L'esercito romano. Armamento e organizzazione. Da Augusto ai Severi [2] 8884741734


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L'esercito romano. Armamento e organizzazione. Da Augusto ai Severi [2]
 8884741734

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GLI

ARCHI

GIUSEPPE CASCARINO

L'ESERCITO ROMANO

ARMAMENTO E ORGANIZZAZIONE VOL. Il: DA AUGUSfO Al SEVERI ILLU�ìRi\ZIONI DI GIUSEPPE CASCARINO

l/Cerchio

lìiiZ/Otiìii iéiiiOrlOII

Grafica di copertina: Davide Pezzi

© 2008 IL CERCHIO INIZIATIVE EDITORIALI via dell'Allodola, 8- 47900 Rimini Tutti i diritti riservati

ISBN 88-8474-173-4 [email protected] www.ilcerchio.it

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(( . . . Se poi si prende in considerazione anche il resto della loro organizzazione militare, si vedrà che essi posseggono questo grande impero come premio del valore, non come dono della fortuna » ...

Giuseppe Flavio,

La Guerra Giudaica, III, 5, l )

l NTRODVZION E

Il cosiddetto alto impero. termine con il quale si intende generalmente il pe­ riodo compreso tra la fine della repubblica e la crisi del III secolo, offre ali 'appas­ sionato di storia militare romana una consistente quantità di documenti, di testimo­ nianze e di elementi di cultura materiale, in misura di gran lunga superiore a quel la disponibile per il periodo repubblicano. La motivazione risiede probabilmente, ol­ tre che negli effetti a lungo termine della pax augustea e in un generale migliora­ mento del tenore di vita. nell' aumentata diffusione della cultura latina nel mondo di influenza romana di quegli anni, anche grazie all'apporto di un numero crescen­ te di artisti e letterati provenienti dal più evoluto oriente greco. Se tuttavia da un Iato aumenta il numero degli storici e degli scrittori deli' e­ poca che si occupano di storia. nel complesso diminuisce il loro peso specifico sui temi più strettamente mi litari, a volte per evidente incompetenza nella materia. più spesso per mancanza di interesse per gli aspetti tecnici e di dettagl io: manca in buo­ na sostanza un Polibio di epoca augustea o traianea, in grado non solo di illustrare ai propri lettori le istituzioni politiche e giuridiche dello stato romano, ma anche di descrivere come erano fatti uno scudo o una lancia da cavalleria, e quali distanze venivano mantenute dai legionari nello schieramento di battaglia. I maggiori scrit­ tori dell'epoca, come Tacito ad esempio, sono interessati principalmente alla pro­ spettiva storica e politica delle loro opere, e forniscono sugli aspetti militari solo in­ formazioni frammentarie e occasionati, che devono essere estrapolate ed analizzate con grande fatica per aggiungere elementi nuovi al quadro delle cono­ scenze già acquisite attraverso gli scritti di Cesare. Anche lo storico ebreo Giusep­ pe Flavio, che pure poteva vantare esperienze militari per aver combattuto contro gli stessi Romani prima di arrendersi all' ineluttabilità del loro dominio, si limita ad affrontare la tecnica militare romana in poche pagine e con riferimenti marginali, lasciando poco più che qualche vivida descrizione e molte considerazioni morali e politiche. Non sono sopravvissuti trattati militari di autori latini del periodo, anche se in diversi contesti si fa riferimento ad alcune opere specialistiche che sarebbero state scritte da Celso e da Frontino, e ad una serie di regolamenti emanati da Augu-

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sto, da T raiano e da Adriano che ad oggi risultano perduti: lo stesso V egezio, che pure scrive nel V secolo il suo trattato De Re Militari, l'unico del genere in lingua latina, e che aveva potuto consultare quei documenti e probabilmente molti altri che non conosciamo neppure, se ne lamenta in questi termini:"

. . .

gli storici e i libri

ci hanno tramandato solo gli eventi e le imprese delle guerre. mentre tralasciano argomenti, sui quali si svolge oggi la nostra ricerca. come sefossero già noti . . " (l, .

8). La sensazione netta che si ricava è che, al di là del dato di fatto che poco è so­ pravvissuto, ben poco sia stato scritto. Un trattato militare in senso moderno, siste­ matico e completo quanto basta per definirlo tale. La difesa di una città assediata di Enea Tattico, esisteva in Grecia già dal IV secolo a.C. e doveva essere certamen­ te conosciuto dagli stratcghi romani: è difficile credere che ne li 'arco degli otto se­ coli successivi, fino al lavoro di Vegczio, non sia pervenuta traccia di opere del ge­ nere se fossero state scritte e adottate con la finalità di una sorta di manuale di istruzione.

Ad oggi risultano sopravvissute solo alcune opere dal sapore antiquario ed erudito, come la Tecnica Tattica di Arriano, che in pieno Il secolo descriveva la tec­ nica della falange macedone di 500 anni prima, o dedicate ai doveri di generali e

imperatori, come lo Strategikos di Onasandro, tutte rigorosamente in lingua greca. Sulla base di questo singolare vuoto di supporti teorici e di documentazione

specifica, sia pure giustificato dalla possibile perdita di evidenze letterarie. si po­ trebbe concludere che la cultura militare romana era piuttosto una cultura pratica,

ba sata sulla tradizione e sulla consuetudine, conservatrice al punto da limitare al minimo indispensabile l'aspetto teorico e da lasciare il resto dell'istruzione alla

pratica quotidiana e al senso di opportunità. Da qui nasceva l'enorme valore attri­ buito all'esperienza e alla capacità di comandanti altamente professionalizzati come i centurioni, valore che veniva riconosciuto con privilegi di gran lunga supe­ riori a quelli degli uomini della truppa. Le figure dei discentes, ovvero degli istruttori che affiancavano per lungo tempo quasi tutte le figure e i ruoli tecnici dell'esercito romano, e in ultima analisi la nascita delle corporazioni e delle varie scholae professionali, costituiscono un altro indizio dell'importanza dell'esperienza pratica e del tirocinio nel mondo mi­ litare latino; la preparazione teorica doveva insomma rimanere riservata soprattut­ to a figure di elevata cultura e condizione sociale, in grado di leggere il greco e qua­ si sempre deputate ad assumere decisioni ai più alti livelli. Non a caso è stato grazie ad alcune opere minori di carattere pratico e specia­ listico, pervenute attraverso manoscritti medievali meno conosciuti, che è stato possibile acquisire elementi tecnici importanti che, uniti ad altri, concorrono ad au­ mentare il numero delle tessere di un mosaico ancora confuso: il cosiddetto De Mu­ nitionibus Castrorum di Igino ad esempio, un breve trattato pratico ad uso degli agrimensori che descrive le modalità di tracciamento di un campo militare, ha con­ sentito di ottenere preziose informazioni su li'organizzazione e sulla composizione

