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Italian Pages 1186 Year 1959
LA LETTERATURA ITALIANA STORIA E TESTI DIRETTORI RAFFAELE MATTIOLI • PIETRO PANCRAZI ALFREDO SCHIAFFINI
VOLUME 42
CARLO GOLDONI
OPERE CON APPENDICE DEL TEATRO COMICO NEL SETTECENTO
A CURA DI FILIPPO ZAMPIERI
RICCARDO RICCIARDI EDITORE MILANO • NAPOLI
TUTTI I DIRITTI RISERVATI • ALL RIGHTS RESERVED
PRINTED IN ITALY
CARLO GOLDONI· OPERE CON APPENDICE DEL TEATRO COMICO NEL SETTECENTO
INTRODUZIONE
VII
I. CARLO GOLDONI , MEMOIRES
7
PREFAZIONI AI DICIASSETTE TOMI DELL'EDIZIONE PASQUALI
179
PREFAZIONE DELL'AUTORE ALLA PRIMA RACCOLTA DELLE COMMEDIE
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LETTERE
199
IL GONDOLIERE VENEZIANO OSSIA GLI SDEGNI AMOROSI
213
L'UOMO DI MONDO (MOMOLO CORTESAN)
225
LA DONNA DI GARBO
239
IL SERVITORE DI DUE PADRONI
263
LA VEDOVA SCALTRA
277
LA PUTTA ONORATA
301
IL TEATRO COMICO
315
PAMELA
343
LE BOURRU BIENFAISANT
365
LA LOCANDIERA
383
IL CAMPIELLO
459
GL' INNAMORATI
541
I RUSTEGHI
601
LE SMANIE PER LA VILLEGGIATURA
671
LE AVVENTURE DELLA VILLEGGIATURA
73S
IL RITORNO DALLA VILLEGGIATURA
74S
SIOR TODERO BRONTOLON
o
SIA IL VECCHIO FASTIDIOSO
757
LE BARUFFE CHIOZZOTTE
829
IL VENTAGLIO
907
II. TEATRO COMICO DEL SETTECENTO GIROLAMO GIGLI GIOVANNI BATTISTA FAGIUOLI
1001
IACOPO ANGELO NELLI
FRANCESCO ALBERGATI CAPACELLI
1043 1067 1085
ANTONIO SIMEONE SOGRAFI
1121
NOTA AI TESTI
1141
INDICE
1143
SCIPIONE MAFFEI
INTRODUZIONE
Lo storico registra il giorno 25 febbraio 1707 come data di nascita di Carlo Goldoni, e, per scrupolo d'informazione, rammenta il nome del padre, Giulio, di professione medico, e della madre, Margherita Salvioni. Ma meglio di questa notizia d'anagrafe, per il lettore del Goldoni riesce illuminante quello che l'autore stesso scrisse in vecchiaia su questo «primo episodio» della sua vita: « Ma mère me mit au monde presque sans souffrir: elle m' en aima davantage; je ne m'annonçai point par des cris, en voyant le jour pour la première fois; cette douceur sembl~it, dès-lors, manifester mon caractère pacifique, qui ne s'est jamais démenti depuis. » È questo il primo tratto col quale il Goldoni volle consegnarsi alla posterità, e di esso, come degli altri particolari desunti dai Mémoires, intesi a rilevare la sua naturale bonomia, si deve tener conto non per semplificare la spiegazione del genio comico dello scrittore, facendo tutt'uno della psicologia dell'uomo e della fantasia del poeta, ma per aderire alla natura della commedia goldoniana, strettamente legata, nelle sue riuscite e nei suoi errori, a una visione della vita non mordente e polemica, ma sorridente e condiscendente. Perciò nella giovinezza dello scrittore, tra vicende che in altro uomo, in quel secolo, avrebbero potuto determinare una vocazione di avventuriero, siamo disposti a seguire con interessata simpatia i vari fatti che meglio denotano in lui la capacità di vivere con abbandonata serenità le sue diverse esperienze: da quelle degli anni di scuola a Perugia, a Rimini, a Pavia, alle altre della sua irregolare carriera di funzionario della Cancelleria criminale a Chioggia e a Feltre, di avvocato in patria, di gentiluomo di camera e segretario del Residente veneto a Milano, di console della Repubblica di Genova a Venezia. A chi legge la storia di quegli anni nei M émoires non sfuggono tuttavia altri particolari, fatti e fatterelli sui quali l'autore venne ricostruendo la sua precoce passione per il teatro: la parte avuta a Perugia nella recita della Sorellina di don Pilone, la scoperta della Mandragola, lo spettacolo di marionette inscenato a Gorizia con lo Sternuto d'Ercole di P. J. Martello, le due prime azioni sceniche composte a Feltre - Il buon padre e La cantatrice-, la composizione della tragedia lirica Amalasunta. Anzi non poche pagine dei Mémoires
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relative a questa stagione formativa, vanno considerate per ciò che adombrano di futuri motivi e tonalità, simpatie o ripugnanze per tipi morali ed ambienti. Cosi la ribellione del ragazzo alla pedantesca disciplina scolastica; la pruden~a, quasi pruderie, del racconto quando gli episodi narrati sfiorano argomenti scabrosi; la prima crisi d'ipocondria - quella di specie mistica con la decisione di farsi frate; le ragionevoli considerazioni che lo indussero a non fidanzarsi con una fanciulla di Feltre che pure amava ma che «était une de ces beautés délicates que Pair flétrit, que la moindre peine dérange », avvertono che la sensibilità del Goldoni non si apre a turbamenti preromantici, se pure argomenti ispirati da una nuova sensiblerie potranno poi divenire anche suoi argomenti. Ma soprattutto importante è l'amorosa conoscenza di Venezia, perfezionata