L'architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell'Arno (secoli XI-XIV) 9781407313146, 9781407342801

This study focuses on the architectural landscape of the lower Valdarno area, which formerly belonged to the diocese of

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Indice
Introduzione
1. L’ordinamento territoriale, la giurisdizione ecclesiastica e i poteri laici
2. L’architettura religiosa tra l’XI e il XIV secolo
3. Repertorio degli edifici
Conclusioni
Indice del repertorio
Tavole
Bibliografia
Crediti fotografici
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L'architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell'Arno (secoli XI-XIV)
 9781407313146, 9781407342801

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BAR S2672 2014 ROGGI L’ARCHITETTURA RELIGIOSA NELLA DIOCESI MEDIEVALE DI LUCCA

B A R

L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI–XIV) Francesca Roggi

BAR International Series 2672 2014

L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI–XIV) Francesca Roggi

BAR International Series 2672 2014

ISBN 9781407313146 paperback ISBN 9781407342801 e-format DOI https://doi.org/10.30861/9781407313146 A catalogue record for this book is available from the British Library

BAR

PUBLISHING

Indice Introduzione

p. 1

1. L’ordinamento territoriale, la giurisdizione ecclesiastica e i poteri laici 1.1. L’assetto politico del Valdarno inferiore 1.2. Popolamento e insediamenti 1.3. Il sistema viario 1.4. L’organizzazione ecclesiastica 1.5. I rapporti tra l’autorità vescovile e i poteri laici 1.6. Monasteri, ospedali e canoniche 1.7. La crisi dell’ordinamento plebano

p. 4 p. 4 p. 5 p. 6 p. 7 p. 9 p. 9 p. 11

2. L’architettura religiosa tra l’XI e il XIV secolo 2.1. L’architettura in pietra 2.2. L’architettura in cotto 2.3. Le decorazioni in cotto 2.4. I bacini ceramici

p. 15 p. 15 p. 21 p. 30 p. 35

3. Repertorio degli edifici 3.1. Pievi 3.2. Canoniche 3.3. Monasteri 3.4. Ospedali 3.5. Suffraganee

p. 42 p. 42 p. 93 p. 98 p. 99 p. 100

Conclusioni

p. 145

Indice del repertorio

p. 147

Tavole

p. 150

Bibliografia

p. 180

Crediti fotografici

p. 190

straordinaria quantità di carte altomedievali2, e in particolare alcune tipologie di documenti forniscono importanti informazioni sulle pievi, sulla loro organizzazione e sulla consistenza dei loro patrimoni, costituendo spesso la loro prima attestazione. Tra le fonti documentarie più utili ricordiamo le carte di ordinazione dei pievani (cartulae ordinationis), con le quali il vescovo istituiva formalmente i rettori delle pievi, dopo che gli era stata rivolta una richiesta (petitio), e le cartulae promissionis, redatte dai pievani appena ordinati e destinate al vescovo, con le quali promettevano di risiedere presso la pieve, di garantirne l’officiatura e la celebrazione delle Messe, di amministrare i beni di pertinenza, di ospitare il vescovo in occasione della visita pastorale, e di versargli un censo annuo3. Altri documenti molto frequenti sono gli atti di infeudazione delle pievi a laici, oppure gli atti delle compravendite e delle donazioni, che spesso forniscono gli elenchi degli insediamenti dipendenti e permettono quindi di ricostruire l’estensione e la consistenza dei pivieri, delineando il quadro insediativo del territorio. Talvolta sono documentate le controversie tra i vescovi sulla giurisdizione in determinate aree o su singoli enti, utili anche in questo caso per la definizione dei confini, così come le bolle papali e i privilegi imperiali, emanati dalle più alte cariche per confermare diritti di giurisdizione e proprietà.

Introduzione La scelta di concentrare lo studio dell’architettura religiosa in questa zona è derivata dall’osservazione della carta elaborata sulla base degli elenchi delle Rationes decimarum: in questa area periferica della diocesi di Lucca si è notata una particolare concentrazione di enti religiosi (tav. 1). Questo territorio, oggi compreso interamente nella provincia di Pisa, anticamente faceva parte della diocesi lucchese, che inglobava quindi una parte piuttosto consistente del Valdarno inferiore, estendendosi sulla sponda settentrionale dell’Arno da S. Maria a Monte fino a Ripoli, e su quella meridionale da San Miniato fino alle porte di Pontedera, per poi insinuarsi, aggirando quest’ultima località, nelle Colline pisane fra la Valdera e la Valdisola, comprendendo anche le valli dei torrenti Egola e Chiecina (tav. 2). Il confine con la diocesi di Firenze era disegnato dal corso del fiume Elsa, mentre la diocesi pisana si estendeva fino alla sponda sinistra dell’antico lago di Sesto e a Pontedera, e a sud invece il nostro territorio confinava con la diocesi di Volterra. L’area individuata andava quindi ad incunearsi tra le diocesi di Firenze, Pisa e Volterra, e divenne ben presto una “terra di confine”, contesa tra le città più potenti della Toscana e coinvolta frequentemente nei loro conflitti per determinare i relativi contadi e le aree di influenza. La delimitazione geografica di questa area è resa più agevole dalla presenza di elementi geografici che individuano confini ben precisi, quali i fiumi Arno e il suo affluente Elsa, ed è facilitata anche dal fatto che la diocesi di Lucca per tutto il periodo storico considerato mantenne inalterati i propri confini, nonostante la vicinanza di Pisa, che ampliò il proprio contado inglobando questi territori a partire dal XII secolo. Solo all’inizio del XVII secolo questa zona venne smembrata dall’antica diocesi di Lucca in seguito all’erezione a cattedra vescovile della chiesa di San Miniato nel 1622 e alla costituzione di una nuova diocesi, che comprese anche parte del territorio a nord dell’Arno, tra il lago di Sesto, le Cerbaie, il padule di Fucecchio e il territorio intorno a Cerreto Guidi.

Infine rivestono un ruolo molto importante i resoconti delle visite pastorali, fondamentali per seguire dal XIV secolo in poi l’evoluzione dell’ordinamento ecclesiastico territoriale e ancor di più la decadenza materiale o il recupero dei singoli edifici, visitati e minuziosamente descritti dai vicari apostolici4. Negli ultimi decenni alcuni storici hanno approfondito lo studio di questa area del Valdarno inferiore nel periodo compreso tra l’alto Medioevo e gli inizi dell’età moderna, attraverso le fonti archivistiche5. Questi studi hanno 2 Molti documenti sono pubblicati in Memorie e documenti per servire all’istoria del Ducato di Lucca, a cura di D. Barsocchini, Lucca 183744, rist. 1971. 3 Violante, C., Le strutture organizzative della cura d’anime nelle campagne dell’Italia centro-settentrionale (secoli V-X), in Cristianizzazione e organizzazione ecclesiastica delle campagne nell’alto medioevo, XXVIII Settimana di studio del Centro italiano di studi sull’Alto Medioevo, Spoleto 1983, tomo II, pp. 1085-1087. 4 Alcuni degli atti delle visite pastorali sono pubblicati, si vedano ad esempio: Coturri, E., La “visita” del visitatore apostolico Mons. Castelli alle Chiese e ai luoghi pii di S. Miniato nell’anno 1575, in «Bollettino dell’Accademia degli Euteleti di San Miniato», 33, 1960, pp. 7-43; Mannari, L., Visita pastorale del Vescovo di Lucca dell’anno 1466, in «Bollettino dell’Accademia degli Euteleti di San Miniato», 40, 1968, pp. 35-43 e 43, 1974, pp. 29-41. 5 Si vedano: Pescaglini Monti, R., I pivieri di Sovigliana, Ducenta/Travalda/Appiano, Triana, Migliano/La Leccia e Tripalle (secoli VIII-XIV), in «Bollettino Storico Pisano», 62, 1993, pp. 119-185; Pescaglini Monti, R., Dalla Valdera alla Valdisola, in La pianura di Pisa e i territori contermini. La natura e la storia, a cura di R. Mazzanti, Roma 1994, pp. 293-329; Morelli, P., Pievi, castelli e comunità fra Medioevo ed età moderna nei dintorni di San Miniato, in Le Colline di S. Miniato (Pisa). La natura e la storia, San Miniato 1997, pp. 79-112; Morelli, P., La pieve di S. Gervasio di Verriana e il suo territorio (sec. VIII-XV), in Palaia ed il suo territorio fra antichità e medioevo, Atti del convegno di studi (Palaia, 9 gennaio 1999), a cura di P. Morelli, Pontedera 2000, pp. 41-67; Morelli, P., Chiese, villaggi e

Per la ricostruzione del contesto storico e per lo studio delle istituzioni ecclesiastiche di questa zona, lo strumento fondamentale è costituito dalle Rationes decimarum1, i registri di pagamento delle decime che elencando quasi tutti gli enti ecclesiastici esistenti alla fine del XIII secolo, permettono di farsi un’idea sulla loro quantità e sulla loro consistenza in base alle cifre che dovevano versare a Roma. Per la diocesi di Lucca inoltre possediamo una ulteriore fonte documentaria utile per definire il panorama dell’organizzazione ecclesiastica, un estimo redatto nel 1260, pubblicato in appendice al primo volume delle Rationes decimarum della Toscana. Com’è noto, l’Archivio Arcivescovile lucchese conserva una 1 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I: La decima degli anni 1274-1280, a cura di P. Guidi, Città del Vaticano 1932; Tuscia, II: La decima degli anni 1295-1304, a cura di M. Giusti e P. Guidi, Città del Vaticano 1942.

1

L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV) di queste risalgono agli anni Sessanta e Settanta. Oltre alle ricerche che si sono concentrate su singoli edifici12, la maggior parte degli studi si è occupata di contesti molto ristretti, per esempio il saggio della Cristiani Testi sull’architettura e sull’urbanistica di San Miniato13, oppure hanno considerato gruppi di edifici accomunati dal materiale costruttivo, come ad esempio gli studi di Alberti sugli edifici in cotto nel Valdarno inferiore14. Alcuni degli edifici compresi entro i confini da noi individuati sono stati trattati in altri studi a carattere territoriale, per esempio alcuni sono stati inclusi nel saggio di Salvagnini sull’architettura in Valdera, altri nei diversi contributi sull’architettura in cotto della Valdelsa15.

permesso di individuare gli insediamenti umani e gli enti religiosi presenti sul territorio e di localizzare i toponimi scomparsi, completando ad aggiornando gli studi più antichi, come il Dizionario del Repetti, l’Odeporico del Mariti o le relazioni del Targioni Tozzetti6. Il Valdarno inferiore è stato oggetto di numerose pubblicazioni riguardanti le vicende storiche che lo hanno interessato durante i secoli centrali del Medioevo, soprattutto in merito alla fondazione dei castelli e delle “terre nuove”, e all’affermazione delle famiglie aristocratiche più potenti della Toscana7. Numerose sono le pubblicazioni a carattere locale incentrate sulla storia di singoli insediamenti del Valdarno inferiore, per esempio sui castelli di Alica, Villa Saletta, Montopoli e Montebicchieri8. Più recentemente le ricerche hanno affrontato anche il tema dell’organizzazione ecclesiastica del territorio e dei rapporti tra la giurisdizione vescovile e i poteri laici9. Inoltre gran parte dell’area qui considerata è stata accuratamente indagata dagli archeologi10, per un arco temporale che va dalla preistoria al basso Medioevo, con campagne di ricognizione e di scavo11.

Infine una delle rare pubblicazioni a carattere generale, che ha affrontato il tema dell’architettura religiosa in questa area nel suo complesso, è quella di Ducci e Badalassi sull’architettura, pittura e scultura nel territorio di San Miniato16. Dopo aver delineato le principali vicende storiche che interessarono quest’area durante il Medioevo, trattando tra i vari temi anche quello del sistema viario e dell’organizzazione ecclesiastica territoriale, lo studio si concentra sulla individuazione dei caratteri principali dell’architettura religiosa, cercando di evidenziare le influenze stilistiche e le componenti comuni con l’architettura delle altre zone della Toscana.

Mentre l’assetto territoriale e le vicende storiche di questa regione sono state ampiamente studiate, con numerosi contributi anche recenti, le pubblicazioni che riguardano lo studio degli edifici religiosi dal punto di vista architettonico ed artistico sono meno abbondanti e molte

Due capitoli sono dedicati alle principali tecniche decorative riscontrate su questi edifici, le decorazioni in cotto e i bacini ceramici, affrontando anche l’aspetto delle tecniche di produzione dei laterizi decorati e delle modalità di inserimento delle ceramiche. Infine sono state redatte delle schede per ciascuno degli edifici analizzati, che oltre a delle brevi note storiche propongono la descrizione delle strutture architettoniche e degli apparati decorativi.

castelli nel territorio della pieve di Musciano (secoli VII-XV), in Fra Marti e Montopoli. Preistoria e storia nel Valdarno inferiore, Atti del Convegno (Marti, Montopoli in Val d’Arno, 19 settembre 1998), a cura di S. Bruni, Pontedera 2001, pp. 55-65. 6 Repetti, E., Dizionario geografico fisico storico della Toscana, Firenze 1833-1846, Roma 1969; Mariti, G., Bagno a Acqua. I dintorni. Odeporico, o sia Itinerario per le Colline Pisane, Firenze 1797, ristampa a cura di B. Gianetti, Fornacette 2000; Targioni Tozzetti, G., Relazioni d’alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana per osservare le produzioni naturali e gli antichi monumenti di essa, Firenze 1768, ristampa, 12 voll., Bologna 1971-1972. 7 Si vedano ad esempio: Alberti, A., I castelli della Valdera: archeologia e storia degli insediamenti medievali, Pisa 2005 e Terre nuove nel Valdarno pisano medievale, a cura di M.L. Ceccarelli Lemut e G. Garzella, Pisa 2005. 8 Alica: un castello della Valdera dal medioevo all'età moderna, a cura di P. Morelli, Pisa 2002; Villa Saletta in Valdera. Da villaggio medievale a fattoria modello di età moderna, a cura di A. Alberti, S. Bruni, D. Stiaffini, Pisa 2007; Fra Marti e Montopoli. Preistoria e storia nel Valdarno inferiore, Atti del Convegno (Marti, Montopoli in Val d’Arno, 19 settembre 1998), a cura di S. Bruni, Pontedera 2001; Vignoli, P., La storia di Montopoli dall'VIII fino alla prima metà del XIII secolo, in «Bollettino Storico Pisano», 66, 1997, pp. 17-81; Morelli, P., Montebicchieri e il suo fonte battesimale: un castello del Valdarno nel Trecento, San Miniato 2000. 9 Fra tutti si vedano i contributi negli atti del recente convegno: Il Valdarno inferiore terra di confine nel Medioevo (Secolo XI-XV), atti del convegno di studi (30 settembre – 2 ottobre 2005), a cura di A. Malvolti e G. Pinto, Firenze 2008. 10 Tra i numerosi esempi citiamo: Alberti, A., Indagine archeologica a Montopoli Valdarno (PI): le tracce dell'incastellamento medievale, rapporto preliminare, in «Archeologia Medievale», 22, 1995, pp. 265282. 11 La più interessante è sicuramente quella che recentemente ha portato alla riscoperta dell’antica pieve di San Genesio, si veda il resoconto più recente: Vico Wallari - San Genesio: ricerca storica e indagini archeologiche su una comunità del medio Valdarno inferiore fra alto e pieno Medioevo, giornata di studio (San Miniato, 1 dicembre 2007), Centro Studi sulla Civiltà del Tardo Medioevo, a cura di F. Cantini e F. Salvestrini, Firenze 2010, pp. 81-123.

12 Tra i vari esempi possibili citiamo l’articolo sulla pieve di Marti, quello sulla pieve di Corazzano e il saggio sulla pieve di Palaia: Baldassarri, M., et alii, La produzione di laterizi e l'edilizia in cotto nel Valdarno Inferiore medievale: il caso di Marti (Pisa), in «Archeologia medievale», 32, 2005, pp. 77-96; Baldacci, M., Donati, J., La pieve di San Giovanni a Corazzano, in «Erba d’Arno», 34, 1988, pp. 40-49; Malacarne, E., La pieve di S. Martino di Palaia, in Palaia ed il suo territorio fra antichità e medioevo, atti del convegno di studi (Palaia, 9 gennaio 1999), a cura di P. Morelli, Pontedera 2000, pp. 181-209. 13 Cristiani Testi, M.L., San Miniato al Tedesco. Saggio di storia urbanistica e architettonica, Firenze 1967. 14 Alberti, A., L’edilizia ecclesiastica medievale in laterizio tra Valdera e Valdarno Inferiore, in I maestri dell'Argilla. L'edilizia in cotto, la produzione di laterizi e di vasellame nel Valdarno Inferiore tra Medioevo ed Età Moderna, atti della I Giornata di Studio del Museo Civico Guicciardini di Montopoli in Val d'Arno (Montopoli in Val d'Arno, 21 maggio 2005), a cura di M. Baldassarri e G. Ciampoltrini, San Giuliano Terme (Pisa) 2006, pp. 11-25. 15 Salvagnini, G., Chiese romaniche della Valdera, Firenze 1969; Moretti, I., Stopani, R., Chiese romaniche in Valdelsa, Firenze 1968; Chiese medievali della Valdelsa. I territori della via Francigena. 1 Tra Firenze, Lucca e Volterra, Empoli 1995. 16 Ducci, A., Badalassi, L., Tesori medievali nel territorio di San Miniato, Pisa 1998.

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Introduzione Le ricerche sono state condotte attraverso sopralluoghi sul territorio, che hanno permesso l’esame diretto degli edifici, associandoli alla consultazione della bibliografia sull’argomento e delle fonti edite. Le indagini hanno considerato tutti gli edifici religiosi situati entro i confini individuati e menzionati negli elenchi nelle Rationes decimarum e dell’estimo, comprendendo anche quelli che sono risultati scomparsi o che non hanno conservato strutture di epoca medievale, limitandoci in questi casi a fornire brevi informazioni sulla loro localizzazione e sulle principali vicende storiche.

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1. L’ordinamento territoriale, ecclesiastica e i poteri laici

la

comune lucchese, insieme al vescovo, iniziò a recuperare i possedimenti che aveva perso nel suo contado, la maggior parte delle famiglie che deteneva quei beni inizialmente si sottomise all’egemonia lucchese, cedendo quote delle loro proprietà o giurando patti di alleanza6. Tuttavia queste famiglie avevano contatti anche con la rivale Pisa, interessata ad espandersi in questi territori di confine, e ben presto scelsero di appoggiarla e di svincolarsi quindi dai rapporti con i Lucchesi. Infatti quando il comune di Pisa iniziò la sua politica espansionistica verso i territori a sud dell’Arno, dalla metà del XII secolo, Lucca, nonostante gli sforzi compiuti dai vescovi, non riuscì a mantenere il controllo politico di questa area periferica della sua diocesi. Intanto, dalla fine dell’XI secolo in poi, Lucca aveva perso il primato che aveva mantenuto tra le altre città toscane durante l’alto Medioevo e ormai riusciva a controllare facilmente solo la Versilia e la Garfagnana.

giurisdizione

1.1. L’assetto politico del Valdarno inferiore L’area a sud dell’Arno delimitata dai fiumi Elsa e Isola, comprendendo la Valdegola, la Val di Chiecina, la Valdera e le Colline Pisane (tav. 2), era interamente sottoposta alla giurisdizione del vescovo lucchese, ma dal punto di vista politico gravitava per lo più verso Pisa e Firenze, proprio per la notevole distanza che la separava da Lucca, la quale costituì il proprio contado espandendosi verso la Garfagnana e la Versilia. Nel Valdarno inferiore, suddiviso tra le diocesi di Pisa e Lucca, assistiamo alla creazione di numerose signorie vescovili, nate in funzione anti-pisana o anti-lucchese, e situate anche nei territori della diocesi avversa1. Fin dall’inizio del X secolo, con la fondazione dei castelli di S. Maria a Monte e di S. Gervasio, oltre a quelli di Moriano in Valdinievole e di Pietrabuona di Pescia, i vescovi lucchesi intrapresero questa politica finalizzata al controllo delle aree periferiche della diocesi2. Nel territorio compreso fra l’Arno, l’Era e l’Egola si costituì, tra l’XI e il XII secolo, una fitta rete di castelli sui quali i vescovi lucchesi esercitavano diritti signorili, grazie ad una serie di acquisti, donazioni, permute e concessioni di livelli3. Solo l’area intorno a San Miniato sfuggì già dalla metà del XII al controllo lucchese, poiché questa città mantenne sempre una certa autonomia e si schierò anche apertamente contro Lucca, alleandosi con Pisa e Firenze.

I Pisani, dopo aver affermato la loro egemonia sul Mediterraneo occidentale, occupandosi prevalentemente delle attività marittime tra il X e l’XI secolo, cominciarono ad espandersi sul territorio circostante, interessandosi inizialmente alla fascia costiera e in un secondo momento volgendo la propria attenzione anche verso l’entroterra, con lo scopo di riuscire a controllare gli snodi viari più significativi, ottenendo quindi il monopolio commerciale dell’intera regione7. A partire dal XII secolo quindi Pisa iniziò ad ampliare il proprio contado verso il Valdarno inferiore, approfittando di alcune occasioni come la morte dell’ultimo erede della potente casata dei Cadolingi nel 1113 e quella di Matilde di Canossa, due anni dopo, anch’essa senza eredi diretti, con le conseguenti spartizioni di beni8. Nel frattempo il vescovo di Lucca tentava di costituire una vasta signoria episcopale tra il Valdarno inferiore e la Valdera, con l’acquisto del castello di Montopoli nel 1116, l’acquisto di altri beni dall’esecutore testamentario di Ugolino dei Cadolingi nel 1114 e con la complessa acquisizione nel 1119 di alcuni beni valdarnesi dell’abbazia di S. Maria di Serena, nel Senese, in cambio di beni maremmani del vescovato9. Gli scontri tra Pisani e Lucchesi scoppiarono alla metà del secolo, ma alle vicende belliche, protrattesi dal 1143 al 1155, si aggiunsero le controversie tra i due vescovi in merito ai confini diocesani10. I Pisani

Per gestire al meglio questa zona così lontana dalla sede vescovile, il vescovo di Lucca eleggeva un vicarius super ecclesiis ultra Arnum, che si occupava delle questioni più urgenti. A ricoprire questa carica era generalmente un membro del clero locale, spesso il prevosto di San Miniato, ma talvolta anche un personaggio di minore importanza4. Inoltre, dalla metà dell’XI secolo in poi i vescovi si impegnarono per recuperare pievi e decime allivellate ai laici negli anni precedenti5. Quando il 1 È il caso, per esempio, dei castelli di Montecchio e Ricavo, il primo situato in diocesi di Pisa ma al confine con il piviere lucchese di S. Maria a Monte, acquisito dal vescovo di Lucca, e il secondo, nel piviere lucchese di Musciano, acquisito l’anno successivo, 1121, dall’arcivescovo di Pisa, si veda: Morelli, P., Signorie ecclesiastiche e laiche nel Valdarno lucchese fra X e XIII secolo, in Il Valdarno inferiore terra di confine nel Medioevo (Secolo XI-XV), atti del convegno di studi (30 settembre – 2 ottobre 2005), a cura di A. Malvolti e G. Pinto, Firenze 2008, pp. 294-297. 2 È stato osservato anche che nel Valdarno inferiore questi castelli vescovili furono tra i primi ad essere fondati, visto che le altre fondazioni a carattere laico sono documentate soltanto a partire dal secolo successivo: Morelli, P., Signorie ecclesiastiche e laiche, cit., p. 305. 3 Morelli, P., Signorie ecclesiastiche e laiche, cit., pp. 279-313. 4 Morelli, P., Per una storia delle istituzioni parrocchiali nel basso medioevo: la prepositura di S. Maria e S. Michele di Cigoli e la pieve di S. Giovanni di Fabbrica, in Pievi e parrocchie in Italia nel basso Medioevo (sec. XIII-XV), Atti del VI Convegno di Storia della Chiesa in Italia (Firenze 21-25 settembre 1981), Roma 1984, p. 779. 5 Violante, C., Pievi e parrocchie nell’Italia centro-settentrionale durante i secoli XI-XII, in Le istituzioni ecclesiastiche della Societas Christiana dei secoli XI-XII. Diocesi, pievi e parrocchie, Atti della VI

settimana internazionale di studio (Milano 1974), Milano 1977, pp. 708713. 6 Pescaglini Monti, R., Dalla Valdera alla Valdisola, in La pianura di Pisa e i territori contermini. La natura e la storia, a cura di R. Mazzanti, Roma 1994, p. 297. 7 Ceccarelli Lemut, M.L., Giurisdizioni signorili ecclesiastiche e inquadramenti territoriali, in Il Valdarno inferiore terra di confine nel Medioevo (Secolo XI-XV), atti del convegno di studi (30 settembre – 2 ottobre 2005), a cura di A. Malvolti e G. Pinto, Firenze 2008, pp. 17-23. 8 Ceccarelli Lemut, M.L., Giurisdizioni signorili ecclesiastiche, cit., pp. 23-24. Ugolino dei Cadolingi nel suo testamento aveva stabilito che i beni sarebbero dovuti tornare alle rispettive diocesi. 9 Morelli, P., Signorie ecclesiastiche e laiche, cit., pp. 279-290. 10 Tra il 1137 e il 1143 i due vescovi si contesero le località di Montecalvoli e Ricavo e cinque chiese, tra queste la chiesa di S. Angelo di Travalda, compresa fino alla fine del XI secolo nel piviere lucchese Ducenta e assegnata nella bolla di Innocenzo II del 1137 al piviere pisano di Calcinaia; nel 1141 il Comune di Pisa e l’arcivescovo ottennero dai Gherardeschi un terzo del castello di Forcoli e del

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1. L’ordinamento territoriale, la giurisdizione ecclesiastica e i poteri laici fronte alla graduale affermazione di Firenze, destinata a soppiantarla nella gestione del monopolio commerciale. Dopo gli effimeri successi ottenuti in seguito alla vittoria ghibellina di Montaperti nel 1260, con la conquista di alcuni castelli lucchesi (S. Maria a Monte, Montopoli, Galleno, Cappiano, Fucecchio, Castelfranco, S. Croce), le sconfitte subite contro i Fiorentini nel 1275 e contro i genovesi nella battaglia della Meloria nel 1284, segnarono il definitivo declino di Pisa. Con la conquista di Volterra nel 1361 e di San Miniato nel 1370, la presenza dei Fiorentini si faceva sempre più incombente. In seguito alle scorrerie fiorentine nel Valdarno inferiore e nella Valdera del 1341, Pisa promosse la fondazione di alcune terre nuove, con strutture fortificate che accolsero le popolazioni sparse nei villaggi delle campagne, ma i Fiorentini riuscirono a conquistare Pisa e l’intero contado nel 1406.

riuscirono a penetrare in Valdera e in Val di Cascina conquistando tutti i castelli della zona, tra i quali Montecastello e S. Gervasio, e dopo la pace stipulata nel 1155 che regolamentava il transito dei mercanti tra Lucca e Pisa e riconosceva all’arcivescovo di Pisa il possesso del castello di Ricavo, la bolla papale del 1176 confermò i nuovi possedimenti pisani nella zona, tra i quali Forcoli, Casanova, Aqui e Sovigliana11. I privilegi imperiali di Federico I del 1162 e di Enrico IV del 1191 legittimavano i progetti ambiziosi dei Pisani, intenzionati ad affermarsi nei territori compresi tra la Valdera e la Valdegola, appartenenti alle diocesi di Lucca e di Volterra. Nel corso del XIII secolo il contado pisano comprendeva quindi il Valdarno fino a Pontedera, la Valdera fino a Peccioli e Lajatico, e le vallate degli affluenti a sinistra dell’Arno fino alla Chiecina12. Dopo la conquista pisana, l’intera area a sud dell’Arno andò a costituire un’unica capitania13, includendo la Valdera e le Colline Pisane, e successivamente, tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo, si tentò una riorganizzazione di quest’area, formando prima delle capitanie ampie e poi delle circoscrizioni più piccole, per avere un controllo più capillare del territorio. In realtà il potere pisano in questa zona non fu mai pieno, perché Lucca, oltre a conservare la giurisdizione ecclesiastica, continuò a reclamare antichi diritti di signoria, confermati dai numerosi diplomi imperiali e dalle bolle papali, e cercò di indebolire il controllo di Pisa mantenendo rapporti con quelle famiglie pisane in contrasto con la classe dirigente del momento, cercando quindi di interferire nella politica interna della città14.

Non appena i Fiorentini si impossessarono del Valdarno inferiore, cercarono subito di promuovere l’istituzione di una nuova diocesi con a capo San Miniato, che sarebbe divenuta suffraganea dell’arcidiocesi fiorentina e avrebbe risolto definitivamente il problema della ingerenza lucchese in questo territorio15. Questo tentativo del 1409 non ebbe successo e come sappiamo San Miniato dovette attendere il 1622 per diventare sede vescovile. 1.2. Popolamento e insediamenti L’area del Valdarno inferiore compresa nella diocesi lucchese presentava una serie di centri di media grandezza nella fascia lungo il corso dell’Arno, principalmente sulla sponda nord. Qui vennero impiantati alcuni centri di nuova fondazione, le cosiddette terre nuove, che assorbirono al loro interno la popolazione sparsa nei villaggi circostanti. Lucca promosse la fondazione di due castelli tra il 1252 e il 1253, Santa Croce e Castelfranco, raccogliendo gli abitanti dei villaggi a nord dell’Arno, fra Fucecchio e Santa Maria a Monte. Precedentemente Pisa aveva fondato Cascina e Bientina, rispettivamente nel 1141 e nel 1179, e poi Pontedera (1269), Calcinaia (ante 1287) e Ponsacco (1364), insediamenti compresi tutti nella diocesi Pisana, tranne Ponsacco che era in territorio lucchese ed era l’unico situato a sud dell’Arno16. Forse in risposta alla

A causa di questi continui contrasti tra la due principali città, si venne a creare una situazione complessa e molto instabile, determinata soprattutto dalla divergenza tra i confini diocesani e quelli politici. La gestione di questo territorio rimase incerta fino alla definitiva conquista fiorentina di tutta l’area del Valdarno fino a Pisa, città che già a partire dalla seconda metà del Duecento aveva cominciato a manifestare i primi segnali di crisi. Il ruolo della città di Pisa divenne infatti sempre più marginale di territorio dipendente, si veda: Ceccarelli Lemut, M.L., Giurisdizioni signorili ecclesiastiche, cit., pp. 28-30. 11 Il conflitto riprese negli anni Sessanta, allargandosi in Valdera verso i territori volterrani, e si concluse con la pace del 1181 che tentava di nuovo di risolvere le controversie politiche ed economiche: Ceccarelli Lemut, M.L., Giurisdizioni signorili ecclesiastiche, cit., pp. 30-33. 12 Nella prima metà del XIII secolo infatti Pisa conquistò definitivamente i castelli di Montopoli, Montecastello, S. Gervasio, Colleoli, Palaia e Pratiglione, strappandoli al vescovo lucchese, Ceccarelli Lemut, M.L., Giurisdizioni signorili ecclesiastiche, cit., p. 36. 13 Questo tipo di organizzazione del contado, basato su circoscrizioni a carattere amministrativo, fiscale e giudiziario, con a capo un ufficiale inviato dal Comune, è attestato a partire dalla fine del XII secolo, Ceccarelli Lemut, M.L., Giurisdizioni signorili ecclesiastiche, cit., p. 35. 14 Pescaglini Monti, R., Dalla Valdera alla Valdisola, cit., pp. 297-299. I vescovi lucchesi concedevano beni in livello, benefici e titoli a quelle “famiglie pisane non necessariamente guelfe, ma che si appoggiavano a Lucca per conquistare il potere in Pisa”: Leverotti, F., L’organizzazione amministrativa del contado pisano dalla fine del ‘200 alla dominazione fiorentina: spunti di ricerca, in «Bollettino Storico Pisano», 61, 1992, p. 73.

15 Pinto, G., Il Valdarno inferiore tra geografia e storia, in Il Valdarno inferiore terra di confine nel Medioevo (Secolo XI-XV), atti del convegno di studi (30 settembre – 2 ottobre 2005), a cura di A. Malvolti e G. Pinto, Firenze 2008, pp. 10-11, nota 32. 16 Sull’argomento si veda il recente contributo: Terre nuove nel Valdarno pisano medievale, a cura di M.L. Ceccarelli Lemut e G. Garzella, Pisa 2005 e Garzella, G., I centri di nuova fondazione: tipologia, funzioni e connotazioni istituzionali, in Il Valdarno inferiore terra di confine nel Medioevo (Secolo XI-XV), atti del convegno di studi (30 settembre – 2 ottobre 2005), a cura di A. Malvolti e G. Pinto, Firenze 2008, pp. 151-163, dove sono riportate le indicazioni bibliografiche su ciascuna fondazione. Tra le pubblicazioni più recenti si vedano anche: Borghi nuovi e borghi franchi nel processo di costruzione dei distretti comunali nell’Italia centro-settentrionale (secoli XII-XIV), Atti del Convegno (Cherasco, 8-10 giugno 2001), a cura di R. Comba, F. Panero, G. Pinto, Cuneo 2002 e Le terre nuove, Atti del seminario internazionale (Firenze 18-30 gennaio 1999), a cura di D. Friedman e P. Pirillo, Firenze 2004.

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L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV) sopravvissuti a questa crisi furono occupati fino al nuovo abbandono nel secondo dopoguerra, mentre le valli interne, divenute marginali perché meno produttive, risultavano ormai spopolate nel corso del XV secolo.

fondazione pisana di Bientina, il comune di Lucca fondò Montecalvoli nel 1184, su terre dell’Abbazia di Sesto, vicinissimo al confine tra le due diocesi. Seguendo la stessa politica, nel 1255 i Lucchesi fondano altri due castelli in Versilia, Pietrasanta e Camaiore, ancora in funzione anti-pisana. Allo stesso modo anche il comune di Firenze fondò terre nuove nel Valdarno Superiore alla fine del Duecento (S. Giovanni, Castelfranco di Sopra e Terranuova)17. Infatti la fondazione di borghi franchi o terre nuove era finalizzata all’occupazione e al controllo del territorio, organizzandolo con insediamenti fortificati e con pianta regolare, a sostituire i villaggi aperti e diffusi nelle vallate. Si trattava di veri e propri progetti strategici che dovevano garantire il controllo soprattutto nelle aree di confine, soggette a continui conflitti, come nel caso del Valdarno inferiore, conteso tra Lucca e Pisa e successivamente tra Pisa e Firenze.

1.3. Il sistema viario Il grande interesse manifestato dalle città di Pisa e Lucca per questa zona era determinato soprattutto dalla presenza di importanti snodi viari e dalla possibilità quindi di controllare i traffici commerciali incassando dazi e balzelli. Il Valdarno inferiore infatti era attraversato dalle due principali arterie della Toscana: la strata Vallis Arni, l’antica via romana che collegava Firenze con Pisa, e quindi con il più importante porto toscano21, parallela al corso dell’Arno22, e la via Francigena, che da Lucca attraversava il Valdarno e imboccava la Valdelsa per proseguire verso Roma. La strata Vallis Arni usciva da Pisa dalla Porta S. Marco e si snodava con un andamento sinuoso lungo il corso del fiume, passando da Putignano, tra Visignano e Pagnàtico, Casciàvola, S. Casciano, Settimo, Càscina, Rinonichi (attuale Fornacette), Calcinaia, Pontedera, e si congiungeva presso S. Miniato con la via Francigena. All’altezza di Fornacette si dipartiva una strada verso Ponsacco e Volterra (la strata publica Pisana), e da Capannoli si poteva arrivare a San Gimignano e quindi congiungersi con la Francigena, passando per Pèccioli, Villamagna e il Castagno23. Da Calcinaia invece, procedendo verso Bientina, era possibile congiungersi con la strada di origine romana proveniente da Lucca con percorso pedemontano24.

Nel territorio collinare a sud dell’Arno invece la maglia insediativa era più fitta e sorgevano numerosi castelli minori, oltre a quelli più importanti di San Miniato e Montopoli, mentre nelle aree più periferiche dovevano esserci anche villaggi e insediamenti aperti18. La lontananza da Lucca aveva favorito lo sviluppo di alcuni centri che riuscirono a conquistarsi una larga autonomia, come nel caso di San Miniato, che fu a lungo sede del vicario imperiale (dagli inizi del XII alla fine del XIII secolo) e che si era costituita un territorio dipendente di notevole ampiezza, compreso tra l’Elsa e l’Egola. Fino al XII secolo prevalsero in quest’area le signorie territoriali, che a causa della particolare situazione politica godettero di larghe autonomie e costituirono tante identità locali. Nella zona ebbero possedimenti diverse famiglie dell’aristocrazia toscana, come gli Alberti, i Cadolingi, i Guidi e gli Upezzinghi.

Il resto della grande viabilità di origine romana non interessava questa zona, concentrandosi maggiormente nel territorio pisano, per cui la strada che correva lungo l’Arno era l’unico tracciato antico presente in questa porzione del Valdarno inferiore25.

Tra la fine del XIV e gli inizi del XV secolo molti villaggi vennero abbandonati, come registrano i catasti del 1427-2919. Le cause sono da ricercare nella grave crisi economica e demografica della seconda metà del Trecento, oltre che negli effetti negativi delle continue guerre e devastazioni che colpirono questi territori fino alla definitiva conquista fiorentina. Già dalla metà del XIV secolo assistiamo al fenomeno dell’aggregazione delle proprietà terriere nelle mani della borghesia cittadina fiorentina e pisana, ma anche fucecchiese e sanminiatese, che le riorganizzano in poderi, quindi in unità produttive rurali sparse, creando il sistema insediativo che diventerà tipico del paesaggio locale e favorirà l’abbandono dei villaggi20. I pochi villaggi

(Villa Pacchiani, Santa Croce sull’Arno, 14 maggio – 5 giugno 1983), Pontedera 1983, pp. 33-34. 21 Tutte le città toscane (Firenze, Pistoia, Prato, Arezzo e saltuariamente Siena) usufruivano dello scalo pisano, tranne Lucca che sfruttava il porto di Motrone, si veda: Pinto, G., Il Valdarno inferiore tra geografia e storia, cit., pp. 4-5. Per i carichi particolarmente pesanti si preferiva ricorrere al trasporto fluviale, su questo argomento si veda: Morelli, P., La navigazione fluviale nel Valdarno inferiore durante il Medioevo, in Incolti, fiumi, paludi. Utilizzazione delle risorse naturali della Toscana medievale e moderna, a cura di A. Malvolti e G. Pinto, Firenze 2003, pp. 95-104. 22 Il corso dell’Arno era diverso dall’attuale, per cui la strada antica non coincideva del tutto con l’odierna S.S. 67. Infatti gli interventi medicei con la rettifica del corso dell’Arno a partire dal 1560 alterarono profondamente l’assetto della zona. 23 Pescaglini Monti, R., Strade, castelli, chiese, ospedali: viabilità e insediamenti nel Basso Valdarno tra la Chiècina e l’Isola, in La via Francigena e il Basso Valdarno: vie di terra e d’acqua nel Medioevo fra l’Elsa e il mare. Prospettive della ricerca e primi risultati, atti del seminario (Pisa 4 dicembre 1996), a cura di M.L. Ceccarelli Lemut e G. Garzella, Pontedera 1998, pp. 45-46. 24 Ceccarelli Lemut, M.L., Vie di Terra e d’acqua nella Toscana medievale, in Pellegrinaggio e ospitalità nelle Cerbaie medievali, Atti della giornata di studio sulla via Francigena (Galleno-Altopascio, 27 maggio 2001), a cura di S. Sodi, Pisa 2001, pp. 39-40. 25 Pescaglini Monti, R., Strade, castelli, chiese, ospedali, cit., pp. 42-43.

17 Sulle fondazioni fiorentine si veda: Friedman, D., Terre nuove. La creazione delle città fiorentine nel tardo medioevo, Torino 1996. 18 Pinto, G., Il Valdarno inferiore tra geografia e storia, cit., p. 8. 19 I centri maggiori resistono, come San Miniato con 1500 abitanti dentro le mura, o Montopoli, con 630 abitanti, Palaia con 570 e Marti con 500, mentre i castelli più piccoli hanno una popolazione che non supera le 200 unità (per esempio Balconevisi, 154, Colleoli, 118, Montecastello 127), tranne poche eccezioni come Ponsacco, 346, Lari 324 e Cigoli, 316. Pinto, G., Il Valdarno inferiore tra geografia e storia, cit., pp. 8-9; Klapisch-Zuber, Ch., Una carta del popolamento toscano negli anni 1427-1430, Milano 1983, pp. 25-26 e 47-48. 20 Frammenti di storia. Archeologia di superficie nel Medio Valdarno Inferiore, a cura di G. Ciampoltrini e F. Maestrini, catalogo della mostra

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1. L’ordinamento territoriale, la giurisdizione ecclesiastica e i poteri laici L’area del Valdarno inferiore compresa tra le valli dell’Elsa e del Cascina era attraversata anche da una serie di strade ad interesse locale. Il ricco panorama della rete stradale locale è stato ricostruito dagli storici ricorrendo principalmente agli statuti emanati dai comuni, quelli della città di Pisa, che ovviamente riportano solo le notizie che riguardano i collegamenti tra la città principale e il suo territorio, e soprattutto quelli dei centri minori, che invece dedicano ampio spazio alle strade, indicando nomi e direzioni, e trattando dettagliatamente i problemi più ordinari, come la manutenzione o l’accesso ai campi31.

La via Francigena invece raggiungeva il nostro territorio dopo aver attraversato la Valdelsa seguendo i diversi tracciati che si aggiunsero nelle varie epoche, e attraversava l’Arno all’altezza di Fucecchio26. Nonostante si siano sviluppati diversi itinerari alternativi, il passaggio da San Genesio rimase stabile nel corso dei secoli. L’itinerario più antico, riferito da Sigerico, arcivescovo di Canterbury di ritorno da Roma alla sua sede episcopale (post 990 – ante 994), prevedeva il passaggio sul crinale delle colline che fanno da spartiacque tra la Valdelsa e la val d’Egola, toccando San Gimignano, S. Maria a Chianni e S. Pietro a Coiano, e subito dopo San Genesio attraversava l’Arno in un punto denominato “Arne Blanca”, presumibilmente nei pressi di Fucecchio, seguito da un altro toponimo, “Aqua Nigra”, localizzabile nella zona nei pressi del torrente Usciana, che nel medioevo impaludava contribuendo a formare l’area palustre di Fucecchio27. Il diario di pellegrinaggio a Roma di Nikulas di Munkathvera, abate islandese del monastero di Thingor (1154 c.) riporta un itinerario molto simile a quello di Sigerico fino a “Sanctinus Borg” (San Genesio), citando anche “Arns Blakr” (corrispondente all’attuale Ponte a Cappiano sull’Usciana), dopodichè riferisce la variante di fondo valle lungo il corso dell’Elsa fino a Borgo Marturi (Poggibonsi)28. Il borgo di San Genesio è menzionato anche nelle Memorie del viaggio da Roma alla Francia del re Filippo II Augusto di ritorno dalla crociata del 1191, il quale percorse le località di fondo valle, attraversando l’Elsa all’altezza di Castelfiorentino, e citò nuovamente “Arle-le-blanc” e “Arle-le-nair”, per poi raggiungere Galleno e Altopascio29.

Nel Breve Pisani Communis, lo statuto del 1287, il quarto libro affronta il tema del lavori pubblici e nello specifico contiene le norme per la costruzione e la manutenzione di strade e ponti e per la regolamentazione dei corsi d’acqua. Qui vengono ricordate almeno quattro strade di interesse più o meno locale e si impone agli abitanti di quelle zone di provvedere alla loro manutenzione: la strada che collegava Montalto e Tremoleto, nel piviere di Tripalle, a sinistra del torrente Isola; la strada, già menzionata, che si diramava dalla strata Vallis Arni all’altezza di Fornacette e raggiungeva Ponsacco; un tratto della strata Vallis Arni, compreso tra la periferia orientale di Pontedera (Tavelle, nei pressi di La Rotta) e Casteldelbosco, e infine la via Pontis Sacci, che collegava Ponsacco con Lari, sulle Colline pisane32. Nello statuto pisano del 1302 si fa ancora riferimento alla strata Vallis Arni, a conferma del ruolo fondamentale che rappresentava per la città di Pisa, ma vengono aggiunti anche riferimenti a nuovi lavori, concentrati soprattutto nella zona a destra dell’Era, sui collegamenti con San Miniato e Firenze33.

A partire dal XIII secolo, con la fioritura dei traffici commerciali e la crescita dei centri della valle dell’Arno, quali Arezzo, Pistoia, Prato e soprattutto Firenze, si affermò un tracciato della Francigena alternativo, sulla sponda destra dell’Elsa, nel contado fiorentino30.

1.4. L’organizzazione ecclesiastica La definizione dei confini diocesani di questa zona a sud dell’Arno avvenne presumibilmente durante il VI secolo. Risale a quest’epoca l’invasione longobarda della Tuscia, con la conquista di Lucca, divenuta subito capitale del nuovo ducato, e l’espansione verso i territori di Pisa e di Volterra, ancora sotto il dominio bizantino34. La

26 Il ponte di Fucecchio, documentato dal 1002, venne ricostruito intorno al 1120-1130, dopo che era stato travolto da una piena all’inizio del secolo. Nel periodo in cui era distrutto probabilmente si sviluppò un percorso alternativo che collegava Lucca con Pontedera, costeggiando il Monte Pisano e l’antico lago di Sesto, e attraversando l’Arno nella zona in cui pochi anni dopo, nel 1179, fu fondata Bientina. Questa via alternativa attraversava l’Era nel punto in cui sorgerà Pontedera nel secolo successivo, con un ponte attestato fin dal 1099, e si ricongiungeva con la strata Vallis Arni che conduceva fino all’Elsa. Si veda: Morelli, P., La Francigena: passaggi obbligati e pluralità di percorsi, in La via Francigena e il Basso Valdarno: vie di terra e d’acqua nel Medioevo fra l’Elsa e il mare. Prospettive della ricerca e primi risultati, atti del seminario (Pisa 4 dicembre 1996), a cura di M.L. Ceccarelli Lemut e G. Garzella, Pontedera 1998, pp. 67-69. Sulla viabilità nella zona di Fucecchio si veda: Malvolti, A., Vanni Desideri, A., La strada Romea e la viabilità fucecchiese nel Medioevo, Fucecchio 1995. 27 Stopani, R., La via Francigena: una strada europea nell’Italia del Medioevo, Firenze 1988, pp. 17-28, 117-118. 28 Stopani, R., Le vie di pellegrinaggio nel Medioevo, Firenze 1991, pp. 43-72. 29 Stopani, R., La via Francigena, cit., pp. 61-70. 30 Stopani, R., La via Francigena, cit., pp. 93-102. A quel punto si rese necessario costruire un ponte sull’Elsa, documentato dal 1280, che permettesse, una volta giunti a Castelfiorentino, di passare sulla sponda sinistra del fiume per proseguire sul tracciato precedente.

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Pescaglini Monti, R., Strade, castelli, chiese, ospedali, cit., pp. 43-44 (per l’elenco degli statuti dei centri minori si veda p. 50 e per le informazioni sulla fitta rete viaria locale si vedano pp. 52-54). 32 Pescaglini Monti, R., Strade, castelli, chiese, ospedali, cit., pp. 45-48. 33 Pescaglini Monti, R., Strade, castelli, chiese, ospedali, cit., pp. 49-50: vengono menzionate la strada tra Mercatale (Treggiaia) e Petriolo, in Valdera, la strada che collegava Pontedera con San Miniato e quindi con Firenze, e un’altra strada di interesse locale nella zona di Casciana Terme (da Vivaia a Aquis). 34 Conti, P.M., La Tuscia e i suoi ordinamenti territoriali nell’alto Medioevo, in Lucca e la Tuscia nell’Altomedioevo, Atti del V congresso internazionale di studi sull’Alto Medioevo (Lucca, 3-7 ottobre 1971), Spoleto 1973, pp. 61-116; Morelli, P., Pievi, castelli e comunità fra Medioevo ed età moderna nei dintorni di San Miniato, in Le Colline di S. Miniato (Pisa). La natura e la storia, San Miniato 1997, p. 80; Violante, C., Le strutture organizzative della cura d’anime nelle campagne dell’Italia centro-settentrionale (secoli V-X), in Cristianizzazione e organizzazione ecclesiastica delle campagne nell’alto medioevo, XXVIII Settimana di studio del Centro italiano di studi sull’Alto Medioevo, Spoleto 1983, tomo II, pp. 963-1162, p. 1014: “la non-coincidenza delle circoscrizioni diocesane con i territori civili,

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L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV) queste era officiata da un rettore, che poteva essere anche un semplice chierico, e che almeno inizialmente non era stabile, ma vi si recava occasionalmente39. Durante l’età carolingia l’organizzazione della cura d’anime si stabilizzò e si fissarono alcuni principi: le chiese battesimali erano soggette al rispettivo vescovo, che se ne doveva occupare assiduamente, e dovevano essere rette da un prete stabile, non un chierico o un diacono; gli oratori erano retti da preti, sottoposti al pievano e ormai stabili anch’essi, che avevano alcune funzioni di cura d’anime, come la cura spirituale dei malati in pericolo di vita40. È in questa fase che venne introdotto anche l’obbligo del pagamento delle decime alle chiese battesimali da parte dei fedeli.

giurisdizione del vescovo di Lucca venne successivamente confermata su queste terre, nonostante la lontananza dalla sede vescovile, e resistette per tutto il Medioevo e gran parte dell’epoca moderna. Infatti fu soltanto all’inizio del XVII secolo che l’intera area qui considerata, con l’aggiunta di una porzione del territorio a nord dell’Arno, tra S. Maria a Monte e Cerreto Guidi, fu smembrata dall’antica diocesi di Lucca, in seguito all’istituzione della cattedra vescovile di San Miniato nel 1622 e alla costituzione di una nuova diocesi. L’organizzazione ecclesiastica territoriale era basata sul sistema per pievi, che si era sviluppato con l’affermarsi del cristianesimo a partire dall’alto medioevo (VI-VII secolo)35. La struttura prevedeva una serie di chiese plebane all’interno del territorio diocesano, ciascuna delle quali esercitava una giurisdizione su un’area ben determinata36, gestendo principalmente la cura d’anime (amministrazione dei sacramenti, predicazione e messa nei giorni festivi), ma rivestendo un ruolo importante anche nell’ambito della vita civile, essendo una delle prime istituzioni pubbliche, rivolta al popolo e contrapposta a quelle chiese, cappelle, oratori o monasteri di fondazione privata. Il territorio diocesano era quindi ripartito in pivieri, a capo di ciascuno dei quali era posta la pieve, da cui dipendevano un certo numero di oratori o chiese suffraganee37, erette per soddisfare in modo più capillare le esigenze di cura d’anime della popolazione, sparsa in aree talvolta anche molto vaste. L’amministrazione del battesimo e della sepoltura erano prerogative delle chiese plebane, che erano infatti le uniche dotate del fonte battesimale, talvolta ospitato addirittura in una struttura dedicata e distinta dalla chiesa, e del cimitero. Il sistema permetteva ai vescovi di esercitare un maggiore controllo nell’amministrazione dei sacramenti, soprattutto quello più importante, il battesimo. La distribuzione delle chiese suffraganee fu determinata quindi dalle effettive esigenze della popolazione e dalla consistenza demografica delle varie zone38. Ognuna di

Fra l’XI e il XII secolo assistiamo in molte diocesi alla creazione di nuove pievi, sorte per bilanciare lo sviluppo demografico di determinate zone e approvate dai vescovi che preferivano certamente istituire nuove pievi, sulle quali potevano esercitare un controllo diretto, piuttosto che concedere diritti alle cappelle, con il rischio che causassero una disgregazione all’interno del piviere di cui facevano parte41. Nella diocesi lucchese intorno all’anno Mille risultano già presenti la maggior parte delle pievi che verranno poi elencate nell’estimo del 1260 e nelle Rationes decimarum: la distribuzione dei pivieri all’interno della diocesi appare quindi capillare e uniforme e la struttura organizzativa sembra subire poche variazioni fino alla fine del XIII secolo. Nell’area periferica della diocesi lucchese a nord dell’Arno, dove la situazione sembra già fissata, con le pievi di S. Maria a Monte, Cappiano e Ripoli, abbiamo un’unica eccezione rappresentata dalla pieve di S. Giovanni di Fucecchio, che venne istituita tra la fine dell’XI e l’inizio del XII secolo e divenne dipendente dal monastero di S. Salvatore, su richiesta dei Cadolingi, famiglia fondatrice42. Anche nell’area del Valdarno che stiamo analizzando l’assetto territoriale risulta ormai stabilizzato tra X e XI secolo e alcune delle pievi sono documentate già a partire dall’VIII secolo43, mentre tutte le altre sono attestate per la prima volta nel IX o nel X secolo44. Nella

che erano stati modificati soprattutto dall’insediamento dei Longobardi, diventò – in parecchi casi – tale da sollecitare lo spostamento dei confini diocesani.” 35 Sull’origine dell’organizzazione territoriale e sulla definizione dei confini diocesani si veda: Violante, C., Le strutture organizzative della cura d’anime, cit., pp. 972-983. 36 Sul problema della corrispondenza tra le circoscrizioni ecclesiastiche e quelle civili e sulla continuità delle strutture amministrative altomedievali rispetto a quelle antiche si veda: Violante, C., Pievi e parrocchie nell’Italia centro-settentrionale durante i secoli XI-XII, in Le istituzioni ecclesiastiche della Societas Christiana dei secoli XI-XII. Diocesi, pievi e parrocchie, Atti della VI settimana internazionale di studio (Milano 1974), Milano 1977, pp. 650-653. 37 In alcuni famosi documenti dell’VIII secolo, inerenti ad una controversia tra i vescovi di Arezzo e Siena avvenuta intorno all’anno 715, viene ribadito più volte che gli oratori dipendevano da una chiesa battesimale, si veda: Violante, C., Le strutture organizzative della cura d’anime, cit., pp. 1029-1030. 38 Sul rapporto tra il popolamento e la distribuzione degli edifici religiosi nell’alto Medioevo si vedano: Settia, A., Chiese, strade e fortezze nell’Italia medievale, Roma 1991, pp. 3-38 e Moretti, I., Espansione demografica, sviluppo economico e pievi romaniche: il caso del contado fiorentino, in «Ricerche Storiche», 13, 1983, pp. 33-69, nello specifico pp. 65-66.

39 Nei già citati documenti del 715, le chiese battesimali risultano rette da un prete stabile, gli oratori invece erano officiati da chierici o preti che provenivano dalla pieve. Inoltre un prete poteva accumulare più incarichi, diventando allo stesso tempo rettore di una pieve e di un oratorio. Violante, C., Le strutture organizzative della cura d’anime, cit., pp. 1032-1034. 40 Violante, C., Le strutture organizzative della cura d’anime, cit., pp. 1058-1070. 41 Violante, C., Pievi e parrocchie nell’Italia centro-settentrionale, cit., pp. 726-727. 42 Violante, C., Pievi e parrocchie nell’Italia centro-settentrionale, cit., pp. 727-728. Sulla fondazione della pieve e sulla sua inconsueta situazione giuridica si veda: Ronzani, M., Definizione e trasformazione di un sistema di inquadramento ecclesiastico: la pieve di Fucecchio e le altre pievi del Valdarno fra XI e XV secolo, in Il Valdarno inferiore terra di confine nel Medioevo (Secolo XI-XV), atti del convegno di studi (30 settembre – 2 ottobre 2005), a cura di A. Malvolti e G. Pinto, Firenze 2008, pp. 68-97. 43 Le pievi più antiche sono quelle di Musciano, documentata a partire dal 746, di S. Genesio di Vico Wallari (attestata per la prima volta nel 715 e con il titolo plebano dal 763) e di Gello (764). 44 Sono documentate nel IX secolo le pievi di S. Gervasio (813), Aquis (840), Sovigliana (844), Appiano (845), Padule (853), Tripalle (855),

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1. L’ordinamento territoriale, la giurisdizione ecclesiastica e i poteri laici chiesa lucchese, elencò soltanto cinque pievi su un totale di circa cinquanta51.

zona del Valdarno inferiore compresa nella diocesi pisana invece le pievi attestate prima del Mille sono meno numerose, ma sono tuttora esistenti e funzionanti (S. Giovanni alla Vena, Calcinaia, Cascina e S. Casciano)45. Una delle peculiarità delle pievi del Valdarno lucchese infatti è proprio la loro breve durata: come vedremo più avanti, molte delle pievi più antiche sono scomparse e spesso sono venuti meno anche i toponimi.

In realtà tramite questa rete di rapporti vassallatici e clientelari, i vescovi riuscivano a mantenere il controllo, anche se indirettamente, degli enti ecclesiastici della diocesi o addirittura al di fuori del territorio diocesano52. Infatti i vescovi lucchesi, tramite la concessione a livello di pievi, decime e beni, riuscirono a legare a sé molte famiglie aristocratiche, non solo di origine lucchese, che avevano possedimenti in diverse parti della regione e non erano collegate a nessuna città in particolare. Questo comportò la creazione di nuclei di potere poco influenti, perché troppo disgregati e sparsi in un territorio vasto, non riuscendo ad imporsi come centri signorili indipendenti dalle città53. I castelli che vennero fondati in questa zona, pur essendo numerosi, si rivelarono nel tempo delle strutture piuttosto deboli e poco incisive sul territorio54. Inoltre è stato osservato che in realtà le città stesse cercavano di mantenere il controllo di aree periferiche del proprio contado tramite il vescovo e incentivavano quindi la politica vescovile orientata a stringere legami con le famiglie signorili55.

1.5. I rapporti tra l’autorità vescovile e i poteri laici Fin dal IX secolo si era diffusa la consuetudine da parte dei vescovi di concedere pievi in beneficio o in livello a laici, creando un sistema di tipo signorile e feudale che ebbe un ruolo determinante in ambito politico46. Talvolta anche gli oratori o i beni fondiari o le decime di una pieve venivano ceduti in livello ereditario a chierici o a laici dal pievano stesso47. A metà XI secolo venne modificata la procedura con la quale si assegnavano i rettori alle pievi, che da questo momento in poi venne concessa in livello dal vescovo al pievano, con le sue pertinenze e le sue cappelle dipendenti48. La concessione di benefici a laici, che in certi casi corrispondevano a vere e proprie alienazioni, arrecarono danni gravissimi alla chiesa lucchese49, mettendo in crisi l’autorità vescovile e disgregando il territorio diocesano. Alla fine del IX secolo, con la redazione di inventari come il “breve de feora”, su iniziativa del vescovo di Lucca Pietro II, si tentò di recuperare alcuni beni o almeno di impedire una ulteriore dispersione50, ma subito dopo le cessioni livellarie continuarono e si intensificarono alla fine del X secolo, fino al punto che, a metà XI secolo, quando papa Alessandro II confermò in una bolla i pochi beni rimasti in diretto possesso della

1. 6. Monasteri, ospedali e canoniche Tra gli enti ecclesiastici diffusi sul territorio vanno considerati anche i monasteri. La loro presenza non rientrava nella struttura organizzativa diocesana, pur rivestendo un importante ruolo nel contesto sociale, politico ed economico, ed essendo attivi in molti casi anche nella cura d’anime. Nel nostro territorio abbiamo riscontrato una insolita carenza di fondazioni monastiche e quelle che sono documentate sono state tutte soppresse in epoca moderna e non ne restano tracce. Dagli elenchi delle Rationes decimarum e dall’estimo della diocesi del 1260 risulta che in questa zona esistevano soltanto due monasteri, l’abbazia dei Ss. Bartolomeo e Gioconda di Bacoli, detta S. Gonda, presso San Miniato, e il monastero dei Ss. Ippolito e Cassiano di Carigi, sul confine con la diocesi di Volterra, inoltre sono menzionati anche due eremi, quello di Pereta e quello di Monteforte, entrambi dedicati a S. Maria e situati nel piviere di Gello, sulle Colline pisane56.

Fabbrica (867), Corazzano (892) e Barbinaia (898). Compaiono nel X secolo invece le pievi di Migliano (910), Triana (911) e Lavaiano (954). 45 Le altre pievi pisane più vicine alle città vennero fondate nel corso dell’XI secolo (S. Lorenzo alle Corti e S. Giulia di Caprona). Nonostante le trasformazioni insediative e l’abbandono di molte chiese di villaggio tra XIV e XV secolo, le pievi rimasero tutte in funzione e sono sopravvissute fino a giorni nostri anche se non sempre hanno mantenuto le strutture medievali. Le pievi pisane non sfuggirono mai allo stretto controllo della chiesa vescovile, che geograficamente era piuttosto vicina e che assegnava i benefici e le cariche di pievano a membri delle più importanti famiglie pisane. Si veda: Ronzani, M., Definizione e trasformazione di un sistema di inquadramento ecclesiastico, cit., pp. 64-65, 124-126. 46 Violante, C., Pievi e parrocchie nell’Italia centro-settentrionale, cit., pp. 657-667; Violante, C., Le strutture organizzative della cura d’anime, cit., pp. 1072-1084. 47 Violante, C., Le strutture organizzative della cura d’anime, cit., p. 1088. 48 Violante, C., Pievi e parrocchie nell’Italia centro-settentrionale, cit., pp. 659-661: “l’impegno dell’officiatura derivava, al prete che ne era rettore, piuttosto dal possesso della chiesa che dall’esservi stato ordinato o dal suo ufficio o dal suo rapporto di dipendenza nei riguardi del vescovo secondo la gerarchia d’ordine”. 49 Il beneficiario di un livello ereditario riceveva le rendite di una parte del patrimonio della pieve, delle sue decime e spesso anche delle chiese suffraganee, pagando un censo annuo proporzionale ai beni ricevuti.Violante, C., Le strutture organizzative della cura d’anime, cit., pp. 1091-1104. 50 Si introdusse nelle cartulae ordinationis il divieto di cedere in livello possessi o chiese pertinenti alla pieve, Violante, C., Le strutture organizzative della cura d’anime, cit., pp. 1091-1096.

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Violante, C., Pievi e parrocchie nell’Italia centro-settentrionale, cit., pp. 657-658. 52 Violante, C., Le strutture organizzative della cura d’anime, cit., p. 1142. Si veda ad esempio la vicenda che riguardò i castelli di Palaia e S. Gervasio, allivellati dal vescovo di Lucca a dei laici, stipulando un contratto che prevedeva la mutua assistenza, anche militare, e l’instaurazione quindi di un rapporto di tipo vassallatico, si veda: Morelli, P., Signorie ecclesiastiche e laiche, cit., pp. 286-289. 53 Pescaglini Monti, R., Dalla Valdera alla Valdisola, in La pianura di Pisa e i territori contermini. La natura e la storia, a cura di R. Mazzanti, Roma 1994, p. 297. 54 Pescaglini Monti, R., Strade, castelli, chiese, ospedali, cit., pp. 55-57. 55 Morelli, P., Signorie ecclesiastiche e laiche, cit., pp. 306-307. 56 I due eremi sono menzionati nelle decime del 1275-1277, tra gli enti esenti, si veda: Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I: La decima degli anni 1274-1280, a cura di P. Guidi, Città del Vaticano 1932, pp. 193, 207-208.

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L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV) viario della zona, dove si incrociavano la via Francigena e la strata Vallis Arni.

Il monastero di S. Gonda, elencato nelle decime del 127677 tra gli enti esenti dal pagamento, era sorto ai piedi della collina di Cigoli, come monastero femminile, ma alla fine del XII secolo vi erano rimaste solo due monache, per questo nel 1192 papa Celestino III lo trasferì alla congregazione camaldolese, che vi stabilì una comunità maschile. Successivamente l’abbazia attraversò una nuova fase di decadenza e nel 1566 fu unita al monastero fiorentino di S. Benedetto fuori porta a Pinti57. L’abbazia di Carigi fu fondata sulle pendici del colle di Montefoscoli dai Farolfi, famiglia lucchese di altissimo rango, ma dopo un breve periodo di splendore, entrò in crisi all’inizio del XII secolo e per questo motivo i patroni la donarono al priore di Camaldoli nel 1102 e vi si insediarono i monaci camaldolesi58. Il monastero si trovava sul confine tra le diocesi di Lucca e Volterra, infatti compare sia nelle decime della diocesi di Lucca, come dipendente dalla pieve di S. Gervasio, sia in quelle volterrane, nella giurisdizione della pieve di S. Bartolomeo al Pino (oggi in località La Piappina, vicino Peccioli)59.

L’ospedale di Casteldelbosco era stato fondato nel 1228 da un religioso locale, Fra Giusto da Piuvica, su di una collina che era stata fatta fortificare nel 1222 dalla famiglia pisana degli Upezzinghi64. Tuttavia l’ente ebbe vita breve, forse sopravvivendo di poco al suo fondatore e primo rettore65: nel 1388 fu unito alla chiesa di S. Lucia di Pedisciano, alla periferia meridionale di Pontedera, e nel 1591 le sue rovine furono utilizzate per costruire il monastero di S. Marta di Montopoli66. La domus S. Crucis de Ultramare, attestata per la prima volta nel 123767 e poi nell’estimo del 1260, ma non menzionata nelle decime del 1275-77 e del 1302-03, probabilmente fu fondata dalla famiglia pisana degli Upezzinghi, che era la maggiore proprietaria di beni della zona68. Infine la domus infectorum Sancti Laçari è menzionata nel privilegio papale del 1195 e ricompare nelle decime del 1302-1303, ma anch’essa è scomparsa ed è ricordata da una cappella intitolata a S. Lazzaro a pochi metri dal cimitero di Ponte a Elsa69.

Non solo i monasteri, ma anche gli ospedali sono poco numerosi in quest’area, nonostante la presenza della via Francigena e della strata Vallis Arni, che avrebbero richiesto la presenza delle consuete strutture di assistenza ai viaggiatori60. Le Rationes decimarum e l’estimo della diocesi menzionano solo tre enti61: l’ospedale di Casteldelbosco, sulla sponda sinistra del torrente Chiecina, nel piviere di S. Gervasio, la domus S. Crucis de Ultramare, presso Ponsacco, e la domus infectorum Sancti Laçari, presso S. Genesio62. Il primo era situato lungo la strata Vallis Arni, il secondo invece era sorto nel punto in cui la strada per Pisa si incrociava da un lato con le vie provenienti da Volterra e dalla Valdelsa, e dall’altro con quelle provenienti dalle Colline pisane, dalla valle del Cascina e da Lari63. Il lebbrosario di S. Lazzaro invece sorgeva presso il più importante snodo

Data la carenza di fonti documentarie che ci dimostrino il contrario, le ricerche più recenti hanno supposto che lungo la strata Vallis Arni tra Pontedera e San Miniato, oltre all’unico ospedale esistente, attestato soltanto dal XIII secolo, l’assistenza ai viaggiatori doveva essere garantita dalle numerose chiese suffraganee sparse lungo la sponda sinistra dell’Arno70. Per quanto riguarda l’assistenza ai viaggiatori lungo la via Francigena, nel tratto che attraversava il nostro territorio è documentato soltanto il lebbrosario di S. Genesio. Gli enti assistenziali si concentravano soprattutto nei tratti più impegnativi o più pericolosi delle

57 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 87. Oggi è identificabile con la Fattoria della Badia, lungo la strada statale Tosco-romagnola. 58 Morelli, P., La pieve di S. Gervasio di Verriana, cit., pp. 54-55; Repetti, E., Dizionario geografico fisico storico della Toscana, Firenze 1833-1846, vol. I, pp. 180-181. 59 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 83. L’abate fu sempre sottoposto all’autorità del vescovo di Volterra, che ne confermava l’elezione, come dimostrano alcuni documenti del 1115, del 1280 e del 1322, ma allo stesso tempo, nel XIV secolo, il vescovo di Lucca in visita pastorale nel piviere di S. Gervasio, visitò anche alla badia, si veda: Morelli, P., La pieve di S. Gervasio di Verriana e il suo territorio (sec. VIII-XV), in Palaia ed il suo territorio fra antichità e medioevo, Atti del convegno di studi (Palaia, 9 gennaio 1999), a cura di P. Morelli, Pontedera 2000, p. 54, n. 112. 60 Sulla nascita degli enti assistenziali lungo le strade si veda: Stopani, R., Le grandi vie di pellegrinaggio nel Medioevo: spedali, lebbrosari e xenodochi lungo l’itinerario toscano della via Francigena, in Pistoia e il Cammino di Santiago. Una dimensione europea nella Toscana medioevale, Atti del Convegno Internazionale di Studi (Pistoia, 28-30 settembre 1984), a cura di L. Gai, Napoli 1987, pp. 313-330. 61 Tuttavia per questa tipologia di enti gli elenchi delle decime sono poco attendibili, trattandosi per lo più di piccole istituzioni che probabilmente non venivano tassate. 62 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I: La decima degli anni 1274-1280, a cura di P. Guidi, Città del Vaticano 1932, pp. 270, 267; Tuscia, II: La decima degli anni 1295-1304, a cura di M. Giusti e P. Guidi, Città del Vaticano 1942, p. 279. 63 Pescaglini Monti, R., Strade, castelli, chiese, ospedali, cit., p. 57.

64 A Casteldelbosco si svolse una guerra che vide coinvolte tutte le più importanti città toscane (Lucca e Firenze da una parte, Pisa, alleata con Pistoia, Siena, Poggibonsi, Colle Val d’Elsa, San Gimignano, San Miniato e con il vescovo di Volterra, dall’altra), intervenute non solo a causa di rivalità politiche, ma probabilmente per l’interesse che rivestiva il castello per i traffici commerciali e la riscossione dei dazi, si vedano: Davidsohn, R., Storia di Firenze, Firenze 1957-1977, vol. II, pp. 122131; Morelli, P., Signorie ecclesiastiche e laiche, cit., pp. 312-315. 65 Compare nell’estimo del 1260, si veda: Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I: La decima degli anni 1274-1280, a cura di P. Guidi, Città del Vaticano 1932, p. 270. 66 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità fra Medioevo ed età moderna nei dintorni di San Miniato, in Le Colline di S. Miniato (Pisa). La natura e la storia, San Miniato 1997, p. 82. 67 Archivio di Stato di Pisa, Diplomatico Roncioni. 68 Alcune località del piviere vengono definite in una serie di documenti come “podere Opethingorum”, e così viene definita tutta l’area a sud di Pontedera tolta agli Upezzinghi e annessa al comune di Pisa nel 1292, si veda: Pescaglini Monti, R., Dalla Valdera alla Valdisola, in La pianura di Pisa e i rilievi contermini. La natura e la storia, a cura di R. Mazzanti, Roma 1994, p. 309. 69 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 89. 70 Morelli, P., La Francigena: passaggi obbligati e pluralità di percorsi, in La via Francigena e il Basso Valdarno: vie di terra e d’acqua nel Medioevo fra l’Elsa e il mare. Prospettive della ricerca e primi risultati, atti del seminario (Pisa 4 dicembre 1996), a cura di M.L. Ceccarelli Lemut e G. Garzella, Pontedera 1998, p. 69, nota 37.

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1. L’ordinamento territoriale, la giurisdizione ecclesiastica e i poteri laici strade, come nel pressi di passi appenninici o di attraversamenti di fiumi. Nel territorio fucecchiese infatti, caratterizzato dalla presenza della zona boscosa delle Cerbaie e da zone paludose, comprendendo anche l’attraversamento di due fiumi, l’Usciana e l’Arno, erano presenti alcuni ospizi, oltre a quello più famoso di Altopascio71. Dopo aver attraversato l’Arno, entrando nel nostro territorio si incontrava S. Genesio, dopodichè procedendo verso Coiano, Chianni e San Gimignano si trovavano numerosi ospizi.

per la popolazione locale75. In alcune aree della Toscana infatti sono state individuate numerose canoniche allineate in corrispondenza delle maggiori vie di comunicazione. In Valdelsa per esempio vennero istituite molte canoniche lungo i due itinerari principali della Francigena, nel fondo valle dell’Elsa, a destra e a sinistra del fiume, concentrandosi in particolar modo intorno a Poggibonsi, centro che costituiva un nodo stradale importante, all’incrocio con la cosiddetta “via volterrana sud”76.

Come è noto, a garantire l’assistenza ai viandanti e ai bisognosi erano principalmente gli ospedali e gli xenodochi, ma anche i monasteri, soprattutto quelli che si trovavano lungo importanti vie di comunicazioni, possedevano una domus hospitalis per i poveri e i pellegrini. Dall’XI secolo molti laici delle città piccole o grandi fondarono ospizi per l’assistenza ai bisognosi72, e a questi si aggiunsero, fra l’XI e il XII secolo, le fondazioni ospitaliere dei canonici riformati73.

Nella diocesi di Lucca sono documentate nel complesso 26 canoniche, 8 urbane e suburbane, e 18 rurali. Tra queste ultime ben sei si trovavano nel nostro territorio: cinque appartenevano al piviere di San Genesio (pieve S. Genesio, S. Michele di Pianezzoli, S. Stefano di Torrebenni, S. Martino di Castiglione, S. Pietro di Marcignana) e una era situata nel piviere di Fabbrica (S. Salvatore di Piaggia)77. Questi enti erano concentrati principalmente nell’area intorno alla foce dell’Elsa nell’Arno, su entrambe le sponde del fiume, quindi nella zona circostante al grande snodo viario che comprendeva la Strada Vallis Arni e la via Francigena78. Tra le canoniche menzionate solo quelle di Pianezzoli, Torrebenni e Marcignana si sono conservate, ma solo quest’ultima presenta ancora l’aspetto originario, mentre le chiese di Castiglione, Piaggia e S. Genesio sono scomparse.

Le canoniche si svilupparono durante l’XI secolo, in una fase caratterizzata da un fervore religioso nuovo che portò alla ricostruzione di molte chiese, aumentandone le dimensioni e la ricchezza, alla fondazione di nuovi enti, monasteri e ospedali, favoriti dal moltiplicarsi delle donazioni, e al rafforzamento dell’autorità vescovile, recuperando i diritti del vescovo e ricompattando il territorio vescovile. La nascita delle canoniche venne promossa soprattutto da alcuni vescovi, come Giovanni II (1023-1056), Anselmo I (1061-1073), Anselmo II (10731086) e Rangerio (1097-1112), e il fenomeno venne accolto positivamente dai fedeli74. Nel corso del XII e del XIII secolo il numero delle canoniche aumentò notevolmente, andando a costituire una categoria a parte tra le chiese sparse sul territorio, pur rimanendo inserite nell’organizzazione ecclesiastica diocesana, visto che i canonici facevano parte del clero regolare, direttamente dipendente dal vescovo. Nel frattempo divenne sempre più frequente anche l’istituzione di Capitoli canonicali presso le pievi.

1.7. La crisi dell’ordinamento plebano Già durante il XIII secolo iniziano nel nostro territorio le prime modifiche al sistema di inquadramento territoriale, con l’istituzione di una nuova pieve, quella di Palaia nel 1279, e il trasferimento del titolo dalla pieve di S. Genesio di Vico Wallari alla chiesa di S. Maria di San Miniato, nel 1236. Nel primo caso il clero e i fedeli della chiesa di S. Martino di Palaia chiesero ed ottennero dal vescovo Paganello il permesso di separarsi dal piviere di S. Gervasio, costituendo una nuova pieve e una nuova

La riforma gregoriana che promosse la fondazione e la diffusione delle canoniche prevedeva che i chierici conducessero vita comune, ispirandosi a quella monastica e adottando generalmente la regola di Sant’Agostino. Questi nuovi enti si stabilirono generalmente in punti strategici, soprattutto lungo i tracciati viari, svolgendo un importante ruolo di assistenza per i viandanti ma anche

75 Dal punto di vista architettonico spesso si distinguevano dalle semplici chiese suffraganee per le maggiori dimensioni o per la presenza di particolari elementi ornamentali, presentando talvolta piante basilicali a tra navate o a croce latina e chiostri, si veda: Moretti, I., Espansione demografica, sviluppo economico e pievi romaniche, cit., pp. 66-67. 76 Stopani, R., Canoniche e viabilità nel Medioevo, in «Rivista geografica italiana», 1985, pp. 317-324; Stopani, R., La via Francigena in Toscana, cit., p. 75. 77 Giusti, M., Notizie sulle canoniche lucchesi, in La vita comune del clero nei secoli XI e XII, Atti della Settimana di studio (Mendola, settembre 1959), Milano 1962, pp. 434-454. 78 Lungo la strada che collegava Pisa con Firenze, oltre a quelle situate nel nostro territorio, si trovavano altre canoniche nella diocesi fiorentina: S. Donato in val di Botti, S. Maria a Sammontana, S. Martino a Gangalandi, S. Stefano a Ugnano, S. Piero a Monticelli. Allo stesso modo, lungo la via Francigena, l’allineamento proseguiva nei territori delle diocesi fiorentina e volterrana, su entrambe le sponde dell’Elsa: dopo Marcignana e Torrebenni seguivano le canoniche di Granaiolo, Petrazzi, Certaldo, Cedda, Talciona, Papaiano, Scarna, Stomennano, Rencine; sull’altra sponda, Castelnuovo d’Elsa, Collepatti, Varna, Sant’Eusebio, Casaglia, Onci. Si veda: Stopani, R., Canoniche e viabilità nel Medioevo, cit., pp. 320-322.

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Nella zona si trovavano lo spedale di Rosaia, presso l’attraversamento dell’Usciana, un lebbrosario alle Cerbaie (Malatia de Quercea), e l’ospizio del monastero di S. Salvatore di Fucecchio, si veda: Stopani, R., Le grandi vie di pellegrinaggio nel Medioevo, cit., p. 325. 72 Stopani, R., La via Francigena in Toscana. Storia di una strada medievale, Firenze 1984, pp. 71-74. 73 Sull’argomento si veda: Nasalli Rocca, E., Ospedali e canoniche regolari, in La vita comune del clero nei secoli XI e XII, Atti della Settimana di studio (Mendola, settembre 1959), Milano 1962, vol. II, pp. 16-25. 74 Violante, C., Pievi e parrocchie nell’Italia centro-settentrionale, cit., pp. 678-680.

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L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV) giurisdizione che comprendeva alcune suffraganee79. La pieve di S. Genesio invece venne trasferita su richiesta del preposto, del capitolo canonicale e del comune di San Miniato, in seguito allo spostamento di gran parte della popolazione dal borgo di Vico Wallari al castello di San Miniato80. Il procedimento si dovette svolgere in maniera piuttosto rapida poiché la richiesta venne inviata direttamente al papa Gregorio IX, dal momento che la sede vescovile lucchese in quel periodo era vacante81. Inoltre la chiesa di S. Maria all’interno del castello di San Miniato era da tempo esistente ed era officiata dal clero della pieve, essendo stata dichiarata sua manuale.

popolazione che ormai si era spostata, vennero gradualmente abbandonate e furono destinate al declino e alla rovina. Invece le pievi antiche che riuscirono a mantenere la propria importanza vennero talvolta rinnovate e ampliate, con l’aggiunta di nuove strutture di servizio destinate ad ospitare l’abitazione del pievano e il capitolo dei canonici. Anche se il piviere rimase nella nomenclatura ecclesiastica fino all’età moderna, il termine passò ad indicare soltanto un gruppo di parrocchie di un determinato territorio, soprattutto in occasione delle visite pastorali, avendo perso ormai il suo ruolo originario82. Progressivamente si disgregarono le comunità e le strutture organizzative più antiche, con un processo che fu favorito anche dal sorgere del particolarismo comunale83. La nascita delle parrocchie infatti è stata messa in rapporto con lo sviluppo della signoria territoriale e con il fenomeno dell’incastellamento84.

Tuttavia questi di San Miniato e di Palaia non furono casi isolati: soprattutto a partire dall’inizio del XIV secolo si riscontrano numerose vicende simili, con l’erezione ex novo di pievi o il passaggio del titolo plebano da una pieve ad una sua suffraganea. Questi episodi rientrano in un fenomeno più generale, che coinvolse l’intera struttura organizzativa territoriale. Infatti il sistema per pievi, introdotto in epoca carolingia e perfezionatosi nel corso dei secoli successivi, cominciava a dimostrarsi inadeguato di fronte alla nuova situazione politica e soprattutto ai mutamenti nelle forme insediative. All’inizio del Trecento inizia quindi a definirsi una nuova tipologia di organizzazione territoriale, con la trasformazione di alcune suffraganee in parrocchie, non più semplici cappelle soggette alla pieve ma chiese che avevano ormai acquisito gran parte delle funzioni della cura d’anime che fino a quel momento erano state prerogative della chiesa pievana, con la concessione da parte dei vescovi del fonte battesimale o del cimitero. Venne così ad aggiungersi un nuovo livello intermedio, quello delle parrocchie, alle quali venivano sottoposti i semplici oratori dislocati nel territorio parrocchiale, e si posero le basi del sistema parrocchiale moderno, che prevedeva una chiesa officiata regolarmente in ogni villaggio. In alcuni casi il titolo plebano venne trasferito dalla pieve a una sua suffraganea, divenuta più importante della chiesa madre perché inserita all’interno di un centro abitato in espansione o in un castello più sicuro, oppure perché collegata dalla nuove vie di comunicazione. Molte delle pievi che erano rimaste isolate in campagna e difficilmente raggiungibili dalla

Nel Valdarno lucchese l’ordinamento pievano entrò in crisi già a partire dal XIII secolo, mentre nella zona del Valdarno compresa nella diocesi pisana questo tipo di organizzazione ecclesiastica riuscì a sopravvivere più a lungo85. Questo processo fu particolarmente veloce nel nostro territorio perché fu favorito dalla complessa situazione politica. Le continue guerre e scorrerie nelle campagne rendevano difficili gli spostamenti, le strade erano diventate molto pericolose e la popolazione preferiva non abbandonare i castelli per raggiungere le pievi rimaste isolate dai centri abitati ed esposte ad ogni tipo di rischio. Per questo motivo la maggior parte delle antiche pievi venne progressivamente abbandonata, trasferendo le loro competenze a una o più chiese del piviere e venendo officiate solo occasionalmente, il giorno di Pasqua o il giorno del santo titolare, da pievani che ormai non vi risiedevano più. Riuscirono a sopravvivere solo le chiese battesimali inserite all’interno dei castelli, trasformate in chiese parrocchiali di quel nucleo abitato e mantenendo talvolta il proprio ruolo di preminenza anche sulle altre parrocchie, imponendo per esempio che in tutte le chiese dell’antico piviere si usasse per battezzare solo l’acqua benedetta nella pieve il Sabato Santo86. L’organizzazione ecclesiastica territoriale si dovette quindi adattare alle rapide trasformazioni che condizionarono la distribuzione della popolazione, in modo da assicurare la cura d’anime nei nuovi insediamenti, senza perdere i patrimoni e i beni legati alle antiche pievi87.

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Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., pp. 82-83. I Sanminiatesi nel 1217 avevano ottenuto un privilegio da parte di Federico II che concedeva loro il possesso del borgo di San Genesio, con la clausola che il sistema viario fosse spostato in favore del castello. Conseguentemente il borgo iniziò a decadere e a spopolarsi, avendo perso la principale fonte di guadagno: la riscossione dei dazi sul transito delle merci. Si veda: Davidsohn, R., Storia di Firenze, Firenze 19571977, II, pp. 57-58; Salvestrini, F., San Genesio. La comunità e la pieve fra VI e XIII secolo, in Vico Wallari - San Genesio: ricerca storica e indagini archeologiche su una comunità del medio Valdarno inferiore fra alto e pieno Medioevo, giornata di studio (San Miniato, 1 dicembre 2007), Centro Studi sulla Civiltà del Tardo Medioevo, a cura di F. Cantini e F. Salvestrini, Firenze 2010, pp. 72-75. 81 Morelli, P., La nascita del convento domenicano di S. Jacopo in San Miniato: appunti per un’indagine sulle istituzioni ecclesiastiche di un centro minore della Toscana fra Due e Trecento, in Centi, T.S., Morelli, P., Tognetti, L., SS. Jacopo e Lucia: una chiesa, un convento. Contributi per la storia della presenza dei Domenicani in San Miniato, San Miniato 1995, p. 11; Ronzani, M., Definizione e trasformazione di un sistema di inquadramento ecclesiastico, cit., pp. 99-100. 80

Uno dei casi più precoci nella nostra zona è quello della pieve di Musciano, che all’inizio del XIV secolo venne 82

Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 81. Morelli, P., Per una storia delle istituzioni parrocchiali, cit., p. 791. 84 Violante, C., Pievi e parrocchie nell’Italia centro-settentrionale, cit., pp. 730-737. 85 Morelli, P., Per una storia delle istituzioni parrocchiali nel basso medioevo: la prepositura di S. Maria e S. Michele di Cigoli e la pieve di S. Giovanni di Fabbrica, in Pievi e parrocchie in Italia nel basso Medioevo (sec. XIII-XV), Atti del VI Convegno di Storia della Chiesa in Italia (Firenze 21-25 settembre 1981), Roma 1984, p. 776. 86 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., pp. 80-81. 87 Ronzani, M., Definizione e trasformazione di un sistema di inquadramento ecclesiastico, cit., p. 113. 83

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1. L’ordinamento territoriale, la giurisdizione ecclesiastica e i poteri laici Due anni dopo venne autorizzata dal vescovo di Lucca la costruzione di una nuova pieve nel castello di Ponsacco, che era stato fondato dai Pisani fra il 1364 e il 1368 e che aveva raccolto al suo interno gran parte della popolazione della zona, al punto che la pieve di Appiano era rimasta priva di fedeli94. Risale al 1385 la richiesta dei fedeli del piviere di Padule di trasferire la pieve all’interno del castello di Capannoli95.

unita giuridicamente ad una sua suffraganea, la chiesa di S. Stefano di Montopoli, su disposizione del vescovo Enrico88. Ma Montopoli non ottenne in eredità l’intero piviere di Musciano poiché un’altra suffraganea, la chiesa del castello di Marti, ottenne il titolo plebano e pochi anni dopo, intorno al 1332, venne edificata la nuova pieve di S. Maria Novella89. Le cappelle dell’antico piviere di Musciano vennero quindi spartite tra le due nuove pievi e l’antica chiesa battesimale venne abbandonata90.

La vicenda della pieve di Triana, a capo di un vasto piviere che si estendeva sulle Colline pisane, risulta invece più complessa. I rettori delle tre chiese suffraganee dei Ss. Maria e Leonardo di Lari, dei Ss. Michele e Stefano di Crespina e di S. Lucia di Perignano, furono autorizzati, nel 1372 e nel 1384, ad amministrare il battesimo, visto che nel frattempo questi centri fortificati erano divenuti sedi delle nuove capitanie stabilite dal Comune di Pisa e che l’edificio pievano risultava già in rovina e privo di tetto nel 136596. Nel 1402 questa concessione fu addirittura estesa a tutti i rettori del piviere, a condizione che questi risiedessero presso la chiesa e che utilizzassero l’acqua benedetta dal pievano. Tuttavia la chiesa lucchese non sembrava rassegnarsi alla ormai definitiva decadenza dell’antica pieve, che nonostante le ripetute esortazioni da parte dei vicari del vescovo non venne mai ristrutturata. Nel 1413 il vescovo concesse definitivamente il fonte battesimale alla chiesa di Crespina e nella seconda metà del Quattrocento soltanto questa e la chiesa di Lari risultavano regolarmente funzionanti, dotate di fonte battesimale di un proprio cimitero.

Nel 1349 l’antica pieve di Laviano, ormai decaduta, venne unita alla chiesa dei Ss. Lucia e Stefano di Montecastello, nonostante la sua originaria appartenenza al piviere di S. Gervasio91. Nello stesso anno i rappresentanti del castello di Montebicchieri chiesero ed ottennero dal vescovo lucchese il permesso di far amministrare il battesimo presso la propria chiesa, poiché il tragitto dal castello alla pieve di Fabbrica era diventato assai difficile e pericoloso, dovendo attraversare il fiume Egola e soprattutto esporsi ai rischi delle continue guerre di confine tra Pisa e Firenze92. Nel 1372 il fonte battesimale venne concesso anche ad un’altra suffraganea della pieve di Fabbrica, la chiesa di S. Michele di Cigoli, visto che la pieve risultava ormai in pessime condizioni e non si prevedeva di restaurarla93.

88 Lo Statuto del Comune di Montopoli, pervenuto nella redazione del 1360, contiene il verbale della nomina del pievano del 12 aprile 1302 e le regole stabilite dal vescovo per l’elezione, che assegnavano il diritto di eleggere il rettore anche ai canonici, ai rettori delle chiese del piviere e al Comune, che avendo edificato la chiesa a proprie spese e su terreno proprio aveva un diritto di patronato. Si vedano: Ronzani, M., Definizione e trasformazione di un sistema di inquadramento ecclesiastico, cit., pp. 101-102 e Statuto del Comune di Montopoli (1360), a cura di B. Casini, Firenze 1968. 89 Pescaglini Monti, R., Il castello di Marti e i suoi “domini” tra XI e XIII secolo, in «Bollettino Storico Pisano», 74, 2005, pp. 398-399, nota 4. 90 Morelli, P., Chiese, villaggi e castelli nel territorio della pieve di Musciano (secoli VII-XV), in Fra Marti e Montopoli. Preistoria e storia nel Valdarno inferiore, Atti del Convegno (Marti, Montopoli in Val d’Arno, 19 settembre 1998), a cura di S. Bruni, Pontedera 2001, p. 65: alla pieve di Montopoli ne furono assegnate otto (S. Iacopo di Cambromusio, S. Barbara di Gabbiano, S. Ilario di Montalto, S. Andrea di Montevecchio, S. Maria di Valiano, S. Pietro di Usigliano, S. Iacopo di Monte e S. Michele di Limite), mentre alla nuova pieve di Marti furono destinate le rimanenti sette (S. Martino, S. Bartolomeo, S. Giusto e S. Frediano di Marti, S. Maria di Busseto, S. Andrea di Montefosco e S. Maria al Prato). Sulle sorti dell’antica pieve di Musciano si veda: Donati, I., Memorie e documenti per la storia di Montopoli: da un manoscritto dell’Avv. Ignazio Donati dell’anno 1860 donato dall’autore al comune di Montopoli, Montopoli Val d’Arno 1905, rist. anast. Pontedera s. d., pp. 161-162. 91 Ronzani, M., Definizione e trasformazione di un sistema di inquadramento ecclesiastico, cit., p. 102; Morelli, P., La pieve di S. Gervasio di Verriana, cit., pp. 45-46, n. 39. 92 L’intera vicenda è ben documentata poiché ci sono pervenuti gli atti istruttori con le dichiarazioni dei testimoni: Archivio Arcivescovile di Lucca, Libro antico, 15, cc. 49-62. Per una dettagliata ricostruzione dei fatti si veda: Morelli, P., Montebicchieri e il suo fonte battesimale: un castello del Valdarno nel Trecento, San Miniato 2000. 93 La concessione del fonte fu probabilmente facilitata dal fatto che la chiesa di Cigoli era retta da alcuni frati Umiliati, che garantivano una presenza costante e l’officiatura della chiesa del castello e di quelle circostanti. L’unione giuridica della pieve di Fabbrica con la chiesa e monastero di Cigoli avvenne nel 1447. Si veda: Morelli, P., Per una storia delle istituzioni parrocchiali nel basso medioevo: la prepositura di S. Maria e S. Michele di Cigoli e la pieve di S. Giovanni di Fabbrica, in Pievi e parrocchie in Italia nel basso Medioevo (sec. XIII-XV), Atti

La pieve di Migliano rappresenta un caso ancora più estremo, poiché la sua soppressione definitiva risale

del VI Convegno di Storia della Chiesa in Italia (Firenze 21-25 settembre 1981), Roma 1984, pp. 775-792. 94 Alla pieve di Ponsacco venne quindi unita l’antica pieve di Appiano, con un provvedimento che fu confermato ufficialmente nel 1441, e al suo interno furono fondati due altari intitolati a S. Andrea e a S. Pietro, in ricordo delle due chiese di Petriolo e Camugliano, rimaste anch’esse abbandonate in seguito alla fondazione del castello. Si vedano: Lupi, M., Noferi, M., Terra di Ponsacco. Un territorio e quattro antichissime comunità: Appiano, Camugliano, Petriolo e Ponsacco, Ponsacco 2004 e Ronzani, M., Definizione e trasformazione di un sistema di inquadramento ecclesiastico, cit., pp. 113-114. 95 Anche in questo caso si sono conservati i documenti interenti al caso (Archivio Arcivescovile di Lucca, Libri Antichi, 36, cc. 92v.-93v., 1385 maggio 17), con la richiesta dettagliata dei fedeli e la risposta del vescovo, il quale ordinava di lasciare intatta la pieve antica e di non demolirla, anche se era ormai diruta, per lasciarne memoria. Ronzani, M., Definizione e trasformazione di un sistema di inquadramento ecclesiastico, cit., pp. 114-115. 96 Il vescovo di Lucca cercava quindi di adeguarsi alla nuova organizzazione amministrativa imposta in questa zona del contado pisano concedendo il fonte battesimale ad alcune delle nuove sedi di capitania. Il governo pisano infatti stava cercando di indebolire l’autorità del vescovo di Lucca e la struttura ecclesiastica territoriale creando capitanie che non coincidevano con i pivieri, ma addirittura comprendevano paesi appartenenti a pivieri diversi e non necessariamente vicini. L’unità dei pivieri veniva quindi spezzata e i centri pievani non venivano scelti come sedi di capitania, si veda: Leverotti, F., L’organizzazione amministrativa del contado pisano dalla fine del ‘200 alla dominazione fiorentina: spunti di ricerca, in «Bollettino Storico Pisano», 61, 1992, pp. 57-61; Ronzani, M., Definizione e trasformazione di un sistema di inquadramento ecclesiastico, cit., pp. 120-121.

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L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV) addirittura al 178597, quando venne unita alla chiesa dei Ss. Iacopo e Cristoforo di Tripalle, nonostante fosse già in stato di abbandono in occasione della Visita pastorale del 138398. In molti casi il passaggio dei titoli plebani dalle pievi antiche venne registrato ufficialmente solo nel secolo successivo e le liste dei pivieri venivano aggiornate negli atti delle visite pastorali99. Infatti i vescovi lucchesi pur adoperandosi tempestivamente per assicurare l’amministrazione del battesimo nei principali insediamenti della diocesi, consideravano tali provvedimenti come provvisori e circoscritti a casi specifici100 e tentarono di rimandare il più possibile la soppressione formale e definitiva delle antiche pievi, ordinando in occasione delle visite pastorali di preservare il carattere sacro degli edifici e di impedirne la completa rovina. Ricorrono spesso negli atti delle visite le raccomandazioni ai rettori di ricostruire almeno parzialmente gli edifici in rovina, di chiudere quelli abbandonati per evitare l’ingresso degli animali, e di celebrarvi una messa all’anno, nel giorno del santo al quale era dedicato l’altare.

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Il motivo di questo ritardo va ricercato nel fatto che anche le altre chiese del piviere rimasero abbandonate già durante il XIV secolo, per cui nessuna di loro richiese il fonte battesimale. Ronzani, M., Definizione e trasformazione di un sistema di inquadramento ecclesiastico, cit., pp. 118-120. 98 A quest’epoca risultava officiata solo saltuariamente dal rettore della chiesa di Crespina, che era il centro più vicino alla pieve ma apparteneva ad un altro piviere. Nonostante questo la carica di pievano e il beneficio continuarono ad essere assegnati. Pescaglini Monti, R., I pivieri di Sovigliana, Ducenta/Travalda/Appiano, Triana, Migliano/La Leccia e Tripalle (secoli VIII-XIV), in «Bollettino Storico Pisano», 62, 1993, p. 172. 99 Tuttavia già nell’Estimo della diocesi di Lucca del 1260 compaiono note a margine, aggiunte da una mano successiva, che registravano i trasferimenti da Laviano a Montecastello, da Appiano a Ponsacco e da Musciano a Montopoli: Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, II: La decima degli anni 1295-1304, a cura di M. Giusti e P. Guidi, Città del Vaticano 1942, pp. 267 e 270. Ronzani, M., Definizione e trasformazione di un sistema di inquadramento ecclesiastico, cit., p. 116 e nota 172. 100 Il rettore della chiesa di Lari, per esempio, fu autorizzato ad amministrare il battesimo ma solo per un periodo di quattro anni, quello di Crespina solo per un biennio. Ronzani, M., Definizione e trasformazione di un sistema di inquadramento ecclesiastico, cit., p. 121.

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quantitativamente più consistente e riconducibile ad un periodo compreso tra la fine del XII e la metà del XIV secolo.

2. L’architettura religiosa tra l’XI e il XIV secolo Il territorio corrispondente all’attuale diocesi di San Miniato, limitatamente alla zona che si estende a sud dell’Arno (tav. 2), presenta un panorama piuttosto variegato di edifici religiosi, privo però di grandi complessi che risaltino per la loro consistenza architettonica.

Inoltre possiamo suddividere il territorio preso in esame in due aree principali: la prima è quella più interna, identificabile con la zona delle Colline Pisane, incastonata tra la diocesi di Pisa e quella di Volterra, la seconda è l’area compresa tra i fiumi Era e Elsa, i quali la separano a ovest dalla prima zona menzionata e ad est dalla diocesi fiorentina. Il territorio delle Colline Pisane è caratterizzato dalla totale assenza di architetture in cotto ed è quello che presenta un minor numero di edifici sopravvissuti. Tra le cause principali a cui dobbiamo questa scarsità di testimonianze architettoniche c’è sicuramente il terremoto che colpì l’intera zona il 14 agosto del 1846. Invece nella seconda area individuata, che comprende le vallate dei fiumi Chiecina e Egola, abbiamo una maggiore concentrazione di edifici conservati ed è più facile individuare un filone stilistico che accomuna molti di questi.

Se in ambito storico e politico questo territorio è stato giustamente descritto come una “terra di confine”, contesa tra le città toscane più potenti e caratterizzata da un’anomala sovrapposizione di giurisdizioni, anche in ambito culturale, e nello specifico in quello architettonico, la posizione geografica e le alterne vicende politiche, determinarono una ricchezza di riferimenti culturali e stilistici, che si sovrapposero e si fusero creando un’interessante mescolanza di stili. Il numero complessivo delle chiese che hanno conservato strutture di epoca medievale risulta piuttosto basso, soprattutto se confrontato con quello degli enti elencati nell’estimo della Diocesi di Lucca del 1260 e nelle Rationes decimarum della fine del XIII e di inizio XIV secolo1. Su un totale di 189 enti menzionati in questi documenti, distribuiti in 16 pivieri, solo 62 sono ancora esistenti, ma tra questi solo 17 conservano strutture medievali, mentre 6 sono allo stato di rudere, inglobati in case coloniche o abbandonati in zone boscose, e infine uno è stato recentemente oggetto di una indagine archeologica. A questi dobbiamo aggiungere 4 chiese non elencate nell’estimo e nelle decime, tutte in buono stato di conservazione2. La situazione attuale si presenta quindi molto lacunosa e ci impedisce di osservare quella omogeneità e compattezza che caratterizzano le altre aree lucchesi, come le valli del Serchio e della Lima, il Compitese e il territorio di Capannori3.

2.1. L’architettura in pietra L’edificio più antico esistente nel nostro territorio è stato individuato recentemente da indagini archeologiche condotte nei pressi di San Miniato: si tratta della pieve di San Genesio, documentata a partire dal 715 ed eretta nel vicus Wallari, noto poi con il nome di Borgo San Genesio, insediamento sorto in una posizione strategica, nei pressi della confluenza del fiume Elsa nell’Arno e nel punto in cui si incrociavano due importanti assi viari, la via Francigena e la strada che collegava Firenze con Pisa seguendo il corso dell’Arno4. Della pieve, rasa al suolo dai Sanminiatesi nel 1248 e sfruttata per secoli come cava di materiali da reimpiegare, rimangono solo le fondazioni e una piccola parte dell’alzato della cripta, riportate alla luce grazie agli scavi degli ultimi anni5. Le indagini hanno permesso di stabilire la successione cronologica dell’edificio, che venne costruito in più fasi e ampliato con l’aggiunta di nuove strutture in un periodo compreso tra il VII e il XII secolo: la chiesa primitiva, risalente alla fine del VII secolo, con pianta a T, transetto sporgente e

Tranne poche eccezioni, che purtroppo si presentano oggi parzialmente conservate o in uno stato fortemente alterato da interventi successivi, nella maggior parte dei casi si tratta di chiese di dimensioni modeste e dall’aspetto molto semplice, caratterizzate prevalentemente da corredi scultorei e repertori decorativi assai limitati. A seconda del materiale impiegato per la loro costruzione, possiamo distinguere due grandi categorie, quella degli edifici in pietra e quella degli edifici in laterizio, gruppo

4 Sulle vicende storiche del borgo si vedano: Salvestrini, F., San Genesio. La comunità e la pieve fra VI e XIII secolo, in Vico Wallari San Genesio: ricerca storica e indagini archeologiche su una comunità del medio Valdarno inferiore fra alto e pieno Medioevo, giornata di studio (San Miniato, 1 dicembre 2007), Centro Studi sulla Civiltà del Tardo Medioevo, a cura di F. Cantini e F. Salvestrini, Firenze 2010, pp. 25-80; Morelli, P., Pievi, castelli e comunità fra Medioevo ed età moderna nei dintorni di San Miniato, in Le Colline di S. Miniato (Pisa). La natura e la storia, San Miniato 1997, pp. 79-112; Coturri, E., Il Borgo di San Genesio, in «Bollettino dell’Accademia degli Euteleti di San Miniato», 30, 1956, pp. 15-40; Repetti, E., Dizionario geografico fisico storico della Toscana, Firenze 1833, vol. I, pp. 352-353. 5 In merito agli scavi si veda il contributo più recente ed esaustivo: Cantini, F., Vicus Wallari – Borgo San Genesio. Il contributo dell’archeologia alla ricostruzione della storia di un Central Place della valle dell’Arno, in Vico Wallari - San Genesio: ricerca storica e indagini archeologiche su una comunità del medio Valdarno inferiore fra alto e pieno Medioevo, giornata di studio (San Miniato, 1 dicembre 2007), Centro Studi sulla Civiltà del Tardo Medioevo, a cura di F. Cantini e F. Salvestrini, Firenze 2010, pp. 81-123.

1 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I: La decima degli anni 1274-1280, a cura di P. Guidi, Città del Vaticano 1932; Tuscia, II: La decima degli anni 1295-1304, a cura di M. Giusti e P. Guidi, Città del Vaticano 1942. 2 Si tratta della pieve di S. Maria Novella di Marti, non menzionata perché successiva, della chiesa di S. Francesco di San Miniato, non elencata essendo la chiesa di un ordine mendicante, e delle due chiese di Palaia, quella di S. Maria, attestata dal 1302, e quella di S. Andrea, della fine del XIII secolo. 3 Baracchini, C., Caleca, A., Architettura medievale in Lucchesia, 1. e 2., in «Critica d’Arte», 113 e 114, 1970, pp. 3-36 e 3-20; Baracchini, C., Caleca, A., Filieri, M.T., Architettura e scultura medievali nella diocesi di Lucca: criteri e metodi, in Romanico padano, Romanico europeo, Convegno internazionale di studi (Modena – Parma, 26 ottobre – 1 ottobre 1977), Parma 1982, pp. 289-304; Filieri, M.T., Architettura medioevale in diocesi di Lucca. Le pievi del territorio di Capannori, Lucca 1990.

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L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV) contado fiorentino, come nel claristorio del fianco settentrionale della pieve di Sant’Appiano (Barberino Val d’Elsa), della metà dell’XI secolo, nell’abside della pieve di S. Donnino a Villamagna (Bagno a Ripoli), datata tra XI e XII secolo9, o come dovevano essere lungo tutto il perimetro della pieve di S. Maria a Filettole (Prato), distrutta completamente nel 194410, o nella pieve di S. Severo di Legri (Calenzano)11, oppure in territorio pistoiese nelle chiese, datate all’XI secolo, di S. Salvatore in Agna a Montale12 e di S. Michelino di Pescia13. Pezzi curvilinei più simili a questi di S. Gervasio sono impiegati negli archetti del coronamento delle absidi della pieve di S. Lazzaro a Lucardo, datati entro la fine del XI secolo, che però sono ricassati ed associati a delle profonde nicchie che si aprono nei sottarchi14, simili a quelli coevi della pieve di S. Pancrazio a San Casciano Val di Pesa15 e della pieve di S. Leonardo ad Artimino (secondo quarto dell’XI secolo)16.

tre absidi a ferro di cavallo, venne demolita e sostituita con un nuovo edificio di vaste dimensioni intorno alla metà dell’VIII secolo, a tre navate concluse da absidi, ampliato nella prima metà dell’XI secolo con l’aggiunta della cripta e della canonica, allungato di una campata e rialzato, e infine dotato di un nuovo apparato decorativo sia all’interno che in facciata durante il XII secolo. L’aspetto complessivo dell’edificio si può quindi solo parzialmente ricostruire, anche sulla base dei pochi reperti individuati, tra i quali abbiamo un capitello e una colonna appartenenti alla cripta, alcuni frammenti lapidei scolpiti, frammenti di intonaci dipinti, e un frammento di bacino ceramico6. Si trattava comunque di un edificio di notevoli dimensioni (37 metri di lunghezza per quasi 17 metri di larghezza), circondato da altri edifici annessi, a testimoniare l’importanza della pieve, che venne scelta più volte come sede di diete e concili. Si è invece conservata la pieve di S. Gervasio presso Palaia, documentata a partire dall’8137, nonostante abbia subito alcuni interventi successivi e soprattutto sia stata accorciata di almeno due campate e ridimensionata da tre a due navate (tav. 57), in seguito ad un crollo avvenuto nella prima metà del XV secolo8. L’edificio ha quindi perduto la facciata originale e il fianco destro, ricostruiti nel giro di pochi decenni con materiali di recupero e successivamente intonacati, mentre si sono conservati il fianco sinistro, dove tuttavia il paramento non è omogeneo e vi rimane una sola apertura originale (una monofora con archivolto monolitico), e la zona absidale, anch’essa non perfettamente integra (tav. 3). Delle tre absidi semicircolari infatti, la sinistra e parte di quella centrale, di maggiori dimensioni, sono nascoste dalla canonica che fu annessa durante il Settecento alla parte terminale della chiesa (tav. 4). L’abside destra e la parte ancora visibile dell’abside maggiore mostrano un paramento in uno stato di conservazione abbastanza buono, costituito da conci calcarei di dimensioni piuttosto omogenee, ben squadrati e spianati, disposti in corsi orizzontali e paralleli con giunti sottili, e un coronamento ad arcatelle pensili a tutto sesto, realizzate con piccoli elementi in pietra curvilinei e impostate su peducci trapezoidali. Archetti di questo tipo, diffusi in area lombarda, si ritrovano spesso in Toscana, per esempio nel

All’interno della pieve di S. Gervasio, dove il paramento in pietra presenta manomissioni e rifacimenti piuttosto estesi, le arcate a tutto sesto a curve non concentriche che separano le navate si impostano su sei pilastri cilindrici realizzati con conci ben squadrati e spianati, sormontati da capitelli a tavola, a base quadrata (tav. 5). I capitelli, talmente schiacciati da ricordare dei semplici abachi, sono decorati con motivi geometrici scolpiti con un rilievo molto basso o incisi, spesso su più ordini sovrapposti (tav. 6). I pilastri cilindrici a piccole bozze rimanderebbero all’ambito del protoromanico lucchese e uno dei primi casi è stato identificato nella pieve di S. Martino di Coreglia Antelminelli, in Valdiserchio, datati dal Luporini al X secolo17 ma forse da spostare all’XI secolo18. A Coreglia si trovano anche capitelli in pietra molto schiacciati, con gli angoli sgusciati e decorati con motivi incisi, simili a quelli di S. Gervasio. Tuttavia la loro forma, per quanto schiacciata e quasi deformata dalla pressione delle arcate che sorreggono, ricorda comunque quella tronco-piramidale di un capitello e non di un semplice abaco come quella dei capitelli di S. Gervasio. 9 Frati, M., Chiese romaniche della campagna fiorentina. Pievi, abbazie e chiese rurali tra l’Arno e il Chianti, Empoli 1997, pp. 83-85, tavv. 4, 15, 31. 10 Moretti, I., Stopani, R., Architettura romanica religiosa nel contado fiorentino, Firenze 1974, figg. 14-15; Firenze romanica. Le più antiche chiese della città, di Fiesole e del contado circostante a nord dell’Arno, a cura di S. Rinaldi, A. Favini, A. Naldi, Empoli 2005, pp. 140-142, fig. 77. 11 In questo caso rimangono alcuni frammenti di archetti pensili a piccole bozze nella porzione inferiore del campanile e nell’absidiola destra, si veda: Firenze romanica, cit., tavv. 51 e 55, pp. 138-140. 12 Salmi, M., Chiese romaniche della Toscana, Milano 1961, fig. 9; Redi, F., Chiese medievali del Pistoiese, Cinisello Balsamo (Milano) 1991, p. 59 e figg. 28 e 99. 13 Redi, F., Chiese medievali del Pistoiese, cit., p. 59 e figg. 26, 33-34. 14 Frati, M., Chiese romaniche della campagna fiorentina, cit., pp. 117119, fig. 58. 15 Frati, M., Chiese romaniche della campagna fiorentina, cit., pp. 99100, fig. 36. 16 Redi, F., Chiese medievali del Pistoiese, cit., pp. 297-299. 17 Luporini, E., Problemi dell’architettura medievale lucchese: la chiesa di S. Martino di Coreglia, in «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa», XIII, 1954, pp. 101-120, p. 112 e fig. 16; Baracchini, C., Caleca, A., Architettura medievale in Lucchesia, 1., cit., figg. 11-12, pp. 11-12. 18 Ducci, A., Badalassi, L., Tesori medievali, cit., pp. 28-30.

6 Con gli occhi del pellegrino. Il borgo di San Genesio: archeologia lungo la via Francigena, a cura di F. Cantini, Firenze 2007; Moretti, I., Aspetti dell’architettura altomedievale in Toscana, in La Tuscia nell’alto e pieno Medioevo. In memoria di Wilhelm Kurze, a cura di M. Marrocchi e C. Prezzolini, Firenze 2007, pp. 209-211. 7 Sulle vicende storiche del castello e della pieve si veda: Morelli, P., La pieve di S. Gervasio di Verriana e il suo territorio (secolo VIII-XV), in Palaia ed il suo territorio fra antichità e medioevo, atti del convegno di studi (Palaia, 9 gennaio 1999), a cura di P. Morelli, Pontedera 2000, pp. 41-67. 8 Sulla pieve di S. Gervasio si vedano: Salvagnini, G., Chiese romaniche della Valdera, Firenze 1969, pp. 19-21; Traversi, G., Nuovi studi sull’architettura romanica in Toscana. San Gervasio di Palaia, in «Bollettino dell’Accademia degli Euteleti della Città di San Miniato», 40, 1968, pp. 53-69; Tempestini, S., La pieve romanica di S. Giovanni Battista a S. Gervasio di Palaia: il suo stato originario e i vari interventi di restauro architettonico, in Palaia ed il suo territorio fra antichità e medioevo, atti del convegno di studi (Palaia, 9 gennaio 1999), a cura di P. Morelli, Pontedera 2000, pp. 69-79; Ducci, A., Badalassi, L., Tesori medievali nel territorio di San Miniato, Pisa 1998, pp. 27-32.

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2. L’architettura religiosa tra l’XI e il XIV secolo muratura27. In territorio fiorentino, nella pieve di S. Severo a Legri si trovano due pilastri tondi, molto interrati e intonacati, con imposte squadrate e schiacciate28.

In un gruppo di edifici lucchesi datati tra X e XI secolo ritroviamo capitelli schiacciati su colonne ribassate a piccole bozze, come nelle chiese di S. Jacopo a Boveglio (Villa Basilica), di S. Maria a Paganico (Capannori)19, o nelle chiese di S. Paolo a Vico Pancellorum e di S. Pietro di Corsena, entrambe presso Bagni di Lucca20: in questi ultimi due casi troviamo, nell’ordine, capitelli schiacciati ad angoli sgusciati con decorazioni molto stilizzate, e capitelli quadrangolari a forma di abaco, assai vicini a quelli di S. Gervasio. In Lunigiana, nella pieve di S. Stefano a Sorano, Filattiera, datata all’XI secolo, le arcate interne sono sorrette da pilastri cilindrici realizzati con le bozzette irregolari legate con abbondante malta che caratterizzano l’intero edificio, e sono impostate su capitelli essenziali, dalla forma molto schiacciata e decorati con incisioni molto semplici21.

I capitelli di S. Gervasio erano stati avvicinati già da Salvagnini a quelli della pieve dei SS. Pietro e Paolo di Coiano, in diocesi di Volterra, caratterizzati anch’essi da una forma molto schiacciata e da una decorazione a motivi geometrici e vegetali, impostati su colonne, dotate alla sommità di un collarino, costruite alcune in cotto e altre in pietra, corrispondenti a due fasi costruttive distinte, databili la prima all’inizio del XII secolo e la seconda alla fine dello stesso secolo29. Tuttavia è stato ipotizzato che i capitelli provengano dall’edificio precedente, l’antica pieve documentata già tra X e XI secolo30, e anche per la pieve di S. Gervasio è stata avanzata un’ipotesi simile, mentre il Traversi proponeva una soluzione intermedia, affermando che i capitelli potrebbero avere un aspetto così attardato e arcaico perché realizzati ispirandosi a quelli dell’edificio precedente31. In realtà, per quanto le decorazioni arcaizzanti risultino apparentemente in contrasto con un paramento già a bozze ben squadrate, i capitelli sembrano comunque coerenti con la struttura nel suo complesso e possono essere interpretati come opera di una maestranza attardata su formule ancora altomedievali. I motivi decorativi infatti sono estremamente semplici: troviamo intrecci a due nastri, teorie di cunei rivolti verso l’alto, solcature a pettine, teorie di archetti ciechi, e cordoni. Si tratta di motivi elementari, molto diffusi nella plastica altomedievale ma riproposti anche in architetture protoromaniche, per un fenomeno di persistenza di un linguaggio, tipico soprattutto degli ambiti provinciali, proprio per la loro lontananza dai grandi centri più aggiornati32. Soprattutto durante il XII secolo, nel contado lucchese, nel volterrano e nella Valdelsa, si ritrovano frequentemente decorazioni a bassorilievo con motivi di origine preromanica realizzate sugli architravi, sulle ghiere degli archi, sui capitelli, sulle mensole o sulle cornici, come accade per esempio a Badia a Isola, a Badia a Conèo, nella canonica di S. Pietro a Cedda o nella pieve di Cellole33. Secondo il Salmi la propensione per una “decorazione appiattita di gusto preromanico” si sviluppò

Tuttavia non si tratta di una peculiarità dell’architettura lucchese, perché anche in altre pievi toscane dell’XI secolo si ritrovano pilastri cilindrici a piccole bozze. Nella pieve di S. Pietro a Gropina una campagna di scavi condotta negli anni Sessanta ha permesso di individuare e di attribuire almeno in via ipotetica alla prima metà dell’XI secolo, l’ampliamento della chiesetta a navata unica absidata altomedievale, realizzato aggiungendo una seconda navata separata da tozzi pilastri cilindrici in pietrame irregolare tenuto insieme con molta calce22. Nel territorio aretino, in altri due edifici protoromanici, la pieve di S. Eugenia al Bagnoro e la ex pieve S. Cassiano a Campavane, si ritrovano pilastri cilindrici molto simili23, mentre nella pieve di S. Vincenti (Gaiole in Chianti), da ricondurre ad una fase immediatamente successiva perché caratterizzata da una tecnica muraria più raffinata, con piccole bozze di alberese squadrate e murate in corsi orizzontali, si trovano pilastri circolari, alternati ad alcuni quadrangolari, sormontati da tavole di pietra serena semplicemente squadrate o rozzamente smussate24. Sotto alla pieve di S. Pietro a Romena sono stati trovati i resti di una chiesa a tre navate datata all’XI secolo e forse dotata di colonne in muratura25, così come nella pieve di S. Antonino a Socana26 e anche in Casentino, nella pieve di San Martino in Vado e nella pieve di S. Maria Assunta a Stia, sotto agli edifici attuali sono stati individuati i resti di pilastri circolari in

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Tigler, G., Toscana romanica, cit., p. 303. Firenze romanica, cit., pp. 138-140; Moretti, I., Stopani, R., Architettura romanica, cit., p. 187, fig. 236. 29 Le due fasi costruttive sono facilmente distinguibili perché sono stati impiegati materiali diversi, l’arenaria nella prima fase e i laterizi nella seconda. Salvagnini, G., Chiese romaniche della Valdera, cit., pp. 1920; Moretti, I., Stopani, R., Chiese romaniche in Valdelsa, Firenze 1968, pp. 267-274. 30 Chiese medievali della Valdelsa. I territori della via Francigena. 1 Tra Firenze, Lucca e Volterra, Empoli 1995, p. 154; Ducci, A., Badalassi, L., Tesori medievali, cit., p. 77. 31 Traversi, G., Nuovi studi sull’architettura romanica, cit., p. 60. 32 Ducci, A., Badalassi, L., Tesori medievali, cit., p. 28. 33 Moretti, I., Stopani, R., Chiese romaniche in Valdelsa, Firenze 1968, pp. 19 e figg. p. 26, p. 34 e figg. pp. 40-41, pp. 153-160, p. 203 e figg. pp. 207-208; Chiese medievali della Valdelsa. I territori della via Francigena. 1 - Tra Firenze, Lucca e Volterra, Empoli 1995, pp. 42, 139-142 e tav. 9; Chiese medievali della Valdelsa. I territori della via Francigena. 2 - Tra Siena e San Gimignano, Empoli 1996, pp. 202-212, 123-126, tavv. 6, 10, 20B, 41, 42.

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Filieri, M.T., Architettura medievale in diocesi di Lucca, cit., p. 54 e fig. 75, p. 80. 20 Baracchini, C., Caleca, A., Architettura medievale in Lucchesia, 1., cit., figg. 31-32, p. 26 e 35-37, pp. 28-29; Baracchini, C., Caleca, A., Filieri, M.T., Architettura e scultura medievali nella diocesi di Lucca, cit., p. 291 e nota 8 p. 302, fig. 9, p. 293. 21 Tigler, G., Toscana romanica, Milano 2006, pp. 207-208. 22 Gabbrielli, F., Romanico aretino. Architettura protoromanica e romanica religiosa nella diocesi medievale di Arezzo, Firenze 1990, pp. 41, 149-150; Tigler, G., Toscana romanica, cit., p. 173 e fig. 158. 23 Gabbrielli, F., Romanico aretino, cit., pp. 41, 141-142, 170-171 e figg. 3 e 152. 24 Moretti, I., Stopani, R., Chiese romaniche nel Chianti, Firenze 1966, pp. 63-67; Moretti, I., Stopani, R., Architettura romanica, cit., p. 206, fig. 266 e pianta p. 58; Gabbrielli, F., Romanico aretino, cit., pp. 84-86, 165 e figg. 58-59. 25 Tigler, G., Toscana romanica, cit., p. 303. 26 Tigler, G., Toscana romanica, cit., pp. 305-306; Gabbrielli, F., Romanico aretino, cit., p. 166.

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L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV) archetti provenienti dalla chiesa di S. Giusto e oggi nel Museo di Arte Sacra, riferiti dal Salmi all’XI secolo45.

a Volterra e da lì si espanse nella diocesi, radicandosi soprattutto in Valdelsa34. Si possono osservare decorazioni arcaizzanti, realizzate con un bassorilievo piattissimo, anche sui capitelli dello scomparso battistero di Sant’Appiano, poggiati su quattro pilastri a pianta quadrilobata, che presentano invece delle forme molto evolute ed una tecnica muraria raffinata, paragonabili ad altri esemplari che hanno subito influenze francesi e padane (per esempio Badia a Isola e Sant’Antimo), e che per questo motivo sono stati datati dal Tigler alla prima metà del XII secolo35.

La teoria di arcatelle cieche invece si ritrova nel capitello su cui si imposta l’arco absidale della pieve di S. Bartolomeo al Pino (Peccioli), nella diocesi di Volterra, datata anch’essa all’XI secolo46, e nel capitello rinvenuto durante gli scavi nella pieve di San Genesio47. Il cordone è un altro motivo assai frequente, sia in ambito lucchese sia in quello valdelsano: per esempio compare a Badia a Conèo, a San Giminagno nella ex chiesa di S. Francesco e nella collegiata, o nelle cornici marcapiano sulla facciata della pieve di Chianni.

Il motivo dell’intreccio a due nastri è forse uno dei più frequenti in Toscana, molto diffuso in ambito lucchese, dove tra i numerosi esempi si possono citare alcuni frammenti di plutei conservati nel Museo di Lucca, databili all’VIII-IX secolo36, l’archivolto di una monofora del S. Giusto di Marlia, datato anch’esso all’VIII-IX secolo e reimpiegato nell’abside di epoca successiva37, l’architrave del portale del fianco sud nella chiesa di S. Margherita, elemento di reimpiego datato alla seconda metà del X secolo38, l’archivolto del portale di S. Cassiano di Controne39 o quello di S. Maria di Piazza di Brancoli, consacrata nel 109740, l’architrave del portale del campanile del S. Giusto di Compito e una monofora dell’abside della pieve di S. Gennaro di Capannori41. In ambito pisano l’intreccio compare nel decoro della vasca battesimale della pieve di S. Marco a Rigoli, datata tra VIII e IX secolo42. Lo stesso elemento decorativo era stato individuato nel territorio già dal Traversi, per esempio in un fregio reimpiegato in un’abitazione a Montecalvoli, frazione di Santa Maria a Monte, oppure intorno alla monofora dell’abside di S. Martino di Casciana Terme43. Ma l’intreccio viene replicato anche su edifici romanici valdelsani, come nel portale laterale della pieve di Casole (metà XII secolo), su una mensola del portale della pieve di Mensano (seconda metà XII secolo), su un capitello della pieve di Conèo (seconda metà del XII secolo), nella decorazione interna dell’abside della pieve di Cellole (inizio XII secolo)44, oppure si ritrova in territorio volterrano, come sugli

Se per le tipologie dei pilastri e dei capitelli della pieve di S. Gervasio sono stati individuati numerosi confronti all’interno del vasto panorama architettonico toscano, non è stato possibile fare altrettanto per dei particolari elementi inseriti alla base dei capitelli di tre dei pilastri: si tratta di quattro cunei posti in corrispondenza degli angoli di ciascuno capitello, di forma trapezoidale e decorati con leggere incisioni, che sembrano svolgere una funzione di raccordo tra il fusto cilindrico dei pilastri e il capitello quadrato48. Questi elementi, che talvolta sembrano imitare delle foglie angolari, risultano piuttosto inusuali e sono stati interpretati come componenti di una fase di passaggio dal capitello classico al capitello compresso protoromanico ad angoli sgusciati49. La dedicazione della pieve a san Gervasio, il cui culto è legato indiscutibilmente a sant’Ambrogio, era stata subito messa in relazione con le forme lombarde dell’edificio e per il repertorio decorativo erano stati proposti numerosi confronti con edifici lombardi, ipotizzando addirittura la presenza di maestranze provenienti da questa regione50. Gli studi più recenti invece hanno sottolineato maggiormente i rapporti con l’architettura protoromanica lucchese51, mentre per quanto riguarda la datazione, tutti gli autori concordano nel riferire l’edificio alla fine dell’XI secolo, ipotesi condivisibile sulla base dei confronti qui proposti, sia per gli elementi architettonici sia per il corredo scultoreo.

34 Salmi, M., La scultura romanica in Toscana, Firenze 1928, p. 25; Moretti, I., L’architettura romanica religiosa nella diocesi medievale di Volterra, in «Rassegna Volterrana», 70, 1994, p. 220. 35 Tigler, G., Toscana romanica, cit., pp. 300-301. 36 Corpus della scultura altomedievale. I. La diocesi di Lucca, a cura di Isa Belli Barsali, Spoleto 1959, pp. 37-38 e tavv. XV-XVI. 37 Filieri, M. T., Architettura medioevale in diocesi di Lucca, cit., p. 23; Corpus della scultura altomedievale, cit., pp. 44-45; Quirós Castillo, J.A., Modi di costruire a Lucca nell’Altomedioevo: una lettura attraverso l’archeologia dell’architettura, Firenze 2002, p. 70. 38 Corpus della scultura altomedievale, cit., p. 48 e tav. XXVI a.; Filieri, M. T., Architettura medioevale, cit., p. 29. 39 Baracchini, C., Caleca, A., Architettura medievale in Lucchesia, 1., cit., pp. 13-14 e figg. 22-24. 40 Baracchini, C., Caleca, A., Filieri, M.T., Problemi di architettura e scultura medievale in Lucchesia, in «Actum Luce», 7, 1978, p. 18 e fig. 9. 41 Filieri, M. T., Architettura medioevale, cit., p. 32, fig. 28 e p. 51, fig. 62. 42 Ducci, A., La vasca battesimale di Rigoli: tra stile e tipologia, in «Arte medievale», 9, n. 2, 1995, pp. 27-39. 43 Traversi, G., Nuovi studi sull’architettura romanica, cit., p. 61. 44 Moretti, I., Stopani, R., Chiese romaniche in Valdelsa, cit., pp. 87-91, 79-82, 109-116, 201-207.