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numerica delle unità in epoca imperiale. Non mancano invece elementi e informa­ zioni di dettaglio in materia di diritto militare: diversi lavori di giuristi greci e latini di elevato livello, alcuni dei quali militari essi stessi, sono stati compilati e divulga­ ti tra il II e il III secolo, confluendo successivamente nel Digesto di Giustiniano, la monumentale raccolta di leggi del VI secolo. L'iconografia è senza dubbio più ricca rispetto al periodo repubblicano, e manifesta un gusto estetico e un realismo alcune volte determinante per ricostruire con precisione molti dettagli di cultura materiale di quegli anni. Sarebbe tuttavia un errore assumere come uniforme e generalizzata l 'adozione di oggetti, consuetu­ dini e mode che le immagini lasciano intravedere: le esigenze artistiche e propa­ gandistiche, anche in funzione dell ' elevato costo delle riproduzioni, dovevano ne­ cessariamente prendere il sopravvento sul realismo del la rappresentazione, e la loro lettura ai fini della ricostruzione deve essere sottoposta costantemente ad una attenta critica. L'archeologia militare degli ultimi cento anni ha consentito di ampliare in modo inatteso l'orizzonte delle conoscenze, gettando nuova luce su alcune que­ stioni rimaste aperte per secoli e creando nuovi interrogativi e fronti di indagine. La maggior parte delle scoperte è avvenuta ovviamente nelle aree geografiche che una volta costituivano il /imes, ovvero dove stazionarono in permanenza, in molti casi per diversi secoli, le legioni e le unità ausiliarie che presidiavano i confini deli 'im­ pero: soprattutto la linea del Reno e del Danubio, la Britannia e la frontiera del­ l 'Eufrate. Sfortunatamente per gli appassionati italiani, mentre gli studiosi e gli esperti inglesi, francesi e tedeschi hanno avuto maggiori possibilità di indagare e approfondire numerosi aspetti della tecnologia bel lica dell'esercito romano, l' in­ teresse per la materia si è rivelato di nonna assai più limitato per gli studiosi nostra­ ni, assai meno beneficiati dai ritrovamenti e frenati oltretutto da una certa tradizio­ nale riluttanza ad occuparsi di argomenti strettamente militari. La congenita insufficienza di informazioni e soprattutto l ' inesistenza nel mondo antico del con­ cetto di uniformità di armamenti, equipaggiamenti e procedure (idea non sempre chiara tra i cultori della materia) lasciano naturalmente aperte numerose questioni che, in assenza di elementi oggettivi e di auspicabili future nuove scoperte, si pre­ stano a dibattiti e interpretazioni spesso molto personal i : a queste difficoltà tuttavia è sempre doveroso ovviare con gli strumenti del buon senso e soprattutto della co­ noscenza della storia, della lingua, de li 'arte, della cultura e della mental ità antica. Lo scopo di questo lavoro, in linea con quanto proposto nel primo volume, rimane proprio quello di presentare un quadro il più possibile completo, ancorché rigoroso e approfondito, delle attuali conoscenze sulla materia, avvalendosi anche dei con­ tributi e delle verifiche sperimentali di esperti e semplici appassionati, e lasciando il minor spazio possibile alle congetture e alle interpretazioni personali . Ancora una volta desidero ringraziare i l m i o Maestro, il profcssor Giovanni Brizzi, per i consigli e gli insegnamenti ricevuti; Carlo Sansilvestri e Davide Da­ ll'Angelo per l 'assistenza documentale e per la revisione del testo; Elisa Caimi per

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il sempre prezioso sostegno; Luca Bonacina. Ettore Pizzuti. Picrpaolo Siercovich. Emilio Laguardia, Enzo Bonizzi, per la collaborazione iconogratìca; Marco Luc­ chetti per il pregevolissimo materiale dci figurini nelle tavole a colori; e inoltre Francesco Valcriani, Alberto Agostinelli, Setti mio Tcrsigni, Enzo Modica, Mauri­ zio Milana, Giulio Colangeli, Giuseppe Pasqualucci, Tina Daidone, Antonio Pisa­ nelli, Nello e Antonia Cantone, Alessandro Cannilla. Sarò naturalmente grato a quanti vorranno farmi pervenire appunti, osserva­ zioni e suggerimenti di qualsiasi genere. Giuseppe Cascarino

IO

C�pitolo l l'ORGANIZZAZIONE MILITARE NELL'ALTO IMPERO

1.1- lA RIFORMA

DI

AVGVSTO

Le guerre civili tra Cesare e Pompeo, e successivamente quelle tra Ottaviano e Antonio, avevano prodotto un aumento esponenziale del numero di uomini sotto le armi e quindi delle legioni arruolate. Si calcola che alla morte di Cesare fossero operative quasi quaranta legioni, tra quelle stanziate nelle province e quelle che erano state arruo late per la progettata spedizione contro i Parti; Ottaviano, alla fine della guerra contro Antonio, poteva contare su non meno di sessanta legioni. Anche la quantità delle truppe ausiliarie ed alleate arruolate in quegli anni, benché le informazioni disponibili siano ad oggi molto scarse e frammentarie, dovette es­ sere in proporzione particolarmente consistente. L' ingente numero di soldati che era stato necessario arruolare aveva prodot­ to gravi conseguenze sul piano politico e sociale: le successive inevitabili smobili­ tazioni e i premi di congedo per un numero così elevato di uomini avevano costret­ to lo Stato ad espropriare vaste proprietà tcrriere e a dare fondo a tutte le disponibilità finanziarie, creando profonde tensioni interne e un clima di violenze e di instabilità. La stessa concezione del servizio militare e del diritto-dovere di por­ tare le armi aveva subito un grave decadimento qualitativo e motivazionale: per au­ mentare gli organici era stato infatti necessario arruolare molti non cittadini (pere­ grini), diluendo inevitabilmente il senso dello Stato e l'attaccamento ai valori morali e civici che erano alla base dello spirito del cittadino-soldato della repubbli­ ca. Anche se formalmente la coscrizione obbligatoria non fu mai abolita, quello delle armi era diventato ormai un mestiere praticato da chi, privo di proprietà e di interessi nella vita civile, ambiva ai guadagni che potevano scaturire da fortunate campagne militari . Quando nel23 a.C. Ottaviano Augusto si fece conferire dal Senato un impe­ rium proconsolare a vita che lo consacrava capo militare supremo, si trovò nella

li

necessità di riorganizzare le forze armate alla luce di uno scenario ben diverso da quello dci convulsi anni delle guerre civili, e che richiedeva urgentemente ordine e stabilità. Il numero delle legioni, da oltre sessanta, fu ridotto a vcntotto, e rimase sta­ bile per tutto il periodo del suo principato, scendendo a venticinque solo ncl9 d.C., quando le tre legioni di Varo (la XVII,la XVIII e la XIX) furono distrutte nella sel­ va di Teutoburgo.ll numero delle legioni (le tre legioni perdute non furono più rim­ piazzate) rimase sostanzialmente invariato anche nei secoli successivi, subendo solo lievi variazioni in funzione dei mutati assetti strategici: salì a trenta con T raia­ no, e ancora duecento anni dopo, con Settimio Severo, le legioni erano appena tren­ tadue. Nella sostanza l'impianto militare augusteo, sia in termini di organizzazione che in termini di pensiero strategico,rimase ben saldo anche nelle politiche dei suoi successori, lasciando tracce durature fino al principato di Diocleziano e oltre. L'organico della legione fu stabilito in circa 5000 uomini, e articolato sulle consuete dieci coorti; al suo interno fu ripristinato un nucleo di cavalleria di 120 uomini, ovviando ad una carenza nata con la riforma di Mario e che aveva lunga­ mente afflitto gli eserciti di Cesare. Riguardo alle modalità dell'arruolamento delle legioni, Augusto, conscio dei problemi nati dall'eredità delle guerre civili, cercò di riprodurre le condizioni che ne avevano determinato il successo nei tempi migliori dell'epoca repubblica­ na. Pur mantenendo il modello professionale, Augusto fece il possibile per evitare che si arruolassero cittadini di bassa condizione,e per creare interesse tra i cittadini della classe media, soprattutto tra gli italici. La paga base del legionario, che era stata aumentata da Cesare a 225 denari annui, non poté tuttavia essere ulteriormen­ te incrementata a causa del già consistente impegno finanziario: solo per le vcntot­ to legioni infatti, e senza considerare le paghe dci centurioni e dei principa/es, l'esborso annuale per lo Stato superava la somma di 31 milioni di denari. In ogni caso il principio che tutti i cittadini erano tenuti a prestare il servizio militare non fu mai formalmente messo in discussione: in occasione di alcune con­ tingenze particolari, come la rivolta in Pannonia e la disfatta di Tcutoburgo,Augu­ sto lo richiamò con energia, punendo ad esempio con la confisca dci beni e con l'esilio un cavaliere romano che aveva amputato i pollici al figlio per evitargli il servizio militare (Svetonio,Aug., 24. l ). Augusto stabilì inoltre che il giuramento di fedeltà (sacramenlllm), che se­ condo la tradizione repubblicana vincolava il soldato all'obbedienza agli ordini del console o del proprio comandante, doveva essere pronunciato esclusivamente in favore della persona dell'imperatore, e doveva essere ripetuto ogni anno (Tacito, lfist., l, 55). Le truppe ausiliarie (auxilia), che in precedenza venivano arruolate in base a specifiche necessità e poi congedate, furono professionalizzate e inquadrate in modo permanente nelle forLe armate romane, venendo dislocate nelle varie pro­ vince come parte integrante e sostanziale dell'apparato difensivo. Furono organiz-

