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Italian Pages 324 [328] Year 2011
Hafez
VINO, EFEBI E APOSTASIA
Carocci
BIBLIOTECA MEDIEVALE
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Collana diretta da Mario Mancini, Luigi Milone e Francesco Zambon
Archi e portici di scuole teologiche, detti e sentenze di dottori, sulla via del calice e del coppiere dal volto di luna lasciammo
Hafez, Divdn, ed. Pizhman mh
I lettori che desiderano informazioni sui volumi pubblicati dalla casa editrice possono rivolgersi direttamente a: Carocci editore via Sardegna so, om87 Roma, telefono o6 42 81 84 17, fax o6 42 74 79 31
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Hafez Vino, efebi e apostasia
Poesia di infamia e perdizione nella Persia medievale A
cura di Carlo Saccone
Carocci editore
Volume pubblicato con il contributo del MIUR e dell'Università di Bologna
Ia
edizione, maggio 2on
© copyright 2011 by
Carocci editore S.p.A., Roma Realizzazione editoriale: Omnibook, Bari Finito di stampare nel maggio 2011 dalle Arti Grafiche Editoriali Srl, Urbino ISBN
978-88-430-6063-4
Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633) Senza regolare autorizzazione,
è vietato riprodurre questo volume anche parzialmente e con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche per uso interno o didattico.
Indice
Nota alla presente traduzione l 9
Vino, efebi e apostasia al banchetto del Signore. Note sul Canzoniere (Divan) del poeta persiano Hafez di Shiraz (XIV secolo) l n
l GHAZALI 41
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Nota alla presente traduzione
n presente volume e quello che esce contemporaneamente, Hafez, Canzoni d'amore e di taverna, arricchito da un'ampia Bibliografia e da una Nota bio-bibliografica, sono stati conce piti come completamento dell'antologia da me pubblicata una decina di anni fa: Hafez, Il libro del Coppiere, a cura di C. Saccone, Luni, Milano-Trento 1998 (ora Carocci, Roma 2003), che presentava in italiano circa un terzo del Canzonie re e i testi originali in appendice. Perciò in questi due volumi che escono ora si trova tutto quello che era rimasto fuori da detta antologia, e che naturalmente è stato tradotto a partire dalla medesima edizione critica (ed. Pizhman, 1318 HII940 A.D.) usata in precedenza. I tre volumi, insieme, rappresentano la più completa tra duzione italiana dell'opera di Hiìfez, essendovi compresi non solo i circa 500 ghazal ritenuti autentici (più, nell'antologia, una scelta rappresentativa di ghazal ritenuti dubbi), ma anche tutta una serie di altri componimenti (quartine, qaside, math navi, poesie strofiche, frammenti e poesie d'occasione) in cui l'Autore ebbe modo di esercitare il proprio estro. Anche in questa parte della mia traduzione mi sono am piamente awalso dell'indispensabile commentario al Divàn di Hiìfez scritto dal bosniaco Sudi nel XVI secolo in lingua turca ottomana e più volte tradotto in persiano (Shahr-e Sudi bar Hàfez, Teheran 1372 HII994 A.D., VII ed.). Ho discusso i pro blemi non semplici inerenti alla traduzione di Hiìfez nell'in troduzione alla suddetta antologia Il libro del Coppiere e in un
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articolo specifico del 2006 ' ;in sostanza ho cercato, nei tre vo lumi, di attenermi il più possibile alla parola e alla imagerie dell'originale persiano, spiegando in nota tutto ciò che m'è parso opportuno o necessario. Ho spesso usato la punteggia tura (inesistente nell'originale) per chiarimento del testo e suo implicito commento; anche i titoli dei componimenti, che ho ricavato perlopiù dai loro incipit, non sono presenti negli ori· ginali. Le note al testo sono state concepite esclusivamente co me supporto alla lettura di un testo spesso non immediata· mente decodificabile per il lettore non specialista, con un'at tenzione particolare ai rimandi coranici e alla sintetica illu strazione dei topoi più ricorrenti. Per sottolineare la struttu rale ambiguità del dettato hafeziano ho voluto evidenziare una serie di termini notevoli, a doppio senso mistico-erotico, con l'iniziale maiuscola. Sicuramente non ho potuto se non palli damente rendere, nel frammentarismo strutturale e irriduci bile di tanti ghazal, quella grazia squisita e ineffabile che è nel le tante miracolose "sospensioni nel vuoto" che si producono nel passaggio da un verso all'altro, là dove l'Autore sa spesso introdurre magistrali sorprese, novità repentine di tono, cam bi imprevisti di giro d'immagini, alternanze inattese di pen sieri, arguzie, argomenti, ironie, sentenze ecc. Per la pronuncia dei termini persiani si possono osservare que ste poche indicazioni pratiche: a= lunga nasalizzata tendente a una o italiana molto aperta; c= c italiana di cera;j = g italiana di gelo; g = g italiana di gola; gh = gr francese di gros; kh = eh te desca di Buch; sh = se italiana di scena; la z vale sempre la s so nora di rosa. L'accento cade di norma sull'ultima sillaba. r. Tradurre Ha/ez, in G. Brunetti, G. Giannini (a cura di), d.a traduzio· ne è una forma>>. Traduzione e sopravvivenza dei testi romanzi medievali. Atti del Convegno ( Bologna, I·2 dicembre 2oosJ. in "Quaderni di Filologia roman·
za della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Bologna", 19, 2006, 157·76.
pp.
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Vino, efebi e apostasia al banchetto del Signore. Note sul Canzoniere (Divdn) del poeta persiano Hafez di Shiraz
(XIV secolo) 1' Vino, efebi e apostasia sono un po' i tre pilastri, sotto il profi lo tematico, della poetica persiana classica, che tipicamente predilige motivi "mal-famati" o bad-nam, un termine persia no dal trasparentissimo etimo indoeuropeo. Già Daqiqi, poe ta del X secolo, stendeva una sorta di manifesto di questa poe tica proclamando che Il buon Daqiqi, delle innumeri cose del mondo, quattro n'ha scelte, quattro virtù graziose, [compendio] di tutto il bene ed il male: Un labbro [d'amante] che pare rubino, il dolce lamento del liu to, il vino colore del sangue, di Zarathustra la fede!'
Questo vero e proprio programma poetico verrà pienamente adottato dai poeti persiani medievali, e con qualche variazio ne e arricchimento si può dire sarà vigente ancora fino a tutto il XIX secolo. li poeta insomma deve interessarsi di cose proi-
*Le numerose citazioni che si fanno in questo saggio sono riprese dai tre volumi delle poesie di Hiìfez che ho curato e che così vengono indicati: H1 = Il libro del Coppiere (Carocci, Roma 200J); H2 = Vino, efebi e apostasia (Ca rocci, Roma 2on); H3 = Canzoni d'amore e di taverna (Carocci, Roma 2on). L'edizione Pizhman, Teheran 1318 H/1940 A.D. - edizione di riferimento del Canzoniere di Hafez per i citati volumi è abbreviata nella lettera P seguita dal numero d'ordine del componimento. 1. Citato in A. Pagliara, A. Bausani, Letteratura persiana, Sansoni-Acca demia, Firenze-Milano 1968, p. 142. -
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bite, "malfamate" dal punto di vista della religione e della mo rale islamiche. Un atteggiamento che ha motivazioni com plesse, che qui non possiamo neppure sommariamente rias sumere, e aveva avuto dei precisi antecedenti nella poesia ara ba dell'viii secolo (si pensi al poeta-califfo al-Walid o al gran de Abu Nuwas, entrambi cantori del vino e di "scostumatez ze" varie)'. Comunque sia, il poeta persiano amerà atteggiar si a "libertino" (rend), a insolente dileggiatore della morale co munemente accettata, basata sui precetti della sharta codifi cata dai dottori dell'Islam. Atteggiamento- si badi bene-ov vero ostentazione affettata di comportamenti trasgressivi e informati a una plateale anomia che non necessariamente cor rispondeva a una concreta pratica di vita: anzi taluni grandi, e talora grandissimi, poeti provengono proprio da ambienti re ligiosi, dal sufismo in particolare, si sentono e sono comune mente ritenuti pii musulmani. In buona sostanza questa poe tica prescriveva di ribaltare, nel mondo "fittizio" della poesia, i valori e le norme comunemente accettati nella vita sociale. La rendi (iibertinaggio, débauche) ostentata dal poeta si so stanzia dunque di atteggiamenti scostumati e irridenti nei con fronti dei precetti della sharta, diventando molto presto la di visa indossata da chiunque -laico o religioso -fosse in vena di comporre versi. In poesia !'"io lirico" in effetti va sistema ticamente a identificarsi con quello di un amante rend, che ti picamente indulge al vizio del vino, all'amore per i bei giovi netti, a una pericolosa contiguità con culti non islamici (zo roastriano e cristiano in primis); e, ancora, che ama allegri banchetti o gozzoviglie da taverna tra coppieri e musiche stra nianti di menestrelli. Non di rado poi l'io lirico si presenta con un'altra identità fittizia, quella del "sufi pentito"-è il caso ti2. Cfr. C. Saccone, Il maestro su/i e la bella cristiana. Poetica della perver sione nella letteratura persiana classica, Carocci, Roma 2005, speciahnente cap. 2: Sregolatezza e anomia nella tradizione letteraria arabo-persiana, pp. 91-156.
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pico di Hafez, che usa questo autotravestimento, una varian te di quello del rend, con sovrana ironia -, pentito di non es sersi dedicato abbastanza al vino e all'amore. n banchetto invero entra in tutti i generi principali della poesia persiana, dalla qaside (ode panegiristica) al mathnavi epico, quest'ultimo definito con una formula abusata "poesia di bazm o razm" (banchetti e battaglie); ma ritroviamo ampia mente il motivo del banchetto anche nel genere lirico per ec cellenza di questa tradizione letteraria, ossia nel ghazal, com ponimento monorimico di lunghezza variabile (5-15 distici in rima AA, BA, CA. . . ) che corrisponde un po' mutatis mutandis al nostro sonetto'. Tralasciando in questa sede i primi due gene ri (l'epico e il panegiristico), andremo a esplorare il tema del banchetto e i motivi correlati esclusivamente nell'ambito del la lirica, ossia riferendoci essenzialmente al predetto ghazal di cui Hafez è considerato il maestro insuperato, e faremo ma gari anche qualche parco riferimento ad altre forme liriche più brevi come il "frammento" (qet'e) o la "guanina" (roba'i). "Banchetto" è termine che nella lingua persiana è reso in almeno due modi diversi: con il citato bazm o bazmgah (anche: "festino"), parola di schietto conio iranico, che richiama im mediatamente contesti cortigiani ed epico-cavallereschi, e con majles, termine invece di origine araba, derivante da una ra dice trilittera (j-l-s) che significa "sedere"/"sedersi", per cui ma;les ha etimologicamente il senso di "seduta"/"sessione". In questo distico li troviamo entrambi: La canzone compose, Hàfez, per la riunione (majles) degli amanti: mai, mai sia vuoto di lui il cortile di quel felice banchetto (bazmgdh)! (HJ ghazal96, 9; P 418) 3· Sulle forme e i generi di questa letteratura si sofferma brillantemente f. C. Bi.irgel, «Il discorso è nave> il significato un mare». Saggi sull'amore e il viag gio nella poesia persiana classica, a cura di C. Saccone, Carocci, Roma 2005, speciahnente pp. 19·80.
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Questo secondo termine, majles, ha in realtà un vastissimo spettro semantico: può andare a indicare sedute conviviali, co me nell'espressione ma;les-e sherdb (letteralmente «sedute di vino>>), ma anche sedute d'altro genere, come ad esempio le "sessioni" in cui i poeti persiani recitavano i loro carmi davan ti alla corte di un qualche aristocratico patrono o si misurava no in tenzoni poetiche con i rivali. Modernamente il termine in dica una "riunione" di qualsiasi genere, come una riunione di lavoro o una seduta di organi amministrativi, della corte o del Parlamento (il quale ultimo è anche detto in persiano ma;les), o persino una scena di opera teatrale. Sempre questo termine indica talora, in ambiente religioso, una seduta di studio e/o meditazione, o le lezioni tenute da un qualche dottore o da un maestro sufi (si pensi che tipicamente maestro e discepoli sta vano seduti a terra, con le gambe incrociate); ancora, majles nel linguaggio della mistica sufi può indicare speciali riti comuni tari a base di preghiere e/o di musiche e danze, come nelle mai les-e samd' ("riunioni/sedute musicali") popolari in certi ordi ni, ad esempio in quello fondato a Konya dal celebre poeta-su fi persiano Rumi nel XIII secolo, tradotto nelle principali lingue europee4. Infine, non è raro indicare con majles anche l'incon tro amoroso con l'amato, e più di un mistico allude ai suoi in contri estatici con il divino Amato proprio con questo termine. Anche da questa sommaria panoramica, si sarà compreso come ma;les si possa facilmente caricare di valori "negativi" dal punto di vista della morale islamica tradizionale, essendo spes so associato a qualcuno dei motivi bad-ndm di cui s'è detto più sopra, in particolare al vino, all'amore e al canto (o musica)'. n 4- Sul samd' cfr. A. F. Ambrosio, E. Feuillebois, T. Zarcone, Les derviches tourneurs. Doctrine, histoire et pratique, Éditions du Cerf, Paris 2006. 5- Sul problema complesso della valutazione morale del canto o della mu
sica in generale, dal punto di vista della teologia musulmana classica, si in trattiene al-Ghazàl1, Il concerto mistico e l'estasi, a cura di A. Iacovella, Il leo14
tipo di socialità cui esso è strettamente correlato è insomma spesso percepito in pericolosa contiguità con molteplici "oc casioni di peccato", con tentazioni trasgressive di vario gene re; aspetto che viene attentamente e maliziosamente sfruttato dai poeti i quali peraltro, sin dalle pagine del Corano, erano stati accusati di essere dei "traviatori" che predicano bene e razzolano male, in sostanza dei cattivi maestri, ispirati persino dai demoni: Vi dovrò Io [Allah] annunciare su chi scendono i demoni [finnl? Scendono su ogni mentitore malvagio e gli insegnano discorsi che es si hanno captato furtivi, e i più di essi son falsi. E i poeti poi, che i traviati seguono, non vedi come vagolano per ogni valle e dicono quel che non fanno? (Corano, XXVI, 221-225)6
Tornando alla poesia lirica, si può dire che il banchetto vi com pare in almeno tre contesti diversi: quello del "banchetto del si gnore", insomma il patrono del poeta, in un'ambientazione uf ficiale e tipicamente cortigiana; quello del banchetto in giardi no o sul prato, in una cornice d'eterna primavera, owero nel ti pico focus amoenus della poesia persiana classica; quello infine della baldoria da taverna, in cui l'io lirico (il poeta-amante) en tra in fitta relazione con tutta una serie di equivoche o ambigue figure: coppieri, menestrelli, magi zoroastriani. Dovendo per forza di cose limitare la nostra scelta, tra gli innumerevoli esem pi che ci offre su questi contesti conviviali la poesia persiana me dievale andremo a prelevarne soprattutto dall'opera poetica di Hiìfez7 di Shiraz, il grande "malfamato" noto in occidente sin
ne verde, Torino 1999. Cfr. inoltre in Saccone, Il maestro su/i e la bella cristia na, cit., il cap. Musica, menzogna, poesia, profezia, pp. 157-200. 6. Qui e in seguito le citazioni sono tratte da Il Corano, a cura di A. Bau sani, Rizzoli, Milano 1988. 7· Esistono diverse traduzioni di Hafez in italiano: Hafez, Il libro del Cop piere, cit., da cui sono tratti in parte gli esempi che seguono; H3.fez, Canzo15
dalla scoperta che ne fece Goethe ( egli lo chiama nel suo celebre West-Oestlicher Divan)8, che gli tributa un incondizionato entusiasmo, confermato più tardi an che dall'ammirazione di un Emerson9• I
La majles-e babar Cominciamo con l'illustrare una tipica majles-e bahar o "ban chetto di primavera" sul prato, a partire da questo ghazal di Hafez: r. Or che la rosa sul prato dal Non-Essere all'Essere giunse la violetta ai suoi piedi sollecita depose il capo adorante 2.
O tu, al lamento di liuto e tamburo sorseggia una coppa di vino e bacialo il mento del coppiere al lamento di flauti e di cetre!
3· Non sedere presso il roseto privo di vino, d'efebo e di liuto: ché questa settimana di vita come eternità ce l'hanno contata! 4·
Per le "torri" di erbe odorose, come il cielo splendente s'è fatta la terra, tutta cosparsa di "astri" felici e di fauste "stelle"! 5·
Dalla mano d'un efebo dal volto grazioso e dall'alito [risanante] di [Gesù il vino ricevi, e dimentica infine la storia di 'Ad e Thamud [=nomi di popoli empi citati nel Corano]
niere, a cura di G. Scarcia, S. Pellò, Aride, Milano 2005; Hafez, Canzoniere, a cura di G. M. D'Erme, 3 voli., Università degli Studi di Napoli "L'Orienta le" , Napoli 2004-08. 8. Cfr. la prima traduzione tedesca di Hiìfez dovuta a J. Von Hammer Purgstali, Der Diwan von Mohammed Schemsed-din Ha/is, Cotta, Stuttgart Tiibingen 1812-13, che Goethe ebbe presto a conoscere. 9· R. W. Emerson, Persian Poetry (1876), raccolto con altri scritti in Works o/R. W Emerson, 12 voli., vol. VIII, Houghton, Mifflin and Company, Boston New York 1908.