Un repertorio decorativo estremamente arcaico si ritrova nella chiesa di S. Martino al Colle, suffraganea della pieve di Aquis, attuale Casciana Terme, elencata nell’estimo della diocesi di Lucca del 1260 e nelle decime del 1302-130352. La piccola cappella, ad aula unica con

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Salmi, M., La scultura romanica, cit., p. 26 e fig. 48. Ducci, A., Badalassi, L., Tesori medievali, cit., pp. 33-34 e fig. p. 36; Salvagnini, G., Le pievi del XIII secolo in Valdera, Firenze 1969, pp. 21-22; Salvagnini, G., Chiese romaniche della Valdera, cit., p. 22. 47 Belcari, R., Costruire e decorare con la pietra, in Con gli occhi del pellegrino. Il borgo di San Genesio: archeologia lungo la via Francigena, a cura di F. Cantini, Firenze 2007, fig. 1 p. 30. 48 Traversi, G., Nuovi studi sull’architettura romanica, cit., p. 60. 49 Ducci, A., Badalassi, L., Tesori medievali, cit., p. 30. 50 Traversi, G., Nuovi studi sull’architettura romanica, cit., pp. 64-65. 51 Ducci, A., Badalassi, L., Tesori medievali, cit., pp. 28-30. 52 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I: La decima degli anni 1274-1280, a cura di P. Guidi, Città del Vaticano 46

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2. L’architettura religiosa tra l’XI e il XIV secolo abside semicircolare, presenta due fasi costruttive53: la prima, che comprende l’abside e la parte terminale delle pareti laterali, corrispondente a circa un terzo della lunghezza del fianco, è costituita da grossi conci calcarei perfettamente squadrati e spianati, dalle dimensioni molto omogenee, inseriti in filari orizzontali e paralleli con giunti molto sottili; la seconda, di cui fa parte la facciata e la parte restante dei fianchi, è realizzata con bozzette di diversa forma e grandezza, mescolate con materiali di reimpiego e con ampi letti di malta, risultato di un’operazione di rimontaggio54. L’abside presenta un coronamento ad archetti pensili a tutto sesto monolitici, sorretti da mensole poco sporgenti e decorate con semplici linee orizzontali incise, e al centro si apre un’unica monofora a tutto sesto, profondamente strombata55 e costituita da tre elementi monolitici, due piedritti sormontati da un archetto, tutti decorati con incisioni sottili e molto stilizzate56. I motivi decorativi, che comprendono nastri intrecciati circondati da bordini di contorno, cordoni e foglie lanceolate, alcuni dei quali già visti nella pieve di S. Gervasio ma qui dall’aspetto ancora più schematico, si ripetono sull’architrave del portale laterale sinistro, tamponato e in parte coperto da una struttura annessa successivamente, e sull’architrave del portale principale, recuperato ed inserito durante il rifacimento della facciata57. Il corredo scultoreo, realizzato esclusivamente ad incisione, appare dunque caratterizzato da un gusto arcaizzante e comprende motivi estremamente diffusi all’interno del repertorio altomedievale e protoromanico nell’area lucchese e pisana. Per esempio nella chiesa di S. Maria di Mirteto, presso San Giuliano Terme (Pisa), gli archetti delle monofore sono decorati con semplici linee incise, oppure nell’abside della chiesa di S. Giusto di Marlia troviamo l’archetto di monofora, forse di reimpiego, con motivi a intreccio incisi58, databile tra X e XI secolo59.

cuspidata61. L’architrave del portale in facciata infatti è costituito da un blocco monolitico a forma di timpano, tipologia abbastanza frequente nell’architettura pisana, come alternativa al più frequente portale lunettato, ma ugualmente efficiente per sostenere il carico della struttura muraria soprastante, convogliando le spinte sui piedritti ed evitando fessurazioni al centro dell’architrave62. Architravi di questo tipo sono inseriti in molti edifici civili a Pisa, soprattutto nelle strette finestre delle torri dell’XI e XII secolo, come quella dietro S. Pietro in Vincoli, quella in vicolo del Porton Rosso e quella in via Vernagalli 1563, ma anche nel contado pisano, per esempio in una finestra della Torre Upezzinghi di Calcinaia, datata entro la fine del XII secolo64 o in quelle di alcune case-torri dell’XI-XII secolo a Vicopisano65. Anche nell’architettura religiosa di area pisana sono frequenti gli architravi a timpano, per esempio la pieve dei SS. Maria e Giovanni Battista a Vicopisano, datata al secondo o terzo decennio del XII secolo, ne ha due nei portali laterali in facciata e uno nel portale sul fianco sinistro, privi di decorazioni66, un altro si ritrova nel portale centrale di San Sisto in Cortevecchia a Pisa, datata tra 1069 e 108767 e un altro nel portale laterale della chiesa di S. Lorenzo a Pagnatico (Cascina), databile al XII secolo68. Ancora in area pisana si ritrovano altri esemplari in due chiese nel comune di Buti, quella di S. Michele di Castel di Nocco e quella di S. Maria ad Nives di Panicale, quest’ultimo decorato con un motivo a intreccio69. Questo particolare elemento si diffuse anche nelle aree soggette all’influenza pisana e lo ritroviamo quindi nell’architettura sarda e corsa del XII secolo. Tra gli esempi corsi possiamo citare quello della chiesa di S. Parateo di Mariana a Lucciana, datato al primo quarto del XII secolo, dove troviamo scolpiti due leoni affrontati con al centro l’albero della vita, o quello del portale laterale di S. Maria a Mariana70, oppure altri della stessa tipologia databili tra il XII e la prima metà del XIII secolo71. In Sardegna troviamo numerosi esempi collocabili tra il XII e l’inizio del XIII secolo, tutti privi di decorazioni, come nel portale laterale di S. Leonardo a

Nella pieve di S. Gennaro di Capannori si trova una monofora absidale molto simile a quella di S. Martino, caratterizzata da una decorazione a intreccio e ovuli sui due stipiti monolitici e datata all’XI secolo60, mentre nel campanile di S. Giusto a Compito troviamo un architrave decorato con un intreccio a due nastri inciso, paragonabile agli architravi di S. Martino sia per il motivo decorativo sia per la particolare forma

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Filieri, L.T., Architettura medioevale, cit., fig. 28, p. 43. Coroneo, R., La Pace degli animali. A proposito dell’iconografia di un architrave romanico della Corsica, in Immagine e ideologia. Studi in onore di Arturo Carlo Quintavalle, a cura di A. Calzona, R. Campari, M. Mussini, Milano 2007, p. 181. 63 Redi, F., Pisa com’era: archeologia, urbanistica e strutture materiali (secoli V-XIV), Napoli 1991, figg. 93, 89 e p. 212. 64 Terre nuove nel Valdarno pisano medievale, a cura di M.L. Ceccarelli Lemut e G. Garzella, Pisa 2005, pp. 144-151. 65 Redi, F., Vicopisano e il suo territorio. Un’esperienza di archeologia globale, in Atti del I Congresso Nazionale di Archeologia Medievale, a cura di S. Gelichi (Pisa, 29-31 maggio 1997), Firenze 1997, pp. 147-151 e figg. 2-3. 66 Tigler, G., Toscana romanica, cit., pp. 234-236. 67 Tigler, G., Toscana romanica, cit., pp. 225-226. 68 Chiese di Pisa 2. Guida alla conoscenza del patrimonio artistico. Chiese suburbane, vicariati del Piano di Pisa I e II, del Lungomare I e di Pontedera, a cura di M.L. Ceccarelli Lemut, S. Renzoni, S. Sodi, Pisa 2001, p. 69. 69 Chiese di Pisa 2, cit., pp. 113-116. 70 Belcari, R., Romanico tirrenico. Chiese e monasteri medievali dell’arcipelago toscano e del litorale livornese, Pisa 2009, p. 38. 71 Coroneo, R., La Pace degli animali, cit., pp. 180-183. 62

1932, n. 5344, p. 269; Tuscia, II: La decima degli anni 1295-1304, a cura di M. Giusti e P. Guidi, Città del Vaticano 1942, n. 4422, p. 282. 53 Ducci, A., Badalassi, L., Tesori medievali, cit., fig. a p. 38. 54 La stessa suddivisione in due fasi è riconoscibile anche all’interno dell’edificio, dotato di una copertura a capriate lignee e caratterizzato da un ampio arcone absidale a curve non concentriche, formato da cunei ben spianati, si veda Ducci, A., Badalassi, L., Tesori medievali, cit., fig. a p. 43. 55 La strombatura a tre gradini è molto simile a quella della monofora del fianco nord della pieve di S. Bartolomeo al Pino (Peccioli), si veda Ducci, A., Badalassi, L., Tesori medievali, cit., p. 40 e fig. a p. 35. 56 Ducci, A., Badalassi, L., Tesori medievali, cit., fig. a p. 41. 57 Ducci, A., Badalassi, L., Tesori medievali, cit., figg. a pp. 40, 42. 58 Filieri, L.T., Architettura medioevale, cit., fig. 6 pag. 23; Corpus della scultura altomedievale, cit., pp. 44-45; Quirós Castillo, J.A., Modi di costruire a Lucca nell’Altomedioevo: una lettura attraverso l’archeologia dell’architettura, Firenze 2002, pp. 69-72. 59 Ducci, A., Badalassi, L., Tesori medievali, cit., pp. 43-44. 60 Filieri, L.T., Architettura medioevale, cit., fig. 62 p. 73.

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L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV) Martis (Sassari), di S. Maria di Tergu (Sassari), nel portale nord di Santa Giusta (Oristano), nei portali del fianco meridionale e del transetto del S. Paolo di Milis (Oristano), nel portale in facciata e nei portali sul fianco sud della SS. Trinità di Saccargia a Codrongianos e nel portale del fianco sud di S. Leonardo a Masullas (Oristano)72. Altri casi sono stati individuati sull’Isola d’Elba, come nelle chiese di S. Lorenzo a Marciana e di S. Maria a Lacona73, e nella chiesa dei SS. Salvatore e Momiliano sull’isola di Montecristo74. Inoltre alcuni esemplari sono attestati nel territorio volterrano, per esempio nelle monofore più antiche del claristorio della pieve di Coiano75.

in pessime condizioni di conservazione, priva di copertura, sottoposta nei secoli a diversi interventi e manomissioni, e caratterizzata da un paramento in gran parte rimaneggiato, costituito da conci in pietra calcarea di grandi dimensioni, squadrati e spianati, mescolati con materiali diversi (bozzette in pietra, ciottoli e laterizi). Il piccolo portale sul fianco sinistro è stato tamponato ma è quello che si è conservato più intatto, con l’architrave a timpano impostato su due mensole in pietra che si inseriscono profondamente nella muratura e che sono appoggiate su stipiti costituiti da grandi conci verticali. Il portale in facciata invece è frutto di un rimontaggio ed è privo di mensole, mentre un terzo architrave monolitico era stato rinvenuto nei dintorni dell’edificio ed era stata ipotizzata la sua provenienza dal portale che originariamente doveva trovarsi sul fianco destro, modificato con l’apertura di una cappella in epoca moderna82. Sul fianco sinistro si è conservata anche una monofora, successivamente tamponata, con arco a tutto sesto e ghiera costituita da conci in pietra squadrati e inseriti in senso radiale.

Anche nell’area lucchese sono presenti architravi a timpano, oltre a quello già citato del campanile del S. Giusto di Compito, per esempio nel portale in facciata del S. Quirico di Guamo (Capannori), datata all’XI secolo ma dal paramento pesantemente manomesso76, o sul fianco sinistro del S. Giusto di Marlia, dove però l’architrave impostato su mensole modanate è stato attribuito dal Quirós Castillo ad una fase molto tarda, tra XIV e XV secolo, ritenendo che questa tipologia di portali nella Toscana nord-occidentale (Lunigiana, Garfagnana e Valdinievole) siano da riferire a quest’epoca77. In Lunigiana, per esempio, troviamo architravi simili tra i resti trecenteschi della chiesa di Casciana, tra i ruderi del castello di Codiponte, anch’essi datati al XIV secolo, e altri datati tra XIV e XV secolo, inseriti in complessi rimaneggiati nel XVIII secolo a Casola78. In Garfagnana un architrave di questo tipo è sopravvissuto tra le rovine delle mura castellane di Sillico (Pieve Fosciana), a coronamento di una stretta feritoia della torre campanaria, datata dal Redi al XII secolo79.

Il secondo edificio dotato di architrave a timpano si trova invece alla periferia di Ponsacco ed è la chiesa di S. Andrea di Petriolo, nel piviere di Appiano, attestata a partire dal 983 e abbandonata durate il XIV secolo dagli abitanti che, in seguito alle incursioni fiorentine, si trasferirono nel vicino castello di Ponsacco83. Si tratta anche in questo caso di un piccolo edificio a navata unica in cattivo stato di conservazione, sottoposto ad interventi di restauro durante il XVI e il XVII secolo, che hanno comportato un prolungamento e un rialzamento in laterizi dell’intera struttura (tav. 7). L’architrave a timpano è inserito nell’unico portale presente nell’edificio, al centro della facciata a capanna, caratterizzata da un paramento costituito da grandi blocchi in calcare squadrati e spianati, di dimensioni variabili, fino all’altezza dell’architrave, mentre al di sopra del portale i filari proseguono con bozze più piccole di tufo, anch’esse di dimensioni non uniformi, squadrate e spianate, disposte in corsi orizzontali e paralleli, più regolari rispetto a quelli sottostanti (tav. 8)84.

Nel territorio qui considerato possiamo osservare architravi a timpano in altri due edifici, tutti non decorati e ricavati da un blocco monolitico di arenaria. Nel primo edificio, la chiesa di S. Nicola di Sessana, situata a breve distanza dalla chiesa di S. Martino al Colle, a nord di Casciana Alta, e quindi facente parte dello stesso piviere80, troviamo tre architravi di questo tipo81. La chiesa, di piccole dimensioni e ad aula unica, si presenta

Per quanto riguarda l’architettura in pietra, oltre agli edifici già menzionati, ne sono sopravvissuti pochi altri, e tutti hanno subito numerosi interventi di ripristino o ricostruzioni parziali, lasciando nella maggior parte dei casi solo scarse testimonianze dell’aspetto originario. Tra questi possiamo menzionare la chiesa di S. Michele di Limite, appartenente all’antico piviere di Musciano e localizzata presso la frazione Angelica nel comune di

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Coroneo, R., Architettura romanica dalla metà del Mille al primo ‘300, Nuoro 1993, pp. 187, 122-125, 68-77, 218-219, 138-143, 224; Serra, R., La Sardegna, Milano 1989, p. 152, fig. 65. 73 Belcari, R., Romanico tirrenico, cit., pp. 112-117, 152-155; Moretti, I., Stopani, R., Chiese romaniche dell’Isola d’Elba, Firenze 1972, pp. 35-37. 74 Belcari, R., Romanico tirrenico, cit., pp. 198-207 e fig. p. 38. 75 Chiese medievali della Valdelsa, 1, cit., pp. 152-157, fig. 150. 76 Filieri, M. T., Architettura medioevale, cit., p. 29 e fig.18 p. 35. 77 Quirós Castillo, J.A., Modi di costruire a Lucca nell’Altomedioevo, cit., p. 71. 78 Ferrando Carbona, I., Crusi, E., Storia dell’insediamento in Lunigiana. Alta Valle Aulella, Genova 1988, p. 74, fig. 99, p. 100, fig. 138 e pp. 109-114, fig. 173. 79 Redi, F., La frontiera lucchese nel Medioevo. Torri, castelli, strutture difensive e insediamenti fra strategie e controllo del territorio nei secoli XIII e XIV, Cinisello Balsamo (Mi) 2004, pp. 178-179. 80 Pescaglini Monti, R., La plebs e la curtis de Aquis nei documenti altomedievali, in «Bollettino Storico Pisano», 50, 1981, pp. 5-6; Caciagli, G., Pisa: monografia della provincia, Pontedera 2000-2004, vol. IV, pp. 528-529; Repetti, E., Dizionario, cit., vol. V, p. 293. 81 Ducci, A., Badalassi, L., Tesori medievali, cit., fig. a p. 48.

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Ducci, A., Badalassi, L., Tesori medievali, cit., pp. 49-51. Lupi, M., Noferi, M., Terra di Ponsacco. Un territorio e quattro antichissime comunità: Appiano, Camugliano, Petriolo e Ponsacco, Ponsacco 2004, pp. 105-111; Pescaglini Monti, R., Dalla Valdera alla Valdisola, in La pianura di Pisa e i rilievi contermini. La natura e la storia, a cura di R. Mazzanti, Roma 1994, p. 309; Caciagli, G., Pisa: monografia della provincia, vol. VI, pp. 433-434; Repetti, E., Dizionario, cit., vol. IV, p. 149. 84 Le due pareti laterali invece sono in larga parte frutto di un rimontaggio, realizzato alternando pietrame, bozze in pietra lavorate grossolanamente e laterizi, con qualche elemento di reimpiego. 83

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2. L’architettura religiosa tra l’XI e il XIV secolo Montopoli Val d’Arno85, la chiesa di S. Lucia di Montecastello (nel comune di Pontedera), suffraganea dell’antica pieve di Fabbrica fino al 1341, quando ottenne il titolo plebano86, e la chiesa dei SS. Lorenzo e Bartolomeo di Treggiaia, anch’essa nel comune di Pontedera ma anticamente facente parte del piviere di S. Gervasio87. La chiesa di Montecastello, bombardata durante la seconda guerra mondiale, venne ricostruita nel dopoguerra sul modello medievale e solo nella zona absidale si conserva parte del tessuto murario originale88. La chiesa di Treggiaia, restaurata nel Settecento e poi nel 1957, presenta in facciata un paramento in conci di arenaria ben squadrati e spianati, di dimensioni variabili in filari abbastanza regolari, solo in parte originali89. Le vicende che interessarono la chiesa di S. Michele di Limite invece risultano più complesse: non si conoscono attestazioni precedenti all’estimo della diocesi di Lucca del 1260 e non è certa nemmeno la sua identificazione, inoltre secondo quanto riferisce lo storico locale Ignazio Donati nel 1860, l’edificio originario, danneggiato gravemente non solo dagli eventi bellici ma anche dalle inondazioni dell’Arno che scorreva nelle immediate vicinanze, venne abbandonato e ricostruito in una posizione più riparata nel 1520, su iniziativa di un notabile montopolese90. La chiesa attuale, ad aula unica con abside semicircolare, presenta alcuni elementi decorativi risparmiati dall’intonaco, che risultano quindi decontestualizzati e difficilmente giudicabili (tav. 9): in facciata rimangono la cornice in pietra dell’arco a tutto sesto del portale, decorata con un tralcio vegetale continuo, e un filare orizzontale di piccole bozze in pietra scolpite con una serie di rombi gradonati91. Nella zona absidale si trova un coronamento ad archetti pensili monolitici impostati su piccole mensole in pietra scolpite (tav. 10), mentre il fianco destro presenta un coronamento ad archetti trilobati in cotto, conservati parzialmente e dall’aspetto più tardo, probabilmente foggiati entro stampi.

Nel primo caso sulle poche strutture sopravvissute venne costruita una casa colonica, localizzabile presso Molino d’Egola, frazione di S. Miniato93: negli anni Settanta erano ancora visibili parti dell’antico paramento murario, costituito da blocchi di pietra ben squadrati, alcuni dei quali erano disseminati anche nei dintorni, e inoltre, fino agli anni Sessanta, si era conservata anche la torre campanaria94. La pieve di Sovigliana invece è stata localizzata presso l’attuale Villa San Marco, sulla riva destra del fiume Cascina, 6 Km a sud di Ponsacco, in una fattoria, attualmente adibita ad albergo, dove sarebbero ancora visibili ampie porzioni di murature in pietra, corrispondenti alla facciata e alla parete del fianco meridionale dell’edificio, che doveva avere un impianto a tre navate separate da pilastri 95. 2.2. L’architettura in cotto Nell’area del Valdarno Inferiore compresa tra l’Era e l’Elsa prevale l’uso del cotto, scelto come materiale da costruzione vista l’abbondanza di depositi argillacei e per sopperire alla carenza di materiale litico in tutto il territorio della bassa e media Valdelsa fino a San Gimignano, così come sulla sponda settentrionale dell’Arno (Fucecchio, Castelfranco di Sotto, Santa Croce)96. La ripresa della produzione di laterizi in Toscana, con il passaggio dal modulo romano a quello medievale, pare essere avvenuta tra la fine dell’XI e l’inizio del XII secolo a Pisa e a Lucca, dopo una lunga fase di interruzione durata tutto l’alto medioevo, periodo caratterizzato dal reimpiego di mattoni romani97. battesimale passò alla chiesa suffraganea di San Pietro Belvedere nel 1384. 93 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., pp. 85-86. 94 Dini, F., Dietro i nostri secoli. Insediamenti umani in sei comuni del Valdarno Inferiore nei secoli VIII-XIII, Santa Croce sull’Arno 1979, cit., pp. 39-40. 95 Alberti, A., I castelli della Valdera. Archeologia e storia degli insediamenti medievali, Pisa 2005, p. 23; Giachetti, M., Ricostruzione icnografica di due pievi dell'antica diocesi lucchese passate nel 1622 alla diocesi di San Miniato, in «Bollettino della Accademia degli Euteleti di San Miniato», 45, 1976, p. 107-125; sulle vicende storiche della pieve si veda: Pescaglini Monti, R., I pivieri di Sovigliana, Ducenta/Travalda/Appiano, Triana, Migliano/La Leccia e Tripalle (secoli VIII-XIV), in «Bollettino Storico Pisano», 62, 1993, pp. 119-185. 96 Vanni Desideri, A., Lettura stratigrafica della facciata della chiesa abbaziale di San Salvatore di Fucecchio, in La chiesa, la casa, il castello sulla via Francigena, a cura di A. Malvolti e A. Vanni Desideri (Fucecchio, Palazzo Montanelli della Volta, 15 settembre – 15 novembre 1996), Pisa 1996, pp. 91-102; Campani, F., Giani, B., L’uso del cotto nell’architettura romanica del Valdarno inferiore: le collegiate di Castelfranco e S. Croce sull’Arno, in «Erba d’Arno», 34,1988, pp. 50-58; Alberti, A., L’edilizia ecclesiastica medievale in laterizio tra Valdera e Valdarno Inferiore, in I maestri dell'Argilla. L'edilizia in cotto, la produzione di laterizi e di vasellame nel Valdarno Inferiore tra Medioevo ed Età Moderna, atti della I Giornata di Studio del Museo Civico Guicciardini di Montopoli in Val d'Arno (Montopoli in Val d'Arno, 21 maggio 2005), a cura di M. Baldassarri e G. Ciampoltrini, San Giuliano Terme (Pisa) 2006, pp. 11-25. 97 L’unica produzione che sembra non essere mai cessata è quella dei laterizi da copertura. Per una sintesi su questo argomento si veda: Parenti, R., Quirós Castillo, J.A., La produzione dei mattoni della Toscana medievale (XII-XVI secolo). Un tentativo di sintesi, in La brique antique et médiévale: production et commercialisation d'un

Infine tra gli edifici in pietra possiamo ricordare le due pievi di Fabbrica e di Sovigliana, entrambe attestate dal IX secolo ma abbandonate durante il XIV secolo e ridotte a ruderi che sono stati inglobati in strutture successive92.

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Ducci, A., Badalassi, L., Tesori medievali, cit., p. 44. Morelli, P., Il territorio tra Arno-Era e Roglio, in La pianura di Pisa e il rilievi contermini, cit., pp. 288-289; Caciagli, G., Pisa: monografia della provincia, cit., vol. VI, p. 508 e sgg. 87 Morelli, P., La pieve di S. Gervasio di Verriana, cit., p. 59. 88 San Miniato, il Valdarno Inferiore e la Valdera, a cura di R. Roani Villani, Milano 1999, pp. 117-118; Gotti, M., Chiese medievali della Valdera lucchese, in «Bollettino dell’Accademia degli Euteleti di San Miniato», 77, 2010, pp. 229-230. 89 San Miniato, il Valdarno Inferiore e la Valdera, cit., pp. 118-119. 90 Donati, I., Memorie e documenti per la storia di Montopoli: da un manoscritto dell’Avv. Ignazio Donati dell’anno 1860 donato dall’autore al comune di Montopoli, Montopoli Val d’Arno 1905, rist. anast. Pontedera s. d., pp. 240-244. 91 È stato ipotizzato che si tratti di elementi originali reimpiegati e databili tra l’XI e il XII secolo, si veda: Ducci, A., Badalassi, L., Tesori medievali, cit., p. 47. 92 La pieve di Fabbrica è documentata per la prima volta nell’867 e nel 1372 è attestato il trasferimento del fonte battesimale presso la chiesa di S. Michele di Cigoli, sua suffraganea; la pieve di Sovigliana, a capo di un piviere molto vasto, è ricordata a partire dall’844 e il fonte 86

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L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV) e di S. Jacopo al Tempio a San Gimignano102. A queste si aggiungono edifici che hanno subito ricostruzioni parziali in laterizio, come le pievi di Sant’Appiano, dei SS. Pietro e Paolo a Coiano e di S. Maria Assunta a Casole d’Elsa103.

In Valdelsa è stato individuato da tempo un folto gruppo di edifici in cotto dalle caratteristiche molto simili, riferiti ad un arco cronologico che va dalla seconda metà del XII agli inizi del XIII secolo, e ritenuti opera di maestranze lombarde, il cui passaggio nel territorio fu certamente favorito dalla presenza della via Francigena98. La vicinanza ad una strada di così grande importanza determinò la compresenza di molteplici influenze culturali sull’architettura valdelsana: infatti se risultano evidenti le componenti lombarde, altrettanto esplicita è la ripresa di alcuni motivi di origine pisana.

La pieve di S. Maria di San Miniato, divenuta cattedrale a partire dal 1622, è stata considerata un altro prototipo per l’architettura in cotto valdelsana, pur presentando una cronologia non del tutto certa. Dell’antica pieve, attestata dal 1195 come suffraganea della pieve di S. Genesio e trasformata essa stessa in pieve nel 1236, rimangono soltanto la facciata e le pareti laterali della navata centrale, mentre l’icnografia originale e l’interno sono stati completamente ridefiniti in seguito a numerosi interventi che si sono succeduti tra il XVII e il XIX secolo104. La facciata, dal profilo a salienti che rispecchia la suddivisione in tre navate, ha subito numerose manomissioni, con l’aggiunta di portali quattrocenteschi in pietra serena, l’apertura di grandi oculi ottocenteschi e la chiusura delle quattro bifore originali, disposte su due ordini, tre in asse con i portali e una al centro della parte superiore del prospetto (tav. 11). Sul paramento in laterizi sono rimaste le ghiere degli archi delle aperture originarie, circondate da ricche cornici decorative in cotto, ma anche altri elementi che costituivano il complesso apparato decorativo: oltre al rosone in pietra, ai due rombi gradonati, alla feritoia a forma di croce e al coronamento ad archetti pensili, si sono conservati ventisei dei trentuno bacini ceramici decorati a cobalto e manganese, di importazione tunisina, inseriti nel paramento seguendo uno schema “aperto”, con una distribuzione simmetrica intorno all’asse centrale del prospetto105. A completare l’apparato decorativo si aggiungono poi le numerose decorazioni in cotto degli archi e del coronamento, che presentano un ricco repertorio di motivi decorativi e di cui tratteremo più avanti (tavv. 12-16). Il paramento originario è costituito in gran parte da laterizi di buona qualità, dal colore uniforme e dalle dimensioni costanti, arrotati e caratterizzati da una graffiatura a spina di pesce fitta e regolare oppure ad unico senso106, distribuiti su tutto il

Uno dei prototipi di questo filone è stato individuato nella pieve di S. Giovanni di Monterappoli, nel comune di Empoli e quindi compresa nella diocesi di Firenze: sarebbe questa una delle prime realizzazioni in cotto che contribuì al rinnovamento stilistico in Valdelsa, diffondendo la nuova pratica costruttiva in laterizi e proponendo nuove soluzioni formali e un nuovo repertorio decorativo. La presenza di maestranze lombarde è confermata dall’iscrizione presente sull’architrave del portale, dove oltre alla data 1165 compare la firma del “Magister Bonseri ex gente lombarda”99. I motivi derivati dal romanico lombardo, individuati già dal Salmi e dal Sanpaolesi100, comprendono le arcatelle incrociate del coronamento, la finta loggia nell’abside e il portale risaltato rispetto al piano della facciata. Tuttavia questi elementi sono combinati con altri di ascendenza pisana, come i due oculi gradonati, la feritoia a forma di croce e i due bacini ceramici inseriti nella zona più alta della facciata101, mentre altre caratteristiche, come le spesse lesene angolari che inquadrano la facciata, la bifora aperta al centro in asse con il portale e l’impianto ad aula unica priva di transetto e con abside semicircolare, diventeranno soluzioni tipiche dell’architettura valdelsana in cotto. Infatti questi elementi appena elencati si ritrovano, variamente combinati, in numerosi edifici dislocati sul territorio, su entrambe le sponde dell’Elsa. Tra questi possiamo ricordare la pieve dei SS. Ippolito e Biagio e la chiesa dei SS. Lorenzo e Leonardo a Castelfiorentino, la canonica dei SS. Jacopo e Filippo e la chiesa dei SS. Tommaso e Prospero a Certaldo, la pieve di S. Maria Assunta e le chiese di S. Pietro, di S. Bartolo

102 Chiese medievali della Valdelsa, 1, cit., pp. 35-36 e schede relative ai singoli edifici; Chiese medievali della Valdelsa. I territori della via Francigena. 2 - Tra Siena e San Gimignano, Empoli 1996, pp. 40-41 e schede degli edifici; Moretti, I, Stopani, R., Chiese romaniche in Valdelsa, Firenze 1968, pp. 11, 177-191, 262-265, 277-285. 103 Moretti, I, Stopani, R., Chiese romaniche in Valdelsa, cit, pp. 87-91, 211-227, 267-274; Chiese medievali della Valdelsa, 1, cit., pp. 115-120, 152-157; Chiese medievali della Valdelsa, 2, cit., pp. 70-74. 104 Cristiani Testi, M.L., San Miniato al Tedesco. Saggio di storia urbanistica e architettonica, Firenze 1967, pp. 33-52; Morelli, P., Marchese, C., Il Duomo di San Miniato, Pisa 2007; Onnis, F., Biografia di una architettura, in La cattedrale di San Miniato, Pisa 2004, pp. 5178; Romby, G. C., Dimenticare il Medioevo. Restauri e rinnovamenti nella cattedrale di San Miniato, in La cattedrale di San Miniato, Pisa 2004, pp. 9-20. 105 I bacini originali sono stati rimossi dalla Soprintendenza nel 1979, restaurati e sistemati nel Museo Diocesano di Arte Sacra, sostituendoli con copie, si veda: Berti, G., Tongiorgi, L., I bacini ceramici del Duomo di S. Miniato, ultimo quarto del XII secolo, Genova 1981. 106 L’arrotatura e la graffiatura dei laterizi sono tecniche di finitura della superficie molto frequenti in tutta l’architettura in cotto toscana a partire dalle sue origini, quindi dal XII secolo in poi. Gli studi recenti sembrano ormai orientati a ritenere che questo tipo di trattamento avesse una

matériau, Actes du colloque international organisé par le Centre d'Histoire Urbaine de l'École Normale Supérieure de Fontenay-Saint Cloud et l'École Francaise de Rome (Saint-Cloud, 16 - 18 novembre 1995), Rome 2000, pp. 219-235. 98 Salmi, M., L’architettura romanica in Toscana, Milano-Roma 1927, pp. 41-42, n. 30; Sanpaolesi, P., Alcuni edifici romanici in cotto in Toscana, in Atti del II Convegno Nazionale di Storia dell’Architettura (Assisi 1937), Roma 1939, pp. 127-138; Stopani, R., La via Francigena in Toscana. Storia di una strada medievale, Firenze 1984, pp. 68-69. 99 Chiese medievali della Valdelsa. I territori della via Francigena. 1 Tra Firenze, Lucca e Volterra, Empoli 1995, pp. 35 e 135. 100 Salmi, M., L’architettura romanica, cit., pp. 41-42, n. 30; Sanpaolesi, P., Alcuni edifici romanici, cit., p. 134: quest’ultimo sottolineava però che le maestranze lombarde portarono in Toscana novità solo dal punto di vista decorativo e non nuove soluzioni strutturali, come per esempio la copertura a volte. 101 Moretti, I., Architettura e urbanistica nel basso Medioevo, in Il Valdarno inferiore terra di confine nel Medioevo (Secolo XI-XV), atti del convegno di studi (30 settembre – 2 ottobre 2005), a cura di A. Malvolti e G. Pinto, Firenze 2008, pp. 374-375.

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2. L’architettura religiosa tra l’XI e il XIV secolo dell’area valdelsana, realizzata mescolando elementi lombardi, come gli archetti pensili, con altri di derivazione pisana, come i rombi e i bacini ceramici. È interessante notare anche come alcuni edifici della Valdelsa dimostrino per certi aspetti una chiara dipendenza dalla cattedrale di S. Maria: è il caso della canonica dei SS. Jacopo e Filippo a Certaldo, costruita verso la fine del XII secolo, dove viene ripreso puntualmente il motivo della feritoia a forma di croce compresa tra due rombi gradonati, presenti in facciata a San Miniato e qui ripetuti al di sopra dell’abside111. Le monofore delle pareti laterali invece richiamano quelle della fiancata sinistra della collegiata di San Gimignano e quelle derivate delle chiese di S. Bartolo (fiancata destra) e di S. Pietro (fiancata sinistra) a San Gimignano112, a tutto sesto, fortemente strombate e con una cornice decorata con motivi a zig-zag tra due listelli lisci.

prospetto fino alla sua sommità e messi in opera con uno strato sottile di malta. Alcune zone del paramento invece sono state manomesse nei secoli successivi con l’inserimento di mattoni di qualità inferiore, soprattutto in corrispondenza di lacune o nelle tamponature delle aperture più antiche107. Inoltre su tutta la superficie muraria era stata stesa una tinta di colore rosso scuro, le cui tracce sarebbero state individuate sulla malta nelle commettiture tra i mattoni108, mentre nei sottarchi degli archetti pensili del coronamento rimangono tracce ancora evidenti dell’antica rifinitura, che prevedeva elementi geometrici e floreali delineati su uno spesso strato di bianco di calce e dipinti con una tinta di colore rosso scuro109. Ad accentuare gli effetti cromatici della facciata contribuiscono i cunei delle ghiere delle due bifore centrali, caratterizzati da un colore rosso più intenso e squillante, che risalta maggiormente rispetto al rosso dei mattoni della superficie parietale e delle due bifore laterali110, favorendo la concentrazione dell’attenzione dell’osservatore sull’asse centrale della facciata, con un procedimento identico a quello applicato per esempio sulla facciata della pieve di Castelfiorentino, dove il colore dell’arco del portale spicca su quello del paramento.

Per quanto riguarda la soluzione compositiva della bifora in asse con il portale, in questo caso lo schema di base è stato comunque applicato ma in una versione ampliata, con l’aggiunta di due portali e due bifore laterali al primo piano e un’ulteriore bifora al piano superiore, conferendo all’edificio un aspetto più monumentale. La bifora centrale, rispetto a quelle delle altre chiese valdelsane, presenta un’apertura molto ampia che è quasi a filo della facciata, mentre le bifore di Monterappoli e della collegiata di Castelfiorentino sono più strette, hanno molteplici riseghe e l’arco poggiante su mensoline, quella della pieve di Castelfiorentino è stretta e molto strombata ma priva di mensole e quella di Coiano presenta un’elaborata modanatura. La bifora più simile a questa della cattedrale, che rimane comunque difficile da giudicare essendosi conservata solo parzialmente, sembra essere quella della pieve di S. Giovanni di Corazzano, dall’aspetto più semplice, con un'unica risega.

Ciascuno degli elementi individuati sulla facciata del duomo di San Miniato trova precisi riscontri in altri edifici valdelsani e anche in questo caso assistiamo quindi ad un’interessante commistione stilistica, tipica finalità estetica, essendo destinato a rimanere a vista e non coperto da intonaco. Sull’argomento si veda fra gli altri: Autenrieth, H.P., Il colore dell’architettura, in Lanfranco e Wiligelmo. Il Duomo di Modena, Modena 1984, pp. 241-247; Gabbrielli, F., Parenti, R., La decorazione in laterizio. Osservazioni sulle tecniche di produzione, in Le superfici dell’architettura: il cotto, caratterizzazione e trattamenti, Atti del convegno di studi, scienza e beni culturali (Bressanone, 30 giugno – 3 luglio 1992), a cura di G. Biscontin e D. Mietto, Padova 1992, p. 31; Gabbrielli, F., Il duomo e San Galgano: note sulle origini del mattone graffiato a Siena, in Imago Virginis: dall’arte delle origini alla Libreria Piccolomini, a cura di M. Lorenzoni e R. Guerrini, Siena 2003, pp. 2753; Gabbrielli, F., Finishing techniques for exposed brickwork in 12thto 15th- Tuscan architecture, in Technik des Backsteinbaus im Europa des Mittelalters, herausgegeben von J. Cramer e D. Sack, Petersberg 2005, pp. 50-56; Gabbrielli, F., Murature senza intonaco nelle facciate senesi in laterizi del Medioevo, in Il colore delle facciate: Siena e l’Europa nel Medioevo, atti a cura di F. Tolaini (Siena, 2-3 marzo 2001), Pisa 2005, pp. 101-118; Giamello, M., et alii, I colori della facciata del Palazzo Pubblico di Siena nell’età medievale. Un tentativo di ricostruzione tramite le pellicole ad ossalati di calcio, in Il colore delle facciate, cit., pp. 35-51. 107 In alcune tamponature sono stati impiegati anche laterizi graffiati a spina di pesce, forse di reimpiego. Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., p. 35; Onnis, F., Biografia di una architettura, cit., p. 54; Barbucci, F., Campani, F., Giani, B., Motivi e tecniche decorative in cotto nell’architettura romanica del medio Valdarno Inferiore, in «Erba d’Arno», 51, 1993, pp. 41-42. 108 Berti, G., Tongiorgi, L., I bacini ceramici, cit., p. 9; Onnis, F., Biografia di una architettura, cit., p. 54, nota 9. 109 Berti, G., Tongiorgi, L., I bacini ceramici, cit., p. 8; questa particolare tecnica decorativa è stata riferita dalla Cristiani Testi all’ambito lombardo, si veda: Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., pp. 36-37. 110 Le ghiere degli archi della bifora sinistra e del portale destro, di cui sono sopravvissuti dei frammenti, sono costituite da cunei arrotati e graffiati a spina di pesce, ma dal colore uniforme rispetto a quello della facciata. Del portale sinistro invece rimane solo un frammento della cornice decorativa, caratterizzato dal medesimo colore rosso intenso presente nelle due monofore centrali.

Anche la pieve di Corazzano rientra nel filone dell’architettura valdelsana, situata all’estremità meridionale del territorio sanminiatese, in Val d’Egola, e documentata a partire dall’842113. La chiesa, ad aula unica con transetto sporgente, abside semicircolare e torre campanaria impostata sul braccio sinistro del transetto, si presenta in buono stato di conservazione (tavv. 17, 19). Oltre a riproporre alcune delle soluzioni tipiche delle chiese valdelsane, come le lesene angolari in facciata, il portale leggermente rilevato114, la bifora in asse con il portale, le strette lesene sul fianco sinistro115, il rombo 111

Chiese medievali della Valdelsa, 1, cit., p. 168 e tav. 23 A. Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., p. 37; Mennucci, A., San Gimignano, il colle di Montestaffoli e la collegiata, in La collegiata di San Gimignano. L’architettura, i cicli pittorici murali e i loro restauri, a cura di Alessandro Bagnoli, Siena 2009, fig. 15 p. 75. 113 Baldacci, M., Donati, J., La pieve di San Giovanni a Corazzano, in Erba d’Arno, 34 (1988), pp. 40-49; Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., pp. 46-48; Ducci, A., Badalassi, L., Tesori medievali, cit., pp. 79-89. 114 Questa soluzione, già riscontrata nella pieve di Monterappoli, era stata replicata anche nella collegiata dei SS. Lorenzo e Leonardo di Castelfiorentino. 115 Lesene molto simili si ritrovano nella collegiata dei SS. Lorenzo e Leonardo di Castelfiorentino, dove però sono collegate in alto da una sequenza di archetti, mentre qui non raggiungono la sommità della parete interrompendosi a mezza altezza circa. 112

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L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV) una cornice decorata con un motivo a zig-zag tra due filari di elementi curvilinei anch’essi arrotati, dall’aspetto simile agli archi dei portali delle chiese dei SS. Lorenzo e Leonardo a Castelfiorentino, di S. Martino di Pontorme (Empoli), e dei SS. Iacopo e Stefano a Gambassi Terme119. Lo stesso motivo decorativo, sicuramente uno dei più frequenti nell’area del Valdarno e della Valdelsa, ma anche in ambito lucchese e pisano, si ritrova in una delle aperture della chiesa di Montebicchieri, in un arco a curve non concentriche parzialmente conservato120. Sul fianco destro della chiesa di Montebicchieri si conserva anche un portale laterale con arco a ferro di cavallo121, decorato con una fuga di triangoli e impostato su un architrave in pietra sorretto da due mensole smussate, datato alla fine del XII secolo122.

gradonato in facciata e la feritoia a forma di croce nella tribuna, l’edificio presenta anche delle particolarità che lo differenziano dagli altri. Innanzitutto colpisce subito l’originalissimo effetto cromatico creato con l’inserimento di alcuni filari di mattoni “ferretti”, dal colore più scuro, ai quali si contrappone un filare in pietra all’altezza delle imposte dell’arco del portale (tav. 18). La facciata è ulteriormente arricchita da due elementi di spoglio in marmo, il frammento di un fregio romano, messo in opera in verticale, al centro del prospetto, e il frammento di un’epigrafe, che costituisce l’imposta sinistra dell’arco del portale. L’apparato decorativo è quindi costituito principalmente da questi elementi, visto che l’uso di decorazioni in cotto, così abbondanti negli altri edifici, in questo caso è limitato esclusivamente alla cornice della monofora absidale, caratterizzata dal motivo a quadrati ruotati. Anche l’aspetto della monofora, dagli stipiti ricassati e non strombati, appare inusuale, e la bifora in facciata, come abbiamo già evidenziato, ha un’unica ricassatura, diversamente dalle altre che invece ne hanno diverse116. Infine, dal punto di vista icnografico, l’impianto a croce latina con transetto sporgente risulta insolito in questa zona, dove le pievi hanno più spesso una pianta basilicale a tre navate (Coiano) o, ancora più frequentemente, una navata unica (Monterappoli, Castelfiorentino, Santa Croce, Castelfranco di Sotto).

Nella città di San Miniato e nel territorio circostante la tradizione costruttiva in cotto si è protratta fino in epoca moderna, raggiungendo l’apice nel corso del XIII e del XIV secolo. A San Miniato, oltre alla chiesa principale, venne costruita in laterizi anche la chiesa di S. Francesco, fondata, secondo la leggenda, sul luogo dell’antico oratorio dedicato a S. Miniato, il quale venne donato da alcune famiglie nobili sanminiatesi proprio a San Francesco, che nel 1211 si trovava ospite presso il vicino monastero di S. Gonda123. Tuttavia la prima attestazione documentaria del convento francescano è del 1276, anno in cui il vescovo di Lucca Paganello concesse un’indulgenza per promuoverne la costruzione124, dato cronologico certo per stabilire la datazione dell’edificio. I lavori per la nuova chiesa, iniziati presumibilmente nella seconda metà del XIII secolo, dovettero concludersi entro la fine di quel secolo, ma già a metà del Trecento sono documentati gli interventi di ampliamento, a

Altri due edifici, purtroppo conservati solo parzialmente, mostrano una certa affinità con l’edilizia in cotto valdelsana. Si tratta della pieve di S. Maria di Barbinaia, documentata dall’898, ormai ridotta a rudere e immersa nella vegetazione, situata a sud ovest di San Miniato, ai piedi del colle di Bucciano, vicinissima alla riva destra del torrente Chiecina117, e della chiesa di S. Lucia di Montebicchieri, menzionata nell’estimo della diocesi lucchese del 1260 e dotata di fonte battesimale a partire dal 1345, eretta all’interno dell’omonimo castello, ancora esistente, fondato alla fine del XII secolo dai Gherardeschi e situato tra la valli della Chiecina e dell’Egola118. In entrambi i casi, su un paramento in laterizi molto manomesso ed alterato, si conservano gli archivolti a tutto sesto di alcune aperture tamponate, portali e finestre, tutti a curve non concentriche e tutti dotati di cornici decorative a motivi geometrici. Tra le rovine di Barbinaia troviamo una muratura in parte in pietra e in parte in laterizi che doveva corrispondere alla parete settentrionale della torre campanaria, dove si apriva un portale con un ampio arco a tutto sesto, con una ghiera di cunei arrotati disposti per fascia, circondata da

119 Chiese medievali della Valdelsa, 1., cit., pp. 199 e 215; Frati, M., Chiese romaniche della campagna fiorentina, cit., pp. 192-194. 120 Un arco molto simile, a curve non concentriche con decorazione a zig-zag, si ritrova sulla facciata dell’abbazia di S. Salvatore a Fucecchio, a racchiudere una bifora tamponata, si veda: Vanni Desideri, A., Lettura stratigrafica della facciata, cit., fig. 2, p. 93. 121 Un portale simile, anche se dall’aspetto più elaborato per la presenza di elementi in calcare bianco (alcuni cunei nella ghiera, mensole modanate e architrave) e di una cornice ricassata, è quello presente sul fianco sinistro della chiesa di S. Anastasio a Lucca, databile tra la fine del XII e l’inizio del XIII secolo, si veda Lucca medievale: la decorazione in laterizio, a cura di C. Baracchini, G. Fanelli, R. Parenti, Lucca 1998, pp. 110-115. 122 Morelli, P., Montebicchieri, cit., p. 20; Alberti, A., L’edilizia ecclesiastica medievale in laterizio tra Valdera e Valdarno Inferiore, in I maestri dell'Argilla. L'edilizia in cotto, la produzione di laterizi e di vasellame nel Valdarno Inferiore tra Medioevo ed Età Moderna, atti della I Giornata di Studio del Museo Civico "Guicciardini" di Montopoli in Val d'Arno (Montopoli in Val d'Arno, 21 maggio 2005), a cura di M. Baldassarri e G. Ciampoltrini, San Giuliano Terme (Pisa) 2006, p. 13. 123 La notizia leggendaria risale al XVIII secolo (Wadding, L., Annales Minorum seu trium ordinum a S. Francisco institutorum, t. VII, XXXVI, p. 407, Roma 1733) e fu ripresa nei secoli successivi da tutti gli eruditi e storici locali, per una sintesi si vedano: Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., pp. 15-16, 72-82 e Morelli, P., La nascita del convento domenicano di S. Jacopo in San Miniato: appunti per un’indagine sulle istituzioni ecclesiastiche di un centro minore della Toscana fra Due e Trecento, in Centi, T.S., Morelli, P., Tognetti, L., SS. Jacopo e Lucia: una chiesa, un convento. Contributi per la storia della presenza dei Domenicani in San Miniato, San Miniato 1995, pp. 21-22 e p. 53 nota 103. 124 Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., p. 72.

116 Nelle bifore della pieve e della collegiata di Castelfiorentino, e in quella della collegiata di Certaldo abbiamo tre ricassature, in quella della pieve di Monterappoli ne abbiamo quattro, la bifora della pieve di Coiano ne ha soltanto due ma è circondata anche da una cornice modanata. 117 Coturri, E., Note di storia relative alla Pieve di Berbinaia, in «Bollettino dell’Accademia degli Euteleti», 51, 1984, pp. 65-67; Dini, F., Dietro i nostri secoli, cit., pp. 41-42; Lotti, D., Materiali per la Pieve di Santa Maria Vergine e San Giovanni Battista di Barbinaia, in San Miniato nel tempo. Catalogo della Mostra (San Miniato, 20 giugno – 30 settembre 1981), a cura di D. Lotti, Pisa 1981, pp. 54-57; Ducci, A., Badalassi, L., Tesori medievali, cit., pp. 34-37. 118 Morelli, P., Montebicchieri e il suo fonte battesimale: un castello del Valdarno nel Trecento, San Miniato 2000.

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2. L’architettura religiosa tra l’XI e il XIV secolo applicato un criterio esattamente inverso rispetto al consueto.

dimostrazione della grande fortuna che stava avendo l’ordine mendicante in questa fase e del ruolo che il convento stava assumendo all’interno del comune di San Miniato125. L’edificio venne allargato verso destra e rialzato, come si può dedurre anche dalla semplice osservazione della facciata, dove si riconosce ancora il profilo della chiesa più antica (tav. 20). Inoltre fu aggiunta la sacrestia, vennero erette le cappelle del presbiterio, furono ampliati i locali sotterranei e vennero affrescate le pareti interne126.

L’ampliamento del XIV secolo, che ha portato ad una dilatazione della facciata di circa un terzo in altezza e di un quarto in larghezza, mantenendo gli stessi elementi architettonici nello stesso ordine, ma ridistribuendoli sulla superficie ampliata, è stato realizzato impiegando materiale meno raffinato, laterizi privi di arrotatura e di graffiature, posti in opera in maniera meno accurata, con giunti più spessi.

La facciata duecentesca, di modeste dimensioni e dalle proporzioni equilibrate, era delimitata da due larghe lesene ai lati ed aveva un portale centrale, affiancato da due laterali e sovrastato da un oculo in asse. Il portale centrale, tamponato e conservato solo parzialmente perché sostituito da quello trecentesco di maggiori proporzioni, aveva un arco a tutto sesto a curve non concentriche impostato su mensole in pietra, costituito da cunei arrotati ma non graffiati, con lo spigolo inferiore arrotondato verso l’imbotte e sagomato a formare una gola che corre lungo tutto il profilo interno dell’arco, proseguendo anche lungo gli stipiti127 (tav. 21). Dei due portali laterali si è conservato intatto solo quello sinistro, che presenta un arco a sesto acuto leggermente falcato, privo di cornice decorativa e impostato su mensole in cotto, che si raccordano tramite un laterizio con lo spigolo scolpito a forma di foglia triangolare concava agli stipiti, caratterizzati da un profilo sagomato concavo (tav. 22). Il paramento della facciata duecentesca è interamente costituito da laterizi arrotati e fino ad una certa altezza, poco sopra l’imposta dell’arco del portale centrale128, sono graffiati a spina di pesce, con l’esclusione delle ghiere degli archi dei portali e dell’oculo, dove i cunei sono solo arrotati. Non è raro trovare mattoni graffiati inseriti solo fino ad una certa altezza della facciata, perché questa costituisce la zona più vicina all’osservatore e su questa si concentra la maggiore attenzione delle maestranze129, risulta invece più insolito trovare laterizi graffiati solo sul paramento e non sulle ghiere degli archi, sembra quindi che qui sia stato

Nel suo complesso quindi la facciata duecentesca presentava alcuni elementi che sembrano ispirarsi alla vicina cattedrale di S. Maria, come l’arco a tutto sesto del portale centrale con la cornice in cotto decorato e i laterizi graffiati a spina di pesce, mentre altre soluzioni, come gli archi ogivali dei portali laterali, fanno ormai parte del linguaggio gotico. Ad un periodo compreso tra la seconda metà del XIII e la prima metà del XIV secolo è da ricondurre un gruppo di cinque edifici accomunati da alcune caratteristiche e ormai influenzati dall’architettura gotica, dislocati tra Palaia e alcune sue frazioni, in un’area compresa tra le valli del Chiecina e dell’Era, al confine con la diocesi di Volterra. Queste chiese costituiscono un filone alternativo rispetto a quello valdelsano, con il quale dimostrano di avere in comune solo la scelta del materiale, il laterizio, distaccandosene con l’adozione di un repertorio decorativo più complesso ed evoluto e con l’abbandono delle tecniche di finitura usuali, quali l’arrotatura e la graffiatura dei mattoni. Recentemente un’analisi mensiocronologica dei laterizi impiegati in alcuni degli edifici di questa zona ha evidenziato una certa uniformità delle loro dimensioni, fornendo ulteriori conferme in merito alla loro datazione e alle loro affinità130. Indubbiamente l’edificio più importante, per la sua monumentalità e complessità, è la pieve di S. Martino di Palaia, eretta al di fuori delle mura del castello a partire dal 1279, anno in cui il vescovo di Lucca Paganello concesse a Palaia il fonte battesimale e quindi l’autonomia dalla pieve di S. Gervasio da cui originariamente dipendeva131. La nuova chiesa, di dimensioni imponenti e dall’impianto a tre navate con abside poligonale (tav. 58), è caratterizzata da una notevole omogeneità nonostante i rimaneggiamenti e gli ingenti restauri che ha subito soprattutto durante l’Ottocento132. La perfetta coerenza con cui l’edificio è

125 Molte delle famiglie nobili sanminiatesi e dei podestà cominciarono a far costruire qui le proprie tombe, come ci confermano i documenti e i resti di alcune lastre marmoree dislocate in vari punti dell’edificio. 126 Baldaccini, R., La chiesa e il convento di S. Francesco in S. Miniato al Tedesco, in Atti del V Convegno Nazionale di Storia dell’Architettura (Perugia 1948), Firenze 1957, pp. 281-290. Altri interventi si susseguirono tra il XV e il XVIII secolo, con l’ampliamento della zona presbiteriale e delle strutture conventuali, si vedano: Rondoni, G., Memorie storiche di San Miniato al Tedesco, San Miniato 1876, ristampa anastatica Bologna 1980, p. 223 e Galli Angelini, F. M., Glorie francescane samminiatesi, in «Bollettino dell’Accademia degli Euteleti di San Miniato», 4, 1922, 1, p. 16. 127 Sulla cornice decorativa, costituita da elementi in cotto piuttosto larghi, disposti per foglio e decorati con particolari motivi vegetali e zoomorfi, torneremo più avanti. La particolare rifinitura degli stipiti è stata individuata anche nei due portali frammentari tamponati, situati sulla parete adiacente alla sinistra della facciata, che dovevano costituire l’ingresso originario del convento e che sulla base di queste somiglianze, sono stati attribuiti alle medesime maestranze. 128 Sulla lesena sinistra i mattoni graffiati proseguono ancora un po’ più in alto per qualche decina di centimetri. 129 Nella pieve di Castelfiorentino per esempio la graffiatura si interrompe all’altezza delle imposte dell’arco del portale.

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Alberti, A., L’edilizia ecclesiastica medievale in laterizio tra Valdera e Valdarno Inferiore, in I maestri dell'Argilla. L'edilizia in cotto, la produzione di laterizi e di vasellame nel Valdarno Inferiore tra Medioevo ed Età Moderna, atti della I Giornata di Studio del Museo Civico Guicciardini di Montopoli in Val d'Arno (Montopoli in Val d'Arno, 21 maggio 2005), a cura di M. Baldassarri e G. Ciampoltrini, San Giuliano Terme (Pisa) 2006, pp. 11-25. 131 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 83; 132 I radicali restauri intrapresi tra il 1873 e il 1884 sotto la direzione dell’ingegnere Luigi Filippeschi non si limitarono ad interventi di carattere prettamente strutturale o conservativo, ma furono finalizzati al recupero dell’aspetto medievale dell’edificio, eliminando tutte le aggiunte posteriori ed integrando con rifacimenti in stile. Per questo

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L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV) sesto136 (tav. 25), sono state individuate due ammorsature a pettine verticali, una su ciascun lato e alla medesima distanza dalla facciata, cioè pochi centimetri prima della quarta lesena, mentre il basamento prosegue in modo omogeneo. Inoltre nelle due zone, a ovest e a est dell’ammorsatura, sono state notate delle piccole differenze costruttive nel coronamento ad archetti pensili ricassati137 (tav. 27). All’interno, dove è possibile riconoscere ammorsature su entrambi i fianchi delle navate laterali e altre due cesure su entrambe le pareti della navata centrale, in perfetta corrispondenza con quelle presenti all’esterno, sono ancora più evidenti le differenze costruttive e stilistiche tra le due zone (tav. 28). La più lampante è sicuramente quella che riguarda la forma dei primi quattro pilastri, a ovest delle ammorsature, che già il Repetti aveva notato138: mentre i pilastri successivi sono semplici colonne in laterizio, questi sono tutti diversi tra loro e presentano sezioni particolari, poligonali o con aggetti di forma circolare o quadrangolare, e alcuni di loro hanno sul fusto inserti decorativi in laterizio139 (tavv. 29-30).

stato impostato ha fatto ipotizzare la presenza di un progetto complessivo a monte, realizzato da maestranze esperte, il cui capo cantiere è forse da identificare con quell’Andrea da Pontedera operarius che lascia ben due firme all’interno della pieve: la prima firma è incisa sul capitello della seconda colonna della navata sinistra, con la data 1283, la seconda si trova invece sulla chiave di volta in pietra della cappella terminale sinistra, con la data 1300133. L’edificio venne costruito quasi interamente in laterizi, utilizzati anche nelle colonne che suddividono l’interno in cinque campate, e prevalendo nettamente nelle parati laterali e nella zona absidale (tav. 24). La facciata invece presenta un paramento in pietra arenaria, con conci squadrati e spianati di dimensioni omogenee, mentre i laterizi delineano nettamente le aperture e marcano le linee principali del prospetto, essendo impiegati nei portali, nel basamento e nel coronamento (tav. 23). La facciata presenta quindi un contrasto cromatico tra la pietra e il cotto, ma in realtà l’alternanza tra i due materiali caratterizza tutto l’edificio e in particolare la ritroviamo nel coronamento ad archetti pensili che circonda tutti i prospetti134, dove le mensole in pietra si raccordano ai capitelli, anch’essi in pietra, tramite un mattone quadrato e il capitello è sorretto a sua volta da un peduccio in laterizio, creando così un particolare effetto cromatico che contribuisce ad evidenziare le figure scolpite sulle mensole135 (tav. 27).

Sulle pareti laterali, scandite da otto lesene e dotate ciascuna di tre monofore strombate con archi a tutto

Non sappiamo se le discontinuità appena elencate siano da riferirsi alla normale successione di due diverse fasi di cantiere oppure se la costruzione della pieve si sia interrotta provvisoriamente alla terza campata (prevedendone comunque altre due visto che il basamento prosegue in modo omogeneo su tutto l’edificio) e sia stata ripresa a distanza di alcuni anni prolungando l’edificio e realizzando la facciata. In uno studio recente sono state ipotizzate tre fasi costruttive principali, la prima corrispondente all’impostazione del basamento dell’intero perimetro, la seconda all’erezione dell’edificio fino alle cesure e infine l’ultima, databile tra il 1279, anno in cui la chiesa ricevette il titolo plebano, e il 1283, data dell’iscrizione sul capitello della seconda colonna a sinistra, durante la quale i lavori sotto la direzione di Andrea da Pontedera giunsero alla conclusione, con l’aggiunta delle due campate e della facciata e probabilmente con la realizzazione delle volte a crociera della zona presbiteriale140.

motivo risulta assai difficile in alcune aree individuare le parti originali da quelle di ripristino. 133 “ANDREAS U(RBE) P(ONTE) ERAE FECIT HA(N)C COLU(M)NA(M) A(NNO) D(OMINI) MCCLXXXIII”; “HOC DECORUM CORONA(MENT)U(M) DEI NOM(IN)E FEC(IT) / A(N)DREAS U(RBE) P(ONTE) ERHAE OPERARIUS A(NNO) D(OMINI) MCCC”; Ducci, A., Badalassi, L., Tesori medievali, cit., p. 61; Matteoli, A., Appunti di storia dell’arte: cenni storici-artistici intorno alla pieve di S. Martino a Palaia (Pisa), in «Bollettino dell’Accademia degli Euteleti di San Miniato», 42, 1972, p. 131. 134 Il coronamento è costituito da una doppia teoria di arcatelle pensili, tutte con assialità normale agli spioventi: una inferiore con archi a tutto sesto ricassati su mensole e capitelli in pietra, e una superiore con archetti di minori dimensioni interamente in cotto, sormontati da una cornice con fuga di quadrati ruotati. 135 Il corredo scultoreo, che comprende le numerose mensole del coronamento ma anche i capitelli interni, con protomi umane e animali ed elementi vegetali, è stato avvicinato alla cultura lombarda, ma anche in questo caso, come per le decorazioni in cotto, si pone il problema della distinzione tra elementi originali ed elementi di restauro, si vedano: Malacarne, E., La pieve di S. Martino a Palaia, cit., pp. 197198 e Ducci, A., Badalassi, L., Tesori medievali, cit., pp. 68-69.

136 Anche il prospetto superiore della navata centrale è scandito da cinque lesene e all’interno di ciascuno spazio si aprono cinque monofore, della stessa tipologia delle altre ma di minori dimensioni. Gli archetti pensili del coronamento sono identici a quelli che costituiscono il secondo ordine del coronamento nelle navate laterali. 137 Le ammorsature e le differenti tecniche costruttive del coronamento proseguono anche sulle pareti della navata centrale. 138 Repetti, E., Dizionario, cit., vol. IV, p. 28: “[...] colonne parte tonde e parte composte di quattro mezze colonne legate in un sol ceppo.” 139 Il primo pilastro a destra è poligonale, il primo a sinistra quadrangolare con aggetti circolari, il secondo a destra è una colonna con quattro aggetti circolari, e infine il secondo a sinistra è una colonna con molti aggetti quadrangolari. Anche i capitelli sono diversi rispetto agli altri, poiché presentano una decorazione scultorea più elaborata, con protomi umane in aggiunta alle semplici foglie angolari. Inoltre i basamenti in pietra e decorati con foglie, assecondano le forme particolari dei pilastri. Infine gli archi intercolumni impostati su questi pilastri sono leggermente più bassi rispetto agli altri, pur mantenendo le stesse caratteristiche, a tutto sesto con doppia ghiera, con quella inferiore ricassata. 140 Malacarne, E., La pieve di S. Martino a Palaia, cit., pp. 186-188: Infatti l’operaio che firma il capitello è lo stesso che firma anche la chiave di volta della cappella nord ed è per questo motivo che l’intera copertura della zona presbiteriale potrebbe essere attribuibile a lui.

Mentre i due portali laterali in facciata hanno già un aspetto gotico, con archi a sesto acuto ricassati e trilobati, il portale centrale e i due portali aperti sulle pareti laterali hanno ancora archi a tutto sesto: in particolare quello sul fianco sinistro presenta una elaborata cornice decorativa che circonda l’ampio arco a curve non concentriche e a doppia ghiera, e prosegue sugli stipiti, congiungendosi in basso con la cornice curva del basamento e creando una raffinata modulazione della superficie con la successione di linee convesse e concave (tav. 26).

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2. L’architettura religiosa tra l’XI e il XIV secolo integra il prospetto del campanile, impostato sul lato destro e sorretto all’interno della chiesa da una grande colonna cilindrica in laterizi145 (tavv. 35, 38). L’ampio portale centrale, con arco a tutto sesto con doppia ghiera, architrave e mensole in pietra, e intradosso e stipiti ricassati e circondati da cornici modanate concentriche (tav. 36), è sormontato come a Gello da un oculo in asse, che però qui è frutto di un restauro146. Il coronamento della facciata richiama quello della pieve di Palaia, essendo composto anch’esso da una doppia serie di arcatelle pensili sovrapposte (tav. 37): quella inferiore, con archi a tutto sesto ricassati, del tutto identici a quelli della pieve, hanno assialità normale al piano di base dell’edificio e sono impostati su particolari peducci quadrangolari in cotto decorato; degli archetti superiori invece, separati da quelli inferiori con un listello sagomato parallelo agli spioventi, rimangono solo alcuni frammenti, ma dovevano essere di minori dimensioni e con l’asse perpendicolare agli spioventi. Il ricco repertorio decorativo, paragonabile solo in parte con quello della pieve di Palaia e caratterizzato da una notevole originalità, mostra ormai caratteri tardi, riferibili ad un periodo compreso tra la fine del XIII e il XIV secolo.

La pieve di Palaia è senza dubbio uno degli edifici più ricchi di decorazioni in cotto, inserite sugli archivolti di tutti i portali, di tutte le monofore e di tutti gli archi nelle navate, sia all’esterno che all’interno, e addirittura a fasciare i fusti di alcune colonne, comprendendo un repertorio di almeno venti motivi diversi. Sulle particolarità di questo apparato decorativo torneremo più avanti, ma è importante sottolineare fin da subito come nelle chiese del territorio circostante si ripresentino spesso gli stessi motivi e siano tutte accomunate dall’assenza di graffiature sulla superficie dei laterizi. Uno degli edifici che mostra le maggiori somiglianze con la pieve di Palaia e può quindi essere considerato coevo, pur presentando un impianto più semplice e dimensioni inferiori, è la chiesa di S. Lorenzo di Gello, piccola frazione a nord-ovest di Palaia. La chiesa, documentata per la prima volta nell’estimo della diocesi lucchese del 1260 come suffraganea di S. Gervasio, passò nel 1279 nella giurisdizione del nuovo piviere di Palaia141. L’edificio, interamente in laterizi, è ad aula unica ma presenta un’abside semiesagonale che ricorda quella ben più ampia di Palaia, avendo anch’essa una copertura a volte costolonate su peducci all’interno (tav. 34) ed essendo scandita da lesene all’esterno. Anche il fianco destro, l’unico visibile, è ripartito da tre lesene, mentre la facciata a capanna è racchiusa tra due lesene angolari (tavv. 31-32). In facciata si apre un unico portale sormontato da un ampio arco a sesto acuto con lunetta aperta e architrave in pietra su mensole sgusciate. Una cornice decorativa composta da pezzi speciali disposti per foglio corre intorno all’archivolto e un’altra simile circonda l’oculo ricassato che si apre nella parte superiore della facciata, in asse con il portale142.

La torre campanaria, stretta tra due lesene angolari su ciascun lato, presenta due ordini di aperture a tutto sesto, scanditi da tre serie di archetti pensili trilobati, costituiti da pezzi speciali in cotto e sorretti da piccole mensole quadrangolari e peducci sagomati. Questa tipologia di archetti, realizzati con laterizi speculari inseriti per foglio, dal profilo esterno quadrangolare ma sagomati all’interno per ricavare la trilobatura, si ritrova nel campanile della chiesa pisana di S. Francesco, databile tra la fine del XIII e i primi decenni del XIV147, e viene riproposta in altre due chiese del territorio di Palaia, S. Bartolomeo di Colleoli e S. Pietro di Usigliano, entrambe situate pochi chilometri a nord.

Il piccolo portale tamponato del fianco destro risulta assai simile a quello della pieve, aperto anch’esso sul fianco meridionale: sono caratterizzati entrambi da un arco a tutto sesto a curve non concentriche su mensole modanate in cotto e presentano addirittura lo stesso motivo decorativo. Anche le monofore sono molto somiglianti con quelle di Palaia, strombate, a tutto sesto e con mensole in cotto, ma è soprattutto la terza, tamponata e parzialmente coperta dal campanile settecentesco143, che mostra una maggiore affinità, essendo anche impreziosita da una cornice decorativa.

145 Una facciata simile, con gli spioventi asimmetrici e la torre campanaria sul lato destro, si ritrova nella chiesa di S. Cecilia di Pisa, dove è presente anche la soluzione, piuttosto insolita, del campanile sospeso, databile intorno al 1236: “tale struttura poggia per due lati sui muri perimetrali della chiesa, mentre l’angolo opposto è sostenuto da una colonna raccordata ai medesimi tramite due archi” (Berti, G., Pisa. Le “maioliche arcaiche”. Secc. XIII-XV (Museo Nazionale di San Matteo), “Ricerche di Archeologia Altomedievale e Medievale”, 23-24, Firenze 1997, pp. 42-44, figg. 1-2). Si veda anche Paliaga, F., Renzoni, S., Le chiese di Pisa. Guida alla conoscenza del patrimonio artistico, Pisa 1991, pp. 34-35. 146 Alberti, A., L’edilizia ecclesiastica medievale in laterizio, cit., p. 19 e 21, e Alberti, A., Le testimonianze materiali del castello di Palaia, in Palaia ed il suo territorio fra antichità e medioevo, atti del convegno di studi (Palaia, 9 gennaio 1999), a cura di P. Morelli, Pontedera 2000, p. 177, fig. 4; in uno studio abbastanza recente la decorazione è stata definita “pregevole”, ignorando che si tratta evidentemente di un restauro in stile: Ducci, A., Badalassi, L., Tesori medievali, cit., p. 100. 147 Il campanile di S. Francesco ha come possibile termine ante quem il 1318, si vedano: Berti, G., Pisa. Le “maioliche arcaiche”, cit., pp. 4648; Berti, G., Gabbrielli, F., Parenti, R., “Bacini” e architettura. Tecniche di inserimento e complesso decorativo, in I bacini murati medievali: problemi e stato della ricerca, atti del XXVI Convegno Internazionale della Ceramica (Albisola, 28 - 30 maggio 1993), Albisola 1996, p. 246; Paliaga, F., Renzoni, S., Le chiese di Pisa, pp. 35-43.

All’interno del piccolo borgo di Palaia sorge la chiesa di S. Andrea, costruita dopo l’edificazione della pieve e mai menzionata nell’estimo, nelle decime del XIII e XIV secolo e nemmeno nei documenti inerenti all’istituzione della pieve144. L’edificio, ad aula unica priva di abside, presenta una facciata dall’aspetto asimmetrico perché 141

Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 83. Barbucci, F., Campani, F., Giani, B., Motivi e tecniche decorative in cotto nell’architettura romanica del medio Valdarno Inferiore, in Erba d’Arno, 51 (1993), p. 44. 143 Alberti, A., L’edilizia ecclesiastica medievale, cit., p. 23. 144 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 83; tuttavia è attestata una chiesa dedicata a S. Andrea nei pressi del castello di Palaia nel 997, nel 1077 e nel 1201, ma non sappiamo se l’edificio attuale sia stato costruito sul luogo di quello più antico. 142

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L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV) databile tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo154; dalla terza lesena in poi invece ritroviamo gli archetti già visti a Palaia e a Colleoli, con i laterizi disposti per foglio e peducci tutti uguali, associati alla stessa cornice155 (tav. 42).

Della chiesa di Colleoli, menzionata nell’estimo del 1260148, rimane solo la parte sinistra dell’abside, realizzata in laterizi e scandita da due lesene, mentre la facciata è frutto di un rifacimento moderno e le pareti laterali sono intonacate. Nel coronamento dell’abside e sul campanile ritroviamo gli archetti pensili trilobati, associati alle stesse mensoline e peducci149 e a una cornice superiore formata da un listello curvo e uno sagomato, presente anche a Palaia (tav. 39).

A Palaia si trova una terza chiesa in laterizi, eretta nel 1303 come ospizio per i poveri a ridosso della Porta Fiorentina e intitolata a S. Maria156. L’edificio, dall’aspetto semplice e di piccole dimensioni, a navata unica con abside poligonale, non presenta i motivi decorativi in cotto che caratterizzano le altre chiese di Palaia e della zona, probabilmente perché si trattava di un ente più povero157 (tav. 43). Nonostante gli interventi a cui è stata sottoposta nelle varie epoche, conserva ancora gran parte del paramento originario, soprattutto sul fianco destro, scandito da sette lesene e concluso da un coronamento ad archetti pensili a tutto sesto su mensoline quadrangolari e peducci smussati.

Anche la chiesa di Usigliano, attestata per la prima volta nell’estimo del 1260150, ha subito alcuni rimaneggiamenti in epoca moderna, inoltre le è stata addossata una struttura successiva che ingloba la zona absidale e parte del fianco sinistro151. La facciata a capanna è stata intonacata risparmiando solo le due lesene angolari in laterizi, che proseguono anche sui due fianchi laterali, dove sono collocati due bacini ceramici (tav. 40), unici esemplari sopravvissuti di un apparato decorativo che doveva essere più ampio, riferiti entrambi alla seconda fase produttiva della “maiolica arcaica” pisana e quindi databili alla prima metà del XIV secolo152.

Altri due edifici in cotto databili alla prima metà del XIV secolo si trovano a nord di Palaia, a Montopoli e in una sua frazione, Marti. La chiesa di S. Stefano di Montopoli è attestata nell’estimo del 1260 come suffraganea della pieve di Musciano, ma nel 1302 venne unita giuridicamente a quest’ultima, ottenendo così il fonte battesimale158. Dovrebbe risalire a quest’epoca la sua ricostruzione nelle forme che si sono parzialmente conservate fino ad oggi159. L’edificio infatti, ad aula unica e abside semicircolare, saccheggiato e distrutto più volte tra il XV e il XVI secolo, fu sottoposto ad un radicale restauro nel Settecento e subì ulteriori interventi a partire dal 1817160. Le pareti esterne dell’edificio sono state intonacate risparmiando alcune porzioni dell’antico paramento in laterizi, sia sulla fiancata sinistra, che è l’unica visibile, sia in facciata (tav. 44). Attualmente sul fianco sinistro sono quindi visibili due monofore in laterizio tamponate (tav. 46), assai simili a quelle della

Rimane ancora interamente leggibile la parete destra153, scandita da lesene e conclusa da una teoria di archetti pensili trilobati riconducibili probabilmente a due fasi costruttive diverse, poiché presentano alcune differenze costruttive (tav. 41): nella porzione che va dalla facciata fino alla terza lesena gli archetti sono costituiti da pezzi speciali speculari dal profilo esterno curvo e quello interno sagomato a formare la trilobatura, paragonabili a quelli del coronamento della chiesa di S. Martino di Pisa,

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Morelli, P., La pieve di S. Gervasio di Verriana, cit., p. 59. Gli archetti del campanile sono impostati su mensoline dalla forma arrotondata, diverse da quelle osservate finora. 150 La località è ricordata dal Repetti come Usigliano del Vescovo, appellativo che sarebbe derivato dal fatto che nel 1078 il castello venne donato dalla contessa Matilde di Canossa al vescovo di Lucca. Su questo e sulle altre vicende storiche del castello si veda: Repetti, E., Dizionario geografico fisico storico, vol. V, pp. 610-611; Morelli, P., Chiese, villaggi e castelli nel territorio della pieve di Musciano (secoli VII-XV), in Fra Marti e Montopoli. Preistoria e storia nel Valdarno inferiore, Atti del Convegno (Marti, Montopoli in Val d’Arno, 19 settembre 1998), a cura di S. Bruni, Pontedera 2001, p. 62; Alberti, A., I castelli della Valdera: archeologia e storia degli insediamenti medievali, Pisa 2005, pp. 82-84. 151 Uno storico locale del XIX secolo riferisce che la chiesa nel 1713 era stata ricostruita e riconsacrata dal vescovo di San Miniato: Donati, I., Memorie e documenti per la storia di Montopoli: da un manoscritto dell’Avv. Ignazio Donati dell’anno 1860 donato dall’autore al comune di Montopoli, Montopoli Val d’Arno 1905, rist. anast. Pontedera s. d., pp. 237 sg. 152 In origine i bacini dovevano essere almeno quattro, a giudicare dalle tracce delle cavità ancora visibili sul paramento. Sulle ceramiche si veda: Ciampoltrini, G., La maiolica arcaica nel medio Valdarno inferiore, in «Archeologia Medievale», VII 1980, pp. 507-520; Berti, G., Pisa. Le “maioliche arcaiche”, pp. 46-48, 251-253. 153 Il paramento del fianco destro è interamente in laterizi tranne la parte terminale, realizzata in conci in pietra, disposti in filari orizzontali ma intervallati da inserti di mattoni di ampiezza variabile, e di difficile interpretazione: potrebbe trattarsi di una parte preesistente inglobata nel nuovo edificio o più probabilmente di una zona realizzata con materiale di reimpiego. Gotti, M., Chiese medievali della Valdera lucchese, in «Bollettino dell’Accademia degli Euteleti di San Miniato», 77, 2010, p. 227; Ducci, A., Badalassi, L., Tesori medievali, cit., pp. 77-78. 149

154 Inoltre gli archetti si impostano su peducci sagomati, alcuni scolpiti, altri con semplici decori geometrici incisi, e gli spazi di risulta tra gli archetti sono riempiti con frammenti di laterizi. Per la chiesa di S. Martino sono stati individuati come termini post quem e ante quem il 1281 e il 1332, si vedano: Berti, G., Pisa. Le “maioliche arcaiche”, cit., p. 48, figg. 10-13; Berti, G., Gabbrielli, F., Parenti, R., “Bacini” e architettura, cit., p. 246. 155 Inoltre i pezzi che compongono il coronamento sono caratterizzati da una coloritura rosso scuro che contrasta con il tono più arancio dei laterizi circostanti. 156 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 83. 157 Alberti, A., Le testimonianze materiali del castello di Palaia, cit., p. 175. I laterizi impiegati dimostrano di avere più o meno le stesse dimensioni di quelli degli altri edifici palaiesi, nonostante siano di qualche decennio più tardi. 158 Alberti, A., Del Chiaro, A., Le origini del castello di Montopoli: lo scavo della rocca, in Fra Marti e Montopoli. Preistoria e storia nel Val d’Arno Inferiore, Atti del Convegno (Marti, Montopoli in Val d’Arno, 19 settembre 1998), Montopoli 2001, pp. 67-69; Vignoli, P., La storia di Montopoli dall'VIII fino alla prima metà del XIII secolo, in «Bollettino Storico Pisano», 66, 1997, pp. 17-81. 159 L’analisi del repertorio decorativo confermerebbe una datazione compresa tra la metà del XIII e l’inizio del XIV secolo, si veda: Alberti, A., L’edilizia ecclesiastica medievale in laterizio, cit., p. 16. 160 Repetti, E., Dizionario geografico fisico storico, cit., vol. III, p. 599; Donati, I., Memorie e documenti per la storia di Montopoli, cit., pp. 196 sg. Il campanile venne abbattuto nel 1529 e ricostruito nel 1534.

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2. L’architettura religiosa tra l’XI e il XIV secolo pieve di Palaia161, la ghiera di un ampio arco a tutto sesto (tav. 45), probabilmente da riferire ad un portale laterale tamponato e sostituito da uno più moderno realizzato a poca distanza, e un piccolo frammento curvilineo, anch’esso riferibile a un arco. Sulla facciata invece si è conservata solo la porzione centrale dell’antico paramento, delimitato da due lesene, dove rimane parte dell’arco del portale originario e una grande bifora tamponata, priva della colonnina centrale, con gli stipiti ricassati e una ghiera di cunei graffiati ad unico senso, circondata da una doppia cornice decorativa162 (tav. 47).

L’apparato decorativo della facciata comprendeva anche una serie di bacini ceramici, otto dei quali si sono conservati e sono ancora in situ, di provenienze diverse ma tutti databili alla prima metà del XIV secolo, inseriti sulle lesene che suddividono la parte superiore della facciata in tre zone ricassate168. Infine la facciata è completata da un coronamento ad archetti pensili a sesto acuto, con assialità normale agli spioventi, che prosegue anche sulle pareti laterali e nella zona absidale169. Il paramento comprende tipologie diverse di laterizi a seconda della zona in cui sono messi in opera: in particolare, nella zona dei portali, si trovano dei mattoni dalle dimensioni inusuali, più corti di almeno cinque centimetri rispetto a quelli impiegati nel resto della pieve e negli edifici coevi, arrotati e graffiati ad unico senso e messi in opera per fascia, con grande regolarità e accuratezza170 (tav. 50).

In migliore stato di conservazione ci è pervenuta la pieve di S. Maria Novella di Marti, costruita a partire dal 1332, secondo quanto ci attesta un’iscrizione163, poco prima o poco dopo l’istituzione della nuova pieve, nata in seguito al declino dell’antica pieve di Musciano, ma documentata come tale solo a partire dal 1345164. L’edificio, di notevoli dimensioni, ad aula unica, è stato completamente trasformato all’interno, mentre all’esterno conserva gran parte del paramento originario in laterizi, pur avendo subito alcune alterazioni, con la chiusura delle aperture originali (due portali laterali in facciata e un portale sul fianco sinistro165) e l’apertura di nuovi finestroni nel corso del Settecento, sia in facciata sia sul fianco sinistro166 (tav. 48). La facciata presenta tre portali, con quello centrale di maggiori dimensioni, profondamente strombati e caratterizzati da ampi archi a tutto sesto a curve non concentriche, con archivolti decorati e mensole in cotto. I portali assomigliano molto a quello laterale della pieve di Palaia, dove compariva già la cornice a sezione circolare che costituisce la strombatura e che qui viene duplicata nei portali laterali e triplicata in quello centrale167 (tav. 49).

In conclusione, mentre alcuni dei motivi decorativi richiamano quelli già visti a Palaia e nel territorio circostante, il recupero della tecnica di finitura dei laterizi, arrotati e graffati, differenzia nettamente la pieve di Marti dagli edifici palaiesi, dove la graffiatura non viene mai realizzata. Infine non dobbiamo tralasciare un ultimo edificio, la canonica di S. Pietro a Marcignana, attestata dal 1195, che pur essendo situata sulla sponda destra dell’Elsa, nei pressi della sua confluenza nell’Arno e quindi già in territorio fiorentino171, è sempre stata sottoposta alla giurisdizione della diocesi lucchese e poi di quella di San Miniato. I suoi caratteri stilistici la accomunano ad un gruppo di chiese empolesi, tutte databili tra la metà del XII e la metà del XIII secolo, caratterizzate innanzitutto dalla compresenza di due materiali diversi, la pietra e il cotto. La canonica di Marcignana infatti, al pari delle altre, è ad aula unica con abside semicircolare e presenta il paramento esterno e interno suddiviso nettamente in due zone: la parte inferiore, fino a circa due metri di altezza, è costituita da conci in pietra, mentre la parte

161 Le due monofore presentano la medesima strombatura e le stesse mensole in cotto, inoltre anche i motivi decorativi applicati sulle cornici sono in parte paragonabili con quelli visti a Palaia. 162 Da quanto possiamo dedurre dai frammenti rimasti, la facciata riproponeva lo schema valdelsano del portale sormontato da una bifora in asse, che qui ha un aspetto simile a quella della pieve di Corazzano, con un’unica ricassatura. 163 L’iscrizione, conservata sulla controfacciata, riporta anche il nome del primo pievano, Bacciameo, e del magister, Lippo di Castelfranco e venne trascritta dal Targioni Tozzetti e dal Repetti: Targioni Tozzetti, G., Relazioni d’alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana per osservare le produzioni naturali e gli antichi monumenti di essa, 1768 Firenze, pp. 96 sgg.; Repetti, E., Dizionario geografico fisico storico, cit., vol. III, p. 102. 164 Morelli, P., Chiese, villaggi e castelli, cit., pp. 63-65; Monti, A., Storia del Castello di Marti, Firenze 1860, rist. anastatica, Pontedera 1998. 165 Dei due portali in facciata si sono conservate perfettamente le strutture, sebbene le aperture siano state tamponate, del portale sul fianco sinistro invece rimane solo la cornice decorativa, in parte coperta da un portale in pietra serena aperto nel XVIII secolo. 166 Febbraro, M., La pieve di S. Maria Novella di Marti. Spunti interpretativi per una conoscenza dell’architettura in laterizi nel Valdarno inferiore, in I maestri dell'Argilla: l'edilizia in cotto, la produzione di laterizi e di vasellame nel Valdarno inferiore tra medioevo ed età moderna, atti della I Giornata di Studio del Museo Civico "Guicciardini" di Montopoli in Val d'Arno (Montopoli in Val d'Arno, 21 maggio 2005), a cura di M. Baldassarri e G. Ciampoltrini, San Giuliano Terme (Pisa), 2006, pp. 51-63. 167 Come a Palaia, l’arco è a curve non concentriche e le decorazioni in cotto sono realizzate anche su alcuni elementi radiali. Invece, diversamente da Palaia, la cornice decorativa non prosegue lungo gli stipiti, le mensole sono in cotto e l’arco non è dotato di doppia ghiera.

168 Berti, G., Tongiorgi, L., I bacini ceramici delle chiese della provincia di Pisa con nuove proposte per la datazione della ceramica spagnola “tipo Pula”, in Faenza, 60 (1974), p. 72; Berti, G., I “bacini ceramici” di Santa Maria Novella di Marti, in Fra Marti e Montopoli. Preistoria e storia nel Valdarno inferiore, Atti del Convegno, Marti (Montopoli in Val d’Arno), 19 settembre 1998, a cura di S. Bruni, Pontedera 2001, pp. 107-121. 169 Sul fianco sinistro è stata individuata una ammorsatura a pettine a destra del portale laterale e sono state osservate differenze costruttive nel coronamento ai due lati della cesura, spiegabili con la presenza di due maestranze o con la successione di due diverse fasi del cantiere, si veda: Baldassarri, M., et alii, La produzione di laterizi e l'edilizia in cotto nel Valdarno Inferiore medievale: il caso di Marti (Pisa), in Archeologia medievale, 32 (2005), pp. 77-96, p. 91. 170 Baldassarri, M., et alii, La produzione di laterizi, cit., p. 89. 171 Nei pressi di Marcignana, oggi nel comune di Empoli, si incrociavano due importanti assi viari, la strada pisana, che collegava Firenze con Pisa, e la via Francigena. Sulle vicende storiche di Marcignana e sulla viabilità in questa zona si vedano: Morelli, P., Borgo San Genesio, la strata Pisana e la via Francigena, in Vico Wallari - San Genesio: ricerca storica e indagini archeologiche su una comunità del medio Valdarno inferiore fra alto e pieno Medioevo, giornata di studio (San Miniato, 1 dicembre 2007), Centro Studi sulla Civiltà del Tardo Medioevo, a cura di F. Cantini e F. Salvestrini, Firenze 2010, p. 133; Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 89.

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L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV) superiore è in laterizi arrotati e graffiati172 (tavv. 52-54). Nel gruppo di edifici empolesi, che comprende le chiese di S. Martino di Pontorme, S. Michele Arcangelo di Empolivecchio, S. Lorenzo e S. Giorgio di Montalbino (Montespertoli) e la canonica di SS. Martino e Giusto di Lucardo, la bicromia è stata riferita a due fasi costruttive distinte, la prima in pietra, datata alla seconda metà del XII secolo, e la seconda in laterizi, riconducibile ad una ricostruzione parziale delle strutture avvenuta nella prima metà del XIII secolo, in seguito ad un terremoto, forse lo stesso che nel 1171 fece crollare il campanile della pieve di S. Appiano, danneggiando l’intera navata destra173. Mentre a Sant’Appiano si ricostruì solo la navata destra, impiegando laterizi sia all’esterno che all’interno, nelle altre chiese citate la ricostruzione avrebbe interessato la zona terminale dell’intero perimetro, impostandosi con grande continuità sui filari in pietra174. Nel nostro caso non sappiamo se la parte in laterizi sia da ricondurre ad un intervento successivo di sopraelevazione, possiamo solo osservare, come era già stato notato, che l’edificio era stato ulteriormente rialzato in un’epoca successiva e che il piano di calpestio è più alto rispetto a quello originale di almeno un metro e mezzo, probabilmente a causa delle numerose esondazioni del fiume Elsa, che nel corso dei secoli avrebbe interrato la chiesa175. Tuttavia il ricorso a questa associazione di materiali non è un fatto isolato in Valdelsa, dove questa soluzione è stata adottata talvolta in occasione di ricostruzioni parziali o ampliamenti, come nelle pievi di Coiano e di Casole176 o nella badia di S. Pietro a Cerreto (Gambassi)177, oppure si è scelto si impiegare laterizi in zone secondarie, per esempio nei fianchi della navata centrale, come accade nella pieve di Chianni e nella collegiata di Santa Maria a San Gimignano178. In altri casi invece viene scelta la

bicromia proprio come soluzione compositiva, come nel S. Jacopo al Tempio di San Gimignano179, nel S. Anastasio a Lucca180, o nella chiesa di S. Cecilia a Pisa181, oppure viene adottata la soluzione ancor più elaborata della “bicromia struttiva”, diffusa soprattutto in area senese-volterrana e che prevede l’associazione dei due materiali alternandoli in filari orizzontali182. La facciata della canonica di Marcignana, fortemente alterata da interventi successivi che hanno comportato l’apertura di due finestroni neogotici, di un secondo oculo e di un nuovo portale, era corredata da una serie di quattordici bacini ceramici, tutti andati perduti ma sostituiti con copie. Negli altri edifici empolesi non ritroviamo i bacini ceramici, anche se il loro stato di conservazione non ci permette di escludere completamente la loro presenza in origine183. Al contrario a Marcignana sono assenti le decorazioni in laterizio, ma anche in questo caso le alterazioni che ha subito l’edificio potrebbero aver provocato anche la perdita di questi elementi, soprattutto considerando che non ci è pervenuto il portale originale. 2.3. Le decorazioni in cotto Negli ultimi decenni lo studio delle decorazioni in cotto, non solo dal punto di vista tipologico-formale ma anche da quello tecnico-produttivo, è risultato molto utile per avanzare o precisare le datazioni degli edifici oppure per

Gimignano. L’architettura, i cicli pittorici e i loro restauri, a cura di A. Bagnoli, Siena 2009, pp. 44-45; Chiese medievali della Valdelsa, cit., 1, pp. 152-156, 144-148; Chiese medievali della Valdelsa, cit., 2, pp. 7074, 168-171; Santa Maria a Chianni. Una pieve lungo la Via Francigena, a cura di F. Ciappi, Certaldo (FI) 2003. 179 L’edificio, in conci di travertino e laterizi graffiati, apparterrebbe ad un’unica fase costruttiva tardoromanica, datata ai primi anni del XIII secolo, si veda Chiese medievali della Valdelsa, 2, cit., pp. 168-170. 180 La chiesa, datata tra la fine del XII secolo e l’inizio del XIII, presenta un paramento a fasce in pietra calcarea alternate a fasce in laterizi lungo tutto il perimetro dell’edificio, impostato su uno zoccolo in arenaria lungo i fianchi e nell’abside e su un alto basamento in pietra calcarea ben spianata in facciata; nella costruzione si sono succedute diverse fasi di cantiere, che si sono svolte procedendo dall’abside verso la facciata, ma l’edificio risulta comunque frutto di un progetto unitario, si veda Lucca medievale: la decorazione in laterizio, a cura di C. Baracchini, G. Fanelli, R. Parenti, Lucca 1998, pp. 110-113. 181 Nella chiesa di S. Cecilia, fondata nel 1102 e costruita in più fasi, il paramento in laterizi è impostato su un basamento realizzato con grossi conci di calcare ben squadrati, che prosegue lungo il campanile e in facciata, dove si prolunga fino all’altezza delle imposte dell’arco del portale; Redi, F., Pisa com’era: archeologia, urbanistica e strutture materiali (secoli V-XIV), Napoli 1991, pp. 363-364 e fig. 103. 182 Tra gli esempi possiamo citare la “rotonda” di San Galgano a Montesiepi, oppure in Valdelsa la pieve dei SS. Ippolito e Cassiano a Coneo e la canonica di S. Maria a Colle; si vedano: Moretti, I., Bicromia “struttiva” nell’architettura romanica dell’area volterranasenese, in «Prospettiva», 29, 1982, pp. 62-71. 183 Infatti sono andate completamente perdute le facciate della chiesa di S. Lorenzo di Montalbino e della canonica di Lucardo, mentre quella della chiesa di Empolivecchio ha subito modifiche sostanziali. Tuttavia Marcignana non rappresenta un caso isolato nell’empolese: nella facciata dell’altra chiesa di Pontorme, intitolata a S. Michele Arcangelo, si conserva ancora un frammento di un bacino inserito al centro della bifora datata alla fine del XII secolo, si veda Frati, M., Chiese romaniche della campagna fiorentina, cit., pp. 194-195 e tav. 88.

172 I laterizi graffiati sono impiegati su tutti i prospetti, ad esclusione delle zone più alte, mentre il paramento in pietra non è omogeneo nei quattro lati dell’edificio: la facciata, l’abside e la parte ancora visibile del fianco settentrionale, presentano grandi conci di arenaria, ben sbozzati e disposti in corsi orizzontali regolari, sul fianco meridionale invece si trovano conci di alberese di dimensioni minori, sbozzati grossolanamente e disposti in modo abbastanza regolare, secondo una ripartizione che si ritrova anche nella chiesa di Empolivecchio e che è stata spiegata ipotizzando diverse fasi costruttive, si veda: Chiese medievali della Valdelsa, 1, cit., p. 177. 173 Frati, M., Chiese romaniche della campagna fiorentina, cit., pp. 23, 137-138, 192-194, 197-200; la notizia del terremoto è riportata nell’iscrizione sull’architrave del portale che conduce al chiostro della pieve, si veda Chiese medievali della Valdelsa, 1, cit., pp. 115-120 e fig. 75. 174 In ognuno di questi edifici possiamo notare un confine netto tra i due materiali, con l’unica eccezione della facciata della chiesa di Pontorme, dove la pietra prosegue irregolarmente lungo i cantonali. 175 Infatti le monofore aperte nei fianchi e nell’abside sono collocate ad un’altezza piuttosto bassa e sul fianco meridionale si nota la presenza di una portale tamponato e seminterrato, si veda: Moretti, I., Stopani, R., Chiese romaniche, cit., pp. 298-299. 176 In entrambi i casi il primo ordine della facciata, fin sopra il portale, e della torre campanaria, è realizzato in pietra, il secondo è in laterizi, con una galleria cieca e con un confine netto tra i due materiali, si vedano: Chiese medievali della Valdelsa, 1, cit., pp. 152-157; Chiese medievali della Valdelsa, 2, cit., pp. 70-74. 177 Nella badia di Cerreto il fianco settentrionale, originariamente in conci di arenaria come tutto il resto dell’edificio, fu ricostruito nella parte superiore in laterizi, in seguito ai danni subiti nel 1229, si veda: Chiese medievali della Valdelsa, 1, cit., pp. 229-231 e fig. 276. 178 Gabbrielli, F., La pieve di San Gimignano nel contesto dell’architettura romanica della Valdelsa, in La collegiata di San

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2. L’architettura religiosa tra l’XI e il XIV secolo individuare influenze stilistiche nelle diverse aree o la circolazione delle maestranze184.

fino al XIV secolo, epoca in cui la decorazione in laterizio iniziò a decadere.

L’uso di elementi in cotto decorato è attestato a partire dall’Alto Medioevo, almeno dall’VIII secolo fino all’XI, quando risulta abbastanza diffusa la pratica del reimpiego di laterizi romani185, scolpiti a cotto o incisi a bassorilievo come se fossero pietre, soprattutto in Italia settentrionale ma anche in Toscana186. Con la ripresa della produzione dei mattoni, a Pisa tra la fine dell’XI e i primi decenni del XII secolo (ma per le prime strutture interamente in laterizio bisogna attendere la metà del XII secolo a Lucca), verranno introdotti anche elementi decorati, le cui prime attestazioni si trovano principalmente in Valdelsa e a Lucca, dalla seconda metà del XII secolo187. A partire dal XIII secolo inizia la fase di massima diffusione dell’architettura in cotto in Toscana, con la creazione di fornaci attive tutto l’anno e la creazione di mercati stabili, soprattutto nelle città di Pisa, Lucca e Siena e nei centri minori della Valdelsa e del Valdarno lungo la via Francigena, come San Gimignano, Certaldo, Castelfiorentino, San Miniato e Fucecchio, mentre in altre zone, come Firenze, Pistoia, Prato, Arezzo e Volterra, l’impiego del cotto sarà molto marginale, o addirittura assente, come nelle aree montane (Appennino e Amiata)188.

Nel territorio qui considerato, la comparsa dei laterizi decorati, avvenuta in coincidenza con lo sviluppo dell’architettura in cotto, è attestata tra la fine del XII e l’inizio del XIII secolo a San Miniato e nella zona circostante (Corazzano), in un’area quindi attraversata dalla via Francigena e confinante con la Valdelsa, dove si hanno alcune delle realizzazioni più precoci (Monterappoli). Solo successivamente, dalla metà del XIII secolo in poi, il cotto verrà impiegato anche in Valdera, nelle zone di Palaia e Montopoli, al pari del Valdarno Inferiore, dove l’architettura in laterizi verrà introdotta dalla seconda metà del XIII nelle “terre nuove” (Castelfranco di Sotto, Santa Croce, Pontedera)190. Solo negli ultimi decenni è stato approfondito lo studio delle tecniche di produzione degli elementi decorati, inizialmente definiti in modo del tutto generico dalla storiografia come “cotto stampato”191. I risultati di queste ricerche, basate sia sulla semplice osservazione diretta con ingrandimenti, sia su analisi scientifiche delle superfici, hanno portato ad escludere nella quasi totalità dei casi l’impiego di matrici negative, e hanno constatato l’esistenza di diverse tecniche, applicate in momenti diversi del processo produttivo192. Osservando attentamente le superfici dei laterizi sono state riconosciute le tracce di attrezzi diversi (scalpelli o lame), le variazioni del colore (più o meno uniforme a seconda del processo di cottura), la presenza di scheggiature, di inclusi superficiali o di linee guida preparatorie per il disegno, tutti elementi che hanno permesso di distinguere le seguenti tecniche: la decorazione incisa e scolpita a cotto, a piè d’opera o sul pezzo già murato; la decorazione incisa ad essiccato, quindi in un momento precedente alla cottura, sul materiale che ha una consistenza simile al cuoio; raramente la stampigliatura, e a partire dal XV secolo la decorazione ad altorilievo, ottenuta tramite l’assemblaggio di pezzi successivamente alla cottura193.

Gli studi recenti sulla mensiocronologia dei laterizi hanno evidenziato come nel caso della Toscana si sia creata una “estrema frammentarietà dei mercati di consumo e una grande quantità di centri produttori”189, con lo sviluppo di sistemi di controllo autonomi in ciascuna città e le conseguenti variazioni dimensionali a seconda del luogo di produzione. Anche per quanto riguarda i motivi decorativi si riscontra una grande varietà nei repertori, ma alcuni dei motivi più semplici, come quelli geometrici che furono i primi ad essere realizzati, ebbero una grandissima diffusione e vennero replicati con continuità 184 Parenti, R., Quirós Castillo, J.A., La produzione dei mattoni della Toscana, cit., pp. 232-233. 185 I mattoni romani generalmente sono ben riconoscibili perché hanno dimensioni maggiori rispetto a quelli che verranno prodotti nel Medioevo, 28/30 cm di larghezza, 43/46 cm di lunghezza e 6/8 cm di altezza, contro i 30/29x11/12x5/6 cm circa di quelli medievali, si veda: Parenti, R., Cambiamenti tecnologici nei laterizi decorativi delle architetture italiane, in La céramique médiévale en Mediterranée, Actes du VIéme Congrès de l’AIECM2, (Aix-an-Provence, 13-18 Novembre 1995), Aix-en-Provence 1997, p. 688. 186 Gabbrielli, F. Parenti, R., La decorazione in laterizio. Osservazioni sulle tecniche di produzione, in Le superfici dell’architettura: il cotto, caratterizzazione e trattamenti, Atti del convegno di studi, scienza e beni culturali (Bressanone, 30 giugno – 3 luglio 1992), a cura di G. Biscontin e D. Mietto, Padova 1992, pp. 23-35; Parenti, R., Cambiamenti tecnologici nei laterizi decorativi, cit., p. 688. 187 Tra gli edifici più antichi in cotto corredati da apparati decorativi e dotati di una cronologia relativamente sicura, vengono indicati le chiese di S. Tommaso e di S. Anastasio a Lucca (1150 e 1167), e la pieve di Monterappoli (1165). Si veda: Gelichi, S., Parenti, R., I laterizi decorati medievali in Italia, in Lucca medievale: la decorazione in laterizio, a cura di C. Baracchini, G. Fanelli, R. Parenti, Lucca 1998, pp. 15-33. 188 Pittalunga, D., Quirós Castillo, J.A., Mensiocronologie dei laterizi della Liguria e della Toscana: due esperienze a confronto, in Atti del I Congresso Nazionale di Archeologia Medievale, a cura di S. Gelichi (Pisa 29-31 maggio 1997), Firenze 1997, pp. 460-463. 189 Quirós Castillo, J.A., La mensiocronologia dei laterizi della Toscana, in «Archeologia dell’Architettura», 2, 1997, pp. 159-165.

190 Come è già stato evidenziato da Alberti, abbiamo uno scarto cronologico di quasi un secolo tra le realizzazioni in cotto della Valdelsa e quelle del Valdarno Inferiore e della Valdera, si veda: Alberti, A., L’edilizia ecclesiastica medievale in laterizio, cit., p. 15. 191 I primi studi sull’architettura in cotto si occuparono prevalentemente dell’aspetto decorativo e non di quello tecnico, si veda: Sanpaolesi, P., Alcuni edifici romanici in cotto in Toscana, in Atti del II Convegno Nazionale di Storia dell’Architettura (Assisi 1937), Roma 1939, pp. 127-138; ma ancora negli anni Sessanta e Ottanta si parlava di cotto stampato in merito alle decorazioni del duomo di San Miniato, si vedano: Cristiani Testi, M.L., San Miniato al Tedesco. Saggio di storia urbanistica e architettonica, Firenze 1967 e Berti, G., Tongiorgi, L., I bacini ceramici del Duomo di S. Miniato, ultimo quarto del XII secolo, Genova 1981. 192 Tra i primi ad occuparsi di questo aspetto citiamo: Gabbrielli, F., Parenti, R., La decorazione in laterizio. Osservazioni sulle tecniche di produzione, in Le superfici dell’architettura: il cotto, caratterizzazione e trattamenti, Atti del convegno di studi, scienza e beni culturali (Bressanone, 30 giugno – 3 luglio 1992), a cura di G. Biscontin e D. Mietto, Padova 1992, pp. 23-35. 193 Parenti, R., Cambiamenti tecnologici nei laterizi decorativi delle architetture italiane, in La céramique médiévale en Mediterranée, Actes du VIéme Congrès de l’AIECM2, (Aix-an-Provence, 13-18 Novembre 1995), Aix-en-Provence 1997, pp. 685-696.

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L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV) a tutto sesto, talvolta a curve non concentriche. Il secondo gruppo, attestato dalla metà del XIII alla metà del secolo successivo, comprende un gran numero di motivi, che talvolta costituiscono casi unici, di tipo vegetale, zoomorfo, antropomorfo o araldico, realizzati anche su più registri, spesso delimitati da bordini di contorno, scolpiti non solo sugli elementi curvilinei delle cornici ma anche su elementi radiali delle ghiere. Infine il terzo gruppo, con una datazione compresa tra la fine del XIV secolo e la metà del XV, comprende i motivi più disparati, realizzati su elementi di raccordo dalle forme particolari, ottenuti con l’uso di stampi200.

L’individuazione delle linee guida continue sugli elementi delle cornici decorative aveva giustamente fatto escludere ad alcuni studiosi la tecnica della stampigliatura e queste tracce erano state interpretate come “linee di costruzione”, finalizzate a rendere più agevole la successiva scolpitura a cotto e in opera194. Inizialmente si ritenne quindi più probabile la scolpitura in sito, senza comunque escludere la lavorazione a crudo e la scolpitura a piè d’opera195. Più recentemente invece, gli studi condotti in ambito lucchese hanno ipotizzato che la continuità dei motivi su elementi contigui fosse realizzata grazie ad un sistema di verifiche, attuato forse già in fornace prima della cottura, assemblando preventivamente i pezzi per correggere gli eventuali errori, e hanno ritenuto quindi che la tecnica della scultura a cotto in opera fosse applicata solo raramente196. In realtà le due tecniche più diffuse, quella a cotto e quella ad essiccato, sono spesso compresenti nello stesso contesto e sarebbero state utilizzate quindi senza grandi differenze cronologiche197. Inoltre, nella maggior parte casi, le decorazioni sono realizzate non su normali laterizi ma su pezzi speciali curvilinei o cuneiformi, impiegati nella costruzione degli archi, foggiati prevalentemente per mezzo di modani e accuratamente levigati prima dell’incisione dei decori198.

Questa classificazione è risultata valida solo parzialmente al di fuori della città di Lucca, soprattutto per quanto riguarda il secondo gruppo: a Pisa, nel Valdarno, in Valdelsa e nel senese, oltre alla creazione di motivi decorativi diversi, si riscontrano meno frequentemente gli elementi radiali decorati e i bordini di contorno201, caratteristici delle decorazioni lucchesi, inoltre vengono ancora impiegati diffusamente i motivi geometrici del primo gruppo202. Come è già stato osservato, il modello dell’evoluzione delle decorazioni individuato a Lucca sembra adattabile anche al territorio del Valdarno Inferiore e della Valdera203. Tuttavia applicando la classificazione lucchese all’apparato decorativo del duomo di San Miniato si riscontrano già le prime difficoltà. Infatti la chiesa di S. Maria è attestata a partire dal 1195 e gli studi condotti da Berti e Tongiorgi sui bacini ceramici confermavano una datazione alla fine del XII secolo. L’analisi delle decorazioni in cotto ancora presenti in facciata suscitano però qualche perplessità: l’unico elemento sopravvissuto della cornice del portale destro è decorato con una fuga di fiori a sei petali iscritti in una circonferenza ribassata (tav. 12), motivo che a Lucca è considerato del secondo gruppo204; il frammento della cornice del portale sinistro invece presenta, su un unico elemento inserito per foglio, una decorazione su due registri separati da un bordino, composta da uno zigzag e una fuga di quadrati ruotati di 45 gradi, tra due bordini di contorno, una soluzione che a Lucca è considerata anch’essa tipica del secondo gruppo205. Anche le cornici delle bifore sono composte da elementi curvilinei per foglio piuttosto spessi: la bifora sinistra presenta un motivo a tripla fuga di frecce incuneate (tav. 13), quella centrale dei motivi vegetali stilizzati ma molto elaborati (fiori a sei petali sottili incisi in una circonferenza in rilievo circondata da una corona a zig-

Oltre a fornire utili precisazioni in merito alle tecniche di produzione dei laterizi decorati, i recenti studi lucchesi si sono occupati anche della creazione di una cronotipologia delle decorazioni, basandosi non solo sull’analisi dei diversi disegni, ma anche sulla disposizione degli ornati in rapporto agli elementi architettonici e sulla loro dislocazione sui paramenti murari199. È stato individuato un primo gruppo di decorazioni, riferibile al periodo compreso tra la seconda metà del XII e la prima del XIII secolo, caratterizzato da serie di elementi geometrici (quadrati ruotati, rombi, triangoli, zig-zag, denti di sega, arcatelle, dentelli), incisi ad essiccato su elementi curvilinei disposti per fascia, a decorare le cornici di archi 194 Infatti si osservava che se le decorazioni fossero state stampate, ciò sarebbe dovuto accadere a piè d’opera, ma sarebbe stato comunque difficile far coincidere le linee. Inoltre era stato notato che alcuni motivi erano collocati a cavallo di elementi adiacenti ed erano state individuate leggere differenze grafiche nei disegni nel medesimo contesto: Barbucci, F., Campani, F., Giani, B., Motivi e tecniche decorative in cotto nell’architettura romanica del medio Valdarno Inferiore, in «Erba d’Arno», 51, 1993, pp. 37-54. 195 Infatti su un mattone decorato conservato nel Museo Diocesano di Arte Sacra di San Miniato era stata individuata una linea continua incisa sulla fascia del mattone, quindi in un punto che sarebbe poi rimasto nascosto nella muratura, tracciata per indicare la profondità della decorazione: Barbucci, F., Campani, F., Giani, B., Motivi e tecniche decorative in cotto, cit., p. 51. 196 Alberti, A., Mennucci, A., I risultati della ricerca a Lucca: verso la creazione di una cronotipologia, in Lucca medievale: la decorazione in laterizio, a cura di C. Baracchini, G. Fanelli, R. Parenti, Lucca 1998, cit., p. 44. 197 Parenti, R., Cambiamenti tecnologici nei laterizi decorativi, cit., p. 688. Tuttavia nello studio più recente sulle decorazioni lucchesi, si ipotizza che la tecnica a cotto sia stata introdotta dalla metà del XIII secolo, si veda: Alberti, A., Mennucci, A., I risultati della ricerca a Lucca, cit., pp. 41-42. 198 Alberti, A., Mennucci, A., I risultati della ricerca a Lucca, cit., pp. 40 e 45. 199 Lucca medievale: la decorazione in laterizio, a cura di C. Baracchini, G. Fanelli, R. Parenti, Lucca 1998.

200 Alberti, A., Mennucci, A., I risultati della ricerca a Lucca, cit., pp. 52-58. 201 A Siena sono assenti le decorazioni radiali ma sono molto frequenti i bordini di contorno, si veda: Gabbrielli, F., Siena medievale. L’architettura civile, Siena 2010, figg. 66, 70, 115, 119, 170, 182-185. 202 Alberti, A., Mennucci, A., I risultati della ricerca a Lucca , cit., p. 56. 203 Alberti, A., L’edilizia ecclesiastica medievale in laterizio, cit., pp. 11-25. 204 Lo stesso motivo compare anche nel portale della collegiata dei SS. Pietro e Paolo a Castelfranco di Sotto, datata intorno al 1280 (Barbucci, F., Campani, F., Giani, B., Motivi e tecniche decorative in cotto, cit., p. 45), e in quello della chiesa di Montopoli, riferibile addirittura all’inizio del XIV secolo. 205 Alberti, A., Mennucci, A., I risultati della ricerca a Lucca, cit., p. 54.

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2. L’architettura religiosa tra l’XI e il XIV secolo Gimignano211. In tutti questi casi le foglie vengono associate a motivi geometrici come zig-zag o dentelli triangolari e sono realizzate con le medesime tecnologie, su listelli smussati nei coronamenti o nelle ricassature delle cornici degli archi, per cui le similitudini tra loro sono tali da far ipotizzare l’esistenza di un’unica maestranza itinerante, presente in Valdelsa nel periodo compreso tra il 1195 e il 1215212.

zag entro cerchi ribassati, tav. 14), infine la bifora superiore è caratterizzata da un motivo a cerchi tra due file di zig-zag e due larghi bordi di contorno206 (tav. 15). Quindi la scelta di motivi geometrici più complessi e l’introduzione di motivi vegetali, anche se stilizzati e mai in rilievo, parrebbe contraddire la datazione alla fine del XII secolo e spostarla nel secolo successivo207. È stato anche ipotizzato che l’inserimento di mattoni per foglio con la sovrapposizione di motivi decorativi su più registri avvenga qui in anticipo di almeno cinquanta anni rispetto al resto della regione208.

Le decorazioni in cotto a San Miniato sono quindi caratterizzate fin dalle prime realizzazioni da uno stile molto originale e fantasioso, che unisce liberamente elementi già diffusi nella tradizione del cotto valdelsana e lucchese con risultati innovativi. Rientra perfettamente in questo contesto il motivo decorativo molto bizzarro del portale duecentesco della chiesa di S. Francesco, un unicum formato da elementi vegetali e zoomorfi, tra due bordini di contorno (tav. 21): il decoro è realizzato a rilievo piatto e con alcuni fori incisi con il trapano, associando su ciascun elemento foglie dalle forme stilizzate ad un animale fantastico, il cui corpo si prolunga formando un tralcio213. All’interno del vasto repertorio decorativo in cotto della Toscana si trovano anche motivi zoomorfi, ma sono confrontabili solo parzialmente con questo, che rimane molto singolare, a conferma della straordinaria ricchezza di motivi proposti durante il XIII secolo e della tendenza in ciascun contesto territoriale ad assumere caratteri autonomi. A Lucca, sulle cornici degli archi di due palazzi, troviamo due esempi, entrambi realizzati a bassorilievo piatto e composti da un animale circondato da fiori stilizzati, nel primo caso un leone e nel secondo un piccolo cervo214. A San Gimignano troviamo una serie di leoni, anch’essi a bassorilievo piatto, sulla cornice dell’arco di un portale del Palazzo Franzesi, datato alla seconda metà del XIII secolo215, e leoni simili, associati ad uno stemma nella chiave dell’arco, si ripetono anche sulla cornice di una bifora del Palazzo Pratellesi, di epoca più tarda, probabilmente già della prima metà del XIV secolo216. A San Miniato si trova un altro motivo zoomorfo sulla

Mentre i motivi geometrici citati sono tra quelli più frequenti in tutte le aree, già a partire dal XII secolo, e i fiori a sei petali inscritti in una circonferenza ribassata sono assai diffusi a Lucca209, le decorazioni delle due bifore centrali sembrano essere casi unici. Infine è importante segnalare le due cornici che corredano il coronamento ad archetti pensili (tav. 16), quella inferiore più sottile e quella superiore composta da tre elementi sovrapposti, decorate con motivi geometrici (denti di sega e frecce incuneate) e con un particolare motivo a foglie allungate, incise su listelli sagomati. Quest’ultimo motivo si ritrova in altri edifici coevi della Valdelsa: sulla fiancata sinistra della collegiata di San Gimignano e in altre chiese sangimignanesi derivate da questa (la chiesa di S. Bartolo e quella di S. Pietro), nel portale del fianco meridionale della pieve di Castelfiorentino, nel sottotetto del fianco meridionale della pieve di Coiano, e infine, un’attestazione più tarda e più sommaria si ritrova sui capitelli del chiostro della chiesa dei SS. Tommaso e Prospero a Certaldo210. Ma le stesse foglie ellittiche compaiono anche in edifici civili, a Certaldo e a San

206 Tuttavia gli archi delle due bifore centrali sono a curve non concentriche, tipologia che nella cronotipologia lucchese è messa in relazione con motivi del primo gruppo, si veda: Alberti, A., Mennucci, A., I risultati della ricerca a Lucca, cit., p. 65. 207 Abbiamo già accennato che la datazione della cattedrale di San Miniato risulta ancora controversa: la Cristiani Testi ipotizzava la metà del XII secolo, affermando che nel momento in cui la chiesa viene ricordata nella bolla di Celestino III del 1195, doveva essere già esistente da alcuni decenni (Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., p. 34 e nota 3 p. 50); la datazione alla fine del XII secolo, confermata dallo studio sui bacini, è stata accettata dalla maggior parte degli studiosi (Chiese medievali della Valdelsa, cit., p. 35; Mennucci, A., San Gimignano, il colle di Montestaffoli e la collegiata, cit., p. 81), tuttavia recentemente è stata messa in dubbio proponendo la metà del XIII secolo e prendendo come riferimento la date del trasferimento del fonte battesimale nel 1236, della sistemazione della piazza nel 1258 e quella della collocazione del nuovo pulpito di Giroldo da Como nel 1274 (Onnis, F., Biografia di una architettura, in La cattedrale di San Miniato, Pisa 2004, pp. 62-63), soluzione accolta anche nelle pubblicazioni più recenti a carattere locale (Morelli, P., Marchese, C., Il Duomo di San Miniato, Pisa 2007, p. 19 e Nanni, G., Regoli, I., San Miniato: guida storico artistica della città e del suo territorio, Pisa 1991, p. 62). 208 Mennucci, A., San Gimignano, il colle di Montestaffoli e la collegiata, cit., n. 132, p. 134. 209 Per esempio sulla facciata di un palazzo in via Santa Croce 40-48 e di un altro in via Fillungo 180, si veda Lucca medievale: la decorazione in laterizio, cit., pp. 127-129, 187-189. 210 Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., pp. 37, 45; Gabbrielli, F., La pieve di San Gimignano nel contesto dell’architettura romanica della Valdelsa, cit., p. 45; Mennucci, A., San Gimignano, il colle di Montestaffoli e la collegiata, cit., pp. 80-83 e fig. 17-23; Chiese medievali della Valdelsa, 1, cit., tav. 42 A.

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In via Boccaccio a Certaldo, sull’arco del portale di un edificio interamente in laterizi, e in un palazzo in via del Castello, n. 7 a San Gimignano, sugli archi della facciata, cfr. Mennucci, A., San Gimignano, il colle di Montestaffoli e la collegiata, cit., pp. 83-84. 212 Mennucci, A., San Gimignano, il colle di Montestaffoli e la collegiata, cit., p. 84. Nel pistoiese, nella chiesa di S. Maria di Osnello (Agliana), sui listelli che decorano gli spioventi della facciata in cotto, si ritrovano delle foglie molto schematiche che sembrano derivare da queste, associate ad altre decorazioni nelle cornici delle monofore e del rosone, e a due rombi gradonati in facciata, si veda Redi, F., Chiese medievali del Pistoiese, Cinisello Balsamo (Milano) 1991, p. 85 e figg. 69, 223-224. 213 Gli animali sono simili tra loro ma non uguali: il primo sembra assomigliare ad una lepre poiché si distingue un orecchio, gli altri sembrano più simili ad uccelli per la presenza di ali incise sul fianco. 214 In via Santa Giustina 28 e in via Cenami 21-23, si veda Lucca medievale, cit., C. A. 28, pp. 160-164 e C. A. 61, pp. 239-241. 215 In via del Castello 2, si veda Medioevo a Volterra. L’architettura nell’antica diocesi tra Duecento e Trecento, a cura di A. Furiesi, Pisa 2003, p. 123. Questo confronto era già stato individuato dal Baldaccini, si veda Baldaccini, R., La chiesa e il convento di S. Francesco, cit., p. 289 nota 10. 216 Medioevo a Volterra, cit., pp. 148-149 e fig. p. 44: lo stemma è della famiglia Ardinghi, antichi proprietari del palazzo, situato in via San Giovanni e ceduto nel 1364 alle monache di Santa Caterina.

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L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV) evidente che a prevalere sono i motivi geometrici221 e la particolarità che li contraddistingue tutti è la presenza di piramidi scavate, a base triangolare o quadrata, assemblate con varie combinazioni e disposte su più ordini ma sempre riconoscibili (tav. 30). Questa caratteristica si ritrova applicata anche in uno dei motivi più diffusi in tutta la Toscana, quello della fuga di triangoli (o frecce incuneate), che qui viene reinterpretato scavando delle piramidi negli spazi di risulta a fianco dei due lati di ciascun triangolo, come si può facilmente osservare nella fascia decorativa della prima colonna a destra. Allo stesso modo anche nel motivo a zig-zag o nella fuga di rombi il fondo invece di essere semplicemente ribassato, viene scavato a forma di piramide, enfatizzando i contrasti chiaroscurali e gli effetti luministici. Il motivo che viene ripetuto più spesso è quello delle piramidi a base triangolare, scavate e contrapposte, presente anche nelle cornici del portale centrale e dei due portali sui fianchi laterali (tav. 26), ma ripetuto più volte anche negli archivolti delle monofore, sia all’esterno che all’interno. Questo motivo viene riproposto nella vicina chiesa di Gello, nel portale laterale tamponato e nell’arco acuto nel portale in facciata, dove è associato al motivo dei fiori a sei petali incisi, isolati o inscritti tra petali.

cornice dell’arco a sesto acuto falcato del Palazzo del Vescovado, databile alla metà del XIII secolo: gli elementi in cotto, inseriti per foglio, sono suddivisi in due riquadri e decorati a bassorilievo piatto con due leoni rampanti che brandiscono una spada, dall’aspetto più araldico che naturalistico, visto che rappresentano lo stemma di San Miniato217. A Siena troviamo un unico esempio, databile alla metà del XIII secolo, in una delle trifore tamponate all’ultimo piano del castellare degli Ugurgeri, dove la cornice con fuga di rombi si interrompe, in corrispondenza del vertice dell’arco, per ospitare due pesci affrontati, realizzati a bassorilievo piatto218. Nella chiesa di San Francesco anche l’oculo duecentesco presenta dei decori insoliti nella cornice che lo circonda, costituita da particolari elementi in cotto di forma cilindrica219, tra due filari di laterizi disposti per testa. Al di là di questi casi del tutto eccezionali, all’interno di San Miniato e nel territorio circostante si ritrovano anche i motivi geometrici tipici dell’area valdelsana e dei contesti lucchesi e pisani tra la fine del XII e la metà del XIII secolo. Le monofore a tutto sesto, fortemente strombate, sul fianco sinistro della cattedrale di San Miniato hanno una cornice decorata con motivi a zig-zag tra due listelli lisci220, identica a quella della finestra tamponata sul fianco destro della chiesa di S. Lucia di Montebicchieri, ma paragonabile a molti altri casi, come la bifora ancora visibile sulla facciata dell’abbazia di S. Salvatore a Fucecchio. Ma il motivo a zig-zag ritorna nel già citato portale frammentario individuato tra i ruderi della pieve di Barbinaia, mentre nel portale laterale di Montebicchieri l’arco a ferro di cavallo è decorato con una fuga di triangoli che partono dal centro in direzioni divergenti, compresa tra due filari di elementi speciali curvilinei, come nel portale della pieve di Castelfiorentino o nella monofora della chiesa dei SS. Tommaso e Prospero a Certaldo.

Sul paramento della chiesa di Gello sono stati individuati anche alcuni mattoni, inseriti senza un ordine preciso222, che presentano un abbozzo di motivi decorativi (i fiore a sei petali e le piramidi contrapposte, ma anche altri motivi inediti, come scacchi, croci, frecce, triangoli contrapposti in rilievo e ribassati, elementi vegetali e animali), realizzati attraverso l’uso di una riga e di un compasso223 (tav. 33). Questi mattoni con decorazioni solo abbozzate potrebbero testimoniare una prova di lavorazione dei motivi decorativi poi impiegati nelle cornici224. Un caso simile è presente nella pieve di S. Maria Novella di Marti, dove due laterizi decorati con piramidi contrapposte su due registri, sono inseriti per foglio nella zona alta del fianco sinistro, vicino alla lesena angolare225. A Marti si ritrova quindi, a quasi mezzo secolo di distanza, il motivo delle piramidi scavate contrapposte, rielaborate creando schemi più complessi, con intrecci più fitti226, applicate per esempio

Anche l’unica decorazione in cotto presente nella pieve di Corazzano rientra perfettamente in questo contesto, trattandosi di una fuga di quadrati ruotati, caratterizzata però da un bordino di contorno superiore. Come abbiamo ricordato in precedenza, la pieve di Palaia è uno degli edifici che presenta il maggior numero di decorazioni in cotto e all’interno del vasto repertorio di motivi qui presenti si possono riconoscere alcune caratteristiche comuni, replicate poi anche negli altri edifici del territorio circostante. Innanzitutto risulta subito

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Sono presenti anche alcuni motivi vegetali, tutti realizzati a rilievo piatto su fondo ribassato, per esempio le foglie a tre punte del portale laterale sinistro, o altre foglie allungate su una monofora della navata centrale, ma potrebbero essere stati realizzati durante i restauri ottocenteschi. 222 Se ne trovano alcuni sulla sinistra del portale, all’altezza dell’imposta dell’architrave, altri sulla destra e ancora alla sommità della lesena angolare destra, sul fianco meridionale. 223 Le tracce degli strumenti si possono ancora individuare: su un laterizio è possibile distinguere i fori centrali e le circonferenze tracciate dal compasso per delimitare i confini del motivo floreale poi non realizzato. 224 Barbucci, F., Campani, F., Giani, B., Motivi e tecniche decorative, cit., p. 44; Alberti, A., L’edilizia ecclesiastica medievale in laterizio, cit., p. 23. 225 Un elemento identico è collocato nell’archivolto del portale centrale, probabilmente a sostituire un pezzo mancante della cornice decorata a zig-zag, si veda: Baldassarri, M., et alii, La produzione di laterizi, cit., p. 93. 226 Una combinazione di piramidi scavate diversa da quelle osservate fin qui si trova nel portale laterale della collegiata di S. Lorenzo a Santa

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Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., p. 68. Gabbrielli, F., Siena medievale. L’architettura civile, Siena 2010, p. 80 e fig. 68. 219 Si tratta di pezzi speciali sagomati, ciascuno costituito da cinque o quattro elementi curvilinei, ma sono difficilmente analizzabili per la presenza di consistenti stuccature in cemento. 220 Queste monofore erano già state accostate dalla Cristiani Testi a quelle della fiancata sinistra della collegiata di San Gimignano e quelle derivate delle chiese di S. Bartolo (fiancata destra) e di S. Pietro (fiancata sinistra) a San Gimignano, si vedano: Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., p. 37 e Mennucci, A., San Gimignano, il colle di Montestaffoli e la collegiata, cit., fig. 15, p. 75. 218

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2. L’architettura religiosa tra l’XI e il XIV secolo distanza, sulla lesena destra, se ne trova un’altra con incisa una testa di bue all’interno di uno scudo.

sull’archivolto del portale laterale tamponato, su larghi elementi curvilinei. Una reinterpretazione del motivo si può vedere anche sul fianco sinistro della pieve di Montopoli, dove l’ampio arco a tutto sesto del portale andato perduto è decorato con un fitto intreccio di piramidi scavate a base quadrata (tav. 45).

Cunei decorati nelle ghiere degli archi ricorrono anche in una delle monofore della pieve di Montopoli (tav. 46), che ha un aspetto tipicamente lucchese, visto che troviamo anche i bordini di contorno a circondare il motivo con fuga di triangoli231. Un altro caso molto interessante, anche questo di derivazione lucchese, è rappresentato dal frammento di archivolto sopravvissuto sulla facciata della chiesa di S. Maria di Calenzano, frazione a est di San Miniato232 (tav. 55): l’arco a tutto sesto, costituito da cunei graffiati a spina di pesce, è circondato da una cornice formata da elementi speciali curvilinei inseriti per foglio, decorati con una fuga di fiori in rilievo, a sei petali allungati, con un petalo in comune e bordini di contorno233. Quattro cunei della ghiera presentano dei motivi decorativi, tutti a carattere geometrico: il primo presenta un motivo a zig zag, il secondo i denti di sega su due registri sovrapposti, e gli ultimi due, disposti quasi al centro dell’arco, sono decorati entrambi con una fuga di triangoli con il vertice rivolto verso il basso.

Nella pieve di Palaia compare forse per la prima volta in quest’area una soluzione che aveva avuto grande diffusione a Lucca dal XIII secolo in poi, quella dell’inserimento di cunei decorati all’interno delle ghiere degli archi. Nel portale del fianco sinistro infatti troviamo, su ciascuna delle due ghiere concentriche, cinque cunei di spessore maggiore, decorati con diverse combinazioni di piramidi scavate (tav. 26). La stessa soluzione è adottata per il portale della chiesa di S. Andrea di Palaia, anche qui con cunei più larghi su entrambe le ghiere, ma questa volta decorati con fiori a quattro petali appuntiti, ripetuti tre volte in ciascun elemento e circondati da un riquadro (tav. 36). Nella chiesa di S. Andrea infatti, oltre a ritrovare le ormai tipiche piramidi scavate, combinate con triangoli e zigzag, compaiono nuovi motivi vegetali ormai pienamente tardo-duecenteschi, come questo appena ricordato227 e come quello con fiori a cinque petali in rilievo nella cornice esterna del portale228. Ma ancora maggiore originalità si esprime nei peducci quadrangolari degli archetti del coronamento, decorati in rilievo con simboli araldici, come l’aquila imperiale, il castello229, la croce pisana e altri stemmi familiari all’interno di scudi, di cui tre andati persi (tav. 37). Alle due estremità del coronamento, su due peducci più stretti addossati alle lesene, si trovano due testine umane barbute con un cappello a punta230, mentre sotto all’ultimo archetto sulla destra è inserita una formella quadrangolare in cotto sulla quale è scolpita in leggero rilievo una capra e a poca

Rimane da analizzare l’apparato decorativo della pieve di Marti, ormai pienamente trecentesco e ritenuto un caso limite di questo gusto decorativo. Gli studi recenti, condotti in occasione della ricognizione archeologica del 2004, hanno permesso di approfondire le tecniche di produzione dei laterizi del paramento e di quelli decorati. Lo scavo della fornace, situata ai piedi dell’antico castello di Marti e attiva forse dal XIII secolo in poi, ha dimostrato l’esistenza di una produzione locale di laterizi, anche se non sappiamo se questa sia stata continuativa o temporanea, in occasione dell’apertura dei cantieri234. Dall’analisi dei pezzi speciali decorati è stato dedotto che doveva trattarsi di elementi prefabbricati in fornace235, decorati prima della cottura236.