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Fig. 1.1

- La conquista della Raetia da parte di Druso e Tiberio in un aureo del 16 a.C.

zate in alae di cavalleria e in cohortes di fanteria, unità di consistenza variabile tra i

500 e i l 000 uomini. Le cohortes potevano essere di fanteria semplice, dette pedi­ tatae, oppure miste di fanteria e cavalleria, nel qual caso venivano denominate equitatae. ll loro ruolo crebbe di importanza soprattutto da un punto di vista strate­ gico: la necessità di difendere vasti territori non poteva essere soddisfatta dalla sola presenza delle legioni, il cui limitato numero non era sufficiente per assicurare un presidio capillare dei confini e delle zone occupate. Le truppe ausiliarie furono così dislocate spesso in province rette da procuratori romani, dove costituivano le uni­ che forze militari presenti nel territorio, con l'incarico di svolgere funzioni di ordi­ ne pubblico e di contrasto dei conflitti a bassa intensità; alle legioni, che rimaneva­ no acquartierate in posizioni strategiche a poche giornate di marcia, restava la facoltà di intervento nell'eventualità di una minaccia più consistente. Augusto definì anche una serie di regole per lo sviluppo della carriera milita­

re (cursus ) , misura ormai indispensabile per un esercito di professione, istituziona­

lizzando quelle che fino a quel momento erano state semplici consuetudini: riguar­

do alle posizioni di comando di livello elevato riaffermò il principio dello stretto legame tra carriera politica e servizio militare, e stabilì percorsi di carriera ben defi­ niti e distinti per gli esponenti della classe senatoria e per quelli della classe eque­ stre. Il governo delle province più importanti, presidiate generalmente dalle legio­ ni, fu riservato agli esponenti della classe senatoria, che assumevano il titolo di

legati A ugusti propraetore:

le province con almeno due legioni vennero affidate a

figure di rango consolare, ovvero consoli o ex-consoli, le altre ad un semplice pra­

etor.

Le province meno importanti, dove di solito non erano stanziate legioni ma

truppe ausiliarie, furono affidate invece ad esponenti della classe equestre, i procu­

ratores A ugusti.

Il comando dci corpi armati stanziati nell'Urbe e quello dell'E­

gitto, considerato di pertinenza esclusiva del principe, fu assegnato partenenti all'ordine equestre, ad eccezione del praefectus

urbi:

apraefecti ap­

in questo modo

13

Augusto affidava la propria sicurezza ad uomini di propria scelta e non legati ali'entourage senatorio, garantendosi fedeltà assoluta. La durata di queste cariche, formalmente annuale, rientrava in realtà nella discrezione del principe. L'apice della carriera degli esponenti della classe eque­ stre era costituito dalla nomina a praefectus praetorio (prefetto del pretorio): per i grandi poteri di cui disponeva, e per la necessità di mantenere uno stretto e frequen­ te contatto con l'imperatore, quella del comandante della guardia pretoriana e della piazza di Roma diventò negli anni successivi una figura di grande influenza, in gra­ do di condizionare le decisioni politiche e militari del principe, e di decidere in al­ cuni casi perfino della sua successione. Le legioni furono poste al comando di altrettanti legati Augusti, nominati dal principe tra gli esponenti della classe senatoria: l'incarico durava qualche anno, ed era propedeutico ali'ottenimento di incarichi di rango consolare. 11/egatus veniva assistito da sei tribuni, cinque di classe equestre ed uno di classe senatoria.

1.2- LA

DIFESA DELL'URBE

Per la prima volta fu creata una struttura di difesa e di presidio della città di Roma (Svetonio, Aug., 49), con il fine di proteggere la posizione dcii'imperatore e di assicurare l'ordine pubblico nella capitale. Il provvedimento costituì una netta rottura con la tradizione: mai prima di Augusto una forza armata stabile era stata posta di presidio in Italia ali'interno dei sacri confini del pomoerium, anche se, al­ meno per quanto riguardava le legioni, il principio fu osservato ancora per altri du­ ecento anni, fino allo stabilimento della Il legione Partica ad Albano per opera di Settimio Severo. Nel27 a.C. Augusto istituì una guardia imperiale, detta praetoria, articolata su nove coorti di cittadini, con il compito di assicurare la protezione della persona del principe ed in grado di scortarlo nelle campagne militari esterne. Ogni coorte, comandata da un tribuno, era composta da circa 500 uomini reclutati principal­ mente nelle regioni dell'Italia centro-settentrionale. Nell'organico della guardia, comandata dal prat:fectus pretorio, esisteva anche un reparto di cavalleria di 300 uomini, gli specu/atores Augusti, destinato alla scorta del principe e probabilmente alla gestione di operazioni speciali. Attorno al 13 a.C. fu istituito anche un corpo di milizia cittadina articolato inizialmente su tre coorti, le cohortes urbanae, con compiti principalmente di polizia e di ordine pubblico e più raramente di tipo mili­ tare. Ne1 6 d.C. Augusto creò infine un corpo paramilitare di vigiles adibito quasi esclusivamente alla polizia notturna e alla repressione degli incendi nell'Urbe, or­ ganizzato su sette coorti ( ognuna per vigilare su due dei quattordici quartieri in cui aveva diviso la città) e comandato da un praefectus vigilum.

14

(h

Fig.

C-/B

1.2- Dislocazione delle legioni prima del disastro

Germania

di Teutoburgo (8 d.C.)

