Iperione o l'eremita in Grecia. Testo tedesco a fronte 8845278786, 9788845278785

Nel clima idealistico di fine Settecento, agitato dalle ripercussioni della Rivoluzione francese, Friedrich Hölderlin af

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Italian Pages 967 [969] Year 2015

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Sommario
Dedica
Giuseppe Landolfi Petrone - IperIone, storia e natura
1. La storia
2. La natura
Cronologia della vita e delle opere di Friedrich Hölderlin
Cronologia di IperIone
Nota editoriale
IPERIONE o L’eremita in Grecia
Volume primo
Prefazione
Libro primo
Libro secondo
Volume secondo
Libro primo
Libro secondo
Note all’IperIone
Appendice
I materiali preparatori - introduzione ai testi
‹Bozza in prosa per la stesura in versi›
‹Stesura in versi›
Giovinezza di Iperione - Parte prima - Capitolo primo
Capitolo secondo
Capitolo quarto
Capitolo quinto
Capitolo sesto
‹Penultima stesura›
‹Bozze per la stesura defnitiva›
Note all’appendice
Bibliografia
Indice dei nomi
Indice generale
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Iperione o l'eremita in Grecia. Testo tedesco a fronte
 8845278786, 9788845278785

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FRIEDRICH

IPERIONE O L’EREMITA IN GRECIA A cura di Laura Balbiani

BOMPIANI IL PENSIERO OCCIDENTALE

Testo tedesco a fronte

BOMPIANI Il PeNsIerO OccIdeNtAle Direttore

GIOVANNI reAle

friedrich hölderlin iperione o l’eremita in grecia

Testo tedesco a fronte

A cura di Laura Balbiani Con un saggio introduttivo di Giuseppe Landolf i Petrone

Bompiani il pensiero occidentale

Direttore editoriale Bompiani Elisabetta Sgarbi Direttore letterario Mario Andreose Editor Bompiani Eugenio Lio

ISBN 978-88-587-7023-8 © 2015 Bompiani/RCS Libri S.p.A. Via Angelo Rizzoli 8 - 20132 Milano Realizzazione editoriale: Vincenzo Cicero – Rometta Marea (ME) I edizione digitale Il Pensiero Occidentale marzo 2015

Sommario Saggio introduttivo Cronologia della vita e delle opere di Friedrich Hölderlin

7 87

Cronologia di Iperione

102

Nota editoriale

111

Iperione o L’eremita in Grecia

115

Note all’Iperione

467

Appendice

583

Bibliografa

923

Indice dei luoghi

965

Indice dei nomi

969

A Giovanni Reale, che ha fortemente voluto e a lungo atteso questo volume.

Giuseppe Landolf Petrone

IperIone, storia e natura

Friedrich hölderlin e due temi-chiave della FilosoFia di Fine settecento

La lunga elaborazione1 dell’unico romanzo di Hölderlin si compie in un periodo cruciale per la storia della flosofa europea, che grazie alla maturazione dell’idealismo tedesco vive una profonda trasformazione, che va ben aldilà delle imponenti questioni tecniche che sconvolgono dall’interno i sistemi flosofci nella loro pura dimensione speculativa. Le elaborazioni teoriche, infatti, rientrano in un quadro complessivo di ricomposizione di equilibri culturali, storici e politici che alimentano correnti di idee contrastanti fra di loro o se non altro fortemente delineate le une rispetto alle altre. L’esperienza di Friedrich Hölderlin all’interno dell’esplosione di modelli, prospettive, angolature, posizioni di pensiero che alimentano gli ultimi vent’anni del Settecento è quella di un intellettuale talmente sensibile e ricettivo agli stimoli dell’ambiente culturale, talmente attento a quanto accadeva attorno a lui e talmente curioso osservatore da rifettere nella sua opera (e in particolare nell’Iperione) una parte consistente di queste diverse concezioni.2 1 Sull’origine e la storia redazionale di Iperione, cfr. Cronologia di Iperione. 2 Portandone forse anche il peso, se è vero che nel 1795 si allontana da Jena perché sopraffatto dalla nutrita serie di stimoli che gli provenivano in particolare dalla vicinanza con Schiller (cfr. la lettera a quest’ultimo del 23 luglio 1795, in MA, vol. II, pp. 589-591). Della capacità di assimilazione di Hölderlin parla anche, sottolineandone la portata, Luigi Reitani nella sua introduzione all’opera lirica del poeta (L’«errore» di Dio, in: Tutte le liriche, pp. XXXI-XXXII).

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Hölderlin, pur non riuscendo mai a emergere quale autore di riferimento della sua epoca e rimanendo pertanto alquanto ignorato, ha avuto la possibilità di entrare in contatto con quell’ambiente, di avere stretti contatti con protagonisti indiscussi dell’epoca come Hegel, Schelling, Fichte, Schiller, Herder, e di essere anche in parte ispiratore dell’idealismo nella sua versione più matura con alcune intuizioni e idee che saranno poi portate a compiuta elaborazione da altri (Hölderlin è coautore dell’ältestes Systemprogramm des deutschen Idealismus assieme a Hegel e Schelling). uno studio del suo pensiero e della sua opera che abbia solide basi storiografche e metodologiche non può non essere concepito come studio di questo ambiente culturale, come tentativo di ricostruire contatti, relazioni, rapporti, contesti anche minuti della sua biografa umana e intellettuale prima della crisi che lo condusse nel Turmzimmer, ma probabilmente anche dopo, sebbene con altre regole e altri intenti. Studi di questo tipo sono stati avviati da tempo con il grande pregio di aver ricostruito alcuni importanti scenari della vita intellettuale tedesca del tempo,3 nonché confermato l’idea di una forte incidenza 3

Sotto il proflo più strettamente flosofco, che in questa sede interessa di più, basterà ricordare gli studi sulle ‘costellazioni’ hölderliniane avviati da Dieter Henrich, in particolare l’ormai classica raccolta di saggi contenuti in Konstellationen, cui si possono aggiungere i due volumi dedicati in particolare alla ricostruzione delle premesse dell’idealismo negli ambienti di tübingen e Jena (Henrich: Grundlegung aus dem Ich). una completa e dettagliata ricostruzione dei rapporti tra Hölderlin e i protagonisti dell’idealismo tedesco suoi contemporanei è svolta da Christoph Jamme in Hölderlin und der deutsche Idealismus, ampia raccolta di documentazione opportunamente introdotta e commentata che copre anche gli anni che Hölderlin trascorse nella torre di tübingen dal 1807 fno alla morte nel 1843. tra gli studi generali che tengono conto in modo particolare della

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del pensiero flosofco di Hölderlin sulla formazione dell’idealismo tedesco.4 nel corso di questa introduzione, che non può certo avere l’obiettivo di presentare una disamina anche solo per accenni delle molte implicazioni e infnite sfaccettature che l’Iperione suggerisce dal punto di vista storico, si cercherà di illustrare brevemente le tematiche che stanno sullo sfondo del romanzo, le premesse teoriche dalle quali muove Hölderlin, nonché di leggere la struttura teorica fondamentale del romanzo, vale a dire la ricomposizione delle dissonanze, all’interno di una prospettiva flosofcoantropologica che riannoda il pensiero tedesco di fne Settecento al Rinascimento e che determina l’originalità di pensiero che anima Hölderlin, che è un flosofo malgrado se stesso, un uomo che non può fare a meno della flosofa, dalla quale, però, si sente tiranneggiato.5

dimensione flosofca, si segnala quello di ulrich Gaier: Hölderlin. eine einführung. 4 La rivalutazione del peso avuto da Hölderlin nella formazione dell’idealismo tedesco, in particolare di Hegel, si deve agli studi di Franz Rosenzweig, Johannes Hoffmeister, Paul tillich e Julius ebbinghaus che, a vario titolo, nella prima metà del novecento portarono all’attenzione degli studiosi la complessità e l’originalità del pensiero flosofco del poeta (a proposito del crescente interesse per l’Hölderlin flosofo nel corso del novecento, cfr. Hölderlin und der deutsche Idealismus, vol. I, pp. 1-12). 5 «La flosofa è tiranna, e ne subisco l’imposizione più che sceglierla volontariamente», lettera di Hölderlin a niethammer del 24 febbraio 1796 – MA, vol. II, p. 614.

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1. la storia Il primo dei temi generali che fanno da sfondo alla flosofa e alla cultura tedesca della seconda metà del Settecento è, con ogni evidenza, la storia, che smette di essere inerte supporto di un sapere erudito per diventare concreto piano di azione e sviluppo, oltre che la fonte per una comprensione organica della posizione dell’uomo nell’universo e dei destini dell’umanità in generale.6 La Rivoluzione francese, come sapevano bene coloro che animarono il dibattito intellettuale sulla flosofa della storia in Germania a fne secolo,7 sfuggiva ai canoni della storia dinastica e implicava un immediato e universale coinvolgimento dell’uomo in generale. Il suo vero carattere rivoluzionario non era tanto dato dal fatto che le classi sociali imponessero un ribaltamento istituzionale e l’abbattimento dei privilegi nobiliari, ma piuttosto dal fatto che l’uomo potesse scrivere la propria storia, costruire apertamente il proprio futuro. In questi anni e in queste circostanze prendono 6 La flosofa della storia tedesca, quella almeno che viene elaborata a partire da Herder, trae origine da tentativi precedenti, come quello di Isaak Iselin del 1764 (Geschichte der Menschheit) e quello implicito nella Geschichte der Kunst des Altertums di Winckelmann (pure del 1764) che diedero entrambi spunti critici notevoli per la formazione della concezione herderiana della storia. È importante sottolineare il fatto che Herder si muoveva in esplicita polemica con storici e flosof francesi, pur riprendendone alcune idee, mentre presenta tratti che lo accostano a Vico. La flosofa della storia di Herder, basata sul concetto di umanità e su un articolato nesso natura-storia, ha offerto diversi spunti alla concezione di Hölderlin. 7 Basterà ricordare i saggi kantiani degli anni ’90 del secolo, alcuni dei quali presuppongono scritti risalenti al decennio precedente specifcamente dedicati al tema della storia.

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corpo non a caso concetti e termini che conosceranno una grande diffusione soltanto in tempi posteriori: pubblicità,8 nel senso della pubblica dimensione delle vicende politiche, non più vincolate (soltanto) alle relazioni diplomatiche, ma anche a ciò che il corpo sociale – pur nel disordine degli eventi particolari – rivendica apertamente; spettatore,9 termine con il quale non s’intende più soltanto il curioso ‘osservatore’ delle novità letterarie, scientifche e politiche, ma anche e soprattutto quel pubblico attore della storia che, quando non è il protagonista degli eventi, ne è in ogni caso il ‘fruitore’ principale e il soggetto attivo. La storia non è più semplicemente la tavola su cui si ricompongono i tasselli del grande mosaico del passato, ma quella su cui si progetta il nuovo edifcio del diritto. non a caso proprio il diritto diventa un terreno d’indagine e di pratica di governo che attira i migliori pensatori del tempo: l’Allgemeines Landrecht prussiano10 prende corpo sotto Federico II il Grande grazie alla collaborazione dei 8

Il concetto di ‘pubblicità’ si fa largo nella cultura tedesca in particolare verso la fne del secolo e diventa cruciale nel momento in cui si tratta di rivendicare la libertà di pensiero e di espressione al di fuori della semplice dimensione privata individuale quale fattore di formazione dell’opinione pubblica di fronte ai fatti che stavano sconvolgendo l’assetto del vecchio regime sotto la spinta della Rivoluzione francese. tuttavia l’idea di una libera e aperta discussione pubblica è in linea con le direttive dell’Aufklärung anche nel campo della formazione della cultura accademica e scientifca. 9 Anche il concetto di ‘spettatore’ entra nella discussione tedesca attraverso Kant, in particolare nella seconda parte del Confitto delle facoltà del 1798. In merito si vedano le rifessioni di Hanna Arendt nelle lezioni sulla flosofa politica di Kant raccolte nel volume Teoria del giudizio politico. 10 Ricostruisce la storia dell’Allgemeines Landrecht prussiano Wilhelm Dilthey in un suo classico studio, Das allgemeine Landrecht.

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principali giuristi illuministi, trova il suo assetto defnitivo proprio in quel periodo e verrà promulgato nel 1794; la Metafsica dei costumi di Kant, opera molto attesa dal pubblico, vede faticosamente la luce nel 1797, preceduta da altri saggi kantiani di forte impronta illuministica. Il diritto diviene parte integrante di quel dover essere che è segno indelebile della flosofa kantiana in campo morale e che, proprio verso la fne del Settecento, grazie alle vicende rivoluzionarie, cessa di essere una pura e semplice rivendicazione rigoristica e formalistica per diventare un preciso fne politico e sociale, come dimostra la formulazione dei diritti universali dell’uomo del 1793. La storia, nel momento in cui Hölderlin abbraccia gli ideali rivoluzionari, prima allo Stift di tübingen poi nell’amicizia con Isaak von Sinclair (conosciuto a Jena fra gli uditori delle seguitissime lezioni di Fichte), gli si presenta già in tutte le sue varie dimensioni: come campo di formazione e principio di spiegazione del genere umano; come forma di progresso della vita collettiva e ordinamento delle istituzioni a tal fne necessarie; come piano di azione dell’uomo e dei popoli; come attualità politica in trasformazione.11 Hölderlin era rimasto deluso dalla dimensione ‘operativa’ della storia, dal momento che anche lui, come molti sostenitori tedeschi della causa della Rivoluzione francese, aveva riconosciuto il fallimento di quel programma di liberazione dopo l’avvento del terrore. Ad attrarre fortemente la sua vena flosofca e letteraria, invece, fu la dimensione metafsica della storia, il suo carattere di ide11 Sotto quest’ultimo aspetto va notato che, oltre agli episodi più o meno direttamente vissuti sia a tübingen che a Jena e legati all’attivismo studentesco, Hölderlin prese parte, tra il novembre e il dicembre 1798, al Congresso di Rastatt (1797-1799) su invito di Sinclair il quale vi partecipava in rappresentanza del Langravio di Hessen-Homburg.

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ale da raggiungere (ma irraggiungibile de facto e de jure), la testimonianza che essa ha lasciato di modelli nel passato, altrettanto ideali in quanto ipotetici (come lo stato di natura) o defnitivamente tramontati e irripetibili (come il mondo greco classico). La storia si smembra nella sua tessitura e da un lato diventa strumento del potere politico ed elemento istituzionale dal quale Hölderlin rifugge, anche soltanto per tipico rifuto dell’impianto illuministico, e contro il quale impugna ideali di libertà; dall’altro la storia si nutre di quella particolare linfa che ha alimentato per quasi tutto il secolo XVIII la cultura tedesca, vale a dire la sfera pratica, la cura nei riguardi della volontà non come predominio sul mondo, ma come dovere di attuazione dei gradi della perfezione. La Bestrebung, la vera cifra del Settecento tedesco, vive e sorregge la parabola di Iperione, che nella storia trova i suoi modelli positivi e nella storia soffoca il fallimento di una generazione intimamente corrotta, ma alla storia non può rinunciare quale dimensione specifca dell’uomo che è chiamato costantemente a mettere in atto la sua tensione verso l’ideale. La storia nell’Iperione si presenta come elemento di ‘ambientazione’ complesso e stratifcato. La storia individuale dei personaggi (il cui sviluppo è narrato in modo sintetico e schematico) si intreccia con la storia sociale e politica che agita e risveglia le aspirazioni alla libertà, ma questa, a sua volta, si intreccia (come vedremo) con il passato e la tradizione della Grecia classica. Il che vuol dire che il piano narrativo si dispiega lungo le coordinate della coscienza storica della cultura occidentale in generale: nella storia di Iperione si ripercorre la parabola della storia europea nel suo insieme, e in fn dei conti è questo il vero sfondo politico e ideologico a cui Hölderlin intende veramente dare risalto. La flosofa della storia che emerge

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dalle lettere di Iperione è un tema centrale del romanzo, sebbene rifugga da qualsiasi sistematizzazione in chiave teorica. La storia cui Hölderlin dà voce è, quindi, l’orizzonte in cui si consumano i destini dell’uomo, come in particolare gli aveva mostrato l’opera di Schiller, a cui in parte si richiama anche Iperione. Ma il tormento di Iperione, la sua sconftta maggiore, non nasce dal fatto che il destino delude le sue attese e mortifca le sue aspirazioni o dal fatto che la vita può condurre a compiere scelte e azioni contrarie alle proprie convinzioni e ai propri progetti fno a ritorcersi addirittura contro chi si ama: tutte condizioni umane di cui Iperione, come spesso i personaggi di Schiller, fa esperienza, ma non nella modalità dissipatrice della tragedia in cui si scontrano forze ignote, ma in quella riordinatrice e unifcante della tensione che sottende al dispiegamento di quelle forze. La storia non è il modo in cui si illustra e si rappresenta la tragica condizione dell’uomo, ma quello in cui tale condizione trova la sua spiegazione come processo che conduce dall’esaltazione fnalistica allo sconforto per il fallimento dell’azione umana. La storia non racconta solamente questo svolgimento né lo fa soltanto accadere, ma conserva la testimonianza di un passato in cui l’uomo viveva più armonicamente la propria condizione.

La storia come principio ordinatore La Grecia e la grecità rappresentano per Hölderlin e per i protagonisti dell’Iperione un modello dal quale trarre la chiave per comprendere la particolare situazione dell’uomo moderno e dell’umanità in generale. Sotto questo aspetto l’Iperione è il romanzo della presa di coscienza del

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passato ma soprattutto della cesura che separa e allontana l’uomo dalle sue idealizzazioni mitiche: il passato ideale si fa storia concreta nel momento in cui se ne decifra il contenuto spirituale. nello stesso tempo, in quanto storia, il modello mitico della Grecia rappresenta un momento di un processo evolutivo di cui non è garantita la fnalità e si idealizza sotto forma di coscienza individuale e sociale del bello, come ideale estetico più che come ideale artistico, come arricchimento culturale più che come Bildung. ed è anche per questo che Hölderlin pensa alla Grecia come ambiente a sé consono e dichiara nella prefazione alla penultima stesura che «uno dei miei sogni più cari era quello di recarmi davvero al santo sepolcro della giovane umanità», nel luogo che «fu il mio primo amore e non so se posso dire che sarà anche l’ultimo» (p. |557|). Il culmine della storia umana è la Grecia in quanto, si legge in un esercizio giovanile,12 patria delle belle arti, le quali a loro volta non interessano semplicemente in quanto tali, ma perché diedero nutrimento a storici, flosof, poeti e anche uomini di stato. Il ‘bello’ era principio ordinatore della vita pubblica e individuale, e prima ancora di essere considerato dagli stessi flosof greci dell’età classica un ideale regolatore, rappresentava l’unità essenziale del greco. È a partire da questo che Hölderlin fssa una serie di elementi caratteristici dell’arte e della bellezza: il 12

Si tratta dello scritto accademico Storia delle belle arti tra i greci sino alla fne dell’epoca di pericle, testo risalente al 1790 e composto per conseguire il titolo di Magister a tübingen. nonostante il carattere poco approfondito dal punto di vista teorico, il testo è interessante perché mette in luce la radicata convinzione dell’interpretazione della storia dell’arte greca negli stessi termini forniti da Winckelmann e che nemmeno il contatto con Herder riuscì in seguito a modifcare (per il testo, cfr. Hölderlin: Scritti di estetica, pp. 25-40).

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grande infusso esercitato dall’arte nella vita dei greci; la venerazione che, proprio per questo, era riservata ai poeti; la potenza del bello come principio morale e vivifcatore dello spirito individuale, ma anche nazionale.13 Da questo iniziale entusiasmo deriva non soltanto l’ambientazione del romanzo, ma anche la particolare rappresentazione del tempo storico adottata nell’opera, in cui la Grecia concentra in sé le tre modalità fondamentali del passato, del presente e del futuro. In uno dei primi frammenti preparatori (per i quali si rimanda all’Appendice), Dormivo, o mio Callia..., risulta abbastanza evidente questa sovrapposizione di piani che spinge, anche attraverso un sottile gioco di stati emotivi e psicologici, a presentare il tempo in una contemporaneità nella quale l’intero destino dell’uomo si compie, dalle sue cause originarie ai suoi esiti fnalistici. In uno stato semi-onirico (che spesso traspare anche nella versione defnitiva del romanzo) Iperione, preso tra fascinazioni platoniche e atmosfere omeriche, nonché dall’attrazione per Glicera (che poi diverrà Diotima), legge un passo dell’Iliade (libro X, vv. 462-579) in cui si narra dell’audace impresa di ulisse e Diomede che di notte si insinuano nel campo nemico, il primo a far prede e il secondo a trucidare, festeggiati e osannati dai compagni al loro rientro al campo. Il richiamo di questo atto considerato eroico da Iperione e il confronto con un presente che non offre nulla di simile spingono il giovane greco moderno a farsi carico di quell’antico destino eroico e riscattare la Grecia attuale. La storia in questo caso è principio ordinatore del destino individuale e politico, ed è tale proprio in quanto ha una sua anima mitologica che addita ed evoca, sorregge e conforta, alimenta gli istinti e suscita la rifessione. 13

Cfr. Scritti di estetica, p. 25.

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In un’altra scena delle stesure intermedie che non fgurano più in quella defnitiva, si descrive una visita alla grotta di omero durante la quale alla commemorazione del poeta immortale si affanca una sorta di rito che ha tutti i contrassegni di un culto mitologico vissuto alla maniera stessa degli antichi. I discorsi, le cetre, la solennità suscitano uno stato emotivo particolare, tale da spingere Melite (la fgura femminile che diverrà poi Diotima) a tagliarsi una ciocca di capelli e depositarla ai piedi della statua del poeta, seguita dagli altri presenti che «offrirono il sacrifcio funebre» (p. |504|). nella versione data alle stampe queste situazioni di immedesimazione diretta mancano, perché nel frattempo Hölderlin matura un’idea più elaborata del mito e del suo signifcato dal punto di vista teorico. tuttavia rimane intatto il signifcato essenziale di questa sorta di conversione della storia, che nelle abili mani di Hölderlin diventa un elemento narrativo più sofsticato e simbolico. La storia, sotto l’aspetto dell’antichità, non è soltanto un modello, un esempio, né soprattutto può essere considerata il mero contenitore di una tradizione o di una testimonianza di valore flologico. La storia essa stessa modella, piega, torce l’animo del giovane Iperione, il quale dopo la partenza di Adamas si abbandona all’immaginazione della propria riuscita in nome degli eroi antichi. ne scrive a Bellarmino rievocando i tempi in cui si sentiva guidato dai «sommi spiriti dell’antichità», tra cui fgurava il «suo Adamas». Come in uno stato di esaltazione, non distingue il passato dal presente e dovunque andava «quelle splendide fgure mi accompagnavano» sovrapponendosi «nella mia mente»; e «come in una tempesta gioiosa si uniscono le immagini enormi, le nuvole del cielo, così si univano le centinaia di vittorie alle olimpiadi, e divenivano in me

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un’unica, infnita vittoria» (p. |624|). La «grandezza degli antichi» travolge come una forza della natura in grado di scatenarsi nel presente e Iperione rivive nel suo oggi il tormento che ritrovava negli eroi greci per i loro inappagati «sogni di fama e di grandezza» (p. |624|). non è certo possibile ripercorrere anche solo in sintesi il complesso rapporto di Hölderlin con i greci,14 ma uno dei motivi per cui tale rapporto risulta così complesso sta nel fatto che non si è di fronte a un modello unico, poiché nel processo di idealizzazione del mondo greco si assiste a una stratifcazione fra l’età eroica narrata dai poemi omerici e l’età classica che vide forire le grandi flosofe e la grande stagione politica. Il mito si intreccia con la storia e in questa immagine l’ideale di matrice platonica si proietta e si sovrappone alle gesta degli eroi omerici; l’armonia, l’arte della misura e dell’equilibrio sembrano risuonare nelle forme arcaiche; la libertà, la dimensione sociale della polis sembra agire al di sotto dell’epica. Questa sensibilità estetica avvicina Hölderlin più ai tragici greci che agli storici dell’arte antica, come si può notare anche nella giovanile ricostruzione dell’arte greca cui si è fatto cenno, dove emerge un legame molto stretto con i grandi tragici, nei quali, soprattutto naturalmente in eschilo, l’elemento arcaico rivive all’interno di un ideale di giustizia; forte è anche il richiamo di Pindaro, il poeta lirico «al cospetto del quale si può facilmente dimenticare tutti coloro che lo precedettero»,15 perché ha saputo fondere nella poesia 14

non ci si può limitare che a qualche indicazione, e rimando alla Bibliografa per un più ampio panorama di studi. otto: Hölderlin und die Griechen; Mecacci: Hölderlin e i greci; Rehm: Götterstille und Göttertrauer; id.: Griechentum und Goethezeit; Lawitschka (Hrsg.): TurmVorträge 1987/1988. Hölderlin und die Griechen. 15 Hölderlin: Scritti di estetica, p. 36.

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«con tanta intensa brevità la rappresentazione epica e la passione tragica».16 Il poeta greco aveva un ruolo pubblico, politico presso il popolo: «l’analisi di un brano di eschilo era per loro tanto importante quando una discussione politica», perché l’arte non era semplicemente uno specchio della società ateniese ma una parte essenziale di essa, una delle componenti che aveva contribuito alla sua grandezza.17 nella tragedia greca Hölderlin poteva ritrovare in particolare la forma ancora socialmente funzionale di una rappresentazione del passato come elemento storico vivente.

La storia come progresso In una delle sue due brevi apparizioni, il padre di Iperione lo invita a conoscere il mondo, con il tipico atteggiamento illuminista del fare pratica delle cose del mondo: imparare la navigazione, le lingue, la storia dei popoli, le loro costituzioni politiche, gli usi e i costumi, osservare tutto con curiosità e recepire il meglio (cfr. p. |625|). nonostante Hölderlin condividesse con l’Aufklärung la profonda ispirazione etico-pratica, questo tipo di formazione non pote16

Ivi, p. 34. nei primi anni dell’ottocento Hölderlin traduce sia tragedie di Sofocle che inni di Pindaro, in una fase della sua produzione che risente anche delle teorie poetologiche che nel frattempo aveva avuto modo di elaborare (cfr. Cronologia della vita e delle opere). 17 Hölderlin: Scritti di estetica, p. 35. La «grande opera di liberazione» condotta dai greci culmina con la vittoria sui persiani, grazie alla quale «i greci si videro così all’apice della loro grandezza». La consapevolezza di essere un modello da imitare contribuì ad alimentare il senso di superiorità: «una parte essenziale di questa superiorità consisteva in particolare nel perfezionamento dell’arte – compirono quindi ogni sforzo per farla prosperare» (ivi, pp. 34-35).

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va soddisfare chi nutriva una sfducia radicata nell’effcacia dell’azione umana. La flosofa della storia come progresso razionale non rientra nell’orizzonte ideale di Hölderlin, e alcune tracce di questo suo modo di concepire la storia possono essere rintracciate nell’Iperione. Dopo aver ricevuto da Adamas l’investitura a seguire il sole che si eleva al di sopra delle cose umane, Iperione sente prepotente il bisogno di soddisfare la sete che avverte dentro di sé. La chiave utopistica del romanzo consiste in una combinazione di elementi: la proiezione verso l’invincibile e irrefrenabile auto-realizzazione e la restaurazione di un modello ideale che è dato dal passato. Questa tensione, tipicamente ed esclusivamente umana, verso un progredire dettato dalla natura stessa delle passioni umane e non da un programma di sviluppo razionale, si può fondare soltanto su una chiara visione della condizione antropologica dell’uomo. nel ricordare a Bellarmino i momenti dell’addio ad Adamas, Iperione (con una coscienza rifessa degli avvenimenti) pone molto bene in luce questo intreccio: ed è questo, mio caro, che ci rende poveri nonostante tutta la ricchezza, il fatto che non possiamo stare soli, che l’amore dentro di noi non si estingue fnché viviamo. Restituiscimi il mio Adamas, e tutti coloro che mi appartengono, affnché il bel mondo antico si rinnovi fra noi, affnché ci raccogliamo e ci riuniamo fra le braccia della nostra divinità, la natura, e vedrai, allora non saprò più cos’è il bisogno. (p. |622|)

In un insieme di elementi che richiamano tanto la dottrina platonica dell’amore quanto lo sfondo rousseauiano di una teoria sociale basata sulla natura, Hölderlin rimarca

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con tonalità rinascimentali la piena responsabilità dell’uomo riguardo al proprio destino e alla propria storia: è la tensione dell’amore (la chiara coscienza di sé e del rapporto con gli altri e con il mondo) che muove l’azione umana, che lo allontana da se stesso in un impeto irreprimibile, per poi ricondurlo a sé. «Ma nessuno dica che è il destino a dividerci: siamo noi, noi!» (p. |622|), perché l’uomo è così fatto da lanciarsi «nella notte dell’ignoto», da spingersi «nella fredda lontananza di un qualsiasi altro mondo» fno a uccidere «i dolci fori che crescevano nel suo petto, le gioie dell’affnità e dell’amore» (p. |622|). In questa prospettiva, funzionale alla teoria della risoluzione delle dissonanze, l’orbita della storia segue un moto retrogrado che vede l’uomo compiere la propria parabola di avvicinamento e allontanamento da se stesso. La storia non sa nulla, naturalmente, del collante dell’amore, della dimensione propriamente unitaria dell’uomo, poiché è tutta volta a erigere ordini istituzionali in cui la libertà è concetto formale e non pieno. L’uomo è scisso per sua natura, ma è anche inserito nella grande totalità dell’amore. un impianto rinascimentale dal quale tuttavia Hölderlin si discosta per un dettaglio molto importante, dal momento che per lui l’amore non costituisce un tessuto connettivo in cui la realtà è ordinata come elemento di differenziazione, ma un’unità originaria infranta dal processo storico nel quale l’uomo impone a se stesso ordinamenti contrari alla propria natura o, almeno, alle proprie aspirazioni. Probabilmente Hölderlin subisce fno in fondo l’infusso di un impianto platonico che non gli consente di vedere la storia come fattore progressivo verso traguardi di conoscenza sempre più perfetti e verso ordinamenti politici e giuridici sempre più conformi alle comunità umane, ma come orizzonte della reminiscenza,

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del recupero di una dimensione ideale che, non potendosi realizzare nel concreto dell’esperienza storica, si traduce in opera d’arte e intuizione estetica. In questo quadro, la nostalgia più che l’utopia diventa il piano di rappresentazione della realtà storica: «Addio, celesti!», mormoravo spesso quando avvertivo sopra di me la melodia dell’alba con i suoi suoni soffusi, «addio, splendidi defunti! Vorrei seguirvi, vorrei scuotere da me ciò che il mio secolo mi ha dato per partire verso il regno, più libero, delle ombre». Invece mi struggo alla catena e afferro con amaro piacere la misera coppa che viene offerta alla mia sete. (p. |625|)

Il programma educativo di Iperione a Smirne rinfocola la speranza e la fducia nell’azione con cui l’uomo cerca di piegare la storia ai propri ideali. Ma il giovane sperimenta subito il solco profondo che divide questi ideali dalla cultura dominante, dove progresso intellettuale vuol dire negazione dell’ideale. Con brevi frasi il poeta descrive il desolante panorama della cultura settecentesca: tocchi rapidi di una penna che è in grado di entrare nel dettaglio più minuto della natura che circonda Iperione, ma che si spegne in toni grigi, beffardi e ostili quando si tratta di descrivere il suo tempo. Gente «ben educata» che ride sentendo parlare di «bellezza dell’anima»; uomini che fuggono «come ladri» davanti a «una scintilla di ragione», che sbadigliano ascoltando Iperione parlare dell’antica Grecia e sostengono che si deve «pur vivere anche nel tempo presente», che il buon gusto non è «certo ancora andato perduto» (pp. |627-628|). Anche chi si mostra più illuminato non si fa che «beffe del cielo», predilige il risultato immediato sen-

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za preoccuparsi di un avvenire incerto, a meno che non si tratti della morte, rispetto alla quale timori e superstizioni non svaniscono mai. La formazione, che necessariamente si basa sulla fducia nel progresso compiuto dall’uomo, non produce alcun effetto e viene rifutata da Iperione, che preferisce rinchiudersi in sé, perché la storia ha fallito: Decisi dunque di restarmene solo, e il dolce spirito della giovinezza era sparito quasi completamente dalla mia anima. Mi era divenuto evidente da alcune cose che racconto e da altre che non racconto, che il mio secolo era irrecuperabile, e mi era venuta a mancare persino la dolce consolazione di ritrovare il mio mondo in un’anima, di abbracciare l’umanità in un’immagine amata. (p. |628|)

Bandito l’ottimismo di marca illuminista, Iperione si affda alla speranza, a una certezza che non ha nulla a che vedere con le sorti progressive, ma con l’istinto infallibile, per così dire, della sorgente: «chi dice al neonato che la madre non gli negherà il seno? Ma vedi, lo cerca comunque» (p. |628|). L’attesa di «un tempo migliore» si confgura come attesa di un incontro più che di un compimento, e se la dispersiva frammentazione dei fni che l’uomo persegue offusca la visione di un futuro concreto, l’intuizione unica e salda di quell’«essere unico, sacro e fedele che certo sarebbe venuto incontro alla mia anima assetata in una qualche fase dell’esistenza» (p. |628|) concede tregua e stabilità al giovane sfduciato. Dal punto di vista della flosofa della storia, questo stato d’animo di Iperione mostra come Hölderlin guardasse con occhio antropologico alla perfettibilità dell’uomo: egli può scrutare e analizzare la storia, ma senza scorgerne il piano di sviluppo né un principio di dispiegamento che vada al di là del mero destino (contro

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cui pure si esprime, come si è appena visto), mentre può cogliere la «vocazione dell’uomo» con chiarezza proprio guardando nel suo lato più oscuro, nel turbinio dei propri tormenti. In un certo senso si può dire che Hölderlin traspone nel suo personaggio e soprattutto nella sua concezione generale il dramma individuale che spesso viene rappresentato da Schiller nei suoi protagonisti, i quali si confrontano con la storia con una tensione maggiore rispetto a quella di Iperione, ma anche meno argomentata dal punto di vista teorico. L’uomo non è fatto per realizzare imprese risolutive, né per trovare una terapia ai mali del mondo, ma per congiungersi a qualcosa e a se stesso. La storia di Iperione è storia di incontri e non di imprese, sebbene entrambe le cose alimentino le speranze e i sogni dell’uomo: «chi non anela alle gioie dell’amore e a grandi gesta, quando la primavera torna negli occhi del cielo e nel petto della terra?» (p. |647|). La ricerca di Iperione si inscrive in questi due orizzonti, amore (in tutte le svariate sfumature che esso assume nell’opera, da quella metafsica a quella sentimentale) e azione storica; acquisisce così una particolare connotazione che lascia spazio sia al travaglio personale sia a quello sociale. L’incontro con Alabanda è il momento in cui questi due aspetti si coniugano in modo particolare, dato che il «giovane titano», animato dagli stessi ideali di Iperione, incarna la suprema amicizia e l’impeto eroico dell’uomo d’azione. Soltanto dall’unione di questi due elementi, che svelano l’onestà intellettuale, la franchezza e il coraggio che occorrono per determinare e dare indirizzo alla storia, nasce quell’intesa che genera un progetto politico chiaro: «Compagno di lotta, [...] caro compagno di lotta! ora sento di avere cento braccia!», esclama Alabanda sentendo Iperione proporre un’azione di rinno-

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vamento (p. |633|). Il furore di Alabanda non è del tutto condiviso da Iperione, che è fondamentalmente uomo di pace. Sentendo il nuovo amico caldeggiare azioni cruente («Qualcuno mi prepari una mina perché io possa far saltare dal terreno i massi inerti»), Iperione contrappone maggiore mitezza: «Se è possibile, li si mette dolcemente da parte» (p. |634|). L’esperienza degli esiti traumatici della Rivoluzione francese rende qui Hölderlin cauto rispetto all’effcacia del gesto sovversivo, che d’altra parte rispecchia anche il suo punto di vista teorico riguardo alla sfducia nella sfera dell’azione. La storia è una speranza che non si coltiva con il braccio armato, ma soprattutto non si coltiva con l’idea di una superiorità dei fni. I due personaggi sono molto diversi fra di loro, nonostante condividano gli stessi ideali. Alabanda è inasprito, sottoposto al destino (come molti dei protagonisti di Schiller) e a forze che lo spingono lontano; Iperione è anch’egli estraneo al mondo, ma per effetto di un moto contrario, di allontanamento, di isolamento. Alabanda è sotto l’effetto di un moto eccentrico centrifugo; Iperione di un moto eccentrico centripeto. Moralizzatore e teso a compiere giustizia l’uno, sensibile e sprofondato nella ricerca di un’unione spirituale, l’altro. un istinto e un bisogno di purifcazione anima Alabanda, e quindi anche Iperione, il quale per effetto dell’infuenza dell’amico si fa ‘attore’ e non più semplicemente ‘contemplatore’. Il continuo gioco degli opposti, che è la cifra stilistica e teorica di tutto il romanzo, contrappone in questi due amici non due caratteri, ma due forze che convivono nell’uomo: la prima riconosce l’ideale, la seconda cerca di realizzarlo. Sono come i due cavalli della biga platonica, alla quale però sembra mancare l’auriga della ragione, perché essa stessa, agli occhi di Hölderlin, pare talvolta o troppo ce-

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devole (socializzata nella corruzione generale dell’uomo opportunista e indifferente) o del tutto incomunicabile e incomprensibile (annichilita dallo stordimento di un’intuizione che non riesce neppure a farsi autentica creazione artistica, perché non c’è lingua che possa tradurre la spiritualità concentrata nel bello). nell’infnita e intricata rete di relazioni fra elementi contrari di cui il romanzo è nutrito, il rapporto fra Alabanda e Iperione contiene al proprio interno un signifcativo elemento storico-sociale. Alabanda è espressione di quella superiorità della sfera pratica su quella estetico-morale che potremmo far risalire a una visione kantiana, precedente ai nuovi spunti che la Critica del giudizio offrirà a molti autori, Hölderlin compreso, ma che ha un particolare legame con lo svolgimento della flosofa di Fichte. nel rapporto fra Iperione e Alabanda che Hölderlin mette a punto nella fase fnale di elaborazione del romanzo, è presente un netto richiamo ad alcune tesi di Fichte, in particolare quelle con risvolti etico-politici che Hölderlin aveva avuto modo di apprezzare nel periodo di Jena: la soggettività come centro motore dell’impegno civico dell’uomo che si auto-determina liberamente e liberamente si inserisce nella società per esercitare la propria azione. Fiche rappresenta per Hölderlin un ideale nobile che si regge su un presupposto debole, cioè la supremazia dell’azione che è l’intima forza generatrice dell’Io e quindi della storia stessa. Per Iperione, invece, la volontà non può garantire la piena razionalità e la corrispondenza dell’esito raggiunto nell’azione con il quadro ideale e spirituale di partenza. Per i due amici i fni non sono eterogenei, ma non sono nemmeno garantiti dalla semplice acquisizione formale della regola. Per Iperione occorre l’intuizione, la pienezza di una vita spirituale in cui si colga l’unità che regge la na-

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tura e l’uomo (compresa la storia). Per Alabanda occorre agire e eliminare gli ostacoli che si interpongono al compimento del loro sogno di ripristinare il mondo eroico della Grecia classica. entrambi condividono la dottrina platonica «così meravigliosamente sublime dell’invecchiare e del ringiovanire» (p. |633|) che consente loro di elaborare piani di riscatto per la Grecia attuale, totalmente decaduta e «profanata». eppure, l’unico a parlare di politica e del ruolo dello Stato è proprio Iperione, che ci crede poco: tu concedi allo Stato comunque troppo potere. non può esigere ciò che non può estorcere con la forza. Ma ciò che donano l’amore e lo spirito, non si può estorcere. Che lasci stare queste cose, oppure si prenderà la sua legge e la si metterà alla berlina! Per il cielo, non sa nemmeno quale peccato commette chi vuole fare dello Stato una scuola di morale. Il fatto che l’uomo volesse fare dello Stato il suo cielo lo ha reso un inferno. (p. |636|)

Lo Stato ha forme istituzionali che non devono intaccare il libero dispiegarsi delle coscienze, della cultura, della ricerca della verità, pena il ridicolo a cui si esporrebbe intervenendo in cose che non pertengono alle sue funzioni.18 18

Cose simili le aveva dette Kant sia (più in generale) nell’articolo segreto per la pace perpetua, nel quale si suggerisce la libertà di pensiero e si indica la funzione sociale del flosofo (cfr. Kant: per la pace perpetua, pp. 119-121), sia nel Confitto delle facoltà (pubblicato nel 1789), in cui si dice: «esso [il governo] infatti non insegna, ma si accontenta di comandare a quelli che insegnano (a prescindere dal problema della verità), perché questi, all’atto di entrare in carica, vi hanno acconsentito pattuendo col governo un contratto. – un governo che s’intromettesse nelle dottrine e quindi anche nell’ampliamento e nel perfezionamento delle scienze, che riservasse di conseguenza al sovra-

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Proprio per questo la storia delle istituzioni create da un popolo non può né indicare le tappe di un progresso lineare, né offrire un quadro di riferimento per formulare delle previsioni: Pioggia del cielo, entusiasmo! tu ci riporterai la primavera dei popoli. Lo Stato non può ordinarti di venire. Ma se non ti disturberà tu verrai, verrai con le tue gioie onnipotenti, ci avvolgerai in nuvole dorate e ci innalzerai sopra la caducità, e noi ci stupiremo e ci domanderemo se siamo ancora vivi, noi miseri che chiedevamo alle stelle se forisce anche per noi lassù una primavera… Mi chiedi quando avverrà tutto ciò? Quando la favorita del tempo, la più giovane e bella tra le fglie del tempo, la nuova chiesa, sorgerà da queste forme invecchiate e logore, quando il sentimento del divino, destato, riporterà all’uomo la sua divinità e al cuore la bella giovinezza, quando... non so annunciarla perché la intuisco appena, ma verrà di certo, lo so. La morte è il messaggero della vita, e il fatto che ora dormiamo nei nostri letti di malati è prova di un prossimo, sano risveglio. Allora, solo allora vivremo, allora avremo trovato l’elemento degli spiriti! (p. |637|)

Per il cambiamento sociale, la maturazione di nuove condizioni di rinascita di un popolo affitto, come quello greno la parte del dotto, per questa pedanteria fnirebbe col perdere il rispetto che gli è dovuto, ed è al di sotto della sua dignità accomunarsi al popolo (alla sua classe dotta), che non intende scherzi e pettina tutti a un modo coloro che nelle scienze s’immischiano» (Kant: Il confitto delle facoltà, pp. 69-70). Dietro l’ironia di Kant c’è la denuncia della situazione paventata da Iperione e che si era concretamente verifcata in Prussia durante il decennio di regime di Federico Guglielmo II.

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co al tempo di Iperione, occorre il libero dispiegamento dello spirito, la flosofa prima ancora dell’ideologia. una flosofa a cui votarsi come una religione e che è sentita da Hölderlin come compito prioritario in vista del regno universale della libertà e dell’uguaglianza.19 L’elemento utopico che compare a questo punto è da valutare con grande attenzione, perché non implica di per sé una proiezione in un territorio sovra-politico degli ideali di Iperione; esso viene invece collocato su un piano d’azione nel quale la promessa dell’avvento della nuova epoca si scontra con l’insondabilità del processo storico e la caducità dell’azione umana: l’accenno all’impossibilità di annunciare il cambiamento, che si riduce a una pura intuizione, mette in luce il carattere irresoluto dello stesso discorso di Iperione. Di ciò si accorge Alabanda che gli dà del «sognatore», innescando l’inizio di un dissapore fra i due che segnerà tutta la loro vicenda, dal momento che Iperione sente traditi i propri ideali proprio dall’uomo nel quale più si è riconosciuto e con il quale più si è unito. La fgura di Alabanda, da quel momento, entra in un fascio di luce che ne mette meglio in risalto il cinismo e la pura impronta pratica, la sua capacità di suscitare sentimenti forti, ma al tempo stesso di mantenersi distaccato e calcolatore. Due modi completamente opposti di affrontare il compito e il ruolo della storia. In Iperione vive il sentimento del consenso aperto e spontaneo alle forze vive e attive della storia che agiscono in nome e per conto di ideali di giustizia e libertà, che non possono prescindere da lealtà, trasparenza e verità: per Iperione la storia muta sotto la 19

Ideali condivisi anche con Hegel e Schelling e che fgurano nel più antico programma di sistema dell’idealismo tedesco, scritto a più mani all’incirca nel 1796 (cfr. nota 98 al testo, con i relativi rimandi bibliografci).

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spinta dei valori. Alabanda al contrario non è uno spettatore in senso kantiano,20 ma un attore della storia, un audace che, come ha lasciato già intendere, non rifuta la violenza. Iperione scopre che egli fa parte della Lega di nemesi, la società segreta a cui appartengono i tre uomini che fanno la loro comparsa a questo punto del racconto. Hölderlin associa la fredda determinazione di Alabanda alle logiche cospirative delle società segrete, delle quali conosceva i meccanismi21 e che esplicitamente rifuta nel romanzo perché servono un’idea di progresso che rimane inespressa e che non è ispirata autenticamente alla libertà e all’emancipazione, dal momento che i loro stessi membri sono asserviti a perseguire scopi non sempre esplicitati e a seguire ciecamente superiori che rimangono per lo più 20

La tendenza morale del genere umano nella storia è dimostrata, secondo Kant, da avvenimenti che non consistono «in importanti fatti o misfatti compiuti dagli uomini, in azioni che sviliscono ciò che tra essi fu grande o innalzano ciò che era vile, e nemmeno nel modo in cui scompaiono come per incanto antiche, splendide costruzioni politiche, e altre al posto loro ne sorgono quasi uscendo dalle viscere della terra. no; nulla di tutto questo. Si tratta solo del modo di pensare degli spettatori, che in questo gioco di grandiose trasformazioni si palesa pubblicamente e manifesta a gran voce una generale e tuttavia disinteressata simpatia per i giocatori d’una parte contro quelli dell’altra, nonostante il rischio che lo spirito di parte possa risolversi in un non piccolo danno» (Kant: Il confitto delle facoltà, p. 165). 21 negli ultimi anni la ricerca sull’infuenza delle cerchie massoniche all’interno della cultura tedesca, in particolare del tardo Settecento, si è molto ampliata recuperando temi che la storiografa precedente aveva in parte tralasciato nonostante la larghissima diffusione della massoneria. Hölderlin, come tutti gli intellettuali del tempo, aveva relazioni dirette con molte fgure affliate, ma anche con persone che nutrivano molta diffdenza circa le fnalità celate e la struttura organizzativa delle società segrete, per defnizione poco trasparenti (cfr. Macor: Friedrich Hölderlin tra illuminismo e rivoluzione, pp. 122-124).

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nell’ombra, violando in tal modo il principio di lealtà e di verità. non mancano di una certa nobiltà e alta ispirazione, nonché di un certo tormento interiore, come Hölderlin tiene a precisare descrivendo brevemente il carattere dei tre esponenti della Lega di nemesi che irrompono sulla scena proprio nel momento in cui si incrina il rapporto fra Iperione e Alabanda. ognuna delle tre fgure rappresenta una sorta di stadio morale ed emotivo: il primo è cinico, tutto intelletto, privo di sentimenti; il secondo invece è duro di cuore; il terzo, infne, è combattuto e la sua freddezza è puro effetto della convinzione, della persuasione, ma non di un’intima adesione (cfr. pp. |637-638|). Sono impostori, Iperione lo percepisce subito, anche se in apparenza hanno le stesse ambizioni sue e di Alabanda. Innegabilmente c’è in loro qualcosa che appartiene anche ai due giovani amici e non a caso lo stesso Iperione aveva poco prima rivendicato per sé e per Alabanda il ruolo di «messaggeri di nemesi» (p. |632|), purifcatori della terra, cioè lo stesso intento che anima la Lega di nemesi e che uno dei tre inquietanti personaggi formula così: non lo diciamo per il nostro bene, [...] ma per il vostro! non chiediamo in elemosina l’amore dell’uomo, perché non abbiamo bisogno del suo amore né della sua volontà. Perché non sono mai contro di noi, anzi: sono tutti per noi, e gli stolti, gli intelligenti, gli ingenui, i saggi e tutti i vizi e le virtù della grossolanità e dell’educazione sono al nostro servizio, senza bisogno di chiederlo, e collaborano ciecamente al raggiungimento del nostro scopo. (p. |639|)

Il progresso storico, già di per sé problematico, diventa impossibile alla luce di questa prospettiva deterministica

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che soffoca lo slancio ideale nello stretto condotto di un fnalismo basato sulla cieca fducia in un obiettivo incerto e, dal punto di vista di Hölderlin, irrazionale. In questa prospettiva di flosofa della storia che si scaglia contro un certo facile ottimismo illuministico, Hölderlin riscatta, forse contro le sue stesse intenzioni, uno dei valori fondanti la stessa Aufklärung, vale a dire l’alta ispirazione morale che deve essere alla base di un’emancipazione universale.

La storia come piano d’azione Quest’emancipazione non è affdata all’azione umana, almeno non a quella che si regge sulla supremazia, tutta settecentesca e tutta tedesca, della ragione pratica su quella speculativa. tutto il romanzo di Hölderlin è basato su quest’idea fondamentale: l’azione umana non può vincere le condizioni avverse che incontra, non a causa del destino, ma perché nell’azione l’uomo perde di vista il fne verso il quale è diretto e le passioni contingenti vincono quelle di carattere universale. La volontà umana non ha carattere fnalistico, non segue gli itinerari della storia, ma è forza originaria che mette in atto la dialettica delle dissonanze, che proietta l’uomo su una traiettoria eccentrica. essa non può certo valere come stato inconscio, ma assume il ruolo di incontrastato bisogno razionale di una condizione più elevata, la quale però non può essere raggiunta sul piano pratico ma su quello metafsico, più propriamente su quello estetico. Il fne dell’uomo, anche dell’umanità organizzata per certi versi, non è quello di agire, ma di spiegare e illustrare le ragioni e le dinamiche del suo patire, superare le condizioni di ciò che è possibile per intercettare quelle di ciò che è necessario, vale a dire andare oltre la misura dell’intelletto per

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giungere alla ragione, come è detto nel famoso frammento (forse eccessivamente sopravvalutato dalla storiografa, ma in ogni caso signifcativo) di Giudizio ed essere.22 L’azione che l’uomo è chiamato a compiere non rientra in un progetto politico e storico (per il quale caso mai è fondamentale il concetto di libertà inteso come radicamento del rapporto originario dell’uomo con il proprio ambiente, e prima ancora con la natura), ma è una sorta di processo di interiorizzazione teso a svolgere un compito fondamentale: Porre fne all’eterna opposizione fra noi stessi e il mondo, ristabilire la pace oltre la pace, che sorpassa ogni intelligenza, ricongiungerci alla natura formando un unico tutto infnito: questo è il fne di tutto il nostro desiderare, che lo capiamo o meno. Ma né il nostro sapere né il nostro agire giungono mai in alcuna fase dell’esistenza là dove l’opposizione ha fne, dove tutto è uno; la linea limitata si unisce a quella illimitata solo in un’approssimazione infnita. (p. |558|)

Il ‘tendere verso’, che nella prospettiva kantiana è declinato in relazione alla superiorità della ragione pratica e alla complessa criteriologia morale derivante dall’assunzione dell’imperativo categorico, diventa nella tesi di Hölderlin una costrizione antropologica più che un impegno di natura etica e civile. L’approssimazione infnita, infatti, non sta 22

«non si dà per noi alcuna possibilità di pensare ciò che non è già stato reale. Per tale motivo anche per gli oggetti della ragione, giacché non si presentano mai nella coscienza come ciò che dovrebbero essere, non vale affatto il concetto di possibilità, ma solo quello di necessità. Il concetto di possibilità vale per gli oggetti dell’intelletto, quello di realtà per gli oggetti della percezione e dell’intuizione» (Hölderlin: Scritti di estetica, p. 52).

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a indicare (o non soltanto perlomeno) l’inanità dell’azione umana e della storia in generale, ma una specifca condizione che rende l’uomo ciò che è: animale razionale desiderante l’unità di vita e spirito. Mancando centri di orientamento sicuri e affdabili, l’uomo indirizza la sua ragione desiderante verso mete e fni che si pone come prioritari, ma che in ragione della loro inadeguatezza rispetto all’obiettivo dell’unità di vita e spirito, fniscono per diventare (implicitamente o esplicitamente) semplici interessi privati contro i quali si infrange ogni azione storica, ogni ambizione individuale. È importante sottolineare che per Hölderlin questo tratto antropologico è segnato dalla scomparsa, sulla scena della storia, della Grecia come modello in grado di regolare lo iato vita-spirito attraverso il mito e l’arte. Questa concezione è alla base del nichilismo di Hölderlin riguardo all’uomo moderno, il quale non sembra più capace di dare senso alla propria azione storica, che appare quindi priva di carattere razionale, dispersiva e irrita: Poveri voi che lo percepite, voi che come me non osate parlare di vocazione dell’uomo, voi che come me siete completamente sopraffatti dal nulla che domina sopra di noi, voi che capite fno in fondo che siamo nati per il nulla, che amiamo il nulla, crediamo nel nulla, ci consumiamo lavorando per nulla, per poi confuire nel nulla… (pp. |649-650|)

A questa situazione il poeta cerca di porre rimedio attraverso la sua meditazione nostalgica, grazie alla quale precisa la posizione dell’uomo nei termini di un decentramento che trova espressione più adeguata nel tono elegiaco.23 23

L’Iperione è un romanzo di intonazione elegiaca, in cui dominano il rimpianto e la disillusione, ma anche la forza di ricercare in chia-

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L’uomo non può uscire dall’agone dell’azione perché intrappolato nell’ingranaggio del desiderio, nel bisogno di ‘unifcazione’ che lo spinge a operare per un obiettivo impossibile (ragione per cui la sua azione è vana), ma che al tempo stesso tiene viva la speranza, la tensione che alimenta il desiderio stesso. Per questo il motivo dell’amore, come espressione del desiderio, è presente nel romanzo non soltanto nelle pagine di carattere metafsico o più specifcamente amorose, ma anche in quelle in cui al centro dell’interesse vi è la storia e l’azione politicamente orientata.24 Anche l’amicizia rientra in questa stessa prospettiva, secondo il classico modello platonico ampiamente ripreso nel secondo Settecento all’interno di tutte le correnti letterarie e flosofche che si richiamavano al sentimento. Armodio e Aristogitone sono evocati come caso esemplare di amicizia unita anche nella lotta politica, e non a caso, dal momento che, nella visione di Hölderlin, la politica da sola porta a un più crudo nichilismo. nel nome dei due amici ateniesi Iperione formula il suo progetto di cambiamento e di azione politica, e lo fa in presenza di Diotima,

ve fenomenologica una nuova forma di comprensione della natura umana, senza arretrare davanti al dolore della condizione in cui questa versa né davanti al disorientamento che essa prova, dal momento che l’uomo vive in costante vicissitudine dell’alternanza: «Spesso ci sembra che il mondo sia tutto e noi nulla, spesso ci sembra invece che noi siamo tutto e il mondo nulla» (p. |559|), viene detto nella prefazione alla penultima stesura di Iperione. 24 Si legga, per esempio, ciò che dice Iperione parlando del suo tempo in un momento di sconforto, dopo la lite con Alabanda: «Prima invece, questo secolo mi appariva spesso come il vaso eternamente vuoto delle Danaidi, e la mia anima si riversava in esso con amore smisurato per colmarne i vuoti; ora non scorgevo più alcun vuoto, la noia di vivere non mi opprimeva più» (p. |647|).

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che con il suo amore evidentemente riaccende le speranze sopite del giovane: Questa è anche la mia speranza, il mio conforto nelle ore solitarie, che note nobili come quelle, o ancora più nobili, dovranno prima o poi tornare nella sinfonia del mondo. L’amore ha partorito millenni ricchi di uomini autentici, l’amicizia li partorirà di nuovo. Dall’armonia dell’infanzia hanno avuto un tempo origine i popoli, l’armonia degli spiriti segnerà l’inizio di una nuova storia del mondo. Dalla felicità vegetale sono scaturiti gli uomini e sono cresciuti, cresciuti fno alla maturazione; da allora in poi continuarono a fermentare incessantemente, all’interno e all’esterno, fnché il genere umano, completamente disciolto, si è ridotto a un caos, tanto che tutti quelli che ancora sentono e vedono sono presi da vertigine; ma la bellezza è fuggita dalla vita degli uomini, su nello spirito; ciò che era natura diviene ideale, e se alle radici l’albero è seccato e avvizzito, in alto ha prodotto ancora una cima fresca che verdeggia al sole, come una volta il tronco ai tempi della giovinezza; ciò che era natura è ideale. In questo ideale, in questa divinità ringiovanita, si riconoscono quei pochi, e sono uniti perché c’è una sola cosa in loro, e da questi, da questi inizierà la seconda età del mondo... Ho detto abbastanza per farvi capire come la penso. (pp. |667-668|)

non è l’azione che regge le sorti degli uomini, ma l’amore. ed è proprio per questo che Diotima concentra in sé sia la fgura dell’amata che scuote, suscita, infamma, sia quella della ragione (per così dire e per come la intende Hölderlin) che porta a coscienza, chiarifca, appiana. La voce di Diotima è quella di un’intuizione intellettuale

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che consegna a Iperione il suo destino, il suo compito, la sua vocazione come uomo. Se Adamas è il maestro che gli ha attribuito un’identità e un compito, Diotima è colei che gli conferisce l’essenza, la visione chiara del suo essere sottratto all’ordine geometrico della luce e sottoposto invece all’ordine polimorfco della famma, che rischiara ma prende direzioni diverse e dà corpo anche alle ombre. Dopo aver raccontato le sue vicissitudini (che egli stesso comprende soltanto fno a un certo punto, sentendosi schiacciato da un destino che lo vuole in continua perdita di ciò che ha potuto e saputo conquistare), Diotima rivela a Iperione ciò che egli deve sapere della propria vita: «non scherzare sul tuo destino, né sul tuo cuore, perché li capisco, e meglio di te!» (p. |671|). La chiave della continua e contestuale alternanza che contraddistingue l’uomo viene colta da Diotima con la chiarezza (intuitiva, sensibile) di chi sa leggere la fligrana della storia umana impressa nella storia individuale dell’amato: tu non volevi uomini, credimi, tu volevi un mondo. La perdita di tutti i secoli d’oro così come tu li percepivi, compressi in un unico istante felice, lo spirito di tutti gli spiriti di un tempo migliore, la forza di tutte le forze degli eroi, tutto questo doveva dartelo un singolo, un uomo! Vedi quindi come sei povero e come sei ricco, perché devi essere così orgoglioso e insieme così abbattuto, perché la gioia e il dolore si alternano in modo così terribile in te? È per questo, perché tu hai tutto e niente, perché il simulacro dei giorni dorati che verranno ti appartiene, eppure non esiste, perché tu sei cittadino delle regioni della giustizia e della bellezza, sei un dio in mezzo agli dei nei sogni più belli che si insinuano in te di giorno, ma quando ti riscuoti sei

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sul suolo della Grecia moderna. [...] Vuoi saperlo? Ho paura per te, tu fai fatica a sopportare il destino del nostro tempo. Farai altri tentativi, cercherai... (pp. |671-672|)

La certezza delle idee poste a fne dell’agire (i sogni più belli) si infrange nelle mille schegge della realtà presente, inadeguata e sfuggente (la Grecia moderna). L’amore inteso come desiderio imperioso di agire è impulso, ma può essere anche riposo. ed è nell’amore per Diotima che Iperione crede di poter placare le sue ansie e di trovare la pace che cerca. Ma è Diotima stessa che, in quanto rivelatrice della perenne dialettica della vita, rivela a Iperione la strada da seguire: «devi scendere nel paese dei mortali, devi illuminare come Apollo, scuotere, animare come Giove, altrimenti non sei degno del tuo cielo» (p. |692|) e gli addita anche l’obiettivo da perseguire. «Ma che cosa posso fare per loro?», chiede Iperione riferendosi ai greci moderni: «Da’ loro quello che hai in te. [...] Vai in Italia, [...] in Germania, in Francia [...], e selezionerai solo le cose più importanti e più belle. [...] Poi educherai il nostro popolo, e sarai un grande uomo, spero» (pp. |692-693|). L’atto eroico che Diotima prefgura per Iperione non è rivoluzionario, non è imposizione dall’alto di un ordine di cose che i greci moderni (modesti, mansueti e assopiti come sono) non capirebbero, ma è morale, educativo, perché è l’unico che potrebbe dare una nuova maturità al popolo, una nuova consapevolezza di sé. L’interesse per la storia, in ogni caso, non sembra motivato in Hölderlin soltanto da una vena flosofca storicizzante, secondo i modelli più o meno diffusi della storia universale, ma anche da una predominante metafsica che caratterizza tutto il romanzo: la stretta unità che tiene insieme

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le cose, gli animi, i fatti, i pensieri e ogni altro aspetto della realtà. Il principio (quasi spontaneo) della totalità investe la natura e la storia allo stesso modo e quasi con le stesse leggi: la differenziazione della natura che nutre il tutto è la stessa regola che vige nella storia, che unisce sorti e destini di antichi e moderni, degli uomini invasati dalla violenza e di quelli che promuovono mutamenti più profondi. Sebbene con forti accenti di discontinuità, Hölderlin si muove nella sfera dell’agire morale e di una Bestrebung che costituisce la cifra riconoscibile di tutta intera la traiettoria dell’Aufklärung da Christian thomasius in poi. Il fatto che la fducia nell’affermazione della morale sia accompagnata da una Begeisterung, da un atteggiamento di entusiasmo soggetto a una gamma diversifcata di toni, dai più malinconici ai più esaltati, non ne limita lo spettro di interesse né il campo d’azione. Ciò che caratterizza autori come Hölderlin è la cura nel descrivere i processi che vengono attivati nella coscienza dell’uomo in quanto soggetto a impulsi di natura diversa, e il tentativo di fornirne una rappresentazione in chiave fenomenologica, senza fare sconti alla faticosa costruzione di senso, che passa attraverso momenti di dolorosa presa di coscienza della perdita di senso della realtà circostante.

Storia e attualità I rapporti di Hölderlin con la Rivoluzione francese sono ormai molto studiati.25 nel romanzo Hölderlin mantiene uno sguardo aperto nei confronti dell’aspirazione alla li25

Per una ricognizione al riguardo si veda Macor: Friedrich Hölderlin tra illuminismo e rivoluzione, pp. 13-59, che esamina la storio-

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bertà e all’autonomia, ma in una modalità che cerca sempre di tenersi lontana dall’accettazione di violenze ingiustifcabili (che è, come si è visto, anche uno degli aspetti del rifuto dell’azione). La Rivoluzione francese o per meglio dire gli ideali che sottende sono validi a chiarire che l’uomo si muove sempre nella direzione che gli viene indicata da alti valori umani e civili, sebbene poi non abbia mai la capacità e la possibilità di attuarli senza generare dolore intorno a sé e insoddisfazione. In un clima culturale in cui dominano sentimenti di adesione e sospensione del giudizio, si affaccia la fgura dello spettatore degli eventi storici che è in grado di veicolare le aspirazioni espresse dalla rivoluzione, senza necessariamente sposarne la causa immediata. Questa fgura, introdotta come si è accennato da Kant, pone le fondamenta non soltanto per un’accezione più moderna di opinione pubblica, ma anche per un’idea di storiografa dotata di maggiore consapevolezza politica e in qualche modo sganciata dalle rigide regole dell’annalistica. L’uomo si impadronisce delle piazze così come si impadronisce dell’arena delle idee e della valutazione dell’attualità. L’uomo colto e l’intellettuale tedesco del tempo, se non completamente assorbito dalla sua erudizione, svela l’intreccio tra la politica mestierante e la tensione civile e pratica che dovrebbe ispirarla. In un cocente e animato dibattito sul rapporto fra teoria e pratica che interessa i primi anni ’90, si scoprono le carte del confitto fra politica come professione e politica come aspirazione ideale. Christian Garve nel 1788 faceva osservare che se è vero che «per un verso è dovere del flosofo non derogare per nulla, almeno grafa a partire dalle prime prese di posizione sul tema da parte di Pierre Bertaux.

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in teoria, dalla giustizia e dalla rigorosa virtù», per un altro verso «è una massima della ragione di non esigere nulla di impossibile, perché altrimenti anche le dottrine più atte a venir praticate saranno poste in non cale dalle persone che presiedono agli affari».26 nel 1793, ossia in un’epoca già fortemente segnata dagli esiti della rivoluzione, Kant replica a questo ragionamento facendo notare che, se la teoria risulta inadatta a tradursi nella realtà, è per via del fatto che non vi è abbastanza teoria, che essa deve essere perfezionata con la ricerca. L’esperienza in questo campo può spesso essere soltanto maestra di pratiche pessime, ma ciò che più conta è che quando la pretesa superiorità della tecnica politica sulla morale autenticamente pratica prende il sopravvento fno a diventare una cifra storica dell’attualità, occorre reagire con forza. L’attacco di Kant, con i suoi tipici accenti sarcastici, è preciso e sferzante: dividerò questa trattazione [il saggio del 1793 sulla teoria e la pratica] secondo i tre diversi punti di vista dai quali il galantuomo, che con tanta sicumera parla della teoria e della pratica, si pone per giudicare il suo oggetto, cioè nella triplice qualità: 1) di uomo privato, che sia però uomo d’affari; 2) di uomo politico; 3) di uomo cosmopolitico o di cittadino del mondo in generale. Queste tre persone sono concordi nel dare addosso all’uomo della scuola, che per essi tutti, e per il loro meglio, elabora teorie; e, presumendo di intendersene di

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Christian Garve fu flosofo popolare molto ammirato da Kant, che però non condivideva la necessità di vedere unite morale e politica. Il brano citato è tratto dal Saggio sul rapporto della morale con la politica, e lo si può leggere in Kant: Scritti politici e di flosofa della storia e del diritto, p. 575.

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più, vorrebbero rimetterlo nella sua scuola («illa se iactet in aula!»), come un pedante che, inutile per la pratica, è solo di ingombro alla loro consumata esperienza.27

Kant, a suo modo, avversa come Hölderlin la riduzione della pratica ad abilità, perché questa attinge all’esperienza ciò che invece dovrebbe immettervi: il progetto morale e politico. Ciò che li divide non è questa comune esigenza di affermazione delle istanze migliori dell’umanità, ma la differente sensibilità nei riguardi della scissione che affigge l’uomo singolo e la società, la vita e la storia, in questa tensione e lotta perenni fra intenzione e azione. Il cittadino del mondo, l’uomo cosmopolitico di cui parla Kant è rappresentato da Moses Mendelssohn, forse la più alta espressione dell’Aufklärung di fne secolo, per il quale l’umanità non progredisce verso il meglio, ma «oscilla costantemente tra limiti prefssati», di modo che si conserva inalterato lo stesso grado di «eticità, lo stesso grado di religione e di irreligiosità, di virtù e di colpe, di felicità e di miseria».28 Mendelssohn suggerisce di attenersi ai fatti e di non abbandonarsi a ipotesi, di guardare alla storia, «a ciò che è accaduto da sempre». La storia propone uno schema in base al quale si può giungere a una sola conclusione, vale a dire che la maggior parte delle nazioni della terra vivono per molti secoli allo stesso livello di civiltà, nella 27

Kant: Scritti politici e di flosofa della storia e del diritto, p. 240. Mendelssohn: Jerusalem, pp. 112-113. La versione originale del testo è disponibile nella banca dati del Deutsches Text Archiv, all’indirizzo: http://www.deutschestextarchiv.de/book/show/mendelssohn_ jerusalem_1783 (il passo citato è a p. 47). 28

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stessa foca luce che al nostro occhio disabituato sembra troppo debole. talvolta si accende un punto nella grande massa, diventa una stella lucente e percorre un’orbita che, dopo un periodo talvolta corto, talvolta lungo, torna al punto di partenza, al precedente luogo di quiete, o non molto lontano da esso.29

naturalmente bisogna tener conto del fatto che Mendelssohn, scrivendo nel 1783, parla prima degli eventi rivoluzionari che agiteranno la passione politica di Kant come di Hölderlin. tuttavia la sua posizione di pensiero consente di fssare, sebbene in modo instabile, alcuni punti intorno ai quali ruotano le valutazioni di Hölderlin sulla Rivoluzione francese. Mendelssohn rintraccia una sorta di equilibrio nella storia dell’umanità che sembra incapace di affermare e realizzare un effettivo progresso. Il pensatore illuminista rinuncia in questo modo alla visione ottimistica propria del suo tempo e della sua cultura, e fnisce col giungere a una concezione della storia alquanto vicina, se non simile, a quella del poeta immerso in una prospettiva platonica che tende a spezzare i vincoli formali e istituzionali dell’Aufklärung. Anche per Hölderlin, sebbene in una modalità del tutto differente, l’uomo rimane quasi fermo in una sorta di equilibrio che lo condanna alla sofferenza della disillusione. Kant, al contrario, il massimo esponente di un formalismo trascendentale vissuto dai suoi critici come estraneo e vuoto, privo di energia e di potenza vitale, proprio sul piano del giudizio politico e storico sugli avvenimenti che agitano il mondo in quegli anni si lancia in una difesa impetuosa dello slancio morale e civile che 29

Ivi, p. 112.

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l’uomo conserva nonostante le sue sconftte. Con spirito platonico, al quale peraltro nella sfera della flosofa del mondo egli si era sempre mantenuto fedele, lancia una chiarissima offensiva alle posizioni di Mendelssohn: «io sono d’altra opinione», afferma senza mezzi termini: se è spettacolo degno di una divinità vedere un uomo virtuoso lottare contro le avversità, contro le tentazioni del male, e ciò malgrado rimanere fermo di fronte ad esse, è d’altra parte spettacolo altamente indegno, non voglio dire di una divinità, ma dell’uomo più comune, purché ben pensante, vedere la specie umana fare di periodo in periodo progressi verso la virtù e tosto ricadere nuovamente nel vizio e nella miseria.30

Kant parla dall’alto della coscienza del dovere morale nella sua declinazione storica, cioè il dovere verso le generazioni future. L’impeto che investe Iperione nelle fasi in cui si sente chiamato a una rigenerazione degli immortali ideali greci si conforma a questo dovere, specie sotto la spinta della saggezza naturale (e perciò stessa perfetta e sublime) di Diotima, che lo spinge a un’opera di educazione dei giovani e del popolo greco ridotto in schiavitù. Se, quindi, per un verso Hölderlin nutre, con Mendelssohn, una sfducia motivata nei riguardi della storia e dell’azione umana, per l’altro egli condivide con Kant l’irrinunciabile aspirazione a realizzare l’opera della ragione. Ciò che separa Kant da Hölderlin, come si accennava poc’anzi, è la tensione nei riguardi della sofferta coscienza che l’uomo sente in sé in relazione alla scissione tra ideale e fattuale. non che Kant mostri insensibilità su questo 30

Kant: Scritti politici e di flosofa della storia e del diritto, p. 275.

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piano, dal momento che riconosce quanto possa essere «commovente e istruttivo guardare per un certo tempo […] questo spettacolo tragico», ma senza indugiarvi troppo, perché a lungo andare questo spettacolo rischia di trasformarsi in una farsa, della quale forse possono non stancarsi gli attori «perché sono pazzi», ma che certamente non è tollerata dallo «spettatore, il quale ne ha abbastanza dell’uno o dell’altro atto, quando ha motivo di presumere che l’opera, non andando mai alla fne, sia eternamente la stessa».31 Il drammatico scenario della Rivoluzione nel 1793, l’anno in cui Kant scrive, era andato ben oltre i limiti della farsa, ma la violenta e ingovernabile virata degli eventi non aveva scalfto il suo giudizio sulla portata morale dell’evento. L’adesione va ben al di là della compromissione, ed è questo che rese storica e universale la cronaca di un’attualità cruenta e imprevedibile. La Rivoluzione francese offrì per la prima volta all’uomo moderno la possibilità di giudicare la storia non per le conseguenze su un particolare Stato, su una nazione o su un popolo determinato, ma per gli effetti su un’intera comunità umana, sull’uomo in generale. L’osservatore del tempo era alle prese con concetti che non erano più semplicemente astrazioni ideali (libertà, uguaglianza, fratellanza), ma principi che investivano concretamente l’uomo europeo: la libertà non come mera rivendicazione ma come esercizio generalizzato del giudizio politico da parte di ogni singolo uomo di ogni singolo Stato; l’uguaglianza non come diritto da sancire legalmente, ma come partecipazione universale alle sorti dell’umanità; la fratellanza non come appartenenza a una circoscritta cerchia di uomini, ma come condivisione di 31

Ibidem.

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un’esperienza che coinvolgeva tutti gli Stati europei. Prima ancora di essere obiettivi rivoluzionari, quelle tre parole d’ordine costituivano il campo sul quale si manifestava e prendeva corpo il dibattito sulla rivoluzione e i suoi effetti. Proprio per questo suo decisivo impatto ideale, la Rivoluzione francese è vissuta da Hölderlin come espressione di due cose molto chiare: per un verso, in quanto volta a imporre una forma statale e una serie di provvedimenti di carattere più strettamente politico, non riveste particolare interesse se non quello immediato per l’uomo che sente il peso e la portata delle istituzioni; per un altro verso, in quanto rappresentazione plastica della libertà cui l’uomo aspira, rappresenta il punto in cui l’azione si riannoda alla sua fonte, all’idea. Assieme a Hegel e a Schelling, Hölderlin aveva condiviso un progetto relativo all’opera umana che si poneva alcuni obiettivi di fondo. Innanzitutto superamento dell’idea di Stato, perché esso è «qualcosa di meccanico» e della macchina non si dà alcuna idea: «dobbiamo dunque oltrepassare anche lo stato! ogni stato, infatti, non può non trattare uomini liberi come rotelle di un meccanismo; ma non deve farlo; perciò deve fnire».32 L’idealismo dei tre irruenti amici scava un solco ancora più ampio tra teoria e pratica, tra politica e morale, di quanto non avesse fatto qualche anno prima Kant, dal quale si distaccano perentoriamente, dal momento che lo stesso progetto per la pace perpetua è visto come una proposta politica essa stessa, e dunque in questo senso espressione di idee che sono «subordinate a un’idea più elevata», defnitivamente distante dall’opera umana. Rifuto della politica come ordinamento di istituzioni, così come era stata 32 Hegel – Schelling – Hölderlin: Il più antico programma di sistema dell’idealismo tedesco, pp. 21-23.

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concepita dall’Illuminismo, ma anche rifuto della storia, della quale occorre «mettere completamente a nudo tutta la miserevole opera umana di stato, costituzione, governo, legislazione».33 La dissoluzione che viene invocata in queste poche righe è una forma di rigenerazione che Hölderlin ritiene possibile proprio sulla scorta del disordine generale provocato dal terrore. ne scrive a Johann Gottfried ebel nel gennaio 1797: c’è ancora una consolazione nell’assistere alla dissoluzione generale, vale a dire una «nuova giovinezza del mondo»34 nata dall’abbattimento dell’ordine. Le infnite contraddizioni e i contrasti in cui si dimena l’uomo mettono in luce solo la millesima parte del caos in cui è caduto. «Ma così dev’essere! Questo carattere della parte conosciuta del genere umano è senz’altro messaggero di cose straordinarie. Io credo in una prossima rivoluzione delle intenzioni e del modo di pensare che farà arrossire di vergogna tutto ciò che è stato fnora».35 non sarà certo un confitto sociale o una guerra a soddisfare quest’esigenza, perché il cambiamento non è l’obiettivo principale di Hölderlin, che nella Giovinezza di Iperione denuncia l’inutilità e l’intrinseca pericolosità di un’azione compiuta per cambiare lo stato delle cose in una società che chiama a raccolta soltanto per instaurare un clima di sospetto reciproco, «dove bisogna coprire timorosamente ogni innocente nudità, dove l’altro per quanto tranquillo e amichevole, spia comunque sospettoso ogni tuo movimento, perché potrebbe essere un attacco nemico, e in questa piccola e stupida guerra le forze vengono annientate senza scampo» (p. |545|). All’immagine di matrice schilleriana che Dio33

Ibidem. MA, vol. II, p. 643. 35 Ibidem. 34

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tima propone vagheggiando una società in cui «tutti gli animi si uniscono in una verità, si riconoscono in una bellezza, ah, quando si cammina insieme, mano nella mano, tra le braccia dell’infnito…» (p. |545|), Iperione oppone la cruda realtà dell’attualità, che vede gli uomini scossi in una lotta priva di progettualità, incoerente: «tu sei fortunata, vieni a contatto solo raramente con il presente, non lo hai mai sperimentato come ho dovuto fare io» (p. |546|). Ma Diotima lo riporta al di qua dello scetticismo che nasce proprio dall’altezza del compito imposto dall’aspirazione alla libertà e rivendica lo spirito di fratellanza, per così dire: «Ah, sono comunque uomini […] quei poveretti che lottano fno all’ultimo davanti a noi e si consumano nelle pene, senza sapere perché; infatti, l’unica cosa necessaria non appare loro, e vorremmo così tanto aiutarli…» (pp. |546-547|). La partecipazione, la condivisione solidale di una sorte incerta rappresentano una base di giudizio degli esiti della Rivoluzione francese diversa da quella prospettata da Kant, il quale non a una forma di sensibilità morale pensava, ma a una rifessione razionale su ciò che accomuna gli attori della storia ai suoi spettatori. A questa forma di empatia si accompagna nella versione defnitiva del romanzo un più lucido disegno educativo, sempre ispirato a una nuova rinascita dalle radici dell’umanità (cfr. p. |692|). Diotima è ancora fortemente colpita dalla desolazione del suo paese e invita Iperione a guardarsi intorno, a entrare in sintonia con la gente: Vuoi chiuderti nel cielo del tuo amore, e lasciar seccare e raffreddare sotto di te il mondo che di te ha bisogno? Devi scendere come il raggio di luce, come la pioggia che tutto ristora devi scendere nel paese dei mortali, devi illuminare come

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Apollo, scuotere, animare come Giove, altrimenti non sei degno del tuo cielo. ti prego, torna ancora una volta ad Atene, e osserva anche gli uomini che si aggirano tra le rovine, i rozzi albanesi e i greci buoni e infantili, che si consolano con un allegro balletto e con una favoletta sacra per la vergognosa potenza che grava su di loro... Puoi dire: mi vergogno di questa materia? Penso che si lascerebbe ancora modellare. Puoi distogliere il tuo cuore dai bisognosi? non sono cattivi, non ti hanno fatto nulla di male! (pp. |691-692|)

Il progetto educativo nasce da questa immedesimazione, dalla necessità di confrontare la ricchezza del mondo interiore con l’indigenza materiale e morale del mondo reale. Si tratta di un’esigenza dialettica di unifcazione di condizioni e stati contrapposti che si unisce al bisogno di vedere emancipata la propria patria. Ma il primo dovere educativo è quello rivolto a se stesso e per questo Diotima suggerisce a Iperione di intraprendere un viaggio di istruzione in europa. La fducia illuministica di Diotima e di Iperione, che è peraltro segno del fatto che Hölderlin rimane almeno sotto certi aspetti legato a quel modello che cerca allo stesso tempo di superare, verrà poi disillusa con la riapparizione sulla scena di Alabanda, che spinge Iperione a unirsi a lui nella lotta contro i turchi resa fnalmente possibile dall’alleanza con la Russia. Vistosi superare in ardimento e audacia, Iperione rinnega il suo progetto, risente forte il richiamo all’azione e si lancia nell’impresa, mettendo così in moto proprio quella dinamica di cambiamento privo di coerenza che aveva denunciato in precedenza. ora i suoi argomenti sono diversi:

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Alabanda scruta il mondo come un nobile timoniere, Alabanda è vigile e cerca la possibile preda tra le onde; e tu te ne stai con le mani in mano? Con le parole pensi di fare tutto, con formule magiche vuoi incantare il mondo? Ma la tue parole sono inutili, come i focchi di neve rendono solo l’aria più torbida, mentre le tue formule magiche sono solo per i devoti, chi non crede non ti ascolta. Certo, essere dolci al momento giusto è bello, ma essere dolci al momento sbagliato è odioso, perché è da vigliacchi! […] non voglio essere rimasto ozioso invano, il mio sonno sarà come l’olio quando viene a contatto con la famma. non voglio stare a guardare cosa accadrà, non voglio gironzolare in cerca di notizie, quando Alabanda riceverà l’alloro. (p. |699|)

L’impazienza dell’azione è ciò che spinge a guastare l’ideale. La Rivoluzione francese nei suoi esiti immediati aveva dato prova di questa improntitudine, segno della mancanza o del venir meno della fonte ideale che l’aveva ispirata. e questo difetto di origine può inoculare negli altri popoli germi di rivolta destinati a fallire. Chiarissima e coerente la visione di Diotima su questo punto. Venuta a sapere delle nuove intenzioni di Iperione non ne esalta l’eroismo, come pure le era capitato in precedenza, ma ne svela l’inconsistenza e la presunzione: «vuoi conquistare, ma dimentichi perché […]. Vuoi creare con la forza, se tutto va bene, uno Stato libero, per poi chiederti: per che cosa l’ho creato? […] La lotta selvaggia ti distruggerà, anima bella, e invecchierai, spirito felice! e alla fne, stanco della vita, ti chiederai dove siano fniti, gli ideali della giovinezza» (p. |700|). La forza che si alimenta alla fonte della rivolta è sorda e la replica di Iperione a questi argomenti è una sorta di vaneggiamento sulle virtù della guerra: «Questo, solo

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questo restituisce all’uomo tutta la giovinezza, infrangere le catene! Solo questo lo salva, alzarsi e calpestare la serpe, il secolo strisciante che avvelena tutta la bella natura nel germoglio» (pp. |700-701|). una forza che allo stesso tempo è anche cieca e schiacciante e Iperione ne ha coscienza: «Perdonami, fanciulla divina! […] perdonami perché devo! non scelgo, non rifetto. una forza è in me e non saprei dire se sono veramente io a volere questo passo» (p. |701|). Diotima, che è la ragione che intuisce e comprende, sa che a questa sorta di comando non si può resistere, benché sia destinato a portare alla rovina (cfr. p. |701|). Il giudizio sull’attualità e la Rivoluzione francese che pervade le pagine del romanzo si intreccia con il tema dominante della dialettica dei contrari che Hölderlin vuole descrivere presentando una personalità descritta effcacemente nelle sue contraddizioni e nelle sue incertezze. Spezzando con maggiore trasparenza l’unità del personaggio rispetto a quanto avviene anche nei contrastati personaggi di Schiller, Hölderlin non soltanto rappresenta una cesura del tempo storico, dilaniato fra spinte progressiste e rigurgiti reazionari, ma anche alcuni aspetti propri della natura umana, convinto come sembra del fatto che è solo in virtù della predisposizione dell’uomo se avviene un certo svolgimento storico. Il lavoro di ricostruzione di una coscienza poetica in grado di traghettare verso quella rivoluzione delle intenzioni caldeggiata da Hölderlin e che, sola, riuscirebbe a dare corpo alla visione schilleriana dell’educazione estetica, prende le mosse da un’antropologia poetica che somma in sé capacità di analisi senza infngimenti e potenza espressiva degli stati interni dell’animo umano. Come dice Iperione nel suo discorso sulla Grecia, «l’uomo è un dio non appena diviene uomo. e se è un dio, è bello» (p. |683|).

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2. la natura Il secondo fattore che irrompe sulla scena della flosofa e della cultura tedesca del tempo è senz’altro la natura, che non è più esclusivo terreno d’interesse scientifco né l’ambito all’interno del quale l’uomo sviluppa organicamente la propria vita; la natura non è nemmeno l’elemento stoico che deve essere in qualche modo ordinato da un principio logico, né è più il campo in cui si sviluppa spontaneamente la religione o il fondamento attivo del diritto universale. La concezione della natura nella Spätaufklärung e nella Frühromantik è legata allo sviluppo di un particolare senso che ne permette una percezione arricchita, per così dire, di elementi emotivi ed estetici, che si vanno ad aggiungere a quelli derivati dall’epistemologia o dalla ricerca scientifca. Anche le scoperte del magnetismo e lo sviluppo della chimica trovano collocazione in un ambito di rifessione che non è strettamente scientifco ma investe i poteri della materia e della mente. La natura sembra rappresentare da un lato un grande organo dello sviluppo flogenetico dell’uomo e delle specie (e in questo Herder aveva tentato di tracciare una strada che conducesse a una nuova concezione dell’umanità in generale), dall’altro (seppure in stretto nesso ideale con quest’aspetto) la natura è la sede di un istinto spontaneo e originario al quale ritornare o attenersi secondo le indicazioni di Rousseau. Quasi tutti gli autori che si affacciano alla flosofa a partire da Kant fanno infatti riferimento al flosofo ginevrino, imitandone talvolta lo stile e seguendone le tracce anche dal punto di vista della scelta del genere testuale – in questo senso anche Iperione, come altre opere epistolari del tempo, risente chiaramente di questo modello. La natura, inoltre,

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diventa sempre più centro pulsante di una concezione flosofca sistematica, solo in parte riconducibile al leibniziano concetto di ‘forza’, che sembra voler riprendere le fla delle esperienze scientifche del tempo e innestarvi una prospettiva vitalistica che deriva sia dall’insorgere del panteismo (più o meno tratto da fonti rinascimentali e, ovviamente, da Spinoza), sia da una visione misticheggiante che radicalizza alcune ispirazioni stürmeriane. Il tema della natura, proprio per questa sua diversa fliazione, diventa un legame profondo tra artisti e flosof, un legame che unisce Kant, Schiller, Goethe, Jacobi; Beethoven, Hegel, Hölderlin (i tre grandi coetanei). Iperione è immerso nella natura, è anzi in un certo senso egli stesso espressione della massima potenza della natura in quanto simboleggia la forza vitale del Sole: Adamas, il suo maestro, gli affda infatti la missione di farsi simile al proprio nome e di attingere il sole, l’elemento divino vivifcante. La natura è vissuta da Iperione non come sede dei confitti, bensì come la più alta forma di conciliazione possibile per l’uomo, sebbene questa conciliazione non sia possibile per i vincoli strutturali della coscienza che vive nel perenne contrasto (che è poi una forma di dinamismo connaturato) fra soggetto e oggetto, fra Io e non-Io. Il persistere del desiderio di conciliazione con e attraverso la natura rende palese come l’unifcazione cercata sia segno di uno smarrimento: «la felice unità, l’essere nell’unico vero senso del termine, è perso per noi e dovevamo perderlo se ora vogliamo ottenerlo, conquistarcelo. [...] Ci siamo disgregati dalla natura, e ciò che una volta era unito, come si potrebbe credere, ora è contrapposto, mentre predominio e sudditanza si alternano da entrambe le parti» (p. |558|). La natura è la porta che riconduce l’uomo all’unità con se stesso, secondo l’impianto fchtiano (ben noto a Höl-

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derlin) che vede nel principio dell’auto-posizione dell’Io non tanto l’atto teoretico generativo della natura, quanto lo sforzo dell’Io di attribuirsi una coscienza attiva. Hölderlin sa bene, ed è forse in questo senso una delle coscienze più lucide del tempo, che questa porta è però chiusa dall’interno e che pertanto l’uomo non può rientrare in sé, anche perché il sé per permanere tale, deve imporsi lo sforzo della separazione: «né il nostro sapere né il nostro agire giungono mai in alcuna fase dell’esistenza là dove l’opposizione ha fne, dove tutto è uno; la linea limitata si unisce a quella illimitata solo in un’approssimazione infnita» (p. |558|). Resta la porta e l’invincibile desiderio di attraversarla: Porre fne all’eterna opposizione fra noi stessi e il mondo, ristabilire la pace oltre la pace, che sorpassa ogni intelligenza, ricongiungerci alla natura formando un unico tutto infnito: questo è il fne di tutto il nostro desiderare, che lo capiamo o meno. [...] non potremmo del resto avere alcuna intuizione di quella pace infnita, di quell’essere nell’unico vero senso del termine, non aspireremmo a ricongiungerci alla natura, non penseremmo e non agiremmo come se non ci fosse assolutamente nulla (per noi), come se non fossimo nulla (per noi), se quell’unione, se quell’essere nell’unico verso senso del termine non esistessero. (p. |558|)

panteismo e immanenza La complessità del tema della natura nelle sue varie accezioni consente soltanto di accennare agli aspetti più rilevanti e immediatamente evidenti. tra questi vi è natural-

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mente la questione del panteismo che ha implicazioni sia teoriche che storiografche. Hölderlin aveva letto le Lettere sulla dottrina di Spinoza di Friedrich Heinrich Jacobi nel periodo di tübingen (1790), in particolare la prima edizione del 1785, ma conosceva anche la seconda edizione del 1789 contenente le importanti appendici, fra cui quella su Giordano Bruno. nello Stift il problema sollevato da Jacobi e la connessa polemica con Mendelssohn era noto e dibattuto a vari livelli.36 L’hen kai pan, che in una lista di termini Hölderlin traduce con eins und Alles,37 è formula risalente a Jacobi per indicare la posizione assunta da Gotthold ephraim Lessing nei confronti della flosofa di Spinoza. Hölderlin l’assume come cifra e simbolo del suo sodalizio con Hegel, a cui il 12 febbraio 1791 scrive una dedica nello Stammbuch dello Stift di tübingen.38 un estratto della prima edizione del volume di Jacobi, redatta dal poeta in questo periodo, riassume le tesi presenti nelle Lettere: il pronunciamento di Lessing a favore di Spinoza, la difesa da parte di Jacobi di una causa intelligente e individuale, l’affermazione fatta da Lessing circa l’esistenza di un principio che travalica il pensiero stesso, il ricondurre Leibniz alle posizioni di Spinoza.39 In questo estratto campeggia fn dall’inizio l’hen kai pan che Jacobi fa pronunciare a Lessing per consolidare in una formula la 36

Cfr. Hölderlin und der deutsche Idealismus, vol. I, p. 324 e la nutrita bibliografa sul tema a p. 321, nota 16. 37 La lista si trova in FA, vol. XVII, p. 111 e la si può leggere anche in Hölderlin und der deutsche Idealismus, vol. I, pp. 332-333. 38 Cfr. ivi, p. 328. 39 Cfr. Hölderlin: Scritti di estetica, pp. 41-43. Si veda anche Hölderlin und der deutsche Idealismus, vol. I, pp. 333-346, dove sono riportati i brani originali della prima edizione delle Lettere di Jacobi sui quali si basa la sinossi di Hölderlin.

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sua adesione convinta allo spinozismo.40 Ciò che colpisce Hölderlin fn da subito è evidentemente la versione dello spinozismo non in chiave di natura naturans, ma in chiave di permanenza e immanenza della natura. La dimensione immediatamente greca che la formula rivela si adatta perfettamente alla concezione hölderliniana di una natura non soltanto come causa infnita ma anche e soprattutto come ambiente divino originario. La prima volta in cui Iperione invoca la natura, questa viene richiamata proprio come grembo materno: «Cuore affitto, tormentato, mille volte indignato, sì, dimentica che esistono gli uomini e torna là da dove sei venuto, fra le braccia della natura, l’immutabile, silenziosa e bella» (p. |614|). La natura è il tutto che però si contrappone all’artifcio della società, con la quale entra in un rapporto dialettico confittuale necessario (proprio in quanto scintilla della necessaria scissione che serve alla completa maturazione dell’uomo) e pertanto si caratterizza come un tutto che riunisce e separa al tempo stesso. Alcuni dei registri estetico-affettivi con cui Iperione si rivolge alla natura fanno ampiamente intendere che il rapporto con la natura è vissuto non soltanto come quello verticale madre-fglio ma anche come quello orizzontale amante-amata: «natura beata, non so che cosa mi accade quando alzo gli occhi verso la tua bellezza, ma tutta la gioia del cielo è nelle lacrime che verso davanti a te, come l’amato davanti all’amata» (p. |614|). ed è in questo tipo di dinamica, fortemente caratterizzato da una tensione metafsica di stampo rinascimentale, che va intesa la declinazione hölderliniana dell’uno-tutto che fn dall’inizio, in quelle prime lettere che costituiscono il prologo al racconto della propria vita, Iperione pone all’attenzione di Bellarmino: 40

Cfr. Jacobi: La dottrina di Spinoza, p. 67.

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essere uno con il tutto, questa è la vita della divinità, questo è il cielo dell’uomo. essere uno con tutto ciò che vive, in un beato oblio di sé tornare nella totalità della natura, questo è il culmine dei pensieri e delle gioie, questa è la vetta del monte sacro, il luogo della pace eterna, dove il meriggio perde la sua calura e il tuono il suo rombo, e il mare ribollente uguaglia le onde del campo di grano. (pp. |614-615|)

La natura non viene esaltata in quanto creatrice e in quanto causa necessaria del tutto, ma in quanto totalità piena di ciò che è vivente, in quanto immanenza vitale e, si potrebbe dire, in quanto totalità organica. Il mondo fsico naturale in sé ha valore nella sua dimensione spirituale, e già nel più antico programma di sistema si legge un breve passaggio dedicato alla fsica, nel quale si pensa alla natura come creazione spirituale che deve rispondere alla domanda: «come dev’essere fatto un mondo per un ente morale?».41 La fsica, vi si sostiene, deve emanciparsi da quella che lentamente «procede a fatica tra gli esperimenti. […] non sembra che la fsica d’oggi possa soddisfare uno spirito creatore quale il nostro è o deve essere».42

natura vivente nell’Iperione e nella concezione più personale di Hölderlin la natura non è vista con lo stesso approccio risoluto che si scorge nel programma flosofco scritto con Hegel 41

Hegel – Schelling – Hölderlin: Il più antico programma di sistema dell’idealismo tedesco, p. 21. 42 Ibidem.

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e Schelling, e nel romanzo essa assume un ruolo diverso e una veste del tutto diversa. non si tratta di generare la natura attraverso un atto soggettivo, come avviene in qualche modo nella Dottrina della scienza di Fichte, dove l’auto-posizione dell’Io attiva un riconoscimento rifesso e una presa d’atto dell’esistenza della natura, che esiste per l’Io come coscienza dell’opposizione con il non-Io.43 La natura per Iperione è semplicemente la totalità del vivente alla quale l’uomo aspira tornare per superare tutti i suoi confitti e le sue scissioni. Poche righe bastano a Hölderlin per descrivere la pena in cui si dibatte Iperione e gli elementi primari del suo racconto, vale a dire il contrasto con una morale formale, con l’agire, con il destino: essere uno con tutto ciò che vive! Con queste parole la virtù depone l’intransigente corazza, lo spirito dell’uomo posa lo scettro e tutti i pensieri svaniscono davanti all’immagine del mondo eternamente uno come le regole dell’artista all’opera davanti alla sua urania, il destino infessibile rinuncia al suo dominio, dalla catena degli esseri scompare la morte, mentre indivisibilità e giovinezza eterna animano e adornano il mondo. (p. |615|)

È all’interno di questa cornice che la storia di Iperione ha origine e termine, e in questo quadro la natura assume i contorni di un’anima mundi di ispirazione neoplatonica che ha la caratteristica di rappresentare un luogo di ritor43

Sull’infusso della flosofa di Fichte in Iperione, cfr. le note al testo 91 e 284. una vicinanza ancora maggiore si rileva anche nei materiali preparatori, in particolare nella Stesura in versi (cfr. Appendice, pp. |515-522|). Si veda inoltre Waibel: Hölderlin und Fichte: 17941800; ead.: Hölderlins rezeption von Fichtes Grundlage des naturrechts.

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no, il rifugio cui affdare la soluzione delle fratture e divisioni subite dall’uomo, ma anche quella di costituire una dimensione ‘a-razionale’, non sottoposta alle regole della rifessione, poiché la razionalità rigetta nel dominio della separatezza, dell’esclusione: Mi trovo spesso su questa vetta, Bellarmino mio, ma basta un attimo di rifessione per precipitare. Rifetto e mi ritrovo come prima, solo, con tutta la sofferenza della caducità, e il rifugio del mio cuore, il mondo eternamente uno, svanisce; la natura serra le braccia, io rimango come un estraneo davanti a lei e non la comprendo. (p. |615|)

La rifessione è funzionale alla conoscenza, e in quest’ambito Iperione sente di perdere la propria aderenza alla totalità della natura: «La conoscenza, che ho seguito nel baratro e dalla quale, giovane ingenuo, mi aspettavo la conferma della mia gioia pura, quella ha rovinato tutto» (p. |615|). La spinta razionale genera una sorta di bolla all’interno della quale l’uomo, pur inserito nella natura, se ne sente di fatto allontanato e privato: «ora mi ritrovo isolato nella bellezza del mondo, escluso dal giardino della natura dove ero cresciuto e forito, e inaridisco al sole del meriggio» (p. |615|). non è certo possibile tentare un’analisi comparata del rapporto di Hölderlin con il neoplatonismo del tempo né a maggior ragione con le dottrine classiche del platonismo rinascimentale, tuttavia si può osservare come la componente anti-razionalistica non faccia parte della concezione relativa all’anima del mondo. Già nel Timeo platonico l’anima, costruita attraverso l’applicazione di complesse proporzioni matematiche, è volta alla conoscenza proprio in virtù del fatto che essa può orientarsi con l’ausilio dell’i-

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dentico e del diverso di cui è composta la realtà naturale, tanto che timeo conclude la sua esposizione dell’anima del mondo affermando che «se qualcuno dicesse che ciò in cui si generano queste due forme di conoscere [le opinioni solide e vere e la scienza] è altra cosa rispetto all’anima, direbbe tutto piuttosto che la verità».44 Hölderlin sembra proiettare sulla sua visione della natura il rifuto della prospettiva illuministica orientata alla ragione, ma in questo modo fnisce con il ridurre la componente vitalistica di questa visione alla dimensione sentimentale, privata della controparte intellettuale. In questo senso, l’effetto di isolamento avvertito da Iperione potrebbe essere non tanto la conseguenza di un eccesso di ragione, quanto di un suo difetto, come se l’unità e la totalità del vivente potessero fare a meno di uno dei suoi elementi costitutivi. Il carattere vivo della natura è ciò che ne costituisce la totalità. Per Hölderlin questo si traduce in una potente rappresentazione plastica di ambienti, paesaggi, intere aree geografche, piccoli dettagli descrittivi. Iperione si dilunga volentieri e come per un’attrazione irresistibile sull’ambiente che lo circonda, fondamentalmente perché in questo modo egli sa di potersi affdare a qualcosa di stabile, imperituro. La natura non è sottoposta alla legge della disgregazione e della trasformazione. Inoltre l’uomo non è semplicemente immerso nella natura, ma in essa vede rifessa la sua stessa condizione originaria, dalla quale si stacca per la forza stessa della ragione e del desiderio di riparare ai danni della separazione dalla totalità.

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Platone: Timeo, 37 C.

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L’antichità della natura In primo luogo a Iperione la natura appare nella sua entità geo-politica di «terra natia», dove luoghi, paesaggi, montagne e golf rivelano e svelano l’identità millenaria della Grecia. La qualità descrittiva con cui Hölderlin rende plasticamente all’inizio del romanzo l’istmo di Corinto non si sofferma tanto sulle caratteristiche naturalistiche in senso stretto e sul godimento che l’osservatore ne ricava, ma insiste piuttosto sulla capacità evocatrice di quei luoghi, sulla potenza mitica e mitologica del mare che si erge «come un semidio in trionfo», sulla bellezza «paradisiaca» della pianura di Sicione, sulla «gioia» di cui è portatrice la città di Corinto (cfr. p. |613|). Iperione stesso descrive se stesso come un elemento di questa natura particolare, come «un’ape tra i fori» (p. |613|).45 La natura potenzia le energie individuali e fornisce loro un orizzonte. Così dal punto di vista della formazione dell’uomo la natura rappresenta una spinta fondamentale, sia perché è essa a instillare il desiderio di compiere e realizzare i propri sogni e progetti, sia perché moltiplica le forze, dà maggiore impulso alle energie vitali sollecitate sul piano morale e culturale. Con il maestro Adamas, Iperione viene educato sia al mondo storico che a quello naturale, ma è dall’immersione nella natura che riceve un impulso più forte, più chiaro, più congeniale: 45

L’ape è peraltro metafora del poeta (cfr. nota 10 al testo), il quale è in un certo senso non soltanto dotato di organi di percezione particolarmente raffnati, ma ha anche il potere di raccogliere e rimodellare la materia che la natura gli mette a disposizione. nella prefazione Hölderlin aveva già presentato la sua opera come un frutto della natura, una pianta che non serve né per il mero godimento né per la sola istruzione (cfr. p. |611|).

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Il mio Adamas mi introdusse ora nel mondo degli eroi di Plutarco, ora nella terra incantata delle divinità greche; ora governava e moderava con numero e misura la frenesia giovanile, ora saliva con me sui monti: di giorno per osservare i fori del prato e del bosco e i muschi sulle rocce; di notte per guardare le sacre stelle sopra di noi e per comprenderle come possono gli uomini. Proviamo un delizioso benessere quando l’interiorità si rafforza nella sua sostanza, quando si separa per poi ricongiungersi più strettamente e il nostro spirito diviene gradualmente pronto a combattere. Ma triplicati sentivo lui e me quando, come Mani di un tempo passato, con orgoglio e gioia, con ira e affizione salivamo sull’Athos e da lì attraversavamo il mare fno all’ellesponto, e poi giù verso le spiagge di Rodi e le coste rocciose del tenaro, oltrepassando tutte le isole pacifche; quando la nostalgia ci spingeva oltre la costa, nel tetro cuore dell’antico Peloponneso, sulle rive solitarie dell’eurota, ah!, nelle valli abbandonate di elide, nemea e olimpia. (p. |620|)

La natura svela il suo lato divino in quanto natura greca: se la Grecia classica ha potuto svilupparsi e porsi come aspirazione ancora molto tempo dopo la sua dissoluzione è perché la natura l’ha favorita. Il tema del condizionamento climatico delle civiltà mostra i suoi effetti su Hölderlin, il quale ha però la necessità di rimarcare questo nesso allo scopo di far emergere la caducità della storia e la perennità della natura. Il romanzo intero si regge su questa osservazione: la natura ingloba la storia quasi come fosse uno dei suoi ornamenti, come risulta da una scena cruciale della prima parte del romanzo, quando Iperione e Adamas, nel

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loro programma di formazione, osservano il mondo una volta abitato dagli uomini: appoggiati a una colonna del tempio del dimenticato Giove, attorniati da oleandri e sempreverdi, osservavamo il greto del torrente selvaggio mentre la vita della primavera e il sole eternamente giovane ci ricordavano che una volta lì era esistito anche l’uomo, ma ora era scomparso, che la magnifca natura umana è sparita quasi del tutto, come le rovine di un tempio o come l’immagine di un morto dalla memoria… Allora sedevo giocando tristemente accanto a lui, toglievo il muschio dal piedistallo di un semidio, dissotterravo la spalla di marmo di un eroe e strappavo i rovi e l’erica dagli architravi semisepolti, mentre il mio Adamas disegnava il paesaggio che contornava le rovine, amichevole e consolatorio: la collina con un campo di frumento, gli ulivi, il gregge di capre abbarbicate sulle rocce dei monti, il bosco di olmi che dalle cime si precipitava a valle; intanto la lucertola giocava ai nostri piedi e le mosche ci ronzavano intorno nel silenzio del meriggio... Caro Bellarmino, vorrei raccontare con la precisione di nestore; attraverso il passato come uno spigolatore fra le stoppie dopo che il padrone del campo ha terminato il raccolto: ecco che si raccoglie ogni pagliuzza. (pp. |620-621|)

L’eroe intrappolato tra i rovi è potente metafora dello stato di abbandono in cui l’uomo senza divinità si trova attualmente agli occhi di Hölderlin, ma è anche rappresentazione plastica del dominio della natura che sopravanza la storia, la sommerge conservando il suo carattere «amichevole e consolatorio». La cura per le testimonianze

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del passato, il culto dell’arte antica non vengono elevati al di sopra della tensione nei riguardi della natura. I monumenti vengono strappati alla terra che li ricopre dal solo Iperione non con la furia del ritrovamento o con risentimento nei riguardi del muschio e dei rovi che sviliscono il reperto, ma con uno spirito giocoso, come una sorta di passatempo. Adamas, che pure è in cerca dell’uomo, sembra invece ignorare questa dimensione antropica e storica, interessato com’è a disegnare il paesaggio, la natura nella sua ricchezza di particolari. La natura, come già in precedenza la storia, viene esaltata in quanto antica, in quanto espressione di un’età di semidei e di eroi che vivevano in armonico entusiasmo con essa. Questa sorta di storicizzazione della natura è un’originale elaborazione hölderliniana nella quale prende forma l’intento di creare una nuova mitologia che, in aperto contrasto con il processo di demitizzazione compiuto dalla modernità, sostituisca ancora una volta i concetti razionali con immagini poetiche in grado di ridestare entusiasmi sopiti e appiattiti dall’epistemologia scientifca. La mitologia della ragione di cui si parla nel più antico programma di sistema dell’idealismo tedesco riceve nell’Iperione un tentativo di applicazione: il giovane che vuole riscattare se stesso e il suo popolo si educa al culto della natura, al risveglio della sensibilità.46 ed è in nome di questo risveglio che Adamas propone a Iperione di seguire il modello più alto e nobile, il Sole, nella scena appena successiva a quella descritta e nella quale si consuma un piccolo rito di iniziazione. nel culto panico per la divinità della luce e della vita sembra per un momento potersi ricucire lo strappo 46 Cfr. Hegel – Schelling – Hölderlin: Il più antico programma di sistema dell’idealismo tedesco, pp. 25-27.

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fra sacro e umano e ricomporre quella totalità onnicomprensiva cui l’uomo aspira costantemente: «Sii come lui!», esclamò Adamas prendendomi la mano e sollevandola verso il dio, e mi sentii come se la brezza del mattino ci stesse portando via con sé e ci conducesse al seguito di quel sacro essere che ora saliva alla sommità del cielo, amichevole e nobile, e colmava meravigliosamente noi e il mondo con la sua forza e il suo spirito. (p. |621|)

natura e uomo L’immersione nella generosa natura greca riveste un ruolo centrale nel romanzo, dal momento che è nella natura che Iperione trova modo di rigenerare le proprie illusioni e curare le disillusioni. Le lunghe passeggiate nei dintorni di Smirne rappresentano, assieme ad altre scene dello stesso tipo, un esercizio letterario non semplice, talvolta percepito (soprattutto dai primi critici) come segno evidente di mancanza di trama e di intreccio narrativo,47 ma che risultano invece parte integrante del racconto non solo in termini di ambientazione, ma anche proprio in termini dialogici. La cura con cui Hölderlin, contando sulle sue fonti testuali, conduce Iperione lungo i fumi, dentro i boschi, sulle vette dei monti in contatto diretto con le forze della natura ha come scopo quello di presentarci l’altro aspetto della formazione del giovane. non sono soltanto i discorsi sull’Atene antica, su omero e i tempi gloriosi della Grecia ad alimentare e maturare il temperamento del giova47 La vicenda delle interpretazioni dell’Iperione è ben raccontata da Castellari: Friedrich Hölderlin.

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ne (che a dire il vero, caso mai, viene fuorviato da quei racconti), ma è la natura stessa che ‘racconta’ al giovane le sue avventure e la sua eterna affermazione su tutto il resto. Iperione se ne nutre e soltanto nei momenti in cui la bellezza della natura lo ha ubriacato riesce a godere della compagnia degli uomini, ad accettare le assurde abitudini dei suoi simili. L’allontanamento dalla società indebolita e impoverita degli uomini, rappresentata nei termini di un carnevale (cfr. p. |627|), a favore della pienezza della natura è ciò che dà la possibilità di godere di quella stessa società, ciò che la rende sopportabile: Ma ciò che effettivamente insaporiva il cibo insipido delle relazioni quotidiane erano le fgure e i volti buoni che la natura compassionevole invia ancora qua e là, come stelle nella nostra oscurità. (p. |627|)

La società tuttavia ha il potere di contrastare la natura, e allora elimina ogni fondamento naturale e assume i contorni di una barbarie che conduce alla totale indifferenza. Gli sforzi di adattamento compiuti da Iperione non conducono al risultato di un’integrazione fra dimensione naturale e quella sociale, e così Iperione si chiude in se stesso. una società che non è in grado di elevarsi all’altezza della natura non ha alcuna possibilità di emanciparsi. D’altra parte è vero anche il contrario: la disarmonia fra gli uomini inquina il rapporto con la natura, come si rende manifesto nel momento in cui Iperione e Alabanda prendono strade diverse e si allontanano misconoscendo la loro profonda amicizia. Iperione non è più in grado di avvertire la natura come elemento cui appartiene per elezione e per vocazione, e instaura con essa un rapporto puramente linguistico e intellettualistico: la natura diven-

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ta il non-Io nel momento in cui Iperione si rivolge a essa non più con l’intima coscienza dell’armonia, ma con la coscienza razionale del soggetto: ora non dicevo più ai fori: «siete miei fratelli!» e alle sorgenti: «siamo della stessa stirpe!» Adesso davo a ogni cosa il suo nome, fedelmente come un’eco. Come un ruscello fra sponde aride, dove nessun ramo di salice si specchia nell’acqua, così scorreva davanti a me il mondo disadorno. (p. |647|)

Diversamente da Fichte, per Hölderlin il soggetto non si sceglie prima di intraprendere la via che lo conduce al suo incontro con la natura, ma viene dopo e si costruisce attraverso la rottura del rapporto intimo con la natura. Questa scissione che infrange l’unità originaria è all’origine del linguaggio e dello stesso pensiero logico che si regge sul giudizio, come Hölderlin precisa nel frammento Giudizio ed essere.48

natura e linguaggio Il linguaggio nomina le cose e le crea nella dimensione dell’esteriorità. Dal punto di vista poetico questo stato di cose rappresenta la sfda più diffcile, perché le parole assumono la doppia veste di forme intellettuali e vie d’accesso alla ragione (sia poi questa la ragione della nuova mitologia o quella unifcata con la natura). Il poeta, dice Hölderlin, ha come propria «vocazione e delizia» il «salire e scendere» la «scala infnita» dell’entu48

Cfr. Hölderlin: Scritti di estetica, p. 52.

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siasmo.49 Ciò vuol dire che il linguaggio non ha altro oggetto se non lo stato dell’uomo, la situazione emotiva e affettiva (il sentimento) del singolo individuo. nel romanzo infatti la descrizione della natura, di ciò che circonda i protagonisti, non è semplicemente funzionale al loro stato d’animo, ma è essa stessa costitutiva di quello stato. La corrispondenza, forse anche un po’ ingenua e prevedibile, fra risveglio della primavera e risveglio delle migliori disposizioni di Iperione non indica semplicemente un fattore di accompagnamento, un espediente letterario per rimarcare la situazione che vivono i personaggi, ma va intesa come costruzione integrante del personaggio. Iperione non è fatto soltanto di passione, orgoglio, entusiasmo, ma anche delle parti della natura nelle quali può immergersi e identifcarsi. Compito del poeta è saper parlare questa lingua fatta dei colori e delle linee che disegnano la natura, perché sono i colori e le linee dello stesso ‘entusiasmo’, inteso come oggetto specifco della narrazione. Del resto, il vero entusiasmo conserva sempre un margine di rifessione e il sentimento è certamente la migliore sobrietà e rifessione per il poeta, a condizione che sia giusto, ardente, chiaro e vigoroso. È freno e sprone per lo spirito. Con ardore spinge innanzi lo spirito, con delicatezza e rettitudine e limpidezza gli prescrive il limite e lo trattiene dal perdersi; e così è nello stesso tempo intelletto e volontà.50

una lingua unifcante occorre al poeta per riproporre la complessità e l’intreccio delle facoltà umane che la flosofa può soltanto separare e tenere disunite. Si potrebbe 49 50

Cfr. ivi, p. 62. Ibidem.

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dire che la lingua dell’entusiasmo sia la lingua naturale in quanto rifette (quando non esprime pienamente) la totalità che il poeta sa essere la fonte originaria dell’uomo e che egli ha il compito di additare come meta suprema. Il poeta ha dunque la vocazione a rendere viva e sensibile la condizione dell’uomo, la sua separatezza dalla natura, così come possiede il potere unifcatore dello spirito che sa commisurarsi con la natura. La metafora costante che nell’Iperione simboleggia l’entusiasmo è senz’altro il fuoco,51 di cui lo spirito (con immagini che spesso richiamano il pensiero rinascimentale) si alimenta in un continuo consumarsi e rinfocolarsi. La stessa dottrina dell’etere che percorre il romanzo, è un richiamo a una forza che abbraccia ogni cosa e vivifca come uno spirito: «aria sacra, sorella dello spirito che regna e vive in noi come fuoco potente, come è bello che tu mi accompagni dovunque io vada, tu onnipresente, immortale!» (p. |655|). L’etere non è inteso come principio metafsico o sostanza ontologica, ma come elemento che investe l’umanità e la rende gaia, e Hölderlin dipinge una scena in cui i bambini vengono trascinati da ebrezza e leggerezza giocose, che erano «espressione di un unico benessere, tutto era un’unica risposta alle carezze delle brezze incantevoli». I bambini non sanno che si tratta di uno «spirito amico» che conduce «verso l’elisio». In questa scena, che prelude all’incontro con Diotima, Iperione avverte, forse per la prima volta, l’inadeguatezza del linguaggio: Passeggiavo in un bosco, risalendo un torrente mormorante che a tratti saltellava tra le rocce, a tratti scorreva placido sulla ghiaia, e man mano la 51

Sul fuoco in Hölderlin, cfr. Gilby: Das Bild des Feuers bei Hölderlin e le note al testo, in part. nota 219.

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valle si stringeva fno a divenire un passaggio ad arco, dove la luce del mezzogiorno giocava solitaria nell’oscurità silenziosa… Là… Vorrei poterne parlare, Bellarmino mio, vorrei poterti scrivere con tranquillità! Parlare? Sono davvero un profano della gioia, voglio parlare! Il silenzio abita nella terra dei beati, e oltre le stelle il cuore dimentica la sua pena e il suo linguaggio. (p. |655|)

Il limite del linguaggio viene colto nel momento in cui la natura incontra il suo correlato essenziale, l’amore. Ciò che non si può esprimere non è la pienezza dei sentimenti, ma il loro naturale fuire, perché il sentire è il linguaggio delle passioni. La natura, come alimento, genera l’amore, che a sua volta è natura innestata nei sentimenti. La diffcoltà del poeta consiste in questo esercizio paradossale di usare parole per ciò che non ha parole. Iperione non è però un poeta, e soltanto dall’alto della sua esperienza traumatica sa dare un senso al suo rapporto con Diotima, che è tutto extralinguistico, tutto naturale e diretto. L’amabilità della donna, che non è semplice grazia ma vero e proprio centro di attrazione, è ciò che la rende divina: «tutto era santifcato, abbellito dalla sua presenza. Dovunque guardassi, qualsiasi cosa toccassi, il tappeto, la poltrona, il tavolino, tutto aveva stretto un patto segreto con lei» (p. |658|). Il primo incontro tra i due giovani è tutto retto dalla gestualità: Parlammo molto poco insieme. Ci si vergogna del linguaggio, si vorrebbe diventare una nota musicale per unirsi in un inno celestiale. e di che cosa mai avremmo dovuto parlare? Ci guardavamo. Ci vergognavamo a parlare di noi. Infne parlammo della vita della terra. (p. |658|)

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Dove il linguaggio non è possibile, l’unico tema diventa la natura, e i due giovani intavolano una discussione sul cielo e la terra, sul loro reciproco rapporto di unione e di separazione che impone di cercarsi all’infnito. L’amore riconosce e sa intendere la natura e ne coglie l’intensità anche attraverso il linguaggio, perché il nesso profondo che unisce natura e amore rende sopportabile l’estraneità imposta dal linguaggio.52 Alla fne del romanzo, quando Iperione ha perso ogni speranza e ogni fonte di desiderio, la natura rivendica i propri diritti. essa si riprende, per così dire, il linguaggio nel momento in cui l’entusiasmo e l’estasi cedono il posto al tormento e alla perdita dell’amore. In quel momento la natura riassorbe in sé le energie che l’uomo ha consumato nella sua azione e porta a compimento il moto eccentrico che conduce all’esaltazione ideale estetica suprema. nella primavera che rasserena per un poco l’infelice esperienza in terra tedesca, Iperione percepisce il riassorbimento di tutte le tensioni nel corpo vivo della natura, che ora parla con la voce di Diotima che lo chiama ed egli stesso ha l’impressione di parlare, sebbene non ne sia del tutto cosciente: un giorno sedevo lontano nei campi, vicino a una fonte ombreggiata da rocce verdi di edera e da cespugli rampicanti in fore. era la mattina più bella che avessi mai visto. Dolci brezze soffavano, nella frescura del mattino la terra scintillava ancora e la luce sorrideva silenziosa nella patria eterea. Gli uo52

un discorso a parte si potrebbe fare per la musica e il canto, che sono per Hölderlin espressioni più dirette e adeguate, in quanto non viziate dall’elemento intellettuale del giudizio. oltre al passo appena citato, si veda anche al riguardo p. |660|, per esempio, in cui ricompare il canto come forma espressiva degna dell’amore. Il tema è affrontato in molti passi del testo, si vedano in particolare le note 47, 142, 146.

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mini erano tornati a casa, a tavola, per riposare dal lavoro; il mio amore era solo con la primavera, e sentivo in me uno struggimento incomprensibile. «Diotima», esclamai, «dove sei, dove sei?» e mi sembrò di sentire la voce di Diotima, la voce che una volta, nei giorni della gioia, mi aveva rallegrato... «Sono con i miei cari», rispose, «sono con i tuoi cari, che lo spirito dell’uomo, smarrito, misconosce!» un dolce spavento mi colse e il pensiero in me si spense. «Care parole da labbra sacre», esclamai quando mi fui ripreso, «amato enigma, ti comprendo?» (p. |759|)

La sublimazione della natura richiede un assorbimento nella natura che si traduce in una dissolvenza del linguaggio in una lingua indistinta e comune all’uomo e alla natura: un’altra volta guardavo indietro nella notte fredda degli uomini e rabbrividii piangendo di gioia perché ero così felice, e parlai, mi sembra, ma le parole erano come lo scoppiettare del fuoco quando la famma si alza e lascia dietro di sé la cenere. tu con i tuoi dei, o natura! pensai. L’ho sognato, il sogno delle vicende umane, e dico che tu sola vivi, mentre quello che gli uomini senza pace hanno conquistato con la forza e inventato si scioglie come cera davanti alla tua famma. (pp. |759-760|)

Le parole si fondono in un crepitio che è voce dell’uomo e della natura a un tempo, ed è così che viene simboleggiata la riconciliazione delle dissonanze con cui si chiude il romanzo. Iperione è l’unica fgura di tutta la cultura tedesca dell’epoca che vive quest’esperienza di un’intuizione intellettuale vivente e che, soprattutto, ha maturato la coscienza necessaria per poterla raccontare.

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il tempo della poesia Il cortocircuito fra storia e natura genera – sempre considerando in modo molto generale e a grande distanza il fenomeno – una serie di problemi che attraversano tutta la cultura flosofca preromantica e idealistica. In Hölderlin il nesso fra i due termini genera una particolare visione (più che concezione) del tempo, vissuto come il centro propulsivo dell’azione poetica che si svolge in un orizzonte temporale in cui rivivono contestualmente e contemporaneamente la memoria individuale e collettiva, il passato storico e il futuro, l’esperienza personale e gli stati d’animo, il presente in sospensione fra attese e nostalgie. È il tempo della poesia: i suoi limiti e le sue possibilità sono l’oggetto dell’estetica non soltanto di Hölderlin, ma di un’intera generazione di autori, alla ricerca di un organo che sappia dare forma ed espressione all’unione dell’uomo con l’universo sensibile e sovrasensibile che governa la vita e il destino. In questa dimensione temporale, sganciata da qualsiasi prospettiva fenomenica, lo stesso linguaggio vive all’interno di una dinamica interiore e in diversi momenti del romanzo appare completamente separato dall’atto espressivo (che anzi Hölderlin teorizza come impossibile o falsifcante), per essere recuperato come impressione pura e intatta, come intuizione del vero che non può essere esternata attraverso i canali consueti della comunicazione: la discorsività mina l’unitarietà della verità con la separazione del processo analitico dell’intelletto. non a caso lo scopo principale dell’opera di Hölderlin è, come viene enunciato nella prefazione, rintracciare le dinamiche che rendono comprensibile la diversità nell’unità. Le due grandi sfere

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in cui questa convivenza di stati è visibile e attiva sono appunto la storia e la natura, dove c’è sempre qualcosa che permane (anche se in modo diverso nei due ambiti) nonostante i mutamenti della storia e la varietà della natura. Ciò che permane è un dato che sfugge alle regole della trasformazione e del deperimento, e quindi rappresenta e documenta la magnifcenza del divino, vale a dire (nel linguaggio di molti autori del tempo), del bello. nella storia il bello perdura come segno della tradizione classica, come archeologia; nella natura come elemento invariabile da cui deriva la variabilità, come origine. La caratteristica essenziale dell’Iperione è quella di far convergere queste due entità e di raccontare una storia moderna (i fatti legati alla battaglia di Çeşme del 1770) all’interno dell’alveo della grecità classica e della natura greca – non a caso Hölderlin nutriva una vera passione per la geografa fsica e le descrizioni di viaggio,53 che costituiscono le fonti documentarie dello stesso romanzo. nella poesia, il bello è considerato un nuovo regno (secondo l’espressione cara anche a Hegel), come scrive Hölderlin nella prefazione alla penultima stesura di Iperione: «esistono [quell’unione e quell’essere nell’unico verso senso del termine] – in forma di bellezza; ci aspetta – per dirla con Iperione – un nuovo regno, dove la bellezza sarà regina» (pp. |558-559|). La storia, con la sua portata flologica, appare come un modello determinato e attendibile che ispira l’azione politica, la volontà di ripristinare un ordine in cui l’uomo era attore del proprio tempo e del proprio destino. Il diritto, la giustizia, la libertà rappresentano le chiavi del pensiero politico di Hölderlin e da ciò egli trae anche la legge dell’inevitabilità dell’azione umana, che porta quasi sempre a 53

Su questo aspetto cfr. le note al testo 5 e 13.

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conseguenze non volute e non desiderate, ma che è inscritta nel codice genetico dell’essere che vuole continuamente riconquistare se stesso. Dalla storia nasce e deriva la proclamazione di un obiettivo politico, di un’utopia. La natura, dal canto suo, si presenta come un modello vivente di comprensione della diversità, dell’irregolarità all’interno di un ordine costituito, mai in contraddizione con se stessa. La natura non ha bisogno di agire in modo straordinario per affermare il proprio stato e la propria identità. Dalla natura nasce e deriva la vocazione dell’uomo a ricercare l’unifcazione universale, l’idealizzazione di un fne originario, di un mito. Per poter rappresentare questo stato di cose e per poter perseguire la sua intenzione, Hölderlin costruisce in modo geniale una situazione in cui è possibile combinare in vari modi natura e storia. Iperione agisce all’interno di un fascio temporale in cui la storia subisce uno schiacciamento tale da far quasi coincidere la grecità classica con l’età della Rivoluzione francese. Iperione infatti è un uomo che vuole combattere per la libertà e l’affrancamento della Grecia, ma sulla base di ideali e di un’educazione che è tratta direttamente dalla tradizione ellenistica classica, in cui la divinità è sentita presente nella vita degli uomini e della polis, tanto che non si avverte la distinzione tra natura e cultura. In un quadro in cui la tradizione del passato si intreccia con le aspirazioni politiche del presente, si riaffacciano valori e virtù che esaltano gli impulsi rivoluzionari, ma che derivano dall’età eroica del mondo omerico: forza, coraggio, sprezzo del pericolo, sacrifcio della vita, astuzia, intraprendenza, disposizione alla lotta, ferezza sono tratti che vengono spesso esaltati da Iperione nel corso del suo racconto, con toni tuttavia che non suggeriscono una loro proiezione di tipo romantico, quanto piutto-

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sto una tensione originaria, un compito di alta formazione individuale e civile. Se vi è una connotazione ‘formativa’ nel romanzo di Hölderlin,54 forse essa si può rintracciare in primo luogo in questo richiamo a un ‘dover essere’ che tende a recuperare le virtù politiche e pubbliche della tradizione omerica. La vicenda storica non è ambientata in un passato in cui si proiettano le tensioni del presente, ma in un presente in cui rivivono i valori del passato. In uno dei primi frammenti pervenutici dei materiali preparatori del romanzo (vedi Cronologia), Hölderlin descrive in modo quasi didascalico questa sovrapposizione di piani: Iperione scrive a Callia (che nei primi frammenti del romanzo, alcuni risalenti al 1792, ricopre il ruolo che sarà poi di Bellarmino, cioè il destinatario delle lettere) parlandogli di come la lettura di omero lo avesse scosso tempo prima da uno stato interiore di torpore che «avvolgeva il mio spirito, come le anime nell’ante-elisio di Platone» (p. |485|). L’immagine cui ricorre Hölderlin è quella del sonno: «dormivo, o mio Callia!», «in una dolce ebrezza giacevo sulle rive del nostro arcipelago [...], nei sogni innocenti giocavo con la soave creatura [Glicera, che poi diverrà Diotima]» (p. |485|). In questo stato semi-onirico di pace, Iperione legge il brano dell’Iliade in cui ulisse e Diomede s’insinuano di notte nel campo nemico e mentre Diomede uccide nel sonno i traci, ulisse s’impossessa di armi e cavalli. Iperione ritrova l’elemento dell’azione, della lotta, ma anche quello dell’astuzia, dell’ardimento, della riuscita, del successo, della festa e dei complimenti che i compagni riservano ai due eroi (in verità protagonisti di un’azione ardita, ma non leale). La scena rigenera le forze sopite di Iperione: 54

Sulla questione del romanzo di formazione, cfr. la nota al testo 19.

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o mio Callia, quel sentimento di trionfo della forza e dell’audacia! Quello era destinato anche a te, mi fu detto, e avrei nascosto il viso infuocato nella sabbia, tanta era la vergogna che provai per i nostri eroi nel confrontarli con quelli di omero! ora sono deciso, costi quel che costi. (p. |486|)

Il giovane Iperione viene richiamato all’azione, all’impegno politico, attraverso il risvegliarsi di ideali che non trovano riscontro nella realtà storica, ma mitica. In questa breve sequenza è dipinta con tratto rapido e appena delineato una precisa dinamica cognitiva di stampo platonico: la memoria mitica come sede della conoscenza attiva che non può passare da nessun’altra via se non da quella della presa di coscienza interiore, prelinguistica e prelogica. Prima ancora di scegliere di scendere in campo, occorre scegliersi come uomo: uno schema che si ritrova anche in Fichte, che ha avuto grande infuenza su Hölderlin, ma che nell’Iperione viene rielaborato in una dimensione in cui il soggetto (l’Io) è individualmente alimentato dalla sfera ideale dell’unità universale (qui concepita a livello mitologico), mentre in Fichte è l’Io ad alimentare tutta la realtà ideale e a farsi spirito generatore del proprio mondo. Si può dire che, così come in Fichte l’Io introduce il tempo nella propria sfera d’essere, Hölderlin invece ritiene che il tempo debba essere inglobato nell’Io e per questo, a livello poetico-narrativo, opera una decisa compressione del tempo, che diventa fusso dinamico della soggettività e assume, quasi contemporaneamente, la funzione della temporalità individuale e della storicità, e si fa pura mitologia rifessiva, vale a dire coscienza del tempo e della storia come modello ideale che occorre seguire perché in-

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scritto nella struttura antropologica. una nuova mitologia viene caldeggiata anche nel più antico programma di sistema dell’idealismo tedesco, dove, con il tipico linguaggio ardente e da ‘manifesto’ culturale che ha reso famoso questo frammento di incerta attribuzione, ma che rispecchia sicuramente anche idee di Hölderlin, si dice: Per la prima volta parlerò qui di un’idea che, a quanto ne so, non è ancora venuta in mente a nessuno: noi dobbiamo avere una nuova mitologia, ma questa mitologia deve stare al servizio delle idee, deve diventare una mitologia della ragione. Prima che le rendiamo estetiche, cioè mitologiche, le idee non hanno alcun interesse per il popolo e, viceversa, prima che la mitologia sia razionale, il flosofo deve vergognarsene. Così, alla fne, illuminati e non illuminati dovranno tendersi la mano, la mitologia dovrà diventare flosofca, e il popolo razionale, e la flosofa dovrà diventare mitologica, per rendere sensibili i flosof. Allora regnerà eterna unità fra noi.55

In questo schema programmatico, alla mitologia si chiede di accattivare l’interesse del popolo attraverso la sua forza evocatrice, la sua potenza immaginativa; potenza che da sola però non basta e di cui il flosofo si vergogna, fnché non viene veicolata per servire le idee, la ragione. Questa duplice convergenza (dal basso e dall’alto), dal vago sapore di esclusivismo elitario o demagogico, viene rappresentata da Hölderlin nella vicenda di Iperione sotto una luce alquanto negativa. La storia di Iperione, infatti, racconta 55

Hegel – Schelling – Hölderlin: Il più antico programma di sistema dell’idealismo tedesco, pp. 25-27.

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del fallimento della sua rivolta che, alimentata dall’ideale della libertà e da una fnalità pratica superiore di cui il giovane si nutre e si carica in un duro addestramento interiore, fnisce nelle mani di uomini senza scrupoli e senza coraggio, privi di slancio ideale: la mitologia è diventata ideale razionale in Iperione, mentre l’ideale razionale non è diventato mito per il popolo. Aspetto di grande modernità è anche la posizione dell’io narrante, di Iperione che dal suo eremo (che è una condizione dello spirito più che una situazione esistenziale) ha la libertà di navigare sulle rotte del tempo in tutte le direzioni possibili, modifcando in questo modo continuamente il suo angolo visuale e la sua stessa natura di personaggio. Iperione narra di sé in una serie di lettere dirette all’amico Bellarmino, in particolare racconta la sua storia che lo ha condotto a maturare una propria concezione del mondo, a stringere profondi legami di amicizia che lo segneranno, a incontrare Diotima, l’amore che ne condizionerà in modo decisivo il destino, a rifugiarsi illusoriamente in un’europa centrale da cui fuggirà inorridito, infne a ritornare defnitivamente in patria, dove ritrova pace dopo la morte dell’amico Alabanda e di Diotima, la cui scomparsa è in parte il frutto delle azioni da lui stesso intraprese. nel raccontare questa vicenda (che non è affatto priva di trama e di avvenimenti, come spesso si è detto), Iperione è presente come attore, come testimone, come commentatore e come autore, senza però mai che i diversi ruoli si sovrappongano in modo da compromettere la tessitura e la comprensione del romanzo. Hölderlin ripropone in questo modo una visione della soggettività che non può essere stretta semplicemente nella logica della relazione di identità fra Io (inteso come soggetto) e Io (inteso come oggetto), ma implica un’opposizione contrastiva

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da cui scaturisce il rapporto fra Io e non-Io, che ha valenza metafsica più che semplicemente logica, secondo una tipica prospettiva dell’idealismo post-fchtiano. Secondo la prospettiva che emerge dal celebre frammento Giudizio ed essere (risalente al 1795), l’essere è espressione dell’unione di soggetto e oggetto, esso sintetizza cioè le tensioni necessariamente presenti nell’Io e che necessariamente da questo devono essere separate: Laddove soggetto e oggetto sono assolutamente e non solo parzialmente unifcati, al punto che non può essere effettuata nessuna partizione senza violare l’essenza di ciò che deve essere separato, qui e in nessun altro luogo si può parlare di un essere in assoluto, come accade nell’intuizione intellettuale.56

La struttura logica del pensiero discorsivo non può dividere, cioè giudicare (determinare e delimitare) senza violare l’assolutezza dell’essere, perché il principio di identità non è in grado di convertire fra di loro soggetto e oggetto, in quanto rimane imprigionato nell’identità del soggetto con se stesso e dell’oggetto con se stesso. L’Io cosciente non può emergere da nessuna relazione di identità: non dobbiamo però confondere questo essere con l’identità. Se dico: Io sono Io, il soggetto (Io) e l’oggetto (Io) non sono unifcati in modo tale da non poter essere operata alcuna separazione senza che venga violata l’essenza di ciò che deve essere separato; al contrario l’Io è possibile solo in virtù di questa separazione dell’Io dall’Io. Come posso dire: Io!, senza autocoscienza? Ma come è possibi56

Hölderlin: Scritti di estetica, p. 52.

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le l’autocoscienza? È possibile per il fatto che mi contrappongo a me stesso, mi separo da me stesso e nonostante questa separazione mi conosco come me stesso nell’opposto.57

La condizione umana è stretta fra questi due termini: lo slancio ideatore e costruttivo, che è frutto imperioso della sua libertà, e il desiderio disvelatore e fantastico, con cui egli accetta e riconosce il proprio destino. L’uomo tende a innestare il proprio seme creatore nella realtà storica e sociale che vive, tende a edifcare come un artefce naturale. Ma sa anche, per esperienza diretta, che la natura non risente dell’azione storica e che proprio la sua apparente staticità è il segno della caducità dell’uomo. Ma l’uomo appartiene alla natura, la stessa umanità non è che un frammento della natura appena scalfto dalla storia. Scalfttura che però, da sola, basta a relegare l’uomo a un destino di allontanamento progressivo dalla propria origine e a renderlo inadatto a realizzare i propri intenti, ma non fno al punto da spingerlo ad abbandonarsi all’inattività, alla rassegnazione razionale ai limiti che lo affiggono. L’uomo davanti al quale Hölderlin si trova, è lo stesso uomo che viene ripensato in prospettiva antropologica dai pensatori tedeschi di fne secolo. e se Kant ricorre a una pragmatica antropologica, volta a rinsaldare la componente corporea a quella spirituale, in vista della più consona adesione ai principi morali e alle disposizioni giuridiche dettate dalla ragione pratica; se Herder invoca una philosophia anthropologica da affancare alla philosophia botanica di Linneo, Hölderlin salta ogni questione di nomenclatura e di classifcazione per additare un’antro57

Ivi, pp. 52-53.

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pologia basata direttamente sulla tensione dilaniante della natura umana, affrontando con coerenza e senza nessun particolare dispositivo di sicurezza l’inevitabile contraddizione che anima l’uomo nel suo desiderio di ricongiungersi con l’unità originaria del divino e nel bisogno di dispiegare le sue energie vitali. non si tratta di descrivere l’uomo com’è, di analizzarne con raffnata saggezza le caratteristiche e i comportamenti, di registrarne le poche, straordinarie capacità che lo rendono un essere in comunicazione con la sfera divina (Herder). Si tratta per Hölderlin piuttosto di comprendere l’uomo, di mostrarlo nella sua completezza, che implica seguire il tutto nella sua tortuosa movenza in cui l’uno svanisce nei molti e i molti si ricompattano nell’uno. Prima ancora di una dialettica, Hölderlin sa di aver bisogno di una dimestichezza con questo tutto ritorto e con le pulsioni che l’uomo nutre al riguardo; sa di dover vivere quelle stesse pulsioni e di doverle al tempo stesso osservare, senza uscire troppo dal tumulto della vita, ma anche evitando di rimanervi intrappolato e, quindi, di non essere più in grado di comunicare le sue osservazioni. Questa pratica dell’esistenza volta alla comunicazione è particolarmente evidente nell’Iperione, dove Hölderlin dichiara fn da subito che non gli interessa descrivere un uomo particolare, con le sue angolature psicologiche, ma un carattere. termine che non è soltanto mera indicazione per personaggio, ma precisa designazione del soggetto dell’opera: l’uomo in generale alle prese con l’essenziale dinamica della vita. Questo non vuol dire disegnare un uomo medio o, peggio, vuoto, privo delle doti che gli consentano di stagliarsi sullo sfondo del racconto. Vuol dire, al contrario, che l’uomo in quanto tale (ogni singolo uomo) deve (o almeno sente il bisogno di) percorrere con piena consapevolezza le tappe

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in cui si frantumano e ricompongono i confitti e le tensioni degli opposti. Iperione non è un uomo comune, ma nemmeno un essere eccezionale, perché come tutti è vinto e vittorioso, libero e soffocato, ardente e apatico. Il lettore non saprà mai quali siano i suoi gusti, il suo modo di vestire, le sue piccole manie, come sia la casa in cui abita, ma sa da subito quali sono le sue grandi aspirazioni, la sua visione della vita, i suoi complessi rapporti di amicizia e di amore. ed è per questo che l’opera ha un carattere essenzialmente antropologico, perché indaga la natura umana nei suoi momenti cruciali e nei suoi rapporti profondi con gli altri e con il mondo. Intorno a questi momenti e a questi rapporti si profla la vita di Iperione (e di ogni altro uomo), e la vita è l’insieme di quelle torsioni del tutto cui si è fatto cenno e che per Hölderlin possono essere espresse soltanto attraverso una forma di comunicazione che eviti accuratamente qualsiasi approccio confdenziale o sentimentale, ma si conceda senza mezzi termini all’espressività stessa delle energie fondamentali su cui si reggono i sentimenti e la stessa ragione umana, che Hölderlin disprezza molto meno di quanto non si sia soliti credere. Per questo lo strumento dell’antropologia hölderliniana non può che essere la letteratura e la poesia (una delle versioni intermedie dell’Iperione prevedeva una stesura in versi). Se occorre dimestichezza con la vita e capacità di osservazione, il linguaggio discorsivo si frantuma come mille scaglie di mica e fnisce con il fallire il suo compito. Diversi e frequenti sono i momenti in cui nel romanzo Iperione rifuta il linguaggio, ne condanna la funzione divisiva, che allontana sempre più dall’orizzonte della comprensione totalizzante, dall’intuizione dell’intero. La poesia, invece, ma questo vale anche per il genere del romanzo entro certi limiti, non è un linguaggio, ma la

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forma impressa di ogni sentimento e di ogni intuizione e, anche, di ogni pensiero originario, perché essa adotta liberamente lo schema analogico, la metafora (di cui Iperione, anche nelle pagine meno poetiche, è ricco). L’uomo, in conclusione, può essere rappresentato e manifestato nella sua dissonante totalità soltanto attraverso gli armonici della poesia, perché deve essere rappresentato e manifestato nel contatto più diretto con la vita. A sua volta la vita non è semplicemente l’insieme dei casi che occorrono nell’esistenza, ma lo sviluppo necessario di tensioni contrastanti, il vitale rapporto con la natura e la storia: tensioni e contrasti, rapporti e vitalità che costituiscono il bello, la profonda tessitura metafsica che sovrasta l’uomo, ma che al tempo stesso lo anima dal di dentro, perché egli stesso è parte di quella tessitura. La poesia è dunque centrale per Hölderlin sia dal punto di vista del comunicare umano, sia dal punto di vista dell’oggetto di questa comunicazione: la vita.

Cronologia della vita e delle opere di FriedriCh hölderlin 1770 20 marzo

1772 5 luglio 15 agosto 1774 10 ottobre

1776 Autunno

29 ottobre

Johann Christian Friedrich Hölderlin nasce a Lauffen sul Neckar. La madre, Johanna Christina Heyn, è fglia di un pastore protestante, vicino al pietismo; il padre, Heinrich Friedrich Hölderlin, è giurista, funzionario ducale e amministratore di alcune proprietà di un monastero di Lauffen.

Il padre muore improvvisamente a causa di un ictus. Nasce la sorella Heinrica, detta Rike.

La madre si risposa con Johann Christoph Gock, amico di famiglia, prima scrivano a Lauffen e poi funzionario comunale a Nürtingen, dove nel 1776 diventa sindaco. In questa cittadina, in una grande proprietà, si trasferisce tutta la famiglia Gock.

Hölderlin inizia a frequentare la scuola di latino a Nürtingen. Nello stesso periodo prende lezioni private per prepararsi all’esame di ammissione a uno dei seminari minori del Württemberg (Denkendorf o Blaubeuren). Nasce il fratello Karl Christoph Friedrich, al quale Hölderlin resterà fortemente legato per tutta la vita e con cui rimarrà a lungo in contatto epistolare. Altri tre fratellastri, due femmine e un maschio, nati nel 1775, 1777 e 1778, moriranno bambini.

88 1779 8 marzo

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Il patrigno Johann Christoph Gock muore in seguito a una grave forma di polmonite. Il trauma per la perdita della fgura paterna, vissuto per due volte nel giro di pochi anni, segnerà fortemente il poeta per tutta la vita.

1780

Settembre

Hölderlin inizia a prendere lezioni di piano e in seguito arricchirà la sua formazione musicale imparando a suonare anche il fauto. Primo tentativo di superare l’esame d’ammissione al seminario protestante.

1782 Prende quotidianamente lezioni private di latino, greco, dialettica e retorica dal diacono Nathanel Köstlin e dal precettore Kraz, per prepararsi all’esame di ammissione al seminario minore. 1783 Settembre

1784 20 ottobre

Superamento dell’esame di ammissione al seminario. A casa di Köstlin Hölderlin incontra per la prima volta Friedrich Wilhelm Joseph Schelling, nipote del diacono.

Ingresso al seminario del convento di Denkendorf. I seminari minori protestanti accoglievano ogni anno circa trenta allievi, rigorosamente selezionati tramite esami severi. In questi luoghi ai giovani studenti veniva impartita un’educazione gratuita che comprendeva lo studio di greco e latino, teologia e retorica, e instillava un atteggiamento di assoluta sottomissione alla chiesa e al ducato. Gli allievi erano obbligati, alla fne degli studi, a prestare servizio come pastori o insegnanti nella chiesa protestante, oppure, qualora decidessero di assecondare altre aspirazioni, a ripa-

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gare le borse di studio ricevute. Ciò spiega la preoccupazione costante della madre affnché il fglio ottenga un posto come pastore. 1785 21 marzo

Novembre

Hölderlin, a seguito del superamento dello examen solenne, raggiunge il sesto posto nella graduatoria degli allievi migliori del seminario. In una lettera alla madre annuncia di avere per la testa «mille progetti poetici».

1786

18/19 ottobre

Novembre

7/8 novembre

Dicembre 1787 Gennaio

Marzo

Hölderlin compone la poesia M. D. [Mio Dio], la prima a noi pervenuta. Si tratta di una poesia di circostanza, scritta per ringraziare i suoi insegnanti. Ingresso al seminario del convento di Maulbronn, vicino a Stoccarda. La disciplina del seminario è regolata da un severo statuto: è vietato bere tè e caffé, fumare, leggere libri dannosi e romanzi, così come sono vietate le traduzioni in tedesco degli scrittori latini presenti nei programmi scolastici. Hölderlin conosce Louise Nast, il suo primo amore. La relazione con la giovane durerà, con alterne vicende, fno alla primavera del 1789. Scrive una poesia dedicata alla duchessa Franziska, in visita al seminario di Maulbronn con il duca del Württemberg Karl eugen. A Louise vengono dedicate due poesie: A Stella e All’usignolo.

Hölderlin conosce Immanuel Nast, cugino di Louise. Inizia tra i due un’amicizia intensa, documentata da un frequente scambio epistolare. Lettura appassionata di ossian, accanto a Klopstock (Messia), Schiller (Fiesco; Intrigo e Amore), Schubart (L’ebreo errante), Young e Wieland (Nuova Amadigi). Nella lirica Il mio proposito Hölderlin esalta Klopstock e Pindaro come modelli della sua poesia.

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Aprile

Alla madre scrive di essersi convinto a intraprendere la carriera ecclesiastica, abbandonando l’idea degli studi giuridici. Questa lettera è esemplare dell’atteggiamento ambivalente di Hölderlin nei confronti di questa fgura autoritaria, di cui avverte fortemente l’infuenza ma da cui tenta al contempo di affrancarsi. estate/autunno Hölderlin si lamenta in diverse lettere a Nast e alla madre della vita del collegio, delle privazioni e delle costrizioni che deve subire e si mostra insofferente verso i superiori. 1788 18 marzo

Aprile 2/6 giugno

21 ottobre

3 dicembre

1789 Febbraio

viaggio con la madre a Markgröningen, in visita a una zia morente. Conosce Magenau e legge il trattato Sul Sublime dello pseudo-Longino. Nuova lettura di ossian e del Don Carlos di Schiller. viaggio nel Palatinato, visita di Heidelberg e Mannheim. trascrive le poesie composte tra il 1786 e il 1788 in un quaderno, oggi noto con il nome di Quaderno in quarto di Marbach. Ingresso allo Stift di tübingen, il seminario superiore di studi teologici. Incontro con i nuovi compagni di studio: Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Rudolf Magenau e Christian Ludwig Neuffer. Con loro Hölderlin stringe subito amicizia e avvia un sodalizio poetico, ispirato alla Repubblica dei letterati di Klopstock. Gli amici si ritrovano a leggere poesie e a proclamare i loro ideali democratici; il motto con cui si congedano è «Reich Gottes» (Regno di Dio). Hölderlin consegue il baccalaureato. Inizia così il periodo di studi allo Stift, che nei primi due anni è incentrato sulla flosofa e negli ultimi due sulla teologia. In particolare approfondisce la lettura di Kant, Leibniz, Jacobi e Spinoza.

Prima pubblicazione di una sua poesia, andata perduta, in un libretto per le nozze di Heinrike Nast.

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Marzo

Aprile 14 luglio

5 novembre

25 novembre

1790 Gennaio

Marzo-aprile

Aprile 17 settembre

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Fine della relazione con Louise Nast: in una lettera Hölderlin annuncia di voler rompere il fdanzamento perché non si sente degno di lei. visita a Neuffer e Schubart a Stoccarda. Presa della Bastiglia e inizio della Rivoluzione francese. Le notizie provenienti dalla Francia portano gli studenti dello Stift a riunirsi in gruppi per esaltare e condividere gli ideali rivoluzionari. Le autorità del seminario tentano di reprimere in ogni modo questo clima di ribellione. Il duca visita lo Stift per assicurarsi del mantenimento dell’ordine e richiamare all’obbedienza gli allievi infervorati dalle idee rivoluzionarie. Hölderlin si lamenta in diverse lettere del conservatorismo dello Stift e della rigidità della disciplina. In una lettera alla madre manifesta il desiderio di uscire dal seminario per iscriversi alla Facoltà di Giurisprudenza.

Hölderlin inizia a frequentare le lezioni di Flatt, approfondendo così la conoscenza della flosofa kantiana grazie anche al sostegno del ripetente (una sorta di tutor) Diez, rappresentante di un kantismo radicale. Si incontra periodicamente con gli amici Neuffer e Magenau per declamare poesie. Per queste occasioni compone il Canto dell’amicizia, il Canto dell’amore e Alla quiete, di chiara ispirazione schilleriana e in cui è palese l’infuenza del pensiero platonico. Una commissione giunge allo Stift per redigere uno statuto più rigido per gli allievi. Hölderlin supera il Magisterexamen e termina così i primi due anni di studio, dedicati alla flosofa e alla flologia. Per l’esame il poeta compone due saggi: la Storia delle belle arti tra i greci, che si basa principalmente sulla Storia dell’arte antica di Johann Joachim Winckelmann (1764), e il Parallelo tra i “Detti di Salomone” e “Le opere e i giorni” di Esiodo.

92 ottobre

8 novembre

1791 19 aprile

Settembre

Novembre 1792 Marzo/aprile

20 aprile

Giugno estate Settembre

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Hölderlin ritrova Schelling, ammesso allo Stift all’età di soli quindici anni. Inizio della relazione con elise Lebret, fglia di un professore del seminario. A lei vengono dedicate alcune poesie: La mia guarigione; Melodia; A Lyda. Il poeta scrive a Neuffer che si sta dedicando alla lettura di Leibniz e alla composizione di un Inno alla verità. Si tratta di una prima stesura, pervenutaci incompleta, dell’Inno alla Dea dell’Armonia, che segna l’inizio di una nuova fase poetica, dedicata al canto dei cosiddetti ‘ideali dell’umanità’, un’innica di chiara ispirazione schilleriana e platonica. visita a Johann Kaspar Lavater in Svizzera, insieme a Hiller e Memminger. Da questo viaggio nasce la poesia Il cantone di Schwyz. Nell’«Almanacco delle Muse per l’anno 1792» vengono pubblicate quattro poesie: Inno alla Musa; Inno alla Libertà; Inno alla Dea dell’Armonia; La mia guarigione a Lyda. Hölderlin legge il Contrat social di Rousseau e si entusiasma per l’astronomia.

Lettura del romanzo di Friedrich Heinrich Jacobi Lettere di Eduard Allwill. Composizione degli inni All’Amicizia; Alla Libertà; All’Amore; Al Genio della giovinezza. Inizio del lavoro al romanzo Iperione. La Francia dichiara guerra all’Austria. La Prussia entra in guerra in giugno: inizia la prima guerra di coalizione contro la Francia. Gli studenti dello Stift, primo fra tutti Hegel, si schierano con la Francia. Hölderlin esprime il suo sostegno ai francesi in una lettera alla sorella. Incontro con il giacobino Seckendorf. A Parigi regna il terreur. viene abolita la monarchia e introdotto un governo repubblicano. Pubblicazione nel «Florilegio poetico per l’anno

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21 ottobre 19 novembre Novembre

1793 21 gennaio 13 maggio

23 maggio Giugno 27 giugno Luglio

Settembre

19 settembre 20 settembre 1 ottobre 6 dicembre 22 dicembre 28 dicembre

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1793» delle seguenti poesie: Inno all’Umanità; Inno alla Bellezza; Inno al Genio della giovinezza; Inno all’Amicizia; Il cantone di Schwyz; Inno alla Libertà; Inno all’Amore. I francesi occupano Magonza e instaurano un governo repubblicano. Con un decreto i francesi offrono il loro aiuto a tutti i popoli che vogliono affrancarsi dalla monarchia. Lettera di Hölderlin alla madre, in cui si mostra fducioso nelle conseguenze positive che la guerra avrà per i tedeschi.

Condanna a morte di Luigi XvI. Allo Stift viene proclamato un nuovo statuto, più restrittivo e repressivo nei confronti degli allievi che avevano abbracciato gli ideali rivoluzionari. Charlotte von Kalb prega Schiller di aiutarla a trovare un nuovo precettore per il fglio Fritz. esame fnale di Hölderlin allo Stift. visita allo Stift del poeta Friedrich Matthison, a cui Hölderlin dedica l’inno Al Genio dell’audacia. In una lettera al fratello, Hölderlin condanna il giacobino Marat, assassinato a Parigi, e abbraccia gli ideali moderati dei girondini. Primo incontro con il diplomatico Isaak von Sinclair, che si rivelerà il più fedele e devoto tra gli amici del poeta. Hegel lascia lo Stift. In una lettera Stäudlin raccomanda Hölderlin a Schiller per il posto di precettore a casa von Kalb. Hölderlin conosce Schiller a Ludwigsburg. esame fnale a Stoccarda e prima predica pubblica. Di passaggio a Norimberga, incontra Ludwig Schubart. Arrivo a Waltershausen, a casa von Kalb. Charlotte von Kalb è all’epoca una delle donne più note e ammirate tra i circoli degli intellettuali.

94 1794 Gennaio

Aprile 8/9 giugno Giugno estate Agosto ottobre Novembre

Dicembre 1795 Gennaio

Aprile

15 maggio Maggio Giugno

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Hölderlin inizia il suo lavoro di precettore a casa von Kalb. ogni giorno impartisce lezioni al fglio Fritz, dalle 9 alle 11 e dalle 15 alle 17; nel tempo restante può dedicarsi all’attività poetica. A una lettera a Schiller allega la poesia Il Destino, proponendola per la pubblicazione. viaggio con la famiglia von Kalb a völkerhausen; proseguimento a piedi fno a Fulda. Intensiva lettura di Kant e Platone. Hölderlin inizia a lavorare al Frammento di Iperione. Legge le lezioni sulla Dottrina della scienza di Fichte. Progetta un dramma sulla morte di Sofocle, mai realizzato. Compie un viaggio a Jena con Fritz. Fa visita a Schiller e incontra per la prima volta Goethe, ma non lo riconosce. All’università frequenta le lezioni di Fichte. Si trasferisce a Weimar con Charlotte e il fglio Fritz.

Hölderlin fa visita a Herder e incontra nuovamente Goethe. Ritorna a Jena e frequenta ancora le lezioni di Fiche. Inizia a lavorare alla Giovinezza di Iperione. Legge Gli anni di apprendistato di Wilhelm Meister. Si trasferisce a casa Sinclair. Incontra Böhlendorff, un intellettuale vicino alla cerchia di Fichte. viaggia a piedi fno a Halle, Lipsia e Dessau. Qui visita il grande parco di Wörlitz. Si immatricola all’Università di Jena. Incontra Fichte e Friedrich von Hardenberg (Novalis) a casa di Niethammer. Dalla relazione con Wilhelmine Marianne Kirms, dama di compagnia di Charlotte von Kalb, nasce Luise Agnese, unica fglia di Hölderlin, che morirà nel 1796. Il poeta abbandona improvvisamente Jena per tornare a Nürtingen. Una delle cause potrebbe essere

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estate Settembre Dicembre 1796 Gennaio

24 febbraio

Aprile 10 aprile Maggio

10 luglio

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proprio la relazione con la Kirms e la nascita della fglia, ma si tratta solo di supposizioni; non è infatti nemmeno sicuro che egli ne sia mai venuto a conoscenza. La lettera a Schiller del 23 luglio, in cui il poeta confessa al suo maestro la dipendenza eccessiva che avverte nei suoi confronti, lascia comunque presumere che proprio la necessità di attenuare questo legame, diventato troppo forte, e di trovare una propria strada poetica sia all’origine dell’improvvisa partenza. Fa visita a Schelling a tübingen. Lavora alla penultima stesura di Iperione. Incontra gli amici Neuffer e Magenau a Stoccarda. Incontra ancora una volta Schelling. Si trasferisce a Francoforte.

Hölderlin si stabilisce a casa del banchiere Gontard, a Francoforte sul Meno, come precettore del fglio Henry. In una lettera a Niethammer manifesta il progetto di scrivere una replica alle lettere su L’educazione estetica dell’uomo di Schiller. Forse il Frammento delle lettere flosofche (MA, vol. II, pp. 51-57) è l’unico documento di questo progetto, mai portato a termine. Fa visita a Schelling a Francoforte. Legge il Diritto naturale di Fichte. Napoleone intraprende la Campagna d’Italia e fonda nuove repubbliche. Hölderlin inizia un’intensa relazione con Susette, la moglie del banchiere; in suo onore compone la poesia Diotima. Fuga insieme alla famiglia Gontard a Kassel per l’avanzata dei francesi, ormai alle porte di Francoforte. Il poeta conosce Wilhelm Heinse, autore del romanzo Ardinghello. Questo incontro sarà fondamentale non solo per la maturazione del suo credo estetico, ma sarà anche all’origine della poetica della ‘alternanza dei toni’.

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9 agosto 8 settembre 13 settembre Autunno

1797 Gennaio

Aprile Maggio 20 giugno Agosto

22 agosto

ottobre 17 ottobre 1798 estate

Settembre

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Il poeta visita il Museo Fridericianum, dove rimane colpito dalle opere di Rembrandt e Rubens, ma anche dalla raccolta di statue classiche. Hölderlin si trasferisce con la famiglia Gontard a Bad Driburg. Il duca Karl eugen sconfgge le truppe francesi. Hölderlin e i Gontard ritornano a Kassel. Il poeta lavora all’ultima versione del romanzo Iperione. Rientro a Francoforte.

Hegel inizia a lavorare come precettore a Francoforte. Dagli incontri di Hölderlin con Hegel e Schelling avrà origine Il più antico programma di sistema dell’Idealismo tedesco. viene pubblicato il primo volume di Iperione. La famiglia Gontard si trasferisce per l’estate in una casa di campagna, a nord della città. Hölderlin spedisce a Schiller le poesie All’Etere e Il viandante, insieme al primo volume del romanzo. Scrive il primo progetto dell’Empedocle (Progetto di Francoforte). L’elegia Il viandante viene pubblicata sulla rivista «Le ore» di Schiller. Incontra Goethe, che gli consiglia di comporre «piccole poesie». Da questo suggerimento avranno origine le odi brevi. Lettura della traduzione tedesca di ossian. Con la Pace di Campoformio termina la prima guerra di coalizione.