Croce sull’Arno, databile alla fine del XIII secolo, si veda: Barbucci, F., Campani, F., Giani, B., Motivi e tecniche decorative, cit., p. 46. A Siena troviamo due motivi abbastanza simili, ma con piramidi scavate molto piccole, combinate in maniera diversa e delimitate da intrecci di linee ancora più sottili, uno nel palazzo Petrucci in via Montanini 76-82, di cronologia incerta e con alcune parti di ripristino, l’altro negli archi della Fonte Nuova, iniziata verso la fine del 1298, si veda: Gabbrielli, F., Siena medievale, cit., pp. 224-225 e figg. 169-170. 227 Questi elementi, molto traforati ma dal rilievo molto schiacciato, replicati anche in una cornice marcapiano del campanile, risultano piuttosto insoliti: l’unico confronto che si è potuto fare è con la decorazione di un palazzo in via Guinigi 18-22 a Lucca, dove però i fiori sono maggiormente elaborati e in rilievo, si veda Lucca medievale, cit., C. A. 58, pp. 230-234. 228 Questi presentano anche un piccolo fiore centrale e piccoli fori circolari praticati alla congiuntura tra i petali e sul pistillo centrale e sono abbastanza frequenti a Lucca, su edifici riconducibili tutti tra la metà del XIII e il XIV secolo, per esempio sulle trifore di un palazzo in via San Paolino 17-21, su un grande arco in un palazzo in via Santa Giustina 28 o sull’arco a piano terra di un palazzo in via Guinigi 18-22, si veda: Lucca medievale, cit., C. A. 21, pp. 148-150; C. A. 28, pp. 160164; C. A. 58, pp. 230-234. 229 Su questo motivo in particolare si è concentrata l’attenzione di Ducci e Badalassi, che hanno confrontato questa mensola con un mattone graffito con una torre merlata, rinvenuto a San Miniato nel 1968, si veda Ducci, A., Badalassi, L., Tesori medievali, cit., pp. 101-102. 230 Un’altra testina barbuta si trova in un elemento radiale del portale. È stato notato che le tre teste appaiono leggermente diverse tra loro ed è stato ipotizzato che siano state scolpite quando i pezzi erano già in opera, si veda Ducci, A., Badalassi, L., Tesori medievali, cit., p. 100.

231 Altri cunei decorati sono nella ghiera frammentaria del portale centrale, anche qui con motivi delimitati da bordini di contorno. 232 Chiese medievali della Valdelsa, cit., 1, p. 223. 233 I fiori a sei petali si ritrovano su alcuni edifici lucchesi, come quello in via Fillungo 180, e quello in via Guinigi 13 (Lucca medievale, cit., C.A. 40 e C.A. 59 pp. 187-190 e 235-237), entrambi riferibili ad un arco cronologico che va dalla metà del XIII alla metà del XIV secolo, dove però i fiori oltre ad avere un petalo in comune sono anche inscritti tra petali, hanno quindi un petalo superiore e uno inferiore, tangenti ai bordini di contorno, che qui invece sono assenti. Risultano più somiglianti quelli della lunetta del portale della collegiata dei SS. Pietro e Paolo di Castelfranco di Sotto, datata intorno al 1280, si veda: Barbucci, F., Campani, F., Giani, B., Motivi e tecniche decorative in cotto, cit., p. 45. 234 Baldassarri, M., et alii, La produzione di laterizi, cit., pp. 77-96. 235 Anche la presenza di quell’elemento con decorazione discorde nella cornice del portale centrale (tav. 53), già ricordato in precedenza, inserito forse per rimpiazzare un pezzo rotto, proverebbe questa ipotesi, si veda: Baldassarri, M., et alii, La produzione di laterizi, cit., p. 93. 236 Lo confermerebbero l’aspetto delle linee guida dei disegni preparatori, caratterizzate da solchi precisi, con bordi netti, realizzate quindi ad incisione sull’argilla essiccata, e il colore superficiale omogeneo nelle parti scavate e in quelle in rilievo, sintomo di una cottura uniforme, si veda: Baldassarri, M., et alii, La produzione di laterizi, cit., p. 93.

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L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV) Questa particolare tradizione decorativa ebbe una grandissima diffusione forse anche perché permetteva di arricchire con effetti cromatici le pareti degli edifici senza dover ricorrere a maestranze specializzate, come avveniva per i mosaici e le tarsie, impiegando materiali reperibili facilmente sul mercato e a prezzi contenuti. Le ceramiche che venivano inserite negli edifici, prevalentemente su quelli a carattere religioso, non erano importate o prodotte appositamente per assolvere a questo scopo, ma facevano parte dei corredi da mensa e non avevano quindi forme particolari, rientrando tutte nella tipologia delle forme aperte con rivestimenti vetrificati241. La provenienza dei bacini è molto varia e comprende l’intero bacino del Mediterraneo, almeno fino al XIII secolo, quando le importazioni divennero più limitate e si sviluppò una produzione locale242. Gli studi degli ultimi decenni hanno permesso di individuare le principali aree di importazione e di tracciare la storia della circolazione di questi materiali in Toscana. Inizialmente, a partire dal XII secolo, il commercio delle ceramiche islamiche ebbe un carattere occasionale e si concentrò prevalentemente in Egitto, Sicilia, Tunisia e Marocco. Tra la fine del XII e l’inizio del XIII le importazioni divennero più consistenti, sintomo della creazione di un mercato ormai stabile, e prevalse la provenienza dalla Tunisia, pur mantenendosi ancora i contatti con la Sicilia, l’Italia meridionale e la Spagna. Intorno alla metà del XIII secolo le ceramiche d’importazione vennero superate da quelle prodotte localmente, con l’affermazione di prodotti liguri e delle “maioliche arcaiche” di fabbricazione pisana243.

In aggiunta ai motivi a piramidi scavate già ricordati, qui vengono realizzate anche complesse serie di fiori rilevati a sei petali con un petalo in comune e inscritti tra petali (tav. 50), motivo che nel portale destro viene applicato sia sugli elementi curvilinei della cornice, sia su alcuni elementi radiali e sui tre elementi che costituiscono la chiave di volta e le imposte dell’arco. Su questi pezzi speciali i fiori, tutti concatenati tra loro, sono sovrapposti su più file, ed è possibile individuare le linee guida del disegno preparatorio237: alcune linee orizzontali sembrano corrispondere alla larghezza dei cunei impiegati nel resto della ghiera e quindi non fanno parte del disegno preparatorio dei fiori, visto che solo la prima linea è tangente ai petali mentre le altre tagliano i petali a diverse altezze; la loro funzione potrebbe essere allora quella di aiuto nel montaggio dei vari pezzi della ghiera238. Oltre a queste linee di difficile interpretazione sono presenti anche quelle del disegno preparatorio vero e proprio, tracciate con l’aiuto di righe e compassi, per delineare le circonferenze che contengono i singoli fiori. Altre tracce di questo tipo si sono potute osservare a Montopoli e a Calenzano, dove una linea continua passa al centro di ciascun triangolo, dalla base al vertice, oppure al centro dei petali orizzontali dei fiori. Molto evidenti sono anche le linee guida tracciate sulle decorazioni che circondano la prima colonna a destra nella pieve di Palaia (tav. 30). 2.4. I bacini ceramici

Per quanto riguarda le modalità di inserimento nelle strutture edilizie, le indagini hanno permesso di stabilire che la messa in opera dei bacini avveniva in fase edilizia, sia sui paramenti in pietra sia su quelli in laterizi: in entrambi i casi, durante l’innalzamento delle pareti veniva preparato un alloggiamento apposito per il bacino che vi doveva essere collocato244. Nel caso delle murature in pietra, le tecniche adottate erano principalmente quattro, a seconda della presenza di più conci o di un

Tra gli edifici che stiamo analizzando ve ne sono sei che presentano un apparato decorativo costituito da bacini ceramici, inseriti nel paramento murario seguendo varie tecniche e secondo schemi diversi. Lo studio dei bacini ceramici, termine che indica vasellame in ceramica impiegato nelle strutture architettoniche con intento puramente ornamentale, fornisce spesso dati cronologici utili per la datazione dell’edificio. In Italia le prime attestazioni risalgono alla fine del X secolo, ma la maggiore diffusione si ha tra il XII e la prima metà del XIV secolo, esaurendosi gradualmente nel corso del XV secolo. In Toscana i casi più antichi sono rappresentati da tre monumenti pisani, le chiese di S. Zeno, di S. Matteo e di S. Piero a Grado239, ed è proprio a Pisa che si registra la concentrazione maggiore, sia come numero di edifici, sia come numero di esemplari240.

provincia. La catalogazione dei bacini della Toscana è in costante aggiornamento, uno dei censimenti più esaustivi, soprattutto per le zone pisane e lucchesi, è quello del 1993: Berti, G., I “bacini” ceramici della Toscana, in I bacini murati medievali: problemi e stato della ricerca, atti del XXVI Convegno Internazionale della Ceramica (Albisola, 28 30 maggio 1993), Albisola 1996, pp. 101-137. Tra i primi studi sull’argomento citiamo: Berti, G., Tongiorgi, L., Introduzione allo studio dei bacini ornamentali delle chiese pisane, Atti del III Convegno Internazionale della Ceramica, Albisola 1970, pp. 273-280. 241 Ceramiche simili ad alcune di quelle collocate negli edifici sono state rinvenute durante scavi archeologici, a dimostrazione che erano impiegate anche in contesti domestici. 242 Tonghini, C., I bacini d’importazione islamica fra Valdarno e Valdelsa, in La chiesa, la casa, il castello sulla via Francigena, a cura di A. Malvolti e A. Vanni Desideri (Fucecchio, 15 settembre – 15 novembre 1996), Pisa 1996, pp. 117-128. 243 Fino al XIII secolo le fabbriche locali producevano solo recipienti privi di rivestimento, utilizzabili solo per lo stoccaggio e la cottura dei cibi. 244 Berti, G., Rapporti fra strutture architettoniche e ceramiche impiegate nella decorazione esterna (seconda metà del X secolo – prima metà del XV secolo), in Le superfici dell’architettura: il cotto, caratterizzazione e trattamenti, Atti del convegno di studi, scienza e beni culturali (Bressanone, 30 giugno – 3 luglio 1992), a cura di G. Biscontin e D. Mietto, Padova 1992, pp. 1-9.

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L’osservazione risulta più facile sull’imposta destra dell’arco del portale sinistro, già sottoposta a pulitura e visibile da terra. Un procedimento simile è stato individuato nella cornice di un arco a doppia ghiera in un edificio situato in via Pelleria 32 a Lucca, dove sono state notate alcune “linee radiali incise dopo la realizzazione dei motivi floreali e corrispondenti ai giunti dei cunei della ghiera superiore” realizzate forse per facilitare il montaggio: Alberti, A., Mennucci, A., I risultati della ricerca a Lucca, cit., p. 44 e C. A. 25, p. 156. 239 In Italia sono ritenuti più o meno coevi solo altri due casi, quello della Torre Civica di Pavia e quello del campanile dell’Abbazia di Pomposa. 240 Delle 69 strutture edilizie decorate con bacini individuate in Toscana, il 73% è situato in area pisana, e su un totale di 837 bacini superstiti, l’84% sono concentrati a Pisa e in piccolissima parte nella sua 238

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2. L’architettura religiosa tra l’XI e il XIV secolo bacini conservati su 13)251, la pieve di Castelfiorentino, con sei bacini ancora in situ, la pieve di Coiano (un bacino su sei), la chiesa dei SS. Prospero e Tommaso di Certaldo (un bacino su tre), la pieve e la chiesa di S. Lorenzo a Monterappoli (che hanno rispettivamente un bacino su due e due su due), l’abbazia di S. Salvatore a Fucecchio (due su due), e infine, nel nostro territorio, la canonica di Marcignana e il duomo di San Miniato.

unico concio a contornare il recipiente e della scelta di creare o meno delle apposite scanalature per bloccare il bacino, o di inserirlo a contatto con il riempimento del muro costruito “a sacco”245. Nel paramento in laterizi le tecniche potevano variare in base alla scelta di appoggiare il bacino direttamente all’interno del muro, di tagliare i mattoni di più filari per creare l’alloggio (tecnica più frequente) o di contornare il bacino con mattoni frammentari (tecnica associata ai coronamenti con archetti)246. In ogni caso comunque viene confermata l’ipotesi della contemporaneità tra la messa in opera e l’avanzamento nella costruzione del muro, poiché anche la tecnica che prevedeva lo scavo della cavità in un unico concio era eseguito molto probabilmente a piè d’opera, e addirittura forse anche i bacini stessi erano collocati sul concio prima della sua messa in opera, per favorire la presa della malta247.

Proprio l’antica pieve di San Miniato costituisce il caso più interessante, soprattutto per il numero dei bacini conservati, di gran lunga superiore rispetto a quello degli altri edifici appena ricordati252. Infatti l’apparato decorativo della facciata era completato da trentuno bacini ceramici, di cui ne sono sopravvissuti ventisei (tavv. 15, 18): alcuni bacini sono andati perduti e le cavità sono rimaste vuote, mentre altri sono ridotti a frammenti, probabilmente in seguito all’apertura di crepe nelle strutture murarie. Per garantirne la conservazione, nel 1979 la Soprintendenza di Pisa decise di rimuoverli e, dopo il restauro, furono sistemati nel Museo Diocesano di Arte Sacra253.

Le indagini sulle tecniche di inserimento sono state sicuramente favorite dalle operazioni di rimozione dei bacini che nell’area pisana sono iniziate alla fine degli anni Sessanta, su iniziativa della locale Soprintendenza. Infatti in Toscana attualmente solo il 10% circa dei bacini supersiti è ancora in situ, mentre gli altri esemplari sono stati rimossi, restaurati e conservati in musei, e molti di loro sono stati sottoposti ad analisi chimiche e mineralogiche per precisare le datazioni e le aree di provenienza. Individuando le varie qualità d’impasto, le tipologie morfologiche e le diverse tecniche decorative, considerando sia l’aspetto iconografico, sia la selezione dei colori, è stata realizzata una catalogazione di tutti i bacini sopravvissuti della Toscana248.

I bacini erano stati inseriti nel paramento secondo uno schema aperto, un sistema distributivo diffuso in ambiente pisano dalla metà del XII secolo, diverso dagli schemi più antichi che prevedevano una distribuzione in rapporto a particolari elementi architettonici, come gli archetti o gli oculi. Infatti nelle prime attestazioni di questa tradizione decorativa, come per esempio le chiese di S. Piero a Grado o di S. Zeno a Pisa, i bacini erano inseriti tra le arcatelle cieche del coronamento. Nel duomo di S. Miniato invece le ceramiche sono distribuite sulla superficie muraria secondo una simmetria ma in modo indipendente rispetto alle strutture, un sistema che si trova anche nella facciata di S. Stefano extra moenia a Pisa e nelle altre chiese della Valdelsa, dove però il numero dei bacini è assai inferiore e gli schemi distributivi sono quindi più semplici254. Partendo dal basso si trovano quattordici bacini disposti simmetricamente intorno alla bifora centrale, ora tamponata, come per metterla in maggiore rilievo; altri sedici bacini, di maggiori dimensioni, circondavano l’apertura superiore, infine due pezzi erano inseriti all’interno dei rombi gradonati alla sommità della facciata (tav. 16). La loro distribuzione risulta quindi simmetrica rispetto all’asse del prospetto e favorisce la correlazione

Già da tempo è stato individuato un gruppo di dodici edifici valdelsani caratterizzati dalla presenza di bacini, situati in prossimità dei tracciati della via Francigena, nel tratto compreso tra San Gimignano e Fucecchio, passando per Certaldo, Castelfiorentino, Coiano, Monterappoli, Marcignana e San Miniato, con un corredo di 86 bacini totali, di cui ben 56 sopravvissuti249. Tranne un’unica eccezione, tutti gli altri casi sono riferibili ad un periodo compreso tra la seconda metà del XII secolo e la metà del secolo successivo250, e tra questi sono compresi anche due edifici civili, entrambi a San Gimignano, la casa Baccinelli, con quattro bacini, e il palazzo Salvestrini, con un unico esemplare. Il gruppo è composto dalla chiesa di S. Iacopo a San Gimignano (12 245

251 A San Gimignano, due bacini dovevano essere presenti anche sulla facciata del duomo, dove rimangono due cavità vuote ai lati del rosone, Berti, G., I bacini ceramici, cit., p. 205 e fig. 4. 252 Il duomo di San Miniato rappresenta anche l’edificio con il maggior numero di bacini dell’intera provincia di Pisa. 253 Un nuovo intervento di restauro è stato eseguito su otto bacini dall’Opificio delle Pietre Dure nel 1998, si veda: Bonetti, S., Lanterna, G., Michelucci, M., Tosini, I., Il restauro dei bacini ceramici del Duomo di San Miniato in Pisa. Tecniche e metodi di integrazione per la ceramica, in «OPD Restauro», 12, 2000, pp. 48-75. 254 Nelle pievi di Coiano e di Castelfiorentino i sei bacini sono suddivisi su due file orizzontali alla sommità del prospetto, nella pieve di Monterappoli i due esemplari fiancheggiavano la feritoia a forma di croce, e infine nella chiesa dei SS. Prospero e Tommaso di Certaldo tre bacini concludevano la facciata con una distribuzione a triangolo. Al contrario, nella chiesa di S. Jacopo di San Gimignano i bacini seguono gli spioventi del tetto, al di sotto del coronamento.

Berti, G., Gabbrielli, F., Parenti, R., “Bacini” e architettura. Tecniche di inserimento e complesso decorativo, in I bacini murati medievali: problemi e stato della ricerca, atti del XXVI Convegno Internazionale della Ceramica (Albisola, 28 - 30 maggio 1993), Albisola 1996, pp. 243-264. 246 Berti, G., Gabbrielli, F., Parenti, R., “Bacini” e architettura, cit., pp. 248-250. 247 Berti, G., Rapporti fra strutture architettoniche e ceramiche, cit., p. 4. 248 Berti, G., I “bacini” ceramici della Toscana, cit., , pp. 101-137. 249 L’indice di conservazione, 65% circa, è molto superiore rispetto a quello dell’area pisana: Berti, G., I bacini ceramici, in Medioevo a Volterra. L’architettura nell’antica diocesi tra Duecento e Trecento, a cura di A. Furiesi, Pisa 2003, p. 205. 250 L’eccezione, di cui tratteremo più avanti, è rappresentata dalla chiesa di S. Francesco di San Miniato, con bacini databili alla metà del XIV secolo.

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L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV) dedotto che doveva trattarsi di una produzione su larga scala, di larga diffusione, un artigianato popolare. Nonostante la loro fattura non sia eccellente, gli elementi decorativi che presentano sono molto interessanti: si trovano raffigurazioni animali, con la resa dei corpi affidata a una suddivisione in settori riempiti con motivi diversi, con grandi occhi e movimenti scattanti, alcuni accenni di rappresentazioni architettoniche, e fitti intrecci blu sul fondo a risparmio. Altri esemplari invece, soprattutto quelli di dimensioni minori, presentano motivi più semplici o decorazioni più standardizzate, oppure rari casi di elementi epigrafici o pseudo epigrafici arabi261.

tra i vari elementi della facciata: secondo la Cristiani Testi lo schema sarebbe stato progettato attentamente seguendo un tracciato geometrico, basato sul motivo ricorrente del rombo, che stabilisce delle connessioni tra i portali, le bifore inferiori e quella superiore fino al coronamento e agli spioventi, contribuendo a creare delle direttrici di visuale convergenti verso l’asse della facciata255. Secondo una vecchia interpretazione, la disposizione dei bacini non seguirebbe dei canoni prettamente geometrici ed estetici ma si baserebbe su una precisa idea teologica: i bacini sarebbero raggruppati secondo il disegno delle costellazioni dell’Orsa maggiore e minore, con la stella polare rappresentata dal rosone in pietra bianca e verde, a simboleggiare la chiesa che aiuta i fedeli ad orientarsi256.

La datazione delle ceramiche, riferita ad un periodo compreso tra la fine del XII e l’inizio del XIII secolo, grazie al confronto con esemplari presenti in altre chiese della Toscana, ma anche della Sardegna e della Liguria, ha contribuito a precisare la cronologia dell’edificio262. Inoltre, sulla base delle analisi chimiche e mineralogiche era stato proposto come luogo d’origine l’Africa nord occidentale263, ipotesi plausibile visti i consistenti rapporti commerciali che Pisa aveva con questa regione264. Ricerche successive hanno confermato questa ipotesi e l’hanno ulteriormente precisata, circoscrivendo l’area di produzione alla città di Tunisi o zone limitrofe265. I bacini a cobalto e manganese di importazione tunisina sono molto frequenti su edifici pisani266, ma ne sono stati individuati alcuni anche nell’area valdelsana, molto simili sia nelle forme sia nelle decorazioni e nei colori impiegati, e riferibili allo stesso arco cronologico. Sono paragonabili a questi di San Miniato, alcuni dei bacini della chiesa di S. Jacopo di San Gimignano e quelli della casa Baccinelli267, i due esemplari dell’abbazia di S. Salvatore a Fucecchio e i due della chiesa di S. Lorenzo a Monterappoli268.

Le tecniche di inserimento impiegate in questo caso sono due: la prima è quella più comune del taglio dei mattoni di più filari, la seconda è stata applicata per i due bacini inseriti nei rombi gradonati, saldamente ancorati all’interno di questa struttura, al punto tale che sono stati lasciati sul posto per non danneggiarli257. Dopo essere stati rimossi dalla facciata, i bacini superstiti sono stati oggetto di uno studio approfondito258: eccetto tre casi259, si tratta di ceramiche decorate con due colori, il blu di cobalto e il bruno di manganese, che hanno assunto varie tonalità e sfumature, applicati su uno smalto stannifero bianco, non di ottima qualità e steso in modo parziale o irregolare, soprattutto sulle superfici esterne dei pezzi. I bacini sono stati realizzati con materia prima piuttosto grossolana e sottoposti a processi di cottura non molto uniformi, che hanno determinato variazioni di colore. Gli esemplari hanno dimensioni diverse ed è stato notato che i più grandi sono stati inseriti in alto e i più piccoli in basso. Anche le forme sono variabili: quelli più piccoli, dal diametro inferiore ai 20 centimetri, hanno una cavità abbastanza profonda completata da una tesa, i bacini più grandi invece, che hanno un diametro intorno ai 30 centimetri, sono tutti privi di tesa (tranne il più grande, di 35 centimetri di diametro) e presentano spesso dei fori nell’anello del piede che permettevano di appenderli260. Inoltre sono stati individuati numerosi segni di attaccatura, cioè quei punti in cui i pezzi erano venuti a contatto durante la cottura nel forno. Se ne è

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Tonghini, C., I bacini d’importazione islamica, cit., pp. 123-128. Berti, G., Tongiorgi, L., Ceramiche a cobalto e manganese su smalto bianco (fine XII – inizio XIII secolo), in Atti del V Convegno Internazionale della Ceramica (Albisola, 31 maggio – 4 giugno 1972), Albisola 1972, pp. 157-161; Berti, G., Tongiorgi, L., I bacini ceramici del Duomo di S. Miniato, cit., p. 16; Berti, G., La ceramica tunisina “a cobalto e manganese”, cit., p. 99. 263 Berti, G., Tongiorgi, L., Ceramiche a cobalto e manganese, cit., pp. 149-167; Berti, G., Tongiorgi, L., I bacini ceramici delle chiese della provincia di Pisa con nuove proposte per la datazione della ceramica spagnola “tipo Pula”, in «Faenza», 60, 1974, pp. 70-71. 264 Infatti si ritiene probabile che i bacini siano stati acquistati sul mercato pisano: Berti, G., Tongiorgi, L., I bacini ceramici del Duomo di S. Miniato, cit., pp. 17-18. 265 Tonghini, C., I bacini d’importazione islamica, cit., pp. 118-119; Berti, G., La ceramica tunisina “a cobalto e manganese”, cit., p. 89. 266 Per esempio nella chiesa di S. Cecilia, nel campanile di S. Michele degli Scalzi e in quello di S. Paolo all’Orto, e nella chiesa di S. Stefano extra moenia, si veda Berti, G., La ceramica tunisina “a cobalto e manganese” in Toscana, cit., p. 150. Si trovano anche nel contado pisano, come nella chiesa di S. Iacopo di Metato (S. Giuliano Terme) e nella ex chiesa di S. Pietro di Malaventre (Vecchiano), si veda Berti, G., Tongiorgi, L., I bacini ceramici delle chiese della provincia di Pisa, cit., pp. 69-70; Berti, G., I “bacini” ceramici della Toscana, cit., p. 131. 267 Berti, G., I bacini ceramici, cit., pp. 205-207. 268 Vanni Desideri, A., Bacini ceramici della chiesa abbaziale di San Salvatore in Fucecchio (Firenze), in «Notiziario di Archeologia Medievale», 51, 1989, p. 5; Berti, G., Tongiorgi, L., Ceramiche a cobalto e manganese, cit., pp. 149-164; Berti, G., I “bacini” ceramici della Toscana, cit., pp. 130-131. 262

255 Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., pp. 42-45; la Cristiani Testi avvicina tale schema distributivo a quello applicato sulla facciata del S. Michele di Pavia, notando invece delle differenze rispetto alle chiese pisane di S. Cecilia, S. Stefano extra moenia e S. Pietro a Grado, cfr. ibidem, pp. 43-44. 256 Mostra d’arte sacra della Diocesi di San Miniato 1969. Catalogo, a cura di L. Bellosi, D. Lotti, A. Matteoli, San Miniato 1969, pp. 8-10, scheda sui bacini ceramici a cura di Dilvo Lotti. 257 Berti, G., Gabbrielli, F., Parenti, R., “Bacini” e architettura, cit., p. 249. 258 Berti, G., Tongiorgi, L., I bacini ceramici del Duomo di S. Miniato, ultimo quarto del XII secolo, Genova 1981. 259 Due di questi bacini sono smaltati in verde e presentano decorazioni in bruno, il terzo, frammentario, è policromo, con decorazioni in verde, giallo e bruno su smalto bianco. 260 Berti, G., La ceramica tunisina “a cobalto e manganese” in Toscana, in Ceramica in blu. Diffusione e utilizzazione del blu nella ceramica, Atti del XXXV Convegno Internazionale della ceramica (Savona 31 maggio – 1 giugno 2002), Albisola 2002, pp. 89-102.

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2. L’architettura religiosa tra l’XI e il XIV secolo tamponate, mentre un altro è collocato poco più in alto, ma probabilmente non erano queste le loro posizioni originarie. Infatti i quattro bacini sembrano il residuo di una decorazione che doveva svilupparsi lungo tutta la parete, secondo uno schema decorativo che è andato perduto in seguito ai vari interventi che si sono susseguiti nei secoli, con la chiusura delle antiche monofore, l’apertura di nuove finestre e i lavori di consolidamento dell’intero prospetto278. Pur trovandosi ancora in situ, ad una notevole altezza da terra, e quindi analizzabili solo superficialmente, sono stati ritenuti con sicurezza “maioliche arcaiche” pisane, riferibili alla prima metà del XIV secolo, datazione quindi perfettamente compatibile con l’ipotesi che il loro inserimento risalga alla prima fase di ampliamento della chiesa279. Esemplari simili a questi si trovano a Pisa sulle chiese di S. Martino e di S. Cecilia e sul campanile di S. Francesco280.

A Marcignana invece i bacini ceramici che in origine decoravano la facciata sono andati perduti, sostituiti con copie durante gli ultimi restauri269. L’apparato decorativo prevedeva quattordici bacini, distribuiti a “schema aperto” sul paramento in cotto (tav. 52): dieci di questi formano due croci simmetriche ai lati dell’oculo, altri quattro, due per parte, circondano le due finestre270, ma probabilmente in origine erano tre e contornavano l’arcatura delle monofore che doveva essere a tutto tondo (per un totale di sedici bacini)271. Il criterio distributivo, libero da stretti legami con gli elementi architettonici ma comunque nettamente simmetrico, sembra avvicinarsi a quello della cattedrale di San Miniato e della chiesa di S. Stefano extra-moenia a Pisa272, ma in nessun caso troviamo esemplari disposti a formare delle croci. Lo schema adottato non è paragonabile nemmeno a quelli presenti in Valdelsa, già descritti in precedenza273. La disposizione a forma di croce sembra essere più comune in alcune aree regionali, come in Liguria e nel bolognese, ma si trova applicata anche su due chiese urbane lucchesi, quella di San Francesco, nella zona absidale, e quella di S. Anastasio, in facciata, e in un caso nel contado lucchese, sulla chiesa di S. Michele di Castello a Colognora (Pescaglia)274. A Pisa invece non sembrano esserci attestazioni di questo tipo275, ma nel contado pisano è individuabile almeno un caso, a Metato (San Giuliano Terme), sul campanile della chiesa di San Jacopo, anche se forse si tratta di una ricollocazione recente276.

Un altro bacino del tutto simile a questi e cronologicamente assai vicino, si trova sulla facciata della pieve di S. Maria Novella di Marti, risalente al 1330 circa. La pieve di Marti infatti presenta un ricco repertorio di ceramiche di inizio XIV secolo, di qualità e provenienze diverse. L’apparato decorativo doveva comprendere dodici esemplari, distribuiti simmetricamente sulle lesene angolari e su quelle centrali che scandiscono la parte superiore della facciata (tav. 48). Otto bacini sono ancora in situ, mentre quattro sono andati perduti, ma si possono ancora distinguere le cavità vuote di almeno tre di questi. Dei bacini superstiti, due sono inseriti su ciascuna lesena intermedia, tre sulla lesena sinistra e uno su quella destra, mentre le tre impronte vuote sono una sulla parte terminale della lesena angolare sinistra e due affiancate nel tratto più largo della lesena destra. Non essendo stati rimossi, i bacini sono stati studiati in modo ancora superficiale, senza poter effettuare le analisi chimiche e mineralogiche per individuare le caratteristiche degli impasti, e senza poter osservare le morfologie degli oggetti nella loro interezza281. Tuttavia è stato possibile distinguerli e risalire alle loro aree di provenienza tramite l’osservazione a distanza della loro forma esterna, dei motivi decorativi e dei colori impiegati, confrontandoli con pezzi simili già studiati. Due esemplari rientrano nella categoria di ceramiche note come “maioliche arcaiche”, e appartengono alla seconda fase produttiva pisana, entro la metà del XIV secolo282: uno presenta una

A San Miniato la tradizione decorativa dei bacini ceramici verrà ripresa in pieno Trecento nella chiesa di San Francesco, nelle strutture aggiunte durante la prima fase di ampliamento dell’edificio, iniziata intorno al 1343. Sulla parete esterna del braccio destro del transetto si trovano quattro bacini ceramici di piccole dimensioni, monocromi dal colore bianco-rosato perché smaltati in bianco e solo invetriati277. Gli esemplari sono disposti senza un preciso criterio, allineati in modo approssimativo in senso orizzontale. Uno dei bacini è inserito nella strombatura di una delle monofore 269

Chiese medievali della Valdelsa, 1, cit., p. 61, nota 37. Mendera Casoli, M., La decorazione con bacini ceramici in edifici religiosi e civili lungo il tratto valdelsano della via Francigena, in Storia e cultura della strada in Valdelsa nel Medioevo, a cura di R. Stopani, Poggibonsi 1986, p. 84. 271 Berti, G., Tongiorgi, L., Altri bacini ceramici in Toscana, in «Faenza», 63, 1997, pp. 75-77 272 Berti, G., Tongiorgi, L., Altri bacini ceramici in Toscana, cit., p. 76. 273 Berti, G., Tongiorgi, L., Bacini ceramici su edifici religiosi e civili delle province di Pistoia, Firenze e Siena, in «Faenza», 61, 1975, pp. 123-135; Mendera Casoli, M., La decorazione con bacini ceramici, cit., p. 84. 274 Berti, G., Cappelli, L., Lucca. Ceramiche medievali e post-medievali (Museo Nazionale di Villa Guinigi). I. Dalle ceramiche islamiche alle “maioliche arcaiche”, Firenze 1994, pp. 57-61, 66-67. 275 Berti, G., Cappelli, L., Lucca. Ceramiche medievali e post-medievali, cit., p. 61. 276 Berti, G., Tongiorgi, L., I bacini ceramici delle chiese della provincia di Pisa, cit., pp. 69-70 e tav. XLV; Berti, G., Tongiorgi, L., I bacini ceramici del Duomo di S. Miniato, cit., p. 50. 277 Berti, G., Pisa. Le “maioliche arcaiche”. Secc. XIII-XV (Museo Nazionale di San Matteo), “Ricerche di Archeologia Altomedievale e Medievale”, 23-24, Firenze 1997, p. 252; Berti, G., I “bacini” ceramici della Toscana, cit., p. 133. 270

278 Berti, G., Tongiorgi, L., I bacini ceramici delle chiese della provincia di Pisa, cit., p. 71. 279 Berti, G., Pisa. Le “maioliche arcaiche”, cit., p. 252; Berti, G., Tongiorgi, L., I bacini ceramici delle chiese della provincia di Pisa, cit., p. 71. 280 Berti, G., Tongiorgi, L., I bacini ceramici delle chiese della provincia di Pisa, cit., p. 73; Berti, G., Pisa. Le “maioliche arcaiche”, cit., pp. 149-153. 281 Berti, G., Tongiorgi, L., I bacini ceramici delle chiese della provincia di Pisa, cit., p. 72, nota 6. 282 Sono da riferire alla medesima fase produttiva, e sono perciò molto simili a questi, i bacini della chiesa di S. Martino a Pisa (1280-1330), cfr. Berti, G., I “bacini ceramici” di Santa Maria Novella di Marti, in Fra Marti e Montopoli. Preistoria e storia nel Valdarno inferiore, Atti del Convegno (Marti, Montopoli in Val d’Arno, 19 settembre 1998), a cura di S. Bruni, Pontedera 2001, pp. 107-121, p. 110; Berti, G., Pisa. Le “maioliche arcaiche”, cit., pp. 251-252.

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L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV) secolo288. Ma questa tesi è da considerarsi ormai superata e recentemente la datazione all’inizio del XIV secolo è stata confermata, proponendo ulteriori confronti con ceramiche prodotte a Montelupo289.

decorazione geometrica in ramina e manganese su smalto stannifero bianco e una tesa piuttosto larga, l’altro è quello già menzionato nel confronto con i bacini di S. Francesco per la sua colorazione monocroma biancorosato. Altri due, quasi identici tra loro e dalla cavità ampia, affiancati sulla lesena angolare sinistra, sono anch’essi riferibili alla categoria delle “maioliche arcaiche” ma provengono dall’area fiorentina, da Montelupo Fiorentino o da Bacchereto, e sono decorati con motivi vegetali in bruno e in verde su smalto stannifero bianco283. I due bacini collocati in alto sulle lesene intermedie, anch’essi molto simili tra loro, con pareti dritte e piccola tesa, sono decorati a “graffito arcaico”, cioè con motivi graffiti su ingobbio, con macchie verdi e giallo-bruno, e sono di provenienza ligure284. Gli ultimi due bacini superstiti invece, uno inserito sulla lesena intermedia destra e l’altro sulla lesena angolare destra, privi di tesa e con decorazioni geometriche e vegetali “a lustro metallico” color rame e blu su smalto bianco, appartengono al cosiddetto “tipo Pula” e sono stati importarti dalla Spagna, più precisamente dalla zona valenzana285.

Le ceramiche che decorano la pieve di Marti non hanno quindi caratteristiche omogenee e un’unica origine, come avviene per esempio con i bacini tunisini del Duomo di San Miniato, ma si riscontrano almeno quattro aree di provenienza, più vicine come Pisa e Montelupo Fiorentino, o più lontane come la Liguria e la Spagna. Da questo punto di vista, oltre alla chiesa di Marti, l’unico edificio nella provincia pisana che ospita bacini di origini diverse è la Chiesaccia di Malaventre (Vecchiano), dove si trovavano dodici bacini ceramici, databili alla prima metà del XIII secolo, provenienti in parte dalla Tunisia e in parte dalla Liguria290. Se fino alla metà del XIII secolo a Pisa è usuale trovare anche sul medesimo edificio bacini provenienti da paesi diversi dell’intera area mediterranea (Egitto, Tunisia, Sicilia, Spagna, Marocco, area bizantina, Italia meridionale, medio oriente), a partire dal momento in cui si afferma la produzione locale di “maioliche arcaiche” e si diffondono le ceramiche ingobbiate di area ligure, inizia a diminuire questa grande variabilità e la provenienza delle ceramiche diventa più omogenea. Nel frattempo però si attenua molto anche l’uso stesso della decorazione con bacini. La chiesa di Marti rappresenterebbe quindi un caso abbastanza isolato, a testimonianza di come in ambito provinciale si attardassero ancora un gusto e una tradizione decorativa che in città erano ormai superati. A Pisa infatti, dopo le decorazioni di inizio Trecento della chiesa di S. Martino e del campanile di S. Francesco, l’unico esempio di epoca successiva alla metà del XIV secolo è rappresentato dall’ex convento di S. Anna, decorato con tre bacini a “lustro metallico” provenienti dalla Spagna Valenzana291. Anche a Lucca e nel suo territorio le ultime attestazioni di bacini ceramici inseriti in strutture architettoniche risalgono alla metà del XIII secolo, nelle chiese di S. Francesco e di S. Romano, di provenienza ligure292.

Queste ceramiche sono state datate ai primi decenni del XIV secolo, sulla base di confronti con ceramiche simili e ritenendo che la tecnica impiegata per il loro inserimento sia quella consueta del taglio di più filari di laterizi, per cui i bacini sarebbero stati inseriti durante la messa in opera del paramento, quindi intorno al 1332286. Tuttavia, secondo Ciampoltrini, i due bacini identici di fabbrica fiorentina, collocati sulla lesena angolare sinistra287, sarebbero da riferire alla fine del XIV secolo, sulla base di un confronto con un catino frammentario rinvenuto a Castelfranco di Sotto (Pisa); per questo motivo l’autore ipotizzava che i due bacini fossero stati inseriti più tardi, a sostituzione di esemplari danneggiati, in occasione dei numerosi interventi di restauro attestati già durante il XIV

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Berti, G., Tongiorgi, L., I bacini ceramici delle chiese della provincia di Pisa, cit., p. 73. 284 Questa tecnica, introdotta a Savona alla fine del XII secolo, rimase sconosciuta in Italia fino alla prima metà del XV secolo, ma nel corso del XIII questi manufatti liguri circolavano già in tutto il Mediterraneo occidentale e sono attestati sia a Pisa che a Lucca, cfr. Berti, G., I “bacini ceramici” di Santa Maria Novella di Marti, cit., p. 115; Berti, G., I “bacini” ceramici della Toscana, cit., p. 133; sulle ceramiche graffite arcaiche si veda: Varaldo, G., La Graffita Arcaica Tirrenica, in La céramique médiévale en Mediterranée, Actes du VIéme Congrès de l’AIECM2, (Aix-an-Provence, 13-18 Novembre 1995), Aix-enProvence 1997, pp. 439-451. 285 Berti, G., Tongiorgi, L., I bacini ceramici delle chiese della provincia di Pisa, cit., pp. 72-75; sulla ceramica spagnola si veda: Berti, G., I rapporti Pisa – Spagna (al Andalus, Maiorca) tra la fine del X ed il XV secolo testimoniati dalle ceramiche, in Atti del XXXI Convegno Internazionale della Ceramica, Albisola 1998, pp. 241-253. 286 Berti, G., Gabbrielli, F., Parenti, R., “Bacini” e architettura, cit., p. 249. L’esistenza di un riferimento cronologico certo come questo ha permesso di precisare la datazione dell’intera categoria delle ceramiche spagnole di “tipo Pula”, anticipandone di circa mezzo secolo l’inizio della preoduzione, si vedano: Berti, G., Tongiorgi, L., I bacini ceramici delle chiese della provincia di Pisa, cit., pp. 74-75 e Berti, G., I rapporti Pisa – Spagna, cit., pp. 248-249. 287 I numeri 3 e 4 secondo la numerazione proposta da Berti e Tongiorgi in: Berti, G., Tongiorgi, L., I bacini ceramici delle chiese della provincia di Pisa, cit., p. 72.

Appartengono quindi al nostro territorio le testimonianze più tarde di questa tradizione decorativa, con due casi estremi, addirittura successivi a quello della pieve di Marti. Il primo è quello della chiesa di S. Pietro di Usigliano, dove si trovano ancora due bacini inseriti sulle lesene angolari, uno sul fianco sinistro e uno su quello destro (tav. 40). In origine i bacini dovevano essere almeno quattro: sulla facciata si distinguono chiaramente due cavità, uno su ciascuna lesena, situati più o meno alla 288

Ciampoltrini, G., La maiolica arcaica nel medio Valdarno inferiore, in «Archeologia Medievale», 7, 1980, p. 518. 289 Berti, G., I “bacini” ceramici della Toscana, cit., p. 133; Berti, G., I “bacini ceramici” di Santa Maria Novella di Marti, cit., p. 114, nota 18. 290 Berti, G., I “bacini” ceramici della Toscana, cit., pp. 131-132. 291 Berti, G., I rapporti Pisa – Spagna, cit., pp. 248-250; Berti, G., I “bacini” ceramici della Toscana, cit., pp. 127-128. 292 Berti, G., Cappelli, L., Lucca. Ceramiche medievali e post-medievali, cit., pp. 66-76; Berti, G., I “bacini” ceramici della Toscana, cit., pp. 105 e 132. Recentemente è stato individuato un esemplare simile a quelli dell’ex convento di S. Anna nel chiostro del complesso di S. Maria dei Servi, che è documentato dalla fine del XIV secolo, si veda: Berti, G., I rapporti Pisa – Spagna, cit., p. 249.

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2. L’architettura religiosa tra l’XI e il XIV secolo dimensioni delle cavità dovevano costituire una decorazione omogenea299. Purtroppo l’edificio, già restaurato all’inizio del Settecento, venne danneggiato gravemente dal terremoto del 1846, che causò la perdita dell’architrave del portale e presumibilmente anche dei bacini ceramici. Infatti si è conservato un unico esemplare, del tipo “a foglie di vite” o “di edera” tracciate in blu e a lustro metallico color rame su smalto bianco avorio, di provenienza spagnola300. Dai confronti con ceramiche simili rinvenute negli sterri fatti a Pisa e databili tra il XIV e il XV secolo, è stato dedotto che l’inserimento del bacino può essere avvenuto verosimilmente al momento della ristrutturazione della chiesa intorno al 1444301. Infatti la produzione di questa tipologia di ceramiche deve essere continuata fino agli ultimi decenni del XV secolo, e un caso coevo, con altri bacini di origine valenzana, è quello della chiesa di S. Caterina di Sisco in Corsica, databile tra il 1443 e il 1469302.

stessa altezza, a circa due terzi da terra, ma visto lo stato di conservazione del paramento, che si presenta molto manomesso, non si può escludere la possibilità che ve ne fossero altri. In particolare sembra di poter notare le tracce di un incavo più piccolo all’estremità superiore della lesena sinistra e uno tamponato con frammenti di laterizi sulla faccia laterale della stessa lesena. I due esemplari sopravvissuti furono segnalati per la prima volta da Ciampoltrini nel 1980 e sono stati riconsiderati più recentemente dalla Berti293. Si tratta di due bacini dalle forme e dalle dimensioni leggermente diverse ma entrambi privi di tesa, decorati in verde e bruno (ramina e manganese) su smalto stannifero bianco, il più grande con fasce a squame puntinate e un fiore al centro, il più piccolo con raggi in bruno che si dipartono da un piccolo tondo centrale. Entrambi sono stati riferiti alla seconda fase produttiva della “maiolica arcaica” pisana e quindi sarebbero databili alla prima metà del XIV secolo294. Si tratta quindi del terzo caso, dopo la chiesa francescana di San Miniato e la pieve di Marti, di maioliche arcaiche pisane all’interno del nostro territorio: è stato notato che queste sono le uniche attestazioni nella provincia pisana di ceramiche di questa qualità, usate come bacini, al di fuori dell’ambito cittadino, mentre a Lucca ce ne sono alcuni della prima fase produttiva sulla chiesa di S. Anastasio, tre sul campanile di S. Tommaso in Pelleria (seconda fase) e probabilmente altri due erano inseriti nella zona absidale della chiesa di S. Benedetto in Gottella295. I bacini di Usigliano erano stati accostati fin da subito agli esemplari della chiesa di S. Martino e del campanile di S. Francesco a Pisa, edifici collocabili entrambi tra la fine del XIII e i primi decenni del XIV secolo296, già citati in precedenza perché presentano anche un altro elemento decorativo paragonabile con quello di Usigliano, gli archetti trilobati del coronamento. L’ultimo caso di decorazione con bacini ceramici, quello più tardo in assoluto, è rappresentato dalla chiesa dei SS. Quilico e Giulitta di Parlascio, ad ovest di Casciana Terme. La chiesa, suffraganea della pieve di Aquis, è documentata per la prima volta nell’VIII secolo ma venne fatta riedificare nel 1444 dalla famiglia Upezzinghi297. In facciata, sul paramento in pietra, intorno all’arco del portale e nell’area circostante su una linea orizzontale, rimangono le cavità che ospitavano nove bacini ceramici (tav. 56). Questi dovevano essere ancora esistenti alla fine del XVIII secolo, perché il Targioni Tozzetti nelle sue relazioni riferisce di averli visti298, e a giudicare dalle

293 Ciampoltrini, G., La maiolica arcaica, cit., pp. 507-520; Berti, G., Pisa. Le “maioliche arcaiche”, cit., pp. 46-48, 251-253. 294 Berti, G., Pisa. Le “maioliche arcaiche”, cit., p. 252. 295 Berti, G., Pisa. Le “maioliche arcaiche”, cit., pp. 251-254. 296 Ciampoltrini, G., La maiolica arcaica, cit., p. 518; il campanile di S. Francesco ha come possibile termine ante quem il 1318, mentre la chiesa di S. Martino è stata costruita tra il 1281 e il 1332, si veda Berti, G., Pisa. Le “maioliche arcaiche”, cit., pp. 46-48. 297 La data era inscritta sull’architrave del portale andato perduto ma riferita dal Repetti: Repetti, E., Dizionario, cit., vol. IV, pp. 60-61. 298 Targioni Tozzetti, G., Relazioni di alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana per osservare le produzioni naturali e gli antichi

monumenti di essa, Firenze 1768, ristampa, 12 voll., Bologna 19711972, vol. I, p. 285; Gotti, M., Chiese medievali, cit., p. 231, nota 75. 299 Berti, G., Tongiorgi, L., I bacini ceramici delle chiese della provincia di Pisa, cit., p. 76. 300 Berti, G., I “bacini” ceramici della Toscana, cit., p. 133; Berti, G., Tongiorgi, L., I bacini ceramici delle chiese della provincia di Pisa, cit., pp. 76-77 e tav. XLIV, b; Berti, G., I rapporti Pisa – Spagna, cit., p. 250. 301 Berti, G., Tongiorgi, L., I bacini ceramici delle chiese della provincia di Pisa, cit., p. 77. 302 Berti, G., I rapporti Pisa – Spagna, cit., p. 250.

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L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV) impedire l’ampliamento della diocesi pisana. Il primo tentativo di risolvere la vertenza tra i due vescovi fallì nel 1140, poiché di fronte alle ulteriori richieste dell’arcivescovo Baldovino10, l’arbitro scelto dalle due parti, il cardinale prete di S. Croce in Gerusalemme, Gherardo, abbandonò il dibattimento11. Nel 1143 riprese la vertenza di fronte ad un nuovo arbitro, il vescovo di Pistoia S. Atto, e si concluse con il riconoscimento dell’appartenenza alla diocesi di Pisa della chiesa di Travalda12. La sentenza del 1197, su una disputa per il possesso di alcuni terreni del piviere tra il vescovo e un privato, dimostra gli sforzi della chiesa lucchese per mantenere il controllo di questa zona periferica e così lontana dalla sede vescovile13. Infatti i documenti già ricordati del X e XI secolo testimoniano come fino agli inizi del XII secolo i vescovi di Lucca fossero riusciti a gestire questo territorio, visto che avevano allivellato i beni del piviere e ordinato i rettori. In un diploma imperiale del 1164 il territorio di Appiano risulta sotto la giurisdizione politica pisana, situazione confermata dai diplomi successivi di Arrigo VI nel 1192, di Ottone IV nel 1209 , di Federico II nel 1220 e di Carlo IV nel 135414. Nel 1175 la pieve è citata tra le chiese restituite dai pisani alla diocesi lucchese nel trattato di pace redatto nella pieve di Pugnano, in Valdiserchio15. Nell’estimo della diocesi di Lucca del 1260 scompaiono definitivamente gli antichi toponimi Ducenta e Travalda e compare quindi la pieve di Appiano, con quattro chiese suffraganee, S. Pietro di Appiano, S. Andrea di Petriolo, Ss. Michele e Lorenzo di Gello e S. Lucia di Pesciano, che si ritrovano anche nelle decime successive e che sono tutte scomparse16 (fig. 1). Come specifica il documento del 1103, la nuova pieve venne “fundata et edificata” ex novo, infatti la chiesa più antica di Appiano, quella intitolata a S. Pietro e ricordata già dal 944, rimane come chiesa suffraganea della nuova pieve17. Invece l’antica pieve di Ducenta/Travalda sembra scomparire definitivamente, visto che non risulta nemmeno tra le suffraganee del nuovo piviere. Il numero degli insediamenti del piviere si mantenne costante tra X e XI secolo: sia nell’atto di livello del 993 che in quello del 1033 vengono elencate otto villae, due delle quali non sono localizzabili (Grossito e Carlatico),

3. Repertorio degli edifici 3.1 Pievi 1. Pieve di S. Maria di Appiano Note storiche La pieve di Santa Maria è documentata con diverse denominazioni: nella prima attestazione, una cartula repromissionis dell’8451, viene definita come pieve di Ducenta, allo stesso modo in un altro documento dello stesso tipo dell’8532, nell’881 invece, in un documento che riporta l’ordinazione del nuovo rettore, è definita per la prima volta “in loco Terra Valda”3. Nel corso dei secoli X e XI nella documentazione lucchese si alternano questi due toponimi per indicare la stessa pieve4. Infatti in questo periodo la pieve è attestata più volte, in tre atti di livello, uno del 944, uno del 993 e uno del 10335, e in due atti di ordinazione dei rettori, nel 908 e nel 9406. Solo dal XII secolo si impone la denominazione di Appiano, che compare per la prima volta in un atto di livello del 11037 e che secondo il Repetti deriverebbe da ad planum, per la sua posizione alla base delle colline pisane, mentre secondo il Pieri deriverebbe dal nome romano Appius, ipotesi confermata dal fatto che la curtes era sorta sicuramente su una fattoria romana di cui si sono rinvenuti reperti archeologici8. Il passaggio a questo nuovo toponimo avvenne forse nel momento in cui si stabilirono definitivamente i confini con i pivieri circostanti e con la vicina diocesi pisana. Infatti alcuni documenti riferiscono di una controversia sorta tra l’arcivescovo di Pisa Baldovino e Ottone vescovo di Lucca in merito alla pertinenza della chiesa di S. Michele di Travalda. Questa chiesa, attestata come suffraganea della pieve di Ducenta fino alla fine dell’XI secolo, era stata attribuita alla pieve di Calcinaia nella bolla di Innocenzo II del 11379. Il vescovo lucchese ovviamente non accettò la nuova definizione dei confini e tentò di 1 Con questo documento il nuovo rettore della pieve, appena eletto dal vescovo di Lucca Ambrogio, si impegnava ad assolvere i propri obblighi. Memorie e documenti, cit., t. V, parte II, n. 623, p. 371. 2 Memorie e documenti, cit., t. V, parte II, n. 700, p. 421. 3 Memorie e documenti, cit., t. V, parte II, n. 905, p. 553; il nome deriverebbe dal longobardo “waldaz” e secondo il Repetti indicava un bosco riservato all’uso esclusivo del suo signore, Repetti, Dizionario, cit., vol. I, p. 101. 4 Pescaglini Monti, R., I pivieri di Sovigliana, cit., p. 142. 5 Memorie e documenti, t. V, parte III, n. 1308, p. 208; nn. 1692-1694, pp. 569-572. 6 Memorie e documenti, t. V, parte III, n. 1116 e n. 1273, p. 50 e 178. 7 Archivio Arcivescovile di Lucca, Diplomatico, A 38; Lupi, M., Noferi, M., Terra di Ponsacco. Un territorio e quattro antichissime comunità: Appiano, Camugliano, Petriolo e Ponsacco, Pontedera 2004, doc. II, pp. 216-217; Pescaglini Monti, R., Il castello di Marti, cit., p. 28. 8 Repetti, Dizionario, cit., vol. I, p. 101; Pieri, S., Toponomastica della Valle dell’Arno, Roma 1919, p. 116; Lupi, M., Noferi, M., Terra di Ponsacco, cit., p. 69. 9 Probabilmente questo spostamento nella diocesi di Pisa fu promosso dalla famiglia che l’aveva fondata, gli Upezzinghi, che si erano legati alla chiesa pisana. Ronzani, M., Definizione e trasformazione di un sistema di inquadramento ecclesiastico: la pieve di Fucecchio e le altre pievi del Valdarno fra XI e XV secolo, in Il Valdarno inferiore terra di confine nel Medioevo (Secolo XI-XV), atti del convegno di studi (30 settembre – 2 ottobre 2005), a cura di A. Malvolti e G. Pinto, Firenze 2008, p. 68.

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L’arcivescovo pisano pretendeva il riconoscimento del possesso di altre quattro chiese (S. Margherita di Pedisciano del piviere di Ducenta, S. Maria e S. Pietro di Pinocchio del piviere di S. Gervasio e S. Pietro in Valle del piviere di S. Maria a Monte) e delle località di Montecalvoli e Ricavo, tutte poste in diocesi lucchese. Caturegli, N., Regesto Pisano, Roma 1938, n. 375. 11 Ceccarelli Lemut, M.L., Giurisdizioni signorili ecclesiastiche e inquadramenti territoriali, in Il Valdarno inferiore terra di confine nel Medioevo (Secolo XI-XV), atti del convegno di studi (30 settembre – 2 ottobre 2005), a cura di A. Malvolti e G. Pinto, Firenze 2008, cit., pp. 28-30. 12 Inoltre nel 1155 venne confermato il possesso del castello di Ricavo alla chiesa pisana, mentre quello di Montecalvoli rimase ai lucchesi. Pescaglini Monti, R., I pivieri di Sovigliana, cit., p. 143. 13 Memorie e documenti, t. IV, parte II, n. 143; Pescaglini Monti, R., I pivieri di Sovigliana, cit., p. 146. 14 Lupi, M., Noferi, M., Terra di Ponsacco, cit., p. 70. 15 Repetti, Dizionario, cit., vol. I, p. 101; Lupi, M., Noferi, M., Terra di Ponsacco, cit., p. 74. 16 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 201, 223, 267; Tuscia, II, cit., p. 284. 17 Lupi, M., Noferi, M., Terra di Ponsacco, cit., p. 49.

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3. Repertorio degli edifici mentre le altre hanno lasciato tracce nella toponomastica18. Nell’atto di livello del 1103 i villaggi ricordati si riducono a sette e coincidono grosso modo con quelli ricordati precedentemente. Il toponimo Appiano rimase in uso fino a quando la chiesa perse il titolo plebano in favore della nuova pieve di Ponsacco, l’unico centro fortificato del piviere, nuova fondazione promossa dai Pisani intorno al 1364, posta a guardia del ponte sul torrente Cascina, in funzione antifiorentina19. Questo passaggio venne ufficializzato nel 1440, con il trasferimento del fonte battesimale e delle campane a Ponsacco20, ma in realtà l’antica pieve era stata danneggiata nel 1341 dai Fiorentini e nel 1366 il vescovo di Lucca aveva esortato i parrocchiani di Appiano, Petriolo, Gello e Pesciano, ad erigere una nuova pieve nel castello di Ponsacco, dove erano stati obbligati a trasferirsi dal governo pisano, per motivi di sicurezza21. La guerra con Firenze infatti determinò profonde trasformazioni insediative: il governo pisano decise il trasferimento della popolazione nel castello e si occupò anche di rinforzare l’insediamento di Ponsacco proprio in seguito all’incursione fiorentina22. Questo radicale cambiamento a livello insediativo è confermato dal resoconto della visita pastorale del 1382, dove viene riportato che tutte le chiese del piviere non sono più officiate23. Della pieve di Appiano non esistono tracce ma è rimasto il toponimo La Pieve, alla sinistra del fiume Cascina, poco più a nord di Ponsacco; la località di S. Piero a Piano rievoca il toponimo Appiano. Più a nord, nei pressi del cimitero di Pontedera, si trova il podere Travarda, a ricordo dell’antica denominazione della pieve, mentre del nome più antico, Ducenta, non è rimasta traccia nella toponomastica24.

Fig. 1. Piviere di Appiano (particolare della carta allegata ai volumi delle Rationes decimarum) ©1932-1942 Biblioteca Apostolica Vaticana

2. Pieve di S. Maria di Aquis Note storiche La località “de Aquis”, corrispondente all’attuale Casciana Terme, situata a sinistra del fiume Cascina, derivò il suo nome dalle sorgenti di acque termali, conosciute fin dall’antichità. Secondo la tradizione, riportata dal Repetti, le prime terme vennero fatte costruire dalla contessa Matilde di Canossa nel 111225. Situata nei pressi del confine tra la diocesi di Lucca e quella di Volterra, divenne nell’XI secolo proprietà dei conti Cadolingi26. La corte di Aqui è documentata a partire dal 1024, quando viene menzionata tra i beni donati da due fratelli, Ferolfo e Ubaldo del fu Teudigrimo, alla chiesa di S. Cassiano di Carigi27. Nell’atto di donazione eseguito nel 1089 dal conte Ughiccione dei Cadolingi insieme alla moglie, in favore del monastero di S. Maria di Morrona che aveva fondato, vengono citati tra i beni ceduti anche alcuni che dovevano trovarsi vicino al castello di Aquis, poiché si fa riferimento al fiume Caldana, che nasce proprio nei pressi di Casciana Terme, e alle “aquis et aqueductibus” di cui evidentemente già si conoscevano le proprietà terapeutiche28. Probabilmente i Cadolingi avevano possedimenti in questa zona già dall’inizio dell’XI secolo, come documenta un atto del 1015 con il quale venivano donati al monastero di S. Salvatore di Fucecchio, di fondazione cadolingia, alcuni beni presso Morrona e parte della chiesa dei SS. Michele e Andrea di Fichino, appartenente al piviere di Aquis29. Nel 1109 il figlio del fondatore del monastero di Morrona, Ugolino,

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Pescaglini Monti, R., I pivieri di Sovigliana, cit., p. 146. Garzella, G., I centri di nuova fondazione: tipologia, funzioni e connotazioni istituzionali, in Il Valdarno inferiore terra di confine nel Medioevo (Secolo XI-XV), atti del convegno di studi (30 settembre – 2 ottobre 2005), a cura di A. Malvolti e G. Pinto, Firenze 2008, pp. 160161. 20 Repetti, Dizionario, cit., vol. I, p. 101; la campana, con l’iscrizione della data 1372 e dei nomi del donatore, Ser Jacopo d’Appiano, del pievano e degli autori, fu collocata nel Cinquecento sul campanile della chiesa di S. Giovanni Battista a Ponsacco e vi rimase fino al 1823, quando il campanile fu abbattuto per erigerne uno nuovo; la campana fu risistemata nella cella campanaria ma nel 1873 si incrinò in seguito ad un incidente; infine nel 1920 fu definitivamente rimossa e deposta nel Battistero dove si trova ancora oggi, si veda Lupi, M., Noferi, M., Terra di Ponsacco, cit., pp. 76-78. 21 Archivio Arcivescovile di Lucca, Libri antichi, 24, c. 106v.; Leverotti, F., L’organizzazione amministrativa del contado pisano dalla fine del ‘200 alla dominazione fiorentina: spunti di ricerca, in «Bollettino storico pisano», 61, 1992, p. 63. 22 Il villaggio di Ponsacco venne fortificato proprio in questo periodo, visto che nel 1326 era citato ancora come “burgum”; Pescaglini Monti, R., I pivieri di Sovigliana, cit., p. 148. 23 Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali, 2, c. 147. 24 Pescaglini Monti, R., Dalla Valdera alla Valdisola, in La pianura di Pisa e i rilievi contermini. La natura e la storia, a cura di R. Mazzanti, Roma 1994, p. 305. 19

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Repetti, Dizionario, cit., vol. I, p. 38. Pescaglini Monti, R., La plebs e la curtis de Aquis nei documenti altomedievali, in «Bollettino Storico Pisano», 50, 1981, p. 1. 27 Pescaglini Monti, R., La plebs e la curtis de Aquis, cit., pp. 8-9; Caturegli, N., Regesto della Chiesa di Pisa, Roma 1938, n. 98, p. 55. 28 Pescaglini Monti, R., La plebs e la curtis de Aquis, cit., pp. 6-7. 29 Pescaglini Monti, R., La plebs e la curtis de Aquis, cit., p. 5; Archivio Arcivescovile di Lucca, ++ P 23. 26

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L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV) cedette all’abate la metà della sua parte della corte di Aquis e la metà della sua proprietà del castello di Vivaia, che sorgeva su una collina a nord di Casciana Terme30. Con l’estinzione della famiglia dei Cadolingi e il declino del monastero di Morrona, iniziò la spartizione dei loro beni e di conseguenza lo smembramento del loro patrimonio: l’abate di Morrona, al quale Callisto II aveva concesso un privilegio nel 1122, con il quale poneva sotto la protezione apostolica il monastero e gli confermava tutti i beni donati dal fondatore, si contese con il vescovo di Volterra i beni situati in questa zona fino al 1128, quando la lite venne risolta in favore del monastero31. Nel frattempo la chiesa di Pisa, secondo un preciso progetto di espansione nel territorio volterrano e nelle Colline pisane, iniziò ad interessarsi al monastero e nel 1135 l’abate Gerardo vendette all’arcivescovo parte dei beni, compresa la corte di Aqui, il castello di Vivaia e nel 1152 il castello di Montevaso, a sud di Chianni32. Le bolle concesse all’arcivescovo di Pisa Ubaldo da papa Alessandro III nel 1176 e da Innocenzo III nel 1197, confermarono i possedimenti pisani in questa zona di confine tra le diocesi di Lucca e di Volterra, comprendenti Morrona, Pava, Aqui, Sovigliana, Triana, Migliano, Tripalle e Gello, poi ulteriormente confermati dai diplomi imperiali concessi al comune di Pisa da Federico I nel 1162 e da Enrico VI nel 119133. La giurisdizione ecclesiastica rimase pertinenza del vescovo di Lucca, ma quella civile veniva esercitata da Pisa, che intervenne nel 1161 per risolvere una controversia tra il comune di Aqui e l’abate di Morrona e nel 1277, in un’altra controversia dalla quale si ricava che il “communis Balnei de Aquis” era compreso nella capitania delle Colline, prima di diventare esso stesso sede di capitania, come risulta dal Breve Pisani Communis del 131334. L’intero territorio continuò a far parte del contado pisano finchè non venne incorporato tra i domini della Repubblica fiorentina nel 140635. Dell’insediamento medievale, che secondo le fonti non venne mai incastellato, rimane il complesso che comprende la torre di avvistamento, detta “Torre Aquisana” e trasformata in torre campanaria, e alcuni edifici annessi, databile tra la fine dell’XI e l’inizio del XII secolo36. La pieve di S. Maria di Aquis è attestata per la prima volta nell’823 come semplice ecclesia, in un atto di donazione rogato a Pisa37. Nell’840, in un atto di livello redatto a Lucca, è menzionata invece con il titolo di pieve battesimale, per poi scomparire nei documenti fino alla

seconda metà dell’ XI secolo38. Infatti la pieve ricompare in un atto di livello del 1068, dove vengono elencati dieci villaggi pertinenti alla pieve, che compare qui per la prima ed unica volta con la doppia intitolazione a S. Maria e a S. Giovanni Battista39. L’estimo del 1260 indica otto chiese dipendenti, nelle decime del 1275-76 ne compare sono una, in quelle del 1276-77 tre, e infine nelle decime del 1302-03 si ritrovano tutte quelle citate nell’estimo con un’unica eccezione (la chiesa di S. Stefano di Vivaia)40 (fig. 2). Il piviere si espandeva quindi su un territorio assai vasto e i suoi confini non dovettero variare di molto durante il Medioevo, pur trovandosi in una zona di confine molto delicata, tra le diocesi di Lucca, Pisa e Volterra.

30 Alberti, A., I castelli della Valdera, cit., pp. 101-102; Pescaglini Monti, R., La plebs e la curtis de Aquis, cit., p. 8; Caturegli, N., Regesto, cit., n. 230, p. 138. 31 Pescaglini Monti, R., La plebs e la curtis de Aquis, cit., pp. 12-14; Caturegli, N., Regesto, cit., n. 285, p. 180 e n. 307, p. 202. 32 Pescaglini Monti, R., La plebs e la curtis de Aquis, cit., pp. 14-15; Caturegli, N., Regesto, cit., nn. 337-339, pp. 225-226 e n. 425, p. 291. 33 Pescaglini Monti, R., La plebs e la curtis de Aquis, cit., pp. 17-18; Caturegli, N., Regesto, cit., nn. 517 e 617, pp. 362 e 482. 34 Pescaglini Monti, R., La plebs e la curtis de Aquis, cit., pp. 18-19. 35 Repetti, E., Dizionario, cit. vol. I, p. 38. 36 Alberti, A., I castelli della Valdera, cit., pp. 102-103 e figg. 61-62. 37 Memorie e documenti, cit., t. V, parte II, n. 453, p. 272.

38 Memorie e documenti, cit., t. V, parte II, n. 568, p. 339; Pescaglini Monti, R., La plebs e la curtis de Aquis, cit., p. 2; Pescaglini Monti, R., Strade, castelli, chiese, ospedali: viabilità e insediamenti nel basso Valdarno tra la Chiècina e l’Isola, in La via Francigena e il Basso Valdarno. Vie di terra e d’acqua nel Medioevo fra l’Elsa e il mare. Prospettiva della ricerca e primi risultati, atti del seminario di studi (Pisa, 4 dicembre 1996), a cura di M.L. Ceccarelli Lemut e G. Garzella, Pontedera 1998, p.55. 39 Pescaglini Monti, R., La plebs e la curtis de Aquis, cit., p. 2. 40 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 202, 222, 268-269; Tuscia, II, cit., p. 282. 41 San Miniato, il Valdarno Inferiore e la Valdelsa, a cura di R. Roani Villani, Milano 1999, p. 142.

Architettura L’edificio attuale risale al XIX secolo e delle struttre medievali non è rimasta traccia, poichè la chiesa venne restaurata già nel 155341.

Fig. 2. Piviere di Aquis (particolare della carta allegata ai volumi delle Rationes decimarum) ©1932-1942 Biblioteca Apostolica Vaticana

3. Pieve di S. Maria di Barbinaia Note storiche La pieve di S. Maria, le cui rovine si trovano nella località omonima, a sud ovest di San Miniato, ai piedi del colle di Bucciano, vicinissima alla riva destra del torrente Chiecina, è documentata per la prima volta nell’898, in

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3. Repertorio degli edifici frammenti di capitelli e colonne, l’edificio doveva essere piuttosto grande e probabilmente diviso in tre navate52. Successivamente la chiesa, ormai abbandonata e sconsacrata, fu adibita ad uso abitativo insieme alle costruzioni circostanti, la canonica e la torre campanaria, e dalle rovine venne prelevato gran parte del materiale per impiegarlo nella costruzione del campanile della chiesa di Bucciano nel 1874-75 e del ponte sul vicino torrente Chiecina. All’inizio del Novecento la famiglia Lorenzelli, proprietaria della Villa di Bucciano e dei terreni circocostanti, decise di tracciare una nuova strada passante proprio fra le pareti laterali della vecchia chiesa, ma nel frattempo recuperarono i capitelli erratici per custodirli nella loro villa, dove sono rimasti fino al 1996, quando sono stati trasferiti nel Museo Diocesano di Arte Sacra di San Miniato53.

un documento in cui il pievano Rachiprando promette a Pietro vescovo di Lucca di non allivellare i beni della pieve senza il suo consenso42; nel 917 lo stesso vescovo ordina un nuovo rettore della pieve, intitolata a S. Maria e a S. Giovanni Battista43. Un altro documento della stessa tipologia risale al 943, quando il vescovo Corrado ordina come rettore un certo Pietro44. Dal X al XIII secolo abbiamo un vuoto nella documentazione: non sono giunti documenti altomedievali con l’elenco delle villae dipendenti e le chiese suffraganee sono menzionate per la prima volta nell’estimo del 1260, dove ne vengono elencate sette, nelle decime del 1275-77 ne vengono nominate solo tre, in quelle del 1302-03 sette45 (fig. 3). Il declino della pieve fu molto precoce, visto che già nel 1360 risultava disabitata e officiata solo una volta al mese dal rettore della chiesa di Pratiglione46. Nel 1383 fu trovata in rovina durante la visita pastorale, e anche durante la visita successiva, nel 1466, l’edificio risultava ancora in stato di abbandono, privo del tetto, e il battesimo veniva amministrato nella chiesa di S. Regolo di Bucciano47. Probabilmente la pieve subì dei danni quando le guerre tra Pisa e Firenze devastarono gran parte degli insediamenti circostanti durante il XIV secolo. Evidentemente la chiesa non venne mai restaurata, visto che nel 1564 era ancora in rovina e nel 1604 fu trovata in larga parte distrutta e invasa dalla vegetazione48. Nel 1575 fu qualificata come semplice oratorium49, e almeno fino al 1829 sembra che vi si celebrasse ancora una messa al mese, anche se il beneficio della pieve, insieme a quello di altre pievi della zona, era ormai passato al nuovo vescovato di San Miniato nel 162250. Il Repetti la trovò ridotta a semplice oratorio, dipendente direttamente dalla cattedrale di San Miniato51. Nel 1860 il Donati visitò le rovine della chiesa, riferendo che erano rimaste in piedi alcune porzioni delle pareti laterali e della zona absidale, e che a giudicare dalla quantità e dalla qualità del materiale erratico ancora presente nella zona circostante, costituito da blocchi ben squadrati e

Architettura Sulla base delle testimonianze degli abitanti più anziani, raccolte dagli storici locali, e dei resti di alcune pareti e di alcune colonne e capitelli, fu ipotizzato l’aspetto originario della chiesa, che doveva presentare tre navate e tre absidi e la facciata rivolta verso la vallata del torrente Chiecina54. All’inizio del secolo scorso una famiglia di contadini si insediò nell’edificio occupando la costruzioni adiacenti alla vecchia pieve, la canonica, addossata sul fianco destro della chiesa, e una torre, costruita sul fianco sinistro e datata tra il XII e il XIII secolo. A quest’epoca erano quindi sopravvissuti parte del fianco destro, inglobato nella casa, e parte del fianco sinistro, mentre la zona absidale ricordata dal Donati era semidistrutta e anche il tetto era sparito. Oggi il complesso è in completo stato di abbandono e invaso dalla vegetazione, e il continuo riuso delle strutture, le demolizioni e gli ampliamenti successivi le rendono difficilmente leggibili. Tuttavia tra le rovine sono ancora individuabili frammenti di murature antiche, distribuiti su due setti murari paralleli e distanti tra loro circa 13 metri, corrispondenti ai due fianchi laterali dell’antica pieve. Il fianco destro, che era stato inglobato nell’abitazione, ha la superficie corrispondente all’esterno della casa intonacato e coperto da una fitta vegetazione, mentre quella interna alla casa, corrispondente alla parete esterna della chiesa, presenta un paramento in conci di arenaria squadrati e spianati di notevoli dimensioni, disposti in filari orizzontali regolari55. Anche sul fianco sinistro si ritrova lo stesso paramento in pietra e ad esso, sul lato occidentale, si lega un altro muro, perpendicolare e realizzato in laterizio, che è stato interpretato come parete settentrionale della torre campanaria56. Su quest’ultimo tratto di muratura originale si possono ancora distinguere gli archivolti di due archi a tutto sesto, databili non oltre il XIII secolo. Il primo arco, di maggiore ampiezza, forse apparteneva ad un portale

42 Archivio Arcivescovile di Lucca, ++ K. 86; Memorie e documenti, t. V, parte II, n. 1017, p. 627; Dini, Dietro i nostri secoli, p. 35 e nota 19. 43 Archivio Arcivescovile di Lucca, * L. 38; Memorie e documenti, t. V, parte III, n. 1174, p. 94. 44 Archivio Arcivescovile di Lucca, * E. 84; Memorie e documenti, t. V, parte III, n. 1298, pp. 198-199; Lotti, D., Materiali per la Pieve di Santa Maria Vergine e San Giovanni Battista di Barbinaia, in San Miniato nel tempo. Catalogo della Mostra (San Miniato, 20 giugno – 30 settembre 1981), a cura di D. Lotti, Pisa 1981, p. 54. 45 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 202, 220, 271; Tuscia, II, cit., p. 278. 46 Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali, 1, c. 130; Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 87. 47 Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali, 2, c. 132v. e Visite pastorali, 9, cc. 284-285. 48 Coturri, E., Note di storia relative alla Pieve di Berbinaia, in «Bollettino dell’Accademia degli Euteleti», 51, 1984, pp. 65-67; Ducci, A., Badalassi, L., Tesori medievali nel territorio di San Miniato, Pisa 1998, p. 36. 49 Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali, 26, c. 257v.; Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 87. 50 Coturri, E., Note di storia, cit., p. 67; Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 87. 51 Repetti, E., Dizionario geografico fisico storico della Toscana, Firenze 1833-1846, vol. I, p. 272.

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Donati, I., Memorie e documenti per la storia di Montopoli: da un manoscritto dell’Avv. Ignazio Donati dell’anno 1860 donato dall’autore al comune di Montopoli, Montopoli Val d’Arno 1905, rist. anast. Pontedera s. d., p. 445. Già nella relazione della visita pastorale del 1604 si specificava che la chiesa aveva tre navate. 53 Dini, F., Dietro i nostri secoli, cit., pp. 41-42. 54 Dini, F., Dietro i nostri secoli, cit., pp. 41-42. 55 Ducci, A., Badalassi, L., Tesori medievali, cit., p. 36. 56 Dini, F., Dietro i nostri secoli, cit., p. 42.

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L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV) ora tamponato, e presenta curve non concentriche, con una ghiera di cunei arrotati disposti per fascia, circondata da una cornice decorata con un motivo a zig-zag tra due filari di elementi curvilinei anch’essi arrotati; il secondo arco, di minori dimensioni e quasi in asse con l’arco sottostante, doveva far parte di una monofora, non presenta motivi decorativi ma solo una ghiera composta da cunei arrotati. Il motivo a zig-zag è uno dei più frequenti nell’area del Valdarno e della Valdelsa e in ambito lucchese rientra nelle decorazioni del primo gruppo, riferibile a un periodo compreso tra la metà del XII e il XIII secolo57. Tra i numerosi esempi simili possiamo citare le bifore dell’abbazia di S. Salvatore a Fucecchio, i portali delle chiese dei SS. Tommaso e Prospero a Certaldo, dei SS. Lorenzo e Leonardo a Castelfiorentino e dei SS. Iacopo e Stefano a Gambassi, le monofore sulle pareti laterali della cattedrale di San Miniato e della collegiata di San Gimignano e la finestra tamponata della vicina chiesa di S. Lucia di Montebicchieri. Nel Museo Diocesano di Arte Sacra di San Miniato si conservano alcune basi delle colonne, alcuni capitelli e l’archetto di una monofora58. Si tratta di elementi monolitici in arenaria, decorati con motivi aniconici: le basi delle colonne presentano un motivo a canestro, composto da un intreccio di funi e ovuli di derivazione classica59; l’archetto monolitico della monofora presenta una decorazione su due ordini sovrapposti, un motivo a cordone associato a una serie di dentelli scavati nella pietra.

4. Pieve di S. Bartolomeo di Capannoli Note storiche La pieve di S. Bartolomeo venne istituita nel 1385 e le furono sottoposte l’antica pieve di Padule, ormai abbandonata e in rovina, e la chiesa di S. Lucia di Capannoli60. L’edificio venne costruito con materiale ricavato dalle rovine dell’antica pieve, al di fuori delle mura del castello, di cui si possono ancora intuire le tracce nell’attuale assetto urbanistico61. Delle strutture medievali non resta nulla poichè la chiesa venne radicalmente restaurata in stile neoclassico a metà Ottocento62. 5. Pieve di S. Michele di Cigoli (già suffraganea della pieve di Fabbrica) Note storiche La località è documentata a partire dall’86763, mentre il castello è menzionato per la prima volta nel 1086 e ricompare in un documento del 1191 tra i beni dell’Abbazia di S. Salvatore di Fucecchio64. Alla fine del XII secolo quello di Cigoli era ancora un piccolo castello, ma era destinato a diventare un fortilizio importante e a costituire un piccolo comune che sopravvisse fino al XVIII secolo, quando venne inglobato nel comune di S. Miniato65. A partire dal 1231 è documentata la località “Ceule Vecchio”, a testimoniare l’esistenza di un nucleo abitato antico diverso dal castello vero e proprio e da localizzare presso la Villa di Castelvecchio, a nord di Cigoli66. Il castello di Cigoli viene ricordato nel Diario di Ser Giovanni di Lemmo da Comugnori, poiché nel 1313 i Pisani, che combattevano contro i Sanminiatesi, lo conquistarono, anche se per breve tempo, visto che poco dopo San Miniato riuscì a riprenderlo. Già nel 1313 i Pisani attaccarono di nuovo il territorio sanminiatese sotto il comando del condottiero Uguccione della Faggiola, devastando le campagne circostanti e riconquistando Cigoli, assediato a partire dall’aprile del 131567, ma anche questa volta il loro dominio ebbe breve durata perchè il 21 luglio 1317 i Sanminiatesi assediarono il castello e se ne impossessarono definitivamente fino al 1370, anno in cui passò alla Repubblica Fiorentina, che vi

60 Archivio Arcivescovile di Lucca, Libri antichi, 36, c. 92v.; Morelli, P., La bassa Valdera, in La pianura di Pisa e i rilievi contermini. La natura e la storia, a cura di R. Mazzanti, Roma 1994, p. 292. 61 Leverotti, F., L’organizzazione amministrativa del contado pisano dalla fine del ‘200 alla dominazione fiorentina: spunti di ricerca, in «Bollettino storico pisano», 61, 1992, p. 65, nota 116. 62 La dedicazione avvenne nel 1865 (Archivio Vescovile di San Miniato, Atti Beneficiali, n. 40): Morelli, P., La bassa Valdera, cit., p. 293; San Miniato, il Valdarno Inferiore e la Valdelsa, a cura di R. Roani Villani, Milano 1999, p. 124. 63 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 85. 64 Vanni Desideri, A., Villaggi abbandonati e pievi tra guerre e pandemia: nota archeologica per la storia del castello di Cigoli nel Valdarno Pisano, in «Archeologia Medievale», 36, 2009, p. 232. 65 Dini, F., Dietro i nostri secoli, p. 103. 66 Vanni Desideri, A., Villaggi abbandonati, cit., p. 232. 67 Davidsohn, R., Storia di Firenze, cit., vol. IV, pp. 794-795; Vanni Desideri, A., Villaggi abbandonati, cit. p. 235.

Fig. 3. Piviere di Barbinaia (particolare della carta allegata ai volumi delle Rationes decimarum) ©1932-1942 Biblioteca Apostolica Vaticana

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Lucca medievale: la decorazione in laterizio, a cura di C. Baracchini, G. Fanelli, R. Parenti, Lucca 1998, pp. 52-53; Barbucci, F., Campani, F., Giani, B., Motivi e tecniche decorative in cotto nell’architettura romanica del medio Valdarno Inferiore, in «Erba d’Arno», 51, 1993, pp. 37-54. 58 Dini, F., Dietro i nostri secoli, cit., fig. pp. 14 e 43. 59 Ducci, A., Badalassi, L., Tesori medievali, cit., p. 36.

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3. Repertorio degli edifici In seguito alla soppressione dell’ordine degli Umiliati, nel 1579 papa Pio V unì la propositura di Cigoli a quella della chiesa di S. Torpè di Pisa, ma successivamente il proposto di Cigoli, Pietro Usimbardi, la concesse all’ordine di S. Francesco di Paola e fece restaurare la chiesa, la canonica e la piazza a proprie spese77.

stabilì la residenza di un podestà, con giurisdizione su Montebicchieri, Stibbio e Leporaia68. La chiesa di S. Michele era stata eretta all’interno del castello probabilmente già alla fine del XII secolo69. Nell’oratorio della compagnia della Vergine, attiguo alla chiesa di S. Michele, era conservata un’immagine miracolosa della Madonna molto venerata e con gli anni il castello di Cigoli divenne un importante centro di devozione mariana. Nel 1333 nacque una lite tra la confraternita e il rettore di S. Michele riguardo alla destinazione delle offerte lasciate dai pellegrini70. Alla fine, dopo numerosi tentativi di mediazione, nel 1335 la compagnia donò l’immagine mariana e le offerte ai frati umiliati del convento fiorentino di Ognissanti, i quali ricevettero anche il patronato della chiesa di S. Michele, la fecero restaurare e nel 1339 costituirono un proprio convento a Cigoli71. Solo nel 1383 il vescovo di Lucca concesse agli Umiliati di amministrare i sacramenti, che fino a quel momento erano stati ancora prerogativa del rettore di S. Michele72. Nel 1381 gli Umiliati commissionarono a Neri di Fioravante un’edicola gotica per ospitare l’immagine mariana, una scultura lignea risalente alla prima metà del XIV secolo, e la fecero collocare sulla parete di fondo della navata sinistra della chiesa, dove si trova ancora oggi73. Nel 1451 avvenne il miracolo che la rese conosciuta come Madonna dei Bimbi: venne resuscitato il figlio di una donna di Treggiaia74. Nel 1372 alla chiesa di S. Michele fu concesso il fonte battesimale, viste le pessime condizioni in cui si trovava la pieve di Fabbrica, ormai distrutta e abbandonata in seguito alle guerre e alla peste del 134875. Il beneficio della pieve di Fabbrica venne poi unito a quello della chiesa di Cigoli nel 1447 dal vescovo di Lucca Baldassarre Manni76. Negli stessi anni alla prepositura di Cigoli vennero unite anche le chiese di S. Salvatore in Piaggia e di S. Pietro di Leporaia. Con la crisi del XIVXV secolo quindi il convento degli Umiliati si consolidò, accumulando una discreta quantità di benefici ed assicurandosi delle buone entrate.

Architettura La chiesa ha subito numerosi interventi che ne hanno profondamente mutato l’assetto originario già a partire dall’insediamento degli Umiliati nel 1355 e soprattutto con i restauri promossi dal proposto Usimbardi durante la seconda metà del XVI secolo. L’edificio è stato restaurato nel dopoguerra e più recentemente, nel 1990, sono stati ripristinati la facciata e il muro in laterizi del terrapieno. Dell’edificio più antico si è conservato forse solo l’impianto a tre navate, ma i pilastri in cemento hanno sostituito le colonne antiche. La navata centrale è coperta con capriate lignee mentre le navate laterali, affrescate in stile neogotico, anticamente erano coperte con volte a crociera. Recentemente sono venuti alla luce affreschi quattrocenteschi nella Cappella della Madonna. Forse le uniche testimonianze romaniche sopravvissute sono il piccolo bassorilievo con S. Michele che schiaccia il demonio, murato nel primo pilastro destro, e un capitello appoggiato sul pavimento, presso l’altare, trasformato in una base per una croce astile78. 6. Pieve di S. Giovanni di Corazzano Note storiche La pieve di Corazzano è ricordata a partire dall’892 in un atto di livello79, ma il toponimo Quaratiana compare già nel 79080, e la sua origine prediale probabilmente attesta la continuità dell’insediamento dall’età classica81. Nell’VIII secolo, in questa località, situata a 5 km a sud est di San Minato, in Val d’Egola, il vescovo di Lucca possedeva una curtis e vi risiedeva un gastaldo82. La pieve compare nuovamente in un atto di livello del 983, con il quale veniva concessa ai signori di San Miniato la podestà sulla pieve e in cui sono elencate anche le venti villae dipendenti: il vescovo Teudegrimo affitta ai signori di San Miniato la metà di tutti i beni e delle rendite della pieve83. Nel privilegio imperiale del 1020 Corazzano compare tra le curtes dell’abbazia di Sesto84. Nell’estimo del 1260 vengono elencate tredici chiese suffraganee, che sono sostanzialmente riconfermate nelle decime del

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Galli Angelini, F.M., Cigoli e il suo santuario, San Miniato al Tedesco 1911, a cura di G. Taddei, S. Croce sull’Arno 1989, pp. 25-32; Davidsohn, R., Storia di Firenze, cit., vol. IV, p. 827. 69 Morelli, P., Per una storia delle istituzioni parrocchiali nel basso medioevo: la prepositura di S. Maria e S. Michele di Cigoli e la pieve di S. Giovanni di Fabbrica, in Pievi e parrocchie in Italia nel basso Medioevo (sec. XIII-XV), Atti del VI Convegno di Storia della Chiesa in Italia (Firenze 21-25 settembre 1981), Roma 1984, p. 776. 70 Morelli, P., Per una storia delle istituzioni parrocchiali, cit., pp. 776778. 71 L’anno prima gli stessi frati di Firenze ricevettero dai cittadini di San Miniato i diritti di patronato della chiesa di S. Martino di Fagognana, per risolvere le liti nate per l’elezione del nuovo rettore. Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., pp. 85-86; Archivio Arcivescovile di Lucca, Diplomatico ++ K 90. 72 Morelli, P., Per una storia delle istituzioni parrocchiali, cit., p. 786. 73 Visibile pregare. Arte sacra nella Diocesi di San Miniato, a cura di R.P. Ciardi, Pisa 2000, p. 101. 74 Visibile pregare, cit., p. 101. 75 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 86; Archivio Arcivescovile di Lucca, Libro antico 28, c. 40. 76 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 86; Archivio Arcivescovile di Lucca, Libro antico 61, c. 201 v.; Visibile pregare, cit., p. 101.

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Angelini, F.M., Cigoli e il suo santuario, cit. p. 52. Visibile pregare, cit., p. 101. 79 Memorie e documenti, cit., t. V, p. II, n. 981; Baldacci, M., Donati, J., La pieve di San Giovanni a Corazzano, in «Erba d’Arno», 34, 1988, p. 41. 80 Repetti, E., Dizionario geografico fisico storico della Toscana, Firenze 1833-1846, vol. I, p. 796; Dini, F., Dietro i nostri secoli. Insediamenti umani in sei comuni del Valdarno Inferiore nei secoli VIIIXIII, Santa Croce sull’Arno 1979, p. 62. 81 Deriverebbe da “Quadratus”, cfr. Pieri, S., Toponomastica della Valle dell’Arno, Roma 1919, p. 177. 82 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità fra Medioevo ed età moderna nei dintorni di San Miniato, in Le Colline di S.Miniato (Pisa). La natura e la storia, San Miniato 1997, p. 87. 83 Memorie e documenti, cit., t. V, p. III, n. 1568, p. 453. 84 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 100. 78

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L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV) Architettura L’edificio attuale sorge sulla sommità di un colle, ad una certa distanza dal centro abitato, probabilmente sul luogo dell’antica pieve documentata dal IX secolo. Nel corso dei secoli ha subito diversi interventi, come l’addossamento di alcune costruzioni sul fianco meridionale, alcune manomissioni e restauri. Nel 1979 furono intrapresi alcuni interventi di restauro promossi dalla Sovrintendenza di Pisa, che hanno provveduto al ripristino delle capriate e della copertura, ma anche al consolidamento strutturale, con la costruzione di sottofondazioni in cemento armato per arrestare il movimento franoso e risolvere i problemi di ordine statico92. Durante i lavori, con la distruzione del pavimento, erano venute alla luce le fondamenta dell’antica chiesa, comprese all’interno del perimetro dell’edificio attuale, mentre all’esterno di questo perimetro era stato scoperto un ipotetico basamento di colonna, che era stato interpretato come un elemento facente parte di un atrio che forse completava l’antica chiesa, ma non fu possibile verificare tale ipotesi93. L’impianto è a navata unica con transetto sporgente e abside semicircolare, per una lunghezza complessiva di circa 23 metri, muri perimetrali inclusi e abside esclusa, e una larghezza di circa 8 metri. Sul braccio sinistro del transetto si eleva la torre campanaria, che con la merlatura aggiunta nel XIX secolo raggiunge i 23 metri di altezza94. Sulla facciata a capanna, inquadrata da due lesene angolari e da un coronamento semplice sorretto da mensolette, viene messo in risalto soprattutto l’asse centrale e viene accentuato lo slancio verticale (tav. 17). Infatti troviamo un portale sormontato da una bifora in asse, secondo uno schema molto diffuso nella zona della Valdelsa95, e anche le lesene angolari in facciata non sono rare in questa zona96. Il portale, leggermente rilevato rispetto al paramento della facciata97, è molto semplice e presenta i due fianchi smussati, l’architrave in pietra e un arco a tutto sesto, rimaneggiato in epoca successiva, con una cornice in laterizi privi di decorazioni, una ghiera composta da laterizi graffiati disposti per fascia e una ghiera minore ricassata realizzata con laterizi disposti per testa. L’imposta sinistra dell’arco è realizzata con un frammento di epigrafe romana, mentre quella destra è stata tamponata con il cemento durante i restauri. Sotto all’imposta sinistra è inserito un capitello quadrangolare

1302-03, con l’eccezione di S. Michele di Castello, SS. Cristoforo e Jacopo di Scopeta e S. Lorenzo di Casale, ma con l’aggiunta di S. Vincenzo di Caselle e S. Anastasio85. Il piviere comprendeva un territorio modesto, lungo la valle dell’Egola, stretto tra il piccolo piviere di Barbinaia e quello di San Miniato, sul confine con la diocesi di Volterra (fig. 4). Tuttavia, in base a quanto possiamo ricavare dalla lettura dell’estimo del 1260, era uno dei pivieri più ricchi della zona, con una rendita stimata di 600 lire, inferiore solo a quella di San Genesio, di 750 lire. Quando il piviere entrò a far parte della diocesi di San Miniato nel 1622, comprendeva ormai solo cinque suffraganee, ancora esistenti: S. Pietro di Balconevisi, con l’annesso S. Jacopo di Scopeto, SS. Vito e Modesto di Collegalli, S. Andrea di Corliano, S. Lucia di Cusignano e S. Germano di Moriolo86. Alcuni studiosi hanno ipotizzato che la mansione indicata dall’arcivescovo di Canterbury Sigeric come “Sce Petre Currant”, inserita subito dopo Santa Maria a Chianni e subito prima di San Genesio, sarebbe da identificare con Corazzano87. Tuttavia Moretti e successivamente Stopani hanno respinto questa ipotesi, osservando che la pieve di Corazzano si trovava fuori dalla direttrice Fucecchio – San Genesio e che il toponimo si riferirebbe invece alla pieve di San Pietro di Coiano88. Dal XIV secolo inizia una fase di decadenza, dovuta al susseguirsi di carestie ed epidemie, ma anche ai ripetuti scontri tra Pisa, Firenze e Lucca. La pieve riesce a sopravvivere ma rimane isolata in un territorio sempre più spopolato. Nel 1383 risultava amministrata dal rettore della chiesa di Balconevisi, quindi priva di un rettore proprio e officiata solo saltuariamente, probabilmente solo nel giorno del santo titolare e nella notte del Sabato santo per la benedizione del fonte battesimale89. Nel resoconto della visita pastorale del 1466 si confermava l’assenza del pievano e si specificava che la pieve veniva officiata soprattutto per la festa della dedicazione, il 10 marzo. Nel 1491 la pieve venne annessa al Capitolo della Metropolitana di Firenze, rimanendovi fino agli inizi del secolo scorso, pur entrando a far parte della nuova circoscrizione diocesana di San Miniato nel 162290. Nella relazione della visita pastorale del 1683 si dà notizia della visita di papa Martino V (1417 – 31), il quale consacrò l’altare maggiore e donò alla pieve una pianeta con le insegne gentilizie91.

92 Baldacci, M., Donati, J., La pieve di San Giovanni a Corazzano, cit., p. 44. 93 Dini, F., Dietro i nostri secoli, cit., pp. 43-44. 94 Baldacci, M., Donati, J., La pieve di San Giovanni a Corazzano, cit., p. 44. 95 Ritroviamo questo schema sulle pievi coeve dei SS. Pietro e Paolo a Coiano, di S. Ippolito a Castelfiorentino, di S. Giovanni a Monterappoli, sulla collegiata dei SS. Lorenzo e Leonardo di Castelfiorentino, sulla chiesa dei SS. Tommaso e Prospero a Certaldo, e sulla cattedrale di San Miniato, dove lo schema di base è stato sviluppato anche sugli assi minori. 96 Le lesene angolari sono presenti nella pieve di Monterappoli e nella collegiata di Castelfiorentino, ma anche nella pieve di Castelfiorentino e nella chiesa dei SS. Tommaso e Prospero Certaldo 97 La stessa soluzione è applicata nella facciata della pieve di Monterappoli e in quella della collegiata di Castelfiorentino, dove però la superficie rialzata prosegue fino ad includere anche la bifora.

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Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 202, 221, 271; Tuscia, II, cit., p. 280-281. 86 Repetti, E., Dizionario, cit., vol. I, p. 796. 87 Tra questi D. Sterpos, Comunicazioni stradali attraverso i tempi, Firenze-Roma, Roma 1964, p. 35. 88 Moretti, I., La via Francigena in Toscana, in «Ricerche Storiche», 7, 1977, n. 2, pp. 383-406, p. 394, nota 32; Stopani, R., La via Francigena in Toscana, cit., p. 28, nota 26; Pieri, S., Toponomastica della valle dell’Arno, Roma 1919, pp. 140, 177. 89 Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali, 2, c. 133; Baldacci, M., Donati, J., La pieve di San Giovanni a Corazzano, cit., p. 42. 90 Archivio capitolare di Firenze, Pergamena 391; Baldacci, M., Donati, J., La pieve di San Giovanni a Corazzano, cit., p. 42. 91 Baldacci, M., Donati, J., La pieve di San Giovanni a Corazzano, cit., p. 42.

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3. Repertorio degli edifici collocati in modo sparso sul paramento99. Sulla superficie muraria si notano diverse discontinuità, probabilmente dovute a problemi di ordine statico100. Il campanile, impostato sul braccio sinistro del transetto, a base rettangolare, presenta uno zoccolo in pietra, costituito da conci squadrati e perfettamente spianati, e un rivestimento in laterizi uniforme con il resto dell’edificio101. Nella parte terminale si aprono due finestroni sui lati lunghi e una, di grandi dimensioni, sui lati corti, e sul lato occidentale, più in basso, si trova un’altra monofora di dimensioni minori. L’alto zoccolo in pietra prosegue anche nella zona absidale, dove troviamo dei laterizi arrotati e graffiati che sembrano diversi da quelli impiegati nel resto dell’edificio, avendo superfici più lisce e graffiature più fitte102.

in pietra, con l’angolo leggermente smussato, identico a quello presente sull’altro stipite, ricollocato più in basso durante il rimontaggio del portale. Ai lati del portale si notano le tracce di una tettoia, quattro buche tamponate e i segni obliqui degli spioventi. Dalle imposte dell’arco partono due sottili lesene che si interrompono all’altezza della cornice marcapiano, delimitando uno spazio rettangolare tra il portale e la bifora soprastante (tav. 18). All’interno di questa porzione della facciata troviamo gli unici elementi decorativi: il frammento di un fregio romano, disposto in verticale, probabilmente un recupero archeologico al pari del frammento di epigrafe98, e un rombo con triplice ricassatura, tipico elemento di ascendenza pisana ma che si ritrova anche nella cattedrale di San Miniato. Nella zona superiore della facciata si apre una bifora che presenta gli stipiti ricassati, un arco a tutto sesto con una cornice formata da semplici laterizi disposti per fascia, privi di motivi decorativi, e una colonnetta con capitello, entrambi in marmo. Sul paramento murario, a metà altezza circa, si distinguono chiaramente due filari in mattoni ferretti, dal colore più scuro, che attraversano tutta la facciata in senso longitudinale: il filare superiore è continuo ed è interrotto al centro dal fregio marmoreo, quello inferiore è realizzato con mattoni scuri intervallati da mattoni normali, tutti disposti per testa, inoltre alcuni mattoni ferretti sono distribuiti in modo irregolare tra i due filari, soprattutto intorno al fregio. All’altezza delle imposte dell’arco del portale è inserito un filare in pietra, che continua anche sulle lesene angolari, in netto contrasto con il paramento in laterizi. I mattoni impiegati nella zona inferiore e centrale della facciata sono arrotati e graffiati ad unico senso, dalle dimensioni e dal colore uniforme, ma ci sono numerosi rimaneggiamenti nel paramento, soprattutto nell’area intorno al portale e al rombo gradonato. Nella zona superiore della facciata invece sono impiegati semplici laterizi, privi di arrotatura e graffiature.

Nella zona absidale sono presenti tre aperture, due monofore laterali di minori dimensioni, di cui la sinistra poco leggibile perchè manomessa, e una monofora più grande al centro dell’abside (tav. 19). Tutte e tre presentano la stessa ricassatura negli stipiti e nell’arco a tutto sesto e lo stesso listello arrotondato103, ma solo la monofora centrale ha l’archivolto decorato: la ghiera, realizzata con cunei disposti per testa, è circondata da una cornice costituita da elementi curvilinei decorati con una fuga di quadrati ruotati di 45 gradi con bordino di contorno esterno104. Il coronamento dell’abside semicircolare è costituito da elementi disposti per fascia con ricassatura, associati ad un listello arrotondato. Nella parte superiore della tribuna si trova una feritoia a forma di croce, elemento molto ricorrente in Valdelsa, presente spesso nella zona absidale, come nella canonica dei SS. Jacopo e Filippo a Certaldo, nella canonica di S. Pietro a Marcignana e nella pieve di Sant’Ippolito e Biagio a Castelfiorentino, oppure in facciata, come nel duomo di San Minato, nella collegiata dei SS. Lorenzo e Leonardo a Castelfiorentino, nella pieve di Santa Maria Assunta a Cellole, o addirittura

Il fianco sinistro è suddiviso da sette lesene molto sottili, di 26 cm circa di spessore, che non raggiungono la sommità della parete ma si interrompono a mezza altezza circa, dall’aspetto simile a quelle presenti sul fianco della collegiata dei SS. Lorenzo e Leonardo di Castelfiorentino, dove però sono collegate in alto da una sequenza di archetti. Sull’intera superficie è presente una sola apertura, una piccola monofora strombata, priva di cornice. Anche sul paramento murario del fianco sinistro, realizzato con laterizi arrotati e graffiati, si notano alcuni mattoni ferretti, distribuiti in modo irregolare: alcuni, intervallati da mattoni normali, sono inseriti in un filare che corre appena sopra la terminazione delle prime cinque lesene, interrompendosi quindi poco dopo la metà dell’intera parete, alla stessa altezza del filare presente in facciata; altri, di colore leggermente più chiaro, sono

99 La superficie di questi mattoni ferretti è molto irregolare e sembra quasi che siano stati scolpiti, come se in origine fossero stati sporgenti e successivamente fossero stati tagliati. La loro interpretazione risulta quindi molto incerta, così come è difficile spiegare l’interruzione delle lesene a questa altezza. Potremmo ipotizzare con molta cautela che l’altezza originale dell’edificio corrispondesse a quella delle lesene, sulle quali sarebbe stato impostato un coronamento che comprendeva i mattoni ferretti, ma in questo modo l’edificio sarebbe stato forse troppo basso. 100 Infatti, in corrispondenza di queste lesioni, sono stati aggiunti due contrafforti. 101 Il rapporto stratigrafico tra il campanile e la navata mi sembra di difficile interpretazione a causa dei successivi rimaneggiamenti. 102 Secondo alcuni autori infatti l’abside sarebbe da attribuire a maestranze diverse, intervenute nello stesso periodo e poco dopo, per la diversità dei materiali e delle finiture, si veda: Campani, F., Giani, B., Motivi e tecniche decorative in cotto, cit., p. 40. 103 Questa tipologia di monofora si ritrova sul fianco sinistro della canonica di Marcignana, anch’essa ricassata e dotata di listello a sezione circolare, elemento quest’ultimo che ricorre abbastanza spesso in Valdelsa, per esempio nelle pievi di Monterappoli e di Castelfiorentino, e nella canonica di S. Stefano a Linari, si veda: Chiese medievali della Valdelsa, 1, cit., tav. 20. 104 Il motivo geometrico a Lucca viene riferito al periodo compreso tra la metà del secolo XII e quella del XIII, ma i bordini di contorno sono considerati tra le novità introdotte dalla metà del XIII secolo in poi, si veda: Lucca medievale: la decorazione in laterizio, cit., pp. 52-54.

98 Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., p. 47, 52 nota 31; Baldacci, M., Donati, J., La pieve di San Giovanni a Corazzano, cit., p. 44. È stato ipotizzato che i due elementi di spoglio furono ricavati dalla pieve più antica e che potrebbero essere stati inseriti in un secondo momento rispetto alla costruzione dell’edificio: Dini, F., Dietro i nostri secoli, cit., p. 44.

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L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV) in entrambi i luoghi, come nella pieve di San Giovanni Evangelista a Monterappoli. Il fianco destro della pieve non è visibile per la presenza di alcuni edifici annessi: una costruzione addossata al braccio destro del transetto e disposta ortogonalmente alla pieve, adibita a canonica, alla quale fu aggiunta all’inizio del secolo scorso una casa colonica. Le tracce di alcune finestrelle strette ad arco su due ordini, le capriate della copertura e i forti spessori murari, hanno fatto ipotizzare che si tratti dell’antica canonica, presente già alla fine del XII secolo105. Infatti dalle visite pastorali del 1345 e del 1466 si è dedotto che dalla fine del XII secolo la pieve assolveva anche funzioni canonicali106. L’edificio si inserisce perfettamente nel contesto dell’architettura in cotto dell’area valdelsana, con il tipico schema del portale con la bifora in asse e alcuni elementi ricorrenti (lesene angolari, rombi gradonati, feritoia a forma di croce, mattoni graffiati), ma presenta alcune particolarità: l’uso molto limitato di motivi decorativi in cotto, impiegati solo nella monofora absidale, l’inserimento di mattoni ferretti in filari, a creare un originalissimo effetto cromatico, il reimpiego di elementi marmorei frammentari, unico caso in tutta la zona, la forma delle monofore e della bifora in facciata, che presentano tutte gli stipiti ricassati e non strombati. Inoltre anche dal punto di vista icnografico, l’impianto a croce latina con transetto sporgente risulta insolito in questa zona, dove le pievi hanno più spesso una pianta basilicale a tre navate (Coiano) o, ancora più frequentemente, una navata unica (Monterappoli, Castelfiorentino, Santa Croce, Castelfranco). Sulla base di queste affinità con gli altri edifici valdelsani, la pieve era stata datata dalla Cristiani Testi alla seconda metà del XII secolo107.

Fig. 4. Piviere di Corazzano (particolare della carta allegata ai volumi delle Rationes decimarum) ©1932-1942 Biblioteca Apostolica Vaticana

7. Pieve dei Ss. Michele e Stefano di Crespina (già suffraganea della pieve di Triana) Note storiche La località compare nell’atto di livello del 983 che elencava i villaggi del piviere di Triana, e nel 1119 in un documento che riguarda la donazione all’arcivescovo di Pisa di alcune terre situate in questa zona108. Durante la guerra tra Pisa e Lucca nel 1165 la chiesa di Crespina venne occupata dai Pisani, ma con la pace del 1175 fu restituita al vescovo di Lucca109. Entrata a far parte del territorio pisano, negli statuti del 1286 Crespina è menzionata tra le località facenti parte del distretto delle Colline Inferiori e venne coinvolta nella guerra tra Pisa e Firenze, subendo distruzioni e saccheggi, fino a quando Firenze conquistò definitivamente il borgo nel 1406110. La chiesa di S. Michele, attestata per la prima volta nel 1115, ricevette la dedicazione a S. Stefano quando le furono uniti i benefici della chiesa di S. Stefano a Carpineto111 e nel 1384 ottenne il fonte battesimale112. Nell’estimo del 1260, nelle decime del 1276-77 e in quelle del 1302-03, la chiesa è menzionata già con la doppia intitolazione a S. Michele e a S. Stefano113. Nel 1413 le venne unita la chiesa S. Lucia di Crespina, e successivamente le vennero unite anche le chiese dei SS. Jacopo e Cristoforo di Tripalle nel 1450 e quella di Volpaia nel 1459.

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Pescaglini Monti, R., Dalla Valdera alla Valdisola, cit., p. 311; Memorie e documenti, cit., t. V, parte III, n. 1564, p. 449; Repetti, Dizionario, cit., vol. I, p. 833. 109 Caciagli, G., Pisa, cit., vol. 4, p. 412 110 Caciagli, G., Pisa, cit., vol. IV, pp. 413-416. 111 Caciagli, G., Pisa, cit., vol. IV, p. 412. 112 Pescaglini Monti, R., Dalla Valdera alla Valdisola, cit., p. 314; Ronzani, M., Definizione e trasformazione di un sistema di inquadramento ecclesiastico, cit., p. 121; Archivio Arcivescovile di Lucca, Libri antichi, 36, c. 20r., 15 febbraio 1384. 113 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 201, 221, 267; Tuscia, II, cit., p. 281.

105 Baldacci, M., Donati, J., La pieve di San Giovanni a Corazzano, cit., p. 43. 106 Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali, 9, c. 315; Baldacci, M., Donati, J., La pieve di San Giovanni a Corazzano, cit., p. 42. 107 Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., pp. 46-48; Baldacci, M., Donati, J., La pieve di San Giovanni a Corazzano, cit., p. 41; Barbucci, F., Campani, F., Giani, B., Motivi e tecniche decorative in cotto, cit., p. 40; Ducci, A., Badalassi, L., Tesori medievali nel territorio di San Miniato, Pisa 1998, pp. 79-82.

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3. Repertorio degli edifici ristrutturarla, il fonte battesimale passò alla chiesa di S. Michele di Cigoli nel 1372122, ma solo nel 1447 il vescovo unì ad essa il beneficio dell’antica pieve123, mentre il titolo plebano venne trasferito ufficialmente con una bolla papale nel 1579124. Le vicende che interessarono la pieve tra il XV e il XVI furono assai contorte: se negli atti della visita pastorale del 1450 risultava ancora unita al convento di Cigoli, dieci anni dopo i Capitani di Parte Guelfa di Firenze, patroni della pieve, nominarono un nuovo pievano, che però nella visita del 1466 si dichiarò senza obblighi di cura d’anime, essendo questa esercitata dagli Umiliati; nella visita del 1564 la pieve risulta “sine cura” e in quella del 1575 il proposto di Cigoli, dichiarandosi non tenuto alla cura d’anime, denunciava la situazione controversa che si era creata e che non venne comunque risolta in quell’occasione125. L’antica pieve rimase in uso come cappella annessa alla parrocchia di Cigoli fino al XVIII secolo, poiché compare nella visita pastorale del 1782, ma non in quella del 1814 e nelle successive126. Nell’estimo del 1260 sono censite diciannove chiese dipendenti e un monastero. Nelle decime del 1275-76 sono elencate dodici suffraganee, nelle decime del 127677 salgono a diciassette, e infine in quelle del 1302-03 sono diciotto127 (fig. 5).

Nel 1584 la chiesa venne ampliata utilizzando materiale di reimpiego proveniente dai ruderi dell’oratorio situato all’interno del castello114. Architettura L’edificio attuale, di notevoli dimensioni e in stile neoclassico, risale alla seconda metà dell’Ottocento115. 8. Pieve di S. Saturnino di Fabbrica Note storiche Della pieve di S. Saturnino di Fabbrica, oggi scomparsa, sono sopravvissuti alcuni ruderi inglobati in una casa colonica a Molino d’Egola116, frazione di S. Miniato tra Ponte a Egola e Cigoli: l’edificio, che non a caso si trova in via S. Giovanni Battista, venne costruito sui resti dell’antica pieve e negli anni Settanta erano ancora visibili parti del paramento murario, costituito da blocchi di pietra ben squadrati, alcuni dei quali erano disseminati anche nei dintorni, e fino agli anni Sessanta si era conservata anche la torre campanaria117. La pieve è documentata a partire dall’867 e ricompare in una cartula ordinationis del rettore della pieve del 907 da parte del vescovo Pietro II118, e nel 974, quando passò sotto il controllo economico dei signori di Suggromigno119. Il cronista sanminiatese ser Giovanni di Lelmo da Comugnori riporta la notizia che nel 1309 la contessa Telda, moglie di Ranieri della Gherardesca, venne ad abitare presso la pieve di Fabbrica, tuttavia non doveva essersi formato un villaggio di grandi dimensioni intorno alla chiesa120. Durante il XIII secolo già alcuni dei canonici non vi risiedevano più e probabilmente nel 1314 la pieve doveva essere stata danneggiata durante una scorreria di Uguccione della Faggiola121. All’inizio del XIV secolo la pieve venne quindi abbandonata e andò in rovina, ma non sappiamo se ciò avvenne a causa di un crollo o se fu distrutta durante una delle numerose battaglie che si combatterono nella zona. I fedeli che abitavano dei dintorni preferivano evitare di uscire dai castelli di Stibbio, Cigoli, Montebicchieri o Comugnori per raggiungere la pieve, ormai rimasta isolata e molto esposta. Nel 1354 la chiesa risultava vacante e per questo motivo la sua amministrazione venne assegnata temporaneamente al proposto dei frati Umiliati che si erano stabiliti a Cigoli. Nel 1372, poiché venne trovata in condizioni talmente gravi che non sembrava possibile

Fig. 5. Piviere di Fabbrica (particolare della carta allegata ai volumi delle Rationes decimarum) ©1932-1942 Biblioteca Apostolica Vaticana

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Caciagli, G., Pisa, cit., vol. IV, p. 419. San Miniato, il Valdarno Inferiore e la Valdelsa, a cura di R. Roani Villani, Milano 1999, pp. 132-133. 116 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 85. 117 Dini, F., Dietro i nostri secoli, cit., pp. 39-40. 118 Memorie e documenti, cit., t. V, parte II, n. 805, p. 488 e parte III, n. 1101, p. 40; Dini, Dietro i nostri secoli, p. 35 e nota 17; Galli Angelini, F.M., Cigoli e il suo santuario, San Miniato al Tedesco 1911, a cura di G. Taddei, S. Croce sull’Arno 1989, p. 20. 119 Dini, F., Dietro i nostri secoli, cit., p. 79; Memorie e documenti, cit., t. V, parte III, n. 1448, p. 336. 120 Morelli, P., Montebicchieri, cit., p. 41. 121 Morelli, P., Per una storia delle istituzioni parrocchiali nel basso medioevo: la prepositura di S. Maria e S. Michele di Cigoli e la pieve di S. Giovanni di Fabbrica, in Pievi e parrocchie in Italia nel basso Medioevo (sec. XIII-XV), Atti del VI Convegno di Storia della Chiesa in Italia (Firenze 21-25 settembre 1981), Roma 1984, pp. 779-780. 115

122 Archivio Arcivescovile di Lucca, Libro antico 28, c.40; Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 86; Galli Angelini, F.M., Cigoli e il suo santuario, San Miniato al Tedesco 1911, a cura di G. Taddei, S. Croce sull’Arno 1989, pp. 51-59. 123 Morelli, P., Per una storia delle istituzioni parrocchiali, cit., p. 788. 124 Angelini, F.M., Cigoli e il suo santuario, cit., p. 52; Archivio Vescovile di San Miniato, Atti beneficiari, filza E, fascicolo n. 48. 125 Morelli, P., Per una storia delle istituzioni parrocchiali, cit., pp. 789790. 126 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 86. 127 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 203, 221, 272-273; Tuscia, II, cit., pp. 279-280.

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L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV) 10. Pieve dei Ss. Leonardo e Maria di Lari (già suffraganea della pieve di Triana)

9. Pieve dei Ss. Martino e Giovanni di Gello Note storiche La pieve di S. Martino di Gello de Collinis è documentata a partire dal 764128 e in un documento del 1283 si dice che era patrona della pieve la famiglia pisana degli Upezzinghi129. La pieve è menzionata nell’estimo del 1260, dove le vengono assegnate tre suffraganee e un eremo, nelle decime del 1275-77, dove compare priva di suffraganee, e nelle decime del 1302-03, con un’unica chiesa dipendente130 (fig. 6). Secondo il Repetti, che fa riferimento prevalentemente all’Odeporico del Mariti, la pieve era già diruta nel XIII secolo e il fonte battesimale venne trasferito alla chiesa manuale di S. Cristina, in località Tartaglia131. Nel 1444 però il fonte battesimale venne nuovamente spostato, questa volta nella chiesa di S. Ermo, suffraganea dell’antica pieve, conservando il patronato della famiglia Upezzinghi132. La pieve, oggi scomparsa, doveva trovarsi presso l’attuale località di Gello Mattaccino, in Val di Tora, a sud ovest di Casciana Terme133.

Note storiche La località è menzionata nell’atto di livello del 983 che elencava i villaggi del piviere di Triana134. Il castello, documentato a partire dal 1067, venne distrutto dai Pisani nel 1164 per essersi ribellato al loro dominio. Successivamente venne ricostruito dagli Upezzinghi quando vi si rifugiarono nel 1287 e riconquistato definitivamente da Pisa nel 1289 fino alla conquista fiorentina del 1406135. La chiesa, menzionata nell’estimo del 1260, con doppia intitolazione a S. Maria e a S. Leonardo, e in tutte le decime successive136, sarebbe da indentificare con quella citata in un documento del 1068 come chiesa “infra curte et castello”137. Nel 1372 ottenne il fonte battesimale e le venne unito il titolo dell’antica pieve di Triana, soppressa formalmente solo alla fine del XV secolo138. La chiesa fu contesa tra il vescovo di Lucca e l’arcivescovo pisano per quanto riguarda la nomina dei parroci, fino a quando nel 1789 il Granduca di Toscana ne ottenne il patronato139. Architettura L’edificio venne restaurato a più riprese, nel 1420 venne ampliato, nel 1682 venne rinnovato in stile barocco, e dopo i danni causati dal terremoto del 1846 vennero realizzati altri interventi tra il 1846 e il 1851. I restauri del 1910 le conferirono l’attuale aspetto neogotico ed eliminarono tutti gli arredi barocchi140. Il campanile venne ricostruito nel 1671 e terminato nel 1767141. 11. Pieve di S. Maria di Lavaiano Note storiche La chiesa di S. Maria è documentata a partire dal 732, in un documento che registra la donazione di una vigna alla chiesa da parte di due personaggi, Baronta ed Auderat, sicuramente di origine longobarda142. Nel 954 è menzionata per la prima volta con il titolo di pieve e in un documento del 986 si specifica la sua collocazione nei pressi del fiume Arno: il nobile lucchese Guido del fu Teudegrimo ricevette a livello dal vescovo di Lucca alcuni terreni appartenenti alla pieve di S. Gervasio e due cascine situate in loco Lavaiano prope fluvio Arno143.

Fig. 6. Piviere di Gello (particolare della carta allegata ai volumi delle Rationes decimarum) ©1932-1942 Biblioteca Apostolica Vaticana

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Pescaglini Monti, R., Dalla Valdera alla Valdisola, cit., p. 311; Memorie e documenti, cit., t. V, parte III, n. 1564, p. 449. 135 Caciagli, G., Pisa, cit., vol. 4, pp. 506-507. 136 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 201, 222, 267; Tuscia, II, cit., p. 281. 137 Caciagli, G., Pisa, cit., vol. 4, p. 512. 138 Pescaglini Monti, R., Dalla Valdera alla Valdisola, cit., p. 315; Ronzani, M., Definizione e trasformazione di un sistema di inquadramento ecclesiastico, cit., pp. 120-121; Archivio Arcivescovile di Lucca, Libri antichi, 28, c. 86. 139 Caciagli, G., Pisa, cit., vol. 4, p. 512. 140 San Miniato, il Valdarno Inferiore e la Valdelsa, a cura di R. Roani Villani, Milano 1999, pp. 127-128. 141 Caciagli, G., Pisa, cit., vol. 4, p. 512. 142 Memorie e documenti, cit., t. V, parte II, n. 17, p. 13. 143 Carte dell’Archivio Arcivescovile di Pisa. Fondo arcivescovile, a cura di A. Ghignoli e S.P.P. Scalfati, Pisa 2006, n. 47, p. 117; Memorie

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Pescaglini Monti, R., Strade, castelli, chiese, ospedali, cit., p. 55; Memorie e documenti, cit., tomo V, parte II, n. 89, p. 53. Repetti fa riferimento ad altri due documenti, uno del 770 e uno del 781 (Memorie e documenti, cit., tomo V, parte II, nn. 123, pp. 71-72 e 183, p. 107), che menzionano una chiesa di S. Martino di Colline, ma che a mio parere non corrisponde alla pieve di Gello, si veda: Repetti, E., Dizionario, cit., vol. II, p. 429. 129 Archivio Arcivescovile di Lucca, Libri antichi, 5, cc. 44-45, 1283 luglio 19; Pescaglini Monti, R., I pivieri di Sovigliana, cit., pp. 175-176. 130 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 201, 223, 268; Tuscia, II, cit., p. 284. 131 Repetti, E., Dizionario, cit., vol. II, p. 429; Mariti, G., Bagno a Aqua, cit., pp. 137-142. 132 Ibidem. 133 Sull’etimologia del toponimo si vedano Mariti, G., Bagno a Aqua, cit., pp. 142-143 e Repetti, E., Dizionario, cit., vol. II, p. 429.

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3. Repertorio degli edifici La chiesa, scomparsa fin dall’epoca medievale, sarebbe da localizzare sulla riva destra dell’Arno, ad ovest di S. Donato, nel Comune di Santa Maria a Monte, nei pressi dell’attuale podere S. Giovanni, dove secondo la tradizione orale si trovava un località chiamata Lavaiano144. In origine infatti la pieve si trovava a sud dell’Arno, tra Casteldelbosco e La Rotta, ma in seguito ad un’alluvione nel XV secolo il corso del fiume si modificò e con il taglio dell’ansa all’interno della quale si trovava la chiesa, avvenuto nel 1561145, quell’area si ritrovò a nord del fiume, nel territorio di S. Maria a Monte. Questa modificazione del letto dell’Arno è testimoniata anche da due toponimi, La Rotta e Arnovecchio, nei pressi di S. Donato146. A confermare questa localizzazione sono una pianta settecentesca dei beni della famiglia Alamanni, che indicava questa pieve nei pressi dell’attuale cimitero di La Rotta e il cronista sanminiatese Giovanni di Lemmo da Comugnori, che la descrive in prossimità di Casteldelbosco (subtus Castellum de Boscho)147. Il piviere di Laviano era piccolissimo e si incuneava nel territorio sottoposto alla pieve di S. Gervasio. Nell’estimo del 1260 viene menzionata un’unica cappella dipendente dalla pieve di Lavaiano, la chiesa di S. Remigio, scomparsa, che Repetti localizzava nella piccola valle denominata Ramista, toponimo da cui sarebbe derivato il nome della Villa di Varramista (dalla contrazione di Valramista), tra Casteldelbosco e il torrente Chiecina148. Nelle decime del 1276-77 e in quelle del 1302-03 invece la pieve compare priva di suffraganee149. Quando tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo il fonte battesimale venne trasferito alla chiesa di SS. Andrea Lucia e Stefano di Montecastello150, le terre traslate dalla modificazione del letto del fiume rimasero di pertinenza della nuova pieve fino al 1785, quando fu costruita la parrocchia di San Donato151.

12. Pieve di S. Maria Novella di Marti Note storiche La località di Marti, oggi piccola frazione a sud di Montopoli, è attestata per la prima volta nel 1017, in un atto di livello con il quale il vescovo di Lucca concedeva i beni e le decime della pieve di Musciano ad un certo Lamberto del fu Bruno152. Tuttavia il toponimo era già comparso nel 988153 e nel corso dell’XI secolo fu costruito il castello, probabilmente su iniziativa della famiglia pisana degli Upezzinghi, che ne rimase proprietaria dalla seconda metà dell’XI secolo fino al XIII e che nel 1178 si vide confermare i propri possessi in diverse località del Valdarno, fra i quali anche questo castello, in un diploma dell’imperatore Federico Barbarossa154. Alla metà del XII secolo si verificarono alcune controversie tra gli abitanti di Marti e quelli del vicino castello di Montopoli per questioni territoriali, che furono risolte nel 1156 con l’intervento di un cavaliere templare lucchese in funzione di arbitro, che stabilì i confini fra i due territori155. Il tentativo di espansione da parte del castello di Marti, proprietà di una famiglia pisana, ai danni di Montopoli, signoria del vescovo lucchese, rientra perfettamente nel quadro dei conflitti tra Pisa e Lucca per il controllo del Valdarno inferiore. Nel 1295, dopo alterne vicende, il castello fu conquistato dai pisani, che ne mantennero il controllo fino al 1406, quando Pisa fu sconfitta dai fiorentini, i quali riuscirono a inglobare definitivamente il castello tra i propri domini nel 1509156. Nel 1302 il titolo della pieve di Musciano venne trasferito alla chiesa di S. Stefano di Montopoli e, in una data a noi sconosciuta, fu istituita una nuova pieve a Marti, che ottenne la giurisdizione su quattro chiese, precedentemente appartenenti al piviere di Musciano, situate sulla riva sinistra del torrente Chiecina (S. Maria di Busseto unita a S. Andrea di Montefosco, S. Maria al Prato e S. Michele di Limite) e sulle quattro chiese di Marti, S. Giusto, S. Frediano e S. Martino con unita S. Bartolomeo157. Nella seconda metà dell’Ottocento, il pievano di Marti Agostino Monti scrisse nelle sue memorie che il titolo di pieve inizialmente era stato conferito alla chiesa di S. Martino, oggi scomparsa ma localizzabile sul colle della rocca, e che solo in un secondo momento era stata costruita la nuova chiesa158.

e documenti, cit., t. V, parte III, n. 1606, p. 490; Morelli, P., Borgo San Genesio, cit., p. 129, nota 18. 144 Dini, F., Dietro i nostri secoli, cit., pp. 44-46. Nella carta IGM non compare il podere S. Giovanni. Nella carta delle decime la localizzazione non corrisponde, poiché Lavaiano è stata localizzata sulla sponda destra del fiume Chiecina, a sud dell’Arno. Repetti aveva localizzato la pieve nella pianura tra Montopoli e Marti basandosi su un documento male interpretato che confonde l’ubicazione della chiesa con quella dei suoi confini, si veda: Repetti, E., Dizionario, cit., vol. II, p. 664. Infatti tra Casteldelbosco e il fiume Chiecina esiste ancora un podere Vaiano. 145 Archivio di Stato di Pisa, Fiumi e fossi, 163, n. 186; Morelli, P., La nascita del convento domenicano, cit., p. 129, nota 18. 146 Dini, F., Dietro i nostri secoli, cit., pp. 44-46. 147 Morelli, P., La pieve di S. Gervasio di Verriana, cit., pp. 45-46, n. 39. 148 Repetti, E., Dizionario, cit., vol. II, p. 664. Secondo Morelli invece l’antica suffraganea sarebbe da localizzare nei pressi di La Rotta, Morelli, P., Il territorio tra Arno-Era e Roglio, in La pianura di Pisa e i rilievi contermini. La natura e la storia, a cura di R. Mazzanti, Roma 1994, p. 289; Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., p. 267. 149 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., p. 223; Tuscia, II, cit., p. 284. 150 Archivio Arcivescovile di Lucca, Diplomatico, ++ T. 16; Ronzani, M., Definizione e trasformazione di un sistema di inquadramento ecclesiastico, cit., p. 102: l’antica pieve risulta unita giuridicamente alla chiesa di Montecastello dal 1349 (Archivio Arcivescovile di Lucca, Libri antichi, 15, cc. 67r.-69r.). 151 Archivio Vescovile di San Miniato, Atti beneficiali, H. 3, n. 10; Morelli, P., La nascita del convento domenicano, cit., p. 129, nota 18; Dini, F., Dietro i nostri secoli, cit., pp. 44-46.

152 Memorie e documenti, cit., t. V, parte III, n. 1782, p. 654; Vignoli, P., La storia di Montopoli dall’VIII fino alla prima metà del XIII secolo, in «Bollettino Storico Pisano», 66, 1997, pp. 17-82, Appendice doc. n. 1. 153 Pescaglini Monti, R., Il castello di Marti e i suoi “domini” tra XI e XIII secolo, in «Bollettino Storico Pisano», 74 (2005), pp. 397-465. 154 Morelli, P., Chiese, villaggi e castelli nel territorio della pieve di Musciano (secoli VII-XV), in Fra Marti e Montopoli. Preistoria e storia nel Valdarno inferiore, Atti del Convegno, Marti (Montopoli in Val d’Arno), 19 settembre 1998, a cura di S. Bruni, Pontedera 2001, pp. 6364 e nota 45. 155 Archivio Arcivescovile di Lucca, Diplomatico, F. 46, 1156 aprile 12; Morelli, P., Chiese, villaggi e castelli, cit., p. 64. 156 Baldassarri, M., et alii, La produzione di laterizi e l'edilizia in cotto nel Valdarno Inferiore medievale: il caso di Marti (Pisa), in «Archeologia medievale», 32, 2005, pp. 78-79. 157 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 85; Morelli, P., Chiese, villaggi e castelli, cit., p. 65. 158 Monti, A., Repertorio delle notizie storiche, politiche e religiose del castello di Marti e dei beni e rendite di questa pieve, 1858-59, in Monti,

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L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV) La facciata, impostata sopra a uno zoccolo in laterizi e chiusa tra due lesene angolari, ha tre portali, dei quali solo quello centrale è ancora utilizzato, mentre i due laterali, di dimensioni minori, sono stati tamponati (tav. 48). I portali sono ricassati e hanno un arco a tutto sesto a curve non concentriche con archivolti decorati, impostati su mensole in cotto: la ricassatura è realizzata con archi costituiti da particolari elementi cilindrici in cotto167, due nei portali laterali e tre in quello centrale, a incorniciare le aperture, che presentano, nel caso dei portali laterali, una piattabanda in laterizi, e nel portale centrale un arco a sesto ribassato168. La cornice del portale centrale è costituita da elementi curvilinei disposti per foglio decorati a zig-zag, con l’eccezione di un elemento che presenta il motivo delle piramidi scavate contrapposte su due file, probabilmente inserito per sostituire un pezzo rotto169 (tav. 49). Sul portale sinistro invece la cornice è decorata con una fuga di piramidi scavate contrapposte su due file, ma i primi due elementi su ciascun lato presentano una fuga di fiori rilevati a sei petali allungati con un petalo in comune e inscritti tra petali, motivo ripetuto anche sulla ghiera, su più registri, nei due elementi che costituiscono l’imposta dell’arco (tav. 50). Questa soluzione si ripete anche sul portale destro, dove però il motivo a fuga di fiori è applicato sull’intera cornice e su tre elementi radiali, di cui uno di maggiore spessore in corrispondenza della chiave di volta dell’arco. Su alcuni degli elementi decorati con la fuga di fiori sono ancora visibili le incisioni del disegno preparatorio, soprattutto in un elemento dell’imposta dell’arco del portale sinistro, già sottoposto a pulitura e visibile da terra. Qui è ancora possibile notare che le linee guida dei disegni170 presentano dei solchi netti, con bordi non frastagliati, realizzati con l’aiuto di righe e compassi sul laterizio, che doveva essere essiccato ma non ancora cotto; inoltre il colore delle superfici dei pieni e dei vuoti non presenta differenze, segno che la cottura è stata uniforme e che quindi i motivi decorativi sono stati realizzati precedentemente171. Sembra quindi confermata l’ipotesi della produzione in fornace di elementi prefabbricati, foggiati e decorati prima della cottura e poi messi in opera ottenendo un incastro perfetto dei pezzi, grazie alla notevole competenza raggiunta in questo periodo, durante il quale la produzione di laterizi ha proprio il suo apice172.

