenza a dire che Dio ha bisogno di quello che gli viene restituito: affinché la sua volontà d'amare si realizzi nella creazione e la porti a fiorire. Totalmente in linea con il libro degli esercizi ignazia­ ni, l'enciclica LS parla dell'inabitazione di Dio nella crea­ zione che egli in modo attivo crea e porta a compimento, del suo «lavoro» dentro la creazione e con la creazione che deve stimolare gli uomini a divenire suoi collaboratori. Dio è «presente nel più intimo di ogni cosa senza condi­ zionare l'autonomia della sua creatura» (LS, n. 80). Ogni volta egli crea di nuovo la realtà propria delle creature, in un certo senso limitando se stesso e consentendo alle creature di determinarsi. 6 Così il Creatore vorrebbe «agire Basel- Wien 2006, 141-159. A questo passo degli ES si riferisce in modo alquanto indiretto AL, ma lo fa in un passo centrale (n. 157), quando parla di come nell'amore erotico le persone divengano un dono reciproco. 6 La metafora dell'autolimitazione di Dio Creatore è molto diffusa nella teologia attuale. Proviene probabilmente dalla mistica giudaica medievale, si incontra in Isacco Luria ed è stata ripresa per esempio da Jiirgen Moltmann. Essa presuppone una logica spazia­ le dell'approccio: Dio deve, per così dire, limitarsi per fare spazio accanto a sé alla creatura. Se non trattenesse la sua potente onnipre­ senza, alle creature non potrebbe spettare una potenza autonoma di agire. Esse sarebbero «coperte» dall'auto-potenza di Dio. Il car-

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con noi»; conta sulla nostra collaborazione: sul fatto cioè che consideriamo i contesti e gli sviluppi dolorosi con cui ci confrontiamo nel mondo come «le doglie del parto» di qualcosa di più alto e perfetto, che ci stimola «a collabora­ re con il Creatore» (Ll, n. 80). Ciò, tuttavia, non significa che, siccome Dio in que­ sto senso è immanente alla creazione, in quanto Creatore egli sia integrato in essa. Si dovrebbe parlare piuttosto di una trascendenza-immanenza del Creatore: l'opera creati­ va graziosa di Dio nella creazione le permette di superare se stessa, partecipando così della trascendenza di Dio. La clinale Walter Kasper formula questa idea con una sequenza logica: «Dio è sovrano e onnipotente proprio per il fatto che può com­ pletamente trattenersi» � KASPER, Misericordia. Concetto fondamen­ tale del vangelo - Chiave della vita cristiana, Queriniana, Brescia 22013, 138 [Barmherzigkeit. Grundbegriff des Evangeliums - Schliissel christlichen Lebens, Herder, Freiburg - Basel -Wien 52015, 95]). Se - stando al ragionamento di LS - il rapporto tra Creatore e creatura viene compreso secondo una logica comunicativa, la metafora del limi­ tarsi di Dio non appare sempre adeguata. In effetti, Dio non limita se stesso, ma si realizza nella sua disponibilità e capacità di creare relazioni proprio perché chiama le sue creature - e in particolare gli uomini - a essere partner autonomi, e le chiama a entrare nella loro libertà, nel fatto quindi che egli si dà a loro «in tutto quello che può» (ES, n. 234; cfr. W LAMBERT, ,,Die Liebe besteht im Mittei­ len von beiden Seiten", cit., 146). Cfr. in modo più approfondito: J. WERBICK, Un Dio coinvolgente. Dottn·na teologica su Dio, Queriniana, Brescia 2010, 417-421 (Gott verbindlich. Bine theologische Gotteslehre, Herder, Freiburg - Basel - Wien 2007, 402-406). 30

creazione intera anzi - dice LS - è «composta da sistemi aperti che entrano in comunicazione gli uni con gli altri» e nei quali si possono scoprire «innumerevoli forme di relazione e partecipazione». E questo «ci porta anche a pensare l'insieme [dell'universo] come aperto alla trascen­ denza di Dio, all'interno della quale si sviluppa» (n. 79). Dio Creatore è immanente nell'universo creato in un modo tale da renderlo capace di autotrascendersi nelle molteplici relazioni e interazioni che stabiliscono e colle­ gano tra loro i suoi sistemi parziali aperti. Il suo inabitare spinge i sistemi parziali a sviluppare modalità di conviven­ za nelle quali si realizzino una sempre maggiore parteci­ pazione e inclusione e si superino l'esclusione o il distac­ co di singoli elementi. Gli uomini sono collaboratori del Creatore, quando in libertà e amore si lasciano afferrare dalla trans-immanenza di Dio - dall'inabitazione di Dio che libera e stimola - e cercano di vivere operando in­ sieme a lui come autotrascendenza d'amore verso quella pienezza a cui il Creatore ha destinato la creazione. «Il traguardo del cammino dell'universo» - così si esprime LS ispirandosi al teologo gesuita e paleontologo Pierre Teilhard de Chardin « è nella pienezza di Dio, che è stata già raggiunta da Cristo risorto, fulcro della maturazione universale» (n. 83). In questa tradizione, allora, la creazione non è un re­ altà esterna a Dio. In essa e con essa Dio esce da sé; in essa comunica se stesso e il suo amore. In Ll si dice: «Tutto l'universo materiale è un linguaggio dell'amore di Dio, del 31