Hölderlin spedisce a Neuffer le odi epigrammatiche e a Schiller i componimenti Al Dio del sole; Ai nostri grandi poeti. Abbandona casa Gontard dopo un litigio con il banchiere, forse in seguito ai pettegolezzi riguardanti la sua relazione con la moglie Susette. Arriva a Homburg, ospite dell’amico Sinclair, e vie-

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4/5 ottobre

Novembre

dicembre

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ne accolto con benevolenza e ammirazione a corte, soprattutto da parte della principessa Auguste. Incontra nuovamente, in segreto, Susette Gontard. Questi incontri proseguiranno fno al giugno del 1800, così come l’intensa corrispondenza tra i due amanti. viene ultimato il secondo volume del romanzo Iperione. Hölderlin si reca al Congresso di Rastatt insieme all’amico Sinclair e qui incontra diversi intellettuali e nobili dalle ambizioni democratiche, che intendono fondare in Germania istituzioni repubblicane, con l’aiuto della Francia. Legge la biografa di empedocle in Diogene Laerzio: Vite e dottrine dei più celebri flosof. Alcune odi vengono pubblicate nel «Libriccino per signore colte dell’anno 1799» di Neuffer.

1799 Gennaio Febbraio 2 marzo

Inizia il lavoro alla prima stesura dell’Empedocle. Scoppia la seconda guerra di coalizione (1799-1802). A. W. Schlegel loda le poesie di Hölderlin in una recensione del «Libriccino per signore colte». Maggio/giugno Hölderlin lavora alla seconda stesura dell’Empedocle. Giugno Il poeta progetta di pubblicare una rivista mensile, intitolata «Iduna». L’idea fallisce presto in quanto diversi nomi importanti non accettano di collaborare. Nel «Libriccino per signore colte dell’anno 1800» viene pubblicato il poemetto Emilie prima del giorno del suo fdanzamento. ottobre viene pubblicato il secondo volume di Iperione. 9 novembre Napoleone viene nominato primo console in seguito al colpo di stato del 18 brumaio. Dicembre Hölderlin lavora alla terza stesura dell’Empedocle. 1800 Gennaio

Hölderlin riceve la visita dell’amico Landauer, che lo invita a Stoccarda.

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Pasqua 25 aprile 8 maggio 20 giugno Agosto 25 dicembre 1801 11 gennaio

9 febbraio 11/13 aprile 2 giugno

Agosto

10 dicembre

1802 28 febbraio

10 maggio Giugno 22 giugno 30 giugno

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Inizia il lavoro agli scritti poetologici. Il poeta fa visita alla famiglia a Nürtingen. I francesi guidati dal generale Moreau arrivano in Svevia. Incontra per l’ultima volta Susette Gontard. Arriva a Stoccarda, a casa Landauer. Lavora alle odi e alle elegie. esce l’elegia I lamenti di Menone per Diotima. Armistizio di Steyr dopo la sconftta dell’Austria a Hohenlinden.

Hölderlin parte per Hauptwil, in Svizzera, dove inizierà a lavorare come precettore a casa della famiglia von Gonzenbach. Pace di Lunéville tra Francia e Austria. Per celebrarla il poeta comporrà l’inno Festa di pace. Hölderlin lascia Hauptwil per Nürtingen. Aspira a tenere a Jena lezioni sulla letteratura greca, ma la sua speranza non si realizza; lavora intensamente agli inni. Hölderlin trascrive in pulito odi ed elegie per inviarle all’editore Cotta che intende pubblicarle, ma il progetto non va in porto. Parte per Bordeaux a piedi; qui inizierà un nuovo lavoro come precettore. Sosta a Strasburgo, trattenuto dalle autorità francesi, e a Lione.

Hölderlin fa il suo ingresso a casa del console Meyer, a Bordeaux. Inizia la traduzione delle tragedie di Sofocle. Lascia Bordeaux e fa ritorno in Germania a piedi, sostando nuovamente a Strasburgo. Arriva a Stoccarda, poi a Nürtingen. Mostra chiari segni di un profondo crollo psicologico. Muore Susette Gontard. In una lettera, indirizzata a Bordeaux, Sinclair comunica a Hölderlin la morte di Susette. Il poeta ri-

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29 settembre

1803 13 gennaio Giugno

22 giugno 8 dicembre 1804 Aprile 19 giugno

22 giugno

2 dicembre Dicembre 1805 26 febbraio 27 febbraio

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ceve la lettera probabilmente solo ai primi di luglio, a Stoccarda. Hölderlin fa un viaggio a Ratisbona, dove si discute del nuovo assetto degli stati tedeschi dopo la pace di Lunéville, e qui incontra il langravio di Homburg.

Invia a Sinclair l’inno Patmos, con la dedica al langravio di Homburg. Nuovo incontro con Schelling a Murrhardt. Friedrich Wilmans commissiona a Hölderlin la traduzione delle tragedie di Sofocle. Muore lo scrittore e amico Wilhelm Heinse. Il poeta annuncia la composizione di alcuni «canti patriottici».

vengono pubblicate le traduzioni delle tragedie di Sofocle Edipo Re e Antigone. Hölderlin partecipa a una cena con Sinclair e altri intellettuali in cui l’amico esprime la volontà di dare una svolta repubblicana alla situazione politica nel Württemberg, anche facendo uso della forza. Proprio questa cena sarà all’origine della denuncia di Blankenstein, che coinvolgerà anche il poeta. Hölderlin si trasferisce a Homburg, insieme a Sinclair. Qui verrà assunto a corte come bibliotecario, ma in realtà non svolgerà mai questa attività. Sinclair partecipa a Parigi all’incoronazione di Napoleone. Nel «Libriccino per l’anno 1805» escono i Canti della notte.

Sinclair viene arrestato con l’accusa di aver partecipato a un complotto per un attentato al principe. Inizia il processo contro Sinclair a Ludwigsburg, in cui Blankenstein cita anche Hölderlin come testimone. Il poeta non viene però mai arrestato, a causa

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Luglio 1806 12 luglio

11 settembre Novembre

1807 3 maggio

Autunno 1815 29 aprile

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del suo stato di salute divenuto assai precario e delle reiterate crisi psichiche. Hölderlin traduce le odi di Pindaro.

Il granducato di Hessen-Homburg entra a far parte del granducato di Assia. Sinclair non è più in grado di occuparsi di Hölderlin. Il poeta viene trasferito alla clinica di Autenrieth, a tübingen. Nell’«Almanacco delle Muse» del 1807 di Seckendorf vengono pubblicate: La festa d’autunno; La notte (prima strofa di Pane e vino); La migrazione.

Hölderlin viene dimesso dalla clinica e accolto a casa del falegname ernst Zimmer, dove abiterà nella famosa torre sul Neckar fno alla morte, continuando a scrivere poesie. Nell’almanacco di Seckendorf escono Il Reno; Patmos; Rimembranza.

Sinclair muore a vienna.

1821 Il tenente Diest, insieme a Kerner, Uhland e Conz, comincia a raccogliere i manoscritti e le poesie a stampa di Hölderlin per pubblicarle. 1822 3 luglio

24 ottobre

Lo scrittore Wilhelm Waiblinger fa visita per la prima volta al poeta nella torre. viene pubblicata la seconda edizione del romanzo Iperione. Waiblinger ritorna alla torre.

1823 22 febbraio

Nuova visita di Waiblinger.

Autunno

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27 luglio 1826 Giugno

1828 17 febbraio 1829 Settembre

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Mörike, insieme a Lohbauer e Johann Georg Schreiner, fa visita al poeta.

esce presso l’editore Cotta la raccolta di poesie, curata da Ludwig Uhland e Gustav Schwab: Gedichte von Friedrich Hölderlin.

Muore la madre. Il patrimonio ereditato da Hölderlin ammonta a 9000 forini.

Neuffer pubblica nella «Zeitung für die elegante Welt» quindici poesie inedite.

1830 esce la prima biografa del poeta scritta da Waiblinger, che muore prima di vederla pubblicata: Vita, poesia e follia di Hölderlin. 1831 18 novembre 1841 16 gennaio

Muore ernst Zimmer; di Hölderlin continuerà a occuparsi la fglia Lotte.

Hölderlin, durante una visita di C. t. Schwab, usa per la prima volta il nome Scardanelli. Con questo appellativo frmerà le sue ultime poesie.

1842 Autunno

esce la seconda edizione della raccolta di liriche.

1843 Inizio giugno 7 giugno

Hölderlin scrive la sua ultima poesia La veduta. Alle ore 23 il poeta muore nella torre sul Neckar.

Cronologia di IperIone Friedrich Hölderlin raccoglie i primi spunti per il romanzo nel 1792, durante il periodo di studio a tübingen, e si dedica alla sua composizione per circa sei anni, fno al completamento del secondo volume alla fne del 1798, quando il manoscritto sarà inviato all’editore – ma sarà pubblicato soltanto nell’ottobre 1799. Sono anni molto densi di avvenimenti e di esperienze sul piano sia personale sia poetico: l’entusiasmo politico per la Rivoluzione francese con la successiva rassegnazione per il terreur e la dittatura di Napoleone; gli incontri con Schiller, Goethe, Herder, Fichte e Schelling, l’amore per Susette Gontard; la composizione degli ultimi Inni di tübingen e delle odi ed epigrammi del periodo di Francoforte, l’elaborazione delle diverse stesure della Morte di Empedocle e le numerose traduzioni dal greco, che infuirono profondamente sul rapporto del poeta con la grecità. Su questo sfondo vanno collocate le tappe salienti del processo creativo di Iperione, di seguito riepilogate con l’aiuto dei documenti che ricostruiscono gestazione e fortuna del romanzo. 1792 Aprile

Novembre

Durante una visita a Stoccarda a casa di Neuffer, la cui madre era di origine greca, incontra il commerciante greco Panagiot Wergo. Si sente anche fortemente attratto da una giovane donna conosciuta fra gli amici di Neuffer. I discorsi di Wergo sulla situazione politica della Grecia e l’amore senza speranza per la giovane, già fdanzata, gli offrono lo spunto per il romanzo. Una volta rientrato a tübingen, comunica infatti all’amico Magenau la sua intenzione di «diventare un romanziere». In una lettera a Neuffer, Magenau riferisce che l’amico Hölderlin sta lavorando a un romanzo epistolare

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«che sembra molto promettente» e ne riporta il titolo: Iperione. 1793 estate

1794 Aprile

Settembre

ottobre

Il romanzo comincia a prendere forma: a maggio il poeta aveva annunciato a Neuffer che presto gliene avrebbe mandata una parte in lettura; a luglio comunica al fratello di averne pronti nove fogli e ne invia alcuni brani a Gottholf Friedrich Stäudlin. In una lettera a Neuffer, scritta lo stesso giorno, commenta i materiali inviati a Stäudlin e illustra brevemente l’idea portante del romanzo, fondato su una rifessione estetica già molto approfondita. Nel mese di settembre Stäudlin manifesta tutto il suo apprezzamento per il bello stile e la vivacità della descrizione, e chiede di poterne leggere altri brani.

A Waltershausen, dove da qualche mese occupa il posto di precettore a casa von Kalb, Hölderlin si dedica con maggior concentrazione al Frammento di Iperione. Charlotte von Kalb, che già in precedenza aveva riferito a Schiller del talento creativo del nuovo precettore, gli scrive nuovamente chiedendogli di pubblicare alcuni testi di Hölderlin: si tratta della poesia Il Destino e del Frammento di Iperione, che appariranno infatti sulla «Nuova talia». Il frammento offre solo uno spaccato dei temi che costituiranno il romanzo, ma ne emergono già in forma compiuta tutti i tratti dominanti. Comunica a Neuffer che le prime cinque lettere del romanzo saranno pubblicate sulla rivista di Schiller, ma che nel frattempo tutta la prima parte è quasi terminata, risultato di una revisione radicale dei suoi primi appunti. Nonostante l’insoddisfazione per l’impiego a casa von Kalb, che lo tiene occupato buona parte della giornata, lascia intendere una rapida conclusione della composizione.

104 Novembre

Fine anno

1795 Gennaio

Aprile

Giugno

Settembre

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trasferitosi nel frattempo a Jena, riferisce a Neuffer di una visita a casa di Schiller, durante la quale gli viene consegnato il fascicolo di «talia» con il suo Frammento – in presenza di Goethe, che egli però non riconosce. Compone a Jena un abbozzo per una stesura in versi, ma il progetto viene ben presto abbandonato per tornare alla prosa.

Hölderlin inizia a lavorare alla Giovinezza di Iperione, dove si sentono ancora, almeno nella prima parte, echi della precedente stesura in versi. Il 26 gennaio scrive a Hegel: «La mia attività produttiva è attualmente concentrata quasi tutta nella rielaborazione dei materiali per il mio romanzo. Il frammento di Talia è una parte di questa massa grezza. Penso che avrò fnito per Pasqua». La «rielaborazione» appare piuttosto radicale, e consiste nell’abbandono della forma epistolare a favore di una struttura in capitoli, e nel passaggio dalla narrazione retrospettiva all’ordine cronologico naturale. Riceve i complimenti di Neuffer, che ha letto il Frammento sulla rivista. Grazie all’intermediazione di Schiller, l’editore Cotta accetta di pubblicare il romanzo a fronte di un onorario (non particolarmente generoso) di 100 forini. Qualche settimana più tardi, però, Hölderlin lascia improvvisamente Jena, interrompendo così il lavoro alla Giovinezza di Iperione. Durante il viaggio fa tappa a Heidelberg dove incontra Johann Gottfried ebel che, su incarico di Susette Gontard, gli propone un nuovo posto da precettore a Francoforte. Dopo la sosta a Heidelberg, il poeta rientra a Nürtingen e lavora alla penultima stesura del romanzo, aiutato dal fratello Karl Gock, come dimostra una trascrizione in bella copia di suo pugno. In questa fase torna nuovamente al genere epistolare e a una

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sequenza narrativa non cronologica. Dalla dimensione e numerazione dei fogli manoscritti rimasti, il primo volume (che viene spedito a Cotta verso fne anno) doveva superare di molto le 200 pagine, era quindi molto più ampio di quanto concordato a suo tempo con l’editore. 1796 Maggio

Autunno

1797 Aprile

20 giugno

Agosto

Una volta ricevuto e letto il manoscritto, Cotta invita l’autore a ridurre il testo, una richiesta che Hölderlin promette di esaudire in breve tempo. Si propone anzi di comprimere il tutto in un unico volume, e pensa di poterlo fare entro un paio di mesi. In realtà i tagli non saranno poi così drastici, e il lavoro lo impegnerà per un tempo molto più lungo, anche perché la sua concentrazione sarà spesso interrotta dalle vicende esterne, come la fuga davanti all’avanzata dei francesi che costringe la famiglia Gontard e Hölderlin a numerosi quanto improvvisi spostamenti, e l’amore per Susette, che diverrà il modello vivente per la fgura di Diotima. Il poeta lavora all’ultima versione del romanzo, e in particolare al primo volume; spera ancora di riuscire a pubblicare entrambi i volumi entro la Pasqua del 1797.

viene pubblicato il primo volume di Iperione o l’eremita in Grecia. L’editore Cotta invia il 17 aprile dieci esemplari all’autore, come pattuito; la tiratura complessiva ammonta a 360 esemplari. Hölderlin spedisce a Schiller le poesie All’Etere e Il viandante insieme al primo volume del romanzo. Nella lettera che accompagna gli scritti confessa di essersi pentito di aver pubblicato il primo volume di Iperione da solo: senza il secondo, si percepisce troppo poco l’unità del progetto. Scrive al fratello che Iperione ha già ottenuto diversi elogi e che spera di terminarlo in fretta, poiché ha

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Novembre

1798 Primavera

Luglio

Novembre

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già in mente il progetto dettagliato per una tragedia (La morte di Empedocle). In effetti, i numerosi parallelismi e il perfetto equilibrio tra i due volumi fanno pensare che anche il secondo fosse già in uno stadio avanzato di elaborazione, quando il primo viene dato alle stampe; senz’altro l’autore non immaginava che ci sarebbero voluti ancora più di due anni prima di vedere completata l’opera. Il poeta è ansioso di sapere che impressioni suscita il suo romanzo. In luglio aveva scritto a Neuffer per avere qualche notizia, ora scrive al fratello sollecitandolo a raccogliere i commenti di Conz. evidentemente però è consapevole che la sua opera non incontrerà il favore del pubblico: «sono abbastanza in contrasto con il gusto del pubblico attualmente in voga, ma anche in futuro non perderò la mia ostinazione e spero di riuscire ugualmente a farmi strada».

esce la prima delle pochissime recensioni che si soffermeranno su Iperione: come l’autore aveva previsto, l’opera non sembra suscitare molta risonanza. Il recensore, Johann Kaspar Friedrich Manso, non vede nel romanzo altro che «una trama variopinta di sentimenti, pensieri, fantasie e sogni, espressi in modo più o meno verosimile, più o meno comprensibile, più o meno felice» («Neue allgemeine deutsche Bibliothek», 1798, vol. 40, parte I, N° 4, pp. 21-25), e confda nel fatto che, con la seconda parte, l’autore saprà far emergere da quel caos qualcosa di sensato; di fatto, confermerà il suo giudizio non propriamente positivo nel recensire il secondo volume. Da una lettera al fratello si evince che il completamento del secondo volume, sebbene già fssato nelle sue linee generali, si sta rivelando più impegnativo del previsto. Dopo l’allontanamento da casa Gontard e la separazione da Susette, viene ospitato dall’amico Sinclair a Homburg, dove riesce a ultimare e spedire all’editore

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il secondo volume di Iperione, che uscirà però quasi un anno dopo. Alcuni critici suppongono che a causare il ritardo fossero problemi con la censura, che solo nell’autunno 1799 autorizzerà la commercializzazione dell’opera, seppure con alcune restrizioni. 1799 ottobre

Novembre

1800 Marzo

1801 Gennaio

viene pubblicato il secondo volume di Iperione. Anche in questo caso è prevista una tiratura di 360 esemplari, ma il romanzo non ha grande successo: nel 1821, quando viene programmata una ristampa, l’editore segnala che diverse copie giacciono ancora invendute in magazzino. esce una seconda recensione al primo volume di Iperione («oberdeutsche, allgemeine Litteraturzeitung», 25 ottobre 1799, coll. 808-809). In toni elogiativi si sottolinea lo stile nobile ed elevato, la fantasia profonda e creativa dell’autore e il valore morale di un testo che «non è un libro per un pubblico di lettori qualsiasi. L’autore non gioca con i suoi lettori, ma ne impegna tutte le energie morali e intellettuali». Invia a Susette una copia del volume appena uscito: «ecco il nostro Iperione, amore! Il frutto dei nostri giorni felici ti porterà, spero, almeno un po’ di gioia. Perdonami, se Diotima muore. ti ricorderai, non eravamo riusciti a metterci d’accordo del tutto su questo punto, allora. Ma credo che sia necessario per l’impianto generale».

Una lettera di Friedrich emerich è il primo commento diretto che l’autore riceve: emerich è entusiasmato dall’opera, ma indignato per l’invettiva contro i tedeschi.

Appare una recensione entusiastica del secondo volume di Iperione sulle «tübingische gelehrte Anzeigen» (12 gennaio 1801, parte Iv, pp. 25-28). Il

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Aprile

1804 ottobre

1814 ottobre

CRoNoLoGIA DI IPERIoNE

recensore, Karl Philipp Conz, coglie il principio estetico sotteso al romanzo e sottolinea come l’autore non abbia voluto sviluppare un intreccio: il suo protagonista soffre, più che agire, e si privilegia una «trama interiore» per rappresentare l’individualità di un carattere e il suo valore morale e sociale. A fronte di questa considerazione si possono perdonare, a suo parere, i difetti del romanzo: lo stile a volte sovraccarico, i personaggi secondari troppo scialbi e i passaggi eccessivamente spigolosi (si riferisce ovviamente all’invettiva contro i suoi connazionali). J. K. F. Manso parla una seconda volta del romanzo in occasione della pubblicazione del secondo volume, in una recensione cumulativa («Neue allgemeine deutsche Bibliothek», 1801, vol. 62, parte II, p. 349). Confermando sostanzialmente il suo giudizio negativo, dedica a Iperione soltanto tre righe: «Iperione continua a parlare una lingua sublime, immaginifca e sovrannaturale, che sembra annunciare cose nobili, meravigliose e inaudite, ma in fondo non comunica nulla».

La voce di Joseph Görres inaugura una nuova fase della ricezione di Hölderlin. egli frma un articolo che, più che una recensione, è un appello a tutti coloro che sono insoddisfatti e si sentono schiacciati dalla banalità dell’epoca («Aurora, eine Zeitschrift aus dem südlichen Deutschland», N° 128, pp. 509510): troveranno in Iperione, romanzo dimenticato, un fratello. Görres si sofferma in particolare sulla fgura del poeta, estraneo e incompreso dai contemporanei, che con spirito profetico li ammonisce (segue la trascrizione di alcuni brani dall’invettiva contro i tedeschi).

Clemens Brentano in una lettera a Rahel varnhagen fornisce una testimonianza eloquente del cambia-

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mento in atto: «Nel caso non aveste letto l’Iperione di Hölderlin, Cotta 1797, fatelo il prima possibile; è uno dei libri più sublimi della nazione, anzi: del mondo». L’elogio di Brentano è rappresentativo di una nuova generazione di lettori, più vicini allo spirito del Romanticismo e affascinati dalla fgura dello sfortunato poeta. 1817 ottobre

1820 Agosto

1822 Autunno

Anche Achim von Arnim parla più volte con trasporto del romanzo; in una lettera ai fratelli Grimm (21 ottobre 1817), in particolare, dichiara: «già alcuni anni fa avevo progettato di elaborare un’estetica basata sull’Iperione di Hölderlin, poiché elegiaca lo è per sua natura e questa, la più splendida fra tutte le elegie, ne offre molteplici spunti».

Il tenente prussiano e. W. von Diest, insieme a Justinus Kerner, Ludwig Uhland e K. P. Conz, comincia a raccogliere i manoscritti e le poesie a stampa di Hölderlin e interpella Cotta per pubblicarne una raccolta; in aggiunta sollecita anche una ristampa di Iperione. Nel corso dell’anno successivo la corrispondenza tra Cotta e gli amici documenta il progredire dell’iniziativa.

viene pubblicata la seconda edizione del romanzo Iperione. In una lettera al fratello del poeta, che nel dicembre 1821 si informava della ristampa in corso, Cotta aveva comunicato di avere ancora a magazzino diversi esemplari del secondo volume: le vendite erano state inferiori al previsto.

1823 Dopo la ristampa appare una nuova recensione, da cui traspare quanto il romanzo e il suo autore fossero ignorati o dimenticati: il recensore non sa indicare

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i dati della prima edizione, non sa chi sia l’autore e denuncia una «noia cordiale» nella lettura di quelle pagine, dove la visione del mondo dell’autore non emerge chiaramente – «forse perché non ce l’ha proprio», aggiunge sarcastico. Maggior gradimento riscuotono le pagine incentrate su Diotima, dove il protagonista, secondo chi scrive, pur nel suo smodato entusiasmo inizia a sviluppare un carattere elegiaco che diventa via via più maestoso quando entra in confitto con l’eroico («Hekate. ein literarisches Wochenblatt», a cura di Adolf Müllner, 1823, N° 40, pp. 313-316). 1824 Gennaio

Un nuovo recensore (dietro il quale si cela Gustav Schwab), decisamente più competente e informato del precedente, non solo sa inquadrare il romanzo all’interno dell’opera complessiva di Hölderlin, ma annuncia la raccolta in preparazione delle sue liriche, curata da Uhland e dallo stesso Schwab. In quanto a Iperione, si tratta di un «prodotto geniale, anzi, per certi versi, di un libro esemplare», che segue il dispiegarsi dello spirito umano nelle fasi della giovinezza, coi suoi entusiasmi e il primo amore, come nessun altro aveva saputo fare. Ulteriore spessore è conferito alla narrazione dal fatto che l’autore, «quando scriveva, aveva come contemporanei Fichte, Schelling e la Rivoluzione francese» («Literarisches Conversations-Blatt», N° 6, 7 gennaio 1824, pp. 21-22).

1846 Con l’edizione delle opere in due volumi curata da Christoph theodor Schwab, Hölderlin entra defnitivamente nel canone dei classici.

nota editoriale La presente traduzione si basa sull’edizione delle opere di Friedrich Hölderlin in tre volumi curata da Michael Knaupp e pubblicata nel 1992-1993 dall’editore Hanser di Monaco (MA). Il testo di Iperione o l’eremita in Grecia è tratto dal vol. I, pp. 609-760 (il riferimento alle pagine di questa edizione appare a margine del testo; fra | | nelle note e nell’introduzione). Il romanzo epistolare fu licenziato dall’autore stesso, che ne seguì di persona le revisioni e la stampa: non presenta quindi particolari problemi di ricostruzione testuale né richiede il confronto tra le scelte flologiche compiute dai curatori delle diverse edizioni critiche disponibili. Per la parte di commento, tuttavia, si sono consultati gli apparati delle edizioni più recenti, dalla “grande edizione di Stoccarda” fondata da Friedrich Beißner (StA – vol. III, 1957), all’edizione storico-critica di Francoforte curata da Dietrich eberhard Sattler (FA – i due volumi con Iperione, il X e l’XI, escono nel 1982). È stata utilizzata anche l’edizione di Jochen Schmidt (DKA), uscita quasi contemporaneamente alla MA all’inizio degli anni Novanta: al momento queste due edizioni rappresentano lo stato più avanzato della ricerca testuale riguardo all’opera di Hölderlin. Del romanzo ci sono pervenuti anche alcuni materiali preparatori che risalgono a diverse fasi della sua elaborazione, dai primi frammenti a noi noti fno alle bozze della stesura defnitiva che il poeta spedisce all’editore (MA, vol. I, pp. 485-608): essi vengono proposti in ordine cronologico in Appendice, con una breve introduzione che permette di datare e inquadrare i singoli frammenti con riferimento ai manoscritti e al contesto della loro composizione. Questi documenti, la maggior parte dei quali è presentata qui per la prima volta in traduzione italiana, consentono al lettore di cogliere i mutamenti, anche di vasta portata, intervenuti nelle varie fasi di gestazione dell’opera. Per questi testi, in prevalenza mano-

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NotA eDItoRIALe

scritti, si accolgono la ricostruzione testuale e le scelte flologiche proposte dall’edizione di riferimento; per le questioni più strettamente ecdotiche si rimanda quindi al relativo apparato (MA, vol. III, pp. 297-325). Le caratteristiche strutturali e stilistiche del testo hölderliniano in tutte le sue stesure, le varie tematiche e le questioni interpretative sono invece trattate nelle note ai testi, che forniscono anche le opportune indicazioni bibliografche. tutti i rimandi ad altri passi del testo contenuti nelle note fanno sempre riferimento alla paginazione del testo originale. * * * Il romanzo di Hölderlin è stato tradotto in italiano per la prima volta nel 1886 da Luigi Parpagliolo (Milano: Sonzogno) che effettuò però alcuni tagli, a cominciare dalla Prefazione; anche Gina Martegiani ne tradusse soltanto degli stralci (Lanciano: Carabba 1911), estrapolando dal testo solo una sequenza di citazioni e aforismi che non permettono di cogliere né la struttura del romanzo nel suo insieme, né il dipanarsi della narrazione nelle singole lettere. La prima traduzione completa è quella di Giovanni Angelo Alfero (torino: Utet 1931), seguita a distanza di cinquant’anni dalle versioni di Giovanni vittorio Amoretti per Feltrinelli e di Marta Bertamini e Fulvio Ferrari, che frmano per Guanda un lavoro a quattro mani (entrambe pubblicate nel 1981). A Giovanni Scimonello si deve la traduzione più recente, che risale comunque al 1989 (cfr. Bibliografa, § 3). Una nuova traduzione rappresenta sempre un passo in avanti nella conoscenza e nell’approfondimento del testo originale. Le traduzioni precedenti, di cui a distanza si percepiscono con maggiore chiarezza punti di forza e limiti, stimolano un’attenzione più rigorosa nei confronti del testo di partenza e del suo ductus, mentre potersi confrontare con le scelte di chi lo ha preceduto è un’opportunità sempre preziosa per il nuovo traduttore. Per progredire ulteriormente nella conoscenza del testo si è pensato, in questo caso, di offrire al lettore italiano non soltanto una traduzione completa affancata dal testo originale a fronte, ma anche per la prima volta una precisa ricostruzione di tutte le fasi di elaborazione dell’opera grazie ai materiali preparatori, che ne documentano il divenire poetico. Il ‘testo’ è inteso dunque nella sua accezione più ampia, che

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comprende non soltanto il romanzo vero e proprio ma anche il suo processo di gestazione, il contesto storico-sociale che lo infuenzò, il dibattito flosofco così come fu recepito dall’autore, la storia del testo e infne la sua ricezione presso i contemporanei. Di tutto questo si cerca di rendere conto nel commento e negli apparati, che richiamano inoltre il discorso critico sull’opera a fronte dei signifcativi sviluppi che gli studi hölderliniani hanno vissuto negli ultimi anni in campo flologico-editoriale, interpretativo e traduttivo.1 L. B.

1 Per un approfondimento degli aspetti specifci riguardanti la traduzione dell’opera hölderliniana rimando ai contributi usciti più di recente, tra cui Lefebvre: Retraduire Hyperion (2007); Cordibella: Hölderlin in Italia (2009); e i diversi saggi di Luigi Reitani in occasione della sua nuova traduzione delle liriche: Da Hölderlin a Hölderlin. Le traduzioni di Hölderlin e la poesia italiana del Novecento (2002 e 2005); Übersetzung als Edition (2002); Pianissimo. Hölderlin übersetzen (2005); «Bis Gottes Fehl hilft». Hölderlin übersetzen (2006).

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HYPERION oder der Eremit in Griechenland.

IPERIONE o L’eremita in Grecia

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Non coerceri maximo, contineri minimo, divinum est.

Volume primo Non coerceri maximo, contineri minimo, divinum est.1

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Vorrede. Ich verspräche gerne diesem Buche die Liebe der Deutschen. Aber ich fürchte, die einen werden es lesen, wie ein Compen­ dium, und um das fabula docet sich zu sehr bekümmern, indeß die andern gar zu leicht es nehmen, und beede Theile verstehen es nicht. Wer blos an meiner Pfanze riecht, der kennt sie nicht, und wer sie pfükt, blos, um daran zu lernen, kennt sie auch nicht. Die Aufösung der Dissonanzen in einem gewissen Charak­ ter ist weder für das bloße Nachdenken, noch für die leere Lust. Der Schauplaz, wo sich das Folgende zutrug, ist nicht neu, und ich gestehe, daß ich einmal kindisch genug war, in die­ ser Rüksicht eine Veränderung mit dem Buche zu versuchen, aber ich überzeugte mich, daß er der einzig Angemessene für Hyperions elegischen Charakter wäre, und schämte mich, daß mich das wahrscheinliche Urtheil des Publikums so übertrie­ ben geschmeidig gemacht. Ich bedaure, daß für jezt die Beurtheilung des Plans noch nicht jedem möglich ist. Aber der zweite Band soll so schnell, wie möglich, folgen. ___________________

Prefazione2 Prometterei volentieri a questo libro l’amore dei tedeschi. Ma temo che alcuni lo leggeranno come un manuale e si preoccuperanno troppo del fabula docet, altri lo prende­ ranno troppo alla leggera e nessuno di loro lo capirà.3 Chi si accontenta del profumo della mia pianta non la conosce, e non la conosce nemmeno chi la raccoglie sol­ tanto per istruirsi. Il risolversi delle dissonanze in un particolare carattere non è fatto né per la semplice rifessione, né per il vuoto piacere.4 Lo scenario dove si svolge ciò che segue non è nuovo, e ammetto di essere stato così puerile da tentare una volta di modifcare questo aspetto del libro;5 poi mi convinsi che era l’unico adatto al carattere elegiaco di Iperione6 e mi vergognai di essermi così esageratamente piegato al pro­ babile giudizio del pubblico. Mi dispiace che la valutazione del progetto non sia an­ cora possibile per tutti; il secondo volume uscirà il più in fretta possibile.7 ___________________

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Erstes Buch. Hyperion an Bellarmin. Der liebe Vaterlandsboden giebt mir wieder Freude und Laid. Ich bin jezt alle Morgen auf den Höhn des Korinthischen Isthmus, und, wie die Biene unter Blumen, fiegt meine Seele oft hin und her zwischen den Meeren, die zur Rechten und zur Linken meinen glühenden Bergen die Füße kühlen. Besonders der Eine der beeden Meerbusen hätte mich freu­ en sollen, wär’ ich ein Jahrtausend früher hier gestanden. Wie ein siegender Halbgott, wallte da zwischen der herrli­ chen Wildniß des Helikon und Parnaß, wo das Morgenroth um hundert überschneite Gipfel spielt, und zwischen der paradie­ sischen Ebene von Sycion der glänzende Meerbusen herein, ge­ gen die Stadt der Freude, das jugendliche Korinth, und schüt­ tete den erbeuteten Reichtum aller Zonen vor seiner Lieblingin aus. Aber was soll mir das? Das Geschrei des Jakals, der unter den Steinhaufen des Altertums sein wildes Grablied singt, schrökt ja aus meinen Träumen mich auf. Wohl dem Manne, dem ein blühend Vaterland das Herz erfreut und stärkt! Mir ist, als würd’ ich in den Sumpf gewor­ fen, als schlüge man den Sargdekel über mir zu, wenn einer an das meinige mich mahnt, und wenn mich einer einen Griechen nennt, so wird mir immer, als schnürt’ er mit dem Halsband eines Hundes mir die Kehle zu. Und siehe, mein Bellarmin! wenn manchmal mir so ein Wort entfuhr, wohl auch im Zorne mir eine Thräne in’s Auge trat, so

Libro primo iperione a Bellarmino8 La cara terra natia mi procura di nuovo gioia e sofferenza.9 Ogni mattina salgo sulle cime dell’istmo di Corinto e la mia anima, come un’ape tra i fori,10 vola qua e là fra i due mari che a destra e a sinistra rinfrescano i piedi alle mie ardenti montagne.11 Uno dei due golf in particolare mi avrebbe rallegrato, se mi fossi trovato qui mille anni fa.12 Come un semidio in trionfo, il mare scintillante si insi­ nua nel golfo con le sue onde, tra le magnifche terre sel­ vagge dell’Elicona e del Parnaso da una parte, dove l’al­ ba gioca fra cento vette innevate, e la pianura paradisiaca di Sicione dall’altra, per giungere alla città della gioia, la giovanile Corinto, e riversare davanti alla sua prediletta le ricchezze sottratte ad altre regioni.13 Ma a che serve? L’urlo dello sciacallo, che intona il suo selvaggio canto funebre fra le rovine dell’antichità, mi scuote dai miei sogni.14 Felice l’uomo il cui cuore è rallegrato e fortifcato da una patria forente! Io mi sento come se venissi gettato in una palude, come se si chiudesse sopra di me il coperchio della bara, quando mi ricordano la mia; e ogni volta che qualcuno mi defnisce greco, è come se mi strangolasse con il guinzaglio di un cane. Ma vedi, Bellarmino mio, quando talvolta mi sfuggiva una parola su questo, o quando nell’ira mi venivano le la­

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kamen dann die weisen Herren, die unter euch Deutschen so gerne spuken, die Elenden, denen ein leidend Gemüth so ge­ rade recht ist, ihre Sprüche anzubringen, die thaten dann sich gütlich, ließen sich beigehn, mir zu sagen: klage nicht, handle! | O hätt’ ich doch nie gehandelt! um wie manche Hoffnung wär’ ich reicher! – Ja, vergiß nur, daß es Menschen giebt, darbendes, angefoch­ tenes, tausendfach geärgertes Herz! und kehre wieder dahin, wo du ausgiengst, in die Arme der Natur, der wandellosen, stil­ len und schönen. Hyperion an Bellarmin. Ich habe nichts, wovon ich sagen möchte, es sey mein eigen. Fern und todt sind meine Geliebten, und ich vernehme durch keine Stimme von ihnen nichts mehr. Mein Geschäft auf Erden ist aus. Ich bin voll Willens an die Arbeit gegangen, habe geblutet darüber, und die Welt um keinen Pfenning reicher gemacht. Ruhmlos und einsam kehr’ ich zurük und wandre durch mein Vaterland, das, wie ein Todtengarten, weit umher liegt, und mich erwartet vieleicht das Messer des Jägers, der uns Griechen, wie das Wild des Waldes, sich zur Lust hält. Aber du scheinst noch, Sonne des Himmels! Du grünst noch, heilige Erde! Noch rauschen die Ströme in’s Meer, und schattige Bäume säuseln im Mittag. Der Wonnegesang des Frühlings singt meine sterblichen Gedanken in Schlaf. Die Fül­ le der alllebendigen Welt ernährt und sättiget mit Trunkenheit mein darbend Wesen. O seelige Natur! Ich weiß nicht, wie mir geschiehet, wenn ich mein Auge erhebe vor deiner Schöne, aber alle Lust des

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crime agli occhi, ecco sbucare i saggi che si aggirano in quantità tra voi tedeschi, quei miserabili che non cercano altro che uno spirito sofferente per sputare sentenze; con la loro aria paternalistica si sono persino degnati di dirmi: non lamentarti, agisci!15 | O se non avessi mai agito, quante speranze avrei ancora!16 Cuore affitto, tormentato, mille volte indignato, sì, di­ mentica che esistono gli uomini e torna là da dove sei ve­ nuto, fra le braccia della natura, l’immutabile, silenziosa e bella.17 iperione a Bellarmino Non c’è nulla di cui posso dire che mi appartenga. Lontani e morti sono coloro che ho amato, e nessuna voce mi porta più notizie di loro.18 Il mio compito sulla terra è terminato. Mi sono messo al lavoro pieno di buona volontà, ho dato il mio sangue e non ho reso il mondo più ricco nemmeno di un centesimo. Solo e senza onore ritorno e vago nella mia patria che si stende tutto intorno a me come un camposanto, e mi aspetta forse il coltello del cacciatore che tiene noi greci per il suo piacere, come la selvaggina del bosco.19 Ma tu, sole, splendi ancora nel cielo, e tu rinverdisci ancora, terra sacra! Ancora mormorano i fumi scorrendo verso il mare, e alberi ombrosi sussurrano nel meriggio; l’inno estatico della primavera accompagna nel sonno, cantando, i miei pensieri mortali.20 La pienezza del mondo esuberante di vita nutre e sazia di ebbrezza il mio essere affitto.21 Natura beata, non so che cosa mi accade quando alzo gli occhi verso la tua bellezza, ma tutta la gioia del cielo è nelle

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Himmels ist in den Thränen, die ich weine vor dir, der Geliebte vor der Geliebten. Mein ganzes Wesen verstummt und lauscht, wenn die zarte Welle der Luft mir um die Brust spielt. Verloren in’s weite Blau, blik’ ich oft hinauf an den Aether und hinein in’s heilige Meer, und mir ist, als öffnet’ ein verwandter Geist mir die Arme, als lös­ te der Schmerz der Einsamkeit sich auf in’s Leben der Gottheit. Eines zu seyn mit Allem, das ist Leben der Gottheit, das ist der Himmel des Menschen. Eines zu seyn mit Allem, was lebt, in seeliger Selbstverges­ senheit | wiederzukehren in’s All der Natur, das ist der Gipfel der Gedanken und Freuden, das ist die heilige Bergeshöhe, der Ort der ewigen Ruhe, wo der Mittag seine Schwüle und der Donner seine Stimme verliert und das kochende Meer der Wooge des Kornfelds gleicht. Eines zu seyn mit Allem, was lebt! Mit diesem Worte legt die Tugend den zürnenden Harnisch, der Geist des Menschen den Zepter weg, und alle Gedanken schwinden vor dem Bilde der ewigeinigen Welt, wie die Regeln des ringenden Künstlers vor seiner Urania, und das eherne Schiksaal entsagt der Herr­ schaft, und aus dem Bunde der Wesen schwindet der Tod, und Unzertrennlichkeit und ewige Jugend beseeliget, verschönert die Welt. Auf dieser Höhe steh’ ich oft, mein Bellarmin! Aber ein Moment des Besinnens wirft mich herab. Ich denke nach und fnde mich, wie ich zuvor war, allein, mit allen Schmerzen der Sterblichkeit, und meines Herzens Asyl, die ewigeinige Welt, ist hin; die Natur verschließt die Arme, und ich stehe, wie ein Fremdling, vor ihr, und verstehe sie nicht. Ach! wär’ ich nie in eure Schulen gegangen. Die Wissen­ schaft, der ich in den Schacht hinunter folgte, von der ich, ju­ gendlich thöricht, die Bestätigung meiner reinen Freude erwar­ tete, die hat mir alles verdorben.

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lacrime che verso davanti a te, come l’amato davanti all’amata. Tutto il mio essere ammutolisce e tende l’orecchio, quando l’onda dolce del vento gioca intorno al mio petto. Perso nel vasto azzurro, guardo spesso in alto nell’etere22 e in basso verso il sacro mare, ed è come se uno spirito a me affne mi aprisse le braccia, come se il dolore della solitu­ dine si dissolvesse nella vita della divinità. Essere uno con il tutto, questa è la vita della divinità, questo è il cielo dell’uomo. Essere uno con tutto ciò che vive, in un beato oblio di sé | tornare nella totalità della natura, questo è il culmine dei pensieri e delle gioie, questa è la vetta del monte sacro, il luogo della pace eterna, dove il meriggio perde la sua calura e il tuono il suo rombo, e il mare ribollente uguaglia le onde del campo di grano.23 Essere uno con tutto ciò che vive!24 Con queste parole la virtù depone l’intransigente corazza, lo spirito dell’uo­ mo posa lo scettro e tutti i pensieri svaniscono davanti all’immagine del mondo eternamente uno come le regole dell’artista all’opera davanti alla sua Urania,25 il destino in­ fessibile rinuncia al suo dominio, dalla catena degli esseri scompare la morte, mentre indivisibilità e giovinezza eter­ na animano e adornano il mondo. Mi trovo spesso su questa vetta, Bellarmino mio, ma basta un attimo di rifessione per precipitare. Rifetto e mi ritrovo come prima, solo, con tutta la sofferenza della ca­ ducità, e il rifugio del mio cuore, il mondo eternamente uno, svanisce; la natura serra le braccia, io rimango come un estraneo davanti a lei e non la comprendo.26 Ah, non fossi mai venuto nelle vostre scuole! La cono­ scenza, che ho seguito nel baratro e dalla quale, giovane ingenuo, mi aspettavo la conferma della mia gioia pura, quella ha rovinato tutto.

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Ich bin bei euch so recht vernünftig geworden, habe gründ­ lich mich unterscheiden gelernt von dem, was mich umgiebt, bin nun vereinzelt in der schönen Welt, bin so ausgeworfen aus dem Garten der Natur, wo ich wuchs und blühte, und vertrok­ ne an der Mittagssonne. O ein Gott ist der Mensch, wenn er träumt, ein Bettler, wenn er nachdenkt, und wenn die Begeisterung hin ist, steht er da, wie ein misrathener Sohn, den der Vater aus dem Hause stieß, und betrachtet die ärmlichen Pfennige, die ihm das Mitleid auf den Weg gab. | 616

Hyperion an Bellarmin. Ich danke dir, daß du mich bittest, dir von mir zu erzählen, daß du die vorigen Zeiten mir in’s Gedächtniß bringst. Das trieb mich auch nach Griechenland zurük, daß ich den Spielen meiner Jugend näher leben wollte. Wie der Arbeiter in den erquikenden Schlaf, sinkt oft mein angefochtenes Wesen in die Arme der unschuldigen Vergan­ genheit. Ruhe der Kindheit! himmlische Ruhe! wie oft steh’ ich stil­ le vor dir in liebender Betrachtung, und möchte dich denken! Aber wir haben ja nur Begriffe von dem, was einmal schlecht gewesen und wieder gut gemacht ist; von Kindheit, Unschuld haben wir keine Begriffe. Da ich noch ein stilles Kind war und von dem allem, was uns umgiebt, nichts wußte, war ich da nicht mehr, als jezt, nach all den Mühen des Herzens und all dem Sinnen und Ringen? Ja! ein göttlich Wesen ist das Kind, solang es nicht in die Chamäleonsfarbe der Menschen getaucht ist. Es ist ganz, was es ist, und darum ist es so schön.

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Così presso di voi sono diventato del tutto ragionevole, ho imparato a distinguermi nettamente da ciò che mi cir­ conda, e ora mi ritrovo isolato nella bellezza del mondo, escluso dal giardino della natura dove ero cresciuto e fo­ rito, e inaridisco al sole del meriggio. Divino è l’uomo quando sogna, un mendicante quando pensa; e quando l’entusiasmo è svanito, rimane lì come un fglio degenere che il padre ha scacciato da casa, osservan­ do i miseri centesimi che la pietà gli ha elemosinato sulla via.27 | iperione a Bellarmino Ti ringrazio perché mi chiedi di raccontarti di me, e mi richiami così alla memoria i tempi passati.28 Anche per questo sono tornato in Grecia, per vivere più vicino ai giochi della mia giovinezza. Come l’operaio sprofonda nel sonno ristoratore, così il mio essere tormentato sprofonda spesso tra le braccia del passato innocente. Tranquillità dell’infanzia, tranquillità celeste! Quanto spesso mi fermo davanti a te in amorosa contemplazione e vorrei pensarti, ma noi abbiamo concetti soltanto per ciò che una volta era cattivo e poi è divenuto buono; per infanzia e innocenza non abbiamo concetti. Quando ero ancora un bimbo e non sapevo nulla di tutto ciò che ci circonda, non ero forse qualcosa in più rispetto a ora, dopo tutte le fatiche del cuore, la rifessione e le lotte? Proprio così, il fanciullo è un essere divino fnché non si immerge nel colore camaleontico degli uomini. È interamente se stesso, e per questo è così bello.29

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Der Zwang des Gesezes und des Schiksaals betastet es nicht; im Kind’ ist Freiheit allein. In ihm ist Frieden; es ist noch mit sich selber nicht zerfallen. Reichtum ist in ihm; es kennt sein Herz, die Dürftigkeit des Lebens nicht. Es ist unsterblich, denn es weiß vom Tode nichts. Aber das können die Menschen nicht leiden. Das Göttli­ che muß werden, wie ihrer einer, muß erfahren, daß sie auch da sind, und eh’ es die Natur aus seinem Paradiese treibt, so schmeicheln und schleppen die Menschen es heraus, auf das Feld des Fluchs, daß es, wie sie, im Schweiße des Angesichts sich abarbeite. Aber schön ist auch die Zeit des Erwachens, wenn man nur zur Unzeit uns nicht wekt. O es sind heilige Tage, wo unser Herz zum erstenmale die Schwingen übt, wo wir, voll schnellen feurigen Wachstums da­ stehn in der herrlichen Welt, wie die junge Pfanze, wenn sie der Morgensonne sich aufschließt, und die kleinen Arme dem unendlichen Himmel entgegenstrekt. | Wie es mich umhertrieb an den Bergen und am Meeresufer! ach wie ich oft da saß mit klopfendem Herzen, auf den Höhen von Tina, und den Falken und Kranichen nachsah, und den kühnen fröhlichen Schiffen, wenn sie hinunterschwanden am Horizont! Dort hinunter! dacht’ ich, dort wanderst du auch einmal hinunter, und mir war, wie einem Schmachtenden, der in’s kühlende Bad sich stürzt und die schäumenden Wasser über die Stirne sich schüttet. Seufzend kehrt’ ich dann nach meinem Hause wieder um. Wenn nur die Schülerjahre erst vorüber wären, dacht’ ich oft. Guter Junge! sie sind noch lange nicht vorüber. Daß der Mensch in seiner Jugend das Ziel so nahe glaubt! Es ist die schönste aller Täuschungen, womit die Natur der Schwachheit unsers Wesens aufhilft.

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Le costrizioni della legge e del destino non lo toccano; nel fanciullo vi è soltanto libertà. In lui vi è la pace, non è ancora in confitto con se stes­ so. La ricchezza è in lui; non conosce il suo cuore né le ristrettezze della vita. È immortale, perché non sa nulla della morte. Ma questo è intollerabile per gli uomini. Il divino deve diventare come uno di loro, deve accorgersi che ci sono anche loro, e prima ancora che la natura lo scacci dal suo paradiso, gli uomini lo circuiscono e lo trascinano fuori, nel campo della maledizione, affnché si consumi, come loro, lavorando con il sudore della fronte.30 Ma è bello anche il tempo del risveglio, se solo non si viene svegliati nel momento sbagliato. Sono giorni sacri, quando il cuore per la prima volta spiega le ali, quando, nel rapido ardore della crescita, ci ritroviamo nel mondo meraviglioso come una giovane pianta che si schiude nel sole del mattino e tende le esili braccia verso il cielo infnito. | Come ero attirato dai monti e dalla riva del mare! Quanto spesso sedevo con il cuore palpitante sui monti di Tinos31 e con lo sguardo seguivo i falchi e le gru, e le navi audaci e gioiose che scomparivano all’orizzonte! Lag­ giù, pensavo, laggiù andrai anche tu, e mi sentivo come un uomo spossato che si getta in un bagno rinfrescante e si deterge la fronte con l’acqua spumeggiante.32 Sospirando rientravo poi a casa. Se solo gli anni della scuola fossero già fniti, pensavo spesso. Caro ragazzo, anche ora sono ben lontani dall’essere fniti! In gioventù l’uomo crede così vicino il traguardo! È il più bello fra tutti gli inganni con i quali la natura viene in aiuto alla debolezza del nostro essere.33

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Und wenn ich oft dalag unter den Blumen und am zärtlichen Frühlingslichte mich sonnte, und hinaufsah in’s heitre Blau, das die warme Erde umfeng, wenn ich unter den Ulmen und Weiden, im Schoose des Berges saß, nach einem erquikenden Reegen, wenn die Zweige noch bebten von den Berührungen des Himmels, und über dem tröpfelnden Walde sich goldne Wolken bewegten, oder wenn der Abendstern voll friedlichen Geistes heraufkam mit den alten Jünglingen, den übrigen Hel­ den des Himmels, und ich so sah, wie das Leben in ihnen in ewiger müheloser Ordnung durch den Aether sich fortbeweg­ te, und die Ruhe der Welt mich umgab und erfreute, daß ich aufmerkte und lauschte, ohne zu wissen, wie mir geschah – hast du mich lieb, guter Vater im Himmel! fragt’ ich dann leise, und fühlte seine Antwort so sicher und seelig am Herzen. O du, zu dem ich rief, als wärst du über den Sternen, den ich Schöpfer des Himmels nannte und der Erde, freundlich Idol meiner Kindheit, du wirst nicht zürnen, daß ich deiner vergaß! – Warum ist die Welt nicht dürftig genug, um außer ihr noch Einen zu suchen?* | O wenn sie eines Vaters Tochter ist, die herrliche Natur, ist das Herz der Tochter nicht sein Herz? Ihr Innerstes, ist’s nicht Er? Aber hab’ ich’s denn? kenn’ ich es denn? Es ist, als säh’ ich, aber dann erschrek’ ich wieder, als wär’ es meine eigne Gestalt, was ich gesehn, es ist, als fühlt’ ich ihn, den Geist der Welt, wie eines Freundes warme Hand, aber ich erwache und meine, ich habe meine eignen Finger gehalten.

* Es ist wohl nicht nöthig, zu erinnern, daß derlei Äußerungen als bloße Phänomene des menschlichen Gemüths von Rechts wegen niemand scandalisiren sollten.

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E spesso, quando giacevo tra i fori e assaporavo il sole e la tenera luce primaverile, guardando in alto nel sereno azzurro che abbracciava la terra tiepida; quando sedevo fra gli olmi e i salici, nel grembo della montagna, dopo una pioggia ristoratrice, con i rami che ancora fremevano per i tocchi del cielo e nuvole dorate che si muovevano sopra il bosco gocciolante, o quando la stella della sera sorge­ va, colma di spirito di pace, insieme agli antichi giovanetti e agli altri eroi del cielo,34 e vedevo come la vita in loro si muoveva attraverso l’etere secondo un ordine eterno e senza affanno,35 e la quiete del mondo mi avvolgeva e mi rallegrava, cosicché tendevo l’orecchio e ascoltavo, senza rendermene conto...36 «Mi vuoi bene, padre buono che sei nei cieli?» chiedevo allora sottovoce, e sentivo la sua rispo­ sta nel cuore, con certezza e felicità. Tu che invocavo come se fossi sopra le stelle, tu che chiamavo creatore del cielo e della terra, idolo amichevo­ le della mia infanzia, non ti adirerai se ti ho dimenticato! Perché il mondo non è abbastanza misero37 da cercare un altro oltre a sé?* | Se la magnifca natura ha un padre, il cuore della fglia non è forse quello del padre? Ciò che essa ha dentro di sé, non è forse lui? Ma io posso dire di possederlo, di conoscerlo? Era come aprire gli occhi per poi spaventarmi di nuo­ vo, come se ciò che avevo visto fosse la mia stessa imma­ gine; è come se lo sentissi, lo spirito del mondo, come la mano calda di un amico, ma poi mi sveglio e penso di aver afferrato la mia stessa mano.38

* Non è necessario ricordare che queste esternazioni, in quanto semplici fenomeni dell’animo umano, di diritto non dovrebbero scan­ dalizzare nessuno.

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Weist du, wie Plato und sein Stella sich liebten? So liebt’ ich, so war ich geliebt. O ich war ein glüklicher Knabe! Es ist erfreulich, wenn gleiches sich zu gleichem gesellt, aber es ist göttlich, wenn ein großer Mensch die kleineren zu sich aufzieht. Ein freundlich Wort aus eines tapfern Mannes Herzen, ein Lächeln, worinn die verzehrende Herrlichkeit des Geistes sich verbirgt, ist wenig und viel, wie ein zauberisch Loosungswort, das Tod und Leben in seiner einfältigen Sylbe verbirgt, ist, wie ein geistig Wasser, das aus der Tiefe der Berge quillt, und die geheime Kraft der Erde uns mittheilt in seinem krystallenen Tropfen. Wie haß’ ich dagegen alle die Barbaren, die sich einbilden, sie seien weise, weil sie kein Herz mehr haben, alle die rohen Unholde, die tausendfältig die jugendliche Schönheit tödten und zerstören, mit ihrer kleinen unvernünftigen Mannszucht! Guter Gott! Da will die Eule die jungen Adler aus dem Nes­ te jagen, will ihnen den Weg zur Sonne weisen! Verzeih mir, Geist meines Adamas! daß ich dieser gedenke vor dir. Das ist der Gewinn, den uns Erfahrung giebt, daß wir nichts trefiches uns denken, ohne sein ungestaltes Gegentheil. O daß nur du mir ewig gegenwärtig wärest, mit allem, was dir verwandt ist, traurender Halbgott, den ich meine! Wen du umgiebst, mit deiner Ruhe und Stärke, Sieger und Kämpfer, wem du begegnest mit deiner Liebe und Weisheit, der fiehe, oder werde, wie du! Unedles und Schwaches besteht nicht ne­ ben dir. Wie oft warst du mir nahe, da du längst mir ferne warst, | verklärtest mich mit deinem Lichte, und wärmtest mich, daß

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iperione a Bellarmino Sai come si amavano Platone e il suo Stella?39 Così amavo anch’io, così ero amato. Ero davvero un ragazzo felice! È bello quando il simile si unisce al suo simile, ma è divino quando un grande uomo attira a sé i meno grandi. Una parola amichevole dal cuore di un grande uomo, un sorriso in cui si nasconde l’ardente magnifcenza dello spirito sono poco e tanto allo stesso tempo, come una pa­ rola magica che nasconde in una semplice sillaba la morte e la vita; sono come un’acqua spirituale che sgorga dalla profondità dei monti e ci trasmette nella sua goccia cristal­ lina la forza segreta della terra.40 Come odio invece tutti quei barbari che credono di es­ sere saggi solo perché non hanno più un cuore, tutti quei mostri rozzi che uccidono e distruggono in mille modi la bellezza dei giovani con la loro meschina e irragionevole disciplina!41 Buon dio, la civetta vuole scacciare le giovani aquile dal nido, vuole mostrar loro la via verso il sole!42 Perdonami, spirito del mio Adamas, se mi ricordo di loro prima che di te!43 Questo è il vantaggio che ci procura l’esperienza: non possiamo pensare a nulla di eccellente se non insieme al suo informe opposto. Se solo tu mi fossi eternamente presente con tutto ciò che ti è affne, semidio dolente al quale mi rivolgo! Chi è circondato dalla tua calma e dalla tua forza, tu che sei vincitore e lottatore, chi viene avvicinato dal tuo amore e dalla tua saggezza, che fugga o che diventi come te! Infa­ mia e debolezza non possono sussistere accanto a te.44 Quante volte ti sentivo vicino, anche se già da molto tempo eri lontano, | quante volte mi trasfguravi con la tua

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mein erstarrtes Herz sich wieder bewegte, wie der verhärtete Quell, wenn der Stral des Himmels ihn berührt! Zu den Ster­ nen hätt’ ich dann fiehn mögen mit meiner Seeligkeit, damit sie mir nicht entwürdigt würde von dem, was mich umgab. Ich war aufgewachsen, wie eine Rebe ohne Stab, und die wilden Ranken breiteten richtungslos über dem Boden sich aus. Du weist ja, wie so manche edle Kraft bei uns zu Grunde geht, weil sie nicht genüzt wird. Ich schweiffte herum, wie ein Irrlicht, griff alles an, wurde von allem ergriffen, aber auch nur für den Moment, und die unbehülfichen Kräfte matteten ver­ gebens sich ab. Ich fühlte, daß mir’s überall fehlte, und konnte doch mein Ziel nicht fnden. So fand er mich. Er hatt’ an seinem Stoffe, der sogenannten kultivirten Welt, lange genug Geduld und Kunst geübt, aber sein Stoff war Stein und Holz gewesen und geblieben, nahm wohl zur Noth die edle Menschenform von außen an, aber um diß war’s meinem Adamas nicht zu thun; er wollte Menschen, und, um diese zu schaffen, hatt’ er seine Kunst zu arm gefunden. Sie waren ein­ mal da gewesen, die er suchte, die zu schaffen, seine Kunst zu arm war, das erkannt’ er deutlich. Wo sie da gewesen, wußt’ er auch. Da wollt’ er hin und unter dem Schutt nach ihrem Geni­ us fragen, mit diesem sich die einsamen Tage zu verkürzen. Er kam nach Griechenland. So fand ich ihn. Noch seh’ ich ihn vor mich treten in lächelnder Betrach­ tung, noch hör’ ich seinen Gruß und seine Fragen. Wie eine Pfanze, wenn ihr Friede den strebenden Geist be­ sänftigt, und die einfältige Genügsamkeit wiederkehrt in die Seele – so stand er vor mir. Und ich, war ich nicht der Nachhall seiner stillen Begeiste­ rung? wiederholten sich nicht die Melodien seines Wesens in mir? Was ich sah, ward ich, und es war Göttliches, was ich sah.

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luce e mi scaldavi, affnché il mio cuore intorpidito si muo­ vesse di nuovo, come la sorgente ghiacciata al tocco del raggio del cielo. Sarei allora voluto fuggire verso le stelle con la mia felicità, per non farla svilire da ciò che mi cir­ condava. Ero cresciuto come una vite senza sostegno, e i tral­ ci incolti si stendevano a casaccio sul terreno.45 Sai bene come da noi molte nobili energie vengano sprecate perché non utilizzate. Io vagavo qua e là come un fuoco fatuo, afferravo tutto, venivo afferrato da tutto, ma sempre solo per attimi, e le energie maldestre si faccavano inutilmente. Sentivo mancarmi ogni cosa, e non riuscivo a trovare il mio scopo. Così mi incontrò. Aveva applicato la sua pazienza e la sua arte abbastanza a lungo alla materia, il cosiddetto mondo colto, ma era fat­ to di pietra e di legno e tale era rimasto; per necessità as­ sumeva esternamente la nobile forma umana, ma non era questo che interessava al mio Adamas. Lui voleva uomini, e aveva scoperto che tutta la sua arte non era suffciente per crearli. Erano esistiti una volta, quelli che cercava e che la sua arte era troppo povera per produrre, lo percepì chiaramente. Sapeva anche dove erano vissuti, e là voleva andare per cercare il loro genio tra le rovine, per alleviare con lui la solitudine dei suoi giorni. Venne in Grecia. Così lo incontrai.46 Lo vedo ancora comparire davanti a me con il suo sor­ riso assorto, sento ancora il suo saluto e le sue domande. Come una pianta che con la sua pace placa lo spirito agitato riempiendo di nuovo l’anima di innocente sobrie­ tà... Così si presentò a me. E io, non ero forse l’eco del suo quieto entusiasmo? Non si ripetevano in me le melodie del suo essere? Diven­ tai ciò che vedevo, e ciò che vedevo era divino.47

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Wie unvermögend ist doch der gutwilligste Fleiß der Men­ schen gegen die Allmacht der ungetheilten Begeisterung. Sie weilt nicht auf der Oberfäche, faßt nicht da und dort uns an, braucht keiner Zeit und keines Mittels; Gebot und Zwang und Überredung braucht sie nicht; auf allen Seiten, in allen Tiefen und | Höhen ergreift sie im Augenblik’ uns, und wandelt, ehe sie da ist für uns, ehe wir fragen, wie uns geschie­ het, durch und durch in ihre Schönheit, ihre Seeligkeit uns um. Wohl dem, wem auf diesem Wege ein edler Geist in früher Jugend begegnete! O es sind goldne unvergeßliche Tage, voll von den Freuden der Liebe und süßer Beschäftigung! Bald führte mein Adamas in die Heroënwelt des Plutarch, bald in das Zauberland der griechischen Götter mich ein, bald ordnet’ und beruhigt’ er mit Zahl und Maas das jugendliche Treiben, bald stieg er auf die Berge mit mir; des Tags, um die Blumen der Haide und des Walds und die wilden Moose des Felsen, des Nachts, um über uns die heiligen Sterne zu schau­ en, und nach menschlicher Weise zu verstehen. Es ist ein köstlich Wohlgefühl in uns, wenn so das Innere an seinem Stoffe sich stärkt, sich unterscheidet und getreuer anknüpft und unser Geist allmählig waffenfähig wird. Aber dreifach fühlt’ ich ihn und mich, wenn wir, wie Manen aus vergangner Zeit, mit Stolz und Freude, mit Zürnen und Trauern an den Athos hinauf und von da hinüberschifften in den Hellespont und dann hinab an die Ufer von Rhodus und die Bergschlünde von Tänarum, durch die stillen Inseln alle, wenn da die Sehnsucht über die Küsten hinein uns trieb, in’s düstre Herz des alten Pelopones, an die einsamen Gestade des Eurotas, ach! die ausgestorbnen Thale von Elis und Nemea

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Quanto poco possono la diligenza dell’uomo e tutta la sua buona volontà, contro l’onnipotenza di un entusiasmo intatto! Non si arresta sulla superfcie, non ci tocca qua o là, non necessita di tempo né di mezzi, non necessita di comandi, costrizioni o convincimenti; da tutti i lati, a tutte le altezze e | profondità ci afferra in un attimo e, ancora prima che ci accorgiamo di lui, ancora prima che possiamo chiederci che cosa ci stia accadendo, ci trasforma completamente nella sua bellezza, nella sua felicità.48 Beato colui che nella sua prima giovinezza ha incontra­ to in questo modo uno spirito nobile! Sono giorni dorati e indimenticabili, colmi delle gioie dell’amore e di dolci occupazioni. Il mio Adamas mi introdusse ora nel mondo degli eroi di Plutarco,49 ora nella terra incantata delle divinità gre­ che; ora governava e moderava con numero e misura la frenesia giovanile, ora saliva con me sui monti: di giorno per osservare i fori del prato e del bosco e i muschi sulle rocce; di notte per guardare le sacre stelle sopra di noi e per comprenderle come possono gli uomini. Proviamo un delizioso benessere quando l’interiorità si rafforza nella sua sostanza, quando si separa per poi ri­ congiungersi più strettamente e il nostro spirito diviene gradualmente pronto a combattere.50 Ma triplicati sentivo lui e me quando, come Mani51 di un tempo passato, con orgoglio e gioia, con ira e affizio­ ne salivamo sull’Athos e da lì attraversavamo il mare fno all’Ellesponto, e poi giù verso le spiagge di Rodi e le coste rocciose del Tenaro, oltrepassando tutte le isole pacifche; quando la nostalgia ci spingeva oltre la costa, nel tetro cuo­ re dell’antico Peloponneso, sulle rive solitarie dell’Eurota, ah!, nelle valli abbandonate di Elide, Nemea e Olimpia;

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und Olympia, wenn wir da, an eine Tempelsäule des vergeßnen Jupiters gelehnt, umfangen von Lorbeerrosen und Immergrün, in’s wilde Flußbett sahn, und das Leben des Frühlings und die ewig jugendliche Sonne uns mahnte, daß auch der Mensch einst da war, und nun dahin ist, daß des Menschen herrliche Natur jezt kaum noch da ist, wie das Bruchstük eines Tempels oder im Gedächtniß, wie ein Todtenbild – Da saß ich traurig spielend neben ihm, und pfükte das Moos von eines Halbgotts Piedestal, grub eine marmorne Heldenschulter aus dem Schutt, und schnitt den Dornbusch und das Haidekraut von den halb­ begrabnen Architraven, indeß mein Adamas die Landschaft zeichnete, wie sie freundlich tröstend den Ruin umgab, den Waizenhügel, die Oliven, die Ziegenheerde, die am Felsen des Gebirgs | hieng, den Ulmenwald, der von den Gipfeln in das Thal sich stürzte; und die Lacerte spielte zu unsern Füßen, und die Fliegen umsummten uns in der Stille des Mittags – Lieber Bellarmin! ich hätte Lust, so pünctlich dir, wie Nestor, zu er­ zählen; ich ziehe durch die Vergangenheit, wie ein Ährenleser über die Stoppeläker, wenn der Herr des Lands geerndtet hat; da liest man jeden Strohhalm auf. Und wie ich neben ihm stand auf den Höhen von Delos, wie das ein Tag war, der mir graute, da ich mit ihm an der Granitwand des Cynthus die alten Mar­ mortreppen hinaufstieg. Hier wohnte der Sonnengott einst, un­ ter den himmlischen Festen, wo ihn, wie goldnes Gewölk, das versammelte Griechenland umglänzte. In Fluthen der Freude und Begeisterung warfen hier, wie Achill in den Styx, die grie­ chischen Jünglinge sich, und giengen unüberwindlich, wie der Halbgott, hervor. In den Hainen, in den Tempeln erwachten und tönten in einander ihre Seelen, und treu bewahrte jeder die entzükenden Accorde. Aber was sprech’ ich davon? Als hätten wir noch eine Ah­ nung jener Tage! Ach! es kann ja nicht einmal ein schöner

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quando, appoggiati a una colonna del tempio del dimen­ ticato Giove,52 attorniati da oleandri e sempreverdi, osser­ vavamo il greto del torrente selvaggio mentre la vita della primavera e il sole eternamente giovane ci ricordavano che una volta lì era esistito anche l’uomo, ma ora era scom­ parso, che la magnifca natura umana è sparita quasi del tutto, come le rovine di un tempio o come l’immagine di un morto dalla memoria… Allora sedevo giocando triste­ mente accanto a lui, toglievo il muschio dal piedistallo di un semidio, dissotterravo la spalla di marmo di un eroe e strappavo i rovi e l’erica dagli architravi semisepolti, men­ tre il mio Adamas disegnava il paesaggio che contornava le rovine, amichevole e consolatorio:53 la collina con un cam­ po di frumento, gli ulivi, il gregge di capre abbarbicate sul­ le rocce dei | monti, il bosco di olmi che dalle cime si pre­ cipitava a valle; intanto la lucertola giocava ai nostri piedi e le mosche ci ronzavano intorno nel silenzio del meriggio... Caro Bellarmino, vorrei raccontare con la precisione di Nestore;54 attraverso il passato come uno spigolatore fra le stoppie dopo che il padrone del campo ha terminato il raccolto: ecco che si raccoglie ogni pagliuzza. E quando stavo accanto a lui sulle cime di Delo, e poi quel giorno che mi fece rabbrividire, quando salii con lui le antiche scale di marmo lungo la parete di granito del Cinto.55 Là abitava un tempo il dio del sole con le sue celesti festività, quando la Grecia in tutto il suo splendore gli si riuniva intorno come una nube dorata. In ondate di gioia e di entusiasmo si gettavano da qui i giovani greci, come Achille nello Stige, e ne uscivano invincibili come il semidio.56 Nei boschi, nei templi si risvegliavano e risuonavano l’una nell’altra le loro anime, e ciascuno custodiva fedele l’incantevole armonia.57 Ma perché ne parlo? Come se avessimo ancora un’intu­ izione di quei giorni! Nemmeno un bel sogno può cresce­

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Traum gedeihen unter dem Fluche, der über uns lastet. Wie ein heulender Nordwind, fährt die Gegenwart über die Blüt­ hen unsers Geistes und versengt sie im Entstehen. Und doch war es ein goldner Tag, der auf dem Cynthus mich umfeng! Es dämmerte noch, da wir schon oben waren. Jezt kam er he­ rauf in seiner ewigen Jugend, der alte Sonnengott, zufrieden und mühelos, wie immer, fog der unsterbliche Titan mit seinen tausend eignen Freuden herauf, und lächelt’ herab auf sein ver­ ödet Land, auf seine Tempel, seine Säulen, die das Schiksaal vor ihn hingeworfen hatte, wie die dürren Rosenblätter, die im Vorübergehen ein Kind gedankenlos vom Strauche riß, und auf die Erde säete. Sei, wie dieser! rief mir Adamas zu, ergriff mich bei der Hand und hielt sie dem Gott entgegen, und mir war, als trügen uns die Morgenwinde mit sich fort, und brächten uns in’s Ge­ leite des heiligen Wesens, das nun hinaufstieg auf den Gipfel des Himmels, freundlich und groß, und wunderbar mit seiner Kraft und seinem Geist die Welt und uns erfüllte. Noch trauert und frohlokt mein Innerstes über jedes Wort, das mir damals Adamas sagte, und ich begreife meine Bedürf­ tigkeit | nicht, wenn oft mir wird, wie damals ihm seyn mußte. Was ist Verlust, wenn so der Mensch in seiner eignen Welt sich fndet? In uns ist alles. Was kümmerts dann den Menschen, wenn ein Haar von seinem Haupte fällt? Was ringt er so nach Knechtschaft, da er ein Gott seyn könnte! Du wirst einsam seyn, mein Liebling! sagte mir damals Adamas auch, du wirst seyn wie der Kranich, den seine Brüder zurükließen in rauher Jahrszeit, indeß sie den Frühling suchen im fernen Lande. Und das ist’s, Lieber! Das macht uns arm bei allem Reich­ tum, daß wir nicht allein seyn können, daß die Liebe in uns, so lange wir leben, nicht erstirbt. Gieb mir meinen Adamas wieder, und komm mit allen, die mir angehören, daß die alte

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re con la maledizione che grava sopra di noi. Come l’ulu­ lante vento del Nord, il presente passa sopra le gemme del nostro spirito e le brucia sul nascere. Eppure fu un giorno dorato, quello che mi avvolse sul Cinto! Albeggiava anco­ ra, quando arrivammo sulla cima. Ed ecco che sorse, nella sua eterna giovinezza, l’antico dio del sole, soddisfatto e senza affanno si alzava come sempre il titano immortale58 con le sue mille gioie, e sorrideva sulla terra desolata, sui suoi templi, sulle colonne che il destino aveva gettato a terra davanti a lui, come petali di rose appassiti che un bambino, passando, strappa da una siepe senza pensarci e dissemina a terra. «Sii come lui!», esclamò Adamas prendendomi la mano e sollevandola verso il dio,59 e mi sentii come se la brezza del mattino ci stesse portando via con sé e ci conducesse al seguito di quel sacro essere che ora saliva alla sommità del cielo, amichevole e nobile, e colmava meravigliosamente noi e il mondo con la sua forza e il suo spirito. Il mio intimo si rattrista e gioisce ancora per ogni pa­ rola che Adamas mi disse allora, e non comprendo la mia miseria, | se mi capita di sentirmi come lui doveva sentirsi allora. Che cos’è la perdita, se l’uomo ritrova completa­ mente se stesso nel suo mondo? Tutto è in noi. Perché al­ lora l’uomo si preoccupa, se cade a terra un capello del suo capo? Perché mai lotta in questo modo per essere schiavo, mentre potrebbe essere un dio? «Sarai solo, mio diletto!», mi aveva anche detto Adamas allora, «sarai come la gru che i suoi fratelli hanno abbandonato nella stagione rigida per andare a cercare la primavera in terre lontane».60 Ed è questo, mio caro, che ci rende poveri nonostan­ te tutta la ricchezza, il fatto che non possiamo stare soli, che l’amore dentro di noi non si estingue fnché viviamo.61 Restituiscimi il mio Adamas, e tutti coloro che mi appar­

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schöne Welt sich unter uns erneure, daß wir uns versammeln und vereinen in den Armen unserer Gottheit, der Natur, und siehe! so weiß ich nichts von Nothdurft. Aber sage nur niemand, daß uns das Schiksaal trenne! Wir sind’s, wir! wir haben unsre Lust daran, uns in die Nacht des Unbekannten, in die kalte Fremde irgend einer andern Welt zu stürzen, und, wär’ es möglich, wir verließen der Sonne Ge­ biet und stürmten über des Irrsterns Gränzen hinaus. Ach! für des Menschen wilde Brust ist keine Heimath möglich; und wie der Sonne Stral die Pfanzen der Erde, die er entfaltete, wieder versengt, so tödtet der Mensch die süßen Blumen, die an sei­ ner Brust gedeihten, die Freuden der Verwandtschaft und der Liebe. Es ist, als zürnt’ ich meinem Adamas, daß er mich verließ, aber ich zürn’ ihm nicht. O er wollte ja wieder kommen! In der Tiefe von Asien soll ein Volk von seltner Treffichkeit verborgen seyn; dahin trieb ihn seine Hoffnung weiter. Bis Nio begleitet’ ich ihn. Es waren bittere Tage. Ich habe den Schmerz ertragen gelernt, aber für solch ein Scheiden hab’ ich keine Kraft in mir. Mit jedem Augenblike, der uns der lezten Stunde näher brachte, wurd’ es sichtbarer, wie dieser Mensch verwebt war in mein Wesen. Wie ein Sterbender den fiehenden Othem, hielt ihn meine Seele. Am Grabe Homers brachten wir noch einige Tage zu, und Nio wurde mir die heiligste unter den Inseln. | Endlich rissen wir uns los. Mein Herz hatte sich müde ge­ rungen. Ich war ruhiger im lezten Augenblike. Auf den Knieen lag ich vor ihm, umschloß ihn zum leztenmale mit diesen Ar­ men; gieb mir einen Seegen, mein Vater! rief ich leise zu ihm hinauf, und er lächelte groß, und seine Stirne breitete vor den

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tengono, affnché il bel mondo antico si rinnovi fra di noi, affnché ci raccogliamo e ci riuniamo fra le braccia della nostra divinità, la natura,62 e vedrai, allora non saprò più cos’è il bisogno. Ma nessuno dica che è il destino a dividerci: siamo noi, noi! Noi proviamo piacere nel precipitarci nella notte dell’ignoto, nella fredda lontananza di un qualsiasi altro mondo e, se fosse possibile, lasceremmo la regione del sole per scagliarci oltre i confni del pianeta. Il cuore selvaggio dell’uomo non può avere una patria, e come il raggio del sole secca le piante che prima aveva fatto germogliare, così l’uomo uccide i dolci fori che crescevano nel suo petto, le gioie dell’affnità e dell’amore. È come se fossi adirato con il mio Adamas perché mi ha lasciato, ma non lo sono. Lui infatti voleva tornare! Nelle profondità dell’Asia dovrebbe essere nascosto un popolo di rara perfezione; laggiù lo spingeva la sua spe­ ranza. Lo accompagnai fno a Nio.63 Furono giorni amari. Ho imparato a sopportare il dolore, ma per un simile addio mi mancano le forze. In ogni istante che ci avvicinava al commiato diveniva sempre più evidente come quell’uomo fosse intessuto nel mio essere. La mia anima si aggrappava a lui come un mo­ ribondo si aggrappa al respiro fuggente. Trascorremmo ancora alcuni giorni presso la tomba di Omero, e Nio divenne per me la più sacra fra tutte le isole. | Infne ci separammo; il mio cuore era esausto per la lotta. Negli ultimi istanti ero più calmo. Mi inginocchiai davanti a lui, lo strinsi per l’ultima volta con queste brac­ cia: «dammi la tua benedizione, padre mio!» gli sussurrai. In un ampio sorriso la sua fronte si distese al cospetto del­

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Sternen des Morgens sich aus und sein Auge durchdrang die Räume des Himmels – Bewahrt ihn mir, rief er, ihr Geister bes­ serer Zeit! und zieht zu eurer Unsterblichkeit ihn auf, und all’ ihr freundlichen Kräfte des Himmels und der Erde, seid mit ihm! Es ist ein Gott in uns, sezt’ er ruhiger hinzu, der lenkt, wie Wasserbäche, das Schiksaal, und alle Dinge sind sein Element. Der sei vor allem mit dir! So schieden wir. Leb wohl, mein Bellarmin! Hyperion an Bellarmin. Wohin könnt’ ich mir entfiehen, hätt’ ich nicht die lieben Tage meiner Jugend? Wie ein Geist, der keine Ruhe am Acheron fndet, kehr’ ich zurük in die verlaßnen Gegenden meines Lebens. Alles altert und verjüngt sich wieder. Warum sind wir ausgenommen vom schönen Kreislauf der Natur? Oder gilt er auch für uns? Ich wollt’ es glauben, wenn Eines nicht in uns wäre, das un­ geheure Streben, Alles zu seyn, das, wie der Titan des Aetna, heraufzürnt aus den Tiefen unsers Wesens. Und doch, wer wollt’ es nicht lieber in sich fühlen, wie ein siedend Öl, als sich gestehn, er sei für die Geißel und für’s Joch geboren? Ein tobend Schlachtroß oder eine Mähre, die das Ohr hängt, was ist edler? Lieber! es war eine Zeit, da auch meine Brust an großen Hoffnungen sich sonnte, da auch mir die Freude der Unsterb­ lichkeit in allen Pulsen schlug, da ich wandelt’ unter herrlichen Entwürfen, wie in weiter Wäldernacht, da ich glüklich, wie die Fische des Oceans, in meiner uferlosen Zukunft weiter, ewig weiter drang.

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le stelle del mattino, e i suoi occhi penetrarono gli spazi del cielo… «Custoditelo per me, voi spiriti di un tempo migliore», esclamò, «e innalzatelo alla vostra immortalità! E voi tutte, amichevoli potenze del cielo e della terra, siate con lui!» «C’è un dio dentro di noi», soggiunse poi più calmo, «che governa il destino come fosse un torrente, e tutte le cose sono il suo elemento.64 Lui soprattutto sia con te!» Così ci lasciammo. Addio, Bellarmino mio! iperione a Bellarmino Dove potrei fuggire da me stesso, se non ci fossero i giorni amati della mia giovinezza? Come uno spirito che non trova pace sull’Acheronte, faccio ritorno nelle regioni abbandonate della mia vita. Tutto invecchia e ringiovanisce di nuovo: perché noi sia­ mo esclusi dal bel cerchio della natura? Oppure vale an­ che per noi?65 Potrei crederlo, se non ci fosse in noi qualcosa, quell’e­ norme tensione a essere tutto che, come il titano dell’Etna, sorge irosa dalle profondità del nostro essere.66 Eppure, chi non preferirebbe sentirla in sé come un olio bollente, piuttosto che ammettere di essere nato per la frusta e per il giogo? Un cavallo da battaglia impazzito o un ronzino che abbassa le orecchie, quale è più nobile? Mio caro, c’è stato un tempo in cui anche il mio pet­ to si riscaldava al sole di grandi speranze, in cui anche in me pulsava la gioia dell’immortalità, in cui mi aggiravo fra progetti grandiosi come nella notte profonda della foresta, in cui andavo avanti felice come i pesci dell’oceano, eter­ namente avanti nel mio futuro sconfnato.

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Wie muthig, seelige Natur! entsprang der Jüngling deiner | Wiege! wie freut’ er sich in seiner unversuchten Rüstung! Sein Bogen war gespannt und seine Pfeile rauschten im Köcher, und die Unsterblichen, die hohen Geister des Altertums führten ihn an, und sein Adamas war mitten unter ihnen. Wo ich gieng und stand, geleiteten mich die herrlichen Ge­ stalten; wie Flammen, verloren sich in meinem Sinne die Tha­ ten aller Zeiten in einander, und wie in Ein frolokkend Gewit­ ter die Riesenbilder, die Wolken des Himmels sich vereinen, so vereinten sich, so wurden Ein unendlicher Sieg in mir die hundertfältigen Siege der Olympiaden. Wer hält das aus, wen reißt die schrökende Herrlichkeit des Altertums nicht um, wie ein Orkan die jungen Wälder umreißt, wenn sie ihn ergreift, wie mich, und wenn, wie mir, das Ele­ ment ihm fehlt, worinn er sich ein stärkend Selbstgefühl erbeu­ ten könnte? O mir, mir beugte die Größe der Alten, wie ein Sturm, das Haupt, mir raffte sie die Blüthe vom Gesichte, und oftmals lag ich, wo kein Auge mich bemerkte, unter tausend Thränen da, wie eine gestürzte Tanne, die am Bache liegt und ihre welke Krone in die Fluth verbirgt. Wie gerne hätt’ ich einen Augen­ blik aus eines großen Mannes Leben mit Blut erkauft! Aber was half mir das? Es wollte ja mich niemand. O es ist jämmerlich, so sich vernichtet zu sehn; und wem diß unverständlich ist, der frage nicht danach, und danke der Natur, die ihn zur Freude, wie die Schmetterlinge, schuff, und geh’, und sprech’ in seinem Leben nimmermehr von Schmerz und Unglük. Ich liebte meine Heroën, wie eine Fliege das Licht; ich such­ te ihre gefährliche Nähe und foh und suchte sie wieder. Wie ein blutender Hirsch in den Strom, stürzt’ ich oft mit­ ten hinein in den Wirbel der Freude, die brennende Brust zu kühlen und die tobenden herrlichen Träume von Ruhm und Größe wegzubaden, aber was half das?

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Con quanto coraggio, natura beata, il giovane balzò fuori dalla tua | culla, come si rallegrava per la sua arma­ tura intonsa! Il suo arco era teso, le frecce mormoravano nella faretra e gli immortali, i sommi spiriti dell’antichità lo guidavano, e il suo Adamas era tra loro.67 Dovunque fossi e andassi, quelle splendide fgure mi accompagnavano; le gesta di tutti i tempi si sovrapponeva­ no come famme nella mia mente e come in una tempesta gioiosa si uniscono le immagini enormi, le nuvole del cie­ lo, così si univano le centinaia di vittorie alle Olimpiadi, e divenivano in me un’unica, infnita vittoria. Chi può tollerarlo, chi non viene annientato dalla terri­ bile magnifcenza dell’antichità come un uragano sradica i giovani boschi, quando viene afferrato come lo fui io, e quando, come a me, gli manca l’elemento dal quale po­ trebbe trarre una vigorosa coscienza di sé? La grandezza degli antichi, come una tempesta, mi pie­ gò la testa, mi strappò la foritura dal volto, e spesso gia­ cevo perso in lacrime dove nessuno poteva vedermi, come un abete caduto vicino a un torrente che nasconde i suoi rami appassiti nell’acqua. Quanto volentieri avrei pagato col sangue per un istante della vita di un grande uomo! Ma a che cosa serviva? Nessuno mi voleva. È tristissimo vedersi annientati così, e chi lo trova in­ comprensibile non ponga domande ma ringrazi la natura che lo ha creato per la gioia, come la farfalla; se ne vada e non parli mai più in vita sua di dolore o infelicità. Io amavo i miei eroi come la mosca la luce; cercavo la loro pericolosa vicinanza e fuggivo, per poi cercarla di nuovo. Come un cervo ferito si getta nel fume, così mi lancia­ vo nel turbine della gioia per placare il petto in famme e lavar via i magnifci e folli sogni di fama e grandezza, ma a che cosa serviva?

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Und wenn mich oft um Mitternacht das heiße Herz in den Garten hinuntertrieb unter die thauigen Bäume, und der Wie­ gengesang des Quells und die liebliche Luft und das Mond­ licht meinen Sinn besänftigte, und so frei und friedlich über mir die silbernen Gewölke sich regten, und aus der Ferne mir die | verhallende Stimme der Meeresfuth tönte, wie freund­ lich spielten da mit meinem Herzen all’ die großen Phantome seiner Liebe! Lebt wohl, ihr Himmlischen! sprach ich oft im Geiste, wenn über mir die Melodie des Morgenlichts mit leisem Laute be­ gann, ihr herrlichen Todten lebt wohl! ich möcht’ euch folgen, möchte von mir schütteln, was mein Jahrhundert mir gab, und aufbrechen in’s freiere Schattenreich! Aber ich schmachte an der Kette und hasche mit bitterer Freude die kümmerliche Schaale, die meinem Durste gereicht wird. ___________________ Hyperion an Bellarmin. Meine Insel war mir zu enge geworden, seit Adamas fort war. Ich hatte Jahre schon in Tina Langeweile. Ich wollt’ in die Welt. Geh vorerst nach Smyrna, sagte mein Vater, lerne da die Künste der See und des Kriegs, lerne die Sprache gebildeter Völker und ihre Verfassungen und Meinungen und Sitten und Gebräuche, prüfe alles und wähle das Beste! – Dann kann es meinetwegen weiter gehn. Lern’ auch ein wenig Gedult! sezte die Mutter hinzu, und ich nahm’s mit Dank an. Es ist entzükend, den ersten Schritt aus der Schranke der Jugend zu thun, es ist, als dächt’ ich meines Geburtstags, wenn

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E quando, spesso, nel mezzo della notte il cuore arden­ te mi spingeva in giardino fra gli alberi rugiadosi, dove la nenia della sorgente, l’aria incantevole e la luce lunare ad­ dolcivano il mio spirito, quando le nubi argentee si muo­ vevano così libere e pacifche sopra di me, e da lontano mi giungeva | lo sciabordio delle onde, come giocavano affettuosi con il mio cuore tutti i grandiosi fantasmi del suo amore! «Addio, celesti!», mormoravo spesso quando avvertivo sopra di me la melodia dell’alba con i suoi suoni soffusi, «addio, splendidi defunti! Vorrei seguirvi, vorrei scuotere da me ciò che il mio secolo mi ha dato per partire verso il regno, più libero, delle ombre».68 Invece mi struggo alla catena e afferro con amaro piace­ re la misera coppa che viene offerta alla mia sete. ___________________69 iperione a Bellarmino Da quando Adamas se n’era andato, la mia isola mi era diventata troppo stretta. Già da anni mi annoiavo a Tinos. Volevo girare il mondo. «Vai per prima cosa a Smirne», disse mio padre, «impa­ ra l’arte della navigazione e della guerra, impara le lingue dei popoli evoluti, la loro costituzione, le loro opinioni, usi e costumi, esamina ogni cosa e tieni ciò che è meglio.70 Poi, per quanto mi riguarda, potrai anche proseguire». «E impara anche un po’ di pazienza», aggiunse mia ma­ dre. Accettai con gratitudine. È inebriante muovere i primi passi oltre i limiti dell’a­ dolescenza, e quando penso alla mia partenza da Tinos

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ich meiner Abreise von Tina gedenke. Es war eine neue Son­ ne über mir, und Land und See und Luft genoß ich wie zum erstenmale. Die lebendige Thätigkeit, womit ich nun in Smyrna meine Bildung besorgte, und der eilende Fortschritt besänftigte mein Herz nicht wenig. Auch manches seeligen Feierabends erinnere ich mich aus dieser Zeit. Wie oft gieng ich unter den immer grü­ nen Bäumen am Gestade des Meles, an der Geburtsstätte meines Homer, und sammelt’ Opferblumen und warf sie in den heiligen Strom! Zur nahen Grotte trat ich dann in meinen friedlichen Träumen, da hätte der Alte, sagen sie, seine Iliade gesungen. Ich fand ihn. Jeder Laut in mir verstummte vor seiner Gegenwart. Ich schlug sein göttlich Gedicht mir auf und es war, als hätt’ ich es nie gekannt, so ganz anders wurd’ es jezt lebendig in mir. | Auch denk’ ich gerne meiner Wanderung durch die Ge­ genden von Smyrna. Es ist ein herrlich Land, und ich habe tausendmal mir Flügel gewünscht, um des Jahres Einmal nach Kleinasien zu fiegen. Aus der Ebne von Sardes kam ich durch die Felsenwände des Tmolus herauf. Ich hatt’ am Fuße des Bergs übernachtet in einer freund­ lichen Hütte, unter Myrthen, unter den Düften des Ladan­ strauchs, wo in der goldnen Fluth des Pactolus die Schwäne mir zur Seite spielten, wo ein alter Tempel der Cybele aus den Ulmen hervor, wie ein schüchterner Geist, in’s helle Mondlicht blikte. Fünf liebliche Säulen trauerten über dem Schutt, und ein königlich Portal lag niedergestürzt zu ihren Füßen. Durch tausend blühende Gebüsche wuchs mein Pfad nun aufwärts. Vom schroffen Abhang neigten lispelnde Bäume sich, und übergossen mit ihren zarten Floken mein Haupt. Ich war des Morgens ausgegangen. Um Mittag war ich auf der Höhe des Gebirgs. Ich stand, sah fröhlich vor mich hin, genoß der reineren Lüfte des Himmels. Es waren seelige Stunden.

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è come se pensassi al mio compleanno. Un nuovo sole splendeva sopra di me, e godevo della terra, del mare e dell’aria come fosse la prima volta. La vivace solerzia con la quale curai la mia formazione a Smirne, e i rapidi progressi calmarono non poco il mio cuore. Ricordo anche, di quel periodo, alcune felici serate di festa. Molto spesso passeggiavo sulle rive del Mele fra gli alberi sempre verdi, il luogo natio del mio Omero, rac­ cogliendo fori da offrire in sacrifcio che gettavo nel sacro fume. Nei miei sogni pacifci entravo nella vicina grotta dove il vecchio, dicevano, avrebbe cantato la sua Iliade.71 Lo trovavo. Ogni suono in me taceva in sua presenza. Aprivo il suo divino poema ed era come se non lo avessi mai letto prima, da quanto diveniva ora vivido in me.72 | Ripenso volentieri anche alle mie escursioni nel circon­ dario di Smirne. È una terra magnifca, e mille volte ho desiderato avere le ali per volare una volta all’anno in Asia Minore. Dalla piana di Sardi salii lungo le pareti rocciose del Tmolo. Avevo trascorso la notte ai piedi del monte in una ca­ panna accogliente, fra i mirti e i profumi del laudano, con i cigni che mi giocavano accanto nella corrente dorata del Pattolo e dove un antico tempio di Cibele occhieggiava attraverso gli olmi alla chiara luce lunare come un timido spettro. Cinque graziose colonne si ergevano tristi sopra le rovine e un portale regale crollato giaceva ai loro piedi.73 Attraverso mille cespugli in fore il sentiero saliva. Dal ripido pendio si chinavano alberi fruscianti versandomi sul capo i loro dolci pollini. Mi ero messo in marcia al mattino; a mezzogiorno ero sulla vetta del monte. In piedi mi guardavo intorno felice, assaporando l’aria più pura. Furono ore beate.

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Wie ein Meer, lag das Land, wovon ich heraufkam, vor mir da, jugendlich, voll lebendiger Freude; es war ein himmlisch unendlich Farbenspiel, womit der Frühling mein Herz begrüß­ te, und wie die Sonne des Himmels sich wiederfand im tau­ sendfachen Wechsel des Lichts, das ihr die Erde zurückgab, so erkannte mein Geist sich in der Fülle des Lebens, die ihn umfeng, von allen Seiten ihn überfel. Zur Linken stürzt’ und jauchzte, wie ein Riese, der Strom in die Wälder hinab, vom Marmorfelsen, der über mir hieng, wo der Adler spielte mit seinen Jungen, wo die Schneegipfel hinauf in den blauen Aether glänzten; rechts wälzten Wetterwolken sich her über den Wäldern des Sipylus; ich fühlte nicht den Sturm, der sie trug, ich fühlte nur ein Lüftchen in den Loken, aber ihren Donner hört’ ich, wie man die Stimme der Zukunft hört, und ihre Flammen sah ich, wie das ferne Licht der geah­ neten Gottheit. Ich wandte mich südwärts und gieng weiter. Da lag es offen vor mir, das ganze paradiesische Land, das der Cayster durchströmt, durch so manchen reizenden Umweg, als könnt’ er nicht lange genug verweilen | in all’ dem Reichtum und der Lieblichkeit, die ihn umgiebt. Wie die Zephyre, irr­ te mein Geist von Schönheit zu Schönheit seelig umher, vom fremden friedlichen Dörfchen, das tief unten am Berge lag, bis hinein, wo die Gebirgkette des Messogis dämmert. Ich kam nach Smyrna zurük, wie ein Trunkener vom Gast­ mahl. Mein Herz war des Wohlgefälligen zu voll, um nicht von seinem Überfusse der Sterblichkeit zu leihen. Ich hatte zu glüklich in mich die Schönheit der Natur erbeutet, um nicht die Lüken des Menschenlebens damit auszufüllen. Mein dürf­ tig Smyrna kleidete sich in die Farben meiner Begeisterung, und stand, wie eine Braut, da. Die geselligen Städter zogen mich an. Der Widersinn in ihren Sitten vergnügte mich, wie eine Kinderposse, und weil ich von Natur hinaus war über all’

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La zona dalla quale provenivo si stendeva davanti a me come un mare, giovane, brulicante di gioia; in un gioco di colori divino e infnito la primavera salutava il mio cuore, e come il sole del cielo si ritrovava nei molteplici mutamenti della luce che la terra gli restituiva, così il mio spirito si riconobbe nella pienezza della vita che lo circondava, che lo assaliva da ogni parte. A sinistra il fume, come un gigante, si precipitava giu­ bilando verso i boschi dalla roccia marmorea che si erge­ va sopra di me, dove l’aquila giocava con i suoi piccoli, dove le vette innevate splendevano nell’azzurro etere; a destra nubi temporalesche rimbombavano sui boschi del Sipilo; non percepivo la tempesta che le spingeva ma soltanto una leggera brezza fra i capelli, sentivo però i loro tuoni come si sente la voce del futuro, e vedevo le loro famme come la luce lontana di un presagio divino.74 Mi girai verso Sud e proseguii. Davanti a me si apriva la pianura paradisiaca che il Caistro attraversa con curve sinuose, come se non potesse mai attardarsi abbastanza | fra tutta la ricchezza e la grazia che lo circonda. Come lo zefro, il mio spirito vagava beato da una bellezza all’al­ tra, dal quieto paesino sconosciuto laggiù ai piedi del monte, fno a dove si intravvedeva la catena montuosa dei Messogi. Rientrai a Smirne come l’ubriaco da un banchetto.75 Il mio cuore era troppo colmo di piacere per non cedere parte della sua sovrabbondanza ai mortali. Mi ero conqui­ stato così felicemente la bellezza della natura, che volevo colmare con essa le lacune della vita umana. La povera Smirne si vestì dei colori del mio entusiasmo ed era bel­ la come una sposa. I suoi abitanti socievoli mi attiravano. Le assurdità delle loro abitudini mi divertivano come uno scherzo infantile, e dato che per natura ero superiore a

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die eingeführten Formen und Bräuche, spielt’ ich mit allen, und legte sie an und zog sie aus, wie Fastnachtskleider. Was aber eigentlich mir die schaale Kost des gewöhnlichen Umgangs würzte, das waren die guten Gesichter und Gestal­ ten, die noch hie und da die mitleidige Natur, wie Sterne, in unsere Verfnsterung sendet. Wie hatt’ ich meine herzliche Freude daran! wie glaubig deutet’ ich diese freundlichen Hieroglyphen! Aber es gieng mir fast damit, wie ehemals mit den Birken im Frühlinge. Ich hatte von dem Safte dieser Bäume gehört, und dachte Wunder, was ein köstlich Getränk die lieblichen Stämme geben müßten. Aber es war nicht Kraft und Geist genug darinnen. Ach! und wie heillos war das übrige alles, was ich hört’ und sah. Es war mir wirklich hie und da, als hätte sich die Menschen­ natur in die Mannigfaltigkeiten des Thierreichs aufgelöst, wenn ich umher gieng unter diesen Gebildeten. Wie überall, so wa­ ren auch hier die Männer besonders verwahrlost und verwest. Gewisse Thiere heulen, wenn sie Musik anhören. Meine bessergezognen Leute hingegen lachten, wenn von Geistes­ schönheit die Rede war und von Jugend des Herzens. Die Wöl­ fe gehen davon, wenn einer Feuer schlägt. Sahn jene Menschen einen Funken Vernunft, so kehrten sie, wie Diebe, den Rüken. Sprach ich einmal auch vom alten Griechenland ein warmes Wort, so gähnten sie, und meinten, man hätte doch auch zu le­ ben | in der jezigen Zeit; und es wäre der gute Geschmak noch immer nicht verloren gegangen, fel ein anderer bedeutend ein. Diß zeigte sich dann auch. Der eine wizelte, wie ein Boots­ knecht, der andere blies die Baken auf und predigte Sentenzen. Es gebärdet’ auch wohl einer sich aufgeklärt, machte dem Himmel ein Schnippchen und rief: um die Vögel auf dem Da­ che hab’ er nie sich bekümmert, die Vögel in der Hand, die sei­

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tutte le forme e gli usi comuni, ci giocavo, li mettevo e li smettevo come costumi di carnevale. Ma ciò che effettivamente insaporiva il cibo insipido delle relazioni quotidiane erano le fgure e i volti buoni che la natura compassionevole invia ancora qua e là, come stelle nella nostra oscurità. Come mi rallegravano il cuore, con quanta fede in­ terpretavo quegli amichevoli geroglifci! Ma mi accadde come quella volta con le betulle in primavera. Avevo senti­ to parlare della linfa di quegli alberi, e mi aspettavo mera­ viglie dalla preziosa bevanda che si ricava da quegli adora­ bili tronchi.76 Ma non aveva forza né spirito a suffcienza. E come era deplorevole tutto il resto che vidi e sentii! Qualche volta avevo l’impressione che la natura uma­ na si fosse dissolta nella molteplicità del regno animale, quando mi aggiravo tra quei sapientoni. Come dappertut­ to, anche lì gli uomini erano particolarmente trasandati e corrotti. Certi animali ululano quando sentono la musica; quella gente ben educata invece rideva quando sentiva parlare di bellezza dell’anima e di giovinezza del cuore. I lupi si allontanano se si accende un fuoco; se quelle persone ve­ devano una scintilla di ragione scappavano come ladri. Quando mi capitò di dire una parola accalorata sull’an­ tica Grecia sbadigliarono e sostennero che si doveva pur vivere | anche nel tempo presente; e il buon gusto non era certo ancora andato perduto,77 aveva aggiunto un altro con sussiego. E si vide subito. Uno fece dello spirito come uno sca­ ricatore di porto, l’altro gonfò le gote e sputò sentenze. Uno invece si comportò in modo illuminato, si fece bef­ fe del cielo ed esclamò che non si era mai preoccupato della gallina di domani, preferiva invece l’uovo oggi. Ma

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en ihm lieber! Doch wenn man ihm vom Tode sprach, so legt’ er straks die Hände zusammen, und kam so nach und nach im Gespräche darauf, wie es gefährlich sei, daß unsere Priester nichts mehr gelten. Die Einzigen, deren zuweilen ich mich bediente, waren die Erzähler, die lebendigen Nahmenregister von fremden Städten und Ländern, die redenden Bilderkasten, wo man Potentaten auf Rossen und Kirchthürme und Märkte seh’n kann. Ich war es endlich müde, mich wegzuwerfen, Trauben zu suchen in der Wüste und Blumen über dem Eisfeld. Ich lebte nun entschiedner allein, und der sanfte Geist mei­ ner Jugend war fast ganz aus meiner Seele verschwunden. Die Unheilbarkeit des Jahrhunderts war mir aus so manchem, was ich erzähle und nicht erzähle, sichtbar geworden, und der schö­ ne Trost, in Einer Seele meine Welt zu fnden, mein Geschlecht in einem freundlichen Bilde zu umarmen, auch der gebrach mir. Lieber! was wäre das Leben ohne Hoffnung? Ein Funke, der aus der Kohle springt und verlischt, und wie man bei trü­ ber Jahrszeit einen Windstoß hört, der einen Augenblik saust und dann verhallt, so wär’ es mit uns? Auch die Schwalbe sucht ein freundlicher Land im Winter, es läuft das Wild umher in der Hizze des Tags und seine Augen suchen den Quell. Wer sagt dem Kinde, daß die Mutter ihre Brust ihm nicht versage? Und siehe! es sucht sie doch. Es lebte nichts, wenn es nicht hoffte. Mein Herz verschloß jezt seine Schäze, aber nur, um sie für eine bessere Zeit zu spa­ ren, für das Einzige, Heilige, Treue, das gewiß, in irgend einer Periode des Daseyns, meiner dürstenden Seele begegnen sollte. Wie seelig hieng ich oft an ihm, wenn es, in Stunden des Ahnens, leise, wie das Mondlicht, um die besänftigte Stirne mir spielte? Schon damals kannt’ ich dich, schon damals bliktest

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quando gli si parlò della morte giunse subito le mani e nel discorso arrivò man mano a dire quanto fosse pericolo­ so che i nostri sacerdoti non venissero più tenuti in alcun conto. Gli unici che qualche volta ascoltavo erano i narratori ambulanti, i registri viventi dei nomi di città e terre stra­ niere, quei contenitori parlanti di immagini dove si vedo­ no i potenti a cavallo, campanili e mercati.78 Alla fne mi stancai di sprecarmi così, di cercare uva nel deserto e fori sul ghiaccio. Decisi dunque di restarmene solo, e il dolce spirito del­ la giovinezza era sparito quasi completamente dalla mia anima. Mi era divenuto evidente da alcune cose che rac­ conto e da altre che non racconto, che il mio secolo era irrecuperabile, e mi era venuta a mancare persino la dolce consolazione di ritrovare il mio mondo in un’anima, di ab­ bracciare l’umanità in un’immagine amata. Mio caro, che cosa sarebbe la vita senza speranza? Una scintilla che sprizza dai carboni e si spegne, e come si ode il colpo del vento nella cattiva stagione, che soffa per un attimo e poi sparisce, così sarebbe anche per noi? Anche le rondini in inverno cercano una terra più ospi­ tale, gli animali selvatici vagano nella calura del giorno cercando una sorgente. Chi dice al neonato che la madre non gli negherà il seno? Ma vedi, lo cerca comunque. Nulla vivrebbe se non avesse la speranza. Il cuore rin­ chiuse allora i suoi tesori, ma soltanto per conservarli per un tempo migliore, per l’essere unico, sacro e fedele che certo sarebbe venuto incontro alla mia anima assetata in una qualche fase dell’esistenza. Quante volte mi aggrappavo felice a quell’essere, nelle ore dell’intuizione, e lo sentivo aleggiare intorno alla mia fronte addolcita, soffuso come la luce lunare. Già allora ti

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du, wie ein | Genius, aus Wolken mich an, du, die mir einst, im Frieden der Schönheit, aus der trüben Wooge der Welt stieg! Da kämpfte, da glüht’ es nimmer, diß Herz. Wie in schweigender Luft sich eine Lilie wiegt, so regte sich in seinem Elemente, in den entzükenden Träumen von ihr, mein Wesen. Hyperion an Bellarmin. Smyrna war mir nun verlaidet. Überhaupt war mein Herz all­ mählig müder geworden. Zuweilen konnte wohl der Wunsch in mir auffahren, um die Welt zu wandern oder in den ersten besten Krieg zu gehn, oder meinen Adamas aufzusuchen und in seinem Feuer meinen Mismuth auszubrennen, aber dabei blieb es, und mein unbedeutend welkes Leben wollte nimmer sich erfrischen. Der Sommer war nun bald zu Ende; ich fühlte schon die düstern Reegentage und das Pfeifen der Winde und Tosen der Wetterbäche zum voraus, und die Natur, die, wie ein schäumen­ der Springquell, emporgedrungen war in allen Pfanzen und Bäumen, stand jezt schon da vor meinem verdüsterten Sinne, schwindend und verschlossen und in sich gekehrt, wie ich selber. Ich wollte noch mit mir nehmen, was ich konnte, von all’ dem fiehenden Leben, alles, was ich draußen liebgewonnen hatte, wollt’ ich noch hereinretten in mich, denn ich wußte wohl, daß mich das wiederkehrende Jahr nicht wieder fnden würde unter diesen Bäumen und Bergen, und so gieng und ritt ich jezt mehr, als gewöhnlich, herum im ganzen Bezirke. Was aber mich besonders hinaustrieb, war das geheime Ver­ langen, einen Menschen zu sehn, der seit einiger Zeit vor dem Thore unter den Bäumen, wo ich vorbei kam, mir alle Tage begegnet war.

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conoscevo, già allora mi guardavi dalle nuvole come un | genio protettore, tu che dai torbidi futti del mondo sorge­ sti per me una volta, nella pace della bellezza! Ecco che il mio cuore smise di combattere, di ardere. Come il giglio si culla nell’aria silenziosa, così il mio essere si muoveva nel suo elemento, nel sogno estatico di lei.79 iperione a Bellarmino Smirne ormai mi aveva disgustato. Il mio cuore, soprattut­ to, si era a poco a poco stancato. Qualche volta mi sorgeva il desiderio di andarmene per il mondo o di arruolarmi nella prima guerra utile, oppure di cercare il mio Adamas per consumare nel suo fuoco il mio malumore, ma tutto fniva lì, e la mia vita insignifcante e appassita non voleva rinnovarsi.80 L’estate sarebbe fnita presto; presagivo già i tetri giorni di pioggia, il sibilare del vento e l’infuriare dei torrenti, e la na­ tura, che come una sorgente spumeggiante si era fatta strada in tutte le piante e gli alberi, ai miei sensi rattristati appariva già consunta, chiusa e ripiegata in se stessa come me.81 Di tutta la vita fuggente volevo portare con me ciò che potevo, tutto ciò che avevo amato all’esterno volevo por­ tarlo al sicuro dentro di me, perché sapevo bene che l’an­ no successivo non mi avrebbe ritrovato fra quegli alberi e quelle montagne; così camminavo e cavalcavo più del solito in tutta la regione circostante. Ma ciò che soprattutto mi spingeva all’esterno era il segreto desiderio di incontrare un uomo che da qualche tempo scorgevo tutti i giorni vicino agli alberi, davanti alla porta della città da dove passavo.

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Wie ein junger Titan, schritt der herrliche Fremdling unter dem Zwergengeschlechte daher, das mit freudiger Scheue an seiner Schöne sich waidete, seine Höhe maß und seine Stärke, und an dem glühenden verbrannten Römerkopfe, wie an ver­ botner Frucht mit | verstohlnem Blike sich labte, und es war jedesmal ein herrlicher Moment, wann das Auge dieses Men­ schen, für dessen Blik der freie Aether zu enge schien, so mit abgelegtem Stolze sucht’ und strebte, bis es sich in meinem Auge fühlte und wir erröthend uns einander nachsahn und vo­ rüber giengen. Einst war ich tief in die Wälder des Mimas hineingeritten und kehrt’ erst spät Abends zurük. Ich war abgestiegen, und führte mein Pferd einen steilen wüsten Pfad über Baumwur­ zeln und Steine hinunter, und, wie ich so durch die Sträuche mich wand, in die Höhle hinunter, die nun vor mir sich öffnete, felen plözlich ein paar Karabornische Räuber über mich her, und ich hatte Mühe, für den ersten Moment die zwei gezük­ ten Säbel abzuhalten; aber sie waren schon von anderer Arbeit müde, und so half ich doch mir durch. Ich sezte mich ruhig wieder aufs Pferd und ritt hinab. Am Fuße des Berges that mitten unter den Wäldern und aufgehäuften Felsen sich eine kleine Wiese vor mir auf. Es wur­ de hell. Der Mond war eben aufgegangen über den fnstern Bäumen. In einiger Entfernung sah ich Rosse auf dem Boden ausgestrekt und Männer neben ihnen im Grase. Wer seid ihr? rief ich. Das ist Hyperion! rief eine Heldenstimme, freudig über­ rascht. Du kennst mich, fuhr die Stimme fort; ich begegne dir alle Tage unter den Bäumen am Thore. Mein Roß fog, wie ein Pfeil, ihm zu. Das Mondlicht schien ihm hell in’s Gesicht. Ich kannt’ ihn; ich sprang herab. Guten Abend! rief der liebe Rüstige, sah mit zärtlich wil­ dem Blike mich an und drükte mit seiner nervigen Faust die

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Come un giovane titano, il magnifco straniero si ag­ girava fra questa stirpe di nani che si pascevano della sua bellezza con gioiosa reverenza, che misuravano la sua al­ tezza e la sua forza e si ristoravano guardando furtivamen­ te la testa romana ardente e abbronzata | come fosse un frutto proibito, ed era ogni volta stupendo l’attimo in cui gli occhi di quell’uomo, per i quali il libero etere sembra­ va troppo angusto, cercavano e si sforzavano, deponendo l’orgoglio, di incontrare i miei e, arrossendo, ci seguivamo con lo sguardo quando capitava di incrociarci. Una volta mi addentrai a cavallo nei boschi del Mimas e feci ritorno a tarda sera. Ero smontato e conducevo il mio cavallo lungo un sentiero ripido e sconnesso, fra radici e pietre, e mentre mi facevo strada fra i cespugli scenden­ do nella gola che si apriva davanti a me, fui assalito im­ provvisamente da due briganti di Karaburn.82 In un primo momento feci fatica a contrastare le due sciabole sguai­ nate, ma essi erano già stanchi per altre fatiche ed ebbi la meglio. Salii di nuovo, tranquillo, a cavallo e continuai la discesa. Ai piedi del monte si aprì davanti a me una piccola ra­ dura, circondata dai boschi e da cumuli di pietre. Si fece chiaro: la luna era sorta in quel momento sopra i boschi oscuri. A una certa distanza vidi dei cavalli stesi a terra e uomini sull’erba accanto a loro. «Chi siete?» gridai. «È Iperione!» esclamò una voce eroica con gioiosa sor­ presa. «Tu mi conosci», proseguì la voce, «ti incontro tutti i giorni sotto gli alberi alla porta della città». Il mio cavallo volò verso di lui come una freccia. La luna gli brillava chiara sul volto. Lo riconobbi, smontai. «Buona sera!» disse vigoroso, guardandomi con uno sguardo dolce e selvaggio insieme e stringendomi caloro­

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meine, daß mein Innerstes den Sinn davon empfand. O nun war mein unbedeutend Leben am Ende! Alabanda, so hieß der Fremde, sagte mir nun, daß er mit seinem Diener von Räubern wäre überfallen worden, daß die beiden, auf die ich stieß, wären fortgeschikt worden von ihm, daß er den Weg aus dem Walde verloren gehabt und darum wäre genöthigt gewesen, auf der Stelle zu bleiben, bis ich ge­ kommen. Ich habe einen Freund dabei verloren, sezt’ er hinzu, und wies sein todtes Roß mir. | Ich gab das meine seinem Diener, und wir giengen zu Fuße weiter. Es geschah uns recht, begann ich, indeß wir Arm in Arm zusammen aus dem Walde giengen; warum zögerten wir auch so lange und giengen uns vorüber, bis der Unfall uns zusam­ menbrachte. Ich muß denn doch dir sagen, erwiedert’ Alabanda, daß du der Schuldigere, der Kältere bist. Ich bin dir heute nachgerit­ ten. Herrlicher! rief ich, siehe nur zu! an Liebe sollst du doch mich nimmer übertreffen. Wir wurden immer inniger und freudiger zusammen. Wir kamen nahe bei der Stadt an einem wohlgebauten Khan vorbei, das unter plätschernden Brunnen ruhte und unter Fruchtbäumen und duftenden Wiesen. Wir beschlossen, da zu übernachten. Wir saßen noch lange zusammen bei offnen Fenstern. Hohe geistige Stille umfeng uns. Erd’ und Meer war seelig verstummt, wie die Sterne, die über uns hiengen. Kaum, daß ein Lüftchen von der See her uns in’s Zimmer fog und zart mit unserm Lichte spielte, oder daß von ferner Musik die gewaltigern Töne zu uns drangen, indeß die Donnerwolke sich wiegt’ im Bette des Aethers, und hin und wieder durch die Stille fernher tönte, wie ein schlafender Riese, wenn er stärker athmet in seinen furchtbaren Träumen.

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samente la mano tanto che ne compresi il signifcato fn nel profondo. Ecco che la mia vita insignifcante era fnita.83 Alabanda, così si chiamava lo straniero,84 mi disse che lui e il suo servitore erano stati assaliti dai banditi, i due nei quali ero incappato erano già stati messi in fuga da lui, ma poi aveva perso il sentiero per uscire dal bosco ed era stato costretto a fermarsi in quel luogo fnché non ero sopraggiunto io. «In tutto questo ho perso un amico», aggiunse indicandomi il cavallo morto. | Affdai il mio al suo servitore e procedemmo a piedi. «Abbiamo avuto quello che ci meritavamo», dissi men­ tre ci dirigevamo sottobraccio fuori dal bosco, «poiché ab­ biamo esitato così a lungo e passavamo oltre, e ci è voluto un incidente per farci incontrare». «Devo però dirti», rispose Alabanda, «che sei tu il più colpevole, il più freddo. Oggi infatti ti ho seguito». «Magnifco», esclamai, «ma attento: in amore non po­ trai mai superarmi!» Insieme diventammo sempre più affatati e gioiosi. Nei pressi della città ci imbattemmo in una graziosa lo­ canda, adagiata tra fontane zampillanti, alberi da frutta e prati profumati.85 Decidemmo di pernottare lì. Sedemmo ancora a lun­ go vicino alla fnestra aperta. Una quiete profonda e spi­ rituale ci avvolgeva. La terra e il mare erano beatamente silenziosi, come le stelle sopra di noi. Soltanto una brezza dal mare si insinuava fn nella stanza e giocava dolcemente con la luce della lampada; le note più forti di una musica lontana giungevano fno a noi, mentre nubi temporalesche si cullavano nel letto dell’etere e il loro rombo lontano si udiva di quando in quando nel silenzio, come un gigante addormentato che respira più forte nei suoi terribili sogni.

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Unsre Seelen mußten um so stärker sich nähern, weil sie wider Willen waren verschlossen gewesen. Wir begegneten einander, wie zwei Bäche, die vom Berge rollen, und die Last von Erde und Stein und faulem Holz und das ganze träge Chaos, das sie aufhält, von sich schleudern, um den Weg sich zu einander zu bahnen, und durchzubrechen bis dahin, wo sie nun ergreiffend und ergriffen mit gleicher Kraft, vereint in Einen majestätischen Strom, die Wanderung in’s weite Meer beginnen. Er, vom Schiksaal und der Barbarei der Menschen heraus, vom eignen Hause unter Fremden hin und her gejagt, von früher Jugend an erbittert und verwildert, und doch auch das innere Herz voll Liebe, voll Verlangens, aus der rauhen Hül­ se durchzudringen in ein freundlich Element; ich, von allem schon so innigst abgeschieden, so mit ganzer Seele fremd und einsam unter den | Menschen, so lächerlich begleitet von dem Schellenklange der Welt in meines Herzens liebsten Melodien; ich, die Antipathie aller Blinden und Lahmen, und doch mir selbst zu blind und lahm, doch mir selbst so herzlich überläs­ tig in allem, was von ferne verwandt war mit den Klugen und Vernünftlern, den Barbaren und den Wizlingen – und so voll Hoffnung, so voll einziger Erwartung eines schönern Lebens – Mußten so in freudig stürmischer Eile nicht die beiden Jünglinge sich umfassen? O du, mein Freund und Kampfgenosse, mein Alabanda, wo bist du? Ich glaube fast, du bist in’s unbekannte Land hinüber­ gegangen, zur Ruhe, bist wieder geworden, wie einst, da wir noch Kinder waren. Zuweilen, wenn ein Gewitter über mir hinzieht, und seine göttlichen Kräfte unter die Wälder austheilt und die Saaten, oder wenn die Woogen der Meersfuth unter sich spielen, oder ein Chor von Adlern um die Berggipfel, wo ich wandre, sich

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Le nostre anime si avvicinarono con tanta più forza l’u­ na all’altra, quanto più contro voglia si erano rinchiuse in se stesse. Ci incontrammo come due torrenti che rotolano dal monte scaraventando lontano da sé il carico di terra, pietre, legno marcio e tutto il caos inerte che li tratteneva per aprirsi la strada l’uno verso l’altro, per farsi largo fno al punto in cui, afferrando e venendo afferrati con uguale forza, uniti in un fume maestoso, iniziano la loro marcia verso il vasto mare. Lui, scacciato dalla sua stessa casa dal destino e dalla barbarie degli uomini e sballottato qua e là fra gli stranieri, amareggiato e inasprito fn dalla prima giovinezza eppure con il cuore pieno d’amore, colmo del desiderio di lasciare il ruvido involucro per un elemento più amichevole; io, già così intimamente separato da tutto, con tutta l’anima straniero e solitario fra gli | uomini, con le melodie più care del mio cuore accompagnate in modo così ridicolo dallo scampanellio del mondo; io, l’antipatia di tutti i cie­ chi e gli storpi, eppure io stesso cieco e storpio, cordial­ mente insofferente verso tutto ciò che, anche da lontano, mi rendeva simile agli intelligentoni, ai sofsti, ai barbari e ai burloni – eppure così pieno di speranza, così colmo di aspettative per una vita migliore… Non dovevano forse abbracciarsi in un impeto così gio­ ioso, i due giovani? Amico e compagno di lotta, mio Alabanda, dove sei? Credo quasi che tu sia andato in una terra sconosciuta, nella pace, credo che tu sia tornato quello di una volta, quando eravamo ancora bambini. Talvolta, quando un temporale passa sopra di me e sfo­ ga le sue forze divine fra i boschi e le messi, o quando le onde del mare giocano fra loro, o un coro di aquile si libra intorno alle vette dei monti dove vago, il mio cuore

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schwingt, kann mein Herz sich regen, als wäre mein Alabanda nicht fern; aber sichtbarer, gegenwärtiger, unverkennbarer lebt er in mir, ganz, wie er einst dastand, ein feurig strenger furcht­ barer Kläger, wenn er die Sünden des Jahrhunderts nannte. Wie erwachte da in seinen Tiefen mein Geist, wie rollten mir die Donnerworte der unerbittlichen Gerechtigkeit über die Zunge! Wie Boten der Nemesis, durchwanderten unsre Ge­ danken die Erde, und reinigten sie, bis keine Spur von allem Fluche da war. Auch die Vergangenheit riefen wir vor unsern Richterstuhl, das stolze Rom erschrökte uns nicht mit seiner Herrlichkeit, Athen bestach uns nicht mit seiner jugendlichen Blüthe. Wie Stürme, wenn sie frohlokkend, unaufhörlich fort durch Wälder über Berge fahren, so drangen unsre Seelen in kolos­ salischen Entwürfen hinaus; nicht, als hätten wir, unmännlich, unsre Welt, wie durch ein Zauberwort, geschaffen, und kin­ disch unerfahren keinen Widerstand berechnet, dazu war Ala­ banda zu verständig und zu tapfer. Aber oft ist auch die mühe­ lose Begeisterung kriegerisch und klug. Ein Tag ist mir besonders gegenwärtig. Wir waren zusammen auf’s Feld gegangen, saßen vertrau­ lich | umschlungen im Dunkel des immergrünen Lorbeers, und sahn zusammen in unsern Plato, wo er so wunderbar erhaben vom Altern und Verjüngen spricht, und ruhten hin und wieder aus auf der stummen entblätterten Landschaft, wo der Himmel schöner, als je, mit Wolken und Sonnenschein um die herbst­ lich schlafenden Bäume spielte. Wir sprachen darauf manches vom jezigen Griechenland, beede mit blutendem Herzen, denn der entwürdigte Boden war auch Alabanda’s Vaterland. Alabanda war wirklich ungewöhnlich bewegt.

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sussulta come se il mio Alabanda non fosse lontano; ma più chiaro, più vivido e inconfondibile vive in me, proprio come allora, un accusatore infervorato, severo e terribile che elenca i peccati del secolo. Come si risvegliava il mio spirito nelle sue profondità, come mi scorrevano sulla lin­ gua le parole tonanti di una giustizia inesorabile! Come messaggeri di Nemesi i nostri pensieri percorrevano la ter­ ra e la purifcavano,86 fnché non era cancellata ogni traccia della maledizione. Anche il passato chiamavamo in giudizio, la superba Roma non ci intimoriva con tutta la sua magnifcenza, Ate­ ne non ci ammansiva con la sua giovanile freschezza. Come temporali che percorrono esultanti e incessanti boschi e monti, così le nostre anime si lanciavano in pro­ getti colossali; ma non come se volessimo creare il nostro mondo grazie a una parola magica invece che col valore, e come se non tenessimo conto degli ostacoli per inespe­ rienza puerile; Alabanda era troppo accorto e coraggioso per far ciò. Spesso infatti anche l’entusiasmo spontaneo è combattivo e audace. Un giorno mi è rimasto particolarmente impresso. Eravamo andati insieme in campagna, e sedevamo confdenzialmente | abbracciati nella penombra del lauro sempreverde leggendo insieme il nostro Platone, laddove parla in modo così meravigliosamente sublime dell’invec­ chiare e del ringiovanire,87 e ci interrompevamo ogni tanto guardando il paesaggio muto e spoglio, dove il cielo, più bello che mai, giocava con le nuvole e il sole intorno agli alberi assopiti nell’autunno. Parlammo anche della Grecia di oggi, entrambi con il cuore sanguinante, perché quella terra profanata era an­ che la patria di Alabanda.88 Alabanda in effetti si accalorò in modo particolare.

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Wenn ich ein Kind ansehe, rief dieser Mensch, und den­ ke, wie schmählich und verderbend das Joch ist, das es tragen wird, und daß es darben wird, wie wir, daß es Menschen su­ chen wird, wie wir, fragen wird, wie wir, nach Schönem und Wahrem, daß es unfruchtbar vergehen wird, weil es allein seyn wird, wie wir, daß es – o nehmt doch eure Söhne aus der Wiege, und werft sie in den Strom, um wenigstens vor eurer Schande sie zu retten! Gewiß, Alabanda! sagt’ ich, gewiß es wird anders. Wodurch? erwiedert’ er; die Helden haben ihren Ruhm, die Weisen ihre Lehrlinge verloren. Große Thaten, wenn sie nicht ein edel Volk vernimmt, sind mehr nicht als ein gewaltiger Schlag vor eine dumpfe Stirne, und hohe Worte, wenn sie nicht in hohen Herzen wiedertönen, sind, wie ein sterbend Blatt, das in den Koth herunterrauscht. Was willst du nun? Ich will, sagt’ ich, die Schaufel nehmen und den Koth in eine Grube werfen. Ein Volk, wo Geist und Größe keinen Geist und keine Größe mehr erzeugt, hat nichts mehr gemein, mit andern, die noch Menschen sind, hat keine Rechte mehr, und es ist ein leeres Possenspiel, ein Aberglauben, wenn man solche willenlose Leichname noch ehren will, als wär’ ein Römerherz in ihnen. Weg mit ihnen! Er darf nicht stehen, wo er steht, der dürre faule Baum, er stiehlt ja Licht dem jungen Leben, das für eine neue Welt heranreift. Alabanda fog auf mich zu, umschlang mich, und seine Küs­ se giengen mir in die Seele. Waffenbruder! rief er, lieber Waf­ fenbruder! o nun hab’ ich hundert Arme! Das ist endlich einmal meine Melodie, fuhr er fort, mit ei­ ner | Stimme, die, wie ein Schlachtruf, mir das Herz bewegte, mehr braucht’s nicht! Du hast ein herrlich Wort gesprochen, Hyperion! Was? vom Wurme soll der Gott abhängen? Der Gott in uns, dem die Unendlichkeit zur Bahn sich öffnet, soll stehn und harren, bis der Wurm ihm aus dem Wege geht? Nein!

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«Se guardo un bimbo», esclamò, «e penso quanto in­ fame e distruttivo è il giogo che dovrà portare, se penso che si struggerà come noi, che cercherà uomini, come noi, che domanderà, come noi, del bello e del vero, che perirà sterile perché resterà solo come noi, e che... Oh, prendete i vostri fgli dalla culla e gettateli nei futti, per salvarli al­ meno dalla vostra vergogna!» «Ma no, Alabanda», dissi, «di certo sarà diverso». «E come?» replicò; «gli eroi hanno perso la loro fama, i saggi i loro discepoli. Le grandi gesta, se un popolo nobile non le ascolta, non sono niente più di un colpo potente su una fronte ottusa, e le parole nobili, se non risuonano in cuori nobili, sono come una foglia morta che cade nella melma. Che cosa vuoi dunque?» «Voglio prendere la pala e buttare la melma in una fossa. Un popolo, in cui lo spirito e la grandezza non ge­ nerano più né spirito né grandezza, non ha più nulla in comune con coloro che sono ancora uomini, non ha più diritti, ed è un’inutile burla, una superstizione, rispettare quei cadaveri privi di volontà come se avessero ancora un cuore da romani. Basta! L’albero secco e marcio non può più restare dov’è, toglie luce alla giovane vita che cresce per un mondo nuovo». Alabanda si precipitò verso di me, mi abbracciò, e i suoi baci mi toccarono l’anima. «Compagno di lotta», gridò, «caro compagno di lotta! Ora sento di avere cento braccia!» «Questa è fnalmente la mia musica», proseguì con una | voce che mi fece palpitare il cuore come un grido di guerra, «non serve altro! Hai detto parole stupende, Ipe­ rione! Come? Il dio deve dipendere dal verme? Il dio che è in noi, davanti al quale l’infnito si stende come una pi­ sta, deve fermarsi e attendere fnché il verme non gli libera

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nein! Man frägt nicht, ob ihr wollt! Ihr wollt ja nie, ihr Knechte und Barbaren! Euch will man auch nicht bessern, denn es ist umsonst! man will nur dafür sorgen, daß ihr dem Siegeslauf der Menschheit aus dem Wege geht. O! zünde mir einer die Fakel an, daß ich das Unkraut von der Haide brenne! die Mine berei­ te mir einer, daß ich die trägen Klöze aus der Erde sprenge! Wo möglich, lehnt man sanft sie auf die Seite, fel ich ein. Alabanda schwieg eine Weile. Ich habe meine Lust an der Zukunft, begann er endlich wieder, und faßte feurig meine beeden Hände. Gott sei Dank! ich werde kein gemeines Ende nehmen. Glüklich seyn, heißt schläfrig seyn im Munde der Knechte. Glüklich seyn! mir ist, als hätt’ ich Brei und laues Wasser auf der Zunge, wenn ihr mir sprecht von glüklich seyn. So albern und so heillos ist das alles, wofür ihr hingebt eure Lorbeerkronen, eure Unsterblichkeit. O heiliges Licht, das ruhelos, in seinem ungeheuren Reiche wirksam, dort oben über uns wandelt, und seine Seele auch mir mittheilt, in den Stralen, die ich trinke, dein Glük sei meines! Von ihren Thaten nähren die Söhne der Sonne sich; sie le­ ben vom Sieg; mit eignem Geist ermuntern sie sich, und ihre Kraft ist ihre Freude. – Der Geist dieses Menschen faßte einen oft an, daß man sich hätte schämen mögen, so federleicht hinweggerissen fühlte man sich. O Himmel und Erde! rief ich, das ist Freude! – Das sind andre Zeiten, das ist kein Ton aus meinem kindischen Jahrhun­ dert, das ist nicht der Boden, wo das Herz des Menschen unter seines Treibers Peitsche keucht. – Ja! ja! bei deiner herrlichen Seele, Mensch! du wirst mit mir das Vaterland erretten. Das will ich, rief er, oder untergehn.

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la strada? No, no, non vi si chiede se volete, voi non volete mai, voi schiavi e barbari, e nemmeno vogliamo migliorar­ vi, perché sarebbe vano! Vogliamo soltanto fare in modo che vi togliate di mezzo dalla corsa dell’umanità verso la vittoria. Che qualcuno mi accenda una faccola per brucia­ re le erbacce dalla campagna! Qualcuno mi prepari una mina perché io possa far saltare dal terreno i massi inerti». «Se è possibile, li si mette dolcemente da parte», inter­ venni io.89 Alabanda tacque qualche minuto. «Sono felice per il futuro», disse infne stringendomi calorosamente entrambe le mani. «Dio sia ringraziato, non farò una fne indegna. Essere felici signifca, per i servi, essere indolenti. Felici! Quando mi parlate dell’essere fe­ lici è come avere in bocca semolino e acqua tiepida, tanto insipido e nefando è tutto ciò a cui offrite le vostre corone di alloro, la vostra immortalità.90 Sacra luce che incedi lassù sopra di noi, senza posa, operosa nel tuo immenso regno, e che comunichi anche a me la tua anima nei raggi che assorbo: la tua felicità sia la mia! I fgli del sole si nutrono delle loro stesse gesta; vivono di vittoria, traggono coraggio dal loro stesso spirito e la loro forza è la loro gioia». Lo spirito di quell’uomo contagiava spesso anche gli altri, tanto che ci si vergognava di quanto facilmente ci si lasciava trascinare, leggeri come piume.91 «Cielo e terra», esclamai, «questa è gioia! Questi sono altri tempi, queste non sono parole di questo secolo pue­ rile, non è la terra dove il cuore dell’uomo geme sotto la sferza dell’oppressore. Sì, sì, per la tua anima magnifca, tu salverai con me la patria». «Questo voglio», gridò, «o perire».

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Von diesem Tag an wurden wir uns immer heiliger und lie­ ber. Tiefer unbeschreiblicher Ernst war unter uns gekommen. Aber wir waren nur um so seeliger zusammen. Nur in den ewigen | Grundtönen seines Wesens lebte jeder, und schmuk­ los schritten wir fort von einer großen Harmonie zur andern. Voll herrlicher Strenge und Kühnheit war unser gemeinsames Leben. Wie bist du denn so wortarm geworden? fragte mich einmal Alabanda mit Lächeln. In den heißen Zonen, sagt’ ich, näher der Sonne, singen ja auch die Vögel nicht. Aber es geht alles auf und unter in der Welt, und es hält der Mensch mit aller seiner Riesenkraft nichts fest. Ich sah’ einmal ein Kind die Hand ausstreken, um das Mondlicht zu haschen; aber das Licht gieng ruhig weiter seine Bahn. So stehn wir da, und ringen, das wandelnde Schiksaal anzuhalten. O wer ihm nur so still und sinnend, wie dem Gange der Sterne, zusehn könnte! Je glüklicher du bist, um so weniger kostet es, dich zu Grun­ de zu richten, und die seeligen Tage, wie Alabanda und ich sie lebten, sind wie eine jähe Felsenspize, wo dein Reisegefährte nur dich anzurühren braucht, um unabsehlich, über die schnei­ denden Zaken hinab, dich in die dämmernde Tiefe zu stürzen. Wir hatten eine herrliche Fahrt nach Chios gemacht, hatten tausend Freude an uns gehabt. Wie Lüftchen über die Meeres­ fäche, walteten über uns die freundlichen Zauber der Natur. Mit freudigem Staunen sah einer den andern, ohne ein Wort zu sprechen, aber das Auge sagte, so hab’ ich dich nie gesehen! So verherrlicht waren wir von den Kräften der Erde und des Himmels. Wir hatten dann auch mit heitrem Feuer uns über manches gestritten, während der Fahrt; ich hatte, wie sonst, auch dißmal

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Da quel giorno divenimmo sempre più sacri e cari l’uno all’altro. Una serietà profonda e inesprimibile era fra noi, ma allo stesso tempo eravamo ancora più felici. Ciascuno viveva | soltanto delle note basilari ed eterne del suo esse­ re, e sobriamente ci muovevamo da una grande armonia all’altra. La nostra vita in comune era colma di maestosa austerità e audacia. «Come mai sei diventato così taciturno?» mi chiese una volta Alabanda sorridendo. «Nelle zone torride, quelle più vicine al sole, non cantano nemmeno gli uccelli», dissi. Ma nel mondo tutto sorge e tramonta, e pur con tutta la sua forza titanica l’uomo non riesce a trattenere nulla. Una volta vidi un bimbo allungare la mano per afferrare la luce della luna, ma la luce proseguì quieta il suo cammino, e così accade a noi che lottiamo per trattenere il destino mutevole. Chi sarebbe capace di starlo a guardare in tranquilla meditazione, come si guardano le stelle? Quanto più sei felice, tanto meno ci vuole per annien­ tarti, e i giorni beati che Alabanda e io abbiamo vissuto sono come uno spuntone afflato di roccia, dove basta che il tuo compagno di viaggio ti sfori per farti precipitare, senza volerlo, giù dalle creste taglienti nella profondità in­ distinta. Avevamo fatto una splendida gita a Chio,92 eravamo al settimo cielo. Come la brezza sulla superfcie del mare, aleggiavano sopra di noi, amichevoli, gli incanti della na­ tura. Con stupore gioioso ci guardavamo l’un l’altro senza dire una parola, ma gli occhi dicevano: «non ti ho mai vi­ sto così!», tanto eravamo trasfgurati dalle forze del cielo e della terra. Con foga serena avevamo anche discusso su alcuni pun­ ti, durante il viaggio, e anche quella volta, come accadeva

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wieder meines Herzens Freude daran gehabt, diesem Geist auf seiner kühnen Irrbahn zuzusehn, wo er so regellos, so in un­ gebundner Fröhlichkeit, und doch meist so sicher seinen Weg verfolgte. Wir eilten, wie wir ausgestiegen waren, allein zu seyn. Du kannst niemand überzeugen, sagt’ ich jezt mit inniger Liebe, du überredest, du bestichst die Menschen, ehe du an­ fängst; man kann nicht zweifeln, wenn du sprichst, und wer nicht zweifelt, wird nicht überzeugt. Stolzer Schmeichler, rief er dafür, du lügst! aber gerade recht, | daß du mich mahnst! nur zu oft hast du schon mich un­ vernünftig gemacht! Um alle Kronen möcht’ ich von dir mich nicht befreien, aber es ängstiget denn doch mich oft, daß du mir so unentbehrlich seyn sollst, daß ich so gefesselt bin an dich; und sieh, fuhr er fort, daß du ganz mich hast, sollst du auch alles von mir wissen! wir dachten bisher unter all’ der Herrlichkeit und Freude nicht daran, uns nach Vergangenem umzusehn. Er erzählte mir nun sein Schiksaal; mir war dabei, als säh’ ich einen jungen Herkules mit der Megära im Kampfe. Wirst du mir jezt verzeihen, schloß er die Erzählung seines Ungemachs, wirst du jezt ruhiger seyn, wenn ich oft rauh bin und anstößig und unverträglich? O stille, stille! rief ich innigst bewegt; aber daß du noch da bist, daß du dich erhieltest für mich! Ja wohl! für dich! rief er, und es freut mich herzlich, daß ich dir denn doch genießbare Kost bin. Und schmek’ ich auch, wie ein Holzapfel, dir zuweilen, so keltre mich so lange, bis ich trinkbar bin. Laß mich! laß mich! rief ich; ich sträubte mich umsonst; der Mensch machte mich zum Kinde; ich verbarg’s ihm auch nicht; er sah meine Thränen, und weh ihm, wenn er sie nicht sehen durfte!

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spesso, il mio cuore aveva gioito nell’osservare il suo spiri­ to vagare audace, seguire il suo percorso in modo del tutto irregolare, con spontanea allegria, eppure con sicurezza. Una volta arrivati ci affrettammo per poter restare soli. «Tu non puoi convincere nessuno», dissi allora con profondo affetto, «tu travolgi gli uomini con le parole, li seduci ancora prima di cominciare; non si può dubitare quando parli tu, e chi non dubita non viene convinto». «Orgoglioso adulatore», esclamò di rimando, «tu men­ ti! Ma è giusto | che tu mi metta in guardia, fn troppe volte mi hai fatto perdere il lume della ragione! Per tutto l’oro del mondo non vorrei liberarmi di te, ma allo stesso tempo mi spaventa che tu mi sia così indispensabile, che io sia così legato a te e anzi», proseguì, «dato che mi possiedi interamente devi anche sapere tutto di me. Finora, presi da tutta la grandiosità e la gioia, non abbiamo mai pensato di soffermarci sul passato». Mi raccontò quindi la sua storia, e ascoltandolo ebbi l’impressione di vedere un giovane Ercole nella sua lotta con Megera.93 «Mi perdonerai adesso», disse concludendo il racconto delle sue disavventure, «e sarai più comprensivo se qual­ che volta sono scortese, scostante e insopportabile?» «Zitto, zitto», risposi profondamente commosso; «ci sei ancora, sei sopravvissuto per me!» «Certo, per te!» disse, «e sono davvero felice di esserti un cibo gradevole. Ma se qualche volta avrò il sapore di una mela selvatica, spremimi fno a che non ne otterrai una bevanda». «Smettila, smettila!» Ma mi ribellavo invano, quell’uo­ mo si prendeva gioco di me come di un bambino; non mi nascosi, vide le mie lacrime; guai a lui se non le avesse viste.

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Wir schwelgen, begann nun Alabanda wieder, wir tödten im Rausche die Zeit. Wir haben unsre Bräutigamstage zusammen, rief ich erhei­ tert, da darf es wohl noch lauten, als wäre man in Arkadien. – Aber auf unser vorig Gespräch zu kommen! Du räumst dem Staate denn doch zu viel Gewalt ein. Er darf nicht fordern, was er nicht erzwingen kann. Was aber die Liebe giebt und der Geist, das läßt sich nicht erzwingen. Das laß’ er unangetastet, oder man nehme sein Gesez und schlag’ es an den Pranger! Beim Himmel! der weiß nicht, was er sündigt, der den Staat zur Sittenschule machen will. Immerhin hat das den Staat zur Hölle gemacht, daß ihn der Mensch zu seinem Himmel machen wollte. Die rauhe Hülse um den Kern des Lebens und nichts weiter ist der Staat. Er ist die Mauer um den Garten menschlicher Früchte und Blumen. | Aber was hilft die Mauer um den Garten, wo der Boden dürre liegt? Da hilft der Reegen vom Himmel allein. O Reegen vom Himmel! o Begeisterung! du wirst den Früh­ ling der Völker uns wiederbringen. Dich kann der Staat nicht hergebieten. Aber er störe dich nicht, so wirst du kommen, kommen wirst du, mit deinen allmächtigen Wonnen, in gold­ ne Wolken wirst du uns hüllen und empor uns tragen über die Sterblichkeit, und wir werden staunen und fragen, ob wir noch seien, wir, die Dürftigen, die wir die Sterne fragten, ob dort uns ein Frühling blühe – frägst du mich, wann diß seyn wird? Dann, wann die Lieblingin der Zeit, die jüngste, schönste Tochter der Zeit, die neue Kirche, hervorgehn wird aus diesen befekten ver­ alteten Formen, wann das erwachte Gefühl des Göttlichen dem Menschen seine Gottheit, und seiner Brust die schöne Jugend wiederbringen wird, wann – ich kann sie nicht verkünden, denn ich ahne sie kaum, aber sie kömmt gewiß, gewiß. Der Tod ist ein Bote des Lebens, und daß wir jezt schlafen in unsern Kranken­

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«Noi ci esaltiamo», riprese Alabanda, «e nella nostra ebbrezza il tempo scorre». «Ora abbiamo la nostra luna di miele», dissi rasserena­ to, «e tutto può parere come se fossimo in Arcadia...94 Ma torniamo al nostro discorso di prima».95 «Tu concedi allo Stato comunque troppo potere. Non può esigere ciò che non può estorcere con la forza. Ma ciò che donano l’amore e lo spirito, non si può estorcere. Che lasci stare queste cose, oppure si prenderà la sua legge e la si metterà alla berlina! Per il cielo, non sa nemmeno quale peccato commette chi vuole fare dello Stato una scuola di morale. Il fatto che l’uomo volesse fare dello Stato il suo cielo lo ha reso un inferno. Lo Stato è l’involucro grezzo intorno al nocciolo della vita e niente più. È il muro che circonda il giardino dei frutti e dei fori dell’umanità. | Ma a che cosa serve il muro intorno al giardino, se il terreno è arido? Servirebbe solo la pioggia del cielo.96 Pioggia del cielo, entusiasmo! Tu ci riporterai la pri­ mavera dei popoli. Lo Stato non può ordinarti di venire. Ma se non ti disturberà tu verrai, verrai con le tue gioie onnipotenti, ci avvolgerai in nuvole dorate e ci innalzerai sopra la caducità, e noi ci stupiremo e ci domanderemo se siamo ancora vivi, noi miseri che chiedevamo alle stelle se forisce anche per noi lassù una primavera…97 Mi chiedi quando avverrà tutto ciò? Quando la favorita del tempo, la più giovane e bella tra le fglie del tempo, la nuova chie­ sa, sorgerà da queste forme invecchiate e logore, quando il sentimento del divino, destato, riporterà all’uomo la sua divinità e al cuore la bella giovinezza,98 quando... Non so annunciarla perché la intuisco appena, ma verrà di certo, lo so. La morte è il messaggero della vita, e il fatto che ora dormiamo nei nostri letti di malati è prova di un prossimo,

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häusern, diß zeugt vom nahen gesunden Erwachen. Dann, dann erst sind wir, dann ist das Element der Geister gefunden! Alabanda schwieg, und sah eine Weile erstaunt mich an. Ich war hingerissen von unendlichen Hoffnungen; Götterkräfte trugen, wie ein Wölkchen, mich fort – Komm! rief ich, und faßt’ Alabanda beim Gewande, komm, wer hält es länger aus im Kerker, der uns umnachtet? Wohin, mein Schwärmer, erwiedert’ Alabanda troken, und ein Schatte von Spott schien über sein Gesicht zu gleiten. Ich war, wie aus den Wolken gefallen. Geh! sagt’ ich, du bist ein kleiner Mensch! In demselben Augenblike traten etliche Fremden in’s Zim­ mer, auffallende Gestalten, meist hager und blaß, so viel ich im Mondlicht sehen konnte, ruhig, aber in ihren Mienen war etwas, das in die Seele gieng, wie ein Schwerd, und es war, als stünde man vor der Allwissenheit; man hätte gezweifelt, ob diß die Außenseite wäre von bedürftigen Naturen, hätte nicht hie und da der getödtete Affekt seine Spuren zurükgelassen. Besonders einer fel mir auf. Die Stille seiner Züge war die Stille eines Schlachtfelds. Grimm und Liebe hatt’ in diesem | Menschen gerast, und der Verstand leuchtete über den Trüm­ mern des Gemüths, wie das Auge eines Habichts, der auf zer­ störten Pallästen sizt. Tiefe Verachtung war auf seinen Lippen. Man ahnete, daß dieser Mensch mit keiner unbedeutenden Ab­ sicht sich befasse. Ein andrer mochte seine Ruhe mehr einer natürlichen Her­ zenshärte danken. Man fand an ihm fast keine Spur einer Ge­ waltsamkeit, von Selbstmacht oder Schiksaal verübt. Ein dritter mochte seine Kälte mehr mit der Kraft der Über­ zeugung dem Leben abgedrungen haben, und wohl noch oft im Kampfe mit sich stehen, denn es war ein geheimer Wider­

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sano risveglio. Allora, solo allora vivremo, allora avremo trovato l’elemento degli spiriti!» Alabanda tacque e mi guardò a lungo stupito. Io ero esaltato da infnite speranze, forze divine mi trascinavano come fossi una nuvoletta... «Vieni», dissi afferrando Alabanda per la veste, «vieni: chi resiste oltre nel carcere che ci ottenebra?»99 «E dove, mio sognatore», rispose Alabanda asciutto, mentre un’ombra di scherno parve scivolargli sul volto. Fu una doccia fredda. «Vattene!» dissi, «sei un uomo meschino». In quello stesso istante entrarono nella stanza alcuni sconosciuti, fgure che si facevano notare, magri e pallidi, per quanto potevo vedere alla luce della luna; erano cal­ mi, ma nella loro espressione c’era qualcosa che trafggeva l’anima come una spada,100 e fu come trovarsi di fronte l’onniscienza. Si sarebbe potuto ritenere che quella fos­ se l’apparenza esteriore di nature mediocri, se le passioni annientate non avessero lasciato qua e là le loro tracce.101 Uno in particolare mi colpì. La calma dei suoi tratti era la calma del campo di battaglia. Odio e amore avevano | sfogato la loro furia in quell’uomo, e l’intelletto brillava sulle rovine dell’animo come l’occhio di un avvoltoio ap­ pollaiato su palazzi distrutti. Le sue labbra mostravano un profondo disprezzo. Si intuiva che non perseguiva certo scopi insignifcanti. Un altro pareva dovere invece la sua tranquillità a una naturale durezza di cuore. In lui non si notava alcuna trac­ cia di violenza, né esercitata per ottenere il dominio di sé, né subìta dal destino. Un terzo doveva aver estorto alla vita la sua freddez­ za con la forza della persuasione, e doveva lottare ancora spesso con se stesso, poiché nel suo essere si percepiva una

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spruch in seinem Wesen, und es schien mir, als müßt’ er sich bewachen. Er sprach am wenigsten. Alabanda sprang auf, wie gebogner Stahl, bei ihrem Eintritt. Wir suchten dich, rief einer von ihnen. Ihr würdet mich fnden, sagt’ er lachend, wenn ich in den Mittelpunct der Erde mich verbärge. Sie sind meine Freunde, sezt’ er hinzu, indeß er zu mir sich wandte. Sie schienen mich ziemlich scharf in’s Auge zu fassen. Das ist auch einer von denen, die es gerne besser haben möchten in der Welt, rief Alabanda nach einer Weile, und wies auf mich. Das ist dein Ernst? fragt’ einer mich von den Dreien. Es ist kein Scherz, die Welt zu bessern, sagt’ ich. Du hast viel mit einem Worte gesagt! rief wieder einer von ihnen. Du bist unser Mann! ein andrer. Ihr denkt auch so? fragt’ ich. Frage, was wir thun! war die Antwort. »Und wenn ich fragte?« So würden wir dir sagen, daß wir da sind, aufzuräumen auf Erden, daß wir die Steine vom Aker lesen, und die harten Er­ denklöse mit dem Karst zerschlagen, und Furchen graben mit dem Pfug, und das Unkraut an der Wurzel fassen, an der Wur­ zel es durchschneiden, samt der Wurzel es ausreißen, daß es verdorre im Sonnenbrande. Nicht, daß wir erndten möchten, fel ein andrer ein; uns kömmt der Lohn zu spät; uns reift die Erndte nicht mehr. Wir sind am Abend unsrer Tage. Wir irrten oft, wir hoff­ ten viel | und thaten wenig. Wir wagten lieber, als wir uns be­ sannen. Wir waren gerne bald am Ende und trauten auf das Glük. Wir sprachen viel von Freude und Schmerz, und lieb­ ten, haßten beide. Wir spielten mit dem Schiksaal und es that mit uns ein Gleiches. Vom Bettelstabe bis zur Krone warf es

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segreta contraddizione, ed era come se dovesse continua­ mente controllarsi. Era quello che parlava di meno. Alabanda scattò in piedi come una molla al loro ingresso. «Ti cercavamo», disse uno di loro. «E mi trovereste anche se mi nascondessi nel centro della terra», disse egli ridendo. «Questi sono i miei amici», aggiunse voltandosi verso di me. Mi sembrò che mi osservassero con occhio attento. «Anche lui è uno di quelli che vorrebbero vivere in un mondo migliore», disse Alabanda dopo una pausa, indi­ candomi. «Lo credi sul serio?» mi chiese uno dei tre. «Non è uno scherzo migliorare il mondo», dissi. «Hai detto molto con una sola parola», disse di nuovo uno di loro. «Tu sei il nostro uomo!» disse un altro. «Anche voi volete lo stesso?» chiesi. «Chiedici che cosa facciamo!» fu la risposta. «E se ve lo chiedessi?» «Ti diremmo che viviamo per far ordine sulla terra, che liberiamo il campo dalle pietre e frantumiamo le zolle dure con la zappa, scaviamo solchi con l’aratro e strappiamo le erbacce alla radice, le tagliamo ed estirpiamo le radici af­ fnché secchino al sole». «Noi non vogliamo mietere», intervenne un altro; «la ricompensa verrà troppo tardi, non vedremo maturare il raccolto».102 «Siamo alla sera del nostro giorno. Spesso abbiamo sbagliato, abbiamo sperato molto | e fatto poco. Abbiamo preferito osare, più che rifettere. Volevamo giungere velo­ cemente alla meta e confdavamo nella fortuna. Parlavamo molto della gioia e del dolore e amavamo e odiavamo en­ trambi. Giocavamo con il destino ed egli fece lo stesso con noi: ci ha innalzato e scaraventato dal bordone del men­

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uns auf und ab. Es schwang uns, wie man ein glühend Rauch­ faß schwingt, und wir glühten, bis die Kohle zu Asche ward. Wir haben aufgehört von Glük und Misgeschik zu sprechen. Wir sind emporgewachsen über die Mitte des Lebens, wo es grünt und warm ist. Aber es ist nicht das Schlimmste, was die Jugend überlebt. Aus heißem Metalle wird das kalte Schwerd geschmiedet. Auch sagt man, auf verbrannten abgestorbenen Vulkanen gedeihe kein schlechter Most. Wir sagen das nicht um unsertwillen, rief ein anderer jezt etwas rascher, wir sagen es um euertwillen! Wir betteln um das Herz des Menschen nicht. Denn wir bedürfen seines Herzens, seines Willens nicht. Denn er ist in keinem Falle wider uns, denn es ist alles für uns, und die Thoren und die Klugen und die Einfältigen und die Weisen und alle Laster und alle Tugen­ den der Rohheit und der Bildung stehen, ohne gedungen zu seyn, in unsrem Dienst, und helfen blindlings mit zu unsrem Ziel – nur wünschten wir, es hätte jemand den Genuß davon, drum suchen wir unter den tausend blinden Gehülfen die bes­ ten uns aus, um sie zu sehenden Gehülfen zu machen – will aber niemand wohnen, wo wir bauten, unsre Schuld und un­ ser Schaden ist es nicht. Wir thaten, was das unsre war. Will niemand sammeln, wo wir pfügten, wer verargt es uns? Wer fucht dem Baume, wenn sein Apfel in den Sumpf fällt? Ich hab’s mir oft gesagt, du opferst der Verwesung, und ich endete mein Tagwerk doch. Das sind Betrüger! riefen alle Wände meinem empfndli­ chen Sinne zu. Mir war, wie einem, der im Rauch erstiken will, und Thüren und Fenster einstößt, um sich hinauszuhelfen, so dürstet’ ich nach Luft und Freiheit. Sie sahn auch bald, wie unheimlich mir zu Muthe war, und brachen ab. Der Tag graute schon, da ich aus dem Khan trat,

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dicante alla corona, ci ha fatto roteare come si fa con un turibolo, e noi ardemmo fnché i carboni non divennero cenere. Abbiamo smesso di parlare di fortuna e sfortuna; abbiamo superato la metà della vita, dove è verde e calda; ma non è la parte peggiore, quella che sopravvive alla gio­ vinezza. Dal metallo ardente si forgia la gelida spada, e si dice anche che sui vulcani bruciati e spenti cresca un buon vino». «Non lo diciamo per il nostro bene», intervenne poi un altro in fretta, «ma per il vostro! Non chiediamo in elemosina l’amore dell’uomo, perché non abbiamo biso­ gno del suo amore né della sua volontà. Perché non sono mai contro di noi, anzi: sono tutti per noi, e gli stolti, gli intelligenti, gli ingenui, i saggi e tutti i vizi e le virtù della grossolanità e dell’educazione sono al nostro servizio, sen­ za bisogno di chiederlo, e collaborano ciecamente al rag­ giungimento del nostro scopo. Desidereremmo soltanto che qualcuno ne godesse i frutti, per questo fra le migliaia di aiutanti inconsapevoli ci scegliamo i migliori per farne degli aiutanti consapevoli… Ma se nessuno vuole abitare dove abbiamo costruito, non è colpa nostra e nemmeno va a nostro danno. Noi abbiamo fatto la nostra parte, ma se nessuno vuole raccogliere dove noi abbiamo semina­ to, chi può prendersela con noi? Chi maledice l’albero, se il suo frutto cade nel fango? Me lo sono detto spesso: ti stai sacrifcando per la putrefazione, ma ciononostante ho portato a termine la mia opera». «Sono impostori!» gridavano persino i muri al mio in­ tuito sensibile. Mi sentivo come chi sta soffocando per il fumo e scardina porte e fnestre per uscire: tanto mi senti­ vo mancare l’aria e la libertà. Si resero presto conto del mio strano stato d’animo e se ne andarono. Era già l’alba quando uscii dalla locanda

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wo wir waren beisammen gewesen. Ich fühlte das Wehen der Morgenluft, wie Balsam an einer brennenden Wunde. Ich war durch Alabandas Spott schon zu sehr gereizt, um nicht | durch seine räthselhafte Bekanntschaft vollends irre zu werden an ihm. Er ist schlecht, rief ich, ja, er ist schlecht. Er heuchelt grän­ zenlos Vertrauen und lebt mit solchen – und verbirgt es dir. Mir war, wie einer Braut, wenn sie erfährt, daß ihr Geliebter insgeheim mit einer Dirne lebe. O es war der Schmerz nicht, den man hegen mag, den man am Herzen trägt, wie ein Kind, und in Schlummer singt mit Tönen der Nachtigall! Wie eine ergrimmte Schlange, wenn sie unerbittlich herauf­ fährt an den Knieen und Lenden, und alle Glieder umklam­ mert, und nun in die Brust die giftigen Zähne schlägt und nun in den Naken, so war mein Schmerz, so faßt’ er mich in seine fürchterliche Umarmung. Ich nahm mein höchstes Herz zu Hülfe, und rang nach großen Gedanken, um noch stille zu hal­ ten, es gelang mir auch auf wenige Augenblike, aber nun war ich auch zum Zorne gestärkt, nun tödtet’ ich auch, wie einge­ legtes Feuer, jeden Funken der Liebe in mir. Er muß ja, dacht’ ich, das sind ja seine Menschen, er muß verschworen seyn mit diesen, gegen dich! Was wollt’ er auch von dir? Was konnt’ er suchen bei dir, dem Schwärmer? O wär’ er seiner Wege gegangen! Aber sie haben ihren eigenen Gelust, sich an ihr Gegentheil zu machen! so ein fremdes Thier im Stal­ le zu haben, läßt ihnen gar gut! – Und doch war ich unaussprechlich glüklich gewesen mit ihm, war so oft untergegangen in seinen Umarmungen, um aus ihnen zu erwachen mit Unüberwindlichkeit in der Brust, wur­ de so oft gehärtet und geläutert in seinem Feuer, wie Stahl! Da ich einst in heitrer Mitternacht die Dioskuren ihm wies, und Alabanda die Hand auf’s Herz mir legt’ und sagte: das sind

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dove eravamo arrivati insieme. Il soffo della brezza mattu­ tina fu come balsamo su una ferita infammata. Ero già molto irritato per lo scherno di Alabanda, tanto che i | suoi enigmatici amici mi fecero perdere completa­ mente la fducia in lui. «È malvagio», dissi, «sì, è malvagio. Ti instilla una fdu­ cia illimitata e poi vive con gente simile – e te lo nasconde». Mi sentivo come una fdanzata che scopre che il suo amato vive di nascosto con una prostituta. Non era un dolore che si poteva tollerare, che si poteva portare nel grembo come un bimbo, o cullare con le me­ lodie dell’usignolo! Come un serpente stizzito che scatta inesorabile alle ginocchia e ai fanchi e avvolge poi tutte le membra affon­ dando i denti velenosi ora nel petto, ora alla nuca, così era il mio dolore, così mi afferrò nel suo spaventoso abbrac­ cio. Chiamai in aiuto i miei sentimenti più elevati, cercai di concentrarmi su pensieri nobili per restare calmo e mi riuscì per qualche istante, ma così facendo si intensifcò l’i­ ra ed estinsi, come fosse un incendio doloso, ogni scintilla di amore in me. Dev’essere così, pensai, questa è la sua gente, deve es­ sere in combutta con loro, contro di te. E che cosa voleva da te? Che cosa poteva mai cercare da te, un sognatore? Fosse andato per la sua strada! Ma provano un particolare piacere nello stare con il loro contrario, gli piace avere un animale esotico nella stalla! Eppure ero stato così indicibilmente felice con lui, mi ero spesso sprofondato tra le sue braccia per poi riemer­ gere con l’invincibilità nel petto, mi ero spesso temprato e purifcato nel suo fuoco, come l’acciaio. Una volta, quando in una notte serena gli mostrai i Dio­ scuri, Alabanda mi mise una mano sul cuore e mi disse:

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nur Sterne, Hyperion, nur Buchstaben, womit der Nahme der Heldenbrüder am Himmel geschrieben ist; in uns sind sie! le­ bendig und wahr, mit ihrem Muth und ihrer göttlichen Liebe, und du, du bist der Göttersohn, und theilst mit deinem sterbli­ chen Kastor deine Unsterblichkeit! – Da ich die Wälder des Ida mit ihm durchstreifte, und wir herunterkamen in’s Thal, um da die schweigenden Grabhü­ gel nach | ihren Todten zu fragen, und ich zu Alabanda sagte, daß unter den Grabhügeln einer vieleicht dem Geist Achills und seines Geliebten angehöre, und Alabanda mir vertraute, wie er oft ein Kind sei und sich denke, daß wir einst in Einem Schlachtthal fallen und zusammen ruhen werden unter Einem Baum – wer hätte damals das gedacht? Ich sann mit aller Kraft des Geistes, die mir übrig war, ich klagt’ ihn an, vertheidigt’ ihn, und klagt’ ihn wieder um so bitt­ rer an; ich widerstrebte meinem Sinne, wollte mich erheitern, und verfnsterte mich nur ganz dadurch. Ach! mein Auge war ja von so manchem Faustschlag wund gewesen, feng ja kaum zu heilen an, wie sollt’ es jezt gesundere Blike thun? Alabanda besuchte mich den andern Tag. Mein Herz koch­ te, wie er hereintrat, aber ich hielt mich, so sehr sein Stolz und seine Ruhe mich aufregt’ und erhizte. Die Luft ist herrlich, sagt’ er endlich, und der Abend wird sehr schön seyn, laß uns zusammen auf die Akropolis gehn! Ich nahm es an. Wir sprachen lange kein Wort. Was willst du? fragt’ ich endlich. Das kannst du fragen? erwiederte der wilde Mensch mit ei­ ner Wehmuth, die mir durch die Seele gieng. Ich war betroffen, verwirrt. Was soll ich von dir denken? feng ich endlich wieder an.

