Isaia. Capitoli 13-39. Traduzione e commento 8839406433, 9788839406439

Decisiva in questo commento è la valutazione del co­siddetto memoriale del profeta Isaia, che si riferisce al suo ope­ra

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Italian Pages 504 [499] Year 2002

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Isaia. Capitoli 13-39. Traduzione e commento
 8839406433, 9788839406439

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ANTICO TESTAMENTO COLLABORATORI

Walter Beyerlin, Walter Eichrodt, Karl Elliger, Kurt Galling, Hans Wilhelm Hertzberg t, Otto Kaiser, Martin Noth t, Norman W. Porteous, Gerhard von Rad t, Helmer Ringgren, Claus Westermann, Ernst Wiirthwein, Walter Zimmerli

a cura di Orro KAISER VOLUME18 ISAIA

(capp. 1 3-39)

PAIDEIA EDITRICE BRESCIA

ISAIA (capp. 13-39)

Traduzione e commento di Orro KAISER Traduzione italiana di ALDO

AuDISIO

Edizione italiana a cura di CoRRADO

MARTONE

PAIDEIA EDITRICE BRESCIA

Titolo originale dell'opera: Der Prophet ]esaja. Kapitel 13-39 Ù bersetz und erkHirt von Orro KAISER J., durchgesehene Auflage Traduzione italiana di Aldo Audisio Revisione di Corrado Martone © Vandenhoeck & Ruprecht, Gottingen 3198 3 © Paideia Editrice, Brescia �oo�

ISBN 8 8 . 394.0643·3

PIANO DELL'OPERA in

25 volumi

Walter Beyerlin, Introduzione all'Antico Testamento 2/4· Gerhard von Rad, Genesi 5 · Martin Noth, Esodo 6. Martin No th, Levitico 7· Martin No th, Numeri 8. Gerhard von Rad, Deuteronomio 9· Hans Wilhelm Hertzberg, Giosuè, Giudici, Ruth 10. Hans Wilhelm Hertzberg, Samuele 1 1 . Ernst Wiirthwein, I re 12. Kurt Galling, Cronache, Esdra, Neemia 13. Artur Weiser, Giobbe 14. Anu r Weiser, I salmi (1-60) 1 5. Artur Weiser, I salmi (6 1 - 1 so) ·16. Helmer Ringgren, Proverbi; Walter Zimmerli, Ecclesiaste; Helmer Ringgren, Il cantico dei cantici; Artur Weiser, Le lamentazioni; Helmer Ringgren, Ester 17. Otto Kaiser, Isaia ( 1 - 1 2) 1 8. Otto Kaiser, Isaia ( 1 3-39) 19. Claus Westermann, Isaia (4o-66) 20. Artur Weiser, Geremia ( 1 -25,14) 2 1 . Artur Weiser, Geremia (25,1 5-52,34) 22. Walter Eichrodt, Ezechiele ( 1 - 1 8); Walter Eichrodt, Eze­ chiele (1 9-48) 23 . Norman W. Porteous, Daniele 24. Artur Weiser, I dodici profeti minori (1): Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea · 2 5 . Karl Elliger, I dodici profeti minori (n): Nau m, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria, Malachia 1.

Al tempo in cui Rabbi Menahem viveva nel paese d'Israele, avvenne che uno stolto, senza che nessuno se ne accorgesse, salì sul Monte degli Uli­ vi e dalla cima soffiò la tromba dello shofar. Nel popolo spaventato si diffuse la notizia che questo fosse il suon·o dello shofar che annuncia la redenzione. Quando la voce arrivò alle orecchie di Rabbi Menahem egli aprì la finestra, guardò fuori nel mondo e disse: «Non vedo rinnovamento». Martin Buber, I racconti dei Chassidim Menachem Mendel di Witebsk

AVVERTENZA ALLA TERZA EDIZIONE

Altri impegni mi hanno impedito di adeguare questa edizione al rifacimento completo del mio commento ai capp. I-I2, ap­ parso in questa serie. Nelle pagine dedicate a I, I esprimo bre­ vemente il mio pensiero anche sulle unità letterarie che vanno oltre il confine del cap. I2. Nella quarta edizione della mia Einleitung in das Alte Testament, Gutersloh I978, 206, ho già detto che ormai faccio risalire al III secolo a. C. anche lo strato più recente dell'apocalisse di Isaia nei capp. 24-27, convinto a ciò dalla nuova datazione che]. T. Milik dà al Libro dei Vigi­ lanti (Hen. aeth. 1-36). Gli studi dedicati nell'ultimo decennio alla storia redazionale della raccolta protoisaiana meritano una seria attenzione, e il prossimo esemplare commento del mio col­ lega Wildberger proporrà argomenti che richiedono una parti­ colare considerazione e discussione: sono altrettante ragioni per deplorare di essere costretto ancora una volta a licenziare il li­ bro senza i dovuti aggiornamenti. L'unica giustificazione mi è fornita dalla persuasione, certo molto personale, che esso continua a rappresentare un 'opinione specifica rispetto agli altri la­ vori. Questa ristampa si limita perciò a correggere i refusi e le sviste più fastidiosi che mi sono stati gentilmente segnalati dai colleghi padre dr. ]oachim Becker di Simpelveld, prof dr. Koi­ chi Namiki di Tokyo e d. dr. Berthold Wies di Bad Schonborn, preside emerito di scuola superiore, ai quali va quindi, oltre al mio grazie, anche quello dei lettori. Per le correzioni sono de­ bitore a Uwe Hill, studente di teologia a Stadtoldendorf. Marburg, autunno 1 982.

Orro KAISER

A MO' DI PREMESSA

Chi aspiri a una visione complessiva del disegno che regge la seconda ampia parte de/ libro di Isaia, dovrà collocarsi a debi­ ta distanza, pena lo smarrirsi nei particolari, nei non pochi pro­ blemi di critica letteraria e in apparenti incertezze se non ad­ dirittura contraddizioni della composizione. È un dato accetta­ to che a tale visione generale si è potuti arrivare dopo che la ri­ cerca ha riconosciuto che le sezioni tradizionali dei capp. 24-27 e 36-39 posseggono ciascuna antecedenti loro propri. Oggi sappiamo che i capp. 36-39 costituiscono una appendi­ ce derivata da/ libro dei Re difficilmente anteriore al IV secolo a. C., dove si leggono episodi nei quali il profeta Isaia compare come energico mediatore fra il re Ezechia e ]ahvé, anzi addi­ rittura come salvatore e taumaturgo. Si tratta di racconti che non aiutano a focalizzare l'azione storica del profeta, ma che tracciano un quadro dei rapporti che sarebbero intercorsi fra Isaia e i governanti durante la crisi del 701, mentre in realtà essi sono in contrasto con quelli rilevabili nelle parole di quel periodo che sono sicuramente isaiane. In compenso rispecchia­ no ciò che circolava in alcune cerchie degli ultimi anni prece­ denti l'esilio, e aprono uno spiraglio sulla fede di quei circoli che dopo l'esilio, mentre guardavano con venerazione al profe­ ta, consideravano la liberazione di Gerusalemme riscattata da Ezechia come il modello della fiducia in Dio e come lo specchio degli avvenimenti del 5 87. 1 I brani poetici, escatologici e apocalittici, raccolti nei capito­ li 24-27 sono entrati nella recente storia letteraria dell'Antico I. Più diffusamente cfr. sotto, pp. 439

ss., e

NZSTh I 5 (I973) 28I ss.

12

A mo ' di premessa

Testamento con la denominazione di apocalisse di Isaia. La lo­ ro composizione potrebbe risalire al periodo compreso fra la se­ conda metà del IV e il primo terzo del II secolo a. C. Vi com­ paiono i temi delle calamità che alla fine dei tempi colpiranno in successione la terra intera, della sconfitta, in cielo, sulla terra e sul mare, delle potenze avverse a Dio, dei lutti e del riscatto del popolo di Dio) della glorificazione finale di Sion al cui re celeste i popoli andranno in pellegrinaggio, non escluso il tema della risurrezione dei morti. Questi capitoli costituiscono dun­ que un ciclo escatologico in sé conchiuso. I loro motivi condivi­ dono in parte con quelli di altri testi analoghi la caratteristica di poter essere decifrati soltanto ricorrendo a motivi affini. E qui tocchiamo una peculiarità che non solo in questo punto deve· tenere sull'avviso il lettore del libro di Isaia: nell'orizzonte concettuale che fa da sfondo agli eventi del rivolgimento co­ smico, spesso viene operata una selezione fra questi stessi even­ ti, nell'evidente presunzione, viene da pensare, che l'ascoltato­ re o lettore fosse in grado di interpretar/i e inquadrar/i. Per noi invece in questi passi sorgono spesso difficoltà pressoché insor­ montabili perché, quando tentiamo di ordinare gli eventi nel dramma escatologico, si presentano molte possibilità, ciascuna delle quali cambia il quadro generale. In tale situazione forse la miglior cosa che possiamo fare è di indicare le varie possibili­ tà, rinunciando a un 'interpretazione troppo precisa, così che il problema resti ancora vivo nella ricerca. Chissà che in futuro un 'analisi sin ottica del pensiero escatologico dei libri profetici non consenta una visione più chiara. 1 La denominazione di apocalisse di Isaia per Is. 24-27 offre normalmente il destro a critiche o almeno richiede che ognuno dichiari come la intende; perciò precisiamo come noi la interpretiamo nel nostro com­ mento. Noi distinguiamo fra escatologico, protoapocalittico e apocalittico. Definiamo escatologiche le attese che prevedono una svolta decisiva nei destini d'Israele come dei popoli, senza abbandonare il terreno della storia. Tali attese le chiamiamo 2. Sulla composizione dei capp. 24-27 cfr. sotto, pp. 216 ss.

A mo' di premessa

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apocalittiche quando prevedono che il cambiamento avvenga tramite interventi soprannaturali o cosmici, quando il rapporto con le potenze storiche concrete appare scompigliato o fantasti­ co, o infine si fanno calcoli sul sopraggiungere degli eventi ul­ timi. Definiamo protoapocalittico t'ampio strato intermedio che costituisce la maggioranza dei testi della seconda metà del libro di Isaia, in quanto esso potrebbe rappresentare lo stadio di transizione dalle attese storico-escatologiche a quelle cosmi­ co-apocalittiche. Non abbiamo difficoltà ad ammettere che nel caso concreto i pareri sulla collocazione di un testo possano es­ sere contrastanti, e ciò a motivo della suddetta non univocità dei testi stessi. Stando ai criteri coi quali la giudaistica e la ri­ cerca neotestamentaria usano determinare l'appartenenza al­ l'apocalittica, non è escluso che alcune concezioni da noi defini­ te apocalittiche possano anche essere giudicate escatologiche. La nostra terminologia intende unicamente offrire uno strumen­ tario che aiuti ad accostarsi in maniera adeguata ai testi vete­ rotestamentari. Vogliamo infine sottolineare che più volte il concetto di escatologia è stato da noi usato estensivamente per designare l'intero complesso concettuale, senza per questo inge­ nerare necessariamente confusione ne/ lettore, dal momento che il contesto fornisce sufficienti garanzie contro malintesi. Al ri­ guardo, infine, guardiamoci dal dare per scontato che il pensie­ ro giudaico si sia sviluppato linearmente dall'escatologia al­ l'apocalittica passando per la protoapocalittica. Forse è più rea­ listico non soltanto supporre un contrasto che a un Israele teo­ cratico, felicemente coesistente col giudaismo in quanto comu­ nità cultuale, contrappone un Israele escatologico,3 ma anche ammettere l'esistenza simultanea di correnti escatologiche, apo­ calittiche e, perché no, genuinamente profetiche; il che non vuoi dire che noi siamo in grado di d;are un nome, per ciascuna cer­ chia, all'elemento portante. Forse il futuro dirà se una critica di tendenza sociologica avrà qualcosa da aggiungere in proposito. 3· Cfr. O. Ploger, Theokratie und Eschatologie (WMANT 2), Neukirchen 1 9 5 9 (l 1 968), a l quale nel commento dobbiamo qualcosa anche quando dissentiamo.

' di premessa

A mo

Quanto al buio storico che grava sul giudaismo postesilico e su quello protoellenistico ognuno avrà di che sbizzarrirsi. �essi ora da parte i capp. 24-27 e ]6-39, nel resto è percepì­ bile almeno un disegno approssimativo. I detti sulle nazioni dei capp. IJ-23 si aprono con un detto contro la metropoli conside­ rata incarnazione del potere temporale (cap. 13) e contro il so­ vrano universale (14,4b ss. ), si chiudono poi con un detto con­ tro la città commerciale (cap. 23). Abbiamo dunque un inizio sicuramente non casuale, che anzi testimonia come la teologia giudaica della storia d'impronta escatologica sia nata dalla ri­ flessione sui fatti che condussero all'esilio; 4 questo però non può dirsi con altrettanta certezza della conclusione della rac­ colta. Se dopo il cap. 23 s ponessimo un taglio concettuale trop­ po netto, negheremmo il carattere dell'intera composizione, che invece si muove volutamente lungo una linea che parte dal giudizio finale sui popoli per finire, nel cap. 28 - e dopo avere più volte richiamato tale evento (cfr. 14,24 ss.; 17,12 ss.; 22,1 ss. ) -,al giudizio escatologico su Gerusalemme che si concretiz­ za nell'assalto delle nazioni. Il tema prosegue fino al cap. 33 compreso, dove troviamo una sorta di compendio della conce­ zione escatologica collegata con la sorte di Gerusalemme. Ri­ spetto a tale tema i successivi capp. 34 e 35 sono in certo qual modo a sé stanti, tuttavia la presenza del contrasto fra i destini di Edom e la metamorfosi del deserto fa sì che essi rappresenti­ no un adeguato punto conclusivo per il ritorno dall'esilio (go­ la). Perciò è assolutamente discutibile parlare, come s 'usa, di un ciclo assiro formato dall'insieme dei capp. 28-32.6 Tale delimi­ tazione si giustificherebbe con la presunzione che in 32,9-14 la parola tomi ancora al profeta Isaia. Personalmente riteniamo che una supposizione del genere sia una svista della critica let­ teraria, sicché di là dalla convenzione non vi è più ragione suf­ ficiente per insistere su una siffatta delimitazione. Cfr. anche P.R. Ackroyd, Exil and Restoration (OTL), London 1968, 232 ss. Sulla formazione dei capp. 1 3-23 cfr. sotto, pp. 17 ss. 6. Sulla critica letteraria dei capp. 28-32 cfr. sotto, pp. 284 ss. 4· S·

A mo ' di premessa

In genere, si suppone, il/ettore moderno apre il libro di Isaia per apprendervi qualcosa sull'azione e predicazione del profeta vissuto nell'VIII secolo. È ovvio che il commento ne tenga con­ to allorché si sforza di determinare il patrimonio originaria­ mente profetico trasmesso in particolare nei capp. 2 8-31. Fra l 'aspettativa moderna e l'intenzione degli uomini ai quali dob­ biamo il libro di Isaia nella sua forma tradizionale, la distanza è radicale. I redattori - così, in mancanza di meglio, chiamia­ mo quegli uomini senza nome - non intesero conservare le pa­ role profetiche in tutta la loro possibile integrità. Né per essi la parola pronunciata un tempo da]ahvé si era esaurita con il suo avverarsi nella grande catastrofe giudaica del 5 87, ma mirava al sopravveniente giudizio ultimo sul popolo e sulla città san­ ta/ L'esegesi dovrà quindi prefiggersi - e il nostro è soltanto un primo tentativo - di spiegare le parole attribuite al profeta Isaia non soltanto nella loro cornice temporale, ma anche, e necessariamente, in relazione al contesto escatologico traman­ dato. In 28,14 ss., ad esempio, il contenuto è talmente sorpren­ dente da indurre a domandarsi se in realtà vi sia ancora un fondo isaiano. La risposta dovrà essere riformulata ogni volta che si presenta un 'unità di cui risulta l 'autonomia. Se pensiamo che il rotolo di Isaia ha subito rimaneggiamenti fino in epoca ellenistica, dovremo seguire il principio di non attribuire al pro­ feta qualsiasi parola che possa avere una spiegazione in età di­ versa. 8 Tale principio non è certo di facile applicazione quando ci troviamo di fronte al ripetersi pressoché regolare delle circo­ stanze nelle relazioni estere del paese: ad esempio in JO,I ss. e 31,1 ss. Se d'altra parte vogliamo sfuggire alla conclusione im­ barazzante che l'intera tradizione isaiana è infine legata alle relative leggende, dovremo pur ritenere valida l'alternativa op­ posta, ossia che almeno un substrato può essere attribuito al profeta di cui il libro porta il nome. Si dovrà dunque partire di Cfr. NZSTh 1 5 (1 973) 272 ss. 8. Cfr. W. Schottroff, ]eremia 2,1-J. Erwagungen se: ZThK 67 (1970) 293 s. 7·

zur

Methode der Prophetenexege­

16

A mo' di premessa

volta in volta da un testo per poi affiancarvi quello spiritual­ mente affine. Se poi risulta da questa ricerca che vi è stata una relativamente precoce rielaborazione da parte di una scuola usiamo questo termine in mancanza di meglio -, dovremo infi­ ne domandarci in quale misura le parole siano state raccolte dalla bocca del profeta e in quale invece siano state registrate soltanto dopo una fase di tradizione orale. Ne/l'ambito di que­ sto nostro lavoro il problema può esser posto, ma non ancora risolto. La soluzione non può più essere rimandata, e ci augu­ riamo che l'indispensabile nuovo commento ai primi dodici ca­ pitoli de/ libro di Isaia concorra ad affrettarla. Cappel bei Marburg a.d. Lahn, estate 1972.

Orro KAISER

I DETII SULLE NAZIONI

(capp. 1 3-23)

Verdetto su Babilonia che Isaia figlio di Amos ricevette in visione. La soprascritta di I J , I , al pari delle precedenti in I,l e 2, 1 ,

1 3,1

opera un taglio assai netto. Diversamente da quelle che segui­ ranno nei capp. IJ-JO, questa nomina esplicitamente come au­ tore il profeta Isaia, che è inoltre definito figlio di Amos. Ciò sta sicuramente a indicare l'intenzione del redattore di attribui­ re al profeta anche i successivi detti sulle nazioni. Una partico­ larità di questa soprascritta, come di quelle che seguiranno, è che non si dice «parola», bensì «verdetto» . Non v'è tuttora uniformità di pareri sul significato del corrispondente ebraico massa'. Mentre gli uni, come la Vulgata e Lutero, lo traduco­ no con «peso>>, gli altri lo spiegano richiamandosi all' espres­ sione, più volte ricorrente nell'Antico Testamento, «elevare la voce», perciò rendono il nostro massa ' con «elevazione (della voce), verdetto>>.1 Nel seguito tali intestazioni assumono due forme principali: la prima fa seguire a «verdetto» il nome del paese interessato o della città cui si rivolge; l'altra riprende una parola chiave dall'oracolo che segue. Al primo tipo apparten­ gono, oltre alla soprascritta in I J ,I, quelle di I 5 , I (Moab), 1 7,1 (Damasco), I 9, 1 (Egitto) e 2 3, 1 (Tiro); al secondo quelle di 2 1 , 1 («Dal· deserto»), 2 1 , 1 3 («Presso l'arabo»), 22, 1 («Valle della Visione») e 30,6 («Bestie della terra del sud»), mentre la soprascritta in 2 I, I 1 ( «Duma») rimane dubbia. La soprascritta di 1 4,28 ricalca quelle usuali. Infine, sta a sé la soprascritta in 22, I 5 b�. 1. Cfr. S. Erlandsson, The Burden of Babylon (Coniectanea Biblica. Old Testament Series 4), Lund 1970, 64 s., dove è riportata la- discussione degli ultimi decenni.

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I detti sulle nazioni

Considerando come un tutt'uno l'intera sezione I 3-23, non si può non notare che alcune unità non hanno una propria so­ prascritta, nonostante non possano essere propriamente con­ siderate una semplice appendice a uno degli oracoli che hanno quella data soprascritta. Si osserva, ad esempio, l'assenza di so­ prascritta nel breve oracolo contro Assur in 1 4,24 ss. e nel det­ to contro l'Etiopia nel cap. I 8. Il cap. 20, invece, potrebbe es­ sere sufficientemente caratterizzato dalle parole introduttive. Da quanto disponiamo potremmo forse dedurre che tanto 1 4, 24 ss. e I4,28 ss. quanto I 8, I ss. siano stati inseriti nella compi­ lazione solo quando gli altri detti sulle nazioni avevano già ri­ cevuto le loro intestazioni. La successione dei detti nella raccolta non è immediatamen­ te perspicua. Alle predizioni su Babilonia in I 3 , I - I 4,2 3 segue in 14, 24-27 un detto contro Assur. E qui notiamo subito un'ul­ teriore differenza: mentre Babilonia sarà annientata sul suo stesso territorio, gli assiri periranno nella terra santa. I babilo­ nesi non fanno dunque parte dell'esercito delle nazioni che tra­ volgeranno la città di Dio. Invece possiamo benissimo colle­ gare all'assalto delle nazioni lo sterminio dei filistei per mano del nemico proveniente da nord, come è annunciato in I 4,28 ss. Dietro I 3,2-22 potrebbe esserci un precedente carme risa­ lente agli ultimi anni preesilici o, meglio, all'età esilica. Nella forma attuale esso è postesilico e per il suo andamento è da con­ siderare protoapocalittico. Anche il carme sulla caduta dei ti­ ranni di 1 4,4b-2 I potrebbe essersi formato soltanto in età post­ esilica. L'interesse per la sorte di Babilonia non si era affievoli­ to con la conquista della città da parte di Ciro nel 5 3 9· Babilo­ nia portava la responsabilità della sorte di Gerusalemme e dei giudaiti, e per questo divenne il simbolo dell'empia potenza universale, e il suo re quello del non meno empio dominatore universale. Perciò la composizione si apre con la promessa che nel giorno di Jahvé l'empia dominatrice universale e l'empio dominatore universale saranno annientati. Il collegamento fra il carme contro Babilonia e quello contro il dominatore univer-

/s.