nel periodo di pratica nello studio legale dell'Indric; una Venezia che incantava il giovanetto con lo spettacolo vivacissimo della sua vitalità, e gli offriva sette teatri contemporaneamente aperti. Egli frequentava quanto più spesso poteva quello di San Samuele; e questa appassionata frequenza agli spettacoli dei comici va considerata come la maggior esperienza culturale della giovinezza del Goldo1_1i, che ne ebbe ben poche altre al di là degli studi scolastici, delle conoscenze giuridiche svogliatamente assorbite a Pavia, delle s~arse e casuali letture di drammi e commedie ricordate nei Mémoires, cui si aggiungono per induzione Zeno, Metastasio, Maffei. Non vi è cenno nei Mémoires a interessi culturali d'altra natura né a contatti con l'ambiente letterario veneziano, che era, del resto, un ambiente arcadicamente classicistico e tale che al nostro autore avrebbe potuto proporre soltanto lo studio e l'imitazione dei trecentisti e dei cinquecentisti. La cultura letteraria e generale del venticinquenne autore dell' Amalasu11ta è sostanzialmente quella che sarà sempre poi la cultura goldoniana: approssimativa, più orecchiata che meditata, non accademica anche quando negli scritti apologetici farà sfoggio di citazioni accademiche; affidata a un'intelligenza duttile e curiosa e, soprattutto, a una rapidissima capacità di cogliere in aria le idee, le nozioni, i gusti di volta in volta più attuali, e di assimilarli con disinvoltura e insieme con prudenza, sempre accettandone l'espressione media, e sempre e solo per quel tanto che essi possono giovare al suo teatro. Ma dopo la composizione dell' Amalasunta ( 1732), prima di arrivare al Momolo cortesan (1738), nel contatto con i comici e nei
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vari lavori per il teatro il Goldoni si venne anche formando quella cc praticaccia» che non consistette solo in una conoscenza scaltrita della tecnica teatrale, ma per l'assiduo commercio con i comici sviluppò in lui un senso acuto della vita di teatro, un senso, si direbbe, del teatro come vita e della vita come teatro, che doveva fornire abbondante materia alle sue invenzioni. Tra la Amalasunta e il Momolo stanno l'intermezzo Il gondoliere veneziano, la tragicommedia in versi Belisario, che procurò all'autore la stima del capocomico Giuseppe lmer e il suo ritorno a Venezia quale poeta di quella compagnia al Teatro San Samuele; e dopo il successo veneziano del Belisario (24 novembre 1734), altri intermezzi (La birba, L'amante cabala), e rimaneggiamenti del vecchio repertorio popolare (Griselda, Don Giovanni Tenorio, Rinaldo di Monta/bano). Se però negli intermezzi già si fa valere la conoscenza dell'ambiente veneziano, solo col Momolo cortesan il Goldoni rivela un suo caratteristico processo inventivo: sotto la maschera del Pantalone Golinetti l'autore scopriva qualità psicologiche e fisiche atte a impersonare un caratteristico tipo di giovanotto della borghesia mercantile veneziana, appunto il cortesan; in questo carattere, rinnovando il presumibile procedimento originario delle maschere dell'arte, egli coglieva i tratti essenziali utili alla raffigurazione di un tipo e ne ricavava una sintesi psicologica definitiva, tale da poter essere rinnovata per una serie indefinita di riproduzioni: come infatti avvenne nelle due commedie di poco posteriori che riportavano in scena l\1omolo: Momolo sulla Brenta (1739-40), Il mercante due volte fallito (1741). Perciò, anche se noi non leggiamo il Momolo nella prima stesura ma nel tardo rifacimento del 1755-56, per il quale fu riscritta anche la parte del protagonista, il valore della commedia è rilevantissimo; tanto più che quell'avviamento che essa segnava verso modi tipici della matura arte goldoniana trovav.a di lì a qualche anno una bella conferma nella prima commedia cc disegnata e interamente scritta, senza lasciare a' comici libertà di parlare a talento loro»: La donna di garbo ( 1743). Pensata e scritta per la «servetta>) Baccherini, lavorata con assidua, amorosa attenzione al modello, la commedia voleva riportare nella mobile realtà una figura irrigidita ormai dall'abuso. A questo punto insomma era bene in atto la riforma come la spiegava il nostro autore, ma era in atto anche quella che è la parte non tecnica ma artistica della riforma: la nuova intuizione del rapporto tra vita e
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INTRODUZIONE