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«Quelle sono soltanto stelle, Iperione, solo lettere dell’al­ fabeto con cui i nomi dei fratelli eroi sono scritti nel cielo; ma essi sono dentro di noi! Vivi e veri, con il loro coraggio e il loro amore divino, e tu, tu sei il fglio degli dei e condi­ vidi con il tuo Castore mortale la tua immortalità».103 Quando attraversammo insieme i boschi dell’Ida e giungemmo sul fondo della vallata per interrogare i tumuli taciturni | sui loro morti, io dissi ad Alabanda che di quei tumuli uno forse apparteneva allo spirito di Achille e del suo amato,104 e Alabanda mi confdò che spesso si sentiva come un bambino e sognava che un giorno saremmo ca­ duti insieme su un campo di battaglia e avremmo riposato insieme sotto lo stesso albero… Chi avrebbe potuto im­ maginarselo, allora? Rifettevo con tutta la forza di spirito che mi era rima­ sta, lo accusavo, lo difendevo, lo accusavo di nuovo con maggiore amarezza; mi ribellavo al mio intuito, volevo ras­ serenarmi ma non feci altro che rabbuiarmi del tutto. I miei occhi erano già stati colpiti da qualche pugno e cominciavano appena a guarire, come potevano vederci bene? Alabanda venne a trovarmi il giorno seguente. Sentii il cuore ribollire quando entrò, ma mi trattenni, per quanto il suo orgoglio e la sua tranquillità mi irritassero e provo­ cassero. «L’aria è magnifca», disse infne, «e la serata sarà bella; andiamo insieme sull’acropoli!»105 Accettai. Per lungo tempo non dicemmo una parola. «Che cosa vuoi da me?» chiesi infne. «Questo è quello che vuoi sapere?» rispose quell’uomo selvaggio con una malinconia che mi penetrò fn nell’ani­ ma. Ero colpito, confuso. «Che cosa devo pensare di te?» ripresi infne.

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Das, was ich bin! erwiedert’ er gelassen. Du brauchst Entschuldigung, sagt’ ich mit veränderter Stimme, und sah mit Stolz ihn an, entschuldige dich! reinige dich! Das war zuviel für ihn. Wie kommt es denn, rief er entrüstet, daß dieser Mensch mich beugen soll, wie’s ihm gefällt? – Es ist auch wahr, ich war zu früh entlassen aus der Schule, ich hatte alle Ketten geschleift und alle zerrissen, nur Eine fehlte noch, nur eine war noch zu zerbrechen, ich war noch nicht gezüchtiget von einem Grillen­ fänger – murre nur! ich habe lange genug geschwiegen! O Alabanda! Alabanda! rief ich. Schweig, erwiedert’ er, und brauche meinen Nahmen nicht zum Dolche gegen mich! | Nun brach auch mir der Unmuth vollends los. Wir ruhten nicht, bis eine Rükkehr fast unmöglich war. Wir zerstörten mit Gewalt den Garten unsrer Liebe. Wir standen oft und schwie­ gen, und wären uns so gerne, so mit tausend Freuden um den Hals gefallen, aber der unseelige Stolz erstikte jeden Laut der Liebe, der vom Herzen aufstieg. Leb wohl! rief ich endlich, und stürzte fort. Unwillkührlich mußt’ ich mich umsehn, unwillkührlich war mir Alabanda ge­ folgt. Nicht wahr, Alabanda, rief ich ihm zu, das ist ein sonderba­ rer Bettler? seinen lezten Pfenning wirft er in den Sumpf! Wenn’s das ist, mag er auch verhungern, rief er, und gieng. Ich wankte sinnlos weiter, stand nun am Meer’ und sahe die Wellen an – ach! da hinunter strebte mein Herz, da hin­ unter, und meine Arme fogen der freien Fluth entgegen; aber bald kam, wie vom Himmel, ein sanfterer Geist über mich, und ordnete mein unbändig leidend Gemüth mit seinem ruhigen

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«Quello che sono!» rispose tranquillo. «Hai bisogno di una giustifcazione», dissi con voce mu­ tata, guardandolo con orgoglio; «giustifcati, discolpati!» Fu troppo per lui. «Come mai adesso quest’uomo vuole piegarmi a suo piacimento?» esclamò indignato. «È vero, ho lasciato troppo presto la scuola, ho portato tutte le catene e le ho infrante tutte, solo una mancava, solo una doveva ancora essere spezzata: non ero ancora stato rimproverato da un buono a nulla... Brontola pure, ho taciuto abbastanza!» «Alabanda, Alabanda!» esclamai. «Taci», rispose, «non usare il mio nome come una spa­ da contro di me». | A quel punto esplose anche il mio malumore. Non ci arrestammo, fnché tornare indietro fu quasi impossibile. Distruggemmo con violenza il giardino del nostro amore. Talvolta ci fermavamo in silenzio, e ci saremmo gettati vo­ lentieri, e con grande gioia, l’uno al collo dell’altro, ma lo sciagurato orgoglio soffocava ogni impulso d’amore che saliva dal cuore. «Addio!» dissi infne, e fuggii. Involontariamente mi voltai indietro, involontariamente Alabanda mi aveva se­ guito. «Non è vero, Alabanda?» gli dissi. «Davvero uno strano mendicante, che getta il suo ultimo centesimo nel fango». «Se è così, puoi anche morire di fame», disse, e se ne andò. Proseguii barcollando senza meta, fnché non mi ritro­ vai sulla riva del mare a guardare le onde. Ah, giù in fondo, questo anelava il mio cuore, andare a fondo, e tendevo le braccia verso il mare aperto; ma presto venne sopra di me, come dal cielo, uno spirito più mite che governò con il suo placido scettro il mio animo che soffriva esageratamente.

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Stabe; ich überdachte stiller mein Schiksaal, meinen Glauben an die Welt, meine trostlosen Erfahrungen, ich betrachtete den Menschen, wie ich ihn empfunden und erkannt von früher Ju­ gend an, in mannigfaltigen Erziehungen, fand überall dump­ fen oder schreienden Mislaut, nur in kindlicher einfältiger Be­ schränkung fand ich noch die reinen Melodien – es ist besser, sagt’ ich mir, zur Biene zu werden und sein Haus zu bauen in Unschuld, als zu herrschen mit den Herren der Welt, und wie mit Wölfen, zu heulen mit ihnen, als Völker zu meistern, und an dem unreinen Stoffe sich die Hände zu befeken; ich wollte nach Tina zurück, um meinen Gärten und Feldern zu leben. Lächle nur! Mir war es sehr Ernst. Bestehet ja das Leben der Welt im Wechsel des Entfaltens und Verschließens, in Ausfug und in Rükkehr zu sich selbst, warum nicht auch das Herz des Menschen? Freilich gieng die neue Lehre mir hart ein, freilich schied ich ungern von dem stolzen Irrtum meiner Jugend – wer reißt auch gerne die Flügel sich aus? – aber es mußte ja so seyn! Ich sezt’ es durch. Ich war nun wirklich eingeschifft. Ein frischer Bergwind trieb mich aus dem Hafen von Smyrna. Mit einer wunderbaren Ruhe, recht, wie ein Kind, das nichts vom nächsten | Augenblike weiß, lag ich so da auf meinem Schiffe, und sah die Bäume und Moskeen dieser Stadt an, meine grünen Gänge an dem Ufer, meinen Fußsteig zur Akropolis hinauf, das sah ich an, und ließ es weiter gehn und immer weiter; wie ich aber nun auf’s hohe Meer hinauskam, und alles nach und nach hinabsank, wie ein Sarg in’s Grab, da mit einmal war es auch, als wäre mein Herz gebrochen – o Himmel! schrie ich, und alles Leben in mir erwacht’ und rang, die fiehende Gegenwart zu halten, aber sie war dahin, dahin!

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Rifettei con maggior calma sul mio destino, sulla mia fdu­ cia nel mondo, sulle mie sconfortanti esperienze; conside­ rai l’uomo così come lo avevo percepito e riconosciuto fn dalla prima giovinezza nella varietà della sua educazione, e sentii dappertutto dissonanze, cupe o stridenti, e soltan­ to nella limitatezza ingenua dell’infanzia trovai ancora le melodie pure… Sarebbe meglio essere un’ape, dissi a me stesso, e costruire ignara l’alveare, piuttosto che regna­ re con i signori del mondo e ululare con loro come lupi, piuttosto che governare i popoli e sporcarsi le mani con materia impura. Volevo tornare a Tinos e vivere per i miei campi e i miei giardini.106 Tu sorriderai, ma io ero serissimo. Se la vita del mondo consiste nel passaggio dall’apertura alla chiusura, nell’al­ lontanarsi e nel ritornare a se stessi, perché non dovrebbe essere lo stesso anche per il cuore dell’uomo?107 In effetti feci fatica ad accettare questo nuovo insegna­ mento, così come presi congedo malvolentieri dall’orgo­ glioso errore della mia giovinezza… Del resto, chi si strap­ pa volentieri le ali? Ma così doveva essere. Misi in atto il mio proposito. Mi imbarcai davvero. Un vento fresco da terra mi spinse fuori dal porto di Smir­ ne. Con una calma straordinaria, proprio come un bimbo che non sa nulla | dell’istante successivo, me ne stavo sulla barca e guardavo gli alberi e le moschee della città, le mie verdi passeggiate sulla riva, il sentiero che saliva all’acro­ poli; guardavo tutto questo e lasciavo che si allontanas­ se sempre più, ma quando poi mi ritrovai in mare aperto e vidi tutto man mano sprofondare come una bara nella tomba, all’improvviso fu come se il cuore mi si spezzasse. «O cielo!» gridai, e tutta la vita in me si risvegliò e lottò per trattenere il presente che volava via, ma se n’era già andato, andato!

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Wie ein Nebel, lag das himmlische Land vor mir, wo ich, wie ein Reh auf freier Waide, weit und breit die Thäler und die Höhen hatte durchstreift, und das Echo meines Herzens zu den Quellen und Strömen, in die Fernen und die Tiefen der Erde gebracht. Dort hinein auf den Tmolus war ich gegangen in einsamer Unschuld; dort hinab, wo Ephesus einst stand in seiner glükli­ chen Jugend und Teos und Milet, dort hinauf in’s heilige trau­ ernde Troas war ich mit Alabanda gewandert, mit Alabanda, und, wie ein Gott, hatt’ ich geherrscht über ihn, und, wie ein Kind, zärtlich und glaubig, hatt’ ich seinem Auge gedient, mit Seelenfreude, mit innigem frohlokkendem Genusse seines We­ sens, immer glüklich, wenn ich seinem Rosse den Zaum hielt, oder wenn ich, über mich selbst erhoben, in herrlichen Ent­ schlüssen, in kühnen Gedanken, im Feuer der Rede seiner See­ le begegnete! Und nun war es dahin gekommen, nun war ich nichts mehr, war so heillos um alles gebracht, war zum ärmsten unter den Menschen geworden, und wußte selbst nicht, wie? O ewiges Irrsaal! dacht’ ich bei mir, wann reißt der Mensch aus deinen Ketten sich los? Wir sprechen von unsrem Herzen, unsern Planen, als wären sie unser, und es ist doch eine fremde Gewalt, die uns herum­ wirft und in’s Grab legt, wie es ihr gefällt, und von der wir nicht wissen, von wannen sie kommt, noch wohin sie geht. Wir wollen wachsen dahinauf, und dorthinaus die Äste und die Zweige breiten, und Boden und Wetter bringt uns doch, wo­ hin es geht, und wenn der Bliz auf deine Krone fällt, und bis zur Wurzel dich hinunterspaltet, armer Baum! was geht es dich an? So dacht’ ich. Ärgerst du dich daran, mein Bellarmin! Du wirst noch andere Dinge hören. | Das eben, Lieber! ist das Traurige, daß unser Geist so gerne die Gestalt des irren Herzens annimmt, so gerne die vorüber­

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Come nebbia si stendeva davanti a me quella terra ce­ lestiale dove avevo vagato in lungo e in largo per monti e valli come un cerbiatto in pascolo aperto, dove avevo portato l’eco del mio cuore ai fumi e alle sorgenti, nelle lontananze e nelle profondità della terra. In solitaria innocenza108 me ne ero andato lassù sul Tmolo, là dove una volta sorgeva Efeso nella sua felice giovinezza, e Teo e Mileto; con Alabanda avevo peregri­ nato laggiù, nella Troade sacra e dolente, con Alabanda: come un dio avevo regnato sopra di lui e come un bambi­ no, tenero e fducioso, avevo ubbidito al suo sguardo con animo gioioso, esultando intimamente per il suo essere, sempre felice quando potevo reggere le redini del suo ca­ vallo o quando, elevandomi al di sopra di me stesso in de­ cisioni eroiche, in pensieri audaci, incontravo la sua anima nell’ardore del discorso.109 E ora tutto era sparito, ora non ero più nulla, tutto mi era stato tolto senza speranza, ero divenuto il più povero degli uomini, e nemmeno io sapevo come fosse accaduto. Eterno errore, pensavo tra me, quando l’uomo si scio­ glierà dalle tue catene? Parliamo del cuore, dei progetti come fossero nostri, ma è invece una potenza estranea che ci scaraventa qua e là e ci getta nella tomba come più le aggrada e noi non sappiamo né di dove venga, né dove vada.110 Vogliamo crescere verso l’alto e allargare le braccia e i rami, ma il terreno e il clima ci conducono dove vogliono, e quando il fulmine colpisce il tuo fusto e ti squarcia fno alla radice, povero albero, che cosa te ne importa? Così pensavo. Ti arrabbi, Bellarmino mio? Ben altro sentirai ancora. | Proprio questa, mio caro, è la cosa triste, che il nostro spirito così volentieri assume la forma del cuore errabon­

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fiehende Trauer festhält, daß der Gedanke, der die Schmerzen heilen sollte, selber krank wird, daß der Gärtner an den Ro­ sensträuchen, die er pfanzen sollte, sich die Hand so oft zer­ reißt, o! das hat manchen zum Thoren gemacht vor andern, die er sonst, wie ein Orpheus, hätte beherrscht, das hat so oft die edelste Natur zum Spott gemacht vor Menschen, wie man sie auf jeder Straße fndet, das ist die Klippe für die Lieblinge des Himmels, daß ihre Liebe mächtig ist und zart, wie ihr Geist, daß ihres Herzens Woogen stärker oft und schneller sich regen, wie der Trident, womit der Meergott sie beherrscht, und dar­ um, Lieber! überhebe ja sich keiner. Hyperion an Bellarmin. Kannst du es hören, wirst du es begreifen, wenn ich dir von meiner langen kranken Trauer sage? Nimm mich, wie ich mich gebe, und denke, daß es besser ist zu sterben, weil man lebte, als zu leben, weil man nie ge­ lebt! Neide die Leidensfreien nicht, die Gözen von Holz, de­ nen nichts mangelt, weil ihre Seele so arm ist, die nichts fragen nach Reegen und Sonnenschein, weil sie nichts haben, was der Pfege bedürfte. Ja! ja! es ist recht sehr leicht, glüklich, ruhig zu seyn mit seichtem Herzen und eingeschränktem Geiste. Gönnen kann man’s euch; wer ereifert sich denn, daß die bretterne Scheibe nicht wehklagt, wenn der Pfeil sie trift, und daß der hohle Topf so dumpf klingt, wenn ihn einer an die Wand wirft? Nur müßt ihr euch bescheiden, lieben Leute, müßt ja in aller Stille euch wundern, wenn ihr nicht begreift, daß andre nicht auch so glüklich, auch so selbstgenügsam sind, müßt ja euch

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do, così volentieri trattiene la tristezza passeggera, tanto che il pensiero che dovrebbe guarire i dolori diviene esso stesso malato, tanto che il giardiniere che dovrebbe pian­ tare le siepi di rose si ferisce invece le mani. Oh, questo ha fatto spesso apparire folle un uomo agli occhi degli altri che altrimenti, come Orfeo, avrebbe soggiogato;111 que­ sto ha reso spesso ridicola la natura più nobile agli occhi dell’uomo di strada; questo è il baratro per i prediletti del cielo, il fatto che il loro amore sia potente e delicato come il loro spirito, che le onde del loro cuore si agitino più forti e più rapide, come il tridente con il quale il dio del mare le domina; per questo, mio caro, nessuno dovrebbe mai sentirsi superiore. iperione a Bellarmino Puoi ascoltarmi, mi capirai, se ti parlo della mia lunga tri­ stezza malata? Prendimi come sono e pensa che è meglio morire per­ ché si è vissuto piuttosto che continuare a esistere perché non si è mai vissuto! Non invidiare quelli che non soffro­ no, gli idoli di legno a cui non manca nulla perché la loro anima è poverissima, che non chiedono pioggia né sole poiché non hanno nulla di cui prendersi cura. Sì, sì, è davvero facile essere felici e tranquilli avendo un cuore superfciale e uno spirito limitato. Ve lo si può concedere; chi se la prende se il bersaglio di legno non geme quando la freccia lo colpisce o se un recipiente cavo rimbomba cupo quando lo si picchia contro la parete? Dovete solo rassegnarvi, cari miei, dovete meravigliarvi senza dire una parola quando non riuscite a capire che non tutti sono così felici, che non tutti bastano a se stessi;

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hüten, eure Weisheit zum Gesez zu machen, denn das wäre der Welt Ende, wenn man euch gehorchte. Ich lebte nun sehr still, sehr anspruchslos in Tina. Ich ließ auch wirklich die Erscheinungen der Welt vorüberziehn, wie Nebel im Herbste, lachte manchmal auch mit nassen Augen über mein Herz, | wenn es hinzufog, um zu naschen, wie der Vogel nach der gemalten Traube, und blieb still und freundlich dabei. Ich ließ nun jedem gerne seine Meinung, seine Unart. Ich war bekehrt, ich wollte niemand mehr bekehren, nur war mir traurig, wenn ich sah, daß die Menschen glaubten, ich lasse da­ rum ihr Possenspiel unangetastet, weil ich es so hoch und theu­ er achte, wie sie. Ich mochte nicht gerade ihrer Albernheit mich unterwerfen, doch sucht’ ich sie zu schonen, wo ich konnte. Das ist ja ihre Freude, dacht’ ich, davon leben sie ja! Oft ließ ich sogar mir gefallen, mitzumachen, und wenn ich noch so seelenlos, so ohne eignen Trieb dabei war, das merk­ te keiner, da vermißte keiner nichts, und hätt’ ich gesagt, sie möchten mir’s verzeihen, so wären sie dagestanden und hätten sich verwundert und gefragt: was hast du denn uns gethan? Die Nachsichtigen! Oft, wenn ich des Morgens dastand unter meinem Fenster und der geschäftige Tag mir entgegenkam, konnt’ auch ich mich augenbliklich vergessen, konnte mich umsehn, als möcht’ ich etwas vornehmen, woran mein Wesen seine Lust noch hät­ te, wie ehmals, aber da schalt ich mich, da besann ich mich, wie einer, dem ein Laut aus seiner Muttersprache entfährt, in einem Lande, wo sie nicht verstanden wird – wohin, mein Herz? sagt’ ich verständig zu mir selber und gehorchte mir. Was ist’s denn, daß der Mensch so viel will? fragt’ ich oft; was soll denn die Unendlichkeit in seiner Brust? Unendlich­

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dovete guardarvi dal fare della vostra saggezza una legge, perché sarebbe la fne del mondo se vi si ubbidisse. Vivevo dunque tranquillo a Tinos, senza alcuna pretesa. Lasciai davvero che le cose del mondo scorressero davan­ ti a me come la nebbia in autunno, qualche volta ridevo del mio cuore con gli occhi umidi, | quando le inseguiva per assaggiarle come gli uccelli il grappolo dipinto,112 e mi mantenevo quieto e sereno. Volentieri lasciavo a ciascuno la sua opinione, le sue cattive abitudini. Mi ero convertito ma non volevo più convertire nessuno, ero soltanto triste quando vedevo che gli altri erano convinti che io lasciassi intatta la loro farsa perché la ritenevo nobile e preziosa, come loro. Non vo­ levo certo sottomettermi alla loro stupidità, ma cercavo di risparmiarli come potevo. Quella è la loro gioia, pensavo, di quello vivono! Talvolta mi adattai persino a partecipare, e per quanto lo facessi senz’anima e senza uno stimolo personale, nes­ suno se ne accorgeva, nessuno ne sentiva la mancanza, e se avessi chiesto loro di scusarmi, si sarebbero fermati a chiedermi stupiti: «che cosa ci hai mai fatto?» Che indul­ genza! Talvolta, quando al mattino me ne stavo alla fnestra e il giorno indaffarato mi veniva incontro, riuscivo a dimen­ ticare me stesso per qualche istante, mi guardavo intorno come se volessi intraprendere qualcosa che mi desse gio­ ia come una volta, ma poi mi rimproveravo, tornavo in me come chi si lascia sfuggire una parola nella sua lingua madre in una terra nella quale essa non è compresa. Ma dove vuoi andare, cuore mio?, dicevo condiscendente a me stesso e mi ubbidivo. Come mai l’uomo vuole così tanto?, chiedevo spesso, a che cosa serve avere l’infnito nel cuore? L’infnito? E dove

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keit? wo ist sie denn? wer hat sie denn vernommen? Mehr will er, als er kann! das möchte wahr seyn! O! das hast du oft ge­ nug erfahren. Das ist auch nötig, wie es ist. Das giebt das süße, schwärmerische Gefühl der Kraft, daß sie nicht ausströmt, wie sie will, das eben macht die schönen Träume von Unsterblich­ keit und all’ die holden und die kolossalischen Phantome, die den Menschen tausendfach entzüken, das schafft dem Men­ schen sein Elysium und seine Götter, daß seines Lebens Linie nicht grad ausgeht, daß er nicht hinfährt, wie ein Pfeil, und eine fremde Macht dem Fliehenden in den Weg sich wirft. Des Herzens Wooge schäumte nicht so schön empor, und würde Geist, wenn nicht der alte stumme Fels, das Schiksaal, ihr entgegenstände. | Aber dennoch stirbt der Trieb in unserer Brust, und mit ihm unsre Götter und ihr Himmel. Das Feuer geht empor in freudigen Gestalten, aus der dun­ keln Wiege, wo es schlief, und seine Flamme steigt und fällt, und bricht sich und umschlingt sich freudig wieder, bis ihr Stoff verzehrt ist, nun raucht und ringt sie und erlischt; was übrig ist, ist Asche. So geht’s mit uns. Das ist der Inbegriff von allem, was in schrökendreizenden Mysterien die Weisen uns erzählen. Und du? was frägst du dich? Daß so zuweilen etwas in dir auffährt, und, wie der Mund des Sterbenden, dein Herz in Ei­ nem Augenblike so gewaltsam dir sich öffnet und verschließt, das gerade ist das böse Zeichen. Sei nur still, und laß es seinen Gang gehn! künstle nicht! versuche kindisch nicht, um eine Ehle länger dich zu machen! – Es ist, als wolltest du noch eine Sonne schaffen, und neue Zöglinge für sie, ein Erdenrund und einen Mond erzeugen. So träumt’ ich hin. Geduldig nahm ich nach und nach von allem Abschied. – O ihr Genossen meiner Zeit! fragt eure Ärz­ te nicht und nicht die Priester, wenn ihr innerlich vergeht!

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sarebbe, chi l’ha mai percepito? Vuole più di ciò che può avere, questa è la verità, l’hai già sperimentato a suffcien­ za. Ed è anche necessario che sia così. La dolce, esaltante percezione della forza è data dal fatto che non fuisce dove vuole; questo genera i bei sogni di immortalità e tutti i soavi e colossali miraggi che in mille modi inebriano l’uo­ mo; questo genera l’Elisio113 e le divinità dell’uomo, il fatto che la sua linea della vita non proceda diritta, che egli non avanzi come una freccia e una forza estranea blocchi la strada al fuggitivo. L’onda del cuore non si alzerebbe così bella e spumeg­ giante, e non diventerebbe spirito, se non le si ergesse con­ tro l’antica e muta rupe, il destino. | Eppure l’impulso si spegne nel nostro cuore, e con lui i nostri dei e il loro cielo. Il fuoco divampa in fgure gioiose dalla culla oscura in cui dormiva, e la sua famma cresce e cala, si suddivide e si riunisce di nuovo con gioia fnché la sua sostanza non è consumata; allora fuma, lotta e si estingue, e ciò che resta è cenere. Così è per noi. Questa è l’essenza di tutto ciò che i saggi ci tramandano nei terribili, affascinanti misteri. E tu, perché ti interroghi? Che talvolta qualcosa sob­ balzi dentro di te e il tuo cuore si apra e si chiuda con violenza in un istante, come la bocca di un moribondo: proprio questo è il brutto segno. Stai calmo, e lascia che vada per la sua strada! Non cincischiare, non fngere, come i bambini, di essere una spanna più alto! È come voler creare un altro sole e nuovi satelliti per lui, un altro globo terrestre e un’altra luna. Così continuavo a sognare. Paziente presi man mano congedo da tutto. Voi, miei coetanei, non rivolgetevi ai vo­ stri medici né ai vostri sacerdoti, se decadete interiormente!

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Ihr habt den Glauben an alles Große verloren; so müßt, so müßt ihr hin, wenn dieser Glaube nicht wiederkehrt, wie ein Komet aus fremden Himmeln. Hyperion an Bellarmin.

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Es giebt ein Vergessen alles Daseyns, ein Verstummen unsers Wesens, wo uns ist, als hätten wir alles gefunden. Es giebt ein Verstummen, ein Vergessen alles Daseyns, wo uns ist, als hätten wir alles verloren, eine Nacht unsrer Seele, wo kein Schimmer eines Sterns, wo nicht einmal ein faules Holz uns leuchtet. Ich war nun ruhig geworden. Nun trieb mich nichts mehr auf um Mitternacht. Nun sengt’ ich mich in meiner eignen Flamme nicht mehr. Ich sah nun still und einsam vor mich hin, und schweift’ in die | Vergangenheit und in die Zukunft mit dem Auge nicht. Nun drängte Fernes und Nahes sich in meinem Sinne nicht mehr; die Menschen, wenn sie mich nicht zwangen, sie zu se­ hen, sah ich nicht. Sonst lag oft, wie das ewigleere Faß der Danaiden, vor mei­ nem Sinne diß Jahrhundert, und mit verschwenderischer Lie­ be goß meine Seele sich aus, die Lüken auszufüllen; nun sah ich keine Lüke mehr, nun drükte mich des Lebens Langeweile nicht mehr. Nun sprach ich nimmer zu der Blume, du bist meine Schwes­ ter! und zu den Quellen, wir sind Eines Geschlechts! ich gab nun treulich, wie ein Echo, jedem Dinge seinen Nahmen. Wie ein Strom an dürren Ufern, wo kein Weidenblatt im Wasser sich spiegelt, lief unverschönert vorüber an mir die Welt.

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Avete perso la fede in tutte le cose grandi; perciò dove­ te perire, e perirete se non ritorna quella fede, come una cometa da cieli stranieri. iperione a Bellarmino C’è un oblio di tutta l’esistenza, un ammutolire del nostro essere nel quale ci pare di aver trovato tutto. C’è un ammutolire, un oblio di tutta l’esistenza nel qua­ le ci pare di aver perso tutto, una notte dell’anima dove non riluce il bagliore di alcuna stella, nemmeno quello di un legno putrescente. Mi ero dunque tranquillizzato. Niente più mi teneva desto di notte, non mi bruciavo più alla mia stessa famma. Guardavo in silenzio e in solitudine davanti a me e non vagavo con gli occhi | nel passato né nel futuro. Cose vi­ cine e lontane non si accalcavano più nella mia mente e gli uomini non li guardavo, se non quando mi ci costrin­ gevano. Prima invece, questo secolo mi appariva spesso come il vaso eternamente vuoto delle Danaidi,114 e la mia anima si riversava in esso con amore smisurato per colmarne i vuoti; ora non scorgevo più alcun vuoto, la noia di vivere non mi opprimeva più. Ora non dicevo più ai fori: «siete miei fratelli!» e alle sorgenti: «siamo della stessa stirpe!» Adesso davo a ogni cosa il suo nome, fedelmente come un’eco.115 Come un ruscello fra sponde aride, dove nessun ramo di salice si specchia nell’acqua, così scorreva davanti a me il mondo disadorno.

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Es kann nichts wachsen und nichts so tief vergehen, wie der Mensch. Mit der Nacht des Abgrunds vergleicht er oft sein Leiden und mit dem Aether seine Seeligkeit, und wie wenig ist dadurch gesagt? Aber schöner ist nichts, als wenn es so nach langem Tode wieder in ihm dämmert, und der Schmerz, wie ein Bruder, der fernher dämmernden Freude entgegengeht. O es war ein himmlisch Ahnen, womit ich jezt den kom­ menden Frühling wieder begrüßte! Wie fernher in schweigen­ der Luft, wenn alles schläft, das Saitenspiel der Geliebten, so umtönten seine leisen Melodien mir die Brust, wie von Elysium herüber, vernahm ich seine Zukunft, wenn die todten Zweige sich regten und ein lindes Wehen meine Wange berührte. Holder Himmel Ioniens! so war ich nie an dir gehangen, aber so ähnlich war dir auch nie mein Herz gewesen, wie da­ mals, in seinen heitern zärtlichen Spielen. – Wer sehnt sich nicht nach Freuden der Liebe und großen Thaten, wenn im Auge des Himmels und im Busen der Erde der Frühling wiederkehrt? | Ich erhob mich, wie vom Krankenbette, leise und langsam, aber von geheimen Hoffnungen zitterte mir die Brust so seelig, daß ich drüber vergaß, zu fragen, was diß zu bedeuten habe. Schönere Träume umfengen mich jezt im Schlafe, und wenn ich erwachte, waren sie mir im Herzen, wie die Spur eines Kus­ ses auf der Wange der Geliebten. O das Morgenlicht und ich, wir giengen nun uns entgegen, wie versöhnte Freunde, wenn sie noch etwas fremde thun, und doch den nahen unendlichen Augenblik des Umarmens schon in der Seele tragen. Es that nun wirklich einmal wieder mein Auge sich auf, frei­ lich, nicht mehr, wie sonst, gerüstet und erfüllt mit eigner Kraft,

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iperione a Bellarmino Nulla può crescere e nulla può dissolversi così comple­ tamente come l’uomo. Spesso paragona la sua sofferenza alla tenebra dell’abisso e la sua felicità al cielo, ma quanto poco signifca questo? Eppure nulla è più bello di quando, dopo una lunga morte, l’alba sorge di nuovo in lui e il dolore, come un fratello, si fa incontro alla gioia che nasce in lontananza. Ah, era un’intuizione celeste, quella con cui salutai il nuovo inizio della primavera!116 Come da lontano, nell’a­ ria silenziosa, mentre tutto dorme, ti avvolgono i suoni della cetra dell’amata, così le sue lievi melodie mi avvol­ sero il cuore; come se venisse dall’Elisio percepii il suo approssimarsi, con i rami morti che fremono e una leggera brezza che mi sfora la guancia. Soave cielo della Ionia,117 non mi ero mai sentito così vi­ cino a te, ma nemmeno il mio cuore era mai più stato così affne a te come era una volta, nei giochi teneri e sereni. Chi non anela alle gioie dell’amore e a grandi gesta, quando la primavera torna negli occhi del cielo e nel petto della terra? | Mi risollevai come dopo una malattia, in sordina e len­ tamente, ma il cuore palpitava così beato per segrete spe­ ranze, che dimenticai di chiedermi che cosa signifcasse. Sogni più belli mi abbracciavano ora nel sonno, e quan­ do mi svegliavo mi restavano nel cuore come la traccia di un bacio sulla guancia dell’amata. La luce del mattino e io, ora, ci venivamo incontro come amici riconciliati, che si mostrano ancora un po’ freddi ma sentono già nell’anima il prossimo, infnito istante dell’abbraccio. I miei occhi si aprirono davvero ancora una volta, ma non, come al solito, agguerriti e colmi di forza propria;

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es war bittender geworden, es feht’ um Leben, aber es war mir im Innersten doch, als könnt’ es wieder werden mit mir, wie sonst, und besser. Ich sahe die Menschen wieder an, als sollt’ auch ich wirken und mich freuen unter ihnen. Ich schloß mich wirklich herzlich überall an. Himmel! wie war das eine Schadenfreude, daß der stolze Sonderling nun Einmal war, wie ihrer einer, geworden! wie hatten sie ihren Scherz daran, daß den Hirsch des Waldes der Hunger trieb, in ihren Hühnerhof zu laufen! – Ach! meinen Adamas sucht’ ich, meinen Alabanda, aber es erschien mir keiner. Endlich schrieb ich auch nach Smyrna, und es war, als sam­ melt’ alle Zärtlichkeit und alle Macht des Menschen in Einen Moment sich, da ich schrieb; so schrieb ich dreimal, aber keine Antwort, ich fehte, drohte, mahnt’ an alle Stunden der Liebe und der Kühnheit, aber keine Antwort von dem Unvergeßli­ chen, bis in den Tod geliebten – Alabanda! rief ich, o mein Alabanda! du hast den Stab gebrochen über mich. Du hieltest mich noch aufrecht, warst die lezte Hoffnung meiner Jugend! Nun will ich nichts mehr! nun ist’s heilig und gewiß! Wir bedauern die Todten, als fühlten sie den Tod, und die Todten haben doch Frieden. Aber das, das ist der Schmerz, dem keiner gleichkömmt, das ist unaufhörliches Gefühl der gänzlichen Zernichtung, wenn unser Leben seine Bedeutung so verliert, wenn so das Herz sich sagt, du mußt hinunter und nichts bleibt übrig | von dir; keine Blume hast du gepfanzt, keine Hütte gebaut, nur daß du sagen könntest: ich lasse eine Spur zurük auf Erden. Ach! und die Seele kann immer so voll Sehnens seyn, bei dem, daß sie so muthlos ist! Ich suchte immer etwas, aber ich wagte das Auge nicht auf­ zuschlagen vor den Menschen. Ich hatte Stunden, wo ich das Lachen eines Kindes fürchtete.

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erano divenuti supplichevoli, imploravano vita, e nel mio intimo mi sentivo come se potessi di nuovo tornare quello di prima, se non migliore. Guardai di nuovo gli uomini, come se anch’io dovessi agire e gioire tra loro. Mi unii a tutti con convinzione. Cielo, che gioia perversa vedere che l’orgoglioso ere­ mita era diventato uno di loro! Come si divertirono ve­ dendo che la fame spingeva il cervo dal bosco nel loro pollaio! Cercavo il mio Adamas, il mio Alabanda, ma non mi apparve nessuno. Infne scrissi anche a Smirne, e fu come se tutta la te­ nerezza e tutta la forza dell’uomo si concentrassero nell’i­ stante della scrittura; scrissi tre volte, ma senza risposta, supplicai, minacciai, lo esortai in nome di tutti i momenti di amore e di audacia, ma non ebbi risposta dall’indimen­ ticato amico, amato fno alla morte... Alabanda, chiamavo, Alabanda mio! Mi hai condannato! Tu eri il mio sostegno, eri l’ultima speranza della mia gioventù. Ora non voglio più nulla, lo so per certo. Proviamo compassione per i morti come se sentissero la morte, i morti invece sono in pace. Ma questo, questo è il dolore che non ha uguali, si prova un sentimento ine­ stinguibile di totale annichilimento quando la nostra vita perde completamente il suo signifcato, quando il cuore dice a se stesso che deve sprofondare e nulla resterà più | di lui; non hai piantato fori, non hai costruito case per poter almeno dire: lascio una traccia di me sulla terra. Ah, come può l’anima essere sempre così colma di desiderio, e insieme così scoraggiata! Ero sempre alla ricerca di qualcosa, ma non osavo al­ zare gli occhi davanti agli uomini. C’erano momenti in cui avevo timore del riso di un bimbo.

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Dabei war ich meist sehr still und geduldig, hatte oft auch einen wunderbaren Aberglauben an die Heilkraft mancher Dinge; von einer Taube, die ich kaufte, von einer Kahnfahrt, von einem Thale, das die Berge mir verbargen, konnt’ ich Trost erwarten. Genug! genug! wär’ ich mit Themistocles aufgewachsen, hätt’ ich unter den Scipionen gelebt, meine Seele hätte sich wahrlich nie von dieser Seite kennen gelernt. Hyperion an Bellarmin.

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Zuweilen regte noch sich eine Geisteskraft in mir. Aber freilich nur zerstörend! Was ist der Mensch? konnt’ ich beginnen; wie kommt es, daß so etwas in der Welt ist, das, wie ein Chaos, gährt, oder mo­ dert, wie ein fauler Baum, und nie zu einer Reife gedeiht? Wie duldet diesen Heerling die Natur bei ihren süßen Trauben? Zu den Pfanzen spricht er, ich war auch einmal, wie ihr! und zu den reinen Sternen, ich will werden, wie ihr, in einer andren Welt! inzwischen bricht er auseinander und treibt hin und wieder seine Künste mit sich selbst, als könnt’ er, wenn es einmal sich aufgelöst, Lebendiges zusammensezen, wie ein Mauerwerk; aber es macht ihn auch nicht irre, wenn nichts ge­ bessert wird durch all sein Thun; es bleibt doch immerhin ein Kunststük, was er treibt. O ihr Armen, die ihr das fühlt, die ihr auch nicht sprechen mögt von menschlicher Bestimmung, die ihr auch so durch und durch ergriffen seid vom Nichts, das über uns waltet, so gründ­ lich einseht, daß wir geboren werden für Nichts, daß wir lieben ein Nichts, glauben an’s Nichts, uns abarbeiten für Nichts, um mälig | überzugehen in’s Nichts – was kann ich dafür, daß euch

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Allo stesso tempo ero in genere calmo e paziente, e nutrivo anche una strana superstizione nei confronti dei poteri taumaturgici di alcune cose; potevo aspettarmi con­ forto da un colombo che comprai, da una traversata in barca, da una valle che i monti celavano al mio sguardo. Basta, basta! Se fossi cresciuto con Temistocle, se fossi vissuto fra gli Scipioni, la mia anima non avrebbe mai co­ nosciuto questo lato di sé.118 iperione a Bellarmino Di tanto in tanto si muoveva ancora in me una forza spiri­ tuale; ma in effetti soltanto distruttiva. Che cos’è l’uomo? cominciavo; come accade che esista al mondo qualcosa che fermenta come il caos o marcisce come un albero imputridito, senza giungere mai a matu­ razione? Come può la natura tollerare quest’uva selvatica accanto ai suoi dolci grappoli?119 Alle piante dice: «anch’io una volta ero come voi!»120 e alle stelle limpide dice: «voglio diventare come voi, in un altro mondo!», ma allo stesso tempo si disgrega e applica a se stesso le sue arti come se potesse, una volta decompo­ sto, ricreare qualcosa di vivo, come un lavoro in muratura; e non si lascia confondere, se non vede alcun migliora­ mento nonostante tutto il suo fare: quello che fa rimane comunque un’opera d’arte. Poveri voi che lo percepite, voi che come me non osate parlare di vocazione dell’uomo,121 voi che come me siete completamente sopraffatti dal nulla che domina sopra di noi, voi che capite fno in fondo che siamo nati per il nulla, che amiamo il nulla, crediamo nel nulla, ci consumiamo lavorando per nulla, per poi | confuire nel nulla… Che

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die Knie brechen, wenn ihr’s ernstlich bedenkt? Bin ich doch auch schon manchmal hingesunken in diesen Gedanken, und habe gerufen, was legst du die Axt mir an die Wurzel, grausa­ mer Geist? und bin noch da. O einst, ihr fnstern Brüder! war es anders. Da war es über uns so schön, so schön und froh vor uns; auch diese Herzen wallten über vor den fernen seeligen Phantomen, und kühn frohlokkend drangen auch unsere Geister aufwärts und durch­ brachen die Schranke, und wie sie sich umsahn, wehe, da war es eine unendliche Leere. O! auf die Knie kann ich mich werfen und meine Hände ringen und fehen, ich weiß nicht wen? um andre Gedanken. Aber ich überwältige sie nicht, die schreiende Wahrheit. Hab’ ich mich nicht zwiefach überzeugt? Wenn ich hinsehe in’s Le­ ben, was ist das lezte von allem? Nichts. Wenn ich aufsteige im Geiste, was ist das Höchste von allem? Nichts. Aber stille, mein Herz! Es ist ja deine lezte Kraft, die du ver­ schwendest! deine lezte Kraft? und du, du willst den Himmel stürmen? wo sind denn deine hundert Arme, Titan, wo dein Pelion und Ossa, deine Treppe zu des Göttervaters Burg hin­ auf, damit du hinaufsteigst und den Gott und seinen Götter­ tisch und all’ die unsterblichen Gipfel des Olymps herabwirfst und den Sterblichen predigest: bleibt unten, Kinder des Au­ genbliks! strebt nicht in diese Höhen herauf, denn es ist nichts hier oben. Das kannst du lassen, zu sehn, was über andere waltet. Dir gilt deine neue Lehre. Über dir und vor dir ist es freilich leer und öde, weil es in dir leer und öd’ ist. Freilich, wenn ihr reicher seid, als ich, ihr andern, könntet ihr doch wohl auch ein wenig helfen. Wenn euer Garten so voll Blumen ist, warum erfreut ihr Othem mich nicht auch? – Wenn ihr so voll der Gottheit seid,

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cosa posso farci se vi tremano le gambe, quando ci pensa­ te seriamente? Io stesso qualche volta sono caduto sotto il peso di questo pensiero, e ho esclamato: perché poni la scure alla mia radice, spirito crudele?122 Eppure sono ancora vivo. Una volta, miei oscuri fratelli, era diverso. Allora tutto era così bello sopra di noi, così bello e felice davanti a noi; i cuori traboccavano davanti ai miraggi lontani e beati, e anche i nostri spiriti, audaci ed esultanti, si slanciavano in avanti rompendo le barriere, ma quando poi si guardaro­ no intorno, ahimè, c’era un vuoto infnito. Oh, potrei buttarmi in ginocchio, torcermi le mani e supplicare – ma chi? – per avere altri pensieri. Ma non riesco a dominarla, la verità che urla. Non mi sono dop­ piamente convinto? Se considero la vita, che cos’è l’ultima cosa di tutto? Il nulla. E se mi elevo nello spirito, che cos’è il culmine di tutto? Il nulla. Ma taci, cuore mio! Sono le tue ultime forze, quelle che stai sprecando. Le tue ultime forze? E tu, tu vorresti con­ quistare il cielo? Dove sono le tue cento braccia, titano,123 dove sono il tuo Pelio e il tuo Ossa, la scala verso il castello del padre degli dei, affnché tu possa salire per scaraven­ tare giù il dio, la mensa degli dei e tutte le vette immortali dell’Olimpo e poi predicare ai mortali: restate laggiù, fgli dell’istante, non aspirate a queste altezze, perché quassù non vi è nulla? Puoi evitare di vedere che cosa regna sopra gli altri: ti basti questo nuovo insegnamento. Sopra di te e davanti a te ci sono solo vuoto e solitudine, perché sono dentro di te. In effetti, se siete più ricchi di me, voi altri, potreste anche aiutarmi un pochino. Se il vostro giardino è così pieno di fori, perché il loro profumo non rallegra anche me? Se siete così colmi della

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so reicht sie mir zu trinken. An Festen darbt ja niemand, auch der ärmste nicht. Aber Einer nur hat seine Feste unter euch; das ist der Tod. Noth und Angst und Nacht sind eure Herren. Die sondern euch, die treiben euch mit Schlägen an einander. Den Hunger | nennt ihr Liebe, und wo ihr nichts mehr seht, da wohnen eure Götter. Götter und Liebe? O die Poëten haben recht, es ist nichts so klein und wenig, woran man sich nicht begeistern könnte. So dacht’ ich. Wie das alles in mich kam, begreif’ ich noch nicht. |

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divinità, datemene da bere. A una festa nessuno soffre la fame, nemmeno il più povero. Ma uno solo celebra le sue feste tra di voi, e quello è la morte. Bisogno, paura e tenebra sono i vostri padroni. Essi vi dividono, colpendovi vi aizzano l’uno contro l’altro. Chia­ mate | amore la fame, e dove non vedete più nulla, lì abita­ no i vostri dei. Dei e amore? Davvero i poeti hanno ragione, nulla è così piccolo e insignifcante da non potersene entusiasmare. Così pensavo.124 Ancora non capisco come mi vennero questi pensieri. |

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Zweites Buch. Hyperion an Bellarmin. Ich lebe jezt auf der Insel des Ajax, der theuern Salamis. Ich liebe diß Griechenland überall. Es trägt die Farbe mei­ nes Herzens. Wohin man siehet, liegt eine Freude begraben. Und doch ist so viel Liebliches und Großes auch um einen. Auf dem Vorgebirge hab’ ich mir eine Hütte gebaut von Mastixzweigen, und Moos und Bäume herumgepfanzt und Thymian und allerlei Sträuche. Da hab’ ich meine liebsten Stunden, da siz’ ich Abende lang und sehe nach Attika hinüber, bis endlich mein Herz zu hoch mir klopft; dann nehm’ ich mein Werkzeug, gehe hinab an die Bucht und fange mir Fische. Oder les’ ich auch auf meiner Höhe droben vom alten herr­ lichen Seekrieg, der an Salamis einst im wilden klugbeherrsch­ ten Getümmel vertobte, und freue des Geistes mich, der das wütende Chaos von Freunden und Feinden lenken konnte und zähmen, wie ein Reuter das Roß, und schäme mich innigst mei­ ner eigenen Kriegsgeschichte. Oder schau’ ich auf’s Meer hinaus und überdenke mein Le­ ben, sein Steigen und Sinken, seine Seeligkeit und seine Trauer und meine Vergangenheit lautet mir oft, wie ein Saitenspiel, wo der Meister alle Töne durchläuft, und Streit und Einklang mit verborgener Ordnung untereinanderwirft. Heut ist’s dreifach schön hier oben. Zwei freundliche Ree­ gentage haben die Luft und die lebensmüde Erde gekühlt.

Libro secondo iperione a Bellarmino Ora vivo sull’isola di Aiace, la cara Salamina.125 Amo ogni luogo di questa Grecia; ha i colori del mio cuore. Dovunque si guardi, vi sono gioie sepolte. Eppure si è circondati anche da tanta grazia e nobiltà. Sulle pendici della montagna mi sono costruito una ca­ panna con rami di lentischio e ho piantato tutto intorno muschio e alberi, timo e molti altri cespugli.126 Lì trascorro le mie ore più belle, siedo intere serate guardando verso l’Attica, fnché il cuore inizia a battere troppo forte; allora prendo i miei attrezzi, scendo nella baia e pesco. Oppure salgo sulla cima, lassù, e leggo dell’antica e meravigliosa battaglia navale che imperversò una volta a Salamina in un tumulto selvaggio ma intelligentemente orchestrato, e mi rallegro per quello spirito che seppe do­ mare e dominare il caos rabbioso di amici e nemici, come un cavaliere il suo cavallo, e mi vergogno profondamente della mia personale esperienza militare.127 Oppure guardo verso il mare aperto e ripenso alla mia vita, con le sue fasi calanti e crescenti, la sua felicità e la sua tristezza, e il passato mi appare come il suono di una cetra quando l’artista passa in rassegna tutte le note, mescolan­ do in un ordine segreto armonie e dissonanze.128 Oggi quassù è tre volte più bello. Due gradevoli giorni di pioggia hanno rinfrescato l’aria e la terra stanca di vivere.

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Der Boden ist grüner geworden, offner das Feld. Unend­ lich steht, mit der freudigen Kornblume gemischt, der goldene Waizen da, und licht und heiter steigen tausend hoffnungsvol­ le Gipfel aus der Tiefe des Hains. Zart und groß durchirret den Raum jede Linie | der Fernen; wie Stuffen gehn die Berge bis zur Sonne unaufhörlich hinter einander hinauf. Der ganze Himmel ist rein. Das weiße Licht ist nur über den Aether ge­ haucht, und, wie ein silbern Wölkchen, wallt der schüchterne Mond am hellen Tage vorüber. Hyperion an Bellarmin. Mir ist lange nicht gewesen, wie jezt. Wie Jupiters Adler dem Gesange der Musen, lausch’ ich dem wunderbaren unendlichen Wohllaut in mir. Unangefoch­ ten an Sinn’ und Seele, stark und fröhlich, mit lächelndem Ernste, spiel’ ich im Geiste mit dem Schiksaal und den drei Schwestern, den heiligen Parzen. Voll göttlicher Jugend froh­ lokt mein ganzes Wesen über sich selbst, über Alles. Wie der Sternenhimmel, bin ich still und bewegt. Ich habe lange gewartet auf solche Festzeit, um dir einmal wieder zu schreiben. Nun bin ich stark genug; nun laß mich dir erzählen. Mitten in meinen fnstern Tagen lud ein Bekannter von Kalau­ rea herüber mich ein. Ich sollt’ in seine Gebirge kommen, schrieb er mir; man lebe hier freier als sonstwo, und auch da blüheten, mitten unter den Fichtenwäldern und reißenden Wassern, Limo­ nienhaine und Palmen und liebliche Kräuter und Myrthen und die heilige Rebe. Einen Garten hab’ er hoch am Gebirge gebaut und ein Haus; dem beschatteten dichte Bäume den Rüken, und külende Lüfte umspielten es leise in den brennenden Sommerta­ gen; wie ein Vogel vom Gipfel der Ceder, blikte man in die Tie­

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Il terreno è divenuto più verde, più aperto il campo. A perdita d’occhio si stendono le spighe dorate, frammiste ai gioiosi fordalisi, e mille cime speranzose svettano nitide e serene dal profondo del boschetto. Dolce e nobile la linea dell’orizzonte | attraversa lo spazio; come gradini i monti salgono instancabilmente verso il sole, l’uno dietro l’altro. Il cielo è tutto sgombro. La luce nitida è soltanto un soffo leggero sull’etere e la luna si muove timida, come una nu­ voletta d’argento, nel giorno chiaro. iperione a Bellarmino Da lungo tempo non mi sentivo come ora. Come l’aquila di Giove ascoltava il canto delle Muse, così io ascolto l’armonia meravigliosa e infnita che è in me.129 Sereno nella mente e nell’anima, forte e lieto, con sorridente serietà gioco in spirito con il destino e con le tre sorelle, le sacre Parche. Tutto il mio essere, pieno di divina giovinezza, gioisce per se stesso e per tutto. Come il cielo stellato, sono fermo e in movimento. A lungo ho atteso un momento di festa come questo per scriverti di nuovo. Ora sono abbastanza forte; lascia che continui il racconto.130 Nel mezzo dei miei giorni bui un conoscente mi invitò a Calauria.131 Dovevo andare fra i suoi monti, mi scrisse; là si viveva più liberi che altrove, e anche là forivano, in mezzo a foreste di abeti e torrenti impetuosi, boschetti di limo­ ni, palme, erbe aromatiche, il mirto e la sacra vite. Si era coltivato un giardino lassù sul monte, e costruita una casa; ftti alberi le fanno ombra e una brezza fresca la avvolge leggera negli ardenti giorni estivi. Come un uccello dalla cima di un cedro, lo sguardo spaziava verso il basso, verso

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fen hinab, zu den Dörfern und grünen Hügeln, und zufriedenen Heerden der Insel, die alle, wie Kinder, umherlägen um den herr­ lichen Berg und sich nährten von seinen schäumenden Bächen. Das wekte mich denn doch ein wenig. Es war ein heiterer blau­ er Apriltag, an dem ich hinüberschiffte. Das Meer war ungewöhn­ lich schön und rein, und leicht die Luft, wie in höheren Regionen. Man ließ im schwebenden Schiffe die Erde hinter sich liegen, wie eine köstliche Speise, wenn der heilige Wein gereicht wird. Dem Einfusse des Meers und der Luft widerstrebt’ der fnstere | Sinn umsonst. Ich gab mich hin, fragte nichts nach mir und andern, suchte nichts, sann auf nichts, ließ vom Boote mich halb in Schlummer wiegen, und bildete mir ein, ich liege in Charons Nachen. O es ist süß, so aus der Schaale der Verges­ senheit zu trinken. Mein fröhlicher Schiffer hätte gerne mit mir gesprochen, aber ich war sehr einsylbig. Er deutete mit dem Finger und wies mir rechts und links das blaue Eiland, aber ich sah nicht lange hin, und war im nächsten Augenblike wieder in meinen eignen lieben Träumen. Endlich, da er mir die stillen Gipfel in der Ferne wies und sagte, daß wir bald in Kalaurea wären, merkt’ ich mehr auf, und mein ganzes Wesen öffnete sich der wunderbaren Gewalt, die auf Einmal süß und still und unerklärlich mit mir spielte. Mit großem Auge, staunend und freudig sah’ ich hinaus in die Ge­ heimnisse der Ferne, leicht zitterte mein Herz, und die Hand entwischte mir und faßte freundlichhastig meinen Schiffer an – so? rief ich, das ist Kalaurea? Und wie er mich drum ansah, wußt’ ich selbst nicht, was ich aus mir machen sollte. Ich grüßte meinen Freund mit wunderbarer Zärtlichkeit. Voll süßer Unru­ he war all mein Wesen. Den Nachmittag wollt’ ich gleich einen Theil der Insel durchstreifen. Die Wälder und geheimen Thale reizten mich unbeschreiblich, und der freundliche Tag lokte alles hinaus.

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i villaggi e le colline verdeggianti con le greggi ben pasciu­ te dell’isola, che attorniavano la splendida montagna come bambini e si dissetavano ai suoi ruscelli spumeggianti. Questo mi riscosse un po’. Era un giorno di aprile se­ reno e azzurro, quando mi imbarcai per andare da lui. Il mare era straordinariamente bello e chiaro e l’aria pura, come nelle regioni superiori. La barca futtuava leggera la­ sciando dietro di sé la terra, come un cibo prelibato quan­ do viene servito il sacro vino. L’umore cupo combatteva invano contro l’infusso | del mare e dell’aria. Mi abbandonai, non chiesi nulla di me né di altri, non cercai nulla, non pensai a nulla, mi lasciai cullare in un dormiveglia e mi immaginai di essere sulla barca di Caronte. È così dolce bere dal calice dell’oblio.132 L’allegro barcaiolo avrebbe voluto conversare, ma io rispondevo a monosillabi. Indicava con il dito a destra e a sinistra mostrandomi le isole azzurre, ma il mio sguardo non si soffermava a lungo e un istante dopo ero già ricaduto nei miei dolci sogni. Infne, quando mi indicò le cime silenziose in lonta­ nanza e mi disse che saremmo stati presto a Calauria, feci più attenzione e tutto il mio essere si aprì alla misteriosa potenza che d’improvviso giocava con me, dolce, silenzio­ sa e indecifrabile. Con gli occhi spalancati, meravigliato e lieto, mentre scrutavo i segreti della lontananza, il mio cuore ebbe un lieve fremito e una mano involontariamente afferrò cordiale e improvvisa il barcaiolo. «Allora quella è Calauria?» esclamai. Mi guardò interrogativo e non seppi più cosa dire. Salutai il mio amico con una strana tenerez­ za; una dolce inquietudine riempiva tutto il mio essere. Al pomeriggio volli subito visitare una parte dell’isola. I boschi e le valli nascoste mi attiravano in modo indescrivi­ bile, e la bella giornata richiamava tutti all’aperto.

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Es war so sichtbar, wie alles Lebendige mehr, denn tägliche Speise, begehrt, wie auch der Vogel sein Fest hat und das Thier. Es war entzükend anzusehn! Wie, wenn die Mutter schmei­ chelnd frägt, wo um sie her ihr Liebstes sei, und alle Kinder in den Schoos ihr stürzen, und das Kleinste noch die Arme aus der Wiege strekt, so fog und sprang und strebte jedes Leben in die göttliche Luft hinaus, und Käfer und Schwalben und Tauben und Störche tummelten sich in frohlokkender Verwir­ rung unter einander in den Tiefen und Höhn, und was die Erde festhielt, dem ward zum Fluge der Schritt, über die Gräben braußte das Roß und über die Zäune das Reh, und aus dem Meergrund kamen die Fische herauf und hüpften über die Flä­ che. Allen drang die mütterliche Luft an’s Herz, und hob sie und zog sie zu sich. Und die Menschen giengen aus ihren Thüren heraus, und | fühlten wunderbar das geistige Wehen, wie es leise die zarten Haare über die Stirne bewegte, wie es den Lichtstral kühlte, und lösten freundlich ihre Gewänder, um es aufzunehmen an ihre Brust, athmeten süßer, berührten zärtlicher das leichte kla­ re schmeichelnde Meer, in dem sie lebten und webten. O Schwester des Geistes, der feurigmächtig in uns waltet und lebt, heilige Luft! wie schön ist’s, daß du, wohin ich wand­ re, mich geleitest, Allgegenwärtige, Unsterbliche! Mit den Kindern spielte das hohe Element am schönsten. Das summte friedlich vor sich hin, dem schlüpft’ ein taktlos Liedchen aus den Lippen, dem ein Frohlokken aus offner Keh­ le; das strekte sich, das sprang in die Höhe; ein andres schlen­ derte vertieft umher. Und all diß war die Sprache Eines Wohlseyns, alles Eine Antwort auf die Liebkosungen der entzükenden Lüfte.

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Era evidente che tutto ciò che vive aveva bisogno di qualcosa in più del cibo quotidiano, e del resto anche gli uccelli e gli animali hanno le loro feste. Era stupendo a vedersi! Come quando la mamma chiede lusinghiera dove sia mai il suo preferito, e tutti i bimbi le corrono in grembo e il più piccolo tende le braccia dalla culla, allo stesso modo ogni forma di vita volava, saltava e si protendeva verso l’aria divina, mentre insetti, rondini, colombi e cicogne scorrazzavano su e giù in gioiosa confusione, e ciò che invece era legato alla terra mutava il volo in passo: il cavallo fremeva saltando i fossi e il capriolo le siepi, e dal fondo del mare i pesci risalivano in superfcie guizzando sopra le onde. L’aria materna penetrava nel cuore di tutti, li sollevava e atti­ rava a sé.133 E gli uomini uscivano dalle case e | percepivano quel soffo spirituale che meraviglioso scompigliava lieve i ca­ pelli sulla fronte e rinfrescava i raggi del sole, e si aprivano felici le vesti per sentirne il calore sul petto; respiravano più dolcemente, sforavano con maggior tenerezza il mare trasparente, chiaro e invitante intorno al quale vivevano e si affaccendavano. Aria sacra, sorella dello spirito che regna e vive in noi come fuoco potente, come è bello che tu mi accompagni dovunque io vada, tu onnipresente, immortale! Con i bambini il nobile elemento aveva gioco facile. Uno fschiettava pacifco, a un altro sfuggiva dalle lab­ bra una canzoncina fuori tempo, un terzo gridava di gioia a squarciagola; uno si stiracchiava, un altro saltava, un al­ tro gironzolava assorto. E tutto questo era espressione di un unico benessere, tutto era un’unica risposta alle carezze delle brezze incan­ tevoli.

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Ich war voll unbeschreiblichen Sehnens und Friedens. Eine fremde Macht beherrschte mich. Freundlicher Geist, sagt’ ich bei mir selber, wohin rufest du mich? nach Elysium oder wohin? Ich gieng in einem Walde, am rieselnden Wasser hinauf, wo es über Felsen heruntertröpfelte, wo es harmlos über die Kie­ seln glitt, und mälig verengte sich und ward zum Bogengange das Thal, und einsam spielte das Mittagslicht im schweigenden Dunkel – Hier – ich möchte sprechen können, mein Bellarmin! möch­ te gerne mit Ruhe dir schreiben! Sprechen? o ich bin ein Laie in der Freude, ich will spre­ chen! Wohnt doch die Stille im Lande der Seeligen, und über den Sternen vergißt das Herz seine Noth und seine Sprache. Ich hab’ es heilig bewahrt! wie ein Palladium, hab’ ich es in mir getragen, das Göttliche, das mir erschien! und wenn hin­ fort mich das Schiksaal ergreift und von einem Abgrund in den andern mich wirft, und alle Kräfte ertränkt in mir und alle Ge­ danken, so soll diß Einzige doch mich selber überleben in mir, und leuchten in mir und herrschen, in ewiger, unzerstörbarer Klarheit! – So lagst du hingegossen, süßes Leben, so bliktest du auf, erhubst dich, standst nun da, in schlanker Fülle, göttlich ruhig, und das himmlische Gesicht noch voll des heitern Entzükens, worinn ich dich störte! | O wer in die Stille dieses Auges gesehn, wem diese süßen Lippen sich aufgeschlossen, wovon mag der noch sprechen? Friede der Schönheit! göttlicher Friede! wer einmal an dir das tobende Leben und den zweifelnden Geist besänftigt, wie kann dem anderes helfen? Ich kann nicht sprechen von ihr, aber es giebt ja Stunden, wo das Beste und Schönste, wie in Wolken, erscheint, und der Himmel der Vollendung vor der ahnenden Liebe sich öffnet,

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Ero colmo di nostalgia e pace indescrivibili. Una po­ tenza estranea mi dominava. Spirito amico, dicevo a me stesso, dove mi chiami? Verso l’Elisio o dove altro? Passeggiavo in un bosco, risalendo un torrente mormo­ rante che a tratti saltellava tra le rocce, a tratti scorreva placido sulla ghiaia, e man mano la valle si stringeva fno a divenire un passaggio ad arco, dove la luce del mezzogior­ no giocava solitaria nell’oscurità silenziosa…134 Là… Vorrei poterne parlare, Bellarmino mio, vorrei poterti scrivere con tranquillità! Parlare? Sono davvero un profano della gioia, voglio parlare! Il silenzio abita nella terra dei beati, e oltre le stelle il cuore dimentica la sua pena e il suo linguaggio.135 L’ho custodita come una cosa sacra, l’ho portata in me come un palladio, la divina che mi apparve!136 E anche se il destino mi afferrasse e mi scaraventasse da un abisso all’altro e soffocasse in me tutte le forze e tutti i pensieri, lei sola mi sopravvivrà, e brillerà e regnerà in me con lim­ pidezza perenne e immutabile! Così giacevi leggiadra, dolce vita, così sollevasti lo sguardo, ti alzasti e ti vidi davanti a me, in esile pienezza, in una calma divina e con il volto celestiale ancora colmo della serena delizia da cui ti avevo risvegliato. | Di che cosa può ancora parlare colui che ha guardato nel silenzio di quegli occhi, colui che ha sentito parlare quelle dolci labbra? Pace della bellezza, pace divina, chi ha potuto una volta placare grazie a te la vita che impazza e lo spirito dubbio­ so, come potrà trovare sollievo altrove? Non riesco a parlare di lei, ma ci sono momenti in cui le cose più belle e più grandi mi appaiono come in una nuvola, e il cielo dell’appagamento si schiude davanti

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da, Bellarmin! da denke ihres Wesens, da beuge die Knie mit mir, und denke meiner Seeligkeit! aber vergiß nicht, daß ich hatte, was du ahnest, daß ich mit diesen Augen sah, was nur, wie in Wolken, dir erscheint. Daß die Menschen manchmal sagen möchten: sie freueten sich! O glaubt, ihr habt von Freude noch nichts geahnet! Euch ist der Schatten ihres Schattens noch nicht erschienen! O geht, und sprecht vom blauen Aether nicht, ihr Blinden! Daß man werden kann, wie die Kinder, daß noch die gold­ ne Zeit der Unschuld wiederkehrt, die Zeit des Friedens und der Freiheit, daß doch Eine Freude ist, Eine Ruhestätte auf Erden! Ist der Mensch nicht veraltert, verwelkt, ist er nicht, wie ein abgefallen Blatt, das seinen Stamm nicht wieder fndet und nun umhergescheucht wird von den Winden, bis es der Sand be­ gräbt? Und dennoch kehrt sein Frühling wieder! Weint nicht, wenn das Treflichste verblüht! bald wird es sich verjüngen! Trauert nicht, wenn eures Herzens Me­ lodie verstummt! bald findet eine Hand sich wieder, es zu stimmen! Wie war denn ich? war ich nicht ein zerrissen Saiten­ spiel? Ein wenig tönt’ ich noch, aber es waren Todestöne. Ich hatte mir ein düster Schwanenlied gesungen! Einen Sterbekranz hätt’ ich gern mir gewunden, aber ich hatte nur Winterblumen. Und wo war sie denn nun, die Todtenstille, die Nacht und Öde meines Lebens? die ganze dürftige Sterblichkeit? Freilich ist das Leben arm und einsam. Wir wohnen hier unten, wie der Diamant im Schacht. Wir fragen umsonst, wie wir herabgekommen, um wieder den Weg hinauf zu fnden.

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all’amore presago: allora, Bellarmino, pensa al suo essere, piega le ginocchia con me e pensa alla mia felicità! Ma non dimenticare che io avevo ciò che tu solo intuisci, che vedevo con questi occhi ciò che a te appare soltanto come in una nube. Gli uomini qualche volta dicono: siamo stati felici! Cre­ detemi, non avete nemmeno la più pallida idea di cosa sia la felicità, non vi è apparsa nemmeno l’ombra della sua ombra! Andatevene e non parlate del cielo azzurro, voi che siete ciechi! Si potesse tornare come bambini, potessero tornare an­ cora l’aurea età dell’innocenza, il tempo della pace e della libertà, ci fosse ancora sulla terra una gioia, un luogo per riposare! L’uomo non è forse invecchiato e appassito, non è come una foglia caduta che non trova più il suo albero e viene sbattuta qua e là dal vento, fnché la sabbia non la seppellisce? Eppure torna la sua primavera! Non piangete quando le cose più splendide sforiscono: presto ringiovaniranno! Non rattristatevi, quando la me­ lodia del vostro cuore tace: presto si troverà di nuovo una mano che lo accorderà. Come mi ero ridotto io? Non ero una cetra rotta? Un poco risuonavo ancora, ma erano note di morte. Mi ero composto un lugubre canto del cigno, mi sarei intrecciato volentieri una corona funebre, ma avevo soltanto i fori dell’inverno. E dov’erano adesso il silenzio mortale, la notte e la de­ solazione della mia vita, tutto l’affanno della caducità? Davvero la vita è povera e solitaria. Abitiamo quaggiù come il diamante nella miniera, invano chiediamo come abbiamo fatto a scendere per ritrovare la strada per risalire.

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Wir sind, wie Feuer, das im dürren Aste oder im Kiesel schläft; und ringen und suchen in jedem Moment das Ende der engen | Gefangenschaft. Aber sie kommen, sie wägen Aeonen des Kampfes auf, die Augenblike der Befreiung, wo das Göttliche den Kerker sprengt, wo die Flamme vom Holze sich löst und siegend emporwallt über der Asche, ha! wo uns ist, als kehrte der entfesselte Geist, vergessen der Laiden, der Knechtsgestalt, im Triumphe zurük in die Hallen der Sonne. Hyperion an Bellarmin. Ich war einst glüklich, Bellarmin! Bin ich es nicht noch? Wär’ ich es nicht, wenn auch der heilige Moment, wo ich zum ersten­ male sie sah, der lezte wäre gewesen? Ich hab’ es Einmal gesehn, das Einzige, das meine Seele suchte, und die Vollendung, die wir über die Sterne hinauf ent­ fernen, die wir hinausschieben bis an’s Ende der Zeit, die hab’ ich gegenwärtig gefühlt. Es war da, das Höchste, in diesem Kreise der Menschennatur und der Dinge war es da! Ich frage nicht mehr, wo es sei; es war in der Welt, es kann wie­ derkehren in ihr, es ist jezt nur verborgner in ihr. Ich frage nicht mehr, was es sei; ich hab’ es gesehn, ich hab’ es kennen gelernt. O ihr, die ihr das Höchste und Beste sucht, in der Tiefe des Wissens, im Getümmel des Handelns, im Dunkel der Vergan­ genheit, im Labyrinthe der Zukunft, in den Gräbern oder über den Sternen! wißt ihr seinen Nahmen? den Nahmen deß, das Eins ist und Alles? Sein Nahme ist Schönheit. Wußtet ihr, was ihr wolltet? Noch weiß ich es nicht, doch ahn’ ich es, der neuen Gottheit neues Reich, und eil’ ihm zu und ergreiffe die andern und führe sie mit mir, wie der Strom die Ströme in den Ocean.

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Siamo come il fuoco assopito fra i rami secchi o fra la ghiaia; lottiamo e cerchiamo ogni istante la fne dell’an­ gusta | prigionia. Ma vengono, e compensano eoni di lot­ ta, gli istanti della liberazione, quando il divino schiante­ rà il carcere, quando la famma si sprigionerà dal legno e si alzerà vittoriosa sopra la cenere, sì, quando sentiremo che lo spirito liberato dalle sue catene, dimentico della sofferenza e della schiavitù, torna in trionfo negli atri del sole. iperione a Bellarmino Una volta sono stato felice, Bellarmino! Non lo sono anco­ ra? E non lo sarei ugualmente, anche se il sacro attimo in cui l’ho vista per la prima volta fosse stato l’ultimo? L’ho vista una volta, l’unica cosa che la mia anima cer­ cava, e la perfezione che collochiamo al di sopra delle stel­ le, che rimandiamo fno alla fne del tempo, l’ho sentita presente. Era là, la più sublime nella sfera della natura umana e delle cose era là! Non chiedo più dove sia; era nel mondo e potrebbe tornarvi, ora è soltanto nascosta. Non chiedo più che cosa sia; l’ho vista, l’ho conosciuta. O voi che cercate il massimo e il meglio nelle profondi­ tà del sapere, nel trambusto dell’azione, nel buio del pas­ sato, nel labirinto del futuro, nelle tombe o fra le stelle! Conoscete il suo nome, il nome di ciò che è uno e tutto?137 Il suo nome è bellezza. Sapevate cosa cercate? Io non lo so ancora, ma lo intui­ sco, il nuovo regno della nuova divinità,138 e mi affretto afferrando gli altri per portarli con me, come la corrente porta i fumi verso l’oceano.

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Und du, du hast mir den Weg gewiesen! Mit dir begann ich. Sie sind der Worte nicht werth, die Tage, da ich noch dich nicht kannte – O Diotima, Diotima, himmlisches Wesen! | 658

Hyperion an Bellarmin. Laß uns vergessen, daß es eine Zeit giebt und zähle die Lebens­ tage nicht! Was sind Jahrhunderte gegen den Augenblik, wo zwei We­ sen so sich ahnen und nahn? Noch seh’ ich den Abend, an dem Notara zum erstenmale zu ihr in’s Haus mich brachte. Sie wohnte nur einige hundert Schritte von uns am Fuße des Bergs. Ihre Mutter war ein denkend zärtlich Wesen, ein schlichter fröhlicher Junge der Bruder, und beede gestanden herzlich in al­ lem Thun und Lassen, daß Diotima die Königin des Hauses war. Ach! es war alles geheiliget, verschönert durch ihre Ge­ genwart. Wohin ich sah, was ich berührte, ihr Fußteppich, ihr Polster, ihr Tischchen, alles war in geheimem Bunde mit ihr. Und da sie zum erstenmale mit Nahmen mich rief, da sie selbst so nahe mir kam, daß ihr unschuldiger Othem mein lauschend Wesen berührte! – Wir sprachen sehr wenig zusammen. Man schämt sich sei­ ner Sprache. Zum Tone möchte man werden und sich vereinen in Einen Himmelsgesang. Wovon auch sollten wir sprechen? Wir sahn nur uns. Von uns zu sprechen, scheuten wir uns. Vom Leben der Erde sprachen wir endlich. So feurig und kindlich ist ihr noch keine Hymne gesungen worden.

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E tu, tu mi hai mostrato la strada. Con te ho comincia­ to. Non sono degni di essere nominati, i giorni in cui non ti conoscevo ancora... O Diotima, Diotima, creatura celeste!139 | iperione a Bellarmino Dimentichiamoci che esiste il tempo e non contiamo i giorni della vita! Che cosa sono i secoli in confronto all’attimo in cui due esseri si intuiscono e si avvicinano? Vedo ancora la sera in cui Notara140 mi portò per la prima volta a casa di lei. Abitava a poche centinaia di passi da noi, ai piedi del monte. Sua madre era una donna dolce e rifessiva, un ragaz­ zo semplice e allegro il fratello, ed entrambi mostravano apertamente in tutto ciò che facevano che Diotima era la regina della casa. Tutto era santifcato, abbellito dalla sua presenza. Do­ vunque guardassi, qualsiasi cosa toccassi, il tappeto, la pol­ trona, il tavolino, tutto aveva stretto un patto segreto con lei. E quando mi chiamò per nome la prima volta, quando mi venne vicina tanto che il suo respiro innocente sforò il mio essere in ascolto!141 Parlammo molto poco insieme. Ci si vergogna del lin­ guaggio, si vorrebbe diventare una nota musicale per unir­ si in un inno celestiale.142 E di che cosa mai avremmo dovuto parlare? Ci guarda­ vamo. Ci vergognavamo a parlare di noi. Infne parlammo della vita della terra. Nessuno le ha mai cantato un inno così ardente e inno­ cente.143

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Es that uns wohl, den Überfuß unsers Herzens der guten Mutter in den Schoos zu streuen. Wir fühlten uns dadurch erleichtert, wie die Bäume, wenn ihnen der Sommerwind die fruchtbaren Äste schüttelt, und ihre süßen Äpfel in das Gras gießt. Wir nannten die Erde eine der Blumen des Himmels, und den Himmel nannten wir den unendlichen Garten des Lebens. Wie die Rosen sich mit goldnen Stäubchen erfreuen, sagten wir, so erfreue das heldenmüthige Sonnenlicht mit seinen Strahlen die Erde; sie sei ein herrlich lebend Wesen, sagten wir, gleich göttlich, wenn ihr zürnend Feuer oder mildes klares Wasser aus dem Herzen quille, immer glüklich, wenn sie von Thautropfen sich nähre, oder von | Gewitterwolken, die sie sich zum Genus­ se bereite mit Hülfe des Himmels, die immer treuer liebende Hälfte des Sonnengotts, ursprünglich vieleicht inniger mit ihm vereint, dann aber durch ein allwaltend Schiksaal geschieden von ihm, damit sie ihn suche, sich nähere, sich entferne und unter Lust und Trauer zur höchsten Schönheit reife. So sprachen wir. Ich gebe dir den Innhalt, den Geist davon. Aber was ist er ohne das Leben? Es dämmerte, und wir mußten gehen. Gute Nacht, ihr En­ gelsaugen! dacht’ ich im Herzen, und erscheine du bald mir wieder, schöner göttlicher Geist, mit deiner Ruhe und Fülle! Hyperion an Bellarmin. Ein paar Tage drauf kamen sie herauf zu uns. Wir giengen zu­ sammen im Garten herum. Diotima und ich geriethen voraus, vertieft, mir traten oft Thränen der Wonne in’s Auge, über das Heilige, das so anspruchlos zur Seite mir gieng. Vorn am Rande des Berggipfels standen wir nun, und sahn hinaus, in den unendlichen Osten.

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Ci fece bene disperdere nel grembo della buona madre la sovrabbondanza dei nostri cuori. Ci sentivamo allegge­ riti come gli alberi quando il vento dell’estate agita i rami fecondi e fa cadere i loro dolci frutti sull’erba. Defnimmo la terra un fore del cielo, e defnimmo il cielo il giardino infnito della vita. Come le rose si rallegra­ no dei pistilli dorati, dicevamo, così il sole eroico rallegra la terra con i suoi raggi; essa è uno splendido essere viven­ te, dicevamo, divina sia che dal cuore le sgorghi un fuoco devastante o acqua dolce e chiara, felice sempre, sia che si nutra di gocce di rugiada o di | nuvole tempestose, che si prepara a suo piacimento con l’aiuto del cielo; lei, la metà innamorata e sempre fedele del dio del sole, forse in origi­ ne più intimamente unita a lui ma poi separata da lui da un destino onnipotente affnché possa cercarlo, avvicinarsi e allontanarsi e maturare tra gioie e dolori fno alla sublime bellezza.144 Di questo parlammo. Ti riferisco il contenuto, lo spiri­ to. Ma che cos’è senza la vita? Imbruniva e venne l’ora di andare. Buona notte, occhi d’angelo, pensai nel cuore, e tu, bello spirito divino, fa’ che io ti riveda presto, con la tua pace e la tua pienezza! iperione a Bellarmino Un paio di giorni dopo vennero da noi. Passeggiavamo insieme in giardino, Diotima e io andammo avanti, assorti, e spesso mi venivano le lacrime agli occhi per la delizia di avere quella creatura sacra che mi camminava accanto con tanta semplicità. Arrivati sulla cima del monte ci fermammo e guardam­ mo in lontananza, verso l’Oriente infnito.

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Diotimas Auge öffnete sich weit, und leise, wie eine Knospe sich aufschließt, schloß das liebe Gesichtchen vor den Lüften des Himmels sich auf, ward lauter Sprache und Seele, und, als begänne sie den Flug in die Wolken, stand sanft empor gestrekt die ganze Gestalt, in leichter Majestät, und berührte kaum mit den Füßen die Erde. O unter den Armen hätt’ ich sie fassen mögen, wie der Ad­ ler seinen Ganymed, und hinfiegen mit ihr über das Meer und seine Inseln. Nun trat sie weiter vor, und sah die schroffe Felsenwand hi­ nab. Sie hatte ihre Lust daran, die schrökende Tiefe zu messen, und sich hinab zu verlieren in die Nacht der Wälder, die unten aus Felsenstüken und schäumenden Wetterbächen herauf die lichten Gipfel strekten. Das Geländer, worauf sie sich stüzte, war etwas niedrig. So durft’ ich es ein wenig halten, das Reizende, indeß es so sich | vorwärts beugte. Ach! heiße zitternde Wonne durchlief mein Wesen und Taumel und Toben war in allen Sinnen, und die Hände brannten mir, wie Kohlen, da ich sie berührte. Und dann die Herzenslust, so traulich neben ihr zu stehn, und die zärtlich kindische Sorge, daß sie fallen möchte, und die Freude an der Begeisterung des herrlichen Mädchens! Was ist alles, was in Jahrtausenden die Menschen thaten und dachten, gegen Einen Augenblik der Liebe? Es ist aber auch das Gelungenste, Göttlichschönste in der Natur! dahin führen alle Stuffen auf der Schwelle des Lebens. Daher kom­ men wir, dahin gehn wir. Hyperion an Bellarmin. Nur ihren Gesang sollt’ ich vergessen, nur diese Seelentöne soll­ ten nimmer wiederkehren in meinen unaufhörlichen Träumen.

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Gli occhi di Diotima si spalancarono e piano, come si schiude un bocciolo, il visetto adorato si schiuse alle brez­ ze del cielo, divenne tutto parola e anima e, come se vo­ lesse spiccare il volo tra le nuvole, tutto il corpo si proten­ deva dolcemente verso l’alto, con leggera maestà, mentre i piedi sforavano appena la terra. Oh, avrei voluto afferrarla per le braccia come l’aquila fece con Ganimede, e volare via con lei sul mare e sulle isole.145 Si sporse ancora di più guardando lungo la parete di roccia scoscesa. Si divertiva a misurare la profondità spa­ ventosa per perdersi con lo sguardo nella notte dei boschi, che protendevano verso l’alto le esili cime fra picchi roc­ ciosi e torrenti spumeggianti. Il parapetto al quale si appoggiava era piuttosto basso, così la trattenni un poco, l’affascinante creatura, mentre si sporgeva | in avanti. Ah, un piacere intenso e tremante mi pervase, vertigine e tumulto colsero tutti i miei sensi, e nel toccarla le mani bruciavano come tizzoni. E poi il piacere intenso di esserle vicino con tanta fami­ liarità, il timore dolce e infantile che potesse cadere, e poi la gioia per l’entusiasmo della splendida fanciulla! Quanto vale tutto ciò che gli uomini hanno fatto e pen­ sato in migliaia di anni, in confronto a un attimo d’amo­ re? Ma è anche la cosa più perfetta, più divinamente bella della natura! Lì conducono tutti i gradini, alla soglia della vita. Da lì veniamo, lì andiamo. iperione a Bellarmino Solo il suo canto vorrei dimenticare, solo quelle note dell’anima non dovrebbero più risuonare nei miei sogni incessanti.

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Man kennt den stolzhinschiffenden Schwan nicht, wenn er schlummernd am Ufer sizt. Nur, wenn sie sang, erkannte man die liebende Schweigen­ de, die so ungern sich zur Sprache verstand. Da, da gieng erst die himmlische Ungefällige in ihrer Ma­ jestät und Lieblichkeit hervor; da weht’ es oft so bittend und so schmeichelnd, oft, wie ein Göttergebot, von den zarten blühenden Lippen. Und wie das Herz sich regt’ in dieser göttlichen Stimme, wie alle Größe und Demuth, alle Lust und alle Trauer des Lebens verschönert im Adel dieser Töne erschien! Wie im Fluge die Schwalbe die Bienen hascht, ergriff sie immer uns alle. Es kam nicht Lust und nicht Bewunderung, es kam der Frie­ de des Himmels unter uns. Tausendmal hab’ ich es ihr und mir gesagt: das Schönste ist auch das Heiligste. Und so war alles an ihr. Wie ihr Gesang, so auch ihr Leben. | 661

Hyperion an Bellarmin. Unter den Blumen war ihr Herz zu Hause, als wär’ es eine von ihnen. Sie nannte sie alle mit Nahmen, schuff ihnen aus Liebe neue, schönere, und wußte genau die fröhlichste Lebenszeit von je­ der. Wie eine Schwester, wenn aus jeder Eke ein Geliebtes ihr entgegenkömmt, und jedes gerne zuerst gegrüßt seyn möchte, so war das stille Wesen mit Aug und Hand beschäftigt, seelig zerstreut, wenn auf der Wiese wir giengen, oder im Walde. Und das war so ganz nicht angenommen, angebildet, das war so mit ihr aufgewachsen.

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Non si riconosce il cigno che nuota superbo quando sonnecchia accoccolato sulla riva. Solo nel canto la si riconosceva, l’innamorata taciturna che così malvolentieri si serviva del linguaggio.146 Così, solo così si rivelava la divina ritrosa in tutta la sua maestà e grazia; così, dalle dolci labbra in fore si diffonde­ va il suo canto ora implorante, ora suadente, ora come un comando divino. E come mi toccava il cuore quella voce celestiale, come si trasfguravano, nella nobiltà di quelle note, la grandezza e l’umiltà, il piacere e la tristezza della vita! Come la rondine afferra in volo l’ape, così ci afferrava sempre tutti. Non il piacere né l’ammirazione, era la pace del cielo che scendeva tra noi. Mille volte l’ho ripetuto a lei e a me stesso: le cose più belle sono anche le più sacre. E così era tutto di lei; come il suo canto, così era anche la sua vita. | iperione a Bellarmino Il suo cuore era di casa tra i fori, come fosse uno di loro. Li chiamava tutti per nome, con amore dava loro nomi nuovi, più belli, e conosceva con precisione il tempo mi­ gliore per la foritura di ciascuno. Come una sorella a cui da ogni angolo si fa incontro un fratello, e ciascuno vorrebbe essere salutato per primo, così quell’essere quieto aveva mani e occhi impegnati, era beatamente distratto quando camminavamo nei prati o nel bosco. E non era un tratto acquisito, o affettato, era una parte di lei.

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Es ist doch ewig gewiß und zeigt sich überall; je unschuldi­ ger, schöner eine Seele, desto vertrauter mit den andern glükli­ chen Leben, die man seelenlos nennt. Hyperion an Bellarmin. Tausendmal hab’ ich in meiner Herzensfreude gelacht über die Menschen, die sich einbilden, ein erhabner Geist könne un­ möglich wissen, wie man ein Gemüße bereitet. Diotima konn­ te wohl zur rechten Zeit recht herzhaft von dem Feuerheerde sprechen, und es ist gewiß nichts edler, als ein edles Mädchen, das die allwohlthätige Flamme besorgt, und, ähnlich der Natur, die herzerfreuende Speise bereitet. Hyperion an Bellarmin.

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Was ist alles künstliche Wissen in der Welt, was ist die ganze stolze Mündigkeit der menschlichen Gedanken gegen die un­ gesuchten Töne dieses Geistes, der nicht wußte, was er wußte, was er war? Wer will die Traube nicht lieber voll und frisch, so wie sie aus der Wurzel quoll, als die getrokneten gepfükten Beere, die der Kaufmann in die Kiste preßt und in die Welt schikt? Was ist die Weisheit eines Buchs gegen die Weisheit eines Engels? | Sie schien immer so wenig zu sagen, und sagte so viel. Ich geleitete sie einst in später Dämmerung nach Hause; wie Träume, beschlichen thauende Wölkchen die Wiese, wie lau­ schende Genien, sahn die seeligen Sterne durch die Zweige.

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È del resto una certezza eterna e risaputa: quanto più un’anima è bella e innocente, tanto più ha familiarità con le vite felici degli esseri che noi chiamiamo inani­ mati.147 iperione a Bellarmino Mille volte ho riso, con la gioia nel cuore, di quegli uomi­ ni che sono convinti che uno spirito sublime non possa assolutamente sapere come si cuoce la verdura. A tempo debito, Diotima sapeva parlare con entusiasmo della cuci­ na, e non c’è certamente nulla di più nobile di una nobile fanciulla che accudisce la benefca famma e, simile alla natura, prepara il cibo che rallegra il cuore. iperione a Bellarmino Che cos’è tutto il sapere acquisito del mondo, tutta la pre­ suntuosa maturità del pensiero umano in confronto alle note spontanee di quello spirito che non sapeva ciò che sapeva, ciò che era? Chi non preferisce avere il grappolo maturo e fresco, direttamente dalla pianta, piuttosto che degli acini raccolti e seccati, pressati dal mercante in una cesta e spediti in giro per il mondo? Che cos’è la saggezza di un libro in confronto alla saggezza di un angelo? | Sembrava sempre dire così poco, eppure diceva così tanto. Una volta la accompagnai a casa a tarda sera; come so­ gni, nuvolette di umidità si aggiravano sul prato, le stelle occhieggiavano beate fra i rami come geni in ascolto.

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Man hörte selten ein »wie schön!« aus ihrem Munde, wenn schon das fromme Herz kein lispelnd Blatt, kein Rieseln einer Quelle unbehorcht ließ. Dißmal sprach sie es denn doch mir aus – wie schön! Es ist wohl uns zuliebe so! sagt’ ich, ungefähr, wie Kinder etwas sagen, weder im Scherze noch im Ernste. Ich kann mir denken, was du sagst, erwiederte sie; ich den­ ke mir die Welt am liebsten, wie ein häuslich Leben, wo jedes, ohne gerade dran zu denken, sich in’s andre schikt, und wo man sich einander zum Gefallen und zur Freude lebt, weil es eben so vom Herzen kömmt. Froher erhabner Glaube! rief ich. Sie schwieg eine Weile. Auch wir sind also Kinder des Hauses, begann ich endlich wieder, sind es und werden es seyn. Werden ewig es seyn, erwiederte sie. Werden wir das? fragt’ ich. Ich vertraue, fuhr sie fort, hierinnen der Natur, so wie ich täglich ihr vertraue. O ich hätte mögen Diotima seyn, da sie diß sagte! Aber du weißt nicht, was sie sagte, mein Bellarmin! Du hast es nicht gesehn und nicht gehört. Du hast Recht, rief ich ihr zu; die ewige Schönheit, die Na­ tur leidet keinen Verlust in sich, so wie sie keinen Zusaz leidet. Ihr Schmuk ist morgen anders, als er heute war; aber unser Bestes, uns, uns kann sie nicht entbehren und dich am wenigs­ ten. Wir glauben, daß wir ewig sind, denn unsere Seele fühlt die Schönheit der Natur. Sie ist ein Stükwerk, ist die Göttliche, die Vollendete nicht, wenn jemals du in ihr vermißt wirst. Sie verdient dein Herz nicht, wenn sie erröthen muß vor deinen Hoffnungen. |

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La si udiva raramente esclamare «che bello!», anche se il cuore devoto non tralasciava di prestare ascolto al fru­ scio di ogni foglia, a ogni mormorio dell’acqua. Ma questa volta lo disse... «Che bello!» «È così per noi!» dissi come fanno i bambini quando parlano un po’ per scherzo, un po’ sul serio. «Immagino cosa intendi», mi rispose; «mi piace imma­ ginarmi il mondo come la vita di una famiglia dove cia­ scuno si adatta all’altro senza bisogno di pensarci, dove si vive per il piacere e per la gioia dell’altro, perché viene spontaneamente dal cuore». «Felice, sublime pensiero!» esclamai. Tacque per un certo tempo. «Anche noi, quindi, facciamo parte di quella fami­ glia?», ripresi infne, «ne facciamo e ne faremo parte?» «Ne faremo parte per sempre», replicò. «Davvero?» chiesi. «In questo mi affdo alla natura», proseguì, «proprio come mi affdo a lei ogni giorno». Oh, avrei voluto essere Diotima, nel momento in cui lo disse! Ma tu non puoi sapere che cos’ha detto, caro Bellar­ mino, non l’hai vista e non l’hai sentita. «Hai ragione», risposi, «la bellezza eterna, la natura non soffre alcuna perdita, né alcun incremento. I suoi or­ namenti domani saranno diversi da quelli di oggi, ma della cosa migliore, di noi non può fare a meno, e di te meno che mai. Crediamo di essere eterni perché la nostra anima percepisce la bellezza della natura, ma non sarebbe un’o­ pera d’arte, non sarebbe divina né perfetta se tu dovessi mai venirle a mancare.148 Non merita il tuo cuore, se arros­ sisce davanti alle tue speranze». |

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Hyperion an Bellarmin. So bedürfnißlos, so göttlichgenügsam hab’ ich nichts gekannt. Wie die Wooge des Oceans das Gestade seeliger Inseln, so umfuthete mein ruheloses Herz den Frieden des himmlischen Mädchens. Ich hatt’ ihr nichts zu geben, als ein Gemüth voll wilder Wi­ dersprüche, voll blutender Erinnerungen, nichts hatt’ ich ihr zu geben, als meine gränzenlose Liebe mit ihren tausend Sorgen, ihren tausend tobenden Hoffnungen; sie aber stand vor mir in wandelloser Schönheit, mühelos, in lächelnder Vollendung da, und alles Sehnen, alles Träumen der Sterblichkeit, ach! alles, was in goldnen Morgenstunden von höhern Regionen der Ge­ nius weissagt, es war alles in dieser Einen stillen Seele erfüllt. Man sagt sonst, über den Sternen verhalle der Kampf, und künftig erst, verspricht man uns, wenn unsre Hefe gesunken sei, verwandle sich in edeln Freudenwein das gährende Leben, die Herzensruhe der Seeligen sucht man sonst auf dieser Erde nirgends mehr. Ich weiß es anders. Ich bin den nähern Weg gekommen. Ich stand vor ihr, und hört’ und sah den Frieden des Himmels, und mitten im seufzenden Chaos erschien mir Urania. Wie oft hab’ ich meine Klagen vor diesem Bilde gestillt! wie oft hat sich das übermüthige Leben und der strebende Geist besänftigt, wenn ich, in seelige Betrachtungen versunken, ihr in’s Herz sah, wie man in die Quelle siehet, wenn sie still erbebt von den Berührungen des Himmels, der in Silbertropfen auf sie niederträufelt! Sie war mein Lethe, diese Seele, mein heiliger Lethe, woraus ich die Vergessenheit des Daseyns trank, daß ich vor ihr stand, wie ein Unsterblicher, und freudig mich schalt, und wie nach

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iperione a Bellarmino Non ho mai conosciuto nessuno che fosse così privo di esigenze, che bastasse così divinamente a se stesso.149 Come le onde dell’oceano lambiscono le spiagge di iso­ le felici, così il mio cuore inquieto lambiva la pace della celestiale fanciulla. Non avevo nulla da offrirle se non un animo pieno di selvagge contraddizioni, pieno di ricordi sanguinanti; nul­ la avevo da offrirle se non il mio amore sconfnato con le sue mille pene, le sue mille speranze folli. Lei invece era davanti a me in una bellezza immutabile, senza affanno, in una perfezione sorridente, e tutti i desideri, tutti i sogni degli uomini, oh, tutto ciò che dalle regioni più alte il ge­ nio profetizza nelle ore dorate dell’alba, tutto si compiva in quell’anima unica e quieta. Si dice di solito che la battaglia si spegne oltre le stelle, e solo in seguito, ci è stato promesso, dopo che il nostro lievito si è consumato, la vita che fermenta si tramuterà nel nobile vino di gioia; la pace del cuore dei beati non la si cerca più da nessuna parte su questa terra. Io so che non è così. Io ho seguito la via più breve. Ero lì davanti a lei, vedevo e sentivo la pace celeste, e nel mezzo del caos che gemeva mi apparve Urania.150 Quante volte ho placato i miei lamenti davanti a quell’immagine! Quante volte la vita arrogante e lo spiri­ to smanioso si sono ammansiti quando, sprofondato nel­ la beata contemplazione, guardavo nel suo cuore come si guarda in una sorgente che sussulta quieta ai tocchi del cielo che si riversa in lei con gocce d’argento. Era il mio Lete, quell’anima, il sacro Lete dal quale suggevo l’oblio dell’esistenza, tanto che davanti a lei mi sentivo un immortale e mi rimproveravo gioioso, e come

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schweren Träumen lächeln mußte über alle Ketten, die mich gedrükt. O ich wär’ ein glüklicher, ein treficher Mensch geworden mit ihr! Mit ihr! aber das ist mislungen, und nun irr’ ich herum in dem, was vor und in mir ist, und drüber hinaus, und weiß nicht, was ich machen soll aus mir und andern Dingen. Meine Seele ist, wie ein Fisch aus ihrem Elemente auf den | Ufersand geworfen, und windet sich und wirft sich umher, bis sie vertroknet in der Hizze des Tags. Ach! gäb’ es nur noch etwas in der Welt für mich zu thun! gäb’ es eine Arbeit, einen Krieg für mich, das sollte mich erquiken! Knäblein, die man von der Mutterbrust gerissen und in die Wüste geworfen, hat einst, so sagt man, eine Wölfn gesäugt. Mein Herz ist nicht so glüklich. Hyperion an Bellarmin. Ich kann nur hie und da ein Wörtchen von ihr sprechen. Ich muß vergessen, was sie ganz ist, wenn ich von ihr sprechen soll. Ich muß mich täuschen, als hätte sie vor alten Zeiten gelebt, als wüßt’ ich durch Erzählung einiges von ihr, wenn ihr lebendig Bild mich nicht ergreiffen soll, daß ich vergehe im Entzüken und im Schmerz, wenn ich den Tod der Freude über sie und den Tod der Trauer um sie nicht sterben soll. Hyperion an Bellarmin. Es ist umsonst; ich kann’s mir nicht verbergen. Wohin ich auch entfiehe mit meinen Gedanken, in die Himmel hinauf und in den Abgrund, zum Anfang und an’s Ende der Zeiten, selbst

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dopo un brutto sogno sorridevo di tutte le catene che mi avevano oppresso. Oh, sarei diventato un uomo felice, un uomo migliore con lei! Con lei! Ma non ci sono riuscito, e ora vago tra ciò che è in me, ciò che è davanti a me e oltre ancora, e non so cosa fare di me né di tutto il resto.151 La mia anima è come un pesce scaraventato fuori dal suo elemento | sulla sabbia della spiaggia, che si contorce e si dibatte fnché non dissecca nella calura del giorno. Ah, ci fosse ancora qualcosa da fare per me nel mondo! Ci fosse un compito per me, una guerra, sarebbe un sollievo. Dei lattanti, strappati dal seno della madre e abbando­ nati nel deserto, sono stati, si dice, allattati da una lupa.152 Il mio cuore non è così fortunato. iperione a Bellarmino Posso dire qualcosa di lei solo ogni tanto. Devo dimenti­ care com’è nel suo insieme, per poter parlare di lei. Devo ingannare me stesso, far fnta che sia vissuta in un’epoca remota, come se sapessi qualcosa di lei solo per sentito dire, in modo che la sua immagine vivida non mi afferri facendomi struggere nell’estasi e nel dolore ogni volta che devo morire di gioia per lei e di tristezza con lei.153 iperione a Bellarmino Non serve, non posso nascondermelo. Dovunque fugga con il pensiero, nei cieli o negli abissi, all’inizio o alla fne del tempo, anche se mi gettassi tra le braccia di colui che

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wenn ich ihm, der meine lezte Zufucht war, der sonst noch jede Sorge in mir verzehrte, der alle Lust und allen Schmerz des Lebens sonst mit der Feuerfamme, worinn er sich offenbahrte, in mir versengte, selbst wenn ich ihm mich in die Arme werfe, dem herrlichen geheimen Geiste der Welt, in seine Tiefe mich tauche, wie in den bodenlosen Ocean hinab, auch da, auch da fnden die süßen Schreken mich aus, die süßen verwirrenden tödtenden Schreken, daß Diotimas Grab mir nah ist. Hörst du? hörst du? Diotimas Grab! Mein Herz war doch so stille geworden, und meine Liebe war begraben mit der Todten, die ich liebte. | Du weist, mein Bellarmin! ich schrieb dir lange nicht von ihr, und da ich schrieb, so schrieb ich dir gelassen, wie ich meine. Was ist’s denn nun? Ich gehe ans Ufer hinaus und sehe nach Kalaurea, wo sie ruhet, hinüber, das ist’s. O daß ja keiner den Kahn mir leihe, daß ja sich keiner erbar­ me und mir sein Ruder biete und mir hinüberhelfe zu ihr! Daß ja das gute Meer nicht ruhig bleibe, damit ich nicht ein Holz mir zimmre und hinüberschwimme zu ihr. Aber in die tobende See will ich mich werfen, und ihre Wooge bitten, daß sie an Diotimas Gestade mich wirft! – Lieber Bruder! ich tröste mein Herz mit allerlei Phantasien, ich reiche mir manchen Schlaftrank; und es wäre wohl größer, sich zu befreien auf immer, als sich zu behelfen mit Palliativen; aber wem geht’s nicht so? Ich bin denn doch damit zufrieden. Zufrieden? ach das wäre gut! da wäre ja geholfen, wo kein Gott nicht helfen kann. Nun! nun! ich habe, was ich konnte, gethan! ich fodre von dem Schiksaal meine Seele.

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era il mio ultimo rifugio, che in genere dissipava in me ogni timore, che estingueva tutto il piacere e il dolore della vita con la famma di fuoco in cui si manifestava: anche se mi gettassi tra le braccia del maestoso, misterioso spirito del mondo,154 anche se mi inabissassi nelle sue profondità come nell’oceano senza fondo, anche là mi scoverebbe il dolce orrore, quel dolce orrore che mi turba e mi uccide, quando sono vicino alla tomba di Diotima. Capisci? Capisci? La tomba di Diotima! Il mio cuore era divenuto così quieto, e il mio amore era sepolto con la defunta che amavo. | Lo sai, Bellarmino, per lungo tempo non ti scrissi di lei, e quando l’ho fatto ero tranquillo, almeno credo. Che cosa succede ora? Vado sulla spiaggia e guardo verso Calauria, laggiù dove lei riposa, ecco che cosa succede. No, che nessuno mi presti una barca, che nessuno si im­ pietosisca e mi offra un remo per aiutarmi a raggiungerla! Che il buon mare non rimanga calmo, affnché io non possa usare un legno per nuotare fn da lei. Ma mi butterei anche nel mare in tempesta e suppliche­ rei le onde di scagliarmi sulla spiaggia di Diotima! Caro fratello, consolo il mio cuore con ogni sorta di fantasie, mi somministro qualche sonnifero; e sarebbe cer­ to più nobile liberarsi per sempre piuttosto che acconten­ tarsi di palliativi, ma a chi non capita? Io mi accontento. Accontentarsi? Sarebbe bello! Sarebbe un rimedio dove nemmeno un dio può rimediare. Va bene, va bene, ho fatto quello che potevo! Ora pre­ tendo dal destino la mia anima.

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War sie nicht mein, ihr Schwestern des Schiksaals, war sie nicht mein? Die reinen Quellen fodr’ ich auf zu Zeugen, und die un­ schuldigen Bäume, die uns belauschten, und das Tagslicht und den Aether! war sie nicht mein? vereint mit mir in allen Tönen des Lebens? Wo ist das Wesen, das, wie meines, sie erkannte? in wel­ chem Spiegel sammelten sich, so wie in mir, die Stralen dieses Lichts? erschrak sie freudig nicht vor ihrer eignen Herrlichkeit, da sie zuerst in meiner Freude sich gewahr ward? Ach! wo ist das Herz, das so, wie meines, überall ihr nah war, so, wie mei­ nes, sie erfüllte und von ihr erfüllt war, das so einzig da war, ihres zu umfangen, wie die Wimper für das Auge da ist. Wir waren Eine Blume nur, und unsre Seelen lebten in ein­ ander, | wie die Blume, wenn sie liebt, und ihre zarten Freuden im verschloßnen Kelche verbirgt. Und doch, doch wurde sie, wie eine angemaaste Krone, von mir gerissen und in den Staub gelegt? Hyperion an Bellarmin. Eh’ es eines von uns beeden wußte, gehörten wir uns an. Wenn ich so, mit allen Huldigungen des Herzens, seelig überwunden, vor ihr stand, und schwieg, und all mein Leben sich hingab in den Stralen des Augs, das sie nur sah, nur sie umfaßte, und sie dann wieder zärtlich zweifelnd mich betrach­ tete, und nicht wußte, wo ich war mit meinen Gedanken, wenn ich oft, begraben in Lust und Schönheit, bei einem reizenden Geschäfte sie belauschte, und um die leiseste Bewegung, wie die Biene um die schwanken Zweige, meine Seele schweift’ und fog, und wenn sie dann in friedlichen Gedanken gegen mich

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iperione a Bellarmino Non era forse mia, sorelle del destino,155 non era forse mia? Chiamo a testimoni le limpide sorgenti e gli alberi innocenti che ci ascoltavano, e la luce del giorno, e l’etere! Non era forse mia, unita a me in tutti gli accordi della vita? Dov’è l’essere che l’ha conosciuta come me? In quale specchio convergevano, come in me, i raggi di quella luce? Non si è spaventata del suo stesso splendore quando, con gioia, ne è divenuta consapevole per la prima volta grazie alla mia gioia? Ah, dov’è il cuore che le era vicino dovun­ que come il mio, che la appagava come il mio ed era ap­ pagato da lei come il mio, che esisteva unicamente per ab­ bracciare il suo come le ciglia esistono solo per l’occhio? Eravamo un solo fore e le nostre anime vivevano l’una nell’altra | come il bocciolo quando ama e nasconde le sue tenere gioie nel calice socchiuso. Eppure, eppure mi è stata strappata e gettata nella pol­ vere come una corona usurpata. iperione a Bellarmino Prima ancora che ce ne accorgessimo, ci appartenevamo. Quando mi trovavo davanti a lei con tutta la devozione del cuore, e tacevo sopraffatto dalla felicità, mentre tutta la mia vita si riversava negli sguardi che vedevano soltanto lei, abbracciavano soltanto lei, e lei mi osservava tenera­ mente perplessa, non sapendo dove mi portavano i miei pensieri; spesso, sopraffatto dal piacere e dalla bellezza, quando la spiavo indaffarata e affascinante, e a ogni suo minimo movimento la mia anima aleggiava e volava come l’ape intorno ai giovani rami, e quando lei, assorta in pa­

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sich wandt’, und, überrascht von meiner Freude, meine Freu­ de sich verbergen mußt’, und bei der lieben Arbeit ihre Ruhe wieder sucht’ und fand – Wenn sie, wunderbar allwissend, jeden Wohlklang, jeden Mislaut in der Tiefe meines Wesens, im Momente, da er be­ gann, noch eh’ ich selbst ihn wahrnahm, mir enthüllte, wenn sie jeden Schatten eines Wölkchens auf der Stirne, jeden Schatten einer Wehmuth, eines Stolzes auf der Lippe, jeden Funken mir im Auge sah, wenn sie die Ebb’ und Fluth des Herzens mir be­ horcht’ und sorgsam trübe Stunden ahnete, indeß mein Geist zu unenthaltsam, zu verschwenderisch im üppigen Gespräche sich verzehrte, wenn das liebe Wesen, treuer, wie ein Spiegel, jeden Wechsel meiner Wange mir verrieth, und oft in freundli­ chen Bekümmernissen über mein unstet Wesen mich ermahnt’ und strafte, wie ein theures Kind – Ach! da du einst, Unschuldige, an den Fingern die Treppen zähltest, von unsrem Berge herab zu deinem Hause, da du deine Spaziergänge mir wiesest, die Pläze, wo du sonst gesessen, und mir | erzähltest, wie die Zeit dir da vergangen, und mir am Ende sagtest, es sei dir jezt, als wär’ ich auch von jeher dagewesen – Gehörten wir da nicht längst uns an? Hyperion an Bellarmin. Ich baue meinem Herzen ein Grab, damit es ruhen möge; ich spinne mich ein, weil überall es Winter ist; in seeligen Erinne­ rungen hüll’ ich vor dem Sturme mich ein. Wir saßen einst mit Notara – so hieß der Freund, bei dem ich lebte – und einigen andern, die auch, wie wir, zu den Son­ derlingen in Kalaurea gehörten, in Diotimas Garten, unter blü­

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cifci pensieri, si voltava verso di me ed era sorpresa dalla mia gioia tanto che la dovevo nascondere, e lei cercava e trovava di nuovo la pace nelle sue care occupazioni... Quando lei, meravigliosamente onnisciente, mi rivelava ogni nota e ogni stonatura nel profondo del mio essere nel momento stesso in cui emergeva, ancora prima che io la percepissi; quando scorgeva l’ombra di una nuvoletta sul­ la mia fronte, ogni accenno di nostalgia o di orgoglio sulle labbra, ogni scintilla negli occhi, quando ascoltava attenta l’alta e la bassa marea del cuore e intuiva preoccupata ore tristi, mentre il mio spirito troppo sfrenato e prodigo si consumava in eccessivi discorsi; quando la cara creatura, più fedele di uno specchio, mi rivelava ogni cambiamento del mio volto, e mi ammoniva e mi sgridava per la mia irrequietezza con gentile sollecitudine, come si fa con un caro bambino... Tu che, innocente, una volta hai contato sulle dita i gra­ dini dalla cima del nostro monte alla tua casa, tu che mi mostravi le tue passeggiate, i luoghi dove sedevi e mi | rac­ contavi come passavi il tempo, e alla fne mi dicesti che era come se anch’io fossi stato là da sempre... Non ci appartenevamo allora già da lungo tempo?156 iperione a Bellarmino Costruisco una tomba per il mio cuore, affnché possa ri­ posare; mi rinchiudo in un bozzolo, perché dappertutto è inverno; mi riparo dalla tempesta avvolgendomi nei ricor­ di felici. Una volta sedevo con Notara – così si chiamava l’a­ mico presso il quale abitavo – e alcuni altri che, come noi, erano tra i solitari di Calauria, nel giardino di Dioti­

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henden Mandelbäumen, und sprachen unter andrem über die Freundschaft. Ich hatte wenig mitgesprochen, ich hütete mich seit einiger Zeit, viel Worte zu machen von Dingen, die das Herz zunächst angehn, meine Diotima hatte mich so einsylbig gemacht – Da Harmodius und Aristogiton lebten, rief endlich einer, da war noch Freundschaft in der Welt. Das freute mich zu sehr, als daß ich hätte schweigen mögen. Man sollte dir eine Krone fechten um dieses Wortes wil­ len! rief ich ihm zu; hast du denn wirklich eine Ahnung davon, hast du ein Gleichniß für die Freundschaft des Aristogiton und Harmodius? Verzeih mir! Aber beim Aether! man muß Aris­ togiton seyn, um nachzufühlen, wie Aristogiton liebte, und die Blize durfte wohl der Mann nicht fürchten, der geliebt seyn wollte mit Harmodius Liebe, denn es täuscht mich alles, wenn der furchtbare Jüngling nicht mit Minos Strenge liebte. Wenige sind in solcher Probe bestanden, und es ist nicht leichter, eines Halbgotts Freund zu seyn, als an der Götter Tische, wie Tanta­ lus, zu sizen. Aber es ist auch nichts herrlicheres auf Erden, als wenn ein stolzes Paar, wie diese, so sich unterthan ist. Das ist auch meine Hoffnung, meine Lust in einsamen Stun­ den, daß solche große Töne und größere einst wiederkehren müssen in der Symphonie des Weltlaufs. Die Liebe gebahr Jahrtausende voll lebendiger Menschen; die Freundschaft wird sie wiedergebähren. | Von Kinderharmonie sind einst die Völ­ ker ausgegangen, die Harmonie der Geister wird der Anfang einer neuen Weltgeschichte seyn. Von Pfanzenglük begannen die Menschen und wuchsen auf, und wuchsen, bis sie reiften; von nun an gährten sie unaufhörlich fort, von innen und außen, bis jezt das Menschengeschlecht, unendlich aufgelöst, wie ein

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ma, sotto i mandorli in fore, e parlavamo tra le altre cose dell’amicizia. Avevo partecipato poco alla conversazione, da qualche tempo mi trattenevo dal dire troppo su cose che riguarda­ vano in primo luogo il cuore, la mia Diotima mi aveva reso taciturno... «Ai tempi di Armodio e Aristogitone», disse infne uno, «esisteva ancora l’amicizia nel mondo».157 Mi rallegrai troppo per poter rimanere in silenzio. «Bisognerebbe intrecciarti una corona per questa fra­ se!» osservai; «hai veramente idea di come fosse, puoi far­ ci un paragone per l’amicizia di Aristogitone e Armodio? Perdonami ma, per il cielo, bisogna essere Aristogitone per sapere come Aristogitone amava, e non dovrebbe te­ mere nemmeno il fulmine l’uomo che vuole essere amato con l’amore di Armodio perché, se non mi sbaglio, quel giovane temibile amava con il rigore di Minosse.158 Pochi hanno superato quella prova, ed essere amici di un semi­ dio non è più facile che sedere alla tavola degli dei, come Tantalo.159 Ma non c’è nulla di più meraviglioso sulla terra di una coppia di giovani orgogliosi come quelli, ma anche così sottomessi l’uno all’altro.160 Questa è anche la mia speranza, il mio conforto nelle ore solitarie, che note nobili come quelle, o ancora più nobili, dovranno prima o poi tornare nella sinfonia del mondo. L’amore ha partorito millenni ricchi di uomini autentici, l’amicizia li partorirà di nuovo. | Dall’armonia dell’infanzia hanno avuto un tempo origine i popoli, l’ar­ monia degli spiriti segnerà l’inizio di una nuova storia del mondo. Dalla felicità vegetale sono scaturiti gli uomini e sono cresciuti, cresciuti fno alla maturazione; da allora in poi continuarono a fermentare incessantemente, all’inter­ no e all’esterno, fnché il genere umano, completamente

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Chaos daliegt, daß alle, die noch fühlen und sehen, Schwindel ergreift; aber die Schönheit füchtet aus dem Leben der Men­ schen sich herauf in den Geist; Ideal wird, was Natur war, und wenn von unten gleich der Baum verdorrt ist und verwittert, ein frischer Gipfel ist noch hervorgegangen aus ihm, und grünt im Sonnenglanze, wie einst der Stamm in den Tagen der Ju­ gend; Ideal ist, was Natur war. Daran, an diesem Ideale, dieser verjüngten Gottheit, erkennen die Wenigen sich und Eins sind sie, denn es ist Eines in ihnen, und von diesen, diesen beginnt das zweite Lebensalter der Welt – ich habe genug gesagt, um klar zu machen, was ich denke. Da hättest du Diotima sehen sollen, wie sie aufsprang und die beeden Hände mir reichte und rief: ich hab’ es verstanden, Lieber, ganz verstanden, so viel es sagt. Die Liebe gebahr die Welt, die Freundschaft wird sie wieder gebähren. O dann, ihr künftigen, ihr neuen Dioskuren, dann weilt ein wenig, wenn ihr vorüberkömmt, da, wo Hyperion schläft, weilt ahnend über des vergeßnen Mannes Asche, und sprecht: er wäre, wie unser einer, wär’ er jezt da. Das hab’ ich gehört, mein Bellarmin! das hab’ ich erfahren, und gehe nicht willig in den Tod? Ja, ja! ich bin vorausbezahlt, ich habe gelebt. Mehr Freude konnt’ ein Gott ertragen, aber ich nicht. Hyperion an Bellarmin.

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Frägst du, wie mir gewesen sei um diese Zeit? Wie einem, der alles verloren hat, um alles zu gewinnen. Oft kam ich freilich von Diotimas Bäumen, wie ein | Sieges­ trunkner, oft mußt’ ich eilends weg von ihr, um keinen meiner Gedanken zu verrathen; so tobte die Freude in mir, und der

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disciolto, si è ridotto a un caos, tanto che tutti quelli che ancora sentono e vedono sono presi da vertigine;161 ma la bellezza è fuggita dalla vita degli uomini, su nello spirito; ciò che era natura diviene ideale, e se alle radici l’albero è seccato e avvizzito, in alto ha prodotto ancora una cima fresca che verdeggia al sole, come una volta il tronco ai tempi della giovinezza; ciò che era natura è ideale.162 In questo ideale, in questa divinità ringiovanita, si riconosco­ no quei pochi, e sono uniti perché c’è una sola cosa in loro, e da questi, da questi inizierà la seconda età del mon­ do... Ho detto abbastanza per farvi capire come la penso». Avresti dovuto vedere Diotima, come saltò in piedi ten­ dendomi le mani ed esclamò: «io l’ho capito, mio caro, ho capito bene quello che signifca. L’amore ha partorito il mondo, l’amicizia lo partorirà una seconda volta.163 E voi allora, uomini futuri, nuovi Dioscuri, indugiate un istante se passate di qua, qua dove dorme Iperione, sof­ fermatevi presaghi sulle ceneri di quest’uomo dimenticato e dite: se fosse qui, sarebbe uno di noi». Questo ho sentito, Bellarmino mio, questo ho speri­ mentato, e non vado volentieri a morire? Sì, sì, ho avuto la mia paga in anticipo, ho vissuto.164 Solo un dio potrebbe sopportare una gioia maggiore, non io. iperione a Bellarmino Vuoi sapere come mi sentivo in quel periodo? Come uno che ha perso tutto per poi vincere tutto. Spesso tornavo dagli alberi di Diotima come un uomo | ebbro di vittoria, spesso dovevo allontanarmi da lei in fret­ ta per non rivelare i miei pensieri; così tanto impazzavano

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Stolz, der allbegeisternde Glaube, von Diotima geliebt zu seyn. Dann sucht’ ich die höchsten Berge mir auf und ihre Lüfte, und wie ein Adler, dem der blutende Fittig geheilt ist, regte mein Geist sich im Freien, und dehnt’, als wäre sie sein, über die sichtbare Welt sich aus; wunderbar! es war mir oft, als läu­ terten sich und schmelzten die Dinge der Erde, wie Gold, in meinem Feuer zusammen, und ein Göttliches würde aus ihnen und mir, so tobte in mir die Freude; und wie ich die Kinder aufhub und an mein schlagendes Herz sie drükte, wie ich die Pfanzen grüßte und die Bäume! Einen Zauber hätt’ ich mir wünschen mögen, die scheuen Hirsche und all’ die wilden Vö­ gel des Walds, wie ein häuslich Völkchen, um meine freigebi­ gen Hände zu versammeln, so seelig thöricht liebt’ ich alles! Aber nicht lange, so war das alles, wie ein Licht, in mir er­ loschen, und stumm und traurig, wie ein Schatte, saß ich da und suchte das entschwundne Leben. Klagen mocht’ ich nicht und trösten mocht’ ich mich auch nicht. Die Hoffnung warf ich weg, wie ein Lahmer, dem die Krüke verlaidet ist; des Weinens schämt’ ich mich; ich schämte mich des Daseyns überhaupt. Aber endlich brach denn doch der Stolz in Thränen aus, und das Leiden, das ich gerne verläugnet hätte, wurde mir lieb, und ich legt’ es, wie ein Kind, mir an die Brust. Nein, rief mein Herz, nein, meine Diotima! es schmerzt nicht. Bewahre du dir deinen Frieden und laß mich meinen Gang gehn. Laß dich in deiner Ruhe nicht stören, holder Stern! wenn unter dir es gährt und trüb ist. O laß dir deine Rose nicht blaichen, seelige Götterjugend! Laß in den Kümmernissen der Erde deine Schöne nicht altern. Das ist ja meine Freude, süßes Leben! daß du in dir den sor­ genfreien Himmel trägst. Du sollst nicht dürftig werden, nein, nein! du sollst in dir die Armuth der Liebe nicht sehn.

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in me la gioia e l’orgoglio, e la certezza entusiasmante di essere amato da Diotima. Allora mi cercavo i monti più alti e le loro brezze, e come un’aquila a cui è guarita l’ala ferita, il mio spirito si librava nel cielo aperto e si dispiegava a perdita d’occhio come se tutto ciò che vedeva gli appartenesse; meraviglioso! Spesso era come se le cose della terra si fondessero e si purifcasse­ ro come oro nel mio fuoco, e come se da loro e da me scatu­ risse poi il divino, tanto impazzivo di gioia; come sollevavo i bambini e me li stringevo al cuore, come salutavo le piante e gli alberi! Avrei desiderato poter fare un incantesimo e raccogliere intorno alle mie mani generose i timidi cervi e tutti gli uccelli del bosco come fossero i bimbi di casa, tanto amavo tutte le cose nella mia beata follia! Ma non durò a lungo e tutto ciò si spense in me come una luce, e allora sedevo muto e triste come un’ombra cercando la vita dissolta. Di lamentarmi non mi andava, ma nemmeno di consolarmi. Gettai via la speranza come uno storpio stufo della stampella; mi vergognavo di pian­ gere, mi vergognavo di esistere in generale. Ma alla fne l’orgoglio si sciolse in lacrime, e il dolore che avrei voluto ripudiare mi divenne caro e me lo strinsi al cuore come un bimbo. No, gridava il mio cuore, no, Diotima mia, non soffro. Conserva tu piuttosto la pace e lascia che io vada per la mia strada. Stella soave, non lasciarti turbare se sotto di te tutto è torbido e in fermento. Non lasciare che la tua rosa sbiadisca, gioventù divina e beata! Non lasciare che la tua bellezza invecchi per le preoccupazioni della terra. Questa sarà la mia gioia, vita mia, che tu abbia un cielo sereno dentro di te. Non devi impoverirti, no, non devi sperimentare in te la miseria dell’amore.165

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Und wenn ich dann wieder zu ihr hinabgieng – ich hätte das Lüftchen fragen mögen und dem Zuge der Wolken es ansehn, wie es mit mir seyn werde in einer Stunde! und wie es mich freu­ te, wenn irgend ein freundlich Gesicht mir auf dem Wege | begeg­ nete, und nur nicht gar zu troken sein »schönen Tag!« mir zurief! Wenn ein kleines Mädchen aus dem Walde kam und einen Erdbeerstraus mir zum Verkauffe reichte, mit einer Miene, als wollte sie ihn schenken, oder wenn ein Bauer, wo ich vo­ rübergieng, auf seinem Kirschbaum saß und pfükte, und aus den Zweigen herab mir rief, ob ich nicht eine Handvoll kosten möchte; das waren gute Zeichen für das abergläubische Herz! Stand vollends gegen den Weg her, wo ich herabkam, von Diotimas Fenstern eines offen, wie konnte das so wohlthun! Sie hatte vieleicht nicht lange zuvor herausgesehn. Und nun stand ich vor ihr, athemlos und wankend, und drükte die verschlungnen Arme gegen mein Herz, sein Zittern nicht zu fühlen, und, wie der Schwimmer aus reißenden Was­ sern hervor, rang und strebte mein Geist, nicht unterzugehn in der unendlichen Liebe. Wovon sprechen wir doch geschwind? konnt’ ich rufen, man hat oft seine Mühe, man kann den Stoff nicht fnden, die Gedanken daran vestzuhalten. Reißen sie wieder aus in die Luft? erwiederte meine Dioti­ ma. Du must ihnen Blei an die Flügel binden, oder ich will sie an einen Faden knüpfen, wie der Knabe den fiegenden Dra­ chen, daß sie uns nicht entgehn. Das liebe Mädchen suchte sich und mir durch einen Scherz zu helfen, aber es war wenig damit gethan. Ja, ja! rief ich, wie du willst, wie du es für gut hältst – soll ich vorlesen? Deine Laute ist wohl noch gestimmt von gestern – vorzulesen hab’ ich auch gerade nichts – Du hast schon mehr, als einmal, sagte sie, versprochen, mir zu erzählen, wie du gelebt hast, ehe wir uns kannten, möchtest du jezt nicht?

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E quando poi tornavo da lei... Avrei voluto chiedere al venticello e interrogare il passaggio delle nuvole, su che cosa sarebbe stato di me dopo un’ora! E come mi rallegravo se incontravo un volto amichevole lungo | la strada che mi augurava una bella giornata166 con un minimo di calore! Se una ragazzina tornando dal bosco mi offriva in ven­ dita un mazzetto di fragole, ma con l’aria di chi vorrebbe regalarlo, o se un contadino seduto su un ramo a raccoglie­ re ciliegie, vedendomi passare mi chiamava offrendomene una manciata da assaggiare, erano tutti buoni auspici per il cuore superstizioso. E se, nella direzione dalla quale arrivavo, una delle fne­ stre di Diotima era aperta, come mi rincuoravo! Magari aveva guardato fuori poco prima. Ed eccomi davanti a lei, barcollante e senza fato, che stringo le braccia conserte contro il cuore per non sen­ tirlo tremare, e come il nuotatore in acque impetuose, il mio spirito lotta e si protende per non affogare nell’amo­ re infnito. «Di che cosa parliamo adesso?» chiedevo talvolta, «spesso si fa fatica, non si trovano argomenti per fermare i pensieri». «Scappano di nuovo per l’aria?» mi rispondeva la mia Diotima. «Devi mettere loro il piombo sulle ali, oppure li legherò con un flo, come il bambino lega l’aquilone, per non farli scappare». La cara ragazza cercava di togliere me e lei dall’imba­ razzo con una battuta, ma serviva a poco. «Sì, sì, come vuoi, come preferisci... Devo leggerti qual­ cosa? Il tuo liuto è ancora accordato da ieri... Ma non ho niente da leggerti con me...» «Più di una volta hai promesso di raccontarmi come vivevi prima di conoscermi, non vorresti farlo ora?»

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Das ist wahr, erwiedert’ ich; mein Herz warf sich gerne auf das, und ich erzählt’ ihr nun, wie dir, von Adamas und meinen einsamen Tagen in Smyrna, von Alabanda und wie ich getrennt wurde von ihm, und von der unbegreifichen Krankheit meines Wesens, eh’ ich nach Kalaurea herüberkam – nun weißt du alles, sagt’ ich zu ihr gelassen, da ich zu Ende war, nun wirst du weni­ ger | dich an mir stoßen; nun wirst du sagen, sezt’ ich lächelnd hinzu, spottet dieses Vulkans nicht, wenn er hinkt, denn ihn ha­ ben zweimal die Götter vom Himmel auf die Erde geworfen. Stille, rief sie mit erstikter Stimme, und verbarg ihre Thrä­ nen in’s Tuch, o stille, und scherze über dein Schiksaal, über dein Herz nicht! denn ich versteh’ es und besser, als du. Lieber – lieber Hyperion! Dir ist wohl schwer zu helfen. Weißt du denn, fuhr sie mit erhöhter Stimme fort, weist du denn, woran du darbest, was dir einzig fehlt, was du, wie Alpheus seine Arethusa, suchst, um was du trauertest in aller deiner Trauer? Es ist nicht erst seit Jahren hingeschieden, man kann so genau nicht sagen, wenn es da war, wenn es weggieng, aber es war, es ist, in dir ist’s! Es ist eine bessere Zeit, die suchst du, eine schönere Welt. Nur diese Welt umarmtest du in deinen Freunden, du warst mit ihnen diese Welt. In Adamas war sie dir aufgegangen; sie war auch hingegan­ gen mit ihm. In Alabanda erschien dir ihr Licht zum zweiten­ male, aber brennender und heißer, und darum war es auch, wie Mitternacht, vor deiner Seele, da er für dich dahin war. Siehest du nun auch, warum der kleinste Zweifel über Ala­ banda zur Verzweifung werden mußt’ in dir? warum du ihn verstießest, weil er nur nicht gar ein Gott war? Du wolltest keine Menschen, glaube mir, du wolltest eine Welt. Den Verlust von allen goldenen Jahrhunderten, so wie du sie, zusammengedrängt in Einen glüklichen Moment, empfan­ dest, den Geist von allen Geistern beßrer Zeit, die Kraft von al­ len Kräften der Heroën, die sollte dir ein Einzelner, ein Mensch

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«È vero», risposi, il cuore si gettò a capoftto su quello e così le raccontai, come ho fatto con te,167 di Adamas e dei miei giorni solitari a Smirne, di Alabanda e di come ci se­ parammo, e dell’incomprensibile malattia del mio essere prima di venire a Calauria. «Ora sai tutto», dissi sollevato, una volta giunto al termine; «ora non ti irriterai | più così tanto con me; anzi», aggiunsi sorridendo, «ora dirai: non prendete in giro questo Vulcano, se zoppica, perché per due volte gli dei lo hanno gettato dal cielo sulla terra».168 «Zitto, zitto», esclamò con voce soffocata, nasconden­ do le lacrime nel grembiule; «non scherzare sul tuo desti­ no, né sul tuo cuore, perché li capisco, e meglio di te! Caro, caro Iperione! È diffcile aiutarti. Lo sai», proseguì con voce più ferma, «lo sai che cosa ti fa struggere così tanto, che cosa ti manca, che cosa cerchi come Alfeo la sua Aretusa,169 che cosa ti rattristava nella tua tristezza?170 Non se ne è andato da molti anni, non si può dire con certezza quando esisteva e quando se ne andò, ma era, è dentro di te! È un tempo migliore, quello cerchi, un mondo più bello. Quel mondo lo hai abbraccia­ to nei tuoi amici, tu eri quel mondo insieme a loro. Con Adamas ti si è rivelato; è anche scomparso con lui. Con Alabanda la sua luce ti apparve per la seconda volta, ma più ardente e calda, e per questo la tua anima si trovò immersa nella notte quando egli ti venne a mancare. Capisci ora perché anche il minimo dubbio su Alaban­ da doveva portarti alla disperazione, perché lo hai ripudia­ to? Perché non era in tutto e per tutto un dio. Tu non volevi uomini, credimi, tu volevi un mondo. La perdita di tutti i secoli d’oro così come tu li percepivi, compressi in un unico istante felice, lo spirito di tutti gli spiriti di un tempo migliore, la forza di tutte le forze degli eroi, tutto questo doveva dartelo un singolo, un uomo!

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ersezen! – Siehest du nun, wie arm, wie reich du bist? warum du so stolz seyn mußt und auch so niedergeschlagen? warum so schröklich Freude und Laid dir wechselt? Darum, weil du alles hast und nichts, weil das Phantom der goldenen Tage, die da kommen sollen, dein gehört, und doch nicht da ist, weil du ein Bürger bist in den Regionen der Ge­ rechtigkeit und Schönheit, ein Gott bist unter Göttern in den schönen Träumen, die am Tage dich beschleichen, und wenn du aufwachst, auf neugriechischem Boden stehst. Zweimal, sagtest du? o du wirst in Einem Tage siebzigmal vom | Himmel auf die Erde geworfen. Soll ich dir es sagen? Ich fürchte für dich, du hältst das Schiksaal dieser Zeiten schwer­ lich aus. Du wirst noch mancherlei versuchen, wirst – O Gott! und deine lezte Zufuchtsstätte wird ein Grab seyn. Nein, Diotima, rief ich, nein, beim Himmel, nein! So lange noch Eine Melodie mir tönt, so scheu ich nicht die Todtenstille der Wildniß unter den Sternen; so lange die Sonne nur scheint und Diotima, so giebt es keine Nacht für mich. Laß allen Tugenden die Sterbegloke läuten! ich höre ja dich, dich, deines Herzens Lied, du Liebe! und fnde unsterblich Le­ ben, indessen alles verlischt und welkt. O Hyperion, rief sie, wie sprichst du? »Ich spreche, wie ich muß. Ich kann nicht, kann nicht län­ ger all’ die Seeligkeit und Furcht und Sorge bergen – Diotima! – Ja du weist es, mußt es wissen, hast längst es gesehen, daß ich untergehe, wenn du nicht die Hand mir reichst.« Sie war betroffen, verwirrt. Und an mir, rief sie, an mir will sich Hyperion halten? ja, ich wünsch’ es, jezt zum erstenmale wünsch’ ich, mehr zu seyn, denn nur ein sterblich Mädchen. Aber ich bin dir, was ich seyn kann. O so bist du ja mir Alles, rief ich! »Alles? böser Heuchler! und die Menschheit, die du doch am Ende einzig liebst?«

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Vedi quindi come sei povero e come sei ricco, perché devi essere così orgoglioso e insieme così abbattuto, perché la gioia e il dolore si alternano in modo così terribile in te? È per questo, perché tu hai tutto e niente, perché il si­ mulacro dei giorni dorati che verranno ti appartiene, ep­ pure non esiste, perché tu sei cittadino delle regioni della giustizia e della bellezza, sei un dio in mezzo agli dei nei sogni più belli che si insinuano in te di giorno, ma quando ti riscuoti sei sul suolo della Grecia moderna. Due volte, hai detto? Ma tu vieni gettato settanta volte al giorno | dal cielo sulla terra. Vuoi saperlo? Ho paura per te, tu fai fatica a sopportare il destino del nostro tempo. Farai altri tentativi, cercherai... O Dio, e il tuo ultimo rifugio sarà la tomba». «No, Diotima, santo cielo, no!» esclamai. «Finché sen­ tirò in me il suono di una melodia, non eluderò il silenzio mortale della terra selvaggia sotto le stelle; fnché brille­ ranno il sole e Diotima, non ci sarà notte per me. Lascia rintoccare la campana da morto per tutte le vir­ tù, io ascolto te, te sola e il canto del tuo cuore, mia cara, e trovo vita immortale mentre tutto si spegne e appassisce». «O Iperione, che cosa stai dicendo?» «Dico quello che devo dire. Non posso, non posso più nascondere tutta la felicità, il timore e la pena... Diotima! Tu lo sai, non puoi non saperlo, lo hai capito già da tempo che io sprofondo se tu non mi tendi la mano». Era turbata, confusa. «E a me, a me vuole aggrapparsi Iperione? Davvero, ora per la prima volta desidero essere più che una ragazza mortale. Ma sarò per te quello che posso». «Tu sei tutto per me!» esclamai. «Tutto? Impostore che non sei altro! E l’umanità che alla fne è quella che ami di più?»

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Die Menschheit? sagt’ ich; ich wollte, die Menschheit mach­ te Diotima zum Loosungswort und mahlt’ in ihre Paniere dein Bild, und spräche: heute soll das Göttliche siegen! Engel des Himmels! das müßt’ ein Tag seyn! Geh, rief sie, geh, und zeige dem Himmel deine Verklärung! mir darf sie nicht so nahe seyn. Nicht wahr, du gehest, lieber Hyperion? Ich gehorchte. Wer hätte da nicht gehorcht? Ich gieng. So war ich noch niemals von ihr gegangen. O Bellarmin! das war Freude, Stille des Lebens, Götterruhe, himmlische, wunderba­ re, unerkennbare Freude. Worte sind hier umsonst, und wer nach einem Gleichniß von ihr fragt, der hat sie nie erfahren. Das Einzige, was eine solche Freude | auszudrüken vermochte, war Diotimas Ge­ sang, wenn er, in goldner Mitte, zwischen Höhe und Tiefe schwebte. O ihr Uferweiden des Lethe! ihr abendröthlichen Pfade in Elysiums Wäldern! ihr Lilien an den Bächen des Thals! ihr Ro­ senkränze des Hügels! Ich glaub’ an euch, in dieser freundli­ chen Stunde, und spreche zu meinem Herzen: dort fndest du sie wieder, und alle Freude, die du verlorst. Hyperion an Bellarmin. Ich will dir immer mehr von meiner Seeligkeit erzählen. Ich will die Brust an den Freuden der Vergangenheit versu­ chen, bis sie, wie Stahl, wird, ich will mich üben an ihnen, bis ich unüberwindlich bin. Ha! fallen sie doch, wie ein Schwerdtschlag, oft mir auf die Seele, aber ich spiele mit dem Schwerdte, bis ich es ge­ wohnt bin, ich halte die Hand in’s Feuer, bis ich es ertrage, wie Wasser.

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«L’umanità?» dissi, «vorrei che l’umanità facesse di Diotima la sua parola d’ordine e dipingesse il tuo volto sul suo stendardo, e dicesse: oggi deve vincere il divino! Angeli del cielo, quello sì che sarebbe un giorno!» «Vai, vai», disse, «e mostra al cielo la tua trasfgurazio­ ne! Io non posso vederla così da vicino. Ora andrai, vero Iperione caro?» Ubbidii. Chi non avrebbe ubbidito? Me ne andai. Non mi ero mai allontanato così da lei. Bellarmino, era gioia, quiete della vita, pace divina, gioia celestiale, meravigliosa, indicibile. Le parole sono inutili, e chi chiede di descriverla con un paragone, non l’ha mai sperimentata. L’unica cosa che poteva | esprimere una gioia simile era il canto di Dioti­ ma, quando vibrava nella zona intermedia tra gli acuti e i bassi. O voi salici sulle rive del Lete, voi sentieri arrossati dal tramonto nei boschi dell’Elisio, voi gigli lungo i torrenti della valle, corone di rose della collina!171 Io credo in voi, in quest’ora felice, e dico al mio cuore: là la ritroverai, in­ sieme a tutta la gioia che hai perso. iperione a Bellarmino Voglio raccontarti ancora della mia felicità. Voglio prendere di petto le gioie del passato fnché il petto non diventerà come acciaio, mi eserciterò con loro fno a diventare invincibile. Ah, spesso colpiscono la mia anima come un fenden­ te, ma io giocherò con la spada fno ad abituarmici, terrò la mano nel fuoco fnché non lo sopporterò come fosse acqua.

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Ich will nicht zagen; ja! ich will stark seyn! ich will mir nichts verhehlen, will von allen Seeligkeiten mir die seeligste aus dem Grabe beschwören. Es ist unglaublich, daß der Mensch sich vor dem Schönsten fürchten soll; aber es ist so. O bin ich doch hundertmal vor diesen Augenbliken, die­ ser tödtenden Wonne meiner Erinnerungen gefohen und habe mein Auge hinweggewandt, wie ein Kind von Blizen! und den­ noch wächst im üppigen Garten der Welt nichts lieblichers, wie meine Freuden, dennoch gedeiht im Himmel und auf Erden nichts edleres, wie meine Freuden. Aber nur dir, mein Bellarmin, nur einer reinen freien Seele, wie die deine ist, erzähl’ ich’s. So freigebig, wie die Sonne mit ihren Strahlen, will ich nicht seyn; meine Perlen will ich vor die alberne Menge nicht werfen. Ich kannte, seit dem lezten Seelengespräche, mit jedem Tage mich weniger. Ich fühlt’, es war ein heilig Geheimniß zwischen mir und Diotima. | Ich staunte, träumte. Als wär’ um Mitternacht ein seeliger Geist mir erschienen und hätte mich erkoren, mit ihm umzu­ gehn, so war es mir in der Seele. O es ist ein seltsames Gemische von Seeligkeit und Schwer­ muth, wenn es so sich offenbart, daß wir auf immer heraus sind aus dem gewöhnlichen Daseyn. Es war mir seitdem nimmer gelungen, Diotima allein zu sehn. Immer mußt’ ein Dritter uns stören, trennen, und die Welt lag zwi­ schen ihr und mir, wie eine unendliche Leere. Sechs todesbange Tage giengen so vorüber, ohne daß ich etwas wußte von Diotima. Es war, als lähmten die andern, die um uns waren, mir die Sin­ ne, als tödteten sie mein ganzes äußeres Leben, damit auf keinem Wege die verschlossene Seele sich hinüber helfen möchte zu ihr. Wollt’ ich mit dem Auge sie suchen, so wurd’ es Nacht vor mir, wollt’ ich mich mit einem Wörtchen an sie wenden, so er­ stikt’ es in der Kehle.

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Non indietreggerò; sì, sarò forte, non nasconderò nulla a me stesso, tra tutte le felicità voglio evocare dalla tomba la più felice. È inconcepibile che l’uomo abbia paura delle cose più belle, eppure è così. Io stesso sono fuggito cento volte davanti a questi atti­ mi, davanti all’estasi letale dei miei ricordi, e ho distolto gli occhi come un bimbo davanti al fulmine. Eppure nel rigoglioso giardino del mondo non cresce nulla di più de­ lizioso delle mie gioie, nel cielo e sulla terra non forisce nulla di più nobile delle mie gioie. Ma solo a te, Bellarmino, solo a un’anima pura e libera come la tua posso raccontarlo. Non voglio essere genero­ so come il sole con i suoi raggi; non voglio gettare le mie perle alla massa sciocca.172 Dopo l’ultimo colloquio fra le nostre anime, non ero più lo stesso. Sentivo che c’era un mistero sacro fra Diotima e me. | Ero attonito, sognavo. Era come se mi fosse apparso uno spirito beato alla mezzanotte e mi avesse scelto per vagare con lui, questo era il mio stato d’animo. È davvero una strana mescolanza di felicità e di malin­ conia, quando ci rendiamo conto che abbiamo abbando­ nato per sempre l’esistenza consueta. Da allora non ero più riuscito a vedere Diotima da solo. Sempre un terzo ci disturbava, ci divideva, e il mondo si stendeva tra me e lei come un vuoto infnito. Passarono sei giorni di trepidazione mortale in cui non seppi nulla di Diotima. Era come se gli altri intorno a noi mi intorpidis­ sero i sensi, come se uccidessero tutta la mia vita esteriore, in modo che l’anima imprigionata non trovasse alcuna via per arrivare fno a lei. Se la cercavo con lo sguardo, ecco le tenebre davanti a me, se volevo rivolgerle una parolina, mi soffocava in gola.

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Ach! mir wollte das heilige nahmenlose Verlangen oft die Brust zerreißen, und die mächtige Liebe zürnt’ oft, wie ein ge­ fangener Titan, in mir. So tief, so innigst unversöhnlich hatte mein Geist noch nie sich gegen die Ketten gesträubt, die das Schiksaal ihm schmiedet, gegen das eiserne unerbittliche Ge­ sez, geschieden zu seyn, nicht Eine Seele zu seyn mit seiner lie­ benswürdigen Hälfte. Die sternenhelle Nacht war nun mein Element geworden. Dann, wann es stille war, wie in den Tiefen der Erde, wo ge­ heimnißvoll das Gold wächst, dann hob das schönere Leben meiner Liebe sich an. Da übte das Herz sein Recht, zu dichten, aus. Da sagt’ es mir, wie Hyperions Geist im Vorelysium mit seiner holden Di­ otima gespielt, eh’ er herabgekommen zur Erde, in göttlicher Kindheit bei dem Wohlgetöne des Quells, und unter Zweigen, wie wir die Zweige der Erde sehn, wenn sie verschönert aus dem güldenen Strome blinken. Und, wie die Vergangenheit, öffnete sich die Pforte der Zu­ kunft in mir. Da fogen wir, Diotima und ich, da wanderten wir, wie Schwalben, von einem Frühling der Welt zum andern, durch der Sonne | weites Gebiet und drüber hinaus, zu den andern Inseln des Himmels, an des Sirius goldne Küsten, in die Geis­ terthale des Arcturs – O es ist doch wohl wünschenswerth, so aus Einem Kelche mit der Geliebten die Wonne der Welt zu trinken! Berauscht vom seeligen Wiegenliede, das ich mir sang, schlief ich ein, mitten unter den herrlichen Phantomen. Wie aber am Strahle des Morgenlichts das Leben der Erde sich wieder entzündete, sah ich empor und suchte die Träume der Nacht. Sie waren, wie die schönen Sterne, verschwunden, und nur die Wonne der Wehmuth zeugt’ in meiner Seele von ihnen.

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Ah, quel sacro struggimento senza nome spesso mi squarciava il petto, e l’amore possente infuriava in me come un titano imprigionato.173 Il mio spirito non si era ancora ribellato in modo così violento, così intimamente implacabile, alle catene che il destino gli aveva forgiato, alla legge ferrea e infessibile dell’essere separati, del non essere una sola anima con la propria adorabile metà. La notte chiara e stellata era divenuta il mio elemento. Allora, quando tutto tace come nelle profondità della ter­ ra, mentre cresce misteriosamente l’oro, allora iniziava la vita più bella del mio amore. Allora il cuore esercitava il suo diritto a poetare. Allora mi raccontava come lo spirito di Iperione avesse giocato con la sua dolce Diotima nell’ante­Elisio, prima di scende­ re sulla terra, in un’infanzia divina e al suono armonioso del ruscello, sotto fronde graziose come quelle che vedia­ mo sulla terra quando, forite, luccicano nella corrente do­ rata.174 E, come quelle del passato, si aprivano per me le porte del futuro. Lì volavamo, Diotima e io, vagavamo come rondini da una primavera del mondo all’altra, attraverso l’ampia regione | del sole e oltre, verso le altre isole del cielo, verso le coste dorate di Sirio, nelle valli degli spiriti di Arturo...175 Oh, come è desiderabile suggere da un unico calice, con la propria amata, l’estasi del mondo! Inebriato dalla dolce ninnananna che canticchiavo mi addormentavo, circondato da quegli splendidi miraggi. Ma quando, con il raggio del mattino, la vita si riac­ cendeva sulla terra, alzavo gli occhi e cercavo i sogni della notte. Erano spariti, come le stelle, e solo l’ebbrezza della malinconia176 parlava di loro alla mia anima.

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Ich trauerte; aber ich glaube, daß man unter den Seeligen auch so trauert. Sie war die Botin der Freude, diese Trauer, sie war die grauende Dämmerung, woran die unzähligen Rosen des Morgenroths sprossen. – Der glühende Sommertag hatte jezt alles in die dunkeln Schatten gescheucht. Auch um Diotimas Haus war alles still und leer, und die neidischen Vorhänge standen mir an allen Fenstern im Wege. Ich lebt’ in Gedanken an sie. Wo bist du, dacht’ ich, wo fndet mein einsamer Geist dich, süßes Mädchen? Siehest du vor dich hin und sinnest? Hast du die Arbeit auf die Seite ge­ legt und stüzest den Arm aufs Knie und auf das Händchen das Haupt und giebst den lieblichen Gedanken dich hin? Daß ja nichts meine Friedliche störe, wenn sie mit süßen Phantasien ihr Herz erfrischt, daß ja nichts diese Traube betaste und den erquikenden Thau von den zarten Beeren ihr streife! So träumt’ ich. Aber indeß die Gedanken zwischen den Wänden des Hauses nach ihr spähten, suchten die Füße sie anderswo, und eh’ ich es gewahr ward, gieng ich unter den Bogengängen des heiligen Walds, hinter Diotimas Garten, wo ich sie zum erstenmale hatte gesehn. Was war das? Ich war ja indessen so oft mit diesen Bäumen umgegangen, war vertrauter mit ihnen, ruhiger unter ihnen geworden; jezt ergriff mich eine Gewalt, als trät’ ich in Dianens Schatten, um zu sterben vor der gegenwärtigen Gottheit. Indessen gieng ich weiter. Mit jedem Schritte wurd’ es wun­ derbarer in mir. Ich hätte fiegen mögen, so trieb mein Herz mich vorwärts; aber es war, als hätt’ ich Blei an den Sohlen. Die Seele | war vorausgeeilt, und hatte die irrdischen Glieder verlassen. Ich hörte nicht mehr und vor dem Auge dämmerten und schwankten alle Gestalten. Der Geist war schon bei Dioti­ ma; im Morgenlichte spielte der Gipfel des Baums, indeß die untern Zweige noch die kalte Dämmerung fühlten.

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Ero triste, ma credo che anche i beati siano colti da una simile tristezza. Era la messaggera della gioia, quella tri­ stezza, era il grigiore prima dell’alba nel quale sbocciano le innumerevoli rose dell’aurora.177 L’afoso giorno d’estate aveva spinto tutti dove l’ombra è più ftta. Anche intorno alla casa di Diotima tutto era si­ lenzioso e vuoto, e tende invidiose mi bloccavano la strada a ogni fnestra. Vivevo pensando a lei. Dove sei, pensavo, dove ti tro­ verà il mio spirito solitario, dolce fanciulla? Guardi fsso davanti a te e mediti? Hai messo da parte il lavoro e, con il gomito appoggiato sul ginocchio e il capo sulla mano, ti abbandoni a teneri pensieri?178 Che nulla disturbi la tua quiete, quando ristori il tuo cuore con dolci fantasie, che nulla tocchi questo grappolo togliendo la rugiada benefca dai suoi teneri acini. Così sognavo. Ma mentre i pensieri spiavano dentro la casa in cerca di lei, i piedi la cercavano altrove, e prima che me ne rendessi conto, camminavo sui sentieri alberati del bosco sacro, dietro al giardino di Diotima, dove l’avevo vista per la prima volta. Ma che cosa succedeva? Da quella volta ero stato spesso fra quegli alberi, ero entrato in conf­ denza con loro, mi calmavano; ora fui preso dalla frenesia come se fossi entrato nell’ombra di Diana, per morire alla presenza della divinità.179 Comunque proseguii, e a ogni passo mi sentivo sempre più strano. Avrei voluto volare, tanto il cuore mi spingeva in avanti, ma era come se i piedi fossero di piombo. L’anima | si era lanciata in avanti, abbandonando le membra terre­ ne. Non udivo più nulla e davanti agli occhi le immagini si oscuravano e ondeggiavano. Lo spirito era già presso Dioti­ ma; la cima dell’albero giocava con la luce dell’alba, mentre i rami più bassi sentivano ancora il freddo della notte.

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Ach! mein Hyperion! rief jezt mir eine Stimme entgegen; ich stürzt’ hinzu; »meine Diotima! o meine Diotima!« weiter hatt’ ich kein Wort und keinen Othem, kein Bewußtseyn. Schwinde, schwinde, sterbliches Leben, dürftig Geschäft, wo der einsame Geist die Pfennige, die er gesammelt, hin und her betrachtet und zählt! wir sind zur Freude der Gottheit alle berufen! Es ist hier eine Lüke in meinem Daseyn. Ich starb, und wie ich erwachte, lag ich am Herzen des himmlischen Mädchens. O Leben der Liebe! wie warst du an ihr aufgegangen in voller holdseeliger Blüthe! wie in leichten Schlummer gesun­ gen von seeligen Genien, lag das reizende Köpfchen mir auf der Schulter, lächelte süßen Frieden, und schlug sein ätherisch Auge nach mir auf in fröhlichem unerfahrenem Staunen, als blikt’ es eben jezt zum erstenmale in die Welt. Lange standen wir so in holder selbstvergessener Betrach­ tung, und keines wußte, wie ihm geschah, bis endlich der Freu­ de zu viel in mir sich häufte und in Thränen und Lauten des Entzükens auch meine verlorne Sprache wieder begann, und meine stille Begeisterte vollends wieder in’s Daseyn wekte. Endlich sahn wir uns auch wieder um. O meine alten freundlichen Bäume! rief Diotima, als hätte sie sie in langer Zeit nicht gesehn, und das Andenken an ihre vorigen einsamen Tage spielt’ um ihre Freuden, lieblich, wie die Schatten um den jungfräulichen Schnee, wenn er erröthet und glüht im freudigen Abendglanze. Engel des Himmels! rief ich, wer kann dich fassen? wer kann sagen, er habe ganz dich begriffen? Wunderst du dich, erwiederte sie, daß ich so sehr dir gut bin? Lieber! stolzer Bescheidner! Bin ich denn auch von de­ nen, die nicht glauben können an dich, hab’ ich denn nicht dich ergründet, hab’ ich den Genius nicht in seinen Wolken

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«Oh, il mio Iperione!» disse una voce venendomi in­ contro; mi precipitai: «Diotima, la mia Diotima!» e mi vennero meno la parola, il respiro, la coscienza. Fuggi, fuggi, vita mortale, misera occupazione in cui lo spirito solitario guarda, conta e riconta gli spiccioli che ha guadagnato! Noi siamo tutti chiamati alla gioia della divinità! A questo punto c’è un buco nella mia memoria: mi sen­ tii morire, e quando mi risvegliai ero sul cuore della celeste fanciulla. O vita dell’amore, che ti eri schiusa in lei in un bocciolo turgido e delizioso! Come cullata in un lieve torpore da geni felici, l’affascinante testolina era appoggiata alla mia spalla, sorrideva in una dolce pace e alzava gli occhi eterei verso di me con una meraviglia lieta e inesperta, come se guardasse proprio ora il mondo per la prima volta. Restammo così a lungo, persi in soave contemplazione, dimentichi di noi e di ciò che ci era intorno, fnché poi la gioia divenne eccessiva e la voce mi tornò con lacrime ed esclamazioni di delizia, tanto da richiamare alla realtà an­ che la mia silenziosa innamorata. Infne ci guardammo intorno. «Oh, i miei vecchi alberi, i miei amici!» disse Diotima, come se non li vedesse da molto tempo, mentre il ricordo dei giorni trascorsi da sola si trastullava con la sua gioia, delizioso come l’ombra sulla neve immacolata che arrossi­ sce e scintilla nella gioiosa luce del tramonto. «Angeli del cielo», esclamai, «chi può comprenderti? Chi può dire di averti mai capita fno in fondo?» «Ti meravigli che io ti voglia così bene?» mi rispose. «Mio caro, orgoglioso e modesto insieme! Sono forse anch’io una di quelli che non credono in te? Non ti ho forse guardato fn nel profondo, non ho riconosciuto il tuo

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erkannt? Verhülle dich | nur und siehe dich selbst nicht; ich will dich hervorbeschwören, ich will – Aber er ist ja da, er ist hervorgegangen, wie ein Stern; er hat die Hülse durchbrochen und steht, wie ein Frühling, da; wie ein Kristallquell aus der düstern Grotte, ist er hervorgegangen; das ist der fnstre Hyperion nicht, das ist die wilde Trauer nicht mehr – o mein, mein herrlicher Junge! Das alles war mir, wie ein Traum. Konnt’ ich glauben an diß Wunder der Liebe? konnt’ ich? mich hätte die Freude getödtet. Göttliche! rief ich, sprichst du mit mir? kannst du so dich verläugnen, seelige Selbstgenügsame! kannst du so dich freuen an mir? O ich seh’ es nun, ich weiß nun, was ich oft geahnet, der Mensch ist ein Gewand, das oft ein Gott sich umwirft, ein Kelch, in den der Himmel seinen Nektar gießt, um seinen Kin­ dern vom Besten zu kosten zu geben. – Ja, ja! fel sie schwärmerisch lächelnd mir ein, dein Nah­ mensbruder, der herrliche Hyperion des Himmels ist in dir. Laß mich, rief ich, laß mich dein seyn, laß mich mein verges­ sen, laß alles Leben in mir und allen Geist nur dir zufiegen; nur dir, in seeliger endeloser Betrachtung! O Diotima! so stand ich sonst auch vor dem dämmernden Götterbilde, das meine Liebe sich schuff, vor dem Idole meiner einsamen Träume; ich nährt’ es traulich; mit meinem Leben belebt’ ich es, mit den Hoffnun­ gen meines Herzens erfrischt’, erwärmt’ ich es, aber es gab mir nichts, als was ich gegeben, und wenn ich verarmt war, ließ es mich arm, und nun! nun hab’ ich im Arme dich, und fühle den Othem deiner Brust, und fühle dein Aug’ in meinem Auge, die schöne Gegenwart rinnt mir in alle Sinnen herein, und ich halt’ es aus, ich habe das Herrlichste so und bebe nicht mehr – ja! ich bin wirklich nicht der ich sonst war, Diotima! ich bin deines gleichen geworden, und Göttliches spielt mit Göttlichem jezt, wie Kinder unter sich spielen. – Aber etwas stiller mußt du mir werden, sagte sie.

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genio sulla nube? Nasconditi | allora, e non mostrarti; io ti evocherò, io... Ma è qui davanti a me, è sorto come una stella, ha in­ franto il guscio ed è qui come la primavera; è scaturito da una grotta buia come una sorgente cristallina; l’Iperione triste non c’è più, non c’è più la cupa tristezza... Mio ma­ gnifco giovane!» Tutto mi sembrava un sogno. Potevo credere a quel mi­ racolo dell’amore, potevo? Sarei morto di gioia. «Divina, stai parlando con me? Puoi disconoscere te stessa in questo modo, tu che così felicemente basti a te stessa, puoi provare così tanta gioia per me? Ora lo vedo, ora so quello che avevo spesso intuito: l’uomo è il mantello con cui un dio si veste, un calice in cui il cielo versa il suo nettare per far assaggiare il meglio ai suoi fgli...» «Sì, sì», mi interruppe sorridendo estasiata, «il tuo omonimo, il magnifco Iperione del cielo è dentro di te».180 «Lascia che io sia tuo», dissi, «lascia che dimentichi me stesso, che tutta la mia vita e lo spirito volino verso di te, solo verso di te, in beata e infnita contemplazione! O Dio­ tima, così mi presentavo all’immagine sbiadita che il mio amore si era costruito, all’idolo dei miei sogni solitari; lo nutrivo con affetto, lo vivifcavo con la mia vita, lo rinfre­ scavo e lo scaldavo con le speranze del mio cuore, ma esso non mi dava nulla più di quello che io stesso avevo dato, e quando mi fui impoverito rimasi povero. Ma ora... Ora ho te fra le braccia, sento il tuo respiro, vedo i tuoi occhi nei miei, la tua dolce presenza pervade tutti i miei sensi e io riesco a sopportarlo, possiedo la cosa più sublime e non tremo più... Sì, davvero non sono più quello di prima, Diotima, sono diventato un tuo simile, e ora il divino gioca con il divino, come i bimbi giocano fra loro». «Ma dovresti diventare anche un po’ più pacato», disse lei.