Tuttavia, per quanto l’ipotesi sia verosimile, non esistono fonti che la confermino159. La prima attestazione della nuova pieve nelle carte vescovili risale al 1345160, tuttavia la chiesa venne costruita a partire dal 1332, secondo quanto attesta un’iscrizione, trascritta dal Targioni Tozzetti161, che riporta anche il nome del primo pievano, Bacciameo, e del magister, Lippo di Castelfranco162. Successivamente, nel 1395, la pieve ottenne il fonte battesimale, e solo nel 1596 venne ufficialmente consacrata a S. Maria Novella, SS. Apostoli Giacomo e Bartolomeo e S. Martino vescovo, unendo così i titoli delle antiche chiese di S. Martino e di S. Bartolomeo163. Nel 1433 la pieve venne depredata dai fiorentini e rimase abbandonata fino al 1470, quando venne restaurata per iniziativa di Francesco di Tommaso Chechi cittadino di Marti164. Da questo momento in poi la chiesa assunse prestigio e la carica di rettore venne ricoperta da illustri personaggi che contribuirono all’arricchimento del patrimonio della chiesa con committenze importanti. Nel 1719 vennero commissionati dal pievano Giuseppe Panzani gli affreschi delle pareti, eseguiti dal fiorentino Anton Domenico Bamberini, che realizzò anche il quadro d’altare della Madonna del Rosario nel 1722; alcuni restauri proseguirono anche negli anni successivi fino al 1805 per opera del decoratore Filippo Lenzi165. Architettura Dell’edificio, orientato nord-sud, sono oggi visibili la facciata e il fianco sinistro, mentre su quello destro sono state addossate strutture successive e della zona absidale è visibile solo la parte superiore. La chiesa, con impianto a base rettangolare a navata unica e presbiterio tripartito e rialzato, è stata notevolmente modificata al suo interno, che oggi appare completamente intonacato, mentre ha sostanzialmente conservato l’aspetto originario all’esterno, interamente in laterizi, pur avendo subito qualche intervento come l’apertura e chiusura di portali e finestre, sia in facciata sia sul fianco orientale. L’aspetto originario dell’interno è quindi difficilmente ricostruibile, soprattutto in seguito alle modifiche apportare alla zona presbiteriale e alla decorazione ad affresco eseguita nel Settecento166. A., Storia del Castello di Marti, Firenze 1860, rist. anastatica, Pontedera 1998. 159 Morelli, P., Chiese, villaggi e castelli, cit., pp. 64-65. 160 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 85. 161 Targioni Tozzetti, G., Relazioni d’alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana per osservare le produzioni naturali e gli antichi monumenti di essa, 1768 Firenze, pp. 96 s.; Repetti, E., Dizionario geografico fisico storico della Toscana, Firenze 1833-1846, vol. III, p. 102. 162 L’iscrizione si trovava sulla parete laterale esterna, ma nel 1805 fu trasferita all’interno e ne fu fatta una copia. Attualmente l’originale e la copia si trovano entrambe sulla controfacciata ai lati del portale principale. 163 Baldassarri, M., et alii, La produzione di laterizi, cit., p. 89. 164 Visibile pregare. Arte sacra nella Diocesi di San Miniato, a cura di R.P. Ciardi, Pisa 2000, p. 165 165 Visibile pregare, cit., p. 165. 166 Febbraro, M., La pieve di S. Maria Novella di Marti. Spunti interpretativi per una conoscenza dell’architettura in laterizi nel Valdarno inferiore, in I maestri dell'Argilla: l'edilizia in cotto, la produzione di laterizi e di vasellame nel Valdarno inferiore tra medioevo ed età moderna, atti della I Giornata di Studio del Museo Civico "Guicciardini" di Montopoli in Val d'Arno (Montopoli in Val

d'Arno, 21 maggio 2005), a cura di M. Baldassarri e G. Ciampoltrini, San Giuliano Terme (Pisa), 2006, p. 53. 167 Gli archi sono costituiti da “cilindri di 6 cm di altezza con una coda inserita nella muratura che, per forma, richiamano la toppa di una serratura”: Baldassarri, M., et alii, La produzione di laterizi, cit., p. 89. 168 “il degrado superficiale non permette di stabilire se esso sia in fase”: Baldassarri, M., et alii, La produzione di laterizi, cit., p. 89. 169 Baldassarri, M., et alii, La produzione di laterizi, cit., p. 93. 170 Oltre al disegno preparatorio dei fiori, sono ben visibili anche alcune linee orizzontali di difficile interpretazione, che sembrano corrispondere alla larghezza dei cunei impiegati nella ghiera e che quindi potrebbero aver aiutato durante il montaggio dei vari pezzi della ghiera. 171 Parenti, R., Cambiamenti tecnologici nei laterizi decorativi delle architetture italiane, in La céramique médiévale en Mediterranée, Actes du VIéme Congrès de l’AIECM2, (Aix-an-Provence, 13-18 Novembre 1995), Aix-en-Provence 1997, pp. 685-696. 172 Baldassarri, M., et alii, La produzione di laterizi, cit., p. 93; Febbraro, M., La pieve di S. Maria Novella di Marti, cit., p. 60.

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3. Repertorio degli edifici “maioliche arcaiche”178, e appartengono alla seconda fase produttiva pisana, entro la metà del XIV secolo179, uno presenta una decorazione in ramina e manganese su smalto stannifero bianco, l’altro ha una colorazione monocroma bianco-rosato. Altri due, quasi identici tra loro, affiancati sulla lesena angolare sinistra, sono anch’essi riferibili alla categoria delle maioliche arcaiche ma provengono dall’area fiorentina, da Montelupo Fiorentino o da Bacchereto, e sono decorati con motivi vegetali in bruno e in verde su smalto stannifero bianco180. Due bacini, collocati in alto sulle lesene intermedie e anch’essi molto simili tra loro, sono decorati a “graffito arcaico”, cioè con motivi graffiti su ingobbio con macchie verdi e giallo-bruno e sono di provenienza ligure181. Infine altri due superstiti, uno inserito sulla lesena intermedia destra e l’altro sulla lesena angolare destra, con decorazione a lustro metallico color rame e blu su smalto bianco, appartengono al cosiddetto “tipo Pula” e sono stati importarti dalla Spagna, più precisamente dalla zona valenzana182. Basandosi su confronti con ceramiche simili e considerando ormai assodata la teoria per cui i bacini sarebbero stati inseriti durante la messa in opera del paramento183, quindi intorno al 1332, questi esemplari sono stati datati ai primi decenni del XIV secolo. Tuttavia, secondo Ciampoltrini, i due bacini identici di fabbrica fiorentina, collocati sulla lesena angolare sinistra184, sarebbero da riferire alla fine del XIV secolo, sulla base di un confronto con un catino frammentario rinvenuto a Castelfranco di Sotto (Pisa); per questo motivo l’autore ipotizzava che i due bacini fossero stati inseriti più tardi, a sostituzione di esemplari danneggiati, in occasione dei numerosi interventi di

Il motivo decorativo dei fiori a sei petali con un petalo in comune si ritrova nel frammento di archivolto sulla facciata della chiesa di S. Maria a Calenzano, nei dintorni di San Miniato, ma anche in due palazzi lucchesi, uno in via Fillungo 180, l’altro in via Guinigi 13, entrambi riferibili ad un arco cronologico che va dalla metà del XIII alla metà del XIV secolo173. Invece il motivo a piramidi scavate contrapposte si ritrova spesso negli edifici di Palaia, per esempio sulla pieve di S. Martino e nella chiesa di S. Lorenzo a Gello. Il paramento murario fino alle imposte degli archi dei portali laterali è realizzato con laterizi arrotati e graffiati ad unico senso, dal grado omogeneo di cottura e dalle dimensioni inusuali174, messi in opera con grande regolarità e accuratezza, con i giunti alternati175. Anche i cunei delle ghiere degli archi sono graffiati, mentre gli elementi decorati e quelli cilindrici delle ricassature dei portali sembrano essere solo arrotati. La parte superiore della facciata è suddivisa da due lesene che creano tre zone ricassate, mentre le due lesene angolari proseguono per tutta la facciata dal basamento fino al tetto, ma variano il loro spessore ad una certa altezza, per poi tornare regolari fino al coronamento. Al centro della parte superiore della facciata troviamo un oculo, con una ghiera formata da laterizi disposti per testa, ora tamponato e intonacato. Le lesene angolari e le due lesene centrali sono decorate con bacini ceramici: otto di questi sono ancora in situ, di altri tre si notano le impronte sulla muratura, mentre un dodicesimo esemplare doveva trovarsi all’estremità della lesena angolare destra, ma si è persa ogni traccia in seguito ai rimaneggiamenti del paramento176. I bacini sono distribuiti in modo regolare, secondo uno schema simmetrico: dei bacini superstiti, due sono inseriti su ciascuna lesena intermedia, tre sulla lesena sinistra e uno su quella destra, mentre le tre impronte vuote sono una sulla parte terminale della lesena angolare sinistra e due affiancate nel tratto più largo della lesena destra. Essendo ancora in situ, i bacini sono stati studiati in modo poco approfondito, senza poter effettuare le analisi chimiche e mineralogiche per individuare le caratteristiche degli impasti, e senza poter osservare le morfologie degli oggetti nella loro interezza, ma basandosi solo sull’osservazione dei decori interni, confrontati con pezzi simili già studiati177. Tuttavia è stato possibile distinguerli e risalire alle loro aree di provenienza tramite l’osservazione a distanza della loro forma esterna, dei motivi decorativi e dei colori impiegati: due di questi bacini rientrano nella categoria di ceramiche note come

178 Si tratta di ceramiche prodotte a Pisa tra il XIII e il XV secolo, si veda: Berti, G., Pisa. Le “maioliche arcaiche”. Secc. XIII-XV (Museo Nazionale di San Matteo), “Ricerche di Archeologia Altomedievale e Medievale”, 23-24, Firenze 1997. 179 Sono da riferire alla medesima fase produttiva, e sono perciò molto simili a questi, i bacini della chiesa di S. Martino a Pisa (1280-1330), si vedano: Berti, G., I “bacini ceramici” di Santa Maria Novella di Marti, in Fra Marti e Montopoli. Preistoria e storia nel Valdarno inferiore, Atti del Convegno, Marti (Montopoli in Val d’Arno), 19 settembre 1998, a cura di S. Bruni, Pontedera 2001, pp. 107-121, p. 110; Berti, G., Pisa. Le “maioliche arcaiche”, cit., pp. 251-252. 180 Berti, G., Tongiorgi, L., I bacini ceramici delle chiese della provincia di Pisa, cit., p. 73. 181 Questa tecnica, introdotta a Savona alla fine del XII secolo, rimase sconosciuta in Italia fino alla prima metà del XV secolo, ma nel corso del XIII questi manufatti liguri circolavano già in tutto il Mediterraneo occidentale e sono attestati sia a Pisa che a Lucca, cfr. Berti, G., I “bacini ceramici” di Santa Maria Novella di Marti, cit., p. 115; Berti, G., I “bacini” ceramici della Toscana, cit., p. 133; sulle ceramiche graffite arcaiche vedi Varaldo, G., La Graffita Arcaica Tirrenica, in La céramique médiévale en Mediterranée, Actes du VIéme Congrès de l’AIECM2, (Aix-an-Provence, 13-18 Novembre 1995), Aix-enProvence 1997, pp. 439-451. 182 Berti, G., Tongiorgi, L., I bacini ceramici delle chiese della provincia di Pisa, cit., pp. 72-75; sulla ceramica spagnola si veda: Berti, G., I rapporti Pisa – Spagna (al Andalus, Maiorca) tra la fine del X ed il XV secolo testimoniati dalle ceramiche, in Atti del XXXI Convegno Internazionale della Ceramica, Albisola 1998, pp. 241-253. 183 Berti, G., Gabbrielli, F., Parenti, R., “Bacini” e architettura. Tecniche di inserimento e complesso decorativo, in I bacini murati medievali: problemi e stato della ricerca, atti del XXVI Convegno Internazionale della Ceramica (Albisola, 28 - 30 maggio 1993), Albisola 1996, p. 249. 184 I numeri 3 e 4 secondo la numerazione proposta da Berti e Tongiorgi, cfr. Berti, G., Tongiorgi, L., I bacini ceramici delle chiese della provincia di Pisa, cit., p. 72.

173 Lucca medievale: la decorazione in laterizio, a cura di C. Baracchini, G. Fanelli, R. Parenti, Lucca 1998, C.A. 40 e C.A. 59 pp. 187-190 e 235-237. 174 La lunghezza media è di 25 cm, quindi più corti rispetto ai mattoni impiegati negli altri edifici di questo periodo, che generalmente raggiungono i 30 cm di lunghezza (si veda: Quirós Castillo, J.A., La mensiocronologia dei laterizi della Toscana, in «Archeologia dell’Architettura», 2, 1997, p. 160). 175 Baldassarri, M., et alii, La produzione di laterizi, cit., p. 89. 176 Berti, G., Tongiorgi, L., I bacini ceramici delle chiese della provincia di Pisa con nuove proposte per la datazione della ceramica spagnola “tipo Pula”, in «Faenza», 60, 1974, p. 72. 177 Berti, G., Tongiorgi, L., I bacini ceramici delle chiese della provincia di Pisa, p. 72, nota 6.

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L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV) restauro attestati già durante il XIV secolo185. Ma questa tesi oggi è da considerarsi ormai superata perchè recentemente la Berti ha confermato la datazione all’inizio del XIV secolo, proponendo ulteriori confronti con ceramiche prodotte a Montelupo186. Il paramento murario nella zona superiore della facciata è costituito da laterizi uguali a quelli del basamento, più lunghi rispetto a quelli della zona dei portali, non graffiati, dal grado di cottura variabile e disposti prevalentemente per fascia ma con alcuni elementi di testa187. Probabilmente già nella seconda metà del XIV secolo furono tamponati i due portali laterali, ma la datazione di questo intervento è ancora incerta: dai documenti d’archivio sappiamo che già nel 1360, nella relazione di una visita pastorale, si accennava alla necessità di qualche restauro e che nel 1470 furono realizzati una serie di interventi per riparare i danni causati dal saccheggio fiorentino del 1433; tuttavia le dimensioni dei mattoni impiegati nel riempimento sarebbero da riferire al periodo medievale, per questo il momento più probabile sembra la seconda metà del XIV secolo188. Nel XVIII secolo poi vennero asportate le soglie originali e intonacata la tamponatura189, e forse in questo periodo avvenne l’abbassamento del piano stradale e la costruzione della scalinata in arenaria di fronte al portale centrale190. Successivamente la facciata subì altri interventi di questo genere: nel 1696 venne aperto un grande finestrone al centro della parte superiore della facciata, con arco a sesto ribassato e ghiera realizzata con laterizi disposti per testa, ma questo era sicuramente già chiuso nel 1764 quando fu collocato l’organo esattamente alle sue spalle all’interno della chiesa191. Probabilmente in seguito alla tamponatura, per garantire l’illuminazione interna, fu decisa l’apertura delle due finestre quadrangolari, ancora presenti, ai due lati del finestrone tamponato192. La facciata è completata da un coronamento composto da una serie di archetti pensili a sesto acuto non molto regolari, impostati su mensolette quadrangolari e peducci triangolari, che corrono con assialità normale agli spioventi e che si interrompono in corrispondenza delle quattro lesene. Sopra alle arcatelle si trova un doppio filare di mattoni inseriti per angolo, a dente di sega, e immediatamente sotto agli spioventi del tetto dei piccoli laterizi disposti per testa creano un motivo a dentelli. Il coronamento prosegue anche sul fianco sinistro dell’edificio (tav. 51), sul quale si trova un portale

laterale e altre aperture, alcune in fase con la struttura originale, altre realizzate successivamente. Il portale originale è stato tamponato parzialmente verso la metà del XVIII secolo, riducendo il vano e realizzando un nuovo portale, ancora in uso, più piccolo e spostato leggermente verso destra, con piedritti e architrave in arenaria193. La cornice in arenaria si sovrappone in parte su ciò che rimane dell’archivolto a tutto sesto dell’antico portale, composto da elementi curvilinei per foglio, decorati con fuga di linee incrociate su due registri con bordini di contorno. A destra del portale attuale si distingue nettamente una cesura che corre verticalmente per tutto il prospetto, dal coronamento al basamento compresi, con ammorzature a pettine tra le due parti194. Un’altra cesura si nota invece procedendo verso la facciata, tra l’ultima finestra e la lesena angolare, che partendo dal coronamento prosegue verticalmente fino a metà altezza circa, per poi continuare in obliquo ma senza raggiungere il basamento195. Nella zona compresa tra questa cesura e la lesena angolare gli archetti del coronamento hanno dimensioni molto variabili (l’ampiezza è crescente procedendo verso la facciata) e i due filari di mattoni a dente di sega soprastanti proseguono come in facciata, per poi interrompersi bruscamente e cambiare aspetto: da questo momento in poi, inclusa anche la zona absidale, i due filari a dente di sega sono intervallati con un corso di laterizi di lato. Inoltre sul paramento tra la cesura e la lesena sono inseriti due elementi decorati con piramidi scavate contrapposte, inseriti per foglio196. Nella parte meridionale del fianco sinistro troviamo alcune aperture sicuramente in fase con la struttura originaria: partendo dall’alto si trova un rosone con al centro un fiore con petali intersecati, realizzato con elementi speciali in cotto, al di sotto è posizionata un’apertura tamponata e in parte restaurata, con l’estradosso a sesto acuto e l’intradosso trilobato e una cornice ricassata a dentelli, e infine, ancora più in basso, un’edicola con arco a sesto acuto e doppia ghiera, quella interna realizzata con laterizi disposti per testa e quella esterna con elementi curvilinei per foglio decorati con fuga di piramidi contrapposte. Sotto all’edicola, che doveva ospitare un’immagine sacra della Madonna, si nota una traccia rettangolare che dovrebbe corrispondere al punto in cui si trovava originariamente l’iscrizione con la data di fondazione197. Tra l’edicola e il portale laterale si trova un’ulteriore apertura quadrangolare realizzata

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Ciampoltrini, G., La maiolica arcaica nel medio Valdarno inferiore, in «Archeologia Medievale», 7, 1980, p. 518. 186 Berti, G., I “bacini” ceramici della Toscana, cit., p. 133; Berti, G., I “bacini ceramici” di Santa Maria Novella di Marti, cit., p. 114, nota 18. 187 Baldassarri, M., et alii, La produzione di laterizi, cit., p. 91. Tuttavia il cattivo stato di conservazione non permette di stabilire con certezza se i mattoni sono arrotati. 188 Baldassarri, M., et alii, La produzione di laterizi, cit., p. 91; Febbraro, M., La pieve di S. Maria Novella di Marti, cit., p. 57; Archivio di Stato di Lucca, Visite, I, 1357-1361, c. 129 r.; Monti, A., Storia del Castello di Marti, Firenze 1860. 189 Baldassarri, M., et alii, La produzione di laterizi, cit., p. 92. 190 Febbraro, M., La pieve di S. Maria Novella di Marti, cit., p. 58. 191 Archivio Baldovinetti Tolomei di Marti, Patronati di chiese e cappelle, busta 91, fasc. 11; Monti, A., Storia del Castello di Marti, cit.; Baldassarri, M., et alii, La produzione di laterizi, cit., p. 92. 192 Baldassarri, M., et alii, La produzione di laterizi, cit., p. 92.

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Baldassarri, M., et alii, La produzione di laterizi, cit., p. 92. Febbraro, M., La pieve di S. Maria Novella di Marti, cit., p. 54. 195 Questa parte tra la cesura e la lesena sembra essere stratigraficamente successiva, forse frutto di un restauro. 196 Un caso simile si trova nella chiesa di S. Lorenzo di Gello, dove alcuni laterizi, delle stesse dimensioni di quelli circostanti, presentano decorazioni abbozzate, come se fossero prove di lavorazione, si veda: Barbucci, F., Campani, F., Giani, B., Motivi e tecniche decorative in cotto nell’architettura romanica del medio Valdarno Inferiore, in «Erba d’Arno», 51, 1993, p. 44. In questo caso si tratta forse di elementi di reimpiego o scarti, inseriti durante la costruzione di questa porzione del paramento, forse in occasione di un restauro. 197 Baldassarri, M., et alii, La produzione di laterizi, cit., p. 90; Targioni Tozzetti, G., Relazioni d’alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana per osservare le produzioni naturali e gli antichi monumenti di essa, 1768 Firenze, vol. 1, p. 96-97. 194

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3. Repertorio degli edifici probabilmente nel 1775, ma tamponata già nel 1805198. Nella parte superiore del fianco sinistro sono stati aperti quattro finestroni quadrangolari, del tutto simili ai due in facciata, probabilmente alla fine del XVII secolo. Il paramento nella zona meridionale del fianco sinistro, fino alla cesura, è costituito da laterizi arrotati dall’omogeneo grado di cottura, con pochi elementi stracotti e pochi elementi di testa. A destra della cesura invece, nella porzione nord del fianco, il paramento risulta simile a quello della zona superiore della facciata, con mezzane e stracotti, come nel basamento199. Su tutta la facciata laterale corre la cornice del basamento su due livelli diversi, che si raccordavano in corrispondenza del portale originario. Parte della fondazione dell’edificio è attualmente visibile a causa dell’abbassamento del piano di calpestio, e in facciata, per risolvere il dislivello creatosi, fu aggiunta la scalinata in arenaria al portale centrale; tuttavia anche originariamente il livello stradale doveva seguire la pendenza da sud verso nord, come è ancora oggi200. Sulla parete absidale, visibile solo parzialmente e chiusa da due lesene angolari, prosegue il coronamento ad arcatelle e laterizi disposti a denti di sega, inoltre si trova un rosone, in fase con la struttura originaria, circondato da una semplice ghiera in mattoni disposti per testa, del tutto simile a quello in facciata. Gli archetti di coronamento che corrono sull’intero edificio presentano in alcune zone un andamento irregolare e alcune differenze nella tecnica costruttiva: nella zona absidale e nella zona a sud della cesura sul fianco sinistro, troviamo archetti a sesto acuto dalle dimensioni costanti, con elementi triangolari sagomati per riempire gli spazi tra gli estradossi e laterizi su tre filari disposti per foglio, per taglio e per testa, in modo regolare e con effetto decorativo, a riempire le lunette sotto gli archi. Invece in facciata e nella porzione a nord della cesura, gli archetti hanno forma variabile, da sesto acuto a tutto sesto, e ampiezza della luce irregolare, lo spazio superiore agli archetti è riempito con pezzi di laterizi tagliati e messi in opera grossolanamente e gli spazi inferiori con filari variabili di mattoni per testa e per fascia201. Inoltre le mensolette quadrate associate ai peducci triangolari presenti in facciata scompaiono sul fianco sinistro e sull’abside, sostituiti da peducci sagomati. Un’altra differenza riguarda la fascia soprastante le arcatelle con i mattoni disposti a dente di sega: a destra della cesura i due filari sono piuttosto irregolari e in alcuni tratti sembrano orientati nelle due direzioni opposte, quello superiore verso destra e quello inferiore verso sinistra; a sinistra della cesura invece i mattoni a dente di sega sono più regolari, dritti e sfalsati. Sulla base di queste osservazioni sulla tecnica costruttiva degli archetti di coronamento, ma anche sulla tipologia dei laterizi, sulla loro messa in opera, e sulla presenza di cesure sul paramento, è stato ipotizzato l’intervento di maestranze diverse: probabilmente si trattò di una collaborazione tra due maestranze, che sarebbero

intervenute nel cantiere nello stesso periodo, lavorando in maniera lenta ma costante202. Ad un gruppo di lavoro spetterebbe la parte inferiore della facciata, con i portali decorati, e la parte meridionale del fianco sinistro, delimitato a nord dalla cesura alla destra del portale laterale203. Invece un’altra maestranza avrebbe realizzato la zona superiore della facciata e quella settentrionale del fianco sinistro. Nella zona absidale la situazione sembra più complessa: se la tipologia dei laterizi impiegati sembra simile a quella del secondo gruppo, la posa in opera e la tecnica costruttiva degli archetti di coronamento sono del tutto assimilabili a quelle della prima maestranza204. Quindi la costruzione dell’edificio sarebbe avvenuta partendo dal basamento e procedendo in altezza di pari passo su tutti i lati, visto che le tecniche costruttive della facciata e dell’abside coincidono e vista la continuità che caratterizza la parete absidale e l’adiacente porzione sud del fianco sinistro205. È stato osservato anche che alla maestranza più specializzata sarebbero state affidate le parti più impegnative e più in vista, come la zona dei portali, con gli archivolti decorati e il paramento in mattoni graffiati, mentre le zone secondarie sono state realizzate dalla seconda maestranza; tuttavia il coronamento della facciata è stato realizzato dal secondo gruppo di lavoro, forse per velocizzare i lavori o per limitare i costi206. Il campanile neogotico situato a sud della chiesa fu eretto tra il 1883 e il 1896, a sostituire l’antica torre campanaria, della quale non restano tracce207, con l’impiego di laterizi disposti a filari regolari con alternanza testa-fascia e graffiatura ad imitazione delle tecniche medievali. Durante i recenti studi sulla pieve di Marti e sul castello sono stati raccolti anche i dati per compilare una mensiocronologia, confrontando le misure dei laterizi impiegati nella costruzione della pieve nella varie fasi con quelle dei materiali presenti sul recinto del bastione, in un casale ormai distrutto in località Porta Pisana e nella fornace per laterizi scoperta ai piedi dell’antico castello: analizzando i risultati è stato osservato un aumento della larghezza media dal basso Medioevo al Settecento208. I laterizi che costituiscono il paramento originario della pieve rientrano perfettamente nell’ambito basso medievale e sono confrontabili sia con quelli lucchesi che con quelli pisani della prima metà del XIV secolo; invece per la partita di mattoni dalle dimensioni anomale presente nella zona dei portali non sono stati trovati confronti ed è stato ipotizzato che si trattasse di una produzione volutamente diversa e appositamente concepita per la pieve209.

202

Baldassarri, M., et alii, La produzione di laterizi, cit., p. 91. Non a caso i motivi decorativi dei portali in facciata si ritrovano nelle aperture della zona meridionale del fianco sinistro. 204 Febbraro, M., La pieve di S. Maria Novella di Marti, cit., p. 56. 205 Baldassarri, M., et alii, La produzione di laterizi, cit., p. 91. 206 Febbraro, M., La pieve di S. Maria Novella di Marti, cit., pp. 59-60. 207 Febbraro, M., La pieve di S. Maria Novella di Marti, cit., p. 59. 208 Baldassarri, M., et alii, La produzione di laterizi, cit., p. 93. 209 Febbraro, M., La pieve di S. Maria Novella di Marti, cit., p. 61. 203

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Febbraro, M., La pieve di S. Maria Novella di Marti, cit., p. 59. Febbraro, M., La pieve di S. Maria Novella di Marti, cit., p. 56. Baldassarri, M., et alii, La produzione di laterizi, cit., pp. 90-91. 201 Febbraro, M., La pieve di S. Maria Novella di Marti, cit., pp. 56-57. 199 200

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L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV) che risiedeva a San Miniano, per una serie di usurpazioni da parte della potente famiglia pisana, ma non ottenne giustizia e nel 1194 il vescovo e alcuni membri della casata si affrontarono di nuovo in una controversia che riguardava beni posti in diverse località del piviere di Migliano e di Tripalle220. Il piviere di Migliano si estendeva in una piccola area bassa e paludosa che comprendeva le valli inferiori dei torrenti Crespina e Orcina, a sud del Canale Scolmatore e del fosso Zannone, ed era confinante con la diocesi di Pisa a nord e stretta tra i due vasti pivieri di Triana a oriente e di Tripalle a occidente. Proprio a causa della morfologia del luogo, Migliano e gli altri centri abitati medievali del piviere sono scomparsi da secoli: rimane il toponimo Migliano, ad indicare un podere a sinistra del torrente Orcina. In due atti di livello, uno del 1019 e l’altro del 1068221, vengono elencati i centri abitati del piviere, i quali, con l’unica eccezione di Cenaia, sono tutti scomparsi e la loro localizzazione è incerta. Infatti nel corso del XIII e del XIV secolo le guerre e le pestilenze modificarono profondamente l’assetto insediativo: ci fu uno spopolamento dei villaggi e gli abitanti si raggrupparono in centri fortificati, determinando l’abbandono e il decadimento di quasi tutte le chiese del piviere. Nel 1370 Migliano e la Leccia collaborarono con alcune località del vicino piviere di Tripalle (Pugnano, Meleto e Valtriano) e con Grecciano (forse del piviere confinante di Vicarello, in diocesi di Pisa) alla costruzione di una fortezza a Valtriano, che doveva servire come rifugio per tutti gli abitanti di questi villaggi, rimasti esposti alle incursioni delle compagnie di ventura, soprattutto in seguito alla distruzione del castello di Tripalle nel 1345222. L’estimo della diocesi di Lucca del 1260 cita quattro chiese suffraganee, oggi tutte scomparse, mentre le decime del 1275-77 e quelle del 1302-03 menzionavano solo due suffraganee223 (fig. 7). Nel 1376 il vicario del vescovo di Lucca nominò un amministratore temporaneo per tutte e quattro le chiese del piviere perchè i loro rettori erano assenti ormai da molto tempo224. A causa dell’esiguità delle rendite i benefici vennero aggregati e nel corso della seconda metà del XIV secolo le cappelle vennero unite alla pieve225.

13. Pieve di S. Giovanni di Migliano Note storiche La prima attestazione della pieve di S. Giovanni risale al 910, in un documento in cui il vescovo di Lucca nomina il rettore della pieve, Giovanni del fu Teuperto210. Da un’altra cartula ordinationis del 941 sappiamo che la chiesa era già in rovina, e da quella successiva, del 968, ricaviamo che ancora non era stata ricostruita211. Finalmente nel 981 la pieve viene riedificata, probabilmente nel sito originario, e il vescovo nomina un nuovo rettore212. Nel 1068 le decime di Migliano vennero allivellate da papa Alessandro II a Raimondo del fu Sismondo e nel 1175 la chiesa è menzionata nel trattato di pace tra Pisa e Lucca tra quelle che dovevano essere restituite al vescovo lucchese213. Nel 1209 è documentata la chiesa di S. Pietro di Migliano, in una fonte lucchese che la definisce come chiesa dipendente da una nuova pieve, S. Giovanni di Leccia214. Quest’ultima sorgeva nelle immediate vicinanze dell’antica pieve, nell’attuale località La Leccia, a sinistra del torrente Orcina, ma ebbe anch’essa vita breve: la visita pastorale del 1383 riferisce che era stata abbandonata dal rettore ed era in rovina215. Tuttavia la chiesa di S. Pietro di Migliano è attestata con continuità fino all’ultimo quarto del XIV secolo216 e la nuova pieve non era situata in un luogo fortificato e più sicuro, per cui rimane difficile spiegare questo spostamento del titolo plebano. E’ stato ipotizzato che il trasferimento sia da mettere in relazione con l’affermazione del dominio pisano in questa zona nel corso del XII secolo, quando ci fu un forte incremento delle proprietà fondiarie, in seguito a donazioni e acquisti di beni in diverse località di questo territorio217. Tra il 1119 e il 1121 l’arcivescovo di Pisa ricevette la donazione di diversi terreni presso Cenaia e di una porzione del castello da un membro della famiglia pisana dei da San Casciano-Lanfranchi, inoltre tra il 1125 e il 1141, la stessa famiglia vendette tutti i suoi possessi nella zona di Cenaia e Migliano218. In breve tempo la chiesa pisana formò un patrimonio cospicuo, che ebbe origine a Cenaia e si estese in pochi anni al resto del piviere, e che fu reso possibile grazie ai rapporti con la famiglia dei da San Casciano-Lanfranchi, la più importante proprietaria laica della zona, la cui affermazione era avvenuta a spese del patrimonio e dei diritti della Chiesa lucchese219. Infatti sono documentati i contrasti con il vescovo lucchese, che nel 1164 si lamentò con il legato imperiale 210

Memorie e documenti, cit., t. V, parte III, n. 1126; Caciagli, G., Pisa, cit., vol. 4, p. 432. 211 Memorie e documenti, cit., t. V, parte III, nn. 1282 e 1405. I due preti nominati rettori, Giovanni del fu Teoperto e Teoperto figlio di Cristina, presumibilmente padre e figlio, avevano forse rapporti di parentela con la famiglia nobile lucchese poi nota con il nome da Ripafratta, si veda: Pescaglini Monti, R., I pivieri di Sovigliana, cit., pp. 164-165. 212 Memorie e documenti, cit., t. V, parte III, n. 1522. 213 Caciagli, G., Pisa, cit., vol. 4, p. 433. 214 Archivio Arcivescovile di Lucca, Diplomatico, *L67. 215 Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali, 2, c. 147. 216 Archivio Arcivescovile di Lucca, Libri antichi, 33, c. 4, 1376 dicembre 3. 217 Pescaglini Monti, R., I pivieri di Sovigliana, cit., pp. 166-167. 218 Pescaglini Monti, R., I pivieri di Sovigliana, cit., pp. 168-169. 219 Pescaglini Monti, R., Dalla Valdera alla Valdisola, cit., p. 324.

220 Archivio Arcivescovile di Lucca, Diplomatico, *I77, AC35, AD60; Pescaglini Monti, R., I pivieri di Sovigliana, cit., p. 169. 221 Memorie e documenti, cit., t. V, parte III, n. 1797, p. 669; Pescaglini Monti, R., I pivieri di Sovigliana, cit., pp. 166-167. 222 Pescaglini Monti, R., Dalla Valdera alla Valdisola, cit., p. 325. 223 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 268, 201, 223; Tuscia, II, cit., p. 285. 224 Archivio Arcivescovile di Lucca, Libri antichi, 33, c. 4. 225 Pescaglini Monti, R., I pivieri di Sovigliana, cit., p. 172.

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3. Repertorio degli edifici attraversare il fiume Egola, e perchè per gli abitanti spesso era assai rischioso uscire dal castello, essendo questo vicino ai confini con il territorio pisano e quindi particolamente esposto durante le frequenti guerre tra Pisani e Fiorentini230. Il vescovo, dopo aver informato il pievano e dopo aver ascoltato alcuni testimoni, finalmente l’anno successivo, il 17 giugno 1345, concesse il fonte battesimale e il cimitero, precisando però che gli abitanti di Montebicchieri dovevano comunque continuare a considerarsi sottoposti alla pieve di Fabbrica e alcuni riti, come la benedizione del fonte il Sabato Santo, dovevano rimanere prerogativi della pieve231. Nel 1347 il castello entrò definitivamente nell’orbita fiorentina, in seguito al trattato stipulato tra la Repubblica e il comune di San Miniato232. Tra il XIV e il XV secolo Montebicchieri attraversò un periodo di abbandono: nel 1383 durante la visita pastorale la chiesa fu trovata in cattivo stato e priva di rettore, il castello rimase privo di abitanti e fu venduto dal governo fiorentino alla famiglia Compagni, che lo trasformò in villa-fattoria. La chiesa, che all’epoca della visita pastorale del 1450 risultava ancora in rovina, fu restaurata a spese della famiglia Compagni, che ne ottenne così il patronato, e nel 1466 fu trovata in ordine e officiata, anche se solo saltuariamente, dai frati Umiliati del convento di Cigoli, su richiesta del proprietario della fattoria, Giovanni di Canto Compagni233.

Fig. 7. Piviere di Migliano (particolare della carta allegata ai volumi delle Rationes decimarum) ©1932-1942 Biblioteca Apostolica Vaticana

14. Pieve di S. Lucia di Montebicchieri (già suffraganea della pieve di Fabbrica) Note storiche Il castello di Montebicchieri, situato tra la valli della Chiecina e dell’Egola, venne fondato alla fine del XII secolo dai Gherardeschi, proprietari anche del castello di Pratiglione, ma nel 1198 fu venduto al comune di San Miniato dal conte Ugolino di Ranieri e da suo nipote Ranieri d’Enrico, per la somma di cento libbre d’argento226. Nel 1211 Ranieri d’Enrico e suo cugino Gherardo di Aliotto ne rivendicarono il possesso, ma il giudice imperiale lo confermò al comune di San Miniato227. Il castello di Montebicchieri entrò così definitivamente nell’orbita sanminiatese e durante il XIV secolo si ritrovò coinvolto nelle guerre tra guelfi e ghibellini, dalla parte dei guelfi insieme a Montopoli e altri castelli della zona, contro i Pisani ghibellini, che nel frattempo avevano conquistato il vicino castello di Marti228. La chiesa di S. Lucia è documentata nell’estimo del 1260, nelle decime del 1275-77 e in quelle del 1302-03229. Nel 1345 Montebicchieri ottenne l’autorizzazione ad avere un proprio fonte battesimale e l’intera vicenda è ben documentata poichè ci sono pervenuti i relativi atti istruttori con le dichiarazioni dei testimoni. Nel 1344 a Montopoli due rappresentanti della comunità di Montebicchieri, Rossetto di Lapo e Chele di Bonuccio, si incontrarono con il vescovo di Lucca, Guglielmo di Montalbano, per richiere che nella propria chiesa si potesse amministrare il battesimo, perchè la pieve di Fabbrica era lontana e difficile da raggiungere, dovendo

Architettura L’edificio, inglobato tra le strutture del castello e sottoposto a radicali restauri durante i secoli, presenta oggi una facciata seicentesca, intonacata e caratterizzata da un ampio portico, ma conserva delle sue strutture originali il campanile, impostato sulla zona absidale destra, e gran parte del fianco destro, che, liberato dall’intonaco, mostra un paramento in laterizi e alcune aperture tamponate. Procedendo dalla facciata verso l’abside troviamo un portale laterale tamponato con un architrave in pietra, sostenuto da due mensole sgusciate, anch’esse in pietra, e sormontato da un arco a ferro di cavallo, costituito da cunei inseriti per fascia e circondato da una cornice decorativa con fuga di triangoli che partono dal centro in direzioni divergenti, compresa tra due filari di elementi speciali curvilinei. Sopra al portale laterale moderno, in pietra serena e architravato, si trova una finestra tamponata con un arco a tutto sesto a curve non concentriche. Un’altra finestra tamponata, anch’essa caratterizzata da un arco a curve non concentriche, ha una cornice con il motivo a zig-zag tra due filari di elementi curvi lisci. La scelta dei motivi decorativi geometrici tra due filari lisci e l’arco a ferro di cavallo rimandano al primo gruppo della cronotipologia delle decorazioni in cotto di Lucca, che comprende il periodo che va dalla seconda metò del

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Morelli, P., Montebicchieri e il suo fonte battesimale: un castello del Valdarno nel Trecento, San Miniato 2000, p. 16. 227 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 104; Morelli, P., Montebicchieri, cit., p. 16. 228 Morelli, P., Montebicchieri, cit., p. 17. 229 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 203, 221, 272; Tuscia, II, cit., p. 280.

230 Archivio Arcivescovile di Lucca, Libro antico, 15, cc. 49-62; Morelli, P., Montebicchieri, cit., pp. 6-14. 231 Archivio Arcivescovile di Lucca, Libro antico, 14, c. 17; Morelli, P., Montebicchieri, cit., pp. 14-15 e 41. 232 Repetti, E., Dizionario, cit., vol. I, p. 319. 233 Morelli, P., Montebicchieri, cit., p. 48.

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L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV) XII agli inizi del XIII secolo234. Le strutture originarie della chiesa di Montebicchieri infatti erano state datate alla fine del XII secolo235. Ma oltre ai numerosissimi confronti lucchesi, molti altri se ne possono fare anche con le decorazioni in cotto della Valdelsa236, per esempio troviamo la stessa fuga di triangoli divergenti tra due filari lisci sul portale della pieve di S. Ippolito di Castelfiorentino, datata 1195, o sulla monofora della chiesa dei SS. Tommaso e Prospero a Certaldo, dove troviamo anche il motivo a zig-zag nella cornice del portale. Il motivo a zig-zag è presente anche sul portale della collegiata dei SS. Lorenzo e Leonardo a Castelfiorentino, oppure nell’abbazia di San Salvatore a Fucecchio troviamo una bifora con arco a tutto sesto a curve non concentriche con il motivo a zig-zag tra elementi curvi lisci, motivo ripetuto anche nelle monofore della cattedrale di San Miniato e della collegiata di San Gimignano, e sull’arco frammentario della vicina pieve di Barbinaia, oggi ridotta a un rudere. La torre campanaria, a base rettangolare e interamente in laterizi, presenta quattro grandi aperture a tutto sesto, una su ciascun lato, e un coronamento sporgente, decorato alla base con una serie di arcatelle cieche a tutto sesto, con laterizi disposti per testa, e concluso da una merlatura. Sui fianchi si notano anche altre aperture tamponate e sostituite con finestrelle più piccole, inoltre sul paramento del lato nord si può individuare tra i laterizi, in prossimità dell’arco di una delle aperture tamponate, un elemento in cotto inserito in verticale che reca scolpita una protome umana, molto stilizzata, e poco sopra sono inseriti tre mattoni per spigolo, a creare una decorazione a denti di sega che è stata interrotta. Nel campanile è ancora installata una campana che reca la data 1341 e i nomi degli operai della chiesa che la fecero fondere (Giovanni di Gualarduccio, Morcino di Puccio, Turino di Giannino e ser Giovanni) e il nome del fonditore, Gerardo pisano, insieme a quattro stemmi del castello di Montebicchieri237.

Gherardeschi238. Sul documento del 1004, citato dal Targioni Tozzetti, già il Repetti aveva avanzato dei dubbi, e infatti studi successivi hanno dimostrato che doveva trattarsi di un falso risalente al 1496239. Il nuovo castello risulta esistente nel 1116, ma la chiesa di S. Lucia a quell’epoca doveva ancora essere costruita240. Il primo documento sicuro risale al 1119, quando l’abate di Serena effettuò una permuta di beni con il vescovo di Lucca, il quale ricevette la metà delle proprietà dell’abbazia poste tra il fiume Cecina e l’Arno, compreso Montecastello, in cambio di alcuni possedimenti del vescovato in Maremma241; in seguito, nel 1158, il vescovo acquistò l’altra metà dei beni dall’abbazia, divenendo così signore di Montecastello242. Già nella prima metà del XV secolo il castello si spopolò243. Un documento del 1130, un atto di donazione di alcuni terreni posti nel castello di Acqui da parte della Primaziale di Pisa, costituisce, secondo alcuni, la prima attestazione della pieve: l’atto risulta rogato “in coro infra plebe de Monte Castelli”, ma non tutti gli studiosi concordano con questa interpretazione244. La chiesa è menzionata nell’estimo del 1260, nelle decime del 1276-77 e in quelle del 1302-03245. Nella prima metà del Trecento fu trasferito qui il titolo della pieve di Laviano, ormai decaduta: il trasferimento del titolo è documentato per la prima volta nel 1341246, e nel 1348 gli Operai della chiesa richiesero il permesso di ampliare l’edificio e di farvi realizzare una decorazione pittorica247. Dal 1349 l’antica pieve di Laviano venne quindi unita giuridicamente alla chiesa di Montecastello248. In un atto di livello del 1380 il pievano cedette alcuni terreni al comune di Montecastello249. Dal resoconto della visita pastorale del 1466 ricaviamo che il suo distretto comprese le chiese di Collecarelli, Tavella, Casteldelbosco e S. Maria di Pinocchio, tutte già appartenenti alla pieve di San Gervasio250. Nelle relazioni delle visite pastorali del 1588 e del 1683 non si fanno riferimenti espliciti allo stato di conservazione dell’edificio, ma vengono menzionati i vari altari presenti all’interno, per cui possiamo dedurre

15. Pieve di S. Lucia di Montecastello (già suffraganea della pieve di S. Gervasio) 238 Morelli, P., Il territorio tra Arno-Era e Roglio, in La pianura di Pisa e il rilievi contermini. La natura e la storia, a cura di R. Mazzanti, Roma 1994, p. 288. 239 Caciagli, G., Pisa: monografia della provincia, Pontedera 20002004, vol. 6, p. 508. 240 Morelli, P., Il territorio tra Arno-Era e Roglio, cit., p. 288. 241 Repetti, E., Dizionario, cit., vol. III, p. 344. 242 Morelli, P., La pieve di S. Gervasio di Verriana, cit., pp. 56-57; Alberti, A., I castelli della Valdera, cit., pp. 59-60. 243 Morelli, P., Il territorio tra Arno-Era e Roglio, cit., pp. 288-289. 244 Caciagli, G., Pisa, cit., vol. 6, p. 509. 245 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 223, 270; Tuscia, II, cit., p. 284. Nell’estimo era stata aggiunta a margine una nota che specificava l’acquisizione del titolo plebano. 246 Archivio Arcivescovile di Lucca, Diplomatico, ++ T 16. 247 Archivio Arcivescovile di Lucca, Libri antichi, 17, c. 106; Leverotti, F., L’organizzazione amministrativa del contado pisano dalla fine del ‘200 alla dominazione fiorentina: spunti di ricerca, in «Bollettino storico pisano», 61, 1992, p. 64. 248 Archivio Arcivescovile di Lucca, Libri antichi, 15, cc. 67r.-69r.; Ronzani, M., Definizione e trasformazione di un sistema di inquadramento ecclesiastico, cit., p. 102. 249 Repetti, E., Dizionario, cit., vol. III, p. 345. 250 Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali, 9, cc. 106-107.

Note storiche Il castello, situato sulla cima di un colle tra la Chiecinella e l’Era, fu fondato dagli abati di S. Maria di Serena (presso Chiusdino), sulle terre che furono donate al monastero nel 1004 dal conte Gherardo dei

234 Lucca medievale: la decorazione in laterizio, a cura di C. Baracchini, G. Fanelli, R. Parenti, Lucca 1998, pp. 52-53 e 65. 235 Morelli, P., Montebicchieri, cit., p. 20; Alberti, A., L’edilizia ecclesiastica medievale in laterizio tra Valdera e Valdarno Inferiore, in I maestri dell'Argilla. L'edilizia in cotto, la produzione di laterizi e di vasellame nel Valdarno Inferiore tra Medioevo ed Età Moderna, atti della I Giornata di Studio del Museo Civico "Guicciardini" di Montopoli in Val d'Arno (Montopoli in Val d'Arno, Villa di Varramista, 21 maggio 2005), a cura di M. Baldassarri e G. Ciampoltrini, San Giuliano Terme (Pisa) 2006, p. 13. 236 Barbucci, F., Campani, F., Giani, B., Motivi e tecniche decorative in cotto nell’architettura romanica del medio Valdarno Inferiore, in «Erba d’Arno», 51, 1993, pp. 37-54. 237 Morelli, P., Montebicchieri, cit., p. 12.

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3. Repertorio degli edifici che la chiesa era officiata e in buono stato251. Solo a partire dal XVIII secolo la chiesa dovette subire dei danni ingenti e nel 1902 venne interdetta al culto. Vennero eseguiti dei lavori di consolidamento, ma nel 1920 l’edificio venne gravemente danneggiato dal terremoto, con il crollo di una cappella laterale, e altri danni vennero arrecati dai bombardamenti della seconda guerra mondiale, che provocarono la distruzione dell’antico campanile e di parte del fianco occidentale252.

finalizzato all’instaurazione di una signoria vescovile, che potesse garantire ai lucchesi il controllo di questa zona del Valdarno inferiore259. All’interno del castello venne costruito un palazzo vescovile, ancora esistente nel centro storico, a dimostrazione del fatto che il ruolo pubblico esercitato dal vescovo era ormai riconosciuto260. Tuttavia nel 1162 l’imperatore Federico I concedeva in feudo ai Pisani un territorio molto vasto, che comprendeva anche il Valdarno Inferiore e la Valdera, e riconosceva loro la proprietà del castello di Montopoli261, diritto confermato dai privilegi successivi di Enrico VI (1192), Ottone IV (1209), Federico II (1220) e Carlo IV (1355)262. Nel frattempo Montopoli iniziava ad emanciparsi politicamente dall’autorità del vescovo di Lucca e nel lodo arbitrale del 1156, che poneva fine ad una controversia territoriale con il vicino castello di Marti, anche se non compare il termine “comune”, troviamo però una comunità già organizzata e con un ambito territoriale definito (populus de Montetopari), amministrata da due consoli eletti dal popolo e ufficialmente riconosciuti dalle autorità laiche ed ecclesiastiche263. L’esistenza di questi due consoli è attestata nuovamente in un documento del 1180, che riguarda i loro rapporti con il vescovo di Lucca264. Tuttavia quest’ultimo, nel 1187, riuscì a riaffermare il proprio potere sul castello acquistandolo da un gruppo di consorti; pochi anni dopo l’imperatore Enrico IV con il diploma del 1194 gli riconosceva i diritti di giurisdizione temporale su Montopoli265. Nel 1207 i consoli di Montopoli intervengono per risolvere una controversia con il vescovo in merito ai diritti di pedaggio e alla ripartizione delle relative entrate, ed è nell’atto di arbitrato che il castello viene definito per la prima volta come comune266. A causa della sua evidente importanza strategica per il controllo del Valdarno Inferiore, il castello di Montopoli venne conteso tra pisani e fiorentini, che si scontrarono ripetutamente durante tutto il XIII secolo, fino a quando nel 1349, dopo un lungo assedio da parte dell’esercito pisano, gli abitanti decisero di sottomettersi volontariamente al comune di Firenze, che da quel momento vi istituì un vicariato267. La chiesa di S. Stefano compare nei documenti a partire dalla fine del XII secolo268 ed è menzionata nell’estimo

Architettura L’edificio, a pianta rettangolare monoabsidata e divisa in tre navate da colonne bicrome, ha subito consistenti interventi di restauro. La facciata in pietra si conclude con un coronamento ad archetti pensili rifatti sul modello medievale. Nella zona absidale si conserva il tessuto murario originale in blocchi squadrati di arenaria253. 16. Pieve di S. Stefano di Montopoli (già suffraganea della pieve di Musciano) Note storiche Montopoli, situato nel Valdarno inferiore, sulle colline tra l’Era e l’Elsa, è menzionato per la prima volta con il nome di “Montematopali” in un atto di livello del 1017, in cui viene elencato tra i trentatre villaggi dipendenti dalla pieve di S. Pietro a Musciano254. Da due documenti redatti entrambi il medesimo giorno del 1089 deduciamo che il borgo di Montopoli era stato fortificato, probabilmente su iniziativa del vescovo di Lucca, interessato a consolidare il proprio potere politico nella zona255. Agli inizi del XII secolo il castello risultava appartenente ad un laico, un certo Enrico, probabilmente membro di una famiglia di elevato rango sociale legata ai signori del castello di San Miniato256, ma dopo essere passato in eredità alla moglie venne venduto al vescovo di Lucca Rodolfo nel 1116257. Probabilmente non si trattò di una vendita vera e propria, ma di una riacquisizione di proprietà da parte del vescovo, che in alcuni documenti successivi viene ricordato come signore del castello di Montopoli e che quindi esercitava non solo un potere di natura spirituale, ma anche di natura temporale258. L’acquisto del castello da parte del vescovo infatti era

259 Morelli, P., Signorie ecclesiastiche e laiche nel Valdarno lucchese fra X e XIII secolo, in Il Valdarno inferiore terra di confine nel Medioevo (Secolo XI-XV), atti del convegno di studi (30 settembre – 2 ottobre 2005), a cura di A. Malvolti e G. Pinto, Firenze 2008, p. 283. 260 Morelli, P., Signorie ecclesiastiche e laiche, cit., p. 308. 261 Alberti, A., Del Chiaro, A., Le origini del castello di Montopoli, cit., p. 68. 262 Repetti, E., Dizionario, cit., vol. III, p. 594. 263 Alberti, A., Del Chiaro, A., Le origini del castello di Montopoli, cit., p. 68; Vignoli, P., La storia di Montopoli, cit., pp. 43-44 e Appendice doc. n. 14; Archivio Arcivescovile di Lucca, Diplomatico, F 46. 264 Vignoli, P., La storia di Montopoli, cit., pp. 45-47. 265 Vignoli, P., La storia di Montopoli, cit., pp. 47-49. 266 Vignoli, P., La storia di Montopoli, cit., pp. 51-53 e Appendice doc. n. 19. 267 Alberti, A., Del Chiaro, A., Le origini del castello di Montopoli, cit., p. 69. 268 Archivio Arcivescovile di Lucca, f. 73; Barbucci, F., Campani, F., Giani, B., Motivi e tecniche decorative in cotto nell’architettura romanica del medio Valdarno Inferiore, in «Erba d’Arno», 51, 1993, p. 46.

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Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali, 33, c. 50r.-v.; Archivio Vescovile di San Miniato, Visite pastorali, 61; Gotti, M., Chiese medievali della Valdera lucchese, in «Bollettino dell’Accademia degli Euteleti di San Miniato», 77, 2010, p. 229. 252 San Miniato, il Valdarno Inferiore e la Valdelsa, a cura di R. Roani Villani, Milano 1999, p. 117; Gotti, M., Chiese medievali, cit., p. 229. 253 Gotti, M., Chiese medievali, cit., p. 230. 254 Memorie e documenti, cit., t. V, parte III, n. 1732, p. 654. 255 Alberti, A., Del Chiaro, A., Le origini del castello di Montopoli: lo scavo della rocca, in Fra Marti e Montopoli. Preistoria e storia nel Val d’Arno Inferiore, Atti del Convegno (Marti, Montopoli in Val d’Arno, 19 settembre 1998), Montopoli 2001, p. 68; Vignoli, P., La storia di Montopoli dall'VIII fino alla prima metà del XIII secolo, in «Bollettino storico pisano», 66, 1997, Appendice doc. n. 3 e 4; Archivio Arcivescovile di Lucca, Diplomatico, I 78, 1089 gennaio 26; Archivio Arcivescovile di Lucca, Diplomatico, S 63, 1089 gennaio 26. 256 Morelli, P., Chiese, villaggi e castelli, cit., p. 63. 257 Vignoli, P., La storia di Montopoli, cit., pp. 37-39 e Appendice doc. 9. 258 Vignoli, P., La storia di Montopoli, cit., pp. 39-

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L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV) 1764278, e un altro intervento tra il 1817 e il 1823, promosso dal pievano Bartolo Maria Bartoli, riferito sia dal Repetti sia dal Donati279. In questa occasione si procedette con lavori di consolidamento e di riorganizzazione dell’interno, con il rialzamento del soffitto, il rifacimento del del tetto e del pavimento in marmo, la collocazione dell’organo e della cantoria nel 1824 e la costruzione del battistero280. I restauri alterarono profondamente lo stato primitivo dell’edificio, mantenendo intatte solo le dimensioni originali ed escludendo da qualsiasi intervento solo il campanile e la sacrestia281. L’esterno dell’edificio è stato intonacato ma sono state risparmiate alcune porzioni dell’antico paramento in laterizi, sia sulla fiancata sinistra, che è l’unica visibile, sia in facciata. Sul fianco sinistro sono rimaste due monofore in laterizio tamponate282, assai simili a quelle della pieve di Palaia, la ghiera di un arco a tutto sesto, probabilmente da riferire ad un portale laterale tamponato e sostituito da uno più moderno realizzato a poca distanza, e un piccolo frammento curvilineo, anch’esso riferibile a un arco (tav. 44). La prima monofora presenta un archetto a tutto sesto impostato su mensole in cotto sporgenti, con intradosso e stipiti strombati; la ghiera costituita da cunei disposti per testa è circondata da una cornice realizzata con elementi curvilinei per fascia, decorati con una fuga di triangoli con il vertice rivolto verso sinistra e con bordini di contorno. Si posso ancora distinguere le linee di costruzione del motivo decorativo, incise al centro di ciascun elemento e passanti per il vertice dei triangoli. La seconda monofora, anch’essa strombata e con arco a tutto sesto su mensole in cotto, presenta lo stesso motivo decorativo a fuga di triangoli, in questo caso con vertice rivolto verso destra, tra due bordini, ma questa volta viene aggiunta una decorazione radiale: sei cunei della ghiera, messi in opera a intervalli non molto regolari, sono decorati con il motivo della fuga di triangoli con vertice rivolto verso il basso e con bordini di contorno (tav. 46). Anche qui si notano le linee incise per il disegno preliminare. Tra le due monofore rimane un grande arco frammentario a tutto sesto, privo della parte terminale sinistra, con una cornice composta da elementi curvilinei disposti per foglio e decorati con un motivo a linee incrociate che delimitano piccole piramidi scavate a base quadrata (tav. 45). I cunei della ghiera, disposti per fascia, sembrano arrotati ma privi di graffiature. L’ultimo frammento presente sul fianco, di piccole dimensioni, è una ghiera con mattoni disposti per testa, circondata da una cornice realizzata con elementi disposti per fascia con un motivo a zig-zag e bordini di contorno.

del 1260 e nelle decime del 1276-77 (S. Stefano di Montetopori)269. Nel 1302 risulta che ad essa era stata unita giuridicamente la pieve di Musciano, ma questo passaggio non era stato registrato nelle decime del 130203, dove la chiesa di Montopoli figura ancora come suffraganea di Musciano270. Nel 1329 nella chiesa venne stipulata la pace tra gli ambasciatori pisani, fiorentini e di altre repubbliche e nell’atto viene ricordata come pieve battesimale; nel 1348 venne realizzato un nuovo altare e il 18 agosto del 1399 venne consacrata definitivamente in seguito alla soppressione della chiesa di Musciano271. Il Repetti cita un documento del 1420, una delibera presa dai “Regolatori delle entrate e delle uscite” di Firenze, in cui si fa riferimento all’unione dell’antica pieve di Musciano con la chiesa di Montopoli, stabilita dal vescovo di Lucca Niccolò Guinigi, il quale fu in carica tra il 1394 e il 1435272. Dagli statuti del comune del 1360 risulta la doppia intitolazione a S. Giovanni Evangelista e a S. Stefano273. Fin dalle sue origini ebbe operai propri, inizialmente tre poi sei, come è documentato dall’atto del 1399274. La chiesa venne saccheggiata dai Pisani nel 1497 e la funzioni religiose furono sospese fino al 1499, quando venne riconsacrata e nel 1509 venne richiesta la restituzione dei paramenti depredati dai pisani275. In questi anni, all’inizio del XVI secolo, la chiesa si arricchì di arredi prestigiosi grazie alla committenza di alcuni pievani come Francesco Minerbetti e soprattutto Francesco di Niccolò de’ Medici, ma nel 1529 fu nuovamente saccheggiata dalle truppe imperiali di Carlo V, e in questa occasione venne abbattuto il campanile, poi ricostruito nel 1534276. Architettura Secondo il Donati, cittadino illustre e sindaco di Montopoli nella seconda metà del XIX secolo, la chiesa più antica, che era molto più piccola ed aveva un orientamento trasversale alla chiesa attuale, fu ingrandita e inglobata nella nuova pieve all’inizio del XIV secolo, proprio quando ottenne il titolo plebano277. L’edificio attuale, ad aula unica a base quadrangolare, con abside circolare coperta da cupola, ha subito un radicale restauro nel Settecento, con l’istallazione dell’altare barocco nel 269

Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 222, 270. Nell’estimo una nota a margine aggiunta nel XIV-XV secolo specificava il passaggio del titolo plebano da Musciano a Montopoli. 270 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, II, cit., p. 283. 271 Ducci, A., Badalassi, L., Tesori medievali, cit., pp. 94-95; Donati, I., Memorie e documenti per la storia di Montopoli: da un manoscritto dell’Avv. Ignazio Donati dell’anno 1860 donato dall’autore al comune di Montopoli, Montopoli Val d’Arno 1905, rist. anast. Pontedera s. d., p. 164. 272 Repetti, E., Dizionario, cit., vol. III, p. 598; Caciagli, G., Pisa, cit., vol. IV, p. 661. 273 Donati, I., Memorie e documenti per la storia di Montopoli, cit., p. 164. 274 Caciagli, G., Pisa, cit., vol. IV, p. 643. 275 Donati, I., Memorie e documenti per la storia di Montopoli, cit., p. 205. 276 Ducci, A., Badalassi, L., Tesori medievali, cit., p. 108, nota 66; Visibile pregare. Arte sacra nella Diocesi di San Miniato, a cura di R.P. Ciardi, Pisa 2000, p. 185. 277 Donati, I., Memorie e documenti per la storia di Montopoli, cit., pp. 163 sg.

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Caciagli, G., Pisa, cit., vol. IV, p. 643. Repetti, E., Dizionario, cit., vol. III, p. 599; Donati, I., Memorie e documenti per la storia di Montopoli, cit., pp. 196 sg. 280 Visibile pregare. Arte sacra nella Diocesi di San Miniato, a cura di R.P. Ciardi, Pisa 2000, p. 185. 281 Barbucci, F., Campani, F., Giani, B., Motivi e tecniche decorative in cotto, cit., p. 46. 282 All’illuminazione interna provvedono adesso due finestre a forma di lunetta aperte più in alto. 279

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3. Repertorio degli edifici decorativo e la sovrapposizione di motivi decorativi diversi su due registri all’interno dello stesso elemento sono aspetti che si ritrovano negli esempi lucchesi. Infatti nella cronotipologia delle decorazioni in laterizio lucchesi queste tre caratteristiche sono state tutte riferite al secondo gruppo, databile tra la metà del XIII e il XIV secolo285, una cronologia che ben si accorda con l’ipotetica datazione dell’edificio. Per quanto riguarda i motivi decorativi, quelli geometrici più semplici come la fuga di triangoli, lo zig-zag e la fuga di frecce, sono molto frequenti in tutte le aree, il motivo a linee incrociate si ritrova nella pieve di Palaia (in un elemento radiale dell’arco del portale sul fianco sinistro e all’interno, sulla seconda colonna sinistra), i dentelli a doppia punta sono presenti a Lucca ma hanno un aspetto leggermente diverso286, infine i fiori a sei petali inscritti in una circonferenza ribassata sono molto diffusi a Lucca287, ma sono anche sul frammento di cornice del portale destro nella Cattedrale di San Miniato e nel portale centrale della collegiata dei Ss. Pietro e Paolo di Castelfranco di Sotto.

La facciata è stata completamente intonacata risparmiando solo la porzione centrale dell’antico paramento in laterizi, quella sovrastante l’attuale portale d’ingresso. In questo settore, delimitato da due lesene aggettanti, anch’esse intonacate, sono rimasti visibili l’arco del portale originario, parzialmente conservato, e una bifora tamponata, priva della colonnina centrale e dell’arco interno. L’assetto originario della facciata, per quanto possiamo giudicare dal suo stato frammentario, prevedeva quindi una bifora centrale in asse con il portale, secondo uno schema che ricorda quello assai frequente nelle chiese valdelsane283. Inoltre la tipologia della bifora, con un’unica ricassatura, è molto simile a quella della facciata della pieve di S. Giovanni a Corazzano. L’arco del portale è interrotto al centro da una tamponatura in laterizi ed è sormontato da un arco ribassato, ad esso tangente. La ghiera dell’arco, di cui si sono conservate solo le due estremità laterali, è realizzata con cunei per fascia privi di graffiature, ed è circondata da una cornice composta da laterizi disposti per foglio decorati con due motivi sovrapposti e separati da un bordino, una fuga di frecce convergenti verso il centro e una serie di dentelli a doppia punta. Tra i cunei della ghiera sono inseriti quattro elementi decorati, messi in opera con cadenza regolare, due con motivo a zig-zag, due con motivo di quadrati ruotati di 45°, tutti con bordini di contorno. La bifora tamponata presenta un grande arco a tutto sesto, con la ghiera formata da mattoni disposti per fascia graffiati e una cornice decorata su due ordini: il primo, realizzato con laterizi disposti per foglio, è decorato con una fuga di fiori a sei petali inscritti in una circonferenza ribassata, motivo che continua anche sulle imposte dell’arco; il secondo è formato da elementi disposti per fascia con fuga di triangoli con il vertice rivolto verso destra e con bordini di contorno (tav. 47). Al di sopra della bifora e al di sotto si notano le tracce di due spioventi, riconducibili forse all’inserimento di due tettoie. Le decorazioni in laterizio presentano delle tipologie e dei motivi confrontabili con quelli diffusi a Lucca, datati tra il XIII e il XIV secolo. Per esempio l’inserimento di mattoni radiali decorati è un elemento tipicamente lucchese ma che si ritrova anche nel Valdarno Inferiore, come a Palaia, nella pieve di S. Martino e nella chiesa di S. Andrea, nella pieve di S. Maria Novella di Marti, nella chiesa di S. Maria di Calenzano e nella collegiata dei SS. Pietro e Paolo a Castelfranco di Sotto, inoltre alcuni rari casi sono presenti nel senese e a San Gimignano284. L’uso di bordini di contorno a delimitare ogni motivo

17. Pieve di S. Giovanni di Musciano Note storiche La pieve di Musciano è documentata per la prima volta nel 746 con l’intitolazione a San Pietro, in una carta di ordinazione del rettore da parte del vescovo di Lucca Walprando288. Questo documento è stato studiato approfonditamente perchè riveste un particolare interesse per la comprensione delle procedure che portavano all’ordinazione di un pievano, testimoniando la distinzione ancora netta tra la chiesa e il suo patrimonio e soprattutto la partecipazione del popolo dei fedeli alla nomina del rettore: nell’atto del vescovo infatti si fa riferimento all’approvazione che il nuovo rettore ricevette da parte di due centenari e di tutta la comunità (plebs) riunita in assemblea, i quali dettero il consenso non solo al suo insediamento come rettore ecclesiastico ma anche alla sua presa di possesso dei beni della chiesa di S. Pietro289. In un documento che risale agli anni 890-900 in cui si elencano i beni del vescovato lucchese concessi in beneficio o in feudo a laici, ne vengono menzionati alcuni 285 Lucca medievale: la decorazione in laterizio, a cura di C. Baracchini, G. Fanelli, R. Parenti, Lucca 1998, pp. 53-56. 286 Per esempio quelli presenti sulla cornice di un arco nella facciata di un palazzo in via Buia 37, sono molto più in rilievo e più distanziati tra loro rispetto a questi di Montopoli, si veda Lucca medievale: la decorazione in laterizio, cit., pp. 195-199. 287 Fra gli esempi possibili: via Santa Croce 40-48 e via Fillungo 180, si veda Lucca medievale: la decorazione in laterizio, cit., pp. 127-129, 187-189. 288 Memorie e documenti, cit., t. V, p. II, n. 34, p. 22; Morelli, P., Chiese, villaggi e castelli nel territorio della pieve di Musciano (secoli VII-XV), in Fra Marti e Montopoli. Preistoria e storia nel Valdarno inferiore, Atti del Convegno (Marti, Montopoli in Val d’Arno, 19 settembre 1998), a cura di S. Bruni, Pontedera 2001, p. 57. 289 Violante, C., Le strutture organizzative della cura d’anime nelle campagne dell’Italia centro-settentrionale (secoli V-X), in Cristianizzazione e organizzazione ecclesiastica delle campagne nell’alto medioevo, XXVIII Settimana di studio del Centro italiano di studi sull’Alto Medioevo, Spoleto 1983, tomo II, pp. 1041, 1045; Vignoli, P., La storia di Montopoli dall'VIII fino alla prima metà del XIII secolo, in «Bollettino storico pisano», 66, 1997, pp. 20-24.

283 Per esempio nelle pievi dei SS. Pietro e Paolo a Coiano, di S. Ippolito a Castelfiorentino, di S. Giovanni a Monterappoli, nella collegiata dei SS. Lorenzo e Leonardo di Castelfiorentino, nella chiesa dei SS. Tommaso e Prospero a Certaldo e sulla cattedrale di San Miniato, dove lo schema di base è stato sviluppato anche sugli assi minori. 284 Per esempio l’arco bicromo del portale della sala capitolare della pieve di Sant’Appiano (Chiese medievali della Valdelsa, 1, fig. 76), oppure due bifore del Palazzo Tinacci a San Gimignano, databile tra XIII e XIV secolo (Mennucci, San Gimignano, Palazzo Tinacci, in Medioevo a Volterra. L’architettura nell’antica diocesi tra Duecento e Trecento, a cura di A. Furiesi, Pisa 2003, p. 130).

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L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV) Montopoli ne furono assegnate otto (S. Iacopo di Cambromusio, S. Barbara di Gabbiano, S. Ilario di Montalto, S. Andrea di Montevecchio, S. Maria di Valiano, S. Pietro di Usigliano, S. Iacopo di Monte e S. Michele di Limite), mentre alla nuova pieve di Marti furono destinate le rimanenti sette (S. Martino, S. Bartolomeo, S. Giusto e S. Frediano di Marti, S. Maria di Busseto, S. Andrea di Montefosco e S. Maria al Prato). Con l’istituzione delle nuove pievi di Montopoli e Marti, l’antica pieve di Musciano venne abbandonata ma abbiamo alcune notizie riportate da storici locali fra il XVIII e il XIX secolo: nel 1739 crollò il campanile e venne danneggiata anche la chiesa, che poco dopo venne riparata; nel 1786 vi si celebrò l’ultimo matrimonio, dopodichè non venne più officiata e fu abbandonata definitivamente, infatti dal 1814-15 se ne trassero materiali per la costruzione della nuova cappella della Madonna di S. Romano298. Come specifica Caciagli, queste notizie sono da considerare verosimili se ci si riferisce ad un edificio diverso dalla pieve, come il piccolo oratorio in rovina ma ancora visibile299. L’antica pieve di S. Giovanni è scomparsa ma la località Musciano è ancora esistente, situata sulla riva sinistra del torrente Chiecina, a ovest di Montopoli: qui secondo il Repetti doveva trovarsi il castello ma non la pieve300, che infatti è stata localizzata sulla riva opposta, presso la frazione Capanne, dove ancora esiste un podere detto “la Pieve” e dove sono stati rinvenuti resti umani che fanno ipotizzare la presenza di un antico cimitero e quindi di una chiesa301.

di proprietà della pieve di Musciano concessi ad un certo Grimizio, personaggio non identificato ma che possedeva altri beni nel territorio delle pievi limitrofe290. La pieve ricompare in altre quattro carte di ordinazione del rettore nel 949, nel 968, nel 983 e nel 1014291, dove alla dedicazione originaria viene aggiunta quella di S. Giovanni Battista, come avviene per tutte le pievi della diocesi di Lucca in questo periodo292, e dove vengono elencate anche le chiese minori dipendenti. Invece in due atti di livello molto vicini nel tempo, uno del 1017 e uno del 1019, vengono ricordati i nomi dei trentatre villaggi dipendenti del piviere293. Da questo momento viene meno la documentazione archivistica fino all’estimo della diocesi di Lucca del 1260, in cui ricompare la pieve di Musciano con sedici chiese suffraganee. Nelle decime del 1275-76 la pieve non compare ma ritorna in quelle del 1276-77, dove sono registrate sei suffraganee, e in quelle del 1302-03 con nove suffraganee (fig. 8). Il piviere confinava a nord con quello di S. Maria a Monte, situata sulla riva opposta dell’Arno, a sud ovest con il piviere di S. Maria di Lavaiano, ad ovest con il grande piviere di S. Gervasio, a sud con S. Maria di Barbinaia e S. Maria di Corazzano, ad est con il piviere di S. Saturnino di Fabbrica. Nel 1302, o poco prima, il vescovo di Lucca Enrico dispose l’unione giuridica dell’antica pieve di Musciano con la chiesa di S. Stefano di Montopoli, che ottenne così il titolo di pieve e venne dedicata ai santi Giovanni e Stefano294. Tuttavia Montopoli non ottenne tutta l’eredità dell’antica pieve di Musciano perchè il vescovo attribuì dignità di pieve anche alla chiesa del castello di Marti: per l’occasione venne costruita la nuova chiesa di S. Maria Novella, la quale riporta incisa in facciata la data 1332, a ricordare l’anno della sua costruzione e dunque di istituzione della nuova pieve295, ma recentemente è stato ipotizzato che in un primo momento il titolo venne assegnato alla chiesa di S. Martino di Marti e che solo in un secondo momento il comune fece edificare la nuova chiesa296. Da un catalogo delle chiese della diocesi del 1386-87 risulta che le suffraganee dell’antico piviere di Musciano vennero così distribuite297: alla pieve di 290

Vignoli, P., La storia di Montopoli, cit., pp. 25-26. Memorie e documenti, cit., t. V, parte III, n. 1330, p. 225; t. IV, parte II, n. 70, pp. 95-96; t. V, parte III, n. 1534, p. 417; Archivio Arcivescovile di Lucca, Diplomatico, ++ G 43. 292 Vignoli, P., La storia di Montopoli, cit., p. 27. 293 Memorie e documenti, cit., t. V, parte III, n. 1732, p. 654. 294 Lo Statuto del Comune di Montopoli, pervenuto nella redazione del 1360, contiene il verbale della nomina del pievano del 12 aprile 1302 e le regole stabilite dal vescovo per l’elezione, che assegnavano il diritto di eleggere il rettore anche ai canonici, ai rettori delle chiese del piviere e al Comune, che avendo edificato la chiesa a proprie spese e su terreno proprio aveva un diritto di patronato. Si vedano: Ronzani, M., Definizione e trasformazione di un sistema di inquadramento ecclesiastico: la pieve di Fucecchio e le altre pievi del Valdarno fra XI e XV secolo, in Il Valdarno inferiore terra di confine nel Medioevo (Secolo XI-XV), atti del convegno di studi (30 settembre – 2 ottobre 2005), a cura di A. Malvolti e G. Pinto, Firenze 2008, pp. 101-102 e Statuto del Comune di Montopoli (1360), a cura di B. Casini, Firenze 1968. 295 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 85. 296 Pescaglini Monti, R., Il castello di Marti e i suoi “domini” tra XI e XIII secolo, in «Bollettino Storico Pisano», 74, 2005, pp. 398-399, nota 4. 297 Morelli, P., Chiese, villaggi e castelli, cit., p. 65. 291

Fig. 8. Piviere di Musciano (particolare della carta allegata ai volumi delle Rationes decimarum) ©1932-1942 Biblioteca Apostolica Vaticana

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Donati, I., Memorie e documenti per la storia di Montopoli: da un manoscritto dell’Avv. Ignazio Donati dell’anno 1860 donato dall’autore al comune di Montopoli, Montopoli Val d’Arno 1905, rist. anast. Pontedera s. d., pp. 161-162. 299 Caciagli, G., Pisa: monografia della provincia, Pontedera 20002004, vol. IV, p. 661. 300 Repetti, E., Dizionario geografico fisico storico della Toscana, Firenze 1833-1846, vol. III, p. 594 e 619. 301 Dini, F., Dietro i nostri secoli. Insediamenti umani in sei comuni del Valdarno Inferiore nei secoli VIII-XIII, Santa Croce sull’Arno 1979, p. 37; Morelli, P., Chiese, villaggi e castelli, cit., p. 59.

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3. Repertorio degli edifici 18. Pieve di S. Giovanni di Padule Note storiche Nella prima metà dell’VIII secolo esisteva una pieve di S. Maria di Capannoli, documentata nel 724302, ma in un documento del 975 questa risultava già priva di tale qualifica, perchè veniva nominata semplicemente ecclesia303. Dalla seconda metà dell’VIII secolo è documentata una chiesa di S. Giusto di Padule: compare per la prima volta in una carta del 777304, poi in un’altra dell’853 con il titolo di pieve, di nuovo nel già citato documento del 975305, e in un atto di livello del 991, dove i beneficiari sono i conti Gherardeschi, che furono anche i promotori della fondazione del castello di Capannoli306. Quest’ultimo, a metà del XII secolo, era ancora in parte proprietà di un discendente della famiglia Gherardeschi, ma in buona parte era ormai passato al vescovado di Lucca307. Dall’XI secolo è attestata la dipendenza ecclesiastica di Capannoli dalla pieve di Padule e dal 1228 la chiesa dei SS. Andrea e Lucia di Capannoli risulta unita alla pieve. La chiesa di S. Lucia di Capannoli ricompare nell’estimo del 1260, nelle decime del 1275-77 e in quelle del 130203 come unica chiesa suffraganea della pieve di Padule308 (fig. 9). Infine, nel 1385, sia la pieve di Padule sia la chiesa di Capannoli rientrarono sotto la dipendenza della nuova pieve di S. Bartolomeo di Capannoli, fatta costruire con il materiale della pieve antica fuori dalle mura del castello309. Delle antiche chiese non restano tracce, rimane solo il toponimo Pievaccia sulla riva destra dell’Era, in prossimità di Capannoli, ad indicare il sito dell’antica pieve di Padule, mentre la pieve di S. Bartolomeo di Capannoli fu interamente ricostruita nel XVIII secolo310.

Fig. 9. Piviere di Padule (particolare della carta allegata ai volumi delle Rationes decimarum) ©1932-1942 Biblioteca Apostolica Vaticana

19. Pieve di S. Martino di Palaia Note storiche Nel 936 è documentato un castello fondato da una potente famiglia locale e denominato Mons Magnifidi, nome che cadde in disuso intorno alla metà dell’XI secolo, soppiantato da quello di Palaia311. Infatti nell’atto di livello del 980 viene menzionata la località di Palaia tra i villaggi del piviere di S. Gervasio312. Nell’XI secolo il castello risulta essere di proprietà di due fratelli, Teudegrimo e Ugo figli di Azzo313, e nel 1077 la terza parte della corte, del castello e della chiesa di S. Andrea presente al suo interno vennero donate al vescovo di Lucca314. Un documento del 1172 ci testimonia che il castello aveva un governo comunale e che i rapporti con il vescovo lucchese erano ancora molto stretti315. 311 Memorie e documenti, cit., t. V, parte III, n. 1604, p. 498; Morelli, P., La pieve di S. Gervasio di Verriana e il suo territorio (sec. VIII-XV), in Palaia ed il suo territorio fra antichità e medioevo, Atti del convegno di studi (Palaia, 9 gennaio 1999), a cura di P. Morelli, Pontedera 2000, pp. 48-50; sulle vicende degli ipotetici fondatori del castello si veda Pescaglini Monti, R., La famiglia dei fondatori del castello di Palaia (secoli IX-XI), in Palaia ed il suo territorio fra antichità e medioevo, atti del convegno di studi (Palaia, 9 gennaio 1999), a cura di P. Morelli, Pontedera 2000, pp. 107-150. 312 Memorie e documenti, cit., t. V, parte III, n. 1512, p. 394. 313 I due fratelli, presumibilmente discendenti dalla famiglia che aveva fondato il castello, sono gli stessi che nel 1077 ricevettero a livello dal vescovo di Lucca il castello, la corte e la pieve di S. Gervasio, in merito a questa compressa vicenda si veda: Morelli, P., Signorie ecclesiastiche e laiche nel Valdarno lucchese fra X e XIII secolo, in Il Valdarno inferiore terra di confine nel Medioevo (Secolo XI-XV), atti del convegno di studi (30 settembre – 2 ottobre 2005), a cura di A. Malvolti e G. Pinto, Firenze 2008, pp. 286-289. 314 Archivio Arcivescovile di Lucca, Diplomatico, ++ L 16, edito in Pescaglini Monti, R., La famiglia dei fondatori del castello di Palaia, cit., Appendice documentaria n. 1, pp. 138-141; Alberti, A., I castelli della Valdera: archeologia e storia degli insediamenti medievali, Pisa 2005, p. 110; Repetti, E., Dizionario, cit., vol. IV, p. 27. 315 Si tratta del giuramento di un certo Bassalfolli del fu Ildebrando da Palaia, prestato in presenza dei consoli del castello, in cui si riconosceva l’appartenenza del castello dai vescovi: si veda: Morelli, P., Signorie ecclesiastiche e laiche, cit., pp. 288-289.

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Memorie e documenti, cit., t. V, parte II, n. 13, pp. 10-11. Memorie e documenti, cit., t. V, parte III, n. 1464, p. 351. 304 Memorie e documenti, cit., t. V, parte II, n. 168, p. 97. 305 Morelli, P., La pieve di S. Gervasio di Verriana e il suo territorio (secolo VIII-XV), in Palaia ed il suo territorio fra antichità e medioevo, atti del convegno di studi (Palaia, 9 gennaio 1999), a cura di P. Morelli, Pontedera, Bandecchi e Vivaldi, 2000, p. 41, n. 7. 306 Memorie e documenti, cit., t. V, parte III, n. 1653, p. 535; Alberti, A., I castelli della Valdera. Archeologia e storia degli insediamenti medievali, Pisa 2005, p. 28. 307 Alberti, A., I castelli della Valdera, cit., p. 58. 308 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 202, 223, 269; Tuscia, II, cit., p. 284. 309 Archivio Arcivescovile di Lucca, Libri antichi, 36, c. 92v.; Morelli, P., La bassa Valdera, in La pianura di Pisa e i rilievi contermini. La natura e la storia, a cura di R. Mazzanti, Roma 1994, p. 292; Leverotti, F., L’organizzazione amministrativa del contado pisano dalla fine del ‘200 alla dominazione fiorentina: spunti di ricerca, in «Bollettino storico pisano», 61, 1992, p. 65, nota 116. 310 Morelli, P., La bassa Valdera, cit., p. 293. 303

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L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV) era manifestata una certa tendenza all’autonomia dal piviere di S. Gervasio da parte della chiesa di Palaia: il vescovo di Lucca fu costretto ad intervenire chiedendo spiegazioni a prete Ubaldo, rettore di S. Martino e futuro primo pievano di Palaia326. Nelle decime del 1302-03 la chiesa di Palaia compare con il titolo di pieve e vengono fatte rientrare nella sua giurisdizione le chiese di S. Maria di Ripario (Ripezzano), S. Maria di Partino e S. Lorenzo di Gello, precedentemente appartenenti al piviere di S. Gervasio327. L’edificio, di dimensioni grandiose e caratterizzato da una notevole omogeneità nonostante i rimaneggiamenti, fu costruito a partire dal 1279, cioè dal momento in cui Palaia ottenne il titolo plebano, e doveva essere già agibile nel 1286, data inscritta nell’epigrafe murata nel fianco destro del basamento dell’altare maggiore, che fu realizzato per lascito di un certo Bianco di Meliorello328, morto nel 1283 e sepolto all’interno della pieve329. Non sappiamo se la nuova pieve venne costruita sull’antica chiesa di S. Martino o nelle sue vicinanze, come ha sostenuto una delle prime studiose che si è occupata della pieve, la quale ha ipotizzato che per la sua edificazione fossero stati impiegati materiali di riuso provenienti dall’edificio più antico330. La stessa studiosa riportava in nota una leggenda che spiegherebbe l’ubicazione così decentrata della chiesa di S. Martino, e quindi della pieve: secondo la tradizione l’antica chiesa di S. Martino di Collinulae era stata costruita in quel punto per volontà delle marchese Beatrice e Matilde di Canossa, in ricordo di un battaglia avvenuta il giorno della festa di S. Martino, 11 novembre, nell’anno 1072, quando con l’intervento miracoloso del santo, gli abitanti di Palaia, appostati dietro alle colline di questa zona, erano riusciti a respingere l’attacco dei soldati pisani che volevano conquistare il castello331. La perfetta coerenza con cui l’edificio è stato impostato ha fatto ipotizzare la presenza di un progetto complessivo a monte, realizzato da maestranze esperte, il cui capo cantiere è forse da identificare con quell’Andrea da Pontedera operarius che lascia ben due firme all’interno della pieve: la prima firma è incisa sul capitello della seconda colonna della navata sinistra, con la data 1283, la

Del castello rimangono pochissime tracce visibili e l’abitato si è sviluppato nel basso medioevo intorno al poggio tufaceo sul quale era sorto il cassero, danneggiato gravemente durante il terremoto del 1846 e del quale rimangono pochi ruderi, come i resti di una cisterna e di un muro in bozze di pietra sul lato sud. Gli edifici più antichi ancora leggibili sono costruiti tutti in laterizio e non sono stati individuati materiali di recupero in pietra, mentre sono stati raccolti numerosi frammenti ceramici durante le campagne di ricognizione di superficie sulla rocca e nei dintorni di Palaia316. Alla fine del X secolo l’abbazia di San Salvatore di Sesto, sul lago di Bientina aveva molte proprietà nella zona di Palaia: secondo alcuni documenti, fra il 992 e il 1012 l’abbazia fece mettere a coltura terre fino a quel momento incolte e le sue proprietà, ottenute avviando un vero e proprio programma di colonizzazione, erano sparse in un territorio molto vasto317. In un atto di livello del 1021 viene menzionata una chiesa dedicata a S. Michele e a S. Donato, che sarebbe localizzabile in località Montaione, poco lontano da Palaia318. La chiesa di S. Michele ricompare pochi anni dopo nel privilegio di immunità concesso dall’imperatore Corrado II all’abate di Sesto nel 1027, insieme ad un’altra chiesa dedicata a S. Martino319. I diplomi imperiali successivi, a partire da quello di Arrigo VI del 1192, riconobbero la giurisdizione religiosa del territorio al vescovo di Lucca e quella politica alla repubblica pisana320, ma Pisa e Lucca continuarono a contendersi il castello di Palaia fino a quando si impose definitivamente la Repubblica fiorentina nel XV secolo321. La chiesa di S. Martino de Collinulae, documentata anche nel 1061322, viene nominata nell’estimo del 1260 e nelle decime del 1276-77 tra le chiese suffraganee della pieve di S. Gervasio323. In seguito al forte incremento demografico nella zona e all’ostilità nata tra gli abitanti di Palaia e quelli di S. Gervasio, nel 1279 la chiesa di S. Martino ottenne il titolo plebano dal vescovo di Lucca Paganello e fu decretata la costruzione di un nuovo edificio, lontano dall’abitato e nelle dimensioni imponenti che conserva tuttora324, dietro pagamento di 100 lire e 2 denari lucchesi all’anno a S. Gervasio325. Già nel 1257 si 316

Alberti, A., I castelli della Valdera, cit., p. 112. Morelli, P., La pieve di S. Gervasio di Verriana, cit., p. 49; Pescaglini Monti, R., La famiglia dei fondatori del castello di Palaia, cit., p. 131 e nota 79. 318 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 82; Archivio Arcivescovile di Lucca, Diplomatico ++ L 48. 319 Morelli, P., La pieve di S. Gervasio di Verriana, cit., pp. 49-50; la chiesa di S. Michele nel basso medioevo fu sede di una confraternita laicale che vi gestiva anche un ospedale, e nel 1575 entrambi gli enti risultavano dedicati a S. Vincenzo Ferreri, come la cappella ancora esistente, si veda Morelli, P., La pieve di S. Gervasio di Verriana, cit., p. 50, nota 74. 320 I diplomi successivi sono quelli di Ottone IV del 1209, di Federico II nel 1220 e di Carlo IV nel 1354; Alberti, A., I castelli della Valdera, cit., p. 110. 321 Repetti, E., Dizionario, cit., vol. IV, pp. 27-28. 322 Malacarne, E., La pieve di S. Martino a Palaia, cit., p. 181. 323 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 269, 223. 324 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 83; Archivio Arcivescovile di Lucca, Diplomatico V 75, 12 Maggio 1279. 325 Caciagli, G., Pisa: monografia della provincia, Pontedera 20002004, vol. IV, p. 693. 317

326 Malacarne, E., La pieve di S. Martino a Palaia, cit., p. 181; Archivio Arcivescovile di Lucca, Libri antichi, I, c. 6. 327 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., pp. 82-83. Tuttavia le chiese di Gello e Partino nelle decime del 1302-03 figurano ancora tra le suffraganee di S. Gervasio, si veda: Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, II: pp. 283-284. 328 “HOC ALTARE F(A)C(TU)M FU(I)T PER BLA(N)CU(M) MELIORELLI A(NNO) MILLESIMO CCLXXXVI DE ME(N)SE O(C)T(OBR)IS”, si veda Malacarne, E., La pieve di S. Martino a Palaia, cit., p. 186, nota 14. 329 Si è conservata solo l’epigrafe, murata nella nicchia destra della cappella centrale probabilmente durante i restauri ottocenteschi, ma il sepolcro forse era stato smantellato già con i lavori conclusi nel 1689 e l’epigrafe era stata collocata sulla facciata, si veda Malacarne, E., La pieve di S. Martino a Palaia, cit., p. 186, nota 15. 330 Matteoli, A., Appunti di storia dell’arte: cenni storici-artistici intorno alla pieve di S. Martino a Palaia (Pisa), in «Bollettino dell’Accademia degli Euteleti della Città di San Miniato», 42, 1972, p. 131. 331 Matteoli, A., Appunti di storia dell’arte, cit., p. 135 nota 2.

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3. Repertorio degli edifici seconda si trova invece sulla chiave di volta in pietra della cappella terminale sinistra, con la data 1300332. Del periodo immediatamente successivo alla sua costruzione sono pervenute scarsissime notizie documentarie: durante la visita pastorale del 1466 fu trovata in ordine333, ma già nel 1564 risultava in pessime condizioni, con il tetto, le porte e le finestre danneggiate e i muri lesionati, e addirittura risultava sconsacrata334. Il vescovo ordinò di restaurarla per limitare danni più gravi e fece chiudere i due portali laterali in facciata e il portale sul fianco settentrionale, non più necessari visto che non vi accedevano più i fedeli335. Con il passaggio alla diocesi di S. Miniato nel 1622 ebbero inizio lavori più consistenti, che portarono alla riconsacrazione dell’edificio da parte del vescovo, avvenuta il 23 maggio 1689. Già nel 1625 venne commissionato l’affresco nella lunetta del portale principale, oggi non più esistente336, ma fu dal 1639 che si procedette con interventi strutturali, sia all’interno che all’esterno, finalizzati al rinnovamento stilistico in chiave barocca337. Nonostante questo le condizioni dell’edificio peggiorarono molto presto, al punto che il vescovo fu costretto a chiederne la chiusura nel 1814: nella relazione della visita pastorale vengono evidenziati gravi problemi al tetto, gli altari sono disadorni e molte delle finestre e delle porte sono danneggiate338. La situazione si aggravò ulteriormente con il terremoto del 1846 e con la frana che si verificò proprio sotto la pieve, sul lato nord, dove si trovava anche il cimitero339. Proprio quando la pieve sembrava destinata ad essere abbandonata definitivamente, il Comitato di Palaia promosse dei restauri radicali, intrapresi tra il 1873 e il 1884 sotto la direzione dell’ingegnere Luigi Filippeschi, che lavorò con grande disinvoltura, redigendo una documentazione piuttosto vaga e non limitandosi ad un progetto esclusivamente conservativo340. Infatti l’approccio fu quello tipicamente ottocentesco, finalizzato al recupero dei caratteri medievali dell’edificio, eliminando tutte le aggiunte posteriori e integrando con rifacimenti in stile. Oltre agli interventi di

carattere prettamente strutturale, come il rifacimento del tetto e del pavimento, si procedette alla rimozione di tutti gli altari barocchi, sostituiti con tre altari di gusto arcaico nel presbiterio341, alla realizzazione del pulpito in mattoni e del fonte battesimale esagonale, alla eliminazione delle tettoie ancora presenti sopra ai portali, alla riapertura dei due portali minori in facciata, alla sostituzione di gran parte del paramento della facciata in pietra serena e di larghe porzioni del paramento sulle pareti laterali e absidale con mattoni nuovi e alla ricostruzione di alcune parti di muro attraverso il metodo della sottomurazione342. Un affresco databile alla fine del XVIII secolo, conservato nella villa dei dal Borgo a Palaia, ci mostra quale fosse l’aspetto della pieve prima dei consistenti restauri ottocenteschi: possiamo riconoscere il finestrone barocco aperto in facciata duranti gli interventi seicenteschi, poi fatto tamponare dal Filippeschi e sostituito con un rosone in stile romanico; inoltre è raffigurata la lunetta affrescata del portale, eliminata anch’essa nell’Ottocento, ed è ben visibile il campanile, molto diverso da quello attuale, impostato sulla parte terminale della navata meridionale343. Lascia perplessi la rapida descrizione della facciata fatta dal Repetti, il quale parla di un paramento “a strisce di marmi bianchi e neri secondo il costume introdotto per tutta la Toscana nei primi secoli dopo il Mille”, parole che non trovano riscontri nelle altre fonti documentarie344. La pieve venne riaperta al culto e venne riconosciuta come Monumento Nazionale dalla Giunta Superiore delle Belle Arti, ma pochi anni dopo subì nuovi danni in seguito ad un altro terremoto nel 1920345. Durante la Seconda guerra mondiale venne trasformata in autorimessa dai tedeschi e bombardata dagli alleati nel luglio del 1945, ma già nel settembre dello stesso anno iniziarono i lavori di ripristino del tetto, in parte abbattuto, e anche delle murature dei fianchi e delle vetrate, sotto la direzione dell’architetto Carlo Pieri; nel 1958 venne nuovamente restaurata, questa volta con interventi a carattere conservativo diretti da Piero Sanpaolesi346.

332 “ANDREAS U(RBE) P(ONTE) ERAE FECIT HA(N)C COLU(M)NA(M) A(NNO) D(OMINI) MCCLXXXIII”; “HOC DECORUM CORONA(MENT)U(M) DEI NOM(IN)E FEC(IT) / A(N)DREAS U(RBE) P(ONTE) ERHAE OPERARIUS A(NNO) D(OMINI) MCCC”; Ducci, A., Badalassi, L., Tesori medievali, cit., p. 61; Matteoli, A., Appunti di storia dell’arte, cit., p. 131; Targioni Tozzetti invece aveva letto nell’iscrizione incisa sul capitello la data 1260, e così la riportava anche il Repetti: Targioni Tozzetti, G., Relazioni d’alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana per osservare le produzioni naturali e gli antichi monumenti di essa, 1768 Firenze; Repetti, E., Dizionario, cit., vol. IV, p. 29. 333 Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali (1465-1474), libro 9, + E., c. 96; Mannari, L., Visita pastorale del Vescovo di Lucca dell’anno 1466, in «Bollettino dell’Accademia degli Euteleti di San Miniato», 43, 1974, pp. 37-38. 334 Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali, 14. 335 Malacarne, E., La pieve di S. Martino a Palaia, cit., p. 191. 336 L’affresco rappresentava S. Martino che cede metà del suo mantello al povero, con una veduta del castello di Palaia sullo sfondo; nell’iscrizione era riportata la data e il nome del committente, si veda Matteoli, A., Appunti di storia dell’arte, cit., p. 134. 337 Malacarne, E., La pieve di S. Martino a Palaia, cit., pp. 191-192. 338 Archivio Arcivescovile di San Miniato, Visite pastorali, anno 1814. 339 Malacarne, E., La pieve di S. Martino a Palaia, cit., p. 192. 340 Malacarne, E., La pieve di S. Martino a Palaia, cit., pp. 192-193.

341 Uno storico locale, Ranieri Tempesti, scrisse alla fine del XVIIII secolo una dettagliata descrizione della pieve in cui menzionava quattro altari addossati alle pareti laterali (dedicati a S. Rocco, alla Madonna della Neve, a S. Antonio Abate e al Crocifisso, ciascuno appartenente a una Compagnia) e specificava che l’altare maggiore era “di legno dipinto e dorato, è di buona architettura e maestoso”, Tempesti, R., Palaia, 1793, Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Manoscritti II.I.499, in Ciampoltrini, G., Leporatti, S., Magister Lippus e l’architettura tardoromanica del laterizio fra Castelfranco, Marti e Palaia: fonti documentarie e indagini archeologiche, in I maestri dell’argilla. L’edilizia in cotto, la produzione di laterizi e di vasellame nel Valdarno Inferiore tra Medioevo ed Età Moderna, atti della I Giornata di Studio del Museo Civico Guicciardini di Montopoli in Val d'Arno (Montopoli in Val d'Arno, Villa di Varramista, 21 maggio 2005), a cura di M. Baldassari e G. Ciampoltrini, San Giuliano Terme (Pisa) 2006, Appendice documentaria, pp. 46-47. 342 Malacarne, E., La pieve di S. Martino a Palaia, cit., pp. 193-194. 343 Ciampoltrini, G., Leporatti, S., Magister Lippus e l’architettura tardoromanica del laterizio, cit., p. 42 e fig. 14 p. 44. 344 Repetti, E., Dizionario geografico fisico storico, cit., t. IV, p. 28; Salvagnini, G., Chiese romaniche della Valdera, Firenze 1969, p. 14. 345 Malacarne, E., La pieve di S. Martino a Palaia, cit., p. 195. 346 Ducci, A., Badalassi, L., Tesori medievali, cit., Pisa 1998, p. 105 nota 6; Salvagnini, G., Chiese romaniche della Valdera, cit., p. 17.

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L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV) mensole in pietra aggettanti scolpite che a loro volta si appoggiano su piccoli capitelli in pietra e beccatelli in laterizio di forma tronco-conica alternati ad altri troncopiramidali. Subito al di sopra corre una fascia di arcatelle più piccole a tutto sesto, appoggiate su mensoline e su un listello sagomato, e immediatamente sotto agli spioventi del tetto si trova una cornice decorata con il motivo dei quadrati ruotati di 45 gradi tra due fasce di mattoni lisci. La facciata presenta quindi un contrasto cromatico tra la pietra impiegata nel paramento e il laterizio con cui sono realizzati i portali, il basamento e il coronamento, delineando nettamente le aperture e marcando le linee principali del prospetto. In realtà l’alternanza tra i due materiali caratterizza tutto l’edificio e in particolare la ritroviamo nel coronamento, dove le mensole in pietra si raccordano ai capitelli, anch’essi in pietra, tramite un mattone quadrato e il capitello è sorretto a sua volta da un peduccio in laterizio, creando così un particolare effetto cromatico che contribuisce ad evidenziare le figure scolpite sulle mensole. Il paramento in pietra non è uniforme perché è stato ampiamente sostituito durante i restauri ottocenteschi, come testimoniano i documenti dell’epoca349 e come si può dedurre osservando la facciata: nella zona dei portali, fino all’altezza delle imposte degli archi dei portali laterali, si possono distinguere conci dal colore più chiaro e dai profili più netti, e nella zona immediatamente al di sotto del rosone si notano dei conci ancora più chiari. I prospetti laterali delle navate minori, interamente in laterizi, sono suddivisi da otto lesene, inserite a intervalli regolari, e su ciascun lato si trovano un portale e tre monofore, distribuiti non in corrispondenza tra di loro sulle due pareti (tav. 25). Sul fianco nord, tra la quarta e la quinta lesena partendo dalla facciata, troviamo un ampio portale con arco a tutto sesto a curve non concentriche a doppia ghiera, impostato su mensole in pietra, con gli stipiti e l’estradosso ricassati e circondati da una doppia cornice, una costituita da elementi circolari aggettanti e un’altra, più esterna, formata da elementi disposti per foglio decorati con il motivo a piramidi scavate contrapposte (tav. 26). Altre decorazioni in cotto sono inserite nelle due ghiere sovrapposte, su alcuni elementi radiali inseriti per foglio a cadenze regolari, che contengono motivi diversi, tutti accomunati dalla presenza di piramidi scavate variamente accostate. La cornice curva del basamento, che corre lungo tutto l’edificio, prosegue anche sugli stipiti del portale, che hanno gli spigoli smussati e che si appoggiano su una soglia in pietra, creando una raffinata modulazione della superficie con la successione di linee convesse e concave. Le tre monofore sul fianco settentrionale sono così distribuite: la prima, partendo dalla facciata, si trova tra la seconda e la terza lesena, le altre due sono consecutive e si aprono subito dopo il portale, tra la quinta e la settima lesena. Le loro caratteristiche rimangono costanti per tutto l’edificio: si tratta di monofore strombate con archi a

Alcuni saggi di scavo effettuati nel 2005 nella zona absidale della pieve, tra il pilastro angolare nord e l’innesto dell’abside, hanno fornito informazioni interessanti sulle caratteristiche del muro di fondazione e sui tempi del cantiere, che avrebbe avuto una lunga durata, con interruzioni e variazioni del progetto e dei materiali da costruzione: nel riempimento della fossa di fondazione sono stati rinvenuti alcuni rari frammenti di maiolica arcaica databili alla metà del XIV secolo, inoltre sono state individuate diverse fasi nel muro di fondazione e nei pilastri, che sono realizzati in parte in laterizi (fase 1) e in parte con conci di arenaria sbozzati (fase 2)347. Architettura L’edificio, di dimensioni imponenti e caratterizzato da un notevole slancio verticale, presenta una pianta rettangolare con abside poligonale e tre navate suddivise da colonne a formare cinque campate ed realizzato quasi interamente in laterizi (tav. 58). La facciata a capanna è scandita da tre lesene e presenta un paramento in pietra arenaria, costituito da conci squadrati e spianati, di dimensioni piuttosto omogenee, disposti in corsi regolari. Sulla facciata si aprono tre portali tutti realizzati in laterizio (tav. 23). Il portale centrale, di dimensioni molto maggiori, è sormontato da un arco a tutto sesto con architrave in pietra serena348 e presenta una ricassatura realizzata con elementi speciali in cotto che corrono lungo gli stipiti e l’archivolto: dall’interno verso l’esterno si susseguono un listello a sezione circolare, elementi speciali a superficie convessa e un listello modanato. L’arco è impostato su semplici mensole in cotto, conservate solo parzialmente e integrate in cemento, ed è circondato da una cornice composta da elementi curvilinei disposti per foglio decorati con una fuga di piramidi scavate contrapposte. I due portali laterali hanno stipiti ricassati e archi acuti con lunetta sottostante trilobata, impostati su mensole in cotto sagomate. Le ghiere dei due archi sono circondate da una cornice che prosegue anche sulle imposte e che è composta da listelli sagomati che formano la ricassatura ed elementi curvilinei decorati con un motivo a foglie sul portale sinistro e una fuga di frecce incuneate sul portale destro, forse di restauro. Sulla cornice trilobata, realizzata con laterizi disposti per foglio, sono applicate due rosette in rilievo. In asse con il portale centrale si trova un oculo in laterizi, circondato da una cornice a dentelli, da ricondurre ai restauri ottocenteschi. L’intero edificio è impostato su un basamento in laterizi, che corre anche sulla facciata ed è concluso da una cornice aggettante a sezione circolare. Anche il coronamento si svolge lungo tutto il perimetro dell’edificio ed è costituito da una serie di archetti pensili a tutto sesto, ricassati e a curve non concentriche, con gli assi perpendicolari al piano dell’edificio, impostati su 347 Ciampoltrini, G., Leporatti, S., Magister Lippus e l’architettura tardoromanica del laterizio, cit., pp. 27-49. 348 La lunetta cieca al di sotto dell’arco attualmente è intonacata con una tinta neutra ma sappiamo che nel 1625 venne commissionato un affresco che raffigurava S. Martino che dona il mantello al povero e che fu rimosso durante i restauri ottocenteschi, si veda Malacarne, E., La pieve di S. Martino a Palaia, cit., pp. 191 e 194.

349 Malacarne, E., La pieve di S. Martino a Palaia, cit., p. 193 nota 48: dalla relazione dei restauri sappiamo che si provvide a sostituire conci del paramento e laterizi di archi e cornici per un totale di 120 mq circa di superficie, pari a quasi la metà della superficie complessiva che è di 230 mq circa.

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3. Repertorio degli edifici della pieve nella villa del Borgo a Palaia conferma la presenza di una torre campanaria352 e nella relazione della visita pastorale del 1566 viene descritto un piccolo campanile, impostato sul prospetto di una delle navate minori, con due campane e una croce353. Il Tempesti, storico locale che scrisse alla fine del XVIII secolo una descrizione della pieve, non specifica le forme del campanile ma parla delle due campane, una di maggiori dimensioni che doveva essere antica e l’altra che invece era stata realizzata nel 1661, come rivelava l’iscrizione che era riuscito a leggere parzialmente354. L’interno è suddiviso in cinque campate ed è coperto con capriate lignee che risalgono agli interventi ottocenteschi, mentre il pavimento fu sostituito durante i restauri del 1958355 (tav. 28). La zona presbiteriale, che comprende una cappella maggiore affiancata da due laterali, è rialzata ed è separata dalle navate per mezzo di tre arconi a sesto acuto impostati su semi-pilastri, caratterizzati da una doppia ghiera, ciascuna circondata da una cornice decorata con motivi geometrici. Le tre cappelle sono coperte con volte a crociera costolonate e il catino absidale ha una copertura a ombrello, con i costoloni che proseguono lungo le pareti dell’abside enfatizzandone la forma poligonale356. Tutti gli estradossi delle monofore sono decorati con cornici in cotto, così come gli archi ribassati dei due portali laterali e gli archi a tutto sesto dei portali nella controfacciata. Al centro della navata principale è sistemato il fonte battesimale a pianta esagonale e all’ultima colonna sulla destra è addossato il pulpito, entrambi realizzati in laterizio su progetto dell’ingegner Filippeschi, al quale vanno attribuiti anche i tre altari del presbiterio, in laterizi e pietra. Di fianco alla prima colonna destra si trova una piccola vasca marmorea di forma circolare, collocata su un piedistallo in laterizi e adattata ad acquasantiera, che riporta un’iscrizione: “HEC E(ST) ME(N)SURA VINI DE PALARIA Q(UE) DEBET IMPLERI USQ(UE) HUC: FACTA T(EM)P(OR)E D(OMI)NI HUBALDI+”. Si tratta dalla misura del vino, utilizzata fin dall’istituzione della pieve per determinare la quantità di vino che gli abitanti di Palaia dovevano pagare al pievano357. Osservando le due pareti esterne delle navate laterali sono state notate due ammorsature a pettine verticali, una su ciascun lato e alla medesima distanza dalla facciata, cioè pochi centimetri prima della quarta lesena. Su entrambe le pareti è facile individuare che il punto da cui partono queste ammorsature si trova subito al di sopra della cornice del basamento, che infatti prosegue in modo

tutto sesto con cunei disposti per testa, impostati su mensole in cotto sagomate e circondati da una cornice di elementi curvilinei per foglio decorati con diversi motivi geometrici. Il coronamento presente in facciata prosegue anche sui prospetti laterali, con quattro archetti pensili inseriti in ciascuna porzione definita dalle lesene, ognuna delle quali termina con un capitello in pietra schiacciato e decorato con foglie incise o scolpite (tav. 27). Il fianco meridionale presenta un portale di minori dimensioni e dalla forme più semplici rispetto al precedente, aperto su una piccola scalinata, tra la sesta e la settima lesena e quindi più spostato verso la zona absidale. In questo caso troviamo un portale non ricassato e con un’unica ghiera, sormontato da un arco a tutto sesto su mensole sagomate in cotto, con una cornice composta da elementi decorati con una fuga di piramidi scavate. Due delle tre monofore sono aperte di fianco al portale, tra la sesta e la quarta lesena, mentre l’ultima si trova tra la seconda e la terza, in corrispondenza con quella del fianco settentrionale. Il prospetto superiore della navata centrale è scandito da cinque lesene e all’interno di ciascuno spazio si aprono cinque monofore a tutto sesto leggermente strombate, della stessa tipologia delle altre già analizzate ma di minori dimensioni. L’ampia abside poligonale è scandita da lesene che si raccordano alle coppie di arcatelle pensili del coronamento, che qui prosegue identico come sui prospetti laterali insieme al basamento (tav. 24). Tre monofore a tutto sesto molto alte si aprono sulla superficie dell’abside e altre due la affiancano, tutte con le medesime caratteristiche delle precedenti. La zona superiore del prospetto absidale è caratterizzata dalla presenza di altre lesene che suddividono lo spazio in tre porzioni: in quella centrale si apre un rosone ricassato e circondato da una cornice decorata con una fuga di frecce. Il coronamento di questa zona è costituito dalle piccole arcatelle in cotto presenti anche sulle pareti della navata centrale. Sul lato sud della parete absidale si eleva un piccolo campanile a vela, costituito da due aperture quadrangolari dove sono alloggiate due campane, tuttavia si tratta di una soluzione diversa da quella prevista dal progetto originario: osservando il paramento murario della parte terminale della navata centrale si può notare che le arcatelle del coronamento si interrompono e si distinguono chiaramente le tracce di ammorsature a pettine sull’ultima lesena e sulla sommità della parete absidale350. Da questi elementi si può dedurre che originariamente vi era impostata una torre campanaria quadrangolare, ma non sappiamo se la sua sostituzione con il modesto campanile a vela fu dovuta al fatto che non venne mai terminata, forse per un ridimesionamento del progetto originario, o se abbia subito dei danni351. Anche l’affresco settecentesco con la rappresentazione

352 Ciampoltrini, G., Leporatti, S., Magister Lippus e l’architettura tardoromanica del laterizio, cit., fig. 15 p. 44. 353 Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali, 22. 354 Tempesti, R., Palaia, 1793, Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Manoscritti II.I.499, in Ciampoltrini, G., Leporatti, S., Magister Lippus e l’architettura tardoromanica del laterizio, cit., Appendice documentaria, p. 47. 355 Matteoli, A., Appunti di storia dell’arte, cit., p. 128. 356 La volta della cappella centrale venne demolita e ricostruita in modi fedele all’originale, in seguito al terremoto del 1920, si veda Malacarne, E., La pieve di S. Martino a Palaia, cit., p. 187, nota 19. 357 Il piedistallo con un piccolo capitello in pietra è probabilmente opera dell’ingegner Filippeschi; Malacarne, E., La pieve di S. Martino a Palaia, cit., p. 182 e 193; prima dei restauri ottocenteschi la vasca era sorretta da due capitelli di riuso sovrapposti, si veda: Matteoli, A., Appunti di storia dell’arte, cit., p. 130.

350

Alberti, A., L’edilizia ecclesiastica medievale in laterizio tra Valdera e Valdarno Inferiore, in I Maestri dell’argilla. L’edilizia in cotto, la produzione di laterizi e di vasellame nel Valdarno Inferiore tra medioevo ed Età Moderna, a cura di M. Baldassari e G. Ciampoltrini, Pisa 2006, p. 18. 351 Malacarne, E., La pieve di S. Martino a Palaia, cit., p. 191.

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L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV) dei pilastri hanno sul fusto inserti decorativi in laterizio360 (tavv. 29-30). I loro capitelli sono in pietra come nelle altre colonne, ricavati da blocchi monolitici e dalla forma schiacciata, ma questi sono scolpiti in maniera più ricca rispetto agli altri, poiché oltre alle foglie angolari compaiono al centro delle protomi umane. Anche i basamenti sono in pietra, decorati con foglie, e assecondano le forme particolari dei pilastri. I primi due archi intercolumni, quelli impostati su questi quattro pilastri speciali, sono leggermente più bassi rispetto agli altri, pur mantenendo le stesse caratteristiche. Infatti tutti gli archi che suddividono le navate laterali da quella centrale sono a tutto sesto e presentano una doppia ghiera, di cui quella inferiore ricassata e meno spessa, e una cornice costituita da elementi curvilinei disposti per foglio decorati con motivi diversi. Le ammorsature, le differenti tecniche costruttive del coronamento e la particolarità dei pilastri delle prime due campate erano già state osservate da Salvagnini, che per questo motivo ipotizzava la successione di due fasi costruttive, ritenendo più antica la zona compresa tra l’abside e le cesure e giustificando l’interruzione del cantiere con le gravi crisi economiche e politiche che colpirono la Valdera nella seconda metà del XIII secolo, a causa dei frequenti conflitti tra guelfi e ghibellini361. Risulta difficile stabilire con certezza se queste discontinuità appena analizzate siano da riferirsi alla normale successione di due diverse fasi di cantiere oppure se la costruzione della pieve si sia interrotta provvisoriamente alla terza campata (prevedendone comunque altre due visto che il basamento prosegue in modo omogeneo su tutto l’edificio) e sia stata ripresa a distanza di alcuni anni prolungando l’edificio e realizzando la facciata. In uno studio recente sono state ipotizzate tre fasi costruttive principali, la prima corrispondente all’impostazione del basamento dell’intero perimetro, la seconda all’erezione dell’edificio fino alle cesure individuate sulle pareti laterali e infine l’ultima, databile tra il 1279, anno in cui la chiesa ricevette il titolo plebano, e il 1283, data dell’iscrizione sul capitello della seconda colonna a sinistra, durante la quale i lavori sotto la direzione di Andrea da Pontedera giunsero alla conclusione, con l’aggiunta delle due campate e della facciata e probabilmente con la realizzazione delle volte della zona presbiteriale362. Infatti l’operaio che firma il capitello è lo stesso che firma anche la chiave di volta della cappella nord ed è per questo motivo che l’intera copertura della zona presbiteriale potrebbe essere attribuibile a lui363. La tradizione locale aveva identificato l’operaio che firma le due iscrizioni con Andrea Pisano, come testimonia anche l’epigrafe inserita sulla controfacciata all’epoca dei restauri dell’ingegner Filippeschi, tuttavia già il Repetti aveva

omogeneo per tutto l’edificio, mentre è altrettanto evidente che il coronamento non risulta uniforme ma presenta delle piccole differenze costruttive nelle due zone, a ovest e a est dell’ammorsatura (tav. 27): nella zona che va dall’abside alla cesura, negli spazi tra gli estradossi degli archetti pensili troviamo un piccolo elemento quadrangolare disposto a 45 gradi, a richiamo del motivo della fascia decorativa sottogronda, elemento che invece scompare nella zona successiva, dalla cesura verso la facciata, dove questi spazi sono riempiti in modo più disordinato358. Gli archetti pensili a est della cesura presentano raggi diversi ma costanti, a seconda della loro posizione: gli archetti adiacenti alle lesene hanno un raggio maggiore, mentre gli archetti al centro degli spazi delimitati dalle lesene sono più piccoli. A ovest dell’ammorsatura invece gli archetti hanno dimensioni variabili e non seguono un criterio preciso. Anche i beccatelli in cotto presentano delle differenze costruttive, pur mantenendo le stesse forme tronco-coniche e troncopiramidali: quelli a est sono ricavati da un unico elemento, quelli a ovest del fianco settentrionale sono realizzati con tre elementi in cotto sovrapposti, mentre sul fianco meridionale a ovest della cesura i beccatelli sono costituiti da un unico elemento in pietra. Nella fascia superiore del coronamento, quella costituita da piccole arcatelle, gli spazi sottostanti sono riempiti con un unico elemento disposto per foglio nella zona a est della cesura, nella zona a ovest invece sono riempiti con tre laterizi sovrapposti inseriti per fascia. Queste due diverse tecniche di riempimento delle lunette sottostanti le arcatelle si ritrovano anche in quelle del coronamento della navata centrale: anche qui, su entrambi i lati, si possono individuare due zone diverse, riferibili a distinte fasi costruttive, in corrispondenza della seconda lesena partendo dalla facciata, quindi quasi in corrispondenza con le ammorsature delle pareti delle navate laterali. In questo caso non sono visibili le ammorsature perchè rimangono su tutti e due i lati nascoste dalle lesene, tuttavia rispetto ai fianchi delle navate laterali qui sono più evidenti le differenze nel tipo di paramento, più irregolare e costituito da un maggior numero di mattoni ferretti a ovest della cesura. Anche all’interno è possibile individuare due ammorsature a pettine su entrambi i fianchi delle navate laterali e altre due cesure su entrambe le pareti della navata centrale, in perfetta corrispondenza con quelle presenti all’esterno. Inoltre si possono facilmente osservare alcune differenze costruttive e stilistiche tra le due zone separate dalle cesure. La differenza più evidente è sicuramente quella che riguarda la forma dei primi quattro pilastri, a ovest delle ammorsature, che già il Repetti aveva notato359: mentre quelli successivi sono semplici colonne in laterizio, questi sono tutti diversi tra loro e presentano sezioni particolari, poligonali o con aggetti di forma circolare o quadrangolare, inoltre alcuni

360 Il primo pilastro a destra è poligonale, il primo a sinistra quadrangolare con aggetti circolari, il secondo a destra è una colonna con quattro aggetti circolari, e infine il secondo a sinistra è una colonna con molti aggetti quadrangolari. Il secondo pilastro di destra è paragonabile con la terza colonna in pietra della navata destra della pieve di Chianni. 361 Salvagnini, G., Chiese romaniche della Valdera, cit., pp. 15-16. 362 Malacarne, E., La pieve di S. Martino a Palaia, cit., p. 186. 363 Malacarne, E., La pieve di S. Martino a Palaia, cit., pp. 187-188.

358

Sul fianco meridionale nella zona a sinistra della cesura verso la facciata alcuni elementi quadrati sono stati inseriti, ma solo saltuariamente e in modo meno accurato. 359 Repetti, E., Dizionario, cit., t. IV, p. 28: “[...] colonne parte tonde e parte composte di quattro mezze colonne legate in un sol ceppo.”

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3. Repertorio degli edifici risulta a fianco dei due lati di ciascun triangolo, come si può facilmente osservare nella fascia decorativa della prima colonna a destra. Allo stesso modo anche nel motivo a zig-zag o nella fuga di rombi il fondo invece di essere semplicemente ribassato, viene scavato a forma di piramide, enfatizzando i contrasti chiaroscurali e gli effetti luministici. Anche per quanto riguarda la decorazione scultorea in pietra, presente sui capitelli delle colonne e sulle numerose mensole del coronamento esterno, si pone il problema della distinzione tra elementi originali ed elementi di restauro, o addirittura di reimpiego. L’uso di archetti pensili nel coronamento e l’aspetto stilistico delle sculture rimanderebbero entrambi alla cultura lombarda, sicuramente diffusa in Toscana grazie a maestranze itineranti e lapicidi di origine lombarda presenti sul territorio367. Sui capitelli delle prime quattro colonne, quelle dalla sezione poligonale, oltre alle foglie stilizzate che ricadono dagli angoli, sono scolpite al centro protomi umane dai tratti molto essenziali, dal volto ovale, prive di capigliatura, con la bocca e gli occhi a mandorla incisi, il naso triangolare in leggero rilievo e orecchie molto pronunciate. Altre protomi umane si ritrovano sulle mensole all’esterno, dove però prevalgono quelle animali, anche queste tratteggiate in modo molto sintetico e leggermente diversificate tra di loro, ma emergono anche alcuni esemplari scolpiti in maniera più accurata o adottando soluzioni più elaborate, per esempio affiancando due teste divergenti, e si possono riconoscere leoni, arieti, bovi e rapaci. I confronti proposti recentemente con le decorazioni scolpite su mensole e peducci in edifici dell’area pisana e lucchese del XII secolo, come le pievi di S. Maria a Vicopisano e di S. Giulia di Caprona e la chiesa di S. Leonardo in Treponzio, sembrano abbastanza appropriati, tuttavia le sculture di Palaia a mio parere risultano lavorate in modo più sommario, meno raffinato e con una minore varietà di tratti fisionomici nelle protomi umane 368.

scartato questa attribuzione perchè la data incisa risulta incompatibile con il periodo di attività dello scultore, nato intorno al 1290 e autore della porta bronzea del battistero di S. Giovanni a Firenze, firmata e datata 1330364. La stessa studiosa ha notato l’assenza di una correlazione tra le lesene delle pareti esterne delle navate laterali e la suddivisione interna in sei campate, con la relativa successione delle colonne, mentre c’è corrispondenza tra queste ultime e le lesene della parete superiore esterna della navata centrale, dove si aprono cinque monofore in linea con il centro di ogni arco interno. Basandosi su queste osservazioni ha ipotizzato che il progetto iniziale della pieve prevedesse lesene con funzione di contrafforte per contenere le spinte di volte a crociera che avrebbero dovuto coprire l’intero edificio365. A confermare questa tesi sarebbero le misure della pianta dell’edificio, che avrebbero potuto contenere una spartizione in sette campate con volte a crociera, e la forma dei capitelli che sorreggono l’arco che separa ciascuna delle due cappelle laterali dalle due navate: questi capitelli, oltre a sostenere l’arcone d’ingresso della cappella, ospitano su un lato i pennacchi delle volte a crociera ma lasciano uno spazio libero sull’altro e sembrano quindi essere predisposti per contenere un altro pennacchio, mai realizzato366. Il progetto quindi non sarebbe stato portato a termine per problemi strutturali o, più probabilmente per scarse risorse economiche, e le volte a crociera furono realizzate solo nel presbiterio, nella cappella centrale e nelle due laterali. Questa ipotesi, per quanto affascinante, sembra però poco plausibile per quell’epoca e in un contesto così provinciale, se si considera quanto potesse risultare dispendiosa e complessa la costruzione di una copertura a volte di un edificio di così grandi dimensioni. Le numerose decorazioni in cotto presenti in questo edificio sono distribuite sia all’esterno che all’interno, a sottolineare i vari elementi strutturali, circondando gli archivolti di tutti i portali, di tutte le monofore e di tutti gli archi nelle navate e addirittura fasciando i fusti di alcune colonne. I motivi decorativi sono molto vari e se ne possono contare almeno una ventina, ma sicuramente alcuni sono da attribuire ai restauratori ottocenteschi, i quali cercarono di imitare le decorazioni medievali inserendo però anche motivi particolarmente fantasiosi, soprattutto nella zona absidale. All’interno del vasto repertorio di motivi qui presenti si possono riconoscere alcune caratteristiche comuni: risulta subito evidente che a prevalere sono i motivi geometrici e la particolarità che li contraddistingue tutti è la presenza di piramidi scavate, a base triangolare o quadrata, assemblate con varie combinazioni e disposte su più ordini ma sempre riconoscibili (tav. 30). Questa caratteristica, che accomuna quasi tutte le decorazioni in cotto presenti a Palaia e nel territorio circostante, si ritrova applicata anche in uno dei motivi più diffusi in tutta la Toscana, quello della fuga di triangoli (o frecce incuneate), che qui viene reinterpretato scavando delle piramidi negli spazi di

20. Pieve di S. Lucia di Perignano (già suffraganea della pieve di Triana) Note storiche La località è menzionata nell’atto di livello del 983 in cui si elencano i villaggi del piviere di Triana369. Il castello di Perignano, documentato dal 1034 e poi completato dal governo di Pisa nel 1371, quando vi istituì la sede di una capitania, risultava già distrutto negli anni quaranta del XV secolo e dovrebbe essere localizzabile presso l’odierna località il Castello, a nord di Perignano370. La chiesa è attestata dal 1004371, è citata nell’estimo del 1260 e in tutte le decime successive372. Nel 1310 era retta

367 Malacarne, E., La pieve di S. Martino a Palaia, cit., pp. 197-198: l’autrice ricorda per esempio l’attività di Giroldo da Como a S. Miniato, dove scolpì il pulpito per il duomo nel 1274. 368 Ducci, A., Badalassi, L., Tesori medievali, cit., pp. 68-69. 369 Pescaglini Monti, R., Dalla Valdera alla Valdisola, cit., pp. 311-312; Memorie e documenti, cit., t. V, parte III, n. 1564, p. 449. 370 Pescaglini Monti, R., Dalla Valdera alla Valdisola, cit., p. 316 371 Pescaglini Monti, R., I pivieri di Sovigliana, cit., p. 154.

364 Repetti, E., Dizionario geografico fisico storico, cit., t. IV, p. 29; Matteoli, A., Appunti di storia dell’arte, cit., pp. 132-133. 365 Malacarne, E., La pieve di S. Martino a Palaia, cit., p. 183. 366 Malacarne, E., La pieve di S. Martino a Palaia, cit., p. 183, pp. 189190 e fig. 8.