teatro che differenzia il Goldoni sia dagli autori di scenari sia dai letterati riformatori che lo precedettero. Ma proprio in quell'anno 1743, quando la consapevolezza dei suoi mezzi artistici era raggiunta, fra il maggio e il giugno debiti e disavventure costringono nuovamente il Goldoni a lasciare Venezia. Va a Bologna; di Ha Rimini, occupata allora dagli Austriaci, per i quali, durante il carnevale del '44, organizza e dirige spettacoli teatrali; da Rimini, con un lento viaggio attraverso la Toscana, arriva a Pisa verso la fine dell'anno; in quella città si stabilisce e per tre anni vi esercita l'avvocatura. Tra i fatti di questo periodo, notissimi perché affidati a capitoli tra i più belli dei Mémoires, il Goldoni dà rilievo alla composizione di due scenari su richiesta del famoso Truffaldino Antonio Sacchi: Il servitore di due padroni, elaborato nell'autunno del '45, e Il figlio d'Arlecchino perduto e ritrovato, dell'anno seguente. Quest'ultimo ebbe grande popolarità anche fuori d'Italia, e ad esso, tanti anni dopo, il Goldoni dovrà l'invito a dirigere gli spettacoli della Comédie-Italienne di Parigi; ma solo il Servitore di due padroni ha un proprio luogo nella storia della commedia goldoniana: è, non meno del M omolo, un prototipo. Sia detto anche questa volta con cautela, perché il Servitore da scenario divenne commedia scritta solo nel 1753; ma le parole, la qualità del dialogo contano meno di ciò che nella più matura rielaborazione non dovette - si pensa - subire modifiche: dico la velocità dell'azione, la successione febbrile di incidenti provocati dallo sciocco eppure accorto Truffaldino, il ritmo, il rapidissimo, incalzante ritmo scenico nel quale soltanto sta la virtù della commedia. È una prova di virtuosismo, un compiaciuto gioco inventivo; senza nemmeno l'ombra di quell'interesse morale che nelle commedie precedenti e in alcune delle prime della prossima ripresa ha un tal quale rilievo nella netta opposizione di buoni e cattivi, secondo il gusto popolaresco tradizionale degli spettacoli dell'arte fra i quali il Goldoni s'era formato. Ma il Servitore di due padroni riproduce e tramanda anche un aspetto della commedia dell'arte, forse il più genuino e caratteristico: la cosi detta «comica artificiosa», tutta affidata al moltiplicarsi delle invenzioni, alla velocità della progressione e all'intelligenza mimica delle maschere. Il Servitore mostra che il Goldoni già nel suo esordio ha interpretato e assimilato l'essenza di questa forma dell'arte. Muove di qui un
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filone dell'arte sua, che mette capo al Ventaglio; ma di qui anche ha origine la tipica sensibilità goldoniana del ritmo scenico e dialogico. A Pisa, l'agosto del 1747, l'avvocato Goldoni riceve la visita del D' Arbes, Pantalone nella compagnia di Gerolamo Medebach, che gli richiede di comporgli uno scenario, ma che soprattutto (chi non ricorda la bella pagina dei Mémoires ?) gli riporta l'amore del teatro, gliene acuisce la nostalgia. Nel settembre, a Livorno, conosce il Medebach e stringe un impegno con lui; nell'aprile del seguente anno 1748 abbandona Pisa e si avvia a raggiungere i suoi comici al Teatro Sant' Angelo di Venezia, dove giunge nell'ottobre, all'aprirsi della stagione teatrale. Il triennio avvocatesco a Pisa è l'ultima evasione del Goldoni dal teatro. D'ora in avanti egli sarà soltanto uomo di teatro, vi farà confluire tutta la sua esperienza di vita; continuerà a farne parte, almeno col desiderio, nelrevocazione dei suoi Mémoires, anche negli anni vuoti della tarda vecchiaia. Quattordici anni ~lati, dal 1748 al 1762, dura la piena attività teatrale del Goldoni; e bisogna pure ricordare che è attività essenzialmente professionale, pratica, in cui sopperire alle richieste dei comici e secondare i gusti del pubblico e precorrerne o anche provocarne i nuovi orientamenti è necessità di mestiere. I mutamenti nelle compagini delle compagnie con le quali via via lavora, i teatri diversi, le mutevoli reazioni del pubblico, avranno sempre un peso non trascurabile nello svolgimento dell'arte goldoniana, in quel suo corso irregolare, contraddittorio, soggetto ad involuzioni e compromessi che non si possono spiegare soltanto con la sempre scarsa consapevolezza critica dell'autore. D'altra parte non si tenti d'immaginare il Goldoni in una diversa, riposata o libera, condizione di vita: che sarebbe, anzitutto, anacronistica, ma più ancora aliena dal «genio comico» goldoniano, dalla formazione artistica compiuta sulle tavole del palcoscenico, dal carattere antiaccademico della sua cultura. La rapidità o, più spesso, la fretta compositiva è una necessità di mestiere che diventa una caratteristica costante della sua ispirazione comica, comporta un particolare modo di osservare la realtà circostante, coincide, insomma, o può coincidere con la più schietta natura del Goldoni, come stanno a provare i capolavori che in quegli anni nacquero contemporaneamente e alle stesse condizioni di opere mediocri.