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Du hast auch recht, du Liebenswürdige! rief ich freudig, sonst erscheinen mir ja die Grazien nicht; sonst seh’ ich ja im Meere der Schönheit seine leisen lieblichen Bewegungen nicht. O ich will es noch lernen, nichts an dir zu übersehen. Gieb mir nur Zeit! | Schmeichler! rief sie, aber für heute sind wir zu Ende, lie­ ber Schmeichler! die goldne Abendwolke hat mich gemahnt. O traure nicht! Erhalte dir und mir die reine Freude! Laß sie nachtönen in dir, bis Morgen, und tödte sie nicht durch Mis­ muth! – die Blumen des Herzens wollen freundliche Pfege. Ihre Wurzel ist überall, aber sie selbst gedeihn in heitrer Witte­ rung nur. Leb wohl, Hyperion! Sie machte sich los. Mein ganzes Wesen fammt’ in mir auf, wie sie so vor mir hinwegschwand in ihrer glühenden Schönheit. O du! – rief ich und stürzt ihr nach, und gab meine Seele in ihre Hand in unendlichen Küssen. Gott! rief sie, wie wird das künftig werden! Das traf mich. Verzeih, Himmlische! sagt’ ich; ich gehe. Gute Nacht, Diotima! denke noch mein ein wenig! Das will ich, rief sie, gute Nacht! Und nun kein Wort mehr, Bellarmin! Es wäre zuviel für mein geduldiges Herz. Ich bin erschüttert, wie ich fühle. Aber ich will hinausgehn unter die Pfanzen und Bäume, und unter sie hin mich legen und beten, daß die Natur zu solcher Ruhe mich bringe. Hyperion an Bellarmin. Unsere Seelen lebten nun immer freier und schöner zusammen, und alles in und um uns vereinigte sich zu goldenem Frieden. Es schien, als wäre die alte Welt gestorben und eine neue be­ gönne mit uns, so geistig und kräftig und liebend und leicht

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«Hai ragione, mia adorata», esclamai gioioso, «altri­ menti non mi appariranno le Grazie, altrimenti non potrò percepire nel mare della bellezza i loro movimenti lievi e leggiadri. Devo ancora imparare a non lasciarmi sfuggire nulla di te, dammi solo tempo!» | «Adulatore», rispose, «ma per oggi basta, mio caro adulatore! Le nuvole dorate del tramonto mi richiamano. Non essere triste, mantieni pura la gioia per te e per me. Lasciala risuonare dentro di te fno a domattina, non uc­ ciderla col malumore! I fori del cuore necessitano di cure amorose, le loro radici sono dappertutto, ma foriscono solo dove il clima è sereno. Addio, Iperione!» Si allontanò, e tutto il mio essere si infammò vedendola svanire nella sua ardente bellezza. «Ferma!» dissi rincorrendola, e deposi la mia anima nella sua mano con infniti baci. «Dio mio, cosa sarà di noi?» esclamò. Ne rimasi colpito. «Perdonami, divina», dissi, «me ne vado. Buonanotte, Diotima, pensa ancora un poco a me». «Lo farò», disse, «buonanotte!» Ma ora basta parole, Bellarmino, il mio cuore non è ab­ bastanza paziente. Sono turbato dall’intensità del ricordo; ma uscirò sotto gli alberi e le piante, mi sdraierò ai loro piedi e pregherò la natura affnché mi dia una tranquillità simile alla loro. iperione a Bellarmino Le nostre anime vivevano sempre più libere e più belle insieme, e tutto in noi e intorno a noi si univa in un’aurea pace. Sembrava che il vecchio mondo fosse morto e uno nuovo iniziasse con noi, tanto spirituale, forte, amabile e

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war alles geworden, und wir und alle Wesen schwebten, see­ lig vereint, wie ein Chor von tausend unzertrennlichen Tönen, durch den unendlichen Aether. Unsre Gespräche gleiteten weg, wie ein himmelblau Ge­ wässer, woraus der Goldsand hin und wieder blinkt, und unsre Stille war, wie die Stille der Berggipfel, wo in herrlich einsamer Höhe, hoch über dem Raume der Gewitter, nur die göttliche Luft noch in den Loken des kühnen Wanderers rauscht. Und die wunderbare heilige Trauer, wann die Stunde der | Trennung in unsre Begeisterung tönte, wenn ich oft rief: nun sind wir wieder sterblich, Diotima! und sie mir sagte: Sterblich­ keit ist Schein, ist, wie die Farben, die vor unsrem Auge zittern, wenn es lange in die Sonne sieht! Ach! und alle die holdseeligen Spiele der Liebe! die Schmei­ chelreden, die Besorgnisse, die Empfndlichkeiten, die Strenge und Nachsicht. Und die Allwissenheit, womit wir uns durchschauten, und der unendliche Glaube, womit wir uns verherrlichten! Ja! eine Sonne ist der Mensch, allsehend, allverklärend, wenn er liebt, und liebt er nicht, so ist er eine dunkle Wohnung, wo ein rauchend Lämpchen brennt. Ich sollte schweigen, sollte vergessen und schweigen. Aber die reizende Flamme versucht mich, bis ich mich ganz in sie stürze, und, wie die Fliege, vergehe. Mitten in all dem seeligen unverhaltnen Geben und Neh­ men fühlt’ ich einmal, daß Diotima stiller wurde und immer stiller. Ich fragt’ und fehte; aber das schien nur mehr sie zu entfer­ nen, endlich fehte sie, ich möchte nicht mehr fragen, möchte gehn, und wenn ich wiederkäme, von etwas anderm sprechen. Das gab auch mir ein schmerzliches Verstummen, worein ich selbst mich nicht zu fnden wußte.

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leggera era divenuta ogni cosa, e noi insieme a tutti gli al­ tri esseri aleggiavamo nell’etere infnito, felicemente uniti, come un coro di mille note inscindibili. I nostri discorsi fuivano come un’acqua color del cielo in cui qua e là luccica l’oro, e il nostro silenzio era come quello delle cime dei monti dove, a un’altezza magnifca e solitaria, ancora più in alto della zona dei temporali, solo la brezza divina scompiglia i riccioli al temerario viandante. E quella meravigliosa, sacra tristezza quando l’ora del­ la | separazione scoccava nel nostro entusiasmo, quando esclamavo: «ora siamo di nuovo mortali, Diotima!» e lei rispondeva: «la mortalità è solo apparenza, è come i colori che tremano davanti ai nostri occhi dopo che abbiamo fs­ sato a lungo il sole». Ah, e tutti i teneri giochi dell’amore, i complimenti, i timori, le permalosità, la severità e l’indulgenza. E l’onniscienza con cui ci scrutavamo nell’intimo, e la fducia infnita in cui ci sublimavamo! Sì, un sole è l’uomo, onniveggente, onnitrasfgurante quando ama, e quando non ama è una dimora buia illumi­ nata da una piccola lampada fumigante. Dovrei tacere, dovrei dimenticare e tacere. Ma la famma allettante mi attrae fnché non mi ci getto a capoftto e, come la mosca, muoio. In tutto quel felice e incontenibile dare e avere, mi ac­ corsi a un certo punto che Diotima diventava sempre più silenziosa. Chiesi e implorai, ma questo sembrava allontanarla an­ cora di più, fnché mi supplicò di non interrogarla più, di andarmene e, quando fossi tornato, di parlare d’altro. Allora piombai anch’io in un mutismo doloroso, a cui non riuscivo ad abituarmi.

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Mir war, als hätt’ ein unbegreifich plözlich Schiksaal unsrer Liebe den Tod geschworen, und alles Leben war hin außer mir und allem. Ich schämte mich freilich deß; ich wußte gewiß, das Unge­ fähr beherrsche Diotimas Herz nicht. Aber wunderbar blieb sie mir immer, und mein verwöhnter untröstlicher Sinn wollt’ immer offenbare gegenwärtige Liebe; verschloßne Schäze wa­ ren verlorne Schäze für ihn. Ach! ich hatt’ im Glüke die Hoff­ nung verlernt, ich war noch damals, wie die ungeduldigen Kin­ der, die um den Apfel am Baume weinen, als wär’ er gar nicht da, wenn er ihnen den Mund nicht küßt. Ich hatte keine Ruhe, ich fehte wieder, mit Ungestümm und Demuth, zärtlich und zürnend, mit ihrer ganzen allmächtigen bescheidenen Bered­ samkeit rüstete die Liebe mich aus und nun – o meine Diotima! nun hatt’ ich es, das reizende Bekenntniß, nun hab’ ich und halt’ es, bis auch mich, mit allem, | was an mir ist, in die alte Heimath, in den Schoos der Natur die Wooge der Liebe zurük­ bringt. Die Unschuldige! noch kannte sie die mächtige Fülle ihres Herzens nicht, und lieblich erschroken vor dem Reichtum in ihr, begrub sie ihn in die Tiefe der Brust – und wie sie nun be­ kannte, heilige Einfalt, wie sie mit Thränen bekannte, sie liebe zu sehr, und wie sie Abschied nahm von allem, was sie sonst am Herzen gewiegt, o wie sie rief: abtrünnig bin ich geworden von Mai und Sommer und Herbst, und achte des Tages und der Nacht nicht, wie sonst, gehöre dem Himmel und der Erde nicht mehr, gehöre nur Einem, Einem, aber die Blüthe des Mai’s und die Flamme des Sommers und die Reife des Herbsts, die Klarheit des Tags und der Ernst der Nacht, und Erd’ und Himmel ist mir in diesem Einen vereint! so lieb’ ich! – und wie sie nun in voller Herzenslust mich betrachtete, wie sie, in küh­ ner heiliger Freude, in ihre schönen Arme mich nahm und die Stirne mir küßte und den Mund, ha! wie das göttliche Haupt,

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Era come se un destino incomprensibile e improvviso avesse giurato di uccidere il nostro amore, e la vita si era spenta in me e in tutte le cose. Me ne vergognavo, sapevo con certezza che non era il caso a dominare nel cuore di Diotima. Ma rimase comun­ que strana, mentre il mio animo viziato e inconsolabile chiedeva sempre amore aperto e presente; tesori nasco­ sti erano per lui tesori perduti. Ah, con la felicità avevo disimparato la speranza, ero ancora come i bambini im­ pazienti che piangono per la mela sull’albero, come se esi­ stesse soltanto quando possono addentarla. Non trovavo pace, supplicavo di nuovo, con insistenza e umiltà, tenero e arrabbiato, e l’amore mi equipaggiava con tutta la sua retorica onnipotente e suadente, e infne... O Diotima mia, infne l’ho avuta, l’affascinante confessione, ora ce l’ho e la custodisco, fnché la marea dell’amore non riporterà an­ che me, con tutto ciò | che possiedo, nella patria avita, nel grembo della natura. Che innocenza! Non conosceva ancora la pienezza possente del suo cuore, e dolcemente spaventata dalla ricchezza che vedeva in sé, la seppelliva nel profondo del suo seno... E quando poi lo confessò, con sacra semplicità, quando in lacrime confessò che amava troppo, e che aveva detto addio a tutto ciò che prima cullava nel cuore, quan­ do esclamò: «ho rinnegato il maggio, l’estate e l’autunno, non mi curo più del giorno né della notte, come facevo una volta, non appartengo più al cielo né alla terra, appartengo solo a uno, a uno solo, ma in quest’uno ritrovo la foritura di maggio, la famma dell’estate e la pienezza dell’autunno, la trasparenza del giorno e la serietà della notte, il cielo e la terra. Così io amo!» E come mi guardava con il cuore traboccante di felicità, come mi prese fra le braccia, con una gioia sacra e audace, e mi baciò la fronte e la bocca…

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sterbend in Wonne, mir am offnen Halse herabsank, und die süßen Lippen an der schlagenden Brust mir ruhten und der liebliche Othem an die Seele mir gieng – o Bellarmin! die Sinne vergehn mir und der Geist entfieht. Ich seh’, ich sehe, wie das enden muß. Das Steuer ist in die Wooge gefallen und das Schiff wird, wie an den Füßen ein Kind, ergriffen und an die Felsen geschleudert. Hyperion an Bellarmin.

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Es giebt große Stunden im Leben. Wir schauen an ihnen hin­ auf, wie an den kolossalischen Gestalten der Zukunft und des Altertums, wir kämpfen einen herrlichen Kampf mit ihnen, und bestehn wir vor ihnen, so werden sie, wie Schwestern, und verlassen uns nicht. Wir saßen einst zusammen auf unsrem Berge, auf einem Stei­ ne der alten Stadt dieser Insel und sprachen davon, wie hier der Löwe Demosthenes sein Ende gefunden, wie er hier mit heiligem selbsterwähltem Tode aus den Macedonischen Ketten und Dol­ chen sich | zur Freiheit geholfen – Der herrliche Geist gieng scher­ zend aus der Welt, rief einer; warum nicht? sagt’ ich; er hatte nichts mehr hier zu suchen; Athen war Alexanders Dirne geworden, und die Welt, wie ein Hirsch, von dem großen Jäger zu Tode gehezt. O Athen! rief Diotima; ich habe manchmal getrauert, wenn ich dahinaus sah, und aus der blauen Dämmerung mir das Phantom des Olympion aufstieg! Wie weit ist’s hinüber? fragt’ ich. Eine Tagreise vieleicht, erwiederte Diotima. Eine Tagereise, rief ich, und ich war noch nicht drüben? Wir müssen gleich hinüber zusammen. Recht so! rief Diotima; wir haben morgen heitere See, und alles steht jezt noch in seiner Grüne und Reife.

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Come la testa divina, inebriata di voluttà, si posò sul mio petto, le dolci labbra riposarono sul cuore palpitante e il respiro delizioso mi penetrò nell’anima... O Bellarmino, mi sento mancare e lo spirito viene meno. Lo vedo, lo vedo come deve andare a fnire. Il timone è caduto tra i futti e la barca viene afferrata, come si afferra per i piedi come un bambino, e scaraventata sugli scogli. iperione a Bellarmino Ci sono ore importanti nella vita. Guardiamo a loro come alle fgure colossali del futuro e dell’antichità, combattiamo una battaglia maestosa contro di loro, e se ne usciamo vinci­ tori esse diventano come sorelle e non ci abbandonano più. Una volta sedevamo con gli altri sulla nostra monta­ gna, su una pietra dell’antica città dell’isola e parlavamo di come Demostene il leone fosse morto lì, di come si fosse liberato dalle catene e dai pugnali macedoni grazie a una morte sacra e | autonomamente scelta...181 «Quel magnif­ co spirito ha lasciato il mondo scherzando», disse uno. «E perché no?» risposi io; «non aveva più nulla da cercare qui, Atene era divenuta la prostituta di Alessandro, e il mondo, come un cervo, era inseguito e ferito a morte dal grande cacciatore».182 «O Atene!» esclamò Diotima, «che tristezza mi pren­ deva qualche volta, quando guardavo in lontananza e ve­ devo sorgere nel crepuscolo azzurrino il fantasma dell’O­ limpieo!»183 «Quanto dista da qua?» «Forse un giorno di viaggio», disse Diotima. «Un giorno di viaggio, e io non ci sono ancora stato?» esclamai. «Dobbiamo andarci subito insieme».

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Man braucht die ewige Sonne und das Leben der unsterbli­ chen Erde zu solcher Wallfahrt. Also morgen! sagt’ ich, und unsre Freunde stimmten mit ein. Wir fuhren früh, unter dem Gesange des Hahns, aus der Rhede. In frischer Klarheit glänzten wir und die Welt. Goldne stille Jugend war in unsern Herzen. Das Leben in uns war, wie das Leben einer neugebornen Insel des Oceans, worauf der ers­ te Frühling beginnt. Schon lange war unter Diotimas Einfuß mehr Gleichge­ wicht in meine Seele gekommen; heute fühlt’ ich es dreifach rein, und die zerstreuten schwärmenden Kräfte waren all’ in Eine goldne Mitte versammelt. Wir sprachen unter einander von der Trefichkeit des alten Athenervolks, woher sie komme, worinn sie bestehe. Einer sagte, das Klima hat es gemacht; der andere: die Kunst und Philosophie; der dritte: Religion und Staatsform. Athenische Kunst und Religion, und Philosophie und Staatsform, sagt’ ich, sind Blüthen und Früchte des Baums, nicht Boden und Wurzel. Ihr nehmt die Wirkungen für die Ur­ sache. Wer aber mir sagt, das Klima habe diß alles gebildet, der denke, daß auch wir darinn noch leben. Ungestörter in jedem Betracht, von gewaltsamem Einfuß freier, als irgend ein Volk der Erde, erwuchs das Volk der Athe­ ner. Kein Eroberer schwächt sie, kein Kriegsglük berauscht sie, kein fremder | Götterdienst betäubt sie, keine eilfertige Weis­ heit treibt sie zu unzeitiger Reife. Sich selber überlassen, wie der werdende Diamant, ist ihre Kindheit. Man hört beinahe nichts von ihnen, bis in die Zeiten des Pisistratus und Hipp­

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«Hai ragione», rispose Diotima; «domani il mare sarà calmo, e tutto è ancora verdeggiante e in fore. Ci vogliono sole perenne e la vita della terra immortale per un simile pellegrinaggio». «Domani, allora!» dissi, e i nostri amici si unirono a noi. Partimmo presto dalla rada, al canto del gallo. Noi e il mondo scintillavamo nel fresco chiarore, la quiete di un’aurea giovinezza regnava nei nostri cuori. La vita in noi era come un’isola appena nata dall’oceano, su cui sboccia la prima primavera.184 Già da tempo, per infusso di Diotima, la mia anima aveva acquistato maggior equilibrio; oggi me ne rendevo doppiamente conto, e le energie svagate dall’entusiasmo erano tutte concentrate in un aureo punto focale. Discorremmo tra l’altro dello splendore dell’antico po­ polo di Atene, da dove provenisse, in che cosa consistesse. Uno disse che era effetto del clima; l’altro dell’arte e della flosofa, un terzo della religione e della forma di go­ verno. «L’arte e la religione di Atene, la flosofa e la forma di governo», dissi, «sono fori e frutti dell’albero, non il ter­ reno e le radici. Voi confondete gli effetti con le cause. E chi dice che è effetto del clima, consideri che anche noi ci viviamo.185 Il popolo degli ateniesi è cresciuto indisturbato sotto ogni punto di vista, libero da qualsiasi infusso coercitivo più di ogni altro popolo della terra. Nessun conquistatore li indebolisce, nessuna fortuna militare li inebria, nessun | culto straniero li inebetisce, nessuna frettolosa saggezza li conduce precocemente alla maturità. Affdata a se stessa come il diamante nella crescita, è la loro infanzia. Non si sa quasi nulla di loro fno al tempo di Pisistrato e di Ip­

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arch. Nur wenig Antheil nahmen sie am trojanischen Kriege, der, wie im Treibhaus, die meisten griechischen Völker zu früh erhizt’ und belebte. – Kein außerordentlich Schiksaal erzeugt den Menschen. Groß und kolossalisch sind die Söhne einer sol­ chen Mutter, aber schöne Wesen, oder, was dasselbe ist, Men­ schen werden sie nie, oder spät erst, wenn die Kontraste sich zu hart bekämpfen, um nicht endlich Frieden zu machen. In üppiger Kraft eilt Lacedämon den Atheniensern vor­ aus, und hätte sich eben deswegen auch früher zerstreut und aufgelöst, wäre Lycurg nicht gekommen, und hätte mit seiner Zucht die übermüthige Natur zusammengehalten. Von nun an war denn auch an dem Spartaner alles erbildet, alle Vortref­ lichkeit errungen und erkauft durch Fleiß und selbstbewußtes Streben, und soviel man in gewissem Sinne von der Einfalt der Spartaner sprechen kann, so war doch, wie natürlich, eigentli­ che Kindereinfalt ganz nicht unter ihnen. Die Lacedämonier durchbrachen zu frühe die Ordnung des Instincts, sie schlugen zu früh aus der Art, und so mußte denn auch die Zucht zu früh mit ihnen beginnen; denn jede Zucht und Kunst beginnt zu früh, wo die Natur des Menschen noch nicht reif geworden ist. Vollendete Natur muß in dem Menschenkinde leben, eh’ es in die Schule geht, damit das Bild der Kindheit ihm die Rükkehr zeige aus der Schule zu vollendeter Natur. Die Spartaner blieben ewig ein Fragment; denn wer nicht einmal ein vollkommenes Kind war, der wird schwerlich ein vollkommener Mann. – Freilich hat auch Himmel und Erde für die Athener, wie für alle Griechen, das ihre gethan, hat ihnen nicht Armuth und nicht Überfuß gereicht. Die Stralen des Himmels sind nicht, wie ein Feuerreegen, auf sie gefallen. Die Erde verzärtelte, be­

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parco.186 Non presero quasi parte alla guerra di Troia che, come una serra, surriscaldò e animò troppo presto la mag­ gior parte delle popolazioni greche.187 Non è un destino straordinario a generare l’uomo. Grandi e colossali sono i fgli di un tale padre, ma non diventeranno mai belli o, ed è la stessa cosa, non diventeranno mai uomini, oppure lo diventeranno troppo tardi, quando ormai gli opposti si combattono così aspramente da non potersi più riappaci­ fcare. Con la sua forza esuberante Lacedemone precedette gli ateniesi, ma proprio per quello si sarebbe anche dispersa e disgregata in fretta se non ci fosse stato Licurgo che con la sua disciplina pose un freno alla spavalderia della natu­ ra.188 Da quel momento in poi anche lo spartano si era for­ mato, aveva conquistato la perfezione, raggiunta con im­ pegno e sforzo consapevole, e anche se in un certo senso si può parlare di semplicità degli spartani, non si trattava certo della semplicità dei bambini, è ovvio. I lacedemoni infransero troppo presto l’ordine dell’istinto, si staccarono troppo presto dalla loro specie, e l’educazione dovette di conseguenza iniziare altrettanto presto; infatti l’educazio­ ne e l’arte cominciano troppo presto, se iniziano quando la natura dell’uomo non è ancora matura. La natura deve essere giunta a compimento nel bambino prima che vada a scuola, affnché l’immagine dell’infanzia gli mostri la via per tornare dalla scuola alla perfezione della natura. Gli spartani rimasero sempre un frammento; perché chi non è mai diventato un bambino perfetto, diffcilmen­ te diventerà un uomo perfetto. Effettivamente anche il cielo e la terra hanno fatto la loro parte, per gli ateniesi come per tutti i greci: non han­ no dato loro né l’abbondanza né la miseria. I raggi del cielo non sono caduti su di loro come pioggia di fuoco, la

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rauschte sie nicht mit Liebkosungen und übergütigen Gaben, wie sonst wohl hie und da die thörige Mutter thut. Hiezu kam die wundergroße That des Theseus, die freiwilli­ ge Beschränkung seiner eignen königlichen Gewalt. | O! solch ein Saamenkorn in die Herzen des Volks geworfen, muß einen Ocean von goldnen Ähren erzeugen, und sichtbar wirkt und wuchert es spät noch unter den Athenern. Also noch einmal! daß die Athener so frei von gewaltsamem Einfuß aller Art, so recht bei mittelmäßiger Kost aufwuchsen, das hat sie so vortrefich gemacht, und diß nur konnt’ es! Laßt von der Wiege an den Menschen ungestört! treibt aus der engvereinten Knospe seines Wesens, treibt aus dem Hütt­ chen seiner Kindheit ihn nicht heraus! thut nicht zu wenig, daß er euch nicht entbehre und so von ihm euch unterscheide, thut nicht zu viel, daß er eure oder seine Gewalt nicht fühle, und so von ihm euch unterscheide, kurz, laßt den Menschen spät erst wissen, daß es Menschen, daß es irgend etwas außer ihm giebt, denn so nur wird er Mensch. Der Mensch ist aber ein Gott, so bald er Mensch ist. Und ist er ein Gott, so ist er schön. Sonderbar! rief einer von den Freunden. Du hast noch nie so tief aus meiner Seele gesprochen, rief Diotima. Ich hab’ es von dir, erwiedert’ ich. So war der Athener ein Mensch, fuhr ich fort, so mußt’ er es werden. Schön kam er aus den Händen der Natur, schön, an Leib und Seele, wie man zu sagen pfegt. Das erste Kind der menschlichen, der göttlichen Schön­ heit ist die Kunst. In ihr verjüngt und wiederholt der göttliche Mensch sich selbst. Er will sich selber fühlen, darum stellt er seine Schönheit gegenüber sich. So gab der Mensch sich sei­ ne Götter. Denn im Anfang war der Mensch und seine Götter

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terra non li ha viziati e inebriati con carezze e doni sovrab­ bondanti, come fanno qualche volta le madri sciocche. A quello si aggiunse il gesto straordinario di Teseo, la rinuncia volontaria al potere regale.189 | Un simile germe di grano seminato nel cuore di un po­ polo fa nascere un oceano di spighe dorate, la sua azione è visibile e feconda anche molto tempo dopo tra gli ateniesi. Quindi, ancora una volta, il fatto che gli ateniesi fossero liberi da infussi coercitivi di qualsiasi tipo, che crebbero bene con un giusto nutrimento, questo li ha resi così eccel­ lenti, solo così poteva accadere! Non disturbate l’uomo quando è nella culla, non fa­ telo uscire troppo presto dal bocciolo rinserrato del suo essere, dal nido della sua infanzia! Non fate troppo poco perché non senta la vostra mancanza e così non si distin­ gua da voi; non fate troppo perché non senta il vostro o il suo potere e così si distingua da voi; insomma, fate sì che l’uomo scopra tardi che ci sono altri uomini, che ci sono altre cose oltre a lui, perché solo così diventerà uomo. Ma l’uomo è un dio non appena diviene uomo. E se è un dio, è bello».190 «Stupefacente!» esclamò uno degli amici. «Non hai mai parlato così profondamente alla mia ani­ ma», disse Diotima. «Me l’hai insegnato tu», risposi. «Così l’ateniese diventò un uomo», proseguii, «doveva diventarlo. Bello lo hanno fatto le mani della natura, bello di anima e di corpo, come si suol dire.191 La prima fglia della bellezza umana e divina è l’arte. In lei l’uomo divino ringiovanisce e duplica se stesso. Vuole percepire se stesso, perciò pone la sua bellezza di fronte a sé. Così l’uomo si è creato gli dei; perché all’inizio, quando esisteva, sconosciuta a se stessa, la bellezza eterna, l’uomo

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Eins, da, sich selber unbekannt, die ewige Schönheit war. – Ich spreche Mysterien, aber sie sind. – Das erste Kind der göttlichen Schönheit ist die Kunst. So war es bei den Athenern. Der Schönheit zweite Tochter ist Religion. Religion ist Lie­ be der Schönheit. Der Weise liebt sie selbst, die Unendliche, die Allumfassende; das Volk liebt ihre Kinder, die Götter, die in mannigfaltigen Gestalten ihm erscheinen. Auch so war’s bei den Athenern. Und ohne solche Liebe der Schönheit, ohne sol­ che Religion ist jeder Staat ein dürr Gerippe ohne Leben und Geist, | und alles Denken und Thun ein Baum ohne Gipfel, eine Säule, wovon die Krone herabgeschlagen ist. Daß aber wirklich diß der Fall war bei den Griechen und besonders den Athenern, daß ihre Kunst und ihre Religion die ächten Kinder ewiger Schönheit – vollendeter Menschennatur – sind, und nur hervorgehn konnten aus vollendeter Menschen­ natur, das zeigt sich deutlich, wenn man nur die Gegenstände ihrer heiligen Kunst, und die Religion mit unbefangenem Auge sehn will, womit sie jene Gegenstände liebten und ehrten. Mängel und Mistritte giebt es überall und so auch hier. Aber das ist sicher, daß man in den Gegenständen ihrer Kunst doch meist den reifen Menschen fndet. Da ist nicht das Kleinliche, nicht das Ungeheure der Aegyptier und Gothen, da ist Men­ schensinn und Menschengestalt. Sie schweifen weniger als and­ re, zu den Extremen des Übersinnlichen und des Sinnlichen aus. In der schönen Mitte der Menschheit bleiben ihre Götter mehr, denn andre. Und wie der Gegenstand, so auch die Liebe. Nicht zu knechtisch und nicht gar zu sehr vertraulich! – Aus der Geistesschönheit der Athener folgte denn auch der nöthige Sinn für Freiheit. Der Aegyptier trägt ohne Schmerz die Despotie der Will­ kühr, der Sohn des Nordens ohne Widerwillen die Gesezes­

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e i suoi dei erano una cosa sola. Sto parlando di misteri, e lo sono. La prima fglia della bellezza divina è l’arte, e così fu presso gli ateniesi. La seconda fglia della bellezza è la religione. La reli­ gione è amore per il bello; il saggio lo ama per se stesso, l’amore infnito che tutto abbraccia; il popolo ama i suoi fgli, gli dei, che gli appaiono sotto svariate forme.192 Così era anche presso gli ateniesi. E senza questo amore per il Bello, senza una simile religione ogni Stato è solo uno scheletro rinsecchito, senza vita e senz’anima, | e tutto il dire e il fare è un albero senza cima, una colonna cui è stato mozzato il capitello. Che fosse proprio questo il caso per i greci e in partico­ lare per gli ateniesi, che la loro arte e la loro religione fos­ sero fglie autentiche della bellezza eterna – della natura umana perfezionata – e che solo dalla natura umana per­ fezionata sarebbero potute nascere, lo si vede chiaramente se si osservano senza preconcetti gli oggetti della loro arte sacra e la devozione con cui li amavano e li veneravano. Difetti ed errori ci sono dovunque, e così anche qui, ma una cosa è certa, nei prodotti della loro arte si ritrova in genere l’uomo maturo. Non ci sono la piccolezza e la mostruosità degli egiziani e dei goti, ci sono senso e for­ ma umana. Divagano meno degli altri verso gli estremi del sensibile e del sovra­sensibile; i suoi dei rimangono nel giusto mezzo dell’umanità più di quelli altrui.193 E come l’oggetto, così l’amore. Non troppo servile ma nemmeno troppo confdenziale! Dalla bellezza di spirito degli ateniesi derivò poi anche il necessario istinto per la libertà. L’egiziano sopporta senza sofferenza il dispotismo dell’arbitrio, il fglio del Nord sopporta senza avversione

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despotie, die Ungerechtigkeit in Rechtsform; denn der Aegyp­ tier hat von Mutterleib an einen Huldigungs­ und Vergötte­ rungstrieb; in Norden glaubt man an das reine freie Leben der Natur zu wenig, um nicht mit Aberglauben am Gesezlichen zu hängen. Der Athener kann die Willkühr nicht ertragen, weil seine göttliche Natur nicht will gestört seyn, er kann Gesezlichkeit nicht überall ertragen, weil er ihrer nicht überall bedarf. Drako taugt für ihn nicht. Er will zart behandelt seyn, und thut auch recht daran. Gut! unterbrach mich einer, das begreif’ ich, aber, wie diß dichterische religiöse Volk nun auch ein philosophisch Volk seyn soll, das seh’ ich nicht. Sie wären sogar, sagt’ ich, ohne Dichtung nie ein philoso­ phisch Volk gewesen! Was hat die Philosophie, erwiedert’ er, was hat die kalte Er­ habenheit dieser Wissenschaft mit Dichtung zu thun? | Die Dichtung, sagt’ ich, meiner Sache gewiß, ist der Anfang und das Ende dieser Wissenschaft. Wie Minerva aus Jupiters Haupt, entspringt sie aus der Dichtung eines unendlichen gött­ lichen Seyns. Und so läuft am End’ auch wieder in ihr das Un­ vereinbare in der geheimnißvollen Quelle der Dichtung zusam­ men. Das ist ein paradoxer Mensch, rief Diotima, jedoch ich ahn’ ihn. Aber ihr schweift mir aus. Von Athen ist die Rede. Der Mensch, begann ich wieder, der nicht wenigstens im Leben Einmal volle lautre Schönheit in sich fühlte, wenn in ihm die Kräfte seines Wesens, wie die Farben am Irisbogen, in einander spielten, der nie erfuhr, wie nur in Stunden der Be­ geisterung alles innigst übereinstimmt, der Mensch wird nicht einmal ein philosophischer Zweifer werden, sein Geist ist nicht einmal zum Niederreißen gemacht, geschweige zum Aufbaun. Denn glaubt es mir, der Zweifer fndet darum nur in allem,

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il dispotismo della legge e l’ingiustizia travestita da dirit­ to, poiché l’egiziano sviluppa fn dal grembo materno una tendenza alla sudditanza e all’idolatria; nel Nord si crede invece troppo poco alla vita pura e libera della natura per non dipendere con superstizione dalle leggi. L’ateniese non può tollerare l’arbitrio, perché la sua na­ tura divina non vuole essere infastidita, e non può tollera­ re di conformarsi sempre alle leggi perché non sempre ne ha bisogno. Dracone non fa per lui.194 Vuole essere trattato con dolcezza, e fa bene». «D’accordo», interruppe uno, «questo lo capisco; ma come mai questo popolo religioso e poetico debba essere anche un popolo di flosof, questo non mi è chiaro». «Senza poesia non sarebbero mai stati un popolo di f­ losof!» «Che cosa c’entra la flosofa», replicò, «che cosa ha a che fare la fredda superiorità di questa scienza con la poesia?» | «La poesia», continuai sicuro del fatto mio, «è l’inizio e la fne di questa scienza. La flosofa nasce dalla poesia di un essere divino e infnito, come Minerva dalla testa di Zeus,195 e alla fne ciò che è inconciliabile confuisce nuo­ vamente in lei, nella misteriosa sorgente della poesia».196 «È paradossale», disse Diotima, «però credo di capire che cosa vuoi dire. Ma non divagate, si stava parlando di Atene». «L’uomo che almeno una volta nella vita non ha senti­ to in sé la bellezza piena e vera, quando le forze del suo essere giocano l’una con l’altra come i colori dell’arcoba­ leno», proseguii, «chi non ha mai sperimentato come nelle ore dell’entusiasmo tutto sia intimamente in armonia, non diventerà mai nemmeno uno scettico in flosofa, il suo spi­ rito non è fatto certo per distruggere, fguriamoci poi per costruire. Infatti, credetemi, per questo lo scettico trova in

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was gedacht wird, Widerspruch und Mangel, weil er die Har­ monie der mangellosen Schönheit kennt, die nie gedacht wird. Das trokne Brod, das menschliche Vernunft wohlmeinend ihm reicht, verschmähet er nur darum, weil er ingeheim am Götter­ tische schwelgt. Schwärmer! rief Diotima, darum warst auch du ein Zweifer. Aber die Athener! Ich bin ganz nah an ihnen, sagt’ ich. Das große Wort, das en diaferon eautw/ (das Eine in sich selber unterschiedne) des Hera­ klit, das konnte nur ein Grieche fnden, denn es ist das Wesen der Schönheit, und ehe das gefunden war, gabs keine Philosophie. Nun konnte man bestimmen, das ganze war da. Die Blume war gereift; man konnte nun zergliedern. Der Moment der Schönheit war nun kund geworden unter den Menschen, war da im Leben und Geiste, das Unendlichei­ nige war. Man konnt’ es aus einander sezen, zertheilen im Geiste, konn­ te das Getheilte neu zusammendenken, konnte so das Wesen des Höchsten und Besten mehr und mehr erkennen und das Erkann­ te zum Geseze geben in des Geistes mannigfaltigen Gebieten. Seht ihr nun, warum besonders die Athener auch ein philo­ sophisch Volk seyn mußten? Das konnte der Aegyptier nicht. Wer mit dem Himmel und der | Erde nicht in gleicher Lieb’ und Gegenliebe lebt, wer nicht in diesem Sinne einig lebt mit dem Elemente, worinn er sich regt, ist von Natur auch in sich selbst so einig nicht, und erfährt die ewige Schönheit wenigstens so leicht nicht wie ein Grieche. Wie ein prächtiger Despot, wirft seine Bewohner der orien­ talische Himmelsstrich mit seiner Macht und seinem Glanze zu Boden, und, ehe der Mensch noch gehen gelernt hat, muß er knieen, eh’ er sprechen gelernt hat, muß er beten; ehe sein Herz ein Gleichgewicht hat, muß es sich neigen, und ehe der Geist noch stark genug ist, Blumen und Früchte zu tragen,

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tutto il pensiero contraddizioni e difetti, perché conosce l’armonia della bellezza immacolata, che non può mai es­ sere colta col pensiero. Disprezza il pane raffermo che la ragione umana gli porge con buone intenzioni solo perché in segreto banchetta alla tavola degli dei». «Sognatore», esclamò Diotima, «per questo anche tu eri uno scettico! Ma gli ateniesi?» «Sono molto vicino a loro», dissi. «Il grande motto, lo en diaferon eautw/ (l’uno in sé discorde) di Eraclito197 po­ teva inventarlo solo un greco, perché è l’essenza della bel­ lezza, e prima che lo si scoprisse non c’era alcuna flosofa. Ora lo si poteva defnire, tutto era manifesto, il fore era sbocciato, si poteva analizzare. Il momento della bellezza si era manifestato tra gli uomi­ ni, esisteva in spirito e vita, l’infnitamente unito esisteva. Lo si poteva scomporre, analizzare in spirito; ciò che era stato scomposto lo si poteva ripensare nuovamente e così si poteva conoscere sempre meglio l’essenza del som­ mo e dell’eccelso, e ciò che si era conosciuto diveniva leg­ ge nei molteplici territori dello spirito. Capite ora perché gli ateniesi in particolare dovevano essere un popolo di flosof? Gli egiziani non avrebbero potuto. Chi non vive un amore ricambiato | alla pari con il cielo e la terra, chi non vive in questo senso unito all’elemento in cui si muove, non è così unito in se stesso per natura, e non sperimenta quindi la bellezza eterna così facilmente come un greco.198 Come un magnifco despota, il cielo dell’Oriente pro­ stra gli abitanti con la sua potenza e il suo splendore, e prima ancora di aver imparato a camminare, l’uomo deve inginocchiarsi, prima di aver imparato a parlare deve pre­ gare; prima che il suo cuore abbia conquistato l’equilibrio, deve piegarsi e prima che lo spirito sia suffcientemente

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ziehet Schiksaal und Natur mit brennender Hizze alle Kraft aus ihm. Der Aegyptier ist hingegeben, eh’ er ein Ganzes ist, und darum weiß er nichts vom Ganzen, nichts von Schönheit, und das Höchste, was er nennt, ist eine verschleierte Macht, ein schauerhaft Räthsel; die stumme fnstre Isis ist sein Erstes und Leztes, eine leere Unendlichkeit und da heraus ist nie Ver­ nünftiges gekommen. Auch aus dem erhabensten Nichts wird Nichts geboren. Der Norden treibt hingegen seine Zöglinge zu früh in sich hinein, und wenn der Geist des feurigen Aegyptiers zu reiselus­ tig in die Welt hinaus eilt, schikt im Norden sich der Geist zur Rükkehr in sich selbst an, ehe er nur reisefertig ist. Man muß im Norden schon verständig seyn, noch eh’ ein reif Gefühl in einem ist, man mißt sich Schuld von allem bei, noch ehe die Unbefangenheit ihr schönes Ende erreicht hat; man muß vernünftig, muß zum selbstbewußten Geiste werden, ehe man Mensch, zum klugen Manne, ehe man Kind ist; die Einigkeit des ganzen Menschen, die Schönheit läßt man nicht in ihm gedeihn und reifen, eh’ er sich bildet und entwikelt. Der blose Verstand, die blose Vernunft sind immer die Könige des Nordens. Aber aus blosem Verstand ist nie verständiges, aus bloser Vernunft ist nie vernünftiges gekommen. Verstand ist ohne Geistesschönheit, wie ein dienstbarer Ge­ selle, der den Zaun aus grobem Holze zimmert, wie ihm vor­ gezeichnet ist, und die gezimmerten Pfähle, an einander nagelt, für den Garten, den der Meister bauen will. Des Verstandes ganzes Geschäft ist Nothwerk. Vor dem Unsinn, vor dem Un­ recht schüzt er uns, indem er ordnet; aber sicher zu seyn vor Unsinn und vor | Unrecht ist doch nicht die höchste Stuffe menschlicher Vortrefichkeit.

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forte per portare fori e frutti, il destino e la natura con il loro caldo infuocato gli prosciugano tutte le forze. L’e­ giziano si è consumato prima di diventare un tutto, e di conseguenza non sa nulla del tutto, nulla della bellezza, e la cosa più alta che conosce è un potere velato, un enigma spaventoso; la cupa e muta Iside è per lui l’alfa e l’omega, un’infnità vuota da cui non è mai venuto nulla di sensa­ to.199 Anche dal nulla più sublime nasce solo il nulla. Il Nord invece ritira troppo presto i suoi germogli, e se lo spirito passionale dell’egiziano se ne va subito per il mondo desideroso di viaggiare, lo spirito nel Nord si ap­ presta a ritirarsi in se stesso ancora prima di essere pronto a partire. Nel Nord bisogna sviluppare l’intelletto ancora prima che i sentimenti siano maturi, ci si fa carico di tutte le col­ pe prima che si sia concluso il tempo felice della spensiera­ tezza; bisogna essere razionali, consapevoli prima ancora di diventare uomini, persone intelligenti prima di essere bambini; non si lasciano crescere e maturare nell’uomo l’unità e la bellezza prima che egli inizi la sua formazione e il suo sviluppo. L’intelletto, la ragione soltanto sono i signori incontrastati del Nord. Ma l’intelletto da solo non ha mai prodotto cose intelli­ genti, la ragione da sola non ha mai prodotto cose razionali. Senza la bellezza dello spirito, l’intelletto è come un aiutante servizievole che dal legno grezzo ricava una stac­ cionata seguendo le istruzioni, inchiodando insieme i pa­ letti che ha preparato per il giardino che il padrone vuole costruirsi. L’intelletto si occupa del minimo indispensabi­ le. Ci protegge dal nonsenso e dall’ingiustizia, in quanto mantiene l’ordine; ma essere al sicuro dal nonsenso e | dall’ingiustizia non è la condizione più alta dell’eccellenza umana.

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Vernunft ist ohne Geistes­, ohne Herzensschönheit, wie ein Treiber, den der Herr des Hauses über die Knechte gesezt hat; der weiß, so wenig, als die Knechte, was aus all’ der unendli­ chen Arbeit werden soll, und ruft nur: tummelt euch, und sie­ het es fast ungern, wenn es vor sich geht, denn am Ende hätt’ er ja nichts mehr zu treiben, und seine Rolle wäre gespielt. Aus blosem Verstande kömmt keine Philosophie, denn Phi­ losophie ist mehr, denn nur die beschränkte Erkenntniß des Vorhandnen. Aus bloser Vernunft kömmt keine Philosophie, denn Phi­ losophie ist mehr, denn blinde Forderung eines nie zu endi­ genden Fortschritts in Vereinigung und Unterscheidung eines möglichen Stoffs. Leuchtet aber das göttliche en diaferon eautw/, das Ide­ al der Schönheit der strebenden Vernunft, so fodert sie nicht blind, und weiß, warum, wozu sie fodert. Scheint, wie der Maitag in des Künstlers Werkstatt, dem Verstande die Sonne des Schönen zu seinem Geschäfte, so schwärmt er zwar nicht hinaus und läßt sein Nothwerk stehn, doch denkt er gerne des Festtags, wo er wandeln wird im ver­ jüngenden Frühlingslichte. So weit war ich, als wir landeten an der Küste von Attika. Das alte Athen lag jezt zu sehr uns im Sinne, als daß wir hätten viel in der Ordnung sprechen mögen, und ich wunderte mich jezt selber über die Art meiner Äußerungen. Wie bin ich doch, rief ich, auf die troknen Berggipfel gerathen, worauf ihr mich saht? Es ist immer so, erwiederte Diotima, wenn uns recht wohl ist. Die üppige Kraft sucht eine Arbeit. Die jungen Lämmer

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Senza la bellezza dello spirito e del cuore, la ragione è come un supervisore che il padrone di casa ha posto sopra i suoi servitori, che non sa quale sarà il risultato di tutto quel lavoro infnito, proprio come non lo sanno i servitori, e si limita a gridare: «sbrigatevi», ma allo stesso tempo non vede di buon occhio l’avanzamento dei lavori, perché alla fne non avrebbe più nulla da fare e il suo ruolo si esauri­ rebbe. Dall’intelletto soltanto non può scaturire la flosofa, perché la flosofa è più della conoscenza limitata di ciò che esiste. Dalla ragione soltanto non può scaturire la flosofa, perché la flosofa è più della cieca pretesa di un progres­ so senza fne nell’unione e nella divisione di ogni materia possibile. Quando invece la ragione ambiziosa vede rilucere il di­ vino en diaferon eautw/, l’ideale della bellezza, ecco che non pretende più ciecamente e sa invece per quale motivo, a quale scopo pretende.200 Quando il sole della bellezza illumina l’intelletto nella sua opera, come il giorno di maggio la bottega dell’arti­ giano, egli non abbandona certo il lavoro per precipitarsi all’aperto, ma pensa contento alla domenica, quando pas­ seggerà nella luce giovane della primavera». Ero arrivato a quel punto quando attraccammo alla co­ sta dell’Attica. L’antica Atene riempiva troppo i nostri pensieri per po­ ter proseguire il discorso con ordine, e io stesso mi mera­ vigliai delle cose che avevo detto. «Come sono arrivato su quelle vette rocciose», esclamai, «come ho fatto ad arriva­ re fn là?» «Succede sempre così, quando ci sentiamo bene» ri­ spose Diotima. «La forza esuberante cerca un’occupazio­

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stoßen sich die Stirnen an einander, wenn sie von der Mutter Milch gesättiget sind. Wir giengen jezt am Lykabettus hinauf, und blieben, troz der Eile, zuweilen stehen, in Gedanken und wunderbaren Er­ wartungen. Es ist schön, daß es dem Menschen so schwer wird, sich vom Tode dessen, was er liebt, zu überzeugen, und es ist wohl keiner | noch zu seines Freundes Grabe gegangen, ohne die leise Hofnung, da dem Freunde wirklich zu begegnen. Mich ergriff das schöne Phantom des alten Athens, wie einer Mutter Gestalt, die aus dem Todtenreiche zurükkehrt. O Parthenon! rief ich, Stolz der Welt! zu deinen Füßen liegt das Reich des Neptun, wie ein bezwungener Löwe, und wie Kinder, sind die andern Tempel um dich versammelt, und die beredte Agora und der Hain des Akademus – Kannst du so dich in die alte Zeit versezen, sagte Diotima. Mahne mich nicht an die Zeit! erwiedert’ ich; es war ein göttlich Leben und der Mensch war da der Mittelpunct der Natur. Der Frühling, als er um Athen her blühte, war er, wie eine bescheidne Blume an der Jungfrau Busen; die Sonne gieng schaamroth auf über den Herrlichkeiten der Erde. Die Marmorfelsen des Hymettus und Pentele sprangen her­ vor aus ihrer schlummernden Wiege, wie Kinder aus der Mut­ ter Schoos, und gewannen Form und Leben unter den zärtli­ chen Athener­Händen. Honig reichte die Natur und die schönsten Veilchen und Myrthen und Oliven. Die Natur war Priesterin und der Mensch ihr Gott, und al­ les Leben in ihr und jede Gestalt und jeder Ton von ihr nur Ein begeistertes Echo des Herrlichen, dem sie gehörte. Ihn feiert’, ihm nur opferte sie. Er war es auch werth, er mochte liebend in der heiligen Werkstatt sizen und dem Götterbilde, das er gemacht, die

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ne, i giovani vitelli si prendono a testate l’un l’altro, una volta saziati dal latte della madre». Salivamo lungo il Licabetto201 fermandoci di tanto in tanto, nonostante la fretta, pensierosi e con meravigliose aspettative. «È bello che l’uomo faccia così fatica a convincersi della morte di ciò che ama, e nessuno è mai | andato alla tomba dell’amico senza una seppur minima speranza di incontrarlo in carne e ossa». Ero così preso dal bel fanta­ sma dell’antica Atene come dalla fgura di una madre che ritorna dal regno dei morti.202 «Partenone, orgoglio del mondo!» esclamai, «ai tuoi piedi giace il regno di Nettuno come un leone addomesti­ cato, e gli altri templi si raccolgono intorno a te come bam­ bini, e la faconda agora e il boschetto di Academo...»203 «Puoi immedesimarti così bene nei tempi antichi?» chiese Diotima. «Non ricordarmi quei tempi!» replicai; «la vita era di­ vina e l’uomo era il fulcro della natura. Quando la prima­ vera foriva intorno ad Atene era come un timido forellino sul seno di una vergine, il sole sorgeva rosso di vergogna sulle meraviglie della terra. Le rocce marmoree dell’Imetto e del Pentelico204 bal­ zavano fuori dalla loro culla insonnolita come bimbi dal grembo della madre, e acquistavano forma e vita grazie alle delicate mani ateniesi. La natura porgeva miele e le viole più belle, mirti e olive. La natura era la sacerdotessa e l’uomo il suo dio, e tutta la vita in lei, ogni sua forma, ogni suono era solo un’eco estasiata dello splendido uomo a cui apparteneva. Lui celebrava, soltanto a lui offriva sacrifci. E ne era degno, sia che sedesse nella sacra bottega ab­ bracciando con affetto le ginocchia dell’immagine divina

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Kniee umfassen, oder auf dem Vorgebirge, auf Suniums grüner Spize, unter den horchenden Schülern gelagert, sich die Zeit verkürzen mit hohen Gedanken, oder er mocht’ im Stadium laufen, oder vom Rednerstuhle, wie der Gewittergott, Reegen und Sonnenschein und Blize senden und goldene Wolken – O siehe! rief jezt Diotima mir plözlich zu. Ich sah, und hätte vergehen mögen vor dem allmächtigen Anblik. Wie ein unermeßlicher Schiffbruch, wenn die Orkane ver­ stummt sind und die Schiffer entfohn, und der Leichnam der zerschmetterten Flotte unkenntlich auf der Sandbank liegt, so lag | vor uns Athen, und die verwaisten Säulen standen vor uns, wie die nakten Stämme eines Walds, der am Abend noch grün­ te, und des Nachts darauf im Feuer aufgieng. Hier, sagte Diotima, lernt man stille seyn über sein eigen Schiksaal, es seie gut oder böse. Hier lernt man stille seyn über Alles, fuhr ich fort. Hätten die Schnitter, die diß Kornfeld, gemäht, ihre Scheunen mit sei­ nen Halmen bereichert, so wäre nichts verloren gegangen, und ich wollte mich begnügen, hier als Ährenleser zu stehn; aber wer gewann denn? Ganz Europa, erwiedert’ einer von den Freunden. O ja! rief ich, sie haben die Säulen und Statuen weggeschleift und an einander verkauft, haben die edlen Gestalten nicht we­ nig geschäzt, der Seltenheit wegen, wie man Papagayen und Affen schäzt. Sage das nicht! erwiedert’ derselbe; und mangelt’ auch wirklich ihnen der Geist von all’ dem Schönen, so wär’ es, weil der nicht weggetragen werden konnte und nicht gekauft. Ja wohl! rief ich. Dieser Geist war auch untergegangen noch ehe die Zerstörer über Attika kamen. Erst, wenn die Häuser

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che aveva scolpito, sia che sedesse sul promontorio, sulla verde punta del Sunio con i discepoli tutti intorno che lo ascoltavano205 impegnando il tempo con nobili pensieri, sia che corresse nello stadio, sia che inviasse pioggia, sole e lampi, e nuvole dorate come il dio della pioggia, dallo scranno dell’oratore…» «Guarda!» gridò improvvisamente Diotima. Guardai, e mi sentii mancare tanta era la maestà della vista. Come un naufragio smisurato, quando gli uragani si sono placati e i marinai sono fuggiti, e le carcasse della fotta sfracellata giacciono irriconoscibili sulla secca, così giaceva | davanti a noi Atene; le colonne orfane si ergevano davanti a noi come i tronchi spogli di un bosco che alla sera era ancora verdeggiante e nella notte è stato distrutto dal fuoco. «Qui si impara a non lamentarsi del proprio destino, buono o cattivo che sia», disse Diotima. «Qui si impara a non lamentarsi di nulla», proseguii. «Se i mietitori che hanno raccolto in questo campo di gra­ no avessero riempito i loro granai con le sue spighe, nulla sarebbe andato perso, e mi accontenterei di venire qui a spigolare; ma chi ne ha tratto vantaggio?» «Tutta l’Europa», rispose uno degli amici. «Ah davvero!» esclamai, «hanno trascinato via le co­ lonne e le statue per farne mercato, hanno stimato non poco le nobili fgure per la loro rarità, come fossero pap­ pagalli o scimmie». «Non dire così!» rispose quello; «se mancava loro lo spirito per tutta quella bellezza, era solo perché non lo si poteva portare via e rivendere». «Esatto! Quello spirito era tramontato ancora prima che i predatori giungessero nell’Attica. Solo quando le

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und Tempel ausgestorben, wagen sich die wilden Thiere in die Thore und Gassen. Wer jenen Geist hat, sagte Diotima tröstend, dem stehet Athen noch, wie ein blühender Fruchtbaum. Der Künstler er­ gänzt den Torso sich leicht. Wir giengen des andern Tages früh aus, sahn die Ruinen des Parthenon, die Stelle des alten Bacchustheaters, den Theseus­ tempel, die sechzehn Säulen, die noch übrig stehn vom gött­ lichen Olympion; am meisten aber ergriff mich das alte Thor, wodurch man ehmals aus der alten Stadt zur neuen herauskam, wo gewiß einst tausend schöne Menschen an Einem Tage sich grüßten. Jezt kömmt man weder in die alte noch in die neue Stadt durch dieses Thor, und stumm und öde stehet es da, wie ein vertrokneter Brunnen, aus dessen Röhren einst mit freund­ lichem Geplätscher das klare frische Wasser sprang. Ach! sagt’ ich, indeß wir so herumgiengen, es ist wohl ein prächtig Spiel des Schiksaals, daß es hier die Tempel nieder­ stürzt | und ihre zertrümmerten Steine den Kindern herumzu­ werfen giebt, daß es die zerstümmelten Götter zu Bänken vor der Bauernhütte und die Grabmäler hier zur Ruhestätte des waiden­ den Stiers macht, und eine solche Verschwendung ist königlicher, als der Muthwille der Kleopatra, da sie die geschmolzenen Perlen trank; aber es ist doch Schade um all’ die Größe und Schönheit! Guter Hyperion! rief Diotima, es ist Zeit, daß du weggehst; du bist blaß und dein Auge ist müde, und du suchst dir um­ sonst mit Einfällen zu helfen. Komm hinaus! in’s Grüne! unter die Farben des Lebens! das wird dir wohlthun. Wir giengen hinaus in die nahegelegenen Gärten. Die andern waren auf dem Wege mit zwei brittischen Ge­ lehrten, die unter den Altertümern in Athen ihre Erndte hiel­ ten, in’s Gespräch gerathen und nicht von der Stelle zu brin­ gen. Ich ließ sie gerne. Mein ganzes Wesen richtete sich auf, da ich einmal wieder mit Diotima allein mich sah; sie hatte einen herrlichen Kampf

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case e i templi furono abbandonati, quelle fere selvagge osarono entrare dalle porte e nelle strade». «Chi ha quello spirito», si intromise Diotima concilian­ te, «vede ancora l’antica Atene come un albero in fore. L’artista completa il torso con facilità». Il giorno seguente uscimmo presto, visitammo le rovine del Partenone, il sito dell’antico teatro di Bacco, il tempio di Teseo, le sedici colonne ancora in piedi del divino Olim­ pieo; più di tutto però mi colpì l’antica porta dalla quale una volta si passava dalla città vecchia alla nuova, dove di certo ogni giorno si salutavano migliaia di uomini belli.206 Ora questa porta non conduce più né nella città vecchia né in quella nuova e se ne sta là muta e abbandonata, come una fontana prosciugata dai cui tubi una volta zampillava acqua fresca e chiara in un gradevole mormorio. «Ah, è davvero uno splendido scherzo del destino, ab­ battere i templi | e lasciare che i bambini si tirino le pietre, mentre gli dei mutilati fanno da panca davanti alla casa del contadino e le tombe servono da ricovero per gli animali al pascolo. Un simile spreco è ancora più regale dell’arro­ ganza di Cleopatra che bevve perle disciolte,207 ma è un peccato per tutta questa grandezza e bellezza!» «Buon Iperione», esclamò Diotima, «è tempo di anda­ re via; sei pallido e hai gli occhi stanchi, e cerchi invano di farti venire in mente qualcosa. Vieni, andiamo nel verde, fra i colori della vita! Ti farà bene». Uscimmo verso i giardini lì vicini. Gli altri avevano attaccato discorso lungo la strada con due studiosi inglesi che andavano a caccia fra le rovine di Atene,208 e non ci fu verso di allontanarli. Li lasciai volen­ tieri. Tutto il mio essere si riprese, una volta solo con Dio­ tima; aveva combattuto una splendida battaglia contro il

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bestanden mit dem heiligen Chaos von Athen. Wie das Saiten­ spiel der himmlischen Muse über den uneinigen Elementen, herrschten Diotimas stille Gedanken über den Trümmern. Wie der Mond aus zartem Gewölke, hob sich ihr Geist aus schö­ nem Leiden empor; das himmlische Mädchen stand in seiner Wehmuth da, wie die Blume, die in der Nacht am lieblichsten duftet. Wir giengen weiter und weiter, und waren am Ende nicht umsonst gegangen. O ihr Haine von Angele, wo der Ölbaum und die Zypresse, umeinander füsternd, mit freundlichen Schatten sich kühlen, wo die goldne Frucht des Zitronenbaums aus dunklem Laube blinkt, wo die schwellende Traube muthwillig über den Zaun wächst, und die reife Pomeranze, wie ein lächelnder Fündling, im Wege liegt! ihr duftenden heimlichen Pfade! ihr friedlichen Size, wo das Bild des Myrthenstrauchs aus der Quelle lächelt! euch werd’ ich nimmer vergessen. Diotima und ich giengen eine Weile unter den herrlichen Bäumen umher, bis eine große heitere Stelle sich uns darbot. Hier sezten wir uns. Es war eine seelige Stille unter uns. Mein Geist umschwebte die göttliche Gestalt des Mädchens, wie eine | Blume der Schmetterling, und all’ mein Wesen erleichterte, ver­ einte sich in der Freude der begeisternden Betrachtung. Bist du schon wieder getröstet, Leichtsinniger? sagte Diotima. Ja! ja! ich bins, erwiedert’ ich. Was ich verloren wähnte, hab’ ich, wonach ich schmachtete, als wär’ es aus der Welt ver­ schwunden, das ist vor mir. Nein, Diotima! noch ist die Quelle der ewigen Schönheit nicht versiegt. Ich habe dir’s schon einmal gesagt, ich brauche die Göt­ ter und die Menschen nicht mehr. Ich weiß, der Himmel ist ausgestorben, entvölkert, und die Erde, die einst überfoß von schönem menschlichem Leben, ist fast, wie ein Ameisenhaufe, geworden. Aber noch giebt es eine Stelle, wo der alte Himmel

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sacro caos di Atene. Come il suono della cetra della musa divina dominava gli elementi scomposti, così i pensieri quieti di Diotima regnavano sulle macerie. Come la luna fra le nuvole rade, così il suo spirito si sollevava dalla bella sofferenza; quella fanciulla celestiale nella sua malinconia era come il fore che nella notte rilascia il profumo più delicato.209 Camminammo e camminammo, e alla fne non fu in­ vano. O boschetti di Angele,210 dove l’ulivo e il cipresso, bisbi­ gliando fra loro, si ristorano nell’ombra amichevole, dove il frutto dorato del limone luccica tra il fogliame scuro, dove il grappolo turgido cresce spavaldo oltre lo steccato, e l’arancia matura cade ai tuoi piedi come un trovatello sorridente! Sentieri nascosti e profumati, luoghi di pace dove l’immagine del cespuglio di mirto sorride rifessa nel­ la sorgente, non vi dimenticherò mai. Diotima e io passeggiammo alquanto fra gli alberi mae­ stosi, fnché non trovammo un’ampia radura luminosa. Lì ci sedemmo. Fra noi regnava un silenzio felice; il mio spirito aleggiava intorno alla fgura divina della fanciulla come la | farfalla intorno al fore, e tutto il mio essere si al­ leggeriva e si ricomponeva nella gioia esaltante della con­ templazione. «Ti sei già consolato, farfallino?» disse Diotima. «Sì, davvero», risposi. «Quello che credevo perduto, l’ho ancora, ciò per il quale spasimavo come se fosse svani­ to dal mondo, è qui davanti a me. No, Diotima, la sorgente dell’eterna bellezza non si è ancora esaurita. Te l’ho già detto una volta, non ho più bisogno degli dei né degli uomini. Lo so, il cielo si è estinto, è spopolato, e la terra, che una volta traboccava di bella vita umana, è diven­ tata quasi un formicaio. Ma c’è ancora un luogo dove l’anti­

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und die alte Erde mir lacht. Denn alle Götter des Himmels und alle göttlichen Menschen der Erde vergeß’ ich in dir. Was kümmert mich der Schiffbruch der Welt, ich weiß von nichts, als meiner seeligen Insel. Es giebt eine Zeit der Liebe, sagte Diotima mit freundli­ chem Ernste, wie es eine Zeit giebt, in der glüklichen Wiege zu leben. Aber das Leben selber treibt uns heraus. Hyperion! – hier ergriff sie meine Hand mit Feuer, und ihre Stimme erhub mit Größe sich – Hyperion! mich deucht, du bist zu höhern Dingen geboren. Verkenne dich nicht! der Man­ gel am Stoffe hielt dich zurük. Es gieng nicht schnell genug. Das schlug dich nieder. Wie die jungen Fechter, felst du zu rasch aus, ehe noch dein Ziel gewiß und deine Faust gewandt war, und weil du, wie natürlich, mehr getroffen wurdest, als du trafst, so wurdest du scheu und zweifeltest an dir und allem; denn du bist so empfndlich, als du heftig bist. Aber dadurch ist nichts verloren. Wäre dein Gemüth und deine Thätigkeit so frühe reif geworden, so wäre dein Geist nicht, was er ist; du wärst der denkende Mensch nicht, wärst du nicht der lei­ dende, der gährende Mensch gewesen. Glaube mir, du hättest nie das Gleichgewicht der schönen Menschheit so rein erkannt, hättest du es nicht so sehr verloren gehabt. Dein Herz hat endlich Frieden gefunden. Ich will es glauben. Ich versteh es. Aber denkst du wirklich, daß du nun am Ende seist? Willst du dich verschließen in den Himmel deiner Liebe, und die Welt, die deiner bedürfte, verdorren und erkalten lassen unter dir? Du mußt, wie | der Lichtstral, herab, wie der allerfrischende Reegen, mußt du nieder in’s Land der Sterblichkeit, du must erleuchten, wie Apoll, erschüttern, beleben, wie Jupiter, sonst bist du deines Himmels nicht werth. Ich bitte dich, geh nach Athen hinein, noch Einmal, und siehe die Menschen auch an, die dort herumgehn unter den Trümmern, die rohen Albaner und die andern guten kindischen Griechen, die mit einem lus­

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co cielo e l’antica terra mi sorridono; in te infatti dimentico tutti gli dei del cielo e tutti gli uomini divini della terra. Che mi importa se il mondo cola a picco, io non so nul­ la se non la mia isola felice». «C’è un tempo per amare», disse Diotima con affettuo­ sa serietà, «così come c’è un tempo per vivere felici nella culla. Ma è la vita stessa a farci uscire». «Iperione!» disse poi afferrandomi la mano con calore, mentre la sua voce si faceva autorevole, «Iperione, credo che tu sia fatto per cose più grandi. Non misconoscerti! La mancanza di materia prima ti ha trattenuto, tutto era troppo lento e questo ti ha scoraggiato. Come i duellanti inesperti, ti sei ritirato troppo presto, prima che il tuo obiettivo fosse chiaro e la tua mano allenata, e perché, come è naturale, venivi colpito più di quanto colpivi; questo ti fece diventare schivo e dubitare di te e di tutto, perché sei tanto permaloso quanto impetuoso. Ma nulla è perduto. Se il tuo animo e la tua azione fossero maturati prima, il tuo spirito non sa­ rebbe quello che è, non saresti l’uomo che rifette, non sa­ resti l’uomo che soffre, che fermenta. Credimi, non avresti mai riconosciuto in modo così nitido l’equilibrio della bella umanità, se non ne avessi sentito così tanto la mancanza. Il tuo cuore ha fnalmente trovato la pace, voglio crederlo, capisco che è così. Ma credi veramente di essere arrivato alla fne? Vuoi chiuderti nel cielo del tuo amore, e lasciar seccare e raffreddare sotto di te il mondo che di te ha bisogno? Devi scendere | come il raggio di luce, come la pioggia che tutto ristora devi scendere nel paese dei mortali, devi illuminare come Apollo, scuotere, animare come Giove, altrimenti non sei degno del tuo cielo.211 Ti prego, torna ancora una volta ad Atene, e osserva anche gli uomini che si aggirano tra le rovine, i rozzi albanesi e i greci buoni e infantili, che si con­ solano con un allegro balletto e con una favoletta sacra per

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tigen Tanze und einem heiligen Mährchen sich trösten über die schmähliche Gewalt, die über ihnen lastet – kannst du sagen, ich schäme mich dieses Stoffs? Ich meine, er wäre doch noch bildsam. Kannst du dein Herz abwenden von den Bedürftigen? Sie sind nicht schlimm, sie haben dir nichts zu laide gethan! Was kann ich für sie thun, rief ich. Gieb ihnen, was du in dir hast, erwiederte Diotima, gieb – Kein Wort, kein Wort mehr, große Seele! rief ich, du beugst mich sonst, es ist ja sonst, als hättest du mit Gewalt mich dazu gebracht – Sie werden nicht glüklicher seyn, aber edler, nein! sie wer­ den auch glüklicher seyn. Sie müssen heraus, sie müssen her­ vorgehn, wie die jungen Berge aus der Meersfuth, wenn ihr unterirrdisches Feuer sie treibt. Zwar steh’ ich allein und trete ruhmlos unter sie. Doch Ei­ ner, der ein Mensch ist, kann er nicht mehr, denn Hunderte, die nur Theile sind des Menschen? Heilige Natur! du bist dieselbe in und außer mir. Es muß so schwer nicht seyn, was außer mir ist, zu vereinen mit dem Gött­ lichen in mir. Gelingt der Biene doch ihr kleines Reich, warum sollte denn ich nicht pfanzen können und baun, was noth ist? Was? der arabische Kaufmann säete seinen Koran aus, und es wuchs ein Volk von Schülern, wie ein unendlicher Wald, ihm auf, und der Aker sollte nicht auch gedeihn, wo die alte Wahr­ heit wiederkehrt in neu lebendiger Jugend? Es werde von Grund aus anders! Aus der Wurzel der Menschheit sprosse die neue Welt! Eine neue Gottheit walte über ihnen, eine neue Zukunft kläre vor ihnen sich auf. In der Werkstatt, in den Häusern, in den Versammlungen, in den Tempeln, überall werd’ es anders! | Aber ich muß noch ausgehn, zu lernen. Ich bin ein Künstler, aber ich bin nicht geschikt. Ich bilde im Geiste, aber ich weiß noch die Hand nicht zu führen –

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la vergognosa potenza che grava su di loro...212 Puoi dire: mi vergogno di questa materia? Penso che si lascerebbe ancora modellare. Puoi distogliere il tuo cuore dai bisognosi? Non sono cattivi, non ti hanno fatto nulla di male!» «Ma che cosa posso fare per loro?» dissi. «Da’ loro quello che hai in te», rispose Diotima, «da’ loro...» «Basta, non dire più nulla, anima nobile!» esclamai, «altrimenti mi piegherai, e sarebbe come se mi avessi co­ stretto con la forza... Non saranno più felici, ma almeno più nobili; no, sa­ ranno anche più felici. Devono emergere, devono emerge­ re come giovani montagne dai futti del mare, spinte da un fuoco sotterraneo. Io però sono solo e sono uno sconosciuto qualunque, ma uno solo, che sia veramente un uomo, non può forse fare più di centinaia che sono soltanto monconi di uomo? Natura sacra! Tu sei la stessa dentro e fuori di me. Non deve essere poi così diffcile unire ciò che è fuori di me con il divino che è in me. Se l’ape minuscola riesce a creare il suo regno, perché io non dovrei riuscire a seminare e a costruire ciò che è necessario? Come, un mercante arabo seminò il suo Corano e creb­ be un popolo di discepoli come un bosco infnito,213 e vuoi che il campo non sia disposto a portare frutti rigogliosi se torna l’antica verità in una nuova, vivace giovinezza? Che tutto cambi radicalmente! Dalle radici dell’umani­ tà germogli il nuovo mondo! Una nuova divinità lo gover­ ni, un nuovo futuro si schiuda davanti a lui. Nelle botteghe, nelle case, nelle assemblee, nei templi, dappertutto sarà diverso! | Ma devo prima andarmene per imparare. Sono un ar­ tista ma non sono ancora esperto. Costruisco idealmente, ma poi non so come guidare la mano...»

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Du gehest nach Italien, sagte Diotima, nach Deutschland, Frankreich – wie viel Jahre brauchst du? drei – vier – ich den­ ke drei sind genug; du bist ja keiner von den Langsamen, und suchst das Größte und das Schönste nur – »Und dann?« Du wirst Erzieher unsers Volks, du wirst ein großer Mensch seyn, hoff’ ich. Und wenn ich dann dich so umfasse, da werd’ ich träumen, als wär’ ich ein Theil des herrlichen Manns, da werd’ ich frohlokken, als hättst du mir die Hälfte deiner Un­ sterblichkeit, wie Pollux dem Kastor, geschenkt, o! ich werd’ ein stolzes Mädchen werden, Hyperion! Ich schwieg eine Weile. Ich war voll unaussprechlicher Freude. Gibt’s denn Zufriedenheit zwischen dem Entschluß und der That, begann ich endlich wieder, giebt’s eine Ruhe vor dem Siege? Es ist die Ruhe des Helden, sagte Diotima, es giebt Ent­ schlüsse, die, wie Götterworte, Gebot und Erfüllung zugleich sind, und so ist der deine. – Wir gingen zurük, wie nach der ersten Umarmung. Es war uns alles fremd und neu geworden. Ich stand nun über den Trümmern von Athen, wie der Akers­ mann auf dem Brachfeld. Liege nur ruhig, dacht’ ich, da wir wie­ der zu Schiffe giengen, liege nur ruhig, schlummerndes Land! Bald grünt das junge Leben aus dir, und wächst den Seegnungen des Himmels entgegen. Bald reegnen die Wolken nimmer um­ sonst, bald fndet die Sonne die alten Zöglinge wieder. Du frägst nach Menschen, Natur? Du klagst, wie ein Saiten­ spiel, worauf des Zufalls Bruder, der Wind, nur spielt, weil der Künstler, der es ordnete, gestorben ist? Sie werden kommen, deine Menschen, Natur! Ein verjüngtes Volk wird dich auch wieder verjüngen, und du wirst werden, wie seine Braut und der alte Bund der Geister wird sich erneuen mit dir. Es wird nur Eine Schönheit seyn; und Menschheit und Na­ tur wird sich vereinen in Eine allumfassende Gottheit. |

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«Vai in Italia», disse Diotima, «in Germania, in Fran­ cia... Quanti anni ti servono, tre, quattro? Credo che tre siano suffcienti, tu non sei lento, e selezionerai solo le cose più importanti e più belle...» «E poi?» «Poi educherai il nostro popolo, e sarai un grande uomo, spero.214 E quando ti abbraccerò come ora, imma­ ginerò di essere una parte di quel grande uomo, esulterò come se tu mi avessi donato metà della tua immortalità, come Castore e Polluce; sarò fera di te, Iperione!» Tacqui per un poco, colmo di gioia indicibile. «C’è anche soddisfazione fra la decisione e l’azione», ripresi infne, «c’è anche tranquillità prima della vittoria?» «È la tranquillità dell’eroe», disse Diotima; «ci sono de­ cisioni che, come il verbo di Dio, sono comando e compi­ mento insieme, e così è la tua». Tornammo indietro, come dopo il primo abbraccio. Tutto ci era diventato sconosciuto e nuovo. Ora stavo fra le rovine di Atene come il contadino sul campo incolto. Riposa ora, pensavo mentre tornavamo alla barca, riposa, terra addormentata! Presto sboccerà da te una giovane vita, e crescerà nella benedizione del cielo. Presto le nuvole non manderanno più la pioggia invano, presto il sole ritroverà i suoi antichi allievi. Tu cerchi gli uomini, natura? Ti lamenti come la cetra suonata solo dal vento, fratello del caso, perché l’artista che l’aveva accordata è morto? Verranno i tuoi uomini, natura! Un popolo ringiovanito ti farà ringiovanire, e tu diventerai la sua sposa e l’antica alleanza degli spiriti si rinnoverà con te. Allora ci sarà un’unica bellezza, e umanità e natura si riuniranno in una divinità onnicomprensiva.215 |

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Zweiter Band. me funai, ton apanta nika/ logon. tod∆ epei fanh, bhnai keiqen, oqen per hkei, polu deuteron w~ tacista. SopHokleS.

Volume secondo me funai, ton apanta nika/ logon. tod∆ epei fanh, bhnai keiqen, oqen per hkei, polu deuteron w~ tacista. Sofocle216

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Erstes Buch. Hyperion an Bellarmin. Wir lebten in den lezten schönen Momenten des Jahrs, nach unserer Rükkunft aus dem Attischen Lande. Ein Bruder des Frühlings war uns der Herbst, voll milden Feuers, eine Festzeit für die Erinnerung an Laiden und ver­ gangne Freuden der Liebe. Die welkenden Blätter trugen die Farbe des Abendroths, nur die Fichte und der Lorbeer stand in ewigem Grün. In den heitern Lüften zögerten wandernde Vögel, andere schwärmten im Weinberg, und im Garten und erndteten fröhlich, was die Menschen übrig gelassen. Und das himmlische Licht rann lauter vom offenen Himmel, durch alle Zweige lächelte die heilige Sonne, die gütige, die ich niemals nenne ohne Freude und Dank, die oft in tiefem Laide mit ei­ nem Blike mich geheilt, und von dem Unmuth und den Sorgen meine Seele gereinigt. Wir besuchten noch all’ unsere liebsten Pfade, Diotima und ich, entschwundne seelige Stunden begegneten uns überall. Wir erinnerten uns des vergangenen Mais, wir hätten die Erde noch nie so gesehen, wie damals, meinten wir, sie wäre verwandelt gewesen, eine silberne Wolke von Blüthen, eine freudige Lebensfamme, entledigt alles gröberen Stoffs. Ach! es war alles so voll Lust und Hoffnung, rief Diotima, so voll unaufhörlichen Wachstums und doch auch so mühelos, so seeligruhig, wie ein Kind, das vor sich hin spielt, und nicht weiter denkt.

Libro primo iperione a Bellarmino Dopo il nostro ritorno dalla terra dell’Attica vivemmo gli ultimi bei momenti dell’anno.217 Fratello della primavera ci pareva l’autunno, colmo di un mite tepore, un tempo di festa per i ricordi dei dolori e delle gioie passate dell’amore.218 Le foglie, appassendo, vestivano i colori del tramonto, solo l’abete e l’alloro rima­ nevano sempre verdi. Nell’aria serena si attardavano gli uccelli migratori, altri sciamavano nella vigna e nel giardi­ no e raccoglievano felici ciò che gli uomini avevano lascia­ to. E la luce celeste scorreva più pura dal cielo terso, tra i rami sorrideva il sacro sole, generoso, che non nomino mai senza gioia e senza gratitudine, che spesso aveva sanato il mio profondo dolore con un solo sguardo e mi aveva pu­ rifcato l’anima dal malumore e dalle pene. Percorremmo ancora tutti i nostri sentieri preferiti, Diotima e io; dovunque ci venivano incontro le ore felici trascorse lì. Ripensavamo al maggio precedente, e ci sembrava di non aver mai visto la terra bella come allora; era mutata, era una nuvola argentea di gemme, una gioiosa fammata di vita, libera da tutta la materia più grezza.219 «Ah, tutto era così gravido di piacere e di speranza», esclamò Diotima, «preso in una crescita inarrestabile ma senza affanno,220 così beatamente tranquillo come un bim­ bo che giocherella da solo senza pensare ad altro».

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Daran, rief ich, erkenn’ ich sie, die Seele der Natur, an die­ sem stillen Feuer, an diesem Zögern in ihrer mächtigen Eile. Und es ist den Glüklichen so lieb, diß Zögern, rief Dioti­ ma; weist du? wir standen einmal des Abends zusammen auf der Brüke, nach starkem Gewitter, und das rothe Berggewäs­ ser schoß, | wie ein Pfeil, unter uns weg, aber daneben grünt’ in Ruhe der Wald, und die hellen Buchenblätter regten sich kaum. Da that es uns so wohl, daß uns das seelenvolle Grün nicht auch so wegfog, wie der Bach, und der schöne Frühling uns so still hielt, wie ein zahmer Vogel, aber nun ist er dennoch über die Berge. Wir lächelten über dem Worte, wiewol das Trauern uns nä­ her war. So sollt’ auch unsre eigne Seeligkeit dahingehn, und wir sahen’s voraus. O Bellarmin! wer darf denn sagen, er stehe vest, wenn auch das Schöne seinem Schiksaal so entgegenreift, wenn auch das Göttliche sich demüthigen muß, und die Sterblichkeit mit al­ lem Sterblichen theilen! Hyperion an Bellarmin. Ich hatte mit dem holden Mädchen noch vor ihrem Hause gezögert, bis das Licht der Nacht in die ruhige Dämmerung schien, nun kam ich in Notaras Wohnung zurük, gedankenvoll, voll überwallenden heroischen Lebens, wie immer, wenn ich aus ihren Umarmungen gieng. Es war ein Brief von Alabanda gekommen. Es regt sich, Hyperion, schrieb er mir, Rußland hat der Pforte den Krieg erklärt; man kommt mit einer Flotte in den Archipelagus*; die * Im Jahr 1770.

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«Da quello la riconosco, l’anima della natura», dissi, «da quel fuoco quieto, da questo indugiare nella sua po­ derosa fretta». «E chi è felice lo ama, quell’indugio», disse Diotima; «ti ricordi? Una volta, una sera, eravamo insieme sul ponte, dopo un forte temporale; il torrente arrossato si precipi­ tava | come una freccia sotto di noi, ma lì accanto verdeg­ giava placido il bosco, e le foglie chiare dei faggi si muove­ vano appena. Allora apprezzammo molto che quel verde così intenso non volasse via come il torrente, e che la bella primavera ci mantenesse tranquilli come un uccellino ad­ domesticato, che ora però è volato oltre i monti». Sorridemmo a quelle parole, nonostante la tristezza ci fosse molto più vicina. Così doveva svanire anche la nostra felicità, e lo presa­ givamo. O Bellarmino, chi può rimanere saldo quando anche la bellezza matura e si fa incontro al suo destino, quando an­ che il divino deve umiliarsi e condividere la caducità con tutto ciò che è mortale! iperione a Bellarmino Mi attardai ancora con la soave fanciulla davanti alla sua casa, fnché la luce della notte non brillò nel tranquillo crepusco­ lo, poi tornai a casa di Notara, pensieroso, ricolmo di pro­ rompente vita eroica come ogni volta quando mi allontanavo dagli abbracci di lei. Era arrivata una lettera di Alabanda. 221 «Ci siamo, Iperione», mi scriveva, «la Russia ha dichiara­ to guerra alla Porta, una fotta sta arrivando nell’arcipelago;* * Nell’anno 1770.

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Griechen sollen frei seyn, wenn sie mit aufstehn, den Sultan an den Euphrat zu treiben. Die Griechen werden das Ihre thun, die Griechen werden frei seyn und mir ist herzlich wohl, daß es einmal wieder etwas zu thun giebt. Ich mochte den Tag nicht sehn, so lang es noch so weit nicht war. Bist du noch der Alte, so komm! Du fndst mich in dem Dorfe vor Koron, wenn du den Weg von Misistra kömmst. Ich wohne am Hügel, in dem weißen Landhause am Walde. | Die Menschen, die du in Smyrna bei mir kennen lerntest, hab’ ich verlassen. Du hattest recht mit deinem feinern Sinne, daß du in ihre Sphäre nicht tratest. Mich verlangt, uns Beede in dem neuen Leben wiederzu­ sehn. Dir war bis izt die Welt zu schlecht, um ihr dich zu er­ kennen zu geben. Weil du nicht Knechtsdienste thun mochtest, thatest du nichts, und das Nichtsthun machte dich grämlich und träumerisch. Du mochtest im Sumpfe nicht schwimmen. Komm nun, komm, und laß uns baden in offener See! Das soll uns wohl thun, einzig Geliebter! So schrieb er. Ich war betroffen im ersten Moment. Mir brannte das Gesicht vor Schaam, mir kochte das Herz, wie heiße Quellen, und ich konnt’ auf keiner Stelle bleiben, so schmerzt’ es mich, überfogen zu seyn von Alabanda, überwun­ den auf immer. Doch nahm ich nun auch um so begieriger die künftige Arbeit an’s Herz. – Ich bin zu müßig geworden, rief ich, zu friedenslustig, zu himmlisch, zu träg! – Alabanda sieht in die Welt, wie ein edler Pilot, Alabanda ist feißig und sucht in der Wooge nach Beute; und dir schlafen die Hände im Schoos’? und mit Worten möch­ test du ausreichen, und mit Zauberformeln beschwörst du die Welt? Aber deine Worte sind, wie Schneefoken, unnüz, und machen die Luft nur trüber und deine Zaubersprüche sind für

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anche i greci saranno liberi se si solleveranno e aiuteranno a ricacciare il sultano verso l’Eufrate.222 I greci faranno la loro parte, i greci saranno liberi e mi fa bene al cuore avere di nuovo qualcosa da fare. Non ne potevo più dei giorni passati nell’attesa. Se sei ancora quello di una volta, vieni! Mi troverai nel paesino prima di Corone, se arrivi dalla strada di Misistra. Abito sulla collina, nella casa bianca ai margini del bosco.223 | Gli uomini che avevi conosciuto da me a Smirne, li ho abbandonati. Hai fatto bene a seguire il tuo istinto più perspicace e a non entrare nella loro sfera. Sento il desiderio di ritrovarci insieme nella nuova vita. Il mondo fnora era troppo mediocre perché tu ti mostras­ si a lui; e dato che non volevi fare lavori da servo, non hai fatto nulla, ma l’inattività ti ha reso intrattabile e malinco­ nico. Non volevi nuotare nella palude; vieni ora, vieni a nuo­ tare nel mare aperto! Ci farà bene, mio unico amico!» Così scriveva. In un primo momento fui perplesso. Il volto mi bruciava per la vergogna, il cuore ribolliva come una sorgente calda, non riuscivo a stare fermo, tanto mi fe­ riva essere stato superato da Alabanda, sconftto per sem­ pre. E ancora più ansiosamente mi presi a cuore l’impegno futuro. «Sono diventato troppo ozioso, troppo amante del­ la pace, troppo contemplativo, troppo pigro!» esclamai. «Alabanda scruta il mondo come un nobile timoniere, Alabanda è vigile e cerca la possibile preda tra le onde; e tu te ne stai con le mani in mano? Con le parole pensi di fare tutto, con formule magiche vuoi incantare il mondo? Ma la tue parole sono inutili, come i focchi di neve rendo­ no solo l’aria più torbida, mentre le tue formule magiche

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die Frommen, aber die Unglaubigen hören dich nicht. – Ja! sanft zu seyn, zu rechter Zeit, das ist wohl schön, doch sanft zu seyn, zur Unzeit, das ist häßlich, denn es ist feig! – Aber Harmodius! deiner Myrthe will ich gleichen, deiner Myrthe, worinn das Schwerd sich verbarg. Ich will umsonst nicht müßig gegangen seyn, und mein Schlaf soll werden, wie Öl, wenn die Flamme darein kömmt. Ich will nicht zusehn, wo es gilt, will nicht umhergehn und die Neuigkeit erfragen, wann Alabanda den Lorbeer nimmt. | 700

Hyperion an Bellarmin. Diotimas Erblassen, da sie Alabandas Brief las, gieng mir durch die Seele. Drauf feng sie an, gelassen und ernst, den Schritt mir abzurathen und wir sprachen manches hin und wieder. O ihr Gewaltsamen! rief sie endlich, die ihr so schnell zum Äußers­ ten seid, denkt an die Nemesis! Wer Äußerstes leidet, sagt’ ich, dem ist das Äußerste recht. Wenns auch recht ist, sagte sie, du bist dazu nicht geboren. So scheint es, sagt’ ich; ich hab’ auch lange genug gesäumt. O ich möchte einen Atlas auf mich laden, um die Schulden meiner Jugend abzutragen. Hab’ ich ein Bewustseyn? hab’ ich ein Bleiben in mir? O laß mich, Diotima! Hier, gerad in solcher Arbeit muß ich es erbeuten. Das ist eitel Übermuth! rief Diotima; neulich warst du be­ scheidner, neulich, da du sagtest, ich muß noch ausgehn, zu lernen. Liebe Sophistin! rief ich, damals war ja auch von ganz was anderem die Rede. In den Olymp des Göttlichschönen, wo aus ewigjungen Quellen das Wahre mit allem Guten entspringt, da­ hin mein Volk zu führen, bin ich noch jezt nicht geschikt. Aber ein Schwerd zu brauchen, hab’ ich gelernt und mehr bedarf es

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sono solo per i devoti, chi non crede non ti ascolta. Certo, essere dolci al momento giusto è bello, ma essere dolci al momento sbagliato è odioso, perché è da vigliacchi! O Armodio, voglio assomigliare al tuo mirto, al tuo mirto dove si nascondeva la spada.224 Non voglio essere rimasto ozioso invano, il mio sonno sarà come l’olio quando viene a contatto con la famma.225 Non voglio stare a guardare cosa accadrà, non voglio gironzolare in cerca di notizie, quando Alabanda riceverà l’alloro. | iperione a Bellarmino Il pallore di Diotima, mentre leggeva la lettera di Alaban­ da, mi toccò fn nell’anima. Poi cominciò, calma e seria, a sconsigliarmi quel passo, e ne parlammo ancora e ancora. «O voi violenti», esclamò infne, «che arrivate così in fret­ ta alle soluzioni estreme, pensate alla Nemesi!»226 «Chi soffre all’estremo, arriva all’estremo», dissi. «Anche se fosse così, tu non sei fatto per quello». «Così pare», dissi; «ma mi sono attardato fn troppo. Vorrei potermi caricare sulle spalle un Atlante227 per scon­ tare le colpe della mia giovinezza. Ho una coscienza? Ho una certezza in me? Oh lasciami andare, Diotima, ora, in questa impresa devo conquistarmele!» «È solo vana presunzione!» esclamò Diotima; «ultima­ mente eri più modesto, poco tempo fa, quando dicesti che dovevi viaggiare per imparare». «Cara la mia sofsta», dissi, «allora parlavamo di tutt’al­ tro.228 Sull’Olimpo del divinamente bello, dove il vero e tutto ciò che è buono scaturiscono da sorgenti eternamen­ te giovani: non sono ancora in grado di condurre lassù il mio popolo. Ma maneggiare una spada, quello so farlo, e

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für jezt nicht. Der neue Geisterbund kann in der Luft nicht le­ ben, die heilige Theokratie des Schönen muß in einem Freistaat wohnen, und der will Plaz auf Erden haben und diesen Plaz erobern wir gewiß. Du wirst erobern, rief Diotima, und vergessen, wofür? wirst, wenn es hoch kommt, einen Freistaat dir erzwingen und dann sagen, wofür hab’ ich gebaut? ach! es wird verzehrt seyn, all das schöne Leben, das daselbst sich regen sollte, wird verbraucht seyn selbst in dir! Der wilde Kampf wird dich zerreißen, schö­ ne Seele, du wirst altern, seeliger Geist! und lebensmüd am Ende fragen, wo seid ihr nun, ihr Ideale der Jugend? Das ist grausam, Diotima, rief ich, so ins Herz zu greifen, so an meiner eignen Todesfurcht, an meiner höchsten Lebenslust mich vestzuhalten, aber nein! nein! nein! der Knechtsdienst tödtet, aber gerechter Krieg macht jede Seele lebendig. Das giebt dem Golde die Farbe der Sonne, daß man ins Feuer es wirft! Das, das giebt erst | dem Menschen seine ganze Jugend, daß er Fesseln zerreißt! Das rettet ihn allein, daß er sich auf­ macht und die Natter zertritt, das kriechende Jahrhundert, das alle schöne Natur im Keime vergiftet! – Altern sollt’ ich, Dioti­ ma! wenn ich Griechenland befreie? altern, ärmlich werden, ein gemeiner Mensch? O so war er wohl recht schaal und leer und gottverlassen, der Athenerjüngling, da er als Siegesbote von Marathon über den Gipfel des Pentele kam und hinabsah in die Thäler von Attika! Lieber! Lieber! rief Diotima, sei doch still! ich sage dir kein Wort mehr. Du sollst gehn, sollst gehen, stolzer Mensch! Ach! wenn du so bist, hab’ ich keine Macht, kein Recht auf dich. Sie weinte bitter und ich stand, wie ein Verbrecher, vor ihr. Vergieb mir, göttliches Mädchen! rief ich, vor ihr niederge­ sunken, o vergieb mir, wo ich muß! Ich wähle nicht, ich sinne

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per ora non ci serve altro. La nuova alleanza degli spiriti non può vivere nell’aria, la sacra teocrazia del bello deve vivere in uno Stato libero, ha bisogno di uno spazio sulla terra e noi glielo conquisteremo, quello spazio».229 «Vuoi conquistare, ma dimentichi perché?» chiese Diotima. «Vuoi creare con la forza, se tutto va bene, uno Stato libero, per poi chiederti: per che cosa l’ho creato? Ah, sarà dilapidata, tutta la vita bella che lì dovrebbe di­ spiegarsi, persino in te sarà esaurita. La lotta selvaggia ti distruggerà, anima bella, e invecchierai, spirito felice! E alla fne, stanco della vita, ti chiederai dove siano fniti, gli ideali della giovinezza». «È crudele, Diotima, tormentarmi così, cercare di trat­ tenermi facendo leva sulla mia paura della morte, sul mio enorme desiderio di vita, ma... No, no, no! Il lavoro servi­ le uccide, una guerra giusta invece ravviva l’anima. Si dà all’oro il colore del sole, se lo si getta nel fuoco! Questo, solo questo restituisce | all’uomo tutta la giovinezza, in­ frangere le catene! Solo questo lo salva, alzarsi e calpesta­ re la serpe, il secolo strisciante che avvelena tutta la bella natura nel germoglio. E io dovrei invecchiare, Diotima, se libero la Grecia? Invecchiare, diventare misero, un uomo qualunque? Ah, era veramente insignifcante, vuoto e di­ menticato da dio il giovane ateniese, messaggero di vitto­ ria, quando arrivò da Maratona sulla cima del Pentelico e da lì guardò giù, nelle valli dell’Attica».230 «Mio caro, caro, basta, non dirò più una parola», esclamò Diotima. «Andrai, andrai, orgoglioso come sei! Ma se la pen­ si così, non ho alcun potere, non ho alcun diritto su di te». Piangeva amaramente mentre io, davanti a lei, mi senti­ vo un malfattore. «Perdonami, fanciulla divina!» dissi, cadendo in ginoc­ chio davanti a lei, «perdonami, perché devo! Non scelgo,

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nicht. Eine Macht ist in mir und ich weiß nicht, ob ich es selbst bin, was zu dem Schritte mich treibt. Deine volle Seele gebietet dirs, antwortete sie. Ihr nicht zu folgen, führt oft zum Untergange, doch, ihr zu folgen, wohl auch. Das beste ist, du gehst, denn es ist größer. Handle du; ich will es tragen. Hyperion an Bellarmin.

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Diotima war von nun an wunderbar verändert. Mit Freude hatt’ ich gesehn, wie seit unserer Liebe das ver­ schwiegne Leben aufgegangen war in Bliken und lieblichen Worten und ihre genialische Ruhe war mir oft in glänzender Begeisterung entgegengekommen. Aber wie so fremd wird uns die schöne Seele, wenn sie nach dem ersten Aufblühn, nach dem Morgen ihres Laufs hinauf zur Mittagshöhe muß! Man kannte fast das seelige Kind nicht mehr, so erhaben und so leidend war sie geworden. O wie manchmal lag ich vor dem traurenden Götterbilde, und wähnte die Seele hinwegzuweinen im Schmerz um sie, und stand bewundernd auf und selber voll von allmächtigen Kräf­ ten! Eine Flamme war ihr ins Auge gestiegen aus der gepreß­ ten Brust. Es | war ihr zu enge geworden im Busen voll Wün­ schen und Leiden; darum waren die Gedanken des Mädchens so herrlich und kühn. Eine neue Größe, eine sichtbare Gewalt über alles, was fühlen konnte, herrscht’ in ihr. Sie war ein hö­ heres Wesen. Sie gehörte zu den sterblichen Menschen nicht mehr. O meine Diotima, hätte ich damals gedacht, wohin das kommen sollte?

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non rifetto. Una forza è in me e non saprei dire se sono veramente io a volere questo passo». «Tutta la tua anima te lo impone», rispose. «Non ub­ bidirle porta spesso alla rovina, eppure anche ubbidendo­ le, accade lo stesso. La cosa migliore è che tu vada, è più grande di noi. Tu agisci; io lo sopporterò».231 iperione a Bellarmino Da quel momento in poi Diotima subì uno strano muta­ mento. Con gioia avevo visto, con il nostro amore, la vita ta­ citurna schiudersi in sguardi e parole dolci, e la sua pace serafca mi si era spesso fatta incontro in un entusiasmo splendente. Ma come ci diviene estranea l’anima bella quando, dopo la prima foritura, dopo il mattino deve proseguire il suo percorso verso il culmine del giorno! Quasi non la si riconosceva più, la dolce fanciulla, tanto era divenuta sublime e sofferente. Qualche volta mi prostravo davanti alla triste immagine divina e credevo che mi si sciogliesse l’anima in lacrime tanto era il dolore per lei, poi mi rialzavo meravigliato e pieno di forza onnipotente. Una famma le era salita negli occhi dal petto soffocato. | Era divenuto troppo angusto, il seno colmo di desideri e sofferenza, per questo i pensieri della fanciulla erano così maestosi e audaci. La dominava una nuova grandezza, un potere tangibile su tutto ciò che aveva sentimenti. Era un essere superiore, non appartene­ va più agli uomini mortali. O mia Diotima, se avessi saputo come sarebbe fnita!232

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Hyperion an Bellarmin. Auch der kluge Notara wurde bezaubert von den neuen Ent­ würfen, versprach mir eine starke Parthei, hoffte bald den Ko­ rinthischen Isthmus zu besezen und Griechenland hier, wie an der Handhabe, zu fassen. Aber das Schiksaal wollt’ es anders und machte seine Arbeit unnüz, ehe sie ans Ziel kam. Er rieth mir, nicht nach Tina zu gehn, gerade den Pelopo­ nes hinab zu reisen, und durchaus so unbemerkt, als mög­ lich. Meinem Vater sollt’ ich unterweges schreiben, meint’ er, der bedächtige Alte würde leichter einen geschehenen Schritt verzeihn, als einen ungeschehenen erlauben. Das war mir nicht recht nach meinem Sinne, aber wir opfern die eig­ nen Gefühle so gern, wenn uns ein großes Ziel vor Augen steht. Ich zweife, fuhr Notara fort, ob du wirst auf deines Vaters Hülfe in solchem Falle rechnen können. Darum geb’ ich dir, was nebenbei doch nöthig ist für dich, um einige Zeit in allen Fällen zu leben und zu wirken. Kannst du einst, so zahlst du mir es zurük, wo nicht, so war das meine auch dein. Schäme des Gelds dich nicht, sezt’ er lächelnd hinzu; auch die Rosse des Phöbus leben von der Luft nicht allein, wie uns die Dichter erzählen. Hyperion an Bellarmin.

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Nun kam der Tag des Abschieds. Den Morgen über war ich oben in Notaras Garten geblie­ ben, in der frischen Winterluft, unter den immergrünen Cy­ pressen und Cedern. Ich war gefaßt. Die großen Kräfte der Jugend hielten mich | aufrecht und das Leiden, das ich ahnete, trug, wie eine Wolke, mich höher.

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iperione a Bellarmino Anche l’intelligente Notara fu affascinato dai nuovi pro­ getti, mi promise un folto gruppo di uomini, sperava di occupare in fretta l’istmo di Corinto per poi prendere da lì la Grecia come da una maniglia. Ma il destino volle diver­ samente e rese vano il suo lavoro prima ancora che fosse ultimato. Mi consigliò di non andare a Tinos, ma di viaggiare at­ traverso il Peloponneso per dare nell’occhio il meno possi­ bile. A mio padre avrei scritto durante il viaggio, pensava, il prudente vegliardo avrebbe più facilmente perdonato un passo compiuto, piuttosto che autorizzare quello da compiere. Questo non era del tutto conforme al mio modo di pensare, ma sacrifchiamo volentieri i sentimenti quan­ do abbiamo davanti agli occhi un nobile traguardo. «Dubito che potrai contare sull’aiuto di tuo padre in un caso simile», proseguì Notara. «Per questo ti do io ciò che ti servirà per vivere e far fronte per un certo tempo a ogni evenienza. Se potrai, me lo restituirai; in caso contrario, ciò che è mio è anche tuo. Non vergognarti del denaro», aggiunse sorridendo; «anche i destrieri di Febo non vivo­ no solo d’aria, ce lo raccontano persino i poeti».233 iperione a Bellarmino Venne infne il giorno del commiato. Durante la mattinata ero rimasto nel giardino di Nota­ ra, nell’aria fresca dell’inverno, tra i cedri e i cipressi sem­ preverdi. Ero pronto. Le potenti forze della giovinezza mi davano | coraggio e la sofferenza che presagivo mi elevava come una nuvola.

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Diotimas Mutter hatte Notara und die andern Freunde und mich gebeten, daß wir noch den lezten Tag bei ihr zusammen leben möchten. Die Guten hatten sich alle meiner und Dioti­ mas gefreut und das Göttliche in unserer Liebe war an ihnen nicht verloren geblieben. Sie sollten nun mein Scheiden auch mir seegnen. Ich gieng hinab. Ich fand das theure Mädchen am Heerde. Es schien ihr ein heilig priesterlich Geschäft, an diesem Tage das Haus zu besorgen. Sie hatte alles zu recht gemacht, alles im Hauße verschönert und es durft’ ihr niemand dabei helfen. Alle Blumen, die noch übrig waren im Garten, hatte sie ein­ gesammelt, Rosen und frische Trauben hatte sie in der späten Jahreszeit noch zusammengebracht. Sie kannte meinen Fußtritt, da ich heraufkam, trat mir leis’ entgegen; die blaichen Wangen glühten von der Flamme des Heerds und die ernsten großgewordnen Augen glänzten von Thränen. Sie sahe, wie michs überfel. Gehe hinein, mein lieber, sagte sie; die Mutter ist drinnen und ich folge gleich. Ich gieng hinein. Da saß die edle Frau und strekte mir die schöne Hand entgegen – kommst du, rief sie, kommst du, mein Sohn! Ich sollte dir zürnen, du hast mein Kind mir genommen, hast alle Vernunft mir ausgeredet, und thust, was dich gelüstet und gehest davon; aber vergebt es ihm, ihr himmlischen Mächte! wenn er Unrecht vorhat, und hat er Recht, o so zögert nicht mit eurer Hülfe dem Lieben! Ich wollte reden, aber eben kam Nota­ ra mit den übrigen Freunden herein und hinter ihnen Diotima. Wir schwiegen eine Weile. Wir ehrten die traurende Liebe, die in uns allen war, wir fürchteten uns, sich ihrer zu überheben in Reden und stolzen Gedanken. Endlich nach wenigen füch­ tigen Worten bat mich Diotima, einiges von Agis und Kleome­ nes zu erzählen; ich hätte die großen Seelen oft mit feuriger Achtung genannt und gesagt, sie wären Halbgötter, so gewiß, wie Prometheus, und ihr Kampf mit dem Schiksaal von Sparta

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La madre di Diotima aveva chiesto a Notara, a me e agli altri amici di trascorrere da lei l’ultimo giorno. I cari amici si erano rallegrati per me e Diotima, e il divino del nostro amore non era passato inosservato. Ora dovevano benedire la mia partenza. Andai da loro. La mia diletta era al focolare; le sembra­ va un uffcio sacro e sacerdotale occuparsi della casa in quel giorno. Aveva messo tutto in ordine, adornato ogni angolo e nessuno aveva potuto aiutarla. Aveva raccolto tutti i fori che ancora restavano in giardino, era riuscita a trovare rose e grappoli freschi in quella stagione avanzata dell’anno. Conosceva il mio passo, e sentendomi arrivare mi venne incontro leggera; le guance pallide ardevano per la famma del focolare e gli occhi, ingranditi dalla serietà, luccicava­ no di lacrime. Si accorse che ne fui colpito. «Entra, la mamma è in casa, io vengo subito». Entrai; la nobile donna, seduta, mi tese la bella mano: «vieni, vieni fglio mio!» disse. «Dovrei sgridarti per aver­ mi portato via la mia bambina, mi hai fatto perdere la te­ sta, e ora fai quello che ti pare e te ne vai. Ma perdonatelo se ha cattive intenzioni, potenze celesti, e se invece le sue intenzioni sono buone non tardate ad aiutarlo, il nostro caro!» Volevo rispondere, ma in quel momento soprag­ giunse Notara con gli altri amici, e dietro a loro Diotima. Rimanemmo in silenzio per qualche istante. Rendeva­ mo omaggio all’amore dolente che era in ciascuno di noi, avevamo paura di oltraggiarlo con discorsi e pensieri pre­ suntuosi. Infne, dopo qualche frase di circostanza, Dio­ tima mi pregò di raccontare qualcosa di Agide e Cleome­ ne; avevo nominato spesso con ardente ammirazione quei grandi personaggi, avevo detto che erano certamente dei semidei come Prometeo e che la loro lotta contro il desti­

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sei heroischer, als irgend einer in den glänzenden Mythen. Der Genius dieser Menschen sei das Abendroth des griechischen Tages, wie Theseus und Homer die Aurore desselben. | Ich erzählte und am Ende fühlten wir uns alle stärker und höher. Glüklich, rief einer von den Freunden, wem sein Leben wechselt zwischen Herzensfreude und frischem Kampf. Ja! rief ein anderer, das ist ewige Jugend, daß immer Kräfte genug im Spiele sind und wir uns ganz erhalten in Lust und Arbeit. O ich möchte mit dir, rief Diotima mir zu. Es ist auch gut, daß du bleibst, Diotima! sagt’ ich. Die Pries­ terin darf aus dem Tempel nicht gehen. Du bewahrst die heilige Flamme, du bewahrst im Stillen das Schöne, daß ich es wieder­ fnde bei dir. Du hast auch Recht, mein Lieber, das ist besser, sagte sie, und ihre Stimme zitterte und das Aetherauge verbarg sich ins Tuch, um seine Thränen, seine Verwirrung nicht sehen zu lassen. O Bellarmin! es wollte mir die Brust zerreißen, daß ich sie so schaamroth gemacht. Freunde! rief ich, erhaltet diesen En­ gel mir. Ich weiß von nichts mehr, wenn ich sie nicht weiß. O Himmel! ich darf nicht denken, wozu ich fähig wäre, wenn ich sie vermißte. Sei ruhig, Hyperion! fel Notara mir ein. Ruhig? rief ich; o ihr guten Leute! ihr könnt oft sorgen, wie der Garten blühn und wie die Erndte werden wird, ihr könnt für euren Weinstok beten und ich soll ohne Wünsche scheiden von dem Einzigen, dem meine Seele dient? Nein, o du Guter! rief Notara bewegt, nein! ohne Wünsche sollst du mir von ihr nicht scheiden! nein, bei der Götterun­ schuld eurer Liebe! meinen Seegen habt ihr gewiß.

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no di Sparta era stata più eroica di qualsiasi altra narrata nei miti splendenti.234 Il genio di quegli uomini era il cre­ puscolo del giorno greco, come Teseo e Omero ne erano stati l’aurora.235 | Raccontai, e alla fne ci sentimmo tutti più forti e più nobili. «Felice è colui nella cui vita si alternano gioia del cuore e nuove battaglie», esclamò uno degli amici. «Sì», disse un altro, «è eterna giovinezza, avere sempre abbastanza forze da mettere in gioco e mantenersi allegri e attivi». «Oh, vorrei poter venire con te», mi disse Diotima. «È bene che tu resti, Diotima», dissi. «La sacerdotes­ sa non deve uscire dal tempio. Tu devi custodire la sacra famma, nel silenzio devi custodire la bellezza affnché io la ritrovi da te».236 «Hai ragione, mio caro, è meglio», disse con voce tre­ mante, nascondendo il viso nel grembiule per non mostra­ re le lacrime e il turbamento. O Bellarmino, il cuore voleva scoppiarmi per averla fatta arrossire così. «Amici miei, prendetevi cura del mio angelo», esclamai. «Non conosco nulla, se non lei. Cielo, non oso pensare di cosa sarei capace, se la perdessi!» «Stai tranquillo, Iperione», intervenne Notara. «Tranquillo?» esclamai. «O brava gente, voi vi preoc­ cupate di come forirà il giardino o di come sarà il raccol­ to, voi pregate per la vostra vigna e io dovrei lasciare senza nemmeno esprimere un desiderio l’unica persona che la mia anima venera?» «Questo no, buon Iperione», disse Notara commosso, «non devi separarti da lei senza un desiderio. Per la divina innocenza del vostro amore, potete contare sulla mia be­ nedizione».

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Du mahnst mich, rief ich schnell. Sie soll uns seegnen, diese theure Mutter, soll mit euch uns zeugen – komm Diotima! un­ sern Bund soll deine Mutter heiligen, bis die schöne Gemeinde, die wir hoffen, uns vermählt. So fel ich auf ein Knie; mit großem Blik, erröthend, festlich­ lächelnd sank auch sie an meiner Seite nieder. Längst, rief ich, o Natur! ist unser Leben Eines mit dir und himmlischjugendlich, wie du und deine Götter all’, ist unsre eigne Welt durch Liebe. In deinen Hainen wandelten wir, fuhr Diotima fort, und waren, wie du, an deinen Quellen saßen wir und waren, wie du, dort über die Berge giengen wir, mit deinen Kindern, den Sternen, wie du. | Da wir uns ferne waren, rief ich, da, wie Harfengelispel, un­ ser kommend Entzüken uns erst tönte, da wir uns fanden, da kein Schlaf mehr war und alle Töne in uns erwachten zu des Lebens vollen Akkorden, göttliche Natur! da waren wir immer, wie du, und nun auch da wir scheiden und die Freude stirbt, sind wir, wie du, voll Leidens und doch gut, drum soll ein rei­ ner Mund uns zeugen, daß unsre Liebe heilig ist und ewig, so wie du. Ich zeug’ es, sprach die Mutter. Wir zeugen es, riefen die andern. Nun war kein Wort mehr für uns übrig. Ich fühlte mein höchstes Herz; ich fühlte mich reif zum Abschied. Jezt will ich fort, ihr Lieben! sagt’ ich, und das Leben schwand von allen Gesichtern. Diotima stand, wie ein Marmorbild und ihre Hand starb fühlbar in meiner. Alles hatt’ ich um mich her getödtet, ich war einsam und mir schwindelte vor der gränzenlosen Stil­ le, wo mein überwallend Leben keinen Halt mehr fand. Ach! rief ich, mir ists brennendheiß im Herzen, und ihr steht alle so kalt, ihr Lieben! und nur die Götter des Hauses

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«Giusto, ora che me lo ricordi», dissi in fretta. «Deve benedirci, la nostra cara madre, deve farci da testimone con voi… Vieni Diotima! Tua madre deve consacrare il nostro legame, fnché la bella comunità che desideriamo non ci unirà in matrimonio».237 Mi inginocchiai; con lo sguardo serio, arrossendo e sor­ ridendo solenne, anche lei si inginocchiò accanto a me. «Da tempo, o natura, la nostra vita è tutt’uno con la tua, e il nostro amore ha reso il nostro mondo eternamente giovane, come te e i tuoi dei». «Nei tuoi boschi abbiamo vagato», proseguì Diotima, «ed eravamo come te, ci siamo seduti alle tue sorgenti ed eravamo come te, siamo saliti sui monti con le tue fglie, le stelle, ed eravamo come te». | «Quando eravamo lontani e la nostra felicità futura si udi­ va appena in noi come un sussurro d’arpa», proseguii, «quan­ do poi ci incontrammo e non ci fu più sonno, e si risvegliaro­ no in noi tutte le note degli accordi pieni della vita, eravamo sempre come te, natura divina, e anche ora che ci separiamo, ora che muore la gioia, anche ora siamo come te, carichi di dolore eppure buoni. Per questo labbra pure devono testi­ moniare che il nostro amore è sacro ed eterno, come te». «Ne sono testimone», disse la madre. «Ne siamo testimoni», aggiunsero gli altri. Non rimaneva più nulla da dire. Avevo il cuore gonfo, mi sentivo pronto per l’addio. «Ora vado, miei cari!» dis­ si, e la vita scomparve da tutti i volti. Diotima si irrigidì come una statua di marmo, la sua mano divenne inerte nella mia. Avevo ucciso tutto intorno a me, ero solo, e quel silenzio sconfnato dove la mia vita esuberante non trova­ va più alcun appiglio mi diede le vertigini. «Ah, il mio cuore arde, e voi tutti siete invece così fred­ di, amici cari, e solo gli dei della casa238 mi prestano orec­

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neigen ihr Ohr? – Diotima! – du bist stille, du siehst nicht! – o wohl dir, daß du nicht siehst! So geh nur, seufzte sie, es muß ja seyn; geh nur, du theures Herz! O süßer Ton aus diesen Wonnelippen! rief ich, und stand wie ein Betender, vor der holden Statue – süßer Ton! noch Ein­ mal wehe mich an, noch Einmal tage, liebes Augenlicht! Rede so nicht, Lieber! rief sie, rede mir ernster, rede mit größerem Herzen mir zu! Ich wollte mich halten, aber ich war wie im Traume. Wehe! rief ich, das ist kein Abschied, wo man wiederkehrt. Du wirst sie tödten, rief Notara. Siehe, wie sanft sie ist, und du bist so außer dir. Ich sahe sie an und Thränen stürzten mir aus brennendem Auge. So lebe denn wohl, Diotima! rief ich, Himmel meiner Lie­ be, lebe wohl! – Lasset uns stark seyn, theure Freunde! theure Mutter! ich gab dir Freude und Laid. Lebt wohl! lebt wohl! Ich wankte fort. Diotima folgte mir allein. Es war Abend geworden und die Sterne giengen herauf am Himmel. Wir standen still unter dem Hause. Ewiges war in uns, | über uns. Zart, wie der Aether, umwand mich Diotima. Thörichter, was ist denn Trennung? füsterte sie geheimnißvoll mir zu, mit dem Lächeln einer Unsterblichen. Es ist mir auch jezt anders, sagt’ ich, und ich weiß nicht, was von beiden ein Traum ist, mein Leiden oder meine Freudigkeit. Beides ist, erwiederte sie, und beides ist gut. Vollendete! rief ich, ich spreche wie du. Am Sternenhimmel wollen wir uns erkennen. Er sei das Zeichen zwischen mir und dir, so lang die Lippen verstummen. Das sei er! sprach sie mit einem langsamen niegehörten Tone – es war ihr lezter. Im Dämmerlichte entschwand mir ihr

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chio?» dissi. «Diotima, sei silenziosa, non mi vedi? Oh, buon per te che non vedi!» «Vai ora», sospirò, «così dev’essere; vai, mio amato!» «Dolce melodia da labbra amorose», esclamai come in preghiera davanti alla soave statua. «Dolce melodia, soffa verso di me ancora una volta, sorgi ancora una volta, luce dei miei occhi!» «Non parlare così, amore mio, parlami con più serietà, parlami con un cuore più grande»239 disse. Volevo trattenermi, ma ero come in un sogno. «Ahimè», esclamai, «questo è un addio per chi non ri­ torna». «La ucciderai», mi disse Notara. «Non vedi come è commossa, e tu sei fuori di te». La guardai e le lacrime mi sgorgarono dagli occhi ardenti. «Addio allora, Diotima!» dissi. «Cielo del mio amore, addio! Dobbiamo essere forti, amici cari. Cara madre, ti ho dato gioia e dolore. Addio, addio!» Me ne andai barcollando. Solo Diotima mi seguì. Si era fatta sera e le stelle splendevano nel cielo. Ci fer­ mammo in silenzio sotto casa. L’eterno era in noi, | sopra di noi. Diotima mi abbracciò, lieve come l’etere. «Sciocco, che cos’è la separazione?» mi bisbigliò misteriosa, con il sorriso di un’immortale.240 «Anch’io ora la sento diversamente», dissi, «e non so quale dei due sia un sogno, se la gioia o il dolore». «Lo sono entrambi», mi rispose, «e sono entrambi buoni». «Creatura perfetta», esclamai, «anch’io parlo come te. Nel cielo stellato ci riconosceremo, sarà il segno fra me e te, fnché le labbra resteranno mute». «Così sia», disse con un tono lento, che non le avevo mai udito prima... E fu l’ultimo. Nella luce del crepuscolo

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Bild und ich weiß nicht, ob sie es wirklich war, da ich zum lez­ tenmale mich umwandt’ und die erlöschende Gestalt noch ei­ nen Augenblik vor meinem Auge zükte und dann in die Nacht verschied. Hyperion an Bellarmin.

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Warum erzähl’ ich dir und wiederhole mein Leiden und rege die ruhelose Jugend wieder auf in mir? Ists nicht genug, Einmal das Sterbliche durchwandert zu haben? warum bleib’ ich im Frieden meines Geistes nicht stille? Darum, mein Bellarmin! weil jeder Athemzug des Lebens unserm Herzen werth bleibt, weil alle Verwandlungen der reinen Natur auch mit zu ihrer Schöne gehören. Unsre See­ le, wenn sie die sterblichen Erfahrungen ablegt und allein nur lebt in heiliger Ruhe, ist sie nicht, wie ein unbelaubter Baum? wie ein Haupt ohne Loken? Lieber Bellarmin! ich habe eine Weile geruht; wie ein Kind, hab’ ich unter den stillen Hügeln von Salamis gelebt, vergessen des Schiksaals und des Strebens der Menschen. Seitdem ist manches anders in meinem Auge geworden, und ich habe nun so viel Frieden in mir, um ruhig zu bleiben, bei jedem Blik ins menschliche Leben. O Freund! am Ende söhnet der Geist mit allem uns aus. Du wirsts nicht glauben, wenigstens von mir nicht. Aber ich meine, du solltest sogar meinen Briefen es ansehn, wie meine Seele täglich stiller wird und stiller. Und ich will künftig noch so viel davon sagen, bis du es glaubst. | Hier sind Briefe von Diotima und mir, die wir uns nach mei­ nem Abschied von Kalaurea geschrieben. Sie sind das liebste, was ich dir vertraue. Sie sind das wärmste Bild aus jenen Ta­ gen meines Lebens. Vom Kriegslärm sagen sie dir wenig. Desto mehr von meinem eigneren Leben und das ists ja, was du willst.

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la sua immagine svanì e non so se era veramente lei quella che vidi quando mi voltai per l’ultima volta e scorsi una fgura evanescente guizzare ancora un istante e poi sparire nella notte. iperione a Bellarmino Ma perché racconto, rinnovando il mio dolore e ridestan­ do ancora una volta la giovinezza inquieta dentro di me? Non è abbastanza aver attraversato una volta la vita mor­ tale? Perché non taccio nella pace dello spirito? Perché ogni respiro della vita è importante per il no­ stro cuore, Bellarmino, perché tutte le trasformazioni del­ la natura pura fanno parte anche loro della sua bellezza. Quando la nostra anima si spoglia delle esperienze mortali e vive soltanto nella sacra quiete, non è come un albero spoglio, una testa senza riccioli? Caro Bellarmino, mi sono riposato per qualche tempo, come un bimbo ho vissuto sulle colline silenziose di Salamina, dimentico del desti­ no e dei desideri degli uomini. Da allora molte cose sono cambiate ai miei occhi, e ho raggiunto una pace suffcien­ te per rimanere tranquillo mentre guardo la vita umana. Amico mio, alla fne lo spirito ci riconcilia con tutto; forse non lo crederai, o almeno non riguardo a me; ma penso che dovresti notarlo persino dalle mie lettere, che la mia anima diviene ogni giorno più quieta. E te lo ripeterò an­ che in futuro, fnché non lo crederai. | Qui ci sono delle lettere di Diotima e mie, scritte dopo la mia partenza da Calauria. Sono la cosa più cara che ho e te le affdo. Sono l’immagine più calda di quei giorni della mia vita. Ti diranno poco del frastuono della guerra, ma molto di più della mia vita, e questo è quello che ti inte­

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Ach und du must auch sehen, wie geliebt ich war. Das konnt’ ich nie dir sagen, das sagt Diotima nur. Hyperion an Diotima. Ich bin erwacht aus dem Tode des Abschieds, meine Diotima! gestärkt, wie aus dem Schlafe, richtet mein Geist sich auf. Ich schreibe dir von einer Spize der Epidaurischen Berge. Da dämmert fern in der Tiefe deine Insel, Diotima! und dort­ hinaus mein Stadium, wo ich siegen oder fallen muß. O Pe­ lopones! o ihr Quellen des Eurotas und Alpheus! Da wird es gelten! Aus den spartanischen Wäldern, da wird, wie ein Adler, der alte Landesgenius stürzen mit unsrem Heere, wie mit rau­ schenden Fittigen. Meine Seele ist voll von Thatenlust und voll von Liebe, Di­ otima, und in die griechischen Thäler blikt mein Auge hinaus, als sollt’ es magisch gebieten: steigt wieder empor, ihr Städte der Götter! Ein Gott muß in mir seyn, denn ich fühl’ auch unsere Tren­ nung kaum. Wie die seeligen Schatten am Lethe, lebt jezt mei­ ne Seele mit deiner in himmlischer Freiheit und das Schiksaal waltet über unsre Liebe nicht mehr. Hyperion an Diotima.

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Ich bin jezt mitten im Pelopones. In derselben Hütte, wo­ rinn ich heute übernachte, übernachtete ich einst, da ich, beinahe noch Knabe, mit Adamas diese Gegenden durch­ zog. Wie saß ich da so glüklich auf der Bank vor dem Hause und lauschte dem Geläute der fernher kommenden Karawa­ ne und dem Geplätscher des | nahen Brunnens, der unter

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ressa. E vedrai anche quanto ero amato: io non saprei mai descrivertelo, può farlo solo Diotima.241 iperione a Diotima Mi sono svegliato dalla morte dell’addio, cara Diotima; rinvigorito come dopo il sonno, il mio spirito si risolleva. Ti scrivo dalla vetta di uno dei monti di Epidauro.242 In lontananza laggiù si intravvede la tua isola, Diotima, e da questa parte lo stadio dove vincerò o cadrò. O Pelopon­ neso, e voi sorgenti dell’Eurota e dell’Alfeo, qui ci faremo valere!243 Dai boschi di Sparta l’antico genio di questa ter­ ra attaccherà come un’aquila insieme al nostro esercito, accompagnandolo con il frullio delle sue ali. La mia anima trabocca di desiderio d’azione e di amo­ re, Diotima, e il mio sguardo vaga sulle valli greche come se potesse ordinare magicamente: risorgete, voi città degli dei! Un dio deve essere dentro di me,244 perché sento appe­ na la nostra separazione. Come le ombre beate sul Lete, la mia anima vive con la tua nella libertà celeste e il destino non ha più alcun potere sul nostro amore. iperione a Diotima Ora mi trovo nel cuore del Peloponneso. Nella stessa capanna dove dormirò oggi avevo già dormito una volta quando, da ragazzo, avevo attraversato queste zone con Adamas. Allora sedevo felice sulla panca davanti alla casa ascoltando il rumore della carovana che si avvicinava da lontano245 e il mormorio della | fonte qui accanto, che ri­

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blühenden Akatien sein silbern Gewässer ins Beken goß. Jezt bin ich wieder glüklich. Ich wandere durch diß Land, wie durch Dodonas Hain, wo die Eichen tönten von ruhmweis­ sagenden Sprüchen. Ich sehe nur Thaten, vergangene, künfti­ ge, wenn ich auch vom Morgen bis zum Abend unter freiem Himmel wandre. Glaube mir, wer dieses Land durchreist, und noch ein Joch auf seinem Halse duldet, kein Pelopidas wird, der ist herzleer, oder ihm fehlt es am Verstande. So lange schliefs – so lange schlich die Zeit, wie der Höllen­ fuß, trüb und stumm, in ödem Müßiggange vorüber? Und doch liegt alles bereit. Voll rächerischer Kräfte ist das Bergvolk hieherum, liegt da, wie eine schweigende Wetterwol­ ke, die nur des Sturmwinds wartet, der sie treibt. Diotima! laß mich den Othem Gottes unter sie hauchen, laß mich ein Wort von Herzen an sie reden, Diotima. Fürchte nichts! Sie werden so wild nicht seyn. Ich kenne die rohe Natur. Sie höhnt der Ver­ nunft, sie stehet aber im Bunde mit der Begeisterung. Wer nur mit ganzer Seele wirkt, irrt nie. Er bedarf des Klügelns nicht, denn keine Macht ist wider ihn. Hyperion an Diotima. Morgen bin ich bei Alabanda. Es ist mir eine Lust, den Weg nach Koron zu erfragen, und ich frage öfter, als nötig ist. Ich möchte die Flügel der Sonne nehmen und hin zu ihm und doch zaudr’ ich auch so gerne und frage: wie wird er seyn? Der königliche Jüngling! warum bin ich später geboren? warum sprang ich nicht aus Einer Wiege mit ihm? Ich kann den Unterschied nicht leiden, der zwischen uns ist. O warum lebt’ ich, wie ein müßiger Hirtenknabe, zu Tina, und träum­

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versava l’acqua argentina in una vasca sotto le acacie in fore. Ora sono di nuovo felice. Attraverso questo paese come il bosco di Dodona, dove le querce risuonavano di oracoli che predicevano gloria.246 Vedo solo azioni, passate, futu­ re, anche camminando dal mattino fno alla sera sotto il cielo. Credimi, chi viaggia per questa terra e riesce poi a sopportare ancora un giogo sulle spalle senza diventare un Pelopida,247 o è senza cuore, o non ha l’uso dell’intelletto. Così a lungo ha dormito, così a lungo il tempo si è tra­ scinato in un ozio desolato, cupo e muto come il fume infernale? Eppure tutto è pronto. Il popolo dei monti qui intor­ no è carico di forze vendicative, si muove come la nuvola taciturna del temporale che attende solo che il vento della tempesta la trascini. Diotima, fa’ che io infonda in loro il respiro di dio, fa’ che dica loro una parola che viene dal cuore. Non temere, non saranno troppo selvaggi, cono­ sco la natura grezza. Si fa beffe della ragione, ma si allea con l’entusiasmo. Chi agisce con tutta l’anima, non sbaglia mai. Non ha bisogno di sofsticherie, perché nessuna forza gli si oppone. iperione a Diotima Domani sarò da Alabanda. È un piacere chiedere la stra­ da per Corone, e chiedo più spesso del necessario. Vorrei avere le ali del sole per volare da lui, eppure indugio anche volentieri e mi domando: come sarà? Il giovane regale! Perché sono nato dopo di lui, per­ ché non sono stato con lui nella culla? Non posso soffrire la differenza che c’è tra noi. Perché sono vissuto a Tinos

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te nur von seinesgleichen noch erst, da er schon in lebendiger Arbeit die Natur erprüfte und mit Meer und Luft und allen Elementen schon rang? triebs denn in mir nach Thatenwonne nicht auch? Aber ich will ihn einhohlen, ich will schnell seyn. Beim Him­ mel! ich bin überreif zur Arbeit. Meine Seele tobt nur gegen sich | selbst, wenn ich nicht bald durch ein lebendig Geschäft mich befreie. Hohes Mädchen! wie konnt’ ich bestehen vor dir? Wie war dirs möglich, so ein thatlos Wesen zu lieben? Hyperion an Diotima. Ich hab’ ihn, theure Diotima! Leicht ist mir die Brust und schnell sind meine Sehnen, ha! und die Zukunft reizt mich, wie eine klare Wassertiefe uns reizt, hinein zu springen und das übermüthige Blut im frischen Bade zu kühlen. Aber das ist Geschwäz. Wir sind uns lieber, als je, mein Alabanda und ich. Wir sind freier umeinander und doch ists alle die Fülle und Tiefe des Lebens, wie sonst. O wie hatten die alten Tyrannen so recht, Freundschaften, wie die unsere, zu verbieten! Da ist man stark, wie ein Halb­ gott, und duldet nichts Unverschämtes in seinem Bezirke! – Es war des Abends, da ich in sein Zimmer trat. Er hatte eben die Arbeit bei Seite gelegt, saß in einer mondhellen Eke am Fenster und pfegte seiner Gedanken. Ich stand im Dun­ keln, er erkannte mich nicht, sah unbekümmert gegen mich her. Der Himmel weis, für wen er mich halten mochte. Nun, wie geht es? rief er. So ziemlich! sagt’ ich. Aber das Heucheln war umsonst. Meine Stimme war voll geheimen Frohlokkens. Was ist das? fuhr er auf; bist du’s? Ja wohl, du Blinder! rief ich,

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come un pastorello ozioso potendo solo sognare di quelli come lui, mentre lui era già all’opera, sondava la natura e si misurava con il mare, l’aria e tutti gli elementi? Non avevo anch’io la sua stessa voglia di agire? Ma lo raggiungerò, sarò veloce. Per il cielo, sono fn troppo maturo per l’azione, la mia anima si scatenerà con­ tro se | stessa se non trovo in fretta uno sfogo in un impe­ gno concreto. Nobile fanciulla, come potevo sussistere davanti a te? Come potevi amare un essere così inetto? iperione a Diotima L’ho raggiunto, cara Diotima! Il mio petto è leggero e veloci i miei nervi, sì, e il futu­ ro mi alletta come una pozza d’acqua chiara che invoglia a tuffarsi per raffreddare il sangue spavaldo in un bagno fresco. Ma queste sono chiacchiere. Ci vogliamo bene più di prima, il mio Alabanda e io. Siamo più liberi l’uno verso l’altro, ma tutta la pienezza e la profondità della vita sono quelle di prima. Sì, avevano davvero ragione gli antichi tiranni a proibi­ re amicizie come la nostra! Ci si sente forti come un semi­ dio, e non si tollera nulla di infame intorno a sé! Era sera quando entrai nella stanza. Aveva appena mes­ so da parte il lavoro e sedeva in un angolo illuminato dalla luna vicino alla fnestra, assorto nei suoi pensieri. Io ero nel buio e non mi riconobbe, quando guardò con non­ curanza verso di me. Sa il cielo per chi mi prese. «Allora, come va?» chiese. «Così così», risposi. Ma era inutile fn­ gere, la mia voce era colma di segreta esultanza. «Chi è?» disse sobbalzando; «sei tu?» «Ma certo, cieco!» risposi

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und fog ihm in die Arme. O nun! rief Alabanda endlich, nun soll es anders werden, Hyperion! Das denk’ ich, sagt’ ich und schüttelte freudig seine Hand. Kennst du mich denn noch, fuhr Alabanda fort nach einer Weile, hast du den alten frommen Glauben noch an Alabanda? Grosmüthiger! mir ist es nimmer indeß so wohl gegangen, als da ich im Lichte deiner Liebe mich fühlte. Wie? rief ich, fragt diß Alabanda? Das war nicht stolz ge­ sprochen, Alabanda. Aber es ist das Zeichen dieser Zeit, daß die alte Heroënnatur um Ehre betteln geht, und das lebendige Menschenherz, wie eine Waise, um einen Tropfen Liebe sich kümmert. | Lieber Junge! rief er; ich bin eben alt geworden. Das schlaf­ fe Leben überall und die Geschichte mit den Alten, zu denen ich in Smyrna dich in die Schule bringen wollte – O es ist bitter, rief ich; auch an diesen wagte sich die Todes­ göttin, die Nahmenlose, die man Schiksaal nennt. Es wurde Licht gebracht und wir sahn von neuem mit lei­ sem liebendem Forschen uns an. Die Gestalt des Theuren war sehr anders geworden seit den Tagen der Hoffnung. Wie die Mittagssonne vom blaichen Himmel, funkelte sein großes ewiglebendes Auge vom abgeblühten Gesichte mich an. Guter! rief Alabanda mit freundlichem Unwillen, da ich ihn so ansah, laß die Wehmutsblike, guter Junge! Ich weiß es wohl, ich bin herabgekommen. O mein Hyperion! ich sehne mich sehr nach etwas Großem und Wahrem und ich hoff’ es zu fnden mit dir. Du bist mir über den Kopf gewachsen, du bist freier und stärker, wie ehmals und siehe! das freut mich herz­ lich. Ich bin das dürre Land und du komst, wie ein glüklich Gewitter – o es ist herrlich, daß du da bist! Stille! sagt’ ich, du nimmst mir die Sinnen, und wir sollten gar nicht von uns sprechen, bis wir im Leben, unter den Thaten sind.

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volandogli fra le braccia. «Bene», disse Alabanda infne, «bene, ora tutto sarà diverso, Iperione». «Lo penso anch’io», dissi stringendogli allegramente la mano. «Mi stimi ancora», proseguì Alabanda dopo un po’, «hai ancora la stessa fducia devota in Alabanda? Sei ge­ neroso! Io non sono mai più stato così bene come quando sentivo la luce del tuo affetto». «Come, Alabanda mi chiede questo? Non lo dico per orgoglio, Alabanda, ma è un segno di questi tempi, che l’antica natura eroica debba elemosinare l’onore e il cuo­ re vivace dell’uomo, come un orfano, cerchi di procurarsi una goccia d’amore». | «Caro giovane», esclamò, «io sono diventato vecchio. Una vita scialba dovunque e la storia con quei vecchi da cui volevo mandarti a scuola a Smirne...» «Sì, è triste, ma anche a loro osa avvicinarsi la dea della morte, la senza nome che chiamiamo destino». Portarono una luce e ci guardammo di nuovo scrutan­ doci con delicatezza e con affetto. L’aspetto del mio caro amico era molto cambiato dai giorni della speranza. Gli occhi grandi ed eternamente vivaci scintillavano nel volto appassito come il sole di mezzogiorno in un cielo slavato. «Basta sguardi nostalgici, ragazzo mio», disse con cor­ diale malumore, cogliendo i miei sguardi. «Lo so, sono invecchiato. Caro Iperione, mi struggo per qualcosa di grande e di vero e spero di trovarlo insieme a te. Tu ormai mi hai superato, sei più forte e più libero che mai e, credi­ mi, ne sono davvero contento. Io sono la terra arida e tu arrivi come un gradito temporale... È magnifco che tu sia qui!»248 «Taci, mi imbarazzi» dissi, «e poi non dovremmo affat­ to parlare di noi fnché non saremo nella vita, in azione».

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Ja wohl! rief Alabanda freudig, erst, wenn das Jagdhorn schallt, da fühlen sich die Jäger. Wirds denn bald angehn? sagt’ ich. Es wird, rief Alabanda, und ich sage dir, Herz! es soll ein ziemlich Feuer werden. Ha! mags doch reichen bis an die Spi­ ze des Thurms und seine Fahne schmelzen und um ihn wüten und woogen, bis er berstet und stürzt! – und stoße dich nur an unsern Bundsgenossen nicht. Ich weiß es wohl, die guten Rus­ sen möchten uns gerne, wie Schießgewehre, brauchen. Aber laß das gut seyn! haben nur erst unsere kräftigen Spartaner bei Gelegenheit erfahren, wer sie sind und was sie können, und ha­ ben wir so den Pelopones erobert, so lachen wir dem Nordpol ins Angesicht und bilden uns ein eigenes Leben. Ein eignes Leben, rief ich, ein neu, ein ehrsames Leben. Sind wir denn, wie ein Irrlicht aus dem Sumpfe geboren oder stammen wir von den Siegern bei Salamis ab? Wie ists denn nun? wie bist du denn zur Magd geworden, griechische freie Natur? wie bist du so | herabgekommen, väterlich Geschlecht, von dem das Götterbild des Jupiter und des Apoll einst nur die Kopie war? – Aber höre mich, Joniens Himmel! höre mich, Va­ terlandserde, die du dich halbnakt, wie eine Bettlerin, mit den Lappen deiner alten Herrlichkeit umkleidest, ich will es länger nicht dulden! O Sonne, die uns erzog! rief Alabanda, zusehn sollst du, wenn unter der Arbeit uns der Muth wächst, wenn unter den Schlägen des Schiksaals unser Entwurf, wie das Eisen unter dem Hammer, sich bildet. Es entzündete einer den andern. Und daß nur kein Fleken hängen bleibe, rief ich, keine Posse, womit uns das Jahrhundert, wie der Pöbel die Wände, bemahlt! O, rief Alabanda, darum ist der Krieg auch so gut – Recht, Alabanda, rief ich, so wie alle große Arbeit, wo des Menschen Kraft und Geist und keine Krüke und kein wächser­

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«Ma certo!» esclamò Alabanda gioioso, «solo quando risuona il corno si riconoscono i cacciatori». «Si comincerà presto?» chiesi. «Sì», disse Alabanda, «e ti dico, caro mio, che sarà una bella fammata. Ah, se arrivasse fno in cima alla torre a bruciare la bandiera, e imperversasse e impazzasse tutto intorno fno a farla scoppiare e crollare! Non fare troppo caso ai nostri alleati. Lo so bene, i bravi russi vorrebbero usarci come polvere da sparo, ma non importa, quando i nostri robusti spartani avranno avuto modo di dimostrare chi sono e di cosa sono capaci, e dopo che avremo conqui­ stato il Peloponneso, ci faremo beffe del Polo Nord e ci costruiremo una vita nostra».249 «Una vita nostra», esclamai, «una vita nuova, rispettabi­ le. Siamo un fuoco fatuo nato in una palude, o discendiamo dai vincitori di Salamina? Come stanno le cose, come hai fatto a diventare una schiava, natura libera dei greci? Come hai potuto cadere | così in basso, stirpe dei nostri padri, tu che facevi da modello per le statue di Giove e di Apollo? Ma ascoltami, cielo della Ionia, ascoltami, terra natia che mezza nuda, come una mendicante, ti vesti con gli stracci della tua antica maestà: non posso più tollerarlo!» «Sole che ci hai cresciuti», esclamò Alabanda, «vedrai come il coraggio aumenterà con l’impegno, come il nostro progetto prenderà forma sotto i colpi del destino come il ferro sotto il martello». L’uno esaltava l’altro. «E non resterà nemmeno una macchia», proseguii, «nemmeno uno scarabocchio con cui questo secolo potrà imbrattarci, come fa il popolo con i muri!» «Sì», disse Alabanda, «per questo ci vuole la guerra...» «Giusto, Alabanda», dissi, «come tutte le grandi impre­ se in cui ci vogliono la forza e lo spirito dell’uomo, e non

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ner Flügel hilft. Da legen wir die Sclavenkleider ab, worauf das Schiksaal uns sein Wappen gedrükt – Da gilt nichts eitles und anerzwungenes mehr, rief Alaban­ da, da gehn wir schmuklos, fessellos, nakt, wie im Wettlauf zu Nemea, zum Ziele. Zum Ziele, rief ich, wo der junge Freistaat dämmert und das Pantheon alles Schönen aus griechischer Erde sich hebt. Alabanda schwieg eine Weile. Eine neue Röthe stieg auf in seinem Gesichte, und seine Gestalt wuchs, wie die erfrischte Pfanze, in die Höhe. O Jugend! Jugend! rief er, dann will ich trinken aus dei­ nem Quell, dann will ich leben und lieben. Ich bin sehr freudig, Himmel der Nacht, fuhr er, wie trunken, fort, indem er unter das Fenster trat, wie eine Rebenlaube, überwölbest du mich, und deine Sterne hängen, wie Trauben, herunter. Hyperion an Diotima.

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Es ist mein Glük, daß ich in voller Arbeit lebe. Ich müßt’ in eine Thorheit um die andere fallen, so voll ist meine Seele, so berauscht der Mensch mich, der wunderbare, der stolze, der nichts liebt, als | mich und alle Demuth, die in ihm ist, nur auf mich häuft. O Diotima! dieser Alabanda hat geweint vor mir, hat, wie ein Kind, mirs abgebeten, was er mir in Smyrna gethan. Wer bin ich dann, ihr Lieben, daß ich mein euch nenne, daß ich sagen darf, sie sind mein eigen, daß ich, wie ein Eroberer, zwischen euch steh’ und euch, wie meine Beute, umfasse. O Diotima! o Alabanda! edle, ruhiggroße Wesen! wie muß ich vollenden, wenn ich nicht fiehn will vor meinem Glüke, vor euch?

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stampelle né ali di cera.250 Togliamoci i vestiti da schiavi, sui quali il destino ha impresso il suo marchio...» «Allora non ci saranno più né vanità né imposizione», gridò Alabanda, «cammineremo senza ornamenti, senza ca­ tene, nudi verso il traguardo come nelle gare di Nemea».251 «Verso il traguardo», esclamai, «dove albeggia un gio­ vane Stato libero e si innalza il Pantheon di tutta la bellez­ za della terra greca». Alabanda tacque alquanto. Un nuovo rossore saliva sul suo viso, e la sua statura si accresceva, come una pianta bagnata da poco. «Gioventù, gioventù, voglio bere alla tua sorgente», disse, «solo allora potrò vivere e amare. Sono molto con­ tento, cielo notturno», continuò come ebbro avvicinando­ si alla fnestra; «come una pergola di vite mi sovrasti, e le tue stelle pendono come grappoli». iperione a Diotima È una fortuna che ci sia molto da fare, altrimenti farei una sciocchezza dietro l’altra, tanto presa è la mia anima, tanto mi inebria quest’uomo, meraviglioso, orgoglioso, che non ama altri | che me e che riversa su di me tutta la sua devo­ zione. O Diotima, Alabanda ha pianto davanti a me, mi ha supplicato come un bambino di perdonare quello che mi aveva fatto a Smirne. Ma chi sono io, miei amati, per potervi dire miei, per poter dire che mi appartenete, per stare tra voi come un conquistatore e abbracciarvi come foste il mio bottino? Diotima, Alabanda, creature nobili, quietamente gran­ di!252 In quante cose dovrò migliorarmi per non dover fug­ gire davanti alla mia felicità, davanti a voi?

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Eben, während ich schrieb, erhielt ich deinen Brief, du liebe. Traure nicht, holdes Wesen, traure nicht! Spare dich, un­ versehrt von Gram, den künftigen Vaterlandsfesten! Diotima! dem glühenden Festtag der Natur, dem spare dich auf und all den heitern Ehrentagen der Götter! Siehest du Griechenland nicht schon? O siehest du nicht, wie, froh der neuen Nachbarschaft, die ewigen Sterne lächeln über unsern Städten und Hainen, wie das alte Meer, wenn es unser Volk lustwandelnd am Ufer sieht, der schönen Athener wieder gedenkt und wieder Glük uns bringt, wie damals seinen Lieblingen, auf fröhlicher Wooge? Seelenvolles Mädchen! du bist so schön schon izt! wie wirst du dann erst, wenn das ächte Klima dich nährt, in entzükender Glorie blühn! Diotima an Hyperion.

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Ich hatte die meiste Zeit mich eingeschlossen seit du fort bist, lieber Hyperion! Heute war ich wieder einmal draußen. In holder Februarluft hab’ ich Leben gesammelt und bringe das gesammelte dir. Es hat auch mir noch wohlgethan, das fri­ sche Erwarmen des Himmels, noch hab’ ich sie mitgefühlt, die neue Wonne der Pfanzenwelt, der reinen, immergleichen, wo alles trauert und sich wieder freut zu seiner Zeit. Hyperion! o mein Hyperion! warum gehn wir denn die stil­ len Lebenswege nicht auch? Es sind heilige Nahmen, Winter und Frühling und Sommer und Herbst! wir aber kennen sie nicht. Ist es nicht Sünde, zu trauern im Frühling? warum thun wir es dennoch? | Vergieb mir! die Kinder der Erde leben durch die Sonne allein; ich lebe durch dich, ich habe andre Freuden, ist es denn

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Proprio mentre ti stavo scrivendo ho ricevuto la tua let­ tera, mia cara. Non rattristarti, essere soave, non essere triste! Conser­ vati, libera da ogni pena, per le feste future della patria!253 Diotima, risparmiati per l’esuberante giorno di festa della natura, e per tutti i giorni sereni in onore degli dei. Non vedi già la Grecia? Non vedi come, felici per il nuovo vicinato, le stelle pe­ renni sorridono sulle nostre città e sui nostri boschi, e come l’antico mare, vedendo il nostro popolo passeggiare sulla riva, ripensa ai begli ateniesi e ci riporta di nuovo la fortuna sulle onde gioiose, come un tempo ai suoi prediletti? Fanciulla tutta anima, sei bellissima già ora; ma come forirai di una bellezza gloriosa, quando un clima propizio ti nutrirà! Diotima a iperione Da quando sei partito, caro Iperione, ero rimasta chiusa in casa; oggi invece sono uscita all’aperto. Nell’aria mite di febbraio ho raccolto la vita e ti offro il mio raccolto. Ha fatto bene anche a me, il fresco tepore del cielo, l’ho sentita anch’io, la nuova ebbrezza del mon­ do vegetale, puro e sempre uguale, dove tutto si intristisce e si rallegra a suo tempo. Iperione, caro Iperione, perché non percorriamo anche noi i sentieri silenziosi della vita? Sono nomi sacri, inver­ no, primavera, estate, autunno! Ma noi non li conosciamo. Non è un peccato, essere tristi in primavera? E allora per­ ché ci capita? | Perdonami, i fgli della terra vivono solo di sole, io in­ vece vivo di te, ho altre gioie; non bisogna quindi mera­

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ein Wunder, wenn ich andre Trauer habe? und muß ich trau­ ern? muß ich denn? Muthiger! lieber! sollt’ ich welken, wenn du glänzest? sollte mir das Herz ermatten, wenn die Siegslust dir in allen Sehnen erwacht? Hätt’ ich eh’mals gehört, ein griechischer Jüngling mache sich auf, das gute Volk aus seiner Schmach zu ziehn, es der mütterlichen Schönheit, der es entstammte, wieder zu brin­ gen, wie hätt’ ich aufgestaunt aus dem Traume der Kindheit und gedürstet nach dem Bilde des Theuren! und nun er da ist, nun er mein ist, kann ich noch weinen? o des albernen Mäd­ chens! ist es denn nicht wirklich? ist er der Herrliche nicht, und ist er nicht mein! o ihr Schatten seeliger Zeit! ihr meine trauten Erinnerungen! Ist mir doch, als wär’ er kaum von gestern, jener Zauber­ abend, da der heil’ge Fremdling mir zum erstenmale begegnete, da er, wie ein trauernder Genius, hereinglänzt’ in die Schatten des Walds, wo im Jugendtraume das unbekümmerte Mädchen saß – in der Mailuft kam er, in Joniens zaubrischer Mailuft und sie macht’ ihn blühender mir, sie lokt’ ihm das Haar, entfaltet’ ihm, wie Blumen, die Lippen, löst’ in Lächeln die Wehmuth auf und o ihr Stralen des Himmels! wie leuchtetet ihr aus die­ sen Augen mich an, aus diesen berauschenden Quellen, wo im Schatten umschirmender Bogen ewig Leben schimmert und wallt! – Gute Götter! wie er schön ward mit dem Blik’ auf mich! wie der ganze Jüngling, eine Spanne größer geworden, in leichter Nerve dastand, nur daß ihm die lieben Arme die bescheidnen niedersanken, als wären sie nichts! und wie er drauf empor­ sah im Entzüken, als wär’ ich gen Himmel entfogen und nicht mehr da, ach! wie er nun in aller Herzensanmuth lächelt’ und erröthete, da er wieder mich gewahr ward und unter den däm­ mernden Thränen sein Phöbusauge durchstrahlt’, um zu fra­ gen, bist dus? bist du es wirklich?

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vigliarsi, se ho altre tristezze. Ma devo essere triste, devo proprio? Coraggioso, amato, devo appassire mentre tu splendi? A me dovrebbe intorpidirsi il cuore, mentre in tutte le tue vene si risveglia il desiderio di vittoria? Se una volta mi avessero detto che un ragazzo greco si era mosso per lava­ re quest’onta dal nostro popolo, per riportarlo alla bellez­ za primigenia dalla quale proviene, come mi sarei stupita svegliandomi dal sogno dell’infanzia e quanto avrei desi­ derato vedere il volto di quel valoroso! E ora che è qui, ora che è mio, posso ancora piangere? Che ragazza sciocca sono! Non è forse vero, non è lui quello splendido ragaz­ zo, e non è forse mio? Ombre di tempi beati, dolci ricordi! Me la ricordo come fosse ieri, quella sera incantata in cui incontrai per la prima volta il sacro straniero, quando il suo splendore, come un genio intristito, illuminò l’om­ bra del bosco dove sedeva una fanciulla ignara nel sogno della giovinezza... Venne con la brezza di maggio, nella magica brezza di maggio della Ionia che lo faceva forire, che gli arricciava i capelli, gli schiudeva le labbra come un fore, scioglieva la tristezza in un sorriso e… O voi raggi del cielo, come splendevate nei suoi occhi, quelle sorgenti inebrianti dove splende e ribolle la vita eterna sotto l’om­ broso riparo degli archi! Santi numi, come era bello mentre mi guardava, quan­ do, divenuto una spanna più alto e con i nervi leggermente tesi si fermò, mentre le care braccia, impacciate, penzo­ lavano come fossero inerti! E come poi sollevò lo sguar­ do estatico, come se fossi ascesa al cielo e non fossi più davanti a lui, e poi sorrise arrossendo con tutta la grazia del cuore quando vide che invece ero ancora là! E con le lacrime che spuntavano, gli occhi di Febo mi illuminarono chiedendomi: «Sei tu? Sei veramente tu?»

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Und warum begegnet’ er so frommen Sinnes, so voll lieben Aberglaubens mir? warum hatt’ er erst sein Haupt gesenkt, warum war der Götterjüngling so voll Sehnens und Trauerns? Sein Genius war zu seelig, um allein zu bleiben, und zu arm die Welt, | um ihn zu fassen. O es war ein liebes Bild, gewebt von Größe und Leiden! Aber nun ists anders! mit dem Lei­ den ists aus! Er hat zu thun bekommen, er ist der Kranke nicht mehr! – Ich war voll Seufzens, da ich anfeng dir zu schreiben, mein Geliebter! jezt bin ich lauter Freude. So spricht man über dir sich glüklich. Und siehe! so solls auch bleiben. Lebe wohl! Hyperion an Diotima. Wir haben noch zu gutem Ende dein Fest gefeiert, schönes Leben! ehe der Lärm beginnt. Es war ein himmlischer Tag. Das holde Frühjahr weht’ und glänzte vom Orient her, ent­ lokt’ uns deinen Nahmen, wie es den Bäumen die Blüthen entlokt, und alle seeligen Geheimnisse der Liebe entathmeten mir. Eine Liebe, wie die unsre, war dem Freunde nie erschie­ nen, und es war entzükend, wie der stolze Mensch aufmerkte und Auge und Geist ihm glühte, dein Bild, dein Wesen zu fassen. O, rief er endlich, da ists wohl der Mühe werth, für un­ ser Griechenland zu streiten, wenn es solche Gewächse noch trägt! Ja wohl, mein Alabanda, sagt’ ich; da gehn wir heiter in den Kampf, da treibt uns himmlisch Feuer zu Thaten, wenn unser Geist vom Bilde solcher Naturen verjüngt ist, und da läuft man auch nach einem kleinen Ziele nicht, da sorgt man nicht für diß und das und künstelt, den Geist nicht achtend, von außen und trinkt um des Kelchs willen den Wein; da ruhn

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E come mai mi venne incontro così devoto, con così tanta affettuosa venerazione? Perché aveva chinato il capo, perché quel giovane divino era così colmo di ane­ liti e tristezza? Il suo genio era troppo felice per rimane­ re solo, e il mondo troppo povero | per abbracciarlo. Era un’immagine adorabile, intessuta di maestà e sofferenza. Ma ora è tutto diverso, basta con la sofferenza. Ora sa cosa fare, non è più malato! Ero piena di affanno, quando ho iniziato a scriverti, mio amato, ora sono piena di gioia. Così ci si rallegra par­ lando di te. E vedrai, sarà ancora così. A presto! iperione a Diotima Alla fne ti abbiamo festeggiato con una bella festa, o vita, prima che inizi il trambusto. Era un giorno stupendo: la soave primavera soffava e splendeva da Oriente, noi ci lasciavamo sfuggire il tuo nome come gli alberi si lasciano sfuggire le gemme e tutti i dolci segreti dell’amore mi to­ glievano il respiro. Il mio amico non aveva mai conosciuto un amore come il nostro ed era bellissimo vedere quell’uo­ mo orgoglioso ascoltare con attenzione e il suo sguardo e il suo spirito illuminarsi nello sforzo di afferrare la tua immagine, il tuo essere. «Sì, vale certamente la pena lottare per la nostra Gre­ cia», esclamò infne, «se porta ancora simili frutti!» «Certo, caro Alabanda», dissi; «andiamo sereni in bat­ taglia, un fuoco celeste ci spinge ad agire quando il nostro spirito ringiovanisce nel vedere una simile natura, e non si insegue più un traguardo modesto, non ci si preoccupa di questo o di quello, non ci si affanna per cose superfciali senza far caso allo spirito, non si beve il vino per amore

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wir dann erst, Alabanda, wenn des Genius Wonne kein Ge­ heimniß mehr ist, dann erst, wenn die Augen all in Triumph­ bogen sich wandeln, wo der Menschengeist, der langabwe­ sende, hervorglänzt aus den Irren und Laiden und siegesfroh den väterlichen Aether grüßt. – Ha! an der Fahne allein soll niemand unser künftig Volk erkennen; es muß sich alles ver­ jüngen, es muß von Grund aus anders seyn; voll Ernsts die Lust und heiter alle Arbeit! nichts, auch das kleinste, das all­ täglichste nicht ohne den Geist und die Götter! Lieb’ und Haß und jeder Laut von uns muß die gemeinere Welt befrem­ den und auch kein Augenblik darf Einmal noch uns mahnen an die platte Vergangenheit! | 715

Hyperion an Diotima. Der Vulkan bricht los. In Koron und Modon werden die Tür­ ken belagert und wir rüken mit unserem Bergvolk gegen den Pelopones hinauf. Nun hat die Schwermuth all’ ein Ende, Diotima, und mein Geist ist vester und schneller, seit ich in lebendiger Arbeit bin und sieh! ich habe nun auch eine Tagesordnung. Mit der Sonne beginn’ ich. Da geh’ ich hinaus, wo im Schat­ ten des Walds mein Kriegsvolk liegt und grüße die tausend hellen Augen, die jezt vor mir mit wilder Freundlichkeit sich aufthun. Ein erwachendes Heer! ich kenne nichts gleiches und alles Leben in Städten und Dörfern ist, wie ein Bienenschwarm, dagegen. Der Mensch kanns nicht verläugnen, daß er einst glüklich war, wie die Hirsche des Forsts, und nach unzähligen Jahren klimmt noch in uns ein Sehnen nach den Tagen der Urwelt, wo jeder die Erde durchstreifte, wie ein Gott, eh, ich weiß nicht

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del calice. Ci fermeremo, Alabanda, solo quando la gioia del genio non sarà più un segreto, solo quando tutti gli sguardi si trasformeranno in un arco di trionfo, quando lo spirito dell’uomo, lungamente assente, emergerà splen­ dente dagli errori e dalle sofferenze e saluterà, ebbro di vittoria, il cielo paterno. Nessuno riconoscerà il nostro fu­ turo popolo solo dal vessillo: tutto sarà ringiovanito, tutto sarà radicalmente diverso, il piacere sarà colmo di serietà e allegro ogni lavoro! Nulla, nemmeno la cosa più piccola e più quotidiana sarà priva dello spirito e degli dei, amo­ re e odio e ogni nostra parola saranno estranei al mondo volgare, e nemmeno un istante ci ricorderà più il passato scialbo!254 | iperione a Diotima Il vulcano è in eruzione. A Corone e Modone i turchi sono sotto assedio, e con i nostri uomini risaliamo il Pelopon­ neso.255 Ora la malinconia è svanita, Diotima, e il mio spirito è più saldo e più veloce da quando sono in azione, e pensa! Ho persino un ordine del giorno. Mi levo con il sole. Esco all’aperto, dove i miei uomi­ ni dormono nell’ombra del bosco e saluto i mille occhi chiari che si aprono davanti a me con burbera cordialità. Un esercito che si sveglia! Non conosco nulla di simile, e anche tutto il brulichio delle città e dei paesi è uno sciame d’api in confronto. L’uomo non può negare di essere stato felice una volta, come il cervo nella foresta, e anche dopo innumerevoli anni si affaccia ancora in noi la nostalgia per i giorni del mondo primigenio, quando ciascuno percorreva la terra come un

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was? den Menschen zahm gemacht, und noch, statt Mauern und todtem Holz, die Seele der Welt, die heilige Luft allgegen­ wärtig ihn umfeng. Diotima! mir geschieht oft wunderbar, wenn ich mein un­ bekümmert Volk durchgehe und, wie aus der Erde gewachsen, einer um den andern aufsteht und dem Morgenlicht’ entgegen sich dehnt, und unter den Haufen der Männer die knatternde Flamme emporsteigt, wo die Mutter sizt mit dem frierenden Kindlein, wo die erquikende Speise kocht, indeß die Rosse, den Tag witternd, schnauben und schrein, und der Wald ertönt von allerschütternder Kriegsmusik, und rings von Waffen schim­ mert und rauscht – aber das sind Worte und die eigne Lust von solchem Leben erzählt sich nicht. Dann sammelt mein Hauffe sich um mich her, mit Lust, und es ist wunderbar, wie auch die Ältesten und Trozigsten in aller meiner Jugend mich ehren. Wir werden vertrauter und man­ cher erzählt wies ihm ergieng im Leben und mein Herz schwillt oft von mancherlei Schiksaal. Dann fang’ ich an, von besseren Tagen zu reden, und glänzend gehn die Augen ihnen auf, wenn sie des Bundes gedenken, der uns einigen soll, und das stolze Bild des werdenden Freistaats dämmert vor ihnen. | Alles für jeden und jeder für alle! Es ist ein freudiger Geist in den Worten und er ergreift auch immer meine Menschen, wie Göttergebot. O Diotima! so zu sehn, wie von Hoffnun­ gen da die starre Natur erwaicht und all’ ihre Pulse mächtiger schlagen und von Entwürfen die verdüsterte Stirne sich entfal­ tet und glänzt, so da zu stehn in einer Sphäre von Menschen, umrungen von Glauben und Lust, das ist doch mehr, als Erd’ und Himmel und Meer in aller ihrer Glorie zu schaun. Dann üb’ ich sie in Waffen und Märschen bis um Mittag. Der frohe Muth macht sie gelehrig, wie er zum Meister mich

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dio prima che, come posso dire, prima che l’uomo venisse addomesticato, quando, al posto di muri e legno morto, lo avvolgeva da ogni parte l’anima del mondo, la sacra aura. Diotima, mi fa una strana impressione quando passo in rassegna i miei uomini fduciosi che si alzano l’uno dopo l’altro, come spuntati dalla terra, stiracchiandosi verso la luce dell’alba, e fra la massa di uomini si leva la famma scoppiettante, dove siede la madre con il bimbo infred­ dolito, dove cuoce il cibo ristoratore, mentre i cavalli, fu­ tando il giorno, fremono e nitriscono, il bosco risuona di possente musica di guerra e tutto intorno scintillano e on­ deggiano le armi... Ma sono solo parole, che non possono raccontare il piacere che si trae da questa vita. Poi la truppa si raccoglie intorno a me con gioia, ed è strano vedere come anche i più anziani e i più spaval­ di mi rispettino, nonostante la mia giovane età. Entriamo sempre più in confdenza e qualcuno racconta della sua vita, tanto che spesso mi si gonfa il cuore per il destino di alcuni. Poi inizio a parlare di giorni migliori, e gli occhi luccicano e si spalancano pensando all’alleanza che ci uni­ rà, mentre l’immagine orgogliosa dello Stato libero che sta per nascere si schiude davanti a loro. | Tutto per uno, uno per tutti! C’è uno spirito gioioso in queste parole e lo sentono sempre anche i miei uomini, come fosse un comando divino.256 Cara Diotima, vedere come la natura irrigidita si ammorbidisca con le speranze, come le vene battano più forte, come la fronte aggrottata si distenda e si rischiari per i progetti; starsene lì con un gruppo di uomini, circondato da fducia e piacere, vale più che contemplare la terra, il cielo e il mare in tutta la loro magnifcenza. Poi li faccio esercitare nella marcia e con le armi fno a mezzogiorno. L’allegro coraggio li fa imparare in fretta,

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macht. Bald stehn sie dichtgedrängt in macedonischer Reih’ und regen den Arm nur, bald fiegen sie, wie Stralen, ausei­ nander zum gewagteren Streit in einzelnen Hauffen, wo die geschmeidige Kraft in jeder Stelle sich ändert und jeder selbst sein Feldherr ist, und sammeln sich wieder in sicherem Punkt – und immer, wo sie gehen und stehn in solchem Waffentanze, schwebt ihnen und mir das Bild der Tyrannenknechte und der ernstere Wahlplaz vor Augen. Drauf, wenn die Sonne heißer scheint, wird Rath gehalten im Innern des Walds und es ist Freude, so mit stillen Sinnen über der großen Zukunft zu walten. Wir nehmen dem Zufall die Kraft, wir meistern das Schiksaal. Wir lassen Widerstand nach unserem Willen entstehn, wir reizen den Gegner zu dem, worauf wir gerüstet sind. Oder sehen wir zu und scheinen furchtsam und lassen ihn näher kommen, bis er das Haupt zum Schlag uns reicht, auch nehmen wir ihm mit Schnelle die Fas­ sung und das ist meine Panacee. Doch halten die erfahrneren Ärzte nichts auf solche allesheilende Mittel. Wie wohl ist dann des Abends mir bei meinem Alabanda, wenn wir zur Lust auf muntern Rossen die sonnenrothen Hü­ gel umschweifen, und auf den Gipfeln, wo wir weilen, die Luft in den Mähnen unserer Thiere spielt, und das freundliche Säu­ seln in unsere Gespräche sich mischt, indeß wir hinaussehn in die Fernen von Sparta, die unser Kampfpreis sind! und wenn wir nun zurük sind und zusammensizen in lieblicher Kühle der Nacht, wo uns der Becher duftet und das Mondlicht unser spärlich Mahl bescheint und mitten in unsrer lächelnden Stille die Geschichte der Alten, wie eine Wolke aufsteigt aus dem heiligen Boden der uns | trägt, wie seelig ists da, in solchem Momente sich die Hände zu reichen! Dann spricht wohl Alabanda noch von manchem, den die Langeweile des Jahrhunderts peinigt, von so mancher wunder­

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e rende me un comandante. Veloci si schierano nelle ftte fla macedoni257 e muovono solo il braccio; veloci volano, come frecce, a piccoli gruppi, nel folto della mischia dove la forza duttile si trasforma in ogni momento e dove cia­ scuno agisce in modo autonomo, per raccogliersi poi in un luogo sicuro... Ma sempre, dovunque vadano o si trovino nella danza delle armi, aleggia davanti a loro e a me l’im­ magine dei servi del tiranno e il luogo, più impegnativo, della battaglia. Poi, quando il sole è più caldo, teniamo consiglio nel folto del bosco ed è una gioia dominare il nobile futuro con la quieta rifessione. Sottraiamo potere al caso, do­ miniamo il destino. Immaginiamo che venga opposta re­ sistenza dove vogliamo, incitiamo l’avversario a ciò che siamo preparati ad affrontare. Oppure stiamo a guardare, fngendoci impauriti e lasciandolo avvicinare, fnché non cade nel tranello, oppure ancora lo sorprendiamo con la velocità e questa è la mia panacea. Ma i medici più esperti non hanno molta stima per questo rimedio universale. Come è bello poi la sera vagare per diletto con il mio Alabanda, con i cavalli focosi sulle colline arrossate dal sole; e sulle cime dove ci fermiamo, l’aria gioca con la cri­ niera dei nostri animali e l’affettuoso fruscio si mescola ai nostri discorsi mentre guardiamo lontano verso Sparta, che sarà il nostro premio! E quando torniamo e sediamo insieme nella gradevole frescura della notte, quando il calice profuma e la luce della luna illumina la parca cena, nel mezzo della nostra quiete sorridente si erge la storia degli antichi come una nube si eleva dal suolo sacro che ci | sostenta: come è bello in quei momenti stringersi la mano! Poi Alabanda parla ancora di molte cose, affitte dalla noia del secolo, delle strade curiose e contorte che la vita

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baren krummen Bahn, die sich das Leben bricht, seitdem sein grader Gang gehemmt ist, dann fällt mir auch mein Adamas ein, mit seinen Reisen, seiner eignen Sehnsucht in das innere Asien hinein – das sind nur Nothbehelfe, guter Alter! möcht’ ich dann ihm rufen, komm! und baue deine Welt! mit uns! denn unsre Welt ist auch die deine. Auch die deine, Diotima, denn sie ist die Kopie von dir. O du, mit deiner Elysiumsstille, könnten wir das schaffen, was du bist! Hyperion an Diotima. Wir haben jezt dreimal in Einem fort gesiegt in kleinen Ge­ fechten, wo aber die Kämpfer sich durchkreuzten, wie Blize, und alles Eine verzehrende Flamme war. Navarin ist unser und wir stehen jezt vor der Veste Misistra, dem Überreste des al­ ten Sparta. Ich hab’ auch die Fahne, die ich einer Albanischen Horde entriß, auf eine Ruine gepfanzt, die vor der Stadt liegt, habe vor Freude meinen türkischen Kopfbund in den Eurotas geworfen und trage seitdem den griechischen Helm. Und nun möcht’ ich dich sehen, o Mädchen! sehen möcht’ ich dich und deine Hände nehmen und an mein Herz sie drüken, dem die Freude nun bald vieleicht zu groß ist! bald! in einer Woche vieleicht ist er befreit, der alte, edle, heilige Pelopones. O dann, du Theure! lehre mich fromm seyn! dann lehre mein überwallend Herz ein Gebet! Ich sollte schweigen, denn was hab’ ich gethan? und hätt’ ich etwas gethan, wovon ich sprechen möchte, wieviel ist dennoch übrig? Aber was kann ich dafür, daß mein Gedanke schneller ist, wie die Zeit? Ich wollte so gern, es wäre umgekehrt und die Zeit und die That überföge den Gedanken und der gefügelte Sieg übereilte die Hoffnung selbst.