suo affetto smisurato per noi. Suolo, acqua, montagne, tutto è carezza di Dio» (n. 84). In ogni cosa il Creatore vuole mostrarci e farci sentire il suo amore, vuole ispirar­ ci ad aderire e a partecipare a esso. L'uscire-da-sé di Dio conferisce all'intera creazione una dinamica interiore di superamento-di-sé, che viene aiutata coscientemente dagli uomini e deve così tornare utile anche alle altre creature. Dunque, non è mai consentito disporre delle altre realtà create solo in funzione degli interessi propri dell'uomo. Seguendo l'esempio di san Francesco, non è consentito «fare della realtà un mero oggetto [o mezzo] di uso e di dominio» (LS, n. 11). La grandezza e la bellezza della creazione vuole e deve esprimere la gloria del Creatore e la sua delicata attenzione per gli uomini (cfr. Ll, n. 12). Gli uomini la proteggono e la difendono e danno gloria al Creatore quando non guardano alle realtà create solo come a delle risorse da sfruttare, ma come a delle realtà a se stanti, di cui possono gioire e di cui sono chiamati a co­ gliere la bellezza che va al di là della loro utilità immediata: «Prestare attenzione alla bellezza e amarla ci aiuta ad usci­ re dal pragmatismo utilitaristico. Quando non si impara a fermarsi ad ammirare ed apprezzare il bello, non è strano che ogni cosa si trasformi in oggetto di uso e abuso senza scrupoli» (Ll, n. 215; cfr. n. 29). La creazione porta a riconoscere in Dio colui che ha fatto un dono intimamente buono, che «ha affidato il mondo all'essere umano», ma che gli ha già dato in dono la sua stessa vita, dono tuttavia «che deve essere protet32

to da diverse forme di degrado». « Sulla base della prima originaria donazione delle cose» come già della propria vita, gli uomini sono spinti a forgiare nel miglior modo possibile il mondo che è di tutti - degli altri uomini, dei posteri come anche delle altre creature - affinché ritorni a vantaggio di tutto quello che Dio ha voluto dare e con­ dividere nella creazione (cfr. LS, n. 5). La creazione vista come dono di Dio, quindi, significa onorare colui che ha dato questi buoni doni, assumendone la corresponsabilità perché questo suo dono sia e rimanga buono.

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III DONO DI DIO - STIMOLO DI DIO CAPITOLO

Secondo Laudato si' (L5), la creazione fa conoscere il «piano d'amore» di Dio, perché gli uomini si lascino coinvolgere in esso cooperando alla sua realizzazione. Dio conta sugli uomini per questo suo progetto. Anzi, si rende dipendente da loro, affrontando così palesemente un rischio enorme. Ma gli uomini si lasceranno effettiva­ mente convincere a cooperare con l'amore di Dio, con il suo lavoro dentro la creazione e con la creazione? La fede biblica nella creazione vi fa affidamento in modo determi­ nante: «Il Creatore non ci abbandona, non fa mai marcia indietro nel suo progetto di amore, non si pente di averci creato» (Ll, n. 13). Questa fede è messa in questione dalle esperienze ca­ tastrofiche che avvengono nella natura e nella storia, le quali fanno sorgere in molti il dubbio che effettivamente si possa riconoscere nella creazione un «piano d'amore», un amore che renda per loro un dono la creazione affin­ ché ne possano gioire e crescere nell'amore testimoniato da questo dono. Si è costretti a constatare che gli uomini maltrattano e rovinano il buon dono di Dio, sfruttano e arraffano senza ritegno quello che possono. Ci si può do­ mandare perché venga accordato agli uomini tanto potere