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Tornato dunque al teatro, il Goldoni si propone di riprendere gli esperimenti riformatori tentati dieci anni avanti (del Momolo e della Donna di garbo non si era ancora spento il ricordo), e di svolgerli metodicamente, progressivamente, fino alla piena attuazione di un suo programma di riforma della commedia; programma che i Mémoires e ogni altro scritto autobiografico vogliono presentare ai lettori come implicito originariamente nel «genio comico» dello scrittore, e via via corroborato e confermato dalle sue reazioni infantili e giovanili di spettatore, dai suoi primi contatti diretti col teatro, dalle prime prove di scrittore, e infine da ogni esperienza di vita. Nella idealizzazione autobiografica goldoniana la riforma è concreta e chiara fin dalle origini ; le incertezze, le contraddizioni, le provvisorie involuzioni che si osservano nel corso del suo svolgimento sono attribuite soltanto a resistenze e necessità esterne. In realtà non è cosi; non almeno quando si consideri il progresso della riforma per ciò che criticamente conta di più, vale a dire come il cauto, irregolare, oscillante progresso della coscienza artistica del Goldoni. Ma indubbiamente la riforma teatrale goldoniana fu anche, o soprattutto, un atto pratico, esercitò un'azione sul teatro del suo tempo con un suo valore eversivo di novità che le polemiche contemporanee testimoniano abbondantemente; e - non si dimentichi, né le affermazioni goldoniane di originalità lo facciano dimenticare - venne ad inserirsi in un moto culturale, ne approfondi e ne svolse le premesse. Per quanto estraneo all'attività di circoli letterari, il Goldoni tuttavia assorbì lo spirito di rinnovamento infuso dall'Arcadia, fin dal principio del secolo, nella cultura italiana, venuta allora nuovamente .a contatto con la cultura europea, con la francese specialmente. E proprio nel campo del teatro le aspirazioni riformistiche dell'Arcadia si erano venute concretando in alcune fondamentali richieste, formulate in opere teoriche e sperimentate in opere sceniche; le une e le altre non ignote al Goldoni che nei Mémoires ed altrove ricorda lo Zeno, il Metastasio, P. J. Martello, il Maffei, e il Gigli, il Fagiuoli, il Nelli. Per il teatro comico l'ideale arcadico di riforma, stimolato dall'esempio del Molière e dalJa fortuna della commedia molicriana in Italia, si ispirava a una doppia esigenza, moralistica e letteraria, ambedue informate a una mentalità classicistica: correggere la commedia dall'oscenità e volgarità ormai tradizionali nella decaduta pratica dell'arte, e ridarle la classica funzione educativa;
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ricondurre gli stravaganti soggetti dell'arte sotto le leggi aristoteliche delle unità e della verisimiglianza; e, d'altra parte, purgare la commedia dal linguaggio secentesco che i comici vi perpetuavano ripetendo le battute ereditarie dei loro prontuari. I corollari pratici di queste esigenze sono : commedia tutta scritta, commedia senza maschere, come appunto vuole e fa il Goldoni. Ma anche ad altri punti della idea arcadica di riforma si adegua la riforma goldoniana: anch'essa si preoccupa di restituire alla commedia il compito di correggere i vizi della società contemporanea, deridendoli moderatamente sulla scena; e indubbiamente il punto di maggior contatto fra il Goldoni e la corrente letteraria della sua età giovanile sta nella esigenza di verità, di osservazione diretta della realtà circostante che è implicito nell'assunto moralistico sopra ricordato. Ma i propositi arcadici di riforma della commedia si erano formati in ambienti ristretti di cultura accademica; le commedie che più o meno consapevolmente vi si attennero furono scritte per teatri privati, di corte, di accademie, di famiglie patrizie, e recitate da dilettanti. La riforma goldoniana (la si conside1·i qui tanto come formulazione della coscienza artistica dello scrittore, quanto come pratica nuova opposta alla tradizione dell'arte) si formò invece sul palcoscenico di teatri pubblici, fra attori professionisti, davanti a pubblici eterogenei: avvenne sul teatro, contro quel fenomeno secolare che era il teatro dell'arte, ma dall'interno di esso, ripercorrendo spesso il cammino che riconduce alle sue origini creative, rinnovando, abolendo, modificando, assimilando, mai dunque ignorando questo teatro, e nemmeno mai dimenticando che esso era nato in funzione antiaccademica, quale reazione popolare del buon senso di fronte alla noia del teatro classico. Ha ragione il Goldoni di insistere, cominciando dalla Prefazione alla prima raccolta di commedie (1750), nel presentare i suoi argomenti non come il risultato di elucubrazione dei precetti rettorici degli antichi, ma come il frutto di una diretta esperienza della scena. E il suo realismo va ben oltre il generico bisogno di concretezza dell'età arcadica; non solo per il nativo vigore della natura artistica goldoniana, ma perché fra il proposito e l'atto non si frappone uno schermo letterario, un obbligato rispetto di canoni rettorici e di modelli, l'abito di una disciplina letteraria e linguistica; si frappongono invece esigenze teatrali di ordine pratico, e la resistenza che modi e schemi vecchi fanno al contenuto nuovo. La
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reazione dei contemporanei alla riforma goldoniana, per la parte che in essa ha interesse storico e critico, è essenzialmente una reazione di natura rettorica, si formula in accuse di inverisimiglianza, di violazione della seconda unità (il prudente Goldoni, rispettoso delle altre due leggi, per questa si era limitato a un compromesso: variare il luogo dell'azione, ma sempre entro le stesse mura cittadine); accuse di immoralità, rivolte non ai frequenti casi di apatia, evasività, ambiguità di giudizio etico, ma a volgarità, plebeità di espressioni e di situazioni troppo aderenti al vero; accuse di insufficienza linguistica. Una reazione insomma che non si appunta contro le affermazioni teoriche del riformatore, ma contro la geniale estemporaneità del commediografo, contro la povertà di sapienza linguistica e di educazione classicistica con cui egli si avventurava ad esprimere il. suo nuovo sentimento del vero. L'insofferenza critica del suoi due maggiori avversari, Carlo Gozzi e il Baretti, è essenzialmente di questa natura; ma si pensi che persino l'abate Chiari entrerà in campo denunciando l'inverisimiglianza della Vedova scaltra. Per il resto la battaglia contro la riforma goldoniana fu anzitutto questione di concorrenza teatrale, di cassetta; si alimentò della insufficienza e della pigrizia di attori cresciuti, diremmo, con la maschera sul volto, e del conservatorismo sentimentale di chi vedeva minacciata la sopravvivenza del mondo comico dell'arte, di tradizione secolare e gloriosa, e tipicamente italiano. La prima vera affermazione della riforma goldoniana si ebbe dunque con La fJedova scaltra che trionfò la sera del 26 dicembre 1748 al Teatro Sant' Angelo. Per le sue velleità di definizione psicologica dei caratteri, per l'intreccio complicato trattato però con limpidezza e rapidità, dovette sembrare una novità agli spettatori veneziani. Noi vi ammiriamo piuttosto la rara capacità costruttiva e, se mai, ricerchiamo nella vedova Rosaura il vago precorrimento di Mirandolina; al modo stesso che nell'Uomo prudente, di quello stesso anno, pur dentro alle goffaggini e alle complicazioni romanzesche dell'intreccio, ci interessiamo all'approfondimento del carattere di Pantalone, che per la prima volta cessa di ripetere il tipo del vecchio mercante fallito e libertino per dar luogo al personaggio più intimamente, più autobiograficamente goldoniano. Pantalone comincia di qui ad impersonare il vecchio mercante fatto ricco da