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qualche volta imbocca quando il suo percorso rettilineo viene ostacolato; e allora mi torna in mente il mio Adamas con i suoi viaggi, la sua nostalgia per l’Asia profonda…258 Sono solo palliativi, vecchio mio, vorrei dirgli allora, vieni con noi e costruisci il tuo mondo! Con noi, perché il no­ stro mondo è anche il tuo. E anche il tuo, Diotima, perché sarà una copia di te. Tu, con la tua quiete paradisiaca: potessimo ricreare quel­ lo che tu sei! iperione a Diotima Abbiamo vinto per tre volte di fla in piccole battaglie, dove però i combattenti si incrociavano come i fulmini, e dovunque imperversava una famma distruttiva. Navarino è nostra e ora siamo davanti alla fortezza di Misistra, ciò che resta dell’antica Sparta. La bandiera che avevo sottrat­ to a un drappello albanese, l’ho issata su un rudere davanti alla città, per la gioia ho buttato il mio copricapo turco nell’Eurota e da allora porto l’elmo greco. Ma ora vorrei vederti, fanciulla, vederti vorrei e pren­ derti le mani e premermele sul cuore, la cui gioia sarà pre­ sto eccessiva. Fra poco! Forse in una settimana sarà libe­ rato, l’antico, nobile e sacro Peloponneso. Allora, mia cara, insegnami la devozione! Insegna a pregare al mio cuore in tumulto. Dovrei tacere, perché in fondo, che cosa ho fatto? E anche se avessi fatto cose notevoli, quanto resta ancora da fare? Ma che cosa posso farci, se il pensiero è più veloce del tempo? Mi piacerebbe davvero che fosse l’opposto, che il tempo e le azioni fosse­ ro più veloci del pensiero e la vittoria alata arrivasse prima della speranza stessa.

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Mein Alabanda blüht, wie ein Bräutigam. Aus jedem seiner | Blike lacht die kommende Welt mich an, und daran still’ ich noch die Ungedult so ziemlich. Diotima! ich möchte dieses werdende Glük nicht um die schönste Lebenszeit des alten Griechenlands vertauschen, und der kleinste unsrer Siege ist mir lieber, als Marathon und Ther­ mopylä und Platea. Ists nicht wahr? Ist nicht dem Herzen das genesende Leben mehr werth, als das reine, das die Krankheit noch nicht kennt? Erst wenn die Jugend hin ist, lieben wir sie, und dann erst, wenn die verlorne wiederkehrt, beglükt sie alle Tiefen der Seele. Am Eurotas stehet mein Zelt, und wenn ich nach Mitter­ nacht erwache, rauscht der alte Flußgott mahnend mir vorüber, und lächelnd nehm’ ich die Blumen des Ufers, und streue sie in seine glänzende Welle und sag’ ihm: Nimm es zum Zeichen, du Einsamer! Bald umblüht das alte Leben dich wieder. Diotima an Hyperion. Ich habe die Briefe erhalten, mein Hyperion, die du unterwe­ gens mir schriebst. Du ergreifst mich gewaltig mit allem, was du mir sagst, und mitten in meiner Liebe schaudert mich oft, den sanften Jüngling, der zu meinen Füßen geweint, in dieses rüstige Wesen verwandelt zu sehn. Wirst du denn nicht die Liebe verlernen? Aber wandle nur zu! Ich folge dir. Ich glaube, wenn du mich hassen könntest, würd’ ich auch da sogar dir nachempfnden, würde mir Mühe geben, dich zu hassen und so blieben unsre Seelen sich gleich und das ist kein eitelübertrieben Wort, Hy­ perion.

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Il mio Alabanda forisce come uno sposo. In ognuno dei suoi | sguardi mi sorride il mondo futuro, e questo mi­ tiga in parte la mia impazienza. Diotima, non scambierei questa felicità in divenire nemmeno con l’epoca più bella dell’antica Grecia, e la più piccola delle nostre vittorie mi è più cara di Marato­ na, delle Termopili e di Platea.259 Non è così? Per il cuore non ha forse più valore la vita in via di guarigione di quel­ la integra che non ha mai conosciuto la malattia? Solo quando la giovinezza è passata la apprezziamo, e solo quando, una volta persa, ritorna gioiscono tutte le pro­ fondità dell’anima. Ho piantato la mia tenda vicino all’Eurota, e quando mi sveglio dopo la mezzanotte, sento l’antico dio del fume gorgogliare ammonitore, e sorridendo colgo i fori sulla riva e li spargo sulle sue onde luccicanti dicendo: «Accetta questo segno, tu solitario! Presto riforirà intorno a te la vita di un tempo». Diotima a iperione Ho ricevuto le lettere che mi hai scritto in viaggio, Iperio­ ne mio. Ogni cosa che dici mi colpisce profondamente, e in tutto il mio amore rabbrividisco nel vedere il dolce ragazzo che ha pianto ai miei piedi trasformato in una cre­ atura così energica. Non disimparerai ad amare? Ma trasformati pure, io ti seguirò. Credo che se tu ini­ ziassi a odiarmi cercherei anche in quel caso di sentire lo stesso, mi sforzerei di odiarti, in modo che le nostre ani­ me rimangano simili; e non lo dico per smodata vanità, Iperione.

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Ich bin auch selbst ganz anders, wie sonst. Mir mangelt der heitre Blik in die Welt und die freie Lust an allem Lebendigen. Nur das Feld der Sterne zieht mein Auge noch an. Dagegen denk’ ich um so lieber an die großen Geister der Vorwelt und wie sie geendet haben auf Erden, und die hohen Spartanischen Frauen haben mein Herz gewonnen. Dabei vergess’ ich nicht die neuen Kämpfer, die kräftigen, deren Stunde gekommen ist, oft hör’ ich ihren Siegslärm durch den Pelopones herauf mir näher brausen und näher, oft seh’ ich sie, wie eine Kataracte, dort herunterwoogen durch die | Epidaurischen Wälder und ihre Waffen fernher glänzen im Sonnenlichte, das, wie ein He­ rold, sie geleitet, o mein Hyperion! und du kömmst geschwinde nach Kalaurea herüber und grüßest die stillen Wälder unserer Liebe, grüßest mich, und fiegst nun wieder zu deiner Arbeit zurük; – und denkst du, ich fürchte den Ausgang? Liebster! manchmal wills mich überfallen, aber meine größern Gedan­ ken halten, wie Flammen, den Frost ab. – Lebe wohl! vollende, wie es der Geist dir gebeut! und laß den Krieg zu lange nicht dauern, um des Friedens willen, Hy­ perion, um des schönen, neuen, goldenen Friedens willen, wo, wie du sagtest, einst in unser Rechtsbuch eingeschrieben wer­ den die Geseze der Natur, und wo das Leben selbst, wo sie, die göttliche Natur, die in kein Buch geschrieben werden kann, im Herzen der Gemeinde seyn wird. Lebe wohl. Hyperion an Diotima. Du hättest mich besänftigen sollen, meine Diotima! hät­ test sagen sollen, ich möchte mich nicht übereilen, möchte dem Schiksaal nach und nach den Sieg abnöthigen, wie kar­ gen Schuldnern die Summe. O Mädchen! stille zu stehn, ist schlimmer, wie alles. Mir troknet das Blut in den Adern, so

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Anch’io sono molto cambiata da allora. Mi manca lo sguardo sereno sul mondo e la gioia spensierata per tutto ciò che vive. Solo il campo delle stelle attira ancora il mio sguardo. Preferisco invece pensare ai grandi uomini del passato e alle loro vicende sulla terra, e le nobili donne spartane hanno conquistato il mio cuore.260 Con questo non dimentico i guerrieri di oggi, vigorosi, la cui ora è ve­ nuta; spesso odo il frastuono delle loro vittorie giungere fno a me attraverso il Peloponneso, sempre più vicino, spesso li vedo espandersi a onde, come una cascata, attra­ verso i | boschi dell’Epidauro e vedo brillare in lontananza le loro armi nel sole che li accompagna come un araldo. E vedo te, Iperione mio, che vieni rapido qui a Calauria e saluti i boschi silenziosi del nostro amore, vieni a salutarmi e poi torni veloce al tuo lavoro. E pensi che io dubiti del risultato? Carissimo, qualche volta quel dubbio mi assale, ma i pensieri più nobili, come famme, tengono lontano il gelo.261 Abbi cura di te, porta a termine quello che lo spirito ti comanda, e per amore della pace fa’ che la guerra non duri troppo a lungo, Iperione, per amore di una pace aurea, nuova e bella quando, come hai detto una volta, verranno scritte nel codice le leggi della natura e quando la vita stes­ sa e lei, la natura divina, che non può essere scritta in alcun libro, vivranno nel cuore della comunità. Abbi cura di te. iperione a Diotima Avresti dovuto calmarmi, cara Diotima, avresti dovuto dir­ mi che non devo affrettarmi, che devo estorcere la vittoria al destino a poco a poco, come il denaro agli avari debitori. Cara fanciulla, stare fermi è la cosa peggiore. Mi si secca il

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dürst’ ich, weiterzukommen und muß hier müßig stehn, muß belagern und belagern, den einen Tag, wie den andern. Unser Volk will stürmen, aber das würde die aufgeregten Gemüther zum Rausch erhizen und wehe dann unsern Hoffnungen, wenn das wilde Wesen aufgährt und die Zucht und die Liebe zerreißt. Ich weiß nicht, es kann nur noch einige Tage dauern, so muß Misistra sich ergeben, aber ich wollte, wir wären weiter. Im Lager hier ists mir, wie in gewitterhafter Luft. Ich bin unge­ duldig, auch meine Leute gefallen mir nicht. Es ist ein furcht­ barer Muthwill unter ihnen. Aber ich bin nicht klug, daß ich so viel aus meiner Laune mache. Und das alte Lacedämon ists ja doch wohl werth, daß man ein wenig Sorge leidet, eh man es hat. | 720

Hyperion an Diotima. Es ist aus, Diotima! unsre Leute haben geplündert, gemor­ det, ohne Unterschied, auch unsre Brüder sind erschlagen, die Griechen in Misistra, die Unschuldigen, oder irren sie hülfos herum und ihre todte Jammermiene ruft Himmel und Erde zur Rache gegen die Barbaren, an deren Spize ich war. Nun kann ich hingehn und von meiner guten Sache predi­ gen. O nun fiegen alle Herzen mir zu! Aber ich habs auch klug gemacht. Ich habe meine Leute ge­ kannt. In der That! es war ein außerordentlich Project, durch eine Räuberbande mein Elysium zu pfanzen. Nein! bei der heiligen Nemesis! mir ist recht geschehn und ich wills auch dulden, dulden will ich, bis der Schmerz mein lezt Bewußtseyn mir zerreißt. Denkst du, ich tobe? Ich habe eine ehrsame Wunde, die einer meiner Getreuen mir schlug, indem ich den Greuel ab­

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sangue nelle vene da tanto sono desideroso di muovermi, e devo invece rimanere ozioso, devo assediare e assediare, un giorno dopo l’altro. I nostri uomini vorrebbero attacca­ re, ma questo surriscalderebbe troppo gli animi già eccita­ ti e guai allora alle nostre speranze, se la parte selvaggia si scatena e distrugge la disciplina e l’amore. Non so, potrà durare pochi giorni ancora e poi Misistra dovrà arrendersi, ma vorrei che fossimo già oltre. L’accam­ pamento è come l’aria carica di temporale. Sono inquieto, e i miei uomini non mi piacciono. Serpeggia un terribile malcontento tra loro. Ma non è saggio dare così tanto peso al mio umore, e l’antica Lacedemone vale pur bene qualche fatica per con­ quistarla. | iperione a Diotima È fnita, Diotima, i nostri uomini hanno saccheggiato e ucci­ so senza distinzione; anche i nostri fratelli, i greci di Misistra, innocenti, sono stati ammazzati oppure vagano inermi nei dintorni e i loro volti stravolti e disperati gridano vendetta al cielo e alla terra contro i barbari che io comandavo.262 Adesso sì che posso andare a predicare la mia buona causa, tutti i cuori voleranno a me! E sono stato proprio bravo, come conoscevo bene i miei uomini! Davvero, era un progetto straordinario, co­ struire un Elisio con una banda di briganti.263 No, per la sacra Nemesi, ho quello che mi merito e lo sopporterò,264 lo sopporterò fnché il dolore non mi lace­ rerà anche l’ultimo brandello di coscienza. Pensi che sia impazzito? Ho una rispettabile ferita che uno dei miei fdi mi ha inferto mentre cercavo di impedire

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wehrte. Wenn ich tobte, so riss’ ich die Binde von ihr, und so ränne mein Blut, wohin es gehört, in diese trauernde Erde. Diese trauernde Erde! die nakte! so ich kleiden wollte mit heiligen Hainen, so ich schmüken wollte mit allen Blumen des griechischen Lebens! O es wäre schön gewesen, meine Diotima. Nennst du mich muthlos? Liebes Mädchen! es ist des Un­ heils zu viel. An allen Enden brechen wütende Hauffen herein; wie eine Seuche, tobt die Raubgier in Morea und wer nicht auch das Schwerd ergreift, wird verjagt, geschlachtet und da­ bei sagen die Rasenden, sie fechten für unsre Freiheit. Andre des rohen Volks sind von dem Sultan bestellt und treibens, wie jene. Eben hör’ ich, unser ehrlos Heer sei nun zerstreut. Die Fei­ gen begegneten bei Tripolissa einem Albanischen Hauffen, der um die Hälfte geringer an Zahl war. Weils aber nichts zu plün­ dern gab, so liefen die Elenden alle davon. Die Russen, die mit uns den Feldzug wagten, vierzig brave Männer, hielten allein aus, fanden auch alle den Tod. Und so bin ich nun mit meinem Alabanda wieder einsam, wie zuvor. Seitdem der Treue mich fallen und bluten sah in Misistra, | hat er alles andre vergessen, seine Hoffnungen, sei­ ne Siegslust, seine Verzweifung. Der Ergrimmte, der unter die Plünderer stürzte, wie ein strafender Gott, der führte nun so sanft mich aus dem Getümmel, und seine Thränen nezten mein Kleid. Er blieb auch bei mir in der Hütte, wo ich seitdem lag und ich freue mich nun erst recht darüber. Denn wär’ er mit fortgezogen, so läg’ er jezt bei Tripolissa im Staub. Wie es weiter werden soll, das weiß ich nicht. Das Schiksaal stößt mich ins Ungewisse hinaus und ich hab’ es verdient; von dir verbannt mich meine eigene Schaam und wer weiß, wie lange?

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il massacro. Se fossi impazzito, mi strapperei le bende e la­ scerei scorrere il sangue su questa terra dolente alla quale appartiene. Questa terra dolente, spoglia, che volevo rivestire di boschi sacri, che volevo adornare con il for fore della vita greca! Che bello sarebbe stato, mia cara Diotima. Dirai che sono un rinunciatario? Cara ragazza, la disgra­ zia è troppo grande. Da tutte le parti penetrano drappelli inferociti, il saccheggio imperversa in Morea come una pe­ stilenza, chi non mette mano a sua volta alla spada viene inseguito e ammazzato, e quei pazzi dicono di combattere per la nostra libertà. L’altra metà di questo rozzo popolo è assoldata dal sultano e si comporta allo stesso modo. Ho appena saputo che il nostro esercito si è disperso. Quei vigliacchi avevano affrontato nei pressi di Tripoli un drappello albanese, di numero era la metà di noi, ma dato che non c’era nulla da saccheggiare, i miserabili se la sono data a gambe. I russi che insieme a noi si erano lanciati all’attacco, quaranta uomini valorosi, hanno resistito da soli trovando tutti la morte.265 Così ora sono di nuovo solo con il mio Alabanda, come prima. Da quando il mio fedele amico mi vide cadere e san­ guinare a Misistra, | ha dimenticato tutto il resto, le sue spe­ ranze, il desiderio di vittoria, la disperazione. Irato si gettò fra i saccheggiatori come un dio vendicatore e mi tirò dolcemen­ te fuori dalla mischia, mentre le sue lacrime mi bagnavano le vesti. Da allora è rimasto presso di me nella capanna dove sono ricoverato, e ne sono davvero contento: se avesse pro­ seguito con gli altri, ora giacerebbe nella polvere di Tripoli. Come andrà avanti, non lo so. Il destino mi getta nell’in­ certezza e me lo sono meritato; da te mi esilia la mia stessa vergogna, e chissà per quanto tempo?

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Ach! ich habe dir ein Griechenland versprochen und du be­ kommst ein Klaglied nun dafür. Sei selbst dein Trost! Hyperion an Diotima. Ich bringe mich mit Mühe zu Worten. Man spricht wohl gerne, man plaudert, wie die Vögel, so lange die Welt, wie Mailuft, einen anweht; aber zwischen Mittag und Abend kann es anders werden, und was ist verloren am Ende? Glaube mir und denk, ich sags aus tiefer Seele dir: die Spra­ che ist ein großer Überfuß. Das Beste bleibt doch immer für sich und ruht in seiner Tiefe, wie die Perle im Grunde des Meers. – Doch was ich eigentlich dir schreiben wollte, weil doch einmal das Gemälde seinen Rahmen und der Mann sein Tagwerk haben muß, so will ich noch auf eine Zeitlang Dienste nehmen bei der Russischen Flotte; denn mit den Griechen hab’ ich weiter nichts zu thun. O theures Mädchen! es ist sehr fnster um mich geworden! Hyperion an Diotima.

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Ich habe gezaudert, gekämpft. Doch endlich muß es seyn. Ich sehe, was nothwendig ist, und weil ich es sehe, so soll es auch werden. Misdeute mich nicht! verdamme mich nicht! ich muß dir rathen, daß du mich verlässest, meine Diotima. | Ich bin für dich nichts mehr, du holdes Wesen! Diß Herz ist dir versiegt, und meine Augen sehen das Lebendige nicht mehr. O meine Lippen sind verdorrt; der Liebe süßer Hauch quillt mir im Busen nicht mehr. Ein Tag hat alle Jugend mir genommen; am Eurotas hat mein Leben sich müde geweint, ach! am Eurotas, der in rettungsloser

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Ah, ti avevo promesso una Grecia e ne hai soltanto un lamento funebre. Consola te stessa! iperione a Diotima Trovo le parole a fatica. Si parla volentieri, si chiacchiera come gli uccellini fn­ ché il mondo ci viene incontro come la brezza di maggio; ma tra il mezzogiorno e la sera il tempo può mutare, e in fondo, che cosa cambia? Credimi, te lo dico dal profondo del cuore: il linguag­ gio è decisamente superfuo. Le cose migliori sono sempre a sé stanti e riposano nella loro profondità, come la perla sul fondo del mare. Ma quello che in realtà volevo scriverti, dato che il quadro deve avere la sua cornice e l’uomo il suo lavoro, è che per un certo periodo mi arruolerò nella fotta russa; con i greci non voglio avere più niente a che fare. Cara fanciulla, tutto è così oscuro intorno a me! iperione a Diotima Ho indugiato, combattuto. Ma alla fne deve accadere. Capisco che cosa è necessario e dal momento che lo ca­ pisco devo anche farlo. Non fraintendermi, non condan­ narmi! Devo consigliarti di lasciarmi, Diotima mia. | Non sono più per te, essere soave! Questo cuore è sigil­ lato per te, i miei occhi non vedono più questo mondo. Le labbra sono inaridite, il dolce respiro dell’amore non mi sgorga più dal petto. Un solo giorno mi ha privato della giovinezza, sull’Eu­ rota la mia vita ha pianto fno a consumarsi, sì, sull’Eurota:

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Schmach an Lacedämons Schutt vorüberklagt, mit allen seinen Wellen. Da, da hat mich das Schiksaal abgeerndtet. – Soll ich deine Liebe, wie ein Allmosen, besizen? – Ich bin so gar nichts, bin so ruhmlos, wie der ärmste Knecht. Ich bin verbannt, ver­ fucht, wie ein gemeiner Rebell und mancher Grieche in Morea wird von unsern Heldenthaten, wie von einer Diebsgeschichte, seinen Kinderkindern künftighin erzählen. Ach! und Eines hab’ ich lange dir verschwiegen. Feierlich versties mein Vater mich, verwies mich ohne Rükkehr aus dem Hause meiner Jugend, will mich nimmer wieder sehen, nicht in diesem, noch im andern Leben, wie er sagt. So lautet die Ant­ wort auf den Brief, worinn ich mein Beginnen ihm geschrieben. Nun laß dich nur das Mitleid nimmer irre führen. Glaube mir, es bleibt uns überall noch eine Freude. Der ächte Schmerz begeistert. Wer auf sein Elend tritt, steht höher. Und das ist herrlich, daß wir erst im Leiden recht der Seele Freiheit fühlen. Freiheit! wer das Wort versteht – es ist ein tiefes Wort, Dioti­ ma. Ich bin so innigst angefochten, bin so unerhört gekränkt, bin ohne Hoffnung, ohne Ziel, bin gänzlich ehrlos, und doch ist eine Macht in mir, ein Unbezwingliches, das mein Gebein mit süßen Schauern durchdringt, so oft es rege wird in mir. Auch hab’ ich meinen Alabanda noch. Der hat so wenig zu gewinnen, als ich selbst. Den kann ich ohne Schaden mir behalten! Ach! der königliche Jüngling hätt’ ein besser Loos verdient. Er ist so sanft geworden und so still. Das will mir oft das Herz zerreißen. Aber einer erhält den andern. Wir sagen uns nichts; was sollten wir uns sagen? aber es ist denn doch ein Seegen in manchem kleinen Liebesdienste, den wir uns leisten. Da schläft er und lächelt genügsam, mitten in unsrem Schik­ saal. Der Gute! er weiß nicht, was ich thue. Er würd’ es nicht

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ciascuna delle sue onde si lamenta per l’offesa incancella­ bile passando accanto alle rovine di Lacedemone. Lì, lì il destino mi ha falciato. Devo avere il tuo amore come un’e­ lemosina? Io sono un nulla, ignoto come il più piccolo dei servi. Sono bandito, maledetto come un ribelle qualsiasi e molti greci, in Morea, racconteranno ai fgli dei loro fgli le nostre gesta eroiche come storie di malviventi. Ah, un’altra cosa ti ho taciuto a lungo. Mio padre mi ha solennemente ripudiato, mi ha cacciato senza possibilità di ritorno dalla casa della mia infanzia, non vuole più vedermi, né in questa vita né nell’altra, ha detto. Questa è stata la risposta alla lettera in cui gli annunciavo il mio proposito. Ora non lasciarti fuorviare dalla compassione. Credi­ mi, ci resta comunque un’ultima gioia. Il dolore autentico sublima, e chi calpesta la propria miseria si eleva. Ed è meraviglioso che proprio nella sofferenza percepiamo fno in fondo la libertà dell’anima.266 Libertà! Chi compren­ de questa parola... È una parola profonda, Diotima. Sono così combattuto interiormente, sono così indicibilmente offeso, sono senza speranza, senza scopo, sono del tutto privo di onore, eppure c’è una forza in me, qualcosa di in­ domabile che mi penetra nelle ossa con dolci brividi ogni volta che si muove dentro di me. E mi resta ancora Alabanda. Non ha più nulla da per­ dere, proprio come me. Posso quindi tenerlo con me senza nuocergli. Ah, quel giovane regale avrebbe meritato una sorte migliore. È diventato così mite, così taciturno che mi si spezza il cuore. Ma l’uno sostiene l’altro. Non diciamo nulla; che cosa dovremmo mai dirci? Ma c’è comunque benedizione nelle piccole attenzioni affettuose che ci pre­ stiamo l’un l’altro. Eccolo che dorme e sorride soddisfatto, nel bel mezzo della nostra sventura. Come è buono, non sa che cosa sto

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dulden. Du must an Diotima schreiben, gebot er mir, und must ihr sagen, | daß sie bald mit dir sich aufmacht, in ein leidlicher Land zu fiehn. Aber er weiß nicht, daß ein Herz, das so ver­ zweifeln lernte, wie seines und wie meines, der Geliebten nichts mehr ist. Nein! nein! du fändest ewig keinen Frieden bei Hy­ perion, du müßtest untreu werden und das will ich dir ersparen. Und so lebe denn wohl, du süßes Mädchen! lebe wohl! Ich möchte dir sagen, gehe dahin, gehe dorthin; da rauschen die Quellen des Lebens. Ich möcht’ ein freier Land, ein Land voll Schönheit und voll Seele dir zeigen und sagen: dahin rette dich! Aber o Himmel! könnt’ ich diß, so wär’ ich auch ein andrer und so müßt’ ich auch nicht Abschied nehmen – Abschied nehmen? Ach! ich weiß nicht, was ich thue. Ich wähnte mich so gefaßt, so besonnen. Jezt schwindelt mir und mein Herz wirft sich umher, wie ein ungeduldiger Kranker. Weh über mich! ich richte meine lezte Freude zu Grunde. Aber es muß seyn und das Ach! der Natur ist hier umsonst. Ich bin’s dir schuldig, und ich bin ja oh­ nediß dazu geboren, heimathlos und ohne Ruhestätte zu seyn. O Erde! o ihr Sterne! werde ich nirgends wohnen am Ende? Noch Einmal möcht’ ich wiederkehren an deinen Busen, wo es auch wäre! Aetheraugen! Einmal noch mir wieder begegnen in euch! an deinen Lippen hängen, du Liebliche! du Unaus­ sprechliche! und in mich trinken dein entzükend heiligsüßes Leben – aber höre das nicht! ich bitte dich, achte das nicht! Ich würde sagen, ich sei ein Verführer, wenn du es hörtest. Du kennst mich, du verstehst mich. Du weist, wie tief du mich ach­ test, wenn du mich nicht bedauerst, mich nicht hörst. Ich kann, ich darf nicht mehr – wie mag der Priester leben, wo sein Gott nicht mehr ist? O Genius meines Volks! o Seele Griechenlands! ich muß hinab, ich muß im Todtenreiche dich suchen.

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per fare, non lo permetterebbe. Devi scrivere a Diotima, mi ha ordinato, e devi dirle | di prepararsi a fuggire con te in un paese più tollerabile. Ma lui non può sapere che un cuore che ha conosciuto una disperazione come la nostra, non vale più nulla per l’amata. No, no, non troveresti mai più pace con Iperione, saresti costretta a divenirgli infede­ le e questo voglio risparmiartelo. E allora addio, dolce fanciulla, addio! Vorrei poterti dire: vai qui, vai là, là mormorano le sorgenti della vita. Vorrei indicarti una terra libera, una terra colma di bel­ lezza e di anima e dirti: mettiti in salvo laggiù! Ma, santo cielo, se potessi farlo sarei un altro e non dovrei dirti ad­ dio... Dirti addio? Davvero, non so che cosa sto facendo! Mi credevo pronto, deciso. Ora ho le vertigini e il mio cuore si dibatte come un malato irrequieto. Guai a me, sto annientando la mia ultima gioia. Ma così dev’essere e il gemito della natura è vano. Te lo devo, e del resto io sono nato per rimanere senza patria e senza riposo. Terra, stelle, ci sarà un luogo dove potrò dimorare alla fne? Vorrei tornare ancora una volta sul tuo seno, dovunque fosse! Occhi celestiali, vorrei ritrovare ancora una volta me stesso in voi! Pendere dalle tue labbra, creatura adora­ bile, inesprimibile, e far scorrere in me la tua vita inebrian­ te, dolce e sacra... Ma non ascoltarmi, ti prego, non farci caso! Dovrei dire che sono un seduttore, se tu mi ascoltas­ si. Mi conosci, mi capisci. Sai quale profondo rispetto mi porti non compiangendomi, non ascoltandomi. Non posso, non posso più… Come può vivere il sa­ cerdote, quando il suo dio non esiste più? Genio del mio popolo, anima della Grecia! Devo sprofondare, devo cer­ carti nel regno dei morti.267

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Ich habe lange gewartet, ich will es dir gestehn, ich habe sehn­ lich auf ein Abschiedswort aus deinem Herzen gehoft, aber du schweigst. Auch das ist eine Sprache deiner schönen Seele, Di­ otima. | Nicht wahr, die heiligern Akkorde hören darum denn doch nicht auf? nicht wahr, Diotima, wenn auch der Liebe sanftes Mondlicht untergeht, die höhern Sterne ihres Himmels leuch­ ten noch immer? O das ist ja meine lezte Freude, daß wir un­ zertrennlich sind, wenn auch kein Laut von dir zu mir, kein Schatte unsrer holden Jugendtage mehr zurükkehrt! Ich schaue hinaus in die abendröthliche See, ich streke mei­ ne Arme aus nach der Gegend, wo du ferne lebst und meine Seele erwarmt noch einmal an allen Freuden der Liebe und Jugend. O Erde! meine Wiege! alle Wonne und aller Schmerz ist in dem Abschied, den wir von dir nehmen. Ihr lieben Jonischen Inseln! und du, mein Kalaurea, und du, mein Tina, ihr seid mir all’ im Auge, so fern ihr seid und mein Geist fiegt mit den Lüftchen über die regen Gewässer; und die ihr dort zur Seite mir dämmert, ihr Ufer von Teos und Ephesus, wo ich einst mit Alabanda gieng in den Tagen der Hoffnung, ihr scheint mir wieder, wie damals, und ich möcht’ hinüberschiffen ans Land und den Boden küssen und den Boden erwärmen an meinem Busen, und alle süßen Abschiedsworte stammeln vor der schweigenden Erde, eh’ ich auffiege ins Freie. Schade, Schade, daß es jezt nicht besser zugeht unter den Menschen, sonst blieb’ ich gern auf diesem guten Stern. Aber ich kann diß Erdenrund entbehren, das ist mehr, denn alles, was es geben kann.

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iperione a Diotima Ho atteso a lungo, te lo confesso, ho sperato ardente­ mente in una parola di commiato dal tuo cuore, ma tu taci. Anche questo è il linguaggio della tua anima bella, Diotima. | Non è così? Gli accordi più sacri non sono certo spen­ ti; non è vero, Diotima, che anche quando la dolce luce lunare dell’amore si spegne, le stelle del cielo continuano a brillare? È ormai la mia unica gioia sapere che siamo inseparabili, anche quando non giunge più fno a me nem­ meno una tua parola, nessun’ombra dei giorni soavi della nostra giovinezza. Guardo in lontananza il mare nel rosso della sera, ten­ do le braccia verso il luogo, lontano, dove tu vivi e la mia anima si riscalda ancora una volta alle gioie dell’amore e della giovinezza. E tu terra, la mia culla! Riviviamo tutti i piaceri e tutti i dolori nel prendere commiato da te. Voi, care isole della Ionia! Tu, cara Calauria, e la mia Tinos, vi vedo tutte davanti a me anche se siete distanti, e il mio spirito vola con le brezze sopra le acque agitate; e voi che afforate nel crepuscolo qui di fanco, voi rive di Teo e di Efeso, dove una volta mi sono recato con Alaban­ da nei giorni della speranza, comparite di nuovo davanti a me come una volta; vorrei imbarcarmi per raggiungere la vostra terra, baciare il suolo e scaldarlo sul mio petto, e balbettare tutte le dolci parole dell’addio sulla terra silen­ ziosa prima di volare verso la libertà.268 Peccato, peccato che le cose non vadano meglio, tra gli uomini, altrimenti rimarrei volentieri su questa benevola stella. Ma posso fare a meno del globo terrestre, e questo vale più di tutto ciò che può darmi.

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Laß uns im Sonnenlicht, o Kind! die Knechtschaft dulden, sagte zu Polyxena die Mutter, und ihre Lebensliebe konnte nicht schöner sprechen. Aber das Sonnenlicht, das eben wider­ räth die Knechtschaft mir, das läßt mich auf der entwürdigten Erde nicht bleiben und die heiligen Strahlen ziehn, wie Pfade, die zur Heimath führen, mich an. Seit langer Zeit ist mir die Majestät der schiksaallosen Seele gegenwärtiger, als alles andre gewesen; in herrlicher Einsam­ keit hab’ ich manchmal in mir selber gelebt; ich bins gewohnt geworden, die Außendinge abzuschütteln, wie Floken von Schnee; wie sollt’ ich dann mich scheun, den sogenannten Tod zu suchen? hab’ ich nicht tausendmal mich in Gedanken be­ freit, wie sollt’ ich denn anstehn, es Einmal wirklich zu thun? Sind wir denn, wie leibeigene | Knechte, an den Boden gefes­ selt, den wir pfügen? sind wir, wie zahmes Gefügel, das aus dem Hofe nicht laufen darf, weils da gefüttert wird? Wir sind, wie die jungen Adler, die der Vater aus dem Neste jagt, daß sie im hohen Aether nach Beute suchen. Morgen schlägt sich unsre Flotte und der Kampf wird heiß genug seyn. Ich betrachte diese Schlacht, wie ein Bad, den Staub mir abzuwaschen; und ich werde wohl fnden, was ich wünsche; Wünsche, wie meiner, gewähren an Ort und Stelle sich leicht. Und so hätt’ ich doch am Ende durch meinen Feld­ zug etwas erreicht und sehe, daß unter Menschen keine Mühe vergebens ist. Fromme Seele! ich möchte sagen, denke meiner, wenn du an mein Grab kömst. Aber sie werden mich wohl in die Meers­ futh werfen, und ich seh’ es gerne, wenn der Rest von mir da untersinkt, wo die Quellen all’ und die Ströme, die ich liebte, sich versammeln, und wo die Wetterwolke aufsteigt, und die Berge tränkt und die Thale, die ich liebte. Und wir? o Diotima! Diotima! wann sehn wir uns wieder?

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Lascia che sopportiamo la schiavitù alla luce del sole, bambina mia, disse la madre a Polissena, e il suo amore per la vita non poteva trovare parole più belle. Ma la luce del sole, proprio lei mi fa vedere la schiavitù, e questo non mi permette di rimanere sulla terra disonorata, mentre i raggi sacri mi attraggono come i sentieri che conducono in patria.269 Da lungo tempo la maestà dell’anima senza destino mi è presente più di tutto il resto; in splendido isolamento ho vissuto qualche volta di me stesso e mi sono abituato a scrollarmi di dosso le cose esterne come focchi di neve: come potrei aver paura di cercare la cosiddetta morte? Mi sono liberato mille volte col pensiero, come potrei esitare nel farlo una volta per davvero? Siamo forse come i servi | della gleba, incatenati alla terra che coltiviamo? Siamo uc­ celli addomesticati che non possono scappare dal cortile, perché lì ricevono il cibo? Siamo come le giovani aquile che il padre scaccia dal nido affnché cerchino la preda nell’etere immenso. Domani la nostra fotta entrerà in azione e il combatti­ mento sarà suffcientemente aspro. Guardo a questa batta­ glia come a un bagno per lavarmi via la polvere, e troverò certamente quello che cerco. Desideri come il mio si rea­ lizzano facilmente sempre e dovunque. Così alla fne avrò ottenuto qualcosa con la mia guerra, e saprò che nessuna fatica è vana tra gli uomini. Anima pia, vorrei dirti di ricordarmi, quando verrai sulla mia tomba. Ma mi getteranno tra i futti del mare, e sono contento se ciò che resta di me si inabisserà là, dove si raccolgono tutte le sorgenti e i fumi che ho amato, dove si innalzano le nubi del temporale che irrora i monti e le valli che ho amato. E noi, Diotima? Noi quando ci rivedremo?

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Es ist unmöglich, und mein innerstes Leben empört sich, wenn ich denken will, als verlören wir uns. Ich würde Jahr­ tausende lang die Sterne durchwandern, in alle Formen mich kleiden, in alle Sprachen des Lebens, um dir Einmal wieder zu begegnen. Aber ich denke, was sich gleich ist, fndet sich bald. Große Seele! du wirst dich fnden können in diesen Ab­ schied und so laß mich wandern! Grüße deine Mutter! Grüße Notara und die andern Freunde! Auch die Bäume grüße, wo ich dir zum erstenmale begegne­ te und die fröhlichen Bäche, wo wir giengen und die schönen Gärten von Angele, und laß, du Liebe! dir mein Bild dabei begegnen. Lebe wohl. |

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È impossibile, e tutto dentro di me si ribella se penso che potremmo perderci. Vagherei per millenni tra le stelle, mi travestirei in ogni forma, in tutti i linguaggi della vita per incontrati ancora una volta. Ma credo che ciò che si assomiglia si ritroverà in fretta. Anima nobile, ritroverai te stessa in questo addio, e dunque lasciami andare! Saluta tua madre, saluta Notara e gli altri amici! Saluta anche gli alberi dove ti ho incontrato la prima volta, e gli allegri ruscelli lungo i quali camminavano, e i bei giardini di Angele, e fa’ che in loro, amore mio, ti si mostri il mio volto. Addio.270 |

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Zweites Buch. Hyperion an Bellarmin. Ich war in einem holden Traume, da ich die Briefe, die ich einst gewechselt, für dich abschrieb. Nun schreib’ ich wieder dir, mein Bellarmin! und führe weiter dich hinab, hinab bis in die tiefste Tiefe meiner Laiden, und dann, du lezter meiner Lieben! komm mit mir heraus zur Stelle, wo ein neuer Tag uns anglänzt. Die Schlacht, wovon ich an Diotima geschrieben, begann. Die Schiffe der Türken hatten sich in den Canal, zwischen die Insel Chios und die Asiatische Küste hinein, gefüchtet, und standen am vesten Lande hinauf bei Tschesme. Mein Admi­ ral verließ mit seinem Schiffe, worauf ich war, die Reihe, und hub das Vorspiel an mit dem ersten Schiffe der Türken. Das grimmige Paar war gleich beim ersten Angriff bis zum Taumel erhizt, es war ein rachetrunknes schrekliches Getümmel. Die Schiffe hiengen bald mit ihrem Tauwerk aneinander vest; das wütende Gefecht ward immer enger und enger. Ein tiefes Lebensgefühl durchdrang mich noch. Es war mir warm und wohl in allen Gliedern. Wie ein zärtlichscheidender, fühlte zum leztenmale sich in allen seinen Sinnen mein Geist. Und nun, voll heißen Unmuths, daß ich Besseres nicht wußte, denn mich schlachten zu lassen in einem Gedränge von Barba­ ren, mit zürnenden Thränen im Auge, stürmt’ ich hin, wo mir der Tod gewiß war. Ich traf die Feinde nahe genug und von den Russen, die an meiner Seite fochten, war in wenig Augenbliken auch nicht

Libro secondo iperione a Bellarmino Ero immerso in un dolce sogno, quando ho trascritto per te le lettere che ci siamo scambiati allora. Ora ti scrivo di nuovo, caro Bellarmino, per condurti sempre più in basso, nel più profondo delle mie sofferenze e poi tu, unico rima­ sto dei miei cari, mi accompagnerai fuori, nel luogo in cui un nuovo giorno splenderà per noi. La battaglia di cui avevo scritto a Diotima ebbe ini­ zio. Le navi turche si erano riparate nel canale fra l’isola di Chio e la costa asiatica, ed erano ancorate più in su, a Çeşme. L’ammiraglio, sulla cui nave mi trovavo, ruppe lo schieramento e diede inizio alle danze attaccando la prima nave turca. La coppia inferocita si surriscaldò fno all’e­ stremo già dal primo assalto, ci fu un tumulto spavento­ so e assetato di vendetta. Presto le navi si avvinghiarono saldamente l’una all’altra con il loro cordame, mentre lo scontro infuriava sempre più serrato.271 Un profondo desiderio di vita era ancora in me, mi sen­ tivo bene e con tutte le membra calde. Come in un dolce addio, lo spirito percepiva se stesso per l’ultima volta con tutti i suoi sensi. E poi, ardente di sconforto perché non sapevo fare di meglio che farmi squartare in una mischia di barbari,272 con lacrime di rabbia negli occhi mi lanciai dove la morte mi sembrava certa. Arrivai molto vicino al nemico, e dei russi che combat­ tevano al mio fanco in pochi istanti non rimase nessuno.

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Einer übrig. Ich stand allein da, voll Stolzes und warf mein Leben, wie einen Bettlerpfenning, vor die Barbaren, aber sie wollten mich nicht. Sie sahen mich an, wie einen, an dem man sich zu versündigen | fürchtet, und das Schiksaal schien mich zu achten in meiner Verzweifung. Aus höchster Nothwehr hieb denn endlich einer auf mich ein, und traf mich, daß ich stürzte. Mir wurde von da an nichts mehr bewußt, bis ich auf Paros, wohin ich übergeschifft war, wieder erwachte. Von dem Diener, der mich aus der Schlacht trug, hört’ ich nachher, die beiden Schiffe, die den Kampf begonnen, seien in die Luft gefogen, den Augenblik darauf, nachdem er mit dem Wundarzt mich in einem Boote weggebracht. Die Russen hat­ ten Feuer in das Türkische Schiff geworfen, und weil ihr eignes an dem andern festhieng, brannt’ es mit auf. Wie diese fürchterliche Schlacht ein Ende nahm, ist dir be­ kannt. So straft ein Gift das andre, rief ich, da ich erfuhr, die Russen hätten die ganze Türkische Flotte verbrannt – so rotten die Tyrannen sich selbst aus. Hyperion an Bellarmin. Sechs Tage nach der Schlacht lag ich in einem peinlichen todähnlichen Schlaf. Mein Leben war, wie eine Nacht, von Schmerzen, wie von zükenden Blizen, unterbrochen. Das Ers­ te, was ich wieder erkannte, war Alabanda. Er war, wie ich er­ fuhr, nicht einen Augenblik von mir gewichen, hatte fast allein mich bedient, mit unbegreificher Geschäftigkeit, mit tausend zärtlichen häuslichen Sorgen, woran er sonst im Leben nie ge­ dacht, und man hatt’ ihn auf den Knien vor meinem Bette ru­ fen gehört: o lebe, mein Lieber! daß ich lebe!

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Ero rimasto solo, gettando superbo la mia vita davanti ai barbari come una monetina a un mendicante, ma non mi volevano. Mi guardavano spaventati, col timore di | com­ mettere un peccato colpendomi, e il destino sembrava proteggermi nella mia disperazione. In un estremo tentativo di difesa infne uno mi attaccò e mi colpì facendomi cadere. Da quel momento in poi per­ si conoscenza fnché non mi risvegliai sull’isola di Paros, dove ero stato trasportato. Dal servitore che mi aveva tirato fuori dalla battaglia venni a sapere che le due navi che avevano iniziato il combattimento erano saltate in aria un attimo dopo che lui e il medico mi avevano caricato su una scialuppa. I russi avevano appiccato il fuoco alla nave turca, ma dato che erano incastrate l’una nell’altra, bruciarono entrambe. Come fnì quella terribile battaglia, lo sai. Così un vele­ no punisce l’altro, esclamai quando seppi che i russi ave­ vano dato alle famme l’intera fotta turca – così i tiranni si annientano a vicenda.273 iperione a Bellarmino Per sei giorni dopo la battaglia giacqui in un torpore pe­ noso, simile alla morte. La mia vita era interrotta dal do­ lore come la notte da lampi improvvisi. La prima cosa che riconobbi fu Alabanda. Venni poi a sapere che non si era allontanato da me nemmeno un attimo, che mi aveva cura­ to quasi da solo con indescrivibile sollecitudine, con mille attenzioni tenere e affettuose prima a lui sconosciute, e lo avevano sentito esclamare, in ginocchio accanto al mio letto: «Vivi, mio caro, affnché anch’io viva!»

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Es war ein glüklich Erwachen, Bellarmin! da mein Auge nun wieder dem Lichte sich öffnete, und mit den Thränen des Wiedersehens der Herrliche vor mir stand. Ich reicht’ ihm die Hand hin, und der Stolze küßte sie mit allen Entzüken der Liebe. Er lebt, rief er, o Retterin! o Natur! du gute, alles heilende! dein armes Paar, das vaterlandslose, das irre, verlässest doch du nicht! O ich will es nie vergessen, Hy­ perion! wie dein Schiff vor meinen Augen im Feuer aufgieng, und donnernd, in die | rasende Flamme die Schiffer mit sich hi­ naufriß, und unter den wenigen geretteten kein Hyperion war. Ich war von Sinnen und der grimmige Schlachtlärm stillte mich nicht. Doch hört’ ich bald von dir und fog dir nach, so bald wir mit dem Feinde vollends fertig waren. – Und wie er nun mich hütete! wie er mit liebender Vor­ sicht mich gefangen hielt in dem Zauberkreise seiner Ge­ fälligkeiten! wie er, ohne ein Wort, mit seiner großen Ruhe mich lehrte, den freien Lauf der Welt neidlos und männlich zu verstehen! O ihr Söhne der Sonne! ihr freieren Seelen! es ist viel ver­ loren gegangen in diesem Alabanda. Ich suchte umsonst und fehte das Leben an, seit er fort ist; solch eine Römernatur hab’ ich nimmer gefunden. Der Sorgenfreie, der Tiefverständige, der Tapfre, der Edle! Wo ist ein Mann, wenn ers nicht war? Und wenn er freundlich war und fromm, da wars, wie wenn das Abendlicht im Dunkel der majestätischen Eiche spielt und ihre Blätter träufeln vom Gewitter des Tags. Hyperion an Bellarmin. Es war in den schönen Tagen des Herbsts, da ich von meiner Wunde halbgenesen zum erstenmale wieder ans Fenster trat. Ich kam mit stilleren Sinnen wieder ins Leben und meine See­

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Fu un felice risveglio, Bellarmino, quando il mio sguar­ do percepì di nuovo la luce, e quell’uomo meraviglioso era accanto a me, in lacrime per avermi ritrovato. Gli tesi la mano, e quell’orgoglioso la baciò con tutto il trasporto dell’amore. «È vivo», esclamò. «O natura salvatri­ ce, generosa, che tutto guarisci, non hai abbandonato questi due sventurati, senza patria, dispersi! Non lo dimenticherò mai, Iperione, quando la tua nave è andata in famme da­ vanti ai miei occhi ed è esplosa, | trascinando con sé nelle famme impazzite i marinai, e tra i pochi superstiti Iperione non c’era. Ero fuori di me e nemmeno l’infuriare assordante della battaglia riusciva a calmarmi. Ma poi ebbi tue notizie e ti corsi dietro, non appena il nemico fu liquidato». E come mi accudiva, come mi teneva prigioniero con cure affettuose nel cerchio magico delle sue attenzioni! Come mi insegnava con la sua grande calma, senza dire una parola, a comprendere il corso libero del mondo sen­ za invidia e con virilità. O voi, fgli del sole, anime libere! Molto è andato perso con Alabanda. Ho cercato invano e ho supplicato la vita, da quando se ne è andato; ma una natura romana come la sua non l’ho più trovata. Libero da ansie, saggio, valoroso, nobile: come dev’essere un uomo, se non così? E quando era gioviale e devoto, era come la luce della sera che gio­ ca nell’ombra della quercia maestosa, le cui foglie ancora sgocciolano per il temporale del giorno.274 iperione a Bellarmino Erano dei bei giorni d’autunno quando, parzialmente ri­ stabilito dalla mia ferita, mi affacciai per la prima volta alla fnestra. Tornai alla vita con sensi più quieti e la mia anima

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le war aufmerksamer geworden. Mit seinem leisesten Zauber wehte der Himmel mich an, und mild, wie ein Blüthenreegen, fossen die heitern Sonnenstrahlen herab. Es war ein großer, stiller zärtlicher Geist in dieser Jahrszeit, und die Vollendungs­ ruhe, die Wonne der Zeitigung in den säuselnden Zweigen umfeng mich, wie die erneuerte Jugend, so die Alten in ihrem Elysium hofften. Ich hatt’ es lange nicht mit reiner Seele genossen, das kind­ liche Leben der Welt, nun that mein Auge sich auf mit aller Freude des Wiedersehens und die seelige Natur war wandel­ los in ihrer Schöne geblieben. Meine Thränen fossen, wie ein Sühnopfer, vor ihr, und schaudernd stieg ein frisches Herz mir aus dem alten Unmuth auf. O heilige Pfanzenwelt! rief ich, wir streben und sinnen und haben doch dich! wir ringen mit sterb­ lichen Kräften Schönes zu baun, | und es wächst doch sorglos neben uns auf! nicht wahr, Alabanda? für die Noth zu sorgen, sind die Menschen gemacht, das übrige giebt sich selber. Und doch – ich kann es nicht vergessen, wie viel mehr ich gewollt. Laß dir genug seyn, Lieber! daß du bist, rief Alabanda, und störe dein stilles Wirken durch die Trauer nicht mehr. Ich will auch ruhen, sagt’ ich. O ich will die Entwürfe, die Fodrungen alle, wie Schuldbriefe, zerreißen. Ich will mich rein erhalten, wie ein Künstler sich hält, dich will ich lieben harm­ los Leben, Leben des Hains und des Quells! dich will ich eh­ ren o Sonnenlicht! an dir mich stillen, schöner Aether, der die Sterne beseelt, und hier auch diese Bäume umathmet und hier im Innern der Brust uns berührt! o Eigensinn der Menschen! wie ein Bettler, hab’ ich den Naken gesenkt und es sahen die schweigenden Götter der Natur mit allen ihren Gaaben mich an! – Du lächelst, Alabanda? o wie oft, in unsern ersten Zeiten,

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era divenuta più attenta. Sentivo l’alito del cielo con il suo incanto più delicato e i raggi del sole fuivano miti, come una pioggia di pollini. C’era un spirito nobile, sereno e tenero in quella stagione, e la quiete della compiutezza, la gioia della maturazione mi avvolsero fra il sussurro dei rami, come la rinnovata giovinezza che gli antichi sperava­ no di trovare nell’Elisio. Da molto tempo non la assaporavo così, con l’anima pura, la vita infantile del mondo; ora gli occhi si riaprivano con tutta la gioia del ritrovarsi, e la natura beata era rima­ sta immutata nella sua bellezza. Guardandola, le lacrime cominciarono a scorrere in espiazione e, con un fremito, dall’antico sconforto scaturì un cuore nuovo. «Sacro mon­ do vegetale», esclamai, «noi ci struggiamo e ci arrovellia­ mo, eppure abbiamo te! Lottiamo con le nostre forze mor­ tali per costruire qualcosa di bello, | e non vediamo che cresce spontaneo accanto a noi. Non è vero, Alabanda? Gli uomini sono fatti per preoccuparsi solo del necessario, tutto il resto viene da sé. Eppure... Non posso dimenticare quanto di più ho preteso». «Accontentati di essere ancora vivo, mio caro!» escla­ mò Alabanda, «e non turbare più il tuo silenzioso agire con la tristezza». «Vorrei anche riposare», dissi. «Voglio stracciare tutti i progetti, tutte le ambizioni, come fossero cambiali. Voglio mantenermi puro come l’artista, e voglio amare te, vita mansueta, vita del bosco e della sorgente! Voglio adora­ re te, luce del sole, saziarmi di te, etere chiaro che animi le stelle e infondi il respiro a questi alberi sforando an­ che noi, nell’intimo del petto! Oh, la testardaggine degli uomini! Come un mendicante ho chinato il capo, mentre tutti gli dei muti della natura mi guardavano offrendomi i loro doni. Sorridi, Alabanda? Tante volte, nei primi tempi,

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hast du so gelächelt, wann dein Knabe vor dir plauderte, im trunknen Jugendmuth, indeß du da, wie eine stille Tempelsäule standst, im Schutt der Welt, und leiden mußtest, daß die wil­ den Ranken meiner Liebe dich umwuchsen – sieh! wie eine Binde fällts von meinen Augen und die alten goldenen Tage sind lebendig wieder da. Ach! rief er, dieser Ernst, in dem wir lebten und diese Le­ benslust! Wenn wir jagten im Forst, rief ich, wenn in der Meersfuth wir uns badeten, wenn wir sangen und tranken, wo durch den Lorbeerschatten die Sonn’ und der Wein und Augen und Lip­ pen uns glänzten – es war ein einzig Leben und unser Geist um­ leuchtete, wie ein glänzender Himmel, unser jugendlich Glük. Drum läßt auch keiner von dem andern, sagte Alabanda. O ich habe dir ein schwer Bekenntniß abzulegen, sagt’ ich. Wirst du mir es glauben, daß ich fort gewollt? von dir! daß ich gewaltsam meinen Tod gesucht! war das nicht herzlos? rasend? ach und meine Diotima! sie soll mich lassen, schrieb ich ihr und drauf noch einen Brief, den Abend vor der Schlacht – und da schriebst du, rief er, daß du in der Schlacht dein Ende fn­ den wolltest? o Hyperion! Doch hat sie wohl den lezten Brief noch nicht. Du must nur eilen, ihr zu schreiben, daß du lebst. | Bester Alabanda! rief ich, das ist Trost! Ich schreibe gleich und schike meinen Diener fort damit. O ich will ihm alles, was ich habe, bieten, daß er eilt und noch zu rechter Zeit nach Ka­ laurea kömmt. – Und den andern Brief, wo vom Entsagen die Rede war, ver­ steht, vergiebt die gute Seele dir leicht, sezt’ er hinzu. Vergiebt sie? rief ich; o ihr Hoffnungen alle! ja! wenn ich noch glüklich mit dem Engel würde! Noch wirst du glüklich seyn, rief Alabanda; noch ist die schönste Lebenszeit dir übrig. Ein Held ist der Jüngling, der Mann ein Gott, wenn ers erleben kann.

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hai sorriso così quando il tuo ragazzino chiacchierava con la tracotanza ubriaca della gioventù, mentre tu ti ergevi silenzioso come una colonna del tempio sulle rovine del mondo e dovevi sopportare che l’edera selvatica del mio affetto si abbarbicasse a te... Vedi, è come se una benda mi cadesse dagli occhi e rivedessi gli antichi giorni dorati». «Davvero, la serietà con cui vivevamo, e la gioia di vive­ re!» disse. «Quando cacciavamo nella foresta», dissi, «quando fa­ cevamo il bagno nelle onde del mare, quando cantavamo e bevevamo e attraverso i rami di alloro il sole, il vino, gli occhi e le labbra rilucevano... Era una vita unica, e il nostro spirito illuminava, come un cielo splendente, la nostra giovane feli­ cità». «Per questo restiamo insieme», confermò Alabanda. «Devo confessarti una cosa grave», dissi. «Ci crederesti che ho desiderato andarmene, via da te, che ho deliberata­ mente cercato la morte? Non ero senza cuore, un pazzo? Ah, e la mia Diotima! Devi lasciarmi, le ho scritto, e poi ancora una lettera, la sera prima della battaglia...» «E le hai scritto che volevi morire in battaglia?» mi chiese. «Ipe­ rione! Ma forse non ha ancora ricevuto l’ultima lettera. Devi affrettarti a scriverle che sei ancora vivo». | «Carissimo Alabanda, così sì che mi consoli!» esclamai. «Scrivo immediatamente e mando il mio servitore a por­ tarla. Gli offrirò tutto quello che ho perché faccia in fretta e giunga in tempo a Calauria». «E l’altra lettera, dove parlavi di rinuncia, l’anima buo­ na la capirà e te la perdonerà facilmente», aggiunse. «Me la perdonerà?» gridai. «Speranza delle speranze, poter essere ancora felice con il mio angelo!» «Sarai ancora felice», disse Alabanda, «il periodo più bello della vita è ancora davanti a te. Il giovane è un eroe, l’uomo è un dio quando può viverlo».

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Es dämmerte mir wunderbar in der Seele bei seiner Rede. Der Bäume Gipfel schauerten leise; wie Blumen aus der dunklen Erde, sproßten Sterne aus dem Schoose der Nacht und des Himmels Frühling glänzt’ in heiliger Freude mich an. Hyperion an Bellarmin.

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Einige Augenblike darauf, da ich eben an Diotima schreiben wollte, trat Alabanda freudig wieder ins Zimmer. Ein Brief, Hy­ perion! rief er; ich schrak zusammen und fog hinzu. Wie lange, schrieb Diotima, mußt’ ich leben ohne ein Zei­ chen von dir! Du schriebst mir von dem Schiksaalstage in Mi­ sistra und ich antwortete schnell; doch allem nach erhieltst du meinen Brief nicht. Du schriebst mir bald darauf wieder, kurz und düster, und sagtest mir, du seiest gesonnen, auf die Russi­ sche Flotte zu gehn; ich antwortete wieder; doch auch diesen Brief erhieltst du nicht; nun harrt’ auch ich vergebens, vom Mai bis jezt zum Ende des Sommers, bis vor einigen Tagen der Brief kömmt, der mir sagt, ich möchte dir entsagen, Lieber! Du hast auf mich gerechnet, hast mirs zugetraut, daß dieser Brief mich nicht belaidigen könne. Das freute mich herzlich, mitten in meiner Betrübniß. Unglüklicher, hoher Geist! ich habe nur zu sehr dich gefaßt. O es ist so ganz natürlich, daß du nimmer lieben willst, weil dei­ ne | größern Wünsche verschmachten. Must du denn nicht die Speise verschmähn, wenn du daran bist, Durstes zu sterben? Ich wußte es bald; ich konnte dir nicht Alles seyn. Konnt’ ich die Bande der Sterblichkeit dir lösen? konnt’ ich die Flam­ me der Brust dir stillen, für die kein Quell feußt und kein Weinstok wächst? konnt’ ich die Freuden einer Welt in einer Schaale dir reichen?

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Una strana sensazione invase la mia anima nel sentire quelle parole. Le cime degli alberi fremettero leggermente; come fori dalla terra scura, le stelle spuntarono dal grembo della notte, e la primavera del cielo mi guardò splendente di gioia sacra. iperione a Bellarmino Pochi istanti dopo, mentre stavo per scrivere a Diotima, Alabanda rientrò allegro nella stanza. «Una lettera, Iperio­ ne!» esclamò. Sobbalzai e corsi a prenderla. «Quanto tempo ho dovuto rimanere senza tue noti­ zie!» scriveva Diotima. «Mi hai scritto dei giorni cruciali di Misistra e ti risposi subito, ma a quanto pare non hai ricevuto la mia lettera. Mi hai scritto poco dopo, breve e cupo, per dirmi che eri deciso a unirti alla fotta russa; di nuovo risposi, ma non hai ricevuto nemmeno quella lette­ ra.275 Poi attesi invano, da maggio fno alla fne dell’estate, fnché qualche giorno fa è arrivata la lettera in cui mi dici che devo rinunciare a te, mio amato! Hai contato su di me, ti sei fdato sapendo che quella lettera non mi avrebbe offeso. Di questo mi rallegro, pur nella mia tristezza. Spirito nobile e infelice, ti ho capito fn troppo bene. È del tutto naturale che tu non voglia più amare dopo che i tuoi | desideri più alti sono stati annientati. Non disprezza forse il cibo, chi sta per morire di sete? Lo capii presto, che non potevo essere tutto per te. Potevo scioglierti dai lacci della caducità? Potevo placare la famma nel tuo petto, per la quale non scorre alcuna sorgente e non cresce alcun vino? Potevo porgerti in una coppa le gioie di un mondo?

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Das willst du. Das bedarfst du, und du kannst nicht anders. Die gränzenlose Unmacht deiner Zeitgenossen hat dich um dein Leben gebracht. Wem einmal, so, wie dir, die ganze Seele belaidiget war, der ruht nicht mehr in einzelner Freude, wer so, wie du, das fade Nichts gefühlt, erheitert in höchstem Geiste sich nur, wer so den Tod erfuhr, wie du, erhohlt allein sich unter den Göttern. Glüklich sind sie alle, die dich nicht verstehen! Wer dich versteht, muß deine Größe theilen und deine Verzweifung. Ich fand dich, wie du bist. Des Lebens erste Neugier trieb mich an das wunderbare Wesen. Unaussprechlich zog die zarte Seele mich an und kindischfurchtlos spielt’ ich um deine ge­ fährliche Flamme. – Die schönen Freuden unserer Liebe sänf­ tigten dich; böser Mann! nur, um dich wilder zu machen. Sie besänftigten, sie trösteten auch mich, sie machten mich verges­ sen, daß du im Grunde trostlos warst, und daß auch ich nicht fern war, es zu werden, seit ich dir in dein geliebtes Herz sah. In Athen, bei den Trümmern des Olympion, ergriff es mich von neuem. Ich hatte sonst wohl noch in einer leichten Stun­ de gedacht, des Jünglings Trauer sei doch wohl so ernst und unerbittlich nicht. Es ist so selten, daß ein Mensch mit dem ersten Schritt ins Leben so mit Einmal, so im kleinsten Punct, so schnell, so tief das ganze Schiksaal seiner Zeit empfand, und daß es unaustilgbar in ihm haftet, diß Gefühl, weil er nicht rauh genug ist, um es auszustoßen, und nicht schwach genug, es aus­ zuweinen, das, mein Theurer! ist so selten, daß es uns fast un­ natürlich dünkt. Nun, im Schutt des heiteren Athens, nun gieng mirs selbst zu nah, wie sich das Blatt gewandt, daß jezt die Todten oben über der Erde gehn und die Lebendigen, die Göttermenschen drunten | sind, nun sah’ ichs auch zu wörtlich und zu wirk­

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Perché questo è ciò che vuoi, di questo hai bisogno, non puoi fare diversamente. La sconfnata impotenza dei tuoi contemporanei ti ha tolto la vita. Chi, come te, ha avuto una volta l’anima offesa, non trova più pace in una singola gioia; chi, come te, ha sperimentato il vano nulla, si rallegra solo nel sommo spirito; chi ha fatto esperienza della morte come te, trova riposo solo tra gli dei. Beati coloro che non ti comprendono! Chi ti compren­ de deve condividere con te grandezza e disperazione. Ti ho conosciuto come sei. La curiosità della vita mi spinse verso quell’essere speciale. L’anima delicata mi atti­ rò indicibilmente, e ignara della paura come un bambino giocavo con la tua famma pericolosa. Le tenere gioie del nostro amore ti addolcirono, furfante! Ma solo per render­ ti ancora più scontroso. Addolcirono, consolarono anche me, mi fecero dimenticare che in fondo eri inconsolabile, e che anch’io non ero lontana dal diventarlo, da quando guardavo nel tuo amato cuore. Ad Atene, fra le rovine dell’Olimpieo, me ne resi conto di nuovo. In un momento spensierato avevo creduto che la tristezza di quel giovane non fosse poi così profonda e così implacabile. È così raro che un uomo, fn dai suoi pri­ mi passi, tutto in una volta, fn nelle più piccole cose, così in fretta e così intensamente senta tutto il destino della sua epoca e che quel sentimento si imprima indelebilmente in lui, perché non è abbastanza rozzo da scacciarlo, e non è ab­ bastanza debole da scioglierlo in commiserazione: questo, mio caro, accade così di rado che ci pare quasi innaturale. Dunque, fra le rovine della serena Atene, percepii anch’io con grande chiarezza che si era voltata una pagina, che ora i morti camminano sulla terra e i vivi, i fgli degli dei, sono | sotto terra; lo vidi anch’io scritto letteralmente

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lich dir aufs Angesicht geschrieben, nun gab ich dir auf ewig Recht. Aber zugleich erschienst du mir auch größer. Ein We­ sen voll geheimer Gewalt, voll tiefer unentwikelter Bedeutung, ein einzig hoffnungsvoller Jüngling schienst du mir. Zu wem so laut das Schiksaal spricht, der darf auch lauter sprechen mit dem Schiksaal, sagt’ ich mir; je unergründlicher er leidet, um so unergründlich mächtiger ist er. Von dir, von dir nur hofft’ ich alle Genesung. Ich sah dich reisen. Ich sah dich wirken. O der Verwandlung! Von dir gestiftet, grünte wieder des Akademus Hain über den horchenden Schülern und heilige Gespräche hörte, wie einst, der Ahorn des Ilissus wieder. Den Ernst der Alten gewann in deiner Schule der Genius unserer Jünglinge bald, und seine vergänglichen Spiele wurden unsterblicher, denn er schämte sich, hielt für Gefangenschaft den Schmetterlingsfug. – Dem hätt’, ein Roß zu lenken, genügt; nun ist er ein Feld­ herr. Allzugenügsam hätte der ein eitel Liedchen gesungen; nun ist er ein Künstler. Denn die Kräfte der Helden, die Kräfte der Welt hattest du aufgethan vor ihnen in offenem Kampf; die Räthsel deines Herzens hattest du ihnen zu lösen gegeben; so lernten die Jünglinge Großes vereinen, lernten verstehn das Spiel der Natur, das seelenvolle, und vergaßen den Scherz. – Hyperion! Hyperion! hast du nicht mich, die Unmündige, zur Muse gemacht? So ergiengs auch den andern. Ach! nun verließen so leicht sich nicht die geselligen Men­ schen; wie der Sand im Sturme der Wildniß irrten sie unterei­ nander nicht mehr, noch höhnte sich Jugend und Alter, noch fehlt’ ein Gastfreund dem Fremden und die Vaterlandsgenos­ sen sonderten nimmer sich ab und die Liebenden entlaideten alle sich nimmer; an deinen Quellen, Natur, erfrischten sie sich,

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e chiaramente sul tuo volto, e dovetti darti ragione in eter­ no. Ma contemporaneamente ti vidi più nobile. Un essere ricco di forza segreta, ricco di un signifcato non disvela­ to, mi apparisti come un giovane unico e pieno di speran­ ze. Quando il destino parla così chiaramente a qualcuno, quegli può a sua volta parlare chiaramente al destino, mi dissi; quanto più insondabile è la sua sofferenza, tanto più insondabile sarà la sua forza. Da te, da te solo aspettavo la guarigione. Ti vidi partire, ti vidi agire. Che cambiamento! Stimolato da te, il bosco di Academo verdeggiò di nuovo sopra i discepoli in ascolto, e il platano dell’Ilisso ascoltava sacri discorsi, come un tempo.276 Il genio dei nostri giovani acquistò presto, alla tua scuo­ la, la serietà degli antichi, e i suoi giochi occasionali diven­ nero immortali perché si vergognava, considerava il volo della farfalla una prigione. Gli sarebbe bastato governare un destriero; ora è inve­ ce un generale. Fin troppo soddisfatto avrebbe canticchia­ to una sciocca canzoncina, ora invece è un artista, perché avevi dischiuso davanti a loro, in campo aperto, le forze degli eroi, le forze del mondo; avevi dato loro da risolvere l’enigma del tuo cuore, e così i giovani impararono a co­ noscere cose nobili, cominciarono a capire il gioco della natura, tutto anima, e si dimenticarono dei trastulli. Ipe­ rione, Iperione, non hai forse fatto di me, di una ragazza taciturna, una Musa?277 Lo stesso è accaduto anche agli altri. Ecco, poi non si lasciarono più così facilmente, gli uo­ mini socievoli; non vorticavano più come la sabbia nella tempesta del deserto, gioventù e vecchiaia non si dileg­ giavano più, né mancava mai un ospite che accogliesse lo straniero, i compatrioti non litigarono più e gli amanti non divennero mai più ostili l’uno all’altro; alle tue sorgenti

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ach! an den heiligen Freuden, die geheimnißvoll aus deiner Tiefe quillen und den Geist erneun; und die Götter erheiter­ ten wieder die verwelkliche Seele der Menschen; es bewahrten die herzerhaltenden Götter jedes freundliche Bündniß unter ihnen. Denn du, Hyperion! hattest deinen Griechen das Auge geheilt, daß sie das Lebendige sahn, und die in ihnen, wie Feu­ er im Holze schlief, die | Begeisterung hattest du entzündet, daß sie fühlten die stille stete Begeisterung der Natur und ih­ rer reinen Kinder. Ach! nun nahmen die Menschen die schöne Welt nicht mehr, wie Laien des Künstlers Gedicht, wenn sie die Worte loben und den Nuzen drin ersehn. Ein zauberisch Beispiel wurdest du, lebendige Natur! den Griechen, und ent­ zündet von der ewigjungen Götter Glük war alles Menschen­ thun, wie einst, ein Fest; und zu Thaten geleitete, schöner als Kriegsmusik, die jungen Helden Helios Licht. Stille! stille! Es war mein schönster Traum, mein erster und mein lezter. Du bist zu stolz, dich mit dem bübischen Ge­ schlechte länger zu befassen. Du thust auch Recht daran. Du führtest sie zur Freiheit und sie dachten an Raub. Du führst sie siegend in ihr altes Lacedämon ein und diese Ungeheuer plün­ dern und verfucht bist du von deinem Vater, großer Sohn! und keine Wildniß, keine Höhle ist sicher genug für dich auf dieser griechischen Erde, die du, wie ein Heiligtum, geachtet, die du mehr, wie mich, geliebt. O mein Hyperion! ich bin das sanfte Mädchen nicht mehr, seit ich das alles weiß. Die Entrüstung treibt mich aufwärts, daß ich kaum zur Erde sehen mag und unablässig zittert mein belaidigtes Herz. Wir wollen uns trennen. Du hast Recht. Ich will auch kei­ ne Kinder; denn ich gönne sie der Sclavenwelt nicht, und die armen Pfanzen welkten mir ja doch in dieser Dürre vor den Augen weg.

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si rinfrescavano, natura, alle gioie sacre che segretamente sgorgano dalla tua profondità e rinnovano lo spirito; e gli dei rallegravano di nuovo l’anima avvizzita degli uomini, gli dei che nutrono i cuori custodivano i loro amichevoli legami. Perché tu, Iperione, avevi sanato gli occhi dei tuoi greci che ora vedevano il vivente, e in quelli che, fra loro, dormivano come il fuoco nel legno, hai acceso | l’entu­ siasmo, in modo che sentissero l’entusiasmo quieto e pe­ renne della natura e dei suoi fgli puri. Ahimè, gli uomini non consideravano più la bellezza del mondo come fanno i profani con i versi del poeta, quando ne lodano le parole e ne colgono l’utilità. Tu diventasti un esempio incantato per i greci, natura vivente, e ogni azione degli uomini, ac­ cesa dalla felicità di dei eternamente giovani, era una festa, come un tempo; e accompagnava i giovani eroi nelle loro gesta, più bella di ogni fanfara di guerra, la luce di Elio.278 Taci, taci, era il mio sogno più bello, il primo e l’ultimo. Sei troppo orgoglioso per occuparti ancora di questa razza di bambocci. E fai bene. Tu volevi portarli alla libertà e loro pensavano alla rapina, tu li conduci da vincitori nel­ la loro antica Lacedemone e quei mostri la saccheggiano mentre tu, nobile fglio, sei maledetto da tuo padre, e nes­ sun luogo selvaggio, nessuna caverna è abbastanza sicura per te sul suolo greco che hai venerato come un santuario, che hai amato più di me. Iperione mio, non sono più la ragazza dolce che ero, da quando so tutto questo. Lo sconforto mi trascina in alto, non riesco quasi più a guardare la terra, e il mio cuore of­ feso trema incessantemente. Dobbiamo separarci, hai ragione. Io non voglio bambi­ ni, perché non voglio concederli a un mondo di schiavitù, le povere pianticelle appassirebbero sotto i miei occhi in questa desolazione.

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Lebe wohl! du theurer Jüngling! geh du dahin, wo es dir der Mühe werth scheint, deine Seele hinzugeben. Die Welt hat doch wohl Einen Wahlplaz, eine Opferstätte, wo du dich entledigen magst. Es wäre Schade, wenn die guten Kräfte alle, wie ein Traumbild, so vergiengen. Doch wie du auch ein Ende nimmst, du kehrest zu den Göttern, kehrst ins heilge, freie, ju­ gendliche Leben der Natur, wovon du ausgiengst, und das ist ja dein Verlangen nur und auch das meine. So schrieb sie mir. Ich war erschüttert bis ins Mark, voll Schreken und Lust, doch sucht’ ich mich zu fassen, um Worte zur Antwort zu fnden. | Du willigest ein, Diotima? schrieb ich, du billigest mein Ent­ sagen? konntest es begreiffen? – Treue Seele! darein konntest du dich schiken? Auch in meine fnstern Irren konntest du dich schiken, himmlische Gedult! und gabst dich hin, verdüstertest dich aus Liebe, glüklich Schooskind der Natur! und wardst mir gleich und heiligtest durch deinen Beitritt meine Trauer? Schö­ ne Heldin! welche Krone verdientest du? Aber nun sei es auch des Trauerns genug, du Liebe! Du bist mir nachgefolgt in meine Nacht, nun komm! und laß mich dir zu deinem Lichte folgen, zu deiner Anmuth laß uns wiederkeh­ ren, schönes Herz! o deine Ruhe laß mich wiedersehen, seelige Natur! vor deinem Friedensbilde meinen Übermuth auf immer mir entschlummern. Nicht wahr, du Theure! noch ist meine Rükkehr nicht zu spät, und du nimmst mich wieder auf und kannst mich wieder lieben, wie sonst? nicht wahr, noch ist das Glük vergangner Tage nicht für uns verloren? Ich hab’ es bis aufs Äußerste getrieben. Ich habe sehr un­ dankbar an der mütterlichen Erde gehandelt, habe mein Blut und alle Liebesgaaben, die sie mir gegeben, wie einen Knecht­ lohn, weggeworfen und ach! wie tausendmal undankbarer an dir, du heilig Mädchen! das mich einst in seinen Frieden auf­

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Addio, caro ragazzo, va’ dove ti sembra che valga la pena offrire la tua anima. Il mondo avrà pure un luogo cruciale, un altare sacrifcale dove potrai liberarti. Sarebbe un peccato se le forze positive svanissero tutte così, come un sogno. Ma qualsiasi fne farai, tu ritorni agli dei, ritorni alla vita sacra, libera, giovane della natura da cui provieni, e questa è l’unica cosa a cui aneli e io anche». Così mi scriveva. Ero commosso fn nel profondo, pie­ no di spavento e di piacere ma cercavo di controllarmi e trovare parole per rispondere. | «Tu approvi, Diotima?» scrissi. «Approvi la mia rinun­ cia, la capisci? Anima fedele, hai saputo accettarla? Hai potuto accettare anche i miei sbagli più funesti, pazienza celeste, e ti sei sacrifcata, sei morta di sete per amore, fe­ lice germoglio della natura, sei divenuta come me e con la tua partecipazione hai santifcato il mio lutto. Stupenda eroina, quale corona non ti meriti? Ma basta con la tristezza, amore mio! Mi hai seguito nella mia notte, ora vieni, lascia che io ti segua nella tua luce, fa’ che torniamo alla tua grazia, cuore bello, lasciami rivedere la tua quiete, natura beata, lascia che la mia spa­ valderia si assopisca per sempre davanti alla tua immagine di pace. Non è vero, mia cara, che non è troppo tardi perché io torni, e tu mi accoglierai e potrai ancora amarmi, come prima? Non è vero che la felicità dei giorni passati non è ancora persa per noi? Sono giunto fno all’estremo. Ho agito con grande in­ gratitudine nei confronti della madre terra, ho gettato via il mio sangue e tutti i doni amorosi che mi aveva elargito come fossero la paga di un servo, e ahimè, sono stato mille volte ancora più ingrato verso di te, sacra fanciulla, che un tempo hai accolto nella tua pace me, un essere ritroso e

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nahm, mich, ein scheu zerrißnes Wesen, dem aus tiefgepreß­ ter Brust sich kaum ein Jugendschimmer stahl, wie hie und da ein Grashalm auf zertretnen Wegen. Hattest du mich nicht ins Leben gerufen? war ich nicht dein? wie konnt’ ich denn – o du weist es, wie ich hoffe, noch nicht, hast noch den Unglüks­ brief nicht in den Händen, den ich vor der lezten Schlacht dir schrieb? Da wollt’ ich sterben, Diotima, und ich glaubt’, ein hei­ lig Werk zu thun. Aber wie kann das heilig seyn, was Liebende trennt? wie kann das heilig seyn, was unsers Lebens frommes Glük zerrüttet? – Diotima! schöngebornes Leben! ich bin dir jezt dafür in deinem Eigensten um so ähnlicher geworden, ich hab’ es endlich achten gelernt, ich hab’ es bewahren gelernt, was gut und innig ist auf Erden. O wenn ich auch dort oben landen könnte an den glänzenden Inseln des Himmels, fänd’ ich mehr, als ich bei Diotima fnde? Höre mich nun, Geliebte! | In Griechenland ist meines Bleibens nicht mehr. Das weist du. Bei seinem Abschied hat mein Vater mir so viel von seinem Überfusse geschikt, als hinreicht, in ein heilig Thal der Alpen oder Pyrenäen uns zu füchten, und da ein freundlich Haus und auch von grüner Erde so viel zu kauffen, als des Lebens goldene Mittelmäßigkeit bedarf. Willst du, so komm’ ich gleich und führ’ an treuem Arme dich und deine Mutter und wir küssen Kalaureas Ufer und trok­ nen die Thränen uns ab, und eilen über den Isthmus hinein ans Adriatische Meer, von wo ein sicher Schiff uns weiter bringt. O komm! in den Tiefen der Gebirgswelt wird das Geheim­ niß unsers Herzens ruhn, wie das Edelgestein im Schacht, im Schoose der himmelragenden Wälder, da wird uns seyn, wie unter den Säulen des innersten Tempels, wo die Götterlosen nicht nahn, und wir werden sizen am Quell, in seinem Spiegel unsre Welt betrachten, den Himmel und Haus und Garten und uns. Oft werden wir in heiterer Nacht im Schatten unsers Obst­

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tormentato, quando dal mio petto oppresso non trapelava nemmeno un bagliore della gioventù, come fanno qua e là i fli d’erba sui sentieri battuti. Non mi hai forse richiama­ to alla vita, non ero forse tuo? Ma come ho potuto... No, non lo sai ancora, spero almeno che la lettera sciagurata non sia ancora arrivata tra le tue mani, quella che ti ho scritto prima dell’ultima battaglia! Volevo morire, Dioti­ ma, e credevo di compiere un uffcio sacro. Ma come può essere sacro ciò che divide gli innamorati? Come può es­ sere sacro ciò che corrompe la felicità devota della nostra vita? Diotima, vita immacolata, questo mi ha reso ancora più simile al tuo intimo, ho fnalmente imparato a rispet­ tarlo, ho imparato a custodire ciò che sulla terra è buono e sincero. Anche se potessi attraccare lassù, alle isole splen­ denti del cielo, troverei forse di più che presso Diotima? Ascoltami, dunque, amore! | In Grecia non posso più rimanere, questo lo sai. Con­ gedandosi mio padre mi ha lasciato abbastanza di ciò che aveva da parte per rifugiarci in una sacra valle delle Alpi o dei Pirenei e comprarci una casetta accogliente e anche un pochino di terra, quanto basta per una vita dignitosa.279 Se vuoi, verrò immediatamente e porgerò a te e a tua madre il braccio fedele, baceremo le rive di Calauria e ci asciugheremo a vicenda le lacrime, poi ci affretteremo ol­ tre l’istmo verso l’Adriatico, dove una nave sicura ci por­ terà via. Vieni, dunque! Nel profondo del mondo alpino ripose­ rà il segreto dei nostri cuori come le pietre preziose nella miniera, nel grembo dei boschi che svettano verso il cielo sarà come essere fra le colonne del tempio più interno,280 al quale i senza dio non si avvicinano, e siederemo presso la sorgente osservando il nostro mondo nel suo specchio, il cielo, la casa e il giardino, e noi stessi. Spesso, nelle notti

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walds wandeln und den Gott in uns, den liebenden, belauschen, indeß die Pfanze aus dem Mittagsschlummer ihr gesunken Haupt erhebt und deiner Blumen stilles Leben sich erfrischt, wenn sie im Thau die zarten Arme baden, und die Nachtluft kühlend sie umathmet und durchdringt, und über uns blüht die Wiese des Himmels mit all’ ihren funkelnden Blumen und seitwärts ahmt das Mondlicht hinter westlichem Gewölk den Niedergang des Sonnenjünglings, wie aus Liebe schüchtern nach – und dann des Morgens, wenn sich, wie ein Flußbett unser Thal mit warmem Lichte füllt, und still die goldne Fluth durch unsre Bäume rinnt, und unser Haus umwallt und die lieblichen Zimmer, deine Schöpfung dir verschönt, und du in ihrem Sonnenglanze gehst und mir den Tag in deiner Grazie seegnest, Liebe! wenn sich dann, indeß wir so die Morgenwon­ ne feiern, der Erde geschäfftig Leben, wie ein Opferbrand, vor unsern Augen entzündet, und wir nun hingehn um auch unser Tagwerk, um von uns auch einen Theil in die steigende Flamme zu werfen, wirst du da nicht sagen, wir sind glüklich, wir sind wieder, wie die alten Priester der Natur, die heiligen und fro­ hen, die schon fromm gewesen, eh’ ein Tempel stand. Hab’ ich genug gesagt? entscheide nun mein Schiksaal, theures | Mädchen, und bald! – Es ist ein Glük, daß ich noch halb ein Kranker bin, von der lezten Schlacht her, und daß ich noch aus meinem Dienste nicht entlassen bin; ich könnte sonst nicht bleiben, ich müßte selbst fort, müßte fragen, und das wäre nicht gut, das hieße dich bestürmen. – Ach Diotima! bange thörichte Gedanken fallen mir aufs Herz und doch – ich kann es nicht denken, daß auch diese Hoffnung scheitern soll. Bist du denn nicht zu groß geworden, um noch wiederzu­ kehren zu dem Glük der Erde? verzehrt die heftige Geistes­ famme, die an deinem Leiden sich entzündete, verzehrt sie nicht alles Sterbliche dir?

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limpide, passeggeremo nel nostro frutteto porgendo l’o­ recchio alla divinità dentro di noi, che ci ama,281 mentre la pianta solleva il capo reclinato nel riposo del meriggio e la vita quieta dei tuoi fori si ritempra intingendo nella rugiada le tenere braccia e l’aria della notte l’avvolge con il suo fresco respiro; sopra di noi forisce il prato del cielo con i suoi fori scintillanti e sul lato la luce della luna, fra le nuvole a Occidente, imita timidamente, per amore, il tramonto del giovane sole... E poi al mattino, quando la valle si riempirà di luce calda come il letto di un fume, e la corrente dorata scorrerà fra gli alberi, circonderà la nostra casa e le sue deliziose stanze, opera tua, e le abbellirà per te, e tu ti aggirerai nello splendore del sole e benedirai la mia giornata con la tua grazia, amore! E mentre festeggia­ mo così la gioia del mattino, la vita indaffarata della terra si accende davanti a noi come una pira sacrifcale; allora andremo anche noi al nostro lavoro, e getteremo anche una parte di noi nella famma che si innalza. Non diresti allora che siamo felici, che siamo di nuovo come gli antichi sacerdoti della natura, sacri e felici, che già le erano devoti prima ancora che ci fosse un tempio? Ho detto abbastanza! Decidi ora del mio destino, pre­ ziosa | fanciulla, e presto! È una fortuna che io sia ancora convalescente dopo l’ultima battaglia, e che non sia ancora stato congedato, altrimenti non potrei restare qui, partirei subito per venire a chiedertelo, ma non sarebbe bene, vor­ rebbe dire sopraffarti. Ah, Diotima, pensieri cupi e sciocchi mi agitano, eppu­ re... Non posso pensare che anche questa speranza rimar­ rà vana. Forse sei diventata troppo nobile per tornare alla felicità della terra? La possente famma spirituale che si è accesa con il tuo dolore, ha forse consumato ogni cosa mortale per te?

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Ich weiß es wohl, wer leicht sich mit der Welt entzweit, ver­ söhnt auch leichter sich mit ihr. Aber du, mit deiner Kinderstil­ le, du, so glüklich einst in deiner hohen Demuth, Diotima! wer will dich versöhnen, wenn das Schiksaal dich empört? Liebes Leben! ist denn keine Heilkraft mehr für dich in mir? von allen Herzenslauten ruft dich keiner mehr zurük, ins menschliche Leben, wo du einst so lieblich mit gesenk­ tem Fluge dich verweilt? o komm, o bleib in dieser Däm­ merung! Diß Schattenland ist ja das Element der Liebe und hier nur rinnt der Wehmuth stiller Thau vom Himmel deiner Augen. Und denkst du unsrer goldenen Tage nicht mehr? der hold­ seeligen, göttlichmelodischen? säuseln sie nicht aus allen Hai­ nen von Kalaurea dich an? Und sieh! es ist so manches in mir untergegangen, und ich habe der Hoffnungen nicht viele mehr. Dein Bild mit seinem Himmelssinne, hab’ ich noch, wie einen Hausgott, aus dem Brande gerettet. Unser Leben, unsers ist noch unverlezt in mir. Sollt’ ich nun hingehn und auch diß begraben? Soll ich ruhelos und ohne Ziel hinaus, von einer Fremde in die andre? Hab’ ich darum lieben gelernt? O nein! du Erste und du Lezte! Mein warst du, du wirst die Meine bleiben. | 737

Hyperion an Bellarmin. Ich saß mit Alabanda auf einem Hügel der Gegend, in lieblich­ wärmender Sonn’, und um uns spielte der Wind mit abgefalle­ nem Laube. Das Land war stumm; nur hie und da ertönt’ im Wald’ ein stürzender Baum, vom Landmann gefällt, und neben uns murmelte der vergängliche Reegenbach hinab ins ruhige Meer.

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Lo so bene, chi si separa facilmente dal mondo si ri­ concilia anche più facilmente. Ma tu, con la tua quiete in­ nocente, tu che una volta eri così felice nella tua grande umiltà, Diotima, chi potrà riconciliarti, se il destino ti ha fatto adirare? Vita mia, non ho in me più alcun potere per guarirti? Di tutti i suoni del mio cuore nessuno può più richiamarti indietro, alla vita degli uomini, dove una volta indugia­ vi soavemente, quasi sospesa? Vieni, soffermati in questo crepuscolo, questa terra di ombre è l’elemento dell’amore e solo qui stilla la rugiada silenziosa della malinconia dal cielo dei tuoi occhi. Non pensi più ai nostri giorni dorati, incantevoli, divi­ namente armoniosi? Non ti vengono incontro sussurran­ do da tutti i boschi di Calauria? E guarda, molte cose sono tramontate in me, non ho più molte speranze. La tua immagine celestiale l’ho salvata dall’incendio, come un dio domestico; e la no­ stra vita, quella è ancora intatta in me. Dovrei andare e seppellire anche quella? Devo vagare senza pace e senza meta, da una lontananza all’altra? Per questo ho impa­ rato ad amare? O no, tu alfa e omega! Eri mia e mia rimarrai». | iperione a Bellarmino Sedevo con Alabanda su una collina della zona, nel sole che scaldava amorevole, mentre intorno a noi il vento gio­ cava con le foglie secche. La campagna era muta, solo qua e là risuonava nel bosco lo schianto di un albero, abbattu­ to dal contadino, e accanto a noi il torrente effmero mor­ morava verso il mare calmo.

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Ich war so ziemlich sorglos; ich hoffte, nun meine Dioti­ ma bald zu sehn, nun bald mit ihr in stillem Glüke zu leben. Alabanda hatte die Zweifel alle mir ausgeredet; so sicher war er selbst hierüber. Auch er war heiter; nur in andrem Sinne. Die Zukunft hatte keine Macht mehr über ihn. O ich wußt’ es nicht; er war am Ende seiner Freuden, sah mit allen seinen Rechten an die Welt, mit seiner ganzen siegrischen Natur sich unnüz, wirkungslos und einsam, und das lies er so geschehn, als wär’ ein zeitverkürzend Spiel verloren. Jezt kam ein Bote auf uns zu. Er bracht’ uns die Entlassung aus dem Kriegsdienst, um die wir beide bei der Russischen Flot­ te gebeten, weil für uns nichts mehr zu thun war, was der Mühe werth schien. Ich konnte nun Paros verlassen, wenn ich wollte. Auch war ich nun zur Reise gesund genug. Ich wollte nicht auf Diotimas Antwort warten, wollte fort zu ihr, es war, als wenn ein Gott nach Kalaurea mich triebe. Wie das Alabanda von mir hörte, veränderte sich seine Farbe und er sah wehmüthig mich an. So leicht wirds meinem Hyperion, rief er, seinen Alabanda zu verlassen? Verlassen? sagt’ ich, wie denn das? O über euch Träumer! rief er, siehest du denn nicht, daß wir uns trennen müssen? Wie sollt’ ichs sehen? erwiedert’ ich; du sagst ja nichts da­ von; und was mir hie und da erschien an dir, das wie auf einen Abschied deutete, das nahm ich gerne für Laune, für Herzens­ überfuß – O ich kenn’ es, rief er, dieses Götterspiel der reichen Liebe, die sich selber Noth schafft, um sich ihrer Fülle zu entladen und ich wollt’, es wäre so mit mir, du Guter! aber hier ists Ernst! Ernst? rief ich, und warum denn? Darum, mein Hyperion, sagt’ er sanft, weil ich dein künf­ tig | Glük nicht gerne stören möchte, weil ich Diotimas Nähe fürchten muß. Glaube mir, es ist gewagt, um Liebende zu le­

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Non ero molto preoccupato, speravo di rivedere pre­ sto la mia Diotima, di vivere presto con lei in una felicità quieta. Alabanda mi aveva fatto accantonare ogni dubbio, tanto ne era sicuro. Anche lui era sereno, solo in un altro senso. Il futuro non aveva più alcun potere su di lui. Io non lo sapevo, ma aveva esaurito tutte le sue gioie; pur con tutti i suoi diritti sul mondo, nonostante la sua natura combatti­ va si vedeva inutile, inattivo e solo, e si lasciò andare, come se avesse perso a un gioco iniziato per passatempo. Vedemmo avvicinarsi un messaggero. Portava il con­ gedo dal servizio militare che entrambi avevamo chiesto alla fotta russa perché non avevamo più nulla da fare che ci sembrava valesse la pena. Se volevo, ora potevo lascia­ re Paros. Mi ero anche suffcientemente ristabilito per affrontare il viaggio. Non volevo aspettare la risposta di Diotima, volevo andare da lei, era come se un dio mi spin­ gesse a Calauria. Quando lo dissi ad Alabanda, il suo volto cambiò colore e mi guardò malinconico. «È così facile per Iperione lasciare il suo Alabanda?» «Lasciare?» dissi. «Ma che cosa dici?» «Oh, questi sognatori!» esclamò, «non capisci che dob­ biamo separarci?» «E da cosa dovrei capirlo?» risposi. «Tu non dici nulla in proposito, e quei segni in te che sembravano preludere a un addio li ho presi per malumore, per eccesso di amore...» «Lo conosco», disse, «quel gioco divino dell’amore so­ vrabbondante che si inventa un bisogno per sfogare la sua pienezza, e mi piacerebbe che fosse così anche per me, mio buon amico, ma qui la cosa è seria». «Seria?» esclamai. «E perché mai?» «Iperione mio», disse dolcemente, «perché non vorrei disturbare la tua felicità | futura, perché devo guardarmi da Diotima. Credimi, è un rischio vivere intorno agli inna­

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ben, und ein thatlos Herz, wie meines nun ist, hält es schwer­ lich aus. Ach guter Alabanda! sagt’ ich lächelnd, wie miskennst du dich! Du bist so wächsern nicht und deine veste Seele springt so leicht nicht über ihre Gränzen. Zum erstenmal in deinem Leben bist du grillenhaft. Du machtest hier bei mir den Kran­ kenwärter und man sieht, wie wenig du dazu geboren bist. Das Stillesizen hat dich scheu gemacht – Siehst du? rief er, das ists eben. Werd’ ich thätiger leben mit euch? und wenn es eine Andre wäre! aber diese Diotima! kann ich anders? kann ich sie mit halber Seele fühlen? sie, die um und um so innig Eines ist, Ein göttlich ungetheiltes Leben? Glaube mir, es ist ein kindischer Versuch, diß Wesen sehn zu wollen ohne Liebe. Du blikst mich an, als kenntest du mich nicht? Bin ich doch selbst mir fremd geworden, diese lezten Tage, seit ihr Wesen so lebendig ist in mir. O warum kann ich sie dir nicht schenken? rief ich. Laß das! sagt’ er. Tröste mich nicht, denn hier ist nichts zu trösten. Ich bin einsam, einsam, und mein Leben geht, wie eine Sanduhr, aus. Große Seele! rief ich, muß es dahin mit dir kommen? Sei zufrieden! sagt’ er. Ich feng schon an zu welken, da wir in Smyrna uns fanden. Ja! da ich noch ein Schiffsjung war und stark und schnell der Geist und alle Glieder mir wurden bei rauher Kost, in muthiger Arbeit! Wenn ich da in heiterer Luft nach einer Sturmnacht oben am Gipfel des Masts hieng, un­ ter der wehenden Flagge, und dem Seegevögel nach hinaussah über die glänzende Tiefe, wenn in der Schlacht oft unsre zorni­ gen Schiffe die See durchwühlten, wie der Zahn des Ebers die Erd’ und ich an meines Hauptmanns Seite stand mit hellem Blick – da lebt’ ich, o da lebt’ ich! Und lange nachher, da der

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morati, e un cuore inattivo come è il mio ora, lo sopporta a fatica». «Mio buon Alabanda», gli dissi sorridendo. «Ti cono­ sci poco! Non sei fatto di cera e la tua anima vigorosa non oltrepassa così facilmente i suoi confni. Per la prima volta in vita tua sei capriccioso; hai fatto l’infermiere per me e si vede che non sei proprio fatto per questo. Restartene fermo e zitto ti ha reso ombroso...» «Vedi?» disse. «Proprio così. Avrei una vita più attiva con voi? E se fosse un’altra, ma quella Diotima! Potrei fare diversamente, potrei avvicinarmi a lei solo con metà sentimento? Lei che in tutto e per tutto è così unica, una vita divina indivisa? Credimi, sarebbe puerile pensare di poter guardare una creatura come quella senza innamo­ rarsene. Mi guardi come se non mi avessi mai visto prima? Io stesso non mi riconosco più in questi ultimi giorni, da quando il suo essere mi è divenuto così presente». «Oh, perché non posso regalartela?» esclamai. «Smettila, non consolarmi perché non c’è nulla da con­ solare», disse. «Io sono solo, solo, e la mia vita si esaurisce come una clessidra». «Anima nobile, devi arrivare a tanto?» chiesi. «Devi fartene una ragione», disse. «Cominciavo già ad appassire quando ci siamo incontrati a Smirne. Sì, quando ero ancora un mozzo e lo spirito e il corpo divennero forti e rapidi per il trattamento rude, per il lavoro ardimentoso; quando stavo appeso lassù, sulla cima dell’albero maestro nell’aria limpida dopo una notte di tempesta, sotto la ban­ diera che sventolava, e come un uccello marino guardavo lontano sulla profondità scintillante; quando nella batta­ glia le nostre navi infuriate rovistavano nel mare come le zanne del cinghiale nella terra, e io me ne stavo al fan­ co del mio capitano con lo sguardo sereno... Allora ero

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junge Tiniote mir nun am Smyrner Strande begegnete, mit sei­ nem Ernste, seiner Liebe, und meine verhärtete Seele wieder aufgethaut war von den Bliken des Jünglings und lieben lernt’ und heilig halten alles, was zu gut ist, um beherrscht zu werden, da ich mit ihm ein neues Leben begann, und neue seelenvollere Kräfte mir keimten zum Genusse der Welt und | zum Kampfe mit ihr, da hofft’ ich wieder – ach! und alles was ich hofft’ und hatte, war an dich gekettet; ich riß dich an mich, wollte mit Gewalt dich in mein Schiksaal ziehn, verlor dich, fand dich wieder, unsre Freundschaft nur war meine Welt, mein Werth, mein Ruhm; nun ists auch damit aus, auf immer und all mein Daseyn ist vergebens. Ist denn das wahr? erwiedert’ ich mit Seufzen. Wahr, wie die Sonne, rief er, aber laß das gut seyn! es ist für alles gesorgt. Wie so, mein Alabanda? sagt’ ich. Laß mich dir erzählen, sagt’ er. Ich habe noch nie dir ganz von einer gewissen Sache gesprochen. Und dann – so stillt es auch dich und mich ein wenig, wenn wir sprechen von Vergan­ genem. Ich gieng einst hülfos an dem Hafen von Triest. Das Ka­ perschiff, worauf ich diente, war einige Jahre zuvor gescheitert, und ich hatte kaum mit Wenigen ans Ufer von Sevilla mich ge­ rettet. Mein Hauptmann war ertrunken und mein Leben und mein triefend Kleid war alles, was mir blieb. Ich zog mich aus und ruht’ im Sonnenschein und troknete die Kleider an den Sträuchen. Drauf gieng ich weiter auf der Straße nach der Stadt. Noch vor den Thoren sah’ ich heitere Gesellschaft in den Gärten, gieng hinein, und sang ein griechisch lustig Lied. Ein trauriges kannt’ ich nicht. Ich glühte dabei vor Schaam und Schmerz, mein Unglük so zur Schau zu tragen. Ich war ein achtzehnjähriger Knabe, wild und stolz, und haßt’ es wie den Tod, zum Gegenstande der Menschen zu werden. Vergebt mir,

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vivo, vivo! E molto tempo dopo, quando incontrai sulla costa di Smirne il giovane di Tinos,282 con la sua serietà, il suo affetto, la mia anima indurita si sciolse di nuovo agli sguardi di quel giovane e imparò ad amare e a ritenere sacro tutto ciò che è troppo buono per essere dominato, e quando cominciai con lui una nuova vita, e forze nuove, più intense, si schiusero in me per godere il mondo e | per combattere con lui, ecco che sperai di nuovo... Ma tutto quello che speravo e possedevo era legato a te; ti ho tratto a me, volevo incatenarti al mio destino, ti ho perso, ti ho ritrovato, la nostra amicizia è divenuta tutto il mio mondo, il mio valore, il mio onore; ma ora anche questo è fnito, per sempre, e la mia esistenza è inutile». «Ma ne sei proprio sicuro?» risposi con un sospiro. «Sicuro come il sole», esclamò, «ma non preoccuparti, è tutto sistemato». «Cosa intendi, Alabanda?» dissi. «Lascia che ti spieghi», disse. «Non ti ho mai racconta­ to una certa cosa fno in fondo. E poi... Tranquillizzerà un po’ anche te, oltre che me, parlare del passato. Una volta mi aggiravo, privo di aiuto, nel porto di Trie­ ste. La nave corsara sulla quale prestavo servizio era affon­ data qualche anno prima e io mi ero salvato a malapena insieme a pochi altri, sulla costa di Siviglia. Il mio capitano era affogato, e la vita e i vestiti inzuppati erano l’unica cosa che mi era rimasta. Mi spogliai, mi riposai al sole e feci asciugare i vestiti sui cespugli. Poi mi avviai sulla strada verso la città. Ancora prima di arrivarci, vidi un’allegra brigata in un giardino, entrai e cantai una divertente can­ zonetta greca: una triste non la conoscevo. Ardevo di ver­ gogna e di dolore nel mettere in mostra così la mia sventu­ ra. Ero un ragazzo di diciotto anni, selvaggio e orgoglioso, e odiavo come fosse la morte essere un trastullo per gli

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sagt’ ich, da ich fertig war mit meinem Liede; ich komme so eben aus dem Schiffbruch und weiß der Welt für heute keinen bessern Dienst zu thun, als ihr zu singen. Ich hatte das, so gut es gieng, in spanischer Sprache gesagt. Ein Mann mit ausge­ zeichnetem Gesichte trat mir näher, gab mir Geld und sagt’ in unserer Sprache mit Lächeln: Da! kauf einen Schleifstein dir dafür und lerne Messer schärfen und wandre so durchs veste Land. Der Rath gefel mir. Herr! das will ich in der That; erwie­ dert’ ich. Noch wurd’ ich reichlich von den Übrigen beschenkt und gieng und that, wie mir der Mann gerathen hatte, und trieb mich so in Spanien und Frankreich einige Zeit herum. Was ich in dieser Zeit erfuhr, wie an der Knechtschaft | tau­ sendfältigen Gestalten meine Freiheitsliebe sich schärft’ und wie aus mancher harten Noth mir Lebensmuth und kluger Sinn erwuchs, das hab’ ich oft mit Freude dir gesagt. Ich trieb mein wandernd schuldlos Tagewerk mit Lust, doch wurd’ es endlich mir verbittert. Man nahm es für Maske, weil ich nicht gemein genug dane­ ben aussehn mochte, man bildete sich ein, ich treib’ im Stillen ein gefährlicher Geschäft, und wirklich wurd’ ich zweimal in Verhaft genommen. Das bewog mich dann, es aufzugeben und ich trat mit wenig Gelde, das ich mir gewonnen, meine Rük­ kehr an zur Heimath, der ich einst entlaufen war. Schon war ich in Triest und wollte durch Dalmatien hinunter. Da befel mich von der harten Reise eine Krankheit und mein kleiner Reichtum gieng darüber auf. So gieng ich halbgenesen traurig an dem Hafen von Triest. Mit Einmal stand der Mann vor mir, der an dem Ufer von Sevilla meiner einst sich angenommen hatte. Er freute sich sonderbar, mich wieder zu sehen, sagte mir, daß er sich meiner oft erinnert und fragte mich, wie mirs indeß ergangen sei. Ich sagt’ ihm alles. Ich sehe, rief er, daß es nicht umsonst war, dich ein wenig in die Schule des Schiksaals

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uomini. «Perdonate», dissi quando ebbi fnito di cantare; «sono appena scampato a un naufragio e per oggi non so rendere un servizio migliore al mondo se non cantare». Lo avevo detto, meglio che potevo, in spagnolo. Un uomo con il volto nobile mi si avvicinò, mi diede del denaro e mi disse nella nostra lingua con un sorriso: «Va’, comprati una mola e impara ad afflare i coltelli, così rimarrai sul­ la terraferma». Il consiglio mi piacque. «Signore, lo farò davvero», replicai. Ricevetti anche dagli altri denaro in abbondanza, me ne andai e feci come mi aveva consiglia­ to quell’uomo, e girovagai quindi per un certo tempo in Spagna e in Francia. Quello che ho imparato in quel periodo, come il mio amore per la libertà | si acuisse vedendo le mille forme del­ la schiavitù e come situazioni diffcili e dure stimolassero coraggio e astuzia, te l’ho raccontato spesso con gioia. Esercitavo con piacere il mio lavoro ambulante e inno­ cente, ma alla fne ne fui amareggiato. Lo prendevano per un travestimento perché il mio aspetto non era suffcientemente volgare, credettero che di nascosto facessi affari pericolosi, e in effetti venni ar­ restato due volte. Questo mi convinse a smettere e con quei pochi soldi che avevo guadagnato partii per tornare in patria, dalla quale una volta ero scappato. Ero già arri­ vato a Trieste e volevo scendere in Dalmazia, quando per la fatica del viaggio fui colpito da una malattia e la mia modesta ricchezza si consumò. Così mi aggiravo, triste e ancora convalescente, nel porto di Trieste. A un tratto mi ritrovai davanti l’uomo che mi aveva preso a cuore sulla costa di Siviglia. Si rallegrò molto nel rivedermi, mi disse che aveva pensato spesso a me e mi chiese che cosa avessi fatto da allora. Gli raccontai tutto. «Vedo che non è stato inutile mandarti un po’ alla scuola del destino»,

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zu schiken. Du hast dulden gelernt, du sollst nun wirken, wenn du willst. Die Rede, sein Ton, sein Händedruk, seine Miene, sein Blik, das alles traf, wie eines Gottes Macht, mein Wesen, das von manchem Leiden jezt gerad entzündbarer, als je, war, und ich gab mich hin. Der Mann, Hyperion, von dem ich spreche, war von jenen einer, die du in Smyrna bei mir sahst. Er führte gleich die Nacht darauf in eine feierliche Gesellschaft mich ein. Ein Schauer überlief mich, da ich in den Saal trat und beim Eintritt mein Be­ gleiter mir die ernsten Männer wies und sagte: diß ist der Bund der Nemesis. Berauscht vom großen Wirkungskreise, der vor mir sich aufthat, übermacht’ ich feierlich mein Blut und meine Seele diesen Männern. Bald nachher wurde die Versammlung aufgehoben, um in Jahren anderswo sich zu erneuern und ein jeder trat den angewiesenen Weg an, den er durch die Welt zu machen hatte. Ich wurde denen beigestellt, die du in Smyrna einige Jahre nachher bei mir fandst. Der Zwang, worinn ich lebte, folterte mich oft, auch sah ich | wenig von den großen Wirkungen des Bundes und meine Thatenlust fand kahle Nahrung. Doch all diß reichte nicht hin, um mich zu einem Abfall zu vermögen. Die Leidenschaft zu dir verleitete mich endlich. Ich habs dir oft gesagt, ich war wie ohne Luft und Sonne, da du fort warst; und anders hatt’ ich keine Wahl; ich mußte dich aufgeben, oder meinen Bund. Was ich erwählte, siehst du. Aber alles Thun des Menschen hat am Ende seine Strafe, und nur die Götter und die Kinder trift die Nemesis nicht. Ich zog das Götterrecht des Herzens vor. Um meines Lieb­ lings willen brach ich meinen Eid. War das nicht billig? muß das edelste Sehnen nicht das freieste seyn? – Mein Herz hat mich beim Worte genommen; ich gab ihm Freiheit und du siehst, es braucht sie.

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esclamò. «Hai imparato la pazienza; ora potrai agire, se vuoi». Le parole, la voce, la stretta di mano, l’espressione, lo sguardo, tutto ciò colpì con la potenza di un dio il mio es­ sere, che la sofferenza aveva reso più sensibile, e mi affdai a lui. L’uomo di cui parlo, Iperione, è uno di quelli che hai visto con me a Smirne. La notte seguente mi introdusse in una solenne società. Mi sentii rabbrividire quando entrai nella sala e il mio accompagnatore mi indicò quegli uomi­ ni seri dicendo: «questa è la Lega di Nemesi». Inebriato dalle grandi possibilità di azione che si aprivano davanti a me, mi legai solennemente a quegli uomini con il sangue e l’anima. Poco dopo l’assemblea fu sciolta per ritrovarsi in un altro luogo dopo alcuni anni e ognuno se ne andò per il mondo, seguendo la strada che gli era stata indicata. Io venni affdato a quelli che hai visto con me a Smirne qual­ che anno dopo. La costrizione in cui vivevo era spesso tormentosa, e vedevo anche | ben poco delle grandi gesta della Lega, il mio desiderio di agire trovò scarso nutrimento. Ma tutto ciò non era suffciente per staccarmi da loro. Mi convinse alla fne solo l’affetto per te. Te l’ho detto molte volte, era come se mi mancassero la luce e l’aria, quando te ne sei andato, e del resto non avevo molte scelte, o rinunciavo a te o alla Lega. Quello che scelsi lo sai. Ma tutte le azioni dell’uomo alla fne sono punite, la Nemesi risparmia solo gli dei e i bambini. Io diedi la precedenza al diritto divino del cuore, per amore del mio preferito ruppi il giuramento. Non era giu­ sto così? Il desiderio più nobile non è forse il più libero? Il mio cuore mi ha preso in parola, gli ho dato la libertà e, come vedi, ne ha bisogno.

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Huldige dem Genius Einmal und er achtet dir kein sterblich Hinderniß mehr und reißt dir alle Bande des Lebens entzwei. Verpfichtung brach ich um des Freundes willen, Freund­ schaft würd’ ich brechen um der Liebe willen. Um Diotimas willen würd’ ich dich betrügen und am Ende mich und Dioti­ ma morden, weil wir doch nicht Eines wären. Aber es soll nicht seinen Gang gehn; soll ich büßen, was ich that, so will ich es mit Freiheit; meine eignen Richter wähl’ ich mir; an denen ich gefehlt, die sollen mich haben. Sprichst du von deinen Bundesbrüdern? rief ich; o mein Alabanda! thue das nicht! Was können sie mir nehmen, als mein Blut? erwiedert’ er. Dann faßt’ er sanft mich bei der Hand. Hyperion! rief er, meine Zeit ist aus, und was mir übrig bleibt, ist nur ein edles Ende. Laß mich! mache mich nicht klein und fasse Glauben an mein Wort! Ich weiß so gut, wie du, ich könnte mir ein Daseyn noch erkünsteln, könnte, weil des Lebens Mahl verzehrt ist, mit den Brosamen noch spielen, aber das ist meine Sache nicht; auch nicht die deine. Brauch’ ich mehr zu sagen? Sprech’ ich nicht aus deiner Seele dir? Ich dürste nach Luft, nach Kühlung, Hy­ perion! Meine Seele wallt mir über von selbst und hält im alten Kreise nicht mehr. Bald kommen ja die schönen Wintertage, wo die dunkle Erde nichts mehr ist, als die Folie des leuchten­ den Himmels, da wär’ es gute Zeit, da blinken ohnediß gast­ freundlicher die Inseln des Lichts! – | dich wundert die Rede? Liebster! alle Scheidenden sprechen, wie Trunkne, und neh­ men gerne sich festlich. Wenn der Baum zu welken anfängt, tragen nicht alle seine Blätter die Farbe des Morgenroths? Große Seele, rief ich, muß ich Mitleid für dich tragen? Ich fühlt’ an seiner Höhe, wie tief er litt. Ich hatte solches Weh im Leben nie erfahren. Und doch, o Bellarmin! doch

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Porgi ossequio per una volta al genio ed egli non si cu­ rerà più di alcun ostacolo mortale e ti spezzerà tutti i lacci della vita. Ho mancato ai miei obblighi per amore dell’amico, rom­ perei l’amicizia per l’amore. Per amore di Diotima ti imbro­ glierei e alla fne ucciderei me e Diotima perché non siamo una cosa sola. Ma non andrà così; se devo pagare per quello che ho fatto, lo farò liberamente. Io stesso mi scelgo i miei giudici, mi avranno quelli verso i quali ho mancato». «Parli degli affliati della Lega?» gridai. «Alabanda, non farlo!» «Che altro possono togliermi, oltre al sangue?» replicò. Poi mi prese dolcemente la mano. «Iperione, il mio tempo è fnito», disse. «E tutto quello che mi resta è solo una fne nobile. Lasciami andare, non rendermi meschino e abbi fducia nelle mie parole. So bene, come te, che potrei in­ ventarmi una nuova esistenza da qualche parte, potrei an­ cora giocare con le briciole, ora che il banchetto della vita si è concluso, ma non è cosa per me; e nemmeno per te. Che cosa devo dire ancora? Non parlo come parleresti tu stesso? Ho bisogno di aria, di frescura, Iperione! La mia anima ribolle da sola e non riesce più a rimanere nei vec­ chi confni. Presto verranno i bei giorni d’inverno, quando la terra scura non fa che dare risalto al cielo luminoso, quello sarebbe il momento giusto, quando le isole della luce283 brillano ancora più ospitali! | Ti meravigli delle mie parole? Carissimo, tutti coloro che stanno per congedarsi parlano come ubriachi e si danno spesso molte arie. Quan­ do l’albero comincia ad appassire, le foglie non assumono forse il colore rosso dell’alba?» «Anima nobile, devo avere pietà di te?» esclamai. Dalla sua solennità capivo quanto stava soffrendo, non avevo mai sentito una pena simile in vita mia. Eppure,

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fühlt’ ich auch die Größe aller Freuden, solch ein Götterbild in Augen und Armen zu haben. Ja! stirb nur, rief ich, stirb! Dein Herz ist herrlich genug, dein Leben ist reif, wie die Trauben am Herbsttag. Geh, Vollendeter! ich gienge mit dir, wenn es keine Diotima gäbe. Hab’ ich dich nun? erwiedert’ Alabanda, sprichst du so? wie tief, wie seelenvoll wird alles, wenn mein Hyperion es ein­ mal faßt! Er schmeichelt, rief ich, um das unbesonnene Wort zum zweitenmale mir abzuloken! gute Götter! um von mir Erlaub­ niß zu gewinnen zu der Reise nach dem Blutgericht! Ich schmeichle nicht, erwiedert’ er mit Ernst, ich hab’ ein Recht, zu thun, was du verhindern willst, und kein gemeines! ehre das! Es war ein Feuer in seinen Augen, das, wie ein Göttergebot, mich niederschlug und ich schämte mich, nur ein Wort noch gegen ihn zu sagen. Sie werden es nicht, dacht’ ich mitunter, sie können es nicht. Es ist zu sinnlos, solch ein herrlich Leben hinzuschlachten, wie ein Opferthier, und dieser Glaube machte mich ruhig. Es war ein eigner Gewinn, ihn noch zu hören, in der Nacht darauf, nachdem ein jeder für seine eigne Reise gesorgt, und wir vor Tagesanbruch wieder hinausgegangen waren, um noch einmal allein zusammen zu seyn. Weist du, sagt’ er unter andrem, warum ich nie den Tod geachtet? Ich fühl’ in mir ein Leben, das kein Gott geschaffen, und kein Sterblicher gezeugt. Ich glaube, daß wir durch uns selber sind, und nur aus freier Lust so innig mit dem All ver­ bunden. So etwas hab’ ich nie von dir gehört, erwiedert’ ich. Was wär’ auch, fuhr er fort, was wär’ auch diese Welt, wenn sie nicht wär’ ein Einklang freier Wesen? wenn nicht aus eig­

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Bellarmino, eppure sentivo anche una gioia immensa nel poter guardare e abbracciare una simile immagine divina. «Sì, vai a morire», dissi, «vai a morire! Il tuo cuore è ma­ gnifco al punto giusto, la tua vita è matura come i grappo­ li in autunno. Vai, perfetto; io verrei con te se non ci fosse una Diotima». «Sei con me dunque?» replicò Alabanda, «puoi dirmi questo? Come tutto diviene profondo e intenso, se il mio Iperione lo condivide!» «Mi adula», dissi, «per estorcermi una seconda volta quella parola sconsiderata, santi numi! Per ottenere da me il permesso per il viaggio verso un tribunale di sangue». «Non ti adulo», rispose seriamente, «ho tutto il diritto di fare quello che tu vorresti impedirmi, e non un diritto qualunque: rispettalo!» C’era un fuoco nei suoi occhi che mi annichilì come un comando divino e mi vergognai a fare altre obiezioni. «Non lo faranno», pensai nel frattempo, «non possono farlo. Non ha senso squartare come un animale sacrifcale una vita così splendida», e questa certezza mi tranquillizzò. Fu un grande dono poter parlare ancora con lui, la not­ te successiva, dopo che ciascuno aveva fatto i preparativi per il suo viaggio, e prima dell’alba uscimmo di nuovo per starcene ancora un po’ da soli. «Sai perché non mi sono mai curato della morte?» mi disse fra l’altro. «Perché sento in me una vita che non è stata creata da un dio, né generata da un mortale. Credo che noi esistiamo attraverso noi stessi, così intimamente connessi all’universo solo per nostro libero piacere».284 «Non ti ho mai sentito dire una cosa del genere», ri­ sposi. «Che cosa sarebbe, che cosa sarebbe il mondo», pro­ seguì, «se non fosse un’armonia di esseri liberi? Se fn dal

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nem frohem Triebe die Lebendigen von Anbeginn in ihr | zu­ sammenwirkten in Ein vollstimmig Leben, wie hölzern wäre sie, wie kalt? welch herzlos Machwerk wäre sie? So wär’ es hier im höchsten Sinne wahr, erwiedert’ ich, daß ohne Freiheit alles todt ist. Ja wohl, rief er, wächst doch kein Grashalm auf, wenn nicht ein eigner Lebenskeim in ihm ist! wie viel mehr in mir! und darum, Lieber! weil ich frei im höchsten Sinne, weil ich an­ fangslos mich fühle, darum glaub’ ich, daß ich endlos, daß ich unzerstörbar bin. Hat mich eines Töpfers Hand gemacht, so mag er sein Gefäß zerschlagen, wie es ihm gefällt. Doch was da lebt, muß unerzeugt, muß göttlicher Natur in seinem Keime seyn, erhaben über alle Macht, und alle Kunst, und darum un­ verlezlich, ewig. Jeder hat seine Mysterien, lieber Hyperion! seine geheimern Gedanken; diß waren die meinen; seit ich denke. Was lebt, ist unvertilgbar, bleibt in seiner tiefsten Knechts­ form frei, bleibt Eins und wenn du es scheidest bis auf den Grund, bleibt unverwundet und wenn du bis ins Mark es zer­ schlägst und sein Wesen entfiegt dir siegend unter den Hän­ den. – Aber der Morgenwind regt sich; unsre Schiffe sind wach. O mein Hyperion! ich hab’ es überwunden; ich hab’ es über mich vermocht, das Todesurtheil über mein Herz zu spre­ chen und dich und mich zu trennen, Liebling meines Lebens! schone mich nun! erspare mir den Abschied! laß uns schnell seyn! komm! – Mir fog es kalt durch alle Gebeine, da er so begann. O um deiner Treue willen, Alabanda! rief ich vor ihm nie­ dergeworfen, muß es, muß es denn seyn? Du übertäubtest mich unredlicher weise, du rissest in einen Taumel mich hin. Bruder! nicht so viel Besinnung ließest du mir, um eigentlich zu fragen, wohin gehst du?

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principio i viventi per un loro felice istinto non | interagis­ sero in un’unica vita armoniosa? Sarebbe rigido, freddo, un ingranaggio senza cuore». «In questo caso sarebbe vero nel senso più profondo», risposi, «che senza la libertà tutto muore». «Certo», esclamò, «non crescerebbe nemmeno un flo d’erba se non avesse in sé il germoglio della vita! Ancora di più in me... Per questo, mio caro, perché sono libero nel senso più alto, perché sento di essere senza inizio, per questo credo di essere senza fne, indistruttibile. Se mi avesse fatto la mano di un vasaio, potrebbe sempre fran­ tumare il suo vaso, se volesse. Ma ciò che vive in me non è stato generato, deve essere natura divina in germoglio, più alto di ogni potenza e ogni arte e per questo intoccabile, eterno. Ognuno ha i suoi misteri, caro Iperione, i suoi pensieri segreti; questi sono i miei, da quando ho iniziato a pensare. Ciò che vive non può essere annientato, rimane libero pur nella più infma forma di schiavitù, rimane unico, e anche se lo spacchi fno alla radice rimane intatto, anche se lo distruggi fn nel midollo, la sua essenza ti sfugge vit­ toriosa tra le mani...285 Ma si alza la brezza del mattino, le nostre navi sono pronte. Mio caro Iperione, ho superato la prova, sono riuscito a vincere me stesso e a pronunciare la condanna di morte per il mio cuore, a separarmi da te, prediletto del mio cuore! Risparmiami ora, evitami l’ad­ dio! Facciamo in fretta, vieni! » Mi sentii gelare quando disse così. «Per la tua fedeltà, Alabanda», dissi gettandomi ai suoi piedi, «devi, devi proprio? Mi hai intontito slealmente, mi hai trascinato in un vortice. Fratello, non mi hai lasciato nemmeno quel tanto di buon senso per chiederti dove stai andando!»

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Ich darf den Ort nicht nennen, liebes Herz! erwiedert’ er; wir sehn vieleicht uns dennoch einmal wieder. Wiedersehn? erwiedert’ ich; so bin ich ja um einen Glauben reicher! und so werd’ ich reicher werden und reicher an Glau­ ben und am Ende wird mir alles Glaube seyn. Lieber! rief er, laß uns still seyn, wo die Worte nichts helfen! laß uns männlich enden! Du verderbst die lezten Augenblike dir. Wir waren so dem Hafen näher gekommen. | Noch Eines! sagt’ er, da wir nun bei seinem Schiffe waren. Grüße deine Diotima! Liebt euch! werdet glüklich, schöne Seelen! O mein Alabanda! rief ich, warum kann ich nicht an deiner Stelle gehn? Dein Beruf ist schöner, erwiedert’ er; behalt ihn! ihr gehörst du, jenes holde Wesen ist von nun an deine Welt – ach! weil kein Glük ist ohne Opfer, nimm als Opfer mich, o Schiksaal, an, und laß die Liebenden in ihrer Freude! – Sein Herz feng an, ihn zu überwältigen und er riß sich von mir und sprang ins Schiff, um sich und mir den Abschied ab­ zukürzen. Ich fühlte diesen Augenblik, wie einen Wetterschlag, dem Nacht und Todtenstille folgte, aber mitten in dieser Ver­ nichtung raffte meine Seele sich auf, ihn zu halten, den theu­ ren Scheidenden und meine Arme zükten von selbst nach ihm. Weh! Alabanda! Alabanda! rief ich, und ein dumpfes Lebe­ wohl hört’ ich vom Schiffe herüber. Hyperion an Bellarmin. Zufällig hielt das Fahrzeug, das nach Kalaurea mich bringen sollte, noch bis zum Abend sich auf, nachdem Alabanda schon den Morgen seinen Weg gegangen war.

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«Non posso dirti il luogo, cuore mio», rispose; «ma for­ se un giorno ci rivedremo di nuovo».286 «Rivederci?» replicai. «Allora sono ricco di una nuova speranza, così diventerò sempre più ricco, e alla fne tutto sarà speranza». «Mio caro», esclamò, «basta ora, le parole non servono più. Salutiamoci da uomini, non rovinare gli ultimi istanti!» Eravamo arrivati vicino al porto. | «Ancora una cosa», disse, una volta che fummo vicini alla sua barca. «Saluta la tua Diotima, amatevi e siate felici, anime belle!» «O caro Alabanda», esclamai, «perché non posso anda­ re io al tuo posto?» «Il tuo impegno è più bello», rispose, «assolvilo! Ap­ partieni a lei, e quella soave creatura d’ora in poi sarà il tuo mondo... Ma dato che nessuna felicità è senza sacrifcio, prendi me in sacrifcio, destino, e lascia vivere gli innamo­ rati nella loro gioia!» Il cuore cominciava a sopraffarlo, così si strappò da me e saltò sulla nave per accorciare l’addio a entrambi. Quell’attimo fu come un colpo di fulmine al quale segui­ rono notte e silenzio di morte, ma nel mezzo di quella distruzione la mia anima si sforzò di trattenerlo, l’amico che si congedava, e le braccia spontaneamente si protesero verso di lui. «Alabanda, Alabanda, no!» gridai. Dalla nave mi giunse un cupo «addio». iperione a Bellarmino Casualmente la barca che doveva portarmi a Calauria si trattenne fno a sera, dopo che Alabanda al mattino era andato per la sua strada.

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Ich blieb am Ufer, blikte still, von den Schmerzen des Ab­ schieds müd, in die See, von einer Stunde zur andern. Die Leidenstage der langsamsterbenden Jugend überzählte mein Geist, und irre, wie die schöne Taube, schwebt’ er über dem Künftigen. Ich wollte mich stärken, ich nahm mein längstver­ gessenes Lautenspiel hervor, um mir ein Schiksaalslied zu sin­ gen, das ich einst in glüklicher unverständiger Jugend meinem Adamas nachgesprochen. Ihr wandelt droben im Licht Auf weichem Boden, seelige Genien! Glänzende Götterlüfte Rühren euch leicht, Wie die Finger der Künstlerin Heilige Saiten. | 745

Schiksaallos, wie der schlafende Säugling, athmen die Himmlischen; Keusch bewahrt In bescheidener Knospe, Blühet ewig Ihnen der Geist, Und die seeligen Augen Bliken in stiller Ewiger Klarheit. Doch uns ist gegeben, Auf keiner Stätte zu ruhn, Es schwinden, es fallen Die leidenden Menschen Blindlings von einer Stunde zur andern, Wie Wasser von Klippe Zu Klippe geworfen, Jahr lang ins Ungewisse hinab.

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Rimasi sulla riva guardando silenzioso il mare, stanco dei dolori dell’addio, un’ora dopo l’altra. Il mio spirito enumerava i giorni sofferenti di una gioventù che si spe­ gneva lentamente e vagava sperduto su quelli futuri, come la bella colomba.287 Per confortarmi tirai fuori il mio liu­ to, da lungo tempo dimenticato, per intonare un canto sul destino che una volta, nella gioventù felice e ignara, avevo imparato dal mio Adamas.288 Vi aggirate lassù nella luce Su un terreno soffce, geni beati! Splendenti brezze divine vi sforano lievi, come le dita dell’artista le sacre corde. | Privi di destino, come il lattante addormentato, respirano i celesti; castamente riposto in un timido bocciolo, forisce eterno in loro lo spirito, e gli occhi beati guardano in quieta eterna chiarezza. Ma a noi non è dato di riposare in alcun luogo scompaiono, cadono gli uomini sofferenti ciecamente da un’ora all’altra, come acqua gettata da roccia su roccia, per anni laggiù nell’incerto.

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So sang ich in die Saiten. Ich hatte kaum geendet, als ein Boot einlief, wo ich meinen Diener gleich erkannte, der mir einen Brief von Diotima überbrachte. So bist du noch auf Erden? schrieb sie, und siehest das Ta­ geslicht noch? Ich dachte dich anderswo zu fnden, mein Lie­ ber! Ich habe früher, als du nachher wünschtest, den Brief er­ halten, den du vor der Schlacht bei Tschesme schriebst und so lebt’ ich eine Woche lang in der Meinung, du habst dem Tod dich in die Arme geworfen, ehe dein Diener ankam mit der frohen Botschaft, daß du noch lebest. Ich hatt’ auch ohnediß noch einige Tage nach der Schlacht gehört, das Schiff, worauf ich dich wußte, sei mit aller Mannschaft in die Luft gefogen. Aber o süße Stimme! noch hört’ ich dich wieder, noch ein­ mal rührte, wie Mailuft, mich die Sprache des Lieben, und dei­ ne schöne Hoffnungsfreude, das holde Phantom unsers künfti­ gen Glüks, hat einen Augenblik auch mich getäuscht. Lieber Träumer, warum muß ich dich weken? warum kann ich | nicht sagen, komm, und mache wahr die schönen Tage, die du mir verheißen! Aber es ist zu spät, Hyperion, es ist zu spät. Dein Mädchen ist verwelkt, seitdem du fort bist, ein Feuer in mir hat mälig mich verzehrt, und nur ein kleiner Rest ist übrig. Entseze dich nicht! Es läutert sich alles Natürliche, und überall windet die Blüthe des Lebens freier und freier vom gröbern Stoffe sich los. Liebster Hyperion! du dachtest wohl nicht, mein Schwa­ nenlied in diesem Jahre zu hören.

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Così cantavo suonando. Avevo appena fnito quando giunse una barca sulla quale riconobbi immediatamente il mio servitore, che mi portava una lettera di Diotima. «Dunque sei ancora sulla terra», scriveva, «e vedi anco­ ra la luce del giorno? Pensavo di incontrarti altrove, mio caro! Ho ricevuto la tua lettera prima del previsto, quel­ la che hai scritto prima della battaglia di Çeşme, e così ho passato una settimana credendo che ti fossi gettato tra le braccia alla morte, prima che arrivasse il tuo servitore con la bella notizia che eri ancora vivo. Ma a parte questo, qualche giorno dopo la battaglia avevo comunque saputo che la nave su cui ti trovavi era saltata in aria con tutto l’equipaggio. Invece, dolce voce, ti ho sentito di nuovo, ancora una volta mi è giunta la voce dell’amato come la brezza di mag­ gio, e la tua gioia bella e piena di speranza, il dolce fanta­ sma della nostra felicità futura ha per un attimo ingannato anche me. Caro sognatore, perché devo svegliarti? Perché non posso | dire: vieni e realizza i bei giorni che mi hai pro­ messo! Ma è troppo tardi, Iperione, è troppo tardi. La tua fanciulla è appassita, da quando sei andato via un fuoco dentro di me mi ha consumata pian piano, solo poco di me resta. Non inorridire, tutto ciò che è natura si purifca, e dovunque il bocciolo della vita si divincola per liberarsi del tutto dalla materia più grezza.289 Carissimo Iperione, non pensavi di certo di ascoltare il mio canto del cigno quest’anno.

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Fortsezung.

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Bald, da du fort warst, und noch in den Tagen des Abschieds feng es an. Eine Kraft im Geiste, vor der ich erschrak, ein inn­ res Leben vor dem das Leben der Erd’ erblaßt’ und schwand, wie Nachtlampen im Morgenroth – soll ichs sagen? ich hät­ te mögen nach Delphi gehn und dem Gott der Begeisterung einen Tempel bauen unter den Felsen des alten Parnaß, und, eine neue Pythia, die schlaffen Völker mit Göttersprüchen ent­ zünden, und meine Seele weiß, den Gottverlaßnen allen hätte der jungfräuliche Mund die Augen geöffnet und die dumpfen Stirnen entfaltet, so mächtig war der Geist des Lebens in mir! Doch müder und müder wurden die sterblichen Glieder und die ängstigende Schwere zog mich unerbittlich hinab. Ach! oft in meiner stillen Laube hab’ ich um der Jugend Rosen geweint! sie welkten und welkten, und nur von Thränen färbte deines Mädchens Wange sich roth. Es waren die vorigen Bäume noch, es war die vorige Laube – da stand einst deine Diotima, dein Kind, Hyperion, vor deinen glüklichen Augen, eine Blume un­ ter den Blumen und die Kräfte der Erde und des Himmels tra­ fen sich friedlich zusammen in ihr; nun gieng sie, eine Fremd­ lingin unter den Knospen des Mais, und ihre Vertrauten, die lieblichen Pfanzen, nikten ihr freundlich, sie aber konnte nur trauern; doch gieng ich keine vorüber, doch nahm ich einen Abschied um den andern von all den Jugendgespielen, den Hainen und Quellen und säuselnden Hügeln. Ach! oft mit schwerer süßer Mühe bin ich noch, so lang ichs | konnte, auf die Höhe gegangen, wo du bei Notara gewohnt, und habe von dir mit dem Freunde gesprochen, so leichten Sinns, als möglich war, damit er nichts von mir dir schreiben sollte; bald aber, wenn das Herz zu laut ward, schlich die Heuchlerin

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Continuazione Poco dopo che te ne sei andato, forse già negli ultimi gior­ ni prima dell’addio è cominciato. Una forza dello spiri­ to che mi faceva spaventare, una vita interiore che faceva impallidire e scomparire la vita della terra, come le luci della notte all’alba. Devo dirtelo? Avrei voluto andare a Delf a costruire un tempio al dio dell’ebbrezza, sotto le rocce dell’antico Parnaso e, novella Pizia,290 avrei voluto infammare con oracoli divini i popoli spenti e, la mia ani­ ma lo sa, le labbra vergini avrebbero aperto gli occhi a tutti i dimenticati da dio, avrebbero spianato le fronti ag­ grottate, tanto potente era in me lo spirito della vita. Ma le membra mortali erano sempre più stanche e una terribile pesantezza mi trascinava inesorabile verso il basso.291 Ah, spesso sotto il pergolato silenzioso ho pianto per le rose della giovinezza che appassivano e appassivano, e solo le lacrime arrossavano le guance della tua fanciulla. Gli albe­ ri erano quelli di prima, il pergolato era quello di prima, dove si intratteneva una volta la tua Diotima, Iperione, la tua bambina sotto il tuo sguardo felice, un fore tra i fori; in lei si incontravano pacifche le potenze del cielo e della terra. Poi invece se ne andava, straniera fra le gemme di maggio, e le sue amiche fdate, le graziose piante, la sa­ lutavano con un cenno affettuoso, mentre lei poteva solo dolersi; comunque non ne ho tralasciata nessuna, ho detto un addio dopo l’altro a tutte le compagne della giovinezza, ai boschi e alle sorgenti e alle colline che sussurrano. Ahimè, qualche volta, fnché potevo, con una dolce fa­ tica | salivo lassù dove hai abitato da Notara e parlavo di te con l’amico, con quanta più leggerezza possibile, affnché non ti scrivesse nulla di me; subito dopo però, quando il cuore cominciava a farsi sentire troppo, l’ingannatrice

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sich hinaus in den Garten, und da war ich nun am Geländer, über dem Felsen, wo ich einst mit dir hinab sah, und hinaus in die offne Natur, ach! wo ich stand, von deinen Händen ge­ halten, von deinen Augen umlauscht, im ersten schaudernden Erwarmen der Liebe und die überwallende Seele auszugießen wünschte, wie einen Opferwein, in den Abgrund des Lebens, da wankt’ ich nun umher und klagte dem Winde mein Laid, und wie ein scheuer Vogel, irrte mein Blik und wagt’ es kaum, die schöne Erde anzusehn, von der ich scheiden sollte.

Fortsezung. So ists mit deinem Mädchen geworden, Hyperion. Frage nicht wie? erkläre diesen Tod dir nicht! Wer solch ein Schiksaal zu ergründen denkt, der fucht am Ende sich und allem, und doch hat keine Seele Schuld daran. Soll ich sagen, mich habe der Gram um dich getödtet? o nein! o nein! er war mir ja willkommen, dieser Gram, er gab dem Tode, den ich in mir trug, Gestalt und Anmuth; deinem Lieblinge zur Ehre stirbst du, konnt’ ich nun mir sagen. – Oder ist mir meine Seele zu reif geworden in all den Be­ geisterungen unserer Liebe und hält sie darum mir nun, wie ein übermüthiger Jüngling, in der bescheidenen Heimath nicht mehr? sprich! war es meines Herzens Üppigkeit, die mich ent­ zweite mit dem sterblichen Leben? ist die Natur in mir durch dich, du Herrlicher! zu stolz geworden, um sichs länger gefal­ len zu lassen auf diesem mittelmäßigen Sterne? Aber hast du sie fiegen gelehrt, warum lehrst du meine Seele nicht auch, dir wiederzukehren? Hast du das ätherliebende Feuer angezün­ det, warum hütetest du mir es nicht? – Höre mich, Lieber! um deiner schönen Seele willen! klage du dich über meinem Tode nicht an! |

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sgusciava in giardino, ed ecco che ero al parapetto sulla roccia, dove una volta mi ero fermata a guardare con te, in basso e lontano nella natura aperta... Ah, dove mi fermai trattenuta dalle tue mani, spiata dai tuoi sguardi, nel primo trepido tepore dell’amore, mentre l’anima stracolma vole­ va riversarsi nell’abisso della vita come vino sacrifcale;292 lì dunque mi aggiravo barcollando, confdando al vento il mio dolore e come un uccello timido il mio sguardo si perdeva e non aveva quasi il coraggio di guardare la bella terra dalla quale dovevo separarmi.

Continuazione Questo è capitato alla tua fanciulla, Iperione. Non chie­ dermi come, non cercare di spiegarti questa morte! Chi pensa di indagare un destino simile, fnisce col maledire se stesso e tutto, e comunque nessuno ne ha colpa. Devo dire che a uccidermi è stata la pena per te? O no, no! Era benvenuta, quella pena, dava alla morte che por­ tavo in me forma e grazia; muori per onorare il tuo amato, mi dicevo. Oppure la mia anima è maturata troppo con tutta l’e­ saltazione del nostro amore e non riesce più a trattenermi nella patria angusta, come un giovane ardimentoso? Dim­ mi, è stata la sovrabbondanza del cuore a separarmi dalla vita mortale? Grazie a te, così splendido, la natura dentro di me è divenuta troppo superba per accontentarsi di que­ sta stella mediocre? Ma se le hai insegnato a volare, perché non insegni alla mia anima anche a tornare da te? Se hai acceso tu questo fuoco che si strugge per il cielo, perché non lo custodisci? Ascoltami, amore mio, per il bene della tua anima bella, non accusarti della mia morte! |

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Konntest du denn mich halten, als dein Schiksaal dir den­ selben Weg wies? und, hättst du im Heldenkampfe deines Herzens mir geprediget – laß dir genügen, Kind! und schik’ in die Zeit dich – wärst du nicht der eitelste von allen eiteln gewesen?

Fortsezung. Ich will es dir gerade sagen, was ich glaube. Dein Feuer lebt’ in mir, dein Geist war in mich übergegangen; aber das hätte schwerlich geschadet, und nur dein Schiksaal hat mein neu­ es Leben mir tödtlich gemacht. Zu mächtig war mir meine Seele durch dich, sie wäre durch dich auch wieder stille ge­ worden. Du entzogst mein Leben der Erde, du hättest auch Macht gehabt, mich an die Erde zu fesseln, du hättest meine Seele, wie in einen Zauberkreis, in deine umfangenden Arme gebannt; ach! Einer deiner Herzensblike hätte mich vest ge­ halten, Eine deiner Liebesreden hätte mich wieder zum frohen gesunden Kinde gemacht; doch da dein eigen Schiksaal dich in Geisteseinsamkeit, wie Wasserfuth auf Bergesgipfel trieb, o da erst, als ich vollends meinte, dir habe das Wetter der Schlacht den Kerker gesprengt und mein Hyperion sei aufgefogen in die alte Freiheit, da entschied sich es mit mir und wird nun bald sich enden. Ich habe viele Worte gemacht, und stillschweigend starb die große Römerin doch, da im Todeskampf ihr Brutus und das Vaterland rang. Was konnt’ ich aber bessers in den besten meiner lezten Lebenstage thun? – Auch treibt michs immer, mancherlei zu sagen. Stille war mein Leben; mein Tod ist be­ redt. Genug!

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Hai potuto trattenermi, quando il destino additò anche a te questa via? E se nella battaglia eroica del tuo cuore avessi potuto consigliarmi: «accontentati, bambina, adat­ tati ai tempi», non saresti stato il più incoerente fra gli in­ coerenti?293

Continuazione Voglio proprio dirti che cosa penso. Il tuo fuoco viveva in me, il tuo spirito era passato in me; ma quello soltanto non mi avrebbe nuociuto, il tuo destino invece ha reso letale la mia nuova vita. Grazie a te la mia anima era diventata troppo possente, ma grazie a te si sarebbe di nuovo ac­ quietata. Tu hai sottratto la mia vita alla terra, ma avresti anche avuto il potere di legarmi alla terra, avresti potuto rinchiudere la mia anima in un tuo abbraccio come in un cerchio magico; sì, uno dei tuoi sguardi amorosi mi avreb­ be trattenuto, una delle tue parole d’amore mi avrebbe reso di nuovo una giovane sana e allegra; ma quando il tuo stesso destino ti ha trascinato nella solitudine dello spirito, sulla vetta del monte come durante il diluvio;294 o forse nel momento in cui mi convinsi defnitivamente che le sorti della battaglia avessero fatto esplodere il tuo carcere e che il mio Iperione fosse tornato in volo all’antica libertà,295 quel momento sancì la mia fne, che ormai verrà presto. Ho parlato molto, la nobile romana morì invece in si­ lenzio, mentre il suo Bruto combatteva all’ultimo sangue per la patria.296 Ma che cosa potevo fare di meglio nei miei ultimi giorni di vita? Del resto sento sempre il desiderio di dire qualcosa. La mia vita è stata silenziosa, la mia morte loquace. Ma basta ora!

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Fortsezung.

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Nur Eines muß ich dir noch sagen. Du müßtest untergehn, verzweifeln müßtest du, doch wird der Geist dich retten. Dich wird kein Lorbeer trösten und kein Myrthenkranz; der Olymp wirds, der lebendige, gegenwärti­ ge, | der ewig jugendlich um alle Sinne dir blüht. Die schöne Welt ist dein Olymp; in diesem wirst du leben, und mit den heiligen Wesen der Welt, mit den Göttern der Natur, mit die­ sen wirst du freudig seyn. O seid willkommen, ihr Guten, ihr Treuen! ihr Tiefver­ mißten, Verkannten! Kinder und Älteste! Sonn’ und Erd’ und Aether mit allen lebenden Seelen, die um euch spielen, die ihr umspielt, in ewiger Liebe! o nimmt die allesversuchenden Men­ schen, nimmt die Flüchtlinge wieder in die Götterfamilie, nimmt in die Heimath der Natur sie auf, aus der sie entwichen! – Du kennst diß Wort, Hyperion! Du hast es angefangen in mir. Du wirsts vollenden in dir, und dann erst ruhn. Ich habe genug daran, um freudig, als ein griechisch Mäd­ chen zu sterben. Die Armen, die nichts kennen, als ihr dürftig Machwerk, die der Noth nur dienen und den Genius verschmähn, und dich nicht ehren, kindlich Leben der Natur! die mögen vor dem Tode sich fürchten. Ihr Joch ist ihre Welt geworden; Besseres, als ihren Knechtsdienst, kennen sie nicht; scheun die Götter­ freiheit, die der Tod uns giebt! Ich aber nicht! ich habe mich des Stükwerks überhoben, das die Menschenhände gemacht, ich hab’ es gefühlt, das Le­ ben der Natur, das höher ist, denn alle Gedanken – wenn ich auch zur Pfanze würde, wäre denn der Schade so groß? – Ich werde seyn. Wie sollt’ ich mich verlieren aus der Sphäre des Le­ bens, worinn die ewige Liebe, die allen gemein ist, die Naturen

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Continuazione Ancora una cosa devo dirti. Tu dovresti sprofondare, dovresti disperarti, invece lo spirito ti salverà. Non ti consolerà l’alloro, né una corona di mirto;297 lo farà l’Olimpo, vivo, presente, | che forisce eternamente giovane intorno a te. La bellezza del mondo è il tuo Olimpo, in quella vivrai e con i sacri esseri del mon­ do, con gli dei della natura, con loro sarai felice.298 Siate i benvenuti voi, buoni e fedeli, voi profondamen­ te rimpianti, misconosciuti, giovani e vecchi! Sole, terra e cielo con tutte le anime viventi che giocano intorno a voi, che voi circondate giocando con eterno amore, accoglie­ te gli uomini che vogliono provare di tutto, accogliete di nuovo i fuggiaschi nella famiglia divina, accoglieteli nella patria della natura, da cui erano fuggiti! Tu conosci queste parole, Iperione, tu le hai messe den­ tro di me. Tu le realizzerai in te, e solo allora avrai pace. Io ne ho avuto parte quanto basta per morire felice, come una ragazza greca. Quei poveretti che non conoscono altro se non il loro misero arrabattarsi, che seguono solo la necessità e di­ sprezzano il genio, e non ti venerano, vita innocente della natura! Quelli hanno paura della morte. Il loro giogo è diventato il loro mondo, non conoscono nulla di meglio del lavoro servile; schivano la libertà degli dei che la morte ci procura. Ma non io! Io mi sono innalzata al di sopra dell’opera fatta dalle mani dell’uomo, io l’ho percepita, la vita della natura che sorpassa ogni intelligenza…299 Se anche diven­ tassi una pianta, sarebbe poi un danno così grande? Conti­ nuerei a esistere. Come potrei uscire dalla sfera della vita300 dove l’amore eterno, che tutto accomuna, tiene uniti tutti

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alle zusammenhält? wie sollt’ ich scheiden aus dem Bunde, der die Wesen alle verknüpft? Der bricht so leicht nicht, wie die losen Bande dieser Zeit. Der ist nicht, wie ein Markttag, wo das Volk zusammenläuft und lärmt und auseinandergeht. Nein! bei dem Geiste, der uns einiget, bei dem Gottesgeiste, der jedem eigen ist und allen gemein! nein! nein! im Bunde der Natur ist Treue kein Traum. Wir trennen uns nur, um inniger einig zu seyn, göttlicherfriedlich mit allem, mit uns. Wir sterben, um zu leben. Ich werde seyn; ich frage nicht, was ich werde. Zu seyn, zu leben, das ist genug, das ist die Ehre der Götter; und darum ist sich alles gleich, was nur ein Leben ist, in der göttlichen Welt, und es | giebt in ihr nicht Herren und Knechte. Es leben umein­ ander die Naturen, wie Liebende; sie haben alles gemein, Geist, Freude und ewige Jugend. Beständigkeit haben die Sterne gewählt, in stiller Lebens­ fülle wallen sie stets und kennen das Alter nicht. Wir stellen im Wechsel das Vollendete dar; in wandelnde Melodien theilen wir die großen Akkorde der Freude. Wie Harfenspieler um die Thronen der Ältesten, leben wir, selbst göttlich, um die stillen Götter der Welt, mit dem füchtigen Lebensliede mildern wir den seligen Ernst des Sonnengotts und der andern. Sieh auf in die Welt! Ist sie nicht, wie ein wandelnder Tri­ umphzug, wo die Natur den ewigen Sieg über alle Verderbniß feiert? und führt nicht zur Verherrlichung das Leben den Tod mit sich, in goldenen Ketten, wie der Feldherr einst die gefan­ genen Könige mit sich geführt? und wir, wir sind wie die Jung­ frauen und die Jünglinge, die mit Tanz und Gesang, in wech­ selnden Gestalten und Tönen den majestätischen Zug geleiten. Nun laß mich schweigen. Mehr zu sagen, wäre zu viel. Wir werden wohl uns wieder begegnen. –

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gli esseri viventi nella natura? Come potrei sciogliermi dal patto che collega tutti gli esseri? Non si rompe così facil­ mente, come i lacci allentati di questo nostro tempo. Non è come il giorno di mercato, quando tutto il popolo si ri­ trova, fa confusione e poi se ne va. No, per lo spirito che ci unisce, per lo spirito di dio che è di ciascuno e di tutti, no, no!301 Nel patto della natura la fedeltà non è un sogno. Ci separiamo solo per unirci più intimamente, divinamente pacifcati con tutto, con noi stessi. Moriamo per vivere.302 Continuerò a esistere; non voglio sapere in quale forma. Esistere, vivere è suffciente, è onorare gli dei; in questo tut­ to quello che vive nel mondo divino si equivale, e | laggiù non vi sono né padroni né servi.303 Gli esseri viventi nella natura vivono gli uni per gli altri, come gli innamorati; han­ no tutto in comune, spirito, gioia e giovinezza eterna. Le stelle hanno scelto la costanza, in una quieta pienez­ za di vita si muovono sempre e non conoscono vecchiaia. Noi rappresentiamo la perfezione nel cambiamento, in mutevoli melodie condividiamo i nobili accordi della gio­ ia.304 Come i suonatori d’arpa accanto al trono dei vegliar­ di viviamo anche noi, divini a nostra volta, accanto alle silenziose divinità del mondo, e con il fugace canto della vita mitighiamo la felice serietà del dio del sole e degli altri dei.305 Alza lo sguardo verso il mondo: non è come un mu­ tevole corteo trionfale, in cui la natura festeggia l’eterna vittoria sulla caducità? E la vita non trascina in catene d’o­ ro la morte per glorifcarsi, come il condottiero un tempo conduceva dietro di sé i re prigionieri? E noi, noi siamo come le vergini e i giovanetti che accompagnano quel ma­ estoso corteo con canti e balli, con molteplici fgure e note. Ora devo tacere. Dire di più sarebbe troppo. Ma ci rin­ contreremo.

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Trauernder Jüngling! bald, bald wirst du glüklicher seyn. Dir ist dein Lorbeer nicht gereift und deine Myrthen verblüh­ ten, denn Priester sollst du seyn der göttlichen Natur, und die dichterischen Tage keimen dir schon. O könnt’ ich dich sehn in deiner künftigen Schöne! Lebe wohl.