IJ -23

sale è fornito da I 4, I -4a, un tardo brano di passaggio di tono scribale, che pare posteriore ali,epilogo del carme sul domina­ tore universale in 14,22-23 . La profezia contro i filistei in I 4, 28-3 2 potrebbe risalire al 3 3 3 , ma può anche essere più recen­ te. I 4,24 ss. sarà da datare all'epoca seleucide. Assur è ormai lo pseudonimo dell'impero ellenistico. Il lungo oracolo su Moab, che occupa per intero i capp. I 5 e I 6, potrebbe essere, in affinità con 1 3,2 ss., la rielaborazione di due carmi anteriori, ma nella redazione attuale si riferisce an­ che agli eventi che segneranno la svolta decisiva nella storia. In I 6,4b- 5 si trova un'appendice messianica, e in I 6, I 3- I 4 un cal­ colo di coloritura apocalittica sul compimento della profezia, che potrebbe essere della. stessa mano di 2 1 , I 6 s. Il cap. I 7, di­ versamènte da quanto si attenderebbe dalla soprascritta, non è diretto unicamente contro Damasco ma anche contro il regno d'Israele,_ contro ciò che di esso è sopravvissuto all'esilio. È comprensibile che, pensando alla propria situazione, si deside­ ri la fine della metropoli aramaica del nord scampata a tutte le bufere politiche. Mancano i criteri per una più precisa deter­ minazione temporale. I 7,7 e 8 indicano che il redattore inten­ deva dare un valore escatologico alle parole contro Damasco e Israele. Guardano alle afflizioni della fine anche I 7,9- I I , dove 1 7, I o e I I , con la sua breve e motivata invettiva contro gli abi­ tanti di Gerusalemme che partecipano al culto di Adone, po­ trebbe essere un frammento autentico di Isaia. La menzione dell'assalto delle nazioni torna ancora in I 7, 1 2- I4. I capp. 1 8-20 sono diretti contro l'Etiopia e l'Egitto. Come abbiamo già accennato, il cap. I 8 potrebbe essere stato inserito relativamente tardi per il motivo che non ha una soprascritta propria. All'annuncio protoapocalittico della sconfitta escato­ logica dell'Etiopia in I 8, I -6 segue in I 8,7 un'appendice in prosa dove gli sconfitti portano offerte a Jahvé. L'oracolo sull'Egitto in I 9, I - I 5 può essersi formato in più tappe. Lo sfondo politi­ co qui presupposto è .dato o dallo scompiglio interno del pae­ se precedente la riconquista da parte di Artaserse 111 Oco in-

20

I detti sulle nazioni

torno alla metà del IV secolo, o da quello seguito alla battaglia di Rafia del 2I 7 a.C. Le aggiunte di I9, I 6 ss., ove si preannun­ cia prima la conversione degli egiziani, poi addirittura la for­ mazione di un triplice popolo di Dio - Egitto, Assur e Israele -, risalgono a una data compresa fra il III e la prima metà del n secolo a.C. In contrasto con lo spirito xenofobo degli altri det­ ti sulle nazioni, queste appendici manifestano tendenze salvi­ fiche universalistiche formatesi quantomeno nel contesto del­ la diaspora giudaica nell'Egitto tolemaico. Come nel cap. I7 il movimento scende da Damasco, a nord, verso Israele, così nei capp. I 8 e I 9 esso parte dall'estremo sud allora conosciuto e si dirige a nord, avendo Gerusalemme come centro del movi­ mento stesso. Egitto ed Etiopia erano menzionati nella narra­ zione profetica del cap. 20, strano racconto di un gesto simbo­ lico compiuto da Isaia negli anni 7I 3-7 I 1. In concreto pare che qui si accavallino acriticamente ricordi risalenti agli ultimi due decenni dell'viii secolo e ai primi due terzi del VII. Nella for­ ma attuale il cap. 20 non dovrebbe risalire oltre il VI secolo. Con nostra sorpresa 2 I , I - I O ci riporta al momento della caduta di Babilonia. Anche qui non pare da escludersi l'impie­ go di un carme più antico, benché non se ne possa essere del tutto certi; esso dovrebbe essere datato a un'età anteriore al 5 39· È possibile che quello attuale pensi all'avanzata dei vinci­ tori su Gerusalemme. 2I, I 1 - I 2 è un vero e proprio enigma. Si ha l'impressione che l'oracolo si muova intorno alla domanda su quando avranno fine le calamità (per Edom?). 2 I , I J -I 5 è una pennellata delle vicende delle carovane di dedaniti che fug­ gono davanti agli inseguitori, e 2I, I 6-I 7 calcola il tempo della fine dei bene qedar. Ma l'ondata nemica non risparmia neppu­ re Gerusalemme. In 22, I - I4 è tramandato il detto, probabil­ mente l'ultimo, del profeta Isaia dopo la partenza degli assiri da Gerusalemme nel 70 I . In 7- I 1 troviamo due attualizzazio­ ni del tempo dell'esilio; infine in 5 e 6 l'esplicita reinterpreta­ zione dell'invettiva sull'assalto delle nazioni contro Gerusa­ lemme. Segue in 22,1 5 - I 8 un'invettiva - che potrebbe essere di

ls. IJ -2J

21

bocca di Isaia - contro uno sconosciuto, soltanto i n seguito identificato con il «fattore» (luogotenente) Shebna di cui si parla in 2 Reg. 1 8,18 par. /s. 3 6,3. In 20-23 segue poi la pro­ messa, originariamente di intenzione escatologica, della nomi­ na di un fedele ufficiale regio nel giorno della salvezza, una pro­ messa che in seguito è stata riferita a Eliakim, figlio di Helkia, anch'egli noto da 2 Reg. 18,18 par. /s. 3 6,3, ecc., e alla quale è stata associata un'invettiva in 22,24 s. di cui è ormai impossi­ bile rintracciare il movente storico. Il ciclo delle nazioni, che si è aperto con le parole contro la metropoli come sede della potenza universale e contro il do­ minatore universale, si chiude ora al cap. 2 3 con un oracolo ana­ logo contro la grande città commerciale. Stando alla intitola­ zione, la città dovrebbe essere Tiro, ma sono rintracciabili tut­ tora indizi secondo i quali il carme era stato composto già in occasione della distruzione di Sidone per mano di Artaserse III Oco nel 343. Esso fu poi reinterpretato e riadattato dopo la conquista di Tiro da parte di Alessandro Magno, con l'appen­ dice di 23, I 5 ::- e 16. Pare infine che in 2 3 , I 5 :� e 23, I 7-18 il car­ me abbia avuto le ultime amplificazioni, posteriori al 274 a.C.: si profetizza che la città ridiventerà una potenza commerciale a beneficio del popolo di Dio. A meno che il cap. 2 3 sia stato aggiunto al rotolo di Isaia in un secondo tempo, potremmo riscontrarvi, nonostante l'incer­ tezza della datazione di I 9, I ss., un indizio a favore dell'ipote­ si che i detti sulle nazioni siano stati raccolti non prima degli ultimi anni del IV o ai primi del 111 secolo, e che nello stesso tempo siano stati corredati delle intestazioni. Se ora ci volgiamo indietro, si stende dinanzi ai nostri occhi lo scenario escatologico contemplato dalla composizione: un esercito proveniente dai capi del mondo si raccoglie per co­ mando di Jahvé sotto le porte di Babilonia per accingersi ad annientare, insieme con la metropoli, la potenza universale e il dominatore universale. Il detto su Assur di I 4,24 ss. dà per certo che l'esercito proseguirà la sua marcia conquistatrice fi-

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I giorni della metropoli non si prolungano!

no a raggiungere la Giudea. 1 4,28 ss. e 1 5 -16 lasciano intende­ re che l'esercito invaderà l'Oriente e l'Occidente. Neppure la terra santa e la città di Dio usciranno illese: lo dicono il pro­ gressivo movimento da nord a sud nel cap. 1 7 e quello da sud a nord nei due capitoli successivi. In tale quadro, 1 4,2 1 ss. e 1 7, I 2 ss. fanno intendere che l'attacco alla città di Dio dovrà con­ cludersi con l'annientamento totale dei nemici. Appare singo­ lare l'inversione del movimento verso Babilonia in 2 1 , 1 ss. For­ se il redattore immaginava che dopo la caduta della città si sa­ rebbero liberate altre forze per muovere all'attacco contro Ge­ rusalemme. Mentre gli arabi fuggono davanti agli aggressori (2 1 , 1 3 ss.16 s.), nel senso che l'esercito delle nazioni avanza fin entro la penisola arabica, neppure Gerusalemme viene rispar­ miata (22, 1 ss.). L'esercito che viene da lontano metterà in atto il giudizio di J ahvé su un popolo divenuto sconsiderato. Quan­ to il pericolo sia grave lo fa presagire il fatto che pure la poten­ te Tiro non è riuscita a fermare il nemico. 13,2-22. I giorni della metropoli non si prolungano! 2.

3

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«Su un monte brullo issate il segnale, gridate forte a essi, Levate alta la mano perché varchino le porte dei principi. 1 lo ho chiamato �per il mio sdegno' 2 'l'esercito dei miei santificati'/ 2 Sì, ho chiamato i miei p rodi ' ', che fieri esultano».3 Udite! Un frastuono sui monti, 'strepito' 4 di una folla immensa!

1. Qui G legge: «Aprite, o condottieri»: V: « et ingrediantur portas duces». Le va­ rianti, più che dovute a un testo differente, paiono rispondere a un disegno prestabili­ to. T.M. da parte sua è incerto, e comunque ogni proposta di miglioramento non può essere che una supposizione. 2. Vedi BHS. 3· Sulla costruzione cfr. G-K 18 § 1 3 5n. 4· Con K. Budde, ]esaia IJ, in Abhandlungen zur semitischen Religionskunde und Sprachwissenschaft. Fs. W. W. Graf v. Baudissin (BZAW 33), Giessen 1 9 16, 6 5, si leg­ ga fra l'altro, in luogo di demut, hamot ( cf r . 1 7, 12). Ezech. 23, 1 5 (cfr. v. 14) non può, •••

/s. 13,2-22

5

23

Udite! Un tumulto di regni, di nazioni coalizzate! Jahvé Sabaot passa in rassegna l'esercito di guerra. Essi vengono da un paese lontano, dall'estremità del cielo, Jahvé e le armi della sua collera per sconvolgere tutta la terra.5

6 «Urlate! Perché è vicino il giorno di Jahvé! 7 8

Come furia del potente 6 esso verrà! )), Perciò tutte le mani cadono, tutti i cuori umani si struggono.

. . . e allibiscono? Spasimi e doglie li prendono, 8 9 si contorcono 9 come una partoriente. Ognuno osserva stupito il suo vicino, i loro volti sono di fiamma. 9 Ecco, il giorno di Jahvé arriva implacabile con 1 o sdegno, ira e furore, Per fare della terra un deserto, per eliminarne i peccatori. 10 «Quando le stelle del cielo e le sue costellazioni non irradiano la loro luce, Al suo sorgere il sole si oscura e la luna non diffonde la sua luce, 11 I I Allora io punisco nel mondo il male e negli empi la loro iniquità, -

contro Dillmann-Kittel, essere addotto come testimonianza per dtmut equivalente a «come». La lezione tradizionale potrebbe essere la conseguenza di una variazione vo­ luta per indicare che il reclutamento divino si sottrae alla sfera umana. 5· Oppure: tutto il paese. 6. T.M. letteralmente: «di Shaddai». 7· Inserendo l'attuale del tutto isolato «e allibiscono» e tenendo conto di 2 Sam. 4, 1 ; Ier. 6,24, in particolare 50,43, si potrebbe ricostruire: «Ascoltino gli uomini di Babi­ lonia e allibiscano». Ma wtnibhalu potrebbe essere semplicemente una glossa margi­ nale. Comunque, neppure in questo caso è possibile raggiungere la certezza. 8. Cfr., con Delitzsch, /oh 1 8,20 e 21 ,6; in proposito anche G. Fohrer (KAT1 16), Giitersloh 1964, 1.98. 9· Sulla forma cfr. G-K 18 § 47m. 1 0. Sul waw concomitantiae cfr. G-K 28 § 1 54 n. b. 1 1 . Cfr. S. Erlandsson, The Burden of Babylon (Coniectanea Biblica. Old Testament Series 4), Lund 1970, 23.

I giorni della metropoli non si prolungano!

Il

I

3

Stronco la superbia dei protervi e umilio l'orgoglio dei tracotanti! Renderò l'uomo più raro dell'oro fino, e l'umanità pari all'oro di Ofir)> . Perciò il cielo • tremerà', 12 poiché la terra sobbalzerà, a causa dello sdegno di Jahvé Sabaot nel giorno della sua ira ardente.

14

Allora avviene: come una gazzella smarrita, come bestiame minuto che nessuno raduna, ognuno si dirige verso il suo popolo, ognuno corre verso il suo paese. 15 Quanti sono trovati sono trafitti, quanti sono sorpresi 1 3 periscono di spada. 16 I loro pargoli sono sfracellati davanti ai loro occhi, Sono saccheggiate le loro case e disonorate le loro mogli. 17

18



19

10

«Ecco, io eccito contro di loro i medi, che non pensano all'argento né si curano dell'oro. e archi, giovinetti essi sfracellano, 14 il loro occhio non si impietosisce per i bambini, non hanno pietà del frutto del ventre. 1 5 Allora Babilonia, la perla dei regni, lo splendore orgoglioso dei caldei, sarà come quando Dio sconvolse Sodoma e Gomorra. Non sarà abitata mai più né popolata di generazione in generazione. L'arabo non vi pianterà la tenda 16 né i pastori vi pascoleranno.17

12. Vedi BHS.

13. Per la derivazione cfr. Zorell, 5 5 8b. 1 4. Così va tradotto alla lettera T.M. BHS propone di leggere: «E gli archi dei giovi­ netti sono sfracellati». Le varianti non ci aiutano granché. Cfr. Erlandsson, 2 5. Le numerose proposte di variazioni avanzate dai commenti mirano a stabilire la succes­ sione giovani, giovinette, bambini, feti. Non è possibile raggiungere la certezza. 15. Inversione di 1 8bcx. e �' con Duhm e Marti. 1 6. Sulla forma cfr. G-K28 § 68k.

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Ma vi si stabiliranno diavoli 18 e i gufi riempiranno le loro case. Vi faranno dimora gli struzzi e vi danzeranno esseri villosi. 21 Urleranno le iene nei loro palazzi 19 e gli sciacalli nei loro edifici di piacere. Sì, la sua ora si avvicina e i suoi giorni non si prolungano!

li

13,2-22. In 1 3,2-22 la predizione del giudizio universale nel

giorno di J ahvé e il messaggio della conquista e della distruzio­ ne di Babilonia formano un intreccio singolare. In primo luo­ go ci viene presentato uno sconosciuto in atto di reclutare un esercito e udiamo dalla sua bocca che egli sta preparando una spedizione punitiva: vv . 2-3 . Il profeta descrive quindi il fra­ stuono di una massa di gente in movimento, e conferma la no­ stra impressione che chi raccoglie le sue truppe non è altri che Jahvé: vv 4- 5. Data per accolta la legittimità del testo tràdito del v. 2b�,z.o si tratta sicuramente dell'imminente assalto a una capitale/1 Però secondo v. 5 b� dovrebbe trattarsi della devasta­ zione di un intero paese o della terra intera: il testo ebraico consente entrambe le traduzioni. La seconda interpretazione ha l'appoggio del successivo annuncio dell'avvicinarsi del gior­ no di Jahvé (vv 6- 1 3) che semina il panico fra la gente (v. 7), e della punizione dei malvagi nel mondo intero e dell'estirpa­ zione dei potenti della terra (v. 1 1). Da questo evento univer­ sale che coinvolge terra e cielo, il v. 1 4 ci riporta in uno scena­ rio localmente definito: qui apprendiamo di una fuga terroriz­ zata da un centro non meglio definito. Gli aggrediti stanno evi­ dentemente subendo una completa disfatta che ne fiacca per sempre la compattezza nazionale: vv 1 5 - 1 6. Infine nel v. 1 7 ap­ prendiamo che gli aggressori reclutati da Jahvé sono gli spieta.

.

.

Letteralmente: si accamperanno. Seguendo Torrey, KBL traduce sijjim � on «demoni», facendolo derivare da iijja, terra desertica. I 9· Il suffisso fa probabilmente riferimento al re. Sulla possibilità dello scambio fra r e l cfr. Erlandsson, 18. 20. Cfr. sopra, p. 11 n. I. 1 1. Cfr. sotto, ad loc. I7. I 8.

l giorni della metropoli non si prolungano!

ti medi. E soltanto al v. 1 9 veniamo a sapere con chiarezza che oggetto dell'attacco è Babilonia, che quanto prima sarà defini­ tivamente distrutta. Evidentemente il responsabile di questa composizione si è reso conto e ha accettato la tensione provocata dall'intreccio di due predizioni, di un fatto locale l'una, di un futuro evento universale l'altra. Il lettore moderno è tentato di separar le e di domandarsi di conseguenza se alla base del nostro testo non ci siano unità originariamente autonome alle quali il protoapo­ calittico avrebbe attinto. Osservando, nella ricerca di tali uni­ tà, che di fatto i vv. 1 6 e 1 8 si accavallano, si potrebbe essere indotti a supporre che l'autore del capitolo avesse sotto gli oc­ chi una più antica predizione delle sventure di una città non citata per nome, e anche un'altra sulla conquista di Assur o di Babilonia da parte dei medi o dei persiani. Teniamo presente che i vv . 2- 5 seguono il metro quinario 3+2, che invece in se­ guito viene interrotto da doppio binario e doppio ternario, sicché dall'annuncio del giorno di Jahvé nei vv. 6- 1 5 potrem­ mo anche tentare di separare elementi di un testo precedente ­ e questo sulla scorta di una critica letteraria attenta agli aspetti ritmici - e considerare tali elementi come frammenti della più antica sottostante predizione della espugnazione di una città. L'inevitabile carattere soggettivo di tentativi del genere sugge­ risce di desistere dal perseguirli. Ci accontentiamo dunque di aver messo in luce l'intento della composizione, così che si pos­ sa afferrare il singolare intreccio di predizione del giudizio uni­ versale e di imminente conquista e distruzione di Babilonia. 22

Osserviamo che non soltanto nel libro di Gioele, ma con ancor maggio­ re abbondanza nell'ambito della grande profezia contro Babilonia di Ier. 50, 1 - 5 1 , 58, s'incontrano paralleli O addirittura citazioni della nostra pe­ ricope/3 e ciò può ostacolare più che aiutare i tentativi della ricerca atSui problemi della metrica ebraica cfr. O. Kaiser, Einleitung in das Alte Testa­ ment, Giitersloh 2 1970, 2 56 ss. 13. Cfr. 1 3,2 con /er. 5 1,27 s.; sba con 50,2 5a�; 8a con 50,43b; 9ba con 50,23b (?); 1 3a con 50,34b e 51,29a; 1 4b con 50,16b�; 1 7 con p,u�. 1 1 aa 2; 1 8a con 5 1 ,3 (?) e �o,Joa (?); 1 8b con 50,42aa; 1 9b con so,4oa; 20 con 50,J9b; 2 1 aaba con 50,)9a. 12.

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tuale in proposito. In particolare, la sostanziale linearità della profezia sulla caduta di Babilonia nel libro di Geremia, supposta la sua dipen­ denza dal nostro testo, potrebbe indurre affrettatamente a spiegare que­ st'ultimo con la situazione dell'esilio.14 Il fatto che, al contrario, nel li­ bro di Gioele ritornino unicamente i caratteri escatologici che accompa­ gnano il giorno di Jahvé,15 indica quanto sia complessa la questione, che può avere un chiarimento soltanto nell'ambito di un esame sinottico del­ la redazione dei libri profetici.

La questione dell'antichità di questo carme protoapocalitti­ co, come dell'eventuale testo precedente che esso riprendereb­ be, non può essere risolta senza tener conto della storia di Ba­ bilonia, non soltanto, ma anche senza una scorsa storica sulla fede escatologica del giudaismo postesilico. Fu probabilmente nel 603 a.C. che il regno di Giuda divenne vassallo di Nabu­ codonosor, gran re del regno neobabilonese. La sopravvenuta ribellione, a cavallo del 6o 1 /6oo, di Jojaqim, re di Gerusalem­ me e di Giuda, fu l'inizio della catastrofe, lenta ma inarrestabi­ le. Il 1 6 marzo 597 Gerusalemme fu conquistata la prima volta da Nabucodonosor. Il successore di Jojaqim, il giovane re Jo­ jakin, venne deportato a Babilonia insieme con parte della éli­ te del paese. La rinnovata ribellione del nuovo re Sedecia, in­ sediate da Nabucodonosor, provocò una nuova spedizione del gran re contro il ribelle Giuda, conclusasi nel 5 8716 con la con­ quista della città e l'immediata distruzione del tempio, dei pa­ lazzi e delle mura e infine con la deportazione di Sedecia e di altre cerchie della élite. Fallito il tentativo di affidare il paese a un governatore, il giudeo Godolia, Giuda fu probabilmente annesso alla vicina provincia di Samaria. Ma neppure il regno neobabilonese sarebbe durato a lungo. 24. L'origine esilica di ler. 50 s. è ipotizzata ad esempio da W. Rudolf (HAT 1, 12), Tiibingen 31968, 299, e A. Weiser (ATD 20/2 1 ), Gott ingen s 1 966, 427. Per un'origine posteriore si pronunciano F. Giesebrccht (HK 111,2,1 ), Gottingen 1 894, 248, e B. Duhm (KHC 1 1 ), Tiibingen e Freiburg 1 901, 360, e in più J.Ph. Hyatt, IB 5, New York 1 956, 790 e 1 1 24. 25. Cfr. 1 3,6 con /oel 1 , 1 5 ; 2, 1 b; 7 con 2,6; Io con 2,rob; 1 3a con 2,1oa; 3,4 e 4,1 5 . .16. Cfr. M. Noth, Geschichte lsraels, Gòttingen J1956, § 23.

I giorni della metropoli non si prolungano!

Il popolo indoeuropeo dei medi, strettamente imparentato con i persiani, si era stabilito nella regione montuosa dell'Iran e con la disgregazione del regno neoassiro era diventato rapi­ damente una grande potenza dell'Asia Anteriore. N el 6 1 4 il re dei medi Ciassare riuscì a conquistare Assur e nel 6 1 2, insieme con l'alleato babilonese Nabopolassar, si impadronì anche di Ninive. Per tutto il regno di Nabucodonosor (604- 5 62) i due stati convissero in pace. Ma quando Nabucodonosor prese a costruire una muraglia e parecchie fortezze, i medi intesero questa politica come una potenziale minaccia. Quando nel 5 5 3 Ciro n di Persia ( 5 5 9-5 29) si liberò dal vassallaggio del re me­ do Astiage ( 5 8 5 - 5 5 3), fece prigioniero il re e nel contempo pre­ se a regnare sui medi, l'ultimo re babilonese N abonedo ( 5 5 55 3 9) poté considerarlo se non altro un gradito contrappeso al pericolo meda, soprattutto perché ne era già stato alleato in passato. Ma quando il persiano attaccò la Lidia di Creso, fu palese a tutti che cosa avrebbero dovuto aspettarsi dalla rapida ascesa della giovane potenza mondiale. Dal momento della ca­ duta della capitale li dia Sardi nel 5 46, il regno babilonese ini­ ziò il suo inarrestabile sfaldamento. Passo dopo passo Ciro ri­ uscì ad ampliare il proprio regno a spese della Babilonia, fin­ ché nel 5 3 9 la stessa capitale cadde senza combattere nelle sue mani. Allorché, alla morte del re persiano Cambise nel 5 22, anche la Babilonia divenne teatro di disordini, si succedettero a breve distanza due ribellioni, capeggiate l'una da Nidintu­ Bel, figlio di N abonedo, l'altra da un armeno di nome Aracha. Ma già nel novembre del 5 2 1 Dario I, succeduto a Cambise, teneva di nuovo ben stretta in pugno Babilonia. Nei primi an­ ni del regno di Serse I si registrò un'ultima rivolta capeggiata in un primo tempo da Belshimanni, ma durissimamente re­ pressa, e che infine si risolse, oltre che nello smantellamento delle fortificazioni erette da Nabucodonosor, nella distruzio­ ne del tempio dell'Esagila e nella fusione della statua d'oro di Marduk, anche nell'annessione del paese alla satrapia d'Assi­ ria. Pur permanendo la vera metropoli commerciale del Vicino

ls.

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Oriente, in realtà la città non si riprese mai più dalla sconfitta

(482). Babilonia rimase saldamente in mano persiana fino alla

conquista del paese da parte di Alessandro Magno dopo la bat­ taglia di Gaugamela del 3 3 1 . Il macedone vi si stabilì nel 3 2 3 con la mira di farne, se non proprio la capitale di un potente regno, almeno un avamposto dell'Asia. Ma tutti questi proget­ ti sfumarono con la sua morte inattesa. In seguito Seleuco 1 tra­ sferirà a Seleucia/Ctesifonte la residenza orientale del regno se­ leucide, e da quel momento comincerà l'inarrestabile decaden­ za della città, che gli storici e geografi ellenistici vissuti a caval­ lo delle due ere descriveranno come un deserto (cfr. Strabone I 6, I .s)/7 Se si vuole ora datare il nostro testo dovremo anzitutto tener conto che l'anonimo profeta che gli studiosi chiamano D eute­ ro-Isaia, e che ci parla nei capp. 40-5 5, attendeva sì dalla scon­ fitta di Babilonia per mano di Ciro la liberazione del suo po­ polo e un grande rivolgimento cosmico, ma che ciò nonostan­ te non nomina neppure una volta i med i fra i quali saranno an­ cora a lungo contati anche i persiani sia dai giudei sia dai gre­ ci. 28 Dovremo pure tenere presente che non v'è ancora traccia in lui del complesso concettuale del giorno di Jahvé, tipico dell'escatologia postesilica. 29 Pur riconoscendo che le illazioni basate sul silenzio delle fonti non sono granché ben viste, in questo caso dobbiamo andare con i piedi di piombo nel datare la composizione, nella sua forma attuale, all'epoca anteriore alla conquista di Babilonia da parte di Ciro nel 5 39· Si dovrà invece prendere in considerazione la possibilità che un certo ,

27. Cfr. H.S. Nyberg, Das Reich der Achiimeniden, in Historia Mundi 3, Miinchen 1 954, 77 ss. e 98 s., e anche E. Kornemann, Weltgeschichte des Mittelmeerraumes von Philip Il. von Makedonien bis Muhammad, a cura di H. Bengtson, Mtinchen 1 967, 148 ss. e 21 1 . Contro l'affermazione che Alessandro intendesse fare di Babilonia la capitale dell'impero cfr. F. Schachermeyr, Alexander in Babylon und die Reichsord­ nung nach seinem Tode (SAW 268,3), Wien 1 970, 74 ss. 28. Cfr. ad es. Dan. 9, 1 , e ]. Duchesne-Guillemin, KlP III (Stuttgart 1969), 1 1 28. 29. Cfr. P.R. Ackroyd, Exil and Restoration (OTL), London 1968, 222 s., e Apoc. 14,8; 16, 1 9; 1 7, 1 ss.; 1 8,2 ss.