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cli fare il male. È questo l'inevitabile prezzo da pagare per il loro potere cli fare il bene? Se fosse così, secondo l'otti­ ca umana (basta considerare le catastrofi dell'umanità del ventesimo secolo, come già anche quelle del ventunesi­ mo), il Creatore non avrebbe corso in modo irresponsabi­ le un alto rischio? Ma è lecito, è possibile porre in assoluto una tale domanda? Se lo sono chiesto non solo i critici della re­ ligione del diciannovesimo e del ventesimo secolo. Se lo sono chiesto anche le vittime della «fabbrica cli morte» cli Auschwitz, i sopravvissuti e i testimoni, i contemporanei e quelli nati dopo le guerre mondiali. I cristiani sentiva­ no cli essere non solo interpellati dall'esterno, ma messi in discussione internamente dal dubbio: « Se il buon Dio ha creato il mondo perché il diavolo se lo porti via, al­ lora avrebbe fatto molto meglio a lasciar perdere». 1 In opposizione alla tradizionale dottrina della fede cristiana, Schopenhauer ha esasperato in senso sarcastico ciò che nel ventesimo secolo lo scrittore cli origine ebraica Elias Canetti con profondo stupore esistenziale ha constatato nelle sue annotazioni: «Mi pare mostruosa l'idea che a qualcuno la vita sia stata donata». 2 A. ScHOPENHAUER, Parerga und Paralipomena II, Siimtliche Wer­ ke, in W FREIHERR VON LOHNEYSEN (ed.), Taschenbuchausgabe Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1986, vol. V, 431. 2 E. CANETTI, Die Provinz des Menschen. Aufzeichnungen 1942 1972, Hanser, Miinchen 1973, 309 1

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Il fatto che gli uomini possano trasformare la terra in un inferno per gli altri uomini, non è soltanto un'espe­ rienza del ventesimo secolo. Inoltre, il fatto che essi co­ operano a lasciare ai posteri una terra nella quale sono deteriorate le basi elementari della vita, non è solo una mi­ naccia per gli uomini di oggi, ma è anche l'occasione che ha dato origine all'enciclica Ll. E tuttavia, gli uomini sono continuamente colpiti da catastrofi. naturali che li lasciano perplessi e li spingono a chiedersi come sia possibile che al buon dono della creazione sia associato così tanto dolore e che esso provochi tanta disperazione negli uomini che sono vittime di tali catastrofi. La teologia non ha risposte adeguate alla serietà di queste domande e che eliminino la contestazione che vi è collegata. Con un neologismo del filosofo tedesco Gottfri­ ed Wilhelm Leibniz, queste interpellanze sono state rias­ sunte sotto il titolo di questione della teodicea. 3 La questione della teodicea costituisce per così dire lo sfondo oscuro a prescindere dal quale non si può mai parlare in senso bibli­ co-cristiano della creazione. Su tale sfondo si deve in ogni caso trovare una giustificazione al fatto che, anche davanti 3

Cfr. G. W LEIBNIZ, Saggi di teodicea su/la bontà di Dio, su/la libertà dell'uomo, sull'origine del male, V. MATHIEU (ed.), nuova ed. ita­ liana, San Paolo, Cinisello Balsamo 1994 [Die Theodizee. Von der Giite Gottes, der Freiheit des Menschen und dem Ursprung des Ubels, in H. HERRING (ed.), Philosophische Schriften, voi. II, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Darmstadt 1985].

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al male morale e alle esperienze dolorose nella creazione - in linguaggio teologico: il malum morale, del quale sono responsabili gli uomini, e il malum pf?ysicum, legato alla di­ namica naturale dei processi che avvengono nel mondo-, rimane aperta la possibilità di fede di parlare di un Dio cre­ atore che ama, la cui creazione è un dono buono per gli uomini, un dono che testimonia il suo amore e che lo vuo­ le comunicare. La questione del malum pf?ysicum pone quella della pre-datità del male fisico [Ùbel], che sembra contraddire immediatamente l'idea della creazione come dono buono. Si è tentato anche di ricondurre il male fisico che precede l'agire umano a un malum morale, che nel malum pf?ysicum - la morte del corpo, l'abbattimento di catastrofi naturali e la carenza di vita di ogni tipo - punirebbe giustamente tutti gli uomini; è questa la visione di Agostino, il quale ne attribuisce la responsabilità a un peccato originario ini­ ziale4. Difficilmente, però, questa concezione può essere mantenuta, essendo oggi la dottrina ecclesiale del peccato originale diventata di nuovo significativa e oggetto di ri­ flessione. Attualmente si apre un'altra via di approccio al mistero del male fisico e del male morale, da cui l'essere 4

Cfr. la sua affermazione lapidaria: «Il sostantivo "male" viene utilizzato in un duplice modo: per quello che l'uomo fa e per quello che l'uomo subisce; l'uno significa il peccato, l'altro la punizione per il peccato» (AGOSTINO, Contra Adamantium 26, PL 42, 169).