Sempre ad Augusto si attribuisce la riorganizzazione della flotta, con l'isti­ tuzione dci due comandi principali, a Miseno per il Mediterraneo occidentale e a Ravenna per quello orientale. 1.3- l SUCCESSORI DI AUGUSTO

Le istituzioni militari create da Augusto furono mantenute pressoché intatte dai suoi successori per almeno due secoli. Se da una parte la concentrazione del po­ tere civile e militare nelle mani del princeps aveva sancito la fine degli antichi idea­ li repubblicani, dall'altra aveva prodotto una situazione di stabilità e di pace inter­ na che le guerre civili della tarda repubblica avevano fatto dimenticare ormai da tempo. l confini del mondo romano, fissati da Augusto sulla base di un pensiero strategico prudente ed equilibrato, rimasero sostanzialmente invariati per secoli: il /imes settentrionale restò fissato saldamente sulla linea naturale del Reno e del Da­ nubio, mentre i confini orientali trovarono un equilibrio più o meno stabile con il regno dei Parti, anche grazie al consolidamento di alcuni stati clienti intermedi (vedi fig. 1.2). A partire dal completamento dell'espansione augustea l'esercito acquisì e mantenne, fatta eccezione per i periodi delle conquiste di Claudio e di Traiano, una funzione sostanzialmente difensiva e di deterrenza: distribuito in posizioni strate­ giche lungo i confini, venne sempre meno coinvolto in grandi operazioni, determi­ nando inevitabilmente nei suoi quadri un deterioramento qualitativo e motivazio­ nale. Il trattamento economico del personale militare, già poco generoso per la preoccupazione di Augusto di non appesantire il prelievo fiscale a carico delle classi benestanti. rimase per lunghi anni poco soddisfacente, e poco attrattivo per la classe media italica che secondo i desideri di Augusto avrebbe dovuto costituire il nerbo delle legioni. Si verificò presto una crisi di vocazioni che portò ad arruolare nelle legioni un numero sempre crescente di cittadini di bassa condizione e di non italici, mentre prese ad aumentare il ruolo e l'importanza delle truppe ausiliarie, per le quali la promessa della cittadinanza alla fine del servizio costituiva un incen­ tivo ancora potente. Tiberio ( 14-37 d.C.), personalità prudente e poco incline a nuove iniziative, non apportò modifiche all'impianto definito da Augusto, attenendosi strettamente ai suoi dettami politici e strategici (vedi fig. 1.3). Prima di succedere ad Augusto aveva dimostrato di possedere ottime capacità di generale, e di conoscere a fondo la struttura e l'organizzazione militare: fu tuttavia costretto dapprima a fronteggia­ re l'ammutinamento delle legioni del Reno e della Pannonia, conseguenza del mal­ contento accumulato durante i lunghi anni della pace augustea, c poi a soffocare una serie di rivolte in Illiria, in Africa e in Gallia, col risultato di confinare per anni le forze armate in un ruolo esclusivamente difensivo e di polizia interna. Ecco la descrizione di Tacito (Ann., IV, 5) dell'organizzazione militare sotto Tiberio:

16

......

Fig. 1.3- Dislocazione delle legioni alla fine del principato di Tiberio (37 d.C.)

Germania

"... /1 nerbo più forte dell'esercito si trcn·a1·a presso il Reno. con otto legioni eire erano di presidio sia contro i Germani che contro i Galli. La Spagna. da poco sottomessa, ne aveva tre. /1 re Giuha aveva accettato il governo dei Mauri come dono del popolo romano; le altre regioni dell'Africa e dell 'Egitto erano presidiate da due legioni. mentre tutto il territorio compreso tra i confini della Siria e il fiume Eufrate. coni f nante con Iberi, Albani e altri regni che fa nostra potenza protegge contro minacce straniere, era son•egliato da quattro legioni. Remetalce e ifigli di Coli governa l'ano la Tracia, mentre due legioni in Pannonia e due in Mesia presi­ diavano le rive del Danubio, e altrettante in Dalmazia che. collocate dietro di loro per la natura de/luogo, avrebbero potuto essere rapidamente richiamate in caso di un intervento improvviso in Italia ... Sotto Tibcrio venne inoltre consolidata l'organizzazione della guardia pre­ toriana, che a partire dal23 venne concentrata e definitivamente acquartierata in un grande campo alle porte di Roma(Castra Practoria), e che assunse come simbolo il segno zodiacale di Tiberio, lo scorpione. Anche i successori della dinastia giulio-claudia mantennero di fatto invariati gli orientamenti strategici augustei, evitando di apportare correttivi o riforme di ri­ lievo all'organizzazione militare. Caligola (3 7-41 ), pur inizialmente rispettato dalle gerarchie militari in quanto figlio dell'amato Germanico, non seppe conservare il loro favore, e finì dopo pochi anni vittima di una congiura. Claudio ( 41-54 ), arrivato al potere con l'appoggio determinante della guar­ dia pretoriana, riuscì invece a mantenere un buon rapporto con l'esercito, promuo­ vendo una serie di leggi a favore dei militari c fissando le regole per la carriera degli ufficiali di rango equestre; non irrilcvanti ai fini del suo successo furono alcune im­ portanti decisioni espansionistiche come la conquista della Britannia e l'annes­ sione della Giudea e della Tracia. Nerone (54-68), poco attento alle problematiche di carattere militare, e co­ stretto a fronteggiare passivamente rivolte e invasioni, non seppe invece costruire buone relazioni con le forze armate, finendo per perdeme la fiducia, e con essa il principato. In questi anni le rivolte e i movimenti centrifughi, che spesso si appog­ giavano militarmente alle legioni e soprattutto alle truppe ausiliarie di stanza nel territorio, evidenziarono un processo latente di sfaldamento del tradizionale lega­ me di fedeltà tra esercito e potere del principe: in assenza di grandi campagne di conquista, e con un compito ormai meramente difensivo e di presidio delle provin­ ce, i soldati consolidavano il loro ruolo e i loro legami col territorio, in cui erano spesso l'unica forza consistente, e diventavano espressione del potere e degli inte­ ressi locali. Con la morte di Nerone, e con la breve ma convulsa lotta per la successione nel69, l'anno cosiddetto dei quattro imperatori, diventò evidente che il potere era ormai vincolato al gradimento delle legioni, e che rischiava di diventare esigibile da chiunque, al comando di una forza militare consistente, mostrasse di essere in "

18

Fig. 1.4

-

Denario coniato nel 68 dal legato Clodio Macro per la 111 Legione Augusta

grado di soddisfare le aspettative delle truppe e gli interessi delle province e delle regioni di cui erano espressione: le legioni provenienti dal Reno, dalla Pannonia e persino dali' oriente che si affrontarono in appoggio ai vari pretendenti alla succes­ sione (Gaiba, Otone, Vite Ilio, Vespasiano) saccheggiarono e devastarono territori e città italiche quasi come truppe di invasione, ben al di là dei limiti di una guerra civile, segno preoccupante dell'inizio di un certo distacco politico e culturale di buona parte della base militare dal mondo romano-italico che in teoria avrebbe do­ vuto difendere. La dinastia dei Flavi seppe ristabilire l 'autorità centrale del l ' impero e creare un clima di fiducia tra esecutivo e potere militare: Vespasiano ( 69-79), che si era di­ mostrato peraltro un abile ed energico generale, con alcune opportune iniziative aveva saputo ristabilire disciplina e autorità che sotto Nerone avevano evidenziato pericolosi segni di cedimento. Decise inoltre di riprendere la politica espansionisti­ ca, e di tenere impegnato l 'esercito con nuove iniziative per consolidare il suo ruo­ lo ormai centrale di garante del sistema politico dell'impero (vedi fig. 1 .5). Il principato del figlio Tito (79-8 1 ), molto amato dal popolo e dalle legioni, durò troppo poco per consentirgli di lasciare tracce significative. Il successore Do­ miziano (8 1 -96) godette inizialmente del favore delle gerarchie mil itari : nell'84 dispose un aumento della paga base, rimasta ferma dai tempi di Augusto, ma è pro­ babile che si trattasse di un ritocco inevitabile per contrastare gli effetti della cre­ scente inflazione. I premi di congedo e le liquidazioni continuarono tuttavia ad es­ sere pagati con difficoltà. Sotto il suo imperium furono realizzate una serie di importanti operazioni, come il consolidamento della presenza in Britannia sotto la guida di bri llanti generali come Agricola, e l 'annessione degli Agri Decumates in Germania. Solo verso la fine del suo principato sorsero una serie di gravi difficoltà principalmente alla frontiera con la Dacia, dove l'accettazione di umilianti condi­ zioni di pace gli alienò la stima dei suoi generali e giocò un ruolo determinante per la sua estromissione.