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L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV) svilupparsi assumendo un ruolo sempre più importante nell’area del medio Valdarno, favorito dalla posizione geografica molto strategica, sia dal punto di vista politico-militare, che da quello economico. Il villaggio infatti sorgeva nel punto di incontro tra due importanti vie di comunicazione, quella che unisce Firenze e Pisa e la via Francigena, nel tratto tra Lucca e Siena, inoltre era nei pressi della confluenza dell’Elsa con l’Arno, erano vicini anche i confini con le diocesi di Firenze, Volterra e Pistoia ed era quasi equidistante dalle quattro città toscane principali, Lucca, Pisa, Firenze e Siena. Grazie alla sua centralità vi si concentrarono attività produttive e commerciali e forse ricoprì un ruolo molto importante anche nel commercio del sale, importato dall’area volterrana e da qui smistato nel Valdarno e a Lucca379. Dunque non fu casuale la scelta di questo luogo come sede per l’importante incontro citato nel documento del 715, dove però non si fa ancora riferimento a funzioni plebane per la chiesa di San Genesio. Risale infatti al 763 la sua prima attestazione come pieve battesimale, in un documento in cui si rende nota l’ordinazione di un nuovo rettore, il prete Ratperto del fu Ansifrido380. Nonostante la sua appartenenza alla diocesi lucchese, in un documento dell’883 una parte del villaggio di San Genesio risulta di proprietà del vescovo pisano, che lo allivellava ad un certo Cumperto381. Successivamente la pieve viene citata in un documento di ordinazione del rettore nel 930 e in alcuni atti di livello del 938, del 943 e del 980, dove compare con l’intitolazione a san Giovanni Battista, affiancata a quella originaria di San Genesio, secondo una pratica tipica per quest’epoca382. In un atto di livello del 991 vengono elencate le villae dipendenti dalla pieve383. Nel frattempo era sorto a breve distanza il castello di San Miniato, documentato dal 938, all’interno del quale si trovava una chiesa attestata per la prima volta nel 783, ma fondata intorno all’anno 700384. All’inizio del X secolo si stabilirono i primi contatti tra la pieve di San Genesio e il castello di San Miniato, infatti il destinatario dell’atto di livello del 938 già citato fu proprio il proprietario del castello, Odalberto dei Lambardi, che ricevette dal vescovo di Lucca Gherardo la pieve con tutti i suoi beni e le relative decime385. Anche negli atti di livello successivi sono coinvolti membri della medesima famiglia: in quelli del 943 e 980 troviamo Ugo e Tebaldo, figli di Odalberto, in quello del 991 Fralmo e Ugo, figli del fu Ugo, e in un atto di livello del 1076 il vescovo Anselmo II concesse a

dallo stesso prete a cui era stata affidata la chiesa di Segalare, nel vicino piviere di Sovigliana373. Nel 1384 ottenne il fonte battesimale, ma fu trovata in rovina all’epoca della visita pastorale del 1424374. I resti del castello, con la chiesa di S. Lucia e l’altra intitolata a S. Andrea, vennero probabilmente inglobati in una casa colonica in epoca moderna, ma attualmente sono scomparsi375. 21. Pieve di San Genesio di Vico Wallari Note storiche Il villaggio di Vico Wallari, localizzato sulla via Tosco Romagnola est tra Ponte a Elsa e San Miniato, è attestato per la prima volta nel 715, in un documento in cui viene citata per la prima volta anche la chiesa di S. Genesio, come luogo in cui si svolse un incontro tra i vescovi di Pisa, Firenze, Lucca e Fiesole e un delegato del re Liutprando, riunitisi per risolvere una controversia tra il vescovo di Arezzo e quello di Siena376. Le ricerche archeologiche hanno dimostrato che quest’area era frequentata già durante il VI secolo a. C., ma si hanno tracce più consistenti di insediamenti umani a partire dal III secolo a. C., e dopo una breve fase di espansione in epoca tardo antica, seguita da un periodo di abbandono, un nuovo nucleo abitato si delineò tra la seconda metà del VI e la metà del VII secolo d. C.377. È proprio in questa fase che il villaggio assunse il nome vicus Wallari, di chiara origine longobarda, derivato probabilmente dal nome del signore a cui apparteneva378, e iniziò a 372

Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 201, 221, 267; Tuscia, II, cit., p. 281. 373 Archivio Arcivescovile di Lucca, Libri antichi, 9, c. 49. 374 Archivio Arcivescovile di Lucca, Libri antichi, 37, c. 6, 10 febbraio 1384; Ronzani, M., Definizione e trasformazione di un sistema di inquadramento ecclesiastico, cit., p. 121; Pescaglini Monti, R., Dalla Valdera alla Valdisola, cit., pp. 314-315. 375 Repetti, E., Dizionario, cit., vol. IV, pp. 105-106. 376 Codice diplomatico longobardo, a cura di L. Schiapparelli, I, Roma 1929, n. 20, 715, luglio 5, pp. 77-84; Coturri, E., Il Borgo di San Genesio, in «Bollettino dell’Accademia degli Euteleti di San Miniato», 30, 1956, pp. 15-16; Repetti, E., Dizionario, cit., vol. I, pp. 352-53; Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 89; Salvestrini, F., San Genesio. La comunità e la pieve fra VI e XIII secolo, in Vico Wallari San Genesio: ricerca storica e indagini archeologiche su una comunità del medio Valdarno inferiore fra alto e pieno Medioevo, giornata di studio (San Miniato, 1 dicembre 2007), Centro Studi sulla Civiltà del Tardo Medioevo, a cura di F. Cantini e F. Salvestrini, Firenze 2010, p. 34. Su questo importante documento si sofferma a lungo Violante, ricavandone numerose informazioni sull’organizzazione ecclesiastica dell’VIII secolo, si veda: Violante, C., Le strutture organizzative della cura d’anime, cit., pp. 1019-1057. 377 Cantini, F., Vicus Wallari – Borgo San Genesio. Il contributo dell’archeologia alla ricostruzione della storia di un Central Place della valle dell’Arno, in Vico Wallari - San Genesio: ricerca storica e indagini archeologiche su una comunità del medio Valdarno inferiore fra alto e pieno Medioevo, giornata di studio (San Miniato, 1 dicembre 2007), Centro Studi sulla Civiltà del Tardo Medioevo, a cura di F. Cantini e F. Salvestrini, Firenze 2010, pp. 84-94; Cantini, F., San Genesio: archeologia e storia di una submansio della via Francigena, in «Bollettino dell’Accademia degli Euteleti di San Miniato», 74, 2007, pp. 147-148. 378 Wallar era il nome di uno dei trentasei duchi longobardi che si spartirono il territorio italiano dopo l’invasione del VI secolo (Stopani, R., La Via Francigena, p. 12, n. 12; Stopani, R., La via Francigena in Toscana. Storia di una strada medievale, Firenze 1984, p. 19, n. 8), ma in realtà Wallar era un nome longobardo piuttosto ricorrente

(Salvestrini, F., San Genesio. La comunità e la pieve, cit., p. 32, nota 18). 379 Cantini, F., Vicus Wallari – Borgo San Genesio, cit., p. 94. 380 Memorie e documenti, cit., t. V, parte II, n. 83, p. 51; Coturri, E., Il Borgo di San Genesio, cit., p. 17; Salvestrini, F., San Genesio. La comunità e la pieve, cit., pp. 37-38. 381 Salvestrini, F., San Genesio. La comunità e la pieve, cit., p. 40. 382 Salvestrini, F., San Genesio. La comunità e la pieve, cit., pp. 40-41; Coturri, E., Il Borgo di San Genesio, cit., p. 17; Memorie e documenti, cit., t. IV, parte II, n. 62, pp. 83-84 e n. 64, p. 87; t. V, parte III, n. 1300, pp. 200-201 e nn. 1505-1506, pp. 388-389. 383 Archivio Arcivescovile di Lucca, Diplomatico, * E. 9; Memorie e documenti, cit., t. V, parte III, n. 1672, pp. 552-553; Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 89. 384 Memorie e documenti, cit., t. V, parte II, n. 189, p. 111. 385 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 103.

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3. Repertorio degli edifici importante concilio provinciale393. Al rettore della pieve venne conferito il titolo di praepositus e i canonici, che vivevano secondo il modello della vita comune dei chierici, diffuso nel corso dell’XI secolo dalla cosiddetta Riforma Gregoriana, deliberavano sulle questioni più importanti riguardanti la pieve, occupandosi anche dell’elezione dello stesso proposto394. Il privilegio di protezione emanato da papa Celestino III al proposto Gregorio nel 1195 convalidava quanto era stato concesso dal vescovo, garantendo anche la protezione apostolica, e fu ulteriormente confermato da un altro privilegio indirizzato da papa Innocenzo III al proposto Bonaccorso nel 1205395. La bolla papale, oltre a dimostrare quanto fosse divenuta importante la pieve di San Genesio, visto che ottenere privilegi dalla cancelleria apostolica doveva essere difficile e costoso396, risulta molto utile anche perchè contiene un elenco delle chiese del piviere. Questo si estendeva tra l’Egola, l’Elsa e l’Arno, arrivando fino al confine con la diocesi di Volterra a sud, e comprendeva un numero considerevole di enti dipendenti, circa quaranta tra cappelle, canoniche e ospedali. Nel borgo di San Genesio si trovavano anche altre chiese: S. Egidio, S. Cristoforo, S. Giusto e S. Pietro, di cui rimangono scarse notizie, il lebbrosario di S. Lazzaro, che si trovava a poca distanza dall’abitato ed è localizzabile nei pressi del cimitero di Ponte a Elsa, e la chiesa di S. Angelo supra burgum, oggi Sant’Angelo di Montorzo, sulla collina che sovrastava San Genesio397. Le parole entusiaste di Sant’Anselmo, riportate dal suo biografo Rangerio (vescovo di Lucca tra il 1098 e il 1112), che esprimevano tutto il suo apprezzamento per il borgo, definito come un luogo adatto per soggiornare398, dimostrano che durante il XII secolo l’importanza della pieve di San Genesio non diminuì e che il borgo continuò ad essere frequentato da chi percorreva la via Francigena. Infatti anche quando si affermò il nuovo tracciato, che

livello ereditario metà dei beni e delle rendite della pieve ad altri discendenti di questa famiglia386. Durante il X secolo la località cambiò nome mutuandolo da quello del santo a cui era intitolata la pieve, san Genesio, santo al quale erano dedicate pochissime chiese in Italia387 e la cui identificazione non è del tutto certa. Secondo Stopani, Genesio sarebbe il nome italianizzato del vescovo parigino Saint Denis, e la sua scelta dimostrerebbe il ruolo rilevante che la via Francigena rivestiva nel favorire gli scambi culturali con il mondo oltralpino, visto che anche un’altra chiesa della zona, S. Quintino, situata anch’essa lungo la strada, a sud di S. Miniato, era dedicata a un santo francese388. Secondo Salvestrini invece il santo sarebbe da identificare con san Genesio vescovo di Arles, vissuto tra IV e V secolo e del quale S. Paolino di Nola scrisse una agiografia, o più probabilmente con san Genesio di Roma, un mimo martirizzato da Diocleziano nel IV-V secolo; il culto in questo caso proverrebbe da Lucca, dove fin dall’VIII secolo esisteva il monastero di San Ginese e dove la venerazione per questo santo era collegata al culto del Volto Santo389. Secondo Coturri i due santi, quello francese e quello romano, vennero confusi, proprio per la presenza dei pellegrini che si spostavano dalla Francia a Roma, tanto che alla fine coincisero e si fissò la data della festa al 25 agosto390. Quando i vicari imperiali si stabilirono nel castello di San Miniato, dagli anni Quaranta dell’XI secolo, San Genesio continuò a svolgere un ruolo di primaria importanza: nel 1046 ospitò l’imperatore Enrico III e nel 1055 si svolse qui, e non nel castello, la dieta imperiale, alla presenza dello stesso imperatore391. Non a caso risalgono alla prima metà dell’XI secolo gli importanti lavori di ampliamento della pieve, alla quale venne annessa una canonica, come confermano sia le recenti indagini archeologiche, sia i documenti. La canonica fu istituita molto probabilmente dal vescovo di Lucca Giovanni II (1023-1056)392 e le trasformazioni architettoniche furono promosse dalla curia lucchese, che infatti esercitava un controllo diretto sulla pieve, testimoniato anche da alcuni privilegi concessi nel 1061 e nel 1073 dal vescovo Anselmo I da Baggio, divenuto papa con il nome di Alessandro II, e dal fatto che nel 1080 vi si svolse un

393

Salvestrini, F., San Genesio. La comunità e la pieve, cit., pp. 52-54; Coturri, E., Il Borgo di San Genesio, cit., pp. 21-23; Giusti, M., Notizie sulle canoniche lucchesi, in La vita in comune del clero nei secoli XI e XII, Atti della I Settimana di studio (Mendola, settembre 1959), Milano 1962, I, pp. 434-454, 451. 394 Morelli, P., La nascita del convento domenicano di S. Jacopo in San Miniato: appunti per un’indagine sulle istituzioni ecclesiastiche di un centro minore della Toscana fra Due e Trecento, in Centi, T.S., Morelli, P., Tognetti, L., SS. Jacopo e Lucia: una chiesa, un convento. Contributi per la storia della presenza dei Domenicani in San Miniato, San Miniato 1995, p. 10; Coturri, E., Il borgo di San Genesio, cit., p. 35. 395 Coturri, E., Il Borgo di San Genesio, cit., pp. 18-20; Salvestrini, F., San Genesio. La comunità e la pieve, cit., pp. 54-55; Morelli, P., La nascita del convento domenicano, cit., p. 45, nota 8; Patrologiae latinae cursus completus, a cura di J.P. Migne, Parigi 1844-1905, CCVI, coll. 1085-1086. 396 Ronzani, M., Definizione e trasformazione di un sistema di inquadramento ecclesiastico: la pieve di Fucecchio e le altre pievi del Valdarno fra XI e XV secolo, in Il Valdarno inferiore terra di confine nel Medioevo (Secolo XI-XV), atti del convegno di studi (30 settembre – 2 ottobre 2005), a cura di A. Malvolti e G. Pinto, Firenze 2008, p. 98. 397 Salvestrini, F., San Genesio. La comunità e la pieve, cit., p. 56; Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 89. 398 “Sancti Genesii locus est famosus, agendis aptus colloquiis hospitioque bonus. Hic, quia lucana non multum distat ab urbe, conveniunt fratres, praecipiente patre” (Rangerio, Vita metrica S. Anselmi Lucensis episcopi, Monumenta Germaniae Historica, Scriptores, XXX, 2, Lipsiae 1834, p. 1195); Coturri, E., Il Borgo di San Genesio, cit., p. 23; Chiese medievali della Valdelsa, cit., p. 157; Stopani, R., La Via Francigena, cit., p. 22; Stopani, R. La via Francigena in Toscana, cit., p. 29.

386

Salvestrini, F., San Genesio. La comunità e la pieve, cit., p. 49; Archivio Arcivescovile di Lucca, Diplomatico + C. 74 (1076, giugno 5) e ++ Q. 29 (1076, novembre 23). 387 In realtà nella diocesi di Lucca esistevano ben sei chiese dedicate a questo santo, quasi tutte scomparse: oltre al monastero di S. Ginese, sorto in città nei pressi della porta di San Donato, c’erano le chiese di S. Ginese di Boveglio (Villa Basilica), di Mammoli (nei pressi di Ponte a Moriano), di Cardoso (Gallicano), di Gignano di Brancoli (scomparsa) e di Villora-Casteldurante (scomparsa, ha dato il nome al paese S. Ginese di Compito), si veda Coturri, E., Note ed appunti per servire a una storia del culto di San Genesio nell’antica Diocesi di Lucca, in «Bollettino dell’Accademia degli Euteleti di San Miniato», 43, 1974, p. 19. 388 Stopani, R., La Via Francigena, cit., p. 21 e n. 27; Stopani, R., La via Francigena in Toscana, cit., p. 29, n. 27. 389 Salvestrini, F., San Genesio. La comunità e la pieve, cit., pp. 42-44; Bibliotheca Sanctorum, Roma 1961, vol. VI, coll. 115-117 e 121-125. 390 Coturri, E., Note ed appunti, cit., pp. 21-25. 391 Salvestrini, F., San Genesio. La comunità e la pieve, cit., pp. 49-52; Coturri, E., Il Borgo di San Genesio, cit., p. 21. Davidsohn, R., Storia di Firenze, Firenze 1957-1977, vol. I, pp. 298-299. 392 Coturri, E., Il Borgo di San Genesio, cit., p. 18.

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L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV) l’autonomia politica di San Miniato, il secondo, divenuto ormai sede stabile dei vicari imperiali, interessato ad acquisire il controllo di un centro strategico così importante come San Genesio. Nel 1197 si riunì nella chiesa di S. Cristoforo, all’interno del borgo, la lega delle città guelfe, alla presenza del vescovo di Volterra e dei rappresentati di Firenze, Lucca, Siena, San Miniato e di altri castelli e località minori ostili all’imperatore tedesco, al quale rimasero fedeli solo Pisa e Pistoia405. In seguito il borgo continuò ad essere conteso tra Lucca e San Miniato e si susseguirono distruzioni parziali e ricostruzioni nell’arco di pochi anni. I cittadini sanminiatesi ostili al vicario imperiale vi si rifugiarono per aderire alla lega guelfa, ma già nel 1198 molti di loro abbandonarono l’abitato, che fu in larga parte distrutto per evitare che i Lucchesi ne prendessero possesso406. Tuttavia questi ultimi rioccuparono il borgo nel 1199 e l’anno successivo i Sanminiatesi lo distrussero nuovamente407. Nel frattempo a San Miniato proseguivano le ostilità nei confronti del potere imperiale, e per questo motivo il messo Everardo di Lautern, rappresentante di Ottone IV, soggiornò a San Genesio per un certo periodo e nel 1208 e 1210 anche l’imperatore vi si fermò, non potendo accedere alla rocca imperiale, assediata dai cittadini di San Miniato408. Con l’arrivo di Federico II le rivolte si placarono: i Sanminitesi gli garantirono il loro appoggio e come ricompensa per la loro fedeltà nel 1217 ottennero il possesso del borgo di San Genesio, con la clausola che il sistema viario fosse spostato in favore del castello409. Le conseguenze di questo privilegio imperiale furono principalmente due: San Miniato iniziò a riscuotere le gabelle sul transito delle merci, assicurandosi delle entrate sicure, mentre nel frattempo San Genesio, rimasto isolato, iniziò a decadere e a spopolarsi. Questo comportò a sua volta il trasferimento nel 1236 del titolo plebano alla chiesa di S. Maria di S. Miniato, su richiesta dello stesso proposto di San Genesio, insieme al capitolo canonicale e al comune di San Miniato, inviata direttamente a papa Gregorio IX, senza il coinvolgimento del vescovo di Lucca410. Infatti in quel momento la sede lucchese era vacante e temporaneamente amministrata dai

invece di snodarsi sul crinale delle colline tra la Val d’Egola e la Valdelsa, si svolgeva nel fondo valle, San Genesio rimase una submansione lungo il percorso verso Roma, subito dopo l’attraversamento dell’Arno nella zona di Fucecchio: la località era stata citata nelle Memorie di Sigerico, arcivescovo di Canterbury di ritorno da Roma, della fine del X secolo, ma compariva anche nel diario di pellegrinaggio dell’abate islandese Nikulas di Munkathvera del 1154 c., e ancora nella cronaca del viaggio da Roma alla Francia del re Filippo II Augusto di ritorno dalla crociata del 1191, scritta da Benedetto di Peterborough. Se nel X secolo Sigerico dopo aver toccato San Gimignano, Chianni e Coiano, giungeva a San Genesio e attraversava l’Arno a Fucecchio per proseguire verso Galleno e Altopascio, nel XII secolo anche Nikulas e Filippo Augusto, dopo aver percorso il fondo valle (Borgo Marturi, Certaldo, Castelfiorentino) passavano da San Genesio, per raccordarsi al vecchio itinerario verso Altopascio e Lucca399. A sottolineare l’importanza che il borgo aveva ancora alla fine del XII secolo sono le parole con cui Filippo Augusto lo definisce, “Saint Denis de Bon Repast”, apprezzando evidentemente l’ospitalità che vi ricevette400. Solo a partire dall’inizio del XIII secolo, in seguito alla decadenza dell’antico percorso della Via Francigena, per la concorrenza di una serie di itinerari alternativi e la crescita degli importanti centri della valle dell’Arno (primo fra tutti Firenze, ma anche Arezzo Pistoia e Prato), il suo ruolo si ridimensionò notevolmente401. Durante il XII secolo San Genesio fu scelto più volte come sede per importanti assemblee: nel 1138 vi si incontrarono i consoli di Lucca, Pisa, e Firenze e alcuni rappresentanti di Siena e di altri centri, preoccupati per la presenza imperiale402; nel 1160 vi si svolse la dieta in presenza di Guelfo VI, duca di Tuscia, inviato dall’imperatore Federico I Barbarossa, dei consoli di Pisa, Pistoia, Lucca, Siena e Firenze e di numerosi esponenti delle più importanti famiglie toscane (Guidi, Gherardeschi, Aldobrandeschi, Alberti)403. Nel 1162 si tenne ancora a San Genesio la seconda dieta delle città e dei signori toscani, convocata dal legato imperiale Rainaldo di Dassel, e solo due anni dopo vi fu una nuova assemblea; il successore di Rainaldo, Cristiano di Buch, poi arcivescovo di Magonza, fu a San Genesio alla fine del 1164 e di nuovo nel 1165, per cercare di gestire la complicata situazione toscana404. In questa fase iniziarono a peggiorare i rapporti tra il borgo e il vicino castello di San Miniato, il primo sostenuto dai Lucchesi, che puntavano a sfruttarlo come avamposto per riaffermare il proprio potere nella zona a sud dell’Arno e per limitare

405 Davidsohn, R., Storia di Firenze, cit., I, pp. 912-920; Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., p. 24; Coturri, E., Il Borgo di San Genesio, cit., pp. 33-34; Salvestrini, F., San Genesio. La comunità e la pieve, cit., pp. 67 -69: la scelta di riunirsi a San Genesio probabilmente non fu casuale ma simbolica, visto che la località si trovava ai piedi della rocca di San Miniato. 406 Salvestrini, F., San Genesio. La comunità e la pieve, cit., pp. 69-70; Villani, G., Cronica, Firenze 1823, ristampa Roma 1980, libro V, cap. XXI, tomo I, p. 240. 407 Villani, G., Cronica, cit., libro V, cap. XXVII, tomo I, p. 244; Coturri, E., Il Borgo di San Genesio, cit., pp. 34-35; Davidsohn, R., Storia di Firenze, cit., I, pp. 928-929; Salvestrini, F., San Genesio. La comunità e la pieve, cit., pp. 68-71. 408 Salvestrini, F., San Genesio. La comunità e la pieve, cit., p. 71. 409 Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico, Comune di San Miniato, febbraio 1216; Morelli, P., La nascita del convento domenicano, cit., p. 11; Davidsohn, R., Storia di Firenze, cit., II, pp. 57-58; Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, pp. 53-54; Salvestrini, F., San Genesio. La comunità e la pieve, cit., pp. 72-73. 410 Archivio Arcivescovile di Lucca, Diplomatico, ++ F. 91, 1236, settembre 3; Morelli, P., La nascita del convento domenicano, cit., p. 12.

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Stopani, R., La Via Francigena. Una strada europea nell’Italia del Medioevo, Firenze 1988, p. 21, 59, 64; Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco. Saggio di storia urbanistica e architettonica, Firenze 1967, pp. 22-23. 400 Stopani, R., La Via Francigena, cit., p. 65 e p. 123; Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., p. 24 401 Stopani, R., La Via Francigena, cit., pp. 93, 96. 402 Coturri, E., Il Borgo di San Genesio, cit., pp. 24-25; Salvestrini, F., San Genesio. La comunità e la pieve, cit., p. 58. 403 Salvestrini, F., San Genesio. La comunità e la pieve, cit., pp. 60-61. 404 Coturri, E., Il Borgo di San Genesio, cit., pp. 28-30; Salvestrini, F., San Genesio. La comunità e la pieve, cit., pp. 63-65.

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3. Repertorio degli edifici suoi ruderi furono depredati e sfruttati come cava di materiali da reimpiegare418. Tuttavia il ricordo dell’antico villaggio non scomparve mai del tutto nei secoli successivi, infatti continua a comparire nelle fonti del XIII e XIV secolo: un documento redatto nel 1297, in merito alla definizione dei confini tra San Miniato e Firenze, citava come punto di riferimento il borgo distrutto; nello statuto lucchese del 1308 si ricordava che gli abitanti originari di S. Genesio e i lori discendenti erano da considerare cittadini lucchesi419; nello statuto del comune di San Miniato del 1337 veniva ancora ricordato come riferimento topografico e il toponimo Pieve Vecchia compariva in un documento del 1366420. Ancora in epoca moderna si conosceva con notevole precisione il luogo in cui sorgeva l’antico borgo: nel Settecento esisteva ancora il toponimo Borgo Vecchio, detto anche Campi di San Genesio421 e nel 1841 venne fatta costruire dal vescovo Torello Pierazzi una cappella con un epigrafe422, molto vicina ai resti della pieve, ritrovati nelle recenti campagne di scavo.

vescovi vicini, per questo il papa nel 1234 incaricò il vescovo di Firenze Ardingo di esaminare la situazione, il quale confermò che con lo spostamento dell’asse viario e il conseguente trasferimento della maggior parte degli abitanti nel castello di San Miniato, la pieve era divenuta difficilmente raggiungibile, non aveva quasi più lasciti testamentari, donazioni e offerte, e per questo era stata quasi del tutto abbandonata411. Il passaggio alla chiesa di S. Maria venne ufficializzato definitivamente nel 1250, quando il privilegio concesso da Innocenzo III nel 1204 venne confermato ed esteso alla nuova sede412. Nell’estimo del 1260 non viene dichiarato esplicitamente il trasferimento del titolo plebano, perchè si riporta la dicitura Plebs S. Genesii e nel manoscritto originale solo nel XIV-XV secolo è stato aggiunta a margine la dicitura “de Sancto Miniate”413. Tuttavia nell’elenco non compare la chiesa di S. Maria di S. Miniato, per cui sarebbe da sottintendere che con il titolo di pieve di S. Genesio si facesse riferimento comunque alla nuova pieve414. Nell’estimo vengono elencate ventisei chiese dipendenti e non si notano grandi variazioni rispetto ai documenti precedenti: solo alcune documentate nel XII secolo scompaiono nell’estimo e di tutte queste si sono perse le tracce, come le chiese di S. Cristina e di S. Bartolomeo di S. Miniato, quelle di S. Egidio e di S. Pietro in Borgo S. Genesio, e le chiese di Colle e Monterotundo. Una sola chiesa, quella dei SS. Filippo e Jacopo di Pancole, non compariva nei documenti del XII secolo ma viene aggiunta nell’estimo415. Nelle decime del XIII-XIV secolo il numero delle chiese suffraganee rimane per lo più invariato rispetto all’estimo del 1260 (fig. 10): nelle decime del 1275-76 ne sono elencate ventiquattro, in quelle del 1276-77 venticinque, e in quelle del 1302-03 tornano ad essere ventisei (scompare la chiesa di S. Michele di S. Miniato ma ricompare il lebbrosario di S. Lazzaro)416. I conflitti tra San Miniato e il potere imperiale ripresero poco dopo, quando Federico II per punire i Sanminiatesi, che nel 1232 avevano stretto un patto con Firenze contro il comune di Siena, nel 1240 fece abbattere tutte le torri delle famiglie nobili e soprattutto revocò la donazione dei diritti su San Genesio. Nel frattempo il borgo era stato ricostruito dai Lucchesi, ma nel 1248 i Sanminiatesi lo distrussero nuovamente ed in maniera definitiva, come riferisce la cronaca del Villani417. La pieve, non più officiata dopo il trasferimento del titolo e sicuramente danneggiata in modo grave, venne utilizzata come area cimiteriale fino all’inizio del XIV e i

Architettura Le recenti indagini archeologiche hanno permesso di individuare le diverse fasi dell’insediamento e la successione cronologica delle diverse strutture di un edificio di culto che è stato progressivamente ampliato, per poi essere definitivamente abbandonato e distrutto nel XIII secolo. La struttura più antica dovrebbe risalire ad un periodo compreso tra la fine del VI secolo e il VII secolo: si tratta di una piccola chiesa a pianta quadrangolare, forse una cappella privata, ricavata in una torre della prima metà del VI secolo, alla quale fu aggiunta un’abside423. Nell’area adiacente, verso la fine del VII secolo, venne costruita una nuova chiesa con pianta a T, con transetto sporgente e tre absidi a ferro di cavallo, che fu demolita e sostituita con una chiesa più grande, a tre navate concluse da absidi, in una epoca ancora da precisare, ma presumibilmente da fissare intorno alla metà dell’VIII secolo, periodo in cui la chiesa dovette ottenere il titolo plebano424. L’edificio, di cui rimangono solo le fondazioni realizzate con materiali di cava locali, aveva dimensioni veramente notevoli (lunghezza 36,38 m; larghezza 16,15 m) se confrontate con quelle di altre chiese toscane coeve, e 418 Cantini, F., Vicus Wallari – Borgo San Genesio, cit., p. 109; Salvestrini, F., San Genesio. La comunità e la pieve, cit., p. 79. 419 Coturri, E., Il Borgo di San Genesio, cit., p. 36 420 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 89; Salvestrini, F., San Genesio. La comunità e la pieve, cit., p. 79; Statuti del Comune di San Miniato al Tedesco (1337), a cura di F. Salvestrini, Pisa 1994, lib. V, rub. 56 , p. 458; Archivio di Stato di Firenze, Diplomatico, Monastero di San Paolo di San Miniato, 1366, maggio 26. 421 Il toponimo è attestato in un atto del 1714: Archivio di San Miniato, Estimo, nn. 00242, bene 009; Cantini, F., San Genesio: archeologia e storia di una submansio della via Francigena, in «Bollettino dell’Accademia degli Euteleti di San Miniato», 74, 2007, p. 146. 422 Coturri, E., Il Borgo di San Genesio, cit., p. 15. 423 Cantini, F., San Genesio: archeologia e storia, cit., pp. 148-149. Le indagini archeologiche non hanno permesso di stabilire quale sia stato il destino di questa primitiva struttura, forse fu trasformata in battistero, ma non si sono conservate le fasi posteriori alla prima metà del VII secolo. 424 Cantini, F., Vicus Wallari – Borgo San Genesio, cit., p. 95.

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Salvestrini, F., San Genesio. La comunità e la pieve, cit., pp. 74-75: il trasferimento fu facilitato anche dal fatto che S. Maria era chiesa manuale della pieve, cioè una sorta di sua succursale, officiata non da un parroco stabile ma dal clero della pieve. 412 Archivio Storico del Comune di San Miniato, Archivi aggregati, Enti ecclesiastici, 836, Capitolo e canonici della chiesa di S. Genesio, carta sciolta non datata, 1250 c. 413 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., p. 271. 414 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 90. 415 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 271-272. 416 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 202, 220-221; Tuscia, II, pp. 278-279. 417 Villani, G., Cronica, cit., libro VI, cap. XXXI, tomo II, p. 45; Coturri, E., Il Borgo di San Genesio, cit., p. 35.

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L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV) lapidei: alcuni elementi scolpiti a forma di foglie d’acqua lisce hanno fatto ipotizzare le decorazioni dei capitelli delle navate, altri elementi geometrici, come triangoli e losanghe, in marmo bianco e serpentino, di spessore omogeneo e ben levigati, sono stati interpretati come resti di una raffinata tarsia marmorea, con la quale probabilmente venne arricchita la facciata nel corso del XII secolo432. Inoltre è stato rinvenuto anche il frammento di un bacino ceramico di provenienza tunisina, forse proveniente dal paramento della facciata e risalente alla prima metà del XI secolo433.

molto probabilmente la sua costruzione era stata promossa direttamente dal vescovo di Lucca425, che in questa fase stava cercando di consolidare il proprio potere in questa zona così periferica della sua diocesi. Durante la prima metà del XI secolo la pieve venne notevolmente ampliata: sul lato nord venne annessa una canonica, sotto la zona absidale venne realizzata una cripta triabsidata, l’intero edificio venne allungato di una campata e probabilmente rialzato, perchè gli scavi hanno individuato delle fondazioni continue che dovevano sostenere nuovi pilastri, forse a sezione cruciforme426. La cripta, che costituisce l’unica struttura di cui si è conservato parzialmente l’alzato, aveva un paramento murario realizzato con bozze di arenaria squadrate, disposte su corsi orizzontali e rivestite da intonaco, ed era circondata lungo tutto il suo perimetro da una sorta di panca in muratura, che aveva anche funzione strutturale; vi si accedeva tramite due scalinate laterali con gradini in arenaria e al centro dell’abside maggiori era collocato un altare in muratura, costruito con bozze in arenaria, che probabilmente conteneva le reliquie di San Genesio427. Successivamente, forse durante il XII secolo, venne aggiunto un terzo accesso alla cripta, centrale e di maggiori dimensioni, con la costruzione di una nuova rampa di scale in arenaria428. Il pavimento è in cocciopesto e la copertura era a volte a crociera con costoloni, sorrette da sedici colonne monolitiche in arenaria, anch’esse intonacate, con basi tronco-piramidali e capitelli429. Solo uno dei capitelli è stato rinvenuto e presenta una forma insolita, a tronco di cono con un abaco quadrangolare430, decorato con il motivo ad archetti ciechi, molto simili a quelli scolpiti su un capitello della pieve di San Gervasio di Palaia, databile anch’esso all’XI secolo. Nei livelli di crollo individuati durante lo scavo sono stati trovati numerosi frammenti di intonaco dipinto, provenienti dal rivestimento decorativo della parete absidale della cripta, realizzato forse durante il XII secolo e costituito da motivi geometrici e cornici in finto marmo431. Sono stati rinvenuti anche numerosi frammenti

La canonica venne addossata alla parete settentrionale della pieve, nella zona più vicina alla facciata, e proseguiva verso nord fino a raggiungere il muro del chiostro, che aveva un pozzo al centro ed era stato aggiunto anch’esso in questa fase, perchè è documentato nel 1064 e nel 1072434. Il chiostro venne costruito probabilmente in due fasi: nella prima doveva essere un semplice corridoio coperto e aperto verso est, con il pavimento tappezzato da grandi tombe a cassone, in un secondo momento poi il lato orientale fu chiuso creando quindi degli ambienti coperti435. Sul lato sud-orientale della pieve doveva trovarsi il cimitero e l’abitato doveva estendersi anche a sud della strada Tosco Romagnola, per un totale di 3 ettari e mezzo circa, quindi su una superficie molto più ampia di quella indagata nelle ultime campagne di scavo436.

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Cantini, F., Vicus Wallari – Borgo San Genesio, cit., pp. 95-96. Cantini, F., Vicus Wallari – Borgo San Genesio, cit., p. 101. 427 Cantini, F., San Genesio: archeologia e storia, cit., p. 150; Cantini, F., Vicus Wallari – Borgo San Genesio, cit., pp. 101-102; tuttavia non sono mai state individuate reliquie del santo, né in loco, né nella cattedrale di San Miniato, né in altre chiese della zona, Salvestrini, F., San Genesio. La comunità e la pieve, cit., p. 55. 428 Cantini, F., San Genesio: archeologia e storia, cit., pp. 150-151. 429 Cantini, F., Vicus Wallari – Borgo San Genesio, cit., pp. 101-102. 430 Belcari, R., Costruire e decorare con la pietra, in Con gli occhi del pellegrino. Il borgo di San Genesio: archeologia lungo la via Francigena, a cura di F. Cantini, Firenze 2007, p. 30; Moretti, I., Aspetti dell’architettura altomedievale in Toscana, in La Tuscia nell’alto e pieno Medioevo. In memoria di Wilhelm Kurze, a cura di M. Marrocchi e C. Prezzolini, Firenze 2007, p. 210, n. 62. 431 Colucci, S., I dipinti murali della cripta, in Con gli occhi del pellegrino. Il borgo di San Genesio: archeologia lungo la via Francigena, a cura di F. Cantini, Firenze 2007, p. 31: i due frammenti di dimensioni maggiori, uno in verde scuro con picchiettature in verde chiaro, l’altro rosso con chiazze bianche, provengono probabilmente da una decorazione che imitava le specchiature marmoree, tipiche delle parti inferiori delle pareti; gli altri frammenti invece sono molto piccoli e difficili da interpretare, ma è assai probabile che costituissero 426

decorazioni aniconiche, forse a imitare delle stoffe dipinte; Cantini, F., Vicus Wallari – Borgo San Genesio, cit., p. 102. 432 Belcari, R., Costruire e decorare con la pietra, cit., p. 30; Cantini, F., San Genesio: archeologia e storia, cit., p. 151: forse la facciata aveva una bicromia in verde e bianco come il vicino duomo di Empoli. 433 Cantini, F., Vicus Wallari – Borgo San Genesio, cit., pp. 103-104; Cantini, F., Decorare la chiesa: i bacini ceramici, in Con gli occhi del pellegrino. Il borgo di San Genesio: archeologia lungo la via Francigena, a cura di F. Cantini, Firenze 2007, p. 32: si tratta di un recipiente di forma aperta decorato a boli gialli, cioè con macchie gialle contornate in bruno su sfondo in smalto stannifero verde e bianco. 434 Cantini, F., Vicus Wallari – Borgo San Genesio, cit., p. 104; Cantini, F., La chiesa e il borgo di San Genesio: primi risultati dello scavo di una grande pieve della Toscana altomedievale (campagne 2001-2007), in Chiese e insediamenti nei secoli di formazione dei paesaggi medievali della Toscana (V-X secolo), Atti del Seminario (San Giovanni-Montisi, 10-11 novembre 2006), a cura di S. Campana, C. Felici, R. Francovich e F. Gabbrielli, Firenze 2008, p. 68. 435 Cantini, F., San Genesio: archeologia e storia, cit., p. 151. 436 Cantini, F., San Genesio: archeologia e storia, cit., p. 151.

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3. Repertorio degli edifici piuttosto rara in Toscana: a Lucca esisteva una chiesa dedicata a S. Gervasio, scomparsa già nell’XI secolo, e il nome del santo è rimasto a una delle porte delle mura medievali, mentre nelle decime del XIII secolo troviamo solo otto chiese toscane intitolate a questo santo, di cui soltanto una nella diocesi lucchese442. Al 930 risale la prima attestazione del castello di S. Gervasio, la cui fondazione sarebbe da attribuire a Pietro II, vescovo di Lucca dall’896 al 933, insieme a quella di altri castelli dislocati in altri punti strategici della diocesi443, e sul quale i vescovi di Lucca esercitarono diritti di signoria fino al XIV secolo444. Il castello, di cui rimangono ancora le tracce, fu trasformato in fattoria445 e sorge a pochi metri della pieve, su una collina che si affaccia sulla Valdera. In un atto di livello del 980, con il quale il vescovo di Lucca Guido assegnava metà del castello e metà delle decime del piviere a Teudegrimo del fu Farolfo, capostipite di una famiglia lucchese di altissimo rango, vengono elencati trentacinque villaggi dipendenti, dei quali solo diciannove sono ancora oggi localizzabili446. La pieve è attestata nuovamente nel 998447 e nel 1077, in un atto di livello citato dal Repetti, con il quale il vescovo di Lucca Anselmo cedeva ai fratelli Tegrimo e Ugo il castello e la pieve per un canone annuo di tre denari lucchesi448. Nel diploma imperiale concesso nel 1209 da Ottone IV venivano confermati i diritti feudali al vescovo di Lucca anche sul castello di San Gervasio, ma i pisani tentarono

Fig. 10. Piviere di S. Genesio (particolare della carta allegata ai volumi delle Rationes decimarum) ©1932-1942 Biblioteca Apostolica Vaticana

22. Pieve di San Gervasio Note storiche La pieve di San Gervasio è documentata per la prima volta nell’813, in un atto di livello, dove compare associata al toponimo Verriana: Urso del fu Teuperto ricevette a livello da Iacopo vescovo di Lucca una casa presso questa località437. Il toponimo era comparso già in un documento del 754 citato dal Muratori, nel quale il fondatore del monastero di Palaziolo (Monteverdi Marittimo) donava alcune terre di sua proprietà situate presso l’Arno e presso Verriana438. Un documento dell’853 conferma che questo era il nome del luogo in cui è situata la pieve439. Durante il IX numerosi documenti dimostrano come i vescovi di Lucca amministrassero personalmente i beni di questa pieve, concessi più volte in beneficio a laici, come accade nell’847 con un tale Ebruardo, citato esplicitamente come vassallo del vescovo Ambrogio, e successivamente nell’arco di pochi anni, nell’874, 876, 878 e 886440. È stato notato come l’intitolazione a san Gervasio, il diacono le cui reliquie furono rinvenute da S. Ambrogio a Milano nel 386 insieme a quelle di Protasio441, risulti

442 Morelli, P., La pieve di S. Gervasio, cit., p. 42 e note 16 e 17; Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit. Si tratta delle chiese di S. Gervasio de Castro Plebis e di Seggiano (diocesi di Chiusi), di S. Gervasio de Baco e S. Gervasio de Pelago (diocesi di Firenze), di Vallisana (Volterra) e di Marmoraia (Siena). 443 Memorie e documenti, cit., t. V, parte III, n. 1223, pp. 129-130; Alberti, A., I castelli della Valdera., cit., pp. 30 e 54; Pescaglini Monti, R., La famiglia dei fondatori del castello di Palaia (secoli IX-XI), in Palaia ed il suo territorio fra antichità e medioevo, Atti del convegno di studi (Palaia, 9 gennaio 1999), a cura di P. Morelli, Pontedera 2000, p. 131; Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 102; secondo Morelli la fondazione dovrebbe risalire ai primi anni del X secolo e sarebbe contemporanea a quella degli altri castelli vescovili (S. Maria a Monte, Pietrabuona e Moriano), Morelli, P., La pieve di S. Gervasio, cit., p. 48, nota 60. 444 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 102. 445 Sul fenomeno della trasformazione in villa-fattoria o borgo-fattoria di antichi insediamenti medievali a partire dal XVI secolo si veda Stiaffini, D., Villa Saletta: ubicazione geografica e descrizione del territorio, in Villa Saletta in Valdera. Da villaggio medievale a fattoria modello di età moderna, a cura di A. Alberti, S. Bruni, D. Stiaffini, Pisa 2007 e Giusti, M.A., Le ville della Valdera, Pontedera 1995. 446 Archivio Arcivescovile di Lucca, Diplomatico, + A. 30; Memorie e documenti, cit., t. V, parte III, n. 1512, p. 394; Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., pp. 81-83; Morelli, P., Il territorio tra Arno-Era e Roglio, in La pianura di Pisa e il rilievi contermini. La natura e la storia, a cura di R. Mazzanti, Roma 1994, pp. 288-291. 447 Memorie e documenti, cit., t. V, parte III, n. 1733, p. 604; 1734, pp. 605-606; Traversi, G., Nuovi studi sull’architettura romanica, cit., p. 53. 448 Repetti, E., Dizionario, cit., vol. II, p. 434. I due fratelli, proprietari anche di alcuni beni a Palaia, stipularono un contratto particolare con il vescovo, con una clausola che prevedeva una mutua assistenza, anche militare, per salvaguardare le loro proprietà, in merito alle complesse vicende che interessarono i due castelli si veda: Morelli, P., Signorie ecclesiastiche e laiche nel Valdarno lucchese fra X e XIII secolo, in Il Valdarno inferiore terra di confine nel Medioevo (Secolo XI-XV), atti del convegno di studi (30 settembre – 2 ottobre 2005), a cura di A. Malvolti e G. Pinto, Firenze 2008, pp. 286-289.

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Archivio Arcivescovile di Lucca, Pergamena + D. 81, 813 luglio 21; Memorie e documenti, cit., t. V, parte II, n. 387, pp. 234-235; Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 100; Morelli, P., La pieve di S. Gervasio di Verriana e il suo territorio (secolo VIII-XV), in Palaia ed il suo territorio fra antichità e medioevo, atti del convegno di studi (Palaia, 9 gennaio 1999), a cura di P. Morelli, Pontedera 2000, p. 42; il toponimo secondo il Pieri deriverebbe dal nome di persona Verrius, Pieri, S., Toponomastica della Valle dell’Arno, Roma 1919, p. 195. 438 Traversi, G., Nuovi studi sull’architettura romanica in Toscana. San Gervasio di Palaia, in «Bollettino dell’Accademia degli Euteleti della Città di San Miniato», 40, 1968, p. 53; Muratori, L. A., Antiquitates italicae Medii Aevi, Milano 1738-1742, ristampa anastatica Bologna 1965, t. XIV, pp. 569 e 575. 439 Archivio Arcivescovile di Lucca, Pergamena + H. 85, 853 marzo 9; Memorie e documenti, cit., t. V, parte II, n. 695, pp. 416-417; Morelli, P., La pieve di S. Gervasio, cit., p. 42. 440 Memorie e documenti, cit., t. V, parte II, n. 644, p. 348; n. 839, p. 511; n. 851, p. 520; n. 853, pp. 521-522; n. 870, p. 532; n. 882, pp. 539540; n. 950, p. 586; Morelli, P., La pieve di S. Gervasio, cit., p. 48. 441 Bibliotheca Sanctorum, Roma 1965, vol. VI, coll. 298-304.

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L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV) l’abside, parte della navata centrale e di quella sinistra, e il campanile originario, impostato sull’abside minore destra458. Con i lavori di ripristino fu ricostruita la facciata retrocedendola di almeno due campate e procedendo in modo piuttosto frettoloso con l’impiego di materiale vario e di recupero, come conci di pietra squadrata, pietrame irregolare e mattoni. Le arcate della navata destra vennero tamponate e in quello spazio vennero ricavati alcuni locali adibiti a sacrestia e a deposito per attrezzi. Secondo Salvagnini invece l’edificio, diventato ormai una modesta parrocchia di campagna, venne ridotto a due sole navate perchè le sue dimensioni risultavano eccessive, e per lo stesso motivo non vennero ricostruite le prime campate, andate distrutte per cause accidentali o belliche459. In occasione della visita pastorale del 1575 il vescovo ordinò che fosse restaurato il pavimento e fossero messi i vetri alle finestre, e nel 1588 rilevò che l’edificio era privo di campanile460. Durante il XVII secolo furono eseguiti alcuni interventi di consolidamento e venne aggiunto un nuovo campanile, impostato sul lato sinistro della facciata, probabilmente intorno al 1622, data iscritta sul fonte battesimale collocato in una nicchia nella zona sottostante il campanile461. Tuttavia già pochi anni dopo, nel 1631, il campanile crollò e venne fatto ricostruire dal pievano Alessandro Canneri, sul modello del precedente in pietra462. A questa fase dovrebbero risalire anche il pavimento attuale in mezzane di cotto, il portale in arenaria e probabilmente l’intonacatura della facciata, la cui muratura così irregolare difficilmente fu lasciata a vista463. Al 1746 risale la costruzione di una piccola cappella, ricavata nella tamponatura della navata destra, tra la seconda e la terza colonna, e dotata di un altare in pietra serena464. Durante il XVIII venne anche costruita la canonica, addossata alla zona absidale. Nel 1932 la chiesa venne restaurata su iniziativa del conte Guido dei Barbolani di Montauto: in questa occasione, oltre ai lavori di consolidamento architettonico e alla realizzazione di alcuni affreschi per opera del pittore Amerigo Ciampini, si procedette con una nuova intonacatura della facciata e con l’apertura delle tre monofore, sagomate con il cemento465; inoltre vennero liberate dalla tamponatura l’ultima campata e l’absidiola della navata destra466. Durante gli scavi effettuati nell’area del sagrato della chiesa intorno al 1955, vennero individuate le sottofondazioni dei muri perimetrali

di impadronirsene più volte tra il XII e il XV secolo, fino a quando tutto il territorio venne definitivamente conquistato dai fiorentini nel 1496449. La documentazione relativa alla chiesa si interrompe all’inizio del X secolo per riprendere solo tre secoli dopo con l’estimo della diocesi di Lucca del 1260: qui compaiono venticinque enti dipendenti dalla pieve, tra i quali anche un ospedale e un monastero, ma solo nove di questi sono sopravvissuti. Il piviere comprendeva una zona molto ampia, che si estendeva a sud dell’Arno, tra l’Era e il Roglio a ovest e il rio di Ricavo a est, e confinava sia con la diocesi di Pisa a nord, che con quella di Volterra a sud (fig. 11). Nelle decime del 1275-76 venivano menzionate solo due suffraganee, in quelle del 1276-77 arrivavano a undici e infine in quelle del 130203 erano quindici450. Nel frattempo però una delle suffraganee, la chiesa di S. Martino di Palaia, ottenne il titolo plebano dal vescovo di Lucca Paganello, nel 1279, in seguito al forte incremento demografico nella zona e alle frequenti ostilità sorte tra gli abitanti di Palaia e quelli di San Gervasio451. Nel nuovo piviere di Palaia rientrarono le chiese di S. Maria di Ripario (Ripezzano), S. Maria di Partino e S. Lorenzo di Gello, precedentemente suffraganee di S. Gervasio452. L’edificio attuale dovrebbe risalire alla metà del XI secolo e fu probabilmente edificato sullo stesso sito della chiesa altomedievale453. Durante il XV secolo la chiesa dovette subire dei danni ingenti, probabilmente in occasione dell’assedio del castello di San Gervasio da parte delle truppe milanesi capeggiate dal condottiero umbro Niccolò Piccinino nel 1431454. Infatti nella relazione della visita pastorale del 1382 la pieve risultava in ordine e regolarmente funzionante, mentre durante la visita successiva, nel 1450, fu trovata in rovina e non officiata455. Tuttavia in nessun documento compaiono riferimenti espliciti a danni bellici e la distruzione parziale della chiesa può essere stata causata anche da uno smottamento del terreno, vista la posizione dell’edificio, affacciato sul pendio della collina456. La pieve comunque venne rapidamente restaurata, visto che nel 1466 il visitatore faceva riferimento solo alla necessità di ripulirla dalla vegetazione e di sgombrarla dai tini che vi erano stati accatastati457. Il crollo dovette interessare la facciata, l’intera navata destra, esclusa 449

Repetti, E., Dizionario, cit., vol. II, p. 435 e Caciagli, G., Pisa, cit., vol. 4, pp. 730-733. 450 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 202, 222-223; Tuscia, II, cit., p. 283-284. 451 Archivio Arcivescovile di Lucca, Diplomatico V 75, 12 Maggio 1279; Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 83. 452 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., pp. 82-83. Tuttavia le chiese di Gello e Partino nelle decime del 1302-03 figurano ancora tra le suffraganee di S. Gervasio. 453 Tempestini, S., La pieve romanica di S. Giovanni Battista a S. Gervasio di Palaia: il suo stato originario e i vari interventi di restauro architettonico, in Palaia ed il suo territorio fra antichità e medioevo, atti del convegno di studi (Palaia, 9 gennaio 1999), a cura di P. Morelli, Pontedera 2000, p. 69; Salvagnini, G., Chiese romaniche della Valdera, Firenze 1969, p. 19. 454 Traversi, G., Nuovi studi sull’architettura romanica, cit., p. 56. 455 Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali, 2, c. 137v. e Visite pastorali, 7, c. 96. 456 Tempestini, S., La pieve romanica di S. Giovanni Battista, cit., p. 69 e nota 3. 457 Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali, 9, c. 100.

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Tempestini, S., La pieve romanica di S. Giovanni Battista, cit., p. 70. Salvagnini, G., Chiese romaniche della Valdera, cit., p. 20. 460 Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali, 33, c. 55v. 461 Dopo la distruzione del campanile originale la pieve probabilmente non ne aveva più avuto uno, infatti la relazione della visita pastorale del 1564 riferisce che la chiesa era sprovvista di campane (Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali, 14, c. 560, anno 1564); Tempestini, S., La pieve romanica di S. Giovanni Battista, cit., p. 73. 462 Traversi, G., Nuovi studi sull’architettura romanica, cit., p. 63. 463 Tempestini, S., La pieve romanica di S. Giovanni Battista, cit., p. 71, nota 7 e p. 73. 464 Tempestini, S., La pieve romanica di S. Giovanni Battista, cit., p. 73. 465 Traversi, G., Nuovi studi sull’architettura romanica, cit., p. 56; Tempestini, S., La pieve romanica di S. Giovanni Battista, cit., pp. 71 e 73. 466 Salvagnini, G., Chiese romaniche della Valdera, cit., p. 20. 459

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3. Repertorio degli edifici rifacendosi all’originale472, ma non esistono prove che possono confermarlo. Il paramento sottostante il campanile è stato risparmiato dall’intonaco ma sembra opera di rimontaggio, costituito da conci in pietra di dimensioni variabili alternati da laterizi, in filari orizzontali piuttosto irregolari. Sul fianco sinistro il paramento prosegue con gli stessi materiali, con grandi porzioni in laterizio, soprattutto nella tamponatura di un grande portale con arco a tutto sesto e nella zona subito al di sopra dello zoccolo intonacato. Nell’area superiore invece sembra si sia conservato maggiormente il paramento originale, costituito dalle stesse bozzette in pietra calcarea, probabilmente verrucano473, presenti in tutto l’edificio, ma distribuite in maniera più regolare, in filari orizzontali e paralleli, dall’altezza abbastanza uniforme, con i giunti riempiti con abbondante malta e incisi. Sul fianco è stato aperto in epoca moderna un piccolo portale laterale, sormontato da una tettoia, mentre delle due monofore strombate solo la seconda, quella posta quasi in asse con il portale, è da ritenere originaria, decorata con un archivolto monolitico, dall’estradosso curvo, scolpito con doppia scanalatura474. Il fianco destro fu costruito ex novo insieme alla facciata e non conserva niente dell’originale. La zona absidale è stata in parte liberata durante gli ultimi restauri dalla canonica settecentesca che le era stata addossata e che nasconde ancora completamente l’absidiola settentrionale e gran parte dell’abside centrale (tav. 4). Il paramento originale, costituito da conci calcarei di dimensioni piuttosto omogenee, ben squadrati e spianati, disposti in corsi orizzontali e paralleli con giunti abbastanza sottili, si è conservato parzialmente nell’abside meridionale, ma sono presenti comunque alcune manomissioni, inserti in laterizio e soprattutto nella zona bassa grandi quantità di malta475. L’abside centrale invece è stata in parte ricostruita durante gli ultimi restauri, perchè nel dopoguerra era stata sventrata per la costruzione di due camini, ma sono stati impiegati materiali originali, rinvenuti nell’orto della canonica, posti in opera con una tecnica volutamente diversa per evidenziare le parti di restauro476. Sull’abside meridionale si apre una piccola monofora strombata con un archivolto monolitico a tutto sesto, e sulla struttura che la sovrasta in origine doveva trovarsi il campanile. Le tre absidi semicircolari hanno un coronamento ad archetti pensili a tutto sesto, costituiti da elementi curvilinei e impostati su peducci trapezoidali modanati

mancanti, la basi di due colonne, in linea con quelle interne che separano la navata centrale dalle laterali, e vari frammenti lapidei, tra i quali alcuni capitelli scolpiti, identici a quelli ancora in situ467. Con gli ultimi restauri, eseguiti a partire dal 1995, è stata riportata alla luce la zona absidale, liberandola dalla canonica settecentesca, è stato rinnovato l’intonaco della facciata, ed è stata recuperata la decorazione pittorica della cappella settecentesca468. Architettura In origine la pieve presentava una pianta basilicale a tre navate, concluse da tre absidi circolari, con quella centrale di maggiori dimensioni, ed era suddivisa in sei campate da cinque pilastri circolari per parte. Analizzando le dimensioni dell’edificio e facendo riferimento alle unità di misura in uso nel medioevo, è stato ipotizzato che i pilastri fossero addirittura sei per parte, perchè in tal modo il rapporto approssimativo tra lunghezza e larghezza sarebbe stato di 1 a 2469. In seguito ai danni subiti dalla pieve durante il XV secolo, la superficie complessiva dell’edificio venne notevolmente ridimensionata, con la perdita delle prime due campate e di parte della navata destra. Attualmente l’edificio presenta quindi soltanto due navate integre e quattro campate divise da sei colonne (tav. 57). Della navata destra è rimasta inalterata la zona absidale e si sono conservati i pilastri che la dividevano da quella centrale, ma è rimasta accessibile solo l’ultima campata, recuperata durante i restauri del 1932 rimuovendo il riempimento dell’arcata470, mentre le prime tre campate sono ancora utilizzate come sacrestia, separate dal resto dell’edificio tramite una tamponatura nella prima arcata, una vetrata aggiunta in occasione dell’ultimo restauro nella seconda e la cappella settecentesca nella terza. La facciata era stata ricostruita in modo frettoloso con materiali di recupero, probabilmente perchè era stato previsto fin dall’inizio di non lasciarla a vista ma di intonacarla, per questo motivo gli interventi di restauro del 1932 e del 1995 hanno riproposto questa soluzione (tav. 3). Il portale in arenaria e il campanile in laterizi, innestato direttamente sulla facciata, a filo con lo spiovente sinistro, risalgono al XVII secolo, mentre le tre monofore e le arcatelle cieche del coronamento furono realizzate in cemento durante i restauri del 1932, con delle decorazioni stampate sul cemento471. Lo schema della facciata a capanna, con questa distribuzione delle aperture e questo coronamento, probabilmente fu scelto

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Ducci, A., Badalassi, L., Tesori medievali nel territorio di San Miniato, Pisa 1998, p. 28. 473 Traversi, G., Nuovi studi sull’architettura romanica, cit., p. 65. 474 Il Traversi la considerava l’unica finestra originaria insieme a quella dell’abside centrale, Traversi, G., Nuovi studi sull’architettura romanica, cit., p. 62. L’altra monofora, ricostruita nella zona sottostante il campanile al momento della sua erezione, è stata realizzata in cemento, con un archivolto a imitazione dell’originale. 475 Nell’abside settentrionale, ancora inglobata nella canonica, sono state individuate durante il restauro le tracce della martellina impiegata per la lavorazione della pietra e del nastrino perimetrale di circa un centimetro di spessore, realizzato con lo scalpello lungo i bordi per staccare i singoli blocchi, secondo la tecnica consueta nel medioevo, si veda Tempestini, S., La pieve romanica di S. Giovanni Battista, cit., p. 72. 476 Tempestini, S., La pieve romanica di S. Giovanni Battista, cit., pp. 71-72.

467 In assenza di una adeguata relazione degli scavi, il Traversi riporta le notizie ricevute dal canonico Lelio Mannari, titolare della vicina Collegiata di Santa Maria a Monte, oltre a ricordare la presenza nell’orto attiguo alla pieve di tre capitelli erratici: Traversi, G., Nuovi studi sull’architettura romanica, cit., pp. 56-57. 468 Tempestini, S., La pieve romanica di S. Giovanni Battista, cit., pp. 71-73. 469 Tempestini, S., La pieve romanica di S. Giovanni Battista, cit., p. 70. Le dimensioni attuali dell’edificio sono 13,59 metri di larghezza e 15,10 metri di lunghezza, e il Traversi ipotizzava una lunghezza massima di 24 metri circa, si veda Traversi, G., Nuovi studi sull’architettura romanica, cit., p. 56. 470 Traversi, G., Nuovi studi sull’architettura romanica, cit., p. 58. 471 Tempestini, S., La pieve romanica di S. Giovanni Battista, cit., p. 71.

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L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV) geometrici scolpiti con un rilievo molto basso o incisi, spesso su più ordini sovrapposti (tavv. 5-6). La dedicazione a san Gervasio, il cui culto è legato indiscutibilmente a sant’Ambrogio, era stata subito messa in relazione con le forme lombarde dell’edificio e per il repertorio decorativo erano stati proposti numerosi confronti con edifici lombardi484. I pilastri cilindrici a piccole bozze rimanderebbero all’ambito del protoromanico lucchese e uno dei primi casi è stato identificato nella pieve di S. Martino di Coreglia Antelminelli, in Valdiserchio, datati dal Luporini al X secolo485 ma forse da spostare all’XI secolo486. A Coreglia si trovano anche capitelli in pietra molto schiacciati, ad angoli sgusciati e decorati con motivi incisi simili a quelli di S. Gervasio. Tuttavia la loro forma, per quanto schiacciata e quasi deformata dalla pressione delle arcate che sorreggono, ricorda comunque quella tronco-piramidale di un capitello e non di un semplice abaco come quella dei capitelli di S. Gervasio. In un gruppo di edifici lucchesi datati tra X e XI secolo ritroviamo capitelli schiacciati su colonne ribassate a piccole bozze487. In Lunigiana, nella pieve di S. Stefano a Sorano, Filattiera, datata all’XI secolo, le arcate interne sono sorrette da pilastri cilindrici realizzati con le bozzette irregolari legate con abbondante malta che caratterizzano l’intero edificio, e sono impostate su capitelli semplicissimi, dalla forma molto schiacciata e decorati con incisioni molto semplici488. In altre pievi toscane dell’XI secolo si ritrovano pilastri cilindrici a piccole bozze489: nella pieve di S. Pietro a Gropina sono stati individuati tozzi pilastri cilindrici in pietrame irregolare tenuto insieme con molta calce490; nel territorio aretino, in altri due edifici protoromanici, la pieve di S. Eugenia al Bagnoro e la ex pieve S. Cassiano a Campavane, si ritrovano pilastri cilindrici molto

con alcune linee incise, inseriti tra due lesene laterali alle estremità di ciascuna abside. Nel contado fiorentino e in Valdelsa troviamo archetti pensili avvicinabili a questi, in alcuni casi costituiti da piccole bozze in pietra su peducci trapezoidali, come nel claristorio del fianco settentrionale della pieve di Sant’Appiano (Barberino Val d’Elsa) della metà dell’XI secolo477. Tra gli esempi più arcaici troviamo gli archetti che decorano i fianchi della navata centrale della pieve di S. Maria a Pacina (Castelnuovo Berardenga), databili all’XI secolo, realizzati con una tecnica muraria molto rozza e dalle dimensioni irregolari478. In altri casi sono realizzati con piccoli elementi in cotto e sono associati a peducci dello stesso materiale479. Pezzi curvilinei più simili a questi di S. Gervasio sono impiegati negli archetti del coronamento delle absidi della pieve di S. Lazzaro a Lucardo, datati entro la fine del XI secolo, che però sono ricassati ed associati a delle profonde nicchie che si aprono nei sottarchi480, simili a quelli coevi della pieve di S. Pancrazio a San Casciano Val di Pesa481 e della pieve di S. Leonardo ad Artimino (secondo quarto dell’XI secolo)482. All’interno le navate sono divise da sei pilastri cilindrici piuttosto robusti e poco slanciati, realizzati con piccoli conci ben squadrati e spianati483 e sormontati da capitelli a tavola, a base quadrata, talmente schiacciati da ricordare dei semplici abachi, decorati con motivi

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Altri esempi simili si trovano nell’abside della pieve di S. Donnino a Villamagna (Bagno a Ripoli), datata tra XI e XII secolo (si veda: Frati, M., Chiese romaniche, cit., pp. 83-85, tavv. 4, 15, 31), nella pieve di S. Severo di Legri (Calenzano), dove rimangono frammenti di archetti pensili a piccole bozze nella porzione inferiore del campanile e nell’absidiola destra (si veda: Firenze romanica. Le più antiche chiese della città, di Fiesole e del contado circostante a nord dell’Arno, a cura di S. Rinaldi, A. Favini, A. Naldi, Empoli 2005, tavv. 51 e 55, pp. 138140), ma simili a questi dovevano essere anche quelli che coronavano lungo tutto il perimetro della pieve di S. Maria a Filettole (Prato), distrutta completamente nel 1944 (Moretti, I., Stopani, R., Architettura romanica religiosa nel contado fiorentino, Firenze 1974, figg. 14-15; Firenze romanica, cit., pp. 140-142, fig. 77). In territorio pistoiese troviamo esempi nelle chiese, datate all’XI secolo, di S. Salvatore in Agna a Montale, nella zona absidale (si vedano: Salmi, M., Chiese romaniche della Toscana, Milano 1961, fig. 9; Redi, F., Chiese medievali del Pistoiese, Cinisello Balsamo (Milano) 1991, p. 59 e figg. 28 e 99) e di S. Michelino di Pescia, in facciata, nell’abside e sui fianchi laterali (Redi, F., Chiese medievali, cit., p. 59 e figg. 26, 33-34). 478 Gabbrielli, F., Romanico aretino. Architettura protoromanica e romanica religiosa nella diocesi medievale di Arezzo, Firenze 1990, pp. 57, 155, fig. 20. 479 Per esempio nella pieve di S. Mamiliano a Cignano, Cortona (si veda: Gabbrielli, F., Romanico aretino, cit., p. 117 e fig. 103), nella badia di S. Salvatore e nella pieve di S. Giuliano a Settimo (Scandicci, metà XI secolo), nella canonica di S. Maria a Sammontana (Montelupo Fiorentino), dove i sottarchi sono riempiti con bozze di maggiori dimensioni rispetto a quelle impiegate nel resto del paramento (Frati, M., Chiese romaniche, cit., pp. tavv. 5-6, 12-14, 7) e nel S. Bartolomeo al Pomino, Rufina (Moretti, I., Stopani, R., Architettura romanica religiosa, cit., p. 198 e fig. 252). 480 Frati, M., Chiese romaniche, cit., pp. 117-119, fig. 58. 481 Frati, M., Chiese romaniche, cit., pp. 99-100, fig. 36. 482 Redi, F., Chiese medievali del Pistoiese, Cinisello Balsamo (Milano) 1991, pp. 47-59 e figg. 18-19, 22-24, 98; Tigler, G., Toscana romanica, Milano 2006, pp. 297-299. 483 Tuttavia è stata notata la presenza di larghe porzioni dei pilastri attribuibili a rimontaggi effettuati in epoche successive con l’utilizzo abbondante di malta, si veda Ducci, A., Badalassi, L., Tesori medievali, cit., p. 28.

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Traversi, G., Nuovi studi sull’architettura romanica, cit., pp. 64-65. Luporini, E., Problemi dell’architettura medievale lucchese: la chiesa di S. Martino di Coreglia, in «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa», XIII 1954, pp. 101-120, p. 112 e fig. 16; Baracchini, C., Caleca, A., Architettura medievale in Lucchesia, 1., in «Critica d’Arte», 113, 1970, figg. 11-12, pp. 11-12. 486 Ducci, A., Badalassi, L., Tesori medievali, cit., pp. 28-30. 487 Per esempio nelle chiese di S. Jacopo a Boveglio (Villa Basilica), di S. Maria a Paganico (Capannori) (si veda: Filieri, M.T., Architettura medievale in diocesi di Lucca. Le pievi del territorio di Capannori, Lucca 1990, p. 54 e fig. 75, p. 80), oppure in due chiese situate presso Bagni di Lucca, quella di S. Paolo a Vico Pancellorum, con capitelli schiacciati ad angoli sgusciati con decorazioni molto stilizzate, e quella di S. Pietro di Corsena, con capitelli quadrangolari a forma di abaco, assai vicini a quelli di S. Gervasio (si vedano: Baracchini, C., Caleca, A., Architettura medievale in Lucchesia, 1., in «Critica d’Arte», 113, 1970, figg. 31-32, p. 26 e 35-37, pp. 28-29; Baracchini, C., Caleca, A., Filieri, M.T., Architettura e scultura medievali nella diocesi di Lucca: criteri e metodi, in Romanico padano, Romanico europeo, Convegno internazionale di studi (Modena – Parma, 26 ottobre – 1 ottobre 1977), Parma 1982, p. 291 e nota 8 p. 302, fig. 9, p. 293). 488 Tigler, G., Toscana romanica, Milano 2006, pp. 207-208. 489 Tigler, G., Toscana romanica, cit., p. 208. 490 Una campagna di scavi condotta negli anni Sessanta ha permesso di individuare e di attribuire almeno in via ipotetica alla prima metà dell’XI secolo, l’ampliamento della chiesetta a navata unica absidata altomedievale, realizzato aggiungendo una seconda navata, si veda: Gabbrielli, F., Romanico aretino. Architettura protoromanica e romanica religiosa nella diocesi medievale di Arezzo, Firenze 1990, pp. 41, 149-150; Tigler, G., Toscana romanica, cit., p. 173 e fig. 158. 485

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3. Repertorio degli edifici simili491, mentre nella pieve di S. Vincenti (Gaiole in Chianti), da ricondurre ad una fase immediatamente successiva perchè caratterizzata da una tecnica muraria più raffinata, con piccole bozze di alberese squadrate e murate in corsi orizzontali, si trovano pilastri circolari, alternati ad alcuni quadrangolari, sormontati da tavole di pietra serena semplicemente squadrate o rozzamente smussate492; altri esempi sono stati sono stati individuati sotto alla pieve di S. Pietro a Romena493, così come nella pieve di S. Antonino a Socana494, e in Casentino, nella pieve di San Martino in Vado e nella pieve di S. Maria Assunta a Stia495, mentre in territorio fiorentino, nella pieve di S. Severo a Legri si trovano due pilastri tondi, molto interrati e intonacati, con imposte squadrate e schiacciati496. I capitelli di S. Gervasio erano stati avvicinati già da Salvagnini a quelli della pieve dei SS. Pietro e Paolo di Coiano, in diocesi di Volterra, caratterizzati anch’essi da una forma molto schiacciata e da una decorazione a motivi geometrici e vegetali, impostati su colonne, dotate alla sommità di un collarino, costruite alcune in cotto e altre in pietra, corrispondenti a due fasi costruttive distinte, databili la prima all’inizio del XII secolo e la seconda alla fine dello stesso secolo497. Tuttavia è stato ipotizzato che i capitelli provengano dall’edificio precedente, l’antica pieve documentata già tra X e XI secolo498, e anche per la pieve di S. Gervasio è stata avanzata un’ipotesi simile, mentre il Traversi proponeva una soluzione intermedia, affermando che i capitelli potrebbero avere un aspetto così attardato e arcaico perchè sono stati realizzati ispirandosi a quelli dell’edificio precedente499. In realtà, per quanto le decorazioni arcaizzanti risultino apparentemente in contrasto con un paramento già a bozze ben squadrate, i capitelli sembrano comunque coerenti con la struttura nel suo complesso e possono essere interpretati come opera di una maestranza attardata su formule ancora altomedievali. I motivi decorativi infatti sono estremamente semplici: troviamo intrecci a due nastri, teorie di cunei rivolti verso l’alto, solcature a pettine,

teorie di archetti ciechi, e cordonature. Si tratta di motivi elementari, molto diffusi nella plastica altomedievale ma riproposti anche in architetture protoromaniche, per un fenomeno di persistenza di un linguaggio, tipico soprattutto degli ambiti provinciali, proprio per la loro lontananza dai grandi centri molto più aggiornati500. Soprattutto durante il XII secolo, nel contado lucchese, nel volterrano e nella Valdelsa, si ritrovano frequentemente decorazioni a bassorilievo con motivi di origine preromanica realizzate sugli architravi, sulle ghiere degli archi, sui capitelli, sulle mensole o sulle cornici501. Si possono osservare decorazioni arcaizzanti, realizzate con un bassorilievo piattissimo, anche sui capitelli dello scomparso battistero di Sant’Appiano, poggiati su quattro pilastri a pianta quadrilobata, che presentano invece delle forme molto evolute e una tecnica muraria raffinata, paragonabili ad altri esemplari che hanno subito influenze francesi e padane (per sempio Badia a Isola e Sant’Antimo), e che per questo motivo sono stati datati dal Tigler alla prima metà del XII secolo502. Secondo il Salmi la propensione per una “decorazione appiattita di gusto preromanico” si sviluppò a Volterra e da lì si espanse nella diocesi, radicandosi soprattutto in Valdelsa503. Il motivo dell’intreccio a due nastri è forse uno dei più frequenti in Toscana, molto diffuso in ambito lucchese, dove tra i numerosi esempi si possono citare alcuni frammenti di plutei conservati nel Museo di Lucca, databili all’VIII-IX secolo504, l’archivolto di una monofora del S. Giusto di Marlia, datato anch’esso all’VIII-IX secolo e reimpiegato nell’abside di epoca successiva505, l’architrave del portale del fianco sud nella chiesa di S. Margherita, elemento di reimpiego datato alla seconda metà del X secolo506, l’archivolto del portale di S. Cassiano di Controne507 o quello di S. Maria di Piazza di Brancoli, consacrata nel 1097508, l’architrave del portale del campanile del S. Giusto di Compito e una monofora dell’abside della pieve di S. Gennaro di 500

Ducci, A., Badalassi, L., Tesori medievali, cit., p. 28. Per esempio ad Abbadia a Isola, a Badia a Conèo, nella canonica di S. Pietro a Cedda o nella pieve di Cellole, si vedano: Moretti, I., Stopani, R., Chiese romaniche in Valdelsa, Firenze 1968, pp. 19 e figg. p. 26, p. 34 e figg. pp. 40-41, pp. 153-160, p. 203 e figg. pp. 207-208; Chiese medievali della Valdelsa. I territori della via Francigena. 1 Tra Firenze, Lucca e Volterra, Empoli 1995, pp. 42, 139-142 e tav. 9; Chiese medievali della Valdelsa. I territori della via Francigena. 2 Tra Siena e San Gimignano, Empoli 1996, pp. 202-212, 123-126, tavv. 6, 10, 20B, 41, 42. 502 Tigler, G., Toscana romanica, cit., pp. 300-301. 503 Salmi, M., La scultura romanica in Toscana, Firenze 1928, p. 25; Moretti, I., L’architettura romanica religiosa nella diocesi medievale di Volterra, in «Rassegna Volterrana», 70, 1994, p. 220. 504 Corpus della scultura altomedievale. I. La diocesi di Lucca, a cura di Isa Belli Barsali, Spoleto 1959, pp. 37-38 e tavv. XV-XVI. 505 Filieri, M. T., Architettura medioevale in diocesi di Lucca. Le pievi del territorio di Capannori, Lucca 1990, p. 23; Corpus della scultura altomedievale, cit., pp. 44-45; Quirós Castillo, J.A., Modi di costruire a Lucca nell’Altomedioevo: una lettura attraverso l’archeologia dell’architettura, Firenze 2002, p. 70. 506 Corpus della scultura altomedievale, cit., p. 48 e tav. XXVI a.; Filieri, M. T., Architettura medioevale, cit., p. 29. 507 Baracchini, C., Caleca, A., Architettura medievale in Lucchesia, 1., in «Critica d’Arte», 113, 1970, pp. 13-14 e figg. 22-24. 508 Baracchini, C., Caleca, A., Filieri, M.T., Problemi di architettura e scultura medievale in Lucchesia, in «Actum Luce», 7, 1978, p. 18 e fig. 9. 501

491 Qui sono stati trovati i resti di una basilica a tre navate datata all’XI secolo e forse dotata di colonne in muratura, si veda: Gabbrielli, F., Romanico aretino, cit., pp. 41, 141-142, 170-171 e figg. 3 e 152. 492 Moretti, I., Stopani, R., Chiese romaniche nel Chianti, Firenze 1966, pp. 63-67; Moretti, I., Stopani, R., Architettura romanica religiosa nel contado fiorentino, Firenze 1974, p. 206, fig. 266 e pianta p. 58; Gabbrielli, F., Romanico aretino, cit., pp. 84-86, 165 e figg. 58-59. 493 Tigler, G., Toscana romanica, cit., p. 303. 494 Tigler, G., Toscana romanica, cit., pp. 305-306; Gabbrielli, F., Romanico aretino, cit., p. 166. 495 Sotto agli edifici attuali sono stati individuati i resti di pilastri circolari in muratura, si veda: Tigler, G., Toscana romanica, cit., p. 303. 496 Firenze romanica. Le più antiche chiese della città, di Fiesole e del contado circostante a nord dell’Arno, a cura di S. Rinaldi, A. Favini, A. Naldi, Empoli 2005, pp. 138-140; Moretti, I., Stopani, R., Architettura romanica, cit., p. 187, fig. 236. 497 Le due fasi costruttive sono facilmente distinguibili perchè sono stati impiegati materiali diversi, l’arenaria nella prima fase e i laterizi nella seconda. Salvagnini, G., Chiese romaniche della Valdera, cit., pp. 1920; Moretti, I., Stopani, R., Chiese romaniche in Valdelsa, Firenze 1968, pp. 267-274. 498 Chiese medievali della Valdelsa. I territori della via Francigena. 1 Tra Firenze, Lucca e Volterra, Empoli 1995, p. 154; Ducci, A., Badalassi, L., Tesori medievali nel territorio di San Miniato, Pisa 1998, p. 77. 499 Traversi, G., Nuovi studi sull’architettura romanica, cit., p. 60.

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L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV) Capannori509, oppure in ambito pisano il decoro della vasca battesimale della pieve di S. Marco a Rigoli, datata tra VIII e IX secolo510. Lo stesso elemento decorativo era stato individuato nel territorio già dal Traversi, per esempio in un fregio reimpiegato in un’abitazione a Montecalvoli, frazione di Santa Maria a Monte, oppure intorno alla monofora dell’abside del S. Martino di Casciana Terme511. Ma l’intreccio viene replicato anche su edifici romanici valdelsani, come nel portale laterale della pieve di Casole (metà XII secolo), su una mensola del portale della pieve di Mensano (seconda metà XII secolo), su un capitello della pieve di Coneo (seconda metà del XII secolo), nella decorazione interna dell’abside della pieve di Cellole (inizio XII secolo)512, oppure si ritrova in territorio volterrano, come sugli archetti provenienti dalla chiesa di S. Giusto e oggi nel Museo di Arte Sacra, riferiti dal Salmi all’XI secolo513. La teoria di arcatelle cieche invece si ritrova nel capitello su cui si imposta l’arco absidale della pieve di S. Bartolomeo al Pino (Peccioli), nella diocesi di Volterra, datata anch’essa all’XI secolo514, e nel capitello rinvenuto durante gli scavi nella pieve di San Genesio515. Il cordone è un altro motivo assai frequente, sia in ambito lucchese sia in quello valdelsano, dove per esempio compare a Badia a Conèo, e a San Giminagno nella ex chiesa di S. Francesco e nella collegiata, o nelle cornici marcapiano sulla facciata della pieve di Chianni. Tre dei pilastri hanno alla base del capitello quattro cunei posti negli angoli, a forma trapezoidale, decorati con leggere incisioni, con funzione di raccordo tra il fusto cilindrico dei pilastri e il capitello quadrato516 (tav. 6). Questi elementi, che talvolta sembrano imitare delle foglie angolari, risultano piuttosto inusuali e sono stati interpretati come componenti di una fase di passaggio dal capitello classico al capitello compresso protoromanico con gli angoli sgusciati517. Sui capitelli si impostano le arcate a tutto sesto, a curve non concentriche, che separano le navate, con ghiere costituite da bozzette ben squadrate e spianate, impiegate anche in tutto il paramento interno. In un angolo della navata destra è stata murata un’acquasantiera in pietra, una piccola vasca circolare che in origine doveva essere sostenuta da una colonna e che presenta un volto maschile scolpito, dai tratti molto semplificati e privo di capelli, trasformata successivamente con l’apertura di un foro in corrispondenza della bocca per far uscire l’acqua518.

L’acquasantiera dal punto di vista tipologico e stilistico è stata paragonata ad altri esemplari coevi presenti nel territorio lucchese, come quella di Gello di Camaiore, quella di S. Giorgio di Brancoli e quelle del duomo di Barga519, tutte caratterizzate da protomi umane scolpite lungo il perimetro dei piccoli bacini, ma stilisticamente più elaborate e raffinate. Sul paramento lapideo interno sono strati trovati numerosi frammenti di scialbatura e tracce di colori, che hanno fatto ipotizzare un trattamento policromo delle superfici parietali e dei pilastri: sui capitelli sono stati trovati frammenti di colore grigio, azzurro e rosso porpora, mentre le ghiere degli archi della navata centrale dovevano essere decorate a corsi alternati in bianco e azzurro a sinistra e in bianco e azzurro a destra, e quelle degli arconi delle absidi erano in bianco e grigio520. Il pavimento attuale in mezzane di cotto dovrebbe risalire al XVII secolo, ma durante gli ultimi restauri è stato ritrovato, tra il primo e il secondo pilastro a destra, il residuo di una pavimentazione più antica a laterizi disposti a spina di pesce, realizzata probabilmente nella seconda metà del XV secolo, in seguito alle raccomandazioni del visitatore apostolico del 1466, che aveva trovato la chiesa invasa dalla vegetazione, nata sul pavimento originario in terra battuta521. La copertura invece è a capriate lignee.

Fig. 11. Piviere di S. Gervasio (particolare della carta allegata ai volumi delle Rationes decimarum) ©1932-1942 Biblioteca Apostolica Vaticana

509 Filieri, M. T., Architettura medioevale, cit., p. 32, fig. 28 e p. 51, fig. 62. 510 Ducci, A., La vasca battesimale di Rigoli: tra stile e tipologia, in «Arte medievale», 9, n. 2, 1995, pp. 27-39. 511 Traversi, G., Nuovi studi sull’architettura romanica, cit., p. 61. 512 Moretti, I., Stopani, R., Chiese romaniche in Valdelsa, cit., pp. 8791, 79-82, 109-116, 201-207. 513 Salmi, M., La scultura romanica, cit., p. 26 e fig. 48. 514 Ducci, A., Badalassi, L., Tesori medievali, cit., pp. 33-34 e fig. p. 36; Salvagnini, G., Le pievi del XIII secolo in Valdera, Firenze 1969, pp. 21-22; Salvagnini, G., Chiese romaniche della Valdera, cit., p. 22. 515 Belcari, R., Costruire e decorare con la pietra, in Con gli occhi del pellegrino. Il borgo di San Genesio: archeologia lungo la via Francigena, a cura di F. Cantini, Firenze 2007, fig. 1 p. 30. 516 Traversi, G., Nuovi studi sull’architettura romanica, cit., p. 60. 517 Ducci, A., Badalassi, L., Tesori medievali, cit., p. 30. 518 Ducci, A., Badalassi, L., Tesori medievali, cit., p. 32.

23. Pieve di S. Maria di San Miniato (già suffraganea della pieve di S. Genesio) Note storiche Nel 783 è documentata una chiesa di San Miniato in loco Quarto, in una lettera con la quale il vescovo di Lucca confermava il rettore della chiesa, ricordando la sua fondazione avvenuta intorno al 700, riportando anche i

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Ducci, A., Badalassi, L., Tesori medievali, cit., p. 33. Tempestini, S., La pieve romanica di S. Giovanni Battista, cit., p. 72. 521 Tempestini, S., La pieve romanica di S. Giovanni Battista, cit., p. 71. 520

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3. Repertorio degli edifici riuscì a riconquistarlo con l’aiuto dei Lucchesi e dei Pistoiesi531. La Cronaca del Villani riporta alcuni episodi che evidenziano i difficili rapporti intercorsi tra San Miniato e il vicino borgo di San Genesio, poiché entrambi riconoscevano l’importanza di questo insediamento come punto strategico per il controllo del flusso viario e del traffico delle merci provenienti dalla via Francigena e dall’asse viario che collegava Firenze e Pisa: nel 1197, in seguito a una lotta interna al popolo di San Miniato, una delle fazioni lasciò il castello, non sappiamo se volontariamente o in esilio, per trasferirsi nel borgo di San Genesio, più vicino ai fiumi Arno e Elsa e all’incrocio stradale; ma nel 1200 i Sanminiatesi distrussero il borgo e tornarono a ripopolare il castello, mentre gli abitanti di San Genesio furono aiutati nella ricostruzione del borgo dai Lucchesi, che evidentemente aspiravano al controllo dell’importante scalo commerciale532. Nel 1217 Federico II emanò un privilegio in cui donava il borgo di San Genesio ai Sanminiatesi, come ricompensa del loro appoggio al vicario imperiale Everardo di Lutri, sostenitore di Federico contro Ottone IV, e aggiunse una clausola che prevedeva la modifica del sistema viario in favore di S. Miniato533. Lo spostamento del flusso viario portò alla rapida decadenza del borgo, che si spopolò, venne smantellato nel 1218 e poi distrutto definitivamente dai Sanminiatesi nel 1248534. I Lucchesi tentarono invano di ripopolare il borgo, nel tentativo di contrastare la crescente potenza di S. Miniato535. In seguito al declino del borgo di S. Genesio, nel 1236 il proposto Enrico, i due canonici Guido e Angelo, insieme al Comune di San Miniato, chiesero a papa Gregorio IX il trasferimento del fonte battesimale, del cimitero e dell’abitazione del rettore nella chiesa di S. Maria di S. Miniato, che così ottenne il titolo di pieve e la nuova intitolazione a S. Maria e S. Genesio536. Anche se non è nominata esplicitamente nell’estimo e nelle decime, con la dicitura “pieve di S. Genesio di S. Miniato” si doveva intendere questa chiesa537. Nel 1274 nella nuova pieve venne sistemato il pulpito marmoreo scolpito da Giroldo da Como e nel 1344, secondo un’iscrizione commemorativa settecentesca, venne commissionato un nuovo fonte battesimale538.

nomi dei fondatori, e alludendo alla presenza di un nucleo di popolazione ad essa collegato522. La chiesa è nominata nuovamente nell’829, in un’altra cartula ordinationis, in cui si accenna all’esistenza di beni di pertinenza della chiesa, fatto confermato da un contratto di livello del 938 con cui il nobile lucchese Odalberto dei Lambardi ricevette dal vescovo di Lucca la chiesa di S. Miniato con tutti i suoi beni523. Il piccolo castello di S. Miniato, nato nei primi decenni del X secolo nei dintorni della chiesa e citato anche nell’atto di livello del 991524, era quindi entrato a far parte delle proprietà dei Lambardi e vi rimase almeno fino all’XI secolo. Nel privilegio emanato da papa Celestino III nel 1195 compare per la prima volta la chiesa di S. Maria, elencata tra le numerose suffraganee della pieve di San Genesio e definita “in castro S. Miniatis”, evidentemente perchè era stata costruita nel castrum, il sobborgo sviluppatosi ai piedi del castello525. Per quanto riguarda la sua ubicazione, secondo la tradizione la primitiva chiesa di S. Maria sarebbe da localizzare nell’area corrispondente all’attuale convento di San Francesco, ma sono scarse le prove in favore di questa ipotesi526. In un atto di vendita del 1038, tra i vari beni associati alla curtis di San Miniato si fa riferimento a delle chiese, senza specificarne il numero e la loro denominazione: è stato ipotizzato che, oltre alla primitiva chiesa di San Miniato, a questa epoca esistesse già una chiesa nel luogo in cui fu poi edificata l’attuale cattedrale. A confermare questa ipotesi sarebbe la presenza di alcune fondazioni realizzate con grandi blocchi in pietra ben squadrati, ora inglobate nell’attuale Museo Diocesano527. Dagli inizi del XII secolo alla fine del XIII il castello di San Miniato fu sede di vicari imperiali528, e per questo motivo, secondo la Cronaca settecentesca del Malespini, il castello sarebbe stato soprannominato San Miniato al Tedesco529. Il castello assunse quindi un ruolo determinate nella politica imperiale e ben presto nella vita politica interna nacquero fazioni contrarie alla presenza imperiale e si scatenarono frequentemente conflitti armati530. Nel 1172 i Sanminiatesi alleati con Pisa e Firenze cercarono di strappare il castello al dominio imperiale, ma Cristiano di Magonza, legato imperiale,

522 Archivio Arcivescovile di Lucca, pergamena * B. 60 anno 783; Memorie e documenti per servire all’istoria del Ducato di Lucca, Lucca 1837-44, rist. 1971, t. V, parte II, n. 189, p. 111; Mannari, L., Documenti concernenti l’antica Chiesa di S. Miniato e l’antica Pieve di S. Maria, oggi Cattedrale, in «Bollettino dell’Accademia degli Euteleti di San Miniato», 38, 1966, pp. 65-66; Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco. Saggio di storia urbanistica e architettonica, Firenze 1967, p. 17 n. 2; Repetti, E., Dizionario geografico fisico storico della Toscana, Firenze 1833-1846, vol. V, p. 79. 523 Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., p. 14; Memorie e documenti, cit., t. V, parte II, n. 501, p. 301 e t. V, parte III, n. 1250, p. 152. 524 Memorie e documenti, cit., t. V, parte III, n. 1672, pp. 552-553. 525 Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., p. 24. 526 Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., pp. 15-16. 527 Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., p. 16. 528 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità fra Medioevo ed età moderna nei dintorni di San Miniato, in Le Colline di S.Miniato (Pisa). La natura e la storia, San Miniato 1997, p. 90. 529 Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., p. 21. 530 Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., p. 22.

531 Salvestrini, F., San Genesio. La comunità e la pieve, cit., p. 65; Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., p. 22. 532 Salvestrini, F., San Genesio. La comunità e la pieve, cit., pp. 68-71; Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., pp. 53-54. 533 Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., p. 54 e n. 7 p. 82; Davidsohn, R., Storia di Firenze, cit., vol. II, 2, pp. 57-58. 534 Chiese medievali della Valdelsa, I, cit., p. 157; Davidsohn, R., Storia di Firenze, cit., vol. II, 2, p. 474. 535 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 89. 536 Archivio Arcivescovile di Lucca, pergamena + F 91; Mannari, L., Documenti concernenti l’antica Chiesa di S. Miniato, cit., pp. 66-70; Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., p. 54; Repetti, E., Dizionario, cit., vol. V, p. 91. 537 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 202, 220-221, 271-272; Tuscia, II, cit., p. 278-279. 538 Onnis, F., Biografia di una architettura, in La cattedrale di San Miniato, Pisa 2004, p. 62 e nota 21; Bitossi, B., Campigli, M., Per frammenti rimasti. Pittura e scultura in cattedrale dalle origini al XVII secolo, in La cattedrale di San Miniato, Pisa 2004, pp. 81-90.

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L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV) l’assetto originario, all’interno della chiesa si sono succeduti diversi interventi545. Dal momento in cui la pieve divenne cattedrale iniziarono i lavori di rinnovamento degli altari e delle cappelle seguendo i canoni tridentini: venne collocato nella prima cappella della navata sinistra un nuovo fonte battesimale, realizzato dallo scultore pisano Giovanni Battista Sandrini nel 1639, e all’inizio del Settecento, sotto il vescovato di Giovanni Francesco Maria Poggi (17031718), venne realizzato il soffitto ligneo intagliato e dorato su disegno del fiorentino Antonio Bettini e vennero aggiunte tre nuove cappelle546. Fino alla seconda metà del XVIII secolo si conservarono gran parte delle strutture medievali originarie, ma a partire dal 1766, durante il vescovato di Domenico Poltri (1755-1778), vennero promossi i lavori che ridefinirono completamente l’interno della cattedrale ispirandosi al classicismo dell’Accademia Fiorentina, con la suddivisione delle navate tramite pilastri, archi a pieno centro e lesene con capitelli corinzi e con una ricca decorazione pittorica affidata al fiorentino Giuseppe Parenti547. Dopo il terremoto del 1846 si intervenne di nuovo, sotto l’episcopato di Francesco Alli Maccarani (1854-1863): questa volta il progetto realizzato dall’architetto Pietro Bernardini seguì canoni compositivi di ispirazione rinascimentale che portarono alla sostituzione dei pilastri settecenteschi con colonne in stile ionico e lesene nell’arcone trionfale, il tutto rivestito con scagliola trattata a finto marmo policromo e con stucchi bianchi; inoltre vennero aperte nuove finestre “a occhio” nel registro superiore delle pareti laterali e in facciata548. Anche quest’ultima avrebbe dovuto subire un drastico intervento che l’avrebbe rinnovata secondo una bizzarra mescolanza di stili, unendo elementi quattrocenteschi ed albertiani con ricordi del romanico pisano. Infatti il progetto dell’architetto Bernardini, conservato nell’Archivio Vescovile di San Miniato e non realizzato per carenza di risorse economiche, prevedeva un paramento rivestito in marmo a fasce bicrome e una scansione della superficie con paraste e cornicioni549. Attualmente l’interno presenta quindi tre navate con transetto e tribuna a terminazione piana e sopra la cappella maggiore si trova la torre campanaria. In origine invece la planimetria doveva essere quasi quadrata, di circa 18 metri per lato, ma fu prolungata nel XV secolo, probabilmente in occasione della riapertura della chiesa al

Nel frattempo, nel 1209, San Miniato era divenuta sede centrale dell’amministrazione imperiale in Toscana e da qui i vicari imperiali provvedevano all’esazione dei tributi delle città toscane; anche sotto Federico II mantenne questo ruolo, nonostante le inquietudini e le rivolte scatenate dai Sanminiatesi contro il potere imperiale. Infatti i rapporti tra il Comune e le magistrature imperiali si fecero sempre più difficili e durante i conflitti fra guelfi e ghibellini San Miniato si schierò in modo alterno prima con gli uni e poi con gli altri, fino a quando la componente guelfa divenne predominante riuscendo a liberarsi dall’obbedienza ai vicari nel 1295 ed il castello entrò sempre di più nell’orbita fiorentina539. A partire dal 1369, quando iniziarono i lavori per la nuova rocca voluti dai fiorentini che avevano appena conquistato la città, la pieve cominciò ad essere circondata da mura, fino a quando si trovò completamente inglobata nella fortezza. Per questo motivo, diventando sempre più difficile l’accesso della popolazione, il vescovo di Lucca ordinò nel 1378 che il fonte battesimale venisse trasferito nella chiesa dei SS. Giusto e Clemente, chiesa di cui non si conoscono le origini, oggi scomparsa ma localizzabile di fronte al monastero della SS. Trinità, l’attuale chiesa della Misericordia540. Nel frattempo la pieve di S. Maria fu adibita ad armeria fino al 1488, anno in cui venne finalmente restituita al culto541. Tra XIV e XV secolo il capitolo della pieve non esisteva più e negli atti della visita pastorale del 1450 la chiesa veniva ancora definita collegiata pur registrando l’assenza dei canonici. Dopo la riapertura al culto, durante il XVI secolo, nacquero diverse controversie tra il vescovo di Lucca e il proposto di S. Miniato, perchè quest’ultimo aveva ottenuto dal papa le insegne episcopali e l’esenzione dalla giurisdizione del vescovo. Nel 1621 iniziarono le trattative con Roma per l’erezione della nuova diocesi di San Miniato, su iniziativa della granduchessa Maria Maddalena d’Austria, vedova del granduca di Toscana Cosimo II de’ Medici542. L’anno successivo venne istituita la nuova diocesi e l’antica pieve di S. Maria ricevette il titolo di cattedrale da papa Gregorio XV543. Architettura L’edificio in laterizi, a tre navate e uno sviluppo in alzato molto accentuato, ha subito numerosi interventi nel corso dei secoli che ne hanno alterato notevolmente l’aspetto originario esterno e, in grado ancora maggiore, quello interno, tanto da rendere quasi impossibile ipotizzare la disposizione degli spazi interni e quale fosse la soluzione adottata per la zona absidale544. Infatti, mentre gran parte della facciata e delle pareti laterali hanno conservato

545 Per una dettagliata descrizione degli interni, delle cappelle e delle opere conservate si veda Morelli, P., Marchese, C., Il Duomo di San Miniato, Pisa 2007. 546 Romby, G. C., Dimenticare il Medioevo. Restauri e rinnovamenti nella cattedrale di San Miniato, in La cattedrale di San Miniato, Pisa 2004, p. 9; sui numerosi interventi di restauro subiti dalla cattedrale si veda Roani Villani, R., Restauri a San Miniato al Tedesco: documenti per una storia, in “Bollettino dell’Accademia degli Euteleti della città di San Miniato”, 63, 1996, pp. 169-193 e Roani Villani, R., Episodi d’arte e di restauro nella chiesa di S. Francesco e nella cattedrale di San Miniato, in San Miniato nel Settecento. Economia, società, arte, a cura di P. Morelli, Pisa 2003, pp. 201-237. 547 Morelli, P., Marchese, C., Il Duomo di San Miniato, cit., pp. 20-21; Romby, G. C., Dimenticare il Medioevo, cit., p. 10. 548 Romby, G. C., Dimenticare il Medioevo, cit., pp. 13-15. 549 Onnis, F., Biografia di una architettura, cit., pp. 77-78 e fig. 55.

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Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., pp. 54-55. Archivio Arcivescovile di Lucca, Libro antico 33, c. 38; Morelli, P., La nascita del convento domenicano, cit., p. 32. 541 Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., pp. 40-41; Onnis, F., Biografia di una architettura, cit., p. 60. 542 Archivio di Stato di Firenze, Mediceo 5973, 4 dicembre 1621. 543 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., pp. 98-99. 544 Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., p. 34. 540

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3. Repertorio degli edifici culto nel 1489550, fino ad inglobare la cosiddetta torre di Matilde, riconvertita in torre campanaria551. Questo intervento di ampliamento è confermato dalle parole dell’erudito sanminiatese Antonio Vensi, che nel 1874 nei “Materiali raccolti per formare il tomo P(rimo) e secondo dei documenti per la storia di Sanminiato” riportava proprio questa notizia, ma senza indicarne la fonte552. Nelle fiancate sarebbe ancora riconoscibile la sutura tra la parte più antica e il prolungamento, e sulle pareti della navata maggiore sono ancora visibili quattro piccole monofore originali su ciascun lato, che furono in parte tamponate proprio in occasione di questo intervento e che non compaiono nella parte aggiunta553. La torre, interamente in laterizi e a pianta rettangolare, risale alla metà del XII secolo e in origine faceva parte del circuito di mura difensive della rocca imperiale554, mentre oggi è impostata sul coro rettangolare della chiesa. Nonostante gli interventi successivi, la struttura originaria risulta ancora leggibile, scandita in tre ordini di finestre con arco a tutto sesto, due sui lati maggiori e una singola sui lati minori, che vennero tutte tamponate, tranne quelle del terzo ordine, modificate rendendole archiacute e adattate per ospitare le campane, fissate negli intradossi555. Il coronamento è costituito da una serie di archetti a sesto acuto sorretti da mensoloni e sulla sommità sono collocate quattro edicole in corrispondenza di ciascun angolo e un campanile a vela, mentre sul lato rivolto verso la facciata della chiesa venne installato un orologio durante il XV secolo556. Già la Cristiani Testi aveva notato una notevole affinità tra la torre di Matilde e la chiesa, arrivando a proporre l’ipotesi dell’esistenza di un unico magister557. In effetti la torre è il risultato di un attento progetto unitario, che ha conferito alla struttura un notevole slancio verticale ma anche una certa leggerezza e un raffinato effetto chiaroscurale, grazie all’alternanza dei pieni e dei vuoti realizzata con l’apertura di vaste finestre con archi a pieno centro su tre ordini. Le due architetture sembrano congiungersi in modo organico e simmetrico, poiché il corpo del campanile è disposto perfettamente in asse con la navata maggiore e la sua larghezza si raccorda bene con quella della navata centrale. Queste osservazioni hanno fatto recentemente ipotizzare che la chiesa e il campanile siano da riferire ad un’unica fase progettuale558. I due prospetti laterali sono quasi del tutto nascosti dalle strutture addossate in epoche successive e solo le pareti della navata centrale sono ancora visibili. Qui sono

individuabili otto monofore originali, delle quali soltanto due su ciascun lato sono ancora integre, mentre delle altre quattro sono sopravvissuti solo frammenti più o meno ampi delle ghiere. Queste monofore a tutto sesto, fortemente strombate e con una cornice decorata con motivi a zig-zag tra due listelli lisci, richiamano puntualmente quelle della fiancata sinistra della collegiata di San Gimignano e quelle derivate delle chiese di S. Bartolo (fiancata destra) e di S. Pietro (fiancata sinistra) a San Gimignano559. Procedendo verso il presbiterio, a circa tre quarti della lunghezza della parete della navata maggiore, vicino allo spiovente del transetto, sono stati notati i resti di altre due monofore, una per lato: si sono conservate solo le parti terminali, con le ghiere in cotto prive di decorazioni, mentre la parti sottostanti risultano coperte dalle navate laterali. La loro posizione appare quindi incoerente con il resto dell’edificio esistente, ed è stato ipotizzato che nel momento in cui furono aperte la chiesa avesse uno sviluppo minore in altezza e la navate laterali più basse oppure assenti560. La facciata presenta un profilo a salienti che rispecchia la suddivisione interna a tre navate e l’assetto originario prevedeva tre portali, ancora esistenti ma architravati e circondati da cornici quattrocentesche in pietra serena, originariamente sormontati da un arco a pieno centro (tav. 11). Rimangono scarsi frammenti delle ghiere e delle cornici in cotto decorate che circondavano i tre portali: il portale destro conserva l’estremità sinistra della ghiera e un unico elemento della cornice, decorato con fiori a sei petali iscritti in una circonferenza ribassata (tav. 12); all’estremità destra del portale sinistro rimane solo un frammento di cornice con una decorazione su due registri separati da un bordino, composta da uno zig-zag e una fuga di quadrati ruotati di 45 gradi, tra due bordini di contorno. Come si può intuire dalle tracce ancora visibili sul paramento murario, la zona dei portali doveva essere separata da quella superiore da un elemento orizzontale, probabilmente una fascia marmorea, che correva a circa un terzo dell’altezza totale dell’edificio, tangente agli archi dei portali laterali, attenuando lo slancio verticale dell’edificio561. Nella parte superiore si aprivano probabilmente tre bifore562, in corrispondenza di ciascun portale: dell’apertura centrale, di maggiori dimensioni, tamponata e sostituita con un oculo in epoca moderna, rimangono la ghiera in cotto dell’arco a tutto sesto a curve non concentriche e l’alta cornice costituita da elementi curvilinei inseriti per foglio con motivi decorativi vegetali

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San Miniato, il Valdarno Inferiore e la Valdelsa, a cura di R. Roani Villani, Milano 1999, p. 55. 551 Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., p. 35; l’appellativo deriverebbe dalla tradizione popolare secondo la quale la contessa Matilde di Canossa nacque nel vicino palazzo dei Vicari, si veda Nanni, G., Regoli, I., San Miniato: guida storico artistica della città e del suo territorio, Pisa 1991, p. 66. 552 Archivio dell’Accademia degli Euteleti di San Miniato, 91, p. 314; Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., p. 51, nota 17; Onnis, F., Biografia di una architettura, cit., p. 60. 553 Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., p. 35; Onnis, F., Biografia di una architettura, cit., p. 59. 554 Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., pp. 27-30. 555 Morelli, P., Marchese, C., Il Duomo di San Miniato, cit., p. 26. 556 Nanni, G., Regoli, I., San Miniato: guida storico artistica, cit., p. 66. 557 Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., p. 28. 558 Onnis, F., Biografia di una architettura, cit., p. 62.

559 Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., p. 37; Mennucci, A., San Gimignano, il colle di Montestaffoli e la collegiata, in La collegiata di San Gimignano. L’architettura, i cicli pittorici murali e i loro restauri, a cura di Alessandro Bagnoli, Siena 2009, fig. 15 p. 75. 560 Onnis, F., Biografia di una architettura, cit., p. 60 e nota 17. 561 A questa altezza, per tutta la lunghezza della facciata, si notano due filari di laterizi dalla superficie irregolare con evidenti tracce di scalpellature; Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., p. 37; Berti, G., Tongiorgi, L., I bacini ceramici, cit., p. 8. 562 La presenza di queste bifore in facciata sarebbe stata confermata dal ritrovamento di quattro colonnine marmoree nel giardino del Palazzo del Vescovado: le loro dimensioni, 1,70 m. di altezza e 14 cm. di diametro, assecondano tale ipotesi ricostruttiva: Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., pp. 38-39 e fig. 22.

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L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV) navata maggiore, appoggiati su doppi piedritti e disposti con gli assi perpendicolari alla linea degli spioventi567 (tav. 16). La disposizione con l’assialità normale agli spioventi e non al piano di base dell’edificio è stata riferita a prototipi lombardi568. Gli archetti sono compresi tra due serie di listelli in cotto decorati con motivi diversi: il listello inferiore presenta un motivo a denti di sega rivolti verso l’alto, i tre listelli superiori, più larghi e sovrapposti l’uno sull’altro, presentano il motivo a denti di sega, un motivo floreale con foglie molto semplici su listelli smussati, e infine una doppia fuga di frecce incuneate su laterizi disposti per foglio. Il motivo a foglie stilizzate appena descritto si ritrova in altri edifici coevi della Valdelsa, come nei listelli inseriti sulla fiancata sinistra della collegiata di San Gimignano e in altre chiese sangimignanesi derivate da questa, come la chiesa di S. Bartolo e quella di S. Pietro, e così anche nel portale del fianco meridionale della pieve dei SS. Ippolito e Biagio a Castelfiorentino, nel sottotetto del fianco meridionale della pieve dei SS. Pietro e Paolo a Coiano, e infine, un’attestazione più tarda e più sommaria si ritrova sui capitelli del chiostro della chiesa dei SS. Tommaso e Prospero a Certaldo569. Ma le stesse foglie ellittiche compaiono anche in edifici civili, a Certaldo e a San Gimignano570. In tutti questi casi le foglie vengono associate a motivi geometrici come zigzag o dentelli triangolari e sono realizzate con le medesime tecnologie, su listelli smussati nei coronamenti o nelle ricassature delle cornici degli archi, per cui le similitudini tra loro sono tali da far ipotizzare l’esistenza di un’unica maestranza itinerante, presente in Valdelsa nel periodo compreso tra il 1195 e il 1215571. All’interno degli archetti rimangono tracce dell’antica rifinitura: elementi geometrici e floreali, come rombi e quadrati con fiori stilizzati al loro interno, erano stati graffiti e delineati su uno spesso strato di bianco di calce

stilizzati (fiori a sei petali sottili incisi in una circonferenza in rilievo circondata da una corona a zigzag entro cerchi ribassati, tav. 14). In corrispondenza delle due bifore laterali invece sono stati aperti due rosoni durante i lavori della metà del XIX secolo, ma si notano ancora i profili delle bifore originali. Vicino al rosone sinistro è rimasta parte della ghiera in cotto dell’antica bifora, con cornice decorata con una tripla fuga di frecce incuneate tra due listelli sagomati (tav. 13). Intorno ai due rosoni laterali si riconoscono anche le tracce di due aperture rettangolari tamponate che probabilmente risalgono al periodo in cui la chiesa venne adibita ad armeria, tra il 1369 e il 1488, oppure ai restauri eseguiti dopo la restituzione al culto563. La ghiera della bifora centrale è realizzata con mattoni arrotati, dal colore rosso intenso e squillante, tanto da creare un netto contrasto cromatico rispetto ai mattoni della superficie parietale e delle due bifore laterali, favorendo la concentrazione dell’attenzione dell’osservatore proprio su questo elemento al centro della facciata. Nella zona ancora superiore, al centro, è stata tamponata un’altra bifora antica, che era stata modificata con l’apertura di un finestrone rettangolare, tamponato anch’esso e sostituito con un altro oculo nell’Ottocento, decorato con una vetrata realizzata dai fratelli Francini su disegno di Ulisse de Matteis564. Anche in questo caso è rimasta nel paramento la ghiera dell’arco a tutto sesto della bifora originaria, a curve non concentriche e circondato da una spessa cornice realizzata con elementi curvilinei molto larghi, inseriti per foglio, decorati con un motivo a cerchi tra due file di zig-zag e due larghi bordi di contorno (tav. 15). Sopra a quest’ultima bifora si trova un rosone formato da pietre di colori alterni, verde e bianco, disposte a raggiera, in cui erano incastonate probabilmente altre pietre di colori diversi, a giudicare dalle piccole cavità rimaste vuote. Ai due lati dell’occhio in pietra si trovano due rombi gradonati (tav. 16), elementi tipicamente pisani ma reinterpretati in senso esclusivamente cromatico perchè inseriti liberamente nel paramento, non più in stretto rapporto con le archeggiature o le lesene come nelle chiese pisane e lucchesi565, e diffuso largamente in Valdelsa566. Anche la feritoia a forma di croce incisa nel paramento al di sopra del rosone di pietra è un elemento che si ritrova in Valdelsa, sia in facciata, come nella collegiata dei SS. Lorenzo e Leonardo a Castelfiorentino, sia nella parte superiore della tribuna, come nella canonica dei SS. Jacopo e Filippo a Certaldo, nella pieve di Sant’Ippolito e Biagio a Castelfiorentino e nella pieve di S. Giovanni Evangelista a Corazzano, o addirittura in entrambi i luoghi, come nella pieve di San Giovanni Evangelista a Monterappoli. Il coronamento comprende una serie di archetti a tutto sesto, elementi tipici del romanico lombardo, nove per ciascuno spiovente laterale e sedici negli spioventi della

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Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., p. 36; la loro messa in opera è molto simile a quella degli archetti presenti sui fianchi della collegiata di S. Lorenzo di Castelfiorentino, che però poggiano su un mensolette uniche, Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., p. 47. 568 Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., p. 36: la stessa soluzione è stata individuata anche in alcuni edifici del romanico senese, come l’abbazia Sant’Antimo, la pieve di Corsignano e la pieve di Campagnatico, si veda Moretti, I., Stopani, R., Romanico senese, Firenze 1981, figg. 126, 103, 149. 569 Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., pp. 37, 45; Gabbrielli, F., La pieve di San Gimignano nel contesto dell’architettura romanica della Valdelsa, in La collegiata di San Gimignano. L’architettura, i cicli pittorici murali e i loro restauri, a cura di Alessandro Bagnoli, Siena 2009, p. 45; Mennucci, A., San Gimignano, il colle di Montestaffoli e la collegiata, cit., pp. 80-83 e fig. 17-23; Chiese medievali della Valdelsa, 1, cit., tav. 42 A. 570 In via Boccaccio a Certaldo, sull’arco del portale di un edificio interamente in laterizi, e in un palazzo in via del Castello, n. 7 a San Gimignano, sugli archi della facciata, si veda: Mennucci, A., San Gimignano, il colle di Montestaffoli e la collegiata, cit., pp. 83-84. 571 Mennucci, A., San Gimignano, il colle di Montestaffoli e la collegiata, cit., p. 84. Nel pistoiese, nella chiesa di S. Maria di Osnello (Agliana), sui listelli che decorano gli spioventi della facciata in cotto, si ritrovano delle foglie molto schematiche che sembrano derivare da queste, associate ad altre decorazioni nelle cornici delle monofore e del rosone, e a due rombi gradonati in facciata, si veda Redi, F., Chiese medievali del Pistoiese, Cinisello Balsamo (Milano) 1991, p. 85 e figg. 69, 223-224.

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Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., p. 41. Morelli, P., Marchese, C., Il Duomo di San Miniato, cit., p. 26. 565 Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., p. 36. 566 Lo troviamo per esempio al centro della facciata della pieve di Corazzano e nella zona absidale della canonica dei SS. Jacopo e Filippo a Certaldo. 564

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3. Repertorio degli edifici e dipinti con una tinta di colore rosso scuro572. Anche questa intonacatura interna degli archetti sarebbe da ricollegare all’ambito del romanico lombardo573. Nel complesso gli elementi decorativi in laterizio presentano un repertorio di motivi molto vario e tipologie particolari: alcune caratteristiche qui presenti, come l’inserimento di laterizi decorati per foglio nelle cornici degli archi, in alcuni casi con motivi decorativi su più registri e con bordini di contorno, la scelta di motivi geometrici più complessi e l’introduzione di motivi vegetali stilizzati, in ambito lucchese sono state individuate come elementi caratterizzanti il secondo gruppo nella cronotipologia delle decorazioni in laterizio, riferibile al periodo compreso tra la metà del XIII e il XIV secolo574. Anche Mennucci ha notato che l’inserimento di mattoni per foglio con la sovrapposizione di motivi decorativi su più registri avviene qui in anticipo di almeno cinquanta anni rispetto al resto della regione575. Tuttavia è stato già evidenziato come non ci siano esatte corrispondenze tra le diverse aree interessate dalla diffusione del laterizio e anche il repertorio dei motivi decorativi presenta spesso soluzioni originali e prive di confronti. Per esempio le decorazioni presenti sulle cornici delle due monofore centrali, quella con il motivo a cerchi tra due file di zig-zag e quella con le rosette circondate da una corona a zig-zag, sembrano essere casi unici, mentre i fiori a sei petali inscritti in una circonferenza sono assai diffusi a Lucca576, ma si ritrovano anche nel Valdarno, come sulla facciata della chiesa di S. Stefano a Montopoli, e i motivi a frecce incuneate e a denti di sega sono tra i più frequenti in tutte le aree, già a partire dal XII secolo. L’apparato decorativo era completato dai trentuno bacini ceramici inseriti nel paramento secondo uno schema aperto, un sistema distributivo diffuso in ambiente pisano dalla metà del XII secolo, diverso dagli schemi più antichi che prevedevano la loro distribuzione in rapporto a particolari elementi architettonici, come gli archetti o gli oculi, come possiamo vedere nelle chiese di S. Piero a Grado o di S. Zeno a Pisa, dove i bacini sono inseriti tra le arcatelle cieche. Nel duomo di S. Miniato invece le ceramiche sono distribuite sulla superficie muraria secondo una simmetria ma in modo indipendente rispetto alle strutture, un sistema che si trova anche nella facciata di S. Stefano extra moenia a Pisa o nella chiesa di S. Pietro a Marcignana e in altre chiese della Valdelsa, come nelle pievi di S. Giovanni a Monterappoli, dei SS. Ippolito e Biagio a Castelfiorentino, dei SS. Pietro e Paolo a Coiano, o nella chiesa dei SS. Prospero e Tommaso di Certaldo, edifici questi ultimi che rispetto alla cattedrale di San Miniato presentano un numero di bacini assai inferiore e quindi schemi distributivi più semplici.

Partendo dal basso si trovano quattordici bacini disposti simmetricamente intorno alla bifora centrale (tav. 18), ora tamponata, come per metterla in maggiore rilievo; altri sedici bacini, di maggiori dimensioni, circondavano l’apertura superiore, infine due pezzi erano inseriti all’interno dei rombi alla sommità della facciata (tav. 16). La loro distribuzione risulta quindi simmetrica rispetto all’asse del prospetto e favorisce la correlazione tra i vari elementi della facciata: secondo la Cristiani Testi lo schema sarebbe stato progettato attentamente seguendo un tracciato geometrico, basato sul motivo ricorrente del rombo, che stabilisce delle connessioni tra i portali, le bifore inferiori e quella superiore fino al coronamento e agli spioventi, contribuendo a creare delle direttrici di visuale convergenti verso l’asse della facciata577. Secondo una vecchia interpretazione la disposizione dei bacini non seguirebbe dei canoni prettamente geometrici ed estetici ma si baserebbe su una precisa idea teologica: i bacini sarebbero raggruppati secondo il disegno delle costellazioni dell’Orsa maggiore e minore, con la stella polare rappresentata dal rosone in pietra bianca e verde, a simboleggiare la chiesa che aiuta i fedeli ad orientarsi578. Alcuni bacini sono andati perduti e le cavità sono rimaste vuote, altri sono ridotti a frammenti, probabilmente in seguito all’apertura di crepe nelle strutture murarie. Per garantire la conservazione dei bacini, nel 1979 la Soprintendenza decise di rimuoverli e, dopo il restauro, furono sistemati nel Museo Diocesano di Arte Sacra579. Dopo essere stati rimossi dalla facciata, i ventisei bacini superstiti sono stati oggetto di uno studio approfondito580: eccetto tre casi581, si tratta di ceramiche decorate con due colori, il blu di cobalto e il bruno di manganese, che hanno assunto varie tonalità e sfumature, applicati su uno smalto bianco, non di ottima qualità e steso in modo parziale o irregolare, soprattutto sulle superfici esterne dei pezzi; i bacini sono stati realizzati con materia prima piuttosto grossolana e sottoposti a processi di cottura non molto uniformi, che hanno determinato variazioni di colore. Gli esemplari hanno dimensioni diverse ed è stato notato che i più grandi sono stati inseriti in alto e i più piccoli in basso. Anche le forme sono variabili, quelli più piccoli, dal diametro inferiore ai 20 centimetri, hanno una cavità abbastanza profonda completata da una tesa, i bacini più grandi invece, che hanno un diametro intorno ai 30 centimetri, sono tutti privi di tesa (tranne il più grande, di 35 centimetri di diametro) e presentano spesso 577 Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., pp. 42-45; la Cristiani Testi avvicina tale schema distributivo a quello applicato sulla facciata del S. Michele di Pavia, notando invece delle differenze rispetto alle chiese pisane di S. Cecilia, S. Stefano extra moenia e S. Pietro a Grado, cfr. ibidem, pp. 43-44. 578 Mostra d’arte sacra della Diocesi di San Miniato 1969. Catalogo, a cura di L. Bellosi, D. Lotti, A. Matteoli, San Miniato 1969, pp. 8-10, scheda sui bacini ceramici a cura di Dilvo Lotti. 579 Un nuovo intervento di restauro è stato eseguito su otto bacini dall’Opificio delle Pietre Dure nel 1998, si veda: Bonetti, S., Lanterna, G., Michelucci, M., Tosini, I., Il restauro dei bacini ceramici del Duomo di San Miniato in Pisa. Tecniche e metodi di integrazione per la ceramica, in «OPD Restauro», 12, 2000, pp. 48-75. 580 Berti, G., Tongiorgi, L., I bacini ceramici del Duomo di S. Miniato, ultimo quarto del XII secolo, Genova 1981. 581 Due di questi bacini sono smaltati in verde e presentano decorazioni in bruno, il terzo, frammentario, è policromo, con decorazioni in verde, giallo e bruno su smalto bianco.

572 Berti, G., Tongiorgi, L., I bacini ceramici del Duomo di S. Miniato, ultimo quarto del XII secolo, Genova 1981, p. 8. 573 Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., pp. 36-37. 574 Lucca medievale, cit., pp. 53-56. 575 Mennucci, A., San Gimignano, il colle di Montestaffoli e la collegiata, cit., n. 132, p. 134. 576 Per esempio sulla facciata di un palazzo in via Santa Croce 40-48 e di un altro in via Fillungo 180, si veda Lucca medievale: la decorazione in laterizio, cit., pp. 127-129, 187-189.

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L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV) Templari e nella casa Baccinelli588, due nel monastero di S. Salvatore a Fucecchio, due nella chiesa di S. Lorenzo a Monterappoli589. Il paramento murario è costituito da laterizi di diverse tipologie, risalenti alle diverse fasi di intervento: alcuni sono di migliore qualità, hanno un colore uniforme e dimensioni costanti, presentano una graffiatura a spina di pesce fitta e regolare e sono ben connessi con uno strato sottile di malta; altri presentano graffiature a tratti paralleli, più e meno inclinati e più o meno radi e regolari, infine ci sono numerosi mattoni inseriti in epoche successive a colmare lacune e a tamponare aperture di epoche diverse590. Su tutta la superficie muraria era stata stesa una tinteggiatura di colore rosso scuro, di cui rimangono tracce ancora visibili sulla malta nelle commettiture tra i mattoni591. Sul paramento in laterizi sono stati inseriti anche alcuni elementi in marmo: sotto la ghiera della grande bifora centrale tamponata si distingue una testina umana e un’altra si nota sulla sua sinistra, sotto la ghiera della bifora superiore si vede una testa di volatile, all’estremità sinistra della facciata si sporge una protome leonina e sotto un’altra testina umana, infine sopra al portale sinistro è stata collocata una piccola lastra in marmo con un labirinto scolpito. Le piccole teste sembrano elementi di reimpiego provenienti da una decorazione precedente: è stato ipotizzato che costituissero i capitelli delle colonnine delle bifore tamponate, mentre la protome leonina sarebbe stata impiegata come elemento decorativo dell’imposta di un portale592; tuttavia questi frammenti marmorei potrebbero provenire anche da una chiesa più antica593. Nel suo complesso la facciata del duomo di San Miniato si inserisce indubbiamente nell’ambito dell’architettura romanica valdelsana, per l’utilizzo quasi esclusivo del cotto, l’impiego di alcuni motivi decorativi nelle cornici degli archi, l’inserimento dei bacini ceramici e il ricorso ad alcune soluzioni stilistiche comuni, come per esempio la scelta di sovrapporre una bifora centrale al portale maggiore: questo assetto si ritrova in numerosi edifici coevi come la pieve di S. Giovanni a Corazzano, la pieve dei SS. Pietro e Paolo a Coiano, la pieve di S. Ippolito a Castelfiorentino, la collegiata dei SS. Lorenzo e Leonardo di Castelfiorentino, la pieve di S. Giovanni a Monterappoli, la chiesa dei SS. Tommaso e Prospero a Certaldo. Nella chiesa di San Miniato questo schema di

dei fori nell’anello del piede che permettevano di appenderli582. Inoltre sono stati individuati numerosi segni di attaccatura, cioè quei punti in cui i pezzi erano venuti a contatto durante la cottura nel forno. Se ne è dedotto che doveva trattarsi di una produzione su larga scala, di larga diffusione, un artigianato popolare. Nonostante la loro fattura non sia eccellente, gli elementi decorativi che presentano sono molto interessanti: si trovano raffigurazioni animali, con la resa dei corpi affidata a una suddivisione in settori riempiti con motivi diversi, con grandi occhi e movimenti scattanti, alcuni accenni di rappresentazioni architettoniche, e fitti intrecci blu sul fondo a risparmio. Altri esemplari invece, soprattutto quelli di dimensioni minori, presentano motivi più semplici o decorazioni più standardizzate, oppure rari casi di elementi epigrafici o pseudo epigrafici arabi. La presenza dei due bacini all’interno dei rombi gradonati conferma la tesi ormai consolidata per cui i bacini ceramici venivano posti in opera nel momento in cui la struttura muraria veniva eretta583. Per questo motivo la datazione delle ceramiche, riferibile alla fine del XII secolo grazie al confronto con esemplari presenti in altre chiese della Toscana, ma anche della Sardegna e della Liguria584, ha contribuito a precisare la cronologia dell’edificio. Infine, basandosi su analisi chimiche e mineralogiche, era stato ipotizzato che il luogo d’origine di queste ceramiche fosse l’Africa nord occidentale, ipotesi plausibile visti i consistenti rapporti commerciali che Pisa aveva con questa regione585, e che è stata ormai accettata da tempo e ulteriormente precisata, circoscrivendo l’area di produzione alla città di Tunisi o zone limitrofe586. I bacini a cobalto e manganese di importazione tunisina sono molto frequenti su edifici pisani587, ma ne sono stati individuati alcuni anche nell’area valdelsana, molto simili sia nelle forme sia nelle decorazioni e nei colori impiegati, e riferibili allo stesso arco cronologico (inizio del XIII secolo): se ne trovano alcuni a San Gimignano, nella chiesa di S. Jacopo dei

582 Berti, G., La ceramica tunisina “a cobalto e manganese” in Toscana, in Ceramica in blu. Diffusione e utilizzazione del blu nella ceramica, Atti del XXXV Convegno Internazionale della ceramica (Savona 31 maggio – 1 giugno 2002), Albisola 2002, pp. 89-102. 583 Berti, G., Gabbrielli, F., Parenti, R., “Bacini” e architettura. Tecniche di inserimento e complesso decorativo, in I bacini murati medievali: problemi e stato della ricerca, atti del XXVI Convegno Internazionale della Ceramica (Albisola, 28 - 30 maggio 1993), Albisola 1996, p. 249. 584 Berti, G., Tongiorgi, L., I bacini ceramici del Duomo di S. Miniato, cit., p. 16; Berti, G., La ceramica tunisina “a cobalto e manganese”, cit., p. 99. 585 Berti, G., Tongiorgi, L., I bacini ceramici del Duomo di S. Miniato, cit., p. 18. 586 Berti, G., La ceramica tunisina “a cobalto e manganese”, cit., p. 89. 587 Per esempio nella chiesa di S. Cecilia, nel campanile di S. Michele degli Scalzi e in quello di S. Paolo all’Orto, e nella chiesa di S. Stefano extra moenia, si veda Berti, G., La ceramica tunisina “a cobalto e manganese” in Toscana, cit., p. 150. Si trovano anche nel contado pisano, come nella chiesa di S. Iacopo di Metato (S. Giuliano Terme) e nella ex chiesa di S. Pietro di Malaventre (Vecchiano), si veda Berti, G., Tongiorgi, L., I bacini ceramici delle chiese della provincia di Pisa con nuove proposte per la datazione della ceramica spagnola “tipo Pula”, in Faenza, 60 (1974), pp. 69-70; Berti, G., I “bacini” ceramici della Toscana, in I bacini murati medievali: problemi e stato della ricerca, Atti del XXVI Convegno Internazionale della Ceramica (Albisola, 28 30 maggio 1993), Albisola 1996, p. 131.

588 Berti, G., I bacini ceramici, in Medioevo a Volterra. L’architettura nell’antica diocesi tra Duecento e Trecento, a cura di Alessandro Furiesi, Pisa 2003, pp. 205-207. 589 Vanni Desideri, A., Bacini ceramici della chiesa abbaziale di San Salvatore in Fucecchio (Firenze), in «Notiziario di Archeologia Medievale», 51, 1989, p. 5; Berti, G., Tongiorgi, L., Ceramiche a cobalto e manganese su smalto bianco (fine XII-inizio XIII), in Atti del V Convegno Internazionale della ceramica, Albisola 1972, pp. 149-164; Berti, G., I “bacini” ceramici della Toscana, cit., pp. 130-131. 590 Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., p. 35; Berti, G., Tongiorgi, L., I bacini ceramici, cit., p. 9 ; Onnis, F., Biografia di una architettura, cit., p. 54; Barbucci, F., Campani, F., Giani, B., Motivi e tecniche decorative in cotto, cit., pp. 41-42. 591 Berti, G., Tongiorgi, L., I bacini ceramici del Duomo di S. Miniato, cit., p. 9; Onnis, F., Biografia di una architettura, cit., p. 54, nota 9. 592 Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., p. 38; Berti, G., Tongiorgi, L., I bacini ceramici del Duomo di S. Miniato, cit., p. 9. 593 Onnis, F., Biografia di una architettura, cit., p. 58.