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6. Qual paradiso questo mondo è sublime nel tempo di rose e di gigli ma quale vantaggio è [per noi] , se in esso eternità non è data? 7-
Quando la rosa sui venti cavalca al modo di re Salomone, quando all'alba gli uccelli al pari di Davide levan lamenti,
8. Anche tu nel giardino rinnova i costumi della fede di Zarathustra sì, proprio ora, che i tulipani riaccendono il fuoco di Nimrod [= nome di un nemico di Abramo]! 9·
E pretendi una coppa di vino in ricordo dell'Asaf di quest'era colui ch'è visir del principe Soleyman, 'Ahmad od-din Mahmud!
ro. Qui portatemi il vino, ché ad Hiìfez è sostegno imperibile per grazia e pietà della plebe e di Colui ch'è pronto al perdono! (Ht ghazal140; P 203)
Il componimento presenta, anche a una veloce lettura, un elenco canonico di elementi bad-nam, riassunti nel primo emistichio del v. 3: vino, efebo e liuto; a cui nel v. 8 si ag giunge il quarto elemento, che abbiamo visto citato nel ma nifesto di Daqiqi, ossia la ostentata adesione ai riti e «costu mi della fede di Zarathustra». Non si parla-si badi bene di una majles particolare, non si accenna neppure all'occa sione o alle circostanze del convito; neppure è chiaro se l'io lirico stia commentando la scena in praesentia o la stia sem plicemente evocando nel quadro di un martellante invito al carpe diem. Il tono è proprio quello di un edonista alla 'Ornar Khayyam (XI-XII secolo), il celebre poeta persiano riscoper to solo nel XIX secolo da Fitzgerald e da Nicholas w, che ha trattato la majles-e bahar in innumerevoli quartine di cui ci10. E. Fitzgerald, Rubaiyat o/Omar Khayyam, the Astronomer-Poet o/Per sia, Bemard Quarich, London 1859;].-B. Nicholas, Les Quatrains de Khayyam,
lmprimerie irnpériale, Paris 1867. !7
tiarno qui qualche esempio giusto per avere un termine di raffronto: Con bella fanciulla in riva al ruscello, e vino e rose finché m'è concesso godrò in pura letizia finché fui, sono e sarò in questo mondo ho bevuto, bevo e berrò sempre vino". In una mano la coppa di vin di rubino, nell'altra la treccia d'amante seduto sull'orlo del prato in buon augurio felice e bere senza pensiero del girar della sfera celeste bere fino a cadere ebbri di vino di gioia! " Giorni di primavera e rive d'un rivo e lembo di prato e ancor qualche bella fanciulla docile d'angeliche forme porgi la coppa allora, ché chi beve vino al mattino non cura pensier di moschea, è libero d'ansie di chiesa''·
L'elemento naturalistico che fa da fondale alla scena del ban chetto di questo ghazal di Hiìfez è circoscritto a pochi tratti stilizzati: il prato (v. I), il roseto (v. 3), il giardino (v. 8 ) , tre ter mini diversi in cui è variato l'unico sfondo naturale attraver sato dai segni della primavera incipiente: le rose e le violette'• n. 'Ornar Khayyàrn, Quartine ( Roba'iyydt), a cura di A. Bausani, Einaudi, Torino 1956, n. 209. 12. lvi, n. 232. 13. lvi, n. 39· 14- Su rose e violette nella poesia persiana cfr. C. Saccone, Rose e violet te nei giardini dei lirici persiani, contributo presentato al XXXVII Convegno in teruniversitario di Bressanone·lnnsbruck dedicato a E. R. Curtius e l'identità culturale dell'Europa (IJ·16 luglio 2009), in corso di stampa; più in generale sul motivo del giardino cfr. A. Schimmel, Stern und Blume. Die Bilderwelt der persischen Poesie, Harrassowitz, Wiesbaden 1984; ]. S. Meisami, Allegorica/ Gardens in the Persian Poetic Tradition; Nezami, Rumi, Hd/ez, in "lnternatio nal Journal of Middle East Studies" , 17, 1985, pp. 229·60.
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che spuntano (v. r), le erbe odorose che troneggiano sulla di stesa del prato, paragonato a cielo stellato (v. 4), i venti che lambiscono la rosa e gli uccelli che cantano (v. 7). Si osservi no le due "coppie fisse": rose-violette (v. r) e rose-uccelli (v. 7, qui generici uccelli, ma quando li si nomina sono invaria bilmente gli usignuoli), coppie in cui rispettivamente la rosa recita la parte dell"'amato" e violette e uccelli (usignuoli) la parte dell'innamorato "amante". Queste coppie replicano sul piano naturale la coppia umana formata dal poeta-amante (l'io lirico) e una vaga figura di "amato" che viene definito al ternativamente ora "coppiere" (v. 2) ora "efebo" (vv. 3 es). Si osserverà che qui l'io lirico sembra volgersi a un ipotetico amante invitandolo di volta in volta a baciare il mento del coppiere, a sedersi accanto a lui, a ricevere dalla sua mano il vino; ma è una sorta di illusione ottica: nell'ultimo verso-ove tipicamente il poeta si firma e in qualche modo parla a (o di) se stesso come sdoppiandosi-si rivela che chi aspetta il vino dalle mani del coppiere è Hafez medesimo, insomma l'invito del poeta al carpe diem bacchico-amoroso era rivolto non tan to (o non solo) a un immaginario interlocutore quanto pro prio a se stesso. L'elemento naturalistico di questa majles-e bahàr è, a ben vedere, sviluppato su un duplice piano: quello più immediato del prato/giardino in cui il poeta vede (o evoca) la scena del banchetto, e quello per così dire più dilatato in cui il prato/giar dino si estende sino a ricomprendere tutta la terra (v. 4) ovve ro il mondo (v. 6), che così duplicano, sul piano cosmico, la vi sione del poeta. Ma lo stesso primo verso già conteneva impli citamente una simile dilatazione-in una direzione si potreb be dire che ingloba anche il mondo invisibile o spirituale -là dove l'idea dello "spuntare" era magnificamente resa dall'e· spressione quasi metafisica > (v. 3), ma soprat tutto dai (v. 4 ) : protagonisti so no insomma Bacco e Venere. Si noti Io splendido accosta mento tra il luccichio delle coppe e la luce dei volti dei bel li, che rispettivamente eclissano la luna e il sole. Al v. 5 com pare un (jereshte-ye rahmat), espressione che propriamente individua Gabriele (l'angelo che secondo I'Islam dettò a Maometto il Corano); ma la figura allude qui all'amato (il coppiere o uno dei gio vani figli dei magi, che peraltro in questo tipo di ghazal ten dono a sovrapporsi), ed è lui al centro del banchetto e del le attenzioni dei convitati. Questi ultimi sono altre bellezze che nel banchetto fan compagnia all"'angelo", designate co me e , cui il vino fa produrre sudore profumato come : la loro presenza proietta un alone va gamente soprannaturale sulla scena. Segue un breve dialo go semiserio: il poeta-amante (vv. 6-7 ) , qui nelle vesti di ini-
ziato (o aspirante) alla confraternita del priore, saluta l'a mato/angelo che sta levando il calice, e questi risponde al saluto nei versi seguenti in tono tra il serio e il faceto, rim proverandogli la povertà di intento e di (hem mat, termine che ha spesso valenze gnostiche o magiche). L'amato/angelo della misericordia, evidentemente compia· ciuto dall'omaggio, rinfaccia in tono scherzoso all'amante le sue debolezze ( , «schiavo del vino>>), ma anche di essersi insensatamente allontanato dalla , che allude alla residenza dell'amato medesimo, per an dare a vivere in solitudine tra le «rovine>> . Così facendo ri schia di rimanere lontano dalla buona Fortuna (dowlat), in persiano detta sempre "desta", che qui allude evidente mente all'unione con l'amato (v. 8 ) . Nell'ultimo verso, di to no ancora irriverente sino al blasfemo, si vuole implicita· mente sottolineare il ruolo della taverna elevata al rango di "moschea" degli ebbri (cfr. in/ra), dove le preghiere e le suppliche vengono esaudite prima e sicuramente meglio di quelle che i comuni fedeli presentano in moschea al Dio dei dottori della legge. Alcune osservazioni su questo strano banchetto. 1. Si noti la sostanziale trasformazione del tempio dei magi in una taverna, ossia in luogo di bevute e baldorie. C'è un precedente interessante nella poesia araba di questo genere di trasformazioni di luoghi di culto non islamici in luoghi di spensierato intrattenimento: il citato poeta-califfo al-Wali:d (m. 744 ) s'immaginava di passare una notte in un cristiano convento (il Dair Bawanna) a mimare allegramente la messa dei cristiani, traendone anzi spunto per una festa scanzona· ta tra vino, musica e . Vediamo il brano relativo: Che bella notte ho passato a Dair Bawanna, là dove ci si mesceva il [vino e intonava il canto!
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Come girava il bicchiere giravamo noi a danza, e gli ignari [credevano che fossimo impazziti passammo presso donne profumate, e canto e vino, e lì ci [fermammo... ••
2. Altro aspetto notevole di questo banchetto nel tempio/ta verna dei magi è l'integrazione del motivo bad-nam dell'a postasia: il poeta-amante non esita a dichiarasi un fedele del priore dei magi, ossia della religione zoroastriana, oppure si dice pronto ad aderire alla sua misteriosa esoterica confra ternita che si riunisce nel tempio/taverna; altrove, nel Can zoniere, è posta in modo ancora più esplicito che nel ghazal citato l'antitesi moschea-tempio/taverna e ostentatamente il poeta dichiara di volere lasciare quella per andare a rifu giarsi in questa: Se dalla moschea me ne vado alla taverna, non biasimarmi: la predica va per le lunghe e il tempo per me stringerà! (H2 ghazal 149, 4; P 234) Sempre si ricordi quando, ebbro sempre, dimoravo in taverna e ciò che oggi in moschea non si trova, io subito lì l'ottenevo! (H2 ghazal 152, 8; P 239) Fino a quando, o Hafez, resterai alla porta della scuola coranica? Su alzati, ché alla porta della taverna un sollievo presto cerchiamo! (H3 ghaza/ 67, 9; P 374)
In effetti, nella majles alla taverna/convento del priore rie merge sistematicamente la connessione tra l'elemento bad nam dell'apostasia e la polemica, feroce benché sempre por tata sul filo di una elegante ironia, con l'ambiente religioso 19. Citato in F. Gabrieli, La letteratura araba, Sansoni-Accademia, Mila· no· Firenze 1967, p. u5.
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islamico '0• Si vedano ad esempio questi versi in cui compare fra l'altro il motivo della/atwa: 1. Ho qui la /atwa del priore dei magi, è sentenza antica:
2. A pezzi farò questa tonaca d'Ipocrisia: e che altro sennò? Un'indegna compagnia è, per lo spirito, doloroso castigo!
3· Affinché un sorso mi conceda il labbro dell'amato mio per anni a dimorare io son rimasto alla porta di taverne (H3 ghaza/ 48, 1-3; P ml
La/atwa, com'è noto, è un parere giuridico vincolante espres so da un religioso qualificato (il mu/ti) su richiesta di comuni fedeli o di pubbliche autorità. Già l'attribuire la facoltà di emettere delle /atwa al priore dei magi (v. r), quanto a dire al maestro del tempio/taverna, conferisce subito al componi mento un tono irridente e dissacratorio; che fra l'altro intro duce magistralmente la solita frecciata polemica agli ambien ti religiosi, allusi qui da quella > (vesd[), appartenente al vocabolario sufi, qui spostato in contesto mondano (banchetto, vino). v. 5 Nel primo emistichio Sudi legge ze 'omr (della vita) al posto di ze 'eshq (dell'amore). Nel secondo emistichio mi attengo alla sua lettura che ha una vo ce imperativa affermativa: be-kon honari invece che la negativa dell'originale ma-kon bonari. Qui honar può valere tanto virtù, come suggerisce Sudi, quan to, forse, arte poetica. Il senso dunque potrebbe anche essere: se in giovinezza hai fallito nell'amore, in vecchiaia fatti onore ahneno con la tua arte (poetica). v. 6 L'innamorato che si appaga di stare in veste di mendico alla porta del l'amato è figura abusata del repertorio hafeziano e di quasi ogni poeta per siano. Il (khwdje) è titolo, secondo Sudi, che potrebbe rife rirsi a un visir o altro grande dignitario di corte qui "confuso" con l'amato. Sul rapporto tra lirismo e panegirismo nella poesia hafeziana cfr. Bibliografia orientativa nel volume Hiìfez, Canzoni d'amore e di taverna. v. 7 L'amore del poeta-amante ha una proiezione metafisica e metastori ca: egli è stato iniziato e s'è "guastato" ancor prima del tempo, donde il fre quente paragone con Adamo cacciato dall'Eden (la ) e l'ac cenno alla perdita di uno stato primordiale di ( 'd/iyat, anche " pro sperità"/"felicità" ) . v. 8 Ossia a l priore dei magi zoroastriani che, insieme a l coppiere, è figu ra di grande iniziatore ai riti del vino nel teatrino amoroso hafeziano.
3 O coppiere su, lèvati P ro (Kh 8 ) Su 8 O coppiere su, lèvati, riempi la mia coppa seppellisci il tormento che la vita ci porge Benché malfamato sia questo presso i sapienti noi non vogliamo sapeme di fama o d'infamia! 47
Un calice di vino mettimi qui nella mano, a che di dosso mi strappi io, subito, questa tonaca d'azzurro colore! E versa quel vino, basta col vento d'orgoglio maledetta sia sempre una simile carne perversa! Il fumo dei sospiri brucianti del mio petto arse tutti costoro che son così gelidi e acerbi Intimo del Segreto del folle mio cuore nessuno ho veduto, tra i nobili e i vili La mia mente s'appaga con quegli che il cuore ristora che pur dal mio cuore ha rapito, d'un tratto, la quiete! No dawero, non più guarderà a uno snello cipresso sul prato chi quel cipresso ha veduto una volta, con membra d'argento! Pazienta o Hafez, e giorno e notte, in questo travaglio soddisferai un giorno, sì fmo in fondo, il tuo desiderio! Note v. 1 L'originale per (khàk bar sar kon, letteralmente ) equivale nel linguaggio comune a o > (letteralmente ), ma pure del poeta. Il pappagallo è altra figura
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del poeta, supposto capace di "ripetere" arcani messaggi soprannaturali nu trendosi dello zucchero dell'amato. Lo zucchero associato al pappagallo/poe ta è però di regola allusione alla dolcezza dei suoi versi. v. 3 Si noti il tradizionale giro di immagini (rete, esca) ispirato alla caccia ai volatili, associate a parti del volto dell'amato (riccioli, neo). v. 4 Si trova qui il topos della "bevuta primordiale" associata con l'idea della determinazione del destino individuale del poeta-amante ab aeterno (azal, che si oppone nel gergo teologico ad abad, o post-etemità), il quale è in somma predestinato all'ebbrezza amorosa. v. 5 Sembra, se ho ben colto il senso del verso non proprio perspicuo, che lo stesso amico non desideri che l'amante divulghi in giro troppo generosa mente le lodi delle sue qualità e bellezze. Secondo Sudi gliene verrebbe mal di capo perché ne sarebbe presto scosso o commosso (mota'asser) . vv. 7-8 Qui tutta l a terminologia è tipicamente a doppio senso mistico erotico, essendo i vari concetti elencati - unione (vesd!), separazione (/erdq) , scopo (kàm), dolore/passione (dard) - facilmente interpretabili anche all'in· temo della mistica sufi.