l

19

20

Nel corso della prima metà del I secolo l'interesse degli italici per la vita mi­ litare era andato inesorabilmente declinando: il servizio nelle legioni, già poco re­ munerativo di per sé, offriva prospettive assai poco interessanti per chi, volendo abbracciare la carriera militare, aveva la facoltà di anuolarsi nelle coorti pretorie, con paga doppia e con la possibilità di effettuare un servizio più breve e per giunta in Italia. Alla fine del periodo dei Flavi la percentuale dei legionari italici era ormai scesa a circa il 20% degli effettivi: il nerbo dell'esercito era già costituito dai pro­ vinciali, che in buona parte venivano reclutati nelle aree in cui erano acquartierate le legioni, in Occidente principalmente lungo il Reno e il Danubio, in Oriente a ri­ dosso della frontiera dell'Eufrate. Per i provinciali il servizio nelle legioni conti­ nuò ad c ostituire ancora a lungo una prospettiva interessante, non solo economica ma anche di promozione civile: sempre più spesso non cittadini (peregrini) si anu­ olarono nelle legioni ricevendo contestualmente in cambio l'agognata cittadinan­ za, e alla fine del servizio il legionario in congedo, in forza del prestigio acquisito, poteva ambire a cariche pubbliche nelle comunità locali. Anche la politica degli ar­ ruolamenti risentì in misura crescente del processo di provincializzazione: il reclu­ tamento interessò aree sempre più periferiche e gravitanti attorno ai grandi campi legionari, dove i soldati finivano per formare famiglia e dove l'economia dipende­ va esclusivamente dalle paghe e dalle provvidenze militari. Con la presenza sem­ pre più accettata delle famiglie presso i luoghi in cui veniva prestato il servizio, il mestiere delle armi cominciò ad essere trasmesso in misura crescente di padre in fi­ glio, contribuendo a creare una base di reclutamento molto solida e affidabile, an­ che se al prezzo di un certo affievolimento dei legami col potere centrale. La carriera militare in Italia continuò ad esercitare una certa attrattiva solo tra le classi elevate, ma esclusivamente in funzione della necessità di conseguire il

diritto di accedere alle carriere politiche, per le quali le regole fissate da Augusto a lungo rigida applicazione.

ebbero ancora

1.4-

l'APOGEO DELL'IMPERO

Traiano (98-117), indicato dall'anziano Nerva (96-98) come suo successo­ passato alla storia non solo come l'optimus princeps per eccellenza in tutti gli aspetti della gestione politica dell ' impero ma soprattutto come il primo imperato­ re (e forse l ' ultimo) che dopo Augusto seppe riprendere con decisione la strada dell 'espansione e delle grandi conquiste, portando i confini dell'impero fino alla sua massima estensione L'imperatore che condusse personalmente le operazioni di conquista della Dacia, dell'Arabia e della Mesopotamia, non è tuttavia ricordato come un grande riformatore dell'esercito: si limitò ad ampliarne la consistenza, elevando a trenta il numero delle legioni, a favorire la politica demografica in Italia per tentare di ricostituire il nerbo delle legioni su una base di provenienza italica, e ad apportare modifiche non sostanziali alla sua organizzazione: si ritiene ad esem-

re, è

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21

pio che possa avere abolito, sia pure solo temporaneamente. l'aliquota di cavalleria legionaria.

Fig. 1.6- Scsterzio con Traiano acclamato imperator per la nona volta in Mcsopotamia (116-117)

In ogni caso l'espansione dell'impero. e con essa il ruolo delle forze annate, aveva raggiunto onnai con Traiano dei limiti fisici

c

politici onnai non superabili

per gli interessi economici che ne erano il necessario presupposto,

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soprattutto per

la capacità dell'epoca di amministrare efficacemente territori tanto vasti (vedi fig.

1.7): il sogno di Traiano di seguire le orme di Alessandro Magno si infranse così sulle rive del Golfo Persico, assai più per mancanza di sostenibilità economica del­ le decisioni che per inadeguatezza dello strumento militare. Adriano (117-138), personalità pragmatica e riflessiva, operò un deciso e inevitabile cambio di rotta nel pensiero strategico. l costi militari e politici delle conquiste di Traiano ad oriente, rivelatisi insostenibili anche nel breve tenni ne, lo costrinsero ad adottare subito una serie di provvedimenti difensivi (pace con i Parti e ritiro sulla linea dell'Eufrate) che solo se analizzati superficialmente potevano apparire rinunciatari e affrettati. In realtà la consapevolezza di avere onnai rag­ giunto dei limiti fisici all'espansione dell'impero avrebbe comportato per chiun­ que, forse anche per lo stesso Traiano se fosse vissuto più a lungo. la necessità di ri­ considerare l'intero impianto difensivo. Con l'occasione Adriano decise di avviare un programma per consolidare le linee di difesa statiche esistenti e per realizzare nuove imponenti fortificazioni in Germania e in Britannia (ii"Vallo di Adriano"). La fama di Adriano come imperatore "antimilitarista" è comunque del tutto infondata: nel corso dei suoi lunghi viaggi nelle province dell'impero, Adriano vi­ sitò sistematicamente installazioni e campi militari, presenziando ad esercitazioni e manovre per accertarsi del livello di preparazione delle forze annate; promulgò una serie di regolamenti e di leggi a favore del personale militare con lo scopo di normalizzare alcune situazioni precarie e di migliorare le condizioni di vita dei sol­ dati; generalizzò l'impiego dei cosiddetti numeri, ovvero unità di fanteria e caval­ leria di barbari che combattevano in modo indipendente sotto comando romano,

22

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Fig.

1.7- Dislocazione delle legioni alla fine del principato di Traiano ( 1 17 d. C)

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per meglio rispondere alle esigenze difensive, più dinamiche ed elastiche, che si manifestavano ai confini. In ogni caso la sua preoccupazione costante fu quella di mantenere l'esercito ad un alto livello di disciplina e di preparazione tecnica. Il successore Antonino Pio ( 138 - 161 ) , anch'egli con un passato da buon ge­ nerale, amministrò un periodo di relativa tranquillità , limitandosi a consolidare la frontiera della Britannia con la costruzione di un nuovo vallo più a nord. Marco Aurelio (16 1- 18 0), l'imperatore "filosofo", dimostrò in realtà una grande energia e una competenza militare che gli permise di affrontare con succes­ so prima una dura guerra contro i Parti in oriente, e successivamente una serie di gravi invasioni di popolazioni germaniche che per la prima volta si erano spinte all'interno del territorio italico. La necessità di affrontare quest'ultima seria mi­ naccia aveva indottoMarcoAurelio a creare per la prima volta una serie di eserciti mobili, costituiti assemblando diversi distaccamenti legionari (vexillationes) pre­ levati dalle legioni dislocate lungo il confine, e utilizzandoli per operazioni più di­ namiche di contrasto e inseguimento del nemico. Anche il figlio Commodo(180- 192), assai meno stimato del padre, prima di finire assassinato mantenne un ottimo rapporto con il mondo militare, promuoven­ do iniziative in suo favore. In ogni caso le gravi invasioni subite nella seconda metà del Il secolo evi­ denziarono il ruolo ormai centrale dell'esercito per la sopravvivenza dell'impero. Aumentò il fenomeno delle crescite e delle promozioni dai livelli più bassi, e il nu­ mero di quanti, attraverso il centurionato e il primipilato, accedevano alla carriera equestre. Con l'importanza delle forze armate aumentò anche il numero dei milita­ ri di alto livello, per lo più appartenenti alla classe equestre, che invece di seguire il tradizionale cursus honorum delle cariche pubbliche puntavano ad una carriera prestigiosa tra le fila dell'esercito, proponendosi come dei veri e propri professio­ nisti (viri militares), con l'ambizione di occupare i vertici delle gerarchie fino ad allora riservati agli esponenti del rango senatorio.