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3. Repertorio degli edifici urbanistiche600, e che nel 1274 fu collocato il nuovo pulpito di Giroldo da Como601.

base era stato ampliato con l’aggiunta di due portali e due bifore laterali al primo piano e un’ulteriore bifora al piano superiore, conferendo all’edificio un aspetto più monumentale. Rispetto alle bifore centrali degli altri edifici appena ricordati, quella della cattedrale presenta un’apertura molto ampia che è quasi a filo della facciata: infatti le bifore di Monterappoli e della collegiata di Castelfiorentino sono più strette, hanno molteplici riseghe e l’arco poggiante su mensoline, quella della pieve di Castelfiorentino è stretta e molto strombata ma priva di mensole, quella di Coiano presenta un’elaborata modanatura, invece la bifora di Corazzano, dall’aspetto più semplice, con un'unica risega, sembra essere la più simile a quella di San Miniato, che rimane comunque difficile da giudicare essendosi conservata solo parzialmente. Anche il duomo di San Miniato dimostra quindi la commistione stilistica, tipica dell’area valdelsana, che comprende elementi lombardi, come gli archetti del coronamento, ed altri pisani, come l’inserimento dei bacini ceramici e i rombi gradonati594. È interessante notare anche come alcuni edifici della Valdelsa dimostrino una chiara dipendenza dalla cattedrale di S. Maria: è il caso della canonica dei SS. Jacopo e Filippo a Certaldo, costruita verso la fine del XII secolo, dove viene ripreso puntualmente il motivo della feritoia a forma di croce compresa tra due rombi gradonati, presenti in facciata a San Miniato e qui ripetuti al di sopra dell’abside595, oppure l’elemento decorativo a foglie stilizzate incise nei listelli del coronamento compare qui forse per la prima volta e costituisce il prototipo per tutte le altre realizzazioni presenti in Valdelsa596. Per quanto riguarda la datazione, la Cristiani Testi, dopo aver brevemente riassunto la storia critica dell’edificio evidenziando la scarsa attenzione degli studiosi tra il XIX e l’inizio del XX secolo alla cronologia dell’edificio, proponeva di attribuire le strutture sopravvissute dell’antica cattedrale alla metà del XII secolo, affermando che nel momento in cui la chiesa viene ricordata nella bolla di Celestino III del 1195, doveva essere già esistente da alcuni decenni597. Questa ipotesi è stata confermata dagli studi sui bacini ceramici, datati alla fine del XII secolo598, e accettata dalla maggior parte degli studiosi599. Tuttavia recentemente è stata messa in dubbio sostenendo che la chiesa attuale sarebbe in realtà un rifacimento della chiesa più antica avvenuto a metà del XIII secolo, in seguito al trasferimento del fonte battesimale nel 1236, visto che nel 1258 sono documentati i lavori per la sistemazione della piazza antistante, ricavata realizzando alcune modifiche

24. Pieve dei Ss. Maria e Giovanni Battista di Sovigliana Note storiche La pieve, intitolata a Santa Maria, è attestata per la prima volta nell’844, quando compare come luogo di rogazione di un’offerta alla chiesa di S. Salvatore di Lucca602. Tra il IX e l’XI secolo a questa pieve si riferiscono molti documenti, dai quali risulta che ad essa faceva capo un territorio molto vasto, che si spingeva a sud fino al confine con la diocesi di Volterra, ed era compreso tra l’Era e il Cascina, fiume che solo per un certo tratto definiva il confine con il piviere di Triana, perchè poi il territorio si allargava sulla sua sponda sinistra, inglobando anche i territori di Cevoli e San Ruffino. L’ambito pievano di Sovigliana includeva quindi una cinquantina di nuclei abitativi e per questo è da considerarsi il secondo piviere della diocesi lucchese dopo Fosciana in Garfagnana603. Tra il 980 e il 1068 furono stipulati almeno cinque atti di livello tra il vescovo di Lucca e alcune potenti famiglie. Con il primo, del 980, furono cedute al conte Ildebrando degli Aldobrandeschi, famiglia nobile di origine lucchese, tutte le decime dovute alla pieve dagli abitanti delle trentasette villae da essa dipendenti, per un canone di trenta soldi604. In questo documento tra le dipendenze della pieve, che qui risulta intitolata anche a S. Giovanni Battista, compare anche Capannoli, villaggio che invece nell’estimo del 1260 viene inserito nel piviere di S. Giusto di Padule: scartando l’idea che possa trattarsi di un caso di omonimia, è stato ipotizzato che si sia verificata una temporanea variazione dei confini tra i pivieri di Sovigliana e Padule, probabilmente in seguito al passaggio del titolo plebano da Capannoli a Padule, almeno dal 975605. Dai documenti successivi ricaviamo che al santo titolare primitivo della pieve erano stati aggiunti i nomi dei ss. Biagio e Nicola, ma nelle decime del 1275-77 la pieve è intitolata a San Giovanni. Con l’atto di livello del 1021 il vescovo di Lucca cedette tutto il patrimonio fondiario della pieve ad una certa Imilla della Gheppa del fu Guido, di cui non sono ancora state rintracciate le origini: qui vengono elencate ventuno 600 A partire dalla metà del XIX secolo l’area intorno al duomo fu oggetto di successive modifiche che hanno portato alla conformazione urbanistica attuale, con la creazione della scalinata di accesso alla piazza e alla rocca. Si veda: Latini, L., Il prato del Duomo a San Miniato al Tedesco, in «Storia dell’Urbanistica. Toscana», 8, 2002, pp. 57-65. 601 Onnis, F., Biografia di una architettura, cit., pp. 62-63. Questa nuova datazione è stata accettata anche nelle pubblicazioni più recenti, si veda Morelli, P., Marchese, C., Il Duomo di San Miniato, cit., p. 19 e Nanni, G., Regoli, I., San Miniato: guida storico artistica, cit., p. 62. 602 Memorie e documenti, cit., t. V, parte II, n. 612, pp. 366-367. 603 Pescaglini Monti, R., I pivieri di Sovigliana, Ducenta/Travalda/Appiano, Triana, Migliano/La Leccia e Tripalle (secoli VIII-XIV), in «Bollettino Storico Pisano», 62, 1993, p. 129. 604 Memorie e documenti, cit., t. V, parte III, n. 1517, p. 399. 605 Pescaglini Monti, R., I pivieri di Sovigliana, cit., p. 130; Memorie e documenti, cit., t. V, parte III, n. 1464.

594 Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., p. 36; Mennucci, A., San Gimignano, il colle di Montestaffoli e la collegiata, cit., p. 84. 595 Chiese medievali della Valdelsa, cit., p. 168 e tav. 23 A. 596 Mennucci, A., San Gimignano, il colle di Montestaffoli e la collegiata, cit., p. 84. 597 Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., p. 34 e nota 3 p. 50. 598 Berti, G., Tongiorgi, L., I bacini ceramici del Duomo di S. Miniato, cit., p. 16. 599 Chiese medievali della Valdelsa, cit., p. 35; Mennucci, A., San Gimignano, il colle di Montestaffoli e la collegiata, cit., p. 81.

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L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV) vegetazione615. Negli atti della visita pastorale successiva, nel 1575, si ordinava di restaurare la pieve, documentata qui per la prima volta con l’intitolazione a S. Marco, e di riportarvi gli arredi sacri616. Durante il XVIII secolo iniziarono i lavori di smantellamento di alcune parti dell’edificio per ricavarne un oratorio intitolato a San Marco e nella prima metà del secolo successivo venne costruita la Villa Vescovile, su iniziativa del vescovo di San Miniato Pietro Fazzi, e consacrato il nuovo oratorio617.

villae dipendenti, una decina in meno rispetto al documento del secolo precedente606. Nel 1064 troviamo un altro atto di livello e questa volta il beneficiario è il conte Gualfredo figlio del defunto Ardengo I degli Aldobrandeschi di Siena e le villae elencate sono venticinque, di cui sette attestate qui per la prima volta607. In altri due atti di livello, entrambi del 1068, si ritrovano altri membri della famiglia Aldobrandeschi e gli elenchi dei villaggi differiscono da quello più antico e non concordano nemmeno fra di loro608. Nel periodo compreso tra il 1148 e il 1175 il piviere sarebbe passato temporaneamente alla diocesi pisana, retta dall’arcivescovo Villanus609. Nell’estimo della diocesi di Lucca del 1260, la pieve di Sovigliana risulta una delle più fiorenti dell’intero vescovato, con un’entrata di 800 lire e quattordici chiese dipendenti610. Tra queste solo otto sono attestate in documenti anteriori all’estimo. Le decime del 1302-1303, che elencano tredici suffraganee, aggiungono la chiesa di S. Martino di Soianella, non presente nelle decime precedenti, né nell’estimo del 1260, ma che potrebbe corrispondere alla chiesa di S. Martino di Sciano dell’estimo, mentre manca la chiesa dei Ss. Felice e Regolo611 (fig. 12). Nel complesso sono quindi segnalate quindici chiese, delle quali solo cinque sono ancora esistenti, mentre le altre dieci sono scomparse. Il toponimo Sovigliana è scomparso, ma la pieve è localizzabile nella località che oggi chiamata Villa San Marco, nome derivato da una titolatura successiva della pieve, situata sulla riva destra del Cascina, a sud di Ponsacco (6 Km). La pieve alla fine del secondo decennio del Trecento aveva ancora un collegio canonicale, composto da almeno cinque membri, alcuni dei quali erano rettori di altre chiese, non solo del piviere di Sovigliana612. Nel 1354 sono documentati i lavori di restauro del tetto, ma nel 1384, di fronte alle condizioni di estremo abbandono dell’edificio, il fonte battesimale e il cimitero furono concessi alla chiesa del castello di San Pietro, divenuto nel frattempo sede di capitania613. Infatti l’instabilità politica che caratterizzò questo territorio nel corso del XIV secolo, accentuò l’isolamento della pieve, che rimase in aperta campagna, lontana dal centro fortificato più vicino e addirittura separata da esso da un fiume privo di ponte. Nella visita pastorale del 1424 si afferma che il rettore della pieve era assente e che questa era già in rovina614. Anche durante la visita pastorale del 1466 il rettore non fu trovato e la pieve risultava piena di

Architettura Nella fattoria Villa San Marco, oggi divenuta albergo, sono ancora visibili i resti dell’edificio pievano e della sua canonica, con ampie porzioni di murature in alzato riferibili all’edificio romanico618. L’antica pieve doveva avere un impianto basilicale a tre navate concluse da absidi semicircolari e suddivise in sei campate, secondo quanto si ricava anche dagli schizzi realizzati da Giovanni Mariti durante la sua visita nel 1789619. I saggi effettuati negli anni Settanta hanno permesso di individuare le strutture ancora esistenti e di ipotizzare l’aspetto originario della pieve, proponendo una ricostruzione abbastanza accurata e una datazione compresa tra l’XI e il XII secolo620. Sarebbero sopravvissuti quasi i due terzi delle strutture originarie, comprendendo la facciata, il fianco destro, i pilastri delle navate e la facciata occidentale del campanile, anche se tutte queste murature sono state inglobate nel nuovo complesso edilizio e sono state in parte intonacate o modificate. Sul paramento in conci di travertino si distinguono ancora alcune aperture, caratterizzate da archi con l’estradosso leggermente falcato.

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Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali (1465-1474), libro 9, + E., c. 91; Mannari, L., Visita pastorale del Vescovo di Lucca dell’anno 1466, in «Bollettino dell’Accademia degli Euteleti di San Miniato», 43, 1974, p. 29. 616 Giachetti, M., Ricostruzione icnografica di due pievi, cit., p. 115. 617 Giachetti, M., Ricostruzione icnografica di due pievi, cit., p. 116. 618 Alberti, A., I castelli della Valdera. Archeologia e storia degli insediamenti medievali, Pisa 2005, p. 23. 619 Giachetti, M., Ricostruzione icnografica di due pievi, cit., tavv. XXIX-XXX: questi disegni, che risultano abbastanza dettagliati e che dovrebbero essere attendibili, mostrano quello che doveva essere l’aspetto originale dell’esterno della pieve, prima degli interventi ottocenteschi: i fianchi delle navate e presumibilmente anche la zona absidale erano caratterizzati da un coronamento ad arcatelle separate da lesene, mentre la facciata e le pareti della navata centrale erano state modificate con l’apertura di un nuovo portale e di finestre rettangolari. Le parti del manoscritto che riguardano questa pieve sono ancora inedite e sono conservate nella Biblioteca Riccardiana di Firenze: Giovanni Mariti, Odeporico o sia Itinerario per le Colline Pisane, Codice Riccardiano 3508-3518, tomo VII, cc. 70v.-97r. 620 Giachetti, M., Ricostruzione icnografica di due pievi, cit., pp. 116123 e tav. XXXI: l’impianto della pieve è datato alla prima metà dell’XI secolo, mentre il campanile è riferito al XII secolo. Il Mariti collocava l’edificio nel IX-X secolo.

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Pescaglini Monti, R., I pivieri di Sovigliana, cit., p. 131. Archivio Arcivescovile di Lucca, Diplomatico *N53. 608 Pescaglini Monti, R., I pivieri di Sovigliana, cit., p. 133. 609 Giachetti, M., Ricostruzione icnografica di due pievi dell'antica diocesi lucchese passate nel 1622 alla diocesi di San Miniato, in «Bollettino della Accademia degli Euteleti di San Miniato», 45, 1976, p. 115: tuttavia l’autore non cita la fonte da cui ha ricavato questa notizia. 610 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., p. 269. 611 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, II, cit., pp. 281-282. 612 Archivio Capitolare di Pisa, Diplomatico, pergamena n. 1402, 1319 giugno 30; Pescaglini Monti, R., I pivieri di Sovigliana, cit., p. 136 e nota 56. 613 Archivio Arcivescovile di Lucca, Libri antichi, 37, c. 117. 614 Pescaglini Monti, R., I pivieri di Sovigliana, cit., p. 137. 607

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3. Repertorio degli edifici confermavano diritti di signoria su queste terre sia a Pisa che a Lucca. Nel 1137 una bolla di Innocenzo II confermava alla chiesa di Pisa proprietà fondiarie nel territorio di alcune pievi lucchesi, fra cui quella di Triana, proprietà che furono confermate da Alessandro III nel 1176 e da Innocenzo III nel 1197; nel 1175, in seguito alla pace stabilita tra Lucchesi e Pisani, il vescovo di Lucca riotteneva il possesso di alcune pievi (Triana, Migliano, Tripalle, Sovigliana e Gello) che erano state occupate dai pisani durante la guerra; nel 1181 papa Lucio III confermava alla Chiesa di Lucca i privilegi concessi dai precedenti pontefici ricordando anche la pieve di Triana. Veniva così confermata la giurisdizione ecclesiastica sulla pieve e le sue suffraganee alla Chiesa di Lucca ed erano riconosciute all’arcivescovado di Pisa alcune proprietà fondiarie comprese nel piviere627. Tuttavia nel 1185 un gruppo di sei persone che detenevano il giuspatronato sulla pieve ne donarono la metà all’arcivescovo di Pisa, indebolendo di nuovo l’autorità lucchese in questo territorio628. Ad ulteriore conferma di questa situazione abbiamo un documento del 1191, con il quale l’arciprete della cattedrale di Pisa donava le chiavi della pieve di Triana al cappellano della chiesa di S. Pietro di Camugliano (appartenente al piviere di Sovigliana), che prometteva di amministrare i beni della pieve in nome dell’arcivescovo pisano629. Dalla rendita riportata nell’estimo del 1260 deduciamo che questa pieve era fra le più ricche a sud dell’Arno e comprendeva il territorio tra il fiume Cascina e il torrente Crespina, confinando a sud con il piviere di Aquis e a nord con quello di Appiano (fig. 13). Nell’estimo sono elencate tredici chiese suffraganee, delle quali solo sei risultano attestate prima del XIII secolo. Quasi tutte le chiese ricordate nell’estimo sono confermate nelle decime successive: nelle decime del 1275-76 sono menzionate otto suffraganee, in quelle del 1276-77 nove, e in quelle del 1302-03 dieci: le chiese di S. Frediano di Crespina, S. Martino di Sterpaia e S. Lorenzo di Montalbano, compaiono solo nell’estimo630. Sono documentate anche altre due chiese che non compaiono nell’estimo: la chiesa di S. Lorenzo di Lucagnano (a est di Perignano), attestata nel 1134 e che forse nel 1260 era già andata in rovina, e la chiesa di S. Stefano di Carpineto (nella zona di Crespina), documentata per la prima volta nel 1348 e che quindi fu fondata probabilmente dopo il 1260631. La pieve di Triana sorgeva in aperta campagna, priva di qualsiasi protezione, e quindi esposta alle incursioni e alle devastazioni belliche, molto frequenti in questa zona. Per questi motivi, già dalla metà del Duecento, in seguito alle trasformazioni insediative, il sistema organizzativo della cura d’anime entrò in crisi. Molti documenti del XIV secolo testimoniano le gravi condizioni di degrado delle chiese del piviere, oggi quasi tutte scomparse, e della pieve stessa: nel 1343 era stata occupata con la forza da

Fig. 12. Piviere di Sovigliana (particolare della carta allegata ai volumi delle Rationes decimarum) ©1932-1942 Biblioteca Apostolica Vaticana

25. Pieve di Ss. Bartolomeo e Maria di Triana Note storiche La pieve di S. Bartolomeo e S. Maria “in loco et finibus Atriana” è attestata per la prima volta nel 911, in un documento che riguarda l’insediamento del nuovo rettore, il prete Adalberto del fu Tachiperto, nominato dal vescovo di Lucca Pietro621. Anche la seconda attestazione, del 968, è una cartula ordinationis, mentre la terza, del 983, è un atto di livello, in cui sono elencate le undici località comprese nel piviere622. Ci sono pervenuti altri tre atti di livello, uno del 991623 e due del 1014, in cui si elencano ventisette villaggi dipendenti624, poi nel 1060 il vescovo concesse in livello tutte le decime della pieve ad un certo Lavaiano detto Pincione del fu Domenico, personaggio ancora ignoto, in cambio di un consistente censo annuo625. È stato notato che questo tipo di contratto, in cui si allivellano solo le decime, è molto raro nella diocesi di Lucca: si ritrova solo in cinque casi, tutti riferibili all’episcopato di Anselmo I, e la maggior parte di questi riguardano pivieri a sud dell’Arno (Triana nel 1060, Migliano e Aquis nel 1068), per questo è stato ipotizzato che questi contratti fossero stati stipulati per garantire la riscossione delle decime in un territorio così lontano da Lucca e sempre più soggetto all’influenza di Pisa626. Infatti questa zona venne contesa per secoli tra la città di Pisa e i vescovi lucchesi: anche quando il territorio faceva ormai parte del contado pisano, le numerose bolle pontificie e i diplomi imperiali 621

Pescaglini Monti, R., I pivieri di Sovigliana, cit., p. 150; Memorie e documenti, cit., t. V, parte III, n. 1134, p. 63. 622 Pescaglini Monti, R., Dalla Valdera alla Valdisola, cit., p. 311; Memorie e documenti, cit., t. V, parte III, n. 1407, p. 301 e n. 1564, p. 449. 623 Memorie e documenti, cit., t. V, parte III, n. 1676, p. 555. 624 Pescaglini Monti, R., I pivieri di Sovigliana, cit., p. 151: questi due documenti sono ancora inediti. 625 Pescaglini Monti, R., I pivieri di Sovigliana, cit., pp. 152-153. 626 Pescaglini Monti, R., Dalla Valdera alla Valdisola, cit., p. 314.

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Pescaglini Monti, R., Dalla Valdera alla Valdisola, cit., p. 318. Pescaglini Monti, R., I pivieri di Sovigliana, cit., p. 153. 629 Pescaglini Monti, R., I pivieri di Sovigliana, cit., pp. 153-154. 630 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 201, 221-222, 267-268; Tuscia, II, cit., p. 281. 631 Pescaglini Monti, R., Dalla Valdera alla Valdisola, cit., pp. 314-315. 628

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L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV) alcuni cittadini pisani632, nel 1364 il pievano rinunciò al beneficio e l’anno successivo l’edificio era così in rovina che fu imposto ai parrocchiani di ripararlo633, ma non servì la scomunica lanciata dal vescovo ai parrocchiani di Lavaiano, Crespina, S. Andrea e Perignano, visto che nella seconda metà del Trecento era ormai definitivamente in stato di abbandono634. Nell’arco di pochi anni il vescovo di Lucca concesse il fonte battesimale a tre suffraganee: nel 1372 a Lari, nel 1384 a Crespina e a Perignano, che erano tre centri fortificati divenuti sedi delle capitanie pisane a partire dal 1371635. Nel 1397 la pieve venne allivellata al rettore di S. Andrea a Rigoli per nove anni, con l’obbligo di officiarla regolarmente636. La visita pastorale del 1424 denuncia lo stato di degrado di molte chiese suffraganee e nel corse del XIV secolo molti benefici erano stati aggregati per garantire ai sacerdoti rendite adeguate637. Infine, nel 1449, l’antica pieve venne demolita e se ne perse la memoria638. Infatti la sua localizzazione è tuttora incerta: è sopravvissuto il toponimo La Pieve nei pressi della fattoria Samminiatelli, dove la via che da Ponsacco conduce a Lari incrocia quella che da Orceto va a Perignano639. Questa localizzazione è riportata anche dal Caciagli, che riferisce la notizia di rinvenimenti di “numerosi e importanti reperti, come pietre di edifici, fondamenti, armi e ossa umane” da parte del conte Sanminiatelli, che vi fece erigere un tabernacolo-ossario con una lapide a ricordo dell’antica pieve640. Nella carta allegata alle Rationes decimarum invece la pieve di Triana è localizzata presso l’attuale Valtriano, frazione di Fauglia, ma già il Caciagli aveva respinto questa identificazione.

Fig. 13. Piviere di Triana (particolare della carta allegata ai volumi delle Rationes decimarum) ©1932-1942 Biblioteca Apostolica Vaticana

26. Pieve dei Ss. Martino e Giovanni Battista di Tripalle Note storiche Il piviere era molto esteso ed occupava l’area più occidentale della diocesi di Lucca, nella Valdisola. La pieve, sconsacrata alla fine del Settecento641, si trovava sulla sponda destra del torrente Isola, nell’odierna località Botteghino, ai piedi del poggio sul quale si erge il castello di Tripalle642. Rispetto alle altre pievi della zona è l’unica ad aver mantenuto il titolo plebano pur non trovandosi in un insediamento fortificato. Purtroppo la documentazione è molto scarsa: non possediamo l’elenco delle villae dipendenti e non sono pervenuti atti di livello. È menzionata per la prima volta nell’855, nella cartula ordinationis con cui il vescovo di Lucca Geremia nominò il rettore della pieve, Ermifrido del fu Tachiprando643. Un altro documento della stessa tipologia è del 907, ed è del 954 l’unico atto di livello pervenuto, che però non specifica i beni allivellati644. Dopo questa data le notizie si fanno ancora più rare e la pieve ricompare nelle bolle pontificie e nei diplomi imperiali del XII secolo, dove però non si elencano le chiese dipendenti645. Queste compaiono finalmente nell’estimo del 1260 e non sono più esistenti, tranne due eccezioni, la chiesa dei Ss. Iacopo e Cristoforo all’interno del castello di Tripalle e quella di S. Lorenzo di Fauglia646 (fig. 14). Nel 1364 i parrocchiani vennero esortati a restaurare la pieve che era stata gravemente

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Archivio Arcivescovile di Lucca, Libri antichi, 13, c. 29. Archivio Arcivescovile di Lucca, Libri antichi, 67, c. 195; Ibidem, 24, c. 40; Pescaglini Monti, R., I pivieri di Sovigliana, cit., p. 155. 634 Archivio Arcivescovile di Lucca, Libri antichi, 24, c. 65 e 101; Leverotti, F., L’organizzazione amministrativa del contado pisano dalla fine del ‘200 alla dominazione fiorentina: spunti di ricerca, in «Bollettino storico pisano», 61, 1992, pp. 64-65. 635 Archivio Arcivescovile di Lucca, Libri antichi, 28, c. 87; 36, c. 20 e 37, c. 6; Caciagli, G., Pisa, cit., vol. 4, p. 537. 636 Archivio di Stato di Pisa, Diplomatico Primaziale, 1397 agosto 11; Leverotti, F., L’organizzazione amministrativa del contado pisano, cit., p. 65, nota 114. 637 Pescaglini Monti, R., I pivieri di Sovigliana, cit., p. 156. 638 Pescaglini Monti, R., Dalla Valdera alla Valdisola, cit., p. 315. 639 Pescaglini Monti, R., Dalla Valdera alla Valdisola, cit., p. 311. 640 Caciagli, G., Pisa, cit., vol. 4, p. 537. 633

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Bocci, F., Le colline inferiori pisane. Notizie raccolte per cura del Cav. Dott. Felice Bocci, Livorno 1901, ristampa anastatica Pisa 1976, p. 213. 642 Pescaglini Monti, R., I pivieri di Sovigliana, cit., pp. 172-173. 643 Memorie e documenti, cit., t. V, parte II, n. 716. 644 Memorie e documenti, cit., t. V, parte II, nn. 1102 e 1360. 645 Caturegli, N., Regesto pisano, nn. 361, 517, 617. 646 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., p. 268.

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3. Repertorio degli edifici danneggiata durante le recenti guerre647. Durante la visita pastorale del 1466 la pieve venne trovata con l’altare maggiore consacrato ma con il tetto danneggiato e priva di un’abitazione idonea per il rettore648. Negli atti della visita pastorale del 1575 il vicario apostolico raccomandava ai fedeli di restaurare il tetto e il pavimento, di ricollocare gli arredi sacri e le campane nel campanile649. Anche le chiese suffraganee dovevano essere in cattive condizioni e per garantire rendite adeguate ai sacerdoti si dovette provvedere alla pratica ormai diffusa del cumulo dei benefici650. Nel 1785 il vescovo di San Miniato Brunone Fazzi ordinò la sconsacrazione della chiesa, che dopo essere stata venduta al Marchese Manfredi Malaspina di Filattiera e convertita in magazzino agricolo, venne poi definitivamente demolita durante il secolo successivo651.

3. 2. Canoniche 27. Canonica di S. Martino di Castiglione (piviere di S. Genesio) Note storiche La località viene elencata tra le villae dipendenti dalla pieve di S. Genesio nell’atto di livello del 991653, ma compare già nell’861 e nel 902654. In un documento del 1026 viene menzionato un castello di Castiglione, forse da riferire a questa località655. Il Repetti accenna brevemente all’esistenza di una località detta Castelluccio di San Miniato, senza specificare la sua localizzazione e ipotizzando con molta cautela la sua identificazione con Castiglione656. La chiesa è documentata dal 1156 come canonica657, è citata nel privilegio del 1195, compare nell’estimo del 1260 e in tutte le decime658. Nel 1233 vennero definiti i confini tra la questa parrocchia e quelle dei SS. Jacopo e Filippo di Pancole e di S. Stefano di S. Miniato, e al priore Ildebrando fu concesso di costruire una chiesa all’interno delle mura di S. Miniato. Infatti Castiglione era rimasta esclusa dalla nuova cinta muraria realizzata all’inizio del XIII secolo e gran parte della popolazione di questa zona si era spostata all’interno delle mura, per questo motivo il priore richiese la costruzione di una nuova chiesa e il pievano di San Genesio gli affidò anche la cura pastorale del terziere di Poggighisi, la parte più orientale di San Miniato659. La nuova chiesa, dedicata a S. Caterina, è documentata a partire dal 1332660, e successivamente le fu annesso un convento di frati agostiniani, soppresso nel 1774661. La canonica di S. Martino è scomparsa, ma è identificabile con il podere Castiglioni, non lontano dal podere Valicandoli a est di S. Miniato, lungo la strada che da S. Miniato conduce alla frazione di Calenzano662.

Architettura Sulla base della descrizione che ne dette Giovanni Mariti e dei disegni dell’abate Ranieri Tempesti, entrambi della fine del Settecento, è stato ipotizzato l’aspetto originario della pieve, caratterizzata da un’icnografia molto inconsueta, con una navatella laterale arretrata rispetto alla facciata e separata con pilastri quadrati, e con una facciata scandita da lesene e archetti pensili su due ordini652.

28. Canonica di S. Pietro di Marcignana (piviere di S. Genesio) Note storiche La località, sulla riva destra dell’Elsa, nei pressi della sua confluenza nell’Arno, viene elencata tra i villaggi dipendenti dalla pieve di S. Genesio nell’atto di livello Fig. 14. Piviere di Tripalle (particolare della carta allegata ai volumi delle Rationes decimarum) ©1932-1942 Biblioteca Apostolica Vaticana

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Memorie e documenti, cit., t. V, parte III, n. 1672, pp. 552-553. Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 102; Memorie e documenti, cit., t. V, parte II, n. 754, p. 453 e parte III, n. 1061, p. 15. 655 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 102. 656 Repetti, Dizionario, cit., vol. I, p. 585. 657 Archivio Arcivescovile di Lucca, Diplomatico, ++ Q. 15; Morelli, P., La nascita del convento domenicano, cit., p. 46, nota 16. 658 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 203, 220, 272; Tuscia, II, cit., p. 279. 659 Morelli, P., La nascita del convento domenicano, cit., pp. 13-14. 660 Si tratta del testamento di Iacopa vedova di Lippo di Grano del 18 giugno 1332, Archivio di Stato di Firenze, Notarile antecosimiano, 7640, c. 2v.; Morelli, P., La nascita del convento domenicano, cit., p. 48, nota 38. 661 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 91. 662 Morelli, P., La nascita del convento domenicano, cit., p. 46, nota 16; Dini, F., Dietro i nostri secoli, cit., pp. 73-74. Sulla carta IGM il toponimo non compare. 654

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Archivio Arcivescovile di Lucca, Libri antichi, 24, p. 355. Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali (1465-1474), libro 9, + E., c. 77; Mannari, L., Visita pastorale del 1466, in «Bollettino dell’Accademia degli Euteleti di San Miniato», 40, 1968, pp. 35-36. 649 Giachetti, M., Ricostruzione icnografica di due pievi dell'antica diocesi lucchese passate nel 1622 alla diocesi di San Miniato, in «Bollettino della Accademia degli Euteleti di San Miniato», 45, 1976, pp. 108-109. 650 Pescaglini Monti, R., I pivieri di Sovigliana, cit., p. 177. 651 Repetti, E., Dizionario, cit., vol. V, pp. 600-601. 652 Giachetti, M., Ricostruzione icnografica di due pievi, cit., pp. 109115 e tavv. XXI-XXII. L’autore propone anche una datazione al X secolo per l’impianto dell’edificio e al XII secolo per la facciata. 648

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L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV) del 991663, ma è documentata per la prima volta nell’883664. È stato ipotizzato che nell’alto Medioevo, quando vennero definiti i pivieri, l’Elsa in questa zona dovesse essere facilmente superabile, altrimenti Marcignana, come le altre località sulla riva destra del fiume (Bastia, Brusciana e Pianezzoli) sarebbe stata inclusa nel piviere di Empoli665. Nello statuto del comune di San Miniato del 1337 si allude alla ricostruzione di un ponte sull’Elsa che collegava Marcignana e Isola, andato distrutto in seguito ad una piena del fiume nel 1308 e fatto costruire dal comune forse per mantenere contatti con Marcignana, rimasta isolata nel territorio fiorentino, oppure per facilitare il traffico sulla strada pisana, che collegava Firenze e Pisa seguendo il corso dell’Arno, in un punto non lontano dall’incrocio con la via Francigena666. Tuttavia nel 1347 non era ancora stato portato a termine e l’attraversamento veniva ancora effettuato con un barcone di proprietà del comune di San Miniato, il cui pedaggio era stato oggetto di controversia con i mercanti fiorentini667. Come documentano gli atti comunali, il ponte fu realizzato in pietra e legno e venne sottoposto a numerosi restauri ed opere di consolidamento fino alla fine del XIV secolo668. La chiesa di S. Pietro è citata nel privilegio emanato da papa Celestino III nel 1195669, nell’estimo del 1260 e in tutte le decime, dove viene indicata come canonica e risulta pagare la tassa più alta tra tutte le chiese del piviere670. Non sappiamo in quale epoca vi si stabilì una comunità di sacerdoti, ma le canoniche iniziarono a diffondersi dall’XI secolo in poi e generalmente venivano fondate presso i centri più popolati e spesso in corrispondenza di nodi viari importanti671. Nel nostro caso l’ingente somma riportata nelle decime dimostra che doveva trattarsi di un insediamento piuttosto consistente e non è un caso che sorgesse nelle immediate vicinanze dell’Arno, sulla strada pisana e vicino alla via Francigena.

Architettura La chiesa, ancora esistente, conserva gran parte delle strutture originarie. Intorno alla metà del XVII secolo venne addossato al fianco settentrionale della chiesa l’oratorio della Compagnia del Corpus Domini e nell’Ottocento la chiesa subì un restauro che la liberò di alcune aggiunte barocche. Nella stessa occasione vennero aperte le due finestre neogotiche sulla facciata, che poi vennero tamponate nel corso dei restauri del XX secolo, quando fu aperto il grande oculo al centro della facciata672. L’impianto icnografico adottato per le chiese canonicali fu generalmente molto semplice, e molto spesso ritroviamo, come in questo caso, un’aula unica rettangolare dotata di abside673, talvolta affiancata da un chiostro, che qui non si è conservato, ma che invece è ancora presente a Certaldo, nella canonica dei SS. Jacopo e Michele, o nel S. Andrea di Mosciano, a Scandicci. L’edificio è caratterizzato da un paramento esterno suddiviso in due zone (tav. 52): la parte inferiore, fino a circa due metri di altezza, è costituita da conci in arenaria, mentre la parte superiore è in laterizi arrotati e graffiati. Questa soluzione si ritrova in altre chiese della Valdelsa, tutte appartenenti alla diocesi di Volterra, databili tra il XII e il XIII secolo, per esempio nella pieve dei SS. Pietro e Paolo a Coiano, nella pieve di S. Maria a Casole, nella chiesa di S. Jacopo al Tempio a San Gimignano, oppure troviamo edifici in pietra con i fianchi della navata centrale in latrizi, come la pieve di Chianni e la collegiata di Santa Maria a San Gimignano674. Nell’area senese-volterrana è diffusa anche un’altra soluzione, quella definita “bicromia struttiva”, che prevede l’associazione dei due materiali alternandoli in filari orizzontali, come nel caso della “rotonda” di San Galgano a Montesiepi, oppure in Valdelsa nella pieve dei SS. Ippolito e Cassiano a Coneo e nella canonica di S. 672 Chiese medievali della Valdelsa. I territori della via Francigena. 1Tra Firenze, Lucca e Volterra, Empoli 1995, p. 176 673 Ritroviamo un impianto di questo tipo in molte canoniche nel territorio fiorentino e in Valdelsa, come quelle di S. Andrea a Mosciano (Scandicci), dotata anche di cripta, di S. Michele Arcangelo a Castiglioni (Montespertoli), dei SS. Martino e Giusto a Lucardo (Montespertoli), di cui si conserva solo l’abside, di S. Matteo a Granaiolo (Castelfiorentino), di S. Bartolomeo a Martignana (Empoli), di cui restano solo scarsi ruderi, dei SS. Jacopo e Filippo a Certaldo, di S. Filippo a Ponzano (Barberino Val d’Elsa), di S. Stefano a Linari (Barberino Val d’Elsa), ma priva di abside, così come quella di S. Maria a Colle Val d’Elsa e dei SS. Pietro e Leonardo a Casaglia (Poggibonsi), quella dei SS. Frediano e Giovanni a Castelvecchio (San Gimignano), ormai ridotta a un rudere, di S. Michele a Strada (San Gimignano), S. Maria a Talciona (Poggibonsi), S. Pietro a Cedda (Poggibonsi); altre canoniche in questa stessa area presentano invece impianti più complessi, come le canoniche di S. Maria a Sammontana (Montelupo Fiorentino) e di S. Rufiniano a Monsanto (Barberino Val d’Elsa), a impianto basilicale a tre navate, o la canonica di S. Andrea a Papaiano (Poggibonsi), dotata di transetto triabsidato. Si veda Frati, M., Chiese romaniche della campagna fiorentina. Pievi, abbazie e chiese rurali tra l’Arno e il Chianti, Empoli 1997, pp. 127-147; Chiese medievali della Valdelsa, 1, cit., pp. 161-178 e Chiese medievali della Valdelsa, 2, cit., pp. 107-130. 674 Gabbrielli, F., La pieve di San Gimignano nel contesto dell’architettura romanica della Valdelsa, in La collegiata di San Gimignano. L’architettura, i cicli pittorici e i loro restauri, a cura di A. Bagnoli, Siena 2009, pp. 44-45; Chiese medievali della Valdelsa, 1, cit., pp. 152-156, 144-148; Chiese medievali della Valdelsa, 2, cit., pp. 7074, 168-171; Santa Maria a Chianni. Una pieve lungo la Via Francigena, a cura di F. Ciappi, Certaldo (FI) 2003.

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Memorie e documenti, cit., t. V, parte III, n. 1672, pp. 552-553. Dini, F., Dietro i nostri secoli. Insediamenti umani in sei comuni del Valdarno Inferiore nei secoli VIII-XIII, Santa Croce sull’Arno 1979, p. 75; Archivio Arcivescovile di Pisa, 28; Regesto della Chiesa di Pisa, a cura di N. Caturegli, Roma 1938; Repetti, E., Dizionario geografico fisico storico della Toscana, Firenze 1833-1846, III, p. 63. 665 Morelli, P., Borgo San Genesio, la strata Pisana e la via Francigena, in Vico Wallari - San Genesio: ricerca storica e indagini archeologiche su una comunità del medio Valdarno inferiore fra alto e pieno Medioevo, giornata di studio (San Miniato, 1 dicembre 2007), Centro Studi sulla Civiltà del Tardo Medioevo, a cura di F. Cantini e F. Salvestrini, Firenze 2010, p. 133. 666 Statuti del Comune di San Miniato al Tedesco (1337), a cura di F. Salvestrini, Pisa 1994, p. 372 e nota 42; Morelli, P., Borgo San Genesio, cit., pp. 133-134. 667 Archivio Storico di Firenze, Pergamene, 12 ottobre 1347, n. 68. 668 Statuti del Comune di San Miniato, cit., p. 372, nota 42. 669 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità fra Medioevo ed età moderna nei dintorni di San Miniato, in Le Colline di S.Miniato (Pisa). La natura e la storia, San Miniato 1997, p. 89. 670 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV, Tuscia I, cit., pp. 202, 221, 272, Tuscia II, p. 279; Giusti, M., Notizie sulle canoniche lucchesi, in La vita comune del clero nei secoli XI e XII, Atti della Settimana di studio (Mendola, settembre 1959), Milano 1962, pp. 434454. 671 Stopani, R., Canoniche e viabilità nel Medioevo, in «Rivista geografica italiana», 1985, pp. 317-324; Stopani, R., La via Francigena in Toscana, cit., p. 75. 664

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3. Repertorio degli edifici Maria a Colle675. In Valdelsa quindi ricorre abbastanza frequentemente la bicromia, anche se i motivi per cui viene realizzata possono essere diversi. In alcuni casi, per esempio, si scelse di proseguire la muratura con i laterizi alla ripresa dei lavori dopo un’interruzione, oppure in occasione di ricostruzioni parziali o ampliamenti, come avvenne per la pieve di Coiano e per la pieve di Casole676, o nel caso della badia di S. Pietro a Cerreto (Gambassi), che aveva il fianco settentrionale originariamente in conci di arenaria, come tutto il resto dell’edificio, ma dopo i danni subiti nel 1229, fu ricostruito nella parte superiore in laterizi677; in altri casi invece venne scelta la bicromia proprio come soluzione compositiva678, come negli esempi già citati di “bicromia struttiva” o nel S. Jacopo al Tempio di San Gimignano679, oppure nel Sant’Anastasio a Lucca, datato tra la fine del XII secolo e l’inizio del XIII680, o nella chiesa di S. Cecilia a Pisa, fondata nel 1102 e costruita in più fasi681. Tuttavia a mostrare maggiori connessioni con la canonica di Marcignana è un gruppo di edifici del territorio circostante, tra Empoli e Montespertoli, tutti datati tra XII e XIII secolo682, nei quali si ritrovano esattamente gli stessi materiali, i laterizi graffiati e la pietra arenaria in grossi conci squadrati e spianati, e lo stesso impianto icnografico, ad aula unica absidata e facciata a capanna: le chiese di S. Martino a Pontorme, di S. Michele Arcangelo a Empolivecchio, di S. Lorenzo e di S. Giorgio a Montalbino, e la canonica dei SS. Martino e Giusto a Lucardo. La bicromia applicata in questi cinque edifici è stata riferita a due fasi costruttive distinte, la prima in pietra, datata alla seconda metà del XII secolo, e la seconda in laterizi, riconducibile ad una ricostruzione parziale delle strutture avvenuta nella prima metà del XIII secolo, in seguito ad un terremoto, forse lo stesso che nel 1171 fece crollare il campanile della pieve di S. Appiano, danneggiando l’intera navata destra683. Le datazioni proposte per le due fasi sono state formulate osservando la raffinata tecnica muraria applicata nelle parti in pietra, dove i conci ben squadrati e spianati sono messi in opera con giunti perfetti in corsi orizzontali e paralleli, e le

decorazioni in cotto inserite nella chiesa di Pontorme (cornice a zig-zag nell’arco estradossato del portale) e nella canonica di Lucardo (ricorso di laterizi decorati a zig-zag nel coronamento dell’abside), confrontabili con decorazioni analoghe ormai fortemente radicate nell’edilizia in cotto del territorio valdelsano a partire dalla seconda metà del XII secolo684. Tuttavia, mentre a Sant’Appiano si ricostruì solo la navata destra impiegando laterizi sia all’esterno che all’interno, nelle altre chiese citate la ricostruzione avrebbe interessato la zona terminale dell’intero perimetro, impostandosi con grande continuità sui filari in pietra. Per la chiesa di S. Michele Arcangelo a Empoli Vecchio è stata proposta una datazione che va dall’XI secolo inoltrato per la parte in pietra, impostata su un edificio più antico, al XII secolo per la parte in mattoni, che sarebbe stata aggiunta in un secondo momento, a sostituire la pietra, probabilmente in seguito ad un crollo685. I mattoni graffiati presenti in facciata proseguono su tutti i lati dell’edificio, compresa la zona absidale e i fianchi laterali, escludendo le zone più alte delle pareti. Nella chiesa di S. Michele Arcangelo a Empolivecchio invece l’impiego di mattoni graffiati erano stato limitato alla zona di maggiore prestigio, la facciata, mentre sulle fiancate furono utilizzati mattoni semplici, scelta dettata evidentemente da un risparmio economico686. Per quanto riguarda il paramento in pietra, è stato notato che questo non è omogeneo nei quattro lati dell’edificio: la facciata, l’abside e la parte ancora visibile del fianco settentrionale, presentano conci grandi, ben sbozzati e disposti secondo corsi orizzontali regolari (tav. 54), sul fianco meridionale invece si trovano conci di alberese687, di dimensioni minori, sbozzati grossolanamente e disposti secondo corsi orizzontali abbastanza regolari. Queste differenze, riscontrabili anche nel paramento interno, hanno fatto ipotizzare fasi costruttive diverse: le piccole bozze irregolari sarebbero anteriori rispetto ai grossi conci in arenaria688. Anche nella già menzionata chiesa di Empoli Vecchio troviamo solo in facciata i filari regolari di conci in arenaria, mentre sui fianchi, pur proseguendo la partizione orizzontale alla medesima altezza, la parte inferiore in pietra è realizzata con bozze più piccole di arenaria alternate a bozzette di calcare, molto simili a quelle di Marcignana. Nella chiesa di S. Martino a Pontorme invece la parte in pietra è realizzata esclusivamente in arenaria, ma sono le dimensioni dei conci a variare, a seconda della zona in cui sono impiegati: in facciata troviamo i grossi conci presenti anche a Marcignana, nell’abside invece, e nelle parti ancora visibili dei fianchi laterali, molto rimaneggiati, i conci sono più piccoli.

675 Gabbrielli, F., La pieve di San Gimignano, cit., p. 44; Moretti, I., Bicromia “struttiva” nell’architettura romanica dell’area volterranasenese, in «Prospettiva», 29, 1982, pp. 62-71. 676 Chiese medievali della Valdelsa, cit., 1, p. 153; Chiese medievali della Valdelsa, 2, cit., pp. 70-74. 677 Chiese medievali della Valdelsa, 1, cit., pp. 229-231 e fig. 276. 678 Chiese medievali della Valdelsa, 1, cit., p. 47. 679 Chiese medievali della Valdelsa, 2, cit., p. 168-170. 680 La chiesa presenta un paramento a fasce in pietra calcarea alternate a fasce in laterizi lungo tutto il perimetro dell’edificio, impostato su uno zoccolo in arenaria lungo i fianchi e nell’abside e su un alto basamento in pietra calcarea ben spianata in facciata; nella costruzione si sono succedute diverse fasi di cantiere, che si sono svolte procedendo dall’abside verso la facciata, ma l’edificio risulta comunque frutto di un progetto unitario, si veda Lucca medievale, cit., pp. 110-113. 681 Il paramento in laterizi è impostato su un basamento realizzato con grossi conci di calcare ben squadrati, che prosegue lungo il campanile e in facciata, dove si prolunga fino all’altezza delle imposte dell’arco del portale; Redi, F., Pisa com’era: archeologia, urbanistica e strutture materiali (secoli V-XIV), Napoli 1991, pp. 363-364 e fig. 103. 682 Chiese medievali della Valdelsa, 1, cit., p. 176. 683 Frati, M., Chiese romaniche della campagna fiorentina, cit., pp. 23, 137-138, 192-194, 197-200; la notizia del terremoto è riportata nell’iscrizione sull’architrave del portale che conduce al chiostro della pieve, si veda Chiese medievali della Valdelsa, 1, cit., pp. 115-120 e fig. 75.

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Frati, M., Chiese romaniche della campagna fiorentina, cit., p. 138. Ristori, M., La chiesa di S. Michele Arcangelo in Empoli Vecchio. Sancti Angeli Empori Veteris, in «Bullettino Storico Empolese», 7-12, 1980-1982, pp. 231-245. 686 Frati, M., Chiese romaniche della campagna fiorentina, cit., p. 197. In seguito ai recenti restauri che hanno trasformato la chiesa in un’abitazione privata, i fianchi laterali sono stati in buona parte intonacati e la porzione superiore in laterizi attualmente non è visibile. 687 Moretti, I., Stopani, R., Chiese romaniche in Valdelsa, Firenze 1968, p. 298. 688 Chiese medievali della Valdelsa, 1, cit., p. 177. 685

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L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV) pieve di Monterappoli e in Santa Maria Assunta a San Gimignano due soli esemplari affiancavano un’apertura, una croce intagliata nella muratura nel primo caso, un grande oculo nel secondo696. Il criterio distributivo dei bacini adottato a Marcignana sembra avvicinarsi maggiormente a quello che troviamo invece in altri edifici del XII e XIII secolo in Toscana, per esempio nella chiesa di S. Stefano extra-moenia a Pisa o la chiesa di S. Maria di S. Miniato697, dove alcuni esemplari sono distribuiti a schema aperto intorno alle finestre della facciata, ma in nessun caso troviamo ceramiche disposte a formare delle croci. Quest’ultimo criterio distributivo è più comune in alcune aree regionali, come in Liguria e nel bolognese, ma si trova applicato anche su due chiese urbane lucchesi, quella di San Francesco, nella zona absidale, e quella di S. Anastasio, in facciata, e in un caso nel contado lucchese, sulla chiesa di S. Michele di Castello a Colognora (Pescaglia)698. A Pisa invece non si hanno attestazioni di questo tipo699, tuttavia nel contado pisano è individuabile almeno un caso, a Metato (San Giuliano Terme) sul campanile della chiesa di San Jacopo, anche se forse si tratta di una ricollocazione recente700. Il fianco destro è difficilmente accessibile per la presenza di un edificio costruito a breve distanza, ma è comunque possibile osservare il diverso paramento murario: nella zona contigua alla facciata continuano per un breve tratto i filari di grossi conci ben spianati, poi la muratura prosegue con piccole bozze irregolari, mentre nella porzione superiore il paramento è in laterizi, a partire dalla medesima altezza stabilita in facciata. Il coronamento, con mattoni disposti a denti di sega in cinque ordini sovrapposti, che si ritrova anche nel fianco settentrionale, probabilmente è da riferire a un periodo successivo701. Del fianco sinistro è visibile solo la parte terminale a causa dell’edificio addossato alla chiesa nel XVII secolo: il paramento inferiore è costituito da conci grandi e ben spianati, in corsi regolari, che proseguono anche nella zona absidale, mentre nella zona superiore in laterizi è ancora visibile una monofora, parzialmente coperta dall’edificio successivo. La monofora presenta gli stipiti e l’archivolto ricassati e circondati da un listello in cotto a sezione circolare, l’estradosso è privo di cornice e costituito da laterizi messi in opera per testa. Questa tipologia si ritrova nella monofora absidale della pieve di Corazzano, che presentava anch’essa una ricassatura con listello curvo, ma anche una cornice in cotto decorato.

La facciata presenta un portale architravato frutto di un intervento di restauro (tav. 52): in origine probabilmente l’apertura presentava un arco a tutto sesto, di cui si intravedono ancora le tracce al di sopra dell’architrave. Nella zona di confine tra pietra e laterizio si notano le tracce di quattro tamponature quadrangolari e irregolari e al di sopra del portale ci sono due fessure allungate, non riempite con laterizi ma solo intonacate, per cui si può ipotizzare presenza di una tettoia al di sopra del portale. Nella zona superiore della facciata, immediatamente al di sotto dei due finestroni neogotici, si nota una fascia che corre lungo tutta la larghezza del prospetto, comprendendo due filari di laterizi, che potrebbe indicare la presenza di un’antica cornice marcapiano. Il paramento della zona circostante e sottostante all’oculo novecentesco è costituito da mattoni nuovi, di colore più chiaro e quindi facilmente individuabili. Sopra all’oculo moderno si conserva ancora il piccolo oculo originale, strombato a tre gradini, che indicherebbe la quota del tetto originario, di cui si notano ancora gli spioventi nel paramento in laterizi689. Infatti la facciata fu rialzata in epoca successiva690, ed è facilmente riconoscibile la parte aggiunta perchè il paramento è costituito da laterizi di diverse dimensioni, messi in opera in modo più irregolare (alcuni addirittura per testa ma in verticale) e con giunti più spessi. L’oculo strombato a triplice incasso si ritrova molto simile nel fianco destro della collegiata dei SS. Lorenzo e Leonardo a Castelfiorentino, oppure sulla facciata della pieve Monterappoli se ne trovano due che hanno anche un listello decorato a zig-zag, come quello presente sulla facciata della pieve di Sant’Appiano, nella porzione destra ricostruita in laterizi dopo il terremoto del 1171691. Ai due lati dell’oculo più antico erano inseriti quattordici bacini ceramici, tutti andati perduti692 ma sostituiti con copie moderne durante gli ultimi restauri693. I bacini sono distribuiti a secondo uno “schema aperto” sul paramento in cotto: dieci di questi formano due croci simmetriche ai lati dell’oculo, altri quattro, due per parte, circondano le due finestre694, ma probabilmente in origine erano tre e contornavano l’arcatura delle finestre che doveva essere a tutto tondo695. La presenza di bacini ceramici in facciata non è inusuale in Valdelsa, ma in questo caso la loro distribuzione sul paramento risulta diversa rispetto a quella degli altri edifici: infatti nella pieve di Castelfiorentino e in quella di Coiano erano stati inseriti nella parte cuspidale sei bacini su due linee parallele, sulla canonica dei SS. Prospero e Tommaso a Certaldo vi erano tre bacini disposti ad angolo (con il più grande, unico superstite, al vertice), oppure sulla facciata di S. Jacopo al Tempio di San Gimignano troviamo tredici bacini che seguono gli spioventi del tetto, mentre nella

696 Berti, G., Tongiorgi, L., Bacini ceramici su edifici religiosi e civili delle province di Pistoia, Firenze e Siena, in «Faenza», 61, 1975, pp. 123-135; Mendera Casoli, M., La decorazione con bacini ceramici, cit., p. 84. 697 Berti, G., Tongiorgi, L., Altri bacini ceramici in Toscana, cit., p. 76. 698 Berti, G., Cappelli, L., Lucca. Ceramiche medievali e post-medievali (Museo Nazionale di Villa Guinigi). I. Dalle ceramiche islamiche alle “maioliche arcaiche”, Firenze 1994, pp. 57-61, 66-67. 699 Berti, G., Cappelli, L., Lucca. Ceramiche medievali e post-medievali, cit., p. 61. 700 Berti, G., Tongiorgi, L., I bacini ceramici delle chiese della provincia di Pisa con nuove proposte per la datazione della ceramica spagnola “tipo Pula”, in «Faenza», 60, 1974, p. 69 e tav. XLV; Berti, G., Tongiorgi, L., I bacini ceramici del Duomo di S. Miniato, cit., p. 50. 701 Chiese medievali della Valdelsa, 1, cit., p. 177; Moretti, I., Stopani, R., Chiese romaniche, cit., p. 298

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Chiese medievali della Valdelsa, 1, cit., p. 177. Moretti, I., Stopani, R., Chiese romaniche, cit., p. 298. 691 Chiese medievali della Valdelsa, 1, cit., pp. 115-116. 692 Berti, G., I “bacini” ceramici della Toscana, cit., p. 105. 693 Chiese medievali della Valdelsa, 1, cit., p. 61, nota 37. 694 Mendera Casoli, M., La decorazione con bacini ceramici in edifici religiosi e civili lungo il tratto valdelsano della via Francigena, in Storia e cultura della strada in Valdelsa nel Medioevo, a cura di R. Stopani, Poggibonsi 1986, p. 84. 695 Berti, G., Tongiorgi, L., Altri bacini ceramici in Toscana, in «Faenza», 63, 1997, pp. 75-77 690

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3. Repertorio degli edifici ritornano i conci squadrati e spianati visti all’esterno, nel catino absidale ci sono laterizi graffiati e la bicromia pietra-laterizio è stata mantenuta707. La parte superiore delle pareti è intonacata, mentre il catino absidale è interamente rivestito in laterizi e la copertura è a capriate lignee. Sulle pareti laterali sono ben visibili le tracce di due portali tamponati: il primo, già menzionato, si trova nella parte terminale della parete destra, il secondo si apriva invece a metà circa della parete sinistra e presenta un archivolto costituito da grossi cunei in arenaria e stipiti formati da conci di dimensioni ancora maggiori. Questo secondo portale, nel quale successivamente è stato ricavato un altare, è anch’esso murato e interrato, ma in misura minore rispetto all’altro, elemento che farebbe supporre una parziale ricostruzione del fianco settentrionale, dove infatti prevalgono le grosse bozze in arenaria anche all’interno708. Oltre alle tre aperture absidali, ci sono tre finestre per lato, alcune delle quali sono state rifatte709. Le sei monofore sono molto strette e strombate, con il listello curvo già visto all’esterno e l’archivolto ricassato, con una cornice costituita da semplici listelli lisci che creano la ricassatura.

Questo listello arrotondato ricorre abbastanza frequentemente in Valdelsa negli strombi delle monofore, per esempio nelle pievi di Monterappoli e di Castelfiorentino, e nella canonica di S. Stefano a Linari702. Nella zona absidale prosegue la bicromia e si ritrovano i grossi conci ben squadrati e spianati osservati in facciata, mentre il paramento in laterizi presenta alcune lacune risarcite con mattoni nuovi e dal colore più chiaro (tav. 53). L’abside semicircolare ha un’unica apertura, una monofora molto strombata, priva di cornici decorative, collocata a cavallo del punto di stacco tra i due materiali costruttivi, e ai due lati si trovano due piccole monofore aperte nel paramento in arenaria, con l’estradosso ricavato da un unico monolite703. Sul lato meridionale della tribuna si innalza il campanile a vela, ma probabilmente solo la base fino allo spiovente risale alla costruzione originale704. Al di sopra della copertura dell’abside si apre una feritoia a forma di croce, elemento che si ritrova spesso anche in altri edifici della Valdelsa, nella parte superiore della tribuna, come nella canonica dei SS. Jacopo e Filippo a Certaldo, nella pieve di Sant’Ippolito e Biagio a Castelfiorentino, nella pieve di S. Giovanni Evangelista a Corazzano, oppure in facciata, come nel duomo di San Minato, nella collegiata dei SS. Lorenzo e Leonardo a Castelfiorentino, nella pieve di Santa Maria Assunta a Cellole, o addirittura in entrambi i luoghi, come nella pieve di San Giovanni Evangelista a Monterappoli. Il piano di calpestio risulta rialzato rispetto a quello originale di almeno un metro e mezzo, probabilmente a causa delle numerose esondazioni del fiume Elsa, che nel corso dei secoli avrebbe interrato la chiesa705; infatti le monofore aperte nei fianchi e nell’abside sono collocate ad un’altezza piuttosto bassa e sul fianco meridionale si nota la presenza di una porta tamponata e seminterrata706. All’interno si ritrova la bipartizione del paramento murario (tav. 54): nella parte inferiore, fino a tre metri circa come all’esterno, si trovano conci in pietra, ma anche qui si riscontrano delle differenze perchè nella parete absidale si trovano grandi conci di arenaria ben sbozzati, disposti in corsi orizzontali regolari, in corrispondenza con quelli esterni; sulla parete meridionale si trovano le piccole bozze lavorate grossolanamente, le stesse del paramento esterno corrispondente; sulla parete settentrionale invece l’apparecchiatura è composta da conci allungati disposti in corsi orizzontali irregolari, diversi sia da quelli della parete opposta sia da quelli della zona absidale. Anche all’interno della chiesa di S. Martino a Pontorme, già citata in precedenza, nelle pareti laterali sono state impiegate bozzette di calcare disposte a filaretto, di cui è stata ipotizzata la provenienza da un preesistente edificio altomedievale, mentre nella controfacciata e nella tribuna

29. Canonica di S. Salvatore di Piaggia (piviere di Fabbrica) Note storiche La località è documentata a partire dal 904710 ma la chiesa è attestata per la prima volta nel 1086711, e successivamente compare nell’estimo del 1260, nelle decime del 1275-77 e in quelle del 1302-03, dove viene sempre ricordata come canonica712. Nel XIV secolo è nuovamente documentata come canonica, ma nel secolo successivo venne unita al convento degli Umiliati di Cigoli, e durante la visita pastorale del 1466 fu trovata in rovina713. È da identificare con il podere La Canonica a sud ovest di Cigoli714. 30. Canonica di S. Stefano di Torrebenni (piviere di S. Genesio) Note storiche La chiesa è citata nel privilegio papale del 1195, nell’estimo del 1260 e in tutte le decime successive715, 707 Frati, M., Chiese romaniche della campagna fiorentina, cit., pp. 192194 e fig. 153. 708 Moretti, I., Stopani, R., Chiese romaniche, cit., p. 299. 709 Moretti, I., Stopani, R., Chiese romaniche, cit., p. 298. 710 Memorie e documenti, cit., t. V, parte III, n. 1084, p. 28. 711 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 86. 712 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 272, 203; Tuscia, I, p. 280. 713 Archivio Arcivescovile di Lucca, Libro antico, 15, cc. 18 e 26 e Visite pastorali, 9, c. 241; Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 86. 714 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 86. 715 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 272, 202, 220; Tuscia, II, p. 279.

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Chiese medievali della Valdelsa, 1, cit., tav. 20. L’apertura di piccole monofore che si affiancano all’abside sarebbe un motivo poco diffuso in Toscana: Moretti, I., Architettura romanica a Empoli, in La Collegiata di S. Andrea a Empoli. La cultura romanica, la facciata, il restauro, Fucecchio 1991, p. 21 n. 58. 704 Moretti, I., Stopani, R., Chiese romaniche, cit., p. 299. 705 Moretti, I., Stopani, R., Chiese romaniche, cit., p. 299. 706 Chiese medievali della Valdelsa, 1, cit., p. 176. 703

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L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV) insediarono alcuni monaci camaldolesi724. Nel 1182 papa Lucio III pose il monastero sotto la protezione della Santa Sede, riconfermandovi l’osservanza della regola benedettina e le donazioni ricevute dai vescovi di Lucca, Pisa e Volterra. Il monastero risulta dipendente da quello lucchese di S. Ponziano nel 1155, ma nello stesso anno sembra riacquistare l’indipendenza725. Infine nel 1444 venne unito al monastero delle monache brigidiane del Paradiso di Firenze per disposizione di papa Eugenio IV726. Il monastero si trovava sul confine tra le diocesi di Lucca e Volterra, infatti compare sia nelle decime della diocesi di Lucca, come dipendente dalla pieve di S. Gervasio, sia in quelle volterrane, nella giurisdizione della pieve di S. Bartolomeo al Pino (oggi in località La Piappina, vicino a Peccioli)727. Tuttavia l’abate fu sempre sottoposto all’autorità del vescovo di Volterra, che ne confermava l’elezione, come dimostrano alcuni documenti del 1115, del 1280 e del 1322, ma allo stesso tempo, nel XIV secolo, il vescovo di Lucca in visita pastorale nel piviere di S. Gervasio, visitò anche alla badia728. Il Repetti riporta un episodio accaduto nel 1285, che sarebbe ancora oggi ricordato dalla toponomastica: un personaggio pisano chiamato Soldano cacciò l’abate di Carigi e la piccola comunità monastica e da allora l’abbazia venne chiamata del Soldano, nome che ancora oggi indicherebbe i due poderi circostanti con le case coloniche e il piccolo oratorio di S. Cassiano729, costruito, secondo la tradizione, in ricordo dell’antica presenza dell’abbazia di Carigi730. Materiale di reimpiego proveniente dall’antica abbazia è stato individuato in uno degli edifici costruiti sul podere La Badia731.

nelle quali viene sempre indicata come canonica, titolo che quindi potrebbe aver assunto nella seconda metà del XIII secolo. Ancora esistente, si trova nel luogo dove sorgeva l’insediamento fortificato di Torrebenni, detto Bastia dal XVI secolo, nei pressi dell’ultimo tratto dell’Elsa, sulla riva destra, a nord di Ponte a Elsa. Era la chiesa parrocchiale di Borgo a Santa Fiora, antico villaggio andato distrutto, che sorgeva ai piedi della Bastia, nell’odierna Ponte a Elsa716. Nei pressi di Torrebenni si trovava un ponte sull’Elsa collegato ad un ospedale, entrambi documentati a partire dal 1102717. Il cronista Giovanni di Lelmo da Comugnori riferiva che nel 1308 il ponte era crollato, ma nello statuto del comune di San Miniato del 1337 risultava di nuovo praticabile, anche se nel 1359 era attivo anche un traghetto che collegava le due sponde del fiume718. Il ponte rivestiva un ruolo molto importante perchè era situato sulla strata vallis Arnis, la strada che collegava Firenze con Pisa seguendo il corso dell’Arno719. Tra il 1721 e il 1722 l’edificio subì un radicale restauro che modificò l’assetto originario. Negli anni Sessanta venne effettuato un intervento di ripristino, durante il quale si rese visibile il paramento murario, costituito da conci di arenaria, risalenti probabilmente alla struttura medievale e frammisti ad altri materiali720. Purtroppo oggi il paramento non è più visibile perchè è stato nuovamente intonacato. Anche il campanile è stato intonacato, ma all’interno sarebbe visibile un paramento a grosse bozze di arenaria ben squadrate721. 3.3. Monasteri 31. Monastero dei Ss. Ippolito e Cassiano di Carigi (piviere di S. Gervasio)

32. Monastero dei Ss. Bartolomeo e Gioconda di Bacoli (piviere di Fabbrica)

Note storiche L’abbazia, oggi scomparsa, era stata costruita sulle pendici del colle di Montefoscoli, a destra del torrente Roglio, in una località identificabile con l’attuale podere La Badia722. Fu fondata dai Farolfi, una famiglia lucchese di altissimo rango723, e durante l’XI secolo divenne un’istituzione molto potente, ricevendo donazioni da importanti famiglie aristocratiche, ma anche da parte dei vescovi Giovanni di Lucca, Azzo di Pisa e Gunfredo di Volterra. All’inizio del XII secolo però era già in decadenza e risultava ormai priva di monaci, per questo i patroni la donarono al priore di Camaldoli nel 1102 e vi si

Note storiche Del monastero, detto anche di S. Gonda, sorto ai piedi della collina di Cigoli, sulla sponda destra del rio di Bacoli, non si conoscono le origini. Tuttavia sappiamo che era nato come monastero femminile e che alla fine del XII secolo vi erano rimaste solo due monache, per questo motivo nel 1192 papa Celestino III lo trasferì alla congregazione camaldolese, che vi stabilì una comunità maschile. Il monastero è citato nell’estimo del 1260, tra le suffraganee della pieve di Fabbrica, e compare nelle

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Chiese medievali della Valdelsa, 1, cit., p. 174 e n. 1, p. 175. Archivio Arcivescovile di Lucca, Fondo Martini, 18. 718 Morelli, P., Borgo San Genesio, cit., p. 134; Statuti del Comune di San Miniato al Tedesco (1337), a cura di F. Salvestrini, Pisa 1994, p. 399; Archivio Storico del Comune di San Miniato, 2249, lib. IV, rub. 95. 719 Morelli, P., Borgo San Genesio, cit., p. 134. 720 Chiese medievali della Valdelsa, 1, cit., p. 175. 721 Ibidem, p. 175. 722 Morelli, P., La pieve di S. Gervasio di Verriana, cit., p. 54. 723 Pescaglini Monti, R., Strade, castelli, chiese, ospedali: viabilità e insediamenti nel basso Valdarno tra la Chiècina e l’Isola, in La via Francigena e il Basso Valdarno. Vie di terra e d’acqua nel Medioevo fra l’Elsa e il mare. Prospettiva della ricerca e primi risultati, atti del seminario di studi (Pisa, 4 dicembre 1996), a cura di M.L. Ceccarelli Lemut e G. Garzella, Pontedera 1998, p. 57. 717

724 Morelli, P., La pieve di S. Gervasio di Verriana, cit., pp. 54-55; Repetti, E., Dizionario, cit., vol. I, pp. 180-181. 725 Alberti, A., I castelli della Valdera, cit., p. 38. 726 Morelli, P., La pieve di S. Gervasio di Verriana, cit., pp. 62-63. 727 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 83; Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., p. 270; Tuscia, II, cit., p. 284. 728 Morelli, P., La pieve di S. Gervasio di Verriana, cit., p. 54, n. 112. 729 Repetti, E., Dizionario, cit., vol. I, p. 181. 730 Alberti, A., I castelli della Valdera, cit., p. 32, fig. 8. 731 Alberti, A., Il territorio di Villa Saletta: archeologia del paesaggio agrario, in Villa Saletta in Valdera. Da villaggio medievale a fattoria modello di età moderna, a cura di A. Alberti, S. Bruni, D. Stiaffini, Pisa 2007, pp. 138-139 e fig. 86.

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3. Repertorio degli edifici decime del 1275-77 tra gli enti esenti dal pagamento732. Un documento del 1252, redatto presso la chiesa di S. Bartolomeo a Sovigliana (Empoli) e ricordato da Galli Angelini, riferisce che il priore generale di Camaldoli accettò una donazione da parte di Guido Guerra del fu conte Marcovaldo dopo aver consultato, tra gli altri, l’abate Paolo di S. Gioconda733. Successivamente la badia è menzionata in una bolla del papa Alessandro IV del 23 luglio 1258734 e in un documento del 1273, con il quale l’abate rinnovava l’affitto di un pezzo di terra a un certo Leoni di Rustico da Bacoli735. L’archivio del monastero è andato perduto ma sappiamo che nel 1419 l’abbazia attraversava una fase di decadenza e nel 1566 fu unita al monastero fiorentino di S. Benedetto fuori porta a Pinti736. Il monastero si trovava sull’importante via di comunicazione che collegava Pisa e Firenze, nei pressi dell’attuale località “la Catena”, dove i gabellieri del comune di San Miniato riscuotevano i dazi sulle merci737, ed è identificabile con la Fattoria della Badia, lungo la strada statale Tosco-Romagnola738.

3.4. Ospedali 35. Ospedale dei Ss. Maria e Pietro di Casteldelbosco (piviere di S. Gervasio) Note storiche Secondo il cronista lucchese Giovanni Sercambi, nel 1222 la famiglia pisana degli Upezzinghi, che già possedeva i castelli di Collecarelli e Marti, fecero fortificare questa collina e la chiamarono Casteldelbosco per la folta vegetazione che la caratterizzava. I Lucchesi, intervenuti militarmente allenadosi con i Fiorentini, espugnarono e demolirono il castello, sconfiggendo i Pisani che avevano ricevuto l’appoggio di Pistoia, Siena, Poggibonsi, Colle Val d’Elsa, San Gimignano, del vescovo di Volterra e del legato imperiale di San Miniato742. Nella guerra di Casteldelbosco si ritrovarono a combattere praticamente tutte le più importanti città toscane e il loro intervento non fu determinato solo da rivalità politiche, ma probabilmente fu soprattutto per l’interesse che rivestiva il castello per i traffici commerciali e la ricossione dei dazi743. Secondo quanto riferisce il Repetti, i Pisani riscuotevano il pedaggio tra Casteldelbosco e il ponte sul torrente Chiecina744. Nel 1228 un religioso locale, Fra Giusto da Piuvica, vi fondò un ospedale, data la posizione strategica di questo luogo, sulla riva sinistra dell’Arno e vicino ad importanti vie di comunicazione, come la strata Vallis Arnis, che univa Pisa con Firenze lungo il corso dell’Arno. Tuttavia l’ente ebbe vita breve, forse sopravvivendo di poco al suo fondatore e primo rettore. Nel 1388 fu unito alla chiesa di S. Lucia di Pedisciano, alla periferia meridionale di Pontedera, e nel 1591 le sue rovine furono utilizzate per costruire il monastero di S. Marta di Montopoli745.

33. Eremo di S. Maria di Pereta (piviere di Gello) Note storiche L’eremo è attestato nelle decime del 1275-77 e in quelle del 1302-03 tra gli enti esenti dal pagamento e compare nell’estimo del 1260 tra le chiese suffraganee della pieve di Gello739. All’epoca del Repetti era ancora esistente come oratorio sotto la cura di Parlascio e Ceppato740. 34. Eremo di S. Maria di Monteforte (piviere di Gello) Note storiche L’eremo è menzionato nelle decime del 1275-77 e in quelle del 1302-03 tra gli enti esenti dal pagamento, ma non ricompare nell’estimo741. La carta allegata alle Rationes decimarum localizza l’eremo a sud della pieve di Gello, sul confine con la diocesi di Pisa.

36. Domus S. Crucis de Ultramare (piviere di Appiano) Note storiche L’ospedale, attestato per la prima volta nel 1237746, probabilmente fu fondato dalla famiglia pisana degli Upezzinghi, che era la maggiore proprietaria di beni della zona747. Menzionato nell’estimo del 1260, tra le suffraganee della pieve di Appiano con una rendita di 20

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Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 193, 207, 273. 733 Galli Angelini, F.M., Cigoli e il suo santuario, San Miniato al Tedesco 1911, a cura di G. Taddei, S. Croce sull’Arno 1989, pp. 21-22. 734 Galli Angelini, F.M., Cigoli e il suo santuario, cit., pp. 21-22. 735 Archivio Vescovile di San Miniato, Pergamene, 6; Galli Angelini, F.M., Cigoli e il suo santuario, cit., pp. 35-36. 736 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 87. 737 Nanni, G., Regoli, I., San Miniato: guida storico artistica della città e del suo territorio, Pisa 1991, p. 22. 738 Morelli, P., La nascita del convento domenicano di S. Jacopo in San Miniato: appunti per un’indagine sulle istituzioni ecclesiastiche di un centro minore della Toscana fra Due e Trecento, in Centi, T.S., Morelli, P., Tognetti, L., SS. Jacopo e Lucia: una chiesa, un convento. Contributi per la storia della presenza dei Domenicani in San Miniato, San Miniato 1995, p. 22. 739 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 193, 207, 268; Tuscia, II, cit., p. 257. 740 Repetti, E., Dizionario, cit., vol. II, p. 429; Mariti, G., Bagno a Aqua, cit., pp. 141-142. 741 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 193, 208; Tuscia, II, cit., p. 257.

742 Morelli, P., La pieve di S. Gervasio di Verriana, cit., p. 60; Davidsohn, R., Storia di Firenze, cit., vol. II, pp. 122-131. 743 Morelli, P., Signorie ecclesiastiche e laiche, cit., pp. 312-315. 744 Repetti, E., Dizionario, cit., vol. I, p. 355. 745 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 82. 746 Archivio di Stato di Pisa, Diplomatico Roncioni. Il Repetti proponeva in via del tutto ipotetica una pirma attestazione dell’ospedale nel 792, in un documento relativo ad una permuta di beni tra il monastero di S. Maria e S. Romano di Lucca e un certo Gumprando, situati “in loco ubi vocatur ad Mare, in Vico qui dicitur Appiano” (Memorie e documenti, cit., tomo V, parte II, n. 236, pp. 137-138), si veda: Repetti, E., Dizionario, cit., vol. III, p. 14. 747 Alcune località del piviere vengono definite in una serie di documenti come “podere Opethingorum”, e così viene definita tutta l’area a sud di Pontedera tolta agli Upezzinghi e annessa al comune di Pisa nel 1292, si veda: Pescaglini Monti, R., Dalla Valdera alla Valdisola, cit., p. 309.

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L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV) soldi748, non ricompare nelle decime del 1275-77 e del 1302-03. L’ospedale era situato a nord ovest di Ponsacco in una località detta ancora oggi Magione749 e sorgeva nel punto in cui le strade dirette a Pisa si intersecavano con quelle provenienti dalla valle del Cascina e con quelle provenienti da Volterra e dalla Valdelsa750. Il toponimo Ultramare ha fatto ipotizzare la presenza, nel periodo medievale, di una vasta area paludosa alle porta di Ponsacco, come starebbero ad indicare anche altri toponimi della zona (Gello Putrido)751. L’ente probabilmente era gestito dall’Ordine dei Cavalieri del Santo Sepolcro di Pisa ed era una succursale dell’ospedale maggiore di Brandeglio, situato nella diocesi di Pistoia752. Alla seconda metà del XIV secolo dovrebbe risalire la fondazione di una cappella all’interno della struttura, ricordata negli atti della visita pastorale del 1564 come “ecclesia qui dicitur la Magiona” e trovata dal vicario apostolico priva della campana e non più officiata753.

pieve di Cellole presso San Gimignano e uno sulle alture delle Cerbaie757. Il lebbrosario e la chiesa sono scomparse ma ricordate oggi da una cappella intitolata a S. Lazzaro a pochi metri dal cimitero di Ponte a Elsa. 3.5. Suffraganee 38. Chiesa di S. Maria di Alica (piviere di S. Gervasio) Note storiche La località, sulla riva destra del torrente Roglio, viene menzionata nell’atto del 980 fra i villaggi dipendenti dalla pieve di S. Gervasio758. Il castello di Alica, fondato da una famiglia locale, forse i signori di Montecchio, viene ricordato per la prima volta in un documento del 1120, dove vengono indicati come proprietari Gherardo e Guido del fu Lamberto759. Nel 1154 Erminia, figlia di Guido da Montecchio, insieme a suo marito Pepo di Ugo dei conti Gherardeschi, vendette al vescovo di Lucca Gregorio alcuni beni in Valdera, fra i quali il castello e la corte di Alica, mentre altri discendenti della stessa famiglia stavano cedendo al vescovo altri beni sparsi in Valdera, come il castello di Montecchio con il suo porto sull’Arno, presso Calcinaia760. Il castello compare poco dopo in due privilegi imperiali, quello di Federico I del 1164 e quello di Enrico IV del 1194, dove veniva riconosciuta la signoria su parte del castello ai vescovi di Lucca761. Tra il 1190 e il 1220 il castello compare anche nei documenti che riguardano la lunga controversia tra l’abbazia di S. Maria di Serena, in Val di Merse, e il vescovato di Lucca, tra i beni ceduti dall’abate Ugo nel 1119 al vescovo Benedetto e poi reclamati dai monaci con una lunga serie di ricorsi, che si conclusero con il definitivo riconoscimento della proprietà del vescovo lucchese762. Con la conquista del castello da parte dei Pisani, Alica entrò a far parte della capitania di Colleoli nel 1302. Durante il XIV secolo la famiglia pisana dei Gambacorta acquistò molti beni nella zona, già a partire dal 1321763 e nel 1335 fece costruire un nuovo castello764. Nel 1399 tutti i beni passarono per lascito testamentario alla Certosa di Calci, che li amministrò autonomamente fino

37. Lebbrosario di S. Lazzaro (piviere di S. Genesio) Note storiche Il lebbrosario è menzionato per la prima volta nel privilegio emanato da papa Celestino III nel 1195 in favore della pieve di S. Genesio, dove si specificava che la chiesa di S. Lazzaro con il lebbrosario annesso sorgeva nelle immediate vicinanze della pieve (iuxta eadem plebem)754. L’ente non viene citato nell’estimo né nelle decime successive, ma ricompare nelle decime del 130203755 e durante la visita pastorale del 1466 venne trovato ancora attivo (habitatum a leprosis)756. Lungo la via Francigena si trovavano anche altri ospedali dedicati specificatamente ai lebbrosi: nelle decime troviamo menzionati il lebbrosario di Radicofani, uno annesso alla

748 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., p. 267. 749 Pescaglini Monti, R., I pivieri di Sovigliana, cit., p. 146: già nel 1409 la località è attestata con questo nome, Archivio Statale di Firenze, Notarile Antecosimiano, F. 556, c. 238. 750 Pescaglini Monti, R., Strade, castelli, chiese, ospedali: viabilità e insediamenti nel basso Valdarno tra la Chiècina e l’Isola, in La via Francigena e il Basso Valdarno. Vie di terra e d’acqua nel Medioevo fra l’Elsa e il mare. Prospettiva della ricerca e primi risultati, atti del seminario di studi (Pisa, 4 dicembre 1996), a cura di M.L. Ceccarelli Lemut e G. Garzella, Pontedera 1998, p. 57. 751 Pasquinucci, M., Mecucci, S., Morelli, P., Territorio e popolamento tra i fiumi Arno, Cascina ed Era: ricerche archeologiche, topografiche ed archivistiche, in Atti del I Congresso Nazionale di Archeologia Medievale, a cura di S. Gelichi (Pisa 29-31 maggio 1997), Firenze 1997, p. 242. 752 Lupi, M., Noferi, M., Terra di Ponsacco. Un territorio e quattro antichissime comunità: Appiano, Camugliano, Petriolo e Ponsacco, Ponsacco 2004, p. 169. 753 Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali, 14, cc. 648-651; Lupi, M., Noferi, M., Terra di Ponsacco, cit., p. 170. Dovrebbe corrispondere alla cappella intitolata a S. Carlo citata dal Repetti, si veda: Repetti, Dizionario, cit., vol. II, p. 427. 754 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 89. 755 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, II, cit., p. 279. 756 Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali, 9, c. 259.

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Stopani, R., La via Francigena in Toscana, cit., p. 59. Archivio Arcivescovile di Lucca, Diplomatico, + A 30; Memorie e documenti, cit., t. V, parte III, n. 1512, p. 394. 759 Archivio Arcivescovile di Lucca, Diplomatico, * H 48, 1120 settembre 6-19; Morelli, P., Il castello di Alica e le sue chiese, in Alica. Un castello della Valdera dal Medioevo all’età moderna, a cura di P. Morelli, Pisa 2002, p. 15. 760 Archivio Arcivescovile di Lucca, Diplomatico, AD 66, 1154 novembre 30; Morelli, P., Il castello di Alica, cit., pp. 15-16. 761 Morelli, P., La pieve di S. Gervasio di Verriana, cit., p. 58, Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 103. 762 Archivio Arcivescovile di Lucca, Diplomatico, * L 54 e 72, 1215 marzo 26; * L 59, 1215 dicembre 31; * H 39, 1220 maggio 4; Morelli, P., Il castello di Alica, cit., p. 18. 763 Archivio della Certosa di Calci, Diplomatico, 1322 novembre 16; Morelli, P., Il castello di Alica, cit., p. 21. 764 Prima dell’intervento trecentesco il castello di Alica doveva essere costituito soltanto da una casa-torre: Morelli, P., Il castello di Alica, cit., pp. 18-19. 758

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3. Repertorio degli edifici alla soppressione del monastero in epoca napoleonica765, nonostante le richieste avanzate dal vescovo di Lucca Stefano Trenta nel 1452, che reclamava il pagamento di un canone annuo da parte dei Certosini, in virtù degli antichi privilegi imperiali766. Tra il XIV e il XV secolo il castello di Alica e tutto il territorio circostante subirono gravi danni durante le scorrerie delle compagnie di ventura di Giovanni Acuto nel 1375 e di Niccolò Piccinino nel 1431, ma con la pace del 1433 tutti i castelli della Valdera vennero restituiti a Firenze767. La chiesa di S. Maria di Alica, attuale parrocchiale, è attestata per la prima volta in un atto di vendita del 1182, con il quale il conte Gherardo dei Gherardeschi cedeva all’arcivescovo di Pisa la sua parte del castello di Forcoli e tutte le terre che possedeva nei paraggi768. Nell’estimo del 1260 e nelle decime del 1276-77 vengono nominate due chiese, quella di S. Maria e quella intitolata a S. Iacopo, unita all’altra e oggi scomparsa, ma della quale erano ancora visibili le rovine nel XVIII secolo, in una frazione a sud di Alica denominata, non a caso, località S. Iacopo769. Nelle decime del 1302-03 invece compare soltanto la chiesa di S. Iacopo, ricordata anche negli atti della visita pastorale del 1480, dove si dice che vi risiedeva un eremita legato al monastero brigidiano di Paradiso (Firenze), e in quelli della visita del 1564, che riferiscono la presenza di un unico altare non consacrato770. Nel 1299 il patronato della chiesa dei SS. Maria, Iacopo e Stefano venne conteso tra il monastero lucchese di S. Salvatore di Cantignano e quello pisano di S. Vito, al quale fu poi riconosciuto, ma già nel Trecento questo passò ai Gambacorta e da questi ai Certosini771. Nella relazione della visita pastorale del 1450 venne annotato che la chiesa di S. Maria nonostante le guerre era in buone condizioni, ma dai rilevamenti del catasto fiorentino del 1427-30 sappiamo che il castello era quasi disabitato, visto che vi risiedevano solo tre famiglie772. Dalle visite pastorali successive, a partire da quella del 1564, ricaviamo alcuni dettagli sull’aspetto della chiesa, che doveva avere due campane collocate su un campanile a vela in facciata, che era priva di sacrestia ed aveva un

unico altare773. Nel 1713 venne consacrata e restaurata su iniziativa del proposto Paolo Pippeschi, che fece costruire due nuovi altari e un nuovo campanile sulla parete meridionale, e fece decorare gli interni con stucchi e affreschi774. A partire del 1537 è documentata l’esistenza di una confraternita dedicata ai SS. Iacopo e Filippo, che fece costruire la cappella omonima ancora esistente a fianco della chiesa parrocchiale e che venne soppressa dal granduca Pietro Leopoldo nel 1786775. Architettura In occasione dei recenti restauri è stata riportato alla luce il paramento originale della facciata, costituito da bozze e conci di calcare, ma il prospetto è stato nuovamente intonacato776. 39. Chiesa di S. Pietro di Appiano (piviere di Appiano) Note storiche La chiesa è documentata per la prima volta in un atto di livello del 944777, ed è poi menzionata negli atti di livello del 993 e del 1033 e, due secoli più tardi, nell’estimo e in tutte le decime successive778. Con il trasferimento della popolazione all’interno del nuovo castello di Ponsacco e la fondazione della nuova pieve nel 1366, la chiesa venne abbandonata779. Infatti durante la visita pastorale del 1382, tutte le chiese del piviere vennero trovate prive di rettore780. Nella relazione del vicario generale di Lucca scritta in occasione della visita pastorale del 1466 si riferisce che la chiesa fu trovata in rovina e si ordinavano lavori di ristrutturazione781. Tuttavia la chiesa venne abbandonata in rovina come attestano le visite pastorali successive, almeno fino al 1605 circa, quando fu riaperta al culto come semplice oratorio782. La chiesa di trovava a nord di Ponsacco, nei pressi della località “Le Melorie”, dove rimane un podere “S. Piero”783. 773

Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali, 14, 22 e 26. Archivio Parrocchiale di Forcoli, Registri della parrocchia di Alica, Campione A, cc. 6-7 e 16; Morelli, P., Il castello di Alica, cit., pp. 2425. 775 Alica. Un castello della Valdera dal Medioevo all’età moderna, a cura di P. Morelli, Pisa 2002, Appendice 1: Morelli, P., La compagnia dei SS. Iacopo e Filippo di Alica e la sua “sepoltura murata”, pp. 7985. 776 Alberti, A., Villa Saletta: le evidenze archeologiche e architettoniche dal Medioevo all’età moderna, in Villa Saletta in Valdera. Da villaggio medievale a fattoria modello di età moderna, a cura di A. Alberti, S. Bruni, D. Stiaffini, Pisa 2007, p. 84 e figg. 5-6: la tecnica muraria sarebbe paragonabile a quella di altri edifici della Valdera datati tra l’XI e il XIII, come le chiede di S. Verano a Peccioli e dei SS. Quirico e Giulitta a Parlascio. 777 Memorie e documenti, cit., t. V, parte III, n. 1308, p. 208. 778 Pescaglini Monti, R., Dalla Valdera alla Valdisola, cit., pp. 307-309; Memorie e documenti, cit., t. V, parte III, nn. 1692-1694, pp. 569-572; Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 201, 223, 267; Tuscia, II, cit., p. 284. 779 Archivio Arcivescovile di Lucca, Libri antichi, 24, c. 106. 780 Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali, 2, c. 147. 781 Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali, 9, c. 69 e c. 138. 782 Lupi, M., Noferi, M., Terra di Ponsacco, cit., pp. 78-79. 783 Pasquinucci, M., Mecucci, S., Morelli, P., Territorio e popolamento tra i fiumi Arno, Cascina ed Era: ricerche archeologiche, topografiche ed archivistiche, in Atti del I Congresso Nazionale di Archeologia 774

765 Archivio della Certosa di Calci, Diplomatico, 1399 agosto 16; Morelli, P, Pievi, castelli e comunità, cit., p. 103; sulle vicende del castello dal XIV al XIX secolo e sulla sua trasformazione in grancia certosina si veda Stiaffini, D., Alica dai Gambacorta ai Certosini, in Alica. Un castello della Valdera dal Medioevo all’età moderna, a cura di P. Morelli, Pisa 2002, pp. 31-75; Stiaffini, D., Villa Saletta: dai Gambacorta ai Riccardi tra strategie familiari e lasciti ereditari, in Villa Saletta in Valdera. Da villaggio medievale a fattoria modello di età moderna, a cura di A. Alberti, S. Bruni, D. Stiaffini, Pisa 2007, pp. 27-82; Giusti, A.M., Le ville della Valdera, Pontedera 1995, pp. 55-57. 766 Archivio di Stato di Pisa, Corporazioni religiose soppresse, n. 268, ins. 3; Morelli, P., Il castello di Alica, cit., pp. 20-21. 767 Morelli, P., Il castello di Alica, cit., p. 22. 768 Morelli, P., Il castello di Alica, cit., p. 24; Regesto della chiesa di Pisa, a cura di N. Caturegli, Roma 1938, n. 558, pp. 405-415. 769 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 223, 269; Tuscia, II, cit., p. 283; Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 82; Morelli, P., Il castello di Alica, cit., fig. 1; Archivio Vescovile di San Miniato, Inventari 1715-1720, carte non numerate. 770 Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali, 14; Morelli, P., Il castello di Alica, cit., p. 25. 771 Morelli, P., Il castello di Alica, cit., pp. 25-26. 772 Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali, 7, c. 95v.; Morelli, P., Il castello di Alica, cit., pp. 21-22.

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L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV) Nicola di Sessana a Usigliano di Lari e di S. Andrea a Petriolo (Ponsacco). A differenza degli altri architravi appena citati, questo ha una superficie decorata con motivi incisi molto stilizzati: partendo dal basso troviamo un cordone orizzontale, due zig-zag al centro e nella parte superiore un intreccio a due nastri che segue il profilo ad angolo dell’architrave, mentre alle due estremità sono inserite due ruote circondate da uno zig-zag791. L’architrave a timpano è una tipologia abbastanza frequente nell’architettura pisana, presente in molti edifici civili in città, soprattutto nelle strette finestre delle torri dell’XI e XII secolo792, ma anche nel contado pisano, per esempio nella Torre Upezzinghi di Calcinaia, datata entro la fine del XII secolo793. Portali coronati da architravi di questo tipo, come tipologia alternativa al più frequente portale lunettato, ma ugualmente efficiente per sostenere il carico della struttura muraria soprastante, convogliando le spinte sui piedritti ed evitando fessurazioni al centro dell’architrave794, si ritrovano in area pisana, come nella pieve dei SS. Maria e Giovanni Battista a Vicopisano (secondo o terzo decennio del XII secolo)795, nel portale centrale del San Sisto in Cortevecchia Pisa (datata tra 1069 e 1087)796, o nella chiesa di S. Lorenzo a Pagnatico (Cascina), databile al XII secolo797. Questo elemento si diffuse anche nelle aree soggette all’influenza pisana e lo ritroviamo quindi nell’architettura sarda e corsa del XII secolo: nell’architrave a timpano del portale del fianco sud della chiesa di S. Parateo di Mariana a Lucciana, in Corsica, datato al primo quarto del XII secolo, troviamo scolpiti due leoni affrontati con al centro l’albero della vita, e in Corsica se ne trovano altri della stessa tipologia tra il XII e la prima metà del XIII secolo798; in Sardegna troviamo numerosi esempi, tra il XII e l’inizio del XIII secolo799, privi di decorazioni800. Altri casi sono stati

40. Chiesa di S. Martino di Aquis (piviere di Aquis) Note storiche La chiesa di S. Martino, situata a sud di Casciana Terme e oggi all’interno in una proprietà privata, è menzionata nell’estimo della diocesi di Lucca del 1260 e nelle decime del 1302-03, tra le suffraganee della pieve di Aquis, attuale Casciana Terme784. Durante la visita pastorale del 1466 venne trovata in ordine, mentre due secoli dopo, nel 1683, risultava non officiata e adibita a cella vinaria e a magazzino per il fieno785. Nel 1774 fu trovata in condizioni abbastanza buone e nel 1788 Giovanni Mariti la definì “un piccolo tempio di antica e bella forma”786. Il Repetti menziona una chiesa di S. Martino situata in località Pietraia, dove sorgeva anche un castello, lungo la strada che da Casciana Terme conduce a Casciana Alta787. Architettura L’edificio, ad aula unica con abside semicircolare, è interamente costruito con un travertino dalle sfumature dorate diffuso nella zona di Casciana Terme e chiamato “spugnone”788. Tuttavia il paramento murario non è uniforme e sono facilmente individuabili due fasi costruttive. La zona absidale e la parte finale del fianco destro presentano conci perfettamente squadrati e spianati, dalle dimensioni molto omogenee, commessi quasi senza legante in filari orizzontali e paralleli, mentre la facciata e l’altra porzione della parete destra sono costruite con bozzette di diversa forma e grandezza mescolate con materiali di reimpiego, murati su filari orizzontali con ampi letti di malta, opera da riferire ad un intervento di restauro avvenuto in epoca imprecisata789. Già il Mariti aveva notato la diversità delle tecniche costruttive e dei materiali impiegati nelle due diverse porzioni dell’edificio, ipotizzando due diverse fasi costruttive, dovute forse ad un crollo e ad una successiva ricostruzione con pietrame più piccolo e con una tecnica costruttiva meno raffinata790. Inoltre all’epoca della sua visita la facciata era intonacata e conservava dell’edificio originario solo l’architrave del portale, essendo stata ricostruita in seguito ai danni causati da un fulmine. La facciata a capanna è quindi il risultato di un rimontaggio e presenta un piccolo portale su due scalini, con lo stipite sinistro realizzato in blocchi squadrati e quello destro con materiali misti, in prevalenza laterizi, sormontato dall’architrave originale, monolitico e a forma di timpano, molto simile a quelli della vicina chiesa di S.

791 Sono state descritte come “ruote dentate” in Ducci, A., Badalassi, L., Tesori medievali, cit., p. 42. 792 Per esempio quella dietro S. Pietro in Vincoli, quella in vicolo del Porton Rosso e quella in via Vernagalli 15, si veda: Redi, F., Pisa com’era: archeologia, urbanistica e strutture materiali (secoli V-XIV), Napoli 1991, figg. 93, 89 e p. 212. 793 Terre nuove nel Valdarno pisano medievale, a cura di M.L. Ceccarelli Lemut e G. Garzella, Pisa 2005, pp. 144-151. 794 Coroneo, R., La Pace degli animali. A proposito dell’iconografia di un architrave romanico della Corsica, in Immagine e ideologia. Studi in onore di Arturo Carlo Quintavalle, a cura di A. Calzona, R. Campari, M. Mussini, Milano 2007, p. 181. 795 Tigler, G., Toscana romanica, cit., pp. 234-236. 796 Tigler, G., Toscana romanica, Milano 2006, pp. 225-226. 797 Chiese di Pisa 2. Guida alla conoscenza del patrimonio artistico. Chiese suburbane, vicariati del Piano di Pisa I e II, del Lungomare I e di Pontedera, a cura di M.L. Ceccarelli Lemut, S. Renzoni, S. Sodi, Pisa 2001, p. 69. ancora in area pisana si ritrovano architravi a timpano in due chiese nel comune di Buti, quella di S. Michele di Castel di Nocco e quella di S. Maria ad Nives di Panicale, quest’ultimo decorato con un motivo a intreccio, si veda: Chiese di Pisa 2, cit., pp. 113-116. 798 Coroneo, R., La Pace degli animali, cit., pp. 180-183. Un altro architrave timpano si trova nel portale laterale di S. Maria a Mariana, si veda: Belcari, R., Romanico tirrenico. Chiese e monasteri medievali dell’arcipelago toscano e del litorale livornese, Pisa 2009, p. 38. 799 Coroneo, R., La Pace degli animali, cit., p. 181. 800 Tra i vari esempi citiamo: il portale laterale del S. Leonardo a Martis (Sassari), della prima metà del XII secolo, il portale di S. Maria di Tergu (Sassari), della seconda metà del XII secolo, il portale nord di Santa Giusta (Oristano), del terzo decennio del XII secolo, i portali del fianco meridionale e del transetto del S. Paolo di Milis (Oristano), della metà del XII secolo, il portale in facciata e i portali sul fianco sud SS. Trinità di Saccargia a Codrongianos, della seconda metà del XII secolo,

Medievale, a cura di S. Gelichi (Pisa 29-31 maggio 1997), Firenze 1997, p. 243. 784 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., p. 269; Tuscia, II, cit., p. 282. 785 Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali, 9, c. 86v.; Archivio Vescovile di San Miniato, Visite pastorali, 61. 786 Archivio Vescovile di San Miniato, Visite pastorali, 66; Mariti, G., Bagno a Aqua. I dintorni. Odeporico, o sia Itinerario per le Colline Pisane, Firenze 1797, rist. a cura di B. Gianetti, Fornacette 2000, p. 44. 787 Repetti, Dizionario, cit., vol. I, p. 39. 788 Gotti, M., Chiese medievali della Valdera lucchese, in «Bollettino dell’Accademia degli Euteleti di San Miniato», 77, 2010, p. 232. 789 Gotti, M., Chiese medievali, cit., p. 232. 790 Mariti, G., Bagno a Aqua, cit., p. 44.

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3. Repertorio degli edifici costituito da un architrave rettangolare monolitico, piuttosto sottile, decorato con un motivo inciso a due nastri intrecciati, tra due bordini di contorno che creano una sorta di cornice liscia, ed è sormontato da un arco a tutto sesto formato da grandi cunei in pietra, ben tagliati e spianati, con la chiave formata da due cunei più stretti affiancati. L’abside semicircolare presenta un’unica monofora a tutto sesto, caratterizzata da una profonda strombatura a tre gradini810 e costituita da tre elementi monolitici, due piedritti sormontati da un archetto. Tutti e tre gli elementi che compongono l’apertura sono decorati con i sottili motivi incisi, simili a quelli già descritti sugli architravi dei due portali: su entrambi gli stipiti ritroviamo il motivo dell’intreccio a due nastri, all’interno di un bordino di contorno inciso, sull’archetto invece troviamo un intreccio ad unico nastro che segue la curvatura dell’arco e, negli spazi di risulta, sono stati inseriti due foglie lanceolate ed un cordone. Il coronamento dell’abside è costituito da una teoria di archetti pensili a tutto sesto, sormontati da una cornice modanata e impostati su mensoline poco sporgenti, con uno smusso obliquo leggeremento inclinato e decorate con linee orizzontali e parallele incise. Il corredo scultoreo, realizzato interamente tramite incisione, comprende motivi geometrici molto stilizzati ed estremamente diffusi all’interno del repertorio altomedievale e protoromanico nell’area lucchese e pisana. Tra i vari confronti proposti ci sono gli archetti delle monofore della chiesa di S. Maria di Mirteto, presso San Giuliano Terme (Pisa), decorati con semplici incisioni e l’archetto di monofora di reimpiego del S. Giusto di Marlia, con motivi a intreccio incisi811, databile tra X e XI secolo812. Nella pieve di S. Gennaro di Capannori troviamo una monofora absidale molto simile a quella di S. Martino, caratterizzata da una decorazione a intreccio e ovuli sui due stipiti monolitici e datata all’XI secolo813. Il motivo a intreccio è sicuramente uno dei più frequenti, già visto sui capitelli della pieve di S. Gervasio, e anche in questo caso si tratterebbe di una persistenza di elementi tratti da linguaggio ormai arcaico ma ancora fortemente radicato in ambito provinciale. All’interno, recenti restauri hanno liberato dall’intonaco l’antico paramento in conci squadrati, identico a quello dell’abside e della parte terminale delle pareti laterali. Anche l’arcone absidale, a tutto sesto a curve non concentriche, è realizzato con gli stessi conci ben spianati e tagliati a formare dei cunei. La copertura è a capriate lignee e nell’aula completamente spoglia rimane solo

individuati sull’Isola d’Elba, come nelle chiese di S. Lorenzo a Marciana e di S. Maria a Lacona801, e nella chiesa dei SS. Salvatore e Momiliano sull’isola di Montecristo802. Inoltre alcuni esemplari sono attestati nel territorio volterrano, per esempio nelle monofore più antiche del claristorio della pieve di Coiano803. Anche in territorio lucchese sono presenti alcuni architravi a timpano, come nel portale in facciata del S. Quirico di Guamo, datata all’XI secolo anche se il paramento risulta pesantemente manomesso804, nel portale del campanile del S. Giusto di Compito805, e sul fianco sinistro del S. Giusto di Marlia806. In Lunigiana troviamo architravi di questo tipo tra i resti trecenteschi della chiesa di Casciana, tra i ruderi del castello di Codiponte, anch’essi datati al XIV secolo, e altri datati tra XIV e XV secolo, inseriti in complessi rimaneggiati nel XVIII secolo a Casola807. In Garfagnana un architrave di questo tipo è sopravvissuto tra le rovine delle mura castellane di Sillico (Pieve Fosciana), a coronamento di una stretta feritoia della torre campanaria, datata dal Redi al XII secolo808. Al centro la facciata è conclusa da un piccolo campanile a vela, anch’esso da attribuire al restauro. Sul fianco destro prosegue la muratura a bozzette della facciata, fino a circa due terzi della sua lunghezza, e in questa porzione è stato aperto anche un finestrone moderno. La zona terminale del fianco destro invece presenta il paramento antico a grossi conci squadrati, mentre in basso sono stati scoperti tre filari della muratura di fondazione che proseguono anche nell’abside. Il fianco sinistro è visibile solo parzialmente perchè gli è stata addossata una struttura, ma presenta anch’esso la stessa scansione in due fasi costruttive. Nella zona terminale, coperta per la maggior parte dalla struttura successiva, si apriva un piccolo portale laterale, oggi tamponato, ma che doveva essere ancora in uso all’epoca della visita del Mariti, il quale racconta di essere entrato nella chiesa proprio da questa apertura809. Il portale è e il portale del fianco sud nel S. Leonardo a Masullas (Oristano), della prima metà del XIII secolo, si veda: Coroneo, R., Architettura romanica dalla metà del Mille al primo ‘300, Nuoro 1993, pp. 187, 122-125, 6877, 218-219, 138-143, 224; Serra, R., La Sardegna, Milano 1989, p. 152, fig. 65. 801 Belcari, R., Romanico tirrenico, cit., pp. 112-117, 152-155; Moretti, I., Stopani, R., Chiese romaniche dell’Isola d’Elba, Firenze 1972, pp. 35-37. 802 Belcari, R., Romanico tirrenico, cit., pp. 198-207 e fig. p. 38. 803 Chiese medievali della Valdelsa, 1, cit., pp. 152-157, fig. 150. 804 Filieri, M. T., Architettura medioevale, cit., p. 29 e fig.18 p. 35. 805 Filieri, M. T., Architettura medioevale, cit., fig. 28, p. 43. 806 L’architrave a timpano impostato su mensole modanate è stato attribuito dal Quirós Castillo ad una fase molto tarda, tra XIV e XV secolo, ritenendo che questa tipologia di portali nella Toscana nordoccidentale (Lunigiana, Garfagnana e Valdinievole), sarebbero da riferire a quest’epoca, si veda: Quirós Castillo, J.A., Modi di costruire a Lucca nell’Altomedioevo: una lettura attraverso l’archeologia dell’architettura, Firenze 2002, p. 71. 807 Ferrando Carbona, I., Crusi, E., Storia dell’insediamento in Lunigiana. Alta Valle Aulella, Genova 1988, p. 74, fig. 99, p. 100, fig. 138 e pp. 109-114, fig. 173. 808 Redi, F., La frontiera lucchese nel Medioevo. Torri, castelli, strutture difensive e insediamenti fra strategie e controllo del territorio nei secoli XIII e XIV, Cinisello Balsamo (Mi) 2004, pp. 178-179. 809 Mariti, G., Bagno a Aqua, cit., pp. 44-45: Mariti aggiunge che la struttura annessa era una stalla e che sullo stipite destro del portale si

trovava una pietra quadrata con un monogramma inciso. Questo concio è ancora possibile individuarlo tra le pietre impiegate nella muratura di tamponamento del portale e probabilmente si tratta di un elemento di reimpiego, proveniente da una lapide sepolcrale inserita sul paramento originario della chiesa, si veda Ducci, A., Badalassi, L., Tesori medievali, cit., p. 40. 810 La triplice gradonatura è molto simile a quella della monofora del fianco nord della pieve di S. Bartolomeo al Pino (Peccioli), si veda Ducci, A., Badalassi, L., Tesori medievali, cit., p. 40 e fig. p. 35. 811 Filieri, L.T., Architettura medioevale in diocesi di Lucca. Le pievi del territorio di Capannori, Lucca 1990, fig. 6 pag. 23. 812 Ducci, A., Badalassi, L., Tesori medievali, cit., pp. 43-44. 813 Filieri, L.T., Architettura medioevale, cit., fig. 62 p. 73.

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L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV) insieme a Torrebenni, Marcignana e Pianezzoli823. Negli statuti del comune di San Miniato del 1337 compare tra i villaggi che dovevano provvedere alla manutenzione della strada per Castelfiorentino e partecipava anche alla formazione di un contingente di quaranta uomini armati insieme ad altri piccoli comuni della zona824. La chiesa è citata nel privilegio del 1195, nell’estimo del 1260 e in tutte le decime825. All’edificio, che non conserva strutture di epoca medievale, venne aggiunta una canonica nel 1764 e un transetto nel 1931826.

l’altare maggiore, realizzato in pietra e sistemato su un gradino all’interno dell’abside. 41. Chiesa di S. Andrea di Bacoli (piviere di Fabbrica) Note storiche La chiesa, oggi scomparsa, è menzionata solo nell’estimo del 1260 e nel 1466 era unita all’abbazia di S. Gonda814. La sua localizzazione è incerta, ma dovrebbe trovarsi a est di S. Miniato815. Il Repetti la situa nei pressi del rio di Bacoli, che nasce dalle pendici sopra l’abbazia di S. Gonda e confluisce nell’Arno di fronte a Fucecchio816.

44. Chiesa di S. Regolo di Bucciano (piviere di Barbinaia) Note storiche La chiesa, ancora esistente, viene menzionata nell’estimo del 1260, nelle decime del 1275-77 e in quelle del 130203827. A causa della sua posizione al di fuori dell’abitato, nel 1384 fu costruito un oratorio all’interno del castello, intitolato anch’esso a S. Regolo e unito alla chiesa principale828. Nella visita pastorale del 1564 la chiesa compariva con il titolo di S. Caterina829. Sul paramento della facciata della chiesa, risultato di un lavoro di rimontaggio eseguito in epoca moderna, si possono ancora distinguere i blocchi in arenaria ben squadrati e spianati, provenienti dall’antica pieve di Barbinaia, identici a quelli ancora in loco830. Anche nel basamento del campanile, costrutito tra il 1874 e il 1875, fu impiegato lo stesso materiale proveniente dalla vicina pieve831.

42. Chiesa di S. Pietro di Balconevisi (piviere di Corazzano) Note storiche Nel 916 Gumberto e sua madre Rottruda fondarono un oratorio dedicato a S. Pietro, dotandolo di alcuni beni817. In seguito la località viene elencata tra i villaggi dipendenti dalla pieve di Corazzano nell’atto di livello del 983, con il nome di Valle Cunighisi818. La chiesa è citata nell’estimo del 1260 e nelle decime del 1275-77 e del 1302-03, ma durante la visita pastorale del 1466 venne trovata abbandonata819. Sulle sue rovine, nella prima metà del Cinquecento, fu costruita una nuova chiesa, documentata nella visita pastorale del 1564820: oggi è in rovina e nel XIX secolo fu sostituita dalla nuova chiesa parrocchiale, edificata a poca distanza, nata dall’unione con l’antica chiesa di S. Jacopo di Scopeto e per questo dedicata ai santi Pietro e Jacopo821.

45. Chiesa di S. Barbara di Bucciano (piviere di Barbinaia) 43. Chiesa di S. Bartolomeo di Brusciana (piviere di S. Genesio)

Note storiche La chiesa è menzionata nell’estimo del 1260 e nelle decime del 1302-03, dove compare come S. Barbara di Bricciano832. Nel 1466 risultava in rovina e il suo titolo sarebbe rimasto ad un podere nella zona di Bucciano833.

Note storiche La località, ancora esistente, oggi nel comune di Empoli, viene elencata tra le villae dipendenti dalla pieve di S. Genesio nell’atto di livello del 991 (Briscana)822 ed era uno dei villaggi rimasti fedeli a San Miniato posti sulla riva destra dell’Elsa, quindi in territorio fiorentino,

814 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., p. 273; Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali, 9, c. 249. 815 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 87; Piombanti, G., Guida della città di San Miniato al Tedesco con notizie storiche antiche e moderne, San Miniato 1894, ristampa anastatica a cura di A. Matteoli, in «Bollettino dell’Accademia degli Euteleti della Città di San Miniato», 44, 1976, p. XLV. 816 Repetti, E., Dizionario geografico fisico storico della Toscana, Firenze 1833-1846, vol. I, p. 178. 817 Memorie e documenti, cit., t. V, parte III, n. 1167, p. 88. 818 Memorie e documenti, cit., t. V, parte III, n. 1568, p. 453. 819 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 202, 221, 271; Tuscia, II, cit., p. 280; Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali, 9, c. 320. 820 Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali, 14, c. 94. 821 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 88; Repetti, E., Dizionario, cit., vol. I, p. 254. 822 Memorie e documenti, cit., t. V, parte III, n. 1672, pp. 552-553.

823 Morelli, P., Borgo San Genesio, la strata Pisana e la via Francigena, cit., p. 136, nota 57. 824 Statuti del Comune di San Miniato al Tedesco (1337), a cura di F. Salvestrini, Pisa 1994, pp. 338 e 400. 825 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 202, 220, 272; Tuscia, II, cit., p. 278. 826 Il rilievo degli edifici, a cura di F. Violanti, Empoli 1983, p. 113. 827 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 202, 220, 271; Tuscia, II, cit., p. 278. 828 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 87; Archivio Arcivescovile di Lucca, Libro antico, 35, c. 28v. 829 Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali, 14, c. 94. 830 Ducci, A., Badalassi, L., Tesori medievali, cit., p. 36. 831 Dini, F., Dietro i nostri secoli, cit., pp. 41-42. 832 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., p. 271; Tuscia, II, cit., p. 278. 833 Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali, 9, c. 286; Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 87.

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3. Repertorio degli edifici rivolto verso il basso. Su alcuni degli elementi decorati sono ancora visibili le tracce dei disegni preparatori, incisi sulla superficie, per esempio al centro dei triangoli o dello zig-zag, ma anche sui petali dei fiori della fascia esterna. I motivi geometrici qui presenti sono tra i più diffusi in tutta l’area del Valdarno, della Valdelsa e a Lucca, e verranno replicati costantemente con le medesime caratteristiche dalla seconda metà del XII a tutto il XIV secolo, anche in aree periferiche841. Anche i fiori a sei petali sono abbastanza frequenti e si ritrovano sui portali della pieve di S. Maria Novella di Marti, datata intorno al 1331, e su alcuni edifici lucchesi, come quello in via Fillungo 180, e quello in via Guinigi 13, entrambi riferibili ad un arco cronologico che va dalla metà del XIII alla metà del XIV secolo842. Nei tre casi appena citati però il motivo della fuga di fiori appare più elaborato perchè i fiori oltre ad avere un petalo in comune sono anche inscritti tra petali, con l’aggiunta di un petalo superiore e uno inferiore, tangenti ai bordini di contorno. La versione adottata in questo caso risulta quindi più semplice, ed è simile a quella adottata nella lunetta del portale della collegiata dei SS. Pietro e Paolo di Castelfranco di Sotto, datata intorno al 1280843. La datazione alla metà del XIII secolo che era stata proposta da Frati può quindi essere confermata sulla base di questi confronti 844. Sul fianco destro era visibile il paramento murario originale in pietra arenaria grigiastra, ben conservato dall’intonaco che la ricopriva. Sono state ipotizzate tre fasi costruttive: la prima, in pietra, tecnica già abbandonata alla fine del XII secolo; alla seconda fase dovrebbe risalire l’arco della facciata; infine i restauri del dopoguerra e l’omogeneizzazione dei prospetti845.

46. Chiesa di S. Maria di Busseto (piviere di Musciano) Note storiche Documentata dal IX secolo, quando compare in un atto di livello dell’863 come S. Maria di Buxiato834, la chiesa viene menzionata nell’estimo del 1260, unita a S. Andrea di Montefosco, e nelle decime del 1302-03835. Con l’istituzione della pieve di Marti passò nella sua giurisdizione836. Negli atti della visita pastorale del 1466 risulta in rovina. È identificabile con il podere Buseto ad ovest di Marti, ma il suo titolo è ricordato anche dal Botro di S. Maria, affluente del Rio Ricavo837. 47. Chiesa di S. Maria di Calenzano (piviere di S. Genesio) Note storiche La località, una frazione a est di S. Miniato, venne concessa insieme ad altri beni del piviere dal vescovo di Lucca Gherardo ai Lombardi di San Miniato e successivamente viene elencata tra le villae dipendenti dalla pieve di S. Genesio nell’atto di livello del 991 (Callizana)838. La chiesa è citata per la prima volta nel privilegio emanato da Celestino III nel 1195 in favore della pieve di S. Genesio, poi viene menzionata nell’estimo del 1260 e in tutte le decime successive, dove risulta essere una delle suffraganee più ricche839. In una data imprecisata le venne unito un ospedale dedicato a S. Lucia, e in seguito alla sua soppressione la chiesa perse il titolo primitivo conservando solo quello di S. Lucia840. Architettura La chiesa venne danneggiata gravemente durante la seconda guerra mondiale insieme al borgo e l’edificio restaurato è stato completamente intonacato. In facciata è stato lasciato a vista solo un frammento di archivolto a tutto sesto costituito da mattoni graffiati a spina di pesce, inseriti per fascia, e circondato da una cornice formata da elementi speciali curvilinei inseriti per foglio, decorati con una fuga di fiori in rilievo, a sei petali allungati, con un petalo in comune (tav. 55). Anche quattro cunei della ghiera presentano dei motivi decorativi, tutti a carattere geometrico: il primo presenta un motivo a zig-zag, il secondo i denti di sega su due registri sovrapposti, e gli ultimi due, disposti quasi al centro dell’arco, sono decorati entrambi con una fuga di triangoli con il vertice

48. Chiesa di S. Jacopo di Cambromusio (piviere di Musciano) Note storiche La chiesa compare nell’estimo del 1260, unita a S. Barbara di Gabbiano, e nelle decime del 1302-03846. Nel catalogo del 1386-87 risulta dipendente dalla pieve di Montopoli, ma non è menzionata negli atti della visita pastorale del 1466 e non è localizzabile847.

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Memorie e documenti, cit., t. V, parte II, n. 761, p. 457. Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., p. 270; Tuscia, II, cit., p. 283. 836 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 85. 837 Morelli, P., Chiese, villaggi e castelli nel territorio della pieve di Musciano (secoli VII-XV), in Fra Marti e Montopoli. Preistoria e storia nel Valdarno inferiore, Atti del Convegno, Marti (Montopoli in Val d’Arno), 19 settembre 1998, a cura di S. Bruni, Pontedera 2001, p. 59. 838 Memorie e documenti, cit., t. V, parte III, n. 1672, pp. 552-553. 839 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 203, 220, 272; Tuscia, II, cit., p. 279. 840 Piombanti, G., Guida della città di San Miniato al Tedesco con notizie storiche antiche e moderne, San Miniato 1894, ristampa anastatica a cura di A. Matteoli, in «Bollettino dell’Accademia degli Euteleti della Città di San Miniato», 44, 1976, p. XLIX. 835

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Lucca medievale, cit., p. 56. Lucca medievale, cit., C.A. 40 e C.A. 59 pp. 187-190 e 235-237. 843 Barbucci, F., Campani, F., Giani, B., Motivi e tecniche decorative in cotto, cit., p. 45. 844 Chiese medievali della Valdelsa, 1, cit., p. 223. 845 Chiese medievali della Valdelsa, 1, cit., p. 223; Bernardeschi, C., La chiesa di S. Lucia a Calenzano (San Miniato). Due note su due tele dei Seicento-Settecento fiorentino inedite, in «Bollettino dell’Accademia degli Euteleti di San Miniato», 76, 2009, pp. 91-95. 846 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., p. 270; Tuscia, II, cit., p. 283. 847 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 84. 842

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L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV) in rovina e abbandonata858. All’inizio del XVI secolo, sebbene la chiesa fosse ancora distrutta, le fu affiancata una nuova chiesa intitolata a S. Frediano, come è documentato dalle relazioni delle visite pastorali del 1564 e del 1603, e dal 1625 l’antica chiesa di S. Pietro venne utilizzata come oratorio delle confraternite della Presentazione della Vergine e del SS. Sacramento, subendo un radicale restauro859, promosso dalla famiglia Botti, proprietaria della tenuta di Camugliano dal 1568860.

49. Chiesa di S. Bartolomeo di Campriano (piviere di S. Genesio) Note storiche La località viene elencata tra le villae dipendenti dalla pieve di S. Genesio nell’atto di livello del 991848, ma compare già in un documento dell’862, in cui viene registrata una permuta di beni tra il conte Ildebrando e suo fratello Geremia, vescovo di Lucca849. La chiesa è citata nel privilegio del 1195, nell’estimo del 1260 e in tutte le decime850. Ancora esistente, a sud est di S. Quintino, nel comune di S. Miniato.

51. Chiesa di S. Giorgio di Canneto (piviere di S. Genesio) Note storiche La località, vicina alla confluenza dell’Elsa nell’Arno, è ricordata fin dal 780, come pertinenza della badia di S. Savino di Pisa861, poi in un documento del 1088 compare come appartenente al piviere di S. Genesio e nel 1161 è ricordato come uno degli insediamenti posti lungo il confine della Repubblica Pisana862. Nell’atto che definisce il confini tra S. Miniato e Firenze del 1279, viene menzionata come appartenente al territorio sanminiatese, ma nel 1355 passò alla Repubblica di Pisa e infine del 1369 divenne parte del contado fiorentino863. Il villaggio viene menzionato negli statuti del comune di San Miniato del 1337 tra quelli che dovevano provvedere alla manutenzione della strada che collegava San Miniato con Castelfiorentino864. La chiesa è citata per la prima volta nel privilegio papale del 1195, poi compare nell’estimo del 1260, nelle decime del 1276-77 e in quelle del 1302-03865.

50. Chiesa di S. Pietro di Camugliano (piviere di Sovigliana) Note storiche Il toponimo, sicuramente di origine romana (da Camullius), è menzionato negli atti di livello del 980 e del 1021 tra i villaggi del piviere di Sovigliana851. In un diploma imperiale del 1020, in cui Enrico II confermava alcuni beni al monastero di S. Salvatore di Sesto, viene citata anche la corte di Camugliano, e circa un secolo dopo tutti questi beni passarono all’abate del monastero di Marturi che li vendette all’arcivescovo di Pisa852. Il castello è attestato per la prima volta come luogo di rogazione di un atto di vendita del 1072 e probabilmente venne fondato su iniziativa della chiesa di Lucca853. Secondo la Pescaglini Monti la località Camuliana di cui si parla nei documenti e in cui fu eretto il castello sarebbe da identificare con il poggio denominato “Castellaccio”, situato a sud dell’odierna Camugliano854. La chiesa è attestata per la prima volta nel 1170, in un atto di vendita di alcune terre da parte di prete Gerardo, rettore della chiesa, lo stesso che nel 1181 cedette altri terreni a due fratelli. Nel 1191 viene nuovamente ricordata, questa volta in una cartula promissionis855, e nel 1202 è citata ancora in un atto di vendita. Secondo il Mariti la chiesa sarebbe stata indipendente da qualunque pieve almeno fino al 1204, in quanto “collegiale” con il titolo di “rettoria”856. La chiesa, menzionata nell’estimo del 1260 e in tutte le decime successive, probabilmente venne danneggiata insieme al castello nel 1313 per opera dei Fiorentini e poi arso dalle truppe milanesi di Luchino Visconti nel 1344857. In due documenti del 1399 risulta priva di rettore e nella visita pastorale del 1466 è descritta

Architettura La chiesa, ancora esistente, presenta un paramento murario composito, con molti conci in arenaria ben squadrati e spianati, misti a laterizi, tutti disposti in corsi regolari, risultato di un’operazione di rimontaggio eseguita con alcuni dei materiali originali. Sulla facciata, con portale in pietra serena e lunetta affrescata, 858 Lupi, M., Noferi, M., Terra di Ponsacco, cit., p. 90; Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali (1465-1474), libro 9, + E. 91; Mannari, L., Visita pastorale del Vescovo di Lucca dell’anno 1466, cit., p. 30. 859 Lupi, M., Noferi, M., Terra di Ponsacco, cit., pp. 90-99; la nuova chiesa di S. Frediano divenne chiesa parrocchiale nel 1581, si veda: Repetti, E., Dizionario, cit., vol. I, p. 342. 860 Giusti, M.A., Le ville della Valdera, Pontedera 1995, pp. 41-44. 861 Canneto è menzionata tra i beni donati dall’abate del monastero di San Savino Gumperto e dai fratelli Ildiberto e Gumprando per la fondazione del monastero; Archivio di Stato di Firenze, Dipl. Camaldoli, 30 aprile 780; Dini, F., Dietro i nostri secoli, cit., p. 94; Repetti, E., Dizionario, cit., vol. I, p. 443; Salvestrini, F., San Genesio. La comunità e la pieve fra VI e XIII secolo, cit., p. 37, nota 34. 862 Chiese medievali della Valdelsa, 1, cit., p. 222; Archivio Arcivescovile di Lucca, G 55. 863 Chiese medievali della Valdelsa, 1, cit., p. 222 e n. 6, pp. 222-223. 864 Statuti del Comune di San Miniato al Tedesco (1337), a cura di F. Salvestrini, Pisa 1994, p. 400; Morelli, P., Borgo San Genesio, la strata Pisana e la via Francigena, in Vico Wallari - San Genesio: ricerca storica e indagini archeologiche su una comunità del medio Valdarno inferiore fra alto e pieno Medioevo, giornata di studio (San Miniato, 1 dicembre 2007), Centro Studi sulla Civiltà del Tardo Medioevo, a cura di F. Cantini e F. Salvestrini, Firenze 2010, p. 136. 865 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 221, 272; Tuscia, II, cit., p. 279.

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Memorie e documenti, cit., t. V, parte III, n. 1672, pp. 552-553. Repetti, E., Dizionario, cit., vol. I, p. 439; Memorie e documenti, cit., t. V, parte II, n. 759, p. 456. 850 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 203, 220, 272; Tuscia, II, cit., p. 279. 851 Memorie e documenti, cit., t. V, parte III, n. 1517, p. 399; Pescaglini Monti, R., Dalla Valdera alla Valdisola, cit., p. 303. 852 Lupi, M., Noferi, M., Terra di Ponsacco, cit., pp. 83-84. 853 Pescaglini Monti, R., Dalla Valdera alla Valdisola, cit., p. 305; Lupi, M., Noferi, M., Terra di Ponsacco, cit., p. 84. 854 Pescaglini Monti, R., I pivieri di Sovigliana, cit., p. 129. 855 Pescaglini Monti, R., I pivieri di Sovigliana, cit., p. 134-135. 856 Lupi, M., Noferi, M., Terra di Ponsacco, cit., p. 90. 857 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 202, 222, 269; Tuscia, II, cit., p. 281; Repetti, E., Dizionario, cit., vol. I, p. 342. 849

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3. Repertorio degli edifici sormontato da un tettoia e da un oculo, si sono succeduti diversi interventi ottocenteschi, ma in alto a destra sono sopravvissuti alcuni conci di arenaria disposti in corsi orizzontali866.

54. Chiesa di S. Lorenzo di Casale (piviere di Corazzano) Note storiche La località compare nell’atto di livello del 983 tra i villaggi del piviere di Corazzano e la chiesa è citata nell’estimo ma non nelle decime successive875. In epoca moderna divenne un oratorio e fu fatto ricostruire nel 1590 dal canonico sanminiatese Carlo di Tommaso Roffia876.

52. Chiesa di S. Lucia di Capannoli (piviere di Padule) Note storiche La chiesa, di cui non restano tracce, è attestata nell’estimo del 1260 e in tutte le decime successive come unica suffraganea della pieve di Padule867. Nel 1228 risultava già unita alla pieve ed entrambe furono unite alla nuova pieve di S. Bartolomeo di Capannoli nel 1385868.

55. Chiese di S. Michele e di S. Vincenzo di Caselle (piviere di Corazzano) Note storiche Entrambe le chiese sono citate nelle decime del 1302-03 e sono scomparse877.

53. Chiesa di S. Maria di Casanova (piviere di Sovigliana) Note storiche La località è elencata tra le villae dipendenti dalla pieve di Sovigliana negli atti di livello del 980 e del 1021869. La chiesa, attestata nel 1098 nell’atto di donazione all’abbazia di Morrona di due pezzi di terra situati presso la chiesa870, è menzionata nell’estimo del 1260, nelle decime del 1276-77 e in quelle del 1302-03871. Durante la visita pastorale del 1466 fu trovata in ordine, officiata e con l’altare maggiore consacrato872. A Casanova, su di un poggio che si trova poco più a sud del luogo in cui sorgeva la chiesa, il comune di Pisa fece innalzare un fortilizio intorno al 1370, per la sua posizione strategica, sul confine tra la diocesi di Lucca e quella di Volterra, nell’ambito di quel progetto di rafforzamento militare e di riorganizzazione del territorio pisano attuato nel corso della seconda metà del Trecento, soprattutto in seguito alla conquista di Volterra e San Gimignano da parte dei fiorentini873. La chiesa, ancora esistente, si trova in località Parrocchia, ma non conserva strutture di epoca medievale874.

56. Chiesa dei Ss. Maria e Lorenzo di Castagnecchio (piviere di Triana) Note storiche La chiesa, attestata dal 1215, compare nell’estimo del 1260, intitolata ai SS. Maria e Lorenzo, e in tutte le decime successive, dedicata solo a S. Maria878. Nel 1357 la chiesa era stata affidata in amministrazione temporanea al rettore della chiesa di S. Pietro di Cevoli, del vicino piviere di Sovigliana879. La chiesa è scomparsa ma la località, citata già nell’atto di livello del 983, corrisponde all’odierno podere Villa Castagnicci, a sud di Ponsacco, sulla sponda sinistra del fiume Cascina880. 57. Chiesa di S. Maria di Castellare (piviere di Migliano) Note storiche La chiesa di S. Maria è da identificare con quella costruita all’interno di un castello che sorgeva nella zona di Migliano, documentato dal 1017, ma già in rovina all’inizio del XIII secolo881. La chiesa, menzionata anch’essa nel documento del 1017 e documentata successivamente come S. Maria de Arsiciore nel 1209 e come S. Maria “in confinibus Arsicci et Castellari”882, forse era stata risparmiata dalla distruzione visto che

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Chiese medievali della Valdelsa, 1, cit., p. 222. Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 202, 223, 269; Tuscia, II, cit., p. 284. 868 Archivio Arcivescovile di Lucca, Diplomatico, + B 29/1; Archivio Arcivescovile di Lucca, Libri antichi, 36, c. 113; Morelli, P., La bassa Valdera, cit., p. 292. 869 Memorie e documenti, cit., t. V, parte III, n. 1517, p. 399; Pescaglini Monti, R., Dalla Valdera alla Valdisola, cit., p. 301. 870 Pescaglini Monti, R., I pivieri di Sovigliana, cit., pp. 134-135. 871 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 222, 269; Tuscia, II, cit., p. 281. 872 Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali (1465-1474), libro 9, + E, c. 92; Mannari, L., Visita pastorale del Vescovo di Lucca dell’anno 1466, cit., p. 33. 873 Pescaglini Monti, R., I pivieri di Sovigliana, cit., p. 141. 874 San Miniato, il Valdarno Inferiore e la Valdelsa, cit., p. 148; Pescaglini Monti, R., Dalla Valdera alla Valdisola, cit., p. 303. 867

875 Memorie e documenti, cit., t. V, parte III, n. 1568; Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., p. 271. 876 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 89. 877 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, II, cit., p. 280; Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 89. 878 Archivio Arcivescovile di Lucca, Diplomatico, *L54, 1215 marzo 23-27; Pescaglini Monti, R., I pivieri di Sovigliana, cit., p. 151; Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 201, 222, 267; Tuscia, II, cit., p. 281. 879 Archivio Arcivescovile di Lucca, Libri antichi, 67, c. 81. 880 Memorie e documenti, cit., t. V, parte III, n. 1564, p. 449; Pescaglini Monti, R., Dalla Valdera alla Valdisola, cit., p. 314. 881 Pescaglini Monti, R., I pivieri di Sovigliana, cit., p. 170. 882 Pescaglini Monti, R., Dalla Valdera alla Valdisola, cit., p. 325; Archivio Arcivescovile di Lucca, Diplomatico, * L 67 e ++ D 6.

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L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV) bonificati solo nel XVI secolo con la realizzazione del Fosse Reale892. La chiesa è menzionata nell’estimo e in tutte le decime successive, nel 1356 risultava unita alla pieve893 e nel 1372 fu unita invece alla chiesa di Lavaiano Vecchio, dipendente dalla vicina pieve di Triana894. Il villaggio venne gravemente danneggiato durante il XIV secolo e la nuova chiesa venne costruita nel 1844895.

compare nell’estimo del 1260, ma scompare nelle decime successive883. 58. Chiesa dei Ss. Angelo e Stefano di Chientina (piviere di Sovigliana) Note storiche La chiesa, oggi scomparsa, è attestata dal 1059, in un documento dove viene definita “in loco et finibus Suiana, ubi dicitur Tectiana”884, e corrisponde alla chiesa dei Ss. Angelo e Stefano di Soiana citata nell’estimo del 1260 e quella de Sitiana, dedicata agli stessi santi, menzionata nelle decime del 1302-03885. Nel documento del 1059 si faceva riferimento a dei proprietari laici, Alberto e Tebaldo del fu Anselmo, non ancora identificati886. Nella visita pastorale del 1424 risulta unita a S. Andrea di Soiana, come confermato anche nella visita successiva, nel 1466887.