15 Quel bel turco, dal volto di fata. . . P 3 2 (Kh 82 ) S u 8 7 Quel bel turco, dal volto di fata, iersera da noi via se n'andò: ma quale offesa mai ebbe, ché per la via di Tartaria se n'andò? Da quando al nostro sguardo disparve quell'occhio suo scruta-mondi nessuno sa nulla di noi, né fuor da questi occhi quanto pianto andò! Dalla candela non s'alzò stanotte, al passaggio del fuoco del cuore, tutto il fumo che al bruciore del mio fegato fm su, alla testa, andò! Lontano dal volto di lui, di respiro in respiro, dall'angolo del mio occhio uscì fuori un profluvio di lacrime e tempesta di sventura ovunque ne andò Crollammo, noi tutti, quando ci giunse la pena del Distacco nel Dolore languimmo, quando la "medicina" via se n'andò
Disse il cuore: si può con la preghiera ottenere l'Unione con lui! È una vita che prego, sì, la mia vita tutta in preghiera se n'andò! A che indossare la veste dei pellegrini, se la qibla qui non è più? A che sforzarsi ancora, se dalla ka'ba ogni purezza via se n'andò? Ieri sera, vedendomi, sentenziò il medico con sommo rammarico: la tua malattia, ahimè, dal "Libro della Guarigione" via se n'andò ' O amico, fallo un passo per chiedere almeno dello stato di Hafez prima che ti dicano che ormai dalla Casa del Feribile fuor se n'andò Note v. 1 Gioco di parole tra offesa/peccato e Tartaria, entrambi khatà (cfr. la voce " Catai") nell'originale. L'amato nella lirica persiana è spesso detto (o pa ragonato a un) "turco" o "turco predone", accentuandosi così l'alone di mi naccia per gli innamorati che lo circonda (si tenga presente la minaccia e il pe ricolo tradizionalmente associati a questa etnia dagli abitanti dell'altopiano iranico, da sempre costretti a fronteggiare invasioni di nomadi bellicosi pro venienti dall'Asia Centrale). Il > - di cui Shiraz, nell'encomio scontato del poeta, è un po' il gioiello più raro - sono i sette continenti della geografia tradizionale ira nica (riflessa anche nel Corano) , che vedono l'Iran posto al centro del mondo abitato. Il neo è, nella lirica persiana, un elemento decorativo canonico del volto cantato dal poeta. v. 8 L'acqua di Khidr allude alla miracolosa Fontana della vita custodita nel Paese delle Tenebre, dove invano Alessandro, secondo la vulgata islami ca della sua leggenda orientale, tenterà di trovarla. Il secondo emistichio si può leggere in due modi: l'acqua è quella del ruscello Roknabad che scaturi sce dalla collina di Allah Akbar (poco distante da Shiraz); ma il nome di que st'ultima è letterahnente «Dio è grande 1 » - una delle più note giaculatorie che ogni pio musulrnano non manca di recitare più volte al giorno - cosa che la scia pensare che l' potrebbe anche alludere alla stessa poesia del nostro poeta, il cui nome d'arte, peraltro, certifica la sua conoscenza a me moria della parola divina conservata nel Corano. In conclusione, abbiamo un doppio senso perfetto: se si pensa all'acqua del ruscello, questa è ben infe riore a quella di Khezr che dona l'immortalità; se si pensa all'acqua come poe sia, questa supera persino la virtù miracolosa della fonte di Khezr, perché la sua sorgente è il verbo coranico. v. 9 Il «Sostentamento» (rezq, concetto di origine coranica) di ogni crea tura, umana o meno, sarebbe predestinato dal «Sovrano» divino con decreto ab aeterno secondo concezioni diffuse tra i dotti dell'Islam. I concetti di «po vertà>> (jaqr) e di (qand'at) appartengono al gergo sufi, ma qui il discorso si fa sottilmente ambiguo: il poeta forse sottolinea la sua povertà
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per sollecitare indirettamente il patrono (altra interpretazione possibile di quel «sovrano>>) a provvedere. v. 10 Paragone convenzionale, in chiave di scontato autoencomio, che al lude alla dolcezza dei versi del poeta.
20 O tu, al mio sguardo assente P 40 (Kh 92 ) Su 96
O tu, allo mio sguardo assente, a Dio io ti affido l'anima mi bruciasti, pur con tutta l'anima ti amo! Finché la veste non avrò del sudario, là sotto terra non credere che dalla tua veste questa mia mano ritiri! Cento torrenti di acqua ho fonnato con gli occhi, qui, accanto sperando, nel tuo cuore, di potere piantare il seme d'amore Dammi udienza, in cotanta grazia, affmché pel bruciore del cuore le mie perle dagli occhi io versi ai tuoi piedi, d'istante in istante! Il mihrdb del tuo sopracciglio, su mostrami, affinché all'alba io levi le mani in preghiera e poi intorno al tuo collo le metta! Dovessi pure andare da Harut, laggiù fmo a Babele, ci andrò e cento diverse magie opererò, così da poterti conquistare! lo piango, e scopo delle lacrime mie diluvianti è sol questo: piantare il seme d'amore nel tuo cuore! Dinanzi a te morire vorrei, o medico mio, infedele chiedi dunque della mia malattia, di te io resto in attesa! Lui il mio sangue versò così liberandomi dalla pena d'Amore (riconoscente io sono al tuo sguardo, che pur mi pugnala! )
Vino amore e libertinaggio, o Hiìfez, non son cose da te: tu continui, tuttavia, a praticarle e io a non teneme conto! Note v. 2 Si osservi l'ardito accostamento, nello stesso verso, tra la veste dell'a mato e il sudario del poeta. vv. 3-4 Le lacrime amorose che si trasformano in torrente o diluvio, o in (gowhar), sono un altro topos ampiamente diffuso in Hàfez e tra i poe ti persiani. Si osservi l'associazione con il motivo del piantare il "seme amo roso" (tokhm-e mehr) nel cuore dell'amato, ripetuto poi anche al v. 7· w. s-6 La preghiera dell'alba fatta di fronte al sopracciglio/ mthrdb (l' acco stamento si giustifica per la forma arcuata che li accomuna, cfr. anche nota al ghazal r5, 7) dell'amato s'inquadra nella poetica della bad-ndmi (owero dell"' in famia", come dice l'etimo trasparentissimo). Poetica secondo la quale il poeta persiano tipicamente affetta atteggiamenti scostumati (ad esempio il darsi al vi no e ad amori proibiti), irriverenti e indifferenti alla legge religiosa (ad esempio affettando fedeltà ad altre fedi religiose come la cristiana o la zoroastriana, fm gendosi idolatra o facendo del proprio amato un "idolo" ecc.). Il mettere le ma ni al collo, secondo Sudi, può qui sottilmente alludere all'usanza della cosid detta "mano di Fatima'\ sorta di amuleto portafortuna e scaccia-malocchio. L'idea di agire magicamente sull'amato si ripete nel secondo verso con l'allu sione a Hàrut e Màrut, i due "angeli caduti" in un pozzo di Babele (Corano, II, 102) da cui, secondo la tradizione, insegnano le arti magiche agli uomini. w. 8-9 Tornano due immagini o meglio "maschere" dell'amato: quella del medico e quella dell'assassino. Il poeta-amante tipicamente anela a morire per mano sua (cfr. l'analogo motivo diffuso tra i nostri stilnovisti) o a farsi curare da lui. Variante - riportata da Sudi - nel primo emistichio del secondo verso: > (vas{) del v. 5· v. 6 I (raqiban), come i gardadors della tradizione lirica pro venzale, sono qui chiare figure d'ostacolo o d'interdizione tra l'amante e l'a-
mato, con cui tuttavia conservano una certa intimità guardata sempre con somma gelosia dagli innamorati. v. 7 Il (khiyd[) o figura immaginale dell'amato, che in sua assenza consola l'amante, decide pure lui di separarsi da chi ormai sta mo rendo. v. 8 Qui è il topos della crudeltà dell'amato "masochisticamente" deside rata dall'amante che, altrove, invoca smanioso addirittura la morte per mano di lui (altro motivo che si ritrova nella tradizione stilnovistica).
25 Lamèntati, o usignuolo P 46 (Kh 39 ) Su 71 Lamèntati, o usignuolo, se hai come me desiderio d'amico amanti siamo noi due, per noi altro non c'è che il lamento! In quella terra ove una brezza soffia dai riccioli aulenti dell'amico non serve che il vento soffi di profumato muschio di Tartaria! Su, il vino portate ché arrossare si deve questa vestaglia d'Ipocrisia: ebbri noi siamo della coppa d'orgoglio e pur fama abbiamo di sobri Carezzare il pensiero dei tuoi riccioli non è cosa da ingenui ché fmire in catene è faccenda che s'addice solo ai briganti! Sottigliezza sublime, arcana, è lo stato da cui Amore subito sorge: il suo nome non è dawero "labbro di rubino", né "fulva peluria" ! L a Bellezza dell'amato non è in occhi, ciuffo, neo o guancia: mille aspetti sottili son nell'azione di chi il cuore ci ruba! l viandanti di Verità non comprerebbero per metà d'un sol chicco la ricca veste di raso di chi dell'arte [d'amore] è ignaro e spoglio!
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Arrivare alla tua soglia, sì, è cosa assai ardua l'ascensione al cielo più alto, oh, è cosa difficile! All'alba, un cenno del tuo occhio io coglievo in sogno: oh, beato quel sogno che migliore è ceno d'ogni veglia! Il cuore di lui, o Hiìfez, non imponunare coi lamenti, basta: ché un'eterna liberazione sta nel non dare fastidio a nessuno! Note
v. 1 L'usignuolo innamorato della rosa è tipicamente, in tutta la poesia per siana, la controfigura del poeta-amante che aspira all'amico o amato. Altra let tura possibile nel primo emistichio: «se hai desiderio di amicizia con me». v. 3 L' (zarq) è il grande peccato denunciato dai persiani fede li d'Amore e, specularmente, è il tipico emblema dei loro awersari: bigotti, bacchettoni, censori, benpensanti ecc., come ben si vede nel Canzoniere di Hiìfez e in innumerevoli altri poeti. v. 4 Il cuore dell'amante sincero finisce regolarmente tra le «Catene» dei riccioli (o trecce) dell'amato. Sfruttando abilmente l'immagine del >, riferi to a Zefiro.
34 Più dolce di festa amicizia giardino P 58 (Kh 66) Su 70 Più dolce di festa amicizia primavera giardino che c'è? Dov'è il coppiere, dimmi, il motivo dell'indugio qual è? 101
Ogni dolce momento che trovi, stimalo un raro bottino a nessuno è mai dato sapere la fme di tutto qual è' Il laccio della vita è legato a un esile capello, sii vigile pensa al tuo affanno; quanto all'affanno del mondo: cos'è? Il significato dell'Acqua di Vita o del Giardino d'Iram se non è quello di riva di fonte o vino novello, qual è? Poiché sia l'ebbro che il morigerato provengono dalla stessa tribù alle occhiate di chi noi il cuore daremo? La scelta - dimmi - qual è? Il segreto oltre il velo, il cielo forse lo conosce? Meglio tacere o borioso, la tua disputa vana col Guardiano del velo cos'è? Peccati e misfatti del servo: se non meritano questi attenzione, allora il senso della pietà del Creatore, del perdono, qual è? I: asceta volle il vino del Kawtbar, Hàfez volle la coppa: tra i due, quel che il Creatore davvero gradisce qual è? Note
vv. 1-4 Torna il tema del carpe diem con la solita orchestrazione di im magini attinte al repertorio malfamato: amori vino musica. Si noti la fun zione enfatica delle immagini mitologiche dell'Acqua di Vita e del coranico giardino d'Iram associati rispettivamente alle gioie del vino e del prato pri maverile. v. ; Ossia alle occhiate/moine (ghamze) dell'amico in carne e ossa o a quelle dell'Arnica con la a maiuscola, quello divino? La proiezione teologi ca del canto di Hàfez non potrebbe trovare qui conferma migliore; e altret tanto si può dire per la necessaria individuazione al maschile del genere del l' amico, l'unica che - nel sistema - può garantire la possibilità di questo ti po di proiezioni (teologiche, ma non solo, anche ad esempio nella direzione panegiristica). v. 6 Il «guardiano del velo>> sarebbe il destino o il cielo - il cielo essendo secondo Sudi il "velo" che Dio frappone tra sé e il creato (l'immagine richia ma quanto avveniva talora nelle persiane sale delle udienze, ave un guardia no era addetto alle cortine poste tra il sovrano e i postulanti). Il di 102
regola allude al poeta o amante concorrente; ma qui secondo Sudi si parla di un astrologo supponente o di un preteso scienziato che crede di poter saper ne più del cielo/destino, ossia del guardiano del velo, esso stesso qui suppo sto ignaro del segreto dell'esistenza. vv 7-8 Qui ricorrono due altri temi khayyamiani: se noi non peccassimo, il divino Perdonatore resterebbe disoccupato ... D'altronde, come già accen nato al v. 5 , solo Dio ha decretato ab aeterno il nostro destino di pii che pen sano alle acque delle fonti paradisiache (il Kawthar) o di peccatori che pen sano al vino (la coppa). .
35 Ora che una dolce brezza P 6o (Kh n) Su 84 Ora che una dolce brezza soffia, dal giardino, di paradiso col vino io resto, che gioia mi dona, e l'amico simile a urì Il prato ecco, il racconto mi porge del mese di primavera: non è sano di mente no, chi per cambiali lasciò il contante! O tu, posa la tua anima su fondamenta di vino: questo mondo ubriaco ha un desiderio soltanto: fabbricare i mattoni con la polvere nostra' Perché il mendico non si dovrebbe vantare, oggi, della sua Regalità? Ampio padiglione gli è l'ombra di nubi, banchetto il bordo del prato! Non cercare nel nemico la fedeltà ai patti, ché non dà luce la lampada del convento se l'accendi col lume di sinagoga! Non biasimare me, l'ebbro, pel libro sì nero delle mie azioni chi può sapere che cosa ha già scritto il Destino sulla sua testa? Non allontanare i tuoi passi dinanzi al feretro di Hiìfez: sebbene affogato nel peccato, se ne va - lui - in paradiso! 103
Note
vv 1-3 La brezza del paradiso allude all'arrivo di primavera allorché sa rebbe insensato, come già diceva KhayyWn, rinunciare al «contante» (naqd) delle gioie del vino e dell'amore per la «cambiale>> (nasiye) delle gioie del pa radiso, visto che i nostri resti ftniranno prima o poi - altro celebre motivo del le quartine di Khayyàm - mescolati alla polvere di mattoni (khesht) . v. 4 I l tema della " regalità nella povertà", d i chiare origini mistiche, qui può essere riferito all'amante - povero in quanto privo dell'oggetto del suo desiderio, ma insieme nobilitato dal suo legame amoroso col "sovrano della bellezza" e, ancora, "sovrano di se stesso" in quanto libero da qualsiasi altro legame mondano. v. 5 Qui il sembra alludere alla figura ricorrente del borioso (il bigotto/bacchettone, o un rivale indegno) e probabilmente va collegato alla figura apostrofata nei versi che seguono. L'accenno alla (konesht) va inquadrato nella nota ostilità coranica nei confronti degli ebrei, dei quali si raccomanda di non cercare né l'alleanza né l'amicizia. vv 6-7 Il " rotolo" o "libro delle azioni" è motivo coranico connesso con il giudizio finale. Dio, che ha già stabilito ab aeterno il (qazd, arabo qadd) di ogni creatura, nella visione dei teologi islamici ortodossi è totalmen te svincolato da qualsiasi criterio di giustizia retributiva: egli potrebbe al li mite punire il pio e premiare il peccatore, come elegantemente ricorda Hafez che, secondo alcune fonti, fu anche un maestro di madrasa (scuola teologica) . Nel fmale il poeta si rivolge sempre a l bigotto qui immaginato allontanarsi ipocritamente al passaggio del feretro di Hiifez, per la sua fama di "peccato re" e libertino. .
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36 Umido rubino assetato di sangue è il labbro P 62 (Kh 52 ) Su 56 Umido rubino assetato di sangue è il labbro dell'amico mio sol per vederlo, io rendere l'anima - nient'altro - ho da fare! Di fronte a quegli occhi neri, alle lunghe ciglia, si vergogni chiunque ora mi snobba, e pur vide come lui i cuori si ruba! !04
O cammelliere, non portare i bagagli alle porte [della città], quel vicolo soltanto, è per me la strada maestra, là dimora chi tiene il mio cuore Servo io sono della stella mia buona, pur in tanta infedeltà: oh sì, l'amore per quell'ebbro girovago mi ha conquistato! Una pozione d'essenza di rose, uno scrigno di ambra odorosa: ecco i doni d'un alito solo del dolce effluvio del mio profumiere! O giardiniere, non cacciartni dalla porta come s'io fossi vento accattone l'acqua, al tuo verziere, scorre dalle lacrime mie del color di melagrane! Sciroppo zucchero acqua di rose, [bevuti] da labbra d'amico, mi ordinò il narciso bello del suo occhio, l'unico medico del cuore mio infertno! Colui che nello stile poetico a Hiìfez insegnò sottigliezze è l'amico mio, dalla bocca così dolce, dalla rara loquela! Note
vv. 1-2 Il motivo della maschera dell"'assassino" con cui spesso l'amato è descritto si congiunge a quello del biasimo a colui che non perdona le amo rose debolezze del poeta-amante, pur avendo constatato il fascino irresistibi le dell'amato. v. 3 Ossia: io non sono più in partenza, resto qui nel vicolo dell'amato. vv. 4·6 Abbiamo qui una serie di immagini convenzionali che alludono in vario modo alle seduzioni dell'amato: il «girovago>> (/uli, nel medioevo isla mico sorta di artista ambulante, che godeva perlopiù di pessima reputazione), del ( 'attar) e del >) vale anche "danzando" o "a passo di danza" e simili. v. 10 Nell'«invidioso» (bdsed) è da vedere, come altrove nel "borioso" , un rivale o un concorrente del poeta-amante.
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42 Ho udito il dolce discorso P 73 (Kh 88) Su 93 Ho udito il dolce discorso che fece Giacobbe di Canaan: > e confuso, poco ne sa pure lui) , che il poeta-amante paventa come una defmitiva dipartita e forse addirittura co me la fme del rapporto. Donde gli accenni alla rassegnazione (]etterahnente «stazione della rassegnazione», altra espressione del gergo sufi), ad accettare un Dolore (dare/) che è pena amorosa conseguente il distacco o comunque inerente alla separazione. L'accenno al ringraziamento del «guardiano» (ra qib) è piuttosto nel senso di un'amara autoironia. vv. 6-7 Due versi-proverbi messi in bocca a una figura sacra (Salomone che tra le altre cose, secondo la tradizione islamica, comanda ai venti) e al "fat tore"/"contadino" (dehqan) del villaggio, figura tradizionahnente legata a un 'idea di saggezza atavica. vv. 8-9 Il cielo o il mondo paragonato a una vecchia (zJ{) strega o balia dalle sinistre intenzioni è un topos antico - in cui è l'eco di un certo pessimi smo dualistico di matrice mazdaica - che si ritrova già in Sanà'i o in Khayyàm. Il verso seguente trasuda, al contrario, di islamico (e in fondo ottimistico) spi rito di sottomissione ai decreti divini, esemplificata nell'idealizzazione della coppia servo/signore. Di queste contraddittorie Weltanschauungen, qui avvi cinate con notevole poetica efficacia, si trovano esempi a iosa in tutta la poe sia persiana.