JO

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materiale di fondo si sia formato in occasione della spedizione dei medi contro Assur o di Ciro contro Babilonia. Quel che si dice dei medi nel v. 1 7 potrebbe suggerire un periodo in cui non si sapeva ancor nulla dei persiani, anche se potrebbe esse­ re inteso semplicemente come un'affermazione mirata. - Co­ munque, si dovrà rammentare che la città che provocò la mor­ te politica del popolo giudaico diventò sempre più il simbolo della metropoli e della potenza universale contrapposta a Dio. Si spiega così come l'interesse per la sua sorte non si sia spento neppure dopo che essa aveva cessato ormai da tempo di essere un fattore attivo della politica mondiale. L'uso del nome Babi­ lonia nella neotestamentaria Apocalisse giovannea dimostra co­ me esso fosse diventato una p�ra metafora del tutto staccata dalla realtà concreta. 29 L'inserire nello scenario del futuro defi­ nitivo giudizio di Dio sulla metropoli e sul suo dominio uni­ versale i caratteri dell'antica avversaria ormai domata, sostene­ va la fede nell'immancabile avvento del giorno di J ahvé. ·1 3 ,2-5· La chiamata alle armi di .Jahvé Sabaot. L'autore ci mette in medias res rendendoci testimoni diretti di un recluta­ mento militare.3° Chi sia il condottiero, dove si trovi e a chi dia gli ordini rimane oscuro, in parte in un primo momento, in parte in modo assoluto. Su un monte brullo, quindi visibile in lontananza, deve essere issato un palo segnaletica, forse una semplice pertica senza nessun emblema.31 Il confronto con 5, 2.6; Ier. 5 1,2 7 e 5 1, 1 2 indica che tale segnale poteva essere usa­ to per trasmettere ordini sia di mobilitazione sia di adunata sia di attacco. Il fatto che la segnalazione ottica sia sostenuta da grida e da cenni della mano sottolinea l'urgenza dell'azione: il condottiero vuole che non si perda tempo nella preparazione

30. Sul genere «ordine di fuga e di battaglia» si veda l'omonimo libro di R. Bach (WMANT 9), Neukirchen 1 962. 31. Cfr. R. de Vaux, Les institutions de l'Ancien Testament n, Paris 1 960, 28 = Das Alte Testament und seine Lebensordnungen n, Freiburg-Basel-Wien 1 960, JO, ma an­ che K. Galling, BRL, 160 ss., e anche /s. 5,26, I 1 , 10.1 2; I 8,J; Ier. 4,6; so,2; 5 1 , 1 2.27·

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dell'attacco.3 1 Se i reparti in avvicinamento non scorgono su­ bito il palo o avanzano troppo lentamente, grida e cenni della mano servono come richiamo a notare il segnale o come solle­ citazione ad affrettarsi. Secondo il testo ebraico attuale, obiet­ tivo dell'attacco sono «le porte dei principi», una perifrasi poe­ tica a indicare una o più capitali o le loro porte principali.33 In questa espressione qualcuno ha voluto vedere un'allusione al nome Babilonia come babilu, «porta del dio», o babilani, «por­ ta degli dèi».34 Ma si tratta di un'allusione infelice per il fatto stesso che fra dèi e principi corre un� differenza qualitativa. Inoltre non è neppure certo che l'autore conoscesse il nome accadico della città (cfr. Gen. 1 1 ,9). Infine non siamo tuttora in grado di dare una risposta certa alla domanda se i vv . 2- 5 dessero come scontato un attacco a Babilonia. N ello stesso con­ testo attuale è possibile pensare che esso fosse diretto contro parecchie città. 3· Il v. 3 solleva leggermente il velo del mistero iniziale e dà al­

l'ascoltatore o lettore l'impressione di essere diventato testi­ mone di un ordine impartito da un condottiero non comune: chi infatti, se non Jahvé, dovrebbe parlando mettersi tanto in primo piano e nel medesimo tempo designare così esplicita­ mente le sue leve come strumenti della sua collera e come eser­ cito dei suoi unti ? - La consacrazione dei combattenti 35 si adat­ ta al carattere di guerra santa della spedizione. Secondo un'opi­ nione diffusissima la santificazione dei combattenti consisteva nell'astinenza sessuale e forse anche dalle bevande alcoliche.36 Deut. 2 J , I O s. mostra comunque come all'interno dell'accam­ pamento certi fenomeni legati al sesso fossero oggetto di tabù.

32. Delitzsch ad loc. Su henif cfr. ]. Milgrom: IEJ 22 (1972) 34 s. 33· Con Dillmann-Kittel contro Duhm e altri. 34· Cfr. RLA I, 333 e 366. 3 5. Cfr. Mich. 3,5; ler. 6,4; 22,7; 5 1 ,27 s. e /oe/ 49, inoltre Soph. 1,7. 36. Cfr. F. Schwally, Der heilige Krieg im alten Israel, Leipzig 1901, 6o, e G. v. Rad, Der heilige Krieg im alten Israel, Gottingen 1 1952, 7· Diversamente M. Weiss, The Origin of the 'Day of the Lord'-Reconsidered: HUCA 3 7 ( 1966) 32 ss.

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Anche 2 Sam. 1 1 , I o lascia intendere che durante le campagne �era prescritta all'esercito l'astinenza sessuale.37 Il v. 1 6b� non è necessariamente in contraddizione con tali prescrizioni, poiché non è escluso che si distinguesse fra il comportamento prece­ dente e quello susseguente alla vittoria. Infine da Num. 3 1 , 1 9 ss. si può arguire che a campagna conclusa dovessero svolgersi di nuovo certi riti di purificazione. - A forze riunite e con in­ domita fierezza l'esercito obbedisce alla chiamata alle armi e, secondo le parole del condottiero celeste, si appresta a far ca­ dere la collera di questi sui suoi nemici. 4· Cambia scena. Mentre fin qui eravamo ancora testimoni del­

la chiamata divina alle armi e della dichiarazione dell'obiettivo, adesso la nostra attenzione è richiamata sul frastuono, sullo strepito e sul fragore delle popolazioni che ubbidendo al co­ mando si raccolgono sui monti.3 8 È difficile dire se l'autore possedesse nozioni geografiche alquanto precise sulla posizio­ ne della città da assalire e se di conseguenza pensasse alla regio­ ne montuosa elamita come luogo di raduno delle popolazioni provenienti dall'altopiano iraniano.39 Probabilmente l'autore ha in mente semplicemente la conformazione montuosa natu­ rale del suo paese d'origine. - Con 4b� egli abbandona lo stile uditivo per passare alla descrizione interpretativa. Qui trova esplicita conferma la nostra congettura che il condottiero sia Jahvé: non altri che Jahvé, l'onnipotente, il Dio d'Israele eh� comanda agli eserciti celesti e terrestri,40 passa in rassegna le sue truppe prima della battaglia. 41 3 7· Contrariamente a Weiss si dovrà fare una certa distinzione fra soldati i n riposo e soldati al fronte. 38. Per la reinterpretazione cfr. sopra, pp. 22 s. n. 4· 39· Si tratta di un'ipotesi ricorrente nei commenti almeno a partire da Delitzsch. 40. Su 6,3 e sulla più recente discussione cfr. anche G. Fohrer, Geschichte der israeli­ tischen Religion, Berlin 1 969, 1 59 s. 4 1 . Sulla rassegna prima di muovere in battaglia cfr. /os. 8, ro; 1 Sam. 1 1 ,8; 1 Reg. 20, 15; 2 Chron. 25,5.

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S · Il v . 5 sottolinea ancora una volta il carattere terrificante del­ l'intero evento: gli aggressori non sono un popolo confinante conosciuto, sono eserciti che accorrono dagli estremi confini della terra 42 per dare esecuzione alla collera di J ahvé.43

I J,6-I J. Il terrore per l'avvicinarsi del giorno di Jahvé. Men­ tre fino a questo momento potevamo ancora supporre che la guerra imminente fosse un evento localmente circoscritto che interessava una sola città e un unico paese, adesso invece ve­ niamo a sapere, in uno scenario di crescente drammaticità, che in realtà sovrasta il giorno di jahvé, quindi il giudizio univer­ sale. Di conseguenza il protoapocalittico esorta tutti senza di­ stinzione a levare il grido di lamento. Egli annuncia l'immi­ nenza del giorno di Jahvé con le medesime parole di Soph. I , 1 4aa. - Oggi è opinione largamente accettata che nell'Antico Testamento la fede nel giorno di Jahvé considerato come gior­ no del giudizio sia una costante che risale fino all'vni secolo, allorché è documentata per la prima volta in Am. 5,1 8-20 e in fs. 2,6-22. Per accertarsi poi che i due passi risalgano veramen­ te ai profeti menzionati, o che piuttosto per nascere e crescere l'intera concezione abbia dovuto attendere il terreno delle at­ tese postesiliche, bisognerà prima approfondirla nel contesto di una maggiore conoscenza della storia redazionale dei libri profetici. Sulla provenienza dell'idea del giorno di Jahvé vi è divergenza di opinioni fra gli studiosi. Un certo numero di es­ si, al seguito di Mowinckel, 44 vorrebbe trovarne la sorgente nel patrimonio concettuale della festa preesilica d'autunno, quella che era il «giorno della festa di Jahvé» (Os. 9, 5); v. Rad invece ne cerca la patria nell'ambito concettuale della guerra 42. Sulla espressione cfr. Deut. 30,4; Nehem. 1,9. 43· Cfr. 1 0,5; 30,27; 10,2 5 e 26, ro. . 44· Cfr. S. Mowinckel, The Psalms in Israel's Worship 1, Oxford 1 962, 1 16 ss.; A.R. Johnson, in The Old Testament and Modem Study, a cura di H.H. Rowley, Oxford 195 1 ( 1 96 1 ) 1 9 1 ss.; Id., in Myth, Ritual, and Kingship, Oxford 19 58, 2 1 9 ss., spec. 23 5; A. Weiser (ATD 24), Gottingen 5 1 967, 170 s.; H. Ringgren, in Tradition and Si­ tuation. Fs. A. Weiser, Gottingen 1 963, 1 xo.

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santa. 45 Weiss, da parte sua, è convinto di potervi riconoscere una creazione del profeta Amos, e comunque sottolinea giu­ stamente la sua parentela con l'idea della teofania.46 - Per capi­ re il nostro passo è sufficiente costatare che il giorno di jahvé segna il momento della sua manifestazione e del suo interven­ to con grande potenza. Come in Ioel I , I 5, l'imminente violen­ za sterminatrice del giorno di Jahvé viene annunciata con un gioco di parole: in questo giorno viene il Dio designato con l'antico nome di Shaddai,47 nel quale i protoapocalittici rico­ noscevano l'eco del verbo ebraico sdd, «devastare, fare tabula rasa, essere brutalmente violento» . Con l'approssimarsi del ter­ rificante giorno l'umanità viene colta da una totale paralisi in­ teriore ed esteriore. 48 La paura, il tremore e i fremiti di spa­ vento della gente vengono paragonati alle doglie di una parto­ .riente.49 Mentre però una partoriente grida, tutta quella gente ammutolirà sopraffatta da un terrore paralizzante so e comin­ cerà a sudare di paura. 51 - Insieme con il giorno di Jahvé com­ pare Dio stesso 51 per sfogare la sua rabbia indiscriminata sulla terra. 53 Egli non viene per devastare la terra in se stessa,54 ma per sterminare i peccatori che la abitano. 55 45· The Origin of th e Concept of the Day of Iahwe: JSS 4 ( 1 959) 97 ss.; cfr. anche Idem, Theologie des Alten Testaments n, Miinchen 1960, 1 33 ss. = s 1 968, 1 29 ss. Lo seguono H.W. Wolff (BK l� s), Neu kirchen I 963, J8 s., e J. Jeremias , Theophanie (WMANT I o), Neukirchen I 965, 147· Cfr. anche già W. Eichrodt, Theologie des Alten Testaments 1, S tutt gar t e Gottingen s 1 9 5 7, 3 IO ss. 46. Cfr. sopra, n. J 6. 47· Cfr. W.F. Albright, The Names Shaddai and Abram: JBL 54 ( 1 93 5) I 8o ss., ma anche M. Weippert: ZDMG ( 1 961) 42 ss. 48. Cfr. Ezech. 2 1 , 1 2. 49· Cfr. Os. I 3, 1 3 ; Mich. 4,9 s.; ler. 6,24; 49,22.24; 50,43; /s. 2 I ,3 ; /oel 2,6; fs. 16, 1 7; Ps. 48, 1o; ecc. 50. Cfr. Gen. 43,33; /s. 29,9; Ier. 4t9; Abac. I ,5 ; Ps. 48,6. 5 I. Cfr. anche Nah. 2, I 1, e /oe/ 2,6; divers amen te /er. 30,6. 52. Cfr. Ps. 50,3; 96,1 3; fs. 3 5,4; 40, I o; 59, I 9; 6J, I ss.; Mal. 3 ,2 ; inoltre Ex. I 9,9; 20,24; Deut. 3 3,2; Iud. 5,4; Ps. 68,8; Abac. J,J. 53· Cfr. Soph. 1,1 5; Nah. I,2 ss.; Ezech. 7, 1 9; Lam. I , I 2; 2,21 s.; /s. 30,27 ss. e 34,6 ss.; in proposito H. Ringgren, Einige Schilderungen des gottlichen Zorns, in Tradition un d Situation, 1 07 ss. 5 4· Sul gioco di parole, non riproducibile in tradu z ione, cfr. Ier. 4,7; I 8, 1 6, p,29.

5 5· In base al significato proprio del verbo b( (cfr. per es. Prov. 8,36; Iob 5,24; Iud. 20, I 6), sono da intendere come peccatori coloro che, entro e fuori d'Israele, violano

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1 0- 1 2. Nei vv. 1 0- 1 2 1a parola ritorna a Jahvé.56 L'inizio del suo giorno si manifesta con l'oscuramento delle stelle notturne e del sole, appunto in conseguenza del sopraggiungere di Dio nell'oscurità della nube,S7 e Dio stesso rimane e rimarrà na­ scosto agli occhi degli uomini.58 Per gli abitanti della terra è il principio di uno stato di caos (cfr. Gen. 1 ,2; Am. 5 ,8) che pone fine a ogni attività. Sicché il buio assoluto diviene esso stesso un elemento del giudizio.59 Abbandonando il precedente lin­ guaggio metaforico il versetto dice: allorché il Dio · nascosto mette in atto il suo giudizio pubblico, l'umanità viene costret­ ta nella passività pura, dalla quale le è sbarrata ogni fuga verso il mondo. Il mondo non può più essere il campo luminoso del­ le sue possibilità. - Al suo apparire Dio chiama al rendicon­ to 60 la terra intera e tutti i suoi colpevoli abitanti.61 Gli orgol'ordine universale stabilito da Dio. Cfr. R. Knierim, Die Hauptbegriffe fur Sunde im Alten Testament, Giitersloh 1 965, 66 s., e H.H. Schmid, Gerechtigkeit als Weltord­ nung (BHTh 40), Tiibingen 1968, 1 66 ss. 56. Il discorso di Dio può arrivare al massimo a 1 3a. 57· Cfr. Ps. 1 8, 1 0 ss.; Ex. 19, 1 6; 24, 1 5; Deut. 4,1 1 ; 5,22. J. Koenig: RHR 169 (1 966} 24 s., ravvisa qui un ricordo dell'antica tradizione sinaitica del vulcano, o più precisa­ mente del fenomeno della nube di fumo e polvere che si sprigiona dall'interno del vul­ cano durante un'eruzione. Ritengo che Koenig non abbia tenuto in sufficiente consi­ derazione la storia dell'idea della teofania sinaitica, ciò che non toglie assolutamente nulla al suo merito di aver ridato vita per primo in maniera convincente all'ipotesi vulcanica. s 8. Cfr. I Reg. 8,1 2. 59· Cfr. Am. 5 , 1 8 ss.; 8,9; Mich. 3,6; Soph. 1 , 1 5; fer. 4,23; Ezech. 30,J; 32,7; foe/ 2,2. 1 0; 3,4, 4, 1 5 ; fs. 24,3 3 e 30,26. 6o. Nell'Antico Testamento rasa' è anzitutto chi «a motivo delle sue azioni deve at­ tendersi dal tribunale la sentenza di colpevolezza . L. Rost, Erwagungen zu Zacha­ rjas 7· Nachtgesicht: ZAW nuova serie 1 7, 226 Das kleine Credo und andere Stu­ dien zum Alten Testament, Heidelberg 1965, 73· Sul significato proprio del verbo 'wh, «deviare» cfr. Ps. 38,7; Lam. 3,9 e fs. 24,1; in proposito Knierim, 237 ss. Cfr. anche Am. 3,2; Ex. 20,5. 61. Il veterotestamentario zed (cfr. Prov. 2 1,24, ecc.) potrebbe corrispondere al «tra­ cotante» dei testi sapienziali egiziani, «colui che dà libero sfogo ai propri sentimenti, che attacca briga, che è scontento e semina scontento, non conosce regole e perciò si urta con tutti, sia Dio o siano gli uomini», H. Brunner, Altiigyptische Erziehung, Wies­ baden 1957, 4 s. Il 'aris, il violento, è l'individuo che come si fa vedere ispira terrore. Sulla radice cfr. ]. Aisdeitner, Worterbuch der ugaritischen Sprache (SAL I06,J), Ber­ lin 1 963, 243, n. 2 IOJ. ..

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gliosi e i violenti, che con tracotanza sfidano il diritto divino come quello umano, saranno sorpresi e spezzati dal giorno del giudizio che si abbatte sulla terra. Quali, secondo il protoapo­ calittico, saranno le prospettive degli uomini dinanzi a Dio, lo dice il seguente v. I 2: i sopravvissuti a questo giorno saranno più rari dell'oro fino.62 1 3· Il protoapocalittico pensa a un giudizio che riguarda tutti,

o a un verdetto selettivo che colpisce soltanto gli empi ? A que­ sta domanda non siamo in grado di dare una risposta precisa. Il v. I I fa pensare a una selezione, il v. I 2 invece a un interven­ to di Dio universale, che colpisce indiscriminatamente l'uma­ · nità intera. Secondo questo detto, dunque, l'ascoltatore o uditore non può più illudersi di uscire indenne dal sopravvenien­ te giorno di Jahvé. - Nel momento in cui Dio si avvicina nel­ l'oscurità della nube, il tuono della sua voce63 scuote il cielo ­ quel cielo che la gente immaginava come volta saldamente pog.giata sui bordi della terra 64 - e fa sobbalzare la terra, così che es­ sa viene strappata dalle fondamenta che - si riteneva -, sorret­ te dalle profondità marine, misteriosamente la sostengono.65 I J , 1 4-16. La fuga senza scam po. L'iniziale impressione che la

testimonianza profetica della chiamata alle armi dell'esercito di Dio e l'annuncio del tremendo giorno di Jahvé corressero pa­ ralleli per semplice giustapposizione cade con i versetti imme­ diatamente seguenti. Ora infatti dovremo considerare come un tutto unico i fatti descritti nei vv . 1 4 - 1 6 e il giorno di Jahvé, per concludere dai vv. I 5 s. che il grandioso reclutamento mi­ rava appunto a tale giorno. Nulla togliendo al carattere univer-

62. L,oro di Ofir è menzionato ancora in Ps. 45,10 e /oh 28,16. Sull'importazione dell'oro da Ofir da parte di Salomone siamo informati da 1 Reg. 9,28. Oggi in genere tale paese viene localizzato nell'Arabia sudoccidentale; al riguardo cfr. R. Bach, RGG IV3, 1 6 5 8 s., e L. Rost, BHW II, 1 3 54 s. 63. Cfr. Ps. 1 8,8; 29,3 ss.; 68,9; 77, 19; 1 Reg. 1 9, 1 1 ; fs. 6,4; Nah. 1,5; Ier. 4,24; I o, Io; Ag. 2,6.2 1; /oel 2, 10; 4, 1 6; /s. 29,6 e 24, 1 8 e anche ler. p,29. 64. Cfr. Gen. 1 ,6 ss. 65. Cfr. Ps. 24, 1 s .; /oh 3 8,4 ss.

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sale delle tribolazioni descritte nei vv. 6- 1 3, il v. 14 punta evi­ dentemente lo sguardo su un unico luogo. La fuga parte da un centro non meglio definito che da quanto segue non può esse­ re considerato altrimenti che una capitale; soltanto qui, infatti, possiamo supporre la presenza di persone provenienti da di­ versi popoli, come cortigiani, mercanti, guerrieri e schiavi. La genericità di quanto vi si dice non consente in larga misura un'interpretazione più precisa. D'altra parte l'attenzione non cade su un qualche fatto particolare, poiché lo scopo è quello di descrivere le conseguenze del giorno di Jahvé per gli abitan­ ti della metropoli. Nulla poi impedisce di pensare che costoro non fossero soltanto dei nativi. - Il paragone dei fuggiaschi con una gazzella smarrita ne mette in rilievo non soltanto la fretta ma anche la solitudine,66 mentre quello con il bestiame minu­ to senza pastore ne sottolinea l'assoluta impotenza.67 La fuga è semplicemente senza scampo: chi è raggiunto dagli insegui­ tori, non può sottrar�i alla morte.68 La sorte della città è segna­ ta per il solo fatto di essere paralizzata dal terrore (cfr. v. 7). Dopo che gli uomini abili alle armi sono costretti alla fuga e poi trucidati (cfr. v. 1 2) essa è esposta all'attacco dei vincitori. Sotto gli occhi dei genitori impotenti i bambini vengono sfra­ cellati,69 le case sono spogliate 70 e - secondo una non difficile ricostruzione delle circostanze - le donne, strappate dai loro nascondigli, vengono violentate. - Con poche sicure pennella­ te l'autore disegna un quadro di disfatta totale e di resa incon­ dizionata al vincitore, descrivendo la conquista della città sol­ tanto indirettamente, rispecchiata nella sorte dei suoi difensori e dei suoi abitanti. ·

I J ,I 7-I 8. La spietatezza dei medi. Formalmente il resto del ca­ pitolo può essere inteso come un discorso ininterrotto di Dio. 66. Cfr. Prov. 6,5; 2 Sam. 2,1 8, 1 Chron. 1 2,9. 67. Cfr. Ezech. 34, 1 2; /s. 5J,6, e spec. Nah. J, l 8 e Ier. so, I 7· 68. Cfr. ler. s o, J O e 5 I ,J . 69. Cfr. Os. 14,1; Nah. J, Io; 2 Reg. 8,1 2; Ps. 1 37,9· 70. Cfr. Ier. 50,10.26 s.

I gio rni della metropoli non si prolungano!

Tuttavia il carattere evidentemente frammentario del v. I 8 non consente una conclusione certa sull'originaria lunghezza di ta­ le discorso che, considerando la ripresa nel v. I 9, si dovrà far terminare - penso sia la soluzione migliore - al v. I 8 . - A que­ sto punto sappiamo finalmente chi sono i guerrieri reclutati da J ahvé contro la tuttora innominata metropoli: sono gli spietati medi, che rimangono inflessibilmente chiusi a ogni offerta di riscatto (cfr. Soph. 1 , 1 8) 71 e abbattono impietosamente qual­ siasi cosa si presenti sul loro cammino (cfr. v. I 5). - Il testo at­ tuale del v. I 8a solleva dubbi insormontabili.72 È comunque perspicuo che il vincitore uccide per sempre ogni speranza nei vinti; infatti stronca senza pietà la generazione futura soppri­ mendo i giovani e i bambini che stanno crescendo e persino gli esseri non ancora nati. Per «frutto del ventre» possiamo in­ tendere, anche se non necessariamente, i feti, poiché nell' Anti­ co Testamento la lacerazione del corpo di donne incinte è te­ stimoniata come scelleratezza del tutto particolare (cfr. A m. I , I J; Os. 1 4, I ; 2 Reg. 8, 1 2 e I s, I 6). I J,I 9-��. La distruzione definitiva di Babilonia. La città che col suo splendore e potere sopravanzava e sopravanza tutte le città e i regni della terra, e che perciò forma il giusto orgoglio degli abitanti della città stessa e dei dintorni - qui chiamati cal­ dei 73 -, è destinata a scomparire al pari di Sodoma e Gomor­ ra/4 «i tipici esempi dei castighi di Dio».75 La menzione delle città che la Scrittura vuole siano state distrutte nei mitici tempi 71. Così secondo Ibn Ezra in Procksch ad loc. La spiegazione di Delitzsch, secondo cui i medi erano spinti da motivi di vendetta e non di saccheggio, contraddice comunque nel contesto del v. 1 6b. 72. Cfr. sopra, p. 24 n. 14. 73· Il nome «caldei», che la Bibbia attribuisce ai babilonesi, deriva dal nome delle tri� bù aramaiche orientali che insediatesi nella Mesopotamia meridionale formarono il nucleo della popolazione del regno neobabilonese, cfr. R. Borger, BHW 1, 296 s. 74· Oltre a Gen. 1 9 cfr. Deut. 29,22; fs. 1,9; Am. � 1 1 ; /er. 49, 1 8; 50,4oa; inoltre Mt. 10, 1 5 ; 1 1 ,23; inoltre Corano, 69,9. Quando Dio si ricrede la sua reazione è violenta. Sull'uso superlativo di 'lhjm, Dio, cfr. Gen. 1 ,2; 23,6; 30,8; ls. 1 4, 1 3. 75· H. Haag, Bibel-Lexikon, Einsiedeln-Ziirich-Koln 195 1, 15 32 .