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onesti traffici e saggio dalla lunga esperienza; generoso, ma prudente; sensibilissimo agli affetti familiari e all'amicizia, ma un poco ruvido; sobrio, ma non alieno da semplici piaceri; dotato in ogni occasione del senso ben chiaro del limite: nell'Uomo prudente è insomma il germe di quante altre più vigorose e concrete incarnazioni subirà il personaggio di Pantalone, fino ai Rusteghi, a Sior Todero, e, addirittura, al Bourru bienfaisant. Ma su un'altra commedia di quel periodo vuole fermarsi la nostra attenzione: La putta onorata ( 1748), che è la prima commedia goldoniana in dialetto e di costumi popolari - se si bada che il rifacimento del Momolo è più tardivo-, ed è già ben significativa del valore che ebbe per il nostro autore il dialetto veneziano. Ancora con non poco di rozzo e di programmaticamente realistico, il dialetto della Putta onorata è già tuttavia capace di sfumature, di allusioni, di asprezze, di gentile o grossolana festosità che l'italiano del Goldoni né allora né poi seppe raggiungere. Cominciando dalla Putta onorata il dialetto, non per un'astratta virtù della parlata veneziana, ma per la perfetta adeguazione ad essa della fantasia dello scrittore, ha una sua evoluzione estetica che la lingua goldoniana non conosce. Non c'è vero progresso linguistico dalla Vedova scaltra agli Innamorati, alle Smanie per la villeggiatura, al Ventaglio, ma soltanto un più accorto ed elegante contrappunto dialogico: la sostanza lessicale è immutata, mentre dal dialetto corposo della Putta onorata si giungerà a quello dei Rusteghi, a quello cosi ricco di capacità evocative delle Baruffe chiozzotte. In questo momento della prima maturità venne anche ad inserirsi la rivalità col Chiari. L'episodio, famoso . e senza dubbio importante oltre che come fatto di cronaca come segno di un interesse critico da parte del pubblico che si divise allora in chiaristi e in goldoniani, non va peraltro sopravalutato. Nonostante certi argomenti critici puntigliosamente ripetuti - gli appelli ad Orazio del Chiari o le accuse di inverisimiglianza a lui mosse dall'avversario-, fu quella una lotta di concorrenza, un'aspra contesa per assicurarsi e conservare gli spettatori, una gara per lusingarne i gusti e solleticarne la brama di novità. L'abate Pietro Chiari aveva cominciato in quell'autunno del '49 la sua carriera di autore comico. Dotato com'era d'ingegno vivace e stravagante, fornito d'una cultura affastellata ma non priva di fondamenti classicistici, portato dalla sua pratica d'improvvisatore di romanzi all'avventuroso, all'esotico, al grossa-
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mente patetico, il Chiari non ebbe nessuna vera dote d'artista; e per questo abbiamo rinunciato a scegliere dal suo teatro qualche scena di commedia - come pur s'era pensato di fare-, in quanto la soddisfazione di una marginale curiosità dei lettori avrebbe condotto a gravare il nostro volume di pagine inerti e interessanti piuttosto l'aneddotica che non la storia del teatro goldoniano. La rivalità col Chiari determinò comunque, insieme con le deviazioni intese ad indulgere al gusto del pubblico, un intensificarsi dell'attività del Goldoni: appunto l'anno 1750-51 fu l'anno delle sedici commedie nuove, ed è notevole che, per ribadire garbatamente i princìpi della sua riforma, il Goldoni inaugurasse la serie con il Teatro comico, bella affermazione programmatica, cui tennero dietro commedie quali La bottega del caffè, Il bugiardo, la Pamela, I pettegolezzi, delle donne, che se non possono annoverarsi tra gli autentici capolavori contengono tuttavia motivi essenziali per l'opera futura: specialmente la Pamela con la sua accentuazione del patetico, ma anche con il prevalere del buonsenso sulla passione, resta un importante documento dei limiti entro i quali il Goldoni seppe accettare la moda della Je lis la première scène, et pendant que je débite mes vers, voilà un chétif impuissant qui tire un rouleau de sa poche, et va au clavecin, pour repasser un air de son role. La maitresse du logis me fait des excuses sans fin, M. Prata me prend par la main, et me conduit dans un cabinet de toilette très éloigné de la salle. Là, M. le comte me fait asseoir; il s'asseoit à coté de moi, ·me tranquillise sur l'inconduite d'une société d'étourdis; il me prie de lui faire la lecture de mon drame à lui tout seul, pour pouvoir en juger et me dire sincèrement son avis. Je fus très content de cet acte de complaisance; je le remerciai; j' entrepris la lecture de ma pièce, je lus depuis le premier vers jusqu'au dernier, je ne lui fis pas grace d'une virgule. Il m'écouta avec attention, avec patience; et ma lecture finie, voici à peu près le résultat de son attention et de son jugement. « Il me parait, dit-il, que vous n'avez pas mal étudié l'art poétique d' Aristate et d'Horace, et vous avez écrit votre pièce d'après les principes de la tragédie. Vous ne savez donc pas que le drame en musique est un ouvrage imparfait, soumis à des règles et à des usages qui n'ont pas le sens commun, il est vrai, mais qu'il faut suivre à la lettre. Si vous étiez en France, vous pourriez vous donner plus de peine pour plaire au public; mais ici, il faut commencer par plaire aux acteurs et aux actrices; il faut contenter le compositeur de musique; il faut consulter le peintre-décorateur; il y a des règles pour tout, et ce serait un crime de lèse-dramaturgie, si on osait les enfreindre, si on manquait de les observer. Écoutez, poursuivit-il; je sais vous indiquer quelques-unes de ces règles, qui sont immuables et que vous ne connaissez pas. Les trois principaux sujets du drame 1 doivent chanter cinq airs chacun; deux dans le premier acte, deux dans le second, et un dans. le troisième. La seconde actrice, et le second dessus ne peuvent en avoir que trois, et les derniers roles doivent se contenter d'un ou de deux tout au plus. L'auteur des paroles doit fournir au musicien les différentes nuances qui fonnent le clair-obscur de la musique, et prendre garde que deux airs pathétiques ne se succèdent pas; il faut partager, avec la m~me précaution, les airs 1. Les trois principaux sujets du drame: primo soprano, prima donna e tenore.