61. Chiesa dei Ss. Lucia e Michele di Cercino (piviere di S. Genesio) Note storiche La località, che compare nell’atto di livello del 980896, è stata identificata da Morelli con il podere S. Lucia a sud di Gello di Palaia897, ma più recentemente lo stesso autore ha rivisto questa localizzazione e ha proposto di identificare il luogo con la località S. Lucia, tra le Colombaie e il Prato, a sud di Marti898,dove esisterebbe ancora una casa colonica costruita con le pietre della chiesa899. La chiesa, menzionata nell’estimo del 1260 e nelle decime del 1302-03, era stata trovata in rovina durante la visita pastorale del 1466 e nelle carte della visita del 1564 non compare900.

59. Chiesa di S. Andrea di Castro Cigoli (piviere di S. Genesio) Note storiche La chiesa è citata nel privilegio emanato da papa Celestino III in favore della pieve di S. Genesio nel 1195 (S. Andree supra castrum Ciculum), nell’estimo del 1260 e in tutte le decime successive888. Si trovava in una delle località limitrofe ma non comprese nel borgo di San Miniato889. Fu demolita nel 1649 e il titolo venne trasferito alla chiesa di S. Lorenzo di Nocicchio890. La chiesa sarebbe da localizzare nei pressi de Il Riposo, a nord di S. Miniato, vicino al convento di S. Francesco891.

62. Chiesa dei Ss. Stefano e Biagio di Cerretello (piviere di S. Gervasio) Note storiche Nell’atto di livello del 980 compare la località Villa Cerretulo, che corrisponde all’attuale podere Cerretello901. Il castello di Cerretulo apparteneva almeno in parte all’abbazia di S. Salvatore di Sesto, è già nel 1020, nel privilegio di immunità emanato dall’imperatore Enrico II in favore dell’abate di Sesto, era stata menzionata una curtis di Cerreto902. Nel 1061 il castello è documentato nuovamente come luogo di rogazione di un atto903, e nel 1241 Federico II confermò all’abbazia di Sesto il possesso del castello e il diritto di riscuotere i

60. Chiesa di S. Andrea di Cenaia (piviere di Migliano) Note storiche La località, da identificare con l’attuale Cenaia Vecchia, a destra del torrente Crespina, sorgeva in un’area pianeggiante, soggetta alla formazioni di acquitrini,

892 Pasquinucci, M., Mecucci, S., Morelli, P., Territorio e popolamento tra i fiumi Arno, Cascina ed Era: ricerche archeologiche, topografiche ed archivistiche, in Atti del I Congresso Nazionale di Archeologia Medievale, a cura di S. Gelichi (Pisa 29-31 maggio 1997), Firenze 1997, p. 242. 893 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 201, 223, 268; Tuscia, II, cit., p. 285; Archivio Arcivescovile di Lucca, Libri antichi, 21, c. 47. 894 Archivio Arcivescovile di Lucca, Libri antichi, 28, c. 61. 895 Caciagli, G., Pisa, cit., vol. 4, p. 430. 896 Archivio Arcivescovile di Lucca, Diplomatico, + A. 30; Memorie e documenti, cit., t. V, parte III, n. 1512, p. 394. 897 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 81. 898 La località non è riportata nella carta IGM. 899 Morelli, P., La pieve di S. Gervasio di Verriana, cit., p. 62. 900 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., p. 269; Tuscia, II, cit., p. 283. 901 Archivio Arcivescovile di Lucca, Diplomatico, + A. 30; Memorie e documenti, cit., t. V, parte III, n. 1512, p. 394; Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 81. 902 Alberti, A., I castelli della Valdera, cit., p. 84. 903 Archivio Arcivescovile di Lucca, Diplomatico, ++ I. 70.

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Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., p. 268. 884 Pescaglini Monti, R., I pivieri di Sovigliana, cit., p. 135. La località Tectiana è documentata negli atti di livello del 980 e del 1021, si vedano: Memorie e documenti, cit., t. V, parte III, n. 1517, p. 399 e Pescaglini Monti, R., Dalla Valdera alla Valdisola, cit., p. 301. 885 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., p. 269; Tuscia, II, cit., p. 282. 886 Pescaglini Monti, R., Dalla Valdera alla Valdisola, cit., p. 303. 887 Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali (1465-1474), libro 9, + E., c. 91; Mannari, L., Visita pastorale del Vescovo di Lucca dell’anno 1466, cit., p. 33. 888 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 202, 220, 271; Tuscia, II, cit., p. 279. 889 Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., p. 24. 890 Piombanti, G., Guida della città di San Miniato al Tedesco con notizie storiche antiche e moderne, San Miniato 1894, ristampa anastatica a cura di A. Matteoli, in «Bollettino dell’Accademia degli Euteleti di San Miniato», 44, 1976, p. 7 e p. XLV. 891 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 90; Dini, F., Dietro i nostri secoli, cit., p. 105.

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3. Repertorio degli edifici pedaggi lungo la via vallis Arnis904. La strada che collegava Firenze con Pisa era stata deviata verso la collina dagli abitanti del castello proprio per facilitare la riscossione dei pedaggi, che già dal 1221 venivano incassati dai consoli di Cerreto per conto dell’abbazia905. Tuttavia nel 1222 il castello venne abbandonato e quasi un secolo dopo fu smantellato, secondo quanto previsto in un trattato di pace tra Pisa e Lucca906. Una chiesa dedicata a S. Stefano è attestata per la prima volta in un altro diploma imperiale in favore dell’abbazia di Sesto, emanato da Corrado II, e ricompare con la dedicazione ai SS. Stefano e Biagio nell’estimo del 1260 e nelle decime del 1302-03907. Nel 1388 la chiesa fu unita alla pieve di S. Gervasio, ma nel 1466 risultava in rovina908.

65. Chiesa di S. Lorenzo di Colle Alberti (piviere di Tripalle) Note storiche La chiesa è attestata solo dalla seconda metà del XIII secolo, nell’estimo del 1260, nelle decime del 1276-77 e in quelle del 1302-03, e sorgeva a settentrione dell’omonima località, non lontano dalla diocesi di Pisa, a est di Lorenzana914. Caciagli riferisce che secondo la leggenda la chiesa risaliva addirittura al IV secolo, che era stata restaurata nel IX secolo, dotata di campanile e cimitero, e che una nobile famiglia pisana, gli Orsi, ebbe il patronato fino al 1635915. Il visitatore apostolico nel 1466 ordinò che si riparasse il tetto e che si sistemassero le campane916, ma la chiesa venne interdetta nel 1788 e nel medesimo anno il Mariti vi trovò tracce di pitture del XV secolo, affreschi del XVII e un’acquasantiera ricavata da un antico cippo funerario917.

63. Chiesa di S. Pietro di Cevoli (piviere di Sovigliana) Note storiche La località compare nell’atto di livello del 980 (Ceule), ma il castello è attestato per la prima volta nel 1021 e se ne hanno notizie anche in età moderna909. In un documento del 1035 è attestata una chiesa privata, intitolata ai Ss. Bartolomeo e Angelo e situata all’interno del castello, che non ricompare nell’estimo910. La chiesa di S. Pietro, ancora esistente e attestata dal 909, è menzionata nell’estimo del 1260, nelle decime del 1276-77 e in quelle del 1302-03911. Negli atti della visita pastorale del 1424 è definita in rovina, ma fu restaurata nel XV secolo e ingrandita nel 1710912.

66. Chiesa di S. Jacopo di Collebrunacchi (piviere di Corazzano) Note storiche La chiesa è citata nell’estimo del 1260, nelle decime del 1275-77 e del 1302-03, come chiesa di S. Jacopo di Colle918, nel 1466 era ancora esistente e nel 1778 il beneficio venne unito alla parrocchia di Corniano919. 67. Chiesa di S. Tommaso di Collecarelli (piviere di S. Gervasio) Note storiche Il toponimo, localizzato sul Poggio di Santa Lucia, a nord-est di Montecastello, compare per la prima volta nel 980 fra le ville dipendenti dalla pieve di S. Gervasio920, ma il castello e la chiesa dei SS. Tommaso e Biagio sono menzionati per la prima volta nel 1052, in una donazione da parte di tre uomini al vescovo di Lucca Giovanni II921. Il castello compare nell’atto della permuta del 1119 tra il vescovo di Lucca e l’abbazia di Serena, ma nel 1071 risulta essere di proprietà dei Gherardeschi, che cedono parte dei beni al vescovo di Lucca; poi nel 1143 alcuni membri della famiglia pisana degli Upezzinghi avrebbero occupato il castello, che nel 1217 risulta distrutto922.

64. Chiesa di S. Jacopo di Chiecina (piviere di Barbinaia) Note storiche La chiesa compare solo nell’estimo del 1260 e nel 1466 risultava in rovina913. La localizzazione è incerta ma esiste un podere Chiecina sulla sponda sinistra del torrente omonimo.

904

Archivio di Stato di Lucca, Diplomatico, Tarpea, 1241 dicembre; Morelli, P., Borgo San Genesio, la strata Pisana e la via Francigena, cit., p. 130, nota 23. 905 Archivio di Stato di Lucca, Diplomatico, Tarpea, 1221 marzo 7; Morelli, P., Borgo San Genesio, cit., pp. 129-130. 906 Alberti, A., I castelli della Valdera, cit., p. 85. 907 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., p. 269; Tuscia, II, cit., p. 283. 908 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 83. 909 Memorie e documenti, cit., t. V, parte III, n. 1517, p. 399; Pescaglini Monti, R., Dalla Valdera alla Valdisola, cit., p. 304; Repetti, E., Dizionario, vol. I, pp. 520-521. 910 Pescaglini Monti, R., I pivieri di Sovigliana, cit., pp. 132-133. 911 Pescaglini Monti, R., I pivieri di Sovigliana, cit., p. 134-135; Memorie e documenti, cit., t. V, parte III, n. 1122, p. 54; Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 222, 269; Tuscia, II, cit., p. 282. 912 Pescaglini Monti, R., I pivieri di Sovigliana, cit., p. 137; Caciagli, G., Pisa, cit., vol. IV, p. 530. 913 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., p. 271; Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali, 9, c. 287.

914

Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 222, 268; Tuscia, II, cit., p. 282; Pescaglini Monti, R., I pivieri di Sovigliana, cit., p. 175; Bocci, F., Le colline inferiori pisane. Notizie raccolte per cura del Cav. Dott. Felice Bocci, Livorno 1901, ristampa anastatica Pisa 1976, pp. 303-305. 915 Caciagli, G., Pisa, cit., vol. IV, p. 550-551. 916 Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali (1465-1474), libro 9, + E., c. 81; Mannari, L., Visita pastorale del 1466, cit., p. 43. 917 Caciagli, G., Pisa, cit., vol. IV, p. 550-551. 918 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 202, 221, 271; Tuscia, II, cit., p. 280. 919 Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali, 9, c. 321; Archivio Vescovile di San Miniato, Atti beneficiali D 3, n. 6. 920 Archivio Arcivescovile di Lucca, Diplomatico, + A. 30; Memorie e documenti, cit., t. V, parte III, n. 1512, p. 394. 921 Morelli, P., Il territorio tra Arno-Era e Roglio, cit., p. 289. 922 Morelli, P., La pieve di S. Gervasio di Verriana, cit., p. 57.

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L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV) conserva strutture di epoca medievale930. La rocca di Collemontanino è scarsamente documentata, infatti è attestata per la prima volta piuttosto tardi, nel 1152931. Molte delle strutture dell’antico castello, fondato probabilmente dai conti Cadolingi, si sono conservate932. Durante le recenti ricognizioni, sulla base delle murature sopravvissute (almeno i tre quarti della cinta muraria del cassero, la torre di avvistamento e alcuni edifici di servizio) e della morfologia del terreno, è stata ipotizzata la pianta dell’insediamento933.

La chiesa, menzionata solo nell’estimo del 1260, continuò ad essere officiata ancora nel Trecento, nel 1395 aveva ancora un rettore, ma nella visita pastorale del 1466 è descritta come in rovina923. 68. Chiese di S. Vito e di S. Paolo di Collegalli (piviere di Corazzano) Note storiche Nell’atto di livello del 983 compaiono le località S. Vito e S. Paulo Barbarino, forse da identificare con quelle in cui sono sorte le due chiese924. Il castello di Collegalli nel 1123 risulta di proprietà dei Gherardeschi e negli stessi anni cominciò ad affermarsi una famiglia che in epoca successiva sarà detta dei “conti di Collegalli” e che nel 1122 aveva iniziato la costruzione di un proprio castello nei pressi di quello dei Gherardeschi925. La chiesa di San Vito, citata nell’estimo del 1260 e nelle decime del 1276-77 e del 1302-03, nel 1466 era ancora funzionante926. Ancora esistente ma in forme architettoniche moderne, è intitolata ai Ss. Vito e Modesto. La chiesa di San Paolo invece è citata nell’estimo del 1260 e nelle decime del 1302-03, e dovrebbe essere localizzabile presso il podere S. Paolo, a est di Collegalli927. Nell’estimo è ricordata anche una chiesa intitolata a S. Michele, che risultava unita alla chiesa di S. Vito nello stesso castello e che non ricompare nelle decime successive928.

71. Chiesa di S. Bartolomeo di Colleoli (piviere di S. Gervasio) Note storiche Nell’atto di livello del 980 in cui venivano elencati i villaggi del piviere di S. Gervasio compare la località Collinule, identificabile con l’attuale Colleoli, a nord di Palaia934. La prima attestazione del castello di Colleoli è del 1019, ma non si hanno notizie sui suoi fondatori, probabilmente una famiglia locale. Il castello è poi menzionato in un privilegio papale in favore dell’arcivescovo di Pisa del 1137 e nei due privilegi imperiali del 1164 e del 1194 in favore del vescovo di Lucca, ma non sappiamo per quali vie fossero stati riconosciuti questi diritti di signoria ad entrambi i vescovi935. La chiesa di S. Bartolomeo è menzionata nell’estimo del 1260 ma non nelle decime del 1275-77, ricompare invece nelle decime del 1302-03936. Nel 1396, dopo che il castello era divenuto sede di capitania, vista la sua collocazione in posizione strategica sul confine fiorentino, la chiesa ottenne il fonte battesimale937.

69. Chiesa di S. Pietro di Collelungo (piviere di Barbinaia) Note storiche La chiesa compare nell’estimo del 1260, nelle decime del 1275-77 e in quelle del 1302-03. Nel 1466 risultava in rovina929. La località è ancora esistente, sulla sponda sinistra del torrente Chiecina, a ovest di Palaia.

Architettura L’edificio attuale è il risultato di un rifacimento moderno e presenta una facciata intonacata, delimitata da due lesene angolari, sormontate da capitelli con volute, e conclusa da un timpano. Al centro si apre un grande portale in pietra serena e in asse con questo si trova un finestrone. Il fianco sinistro è completamente intonacato, e su quello destro sono state addossate delle abitazioni che inglobano anche gran parte della zona absidale. Dell’edificio originale rimane solo la parte sinistra dell’abside, realizzata in laterizi e scandita da due lesene. Il coronamento è costituito da una serie di archetti pensili trilobati in cotto, molto simili a quelli presenti sul

70. Chiesa di S. Lorenzo di Collemontanino (piviere di Aquis) Note storiche La chiesa, citata nell’estimo e nelle decime del 1302-03, è ancora esistente, a sud di Casciana Terme, ma non

930 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., p. 268; Tuscia, II, cit., p. 282. 931 Alberti, A., I castelli della Valdera, cit., p. 97; Caturegli, N., Regesto della Chiesa di Pisa, cit., n. 425, pp. 291-292. 932 Repetti, E., Dizionario, cit., vol. I, p. 581. 933 Alberti, A., I castelli della Valdera, cit., pp. 97-98 e figg. 49-51. 934 Archivio Arcivescovile di Lucca, Diplomatico, + A. 30; Memorie e documenti, cit., t. V, parte III, n. 1512, p. 394; Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., pp. 81-83. 935 Morelli, P., La pieve di S. Gervasio di Verriana, cit., p. 59. 936 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., p. 270; Tuscia, II, cit., p. 284. 937 Archivio Arcivescovile di Lucca, Libri antichi, 45, c. 84; Leverotti, F., L’organizzazione amministrativa del contado pisano dalla fine del ‘200 alla dominazione fiorentina: spunti di ricerca, in «Bollettino storico pisano», 61, 1992, p. 65.

923

Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., p. 270; Morelli, P., Il territorio tra Arno-Era e Roglio, cit., p. 290. 924 Memorie e documenti, cit., t. V, p. III, n. 1568, Dini, F., Dietro i nostri secoli, cit., p. 81. 925 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 104. 926 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 221, 271; Tuscia, II, cit., p. 281; Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali, 9, c. 320. 927 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., p. 271; Tuscia, II, cit., p. 281. 928 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., p. 271. 929 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 202, 220, 271; Tuscia, II, cit., p. 278; Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali, 9, c. 289.

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3. Repertorio degli edifici nel 1466 era stata trovata in rovina durante la visita pastorale 942.

campanile della chiesa di S. Andrea di Palaia, ripetuti anche nella parte terminale del fianco destro della chiesa di S. Pietro di Usigliano. In tutti e tre i casi gli archetti, impostati su mensoline quadrangolari sorrette da peducci sagomati, sono realizzati con pezzi speciali speculari, sagomati a formare la trilobatura e inseriti per foglio, e sono associati ad una cornice formata da un listello curvo e uno sagomato (tav. 39). Gli stessi archetti trilobati costituiscono anche il coronamento del campanile, impostati però su mensoline dalla forma arrotondata, mentre la balaustra superiore realizzata con mattoni, ricorda quella del primo piano del campanile di S. Andrea a Palaia, attribuita a restauri successivi.

74. Chiesa di S. Andrea di Corniano (piviere di Corazzano) Note storiche La località compare nell’atto di livello del 983 tra i villaggi del piviere di Corazzano943. La chiesa, ancora esistente, è citata nell’estimo del 1260, nelle decime del 1276-77 e del 1302-03944. 75. Chiesa di S. Lucia di Crespina (piviere di Triana) Note storiche La chiesa, scomparsa, è menzionata nell’estimo del 1260, nelle decime del 1276-77 e in quelle del 1302-03945.

72. Chiesa di S. Silvestro di Comugnori (piviere di Fabbrica) Note storiche Il castello di Comugnori, patria del cronista ser Giovanni di Lelmo, venne distrutto dai Sanminiatesi nel 1313, dopo che i ghibellini di questo castello e di quello di Montalto si erano ribellati contro San Miniato938. La chiesa è menzionata nell’estimo del 1260, nelle decime del 1275-77 e in quelle del 1302-03, nel 1466 viene trovata in rovina, ma sono rimasti dei ruderi su una collina detta “bosco di S. Silvestro”, a est di Montopoli939.

76. Chiesa di S. Lucia di Cusignano (piviere di Corazzano) Note storiche La chiesa, ancora esistente, è citata nell’estimo del 1260, nelle decime del 1275-77 e del 1302-03946. 77. Chiesa di S. Lorenzo di Fauglia (piviere di Tripalle)

73. Chiesa di S. Martino di Corneto di Cumulo (piviere di Barbinaia)

Note storiche La località, il cui nome sarebbe di etimologia tardo-latina (da favulae, fave), ma derivato probabilmente dal nome di un personaggio longobardo, Faula, è ricordata per la prima volta con il nome di Favula nel 970, in un documento dell’Arcivescovo di Pisa947. Il castello di Fauglia, erroneamente attribuito al 1251 ma che più probabilmente risale alla seconda metà del Trecento948, doveva trovarsi al centro dell’insediamento attuale, dove oggi si trova ancora la chiesa, e agli inizi del XVII secolo erano ancora visibili i ruderi949. Sotto il dominio pisano, divenne sede di capitania nel 1371, ma nel 1406 venne conquistato dai Fiorentini insieme agli altri borghi delle Colline Pisane e venne assoggettata alla podesteria di Crespina950.

Note storiche Il castello di Cumulo, di proprietà dei conti della Gherardesca, è documentato a partire dal 1004, quando compare in un atto di donazione con il quale il conte Gherardo offrì la sua parte del castello ed altri beni all’abbazia di Serena940. Non rimangono tracce visibili del castello ma è sopravvissuto il toponimo Cumuli, nei pressi di Palaia, ad est di Agliati, e in un casolare della zona sono stati individuati alcuni materiali lapidei di reimpiego, probabilmente riferibili all’antico castello941. La chiesa, che compare nell’estimo del 1260, nelle decime del 1275-77 e in quelle del 1302-03, alla fine del XIV secolo risultava sotto il patronato degli Agliatesi, ma

942

Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 202, 220, 271; Tuscia, II, cit., p. 278; Alberti, A., I castelli della Valdera, cit., p. 85; Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali, 9, c. 285. 943 Memorie e documenti, cit., t. V, parte III, n. 1568. 944 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 202, 221, 271; Tuscia, II, cit., p. 280. 945 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 222, 268; Tuscia, II, cit., p. 281. 946 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 202, 221, 271; Tuscia, II, cit., p. 280. 947 San Miniato, il Valdarno Inferiore e la Valdelsa, cit., p. 135. 948 Pescaglini Monti, R., I pivieri di Sovigliana, cit., p. 178: probabilmente il centro venne fortificato in seguito alla distruzione del castello di Tripalle, nel 1345, che aveva lasciato l’intera area sguarnita. 949 Caciagli, G., Pisa, cit., vol. IV, pp. 439-440. 950 Pescaglini Monti, R., Dalla Valdera alla Valdisola, cit., p. 329.

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Morelli, P., Montebicchieri, cit., pp. 16-17. Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 203, 221, 273; Tuscia, II, cit., p. 280; Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali, 9, c. 247; Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 86. 940 Dini, F., Dietro i nostri secoli, p. 87; Alberti, A., I castelli della Valdera, cit., p. 85. 941 Alberti, A., I castelli della Valdera, cit., p. 85 e figg. 41-42 e Alberti, A., Il territorio di Villa Saletta: archeologia del paesaggio agrario, in Villa Saletta in Valdera. Da villaggio medievale a fattoria modello di età moderna, a cura di A. Alberti, S. Bruni, D. Stiaffini, Pisa 2007, p. 138 e figg. 84-85. 939

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L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV) Ognissanti, con l’approvazione del proposto di S. Miniato e del legato pontificio cardinale Orsini960. Dopo la soppressione dell’ordine degli Umiliati la chiesa venne di nuovo retta da un prete secolare, ma fu soppressa nel 1784, al tempo del granduca Pietro Leopoldo, sconsacrata e demolita961. La chiesa sarebbe da localizzare dietro alla SS. Annunziata, dove oggi si trovano i vecchi macelli e il toponimo Fagognana indica ancora oggi una contrada nella zona nord ovest di San Miniato962.

La chiesa è documentata dal 1252 e ne erano patroni i conti di Porto951. È elencata nell’estimo del 1260 e nelle decime del 1302-03, nel 1466 fu trovata in ordine e officiata952. Alla chiesa di Fauglia erano state unite quelle di S. Giusto di Pugnano e di S. Nicola di Farneta; nel 1540 ricevette il fonte battesimale e nel 1635 fu eretta pieve, con giurisdizione sulle chiese di Tremoleto, Colle Alberti, Tripalle e Valtriano. La chiesa venne ricostruita tra il XV e il XVI secolo, utilizzando anche materiale recuperato dall’edificio più antico e dall’antica rocca, fu ampliata nel 1716 ma subì gravi danni durante il terremoto del 14 agosto 1846 e fu ricostruita a partire dal 1864 in stile neoclassico, dall’architetto livornese Arturo Conti953.

79. Chiesa di S. Maria di Fibbiastri (piviere di Fabbrica) Note storiche La chiesa, menzionata nell’estimo del 1260, nelle decime del 1275-77 e in quelle del 1302-03963, si trovava nell’attuale zone periferica a ovest di S. Miniato e fino al XVIII secolo fu la chiesa parrocchiale del sobborgo sanminiatese delle Colline964.

78. Chiesa di S. Martino di Favognana (piviere di S. Genesio) Note storiche La località viene elencata tra le villae dipendenti dalla pieve di S. Genesio nell’atto di livello del 991954 e un documento del 1073 attesta l’esistenza di una curtis longobarda in questa località fin dal 788, anno in cui era divenuta proprietà del vescovo di Lucca955; in seguito divenne oggetto di controversia tra il monastero di S. Ponziano di Lucca e alcuni cittadini sanminiatesi che ne avevano usurpato il possesso, risolta con la sentenza del già citato documento del 1073956. Nel privilegio papale del 1195 la chiesa di Favognana è intitolata a S. Donato, ma nell’estimo del 1260 risulta dedicata a S. Martino e con questo titolo compare anche nelle decime957. È stato ipotizzato che si trattasse di due chiese distinte e che la seconda fosse stata costruita in un luogo più sicuro in seguito alla fortificazione di quella zona nei primi decenni del XIII secolo, mentre sembra più improbabile che si tratti della semplificazione di un doppio titolo, visto che l’elenco molto dettagliato del 1195 non lo specifica958. La conferma che la chiesa si trovasse all’interno di una struttura fortificata ci viene dalla cronaca di Giovanni di Lelmo da Comugnori, dove viene riportato che nel 1316 il forte di S. Martino in Fagognana venne distrutto, probabilmente perchè con il forte incremento demografico la zona circostante era ormai satura ed erano necessarie nuove aree per l’espansione edilizia959. Nel 1334, alla morte del rettore, i fedeli decisero di trasferire in perpetuo la funzione di rettore al proposto degli Umiliati del convento fiorentino di

80. Chiesa dei SS. Michele e Andrea di Fichino (piviere di Aquis) Note storiche La chiesa, oggi scomparsa, menzionata nell’estimo del 1260 e nelle decime del 1302-03 senza l’indicazione del luogo965, è stata individuata sulla base di un documento del 1015 nel quale si faceva riferimento alla donazione di parte di questa chiesa al monastero cadolingio di S. Salvatore di Fucecchio da parte di Ildizia, moglie di Guido, figlio del fu Vinitio966. La località sarebbe situata poco distante da Casciana Terme, sulla riva destra del torrente Botriccione967. 81. Chiesa di S. Frediano di Forcoli (piviere di S. Gervasio) Note storiche All’inizio del XII secolo il castello di Forcoli e i dintorni risultano essere di proprietà dei conti della Gherardesca di Volterra, che probabilmente l’avevano acquistato dagli Obertenghi, e che avevano anche altri possedimenti nel territorio tra l’Era l’Arno e l’Elsa. Ma sia il vescovo di Lucca che quello di Pisa avevano interessi in questa zona, per questo il castello fu conteso tra i due vescovadi, e alla

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Archivio di Stato di Pisa, Diplomatico S. Martino; Pescaglini Monti, R., I pivieri di Sovigliana, cit., p. 175. 952 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., p. 268; Tuscia, II, cit., p. 282; Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali (1465-1474), libro 9, + E., c. 79; Mannari, L., Visita pastorale del 1466, cit., pp. 39-40. 953 Caciagli, G., Pisa, cit., vol. IV, p. 445; San Miniato, il Valdarno Inferiore e la Valdera, cit., pp. 39, 136. 954 Memorie e documenti, cit., t. V, parte III, n. 1672, pp. 552-553. 955 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 100. 956 Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., p.14 e n.17, p.18. 957 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 202, 220, 271; Tuscia, II, cit., p. 279. 958 Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., pp. 56-57. 959 Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., p. 57.

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Morelli, P., La nascita del convento domenicano, cit., pp. 25-26. Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 92. 962 Morelli, P., La nascita del convento domenicano, cit., pp. 57-58, nota 142. 963 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 203, 221, 273; Tuscia, II, cit., p. 280. 964 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 87. 965 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., p. 268; Tuscia, II, cit., p. 282. 966 Pescaglini Monti, R., La plebs e la curtis de Aquis, cit., p. 5; Archivio Arcivescovile di Lucca, ++ P 23. 967 ibidem 961

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3. Repertorio degli edifici sant’Anna978. La chiesa, ancora esistente, sorge al centro della piccola frazione di Gello, a nord-ovest di Palaia.

fine del XII secolo risultava sottoposto alla signoria di entrambi i vescovi968. L’estimo del 1260 e le decime del 1302-03 documentano la presenza di tre chiese a Forcoli, S. Martino, S. Andrea e S. Frediano969, ma nel 1419 le prime due, ormai abbandonate, saranno unite a S. Frediano, divenuta l’unica chiesa parrocchiale del borgo, compariranno ancora nella visita pastorale del 1564 ma non nella visita apostolica del 1575. Il titolo di S. Andrea è sopravvissuto nella toponomastica a indicare una frazione a nord ovest di Forcoli, la chiesa di S. Martino invece è ricordata da un’edicola nel pressi della Montacchita970. La chiesa parrocchiale di Forcoli è documentata nel 1182 con il titolo di S. Michele, ma già nel 1235 appare dedicata a S. Frediano971. L’edificio attuale non conserva strutture di epoca medievale.

Architettura L’edificio sembra aver mantenuto la sua icnografia originale, a navata unica con abside semiesagonale, e non sembra aver subito molti rimaneggiamenti979. L’esterno è interamente in laterizi e la facciata a capanna è delimitata da due lesene angolari e da un listello di coronamento realizzato con laterizi sagomati (tav. 31). Al centro della facciata si apre il portale, con due mensole sgusciate in pietra e un architrave in pietra in cattivo stato di conservazione, sormontato da un ampio arco a sesto acuto con lunetta aperta. Quest’ultimo è circondato da un listello sottile a denti di sega e da una cornice composta da laterizi posti per foglio con motivi decorativi alternati a intervalli regolari: partendo dall’imposta dell’arco si trovano tre laterizi su ciascun lato con piramidi scavate contrapposte, poi proseguendo verso la chiave di volta, un laterizio con tre fiori a sei petali incisi e inscritti in petali ellittici, di nuovo due elementi con piramidi scavate contrapposte, un elemento con tre fiori a sei punte di cui quello centrale inscritto, un elemento con piramidi contrapposte e infine, a formare la chiave di volta, un elemento romboidale con una croce a braccia triangolari incise. Nella parte alta della facciata, in asse con il portale, è presente un oculo ricassato, composto da cunei disposti per testa, e decorato con una cornice formata da listelli sagomati che creano la ricassatura ed elementi curvilinei disposti per foglio con motivi decorativi alternati con regolarità: quattro elementi presentano fiori a sei petali incisi e inscritti in petali ellittici, gli altri hanno invece una fuga di quadrati ruotati di 45 gradi con bordini di contorno. Sulla sinistra del portale, all’altezza dell’imposta dell’architrave, sono inseriti nel paramento senza un ordine preciso alcuni mattoni che presentano un abbozzo di motivi decorativi, gli stessi che si ritrovano nelle ghiere (fiore a sei punte, piramidi contrapposte) o altri motivi inediti (scacchi, croci, frecce, fuga di triangoli contrapposti in rilievo e ribassati, elementi vegetali e animali), realizzati attraverso l’uso di un riga e di un compasso, di cui si possono ancora individuare i segni incisi nel cotto980 (tav. 33). Sulla destra del portale si trova un altro mattone con piramidi contrapposte e anche nella sommità della lesena angolare destra, sul fianco meridionale, si trovano due mattoni decorati, uno con un motivo a triangoli e l’altro con le piramidi contrapposte. Questi mattoni con decorazioni solo abbozzate potrebbero testimoniare una prova di lavorazione dei motivi decorativi poi impiegati nelle ghiere981.

82. Chiesa di S. Barbara di Gabbiano (piviere di Musciano) Note storiche La chiesa, scomparsa, è ricordata solo nell’estimo del 1260, dove compare unita a S. Iacopo di Cambromusio972, ed è localizzabile nel podere S. Barbara lungo il Rio di Gabbiana a est di Marti973. Nel 1466 risultava affidata ad un gruppo di terziari francescani974. 83. Chiesa di S. Lorenzo di Gello (piviere di S. Gervasio) Note storiche La chiesa è documentata per la prima volta nell’estimo del 1260 e compare nelle decime del 1276-77 e del 130203975. Nel 1279 passò alla giurisdizione della nuova pieve di S. Martino di Palaia insieme alla chiesa di S. Maria di Partino976, ma nelle decime del 1302-03 compare ancora nel piviere di S. Gervasio. Durante la visita pastorale del 1466 da parte del vescovo di Lucca Stefano Trenta, la chiesa venne trovata in ordine977. Dai registri delle visite pastorali successive si hanno informazioni anche sugli altari presenti all’interno della chiesa: nel 1588 risultava un unico altare, nel 1683 ne viene citato un altro dedicato alla beata Vergine Maria, e nel 1777 uno dedicato a

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Morelli, P., La pieve di S. Gervasio di Verriana, cit., p. 55-56; Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., pp. 104-106; Repetti, E., Dizionario, cit., vol. II, pp. 324-325. 969 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., p. 270; Tuscia, II, cit., p. 283. 970 Morelli, P., La pieve di S. Gervasio di Verriana, cit., p. 62, n. 175. 971 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 82. 972 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., p. 270. 973 Morelli, P., Chiese, villaggi e castelli, cit., p. 60. 974 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 84. 975 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 223, 270; Tuscia, II, cit., p. 283. 976 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 83. 977 Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali, 9, c. 97v.

978 Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali, 23, c. 54r.-v.; Archivio vescovile di San Miniato, Visite pastorali, 61 e 66, c. 250; Gotti, M., Chiese medievali della Valdera lucchese, cit., p. 224. 979 Barbucci, F., Campani, F., Giani, B., Motivi e tecniche decorative in cotto, cit., pp. 37-54. 980 Su un laterizio è possibile distinguere i fori centrali e le circonferenze tracciate dal compasso per delimitare i confini del motivo floreale poi non realizzato. 981 Barbucci, F., Campani, F., Giani, B., Motivi e tecniche decorative, p. 44; Alberti, A., L’edilizia ecclesiastica medievale in laterizio tra Valdera e Valdarno Inferiore, atti della I Giornata di Studio del Museo

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L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV) Andrea, un dato che farebbe ipotizzare una cronologia simile per tutti e tre gli edifici987. L’interno presenta una copertura a capriate lignee e le pareti intonacate, ad eccezione della zona absidale, dove è ancora parzialmente visibile il paramento in laterizi, liberato dall’intonaco.

Sul fianco meridionale, scandito da quattro lesene, si trovano due monofore, simili a quelle della pieve di Palaia, con arco a tutto sesto impostato su mensolette in cotto in rilievo, con stipiti e intradosso strombati e cornice costituita da semplici elementi curvilinei non decorati (tav. 32). Dopo la terza lesena si può ancora distinguere una monofora tamponata ed in parte coperta dalla torre campanaria aggiunta nel Settecento982: a differenza delle altre due finestre, questa presenta un arco a tutto sesto più ampio e a curve non concentriche, con una ghiera formata da mattoni disposti per testa e una cornice decorata composta da elementi curvilinei disposti per foglio, con fuga di piramidi scavate contrapposte. Più in basso si notano le tracce di un’altra apertura tamponata, tra la terza lesena e il campanile, probabilmente un piccolo portale laterale che è stato chiuso in seguito all’abbassamento del piano di calpestio983, e dall’aspetto molto simile a quello del portale meridionale della pieve di Palaia. Del portale si è conservato l’arco a tutto sesto con curve non concentriche, mensolette in laterizi e cornice decorata con fuga di piramidi scavate contrapposte, insistenti su elementi curvilinei disposti per foglio, in perfetta corrispondenza con la decorazione della monofora tamponata soprastante984. All’interno di questa apertura tamponata è stata inserita una piccola nicchia che ospita un’immagine devozionale. L’abside semiesagonale, spartita da lesene, presenta tre piccole monofore a tutto sesto, una per lato, che hanno perduto i mattoni dell’estradosso e dell’intradosso985. Come le monofore e il portale laterale, anche l’abside dimostra di avere molte affinità con quella ben più ampia della pieve di Palaia. Infatti all’interno presenta una copertura a volte a ogiva costolonate, sorrette da peducci (tav. 34). Il coronamento del fianco meridionale e dell’abside è realizzato con mensolette modanate che sorreggono semplici laterizi disposti per fascia, alternate a laterizi disposti per foglio. Nel sottotetto della zona absidale si trovano anche due filari di laterizi allineati, disposti per testa, a creare una ricassatura. I laterizi impiegati non presentano le graffiature, al pari di quelli impiegati in tutto il territorio di Palaia, e da una recente analisi mensiocronologica risulta che le loro dimensioni986 sono molto omogenee rispetto alle vicine chiese di Palaia, la pieve di S. Martino e la chiesa di S.

84. Chiesa dei Ss. Michele e Lorenzo di Gello (piviere di Appiano) Note storiche La località è citata negli atti di livello del 993 e del 1033 (Agello)988 ed è ancora esistente (Gello di Lavaiano), a nord ovest di Ponsacco. La chiesa è menzionata nell’estimo del 1260 (con la doppia intitolazione) e in tutte le decime successive (intitolata solo a S. Lorenzo)989. Nel 1366, con la fondazione della nuova pieve di Ponsacco e il trasferimento della popolazione del piviere nel castello, la chiesa venne abbandonata e fu trovata non officiata durante la visita pastorale del 1382990. 85. Chiesa di S. Lucia di Gerle (piviere di Tripalle) Note storiche La chiesa, scomparsa ma ubicabile a sud di Colle Alberti, è attestata dalla seconda metà del XIII secolo e compare solo nell’estimo del 1260991. Durante la visita pastorale del 1466 venne trovata in rovina e si ordinò di restaurarla e di celebrarvi almeno una messa all’anno992. 86. Chiesa di S. Donato di Isola (piviere di S. Genesio) Note storiche La località, situata alla confluenza dell’Elsa nell’Arno, è ricordata già nel 1001 come Capo de Helsa, in un documento che riguarda la donazione di questo feudo alla badia di Fucecchio da parte dei conti Cadolingi; dal 1094 compare con il nome di Innisura e nel 1115 vi venne stipulato un atto di vendita dagli eredi del conte Ugo al vescovo di Volterra993. Successivamente entrò a fare parte dei possedimenti del vescovo di Lucca, a cui venne confermata dal legato imperiale nel 1168994. Negli statuti 987 Alberti, A., Le testimonianze materiali del castello di Palaia, in Palaia ed il suo territorio fra antichità e medioevo, atti del convegno di studi (Palaia, 9 gennaio 1999), a cura di P. Morelli, Pontedera 2000, pp. 174-175. 988 Pescaglini Monti, R., Dalla Valdera alla Valdisola, cit., pp. 307-309; Memorie e documenti, cit., t. V, parte III, nn. 1692-1694, pp. 569-572. 989 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 201, 223, 267; Tuscia, II, cit., p. 284. 990 Archivio Arcivescovile di Lucca, Libri antichi, 24, c. 106; Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali, 2, c. 147. 991 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., p. 268; Pescaglini Monti, R., I pivieri di Sovigliana, cit., p. 175; Bocci, F., Le colline inferiori pisane. Notizie raccolte per cura del Cav. Dott. Felice Bocci, Livorno 1901, ristampa anastatica Pisa 1976, p. 308. 992 Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali (1465-1474), libro 9, + E., c. 77; Mannari, L., Visita pastorale del 1466, cit., pp. 38-39. 993 Chiese medievali della Valdelsa, 1, cit., p. 223. 994 Chiese medievali della Valdelsa, 1, cit., p. 224.

Civico "Guicciardini" di Montopoli in Val d'Arno (Montopoli in Val d'Arno, 21 maggio 2005), a cura di M. Baldassarri e G. Ciampoltrini, San Giuliano Terme (Pisa) 2006, p. 23. 982 Alberti, A., L’edilizia ecclesiastica medievale in laterizio, cit., p. 23. 983 Alberti, A., L’edilizia ecclesiastica medievale in laterizio, cit., p. 23. 984 La lesena si sovrappone sull’angolo sinistro della cornice dell’arco. Se consideriamo le lesene coeve al resto dell’edificio possiamo ipotizzare che si tratti di un errore costruttivo, ma risulta difficile valutare se la lesena lega con il paramento sottostante per la presenza di abbondante malta. 985 Probabilmente non avevano ghiere decorate, al pari delle finestre del fianco. 986 La media delle dimensioni dei laterizi del fianco meridionale è: lunghezza 29,46 cm, larghezza 12,34 cm, spessore 5,04 cm, si veda: Alberti, A., L’edilizia ecclesiastica medievale in laterizio, cit., p. 23.

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3. Repertorio degli edifici del comune di San Miniato del 1337 si accenna alla ricostruzione di un ponte sull’Elsa tra Isola e Marcignana, forse divenuto necessario per facilitare il transito sull’importante strada che collegava Firenze con Pisa, oppure per mantenere i contatti con Marcignana, rimasta isolata al di là del fiume, in territorio fiorentino995. La chiesa, ancora esistente, sulla riva destra dell’Elsa, di fronte a Marcignana, è citata nel privilegio del 1195, nell’estimo del 1260 e in tutte le decime, dove si registra un calo degli importi delle tasse nel 1302-03 rispetto agli anni precedenti996. Della chiesa originale rimane il fianco meridionale, molto rimaneggiato e inglobato nella canonica che vi è stata addossata nel XVII secolo, dove rimangono due monofore con mattoni graffiati997.

89. Chiesa di S. Nazario di Libbiano (piviere di Sovigliana) Note storiche Negli atti di livello del 980 e del 1021, in cui vengono elencati i villaggi del piviere di Sovigliana, è citata la località di Libiano1002. La chiesa, menzionata nell’estimo del 1260, nelle decime del 1276-77 e in quelle del 130203, è attestata anche con la dedicazione a S. Celso nel 13191003. Durante la visita pastorale del 1466 fu trovata in rovina e si ordinò di restaurarla1004. È localizzabile nella zona di S. Ruffino1005. 90. Chiesa di S. Cristoforo di Lilliano (piviere di Triana)

Note storiche La località, da identificare con Lavaiano Vecchia, oggi non più esistente, localizzabile a circa due chilometri a sud dell’odierna Lavaiano, è menzionata nell’atto di livello del 983998. La chiesa compare nell’estimo del 1260 e in tutte le decime successive, fu trovata in rovina all’epoca della visita pastorale del 1424999.

Note storiche La località è menzionata nell’atto di livello del 983 e ricompare in quello del 1014, tra i villaggi del piviere di Triana1006. La chiesa è menzionata nell’estimo del 1260 e in tutte le decime successive, ma è scomparsa1007. Nel 1374 era stata aggregata alla chiesa di S. Andrea di Perignano, e nonostante dovesse essere un’unione solo temporanea, negli atti della visita pastorale del 1424 risultavano ancora unite1008. Sarebbe da localizzare nella zona di Perignano1009.

88. Chiesa di S. Martino di Lavaiano Nuovo (piviere di Triana)

91. Chiesa di S. Michele di Limite (piviere di Musciano)

Note storiche La chiesa, attestata dal 1109, è menzionata nell’estimo del 1260 e in tutte le decime successive1000. È da localizzare presso l’odierna Lavaiano, dove a partire dagli anni Venti-Trenta del XII secolo è attestato un castello1001.

Note storiche La chiesa è citata nell’estimo del 1260 ma non compare nelle decime successive e non essendo stato ancora individuato nessun documento altomedievale, risulta per ora impossibile definirne le origini1010. Nemmeno la sua localizzazione è del tutto certa, ma è stato ipotizzato che sia da indentificare con la piccola cappella dedicata a S. Michele situata in località Angelica, frazione a ovest di San Romano, nel comune di Montopoli, nei pressi della sponda sinistra dell’Arno1011, in una zona in cui con ogni probabilità passava la via vallis Arni, l’importante via di

87. Chiesa di S. Michele di Lavaiano (piviere di Triana)

1002 Memorie e documenti, cit., t. V, parte III, n. 1517, p. 399; Pescaglini Monti, R., Dalla Valdera alla Valdisola, cit., p. 301. 1003 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 222, 269; Tuscia, II, cit., p. 282; Archivio Capitolare di Pisa, Diplomatico, n. 1402. 1004 Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali (1465-1474), libro 9, + E., c. 91; Mannari, L., Visita pastorale del Vescovo di Lucca dell’anno 1466, in «Bollettino dell’Accademia degli Euteleti di San Miniato», 43, 1974, p. 32. 1005 Pescaglini Monti, R., Dalla Valdera alla Valdisola, cit., p. 303. 1006 Pescaglini Monti, R., Dalla Valdera alla Valdisola, cit., p. 311-313; Memorie e documenti, cit., t. V, parte III, n. 1564, p. 449. 1007 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 201, 221, 267; Tuscia, II, cit., p. 281. 1008 Archivio Arcivescovile di Lucca, Libri antichi, 29, c. 175; Pescaglini Monti, R., I pivieri di Sovigliana, cit., p. 157. 1009 Pescaglini Monti, R., I pivieri di Sovigliana, cit., p. 151. 1010 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., p. 271. 1011 Repetti, E., Dizionario, cit., vol. III, p. 619; Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 84.

995 Statuti del Comune di San Miniato al Tedesco (1337), a cura di F. Salvestrini, Pisa 1994, p. 372; Morelli, P., Borgo San Genesio, cit., pp. 133-134. 996 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 202, 220, 272; Tuscia, II, cit., p. 278. 997 Chiese medievali della Valdelsa, 1, cit., p. 224. 998 Memorie e documenti, cit., t. V, parte III, n. 1564, p. 449; Pescaglini Monti, R., I pivieri di Sovigliana, cit., p. 151. 999 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 201, 222, 267; Tuscia, II, cit., p. 281; Pescaglini Monti, R., Dalla Valdera alla Valdisola, cit., p. 315. 1000 Archivio Arcivescovile di Lucca, Diplomatico, AC57, 1109 aprile 16; Pescaglini Monti, R., Dalla Valdera alla Valdisola, cit., p. 314; Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 201, 222, 268; Tuscia, II, cit., p. 281. 1001 Archivio Arcivescovile di Lucca, Diplomatico, ++ M 15, 5 luglio 1129; Pasquinucci, M., Mecucci, S., Morelli, P., Territorio e popolamento tra i fiumi Arno, Cascina ed Era, cit., p. 244; Pescaglini Monti, R., Dalla Valdera alla Valdisola, cit., p. 312.

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L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV) comunicazione che collegava Firenze con Pisa1012. La chiesa, suffraganea della pieve di Musciano, passò nel nuovo piviere di Marti nel 1345, ma poco dopo dovette andare in rovina, a causa non solo dei frequenti conflitti armati che si succedevano in questa zona, ma probabilmente anche per le inondazioni dell’Arno, che doveva scorrere nelle immediate vicinanze dell’edificio. Durante la visita pastorale del 1466 infatti la chiesa venne trovata in cattive condizioni1013. Secondo quanto riferisce il Donati, storico locale vissuto nell’Ottocento, la chiesa originaria, gravemente danneggiata durante il XIV secolo, venne abbandonata per essere ricostruita in una posizione più interna e protetta nel 1520, su iniziativa di un certo Luzzi, notabile di Montopoli, la cui famiglia ricevette il patronato della cappella dal vescovo di Lucca nel 15531014.

incisioni incrociate ed una con un uccello dalle ali spiegate. All’interno di uno degli archetti, sul lato destro, è stata scolpita una protome umana dai tratti molto stilizzati e dal rilievo piatto, privo di capelli e con gli occhi a mandorla, e spostandoci verso il centro dell’abside sotto un altro archetto sono scolpite delle foglie allungate. 92. Chiese di S. Frediano e di S. Giusto di Marti (piviere di Musciano) Note storiche Le due chiese, entrambe scomparse, sono menzionate nell’estimo del 1269, nelle decime del 1276-77 e in quelle del 1302-031020. Con l’istituzione della nuova pieve di Marti rientrarono nella sua giurisdizione1021. Sono sopravvissuti i toponimi di S. Frediano, a nord di Marti, e di S. Giusto, un podere situato tra Marti e Usigliano1022.

Architettura L’edificio, ad aula unica con abside semicircolare, è stato intonacato in epoca recente ed è difficilmente valutabile. Sulla facciata a capanna sono stati risparmiati dall’intonaco alcuni elementi decorativi in pietra, ma essendo del tutto decontestualizzati è difficile stabilire se si tratta di parti originali rimontate (tav. 9). Il semplice portale è sormontato da un arco a tutto sesto realizzato con cunei in pietra ed è circondato da una cornice composta da elementi curvilinei in pietra, decorati con un tralcio continuo con piccole foglie1015. Questo motivo vegetale si ritrova simile anche nelle decorazioni in cotto, ed è probabile che si tratti di elementi originali1016. Sopra al portale corre un filare di piccole bozze in pietra scolpite con una serie di rombi gradonati, difficilmente interpretabile1017. Il fianco sinistro è ostruito dalle abitazioni che gli sono state addossate, mentre il fianco destro, intonacato e con un’unica piccola apertura quadrangolare e strombata, presenta un coronamento ad archetti trilobati in cotto, parzialmente conservati e forse frutto di un restauro o di rimontaggio1018. Il coronamento dell’abside semicircolare, risparmiato dall’intonaco e anch’esso difficile da interpretare1019, è invece costituito da archetti pensili in pietra, poggiati su mensoline in pietra (tav. 10). Soltanto tre di queste si sono conservate, sul lato sinistro, due decorate con delle

93. Chiesa dei SS. Martino e Bartolomeo di Marti (piviere di Musciano) Note storiche Nell’estimo del 1260, nelle decime del 1276-77 e in quelle del 1302-03 viene ricordata una chiesa intitolata ai Ss. Martino e Bartolomeo1023, ma in realtà la chiesa di S. Martino doveva essere stata unita a quella di S. Bartolomeo in una data precedente al 1260. Il pievano di Marti Agostino Monti scrisse nelle sue memorie, nella seconda metà dell’Ottocento, che il titolo plebano inizialmente era stato conferito alla chiesa di S. Martino, e che solo in un secondo momento era stata costruita la nuova pieve di S. Maria Novella1024. Tuttavia, per quanto l’ipotesi sia verosimile, non esistono fonti che la confermino1025. Con l’istituzione della nuova pieve rientrarono nella sua giurisdizione anche le chiese di S. Martino e di S. Bartolomeo, precedentemente appartenenti al piviere di Musciano, e quando venne ufficialmente consacrata nel 1596, venne dedicata a S. Maria Novella, ai SS. Apostoli Giacomo e Bartolomeo e a S. Martino vescovo, unendo così i titoli delle antiche chiese1026. Entrambe le chiese sono sparite ma è sopravvissuto il toponimo di S. Bartolomeo, a nord di Marti, mentre la chiesa di S. Martino si trovava sulle pendici del colle

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Morelli, P., Borgo San Genesio, cit., p. 129. Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali, 9; Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 84. 1014 Donati, I., Memorie e documenti per la storia di Montopoli: da un manoscritto dell’Avv. Ignazio Donati dell’anno 1860 donato dall’autore al comune di Montopoli, Montopoli Val d’Arno 1905, rist. anast. Pontedera s. d., pp. 240-244. 1015 I cunei sono stati stuccati con il cemento, poi inciso a simulare dei giunti regolari. 1016 È stata proposta una datazione tra XI e XII secolo in Ducci, A., Badalassi, L., Tesori medievali, cit., p. 47. 1017 Ducci, A., Badalassi, L., Tesori medievali, cit., p. 47. 1018 Ducci, A., Badalassi, L., Tesori medievali, cit., p. 47: le studiose ipotizzavano che potesse trattarsi di un residuo della decorazione duetrecentesca e proponevano un confronto con gli archetti di S. Pietro di Usigliano, ma a mio parere l’accostamento risulta poco attinente e ritengo più probabile che possa trattarsi di una decorazione più tarda. 1019 Anche questi elementi sono stati giudicati originali e ricomposti durante la ricostruizione cinquecentesca, si veda Ducci, A., Badalassi, L., Tesori medievali, cit., pp. 47-48. 1013

1020 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 222, 270; Tuscia, II, cit., p. 283. 1021 Morelli, P., Chiese, villaggi e castelli, cit., p. 65. 1022 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 84. 1023 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 222, 270; Tuscia, II, cit., p. 283. 1024 Monti, A., Repertorio delle notizie storiche, politiche e religiose del castello di Marti e dei beni e rendite di questa pieve, 1858-59, in Monti, A., Storia del Castello di Marti, Firenze 1860, rist. anastatica, Pontedera 1998. 1025 Morelli, P., Chiese, villaggi e castelli, cit., pp. 64-65. 1026 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 85; Morelli, P., Chiese, villaggi e castelli, cit., p. 65.

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3. Repertorio degli edifici della rocca di Marti, nei pressi dell’attuale pieve di S. Maria Novella1027.

98. Chiesa di S. Maria di Montalto (piviere di Tripalle) Note storiche La località è documentata dal XII secolo e vi sorgeva un castello, che era già in rovina alla fine degli anni cinquanta del XIII secolo e di cui il Mariti potè vedere i ruderi1037. La chiesa, documentata per la prima volta nel 1190, compare nell’estimo del 1260, nelle decime del 1276-77 e in quelle del 1302-031038. Fu trovata in ordine e officiata dal visitatore apostolico nel 1466, ma venne soppressa nel XV secolo e le sue rendite passarono a Tripalle1039. È localizzabile a sud est di Fauglia, presso il podere Montalto1040.

94. Chiesa di S. Ippolito di Marzana (piviere di S. Genesio) Note storiche La località compare per la prima volta in un documento dell’8501028, poi viene elencata tra le villae dipendenti dalla pieve di S. Genesio nell’atto di livello del 9911029. La chiesa è citata nel privilegio del 1195, nell’estimo del 1260 e in tutte le decime1030. Ancora esistente, in una frazione a sud di S. Miniato. 95. Chiesa di S. Michele di Meleto (piviere di Tripalle)

99. Chiesa di S. Pietro di Montalto (piviere di Fabbrica)

Note storiche La chiesa, allo stato attuale delle ricerche, sembra che sia attestata solo nell’estimo1031. Il visitatore apostolico nel 1466 la trovò in rovina, priva del tetto e non officiata, ordinò che fosse riparata e che vi si celebrasse almeno una messa all’anno in onore del santo titolare1032. È localizzabile presso il podere Meleto, nel comune di Fauglia, sulla strada da Valtriano a Vicarello1033.

Note storiche La chiesa è menzionata nell’estimo del 1260, nelle decime del 1276-77 e in quelle del 1302-03, nel 1466 viene trovata in rovina1041. Il toponimo è rimasto ad indicare una collina vicina a Comugnori1042. 100. Chiesa di S. Margherita di Montarso (piviere di S. Genesio)

96. Chiesa di S. Pietro di Migliano (piviere di Migliano)

Note storiche La località è citata nel privilegio papale del 1195 e negli statuti del comune di San Miniato del 1337 è elencata tra i villaggi che dovevano provvedere alla manutenzione della strata qua itur ad Castrum Florentinum, che evidentemente passava in questa zona1043. Nel 1978 furono rinvenuti i resti di un piccolo insediamento tardomedievale, troppo limitato per essere indentificare con il castello vero e proprio e interpretato allora come insediamento “satellite”1044. La chiesa, che compare nell’estimo del 1260 e in tutte le decime, fu unita alla chiesa di Fibbiastri e profanata nel 17851045. È rimasto il toponimo ad indicare due poderi a est di San Miniato, subito dopo la frazione di Calenzano.

Note storiche La chiesa, oggi scomparsa, è ricordata nell’estimo del 1260 e in tutte le decime successive1034. 97. Chiesa di S. Lorenzo di Montalbano (piviere di Triana) Note storiche Nel 1040 è attestata una chiesa di S. Lorenzo nel castello di Montalto1035, che sarebbe da identificare con la chiesa di S. Lorenzo di Montalbano, menzionata solo nell’estimo del 1260 e non nelle decime successive, oggi scomparsa ma localizzabile nei pressi della pieve di Triana1036.

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Pescaglini Monti, R., I pivieri di Sovigliana, cit., pp. 174 e 178. Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 222, 268; Tuscia, II, cit., p. 282. 1039 Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali (1465-1474), libro 9, + E., c. 80; Mannari, L., Visita pastorale del 1466, cit., p. 41; Caciagli, G., Pisa, cit., vol. IV, pp. 457-458. 1040 Pescaglini Monti, R., Dalla Valdera alla Valdisola, cit., p. 327. 1041 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 221, 273; Tuscia, II, cit., p. 280; Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali, 9, c. 246. 1042 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 86. 1043 Statuti del Comune di San Miniato al Tedesco (1337), a cura di F. Salvestrini, Pisa 1994, p. 400; Morelli, P., Borgo San Genesio, la strata Pisana e la via Francigena, cit., p. 136. 1044 Frammenti di storia. Archeologia di superficie nel Medio Valdarno Inferiore, a cura di G. Ciampoltrini e F. Maestrini, catalogo della mostra (Villa Pacchiani, Santa Croce sull’Arno, 14 maggio – 5 giugno 1983), Pontedera 1983, p. 42. 1045 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 203, 220, 272; Tuscia, II, cit., p. 279; Archivio Vescovile di San Miniato, Atti beneficiali, C. 3, n. 29. 1038

1027

Morelli, P., Chiese, villaggi e castelli, cit., p. 59. Dini, F., Dietro i nostri secoli, cit., p. 73; Memorie e documenti, cit., t. V, parte II, n. 683, p. 409. 1029 Memorie e documenti, cit., t. V, parte III, n. 1672, pp. 552-553. 1030 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 202, 220, 272; Tuscia, II, cit., p. 278. 1031 Pescaglini Monti, R., I pivieri di Sovigliana, cit., p. 175; Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., p. 268. 1032 Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali (1465-1474), libro 9, + E., c. 80; Mannari, L., Visita pastorale del 1466, cit., p. 42. 1033 Pescaglini Monti, R., Dalla Valdera alla Valdisola, cit., p. 328. 1034 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 201, 223, 268; Tuscia, II, cit., p. 285. 1035 Sul castello di Montalto si veda: Pescaglini Monti, R., I pivieri di Sovigliana, cit., pp. 158-159. 1036 Pescaglini Monti, R., Dalla Valdera alla Valdisola, cit., p. 314; Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., p. 267. 1028

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L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV) della pieve di Marti1056, e negli atti della visita pastorale del 1466, dove viene definita in rovina1057. Secondo Morelli sarebbe da localizzare presso il podere Baldinelli, a ovest di Marti1058.

101. Chiesa di S. Jacopo di Monte (piviere di Musciano) Note storiche La chiesa, oggi scomparsa, è citata solo nell’estimo del 1260 e negli atti della visita pastorale del 1466 risultava in rovina1046. È stata localizzata tra l’Arno e la loc. Angelica, tra S. Romano e Capanne1047.

106. Chiesa di S. Andrea di Montevecchio (piviere di Musciano) Note storiche È citata nell’estimo del 1260, unita a S. Maria di Valiano, nelle decime del 1276-77 e in quelle del 1302-031059. Negli atti della visita pastorale del 1466 risulta in rovina1060. Secondo Morelli è identificabile con il podere Montevecchio a sud est di Montopoli e non con il podere Baldinelli a ovest di Marti come proponeva il pievano Monti nel 18601061.

102. Chiesa di S. Prospero di Montealprandi (piviere di S. Genesio) Note storiche Il castello di Montealprandi compare in un documento del 10261048, mentre la chiesa è citata nel privilegio del 1195, nell’estimo del 1260 e in tutte le decime1049. Oggi non è più esistente e secondo Morelli non è localizzabile, secondo Dini invece doveva trovarsi tra S. Miniato e Ponte a Elsa, vicino alla località Poggio al Pino1050.

107. Chiesa di S. Giusto di Montoderi (piviere di Corazzano) Note storiche La località è menzionata nell’atto di livello dei 983, dove compare come “alio monte qui dicitur Oduli”1062. La chiesa è citata nell’estimo del 1260 e nelle decime del 1302-03, ma nel 1466 era in rovina1063. Il toponimo è rimasto e si trova in corrispondenza di un podere a nord di Collegalli1064.

103. Chiesa di S. Ilario di Montealto (piviere di Musciano) Note storiche Documentata nell’estimo del 1260 e nelle decime del 1302-031051, nel 1466 risultava in rovina e dovrebbe essere localizzabile sul Monte Alto, tra Montopoli e Stibbio1052.

108. Chiesa di S. Germano di Moriolo (piviere di Corazzano)

104. Chiesa di S. Biagio di Montebicchieri (piviere di Barbinaia)

Note storiche La località è elencata tra le villae dipendenti dalla pieve di Corezzano nell’atto di livello del 9831065. La chiesa, ancora esistente, ricostruita in stile neogotico, è citata nell’estimo del 1260, nelle decime del 1276-77 e del 1302-031066.

Note storiche La chiesa è nominata nell’estimo del 1260 e nelle decime del 1302-03; nel 1466 risultava in rovina1053. L’ubicazione è incerta1054. 105. Chiesa di S. Andrea di Montefosco (piviere di Musciano) Note storiche Compare solo nell’estimo del 12601055, unita a S. Maria di Busseto, nel catalogo del 1386-87, come suffraganea

1055 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., p. 270. 1056 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 85. 1057 Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali, 9, c. 222. 1058 Morelli, P., Chiese, villaggi e castelli, cit., p. 60. 1059 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 222, 270; Tuscia, II, cit., p. 283. 1060 Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali, 9; Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 84. 1061 Morelli, P., Chiese, villaggi e castelli, cit., p. 60 e n. 25; Monti, A., Storia del castello di Marti, Firenze 1860, p. 60. 1062 Memorie e documenti, cit., t. V, p. III, n. 1568. 1063 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., p. 271; Tuscia, II, cit., p. 281; Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali, 9, c. 319. 1064 Dini, F., Dietro i nostri secoli, cit., p. 80; Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 89. 1065 Memorie e documenti, cit., t. V, parte III, n. 1568. 1066 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 202, 221, 271; Tuscia, II, cit., p. 280.

1046 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., p. 270; Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali, 9. 1047 Morelli, P., Chiese, villaggi e castelli, cit., p. 60 e n. 23. 1048 Dini, F., Dietro i nostri secoli, cit., p. 92; Archivio Arcivescovile di Lucca, AB 9. 1049 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 202, 220, 272; Tuscia, II, cit., p. 278. 1050 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 80; Dini, F., Dietro i nostri secoli, cit., p. 92. 1051 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., p. 270; Tuscia, II, cit., p. 283. 1052 Morelli, P., Chiese, villaggi e castelli, cit., p. 60. 1053 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., p. 271; Tuscia, II, cit., p. 278; Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali, 9, c. 239. 1054 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 86.

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3. Repertorio degli edifici località sarebbe da identificare con la frazione S. Donato, nel comune di San Miniato1076.

109. Chiesa di S. Martino di Movisolaccio (piviere di Sovigliana) Note storiche Negli atti di livello del 980 e del 1021, in cui sono elencati i villaggi del piviere di Sovigliana, è citata la località di Monteculacio1067. Nel 1076 il vescovo di Lucca Anselmo II concesse in livello la curtis dominicata di Monteculaccio ad alcuni membri della famiglia dei signori di San Miniato1068. La chiesa, oggi scomparsa, è attestata nel 1215 e ricompare nell’estimo del 1260 e nelle decime del 127677 e del 1302-031069. Nella visita pastorale del 1424 risulta unita alla chiesa di SS. Maria e Bartolomeo di Casanova, come conferma anche la visita del 14661070.

112. Chiesa di S. Lorenzo di Nocicchio (piviere di S. Genesio) Note storiche È citata nel privilegio del 1195, nell’estimo del 1260 e in tutte le decime successive1077. Ancora esistente, in una frazione a nord di S. Miniato, non conserva strutture di epoca medievale. 113. Chiesa di S. Pietro di Nozzano (piviere di Fabbrica) Note storiche In un documento del 1006 compare la località Agutuno, poi denominata anche Aguczano e Guttiano1078. La chiesa è menzionata nell’estimo del 1260 con il toponimo Guthano, poi compare nelle decime del 1275-77 e del 1302-03 come S. Pietro di Aguthano.1079 È da identificare con S. Pierino, frazione di Fucecchio, sulla riva sinistra dell’Arno, ed è in questa zona che la strada pisana, che collegava Firenze con Pisa seguendo il corso dell’Arno, incontrava la via Francigena, che attraversava l’Arno in questo punto, grazie al ponte di Fucecchio1080.

110. Chiesa di S. Donato di Mugnano (piviere di Fabbrica) Note storiche Nell’809 il villaggio di Mugnano risulta situato tra l’Arno e il canale Usciana, quindi sulla riva destra dell’Arno, ma in un atto di vendita del 1039 la chiesa viene localizzata sulla riva sinistra, tra l’Arno e l’Egola, nella zona denominata Usciana, lungo la strada che collegava Firenze con Pisa1071: per questo motivo è stato ipotizzato che tra IX e XI secolo ci fu una variazione del corso del fiume1072. Nel 1094 la chiesa venne donata al monastero di S. Salvatore al Ponte di Bonfiglio (Fucecchio) dai suoi patroni, insieme al suo cimitero e alla metà delle decime. È citata nell’estimo del 1260 e nelle decime del 1302031073. In epoca moderna, durante le visite pastorali è stata trovata spesso in condizioni di abbandono, ma è sopravvissuta fino al 1869, dopo essere stata ricostruita nel 17061074. È identificabile con la frazione S. Donato, sulla riva sinistra dell’Arno, di fronte a Santa Croce.

114. Chiesa dei Ss. Felice e Regolo di Orneto (piviere di Sovigliana) Note storiche La chiesa, menzionata solo nell’estimo del 1260 e localizzabile presso Orneto, nella zona di Casanova, sul confine con la diocesi di Volterra, nel 1319 non aveva più un rettore proprio ma era gestita dal prete di S. Nazzario di Libbiano1081. Durante la visita pastorale del 1466 fu trovata in rovina, piena di vegetazione e priva di rettore1082.

111. Chiesa di S. Michele di Mugnano (piviere di Fabbrica) Note storiche La chiesa, scomparsa, è menzionata nell’estimo del 1260, nelle decime del 1275-77 e in quelle del 1302-031075. La 1067

Memorie e documenti, cit., t. V, parte III, n. 1517, p. 399; Pescaglini Monti, R., Dalla Valdera alla Valdisola, cit., p. 301. 1068 Pescaglini Monti, R., Dalla Valdera alla Valdisola, cit., p. 305; Archivio Arcivescovile di Lucca, Diplomatico, + C 74. 1069 Archivio Arcivescovile di Lucca, Diplomatico, *L54; Pescaglini Monti, R., I pivieri di Sovigliana, p. 134-135; Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 222, 269; Tuscia, II, cit., p. 282. 1070 Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali (1465-1474), libro 9, + E., c. 92; Mannari, L., Visita pastorale del Vescovo di Lucca dell’anno 1466, cit., p. 34. 1071 Archivio Arcivescovile di Lucca, Diplomatico, ++ F. 21; Morelli, P., Borgo San Genesio, cit., pp. 131-132 e nota 32. 1072 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 85. 1073 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., p. 273; Tuscia, II, cit., p. 279. 1074 Ibidem. 1075 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 203, 221, 272; Tuscia, II, cit., p. 279.

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Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 85. Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 90; Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 203, 220, 272; Tuscia, II, cit., p. 279. 1078 Dini, F., Dietro i nostri secoli, cit., pp. 88-89; Archivio Arcivescovile di Lucca, B 87 e ++ P 18. 1079 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 203, 272; Tuscia, II, cit., p. 280. 1080 Morelli, P., Borgo San Genesio, la strata Pisana e la via Francigena, cit., p. 135. 1081 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., p. 269; Archivio Capitolare di Pisa, Diplomatico, pergamena n. 1402, 1319 giugno 30; Pescaglini Monti, R., I pivieri di Sovigliana, cit., p. 136. 1082 Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali (1465-1474), libro 9, + E., c. 95; Mannari, L., Visita pastorale del Vescovo di Lucca dell’anno 1466, cit., p. 35. 1077

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L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV) destro non è visibile per la presenza di un edificio addossato al campanile, mentre il fianco sinistro è leggibile solo parzialmente perchè anch’esso è in parte coperto da una struttura successiva. La facciata ha un aspetto asimmetrico perchè integra il prospetto del campanile, ed è delimitata a sinistra da una lesena e in alto da un coronamento costituito da arcatelle pensili (tav. 35). Al centro si apre un unico portale, di notevoli dimensioni, sormontato da un arco a tutto sesto a doppia ghiera, con la lunetta intonacata e l’architrave monolitico in arenaria, sorretta da mensole modanate, anch’esse in pietra. Gli stipiti e l’intradosso del portale sono ricassati e circondati da cornici concentriche: la prima è costituita da listelli a sezione circolare, la seconda da pezzi speciali a superficie convessa e infine la terza da listelli modanati. Le due ghiere, realizzate con cunei disposti per fascia, presentano due elementi radiali ciascuna, inseriti per foglio a distanze regolari e decorati con fiori a quattro petali appuntiti, ripetuti tre volte in ciascun elemento e circondati da un riquadro1090. La ghiera più esterna è circondata da una cornice che prosegue anche sulle imposte dell’arco ed è realizzata con elementi curvilinei per foglio con ricassatura, decorati con fiori a cinque petali in rilievo tra due bordini di contorno1091 (tav. 36). In asse con il portale si apre un oculo di restauro, circondato da una cornice decorata con strani motivi simili a palmette, decorazione definita “pregevole” in uno studio abbastanza recente1092, ma da ricondurre certamente ad un restauro in stile1093. Il coronamento è costituito da archetti pensili ricassati, di ampiezza variabile e con l’assialità normale al piano di base dell’edificio, sorretti da peducci quadrangolari decorati in rilievo con simboli araldici, come l’aquila imperiale, il castello1094, la croce pisana e altri stemmi familiari all’interno di scudi, di cui tre andati persi (tav. 37). Alle due estremità del coronamento, su due peducci

115. Chiesa di S. Andrea di Palaia (piviere di Palaia) Note storiche Una chiesa dedicata a S. Andrea è attestata per la prima volta nel 997, come luogo di rogazione di un contratto, nel quale si specifica la sua ubicazione nei pressi del castello di Montemagnifrido1083. Nel 1077 viene citata nuovamente in un atto di donazione con il quale alcuni laici cedevano al vescovo di Lucca un terzo del castello di Palaia e i loro diritti di patronato sulla chiesa, che in questa occasione viene localizzata all’interno del castello1084. Nel 1201 due fratelli, Ughiccione e Lamberto figli del fu Bonaguida, vendettero alcuni loro beni e i loro diritti di patronato su questa chiesa al vescovo di Lucca1085. La chiesa non viene mai nominata nelle decime e nell’estimo del 1260 e non compare nemmeno nei documenti che riguardano l’istituzione della pieve di Palaia. Probabilmente in questo periodo la chiesa non era officiata e dalla visita pastorale del 1564 sappiamo che una nuova chiesa dedicata a S. Andrea fu costruita a Palaia dopo l’edificazione della pieve, ma non si specifica se ciò avvenne nello stesso luogo dell’antico edificio o in un’altra posizione1086. Nei registri della visita pastorale del 1466 vengono menzionati due altari presenti all’interno della chiesa, di cui quello maggiore dotato di ciborio, mentre nella visita del 1683 ne vengono ricordati cinque1087. La chiesa, che sorge al centro del paese, svolgeva la funzione di parrocchiale, vista la collocazione della pieve al di fuori della mura e lontana dall’abitato, ed aveva annessa una canonica. Secondo la tradizione l’edificio fu ricavato su un tempio romano dedicato al dio Saturno e da questo deriverebbe la planimetria particolare1088. Nei secoli non sembra aver subito particolari interventi o alterazioni, ad eccezione dell’interno, che è stato completamente intonacato e risistemato con altari moderni.

Matteo), “Ricerche di Archeologia Altomedievale e Medievale”, 23-24, Firenze 1997, pp. 42-44, figg. 1-2. 1090 L’elemento inserito sulla sinistra nella ghiera più esterna sembra di restauro, mentre quello della ghiera sottostante presenta un volto umano inciso al posto di una foglia. 1091 I fiori in rilievo presentano anche un piccolo fiore centrale e piccoli fori circolari praticati alla congiuntura tra i petali e sul pistillo centrale. 1092 Ducci, A., Badalassi, L., Tesori medievali, cit., p. 100; in un intervento ancora più recente non si specifica che si tratta di elementi di restauro, Gotti, M., Chiese medievali della Valdera lucchese, cit., p. 225. 1093 I piccoli elementi curvi che costituiscono la cornice decorativa dell’oculo sono messi in opera con il cemento e con fughe piuttosto spesse, inoltre i motivi decorativi sembrano impressi con degli stampi. I cunei della ghiera mi sembrano di fattura moderna, dal colore più chiaro e simili a quelli della tamponatura sottostante, anch’essa caratterizzata da fughe di maggiore spessore rispetto a quelle del paramento originale. Infine l’apertura dell’oculo in quella posizione ha causato il danneggiamento di due peducci del coronamento, a cui sono stati tagliati due spigoli per far posto alla cornice, operazione che credo sia da attribuire alle maestranze che realizzarono questo intervento in epoca moderna. Anche Alberti sostiene che l’oculo sia stato inserito in una fase recente di restauro, si veda: Alberti, A., L’edilizia ecclesiastica medievale in laterizio, cit., p. 19 e 21, e Alberti, A., Le testimonianze materiali del castello di Palaia, cit., p. 177, fig. 4. 1094 Su questo motivo in particolare si è concentrata l’attenzione di Ducci e Badalassi, che hanno confrontato questa mensola con un mattone graffito con una torre merlata, rinvenuto a San Miniato nel 1968, si veda Ducci, A., Badalassi, L., Tesori medievali, cit., pp. 101102.

Architettura L’edificio, interamente in laterizi, è ad aula unica e privo di abside, con un campanile impostato sulla parte destra della facciata e sorretto all’interno della chiesa da una grande colonna cilindrica in laterizi1089 (tav. 38). Il fianco 1083

Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 83. Archivio Arcivescovile di Lucca, Diplomatico ++ L 16, edito in Pescaglini Monti, R., La famiglia dei fondatori del castello di Palaia, cit., Appendice documentaria n. 1, pp. 138-141; Alberti, A., I castelli della Valdera, cit., p. 32. 1085 Archivio Arcivescovile di Lucca, Diplomatico ++ L 11, edito in Pescaglini Monti, R., La famiglia dei fondatori del castello di Palaia, cit., Appendice documentaria n. 2, pp. 141-146; Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 83. 1086 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 83; Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali 14, c. 114v.; Alberti, A., L’edilizia ecclesiastica medievale in laterizio, cit., p. 19. 1087 Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali, 9, c. 98v.; Archivio Vescovile di San Miniato, Visite pastorali, 61. 1088 Caciagli, G., Pisa, cit., vol. IV, p. 692; Salvagnini, G., Chiese romaniche della Valdera, cit., p. 17. 1089 Questa particolare soluzione costruttiva del campanile sospeso si ritrova nella chiesa di S. Cecilia a Pisa, datata intorno al 1236 e caratterizzata anch’essa da una facciata asimmetrica, si veda: Berti, G., Pisa. Le “maioliche arcaiche”. Secc. XIII-XV (Museo Nazionale di San 1084

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3. Repertorio degli edifici di S. Francesco a Pisa, databile tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo1098. Sopra a ciascuna serie di archetti, esclusa l’ultima, corre una cornice formata da un listello a sezione circolare e da uno modanato, e sul prospetto principale, sotto agli archetti del primo piano, si trova un filare di elementi disposti per foglio decorati: i quattro elementi centrali presentano i fiori a quattro petali appuntiti già impiegati nel portale, i due elementi alle estremità invece hanno i due motivi sovrapposti già visti nel davanzale della finestra tamponata, la fuga di triangoli con il vertice rivolto verso l’alto e lo zig-zag. Gli stessi motivi sovrapposti su elementi orizzontali disposti per foglio si ritrovano poco sotto, in un filare che corre tra le due lesene, nel basamento del campanile1099. La zona absidale, visibile solo dalle strade che escono dal borgo antico, è a terminazione piana e con due monofore a tutto sesto, mentre all’interno il presbiterio è rialzato di uno scalino. Altre due monofore si aprono sul fianco sinistro, nell’unica porzione della parete rimasta visibile perchè priva di edifici annessi. L’interno, con la copertura a capriate lignee, è stato completamente intonacato e del periodo medievale si conserva solo la colonna in laterizi che sorregge il campanile e che termina con un capitello in pietra molto semplice, decorato con quattro foglie stilizzate poste sugli angoli, simile a quelli delle ultime campate della pieve di Palaia, anche se questo risulta molto più schiacciato1100 (tav. 38). Nel complesso l’aspetto stilistico e i motivi decorativi impiegati sembrerebbero confermare la datazione ricavata per via documentaria e già proposta dagli studiosi, tra la fine del XIII e la prima metà del XIV secolo1101. Infatti il motivo decorativo del fiore a cinque petali in rilievo è molto frequente a Lucca, su edifici riconducibili tutti tra la metà del XIII e il XIV secolo, per esempio sulle trifore di un palazzo in via San Paolino 17-21, su un grande arco in un palazzo in via Santa Giustina 28 o sull’arco a piano terra di un palazzo in via Guinigi 18-22 (dove si trovano anche dei fiori a quattro petali appuntiti dentro riquadri abbastanza simili a quelle di Palaia, ma maggiormente elaborati e in rilievo)1102. Il motivo a piramidi contrapposte su due file, notato sulla monofora del primo piano del campanile, si ritrova identico sul portale laterale della pieve di Marti, che come sappiamo risale al 1332 circa. Altre conferme le abbiamo dagli archetti pensili trilobati, del tutto simili a quelli delle due chiese pisane già citate, e dagli altri archetti ricassati del coronamento, che richiamano quelli della vicina pieve di Palaia, anche se sorretti da peducci di forma molto diversa. Per quanto riguarda i laterizi impiegati nel paramento, indagini recenti hanno permesso di effettuare un’analisi

più stretti addossati alle lesene, si trovano due testine umane barbute con un cappello a punta1095. Sotto all’ultimo archetto sulla destra è inserita una formella quadrangolare in cotto sulla quale è scolpita in leggero rilievo una capra e a poca distanza, sulla lesena destra, se ne trova un’altra con incisa una testa di bue all’interno di uno scudo. Al di sopra degli archetti corre un listello sagomato, parallelo agli spioventi, sopra al quale doveva trovarsi un’altra serie di arcatelle pensili, di minori dimensioni e con l’asse perpendicolare agli spioventi, di cui rimangono solo le tracce e alcuni frammenti dei peducci sagomati e delle piccole mensole in cotto. Infine il sottogronda è costituito da elementi speciali in cotto sagomati. A sinistra del portale si possono facilmente individuare le tracce di una finestra tamponata, con una fascia decorativa che doveva costituire il davanzale, formata da tre elementi orizzontali inseriti per foglio, decorati con due motivi sovrapposti tra bordini di contorno (una fuga di triangoli con il vertice rivolto verso il basso e uno zigzag), e da due elementi quadrati posti alle due estremità, uno troppo eroso per essere leggibile, l’altro decorato con una foglia a quattro punte, molto simile alle decorazioni radiali del portale1096. La torre campanaria, stretta tra due lesene angolari su ciascun lato e suddivisa in due piani, è coeva alla chiesa sebbene abbia subito interventi posteriori1097. La torre presenta su ciascuna facciata due ampie aperture a tutto sesto, che occupano in larghezza l’intero spazio delimitato dalle due lesene. Gli archi a tutto sesto, impostati su mensole in cotto, hanno una ghiera realizzata con cunei inseriti per testa, circondata da una cornice costituita da elementi curvi per foglio decorati al primo piano con un motivo di piramidi scavate su due file, al secondo con due motivi sovrapposti, una fuga di quadrati ruotati su piramidi scavate contrapposte. I due ordini sono scanditi da tre serie di archetti pensili trilobati, costituiti da pezzi speciali in cotto e sorretti da piccole mensole quadrangolari e peducci sagomati al primo piano, mentre al secondo piano e nel coronamento si appoggiano su peducci scolpiti a forma di foglie ricurve. Questa tipologia di archetti trilobati, realizzati con laterizi speculari inseriti per foglio, dal profilo esterno quadrangolare ma sagomati all’interno per ricavare la trilobatura, si ritrova nel coronamento della zona terminale del fianco destro della chiesa di S. Pietro di Usigliano di Palaia, anche qui associati alla cornice costituita da un listello curvo e uno sagomato, ma archetti molto simili si ritrovano anche nel campanile della chiesa

1095 Un’altra testina barbuta si trova in un elemento radiale del portale. È stato notato che le tre teste appaiono leggermente diverse tra loro ed è stato ipotizzato che siano state scolpite quando i pezzi erano già in opera, si veda Ducci, A., Badalassi, L., Tesori medievali, cit., p. 100. 1096 Quest’ultimo elemento, posto sulla destra, sembra il frammento di una cornice che continuava verso l’alto e forse circondava l’intera apertura, perchè il motivo decorativo sembra proseguire e si possono distinguere facilmente le tracce di una seconda foglia. 1097 La copertura del campanile è un’aggiunta di epoca moderna, allo stesso modo la balaustra della prima apertura sul prospetto principale e alcune delle cornici delle aperture sugli altri lati.

1098 Il campanile di S. Francesco ha come possibile termine ante quem il 1318, si vedano: Berti, G., Pisa. Le “maioliche arcaiche”, cit., pp. 4648 e Paliaga, F., Renzoni, S., Le chiese di Pisa, cit., pp. 35-43. 1099 L’associazione di questi due motivi decorativi si ritrova nella cornice di una monofora sul fianco destro della pieve di Palaia. 1100 Salvagnini, G., Chiese romaniche della Valdera, cit., p. 17. 1101 Caciagli, Pisa: monografia della provincia, cit., vol. IV, p. 692; Salvagnini, G., Chiese romaniche della Valdera, cit., p. 17. 1102 Lucca medievale, cit., C. A. 21, pp. 148-150; C. A. 28, pp. 160-164; C. A. 58, pp. 230-234.

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L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV) Il fianco sinistro è stato rimaneggiato in misura ancora maggiore, conservando solo cinque lesene. In corrispondenza con le aperture sull’altro lato anche qui si aprono due strette monofore con l’intradosso rimaneggiato, una finestra quadrata e un portale architravato. L’abside poligonale è visibile solo in parte perchè è stata inglobata dagli edifici addossati e all’interno è coperta da una volta a crociera. L’interno, con copertura a capriate lignee, è stato completamente intonacato ed è stato sottoposto a interventi di restauro alla fine del XVIII secolo1108. Dalle recenti indagini finalizzate alla creazione di una mensiocronologia nel territorio di Palaia, si è dedotto che il paramento, nonostante sia stato realizzato qualche decennio dopo rispetto alla pieve e alle chiese di S. Andrea e di S. Lorenzo di Gello, presenta laterizi delle stesse dimensioni1109.

mensiocronologica accurata, svolta differenziando le varie unità stratigrafiche (fianco sinistro, tamponatura della finestra, lesena angolare, parte inferiore della facciata, campanile): le misure ricavate sono risultate abbastanza omogenee e confrontabili con quelle dei laterizi della pieve, confermando la datazione basso medievale e permettendo di individuare interventi posteriori come il rialzamento dell’edificio e la tamponatura della finestra1103. 116. Chiesa di S. Maria di Palaia (piviere di Palaia) Note storiche La chiesa non compare nell’estimo e nelle decime perchè nacque come ospedale nel 1303, su iniziativa del notaio Martino da Palaia, che lasciò in eredità al vescovo una casa per istituirvi un ospizio per i poveri1104. Nel 1336 la chiesa venne affidata ai Domenicani del convento di S. Caterina di Pisa1105.

117. Chiesa dei Ss. Filippo e Jacopo di Pancole (piviere di S. Genesio)

Architettura La piccola chiesa, completamente in laterizi, sorge a ridosso della Porta Fiorentina, quindi in una posizione decentrata rispetto al nucleo originale del borgo, nella zona che durante il basso medioevo fu interessata dall’espansione dell’abitato, sotto l’area del castello. Forse proprio per la sua ubicazione periferica, o più probabilmente perchè si trattava di un ente più povero, non presenta i motivi decorativi in cotto che caratterizzano le altre chiese di Palaia e della zona1106. L’edificio, ad aula unica e abside poligonale, ha subito diverse trasformazioni nelle varie epoche e attualmente le zone meglio conservate risultano essere le due pareti laterali (tav. 43). Infatti la facciata, ripartita da quattro lesene, presenta un portale in pietra realizzato nel tardo XVIII secolo1107 e un oculo centrale privo di cornice, risultato anch’esso di un intervento posteriore. I due fianchi invece hanno mantenuto gran parte del paramento originario e sono suddivisi in campiture delimitate da lesene e concluse da archetti pensili a tutto sesto, tre per ogni settore, sorretti da mensoline quadrangolari su peducci scolpiti. Il fianco destro, quello meglio conservato, è spartito da sette lesene e presenta tre piccole monofore strombate, una finestra quadrata aperta in epoca moderna nella zona terminale e un portale, tra la quarta e la quinta lesena, con architrave in pietra e due scalini, realizzato anch’esso in una fase posteriore. Infatti lo spazio ricassato tra le due lesene è stato tamponato fino a metà altezza circa del prospetto e il portale deve aver subito delle modifiche perchè ai due lati sono evidenti le ammorzature a pettine, realizzate in modo approssimativo con dei laterizi murati disordinatamente.

Note storiche La chiesa non compare nel privilegio papale del 1195 ma è documentata dal 1233, quando il pievano Enrico definì i confini tra questa parrocchia e quelle di S. Martino di Castiglione e di S. Stefano di S. Miniato1110, inoltre è menzionata nell’estimo del 1260 e in tutte le decime successive1111. Oggi non è più esistente ma doveva trovarsi tra il castrum, la zona alle pendici della rocca, compresa tra le chiese dei SS. Jacopo e Lucia a ovest e quella di S. Stefano a est, e l’insediamento sorto intorno alla canonica di S. Martino di Castiglione, ormai tagliato fuori dalle fortificazioni federiciane, all’estremità orientale di San Miniato1112. La chiesa fu parrocchiale fino al 1783, ma venne soppressa nel 1799 e trasformata in abitazioni private1113. Il ricordo della chiesa è rimasto nella toponomastica della città perchè ha dato il nome ad una piazzetta nella parte orientale della città di S. Miniato1114.

1108 Salvagnini riferisce che negli anni Sessanta la Soprintendenza effettuò dei saggi per scoprire le murature originarie sotto l’intonaco, ma venne alla luce solo un paramento in mattoni poco raffinato, si veda: Salvagnini, G., Salvagnini, G., Chiese romaniche della Valdera, cit., p. 19. 1109 Alberti, A., Le testimonianze materiali del castello di Palaia, cit., p. 175. 1110 Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., p. 56 e n. 35 p. 84; Morelli, P., La nascita del convento domenicano di S. Jacopo in San Miniato, cit., p 12. 1111 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 202, 220, 271; Tuscia, II, cit., p. 278. 1112 Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., p. 57. 1113 Piombanti, G., Guida della città di San Miniato al Tedesco con notizie storiche antiche e moderne, San Miniato 1894, ristampa anastatica a cura di A. Matteoli, in «Bollettino dell’Accademia degli Euteleti di San Miniato», 44, 1976, p. XLVIII. 1114 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 90; Morelli, P., La nascita del convento domenicano, cit., p. 12.

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Alberti, A., L’edilizia ecclesiastica medievale in laterizio, cit., p. 21. Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 83; Archivio Arcivescovile di Lucca, Diplomatico, ++ L 25. 1105 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 83; Archivio Arcivescovile di Lucca, Libro antico, 10, c. 300. 1106 Alberti, A., Le testimonianze materiali del castello di Palaia, cit., p. 175. 1107 Salvagnini, G., Chiese romaniche della Valdera, cit., p. 19. 1104

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3. Repertorio degli edifici probabilmente andarono persi in seguito al terremoto del 1846. A giudicare dalle dimensioni delle cavità, i bacini costituivano una decorazione omogenea e il loro inserimento dovrebbe risalire al momento della ristrutturazione della chiesa intorno al 14441124. L’unico esemplare sopravvissuto, non più in situ, è del tipo “a foglie di vite”, o di edera, tracciate in blu e a lustro metallico color rame su smalto bianco avorio, di importazione spagnola1125. Nelle pareti laterali, realizzate con materiali misti ma prevalentemente in laterizi, si aprono tre grandi monofore. All’interno si conservano due epigrafi, le cui iscrizioni furono trascritte dal Mariti e che forse in origine erano murate in facciata ai lati del portale: sulla prima la figura di un prete con una croce in mano affianca l’iscrizione che riferisce il nome e la data di morte del prete (HIC REQUIESCIT CORPUS PRESBITERI FEDERIGI DE ALAMONIA RETTORIS ECCLESIE S. STEFANI DE VIVARIA OBIIT A. D. MCCCXIII DIE XXIII MENSIS AUGUSTI CIS AIA REQUIESCAT PACE), mentre sulla seconda è scolpita un’immagine a mezzo busto di un chierico associata ad un’iscrizione (IOHES PET. ALIA ISTI ECCLESIE AN. D. MCCCC MESIS AUG. XVI)1126.

118. Chiesa dei Ss. Quirico e Giulitta di Parlascio (piviere di Aquis) Note storiche Non si hanno ancora notizie certe sul periodo di fondazione del castello e sui suoi promotori, ma recentemente è stato ipotizzato che la sua edificazione sia da collocare entro il XII secolo, su iniziativa dei Cadolingi1115. L’abitato moderno è sorto ai piedi dell’area che doveva essere occupata dal cassero, che è stato oggetto di indagini archeologiche recenti1116. La chiesa, che sorge ai piedi della rocca di Parlascio, a ovest di Casciana Terme, è documentata per la prima volta nel 764, nell’809 è menzionata in un atto di livello e compare nuovamente in un documento del 1040, dove risulta sottoposta alla giurisdizione della pieve di S. Maria de Aquis1117. Successivamente viene elencata nell’estimo del 1260 e nelle decime del 1302-031118. Nel 1444 la nobile famiglia pisana degli Upezzinghi, che esercitava il diritto di patronato sulla chiesa, finanziò imponenti lavori di restauro, come attestava l’iscrizione e lo stemma della famiglia incisi sull’architrave in pietra, come riferiscono il Mariti e il Repetti1119. Ma già nel 1466, durante la visita pastorale, l’edificio venne trovato privo di copertura, perchè le tegole erano state impiegate per costruire il tetto del comune, visto che la chiesa non era più officiata1120. Nelle relazioni delle visite pastorali successive, nel 1588 e nel 1683, la chiesa viene descritta in buono stato e si elencano gli altari presenti all’interno1121. Dopo i restauri del 1710, il vescovo di San Miniato la riconsacrò1122. In seguito ai gravissimi danni causati dal terremoto che colpì le Colline pisane nel 1846, furono riscostruiti gran parte dei muri perimetrali e il campanile, e andò perduto l’antico architrave scolpito del portale.

119. Chiesa di S. Maria di Partino (piviere di S. Gervasio) Note storiche Nell’atto di livello del 980, tra i villaggi dipendenti dalla pieve di S. Gervasio, compare la località Paratina, identificabile con l’attuale Partino1127. La chiesa di S. Maria compare nell’estimo del 1260 e nelle decime del 1302-031128. Durante la visita pastorale del 1466 venne trovata in ordine e officiata1129. L’edificio attuale non conserva strutture di epoca medievale.

Architettura L’edificio, ad aula unica priva di abside, presenta una facciata in pietra con la parte superiore intonacata e conclusa da un timpano neoclassico, frutto dei lavori di restauro successivi al terremoto. Sul paramento della facciata, in conci di pietra squadrati e spianati, intorno all’arco del portale e nell’area circostante, su una linea orizzontale, rimangono le cavità che ospitavano nove bacini ceramici (tav. 56). Questi dovevano essere ancora esistenti alla fine del XVIII secolo perchè il Targioni Tozzetti riferisce di averli visti nelle sue relazioni1123, e

monumenti di essa, Firenze 1768, ristampa, 12 voll., Bologna 19711972, vol. I, p. 285; Gotti, M., Chiese medievali, cit., p. 231, nota 75. 1124 Berti, G., Tongiorgi, L., I bacini ceramici delle chiese della provincia di Pisa, cit., pp. 76-77: la produzione di questa tipologia di ceramiche deve essere continuata fino agli ultimi decenni del XV secolo. 1125 Berti, G., I rapporti Pisa – Spagna (al Andalus, Maiorca) tra la fine del X ed il XV secolo testimoniati dalle ceramiche, in Atti del XXXI Convegno Internazionale della Ceramica, Albisola 1998, pp. 241-253, p. 250: bacini simili, di origine valenzana, e cronologicamente vicini si trovano nella chiesa di S. Caterina di Sisco in Corsica, databile tra il 1443 e il 1469. 1126 Mariti, G., Bagno a Aqua, cit., p. 23; Targioni Tozzetti, G., Relazioni di alcuni viaggi, cit., pp. 284-285. 1127 Archivio Arcivescovile di Lucca, Diplomatico, + A. 30; Memorie e documenti, cit., t. V, parte III, n. 1512, p. 394; Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., pp. 81-83. 1128 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., p. 270; Tuscia, II, cit., p. 283. 1129 Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali (1465-1474), libro 9, + E., c. 96; Mannari, L., Visita pastorale del Vescovo di Lucca dell’anno 1466, in «Bollettino dell’Accademia degli Euteleti di San Miniato», 43, 1974, p. 40.

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Alberti, A., I castelli della Valdera, cit., p. 101 e nota 132. Alberti, A., I castelli della Valdera, cit., p. 101. Anche il Mariti visitò le rovine, si veda: Mariti, G., Bagno a Aqua, cit., pp. 28-29. 1117 Memorie e documenti, cit., t. V, parte II, n. 89, p. 53 e n. 367, pp. 220-221; Pescaglini Monti, R., La plebs e la curtis de Aquis nei documenti altomedievali, in «Bollettino Storico Pisano», 50, 1981, p. 5. 1118 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., p. 268; Tuscia, II, cit., p. 282. 1119 Mariti, G., Bagno a Aqua, cit., p. 22; Repetti, E., Dizionario, cit., vol. IV, pp. 60-61. 1120 Gotti, M., Chiese medievali della Valdera lucchese, in «Bollettino dell’Accademia degli Euteleti di San Miniato», 77, 2010, p. 231. 1121 Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali, 33, c. 64v.; Archivio Vescovile di San Miniato, Visite pastorali, 61. 1122 San Miniato, il Valdarno Inferiore e la Valdera, cit., p. 143. 1123 Targioni Tozzetti, G., Relazioni di alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana per osservare le produzioni naturali e gli antichi 1116

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L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV) 120. Chiesa di S. Andrea di Perignano (piviere di Triana)

122. Chiesa di S. Andrea di Petriolo (piviere di Appiano)

Note storiche La chiesa è attestata dal 1139 ed è citata nell’estimo del 1260 e nelle decime del 1302-031130. All’epoca della visita pastorale del 1424 fu trovata in rovina e negli atti risulta intitolata ai Ss. Andrea, Iacopo e Cristoforo, in seguito all’unione della chiesa dei Ss. Iacopo e Cristoforo di Lilliano1131.

Note storiche La località è elencata tra le villae del piviere di Appiano negli atti di livello del 993, 1033 e 11031138, ma era già comparsa in un documento del 983, con il quale Firmo e Rainberto ricevevano a livello beni in questa zona dal vescovo di Lucca Teudegrimo1139. L’etimologia del toponimo non è del tutto certa: secondo la tradizione il termine sarebbe di origine latina ed indichrebbe un luogo di estrazione di materiale lapideo, tuttavia è più probabile che derivi da “praetorium” e che si riferisse alla presenza di una casa signorile di campagna, visto che la struttura geomorfologica della zona non giustifica la presenza di cave1140. In seguito la località compare in due documenti menzionati dal Repetti, uno del 986 e uno del 1197, un contratto matrimoniale con il quale Salimbene del fu Bandino donava alla moglie Palmeria di Rinaldo la metà dei suoi beni ricevendo in dote terre situate in località Petriolo1141. La località viene menzionata anche nei diplomi imperiali concessi alla Repubblica Pisana da Federico I nel 1164, da Arrigo VI nel 1192, da Ottone IV nel 1209, da Federico II nel 1220 e da Carlo IV nel 1354, per confermare la giurisdizione pisana in questo territorio1142. Petriolo viene poi ricordata negli accordi di pace stipulati nel 1285 a Pisa tra il conte Ugolino della Gherardesca, podestà e capitano generale del comune di Pisa, e gli Upezzinghi di Calcinaia, che avevano possedimenti anche ad Appiano e Petriolo1143. Dalle delibere degli Anziani della Repubblica Pisana del 1314 sappiamo che era entrato a far parte delle Capitanie delle Colline Inferiori1144. Negli statuti pisani del 1326 la località viene menzionata nuovamente, insieme al castello di Appiano1145. Nel quarto libro degli Statuti pisani del 1302 viene menzionata una nuova strada da costruire nella Valdera, che da Mercatale, località a ovest di Treggiaia sulla sponda destra dell’Era, raggiungeva Petriolo, dove probabilmente si trovava un ponte sull’Era e da dove si poteva proseguire sulla stratam Pontis Sacci,

121. Chiesa di S. Lucia di Pesciano (piviere di Appiano) Note storiche La località compare tra i villaggi dipendenti dal piviere di Appiano negli atti di livello del 993 e 1033 (Pedisciano) e in quello del 1103 (Pegiano)1132. Nell’atto di livello del 944, in cui viene attestata per la prima volta la chiesa di S. Pietro di Appiano, viene menzionata anche una chiesa di S. Margherita di Pedisciano, ma non è certo che sia da identificare con questa intitolata a S. Lucia1133. La chiesa di S. Margherita fu oggetto di controversia tra l’arcivescovo di Pisa e il vescovo di Lucca e compare tra i beni rivendicati dall’arcivescovo nel documento del 1140, che stabiliva la pertinenza della chiesa di S. Michele di Travalda a Pisa1134. Anche se l’arbitro si rifiutò di occuparsi di questa seconda disputa in quell’occasione, è assai probabile che anche in questo caso l’esito dovette essere favorevole a Pisa, secondo quanto ci testimoniano alcuni documenti successivi, quello del 1153, in cui Anastasio IV citava la chiesa di S. Margherita tra i beni confermati ai canonici della cattedrale di Pisa, e quello del 1191, in cui l’imperatore Enrico IV la inseriva tra possessi pisani1135. Nell’estimo del 1260 e nelle decime del 1276-77 e del 1302-03 compare invece la chiesa di S. Lucia di Posceano1136. La chiesa è scomparsa ma è possibile identificarla con la loc. S. Lucia a sud di Pontedera1137.

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Memorie e documenti, t. V, parte III, n. 1308, p. 208; nn. 16921694, pp. 569-572; Archivio Arcivescovile di Lucca, Diplomatico, A 38. 1139 Archivio Arcivescovile di Lucca, L N. 67, f. 139 r.; Memorie e documenti, cit., t. V, parte III, n. 1549, pp. 433-434; Lupi, M., Noferi, M., Terra di Ponsacco. Un territorio e quattro antichissime comunità: Appiano, Camugliano, Petriolo e Ponsacco, Ponsacco 2004, pp. 105 e 108. 1140 Lupi, M., Noferi, M., Terra di Ponsacco, cit., p. 105; Pieri, S., Toponomastica della Valle dell’Arno, Roma 1919, pp. 354-355. Negli anni Settanta è stata rinvenuta in questa zona una stele funeraria in marmo raffigurante il busto di un uomo togato, databile all’epoca tardo imperiale, il che confermerebbe l’ipotesi della presenza di una villa signorile, ma potrebbe provenire anche da una necropoli di estensione maggiore. 1141 Repetti, E., Dizionario, cit., vol. IV, p. 149; Caciagli, G., Pisa, cit., vol. 6, p. 433. 1142 Repetti, E., Dizionario, cit., vol. IV, p. 149. 1143 Lupi, M., Noferi, M., Terra di Ponsacco, cit., p. 105; Repetti, E., Dizionario, cit., vol IV, p. 149; Caciagli, G., Pisa, cit., p. 434. 1144 Lupi, M., Noferi, M., Terra di Ponsacco, cit., pp. 106-107; Caciagli, G., Pisa, cit., p. 434. 1145 Caciagli, G., Pisa, cit., p. 434.

1130 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., p. 267; Tuscia, II, cit., p. 281; Caturegli, N., Regesto Pisano, cit., n. 373. 1131 Archivio Arcivescovile di Lucca, Libri antichi, 29, c. 175; Pescaglini Monti, R., Dalla Valdera alla Valdisola, cit., pp. 314, 315. 1132 Pescaglini Monti, R., Dalla Valdera alla Valdisola, cit., pp. 307309; Memorie e documenti, cit., t. V, parte III, nn. 1692-1694, pp. 569572; Archivio Arcivescovile di Lucca, Diplomatico, A 38. 1133 Pescaglini Monti, R., I pivieri di Sovigliana, cit., p. 147; Memorie e documenti, cit., t. V, parte III, n. 1308, p. 208. 1134 Pescaglini Monti, R., Dalla Valdera alla Valdisola, cit., pp. 309310. 1135 Pescaglini Monti, R., I pivieri di Sovigliana, cit., p. 148. 1136 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 223, 267; Tuscia, II, cit., p. 284. 1137 Pescaglini Monti, R., Dalla Valdera alla Valdisola, cit., p. 309.

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3. Repertorio degli edifici anche allungata, non sappiamo quindi se in origine avesse un’abside andata distrutta (tav. 7). La facciata a capanna presenta un unico piccolo portale, con gli stipiti composti da alcuni conci verticali e altri orizzontali, sormontato da un architrave monolitico dalla particolare forma a timpano, simile a quelli che si trovano nella zona di Casciana Terme, nelle chiese di S. Nicola di Sessana a Usigliano di Lari e di S. Martino al Colle a sud di Casciana Terme. Fino a due terzi circa della sua altezza complessiva, la facciata conserva il suo paramento originale in pietra, datato entro il XII secolo1156: fino all’altezza dell’architrave del portale è costituito da grandi blocchi in calcare squadrati e spianati ma di dimensioni variabili, inseriti in corsi orizzontali abbastanza regolari; al di sopra dell’architrave invece il paramento prosegue con bozze più piccole e di materiale diverso1157, anch’esse di dimensioni non uniformi, squadrate e spianate, in corsi orizzontali e paralleli, più regolari rispetto ai precedenti (tav. 8). Sul paramento in pietra, che si conclude delineando gli spioventi del tetto più antico, si sovrappone un rialzamento in laterizi di circa due metri, risalente al XVII secolo1158, sopra al quale è stato aggiunto un piccolo campanile a vela sulla destra. La facciata, per le sue semplici proporzioni basate sul modulo quadrato, è stata paragonata a quella della chiesa di S. Maria di Pappiana, a San Giuliano Terme, e ad altre chiese della bassa Valdiserchio, come S. Maria di Mirteto, presso Asciano Pisano1159. Tuttavia, rispetto alla chiesa di Pappiana, che presenta un paramento in marmo ed un repertorio decorativo piuttosto raffinato, con alcuni elementi scolpiti inseriti in facciata, la chiesa di Petriolo è più modesta e priva di elementi decorativi1160. Le due pareti laterali sono in larga parte frutto di rimontaggio, realizzato assemblando in filari abbastanza regolari materiali diversi, prevalentemente pietrame, bozze in pietra lavorate grossolanamente e laterizi, con qualche elemento di reimpiego, alcuni dei quali decorati con una semplice linea incisa. I grossi blocchi squadrati e spianati presenti nella parte bassa della facciata proseguono sulle angolate e per pochi metri anche sui fianchi laterali, soprattutto su quello sinistro, seguiti da alcune bozze in tufo come quelle della facciata. Su ciascun fianco si aprono due strette monofore strombate e tamponate, dal profilo esterno rettangolare e quello interno ad arco. Il rialzamento in laterizi già notato in facciata è evidente anche sui fianchi laterali, dove sono state aperte due finestre rettangolari, una su ciascun lato e alla medesima distanza dalla facciata, affiancate da altre due aperture che sono state tamponate. Nella zona absidale, poco visibile perchè coperta dalla vegetazione, prosegue lo stesso tipo di paramento con materiali misti.

che collegava Ponsacco con le Colline Inferiori fino a Lari1146. In seguito all’incursione fiorentina del 1341 anche il villaggio di Petriolo venne abbandonato dagli abitanti che si rifugiarono all’interno delle mura del castello di Ponsacco. Dell’antico insediamento, che doveva essere di modeste dimensioni ma dotato di torri1147, rimane solo la piccola chiesa di Sant’Andrea, rimasta isolata nella campagna, a brevissima distanza dal fiume Era, nell’attuale località S. Andrea, periferia orientale di Ponsacco1148. La chiesa, attestata per la prima volta nel 983, nell’atto di livello già menzionato, compare nell’estimo del 1260 e in tutte le decime successive, e da un documento del 1375 sono stati identificati come patroni alcuni membri della famiglia Upezzinghi1149. Quando gli abitanti si trasferirono nel castello di Ponsacco nel 1341, la chiesa venne abbandonata e durante la visita pastorale del 1382 risultava non officiata, come tutte le altre chiese del piviere1150. Nelle visite pastorali successive, a partire da quella del 14661151, la chiesa viene sempre descritta in pessime condizioni: in seguito alla visita del 1535 si cercò di restaurarla con i pochi mezzi disponibili, nel 1564 venne trovata con un solo altare e priva di arredi sacri, per questo motivo il visitatore del 1596 raccomandava che si provvedesse a collocare una tavola d’altare, oltre a rifare il tetto e il pavimento1152. Dovrebbero quindi risalire alla metà del XVI i lavori di ristrutturazione, seguiti poi da alcuni interventi seicenteschi, che portarono al rialzamento dell’intero edificio e forse all’aggiunta di un altare barocco al centro del presbiterio1153. Verso la metà del XVIII secolo la chiesa parrocchiale divenne un semplice oratorio1154 e durante la visita pastorale del 1868 l’edificio fu trovato in buono stato1155. Attualmente la chiesa si presenta in totale stato di abbandono. Architettura L’edificio, di piccole dimensioni, presenta una semplice pianta a navata unica priva di abside, ma ha subito numerosi rifacimenti, che possono aver alterato anche la sua planimetria. Infatti dall’analisi del paramento esterno si può facilmente dedurre che la chiesa è stata rialzata ma 1146

Pescaglini Monti, R., Strade, castelli, chiese, ospedali: viabilità e insediamenti nel Basso Valdarno tra la Chiècina e l’Isola, in La via Francigena e il Basso Valdarno: vie di terra e d’acqua nel Medioevo fra l’Elsa e il mare. Prospettive della ricerca e primi risultati, atti del seminario (Pisa 4 dicembre 1996), a cura di M.L. Ceccarelli Lemut e G. Garzella, Pontedera 1998, pp. 49-50; Bonaini, F., Statuti inediti della città di Pisa dal XII al XIV secolo, Firenze 1854-1870, vol. II, p. 433. 1147 Lupi, M., Noferi, M., Terra di Ponsacco, cit., pp. 106-107. 1148 Pescaglini Monti, R., Dalla Valdera alla Valdisola, cit., p. 309. 1149 Archivio Arcivescovile di Lucca, Libri Antichi, 32, c. 59, 1375 agosto 31; Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 201, 223, 267; Tuscia, II, cit., p. 284. 1150 Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali, 2, c. 147. 1151 Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali, 9, anni 14651474, c. 137. 1152 Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali, 14, anni 15451564, c. 647, c. 651, e Visite pastorali, 9, anni 1580-1596, c. 196 r.; Lupi, M., Noferi, M., Terra di Ponsacco, cit., p. 111; . 1153 Lupi, M., Noferi, M., Terra di Ponsacco, cit., pp. 110-111. 1154 Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali, 78, anni 18681874, carte non numerate. 1155 Archivio Vescovile di San Miniato, Visite pastorali, 75.

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Lupi, M., Noferi, M., Terra di Ponsacco, cit., p. 110. É lo stesso materiale dell’architrave, un tufo locale dal colore marrone ma con alcune bozze più chiare. 1158 Lupi, M., Noferi, M., Terra di Ponsacco, cit., p. 110. 1159 Lupi, M., Noferi, M., Terra di Ponsacco, cit., p. 109. 1160 Pappiana era corte imperiale, sede di un gastaldo e talvolta aveva ospitato l’imperatore, Repetti, E., Dizionario, cit., vol. IV, pp. 56-57. 1157

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L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV) 123. Chiesa di S. Donato di Pianello (piviere di S. Gervasio)

126. Chiese di S. Pietro e di S. Maria di Pinocchio (piviere di S. Gervasio)

Note storiche La chiesa, oggi scomparsa, è menzionata solo nell’estimo del 1260 e negli atti della visita pastorale del 1466, dove si riferisce che fu trovata distrutta; non ricompare nelle visite pastorali successive1161. È stata localizzata nel bosco detto di S. Lucia, presso Montefoscoli, dove fino a pochi anni fa erano visibili dei ruderi ora definitivamente demoliti1162. È documentata la traslazione del suo beneficio alla chiesa parrocchiale di Villa Saletta1163.

Note storiche La località, da identificare con il podere Pinocchio, a sud de il Romito, presso Pontedera, viene menzionata nel documento del 980 come appartenente al piviere di San Gervasio1170. Nell’estimo della diocesi di Lucca del 1260 vengono ricordate due chiese, S. Maria e S. Pietro, già menzionate nel 1140 come oggetto di disputa tra i vescovi di Pisa e Lucca, ma nelle decime del 1302-03 compare solo la chiesa di S. Pietro1171. Nel 1466 erano entrambe in rovina e oggi non ne resta traccia1172.

124. Chiesa di S. Michele di Pianezzoli (piviere di S. Genesio)

127. Chiesa di S. Michele di Pozzo (piviere di Tripalle)

Note storiche La località viene elencata tra le villae dipendenti dalla pieve di S. Genesio nell’atto di livello del 991 (Planectule)1164, poi la chiesa è citata nel privilegio del 1195, nell’estimo del 1260 e in tutte le decime1165. Nel Libro di Montaperti del 1260, in cui vengono censite le parrocchie del contado fiorentino per contribuire alle spese belliche della Repubblica fiorentina, la chiesa viene menzionata come facente parte del piviere di Empoli1166, e infatti non viene mai menzionata negli statuti del comune di San Miniato del 1337. Da non confondere con la chiesa omonima di S. Michele di Pianezzoli, appartenente al piviere di Calcinaia e quindi in diocesi di Pisa, localizzabile nei pressi dell’attuale podere S. Michele presso Ponte alla Navetta (Calcinaia)1167. Ancora esistente, nel comune di Empoli, sulla sponda destra dell’Elsa, non conserva strutture di epoca medievale.

Note storiche La chiesa, scomparsa ma ubicabile a est di Tremoleto, nord di Sant’Ermo, sul confine con il piviere di Gello Mattaccino, è attestata solo dalla seconda metà del XIII secolo, nell’estimo del 1260 e nelle decime del 1302031173. Nel 1324 erano patroni gli Upezzinghi, famiglia nobile pisana che deteneva il diritto di patronato anche della vicina pieve di Gello1174. Durante la visita pastorale del 1466 fu trovata consacrata ma danneggiata e si ordinò di ripararla1175. 128. Chiesa dei Ss. Stefano e Lorenzo di Pratiglione (piviere di Barbinaia) Note storiche All’inizio del XII secolo il castello di Pratiglione era di proprietà dei conti della Gherardesca, ma già nel 1153 un terzo del castello venne venduto al vescovo di Lucca e nel 1164 Federico I confermò la proprietà alla diocesi lucchese1176. In un atto del 1117, nel quale il vescovo di Lucca ribadiva il suo dominio sul castello di Montopoli, compare tra i suoi possedimenti anche Pratiglione, ma già nel 1123 la proprietà passò a un certo conte Ranieri1177. La chiesa è nominata nell’estimo del 1260 e nelle decime del 1302-03, è ancora esistente ma non più officiata1178.

125. Chiesa dei Ss. Filippo e Jacopo di Pino (piviere di S. Genesio) Note storiche È citata nel privilegio del 1195, nell’estimo del 1260 e in tutte le decime1168. Ancora esistente, corrisponde a Poggio al Pino, è rimasta una chiesa con questo titolo fra Calenzano e Ponte a Elsa1169.

1161 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., p. 270; Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali, 9, c. 104; Morelli, P., La pieve di S. Gervasio di Verriana e il suo territorio, cit., p. 62. 1162 Morelli, P., La pieve di S. Gervasio di Verriana, cit., p. 62. 1163 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 82. 1164 Memorie e documenti, cit., t. V, parte III, n. 1672, pp. 552-553. 1165 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 202, 220, 272; Tuscia, II, cit., p. 278. 1166 Chiese medievali della Valdelsa, 1, cit., p. 59, n. 5; Il libro di Montaperti (1260), a cura di C. Paoli, Firenze 1889. 1167 Morelli, P., I luoghi di culto delle Cerbaie, in Pellegrinaggio e ospitalità nelle Cerbaie medievali, Atti della giornata di studio sulla via Francigena (Galleno-Altopascio, 27 maggio 2001), a cura di S. Sodi, Pisa 2001, p. 100. 1168 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 202, 220, 272; Tuscia, II, cit., p. 278. 1169 Dini, F., Dietro i nostri secoli, cit., p. 105.

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Archivio Arcivescovile di Lucca, Diplomatico, + A. 30; Memorie e documenti, cit., t. V, parte III, n. 1512, p. 394. 1171 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 269-270; Tuscia, II, cit., p. 283. 1172 Morelli, P., Il territorio tra Arno-Era e Roglio, cit., p. 290. 1173 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., p. 268; Tuscia, II, cit., p. 283. 1174 Pescaglini Monti, R., I pivieri di Sovigliana, cit., pp. 175-176. 1175 Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali (1465-1474), libro 9, + E., c. 79; Mannari, L., Visita pastorale del 1466, cit., pp. 40-41. 1176 Alberti, A., I castelli della Valdera, cit., p. 58. 1177 Dini, F., Dietro i nostri secoli, cit., p. 99; Archivio Arcivescovile di Lucca, A D 81 e A D 73. 1178 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., p. 271; Tuscia, II, cit., p. 278; Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 87.

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3. Repertorio degli edifici è menzionata nell’estimo del 1260, nelle decime del 1276-77 e in quelle del 1302-03 (intitolata solo a S. Giorgio)1190. Durante la visita pastorale del 1466 fu trovata in rovina, priva del tetto e non officiata1191.

129. Chiesa di S. Maria al Prato (piviere di Musciano) Note storiche È documentata nell’estimo del 1260, dove compare unita a S. Giusto di Marti1179. Con l’istituzione della nuova pieve di Marti rientrò nella sua giurisdizione1180 e nel 1466 risultava in rovina1181. La chiesa è scomparsa ma è localizzabile presso il podere il Prato, a sud di Marti, vicino al Rio Ricavo1182.

133. Chiesa di S. Maria di Ripaia (piviere di S. Gervasio) Note storiche La chiesa compare nell’estimo del 1260 tra le suffraganee della pieve di S. Gervasio ed è menzionata anche nelle decime del 1276-77 come S. Maria de Rapario e in quelle del 1302-03 come S. Maria de Ripario, questa volta però alle dipendenze della nuova pieve di S. Martino di Palaia1192. Morelli la identifica con l’attuale santuario di S. Maria di Ripaia, situato su di una collina nei pressi del cimitero di Treggiaia, ma nei documenti relativi all’istituzione della pieve di Palaia del 1279, compare la chiesa di S. Maria di Ripezzano, menzionata come chiesa manuale della pieve1193, il cui toponimo, comparso già nell’atto di livello del 980 (Rapezzano)1194, è stato localizzato nei dintorni di Palaia.

130. Chiesa di S. Giusto di Pugnano (piviere di Tripalle) Note storiche La chiesa, documentata solo dalla metà del XIII secolo, nell’estimo del 1260 e nelle decime del 1302-03, nel 1466 fu trovata in rovina dal visitatore apostolico, il quale ordinò che fosse restaurata e vi si celebrasse almeno una messa all’anno in onore del santo titolare1183. Caciagli ipotizza che le fosse annesso un monastero con ospizio e che sorgesse presso il bivio della strada che conduce a Fauglia1184. Nel 1543 figurava ancora come proprietaria di alcuni appezzamenti di terreni. L’edificio è scomparso ma è da localizzare a sud di Valtriano1185 e i suoi ruderi erano ancora visibili vero la metà del XIX secolo1186.

Architettura L’edificio, risalente al XIII secolo, ha ricevuto un radicale restauro nel 1864, come confermano le due lapidi in marmo sistemate in facciata, dopo essere stato prolungato con una nuova abside nel 16961195. La facciata a capanna ha un paramento in bozzette di pietra spianate e distribuite in filari orizzontali e paralleli, forse opera di rimontaggio. Al centro presenta un portale in pietra serena sormontato da un arco a tutto sesto in laterizi e in asse si apre una bifora con tre colonnine a sorreggere due archi acuti inclusi in un arco a tutto sesto, realizzata interamente in laterizi in stile neogotico e ascrivibile quindi ai restauri ottocenteschi. Il fianco destro è realizzato in larga parte in pietra, tranne la zona superiore del prospetto e una lesena che sono in laterizi, così come il prolungamento seicentesco. L’abside a terminazione piana, interamente in laterizi, ha un’unica apertura, a forma di lunetta, sotto alla quale si legge l’iscrizione con la data di realizzazione, 1696. La parete laterale sinistra ha un paramento in laterizi tranne la parte iniziale, contigua alla facciata, dove proseguono i filari in pietra del prospetto principale. Su ciascun fianco si aprono tre monofore archiacute, dalla ghiera in laterizi, realizzate molto probabilmente nell’Ottocento, e un portale laterale, del tutto simile a quello in facciata e solo di minori dimensioni. All’intervento seicentesco risale anche il

131. Chiesa di S. Maria Maddalena di Puticciano (piviere di Fabbrica) Note storiche La località, che coincide forse con l’odierna Pellicciano, a sud di Cigoli, è ricordata per la prima volta nell’843, mentre la chiesa è attestata nell’estimo del 1260, nelle decime del 1276-77 e in quelle del 1302-03, dove compare priva di toponimo1187. Nel 1466 aveva ancora la cura d’anime ma mostrava già segni di degrado1188. 132. Chiesa dei Ss. Giorgio e Cristoforo di Quarrata (piviere di Sovigliana) Note storiche La località è attestata negli atti di livello del 980 e del 1021 tra i villaggi del piviere di Sovigliana1189. La chiesa 1179 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., p. 270. 1180 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 85. 1181 Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali, 9, c. 226. 1182 Morelli, P., Chiese, villaggi e castelli, cit., p. 60. 1183 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., p. 268; Tuscia, II, cit., p. 282; Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali (1465-1474), libro 9, + E., c. 79; Mannari, L., Visita pastorale del 1466, cit., pp. 40-41. 1184 Caciagli, G., Pisa, cit., vol. IV, p. 460. 1185 Pescaglini Monti, R., I pivieri di Sovigliana, cit., p. 175. 1186 Caciagli, G., Pisa, cit., vol. IV, p. 460. 1187 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 86; Memorie e documenti, t. V, parte II, p. 349; Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 221, 273; Tuscia, II, cit., p. 280. 1188 Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali, 9, c. 245. 1189 Memorie e documenti, cit., t. V, parte III, n. 1517, p. 399; Pescaglini Monti, R., Dalla Valdera alla Valdisola, cit., p. 301.

1190 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 222, 269; Tuscia, II, cit., p. 282. 1191 Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali (1465-1474), libro 9, + E., c. 95; Mannari, L., Visita pastorale del Vescovo di Lucca dell’anno 1466, cit., p. 35. 1192 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 223, 269; Tuscia, II, cit., p. 284. 1193 Archivio Arcivescovile di Lucca, Diplomatico, * V 75, 1279 maggio 12. 1194 Archivio Arcivescovile di Lucca, Diplomatico, + A. 30; Memorie e documenti, cit., t. V, parte III, n. 1512, p. 394. 1195 San Miniato, il Valdarno Inferiore e la Valdelsa, cit., p. 119.

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L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV) campanile, attualmente intonacato, impostato sulla parte terminale del fianco sinistro.

138. Chiesa di S. Colombano (piviere di S. Gervasio) Note storiche Nell’estimo del 1260 risultava unita alla pieve ma non compare nelle decime successive1204. Durante la visita pastorale del 1466 era stata trovata distrutta e priva di rettore1205.

134. Chiesa di S. Michele di Roffia (piviere di S. Genesio) Note storiche La località, ancora esistente, a nord di S. Miniato, nei pressi dell’Arno, viene elencata tra le villae dipendenti dalla pieve di S. Genesio nell’atto di livello del 9911196, e in un contratto del 1323 si specifica la sua posizione, tra la strada Romea e la via de Nocicchio, cioè la strada che portava da Roffia a San Miniato passando per la chiesa di S. Lorenzo di Nocicchio1197. La chiesa, ancora esistente ma priva di strutture di epoca medievale, è citata nel privilegio del 1195, nell’estimo del 1260 e in tutte le decime1198.

Architettura La piccola chiesa, ancora esistente, era adibita a cappella del cimitero1206, ma attualmente vi è allestita una sezione del locale Museo del Lavoro e della civiltà rurale. La semplice facciata a capanna è interamente intonacata e presenta un portale affiancato da due basse finestrelle quadrangolari. Il fianco destro ha un paramento in bozze di arenaria, mescolate a laterizi, in filari orizzontali ma dall’andamento irregolare, legati con abbondante malta e con numerose tracce di intonaco. Sul fianco sinistro e sulla zona absidale sono state addossate le strutture del cimitero.

135. Chiesa di S. Jacopo di S. Albino (piviere di Fabbrica) 139. Chiesa di S. Cristina (piviere di Gello) Note storiche La chiesa è attestata nell’estimo del 1260, nelle decime del 1276-77 e in quelle del 1302-031199. L’edificio è ancora esistente, anche se in completo abbandono all’interno di una proprietà privata, nel podere S. Albinello a sud di Cigoli, vicino a Villa del Palagio dei Sanminiati 1200. La chiesa venne restaurata e affrescata nel 1588, data riportata all’interno1201.

Note storiche La chiesa è attestata come manuale della pieve di Gello nell’estimo della diocesi di Lucca del 12601207 e si trovava in località Tartaglia, a poca distanza da Gello1208. Secondo il Repetti, che riporta le informazioni tratte dall’Odeporico del Mariti, il fonte battesimale della pieve venne traslato qui già nel XIII secolo, per poi essere nuovamente spostato nel 1444 nella chiesa di S. Ermo1209. All’epoca del Mariti la chiesa era ormai distrutta1210.

136. Chiesa di S. Michele di S. Angelo (piviere di S. Genesio) 140. Chiesa di S. Ermo (piviere di Gello) Note storiche È citata nel privilegio del 1195, nell’estimo del 1260 e in tutte le decime1202. Ancora esistente, in una frazione a nord-est di S. Miniato, non conserva strutture di epoca medievale.

Note storiche La chiesa è attestata tra le suffraganee della pieve di Gello nell’estimo del 1260 e nelle decime del 1302031211. Nel 1444 vi venne trasferito il fonte battesimale e si conservò il patronato che la famiglia Upezzinghi aveva dal 1283, come testimonia l’insegna ancora presente sulla facciata della chiesa1212.

137. Chiesa di S. Bartolomeo (piviere di Gello) Note storiche La chiesa, scomparsa, è attestata solo nell’estimo del 1260, dove compare unita alla pieve di Gello1203.

Architettura L’edificio attuale, ad aula unica con abside semicircolare, presenta una facciata intonacata conclusa da un timpano, mentre nel paramento del fianco sinistro, probabilmente

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1204 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., p. 270. 1205 Morelli, P., La pieve di S. Gervasio di Verriana, cit., p. 61. 1206 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 82. 1207 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., p. 268. 1208 Repetti, E., Dizionario, cit., vol. V, p. 502. 1209 Mariti, G., Bagno a Aqua, cit., pp. 140-141; Repetti, E., Dizionario, cit., vol. II, p. 429. 1210 Mariti, G., Bagno a Aqua, cit., p. 141. 1211 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., p. 268; Tuscia, II, cit., p. 284. 1212 Repetti, E., Dizionario, cit., vol. II, p. 429; Mariti, G., Bagno a Aqua, cit., pp. 123-129.

Memorie e documenti, cit., t. V, parte III, n. 1672, pp. 552-553. Archivio Statale di Firenze, Notarile antecosimiano, 3818, cc. 48v.49, 1323, gennaio 13; Morelli, P., Borgo San Genesio, la strata Pisana e la via Francigena, cit., p. 135. 1198 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 202, 220, 272; Tuscia, II, cit., p. 278. 1199 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 221, 272; Tuscia, II, cit., p. 280. 1200 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 86. 1201 San Miniato, il Valdarno Inferiore e la Valdelsa, cit., p. 85. 1202 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 202, 220, 272; Tuscia, II, cit., p. 278. 1203 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., p. 268. 1197

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3. Repertorio degli edifici 1302-03 viene menzionata solo la chiesa di S. Biagio1221. Oggi sono scomparse entrambe ma sono localizzabili sulle pendici della rocca di S. Miniato: la chiesa di S. Michele corrisponde all’attuale Villa Donati, sul versante sud-ovest, quella di S. Biagio si trovava sul versante nord-est ed è localizzabile presso una casa colonica, sopra il convento di S. Francesco1222. La chiesa di S. Michele venne adibita ad abitazione privata da Monsignor Michele Mercati nel 1583, quando risultava ormai in rovina e sconsacrata da tempo, e il titolo venne definitivamente trasferito alla chiesa di S. Stefano1223.

frutto di un rimontaggio, si possono notare conci in pietra squadrati e spianati, mescolati con altri materiali. Un’iscrizione sul campanile ricorda la sua ricostruzione, avvenuta nel 1934. Un’altra iscrizione, posta in facciata, ricorda la consacrazione della chiesa avvenuta nel 1717, per opera del vescovo di San Miniato Francesco Maria Poggi, dopo che l’edificio era stato ricostruito nel 1630 da Obizzo di Federigo degli Upezzinghi di Pisa1213. 141. Chiesa dei Ss. Giusto e Cristoforo di S. Genesio (piviere di S. Genesio) Note storiche La chiesa dell’antico borgo di S. Genesio è citata nel privilegio emanato da Celestino III nel 1195 in favore della pieve di S. Genesio, nell’estimo del 1260 e in tutte le decime successive, ma è scomparsa1214. Nel privilegio era menzionata anche una chiesa intitolata a S. Pietro, di cui non restano tracce1215.