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antichi mira a rinsaldare nell'ascoltatore o lettore la fiducia che il medesimo Dio, già intervenuto con mano vendicatrice, infi­ ne distruggerà anche questa e tutte le altre empie metropoli e potenze universali. Come quelle città sono state cancellate dal­ la faccia della terra, così anche questa deve essere ridotta per sempre in macerie. Mai più nessuno dovrà avvicinarsi alla pro­ pria città incantata. Gli stessi nomadi arabi 76 o i pastori do­ vranno evitare in modo assoluto di sceglierla come tappa nei loro vagabondaggi. Quel luogo è dunque destinato a diventare il rifugio degli animali del deserto, esseri mezzo bestia e mez­ zo diavolo 77 che con la loro presenza concorreranno ad accen­ tuare il carattere sinistro delle rovine/8 Gufi e struzzi 79 sce­ glieranno qui la loro dimora. E fra questi esseri danzeranno i «villosi», i satiri, che in epoca anteriore a Giosia sembrano ave­ re avuto un luogo di culto nella stessa Gerusalemme, sicura­ mente per influsso delle credenze popolari cananee. so Tace la vita sfrenata dei castelli e dei palazzi regali.81 Rimarranno sol­ tanto sciacalli 81 e iene a innalzare i loro orribili canti. - Un qua­ dro analogo è disegnato da Soph. 2, 1 4 s. a proposito del giudi­ zio su Ninive, e da fs. 3 4, 1 0 ss. per Edom. La profezia dei vv. 1 9-22 ha trovato la sua chiara eco nell'Apocalisse giovannea. ­ Con una sorta di formula l'autore conclude la sua predizione 76. A partire da /s. 3,2 è la designazione documentata dei nomadi del deserto siro­ arabico; cfr. anche Ier. 25,23 s., Procksch ad loc. e H.P. Riiger, BHW I, I I 8 s. 77· Aécanto a fs. 34, 1 I cfr. anche Ier. 50,39. 78. Cfr. J. Wellhausen, Reste arabischen Heidentums, Berlin (I 897) 3 I 96I, I 49 ss.; H. Duhm, Die bosen Geister im Alten Testament, Tiibingen e Leipzig I904, 48, e J. Henninger, Geisterglaube bei den vorislamischen Arabern, in Fs. P. Schebesta (Studia Instituti Anthropos I 8), Wien-Modling I 96J, 3 1 3 ss.; inoltre A. Musil, The Manners and Customs of the Rwala Bedouins, New York I928, 4 I 4 ss.; e anche Tob. 8,3; Bar. �35; Mt. 4, 1 ; I 2,43; sull'argomento cfr. anche O. Bocher, Damonenfurcht und Da­ monenabwehr (BWANT 90}, Stuttgart I970, 65 ss. e 86 ss. 79· Y. Aharoni: Osiris 5 ( I 938) 469 s. identifica invece con Bubo bubo ascalaphus. 8o. Cfr .2 Reg. 23,8; inoltre Lev. I 7,7; /s. 34,I 4; 53,9 con. e .2 Chron. 1 1 , 1 5 ; in propo­ sito G. Fohrer, BHW I, 3 1 5 s. 8 1 . Sulla conformazione dei palazzi da Nabticodonosor ad Alessandro Magno cfr. Schachenneyr, Alexander in Babylon, 49 ss. 82. Ma cfr. KBL s.v. e Delitzsch ad loc. .

I giorni della metropoli non si prolungano!

assicurando che il momento degli orrori fissato per Babilonia è imminente e irrevocabile (cfr. Deut. 3 2,3 5; Soph. 1 ,7. 14; Abd. 1 5 ; Ezech. 7,7; 30,3 ; ler. 48, r 6; Ioel r , 1 5 ; 2, 1 ; 4, 1 4). Volgiamoci ora indietro: questo carme profetico prean­ nuncia la presa e la distruzione di Babilonia nel giorno di ] ah­ vé per mano dei medi. Gli eventi presentati nei vv. 6- 1 3 come intervento diretto di J ahvé accompagnato da tutto un insieme di fenomeni cosmici, sulla terra sono vissuti come catastrofe storica. Un avvenimento storico futuro viene interpretato co­ me intervento di Dio e presentato con i colori della concezio­ ne teofanica. Ma come, pur nella cornice di tale concezione, il giorno di Jahvé non viene riconosciuto direttamente bensì sol­ tanto negli effetti cosmici della sua presenza, parallelamente, nella storia, la presenza e l'azione di Dio sono riconoscibili dai loro effetti. Qui si manifesta la credenza che il giorno di J ahvé è una realtà vivente e che nella sua qualità di ultima istanza co­ stituisce il costante presupposto di ogni avvenimento. Si tratta di una fede inscritta nell'uomo che si sente membro d'Israele e che qui svela un aspetto della sua concezione della storia, un uomo per il quale questo Dio e le sorti d'Israele formano un tutt'uno inscindibile. Poiché Dio si è coinvolto nella storia di questo popolo, le potenze che fanno violenza a Israele sono destinate infallibilmente a cadere. È per causa di Babilonia che Israele ha perso la libertà, perciò anch'essa dovrà un giorno pe­ rire. Dio si serve dei popoli come di strumenti, ma non per questo rinuncia alla pretesa di essere riconosciuto, lui solo, come Dio, ciò che comporta anche l'ubbidienza morale. Si spiega dunque perché l'annientamento definitivo di Babilonia abbia trovato posto al principio dei detti sulle nazioni raccolti nei capp. I 3-23 : è perché le sorti d'Israele sono state decise da Babilonia. Il carme non giustifica l'imminente intervento di Dio con una particolare accusa ingiuriosa che chiami per no­ me le colpe concrete di Babilonia, lo fa invece in due momenti distinti e in una maniera quanto mai generale e teologizzante. 2-2.2.

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Il v. 3 ci dice che i santificati di Jahvé sono stati incaricati di dare esecuzione alla sua collera. Dai vv. 9 e I I apprendiamo inoltre che la sua tremenda ira colpisce i peccatori, i superbi e la presunzione dei tracotanti. N on viene data una giustifica­ zione concreta del motivo per cui la sua collera, fra tutti i tra­ cotanti della terra, sceglie proprio Babilonia. Evidentemente, alla luce dell'esperienza d'Israele, i destinatari del nostro pen­ satore giudeo non chiedevano ulteriori motivazioni. Per il fat­ to che viene stabilito un collegamento del tutto singolare fra l'attesa universale e l'attesa particolare del giudizio, cui si ag­ giunge quello dell'assenza di una giustificazione concreta, la predizione del castigo di Babilonia acquista la trasparenza del simbolo: il destino di questa città può diventare quello di qual­ siasi altra città altrettanto empia. . Il nostro testo non considera il fatto che la potenza ieri stru­ mento della collera divina, domani cade sotto i colpi della me­ desima ira: lo ha fatto invece I o, 5- I 5. Percorrendo la storia dei popoli ci imbattiamo in un circolo vizioso per cui un popolo subentra a un altro, le potenze si succedono l'una all'altra, e ogni volta, in questo cerchio magico, il popolo che viene detto il più giusto è proprio quello che si è imposto con la forza, 83 sicché rimane affermato il diritto del più forte. 84 Se pressoché sempre si tende a identificare la forza col diritto, evidentemen­ te qualcosa non va. - Il pensatore giudeo interpreta questo ro­ vinio di uomini e potenze gli uni sugli altri come un loro coz­ zare in Dio. Se dunque la storia è intesa come un cozzare in Dio, esiste ancora speranza. Infatti, finché Dio rimane suo si­ gnore seppure in maniera nascosta, la storia non avrà mai il ca­ rattere della condanna definitiva; e questo carattere essa lo per­ de nel momento in cui l'umanità riconosce la divinità del suo signore e perciò si comporta secondo la sua volontà. Quando il reciproco rovinare degli uomini è predetto come un urtare in Dio, allora la diagnosi, andando oltre il velo della fatalità e 83. Cfr. Platone, Leggi 10,89oa. 84. Cfr. il discorso degli ateniesi ai meli in Tucidide, Guerra del Peloponneso 5,89.

Il grande capovolgimento

il piano morale con le sue esigenze etiche, penetra in un terre­ no più profondo, là dove l'uomo consente con Dio. Se poi l'uomo attende la propria stabilità dalla fedeltà di Dio, non dal contraccambio di amore e dal mondo, avrà anche la forza di accogliere il prossimo sotto la propria protezione, di essere per lui e con lui: tale infatti è il dovere che gli viene dal fatto che il prossimo è suo fratello. La perdita di Dio è il peccato che sta alla radice di ogni rifiuto reciproco fra gli uomini. Per tale mo­ tivo appunto il Nuovo Testamento associa i comandamenti dell'amore per Dio e per il prossimo (cfr. Mc. 1 2,28 ss.; Le. 1 0,2 5 ss.). L'esperienza ci dice che per lo più la nostra esisten­ za di esseri umani è regolata non tanto dalla vicinanza di Dio quanto dalla sua lontananza, sicché nella storia noi urtiamo in quel Dio che non tollera di essere ignorato come fondamento e opposto della nostra esistenza; cadiamo nelle mani della sua collera, la quale si manifesta nel nostro reciproco divorarci. Se la predizione delle catastrofi del mondo, e quindi nel contem­ po delle catastrofi della nostra propria vita - le quali sono ognuna un urtare in Dio -, ci induce a porci dinanzi a Dio, si compie allora la riconciliazione tramite la pura passività del ri­ conoscimento che in noi è operante la forza del peccato. Ac­ quistiamo la nostra piena verità soltanto se riconosciamo di essere effettivamente empi. Sarebbe sconsiderata una cristiani­ tà che di fronte all'urgenza di riforme nella società tralasciasse di insistere sulla rivoluzione dei cuori, una rivoluzione che apre alla speranza e perciò anche il mondo terreno a migliori pro­ spettive. Ma motore di tale rivoluzione può essere esclusiva­ mente la parola che ci mette a nudo come peccatori e ci chia­ ma a operare insieme con Dio nella storia. 1 4, 1 -4a. fl grande capovolgimento 1 Infatti Jahvé avrà pietà di Giacobbe e si sceglierà ancora Israele e li re­ stituirà alla loro terra. A essi si uniranno gli stranieri e si fonderanno con la casa di Giacobbe. 2 Li 1 accoglieranno i popoli e li ricondurran•·

Ossia gli israeliti. Cfr. «casa d'Israele», subito qui di seguito.

43 no nel loro paese, ma la casa d'Israele li possederà in eredità come schia­ vi e schiave nella proprietà di Jahvé. Così asserviranno chi li aveva asser­ viti e domineranno sui loro oppressori. 3 E avverrà: nel giorno in cui Jah­ vé ti darà pace dalla tua pena, dalla tua irrequietezza e dalla dura schia­ vitù con la quale eri stato asservito, 4 tu intonerai questo canto deriso­ rio sul re di Babilonia e dirai: 14,1-4a. Il redattore tardo, che verrebbe da individuare in uno scriba, potrebbe aver trovato nel suo rotolo di Isaia un adatta­ mento escatologico della profezia, in 1 3,2-22, sulla distruzione della grande città di Babilonia, e nel >. - Gli israeliti, al pari di altri popoli dell'antichità, collocavano lo Sheol, oltre che sotto la superfi­ cie della terra, nelle profondità del mare cosmico sul quale la terra poggia a guisa di disco. 24 Lo Sheol viene per lo più de­ seritto sia come una fossa sia come un vasto pozzo, sicché pos­ siamo concludere che gli inferi fossero immaginati come una grande cisterna sotterranea nelle cui acque gli uomini precipi24. Cfr. A.R. Johnson, The Vitality of Individuai in the Thought of Ancient lsrael, Cardiff 2 1 964, 88 ss.; L. Wachter, Der Tod im Alten Testament (ATh 11,8), Stuttgart 1 967, 1 8 1 ss.; N.J. Tromp, Primitive Conceptions of Death and Nether World in the Old Testament (Biblica et Orientalia 2 1 ), Roma 1 969. Sulla collocazione dello Sheol cfr. Gen. 7, 1 1 ; 8,2; 49,2 5, ecc. con Iob 3 8, 1 6 s.; Ps. 69, 16; 7I ,20 e spec. Ps. 88,5 ss. e lon. 2,3 ss. e in proposito Ph. Reymond, L 'eau, sa vie et sa signification dans l'Ancien Testament (VT 4), Leiden 1 9 5 8, 2 1 2 . Sui paralleli non israelitici cfr. B. Meissner, Ba­ bylonien und Assyrìen n, Heidelberg I 925, I I O ss. e fig. 27 di 109; H. Kees, Toten­ glaube und ]enseitsvorstellungen der alten Agypter, Berlin 11956, 59 ss.; H.J. Rose, Griechische Mythologie, Mi.inchen 2 196 1, 1 3 e 72 ss.

57 tano al momento della morte.25 Un problema particolare che si presenta al nostro pensiero attuale è quello del rapporto fra tomba e mondo infero. Ogni culto dei morti collegato con la salma e la tomba trova la sua origine nella convinzione che la pratica cultuale riveste un rilievo fondamentale per la soprav­ vivenza del morto. Strapparlo dalla tomba, disseminarne le os­ sa, bruciare il suo corpo e disperdere al vento o nell'acqua le ceneri delle ossa significava accelerare la già iniziata dissolu­ zione del suo io fino all'annientamento totale. Fra l'idea di una sopravvivenza umbratile legata ai resti del morto e quella che lo vuole sprofondato negli inferi esiste una tensione che alla lunga avrebbe necessariamente condotto sempre più a ren­ dere autonoma la concezione del mondo infero. Ma, nel caso del giudaismo, la fine di questo processo trova la sua eco lette­ raria soltanto di là dai confini dell'Antico Testamento, mentre i greci, avendo vissuto con maggiore intensità ed estensione la realtà del mondo, hanno percorso il cammino più velocemen­ te. Le stesse concezioni legate alla morte e alla sepoltura degli aborti, dei non circoncisi, degli uccisi e dei giustiziati ci dico­ no che in un primo tempo non fu percepita la tensione fra l'idea della tomba intesa come casa dei morti e quella che vedeva nel mondo infero il luogo del loro soggiorno. Tomba e Sheol si tro­ vavano in un mutuo rapporto di congruenza. Le condizioni del morto nella tomba o fuori della tomba trovavano il loro corri­ spettivo negli inferi . . Chi rimaneva insepolto, o abbandonato in una fossa, o gettato fra le carogne - tale è il caso di quelli ap­ pena menzionati 26 - continuava a vegetare anche nel regno del­ le ombre, separato dalla comunità che avrebbe dovuto proteg­ gerlo, ossia normalmente dalla comunità degli antenati. Sullo sfondo di tale concezione dobbiamo intendere la creazione poe2 5 . Cfr. con Johnson Ps. 30,4; 88,4 ss.; Prov. 1,12; /s. 38, 1 8; Ezech. J I, I 6. 26. Cfr. Ezech. 28,8.1o; J I , 1 8; 32, 1 9 ss.; Ier. 26,23; 2 Reg. 26,3; fs. 53, 1 2 (con.); Tob. 1 , 1 7 ss. e in proposito O. Eissfcldt, Schwerterschlagene bei Hesekiel. Studies in Old Testament Profecy. Fs. Th.H. Robinson, New York 19 50, 78 ss. = Kleine Schriften 111, Ti.ibingen, 1966, 6 ss.; O. Kaiser, Der Konigliche Knecht (FRLANT 70), Gottingen z. 1 962, I IJ S.

Come mai cadesti dal cielo, Lucifero...

tica di cui stiamo trattando, qui adattata a un caso particolare. Lo Sheol si prepara con frenetica attesa ad accogliere il prepo­ tente. Riscuote i potenti 2 7 e i re del passato dal loro stato cre­ puscolare e li strappa dai loro troni. I morti non portano negli inferi alcunché di quanto hanno conquistato in vita: Ecci. 5 , 1 4. Ciononostante pare che anche nel mondo rovesciato delle om­ bre mantengano alcuni attributi della loro passata condizione (cfr. 1 Sam. 2 8, I 4). Ezech. 3 2,22 ss. potrebbe forse farci inten­ dere che i re morti erano immaginati in mezzo al loro seguito anche negli inferi. E perché questo avvenisse, un tempo si pre­ sentavano loro offerte adeguate. 28 Il lettore provi a rappre­ sentarsi dal vivo la scena nella sua macabra grandiosità: nel buio e nella penombra della grande cisterna sotterranea le om­ bre dei re siedono immobili sui troni circondate dalle loro schiere umbratili . Ed ecco che si spalanca la porta degli inferi (cfr. J 8, I o). Quel mondo sobbalza e le ombre si alzano di scat­ to dai loro troni. Se si pensa alle descrizioni babilonesi, egizia­ ne o greche di tali scene, salta all'occhio la sobrietà dell'autore ebreo. In primo luogo manca in lui una personificazione della divinità ctonia chiaramente distinta dagli inferi; infatti lo Sheol è piuttosto uno spazio personificato e animato, in questo pa­ ragonabile al mondo, non una vera e propria divinità ctonia che con grida e percosse risvegli le ombre. Il nostro testo sfio­ ra pericolosamente il confine di tale concezione, senza tuttavia valicarlo (cfr. anche J 8, I 8). Certo, i morti non innalzano lodi a Dio, poiché il loro dialogo con lui è finito (Ps. I I 5 , 1 7)/9 tut-

27. Propriamente: «arieti che fanno da guida», cfr. /er. so,8 e Zach. I O,J e in proposi­ to anche P.D. Miller, Anima/ Names as Designations in Ugaritic and Hebrew: UF 2 (1 970) 177 ss. e 1 84. 28. Cfr. ad es. B.C.L. Wooley, Ur und die Sintflut, Leipzig I9JO, 23 ss., spec. 3 8 ss.; inoltre G.E. Milonas, Mycenae and the Mycenaean Age, Princeton 1 966, 1 16 s., e V. Karageorgis, Cyprus, London 1969, 1 50 ss. Sui refa'im cfr. M. Dietrich e O. Loretz: UF 8 (1976) 45 ss. 29. Cfr. G. Schunack, Das hermeneutische Problem des Todes im Horizont von Romer 5 untersucht, Tiibingen 1 967, 63 ss., compreso il percorso che porta al Nuovo Testamento.

59 tavia J ahvé rimane il primo e l'ultimo, con l'esclusione di qual­ siasi altro dio, fs. 44,6. I O- I 1 . Ed ecco che i re del regno dei morti porgono il loro stu­ pito e insieme sarcastico benvenuto al nuovo venuto, già pre­ ceduto dalla fama e dalla rinomanza portata in quel regno da coloro che egli ha mandato a morte, o già noto a quelli grazie alla conoscenza di cui godono da morti. Lui, che sopravanza­ va tutti i re e i potenti della terra, adesso è un'ombra vuota al pari di loro. La domanda, che è insieme un'affermazione, ha l'effetto, inevitabile, di cacciare nell'angolo più nascosto il nuo­ vo venuto, confuso e ammutolito (cfr. v. I 5). - Dopo aver ce­ duto brevemente e metaforicamente la parola agli alberi nel v. 8, con il v. I I l'autore la riprende, mettendo in forte rilievo il contrasto fra la gloria passata e l'attuale ripugnante esistenza del morto: la magnificenza del grande sovrano, insieme con tut­ to quanto distingue la vita e le dimore e i piaceri di un re, ad esempio la musica, è cosa passata. Sull'ingresso del regno dei morti è scritto anche per lui il dantesco «lasciate ogni speran­ za.. voi ch'entrate». L'esistenza nella tomba e la realtà dello Sheol confluiscono orrendamente nel secondo stico: invece che letti fastosi, accolgono il cadavere putredine e vermi schifosi, insieme giaciglio e coltre. Mentre gli altri re siedono sui loro troni anche nell'oscurità degli inferi, a lui, il tiranno gettato sen­ za sepoltura, è negato pure questo debole riflesso dell'antica grandezza e gloria.

1 4, 1 2-14. La fallita scalata al cielo. Prendendo a prestito un antico mito cananeo, è creato il contrasto fra l'intenzione col­ pevole del sovrano universale e la sua caduta definitiva negli in­ feri. Il nome proprio Helel, tradotto con «Lucifero»,30 deriva da una radice verbale che può significare «essere e diventare puro, chiaro, splendere».31 La Bibbia greca lo traduce con eosJ O.

Vedi anche BHS e J.C. de Moor: UF 2 ( 1 970) 225 § 1 oq. 3 1 . Cfr. con HAL, 238 s.v. hll 1 l'arabo balla, «apparire, mostrarsi», inoltre hilal,

6o

Come mai cadesti dal cielo, Lucife ro. . .

phoros, «portatore della luce mattutina, stella del mattino», of­

frendo in tal modo sicuramente lo spunto giusto per la rico­ struzione del mito sottostante: la stella del mattino aveva pro­ gettato di innalzare il proprio trono al di sopra delle nubi e delle stelle più alte, là all'estremo nord dove sorge il monte dell'assemblea degli dèi, così da strappare il dominio del mon­ ,do al Dio supremo El 'Eljon. Ma il tentativo di usurpazione si concluse miseramente con la sua cad\}ta negli inferi. - Non si può escludere che la menzione di El 'Eljon - ferma restando la problematica storico-religiosa che questa denominazione divi­ na comporta 31 -, insieme con la menzione del Safon come mon­ te di Dio al v. 1 3, rimandi comunque all'accoglimento in Ge­ rusalemme di un mitologema cananeo (cfr. Ps. 48,3); 33 ma ciò non toglie che si tratti di un prestito diretto del nostro autore dalla mitologia cananea, benché per ora non siamo in grado di stabilire con maggiore precisione le mediazioni. Allo stato at­ tuale delle fonti la prima cosa da fare è di cercare corrispon­ denze nell'ambito della fonte più ampia dell'antica religione ca­ nanea, vale a dire di interrogare i testi di U garit nella Siria set­ tentrionale. Benché per adesso questi non offrano ancora al­ cun parallelo diretto del nostro passo,34 possono tuttavia illu­ minarne alcuni tratti particolari. N elle epopee ugaritiche, ad «novilunio»; in proposito anche P. Grelot, lsai'e 14, 12 -IJ et son arrière-plan mytho­ logique: RHR 1 48 ( 1 9 5 5) 22 s., e J.W. McKay, Helel and the Dawn-Goddess: VT 20 { I 970) 452. 3 2. Cfr. H. Gese, Die Religionen Altsyriens, Religionen der Menschheit, a cura di Ch.M. Schroder, 10,2, Stuttgart 1 960, I I 6 s., e F. Stolz, Strukturen und Figuren im Kult von ]erusalem (BZAW 1 1 8), Berlin 1 970, 1 57 ss., ma anche R. Rendtorff: ZAW 78 ( I 966) 279 ss., e ].]. Roberts: JBL 97 ( 1 973) 33 1 ss . 33· Cfr. H.-J. Kraus (BK I 5, I), Neukirchen 1960, 342 ss.; O. Kaiser, Die mythische Bedeutung des Meeres in Agypten, Ugarit und lsrael (BZAW 78), Berlin 1 1 962, 5 3 s., e Gese, 56 s. e 1 23 s. 34· Sul fallito tentativo del dio Athtar di occupare il trono di Baal col permesso di El cfr. A. Caquot, Le dieu Athtar et /es textes de Ras Shamra: Syria 3 5 ( 1 9 5 8) 5 5 ss., e Gese, 1 37 ss. Contro la proposta di ridurre a uno solo i miti di Athtar e di Helel, avanzata ultimamente da U. Oldenburg, Above the Stars of El: ZAW 82 (1 970) 1 87 ss., cfr. McKay, 4 5 5 ss. e 46 1 ss.

61 esempio, si ritrova l'idea dell'assemblea degli dèi su un monte, idea che gran parte dei lettori conosce unicamente dalle leg­ gende greche.3s Ma in tal caso, diversamente che nel nostro te­ sto, il monte non viene identificato col Safon, riservato piutto­ sto al dio Baal. 36 Ma neppure nell'Antico Testamento è assen­ te un'idea similare, come dimostrano i passi dove si parla del­ l'adunanza convocata da El per tenere consiglio (cfr. Ps. 82, 1 ),37 dell'assemblea dei santi (cfr. Ps. 89,6), o del convegno de­ gli spiriti devoti a Jahvé (cfr. Iob 1 ,6 ss.; 1 Reg. 22, 1 9 ss. e /s. 6).38 - La leggenda ugaritica conosce anche una narrazione ri­ tuale sulla nascita delle divinità Shachar e Shalim, sul crepusco­ lo mattutino e serale o sull'astro del mattino e della sera.39 In­ fine, talvolta viene anche nominato un dio hll, ma non sappia­ mo quali concezioni vi fossero collegate.40 Tuttavia ci è forse possibile ricostruire con maggiore precisione il mito soggia­ cente al nostro testo richiamando la tradizione greca di Feton­ te, la quale a sua volta pare rimandare a un originale fenicio­ cananeo. In una tragedia andata perduta Euripide narra che Fetonte, figlio del dio solare Elio e della oceanina Climene, ri­ uscì a strappare al padre il permesso di guidare per un giorno il carro solare; ma a motivo della sua inesperienza i cavalli gli presero la mano, tanto che la terra corse il pericolo di andare a fuoco. Al grido di aiuto della terra Zeus fulminò Fetonte e lo fece precipitare nel (mitico) fiume Eridano.41 Esiodo prospet3 5 · Cfr. O. Kaiser, Mythische Bedeutung, 6o ss., e Gese, 100 ss.; sull'adunanza degli dèi greci sull'Olimpo cfr. M.P. Nilsson, Geschichte der griechischen Religion I (HAW 5, 11, 1 ), Miinchen 1 I 9 5 5 , 3 5 2 ss., e Meissner, 1 1 1 sulla parallela concezione babilonese. 36. Cfr. Kaiser, op. cit., 53 s., e Gese, 57· 37· Sulla gamma interpretativa di Ps. 82 cfr. O. Eissfeldt: JSSt 1 (1956) 29 s. = Kleine Schriften I II, 390, e M. Tsevat: HU CA 50/5 I (1969/70) 1 23 ss., ma nel nostro conte­ sto in particolare J. Morgenstern: HUCA 14 ( 1939) 106 ss. 38. Al riguardo cfr. anche F.M. Cross: JNES 1 2 ( 1 9 5 2) 274 ss. 39· Cfr. Gese, 8o ss. 40. Cfr. ].C. de Moor, The Semitic Pantheon of Ugarit: UF 2 ( 1970) 192 n. 101 e 225 § 1oq, e Gese, So s.; dei due, Moor prende in considerazione soltanto la mezzaluna, Gese inv.ece sia l'astro del mattino sia la mezzaluna. 4 1 . Cfr. Rose, 262; H. Gunkel, Schopfung und Chaos in Urzeit und Endzeit, Gottin­ gen 1 895, 1 3 3 s., e Grelot, 30 s.