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de bravoure, les airs d'action, les airs de demi-caractères, et les menuets, et les rondeaux. Surtout, il faut bien prendre garde de ne pas donner d'airs passionnés, ni d'airs de bravoure, ni des rondeaux aux seconds roles; il faut que ces pauvres gens se contentent de ce qu'on leur donne, et il leur est défendu de se faire honneur. » M. Prata voulait encore continuer. u J',en ai assez, monsieur, lui dis-je, ne vous donnez pas la peine d'en dire davantage. » Je le remerciai de nouveau, et je pris congé de lui ... CHAPITRE XXIX
Sacrifice de mon « Amalasonten. - Visite inopinée d M. le Résident. - Ressource encore plus inopinée pour moi. - Arrivée d'un Anonyme à Milan. - Ouverture de spectacle par mon entremise. - Petite pièce de ma composition. - Départ du Résident pour V mise.
En rentrant chez moi, j'avais froid, j'avais chaud, j'étais humilié. Je tire ma pièce de ma poche, l' envie me prend de la déchirer. Le garçon de l'auberge vient me demander mes ordres pour mon souper. «Je ne souperai pas. Faites-moi bon feu. >> J'avais toujours mon Amalasonte à la main; j'en relisais quelques vers que je trouvais channants. « Maudites règlesl ma pièce est honne, j' en suis sur, elle est bonne; mais le théatre est mauvais, mais Ics acteurs, les actrices, les compositeurs, les décorateurs ... Que le diable les emporte, et toi aussi, malheurèux ouvrage qui m'as couté tant de peines, qui m'as trompé dans mes espérances; que la fiamme te dévorel » Je le jette dans le feu, et je le vois bruler de sangfroid avec une espèce de complaisance. Mon chagrin, ma colère avaient besoin d' éclater; je tournai ma vengeance contre moimeme et je me crus vengé. Tout était fini, je ne pensais plus à\ma pièce; mais en remuant la cendre avec les pincettes, et en rapprochant les déhris de mon manuscrit pour en achever la consommation, je pensai que jamais, dans quelque occasion que ce fut, je n'avais sacrifié mon souper à mon chagrin: j'appelle le garçon, je lui dis de mettre le couvert et de me servir sur-le-champ. Je n'attendis pas longtemps; je mangeai bien, je bus encore mieux; j'allai me coucher, et je dormis tranquillement. Tout ce que j'éprouvai d'extraordinaire, c'est que je me réveil-
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lai le matin deux heures plus tot que de coutume. Mon esprit en me réveillant voulait se tourner du mauvais coté. «Allons, allons, me dis-je à moi-meme, point de mauvaise humeur; il faut avoir du courage, il faut aller chez M. le Résident de Venise; il m'avait invité à diner, mais il faut lui parler tete à tete, il faut y aller tout à l'heure. » Je m'habille, et j'y vais. Le Ministre, me voyant à neuf heures du matin, se doutait bien que quelque motif pressant devait m'y amener. Il me reçut à sa toilette; je lui fis comprendre que les témoins me genaient, et il fit sortir tout le monde. J e lui contai mon histoire de la veille, je lui traçai le tableau de la conversation dégoutante qui m'avait révolté; je lui parlai du jugement du comte Prata, et je finis par dire que j'étais rhomme du monde le plus embarrassé. M. Bartolini s'amusa beaucoup au récit de la scène comique des trois acteurs héroiques, et me demanda mon opéra pour le lire. « Mon opéra, monsieur? il n'existe plus. - Qu'en avez-vous fait?-Je l'ai brulé.- Vous l'avez brulé?- Oui, monsieur, j'ai brulé tous mes fonds, tout mon bien, ma ressource et mes espérances. » Le Ministre se mit à rire encore davantage, et on riant et en causant, il en résulta que je restai chez lui, qu'il me reçut en qualité de gentilhomme de sa chambre, qu'il me donna un très joli appartement, et qu'au bout du compte, à l'échec que je venais d'essuyer, j'avais plus gagné que perdu. Mon emploi ne m'occupait que pour des commissions agréables: pour aller, par exemple, complimenter les nobles vénitiens voyageurs, ou chez le Gouverneur, et chez les magistrats de Milan, pour les affaires de la République. Ces occasions n'étaient pas fréquentes; j'avais tout mon loisir pour m'amuser, et pour m'occuperà mon gré. Il arriva dans cette ville, au commencement du careme, un charlatan, d'une espèce fort rare, et dont la mémoire mérite peutetre d' etre enregistrée dans les annales du siede. Son nom était Bonafede Vitali, de la ville de Panne, et se faisait appeler «l' Anonyme ». Il était de bonne famille; il avait eu une éducation excellente et il avait été jésuite. Dégouté du cloitre, il s'appliqua à la médecine, et il eut une chaire de professeur dans l'université de Palenne. Cet homme singulier, à qui aucune science n'était étrangère,
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avait une ambition effrénée de faire valoir l'étendue de ses connaissances et, comme il était meilleur parleur qu'écrivain, il guitta la piace honorable qu'il occupait, et prit le parti de monter sur les tréteaux,1 pour haranguer le public; et n'étant pas assez riche pour se contenter de la simple gioire, il tirait parti de son talent, et il vendait ses médicaments. C'était bien faire le métier de charlatan, mais ses remèdes spécifiques étaient bons, et sa science et son éloquence lui avaient mérité une réputation et une considération peu communes. Il résolvait publiquement toutes les questions les plus difficiles qu'on lui proposait sur toutes les sciences et les matières les plus abstraites. On envoyait sur son théatre empirique des problèmes, des points de critique, d'histoire, de littérature, etc. Il répondait sur-le-champ, et il faisait des dissertations très satisfaisantes. Il passa quelques années après à Venise; il fut appelé à Vérone, à cause d'une maladie épidémique, qui faisait périr tous ceux qui en étaient attaqués. Son arrivée dans cette ville fut comme l'apparition d'Esculape2 en Grèce; il guérit tout le monde avec des pommes d'api et du vin de Chypre. Il fut nommé par reconnaissance premier médecin de Vérone; mais il n'enjouit pas longtemps, car il mourut dans la meme année, regretté de tout le monde, excepté des médecins. L' Anonyme avait à Milan la satisfaction de voir la piace où il se montrait au public toujours remplie de gens à pied, et de gens en voi ture; mais comme Ics savants étaient ceux qui achetaient moins que les autres, il fallait gamir l'échafaud3 d'objets attrayants, pour entretenir le public ignorant, et le nouvel Hippocrate4 débitait ses remèdes et prodiguait sa rhétorique, entouré des quatre masques5 de la comédie italienne. M. Bonafede Vitali avait aussi la passion de la comédie, et entretenait à ses frais une troupe complète de comédiens, qui, après avoir aidé leur maitre à recevoir l'argent qu'on jetait dans des mouchoirs, et à rejeter ces memes mouchoirs chargés de petits 1. trlteau:": il banco, il palco dei comici ambulanti. 