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Zugleich erhielt ich einen Brief von Notara, worinn er mir schrieb: Den Tag, nachdem sie dir zum leztenmal geschrieben, wur­ de sie ganz ruhig, sprach noch wenig Worte, sagte dann auch, daß sie lieber möcht’ im Feuer von der Erde scheiden, als be­ graben seyn, und ihre Asche sollten wir in eine Urne sammeln, und in den Wald sie stellen, an den Ort, wo du, mein Theurer! ihr zuerst begegnet wärst. Bald darauf, da es anfeng, dunkel zu werden, sagte sie uns gute Nacht, als wenn sie schlafen möcht’, und schlug die Arme um ihr schönes Haupt; bis gegen Morgen hörten wir sie athmen. Da es dann ganz stille wurde und ich nichts mehr hörte, gieng ich hin zu ihr und lauschte. | O Hyperion! was soll ich weiter sagen? Es war aus und uns­ re Klagen wekten sie nicht mehr. Es ist ein furchtbares Geheimniß, daß ein solches Leben sterben soll und ich will es dir gestehn, ich selber habe weder Sinn noch Glauben, seit ich das mit ansah. Doch immer besser ist ein schöner Tod, Hyperion! denn solch ein schläfrig Leben, wie das unsre nun ist. Die Fliegen abzuwehren, das ist künftig unsre Arbeit und zu nagen an den Dingen der Welt, wie Kinder an der dürren Feigenwurzel, das ist endlich unsre Freude. Alt zu werden un­ ter jugendlichen Völkern, scheint mir eine Lust, doch alt zu werden, da wo alles alt ist, scheint mir schlimmer, denn alles. – Ich möchte fast dir rathen, mein Hyperion! daß du nicht hieher kommst. Ich kenne dich. Es würde dir die Sinne neh­

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Giovane dolente, tra poco, tra poco sarai più felice! L’alloro non è ancora pronto per te e i tuoi mirti sforisco­ no, perché sarai sacerdote della natura divina, e i giorni poetici stanno già germogliando in te.306 Oh, potessi vedere la tua bellezza futura! Addio». Contemporaneamente ricevetti una lettera di Notara che mi scriveva:307 «L’altro giorno, dopo che ti scrisse per l’ultima volta, divenne molto quieta, pronunciò solo poche parole, dis­ se poi anche che preferiva separarsi dalla terra nel fuoco, piuttosto che essere sepolta, e che le sue ceneri dovevamo raccoglierle in un’urna e porla nel bosco nel luogo dove tu, carissimo, l’avevi incontrata la prima volta.308 Poco dopo, mentre cominciava a imbrunire, ci diede la buona notte come se volesse andare a dormire e incrociò le braccia po­ sandovi il capo; fn verso il mattino la udimmo respirare. Quando poi tutto divenne silenzioso e non si udiva più nulla, andai da lei e tesi l’orecchio. | O Iperione! Che altro devo dire? Era fnita e i nostri lamenti non poterono più svegliarla. È un mistero terribile che una vita simile debba spe­ gnersi e devo confessarti che da quando ho visto una cosa del genere non ho più senno né fede. Ma è sempre meglio una bella morte, Iperione, di una vita ottusa come è ora la nostra. Scacciare le mosche, questo sarà in futuro il nostro compito, e rosicchiare le cose del mondo come i bambini la radice di violetta,309 questa sarà alla fne la nostra gioia. Diventare vecchio in mezzo a popoli giovani sarebbe un piacere, ma invecchiare dove tutto è già vecchio mi sem­ bra la cosa peggiore di tutte. Vorrei quasi consigliarti, Iperione mio, di non venire qui. Ti conosco, impazziresti. E inoltre qui non sei al sicu­

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men. Überdiß bist du nicht sicher hier. Mein Theurer! denk an Diotimas Mutter, denk an mich und schone dich! Ich will es dir gestehn, mir schaudert, wenn ich dein Schik­ saal überdenke. Aber ich meine doch auch, der brennende Sommer trokne nicht die tiefern Quellen, nur den seichten Reegenbach aus. Ich habe dich in Augenbliken gesehn, Hype­ rion! wo du mir ein höher Wesen schienst. Du bist nun auf der Probe, und es muß sich zeigen, wer du bist. Leb wohl. So schrieb Notara; und du fragst, mein Bellarmin! wie jezt mir ist, indem ich diß erzähle? Bester! ich bin ruhig, denn ich will nichts besser haben, als die Götter. Muß nicht alles leiden? Und je treficher es ist, je tie­ fer! Leidet nicht die heilige Natur? O meine Gottheit! daß du trauern könntest, wie du seelig bist, das konnt’ ich lange nicht fassen. Aber die Wonne, die nicht leidet, ist Schlaf, und ohne Tod ist kein Leben. Solltest du ewig seyn, wie ein Kind und schlummern, dem Nichts gleich? den Sieg entbehren? nicht die Vollendungen alle durchlaufen? Ja! ja! werth ist der Schmerz, am Herzen der Menschen zu liegen, und dein Vertrauter zu seyn, o Natur! Denn er nur führt von einer Wonne zur andern, und es ist kein andrer Gefährte, denn er. – Damals schrieb ich an Notara, als ich wieder anfeng aufzu­ leben, von Sicilien aus, wohin ein Schiff von Paros mich zuerst gebracht: | Ich habe dir gehorcht, mein Theurer! bin schon weit von euch und will dir nun auch Nachricht geben; aber schwer wird mir das Wort; das darf ich wohl gestehen. Die Seeligen, wo Di­ otima nun ist, sprechen nicht viel; in meiner Nacht, in der Tiefe der Traurenden, ist auch die Rede am Ende. Einen schönen Tod ist meine Diotima gestorben; da hast du Recht; das ists auch, was mich aufwekt, und meine Seele mir wiedergibt. Aber es ist die vorige Welt nicht mehr, zu der ich wiederkeh­ re. Ein Fremdling bin ich, wie die Unbegrabnen, wenn sie herauf

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ro. Mio caro, pensa alla madre di Diotima, pensa a me e risparmiati questo. Devo ammettere che rabbrividisco, se penso al tuo de­ stino. Ma penso anche che l’estate torrida non può pro­ sciugare le sorgenti più profonde, bensì solo il sottile riga­ gnolo. Alcune volte, Iperione, quando ti guardavo vedevo in te un essere superiore; ora sei nel periodo di prova, devi ancora dimostrare chi sei. Abbi cura di te». Così scriveva Notara. E tu mi chiedi come mi sento, Bellarmino, mentre te lo racconto? Amico caro, sono tranquillo,310 perché non voglio sorte migliore di quella degli dei. Non deve soffrire ogni cosa? E quanto più è bella, tanto più soffre! Non soffre la natura sacra? Mia divinità, come potessi rattristarti pur essendo così felice, per lungo tempo non l’ho compreso. Ma l’esta­ si che non soffre è torpore, e senza morte non c’è vita.311 Avresti dovuto essere eterna, come un bimbo, e rimanere assopita simile al nulla, rinunciare alla vittoria, non attra­ versare tutti gli stadi della perfezione? Sì, sì, è prezioso il dolore di chi sta nel cuore degli uomini ed è il tuo conf­ dente, o natura, perché conduce solo da un’estasi all’altra, e non c’è altro compagno al di fuori di lui. Quando cominciai a riprendermi scrissi a Notara, dalla Sicilia, dove mi aveva portato una nave da Paros. | «Ti ho ubbidito, mio caro! Sono già molto lontano da voi e voglio darti mie notizie; ma mi è diffcile trovare le parole, devo ammetterlo. I beati, con i quali è ora Diotima, non parlano molto; nella mia notte, nel profondo del lutto, anche il parlare ha fne. Una bella morte ha avuto la mia Diotima, hai ragione;312 e questo è quello che mi risveglia, e mi ridona l’anima. Ma il mondo a cui torno non è più lo stesso di prima. Sono uno straniero, come i morti insepolti quando risalgo­

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vom Acheron kommen, und wär’ ich auch auf meiner heimat­ lichen Insel, in den Gärten meiner Jugend, die mein Vater mir verschließt, ach! dennoch, dennoch, wär’ ich auf der Erd’ ein Fremdling und kein Gott knüpft’ ans Vergangne mich mehr. Ja! es ist alles vorbei. Das muß ich nur recht oft mir sagen, muß damit die Seele mir binden, daß sie ruhig bleibt, sich nicht erhizt in ungereimten kindischen Versuchen. Es ist alles vorbei; und wenn ich gleich auch weinen könnte, schöne Gottheit, wie du um Adonis einst geweint, doch kehrt mir meine Diotima nicht wieder und meines Herzens Wort hat seine Kraft verloren, denn es hören mich die Lüfte nur. O Gott! und daß ich selbst nichts bin, und der gemeins­ te Handarbeiter sagen kann, er habe mehr gethan, denn ich! daß sie sich trösten dürfen, die Geistesarmen, und lächeln und Träumer mich schelten, weil meine Thaten mir nicht reiften, weil meine Arme nicht frei sind, weil meine Zeit dem wütenden Prokrustes gleicht, der Männer, die er feng, in eine Kinder­ wiege warf, und daß sie paßten in das kleine Bett, die Glieder ihnen abhieb. Wär’ es nur nicht gar zu trostlos, allein sich unter die närri­ sche Menge zu werfen und zerrissen zu werden von ihr! oder müßt’ ein edel Blut sich nur nicht schämen, mit dem Knechts­ blut sich zu mischen! o gäb’ es eine Fahne, Götter! wo mein Alabanda dienen möcht’, ein Thermopylä, wo ich mit Ehren sie verbluten könnte, all die einsame Liebe, die mir nimmer brauchbar ist! Noch besser wär’ es freilich, wenn ich leben könnte, leben, in den neuen Tempeln, in der neuversammelten Agora unsers Volks mit großer Lust den großen Kummer stil­ len; aber davon schweig’ ich, | denn ich weine nur die Kraft mir vollends aus, wenn ich an Alles denke. Ach Notara! auch mit mir ists aus; verlaidet ist mir meine eigne Seele, weil ich ihrs vorwerfen muß, daß Diotima todt ist, und die Gedanken meiner Jugend, die ich groß geachtet,

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no dall’Acheronte,313 e lo sarei anche nella mia isola natale, nei giardini della giovinezza che mio padre mi preclude: anche lì, anche lì sarei uno straniero sulla terra, e nessun dio può più ricongiungermi al passato. Sì, è tutto fnito. Devo ripetermelo spesso, devo legare l’anima in questo modo affnché resti calma e non si acca­ nisca in tentativi infantili e assurdi. Tutto è fnito, e anche se potessi piangere, bella divi­ nità, come tu hai pianto una volta per Adone,314 la mia Diotima non ritornerebbe a me e la parola del mio cuore ha perso la sua forza, perché solo l’aria mi ascolta. O Dio, io sono un nulla, persino l’ultimo degli operai può dire di aver fatto più di me! Così si consoleranno, quei miserabili, sorrideranno e mi daranno del visionario, perché le mie azioni non sono maturate, perché le mie braccia non sono libere, perché la mia epoca assomiglia al rabbioso Procuste, che metteva gli uomini che catturava in una culla, e per farceli stare mozzava loro gli arti.315 Se solo non fosse così sconfortante gettarsi da sé nella massa sciocca per lasciarsi dilaniare! Se solo il sangue no­ bile non dovesse vergognarsi di mescolarsi con il sangue dei servi, se solo ci fosse una bandiera, per gli dei, sotto la quale il mio Alabanda potesse combattere, ci fossero delle Termopili dove versare con onore il sangue di tutto l’amore solitario che ormai non ha più scopo! Ancora me­ glio sarebbe, in effetti, se potessi vivere, vivere nei nuovi templi, placare il mio grande dolore con una grande gioia, nella nuova agora del nostro popolo; ma taccio, | perché non faccio altro che consumare piangendo le mie ultime energie, se penso a tutto ciò. Ahimè Notara, anche per me è fnita. La mia stessa ani­ ma mi è insopportabile, perché le rimprovero la morte di Diotima, e i sogni dell’adolescenza, che rispettavo tanto,

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gelten mir nichts mehr. Haben sie doch meine Diotima mir vergiftet! Und nun sage mir, wo ist noch eine Zufucht? – Gestern war ich auf dem Aetna droben. Da fel der große Sicilianer mir ein, der einst des Stundenzählens satt, vertraut mit der Seele der Welt, in seiner kühnen Lebenslust sich da hinabwarf in die herrlichen Flammen, denn der kalte Dichter hätte müssen am Feuer sich wärmen, sagt’ ein Spötter ihm nach. O wie gerne hätt’ ich solchen Spott auf mich geladen! aber man muß sich höher achten, denn ich mich achte, um so unge­ rufen der Natur ans Herz zu fiegen, oder wie du es sonst noch heißen magst, denn wirklich! wie ich jezt bin, hab ich keinen Nahmen für die Dinge und es ist mir alles ungewiß. Notara! und nun sage mir, wo ist noch Zufucht? In Kalaureas Wäldern? – Ja! im grünen Dunkel dort, wo unsre Bäume, die Vertrauten unsrer Liebe stehn, wo, wie ein Abendroth, ihr sterbend Laub auf Diotimas Urne fällt und ihre schönen Häupter sich auf Diotimas Urne neigen, mälig alternd, bis auch sie zusammensinken über der geliebten Asche, – da, da könnt’ ich wohl nach meinem Sinne wohnen! Aber du räthst mir, wegzubleiben, meinst, ich sei nicht si­ cher in Kalaurea und das mag so seyn. Ich weiß es wohl, du wirst an Alabanda mich verweisen. Aber höre nur! zertrümmert ist er! verwittert ist der veste, schlanke Stamm, auch er; und die Buben werden die Späne aufesen und damit ein lustig Feuer sich machen. Er ist fort; er hat gewisse gute Freunde, die ihn erleichtern werden, die ganz eigentlich geschikt sind, jedem abzuhelfen, dem das Leben et­ was schwer aufiegt; zu diesen ist er auf Besuch gegangen, und warum? weil sonst nichts für ihn zu thun ist, oder, wenn du alles wissen willst, weil eine Leidenschaft am Herzen ihm nagt, und weist du auch für wen? für Diotima, die er noch im Leben

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non hanno più valore per me.316 Hanno avvelenato la mia Diotima! Ma dimmi ora, dove troverò mai rifugio? Ieri ero lassù sull’Etna, e mi venne in mente il grande siciliano317 che, stanco di contare le ore, confdando nell’anima del mon­ do,318 si gettò con la sua ardita voglia di vivere nelle splen­ dide famme; perché il poeta freddo doveva riscaldarsi al fuoco, disse poi uno dei suoi detrattori.319 Molto volentieri avrei preso su di me quello scherno! Ma bisogna avere più considerazione di sé di quanta ne abbia io, per volare così, non chiamati, al cuore della na­ tura o come vuoi defnirlo, perché davvero, per come mi sento ora, non so chiamare le cose con il loro nome e tutto mi pare incerto. Notara dimmi ora, dove troverò rifugio? Nei boschi di Calauria? Sì, nella verde oscurità, là dove ci sono i nostri alberi, i confdenti del nostro amore, dove le loro foglie morte cadono sull’urna di Diotima come il rosso della sera, e le loro belle chiome si chinano sull’ur­ na di Diotima, invecchiando lentamente fnché anche loro non cadranno sulle amate ceneri... Là, là piacerebbe anche a me abitare! Ma tu mi consigli di rimanere lontano, ritieni che io non sia sicuro a Calauria e potresti aver ragione. Lo so bene, mi indirizzeresti ad Alabanda. Ma vedi, è distrutto! Disfatto dalle intemperie è il tronco solido e snello, anche lui, e i ragazzini raccoglieranno i trucioli per farsi un bel fuoco. Se n’è andato, ha certi buoni amici che lo aiuteranno, che anzi sono molto abili nell’aiutare chiun­ que abbia qualche diffcoltà a vivere. È andato a trovare costoro, e perché? Perché altrimenti non avrebbe nulla da fare, oppure, se vuoi proprio sapere tutto, perché una passione gli rode il cuore, e sai per chi? Per Diotima, che

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glaubt, vermählt mit mir und glüklich – armer Alabanda! nun gehört sie dir und mir! | Er fuhr nach Osten hinaus und ich, ich schiffe nach Nord­ west, weil es die Gelegenheit so haben will. – Und nun lebt wohl, ihr Alle! all’ ihr Theuern, die ihr mir am Herzen gelegen, Freunde meiner Jugend und ihr Eltern und ihr lieben Griechen all’, ihr Leidenden! Ihr Lüfte, die ihr mich genährt, in zarter Kindheit, und ihr dunkeln Lorbeerwälder und ihr Uferfelsen und ihr majestäti­ schen Gewässer, die ihr Großes ahnen meinen Geist gelehrt – und ach! ihr Trauerbilder, ihr, wo meine Schwermuth anhub, heilige Mauern, womit die Heldenstädte sich umgürtet und ihr alten Thore, die manch schöner Wanderer durchzog, ihr Tem­ pelsäulen und du Schutt der Götter! und du, o Diotima! und ihr Thäler meiner Liebe, und ihr Bäche, die ihr sonst die seelige Gestalt gesehn, ihr Bäume, wo sie sich erheitert, ihr Frühlinge, wo sie gelebt, die Holde mit den Blumen, scheidet, scheidet nicht aus mir! doch, soll es seyn, ihr süßen Angedenken! so er­ löscht auch ihr und laßt mich, denn es kann der Mensch nichts ändern und das Licht des Lebens kommt und scheidet, wie es will. Hyperion an Bellarmin. So kam ich unter die Deutschen. Ich foderte nicht viel und war gefaßt, noch weniger zu fnden. Demüthig kam ich, wie der hei­ mathlose blinde Oedipus zum Thore von Athen, wo ihn der Götterhain empfeng; und schöne Seelen ihm begegneten – Wie anders ging es mir! Barbaren von Alters her, durch Fleiß und Wissenschaft und selbst durch Religion barbarischer geworden, tiefunfähig je­ des göttlichen Gefühls, verdorben bis ins Mark zum Glük der

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egli crede ancora viva e sposata con me e felice... Povero Alabanda! Ora appartiene a te e a me. | Se ne è andato verso Est mentre io, io navigo verso Nord­Ovest, perché il caso ha voluto così.320 E ora addio, a voi tutti! Voi tutti, miei cari, che mi siete nel cuore, amici della mia giovinezza, voi genitori e voi greci tutti, che soffrite! Voi brezze, che mi avete nutrito nella tenera infanzia, e voi scuri boschi di alloro, voi scogliere e acque maestose che avete insegnato al mio spirito a intuire cose grandi... E voi, ahimè, immagini tetre dove è cominciata la mia tri­ stezza, mura sacre di cui si cingevano le città degli eroi e voi antiche porte, da cui è passato qualche bel viandante, voi colonne dei templi e voi, rovine degli dei, e tu, Dio­ tima, e voi valli del mio amore, ruscelli che spesso avete visto la sua immagine beata, alberi dove si rallegrava, pri­ mavere in cui è vissuta, soave, con i fori: non allontana­ tevi, non allontanatevi da me! Ma se ciò deve accadere, dolci ricordi, allora spegnetevi anche voi e lasciatemi solo, poiché l’uomo non può cambiare nulla e la luce della vita va e viene come vuole». iperione a Bellarmino Così arrivai tra i tedeschi.321 Non pretendevo molto e mi aspettavo ancora di meno. Arrivai umile come il cieco Edi­ po senza patria alle porte di Atene, dove lo accolse il bo­ schetto degli dei e anime belle gli andarono incontro...322 Come è stato diverso per me! Barbari da tempi remoti,323 divenuti con l’impegno, la scienza e persino con la religione ancora più barbari, pro­ fondamente incapaci di qualsiasi sentimento divino, cor­

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heiligen Grazien, in jedem Grad der Übertreibung und der Ärmlichkeit belaidigend für jede gutgeartete Seele, dumpf und harmonielos, wie die Scherben eines weggeworfenen Gefäßes – das, mein Bellarmin! waren meine Tröster. Es ist ein hartes Wort und dennoch sag’ ichs, weil es Wahr­ heit ist: ich kann kein Volk mit denken, das zerrißner wäre, wie die Deutschen. Handwerker siehst du, aber keine Menschen, Denker, aber keine Menschen, Priester, aber keine Menschen, Herrn | und Knechte, Jungen und gesezte Leute, aber keine Menschen – ist das nicht, wie ein Schlachtfeld, wo Hände und Arme und alle Glieder zerstükelt untereinander liegen, indes­ sen das vergoßne Lebensblut im Sande zerrinnt? Ein jeder treibt das Seine, wirst du sagen, und ich sag’ es auch. Nur muß er es mit ganzer Seele treiben, muß nicht jede Kraft in sich erstiken, wenn sie nicht gerade sich zu seinem Titel paßt, muß nicht mit dieser kargen Angst, buchstäblich heuchlerisch das, was er heißt, nur seyn, mit Ernst, mit Liebe muß er das seyn, was er ist, so lebt ein Geist in seinem Thun, und ist er in ein Fach gedrükt, wo gar der Geist nicht leben darf, so stoß ers mit Verachtung weg und lerne pfügen! Deine Deutschen aber bleiben gerne beim Nothwendigsten, und dar­ um ist bei ihnen auch so viele Stümperarbeit und so wenig Frei­ es, Ächterfreuliches. Doch das wäre zu verschmerzen, müßten solche Menschen nur nicht fühllos seyn für alles schöne Leben, ruhte nur nicht überall der Fluch der gottverlaßnen Unnatur auf solchem Volke. – Die Tugenden der Alten sei’n nur glänzende Fehler, sagt’ einmal, ich weiß nicht, welche böse Zunge; und es sind doch selber ihre Fehler Tugenden, denn da noch lebt’ ein kindlicher, ein schöner Geist, und ohne Seele war von allem, was sie tha­

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rotti fn nel midollo per la fortuna delle sacre Grazie,324 offensivi, arroganti e meschini oltre ogni misura nei con­ fronti delle anime sensibili, ottusi e privi di armonia come i cocci di un vaso gettato via – quelli, caro Bellarmino, furono i miei consolatori. Sono parole dure, eppure le dico perché vere: non pos­ so immaginare un popolo che sia più disgregato dei tede­ schi. Vedi operai, ma non uomini, pensatori ma non uo­ mini, sacerdoti, ma non uomini, padroni | e servi, giovani e adulti, ma non uomini...325 Non assomigliano forse a un campo di battaglia, dove mani, braccia e altri arti giaccio­ no mozzati alla rinfusa, mentre il sangue vitale si riversa nella sabbia? Ognuno si fa i fatti suoi, dirai, e anch’io ho detto lo stesso. Solo che dovrebbe dedicarcisi con tutta l’anima, senza soffocare tutte le energie dentro di sé, se non voglio­ no adattarsi esattamente a quel compito; non dovrebbe ricoprire il suo ruolo con parsimonioso timore, come fosse un impostore patentato; dovrebbe svolgerlo con serietà e amore, solo così lo spirito vivrebbe nelle sue azioni, e se venisse mai costretto a un lavoro del tutto incompatibile con lo spirito, lo abbandoni piuttosto con disprezzo e im­ pari a zappare! I tuoi tedeschi invece si limitano volentieri all’indispensabile, e così ci sono tantissime cose fatte ap­ prossimativamente e poche fatte con libertà, con autentico piacere. Ma questo si potrebbe ancora tollerare se quegli uomini non fossero insensibili per tutto ciò che di bello c’è nella vita, se su quel popolo non gravasse dovunque la maledizione della natura assente, abbandonata da dio. Le virtù degli antichi sarebbero solo splendidi difetti, disse una volta non so quale mala lingua;326 invece persino i loro difetti sono virtù, perché allora viveva ancora un spi­ rito innocente, bello, e nulla di ciò che si faceva era fatto

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ten, nichts gethan. Die Tugenden der Deutschen aber sind ein glänzend Übel und nichts weiter; denn Nothwerk sind sie nur, aus feiger Angst, mit Sclavenmühe, dem wüsten Herzen abge­ drungen, und lassen trostlos jede reine Seele, die von Schönem gern sich nährt, ach! die verwöhnt vom heiligen Zusammen­ klang in edleren Naturen, den Mislaut nicht erträgt, der schrei­ end ist in all der todten Ordnung dieser Menschen. Ich sage dir: es ist nichts Heiliges, was nicht entheiligt, nicht zum ärmlichen Behelf herabgewürdigt ist bei diesem Volk, und was selbst unter Wilden göttlichrein sich meist erhält, das trei­ ben diese allberechnenden Barbaren, wie man so ein Hand­ werk treibt, und können es nicht anders, denn wo einmal ein menschlich Wesen abgerichtet ist, da dient es seinem Zwek, da sucht es seinen Nuzen, es schwärmt nicht mehr, bewahre Gott! es bleibt gesezt, und wenn es feiert und wenn es liebt und wenn es betet und selber, wenn des Frühlings holdes Fest, wenn die Versöhnungszeit der Welt die | Sorgen alle löst, und Unschuld zaubert in ein schuldig Herz, wenn von der Sonne warmem Strale berauscht, der Sclave seine Ketten froh vergißt und von der gottbeseelten Luft besänftiget, die Menschenfeinde fried­ lich, wie die Kinder, sind – wenn selbst die Raupe sich befügelt und die Biene schwärmt, so bleibt der Deutsche doch in seinem Fach’ und kümmert sich nicht viel ums Wetter! Aber du wirst richten, heilige Natur! Denn, wenn sie nur bescheiden wären, diese Menschen, zum Geseze nicht sich machten für die Bessern unter ihnen! wenn sie nur nicht läster­ ten, was sie nicht sind, und möchten sie doch lästern, wenn sie nur das Göttliche nicht höhnten! – Oder ist nicht göttlich, was ihr höhnt und seellos nennt? Ist besser, denn euer Geschwäz, die Luft nicht, die ihr trinkt? der Sonne Stralen, sind sie edler nicht, denn all’ ihr Klugen? der Erde Quellen und der Morgenthau erfrischen euern Hain;

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senz’anima. Le virtù dei tedeschi sono invece un vizio luc­ cicante e nulla più, perché sono solo atti di necessità che paura e inettitudine estorcono a un cuore arido, con fatica da schiavi, e gettano nello sconforto ogni anima pura che si nutre volentieri della bellezza e che, abituata all’armonia sacra di nature più nobili, non sopporta le stonature che stridono in mezzo all’ordine morto di quegli uomini. Te lo dico io: non c’è nulla di sacro che presso quel po­ polo non sia stato dissacrato, degradato a un misero sur­ rogato, e ciò che persino i selvaggi in genere preservano divinamente puro, quei barbari calcolatori lo considerano alla stregua di un mestiere e non sanno fare diversamen­ te, perché una volta che un essere umano è stato amma­ estrato, ecco che serve allo scopo, cerca il suo utile, non si entusiasma più, Dio lo scampi, ma rimane indifferente quando festeggia e quando ama, quando prega e persino quando viene la soave festa della primavera, il tempo in cui il mondo si riconcilia, | scioglie tutte le ansie e porta d’incanto l’innocenza nel cuore colpevole; quando il rag­ gio caldo del sole diviene inebriante, lo schiavo dimentica allegro le sue catene e, addolciti dalla brezza divina, i ne­ mici dell’uomo diventano pacifci come bambini... Quan­ do persino la larva mette le ali e le api sciamano, il tedesco continua a fare le sue cose senza far caso al tempo!327 Ma sarai tu a giudicarli, natura sacra! Se fossero almeno modesti, quegli uomini, e non si ergessero a giudici sui migliori fra loro! Se solo non deprecassero quello che non sono; o se proprio vogliono deprecarlo, che non disprez­ zassero almeno il divino! O forse quello che disprezzate e chiamate senz’anima non è divino? Non è forse meglio delle vostre chiacchiere anche l’aria che respirate? I raggi del sole, non sono forse più nobili della vostra saccenteria? Le sorgenti della terra

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könnt ihr auch das? ach! tödten könnt ihr, aber nicht lebendig machen, wenn es die Liebe nicht thut, die nicht von euch ist, die ihr nicht erfunden. Ihr sorgt und sinnt, dem Schiksaal zu entlaufen und begreift es nicht, wenn eure Kinderkunst nichts hilft; indessen wandelt harmlos droben das Gestirn. Ihr ent­ würdiget, ihr zerreißt, wo sie euch duldet, die geduldige Na­ tur, doch lebt sie fort, in unendlicher Jugend, und ihren Herbst und ihren Frühling könnt ihr nicht vertreiben, ihren Aether, den verderbt ihr nicht. O göttlich muß sie seyn, weil ihr zerstören dürft, und den­ noch sie nicht altert und troz euch schön das Schöne bleibt! – Es ist auch herzzerreißend, wenn man eure Dichter, eure Künstler sieht, und alle, die den Genius noch achten, die das Schöne lieben und es pfegen. Die Guten! Sie leben in der Welt, wie Fremdlinge im eigenen Hauße, sie sind so recht, wie der Dulder Ulyß, da er in Bettlersgestalt an seiner Thüre saß, indeß die unverschämten Freier im Saale lärmten und fragten, wer hat uns den Landläufer gebracht? Voll Lieb’ und Geist und Hoffnung wachsen seine Musen­ jünglinge dem deutschen Volk’ heran; du siehst sie sieben Jahre später, und sie wandeln, wie die Schatten, still und kalt, sind, wie ein Boden, den der Feind mit Salz besäete, daß er nimmer einen Grashalm treibt; und wenn sie sprechen, wehe dem! der sie | versteht, der in der stürmenden Titanenkraft, wie in ihren Proteuskünsten den Verzweifungskampf nur sieht, den ihr ge­ störter schöner Geist mit den Barbaren kämpft, mit denen er zu thun hat. Es ist auf Erden alles unvollkommen, ist das alte Lied der Deutschen. Wenn doch einmal diesen Gottverlaßnen einer sag­ te, daß bei ihnen nur so unvollkommen alles ist, weil sie nichts Reines unverdorben, nichts Heiliges unbetastet lassen mit den

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e la rugiada del mattino rinfrescano i vostri boschi: voi sapete fare lo stesso? Ahimè, sapete uccidere ma non dare la vita, come fa invece l’amore che non viene da voi e che voi non avete inventato. Vi preoccupate e pensate come sfuggire al destino e non lo capite, e nulla può la vostra arte puerile; nel frattempo, le stelle camminano innocue lassù. Voi disonorate, distruggete la natura paziente che invece vi sopporta, eppure lei continua a vivere in perenne giovinezza, e non potete scacciare la sua primavera e il suo autunno, l’etere non potete rovinarlo. Davvero deve essere divina, infatti potete rovinarla sen­ za che lei invecchi e, nonostante voi, il bello rimane bello! Mi si stringe il cuore nel vedere i vostri poeti, i vostri artisti e tutti coloro che ancora rispettano il genio, coloro che amano il bello e lo coltivano: poveri loro! Vivono nel mondo come stranieri nella loro stessa casa, sono come il paziente Ulisse, quando sedeva sulla soglia della sua casa vestito da mendicante, mentre i pretendenti arroganti vo­ ciferavano nella sala e chiedevano: «chi ha portato qui quel randagio?»328 I fgli delle muse del popolo tedesco crescono pieni di amore, di spirito e speranza; se li guardi sette anni più tardi, li vedi vagare come ombre, muti e freddi, come il terreno che il nemico ha disseminato di sale per non farci crescere più nemmeno un flo d’erba: e quando parlano, guai a colui che li | capisce, guai a chi anche soltanto intui­ sce nella forza tempestosa dei titani e nelle loro arti protei­ che,329 la lotta disperata che il loro spirito bello e avversato conduce contro i barbari con i quali ha a che fare.330 Tutto sulla terra è imperfetto, è la vecchia canzoncina dei tedeschi. Se solo qualcuno spiegasse a questi abbando­ nati da dio che presso di loro tutto è così imperfetto solo perché tutto ciò che è puro viene deturpato, tutto ciò che

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plumpen Händen, daß bei ihnen nichts gedeiht, weil sie die Wurzel des Gedeihns, die göttliche Natur nicht achten, daß bei ihnen eigentlich das Leben schaal und sorgenschwer und übervoll von kalter stummer Zwietracht ist, weil sie den Genius verschmähn, der Kraft und Adel in ein menschlich Thun, und Heiterkeit ins Leiden und Lieb’ und Brüderschaft den Städten und den Häußern bringt. Und darum fürchten sie auch den Tod so sehr, und leiden, um des Austernlebens willen, alle Schmach, weil Höhers sie nicht kennen, als ihr Machwerk, das sie sich gestoppelt. O Bellarmin! wo ein Volk das Schöne liebt, wo es den Geni­ us in seinen Künstlern ehrt, da weht, wie Lebensluft, ein allge­ meiner Geist, da öffnet sich der scheue Sinn, der Eigendünkel schmilzt, und fromm und groß sind alle Herzen und Helden gebiert die Begeisterung. Die Heimath aller Menschen ist bei solchem Volk’ und gerne mag der Fremde sich verweilen. Wo aber so belaidigt wird die göttliche Natur und ihre Künstler, ach! da ist des Lebens beste Lust hinweg, und jeder andre Stern ist besser, denn die Erde. Wüster immer, öder werden da die Menschen, die doch alle schöngeboren sind; der Knecht­ sinn wächst, mit ihm der grobe Muth, der Rausch wächst mit den Sorgen, und mit der Üppigkeit der Hunger und die Nah­ rungsangst; zum Fluche wird der Seegen jedes Jahrs und alle Götter fiehn. Und wehe dem Fremdling, der aus Liebe wandert, und zu solchem Volke kömmt, und dreifach wehe dem, der, so wie ich, von großem Schmerz getrieben, ein Bettler meiner Art, zu sol­ chem Volke kömmt! – Genug! du kennst mich, wirst es gut aufnehmen, Bellarmin! Ich sprach in deinem Nahmen auch, ich sprach für alle, die in diesem Lande sind und leiden, wie ich dort gelitten. |

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è sacro viene palpeggiato dalle loro goffe mani; che nulla germoglia perché non rispettano le radici del germoglio, la natura divina; che per loro la vita è scialba, penosa e carica di fredda e muta diffdenza perché disprezzano il genio che conferisce forza e nobiltà all’agire umano, serenità alla sofferenza e amore e fratellanza alle città e alle famiglie. Per questo temono così tanto la morte e subiscono qualsiasi offesa per amore della loro vita da ostriche, per­ ché non conoscono nulla di meglio delle cosucce che loro stessi hanno rabberciato. O Bellarmino, quando un popolo ama il bello, quando onora il genio nei suoi artisti, lì soffa uno spirito univer­ sale331 come aura vitale, lì si apre la mente timida, l’egoi­ smo si scioglie, pii e nobili sono tutti i cuori e l’entusiasmo genera eroi. Un tale popolo è patria per tutti gli uomini e volentieri vi soggiorna lo straniero. Dove invece la natura divina e i suoi artisti sono così vilipesi, ahimè, là sparisco­ no le gioie migliori della vita, e qualsiasi altro pianeta è migliore della Terra. Sempre più aridi, sempre più deso­ lati divengono gli uomini che sono invece tutti nati belli; cresce la sottomissione e con essa l’arroganza, l’ebbrezza aumenta insieme alle pene, l’opulenza cresce insieme alla fame e all’ansia per il cibo; la benedizione di ogni anno diviene una maledizione e gli dei fuggono. Infelice lo straniero che viaggia per amore e incontra un popolo simile, e tre volte infelice colui che, come me, portato da un grande dolore, un mendicante come me,332 incontra un popolo simile! Basta! Tu mi conosci e non ti offenderai, Bellarmino! Ho parlato anche a tuo nome, ho parlato per tutti coloro che sono in quel Paese e che soffrono come io ho sofferto là.333 |

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Hyperion an Bellarmin. Ich wollte nun aus Deutschland wieder fort. Ich suchte unter diesem Volke nichts mehr, ich war genug gekränkt, von uner­ bittlichen Belaidigungen, wollte nicht, daß meine Seele voll­ ends unter solchen Menschen sich verblute. Aber der himmlische Frühling hielt mich auf; er war die ein­ zige Freude, die mir übrig war, er war ja meine lezte Liebe, wie konnt’ ich noch an andre Dinge denken und das Land verlas­ sen, wo auch er war? Bellarmin! Ich hatt’ es nie so ganz erfahren jenes alte feste Schiksaalswort, daß eine neue Seeligkeit dem Herzen aufgeht, wenn es aushält und die Mitternacht des Grams durchduldet, und daß, wie Nachtigallgesang im Dunkeln, göttlich erst in tiefem Laid das Lebenslied der Welt uns tönt. Denn, wie mit Genien, lebt’ ich izt mit den blühenden Bäumen, und die kla­ ren Bäche, die darunter fossen, säuselten, wie Götterstimmen, mir den Kummer aus dem Busen. Und so geschah mir überall, du Lieber! – wenn ich im Grase ruht’ und zartes Leben mich umgrünte, wenn ich hinauf, wo wild die Rose um den Steinpfad wuchs, den warmen Hügel gieng, auch wenn ich des Stroms Gestade, die luftigen umschifft’ und alle die Inseln, die er zärt­ lich hegt. Und wenn ich oft des Morgens, wie die Kranken zum Heil­ quell, auf den Gipfel des Gebirgs stieg, durch die schlafenden Blumen, aber vom süßen Schlummer gesättiget, neben mir die lieben Vögel aus dem Busche fogen, im Zwielicht taumelnd und begierig nach dem Tag, und die regere Luft nun schon die Gebete der Thäler, die Stimmen der Heerde und die Töne der Morgengloken herauftrug, und jezt das hohe Licht, das göttlichheitre den gewohnten Pfad daherkam, die Erde bezau­ bernd mit unsterblichem Leben, daß ihr Herz erwarmt’ und all’ ihre Kinder wieder sich fühlten – o wie der Mond, der noch

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iperione a Bellarmino Volevo quindi andarmene dalla Germania. Non avevo più nulla da cercare tra quel popolo, ero fn troppo mortifca­ to per le offese impietose e non volevo che la mia anima si dissanguasse completamente tra uomini del genere. Ma la primavera celeste mi trattenne; era l’unica gioia che mi era rimasta, era il mio ultimo amore, come potevo pensare ad altro e abbandonare la terra dove c’era lei? Bellarmino, non avevo mai sperimentato così a fondo quell’antico detto del destino che dice che una nuova fe­ licità si schiude al cuore che persevera nella notte della miseria e che il canto della vita del mondo risuona divino in noi solo nella sofferenza più profonda, come il canto dell’usignolo nel buio. Infatti vivevo allora con gli alberi in fore come fossero geni, e i ruscelli cristallini che scorreva­ no loro accanto mormoravano come voci degli dei, allon­ tanando l’affanno dal mio petto. E così era dappertutto, mio caro! Quando riposavo nell’erba, circondato dal ver­ de della tenera vita, quando salivo sulla collina calda, dove la rosa selvatica cresce lungo il sentiero di pietra, e anche quando navigavo lungo le rive ariose del fume e intorno alle isole che teneramente racchiude. E quando al mattino, spesso, salivo sulla cima del monte come i malati vanno alla sorgente termale, in mezzo ai fori addormentati ma saziati dal dolce riposo, mentre accan­ to a me deliziosi uccellini spiccavano il volo dai cespugli, ancora incerti nella penombra ma desiderosi del giorno, e l’aria più mossa già portava in alto le preghiere delle valli, le voci dei greggi e i rintocchi delle campane mattutine, e poi la luce piena che percorreva il sentiero consueto, divi­ na e serena, incantando la terra con vita immortale, scal­ dandole il cuore mentre i suoi fgli si risvegliano... E come

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am Himmel blieb, die Lust des Tags zu theilen, so stand ich Einsamer dann auch über den Ebnen und weinte Liebesthrä­ nen zu den Ufern hinab und den glänzenden Gewässern und konnte lange das Auge nicht wenden. Oder des Abends, wenn ich fern ins Thal hinein gerieth, zur Wiege des Quells, wo rings die dunkeln Eichhöhn mich | um­ rauschten, mich, wie einen Heiligsterbenden, in ihren Frieden die Natur begrub, wenn nun die Erd’ ein Schatte war, und un­ sichtbares Leben durch die Zweige säuselte, durch die Gipfel, und über den Gipfeln still die Abendwolke stand, ein glänzend Gebirg, wovon herab zu mir des Himmels Stralen, wie die Was­ serbäche fossen, um den durstigen Wanderer zu tränken – O Sonne, o ihr Lüfte, rief ich dann, bei euch allein noch lebt mein Herz, wie unter Brüdern! So gab ich mehr und mehr der seeligen Natur mich hin und fast zu endlos. Wär’ ich so gerne doch zum Kinde geworden, um ihr näher zu seyn, hätt’ ich so gern doch weniger gewußt und wäre geworden, wie der reine Lichtstral, um ihr näher zu seyn! o einen Augenblik in ihrem Frieden, ihrer Schöne mich zu fühlen, wie viel mehr galt es vor mir, als Jahre voll Gedan­ ken, als alle Versuche der allesversuchenden Menschen! Wie Eis, zerschmolz, was ich gelernt, was ich gethan im Leben, und alle Entwürfe der Jugend verhallten in mir; und o ihr Lieben, die ihr ferne seid, ihr Todten und ihr Lebenden, wie innig Eines waren wir! Einst saß ich fern im Feld’, an einem Brunnen, im Schatten epheugrüner Felsen und überhängender Blüthenbüsche. Es war der schönste Mittag, den ich kenne. Süße Lüfte wehten und in morgendlicher Frische glänzte noch das Land und still in seinem heimatlichen Aether lächelte das Licht. Die Men­ schen waren weggegangen, am häuslichen Tische von der Ar­

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la luna indugiava ancora nel cielo per condividere la gioia del giorno, così anch’io me ne stavo solitario sopra le pia­ nure e piangevo lacrime d’amore guardando laggiù verso le sponde dei fumi scintillanti senza poter distogliere lo sguardo. Oppure la sera, quando mi addentravo nella vallata fno alla culla della sorgente, dove intorno a me mormora­ vano le cime scure delle | querce, e la natura mi seppelliva nella sua pace come un santo morente; quando dunque la terra diveniva un’ombra e la vita invisibile frusciava tra i rami, tra le cime, e sopra le vette dei monti posava silen­ ziosa la nuvola della sera, montagne scintillanti dalle quali scorrevano verso di me i raggi del cielo come ruscelli, per dissetare il viandante assetato... «O sole, e voi venti», esclamavo allora, «solo per voi vive ancora il mio cuore, come tra fratelli!» Così mi affdai sempre più incondizionatamente alla na­ tura beata.334 Sarei volentieri tornato bambino per esserle più vicino, avrei volentieri rinunciato alle mie conoscenze per diventare come il puro raggio di luce, per esserle più vicino! Assaporare per un attimo la sua pace, la sua bellez­ za, valeva per me molto più di anni di pensieri, più di tutti i tentativi degli uomini che tutto tentano. Come ghiaccio si scioglieva quello che avevo imparato, quello che avevo fatto nella vita e tutti i progetti della gioventù si spegneva­ no in me; e voi, miei cari che siete lontani, voi morti e voi vivi, come mi sentivo profondamente unito a voi! Un giorno sedevo lontano nei campi, vicino a una fonte ombreggiata da rocce verdi di edera e da cespugli rampi­ canti in fore. Era la mattina più bella che avessi mai visto. Dolci brezze soffavano, nella frescura del mattino la terra scintillava ancora e la luce sorrideva silenziosa nella pa­ tria eterea. Gli uomini erano tornati a casa, a tavola, per

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beit zu ruhn; allein war meine Liebe mit dem Frühling, und ein unbegreifich Sehnen war in mir. Diotima, rief ich, wo bist du, o wo bist du? Und mir war, als hört’ ich Diotimas Stimme, die Stimme, die mich einst erheitert’ in den Tagen der Freude – Bei den Meinen, rief sie, bin ich, bei den Deinen, die der irre Menschengeist miskennt! Ein sanfter Schreken ergriff mich und mein Denken ent­ schlummerte in mir. O liebes Wort aus heilgem Munde, rief ich, da ich wieder erwacht war, liebes Räthsel, faß ich dich? Und Einmal sah’ ich noch in die kalte Nacht der Menschen zurük und schauert’ und weinte vor Freuden, daß ich so seelig war und Worte sprach ich, wie mir dünkt, aber sie waren, wie des | Feuers Rauschen, wenn es auffiegt und die Asche hinter sich läßt. – »O du, so dacht’ ich, mit deinen Göttern, Natur! ich hab’ ihn ausgeträumt, von Menschendingen den Traum und sage, nur du lebst, und was die Friedenslosen erzwungen, erdacht, es schmilzt, wie Perlen von Wachs, hinweg von deinen Flammen! Wie lang ists, daß sie dich entbehren? o wie lang ists, daß ihre Menge dich schilt, gemein nennt dich und deine Götter, die Lebendigen, die Seeligstillen! Es fallen die Menschen, wie faule Früchte von dir, o laß sie untergehn, so kehren sie zu deiner Wurzel wieder, und ich, o Baum des Lebens, daß ich wieder grüne mit dir und deine Gipfel umathme mit all deinen knospenden Zweigen! friedlich und innig, denn alle wuchsen wir aus dem goldnen Saamkorn herauf! Ihr Quellen der Erd’! ihr Blumen! und ihr Wälder und ihr Adler und du brüderliches Licht! wie alt und neu ist unsere Liebe! – Frei sind wir, gleichen uns nicht ängstig von außen;

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riposare dal lavoro; il mio amore era solo con la prima­ vera, e sentivo in me uno struggimento incomprensibile. «Diotima», esclamai, «dove sei, dove sei?» E mi sembrò di sentire la voce di Diotima, la voce che una volta, nei giorni della gioia, mi aveva rallegrato... «Sono con i miei cari», rispose, «sono con i tuoi cari, che lo spirito dell’uomo, smarrito, misconosce!» Un dolce spavento mi colse e il pensiero in me si spense.335 «Care parole da labbra sacre», esclamai quando mi fui ripreso, «amato enigma, ti comprendo?» Un’altra volta guardavo indietro nella notte fredda de­ gli uomini e rabbrividii piangendo di gioia perché ero così felice, e parlai, mi sembra, ma le parole erano come lo | scoppiettare del fuoco quando la famma si alza e lascia dietro di sé la cenere.336 Tu con i tuoi dei, o natura! pensai. L’ho sognato, il so­ gno delle vicende umane, e dico che tu sola vivi, mentre quello che gli uomini senza pace hanno conquistato con la forza e inventato si scioglie come cera davanti alla tua famma. Da quanto tempo hanno rinunciato a te, da quanto tempo la maggior parte di loro ti deride, defnisce volgari te e i tuoi dei, i viventi, i quietamente beati? Gli uomini si staccano da te come frutti marci: lasciali morire, così torneranno di nuovo alle tue radici, e io, al­ bero della vita,337 fa’ che io rinverdisca con te e respiri con le cime dei tuoi alberi e con i loro rami che germogliano, pacifco e sincero, perché tutti noi siamo cresciuti dal do­ rato chicco di grano! Voi sorgenti della terra, e voi fori, e voi boschi e aquile, e tu luce fraterna! Come è antico e nuovo il nostro amore! Siamo liberi, e non temiamo di assomigliarci esteriormen­ te; perché mai non dovrebbe cambiare il nostro modo di

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wie sollte nicht wechseln die Weise des Lebens? wir lieben den Aether doch all’ und innigst im Innersten gleichen wir uns. Auch wir, auch wir sind nicht geschieden, Diotima! und die Thränen um dich verstehen es nicht. Lebendige Töne sind wir, stimmen zusammen in deinem Wohllaut, Natur! wer reißt den? wer mag die Liebenden scheiden? – O Seele! Seele! Schönheit der Welt! du unzerstörbare! du entzükende! mit deiner ewigen Jugend! du bist; was ist denn der Tod und alles Wehe der Menschen? – Ach! viel der leeren Worte haben die Wunderlichen gemacht. Geschiehet doch al­ les aus Lust, und endet doch alles mit Frieden. Wie der Zwist der Liebenden, sind die Dissonanzen der Welt. Versöhnung ist mitten im Streit und alles Getrennte fn­ det sich wieder. Es scheiden und kehren im Herzen die Adern und einiges, ewiges, glühendes Leben ist Alles.« So dacht’ ich. Nächstens mehr.

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vivere? Tutti noi amiamo l’etere e ci assomigliamo profon­ damente nell’intimo.338 Nemmeno noi, nemmeno noi siamo separati, Diotima! Ma le lacrime versate per te non lo capiscono. Siamo note viventi, e ci accordiamo insieme nella tua armonia, o na­ tura! Chi può distruggerla? Chi può separare gli amanti? O anima, anima, bellezza del mondo, indistruttibile, inebriante con la tua eterna giovinezza!339 Tu sei; che cosa sono in confronto la morte e tutti i dolori degli uomini? Ah, troppe parole vuote sono state dette da quelle strane creature. Eppure tutto avviene per la gioia, e tutto fnisce nella pace. Le dissonanze del mondo sono come il litigio degli in­ namorati. La riconciliazione è nel mezzo della lite e tutto ciò che è diviso si ricongiunge.340 Si allontanano e tornano al cuore le vene, e un’unica vita eterna e ardente è in tutte le cose. Così pensavo. Ma ne parleremo ancora.341

Note all’IperIone 1

«Non essere limitato da ciò che è più grande, essere contenuto da ciò che è piccolo, questo è divino». Il motto è tratto da un lungo epitaffo redatto da un anonimo gesuita dei Paesi Bassi in onore del padre fondatore, Ignazio di Loyola, ed era stato pubblicato per la prima volta nel 1640 nella raccolta Imago primi saeculi (pp. 280-282). Hölderlin lo ha rinvenuto forse nello scritto di Peter Philipp Wolf: Allgemeine Geschichte der Jesuiten (vol. I, p. 215), e in quelle parole vede riassunto il tratto dominante del suo personaggio: la tensione verso l’assoluto, il desiderio di ampliare i confni del proprio io in modo illimitato e, allo stesso tempo, trovare la felicità nei piccoli particolari della natura. Sono i due moti contrapposti che caratterizzano l’uomo e la sua esistenza. La citazione era stata utilizzata già nel Frammento di Iperione (cfr. i materiali preparatori in Appendice), dove l’autore la commentava così: «L’uomo desidera essere in tutto e sopra a tutto, e la frase [...] indica sia il lato pericoloso dell’uomo che pretende tutto e vuole sottomettere tutto, sia la condizione più alta e più bella che egli possa raggiungere. In quale dei due sensi essa debba valere per ciascuno, lo deciderà il suo libero arbitrio» (p. |489|). L’interpretazione hölderliniana si muove dunque in un orizzonte neoplatonico, che considerava il divino come totalità nella quale gli opposti tornano a coincidere (coincidentia oppositorum) e come unità del più grande e del più piccolo. Trovare un equilibrio fra i due estremi è compito della libertà dell’uomo, della sua capacità di autodeterminarsi e di incidere sulla realtà che lo circonda. Sull’immagine di Platone nel Settecento e la ricezione di vari aspetti della sua flosofa si tornerà più oltre. 2 Sia nel Frammento di Iperione, sia nei materiali per la Penultima stesura era stata abbozzata una prefazione di taglio completamente diverso, prettamente flosofco, incentrata sulla questione teorica dei due ideali tra i quali oscilla la vita umana, così ben individuati nell’esergo. In entrambe erano presenti il celebre concetto della «traiettoria eccentrica» e il tema del rapporto dell’uomo con la natura, dell’unifcazione dei due estremi (cfr. Appendice, p. |489| e p. |558|,

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con le relative note). Nella versione defnitiva, invece, la rifessione si sposta dal piano flosofco-antropologico a quello poetologico, nel tentativo di tratteggiare brevemente una teoria del romanzo che prenda le distanze sia dalle opere di intrattenimento, sia dalla letteratura pedagogico-moralistica settecentesca. reitani (La «terra incognita» del romanzo) sottolinea anche la dimensione politico-pedagogica di questa prefazione, dove Hölderlin tratteggia ex negativo il proflo del lettore ideale, individuato nel cittadino di una nazione; ma l’autore riprende anche un flone della teoria del romanzo coeva, laddove dichiara di voler privilegiare la dimensione interiore di un carattere e il ridimensionamento della trama rispetto alle connessioni che legano gli eventi (il testo di riferimento per la teoria del romanzo dell’epoca è Blanckenburg: Versuch über den Roman, 1774). Nel brevissimo testo di questa prefazione sono già racchiusi quindi moltissimi spunti. 3 L’intuizione dell’autore, in effetti, si avvererà: il romanzo non avrà particolare successo, se non all’interno di una ristretta cerchia di amici, e la sua risonanza sarà molto limitata (cfr. Cronologia di Iperione). Hölderlin percepisce chiaramente l’enorme distanza che lo separa dal formalismo morale ed estetico di cui si alimentava la fase tarda dell’Aufklärung, al quale si stava contrapponendo con forza il primo idealismo di fne Settecento ed egli, uno dei protagonisti principali di questa stagione, era ben consapevole di essere «abbastanza in contrasto con il gusto del pubblico attualmente in voga», a cui non sembrava peraltro essere disposto a cedere: «ma anche in futuro non perderò la mia ostinazione, e spero di riuscire ugualmente a farmi strada», scriveva al fratello (2 novembre 1797 – MA, vol. II, pp. 669-670. ove non diversamente indicato, le traduzioni sono della curatrice). – Molti studiosi hanno indagato i diversi percorsi della ricezione dell’opera hölderliniana; tra i numerosi studi si segnalano: Cordibella: Hölderlin in Italia; Castellari: Friedrich Hölderlin: Hyperion nello specchio della critica; reitani: «Hörst du Hölderlin noch?» Zur lyrischen Nachwirkung Hölderlins; Pellegrini: Hölderlin in Italia; id.: Friedrich Hölderlin: Sein Bild in der Forschung; Beck: Das Hölderlinbild in der Forschung von 1939 bis 1945; Albert: «Dient Kulturarbeit den Sieg?» Hölderlin-Rezeption 1933-1945. 4 In un poderoso sforzo di sintesi vengono additati in poche battute sia gli obiettivi polemici sia la dimensione teorica, strettamente flosofca, che animano l’autore. Hölderlin divide il suo potenziale pubblico di lettori in due categorie: l’erudito abituato a una lettura

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intellettualistica, con un approccio pedagogico-moraleggiante; e colui che legge per puro intrattenimento, interessato a seguire l’intreccio e la vicenda amorosa su un piano puramente estetico. entrambi gli atteggiamenti sono, secondo l’autore, destinati a non cogliere il vero messaggio del romanzo, ma lasciano intuire una terza via, una via che unisca le due componenti, superando i limiti di ciascuna per arrivare a una lettura integrata e integrante del romanzo, intessuto di una profonda rifessione sulla condizione di scissione che travaglia l’uomo e sulla necessità di porvi rimedio (cfr. Gaier: Hölderlins Hyperion: Compendium, Roman, Rede). Hölderlin richiama il classico principio oraziano del docere et delectare, ma nello stesso tempo ne radicalizza la portata, in quanto non lo reputa un espediente retorico e letterario, ma lo pone a servizio di una visione speculativa dell’intimo rapporto fra arte e flosofa, estetica e vita. Il nucleo poetico dell’opera, il «risolversi delle dissonanze in un particolare carattere», un tema che era trattato in modo più approfondito nella Prefazione al Frammento di Iperione e nella Prefazione alla Penultima stesura (v. Appendice), infatti, si riannoda a una prospettiva flosofca maturata in particolare nel periodo di Francoforte (1796-1798), durante il quale Hölderlin passa da una visione pura della bellezza quale ideale in cui si conciliano le contraddizioni, a una visione più drammatica, in cui la bellezza si scontra con l’elemento impuro, con la realtà concreta della contraddizione (cfr. Hölderlin und der deutsche Idealismus, vol. III, pp. 2-3; Jamme: «Ein ungelehrtes Buch». Die philosophische Gemeinschaft zwischen Hölderlin und Hegel in Frankfurt 1797-1800). La dialettica delle dissonanze è il tema centrale del romanzo dal punto di vista sia narrativo che flosofco, e non a caso riemergerà anche nelle battute fnali: «Le dissonanze del mondo sono come il litigio degli innamorati. La riconciliazione è nel mezzo della lite e tutto ciò che è diviso si ricongiunge» (p. |760|). 5 Non è rimasta alcuna traccia nei materiali preparatori di un eventuale cambiamento di scenario per il romanzo, né se ne trovano indizi nelle lettere: questo accenno a un ripensamento sull’ambientazione rimane dunque oscuro. La vicenda si svolge quasi interamente in Grecia e sulle coste dell’Asia Minore nella seconda metà del Settecento, tranne un breve soggiorno del protagonista in Germania, nella parte fnale del romanzo, dove incontra Bellarmino che diventerà il suo interlocutore epistolare. – La passione per la Grecia antica, la sua arte, la sua letteratura nasce nel giovane Hölderlin fn dai primissimi anni

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di studio e suscita il desiderio di poterla un giorno visitare, come confessa egli stesso nel romanzo: «Fin dalla prima giovinezza preferivo vivere sulle coste della Ionia e dell’Attica più che altrove, e nelle belle isole dell’arcipelago, e uno dei miei sogni più cari era quello di recarmi davvero al santo sepolcro della giovane umanità. La Grecia fu il mio primo amore e non so se posso dire che sarà anche l’ultimo» (Penultima stesura, p. |557|). Ma quel desiderio era destinato a non avverarsi, e sarà sostituito dalla lettura attenta di alcuni diari di viaggio, molto diffusi all’epoca e disponibili anche in traduzione tedesca, cui seguirà una rielaborazione intensa e personale dei paesaggi e delle atmosfere. Gli scenari in cui si svolge il romanzo sono quindi tutti ricostruiti sulla base di alcune fonti, corredate da ricche illustrazioni, che contenevano i minuziosi resoconti dei viaggi compiuti da studiosi inglesi e francesi, in particolare richard Chandler (Reisen in Klein Asien; Reisen in Griechenland) e Choiseul-Gouffer (Reise […] durch Griechenland), da cui Hölderlin trae moltissimi particolari, dalle descrizioni dei paesaggi alle abitudini quotidiane, dalle tradizioni popolari agli avvenimenti storici (Beißner: Über die Realien des Hyperion, mette a confronto i passi paralleli riuscendo anche a spiegare alcune apparenti ‘stranezze’ del testo hölderliniano). Hölderlin non si limita però solo a riprendere i dettagli delle sue letture sulla Grecia, ma se ne appropria con nostalgia e desiderio per ridar loro nuova vita nella poesia; sente così intimamente l’atmosfera di quei luoghi da riconoscersi in essi («Amo ogni luogo di questa Grecia; ha i colori del mio cuore. Dovunque si guardi, vi sono gioie sepolte», p. |652|) fno al punto da trovare in essi più che una patria: «Che mai / alle antiche coste beate / mi lega, che ancor più / della mia patria le amo?» (L’Unico – Tutte le liriche, p. 969; cfr. anche Volke: «O Lacedämons heiliger Schutt!» Hölderlins Griechenland). La precisione dei dettagli nella rievocazione di luoghi e situazioni storico-sociali reali rende più che fondata l’idea che «la sua [di F. H.] poesia presuppone la geografa» (reitani: Ortserkundungen, Raumverwandlungen, p. 14), ma nonostante questo il romanzo mantiene comunque una valenza fortemente simbolica. 6 Il ‘carattere elegiaco’ viene descritto da Friedrich Schiller nel saggio Della poesia ingenua e sentimentale (1795-1796) con riferimento ai poeti moderni che, a differenza degli antichi, hanno perso il contatto diretto con la natura e allo stesso tempo sono distanti anche dall’ideale e fniscono quindi per considerare sia la natura che l’ideale fonte di tristezza, in quanto l’una è perduta e l’altro inattingibile: «Se un poeta

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contrappone la natura all’arte e l’ideale alla realtà, in modo che la rappresentazione del primo prevalga e il piacere che si prova per esso divenga sentimento dominante, io chiamo il poeta elegiaco. [...] o la natura e l’ideale sono oggetto di tristezza, quando quella è rappresentata come perduta, questo come non raggiunto. oppure entrambi sono oggetto di gioia, in quanto che sono rappresentati come reali. Il primo caso dà l’elegia in senso più stretto, il secondo l’idillio nel senso più largo. Come lo sdegno nella satira patetica e lo scherno nella satira scherzosa, così nell’elegia la tristezza non deve provenire che da un’ispirazione suscitata dall’ideale. Solo così l’elegia acquista valore poetico ed ogni altra fonte della tristezza è assolutamente al di sotto della dignità dell’arte poetica. Il poeta elegiaco cerca la natura, ma nella sua bellezza, non solo nella sua piacevolezza, nella sua armonia con le idee, non solo nella sua condiscendenza verso il bisogno. La tristezza per gioie perdute, per la scomparsa dell’età dell’oro dal mondo, per la fuggita felicità della giovinezza, dell’amore ecc. può divenire materia per una poesia elegiaca solo allorché quegli stati di pace sensibile si possano rappresentare al tempo stesso come oggetti di armonia morale» (Schiller: Saggi estetici – Della poesia ingenua e sentimentale, pp. 409-410). Il carattere elegiaco non è quindi espressione di un vago sentimentalismo individuale, bensì è legato alla situazione specifca, tutta höderliniana, della tensione tra la realtà e la condizione di perfezione originaria o futura dell’uomo, tra la vita che segue una traiettoria eccentrica e l’ideale dell’equilibrio perfetto (cfr. la Prefazione al Frammento di Iperione e alla Penultima stesura). 7 Il secondo volume apparve nell’ottobre del 1799 e soltanto nel 1822 le due parti del romanzo vennero pubblicate assieme. Hölderlin aveva a un certo punto pensato di ridurre l’opera in un unico volume, quando l’editore gli aveva restituito il manoscritto lamentandone l’eccessiva lunghezza, ma mantenne poi la divisione in due volumi, anche se poco più tardi sembrò pentirsene, come traspare da una lettera a Schiller del giugno 1797 (cfr. Cronologia di Iperione). 8 Per il suo romanzo Hölderlin adotta la forma epistolare, ma non senza un lungo processo di rifessione e di sperimentazione, documentato dai cambiamenti nei materiali preparatori (v. Appendice). Con convinzione difende poi la sua scelta stilistica, in quanto «idee nuove possono venire esposte nel modo più chiaro nella forma epistolare» (lettera a Niethammer, 24 febbraio 1796 – MA, vol. II, pp. 614-615), e con questa forma si sente particolarmente a suo agio; l’abilità del

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poeta e la sua maestria nell’utilizzo di questo genere testuale si notano infatti anche nelle lettere che inviava agli amici o al fratello, piccoli capolavori formali densi di contenuto. Cfr. Gaier: Der philosophische Brief, che analizza il contesto letterario contemporaneo. – La prima lettera presenta subito i due attori principali dello scambio epistolare: Iperione e Bellarmino. Iperione è uno dei Titani: fglio di Urano e di Gaia, generò il Sole (elio), la Luna (Selene) e l’Aurora (eos). Ben presto però le fgure di padre e fglio, Iperione ed elio si sovrappongono (accade già in omero: Iliade, lib. XIX, v. 398), Iperione diviene un epiteto di elio stesso e gli viene associato il signifcato di ‘colui che cammina al di sopra (della Terra)’ grazie a un’analogia etimologica molto diffusa già nella Grecia antica. In questa accezione lo usa anche Hölderlin nell’Inno alla Libertà («Quando le pallide stelle curvano il vostro capo, / Hyperion si irradia nel suo cammino d’eroe», Tutte le liriche, p. 79, vv. 93-94). Anche nel romanzo viene ricordata l’identifcazione tra il protagonista e il dio del sole, che si compie signifcativamente a Delo, l’isola cara a quella divinità (cfr. p. |621|). – Il suo interlocutore epistolare è il tedesco Bellarmino, a cui Iperione narra la propria storia, certo della comprensione e della solidarietà dell’amico che, come verrà sottolineato in più occasioni, condivide il suo stesso modo di vedere. Nei materiali preparatori, e precisamente nel Frammento di Iperione, i due si incontrano fra le rovine dell’antica roma e Bellarmino è italiano; nella stesura defnitiva questo dettaglio viene modifcato. Sulla scelta del nome sono state formulate diverse ipotesi, dal richiamo al dotto cardinale roberto Bellarmino, i cui scritti apologetici Hölderlin senz’altro conosceva per i suoi studi di teologia, alla somiglianza con Arminio, il condottiero germanico che aveva sconftto le legioni romane a Teutoburgo. Nell’ode A Eduard il nome Bellarmino viene anche utilizzato, in alternativa ad Arminio, come pseudonimo per Isaak von Sinclair: l’ammirazione per il condottiero e l’amicizia con Sinclair potrebbero dunque essere confuite nella fgura dell’interlocutore epistolare di Iperione, un’anima nobile e bella che, a differenza della maggior parte dei tedeschi dell’epoca (i lettori evocati nella Prefazione), è in grado di comprendere e apprezzare il racconto che si dipana nelle lettere che seguono. Sul nome di Iperione nelle sue varie accezioni cfr. Binder: Hölderlins Namenssymbolik, pp. 135-145; su Bellarmino: ivi, pp. 161-165. 9 L’incipit della prima lettera si ricollega immediatamente al titolo e indica fn dall’inizio la prospettiva della narrazione, che si delinea

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riga dopo riga: il greco Iperione, rientrato in patria dopo aver trascorso un periodo lontano dalla terra natia, ha scelto di vivere in solitudine come un eremita e, una volta riconquistata una certa serenità, si appresta a raccontare la sua storia. Ma già soltanto la vicinanza ai luoghi del suo passato ridesta in lui gioia e sofferenza, una mescolanza di sentimenti che emerge più volte nel corso del romanzo e viene sottolineata anche in apertura del secondo volume, dove si rievocano «i ricordi dei dolori e delle gioie passate» (p. |697|). Fin dal principio viene quindi messa in evidenza la condizione dissonante che alimenta la fgura di Iperione e i due estremi tra i quali egli si trova ad agire e a vivere; questa condizione ancipite, che spetta all’uomo di conciliare, è originaria e ha un valore antropologico-culturale complesso, dal momento che è all’origine della storia dell’occidente, segnata dalla «cara terra natia» greca. 10 Il paragone richiama l’immagine classica dell’ape come metafora del poeta che, una volta afferrato dal furore poetico, entra nell’armonia del mondo e ne sugge il miele: «infatti, proprio i poeti ci dicon che attingono i loro canti da fonti che versano miele e da giardini e da boschetti che sono sacri alle Muse, e che a noi li portano come fanno le api, anch’essi volando come le api» (Platone: Ione, 534 A-B; Virgilio: Georgiche, lib. IV; si vedano in particolare i vv. 219-227 dove si accenna alla teoria secondo cui le api sarebbero partecipi dell’anima divina che informa tutto il mondo). Una simile metafora è presente nella lettera di apertura del Werther, in un passo divenuto famoso e molto citato dai contemporanei, dove l’ape è però sostituita dal maggiolino: «ogni albero, ogni siepe è un mazzo di fori, ed io vorrei essere un maggiolino per librarmi in questo mare di profumi e potervi trovar tutto il mio nutrimento» (Goethe: Opere, vol. I: I dolori del giovane Werther, traduzione di Luisa Graziani, p. 424, lettera del 4 maggio). Hölderlin arricchisce la metafora con una molteplicità di sfumature e implicazioni: da una parte essa richiama la pianta della Prefazione, quindi l’opera d’arte che può essere o studiata e analizzata, o goduta per il dolce profumo; dall’altra il vagare dell’ape è anche immagine della condizione errante dell’uomo e della sua ‘instabilità’, contraddistina da un movimento ‘a pendolo’ tra due posizioni estreme, i due mari a destra e a sinistra, la gioia e il dolore. 11 Caratteristica di molti passi hölderliniani è la prospettiva a volo d’uccello, che permette allo sguardo del poeta di abbracciare dall’alto vasti paesaggi, come in questo caso, ed è metafora della condizione

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del poeta: per poter scrivere ha bisogno di trovarsi in una posizione sopraelevata rispetto alla vita, alle sue gioie e ai suoi dolori; deve avere uno sguardo che la possa abbracciare nella sua totalità, proprio come il protagonista del romanzo che inizia il suo racconto una volta raggiunte le cime dell’istmo di Corinto, dalle quali lo sguardo spazia non solo sul paesaggio, ma anche sul presente e sul passato. Sul tema del paesaggio in Hölderlin la bibliografa è molto vasta; cfr. tra i molti Guardini: Form und Sinn der Landschaft; Port: Der Ptolemäer; Guzzoni: «Ich liebe diß Griechenland überall. Es trägt die Farbe meines Herzens». L’immagine delle montagne lambite dall’acqua è presente anche nella poesia Il viandante, scritta tra il 1796 e il 1797, anno in cui fu pubblicata per la prima volta: «Nel fume le ardenti montagne liete bagnano il piede» (Tutte le liriche, pp. 116-121, v. 49). Da questa poesia – la prima a dare particolare rilievo al paesaggio e particolarmente importante nella poetica dell’autore – l’avvio di Iperione sembra riprendere sia il registro elegiaco (annunciato nella Prefazione), sia il tema generale del rapporto tra bellezza, natura e patria: l’uomo cerca la natura non per il proprio bisogno, ma per la sua intrinseca armonia vitale che regala bellezza; la natura invece non offre che una terra ostile e sofferente. Il felice paese natale, tuttavia, accende le speranze dell’uomo che vi ritorna e ritrova la perduta armonia naturale e la bellezza di un tempo (cfr. ivi, pp. 117-121). Il forte legame con la patria, l’elemento nazionale, viene evocato in queste prime righe e subito collocato tra le componenti essenziali dell’ispirazione poetica (cfr. Gaier: Hölderlins vaterländische Sangart, pp. 40-42). 12 Nello spirito del poeta rivive il mondo della Grecia classica, simboleggiato dai due golf: l’istmo di Corinto separa infatti l’Attica dal Peloponneso e fa da spartiacque tra il golfo di Corinto e quello di egina, luoghi particolarmente ricchi e forenti della classicità; si tratta quindi di un punto centrale, dal quale si abbraccia con lo sguardo, idealmente, tutta la Grecia. – Il riferimento cronologico è da intendersi in senso fgurato, una sineddoche per rimandare a un tempo remoto: mille anni prima, infatti, l’impero bizantino, fragile e assai indebolito, era teatro delle frequenti e devastanti invasioni di slavi e bulgari da Nord, e sotto la costante minaccia araba a Sud. Lo splendore della Grecia classica, a cui il protagonista invece si riferisce, era già tramontato secoli prima. 13 Lo sguardo sui due golf ripropone esattamente la carta geografca contenuta nel volume di Chandler, che nel testo aggiunge poi altri det-

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tagli (tra cui la presenza degli sciacalli e il loro ululare notturno di cui si parlerà tra breve) e questa lettera è un bell’esempio di come, dall’esame attento e minuzioso delle carte geografche, il poeta riesca a rianimare gli spazi e a dar loro una profonda valenza poetica. Il suo interesse per la geografa, il suo ruolo pedagogico, la necessità di insegnare la storia ‘visualizzando’ gli avvenimenti su una carta è documentato in molte lettere, ma l’osservazione delle cartine viene poi arricchita, con un procedimento tipico dell’autore, da dettagli botanici e geologici (i monti, i fumi) che danno allo spazio geografco spessore e consistenza reale (reitani: Ortserkundungen, Raumverwandlungen, pp. 17-25). La regione descritta ha una forte valenza simbolica e richiama immediatamente la poesia e la cultura antica: l’elicona in quanto monte sacro alle Muse, il Parnaso strettamente collegato all’oracolo di Delf, che con il suo tempio di Apollo era uno dei luoghi di culto più importanti del mondo antico. Tutta la scena iniziale è visione rifessiva di un polarismo dinamico e vivifcante: anche le montagne intorno a Corinto si fronteggiano, così come i due golf che le separano. 14 La rievocazione nostalgica della Grecia classica come epoca aurea e solare dell’umanità viene bruscamente interrotta dai rumori lugubri e notturni del presente: l’ululare degli sciacalli impedisce di far rivivere il sogno e l’atmosfera del passato, un’atmosfera che il classicismo tedesco conservava invece intatta. Con Hölderlin questa tradizione si interrompe: la classicità non è più conciliabile con la realtà del presente, il flo che univa classico e moderno si è spezzato, e il passato può essere ormai solo un sogno nostalgico su cui si profla ancora più drammatica la scissione dell’uomo contemporaneo. L’uomo è diviso al suo interno, in uno stato che non può defnirsi né spaziale né temporale; è diviso secondo il corso e il senso della natura delle cose, nel mondo variegato e confittuale dello spazio che si apre alla vita umana; è diviso dalla coscienza storica a causa del peso delle età che la cultura ha accumulato e che condiziona la sua capacità di interpretare e di agire nella storia. Con tratto rapido e sicuro, Hölderlin ha fornito in poche righe uno schizzo essenziale della struttura poetica e concettuale che fa da intelaiatura al racconto e determina fn dall’inizio le vie di fuga della prospettiva estetico-flosofca. Il senso di incertezza e di sospensione che l’elegiaco Iperione rivive raccontando al suo interlocutore le vicende che lo hanno riguardato non deriva né dalla posizione di narratore che sta ricoprendo ora, né da uno smarrimento emotivo, quanto piuttosto dall’oggettiva situazione da descrivere. La

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sfda estetica è questo voler raccontare i momenti che ‘costruiscono’ la poetica (i momenti poietici) e non semplicemente le sensazioni che si provano al loro riafforare nell’anima. È per questo che la strategia narrativa impiegata da Hölderlin risulta particolarmente adatta a questa volontà poetica: nelle lettere Iperione è suffcientemente distaccato dal vissuto da poterne descrivere tutte le sfumature e le complesse relazioni. 15 La critica ai tedeschi è un elemento che accompagna tutto il romanzo e che non si manifesta soltanto nella famosa invettiva fnale (pp. |754-757|). Secondo uno schema consueto dell’anti-illuminismo tedesco di fne secolo, Iperione accusa i suoi contemporanei di paternalismo, vale a dire di un moralismo poco incline a prendere in seria considerazione la radice problematica della condizione umana e che per questo sfocia in formalismi astratti e vuoti. 16 L’opposizione implicita nell’esclamazione di Iperione non è tra vita attiva e vita contemplativa, ma fra il desiderio che spinge all’azione e la hybris che ne deriva, cioè la spinta a forzare l’ordine naturale delle cose e di conseguenza il destino. In queste battute iniziali Hölderlin delinea la cornice del proprio pensiero e in questa estemporanea recriminazione introduce uno dei principali elementi del romanzo: il rifuto della politica come puro agire a prescindere da un orizzonte ideale di riferimento. All’epoca in cui maturarono i primi spunti per il romanzo, la cultura flosofca tedesca era animata dal dibattito sul rapporto fra teoria e pratica in chiave politica, un dibattito a cui partecipò anche Kant con lo scritto Sopra il detto comune: «questo può essere giusto in teoria, ma non vale per la pratica» (1793) in cui si diffda della politica come pura manipolazione di coscienze, che tiene conto soltanto dell’impulso egoistico e non anche della disposizione alla moralità. Allo stesso tempo, la rassegnazione e il rifuto dell’azione come conseguenza di esperienze sociali negative sono temi cari a rousseau, di cui Hölderlin era un appassionato lettore al punto da voler scrivere un saggio per la progettata rivista Iduna proprio sull’autore della Nouvelle Héloïse (lettera a Neuffer, 4 giugno 1799 – MA, vol. II, pp. 764-765). 17 Il ritorno alla natura, dove le forze si ricompongono in armonia e dove il bello si manifesta nella sua immutabilità, chiude questa prima lettera di Iperione che ricorda e rifette allo stesso tempo nel silenzio del suo eremitaggio. La ricerca della stabilità, dell’equilibrio tra gli opposti, di un vero in atto e in forma non può essere soddi-

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sfatta dalla rapacità dell’uomo, ma soltanto dalla natura che rende possibile la convivenza del perenne desiderio di completezza e di verità con l’armonia universale delle cose e delle aspirazioni. La lettera successiva è uno sviluppo lirico di questa condizione estatica, e descrive l’uomo come l’essere che può soltanto cercare di ricostruire questo equilibrio, questa armonia che una volta possedeva ma ha irrimediabilmente perso. 18 Lo scritto di rousseau Les rêveries du promeneur solitaire inizia con una frase simile: «Me voici donc seule sur la terre, n’ayant plus de frere, de prochain, d’ami, de societé que moi-même» (p. 995), e si conclude con una considerazione analoga a quella di Iperione: «Tout est fni pour moi sur la terre» (p. 999). La lettura di rousseau è molto intensa e la rifessione e rielaborazione delle sue tematiche accompagnano il poeta per lungo tempo; più volte è stato messo in luce il loro infusso anche nei materiali preparatori al romanzo. Les rêveries, in particolare, l’ultima opera di rousseau, scritta nel periodo in cui conduceva vita solitaria a ermenonville (anche lui dunque una sorta di eremita), è l’opera in cui il flosofo ginevrino riscopre il valore terapeutico della scrittura; il ricordo, il richiamare alla memoria la propria vita passata è un’operazione totalmente volta alla ricostituzione e ricostruzione della propria identità, è insieme il fne e l’oggetto della narrazione. Ma la presenza di motivi rousseauiani non si esaurisce qui: nel corso dell’opera si ritroverà la critica alla civilizzazione e alla società che culmina nell’invettiva contro i tedeschi e la conseguente decisione di ritirarsi in solitudine; l’abbandonarsi alla natura, l’analisi delle emozioni che si provano nel contemplarla, alcune descrizioni stilizzate di paesaggi; più signifcativi alcuni tratti della fgura di Diotima che, oltre alle reminiscenze platoniche, ricorda anche da vicino eloisa; infne elementi ripresi dalla teoria pedagogica formulata nell’Émile, che emergono nel percorso educativo che Adamas fa compiere al giovane Iperione. Sull’infusso di rousseau e, in particolare, del suo romanzo epistolare si vedano Berchtold: La Nouvelle Héloïse und Hyperion; De Man: Hölderlins Rousseaubild; Link: «Trauernder Halbgott, den ich meine!» Hölderlin und Rousseau; id.: Hölderlin – Rousseau: inventive Rückkehr. 19 Iperione si presenta sconftto e umiliato: tutte le sue speranze si sono vanifcate, il suo agire non ha prodotto alcun risultato se non vergogna e disonore, la libertà e l’indipendenza della Grecia, per

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le quali aveva combattuto, non sono state raggiunte, la sua amata e il suo amico più caro sono morti. Da questo punto di vista egli appare del tutto antitetico rispetto ai protagonisti dei Bildungsromane dell’epoca (con riferimento a Illuminismo e Klassik), che al termine del loro percorso appaiono maturi, cresciuti e arricchiti spiritualmente. Hölderlin stesso percepiva chiaramente la differenza sostanziale tra la sua opera e i romanzi di formazione del Settecento, e confrontandosi con la coeva teoria del romanzo ammette infatti di avventurarsi in una «terra incognita» (lettera a Neuffer, 21/23 luglio 1793 – MA, vol. II, p. 500; cfr. reitani: La «terra incognita» del romanzo). Nel Frammento di Iperione (v. Appendice) il poeta aveva dato la sua defnizione di Bildungsroman, laddove descriveva il percorso dell’uomo come una «traiettoria eccentrica» che parte da una condizione di totale spontaneità e armonia per tendere verso uno stato di massimo sviluppo, un ideale collocato in un futuro lontano, verso il quale l’eremita continua il suo cammino. Così anche la critica ha tentato di defnire in vario modo Iperione: Mayer (Hölderlins Hyperion – ein frühromantischer Bildungsroman) accetta l’etichetta di Bildungsroman a patto che Bildung sia intesa nell’accezione hölderliniana di infnito processo di avvicinamento verso l’ideale e, considerando la trama esteriore che vede il fallimento del protagonista su tutti i fronti, legge il ritorno in patria soltanto come un ritorno alla natura, una sorta di sacerdozio individuale, vissuto in solitudine. Lawrence ryan decide invece di non servirsi di questa categoria testuale, che considera troppo rigida, e defnisce Iperione un ‘romanzo romantico’, poiché vi si ritrovano le due caratteristiche fondamentali individuate da Schlegel: l’unione tra poesia e flosofa e la dimensione trascendentale (ryan: Hölderlins Hyperion: Ein ‘romantischer’ Roman?); sulle affnità tra Iperione e la poetica romantica si sofferma anche Cyrus Hamlin: The poetics of self-consciousness in European romanticism. Michael Franz lo considera un ‘romanzo di formazione dell’artista’, poiché ha per oggetto il cammino del protagonista che diviene consapevole della sua vocazione poetica e cerca una via per realizzarla; la defnizione di ‘poeta del poeta’, che Martin Heidegger aveva coniato pensando alla produzione tarda di Hölderlin, può invece essere a buon diritto estesa anche al romanzo (Franz: Hölderlin: der Dichter des Dichters. Intervento in occasione del convegno Friedrich Hölderlin in Italia: poesia, pensiero, ricerca. roma, 11-12 aprile 2013).

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I «pensieri mortali» sono da intendere come ‘pensieri per ciò che è mortale’: si confronti l’inno Rimembranza, vv. 30-32 («Non è bene essere / inanimi per pensieri / mortali» – Tutte le liriche, p. 343) e la seconda stesura della Morte di Empedocle, variante al v. 428: «si dissolvono / nel sublime azzurro i pensieri mortali / purifcati» (MA, vol. III, p. 347). 21 L’affizione, per quanto dolorosa, è la forma di autocoscienza più elevata che l’uomo possa sperimentare, tanto che gli è anche diffcile esprimerla senza il ricorso alla voce della natura. Il dolore e la sofferenza non sono mai in Hölderlin semplici espressioni di uno stato psicologico, ferite che possano essere rimarginate da una qualche terapia; sono il vuoto che l’uomo intende colmare e, allo stesso tempo, le spinte metafsiche che ne determinano l’agire e sono sempre accompagnati dalla pienezza della gioia. Il quadro dialettico di questa concezione del dolore si rispecchia nelle ricerche flosofche condotte negli anni immediatamente precedenti in particolare a fanco di Hegel (Jamme: «Jedes Lieblose ist Gewalt». Der junge Hegel, Hölderlin und die Dialektik der Aufklärung; Kreuzer: Hölderlin im Gespräch mit Hegel und Schelling). In questa fase, nella quale il narratore sta ponendo le basi del suo racconto, questa dialettica è rintracciabile nella circolarità fra dolore e divinità: la solitudine dell’uomo, dirà tra poco, si dissolve nella vita della divinità. 22 Secondo la concezione antica, ma considerata ancora attuale alla fne del XVIII secolo, l’etere era la sostanza, incorruttibile e divina, che riempiva tutto il cielo, in contrapposizione ai quattro elementi sublunari (terra, aria, acqua e fuoco). Cfr. Aristotele: Il cielo, 269b270b e il trattato, a lungo attribuito ad Aristotele: De mundo, 392a, 5-30. L’etere era anche un importante oggetto di indagine negli studi di fsica che si stavano compiendo proprio in quel periodo, che cercavano di spiegare il movimento dei corpi e fenomeni come l’elettricità e il magnetismo. – Sulla valenza flosofco-letteraria di questo elemento nell’opera di Hölderlin si veda più oltre, nota 133. 23 In questo brano, costituito da un crescendo anaforico di tre periodi, il poeta enuncia la sua concezione panteistica dell’universo, una sorta di professione di fede nella natura dove l’uomo si realizza nell’unione con il tutto, in linea con la formula dell’ ”En kai Pa`n (si veda anche p. |657| e nota 137), uno degli elementi concettuali che pervade tutto il romanzo e che culminerà proprio nell’ultima lettera di Iperione, chiudendo così il cerchio narrativo. La contemplazione

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della natura beata, il confuire dell’uomo nel tutto della natura universale costituisce lo snodo centrale: è il punto di arrivo a cui giunge il giovane Iperione, quindi il momento fnale del tempo narrato, e insieme il punto di partenza da cui muove l’Iperione eremita, quindi il momento iniziale della narrazione, che prelude a sua volta a uno stadio di ulteriore perfezionamento. – Interessante è un passo parallelo in rousseau (Les rêveries du promeneur solitaire, p. 1065): «je ne rêve jamais plus délicieusement que quand je m’oublie moi-même. Je sens des extases, des ravissemens inexprimables à me fondre pour ainsi dire dans le systême des êtres, à m’identifer avec la nature entière». 24 Questa aspirazione accomuna molti pensatori dell’epoca che, sull’onda della ricezione del pensiero neoplatonico, hanno sviluppato una corrente di pensiero, declinata in molte sfumature, che negli anni Settanta Dieter Henrich defnì ‘flosofa dell’unifcazione’ (Vereinigungsphilosophie), ponendola alla culla dell’Idealismo tedesco. Il nucleo centrale di questa corrente era il desiderio proprio dell’uomo di unirsi al tutto e confuire nel divino, il tema dell’armonia tra tutti gli esseri viventi; ciò crea una tensione tra l’istanza individuale e quella universale, che a essa sembra contrapporsi, un dualismo che ciascun autore affronta e risolve con categorie diverse (per un’analisi storicocritica del concetto di Vereinigungsphilosophie cfr. Franz: Tübinger Platonismus, pp. 9-17). Hölderlin si avvicina a questa corrente negli anni allo Stift, soprattutto grazie alle letture di Shaftesbury, Herder, Jacobi e Hemsterhuis; un ruolo importante ebbe anche il dibattito su Spinoza avviato appunto da Friedrich Heinrich Jacobi nel 1785. Un altro importante esponente di questa corrente è lo scrittore Wilhelm Heinse, che Hölderlin conobbe personalmente e dal cui romanzo Ardinghello trarrà diversi spunti. Uno in particolare dei colloqui del protagonista con Demetri, costruito sulla falsariga dei dialoghi platonici, è incentrato sull’idea neoplatonica della natura divina e della forza unifcatrice dell’amore, inserita nell’estetica rinascimentale (il romanzo di Heinse è ambientato proprio nell’Italia del rinascimento). Cfr. Gaier: Hölderlins Hyperion. Compendium, Roman, Rede, che si concentra sul rapporto tra Hölderlin e Herder; Jamme: «Ein ungelehrtes Buch». – Sul periodo di studio allo Stift e la ricezione del pensiero platonico si vedano Henrich: Philosophisch-theologische Problemlage im Tübinger Stift zur Studienzeit Hegels, Hölderlins und Schellings; Betzendörfer: Hölderlins Studienjahre im Tübinger Stift; Franz: Tübinger Platonismus, in part. pp. 21-71; Polledri: Friedrich

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Hölderlin e la fortuna di Platone nel Settecento tedesco, documenta le edizioni dell’opera platonica disponibili nel Settecento (prima fra tutte la Bipontina, pubblicata dal 1781 al 1787, con l’opera completa nella versione latina di Ficino) e quelle a cui ebbe accesso il poeta. Cfr. anche Hölscher: Hölderlins Umgang mit den Griechen. 25 L’«intransigente corazza» della virtù è un riferimento alla rigida etica del dovere e della costrizione, e quindi del dominio, espressione di una separazione disarmonica tra le varie componenti che costituiscono l’uomo e che sono in cerca di una conciliazione. Nel perseguire questo ideale, la morale e la speculazione teorica vengono meno perché non possono giungere alla contemplazione del tutto, non possono mantenere le aspettative da loro stesse avanzate. I modelli, gli schemi, le forme non hanno più alcun effetto davanti all’emergere dell’uno, per defnizione indeclinabile e indivisibile: l’immanenza viva e non semplicemente supposta logicamente ignora la morte proprio perché ignora la causa della morte, la divisibilità, la scissione. Una simile valenza ha il richiamo a Venere Urania, per Hölderlin simbolo dell’armonia del cosmo (si veda anche p. |663| e nota 150). Al cospetto dell’amore e della bellezza ideale, tutte le regole e le tecniche della rappresentazione (espressione della volontà razionale) spariscono lasciando il posto all’ispirazione spontanea e inconsapevole, proprio come lo spirito e i pensieri divengono un nulla nella contemplazione del mondo eternamente uno. 26 Il narratore rifette, con distanza critica, sulla contemplazione estatica e vivifcante della natura che dura solo breve tempo e viene interrotta dal riafforare della coscienza. In questo schema di ispirazione fchtiana Hölderlin attua la distinzione tra autore e narratore, così come l’elemento della rifessione introduce l’opposizione Io/nonIo, soggetto/oggetto. L’uomo frammentato oscilla continuamente tra il tutto e il nulla, tra la felicità e la miseria, e solo tramite il superamento di questa opposizione può raggiungere l’equilibrio: l’ideale a cui tendere non è quindi il momento dell’estasi, al quale può seguire solo il vuoto del nulla, ma il momento, sereno e calmo, della consapevolezza dei due estremi, la distanza da entrambi conquistata attraverso la rielaborazione del vissuto nella narrazione. La contemplazione della natura universale sarà l’esperienza a cui Iperione giunge al termine del suo percorso, la scena conclusiva del romanzo: ma ne costituisce anche l’inizio, poiché l’eremita ne constata la labilità. Le diverse tappe verso il raggiungimento dell’equilibrio sono scandite dai brani in cui il

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narratore smette di narrare il passato e si concentra invece sul presente, brani che rivestono una particolare importanza nella loro valenza meta-narrativa e che sono abilmente collocati nei punti cruciali. essi mostrano come il protagonista, ricordando gli avvenimenti, li rielabori raggiungendo man mano un grado più elevato di consapevolezza, seppure in un processo non sempre lineare. 27 Il rimpianto per essersi sottoposto alle «scuole» della società civile è improntato a rousseau (cfr. Discorso sulle scienze e sulle arti, traduzione di rodolfo Mondolfo, in: Opere, pp. 1-17) e alla contrapposizione tra natura e civiltà in generale, ma è anche, in particolare, orientato al dibattito alimentato dalla flosofa kantiana. Il giovane greco si è recato alla scuola del pensiero occidentale dove ha imparato a coltivare la rifessione (tipica della flosofa delle scuole) e la ragione (indagata da floni diversi dell’Aufklärung e dalla flosofca critica), perdendo così il contatto con la semplicità del mondo naturale, da cui ora si sente escluso: la spontaneità, la naturalezza del mondo greco è ormai irrimediabilmente persa, spodestata dalla civiltà fredda e chiusa dell’europa moderna. La solitudine dell’uomo occidentale, che qui Iperione rappresenta, è totale, la natura serra le braccia rifutando di trasfondergli la sua linfa vitale, ed egli inaridisce velocemente. La celebre immagine fnale dell’uomo, mendicante quando pensa, marca ancor di più la polemica rispetto all’andamento della cultura flosofca tedesca del tempo, quella che Hegel defniva, in segno spregiativo, la «flosofa della rifessione», che non ha aiutato l’uomo a progredire nemmeno di un passo. Per questo Iperione chiude la lettera ribadendo ciò che aveva affermato in apertura: nulla più gli appartiene, deve accontentarsi degli spiccioli, di attimi fugaci di percezione dell’armonia perduta. 28 Bellarmino chiede all’amico di raccontargli la sua vita passata: questo è lo spunto da cui prende avvio la narrazione, che viene suddivisa in due gruppi di trenta lettere ciascuno, corrispondenti ai due volumi in cui venne pubblicato il romanzo. Iperione racconta quindi vicende che risalgono a molto tempo prima e questa distanza temporale, che modifca profondamente la funzione della forma epistolare, è una delle differenze principali tra Iperione e il suo più diretto e illustre predecessore, il Werther di Goethe: mentre Werther scrive nel pieno del fusso emotivo, con l’entusiasmo o lo sconforto spontanei e genuini di chi vive e racconta insieme, Iperione scrive da una distanza temporale che fa da fltro all’accaduto e permette la rielaborazione dei

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fatti tramite la rifessione. Il romanzo si gioca quindi su una doppia dimensione temporale: quella dell’eremita che scrive a Bellarmino, e quella del giovane Iperione che combatte, ama, soffre e dal quale il narratore prende le distanze con formule ricorrenti come «così pensavo», «così sognavo». In questa fase, l’azione del ricordo è benefca come quella di un «sonno ristoratore», il ruolo del narratore è passivo, si abbandona ai sogni e si lascia afferrare dal sonno, al quale è affdato il compito di ricomporre i frammenti del passato in una visione unitaria; ma allo stesso tempo si interrompe bruscamente nel momento in cui il presente si affaccia alla coscienza. Con il progredire della narrazione, lo sforzo di rielaborare un doloroso passato diverrà man mano un’azione sempre più consapevole e attiva e permetterà all’eremita di collocare i suoi dolori e le sue gioie in una visione più ampia dell’esistenza, raggiungendo così una dialettica più sfumata e più ricca, contraddistinta dalla cosiddetta ‘alternanza dei toni’ narrativi (cfr. ryan: Hölderlins Lehre vom Wechsel der Töne; Aspetsberger: Ende und Anfang von Hölderlins Roman Hyperion). 29 La bellezza è sempre espressione di unità, e l’infanzia è l’età dell’uomo più vicina all’unità. È forse anche per questo che dell’innocenza e dell’infanzia non si hanno concetti, dal momento che la concettualizzazione è un processo che tende a dividere, separare e determinare. A questa immagine corrisponde, naturalmente, la visione della Grecia classica come ‘culla’ dell’occidente, come età dell’oro e infanzia del mondo, secondo le linee della flosofa della storia di stampo idealistico. Il fanciullo non è ancora condizionato dalle scissioni della conoscenza, ma nemmeno dalla costrizione del destino o dalla lacerazione interiore dei sentimenti. 30 riferimento a Gen 3, 17-19, dove Dio maledice il suolo e condanna Adamo a lavorarlo con fatica, ma si sentono anche echi delle teorie di rousseau sui ritmi della crescita e sulla necessità che i bambini non vengano trasformati troppo presto in uomini, imponendo loro un’educazione troppo precoce e troppo rigida. Qui però, come Leopardi nella Storia del genere umano, Hölderlin fa pesare non tanto la condanna divina, quanto piuttosto la pretesa, soddisfatta, di vedere il divino ridotto all’umano: è l’uomo che condanna Dio a fare la sua stessa vita. L’arroganza (hybris) dell’uomo non consiste nel voler fare a meno di Dio e nel voler intraprendere da solo la strada verso la verità, ma nel pretendere l’umanizzazione del divino, nel voler ridurre l’infnito alla dimensione fnita.

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Tinos è un’isola delle Cicladi, che nella stesura defnitiva del romanzo è eletta patria di Iperione. La grafa con l’uscita in -a presente nel testo tedesco è ripresa da una delle fonti che Hölderlin ha utilizzato, e precisamente dalla didascalia delle illustrazioni che accompagnavano la traduzione tedesca del testo di Choiseul-Gouffer, in cui il nome dell’isola è erroneamente stampato come Tina. 32 Il risveglio è l’impulso che spinge a cercare, ad agire, a concentrarsi sulle proprie capacità e a scoprire ciò che ci circonda. L’animo comincia a godere della partecipazione al tutto, ma questo comporta anche le prime distinzioni; la natura a cui ricongiungersi viene percepita come qualcosa di dislocato nello spazio e alimenta il desiderio: «laggiù andrai anche tu». e il desiderio si accompagna sempre a stanchezza e a ristoro, come Iperione subito dopo ricorda. 33 Il risveglio apre alla sfera del desiderio, che spinge l’uomo a prefgurare scopi e obiettivi. Questo meccanismo, che è appunto l’inganno di cui parla Iperione (così come le illusioni di cui parla Leopardi in termini non dissimili), è inscritto nella natura umana e non ne costituisce una distorsione. Il desiderio scuote la pace, ma necessariamente, e soltanto per recuperare altra pace. Hölderlin sembra consapevole, anche se forse non è riuscito a formulare un’ipotesi sistematica convincente al riguardo, del fatto che l’uomo fallisce non perché esce dal proprio stato di originaria unità, ma perché non sa costruire obiettivi conformi alle proprie aspirazioni. Iperione è la rappresentazione viva di una determinata condizione dell’uomo: il sentirsi colpevole della carenza di ciò di cui si è in cerca. La stessa metafora del cielo che Iperione reca nel proprio nome non rappresenta se non questo inevitabile desiderio di volersi unire al divino, ma anche la pretesa di voler incarnare in sé il divino. Non si tratta di una contraddizione ma di una dinamica sulla quale si basa la traiettoria eccentrica teorizzata da Hölderlin. In questo quadro si colloca anche il richiamo biblico a rm 8, 26: «Allo stesso modo anche lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito stesso intercede con insistenza per noi». 34 Iperione si riferisce alla costellazione dei Gemelli, che conserva la memoria dei fratelli Castore e Polluce, e alle altre costellazioni che prendono il nome dalle divinità dei tempi antichi. Una delle caratteristiche attribuite alle divinità greche è l’eterna giovinezza, da qui l’ossimoro «antichi giovanetti» che compare anche nell’inno Festa di pace (v. 39), sempre per indicare gli dei.

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L’ordine della natura è armonico, spontaneo, e procede «senza affanno», cioè si muove senza alcuno sforzo verso la perfezione, contrapponendosi in questo agli uomini che invece si sforzano e si affannano per elevarsi. Lo stesso aggettivo (ted. mühelos) viene usato più volte per descrivere il movimento degli astri e l’essere perfetto di Diotima, e compare spesso anche nelle liriche. Il contrasto è delineato in modo particolarmente chiaro nella prima strofa dell’ode Tramonta, bel sole (Tutte le liriche, p. 817): «Tramonta, bel sole, poco a te / badarono, non ti riconobbero, sacro, / giacché senza affanno e silenzioso sei / sorto su chi vive in affanno». 36 Una caratteristica di Iperione è la presenza costante della natura e la sua evocazione nel paesaggio, in un’esperienza contemplativa che diviene estatica in quanto percepisce l’armonia cosmica e il manifestarsi divino. Un confronto con le descrizioni del paesaggio presenti in Werther, ad esempio, permette di notare alcune somiglianze e le peculiarità che contraddistinguono la visione della natura nei due personaggi-autori: «Quando l’amata valle intorno a me si avvolge nei suoi vapori, e l’alto sole posa sulla mia foresta impenetrabilmente oscura, e solo alcuni raggi si spingono nell’interno sacrario, io mi stendo nell’erba alta accanto al ruscello scorrente, e più vicino alla terra osservo mille multiformi erbette; allora sento presso al mio cuore brulicare tra gli steli il piccolo mondo degli innumerevoli, infniti vermiciattoli e moscerini, e sento la presenza dell’onnipossente che ci ha creati a sua immagine e l’alito del Dio d’amore che librandosi su noi ci porta e ci tiene in una eterna gioia» (Goethe: Opere, vol. I: I dolori del giovane Werther, traduzione di Luisa Graziani, p. 425, lettera del 10 maggio). Comuni a entrambi sono l’impronta panteistica, lo sguardo che si stende su un paesaggio trasfuso d’amore che viene percepito nella sua unità con il cosmo ma anche, dal punto di vista puramente linguistico-stilistico, le frasi di largo respiro introdotte dal ‘quando’ che formano un crescendo emotivo. In primo piano resta dunque sempre l’esperienza della natura da parte del protagonista, più che la natura stessa, ma con evidenti differenze. A Werther interessano i dettagli, i piccoli particolari della vita organica, i vermiciattoli e i moscerini con il loro ronzio; la prospettiva di Iperione è invece sempre rivolta verso il cielo che abbraccia la terra e coglie dovunque un tratto divino che trascende il paesaggio e lo trasfgura. Iperione volge lo sguardo all’infnitamente grande, ciò che è troppo concreto, troppo ‘terrestre’ e rumoroso viene eliminato per ascoltare la quiete del mondo e la musica

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delle sfere celesti e lasciare spazio a un’esperienza mistica dell’armonia del cosmo (cfr. anche Bay: ‘Ohne Rückkehr’. Utopische Intention und poetischer Prozeß in Hölderlins Hyperion, pp. 93-116). In questa pagina, inoltre, cielo e terra si uniscono in un abbraccio dal quale sembra scaturire Iperione-sole stesso e che conferisce quasi concretezza fsica alla visione panteistica del giovane. 37 Misero nel senso di impoverito, inaridito (in tedesco dürftig): un uso simile di questo aggettivo è nell’inno Pane e vino (v. 122: «a che scopo i poeti in miseri tempi?» – Tutte le liriche, p. 953). 38 Queste pagine contengono una dichiarazione di fede panteistica, che induce Hölderlin a precisare in una nota che si tratta di esternazioni di una fgura romanzesca; ciò non impedirà alla censura viennese di riconoscere l’impronta panteistica di tutto il romanzo, che infatti verrà ammesso alla vendita soltanto erga schedam, cioè previa registrazione del nome dell’acquirente. L’infuenza del panteismo di matrice spinoziana sulla flosofa tedesca di fne Settecento è un aspetto molto studiato dalla storiografa. L’impulso iniziale al riguardo venne fornito dalle Lettere sulla dottina di Spinoza che Friedrich Heinrich Jacobi pubblicò nel 1785 e poi, con importanti supplementi, nel 1789, dando vita al cosiddetto Spinozastreit. Hölderlin aveva letto il libro di Jacobi probabilmente tra il 1791 e il 1792 (epoca alla quale risale una breve sinossi dell’edizione del 1785; cfr. MA, vol. II, pp. 39-43, trad. it. in Friedrich Hölderlin: Scritti di estetica, pp. 41-43). La marca panteistica che il poeta imprime a questa lettera richiama elementi tipici del naturalismo rinascimentale, tanto da far pensare a richiami quasi letterali a Giordano Bruno, che venne diffuso in Germania sempre tramite le Lettere di Jacobi (ma nell’edizione del 1789). 39 Stella (in alcune traduzioni ‘Astro’) era un giovane discepolo del quale Platone si sarebbe invaghito, dedicandogli alcuni epigrammi (cfr. Diogene Laerzio: Vite e dottrine dei più celebri flosof, lib. III, § 29; Anthologia lyrica graeca, vol. I, p. 102, nn. 4 e 5). Per descrivere il suo rapporto con il maestro, Iperione ricorre immediatamente al legame che univa Platone a uno dei suoi discepoli più cari, e si richiama al mondo classico non soltanto per le modalità educative, ma anche per i contenuti: Adamas infatti lo introduce nel mondo delle divinità greche e in quello degli eroi di Plutarco. Cfr. Lampenscherf: «Heiliger Plato, vergieb…» Hölderlins Hyperion oder: Die neue Platonische Mythologie.

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Proprio nel periodo in cui stava lavorando per ultimare il romanzo, il poeta accompagna Susette Gontard e la famiglia nella località termale di Driburg (agosto/settembre 1796). Se il viaggio e la compagnia di Wilhelm Heinse abbiano stimolato il lavoro, non è possibile dirlo; senz’altro Hölderlin ha apprezzato i grandi benefci avuti dalle acque termali, di cui parla anche in una lettera al fratello: «Ho utilizzato anch’io qualche volta le terme, e ho bevuto l’acqua minerale preziosa, corroborante e depurativa, e ne ho tratto e ne traggo uno straordinario benefcio» (13 ottobre 1796; MA, vol. II, p. 628). La bella immagine delle acque termali come «acque spirituali», presente anche nella bozza dell’inno Alla Madonna (Tutte le liriche, p. 1039, v. 110) serve da paragone per gli incoraggiamenti ricevuti dall’amico e maestro Adamas, di cui si racconterà tra breve, che hanno un simile potere di infondere energia e profonda forza. 41 Il continuo contrasto fra l’atteggiamento aperto alla mediazione dell’incommensurabile e quello che si rinchiude nel limite della capacità intellettuale è spesso riproposto da Hölderlin, che in questo modo presenta il suo giudizio storico sulle correnti culturali tedesche del tempo. La critica alla pedagogia illuminista e ai rigidi metodi educativi di allora, per i quali il poeta stesso aveva lungamente sofferto negli anni di studio, serve a defnire ex negativo la fgura del suo maestro Adamas e ripropone le idee esposte nell’Émile e sintetizzate anche in una lettera della Nouvelle Héloïse (parte V, lettera III), dove ci si sofferma sui metodi educativi contro natura. 42 Hölderlin utilizza spesso la metafora dell’aquila che, non appena giunge il momento giusto, spinge i piccoli fuori dal nido per insegnar loro a volare (cfr. anche più avanti, p. |725| e nella Morte di Empedocle, I stesura, vv. 1329-1336, p. 117). L’aquila si libra alta ed elegante sopra le cime dei monti, dove l’aria è più pura, ed è l’animale caro a Zeus, simbolo del divino; nel testo viene sostituita dalla civetta, animale goffo e nettamente contrapposto all’aquila, almeno per quanto riguarda le doti nel volo. La scelta della civetta, simbolo della flosofa, implica forse anche una critica ai flosof di scuola che, con i loro programmi eccessivamente rigidi e razionali, producono solo falsi saperi. Sul ruolo e la presenza degli uccelli nell’opera di Hölderlin cfr. Bertaux: «frei wie Fittige des Himmels…». 43 Dopo aver più volte evocato indirettamente la sua fgura, ecco comparire Adamas, il maestro di Iperione; con questa esclamazione si apre la parte di narrazione che lo riguarda e che occuperà interamente

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la lettera appena iniziata. Con lui Iperione vagherà a lungo in Grecia, imparando a rispettare e amare la grandezza del passato e le vestigia del mondo classico. Il nome Adamas compare sia nel Frammento di Iperione (si chiama così il giovane di Tinos che Iperione accompagna in Asia Minore, a visitare la regione dell’antica Troia), sia nella Penultima stesura (qui è l’amico di Iperione che assumerà poi nel romanzo il nome di Alabanda); infne passa poi a designare l’amico e maestro del giovane, che nei materiali preparatori non aveva mai ricevuto un nome. Varie ipotesi sono state formulate sulla provenienza del nome Adamas: l’Iliade, il resoconto di Choiseul-Gouffer o ancora l’etimo greco ‘indomabile, resistente’ che indica il diamante. Cfr. nota 84 e reitani: Il nome di Alabanda, che individua nel riferimento alle pietre preziose un flo conduttore che unisce diversi personaggi. 44 Caratteristiche universali del vero sapiente, qui incarnato da Adamas, sono il coraggio e la forza: l’ignavia è il principale nemico della saggezza. Si tratta di un topos della critica flosofca di tutti i tempi, a cui spesso ha dato voce la poesia da Dante a Campanella, da Novalis a Leopardi. Adamas incarna i principi educativi di rousseau, che non prevedono insegnamenti o costrizioni, ma si basano sull’entusiasmo e sulla capacità di coinvolgimento dell’allievo; Adamas infatti stimolerà l’entusiasmo del giovane additandogli come esempio le vite degli eroi antichi e alimentando la sua sensibilità nei confronti della natura. Si tratta di un’educazione che mira all’uomo nella sua interezza e che lo porta a tendere verso un’unità superiore, più perfetta. 45 Il riferimento è autobiografco e comparirà anche in altri punti del romanzo, dove Hölderlin accenna al fatto di essere cresciuto orfano di padre, senza riuscire a trovare nella madre, molto chiusa e austera, una fgura di riferimento che potesse in parte compensare quella mancanza. L’immagine della vite che cresce a casaccio è spesso usata per rappresentare questa sua condizione: «Folli in lungo e in largo giriamo; come la vite che erra / quando le si spezza il bastone, sul quale al cielo si arrampica, / ci disperdiamo sul suolo e per le plaghe della terra, / raminghi […]». All’Etere, vv. 37-40 – Tutte le liriche, pp. 124-127. Sul ruolo del padre nel romanzo si veda anche la nota 70. 46 Questa lapidaria chiusura («così lo incontrai») riprende quella del paragrafo precedente, con l’inversione di soggetto e complemento oggetto («così mi incontrò»), a indicare la reciprocità e la corrispondenza tra i due personaggi. Con le stesse parole Hölderlin conclude

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anche la descrizione di uno dei suoi incontri con Goethe a Jena (lettera a Neuffer, 19 gennaio 1795 – MA, vol. II, p. 564). 47 Il rapporto di dedizione e di affetto tra il maestro e il discepolo, che fn dall’inizio è stato posto sotto l’egida degli ideali della classicità (poche righe prima erano stati infatti introdotti come metro di paragone Platone e Stella), viene descritto con l’aiuto della metafora musicale, un tenue flo rosso sotteso a tutto il romanzo, che rende manifesta non solo la teoria hölderliniana dell’alternanza dei toni (cfr. nota 28), ma anche la rifessione sul rapporto tra musica, linguaggio e poesia (cfr. Albert: Allharmonie und Schweigen – musikalische Motive in Hölderlins Hyperion). Così il giovane è l’eco del maestro, riproduce le melodie perfette di un ideale utopistico collegato alla classicità del passato che poi tramonterà per lasciare posto all’ideale concreto, ma altrettanto utopistico, di una classicità futura da realizzare nel sogno rivoluzionario con Alabanda. 48 Questa immagine crea un effcace contrasto con quella che poco prima Iperione ha utilizzato per descrivere la sua condizione al momento dell’incontro con Adamas, quando come un fuoco fatuo tutto afferrava e da tutto veniva afferrato, in modo fugace e dispersivo: le due esperienze di coinvolgimento nel ‘tutto’ sono simmetriche e opposte. Nel primo assorbimento manca ciò che soltanto l’entusiasmo presente nel secondo può assicurare: un’adesione interiore profonda. Uno stato che prescinde dalle condizioni psicologiche, cognitive ed etiche (non necessita di tempo, spazio, convincimenti né comandi) e che, in questo senso, promuove lo sviluppo spontaneo della persona nel suo complesso, in armonia tra desideri, interessi e cognizioni. 49 Le Vite di Plutarco mettono il giovane Iperione a contatto con le gesta di grandi uomini greci e romani, che gli serviranno da metro di paragone per giudicare gli uomini del presente. Una simile rifessione è esposta anche da Karl Moor nelle prime scene dei Masnadieri: «Karl (deponendo il libro): Mi fa schifo questo secolo di scribacchini quando leggo nel mio Plutarco le gesta di grandi uomini» (Schiller: Teatro – I Masnadieri, p. 20). Il valore pedagogico di queste biografe (come modello da seguire o, al contrario, da evitare) era stato riconosciuto fn dall’Umanesimo, e la loro lettura era divenuta una consuetudine nel canone formativo dei giovani. Hölderlin dimostra di apprezzarle in modo particolare e le inserisce non soltanto nel percorso formativo di Adams, ma anche nel suo stesso metodo educativo, come spiega all’amico Johann Gottfried ebel che gli aveva fatto da tramite per il

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posto da precettore presso la famiglia Gontard. Il poeta ne teorizza infatti la valenza pedagogica quando scrive che è sua intenzione mettere il bambino in contatto con ciò che è nobile e bello, per risvegliare in lui l’istinto verso un mondo migliore; e questo obiettivo si può raggiungere ricreandogli intorno il mondo dell’antichità greca e romana grazie alle descrizioni dettagliate e vivide di Livio e Plutarco, ma non per farle studiare al suo pupillo come freddo esercizio di memoria, bensì perché suscitino nel suo cuore delle impressioni (MA, vol. II, pp. 591-595). 50 Il tutto non è identico, ma richiede distinzione. Contro la flosofa dell’identità Hölderlin aveva individuato la necessità di una flosofa in grado di soddisfare il principio dell’unità, muovendosi in questo senso nella stessa direzione di Herder. L’unità implica una distinzione interna che, sebbene non possa mai essere eliminata del tutto (poiché altrimenti non sarebbe più unità ma semplice identità), trova modo di ricomporsi parzialmente in vari modi, e il modello dialettico che Hölderlin predilige è più vicino alla coincidentia oppositorum che alla Aufhebung hegeliana. 51 Nelle credenze romane, le anime dei defunti. 52 Nonostante l’ambientazione sia la Grecia, l’autore utilizza prevalentemente gli equivalenti romani per i nomi delle divinità, come era consuetudine al suo tempo; allo stesso modo, anche la grafa dei nomi di persone e di luoghi greci è latina. – A olimpia si ergeva uno dei più antichi templi di Zeus, e qui si svolgevano, ogni quattro anni, le gare elleniche più famose e importanti, i giochi olimpici. 53 Nel suo resoconto Chandler, visitando la regione intorno a Troia, riferisce che molti monumenti antichi sono in un avanzato stato di degrado, ridotti a dei ruderi a malapena riconoscibili e ricoperti dalla vegetazione; i contadini mostrano ai visitatori ciò che ne rimane scostando i rovi (Chandler: Reisen in Klein Asien, p. 38). L’immagine evocata è tipica dell’arte fgurativa del Settecento: il paesaggio campestre con le rovine classiche e l’artista che lo dipinge. 54 Signore di Pilo, nell’Iliade Nestore è il più anziano dei capi greci, molto stimato per i suoi saggi consigli e noto per le sue doti di narratore. 55 A Delo, sul monte Cinto, sorgeva un tempio dedicato ad Apollo, al quale si giungeva seguendo un sentiero scavato nel granito; nell’ultima parte, antichi gradini di marmo conducevano fno alla cima (Choiseul-Gouffer/reichard: Reise […] durch Griechenland, vol. I, p. 135).

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Secondo il mito Latona, messa incinta da Zeus, si rifugiò su quest’isola per partorire Apollo e Artemide; per questo l’isola, prima errante e sterile, divenne rigogliosa e fu fssata sul fondo del mare venendo a costituire il centro del mondo antico. Qui si teneva ogni anno una grande festività per celebrare la nascita delle due divinità, che Hölderlin descrive in toni entusiastici nelle righe seguenti, sempre ispirandosi alla descrizione fornita da Choiseul-Gouffer (ivi, pp. 106-123) che l’aveva ripresa, a sua volta, dal racconto di Barthélémy: Voyage du jeune Anacharsis. Nella traduzione tedesca di Barthélémy sono dedicati a Delo tre capitoli, dal 76 al 78 (parte VI), ma la descrizione dell’isola, del mito di Latona e delle sue festività è nel cap. 76 (pp. 291-352). Cfr. anche la Morte di Empedocle, I stesura, vv. 756-774 (p. 71). 56 Il paragone non è del tutto calzante, almeno nella prima parte, poiché Achille non si gettò nello Stige in età giovanile, né lo fece di propria volontà, ma fu la madre a immergerlo appena nato nelle acque del fume infernale, tenendolo per il tallone, per renderlo invulnerabile. 57 Questa è una scena fondamentale, in cui la natura viene esaltata non di per se stessa ma in quanto espressione dell’antichità classica, dove natura e storia si congiungono come due fattori che concorrono a modellare l’unità di cui Hölderlin va costantemente in cerca. L’avvicinamento del giovane alla natura è graduale: nella prima parte del brano essa è oggetto di scoperta e di studio, come poteva essere anche per il curioso viaggiatore dell’epoca; poi, dopo i puntini di sospensione, interviene il narratore che si rivolge a Bellarmino interrompendo il fusso del racconto e creando un effetto di sospensione nel lettore. Nella seconda parte avviene l’immedesimazione, il riconoscimento dell’armonia tra quella natura e l’epoca d’oro dell’umanità; il racconto diviene memoria animata e vivifcata dallo spirito. 58 Sul titano Iperione, cfr. nota 8. ‘Senza affanno’ (mühelos), cfr. nota 35. 59 Con un gesto fortemente simbolico, e in un luogo altrettanto simbolico per la grecità classica, Adamas genera il proprio allievo identifcandolo con «l’antico dio del sole», «il titano immortale». L’identifcazione non avviene però tramite il nome, ma attraverso la condivisione di un compito, di un’azione che richiede al giovane uno sforzo: «sii come lui», cioè colma anche tu il mondo con la tua forza e il tuo spirito, come viene detto poche righe più avanti. Ciò che viene sancito non è quindi tanto l’omonimia tra il giovane e il suo

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modello divino, quanto una somiglianza dell’essere, una coincidenza tra l’umano e il divino, il «dio dentro di noi» che Adamas invocherà nell’accomiatarsi da Iperione. 60 Nel paragrafo precedente Adamas aveva compiuto un primo passo nella defnizione dell’identità di Iperione associandolo al dio del sole; ora gli indica la sua seconda caratteristica, messa in evidenza del resto fn dal sottotitolo del romanzo: la solitudine. essa è il risultato dell’elevarsi di Iperione al di sopra di tutto ciò che è reale e concreto per avvicinarsi all’ideale, ed è la condizione non di chi decide di appartarsi dal mondo, ma quella in cui viene a trovarsi chi viene abbandonato dagli altri, perché non sono in grado di capirlo fno in fondo né di seguirlo. Il tema della solitudine richiama molto da vicino rousseau, che ne aveva fatto un vero e proprio culto, in particolare nello scritto Les rêveries du promeneur solitaire, e la rifessione dell’epoca sulla fgura del genio-poeta. 61 L’uomo non può fare a meno di porsi in relazione con gli altri, non tanto nel senso dell’intrinseca socialità di stampo aristotelico, quanto perché lo stesso desiderio che determina l’amore agisce anche sul piano dei rapporti sociali. Nonostante la previsione di Adamas, infatti, Iperione non potrà fare a meno di coltivare il suo ideale utopistico e cercherà di coinvolgervi i suoi compatrioti. La consapevolezza della doppia natura del desiderio (che è pena, ma anche risorsa inesauribile) è del resto coscienza rifessiva dell’Iperione maturo che scrive a Bellarmino, mentre l’Iperione giovane, appena investito dal maestro di un compito superiore di cui non comprende ancora la portata, non avverte lo stridente contrasto delle parole di Adamas. 62 La natura in questo contesto non va tanto riferita al panteismo di stampo spinoziano o all’immanentismo di tipo rinascimentale: essa richiama piuttosto l’unità armonica fra ideale divino e mondo umano propria della Grecia antica. Anche in questo caso, come già in precedenza, la natura è espressione idealizzata del passato, è categoria storiografca particolare che unisce la dimensione archeologica a quella ideale, quasi come se le memorie conservate attraverso i secoli costituissero una nuova natura per i moderni, perché ciò che si conserva, dice più volte Hölderlin, è proprio la natura, mentre gli uomini e le loro azioni si dissolvono. 63 Nio (oggi Ios) è un’isola delle Cicladi, a Sud di Tinos; qui, secondo una tradizione riportata anche da Choiseul-Gouffer (Reise […] durch Griechenland, vol. I, pp. 32-33), si trova la tomba di omero.

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L’entusiasmo per la riscoperta dei poemi omerici era molto diffuso all’epoca e lo si ritrova in moltissimi poeti e scrittori; per alcuni di loro però la riscoperta della grecità e dei suoi valori, rappresentati da omero, acquista una rilevanza particolare, ad esempio per Goethe e Hölderlin, che nel Frammento di Iperione la trasforma in un vero e proprio culto. Lì infatti (pp. |503-506| in Appendice) viene raccontato nei dettagli il ‘pellegrinaggio’ compiuto da Iperione e dai suoi amici alla grotta di omero, nei pressi di Smirne, dove un busto ricorda l’antico poeta: raccolti intorno alla sua effgie, i giovani danno voce alla loro venerazione per l’antico cantore e per i valori eroici della Grecia classica, che nei suoi poemi trovano espressione. Cfr. Schadewaldt: Hölderlin und Homer. 64 Più volte, e in diverse accezioni, l’autore riprende l’idea del ‘dio in noi’ che rispecchia l’ampia e variegata tradizione che, fn dall’antichità, parlava del deus in nobis, deus internus ecc. (si veda anche l’Inno all’Umanità, v. 80: «il Dio in noi è consacrato al dominio», e l’ode Il congedo, v. 4: «giacché un Dio impera in noi» – Tutte le liriche, pp. 41 e 901). Già Platone parla del ‘divino’ in Socrate, ma è soprattutto per gli stoici che il concetto del ‘dio in noi’ diviene un’istanza fondamentale, e questo vale in special modo per autori che Hölderlin conosceva bene come Cicerone, Seneca e Marco Aurelio. Quest’ultimo, soprattutto, di cui il poeta possedeva i Pensieri, e la cui infuenza si fa sentire in più punti del romanzo, parla di un ‘dio in noi’ nella particolare variante a cui fa riferimento Adamas, quella cioè secondo la quale l’uomo avrebbe in sé un dio o daimon, che determina il suo essere e il suo agire (Marco Aurelio: Pensieri, lib. XII, § 1; lib. III, § 5). La parte dominante, il daimon appunto, sarebbe anche la parte migliore dell’uomo, quella razionale che è un frammento della divinità; e il compito più importante dell’uomo sarebbe proprio quello di accudire il suo daimon, il «demone che ha in sé, e venerarlo con cuore sincero» (ivi, lib. II, § 13). Questa idea viene coniugata dal poeta con un’immagine biblica particolarmente cara a Lutero, dove più volte l’azione di Dio che guida il cuore è paragonata a una forza che incanala il fusso dei torrenti (Sal 1, 3; Is 44, 3; Ger 31, 9). 65 La concezione del ringiovanire e invecchiare nel cerchio della vita viene spesso richiamata in Iperione (pp. |632-633|, |656|, |693|, |714| oltre che nei materiali preparatori raccolti in Appendice) e sarà un tema importante anche nelle diverse stesure della Morte di Empedocle (si veda in particolare la I stesura, vv. 1398-1415, pp. 121-123).

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In campo politico, la teoria del rinnovamento si era strettamente legata alla rivoluzione francese vista come atto fondativo di un nuovo ordine, di una nuova forma di convivenza civile; in flosofa ruotava intorno al concetto di palingenesi, l’idea del ritorno di tutte le cose in un ciclo eterno del cosmo, che si disgrega e poi si rigenera. In una variante di questa teoria, sempre riconducibile allo stoicismo, si parla non tanto del ritorno ciclico delle stesse forme, quanto piuttosto del valore catartico della morte e rigenerazione (la morte purifcatrice di empedocle), che porterebbe poi a un livello di esistenza superiore, migliore. L’idea della rinascita, rafforzata spesso con passi biblici, ha un ruolo signifcativo anche in ambito religioso e per il Pietismo in particolare. Molto diffuso era lo scritto di Charles Bonnet: Palingénésie philosophique ou Idées sur l’état passé et sur l’état futur des êtres vivans (1769, tradotto in tedesco nello stesso anno da Lavater); esso fu ripreso poi da Herder nel saggio Tithon und Aurora (1792; Herder: Sämmtliche Werke, vol. XVI, pp. 109-128; Kempter: Herder, Hölderlin und der Zeitgeist, p. 65), che Hölderlin ben conosceva. Qui si parla diffusamente della palingenesi: Herder auspica non solo un ringiovanimento individuale, del singolo, ma in parallelo anche un rinnovamento sociale e morale, dello Stato e delle istituzioni (che è l’aspetto che più interesserà ad esempio l’empedocle hölderliniano). 66 Il titano dell’etna è Tifone, un essere mostruoso che era stato generato per spodestare Zeus e annientare tutto l’olimpo. Quando egli attaccò il Cielo, tutti gli dei fuggirono atterriti in egitto e si nascosero nel deserto; solo Zeus gli tenne testa in una lunga lotta. Scoraggiato dalla resistenza incontrata, Tifone si diede alla fuga ma mentre attraversava il mare di Sicilia, Zeus lanciò su di lui il monte etna che lo schiacciò. Il mito narra che nei recessi del monte la terra bruciava e fondeva come stagno, e il fuoco che sorge dall’etna sono le famme d’ira vomitate dal mostro (cfr. esiodo: Teogonia, vv. 820-868). 67 Un passo simile è contenuto nella lirica Il Destino, risalente al 1794 e inviata a Schiller per la pubblicazione sulla «Nuova Talia» insieme al Frammento di Iperione: «Allora dalla culla della madre, / trovando la strada splendente / per la vittoria ardua della sua virtù, / balzò il fglio della natura sacra» (Tutte le liriche, p. 91, vv. 9-12). 68 Il ‘regno delle ombre’ richiama il componimento di Schiller, Das Reich der Schatten (1795), che poi assunse il titolo defnitivo Das Ideal und das Leben. Il mondo degli eroi defunti è quello in cui Iperione si sente più a suo agio, ma anche l’accompagnarsi notturno con i grandi

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spiriti del passato gli offre una consolazione soltanto passeggera, anzi: il confronto con la loro grandezza lo annichilisce ancora di più e gli rende la vita della sua epoca ancora più amara. 69 Beißner osserva (Lesarten und Erläuterungen, p. 445) come la linea orizzontale divida chiaramente il primo libro in due parti, incentrate sulle due fasi della crescita del protagonista e imperniate su due fgure di riferimento, Adamas e Alabanda. Dopo aver concluso il periodo dell’educazione accompagnato dal maestro, infatti, Iperione si allontana da casa e affronta il mondo. Inizia così la fase dell’amicizia e dell’entusiasmo giovanile, una fase piena di voglia di fare e di progetti che Iperione può condividere con un nuovo amico. Questa seconda tappa è destinata a chiudersi con un altro addio, questa volta brusco, poiché i due amici si separeranno all’improvviso, in seguito a una lite. Solo dopo un certo tempo il loro legame si rinnoverà, nell’amicizia più pacata e più profonda di un’età più matura alla quale è riservata l’azione anche in campo politico. 70 La città di Smirne svolge una parte importante nella topografa del romanzo; nel Frammento di Iperione era addirittura la patria del protagonista. Situata sulla costa dell’Asia Minore, era una delle sette città che si contendevano la fama di essere patria di omero e, con il suo grande porto, era un centro importante, in posizione strategica, crocevia di culture e di vie commerciali. La città-simbolo del massimo livello di cultura e di civiltà si trova quindi verso oriente, non a occidente; e ancora più a oriente si era avventurato Adamas, nella sua ricerca di un «popolo di rara perfezione». Nella direzione opposta si muoverà invece Iperione in cerca di conforto dopo l’esito drammatico della sua partecipazione ai moti rivoluzionari. – L’esortazione del padre, che ricorda la raccomandazione di S. Paolo («esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono», 1 Ts 5, 21), segna l’inizio del periodo di formazione e di Wanderung, un elemento che accomuna Iperione agli altri protagonisti dei Bildungsromane. I genitori, che incoraggiano il fglio a partire per studiare, fanno solo questa fugace apparizione nel romanzo; la fgura del padre, in particolare, esaurisce così il suo ruolo nella formazione e nella parabola di Iperione, che è invece dominata da altre fgure maschili che gli si sovrappongono: Adamas; il saggio straniero nella Giovinezza di Iperione; Alabanda. Il padre ricomparirà nella seconda parte del romanzo quando, avendo appreso della decisione del fglio di unirsi ai rivoltosi, lo rinnegherà e lo diserederà, recidendo così il legame con la famiglia e con l’isola natia e condan-

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nandolo a essere un ‘esule’ in patria. Questo elemento narrativo può senz’altro essere identifcato come un tratto autobiografco del poeta, che per due volte ha vissuto la perdita della fgura paterna, un trauma che segnerà fortemente il poeta per tutta la vita. 71 Il fume Mele viene descritto in modo dettagliato da Chandler (Reisen in Klein Asien, p. 99), che riferisce anche della nascita di omero sulle rive del fume (episodio narrato nella Vita di Omero attribuita a erodoto, secondo il quale la madre era uscita dalla città per assistere a una festa insieme ad altre donne di Smirne, quando fu colta dalle doglie del parto). La grotta in cui omero avrebbe composto l’Iliade era presente già nel Frammento di Iperione, dove è teatro di una commemorazione dell’antico poeta (cfr. Appendice, pp. |503-506|). 72 Il tema della lettura, il gesto dell’aprire un testo di un grande autore dell’antichità per trovarvi ispirazione, conforto e consonanza ricorre più volte sia all’interno del romanzo, sia nei materiali preparatori (si veda ad esempio il frammento Dormivo, o mio Callia…, p. |485|). Nei momenti di maggior abbattimento Iperione cerca rifugio tra gli eroi di omero, tra i personaggi di Plutarco e di Sofocle, come il già ricordato Karl Moor nei Masnadieri (cfr. nota 49) e come Werther, che usava appartarsi in un luogo tranquillo e raccolto per dedicarsi alla lettura (cfr. Goethe: Opere, vol. I: I dolori del giovane Werther, traduzione di Luisa Graziani, p. 430, lettera del 26 maggio: «Non potrei facilmente trovare un posticino più intimo e sereno dimodoché dall’osteria faccio portar fuori il mio tavolino e una sedia, e lì bevo il mio caffè e leggo omero»). Per Iperione, in particolare, la grandezza degli antichi eroi diviene metro di paragone per valutare gli uomini della sua epoca (in genere con risultati deludenti) e fonte di accresciuto slancio ideale. 73 Il Pattolo è un fume aurifero dell’Asia Minore che nasce dal Monte Tmolo e scorre nelle vicinanze di Sardi, un luogo ameno rievocato anche nella lirica Patmos (vv. 25-36): «Ma presto, in vigoroso splendore, / misteriosa / in un vapore dorato, foriva / sorgendo rapida / con i passi del sole, / fragrante di mille vette, / A me l’Asia, e abbagliato cercai / un luogo che conoscessi, non avvezzo / alle ampie strade, dove / dallo Tmolo scende / il Pattolo ornato d’oro / e si levano il Tauro e il Messogi» (Tutte le liriche, pp. 315-317). Le sabbie aurifere del Pattolo contenevano l’elettro, una lega naturale di oro e argento; secondo un’antica leggenda, l’oro presente nel fume pro-

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veniva dall’abluzione compiuta dal re frigio Mida, per rinunciare al dono di tramutare in oro ogni oggetto da lui toccato. – L’atmosfera è completata dalla vegetazione rigogliosa e profumata e dalle rovine di un tempio, di cui si vedono solo cinque colonne e il portale crollato, dettagli ripresi fedelmente da Chandler: Reisen in Klein Asien, pp. 359-360. 74 Il Sipilo è un rilievo montuoso della Frigia, a Nord di Smirne. Chandler: Reisen in Klein Asien, p. 372, riferisce che da Smirne lo si vedeva all’orizzonte, spesso avvolto da nubi, si udiva il rumore del tuono in lontananza e si vedevano i lampi attorno alle sue cime. Secondo Jochen Schmidt, molto attento a raccogliere tracce dell’infusso di rousseau, l’atmosfera e il tono della descrizione richiamano analoghe descrizioni paesaggistiche della Svizzera presenti nelle opere del flosofo dove, a prescindere dalla collocazione geografca, compaiono immancabilmente giochi di luci e colori, cime innevate, nuvole temporalesche, pacifci paesini (Schmidt: Kommentar, p. 989). 75 Questa frase segna una netta cesura nella lettera, che appare divisa in due parti. La prima è dominata dalla bellezza della natura e dall’esperienza idilliaca della sua contemplazione, nella seconda parte le viene contrapposta la società civile di Smirne che ne costituisce il corrispondente fortemente negativo. Il contrasto tra natura integra e città come simbolo di una civiltà corrotta e ormai decaduta è una costante anche nel Werther, insieme al disprezzo per le sedicenti persone colte e istruite, che culmina nell’amara constatazione di come il secolo attuale sia ormai irrecuperabile. Anche echi di rousseau sono presenti in tutto il brano, in particolare nei comportamenti adottati da Iperione per inserirsi nella comunità degli uomini. 76 La linfa di betulla si raccoglie in primavera praticando un foro nel tronco dell’albero; veniva usata a scopi depurativi e per la regolazione dell’attività intestinale, come anche per la prevenzione dello scorbuto per i marinai (cfr. Most: Encyklopädie der gesammten Volksmedicin, s. v. Birkensaft). 77 Il ‘buon gusto’ è una delle parole d’ordine del Settecento. Lo scritto di Winckelmann: Pensieri sull’Imitazione (1755) si apre proprio con la frase: «il buon gusto, che va sempre più diffondendosi nel mondo, cominciò a formarsi dapprima sotto il cielo greco» (p. 27). Ma dalla Geniezeit in poi il ‘buon gusto’ era divenuto anche una formula vuota che indicava la banalità e il superfciale formalismo delle convenzioni sociali, quindi con connotazione sempre più negativa. ri-

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chiamandosi al buon gusto, l’interlocutore di Iperione si colloca proprio su questo versante, come dimostra senza ombra di dubbio il suo sussiego, e diviene così oggetto dell’aspra critica di Iperione. 78 Cantastorie, saltimbanchi, ciarlatani e venditori ambulanti erano molto diffusi al tempo, ed erano un importante veicolo di informazioni, oltre che di intrattenimento, e raccoglievano e trasmettevano la cultura popolare. Cfr. Schenda: Volk ohne Buch. 79 Ancora prima di incontrarla, ancora prima dell’episodio con Alabanda viene già anticipato l’incontro con Diotima e con l’amore che sarà al centro del secondo libro. Il giglio candido è il simbolo dell’epifania del sacro, del perfetto, e del sentimento di appagamento e perfezione che la sua manifestazione produce (cfr. Il congedo, v. 35 – Tutte le liriche, p. 903). Nell’economia della lettera questo accenno fugace ha un signifcato ben preciso: dopo la descrizione della bellezza del paesaggio dell’Asia Minore e della sua controparte negativa, la città come esempio dello stato di corruzione e decadimento della civiltà, segue la rappresentazione ideale della perfezione umana nell’amore, quasi a indicare una possibilità di superamento e di conciliazione dei due estremi in una dimensione diversa. Questa rappresentazione scaturisce dall’esperienza negativa di un limite e da un’interiorità tutta tesa alla ricerca della perfezione come è quella di Iperione descritta in queste righe, e crea la condizione di speranza e di anticipazione necessaria per rendere possibile l’incontro. La donna amata viene già collocata nella sfera del divino: non solo lo guarda come un genio, dalle nuvole, ma sorge dai futti, con riferimento alla nascita di Afrodite dalla spuma del mare; essa racchiude inoltre la pace dell’armonia e della bellezza assoluta. 80 Se nella parte conclusiva della lettera precedente Iperione aveva presagito l’incontro con l’amore, incarnato da quella fgura ideale e perfetta che sarà Diotima, in queste righe si annunciano altri due motivi fondamentali del romanzo: la partecipazione ai moti di liberazione della Grecia dal dominio turco e l’incontro con Alabanda, che si sovrapporrà alla fgura di Adamas. 81 Il disgusto per la città, la delusione per la formazione ricevuta lì, il mancato compimento delle sue aspirazioni portano il giovane a uno scoramento che gli fa vedere nella tarda estate già i segni dell’autunno e del freddo inverno. La consonanza tra la stagione dell’anno e lo stato d’animo del protagonista è del resto un motivo caratteristico anche del Werther e della letteratura dell’epoca, ma compariva già in rousseau.

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La zona di Karaburn, collocata sulle pendici del monte Mimas fno alle rive del golfo, era molto impervia, piena di strette gole e di anfratti, e i suoi abitanti erano tristemente noti, secondo Chandler (Reisen in Klein Asien, p. 126), per essere pirati e briganti. 83 L’intesa e l’amicizia che nascono con Alabanda sono profonde e immediate: poco più avanti il poeta userà l’immagine dei due ruscelli che corrono l’uno verso l’altro in un moto impetuoso e inarrestabile, per poi unire le loro acque e fuire insieme verso il mare; la loro reciproca forza di attrazione è irresistibile. I due giovani scopriranno presto di essere accomunati da alcune caratteristiche cruciali: l’insoddisfazione per la loro epoca, le prove affrontate nella vita, il desiderio di qualcosa di più vero e di più grande, la venerazione per gli eroi del passato. La devozione assoluta per Alabanda, in cui Hölderlin trasfgura la sua amicizia con Sinclair, presenta anche i tratti sentimentali ed entusiastici propri dell’amicizia nell’epoca dell’Empfndsamkeit (cfr. Böschenstein: Klopstock als Lehrer Hölderlins. Die Mythisierung von Freundschaft und Dichtung; Thiel: Freundschaftskonzeptionen im späten 18. Jahrhundert). Dopo la fase dell’infanzia, associata all’educazione con Adamas, inizia ora la fase giovanile in cui l’esperienza forte è quella dell’amicizia; ci sarà poi, ed è stata già preannunciata, quella dell’amore, secondo una scansione che ricorda da vicino quella indicata da rousseau nell’Émile. La quarta e ultima fase, quella del riconoscimento sociale e del compimento del legame amoroso, per Iperione non verrà, almeno non nella forma abituale del Bildungsroman dell’epoca. 84 A lungo gli studiosi hanno cercato una spiegazione per il nome di questo personaggio. Se gli altri nomi sono dotati di una forte carica evocativa e simbolica, per Alabanda ci si accontentava di un accenno all’omonima città della Caria, in Anatolia (Binder: Hölderlins Namenssymbolik, pp. 165-170), fnché Luigi reitani non è riuscito a documentare in modo convincente la provenienza del nome da un minerale, in analogia con il nome di Adamas e in contrasto con l’omonimo personaggio femminile del romanzo di Wieland, Der goldene Spiegel. Al bianco fulgido del diamante segue dunque il rosso fuoco dell’alabanda, una varietà del carbonchio, che ben simboleggia il carattere focoso e passionale del nuovo compagno di Iperione (reitani: Il nome di Alabanda). 85 Si tratta di un khan, una sorta di locanda, costruzione tipica di quella regione che serviva da appoggio ai mercanti di passaggio

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lungo le vie commerciali. Chandler (Reisen in Klein Asien, pp. 93-94) la descrive come un edifcio gradevole di forma quadrangolare, con una fontana al centro del cortile interno; il primo piano presentava una balconata con le camere che si affacciavano tutto intorno, al pianterreno alloggiavano i servitori e gli animali, ma ve n’erano anche di molto più semplici. 86 Nemesi è contemporaneamente una divinità, fglia di Nyx (la Notte), e la personifcazione della vendetta divina. Nemesi, «sciagura degli uomini mortali» (esiodo: Teogonia, vv. 223-224), punisce i crimini, ma è soprattutto incaricata di punire ogni ‘dismisura’, ogni eccesso degli uomini, l’eccesso di orgoglio o di presunzione, come anche l’eccesso di felicità. Nella concezione del mondo ellenico, infatti, l’equilibrio è fondamentale; ogni sproporzione, ogni eccesso in negativo così come in positivo minaccia di distruggere l’ordine dell’universo e va quindi punito, e il concetto di ‘misura’ è basilare anche nel pensiero e nella poetica di Hölderlin. Cfr. Gargano: La ricerca della misura: essere, armonia e tragico nel pensiero di Hölderlin; Polledri: «...immer bestehet ein Maas». Der Begriff des Maßes in Hölderlins Werk. 87 Il concetto dell’invecchiare e del ringiovanire era molto diffuso all’epoca, e collegato all’idea delle età del mondo e della palingenesi (si veda in precedenza, nota 65). Diversi i riferimenti ai testi platonici: il mito delle opposte età di Zeus e di Crono (Platone: Politico, 268 e-274 e), dove si illustra come sotto il dominio di Crono gli uomini nascano vecchi per poi ringiovanire, mentre nel mondo dominato da Zeus, quello attuale, accade l’opposto; oppure il Menone (81 A-81 C), in cui viene presentata la dottrina della metempsicosi (Lampenscherf: «Heiliger Plato, vergieb…» Hölderlins Hyperion oder: Die neue Platonische Mythologie, pp. 146-150). Lo stesso concetto viene implicitamente applicato al paesaggio, poiché i due amici sono seduti in una natura morente, autunnale, che paragonano alla situazione storica attuale della Grecia che, per analogia, dovrà anch’essa risvegliarsi, ringiovanirsi e rinascere: l’ombra dell’alloro sempreverde è promessa di eternità. 88 Anche Alabanda è greco di origine, sebbene non sia precisato di quale luogo; defnito da subito «amico e compagno di lotta» (p. |632|), egli incarna la fgura del rivoluzionario greco che spende la propria vita per l’indipendenza della patria. Nella ricerca di riferimenti alla situazione politica contemporanea presenti nel romanzo e di contatti diretti tra il suo autore e la Grecia, Christoph Albrecht ricorda non soltanto l’incontro con il commerciante greco Panagiot Wergo, avve-

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nuto a casa dell’amico Neuffer nell’aprile del 1792 (v. Cronologia di Iperione), ma tratteggia un interessante quadro dei fermenti rivoluzionari e di rinnovamento che animavano i greci in diaspora. Proprio negli anni in cui Hölderlin si trovava a Francoforte e lavorava al completamento del romanzo, le attività degli esuli assunsero particolare intensità e rilievo nella pubblicistica, ed ebbero proprio nella città sul Meno un punto nodale. Pur non potendo documentare quali e quante notizie Hölderlin avesse in proposito, lo studioso sottolinea diverse convergenze tra i fatti reali e le vicende narrate nel romanzo, in particolare alcune affnità tra Alabanda e il poeta rivoluzionario rhigas Velestinlis, arrestato e giustiziato nel 1798 per la sua attività di propaganda politica, e il suo amico e collaboratore Johannes Maurojeni, che aveva operato per alcuni mesi anche a Francoforte (Albrecht: Über neue Realien des Hyperion). 89 Iperione è profondamente affascinato dallo spirito eroico e ardimentoso di Alabanda, ma fn dall’inizio si manifesta una certa tensione tra i due e una diversità di opinioni, che appare chiaramente in questo scambio di battute ed è sottolineata dalla pausa di silenzio che le segue. Alabanda è tratteggiato come uomo d’azione e di guerra, fautore della volontà che si autodetermina nell’azione; persino la sua voce risuona come un grido di guerra. Iperione invece, seppure contagiato dal suo fervore, non condivide del tutto l’entusiasmo dell’amico che predica la violenza della rivoluzione, ma si dichiara più propenso a un’azione politica meno d’impatto e più graduale. Anche più avanti, quando i due giovani riprenderanno il loro discorso sullo Stato, emergeranno altre discrepanze nella loro concezione circa il fne, lo scopo dell’azione politica (cfr. più oltre, nota 96). 90 Anche nell’invettiva, alla fne del romanzo, si parla del «senso di schiavitù», della condizione servile dell’uomo nella società. La fgura di Alabanda offre a Hölderlin lo spunto per rifettere sulla rivoluzione francese e sull’applicazione della forza per piegare la storia. Il tema dell’azione politica, che presenta molti rimandi alla situazione della Germania del tempo, è intessuto profondamente in tutto il romanzo ed è stato ampiamente considerato dalla critica, a cominciare da Bertaux: Hölderlin und die französische Revolution, che ha sottolineato fortemente l’infusso dell’attualità sulla vicenda narrata. Per una ricognizione sulle interpretazioni del rapporto di Hölderlin con la rivoluzione francese, che per alcuni anni ha alimentato un forte dibattito, cfr. Macor: Friedrich Hölderlin tra illuminismo e rivoluzione, pp.

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13-59. – Contemporaneamente, con il ripetuto richiamo alla felicità (un tema molto discusso nel Settecento) nelle sue diverse accezioni, anche dispregiative, l’autore polemizza contro l’eudemonismo diffuso alla sua epoca in Germania e che aveva già trovato una severa critica nel rigorismo etico kantiano. 91 Una decisa flosofa dell’azione, e insieme un’accresciuta autonomia dell’individuo («traggono coraggio dal loro stesso spirito») sono elementi caratteristici del pensiero di Fichte, come anche il taglio combattivo («vivono di vittoria») e la grande fducia nella «forza»: alla sua flosofa si ispira la personalità di Alabanda. L’entusiasmo che Fichte sapeva trasmettere ai suoi ascoltatori aveva contagiato anche Hölderlin, che tutti i giorni si recava ad ascoltare le sue lezioni (la sua ammirazione per il flosofo è descritta in una lettera a Neuffer, novembre 1794 – MA, vol. II, p. 552-554), ed entra nel testo come uno dei tratti caratteriali di Alabanda. Anche più avanti si noteranno signifcative convergenze tra le opinioni di Alabanda e quelle di Fichte, in particolare nelle idee che egli esporrà all’amico prima del commiato (pp. |742-743|), a partire dalla frase: «sento in me una vita che non è stata creata da un dio, né generata da un mortale. Credo che noi esistiamo attraverso noi stessi, così intimamente connessi all’universo solo per nostro libero piacere». 92 Chio è la più settentrionale tra le isole ioniche, vicinissima alla costa asiatica, famosa per il vino e per i prodotti derivati dal mastice, le cui proprietà medicamentose erano note fn dall’antichità. Anch’essa rivendicava di essere la patria di omero, in concorrenza con Smirne e vari altri luoghi della Ionia. 93 Megera era una delle erinni che, quando si impadronivano di una vittima, la facevano impazzire torturandola in tutti i modi. In realtà, la mitologia non riferisce di una lotta di ercole contro Megera, ma forse Hölderlin pensa ai versi di Lucano, che aveva tradotto nel 1790 (MA, vol. II, pp. 148-165) e dove, elencando una serie di azioni nefaste e portatrici di sciagura, Lucano ricorda anche l’odio di Giunone per ercole e l’episodio in cui la dea ordina a Megera di apparirgli per spaventarlo (Pharsalia, lib. I, vv. 576-577). Cfr. Bornmann: Hölderlin traduttore di poesia latina. 94 La regione dell’antica Grecia, che alcuni poeti tra cui Anacreonte avevano esaltato come luogo di una vita contadina spensierata e serena, semplice e spontanea, era divenuta ormai sinonimo di luogo felice, dove tutto è perfetto e armonioso.

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Iperione e Alabanda leggevano insieme Platone, e al discorso sulle possibilità di ringiovanire e ridestarsi a nuova vita avevano agganciato una rifessione sulla situazione politica della Grecia. Nel loro entusiasmo giovanile si infammano di amore per la patria e nasce in loro il desiderio di poter contribuire alla sua rinascita morale e culturale, che vedono legata alla liberazione dall’oppressione turca (pp. |633-634|). Dopo un’interruzione che ha permesso al narratore di intercalare nel racconto alcuni episodi che descrivono il trasporto emotivo e lo slancio dell’amicizia tra i due giovani, Iperione desidera ora chiudere la parentesi e tornare a Platone per riprendere il discorso, più serio, che riguarda lo Stato e la sua costituzione. 96 riprendendo il tema dell’azione politica, che già aveva visto emergere differenze di opinione tra i due amici, Iperione enuncia il traguardo da raggiungere: fondare un nuovo Stato e una nuova società, dove però lo Stato non sia preminente e dominante, come vorrebbe Alabanda, ma sia ridotto al minimo, in modo che la società umana possa dispiegarsi al massimo: lo Stato sarebbe solo l’involucro, il muro intorno al giardino. La sua preoccupazione per il futuro non è orientata in primo luogo alla costruzione di una forma statale nuova e forte, ma vorrebbe invece far emergere un uomo nuovo, una società rinnovata dall’interno. Storicamente questa posizione si incarna nell’avversione al totalitarismo giacobino che Hölderlin condivideva, come testimoniano alcune lettere; egli infatti simpatizzò con i girondini, che rappresentavano ideali liberali più moderati, al punto da salutare con favore l’esecuzione di robespierre. Il concetto di Stato che Hölderlin si costruisce man mano non coincide con quello dei principali protagonisti del suo tempo, Fichte in particolare, di cui pure recepisce il Fondamento del diritto naturale (cfr. Waibel: Hölderlins Rezeption von Fichtes Grundlage des Naturrechts); altri spunti importanti per la sua formazione politica provengono dall’amicizia con Sinclair e con Böhlendorff, poeta rivoluzionario che si tolse la vita nel 1825 (si vedano in proposito Waibel: Hölderlin und Fichte:1794-1800, pp. 233-286; Hegel: Isaak von Sinclair zwischen Fichte, Hölderlin und Hegel). L’obiettivo di superare lo Stato in quanto strumento puramente meccanico che contrasta l’idea e la libertà, viene espresso anche nel Più antico programma di sistema dell’idealismo tedesco (cfr. Hegel – Schelling – Hölderlin: Il più antico programma di sistema dell’idealismo tedesco, pp. 21-23). 97 Le nuvole dorate sono il segno del divino che entra nella vita umana, come mostra anche il passo successivo, orientato a un mon-

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do oltre la vita in cui l’uomo abbandona la sua miseria (Dürftigkeit, dürftig), cioè la condizione del limite e della caducità. Si veda anche in parallelo il passo: «perché il mondo non è abbastanza misero da cercare un altro oltre a sé?» (p. |617|) e il suo signifcativo contesto. 98 Se questo brano incentrato sullo Stato aveva preso l’avvio dalla dottrina platonica del rinnovamento ciclico delle cose, ora vi è un crescendo che annuncia l’abbandono delle vecchie forme e l’avvento di una nuova comunità, preludio di una «nuova chiesa». Lo stesso annuncio è presente anche nel trascinante monologo di empedocle (La morte di Empedocle, I stesura, vv. 1393-1444, pp. 121-125), mentre di una «nuova chiesa», sempre in accezione secolarizzata, si parla anche nella parte conclusiva del frammento del Più antico programma di sistema dell’idealismo tedesco, scritto a più mani con Hegel e Schelling probabilmente nel 1796: «Monoteismo della ragione e del cuore, politeismo dell’immaginazione e dell’arte: ecco ciò di cui abbiamo bisogno! […] Noi dobbiamo avere una nuova mitologia, ma questa mitologia deve stare al servizio delle idee, deve diventare una mitologia della ragione. […] Solo allora ci attende un eguale sviluppo di tutte le forze, sia del singolo sia di tutti gli individui. Nessuna forza verrà più oppressa, allora regnerà un’universale libertà ed eguaglianza degli spiriti! Uno spirito superiore, inviato dal cielo, deve fondare fra noi questa nuova religione che sarà l’ultima, la più grande opera dell’umanità» (Hegel – Schelling – Hölderlin: Il più antico programma di sistema dell’idealismo tedesco, pp. 25-27). Hölderlin riprende questi spunti anche in una successiva lettera al fratello (4 giugno 1799 – MA, vol. II, pp. 767-772, citaz. a p. 771): «non è poca cosa quella che ti proponi, caro fratello, se vuoi rappresentare l’organizzazione di una chiesa estetica, e non devi meravigliarti, a quanto capisco, se nel corso della realizzazione ti imbatterai in diffcoltà che ti parranno insormontabili. rappresentare in modo flosofco le parti che costituiscono l’ideale in generale e le loro reciproche relazioni sarebbe già abbastanza diffcile; ma la rappresentazione flosofca dell’ideale di tutta la società umana, della chiesa estetica, è forse ancora più diffcile da realizzare». Cfr. rosenzweig: Das älteste Systemprogramm des deutschen Idealismus; Jamme – Schneider: Mythologie der Vernunft; Pöggeler: Hölderlin, Hegel und das älteste Systemprogramm; Cottone: Hegel e Hölderlin e il primo programma di sistema dell’idealismo tedesco; Kreuzer: Hölderlin im Gespräch mit Hegel und Schelling.