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43 Quando Iddio creò la forma P 76 (Kh 33 ) Su 3 7 Quando la forma creò Iddio del tuo sopracciglio rubacuori sin d'allora, la mia liberazione ai fatali tuoi sguardi legò Oh, a me e all'uccello del prato sottrasse ogni pace dal cuore il tempo, dacché l'aureo tessuto di veste sì bella alla vita ti legò Cento nodi intricati a me sciolse, e al germoglio di rosa Zefiro all'alba, dacché il suo cuore alla passione di te si legò Me rese appagato, nei tuoi lacci, il giro della Ruota ma a che giova, se il capo del fùo al tuo arbitrio legò? Il povero mio cuore non stringere coi nodi come borsa di muschio poiché lui, con un patto, ai riccioli tuoi sciogli-nodi già si legò Tu fosti dawero la vita e [la gioia] d'altrui, o brezza dell'Unione: ma guarda l'errore del mio cuore che alla tua fedeltà la speranza legò! Per la mano pesante delle offese io gli dissi: or me ne vado da questa città! Ma lui ridendo così mi rispose: vai pure o Hiìfez, chi mai i piedi ti legò? Note v. 2 Si parla qui - secondo Sudi - di una particolare veste, pare origina riamente in uso presso popolazioni georgiane, caratterizzata tra le altre cose dalla preziosità della cintura, che poteva essere decorata in oro o argento. L'uccello del prato è l'usignuolo. v. 3 Qui Zefiro compare nella duplice veste di confidente/messaggero d'amore e di amante lui stesso dell'amico (cfr. anche v. 6). Si noti l'elegante antitesi legare/sciogliere. v. 4 Ossia - interpreta Sudi - se il capo del filo dei lacci amorosi, in cui sta voluttuosamente il poeta-amante, è governato dal volubile arbitrio (rezà, che in teologia si riferisce alla divina compiacenza o soddisfazione, ricercata dal mistico amante) dell'amato, che fa e disfa secondo quanto gli detta il mo mento. La «ruota>> (carkh) è classica immagine della sfera celeste intesa come destino, fato ecc.
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v. 5 Lo stringere i nodi al cuore, paragonato alla profumata borsa/ghian dola del muschio (ruminante da cui si ricava il profumo omonimo), entra qui in un complesso e artificioso gioco di parole e immagini - per noi forse stuc chevole, ma non per il gusto persiano - tra i nodi dei riccioli dell'amato (che però risultano «Sciogli-nodi» per il poeta-amante in quanto in essi il suo cuo re si va beando), i «nodi» dell'amorosa passione e il patto - ossia un altro le game/nodo - tra il cuore dell'amante e i riccioli medesimi. v. 6 Una nota di gelosia nei confronti di Zefiro Oa >). Le immagini, per il nostro gu sto forse stucchevoli, alludono al pianto senza fine dell'amante, così come fa il verso successivo, sia pure con immagini diverse. v. 4 La gelosia dell'amante per Zefiro, messaggero d'amore, è dovuta al suo timore che Zefiro parli troppo in giro delle grazie dell'amico. v. 5 Altra immagine convenzionale di carattere iperbolico: lo zucchero sarà dolce, ma si scioglie dalla vergogna per la infmita dolcezza delle labbra dell'amato; così come altrove si dice, ad esempio, che la rosa (o la luna) va a nascondersi vergognosa per la bella guancia rosea (o chiara) dell'amato ecc. v. 6 Qui perché rivelano agli estranei la pena amorosa del poe ta-amante. Cfr. il v. 8, dove lo stesso tema è ampliato dall'idea che, comunque, tra i «libertini» questi segreti amorosi sono risaputi. v. 7 Allusione ai rivali del poeta che non gode di buona stella, o forse ai nemici dei fedeli d'Amore. vv. 9-10 Si allude ai rischi e alle pene dell'amante sulla via d'amore e al la necessità di ricorrere a espedienti e astuzie (cfr. l'accenno alla volpe) , che comunque non evitano colpi e ferite. L'immagine del fegato (jegar) che san guina al posto del cuore (de[), a noi poco familiare (ma si pensi all'espres sione " radersi il fegato" ) , è comune e si giustifica qui forse anche per ra gioni metriche. v. 1 2 Si allude alla crudeltà dell'amico, che mai si concede, e alle sue in numerevoli astuzie, che comunque surclassano quelle messe in opera dal l'amante.
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52 O coppiere, porta il vino P 8 5 (Kh 84 ) S u 89 O coppiere, porta qui il vino, il mese del digiuno ormai se n'è andato versami una coppa, la stagione d'onore e buon nome già se n'è andata Se n'è andato il tempo migliore, su vieni, affmché si ripari a un'intera vita che senza calici e coppe via se n'è andata A tal punto rendimi ebbro che io, nell'incoscienza, ignori chi è venuto sulla scena del pensiero, e chi se n'è andato! Nella sola speranza che un sorso ci giunga da quella tua coppa alla taverna oh, quanta preghiera da mane a sera per te è andata! Al mio cuore già morto, nuova vita giunse nell'anima dacché nelle sue nari un aroma d'effluvi di vino è andato S'inorgoglì l'asceta, non terminò la sua via in salute per questo ma il libertino, smaniando, alla Casa della Pace è infme andato La moneta del cuore che io possedevo fu spesa nel vino era sì moneta contraffatta, nel proibito perciò se n'è andata Nelle spire del pentimento sino a quando arderemo come legno d'aloe? Versami il vino, ché la mia vita in passione acerba ormai se n'è andata! E smettila tu di consigliare il povero Hiìfez: non trovò il suo paese colui, smarrito, nella cui gola il vino d'amore giù giù se n'è andato! Note v. 1 Ossia: è passato il mese di ramadan e con esso la dura necessità di osservare scrupolosamente i relativi precetti per mantenere la propria ri spettabilità e il buon nome. Di qui l'invito scanzonato dei versi seguenti a porre rimedio.
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v. 3 La «Scena del pensiero>> ( 'arse-ye khiyd!) corrisponde alla fervida im maginazione (altro significato di khiyd!) del poeta-amante, in cui la figura del l' amato va e viene senza dar tregua. v. 4 Qui l'originale per (do'd) mantiene un doppio senso re ligioso e profano, potendosi intendere normalmente con questo termine an che espressioni di riverente augurio e benedizione all'indirizzo di qualcuno. v. 5 L'amato (esattamente come il dio coranico ! ) uccide e dà vita; l'ac cenno agli aliti che risuscitano è altrove connesso con la figura di Gesù tau maturgo, celebrato in tutta la tradizione islamica. Le «nari» sono tradizional mente considerate una porta della percezione soprasensibile, connessa con il cuore o qualche altro organo sottile. v. 6 La (ddr al-sa/dm) designa il paradiso coranico. L'op posizione consueta tra asceta (zdhed) e libertino (rend) - l'uno che regolar mente fallisce per arroganza o ipocrisia, l'altro che umiliandosi attraverso suppliche e smanie (niydz.) consegue lo scopo - traduce qui una visione elita ria della via amorosa e un certo fastidio per le forme organizzate e istituzio nalizzate del misticismo sufi. v. 7 Si sfrutta qui la già vista anfibologia, essendo l'originale per «cuore» (qa/b) interpretabile anche come "moneta falsa" o " patacca" . v. 8 L'aloe ( 'ud) è u n legno aromatico che veniva bruciato per profumare una stanza o un ambiente. La «passione acerba» (sowdd, anche "malinconia" ) allude a l pentimento (towbe) del peccatore. I l tema è già in Khayyàm, che nel le sue quartine stimava un delitto pentirsi di bere e amoreggiare >) del regno ce leste (kha!vatiyan-e ma!akut) che sono sconvolti al passaggio dell'amato, rap presentano altrettante formulazioni iperboliche della "meraviglia" e dell'ec citazione suscitata dalla bellezza dell'amato. v. 7 Si noti l'assunzione da parte del poeta della "maschera" del sufi. Let teralmente (khorman-e sa!us o kara mat). Miracoli veri o presunti erano spesso attribuiti dal popolino a sufi e san toni tra i quali non pochi campavano sulla sua credulità.
58 Grazie a Dio, la porta della taverna ... P 91 (Kh 41 ) Su 45 Grazie a Dio, la porta della taverna è infme riaperta ché a quella porta il mio bisogno smanioso è rivolto! Per l'ebbrezza in ribollio son tutte le botti e gorgoglianti e il vino là dentro è proprio il vino reale, non l'allegorico! Da parte di lui c'è soltanto ebbrezza orgoglio arroganza da parte nostra, non c'è che miseria impotenza e smania! l Segreti che all'estraneo non dicemmo né mai noi diciamo all'amico su confidiamoli, ché a parte dei Segreti è lui solo!
La descrizione delle volute di ricciolo dell'amato, a una a una, non è dato abbreviarla poiché, di necessità, è storia ben lunga! Il peso del cuore di Majnun sulle volute della treccia di Leyliì... Il volto del sultano Mahmud sulla pianta del piede di Ayàz ... Come falcone richiusi i miei occhi sul resto del mondo per poterli riaprire soltanto lì sopra quel volto tuo bello!
Chiunque sia entrato nella ka'ba del vicolo tuo è ora in preghiera alla qzbla del tuo sopracciglio O amici, del bruciore del cuore del povero Hafez chiedete a quella candela, che brucia e si scioglie! Note v. 1 È qui un accenno alla (dal poeta a lungo) sospirata riapertura delle bettole e osterie di Shiraz, fatte chiudere per decreto del bigotto principe Mobàrez od-din e riaperte poi dal figlio e più tollerante successore principe Shojà'. v. 2 Letteralmente . È uno dei pochi versi in cui Hàfez fornisce un'indicazione precisa al riguardo. Ma ba· sta andare al verso successivo per trovare ancora il termine «ebbrezza» (ma sti) riferito all'amato in modo perfettamente ambiguo. Il verso resta co· munque supremamente ambiguo, se si pensa che haqiqat è anche termine teologico che rimanda alla " realtà" divina. Cfr. anche l'incipit del ghazal se· guente, in cui il presunto amore del poeta per i piaceri bacchici sembra mes so in questione. vv. 3-4 Questa situazione tipifica l'abissale distanza tra amante e amato (in cui in trasparenza si può intravedere il rappono tra il mistico e il suo divino Signore), e insieme caratterizza un rapporto tutto privilegiato, "esoterico" . v. 6 S i osservi i l perfetto parallelismo costruttivo dei due emistichi che compongono il verso, un artificio ampiamente usato da Hafez e da tutti i poe ti persiani. Si allude qui a due classiche coppie celebri, variamente sfruttate nella poesia persiana come modelli inarrivabili di amore perfetto (comunque lo si voglia intendere). Il cuore che va a imprigionarsi tra le " catene" dei ric· cioli dell'amato è immagine convenzionale che ricorre diffusamente nel Divan; re Mahmud che veglia sul dormiente Ayàz, lo schiavo da lui amato, per poi a sua volta farsi sorprendere addormentato da questi, col viso appoggia· to ai suoi piedi, è un'altra immagine di dedizione assoluta nel segno dell'au· toumiliazione dell'amante. v. 7 Si allude al falcone da caccia, caratteristicamente rappresentato "in cappucciato" e tradizionale immagine di dedizione assoluta al sovrano-falco· niere, come già si vede, ad esempio, in note liriche di 'Attàr o di Rumi. v. 8 Si noti la caratteristica confusione di linguaggio amoroso e linguag gio religioso, con le relative equazioni "blasfeme" : ka(ba = vicolo/casa dell'a mato; qibla = sopracciglio dell'amato (ma altrove è paragonato al mzhrab, per la comune forma arcuata), per cui cfr. anche nota al ghazal 15, 7·
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59 Col pensiero assillante di te ... P 92 (Kh 3 1 ) S u 34 Col pensiero assillante di te, come curarsi ancora del vino? Ditelo alla botte: pensa per te, ché la taverna ormai è in rovina! Fosse anche il vino del paradiso, buttatelo, ché senza l'amico ogni vino pur dolce e soave che offriate per me è un castigo! Peccato che il mio rubacuori se ne andò: in questi occhi piangenti tratteggiar la sua immagine bella è come disegnare sull'acqua! O tu, occhio, svegliati su, poiché non si può restare al sicuro dal diluvio continuo che sgorga da questa "dimora del sogno" La rosa, da quando la Grazia di gocce vide imperlare il tuo volto leggiadro di gelosia infiammata, per la pena del cuore, s'è annegata in acqua di rose In un angolo del mio cervello non cercate il posto per consigli e moniti ché questa "cameretta" già tutta risuona del lamento di cetre e ribeche! Già verdeggiano colli e pianure, su vieni, non allontaniamo la mano dall"' acqua" di botte: il mondo è tutto un miraggio! Se Hiìfez è amante, libertino o giocoso di sguardi, che importa? Nel tempo di giovinezza, gli eccentrici modi son pur naturali! Note v. 1 L'originale per (khiyal, che si ripete al v. 3) ha il senso di "immagine mentale" o "fantasma" dell'amato, un tema assai caro a Hafez. v. 3 Ossia: è vano provare a ricostruire con il pensiero l'immagine (khiya/) dell'amato sulla "tavolozza" degli occhi, divenuta un lago di lacrime. L'imma gine è ribadita nel verso seguente, ave l'occhio è defmito . v. 5 Qui (go/) e (go/ab) entrano in un gioco di pa role e in una elegante eziologia: l'acqua di rose sarebbe originata dal fuoco di
gelosia/invidia (gheyrat) per le gocce di sudore sul volto (sempre "bello come rosa") dell'amato. Si tratta insomma del topos dell'oggetto di comparazione (qui la rosa, altrove la luna, lo zucchero, la candela . . . ) che è reso follemente geloso o invidioso dalla comparsa dell'amato. v. 6 Il discorso è rivolto qui a un anonimo confidente che invano cerca di consigliare l'amante; spesso in questo ruolo è la ragione ( 'aq[) o, talora, Zefi ro messaggero d'amore e al contempo anche confidente dell'amante. Il la mento degli strumenti è metonimicamente connesso con quello dell'amante che patisce il distacco o separazione dall'amato. v. 7 Gioco di parole tra sa r-e àb (fonte dell'acqua, qui allusione alla botte e al suo vino) e saràb (miraggio). v. 8 L'originale per «giocoso di sguardi» (nazar-bàz, letteralmente «gio cante con lo sguardo» ovvero «occhieggiante») è come al solito termine am biguo che rinvia sia all'occhieggiare del gioco amoroso sia ad aspetti gnosti co-contemplativi, nazar essendo anche termine proprio del gergo filosofico, mistico e teologico.
Go Tanto pianse la pupilla dei miei occhi P 94 (Kh 55 ) S u 59 Tanto ha pianto la pupilla dei miei occhi che affoga nel sangue: ma guarda allo stato degli uomini che sono alla Ricerca di te! Nel ricordo del rubino del labbro e dell'occhio tuo ebbro colore del vino sangue è il vino rosso rubino ch'io bevo dalla coppa di tanta passione Se da oriente del vicolo il sole del tuo volto sorgesse una volta, oh, la mia stella sarebbe dawer fortunata! Raccontare del labbro di Shirin: fu quanto ebbe a dire Farhad il tormento della treccia di Leylà: fu la sola dimora di Majnun Cercalo il mio cuore, o tu dalla snella figura di "cipresso" rubacuori! E parlami ora, poiché il tuo discorso è dawero sottile e aggraziato! 14!
Fa girare quel calice tu, o coppiere, dona il riposo all'anima nostra ché il cruccio di questa mia mente proviene dal folle girare dei cieli Da quando via se n'andò dai miei occhi quel bel giovinetto i fianchi e il mio grembo più acqua grondano invero dell'Oxus! Ma come può appagarsi questa mente mia malinconica di sua volontà, se potere di scegliere mai non ha avuto? Fuori di sé, alla Ricerca ognora è Hafez dell'amico suo come un mendico che va ricercando il tesoro di Core! Note v. 1 Si osservi la perfetta ambiguità del verso, che potrebbe essere letto in chiave di eros mistico o profano. v. 2 Il rosso «rubino>> (/a'[) è connesso sia al labbro dell'amante sia al co lore del vino e del sangue dell'amorosa pena, in un convenzionale, e abusa tissimo, gioco cromatico. v. 3 Ossia: se l'amico si degnerà di uscire di casa per andare incontro al l'amante-poeta. v. 4 Si menzionano due coppie celebri (immortalate in due distinti poe mi romanzeschi di Nezàmi: il Khosrow o Shirin e il Majnun o Ley/d) , sim bolo di amore perfetto, dedizione assoluta ecc. Cfr. anche la nota al ghazal 114, 3·
v. 6 Si osservi il bellissimo accostamento tra il " giro del vino" (dowr-e ba de), connesso con l'antica usanza di far bere i convitati allo stesso calice, e il sinistro "giro del cielo" (dowr-e gardun). v. 7 Ossia le lacrime si sono trasformate in fiume (l'Oxus è l'attuale Amu Darya), le cui acque inzuppano le vesti dell'amante. V'è un gioco di parole basato sul termine rud, che è normalmente "fiume" ma anche (nel dialetto del Khorasan, secondo Sudi) "giovinetto" /" fanciullo" . v. 9 Core è personaggio biblico e poi coranico (XXVIII, 76-82), punito da Dio per la sua avidità e l'amore per le ricchezze, ma qui simbolo dell'immen sa e irraggiungibile ricchezza che l'amico rappresenta per l'amante.