144. Chiesa di S. Francesco di San Miniato Note storiche Secondo la tradizione il convento di S. Francesco venne fondato sul luogo dell’antica chiesa dedicata a S. Miniato, intorno alla quale si era sviluppato il nucleo più antico del castello, risalente all’epoca alto medievale1224. Al XVIII secolo risale un’altra notizia leggendaria, che non è mai stata avvalorata da prove concrete: secondo il Wadding, francescano conventuale, l’antico oratorio di S. Miniato sarebbe stato donato dalle famiglie nobili sanminiatesi proprio a San Francesco, che nel 1211 si trovava ospite presso il monastero di S. Gonda1225.

142. Chiesa di S. Giorgio (piviere di Corazzano) Note storiche La chiesa, scomparsa e non localizzabile, è menzionata nell’estimo del 1260 e nelle decime del 1302-03, priva di toponimo1216.

1221 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 202, 220; Tuscia, II, cit., p. 279. 1222 Piombanti, G., Guida della città di San Miniato al Tedesco con notizie storiche antiche e moderne, San Miniato 1894, ristampa anastatica a cura di A. Matteoli, in «Bollettino dell’Accademia degli Euteleti di San Miniato», 44, 1976, pp. 80-81 e pp. XLVI e LIII; Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 90. 1223 Piombanti, G., Guida della città di San Miniato, cit., pp. 80, 104 e p. LIII. 1224 Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., pp. 15-16 e 72: la chiesa è menzionata per l’ultima volta in un atto di vendita del 1038 e non sappiamo se dopo tale data venne distrutta o abbandonata, visto che non compare nella bolla di Celestino III del 1195. Secondo Salvestrini questa omissione si spiega con il fatto che il piccolo oratorio era inizialmente una struttura privata, divenuta poi dipendenza diretta della chiesa di S. Maria (Salvestrini, F., San Genesio. La comunità e la pieve fra VI e XIII secolo, in Vico Wallari - San Genesio: ricerca storica e indagini archeologiche su una comunità del medio Valdarno inferiore fra alto e pieno Medioevo, giornata di studio (San Miniato, 1 dicembre 2007), Centro Studi sulla Civiltà del Tardo Medioevo, a cura di F. Cantini e F. Salvestrini, Firenze 2010, p. 57). 1225 Wadding, L., Annales Minorum seu trium ordinum a S. Francisco institutorum, t. VII, XXXVI, p. 407, Roma 1733: il Wadding scrive evidentemente con lo scopo di dimostrare che la nascita della comunità conventuale risale ai primordi del francescanesimo, si veda Morelli, P., La nascita del convento domenicano di S. Jacopo in San Miniato: appunti per un’indagine sulle istituzioni ecclesiastiche di un centro minore della Toscana fra Due e Trecento, in Centi, T.S., Morelli, P., Tognetti, L., SS. Jacopo e Lucia: una chiesa, un convento. Contributi per la storia della presenza dei Domenicani in San Miniato, San Miniato 1995, p. 53 nota 103; tale notizia è stata poi ripresa successivamente da altri eruditi (si veda: Lami, G., Monumenta Ecclesiae Florentinae, I, Firenze 1758, p. 335; Rondoni, G., Memorie storiche di S. Miniato al Tedesco, 1876, p. 42; Piombanti, G., Guida della città di San Miniato al Tedesco con notizie storiche antiche e moderne, San Miniato 1894, ristampa anastatica a cura di A. Matteoli, in «Bollettino dell’Accademia degli Euteleti della Città di San Miniato», 44, 1976, p. 106; Galli Angelini, F. M., Glorie francescane samminiatesi, in «Bollettino dell’Accademia degli Euteleti di San Miniato», 4, 1922, 1, pp. 13-15) e dagli storici locali (Nanni, G., Regoli, I., San Miniato: guida storico artistica della città e del suo territorio, Pisa 1991, p. 43), mentre il Repetti respingeva fermamente tale ipotesi (Repetti, E., Dizionario geografico fisico storico della Toscana, Firenze

143. Chiese di S. Biagio e di S. Michele di Rocha San Miniato (piviere di S. Genesio) Note storiche Nel privilegio papale del 1195 vengono menzionate la chiesa di S. Biagio e la chiesa di S. Michele infra muros, definizione che specifica la loro collocazione all’interno della rocca imperiale1217. Nel 1211 la chiesa di S. Michele viene ricordata come luogo in cui venne pronunciata una sentenza ed è localizzata “in castello Sancti Miniatis”1218; nel 1233 invece troviamo il termine “cassero” associato alla chiesa, perchè nel frattempo il sistema difensivo era stato modificato su iniziativa di Federico II e sotto il controllo del suo cancelliere Corrado da Spira, documentato a San Miniato nel 12211219. Entrambe le chiese compaiono nell’estimo del 1260, dove S. Michele, definita de Rocha, risulta unita alla chiesa di S. Stefano1220. Nelle decime del 1275-77 e in quelle del

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Repetti, E., Dizionario, cit., vol. II, p. 75. Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 203, 220, 272; Tuscia, II, cit., p. 279. 1215 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 89. 1216 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., p. 271; Tuscia, II, cit., p. 280. 1217 Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., p. 24. 1218 Archivio di Stato di Firenze, Carte della Comunità di San Miniato, 14 gennaio 1211; Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., p. 58. 1219 Davidsohn, R., Storia di Firenze, cit., vol. II, p. 18; Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., pp. 58-59. 1220 Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., p. 57; Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., p. 272. 1214

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L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV) restauri, ad ulteriore dimostrazione della grande fortuna che stava avendo l’ordine mendicante1232: venne allargata e rialzata la facciata, fu aggiunta la sacrestia, vennero erette le cappelle del presbiterio, furono ampliati i locali sotterranei e vennero affrescate le pareti interne1233. Durante il XV secolo si procedette con nuovi interventi e con un ulteriore innalzamento della chiesa: nel 1403 venne alzato e rifatto il soffitto, a spese di un certo Ser Francesco Viti Rondinelli da Rondinaia, e venne realizzato l’ultimo ampliamento del transetto e dei locali sotterranei corrispondenti1234. Nel 1454 è documentata la commissione agli operai di un tale Zanobi di Neri di due archi all’interno della chiesa1235 e secondo quanto riferito dal Rondoni, storico sanminiatese del XIX secolo, nel 1476 ci fu un altro ingrandimento1236. Dovrebbe risalire a quest’epoca la costruzione del chiostro, che venne però rinnovato già nel secolo successivo1237. Il canonico Galli aggiunge che i lavori terminarono nel 1480, con l’ampliamento del convento e la riapertura al culto della chiesa, consacrata dal vescovo di Lucca Nicolao Sandonnini il 13 maggio 14981238. Tra il XVII e il XVIII secolo il convento venne ristrutturato e ingrandito con l’aggiunta di un secondo chiostro, nuovi dormitori e celle, fu eretto il campanile e furono costruiti gli altari barocchi in pietra serena1239. Durante il XIX secolo il convento venne chiuso e depredato di molti arredi, una prima volta tra il 1810 e il 1827 e una seconda tra il 1860 e il 1872, anno in cui vi si insediò nuovamente una comunità di frati minori francescani, ancora oggi presente1240.

L’ubicazione della chiesa di S. Miniato in questo luogo non è assolutamente certa, ma potrebbe sembrare plausibile sulla base di due documenti più tardi: il primo è il comma 137 degli statuti comunali del 1359, in cui viene riportata la notizia che nella chiesa si celebrava la festa in onore di san Miniato il 25 ottobre, forse a ricordo dell’antica chiesa patronale su cui era sorto il convento1226; il secondo è un documento del 1414 nel quale la via di S. Francesco e la vicina porta di S. Andrea erano denominate “di S. Miniato”1227. Sempre secondo la leggenda, l’edificio sarebbe stato subito ingrandito secondo un progetto redatto da frate Elia, architetto del convento di Assisi, e nel convento, visitato anche da S. Bonaventura nel 1260, si sarebbe stabilita subito una comunità guidata dal beato Buonincontro da San Miniato, succeduto poi dal beato Borromeo Borromei, anch’esso sanminiatese1228. Tuttavia la prima attestazione documentaria del convento è del 1276, anno in cui il vescovo di Lucca Paganello concesse un’indulgenza per promuoverne la costruzione1229. I lavori per la nuova chiesa dovettero quindi iniziare in quel periodo e già all’inizio del secolo successivo la chiesa doveva essere funzionante, se nel 1305 vi fu sepolto il podestà Nerlo de’ Nerli di Firenze1230. Durante il XIV secolo la chiesa francescana assunse un ruolo di primaria importanza all’interno del comune di San Miniato, e le famiglie nobili sanminiatesi cominciarono a far costruire qui le proprie tombe, insieme a quelle di alcuni podestà come quelle del fiorentino Bardo de’ Frescobaldi, morto nel 1309, e del già citato Nerlo de’ Nerli, e a quelle dei beati Buonincontro e Borromei, tra i fondatori del convento e qui sepolti rispettivamente nel 1230 e nel 12901231. Tra il 1343 e il 1349, furono aggiunte nuove strutture nel convento e anche la chiesa fu sottoposta ad ampliamenti e

Architettura La chiesa, a navata unica con transetto dai bracci molto brevi e tre cappelle absidali, è stata costruita intorno al 1276, ma ha raggiunto la planimetria attuale in seguito a diversi interventi di ampliamento, a partire da quello più consistente che risale alla metà del XIV secolo, quando la navata è stata allargata verso destra e l’intero edificio è stato rialzato. Sulla facciata attuale, interamente in laterizi, è facilmente individuabile il profilo della facciata

1833-1846, vol. V, pp. 91-92); Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., pp. 15-16. 1226 Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., p. 87, nota 122; Caciagli, G., Pisa, cit., vol. VI, p. 631; Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 91; Morelli ipotizza la nascita di un culto municipale che sovrapponeva la devozione per l’antico patrono al culto dei patroni tradizionali, Maria e Genesio, ai quali era dedicata la pieve, e che questo nuovo culto si sarebbe sviluppato non a caso nella chiesa di S. Francesco, essendo questa l’unica grande chiesa non parrocchiale di S. Miniato, pronta ad accogliere l’intera comunità cittadina (Morelli, P., La nascita del convento domenicano, cit., pp. 21-22); secondo il Repetti invece gli statuti attesterebbero una tradizione assai tarda e difficilmente ricollegabile con l’antico oratorio di S. Miniato (Repetti, E., Dizionario, cit., vol. V, p. 92). 1227 Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., p. 16; Archivio Arcivescovile di Lucca, Libro antico 83, f. 55, 18 settembre 1414. 1228 Nanni, G., Regoli, I., San Miniato, cit., p. 44; Rondoni, G., Memorie storiche, cit., p. 42; Galli Angelini, F. M., Glorie francescane samminiatesi, cit., pp. 15 e 19-21. 1229 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 91; Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., p. 72; Archivio di S. Croce, Firenze, Copie di documenti e contratti, 13.5. H.I. 1230 Morelli, P., La nascita del convento domenicano, p. 54 nota 104; Diario di Ser Giovanni di Lemmo da Comugnori, a cura di L. Passerini, in Cronache dei secoli XIII e XIV, Firenze 1876, p. 167. 1231 Piombanti, G., Guida della città di San Miniato, cit., p. 106; Galli Angelini, F. M., Glorie francescane samminiatesi, cit., pp. 16 e 21: il canonico elenca dettagliatamente i nomi delle famiglie più potenti della città: Mangiadori, Spadalunghi, Buonaparte, Borromei, Malpigli, Stefani, Ansaldi, Gucci, Mercati, Migliorati e Maccanti; inoltre precisa che i resti del beato Buonincontro, ancora molto venerato, furono traslati sotto l’altare della cappella destra.

1232 Moretti, I., Il “rinnovamento” gotico, in L’architettura religiosa in Toscana. Il Medioevo, Milano 1995, p. 133. 1233 Nanni, G., Regoli, I., San Miniato, cit., p. 44; Baldaccini, R., La chiesa e il convento di S. Francesco in S. Miniato al Tedesco, in Atti del V Convegno Nazionale di Storia dell’Architettura (Perugia 1948), Firenze 1957, pp. 286-287; Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., pp. 76-77; Galli Angelini, F. M., Glorie francescane samminiatesi, cit., p. 16. 1234 Baldaccini, R., La chiesa e il convento di S. Francesco, cit., pp. 281 e 288; Rondoni, G., Memorie storiche, cit., p. 223; Galli Angelini, F. M., Glorie francescane samminiatesi, cit., p. 16. 1235 Si tratta dei due grandi archi che furono aggiunti per sostenere le capriate dei transetti, divenute troppo estese in seguito ai nuovi ampliamenti, Baldaccini, R., La chiesa e il convento di S. Francesco, cit., p. 288; Archivio di S. Croce, Firenze, Copie di testamenti e contratti, 2.5.H.I. 1236 Il Rondoni riferisce che in seguito ai disaccordi nati tra gli operai dell’opera e i frati, papa Sisto IV tolse ai laici l’amministrazione dell’opera e la concesse ai religiosi, i quali proseguirono con i lavori (Rondoni, G., Memorie storiche, cit., p. 223); Baldaccini, R., La chiesa e il convento di S. Francesco, cit., p. 281. 1237 Baldaccini, R., La chiesa e il convento di S. Francesco, cit., p. 289. 1238 Galli Angelini, F. M., Glorie francescane samminiatesi, cit., p. 16. 1239 Nanni, G., Regoli, I., San Miniato, cit., p. 44. 1240 Piombanti, G., Guida della città di San Miniato, cit., p. 107; Nanni, G., Regoli, I., San Miniato, cit., p. 44.

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3. Repertorio degli edifici un altro motivo zoomorfo sulla cornice dell’arco a sesto acuto falcato del Palazzo del Vescovado, databile alla metà del XIII secolo: gli elementi in cotto, inseriti per foglio, sono suddivisi in due riquadri e decorati a bassorilievo piatto con due leoni rampanti che brandiscono una spada, dall’aspetto più araldico che naturalistico, visto che rappresentano lo stemma di San Miniato1245. Al di sopra del portale si notano le tracce degli spioventi di una tettoia e una buca tamponata che doveva contenere la struttura di sostegno, mentre sotto l’arco tamponato è stata murata una lastra in marmo con una iscrizione, proveniente dal monumento funebre di Messer Corso di Forese degli Adimari da Firenze, morto nel 13131246. Il portale laterale sinistro, tamponato ma rimasto intatto, presenta un arco a sesto acuto leggermente falcato, privo di cornice decorativa, circondato solo da un filare di laterizi curvi e impostato su mensole in cotto, che si raccordano agli stipiti tramite un laterizio con lo spigolo scolpito a forma di foglia triangolare concava (tav. 22). Questa piccola concavità prosegue sugli stipiti, realizzati con laterizi disposti alternamente per fascia e per testa, con gli spigoli esterni sagomati a formare una gola. Dell’originario portale destro rimane solo l’estremità destra della ghiera, la mensola è stata scalpellata e si intravede il profilo dello stipite, identico a quello del portale sinistro. I due portali laterali sono stati riferiti alla costruzione duecentesca dalla Cristiani Testi, la quale osservava l’assoluta omogeneità della messa in opera dei laterizi e della loro qualità su tutta la superficie parietale precedente all’ampliamento1247. Il Baldaccini invece riteneva che i due portali laterali fossero un’aggiunta dell’inizio del XIV secolo, perchè stilisticamente diversi, essendo sormontati da archi a sesto acuto e non a tutto sesto come il portale centrale1248. Dell’oculo duecentesco, tamponato e parzialmente distrutto in seguito all’ampliamento del portale centrale, si è conservata parte della ghiera, formata da cunei arrotati disposti per fascia, e parte della cornice che lo circondava, costituita da particolari elementi in cotto di forma cilindrica1249, tra due filari di laterizi disposti per

duecentesca, di modeste dimensioni e dalle proporzioni equilibrate, iscrivibile in quadrato, delimitata da due larghe lesene ai lati, con un portale centrale affiancato da due laterali e sovrastato da un oculo in asse (tav. 20). Con i lavori del XIV secolo la facciata è stata ingrandita di circa un terzo in altezza e di un quarto in larghezza, mantenendo gli stessi elementi architettonici nello stesso ordine, ma ridistribuendoli sulla superficie ampliata: il portale laterale sinistro è stato conservato intatto, quello destro è stato tamponato e sostituito con una nuova apertura, leggermente più alta e più larga, il portale centrale è stato notevolmente ingrandito, alterando le proporzioni originarie al punto da sostituire il precedente rapporto di due a tre tra l’altezza del portale laterale e quello centrale, con un rapporto di uno a due; infine l’oculo originario è stato tamponato e sostituito con uno nuovo, posizionato in asse con il portale centrale appena modificato, la tettoia che in origine doveva riparare il portale centrale è stata rimossa e la lesena destra è stata eliminata, lasciando a vista la superficie muraria sottostante, non rifinita. Il portale centrale duecentesco, di cui si sono conservati solo lo stipite sinistro e la metà sinistra dell’archivolto, aveva un arco a tutto sesto a curve non concentriche impostato su mensole in pietra, con una ghiera di cunei disposti per fascia, arrotati ma non graffiati, con lo spigolo inferiore arrotondato verso l’imbotte e sagomato a formare una gola che corre lungo tutto il profilo interno dell’arco, proseguendo anche lungo gli stipiti. L’arco è circondato da una cornice composta da elementi in cotto piuttosto larghi, disposti per foglio e decorati con particolari motivi vegetali e zoomorfi, tra due bordini di contorno (tav. 21): si tratta di un motivo decorativo molto originale, probabilmente un unicum, realizzato a rilievo piatto e con alcuni fori incisi con il trapano, associando su ciascun elemento foglie dalle forme stilizzate ad un animale fantastico, il cui corpo si prolunga formando un tralcio1241. Un motivo decorativo così elaborato e bizzarro si inserisce perfettamente nel contesto delle decorazioni in cotto sanminiatesi, caratterizzate fin dalle prime realizzazioni sulla facciata della cattedrale di S. Maria, da uno stile molto particolare e fantasioso, che unisce liberamente elementi già diffusi nella tradizione del cotto valdelsana e lucchese con risultati innovativi. Infatti all’interno del vasto repertorio decorativo in cotto della Toscana, si trovano anche motivi zoomorfi, ma sono confrontabili solo parzialmente con questi, che rimangono quindi molto singolari, a conferma della straordinaria ricchezza di motivi in ambito toscano durante il XIII secolo e della tendenza in ciascun contesto territoriale ad assumere caratteri autonomi. Motivi zoomorfi si trovano a Lucca (animali circondati da fiori stilizzati, realizzati a bassorilievo piatto)1242, a San Gimignano (leoni)1243, e Siena1244. A San Miniato si trova

Furiesi, Pisa 2003, p. 123; questo confronto era già stato individuato dal Baldaccini, si veda Baldaccini, R., La chiesa e il convento di S. Francesco, cit., p. 289 nota 10) e sulla cornice di una bifora del Palazzo Pratellesi, probabilmente già della prima metà del XIV secolo (Medioevo a Volterra, cit., pp. 148-149 e fig. p. 44: lo stemma inserito nella chiave di volta dell’arco è della famiglia Ardinghi, antichi proprietari del palazzo, situato in via San Giovanni e ceduto nel 1364 alle monache di Santa Caterina) 1244 Si tratta probabilmente dell’unico esempio presente a Siena, databile alla metà del XIII secolo: in una delle trifore tamponate all’ultimo piano del castellare degli Ugurgeri, la cornice con fuga di rombi si interrompe, in corrispondenza del vertice dell’arco, per ospitare due pesci affrontati, realizzati a bassorilievo piatto, si veda: Gabbrielli, F., Siena medievale. L’architettura civile, Siena 2010, p. 80 e fig. 68. 1245 Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., p. 68. 1246 “Anno Domini MCCCXIII prima die mesis Iulio Cursis domini Foresis d’Adimaris de Florentia”; a sinistra dell’iscrizione doveva trovarsi uno stemma scolpito ma è stato completamente cancellato. 1247 Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., p. 74. 1248 Baldaccini, R., La chiesa e il convento di S. Francesco, cit., p. 282. 1249 Si tratta di pezzi speciali sagomati, ciascuno costituito da cinque o quattro elementi curvilinei, ma sono difficilmente analizzabili per la presenza di consistenti stuccature in cemento.

1241 Gli animali sono simili tra loro ma non uguali: il primo sembra assomigliare ad una lepre poiché si distingue un orecchio, gli altri sembrano più simili ad uccelli per la presenza di ali incise sul fianco. 1242 In via Santa Giustina 28 e in via Cenami 21-23, si veda Lucca medievale, cit., C. A. 28, pp. 160-164 e C. A. 61, pp. 239-241. 1243 Sull’arco di un portale di palazzo Franzesi, in via del Castello 2, databile alla seconda metà del XIII secolo (Medioevo a Volterra. L’architettura nell’antica diocesi tra Duecento e Trecento, a cura di A.

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L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV) All’inizio della parete laterale destra si trovano le tracce di un monumento funebre: procedendo dal basso, sono inserite nel paramento una lastra rettangolare in pietra, tripartita ma molto consumata, con una iscrizione illeggibile sul margine superiore; una piccola lapide in marmo, suddivisa in due riquadri, il primo contenente un’iscrizione1253, il secondo uno stemma conservato solo parzialmente, e infine due mensole in marmo che dovevano sostenere una struttura pensile archiacuta, coperta da un tetto, di cui si notano le tracce sul paramento. Sulla parete esterna del braccio destro del transetto si trovano quattro bacini ceramici di piccole dimensioni, monocromi dal colore bianco-rosato perchè smaltati in bianco e solo invetriati1254, disposti senza un preciso criterio ma allineati in modo approssimativo in senso orizzontale. Uno dei bacini è inserito nella strombatura di una delle monofore tamponate, mentre un altro è collocato poco più in alto, ma probabilmente non erano queste le loro posizioni originarie. Infatti questi quattro esemplari sembrano il residuo di una decorazione che doveva svilupparsi lungo tutta la parete, secondo uno schema decorativo che andato perduto in seguito ai vari interventi successivi, con la chiusura delle antiche monofore, l’apertura di nuove finestre e i lavori di consolidamento dell’intero prospetto1255. Pur trovandosi ancora in situ, ad una notevole altezza da terra, e quindi analizzabili solo superficialmente, sono stati ritenuti con sicurezza maioliche arcaiche pisane, riferibili alla prima metà del XIV secolo, datazione perfettamente compatibile con l’ipotesi che il loro inserimento risalga alla prima fase di ampliamento della chiesa, iniziata intorno al 13431256. Un esemplare del tutto simile a questi e cronologicamente assai vicino, si trova sulla facciata della pieve di S. Maria Novella di Marti, risalente al 1330 circa, ma se ne trovano altri a Pisa sulle chiese di S. Martino e di S. Cecilia e sul campanile di S. Francesco1257. Non è stato possibile ricostruire l’icnografia dell’oratorio più antico perchè non ne restano tracce, ma è stata ipotizzata la pianta della chiesa duecentesca, le cui dimensioni ridotte forse furono condizionate dal tracciato della cinta muraria preesistente1258. La sua larghezza

testa, tranne tre elementi, forse di reimpiego, inseriti per fascia nella zona in alto a sinistra della curva, di cui due decorati con una fuga di frecce e uno con una fuga di triangoli. Il paramento della facciata duecentesca è interamente costituito da laterizi arrotati e fino ad una certa altezza, poco sopra l’imposta dell’arco del portale centrale1250, sono graffiati a spina di pesce, con l’esclusione delle ghiere degli archi dei portali e dell’oculo, dove i cunei sono solo arrotati. Non è raro trovare mattoni graffiati inseriti solo fino ad una certa altezza della facciata, perchè questa costituisce la zona più vicina all’osservatore e su questa si concentra la maggiore attenzione delle maestranze, risulta invece più insolito trovare laterizi graffiati solo sul paramento e non sulle ghiere degli archi, sembra quindi che qui sia stato applicato un criterio esattamente inverso rispetto al consueto. Alcuni laterizi graffiati si ritrovano anche nella tamponatura del portale centrale, realizzata forse con materiale di reimpiego. La zona della facciata corrispondente all’ampliamento trecentesco è realizzata invece con laterizi meno rifiniti, privi di arrotatura e di graffiature, impiegati anche nel portale destro. Quest’ultimo è stato costruito sul modello del precedente duecentesco, cercando di imitare anche la forma particolare degli stipiti, ma nel complesso ha un’altezza maggiore, l’arco acuto non è falcato, poiché lo spessore della ghiera risulta costante, e la messa in opera dei laterizi appare meno accurata, con giunti più spessi. Alcuni elementi della facciata, come l’arco a tutto sesto del portale centrale con la cornice in cotto decorato e i laterizi graffiati a spina di pesce, sembrano ispirarsi alla facciata della vicina cattedrale di S. Maria, mentre altri, come gli archi ogivali dei portali laterali, fanno ormai parte del linguaggio gotico. Sul fianco destro, frutto dell’ampliamento del 1343, si trovano tre grandi monofore strombate e archiacute, prive di cornici esterne, che sono state tamponate e sostituite tra il XVI e il XVII secolo con finestre quadrate più piccole1251. A metà circa della parete, su un’alta scalinata, si apriva un portale laterale, anch’esso tamponato e sostituito da un portale in pietra serena, con timpano spezzato e stemma, che si sovrappone al più antico, lasciando visibili lo stipite destro e gran parte dell’arco acuto, impostato su una cornice decorata a dentelli. La ghiera dell’arco è costituita da cunei disposti per fascia non arrotati ed è circondata da una cornice di elementi curvilinei disposti per foglio, dal colore rosso vivo, decorati con fiori a cinque petali sottili incisi su delle circonferenze in rilievo, con un grande pistillo al centro1252.

motivo che sembra avvicinarsi minimamente a questo potrebbe essere il fiore a sei petali incisi su una circonferenza in rilievo, ma privo di pistillo centrale, presente a Lucca, nel palazzo in via Guinigi 18-22, si veda Lucca medievale, cit., C. A. 58, pp. 230-232. 1253 “Hic iacet nobilis miles dominus Bardus de Frescobaldis de Florentia sepultus anno domini MCCCVIIII die XVIII mensis Februarii”: si tratta del monumento funebre di Bardo de’ Frescobaldi, un fiorentino che ricoprì la carica di podestà all’inizio del XIV secolo. 1254 Berti, G., Pisa. Le “maioliche arcaiche”. Secc. XIII-XV (Museo Nazionale di San Matteo), “Ricerche di Archeologia Altomedievale e Medievale”, 23-24, Firenze 1997, p. 252; Berti, G., I “bacini” ceramici della Toscana, cit., p. 133. 1255 Berti, G., Tongiorgi, L., I bacini ceramici delle chiese della provincia di Pisa con nuove proposte per la datazione della ceramica spagnola “tipo Pula”, in «Faenza», 60, 1974, p. 71. 1256 Berti, G., Pisa. Le “maioliche arcaiche”, cit., p. 252; Berti, G., Tongiorgi, L., I bacini ceramici delle chiese della provincia di Pisa, cit., p. 71. 1257 Berti, G., Tongiorgi, L., I bacini ceramici delle chiese della provincia di Pisa, cit., p. 73; Berti, G., Pisa. Le “maioliche arcaiche”, cit., pp. 149-153. 1258 Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., p. 80.

1250 Sulla lesena sinistra i mattoni graffiati proseguono ancora un po’ più in alto per qualche decina di centimetri. 1251 Baldaccini, R., La chiesa e il convento di S. Francesco, cit., p. 287; Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., p. 80. La prima monofora è stata tamponata riempiendo anche la strombatura, delle altre due invece questa è rimasta visibile. 1252 Baldaccini proponeva un confronto con le decorazioni di un portale del palazzo Franzesi a San Gimignano, della fine del XIII secolo, e riteneva che il motivo fosse frequente in tutto il periodo gotico, soprattutto nel senese e nel pisano (Baldaccini, R., La chiesa e il convento di S. Francesco, cit., p. 287). Non è stato possibile individuare una decorazione simile sul palazzo Franzesi, né in ambito senese. Un

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3. Repertorio degli edifici L’edificio è situato sul fianco di un colle e il dislivello del terreno è stato sfruttato addossando le varie strutture al pendio e costruendo un piano sotterraneo, quasi delle stesse dimensioni della chiesa e del convento soprastanti. Già il Repetti aveva notato le notevoli dimensioni del complesso, definendolo “un colosso che innalzasi sulle balze di un colle tufaceo, sostenuto da immensi fondamenti e da muraglie a barbacane”1266. Nel corpo edilizio parallelo alla navata della chiesa, al di là del chiostro e sotto il livello del suolo, si trovano due locali di notevoli dimensioni e la cui altezza originaria è stata diminuita di quasi tre metri in seguito al rialzamento del piano di calpestio1267. Il primo ambiente, diviso in due navate e otto campate da sette colonne in laterizi con semplici capitelli, collegate tra loro da robusti sottarchi, era forse l’antico refettorio e all’epoca della visita del Baldaccini era adibito a falegnameria1268. Il secondo locale è suddiviso in sei campate di dimensioni non uniformi e in origine era forse il granaio, trasformato successivamente in cantina1269. Per queste due strutture sotterranee è stata ipotizzata una datazione al XIII secolo e la Cristiani Testi propone addirittura di riferirle alla prima metà del secolo, ritenendole anteriori alla chiesa del 1276 e quindi residui dell’edificio più antico1270. Quando venne realizzato l’ampliamento del transetto nel 1343 venne costruito anche un locale inferiore, della stessa ampiezza della crociera appena ingrandita1271. Con i lavori eseguiti del 1403, che comportarono un ulteriore ampliamento del transetto e il rialzamento di circa due metri dell’intero edificio, per sostenere il nuovo carico vennero rinforzate anche le murature del locale sotterraneo1272. Il canonico Galli riferisce invece che l’ampliamento della zona absidale e la costruzione degli ambienti sotterranei furono realizzati dall’Opera di Guccio di Pasqua a partire dal 1454, che affidò i lavori a due architetti fiorentini, Zanobi di Nanni Forestani e francesco di Pietro Mangiani1273. La chiesa sotterranea, officiata dalla Compagnia dell’Assunta e di S. Lodovico fino al 17851274 e adattata poi in parte a stalla e in parte

doveva corrispondere a quella della facciata ancora ben individuabile sul prospetto attuale, lo sviluppo longitudinale invece era stato ipotizzato dal Baldaccini, il quale aveva notato una fenditura verticale sulla parete esterna del braccio sinistro del transetto, al di sopra del corridoio che dalla chiesa porta in sacrestia, che dovrebbe corrispondere al punto in cui si interrompeva il transetto più antico, prolungato nel 1343 e ancora nel 14031259. Un documento del 1339, in cui viene riferita la costruzione della cappella dedicata alla Beata Vergine e a S. Michele Arcangelo da parte un certo Ser Michele di Bindo Portigiani, fa supporre che a questa data la chiesa avesse già un transetto con cappelle, quindi prima dell’ampliamento del 13431260. All’inizio del Novecento il canonico Galli scrisse, senza spiegare quali fossero le sue fonti, che la chiesa duecentesca aveva tre cappelle absidali e terminava all’altezza del gradino che separa la navata dal transetto attuale, ma questa notizia, secondo Baldaccini, sarebbe contraddetta non solo dalla fenditura sulla parete sinistra del transetto, ma anche dall’apertura che dal transetto sinistro conduce al chiostro, di fronte alla cappella sinistra, stilisticamente riconducibile alla medesima fase della facciata, per la presenza di un arco a tutto sesto su semicolonne in laterizi1261. Anche la Cristiani Testi data questo piccolo portale alla fine del XIII e attribuisce a questa fase l’intera parete sinistra, dove erano state individuate sull’intonaco le tracce di alcuni archi ogivali, interpretati come arcature con funzione sepolcrale, ora non più visibili1262. L’ala adiacente al braccio sinistro del transetto e perpendicolare alla chiesa è stata considerata coeva alla chiesa duecentesca e in origine doveva ospitare la sacrestia, l’aula capitolare, la foresteria e i dormitori dei monaci al piano superiore1263. Le strutture retrostanti, addossate all’ultimo tratto del transetto e occupate dalla sacrestia attuale, furono aggiunte tra la fine del XV e la fine del XVI secolo e sono sorrette all’esterno da grandi arcate e massicci barbacani1264. Il primo chiostro non doveva ancora esistere nel XIII secolo, ma è stato ipotizzato che durante il secolo successivo esistesse un loggiato coperto da tettoie, per la presenza di alcuni stemmi trecenteschi coperti dalle volte realizzate nel Cinquecento, quando il chiostro raggiunse l’aspetto attuale, con colonne in pietra e capitelli tuscanici1265.

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Repetti, E., Dizionario, cit., vol. V, p. 91. Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., p. 76. 1268 Baldaccini, R., La chiesa e il convento di S. Francesco, cit., p. 284; Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., p. 78: secondo la studiosa è improbabile che si trattasse di una chiesa, sostenendo che la suddivisione in due navate sembra essere una soluzione usuale per i refettori e le aule capitolari. 1269 Baldaccini, R., La chiesa e il convento di S. Francesco, cit., p. 284. 1270 Baldaccini, R., La chiesa e il convento di S. Francesco, cit., pp. 283284; Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., p. 78: entrambi gli autori propongono un confronto con le colonne del chiostro della chiesa di S. Cristoforo a Siena, la Cristiani Testi aggiunge anche quello con il chiostro della collegiata dei SS. Prospero e Tommaso di Certaldo, ed entrambi avvicinano questo ambiente ad edifici di ambito cistercense, come il cellario dell’abbazia di Casamari, l’aula capitolare di S. Andrea di Vercelli e l’abbazia di Chiaravalle, tutti databili entro il XIII secolo. 1271 Baldaccini, R., La chiesa e il convento di S. Francesco, cit., p. 286: l’ambiente sarebbe stato poi parzialmente riempito, perdendo l’originaria forma regolare. 1272 Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., p. 76. 1273 Galli Angelini, F. M., Glorie francescane samminiatesi, cit., pp. 1516. 1274 Piombanti, G., Guida della città di San Miniato, cit., p. 144 nota 26: in quell’anno la compagnia venne soppressa da Pietro Leopoldo e nel locale ormai non più officiato i frati vi realizzarono un frantoio nel 1267

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Baldaccini, R., La chiesa e il convento di S. Francesco, cit., p. 282. Baldaccini, R., La chiesa e il convento di S. Francesco, cit., p. 289 nota 14; Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., pp. 75-76; Archivio di S. Croce, Firenze, Libro serie benefattori e loro donazioni, anni 1331-1758, cart. 2/214; Galli Angelini, F. M., Glorie francescane samminiatesi, cit., p. 18. 1261 Baldaccini, R., La chiesa e il convento di S. Francesco, cit., p. 282; Galli Angelini, F. M., Glorie francescane samminiatesi, cit., p. 15. 1262 Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., p. 75; Baldaccini invece ipotizzava la presenza di una serie di cappelle laterali mai portate a termine: Baldaccini, R., La chiesa e il convento di S. Francesco, cit., p. 283 e nota 15. 1263 Baldaccini, R., La chiesa e il convento di S. Francesco, cit., pp. 285 e 288: secondo Baldaccini proprio l’esistenza di queste strutture più antiche avrebbe condizionato gli ampliamenti del transetto, caratterizzato da bracci poco sviluppati; Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., p. 80. 1264 Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., p. 80. 1265 Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., p. 80. 1260

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L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV) frantoio, fu costruita sul modello della chiesa inferiore della Basilica di Assisi, ma secondo il Baldaccini i pilastri ottagonali e le pesanti volte con costoloni a sezione rettangolare la rendono meno slanciata1275. L’ingresso originario del convento doveva essere a sinistra della chiesa, vicino all’ingresso attuale ma sulla parete che prosegue la facciata, dove oggi si possono notare le tracce di due portali adiacenti, che sono stati tamponati e rimaneggiati. Del primo portale rimangono gli stipiti, costruiti con laterizi graffiati a spina di pesce e decorati come quelli del portale centrale, con una gola incisa lungo tutto il profilo; l’arco soprastante è stato rimaneggiato e al centro della tamponatura, realizzata in parte con laterizi di reimpiego graffiati a spina di pesce, è stata murata un’iscrizione commemorativa all’inizio del Novecento. Del secondo portale rimane lo stipite destro e parte dell’arco a sesto acuto leggermente falcato, circondato da semplici elementi curvilinei solo arrotati, simile a quello del portale sinistro della chiesa, ma composto da cunei graffiati a spina di pesce. L’affinità con i portali della chiesa ha fatto ipotizzare che questo ingresso all’edificio conventuale sia stato realizzato in contemporanea e dalle stesse maestranze, intorno al 12761276.

147. Chiesa di S. Stefano di San Miniato (piviere di S. Genesio) Note storiche La chiesa è attestata per la prima volta in un documento del 1059 e ricompare nel privilegio papale di Celestino III del 11951280, ma Giuseppe Piombanti, sacerdote ed erudito senese, riferisce che secondo la tradizione la chiesa sarebbe esistita già prima dell’anno Mille e che in origine fosse dedicata a S. Isidoro1281. Successivamente la chiesa viene citata in un documento del 1233, con il quale il proposto di San Genesio stabiliva i confini tra le tre parrocchie contigue di S. Martino di Castiglione, dei SS. Jacopo e Filippo di Pancole e di S. Stefano1282. Poco dopo viene elencata nell’estimo del 1260, dove risulta unita alla chiesa di S. Michele1283, e ricompare in tutte le decime successive1284. La chiesa era sorta all’interno del castrum, l’insediamento sviluppatosi ai piedi del castello di San Miniato durante il XII secolo, e con la suddivisione in terzieri, avvenuta nella prima metà del XIII secolo come diretta conseguenza delle nuove opere difensive promosse da Federico II, venne inclusa nel terziere di Castelvecchio, che era separato dal contiguo terziere di Poggighisi proprio dal cavalcavia di S. Stefano1285. Gli interventi federiciani incisero profondamente sul tessuto urbano del borgo, condizionando lo sviluppo edilizio successivo. Per esempio, proprio di fronte alla chiesa di S. Stefano, era stato aggiunto un avancorpo fortificato collegato alla cinta muraria del castello, simile agli altri due inseriti rispettivamente nei pressi della chiesa di S. Maria e sulla pendici nord del poggio, dove poi sorgerà il convento di S. Francesco1286. Nel XIV secolo alla chiesa venne annesso un ospedale retto dai canonici regolari di Sant’Antonio Abate di Vienne, fondato dall’antoniano Giovanni Guidotti e dedicato principalmente ai lebbrosi e a malati affetti da altre malattie della pelle, e nel 1352 la chiesa venne ampliata su iniziativa dei canonici1287. Dell’ospedale, di cui non conosciamo la data della chiusura, rimane come testimonianza un rilievo marmoreo con inciso il Tau, simbolo dell’ordine di S. Antonio, murato sul fianco sinistro1288.

145. Chiesa di S. Jacopo di San Miniato (piviere di S. Genesio) Note storiche La chiesa, edificata nel borgo sviluppatosi ai piedi del castello, è citata nel privilegio papale del 1195 come chiesa dedicata a S. Jacopo e a S. Lucia, mentre nell’estimo del 1260 e nelle decime viene menzionata come S. Jacopo Fuordiporta1277. Nel 1329, in seguito alla morte dell’ultimo rettore, la chiesa fu assegnata dal proposto di S. Miniato ai Domenicani, i quali la ricostruirono e vi fondarono un nuovo convento, rimasto attivo fino al 19781278. 146. Chiesa di S. Pietro di San Miniato (piviere di S. Genesio) Note storiche È citata nel privilegio del 1195, nell’estimo del 1260, dove è citata come S. Pietro de Fonte S. Petri, e in tutte le decime successive1279. La chiesa, ancora esistente a nord di S. Miniato, corrisponde all’attuale S. Pietro alle Fonti ma non conserva strutture di epoca medievale.

1280 Archivio Arcivescovile di Lucca, Diplomatico, + H 100; Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., pp. 89-90. 1281 Piombanti, G., Guida della città di San Miniato, cit., 44, 1976, p. 103. 1282 Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., p. 56 e nota 35 p. 84. 1283 Repetti, E., Dizionario, cit., vol. V, p. 93. La chiesa di S. Michele, oggi scomparsa, è documentata per la prima volta nella bolla papale del 1195 come “Ecclesia S. Michalis infra muros”, perchè si trovava all’interno delle mura del castello, e ricompare nell’estimo del 1260 come “Ecclesia S. Michaelis de Rocha”, si veda Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., pp. 24 e 57. 1284 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 203, 220, 272; Tuscia, II, cit., p. 279. 1285 Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., pp. 24 e 70-71. 1286 Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., pp. 70-71. 1287 Nanni, G., Regoli, I., San Miniato: guida storico artistica della città e del suo territorio, Pisa 1991, p. 48. 1288 San Miniato, il Valdarno Inferiore e la Valdera, cit., pp. 65-66; Piombanti, G., Guida della città di San Miniato al Tedesco, cit., p. 119.

1843; Galli Angelini, F. M., Glorie francescane samminiatesi, cit., p. 16. 1275 Baldaccini, R., La chiesa e il convento di S. Francesco, cit., p. 288. 1276 Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., p. 80; Baldaccini invece riteneva che l’arco a sesto acuto del secondo portale, essendo simile al portale laterale sinistro della chiesa, andava riferito ai primi del Trecento (Baldaccini, R., La chiesa e il convento di S. Francesco, cit., p. 283). 1277 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 202, 220, 271; Tuscia, II, cit., p. 279. 1278 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 91. 1279 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 203, 220, 272; Tuscia, II, cit., p. 279.

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3. Repertorio degli edifici difficilmente giudicabili perchè questa zona del prospetto è stata completamente intonacata. Rimangono a vista due porzioni del paramento ai lati del portale, al di sopra di uno zoccolo anch’esso intonacato, realizzate fino ad una certa altezza con conci in pietra ben squadrati e spianati, di maggiori dimensioni in basso e più piccoli in alto, disposti in corsi orizzontali e paralleli; poi la muratura prosegue con laterizi per fascia e per testa, con alcuni mattoni ferretti e con alcuni blocchi in pietra di grandi dimensioni. Si tratta probabilmente di un rimontaggio e anche il fianco sinistro è il risultato della medesima operazione, realizzata anche con materiali antichi. Il livello stradale è stato abbassato e per questo motivo sono visibili le sottofondazioni in laterizi. La prima parte del prospetto laterale sinistro presenta un’alternanza di diversi materiali: proseguendo dal basso troviamo una porzione in laterizi, una in pietra, ad un’altezza corrispondente alla parte in pietra presente in facciata, realizzata anche questa con blocchi ben squadrati e spianati in arenaria, in filari paralleli e orizzontali, alternati con alcuni laterizi spezzati, e infine una muratura in laterizi dal colore rosso vivo, con numerosi mattoni ferretti. Proseguendo verso l’abside, la parte subito successiva del paramento sembra appoggiarsi alla prima, creando un piccolo gradino, ed è in questa zona che si trova un il portale laterale tamponato, che doveva costituire forse l’ingresso originario quando esisteva ancora il “ponticello”1297. Il portale sembra stilisticamente piuttosto tardo, con una piattabanda in laterizi sormontata da un arco a sesto acuto con cunei per testa nella ghiera e nella cornice. La muratura sottostante è frutto di un rimontaggio, realizzato per lo più con conci in pietra squadrati e spianati, di dimensioni variabili e in corsi orizzontali ma più irregolari, mescolati con laterizi inseriti disordinatamente come riempitivi e zeppe. Più in alto invece prevalgono i laterizi, interrotti solo saltuariamente da brevi filari in pietra. A metà altezza circa della parete è stata murata una piccola formella quadrata in marmo con il simbolo del Tau al centro di uno scudo, circondato da foglie molto in rilievo realizzate con il trapano. Più avanti è ben riconoscibile una cesura che corre verticalmente partendo dalla base fino al tetto, e dopo l’ammorsatura, realizzata evidentemente per ampliare l’edificio in senso longitudinale, il paramento prosegue ancora alternando parti in pietra con parti in laterizio. Sull’intera parete laterale sono state aperte quattro finestre in epoca moderna e sono state tamponate due monofore con arco ribassato in laterizi.

Nel 1583 le fu unito ufficialmente il titolo della chiesa di S. Michele, che venne sconsacrata e trasformata in abitazione civile da monsignor Michele Mercati, prelato della curia romana di famiglia sanminiatese1289. Tra il XVI e XIX secolo l’edificio ha subito una serie di trasformazioni, sia all’interno che all’esterno: sulle pareti laterali vennero aggiunti due altari in pietra serena, oggi privi delle tele che raffiguravano i santi titolari (Stefano e Michele) e S. Francesco Saverio, che a partire dai primi del Settecento venne annoverato tra i patroni di S. Miniato1290. Durante il XVIII secolo venne completamente ristrutturata per poi essere riconsacrata nel 1715 dal vescovo Giovan Francesco Maria Poggi e dichiarata prioria nel 1758 dal vescovo Domenico Poltri1291. Nel 1862 l’edificio venne ampliato con l’aggiunta dell’attuale presbiterio e venne ingrandita anche la canonica, su iniziativa del priore Carlo Pescini1292. Durante la seconda guerra mondiale la chiesa venne gravemente danneggiata e fu riaperta al culto solo nel 19561293. Architettura In origine la chiesa doveva essere di minori dimensioni e vi si accedeva lateralmente dalla via di Castelvecchio (oggi via Pietro Rondoni), attraverso un sovrappasso che terminava di fronte ad un piccolo portale, di cui si possono ancora individuare le tracce sul paramento in laterizi del fianco sinistro. L’esistenza di questo piccolo cavalcavia che collegava il fianco della chiesa con la strada di fronte, scavalcando lo “sdrucciolo dei Mangiadori”1294, sarebbe confermata dalla toponomastica più antica: la piazza sottostante, oggi piazza Bonaparte, era detta “del Ponticello”, e la porta adiacente alla chiesa era chiamata anche Porta del Ponticello1295. Attualmente l’ingresso dell’edificio si trova sulla facciata, delimitata da due lesene e conclusa da un timpano in stile neoclassico, sul quale sono stati collocati due vasi e una Madonna in terracotta, sostituita con una copia dall’originale nel dopoguerra1296. Il portale al centro è in pietra serena e sull’architrave è inscritta la data della sua realizzazione, 1598. In asse con il portale si trova un oculo in laterizi, anch’esso di epoca moderna, e subito sotto rimangono i frammenti di un arco a tutto sesto, con una ghiera composta da cunei disposti per fascia graffiati ad unico senso e circondata da semplici elementi curvilinei arrotati ma non graffiati. I frammenti sono 1289

Nanni, G., Regoli, I., San Miniato, cit., p. 48; Piombanti, G., Guida della città di San Miniato, cit., p. 104. 1290 Piombanti, G., Guida della città di San Miniato, cit., p. 104; San Miniato, il Valdarno Inferiore e la Valdera, cit., pp. 65-66. 1291 Nanni, G., Regoli, I., San Miniato, cit., p. 48; San Miniato, il Valdarno Inferiore e la Valdera, cit., pp. 65-66. 1292 Piombanti, G., Guida della città di San Miniato, cit., p. 104; Nanni, G., Regoli, I., San Miniato, cit., p. 48; San Miniato, il Valdarno Inferiore e la Valdera, cit., pp. 65-66. 1293 Nanni, G., Regoli, I., San Miniato, cit., p. 48. 1294 Oggi via dei Mangiadori, dal nome della ricca famiglia sanminiatese che abitava in quella zona: Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., p. 98. Sulla famiglia Mangiadori si veda Morelli, P., La nascita del convento domenicano, cit., p. 18. 1295 Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., p. 70; Piombanti, G., Guida della città di San Miniato, cit., p. 104 e p. LV. 1296 Nanni, G., Regoli, I., San Miniato, cit., p. 48.

148. Chiesa di S. Pietro di Santo Pietro Belvedere (piviere di Sovigliana) Note storiche La località Santo Pietro compare per la prima volta in uno degli atti di livello del 10681298. Del castello, documentato per la prima volta nel 1098, divenuto sede 1297

Cristiani Testi, M. L., San Miniato al Tedesco, cit., p. 70; Nanni, G., Regoli, I., San Miniato, cit., p. 48. Pescaglini Monti, R., Dalla Valdera alla Valdisola, cit., pp. 301302. 1298

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L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV) di capitania intorno al 13001299, si hanno notizie anche in età moderna, e anche se non si sono conservate tracce delle strutture medievali, l’antica conformazione urbanistica è ancora riconoscibile all’interno del centro abitato. La chiesa, ricostruita nell’Ottocento su progetto dell’architetto Pietro Bernardini1300, è attestata nel 1209 e compare nell’estimo del 1260 e in tutte le decime successive1301. Nel 1384 gli furono concessi il fonte battesimale e il cimitero, perchè la pieve di Sovigliana era distante un miglio, in luogo deserto, separata da un fiume senza ponte e il rettore vi risiedeva saltuariamente1302. Durante la visita pastorale del 1466 la chiesa fu trovata in ordine e officiata1303. Al suo interno era custodita un’acquasantiera databile alla seconda metà del XII secolo, oggi nel Museo Nazionale di Pisa, che reca incisa sul bordo superiore la firma dello scultuore (Magister Johannes cum discipulo suo Leonardo), influenzato dal Maestro Guglielmo1304.

Casteldelbosco e il torrente Chiecina1309. Secondo Morelli invece l’antica chiesa sarebbe da localizzare nei pressi della stazione ferroviaria di La Rotta, sulla collina di S. Remedio1310. 151. Chiesa dei Ss. Romano e Matteo di S. Romano (piviere di Fabbrica) Note storiche La chiesa è menzionata nell’estimo del 1260, nelle decime del 1275-77 e del 1302-03, dove compare come S. Romano di Villa S. Romano1311. Nel 1466 era in rovina (combusta) e priva di cura d’anime1312. È da identificare con il podere S. Lorenzo ai Casotti di S. Romano1313. 152. Chiesa di S. Lorenzo di San Ruffino (piviere di Sovigliana) Note storiche La chiesa, ancora esistente ma priva di strutture di epoca medievale, è attestata nell’estimo del 1260 e nelle decime del 1302-031314.

149. Chiesa di S. Quintino (piviere di S. Genesio) Note storiche La località viene elencata tra le villae dipendenti dalla pieve di S. Genesio nell’atto di livello del 9911305, poi la chiesa è citata nel privilegio del 1195, nell’estimo del 1260 e in tutte le decime1306. La frazione, ancora esistente a sud est di S. Miniato, si trovava sul tracciato della via Francigena, tra le pievi di Coiano e di S. Genesio, e fu probabilmente per questo motivo che la chiesa venne dedicata ad un santo francese1307.

153. Chiesa dei Ss. Stefano e Lucia di Scoccolino (piviere di Fabbrica) Note storiche Nell’estimo del 1260 è menzionata una chiesa intitolata ai Ss. Stefano e Lucia, nelle decime del 1275-77 e in quelle del 1302-03 compare invece solo con l’intitolazione a S. Stefano1315. Negli atti della visita pastorale del 1466 vengono invece menzionate due chiese, quella di S. Stefano, che era in rovina, e quella di S. Lucia, che era ancora funzionante e con cura d’anime1316. Quest’ultima venne profananta nel 1785 ed è localizzabile presso il podere S. Lucia, in località le Casine, fra la Badia e S. Miniato Basso1317.

150. Chiesa di S. Remigio (piviere di Lavaiano) Note storiche La chiesa, oggi scomparsa, è attestata nell’estimo del 1260 come unica suffraganea della pieve di Lavaiano1308. Repetti la localizzava nella piccola valle denominata Ramista, toponimo da cui sarebbe derivato il nome della Villa di Varramista (dalla contrazione di Valramista), tra

154. Chiesa dei Ss. Cristoforo e Jacopo di Scopeto (piviere di Corazzano) 1299

Leverotti, F., L’organizzazione amministrativa del contado pisano dalla fine del ‘200 alla dominazione fiorentina: spunti di ricerca, in «Bollettino storico pisano», 61, 1992, pp. 47, 57; Pescaglini Monti, R., Dalla Valdera alla Valdisola, cit., p. 304. 1300 San Miniato, il Valdarno inferiore e la Valdera, cit., pp. 125-126. 1301 Archivio Arcivescovile di Lucca, Diplomatico, *L67; Pescaglini Monti, R., I pivieri di Sovigliana, cit., p. 134-135; Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 202, 222, 269; Tuscia, II, cit., p. 281. 1302 Archivio Arcivescovile di Lucca, Libri antichi, 37, c. 117. 1303 Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali (1465-1474), libro 9, + E., c. 95; Mannari, L., Visita pastorale del Vescovo di Lucca dell’anno 1466, cit., p. 36 1304 San Miniato, il Valdarno inferiore e la Valdera, cit., p. 42. 1305 Memorie e documenti, cit., t. V, parte III, n. 1672, pp. 552-553; Stopani, R., La via Francigena in Toscana, cit., p. 29, n. 27. 1306 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 203, 220, 272; Tuscia, II, cit., p. 279. 1307 Stopani, R., La Via Francigena, cit., p. 21 e n. 27; Stopani, R., La via Francigena in Toscana, cit., p. 29, n. 27. 1308 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., p. 267.

Note storiche Il castello di Scopeto è documentato a partire dal 10041318. La chiesa compare nell’estimo e nelle decime del 1276-77, unita alla chiesa di S. Pietro di Balconevisi e 1309

Repetti, E., Dizionario, cit., vol. II, p. 664. Morelli, P., Il territorio tra Arno-Era e Roglio, cit., p. 289. Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 203, 221, 272; Tuscia, II, cit., p. 279. 1312 Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali, 9, c. 243. 1313 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p., p. 86. 1314 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., p. 269; Tuscia, II, cit., p. 281. 1315 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 203, 221, 272; Tuscia, II, cit., p. 280. 1316 Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali, 9, c. 243. 1317 Archivio Vescovile di San Miniato, Atti beneficiali, H 3, n. 6; Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 86. 1318 Dini, F., Dietro i nostri secoli, cit., p. 87. 1310 1311

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3. Repertorio degli edifici originale durante la ricostruzione del prospetto. Il paramento murario dell’intero edificio infatti è costituito da conci in pietra calcarea di grandi dimensioni, squadrati e spianati, tra i quali alcuni di maggiori dimensioni inseriti nelle cantonate in funzione statica, mentre altri sono disposti in filari orizzontali abbastanza regolari, ma sono alternati con materiali diversi, come bozzette in pietra, ciottoli e laterizi, ad indicare che si tratta molto probabilmente di un rimontaggio1326. Le parti maggiormente alterate sono la facciata, la zona absidale e il fianco destro, sul quale era stata aggiunta una piccola cappella, ora andata quasi completamente distrutta, a cui si accedeva tramite un arcone dall’interno. Il fianco sinistro invece presenta in alcune zone un tessuto murario maggiormente intatto, pur essendo oggi gravemente lesionato per la presenza di profonde crepe. Qui si è conservato il portale laterale, ora tamponato, costituito da conci verticali negli stipiti e da un architrave monolitico a timpano, identico a quello in facciata ma qui impostato su due mensole in pietra che si insinuano profondamente nella muratura. Un terzo architrave della stessa tipologia e datato insieme agli altri all’XI-XII, era stato individuato nei dintorni della chiesa e forse proveniva da un portale originariamente aperto sul fianco destro e poi eliminato con l’aggiunta della cappella1327. Nella zona superiore del fianco sinistro, quasi in asse con il portale, si apriva una monofora, ora anch’essa tamponata, che conserva ancora la ghiera in conci di pietra disposti in modo radiale. All’interno, attualmente non agibile, la parete di fondo intorno all’altare presenta una decorazione ad affresco realizzata nel Settecento1328.

durante la visita pastorale del 1466 era ancora in attività1319. Sarebbe localizzabile a poca distanza dalla chiesa cinquecentesca di S. Pietro di Balconevisi, nel bosco detto “della chiesa vecchia”1320. 155. Chiesa di S. Lucia di Segalare (piviere di Sovigliana) Note storiche La località è attestata per la prima volta nell’atto di livello del 10211321. La chiesa, menzionata nell’estimo e nelle decime del 1302-03, durante la visita pastorale del 1466 risultava priva di rettore1322. Fu demolita alla metà del Settecento, ed è localizzabile presso la località Quercione, sulla riva sinistra del Cascina tra Cevoli e San Ruffino1323. 156. Chiesa di S. Nicola di Sessana (piviere di Aquis) Note storiche La chiesa, menzionata nell’estimo del 1260, nelle decime del 1276-77 e in quelle del 1302-03, si trova ai piedi della collina di Usigliano di Lari, nella zona a nord di Casciana Alta, che anticamente si chiamava Sessana (o Sezzana)1324. Caciagli riferisce che il castello di Casciana anticamente era distinto in due borghi uno in alto intorno alla rocca, chiamato Sessana, e uno più in basso, detto della Croce1325. Architettura L’edificio, inserito tra alcune case coloniche, è oggi in grave stato di abbandono e in pessime condizioni, privo di copertura e circondato dalla vegetazione. Tuttavia possiamo notare che si tratta di una semplice aula unica che ha subito numerosi interventi nel tempo che hanno profondamente alterato il suo aspetto originario. Sulla facciata a capanna sono stati aperti un finestrone centrale sotto al timpano e due finestre quadrate ai lati del portale d’ingresso, che presenta degli stipiti realizzati con grossi blocchi di pietra squadrata murati in senso verticale e un architrave monolitico a forma di timpano, sormontato da un arco a tutto sesto in laterizi tamponato (tav. 10). L’architrave a timpano è simile a quelli che si ritrovano nella chiesa di S. Martino al Colle e di S. Andrea a Petriolo e probabilmente è stato reimpiegato qui insieme ad altro materiale recuperato dall’edificio

157. Chiesa di S. Maria di Soffiano (piviere di Fabbrica) Note storiche La località è documentata a partire dal 942, in un atto di vendita, e compare ancora nel 9541329. La chiesa è menzionata nell’estimo del 1260 e nelle decime del 1302031330. Da localizzare nei dintorni di Roffia, in riva all’Arno a nord di S. Miniato1331. 158. Chiesa dei Ss. Andrea e Maria di Soiana (piviere di Sovigliana) Note storiche Soiana è ricordata tra i villaggi dipendenti dalla pieve di Sovigliana negli atti di livello del 980 (Subiana) e del

1319 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 221, 271; Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali, 9, c. 320. 1320 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 88. 1321 Pescaglini Monti, R., Dalla Valdera alla Valdisola, cit., p. 301. 1322 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., p. 269; Tuscia, II, cit., p. 282; Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali (1465-1474), libro 9, + E., c. 91; Mannari, L., Visita pastorale del Vescovo di Lucca dell’anno 1466, cit., p. 31. 1323 Repetti, E., Dizionario, cit., vol. III, p. 65; Pescaglini Monti, R., Dalla Valdera alla Valdisola, cit., p. 303. 1324 Pescaglini Monti, R., La plebs e la curtis de Aquis nei documenti altomedievali, in «Bollettino Storico Pisano», 50, 1981, pp. 5-6; Repetti, E., Dizionario, cit., vol. V, p. 293; Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 222, 269; Tuscia, II, cit., p. 282. 1325 Caciagli, G., Pisa, cit., vol. IV, pp. 528-529.

1326

Ducci, A., Badalassi, L., Tesori medievali, cit., p. 50. Ibidem, pp. 50-51. 1328 Ibidem, p. 49. 1329 Memorie e documenti, cit., t. V, parte III, n. 1289, p. 192 e n. 1355, p. 253. 1330 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., p. 273; Tuscia, II, cit., p. 280 1331 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 85; Dini proponeva di localizzarla fra La Catena, frazione di S. Miniato, e l’Arno, ai piedi del colle di Cigoli: Dini, F., Dietro i nostri secoli, cit., pp. 78-79. 1327

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L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV) 1021 (Sujana)1332, mentre nell’atto di livello del 1068 compare la località Sant’Andrea, da identificarsi con questa1333. Il castello è attestato per la prima volta nel 1120, fra i beni dell’abbazia di Morrona, proprietà dei conti Cadolingi1334, e se ne hanno notizie anche in età moderna. La chiesa è ricordata nell’estimo del 1260 e nelle decime del 1302-031335. Nel 1466 la chiesa risultava ancora officiata1336, ma fu ricostruita interamente dopo il terremoto del 1846, tra il 1852 e il 18971337.

161. Chiesa di S. Martino di Sterpaia (piviere di Triana) Note storiche La chiesa, oggi scomparsa, è menzionata solo nell’estimo del 1260 e la località, menzionata nell’atto di livello del 1014, è identificabile con il podere Sterpaia a sud di Ponsacco, sulla sponda sinistra del fiume Cascina1345. 162. Chiesa di S. Bartolomeo di Stibbio (piviere di Fabbrica)

159. Chiesa di S. Martino di Soianella (piviere di Sovigliana)

Note storiche Il castello di Stibbio, proprietà dei conti Cadolingi, è menzionato in un documento del 1081 e poi in un altro del 11911346. La chiesa, documentata nell’estimo del 1260, nelle decime del 1275-77 e del 1302-031347, ha attraversato alcuni periodi di decadenza che hanno portato alla successione di diverse demolizioni e ricostruzioni. L’edificio attuale è il frutto del rifacimento ottocentesco ma la chiesa antica era già stata restaurata durante il XVI secolo ed era stata riconsacrata nel 1575 dal vescovo Alessandro Guidiccioni. Secondo quanto riportato da un inventario del 1634, l’arredo doveva essere piuttosto ricco, forse per la presenza di una fattoria medicea nelle vicinanze. L’edificio cinquecentesco risultava già in rovina quando il pievano Flaminio Jacoponi promosse la sua ricostruzione alla fine del 1861, affidando il progetto a Pietro Bernardini da Pescia. La chiesa venne consacrata nel 1864 ma i lavori proseguirono negli anni successivi, anche dopo la morte dell’architetto nel 1865 e del pievano nel 1892, con la collocazione dell’organo e della cantoria tra il 1872 e il 1878, la costruzione della nuova cappella del Sacro Cuore tra il 1874 e il 1887 e la realizzazione della pavimentazione nel 19061348.

Note storiche La località è attestata per la prima volta in un atti di livello del 1064, tra i villaggi dipendenti dalla pieve di Sovigliana1338. La chiesa, oggi scomparsa, è documentata nel 1015 e ricompare nelle decime del 1302-031339. Nel 1466 fu trovata con la parte anteriore danneggiata e il rettore promise di farla riparare1340. 160. Chiesa di S. Maria di Solaia (piviere di Sovigliana) Note storiche La località compare negli atti di livello del 980 e del 1021 tra i villaggi del piviere di Sovigliana1341. La chiesa, oggi scomparsa, è menzionata nel 1004 tra i beni donati dal conte Gherardo II dei Gherardeschi al monastero di Serena, da lui fondato1342, e ricompare nell’estimo del 1260, nelle decime del 1275-77 e in quelle del 1302031343. Nel 1362 il rettore rinuncia alla carica sostenendo che in seguito alle guerre il beneficio non gli garantiva più il sostentamento1344.

163. Chiesa di S. Margherita di Tavelle (piviere di S. Gervasio) 1332

Memorie e documenti, cit., t. V, parte III, n. 1517, p. 399; Pescaglini Monti, R., Dalla Valdera alla Valdisola, cit., p. 301. 1333 Pescaglini Monti, R., I pivieri di Sovigliana, cit., p. 133. 1334 Alberti, A., I castelli della Valdera, cit., p. 60. 1335 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., p. 269; Tuscia, II, cit., p. 281. 1336 Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali (1465-1474), libro 9, + E., c. 91; Mannari, L., Visita pastorale del Vescovo di Lucca dell’anno 1466, in «Bollettino dell’Accademia degli Euteleti di San Miniato», 43, 1974, pp. 32-33. 1337 San Miniato, il Valdarno Inferiore e la Valdera, cit., pp. 147-148. 1338 Archivio Arcivescovile di Lucca, Diplomatico, * 53; Pescaglini Monti, R., I pivieri di Sovigliana, cit., p. 133. 1339 Archivio Arcivescovile di Lucca, Diplomatico, ++ P23; Alberti, A., I castelli della Valdera, cit., p. 24; Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, II, cit., p. 282. 1340 Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali (1465-1474), libro 9, + E., c. 91; Mannari, L., Visita pastorale del Vescovo di Lucca dell’anno 1466, cit., p. 32. 1341 Memorie e documenti, cit., t. V, parte III, n. 1517, p. 399; Pescaglini Monti, R., Dalla Valdera alla Valdisola, cit., p. 301. 1342 Pescaglini Monti, R., I pivieri di Sovigliana, cit., p. 131. 1343 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 202, 222, 269; Tuscia, II, cit., p. 282. 1344 Archivio Arcivescovile di Lucca, Libri antichi, 67, c. 164; Pescaglini Monti, R., I pivieri di Sovigliana, cit., p. 136.

Note storiche Nell’atto di livello del 980 è citata la località Tavernule, che si trovava lungo la via vallis Arni, la strada che collegava Firenze con Pisa lungo il corso dell’Arno1349. La chiesa di S. Margherita è citata tra i beni donati nel 1004 dal conte Gherardo della Gherardesca all’abbazia di Serena1350, e successivamente compare nell’estimo del

1345 Pescaglini Monti, R., Dalla Valdera alla Valdisola, cit., pp. 312313; Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., p. 267. 1346 Dini, F., Dietro i nostri secoli, cit., p. 94 e 103; Archivio Arcivescovile di Lucca, A F 2; Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 106. 1347 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 203, 221, 273; Tuscia, II, cit., p. 280. 1348 Visibile pregare. Arte sacra nella Diocesi di San Miniato, a cura di R.P. Ciardi, Pisa 2000, p. 110. 1349 Morelli, P., Borgo San Genesio, la strata Pisana e la via francigena, cit., p. 128. 1350 Morelli, P., Il territorio tra Arno-Era e Roglio, cit., p. 290.

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3. Repertorio degli edifici 1260 ma non nelle decime successive1351. La chiesa risultava già in rovina nel 1466 e nel 1597 l’arcivescovo di Pisa la unì alla Compagnia del SS. Salvatore di Pontedera1352. È localizzabile tra Pontedera e La Rotta, presso il podere Favella .

165. Chiesa di S. Michele di Treggiaia (piviere di S. Gervasio) Note storiche La chiesa, oggi scomparsa, è menzionata solo nell’estimo del 1260 e durante la visita pastorale del 1564 fu trovata completamente distrutta1358.

164. Chiesa dei Ss. Lorenzo e Bartolomeo di Treggiaia (piviere di S. Gervasio) 166. Chiesa di S. Vittore di Treggiaia (piviere di S. Gervasio)

Note storiche Treggiaia non compare fra le dipendenze di San Gervasio elencate nel documento del 980, e non ci sono informazioni sufficienti per stabilire quando l’insediamento si sia sviluppato. Tuttavia è stato ipotizzato che la fortificazione del villaggio sia avvenuta in seguito ad un movimento migratorio consistente, agli inizi del XIII secolo, probabilmente su iniziativa del comune di Lucca, nell’ambito della riorganizzazione della Valdera in funzione antipisana1353. Nell’estimo del 1260 e nelle decime vengono menzionate le tre chiese di Treggiaia, SS. Lorenzo e Bartolomeo, S. Vittore e S. Michele1354: la prima è l’attuale chiesa parrocchiale di Treggiaia ed è ricordata anche nelle decime del 1276-77 e del 1302-03, ma in realtà il titolo di S. Bartolomeo deriva da un’altra chiesa situata nei dintorni e unita già nel 1260 alla chiesa del castello, in origine intitolata solo a S. Lorenzo1355. Nell’estimo non compare invece la chiesa di S. Giusto, che è documentata nel XIV secolo, situata nella valle omonima, ma che fu profanata nel 1797 ed è scomparsa. La chiesa dei SS. Lorenzo e Bartolomeo durante la visita pastorale del 1466 venne trovata in stato di abbandono1356.

Note storiche La chiesa, scomparsa, è attestata a partire dalla seconda metà del XII secolo ed è ricordata solo nell’estimo del 1260 e non nelle decime successive1359. Durante le visite pastorali del 1466 e del 1575 fu trovata in rovina e non venne mai ricostruita1360. È da localizzare nei dintorni di Treggiaia, presso la località Mercatale1361. 167. Chiesa dei Ss. Fabiano e Stefano di Tremoleto (piviere di Tripalle) Note storiche La chiesa, menzionata solo nell’estimo del 1260 e non nelle decime successive, è documentata dal 1242 mentre il castello di Tremoleto è attestato dal 10121362. Negli atti della visita pastorale del 1383 il rettore di Tremoleto deteneva altri tre benefici del piviere, quelli delle chiese di Vicchio, Colle Alberti e Montalto1363. Durante la visita pastorale del 1466 la chiesa fu trovata in ordine1364, ma la chiesa attuale, situata nella località ancora esistente, frazione del comune di Lorenzana, a sinistra dell’Isola, risale al 17871365.

Architettura L’edificio, restaurato nel 19571357, è ad aula unica con transetto ed abside a terminazione piana, e presenta una semplice facciata a capanna, con un portale centrale in pietra, sormontato da un frontone spezzato, attribuibile ai restauri settecenteschi, e un piccolo rosone strombato. Il paramento è costituito da blocchi in pietra arenaria ben squadrati e spianati, di dimensioni variabili, distribuiti in filari abbastanza regolari, probabilmente frutto di un rimontaggio realizzato in parte con materiale originale e in parte con bozzette nuove. L’interno è interamente intonacato ed è coperto con capriate lignee. Entrambi i fianchi dell’edificio sono coperti da alcune abitazioni che gli sono state addossate e quella sul lato destro presenta un portale identico a quello della chiesa, che reca iscritta sull’architrave in pietra serena la data 1720. 1351

168. Chiesa dei Ss. Cristoforo e Iacopo di Tripalle (piviere di Tripalle) Note storiche La chiesa, situata all’interno del castello di Tripalle, è l’unica del piviere ad essere attestata nell’XI secolo, nel 1045, in un documento che riporta la donazione della 1358 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., p. 270; Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali, 14, c. 567; Morelli, P., La pieve di S. Gervasio di Verriana e il suo territorio, cit., p. 61. 1359 Archivio di Stato di Pisa, Acquisto Roncioni, n. 87: la pergamena è danneggiata e non reca la data esatta, ma è stata attribuita alla seconda metà del XII secolo, si veda: Morelli, P., La pieve di S. Gervasio di Verriana e il suo territorio, cit., p. 61, nota 162; Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., p. 270. 1360 Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali, 9, c. 103 e 26, c. 239v. 1361 Morelli, P., La pieve di S. Gervasio di Verriana e il suo territorio, cit., p. 61. 1362 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., p. 268; Pescaglini Monti, R., I pivieri di Sovigliana, cit., pp. 175 e 177; Caturegli, N., Regesto pisano, cit., n. 87. 1363 Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali, 2, cc. 148-149. 1364 Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali (1465-1474), libro 9, + E., c. 77; Mannari, L., Visita pastorale del 1466, cit., pp. 36-37. 1365 Caciagli, G., Pisa, cit., vol. IV, p. 552; San Miniato, il Valdarno Inferiore e la Valdelsa, cit., p. 138.

Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., p.

270 1352

Morelli, P., Il territorio tra Arno-Era e Roglio, cit., p. 290. Morelli, P., La pieve di S. Gervasio di Verriana, cit., p. 59. 1354 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 222, 269-270; Tuscia, II, cit., p. 283. 1355 Morelli, P., Il territorio tra Arno-Era e Roglio, cit., p. 290. 1356 Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali, 9, c. 102. 1357 San Miniato, il Valdarno Inferiore e la Valdera, cit., pp. 118-119. 1353

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L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV) superficie non è ancora stata accertata la sua esatta ubicazione1376. La chiesa è attestata per la prima volta nell’estimo del 1260, dove viene elencata tra le chiese suffraganee della pieve di Musciano, poi ricompare nelle decime del 127677 e in quelle del 1302-031377. Nella relazione della visita pastorale del 1588 la chiesa risultava in cattivo stato, sconsacrata e con il pavimento rovinato, ma già in occasione della visita successiva, nel 1683, l’edificio fu trovato in ordine, e nei registri della visita del 1777 vengono ricordati tre altari1378. Le sue origini sono ancora sconosciute, ma nell’Ottocento uno storico locale ipotizzava che la sua costruzione fosse stata promossa da una potente famiglia pisana come i Gherardeschi, aggiungendo che nei secoli successivi fu contesa tra Pisa e Lucca e che nel 1713, come si leggeva in una iscrizione, fu ricostruita e riconsacrata dal vescovo di San Miniato, evidentemente perchè era andata distrutta1379.

chiesa e dell’intero castello da parte di due coniugi di alto rango, Sibilla del fu Lieto e Gherardo del fu Tedice, ai canonici della cattedrale pisana1366. Nel 1060 tutti i beni vengono allivellati ad un membro della famiglia nobile pisana degli Orlandi1367. Dopo essere stato a lungo l’unico centro fortificato del piviere, nel 1345 il castello venne distrutto dall’esercito di Luchino Visconti1368. La chiesa, menzionata nell’estimo del 1260 e nelle decime del 1275-76, durante la visita pastorale del 1466 venne trovata in ordine e officiata1369. Nel 1785 il vescovo di San Miniato le unì il titolo dell’antica pieve di Migliano, ormai demolita1370. 169. Chiesa di S. Pietro di Usigliano (piviere di Musciano) Note storiche La località di Usigliano, situata sulle colline a nord di Palaia, è ricordata per la prima volta in un atto di livello del 1017, con il quale il vescovo di Lucca Grimizzo concedeva a un certo Lamberto del fu Bruno la pieve di S. Pietro di Musciano con tutte le decime dovute dagli abitanti delle villae del piviere1371. Le origini del castello sono ancora sconosciute, ma secondo il Repetti la località era conosciuta anche con il nome di Usigliano del Vescovo perchè nel 1078 la contessa Matilde di Canossa donò il castello al vescovo di Lucca, e alcuni privilegi imperiali successivi confermarono questi diritti di signoria alla diocesi lucchese1372. Ma già un secolo dopo tali diritti di signoria vennero riconosciuti all’arcivescovo di Pisa, con il privilegio concesso da papa Innocenzo II nel 11371373: con questo documento il papa confermava all’arcivescovo Uberto la proprietà di alcuni castelli situati al di fuori dei confini diocesani, che avevano un ruolo fondamentale nell’ambito della politica espansionistica pisana verso l’entroterra, al fine di controllare la principali vie di comunicazione lungo la valle dell’Arno e dei suoi affluenti1374. Tuttavia nel 1194 Enrico VI riconosceva nuovamente al vescovo di Lucca i diritti sul castello di Usigliano1375. Del castello non sono rimaste tracce visibili e dopo molte ricognizioni di

Architettura L’edificio, ad aula unica, ha subito diversi interventi in epoca moderna ed è stato parzialmente inglobato da alcune strutture che sono state annesse sul fianco sinistro e sulla zona absidale, tuttavia si sono conservate in parte alcune delle strutture originarie bassomedievali. Attualmente sono quindi rimaste visibili la facciata, intonacata in epoca moderna, l’estremità del fianco sinistro, anch’esso intonacato, e l’intero fianco destro, dove fortunatamente si è conservato intatto il paramento in laterizi. La facciata a capanna presenta un semplice portale architravato in pietra serena, che riporta incisa la data 1866, e un’apertura a forma di lunetta, evidentemente riferibili entrambi all’epoca moderna. Sono state risparmiate dall’intonacatura le due lesene angolari in laterizi, che inquadrano la facciata proseguendo anche sui due fianchi laterali e che ospitano due bacini ceramici (tav. 40). In origine i bacini dovevano essere almeno quattro: sulla facciata si distinguono chiaramente due cavità, uno su ciascuna lesena, situati più o meno alla stessa altezza, a circa due terzi da terra, ma visto lo stato di conservazione del paramento, che si presenta molto manomesso, non si può escludere la possibilità che ve ne fossero altri. In particolare sembra di poter notare le tracce di un incavo più piccolo all’estremità superiore della lesena sinistra e uno tamponato con frammenti di laterizi sulla faccia laterale della stessa lesena. I due esemplari sopravvissuti, situati sulle due lesene angolari poco al di sotto del tetto, uno sul fianco sinistro della chiesa e l’altro sul destro, furono segnalati per la prima volta da Ciampoltrini nel 1980 e sono stati riconsiderati

1366

Pescaglini Monti, R., I pivieri di Sovigliana, cit., p. 174. Pescaglini Monti, R., Dalla Valdera alla Valdisola, cit., p. 327. 1368 Pescaglini Monti, R., I pivieri di Sovigliana, cit., p. 178; Bocci, F., Le colline inferiori pisane. Notizie raccolte per cura del Cav. Dott. Felice Bocci, Livorno 1901, ristampa anastatica Pisa 1976, pp. 185, 192-194. 1369 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 201, 268; Tuscia, II, cit., p. 282; Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali (1465-1474), libro 9, + E., c. 81; Mannari, L., Visita pastorale del 1466, cit., pp. 42-43. 1370 Ronzani, M., Definizione e trasformazione di un sistema di inquadramento ecclesiastico, cit., p. 119. 1371 Memorie e documenti, cit., t. V, parte III, n. 1732, p. 654. 1372 Repetti, E., Dizionario, cit., vol. V, pp. 610-611. 1373 Morelli, P., Chiese, villaggi e castelli, cit., p. 62. 1374 Oltre a Usigliano vengono menzionati Colleoli e Ricavo in questa medesima zona e Lari, Cevoli e Lucagnano in Valdera, si veda Terre nuove nel Valdarno pisano medievale, a cura di M.L. Ceccarelli Lemut e G. Garzella, Pisa 2005, p. 33; Ceccarelli Lemut, M. L., Medioevo pisano: chiesa, famiglie, territorio, Pisa 2005, pp. 52-55. 1375 Alberti, A., I castelli della Valdera, cit., p. 82; Morelli, P., Pievi, castelli, comunità, cit., p. 103. 1367

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Alberti, A., I castelli della Valdera, cit., pp. 82-84. Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 222, 270; Tuscia, II, cit., p. 283. 1378 Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali, 33, c. 53v.; Archivio Vescovile di San Miniato, Visite pastorali, 61 e 66, c. 265. 1379 Ducci, A., Badalassi, L., Tesori medievali, cit., pp. 78-79; Donati, I., Memorie e documenti per la storia di Montopoli: da un manoscritto dell’Avv. Ignazio Donati dell’anno 1860 donato dall’autore al comune di Montopoli, Montopoli Val d’Arno 1905, rist. anast. Pontedera s. d., pp. 237 sg. 1377

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3. Repertorio degli edifici più recentemente dalla Berti1380. Si tratta di due bacini dalle forme e dalle dimensioni leggermente diverse ma entrambi privi di tesa, decorati in verde e bruno (ramina e manganese) su smalto stannifero bianco, il più grande con fasce a squame puntinate e un fiore al centro, il più piccolo con raggi in bruno che si dipartono da un piccolo tondo centrale. Entrambi sono stati riferiti alla seconda fase produttiva della “maiolica arcaica” pisana e quindi sarebbero databili alla prima metà del XIV secolo1381. Come è già stato osservato, l’inserimento di maioliche arcaiche pisane su edifici al di fuori dell’ambito cittadino risulta piuttosto limitato. Questo di Usigliano rappresenta il terzo caso dopo quello della pieve di Marti e della chiesa di S. Francesco di San Miniato. Fin da subito questi bacini ceramici sono stati avvicinati agli esemplari della chiesa di S. Martino di Pisa e del campanile di S. Francesco a Pisa, edifici collocabili entrambi tra la fine del XIII e i primi decenni del XIV secolo1382, ed è stato osservato che anche altri elementi decorativi presenti nella chiesa di Usigliano si ritrovano molto simili nelle due chiese pisane. Si tratta degli archetti pensili trilobati in cotto che costituiscono il coronamento delle due pareti laterali, intervallati da lesene dallo spessore regolare (60 cm), che partono da uno zoccolo per terminare proprio sotto il tetto (tav. 41). Sul fianco sinistro, nella porzione rimasta libera dall’edificio che gli è stato addossato, è ancora visibile solo una delle lesene, oltre a quella angolare, e solo gli archetti sono stati risparmiati dall’intonaco; il fianco destro invece è suddiviso da sei lesene. Osservando gli archetti su questo lato è possibile individuare due tipologie, che potrebbero corrispondere a due fasi costruttive diverse (tav. 42): procedendo dalla facciata fino alla terza lesena gli archetti sono costituiti da pezzi speciali speculari dal profilo esterno curvo e quello interno sagomato a formare la trilobatura, poggianti su mensoline tronco-piramidali piuttosto schiacciate, sostenute da peducci sagomati, alcuni dei quali sono scolpiti a creare motivi diversi, altri hanno semplici decori geometrici incisi; gli spazi di risulta tra gli archetti sono riempiti con frammenti di laterizi e sotto i peducci corre una cornice in aggetto. Dalla terza lesena in poi invece gli archetti sono realizzati con laterizi inseriti per foglio, quindi dal profilo esterno quadrangolare, sagomati all’interno per ricavare la trilobatura, accostati gli uni agli altri senza l’inserimento di frammenti riempitivi, e caratterizzati da una coloritura rosso scuro che contrasta con il tono più arancio dei laterizi circostanti; le mensolette sono più spesse delle precedenti e i peducci sagomati sono tutti uguali, mentre la cornice sottostante è formata da due listelli di cui uno a sezione circolare. L’intero coronamento in questa porzione della parete risulta spostato più in alto, immediatamente sotto lo spiovente del tetto, mentre nella zona precedente, tra la

fascia decorativa e il tetto sono inseriti due filari di mattoni; per questo motivo le cornici sottostanti gli archetti non corrono alla stessa altezza su tutto il fianco. Sulla parete laterale sinistra, di cui rimane visibile solo la parte adiacente alla facciata fino alla seconda lesena, gli archetti sono della stessa tipologia della zona corrispondente sull’altro fianco (tav. 40). Sul campanile della chiesa di S. Andrea a Palaia ritroviamo degli archetti trilobati identici a quelli della zona terminale del fianco destro della chiesa di Usigliano: anche questi sono costituiti da laterizi speculari messi per foglio e sagomati a creare la forma trilobata, quelli del primo ordine hanno anche gli stessi peducci sagomati1383, ma quelli del secondo e del terzo hanno peducci scolpiti a forma di foglie triangolari, mentre ritorna una cornice identica a quella di Usigliano, costituita da un listello curvo e uno sagomato. La zona absidale è stata completamente inglobata dall’abitazione che le è stata addossata e la parte terminale del fianco destro, dopo l’ultima lesena, presenta un paramento costituito in parte da conci in pietra, squadrati in modo non molto regolare, di varie dimensioni, disposti in filari orizzontali ma intervallati da inserti di mattoni di ampiezza variabile. Questa zona in pietra, che parte da terra senza arrivare al tetto, è di difficile interpretazione: forse l’edificio venne iniziato in pietra1384, oppure potrebbe trattarsi di una parte preesistente inglobata nel nuovo edificio, risalente alla struttura romanica precedente, interrotta oppure ricostruita, ma potrebbe trattarsi anche del reimpiego di materiale proveniente dalla primitiva costruzione1385. Ad eccezione di questa piccola porzione in pietra, il paramento del fianco destro è costituito da laterizi non arrotati, messi in opera con giunti molto spessi, e che recentemente sono stati misurati per trarne una mensiocronologia e confrontarli con quelli delle vicine chiese di Palaia1386. 170. Chiesa di S. Frediano di Usigliano di Lari (piviere di Aquis) Note storiche La chiesa, menzionata nell’estimo e nelle decime del 1276-77 e in quelle del 1302-031387, si trova nell’attuale frazione di S. Frediano di Usigliano di Lari, detta anche S. Frediano alle Cave, per la presenza di cave di pietra lenticolare o lumachella (tufo calcareo marino)1388.

1383 Sono diverse invece le mensolette, che qui sembrano molto più schiacciate, anche se il loro stato di conservazione non è molto buono. 1384 Gotti, M., Chiese medievali della Valdera lucchese, cit., p. 227. 1385 Ducci, A., Badalassi, L., Tesori medievali, cit., pp. 77-78. 1386 Mensiocronologia: lunghezza 29,12 cm, larghezza 12,67 cm, spessore 5,38 cm, si veda Alberti, A., L’edilizia ecclesiastica medievale in laterizio, cit., p. 23. 1387 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 222, 268; Tuscia, II, cit., p. 282. 1388 Caciagli, G., Pisa, cit., vol. IV, p. 536.

1380 Ciampoltrini, G., La maiolica arcaica nel medio Valdarno inferiore, in «Archeologia Medievale», VII 1980, pp. 507-520; Berti, G., Pisa. Le “maioliche arcaiche”. Secc. XIII-XV, cit., pp. 46-48, 251-253. 1381 Berti, G., Pisa. Le “maioliche arcaiche”, cit., p. 252. 1382 Ciampoltrini, G., La maiolica arcaica, cit., p. 518; il campanile di S. Francesco ha come possibile termine ante quem il 1318, mentre la chiesa di S. Martino è stata costruita tra il 1281 e il 1332, si veda Berti, G., Pisa. Le “maioliche arcaiche”, cit., pp. 46-48.

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L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV) 171. Chiesa di S. Lorenzo di Usigliano di Lari (piviere di Aquis)

173. Chiesa di S. Stefano di Vicchio (piviere di Tripalle)

Note storiche La chiesa, elencata nell’estimo e in tutte le decime successive1389, fu restaurata nel 1312, o più probabilmente nel 1412, come si legge in una lapide inserita sopra al portale, e tra il XVII e il XVIII secolo fu costruito ex novo un nuovo edificio addossato alla chiesa più antica, consacrato nel 17071390. Insieme alla chiesa di S. Frediano di Usigliano venne sottoposta a quella di S. Nicola di Casciana nel XVIII secolo1391. Nella cappella laterale dell’attuale edificio ecclesiastico, al di sotto dell’intonaco che oggi riveste la struttura, si intravedono conci di pietra squadrati e spianati, probabilmente materiale di reimpiego proveniente dalla chiesa più antica, e la lunetta del portale con un arco a tutto sesto1392.

Note storiche La chiesa è documentata nel 1210 e ricompare nell’estimo del 1260 e nelle decime del 1302-031397. Nel 1355 risultavano essere patroni certi Andrea e Barone “de Vicchio”1398. Durante la visita pastorale del 1466 fu trovata in ordine1399. La chiesa è scomparsa ma sarebbe da localizzare a sud di Tripalle, a destra del torrente Isola1400. 174. Chiesa dei Ss. Martino e Lorenzo di Villanova (piviere di Fabbrica) Note storiche La località è documentata a partire dall’867, la chiesa compare nell’estimo del 1260 e nelle decime del 1302-03, dedicata ai ss. Martino e Lorenzo1401. Nel 1466 era ancora funzionante anche se priva di cura d’anime1402. È da localizzare presso il podere S. Lorenzo a sud di Cigoli1403.

172. Chiesa di S. Maria di Valiano (piviere di Musciano) Note storiche La chiesa è citata nell’estimo del 1260, dove risulta unita a S. Andrea di Montevecchio, non è menzionata nelle decime successive, ma ricompare nella relazione della visita pastorale del 14661393. Nel 1517 la chiesa fu ampliata e venne affidata ai Francescani Osservanti dal comune di Montopoli1394. Dalla chiesa di S. Maria nacque all’inizio del Cinquecento il santuario della Madonna di San Romano, in seguito alla crescente devozione popolare verso un’immagine mariana qui conservata1395. Il santuario derivò il nome da una chiesa vicina, oggi scomparsa, facente parte del piviere confinante di Fabbrica e menzionata nell’estimo del 1260 e in tutte le decime successive come ecclesia SS. Romani e Mathei de Villa S. Romani1396.

175. Chiesa di S. Pietro di Villa Saletta (piviere di S. Gervasio) Note storiche Nell’atto di livello del 980 tra i villaggi del piviere di San Genesio compare la località Salecto1404, corrispondente all’attuale Villa Saletta, borgo situato su una collina a sud ovest di Palaia, vicinissimo al confine con la diocesi di Volterra, in una posizione geografica particolarmente felice, circondata da vallate molto fertili e ricche di corsi d’acqua (il torrente Roglio, affluente dell’Era, il Rio Baccanella e il Rio della Tosola). In un atto di livello del 997 viene menzionato di nuovo Salecto, tra i beni posseduti nei dintorni di Palaia dall’abbazia di Sesto1405. Tra la fine del X secolo e il XIII secolo Villa Saletta è scarsamente documentata ma sappiamo che a differenza degli insediamenti vicini, come per esempio Alica, questo non venne mai fortificato, rimanendo un villaggio di piccole dimensioni per tutta l’epoca medievale1406. Nei primi decenni del XIV secolo venne acquisita da alcuni membri della famiglia pisana dei Gambacorta, insieme ai

1389 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 202, 222, 268; Tuscia, II, cit., p. 282. 1390 Il Repetti aveva riportava l’iscrizione leggendo la data 1312 (Repetti, E., Dizionario, cit., vol. V, p. 610), ma è stata corretta in 1412, si veda: Ducci, A., Badalassi, L., Tesori medievali, cit., pp. 51-52. 1391 Caciagli, G., Pisa, cit., vol. IV, p. 538. 1392 Alberti, A., I castelli della Valdera, cit., p. 28 fig. 5; Ducci, A., Badalassi, L., Tesori medievali, cit., p. 52. 1393 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., p. 270; Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali, 9, c. 232. 1394 Donati, I., Memorie e documenti per la storia di Montopoli: da un manoscritto dell’Avv. Ignazio Donati dell’anno 1860 donato dall’autore al comune di Montopoli, Montopoli Val d’Arno 1905, rist. anast. Pontedera s. d., p. 214; Morelli, P., Borgo San Genesio, cit., p. 131, nota 29; Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 84. 1395 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 84. 1396 Morelli, P., Chiese, villaggi e castelli, cit., p. 59; Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 203, 221, 272; Tuscia, II, cit., p. 279.

1397 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., p. 268; Tuscia, II, cit., p. 282; Pescaglini Monti, R., I pivieri di Sovigliana, cit., p. 175. 1398 Archivio Arcivescovile di Lucca, Libri antichi, 67, c. 42. 1399 Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali (1465-1474), libro 9, + E., c. 77; Mannari, L., Visita pastorale del 1466, cit., pp. 37-38. 1400 Repetti, E., Dizionario, cit., vol. V, p. 748; Pescaglini Monti, R., I pivieri di Sovigliana, cit., p. 175. 1401 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., p. 272; Tuscia, II, cit., p. 280. 1402 Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali, 9, c. 144. 1403 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 86 1404 Archivio Arcivescovile di Lucca, Diplomatico, + A. 30; Memorie e documenti, cit., t. V, parte III, n. 1512, p. 394. 1405 Memorie e documenti, cit., t. V, parte III, n. 1714. 1406 Alberti, A., Villa Saletta: le evidenze archeologiche e architettoniche dal Medioevo all’età moderna, in Villa Saletta in Valdera. Da villaggio medievale a fattoria modello di età moderna, a cura di A. Alberti, S. Bruni, D. Stiaffini, Pisa 2007, p. 83.

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3. Repertorio degli edifici terreni limitrofi e al vicino castello di Alica1407. Successivamente l’antico villaggio medievale, divenuto proprietà della famiglia fiorentina dei Riccardi alla fine del XV secolo, venne trasformato in borgo-fattoria tra il XVI e il XVIII secolo e si sono ben conservate gran parte delle strutture originarie, comprese la casa padronale, la casa del fattore, le abitazioni dei contadini e molte delle strutture di servizio (il frantoio, il granaio, il pozzo, i forni)1408. All’interno del borgo, oltre alla chiesa parrocchiale dedicata ai SS. Pietro e Michele, si trova anche l’oratorio privato della Madonna della Rocca, fatto costruire nel 1775 dal marchese suddecano Gabriello Riccardi1409. L’estimo del 1260 nomina due chiese riferibili alla zona di Villa Saletta: la chiesa dei Ss. Giusto e Leonardo di Rocha ad Valle, che compare anche nelle decime del 1276-77 e in quelle del 1302-03, e la chiesa dei Ss. Pietro e Michele di Salechio (o Salecto), anch’essa nelle decime del 1276-77 e del 1302-03 ma intitolata solo a S. Pietro1410. In realtà secondo Morelli si trattava di quattro cappelle distinte: la chiesa di S. Pietro è l’attuale parrocchiale e l’unica conservata anche se non nelle forme originali; S. Michele di Villone, oggi scomparsa ma localizzabile nel podere S. Michelino, esisteva ancora nel 1564 ma in rovina e non fu registrata nella visita apostolica del 15751411; S. Giusto, che fu proprietà dell’abbazia di Sesto, in rovina nel 1027, proprietà dell’abbazia di Carigi nel 1182, sconsacrata nel 1784 e demolita1412, e S. Leonardo, anch’essa sconsacrata nel 1784 ma ancora esistente, anche se in rovina e priva di tetto già all’epoca della visita pastorale del 14661413, immersa nella boscaglia in località La Rocca, a est di Villa Saletta1414.

176. Chiesa di S. Pietro di Vinosso (piviere di Fabbrica) Note storiche La chiesa è menzionata nell’estimo del 1260, nelle decime del 1275-77 e in quelle del 1302-03, ma nel 1466 era in rovina1415. È da identificare con il podere S. Piero a sud di Montebicchieri1416. 177. Chiesa di S. Stefano di Vivaia (piviere di Aquis) Note storiche Il castello di Vivaia fu fondato dai conti Cadolingi ed è attestato per la prima volta in un documento del 1109, con il quale un membro della famiglia cedeva all’abbazia di Morrona metà dei suoi beni nella corte di Aqui e nel castello di Vivaia1417. Il castello, di cui oggi non si hanno quasi più tracce, era stato costruito sulla cima di un colle a nord di Casciana Terme1418. Nel 1135 l’abate di Morrona cedette una parte dei castelli posseduti dall’abbazia per ripianare gli ingenti debiti accumulati all’arcivescovo di Pisa, che vi esercitò la giurisdizione civile fino al 14061419. La chiesa, menzionata solo nell’estimo del 1260 e non nelle decime successiva, sorgeva all’interno del castello ma venne completamente distrutta dal terremoto del 14 agosto 1846 e non è sopravvissuta nessuna traccia1420. 178. Chiesa di S. Martino di Ventignano (piviere di Fabbrica) Note storiche La località Vintiniano è citata in un documento del 1008, mentre la chiesa è documentata per la prima volta nel 10991421 e compare poi nell’estimo del 1260, nelle decime del 1275-77 e in quelle del 1302-031422. La località è ancora esistente, sulla riva sinistra dell’Arno, di fronte a Fucecchio, ma probabilmente in epoca medievale il corso del fiume doveva essere molto più vicino al villaggio, perchè fra il XIII e il XIV secolo è attestato nei paraggi il toponimo ad Arnum mortum, ad indicare forse il vecchio letto del fiume1423.

1407

Stiaffini, D., Villa Saletta: dai Gambacorta ai Riccardi tra strategie familiari e lasciti ereditari, in Villa Saletta in Valdera. Da villaggio medievale a fattoria modello di età moderna, a cura di A. Alberti, S. Bruni, D. Stiaffini, Pisa 2007, pp. 27-82. Sulle vicende di Villa Saletta si veda anche Giusti, A.M., Le ville della Valdera, Pontedera 1995, pp. 51-54. 1408 Stiaffini, D., Villa Saletta: ubicazione geografica e descrizione del territorio, in Villa Saletta in Valdera. Da villaggio medievale a fattoria modello di età moderna, a cura di A. Alberti, S. Bruni, D. Stiaffini, Pisa 2007, p. 20. All’epoca medievale è riconducibile probabilmente solo la torre dell’orologio, datata da Alberti in base a confronti tipologici e mensiocronologici alla fine del XIII secolo, si veda: Alberti, A., Villa Saletta, cit., pp. 97-101 e figg. 27-28. 1409 Alberti, A., Villa Saletta, cit., p. 93 e fig. 11. 1410 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 223, 270; Tuscia, II, cit., pp. 283-284. 1411 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 82. 1412 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 82; tuttavia rimangono tracce dell’antica chiesa inglobate in un casolare diruto, si veda Alberti, A., I castelli della Valdera, cit., p. 81, fig. 34 e Alberti, A., Villa Saletta, cit., figg. 7 a-b. 1413 Ducci, A., Badalassi, L., Tesori medievali, cit., p. 48 e nota 41; Mannari, L., Continuazione della visita apostolica del vicario del vescovo di Lucca nel territorio che ora appartiene alla diocesi di San Miniato, in «Bollettino dell’Accademia degli Euteleti di San Miniato», 46, 1977, p. 28. 1414 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 82: qui si fa riferimento ad una iscrizione presente sull’architrave del portale; Alberti, A., I castelli della Valdera, cit., p. 81, fig. 35 e Alberti, A., Villa Saletta, cit., p. 84 e figg. 8 a-c: i ruderi, di un metro di altezza circa, sono costituiti da filari di conci squadrati alternati ad altre parti in laterizio, corrispondenti a fasi successive e ad ampliamenti. Entrambe le chiese sono menzionate in documenti del XVI-XVII secolo: Archivio di Stato di Firenze, Archivio Riccardi, 258, c. 29v. e c. 38r.

1415 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 203, 221, 272; Tuscia, I, p. 280; Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali, 9, c. 238. 1416 Morelli, P., Pievi, castelli e comunità, cit., p. 86. 1417 Alberti, A., I castelli della Valdera, cit., pp. 101-102; Caturegli, N., Regesto della Chiesa di Pisa, cit., n. 230, p. 138. 1418 Repetti, E., Dizionario, cit., vol. V, pp. 794-795. 1419 Alberti, A., I castelli della Valdera, cit., p. 60. 1420 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., p. 269; Pescaglini Monti, R., La plebs e la curtis de Aquis, cit., p. 8, nota 21. 1421 Dini, F., Dietro i nostri secoli, p. 89; Archivio Arcivescovile di Lucca, + G 61 e ++ F 51. 1422 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 203, 221, 273; Tuscia, II, cit., p. 279. 1423 Morelli, P., Borgo San Genesio, cit., pp. 132-133.

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L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV) 179. Chiesa di S. Stefano di Volpaia (piviere di Migliano) Note storiche La chiesa è attestata dal 1134 e compare nell’estimo del 1260 ma non nelle decime successive1424. Negli atti della visita pastorale del 1383 il rettore della chiesa dei Ss. Michele e Stefano di Crespina, del piviere di Triana, dichiarava di avere tra i propri benefici anche quello della di S. Stefano di Volpaia1425. La chiesa doveva trovarsi nella zona a sud di Cenaia Vecchia1426. 180. Chiesa di S. Nicola di Voltagnano (piviere di Triana) Note storiche Nell’atto di livello del 1014 compare la località Valtumgnana, identificabile con Voltagnano, che è da localizzare a nord di Lari, tra le due località Villa e Vignoli1427. La chiesa è menzionata nell’estimo del 1260 e in tutte le decime successive, fu demolita nel 17501428.

1424 Caturegli, N., Regesto pisano, n. 331; Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., p. 268. 1425 Archivio Arcivescovile di Lucca, Visite pastorali, 2, c. 148; Pescaglini Monti, R., I pivieri di Sovigliana, cit., p. 172. 1426 Pescaglini Monti, R., I pivieri di Sovigliana, cit., p. 167. 1427 Pescaglini Monti, R., Dalla Valdera alla Valdisola, cit., pp. 312313. 1428 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I, cit., pp. 201, 222, 268; Tuscia, II, cit., p. 281; Pescaglini Monti, R., Dalla Valdera alla Valdisola, cit., pp. 313-314.

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Per rimanere nell’ambito delle decorazioni in cotto, quelle di San Miniato si distinguono per la loro notevole originalità, raggiungendo esiti bizzarri e quasi privi di confronti all’interno del vasto repertorio decorativo della Toscana. I motivi decorativi impiegati sulla facciata del duomo di San Miniato, per la loro singolarità hanno contribuito a rimettere in discussione la datazione proposta per l’edificio, e anche il motivo zoomorfo realizzato sul portale duecentesco della vicina chiesa di S. Francesco risalta per la sua eccentricità.

Conclusioni Le indagini condotte in questo territorio hanno rivelato un panorama architettonico decisamente interessante, nonostante l’assenza di complessi di particolare monumentalità e lo scarso numero di edifici che conservano ancora strutture di epoca medievale. Confrontando l’elenco degli enti religiosi menzionati nelle Rationes decimarum e nell’estimo della diocesi lucchese del 1260 con il numero degli edifici effettivamente esistenti, si intuisce subito che le vicende storiche che hanno interessato questa area devono aver fortemente condizionato la loro sopravvivenza. Non solo un gran numero di edifici sono stati ricostruiti in parte o integralmente nel corso dei secoli, ma una parte significativa di questi, più della metà del totale, sono del tutto scomparsi, al punto da non lasciare traccia neppure tra i toponimi in qualche caso. Ciò che colpisce maggiormente rispetto alle altre aree della Toscana, è che a scomparire sono state soprattutto le pievi, quegli edifici che ricoprivano il ruolo primario nell’ambito dell’organizzazione ecclesiastica territoriale. Come abbiamo avuto modo di precisare nei capitoli iniziali, le cause che hanno condotto all’abbandono delle pievi antiche sono da ricercare nelle profonde trasformazioni insediative e nella complessa situazione politica che caratterizzò questa zona tra il XIII e il XIV secolo.

L’anomala sovrapposizione di giurisdizioni, quella ecclesiastica, saldamente in mano lucchese, e quella civile, detenuta dai pisani a partire almeno dal XII secolo per alcune zone, ha portato quindi alla compresenza di riferimenti culturali e stilistici diversi. Per citare solo alcuni esempi, se nelle chiese di Montopoli e di Calenzano troviamo decorazioni in cotto di derivazione lucchese, sia per la selezione dei motivi decorativi (fuga di fiori a sei petali), sia per la loro distribuzione all’interno delle cornici (su più registri, su elementi radiali e con bordini di contorno), nelle chiese di S. Andrea di Palaia, di S. Pietro di Usigliano e di S. Bartolomeo di Colleoli troviamo invece archetti pensili trilobati perfettamente confrontabili con due casi pisani coevi. La presenza di altri elementi di chiara derivazione pisana, come gli architravi monolitici “a timpano” in alcuni degli edifici in pietra, i rombi gradonati, o i bacini ceramici, a prima vista farebbe pensare che l’influenza pisana sia preponderante in questo territorio, ma in realtà questi motivi erano ormai largamente diffusi, tra XII e XIV secolo, in molte aree della Toscana, anche in quelle non legate politicamente alla città di Pisa, come nel caso della Valdelsa, per cui risulta difficile stabilire una diretta dipendenza di queste architetture da prototipi pisani. Allo stesso modo, i pilastri cilindrici della pieve di S. Gervasio, realizzati con conci ben squadrati e spianati e sormontati da capitelli in pietra molto schiacciati, erano stati accostati ad esemplari del protoromanico lucchese (S. Martino di Coreglia, S. Paolo di Vico Pancellorum, S. Pietro di Corsena), ma soluzioni di questo tipo si trovano anche in altre aree della Toscana, come nell’aretino (S. Eugenia al Bagnoro, S. Vincenti) o in territorio fiorentino (S. Severo di Legri), e lo stesso repertorio decorativo arcaizzante inciso sui capitelli trova molti confronti in ambito lucchese, ma anche nel volterrano e in Valdelsa.

Nel complesso abbiamo potuto constatare una prevalenza degli edifici in cotto rispetto a quelli in pietra, concentrati soprattutto nell’area di San Miniato e quindi prossimi alla Valdelsa, e riconducibili ad un periodo compreso tra la seconda metà del XII e la prima metà del XIV secolo. Tra gli edifici in cotto, le pievi di San Miniato e di Corazzano possono rientrare facilmente nel filone dell’architettura valdelsana, a sua volta caratterizzata da influenze lombarde con alcuni elementi pisani. La presenza di componenti lombarde ha fatto ipotizzare l’intervento di maestranze provenienti dall’Italia settentrionale, alle quali spetterebbe la diffusione del cotto come materiale costruttivo e l’introduzione di nuove soluzioni formali e un nuovo repertorio decorativo, che comprende per esempio le arcatelle cieche dei coronamenti e i portali risaltati rispetto alle facciate. A questi elementi se ne aggiungono altri di derivazione pisana, come i rombi gradonati e i bacini ceramici, che vengono combinati con altre soluzioni comuni a tutti gli edifici di questa zona, come le lesene angolari che inquadrano la facciata, la bifora aperta al centro in asse con il portale, l’impianto ad aula unica con abside semicircolare o certi motivi decorativi in cotto, come le foglie ellittiche incise.

La commistione stilistica tra elementi di diverse provenienze è tale per cui non è possibile individuare una successione cronologica nelle varie influenze o una netta distinzione di aree per la prevalenza di certe derivazioni: a breve distanza troviamo edifici coevi che presentano motivi lucchesi o pisani, come nei casi appena citati di Montopoli e delle chiese del territorio di Palaia. Queste ultime rappresentano forse il caso più emblematico: agli archetti trilobati pisani già ricordati e ai motivi decorativi in cotto caratteristici di questa zona, si aggiungono decorazioni radiali di derivazione lucchese nelle ghiere degli archi, oppure soluzioni complesse, come le absidi semiesagonali coperte da volte a crociera costolonate, o elementi insoliti, come i pilastri a sezione poligonale

Altri edifici invece sembrano aver ricevuto influenze diverse, prevalentemente pisane e lucchesi, e le hanno unite ottenendo risultati originali e creando delle forme autonome. È il caso, per esempio, della pieve di Palaia e degli edifici sparsi nel territorio circostante, tutti accomunati da alcune soluzioni architettoniche o da dettagli decorativi, come il motivo in cotto a piramidi scavate contrapposte e combinate seguendo diversi schemi, assai diffuso in questa zona ma molto raro nel resto della Toscana.

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L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV) nella pieve di Palaia o il campanile “sospeso” nella chiesa di S. Andrea. In conclusione possiamo affermare che, come è accaduto in altre zone di confine, la posizione geografica e le vicende storiche che interessarono questo territorio hanno determinato la compresenza di diversi riferimenti culturali, sviluppati in modo autonomo, con esiti talvolta originali.

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36. Domus S. Crucis de Ultramare (piviere di Appiano) 37. Lebbrosario di S. Lazzaro (piviere di S. Genesio)

Indice del repertorio Pievi 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18. 19. 20. 21. 22. 23. 24. 25. 26.

Pieve di S. Maria di Appiano Pieve di S. Maria di Aquis Pieve di S. Maria di Barbinaia Pieve di S. Bartolomeo di Capannoli Pieve di S. Michele di Cigoli (già suffraganea della pieve di Fabbrica) Pieve di S. Giovanni di Corazzano Pieve dei Ss. Michele e Stefano di Crespina (già suffraganea della pieve di Triana) Pieve di S. Saturnino di Fabbrica Pieve dei Ss. Martino e Giovanni di Gello Pieve dei Ss. Leonardo e Maria di Lari (già suffraganea della pieve di Triana) Pieve di S. Maria di Lavaiano Pieve di S. Maria Novella di Marti Pieve di S. Giovanni di Migliano Pieve di S. Lucia di Montebicchieri (già suffraganea della pieve di Fabbrica) Pieve di S. Lucia di Montecastello (già suffraganea della pieve di S. Gervasio) Pieve di S. Stefano di Montopoli (già suffraganea della pieve di Musciano) Pieve di S. Giovanni di Musciano Pieve di S. Giovanni di Padule Pieve di S. Martino di Palaia Pieve di S. Lucia di Perignano (già suffraganea della pieve di Triana) Pieve di S. Genesio di Vico Wallari Pieve di S. Gervasio Pieve di S. Maria di S. Miniato (già suffraganea della pieve di S. Genesio) Pieve dei Ss. Maria e Giovanni Battista di Sovigliana Pieve dei Ss. Bartolomeo e Maria di Triana Pieve dei Ss. Martino e Giovanni Battista di Tripalle

Suffraganee 38. Chiesa di S. Maria di Alica (piviere di S. Gervasio) 39. Chiesa di S. Pietro di Appiano (piviere di Appiano) 40. Chiesa di S. Martino di Aquis (piviere di Aquis) 41. Chiesa di S. Andrea di Bacoli (piviere di Fabbrica) 42. Chiesa di S. Pietro di Balconevisi (piviere di Corazzano) 43. Chiesa di S. Bartolomeo di Brusciana (piviere di S. Genesio) 44. Chiesa di S. Regolo di Bucciano (piviere di Barbinaia) 45. Chiesa di S. Barbara di Bucciano (piviere di Barbinaia) 46. Chiesa di S. Maria di Busseto (piviere di Musciano) 47. Chiesa di S. Maria di Calenzano (piviere di S. Genesio) 48. Chiesa di S. Jacopo di Cambromusio (piviere di Musciano) 49. Chiesa di S. Bartolomeo di Campriano (piviere di S. Genesio) 50. Chiesa di S. Pietro di Camugliano (piviere di Sovigliana) 51. Chiesa di S. Giorgio di Canneto (piviere di S. Genesio) 52. Chiesa di S. Lucia di Capannoli (piviere di Padule) 53. Chiesa di S. Maria di Casanova (piviere di Sovigliana) 54. Chiesa di S. Lorenzo di Casale (piviere di Corazzano) 55. Chiese di S. Michele e di S. Vincenzo di Caselle (piviere di Corazzano) 56. Chiesa dei Ss. Maria e Lorenzo di Castagnecchio (piviere di Triana) 57. Chiesa di S. Maria di Castellare (piviere di Migliano) 58. Chiesa dei Ss. Angelo e Stefano di Chientina (piviere di Sovigliana) 59. Chiesa di S. Andrea di Castro Cigoli (piviere di S. Genesio) 60. Chiesa di S. Andrea di Cenaia (piviere di Migliano) 61. Chiesa dei Ss. Lucia e Michele di Cercino (piviere di S. Gervasio) 62. Chiesa dei Ss. Stefano e Biagio di Cerretello (piviere di S. Gervasio) 63. Chiesa di S. Pietro di Cevoli (piviere di Sovigliana) 64. Chiesa di S. Jacopo di Chiecina (piviere di Barbinaia) 65. Chiesa di S. Lorenzo di Colle Alberti (piviere di Tripalle)

Canoniche 27. Canonica di S. Martino di Castiglione (piviere di S. Genesio) 28. Canonica di S. Pietro di Marcignana (piviere di S. Genesio) 29. Canonica di S. Salvatore di Piaggia (piviere di Fabbrica) 30. Canonica di S. Stefano di Torrebenni (piviere di S. Genesio) Monasteri 31. Monastero dei Ss. Ippolito e Cassiano di Carigi (piviere di S. Gervasio) 32. Monastero dei Ss. Bartolomeo e Gioconda di Bacoli (piviere di Fabbrica) 33. Eremo di S. Maria di Pereta (piviere di Gello) 34. Eremo di S. Maria di Monteforte (piviere di Gello) Ospedali 35. Ospedale dei Ss. Maria e Pietro di Casteldelbosco (piviere di S. Gervasio) 147

66. Chiesa di S. Jacopo di Collebrunacchi (piviere di Corazzano) 67. Chiesa di S. Tommaso di Collecarelli (piviere di S. Gervasio) 68. Chiese di S. Vito e S. Paolo di Collegalli (piviere di Corazzano) 69. Chiesa di S. Pietro di Collelungo (piviere di Barbinaia) 70. Chiesa di S. Lorenzo di Collemontanino (piviere di Aquis) 71. Chiesa di S. Bartolomeo di Colleoli (piviere di S. Gervasio) 72. Chiesa di S. Silvestro di Comugnori (piviere di Fabbrica) 73. Chiesa di S. Martino di Corneto di Cumulo (piviere di Barbinaia) 74. Chiesa di S. Andrea di Corniano (piviere di Corazzano) 75. Chiesa di S. Lucia di Crespina (piviere di Triana) 76. Chiesa di S. Lucia di Cusignano (piviere di Corazzano) 77. Chiesa di S. Lorenzo di Fauglia (piviere di Tripalle) 78. Chiesa di S. Martino di Favognana (piviere di S. Genesio) 79. Chiesa di S. Maria di Fibbiastri (piviere di Fabbrica) 80. Chiesa dei Ss. Michele e Andrea di Fichino (piviere di Aquis) 81. Chiesa di S. Frediano di Forcoli (piviere di S. Gervasio) 82. Chiesa di S. Barbara di Gabbiano (piviere di Musciano) 83. Chiesa di S. Lorenzo di Gello (piviere di S. Gervasio) 84. Chiesa dei Ss. Michele e Lorenzo di Gello (piviere di Appiano) 85. Chiesa di S. Lucia di Gerla (piviere di Tripalle) 86. Chiesa di S. Donato di Isola (piviere di S. Genesio) 87. Chiesa di S. Michele di Lavaiano (piviere di Triana) 88. Chiesa di S. Martino di Lavaiano Nuovo (piviere di Triana) 89. Chiesa di S. Nazario di Libbiano (piviere di Sovigliana) 90. Chiesa di S. Cristoforo di Lilliano (piviere di Triana) 91. Chiesa di S. Michele di Limite (piviere di Musciano) 92. Chiese di S. Frediano e di S. Giusto di Marti (piviere di Musciano) 93. Chiese di S. Martino e di S. Bartolomeo di Marti (piviere di Musciano) 94. Chiesa di S. Ippolito di Marzana (piviere di S. Genesio) 95. Chiesa di S. Michele di Meleto (piviere di Tripalle) 96. Chiesa di S. Pietro di Migliano (piviere di Migliano)

97. 98. 99. 100. 101. 102. 103. 104. 105. 106. 107. 108. 109. 110. 111. 112. 113. 114. 115. 116. 117. 118. 119. 120. 121. 122. 123. 124. 125. 126. 127.

148

Chiesa di S. Lorenzo di Montalbano (piviere di Triana) Chiesa di S. Maria di Montalto (piviere di Tripalle) Chiesa di S. Pietro di Montalto (piviere di Fabbrica) Chiesa di S. Margherita di Montarso (piviere di S. Genesio) Chiesa di S. Jacopo di Monte (piviere di Musciano) Chiesa di S. Prospero di Montealprandi (piviere di S. Genesio) Chiesa di S. Ilario di Montealto (piviere di Musciano) Chiesa di S. Biagio di Montebicchieri (piviere di Barbinaia) Chiesa di S. Andrea di Montefosco (piviere di Musciano) Chiesa di S. Andrea di Montevecchio (piviere di Musciano) Chiesa di S. Giusto di Montoderi (piviere di Corazzano) Chiesa di S. Germano di Moriolo (piviere di Corazzano) Chiesa di S. Martino di Movisolaccio (piviere di Sovigliana) Chiesa di S. Donato di Mugnano (piviere di Fabbrica) Chiesa di S. Michele di Mugnano (piviere di Fabbrica) Chiesa di S. Lorenzo di Nocicchio (piviere di S. Genesio) Chiesa di S. Pietro di Nozzano (piviere di Fabbrica) Chiesa dei Ss. Felice e Regolo di Orneto (piviere di Sovigliana) Chiesa di S. Andrea di Palaia (piviere di Palaia) Chiesa di S. Maria di Palaia (piviere di Palaia) Chiesa dei Ss. Filippo e Jacopo di Pancole (piviere di S. Genesio) Chiesa dei Ss. Quirico e Giulitta di Parlascio (piviere di Aquis) Chiesa di S. Maria di Partino (piviere di S. Gervasio) Chiesa di S. Andrea di Perignano (piviere di Triana) Chiesa di S. Lucia di Pesciano (piviere di Appiano) Chiesa di S. Andrea di Petriolo (piviere di Appiano) Chiesa di S. Donato di Pianello (piviere di S. Gervasio) Chiesa di S. Michele di Pianezzoli (piviere di S. Genesio) Chiesa dei Ss. Filippo e Jacopo di Pino (piviere di S. Genesio) Chiese di S. Pietro e di S. Maria di Pinocchio (piviere di S. Gervasio) Chiesa di S. Michele di Pozzo (piviere di Tripalle)

128. Chiesa dei Ss. Stefano e Lorenzo di Pratiglione (piviere di Barbinaia) 129. Chiesa di S. Maria al Prato (piviere di Musciano) 130. Chiesa di S. Giusto di Pugnano (piviere di Tripalle) 131. Chiesa di S. Maria Maddalena di Puticciano (piviere di Fabbrica) 132. Chiesa dei Ss. Giorgio e Cristoforo di Quarrata (piviere di Sovigliana) 133. Chiesa di S. Maria di Ripaia (piviere di S. Gervasio) 134. Chiesa di S. Michele di Roffia (piviere di S. Genesio) 135. Chiesa di S. Jacopo di S. Albino (piviere di Fabbrica) 136. Chiesa di S. Michele di S. Angelo (piviere di S. Genesio) 137. Chiesa di S. Bartolomeo (piviere di Gello) 138. Chiesa di S. Colombano (piviere di S. Gervasio) 139. Chiesa di S. Cristina (piviere di Gello) 140. Chiesa di S. Ermo (piviere di Gello) 141. Chiesa dei Ss. Giusto e Cristoforo di S. Genesio (piviere di S. Genesio) 142. Chiesa di S. Giorgio (piviere di Corazzano) 143. Chiese di S. Biagio e di S. Michele di San Miniato (piviere di S. Genesio) 144. Chiesa di S. Francesco di San Miniato 145. Chiesa di S. Jacopo di San Miniato (piviere di S. Genesio) 146. Chiesa di S. Pietro di San Miniato (piviere di S. Genesio) 147. Chiesa di S. Stefano di San Miniato (piviere di S. Genesio) 148. Chiesa di S. Pietro di Santo Pietro Belvedere (piviere di Sovigliana) 149. Chiesa di S. Quintino (piviere di S. Genesio) 150. Chiesa di S. Remigio (piviere di Lavaiano) 151. Chiesa dei Ss. Romano e Matteo di San Romano (piviere di Fabbrica) 152. Chiesa di S. Lorenzo di San Ruffino (piviere di Sovigliana) 153. Chiesa dei Ss. Stefano e Lucia di Scoccolino (piviere di Fabbrica) 154. Chiesa dei Ss. Cristoforo e Jacopo di Scopeto (piviere di Corazzano) 155. Chiesa di S. Lucia di Segalare (piviere di Sovigliana) 156. Chiesa di S. Nicola di Sessana (piviere di Aquis) 157. Chiesa di S. Maria di Soffiano (piviere di Fabbrica) 158. Chiesa dei Ss. Andrea e Maria di Soiana (piviere di Sovigliana) 159. Chiesa di S. Martino di Soianella (piviere di Sovigliana) 160. Chiesa di S. Maria di Solaia (piviere di Sovigliana) 161. Chiesa di S. Martino di Sterpaia (piviere di Triana)

162. Chiesa di S. Bartolomeo di Stibbio (piviere di Fabbrica) 163. Chiesa di S. Margherita di Tavelle (piviere di S. Gervasio) 164. Chiesa dei Ss. Lorenzo e Bartolomeo di Treggiaia (piviere di S. Gervasio) 165. Chiesa di S. Michele di Treggiaia (piviere di S. Gervasio) 166. Chiesa di S. Vittore di Treggiaia (piviere di S. Gervasio) 167. Chiesa dei Ss. Fabiano e Stefano di Tremoleto (piviere di Tripalle) 168. Chiesa dei Ss. Cristoforo e Jacopo di Tripalle (piviere di Tripalle) 169. Chiesa di S. Pietro di Usigliano (piviere di Musciano) 170. Chiesa di S. Frediano di Usigliano di Lari (piviere di Aquis) 171. Chiesa di S. Lorenzo di Usigliano di Lari (piviere di Aquis) 172. Chiesa di S. Maria di Valiano (piviere di Musciano) 173. Chiesa di S. Stefano di Vicchio (piviere di Tripalle) 174. Chiesa dei Ss. Martino e Lorenzo di Villanova (piviere di Fabbrica) 175. Chiesa di S. Pietro di Villa Saletta (piviere di S. Gervasio) 176. Chiesa di S. Pietro di Vinosso (piviere di Fabbrica) 177. Chiesa di S. Stefano di Vivaia (piviere di Aquis) 178. Chiesa di S. Martino di Ventignano (piviere di Fabbrica) 179. Chiesa di S. Stefano di Volpaia (piviere di Migliano) 180. Chiesa di S. Nicola di Voltagnano (piviere di Triana)

149

Tav. 1 La diocesi di Lucca, 1275-1303 (particolare della carta della Tuscia, allegata ai volumi delle Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I: La decima degli anni 1274-1280, a cura di P. Guidi, Città del Vaticano 1932; Tuscia, II: La decima degli anni 1295-1304, a cura di M. Giusti e P. Guidi, Città del Vaticano 1942.) © 1932-1942 Biblioteca Apostolica Vaticana

150

Tavole

Tav. 2 La diocesi di Lucca a sud dell’Arno (particolare della carta della Tuscia allegata ai volumi delle Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I: La decima degli anni 1274-1280, a cura di P. Guidi, Città del Vaticano 1932; Tuscia, II: La decima degli anni 1295-1304, a cura di M. Giusti e P. Guidi, Città del Vaticano 1942.) © 1932-1942 Biblioteca Apostolica Vaticana

151

L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV)

Tav. 3 Pieve di San Gervasio

Tav. 4 Pieve di San Gervasio, zona absidale

152

Tavole

Tav. 5 Pieve di San Gervasio, interno

Tav. 6 Pieve di San Gervasio, interno, capitello

153

L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV)

Tav. 7 Chiesa di S. Andrea di Petriolo

Tav. 8 Chiesa di S. Andrea di Petriolo, particolare della facciata

154

Tavole Tav. 9 Chiesa di S. Michele di Limite

Tav. 10 Chiesa di S. Michele di Limite, particolare dell’abside

155

L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV)

Tav. 11 Cattedrale di San Miniato.

Tav. 12 Cattedrale di San Miniato, decorazione in cotto del portale destro.

156

Tavole

Tav. 13 Cattedrale di San Miniato, decorazione in cotto della bifora sinistra.

Tav. 14 Cattedrale di San Miniato, particolare della bifora centrale.

157

L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV)

Tav. 15 Cattedrale di San Miniato, particolare della bifora superiore.

Tav. 16 Cattedrale di San Miniato, particolare del coronamento.

158

Tavole

Tav. 17 Pieve di S. Giovanni di Corazzano.

Tav. 18 Pieve di S. Giovanni di Corazzano, particolare della facciata.

159

L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV)

Tav. 19 Pieve di S. Giovanni di Corazzano, zona absidale.

Tav. 20 Chiesa di S. Francesco di San Miniato.

160

Tavole

Tav. 21 Chiesa di S. Francesco di San Miniato, particolare del portale centrale.

Tav. 22 Chiesa di S. Francesco di San Miniato, particolare del portale sinistro.

161

L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV)

Tav. 23 Pieve di S. Martino di Palaia.

Tav. 24 Pieve di S. Martino di Palaia, zona absidale.

162

Tavole

Tav. 25 Pieve di S. Martino di Palaia, fianco sinistro. Tav. 26 Pieve di S. Martino di Palaia, particolare del fianco sinistro, portale laterale.

163

L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV)

Tav. 27 Pieve di S. Martino di Palaia, particolare del fianco sinistro.

Tav. 28 Pieve di S. Martino di Palaia, interno.

164

Tavole Tav. 29 Pieve di S. Martino di Palaia, interno, prima colonna a sinistra

Tav. 30 Pieve di S. Martino di Palaia, particolare della prima colonna a destra.

165

L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV) Tav. 31 Chiesa di S. Lorenzo di Gello.

Tav. 32 Chiesa di S. Lorenzo di Gello, fianco destro.

166

Tavole

Tav. 33 Chiesa di S. Lorenzo di Gello, particolare della facciata, decorazioni in cotto.

Tav. 34 Chiesa di S. Lorenzo di Gello, interno, particolare dell’abside.

167

L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV)

Tav. 35 Chiesa di S. Andrea di Palaia.

Tav. 36 Chiesa di S. Andrea di Palaia, particolare del portale centrale.

168

Tavole

Tav. 37 Chiesa di S. Andrea di Palaia, particolare della facciata.

Tav. 38 Chiesa di S. Lorenzo di Gello, interno, particolare della colonna che sostiene il campanile.

169

L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV)

Tav. 39 Chiesa di S. Bartolomeo di Colleoli, particolare della zona absidale.

Tav. 40 Chiesa di S. Pietro di Usigliano, particolare del fianco sinistro.

170

Tavole

Tav. 41 Chiesa di S. Pietro di Usigliano, fianco destro.

Tav. 42 Chiesa di S. Pietro di Usigliano, particolare del fianco destro.

171

L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV)

Tav. 43 Chiesa di S. Maria di Palaia.

Tav. 44 Pieve di S. Stefano di Montopoli, fianco sinistro.

172

Tavole Tav. 45 Pieve di S. Stefano di Montopoli, particolare dell’arco del portale laterale

Tav. 46 Pieve di S. Stefano di Montopoli, particolare della monofora del fianco sinistro.

173

L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV)

Tav. 47 Pieve di S. Stefano di Montopoli, particolare della bifora in facciata.

Tav. 48 Pieve di S. Maria Novella di Marti.

174

Tavole

Tav. 49 Pieve di S. Maria Novella di Marti, particolare del portale centrale.

Tav. 50 Pieve di S. Maria Novella di Marti, particolare del portale sinistro.

175

L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV)

Tav. 51 Pieve di S. Maria Novella di Marti, fianco sinistro.

Tav. 52 Canonica di S. Pietro di Marcignana.

176

Tavole Tav. 53 Canonica di S. Pietro di Marcignana, zona absidale.

Tav. 54 Canonica di S. Pietro di Marcignana, interno.

177

L’architettura religiosa nella diocesi medievale di Lucca a sud dell’Arno (secoli XI-XIV)

Tav. 55 Chiesa di S. Maria di Calenzano, particolare della facciata.

Tav. 56 Chiesa dei Ss. Quirico e Giulitta di Parlascio, facciata.

178

Tavole

Tav. 57 Pieve di S. Gervasio, pianta.

Tav. 58 Pieve di S. Martino di Palaia, pianta.

179

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Crediti fotografici Tavv. 1-2 e figg. 1-14: particolare della carta della Tuscia allegata ai volumi delle Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I: La decima degli anni 1274-1280, a cura di P. Guidi, Città del Vaticano 1932; Tuscia, II: La decima degli anni 1295-1304, a cura di M. Giusti e P. Guidi, Città del Vaticano 1942, riprodotta per concessione della Biblioteca Apostolica Vaticana, ogni diritto riservato. Tavv. 3-58: foto dell’autore.

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