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ta un'altra versione del mito greco allorché presenta Fetonte co­ me figlio di Eos, l'Aurora, e di un Cefalo che a noi qui non in­ teressa. 41 Poiché il destino e il nome di Fetonte (derivazione dal greco phaeto, «apparire») coincidono palesemente con quelli del nostro eroe,43 si potrebbe tentare di fondare il mito di He­ lel su un'osservazione della natura (come a ragione aveva anti­ cipato Gunkel), ossia che l'astro del mattino, brillante al suo sorgere, svanisce ai raggi del sole nascente. 44 Sicché è possibile che anche presso i cananei si narrasse di un astro del mattino, figlio di Shachar dio del crepuscolo mattutino, che ebbe l'ardi­ re di scacciare dal trono il dio supremo dimorante sopra le nubi e le stelle. Ma accorsero il dio solare Shachar o la dea so­ lare Shapsu, i quali lo precipitarono nel mare e nelle remote profondità degli inferi.45 E ogni volta che egli ritenta di evade­ re di là per rinnovare la sua ribellione contro il dio supremo, sempre è ricacciato nel suo carcere sotterraneo.46 Analogamente Ezech. 28, 1 1 ss. narra la fine del re di Tiro rac­ cogliendo il mito del primo uomo, che abitava sul monte degli dèi ma fu precipitato sulla terra 4 motivo della sua empietà.47 In Lam. 2, 1 la distruzione di Gerusalemme per mano dei ba­ bilonesi è presentata come un precipitare dal cielo sulla terra. - Si tratta di concezioni dalla vita assai lunga, come danno a ve­ dere Mt. I I ,2J e Sib. 5,72. Ma ne è stata influenzata soprattut­ to la demonologia giudaica (cfr. Hen. aeth. 86; Vit. Ad. I 1 ss.; Le. 1 0, 1 8, inoltre 2 Cor. 1 1 , 1 4 e Apoc. 20, 1 ss.) . •p.

. Teogonia 986 ss. 43· Cfr. M.C. Astour, Hellenosemitica, Leiden 11 967, 269: «The name Phaeton 'the shining glittering� is an exact translation of Helèl». A me pare poco verisimile la sup­ posizione di McKay, 463, che il mito greco di Fetonte sia penetrato in Siria e Palestina fondendosi poi con quello di Athtar. 44· P. 1 3 3. 45· Cfr. Gese, 166 s. 46. Cfr. anche il mito della discesa di Ishtar agli inferi, AOTZ, 206 ss., e ANETZ, 1o6 ss., che contempla anche, seppure in altra maniera, la temporanea scomparsa di Vene­ re; in proposito E. Dhorme, Les religions de Babylonie et d'Assyrie, Mana 1. Les an­ ciennes religions orienta/es 11, Paris I 949, 3 2 I . 47· Cfr. K.-H. Bernhardt, Das Problem der altorientalischen Konigsideologie im Al­ ten Testament (SVT 8), Leiden 1 961, 86, e W. Zimmerli (BK 1 3, 2), Neukirchen 1 969, tUl loc.

Nella caduta del sovrano universale si ha per così dire un potenziamento dell'archetipo mitico. La sua fine ingloriosa è in stridente contrasto con i suoi progetti di conquista univer­ sale, detto in termini mitici: con il suo tentativo di scalata al trono collocato di là dalle stelle (cfr. Vit. Ad. 1 5 ), sul monte de­ gli dèi, là dove vengono decisi i destini del mondo intero. 1 5· Con questo suo proposito egli valica i confini fissati non soltanto ai mortali ma anche ai celesti, tenta di impadronirsi del luogo riservato a Dio solo, perciò merita di essere punito, di essere precipitato nelle più remote e buie profondità degli inferi. 1 4,I6- 1 9. La fine ingloriosa. Alla esaltazione delle gesta del morto nel lamento funebre corrisponde qui l'enumerazione dei misfatti del tiranno spodestato, il cui cadavere calpestato viene rinvenuto dai passanti nella fossa dei rifiuti. L'uomo che faceva tremare la terra e vacillare i regni, che devastava la terra e le sue città, che nelle sue prigioni faceva languire i morti fino all'ultimo respiro, il terrore del mondo, giace adesso fra la fec­ cia dei morti. Le esclamazioni di meraviglia e insieme di scher­ no dei passanti ci rammentano che gli antichi - e purtroppo non essi soltanto - trattavano coloro che erano vittime della sorte, invece che con partecipazione e compassione, con derisione e spregio, come a prendere le distanze da chi era stato colpito dalla collera e dalla punizione di Dio o degli dèi.48 Se e fino a che punto una siffatta partecipazione sia opportuna e conve­ niente anche nei confronti di un aguzzino è questione che qui non intendiamo affrontare. Comprendiamo che l'autore abbia voluto rendere in tutta la sua plasticità l'abissale caduta del do­ minatore del mondo, e lasciamo aperta la questione se rispetti la dignità dell'uomo la pratica di coprire i giustiziati di igno­ minia postuma. 48. Cfr. O. Kaiser, Knecht, 92.

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1 8-1 9· Più che nella morte in sé, è nella negazione di ogni sor­ ta di sepoltura del tiranno la vera durezza della punizione, tan­ to più se confrontata con le sepolture con le quali sono onora­ ti tutti i re del mondo. Per gli antichi non esisteva sorte più te­ mibile del rimanere insepolti, né dovere più sacro di quello di dare sepoltura regolare ai parenti o ai compagni d'arme.49 In­ fatti a chi rimane insepolto viene negato anche quel poco di pace che la morte può dare a un essere umano. Le offerte fu­ nerarie testimoniano la convinzione che almeno all'inizio i morti avessero bisogno di nutrimento. L'insepolto era con­ dannato a non darsi pace finché gli ultimi resti del suo corpo non si fossero decomposti e quindi avesse avuto fine anche la sua esistenza umbratile. Dice un testo babilonese che il morto « il cui cadavere è stato gettato per la campagna», «il cui spirito non riposa nella terra e non ha chi se ne occupi», è costretto a vagare affannosamente alla ricerca di cibarsi «dei resti rimasti nell'urna e dei bocconi gettati sulla strada». so La contesa per il cadavere di Patroclo, il sorteggio per quello di Ettore e la se­ -p oltura di Polinice per mano di Antigone testimoniano quan­ to contasse per i greci dare una regolare sepoltura. 5 1 Il culto egiziano dei morti è tutto lì a dimostrare come i vicini meri­ dionali d'Israele vivessero sotto il potere angosciante, condi­ zionante e inquietante di tali concezioni. 52 Amos, come vuole la tradizione, non poteva predire al sacerdote di Betel cosa più terrificante della morte in terra impura: A m. 7, 1 7. Viceversa, il libro di Tobia presenta come opera particolarmente pia la se­ poltura dei giudei e dei non giudei uccisi dal re assiro (cfr. Tob. 1 , 1 7 ss.; 2,3 ss.). - Il tiranno spodestato viene gettato fra le ca­ rogne, dove gli aborti, non-esistenze senza nome (cfr. Ecci. 6,3 s.), gli assassinati e i giustiziati si avviano verso il loro nulla. N o n si capisce bene se egli è fatto cadere in battaglia, o se, cat49· Cfr. ad es. Sofocle, Antigone 450 ss. so. Meissner, 147· s 1 . Cfr. Iliade I 7 e I 9, e Sofocle, Antigone 69 ss. Sui riti di sepoltura in età arcaica e classica cfr. D.C. Kurtz e ]. Boardman, Greek Burial Customs, London 197 1 , 142 ss. p Cfr. H. Kees, Totenglaube undjenseitsvorstellungen. ..

turato, fu giustiziato e fatto a pezzi (cfr. v. 1 2); infatti nell'an­ tichità poteva avvenire che con il cadavere dell'ucciso si insce­ nasse un macabro spettacolo, finché poi veniva dato in pasto agli avvoltoi o ai cani (cfr. Omero, Iliade 22,3 30 ss. e 2 Reg. 9, 33 ss.). 14, 1 9h�-2 I . La fine assoluta. Coloro che riposavano nel se­ polcro di famiglia in compagnia dei padri, anche negli inferi godevano ancora in certo modo della sicura protezione della stirpe.53 Anche questo è invece negato al nostro personaggio rimasto insepolto, sicché persino nella più flebile forma di esi­ stenza umbratile degli inferi la sua vita è ancora in pericolo. Dopo aver gettato se stesso nella rovina per la smodata volon­ tà di potenza e in più avervi trascinato con sé il suo paese e il suo popolo, non trova un cuore pietoso che si occupi della sua sepoltura. Gli viene pure negata la sopravvivenza del suo no­ me, della sua carne e del suo sangue nei figli e nei figli dei figli. Dal seme del malvagio non v'è che da attendersi ulteriore mal­ vagità, una rinnovata scalata al dominio del mondo con tutte le tremende conseguenze per gli abitanti della terra: anche i suoi figli dovranno dunque essere massacrati. I figli dovranno pagare per la colpa dei padri, così voleva il primitivo senso del diritto, non ancora consapevole della individualità del singo­ lo. 54 Ma sull'idea di appartenenza alla stirpe qui prevale quella che il regno del tiranno può prolungarsi nei figli. A provare che con la sua esortazione conclusiva il nostro autore è ben saldo nella realtà politica dell'antichità, basti pensare alla fine di Sedecia, l'ultimo re di Giuda, trascinato dinanzi a Nabuco­ donosor che si trovava a Ribla. Qui i suoi figli furono truci­ dati sotto i suoi occhi, prima che l'infelice fosse accecato e tra53· Cfr. Gen. 25,8; 1 Reg. 2, 1o; 1 5,24, ecc.; in proposito R. de Vaux, Les lnstitutions de l'Ancien Testament I, Paris 1 9 5 8, 97 Das Alte Testament und seine Lebensord­ nungen I, Freiburg 1 960, 1 03. 54· Cfr. 2 Reg. 1 4,5 s. e Deut. 24, 1 6 con Ios. 7,24 s.; 1 Sam. 22, 1 6 ss.; 2 Sam. 3,29 e 2 1, 1 ss.: ma anche Ezech. 1 8,4, cfr. vv. 5 ss. con vv. 1 4 ss. =

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L ,annientamento totale di Babilonia

scinato in catene alla sua ultima prigionia in Babilonia (cfr. 2 Reg. 2 5,6 s.). Forse l'autore se ne rammentò nello scrivere gli ul­ timi versi del carme. 14,22-2 3 . L'annientamento totale di Babilonia

«Io insorgerò contro di loro», detto di Jahvé Sabaot, «sterminerò di Babilonia nome e resto/ stirpe e progenie! ». Detto di Jahvé Sabaot. 23 «lo la ridurrò in balia dei ricci, in paludi stagnanti e la schiaccerò col pressoio della distruzione! ».1 Detto di Jahvé ! 22

.1 4,.1.1-2.3. La mano riconoscibile dai suoi interventi in I 4,20 e .2 I 3 è la stessa che in questi versetti ha siglato la profezia su Ba­ bilonia dei capp. 1 3 e 1 4. Col v. 22 il redattore riprende il mo­ tivo dello sterminio dei discendenti, già presente nei due pre­ cedenti versetti conclusivi sulla caduta del potente sovrano, per riferirlo, come già aveva fatto con piccoli interventi preceden­ ti, ma questa volta esplicitamente, all'annientamento totale dei babilonesi. Ricorrendo a due coppie di parole allitteranti, da tradursi alla lettera con «nome e resto» e «stirpe e progenie» (vale a dire «con l'intera famiglia))}, fa dire con forza a Jahvé in persona che neppure un solo babilonese sopravvivrà all'attesa ultima catastrofe di Babilonia, così da far vivere il nome del po­ polo (cfr. Ios. 7,9; 2 Sam. 14,7 e Soph. 1,4} . Nessun «resto)) sfug­ girà al massacro (cfr. 1 3, 1 5 ss.).4 Saranno massacrati non sol­ tanto gli adulti ma anche i bambini (cfr. Gen. 2 1 ,23; Iob 1 8, 1 9; Ecclus 41 ,5; 47,22), affinché il popolo non possa mai più risai­ levarsi dalla sconfitta. Il v. 2 3 riprende invece da I 3 , 1 9 ss. il pensiero della distruzione completa della città, che dopo esse­ re stata espugnata sarà ridotta in palude, a territorio di anima­ li che si rotolano su se stessi, verisimilmente ricci.5 La totalità della distruzione è efficacemente resa con un'immagine tolta 1. Il gioco di parole è reso sulla scorta di Duhm. 2. Sul significato di (!' e ma(ate' cfr. L. Knopf: VT 8 (1958) 1 74 s. 3· Cfr. sopra, p. 49 n. 1 0 e p. 54 n. 19. 4· Cfr. los. I J , I 2; 2 Sam. 2 1 ,2; Am. 9, 1 2; /s. 1 4, 3 0 5· Altri preferiscono «tarabusi» (uccelli); tuttavia cfr. 34· 1 1 ·

dal mondo del lavoro, quella della demolizione di una casa: come gli operai livellano pestandoli gli ultimi resti delle case abbattute per far posto a nuove costruzioni, J ahvé farà abbat­ tere la città, ma questa volta in modo che alla demolizione non segua alcuna ricostruzione. Nel lungo arco di tempo in cui fu la protagonista politica della storia, Babilonia rimase sempre agli occhi del giudaismo postesilico la città che fu all'origine dei suoi mali storici, il sim­ bolo di tutte le potenze empie e atee della terra. Perciò nessu­ no avrebbe potuto sperare in una svolta di salvezza per Israele finché l'ex odiata tiranna non fosse stata annientata. La triplice ripetizione della formula «detto di Jahvé Sabaot» o «detto di Jahvé» mira a infondere nella comunità del redattore e in tutti i futuri lettori del rotolo di Isaia la certezza che il totale an­ nientamento di Babilonia e dei suoi abitanti è voluto da Dio, che essendo signore di tutte le potenze in cielo e in terra 6 pos­ siede anche la forza di metter fine alla metropoli. La concentrazione sull'attesa e auspicata sorte di Babilonia e il linguaggio meno tradizionale consiglierebbero, entro i li­ miti in cui la brevità del passo sopporta tale conclusione, di ipotizzare in 14,22 s. l'intervento di un redattore anteriore allo scriba di 1 4, 1 -4a. Se dovessimo a lui la ripresa del carme pre­ cedente, non potremmo che essergliene riconoscenti. 1 4,24-27. La decisione di Jahvé contro Assur

e le nazioni della terra

24 Ha giurato Jahvé Sabaot:

In verità! 1 Come io pensavo, così 'avverrà'/ e come ho deciso, così succederà:

6. Cfr. a 6,3 e I J,4· 1. Sulla formula di giuramento cfr. G-K 18 § 149b. 2. Con 1 Qlsa si legga thjh, cfr. anche G, V e T. H. Donner, Israel unter den Volkern (SVT 1 r ), Leiden 1964, 145, spiega l'intenzione dei masoreti e nel contempo decide per T.M. BHS non annota neppure in un caso le lezioni diverse, e questo fa parte dei suoi difetti.

La decisione di fahvé contro Assur e le nazioni della terra

68 25

26 27

lo spezzerò Assur nella mia terra e la calpesterò sui miei monti.

E sarà rimosso il suo giogo da quelli e il suo peso dalle sue 3 spalle. Questa è la decisione, presa 4 contro tutta la terra

e questa è la mano, tesa contro tutte le genti. Quando Jahvé Sabaot ha deciso - chi glielo impedirà? e la sua mano è tesa - chi gliela farà ritrarre?

14,24-27. L'annuncio dell'annientamento di Assur sui monti della terra santa viene introdotto, invece che sotto forma di messaggio o di preambolo diplomatico, mediante la breve co­ municazione - « ha giurato» - del v. 24a. Non si può dire con certezza se il giuramento, e quindi il discorso di Dio, che ini­ zia in 24b si concluda al v. 2 5 o soltanto al v. 26 o 2 7; l'incer­ tezza viene dal fatto che la conferma nel v. 26 potrebbe benis­ simo stare ancora sulla bocca di Jahvé e che la transizione al di­ scorso su di lui nella riflessione del versetto successivo, se mes­ sa sulle sue labbra, potrebbe avere la funzione di sottolineare l'autenticità della comunicazione. - Comunque colpisce il fat­ to che qui si ricorra alla riflessione sulla irrevocabilità della de­ cisione di Jahvé per ribadire una certezza, quella della realiz­ zazione dell 'annuncio del v. 2 5 , in sé e per sé già scontata in forza del giuramento. L'idea dominante della decisione divina, e perciò in quanto tale irrevocabile, già posta al centro dal v. 4b, viene dunque confermata in anticipo e in sovrappiù nella comunicazione del giuramento in 24a e nella formula di giura­ mento in 24b, così che il lettore abbia la ferma certezza che la profezia si adempirà. Le incertezze della formula fanno pensa­ re che la profezia sia nata concretamente nella stanza di un pio redattore, non direttamente dalla bocca di un profeta. In effet­ ti l'esame dei concetti che emergono dal testo e dal linguaggio ci dice che, come in I O, I 6- 1 9 e I 0,20-2J, ci troviamo di fronte al lavoro di uno scriba posteriore, non invece dinanzi a un detto del profeta Isaia. 3· 4·

Sembrerebbe ovvio cambiare con BHS, ma 9,3 Sul dagd forte cfr. G-K 28 § 3 5b.

e

1 0,27

sembrano sconsigliarlo.

L'opinione contraria e oggi pressoché accettata da tutti ci obbliga ad am­ pliare l'analisi del testo.S Il concetto di giuramento divino come forma solenne di conferma ricorre nelle profezie sul giudizio di un Amos 6 e di un Isaia/ viene recepito dal redattore deuteronomista del libro di Isaia 8 - già altrimenti legato all'idea, propria della sua scuola, che la promessa della terra fu un giuramento fatto ai padri 9 - e assume il medesimo si­ gnificato anche nel libro di Ezechiele. 1 0 D'altronde possiamo percor­ rerne la presenza dal D eutero-Isaia fino alle profezie sulla salvezza e ai detti sulle nazioni che ne sono come lo specchio. 1 1 - Num. 3 3,56 u par­ la della realizzazione dei pensieri di Jahvé quasi con le medesime parole del nostro v. 24. All'affermazione, nel nostro testo, della irrevocabilità della decisione divina corrisponde la descrizione dei falliti assalti delle nazioni nella pericope redazionale 8,9 s. (cfr. v. Io). Il concetto di fondo proviene, con una leggera variazione per adattarlo al contesto, da Prov. I9,2 1 (cfr. Ps. 33,1 I e 73 ,24), ma è già accolto dal Deutero-Isaia (cfr. 46, I o). N el P roto-Isaia, invece, l'idea della decisione di Jahvé non è docu­ mentata con sicurezza, poiché 5, 1 9 nel suo isolamento dà adito a dubbi giustificati, e d'altra parte 1 9, 1 2. 1 7; 23,8 s. e 28,29 sono posteriori. 1 3 Lo stesso vale per Mich. 4, I 2. L'idea, invece, di una decisione divina contro i popoli riveste un certo reso nei detti recenti sulle nazioni del libro di Isaia. 1 4 L'idea accolta ne v. 2 5 che J ahvé annienterà gli assiri nella sua propria terra 1 5 non rappresenta, come è indicato appresso, un'attesa pro­ fetica affer�ata da Isaia, ma nient'altro che un auspicio protoapocalitti­ co. 29, 5 ss. e 3 1 ,4 ss. non sono del profeta né più né meno come ro, I 6 ss.; 1 0,24 ss., o 1 7, 1 2 ss. 1 6 Quanto all'idea della protezione di Sion dall'asse5· Contro la pa�ernità isaiana si sono pronunciati B. Stade: ZAW 3 (1 883) 1 6; H. Hackmann, Die Zukunftserwartung des ]esaja, Gottingen 1 893, 106 s. n. 3; Marti ad loc. e H. Barth, lsrael und das Assyrerreich, diss. Hamburg I 974, 9I s. 7· Cfr. fs. 5,9; 22,14. 6. Cfr. Am. 4,2; 6,8; 8,7. 8. Cfr. /er. 22,5; in proposito W. Thiel, Die deuteronomistische Redaktion von ]ere­ mia 1-25 (WMANT 4I}, Neukirchen 1 973, 238; 44,26 . 9· Cfr. ad es. Gen. 1 5, 1 8; 22, I 6; 26,3; Ex. • 3,5. 1 1; Deut. 1 ,8; 4, 3 1 ; 8, 1 ; 9, 5, ecc.; Ier. I I,5. 10. Cfr. Ezech. 5,1 I , 1 7, I 6 e 19. 1 1 . Cfr. /s. 45,23; 54,9; 62,8; Ezech. 20,J3; 3 3, 1 1 .27; 34,8; 3 5,6; 36,5 e 7· 1 2. Sulla recenziorità del passo cfr. M. Noth (ATD 7}, Gottingen 1 966, ad loc. 1 3. Ma cfr. J. Fi chtner, jah wes Pian in der Botschaft ]esajas: ZAW 63 ( I95 1 ) 1 6 ss. = Gottes Weisheit (ATh II,J), Stuttgart 1965, 27 ss., e G. v. Rad, Theologie des Alten Testaments n, Miinchen 1 960, 1 72 s. = 5 1 968, 160 s. 1 4. Cfr. ler. 49,20 e 50,45. 1 5 . Cfr. ler. 2,7; 1 6, 1 8; Ezech. 36,5; 3 8, 1 6; loel 1 ,6 e 4,2. 1 6. Cfr. sopra, e, sotto, il commento ai p assi citati.

La decisione dijahvé contro Assur e le nazioni della terra dio dei nemici (qui gli assiri), presente anche nel popolare racconto pro­ fetico di fs. 37,33 ss., va detto che prese lo spunto dal motivo dell'assal­ to delle nazioni presente nei cantici di Sion (cfr. Ps. 46,7 ss.; 48, 5 ss.; 76,3 s. e 87) e che in età postesilica si diffuse nelle cerchie protoapocalittiche che attendevano l'irruzione di un potente esercito delle nazioni nella terra santa e il suo annientamento da parte di Jahvé sotto le porte di Ge­ rusalemme (cfr. in particolare Soph. 3,8; Ioel 4; Ezech. 3 8 s. e Zach. 14) . - Sulla base di tale concezione si capisce come nel v. 26 l'applicazione della decisione divina venga estesa alla terra intera (cfr . 1 0,23; 1 2, 5 ; 1 3, 5 ; 2 5,8 e 28,22 ) . L a stessa metonimia dei monti, « i miei monti», a indicare la terra santa è senz'altro tarda.17 Che il v. 2 5b sia una trasposizione da 10,27 è acquisito da tempo e, al seguito di Duhm, ha indotto pressoché tutti a espungerlo dal carme, senza dire che i suffissi e i pronomi posses­ sivi «loro»/«suo» restano isolati senza alcun riferimento. 18 - Il v. 26 in­ troduce il motivo della mano tesa di jahvé presente in 5,2 5 ; 9, 1 1 . I 6.2o e 10,4. Il riferimento dell'antropomorfismo ai nemici pare influenzato dal­ la figura retorica deuteronomista della mano forte e del braccio teso di Jahvé. 19 Infine, la prima domanda inserita nel v. 27 si riallaccia alla cor­ rispondente espressione negativa di 8,1oa, e la conclusiva seconda do­ manda si richiama sicuramente a 43, 1 3 e 5,2 5; 9, 1 1 . 1 6.20 e 1 0,4. Sorvola­ re su questi dati significherebbe né più né meno negare il diritto di esi­ stenza allo studio dell'uso del linguaggio, contestandogli la funzione di strumento di critica letteraria. La conseguenza sarebbe un fatale stravol­ gimento del messaggio di Isaia, il quale, già vittima di leggende, finireb­ be col diventare il padre dell'apocalittica. 20

È stato sottolineato spesso che il nostro testo fu collocato

dopo la profezia su Babilonia soltanto in un secondo tempo. Se questa fosse stata la sua collocazione originaria avrebbe do­ vuto avere una propria soprascritta massa ' 'assur. Comunque esso fa parte del contesto di I 0,4 ss. Dovremo anche tenere pre­ sente la possibilità che prima formasse la conclusione di I o, I 1 7. Cfr. Ezech. 6,2 s.; 19,9; 3 3,28; 34,13; 39, 1 7, ecc. Ezech. ) 8,2 1 e Zach. 14, 5 · 1 8. Ma cfr. Hackmann, 107 n. 3· 19. Cfr. Deut. 4,34; 5,1 5; 7,19; 26,8; /er. 2 1 ,5 e insieme Ier. 32,2 1 . 20. Stade: ZAW (1 883) 16 parlava del nostro carme come d i «un collage d i frasi prese da Isaia». Duhm4, 1 22 s. ribatteva che Stade aveva omesso di documentare l'origine e lo scopo della compilazione, per poi concludere che «in tutta quanta la pericope non c'è una parola che non possa essere di Isaia». Ci auguriamo che Stade abbia anche fornito uno per uno gli argomenti.