6r Se dai tuoi muschiati riccioli ... P 95 (Kh 83 ) S u 88 Se dai tuoi riccioli muschiati uno sgarbo ci venne ... venne! Se da quel leggiadro tuo neo un'offesa ci venne... venne! Se il lampo d'Amore il saio dell'asceta tutto arse ... l'arse! se l'ingiuria del re vittorioso il mendico colpì ... lo colpì! Per far l'amore pazienza occorre, o cuore, sii ben saldo! Se tonnento giunse ... giunse! Se a peccare s'andò ... si andò! Sulla via [dell'Amore] non è dato crucciarsi: ponate il vino! Qualunque torbido vedesti, quando il limpido apparve ... disparve! Dai calunniatori, oh, quante offese ci vengono fatte! Ma se tra gli amici un cruccio apparve, poi ... disparve! Se un cuore per uno sguardo di rubacuori si caricò d'un peso ... si caricò! E se tra l'anima amante e l'amato qualcosa poi successe ... successe! Se Hafez se n'andò dal convento, o tu, predicatore, non criticarlo: perché, un piede libero, legarlo? Se in un posto poi andò . . . ci andò ! Note v. 2 Secondo una variante: «se [. .. ] il raccolto di chi�veste�lana [= l'asce ta] arse». Re e mendico sono, come si intuisce, immagini rispettivamente del l'amato e dell'amante. v. 4 Qui c'è una elegante anfibologia: il torbido/torbidezza (kadurat) del vino vale anche offesa/dispiacere, e il limpido/limpidezza (sa/d) può valere pace/riconciliazione. v. 5 I «calunniatori» (sokhan-cindn) sono naturalmente i nemici d'Amo re, della verità ecc., comunque figure d'ostacolo o d'interdizione. v. 7 Su questa identità religiosa del poeta-amante (richiamata anche nel v. 2) cfr. nota al ghazal 1, IJ. Il alluso nel secondo emistichio è natura]. mente la taverna, dove l'amante di preferenza si reca a " peccare" (cfr. v. 3).
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62 Se nella tua fede è lecito P ro2 S u u2 Se nella tua fede versare ti è lecito il sangue d'amante allora nostra virtù stimeremo tutto ciò che per te è virtù Il nero dei tuoi riccioli è il vero creatore delle tenebre il bianco del tuo volto di luna è il vero creatore dell'alba Dal laccio delle volute dei riccioli tuoi mai nessuno trovò liberazione né salvezza dall'arco trovò di sopracciglio, o dalle frecciate del tuo occhio! Dai miei occhi fluì sul mio fianco un tale torrente [di lacrime] che neppure un esperto marinaio saprebbe lì dentro nuotare Il tuo labbro ch'è simile ad Acqua di Vita ci nutre lo spirito grazie a lui è il piacere del vino alla nostra terrena esistenza (Non) concesse il rubino del tuo labbro un bacio dopo cento lamenti (non) ebbe appagata la brama, il cuore, dopo mille insistenze con lui La preghiera per la dolce tua anima è l'ufficio della lingua dei bramanti per sempre, fmché continui quaggiù l'alternarsi di albe e tramonti Virtù, pentimento o pietà non cercare in noi, o Hafez nessuno virtù mai trovò tra gli amanti, folli o libertini! Note v. 1 Il discorso è volto all'amato, che segue una religione amorosa nel cui decalogo l'" assassinio" degli amanti non è peccato. . . v. 2 S i tratta d i due tipiche eziologie fantastiche, figura particolarmente ca· ra al gusto persiano. Variante in Sudi: «mostrò [diede prova/indizio del] il crea tore delle tenebre» e «mostrò [diede prova/indizio del] creatore dell'alba>>. v. J Qui i lacci/riccioli, l'arco/sopracciglio e le frecce/ciglia (o sguardi) so no altrettante abusate immagini convenzionali. Altrettanto si dica del torren te di lacrime e dell'esagerazione iperbolica del verso seguente.
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v. 5 Il labbro dell'amato distribuisce nei baci saliva assimilata alla mitica acqua di vita del profeta Khezr (al·Khidr) che donava l'immortalità, cui - con ulteriore slittamento metaforico - è avvicinato anche il vino che qui, intuibil mente, si carica di vari soprasensi. v. 6 Il verso è riportato nei manoscritti nelle due varianti, l'affermativa e la negativa, ognuna delle quali in qualche modo portatrice di un senso plausibile. v. 7 Ancora una volta il gergo religioso dei sufi ("preghiera supereroga toria", da'd; "ufficio" , verd) è messo in opera a descrivere il servizio amoroso.
63 Guarda la luna noveUa: pretendi ... P 103 S u II3 Guarda la luna novella: pretendi un amico, un calice di vino un mese è questo di salvezza e fiducia, anno è di pace e virtù Abbi caro il tempo dell'Unione poiché quel momento è pari alla Notte del Destino, a giorno di grande vittoria! Litigi no, non si fanno per un mondo che vive in tanta bassezza: con la pace conquista, o luce degli occhi, la dimora del Successo O cuore, ignaro tu sei del tuo stesso travaglio, e io temo che nessuno ti apra la porta quando avrai perduta la chiave Ma portate qui il vino, ché il giorno dawero sarà profittevole a colui cui la luce dell'alba ponga nella mano un calice di vino Qual preghiera ha mai potuto degnamente venire da me, l'ebbro, che l'invito a pregare del tramonto non distinguo da quello dell'alba! Questo è il tempo del sovrano Shojiì', tempo di legge e saggezza per la letizia del cuore e dell'anima sforzatevi su, da mane a sera! Vivi dalla notte all'alba, come Hiìfez, nella sola speranza d'Unione affmché, da scintilla di lampada, la rosa sbocci della tua Fortuna! 145
Note vv. 1-3 Termini coranici e simboli religiosi si accavallano ad altri connessi con la simbologia bacchica e amorosa: la luna è quella che annuncia il mese del ramadan, mese di virtù e ricerca di pace dell'anima e dei sensi, nel quale si colloca la Notte del Destino (in cui secondo la tradizione viene rivelato il Corano ma in cui, anche, Dio e gli angeli fissano il destino di ogni creatura per l'anno successivo) e in cui il pio credente insegue nell'ascesi e nel digiuno il «successo» (jalàh, altro termine coranico, specificamente connesso con il te ma della salvezza individuale) spirituale. Ciò non impedisce al poeta di invi tare blasfemamente (nell'ottica della bad-ndmtì al vino e all'amore. v. 6 Si allude alle veglie di preghiera dei sufi, qui awicinate significativa mente alle veglie insonni dell'ebbro amante (cfr. anche v. 8 ) . v. 7 Tra due versi d i contenuto allusivamente mistico s i colloca u n verso di encomio al mecenate del poeta, uno spirito gaudente, in cui troviamo uno scoperto invito al carpe diem. v. 8 Il termine originale per (buy) ha il significato primitivo di "aroma" o "profumo" , che si lega poi natura/iter, nel secondo emistichio, alla rosa. In (mesbdh) v'è una allusione alla lampada della cella di sufi o eremiti, ma forse anche alla coranica "sura della luce", in cui la luce divina è pa ragonata «a lUla nicchia, in cui è una lampada>> (XXIV, 35); per cui il vivere dalla notte all'alba - tipico, nel Divdn, dell'innamorato - può alludere qui alla pre ghiera notturna del mistico (cfr. v. 6) e all'agognata (bakht) spirituale.
64 Buone novelle, o cuore ... P 105 (Kh 23 5 ) Su 255 Buone novelle, o cuore: qualcuno dal respiro messianico giunge sì, è vero, dai suoi aliti dolci profumo di qualcuno a noi giunge! Per la pena di Separazione non lamentarti non gridare, iersera ho fatto i pronostici: il soccorritore, è sicuro, presto qui giunge! Del fuoco della Valle di Certezza non sono io solo felice: anche Mosè, anelando a veder le sue fiamme, là giunge
Non v'è alcuno che non abbia da fare là nel tuo vicolo ognuno in verità, da un desiderio sospinto, vi giunge! Nessuno mai seppe dov'è la dimora in cui sosta l'amato: nient'altro che suono di campane lontane ci giunge Porgimi un sorso: alla taverna dei signori di Generosità ogni sodale, per presentare ansioso una supplica, giunge Se l'amico ha desiderio di sapere del malato di pena amorosa ditegli: su corri, ché forse da costui un respiro ancor giunge! Notizie dell'usignuolo di questo giardino chiedete, io un lamento tristissimo odo che, da una gabbia, qui giunge L: amato di predare il cuore di Hafez ha voglia, o amici un falcone, ecco, a cacciare una misera mosca qui giunge
Note
v. r Letteralmente > degli amanti, altro personaggio fisso del teatrino amoroso di Hifez). v. 6 Il paragone con la luna (il del cielo) si giustifica a par tire dall'abusata immagine del "volto di luna" (mdh-ru), comunemente im piegata per descrivere la bellezza del volto amato. v. 7 La «veste dell'anima», ossia il corpo. Si allude qui all'usanza di strac ciarsi la camicia in segno di entusiastico gradimento di fronte all'esibizione di cantanti o artisti. L'espressione può valere all'incirca: quando lui danza mi fa morire dal piacere, mi straccerei anche il corpo. Si ricordi che l'originale per «danzare» (samd') rinvia, fra le altre cose, a un pratica rituale in uso presso varie confraternite sufi sin dal medioevo. vv. 8·9· Si accenna alla dimensione elitaria e sperimentale del culto d'a more, non a tutti concesso (occorre sa/d, ossia una preliminare purificazione, termine caro alla mistica sufi.), e comunque estraneo alla sapienza teorica. Nel primo verso è sottintesa la dottrina esoterica del volto dell'amato come "spec chio " dell'anima dell'amante, presentata già da nei Savdneh di Ahmad Ghaziìli (xn secolo, cfr. Bibliografia orientativa del volume Hiìfez, Canzoni
d'amore e di taverna). v. 10 Il verso - in cui palesemente l'amato è messo al posto di Allah - ti pifica il motivo bad-ndm dell'idolatria (cfr. anche note ai ghaza/ 16, 1 e 20, 5).
67 Hai visto, o cuore P 109 (Kh 134 ) S u 155 Hai visto, o cuore, la mia passione per l'amico infme che ha fatto? Come se ne andò il rubacuori? E all'amico fedele che cosa ha fatto? Il mago del narciso dei suoi occhi, ah, quale incanto produsse! Quell'ebbro, poveri noi, con i sobri che cosa mai non ha fatto ' Le mie lacrime, per l'amico ostile, han preso colore di rosso tramonto la mia stella guarda, spietata, che cosa in questa faccenda m'ha fatto! O coppiere porgimi una coppa di vino, ché il Pittore dell'Invisibile là dietro il velo dei Segreti suoi, non è chiaro che cosa ha mai fatto! Dal momento in cui tutta disegnò questa volta celeste e smaltata nessuno seppe che cosa, girando, il divino Compasso abbia fatto! Un sol lampo brillò dalla casa di Leyla, proprio su fare dell'alba: ahi, del raccolto di Majnun dal cuore ferito che cosa ha mai fatto! Il pensiero d'Amore nel cuore di Hilfez il fuoco di passione scagliò e l'arse l'amico antico - ma guardatelo - che cosa all'amico fedele ha già fatto! Note
v. 2 L'ebbro è naturalmente l'amato, i sobri sono coloro che pensavano di resistere alla sua seduzione. v. 3 Qui (Id/e') nel senso di (cattiva) fortuna. w. 4·5 Il > (khodàdàd, letteralmente ), insieme a quella di grazia (/ot/. v. ;), proietti una dimensione soprannaturale e una liai son teologica sulla figura dell'amato, che peraltro, altrove, è indicato come shàhed ("bello" , ma etimologicamente " il testimone" ), uno dei " 9 9 bei nomi" del dio coranico. Ancora: le lodi " che non lo toccano" ricalcano un noto ada gio elaborato su base scritturistica secondo cui nessuna azione umana può re care danno o vantaggio a Dio. v. 8 Versi che si inquadrano probabilmente in circostanze difficili da ri costruire. Forse un malinteso con l'amato (o il principe mecenate), forse una velata (ma non troppo seria) minaccia di !asciarlo per cercare fortuna altrove, in quella Baghdad che certamente era ancora in epoca mongola un centro as sai più importante di Shiraz e dove, ci ricorda Sudi, s'era recato un poeta e maestro ammirato da Hàfez, Salmàn di Sàve.
76 n mio bel cipresso P 120 (Kh 18 7 ) Su 208 Quel mio bel "cipresso" elegante perché di venire sul prato non brama? E neppure della rosa si fa confidente, e del gelsomino non si ricorda? Da quando il cuore vagabondo se ne andò tra le volute dei riccioli suoi di tornare da quel viaggio, lontano, lui proprio non vuole sapeme! Quando a scompigliare giunge la brezza i riccioli della violetta è strano: il mio cuore di lui, quel grande fedifrago, non si ricorda! Il cuore, nella speranza di vedere il suo volto, non si confida con l'anima l'anima mia, pel desiderio di andare al suo vicolo, non si cura del corpo! Davanti all'arco del suo sopracciglio io supplicavo, ma lui le sopracciglia aggrottò, a me per questo l'orecchio non porge Ieri mi lamentavo del ricciolo suo e lui, dispiaciuto mi disse: questo perfido "negro" non mi obbedisce! Il mio bel coppiere dalle cosce d'argento: mi mescesse anche la feccia, chi mai il proprio corpo in una bocca simile a calice non muterebbe? Con tutto il profumo di quella tua veste, di Zefiro mi farò meraviglia se, al tuo passaggio, la terra profumata qual tartaro muschio non rende! Ucciso da un solo tuo sguardo fu Hafez che non ascoltava i consigli: per chi sdegna ascoltare una buona parola il degno compenso è la spada! Note v. 1 Il «cipresso» allude naturahnente all'amato, qui rappresentato nello scenario del giardino in atteggiamento sdegnoso. v. 2 V'è una elegante anfibologia su cin, che è sia "voluta" /" piega" sia "Ci na", in cui si può forse anche intravedere un'eco del celebre hadfth profetico:
«cerca la sapienza dovessi andare di qui sino alla Cina !», poeticamente rein terpretato come il viaggio sapienziale del cuore dell'innamorato sino alla " Ci na" dei riccioli dell'amato. v. 3 Secondo Sudi: ne ha patite così tante che neppure l'arrivo di prima vera risveglia nell'amante il ricordo dell'amato infedele e crudele. Si potreb be anche leggere: non si ricorda più delle promesse non mantenute, delle sof ferenze per questo patite, ossia torna a farsi sedurre dal gioco d'amore. v. 4 Qui è il topos del cuore dell'amante "privo di confidente", o sempli cemente "geloso" , che con tipica esagerazione iperbolica non parla neppure alla sua anima. v. 5 Il supplicare/pregare davanti all'arco del sopracciglio dell'amato ri chiama qui implicitamente la preghiera dei musulmani di fronte all'arco della nicchia del mihrdb. Sul carattere "malfamato" (bad-ndm) e polemico esoterizzante di questo motivo e altri consimili cfr. note ai ghazal 15, 7; 16, 1 e 20, 5· v. 6 Qui naturalmente l'amato finge dispiacere di fronte alle malefatte del suo ricciolo nero, paragonato per via del colore e della forma ritorta a un in disciplinato servo "negro", ovvero si fa burle della pena dell'amante. v. 7 Con l'espressione «dalla coscia d'argento» si allude alla carnagione chiara, sempre apprezzata dai canoni estetici della lirica persiana. L'idea che l'amante debba accettare tutto nel bene e nel male dall'amato (vino o feccia, per lui, devono essere la stessa cosa) è qui iperbolicamente esagerata dall'irn· magine inconsueta del corpo dell'amante che si fa immensa bocca-coppa in cui il coppiere versa ciò che vuole. v. 9 Lo sguardo assassino dell'amato, che ha il suo pendant in tanta poe sia trobadorica e stilnovista, è un altro topos prediletto da Hafez.
77 I predicatori... P 121 (Kh 194 ) Su 215 l predicatori che, tra pulpito e mihrdb, fanno di sé bella mostra quando sono a casa loro tornati, tutt'altre cose faranno magari ...
Ho un dubbio, chiediamo un consulto al saggio di quest'assemblea: colui che prescrive il pentimento, perché lui stesso così poco si pente?