Fig. 1.8- L'adlocutio in un scsterzio di Commodo del 180

24

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Fig.

1.9- Dislocazione delle legioni alla fine del principato di Marco Aurelio (180 d.C.)

Con la fine della dinastia degli Antonini si apri un intenso periodo di Ione in­ teme per la successione; ne uscì vincitore Setti mio Severo ( 19 3-211 ). il comandan­

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L'esame di ammissione nelle legioni si chiamava probatio o inquisitio, ed aveva lo scopo di accertare non solo l' idoneità fisica del candidato, ma anche il possesso dei requisiti morali e di cittadinanza indispensabili per prestare servizio. La prova dci requisiti di cittadinanza era ritenuta essenziale, e veniva in ge­ nere fornita da una garanzia prestata sotto giuramento da altri cittadini o commili­ toni (cautores), analoga a quella riscontrabile nel seguente frammento rinvenuto in Egitto (CPL 1 02): T Flavius Longus. optio della legione III Cyrenaica, della centuria di Arel­ lius. ha chiamato come garanti Fronto, della centuria di Pompeus, L. Longinus Celer, della centuria di (. ..). e L. Herennius Fuscus, veterano. e ha dichiarato sotto giuramento di essere un uomo lihero e rm cittadino romano, e di avere il diritto di servire in una legione . . .

Piuttosto diffuse dovevano essere l e referenze e l e lettere d i raccomandazio­ ne (epistulae commendaticiae) scritte da personaggi influenti, che Giovenale (Sa­ tire, XVI, 5) considerava indispensabili per essere arruolato. Il requisito preventivo della cittadinanza non dovette tuttavia essere troppo stringente, anche in conseguenza della crescente crisi delle vocazioni alla carriera militare che atll iggeva in particolare gli italici: con il tempo diventò sempre più frequente la concessione della cittadinanza a non cittadini (peregrini) in concomi­ tanza con l'arruolamento, per salvare almeno il principio che nelle legioni poteva­ no militare solo cittadini romani. Gli schiavi non furono invece mai ammessi, e se scoperti erano soggetti a pena di morte immediata ( Plinio, Epistulae, X, 29-30); anche quando in casi eccezionali si ricorse ali ' arruolamento di liberti, come duran­ te la rivolta in Pannonia e dopo il disastro di Varo (9 d.C .), si preferì inquadrarli in unità speciali (cohortes voluntariorum ) piuttosto che nelle legioni. La tolleranza relativa ai requisiti morali fu sempre molto bassa: non erano ammessi malfattori, condannati per diversi reati tra cui l'adulterio, ex disertori ed elementi congedati con ignominiosa missio. Il giurista Arrio Menandro (De Re Mi/., I, 49, 1 6,2) scrive attorno al2 1 5 d.C. : " . . . È considerato un reato grave arruo­ larsi nell 'esercito non avendone diritto, e la gravità viene aumentata, come per gli altri reati, injimzione del grado e del tipo di servizio . . . ". Questo tipo di reato veni­

va punito di solito con la morte. Accertata l 'idoneità giuridica del candidato a prestare servizio, aveva luogo l'esame medico. I requisiti fisici, in considerazione della durezza che la vita milita­ re comportava, dovevano essere abbastanza stringenti e codificati da una serie di norme dettagliate, di cui si conoscono solo alcuni frammenti. Esistevano certa­ mente dei requisiti di altezza (incomma) minima: nel 36 7 sotto Valentiniano e Va­ lente ( Cod. Theod., V I I, 1 3, 3) questa era stata fissata in 5 piedi e 7 pollici ( 1 65 cm). Vegezio (l, 5) riferisce che i cavalieri e i militi delle prime coorti legionarie doveva­ no avere un'altezza minima rispettivamente di 6 piedi ( 1 78 cm) e di 5 piedi e l O

42

polJici ( 1 72 cm). Se Nerone (Svetonio, Nero, XIX) arruolò la l Legio ltalica con uomini alti almeno 6 piedi ( 1 77 cm), si può ritenere che la statura media fosse ben al disotto di questa. In ogni caso si preferiva valorizzare non tanto la statura, quanto l 'aspetto, la robustezza fisica e lo stato di salute generale (Vegezio, l, 6; lsidoro, Etym., IX, 3, 36): la recluta doveva avere piuttosto " . . occhi vivaci, collo eretto, to­ race largo, spalle musco/ose, braccia forti. dita lunghe, ventre ben proporzionato. natiche piccole. piedi magri ma ben saldi per la robustezza dei nervi . . . ". Nel cor­ pus delle leggi militari emanate nel corso dci secol i sono rintracc iabi l i chiarimenti e precisazioni che affrontano le casistiche più disparate: Menandro ad esempio puntualizza che " . . . un uomo nato con un solo testicolo, o che ne ha perso uno, può servire regolarmente nell 'esercito, secondo un decreto del divino Traiano. Peral­ tro anche i generali Si/la e Cotta si dice fossero in quella condizione . . . " (De Re Mi/., l, 49, 1 6, 4). Secondo Vegezio (1, 2) era consigliabile arruolare reclute provenienti dalle zone più temperate, perché i settentrionali. più robusti e decisi in guerra, "difettano di ponderazione", mentre i meridionali, sebbene più intell igenti e accorti, sono più restii ad impegnarsi in battaglia; raccomanda inoltre di preferire q uanti provengo­ no dalJe campagne, perché più resistenti alle fatiche, più propensi ai lavori manuali e meno abituati alle raffinatezze del Ja vita cittadina, e di evitare l 'arruolamento di chi esercita mestieri affidati di solito alle donne, come past iccieri e tessitori . In ogni caso, pur essendo ritenute virtù essenziali e caratteristiche di ogni buon soldato la statura, la buona salute e la forza fisica, era considerata altamente apprezzabile la capacità di leggere, scrivere e fare di conto, perché " . . . l 'attività di tutta la legione. relativa sia alla paga che ai compiti degli addetti ai servizi e dei combattenti, deve essere registrata quotidianamente negli atti, con diligenza superiore a quella usa­ ta per annotare i rifornimenti o le incombenze civili . . . " (Il, 1 9). AIJa fine dellaprobatio la recluta (tiro) veniva inviata al reparto di assegna­ zione; il governatore, o il funzionario competente per territorio, stilava un docu­ mento che conteneva nome, età e segni caratteristici (iconismi) della recluta, e che doveva essere consegnato al comandante del l ' unità cui era destinata. Ecco un esempio tratto dal papiro di Ossirinco VII, 1 022 (Egitto, 1 03 d.C. ): .

Gaius Minicius ltalus saluta l 'amico Celsianus. Dai ordini affinché le sei reclute da me approvate siano incluse nei ranghi della coorte a/ tuo comando, a partire da/ 1 9febbraio. A llego a questa lette­ ra i loro nomi e segni caratteristici. n saluto caro fratello. Gaius Veturius Gemel/us, 2 l anni, nessun segno particolare Gaius Longinus Priscus. 22 anni, cicatrice sul sopracciglio sinistro Gaius Julius Maximus, 25 anni, nessun segno particolare {. .. } lulius Secundus, 20 anni. nessun segno particolare Gaius lulius Saturninus, 23 anni, cicatrice sulla mano sinistra Marr:us Antonius Va/ens. 22 anni. cicatrice su/ lato destro della (ronte

43

Ricevuto il �4 /éhhraio. a11110 l 'l dd nostro imperatore Traiano, per mezzo di Priscus. aiutallfe. lo. A1·idi11s A rria1111S, comimlarius della ter::a coorte de­ gli lt11rei. dichiaro dre il documt•llto origi11ale si tro1·a 11eg/i an.·hivi della co­ orte.