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umano è già determinato prima ancora che il mondo e l'io possano determinare l'agire umano, una cosa che quindi definisce in tal senso la situazione della libertà umana. L'universo è un work in progress, un processo di au­ tosviluppo e di differenziazione che le osservazioni e le costruzioni teoretiche umane possono «almeno un po'» abbracciare con lo sguardo oppure estrapolare in modo più o meno speculativo da ciò che è osservabile, per poi combinarlo nuovamente, nei limiti del possibile, con i corrispondenti dati provenienti dall'osservazione. Avva­ lendosi di modelli evolutivi, in una certa misura gli uomini possono comprendere statisticamente lo sviluppo di rap­ porti di interazione estremamente incredibili, dai quali si può derivare in ultima analisi la formazione e lo sviluppo delle galassie, del nostro sistema solare e lo sviluppo evo­ lutivo della vita sul nostro pianeta. Tali rapporti sono tan­ to complessi e talmente incalcolabili per la ricerca umana che almeno l'affermazione critica nei confronti della teo­ dicea - secondo la quale un Dio volenteroso avrebbe po­ tuto condurre lo sviluppo degli uomini per un'altra strada che non li avrebbe esposti all'infinita sofferenza e morte sulla terra - non può essere considerata giustificabile. Il tradizionale riferimento all'esempio del malum pf?ysicum dei terremoti e delle catastrofi climatiche che colpisce tanti bambini innocenti, conduce oggi a contesti della storia della terra e del clima, che difficilmente fanno apparire an­ cora pensabile un'alternativa che causi minori sofferenze.

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Una teologia della creazione formulata in modo par­ ticolareggiato e che sia in dialogo con le scienze empiri­ che potrà parlare senz'altro di Dio come della sorgente di tutto l'essere, e della creazione come dell'opera della sua buona volontà. Ma, per esempio, comprenderà la creazio­ ne nel senso che abbiamo delineato come work in progress, il quale si realizza secondo delle leggi materiali interne, per cui non si possono escogitare altre vie concretamen­ te realizzabili. Ciò induce a ritenere che l'opera creativa di Dio segua delle leggi materiali che anche lui non potreb­ be mutare a piacimento. Questa ipotesi sarebbe contra­ ria all'onnipotenza creativa di Dio solo nel caso in cui si intendesse quest'ultima come il potere di poter volere e realizzare tutto ciò che è possibile. Ma questo - come si vedrà - non è una comprensione ragionevole di onnipo­ tenza. Anche per Dio è possibile non ciò che si vuole, ma solo ciò che è possibile in sé. Se nel caso della sua creazione si è trattato per lui di chiamare liberamente all'esistenza i collaboratori al suo amore - i «co-amanti»5 -, questa vi­ sione della creazione può averlo legato alla legge materiale di un processo, al quale anche per lui non esistevano e non esistono alternative capaci di causare minori sofferenze. Con questa riflessione non si dà una risposta alla questione della teodicea del malum pf?ysicum, ma - tenen5

DuNs ScoTo: «Dio vuole co-amanti» («Deus vult condili­ gentes») (Opus Oxoniense III d. 32 q. 1 n. 6). 40

do presente le nostre conoscenze attuali - lo si può solo mantenere aperto. Da credenti non esistono argomenti incontrovertibili che obblighino a escludere un Dio che ama come creatore dell'universo. Ciò non è escluso nean­ che dall'affermazione di fede centrale di Ll, secondo cui Dio ha creato un «mondo bisognoso di sviluppo, dove molte cose che noi consideriamo mali, pericoli o fonti di sofferenza, fanno parte in realtà dei dolori del parto, che ci stimolano a collaborare con il Creatore» (Ll, n. 80). Nella prospettiva di fede, il mondo è uno stimolo di Dio per gli uomini, perché impegnino e sviluppino tutte le loro possibilità umane e collaborino affinché la buona volontà di Dio diventi - sempre più - realtà in esso. Essere uomini significa, deve significare, non solo diventare ca-soggetti del bene e del bello che è possibile in questo mondo, ma assumersi in questo modo anche la corresponsabilità del futuro di questo mondo. La dignità dell'uomo risiede pro­ prio nel fatto che egli non solo subisce e sperimenta il di­ venire del mondo e l'evoluzione di ciò che è così possibile, ma è chiamato a collaborare affinché ciò divenga realtà e a ca-decidere il come ciò diviene realtà. Il lavoro e la «fa­ tica» di Dio nel divenire del mondo (Ignazio di Loyola) vogliono e devono essere condivisi e assunti insieme da­ gli uomini. Ciò avviene in una cooperazione - legata alla legge materiale della differenziazione evolutiva - con le dinamiche della creatz'o continua che il Dio della creazione condivide, nella quale il Creatore «investe» se stesso e si può riconoscere la sua buona volontà verso le creature. 41