Costoro, si direbbe, non credono proprio al Giorno del Giudizio se nei precetti del Giudice supremo simili trucchi infùano e inganni! O mio Dio, questi nuovi arricchiti rimettili in sella a un somaro: si vantano d'avere, gli spudorati, turchi schiavi e cavalli di pregio! Io son solo l'umile servo dell'anziano di questa taverna: i dervisci liberati da ogni bisogno, la polvere spargono sui tesori del mondo! Sbrigati, o mendico del cenobio dei sufi: nel convento dei magi un"'acqua" ti offrono con cui ti rendono il cuore possente! La Bellezza infinita di lui, per quanti amanti poi vada uccidendo eccone altrettanti, presi d'Amore, che dall'Invisibile spuntano fuori! Alla pona della Taverna d'Amore, mio sovrano, recita il rosario perché è proprio lì che la natura di Adamo rendono ebbra! All'alba, udendo dall'empireo provenire una voce potente, disse Ragione: gli spiriti eccelsi, così sembra, imparano a memoria i versi di Hafez! Note vv. 1-4 Versi corrosivi e sublirnamente ironici sulla classe dei religiosi, coi quali Hiìfez peraltro ebbe stretti rapporti (come emerge altrove nel Divdn, in particolare nei frammenti) . Gli «inganni» si riferiscono alle sotti gliezze e alle scappatoie legali con cui i dottori della legge talora si barca menavano nei meandri della casistica, secondo certa letteratura con scopi non sempre limpidi. vv. 5-6 Ai dottori della legge sono platealmente opposti i "mendichi del la taverna", peccatori secondo la legge ma non avidi e arraffoni, tra cui il poe ta orgogliosamente e ostentatamente si colloca. L'«acqua» allude ovviamente al vino nel solito contesto bad-ndm. v. 7 Questo «lui» perfettamente ambiguo si carica qui di trasparenti allu sioni teologiche. v. 8 Il " re dei belli" o il principe di turno? Anche qui ambiguità perfetta. Si allude a una leggenda mistica - che ritorna in molti poeti persiani- secondo cui l'argilla di Adamo fu impastata col "vino" dell'ebbrezza amorosa.
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v. 9 Verso di autoencomio. Altrove Hafez, invece di scomodare gli ange li o gli spiriti celesti, chiama in causa Venere "liutista" che metterebbe in mu sica i suoi ghazal.
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Quel rubacuori se ne andò P 123 (Kh 14o l Su 154 Se ne andò il rubacuori, ma dire qualcosa ai suoi innamorati non volle: ricordarsi dell'amico in città, del compagno di viaggio, no: non volle O la mia Fortuna ha abbandonato la via dell'Affetto o lui per la via della mia confraternita passare non volle lo qui son rimasto, a sacrificare per lui la mia anima come candela ma lui qui da me, come il vento dell'alba, passare proprio non volle Mi dissi: forse piangendo potrò intenerire il suo cuore ma su dura pietra la pioggia di lacrime scavare non volle Chiunque vide il tuo volto venne a baciarmi subito gli occhi quel che fece il mio occhio, senza pensarci farlo non volle Guarda che tiro: l'uccello del cuore si ebbe le piume e l'ali riarse ma questa acerba passione d'amore dalla testa cacciare non volle! O Hafez, così tanto ci affascina il cuore il tuo dolce racconto che nessuno, ascoltando, mandarlo a memoria entusiasta non volle! Note vv. 2-3 Variante notevole alla > (kdr) amorosa del poeta-amante. v. 4 Il >, due immagini classiche che alludono vuoi alla crudeltà, vuoi al fascino irresistibile, vuoi alla imprendibilità. Si noti l'elegante, pur se con· venzionale, antitesi amaro/dolce nel secondo emistichio.
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100 Un cuore che mostra l'Invisibile P 1 54 (Kh n4 ) Su 134 Un cuore che mostra l'Invisibile tutto, e possiede la coppa di Jamshid, se il suo sigillo per un po' si smarrisse, perché mai dovrebbe penare? Per la barba o il neo di qualche miserabile non dare il tesoro del tuo cuore dallo piuttosto a qualcuno, di stirpe regale, che sappia onorario dawero! No, non qualsiasi albero può sopportare l'offesa d'autunno: io servo l'Ambizione del "cipresso" che radice ha ben salda! È giunta la stagione in cui per la Gioia, come ebbro narciso, chiunque abbia sei denari in tasca li mette ai piedi d'una coppa!
I: oro, come fa ora la rosa, non lesinarlo nell'acquisto del vino ché di cento difetti altrimenti ti accuserà l'Universale Intelletto! Del Segreto dell'Invisibile nessuno mai fu messo al corrente: non favoleggiare! E chi mai, pur intimo del cuore, la via trova che porti a questo arcano santuario? Il cuore mio, che già si vantava del suo Isolamento, ora cento affari ha con Zefiro, all'alba, nella speranza del profumo dei riccioli tuoi! l: appagamento del cuore da chi cercare, se non si vede poi un rubacuori che mostri luminoso lo sguardo e abbia [per noi] i suoi vezzi graziosi?
Qual vantaggio si può trarre mai dal colletto del saio di Hàfez se noi cercammo l'Unico e lui, intanto, si tiene il suo idolo? Note v. 1 Verso che contiene una serie di dotte allusioni (talmih). Secondo una leggenda tradizionale, Salomone perse il suo miracoloso sigillo, che fu per quaranta giorni in mano a unjinn. Ma un cuore come quello dell'amante che, come la mitica coppa di re Jamshid, è in grado di riflettere il mondo intero
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mostrando al suo possessore ogni oggetto smarrito, non avrà timore di per dere il suo sigillo - che qui alluderebbe all'amato o alle sue attenzioni - per ché sarà sempre in grado di ritrovarlo. Sudi propone una interpretazione in altra chiave: il verso alluderebbe a un episodio connesso con la momentanea perdita di potere (il ) di Shàh Mansur, uno dei patroni di Hiìfez, e al la successiva sua rapida riconquista di Shiraz. v. 2 Il discorso è rivolto al lettare o agli amanti: cercatevi un amato degno del vostro amore («di stirpe regale»), non un miserabile accattone. Insomma l'amore cerca elevazione e nobiltà, altrimenti vero amore non è. Il concetto sembra ribadito con altre immagini (il cipresso allude tipicamente all'amato) nel verso successivo. v. 4 Cioè, è arrivata primavera, tempo di bevute. La similitudine narciso oro/denaro è un altro topos della lirica persiana. v. 5 Immagine che trae spunto dal paragone della rosa, che si colora sboc ciando a primavera, con la coppa che si riempie di vino. L'oro owero il de naro per il vino, secondo la spiegazione di Sudi, è implicitamente accostato ai piccoli chicchi dorati che talora si osservano dentro il fiore. Il topos della "ir ragionevolezza" di chi rifiuta di spendere per il vino nella stagione primave rile era già presente nelle quartine di Khayyiìm, ma qui l'Autore tira in ballo persino la ragione o ( 'aql-e koll) dei filosofi. v. 6 La dimensione arcana di al-Ghayb, il mondo dell'Invisibile in cui si situa il dio coranico, non è facilmente attingibile neppure dagli iniziati ai se greti del cuore, o «intimi del cuore» (mahram-e de[), espressione ambigua che può alludere agli amanti comuni come ai mistici. w. 7-8 Si tenga presente la duplice funzione di Zefiro, confidente e mes saggero d'amore ma anche colui che reca all'amante il profumo della chioma dell'amato. Il termine per (ta;imod), che allude alla solitudine dell'amante, propriamente designa una pratica dei sufi connessa con l'intimo raccoglimento (qabd), che si alterna con momenti di espansione (bast), qui forse allusi dall'uscita del poeta dall'isolamento per andare alla ricerca di con tatti con l'amato, quel o «tulipano». v. 4 Ossia non ci innamoreremo più di nessuno o non pregheremo più nessuno (si ricordi che l'arco del sopracciglio richiama, convenzionahnente, l'arco della nicchia del mthrdb cui si volgono gli aranti nelle moschee). Gli (gushe-girdn) è espressione che si adatta indifferentemente alla condizione dell'innamorato o del mistico sufi.
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v. 5 La violetta (bana/she) si vanta implicitamente di somigliare ai riccio li dell'amato. Il paragone violette/riccioli è un altro topos abusato della lirica persiana. Sovente la violetta è poi rappresentata come schiava della rosa (go{) del volto dell'amato, di qui la sua assimilazione al (schiavo) nel se condo emistichio che inizia con un'apostrofe al lettore (). v. 6 Continua l'apostrofe al letto re. È un 'altra immagine della regalità del la rosa, qui servita non dalla violetta (cfr. il verso precedente) bensì dal tuli pano (/dle) che, per forma e colore, è convenzionalmente assimilato a una coppa di vino. v. 7 L'usignuolo (bo/bo{) in tutta la poesia persiana è figura dell'amante perfetto e del poeta eloquente, la cornacchia (zdgh) è il suo esatto opposto. Il verso si lascia leggere come corollario di queste equazioni figurali. v. 8 Ossia, interpreta Sudi, non ha voglia del giardino bensì di recarsi di rettamente al vicolo dell'amato.
102 L'albero dell'Amicizia P 157 (Kh m) Su 130 l: albero dell'Amicizia impianta: come frutto l'appagamento del cuore porterà il germoglio d'Inimicizia sradica: angustie innumeri a te, nient'altro, porterà!
La notte d'Intimità [con l'amico] tu stima prezioso bottino, dopo di noi molti giri farà questa Sfera celeste e molti giorni e notti ancor porterà! La primavera della vita desidera, o cuore: questo prato ogni anno innumerevoli rose selvatiche e usignuoli infmiti ancor porterà! Quando sei ospite di questa taverna, con rispetto tratta noi libertini: avrai dolori alla testa se l'ebbrezza, o mio caro, all'eccesso ti porterà Per Dio ' Poi che il mio cuore ferito un patto strinse coi riccioli tuoi [infedeli] , ordinalo al dolce rubino [del ruo labbro] e subito al mio cuore la quiete porterà A chi guida la lettiga di Leyliì, cui la stessa "culla" della luna è soggetta, il cuore ispira, o Signore, così che fmo a Majnun suo diletto lei porterà! 205
In questo giardino, la testa canuta di Hiìfez da Dio una cosa desidera, sola: siederà sull'orlo di un ruscello e vicino a un grazioso "cipresso" si porterà! Note v. 2 Versi che sembrano ispirati al carpe diem di tanta poesia di Khayyàm o a lui comunque attribuita. v. 3 Qui il «prato» va inteso nel senso del mondo o della terrena esi stenza. v. 4 I «libertini>> (renddn) sono i fedeli d'Amore; abbiamo tradotto con «eccesso» un originale, khomdr, che è propriamente "sbornia" , o meglio al lude agli effetti della ubriacatura. Il verso sembra contenere una velata mi· n accia a un avversario o nemico del vino e dell'amore. v. 5 I riccioli dell'amato sono per defmizione ribelli e incapaci di mante nere le promesse; perciò l'amante sollecita il labbro dell'amato a sostituirsi, per così dire, nell'adempimento. v. 6 La lettiga che porta Leyliì è qui accostata alla (mahd), ed es sa stessa (o meglio il suo volto) alla luna. La similitudine culla-luna si basa, par di capire, sulla forma della luna nuova. v. 7 Nel secondo emistichio, letterahnente «e abbraccerà un cipresso». Il cipresso (sarv) è classica figura dell'amato. Il va inteso qui come allusione alla terrena esistenza (cfr. v. J).
103 Che ebbrezza è mai P 160 (Kh 141 ) Su r6o
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Che ebbrezza è mai, non so dirlo, che or ora me trasportò! Chi era mai quel coppiere, e questo vino poi da dove portò? Qual melodia sta suonando questo menestrello così abile che, nel mezzo di dolce ghazal, la parola ben nota riportò? O cuore, qual bocciolo non lamentarti di faccenda ormai chiusa giacché il vento dell'alba un alito che scioglie ogni nodo portò 206
Zefiro, per le belle notizie, è come quell'upupa di re Salomone che novelle di autentica Gioia dal giardino di Saba sollecita portò! L'arrivo di rose e di fiori selvatici, oh sia sempre benedetto! Giunse la bella felice violetta, il gelsomino purezza portò! Tu, pure, prendi del vino e incamminati per la via del deserto ché l'uccello melodioso lo strumento dalla voce soave portò Medicina alla debolezza del cuore è lo sguardo del coppiere la testa solleva, è giunto il medico nostro e il rimedio portò! All'occhio stretto di quel turco soldato io rendo l'omaggio: su di me, mendicante col lacero abito, il suo attacco portò! lo sono il discepolo del priore dei magi, non offenderti o sheykh perché quanto m'avevi promesso a realizzazione lui solo portò! Il cielo ora accetta benevolo il servizio devoto di Hafez che lesto alla porta del rifugio di vostra Fortuna si portò Note v. 1 Le domande sembrano volutamente accentuare il senso di indeter minatezza della situazione e deliberatamente confondere l'identità del vino (vino d'uva? vino mistico?) e del coppiere. v. 2 Si può leggere oppure la > allude qui al sole e, indirettamente, al "so· vrano" del cuore del poeta-amante; il «vessillo », alla luce irradiata. v. 2 Nel primo emistichio c'è un'anfibologia, valendo l'originale per (mehr) anche " amore"/"affetto". v. 3 La lezione di Sudi è diversa: «sciolse i nodi alle trecce» (az gisu) inve ce che (az abru). Si noti l'opposizione sciogliere/annodare. v. 4 Il poeta fa col «sangue» della pena amorosa una sorta di metaforica abluzione/purificazione dall'"inganno di virtù" (rang·e sa/ah), ossia della fe· de ipocritamente vissuta. Si noti la bella antitesi occhio "ebbro" (dell'ama· to)/amanti "sobri". v. 5 Si noti l'opposizione ( 'ayydrdn)l (zendeddrdn) , che allude alle pratiche ascetiche di sufi e d eremiti, qui supposte sconvolte dall'arrivo dell'amato (il principe Shoja', cfr. ultimi versi) assimilato appunto a un 'ayydr. Come si vede, piano amoroso, mistico e panegiristico risultano inestricabilmente sovrapposti. v. 6 Si allude naturalmente al sovrano qui lodato, che cavalca al centro del suo seguito di cavalieri. Il cuore del poeta, innamoratosi, si è "allontanato" da lui per andare presso l'oggetto della sua passione, rischiando di fmire tra gli zoccoli dei cavalieri in cui, forse, si potrebbe anche vedere un'allusione a dei pericolosi rivali. v. 7 Qui è il topos del rimprovero all'amato per la sua perenne distrazio· ne (si è scordato del poeta-amante), argomento che poi di solito abilmente prepara la fmale sollecitazione di grazie e favori. v. 8 Si osservi ancora come il poeta-amante insista sulla sua identità di su fi (letteralmente dice , tipico delle confraternite) nel ripro· porre l'abissale distanza di status con il suo signore, qui vagheggiato come splendido e ternibile condottiero - la cui chioma fitta di riccioli è paragonata alla cotta di ferro dei cavalieri - al quale poi nel verso seguente è rivolta espli cita richiesta di soddisfare i desideri del lodan te. v. 9 Si tenga presente l'usanza dei poeti arabi e persiani di inserire nei lo ro versi delle do1d, ovvero auguri e preghiere beneauguranti per la prosperità del sovrano, e che non di rado ad essi, spesso le persone più dotte a corte e talora anche edotte di astrologia, era richiesto di fare pronostici su giorni fau· sti e infausti in relazione ai vari momenti della vita cortigiana (cacce, nozze, guerre ecc.). v. to Nel primo emistichio il poeta gioca con le parole sfruttando il nome esteso del sovrano, che è Shoja' (= campione/eroe) al-din (= della fede) Man· sur (= trionfante/vittorioso). Si noti anche il sostantivo «aura» (/arr) , che ri chiama etimologicamente l'antica "gloria regale" dei sovrani leggendari d'I ran, presente come un nimbo luminoso sulla testa del re legittimo che da es· sa era reso invincibile; l'aggettivo tradotto con «invitta» (mozaffar) è poi an-
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che il nome della casa regnante allora a Shiraz, appunto la mozaffaride. La sua generosità coi sudditi (e col poeta . . . ), con tipica immagine iperbolica, fareb be impallidire anche quella delle nubi primaverili che pure sono generose d'acqua con la terra. v. n Si alluderebbe qui, secondo Sudi, a vittoriosi scontri che re Shoja' avrebbe condotto contro reparti di Timur (il famoso Tamerlano) numerica mente preponderanti, dando prova del coraggio e dell'eroismo evocati dal suo stesso nome. v. 12 Scontato attestato di pia condotta (che con paragone iperbolico è ta le da fare invidia persino agli asceti), per chi già nel nome si presenta come un defensor /idei (cfr. supra, nota al v. 10). Il che non impedisce al poeta nel verso successivo di ricordare pure, con evidente compiacimento, il lato più gaudente e allegro del sovrano cantato. v. 14 In Sudi abbiamo (be-dowr-e ruzgdrdn) in vece che «col nome del sovrano/dei sovrani» (be ndm-e shariydrdn) , ossia si dovrebbe interpretare: la sfera celeste batté moneta pel regno imperituro del sovrano.
123 n mondo s>è tinto di indaco P 197 Su 254 Il mondo, sul "sopracciglio" della luna della Festa, s'è tinto di indaco la luna nuova della Festa, sì, nel sopracciglio dell'amico osservala! Oh, la mia figura ... s'è piegata come la "schiena" di luna novella quando l'arcuato sopracciglio dell'amico coll'indaco ancora si tinse Forse il profumo della peluria sul tuo volto invase il giardino all'alba ché la rosa, sentendo il tuo aroma, si stracciò la veste al pari dell'alba Su vieni, a te voglio ridire la Pena del cuore mio afflitto giacché, privato di te, io non ho forza di udire o parlare Non era ancora il suono di cetra o ribeca, non era ancora né rosa né vino e pur l'argilla dell'essere mio già era impastata di acqua di rose e di vino!