2.3

-

L'A[)[lESTRAMENTO

f tircmes, che per raggiungere l ' unità di assegnazione ricevevano il viaticum, un' indennità di denaro a titolo di rimborso delle spese di viaggio, non venivano tut­ tavia ancora considerati milites a tutti gli effett i . La recluta infatti, dopo aver supe­ rato la prohatio, doveva " . . . prima essen· messo alla pro1·a con l 'esercizio, per ac­ certare la sua altitudine ad a(/i-ontare

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impt•gno così gramso. Si valuti la sua

agilità e laforza, ci si accerti che ahhia fu mpacità eli apprendere la disciplina mi­ litare, e se sia com·inta della propria scdta di dedicarsi alla carriera delle armi. Molti il!(alli. per quanto accelluhili all 'apparenza . una l'Olia messi alla prova si ri­ velan o inadulli . . ." (Vegezio l,

8).

L'addestramento alla marcia era forse la prima attività affrontata dal la reclu­ ta e costituiva certamente uno degl i aspetti più importanti della preparazione fisica del legionario. Vegezio (1. 9) prescrive che " . . . Le reclute devono essere addestrate sin dall 'inizio al passo militare. Nulla è in(alli ritenuto più importali/e della neces­ sità che tuili i soldati malllengano l 'ordine nella marcia, sia durante gli sposta­ menti che nello schieramento di ballaglia. Questo non può essere ollenuto in altro modo se prima non avranno imparato, con frequenti e.ferc:itazioni. a marciare in modo rapido e coordinato (celeriter et aequa/iter) . . . ". Durante le marce inoltre le reclute dovevano abituarsi a trasportare, oltre all'equ ipaggiamento individuale, pesi fino a 60 libbre (circa 20 chili) per simulare situazioni in cui non fosse stato possibile caricare attrezzature e rifornimenti su carri o animali da soma. Le reclute dovevano essere esercitate a saltare fossati. a superare ostacoli e ad affrontare a nuoto fiumi e corsi d'acqua senza pericol i . Era previsto inoltre l'ad­ destramento a montare a cavallo, anche in completa tenuta da battaglia. e venivano uti l i zzate allo scopo apposite sagome di legno per potersi esercitare anche al coper­ to. Le esercitazioni avevano luogo in un'ampia arca appositamente predisposta, detta campus, e presente in ogni campo o fortezza lcgionaria. L'addestramento al combatti mento avveniva adottando uno scudo o gratic­ cio (cratis) circolare di vimini e una spada di legno (clava o rudis) pesanti il doppio del normale: " . . . Ogni recluta conficcava nel terreno u11 palo alto sei piedi [circa 1 80 cm] e ben solido. Qui11di, armato con cratis e clava come se fossero scudo e spada veri, si esercitava su di esso come co/liro un 11emico, in modo da colpire ora la testa, ora il volto, ora ijìa11chi, poi te11tando di recidere le gambe e i polpacci, re­ trocedendo e avanza11do come se avesse di frollie un awersario . . . ". Nelle figure

2. 12 e 2 . 13 sono ricostruiti alcuni degli esercizi al palus descritti da Vcgezio (l, I l ).

44

Fig. 2 . 1 2

-

Ricostruzione delle esercitazioni al pa/us

Le reclute venivano addestrate all 'arte della schenna (armatura) da appositi istruttori, detti campidoctores o doctores armorum . Per quanto le caratteristiche del­ la scherma legionaria non siano state tramandate dalla letteratura, è possibile rico­ struirne alcuni principi fondamentali, tra i quali quello di colpire soprattutto di punta, e non di taglio (non caesim, sedpunctimferire), in modo da esporre il meno possibile la propria sagoma, e soprattutto il fianco destro, all'azione dell ' avversario.

Fig. 2 . 1 3

-

Addestramento a colpire di punta

4.S

Era ritenuto indispensabile imparare a tirare efficacemente con l ' arco e con la fionda, a scagliare con forza e prec isione !ance e giavellotti pesanti il doppio del normale (hastilia e pila praepilata), e ad usare con padronanza qualsiasi tipo di arma, dal sasso alla macchina da lancio. Un aspetto fondamentale della formazione del futuro combattente consiste­ va nel l ' apprendimento della discipl ina di gruppo, che costituiva il vero fattore di superiorità strategica del l ' esercito romano rispetto a qualsiasi altro esercito dell'e­ poca. Le battaglie regolari di un esercito romano non erano caratterizzate di solito da una molteplicità di combatt imenti individuali o da iniziative isolate, ma dalle azioni coordinate di interi gruppi o reparti, all ' interno del quale ogni combattente, utilizzando la propria esperienza e il superiore addestramento, lavorava per un obiettivo comune senza mai farsi prendere dal fiuvr belli individuale. Il primo principio da apprendere era l ' assoluto rispetto della posizione nello schieramento in cui si era inseriti: " . . . nulla è più utile del continuo addestramento dei soldati a mantenere lo schieramento predisposto senza infittire o diradare le fila più del necessario. Se infatti i soldati sono troppo vicini non hanno lo spazio per combattere e si intralciano l 'uno con l 'altro, mentre se sono troppo radi e di­ stanziati danno al nemico la possibilità di s.fòndare lo schieramento . . . Le reclute devono quindi essere condotte al campo e schierate secondo l 'ordine con cui sono state immatricolate, in modo daformare in primo luogo una linea semplice senza curve o interruzioni, e mantenere tra un soldato e l 'altro un intervallo costante e adeguato. A questo punto si deve comandare di raddoppiare rapidamente lo schie­ ramento, in modo che l 'ordine venga conservato durante l 'assalto al quale si deve rispondere . . " (Vegezio, l, 26). Le reclute venivano infine addestrate a praticare rapidamente e disinvoltamente tutte le formazioni classiche, sia offensive come i l cuneo, s i a difensive come i l quadrato o il cerchio (orbis). .

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Fig. 2 . 1 4 Esemplari di rudis in legno rinvenuti in campi romani del I secolo. A : Saalburg (Saalburg Museum); 8: Carlisle (Tullie House Museum) -

46

L'addestramento durava non meno di quattro mesi, e al termine del periodo veniva espressa una sorta di valutazione di idoneità: in caso di esito negativo, a fianco del nome del! 'aspirante veniva posta la lettera greca lambda ( l sidoro, Etym , .

I,

24, 2), che stava per /eifteis (''ha fallito"). Nel caso di valutazione positiva la recluta acquisiva la qualifica di mi/es gre­

garius e veniva signatus e in numeros relatus, ovvero veniva iscritto a ruolo entran­ do a far parte a tutti gli effetti del l ' unità a cui era stato destinato; otteneva il diritto a ricevere la paga regolare e riceveva il signaculum, una sorta di piastrina di piombo con inciso il proprio nome da portare attorno al collo; solo a partire dal III secolo il

signaculum fu sostituito da un tatuaggio, pratica che nei primi secoli veniva riser­ vata esclusivamente agli schiavi e ai condannati.

Il mi/es era infine tenuto a prestare il giuramento di fedeltà all ' imperatore (sacramentum). La formula ufficiale del giuramento del l ' epoca non è conosciuta, ma secondo la versione del V secolo (Vegezio, Il,

5) il soldato " . . giurava nel nome .

di Dio di eseguire con valore tutti i compiti che gli sarebbero stati assegnati dall 'imperatore, di non disertare e di non sottrarsi alla morte per difendere lo Sta­ to romano

. . .