71

/s. 14,24-27

14 * e che in un secondo tempo, dopo il suo spostamento, qui vi sia stato inserito 10, 1 5 .21 Evidentemente il redattore del li­ bro responsabile dell'inserimento dell'oracolo nella collocazio­ ne attuale sentì la mancanza di un detto contro Assur all'inter­ no della compilazione 1 3-23 . Il breve carme dimostra la capacità di creare un'unità ben strutturata ed efficace, nonostante che il suo autore, uno scriba che ha integrato il rotolo di Isaia, lasci trapelare a ogni piè sospinto la sua dipendenza da espressioni e concetti dive­ nutigli familiari con lo studio della sacra Scrittura. Nonostante che la potenza universale mimetizzata sotto il nome di Assur sia in grado di determinare il corso della storia e le sorti di Israele, il nostro è sicuro che J ahvé non se ne lascia turbare e che Israele può mantenersi fiducioso pur nelle sue tribolazio­ ni, poiché la decisione irrevocabile di Jahvé porrà infine un termine a quella potenza. Quando il nuovo Assur - potrem­ mo quasi dire: l'eterno Assur che si presenta in forme sempre nuove - si accinge insieme con le altre nazioni a dare l'assalto a Sion, subirà la medesima sorte toccata alle aggressioni di Sen­ nacherib contro la Gerusalemme di Ezechia - come si raccon­ tava nei circoli dei pii israeliti (cfr. 36 s.) -, vi troverà la pro­ pria fine irreversibile (cfr. 30,27 ss. e anche Ps. 60, 1 4 [ 1 08, 1 4]; 44,�; /s. 63,6 e inoltre Ier. 1 2,10). Si tratta di un'attesa che i pii israeliti coltivavano derivandola anzitutto dai cantici di Sion, come non ultima indica la profezia dell'apocalittico Dan. 1 1 ,4 5 , secondo la quale Antioco Epifane avrebbe trovato la sua fine tra il Mediterraneo e il monte santo di Sion. .14-.1 5 a.

=

21

2 1 . Così J. Vermeylen, La composition littéraire du livre d'Isafe, I-XXXIX, Louvain 1970 (poligrafato), 43 e 37· Cfr. anche Cheyne, Introduction, 79; Dillmann-Kittel ad loc.; ma anche Mani, I JO, e l'argomentazione desunta dalla storia delle forme di B.S. Childs, lsaiah and the Assyrian Crisis (StBTh II,J), London 1 967, 38 s. Procksch, for­ te della sua particolare critica letteraria del cap. I o, assicurerebbe che va dopo I O,J2 . .1.1. Cfr. N. Poneous (ATD 23), Gottingen 1 968, ad loc.

Contro i filistei

�6-27. Come in passato Jahvé aveva alzato la mano contro il suo stesso popolo, colpendolo più e più volte, così ora alzerà il braccio per assestare il colpo definitivo e ineluttabile alla po­ tenza universale, l'altro Assur (cfr. anche 5,30). Lo scriba ci met­ te dunque a parte non solo della sua speranza ma anche delle considerazioni che la giustificano, ed è sicuro del loro esito al punto da non peritarsi di presentarle come giuramento e ri­ flessione di J ahvé.

Poiché 2 5 b non mantiene la scorrevolezza del resto del carme, dovremo considerare questi versetti come un'aggiunta posteriore. L'interpolatore che qui prende la parola sentì il bi­ sogno di un'affermazione esplicita per ribadire che la sconfitta di Assur segna l'ora della liberazione .del proprio popolo, così come aveva letto in 1 0,27a. E dal momento che 9,3 fa da sfon­ do a 1 0,2 7a, egli si attendeva che la liberazione del suo popolo dal giogo della potenza straniera coincidesse con l'avvento del regno del Signore sul trono di Davide, il cui regno e la cui pa­ ce non conosceranno fine (cfr. 9,6). � 5 b.

I 4,28-3 2. Contro i filistei 2.8 Nell'anno della morte del re Acaz fu comunicato questo verdetto:

Non gioire, o Filistea tutta quanta, perché si è spezzata la verga di chi ti percoteva. 1 Poiché dalla radice del serpe esce una vipera e il suo frutto è un drago alato! 30 E i più �s �ri 1 avranno di �he pascolare . . e 1 poven s1 accamperanno 1n s1curezza. 19

1. Tenendo conto di 9,1 2; I0,20-24 e JO,J I questa traduzione è più ovvia dell'altra, sostanzialmente altrettanto possibile, «la verga che ti percoteva» (alla lettera: la verga te percotente). 2. Alla lettera: «i primogeniti dei miseri», cfr. Iob I 8, 1 3. Le proposte di leggere bekari o bekaraj, sul mio prato o sui miei prati, o behararaj, sui miei monti, invece che bekò­ re, primogeniti, si fondano su un giustificato stupore per l'equiparazione dei più mise­ ri con i poveri. Tuttavia la recenziorità e la tradizione testuale consigliano prudenza.

73 3I

32

lo farò 3 morire di fame la tua radice ed egli 3 ammazzerà il tuo resto! Urla, o porta! Grida, o città! Dispera,4 o Filistea tutta quanta! Perché da settentrione si alza il fumo e nessuno si sbanda 5 nelle sue schiere. 6 E che cosa si risponderà 7 ai messaggeri del popolo? 8 Poiché Jahvé ha fondato Si o n e in essa si rifugiano i miserabili del suo popolo.

14,.2.8-3.2.. La traduzione rinuncia a sciogliere in partenza le ten­ sioni del testo affinché il lettore si renda conto delle difficoltà che l'esegeta deve affrontare. Stando al testo ebraico, chi parla è Jahvé. L'io parlante nel v. 3ob, infatti, non può essere sicura­ mente altri che Jahvé, il quale si rivolge direttamente ai filistei. Ma con nostra meraviglia il discorso ridiventa subito espositi­ vo e alla prima persona subentra la terza. Il grande manoscrit­ to ebraico di Isaia della grotta 1 di Qumran ha scelto in en­ trambi i casi la prima persona, mentre la traduzione greca, al­ l' opposto, ha optato per la terza. Quasi che entrambi avessero tentato, ciascuno a proprio modo, di superare le difficoltà, di cui si rendevano conto, del v. 3ob. Il testo ebraico classico dei Masoreti, al quale la nostra traduzione si attiene, pensò forse di poter distinguere fra l'intervento diretto di Dio nella fame e l'uccisione del resto per mano dei conquistatori. L'oracolo ri­ serva altre sorprese. La metafora della radice si inserisce molto più organicamente nel contesto del v. 29 che non in quello del v. 30b. Inoltre il v. 3ob con la sua minaccia anticipa maldestra­ mente il drammatico annuncio del v. 3 1 , così da far sospettare G e T leggono wehemit, egli farà morire, I Qlsa e V 'eheerog, io ammazzerò. 4· Infinito assoluto con valore di imperativo. 5 · I Qlsa legge moded: «e nessuno conta». 6. Hapaxlegomenon. 7· In teoria il verbo alla terza persona singolare maschile, così come si trova in prima posizione, potrebbe anche avere come soggetto i messaggeri, cfr. G-K28 § I 4 5 0, e in tal caso si renderebbe possibile l'interpretazione di G e T. I messaggeri o i re diffon­ derebbero la stupefacente notizia che Sion è stata risparmiata. 8. I Qlsa: re del popolo; G: e che cosa risponderanno i re delle nazioni? T: e quale buon messaggio porteranno i messaggeri delle nazioni? 3·

74

Contro i filistei

che si tratti di un'aggiunta. Appare poi strano il brusco inseri­ mento del v. 30a fra il v. 29 e il v. 3 1 . Se invece leggiamo con attenzione quest'ultimo, sentiamo la mancanza di una frase che giustifichi la sua seconda metà. Se dunque trasportiamo il v. 3 0b davanti al v. 3 2b possiamo evitare un duplice disagio. Al­ tra sorpresa è quella del v. 3 2a, che ha un solo stico, quando altrimenti - fatta eccezione per la soprascritta - leggiamo se m­ pre due stichi che si integrano o che ripetono il concetto. Po­ trebbe dunque darsi che il v. 3 2a sia opera di un redattore per il quale il ki introduttivo doveva essere inteso non come «poi­ ché», bensì come «sì, veramente» . E subito si presenta l'altra questione, se il detto sulla Filistea dei vv 29 e 3 1 sia prima esi­ stito autonomamente e soltanto in seguito sia stato ampliato per fare da cornice alla promessa a favore dei poveri di Sion. Resta poi da domandarsi se alla fine non ci troviamo dinanzi al nucleo isaiano dell'oracolo. Contro i vv 30a e 32 si più giu­ stamente obiettare che per Isaia i miserabili e i poveri non so­ no di regola e di per sé gli abitanti o i pii di Gerusalemme, ma i concreti poveri e oppressi del suo popolo (cfr. 3 , 1 5; 1 0,2; inol­ tre 3 , 5 ; 1 ,2 3; 9, 1 6).9 .

.

2.8. La soprascritta pare fornire una sufficiente garanzia di un nucleo isaiano autentico, e perciò dovremo esaminarla per pri­ ma. L'incipit ricalca chiaramente 6, 1 , dove si legge: «Nell'an­ no della morte del re Ozia... ». E continua secondo il modello delle intestazioni oracolari che si ripetono da 1 3, 1 a 23, 1 e poi ancora una volta in 30,6. Se anche in origine fosse stata «fu comunicata questa parola a Isaia», il cambiamento sarebbe di poco conto. Siccome questa soprascritta non nomina il popo­ lo straniero interessato e neppure riprende una parola chia­ ve dell'oracolo, potrebbe essere posteriore alle altre analoghe, sicché non varrebbe la pena domandarsi quale ne sia l'autore e quale l'occasione. Forse appartiene già alla storia dell'interpre­ tazione messianica dell'oracolo, come è il caso della traduzio9· Cfr. Duhm e Marti ad loc.

75 ne greca del v. JO, per la quale il seme del serpe dovrà pascere i poveri, con conseguente interpretazione messianica del v. 29. Proprio in questo preciso senso il testo è stato interpretato dalla parafrasi aramaica che porta il nome di targum, una in­ terpretazione che ha trovato consensi anche in tempi recenti. Ma il v. 3 I richiede chiaramente un nemico che viene dal set­ tentrione, sicché l'interpretazione messianica perde ogni fon­ damento. Ammettendo la non originarietà della soprascritta si evita inoltre di dover far cadere insieme la morte dell'oppres­ sore dei filistei e quella del re Acaz, ed è appunto la difficoltà che si presenta ai soli due tentativi, fra i tanti, oggi concorrenti di risolvere i difficili problemi della cronologia dei re di Giuda nella seconda metà dell'viii secolo: quello di Begrich che vor­ rebbe fissarle al 727/26, e quello di Pavlovsky e Vogt che por­ rebbe la morte di Acaz poco prima di quella dell'assiro nel­ l'inverno 728/27. Nel 727, infatti, morì anche Tiglatpileser 1 11. Se poi vogliamo seguire Albright e Andersen, che si richiama­ no a 2 Reg. I 8, I 3 = fs. 36, I , dovremo fissare la morte di Acaz non prima del 7 1 5/I4, con la conseguente scomparsa della concomitanza cronologica con l'Assiria. 10 Ma la difficoltà di gran lunga più ardua, che si ripercuote an­ che sulla traduzione, è data dall'oscurità del testo: se cioè l'au­ tore ci presenta una successione generazionale serpe-vipera­ drago, o se il discendente del serpe lo dice prima vipera e poi drago. Nel primo caso è da escludere la paternità isaiana anche per i vv . 29 e 3 I , poiché siffatti oracoli ominosi e calcoli arit­ metici appartengono allo spirito dell'apocalittica, sicuramente non a quello del profeta preesilico (cfr. Dan. 2 e 1 I ). Nel se­ condo caso, il detto può essere datato al momento della morte 10. Cfr. J. B egrich, jesaja 14,2 8-32 : ZDMG 86 ( 1 933) 73 = Gesammelte Studien zum Alten Testament (ThB 2 1 ), Miinchen 1 964, 1 28; A. jepsen, Zur Chronologie der Konige von lsrael undjuda, in Jepsen e R. Hanhart (BZAW 8 8), Berl in 1964, 36 s.; V. Pavlovsky ed E. Vogt, Die jahre der Konige von juda und Israel: Bib 45 (1 964) 321 ss., spec. 342 ss.; W.F. Albright, The Chronology of the Divided Monarchy of Israel: BASOR 100 ( 1 945) 20 ss.; K.T. Andersen, Die Chronologie der Konige von Israel undjuda: StTh 23 ( 1969) 102 ss. Sulla questione cfr. anche ATD 1 74 a 1,1 .

Contro i filistei

di Tiglatpileser come di quella di Sargon n nel 705 . N el 734 Tiglatpileser sconfisse Annone di Gaza. Sargon n dovette far fronte addirittura due volte a una ribellione filistea: nel 720 bat­ té definitivamente Annone, nel 7 I I marciò contro la ribellione capeggiata da Asdod. • • N el 70 I il suo successore Sennacherib dovette di nuovo marciare contro i filistei dopo che per fargli fronte Ascalona ed Ekron si erano coalizzate con Ezechia di Giuda. 12 Fissando la data nell'anno della morte di Sargon ci troveremmo di fronte a una sorta di antefatto della grande ri­ bellio ne palestinese degli anni 70 3-70 I , udiremmo il grido di gioia dei popoli oppressi e la previsione esuberante e insieme obiettiva del profeta che rivolgeva il suo monito non tanto ai filistei quanto piuttosto al proprio popolo. Rimarrebbe co­ munque il fatto rilevante che il profeta non motiva il suo det­ to, come invece Amos ritenne dover fare anche nei suoi detti sulle nazioni (cfr. Am. I,J ss.), ciò che non si verifica più in quelli successivi. Dall'interpretazione risulta infine che sicura­ mente il v. 29 e forse il v. 30 vanno intesi come eco di testi più antichi. Perciò la stessa costatazione dell'intrecciarsi delle im­ magini nel v. 29 acquista il valore di" testimonianza contro l'ipo­ tesi della paternità isaiana, un'ipotesi che in questo secolo può contare fra i suoi sostenitori la gran parte degli esegeti. •3 - Dal momento che si pensa all'ultimo nemico proveniente da set­ tentrione e che nella sua corsa travolgente attraverso i paesi è costretto a fermarsi sotto le mura di S�on, parrebbe che il v. 29 r 1.

Cfr. anche sotto, pp. I45 s. 1 2. Cfr. AR 1 § 8 r 5; ANET1, 283; TGP, 5 8 s.; AR II § 5 5; ANET1, 284 s.; TGP, ·61. AOTZ, 3 50 s.; AR II §§ 62 s.; ANETZ, 286; TGP, 63 s. AOTZ, 3 5 2 ss.; AR 11 §§ 139 ss.; ANET\ 287 ss.; TGP, 67 ss. Cfr. anche H. Donner, Israel unter den Volkern (SVT I 1 }, Lei den I 964, 4 s., I o6 ss. e I I 7 ss. I 3· A parte gli autori citati nella nota successiva, fa eccezione soltanto Kissane, il quale pur attribuendo l'oracolo a Isaia e neppure mettendo in dubbio la soprascritta, tuttavia identifica il drago volante con il rinnovato regno davidico dei tempi messia­ nici. Sull'ormai usuale identificazione con uno dei re assiri dell'vrn secolo cfr. ad es. F. Wilke, ]esaja und Assur, Leipzig 1905, 1 9 ss., e S. Erlandsson, The Burden of Ba­ bylon, Lund I 970, 68 s.

77 rappresenti un solido argomento contro l'ipotesi che la stesura del carme non sia stata occasionata direttamente da un fatto storico, a meno che non vogliamo supporre un rivestimento giocoso e di conseguenza la genealogia serpe, vipera, drago. Se escludiamo la seconda possibilità, possiamo pensare ad Ales­ sandro Magno, all'anno in cui verisimilmente nelle città fili­ stee e a Gaza - ormai da gran tempo arabizzata - si esultava per la sconfitta del re persiano a Isso, ignorando però che cosa in­ combeva su Tiro e Gaza per aver osato resistere al macedo­ ne. 14 E ovviamente viene da domandarsi se eventualmente l'au­ tore vedesse in Alessandro il nemico proveniente da setten­ trione e se si attendesse un suo attacco a Sion. Purtroppo, co­ me per la stragrande maggioranza di testi del genere, anche per questo si dovrà infine ammettere che sulla sua origine e sulle sue intenzioni vorremmo volentieri sapere qualcosa di più pre­ ciso di quanto invece non ci sarà mai dato di appurare. Accon­ tentiamoci dunque di interpretare pianamente il testo nella sua si stemazione originaria, astenendoci da ogni ulteriore specula­ _ Zione. 1 4,29 e 3 1 . L'invettiva contro i fi l is te i Senza darne alcuna mo­ .

tivazione - proprio secondo lo stile di gran parte dei detti rac­ colti nei capp. I J -23 - l'autore-profeta si rivolge all'intera Fili­ stea per premunirla dall'abbandonarsi a una gioia prematura per la morte o la sconfitta di un sovrano che la opprimeva. La metafora della verga spezzata potrebbe derivare da 9,3 e la lo­ cuzione «di chi ti percoteva» da 9, I 2, ma la scelta delle parole potrebbe benissimo essere st�ta influenzata da 30,3 I e forse persino da I o,2o e 24 (cfr. inoltre Abd. 1 2; Mich. 7,8 e ler. 48, 1 7). In 29b colpisce l'intreccio delle metafore vegetale e ani­ male. È ovvio il sospetto che il discorso della radice abbia pre­ so lo spunto da 1 I , I . I O e 3 7,3 I , e quello del drago da 3 0,6. Il concetto in sé non soffre dall'accumulo di immagini: appare evidente che un sovrano della prossima o di una delle succes14· Cfr. Duhm e Marti ad loc.

Contro i filistei

sive generazioni metterà in ombra tutto quanto si è già dovuto sopportare dall'ultimo. Al serpe succede la vipera, temuta per il suo morso mortale (cfr. Ex. 4,2 ss.; 7,8 ss.; /s. 1 1 ,8), alla vipe­ ra niente meno che il leggendario serpente alato sprizzante fuoco, cioè il drago, e delle storie dei suoi antenati desertici la fantasia popolare era piena (cfr. 30,6; Num. 2 1 ,6 ss.; Deut. 8,1 5 ed Erodoto, J , I 09). 1 5 Mentre i filistei pensano che il pericolo sia cessato, in realtà - noi possiamo dirlo leggendo la strofa suc­ cessiva - tanto su di essi quanto sull'intero mondo delle na­ zioni sovrasta un crescendo di pericoli dai quali non v'è scam­ po. - Ciò che dovrà avvenire, il veggente lo avverte per così dire presente, sicché fin da questo momento sollecita la porta e la città a levare il grido di lamento per l'assalto cui prossima­ mente soccomberanno. 16 La porta alla quale il discorso si ri­ volge non è il luogo dove gli abitanti tengono l'assemblea/7 bensì il punto nevralgico della presa della città. Dovrà urlare nel momento in cui la marea selvaggia dei nemici si rovescerà, attraverso essa, nella città espugnata. La Filistea tutta quanta, e non soltanto le sue città una per una, sarà colta da un profon­ do terrore quando riconoscerà i segni d eli' avanzare d eli' eser­ cito. Non siamo in grado di definire con certezza se il veggen­ te intendesse il fumo dei posti di sentinella, dei fuochi di se­ gnalazione, o - ciò che sicuramente doveva suscitare il sinistro presagio - le alte colonne di fumo che si alzano dalle città conquistate e messe a fuoco. Il fumo che si alza dal settentrio­ ne indica l'effettiva direzione di marcia a partire dagli imperi dell'area dell'Asia Minore e mesopotamica, ma nel lettore fa­ miliarizzato con il libro di Geremia non poteva non suscitare il ricordo del nemico per antonomasia, proveniente appunto da settentrione (cfr. Ier. 1 , 1 4 s.; 4,6; 6, 1 ; I J,2o; 46,2o; 47,2; 50, 3 .4 1; 5 1 ,48; Ezech. 26,7). - Se nelle ultime parole del v. 3 1 se1 5 . Cfr. anche a 6,2; inoltre Th.H. Gaster, Myth, Legend, an d Custom in the Old Testament, New York 1969, 573 e 695. 1 6. Sull'uso parallelo di urlare e gridare cfr. anche ler. 25,34 e 48,2.0. 1 7. Contro Fohrer ad loc.

79 guiamo il testo ebraico tramandato, non ci resta da dir altro che è vana ogni speranza in un improvviso indebolimento del­ l' esercito nemico a motivo di insubordinazioni o di diserzioni. Quello che sta avanzando è un esercito possente e disciplina­ to, perciò doppiamente minaccioso! Secondo il testo ebraico del grande manoscritto di Qumran l'esercito sarebbe talmente numeroso da non potersi neppure contare. 1 8 14,30a e 32b. I pii si rifugiano sul Sion. Con il waw avversa­ tivo, «ma»/9 di apertura della seconda strofa il veggente di­ stoglie lo sguardo dai filistei per fissarlo sulla sorte totalmente opposta dei pii di Gerusalemme. Come voleva la tradizione in­ valsa nel frattempo, la città, grazie alla sua fiducia in Dio, sa­ rebbe stata risparmiata dall'assalto di Sennacherib 10 e avrebbe resistito all'ultimo nemico e al suo potente esercito. Il popolo di Dio, qui identificato con i miseri e i poveri secondo il lin­ guaggio dei salmi, 11 non ha quindi motivo di perdersi d'ani­ mo. Al pari di un gregge custodito dal suo buon pastore, po­ trà pascolare e accamparsi in sicurezza.22 Jahvé stesso ha eret­ to le mura di Si on su fondamenta incrollabili (cfr. 28, I 6; Ps. 87, I ), perciò quelli del suo popolo che sapendo di dipendere dal suo aiuto hanno fiducia in lui, trovano in essa scampo e ri­ paro dai prossimi assalti (cfr. Soph. J , I 3 ; fs. 1 0,2)/3 Si scorge ben chiara sullo sfondo la tradizione di Sion come monte di Dio che rimane saldo contro lo scatenarsi delle nazioni come già contro quello delle acque primordiali, e dinanzi al quale crollano i nemici. 14 1 8. Ma mdd viene altrimenti costruito con b soltanto per indicare la misura di capaciusata. 19. Cfr. G-K 18 § 1 63a-b. 20. Cfr. 36, I ss.; 3 7,9b ss. e 37,22 ss. 21 . Cfr. Ps. 72,1 3; 82,4; Am. 4, 1; /s. 10,2; 1 1,4; 2.6,6; in proposito G.J. Botterweck, ThWAT I, 3 8 ss., o E. Gerstenberger, THAT 1, 2 3 ss. 22. Cfr. Ps. 23; 77,21 ; 78,52; 8o,2; 9 5,7; I oo,J; /s. 40,1 1 ed Ezech. 34, 1 5. Ezech. 2.8,26; 34,2 5, ecc. 23. Cfr. Ezech. 38,8. I I . I 4 24. Cfr. Ps. 46; 48; 76; Abac. 2 ; Zach. 14; inoltre Ezech. 3 8 s., e i n proposito H.-M. Lutz, jahwe, ]erusalem und die Volker (WMANT 27), Neukirchen 1968, I 57 ss. e 200 ss., inoltre F. Stolz, Strukturen und Figuren im Kult von ]erusalem (BZAW I 1 8), tà

8o

Contro i filistei

Per rendere ancor più plastica la scena dei popoli radunati sotto le mura di Sion, il redattore affida alla certezza della fede la tranquilla risposta al messaggero dell'esercito guidato dal re ·drago, 25 o dai re delle nazioni là convenute,16 i quali, come già .un tempo il gran coppiere di Sennacherib e poi questi stesso, ·pretenderebbero la resa della città (cfr. 36, 1 ss. e 3 7,9b ss.). 32a.

3ob. N el contempo, per non lasciare alcun dubbio sullo ster­ minio dei filistei, egli aggiunse il v. 3 ob il cui testo attuale su­ scita l'impressione che Jahvé volesse prima colpirli con la ca­ restia per poi consegnarli ai nemici che li avrebbero massacra­ ti. Ma è probabile che pensasse semplicemente alle due fasi del­ l'assedio e della resa per fame con la conseguente presa di una città. Per la radice non è sicuramente, a dir poco, una prospet­ tiva rosea il dover morire di fame (cfr. invece Os. 9, 1 6). - Nel resto dobbiamo vedere i filistei sopravvissuti all'assedio. La conclusione è ovvia: nessun filisteo scamperà all'ultimo nemi­ co ! - Se ci domandiamo perché nel regno di Giuda si attendes­ se con tanta passione la fine dei filistei, con i quali da circa un secolo si era convissuti da buoni vicini, dovremo rammentarci, .oltre che delle antichissime lotte per il predominio nei giorni di Saul e di David, in particolare del fatto che i discendenti dei filistei parteciparono al commercio degli schiavi di Giuda (cfr. oltre a Am. 1 ,6 s., Ezech. 2 5, 1 5; Soph. 2,4 s. e Ier. 47). Concludiamo trascrivendo la traduzione del testo di base se­ .c ondo la successione nella quale lo abbiamo commentato: 27 29 Non gioire, o Filistea tutta quanta, perché si è spezzata la verga di chi ti percoteva.

Poiché dalla radice del serpe esce una vipera e il suo frutto è un drago alato!

Berlin I 970, 72 ss., spec. 92 s.; ma anche G. W anke, Die Zionstheologie der Korachi­ ten (BZAW 97), Ber l in I 966, 74 ss. ·2 5 . Nella cornice della interpretazione storicizzante i messaggeri vengono identificati con i messi dei filistei che chiedono di partecipare alla coalizione antiassira, una richie­ sta che su suggerimento del profeta i gerosolimitani devono respingere. 26. Cfr. sopra, p. 73 n. 8. 27. Cfr. anche Begrich, 96 ss. = 1 24 ss.

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/s. I J,I-16,14 3 I Urla, o porta! Grida, o città!

Perché da settentrione si alza il fumo e nessuno si sbanda nelle sue schiere. 3oa �a i più m� seri avranno di �he pascolare . e 1 poven. s1 accamperanno tn stcurezza. 31b Poiché Jahvé ha fondato Si on e in essa si rifugiano i miserabili del suo popolo.