Se il prezzo dell'Unione con te fosse anche la vita, san pronto all'acquisto: se la merce è buona, desidera l'espeno comprarla qualunque sia il prezzo! Quando, tra le tenebre di quei riccioli, io vedevo la luna del tuo volto la mia notte si faceva pel tuo volto luminosa come il giorno medesimo! l: anima mia è giunta alle labbra, ma il mio desiderio no, appagato non è alla fme giunse ogni speranza, ma la Ricerca mia no, non è ancora fmita!
Per la brama del rubino del tuo labbro, scrisse Hàfez qualche verso su leggi la sua poesia e all'orecchio come perla preziosa appendila! Note vv. 1-2 Il più comune trucco per sopracciglia era ricavato dalla pianta del l'indaco. Si osservi il classico accostamento, basato sull' omeomorfia, tra la fal ce/arco della luna nuova, che annuncia la fme del mese di ramadan (che dà luogo alla festa più sentita e panecipata del mondo musulrnano), e l'" arco" del sopracciglio dell'amato. v. 3 Lo "stracciarsi la veste" allude all'aprirsi della rosa e del giorno, ma c'è pure l'idea della gelosia della rosa il cui profumo è stato umiliato da quel lo della fresca peluria (khatt) owero della barba incipiente sul volto dell'a mico. Si tenga presente che il volto dell'amato con la barba incipiente che lo incornicia è talora paragonato a un giardino. v. 5 Si allude a una leggenda misticheggiante, largamente diffusa tra i poeti persiani, secondo cui Dio avrebbe impastato il primo uomo con argilla e vino. v. 6 L'idea di baratto tra l'uomo e Dio è già presente nel Corano, in cui Allah si offre di "comprare" la vita dei credenti in cambio della felicità ultra terrena. v. 7 Il volto dell'amato chiaro/bianco come il giorno e la sua chioma scu ra/nera come la notte sono equazioni cromatiche convenzionali. v. 9 Si tenga presente che in persiano poetare è un "infilare perle (= ver si) nella collana" della poesia e che un orecchino/perla all'orecchio indicava la condizione dello schiavo. Insomma il poeta-amante vuoi quasi suggerire al l'amato: fatti devoto (schiavo) della mia poesia !
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124 Se la mano pongo sui riccioli suoi ... P 198 (Kh 216 ) Su 236 Se la mano io pongo sui riccioli suoi, l'ira gli corre e se cerco la pace, in biasimi e accuse s'incorre! Simile a luna novella, quelli che ammirati lo guardano ecco, egli assale per strada col suo sopracciglio, e dietro il velo subito corre! La notte, il vino mi guasta nelle lunghe mie veglie e se di giorno io lo racconto ... lui nel sonno incorre! La via d'Amore, o mio cuore, abbonda di sedizioni e rivolte: cadrà miseramente colui che in questa via affannandosi corre Non scambiare la tua mendicità alla porta dell'amico con regal condizione: forse che alcuno, dall'ombra benefica di simile porta, là sotto il sole mai corre? Quando [da vecchio l la nerezza della chioma giunge alla fme, [consolati]: la bianchezza non verrà mai meno, neppur se a strapparsi i capelli si corre! Quando alla bolla entra nella "testa" l'aria d'orgoglio, ecco presto la sua "signoria" in puro miraggio trascorre O Hiìfez, tu stesso sei velo alla Via [dell'Amore], togliti dunque di tomo ! Oh, è felice dawero colui che in simile Via senza alcun velo già corre! Note v. 2 Qui è la già vista comparazione sopracciglio/luna novella per via del la comune forma di falce o arco. Da cui l'idea che l'amato come brigante as salga i suoi ammiratori (nazzdregdn) per strada con l'arco (letteralmente qui con !'>). v. 8 Alla lettera: più in alto della falda del cappello del sole.
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127 Lui venne infine stanotte P 201 (Kh 205 ) Su 226 Lui venne infme stanotte, il suo volto acceso già era e, chissà dove, un cuore dolorante già in fiamme era ! Costume da ammazza-amanti e stile da sowenitore: sì, proprio questo l'abito che a lui addosso cucito era! L: anima degli amanti come ruta guardava offena al suo volto [ardente] per far queste cose, e nessun altra, il fuoco del suo volto attizzato già era! L: empietà di quei riccioli sbarrò alla fede la via, quel cuore di pietra col suo medesimo volto, lungo il cammino, una torcia accesa si era!
Per quanto mi dicesse: > (db) è sempre quella di lacrime amorose ed entra in con venzionale gioco con (khdk). v. 4 Il discorso è volto all'amato, il poeta-amante si presenta nella ma schera del "vecchio" saggio dalla schiena ricurva come «arco» pronto a ser vire e a dispensare consigli al suo " giovane" amico. I > (khalvat-e ons) è espressione che nel gergo dei sufi si riferisce a pratiche di ritiro spirituale. Qui il nostro extra omnes.' corri sponde a un originale arabo wa in yakàd, formula di origine coranica che ser ve come scongiuro per allontanare il malocchio, la malasorte ecc. v. 3 I «custodi del segreto» (ah l-e ràz) sono da intendersi come i mistici o gli innamorati. v. 4 Letteralmente «la pena non straccerà la cortina/il velo su di voi». v. 5 L'antitesi moina/smania (nàzlniydz) , l'una prerogativa esclusiva del l'amato, l'altra dell'amante, qualifica anche l'abissale distanza tra i due termi ni del rapporto amoroso, che si presta a varie letture: amorosa, mistico-teo logica, panegiristica. v. 6 Viene ribadito il clima esoterico-iniziatico dell'esperienza amorosa, già anticipato al v. 2. v. 7 Variante in Sudi: al posto di >). Il senso sembrerebbe: perché non ho rimorso delle mie malefatte?
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v. 9 Il discorso sembra rivolto all'amato o, forse, al patrono di turno. Ossia: non ingannarmi con qualche favore o un dono prezioso simile alla corona dell'upupa (hodhod), giusto per congedarmi alla svelta; so bene che uno nobile come te (un «falco», btiz) non si degna di cercare un essere insi gnificante come me (piccolo come upupa). In alternativa, tenendo presen te l'immagine di saggezza e sapienza tradizionalmente connessa con l'upu pa (nel Corano, XXVII, 20 ss., dotto e eloquente pennuto al servizio di Salo mone) , nel primo emistichio si potrebbe così intendere: non farmi credere di reputarmi e onorarmi come un sapiente, giusto per darmi un contentino e congedarmi.
1 34 Lieta notizia è giunta dell'arrivo di primavera P 213 (Kh 22o ) Su 256 Lieta notizia è giunta dell'arrivo di primavera, dello spuntare dell'erbe se un dovere c'è ora prescritto, è di correre subito alle rose e al vino! Grida d'uccelli ci giunsero, dov'è fmito il fiasco del vino? Si lamenta l'usignuolo, ora che la rosa il velo ha stracciato! Del volto del nostro coppiere, ch'è simile a luna, cogli oggi la rosa intorno al volto del giardino tu guarda: fùi di violette spuntarono! A tal punto le occhiate del coppiere mi rubarono il cuore che con nessun altro ho più voglia, io, di parlare e ascoltare Dei frutti squisiti del paradiso come può il gusto scoprire colui che la "mela" del mento di un bello non abbia quaggiù addentato? In nome di Dio, aiutami, o guida della via del Santuario, ché non vediamo confini all'immenso deserto d'Amore! E tu, non gemere per questa tua pena: sul sentiero di ogni Ricerca comodamente non giunse [alla meta] colui che non ebbe a patire 255
Una sola rosa non colse, il mio cuore, nel giardino del Desiderio: forse che la brezza di Lealtà ancora non soffia in questo giardino? Questo mio saio a toppe, colorato di rosa, io voglio bruciarlo: il vecchio vinaio non lo volle neppure in cambio di un sorso! Passa la primavera che amicizia diffonde: o tu, comprendi che la stagione è trascorsa e Hàfez nulla ancora ha gustato! Note v. 2 Letteralmente . Nel se condo emistichio s'intenda: ora che la rosa è sbocciata e mostra la propria bel lezza in tutto il suo fulgore all'usignuolo innamorato. v. 3 Descrizione convenzionale del volto dell'amato, paragonato a florido giardino, in cui spiccano le (go{) delle guance e le (bana/she) dei peli di una barba incipiente. v. 5 Il mento paragonato a mela è immagine convenzionale che qui è bril lantemente sviluppata in connessione con i frutti squisiti offerti ai beati nel paradiso coranico. Si ricordi che già nel teologo al-Ghazàli (m. nn) è affer mata l'idea che i piaceri dell'amore e del talamo siano figura e anticipazione delle beatitudini celesti. vv. 6-7 Ancora una significativa sovrapposizione del linguaggio religioso al tema amorso: la (da/i{) nel viaggio verso il (haram) , ossia al santuario per antonomasia che è la Ka'ba del pellegrinaggio islamico nel deser to arabico, rimanda qui in modo trasparente alla figura dell'amico/amato, l'ini ziatore del poeta-amante ai misteri dell'amore. La «ricerca» (ta!ab) amorosa, nel secondo verso, in cui l'apostrofe è al lettore o a un aspirante all'iniziazione, si confonde significativamente con quella dolorosa del mistico viandante. v. 8 Il poeta-amante rimprovera velatamente all'amato di non essere sta to fedele alle promesse, ai patti ecc. Il concetto di (morovvat, arabo muruwwa, anche "generosità", "cortesia" , ma etimologicamente "virilità"), che rimanda all'idea di una esoterica cavalleria spirituale, si carica qui ambi guarnente, come al solito, di connotazioni mistico-amorose. v. 9 Si dice qui perché al topos del sufi che cerca di ot tenere vino alla taverna lasciando in pegno il saio appartiene anche l'immagi ne del saio medesimo macchiato col vino di bevute segrete. Il > ( 'dsheqdn) al posto di «asceti» (zdheddn). v. 5 Velatamente il poeta ricorda che lui è sempre stato devoto e fedele, e che chi ora s'è scordato di lui dovrebbe ricordarsi che potrebbe prima o poi patire le dolorose del tempo della vita. v. 6 Cioè, interpreta Sudi, rallentate la corsa del vostro cavallo perché gli amici più sfortunati possano raggiungervi e procedere al vostro passo. v. 7 Sembra proprio un'implorazione del poeta volta a potenti interces sori, che hanno ascolto e credito presso la «soglia» (dstane) del sovrano. Far-
se, si può supporre, siamo all'epoca in cui Hiìfez cadde in disgrazia presso il principe Shojiì'.
1 39 Se non basta il vino a cacciare la pena P 219 (Kh 125 ) Su 144 Se non basta il vino a cacciare la Pena del cuore dal nostro ricordo il timore di quel che accadrà le fondamenta nostre a rovina si porta! E se l'intelletto nell'ebbrezza del vino non cala la sua àncora, com'è possibile che la nave, da vortici di guai, in salvo riporti? La marcia è attraverso le tenebre: dov'è il Khezr che possa guidarci? Mai non sia che il fuoco d'Esclusione l"' acqua" nostra via se la porti! Il medico d'Amore io sono, su porgimi il vino: questo rimedio sappi, libertà subito dona e da pensieri erronei lontano ti porta! Per questo il mio fragile cuore si trascina laggiù, fmo al prato: perché l'anima sua, ammalata, Zefiro in salvo da morte gli porti Ahi, con ognuno il cielo di nascosto rifà il suo perfido gioco: nessuno ancor s'è veduto che un simile baro a sconfitta mai porti! Hiìfez per intero è riarso e nessuno, all'amico, riferì del suo stato a meno che Zefiro (piacesse al Signore ' ) a colui sue notizie riporti' Note v. 1 Ossia: se nel vino non annegheremo le pene amorose, perderemo il senno e la ragione. Il concetto è ribadito con altra immagine al verso seguen· te e al v. + v. 3 Khezr (arabo Khidr) è il profeta e santo iniziatore che, secondo dif· fuse leggende islamiche, guida Alessandro nel Paese delle Tenebre sino alla
fonte dell'acqua di vita - qui allusa da «acqua» (che entra in una scontata an titesi con ) che dona l'immortalità. Alessandro nella leggenda sud detta non trova l'acqua miracolosa, e questa «esclusione» (mahrumi) si cari ca qui di intuibili significati simbolici. v. 4 Qui > ( 'eshrat) di oggi contro la promessa dell' (baqa') di domani. Quel «capitale in contanti» (mdye-ye naqd) suona piuttosto ironico, essendo in Khayyarn "in contanti" solo le gioie e i piaceri mondani, non quelle del para· diso, che sono piuttosto designate come "cambiale" di incerta esazione. v. 6 Il allude alla coppa di vino, immaginata riverberare intorno la luce o riflessi luminosi. Si ricordi che il mese del digiuno di ramadan (che se· gue il mese di sba'ban) si conclude con la festa ( 'eyd) per antonomasia del mondo musulmano, owero la festa della .
279
v. 7 Si allude alla fugacità dello splendore della rosa, ovvero dei piaceri e delle gioie terrene, donde l'invito implicito al carpe diem. Il verso seguente ar ticola lo stesso concetto con altre immagini. v. 9 Apostrofe all'amato, velatamente rimproverato di trascurare il suo amante-poeta, che (altro topos) protesta di sentirsi ormai prossimo alla morte.
I 50 Quando mai può cantare ... P 236 (Kh 157 ) Su r 7 6 Quando mai può cantare graziosa poesia una mente ch'è afflitta? Già qualcosa noi dicemmo in proposito, di questo ora è questione Se dal rubino del tuo labbro otterrò l'anello della mia salvaguardia sotto il suo sigillo cento regni per me troverò, degni di re Salomone! In pena non s'ha da restare, o cuore, pel sarcasmo di qualche invidioso se ben consideri, chissà, per te proprio in questo v'è forse gran bene! Chiunque non apprezzi il [mio] calamo, creatore d'immagini, di lui sia bandito ogni quadro, fosse egli pure un pittore cinese! A chi la coppa di vino, a chi il sangue del cuore fu dato: così stanno le cose nel cerchio di quanto fu già destinato In Principio, riguardo alla rosa e all'acqua di rose, fu così decretato: questa l'amata sia del bazar e quella nel suo velo rimanga nascosta! Non si pensi che la vita da libenino sia uscita dalla mente di Hafez: sarà vigente per lui quel primevo Comando sino all'ultimo giorno! Note v. 1
La (khater) torna anche nell'ultimo verso. 280
v. 2 Le due labbra (rosse come ) dell'amato sono spesso poeti camente immaginate formare un anello e qui il poeta-amante vagheggia di ri cevere con il loro bacio un > (nd-so/te, letteralmente > (tuti), opposto alla (zaghan) , è qui fi gura del poeta, del saggio, del sapiente ecc. La (homd), la cui ombra secondo diffuse tradizioni portava fortuna e successo e "creava i re", è figura del sovrano del cuore del poeta e qui, probabilmente, anche del suo regale patrono e mecenate di turno. vv. 6-7 Si allude al mistico, inteso nella tradizione sufi come «stranie ro>> (gharib) al mondo che anela alla patria celeste, o si allude all'innamo rato cui tutto è divenuto estraneo eccetto la dimora dell'amato? Si allude allo sgomento del mistico in colloquio interiore con Dio e al silenzio misti co (e alla disciplina dell'arcano) o al muto stupore dell'amante di fronte al l' oggetto del suo amore? Ecco un saggio tipico dell'ambiguità del discorso hafeziano. v. 1
v. 2
1 54 Uccidere chi già è ferito ... P 241 (Kh 214 ) Su 264 Uccidere chi già è ferito con la tua spada: non fu decretato [dall'Alto] altrimenti, il tuo cuore spietato [nell'uccidenni] non farebbe peccato! lo, folle [d'amore], se i tuoi riccioli volessi abbandonare nulla più meriterei di trovare che anelli di pesante catena O Dio! Lo specchio della tua Bellezza di quale sostanza è mai fatto? Su di esso il sospiro mio [di dolore] non ha forza o influsso qualsiasi! Per invidia, non altro, io decisi di volgenni alla porta di taverne: te conoscesse non trovai nella cella dei conventi!
un maestro che
Uno, della tua snella figura più bello, sul prato grazioso non crebbe più dolce del tuo bel sembiante, nulla da pittore è ritratto nel mondo! Oh, se potessi tornare al tuo vicolo, come sempre fa Zefiro! Altro profitto non ottenni stanotte, che vegliare in lamenti! Ecco cosa ho avuto da te, o fuoco awampante della Separazione: da te altro ordine non ebbi che spegner me stesso, come candela! Un segno è il tonnento del dolore di Hàfez, ch'è privo di te, segno di cui nessuno dawero ha bisogno di far l'esegesi! Note v. 1 Ossia: non fu per decreto (taqdir) di Dio. Altra lezione nel secondo emistichio in Sudi: >, ovvero l'attenersi a immagini congrue l'una con l'altra), un principio retorico fondamentale della persiana arte poetica. Se ne vedono infmiti esempi applicati all'ambito del vino (cop piere, taverna, ebbro ecc.), del giardino (cfr. qui il v. 8: sbocciare, ruscello, ro sa, ombra, cipresso), dell'astronomia o dell'astrologia, delle professioni e via dicendo. v. 7 Si osservi l'antitesi (hakim)/ (motreb). v. 8 La «gioia» (tarab, connesso etimologicamente con motreb mene strello del verso precedente) è termine che assume qui come altrove una for te ambiguità. v. 9 Letteralmente (qalb-e andude), moneta falsa che non sfuggirebbe all'occhio esperto di (mo'dmel, termine del gergo degli affari e del bazar) . Si noti tuttavia che l'Autore gioca su un'anfibologia: l'originale per "moneta (finta) " , ossia qalb, significa pure " cuore", che sarebbe "offuscato", secondo Sudi, dalle mali· gnità pensate o dette nei confronti dei sufi della confraternita rivale dei blu vestiti (cfr. v. J), condotta che il maestro e superiore (il Pir-e Golrang del v. J), qui alluso da mo'dmel, avrebbe cercato di frenare nei suoi adepti per amor di pace. =
1 56 Sempre si ricordi il vicolo ... P 245 (Kh 203 ) Su 223 Sempre si ricordi: era il vicolo della tua casa la mia sola unica dimora ! Al mio occhio era luce e splendore dalla polvere sola della tua porta! Proprio come giglio o rosa, per effetto di pura amicizia sulla mia lingua io avevo quello che tu avevi nel cuore! Nel cuore m'andavo dicendo: privo dell'amico mai resterò ma che fare se gli sforzi miei, e del cuore, risultarono vani?