2. Esculape: Esculapio, il mitico dio della medicina, figlio di Apollo. 3. échafalld: palco. 4. Hippocrate: Ippocrate, medico greco (460-377 a. C.), considerato il più grande dell'antichità. 5. quatre masques: Pantalone, il Dottore, Brighella, Arlecchino. Vedi Mémoires, u, eh. xxiv, qui a pp. 135 sgg.
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pots ou de petites boites, donnaient ensuite des pièces en trois actes, à la faveur de torches de cire blanches, avec une sorte de magnificence. C'était autant pour l'homme extraordinaire que pour ses acolytes que j'avais envie de faire connaissance avec l' Anonyme. J'allai le voir un jour sous prétexte d'acheter de son alexi.pharmaque. Il me questionna sur la maladie que j'avais, ou que je croyais avoir. Il s'aperçut que ce n'était que la curiosité qui m'avait attiré chez lui; il me fit apporter une bonne tasse de chocolat, et il me dit que c'était le meilleur médicament qui pouvait convenir à mon état. Je trouvai la galanterie charmante. Nous causames ensemble pendant quelque temps; il était aussi aimable dans son particulier qu'il était savant en public. Je m'étais annoncé, dans le courant de notre conversation, comme étant attaché au Résident de Venise. Il crut que j'aurais pu lui etre utile à l'égard d'un projet qu'il avait imaginé. Il m'en fit part; j'entrepris de le servir, et je fus assez heureux pour réussir. Voici de quoi il s'agissait. Ne vous ennuyez pas, mon cher lecteur, à cette digression; vous verrez combien elle aura été nécessaire à l'enchainement de mon histoire. Les spectacles de Milan avaient été suspendus pendant le careme, comme c'est l'usage par toute l'Italie. La salle de la comédie devait se rouvrir à Paques, et l'engagement avait été pris avec une des meilleures troupes de comédiens, mais le directeur fut appelé en Allemagne, il partit sans rien dire, et il manqua aux Milanais. La ville alors se trouvant sans spectacles allait envoyer à Venise età Bologne, pour former une compagnie. L'Anonyme aurait désiré qu'on donnat la préférence à la sienne, qui n'était pas excellente, mais qui pouvait compter sur trois ou quatre sujets de mérite, et dont l'ensemble était bien concerté. Effectivement, M. Casali qui jouait les premiers amoureux, et M. Rubini, qui soutenait à ravir les roles de Pantalon, ont été appelés, l'année suivante à Venise, le premier pour le Théitre de SaintSamuel, l'autre pour celui de Saint-Luc. Je me chargeai avec plaisir d'une commission, qui, de toute façon, me devait etre agréable. J' en fis part à mon ministre qui prit sur lui d'en parler aux dames principales de la ville; j'en parlai au comte Prata, que j'avais toujours cultivé; j'employai mon crédit et celui du Résident de Venise auprès du Gouverneur, et
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en trois jours de temps le contrat fut signé, l' Anonyme fut satisfait, et j'eus pour pot-de-vin une seconde loge en face, qui pouvait contenir dix personnes. Profitant de l'occasion de c~tte troupe, que je voyais familièrement, je me remis à composer quelques bagatelles théatrales. Je n'aurais pas eu assez de temps pour faire une comédie, car l'arrangement avec l'Anonyme n'avait été fait que pour le printemps et l'été, jusqu'au mois de septembre, et comme il y avait parmi les gagistes de l'Anonyme un compositeur de musique, et un homme et une femme qui chantaient assez bien, je fis un intermède à deux voix, intitulé Le gondolier vénitien, 1 qui fut exécuté, et eut tout le succès qu'une pareille composition pouvait mériter. Voilà le premier ouvrage comique de ma façon qui parut en public, et successivement à la presse, car il a été imprimé dans le quatrième volume de mes opéras comiques, édition de Venise, par Pasquali. Pendant que l'on donnait à Milan mon Gondolier vénitien avec des comédies à canevas, on annonça la première représentation de Bélisaire, et on continua à l'annoncer pendant six jours, avant que de la donner, pour exciter la curiosité du public, et s'assurer d'avoir une chambrée complète; les comédiens ne se trompèrent point. La salle de Milan de ce temps-là, qui a subi dans les flammes la destinée presque ordinaire des salles de spectacles, était la plus grande d'Italie, après celle de Naples, età la première représentation de Bélisaire, l'affluence fut si considérable, que l'on était foulé meme dans les corridors. Mais quelle détestable pièce! Justinien était un imbécile, Thiodore une courtisane, Bélisaire un prédicateur. Il paraissait les yeux crevés sur la scène. Arlequin était le conducteur de l'aveugle, et lui donnait des coups de batte pour le faire aller; tout le monde en était révolté, et moi plus que tout autre, ayant distribué beaucoup de billets à des personnes du premier mérite. J e vais le lendemain chez Casali; il me reçoit en riant, et me dit d'un ton goguenard: «Eh bien, monsieur, que pensez-vous de notre fameux Bélisaire? - Je pense, lui dis-je, que c'est une indignité à laquelle je ne m'attendais pas. - Hélas, monsieur, reprit-il, vous ne connaissez pas les comédiens. Il n'y a pas de 1.