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La concezione del corpo come prigione dell’anima è di origine platonica (Platone: Fedone, 62 B) e ritorna spesso nel testo (ad es. p. |657|, p. |748|), come anche nella letteratura coeva. A titolo di esempio basti un passo del Werther (Goethe: Opere, vol. I: I dolori del giovane Werther, traduzione di Luisa Graziani, p. 430, conclusione della lettera del 22 maggio): «e per quanto limitati siano i suoi confni [dell’uomo], egli custodisce pur sempre nel cuore il dolce sentimento della libertà, e la certezza di potere, quando volesse, abbandonare questo carcere». Sulla fortuna di questo concetto cfr. Courcelle: Tradition platonicienne et traditions chrétiennes du corps-prison. 100 La similitudine è di origine biblica e richiama la profezia di Simeone a Maria in occasione della presentazione di Gesù al tempio: «e anche a te una spada trafggerà l’anima» (Lc 2, 35). 101 Lo spaesamento per la reazione inaspettata di Alabanda, che per la prima volta non è in sintonia con Iperione, introduce l’arrivo dei tre sconosciuti, ai quali Alabanda è misteriosamente legato; solo molto più avanti, nel secondo volume, quando Alabanda racconterà all’amico la storia della sua vita, verrà spiegato chi sono e la natura del loro legame, che si intuisce essere quello di una società segreta. Nonostante l’apparente coincidenza di aspirazioni al rinnovamento del mondo, Iperione percepisce in loro una freddezza di violenza e di morte che lo spinge a prendere immediatamente le distanze e, poco dopo, alla brusca separazione da Alabanda che ne sarà l’inevitabile conseguenza. – Società e sette segrete erano molto diffuse nel XVIII secolo, e Hölderlin doveva certo averne conosciute diverse sia a Tübingen che a Jena, e giudica negativamente la loro struttura rigida e autoritaria e la loro violenza repressa, volta più a distruggere l’esistente che a realizzare un progetto positivo per il futuro. Qui pone la loro ideologia (defnita senza mezzi termini: «sono impostori») in netto contrasto con i nobili ideali del protagonista e la sua visione, appena enunciata, di una «nuova chiesa», e infatti Alabanda potrà condividere pienamente l’ideale di Iperione solo dopo che avrà rinnegato la setta cui appartiene. Sulle numerose società segrete del Settecento, cfr. Schings: Die Brüder des Marquis Posa; Frick: Licht und Finsternis. Gnostisch-theosophische und freimaurerisch-okkulte Geheimgesellschaften; reinalter: Freimaurer und Geheimbünde im 18. Jahrhundert in Mitteleuropa. 102 Le parole dell’uomo ricordano quelle di Gesù ai suoi discepoli: «Qui infatti si realizza il detto: uno semina e uno miete. Io vi ho man-

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dati a mietere ciò che voi non avete lavorato; altri hanno lavorato e voi siete subentrati nel loro lavoro» (Gv 4, 37-38). Il richiamo evangelico, con il quale l’uomo vuole porre in risalto la bontà della loro causa paragonando sé e i compagni ai discepoli di Gesù, suona decisamente stonato alle orecchie di Iperione, e non fa che accrescere la sua avversione nei confronti dei tre sconosciuti. 103 Secondo la mitologia antica, i due gemelli Castore e Polluce, i Dioscuri, erano stati generati da Leda e da Zeus che aveva preso le sembianze di un cigno per sedurla. Alla loro morte, Zeus innalzò Polluce al cielo, ma questi rifutò l’immortalità che il dio gli offriva per non doversi separare dal fratello. Così Zeus concesse che vivessero un giorno insieme sull’olimpo e un giorno insieme nell’Ade, e li pose anche tra le stelle, nella costellazione dei Gemelli, come simbolo di amore fraterno e di incrollabile amicizia. Hölderlin li richiama spesso come prototipo dell’amicizia assoluta ed eroica (Heldenbrüder: fratelli eroi), in quanto valorosi guerrieri che hanno compiuto insieme grandi gesta rimanendo fedeli l’uno all’altro persino dopo la morte. 104 Dopo i Dioscuri, la seconda coppia della mitologia greca famosa per la salda amicizia è quella di Achille e Patroclo. Quando Patroclo fu ucciso da ettore sotto le mura di Troia Achille, che si era ritirato dal confitto per un litigio con Agamennone, decise di prendere di nuovo le armi per vendicarlo e uccise infatti ettore. Il racconto dei funerali di Patroclo occupa tutta la parte fnale dell’Iliade, e vi si narra che Achille fece costruire una tomba per l’amico sul luogo del rogo funebre. Più tardi, alla sua morte, anche le ceneri di Achille vennero deposte nella stessa tomba, e a questo racconto fa riferimento Iperione (Odissea, lib. XXIV, vv. 76-84). esso compare anche nell’ode A Eduard, dove il poeta trasforma in mito la sua amicizia con Isaak von Sinclair identifcandola a sua volta con quella di Achille e Patroclo. 105 Chandler parla di una ‘acropoli’ di Smirne (Reisen in Klein Asien, p. 83), ma in genere usa questo termine per indicare castelli o edifci fortifcati: che questo sia il caso di Smirne lo conferma il Frammento di Iperione (p. |495|), dove è descritta la rocca in rovina che sovrasta la città. 106 Il riferimento alla vita semplice nella natura, il ritorno all’Arcadia è il desiderio che Iperione prova di tanto in tanto nel suo oscillare tra i due estremi. Ma l’idillio della vita pastorale e contadina, presente in molta letteratura del tempo, è una semplifcazione che non tiene conto della realtà dell’uomo, molto più sfaccettata e fatta anche di

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sofferenza. Si tratta quindi di una posizione da cui prendere le distanze, non certo del punto dove l’uomo trova il suo equilibrio, e tutta l’ingenuità di questo desiderio è dimostrata dal sorriso di Bellarmino che Iperione immagina, essendone ormai anch’egli ben consapevole. Cfr. Pott: Natur als Ideal; Thurmair: Einfalt und einfaches Leben, pp. 31-91. 107 Nel romanzo viene più volte accennato come la vita sia una sequenza di aperture e chiusure, di fasi crescenti e calanti, in cui ci si allontana e si ritorna in se stessi, ed è un concetto ricorrente e fondamentale per la comprensione di tutta l’opera hölderliniana. Lo si ritrova spesso infatti anche nelle liriche, ad esempio in Mnemosyne, seconda stesura, vv. 4-8, o nell’inno Festa di Pace, vv. 16-19 (Beißner ne elenca comunque molte altre attestazioni: Lesarten und Erläuterungen, pp. 557-558). Un’ulteriore rifessione su questo tema è presente in una lettera a Böhlendorff (4 dicembre 1801 – MA, vol. II, pp. 912-914), dove il poeta afferma che il percorso di formazione di una nazione dalla natura all’arte parte da ciò che è innato, nazionale, per muoversi verso ciò che le è estraneo. I due poli di questo processo dinamico sono il sacro pathos, il «fuoco del cielo» che i greci avevano innato, e la freddezza giunonica (Nüchternheit), la chiarezza della descrizione, che hanno invece acquisito col tempo; per l’europa moderna la direzione del percorso sarebbe invece quella opposta. Per questo i greci sono indispensabili, poiché ci insegnano ad appropriarci in modo corretto non solo di ciò che ci è estraneo, ma anche di ciò che è innato per rafforzarlo e imparare a usarlo nel modo migliore. Alla loro scuola lo spirito ‘esperico’ si irrobustisce allontanandosi da sé, per poi rientrare in patria e completare così il suo ciclo: allora «lo spirito dell’uomo, lungamente assente, emergerà splendente dagli errori e dalle sofferenze e saluterà, ebbro di vittoria, il cielo paterno» (p. |714|). 108 Intende da solo, prima di incontrare Alabanda. 109 In queste righe, che sottolineano la reciprocità come fondamento del rapporto tra i due giovani, Hölderlin espone il suo personale modo di intendere l’amicizia: la devozione e l’affetto tra gli amici si manifesta nella capacità di accettare e di assumersi sempre entrambi i ruoli, quello di chi guida e comanda con autorità assoluta, addirittura divina, e quello di chi si sottomette e ubbidisce in modo altrettanto incondizionato. Questa concezione dell’amicizia verrà ribadita anche più avanti, quando Iperione, parlando di Armodio e Aristogitone,

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sottolineerà come i due giovani fossero estremamente orgogliosi ma anche del tutto sottomessi l’uno all’altro (p. |667| e nota 160). 110 L’azione crudele e apparentemente arbitraria della «potenza estranea» viene però paragonata all’azione dello Spirito Santo: «Non ti meravigliare se t’ho detto: dovete rinascere dall’alto. Il vento soffa dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va: così è di chiunque è nato dallo Spirito» (Gv 3, 7-8). 111 riferimento a orfeo che, con il suo canto e il suono della lira, sapeva soggiogare non soltanto gli dei e gli uomini, la natura e le fere più selvagge, ma persino i mostri infernali. 112 ogni volta che Iperione cerca di stabilire un contatto con la realtà, resta deluso come gli uccelli che cercavano di beccare l’uva dipinta: la realtà è fasulla, ingannatrice, sterile, e il suo cuore desideroso di rapporti umani autentici e profondi non trova corrispondenza alcuna. Un aneddoto di Plinio racconta che il pittore Zeusi (vissuto alla fne del V secolo a. C.) aveva dipinto un grappolo d’uva in modo così realistico da ingannare persino gli uccelli che svolazzavano intorno al quadro per beccarla (Plinio: Naturalis historia, lib. XXXV, § 65). 113 L’elisio è il luogo in cui alcuni eroi prescelti soggiornano dopo la morte, godendo di una vita eterna perennemente felice: «nella pianura elisia, ai confni del mondo, / ti condurranno gli eterni, [...] / e là bellissima per i mortali è la vita: / neve non c’è, non c’è mai freddo né pioggia, / ma sempre soff di Zefro che spira sonoro / manda l’oceano a rinfrescare quegli uomini» (Odissea, lib. IV, vv. 561-568). Simile è la descrizione delle Isole dei Beati a cui fa cenno esiodo (Le opere e i giorni, vv. 170-174), dove al clima sempre mite si uniscono la pace del cuore e l’abbondanza di frutti squisiti: «ed essi abitano, nelle Isole dei Beati, presso l’oceano dai gorghi profondi, avendo il cuore senz’affanni, eroi felici, ai quali tre volte l’anno la terra feconda porta frutti forenti, dolci di miele». In Virgilio il concetto viene ulteriormente sviluppato: nel racconto di Anchise sul destino delle anime, le «piane gioconde» dell’elisio divengono il luogo della purifcazione (Eneide, lib. VI, vv. 743-751). La serenità e la perfezione dell’elisio, a cui l’uomo aspira, possono però esistere solo come controparte della sua fatica, degli ostacoli che incontra sulla sua via, della delusione. 114 Danao, padre di cinquanta fglie, fu costretto con un ricatto a darle in spose ai 50 fgli di egitto. egli allora regalò a ciascuna una daga e fece loro promettere di uccidere il marito durante la prima

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notte di nozze. Come conseguenza del loro delitto, negli Inferi le Danaidi sono condannate ad attingere eternamente acqua in vasi bucati, che ben rappresentano il vano tentativo di Iperione di infondere vita e amore nell’epoca scialba e imbelle in cui vive. 115 Nella poesia di Hölderlin il ‘dare il nome’ alle cose e agli esseri viventi, come segno dell’estraniamento dalla natura, è un tema importante (Binder: Hölderlins Namenssymbolik, pp. 103-107); un esempio signifcativo è l’ode Chirone (vv. 15-16: «e imparai nel freddo delle stelle, / ma solo ciò che ha nome»). Una volta persa l’intimità con la natura, l’esperienza immediata e intima lascia il passo agli schemi intellettuali, per cui il centauro può imparare soltanto i nomi delle cose, guardandole con freddo distacco – la classifcazione è del resto anche un elemento fondamentale per le scienze della natura dell’epoca, la nomenclatura di Linneo risale ad esempio al 1753. Iperione ha perso la sintonia con il mondo naturale, non si sente più un tutt’uno con i fori e le sorgenti; crescendo sperimenta la disillusione e le prime esperienze negative che incrinano quell’armonia, tanto che ora può solo dare loro dei nomi, in modo freddo e meccanico («come un’eco»). La presa di coscienza della natura come elemento oggettivo separato è la dimostrazione del fatto che l’opposizione Io/non-Io che Fichte propone nella sua Dottrina della scienza come atto fondativo della conoscenza, è per Hölderlin invece il segno del decadimento dell’unità originaria dell’uomo, che entra così nella sfera del pensiero e del linguaggio, di cui percepisce con sofferenza tutti i limiti. – La rifessione sulla parola e sul silenzio, che sarà uno degli elementi legati alla fgura di Diotima, è molto articolata e mette in luce di volta in volta aspetti diversi, di cui vengono indagate le diverse valenze. La limitazione connessa al linguaggio si scioglierà solo con la visione profetica di Diotima nelle ultime righe della sua lettera d’addio («i giorni poetici stanno già germogliando in te», p. |750|), che schiuderà al protagonista una nuova dimensione del linguaggio, quella poetica, che nell’estasi fnale tornerà nuovamente a confuire nella natura, nel suo elemento più puro: il fuoco (pp. |759-760|). Cfr. Siekmann: Die ästhetische Funktion von Sprache, Schweigen und Musik; Aspetsberger: Welteinheit und epische Gestaltung, in particolare pp. 148-237; Haberer: Zwischen Sprachmagie und Schweigen. 116 A questo punto della narrazione siamo nella primavera del 1769. 117 La Ionia è la regione costiera nella parte occidentale dell’Asia Minore, dove gli Ioni, dopo aver abbandonato l’Attica e il Pelopon-

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neso nel X-XII sec. a. C., fondarono dodici città (erodoto: Le storie, lib. I, §§ 141-146). Hölderlin utilizza questa denominazione anche per la parte più meridionale della Grecia, in particolare per quelle zone del Peloponneso che si affacciano sul Mar Ionio, e per le isole dell’egeo, di cui menziona il clima particolarmente mite e gradevole. 118 Iperione evoca due momenti gloriosi della storia antica, legati a due grandi personaggi. Temistocle, uomo di Stato e valoroso condottiero ateniese, convinse i suoi concittadini a costruire una fotta che egli stesso capitanò nella battaglia di Salamina, bloccando l’invasione persiana di Serse e venendo in seguito acclamato come salvatore della Grecia. La famiglia degli Scipioni contribuì invece a rafforzare la potenza della roma repubblicana nel Mediterraneo e diede i natali a grandi condottieri, tra cui Publio Cornelio (Scipione l’Africano) che sconfsse Annibale nella seconda guerra punica. 119 L’uva selvatica, dal gusto aspro e sgradevole, è evocata dal profeta Isaia: «egli l’aveva vangata [=la vigna] e sgombrata dai sassi e vi aveva piantato scelte viti; vi aveva costruito in mezzo una torre e scavato anche un tino. egli aspettò che producesse uva, ma essa fece uva selvatica» (Is 5, 2). 120 Il desiderio di recuperare l’armonia perduta con la natura è un elemento indispensabile per la poesia ‘ingenua’, sul quale Schiller si sofferma in apertura del suo saggio in un brano a cui Hölderlin si richiama: «essi [=le piante e gli animali] sono ciò che noi fummo; essi sono ciò che noi torneremo ad essere. Noi eravamo natura, come loro, e la nostra cultura ci deve ricondurre per la via della ragione e della libertà alla natura. Sono quindi al tempo stesso una rappresentazione della nostra infanzia perduta, la quale rimane eternamente per noi ciò che vi è di più caro: per questo essi ci empiono di una certa tristezza. Sono al tempo stesso rappresentazioni della nostra perfezione suprema nell’ideale: per questo ci procurano una commozione sublime» (Schiller: Saggi estetici – Della poesia ingenua e sentimentale, pp. 367369; cfr. anche ivi, pp. 429-430, nota 1). 121 Il concetto di ‘vocazione dell’uomo’ (Bestimmung des Menschen) è un’idea-chiave del Settecento, e svolse un ruolo molto rilevante nel dibattito illuministico, coinvolgendo aspetti teologici, morali, etici ed estetici. La discussione prese l’avvio con il saggio di Johann Joachim Spalding: Meditazione sulla vocazione dell’uomo, pubblicato per la prima volta nel 1748 e più e più volte rimaneggiato dall’autore e ristampato fno alla fne del secolo. La rivisitazione hölderliniana del

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concetto è riassunta in Macor: «Was bleibet aber, stiften die Dichter». Hölderlin e la destinazione dell’uomo. 122 Cfr. la predicazione di Giovanni il Battista in Mt 3, 10: «Già la scure è posta alla radice degli alberi: ogni albero che non produce frutti buoni viene tagliato e gettato nel fuoco». 123 Con parole di scherno Iperione si rivolge a se stesso come al titano Iperione, una creatura dotata di forze straordinarie, anche se ad avere cento braccia non sono i Titani ma gli ecatonchiri generati da Urano e Gaia, giganti con cento braccia e cinquanta teste (cfr. esiodo: Teogonia, vv. 147-153 e vv. 671-673). – Pelio e ossa sono due alte dorsali montuose della Tessaglia, oggetto di un altro mito: si racconta che i giganti oto ed efalte, dopo aver dichiarato guerra agli dei, avessero messo il monte ossa sopra l’olimpo, e il Pelio sopra queste due montagne, per dare la scalata al cielo (Odissea, lib. XI, vv. 315-316). Nel clima di negatività e pessimismo con cui si conclude il primo libro, Iperione sottolinea la mancanza di qualsiasi prospettiva, l’inutilità dello slancio verso il cielo: il cielo è vuoto, gli dei non sono più, l’uomo è attorniato soltanto dal nulla. 124 La stessa frase, che suggella questa prima parte del racconto di Iperione, ritornerà anche come chiusura del romanzo. Iperione ha consumato le prime due tappe del suo percorso, la fase della formazione con il maestro Adamas, e la fase dell’adolescenza segnata dall’amicizia con Alabanda, un legame che lo avvicina ancora di più, in linea con gli insegnamenti di Adamas, ai valori di coraggio, onore e libertà. In seguito al litigio con Alabanda, però, anche questa comunanza di ideali crolla e Iperione rimane più solo che mai, vede intorno a sé soltanto il nulla e conclude questo periodo della sua esistenza con un sentimento di ulteriore, ancora più profondo sconforto e sfducia nei suoi simili. 125 Dall’istmo di Corinto, dove si trovava all’inizio del primo libro, Iperione ha proseguito il suo viaggio e si è stabilito sull’isola di Salamina, dove vive in solitudine. Si è costruito una capanna su un promontorio e lì ritrova serenità suffciente per riprendere il suo scambio epistolare con Bellarmino e narrargli la seconda parte della sua vita, quella più drammatica. – Salamina richiama immediatamente alla memoria non solo la gloriosa vittoria dei greci contro i persiani nell’omonima battaglia, ma anche la fgura di Aiace, esplicitamente evocata dall’autore. Nei materiali preparatori Aiace compariva più volte e rivestiva un ruolo signifcativo nella rifessione del narratore

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(cfr. Lehle: Aias im Hyperion; Knigge: Hölderlin und Aias oder Eine notwendige Identifkation); fglio di Telamone e valoroso guerriero greco nella guerra di Troia, qui viene ricordato solo in quanto re di Salamina, anche se la presenza di lentischio (o mastice) usato da Iperione per costruirsi la capanna richiama uno degli appellativi di Aiace (‘mastigoforo’: cfr. in Appendice il Frammento di Iperione, p. |498| e relativa nota). 126 Il motivo della vita solitaria lo si ritrova anche in Werther, che cerca luoghi appartati e tranquilli in cui rifugiarsi, favorevoli alla contemplazione della natura (Goethe: Opere, vol. I: I dolori del giovane Werther, traduzione di Luisa Graziani, p. 430, lettera del 26 maggio): «Tu conosci da tempo la mia abitudine di costruire, di innalzare, a caso, in qualche luogo tranquillo una capanna e di vivere lì con ogni ristrettezza: anche qui ho trovato un posticino che mi ha attratto. […] la sua posizione, presso una collina, è molto interessante, e quando si esce dal villaggio e si va su per un sentiero, si ha il colpo d’occhio di tutta la valle». La vita in solitudine era comunque un’istanza diffusa all’epoca, ad es. anche nel movimento di matrice pietista degli Stillen im Lande (‘gli umili della terra’, denominazione ripresa dal Salmo 35, 20), particolarmente diffuso nel Sud della Germania. 127 Iperione si riferisce alla vittoria degli ateniesi a Salamina, di cui offrono un resoconto sia erodoto (Le storie, lib. VIII, §§ 83-97), sia Plutarco (Vite – Temistocle, §§ 9-16). Leggendo di quelle imprese, egli le mette istintivamente a confronto con la propria esperienza negativa in occasione della guerra di liberazione della Grecia dal dominio turco. L’ambientazione storica è quella dei primi moti rivoluzionari, verifcatisi in Grecia negli anni dal 1770 al 1772; le esperienze del protagonista si stagliano su questo sfondo con vivacità e chiarezza, calate in un contesto concreto e animate da un’autentica passione politica, simile a quella che aveva brevemente agitato l’autore stesso sull’onda dell’entusiasmo per gli inizi della rivoluzione francese. Il narratore ripensa ora a quella fase della sua esistenza da una certa distanza temporale, e ciò che percepisce non è più l’entusiasmo ma il peso del fallimento e della vergogna, una vergogna non solo personale ma anche civile, oltre al rimpianto per un’epoca in cui gli uomini erano intelligenti, coraggiosi, valorosi e leali, quindi in grado di domare e dominare il caos lasciando un’impronta positiva nella storia. 128 L’eremita ha raggiunto un più alto grado di maturazione che gli permette di guardare indietro e di scorgere una segreta armonia negli

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avvenimenti della sua vita, un accordo tra suoni prima apparentemente dissonanti; si tratta comunque di una tappa intermedia in vista del livello di consapevolezza ancora più elevato a cui giungerà alla fne del romanzo. Questo commento del narratore scandisce infatti una fase importante in questo processo, il momento in cui egli acquista consapevolezza della concordia discors che prelude alla sintesi degli opposti. Inizialmente Iperione si abbandonava al ricordo e a quell’onda si affdava passivamente per narrare; al termine del primo libro ricorre invece più volte la formula «così pensavo», a sottolineare il fatto che è entrato in uno stadio consapevole della rielaborazione e comprensione del passato, in cui diviene possibile riconoscere un disegno d’insieme. – Il tema delle dissonanze, delle note discordanti che poi si ricompongono in armonia è uno dei fli conduttori che l’autore aveva annunciato fn dalla Prefazione come il nucleo tematico fondamentale dal punto di vista poetologico. Se l’infanzia nella sua innocenza offre ancora melodie pure, nell’uomo adulto l’educazione, la cultura, la vita producono stonature e dissonanze; tutto il percorso di Iperione può essere letto come il disperato tentativo di ricreare l’armonia perduta, di risolvere le dissonanze in un nuovo equilibrio. Il punto di riferimento è il pensiero di eraclito (cfr. DK 22, B 8, 51 e 54): «eraclito dice che ciò che è opposto si concilia, che dalle cose in contrasto nasce l’armonia più bella, e che tutto si genera per via di contesa» (B 8); «essi [= uomini ignoranti] non capiscono che ciò che è differente concorda con se medesimo: armonia di contrari, come l’armonia dell’arco e della lira» (B 51); «l’armonia invisibile è migliore di quella visibile» (B 54). 129 L’immagine dell’aquila, selvaggia e indomita, che si placa e si assopisce ascoltando il canto intonato dalle Muse è una rielaborazione ispirata alla prima Ode pitica di Pindaro, che Hölderlin aveva tradotto (MA, vol. II, p. 201), e rende molto bene l’effetto del paesaggio autunnale, pacato e dolce, sull’animo sconsolato del protagonista che inizia lentamente a rasserenarsi: «Cetra d’oro, / possesso comune d’Apollo / e delle Muse dai capelli viola, / che il passo di danza ascolta, principio di festa, / alle tue note i cantori obbediscono / quando percossa intoni / i preludi che guidano i cori. / e spegni l’acuminata folgore / di eterno fuoco. / Sullo scettro di Zeus / l’aquila dorme / calate sui fanchi l’ali veloci, // sovrana tra gli alati» (Pindaro: Le Pitiche, ode I, vv. 1-13). In più punti il poeta si identifca con l’aquila, con l’uccello che più di ogni altro fa da tramite tra l’umano e il divino, come la poesia. Cfr. Bertaux: «frei wie Fittige des Himmels…».

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L’eremita-narratore sente di aver riconquistato la serenità e un certo equilibrio interiore, rappresentato linguisticamente dagli opposti rievocati nelle righe precedenti che ora appaiono riconciliati, tanto da permettergli di assaporare l’armonia con se stesso e con la natura e di guardare con distacco persino la morte, in modo da poter ripercorrere e raccontare a Bellarmino la parte più emozionante e insieme più dolorosa della sua vita, l’incontro con Diotima. Il secondo libro infatti è interamente occupato dallo sbocciare dell’amore tra i due giovani, che condurrà Iperione a uno stadio di formazione più elevato, facendo nascere in lui il desiderio di essere un punto di riferimento per la patria, di perfezionarsi per poi guidare il suo popolo verso la libertà. 131 Calauria (oggi Poros) è l’antico nome di un’isoletta nel golfo Saronico, molto vicina alla costa dell’Argolide. Nel romanzo è descritta come luogo idilliaco, di grande bellezza, in cui regna l’armonia fra una natura lussureggiante e gli uomini. Qui avverrà l’incontro con Diotima, e il paesaggio sembra già anticipare e partecipare della bellezza e della perfezione della fanciulla. La descrizione dell’isola con la sua rigogliosa vegetazione riprende molti dettagli da Chandler (Reisen in Griechenland, pp. 298-302); Binder ne traduce il nome, in base all’etimo greco, come ‘isola delle dolci brezze’, e nota come nella descrizione dell’isola l’elemento del vento, dell’aria, dell’etere sia sempre posto in primo piano (Binder: Hölderlins Namenssymbolik, pp. 171-173). 132 In netto contrasto con l’atmosfera serena e idilliaca dell’isola così come l’amico la descrive, e con il giorno primaverile limpido e soleggiato che saluta la sua partenza, il protagonista rievoca due immagini negative per defnire il suo viaggio, prodotte dal suo stato d’animo tetro e cupo: l’immagine di Caronte che, con la sua barca, traghetta le anime oltre le paludi dell’Acheronte, e quella del fume Lete, le cui acque procurano l’oblio. 133 L’«aria divina», l’«aria materna» riprende la concezione classica dell’etere o pneuma, che nella tradizione panteistica è la quintessenza della natura che permea, vivifca e attira a sé la vita individuale dei singoli esseri viventi. In questa veste essa è anche anima e spirito del mondo e viene richiamata in molte liriche hölderliniane: tra le altre All’Etere, Pane e vino, L’Arcipelago. La dottrina antica sull’etere, presente in Aristotele ma soprattutto poi nelle correnti stoico-panteistiche, lo identifcava o con il fuoco o con il soffo di vita che tutto vivifca (pneuma); nell’ambito della flosofa della natura esso costituiva il quinto elemento (quintessenza), vale a dire il principio che presiede ai

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quattro elementi, ma talvolta era riconosciuto anche come principio divino, fonte di vita per tutti i regni naturali (ad esempio in Virgilio: Georgiche, lib. IV, vv. 219-227). La declinazione dell’etere come elemento costitutivo dell’anima rappresenta una variazione importante, i cui rifessi sono presenti anche in Hölderlin (cfr. All’Etere): in questa accezione è particolarmente signifcativo il ruolo che esso gioca in quanto via per recuperare l’unione con il divino. Tutto ciò era noto a Hölderlin fn dallo Stift, dove aveva seguito delle lezioni sul testo di Cicerone De natura deorum, ma era un tema molto presente anche nelle discussioni che in quel periodo animavano il dibattito sulla flosofa della natura, a cui partecipano anche autori a lui molto vicini. Wilhelm Heinse, che Hölderlin aveva conosciuto a Kassel e al quale rimase molto legato, nutriva per esempio un vero e proprio culto per l’etere, come testimonia il suo Ardinghello, che è una delle fonti da cui Hölderlin trae ispirazione (Hock: Wilhelm Heinses Urteil über Hölderlins Hyperion, pp. 114-115); e anche Schelling in quel periodo elabora la propria concezione sulla flosofa della natura ispirata agli stessi principi, che sfocia nella pubblicazione delle Idee per una flosofa della natura (1797) e Sull’anima del mondo (1798). 134 L’incontro con Diotima avviene in un’atmosfera fortemente rarefatta e simbolica. La valle che si restringe in un passaggio ad arco, il silenzio e i raggi di luce che fltrano nella semioscurità ricordano la navata di una chiesa, lo spazio del sacro; l’incontro avviene nel mezzogiorno, tradizionalmente il momento più alto dell’ispirazione poetica, che sarà anche l’ora del giorno in cui, alla fne del romanzo, Iperione riuscirà nuovamente a stabilire un contatto con Diotima, a sentirne la voce. Gli altri elementi naturali sono quelli di un paesaggio idilliaco e perfetto, e molti si ripresenteranno nella scena fnale: la presenza dell’acqua che scorre, le rocce, il luogo ombreggiato dalla vegetazione, l’elemento della solitudine. Il protagonista si immerge quindi nell’esperienza poetica della bellezza, che anche quando sarà rievocata ha il potere di ricreare la stessa situazione perfetta dell’incontro reale. 135 Numerose sono le osservazioni, dall’incontro con Diotima in poi, circa la natura e i limiti del linguaggio, e la sua diffcoltà nell’esprimere la gioia e la bellezza perfetta, così come, nella tradizione biblica, era impossibile pronunciare il nome di Dio, esprimere l’inesprimibile; e infatti Diotima viene subito collocata nella sfera del divino tramite il paragone con il palladio. Anche qualche riga più avanti questa posizione verrà ribadita: «di che cosa può ancora parlare colui che

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ha guardato nel silenzio di quegli occhi, colui che ha sentito parlare quelle dolci labbra? […] Non riesco a parlare di lei». Ciò parrebbe mettere in discussione persino la capacità stessa di Iperione come narratore e la sua legittimità; ma questa posizione si trasforma poi in un ‘divieto di parola’ solo per coloro che non hanno fatto esperienza dell’indicibile («Andatevene e non parlate del cielo azzurro, voi che siete ciechi!»): il poeta attinge direttamente alla contemplazione della bellezza, vede con chiarezza ciò che gli altri uomini percepiscono solo in modo indistinto, come ombra dell’ombra; soltanto il poeta può quindi rappresentarlo nel linguaggio. 136 Secondo la leggenda, il palladio era una piccola immagine lignea, dotata di proprietà magiche, che si riteneva rappresentasse Pallade Atena. In particolare, esso garantiva l’integrità della città che lo custodiva e lo venerava, e così aveva protetto per molti anni Troia, fnché Ulisse e Diomede non lo trafugarono (Virgilio: Eneide, lib. II, vv. 162-194). Solo allora la città venne espugnata. La storia del Palladio è molto frastagliata e fnì con l’integrarsi nella leggenda della fondazione di roma: si narra infatti che enea lo portasse con sé nel Lazio e fosse custodito a roma nel tempio di Vesta. 137 L’«uno e tutto», il greco ”En kai Pa`n, che compare per la prima volta nella Prefazione alla Penultima stesura (p. |558|), è una delle formule del panteismo che si può rintracciare fn dai presocratici e che la dossografa classica attribuisce a Senofane (DK A 31). Hölderlin la utilizza come un concetto-chiave del panteismo a lui contemporaneo nell’orizzonte dello spinozismo, forse riprendendola dall’opera di Jacobi Lettere sulla dottrina di Spinoza (1785; seconda edizione ampliata 1789), che faceva parte del programma di studio allo Stift; Hölderlin l’ha non solo letta insieme a Hegel e ad altri compagni nell’estate del 1790, ma anche commentata in un suo scritto giovanile intitolato appunto A proposito delle lettere di Jacobi sulla dottrina di Spinoza. Nella parte iniziale della sua opera, Jacobi riporta una conversazione avuta con Lessing a proposito della poesia di Goethe Prometeo, durante la quale Lessing commenta: «I concetti ortodossi della divinità non sono più per me; io non li posso gustare. En kai Pan! Non conosco nient’altro. Anche questa poesia conduce là, e, devo riconoscerlo, essa mi piace molto» (Jacobi: La dottrina di Spinoza, p. 67). Nel prosieguo della conversazione questa formula viene identifcata con la quintessenza dello spinozismo e del panteismo insieme e, pur non essendo attestata nelle opere di Spinoza, fu presto ripresa dai suoi difensori nel

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corso del celebre Spinoza-Streit come espressione genuina del pensiero del maestro. Hölderlin la richiama più volte anche nelle liriche (in particolare nell’elegia Pane e vino, v. 84 e nella poesia Diotima, stesura mediana, v. 99). 138 Per la seconda volta Iperione si fa annunciatore di una nuova e diversa forma di esistenza: inizialmente aveva evocato una «nuova chiesa» come somma forma di convivenza sociale a conclusione del discorso sullo Stato fatto con Alabanda (p. |637| e nota corrispondente); qui ne pone maggiormente in risalto la connotazione estetica, che è la modalità in cui Hölderlin interpreta il tema della chiesa invisibile, al centro delle discussioni del tempo (cfr. anche più avanti, p. |700|, dove parla di «sacra teocrazia del bello»). La fede nell’avvento di un nuovo regno era anche la parola d’ordine con cui Hölderlin, Hegel e gli amici si salutavano («reich Gottes», regno di Dio; cfr. lettera di Hölderlin a Hegel, 10 luglio 1794 – MA, vol. II, p. 540). Cfr. anche Schuffels: Griechenlandbild und Schönheitsideal als Ausdruck demokratischen Denkens. 139 Dopo un lungo preludio lirico e ricco di emozione, che fa crescere l’attesa di riga in riga, durante il quale la bellezza viene proclamata l’istanza più elevata a cui l’uomo può aspirare e collegata all’annuncio dell’avvento di una «chiesa estetica», ecco che viene nominata per la prima volta la protagonista del romanzo. Diotima, la donna sublime, incarna l’ideale della bellezza, della pace, della semplicità ingenua e innocente e di un’esistenza felice e quieta in armonia con la natura, ma assume anche la portata di un rinnovamento universale, è annunciatrice di una nuova era. Diotima è l’ideale incarnato nella realtà, è la creatura dotata di un aureo equilibrio, non toccata dall’eccentricità dell’esistenza; questa essenza ideale si manifesta come bellezza, che d’ora poi sarà per Hölderlin sinonimo di ‘perfezione’. – Il nome Diotima è ripreso da una fgura femminile del Simposio di Platone (201 D-212 C), ed è il nome della sacerdotessa di Mantinea che, dialogando con Socrate, presenta il concetto di amore per il bello, scevro da ogni pulsione sensibile. Allo stesso tempo Diotima è anche una fgura ricorrente nei dialoghi neoplatonici di Hemsterhuis, che ebbero una vasta diffusione all’epoca. Va notato però che la protagonista femminile del romanzo viene per la prima volta chiamata con questo nome a partire dal frammento Giovinezza di Iperione, mentre nelle bozze precedenti il suo nome era Melite; uno spunto per il cambiamento potrebbe averlo offerto il saggio di Friedrich Schlegel Su

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Diotima, apparso proprio nell’agosto 1795, in cui l’autore sottolineava il livello di emancipazione della donna greca, in grado di essere addirittura interlocutore qualifcato di Socrate. Con la sua scelta Hölderlin si allinea sì alla tradizione platonico-idealistica, ma riprende anche i tratti che Schlegel attribuisce a quella fgura: la carica profetica («novella Pizia» si defnirà Diotima), l’entusiasmo lirico, il patriottismo e l’incarnazione dell’umanità al suo massimo grado di perfezione. Come è comprensibile, i critici si sono comunque messi in cerca di fgure femminili dell’epoca che possano aver fornito il modello per Diotima: requadt (Das literarische Urbild von Hölderlins Diotima) riscontra ad esempio alcune convergenze tra l’eroina hölderliniana e la fgura della principessa del Tasso goethiano, pubblicato nel 1790; Gaier sottolinea invece piuttosto la somiglianza con la Julie di rousseau e la lessinghiana Sara Sampson, sulla base di una ftta rete di rapporti intertestuali (Gaier: Diotima, eine synkretistische Gestalt, pp. 144-149; cfr. anche Binder: Hölderlins Namenssymbolik, pp. 145-161). Più tardi, nella fgura di Diotima Hölderlin trasfonderà il suo amore per Susette Gontard: le parole con cui, nel giugno del 1796, descrive la fgura di Susette e quello che rappresenta per lui all’amico Neuffer, mostrano la stessa intensità e lo stesso trasporto: «Sono in un nuovo mondo. Una volta credevo di sapere cosa fossero il bello e il buono, ma da quando lo sperimento, rido di tutto il mio sapere. Caro amico, c’è una creatura in questo mondo, presso la quale il mio spirito potrebbe indugiare e indugerà per millenni per poi accorgersi ancora di come tutti nostri pensieri e la nostra comprensione della natura siano cose da scolaretti in confronto. Soavità e altezza, quiete e vivacità, spirito, animo ed espressione sono una soave unità in questa creatura. Puoi credermi sulla parola se ti dico che raramente si è intuita una cosa simile, e diffcilmente la si ritroverà ancora in questo mondo. Tu sai com’ero, come ero insofferente verso tutte le cose comuni, sai come vivevo senza fede, come ero divenuto avaro con il mio cuore e di conseguenza così misero: sarei mai potuto divenire come sono ora, felice come un’aquila, se non mi fosse apparsa lei, l’unica, e non avesse ringiovanito, ravvivato, rallegrato, reso magnifca la mia vita, che per me non valeva più nulla, con la sua luce primaverile?» (MA, vol. II, pp. 624-625). Se negli anni di composizione del romanzo le due fgure rimangono ben distinte, successivamente, nella lirica più tarda, Diotima e Susette si sovrapporrano nel segno dell’amore idealizzato e sublimato, una forza che oltrepassa i limiti della caducità e i confni dell’individuo.

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Notara è il nome del conoscente di Iperione che lo ha invitato a Calauria. Questo personaggio compare fn dai primi abbozzi, dove viene chiamato per esteso Gorgonda Notara, un nome ripreso dell’opera di Chandler (Reisen in Griechenland, p. 334): si trattava di un abitante di Corinto che aveva gentilmente ospitato i viaggiatori inglesi. Nella Giovinezza di Iperione la fgura di Notara appare delineata in modo più preciso: è saggio, posato, concreto, ma allo stesso tempo prosaico, privo di slancio ideale. Sarà lui che sosterrà Iperione quando deciderà di unirsi ai ribelli dandogli il denaro necessario, ma ad esempio non penserà mai di partecipare anche lui ai moti di liberazione. 141 In questo graduale processo di avvicinamento a Diotima, fatto di sguardi, di respiri, di tocchi leggeri, il ‘chiamare per nome’ la prima volta assume tratti magici, quasi fosse una tappa fondamentale in un rituale di iniziazione. Così come Adamas, chiamando Iperione per nome, ne aveva costituito l’identità, il nome pronunciato da Diotima lo chiama alla vita in una dimensione diversa, quella della bellezza e dell’ideale. Iperione stesso lo riconoscerà, dopo il suo fallimento militare, confermando il potere divino del chiamare per nome che si tramuta in appartenenza: «non mi hai forse richiamato alla vita, non ero forse tuo?» (p. |734|). Forti sono le reminiscenze bibliche («ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni» in Is 43, 1 e il respiro con cui Dio infonde la vita nei primi esseri viventi dando poi loro un nome), ma si sente anche tutta la forza magico-evocatrice della tradizione popolare, che attraverso il nome pronunciato ad alta voce evocava uno spirito per ottenere potere su di lui, per appropriarsene. Cfr. Haberer: Zwischen Sprachmagie und Schweigen, pp. 122-123; ead.: Sprechen, Schweigen, Schauen; Handwörterbuch des deutschen Aberglaubens, vol. VI, coll. 950-961, s. v. Name. 142 Diotima, essere perfetto che basta a se stesso, vive una condizione di totale armonia con la natura; questa condizione originaria e ‘ingenua’ non si esprime attraverso il linguaggio, bensì attraverso la musica che diviene così anche la modalità espressiva più adeguata per la comunicazione tra i due innamorati. Mentre si preparava gradualmente ad affrontare il tema dell’amore e dell’incontro con Diotima, l’eremita aveva già rilevato con intensità l’impossibilità di descrivere bellezza e perfezione tramite la parola (cfr. nota 135); è la metafora della nota musicale e dell’armonia l’unica che può esprimere la perfetta consonanza tra i due esseri, così come era accaduto per il rapporto ideale Adamas-Iperione. Al cospetto di Diotima, bellezza pura,

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il linguaggio che pure aveva il potere di ‘ri-creare’ le cose dando loro dei nomi, appare in tutta la sua limitatezza (Siekmann: Die ästhetische Funktion von Sprache, Schweigen und Musik, pp. 51-53; Aspetsberger: Welteinheit und epische Gestaltung. Studien zur Ichform von Hölderlins Roman, in part. pp. 148-237, dove viene trattato il tema del linguaggio). 143 I due giovani non riescono a parlare di sé e spostano così la loro attenzione sulla vita della terra, il grembo in cui l’amore si sviluppa. Ma la semplice descrizione prosaica non basta nemmeno per questo, e ricorrono allora a un «inno celestiale», che confuisce quindi di nuovo nella musica. L’inno alla natura, tra l’altro, era una forma diffusa nell’ambito del culto della natura coltivato da molti poeti del tempo e caratteristico anche dello Sturm und Drang; lo stesso Hölderlin ne ha composto uno (Alla madre terra). Anche la «sovrabbondanza dei cuori» cui si fa cenno subito dopo, è un richiamo alla poesia dell’epoca e precisamente a Friedrich von Stolberg, che non solo aveva scritto un inno in esametri Alla terra, che il poeta conosceva e da cui aveva ripreso dei passi in alcune liriche, ma aveva anche pubblicato un saggio sul «Deutsches Museum» (1777) intitolato proprio La sovrabbondanza del cuore (Über die Fülle des Herzens – cfr. l’antologia di testi raccolti da Böckmann: Hymnische Dichtung im Umkreis Hölderlins, pp. 43-48). 144 Si tratta forse di un’allusione al mito riferito da Aristofane, secondo il quale l’uomo riuniva, in origine, due nature in un unico corpo; una volta divise, le due parti anelano a ricongiungersi, ed eros spinge i due esseri l’uno verso l’altro per riunirli, riportandoli così all’antica natura (Platone: Simposio, 189 C-193 D). Il mito si riferiva però espressamente agli uomini, mentre qui Iperione e Diotima leggono in questa chiave anche il desiderio della terra e della natura per il sole e lo intrecciano all’immagine del percorso dei pianeti che si allontanano e avvicinano periodicamente al sole, segnando l’alternarsi delle stagioni. Questa immagine poetica sintetizza anche in poche righe la concezione hölderlinana dell’amore, anch’esso basato sulla tensione tra le due componenti opposte ma complementari, che si desiderano proprio per ricostituire l’unità originaria. La necessità di questa separazione, che rende possibile il desiderarsi e il ritrovarsi, sarà una delle conquiste del percorso di auto-consapevolezza dell’eremita; qui essa è incarnata dal «destino onnipotente» (cfr. Prefazione alla Penultima stesura, p. |558|).

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Ganimede è il bellissimo giovane di cui Zeus si invaghì. Mentre custodiva le mandrie del padre sui monti intorno alla città di Troia, fu rapito da un’aquila (l’animale preferito di Zeus, ma secondo alcune tradizioni era Zeus stesso che aveva assunto le sembianze dell’uccello), che lo afferrò e lo trasportò sull’olimpo, dove Ganimede fu destinato a servire Zeus come coppiere (Iliade, lib. XX, vv. 232-235 e ovidio: Metamorfosi, lib. X, vv. 148-161). La descrizione di Diotima protesa verso l’alto, con i piedi che sforano appena la terra tratteggia la sua essenza ideale di collegamento tra la terra e il cielo; nella semplicità del gesto, di cui vengono sottolineati la spontaneità e l’aspetto giocoso, innocente, si manifesta l’unione dell’uomo con le due dimensioni della natura. 146 Ancora una volta è la musica a esprimere l’armonia perfetta, mentre il linguaggio con le sue costrizioni, con i nomi che ‘oggettivizzano’ le cose è inadeguato a rendere l’esperienza estetica del bello. La musica rappresenta una prima possibilità di espressione, perché non deve nominare l’amore e la bellezza attraverso dei concetti, ma li traspone al di là dei concetti, in note e accordi. La ricerca di un linguaggio adeguato a questo ideale si concluderà alla fne del romanzo, con la morte di Diotima: solo dopo che la famma di Iperione l’avrà afferrata e consumata, solo allora il suo essere si eleverà a un livello più alto e rifonderà il regno del linguaggio, quando, vicina alla morte e divenuta d’un tratto loquace, diverrà la Musa di Iperione e gli annuncerà l’avvento di una nuova poesia, la realizzazione della sua vocazione poetica (cfr. nota 277). 147 «Il suo cuore era di casa tra i fori»: è un altro dei tratti che accomuna Diotima alla Julie della Nouvelle Héloïse, insieme ad altri che verrano tra poco elencati come la grande cura nell’occuparsi delle faccende domestiche e l’abilità nel cucinare cibi appetitosi; quest’ultima dote è propria anche di Lotte nel Werther di Goethe. – La defnizione di ‘anima bella’, un’espressione ripresa da Platone (Simposio, 209 B) che era diventata di moda alla fne del Settecento, si cristallizza nel saggio di Schiller Grazia e dignità: «Si dice anima bella, quando il sentimento morale è riuscito ad assicurarsi tutti i moti interiori dell’uomo al punto, da poter senza timore lasciare all’affetto la guida della volontà e da non correr mai pericolo di essere in contraddizione con le decisioni di esso. Quindi in un’anima bella non sono propriamente morali le singole azioni, ma lo è tutto il carattere. [...] L’anima bella non ha altro merito che quello di esistere. Con una facilità, come se in essa

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agisse soltanto l’istinto, essa compie i più penosi doveri dell’umanità, e il più eroico sacrifcio che essa strappi all’istinto naturale appare come un’azione volontaria dell’istinto medesimo. Perciò essa stessa non si rende mai conto della bellezza del suo agire e non le viene in mente che si potrebbe agire e sentire altrimenti; [...] in un’anima bella dunque sensibilità e ragione, dovere e inclinazione sono in armonia, e la grazia è la sua espressione nel fenomeno» (Schiller: Saggi estetici – Grazia e dignità, pp. 177-178). 148 Con «bellezza» della natura Hölderlin intende l’unicità dell’essere dato in natura, la sua immanenza. In questo senso la natura non può subire perdite né incrementi e quindi anche gli uomini, in quanto parte di questa unicità che tutto abbraccia, sono immortali. Il pensiero di questa eternità determinata dalla natura, che va al di là della morte e di tutte le separazioni, viena ripreso con enfasi nell’ultima lettera del romanzo, quando Iperione sprofonda in un’estasi ispirata, in cui arriva a percepire l’unicità dell’essere e quindi anche la sua unione con Diotima, al punto da sentirne di nuovo la voce (p. |759|). 149 Il concetto del ‘bastare a se stessi’ (aujtavrkeia, in tedesco Selbstgenügsamkeit) era uno dei massimi valori del pensiero greco. esso indicava indipendenza interiore, armonia e libertà, e veniva attribuito non soltanto al vero sapiente, ma anche alla divinità stessa. Nel Timeo (68 e) si parla infatti di un «dio che basta a se stesso ed è perfettissimo». Già in uno dei suoi primi inni, l’Inno alla Dea dell’Armonia (v. 120), Hölderlin aveva fatto riferimento a un divino bastare a se stessi («sobrietà divina», in: Tutte le liriche, p. 27), collegato alla tradizione dello stoicismo e ripreso nel dibattito sulla natura dell’Aufklärung. 150 Urania rivestiva un ruolo particolarmente signifcativo per il poeta, che le aveva dedicato l’Inno alla Dea dell’Armonia, composto nel 1791, e vi aveva posto come epigrafe una citazione ripresa dal famoso romanzo di Heinse, Ardinghello: «Urania, vergine splendente, con la sua incantata cintura tiene unito l’universo in un’estasi fremente» (Tutte le liriche, p. 19). Urania appare in Hölderlin in una doppia veste: è la Musa dell’astronomia, che va in soccorso ai viandanti e ai viaggiatori, ma è anche la madre dell’amore; secondo alcuni racconti è infatti madre di eros. La sua cintura incantata ha dunque un duplice signifcato, indica per un verso il legame d’amore che unisce le creature, per l’altro la Via Lattea che circonda e tiene unito il cosmo, simbolo dell’armonia degli uomini e di tutto il creato, fno alle sfere celesti.

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Anche in una lettera a Susette (ottobre/novembre 1799 – MA, vol. II, pp. 833-834) Hölderlin dà voce alla sua pena e al suo sconforto nel dover stare lontano dalla donna amata in toni che ricordano molto da vicino quelli di Iperione. Il poeta riconosce che, se fosse rimasto vicino a Susette, la sua vocazione poetica si sarebbe dispiegata più velocemente e più facilmente, mentre ora il suo cuore si strugge in una cupa disperazione; egli sperimenta dentro di sé un’eterna lotta e una costante contraddizione per la lontananza di lei, al punto che «non sappiamo più chi siamo né cosa possediamo, ci riconosciamo a malapena». 152 Hölderlin pensa forse a romolo e remo, i mitici fondatori di roma, che la leggenda vuole abbandonati e allattati da una lupa. I due gemelli compariranno ancora nella bozza di uno degli inni tardi, Tinian (Tutte le liriche, pp. 1220-1223). 153 In questa brevissima lettera, così come nella conclusione della lettera precedente e in quella che seguirà, Iperione interrompe il racconto e torna alla sua realtà, per attenuare la tensione e il coinvolgimento emotivo evocato dalla narrazione. In questa pausa rifette sulla possibilità di acquisire un atteggiamento più critico e più distaccato nei confronti delle sue esperienze proprio grazie al racconto: riuscire a raccontare signifca essere in grado di dominare i propri sentimenti, fare i conti con il passato e rielaborare il vissuto acquistandone maggiore consapevolezza. 154 Hölderlin riprende alcuni temi e suggestioni dello stoicismo classico, tra cui quello dello ‘spirito del mondo’, che aveva conosciuto molto presto a Tübingen studiando uno dei suoi testi principali, lo scritto di Cicerone De natura deorum. 155 Le Parche, divinità che regolavano la durata della vita. 156 Questa breve lettera è un piccolo capolavoro stilistico. Ha un andamento perfettamente circolare, aperto da un’affermazione e chiuso da una domanda retorica che trova risposta nell’affermazione iniziale. La lettera è composta quasi interamente da un unico periodo ipotattico, diviso in tre parti. Le prime due sono similari, due lunghe protasi, una incentrata su Iperione (in prima persona), l’altra su Diotima (in terza persona), costituite entrambe da un elenco di situazioni che rendono sempre più radicata e profonda la consapevolezza di quanto enunciato in apertura, cioè l’appartenenza reciproca dei due giovani; essa è rafforzata anche dal fatto che il completamento naturale delle due protasi, la frase principale, non viene esplicitata, e viene

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così a coincidere con l’enunciazione iniziale «ci appartenevamo». La terza parte, più breve e anch’essa ellittica, è un’invocazione rivolta direttamente alla donna amata (apostrofata in seconda persona), che è chiamata a testimoniare, accanto alla memoria del narratore-Iperione, la verità dell’assunto iniziale e a rispondere alla domanda fnale. – Di Diotima viene descritta la totale complementarietà rispetto a Iperione, come l’immagine nello specchio; anzi, la fanciulla è la proiezione idealizzata (è infatti ancora più fedele dello specchio) della sua vita interiore. Iperione cerca in lei un rimedio (la rettifca della traiettoria eccentrica?) al suo disordine interiore e ai suoi impulsi eccessivi, un elemento che riporti equilibrio tra le sue passioni. Gaier rintraccia l’immagine dell’innamorata come specchio nel commento di Ficino al Simposio di Platone, un commento che Hölderlin aveva ben presente (Diotima, eine synkretistische Gestalt, p. 164); l’anima che rifette l’immagine dell’innamorato trasfgurandola e trascendendola, morte e rinascita nell’anima dell’amato, l’amato come realizzazione concreta dell’immagine a priori di amore che ciascuno ha nell’anima sono infatti tratti tipici del pensiero neoplatonico sull’amore. Nel sincretismo fciniano confuiscono quindi suggestioni ermetiche orientaleggianti e un pensiero greco-antico rivisitato in chiave teologico-cristiana che trovano una sintesi mirabile proprio nella fgura di Diotima. 157 Il tema dell’amicizia era fondamentale nel Settecento, in particolare per l’Empfndsamkeit e i preromantici, che ne praticavano un vero e proprio culto che anche il poeta condivise (Inno all’Amicizia; A Eduard). Se nel racconto delle avventure con Alabanda il tema aveva acquisito veste letteraria, qui viene invece affrontato dal punto di vista teorico. L’amicizia viene collocata in un orizzonte eroico, è ispiratrice di azioni volte al bene dell’umanità: già in Shaftesbury l’amicizia, lontana dall’essere un fatto privato e personale, includeva come parte sostanziale l’amore per la patria e non poteva esistere a prescindere dall’amore per l’umanità nel suo complesso. Hölderlin riprende però anche tradizioni più antiche, tra cui la distinzione, propria dell’etica nicomachea, tra amicizia e affetto: al posto più alto si colloca l’amicizia, che si basa sulla libera scelta e si collega alla virtù. In questo senso essa è il luogo dell’«armonia degli spiriti» e va distinta dall’amore come fatto naturale, spontaneo. Segue poi la collocazione dell’amicizia in una prospettiva storica: la storia dell’umanità è partita da una condizione naturale ingenua e inconsapevole per evolversi verso una condizione ideale di consapevolezza e armonia degli spiriti proprio

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attraverso l’amicizia, e questa idea viene ricondotta alla formula: «ciò che era natura è ideale» (p. |668|). In prospettiva storica, l’amicizia è quindi quel valore che garantirà il rinnovamento della storia dell’uomo, un motore che nel mondo antico era costituito dall’amore. – Armodio e Aristogitone erano i due fedelissimi amici ateniesi che insieme uccisero il tiranno Ipparco nel 514 a. C., probabilmente più per gelosia che per effettivi motivi politici. Nel tumulto seguito all’assassinio, Armodio fu ucciso e Aristogitone catturato, poi torturato e messo a morte. Nonostante il resoconto di Tucidide lasci emergere chiaramente il movente di natura privata, ciò non impedì alla storiografa ateniese di trasfgurare e interpretare l’assassinio del tiranno come un gesto mosso da aspirazioni democratiche. Per Hölderlin i due giovani ateniesi divengono così il simbolo dell’amicizia eroica, forte e fedele fno alla morte, che ispira alti ideali e muove all’azione politica. 158 Minosse, mitico re di Creta, fglio di Zeus ed europa, conosciuto come il fondatore della cultura minoica e come colui che diede all’umanità le prime leggi. egli divenne famoso per aver governato con giustizia e rigore, e in questa veste, insieme al fratello radamanto, dopo la morte gli venne assegnato il compito di giudicare le anime dei morti. 159 Tantalo regnava in Lidia, secondo alcuni racconti, o in Frigia secondo altri; era molto ricco e amato dagli dei, che lo ammettevano ai loro banchetti. Avendo poi irritato Zeus per aver divulgato fra i mortali i segreti su cui gli dei si erano intrattenuti a tavola (o per aver rubato nettare e ambrosia per darne ai suoi amici, secondo altre versioni), venne precipitato negli Inferi dove fu condannato al mitico supplizio: una fame e una sete eterne, che non può saziare nonostante abbia accanto a sé acqua e frutti prelibati. La fgura di Tantalo viene spesso utilizzata da Hölderlin per esprimere l’idea che, se è diffcile sopportare l’infelicità, per l’uomo è ancora più diffcile sopportare la felicità, tanto che egli stesso fnisce col rovinarsela. Si vedano ad esempio la poesia I lamenti di Menone per Diotima (vv. 71-75 – Tutte le liriche, pp. 231-233); la famosa lettera a Böhlendorff del dicembre 1801, in cui il poeta confessa di temere il destino di Tantalo che ricevette dagli dei più di quanto fosse in grado di sopportare (MA, vol. II, p. 914); infne la tragedia sulla Morte di Empedocle, dove Tantalo compare sempre con la stessa valenza (I stesura, v. 314, p. 39). 160 Hölderlin riprende il motivo della sottomissione al vincolo dell’amicizia anche nell’ode A Eduard (vv. 1-4), in cui tematizza l’a-

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micizia eroica, incarnata nel suo legame con Isaak von Sinclair (Tutte le liriche, pp. 802-809). Anche in una lettera alla madre (12 novembre 1798 – MA, vol. II, pp. 708-709) il poeta usa lo stesso termine (untertan, ‘sottomesso’) per defnire la sua amicizia con Sinclair: «ci saranno veramente pochi amici che si dominano così a vicenda e sono allo stesso tempo così sottomessi l’uno all’altro». L’amicizia vera sembra quindi fondata su un ossimoro, sui due atteggiamenti opposti di orgoglio e sottomissione che si completano reciprocamente. Sullo stesso atteggiamento tra Iperione e Alabanda, cfr. nota 109. 161 La descrizione della storia evolutiva dell’uomo sembra giungere a toccare l’immediata attualità di quei giorni, con gli sviluppi della rivoluzione francese e l’inizio del terreur. Il risultato della rivoluzione è stato il caos, che è però il presupposto per ogni fermentazione e dissoluzione e dal quale si produrrà un cambiamento, come Hölderlin scrive all’amico ebel, che da Parigi gli esprime tutta la sua delusione per l’andamento della rivoluzione (10 gennaio 1797 – MA, vol. II, pp. 642-644): «Per quanto riguarda l’aspetto generale, ho almeno una consolazione, e cioè che ogni fermentazione e dissoluzione deve necessariamente portare o all’annientamento o a una nuova organizzazione. Ma poiché l’annientamento non c’è, dalla nostra corruzione deve sorgere una nuova giovinezza del mondo». Diotima e Iperione la vedranno nel caos imponente delle rovine dei templi di Atene, e quella vista farà scattare la molla per una rifondazione della Grecia. Una teoria, quella della palingenesi o rinnovamento ciclico di tutte le cose, abbastanza diffusa al tempo e cristallizzata nel saggio herderiano Tithon und Aurora (1792). Cfr. Cometa: Palingenesi e mito in Friedrich Hölderlin e nel romanticismo. 162 Questa rifessione, stimolata soprattutto dalla Critica del giudizio di Kant (1790) e poi dai saggi di Schiller Grazia e dignità (1793) e Della poesia ingenua e sentimentale (1795/1796), era già stata accennata nella Prefazione al Frammento di Iperione (1794), dove si parlava dei due estremi tra cui si muove l’uomo: una situazione di totale semplicità e ingenuità, e una di sviluppo completo, che qui sono riprese come «armonia dell’infanzia» e «armonia degli spiriti» (cfr. Appendice, p. |489|). Ne veniva ancora fatto cenno nella Prefazione alla Penultima stesura, dove si sottolineava la disgregazione dell’uomo dalla natura, la sua divisione tra i due estremi del tutto e del nulla (cfr. Appendice, p. |558|). Con una nuova metafora, tratta dal mondo vegetale, è descritta la situazione intermedia, dissonante, dell’uomo moderno, che oscilla

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tra i due estremi senza trovare l’equilibrio o la nota giusta, che fermenta e si consuma nel disordine e nella vertigine. In questo schema si inserisce anche la visione storico-flosofca della Grecia classica e dell’europa moderna propria del poeta, che legge in questa chiave la storia del mondo ma non in una contrapposizione meccanica tra antico e moderno (come accade invece negli scritti giovanili di rousseau), bensì su un piano simbolico, legato alla categoria dell’origine. La Grecia classica è quindi interscambiabile con altri simboli equivalenti come il fanciullo, il germogliare della pianta, l’Arcadia: «il fanciullo è un essere divino fnché non si immerge nel colore camaleontico degli uomini. È interamente se stesso, e per questo è così bello. Le costrizioni della legge e del destino non lo toccano; nel fanciullo vi è soltanto libertà» (p. |616|). Ma in questo brano vengono messi in evidenza anche i forti nessi tra flosofa della storia e flosofa della natura: «ciò che era natura diviene ideale», e si manifesta lo scarto tra la concezione di natura dell’idealismo e quella hölderliniana. Se infatti per l’idealismo la bellezza, intesa come unità perfetta della molteplicità, trascende l’esperienza empirica e non può quindi essere percepita nella natura, bensì soltanto nell’arte, per Hölderlin invece è la natura il luogo di manifestazione della bellezza, «diviene» ed «è ideale» allo stesso tempo. In questa dialettica dell’essere e divenire si colloca anche il concetto di ‘libertà’ della natura, secondo Hans-Georg Pott: «Se la natura è la quintessenza dell’essere, dell’uno e tutto, la libertà non può essere quella che si verifca nel momento in cui ci si scioglie o stacca dalla natura; essa invece può realizzarsi solo in lei, costruendo in questo modo la propria storia. Così la natura è essere e divenire allo stesso tempo: è e diviene» (Pott: Natur als Ideal, p. 152). Questo divenire è anche l’oggetto specifco dell’utopia di Iperione, che su questa base vorrebbe inaugurare una nuova fase della storia greca. L’esperienza del paesaggio diviene quindi, nel romanzo, il luogo in cui sensibilità, rifessione e storia si fondono, il luogo della memoria in cui esperienza personale e rifessione universale vengono a coincidere. Così, anche quando il paesaggio è descritto in modo realistico, ha sempre una valenza ideale (due esempi eclatanti sono la descrizione del luogo del primo incontro con Diotima o il paesaggio dell’ultima lettera del romanzo, dove il protagonista percepisce in estasi l’unità con tutto ciò che vive). Cfr. Guardini: Form und Sinn der Landschaft in den Dichtungen Hölderlins. 163 Nella visione dell’amicizia come rappresentazione e strumento del rinnovamento del mondo, viene tratteggiata una storia dell’uma-

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nità e una storia dell’individuo, nati la prima volta dall’amore ma capaci poi di rinnovarsi grazie alla spinta ideale dell’amicizia. Diotima dimostra di essere già spiritualmente in quella dimensione, di essere già capace di una simile passione. 164 orazio: Tutte le opere – Carmi, lib. III, c. 29, vv. 41-48: «Di se stesso padrone lietamente / vivrà colui che ad ogni giorno possa / dire: “Ho vissuto. offenda pur domani / Giove di nere nubi il cielo o brilli / il sole, non potrà rendere vano / il passato, né sperdere o mutare / quel che mi ha dato l’ora fuggitiva”». Hölderlin cita questa frase anche nella lettera a Neuffer dell’8 novembre 1790: «alla sera puoi pronunciare un Vixi a tutti gli effetti, se trascorri i tuoi giorni così come mi hai scritto» (MA, vol. II, p. 461). 165 Il riferimento è al mito di Poros (l’Abbondanza) e Penia (la Povertà), che durante i festeggiamenti per la nascita di Afrodite si congiungono e generano eros. Il dio dell’amore riunisce quindi in sé la natura della madre e quella del padre, ciò che si procura gli sfugge sempre di mano ed è povero e ricco allo stesso tempo (Platone: Simposio, 203 B-203 e). Nei materiali preparatori, e in particolare nella Stesura in versi (Appendice, pp. |518-519|), questo mito, qui solo accennato, viene ripreso e rielaborato in modo più dettagliato. 166 Nel testo è ‘un bel giorno’, la traduzione letterale del saluto greco kalimera. 167 Con l’inserimento di questi piccoli deittici Hölderlin ogni tanto richiama la situazione narrativa del romanzo, e cioè la distanza che sapara l’eremita Iperione dai fatti che sta raccontando e la presenza di un interlocutore epistolare quale è l’amico Bellarmino. 168 Il riferimento è al mito di Vulcano, il greco efesto, dio del fuoco. Figlio di Zeus e di era, era un dio zoppo, e la tradizione ne offre diverse spiegazioni. La più diffusa (Iliade, lib. I, vv. 584-594, un brano che Hölderlin aveva tradotto) racconta che, durante un litigio tra i genitori a causa di eracle, egli intervenne prendendo le difese della madre. Zeus, adirato, lo afferrò per un piede e lo scagliò sulla Terra. efesto, tramortito per la caduta, si riprese lentamente ma rimase zoppo. riferendosi metaforicamente alle due cadute, Iperione allude, come si spiegherà poco più avanti, alle due fasi di sconforto e di forte delusione seguite alla partenza del suo maestro Adamas e al litigio con l’amico Alabanda. 169 La ninfa Aretusa, per sfuggire all’innamorato Alfeo che la inseguiva, fu trasformata da Diana in una fonte sull’isola di ortigia, a

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Siracusa. Giove si impietosì del dolore di Alfeo, il dio del più grande fume del Peloponneso, e gli permise di deviarne il corso. Così Alfeo con la sua forte corrente scavò un passaggio sul fondo del Mar Ionio per giungere fno in Sicilia e congiungere le sue acque con quelle della ninfa. Con questa bella immagine Diotima sottolinea la ricerca struggente e disperata di Iperione, così intensa che sarebbe capace di spostare, letteralmente, mari e monti, come era accaduto per Alfeo. Il mito è narrato da ovidio nelle Metamorfosi (lib. V, vv. 572-641) e da Virgilio (Eneide, lib. III, vv. 692-696). 170 Il carattere elegiaco di Iperione, di cui l’autore aveva parlato nella Prefazione, trova una delle sue manifestazioni più pregnanti in questa tristezza, che nasce dalla nostalgia per un tempo migliore, per un mondo più bello, e dalla sofferenza per il presente. 171 La breve descrizione dell’elisio ripropone i dettagli riportati da Virgilio nella visita di enea al padre Anchise nell’oltretomba (Eneide, lib. VI, vv. 637-751; cfr. anche nota 113). 172 Variazione del versetto evangelico in cui Gesù ammonisce a non profanare le cose sante: «Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le calpestino con le loro zampe e poi si voltino per sbranarvi» (Mt 7, 6). Bellarmino rappresenta dunque il lettore ideale, l’unico da cui il poeta si aspetta un autentico apprezzamento della sua opera che, come aveva sottolineato chiaramente nella Prefazione al romanzo (p. |611|), i più non avrebbero capito. 173 Nella loro lotta contro Zeus e gli altri dei, i titani irosi e sconftti erano stati scagliati nel Tartaro e lì imprigionati. 174 Le anime di Diotima e di Iperione si sarebbero già incontrate prima della loro esistenza terrena: Hölderlin riprende il motivo platonico della pre-esistenza delle anime, che si ricollega sia alla dimostrazione dell’immortalità dell’anima data da Socrate (Platone: Fedone, 69 e-72 A), sia all’episodio di er, che in un sonno molto simile alla morte durato dodici giorni vaga nell’oltretomba e vede le anime che, in base alle loro esperienze precedenti, scelgono un nuovo modello di vita per poi reincarnarsi (Platone: Repubblica, 614 A-621 B). La defnizione di ‘ante-elisio’ (Vorelysium) potrebbe provenire da Karl Philipp Conz (Schicksale der Seelenwanderungshypothese, p. 47): commentando un brano del Fedro, Conz richiama appunto la pre-esistenza delle anime, il mito dell’unione originaria tra maschile e femminile e la tensione alla riunifcazione degli elementi affni. Hölderlin riprenderà questo

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concetto anche nel frammento Dormivo, o mio Callia (Appendice, p. |485|). Cfr. Lampenscherf: «Heiliger Plato, vergieb…» Hölderlins Hyperion oder: Die neue Platonische Mythologie, pp. 136-139. 175 Sirio, che fa parte della costellazione del Cane Maggiore, è la stella fssa più luminosa in quanto una delle più vicine alla Terra, e dà il nome ai giorni della canicola, simbolo dell’estate. Arturo invece si trova nella costellazione di Boote e simboleggia l’avvicinarsi dell’inverno (si veda ad esempio Sofocle: Tutte le tragedie – Edipo Re, v. 1138: «passammo insieme tre stagioni intere, dalla primavera al levarsi di Arturo», quando cioè terminava per i pastori la stagione del pascolo). 176 Nel 1789 viene pubblicata una poesia di Goethe intitolata proprio Ebbrezza della malinconia (Wonne der Wehmut; trad. italiana di Diego Valeri in Goethe: Poesie, p. 1237: Delizia del dolore). 177 eos (Aurora) era rappresentata come una dea le cui dita color di rosa aprono le porte del cielo al carro del sole. Ancora una volta, la tristezza è il complemento della gioia. 178 Nella rappresentazione iconografca tradizionale, fn dalla lirica di Walther von der Vogelweide, questa è la posizione del poeta e del pensatore che rifette e guarda con malinconia il mondo che lo circonda: le gambe accavallate, il gomito sul ginocchio e il mento appoggiato sulla mano, con lo sguardo perso davanti a sé. Così il poeta medievale viene ritratto in una miniatura del Codice Manesse, che ripropone l’immagine con cui si apre uno dei suoi componimenti più famosi (Ich saz ûf eime steine), e così Iperione si raffgura Diotima. 179 L’accenno all’ombra di Diana non sembra avere un parallelo nella mitologia classica; potrebbe riferirsi all’appellativo di Diana Nemorensis, dea dei boschi. Anche l’Ifgenia in Tauride di Goethe si apre descrivendo l’ombra del bosco di Diana, così cupa che persino la dea aveva paura a entrare. 180 Il sole, cfr. nota 8. Così come Adamas aveva indicato a Iperione la sua identità invitandolo a divenire come il sole nell’episodio culminante del suo percorso educativo, così anche Diotima, nell’esperienza dell’amore, scopre e gli rivela la sua vera identità. 181 Chandler: Reisen in Griechenland (pp. 300-301) descrive l’antica città di Calauria, situata su un’altura nel centro dell’isola, dalla quale si godeva la vista del mare e delle coste. erano ancora visibili resti di edifci, tra cui dei sedili di pietra con lo schienale disposti in cerchio, forse parte delle antiche terme, e questo dettaglio potrebbe essere

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quello ripreso da Hölderlin nella sua descrizione. All’antica città si ricollega la presenza del famoso oratore ateniese Demostene, strenuo difensore (da qui l’epiteto ‘il leone’) dell’indipendenza della sua città contro i macedoni che, capeggiati da Filippo, avevano conquistato tutta la Grecia. Quando il generale macedone Antipatro ordinò che gli fossero consegnati tutti gli oratori che avevano incitato il popolo alla ribellione, Demostene fuggì a Calauria e si rifugiò nel tempio, dove si avvelenò. La biografa di Plutarco riferisce che, dopo essersi avvelenato, si rivolse con battute sarcastiche ai soldati macedoni che nel frattempo erano sopraggiunti. 182 riferimento ad Alessandro Magno che completa l’azione del padre Filippo nella conquista delle città greche, braccate a una a una come fa il cacciatore con la selvaggina. 183 Questa esclamazione di Diotima introduce il tema dominante di tutta la lettera, nota appunto come ‘Lettera sugli ateniesi’ proprio perché quasi interamente occupata da un lungo ragionamento di Iperione sulla grandezza di Atene e le sue cause. Un parallelo può ritrovarsi nel romanzo di Heinse Ardinghello, anch’esso in buona parte un romanzo epistolare, in cui il protagonista più volte, contemplando le rovine dell’antichità romana, ragiona sulla grandezza del passato, sui suoi valori e sul divario fra passato e presente (sul rapporto tra i due romanzi, cfr. Hock: Wilhelm Heinses Urteil über Hölderlins Hyperion; Grappin: Ardinghello et Hyperion). Nella struttura speculare del romanzo, a questa lettera farà da contrappunto l’altrettanto celebre invettiva contro i tedeschi, posta in chiusura del secondo volume (pp. |755-757|). 184 In una delle sue fonti (Choiseul-Gouffer/reichard: Reise […] durch Griechenland, vol. I, pp. 58-70), Hölderlin aveva potuto leggere il resoconto minuzioso dell’afforare di una nuova isola di origine vulcanica nella caldera di Santorini nell’anno 1707. La stessa immagine viene rielaborata poeticamente nella strofa di apertuna dell’ode L’uomo (Tutte le liriche, pp. 670-671). 185 L’infuenza del clima sulle popolazioni e sugli Stati era un argomento molto accreditato all’epoca, che già nel Cinquecento veniva spesso richiamato per giustifcare le diverse forme di governo e le propensioni dei diversi popoli per una forma piuttosto che l’altra; si riteneva infatti che il clima avesse un infusso diretto sui temperamenti, in linea con le teorie mediche di Ippocrate. Nel Settecento queste idee, oltre a essere riprese da Montesquieu nel suo diffusissimo

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scritto Lo spirito delle leggi (1748), furono applicate anche all’estetica; famoso tra tutti è Winckelmann, che teorizzò uno stretto legame tra l’eccellenza dell’arte greca e il clima in cui si produsse (Winckelmann: Storia dell’arte dell’antichità, parte I, cap. IV, sez. I, in part. pp. 341-359): «L’infuenza del clima deve dar vita al seme dal quale dovrà poi germogliare l’arte, e per questo seme la Grecia era il terreno prescelto; e il talento flosofco, che epicuro ha voluto attribuire solo ai Greci, potrebbe a maggior ragione valere anche per l’arte. Molto di ciò che noi potremmo immaginare come ideale, presso di loro era natura. Dopo essere gradatamente passata per il freddo e per il caldo, la natura ha come stabilito il suo centro in Grecia, dove le condizioni climatiche sono in equilibrio tra inverno ed estate; […] presso nessun altro popolo la bellezza ha goduto di una stima così elevata come presso di loro. Per questo motivo non è rimasto nascosto niente di ciò che potesse nobilitarla, e gli artisti avevano quotidianamente la bellezza davanti agli occhi» (citaz. alle pp. 341-343). Herder sottolinea invece il momento di equilibrio tra tutte le forze che concorrono a determinare le caratteristiche di un popolo, relativizzando il ruolo del clima (Herder: Sämmtliche Werke, vol. XIII-XIV: Ideen zur Philosophie der Geschichte der Menschheit, parte II, lib. VII). In un successivo capitolo (Allgemeine Betrachtungen über die Geschichte Griechenlandes, parte III, lib. XIII, cap. 7) parla nello specifco della flosofa greca, utilizzando proprio la metafora dei fori e dei frutti dell’albero a supporto della sua spiegazione organologica dei fenomeni storici ma soprattutto culturali. Hölderlin accoglie e rielabora molti spunti e molte suggestioni da entrambi in questa lettera sugli ateniesi, dove Iperione concorda con Winckelmann nell’attribuire all’equilibrio delle condizioni climatiche un infusso signifcativo, ma non ritiene questa spiegazione suffciente, poiché dovrebbe altrimenti essere valida per tutti i greci, compresi quelli moderni. egli prosegue così nel suo ragionamento cercando ulteriori motivi del primato degli ateniesi. 186 Il tiranno Pisistrato regnò ad Atene nel VI secolo a. C. e, dopo di lui, i fgli Ipparco (poi ucciso da Aristogitone) e Ippia. Nonostante il suo agire politico spregiudicato e violento, Pisistrato avviò alcune riforme migliorative di carattere moderato, stimolò la costruzione di importanti edifci in città e favorì le arti, preparando così il clima per quello che sarà considerato il periodo aureo di Atene. 187 Atene e il suo eroe Menesteo vengono citati nell’Iliade solo una volta e brevemente (Iliade, lib. II, vv. 546-556), ma fn dall’antichità

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circolava il sospetto che quei versi fossero stati aggiunti al poema a posteriori, per non escludere completamente Atene dagli avvenimenti. – In questa parte iniziale del suo ragionamento su Atene, Hölderlin legge lo sviluppo armonico della città alla luce delle teorie educative di rousseau, e in particolare a conferma dell’idea che, per crescere bene, non bisogna usare con il bambino nessun tipo di premura né di costrizione, ma lasciare che si sviluppi con i suoi ritmi, in modo che le sue capacità, non forzate, possano dispiegarsi in modo adeguato e armonico (éducation naturelle). 188 Lacedemone è l’antico nome di Sparta, di cui Licurgo fu uno dei più autorevoli legislatori. egli non soltanto riorganizzò la forma di governo, ma attuò anche una profonda e coraggiosa riforma demaniale; fssò le linee guida per l’educazione dei giovani e introdusse un nuovo stile di vita, che divenne proverbiale per la sua austerità. Cfr. erodoto: Le storie, lib. I, §§ 65-66 e Plutarco: Vite – Licurgo, in part. §§ 6-11. 189 La chiave dello sviluppo armonico degli ateniesi consiste nell’aurea mediocritas, il giusto mezzo che garantisce equilibrio e armonia e non spinge verso nessuno degli estremi del sensibile e del sovrasensibile, e nella libertà da qualsiasi infusso coercitivo, che provocherebbe forzature e accelerazioni nella crescita, che deve invece essere spontanea. Questi sono i motivi dominanti di tutta la lettera, e in questa tendenza a rifuggire dagli eccessi viene collocato anche il gesto di Teseo. Teseo infatti è l’eroe per eccellenza dell’Attica, il leggendario re di Atene considerato il fondatore della democrazia, in quanto depose spontaneamente la dignità regale proponendo all’aristocrazia una costituzione politica senza re e un regime democratico. Cfr. Aristotele: Costituzione degli ateniesi, cap. XLI, 2; Plutarco: Vite – Teseo, § 24. Nominando Teseo, Iperione inizia un lungo discorso sulla grandezza di Atene, segnato da entusiasmo e ammirazione per gli ateniesi in quanto rappresentati dell’età aurea della grecità. Questo ideale del completo dispiegamento della natura umana, dell’equilibrio e della perfezione della classicità è l’ideale che anima molti autori dell’epoca, ma trova il suo culmine in Winckelmann, Goethe e Hölderlin; ma se nei primi due a prevalere è l’elemento estetico, in Hölderlin questo ideale assume una valenza anche politica e sociale, come mostra la sua considerazione per il gesto di Teseo (cfr. Schmidt: Griechenland als Ideal und Utopie, in part. pp. 105-110). 190 Questa affermazione si inserisce nell’orizzonte dell’idea illuministica di umanità, fondata su una concezione della perfezione raggiun-

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gibile anche dagli uomini e non confnata soltanto a un aldilà ultraterreno. L’uomo stesso è un dio, quando può svilupparsi pienamente. Come rousseau, Hölderlin vede la possibilità di un perfezionamento e il raggiungimento di uno stato di umanità perfetta nel dispiegamento naturale. L’equivalenza tra l’uomo e il dio, che costituisce la forma più alta a cui l’umanità può giungere, acquista quindi ancora maggior forza. Quando, subito dopo, Iperione parla della «prima fglia della bellezza umana e divina», i due aggettivi sono usati come sinonimi. L’accostamento di uomo e dio si pone in contraddizione con la concezione tradizionale della religione che insisteva invece sull’imperfezione dell’uomo in confronto alla perfezione che è soltanto divina. Fin dai Padri della Chiesa il concetto di humanitas era legato alla caducità e al limite; con l’Umanesimo si riscopre invece una connotazione positiva collegata alla formazione e al miglioramento interiore, che viene ulteriormente accentuata con l’Illuminismo, soprattutto grazie alla rivalutazione delle capacità intellettive dell’uomo. Uno dei propugnatori di queste idee è proprio Winckelmann, che collega la divinità dell’uomo alla bellezza etica ed estetica, che tanto ammira nei greci. Per quanto attento agli aspetti artistici più che a quelli flosofci, Winckelmann «contribuì a determinare l’immagine della grecità del poeta» (Polledri: Friedrich Hölderlin e la fortuna di Platone nel Settecento tedesco, p. 803) e fu a sua volta mediatore delle dottrine (neo)platoniche, in quanto il suo ideale di bellezza sembrava trovare in esse il proprio fondamento. 191 Inizia qui il lungo discorso sul bello e sulla bellezza, di cui vengono formulate diverse defnizioni che culmineranno nell’eracliteo en diaferon eautw/. La bellezza è tratteggiata all’inizio come armonia naturale e perfetta dell’uomo nella sua totalità e integrità, poi in senso più generale come armonia della natura universale, acquisendo così una connotazione cosmica e ontologica. Arte, religione e flosofa sono le forme in cui si manifestano questa pienezza e questa perfezione dell’essere, e sono l’espressione più alta di tutte le capacità umane. 192 Si veda l’insegnamento della Diotima platonica, che indica la visione del Bello-in-sé come il vertice della scala dell’eros (Platone: Simposio, 210 e-211 B). Qui si fa una distinzione tra la religione del flosofo e quella del popolo: il saggio, il flosofo venera il bello in sé, nella sua universalità e totalità; il popolo invece ha bisogno delle sue rappresentazioni, di immagini concrete. 193 Hölderlin porta ad esempio gli egiziani per l’eccesso di cultura e di formazione e i popoli barbari del Nord, rappresentati dai goti,

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per la sua totale mancanza; fra questi due estremi, nel mezzo anche geografcamente, si collocano i greci. rifacendosi a Winckelmann, Hölderlin aveva già formulato idee simili nel saggio accademico sulla Storia delle belle arti tra i greci (MA, vol. II, pp. 11-27), ma questi temi si ritrovano anche nelle Briefe zu Beförderung der Humanität di Herder, in particolare nella VI raccolta, lettera 66: «Con sacra serietà saliamo sull’olimpo e vediamo forme divine in sembianze umane. La religione di ogni popolo acculturato (non esclusa quella cristiana) ha più o meno umanizzato il suo dio o i suoi dei; ma solo i greci hanno osato rappresentare nell’arte divinità umanizzate, degne di loro stesse e dell’umanità, e cioè in una maniera che corrisponde in modo pieno e puro al pensiero. o meglio, hanno purifcato ciò che nell’uomo è bello, eccelso e degno fno al suo signifcato più alto, fno al livello massimo della perfezione, fno al divino, e hanno così divinizzato l’umanità. Altre nazioni hanno degradato l’idea di dio fno al mostruoso; i greci hanno elevato ciò che nell’uomo è divino fno a dio» (Herder: Sämmtliche Werke, vol. XVII, p. 354; ryan: «Was bildet aber, stiften die Dichter». Zu Hölderlins Konzeption von ‘Bildung’). Il concetto di un ‘aureo centro’ si collega a quello della ‘misura’, entrambi espressione della perfezione secondo il canone classico. Cfr. Polledri: «...immer bestehet ein Maas». Der Begriff des Maßes in Hölderlins Werk. – In una recensione del 1847, Wolfgang Menzel leggeva queste considerazioni in chiave religiosa: gli egiziani rappresenterebbero i cattolici, chiusi nelle loro paure meschine e cupe, i goti invece i protestanti, freddi ragionatori. Soltanto i greci sarebbero stati capaci di cogliere il divino anche nella sua dimensione estetica (Menzel: recensione a Friedrich Hölderlin: Sämmtliche Werke, in: StA, vol. VII/4, p. 160). 194 Dracone, severo legislatore di Atene vissuto nel VII secolo a. C., fu incaricato di rivedere la legislazione ateniese e di metterla per iscritto; divenne proverbiale per la sua severità e rigidezza, poiché prescrisse pene molto severe anche per reati di scarsa rilevanza. La sua legislazione fu poi sostituita da quella di Solone, ispirata a una maggior equità. Hölderlin trae spunto qui da una lezione accademica tenuta da Schiller, pubblicata nel 1790 e intitolata Die Gesetzgebung des Lykurgus und Solon (La legislazione di Licurgo e Solone) in cui, dopo aver illustrato i rigidissimi principi a cui Dracone si ispirava, Schiller commenta: «Le sue leggi sono doppiamente da biasimare, non soltanto perché si oppongono ai sentimenti e ai sacri diritti dell’umanità, ma anche perché non erano commisurate al popolo per il quale erano

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state fatte. Se c’era un popolo al mondo incapace di forire sotto quelle leggi, erano proprio gli ateniesi. Gli schiavi dei faraoni o del re dei re si sarebbero forse alla fne adattati – ma come potevano gli ateniesi piegarsi a un simile giogo!» (Schiller: SW, vol. IV, p. 821). 195 Secondo il racconto mitologico, Zeus ordinò a efesto di colpirlo in testa con un’ascia, e dalla ferita fuoriuscì Atena (di cui Minerva è la corrispondente romana), armata di lancia e di egida, lanciando un grido di guerra che fece risuonare il cielo e la terra (esiodo: Teogonia, vv. 924-926). 196 Si veda la parte centrale del Più antico programma di sistema dell’idealismo tedesco: «Per ultima, l’idea che le unifca tutte, l’idea della bellezza, prendendo la parola nell’elevato senso platonico. ora io sono convinto che l’atto supremo della ragione, quello col quale essa abbraccia tutte le idee, è un atto estetico e che verità e bontà sono affratellate solo nella bellezza. Il flosofo deve possedere altrettanta forza estetica quanto il poeta. Gli uomini senza senso estetico sono i nostri flosof che si fermano alla lettera. La flosofa dello spirito è una flosofa estetica. Senza senso estetico non si può essere ricchi di spirito in niente, non si può nemmeno ragionare, in modo ricco di spirito, di storia. [...] La poesia riceverà così una dignità superiore, ritornerà a essere, alla fne, ciò che era all’inizio: maestra dell’umanità; infatti, non ci saranno più né flosofa né storia, l’arte poetica soltanto sopravviverà a tutte le altre arti e scienze» (Hegel – Schelling – Hölderlin: Il più antico programma di sistema dell’idealismo tedesco, pp. 23-25). Lo stretto legame tra flosofa e poesia può essere rintracciato nella flosofa degli antichi, ad esempio empedocle e Parmenide avevano composto le loro opere in versi, ma anche Platone inizialmente era un tragediografo e i suoi dialoghi hanno forma poetica, e vi è insieme anche un riferimento all’Iperione stesso, opera di contenuto flosofco con la quale Hölderlin ha la pretesa di segnare «la fne di questa scienza», riconducendo la flosofa alla poesia. L’affermazione conclusiva di Iperione, quasi paradossale, che pone la sorgente come il traguardo (cfr. anche la poesia Rimembranza, v. 39), riprende il movimento ciclico del ritorno, una delle forze che caratterizzano l’amore e producono il processo di rinnovamento, grazie al quale tutto ciò che è scaturito dalla sorgente, dividendosi e separandosi, può infne riconfuirvi. 197 Il punto di partenza del «grande motto» è un frammento di eraclito (DK 22, B 51), che il poeta trascrive, secondo la consuetudine del tempo, senza accenti né spiriti: «essi [=uomini ignoranti] non

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capiscono che ciò che è differente concorda con se medesimo: armonia di contrari, come l’armonia dell’arco e della lira». Il frammento viene ripreso da Platone ma con una piccola, signifcativa variazione, poiché l’Uno (e{n), che Platone inserisce come soggetto, in eraclito mancava: «egli [eraclito] afferma infatti che l’Uno in sé discorde, con se medesimo s’accorda, come l’armonia dell’arco e della lira. ed è molto strana l’affermazione che l’armonia sia discorde, o che sorga da cose discordi. Ma forse egli voleva dire questo, e cioè che l’armonia nasce da cose prima discordi, l’acuto e il grave, e poi rese concordi dall’arte della musica» (Platone: Simposio, 187 A). Platone infatti vuole indicare che non ci può essere armonia tra gli opposti senza un termine superiore di riferimento (l’Uno-Bene), e Hölderlin, che si basa con tutta probabilità sulla lettura platonica del frammento, sottolinea a sua volta la dimensione dialettica e dinamica del mondo, la cui essenza è l’unità nella diversità, proprio come i colori dell’arcobaleno evocati poco prima: sono tanti e diversi, ma uniti e presenti in un unico raggio di luce. Dal testo platonico emerge chiaramente anche il ruolo della musica nella conciliazione delle discordanze, un’idea che si fa maggiormente presente verso la fne del romanzo e che è stata già messa in evidenza. 198 Anche qui echi di Winckelmann, che cerca di desumere dal modo di pensare, dalla struttura dei corpi e dai costumi, le caratteristiche dell’arte egizia che, comparata a quella greca, non raggiunge la stessa eccellenza: «Gli egizi non si sono mai allontanati dal loro stile artistico più antico, e presso di loro l’arte non è riuscita facilmente a scalare quella cima raggiunta con i Greci» (Winckelmann: Storia dell’arte dell’antichità, parte I, cap. II, sez. 1, p. 147; si veda anche il cap. IV, sez. I: «ragioni e cause dello sviluppo e della superiorità dell’arte greca su quella degli altri popoli»). Hölderlin non considera l’egitto parte integrante della cultura greca e medio-orientale, che apprezzava, ma lo vede sempre legato alla sua immagine biblica, il paese del dispotismo dei faraoni, della schiavitù umiliante, della religione misterica. Cfr. Kocziszky: Hölderlins Orient, pp. 27-33. 199 Il culto di Iside, cupa dea del regno dei morti, si era diffuso anche in Grecia ed era divenuto oggetto di studio nella Germania del Settecento (sono famose le lezioni accademiche sui culti misterici egiziani tenute a Jena da Karl Leonhard reinhold), ma si era scatenata anche una vera e propria mania per Iside. Il motivo del «potere velato» e dell’enigma che avvolgeva la dea è presente nella lezione schil-

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leriana sulla Missione di Mosé (Die Sendung Moses, Schiller: SW, vol. IV, pp. 783-804: «Sotto un’antica statua di Iside si leggevano le parole: “Io sono ciò che è”, e su una piramide a Sais si trovò un’antichissima iscrizione misteriosa: “Io sono tutto ciò che è, che era e che sarà; nessun mortale ha mai sollevato il mio velo”», p. 792) e si ripresenta anche nella sua poesia L’immagine velata di Sais (Das verschleierte Bild zu Sais, Schiller: SW, vol. I, pp. 224-226) pubblicata nel 1795 nelle «Horen»; ne parla persino Kant (Critica del giudizio, p. 325). 200 Ulteriore ripresa di un motivo dal Più antico programma di sistema dell’idealismo tedesco: «Gli uomini senza senso estetico sono i nostri flosof che si fermano alla lettera. La flosofa dello spirito è una flosofa estetica. Senza senso estetico non si può essere ricchi di spirito in niente, non si può nemmeno ragionare, in modo ricco di spirito, di storia. Qui deve diventar manifesto che cosa propriamente manca agli uomini che non comprendono le idee e che confessano alquanto candidamente che per loro tutto è oscuro non appena si va oltre le tabelle e gli elenchi» (Hegel – Schelling – Hölderlin: Il più antico programma di sistema dell’idealismo tedesco, pp. 23-25). Attribuendo all’intelletto soltanto la conoscenza limitata di ciò che esiste, Hölderlin segue Kant, che defnisce l’intelletto come la facoltà di classifcare il mondo delle esperienze tramite regole e concetti, oltre però non può andare. La ragione è invece in Kant la facoltà più elevata, che oltrepassa i limiti dell’esperienza; in quanto ragione pratico-morale essa segue delle sue leggi autonome e diviene la fonte di norme assolute e ‘ideali’ e di un dovere incondizionato. Hölderlin riprende la sfera del dovere ma non le lascia la stessa autonomia, bensì la colloca in relazione con l’ideale della bellezza. Infatti, contrariamente a Kant, egli vede anche nella ragione una limitazione, quella del non sapersi orientare (la defnisce ‘cieca’ nelle sue pretese); accenna cioè all’impossibilità per la ragione pratica di indicare un orizzonte esperienziale unitario e vincolante. Collegando «la ragione ambiziosa» (die strebende Vernunft) con l’ideale della bellezza, Hölderlin cerca di dirigerla verso una percezione estetico-intuitiva di un principio di unitarietà e totalità. Il fondamento teorico di questo principio era stato esposto nel frammento Seyn, Urtheil, Modalität (MA, vol. II, pp. 49-50; Franz: Hölderlins Logik; Strack: Über Geist und Buchstabe in den frühen Schriften Hölderlins). Del ruolo di ragione e intelletto il poeta parla anche in una lettera al fratello (2 giugno 1796 – MA, vol. II, pp. 619-621: cfr. Appendice, nota 120, dove il brano è citato per esteso).

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Collina rocciosa che sovrasta Atene e dalla quale si gode un ampio panorama su tutta la pianura. In realtà, venendo dalla costa, i viaggiatori avrebbero dovuto già vedere Atene, prima ancora di salire sul Licabetto; l’incongruenza è dovuta forse a un’informazione di Chandler, che descrive la zona circostante il porto del Pireo e afferma, a un certo punto, che il Licabetto si trova davanti all’Acropoli (Chandler: Reisen in Griechenland, p. 36). 202 riferimento all’incontro di odisseo con la madre nell’oltretomba (Odissea, lib. XI, vv. 152-224). 203 Iperione ricorda i luoghi simboli dell’antica Atene: il tempio più celebre, dedicato a Pallade Atena, che ne richiama le divinità; l’agora, luogo centrale della vita civile, non solo commerciale ma anche politica; e infne il boschetto di Academo, che simboleggia la flosofa. In esso infatti si trovava la platonica ‘accademia’, il centro di cultura e di formazione più famoso di tutta l’antichità. Cfr. Franz: «Platons frommer Garten», in: Tübinger Platonismus, pp. 75-94. 204 Due alture rocciose a Nord di Atene, conosciute per le cave di marmo pregiato. 205 Capo Sunio è l’estremo promontorio meridionale dell’Attica. Nell’opera di Barthélémy: Reise des jüngern Anacharsis (parte V, cap. 59, pp. 37-40), si trova il racconto di un presunto passaggio di Platone sul Sunio, insieme ai suoi discepoli. Nella descrizione di Barthélémy, resa ancora più effcace da una tavola che illustra la scena, sul promontorio sorge uno splendido tempio dorico dedicato a Minerva; Platone vi si sofferma a lungo osservando lo spettacolo maestoso della natura che si rabbuia in un violento temporale, per poi schiarirsi nuovamente. I discepoli interrogano allora con insistenza il silenzioso maestro, assorto nella contemplazione, che infne cede alle loro richieste, si siede su una roccia del promontorio e parla loro del creatore di tutte le cose, dell’origine dell’universo, dello spirito che anima la natura. 206 Con «teatro di Bacco» si intende il teatro di Dioniso alla base sudorientale dell’Acropoli, in cui venivano rappresentate le tragedie di eschilo, Sofocle e euripide. Chandler scrive: «Andiamo dunque sul lato dell’Acropoli, verso l’Imetto, lasciando sotto di noi la città che prima si stendeva alla nostra sinistra fno alla pianura. Da questa parte la collina è tagliata dalla spianata che prima era occupata dal teatro di Bacco. [...] Ci sono ancora alcune rovine alle due estremità, ma la parte interna della spianata è coltivata e ci cresce il grano» (Chandler: Reisen in Griechenland, p. 87). – Il tempio di Teseo è un tempio dori-

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co ben conservato, che Chandler colloca a Nord-ovest dell’Acropoli, mentre il tempio dedicato a Zeus olimpio si trova anch’esso a Sudest, oltre l’Arco di Adriano; di quello che era stato concepito come il più grande tempio di Zeus di tutta l’antichità, fno al 1852 rimanevano in piedi sedici colonne (oggi solo 15). Chandler riferisce che «nel 1676 erano in piedi ancora diciassette colonne, ma qualche anno prima del nostro arrivo una è stata abbattuta, non senza grande sforzo, e il marmo è stato utilizzato per [costruire] una nuova moschea nel bazar, o piazza del mercato» (ivi, pp. 108-109). – L’Arco di Adriano fu costruito per celebrare l’imperatore Adriano nel 131 a. C., in occasione della conclusione dei lavori al tempio di Zeus olimpio, e divideva la parte nuova della città, che aveva preso il suo nome, da quella più antica di Teseo. 207 Si allude a un episodio della vita di Cleopatra, che sfdò Antonio a consumare in una serata una somma enorme di denaro. Per vincere la sfda, la regina bevve un calice di aceto in cui aveva disciolto costosissime perle (Plinio: Storia naturale, lib. IX, § 119). Lo stesso episodio viene ricordato da Hölderlin anche nell’ode intitolata a empedocle (cfr. La morte di Empedocle, pp. 2-5). 208 Iperione incontra sulla sua strada le fonti che Hölderlin usa per documentarsi sullo scenario della narrazione: l’accenno ai due studiosi britannici è infatti un omaggio al pittore James Stuart e all’architetto Nicholas revett, i due curatori di una celebre opera illustrata sull’antica Atene che Hölderlin conosceva bene (cfr. Briegleb: «Zwei britische Gelehrte, die unter den Altertümern in Athen ihre Ernte hielten»). I due inglesi erano rimasti oltre due anni in Grecia, dal marzo 1751 al settembre 1753, con lo scopo di fornire un’esatta documentazione, con misurazioni e descrizioni analitiche, dei monumenti e dei resti dell’antica Grecia, al di là dei già esistenti resoconti di viaggio. Durante il suo soggiorno a Jena (1794-1795) Hölderlin ebbe modo di consultare i preziosi volumi presenti nella biblioteca di Weimar e che anche Goethe, negli anni successivi, prenderà in prestito. 209 Diotima viene prima accostata a Urania, la dea dell’armonia cosmica, che ha il potere di placare lo spirito e riconciliare gli elementi: «Vieni, tu che un tempo riconciliasti gli elementi, / delizia della Musa celeste, e placa per me il caos del tempo, / risolvi la lotta che infuria con celesti suoni di pace / fnché nel petto mortale si ricongiunga ciò che è diviso, / fnché l’antica natura dell’uomo, grande, tranquilla, / serena e possente si levi dal tempo in fermento» (Diotima, in: Tutte

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le liriche, p. 623; sulla Musa Urania cfr. le note 25 e 150). Infne la fanciulla viene paragonata, per la sua dolcezza e soffusa malinconia, a un fore notturno, probabilmente l’enotera o rapunzia (oenothera biennis L.), che cresce in luoghi con scarsa vegetazione e i cui fori dal profumo delicato si aprono solo al tramonto. 210 Chandler (Reisen in Griechenland, p. 242) parla dei giardini di Angele, situati a est di Atene, luogo di villeggiatura estiva: «Questo luogo viene frequentato d’estate dagli abitanti di Atene, che hanno le loro case qui nel bosco di ulivi, cipressi, aranci e limoni, alternati a vigneti». 211 Sotto la guida di Diotima Iperione riesce a sperimentare la perfezione dell’essere, e in questa luce anche l’antico splendore di Atene diviene espressione della totalità, diviene bellezza, armonia nell’«Uno in sé discorde» inteso come dispiegamento di un unico essere originario – una visione che abbraccia tutta la storia come un continuum, non più costituita da isolati momenti identifcati, come prima, nelle vite di singoli eroi. In questo modo, anche il presente di Iperione viene collocato in continuità con il passato glorioso di Atene che prima sembrava perduto per sempre, e così il giovane acquista consapevolezza del suo compito storico. Allo stesso tempo, però, la perfezione di Diotima costituisce anche un rischio: Iperione infatti, prima si colloca nel fusso della storia uscendo dalla sua traiettoria individualistica, ma subito ha la tentazione di appartarsi nuovamente, chiudendosi in una forma privata di contemplazione dell’ideale («Che mi importa se il mondo cola a picco, io non so nulla se non la mia isola felice»). Ma Diotima lo spinge invece a trovare una via per unifcare questa esperienza soggettiva, che non deve rimanere fne a se stessa, con un compito storico più universale, un compito che già Adamas aveva delineato associandolo al Sole e che ora assume concretezza storica. Iperione accoglie il suggerimento, ma riconosce allo stesso tempo la propria inesperienza e la necessità di ulteriore formazione. 212 Anche gli albanesi si trovavano sotto il dominio turco ma, a differenza dei greci, abbracciarono quasi tutti la religione musulmana e in seguito, durante la guerra fra russia e impero ottomano, si schierarono dalla parte dei turchi. – L’allegria e la spensieratezza dei greci è sottolineata da Choiseul-Gouffer/reichard: Reise […] durch Griechenland, vol. I, p. 143: «Il gusto per il ballo è rimasto sempre lo stesso fra i greci. La sventura e la schiavitù nulla poterono contro la loro naturale inclinazione al divertimento, e un momento di festa

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basta per dimenticare tutta la loro miseria. Così un popolo tanto superfciale, ma altrettanto amabile, ritiene che una canzoncina sia una compensazione suffciente per una nuova tassa». 213 Si riferisce a Maometto che, prima di dedicarsi completamente alla predicazione, era un mercante. 214 Queste parole riprendono ed enunciano l’ideale schilleriano di ‘educazione estetica dell’uomo’, caratteristico dell’epoca, che ricorre in diverse sfumature nella saggistica tedesca di fne Settecento. Visti gli esiti negativi della rivoluzione francese, che ha soffocato i suoi stessi ideali in un bagno di sangue, si esalta il valore dell’educazione (Bildung), della formazione dell’uomo e del popolo verso una nuova ‘umanità’, improntata a ideali più alti, e in questo viene identifcata la missione del popolo tedesco in europa. 215 Diotima ricorda a Iperione che l’amore soltanto non basta a un uomo della sua levatura. Grazie a questo amore egli ha ritrovato l’armonia interiore, la fducia nella vita, l’entusiasmo per il passato della Grecia; ora il suo compito è quello di trasmetterli agli altri, ai suoi compatrioti che vivono passivi, spenti e rassegnati sotto il dominio turco. Iperione è destinato a diventare fautore della libertà e del rinnovamento del suo popolo, e trascinato dall’entusiasmo di Diotima sogna non soltanto un popolo libero e rinvigorito, ma anche una nuova forma di esistenza dove uomini e natura vivano in felice armonia con la divinità, un’armonia che abbraccia tutto il cosmo. 216 «Molto meglio non essere nati. / Ma, una volta nati, / fare ritorno da dove si è venuti / è destino ancora migliore» (Sofocle: Tutte le tragedie – Edipo a Colono, vv. 1224-1227). Questa sarebbe stata la risposta di Sileno al leggendario re Mida, che lo aveva rinchiuso nel giardino delle rose dai sessanta petali; come ricompensa per la propria liberazione, Sileno gli consegnò questo saggio precetto, che divenne poi comune a molta letteratura antica. Cfr. Cicerone: Tusculanae, lib. I, cap. 48, § 114 (Cicerone: Opere politiche e flosofche, vol. II, p. 559) e erodoto: Le storie, lib. VIII, § 138. L’esergo, che fa da parallelo all’epitaffo per Ignazio di Loyola nel primo volume, annuncia la tragedia e l’esito catastrofco del secondo volume: la ribellione capeggiata da Iperione fallirà nel peggiore dei modi, tanto che Iperione stesso cercherà la morte in battaglia, Alabanda morirà per la vendetta di una società segreta, Diotima non potrà più vivere in un mondo non rinnovato. Ma nel rivivere la tragedia del suo passato, l’eremita troverà una via per trasformare queste morti in un ‘destino migliore’.

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Con l’apertura del secondo libro, cronologicamente collocato nell’autunno del 1769, si è conclusa anche la terza fase della crescita di Iperione: dopo l’educazione (Adamas) e l’amicizia giovanile (Alabanda), è sopraggiunta la fase dell’amore. La parte conclusiva del primo volume prelude al compimento affettivo e all’azione concreta, civile e politica di rinnovamento che i due giovani riconoscono come loro compito. Il secondo volume dovrebbe quindi prevedere, secondo lo schema abituale del romanzo di formazione, la realizzazione di Iperione nella vita sociale e nel matrimonio. Ma da qui Hölderlin inverte il percorso: Iperione non trova alcuna gratifcazione in questi aspetti, che hanno invece tutti uno sviluppo drammatico, bensì in una dimensione che li trascende tutti, che è quella della poesia, come accade per l’Heinrich von Ofterdingen di Novalis. 218 Anche la prima lettera del primo libro si era aperta con la rievocazione delle gioie e delle sofferenze del ricordo, che il ritorno in patria rendeva di nuovo presenti. Adesso è lo scenario autunnale a fare da sfondo al ricordo delle gioie e dei dolori dell’amore, che coi colori vivaci dell’autunno vive la sua ultima fammata per poi spegnersi defnitivamente. Cfr. Frye: Seasonal and psychic time in the structuring of Hölderlins Hyperion. 219 Secondo le dottrine stoico-panteistiche, il fuoco è la forza che dona vita a tutto, il principio vitale della materia, ed è l’elemento che attiva il processo di purifcazione nel quale viene eliminata la materia più grezza, impura: da qui l’immagine della «fammata di vita». Allo stesso tempo il fuoco è anche l’atto fnale con cui termina un’epoca, una fase di vita del mondo (secondo la teoria della ‘confagrazione’). Cfr. Gilby: Das Bild des Feuers bei Hölderlin. 220 Cfr. nota 35. 221 La lettera precedente si era chiusa con un triste presagio, che aveva intaccato l’idillio autunnale dei due innamorati con l’ombra del destino che li separerà per sempre. Il processo di formazione estetica con cui si era chiusa la lettera sugli ateniesi e che Iperione aveva deciso di intraprendere per poi farsi a sua volta educatore del suo popolo, viene bloccato sul nascere da un fattore esterno, la lettera di Alabanda, che richiama Iperione all’azione, ma a un’azione ben diversa da quella prospettata da Diotima. 222 Con ‘sublime porta’ o ‘porta ottomana’ si indicava il governo dell’impero ottomano che a partire dal XV secolo dominava sulla Grecia. Il termine, derivato dal francese della diplomazia, indicava il

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portone di Istanbul dove il sultano teneva le cerimonie di benvenuto per gli ambasciatori stranieri. – ‘Arcipelago’ era la denominazione del Mar egeo nel tedesco dell’epoca, e anche in Chandler (Reisen in Klein Asien) un’illustrazione presentava la cartina «del mare egeo ovvero dell’Arcipelago», costellato da numerosi gruppi di isole. Nell’omonimo inno in esametri, Hölderlin aveva utilizzato questo termine per indicare anche la divinità protettrice del popolo greco. 223 La russia ha dichiarato guerra alla Turchia ed è un’occasione da non perdere, scrive infervorato Alabanda, per ottenere l’indipendenza della Grecia. egli infatti si è già unito ai ribelli a Corone, piccolo centro sulla costa meridionale del Peloponneso, dove i combattenti greci si radunarono sotto la guida degli uffciali russi. – Inizia così la parte storica del romanzo, che si riferisce a una fase del confitto fra russia e Turchia per il controllo di Balcani e bacino danubiano. Nel 1770 la fotta russa del Baltico viene inviata nel Mar egeo, dove arriva in primavera, per creare un diversivo e impegnare l’esercito turco, allontanandolo dal bacino del Danubio e così anche dalla Polonia, verso la quale gravitavano le mire russe (nel 1772 infatti avviene la prima spartizione della Polonia, conseguenza diretta delle vittorie ottenute contro i turchi). Le popolazioni dei Balcani vennero incitate e sostenute nella ribellione all’impero ottomano, ma i tentativi russi di prendere il controllo del Peloponneso fallirono e le truppe greche si rivelarono di poco aiuto; i russi decisero quindi di abbandonarle al loro destino e si concentrarono sulla fotta turca, che fu sconftta e quasi completamente distrutta nella battaglia di Çeşme. Hölderlin riprende le informazioni storiche sulle vicende militari dall’opera di Choiseul-Gouffer nella traduzione tedesca di Heinrich August ottokar reichard: il traduttore assume una posizione tendenziosa e antiellenica e non soltanto accentua la nefanda condotta dei guerriglieri greci, ma aggiunge al testo anche molti dettagli non presenti nell’originale, oltre a commenti basati sulla sua unilaterale lettura dei fatti. 224 Si narra che Armodio (cfr. nota 157) avesse nascosto dietro una corona di mirto la spada con la quale uccise il tiranno. Hölderlin trae l’informazione da un canto conviviale presente nella raccolta dei Deipnosofsti di Ateneo, canto che egli aveva tradotto probabilmente nel 1792/1793, quindi in coincidenza con la primissima fase di lavoro al romanzo (MA, vol. II, pp. 165-166 e vol. III, p. 411). L’entusiasmo con cui Iperione accoglie la notizia annunciata da Alabanda ricorda quello con cui Hölderlin aveva accarezzato la speranza, sull’onda del-

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la rivoluzione francese, di un cambiamento radicale anche in Germania, una speranza presto delusa (cfr. nota 90). – Sull’entusiasmo di Hölderlin per gli ideali della rivoluzione francese e sull’infusso che questi esercitarono sulla sua opera attirò l’attenzione Bertaux alla fne degli anni Sessanta (Hölderlin und die französische Revolution); la sua monografa suscitò un animato dibattito; una ricognizione delle diverse posizioni è offerta da Macor: Friedrich Hölderlin tra illuminismo e rivoluzione, pp. 13-59. Numerosi sono i contributi, tra cui Bodei: Le dissonanze del mondo. Rivoluzione francese e flosofa tedesca tra Kant e Hegel; ruschi: Poesia come memoria storica: Hölderlin e la Rivoluzione francese; Prignitz: Die Bewältigung der Französischen Revolution in Hölderlins Hyperion; id.: Friedrich Hölderlin. Die Entwicklung seines politischen Denkens unter dem Einfuß der Französischen Revolution; Schuffels: Schiksaal und Revolution. Hyperion oder der eremit in Griechenland; id.: Schicksal und Revolution bei Hölderlin. Die Überwindung des ‘Schicksals’ durch den Befreiungskrieg im Hyperion. 225 Iperione si richiama al detto del versare olio sul fuoco (orazio: Satire, lib. II, 3, v. 321), ma ne amplifca ulteriormente la forza: il suo ozio, il sonno in cui è vissuto fnora, l’apparente passività sono potenzialmente ancora più infammabili e porteranno infatti a una famma improvvisa e incontrollata, a un attivismo cieco, smanioso di fare, che perderà di vista la realtà e sarà quindi destinato a fallire. 226 Nemesi, la vendetta divina. Diotima non condivide affatto la decisione e il trasporto di Iperione, e per vari motivi. In primo luogo non ritiene Iperione ancora suffcientemente maturo per agire a favore della Grecia, poiché non ha ancora compiuto il suo percorso di formazione; infatti egli agisce non per proprio impulso, ma dietro sollecitazione di Alabanda, e anche per spirito di emulazione. In secondo luogo, Diotima non pensa che con la forza si possa costruire quella nuova forma di esistenza superiore in cui crede, e rifuta ogni forma di violenza, temendo le deviazioni che spesso ne scaturiscono. 227 Con questa immagine Iperione si richiama all’enorme peso sopportato dal gigante Atlante, condannato da Zeus a reggere tutto il peso del mondo sulle proprie spalle, e in essa fa confuire la rappresentazione iperbolica della grande colpa da scontare. 228 Anche Socrate a un certo punto paragona scherzosamente la sua interlocutrice Diotima ai sofsti (Platone: Simposio, 208 C), e un rimando a Platone è presente anche nelle righe seguenti, con le tre idee del bello, del vero e del buono (Platone: Fedro, 246 A-247 D).

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– Iperione si sforza di motivare la sua deviazione da quel percorso che, grazie all’aiuto di Diotima, era riuscito a intuire con chiarezza durante la sua visita ad Atene. Lì infatti aveva percepito chiaramente la sua vocazione a spendersi per il progresso dell’umanità, anche se aveva ancora bisogno di imparare; ora invece si lascia trascinare dal desiderio d’azione, seguendo l’impulso ricevuto da Alabanda, e la sua traiettoria assume nuovamente una connotazione eccentrica. Iperione crede di poter saltare la fase dell’ulteriore formazione e, con strumenti diversi, vuole realizzare immediatamente il suo ideale, nonostante gli avvertimenti di Diotima che presagisce tutta la pericolosità della ‘scorciatoia’. La contrarietà e poi la rassegnazione di Diotima già indicano il fallimento del tentativo, che alla fne confermerà la via dell’educazione estetica del genere umano come l’unica percorribile. 229 Sulla «teocrazia del bello» cfr. nota 138. 230 Nell’agosto del 490 a. C. i greci sconfssero a Maratona i persiani. La leggenda racconta che il giovane soldato Filippide percorse velocissimo la distanza fra Maratona e Atene per portare la notizia dell’incredibile e inattesa vittoria, e cadde morto dopo averla annunciata. 231 Diotima intuisce che non può cambiare il destino di Iperione e, pur rimanendo preoccupata perché ne conosce tutta la fragilità interiore, accetta rassegnata ciò che sta per accadere. Nella fase precedente ha svolto la funzione che Iperione le aveva attribuito: ha portato pace ed equilibrio nel giovane impetuoso e tormentato, e lo ha aiutato a individuare la sua vocazione, il modo per dispiegare completamente la sua umanità: diventare educatore del suo popolo. Ma Iperione incanala questa nuova certezza in una direzione completamente diversa e lontana dall’ideale ispiratogli da Diotima: una direzione che lei non può condividere e che provoca una divergenza tra i loro due percorsi. Le sue parole sono premonitrici della tragedia storica e personale che si sta proflando all’orizzonte, e di cui lei stessa sarà la vittima. D’ora in poi infatti Diotima assume i tratti della morte: nella scena dell’addio è infatti già divorata da una famma interiore e viene descritta come pallida, gelida e rigida come una statua. 232 La consapevolezza della tragedia muta profondamente il carattere e l’atteggiamento di Diotima, ma Iperione è troppo preso da se stesso, dalle novità e dal desiderio di agire per comprendere appieno la portata del cambiamento. L’esistenza di lei sta entrando nella dimensione dell’ideale, ma Iperione ne prenderà coscienza solo a posteriori.

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Attento al lato pratico delle cose e pieno di buon senso, Notara consegna del denaro a Iperione, consapevole che anche il più alto degli ideali richiede mezzi pratici per essere realizzato; da qui il riferimento scherzoso ai destrieri di Febo (uno dei nomi di Apollo) che trainano il carro del sole e, come narra ovidio (Metamorfosi, lib. II, vv. 119-121), non vivono solo d’aria ma si nutrono di ambrosia, il cibo riservato agli dei. 234 Agide, re di Sparta (III. sec. a. C.), tentò di ripristinare le severe leggi di Licurgo per arginare la decadenza in cui stava sprofondando la città, ma fallì soprattutto per la tenace resistenza della classe dominante, ostile alla riforma agraria; in seguito fu imprigionato dai rappresentanti del popolo e ucciso. Il suo successore, Cleomene, fu sconftto in battaglia dai macedoni e si uccise in carcere (le vicende di entrambi sono narrate da Plutarco: Vite). La fgura di Agide, in particolare, doveva aver molto colpito Hölderlin, che aveva progettato di scrivere una tragedia su di lui (MA, vol. III, p. 329 e p. 344), ma poi abbandonò il progetto per dedicarsi a empedocle. Le fgure dei due re spartani sono eroiche e nobili, come sottolinea Iperione, ma ebbero una fne tragica con il fallimento dei loro slanci riformatori. Chiedendo di soffermarsi proprio su quelle due fgure, Diotima dà voce indirettamente ai suoi tristi presagi. 235 La venerazione entusiastica per omero, che nei materiali preparatori presenta i risvolti rituali di un vero e proprio culto e viene messa molto in risalto (si vedano le pp. |503-506| del Frammento di Iperione in Appendice), appare nel romanzo molto più sfumata e pacata; omero viene comunque ricordato come l’aurora del mondo greco degli eroi e riferimenti ai suoi personaggi traspaiono in molti punti, espressione dell’interesse e della moda dell’epoca (documentati anche nel Werther e nelle opere di molti contemporanei). raccogliendo questo spunto e sulla base dei riferimenti presenti nel testo, rahel Bacher (Vergleich der Rezeption Homers) sostiene ad esempio che il personaggio di Iperione sia fortemente ispirato ad Achille, per quanto le sue argomentazioni non siano sempre convincenti. 236 Iperione paragona Diotima all’antica dea romana Vesta, che presiedeva al fuoco del focolare domestico; le sue sacerdotesse avevano il compito di vegliare affnché la famma del tempio non si spegnesse perché da essa dipendeva, si credeva, il benessere dello Stato. Già in più occasioni infatti Diotima era stata nominata in collegamento con il focolare e con le più comuni attività domestiche, e al momento

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del commiato avviene la sua defnitiva trasformazione in sacerdotessa, custode del divino cioè della bellezza: la sua funzione è quella di conservarlo affnché Iperione, al termine della sua avventura rivoluzionaria, possa di nuovo ritrovarlo e così ritrovare se stesso. 237 La cerimonia nuziale in cui gli sposi proclameranno il loro amore in unione con la natura davanti alla madre e agli amici che fanno da testimoni è la conseguenza diretta di una visione panteistica del mondo, dove la «natura divina» prende il posto del Dio cristiano. La promessa matrimoniale rimane comunque provvisoria in attesa di un rinnovamento totale delle istituzioni: il matrimonio potrà infatti essere sancito in modo defnitivo soltanto dalla «nuova comunità», quando cioè la rivoluzione sarà compiuta e si sarà costruita una nuova società. Nelle Annotazioni sull’Antigone (MA, vol. II, pp. 369-376, ma in part. p. 375) Hölderlin sottolinea che la rivolta civile è un capovolgimento di tutte le forme e di tutti i modi di pensare. In una simile situazione persino la natura e la necessità, che sono perenni, tendono ad assumere una nuova forma che, costretta dallo spirito del tempo, coinvolge anche gli aspetti religiosi, politici e morali della società. 238 Sono i Lari dei romani, divinità incaricate di vegliare sui crocicchi e sulle comunità domestiche. Il luogo in cui venivano venerati i lares familiares era appunto il focolare, centro della vita familiare. Tutta la lettera ruota intorno a quest’immagine: nella prima parte Iperione sottolinea la presenza di Diotima al focolare, che accudisce la casa come fosse un uffcio sacerdotale; nella parte centrale presenta l’analogia tra Diotima e Vesta, e nel fnale ricorda le divinità domestiche. Quanta familiarità il poeta avesse con questo culto lo dimostra la lirica Il ritratto dell’avo (Tutte le liriche, pp. 784-787). 239 Il concetto della ‘grandezza di cuore’ è da intendersi nell’ottica della magnanimitas stoica (magnitudo animi). 240 Il grande tema della separazione verrà poi ripreso e sviluppato nell’ultima lettera, dove il dolore della separazione defnitiva sopravvenuta con la morte di Diotima, si trasformerà nella certezza dell’essere uniti nella totalità della natura, in particolare a p. |760|; una consapevolezza che Iperione dovrà conquistare attraverso un cammino lungo e doloroso, ma che Diotima già avverte in sé. 241 Dopo aver raccontato uno dei punti di massima tensione emotiva, questa breve lettera, colma di tristezza e di rassegnazione, segna una pausa nel fusso narrativo e lascia spazio a uno dei commenti dell’eremita che scandiscono le tappe più signifcative del racconto.

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Iperione ha assunto un atteggiamento flosofco, ha ottenuto una pace più stabile che gli permette di rimanere tranquillo nel constatare gli alti e i bassi della vita, e questo ha ancora più valore in quanto viene detto proprio dopo la descrizione dell’addio a Diotima, uno dei momenti più carichi di pathos. Da questo punto in poi vi è anche un mutamento formale nella corrispondenza: Iperione interrompe il fusso della scrittura e invia a Bellarmino le lettere che si è scambiato con Diotima, in tutto quindici, producendo così un cambiamento di prospettiva e uno scarto temporale. Se prima, infatti, tutto era raccontato a distanza di molto tempo dall’eremita a un interlocutore esterno, le lettere che seguono sono invece scritte senza fltri nel momento stesso in cui i protagonisti hanno vissuto quelle situazioni, e rispecchiano il tumulto delle passioni in modo immediato. Alla dimensione del tempo della narrazione (il presente dell’eremita) e del tempo narrato (la storia di Iperione giovane), che fnora si intrecciavano nel romanzo, si aggiunge ora una terza dimensione, quella della narrazione ‘in diretta’. – Questo blocco di lettere costituisce un’unità compatta, con una propria simmetria strutturale (comprendente anche le due lettere che Diotima dice essere andate perse) e conferisce al resoconto dell’iniziativa militare di Iperione e Alabanda un’autonomia narrativa, con un andamento che tende verso un climax (l’assedio di Misistra) e poi precipita bruscamente. Löwe (Diotimas verschollene Briefe: Neue Einsichten in die Erzähllogik von Hölderlins Hyperion) riconosce in questo una consapevole intenzione poetica maturata nell’autore soprattutto nell’ultima fase di revisione del romanzo, durante la quale, come dimostrano i materiali preparatori, i suoi interventi si erano concentrati proprio su questo gruppo di lettere. 242 I monti di epidauro sono un rilievo montuoso del Peloponneso, coperto di boschi, che si estende dalla città di epidauro verso Sud, fno alla costa che fronteggia l’isola di Calauria. Dopo lo struggente addio Iperione si è dunque messo in viaggio, ha lasciato l’isola e si sta incamminando verso Corone, dove lo aspetta Alabanda. 243 I due fumi del Peloponneso evocano anche due dei centri più signifcativi della Grecia classica: Sparta e olimpia, e con loro l’idea della guerra e della competizione vittoriosa. 244 Cfr. il concetto del ‘dio in noi’, nota 64. 245 In Chandler (Reisen in Klein Asien, p. 153) si trova una poetica descrizione della partenza di una carovana prima dell’alba, dalla quale il poeta riprende l’atmosfera e alcuni dettagli: il tintinnio della

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campanella al collo dei cammelli, l’alba che illumina le cime dei monti azzurrine nella lontananza, il mormorio dell’acqua. 246 Il bosco di Dodona era sede di uno degli oracoli più antichi e famosi della Grecia classica, legato al culto di Zeus. Qui la profezia era basata sull’interpretazione dello stormire delle foglie delle querce sacre. 247 Pelopida era discendente da una nobile famiglia tebana, ma fu costretto all’esilio quando la città fu conquistata e sottomessa dagli spartani. Con l’aiuto dell’amico epaminonda, anche dall’esilio riuscì a contrastare il governo oligarchico fno ad abbatterlo, contribuendo alla liberazione di Tebe, dove poi si impegnò attivamente nella vita politica, ricoprendo incarichi importanti. Morì nella battaglia di Cinoscefale nel 364 a. C. La sua vita è raccontata da Cornelio Nepote: Opere – De excellentibus ducibus, lib. XVI e da Plutarco: Vite – Pelopida. 248 Con il nuovo incontro, il rapporto tra i due amici sembra essersi completamente capovolto. Inizialmente era Alabanda l’elemento più forte, che con il suo temperamento romano, coraggioso e maestoso, ma anche più maturo, dominava un Iperione insicuro, insoddisfatto e umorale; ora invece Alabanda si sente appassito e invecchiato, ed è Iperione lo spirito più forte e più libero, capace di infondere una svolta agli avvenimenti. ryan (Hölderlins Hyperion: Ein romantischer Roman?, pp. 194-195) legge questo cambiamento in chiave psicologica e constata un’evoluzione simile a quella compiuta dalla fgura di Diotima: da un certo momento in poi i due personaggi perdono la loro personalità e confuiscono nella fgura di Iperione, che ne determina indirettamente la morte. Diotima perde la sua pace divina e viene divorata dal fuoco di Iperione, per diventare infne la sua musa e profetizzare la sua missione di poeta; Alabanda inizia ad appassire dopo la lite e il distacco dall’amico, e nel momento in cui deciderà di perseguire una forma di esistenza più alta, lasciandosi trascinare anche lui dal ‘fuoco’ di Iperione, accetta implicitamente anche la sua condanna a morte. 249 Alabanda ha le idee chiare sugli obiettivi da raggiungere, cioè costruire nel Peloponneso uno Stato libero e indipendente, affrancato sia dalle interferenze ottomane che da quelle russe. La collaborazione con la grande potenza europea, scherzosamente indicata come il «Polo Nord», è quindi solo un mezzo necessario per raggiungere lo scopo. Anche più avanti verrà sottolineato come da nessuna delle due parti vi sia stima per l’alleato: greci, russi, turchi, albanesi sono solo

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pedine sulla scacchiera politica dell’europa, dove ciascuno agisce solo per il proprio interesse. Alabanda non si fa illusioni su questo, e lo stesso Iperione metterà russia e Impero ottomano sullo stesso piano in quanto a dispotismo (si veda più oltre, nota 273). 250 riferimento al mito di Dedalo e del fglio Icaro, che per fuggire da Creta si costruirono delle ali artifciali, fssandone le piume con la cera. Nel suo entusiasmo, Alabanda è convinto che la guerra debba essere fatta comunque, a prescindere dalle sue conseguenze; Iperione ne sottolinea invece la portata radicale in vista di un obiettivo ideale, un rinnovamento sia sul piano politico-sociale («un giovane Stato libero»), sia su quello individuale: il singolo si affrancherà da modi di pensare e di vivere rigidi e ormai fossilizzati, per riconquistare la condizione di libertà originaria del suo essere, la sua dignità senza macchia. Cfr. Prignitz: «Der Vulkan bricht los». Das Kriegsmotiv in Hölderlins Hyperion. 251 Città nel Nord del Poloponneso, nota per il mostro che infestava la regione, il Leone di Nemea, che fu ucciso da eracle in una delle sue dodici fatiche. Dopo aver sconftto il Leone, eracle fondò i Giochi Nemei, dedicati a Zeus, che si svolgevano ogni due anni e divennero famosi in tutto il mondo classico; più tardi, la loro tradizione fu rinnovata dall’episodio dei ‘sette contro Tebe’, che dedicarono i giochi alla memoria di alcuni valorosi guerrieri caduti in battaglia (cfr. l’omonima tragedia di eschilo). 252 Diotima e Alabanda vengono invocati come rappresentanti di un ideale di perfezione che si richiama esplicitamente alle nuove categorie estetiche della nobile semplicità e quieta grandezza (edle Einfalt und stille Größe) predicate da Johann Joachim Winckelmann per l’arte classica, che acquistano grande rilevanza anche in ambito letterario. 253 La ‘patria’ è il luogo in cui si dispiega l’identità di una nazione, dove tutti i singoli individui che la compongono giungono ad armonizzarsi per l’azione di un unico spirito unifcatore; è la sfera di una nazione divenuta regno di Dio, come aveva auspicato Diotima nella sua visione di socialità nella Giovinezza di Iperione (cfr. Appendice, p. |545| e nota 98). Qui gli uomini non si aggregano solo perché spinti dal bisogno, ma in quanto unica manifestazione del divino, realizzando una nuova dimensione della sacralità. La patria è presente fn dalle prime parole del romanzo, laddove Iperione evoca la «carra terra natia» (in tedesco Vaterlandsboden), un termine che poi compare molte volte in posizioni topiche. Insieme ad Alabanda, Iperione pone la pa-

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tria al centro del suo programma che consiste nella fondazione di un nuovo Stato basato sullo spirito, sull’amore e sulla bellezza, raggiunto tramite un’azione di educazione del popolo. Forti accenti patriottici avranno anche, nel secondo libro, le parole di Diotima, che si paragona alle fere donne spartane e a Porzia che, insieme al marito, si era uccisa in uno strenuo atto di difesa della patria. 254 Iperione trova infne il coraggio di parlare ad Alabanda di Diotima: lo aveva trattenuto il timore di non riuscire a far capire all’amico la bellezza e la profondità del loro amore. Alabanda non solo lo comprende, ma lo rafforza nel suo intento di combattere per la libertà della Grecia, in modo da costruire un mondo migliore: ne vale ancora di più la pena se sarà destinato a creature come Diotima. riemerge in questo contesto anche il tema del ringiovanire, che fn dal primo libro era stato messo più volte in rilievo (cfr. note 65, 87). 255 Alcune navi russe pongono sotto assedio le città di Corone e Modone, sulla costa sud-occidentale del Peloponneso, ma con scarso successo, fnché il comandante, il conte Alexei orlow, non deciderà di sospendere l’assedio (Choiseul-Gouffer/reichard: Reise […] durch Griechenland, vol. I, pp. 5-7). Nella traduzione tendenziosa e poco fedele dell’opera di Choiseul-Gouffer, il traduttore imputa la colpa di questo e di altri insuccessi alla scarsa partecipazione dei soldati greci, che si dedicavano soltanto ai saccheggi: «Il fallimento di questo attacco va imputato interamente ai greci e ai loro eccessi di ogni tipo, che costrinsero alla fne il conte orlow a congedarli e a scacciarli come briganti, venuti non per combattere per la libertà di tutti, ma per derubare i loro concittadini» (ivi, p. 6; passo assente nell’originale francese). 256 La famosa formula dovrebbe essere «tutti per uno», ma si suppone che si tratti di un refuso del testo a stampa. Iperione parla ai soldati del futuro Stato con toni entusiastici e trascinatori. Dalle sue parole trapelano gli ideali di libertà, fraternità e condivisione dei beni che avevano animato la rivoluzione francese, valori che anche empedocle, nel suo celebre monologo, propone agli agrigentini (La morte di Empedocle, I stesura, in part. vv. 1420-1435); anche lì veniva utilizzato il termine Bund (patto, alleanza), una parola-chiave di quella fase che corrispondeva al francese confédération usato dai rivoluzionari. Hölderlin lavora infatti a una prima bozza della tragedia su empedocle nello stesso periodo in cui lavora all’Iperione, e cioè tra la fne del 1797 e nel corso del 1798 (La morte di Empedocle, pp. LIX-LXV), ma interromperà poi il lavoro e l’opera rimarrà incompiuta. Cfr. anche

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Prignitz: Hölderlin als Kritiker des Jakobinismus und Verkünder einer egalitären Gesellschaftsutopie. 257 Si intende la falange, una particolare formazione adottata dai macedoni in combattimento che poi i greci ripresero a partire dal VII secolo a. C., formata da fle molto ftte e compatte in cui i soldati avevano poca libertà di movimento individuale. La falange sostituì i guerrieri sciolti che combattevano singolarmente, e diverrà poi nel testo simbolo dell’unità e dell’amicizia fno alla morte (cfr. anche i materiali preparatori in Appendice: Frammento di Iperione, p. |495|). 258 Ancora nell’inno tardo Rimembranza, il viaggio verso mondi remoti, rappresentati lì dall’India e qui dall’Asia centrale, è il simbolo per eccellenza di una nostalgia di compimento dell’uomo che non riesce a realizzarsi e si perde nell’indeterminato. 259 Maratona, Termopili e Platea sono i luoghi di celebri battaglie dei greci che contrastavano l’avanzata dei persiani; l’elenco è però poco coerente, perché in due di queste battaglie i greci furono vittoriosi, mentre alle Termopili subirono una pesante sconftta. Forse si tratta di una svista e le Termopili avrebbero dovuto essere sostituite con Salamina. 260 Plutarco tramanda una raccolta di risposte argute e orgogliose delle donne spartane, per le quali l’amore per la patria era un valore addirittura superiore all’amore per i fgli. Gli ultimi brani della raccolta, in particolare, sottolineano la ferezza delle donne di Sparta, che amano la libertà più della vita; il loro animo indomito non può accettare sottomissione e schiavitù: «Un’altra [= donna lacedemone] posta in vendita, quando il banditore chiese che cosa sapesse fare, disse: “essere libera”. e quando il compratore le ordinò cose non convenienti a una donna libera, disse: “rimpiangerai d’aver invidiato a te stesso un simile possesso”, e si uccise» (Plutarco: Moralia, 242 D – Detti dei Lacedemoni, p. 307). 261 Diotima percepisce il cambiamento che sta avvenendo in Iperione, la sua evoluzione a uomo più vigoroso e determinato, e confessa anche il proprio mutamento, causato da una famma interiore che la sta consumando anche fsicamente; si augura quindi vicine sia la fne della guerra sia la pace che tanto desidera, forse nella speranza di poter rivedere Iperione prima che quella famma la consumi del tutto. Allo stesso tempo la famma, che la fanciulla identifca con i suoi «pensieri più nobili», la aiuta a dominare i presagi infausti e il dubbio raggelante circa l’eventuale fallimento dell’azione dell’amato.

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Il passaggio, così repentino, crea un forte effetto drammatico e sancisce la fne di tutti gli ideali di Iperione. Misistra si arrende dopo un lungo assedio nell’aprile del 1770; la grande tensione accumulata si scatena selvaggiamente, come Iperione aveva temuto, mandando in frantumi il sogno di una ribellione giusta e mossa da grandi ideali, un sogno destinato a crollare al primo impatto con la crudezza della guerra. Questo aspetto viene fortemente accentuato nel resoconto storico di Choiseul-Gouffer, come al solito pesantemente travisato dal traduttore (Reise […] durch Griechenland, vol. I, p. 8): «Conquistarono Misistra con la capitolazione, ma quei malviventi, infastiditi dalla perdita di un saccheggio così abbondante, che era l’unico scopo delle loro eroiche azioni, si sparpagliarono all’interno della città e, nonostante tutti gli sforzi dei russi, ne ammazzarono gli abitanti, i loro concittadini, i loro amici, i loro parenti, a migliaia». Nei materiali preparatori al romanzo (Bozze per la stesura defnitiva, pp. |597-599| in Appendice), Hölderlin aveva cercato di preparare gradualmente il fallimento fornendone una serie di motivazioni: alcune divergenze di tattica militare tra Alabanda e Iperione, che all’assedio avrebbe preferito il combattimento in campo aperto; la stanchezza degli uomini e la tensione del lungo assedio, inasprita dal fatto che i greci residenti in città non avevano collaborato. Seguiva poi una lettera con il drammatico resoconto, con dettagli molto crudi, del saccheggio della città. Tutti questi elementi vengono poi tralasciati dal poeta, che nella stesura defnitiva opta per un brusco passaggio di grande effetto narrativo per decretare il crollo di tutte le speranze di rinnovamento – un crollo che Iperione aveva però presagito nelle ultime righe della lettera precedente. 263 Questa amara constatazione contiene anche il giudizio del poeta sulla rivoluzione francese, i cui ideali sono rappresentati dalla fgura di Alabanda, fautore di un’azione violenta volta a provocare un cambiamento radicale e forzato. ora, dopo che quest’azione si è trasformata in delitto e violenza pura, avviene una dolorosa presa d’atto degli esiti fnali della rivoluzione e viene così messo in dubbio il principio stesso su cui si fonda l’esistenza di Alabanda: un concetto moderno di libertà che prevede solo l’elemento soggettivo. «Credo che noi esistiamo attraverso noi stessi, così intimamente connessi all’universo solo per nostro libero piacere», affermerà Alabanda nell’enunciare il suo credo, e ancora: «sono libero nel senso più alto, perché sento di essere senza inizio, per questo credo di essere senza fne, indistruttibile» (pp. |742-743| e nota 284).

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Si è verifcato ciò che Diotima aveva annunciato prima dell’addio, quando aveva ricordato a Iperione la Nemesi. Preso dal suo entusiasmo, Iperione non ha tenuto conto che la guerra è sempre portatrice di violenza, e la violenza a sua volta fa emergere il lato buio della natura umana. Iperione vede dunque la sconftta dei suoi ideali e la distruzione del suo progetto di rinnovamento come una punizione per il suo eccesso di tracotanza. Alla disfatta morale segue immediatamente la disfatta militare: l’esercito viene disperso e messo in fuga in modo disonorevole da un piccolo drappello nemico. 265 Ancora una volta Hölderlin aderisce al resoconto della fonte (Choiseul-Gouffer/reichard: Reise […] durch Griechenland, vol. I, p. 9), che critica duramente il ruolo dei greci nel confitto. La fuga di massa dei soldati davanti a un piccolo gruppo di albanesi, paragonata alla strenua resistenza del piccolissimo drappello dei russi, aggrava ulteriormente la percezione del disonore di Iperione e fa crescere in lui l’idea che il popolo greco non si meriti la libertà. Più che dalla ferita riportata in battaglia, egli è umiliato per il fallimento degli ideali per i quali aveva combattuto, per la sua incapacità di valutare la realtà, per non aver seguito la via indicata da Diotima; perciò non si sente degno di comparire davanti a lei tanto che, in chiusura della lettera, la abbandona quasi a se stessa in modo alquanto sgraziato. 266 Questa prima parte del capoverso viene riportata da Hölderlin, con alcune piccole variazioni, nella lettera al fratello del 4 luglio 1798 nella quale, avendo appreso di un suo periodo di diffcoltà, cerca di incoraggiarlo con le parole pronunciate qui da Iperione e con un altro passo in cui Alabanda si sofferma proprio sul signifcato e sul ruolo del dolore nella vita dell’uomo (MA, vol. II, pp. 694-695). 267 La decisione di entrare al servizio della fotta russa è frutto della disperazione e lascia intendere la volontà di Iperione di cercare la morte in battaglia. egli percepisce l’abisso del suo fallimento e vuole morire a sua volta per ricongiungersi agli eroi del passato; il regno dei morti è l’unico luogo in cui l’onore sia ancora possibile e in cui possa esistere la Grecia che auspicava. Il «genio del mio popolo» è una trasposizione applicata alla Grecia del genius populi romani, che rappresentava per i latini non soltanto l’essere individuale e il destino del singolo, ma anche quello di un intero popolo (si vedano anche l’Inno al Genio della Grecia e l’ode Ai tedeschi). 268 Iperione sta portando avanti la sua decisione: si è arruolato nella fotta russa, come aveva annunciato, e si trova ora su una nave davanti

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alle coste dell’Asia Minore, in corrispondenza delle città di Teo ed efeso. Il volare verso la libertà è di nuovo un’immagine tipica della tradizione stoica, basata sull’idea che, con il declino della vita del singolo, il fuoco che la anima si liberi e ritorni nell’etere, simbolo della vita universale. – Tutta questa lettera è improntata al commiato, dalle parole iniziali («ho atteso a lungo…») fno all’addio fnale ai luoghi cari della sua vita, che è costruito con un crescendo retorico, un tropo stilistico che Hölderlin aveva più volte incontrato e persino tradotto, ad esempio proprio nel monologo fnale dell’Aiace di Sofocle, dopo che Aiace ha deciso di suicidarsi. Hölderlin si era lungamente occupato delle tragedie di Sofocle, non soltanto per misurarsi con un metro inconsueto, bensì con l’intenzione di portare a termine una traduzione per metterla in scena nel teatro di Weimar: una speranza che si infranse quasi subito, quando non soltanto i critici ma anche gli amici più stretti non riuscirono a cogliere le peculiarità della traduzione e ne diedero un giudizio negativo (materiali e documenti in MA, vol. III, pp. 430-435). Cfr. Beißner: Hölderlins Übersetzungen aus dem Griechischen; Binder: Hölderlin und Sophokles; Harrison: Hölderlin and Greek Literature. 269 Polissena era la fglia di Priamo ed ecuba, re e regina di Troia. La sua fgura appare in molti racconti posteriori all’Iliade con ruoli differenti, ma in genere collegati ad Achille. I poeti tragici, in particolare euripide a cui Hölderlin si richiama, raccontano come Polissena sia stata sacrifcata sulla tomba di Achille dietro istigazione di Ulisse. Il suo sacrifcio doveva servire a favorire la traversata delle navi achee che rientravano in patria ma anche per placare l’ombra di Achille, che era apparso al fglio chiedendo un sacrifcio. Hölderlin riprende il riferimento alla luce del sole, ma attribuisce l’esortazione a ecuba e sembra interpretarla in senso positivo, come se il sole potesse aiutare madre e fglia a sopportare meglio il loro destino di schiave e prigioniere. Le parole, pronunciate invece da Polissena nell’accomiatarsi dalla madre (euripide: Tutte le tragedie – Ecuba, v. 411: «Adesso per l’ultima volta vedo i raggi del sole, e il suo cerchio»), corrispondono a quella che, nel prosieguo, è l’argomentazione di Iperione: il sole rende ancora più evidente, e quindi inaccettabile, la schiavitù, per cui è preferibile la morte. Nel caso di Iperione, su questa immagine si innesta la parentela del protagonista stesso con il Sole, per cui seguirne i raggi signifca per lui anche tornare in patria. 270 Iperione ha atteso a lungo una lettera di Diotima, ma invano: suppone quindi che l’amata abbia accettato la sua proposta di abban-

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donarlo e ritrova, nel silenzio del cielo e delle stelle, il legame inscindibile che lo univa a lei, proprio come si erano riproposti nel momento del commiato («Nel cielo stellato ci riconosceremo, sarà il segno fra me e te, fnché le labbra resteranno mute», p. |706|. Cfr. anche Bay: «Das Zeichen zwischen mir und dir». Schriftlichkeit und Moderne im Hyperion). La lettera del morituro si chiude quindi con un dolente addio a Diotima, agli amici più cari e alla natura, ma nonostante la sua disperazione rimane la certezza di un nuovo incontro in una dimensione oltre la vita. Il richiamo ai giardini di Angele, il luogo in cui, alla fne del primo volume, Iperione aveva intuito la proria vocazione grazie a Diotima, rappresenta la fne drammatica di un percorso mai iniziato, ed evidenzia allo stesso tempo i parallelismi strutturali nella composizione delle due parti dell’opera. 271 La battaglia navale di Çeşme, lungo le coste dell’Asia Minore, si svolse dal 5 al 7 luglio 1770, sotto il comando dell’ammiraglio russo Grigori Spiridow. Hölderlin riprende fedelmente la descrizione dei fatti dalla sua fonte dove, almeno in questo caso, la traduzione tedesca riproduce fedelmente l’originale (Choiseul-Gouffer/reichard: Reise […] durch Griechenland, vol. I, pp. 194-196). 272 Barbari sono ormai i greci, perché combattono guidati da un istinto selvaggio e aggressivo e non più da un ideale, come avrebbe voluto invece Iperione; barbari sono i russi e i turchi, due potenze sinonimo di tirannia e oppressione. Barbari saranno poi defniti anche i tedeschi, presso i quali Iperione, sconftto, cercherà inutilmente conforto: si scontrerà con una durezza, una chiusura e un’indifferenza nei confronti della natura che farà meritare anche a loro questo epiteto. 273 russi e turchi sono ormai sullo stesso piano: ciascuna delle due potenze persegue solo le proprie mire politiche, ed entrambe sono indifferenti al desiderio di indipendenza del popolo greco, che considerano solo una pedina sul loro scacchiere. Iperione è ormai disilluso e non cerca più nella guerra e nei suoi spietati meccanismi la possibilità di affermazione di un ideale, e in questo incarna forse anche la posizione di Hölderlin riguardo alla politica della Francia post-rivoluzionaria, che non sostiene gli impulsi di ribellione di alcuni gruppi tedeschi, ma si serve invece dei prìncipi tedeschi per i propri scopi politici, tradendo così la grandezza degli ideali da cui aveva preso le mosse. 274 Grazie ad Alabanda che lo ha vegliato incessantemente fnché non è scampato al pericolo di morte per la ferita ricevuta in battaglia, Iperione riprende contatto con la vita e con la natura. Solo dopo

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qualche tempo, però, ormai convalescente, ripercorrerà con la mente (e racconterà all’amico) i fatti precedenti alla battaglia, tra cui la lettera di addio inviata a Diotima. Alabanda lo incita a scriverle immediatamente e a comunicarle di essere sopravvissuto, per non lasciarla nell’angoscia. Alabanda si assume in questo modo quella che sarà più tardi la funzione di Bellarmino: fornisce uno spunto esterno che incoraggia Iperione a prendere carta e penna e a dare corso allo scambio epistolare. Inizia così l’ultimo scambio di missive tra Iperione e Diotima, affancato poi anche dal viaggio di Iperione, che appena gli sarà possibile cercherà di tornare a Calauria, senza aspettare la risposta di Diotima. 275 Il dettaglio delle due lettere di Diotima andate perdute viene inserito dall’autore soltanto nella versione a stampa del romanzo, e questa piccola aggiunta ha destato l’attenzione dei critici. Ma gli studiosi si sono concentrati più in generale su tutto il gruppo di lettere scambiate tra Iperione e Diotima, che viene incuneato nella corrispondenza con Bellarmino. Queste lettere hanno uno status particolare in quanto sono trascrizioni fatte da Iperione stesso, che non è più autore in prima persona, ma assume il ruolo di ‘editore’ della corrispondenza precedente. Siamo quindi di fronte a un ruolo narrativo diverso, a una eterogeneità nell’apparente omogeneità, che colloca anche il dettaglio delle due lettere disperse in una prospettiva nuova: partendo da questi e altri indizi, i critici hanno avviato una rifessione molto articolata sul problema dell’autorialità e della concezione di ‘opera d’arte’ in Hölderlin. Secondo Löwe (Diotimas verschollene Briefe: Neue Einsichten in die Erzähllogik von Hölderlins Hyperion, pp. 336-339), il poeta intenderebbe mettere così in discussione il ruolo di Iperione come autore autonomo, che dispone e rielabora i materiali della propria storia rendendoli opera poetica, suggerendo che non tutto è sotto il suo controllo, egli stesso viene ‘modellato’ a sua volta da eventi esterni, è forma formata e forma formans insieme. La simmetria perfetta, che era tipica della concezione estetica della Goethezeit e che il romanzo hölderliniano sembrerebbe rispecchiare magistralmente a livello macrostrutturale, cela invece in sé la frammentarietà, lo spazio vuoto delle lettere mancanti, il caso; una sottile e celata polemica con la concezione di autonomia del soggetto e dell’opera d’arte, di ‘autorità’ di chi scrive nei confronti della propria opera. Secondo Gaier inoltre l’eremita ha ormai acquistato un atteggiamento più libero e più consapevole nei confronti della materia poetica, oltre che del pro-

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prio passato, tanto che l’Iperione-narratore e l’Iperione-protagonista possono alternarsi senza più timore che l’uno possa sopraffare l’altro (Gaier: Hölderlin. Eine Einführung, p. 206). 276 A Sud di Atene, lungo il corso del fume Ilisso, cresceva un grande platano sotto il quale sedettero Socrate e Fedro per intrattenersi nel famoso dialogo durante il quale Socrate rivela al suo interlocutore l’essenza dell’amore e della bellezza (così riferisce Platone: Fedro, 229A-B). rifettendo, Socrate sottolinea l’importanza del genius loci, che gli ispira discorsi poetici sul tema dell’amore: il luogo era infatti fortemente evocativo, non soltanto perché si discosta dalla solita ambientazione dei discorsi platonici, che è quella cittadina, ma anche perché era il luogo dell’iniziazione ai misteri eleusini. – L’Ilisso e il boschetto in cui aveva sede l’accademia platonica, due luoghi simbolici per la foritura della cultura greca antica, sono evocati da Diotima come metafora della rinascita della Grecia moderna, che Iperione avrebbe voluto stimolare; Diotima lo rappresenta quindi come un nuovo Platone. Franz: «Platons frommer Garten», in: Tübinger Platonismus, pp. 75-94; Lampenscherf: «Heiliger Plato, vergieb…» Hölderlins Hyperion oder: Die neue Platonische Mythologie. 277 Diotima si meraviglia di come, grazie a Iperione e al fuoco che il giovane ha trasfuso in lei, sia riuscita ad appropriarsi in modo nuovo del linguaggio. Più volte infatti era stata sottolineata l’impossibilità di esprimere con le parole l’armonia con la natura e l’ideale della bellezza, che trovavano una corrispondenza adeguata solo nella musica. La morte porta invece Diotima a riscoprire il valore della parola; poco più avanti affermerà infatti: «La mia vita è stata silenziosa, la mia morte loquace» (p. |748|). Proprio attraverso la scoperta di una dimensione nuova del linguaggio, la fanciulla potrà guidare Iperione verso la sua vocazione più autentica e fargli intuire l’avvento dei «giorni poetici» in cui la parola, divenuta poesia, diviene capace di esprimere l’esperienza estetica della bellezza. – Il termine unmündig, ‘taciturno’, è usato dall’autore in un’accezione particolare (cfr. anche DKA, vol. II, p. 1053), e cioè come derivato di Mund, ‘bocca’ (un passo parallelo è presente nella lirica L’angolo di Hardt, v. 5 – Tutte le liriche, p. 301). Nel tedesco dell’epoca, il signifcato più diffuso di questo aggettivo era invece ‘minorenne’. 278 elio, dio greco del sole, è fglio del titano Iperione, fratello dell’Aurora e della Luna (cfr. nota 8). Talvolta viene equiparato ad altre divinità solari come Iperione stesso e Apollo.

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Il desiderio di cercare un rifugio nella natura incontaminata del paesaggio alpino, lontano da tutto e da tutti, è tipico di rousseau, ad es. nella Nouvelle Héloïse, dove St. Preux, dopo aver descritto con ammirazione un paesaggio montano della Svizzera, esclama: «o ma Julie! Disois-je avec attendrissement, que ne puis-je coûler mes jours avec toi dans ces lieux ignorés, heureux de notre bonnheur et non du regard des hommes!» (rousseau: La nouvelle Héloïse, p. 83). 280 La natura è luogo di manifestazione e di adorazione del sacro, dove gli abeti dei boschi vengono assimilati alle colonne del tempio interno: la parte più interna del tempio, costituita dalla cella, la casa del dio, era in genere preceduta da un colonnato; essa conteneva la statua della divinità e solo i sacerdoti vi avevano accesso. 281 Più volte Hölderlin aveva richiamato l’idea del «dio in noi» (cfr. nota 64); qui si riallaccia a una tradizione specifca, cioè quella che riconosce nel «dio in noi» eros a dimora nell’uomo. Platone: Simposio, 195 e: «egli [eros] pone infatti la sua dimora nei cuori e nelle anime degli dei e degli uomini; e neppure in tutte le anime senza distinzione. Ma se si imbatte in un’anima che ha un carattere duro, se ne va via, e se in una che ha un carattere dolce, vi prende invece dimora». Anche Plutarco ripropone questa idea con molta insistenza. 282 Intende ovviamente Iperione, che era originario di Tinos. 283 «Isole della luce» sono le stelle, una metafora cara a Hölderlin che compare anche nelle diverse fasi di elaborazione dell’inno Patmos (Tutte le liriche, p. 1179 e commento). 284 Le battute fnali di Alabanda, che ne rappresentano quasi il testamento spirituale, propongono molte idee centrali della flosofa di Fichte: la convinzione di un’autonomia radicale (noi «esistiamo attraverso noi stessi»), la fede in una libertà essenziale del singolo («solo per nostro libero piacere», il mondo come «armonia di esseri liberi»), e la fede nello status indistruttibile e indissolubile dell’individualità. Già Kant aveva fondato l’autonomia del soggetto sulla sua capacità di autodeterminarsi grazie alla ragione e l’aveva chiaramente distinta dalla determinazione esterna operata sia dal mondo sensoriale sia dall’autorità. Fichte fonda la propria morale proprio su questo concetto di autonomia e da questa concezione derivano tre conseguenze sostanziali, che Alabanda fa proprie: innanzi tutto porta alla negazione dell’esistenza di un dio creatore trascendente («sento in me una vita che non è stata creata da un dio»); in secondo luogo porta a negare anche una legge naturale di ordine superiore, che determini in

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un insieme complessivo e sovraindividuale la vita dei singoli («così intimamente connessi all’universo solo per nostro libero piacere»), e questo porta a una posizione contrapposta rispetto alla fede panteistica di Iperione. Infne, la convinzione dell’autonomia radicale sfocia in una fede assoluta nell’immortalità del singolo, per cui Alabanda può affermare con così tanta convinzione che la vita di ogni uomo è indistruttibile e senza fne. Anche quest’ultima idea si contrappone alla fede di Iperione nell’immortalità che ha un fondamento ben diverso, esplicitato nell’ultima lettera: il singolo trova la sua immortalità non nella perenne conservazione dell’individuo, bensì grazie al confuire dell’individualità, attraverso la morte, nella natura universale. 285 Questa prima parte del capoverso viene riportata da Hölderlin, insieme al passo di p. |722|, in una lettera al fratello in cui parla dell’esperienza del dolore (cfr. nota 266). 286 Alabanda non vuole nominare il luogo del ritrovo con gli affliati alla Lega di Nemesi dove sarà sottoposto a giudizio; lascia invece che nell’animo dell’amico si insinui la speranza di poterlo, un giorno, rivedere. Dopo l’incontro avvenuto a Smirne, durante il quale Iperione e gli affliati alla Lega si erano proflati come due modi opposti di vedere la realtà, Alabanda ha scelto di non perseguire più il progetto della Lega, ma di agire in modo costruttivo per realizzare un ideale insieme all’amico, violando così il giuramento di ubbidienza incondizionata; un simile strappo, in una setta così spietata e violenta, può essere pagato solo con la morte. Iperione lo sa bene, ma si aggrappa alle parole vaghe dell’amico e al flo di speranza che l’incertezza lascia trapelare. Dopo il fallimento dell’azione rivoluzionaria, Iperione è in grado di sopravvivere perché il suo carattere elegiaco, la sua natura contemplativa, lo rende capace di oltrepassare la sfera dell’azione ed entrare in quella della rifessione; per Alabanda invece, legato unicamente alla sfera dell’azione, rimane solo la morte, che trova quindi una sua giustifcazione nell’economia del romanzo. 287 Allusione alla prima colomba che Noè fece alzare in volo dall’arca alla fne del diluvio, ma che non trovò un lembo di terra asciutta su cui posarsi e quindi rientrò dopo aver vagato invano (Gen 8, 8-9). 288 Il «canto sul destino» viene collocato tra due strazianti addii: quello con Alabanda prima, e quello con Diotima che segue immediatamente. Segna quindi il punto più profondo della sofferenza di Iperione, ma allo stesso tempo rispecchia la condizione interiore da cui egli muoveva all’inizio e che ora, dopo tutto ciò che è accadu-

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to e la sua rielaborazione, è ampiamente superato; non a caso viene espressamente ricondotto al periodo vissuto con Adamas. Nel canto di Iperione il mondo degli uomini e il mondo degli dei appaiono rigidamente contrapposti, senza nessuna possibilità di sintesi: è l’armonia infranta, il punto di crisi della civiltà moderna, e questo si rispecchia anche nella sua struttura, dove le tre strofe non sono chiuse in sé e costruite, in base alle regole della dialettica, in tesi, antitesi e sintesi, ma sono drammaticamente aperte. Le prime due trattano entrambe della condizione eterna e immutabile dei «geni beati», che vivono ignari («privi di destino», cfr. anche Palinodia, vv. 7-8 – Tutte le liriche, pp. 696-699) nell’incoscienza del lattante addormentato, una condizione che Iperione aveva auspicato all’inizio ma che man mano giunge a rifutare come adulto in quanto negazione della vita e della totalità (cfr. più oltre, p. |751| e nota 310); la terza strofa vi contrappone la condizione drammatica dei mortali, schiacciati dalla caducità ed esposti al dolore del destino mutevole. Nel canto le due posizioni sono presentate come inconciliabili e rigidamente antitetiche: da una parte l’ideale della perfezione immutabile al di sopra del tempo e dello spazio, dall’altra la percezione dolorosa della limitazione della realtà, segnata dall’ineluttabile scandire del tempo. Ma nel suo percorso Iperione è riuscito a superare questo dualismo, ha avuto l’intuizione dell’unità dell’essere che comprende e riconcilia in sé morte e vita, gioia e dolore; la contrapposizione si è risolta in Iperione stesso con la sua maturazione umana e poetica. e se gli uomini del canto non possono riposare (in tedesco ruhen) in alcun luogo, Iperione potrà invece dire a Bellarmino: «sono tranquillo» (ruhig, p. |751|). Cfr. eppelsheimer: Hyperions ‘Schicksaalslied’ im Gegensatz zu Hyperions Schicksal. – Il canto, divenuto famoso perché musicato da Brahms nel 1871 (op. 54), presenta alcuni paralleli con le prime strofe del canto delle Parche nella Ifgenia in Tauride di Goethe (Opere, vol. II: Ifgenia in Tauride, traduzione di Vincenzo errante, atto IV, scena 5): «Paventi l’umana progenie / l’imperio dei Numi / che reggono, eterni, nel pugno / lo scettro del mondo; / e a loro talento / ne guidan le misere sorti. // A doppio, il mortale lo tema, / che i Numi fra gli altri mortali / levar sulle cuspidi alpestri, / di sopra le nubi, / e vollero al desco dorato / d’olimpici seggi recinto. // Ché quando, fra loro, divampa / l’alterco funesto, / sprofonda tra risa di scherno / l’assunto conviva / nell’ima notturna voragine. / e invano, dall’orrida tenebra, / l’equanime attende / verdetto del Cielo. // Ma quelli, alla mensa dorata / protraggon

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l’eterno festino. / Trasvolan d’altura in altura; / e ad essi, qual soffce nube, / aroma d’incensi votivi, / il fato dei vinti / reclusi Titani / dai baratri inferni vapora». Il rientro scalare dei singoli versi, che Hölderlin utilizzerà anche in altre liriche, non è una sua creazione ma era utilizzato anche da altri poeti dell’epoca, ad es. Karl Philipp Conz. 289 Se Diotima ha rappresentato per Iperione l’ideale della perfezione incarnato nella bellezza e lo ha guidato a una percezione più profonda e più vera della natura e della storia, anche Iperione ha esercitato a sua volta un infusso determinante su Diotima, che viene coinvolta nella tensione per realizzare quell’ideale nella realtà. Ma la famma idealistica la consuma e la divora, poiché distrugge l’ingenuità del suo essere proprio mentre ne realizza il compito trasfgurandola in Musa, secondo una visione stoica del fuoco come elemento che consuma e libera dalla materia grezza (cfr. nota 219). In questa trasfgurazione Diotima ritrova la parola per pronunciare le verità di cui Iperione ha bisogno; ora vuole infammare i popoli con le sue parole, diviene loquace e si appropria, a un livello più alto, della forza e della potenza del linguaggio. 290 La Pizia era la sacerdotessa di Apollo a Delf, sulle pendici del Parnaso. L’oracolo di Delf era il più famoso del mondo antico; per pronunciare le sue profezie, la sacerdotessa sedeva su un treppiede sopra una spaccatura del terreno dalla quale fuoriusciva del vapore. Nell’antichità si riteneva che Apollo suscitasse l’entusiasmo sacro non soltanto negli indovini e nei sacerdoti, ma anche nei poeti e nei cantori: per questo Diotima, che scopre in sé un entusiasmo capace di rianimare i popoli spenti, si sente una novella Pizia. 291 La morte di Diotima è descritta come uno spegnersi, un appassire lentamente, e presenta molte somiglianze con la fne di Julie nella Nouvelle Héloïse, dove la protagonista accetta serena la morte per riunirsi all’amato e trovare così il compimento e la perfezione del suo amore. Il paesaggio circostante prende parte emotivamente alla morte delle due donne, con la quale viene a mancare il punto focale dei rispettivi nuclei familiari. entrambe lasciano una sorta di testamento, anche se molto diverso, e prendono commiato dall’amato con un’ultima lettera. 292 La stessa situazione era stata descritta in precedenza da Iperione (pp. |659-660|), che raccontava a Bellarmino i primi incontri con Diotima e il suo innamorarsi; ora viene ripresa e rivissuta dalla prospettiva di Diotima proprio nel momento della fne, presagita fn da allora nella similitudine del vino sacrifcale.

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Con questa domanda retorica, che contiene anche un velato rimprovero, Diotima fornisce una risposta implicita a Iperione che le proponeva di fuggire con lui da Calauria per rifugiarsi in una valle sperduta delle Alpi o dei Pirenei e ricominciare una nuova vita, lontani dalla Grecia e dal fallimento dei loro ideali. Ma l’animo di Diotima è troppo nobile, troppo possente per vivere senza un ideale, per accontentarsi di un’esistenza qualsiasi, ripiegata su se stessa: rifutando la proposta di Iperione dimostra di svolgere appieno la funzione che Iperione stesso le aveva assegnato prima di partire, quella di sacerdotessa del tempio, di custode della bellezza e dell’ideale. Questa nuova, più elevata consapevolezza di sé le impedisce di ritirarsi nella sfera dell’idillio privato, che era del resto la dimensione in cui viveva all’inizio, prima di incontrare Iperione: non può azzerare la trasformazione compiuta, può solo portarla a conclusione, compiere anche l’ultimo passo della sua trasfgurazione; la bellezza deve abbandonare la forma dell’individuale per entrare nel regno dell’universale. Per questo Diotima deve morire, come il poeta spiega in una lettera a Susette Gontard: «Perdonami, se Diotima muore. Ti ricorderai, non eravamo riusciti a metterci d’accordo del tutto su questo punto, allora. Ma credo che sia necessario per l’impianto generale» (ottobre/novembre 1799 – MA, vol. II, p. 833). La morte di Diotima è infatti contenuta fn dall’inizio nel personaggio, come riconosce Diotima stessa in quest’ultima lettera, tanto che alcuni critici hanno sostenuto che il romanzo avrebbe potuto essere intitolato La morte di Diotima, rispecchiando così in modo coerente uno dei temi fondamentali della narrazione (Janz: Hölderlins Flamme, pp. 122-124; Bertaux: Friedrich Hölderlin, p. 619). Maria Cornelissen traccia l’evoluzione della fgura di Diotima nelle diverse stesure del romanzo (Zur Entstehung von Hölderlins Roman, pp. 90-97). 294 Già Adamas, fn dall’inizio, aveva predetto la solitudine come destino di Iperione (p. |622|): ora è Diotima a scandire di nuovo questa verità, che prelude al futuro di eremita preannunciato fn dal sottotitolo. 295 Prefgurandosi la morte di Iperione, Diotima riprende l’immagine del corpo come carcere in cui l’anima divina sarebbe imprigionata (cfr. nota 99), immagine che compare anche nella poesia Il destino, pubblicata su «Talia» nel 1794 insieme al Frammento di Iperione: «Nella più sacra delle tempeste crollino, / crollino le mura del mio carcere, / e più libero e magnifco inceda / il mio spirito nella terra

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sconosciuta! / Qui spesso sanguina l’ala delle aquile» (Tutte le liriche, p. 95, vv. 81-85). Questi stessi versi furono scelti dal fratello di Hölderlin come epitaffo per la lapide del poeta. 296 Si tratta di Porzia, fglia di Catone Uticense e moglie di Bruto, l’uccisore di Cesare. Il marito si tolse la vita nel 42 a. C. dopo la bruciante sconftta infittagli da Antonio e ottaviano nella battaglia di Filippi, e Porzia voleva condividerne il destino ma i parenti, che avevano intuito le sue intenzioni, la tenevano sotto stretta sorveglianza. essa allora ingoiò dei carboni ardenti procurandosi la morte (Plutarco: Vite – Bruto, § 53). Hölderlin considera Bruto e Porzia due combattenti per la patria, in particolare per la forma di governo repubblicana, di cui entrambi furono ardenti difensori, mentre Diotima legge la sua eloquenza e il suo desiderio di comunicare in questi ultimi giorni di vita come contrapposti al silenzio di Porzia, che tenne la bocca ostinatamente chiusa fnché i carboni non la uccisero. Inizialmente silenziosa e taciturna (p. |660|), la fanciulla si è trasformata in una «novella Pizia» che parla nell’esaltazione sacra ed è capace di infammare i popoli, per ricadere infne di nuovo nel silenzio («ora devo tacere. Dire di più sarebbe troppo») e lasciare la parola alla poesia: «sarai sacerdote della natura divina, e i giorni poetici stanno già germogliando in te». 297 L’alloro era il segno, nella roma imperiale, con il quale si celebravano i vincitori, mentre corone di mirto, pianta consacrata ad Afrodite, venivano intrecciate per le spose. Diotima intende che Iperione non sarà reso felice né dai successi in battaglia, né dall’amore di una donna, bensì solo dal raggiungimento della pace in una dimensione più elevata, ideale, quella della bellezza. La stessa immagine sarà ripresa proprio nelle ultime righe della lettera, creando un andamento circolare. 298 Quest’ultima lettera di Diotima anticipa gli stessi motivi della lettera di Iperione che chiude il romanzo; entrambe costituiscono il culmine della professione di fede panteistica. Nella prospettiva immanentistica di Hölderlin, l’olimpo (metonimia usata di frequente per indicare il cielo sia nella letteratura greca e romana, sia in Hölderlin) perde i tratti della trascendenza e assume una connotazione panteistico-naturale che accompagna tutta la produzione del poeta, a partire dal giovanile Inno all’Umanità; è particolarmente presente nelle diverse stesure della Morte di Empedocle, risalenti a questo stesso periodo. 299 Cfr. Fil 4, 7.