". II giuramento veniva letto da un soldato, e veniva prestato da tutti

gli altri pronunciando la semplice formula: "idem in me" (Polibio, VI,

2 1 ).

2 . 4 - LE CON D IZION I DEL SERVIZIO 2.4.1 - lA DVRATA DEL SERVIZIO Per invogliare i cittadini ad arruo larsi, attorno al

13 a.C. Augusto stabilì la

durata della ferma in sedici anni per i legionari e in dodici per i pretoriani ( Dione Cassio, LV, 25); la durata del servizio di sedici anni aveva anche lo scopo di richia­ mare simbolicamente il periodo del servizio militare che poteva essere richiesto al cittadino-soldato di epoca repubblicana (Polibio VI,

1 9). Nel 5 d.C. tuttavia, per

fronteggiare una preoccupante insufficienza di organici, Augusto fu costretto ad aumentare la ferma minima a venti ann i (sedici per i pretoriani), con ulteriori cin­ que anni facoltativi in veste di evocati; è probabile tuttavia che i venticinque ann i di servizio siano diventati assai presto la nonna per tutti, sia per l 'onere economico di dover arruolare nuove leve, sia per la difficoltà di pagare i premi di congedo al ter­ mine della ferma. Nel

1 4 d.C., a seguito degli ammutinamenti delle legioni del

Reno e della Pannonia, Tiberio fu costretto a riportare temporaneamente la ferma a sedici anni, ma il provvedimento fu cancellato dopo breve tempo (Tacito, A nn., I,

78). Nei primi anni dell ' impero, al termine del periodo minimo di ferma, i veterani venivano di solito inquadrati in reparti appositi (vexilla veteranorum), al comando di un curator veteranorum : erano esentati dai servizi e dai lavori pesanti, ed erano in teoria impiegabili solo nel caso di operazioni militari vere e proprie. A partire dal

Il secolo non si trova più traccia dei vexilla veteranorum, il che fa supporre che il servizio fosse stato stabilito per tutti in venticinque anni, con un regolare congedo al termine della ferma.

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Le aspettative di vita erano naturalmente correlate con la durata della vita dci i ' epoca, che si aggirava in media attorno ai 30 anni, ma che si allungava nei sog­ getti che superavano i primi anni di vita. Dali 'analisi dci dati disponibili, estrapola­ ti soprattutto dalle iscrizioni funerarie, circa I ' RO% dei soldati arruolati all 'età di 20 anni raggiungeva l ' ctà di 35 anni, i l 70% l ' ctà di 40, e il 60% raggiungcva i 45 anni, l ' età media di conclusione del servizio. Le cause di morte potevano essere molteplici, e non erano legate solo alla possibil ità di essere ucciso in battaglia. Secondo alcuni studi la mortalità media del legionario romano coinvolto in azioni di guerra durante il periodo repubblicano si aggirava attorno al 9% (4% in caso di vittorie, 1 6% in caso di sconfitte); conside­ rando anche le truppe non direttamente coinvolte in operazioni mil itari, il tasso di mortalità si riduceva a poco più dcl 2%. Nei primi due secoli del periodo imperiale il tasso di mortalità in battaglia era certamente minore. e strettamente legato al co­ involgimento in alcuni eventi ri levanti isolati (campagne, rivolte, guerre civili), trascorsi i quali il servizio tornava ad essere praticamente privo di rischi : in media si stima quindi un tasso di mortal ità medio inferiore al l ' l %, il che comporta la ne­ cessità, in un esercito di 300.000 uomini, di rimpiazzare ogni anno meno di 3000 soldati. Ben più elevato era il rischio di soccombere durante il servizio per motivi di malatt ia: anche se non si hanno specifici dati in proposito, sembra assai plausibile che malattie, epidemie, contratte soprattutto nelle città assediate e in situazioni igieniche precarie, e infezioni fossero in realtà le cause più importanti di decesso fra i soldati. Situazioni registrate in tempi recenti, prima della di ITusione degli anti­ biotici, evidenziano un tasso di mortal ità dovuto a queste cause più che doppio ri­ spetto a quello legato ad azioni di guerra.

2.4.2

-

lA PAGA

Il trattamento economico base del legionario fu fissato da Augusto in 900 se­ sterzi (225 denari) annui, che venivano pagati in tre rate quadrimestrali (stipendia) di 300 scsterzi l ' una, erogate a gennaio, a maggio e a settembre. Solo ncl l ' 84 Do­ miziano aumentò la paga con il versamento di una quarta rata, elevando il tratta­ mento complessivo a 1 200 sesterzi annui (Svetonio, Domitianus, VII). La paga, pur tornando ad avere dopo Domiziano una cadenza quadrimestral e, rimase inva­ riata fino al 1 96, quando fu probabilmente raddoppiata da Scttimio Severo (Ero­ diano, I I I , 8), che la portò a 2400 scstcrzi. Negli anni successivi gli stipendia furono incrementati di un ulteriore 50% da Caracalla. l caval ieri legionari venivano retri­ buiti in m isura superiore a quella dei militi semplici (Vcgczio, I l , 2 1 ), presumibil­ mentc di un quinto. Nella tabella che segue è riassunta l 'evoluzione del trattamento economico annuo in sesterzi, da Augusto fino all ' età dci Severi, per i diversi ruol i legionari (in neretto l e cifre attestate e documentate).

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La paga corrisposta nei primi due secoli non era particolarmente generosa, ed era superiore di un 20% a quella di un comune lavoratore giornaliero. Da essa andavano detratti gli importi corrispondenti al vitto, al vestiario e all'armamento eventualmente fornito dall 'amministrazione militare. e con quello che rimaneva si dovevano affrontare le spese per i bisogni più immediati, comprese le tende e le be­ stie da soma. A carico del legionario esisteva persino una tassa per l 'esenzione dai servizi più gravosi (vacatio munerom) che andava pagata di solito al proprio centu­ rione, almeno fino al 69, quando fu formalmente messa al bando da Otone (Tacito. Hist., l, 46, 58). La trattenuta praticata per il vitto (vietum o sumptuarium) poteva raggiunge­ re il 30%, e ad essa si aggiungevano le voci relative al vestiario (vestimenta), al ­ l 'eventuale fieno per gli animali ifaenaria o hordearia) e ad altre eventuali spese e forniture. Dallo studio di molti papiri appare inoltre certo che sugli stipendia venisse praticata una trattenuta dcii ' l %, la cui natura non è stata tuttavia ancora ben chiarita. Ogni coorte (Vegezio, Il, 20) gestiva direttamente un fondo nel quale i legio­ nari potevano versare i propri risparmi (deposita) e che fungeva da vera e propria banca. Nel l ' 84 Domiziano fissò in mille denari la somma individuale massima che vi poteva essere depositata (Svetonio, Domitianus, 7), per limitare il rischio che le forti somme che vi si accumulavano potessero essere distolte e utilizzate dai gover­ natori locali per finanziare rivolte e sedizioni. In ogni caso gli eventuali donativi ri­ cevuti durante il servizio venivano versati per metà direttamente nei deposita, per limitare sperperi ed usi impropri del denaro elargito. Esisteva anche un fondo speciale, definito da Vegczio undecimus saccr1s, in cui veniva accantonato un contributo per le spese funebri e che veniva gestito dai signiferi. Da un papiro (Pap. Lat. l, Ginevra) trovato in Egitto e risalente al l ' 8 3 , terzo anno del principato di Domiziano, è stato possibile ricostruire le ricevute dei tre sti­ pendia di 248 dracme d 'argento (equivalenti ai scstcrzi) ciascuno, versati nel corso dell'anno al soldato Q. lulius Proculus di Damasco:

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