Le gondolier fJhùtien: qui a pp.
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troupe qui ne se serve de temps à autre de ces tours d'adresse pour gagner de l'argent, et cela s'appelle, en jargon de comédien, una a"ostita (une grillade). - Que signifie, lui dis-je, una a"ostita? - Cela veut dire, dit-il, en bon toscan, una corbellatura; en langue lombarde, una minchionata et en français, une attrape. Les comédiens sont dans l'usage de s'en servir; le public est accoutumé à les souffrir; tout le monde n' est pas délicat, et les arrostite iront toujours leur train, jusqu'à ce qu'une réforme parvienne à les supprimer. - Je vous prie, M. Casali, lui dis-je, de ne pas me rotir une seconde fois, et je vous conseille de bruler votre Bélisaire; je crois qu'il n'y a rien de plus détestable. Vous avez raison, me dit-il, mais je suis persuadé que de cette mauvaise pièce on pourrait en faire une bonne. - Sans doute, lui répliquai-je; l'histoire de Bélisaire peut foumir le sujet d'une pièce excellente. - Allons, monsieur, reprit Casali, vous avez envie de travailler pour le théatre, faites que ce soit votre début. Non, dis-je, je ne commencerai pas par une tragédie. - Faites-en une tragi-comédie. - Pas dans le gout de la votre. - Il n'y aura point de masques ni de bouffonneries. - Je verrai, j'essayerai. - Attendez un instant. Voici Bélisaire. - J e n' en ai que faire. J e travaillerai d'après l'histoire. - Tant mieux. Je vous recommande mon ami Justinien. - Je ferai de mon mieux. - Je ne suis pas riche, mais je tacherai ... - Propos inutiles. Je travaille pour m'amuser. - Monsieur, je vous confie mon secret. Je dois aller l'année prochaine à Venise, si je pouvais y apporter avec moi un Bélisaire . .. Là, un Bélisaire in fiocchi. - Vous l'aurez, peut-etre. - Il faut me le promettre. - Eh bien, je vous le promets. - Parole d'honneur? - Parole d'honneur. » Voilà Casali content. Je le guitte, et je vais chez moi, bien déterminé à lui tenir parole avec exactitude et avec soin. Monsieur le Résident, sachant que j'étais rentré, me fit demander pour me dire qu'il allait partir pour Venise, pour ses affaires particulières, ayant eu la permission du Sénat de s'absenter pour quelques jours de Milan. Il avait un secrétaire milanais, mais ils n'étaient pas bien ensemble; celui-ci était un peu trop délicat, et le ministre était vif et sujet à des emportements très violents. Il me fit l'honneur de me charger de plusieurs commissions, et entr' autres, comme des bruits sourds faisaient craindre une guerre qui pouvait in-
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téresser la Lombardie, 1 il me chargea de lui écrire tous les jours, et d'etre attentif à tout ce qui pouvait se passer. C'était empiéter sur les droits du secrétaire; mais je ne pouvais pas m'y refuser, et mon ministre n'aurait pas entendu raison là-dessus. Je ne manquai pas d'exécuter Ics commissions dontj'étais chargé; mais je ne tardai pas en meme temps à entreprendre l'ouvrage que j'avais promis sous ma parole d'honneur. J'étais parvenu en peu de jours à la fin du premier acte. Je l'avais communiqué à Casali qui en était enchanté, et qui aurait voulu le copier sur-le-champ; mais il arriva deux événements à la fois, dont le premier me fit ralentir le travail, et le second me fit cesser de travailler pour longtemps. CHAPITRE XXX
Rencontre d'une vénitienne. - Milan surpris par les armes du roi f:k Sardaigne. - Mon embarras à cause de la guerre et de la vénitienne. - Retour du Résident de V mi.se à Milan. - Son départ et le mim pour Creme.
En me promenant un jour à la campagne du coté de Porta Tosa avec M. Carrara, gentilhomme bergamasque et mon ami intime, nous nous arretames à la fameuse hòtellerie de la Cazzuòla (lampe de cuisine ), que les Milanais prononcent c