La tradizione ignaziana dell'idea di creazione ripresa da papa Francesco pone un accento panenteistico più forte rispetto al «mainstream» della dottrina cristiana della crea­ zione. In questo appare più attuale rispetto a un'idea di creazione secondo cui questa va intesa come un'opera ar­ tigianale fatta dall'esterno. Nella sua azione creativa, Dio - metaforicamente parlando - va «oltre se stesso». Egli vive e opera nella sua creazione, ma senza identificarsi con essa. In tal modo è tracciato il confine con il panteismo. L'onnipotenza di Dio creatore si realizza proprio nel fatto che egli partecipa a ciò che è altro la sua stessa autonomia e indipendenza e, riguardo all'uomo, la libertà (cfr. LS, n. 80). 6 Solo con difficoltà, questa idea è stata fissata e for­ mulata in modo dettagliato nella teologia e filosofia occi­ dentali, e ha trovato un'espressione definitiva solamente con S0ren Kierkegaard, anche se ancora sempre a tentoni. L'annotazione relativa viene qui citata nel suo contesto: La cosa più elevata in assoluto che può essere fatta per un essere, che supera tutto ciò che si può fare, è questa: renderlo libero. L'onnipotenza consiste anche nel poter fare questo. Ciò appare singolare, proprio perché l'onnipotenza dovreb­ be renderlo dipendente. Ma se si riflette sull'onnipotenza si vedrà che anche in essa deve esserci allo stesso tempo la determinazione di potersi contenere in una qualche misura L'enciclica fa riferimento a Gaudium et Spes, n. 36, quando si parla dell'«autonomia delle realtà terrene». 6

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nell'espressione dell'onnipotenza, in modo che anche per questo ciò che nasce dall'onnipotenza possa diventare indipen­ dente [. . .]. Solo l'onnipotenza può contenersi sacrificando se stessa, e questo rapporto costituisce proprio l'indipendenza di colui che riceve. L'onnipotenza di Dio è dunque la sua bontà. La bontà, infatti, può sacrificare tutta se stessa, ma in modo da rendere indipendente colui che riceve, contenendosi in modo onnipotente. Ogni potere finito rende dipendente. Solo l'onnipotenza permette di rendere indipendenti, di creare dal nulla ciò che riceve l'esistenza interiore dal fatto che l'onnipotenza si contiene continuamente. L'onnipotenza non è opportuna in un rapporto con altri, poiché non esiste qualcos'altro con cui rapportarsi; no: essa è capace di dare senza tuttavia rinunciare minimamente al suo potere, cioè può rendere indipendente. È questa la cosa inconcepibile, che cioè l'onnipotenza non può semplicemente creare la cosa più imponente, la totalità del mondo visibile, ma può anche creare la cosa piùfragile, ossia un essere indipendente rispetto all'onnipotenza [. . .]. La creazione dal nulla, lo ripeto, esprime l'onnipotenza dipoter rendere indipendente. 7

Kierkegaard pensa la libertà dell'uomo non come originaria in stessa, ma come creata da Dio. L'esperienza della presenza personale di Dio nel dono della mia vita, del mio mondo, mi dà la possibilità di aderire a questa presenza 7 S. K.IERKEGAARD, &flexionen iiber Christentum und Naturwissen­ scheft, in E. HIRSCH-H. GERDES (eds.), Gesammelte Werke, 17. Abtei­ lung, Giitersloher Verlagshaus, Giitersloh 1983, 124s.

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provocante di Dio, di aprirmi ad essa, di farmi rapire dalla sua bellezza, di lasciarmi prendere da essa, di farle spazio in me e nel mondo, di diventare un Io in essa e a partire da essa8 - oppure, cosa difficile da comprendere, di negarsi a essa. Si tratta di una presenza personale che chiama l'uo­ mo e che in primo luogo gli concede la possibilità di sco­ prire in questa chiamata che egli, in quanto destinatario di tale chiamata, può essere se stesso e (co)soggetto della sua vita e del suo mondo e in tal senso può rispondere a quella chiamata: in tale presenza opera l'onnipotente potere rela­ zionale dell'amore di Dio, la sua inesauribile disponibilità alla relazione nella quale vuole essere presente insieme agli uomini e per gli uomini. 9 Riguardo all'intera creazione si 8

Così anche il testo citato va letto in rapporto alla teoria dell'io dì I