I s,I-16,14. Su Moab Verdetto 1 su Moab: Sì, è stata devastata di notte, Ar Moab è stata annientata! Sì, è stata devastata di notte, Kir Moab è stata annientata! 2 2 'Sale la figlia' 3 di Dibon sulle alture per piangere. Su Nebo e su Madeba Moab innalza un lamento. Ogni testa è stata rasata, ogni barba tagliata. 3 N elle sue strade si indossa il sacco, sulle 'sue' 3 terrazze 'si fa cordoglio'." Nelle 'sue' 3 piazze ognuno si lamenta, si stempera in lacrime.5 4 Poiché emettono urla Hesbon ed El 'ale, fino a Iahas è stata udita la loro voce. Per questo 'fremettero' 6 i 'fianchi' 3 di Moab, la sua volontà è avvilita. Il mio cuore geme per Moab 7 'il cui fuggiasco' 3 (giunse) fino a Soar. ' ' 8 Sì, la salita di Luchit, la salgono piangendo. Sì, sulla via di Horonajim 'elevano' 9 grida di morte. I

Cfr. a I J, I . Per un'altra possibile traduzione cfr. sotto, ad loc. 3· Vedi BHS. 4· Da integrare con W. Rudolph, jes I J - 1 6, in Hebrew and Semitic Studies Presented to G.R. Driver, Oxford 1963, I 34, aggiungendo jinhu 5· Su questa pregnante espressione cfr. Rudolph , ibidem, e KBL sub voce. 6. Si legga ra'adu. 7· Cfr. Ier ... s,J I. 8. «Al terzo Eglat» è glossa. 1.

2.

.

.

Su Moab 6

7

8

9

Sì, le acque di Nimrim rimangono distrutte; Perché l'erba si è seccata, finito è il verde. ' ' 10 Perciò quello che hanno risparmiato e quello che hanno messo da parte, oltre il torrente dei Pioppi portano via 'con sé', 3 Sì, il grido risonò per le terre di Moab. Fino a Eglaim penetrò 'il suo urlo' 3 'e fino a' 3 Be' er Elim. ' ' 3 Sì, le acque di Dimon sono piene di sangue.

Sì, altro ancora porterò su Dimon, un leone per gli scampati di Moab 11 e per il resto di A dama! 16,1 Inviate un ariete

1

al padrone del paese 1 1 Dalla rupe nel deserto 1 3 al monte della figlia Sion:

Avverrà: Come uccelli raminghi, una nidiata dispersa, Diventeranno le figlie di Moab, i guadi dell'Arnon.

«'Da' 3 un consiglio! 'Prendi' 3 una decisione! Stendi come la notte la tua ombra sul chiaro mezzogiorno: Nascondi i dispersi, non svelare i fuggiaschi! 4 Da' ospitalità in te 'ai dispersi' '4 di Moab ! Sii loro nascondiglio di fronte al devastatore! » 3

9· Si legga jt'ar'eru, pilpel di 'wr. 1 0. «Finita è la pastura» è metricamente sovrabbondante e da considerare una glossa. 1 1 . Cfr. però anche le varianti proposte da B HS ad loc. 1 2. Sulla traduzione cfr. sotto, ad loc. 1 3 . Cfr. G-K :zs § 900, ma anche sotto, ad loc. 14. «Miei dispersi, Moab» è frutto di un'interpretazione escatologica.

fs.

1J, I-16, 14

Quando 'l'oppressore' 1 5 è passato, 'il devastatore' 1 6 scomparso, Il distruttore via 17 dal paese Sarà eretto in fedeltà un trono e vi siederà saldamente nella tenda di David 1 8 Un giudice sollecito del diritto e pronto alla giustizia. Abbiamo udito dell'orgoglio di Moab, 'l'orgogliosissimo' , 3 della sua alterigia, orgoglio e tracotanza, delle sue chiacchiere menzognere! 7 Per questo Moab urlerà, ognuno urlerà! Per le focacce di uva di Kir 'Hadash' 1 9 essi 3 gemono tutti costernati. 8 Sì, ' ' 10 squallida è Hesbon le viti di Sibma. Dominatori di popoli hanno calpestato i loro tralci, Che raggiungevano Ja'ser, penetravano nel . deserto, Le cui ramificazioni lussureggiavano, arrivavano al mare. 11 9 · Per questo io piangerò con Ja'ser le viti di Sibma, Ti inonderò con le mie lacrime, Hesbob ed El 'aie. Sì, sulla tua estate e sul tuo raccolto è piombato un grido di gioia! Io Sono scomparse gioia e allegria dai frutteti. 6

1 6. Si legga Ioded. I 7. Cfr. G-K d § I .ud. I 8. Importante aggiunta interpretativa, anche se da considerare metricamente non originaria. I 9· Invece di pare� si legga padas. Per la motivazione cfr. sotto, a I s, 1 . 20. Iadmot potrebbe essere una glossa esplicativa. Altrimenti, con 1 Qlsa, è d a leggere 'umlala e da confrontare con G-K 28 § I45k. 2 1 . Alla lettera: «piangerò col pianto di ja'ser». I s. Si legga pome�.

Su Moab

E nelle vigne non si tripudia 'e' 3 non si scherza più. Nessuno ' ' 3 pigia il vino nelle vasche, il grido di gioia 's'è spento' ! 3 1 1 Perciò, su Moab le mie viscere gemono come una cetra, [Geme] il mio cuore per Kir 'Hadash' 19 'come un flauto'. 22 12 E avverrà: Pur se Moab si mostra,

pur se s'affatica sull'altura ed entra nel suo santuario per pregare, egli non otterrà nulla!

Questa è la parola che pronunciò una volta Jahvé su Moab. Ma ora Jahvé ha detto: In tre anni, come gli anni di un salariato, sarà deprezzata la gloria di Moab insieme con la sua grande confusione (di gente). N e rimarrà solo un resto, piccolissimo e insignificante. 13 14

1 5, 1 - 16,14. Con ragione Procksch definisce l'oracolo su Moab «figlio difficile dell'esegesi». 2 3 In passi cruciali il dettato del car­

me può avere più di un significato, in altri è dubbio. Oltre ai vv. 1 6, 1 3 s., che da soli danno a vedere di essere un'aggiunta, non mancano altre tracce di integrazioni posteriori. Se poi al­ meno nell'ambito di I 5, 1 - 1 6, 1 2 si debba pensare a un materia­ le coerente di base o a più testi originariamente autonomi, è una domanda a cui vengono date risposte differenti. I tentativi di inserire una base unitaria o almeno sezioni essenziali in una situazione storica sono controversi al pari della scelta non me­ no fondamentale fra due alternative: che si tratti di una profe­ zia che guarda al futuro o di un lamento funebre travestito da canto irrisorio. Che parti del carme siano state poi sviluppate in Ier. 48,29-3 8 non consente purtroppo di risalire in qualche modo al terminus ad quem della composizione del nostro te­ sto, poiché Ier. 48 così come ci è giunto è comunque posterio­ re al profeta, 24 senza contare che finora è stato impossibile giun22. Da integrare con kepalil jehemeh, dr. Ier. 48,36, e anche Procksch e Fischer ad 23. P. 208. 24. Cfr. W. Schottroff, Horonaim, Nimrim, Luhit und der Westrand des 'Landes Ata­ roth ': ZDPV 82. (1966} 1 84 ss. e in particolare la lista delle corrispondenze, 84.

loc.

/s.

15, 1-16,14

gere a un accordo sulla sua antichità. Tuttavia è sorprendente che I 6, I -6 non trovi corrispondenze nel libro di Geremia. Che però da questa circostanza si possa concludere che almeno que­ sti versetti siano cresciuti sulla pianta del libro di Isaia soltanto dopo la composizione di Ier. 48,29 ss. deve essere a sua volta og­ getto di dubbio, poiché l'omissione di questo passo può tro­ vare la sua ragione nella tendenza del nostro compilatore. N ep­ pure la ripresa dell'oracolo in 1 6, I 3 s. offre un appiglio. Inol­ tre non è scontato che, al momento dell'inserimento di questi versetti, I 5 , I - I 6, I 2 avessero già avuto la loro attuale forma con­ chiusa. In tale situazione non è affatto strano che le opinioni degli esegeti siano ampiamente divergenti. Tutto sommato esiste ac­ cordo su un unico punto: che I 6,3 s. non fanno parte del ma­ teriale di base. Si cerca poi ancora di inserire I 6,2 dopo I 5 ,9aa, poiché nella posizione attuale introduce fra I 6, I e 3 una solu­ zione di continuità nel discorso. Si discute se I 6,4b- 5 sia una aggiunta posteriore o un elemento genuino almeno di un'uni­ tà compresa fra 1 6, I -4a o 6. Né meno divergenti sono i tenta­ tivi di distribuire in Strofe I 5 , I - I 6,I 2, O I 5 , I -9; I 6, 1 - 5 O 6, O 1 6, 5- 1 2 o 1 6,7- 1 2. Bastino alcuni esempi per illustrare l'imbarazzo del commentatore quan­ do mette a confronto le varie prove di collocazione storica. Konig attri­ buiva il carme a un profeta giudaita vissuto nell'ultimo terzo del IX se­ colo, per concludere a una coeva incursione beduina su Moab. Hitzig ri­ teneva che l'autore fosse il profeta Giona figlio di Amittai di cui parla 2 Reg. 1 4,2 5 , ma è rimasto isolato. Recentemente Rudolph ha riferito il carme a un attacco a Moab da parte di Geroboamo n d'Israele.25 Lo at­ tribuisce però a un autore giudaita delle cui parole in seguito Isaia si sa­ rebbe appropriato in r 6, r J - I4. Van Zyl ritiene che r 5 , 1 -9a e 1 6,6- 1 1 sia­ no un canto derisorio proveniente da gruppi di beduini e composto in occasione di una loro incursione su Moab; in seguito si diffuse in Giuda e da un ampliamento per mano di Isaia ne sarebbero risultati r 5,9b- r 6,s 2 5 . Art. cit., cfr. il suo sommario, 1 4 1 ss., e al suo seguito Eichrodt ad loc. Anche per H. Ewald, Die Propheten des Alten Bundes I, Stuttgart 1 840, 229 s., Isaia avrebbe ripreso un precedente vaticinio

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SH Moab

e 1 6, 1 2. Ma poiché in questi non era presente il suo invito a salire a Sion, egli stesso vi avrebbe aggiunto I 6, I 3 s. 2 6 Per Procksch, 1 5 , I - 1 6, 5 è di Isaia: qui il profeta indirizzerebbe ai profughi moabiti una predizione di salvezza messianica. Procksch ritiene però che I 6,6- I 2 sia più recente, ma in ogni caso anteriore più che posteriore all'esilio, sicché potrebbe essere di Geremia. Kissane pensa che I 5' I - I 6, I 2 sia una r rofezia isaiana che in previsione dell'offensiva di Sargon nel 720 o 7 I 5 i profeta avreb­ be rielaborato con l'aggiunta di I 6, I 3 - I 4. Per Marti, I 5 , 1 -9a e I 6,7- Io sono un'elegia del v secolo composta in occasione di una scorreria di nomadi arabi su Moab, poi subito ampliata con la predizione di I 5 ,9a(lb; 1 6,4a.6 e I 2, e glossata infine nel n secolo con I 6,4b. 5 e conclusa con I 6, I 3- I 4· In I 5, I -9a + I 6,2 Fohrer vede il lamento di un autore giudaita su fatti accaduti ma non più chiaramente documentabili, probabilmente di età postesilica. Per Fohrer, I 6,1 .3-5 sarebbero anch'essi una composizio­ ne postesilica nella quale il canto di guerra del popolo confinante viene interpretato alla luce di una teologia escatologica. Per I 6,6- I 2 egli non indica più alcun periodo, anche se non è da escludere che li considerasse postesilici. Duhm infine, dopo dubbi iniziali ha considerato I 5 , I - I 6, I 2 come un tutto da cui h a escluso soltanto I 5 ,9a�b; 6,2 e I 3 s., e li ha spo­ stati globalmente al n secolo. Il materiale di base risalirebbe ai giorni di Giovanni !reano, l'elaborazione al tempo di Alessandro Janneo; l'occa­ sione sarebbe stata un'incursione di nabatei.

Le · nostre conoscenze della storia di Moab sono sporadiche per il periodo preesilico e più o meno casuali per l'età postesi­ lica ed ellenistica. 27 Pare che dopo la conquista del paese da parte di David il confine fra Israele e lo stato vassallo di Moab fosse segnato dal fiume Arnon (cfr. 2 Sam. 24, 5 e 2 Sam. 8,2). Diventati indipendenti sicuramente già con la morte di Salo­ mone, passo passo i moabiti allargarono di nuovo il loro terri­ torio verso nord fino a toccare I' altura di Madeba. Il re Omri d'Israele li ricacciò e ristabilì il vassallaggio, ma lasciò loro Di­ bon a Aroer. Comunque dopo la morte di Acab il re Mesha di M oab riuscì a scrollarsi di dosso il giogo (cfr. 2 Reg. J, 5 e Iscrizione di Mesha, rr. 5 ss.) e a spingere di nuovo i confini fino alla punta settentrionale del Mar Morto (cfr. Iscrizione di 26. A.H. van Zyl, The Moabites (POS 3), Leiden 1 960, 20 ss. 27. Cfr. anche Van Zyl, 1 3 3 ss., che tuttavia, a mio giudizio, conduce ancor troppo acriticamente l'analisi storica dei detti dei libri profetici su Moab.

/s. IJ, I-16,14

Mesha, rr. 9 ss. ). Le forze coalizzate d'Israele, Giuda ed Ed o m

al comando di Ioram condussero contro Moab un attacco che dopo i primi rilevanti successi si concluse nel nulla (cfr. 2 Reg. 3 ,4 ss.2 1 ss.). È quantomeno incerta una riconquista della re­ gione fino all'Arno n da parte di Iehu, come sembrerebbe po­ tersi dedurre da 2 Reg. 1 0,3 2 s.2 8 Non sappiamo se in avanzato IX secolo gli aramei siano riusciti o no a ridurre i moabiti sotto il loro controllo, sappiamo invece che Geroboamo II d'Israele riuscì a portare i confini nordorientali del suo regno fino al­ l' altura che sovrasta la punta settentrionale del Mar Morto (2 Reg. 1 4,2 5 ; Am. 6, 1 4).29 - Sul finire della guerra siro-efraimita il re moabita Salamanu compare fra i tributari del gran re assi­ ro Tiglatpileser III.30 Per tutta la durata della supremazia assi­ ra Moab si dimostrò vassallo devoto, forse con una sola ecce­ zione. Apprendiamo per caso che nell'ultimo terzo dell'viii se­ colo i gidiraya, presumibilmente una tribù beduina provenien­ te da est, fecero un'incursione su Moab.3 1 Sia Moab sia Giuda presero le distanze, con una tempestiva sottomissione, dalla ri­ bellione ordita da Asdod contro Sargon n e repressa nel 7 1 1 .31 Quando nel 70 I Sennacherib arrivò in Palestina, il suo re Kam­ musunadbi fu tra quelli che gli versarono volontariamente il tributo.33 Sotto Asarhaddon il re Musurri di Moab compare, proprio come il suo omologo Manasse re di Giuda, fra i nu­ merosi re che furono chiamati ad appoggiarne il piano edili­ zio.34 Anche nella prima campagna di Assurbanipal contro l'Egitto troviamo Musurri fra i re che avevano offerto trup­ pe ausiliarie al gran re. 35 Durante la guerra fra Assurbanipal e 2.8. Ma cfr. v. Zyl, 145 s. 2.9. Cfr. H.W. Wolff (BK 1 4, 2.), Neukirchen 1969, 3 3 5, e W. Rudolph (KAT1 1 8, 2.), Giitersloh 197 1 , 226; inoltre Y. Aharoni, The Land ofthe Bible, London 1 966, 3 1 3. 30. Cfr. D.D. Luckenbill, Ancient Records of Assyria and Babylonia 1, Chicago 1926 = New York 1 968, § 8o 1 ; AOTZ, 348; TGP, 59· 3 1 . Cfr. H. Donner, Neue Quellen zur Geschichte des Staates Moab in der zweiten Hiilfte des 8. jahrh. v. Chr. : MIO 5 ( 1 957) 173 ss. 32. AR n, § 19 5, cfr. anche §§ 30 e 62 e AOTZ, 3 50 s. 33· AR 11, § 2.39, e AOTZ, 3 5 2 . 34· AR n, § 690. 3 S· AR 1 1, § 876, e ANETZ, 2.94.

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Su Moab

Shamashshumukin il re moabita Kamashalta riuscì a battere gli arabi che avevano invaso Moab, facendo prigionieri i su­ perstiti insieme con il loro re Ammuladi di Qadri.36 Quando negli ultimi anni di Assurbanipal e dei suoi successori Assur cominciò a indebolirsi, Giosia re di Giuda poté sicuramente estendere il suo regno a ovest e a nord. No n si hanno testimo­ nianze di un'annessione del territorio moabita, anzi l'energia e la forza dimostrate da Kamashalta la rendono improbabile. 37 Non più tardi del 603 Moab riconobbe la sovranità del re neobabilonese Nabucodonosor.38 Stando a 2 Reg. 24, 1 il gran re avrebbe mobilitato «edomiti», moabiti e ammoniti contro l'infedele Giuda. Se teniamo conto di ciò che la Cronaca babi­ lonese annota per l'anno IV di Nabucodonosor e di ciò che leggiamo in Giuseppe, Ant. 1 0, 8 8, la ribellione di Ioachim di Giuda potrebbe aver avuto luogo nel tardo autunno del 6o 1 o al massimo ai primi del 6oo. Secondo ler. 27,3, pare che nel 5 9 5/4 Moab abbia partecipato a una cospirazione antibabilo­ nese, 39 ma si direbbe senza nessuna conseguenza pratica. In ogni caso la fuga di giudaiti a Moab e ad Ammon per sottrarsi alla presa di Gerusalemme nel 5 8 7 40 presuppone che in quel momento i due regni esistessero ancora (cfr. ler. 40, 1 1 ). Se­ condo Giuseppe, Ant. I o, 1 8 1 s., nel 2 J 0 anno di regno ( 5 82) Nabucodonosor avrebbe conquistato Ammon e Moab. Se Ier. 5 2,30 è nel giusto quando afferma che in quel medesimo anno vi fu un'altra deportazione di giudaiti a Babilonia, sicché non è da escludere l'ipotesi di una contemporanea ed estesa solle­ vazione, la notizia dello storico ebreo è fortemente sospetta perché collega questa campagna con un'altra contro l'Egitto storicamente incontrollabile:P Se vogliamo riempire le lacune J6. AR II, § 870. 37· Cfr. v . Zyl, I 54, e Y. Aharoni, The Land of the Bible, London 1 966, 3 50. 38. Cfr. D.J. Wiseman, Chronicles of Chaldaean Kings, London 1956, 69, e TGI Z, 74· 39· Cfr. W. Rudolph (HAT I, 1 1), Tiibingen } I 968, ad loc. 40. Ma cfr. la data della caduta di Gerusalemme fissata nel 5 86 da A. Malamat, The Last Kings ofjudah and the Fall ofjerusalem: IEJ 1 8 ( 1 968) 137 ss. 41. Diversamente v. Zyl, I 5 7·

fs. IJ, I-16, 14

nelle conoscenze, potremmo ipotizzare con N oth che nel cor­ so del VI secolo Moab fosse andato soggetto a scorrerie di no­ madi.42 Sulle successive vicende del paese regna il buio fino all'età el­ lenistica. Si può_ pensare che esso, se non più incorporato nella grande provincia babilonese di Babili ed Ebirnari, infine fosse stato annesso alla satrapia persiana di Abarnahara, sicché in seguito avrebbe fatto parte della provincia siriana di Alessan­ dro. Anche la più antica storia dei nabatei rimane per noi nel buio, e per poterlo rischiarare occorrerà prima studiare e in­ terpretare sistematicamente ulteriori fonti archeologiche. Que­ ste vengono alla luce della storia per la prima volta in occasio­ ne di una campagna promossa nel 3 I 2 a.C. da Antigono Mo­ noftalmo, sembra con obiettivo Petra (cfr. Diodoro I 9,94, 1 1 00,2 ). 43 I nabatei, quindi, assoggettarono Edo m al più tardi nel corso del IV secolo. L'ulteriore penetrazione nella Trans­ giordania è documentabile nel II secolo: Giuda Maccabeo li incontrò quando camminò per tre giorni oltre il Giordano ( 1 Mach. 5,2 5 ; cfr. anche 2 Mach. 5 ,8). Secondo Trogo in Giusti­ no, il re Erotimo, che si vorrebbe identificare con Areta I I, nel I 10 a.C. sfruttò la debolezza dei regni seleucide e tolemaico per mettervi lo scompiglio con le sue aggressioni. Un attacco di Alessandro Janneo contro Obeda ('Obodat 1) re dei nabatei si concluse in una sconfitta a est del Lago di Genezaret, tale probabilmente da annullare i successi conseguiti poco prima sugli «arabi» a Moab e Gilead (cfr. Giuseppe, Ant. I J ,3 74).44 Da questa rapida scorsa sui circa 900 anni di storia dei moa­ biti ci rendiamo conto del poco che sappiamo e del grave ri­ schio che si corre nel voler collegare anche solo singole parti del nostro testo con una situazione storica determinata, sia questa la scorreria dei gidiraya o l'incursione dei nabatei, per non par42. RGG)

IV,

1 066. 43· Cfr. A. Droysen, Geschichte des Hellenismus n, a cura di E. Bayer, Tiibingen 1952, 246 ss., ed E. Schiirer, Geschichte des judischen Volkes 1, Leipzig )·41 901, 729 s. 44· Cfr. Schiirer, 73 1 ss., e ]. Cantineau, Le Nabatéen, Paris 1 930, 6 ss.

Su Moab

lare di una tutta ipotetica penetrazione di Geroboamo n nel cuore del paese moabita.45 Perciò l'esegesi dovrà proporsi an­ zitutto di indicare le possibilità interpretative che emergono dalle stesse oscurità del carme e nel contempo di scoprire la concezione teologica che muove i redattori. 1 5 , 1 -9. L'incursione notturna su Moab e le sue conseguen­

ze. L'autore intona il lamento funebre su Moab colpito al cuo­ re da un nemico anonimo. Il metro a tre sillabe accentate nella prima, più estesa metà dello stico, e a due nella seconda e più breve, guida chiaramente, fatte poche eccezioni, l'intera com­ posizione. Il fatto che l'autore non chiami per nome i nemici soltanto in I 6,8, la cui originaria appartenenza a I 5, I ss. non è accertata, si parla molto genericamente di «dominatori di po­ poli» - ma descriva soltanto le conseguenze della loro aggres­ sione, lascia aperte due possibilità interpretative: la prima che l'autore si riferisca a un fatto di fresca data e noto agli ascolta­ tori nei suoi elementi principali; la seconda che l'autore abbia in mente un evento futuro entro il quale tutta la sua attenzione si concentra sul fatto del repentino annientamento di Moab, delle cui modalità però non ha un'idea precisa né pensa di do­ verle indicare nei particolari. 1 . Purtroppo le difficoltà d'interpretazione iniziano subito col v. I . Infatti si è in dubbio se Ar e Kir siano località concrete o indicazioni generiche. Tuttavia sembrerebbe che Deut. l, I 8 intenda con Ar Moab semplicemente il territorio di Moab.46 È poi ancora dubbio se, a seguito del Targum, Kir possa essere identificata con l'odierna el-Kerak, come oggi in genere si af­ ferma,47 quando al contrario si potrebbe pensare, invece che a 45· Cfr. il giudizio di Noth, RGG3 IV, 1066. 46. Cfr. Schottroff: ZDPV 82 (1 966) r 8o s. 47· Cfr. F.-M. Abel, Géographie de la Palestine n, Paris 1 938, 4 1 8; J. Simons, The Geographical and Topographical Texts of the Old Testament, Leiden 1959, §§ 1 246 s., e v. Zyl, 70.

/s.