Stanotte, ricordando i compagni, mi recai alla taverna vidi la botte: sangue nel cuore aveva, e piede nel fango! Quando il cuore ripeteva diligente i misteri ch'apprese dal maestro Ragione, ecco che Amore gli offriva l'esegesi di ciò che era arduo e difficile A lungo in giro me n'andai chiedendo la causa della pena di Separazione ma il mu/ti Ragione, su questo problema, in vero sragionar mi pareva . . . Ah, quanta offesa si vede, e tirannia, i n questa [mondana] trappola! Ah, quanta grazia si vede, e moine, in quella riunione [d'amanti] ! La verità del sigillo turchese del nostro sovrano Abu Ehsiìq felicemente rifulse: la sua buona Fortuna, però, ebbe fretta! Vedesti, o Hiìfez, il gioioso canto di quella elegante pernice ignara, ahinoi, dell'unghie crudeli del falcone del Destino! Note v. 1
Componimento in memoria di un patrono (cfr. nota agli ultimi due
versi). v. 2 Si osservi il duplice accostamento - suggerisce Sudi - tra il giglio e la lingua e tra la rosa e il cuore. v. 4 Il sangue allude al vino e il piede alla base della botte. v. 5 L'antitesi «ragione» (kherad)/«amore» Ceshq), di solito presentata co me un'opposizione radicale, qui sembrerebbe alquanto attutita. A meno che quello spiegare/dare l'esegesi (sharh) i «misteri» (ma(dni, letteralmente «signi ficati>>, spesso da prendersi in senso mistico o teologico) in realtà non implichi l'idea che solo Amore può dar conto delle contraddizioni e dei limiti del di scorso razionale, ovvero del discorso di teologi e dottori, impressione che ci è confermata dal verso seguente, in cui «ragione» è addirittura nn mu/ti. v. 7 Verso costruito sull'artificio, caro ai poeti persiani, di un parallelismo praticamente perfetto che ci porge una serie di eleganti antitesi. vv. 8-9 Qui il poeta ricorda il suo primo patrono (paragonandolo a , forse per la fama di amante della bella vita) , principe e signore di Shiraz, che fu però detronizzato e ucciso nel 1353 da Mobàrez od-din (il >, rivolto al l'amato, ritorna anche nei versi successivi ma rivolto ad altri soggetti o al l'uditorio del poeta. v. 3 Immagini iperboliche: tanto arde il cuore che i templi del fuoco (in cui gli zoroastriani custodiscono il fuoco sacro, simbolo di Dio) si potrebbe anche spegnerli; tanto piangono gli occhi che il mare di lacrime si potrebbe portar via anche l'acqua del Tigri. Nell'originale si dice alla lettera: >, che in somma sarebbe ridicolizzato di fronte al "fiume" infmito delle lacrime del l'amante. v. 4 Su (dowlat) cfr. nota al ghaza/ 81, 7· Il (pir-e moghan) che la dispensa ha un caratteristico profilo iniziatico (cfr. no ta al ghaza/ 89, 8), richiamato anche al v. 6. v. 5 Come a dire, se è impossibile giungere a odorare i suoi riccioli, è me glio non parlarne più. v. 6 Si ribadisce la dimensione iniziatica dell'amore attraverso la necessità dell'obbedienza (td'at) al maestro, già richiamato più sopra (al v. 4) nella fi gura del priore dei magi. v. 8 Il soggetto è l'amato. Il paragone delle ciglia dell'amato con pugnali o frecce che "uccidono" gli amanti è convenzionale. Questa cupido martis per ma no dell'amico (solo apparentemente smentita dall'invocazione a Dio nel secon do emistichio) è topos frequentissimo in Hiìfez e nei lirici persiani medievali. v. 9 Come a dire: la sottigliezza/delicatezza (ndzoki) della mente dell'a mico sarebbe disturbata da grida e lamenti dell'amante. L'accenno alla (dargdh) è già sufficiente per spostare il senso complessivamente erotico del componimento verso la dimensione panegiristica. Ci si potrebbe chiede re se si tratti della reggia del patrono o del sovrano celeste, ferma restando la possibilità che si tratti soltanto di un terreno "sovrano del cuore".
1 64 O Zefiro P 257 (Kh 242 ) Su 28o O Zefiro, di passare per la casa dell'amato mio non rifiutarti di riportarne notizie all'amante innamorato no, non rifiutarti! 301
Per ringraziare, o rosa, che sbocciasti secondo il desidero del cuore la brezza dell'Unione bramata all'uccello dell'alba non rifiutare! Degno del tuo amore io ero quando tu simile eri a luna novella ora che a luna piena sei somigliante, il tuo sguardo non rifiutarmi! Ora che fonte zuccherina è il rubino del tuo labbro dolcissimo parlami, e lo zucchero al tuo "pappagallo" devoto non rifiutare! Le tue virtù magnifica, oltre gli orizzonti, il tuo poeta perciò a lui il viatico e i mezzi per il viaggio non rifiutare! Se buona fama cerchi [pel tuo nome] , ecco che ti dico: in cambio dei miei versi, oro e argento non rifiutanni! Il mondo e quanto v'è dentro san cosa sì vana e dappoco queste cose dappoco, a persone sapienti, non rifiutarle! La polvere della Pena si alza e il tuo stato si rasserena, o Hìfez ma tu !' "acqua" degli occhi, al passaggio [dell'amico], non rifiutare! Note
Su Zefiro e le sue varie funzioni cfr. nota al ghaza! roo, 7· Seguo la lezione di Sudi, che legge (de{) al posto di (bakht) presente nell'edizione Pizhman. Il discorso è rivolto, attraverso l'elegante scenario del giardino, all'amato Oa rosa) affmché riconoscente a Dio per la sua bellezza non si neghi più all'amante-poeta O'usignuolo). v. 3 La luna nuova e la luna piena alludono qui alle diverse età dell'ama to che, evidentemente, è sempre stato nel cuore del suo amante-poeta. v. 4 L'immagine del pappagallo goloso di zucchero è un topos comunissi mo nella lirica persiana, dove il primo è spesso immagine del poeta (in alter nativa all'usignuolo) che produce lo zucchero-poesia. Qui lo «zucchero» (shakkar) è invece il discorso dolcissimo dell'amato agognato dal > (tàlebtin-e yàr) è all'insegna della più schietta adesione al verbo della bad-nàmi. v. 8 Qui è una anfibologia in qalb, che vale "cuore", ma anche "patacca" ovvero "moneta (contraffatta) " . v. 9 Verso celeberrimo divenuto proverbiale, in cui Hiìfez proclama tut ta la sua diffidenza per l'ambiente dei sufi, spesso accusato nei suoi ghazal di bigottismo ipocrita e di insincerità e, al contempo, esprime la sua compren sione per le più umane debolezze. Il verso è abilmente introdotto dal prece dente, che rievoca la qualità fondamentale del dio coranico, ossia il suo esser clemente e misericordioso (attributi che tornano nell'incipit delle sure del Co rano) con le mancanze e gli inganni dei suoi servi.
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v. 10 L'invito al carpe diem si colloca in modo naturale nell'ammonimen to sulla fugacità della giovinezza e della bella stagione (cfr. anche v. r), com pendiati nell'accenno alla rosa.
!66 Se un po' la vita mi dura P 259 (Kh 247 ) Su 285 Se un po' la vita mi dura, alla taverna andrò un'altra volta: servo dei libenini mi faccio: non voglio fare, io, altra cosa! Tra questa gente la Vera Conoscenza non c'è: mio Signore, fa sì ch'io possa ponarlo, il gioiello mio, a un miglior compratore! Felice è quel giorno in cui con occhio piangente io camminerò fmché non spanda le lacrime alla pona di taverna, un'altra volta! Se l'amico panì e non riconobbe il diritto d'antica amicizia, Dio mi guardi, tuttavia, dal correre dietro a un altro amico! Se mio soccorritore il cerchio fosse della Sfera celeste certo lui troverei ancora, sì, con questo o un altro giro! La Salute cercherebbe la mia mente, se mai lo consentisse il suo sguardo malizioso (e quel suo ciuffo, altro impostore ! ) I l nostro Segreto più riposto, guarda u n po': l'han ridotto a favola che ricantano con flauti e tamburi, ogni giorno, in un altro bazar! Ogni istante pel Dolore mi lamento: il cielo di ora in ora bersaglia il mio cuore, ferendolo con un altro tormento! Devo ripeterlo? Non è solo Hafez che in simili casi si dibatte si smarrirono in questo deseno [d'Amore] molti altri ancora!
Note v. 1 Il ritornello " altro"/" diverso" (degar, col significato anche di " an cora " , "di nuovo" ) compare nell'originale sempre come ultima parola di ciascun verso. v. 2 Il bersaglio polemico sembrerebbe come al solito l'ambiente delle confraternite supposte ignare della vera o gnosi (ma're/at) e de dite solo a beghe e bassezze d'ogni genere. Ma l'accenno al «Compratore» può autorizzare una diversa interpretazione: la poesia del nostro poeta non è ap prezzata abbastanza, meglio cercarsi un altro protettore e mecenate. v. 4 Il dovere di fedeltà, altro topos della lirica persiana, compete solo al l'amante, non all'amato. v. 5 Letteralmente «Con un altro [giro di] compasso», ovvero al prossimo giro della sfera celeste. v. 6 Qui è il topos dello "sguardo assassino" ; si tenga presente che le ci glia dell'amato poeticamente si mutano in "frecce" che bersagliano l'irma morato. La «salute» ( 'cifiyat) è concetto che si carica sottilmente di valenze simboliche: metafisiche, spirituali, soteriologiche. v. 7 Qui è l'altro topos, caro a Hiìfez, dell'amante che non ha saputo o me glio non ha potuto mantenere il segreto amoroso (gli occhi piangenti, il viso "giallo" lo rivelano) ed è conseguentemente divenuto la favola di tutti, rima nendone svergognato. v. 8 Su (dardJ si tenga presente che il termine designa la pena amorosa connessa con la separazione o il distacco forzato dall'amato, insom ma è sempre amore più sofferenza, tormento ecc. In 'Att3r si dice che agli an geli che godono della presenza costante del divino amato fu dato amore ( 'eshq), non dolore (dardJ, il quale ultimo compete solo all'uomo.
167 Voglio darti un consiglio P 26o (Kh 251 ) Su 289 Voglio darti un consiglio, ascoltami dunque e niente pretesti: qualunque cosa ti dica il tuo consigliere gentile, tu accettala! Sappi godere dell'Unione col volto grazioso dei giovani: nell'agguato della vita, inganni questo vecchio Mondo prepara!
Tutto il piacere dei Due Mondi ricercalo presso gli amanti ché quella merce è cosa dappoco e questa è dono grandioso Poiché sin dal Principio, in nostra assenza, ci fu decretata la sorte se un po' le cose non vanno pel verso voluto, a che pro cavillare? Un compagno lieto e corde tese agli strumenti io desidero il mio Dolore voglio cantare, con lamenti or gravi ora acuti! Ho deciso: non berrò più vino, io, e più non peccherò (se sta scritto che approva il Destino i propositi miei) Deciso a pentirmi, cento volte la mano liberai dalla coppa ma sempre lì è lo sguardo del coppiere [pronto a tentarmi] ! Versami vino muschiato, o coppiere, nella coppa simile a tulipano: il pensiero del neo del mio bell'adorato non lascia mai la mia mente! Qui portami un calice, o coppiere, di perle luminose e all'invidioso di': pensa ad Asaf il generoso, e crepa! Un vino di due anni e un amore di quattordici: tanto basta a me, di amicizie, piccole e grandi! Il cuore mio, spaventato, chi mai per sé lo raccoglie? Date notizia di Majnun che s'è alle catene sottratto! O Hàfez, la storia non ripeterei qui, al convito, del tuo pentimento o ti bersaglieranno i coppieri di frecce con l'arco dei lor sopraccigli! Note vv. 1-2 Qui il poeta, rivolto all'uditorio, si presenta nella "maschera" del "vecchio" saggio che ammonisce sulle insidie del mondo e invita al carpe diem. v. 3 Il primo emistichio è perfettamente ambiguo, potendosi anche leg· gere così: > rientra nella convenzionale immagine dell'amato paragonato a un turco predone. v. 9 Con splendida immagine Hiìfez paragona la sua poesia all' della fonte custodita dal profeta Khezr, che secondo la tradizione isla mica donava vita immortale a chi ne bevesse. 321
1 76 Entra, ora che al mio cuore ferito ... P 271 Su 297 Entra, ora che al mio cuore ferito tornano le forze di nuovo vieni, ora che alle morte membra ritorna lo spirito di nuovo! Vieni, ché la Separazione da te a tal punto gli occhi m'ha chiusi che solo l'Unione con te, forse, me li potrà spalancare di nuovo! Quella Pena che qual nero etiope conquistò il regno del mio cuore, all'arrivo del "greco esercito" del felice tuo volto, è sparita di nuovo! Sul terso specchio del cuore, ogni cosa che ho posseduto salvo l'immagine della tua Bellezza, non appare di nuovo! Come insegna il proverbio "la notte è gravida d'eventi", così da te lontano contando le stelle a una a una io mi chiedo: che partorirà la notte di nuovo? Vieni, ché l'usignuolo dal cuore addolcito di Hiìfez spera nel roseto dell'Unione con te e canta di nuovo Note v. 1 Quell'«entra ! » (dar-d, letteralmente «dentro vieni») rappresenta spes so nella lirica persiana un invito dalle mistiche risonanze a lasciare il mondo esteriore, a entrare in una dimensione spirituale ecc. v. 2 Si osservi che «unione» e «separazione» sono termini che apparten gono al lessico fondamentale della mistica islamica e quindi convogliano sem pre una certa ambivalenza mistico-erotica. v. 3 Si osservi l'antitesi etiope/greco, ampiamente sfruttata per i suoi va lori cromatici (scuro/chiaro) dai lirici persiani vuoi per alludere metaforica mente alla notte e al giorno, vuoi come qui alla pena ("oscurante" dell'irma moraro) e alla felicità (dell'amato, o del suo volto "luminoso" ) . v. 4 I l cuore dell'innamorato (dyene) della bellezza dell'ama to è un Leitmotiv della lirica persiana, che si presta intuibilmente a facili tra sposizioni in chiave mistica. v. 5 Celebre proverbio popolare. Il poeta-amante non dormirà sino all'al ba - altro topos comunissimo - crogiolandosi in fantasie e speranze amorose.
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v. 6 Si osservi la coppia usignuolo/roseto, variante della più comune usi gnuolo/rosa. Insomma: il cuore/usignuolo ha ripreso a ispirare a Hiìfez liri che amorose.
177 O tu, bel cipresso elegante ... P 273 (Kh 255 ) Su 296
O tu, mio bel "cipresso" elegante che cammini facendo moine in quante smanie danno gli amanti, ogni ora, per queste moine! Benedetto sia quel tuo bel volto, giacché sin dal Principio ti cucirono sulla bella figura di cipresso una veste elegante! A quegli che desidera l'aroma di ambra dei tuoi riccioli, digli pure: ardi, o amico, come legno di 'ud al fuoco della passione e pazienta! La falena si abbrucia il cuore sull'amata candela e però, benché privo della "candela" del tuo bel volto, il cuore mio si scioglie! Il sarcasmo del tuo guardiano non può mutare, no, il mio valore come [non muta mai] l'oro: mi dilaniassero pure con le tenaglie! Il cuore che la pia ambulazione conobbe intorno alla ka'ba della tua casa per brama ardente di quel tuo "santuario" , più non vuole recarsi in Hijaz! Senza tregua col sangue degli occhi io faccio abluzioni: a che serve? Senza la "nicchia" del tuo bel sopracciglio, la mia preghiera che vale? Quel sufi che, lontano da te, già s'era pentito stanotte del vino ruppe il suo voto, non appena la porta rivide di quella taverna! Come il vino, riandò al coperchio della botte battendo le mani Hiìfez, allorché stanotte dalle "labbra" della coppa udiva il Segreto. 323
Note v. 1 Le