1J,1-16,14

91

una città precisa, alle città di Moab nel loro insieme. Se poi si trattasse in concreto di una singola località indicata semplice­ mente come «città di Moab», verrebbe naturale supporre che si intenda la capitale del paese. Una serie di deduzioni, poi, ci autorizza forse a indicarne il vero nome in Qir l:fadas, «Nea­ poli» .48 Se si presume che Ar non sia il nome di una città bensì una denominazione per indicare l'intero paese moabita, con­ viene anche mantenere la traduzione scelta qui sopra, esclu­ dendo l'altra possibilità: «Sì, nella notte in cui Ar è stata de­ vastata, Moab è stata annientata ... ».49 Pare quindi che l'autore immaginasse un'incursione notturna che aveva per obiettivo l'intero territorio moabita, ma in primo luogo la sua capitale che sorgeva a sud dell'Arno n. 2-3. Il v. 2 ci porta nella regione immediatamente a nord del­ l' Arnon, a Di bo n, e infine, ancora più a nord, a Nebo e Made­ ba. Dibon, l'odierna Diban, si trova circa 5 km a nord dell' Ar­ non. L'intera popolazione della città, detta poeticamente «fi­ glia di Dibon»,50 sale sull'altura sacra per celebrare il lamento. Dall'Iscrizione di Mesha apprendiamo che il re Mesha fece co­ struire nella residenza di Qeril_lò, nei pressi di Dibon, un'altu­ ra sacra per il dio nazionale Kamosh.5 1 Le alture sacre erano spazi liberi contrassegnati da un altare e da determinati emble­ mi cultuali. 52 Le alture nominate qui dovevano essere dedicate sia a Kamosh sia alla sua forma guerriera di Astar-Kamosh. 53 Poiché le alture sacre sorgevano fuori della città, può darsi che 48. In 1 6, 1 1 Qir l:ferd è analogamente affiancata a Moa b , così che verrebbe da identi­ ficarle. In ler. 48,3 1 e 36 essa compare nella medesima forma, mentre in 2 Reg. 3,2 5 e /s. 16,7 si legge Qir J:faraset. I Settanta presentano in 1 6,7 e ler. 48 (= 3 1 G) una for­ ma nominale la quale lascia trasparire che l'originale presentava la forma Qir l:fadas, «Neapoli». Cfr. le indicazioni bibliografiche alla n. 47· 49· Questa interpretazione è sostenuta da G.R. Driver: JSS 1 3 ( 1 968) 44, e a lui si associa Eichrodt. Per la costruzione cfr. poi G-K zB § 1 30 d. 50. Cfr. ad es. 1 ,8. 5 1 . Cfr. rr. 3 s. in H. Donner e W. Rollig (KAI 1), Wiesbaden 1 962, n . 1 8 1 (e n), 1964, 168 e 1 7 1 s.; AOTZ, 440; ANETZ, 320; TGP, 5 2. 52. Cfr. BHW n, 736. 53· Cfr. Iscrizione di Mesha, r. 1 7.

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l'autore immagini che Dibon non sia ancora stata raggiunta .dall'aggressione nemica. Oppure intende dire che i sopravvis­ suti all'incursione nemica salgono in pianto ai santuari ? Il v. 3 pare suggerire la prima possibilità. Si ha dunque l'impressione che l'incursione devastatrice dei nemici nel cuore del paese va­ da seminando il terrore a partire da sud dell'Arno n e poi, oltre il fiume, di città in città fino a raggiungere il nord. - Anche il significato del v. 2b non è univoco. Si potrebbe infatti tradur­ ·r e: «Su Ne bo e su Madeba, Moab innalza un lamento», o: «In Nebo e in Madeba, Moab innalza un lamento»; nel primo caso entrambe le città sarebbero distrutte, nel secondo sarebbero .prese dal panico. Purtroppo un'analoga ambiguità grava sul v. 4, cosicché il quadro diviene sempre più vago e incerto. - N e­ bo, l'odierna ljirbet el-Mubayyi�, sorge meno di 2 km a sud dell'attuale monte bizantino Nebo; Madeba, l'odierna Mada­ ba, ne dista circa 5 km a sudest,S4 ed è famosa per il mosaico bi­ zantino che rappresenta la Palestina.5 5 Su tutto il paese regna­ no il terrore e il lutto pubblico col quale si invoca l'aiuto degli dèi. Oltre che con grida lamentose il lutto si esprime nel taglio .totale dei capelli e della barba e in grossolani perizomi di sac­ co. 56 Uscendo dalle case, salendo sulle terrazze (cfr. 2 2 , 1 ) , scen­ dendo per le strade e per le piazze i moabiti Òffrono uno spet­ tacolo straziante. Il termine ebraico per testa calva, qorpa, ri­ chiama il nome della residenza del re Mesha, Qeri�o, e questo fa pensare ad alcuni esegeti che l'autore alluda ironicamente alla capitale situata a settentrione/7 ma è nella natura delle co­ se che in questi casi la certezza sia un miraggio. S4· Abel n, 397 e 3 8 1 s.; Simons, §§ 1 249 s. 5 5· Cfr. H. Donner e H. Ctippers, Die Restauration und Konservierung der Mosaik­ karte von Madeba: ZDPV 83 (1967) 1 ss. s6. Cfr. Am. 8, 10; Mich. 1 , 1 6; /s. 22, 1 2; Ier. 4 1 , 5 ; al riguardo ATD 171"3 su J,24· Circa la discussione sul sacco cfr. anche LP. Seierstad, Die Offenbarungserlebnisse der Pro­ pheten (SNVAO), Oslo 1946 ( = 11965), 1 66. 57· Cfr. Abel n, 4 1 8 con Donner e Rolling, KAI n, 1 72.

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/s. 1J,I-16,14

4· Anche per il v.

4 sorge il problema se Hesbon ed El 'ale urli­ no perché hanno ricevuto la spaventosa notizia delle devasta­ zioni nel territorio a sud dell' Arnon, il cuore del paese, o per­ ché esse stesse sono state aggredite. 1 6,8 e 9 presuppongono comunque che anche il nord del paese sia stato colpito dai ne­ mici. Ma non è certo che 1 6,7 ss. sia stato composto contem­ poraneamente a 1 5, 1 ss. È tuttavia singolare che il v. 4 si inizi con un imperfetto consecutivo e poi prosegua con un perfetto, ciò che renderebbe possibile collegare il terrore diffuso a N e­ bo e Madeba con un'aggressione nel nord. Hesbon, l'odierna J:Iisban, si trova circa 9 km a nord di Madeba; El 'al e, l'odierna el-'Al, sorge tuttora altri 3 km a nord. 58 Le grida si farebbero sentire dal confine settentrionale di Moab fino a Iahas che, se identificata con ljirbet Iskander, sorge circa 30 km a sud: 59 una evidente amplificazione poetica per sottolineare la gravità del­ la catastrofe, ma anche un modo per passare ai fatti nel meri­ dione dei quali l'autore parlerà nell'immediato seguito. Il po­ polo identificato con l'uomo Moab si perde d'animo dinanzi a ciò che gli è capitato all'improvviso o sta per colpirlo: una re­ sistenza è naturalmente impensabile. - Si potrebbe concludere provvisoriamente che l'autore s'immagina una violenta aggres­ sione che travolge sicuramente il cuore del territorio moabita a sud dell'Arno n ma forse anche e contemporaneamente il nord del paese. s-7· Nell'impegno del poeta di convincerci della sua viva par­

tecipazione alla sorte dei moabiti noi dovremo ravvisare un procedimento stilistico per ribadire la gravità dell'aggressione a Moab più che l'espressione di sentimenti autentici (cfr. 2 1 ,3 s. e Ier. 48, 1 7 ss. e spec. 3 6). - Nel paese è un fuggi fuggi gene­ rale. Si segue tuttavia soltanto la fuga verso sudovest, ciò che può spiegarsi in diversi modi: o come semplice accorgimento stilistico per compensare i versetti che parlano del nord e del 5 8. Abel n, 348 s. e 3 1 2; Simons, §§ 1 2 5 1 s. 59· Al riguardo cfr. K.-H. Bernhardt: ZDPV 76 ( 196o) 1 5 5

ss.

94

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sud, o perché di fatto o fittiziamente soltanto il territorio a sud dell'Arnon è stato toccato dall'aggressione, o perché si immagina che anche la strada per il nord sia sbarrata da un ne­ mico. - I primi fuggiaschi hanno già raggiunto Zo 'ar, una città che in ogni caso va ricercata presso la punta sudorientale del Mar Morto, sicuramente nella zona del gor es-safiye.6° Forse qui si vuole indicare la fuga attraverso la 'Araba in territorio giudaita (cfr. 1 6, 1 . 3 s.). La fuga li porta per i ripidi sentieri di Luchit, sulla via di Horonajim e delle acque di Nimrim. Se p · otessimo identificare Horonajim con il l:fawronan menzio-· nato nell' Iscriz io ne di Mesha, rr. 3 1 s., avremmo un ulteriore indizio a favore della posizione meridionale dei luoghi di fu­ ga. Se dovessimo cercare Horanajim sul ljirbet el-medan e Luchit sul l:lirbet ed-dubab/1 i fuggitivi si sarebbero diretti per differenti strade verso il corso inferiore del Wadi en-nu­ mera, nella cui zona si potrebbero trovare anche le acque di Nimrim.62 Tutte queste località vengono devastate, comprese le acque di Nimrim, evidentemente celebrate per la loro parti­ colare e folta vegetazione. I fuggitivi si affrettano con le loro sostanze raccolte alla rinfusa, con alcune provviste e forse un p o' d'argento.63 Se finora abbiamo indicato esattamente le loca­ lità o anche soltanto, sulla scorta del punto d'arrivo Zo'ar, la presumibile direzione della fuga, dovremo identificare il tor­ rente dei Pioppi col Wadi el-�esa dove i fuggitivi hanno rag­ giunto il confine di Edo m. 64 v. 8 riporta lo sguardo sul paese dove nel frattempo infu­ riano i nemici. Al seguito della tradizione bizantina Eglajim viene cercata in Rugm el-gimile, a meno che si preferisca una località delle vicinanze. Saremmo così ricondotti nella regione di el-Kerak (cfr. v. 1 ).65 Be'er Elim, che si vuole riconoscere nel

8. Il

6o.

Cfr� Schottroff: ZDPV 82 (1966) 1 82. 61. Cfr. Schottroff, 202 ss. 62. Cfr. Schottroff, 200 s. 63 . Cfr. Ps. 1 7, 1 4 e Gen. 4 1,36. 64. Cfr. K. Elliger: PJB 32 (1936) 42 ss.; Abel 11, 94; Simons, § 266 e §§ 12.56 ss.; Schottroff, 1 83. 65. Cfr. Abel n, 3 10 s.; Simons, § 1259; v. Zyl, 69.

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95

Wadi e!-!emed, un affluente del Wadi el-wale, ci riporterebbe alcune miglia al di là dell'Arno n verso nordest.66 L'ascoltatore coevo e fornito di alcune conoscenze geografiche essenziali ha dunque l'impressione che l'intero territorio moabita sia terro­ rizzato da un nemico potentissimo. 9· La prima frase del

v.

9 potrebbe ancora essere attribuita ot­

timisticamente al nucleo originario del carme. Ma anche in questa ipotesi non si riesce a capire a che cosa voglia alludere: in genere il nome Dimon è considerato una variante di Dibon, scelta in vista del successivo dam, sangue. Girolamo attesta che ai suoi tempi si usavano entrambe le forme a indicare Dibon. Siccome il v. 2 non sembrava presupporre che la città fosse di­ strutta, se ne sarebbe tratta la conseguenza che anche la capita­ le settentrionale fu colpita dalla catastrofe. Ma vi è anche la possibilità di considerare Dimon una città a sé stante e di rico­ noscerla in ljirbet Dimne, 4 km a: nordovest di er-rabba.67 In tal caso saremmo di nuovo riportati a sud dell' Arnon. - Il ri­ manente del v. 9 è una vecchia crux interpretum. Il testo passa repentinamente alla prima persona del discorso divino e que­ sto soltanto suggerisce che 9a�b introduca una soluzione di continuità o sia una glossa. Anche il contenuto delle frasi è tutt'altro che chiaro. «Altro ancora» è un modo affatto astrat­ to per indicare ulteriori colpi del destino. Si discute se «leone» sia complemento oggetto e quindi una singolare designazione del futuro nemico, oppure sia da considerare un'apposizione o una inconsueta designazione di Moab del resto così eroico e leonino. Infine non si capisce bene se qui 'adama sia il nome di una località o significhi semplicemente campo. Sa poi di ar­ tificio 68 cambiare «leone» in «Ariel» [ Gerusalemme] (così G) e «A dama» in «Ed o m» per far dire ironicamente al testo =

66. Cfr. Abel 1, 46 1 ; Simons, § 441 ; v. Zyl, 85 s. 67. Sulle informazioni di Girolamo cfr. Dillmann-K.ittel ad loc. e v. Zyl, So; sul­ l'identificazione delle acque di Dimon con 'Ain el-Megeisil cfr. Abel n, 372; Simons, § 1 26 1 . 68. c;:ontro E. Power: Bib 13 (1932) 43 5 ss.

Su Moab

che un'ulteriore espansione territoriale di Moab non potrà che dirigersi verso le località giudaite e edomite della sua fuga; al­ tri tentativi di ricostruzione più attenti al contesto sembrano arrischiati. 69 Meglio dunque limitarsi ad affermare che qui un autore tardo ha scelto una maniera largamente cifrata, o cor­ rotta da trascrittori ancora più tardi, per dare espressione alla sua speranza che lutti peggiori atterrassero Moab in maniera definitiva. I 6,1-5. La risposta alla richiesta d'asilo. Che 1 6, 1 ss. non siano d'un sol getto lo dice comunque da solo il v. 2, intercalato come un masso errati­ .co nel contesto quando invece lo si vedrebbe bene dopo 1 5,9aa, dove dovrebbe essere spostato e far corpo con l'integrazione là introdotta. Ma forse non è che uno sfogo di un lettore successivo: un'osservazione marginale per rilevare la situazione dei fuggitivi accorsi a Gerusalemme in pressante ricerca di protezione, e poi inserita impropriamente nel te­ sto. È alquanto strano che nel paragone degli uccelli che scacciati dal ni­ do svolazzano qua e là senza meta siano comprese non soltanto le figlie di Moab, le moabite, ma anche i guadi dell'Arnon (cfr. anche 10, 1 4). Né l'accostamento ne guadagnerebbe se nelle figlie di Moab volessimo ve­ dere la figura delle città. Comunque sia, il glossatore, che chiaramente riferisce il carme a un evento futuro, intende sottolineare lo sgomento e l'impotenza dei moabiti colpiti dalla catastrofe. 4h-5. Tuttavia, chiarita la non originarietà del v. 2, i problemi della pe­ ricope non sono finiti. Il primo di tutti è se 4b s siano un elemento ori­ ginario o aggiunto del carme. N on può non suonare strano che alla ri­ chiesta di dare asilo ai fuggitivi in Gerusalemme segua la promessa che, passata la bufera, un re siederà nella tenda di David per regnare e giudi­ care secondo giustizia. Su alcuni punti nutriamo grosse perp lessità: il volere a ogni costo uscire dalla difficoltà che viene dall'intendere questi versetti come parte integrante del messaggio che i moabiti avrebbero in­ dirizzato di persona alla figlia di Sion; il voler vedere nella tenda il regno dei davididi, e nel sovrano giusto appunto il re che in futuro farà valere il rapporto di vassallaggio con Gerusalemme.7° Da un lato è irrealistico -

69. Kissane, ad es., ha proposto di leggere ki sa'ot 'al-dimfm nispot / lipletat m6 'ab'ani­ ja weliS'erit 'ema: «Because disasters are multiplied over Dimon, For the escaped of Moab there is sorrow, For the ramnent terror . ». Cfr. Rudolph, Studies, 131 e 1 3 5. 70. Contro W.W. Graf Baudissin: ThStKr 6 1 (1 888) 5 19 s.; Rudolph, Studies, 140, ed Eichrodt ad loc. . .

/s.

Ij,I-16,14

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assegnare alla tenda di David una funzione più ampia di quella di sem­ plice sede di David stesso; 71 dall'altro sarebbe strano che l'instaurazio­ ne di una duratura e giusta sovranità del moabita venga presentata con i colori dell'ideale giudaita di regalità, per di più senza la minima menzio­ ne della soggezione di quello. In realtà ci si lascia sfuggire la concezione escatologica che si esprime in questi versetti. Se tali affermazioni sono riferite al futuro re salvatore di Gerusalemme, certo la loro interpreta­ zione non solleva alcun genere di difficoltà che richiedano necessaria­ mente una sovrainterpretazione. Resta comunque da sciogliere il pro­ blema del loro rapporto col contesto. Non ha senso interpretarle come una promessa per i moabiti.72 Le obiezioni, di contro, cadono se am­ mettiamo che tali affermazioni rispondono alla domanda sul quando a Gerusalemme siederà di nuovo un sovrano al quale i moabiti potranno rivolgersi per chiedere aiuto. Fra il presente dell'autore dei vv . 4b e 5 e la devastazione di Moab che sfocia nella richiesta di asilo si frapf ongo­ no ancora le irruzioni su Gerusalemme oltre le quali si profila i regno perenne dei davididi. In tale cornice si potrebbe anche accettare di vede­ re nei vv. 1 - 5 un disegno unitario. Tuttavia l'asprezza del passaggio da 4a a 4b dovrebbe piuttosto indurre a vedere in 4b-5 un'aggiunta poste­ riore. In tal modo acquista maggiore verisimiglianza l'ipotesi di Marti che 1 6,6 sia la risposta originaria alla richiesta dei moabiti. Rimane il problema se il lamento su Moab risalga al tempo in cui esisteva ancora un re di Giuda, o se anch'esso guardasse già allo sgomento escatologico: ma l'ambiguità delle affermazioni in 1 S , I -8 e la lacunosità delle nostre conoscenze sulla storia moabita ne rendono difficile la soluzione. 1 . La concisione del v. 1 solleva alcuni problemi. In primo luo­

go è possibile che a motivo di piccolissime variazioni dei segni vocalici introdotti nel testo ebraico in un secondo tempo, in­ vece che «inviate» si debba leggere «essi inviano». In secondo luogo, l'espressione «ariete del padrone del paese» è ambigua. Potrebbe trattarsi di un termine tecnico a indicare un'offerta presentata in occasione dell'atto di sottomissione (cfr. 2 Reg. 3,4) o della richiesta di protezione; tuttavia rimane incerto se qui abbiamo un genitivo soggettivo od oggettivo, se l'ariete è mandato o deve essere mandato dal padrone del paese di Moab o se è dovuto a quello di Giuda. La successiva indicazione lo71. Cfr. anche H.W. Wolff (BK 14,2), Neukirchen 1 969, su Am. 9, 1 1 . 72. Così Procksch e Fohrer a d loc., pur s e divergono nello stabilire il momento.

Su Moab

cale «dalla rupe · nel deserto», la si voglia intendere generica­ mente in senso poetico o concreto (se/a' Petra),73 non è di grande aiuto, dal momento che lo stesso sovrano moabita po­ trebbe aver preso la fuga. Se la nostra interpretazione di 4b e 5 è fondata, il redattore ha comunque cercato il sovrano in Ge­ rusalemme. In ogni caso, meta dell'ambasceria è il monte della figlia di Sion, Gerusalemme (cfr. I O,J 2). =

3 -4. Nei vv .

3 e 4a viene spiegato quale sia l'incarico affidato agli ambasciatori: sul Sion si deve dare un consiglio e prendere una decisione. È difficile stabilire con precisione se in origine si pensasse a misure politiche o militari a favore del vicino pae­ se aggredito, o soltanto a una decisione per soccorrere i suoi profughi, anche se il seguito fa pensare alla seconda possibili­ tà. Come le persone cercano l'ombra che le ripari dall'infocato sole del mezzogiorno meridionale, così coloro che sono stati scacciati dalla loro patria cercano rifugio nel paese ospite (cfr. 3 2,2). Qui essi aspirano allo status giuridico di ger, di un citta­ dino che ottenendo il permesso di soggiorno rimaneva vinco­ lato a un paese straniero (cfr. ad es. Gen. 1 5 , 1 3; Ruth 1 , 1 e 2 Sam. 4,3).74 4b

5 Il v. 6 era stato pensato in origine come un rifiuto sarca­ stico; ma i vv. 4b- 5 , messi così come sono adesso al seguito immediato degli stichi dove si riferisce il messaggio rivolto a Sion per attenerne l'aiuto, illustrano la situazione di Gerusa­ lemme colpita da tribolazioni che si immaginano future: allora la città avrà già alle spalle l'assedio portato dalle nazioni (cfr. 29, 1 ss.; 33, ma anche 2 8, 14 ss.). Grazie alla benevolenza e alla fedeltà divine sarà di nuovo eretto in essa un trono (cfr. fs. 5 5 ,3) sul quale siederà per sempre un davidide (cfr. 2 Sam. 7, 1 3; Ps. 89,3 ss. e fs. 9,6). Come sovrano regnante nel tempo della salvezza egli sarà zelante del diritto e sollecito a far vin­ cere la giustizia (cfr. Ps. 72; 1 0 1 ; fs. 1 1 , 1 ss. e 3 2, 1 ss.). Ma si -

.

73· Cfr. Simons, § 1 262.

74· Cfr. KBL sub voce.

fs. Ij,I-16,14

99

tratta di un'attesa dalla quale in verità soltanto i giudaiti pos­ sono trarre consolazione. A essi è concesso guardare oltre le tribolazioni che li attendono (cfr. 1 4,24 ss.), al tempo della sal­ vezza. Ma ciò non reca alcun beneficio ai moabiti che stretti dal­ le difficoltà vengono a chiedere asilo. 6- 1 2. Lamento sulla distruzione dei vigneti d i Moab. Nella

posizione in cui si trova, il v. 6 ha perso la sua primitiva fun­ zione di risposta negativa ai vanagloriosi moabiti per assumere quella di avvio del lamento irrisorio che chiude il carme giran­ do intorno al tema della viticoltura, per la quale, come appare evidente, i moabiti erano particolarmente celebrati. La vacuità dell'alto concetto di sé dei moabiti ha messo a nudo lo sfacelo del paese. L'alterigia di Moab è stata spezzata, e al poeta non bastano le parole per darne una descrizione sarcasticamente lamentosa. 7· Al nord e al sud del paese è stata distrutta la base materiale

della viticoltura e di conseguenza anche la possibilità di fare le torte di uva, particolarmente apprezzate per la loro squisitez­ za (cfr. 2 Sam. 6, 1 9 e Cant. 2, 5). - Sibma, che ora compare per la prima volta nel carme, va ricercata nei pressi di Hesbon,75 Ja' ser sicuramente sul Tell 'Areme, circa 5 km a nordovest di N_a ,ur. _ 76 8. L'ampiezza della rovina dei terreni a vite rende ancora una volta l'idea dell'estensione del territorio moabita, che si spinge molto a nord e a est arriva fino alle soglie del deserto, tanto da far sorgere spontanea la domanda se viti e tralci non debbano essere assunti a simbolo della popolazione moabita. La desi­ gnazione singolarmente vaga dei distruttori come dominatori di popoli - che nell'Antico Testamento compare, oltre che qui, 75· Abel n, 45 8; Simons, § 298; v. Zyl, 9 1 . 76. Cfr. R . Rendtorff: ZDPV 76 (1 96o) 1 24 ss.

100

Su Moab

soltanto in Ps. 68,3 I 77 - per la sua stessa indeterminatezza si collocherebbe bene nella cornice concettuale di una minaccia escatologica. 9- I I. Nella strofa successiva, vv .

9 - I I , si ha l'impressione che

l'autore voglia dimostrare di essere particolarmente colpito da quello che sta vivendo o, piuttosto, immaginando/8 e in effet­ ti dopo il v. 6 non pare che gli si debba negare una sincera par­ tecipazione. Profondamente sconvolto, egli vuoi piangere con Ja'ser i vigneti di Sibma e addirittura inondare con le sue la­ crime Hesbon ed El 'aie. La vera sostanza di tale retorica è co­ stituita dal contrasto fra l'atteso tripudio del raccolto e l'intru­ sione del grido di gioia dei nemici che coprendo col suo fra­ stuono il paese riduce al silenzio i vigneti. I l..

Nel v. I 2 torna a prendere la parola un interpolatore che sente la mancanza di un'esplicita affermazione della inutilità del lamento dei moabiti di cui aveva letto in I 5 ,2. 1 3-I 4· La fine di Moab è vicina ! Gli ultimi due versetti sono

un� aggiunta posteriore, come danno chiaramente a vedere sia l'incipit sia la forma in prosa. In essi prende la parola un per­ sonaggio che riteneva di conoscere più a fondo il disegno sto­ rico di Dio di cui si discorreva diffusamente negli ambienti de­ gli apocalittici a partire dal n secolo (cfr. Dan. 1 2, I I s.). Il giu­ dizio punitivo che in un imprecisato passato Jahvé aveva pro­ nunciato su Moab si avvererà entro i prossimi tre anni: tanto fa dire all'apocalittico la certezza che gli deriva dall'essere que­ sto un detto di J ahvé. Ma ciò comporta che nel contempo si avveri la nuova glorificazione di Si o n annunciata in I 6,4b s., della quale però egli non parla in maniera esplicita. Gli anni vengono assimilati a quelli di un iakir, di un giornaliero (cfr. 77· L'esegesi un tempo diffusa che in 8aa

2 leggeva «i cui tralci una volta inebriavano i dominatori di popoli», ancora sostenuta da Procksch, nel frattempo pare sia stata generalmente abbandonata. 78. Cfr. Seierstad, 149 s.

101

fs. 1j,r-r6,r4

Lev. 2 5 , 5 3 ), o di un salariato (cfr. Ier. 46,2 1 ). Nel primo caso verrebbe messa in rilievo la fatica particolare di tale lavoro, nel secondo verrebbe da pensare agli anni del servizio militare (cfr. Iob 7, I ). Ma forse si intende semplicemente la durata di tre anni di lavoro cui era tenuto un salariato. L'accostamento di questo paragone e della menzione del resto 79 mostra che l' apo­ calittico pensa anche a una devastazione militare di Moab. La espressione ebraica resa in traduzione con «piccolissimo» ri­ corre pure in 10,2 5 . Va poi rilevata in particolare la corrispon­ denza pressoché letterale fra I 6,3 s. e 2 I , I 6 s., ciò che avalla la possibilità che entrambe le aggiunte siano opera del medesimo apocalittico. 1 5 , I - I 6, I 4· Tornando ora sui nostri passi, possiamo sicuramen­ te espungere dal nucleo originario I 5 ,9a�b; I 6,2 e I 2 in quanto aggiunte esplicative; I 6,4b- 5 in quanto, con grande probabili­ tà, intervento escatol