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Hölderlin usa il concetto di ‘sfera della vita’ anche nel Frammento di lettere flosofche (prima conosciuto con il titolo: Sulla religione), composto probabilmente a Francoforte nei primi mesi del 1796: «Ciascuno avrebbe quindi un suo proprio dio, così come ciascuno ha una sua propria sfera in cui agire e di cui fa esperienza, e nella misura in cui molti uomini hanno una sfera comune in cui agiscono e soffrono umanamente, cioè sollevandosi al di sopra della sopravvivenza, solo in quella misura hanno anche una divinità comune; e se esiste una sfera in cui gli uomini vivono tutti insieme, e nella quale si percepiscono in una relazione che sia più di quella per la sopravvivenza, allora, ma solo a questa condizione, avranno tutti anche una comune divinità» (MA, vol. II, pp. 51-52). Cfr. Gaier: Sphäre, Mythos und poetische Gattung bei Hölderlin; Bachmaier: Der Mythos als Gesellschaftsvertrag: zur Semantik von Erinnerung, Sphäre und Mythos in Hölderlins ReligionsFragment. 301 Si possono ravvisare in questo brano elementi del pensiero stoico di Marco Aurelio, anche se nel passo a cui Hölderlin potrebbe essersi ispirato, Marco Aurelio parla non dell’«amore eterno» ma della ragione (logos): «Tutte le cose sono concatenate tra loro e il loro legame è sacro, e si può ben dire che nessuna sia estranea alle altre, perché formano un solo complesso e contribuiscono tutte insieme all’ordine dello stesso cosmo. Uno è, infatti, il cosmo che si compone di tutte le cose, uno è il dio che pervade tutte le cose, una è la sostanza, una è la legge, una è la ragione comune a tutti gli esseri dotati di intelligenza e una è la verità, se una è anche la perfezione degli esseri che appartengono alla stessa specie e partecipano della stessa ragione» (Marco Aurelio: Pensieri, lib. VII, § 9). Più volte viene fatto riferimento al patto che, secondo gli stoici, lega tutti gli esseri in armonia all’interno della natura universale; grazie a questo patto tutto confuisce in un’unità inscindibile, che oltrepassa la morte del singolo. 302 Già in precedenza Iperione, preso dall’entusiasmo, si era fatto annunciatore dell’avvento di una «nuova chiesa» e aveva espresso la convinzione che lo stato di torpore e di prostrazione mortale della sua epoca fosse solo il preludio a una nuova vita (p. |637|). ora Diotima ripropone la stessa idea in chiave individuale, nell’ottica della separazione dall’amato e di un successivo ritrovarsi nell’armonia del cosmo e della natura. Signifcativamente Iperione lo ripeterà ancora una volta commentando la lettera dell’amico Notara che gli annuncia la morte di lei: «senza morte non c’è vita» (p. |751|).

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Nel mondo divino inteso in senso panteistico, a dominare è la natura universale, e di conseguenza tutti sono uguali. Già nel pensiero classico si sottolineava l’uguaglianza tra gli uomini in quanto membri della stessa specie, un’idea che trova espressione già in Platone (Protagora, 337 C-D) e che anticipa quella del diritto naturale, poiché si riferisce non soltanto a uomini di razze diverse, ma anche agli appartenenti a ceti sociali diversi («né padroni né servi»). Anche per la Stoa quest’idea era signifcativa e spesso la si ricollegava a quella della parentela tra tutti gli uomini. Con il diritto naturale questa concezione di uguaglianza in senso prevalentemente naturale e antropologico si trasforma in un concetto di diritto sociale, che rousseau potenzia e collega al concetto di libertà per diventare uno dei vessilli della rivoluzione francese. 304 Il cambiamento, il mutare sono termini-chiave del pensiero stoico-panteistico, che nell’orizzonte della morte ormai vicina acquistano valore consolatorio. Dato che la caducità non può far perdere all’uomo il contatto e l’armonia con la natura, ciò signifca che lo spegnersi del singolo deve essere solo il preludio di una trasformazione: non morte, quindi, ma mutamento, passaggio. In questo modo il cambiamento non fa che accentuare l’idea del permanere nella natura universale ed eterna. Scrive Marco Aurelio: «tutto è in corso di trasformazione: anche tu muti e, in un certo senso, perisci continuamente, e così pure il cosmo intero» (Pensieri, lib. IX, § 19) e constata: «la perdita non è null’altro che trasformazione. Di questo si compiace la natura universale, in conformità con i disegni della quale tutto è bene quello che avviene» (lib. IX, § 35). rifessioni simili si ritrovano nell’ode Dichtermuth, Coraggio del poeta (Tutte le liriche, pp. 794-797), ma il superamento spirituale della morte attraverso il mutamento e l’intuizione del tutto della natura permeano tutta questa parte della lettera di Diotima. riemerge anche il tema dell’unione degli opposti, che Iperione aveva enunciato nel suo discorso sugli ateniesi laddove richiamava il principio eracliteo dell’uno diviso in se stesso: l’essenza della civiltà di Atene era proprio il divenire come armonia di diverse forme sociali, l’unità nella diversità. Questo concetto sarà trasposto da Hölderlin anche in ambito estetico: negli scritti poetologici infatti, risalenti al periodo intorno all’anno 1800 (Poetologische Entwürfe, MA vol. II, pp. 72-110; Scritti di estetica), egli cercherà di approfondire gli elementi della poesia elaborando una combinatoria degli elementi poetici («toni»), la cosiddetta ‘poetica dei toni’, di cui nel romanzo si

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trovano alcune anticipazioni. La perfezione consiste nell’alternanza e nell’armonia dei tre toni fondamentali (ingenuo, eroico, ideale), incarnati dai tre protagonisti del romanzo: Diotima, Alabanda, Iperione. Cfr. ryan: Hölderlins Lehre vom Wechsel der Töne. 305 Cfr. Ap 14, 2-3: «Udii una voce che veniva dal cielo, come un fragore di grandi acque e come un rimbombo di forte tuono. La voce che udii era come quella di suonatori di arpa che si accompagnano nel canto con le loro arpe. essi cantavano un cantico nuovo davanti al trono e davanti ai quattro esseri viventi e ai vegliardi». La citazione biblica offre il punto di partenza per una trasposizione del sacro nella sfera immanente della natura, e difatti anche gli uomini sono a loro volta divini. 306 In questo augurio accorato di Diotima traspare la missione che Hölderlin assegna al poeta e la sua aspirazione più intima: essere sacerdote della natura è il compito che egli si prefgge, mentre la poesia può germogliare nonostante la sofferenza e la rinuncia all’amore (o forse proprio grazie a queste), e solo dove vi sia armonia tra il poeta e la natura. La «natura divina» rappresenta infatti l’ideale dell’unità, di un’esistenza non più frammentata e dissonante, ma accordata e armoniosa in tutte le sue parti. Questo augurio fnale costituisce anche il culmine della strategia di una graduale trasposizione di concetti e rappresentazioni dalla tradizionale concezione dell’aldilà a una natura intesa in senso panteistico, una strategia ben architettata e condotta in crescendo, grazie alla quale tutti gli attributi della divinità vengono man mano spostati sulla natura. In questo modo il poeta-Iperione è destinato a divenire sacerdote, non di una divinità trascendente ma della natura sacra. – Con le sue parole Diotima proclama anche la vocazione poetica di Iperione, una vocazione che era già in parte emersa alla fne del primo volume, al termine della visita ad Atene, anche se in modo ancora generico («sono un artista ma non sono ancora esperto», p. |693|). Iperione poi, seguendo l’appello di Alabanda, si era allontanato dal percorso intuito allora, ma riesce comunque a completare la sua formazione artistica, seppure in modo più drammatico. La catastrofe gli insegna che l’azione, di per sé, non è suffciente, e dalla lunga serie di separazioni e addii egli impara a non essere interamente concentrato sulla vita e a percepire il legame indissolubile tra morte e vita, gioia e dolore che è il motore del cosmo. Solo così può raggiungere quella completezza interiore che, unica, prelude alla poesia, come esprimono chiaramente le parole di Diotima che negano al poeta la gioia del mirto e dell’alloro, ma gliene riservano una più elevata.

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Anche questo piccolo dettaglio richiama la conclusione della Nouvelle Héloïse, dove Saint-Preux riceve un’ultima commovente lettera da Julie che prende commiato e gli annuncia l’approssimarsi della morte e, contemporaneamente, una lettera dell’amico Wolmar che riferisce della morte di lei. Ma la somiglianza strutturale si ferma qui: in rousseau, infatti, questo segna la fne del romanzo, Saint-Preux tace e così si conclude la parabola dei due innamorati; Iperione invece entra in una nuova fase dell’esistenza, proprio grazie allo spegnersi della voce di Diotima. La morte di lei conferisce nuova vita, nuovo spessore alla fgura di Iperione, che proprio a quel punto inizia a esistere come poeta. Cfr. Berchtold: La Nouvelle Héloïse und Hyperion, pp. 66-67. 308 Diotima sceglie per sé il rito funebre della Grecia antica che prevedeva la cremazione, piuttosto che quello cristiano della sepoltura. 309 La forma che compare nel testo originale (Feigenwurzel, radice di fco) è dovuta a una variante propria del dialetto svevo, che confonde le due forme simili per fco e giaggiolo. Il rizoma del giaggiolo, che veniva chiamato ‘radice di violetta’ per il suo particolare odore che ricorda appunto il profumo delicato delle violette, veniva dato ai bambini da masticare nel periodo della dentizione (Most: Encyklopädie der gesammten Volksmedicin, s. v. Veilchenwurzel). 310 Inizia così l’ultima rifessione del narratore che, anche in questo caso, viene collocata in un punto fondamentale, subito dopo che Iperione ha ricevuto la lettera di commiato di Diotima e quella di Notara che gli annuncia la morte di lei, un evento che richiede un supremo dominio di sé e delle proprie emozioni. La descrizione dello stato d’animo di Iperione è preceduta da una domanda che crea la tensione necessaria: «e tu mi chiedi come mi sento, Bellarmino, mentre te lo racconto?», alle quale seguono le parole decisive: «sono tranquillo». Il fatto che Iperione possa dirsi tranquillo proprio dopo aver narrato il momento più drammatico e coinvolgente della sua vita, testimonia non soltanto la serenità che ha raggiunto dopo l’ultima esperienza di contemplazione del tutto nella natura, ma anche il suo progredire nel cammino di poeta. Mentre prima percepiva un abisso tra morte e vita, gioia e tristezza, estasi e sofferenza, la visione poetica gli fa ora concepire le due esperienze come due modalità, altrettanto necessarie e complementari, in cui il tutto si manifesta (cfr. anche il ‘canto sul destino’); ora che ha conquistato una maggiore certezza della totalità dell’esistenza, può accettare anche la necessità della sofferenza, di cui bisogna divenire consapevoli. Iperione rifuta tutto ciò che è

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inconsapevole (che defnisce «torpore»), non vuole più vivere nella spensieratezza ignara del bambino, come aveva invece affermato all’inizio, quando aveva sostenuto che il bimbo «è immortale perché non sa nulla della morte» (p. |616|). Alla fne del percorso invece giunge ad affermare l’opposto: senza la morte non c’è vita; la pace celestiale del bambino non è altro che il torpore inconsapevole del nulla. L’ideale da raggiungere è invece la tranquillità portata dalla poesia, come spiega in una lettera al fratello, dove si sofferma su flosofa, politica e poesia e il loro ruolo nella società (1 gennaio 1799 – MA, vol. II, pp. 725-730). In particolare, sottolinea il poeta, non si prendeva troppo sul serio la poesia, perché ci si soffermava solo sulla sua parte esteriore, senza considerare cosa essa sia veramente; «la si prendeva per un gioco, poiché essa si mostra nella modesta forma del gioco, e di conseguenza non poteva produrre altri effetti se non quelli del gioco, e cioè la distrazione, che è l’esatto contrario di ciò che essa produce quando è presente nella sua vera natura. Allora l’uomo si raccoglie in lei, ed essa gli dà la tranquillità, ma non una tranquillità vacua bensì viva, in cui tutte le forze sono deste e solo per la loro intima armonia non vengono riconosciute come attive». La tranquillità dell’animo, l’armonia tra le forze, la quiete che non esclude l’impegno e la lotta, come mostra la sua invettiva contro i tedeschi, sono quindi l’obiettivo ultimo, la condizione del cuore in cui la poesia può dispiegarsi nella sua vera natura – una condizione che il poeta conquista lentamente e a prezzo di molte rinunce. 311 Iperione riprende qui il pensiero del legame inscindibile fra amore e dolore che segna non solo gli uomini, ma anche le divinità e la natura. Nei periodi in cui le divinità vengono trascurate, infatti, come accade nell’epoca in cui vive Iperione, esse soffrono; e il mistero che vede unite morte e vita, felicità e sofferenza, coinvolge tutta la creazione. Iperione non pretende per sé un destino migliore di quello delle divinità greche, sofferenti, e poter condividere il destino della natura è, di per sé, già motivo suffciente di felicità. 312 Anche la «bella morte», espressione usata da Notara per descrivere la fne di Diotima, è il massimo ideale dello stoicismo: andare incontro alla morte con serenità, poiché tutto è dato dalla natura. Cfr. l’ode Coraggio del poeta, seconda stesura: «Non sei forse congiunto a tutto ciò che vive? / La stessa Parca non ti nutre come ancella? / e allora va’, va’ pure inerme / lungo la vita e non temere nulla! // Ciò che accade, sia per te sempre bendetto, / si tramuti in gioia! […] Finisca

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allora, quando sarà il tempo / e lo spirito avrà ovunque i suoi diritti, muoia allora / nel fervore della vita / la nostra gioia, ma di una morte bella!» (Tutte le liriche, p. 797). 313 Quando odisseo scende nell’Ade per interrogare Tiresia, il primo ad andargli incontro è elpenore, che egli aveva lasciato senza sepoltura sull’isola di Circe (Odissea, lib. XI, vv. 51-54). La sua anima vaga sperduta e angosciata perché, non essendo stato sepolto, non può entrare nel regno dei morti, come si racconta anche di Patroclo nel libro XXIII dell’Iliade. 314 La dea è Afrodite, che pianse la morte del suo amato Adone, ucciso da un cinghiale nel corso di una caccia (ovidio: Metamorfosi, lib. X, vv. 708-738). 315 Il leggendario Procuste era un essere mostruoso che catturava i viandanti e li allungava e martoriava per adattarli al suo enorme letto, oppure li amputava per farli stare in una culla. Fu in seguito sconftto da Teseo che lo uccise sottoponendolo al medesimo trattamento (Hyginus: Fabulae, n. XXXVIII – Thesei labores). L’immagine rende effcacemente l’idea che Iperione ha della società del suo tempo che inibisce ogni slancio ideale, che soffoca gli spiriti liberi e li amputa per costringerli alla sua piccolezza e meschinità. 316 Il brano richiama una battuta del Don Carlos di Schiller, dove il Marchese di Posa prende commiato dalla regina e le affda un messaggio per l’amico: «Ditegli che, fatto uomo, rispetti il sogno della sua adolescenza, e non schiuda al mortifero insetto della vantata ragione il calice del divino fore del sentimento, [...]» (Schiller: Teatro – Don Carlos, p. 441). 317 Si tratta di empedocle. Al flosofo agrigentino Hölderlin dedicò una poesia e cercò di farne il protagonista di una tragedia, che più volte iniziò a scrivere, negli anni dal 1797 al 1800, senza mai riuscire a terminarla. Nel 1797 ne aveva già delineata la struttura (il cosiddetto Progetto di Francoforte – cfr. La morte di Empedocle, pp. 6-13), e vi si dedicò con assiduità dopo aver consegnato all’editore il primo volume di Iperione. Le diverse fasi di stesura della tragedia accompagnano quindi il lavoro al secondo volume del romanzo, e fra le due opere vi sono infatti molte convergenze, alcune delle quali emergono proprio in questo passo, ad esempio il concetto di anima del mondo, il principio che anima tutti gli esseri viventi e li unisce in una totalità. Anche empedocle, come Iperione, è insoddisfatto, odia la cultura, cerca la sintonia con tutto ciò che vive e si sente oppresso dalla legge della

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successione temporale, della caducità, simboleggiata dal «contare le ore» (p. |753|). essere soggetti allo scorrere del tempo è, per Iperione, indice di una percezione parziale della realtà, che si contrappone all’intuizione totale dell’universalità della natura. La stessa idea si ripresenta nella lirica Il cantore cieco, dove il protagonista lamenta la perdita della sua capacità di percezione originaria e totale, che ora lo condanna a contare le ore: «ora nel silenzio siedo solo, ora / dopo ora» (Tutte le liriche, p. 789, vv. 19-20). 318 Il concetto di ‘anima del mondo’ è ripreso da Platone (Timeo, 34 B-37 C) e Hölderlin ama interpretarlo, come spesso i suoi contemporanei, in senso panteistico. Nel dialogo platonico, laddove Timeo inizia il racconto cosmologico, si dice come dio incaricò un demiurgo di creare il mondo, il quale lo compone in forma di sfera e a partire dai quattro elementi, e gli infonde poi un’anima: «e posta l’anima nel mezzo di esso, la distese per ogni parte, e con questa stessa avvolse anche al di fuori tutto intorno il corpo di esso, e in questo modo costituì un cielo circolare che gira in cerchio, unico e solitario, ma per virtù sua capace di stare con se stesso, ed esso stesso conoscitore ed amatore di se medesimo in modo adeguato» (Platone: Timeo, 34 B). L’anima avvolge quindi il mondo dall’interno e dall’esterno, lo pervade completamente, e questa rappresentazione, che in Hölderlin viene liberamente interpretata e identifcata con il battito del cuore della natura, diviene un concetto molto diffuso al tempo. Goethe la evoca nella lirica tarda Eins und Alles, è presente in Herder, e proprio nel 1798, mentre Hölderlin stava lavorando per terminare il secondo volume del romanzo, esce lo scritto di Schelling Sull’anima del mondo, un’ipotesi di fsica superiore per illustrare l’organismo universale. 319 Chi lo deride è probabilmente orazio, che nella sua Ars poetica commenta, parlando del poeta insano: «Mentre con la testa alta quello va errando ed erutta versi, se cade in un pozzo o in una fossa come un uccellatore attento ai merli, nessuno dovrebbe tirarlo su, sebbene gridi a lungo: “Soccorretemi, cittadini!”. Se qualcuno volesse recargli aiuto e gettargli una corda, direi: “Come sai se si è gettato giù a bella posta? e se non vuole essere salvato?”. e gli racconterei la morte di un poeta siciliano. empedocle, bramando d’esser creduto un dio immortale, saltò dentro, stupidamente, all’etna infocato» (orazio: Tutte le opere – Ars poetica, vv. 457-466). 320 Il movimento dei due amici è parallelo e opposto allo stesso tempo: è opposto dal punto di vista geografco, ma è simile per quan-

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to riguarda lo stato d’animo. entrambi sono stanchi di vivere e con disperata rassegnazione si consegnano al destino; l’uno accetta di andare verso la morte fsica, l’altro si abbandona al caso, consapevole che tutti coloro che ama, le illusioni e gli ideali per i quali era vissuto sono morti. 321 Questa lettera a Bellarmino contiene la famosa invettiva contro i tedeschi, che procurò all’autore molte critiche dai suoi contemporanei. Vi si ritrovano motivi diffusi al tempo, in particolare il biasimo per l’indole dei tedeschi, inclini a sentirsi sudditi più che cittadini, a seguire passivamente qualsiasi modello di ordine per amore del quieto vivere; a questo Iperione aggiunge la mancanza di gioia, spontaneità, armonia con la natura che, come conseguenza, rende i tedeschi privi di amore per la bellezza. – Secondo il canone estetico dell’epoca, la ‘satira riprensiva’ rientra tra i registri adatti a esprimere la tensione poetica verso l’ideale; oltre al carattere elegiaco, che Iperione declina in tutte le sue sfumature, nel concetto di ‘poesia sentimentale’ Schiller fa rientrare infatti anche la «satira riprensiva o patetica» (Schiller: Saggi estetici – Della poesia ingenua e sentimentale, p. 401): al contrario dell’elegia, essa non afferma la perfezione della natura e dell’ideale sullo sfondo di una realtà negativa, bensì pone la realtà imperfetta in primo piano, descritta con slancio idealistico in tutta la sua deprecabile negatività. Il registro satirico e quello elegiaco sono quindi complementari, e in questa luce appare più chiara anche la funzione dell’invettiva nell’economia del romanzo. Collocata al termine del secondo volume, essa fa da controparte strutturale alla lettera sugli ateniesi, e infatti i tedeschi vengono presentati come l’opposto ‘barbarico’, come la negazione degli ateniesi che grazie a una visione unitaria e armonica del mondo avevano dato vita a una grande cultura. Attraverso la critica e il rimprovero duro e diretto, il poeta si propone di scuotere i suoi connazionali, di farli indignare per attivare il cambiamento che porterà a quella «rivoluzione delle intenzioni e del modo di pensare» che egli auspicava (lettera a ebel, 10 gennaio 1797 – cfr. note 161, 327), e questo è proprio il compito che Schiller assegna al poeta nella IX lettera su L’educazione estetica dell’uomo: «L’artista è sì fglio del suo tempo, ma guai a lui se ne è insieme l’allievo o addirittura il favorito. Strappi tempestivamente una divinità benigna il poppante dal seno di sua madre, lo nutra col latte di un’età migliore e, sotto il lontano cielo greco, lo faccia maturare sino alla maggiore età. Diventato uomo, egli ritorni, in vesti straniere, nel suo secolo; epperò non per farlo gioire

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della sua comparsa, bensì, terribile come il fglio di Agamennone, per purifcarlo» (Schiller: L’educazione estetica dell’uomo, p. 87). Con il soggiorno in Germania e l’amarezza che ne deriva, Iperione si assume la funzione che Schiller assegna al poeta e si erge a coscienza critica del suo secolo per scuoterlo e purifcarlo; la profezia di Diotima, che ha annunciato il germogliare di giorni poetici, comincia ad avverarsi. Gaier vede qui già tracciata quella che sarà la ‘svolta patriottica’ di Hölderlin, di cui individua nel romanzo molte anticipazioni (Hölderlin. Eine Einführung, pp. 180-187) e ritiene che, dopo aver scritto l’ultima lettera, Iperione abbandonerà l’eremitaggio per realizzare la sua vocazione di poeta militante per la patria, per liberarla da ciò che è già morto, dalla zavorra del putrido, per favorire la rinascita e il rinnovamento secondo la sua idea di palingenesi. Cfr. anche la poesia Ai saggi consiglieri (Tutte le liriche, pp. 606-611, vv. 53-56): «Morti, seppellite pure i vostri morti! / Mentre terrete ancora le faccole funeree / accadrà ciò che comanda il nostro cuore, / irromperà il nuovo mondo migliore». 322 Nella prima tragedia di Sofocle (Edipo Re) si ripercorre la vicenda di edipo che, dopo aver scoperto la sua vera condizione, si acceca e lascia Tebe, la sua città. Nella seconda tragedia, Edipo a Colono, guidato dalla fglia Antigone egli giunge a Colono, alle porte di Atene, dove viene accolto amichevolmente da Teseo. Anche le aspettative di Iperione sono quasi nulle e la sua condizione altrettanto miserevole, ma l’accoglienza che riceve è ben diversa. – L’atteggiamento dimesso di Iperione ricorda molto da vicino anche la rassegnazione con cui l’autore aveva licenziato il suo romanzo, senza alcuna aspettativa di una buona accoglienza presso il pubblico dei lettori (cfr. Prefazione, p. |611|). 323 ritorna il termine «barbaro», che Iperione aveva già usato più volte per descrivere i suoi soldati allo sbando, trasformatisi in una banda di ladri e assassini, e tutte le deformazioni della natura e dello spirito umani (cfr. note 193, 272). ora il termine è usato in senso più ‘tecnico’, secondo l’accezione schilleriana che aveva ripreso a sua volta l’opposizione sauvage/barbare già presente in rousseau e Montesquieu: «Tuttavia, l’uomo può essere opposto a se stesso secondo un duplice modo: o come selvaggio, quando i suoi sentimenti dominano sui suoi principi; o come barbaro, quando i suoi principi distruggono i suoi sentimenti. Il selvaggio disprezza l’arte e riconosce la natura come sua sovrana assoluta; il barbaro deride e disonora la natura, ma,

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più spregevole del selvaggio, molto spesso continua a essere schiavo del proprio schiavo» (Schiller: L’educazione estetica dell’uomo, IV lettera, p. 55). Al selvaggio, insomma, manca la cultura, al barbaro acculturato il rapporto con la natura, a cui si uniscono meschinità e arroganza. Più avanti Schiller approfondisce il confronto tra l’umanità moderna e quella antica e, anche se con toni molto equilibrati, rileva l’imperfezione, la scissione dell’animo nell’uomo moderno e la nonnaturalezza dei suoi costumi, che lo rendono necessariamente imperfetto e deforme se paragonato agli antichi. egli considera però questo passaggio una tappa obbligata nel cammino progressivo dell’umanità che, dopo un tale apice, non poteva che disgregarsi per muoversi verso altri gradi di perfezione (ivi, VI lettera, pp. 61-77). 324 Con la «fortuna delle sacre Grazie» si intende l’arte, la cui riuscita era attribuita alla collaborazione delle Grazie. I tedeschi sarebbero quindi così corrotti da non riuscire a comprendere i doni elargiti dalle Grazie, cioè le diverse forme artistiche, in primis la poesia. È diffcile non percepire, nella veemente protesta di Iperione, la voce del poeta stesso che esprime tutta la sua fatica e l’impossibilità di affermarsi come poeta nella società del suo tempo. 325 Nel condannare i suoi contemporanei, Hölderlin non è solo: l’invettiva si sviluppa secondo le linee già tracciate da rousseau e da Schiller nella loro critica alla civiltà moderna. Scrive ad esempio Schiller (L’educazione estetica dell’uomo, VI lettera, p. 67): «perennemente legato soltanto a un piccolo, singolo frammento del tutto, l’uomo medesimo si forma unicamente quale frammento e, avendo nell’orecchio continuamente il rumore monotono della ruota che gira, non sviluppa mai l’armonia del suo essere: diventa solo una copia della sua occupazione, della sua scienza, anziché esprimere, nella sua natura, l’umanità». Immediati anche i richiami all’analoga tirata di rousseau: «onde nascono tutti questi abusi, se non dalla disuguaglianza funesta, introdotta fra gli uomini per via della distinzione degli ingegni e dell’avvilimento della virtù? ecco l’effetto più evidente di tutti i nostri studi, e la più pericolosa di tutte le loro conseguenze. Non si domanda più di un uomo se abbia onestà, ma se abbia ingegno; non di un libro se sia utile, ma se sia scritto bene. [...] Noi abbiamo tanti fsici, geometri, chimici, astronomi, poeti, musici, pittori: ma non abbiamo più cittadini; o, se ce ne restano ancora, dispersi nelle nostre campagne abbandonate, vi muoiono poveri e spregiati» (Discorso sulle scienze e sulle arti, traduzione di rodolfo Mondolfo, in: Opere, p. 14).

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La «mala lingua» è S. Agostino, che nella Città di Dio scriveva (lib. XIX, cap. 25): «Le virtù che l’anima crede di avere e per le quali comanda al corpo e ai vizi, quale che sia il fne da conquistare e da possedere, se non sono riferite a Dio, sono anch’esse vizi, piuttosto che virtù. Benché in tal caso infatti qualcuno le consideri virtù vere ed oneste, quando sono riferite a se stesse e si ricercano proprio per se stesse, anche allora esse sono gonfe d’orgoglio e non debbono essere indicate come virtù, bensì come vizi». 327 Gli stessi toni, anche se forse leggermente più mitigati nell’intento di recare conforto all’amico, riecheggiano nella lettera del poeta in risposta a Johann Gottfried ebel (10 gennaio 1797 – MA, vol. II, pp. 642-644), che da Parigi gli aveva descritto tutta la sua delusione e amarezza per gli esiti della rivoluzione francese. Scrive Hölderlin: «[Il mondo] contiene un’incredibile molteplicità di contraddizioni e contrasti. Vecchio e nuovo, cultura e rozzezza, cattiveria e passione, egoismo nelle pecore, egoismo nei lupi, superstizione e ateismo, servitù e dispotismo, intelligenza senza ragione e ragione senza intelligenza, sentimenti senza spirito, spirito senza sentimenti! Storia, esperienza, tradizione senza flosofa, flosofa senza esperienza, energia senza principi, principi senza energia, rigore senza umanità, umanità senza rigore [...]. Ma così dev’essere! Questo carattere della parte conosciuta del genere umano è senz’altro messaggero di cose straordinarie. Io credo in una prossima rivoluzione delle intenzioni e del modo di pensare che farà arrossire di vergogna tutto ciò che è stato fnora». Cfr. anche nota 161. 328 Odissea, lib. XX, v. 377 e lib. XXI, v. 400. 329 Proteo, divinità acquatica, aveva la capacità di assumere qualsiasi forma desiderasse, e usava questo potere in particolar modo per sottrarsi a chi lo interrogava (cfr. Odissea, lib. IV, vv. 455-463). 330 Questo paragrafo sembra riassumere tutta la fatica del poeta per opporsi alla ‘barbarie’ del suo secolo, la sua costante e intensa sofferenza interiore, spesa in una lotta senza speranza, schiacciato tra il desiderio di ribellione e il tentativo di adattarsi alle convenzioni sociali del tempo. Il punto di vista complementare sembra essere quello espresso da Schiller, che in una lettera a Goethe del 17 agosto 1797, dopo la lettura del primo volume di Iperione, commentava: «Vorrei sapere se questi Schmidt, questi Jean Paul, questi Hölderlin sarebbero rimasti in senso assoluto e in tutti i casi altrettanto soggettivi, esaltati, parziali; se ciò dipenda da qualcosa di primitivo, oppure se abbia pro-

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dotto quest’effetto sciagurato la mancanza di un’educazione estetica e di un’infuenza esteriore, e l’opposizione del mondo empirico, in cui vivono, alle loro inclinazioni idealistiche. Sono disposto a credere in quest’ultima ipotesi e sebbene un temperamento prepotente e felice superi tutti gli ostacoli, mi sembra che vadano perduti in questo modo molti ottimi ingegni» (Goethe – Schiller: Carteggio, p. 179). 331 Lo «spirito universale» è un concetto-chiave del poeta. Ne parla anche in una lettera al fratello scritta alla fne del dicembre 1800, in cui così descrive la pace tanto sperata: «Non sarà una qualche forma, una qualche opinione o convinzione a vincere, non mi pare questo il suo [= della pace] dono più essenziale. Ma che l’egoismo in tutte le sue forme si piegherà sotto il sacro dominio dell’amore e della bontà, che lo spirito universale sarà sopra tutto e in tutto e che il cuore tedesco, in un clima simile, fnalmente sboccerà con la benedizione di questa nuova pace e silenzioso, come la natura che cresce, dispiegherà le sue forze segrete e possenti: questo penso, questo vedo e credo» (MA, vol. II, pp. 883-884). 332 La fgura del mendicante riprende e rafforza il paragone con le fgure di edipo e di odisseo rievocate poco prima. 333 Dopo aver rivolto parole durissime al popolo tedesco, la Scheltrede si chiude sulla sofferenza personale di Iperione. Alcuni critici ritengono che questo violento attacco sia uno dei motivi che hanno condizionato negativamente la prima ricezione del romanzo (i lettori infatti si indignarono, ad esempio Friedrich emerich: MA, vol. II, p. 859); l’unico recensore ben disposto tentò di sminuire l’invettiva (che defnì comunque troppo dura e ingiusta) considerando i toni accesi della denuncia hölderliniana un difetto di gioventù, frutto dell’entusiasmo idealizzante. Saranno i romantici a considerarla invece indice del suo grande amore per la Germania, da cui si sentiva soffocato e che non gli diede spazio per affermarsi come poeta (per la recensione di Karl Philipp Conz, apparsa nel 1801, e gli apprezzamenti dei romantici, cfr. Cronologia di Iperione). Le opinioni della critica riguardo al ruolo e all’interpretazione dell’invettiva sono variegate. È senz’altro semplicistico leggerla solo come contrappunto negativo alla lettera sugli ateniesi, o come tappa all’interno dello schema triadico tesi-antitesi-sintesi (dove la sintesi sarebbe rappresentata dalla contemplazione della natura a un livello più elevato contenuta nell’ultima lettera); allo stesso tempo non è suffciente collocarla al livello della narrazione, quindi considerarla un episodio della giovinezza del pro-

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tagonista, agitato da questi continui alti e bassi, entusiasmi e disillusioni che poi acquistano un valore positivo nella lettura compiuta, a distanza di tempo, dall’Iperione eremita e narratore. Lawrence ryan vede in questa esperienza tedesca il cardine dell’opera successiva del poeta, il momento che segna il tramonto defnitivo del suo sguardo retrospettivo alla Grecia classica, di matrice neoplatonica, per aprire la fase dello spirito poetico ‘esperico’ (ryan: «So kam ich unter die Deutschen»). Comunque non si può non percepire nell’invettiva, a un livello profondo, l’espressione del disagio personale del poeta nei confronti della sua epoca, un disagio tanto tormentoso e angosciante che i suoi toni amari non riescono a trasfgurarsi del tutto in poesia. L’invettiva interrompe e nega dunque la fnzione letteraria per far spazio alla realtà storico-politica; del resto, la critica alla sua epoca non si ritrova su un solo livello del romanzo: è presente nelle parole rassegnate della Prefazione, la riprende subito nella prima lettera l’Iperione narratore, sempre con toni accesi, la vive il giovane Iperione come tappa nel suo processo di maturazione ed è parte integrante dell’educazione del popolo che l’Iperione-poeta si assume e riconosce come propria vocazione. essa interseca, quindi, tutte le dimensioni narrative. 334 L’esperienza di Iperione in Germania è terminata e lo ha precipitato in un nuovo baratro di disillusione, sofferenza e miseria; ma il rientro in patria è ritardato dal sopraggiungere della primavera. Il protagonista si trova ora più solo che mai di fronte alla natura, tutte le illusioni (amicizia, amore, socialità) sono state infrante e non gli resta più nulla. Anche l’esperienza stessa della natura, come è stata appena descritta, appare all’insegna dell’atmosfera notturna, della luce lunare, del crepuscolo – in forte contrasto con le esperienze giovanili, all’insegna del sole con cui Iperione si identifcava (basti pensare alla sua escursione sul monte Tmolo, nel periodo di Smirne). ora egli sale sui monti «come i malati vanno alla sorgente termale», e la natura lo seppellisce «come un santo morente»: niente più esaltazione, sole, calore, e il suo sguardo dall’alto sui fumi e le pianure non è più quello dell’astro diurno, bensì quello della luna («come la luna […] me ne stavo solitario sopra le pianure»). Questa trasformazione prelude a un’ultima contemplazione estatica della natura, punto di arrivo del percorso compiuto fnora dal protagonista e chiusura del romanzo, ma allo stesso tempo tappa intermedia di un processo destinato a proseguire all’infnito. 335 La descrizione del luogo idilliaco e perfetto, la stagione, l’ora calma e serena del mezzogiorno (l’ora dell’ispirazione poetica) ripro-

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pongono la stessa atmosfera che aveva segnato il suo primo incontro con Diotima. In questo momento sublime Iperione sente ancora una volta la voce della donna amata in un ultimo, terzo commiato che li accompagnerà oltre la morte. Diotima è dunque confuita nella natura universale che abbraccia ogni cosa e quindi anche Iperione, e in questo modo sono uniti per sempre. La primavera ha compiuto il miracolo, l’armonia fra l’uomo e la natura si è ristabilita ed è avvenuta anche la riunifcazione con la donna amata; le dissonanze del mondo si sono ricomposte in armonia e questa prima esperienza poetica di contemplazione dell’unità e dell’armonia del cosmo è così intensa e inebriante che Iperione perde i sensi. 336 Nel culmine dell’estasi il linguaggio si perde e si trasforma in un modo nuovo: non confuisce nella musica, non articola più parole ma si assimila al crepitare del fuoco, l’elemento più puro, che in un processo di trasfgurazione distrugge e ricrea. Distrugge la materia più grezza, lasciandone cenere, per ricreare una nuova forma di espressione capace di cogliere e rappresentare l’armonia col tutto. Anche il linguaggio viene dunque riassorbito nell’elemento che rigenera la vita, non è più legato al pensiero e ai concetti che isolano e circoscrivono tramite le parole ma rientra nel ciclo della natura. 337 L’immagine dell’albero della vita è ripresa da Gen 2, 9 e Ap 22, 2 e fornisce una risposta alla domanda che Iperione si era posto in apertura del romanzo: «se la vita del mondo consiste nel passaggio dall’apertura alla chiusura, nell’allontanarsi e nel ritornare a se stessi, perché non dovrebbe essere lo stesso anche per il cuore dell’uomo?» (p. |642|). L’uomo è effettivamente soggetto al ritmo della natura, al ciclo della vita e della morte, ma il fatto che sia consapevole dello scorrere del tempo conferisce alla sua esperienza la dimensione della storicità. Grazie alla continuità del ricordo, egli ha la capacità di unire tutti i momenti del ciclo vitale in un unico fusso, mentre l’estasi della contemplazione scioglie la sua individualità nel respiro della natura, permettendogli di entrare a far parte della «vita del mondo». 338 Questa lettera presenta molte analogie con l’ultima lettera di Diotima, da cui vengono riprese immagini e frasi, creando una perfetta circolarità: l’invocazione agli dei della natura, il sollevarsi al di sopra delle cose umane, il costante mutamento come legge della natura, il rinnovarsi del mondo in forme sempre diverse a partire dallo stesso chicco di grano, l’idea di uguaglianza tra tutti gli esseri. L’uguaglianza esteriore, sociale, è però per Iperione solo un primo stadio, al quale

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segue poi un’uguaglianza interiore e più profonda, di appartenenza di tutti gli uomini alla stessa sostanza, alla natura universale. 339 L’anima del mondo, più volte invocata, viene ora identifcata con l’ideale della bellezza, che in un brano cruciale del primo volume era stata defnita come l’unità armonica che tutto abbraccia; l’anima del mondo è dunque il principio che dà vita a questa unità. – Una delle sue manifestazioni, l’eterna giovinezza, era stata evocata anche da Diotima nella sua ultima lettera come qualità della natura universale, in cui si dissolvono le vite individuali. 340 L’inno estatico alla natura che chiude la narrazione ha il suo parallelo nella contemplazione della natura segnata dallo struggente desiderio del protagonista di «essere uno con tutto ciò che vive» con cui si era aperto il romanzo (p. |615|). Il punto di arrivo del lungo e sofferto percorso di Iperione è costituito dall’invocazione diretta della natura e dall’intuizione dell’unicità e totalità dell’essere in cui tutto si riconcilia, tutto si ricompone in un equilibrio perfetto tra le diverse forze che agitano il cuore dell’uomo. Gli estremi tra cui l’uomo oscilla non vanno letti come degli opposti in senso assoluto, benì come opposti complementari, necessari l’uno all’altro e che si completano a vicenda, come la gioia e il dolore che accompagnano tutte le esperienze della vita. essi hanno bisogno l’uno dell’altro come le note in un accordo; allo stesso modo le dissonanze, una delle parole-chiave presenti fn dalla Prefazione, seppur diverse, trovano la loro armonia nel comporsi insieme, secondo il principio eracliteo e pitagorico della concordia discors (cfr. note 128, 197). Aderenti a questa metafora, anche tutte le esperienze dell’uomo convergono verso un centro perfetto che ora viene percepito come motore della vita, il cuore pulsante a cui tutte le vene conducono. 341 La formula «così pensavo» chiude anche il primo libro del primo volume e suggerisce la circolarità tra i due volumi che compongono il romanzo, la cui unità strutturale emerge in molti punti della narrazione grazie a precisi parallelismi. L’aggiunta fnale («ma ne parleremo ancora») aveva inizialmente creato tra i lettori dell’epoca l’aspettativa di un ulteriore proseguimento del romanzo: emerich ad esempio, nella sua lettera del 5 marzo 1800, «scrive entusiasta della seconda parte di Iperione, che ha appena letto. Il giudizio sui tedeschi invece lo ha indignato. Si aspetta, come Böhlendorff, una terza parte» (MA, vol. II, p. 859). Lo stesso emerge dalla recensione di Karl Philipp Conz («Tübingische gelehrte Anzeigen», 1801, 4. Stück, 12 gen-

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naio, pp. 25-28): «[il recensore] spera, e la disposizione e l’andamento della seconda parte lo lasciano già immaginare, che queste stonature si risolveranno alla fne in un’armonia: teniamo in serbo un giudizio più completo per quando apparirà quest’ultimo volume!» Nessuna documentazione oggettiva sostiene però questa ipotesi: non se ne trova traccia negli appunti né nell’epistolario di Hölderlin, che non accenna mai a un eventuale proseguimento; al contrario, la corrispondenza strutturale tra le parti del romanzo denota compimento e perfezione formale (questa e altre questioni connesse alle diverse fasi della ricezione del romanzo sono trattate nel cap. 2 di Pellegrini: Friedrich Hölderlin. Sein Bild in der Forschung). Le ultime parole hanno dunque una valenza ben diversa, sono un altro indice della mirabile sintesi tra gli opposti a cui il poeta aspira, indicano compiutezza e apertura insieme. Intanto rappresentano uno stilema caratteristico del genere epistolare, la cui natura è sempre potenzialmente aperta, e dal punto di vista formale, infatti, «un proseguimento del romanzo sarebbe effettivamente concepibile» (lo sostiene van de Velde: Die Struktur von Hölderlins Fragment von Hyperion, p. 573); anche il contenuto non mancherebbe, poiché Iperione non ha ancora raccontato tutta la sua vita, non sappiamo ad esempio dove e come ha conosciuto Bellarmino, né come sia poi rientrato in patria dopo il soggiorno in Germania. Allo stesso tempo il fnale ‘aperto’ fa da contrappunto alle battute iniziali del romanzo, dove invece il motivo dominante era quello della conclusione, della fnitezza, e trova la sua ragione più profonda nella concezione stessa su cui si fonda il romanzo, per sua natura aperto verso l’infnito: il processo di maturazione e di presa di coscienza del protagonista non è giunto a compimento, ma prosegue verso l’infnito come la traiettoria dell’iperbole, poiché la perfezione poetica, di cui Diotima ho annunciato solo il germoglio, è qualcosa a cui ci si può avvicinare per gradi, ma non è mai raggiunta del tutto (ryan: «So kam ich unter die Deutschen», p. 120. Cfr. anche Böhm: «So dacht’ ich. Nächstens mehr». Die Ganzheit des Hyperionromans; Aspetsberger: Ende und Anfang von Hölderlins Roman Hyperion). I «giorni poetici» sono ancora in boccio e iniziano a manifestarsi nelle lettere a Bellarmino, ma sono ben lontani dall’essere compiuti: la missione del poeta e dell’educatore del popolo sta muovendo soltanto i primi passi, deve ancora dispiegarsi. L’ideale della poesia trascendentale rimane dunque un’aspirazione mai raggiunta, dove il poeta sperimenta costantemente il suo limite e la sua solitudine. Iperione infatti non è divenuto

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un eremita solo perché è stato bandito dalla patria dopo il fallimento della sua azione rivoluzionaria, né perché la donna amata e l’amico sono morti; è eremita perché soltanto sciogliendo tutti i legami con la vita reale nelle sue manifestazioni particolari è possibile elevarsi allo spirito poetico, che deve dissolvere il particolare nell’universale e trascendere la realtà nell’ideale.

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I materIalI preparatorI introduzione ai testi

Dormivo, o mio Callia... manoscrItto: H453 in questo manoscritto, composto da un foglio singolo vergato solo sulla prima facciata, è conservata la lettera indirizzata a callia. prima del testo, che è privo di titolo, compare una doppia data, probabilmente fttizia: «d. 18. M. [Maggio] / d. 24. M.». più avanti, prima dell’ultimo paragrafo, è inserita una citazione in francese tratta da Jean-Jacques Rousseau con un’osservazione sullo stile delle lettere, capace di rivelare lo stato d’animo di chi scrive: «Votre lettre vous dément par son style enjoué, et vous n’auriez pas tant d’esprit si vous étiez moins tranquille» (Rousseau: La nouvelle Héloïse, parte i, lettera iX, p. 50). Sulle vicende del manoscritto si veda anche Sohnle: Hölderlins kürzlich ersteigerter Brief «An Kallias». prIma pubblIcazIone Friedrich Beißner: An Kallias. Ein Aufsatz Hölderlins über Homer. in: «iduna. Jahrbuch der Hölderlin-Gesellschaft» 1 (1944), pp. 51-75 (con una riproduzione in facsimile). il progetto per il romanzo prende forma nella primavera del 1792. Secondo la ricostruzione di Maria cornelissen, la lettera a callia sarebbe il primissimo frammento di Iperione che ci è rimasto, l’unico e quindi prezioso testimone di una prima stesura concepita a Tübingen durante gli ultimi anni di studio (cfr. cronologia di Iperione). Si può supporre che questo foglio sia dunque l’inizio di una prima trascrizione in bella copia del

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romanzo, e non un saggio su Omero come aveva immaginato Friedrich Beißner in un primo momento; i numerosi elementi narrativi ed epici, qui solo accennati ma che evidentemente prevedono uno sviluppo più ampio, e l’andamento discorsivo del narrato confermerebbero l’ipotesi della studiosa (cornelissen: Hölderlins Brief an Kallias; Beißner: An Kallias. Ein Aufsatz Hölderlins über Homer; Gaier: Hölderlin. Eine Einführung, pp. 63-70). Sulla prima fase di gestazione del romanzo a Tübingen e sul suo rapporto con altri romanzi epistolari dell’epoca, tra cui in particolare il Donamar di Bouterwek, cfr. Stoelzel: Hölderlin in Tübingen und die Anfänge seines Hyperion. in questo breve passo il protagonista scrive all’amico callia, distante da lui geografcamente come sarà poi Bellarmino, e dal breve stralcio della lettera emergono già alcuni di quelli che saranno gli elementi fondamentali del romanzo: la forma epistolare, i riferimenti a platone, la venerazione per Omero e gli eroi dell’antichità greca, l’amore per una «soave creatura» che qui porta il nome di Glicera, la vergogna nel confrontare la Grecia del suo tempo con quella antica e infne il livello meta-narrativo della rifessione sull’accaduto che porta alla maturazione personale, con la conseguente scelta stilistica della narrazione retrospettiva. Quest’ultima caratteristica, in particolare, anticipa quella che sarà l’ingegnosa struttura del romanzo, in cui l’autore ricorre al capovolgimento narrativo della relazione di causa-effetto secondo un principio che aveva enunciato in una lettera all’amico neuffer, quando la prima bozza aveva ormai raggiunto le 144 pagine. in vista di un maggior coinvolgimento del lettore, infatti, l’autore vuole prima comunicare le idee e i sentimenti, e solo in un secondo momento le motivazioni psicologiche o esterne che li hanno originati. in questo modo verrà sollecitato in prima battuta il piacere estetico, e solo in seguito l’intelletto (lettera a neuffer, luglio 1793 – MA, vol. ii, pp. 498501).

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Dovrei lasciar dormire... manoscrItto: h79 prIma pubblIcazIone Adolf Beck: Diotima und ihr Haus. Briefe von Susette und Jacob Friedrich Gontard, Dokumente über sie und ihre Familie nebst einem Fragment des Hyperions. in: «Hölderlin-Jahrbuch» 9 (1955/1956), pp. 110-173 (il frammento è alle pp. 142-143). i due fogli che contengono questo frammento sono con tutta probabilità la parte fnale di una più ampia trascrizione fatta per mano di Marie Rätzer, che dal 1793 al 1797 fu dama di compagnia di Susette Gontard e istitutrice delle sue fglie. Susette, che aveva iniziato a interessarsi per Hölderlin dopo aver letto casualmente il Frammento di Iperione, di cui ludwig zeerleder le aveva inviato una trascrizione, chiama il poeta a Francoforte come precettore per il proprio fglio e segue dunque in prima persona le fasi fnali della composizione del romanzo. Ma si incuriosisce probabilmente anche per le stesure precedenti, e la sua dama di compagnia ne trascrive per lei alcune parti in base agli appunti che il poeta ancora conservava. il manoscritto fu ritrovato solo nell’aprile del 1956 dallo studioso Adolf Beck che lo pubblicò nell’«Hölderlin-Jahrbuch» insieme ad alcune lettere e ad altri materiali tratti dal lascito di Marie. il volume iii della Große Stuttgarter Ausgabe, che conteneva proprio Iperione e tutti i suoi materiali preparatori, era ormai già pronto per la stampa, tanto che Friedrich Beißner fece appena in tempo a inserire il nuovo frammento in appendice, intitolandolo Waltershäuser Paralipomenon (StA, vol. iii, pp. 577-580). Sebbene trascritto nel periodo di Francoforte, il testo sarebbe però precedente: si tratta forse dell’unico superstite dei materiali preparatori, sicuramente più ampi, che Hölderlin aveva composto fra il 1792 e il 1794 e che erano poi confuiti nel Frammento di Iperione pubblicato sulla «nuova Talia»; il poeta

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li aveva evidentemente conservati e portati con sé nello spostamento a Francoforte. le corrispondenze tra questo frammento e la successiva stesura, preparata per la rivista schilleriana, sono poche, come conferma anche una lettera all’amico neuffer, dove Hölderlin dichiara che dei suoi appunti precedenti non è rimasta quasi nemmeno una riga (lettera a neuffer, 10 ottobre 1794 – MA, vol. ii, p. 550). la situazione del protagonista è ora descritta in modo più articolato rispetto al frammento precedente: egli si presenta subito come innamorato infelice, perseguitato dall’immagine di una fanciulla divina che «va da sola per la sua strada» senza curarsi di lui; ha visto fallire tutti gli ideali della giovinezza e ora può solo «aggrapparsi a un cuore fraterno» per confdare le sue pene. nel successivo Frammento di Iperione emergerà ancora meglio il tema dell’elaborazione delle esperienze passate come via per ritrovare se stessi e riconquistare, attraverso il ricordo, un nuovo equilibrio interiore. la sofferenza inizia a delinearsi più chiaramente come la molla che fa scattare la memoria e di conseguenza la narrazione, e assumerà un ruolo sempre più signifcativo nella visione del mondo del poeta.

Frammento di Iperione prIma pubblIcazIone «neue Thalia». A cura di Friedrich Schiller, vol. iV, sezione V, 1793, pp. 181-221. Grazie all’intermediazione di charlotte von Kalb, Schiller riceve il Frammento di Iperione (il titolo è scelto dallo stesso Hölderlin) e lo pubblica subito sul penultimo numero della «nuova Talia», stampato a lipsia nel novembre del 1794 presso l’editore Georg Joachim Göschen. la rivista stava infatti accumulando un certo ritardo, sia per la decisione di Schiller di cambiare editore, passando da Göschen a cotta, sia perché Schiller stesso era molto assorbito dal lavoro alle «Horen». i testi di Hölderlin

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(oltre al frammento ci sono anche tre liriche: Il Destino, Grecia e Al Genio dell’audacia) sono quindi i benvenuti, poiché gli permettono di completare il numero e di mandarlo rapidamente in stampa. in autunno Hölderlin informa l’amico neuffer della pubblicazione e gli scrive che, oltre alle prime cinque lettere destinate alla rivista schilleriana, tutta la prima parte del romanzo è quasi terminata; poi prosegue: «l’importante passaggio dalla giovinezza alla maturità dell’uomo, dai sentimenti alla ragione, dal regno della fantasia al regno della verità e della libertà mi sembra che meriti davvero una simile, lenta gestazione» (lettera a neuffer, 10 ottobre 1794 – MA, vol. ii, pp. 548-551). Sullo sfondo di questo frammento ci sono gli studi compiuti nel periodo di Waltershausen, che lo inducono a una riorganizzazione sostanziale del progetto e a un approfondimento della sua rifessione flosofca, che si consoliderà ulteriormente grazie all’incontro con Fichte e sarà d’ora in poi una cifra costante di tutta la produzione hölderliniana, fno alle più tarde annotazioni su Sofocle. diverse lettere scritte in quei mesi documentano le letture compiute dal poeta: innanzi tutto Herder, come si vede già dalla lettera a neuffer appena citata, dove il poeta trascrive un passo dal saggio herderiano Tithon und Aurora, incentrato sul rinnovamento e ringiovanimento ciclico degli esseri. Scrivendo a Hegel riferisce che i greci e il criticismo kantiano sono le sue letture più assidue, in particolare la Critica del giudizio. la rifessione estetica sul bello e sul sublime è il flo conduttore che guida i suoi studi, il cui percorso muove dal Fedro di platone per arrivare a Kant e al saggio schilleriano Grazia e dignità. la linea di confne tracciata da Kant andava a suo parere oltrepassata, e Schiller non lo aveva fatto con suffciente determinazione; a partire dal Fedro e con l’aiuto di Herder e Schiller il poeta crede invece di aver individuato la via per compiere questo superamento, e si propone di illustrarla in un saggio, mai realizzato, sulle idee estetiche (Gaier: Hölderlin. Eine Einführung, pp. 83-87 cerca di ricostruire l’intuizione di

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Hölderlin e il suo percorso intellettuale fra le tre opere). egli intuisce cioè come superare la divisione tra soggetto e oggetto grazie alla bellezza percepibile tramite la Anschauung; dal punto di vista cosmologico questo signifca sviluppare una teoria dell’organizzazione di stampo herderiano, grazie alla quale sia possibile interpretare in modo analogico le relazioni cosmiche e quelle sociali, i modelli storici e quelli biologici. Su questa teoria Herder aveva fondato il suo ‘spinozismo’, in cui la natura basata sull’energia pura e l’amore intrinsecamente dialettico che permea il tutto erano solo espressioni diverse della stessa entità. Hölderlin si appropria di questa visione spinoziana e ne fa derivare in primo luogo la sua antropologia, psicologia e flosofa della storia, come traspare dalla breve ma densissima prefazione di questa stesura. il Frammento di Iperione passa del tutto inosservato da parte della critica, ma attira l’attenzione di ludwig zeerleder, fglio di un facoltoso banchiere di Berna e amico della famiglia Gontard, che lo trascrive e lo consegna a Susette Gontard in segno di ammirazione. Senza saperlo, egli prefgura l’avvicinamento tra la protagonista del romanzo, che qui porta ancora il nome di Melite, e la fgura reale di Susette. circa sei mesi più tardi Johann Gottfried ebel, incaricato dalla famiglia Gontard, farà da tramite e offrirà a Hölderlin un posto di precettore presso il banchiere di Francoforte. nel gennaio 1796 Hölderlin farà il suo ingresso a casa Gontard e incontrerà per la prima volta Susette.

‹Bozza in prosa per la stesura in versi› ‹Stesura in versi› manoscrItto: H58a, H35 il manoscritto in folio è suddiviso in due colonne: a sinistra vi è la bozza in prosa, sulla colonna di destra, in parallelo, la stesura in versi (vv. 1-81). i vv. 82-248 sono invece contenuti nel manoscritto H35.

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prIma pubblIcazIone Franz zinkernagel: Die Entwicklungsgeschichte von Hölderlins Hyperion. Straßburg: Trübner 1907 (Quellen und Forschungen zur Sprach- und culturgeschichte der germanischen Völker, 99), pp. 211-225. una sessantina di versi erano già stati pubblicati da carl c. T. litzmann: Hölderlinstudien. in: «Vierteljahrschrift für litteraturgeschichte» 2 (1889), pp. 407-428 (versi alle pp. 409-411). Tra la fne del 1794 e l’inizio del 1795 Hölderlin pensa a una radicale trasformazione del materiale narrativo e si cimenta in una stesura in versi, che nel manoscritto è affancata da una parallela versione in prosa. il periodo di elaborazione coincide con la sua permanenza a Jena, dove si trasferisce con il suo pupillo, il giovane Fritz von Kalb, a inizio novembre 1794; segue una visita a Weimar e, a metà gennaio, l’interruzione del suo servizio presso la famiglia von Kalb. nei mesi seguenti il poeta si trattiene comunque ancora a Jena, fno all’improvvisa partenza a fne maggio 1795 (cfr. Fahrner: Hölderlins Begegnung mit Goethe und Schiller). dal punto di vista dell’elaborazione concettuale, questa fase è segnata dall’emergere di nuovi, intensi stimoli direttamente collegati al soggiorno a Jena, dove il poeta si accostò al pensiero di Johann Gottlieb Fichte e in particolare alla sua Wissenschaftslehre. la frequenza regolare alle lezioni di Fichte scandiva il ritmo di tutta la settimana (lettera a neuffer, novembre 1794 – MA, vol. ii, pp. 552-554); a ciò si aggiunsero gli incontri con Goethe, gli stretti contatti con il flosofo niethammer, con Schiller e con l’ambiente accademico, molto vivace e coinvolto nella discussione politica (era appena uscito anche lo scritto di Fichte: Lezioni sulla missione del dotto, in cui si parlava molto dell’impegno politico e sociale del dotto). nel primo fascicolo delle «Horen» appaiono le prime lettere su L’educazione estetica dell’uomo (gennaio 1795), poco dopo la prima parte de Gli anni di apprendistato di Wilhelm Meister. un altro autore che continua a fare da sfondo offrendo alcuni spunti per la narrazione

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è Rousseau, in questo caso Les rêveries du promeneur solitaire, l’ultima opera dello scrittore ginevrino che, dopo essersi ritirato in campagna a ermenonville, riscopre il potere terapeutico della scrittura. lo scenario dell’isola dei pioppi è immediatamente richiamato dall’anziano personaggio seduto nel suo bosco di pioppi con cui si apre questa stesura, e anche l’immagine del fanciullo che gioca ai suoi piedi riprende l’argomento di una delle passeggiate descritte nell’opera, la nona. come l’iperione hölderliniano, anche il protagonista di Rousseau scrive per richiamare a nuova vita il passato, per rivivere la gioia e il dolore del ricordo; scrive per se stesso, per ricostituire la propria identità e conservarla, in mezzo al fuire della vita. Questa stesura si differenzia da tutte le precedenti in particolare riguardo alla forma, che vede l’utilizzo delle pentapodie giambiche, un metro con il quale il poeta si era già cimentato a Tübingen e in alcune lettere a neuffer e Hiller, e che utilizzerà anche nel poemetto Emilie prima del giorno del suo fdanzamento (Tutte le liriche, pp. 142-181). il tentativo di una rielaborazione in versi non sembra sia stato sviluppato oltre il brano che ci è rimasto, anche se Hölderlin non si pronuncerà mai al riguardo. un’altra caratteristica che distingue questa versione sia dalle precedenti che dalle successive è la rinuncia all’audace struttura della narrazione retrospettiva. in questa fase Hölderlin decide infatti di adottare una tecnica più tradizionale e di raccontare la vita del suo personaggio seguendo il consueto ordine cronologico; la narrazione autobiografca viene quindi collocata all’interno di una cornice, costituita dal colloquio flosofco tra l’ormai anziano iperione (che non viene però mai chiamato per nome) e un giovane visitatore/narratore, che egli prende in simpatia e al quale si propone di raccontare la propria storia. la prima parte del componimento ricalca fedelmente il testo in prosa che lo affanca, ma il frammento in prosa si interrompe alle prime battute del colloquio; nella parte in versi il dialogo prosegue, attingendo anche ai materiali delle stesure precedenti e acquisendo un’impronta sempre più flosofca.

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Giovinezza di iperione manoscrItto: H342, H268/H269, H64/H409, H270/H271 prIma pubblIcazIone August Sauer: Ungedruckte Gedichte Hölderlins. in: «Archiv für litteraturgeschichte» 13 (1885), pp. 358-387 (pp. 380-387: Die älteste Fassung des Hyperions, basato sul manoscritto H342); volume curato da Franz Schnorr von carolsfeld. Berthold litzmann (Hrsg.): Hölderlins Gesammelte Dichtungen. Stuttgart-Berlin: cotta 1896, vol. ii (erste Diotimafassung: pubblicazione di brani tratti dai manoscritti H268/H269, H64/H409 e H270/H271). Marie Joachimi-dege: Hölderlins Werke in vier Teilen. Berlin: Bong 1908, Teil ii, pp. 174-203 (pubblicazione dell’intero frammento). il convoluto con questa stesura in bella copia, conservato solo in parte, comprendeva complessivamente 72 pagine, concepite probabilmente a Jena dal gennaio al maggio 1795, quando l’improvvisa partenza determina un forte cambiamento della condizione di vita del poeta. la concezione estetica sulla quale era basato il progetto, comunque, che nella stesura in versi aveva visto consolidarsi il fondamento teorico, con il ritorno alla prosa non viene rigettata bensì ulteriormente elaborata e approfondita. come dimensioni, il testo ammonta a circa la metà rispetto alla lunghezza complessiva che Schiller aveva indicato a cotta il 9 marzo 1795, quando gli aveva suggerito la pubblicazione e lo aveva informato che a breve il romanzo sarebbe stato completato. nel gennaio 1795, infatti, nonostante la situazione personale piuttosto incerta, Hölderlin spera di potersi concentrare sul lavoro e di completare l’opera entro pasqua, quindi nel giro di due, tre mesi; da febbraio ridimensiona invece il programma e pensa di terminare almeno il primo volume. in quei mesi Hölderlin lavora anche ad alcuni piccoli contributi che aveva promesso all’amico niethammer per la sua rivista, il «philosophi-

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sches Journal»; sono tutti rimasti frammenti, ma si intravvede in essi un’intuizione flosofca profonda, per quanto ancora in fase di elaborazione, alla ricerca di conferme e vagli critici ma allo stesso tempo messa costantemente in dubbio dall’insicurezza e dalla mancanza di autostima del poeta, estremamente sensibile a qualsiasi suggestione proveniente dall’esterno. ulrich Gaier suppone che il poeta abbia deciso di abbandonare Jena proprio perché gli stimoli che riceveva dalla scena letteraria e accademica erano eccessivi e gli incontri frequenti con personaggi della levatura di Goethe, Schiller, Fichte e Herder erano troppo impegnativi e gli impedivano di concentrarsi; lo studioso ritiene però che egli abbia continuato a lavorare a questa stesura anche dopo la partenza da Jena, almeno fno ad agosto: lo confermerebbe la coincidenza tra l’uscita del saggio di Friedrich Schlegel Su Diotima (Über die Diotima, luglio/agosto 1795), e l’improvviso cambiamento di nome della protagonista femminile, che nella Giovinezza di Iperione, alla fne del quarto capitolo, non si chiama più Glicera come in precedenza, ma diotima (Gaier: Hölderlin. Eine Einführung, pp. 152-157).1 il testo non è più articolato in lettere bensì in capitoli, l’autore sembra quindi voler abbandonare la forma epistolare; nella parte iniziale si è rifatto molto da vicino alla stesura in versi, di cui si percepisce ancora la scansione giambica in molti punti. il tratto che accomuna questa stesura alla precedente e che assume man mano un ruolo centrale e sempre più defnito è l’amore, principio che insieme unisce e divide e che può essere percepito grazie all’«intuizione intellettuale». cfr. Strack: Auf der Suche nach dem verlorenen Erzähler. Zu Aufbau, Programm und Stellenwert von Hölderlins Romanfragment Hyperions Jugend.

‹penultima stesura› manoscrItto: H445, h50 (trascrizione di Karl Gock, fratellastro del poeta), H58b/H272 (trascrizione in bella copia), H48 (trascrizione rielaborata, in bella copia).

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prIma pubblIcazIone Karl Viëtor: Neue Hölderlin-Funde. in: «der schwäbische Bund» i (ottobre 1919-marzo 1920), pp. 614-620 (da H445). Berthold litzmann (Hrsg.): Hölderlins Gesammelte Dichtungen. Stuttgart-Berlin: cotta 1896, vol. ii (da h50). Franz zinkernagel: Die Entwicklungsgeschichte von Hölderlins Hyperion. Straßburg: Trübner 1907 (Quellen und Forschungen zur Sprach- und culturgeschichte der germanischen Völker, 99), pp. 226-242 (da H58b e H48). carl c. T. litzmann: Hölderlinstudien. in: «Vierteljahrschrift für litteraturgeschichte» 2 (1889), pp. 407-428 (trascrizione da H272 alle pp. 417-418). i quattro frammenti che ci sono rimasti a testimonianza di questa penultima stesura sono stati scritti nell’autunno del 1795 a nürtingen, dove il poeta era rientrato dopo il soggiorno a Jena: lo rivela uno dei manoscritti, redatto dalla mano del fratellastro Karl Gock che lo aveva evidentemente aiutato a trascrivere in bella copia il testo per poi inviarlo all’editore. le pagine numerate permettono di ricostruire con esattezza quanti fogli siano andati perduti, e si nota come il primo volume si fosse dilatato raggiungendo le 144 pagine – e non era ancora completo: Hölderlin continuò a lavorarci anche nei mesi successivi, arrivando probabilmente a duecento pagine. ciò superava ampiamente l’indicazione orientativa che Schiller aveva fornito a cotta, e questo costituirà un problema per l’editore che, dopo aver visionato il manoscritto, chiederà una revisione e un accorciamento del testo, posticipandone così la pubblicazione. il convoluto con quella che, per noi oggi, è la penultima stesura di Iperione fu spedito a cotta probabilmente prima che Hölderlin lasciasse nürtingen per recarsi a Francoforte presso la famiglia Gontard, poiché ai primi di febbraio 1796 scrive al fratello per sapere se siano giunte notizie da cotta; solo in maggio però riceve la lettera in cui l’editore sollecita una revisione e una notevole riduzione del testo (viene auspicato addirittura un solo volume), cosa che Hölderlin promette di eseguire nel

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giro di qualche settimana. non farà però nemmeno in tempo a ricevere il manoscritto che cotta gli rispedisce, poiché la guerra costringerà Susette Gontard, i fgli e i loro precettori a fuggire da Francoforte verso Kassel. l’intenzione di rielaborare velocemente il testo viene così vanifcata. in questa fase il romanzo torna alla forma epistolare come nelle prime tre stesure, con una prefazione; ricompare Bellarmino come interlocutore, anche se non viene detto di che nazionalità sia e dove si trovi geografcamente. Gli episodi centrali del racconto sono gli stessi della stesura defnitiva (la lite con Alabanda – qui ancora Adamas –, la partenza da Smirne e infne, in primavera, l’incontro con diotima), ma in questa fase il poeta torna alla concezione iniziale del romanzo anche per quanto riguarda la strategia narrativa, non soltanto per la forma: nella Prefazione, che mantiene una forte impronta teorico-flosofca, egli difende infatti il principio stilistico di una disposizione più originale di idee e avvenimenti (quella retrospettiva) e prende le distanze dalla tecnica narrativa più banale del «cronista». una spiegazione del suo nuovo ripensamento è contenuta negli Aforismi di Francoforte: «in un periodo c’è l’inversione delle parole. più grande e più effcace deve quindi essere l’inversione dei periodi stessi. la disposizione logica dei periodi, dove il fondamento (il periodo principale) è seguito dal divenire, il divenire dal traguardo, il traguardo dallo scopo, e dove le frasi secondarie sono sempre collocate dopo le frasi principali a cui si riferiscono, solo molto di rado è utile al poeta» (MA, vol. ii, pp. 57-58).

‹Bozze per la stesura defnitiva› manoscrItto: H57, H276/H410/H274/H273, H460/H393, HoK1/H424/ H346/H411, H275, H277, H278, H279, H280, H281, H282, H283, H284, H285, H287, H361, H412 Anche in questo caso il testo è trasmesso in numerosi manoscritti, alcuni dei quali sono stati spaginati nel corso del tempo

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e dispersi. per questo è molto complessa la ricostruzione della sequenza originaria, che da un’edizione critica all’altra presenta discrete variazioni. prIma pubblIcazIone di tutte le parti, anche se in diversa disposizione rispetto all’edizione di riferimento: StA, vol. iii (1957), pp. 253-289. per quanto riguarda i materiali preparatori alla stesura defnitiva del romanzo ci sono rimasti 13 frammenti, slegati l’uno dall’altro, di cui non è sempre possibile individuare il periodo di composizione. Questi testi però non costituiscono uno stadio di lavorazione ulteriore, sono bensì da considerare la trascrizione defnitiva, che per la maggior parte coincide infatti con il testo a stampa. Tra i pochi brani che non confuiranno nella versione a stampa, il più signifcativo è il cosiddetto ‘frammento di Salamina’ (pp. |605-606|). le nuove bozze nascono dall’intenzione dell’autore di accorciare e comprimere il testo che aveva in precedenza inviato a cotta (la penultima stesura). Hölderlin pensa in un primo momento di ridurre i progettati due volumi addirittura a uno solo, accogliendo così il suggerimento dell’editore, ma poi non sarà così drastico nei tagli. la revisione, del resto, non procede spedita come il poeta si era immaginato: il primo volume sarà terminato nella seconda metà del 1796, ma ci vorranno poi ancora molti mesi di lavoro, trascorsi in prevalenza a Francoforte, a casa del banchiere Gontard, prima che l’opera sia completata alla fne del 1798; e sarà un periodo denso di avvenimenti, segnato dalla fuga davanti all’incalzare della guerra e dall’amore per Susette, che diventerà il modello vivente della fgura di diotima.

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Ich schlummerte, mein Kallias... ich schlummerte, mein Kallias! und mein Schlummer war süß. Holde dämmerung lag über meinem Geiste, wie über den Seelen in platons Vorelysium. Aber der Genius von Mäonia hat mich gewekt. Halbzürnend trat er vor mich, und mein innerstes bebte wieder von seinem Aufruf. in süßer Trunkenheit lag ich am ufer unsers Archipelagus, und mein Auge waidete sich an ihm, wie er so freundlich und still mir zulächelte, und der rosenfarbne nebel über ihm wie wolmeinend die Ferne verbarg, wo du lebst, und weiterhin unsre Helden. So sanft und süß, wie die schmeichelnde Hand meiner Glycera, regte sich die frische Morgenluft an meiner Wange. ich spielt in kindlichen Träumen mit dem holden Geschöpfe. – erschöpft von glühenden phantasien, grif ich endlich zu meinem Homer. zufällig traf ich auf die Stelle, wo der kluge laërtiade, und diomedes, der wilde nach dem Schlachttag’ hingehn nach Mitternacht, durch Blut und Waffen ins lager der Feinde, wo die Thrazier ermattet von der Arbeit des Tags, ferne von den Feuern der Wächter im tiefen Schlafe liegen. diomedes wütet, wie ein zürnender löwe, unter den Schlafenden ringsumher. indeß bindet ulysses die trefichen Rosse, zu erfreulicher Beute. und räumt die leichname weg, die diomedes Schwerd traf, daß die Rosse nicht drob scheu würden, und füstert jezt dem wilden Gefährten zu, daß es zeit sei. dieser sinnt noch auf etwas kühnes. entweder will er den Wagen neben ihm, voll von

Dormivo, o mio Callia... dormivo, o mio callia,2 e il mio sonno era dolce. un soave torpore avvolgeva il mio spirito, come le anime nell’anteelisio di platone.3 Ma il genio di Meonia mi ha svegliato.4 Quasi incollerito comparve davanti a me, e il mio intimo fremette di nuovo al suo richiamo. in una dolce ebbrezza giacevo sulle rive del nostro arcipelago e il mio occhio si pasceva alla sua vista mentre mi sorrideva così amichevole e quieto, e una foschia rosata mi nascondeva, benevola, la lontananza dove tu vivi, e dove vivono anche i nostri eroi. così tenera e dolce, l’aria fresca del mattino mi sforava le guance come una carezza della mia Glicera.5 nei sogni innocenti giocavo con la soave creatura... estenuato dalle ardenti fantasie, presi infne in mano il mio Omero.6 per caso mi imbattei nel brano in cui l’astuto laertide e il selvaggio diomede, dopo un giorno di battaglia, calpestando sangue e armi si addentrano dopo mezzanotte nell’accampamento nemico dove i Traci, sfniti dalle fatiche del giorno, dormono profondamente, lontani dai fuochi delle sentinelle.7 diomede, come un leone feroce, fa strage fra i dormienti tutto intorno, mentre ulisse scioglie i magnifci cavalli, un gradito bottino. poi sposta i corpi colpiti dalla spada di diomede, affnché i cavalli non si imbizzarriscano passando loro accanto, e sussurra al selvaggio compagno che è tempo di tornare. Ma quello ha in mente ancora un altro gesto audace. Vuole sollevare e

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mancherlei Waffen, in die Höhe heben, und forttragen, oder zu den dreizehn Thraziern, die sein Schwerd traf, merere gesellen. Aber Athene tritt vor ihn und mahnt zur Rükkehr. und nun die Siegesfreude nach dem ungeheuren Wagestük! Wie sie von den Rossen springen beim freundlichen empfang der | Waffenbrüder mit Handschlag und süßer Rede! dann ins küle Meer sich stürzen, den Schweis abzubaden, und die müden Glieder zu stärken, und nun verjüngt und wolgemuth zum Schmause sich sezen, und der Beschüzerin Athene süßen Wein aus dem Kelche gießen, zum kindlichen Opfer! O mein Kallias! diß Triumpfgefül der Kraft und der Künheit! diß war auch dir bereitet, rief’s mir zu, und ich hätte mein glühendes Gesicht in der erde bergen mögen, so gewaltig ergriff mich die Schaam vor den unsern und Homeros Helden! ich bin nun entschlossen, es koste was es wolle. du müßtest sehn, wie ich der ernsten Mahnung meines Herzens gar künstlich fröliche Farben aufzwang, um sie mir erträglicher zu machen, und sie wie einen guten einfall belächeln, und vergessen zu können! |

DoRMIvo, o MIo CALLIA...

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portar via il carro lì vicino, carico di armi di ogni genere, oppure dare ai tredici traci colpiti dalla sua spada altri compagni. Ma Atena compare davanti a lui e lo ammonisce a tornare. e poi la gioia della vittoria dopo l’incredibile impresa! come saltano giù dai cavalli quando i loro compagni | li accolgono festosi con strette di mano e complimenti, poi si gettano nel mare fresco per lavare il sudore e ravvivare le membra stanche e infne, ringiovaniti e di buon umore, siedono al banchetto e versano ad Atena, la protettrice, offerta di vino dolce, sacrifcio infantile, dal calice colmo! O mio callia, quel sentimento di trionfo della forza e dell’audacia! Quello era destinato anche a te, mi fu detto, e avrei nascosto il viso infuocato nella sabbia, tanta era la vergogna che provai per i nostri eroi nel confrontarli con quelli di Omero! Ora sono deciso, costi quel che costi. dovresti vedere come ho costretto il severo proposito del mio cuore a rivestirsi di allegri colori, del tutto artifciali, per rendermelo più sopportabile, per potergli sorridere come a una buona idea, e per poter dimenticare!8 |

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Ich sollte das vergangne... ich sollte das Vergangne schlummern lassen. Aber ich weis nicht warum? das Bild des ionischen Mädchens verfolgt mich jezt öfter wie je. ich wollte dir gerne von etwas andrem schreiben, aber ich habe nichts in der Seele als die Tage die dahin sind. ich kann sie izt so ungestört begehn, die Todtenfeier meiner Jugend! Meer und erde schläft in der Schwüle des Mittags und selbst die Quelle, die sonst hier spielte, ist vertroknet. Kein lüftchen säuselt durch die zweige. ein leises Ächzen der erde wenn der brennende Strahl den Boden spaltet, hör’ ich zuweilen. Aber das stört wohl nicht! Auch giebt die cypresse, die über mir trauert, Schatten genug. – Ach! da sie mir erschienen war, und mein ungedultig Herz noch Ruhe fand in der einen Gewißheit, daß ein solches Wesen unter uns auf erden lebte, da ich sie noch dem Himmel gönnte, dem sie angehörte, und der Welt die sich verschönerte durch sie, da ich so in reiner Freude, in stiller seeliger Genügsamkeit das süße licht umschwebte – wenn ich neben ihr gieng und hörte, und von nichts mehr wußte als dem herrlichen Geist ihrer Rede und sich am ende kein Wort mehr fand für ihre Gefühle und sie schweigend niedersah erröthend vom himmlischen Feuer, und mir dann so sichtbar ward wie sie vergaß, daß ich noch um sie war – ich hätte sie um alles nicht an mich gemahnt – meine Seele fühlte nie sich göttlicher als wenn ich sie so betrachtete in ihrer heiligen Vergessenheit! – Warum konnt es nicht so bleiben? warum mußt ich an mich denken? – ich armer Thor! warum mußt ich fodern, daß das herrliche mein

Dovrei lasciar dormire... dovrei lasciar dormire il passato.9 Ma non so perché, l’immagine della fanciulla ionica mi perseguita, ora più che mai. Volentieri ti scriverei di qualche altra cosa, ma non ho null’altro nell’anima, se non i giorni che sono passati. Ora posso celebrarlo indisturbato, il funerale della mia giovinezza! Mare e terra sono assopiti nell’afa del meriggio e persino la sorgente che prima giocava qui vicino, si è prosciugata. nemmeno un alito di vento freme tra i rami; di tanto in tanto odo un lieve gemito della terra, quando il raggio infuocato spacca il terreno, ma non mi disturba. e il cipresso, che mi compiange, mi dà abbastanza ombra. Ah! Quando mi era apparsa e il mio cuore impaziente aveva trovato la pace nell’unica certezza che un essere simile viveva fra noi sulla terra, mentre io la concedevo ancora al cielo, al quale apparteneva, e al mondo che attraverso di lei diventava più bello; quando mi libravo intorno a quella dolce luce in una gioia pura, in un appagamento quieto e beato... Quando camminavo accanto a lei ascoltandola, e non percepivo null’altro se non lo spirito maestoso del suo discorso fnché non trovava più parole per esprimere i suoi sentimenti e si sedeva tacendo, arrossendo del fuoco celeste, ed era evidente che aveva dimenticato che ero con lei – per niente al mondo glielo avrei ricordato! la mia anima non si era mai sentita così divina come quando la osservavo così, in quel sacro oblio! perché non poteva rimanere così? perché dovevo pensare a me stesso? povero pazzo, perché ho preteso che il divino, che non aveva

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seyn sollte das meiner nicht bedurfte? ich sehe nun klar, wie ich ihr gar nichts war. die Welt achtete mich nie; das wäre nun wohl zu tragen! aber daß sie mich nie achtete, daß sie – man verweilt wohl auch an dem verrütteten Ruin über einem Grabe, sucht sich die unkenntliche Schrift zu deuten, weis nichts heraus zu | fnden und geht vorüber – O ich wollte ganz schweigen über meinen Schmerz – aber du wirst gern den Glauben mir gönnen, daß es wohlthätig ist, wo man sich nicht selbst helfen kann, sich an ein brüderlich Herz zu halten? – ich möchte mir so gerne sagen, daß ich sie wieder fnden werde in irgend einer fernen Welt des ewigen daseyns. – ewiges daseyn? was nenne ich so? – und sie gehet ihren Gang allein, sie eilet zum ziel die Heldin; wie sollte sie sich umsehn nach diesem und jenem? – du wirst wenig Freude mehr haben an mir. Aber zürne nicht! Was ists das nicht verwelkte? O so ein armes Wesen! wovon man nicht weis, wozu es da ist, wovon es ausgieng, wohin es wiederkehrt, ob es früher fällt oder später, was ists am ende? – – Ach! das leben ist kurz, sehr kurz. Wir leben nur Augenblike und sehn nichts denn Tod umher. es giebt noch Augenblike, wo es mich so weit über mich selbst erhebt das herrliche Gefühl, der Mensch sey nicht fürs einzelne geschaffen |

DovREI LASCIAR DoRMIRE...

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bisogno di me, dovesse essere mio?10 Ora lo capisco, non ero nulla per lei. il mondo non ha mai fatto caso a me, e questo potrei anche sopportarlo; ma che lei non facesse caso a me, che lei... ci si sofferma persino davanti alla lapide consunta su una tomba, si cerca di decifrare la scritta illeggibile, non se ne viene | a capo e si passa oltre... Vorrei proprio tacere del mio dolore, ma tu mi crederai se ti dico che, quando non si è in grado di aiutarsi da soli, fa bene aggrapparsi a un cuore fraterno. Vorrei tanto poter dire a me stesso che la ritroverò in un qualche mondo lontano di esistenza eterna. esistenza eterna? e che cos’è? invece lei va da sola per la sua strada, si affretta verso la meta, l’eroina; perché mai dovrebbe preoccuparsi di questo o di quello? Ormai ti darò ben poche gioie. Ma non arrabbiarti! che cosa non appassisce? un essere così misero di cui non si sa perché esista, da dove è venuto, dove andrà, se morirà prima o dopo, che cos’è alla fn fne? la vita è breve, brevissima. Viviamo solo di istanti e non vediamo nulla intorno a noi se non la morte. ci sono ancora degli istanti in cui mi innalza oltre me stesso lo splendido sentimento che l’uomo non sia fatto per il singolo |

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Fragment von Hyperion. es giebt zwei ideale unseres daseyns: einen zustand der höchsten einfalt, wo unsre Bedürfnisse mit sich selbst, und mit unsern Kräften, und mit allem, womit wir in Verbindung stehen, durch die bloße organisation der Natur, ohne unser zuthun, gegenseitig zusammenstimmen, und einen zustand der höchsten Bildung, wo dasselbe statt fnden würde bei unendlich vervielfältigten und verstärkten Bedürfnissen und Kräften, durch die organisation, die wir uns selbst zu geben im Stande sind. die exzentrische Bahn, die der Mensch, im Allgemeinen und einzelnen, von einem puncte (der mehr oder weniger reinen einfalt) zum andern (der mehr oder weniger vollendeten Bildung) durchläuft, scheint sich, nach ihren wesentlichen Richtungen, immer gleich zu seyn. einige von diesen sollten, nebst ihrer zurechtweisung, in den Briefen, wovon die folgenden ein Bruchstük sind, dargestellt werden. der Mensch möchte gerne in allem und über allem seyn, und die Sentenz in der Grabschrift des lojola: non coerceri maximo, contineri tamen a minimo kann eben so die alles begehrende, alles unterjochende gefährliche Seite des Menschen, als den höchsten und schönsten ihm erreichbaren zustand bezeichnen. in welchem Sinne sie für jeden gelten soll, muß sein freier Wille entscheiden. ____________________ |

Frammento di Iperione11 ci sono due ideali nella nostra esistenza: uno stato di massima semplicità, dove i nostri bisogni sono in armonia con se stessi, con le nostre forze e con tutto ciò che è in relazione con noi, mediante la semplice organizzazione della natura, senza il nostro intervento;12 e uno stato di massimo sviluppo,13 dove avverrebbe la stessa cosa anche per bisogni e forze infnitamente più diversifcati e più intensi, mediante l’organizzazione che noi stessi siamo in grado di darci. la traiettoria eccentrica14 che l’uomo, in generale e singolarmente, percorre per andare da un punto (di maggiore o minore semplicità) a un altro (di sviluppo più o meno completo), sembra essere sempre la stessa nelle sue coordinate essenziali. Alcune di queste, insieme alla loro rettifca, saranno descritte nelle lettere di cui seguono alcuni frammenti. l’uomo desidera essere in tutto e sopra a tutto, e la frase dell’epitaffo di ignazio di loyola «non coerceri maximo, contineri tamen a minimo»15 indica sia il lato pericoloso dell’uomo che pretende tutto e vuole sottomettere tutto, sia la condizione più alta e più bella che egli possa raggiungere. in quale dei due sensi essa debba valere per ciascuno, lo deciderà il suo libero arbitrio.16 ____________________ |

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zante. ich will nun wieder in mein Jonien zurük: umsonst hab’ ich mein Vaterland verlassen, und Wahrheit gesucht. Wie konnten auch Worte meiner durstenden Seele genügen? Worte fand ich überall; Wolken, und keine Juno. ich hasse sie, wie den Tod, alle die armseeligen Mitteldinge von etwas und nichts. Meine ganze Seele sträubt sich gegen das Wesenlose. Was mir nicht Alles, und ewig Alles ist, ist mir nichts. Mein Bellarmin! wo fnden wir das eine, das uns Ruhe giebt, Ruhe? Wo tönt sie uns einmal wieder, die Melodie unsers Herzens in den seeligen Tagen der Kindheit? Ach! einst sucht’ ich sie in verbrüderung mit Menschen. es war mir, als sollte die Armuth unsers Wesens Reichtum werden, wenn nur ein paar solcher Armen ein Herz, ein unzertrennbares leben würden, als bestände der ganze Schmerz unsers daseyns nur in der Trennung von dem, was zusammengehörte. Mit Freud’ und Wehmuth denk’ ich daran, wie mein ganzes Wesen dahin trachtete, nur dahin, ein herzlich lächeln zu erbeuten, wie ich mich hingab für einen Schatten von liebe, wie ich mich wegwarf. Ach! wie oft glaubt’ ich das unnennbare zu fnden, das mein, mein werden sollte, dafür, daß ich es wagte, mich selbst an das Geliebte zu verlieren! Wie oft glaubt’ ich den heiligen Tausch getroffen zu haben, und forderte nun, forderte, und da stand das arme Wesen, verlegen und betroffen, oft auch hämisch – es wollte ja nur Kurzweil, nichts so ernstes! ich war ein blinder Knabe, lieber Bellarmin! perlen wollt’ ich kaufen von Bettlern, die ärmer waren, als ich, so arm, so

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zante17 Voglio tornare nella mia ionia: invano ho lasciato la patria e cercato la verità.18 come potevano bastare delle parole alla mia anima assetata? parole ne ho trovate dovunque; solo nuvole, ma nessuna Giunone.19 li odio come la morte, tutti quei miserevoli ibridi fra il qualcosa e il niente. Tutta la mia anima si ribella a ciò che è privo di essenza. ciò che per me non è tutto, ed eternamente tutto, è nulla. Bellarmino mio, dove troveremo quell’unica cosa che ci darà pace, pace? dove sentiremo risuonare ancora una volta la melodia del cuore dei giorni beati dell’infanzia? Ahimè, una volta la cercavo nella fratellanza con gli uomini, mi sembrava che la povertà del nostro essere potesse diventare una ricchezza quando un paio di questi poveretti fossero diventati un cuore solo, una sola vita indivisibile, come se tutto il dolore della nostra esistenza consistesse nella separazione di ciò che si appartiene. con piacere e malinconia ripenso a come tutto il mio essere cercasse soltanto di conquistarsi un sorriso gentile e niente più, a come donassi me stesso per un’ombra d’amore, a come mi gettassi via. Ah, quante volte ho creduto di trovare l’indicibile e che potesse diventare mio, solo perché osavo perdere me stesso in ciò che amavo! Quante volte ho creduto di trovare una sacra corrispondenza e quindi chiedevo, chiedevo: e il poverino se ne stava là, imbarazzato e turbato, talvolta persino maligno – voleva solo divertirsi, niente cose serie! ero un ragazzino cieco, caro Bellarmino! Volevo comprare perle da mendicanti che erano più poveri di me, così

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begraben in ihr elend, daß sie nicht wußten, wie arm sie waren, und sich recht wohl gefelen in den lumpen, womit sie sich behangen hatten. Aber die mannigfaltige Täuschung drükte mich unaussprechlich nieder. ich glaubte wirklich unterzugehn. es ist ein Schmerz ohne gleichen, ein fortdaurendes Gefühl der zernichtung, wenn das daseyn so ganz seine Bedeutung verloren hat. eine unbegreifliche | Muthlosigkeit drükte mich. ich wagte das Auge nicht aufzuschlagen vor den Menschen. ich fürchtete das lachen eines Kindes. dabei war ich oft sehr still und geduldig; hatte oft auch einen recht wunderbaren Aberglauben an die Heilkraft mancher dinge. Oft konnte ich ingeheim von einem kleinen erkauften Besiztum, von einer Kahnfahrt, von einem Thale, das mir ein Berg verbarg, erwarten, was ich suchte. Mit dem Muthe schwanden auch sichtbar meine Kräfte. ich hatte Mühe, die Trümmer ehemals gedachter Gedanken zusammenzulesen; der rege Geist war veraltet; ich fühlte, wie sein himmlisch licht, das mir kaum erst aufgegangen war, sich allmählig verdunkelte. Freilich, wenn es einmal, wie mir däuchte, den lezten Rest meiner verlornen existenz galt, wenn mein Stolz sich regte, dann war ich lauter Wirksamkeit, und die Allmacht eines Verzweifelten war in mir; oder wenn sie einen Tropfen Freuden eingesogen hatte, die welke dürftige natur, dann drang ich mit Gewalt unter die Menschen, sprach, wie ein Begeisterter, und fühlte wohl manchmal auch die Thräne der Seeligen im Auge; oder wenn einmal wieder ein Gedanke, oder das Bild eines Helden in die nacht meiner Seele strahlte, dann staunt’ ich, und freute mich, als kehrte ein Gott ein in dem verarmten

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poveri, così immersi nella loro miseria da non rendersi nemmeno conto di quanto fossero poveri, e si compiacevano degli stracci con i quali si abbigliavano. Ma il molteplice inganno mi opprimeva in modo inde scrivibile. credetti veramente di morire. provi un dolore senza pari, un sentimento perdurante di annichilimento, quando l’esistenza ha perso del tutto il suo signifcato.20 uno scoramento | incomprensibile mi opprimeva, non osavo alzare gli occhi davanti agli uomini, avevo paura della risata di un bambino. Allo stesso tempo ero spesso molto taciturno e paziente, e nutrivo una stranissima fede superstiziosa nel potere taumaturgico di alcuni oggetti. Spesso, in segreto, mi aspettavo di trovare ciò che cercavo in una piccola cosa acquistata, in una traversata in barca, nella valle nascosta da un monte. con il coraggio scemavano a vista d’occhio anche le forze. Facevo fatica a mettere insieme i frammenti dei pensieri di un tempo; lo spirito vivace era invecchiato, sentivo la sua luce celeste, da poco sorta per me, oscurarsi pian piano. effettivamente, quando mi pareva che fosse in gioco l’ultimo residuo della mia esistenza perduta, quando il mio orgoglio si ridestava, allora ero estremamente attivo, c’era in me l’onnipotenza del disperato; oppure quando aveva succhiato una stilla di gioia, la natura appassita e misera, mi spingevo con foga tra gli uomini, parlavo come un esaltato, qualche volta sentivo persino negli occhi le lacrime dei beati; oppure ancora, quando un pensiero o l’immagine di un eroe tornavano a splendere nella notte della mia anima, mi stupivo e gioivo come se un dio fosse apparso in una terra impoverita, mi sentivo come se in me

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Gebiete, dann war mir, als sollte sich eine Welt bilden in mir; aber je heftiger sich die schlummernden Kräfte aufgeraft hatten, desto müder sanken sie hin, und die unbefriedigte natur kehrte zu verdoppeltem Schmerze zurük. Wohl dem, Bellarmin! wohl dem, der sie überstanden hat, diese Feuerprobe des Herzens, der es verstehen gelernt hat, das Seufzen der Kreatur, das Gefühl des verlornen paradieses. Je höher sich die natur erhebt über das Thierische, desto größer die Gefahr, zu verschmachten im lande der Vergänglichkeit! Aber eines hab’ ich dir noch mitzutheilen, brüderliches Herz! ich fürchtete mich noch vor gewissen erinnerungen, als wir uns fanden über den Trümmern des alten Roms. unser Geist gleitet so leicht aus seiner Bahn; müssen wir doch oft dem Säuseln eines Blatts entgehen, um ihn nicht zu stören in seinem stillen Geschäfte! izt kann ich wohl manchmal spielen mit den Geistern vergangner Stunden. | Mein alter Freund, der Frühling, hatte mich überrascht in meiner Finsterniß. Sonst hätt’ ich ihn noch von ferne gefühlt, wenn die erstarrten zweige sich regten, und ein lindes Wehen meine Wange berührte. Sonst hätt’ ich für jedes Weh linderung von ihm gehoft. Aber das Hoffen und Ahnden war allmählig aus meiner Seele verschwunden. izt war er da, in aller Glorie der Jugend. Mir war, als sollt’ ich doch auch wieder fröhlich werden. ich öfnete meine Fenster, und kleidete mich, wie zu einem Feste. er sollte auch mich besuchen, der himmlische Fremdling. ich sah, wie alles hinausströmte ins Freie, auf’s freundliche Meer von Smyrna, und sein Gestade. Sonderbare erwartungen regten sich in mir. ich gieng auch hinaus. da zeigte sich recht die Allmacht der natur. Fast jedes Gesicht war herzlicher; überall wurde offner gescherzt, und wo

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si ricreasse un mondo; ma quanto più impetuose le forze assopite si erano ridestate, tanto più stanche si spegnevano di nuovo e la natura insoddisfatta ricadeva in un dolore doppiamente intenso. Beato colui che l’ha superata, questa prova del fuoco del cuore, Bellarmino, beato colui che ha imparato a discernere i gemiti della creatura,21 il sentimento del paradiso perduto. Quanto più la natura si eleva al di sopra dell’animale, tanto maggiore è il pericolo di essere annientati nel paese della caducità. Ma una cosa devo ancora dirti, cuore fraterno! Avevo ancora paura di alcuni ricordi, quando ci incontrammo tra le rovine dell’antica Roma.22 il nostro spirito devia così facilmente dalla sua traiettoria, e spesso dobbiamo attutire il fruscio di una foglia per non disturbarlo nel suo silenzioso lavoro! Adesso riesco persino a giocare, qualche volta, con lo spirito delle ore trascorse. | la mia vecchia amica, la primavera, mi sorprese nella mia oscurità. Altrimenti mi sarei accorto con anticipo che i rami irrigiditi si muovevano, che un soffo leggero mi sforava la guancia. Altrimenti mi sarei aspettato da lei che alleviasse ogni mia sofferenza, ma la speranza e l’intuizione erano lentamente scomparse dalla mia anima. e ora eccola lì, in tutta la gloria della giovinezza. pensai che anch’io sarei stato di nuovo felice. Aprii le fnestre, mi vestii come per una festa: doveva venire anche da me, la celeste straniera. Vedevo come tutto si riversava all’aperto, verso il mare amichevole di Smirne, e sulla spiaggia; strane aspettative si agitavano in me. uscii. ecco che mi si mostrò tutta l’onnipotenza della natura. Quasi tutte le persone erano più allegre, dappertutto si

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man sich sonst recht feierlich begrüßt hatte, bot man sich izt die Hände. Alles verjüngte und begeisterte der herrliche süße Frühling. der Hafen wimmelte von jauchzenden Schiffen, wo Blumenkränze wehten, und chierwein blinkte, die Myrthenlauben tönten von fröhlichen Melodien, und Tanz und Spiel durchrauschte die ulmen und platanen. Ach! ich suchte mehr, als das. das konnte nicht vom Tode retten. unwillkührlich, verloren in meinem Gram, kam ich in den Garten des Gorgonda notara, meines Bekannten. – ein Rauschen aus einem Seitengange störte mich auf. – Ach! mir – in diesem schmerzlichen Gefühl meiner einsamkeit, mit diesem freudeleeren blutenden Herzen – erschien mir Sie; hold und heilig, wie eine priesterin der liebe stand sie da vor mir; wie aus licht und duft gewebt, so geistig und zart; über dem lächeln voll Ruh’ und himmlischer Güte thronte mit eines Gottes Majestät ihr großes begeistertes Auge, und, wie Wölkchen ums Morgenlicht, wallten im Frühlingswinde die goldnen loken um ihre Stirne. Mein Bellarmin! könnt’ ich dir’s mittheilen, ganz und lebendig, das unaussprechliche, das damals vorgieng in mir! – Wo waren nun die laiden meines lebens, seine nacht und Armuth? die ganze dürftige Sterblichkeit? | Gewiß, er ist das höchste und seeligste, was die unerschöpfliche natur in sich faßt, ein solcher Augenblik der Befreiung! er wiegt Aeonen unsers pfanzenlebens auf. Todt war mein irrdisches leben, die zeit war nicht mehr, und entfesselt und auferstanden fühlte mein Geist seine Verwandtschaft und seinen ursprung. Jahre sind vorüber; Frühlinge kamen und giengen; manch herrlich Bild der natur, manche Reliquie deines italiens, aus himmlischer phantasie hervorgegangen, erfreute mein Auge;

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scherzava cordialmente e chi prima si salutava a rispettosa distanza, ora si stringeva la mano. la dolce, splendida primavera ringiovaniva ed entusiasmava tutti. il porto brulicava di barche in festa con corone di fori nel vento, il vino di chio scintillava, i cespugli di mirto risuonavano di allegre melodie, giochi e balli riempivano di ebbrezza olmi e platani. Ma io cercavo di più! Quello non poteva salvare dalla morte. Senza accorgermene, assorto nella mia miseria, mi ritrovai nel giardino di Gorgonda notara, un mio conoscente. un fruscio su un sentiero laterale mi fece sussultare. Ah, mi apparve – in quel sentimento doloroso della mia solitudine, con quel cuore sanguinante e svuotato di ogni gioia – mi apparve lei; soave e sacra, come una sacerdotessa dell’amore,23 eccola davanti a me; come intessuta di luce e di profumo, così eterea e dolce; sopra un sorriso pieno di pace e di bontà celestiale troneggiavano con la maestà di un dio occhi grandi e splendenti, e i riccioli dorati le ondeggiavano sulla fronte, nella brezza della primavera, come nuvolette alla luce dell’alba. Mio caro Bellarmino, come potrei descriverti in modo esaustivo ed effcace l’indescrivibile che accadde in me? dov’erano mai i dolori della vita, la notte e la povertà, e tutta la miseria mortale? | certo, è la cosa più alta e più felice che la natura inesauribile racchiude in sé, un simile attimo di liberazione! compensa eoni della nostra vita vegetale. la mia vita terrena era morta, il tempo non esisteva più, e liberato e risorto il mio spirito percepiva la sua origine e la sua affnità. Sono passati anni, le primavere sono andate e venute, qualche splendida immagine della natura, qualche reliquia della tua italia, emersa da una celeste fantasia, ha rallegra-

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aber das meiste verwischte die zeit; nur ihr Bild ist mir geblieben, mit allem, was mit ihm verwandt ist. noch steht sie da vor mir, wie in dem heiligen trunknen Momente, da ich sie fand; ich press’ es an mein glühendes Herz das süße phantom; ich höre ihre Stimme, das lispeln ihrer Harfe; wie ein friedlich Arkadien, wo Blüthe und Saat in ewig stiller luft sich wiegt, wo ohne des Mittags Schwüle die erndte reift, und die süße Traube gedeiht, wo keine Furcht das sichere land umzäunt, wo man von nichts weis, als von dem ewigen Frühling der erde, und dem wolkenlosen Himmel und seiner Sonne, und seinen freundlichen Gestirnen, so stehet es offen da vor mir, das Heiligtum ihres Herzens und Geistes. Melite! o Melite! himmlisches Wesen! ich möchte wohl wissen, ob sie meiner noch zuweilen gedächte. Sie bedauert mich vieleicht. ich werde sie wiederfnden, in irgend einer periode des ewigen daseyns. Gewiß! was sich verwandt ist, kann sich nicht ewig fiehen. Ach! der Gott in uns ist immer einsam und arm. Wo fndet er alle seine Verwandten? die einst da waren, und da seyn werden? Wenn kömmt das große Wiedersehen der Geister? denn einmal waren wir doch, wie ich glaube, alle beisammen. Gute nacht, Bellarmin, gute nacht! Morgen werd’ ich ruhiger erzählen.

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zante. der Abend jenes Tages meiner Tage ist mir mit allem, was ich noch gewahr ward in meiner Trunkenheit, unvergeßlich. Mir war er das schönste, was der Frühling der erde geben kann, und | der Himmel und sein licht. Wie eine Glorie der Heiligen, umfoß Sie das Abendroth, und die zarten goldnen Wölkchen

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to i miei occhi, ma il tempo ha cancellato quasi tutto; solo la sua immagine mi è rimasta, e tutto ciò che le è collegato. la vedo ancora davanti a me, come nel sacro momento di estasi in cui la vidi la prima volta; stringo al cuore ardente quel dolce fantasma, sento la sua voce, il sussurro della sua arpa. come una pacifca Arcadia, dove i fori e le messi si cullano nell’aria eternamente quieta, dove il raccolto matura senza l’afa del mezzogiorno e i dolci grappoli prosperano, dove la terra è sicura e non circondata da paura,24 dove non si conosce nulla oltre all’eterna primavera della terra, al cielo senza nuvole con il sole e le stelle benigne: così si apre davanti a me il santuario del suo cuore e del suo spirito. Melite, Melite, creatura celeste!25 Mi piacerebbe sapere se ogni tanto pensa ancora a me. Forse mi compiange. la ritroverò, in una qualche epoca dell’esistenza eterna: certo, gli affni non possono sfuggirsi in eterno. il dio che c’è in noi26 è sempre solitario e povero. dove troverà tutti i suoi affni, quelli che furono e quelli che saranno? Quando verrà il grande momento in cui gli spiriti si ritroveranno? perché una volta eravamo, ne sono certo, tutti insieme. Buonanotte, Bellarmino, buonanotte! domani ti racconterò con maggior tranquillità.27

zante la sera del migliore fra tutti i miei giorni, con tutto ciò che riuscii a percepire nella mia ebbrezza, rimase indimenticabile. per me fu ciò che di più bello potessero darmi la primavera della terra, | il cielo e la sua luce. come l’aureola dei santi la avvolgeva il rosso della sera, e le tenere nuvo-

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im Aether lächelten herunter, wie himmlische Genien, die sich freuten über ihre Schwester auf erden, wie sie unter uns einhergieng in aller Herrlichkeit der Geister, und doch so gut, und freundlich war gegen alles, was um sie war. Alles drängte sich an sie. Allen schien sich ein Theil ihres Wesens mitzutheilen. ein neuer zarter Sinn, eine süße Traulichkeit war unter alle gekommen, und sie wußten nicht, wie ihnen geschah. Ohne zu fragen, erfuhr ich, sie komme von den ufern des pactols, aus einem einsamen Thale des Tmolus, wohin ihr Vater, ein sonderbarer Mann, aus Verdruß über die izige lage der Griechen sich schon gar lange von Smyrna weg begeben hätte, um dort seines fnstern Grams zu pfegen, und ihre Mutter, ehemals die Krone von Jonien, sey eine Verwandte des Gorgonda notara. notara bat uns, den Abend mit ihm unter seinen Bäumen zuzubringen, und, so, wie wir izt gestimmt waren, dachte keines gerne an ein Auseinandergehen. Allmählig kam immer mehr leben und Geist unter uns. Wir sprachen viel von den herrlichen Kindern des alten Joniens, von Sappho und Alcäus, und Anakreon, sonderlich von Homer, seinem Grabe zu nio, von einer nahen Felsengrotte, am ufer des Meles, wo der Herrliche manche Stunde der Begeisterung gefeiert haben soll, und manchem andern; wie neben uns die freundlichen Bäume des Gartens, wo vom Hauche des Frühlings gelöst, die Blüthen auf die erde reegneten, so theilten unsre Gemüther sich mit; jedes nach seiner Art, und auch die Ärmsten gaben etwas. Melite sprach manch himmlisches Wort, kunstlos, ohne alle Absicht, in lautrer heiliger einfalt. Oft wenn ich sie sprechen hörte, felen mir die Bilder des dädalus ein, von denen pausanias sagt, ihr Anblik habe bei all ihrer einfachheit etwas Göttliches gehabt.

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lette dorate nell’etere le sorridevano come geni celesti che gioiscono per la sorella sulla terra, che cammina fra noi in tutto lo splendore degli spiriti, così buona e amorevole verso tutto ciò che la circonda. Tutto si accalcava verso di lei, a tutti sembrava trasmettere una parte del suo essere. una nuova tenerezza, una dolce confdenza si era diffusa fra tutti, senza che sapessimo cosa stava accadendo. Senza chiedere, venni a sapere che veniva dalle rive del pattolo, da una valle sperduta del Tmolo, dove suo padre, un uomo fuori dal comune, contrariato per l’attuale condizione dei greci, si era ritirato tempo fa andandosene da Smirne per coltivare là il suo cupo sconforto, mentre la madre, un tempo perla della ionia, era una parente di Gorgonda notara. notara ci invitò a trascorrere la serata con lui, sotto gli alberi, e con l’atmosfera che si era creata nessuno era incline ad andarsene. Man mano c’erano sempre più vita, più spirito tra noi. parlammo a lungo degli illustri fgli dell’antica ionia, di Saffo e Alceo, di Anacreonte,28 soprattutto di Omero e della sua tomba a nio, di una grotta lì vicino, sulle rive del Mele, dove il magnifco deve aver celebrato qualche ora ispirata,29 e di altro ancora; come gli alberi gentili del giardino, scossi dal soffo della primavera, facevano piovere sulla terra i loro fori, così i nostri animi comunicavano tra loro, ognuno a suo modo, e anche i più poveri donarono qualcosa. Melite disse parole celestiali, spontanee, senza alcuna premeditazione, con pura, sacra semplicità. Spesso, sentendola parlare, mi venivano in mente le immagini di dedalo, di cui pausania riferisce che guardandole, in tutta la loro semplicità, avevano qualcosa di divino.30

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lange saß ich stumm, und verschlang die himmlische Schönheit, die, wie Strahlen des Morgenlichts, in mein inneres drang, und die erstorbenen Keime meines Wesens ins leben rief. | Man sprach endlich auch von so manchen Wundern griechischer Freundschaft, von den dioskuren, von Achill und patroklus, von der phalanx der Sparter, von all’ den liebenden und Geliebten, die auf und untergiengen über der Welt, unzertrennlich, wie die ewigen lichter des Himmels. da wacht’ ich auf. Wir sollten davon nicht sprechen, rief ich. Solche Herrlichkeit zernichtet uns Arme. Freilich waren es goldne Tage, wo man die Waffen tauschte, und sich liebte bis zum Tode, wo man unsterbliche Kinder zeugte in der Begeisterung der liebe und Schönheit, Thaten für’s Vaterland, und himmlische Gesänge, und ewige Worte der Weisheit, ach! wo der Aegyptische priester dem Solon noch vorwarf, »ihr Griechen seid alle zeit Jünglinge!« Wir sind nun Greise geworden, klüger, als alle die Herrlichen, die dahin sind; nur Schade, daß so manche Kraft verschmachtet in diesem fremden elemente! Vergiß das zum wenigsten für heute, Hyperion! rief notara; und ich gab ihm recht. Melite’s Auge ruhte so ernst und groß auf mir. Wer hätte nicht alles vergessen. Auf dem Wege nach der Stadt kam ich an ihre Seite. ich drükte die Arme mit Macht gegen mein schauderndes Herz. ich zwang den verwirrenden Tumult in mir, daß ich sprechen konnte. O mein Bellarmin! Wie ich sie verstand, und wie sie das freute! wie ein zufällig Wörtchen von ihr eine Welt von Gedanken in mir hervorrief! Sie war ein wahrer Triumph der Geister über alles Kleine und Schwache, diese stille Vereinigung unsers denkens, und dichtens.

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A lungo sedetti muto, assorbendo avidamente la bellezza celestiale che penetrava nel mio intimo come la luce dell’alba, richiamando alla vita i germogli moribondi del mio essere. | parlammo infne anche delle meraviglie dell’amicizia greca, dei dioscuri, di Achille e patroclo, della falange degli spartani,31 di tutti coloro che hanno amato e sono stati amati, che sono sorti e tramontati sul mondo, inseparabili come le luci eterne del cielo. A quel punto mi risvegliai. «non dovremmo parlarne», esclamai. «una tale grandezza distrugge noi, così meschini. davvero, era un’epoca d’oro quando si scambiavano le armi32 e ci si amava fno alla morte, quando si generavano fgli immortali nell’esaltazione dell’amore e della bellezza, gesta patriottiche, canti divini e parole di saggezza eterna! Quando il sacerdote egiziano poteva rimproverare Solone: “voi greci siete sempre fanciulli!” Ora siamo diventati vecchi, più esperti di tutti i grandi che sono esistiti;33 ma peccato che la nostra forza languisca in questo elemento estraneo». «non pensarci, almeno per oggi, iperione!» disse notara, e gli diedi ascolto. Gli occhi di Melite, grandi e seri, si erano posati su di me: chi poteva pensare ad altro? Sulla via verso la città mi misi accanto a lei. Strinsi con forza le braccia sul cuore tremante, cercai di placare il tumulto caotico dentro di me per poter parlare. Mio caro Bellarmino, come la capivo, e come se ne rallegrava! una sua parola qualsiasi richiamava in me un mondo di pensieri, era un vero trionfo degli spiriti sopra tutto ciò che è piccolo e debole, quella silenziosa unione del nostro pensare e poetare.

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An notaras Hause schieden wir. ich taumelte fort in rasender Freude, schalt und lachte über den Kleinmuth meines Herzens in den vergangenen Tagen, und sah mit nahmenlosem Stolze auf meine alten laiden zurük. Wie ich aber nun nach Hause kam, und vor die offnen Fenster trat, und meine verwilderten, und halb verdorrten Blumen, und hinaufsah zu der verfallnen Burg von Smyrna, die vor mir lag im dämmernden lichte, wie sonderbar überfel mich das alles! Ach! da war ich ehmals so oft gestanden um Mitternacht, wenn ich den Schlaf nicht fnden konnte auf meinem einsamen lager, | und hatte den Trümmern aus beßrer zeit, und ihren Geistern meinen Jammer geklagt! izt war er wiedergekehrt, der Frühling meines Herzens. izt hatt’ ich, was ich suchte. ich hatt’ es wiedergefunden in der himmlischen Grazie Melites. es tagte wieder in mir. das hohe Wesen hatte meinen Geist aus seinem Grabe gerufen. Aber was ich war, war ich durch sie. die Gute freute sich über dem lichte, das in mir leuchtete, und dachte nicht, daß es nur der Wiederschein des ihrigen war. ich fühlte nur zu bald, daß ich ärmer wurde, als ein Schatten, wenn sie nicht in mir, und um mich, und für mich lebte, wenn sie nicht mein ward; daß ich zu nichts ward, wenn sie sich mir entzog. es konnte nicht anders kommen, ich mußte mit dieser Todesangst jede Miene, und jeden laut von ihr befragen, ihrem Auge folgen, als wollte mir mein leben entfiehen, es mochte gen Himmel sich wenden, oder zur erde; o Gott! es mußte ja ein Todesbote für mich seyn, jedes lächeln ihres heiligen Friedens, jedes ihrer Himmelsworte, das mir sagte, wie ihr an ihrem, ihrem Herzen genüge: Sie mußte ja über mich kommen, diese Verzweifung, daß das Herrliche, was ich liebte, so herrlich war, daß es mein nicht bedurfte. Verzeih’ es mir die Heilige! oft fucht’ ich der Stunde, wo ich sie fand, und raste im Geiste gegen das himmli-

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Alla casa di notara ci separammo. io proseguii barcollando impazzito di gioia, mi arrabbiavo e ridevo per il mio animo pusillanime dei giorni andati, e guardavo alle mie vecchie pene con indicibile orgoglio. Quando arrivai a casa e dalla fnestra aperta vidi i fori incolti e rinsecchiti, e alzai lo sguardo verso la rocca in rovina di Smirne, davanti a me nella luce del tramonto, come mi sembrò tutto strano! Ah, quante volte l’avevo guardata verso mezzanotte, quando non riuscivo a prender sonno sul mio giaciglio solitario, | e avevo innalzato il mio lamento alle rovine di tempi migliori, e ai loro spiriti! Ora era tornata, la primavera del mio cuore. Ora avevo ciò che cercavo, lo avevo ritrovato nella grazia celeste di Melite. in me faceva di nuovo giorno, quell’essere sublime aveva richiamato dalla tomba il mio spirito. Ma quello che ero, lo ero grazie a lei. Benevola si rallegrava della luce che vedeva brillare in me e non pensava che era solo un rifesso della sua. Mi accorsi ben presto che sarei diventato più povero di un’ombra se lei non fosse vissuta in me, intorno a me, per me, se non fosse diventata mia; che sarei diventato un nulla, se lei mi si fosse negata. non riuscivo a fare diversamente, con questa angoscia mortale spiavo ogni sua espressione, ogni parola, seguivo i suoi occhi che guardavano verso il cielo, o verso terra, come se mi sfuggisse la vita; o dio, ogni sorriso nella sua sacra pace, ciascuna delle sue parole celestiali che mi rivelava come il suo cuore bastasse a se stesso, erano per me messaggeri di morte: mi sopraffaceva la disperazione vedendo che la donna meravigliosa che amavo era così meravigliosa da non aver bisogno di me. che la santa mi perdoni! Spesso maledicevo l’ora in cui l’avevo incontrata, e mi infuriavo dentro di me contro quella creatura celeste

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sche Geschöpf, daß es mich nur darum ins leben gewekt hätte, um mich wieder niederzudrüken mit seiner Hoheit. Kann so viel unmenschliches in eines Menschen Seele kommen? __________________

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pyrgo in Morea. Schlummer und unruhe, und manche andre seltsame erscheinung, die halb sich bildete in mir, und verschwand, ließen indeß nichts, was ich dir mittheilen wollte, zur Sprache kommen. Oft hab’ ich schöne Tage. dann lass’ ich mein innres walten, wie es will, träumen und sinnen, lebe meist unter freiem Himmel, und die heiligen Höhn und Thale von Morea stimmen oft recht freundlich in die reineren Töne meiner Seele. Alles muß kommen, wie es kömmt. Alles ist gut. ich sollte das Vergangne schlummern lassen. Wir sind nicht für’s einzelne, | Beschränkte geschaffen. nicht wahr, mein Bellarmin? Mir wuchs ja nur darum kein Arkadien auf, daß das dürftige, das in mir denkt und lebt, sich ausbreiten sollte, und das unendliche umfassen. – das möcht’ ich auch, o das möcht’ ich! zernichten möcht’ ich die Vergänglichkeit, die über uns lastet, und unsrer heiligen liebe spottet, und wie ein lebendigbegrabner sträubt sich mein Geist gegen die Finsterniß, worinn er gefesselt ist. ich wollte erzählen. ich will es thun. Von außen stört mich nichts in meinen erinnerungen. Meer und erde schläft in der Schwüle des Mittags, und selbst die Quelle, die sonst hier unter mir rieselte, ist vertroknet. Kein lüftchen säuselt durch die zweige. ein leises Ächzen der erde, wenn der brennende Strahl den Boden spaltet, hör’ ich zuweilen. Aber das stört wohl nicht. Auch giebt die cypresse, die über mir trauert, Schatten genug. der Abend, da ich von ihr gieng, hatte mit der nacht gewechselt, und die nacht mit dem Tage; aber für mich nicht. in mei-

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che mi aveva richiamato alla vita solo per schiacciarmi di nuovo con la sua grandezza. può diventare tanto disumana l’anima di un uomo? __________________ pirgo, Morea34 Torpore e inquietudine, e altri strani sintomi che si sono manifestati dentro di me per poi scomparire, non mi hanno permesso di mettere per iscritto nulla di ciò che volevo raccontarti. Spesso ho dei giorni positivi, in cui lascio dominare a suo piacimento il mio intimo, lo lascio sognare e meditare; allora vivo per lo più all’aperto, e le sacre vette e le valli della Morea molto spesso si intonano gentili con le note più pure della mia anima. Accada quel che deve accadere, tutto è bene.35 dovrei lasciar dormire il passato. non siamo fatti per il singolo, | per il limitato, non è vero, Bellarmino? non è cresciuta un’Arcadia dentro di me solo perché la miseria che pensa e vive in me potesse espandersi e abbracciare l’infnito. Ma lo vorrei, come lo vorrei! Vorrei distruggere la caducità che grava sopra di noi e si burla del nostro sacro amore, e come sepolto vivo il mio spirito si ribella contro l’oscurità che lo incatena. Volevo raccontare, ora lo faccio. dall’esterno nulla disturba i miei ricordi. il mare e la terra dormono nell’afa del meriggio, e persino la sorgente che di solito mormorava qui vicino, si è prosciugata. nemmeno un alito di vento freme tra i rami, a tratti odo un lieve gemito della terra, quando il raggio infuocato spacca il terreno. Ma questo non mi disturba, e il cipresso, che mi compiange, mi dà abbastanza ombra. dopo che mi allontanai da lei, la sera aveva ceduto il passo alla notte, e la notte al giorno, ma non per me. nella

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nem leben war kein Schlaf und kein erwachen mehr. es war nur ein Traum von ihr, ein seeliger schmerzlicher Traum; ein Ringen zwischen Angst und Hoffnung. endlich gieng ich hin zu ihr. ich erschrak, wie sie nun vor mir stand, so ganz anders, als in mir es aussah, so ruhig und seelig, in der Allgenügsamkeit einer Himmlischen. ich war verwirrt und sprachlos. Mein Geist war mir entfohen. ich glaube nicht, daß sie es ganz bemerkte, wie sie überhaupt bei all’ ihrer himmlischen Güte nicht sehr genau darauf zu achten schien, was um sie vorgieng. Sie hatte Mühe, mich dahin zurükzubringen, wo wir den Abend zuvor geendet hatten. endlich regte sich doch hie und da ein Gedanke in mir, und schloß sich fröhlich an die ihrigen an. Sie wußte nicht, wie unendlich viel sie sagte, und wie ihr Bild zum Überschwenglichen sich verherrlichte, wenn das Hohe ihrer Gedanken an ihrer Stirne sich offenbarte, und der königliche Geist sich vereinigte mit der Huld des arglosen allliebenden Herzens. es war als träte die Sonne hervor im freundlichen Aether, oder als stiege ein Gott hernieder zu einem unschuldigen Volke, wenn das Selbstständige, das Heilige neben ihrer Grazie sichtbar ward. | So lang ich bei ihr war, und ihr begeisterndes Wesen mich emporhub über alle Armuth der Menschen, vergaß ich oft auch die Sorgen und Wünsche meines dürftigen Herzens. Aber wenn ich weg war, dann verbarg ich’s mir umsonst, dann klagt’ es laut auf in mir, sie liebt dich nicht! ich zürnte und kämpfte. Aber mein Gram lies nicht ab von mir. Meine unruhe stieg von Tage zu Tage. Je höher und mächtiger ihr Wesen über mir leuchtete, desto düstrer und verwilderter ward meine Seele. Sie schien mir endlich auszuweichen. Auch ich beschloß, sie nimmer zu sehen und hatt’ es auch wirklich unter nahmenloser peinigung meinem Herzen abgetrozt, daß ich einige Tage wegblieb.

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mia vita non esistevano più né il sonno né la veglia. era tutto un sogno di lei, un sogno beato e doloroso, una lotta tra la paura e la speranza. infne andai da lei. Mi spaventai, quando me la trovai davanti, così diversa da quello che si agitava in me, così serena e felice nell’autosuffcienza della divinità.36 Rimasi confuso e senza parole, lo spirito mi aveva abbandonato. non credo che se ne accorgesse, poiché nella sua bontà celestiale non sembrava prestare molta attenzione a ciò che le accadeva intorno. con fatica cercò di riportarmi dove ci eravamo interrotti la sera prima. Finalmente si destò in me qualche sporadico pensiero, e si unì felicemente ai suoi. non sapeva di dire infnitamente tanto e come il suo aspetto si trasfgurasse nel trasporto, quando la maestosità dei pensieri le si rivelava sulla fronte e lo spirito regale si univa alla soavità del suo cuore innocente e appassionato. era come se spuntasse il sole nell’etere sereno, era come se un dio scendesse quaggiù fra un popolo innocente, quando insieme alla sua grazia si manifestava l’assoluto, il sacro. | Finché ero con lei e il suo essere mi entusiasmava sollevandomi al di sopra delle miserie degli uomini, dimenticavo spesso anche le preoccupazioni e i desideri del mio povero cuore. Ma quando me ne andavo era inutile nascondermelo, allora si lamentava forte dentro di me: non ti ama! Mi infuriavo e lottavo, ma il tormento non mi lasciava, la mia inquietudine cresceva di giorno in giorno. Quanto più alto e potente splendeva il suo essere sopra di me, tanto più cupa e scontrosa diveniva la mia anima. Alla fne cominciò a evitarmi. Anch’io decisi di non rivederla più e con una sofferenza indicibile costrinsi effettivamente il mio cuore a restarle lontano alcuni giorni.

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um diese zeit begegnete mir, da ich eben von der einöde des Korax zurükkehrte, wohin ich vor Tagesanbruch hinausgegangen war, notara mit seinem Weibe. er sagte mir, daß sie zu einem benachbarten Verwandten geladen wären, und auf den Abend wieder da zu seyn gedenken. Melite, sezte er hinzu, sey zu Hause geblieben; die fromme Tochter müsse Briefe schreiben an Vater und Mutter. Alle meine niedergedrükten Wünsche erwachten wieder. einen Augenblik darauf ermannt’ ich mich zwar, und sagte dem Sturm in mir, daß ich heute gerade sie schlechterdings nicht sehen wolle, gieng aber doch an ihrem Hause vorüber, gedankenlos und zitternd, als hätt’ ich einen Mord im Sinne. darauf zwang ich mich nach Hause, schloß die Thüre ab, warf die Kleider von mir, schlug mir, nachdem meine Wahl ziemlich lange gezögert hatte, den Ajax Mastigophoros auf, und sah hinein. Aber nicht eine Sylbe nahm mein Geist in sich auf. Wo ich hinsah, war ihr Bild. Jeder Fußtritt störte mich auf. unwillkührlich, ohne Sinn sagt’ ich abgerissene Reden vor mich hin, die ich aus ihrem Munde gehört hatte. Oft strekt’ ich die Arme nach ihr aus, oft foh ich, wenn sie mir erschien. endlich ergrimmt’ ich über meinen Wahnsinn, und sann mit ernst darauf, es von Grund aus zu vertilgen, dieses tödtende Sehnen. Aber mein Geist versagte mir den dienst. dafür schien es, als drängen sich falsche dämonen mir auf, und böten mir zaubertränke dar, mich vollends zu verderben mit ihren höllischen Arzneien. | ermattet von dem wüthenden Kampfe sank ich endlich nieder. Mein Auge schloß sich, meine Brust schlug sanfter, und, wie der Bogen des Friedens nach dem Sturme, gieng ihr ganzes himmlisches Wesen wieder auf in mir. der heilige Frieden ihres Herzens, den sie mir oft auf Augenblike mitgetheilt hatte durch Red’ und Miene, daß mir’s ward, als wandelte ich wieder im verlassenen paradiese der Kindheit, ihre fromme Scheue, nichts zu entweihen durch übermüthigen

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proprio allora, mentre tornavo dal deserto del corax, dove mi ero recato prima dell’alba, mi capitò di incontrare notara con la moglie. Mi disse che erano stati invitati da un parente nei dintorni, e sarebbero rientrati in serata. Melite, aggiunse, era rimasta a casa, la fglia devota doveva scrivere lettere al padre e alla madre. Tutti i desideri sopiti si ridestarono. un attimo dopo cercai di padroneggiarmi e dissi alla tempesta dentro di me che proprio quel giorno non volevo vederla, ma ciononostante passai davanti alla sua casa, svuotato e tremante, come se stessi meditando un omicidio. poi mi costrinsi ad andare a casa, sprangai la porta, mi svestii, e dopo aver indugiato a lungo nella scelta, presi Aiace Mastigoforo e lo aprii.37 Ma il mio spirito non tratteneva nemmeno una sillaba. dovunque guardassi, c’era lei, ogni rumore di passi mi disturbava. Senza accorgermene, ripetevo fra me e me spezzoni senza senso dei discorsi che le avevo sentito fare. Spesso tendevo le braccia verso di lei, per poi ritrarmi quando mi appariva. Alla fne mi indispettii per la mia follia e pensai seriamente di estirparla fn dalla radice, quella nostalgia mortale. Ma il mio spirito non resse. era come se falsi demoni si fossero impadroniti di me e mi offrissero fltri magici per annientarmi completamente con i loro infernali medicamenti. | Sfnito per la lotta furibonda, mi accasciai. Gli occhi si chiusero, il cuore rallentò il battito, e il suo essere celestiale sorse nuovamente dentro di me come l’arco dell’alleanza dopo la tempesta.38 la sacra pace del cuore che, per qualche istante, riusciva a trasmettermi con le parole o il volto, e che mi faceva credere di vagare ancora nel paradiso perduto dell’infanzia; il suo devoto pudore nel non profanare, con uno

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Scherz oder ernst, wenn es nur ferne verwandt war mit Schönem und Gutem, ihre anspruchlose Gefälligkeit, ihr Geist mit seinen königlichen idealen, woran ihre stille liebe so einzig hieng, daß sie nichts suchte und nichts fürchtete in der Welt – alle die lieben, seelenvollen Abende, die ich zugebracht hatte mit ihr, ihre Stimme und ihr Saitenspiel, jeder Reiz ihrer Bewegung, die, wo sie stand und gieng, nur sie – ihre Güte und ihre Größe bezeichnete; ach! das alles und mehr ward so lebendig in mir. und diesem himmlischen Geschöpfe zürnt’ ich? und warum zürnt’ ich ihr? Weil sie nicht verarmt war, wie ich, weil sie den Himmel noch im Herzen trug, und nicht sich selbst verloren hatte, wie ich, nicht eines andern Wesens, nicht fremden Reichtums bedurfte, um die verödete Stelle auszufüllen, weil sie nicht unterzugehen fürchten konnte, wie ich, und sich mit dieser Todesangst an ein anderes zu hängen, wie ich; ach! gerade, was das göttlichste an ihr war, diese Ruhe, diese himmlische Genügsamkeit hatt’ ich gelästert mit meinem unmuth, mit unedlem Groll sie um ihr paradies beneidet. durfte sie sich befassen mit solch einem zerrütteten Geschöpfe? Mußte sie mich nicht fiehen? Gewiß! ihr Genius hatte sie gewarnt vor mir. das alles gieng mir, wie ein Schwerd, durch die Seele. ich wollte anders werden. O! ich wollte werden, wie sie. ich hörte schon aus ihrem Munde das Himmelswort der Vergebung, und fühlte mit tausend Wonnen, wie es mich umschuf. So eilt’ ich zu ihr. Aber mit jedem Schritte ward ich unruhiger. Melite erblaßte, wie ich hereintrat. diß brachte mich vollends aus der Fassung. doch war mir das gänzliche Verstummen von beiden Seiten, so kurz es dauerte, zu schmerzhaft, als daß ich es nicht mit aller Macht zu brechen versucht hätte. |

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scherzo o con serietà presuntuosa, nulla che fosse anche solo lontanamente imparentato con la bellezza e la bontà; il suo garbo modesto, il suo spirito con i suoi ideali regali ai quali si aggrappava con silenzioso attaccamento, tanto da non farle cercare né temere nulla al mondo; tutte le serate dolci e intense trascorse con lei, la sua voce e il suono della sua cetra, il fascino di ogni suo movimento dovunque fosse o andasse – tutto ciò indicava la sua bontà e la sua grandezza. Ah, tutto questo e altro ancora tornò a vivere dentro di me. e con quella creatura celeste ero in collera? e perché ero in collera con lei? perché non si era immiserita come me, perché aveva ancora il cielo nel cuore e non aveva smarrito se stessa come me, perché non aveva bisogno di un altro né di ricchezze altrui per colmare uno spazio vuoto, perché non temeva di sprofondare come me, tanto da aggrapparsi a un altro essere con questa angoscia mortale, come accadeva a me. Ah, proprio ciò che in lei era divino, quella pace, quell’autosuffcienza celeste le avevo offese con il mio malumore, avevo invidiato il suo paradiso con indegno rancore. poteva mai interessarsi a un essere così corrotto? non avrebbe dovuto fuggirmi? certo, il suo genio l’aveva messa in guardia da me. Tutto questo mi trafsse l’anima come una spada.39 Volevo cambiare, volevo diventare come lei. Sentivo già dalle sue labbra la parola celestiale del perdono, e sentivo con mille brividi di piacere come mi ricreasse. così mi affrettai da lei. Ma a ogni passo divenivo sempre più inquieto. Melite impallidì quando mi vide entrare, e ciò mi fece perdere del tutto il controllo. l’assoluto silenzio da entrambe le parti, per quanto breve, fu troppo doloroso perché non cercassi di interromperlo con tutte le forze. |

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ich mußte kommen, sagt’ ich. ich war es dir schuldig, Melite! das Gemäßigte meines Tons schien sie zu beruhigen, doch fragte sie etwas verwundert, warum ich dann kommen müßte? ich habe so viel dir abzubitten, Melite! rief ich. »du hast mich ja nicht belaidigt.« O Melite! wie straft mich diese himmlische Güte! Mein unmuth ist dir sicher aufgefallen. – »Aber belaidigt hat er mich nicht, du wolltest ja das nicht, Hyperion! Warum sollt’ ichs dir nicht sagen? Getrauert hab’ ich über dich. ich hätte dir so gerne Frieden gegönnt. ich wollte dich oft auch bitten, ruhiger zu seyn. du bist so ganz ein andrer, in deinen guten Stunden. ich gestehe dir, ich fürchte für dich, wenn ich dich so düster und heftig sehe. nicht wahr, guter Hyperion! du legst das ab?« ich konnte kein Wort vorbringen. du fühlst es wohl auch, Bruder meiner Seele! wie mir seyn mußte. Ach! so himmlisch der zauber war, womit sie diß sprach, so unaussprechlich war mein Schmerz. ich habe manchmal gedacht, fuhr sie fort, woher es wohl kommen möchte, daß du so sonderbar bist. es ist so ein schmerzlich Räthsel, daß ein Geist, wie der deinige von solchen laiden gedrükt werden soll. es war gewiß eine zeit, wo er frei war von dieser unruhe. ist sie dir nicht mehr gegenwärtig? Könnt’ ich sie dir zurükbringen, diese stille Feier, diese heilige Ruhe im innern, wo auch der leiseste laut vernehmbar ist, der aus der Tiefe des Geistes kömmt, und die leiseste Berührung von außen, vom Himmel her, und aus den zweigen, und Blumen – ich kann es nicht aussprechen, wie mir oft ward, wenn ich so dastand vor der göttlichen natur, und alles irrdische in mir verstummte – da ist er uns so nahe, der unsichtbare! Sie schwieg, und schien betroffen, als hätte sie Geheimnisse verrathen.

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«dovevo venire», dissi. «Te lo dovevo, Melite!» il tono pacato sembrò tranquillizzarla, ma mi chiese leggermente stupita come mai dovessi farlo. «devo chiederti perdono per molte cose, Melite!» esclamai. «Ma non mi hai offeso». «Melite, questa bontà celestiale è già un castigo! Avrai certo notato il mio malumore...» «Ma non mi ha offeso, tu non volevi offendermi, iperione! perché non dirtelo? Mi sono rattristata per te. Ti avrei così volentieri concesso la pace, spesso volevo anche pregarti di essere più calmo. Sei così diverso nelle ore buone! Te lo confesso, ho paura per te quando ti vedo così cupo e impetuoso. Ma non sarai più così, non è vero, mio buon iperione?» non riuscii a pronunciare parola. capisci bene come dovevo sentirmi, fratello della mia anima! Tanto celestiale era l’incanto delle sue parole, tanto immenso era il mio dolore. «Qualche volta ho provato a immaginare da dove provenga questa tua singolarità», proseguì. «È un enigma veramente doloroso che uno spirito come il tuo sia oppresso da simili sofferenze. deve esserci stato un tempo in cui era libero da questa inquietudine: non te ne rammenti più? potessi restituirtela, quella calma solennità, quella sacra pace dell’intimo dove si ode anche il suono più lieve che proviene dal profondo dello spirito, e anche il tocco più leggero dall’esterno, dal cielo, dai rami, dai fori... non so descrivere come mi sono sentita, spesso, quando mi trovavo al cospetto della natura divina, e tutto ciò che è terreno ammutoliva dentro di me... in quei momenti ci è così vicino, l’invisibile!» Tacque e sembrava imbarazzata, come se avesse rivelato un segreto.

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Hyperion! begann sie wieder, du hast Gewalt über dich; ich weiß es. Sage deinem Herzen, daß man vergebens den Frieden außer sich suche, wenn man ihn nicht sich selbst giebt. ich habe diese Worte immer so hoch geachtet. es sind Worte meines Vaters, eine Frucht seiner laiden, wie er sagt. Gieb ihn dir, diesen Frieden, | und sey fröhlich! du wirst es thun. es ist meine erste Bitte. du wirst sie mir nicht versagen. Was du willst, wie du willst, engel des Himmels! rief ich, indem ich, ohne zu wissen, wie mir geschah, ihre Hand ergriff, und sie mit Macht gegen mein jammerndes Herz hinzog. Sie war, wie aus einem Traume geschrekt, und wand sich los, mit möglichster Schonung, aber die Majestät in ihrem Auge drükte mich zu Boden. du mußt anders werden, rief sie etwas heftiger, als gewöhnlich. ich war in Verzweifung. ich fühlte, wie klein ich war, und rang vergebens empor. Ach! daß es dahin kommen konnte mit mir! Wie die gemeinen Seelen, sucht’ ich darinn Trost für mein nichts, daß ich das Große verkleinerte, daß ich das Himmlische – Bellarmin! es ist ein Schmerz ohne gleichen, so einen schändlichen Flek an sich zu zeigen. Sie will deiner los seyn, dacht’ ich, das ists all! – »nun ja, ich will anders werden!« das stieß ich elender unter erzwungenem lächeln heraus, und eilte, um fortzukommen. Wie von bösen Geistern getrieben, lief ich hinaus in den Wald, und irrte herum, bis ich hinsank in’s dürre Gras. Wie eine lange entsezliche Wüste lag die Vergangenheit da vor mir, und mit höllischem Grimme vertilgt’ ich jeden Rest von dem, was einst mein Herz gelabt hatte und erhoben. dann fuhr ich wieder auf mit wüthendem Hohngelächter über mich und alles, lauschte mit lust dem gräßlichen Wiederhall, und das Geheul der Tschakale, das durch die nacht her von allen Seiten gegen mich drang, that meiner zerrütteten Seele wirklich wohl. eine dumpfe fürchterliche Stille folgte diesen zernichtenden Stunden, eine eigentliche Todtenstille! ich suchte nun

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«iperione», riprese, «tu hai potere sopra te stesso, lo so. di’ al tuo cuore che è inutile cercare la pace fuori di sé, se non si è capaci di trovarla dentro di sé. Ho sempre tenuto in alta considerazione queste parole, sono di mio padre, frutto dei suoi dolori, come dice lui.40 Trova questa pace, | e sii felice! Fallo, è la prima cosa che ti chiedo: non me la negherai». «Quello che vuoi, come vuoi, angelo del cielo!» gridai, e senza rendermene conto afferrai la sua mano e la premetti con forza sul mio cuore tormentato. Fu come se si svegliasse di soprassalto da un sogno, e mentre si divincolava, seppure con la massima delicatezza, la maestà del suo sguardo mi schiacciò. «devi cambiare», esclamò con più forza del solito. ero disperato, sentivo quanto ero misero e cercavo invano di risollevarmi. Ah, come ero caduto in basso! come un vigliacco cercavo conforto per la mia nullità sminuendo ciò che era grande, celestiale... Bellarmino, è un dolore senza pari vedere su di sé una macchia così ignobile. Vuole liberarsi di te, pensai, questo è tutto! «Bene, cambierò!» riuscii a dire con un sorriso forzato, e mi affrettai ad andarmene. come inseguito da spiriti malvagi, corsi nella foresta e vagai fnché non mi accasciai nell’erba secca. il passato si stendeva davanti a me come un deserto vasto e terrifcante, e con un furore diabolico annientai quello che rimaneva di ciò che una volta aveva lenito e sollevato il mio cuore. poi mi rialzai e rabbioso schernivo me e tutto, ascoltando con piacere l’orribile rimbombo, mentre l’ululato degli sciacalli, che da diverse direzioni giungeva fno a me nella notte, faceva bene alla mia anima sconvolta. una calma spaventosa e apatica seguì quelle ore distruttive, una vera calma di morte. non cercavo più la salvezza,

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keine Rettung mehr. ich achtete nichts. ich war, wie ein Thier unter der Hand des Schlächters. »Auch sie! auch sie!« das war der erste laut, der nach langer zeit mir über die lippen kam, und Thränen traten mir ins Auge. »Sie kann ja nicht anders; sie kann sich ja nicht geben, was sie nicht haben kann, deine Armuth und deine liebe!« das sagt’ ich mir endlich auch. ich ward nach und nach ruhig, und fromm, wie | ein Kind. ich wollte nun gewiß nichts mehr suchen, wollte mir forthelfen von einem Tage zum andern, so gut ich konnte, ich war mir selbst nichts mehr, forderte auch nicht, daß ich andern etwas seyn sollte, und es gab Augenblike, wo es mir möglich schien, die einzige zu sehn, und nichts zu wünschen. So hatt’ ich einige zeit gelebt, als eines Tages notara zu mir kam mit einem jungen Tinioten, sich über meine sonderbare eingezogenheit beschwerte, und mich bat, mich den andern Tag Abends bei Homers Grotte einzufnden, er habe etwas eignes vor, dem Tinioten zu lieb, der so recht mit ganzer Seele am alten Griechenlande hänge, und izt auf dem Wege sey, die Aeolische Küste, und das alte Troas zu besuchen, es wäre mir heilsam, sezte er hinzu, wenn ich seinen Freund dahin geleitete, er erinnere sich ohnediß, daß ich einmal den Wunsch geäußert hätte, diesen Theil von Kleinasien zu sehn. der Tiniote bat auch, und ich nahm es an, so wie ich alles angenommen hätte, beinahe mit willenloser lenksamkeit. der andre Tag vergieng unter Anstalten zur Abreise, und Abends holte Adamas, so hieß der Tiniote, mich ab, zur Grotte hinaus. es ist kein Wunder, (begann ich, um andern erscheinungen in mir nicht Raum zu geben, nachdem wir eine Weile am Meles auf und nieder unter den Myrthen und platanen gegangen waren,) daß die Städte sich zankten um die Abkunft Homers. der Gedanke ist so erheiternd, daß der holde Knabe da im Sande

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non mi curavo di nulla; ero come un animale fra le mani del macellaio. «Anche lei, anche lei!» fu il primo suono che mi uscì dalle labbra dopo molto tempo, e gli occhi si riempirono di lacrime. «non può fare diversamente, non può certo mostrare ciò che non ha, la tua miseria e il tuo amore!» mi dissi infne. A poco a poco divenni calmo e mite, come | un bambino. Ormai non cercavo più nulla, volevo solo barcamenarmi da un giorno all’altro meglio che potevo, non ero più nulla per me stesso e non pretendevo di essere qualcosa per gli altri, e c’erano attimi in cui mi sembrava possibile vedere l’unica, e non desiderare altro. Vissi così per un certo tempo, fnché un giorno non venne da me notara con un giovane di Tinos, si lamentò della mia vita stranamente ritirata e mi pregò di farmi trovare la sera dopo alla grotta di Omero; aveva organizzato qualcosa di speciale in onore del giovane, che con tutta l’anima amava l’antica Grecia e ora era in viaggio verso la costa dell’eolide per visitare l’antica Troade. Mi farebbe bene, aggiunse, accompagnare il suo amico, si ricordava che una volta avevo espresso anch’io il desiderio di vedere quella parte dell’Asia Minore. Anche il giovane insistette e io accettai, così come avrei accettato qualsiasi cosa, con una docilità quasi del tutto priva di volontà. il giorno seguente passò con i preparativi per il viaggio, e a sera Adamas, così si chiamava il tiniota, venne a prendermi per andare alla grotta. «non c’è da meravigliarsi», attaccai per non dare spazio dentro di me ad altre rifessioni, mentre passeggiavamo su e giù lungo il Mele tra i mirti e i platani, «che le città si contendessero la patria di Omero.41 È così bello pensare che il dolce fanciullo ha giocato qui nella sabbia, ha rice-

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gespielt habe, und die ersten eindrüke empfangen, aus denen so ein schöner gewaltiger Geist sich mählig entwikelte. du hast recht, erwiederte er, und ihr Smyrner müßt euch den erfreulichen Glauben nicht nehmen lassen. Mir ist es heilig, dieses Wasser und diß Gestade! Wer weis, wie viel das land hier, nebst Meer und Himmel, Theil hat an der unsterblichkeit des Mäoniden! das unbefangne Auge des Kindes sammelt sich Ahndungen und Regungen aus der Beschauung der Welt, die manches beschämen, was später unser Geist auf mühsamem Wege erringt. in diesem Tone fuhr er fort, bis notara mit Melite und einigen andern herankam. ich war gefaßt. ich konnte mich ihr nähern, ohne merkliche | Änderung im innern. es war gut, daß ich unmittelbar zuvor nicht mir selbst überlassen war. Sie litt auch. Man sah’ es. Aber o Gott! wie unendlich größer! in die Regionen des Guten und Wahren hatte sich ihr Herz gefüchtet. ein stiller Schmerz, wie ich ihn nie bemerkt hatte an ihr, hielt die frohen Bewegungen ihres Angesichts gefangen; aber ihren Geist nicht. in unwandelbarer Ruhe leuchtete dieser aus dem himmlischen Auge, und ihre Wehmuth schloß sich an ihn, wie an einen göttlichen Tröster. Adamas fuhr fort, wo er unterbrochen worden war; Melite nahm Theil; ich sprach auch zuweilen ein Wörtchen. So kamen wir an die Grotte Homers. Stille traurende Akkorde emfengen uns vom Felsen herab, unter den wir traten; die Saitenspiele ergossen sich über mein innres, wie über die todte erde ein warmer Reegen im Frühlinge. innen, im magischen dämmerlichte der Grotte, das durch die verschiedenen Öfnungen des Felsen, durch Blätter und zweige hereinbricht, stand eine Marmorbüste des göttlichen Sängers, und lächelte gegen die frommen enkel.

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vuto qui le prime impressioni dalle quali si è lentamente sviluppato uno spirito così bello e potente». «Hai ragione», rispose, «e voi di Smirne non dovete lasciarvi portar via questa felice certezza. per me sono sacre, queste acque e queste rive! chissà quanto ha contribuito questa terra, insieme al cielo e al mare, all’immortalità del meonide! Osservando il mondo, gli occhi sensibili del fanciullo ricevono stimoli e intuizioni che fanno sfgurare molto di ciò che il nostro spirito si è poi conquistato faticosamente». in questo tono proseguì, fnché non arrivarono notara, Melite e alcuni altri. ero preparato, potevo avvicinarmi a lei senza cambiamenti | evidenti dentro di me. era bene che non fossi stato solo con me stesso nei momenti precedenti. Anche lei soffriva, lo si vedeva, ma, santo cielo, in modo infnitamente più nobile. il suo cuore si era rifugiato nelle regioni del buono e del vero. un dolore silenzioso, che non avevo mai visto in lei, imprigionava i movimenti lieti del volto, ma non lo spirito. in una quiete imperturbabile esso splendeva negli occhi celestiali, e la sua malinconia si aggrappava a lui, come a un divino consolatore. Adamas proseguì da dove era stato interrotto, Melite si unì al discorso, anch’io dicevo una parola ogni tanto. così arrivammo alla grotta di Omero.42 Accordi pacati e tristi ci accolsero dalle rocce, tra le quali entrammo; i suoni degli strumenti a corde si riversarono in me come la pioggia tiepida della primavera sulla terra morta. All’interno, nella luce magica del crepuscolo che penetrava attraverso le varie fenditure della roccia, le foglie e i rami, c’era un busto in marmo del divino cantore, che sorrideva ai pronipoti devoti.

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Wir saßen um sie herum, wie die unmündigen um ihren Vater, und lasen uns einzelne Rhapsodien der ilias, wie sie jedes nach seinem Sinne sich auswählte; denn alle waren wir vertraut mit ihr. eine nänie, die mein innerstes erschütterte, sangen wir drauf dem Schatten des lieben blinden Mannes, und seinen zeiten. Alle waren tiefbewegt. Melite sah fast unverwandt auf seinen Marmor, und ihr Auge glänzte von Thränen der Wehmuth und der Begeisterung. Alles war nun stille. Wir sprachen kein Wort, wir berührten uns nicht, wir sahen uns nicht an, so gewiß von ihrem einklang schienen alle Gemüther in diesem Augenblike, so über Sprache und Äußerung schien das zu gehen, was jezt in ihnen lebte. es war Gefühl der Vergangenheit, die Todtenfeier von allem, was einst da war. erröthend beugte sich endlich Melite gegen notara hin, und füsterte ihm etwas zu. notara lächelte, voll Freude über das süße Geschöpf, nahm die Scheere, die sie ihm bot, und schnitt sich eine loke ab. | ich verstand, was das sollte, und that stillschweigend dasselbe. Wem sonst, als dir? rief der Tiniote, indem er seine loke gegen den Marmor hielt. Auch die andern gaben, ergriffen von unsrem ernste, ihr Todtenopfer. Melite sammelte das andere zu dem ihrigen, band es zusammen, und legte es an der Büste nieder, indeß wir andern wieder die nänie sangen. das alles diente nur, um mein Wesen aus der Ruhe zu loken, in die es gesunken war. Mein Auge verweilte wieder auf ihr, und meine liebe und mein Schmerz ergriffen mich gewaltiger, als je. ich strengte mich umsonst an, auszuhalten. ich mußte weggehn. Meine Trauer war wirklich gränzenlos. ich gieng hinab

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ci sedemmo tutti attorno a lui, come i bimbi intorno al padre, e leggemmo varie strofe dell’iliade che ciascuno sceglieva a sua discrezione; tutti infatti la conoscevamo bene. poi cantammo una nenia che mi toccò fn nel profondo, in onore dell’ombra dell’amato cieco e della sua epoca. Tutti eravamo molto commossi. Melite fssava il marmo senza distogliere gli occhi, che scintillavano con lacrime di malinconia e di entusiasmo. poi tutto tacque. nessuno parlò, nessuno si mosse, nessuno si guardò intorno, tanto certi erano i nostri animi, in quell’attimo, di essere in sintonia; ciò che provavamo andava ben oltre il linguaggio e il gesto. era la percezione del passato, la commemorazione di tutto ciò che era stato. infne Melite, arrossendo, si chinò verso notara e gli bisbigliò qualcosa. notara sorrise, rallegrandosi per la dolce creatura, prese le forbici che lei gli porgeva e si tagliò una ciocca di capelli. | capii cosa signifcava, e in silenzio feci lo stesso. «A chi, se non a te?»43 disse il tiniota, tendendo la sua ciocca verso il marmo. Anche gli altri, contagiati dalla nostra serietà, offrirono il sacrifcio funebre. Melite raccolse le ciocche, le legò insieme e le depose davanti al busto, mentre noi cantavamo di nuovo la nenia. Tutto ciò servì solo a privare il mio essere della calma in cui era sprofondato. i miei occhi si soffermarono nuovamente su di lei, e l’amore e il dolore mi afferrarono più forti che mai. invano mi sforzai di resistere. dovetti andarmene, la mia tristezza era veramente sconfnata. Risalii fno al Mele,

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an den Meles, warf mich nieder aufs Gestade und weinte laut. Oft sprach ich mir leise ihren nahmen vor, und mein Schmerz schien davon besänftigt zu werden. Aber er war es nur, um desto unaufhaltsamer zurückzukehren. Ach! für mich war keine Ruhe zu fnden, auf keiner Stelle der Welt! ihr nahe zu seyn, und ferne von ihr, die ich so nahmenlos liebte, und so nahmenlos, so unaussprechlich schändlich gequält hatte, das war gleich! Beides war Hölle für mich geworden! ich konnte nicht lassen von ihr, und konnte nicht um sie bleiben! Mitten in diesem Tumulte hört’ ich etwas durch die Myrthen rauschen. ich rafte mich auf – und o Himmel! es war Melite! Sie mußte wohl erschreken, so ein zerstörtes Geschöpf vor sich zu sehen. ich stürzte hin zu ihr in meiner Verzweifung und rang die Hände und fehte nur um ein, ein Wort ihrer Güte. Sie erblaßte und konnte kaum sprechen. Mit himmlischen Thränen bat sie mich endlich, den edlern stärkern Theil meines Wesens kennen zu lernen, wie sie ihn kenne, auf das Selbstständige, unbezwingliche, Göttliche, das wie in allen, auch in mir sei, mein Auge zu richten – was nicht aus dieser Quelle entspringe, führe zum Tode – was von ihr komme, und in sie zurükgehe, sei ewig – was Mangel und noth vereinige, höre auf, eines zu seyn, so wie die noth aufhöre; was sich vereinige in dem und für das, was allein groß, allein heilig, allein unerschütterlich seye, dessen Vereinigung müsse ewig bestehen, wie das ewige, wodurch und wofür sie | bestehe und so – Hier mußte sie enden. die andern kamen ihr nach. ich hätte in diesem Augenblike tausend leben daran gewagt, sie auszuhören! ich habe sie nie ausgehört. Über den Sternen hör’ ich vieleicht das übrige. nahe bei der Grotte, zu der wir wieder zurükkehrten, feng sie noch von meiner Reise an, und bat mich, die ufer des Skamanders, und den ida und das ganze alte Trojer-land von ihr zu grüßen. ich beschwur sie, kein Wort mehr zu sprechen von dieser

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mi gettai sulla riva e piansi forte. Spesso ripetevo sottovoce il suo nome, e ciò sembrava placare il mio dolore. Ma solo per farlo tornare, ancora più incontenibile. no, per me non c’era più pace, in nessun luogo del mondo! essere vicino oppure lontano da colei che amavo in modo indicibile, da colei che avevo tormentato in modo indicibile e indescrivibilmente ignobile, era la stessa cosa. entrambe le cose erano diventate per me un inferno. non potevo allontanarmi da lei, né restarle vicino. nel mezzo di questo tumulto sentii frusciare qualcosa tra i mirti. Mi ricomposi – o cielo, era Melite! di certo si spaventò vedendo davanti a sé una creatura così distrutta. nella mia disperazione mi precipitai verso di lei, tendevo le mai e la supplicavo di dirmi una, una sola buona parola. impallidì e non riusciva quasi a parlare. con lacrime celestiali mi chiese infne di imparare a conoscere la parte più nobile e più forte di me, che lei conosceva, di alzare lo sguardo a ciò che di assoluto, indomabile, divino c’era in me, così come in ognuno – ciò che non sgorga da questa sorgente, porta alla morte, ciò che proviene da lei e a lei ritorna, è eterno… ciò che unisce necessità e bisogno smette di essere unito, quando fnisce il bisogno; ciò che invece si unisce in ciò e per ciò che solo è grande, sacro, imperturbabile, questa unione durerà in eterno come l’eterno per il quale e grazie al quale essa | esiste, e così... Qui si interruppe, stavano sopraggiungendo gli altri. in quell’attimo avrei dato mille volte la vita per poterla ascoltare fno in fondo! non ho mai potuto ascoltare la fne. Fra le stelle forse sentirò il resto. Vicino alla grotta, dove tornammo, mi chiese del mio viaggio e mi pregò di salutare per lei le rive dello Scamandro, il monte ida e tutta l’antica terra di Troia. la supplicai di non dire più nemmeno una parola di quell’odioso

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verhaßten Reise, und wollte geradezu den Adamas bitten, mich loszusprechen von meinem gegebnen Worte. Aber mit all’ ihrer Grazie fehte Melite, das nicht zu thun; sie sey so gewiß, nichts seye vermögend, Frieden und Freude zwischen ihr und mir zu stiften, wie diese Reise, ihr wäre, als hänge leben und Tod daran, daß wir uns auf eine kleine Weile trennten, sie gestände mir, es sey ihr selbst nicht so deutlich, warum sie mich so sehr bitten müßte, aber sie müßte, und wenn es ihr das leben kostete, sie müßte. ich sah sie staunend an, und schwieg. Mir war, als hätt’ ich die priesterin zu dodona gehört. ich war entschlossen zu gehn, und wenn es mir das leben kostete. es war schon dunkel geworden, und die Sterne giengen herauf am Himmel. die Grotte war erleuchtet. Wolken von Weihrauch stiegen aus dem innern des Felsen, und mit majestätischem Jubel brach die Musik nach kurzen dissonanzen hervor. Wir sangen heilige Gesänge von dem, was besteht, was fortlebt unter tausend veränderten Gestalten, was war und ist und seyn wird, von der unzertrennlichkeit der Geister, und wie sie eines seyn von Anbeginn und immerdar, so sehr auch nacht und Wolke sie scheide und aller Augen giengen über vom Gefühle dieser Verwandtschaft und unsterblichkeit. ich war ganz ein andrer geworden. laßt vergehen, was vergeht, rief ich unter die Begeisterten, es vergeht, um wiederzukehren, es altert, um sich zu verjüngen, es trennt sich, um sich inniger zu vereinigen, es stirbt, um lebendiger zu leben. So müssen, fuhr nach einer kleinen Weile der Tiniote fort, die Ahndungen der Kindheit dahin, um als Wahrheit wieder aufzustehen im Geiste des Mannes. So verblühen die schönen jugendlichen Myrthen der Vorwelt, die dichtungen Homers und seiner zeiten, | die prophezeiungen und Offenbarungen, aber der Keim der in ihnen lag, gehet als reife Frucht hervor im Herbste. die einfalt und unschuld der ersten zeit erstirbt, daß sie wiederkehre in der vollendeten Bildung, und der heilige

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viaggio e volevo quasi chiedere ad Adamas di sciogliermi dall’impegno preso. Ma con tutta la sua grazia Melite mi supplicò di non farlo: era certa che nulla avrebbe potuto favorire la pace e la gioia fra noi come quel viaggio, le sembrava che stare lontani per qualche tempo fosse una questione di vita o di morte, e mi confessò che lei stessa non capiva bene come mai ci tenesse così tanto, ma avrebbe insistito, anche a costo della vita. la guardai meravigliato, e tacqui. Mi sentii come se avessi ascoltato l’oracolo di dodona.44 decisi di andare, anche a costo della vita. Ormai si era fatto buio, e le stelle scintillavano nel cielo. la grotta era illuminata. nuvole d’incenso salivano dall’interno delle rocce, e dopo brevi dissonanze risuonò una solenne musica di giubilo. cantammo inni sacri su ciò che esiste, su ciò che continua a vivere in mille forme diverse, su ciò che era, che è e che sarà, cantammo dell’indivisibilità degli spiriti e di come essi siano uno dall’inizio e per sempre, anche quando nuvole e oscurità li separano,45 e tutti si commossero nel sentimento di questa affnità e immortalità. ero divenuto un altro. «lasciate fnire ciò che fnisce», esclamai inebriato, «fnisce per poi tornare, invecchia per ringiovanirsi, si separa per unirsi più intimamente, muore per vivere più intensamente».46 «in questo modo», proseguì il tiniota dopo una pausa, «svaniscono le intuizioni della fanciullezza, per tornare poi come verità nello spirito dell’adulto. così sforiscono i bei mirti47 giovanili della prima età, le poesie di Omero e del suo tempo, | le profezie e le rivelazioni, ma il germoglio che era in loro recherà frutti maturi nell’autunno. l’innocenza e la semplicità dell’infanzia muoiono per ripresentarsi nella compiutezza dello sviluppo, e la sacra pace del

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Friede des paradieses gehet unter, daß, was nur Gabe der natur war, wiederaufblühe, als errungnes eigentum der Menschheit. Herrlich! herrlich! rief notara. doch wird das Vollkommne erst im fernen lande kommen, sagte Melite, im lande des Wiedersehens, und der ewigen Jugend. Hier bleibt es doch nur dämmerung. Aber anderswo wird er gewiß uns aufgehen der heilige Morgen; ich denke mit lust daran; da werden auch wir uns alle wiederfnden, bei der großen Vereinigung alles Getrennten. Melite war ungewöhnlich bewegt. Wir sprachen sehr wenig auf unserem Rükwege. An notaras Hause bot sie mir noch die Hand; »lebe wohl, guter Hyperion!« das waren ihre lezten Worte, und so entschwand sie. lebe wohl, Melite, lebe wohl! ich darf deiner nicht oft gedenken. ich muß mich hüten vor den Schmerzen und Freuden der erinnerung. ich bin, wie eine kranke pfanze, die die Sonne nicht ertragen kann. leb auch du wohl, mein Bellarmin! Bist du indeß dem Heiligtum der Wahrheit näher gekommen? Könnt’ ich ruhig suchen, wie du! – Ach! bin ich nur dort einmal angekommen, dann soll es anders werden mit mir. Tief unter uns rauscht dann der Strom der Vergänglichkeit mit den Trümmern, die er wälzt, und wir seufzen nicht mehr, als wenn das Jammern derer, die er hinunterschlingt, in die stillen Höhen des Wahren und ewigen heraufdringt.

Kastri am parnaß. Vom Gegenwärtigen ein andermal! Auch von meiner Reise mit Adamas vieleicht ein andermal! unvergeßlich ist mir besonders die nacht vor unserem Abschiede, wo wir an den ufern des alten ilion unter Grabhügeln, die vieleicht dem Achill und patroklus, und

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paradiso tramonta affnché ciò che prima era solo dono della natura sbocci di nuovo come patrimonio conquistato dall’umanità».48 «Splendido, splendido!» esclamò notara. «Ma la perfezione verrà solo in una terra lontana», disse Melite, «nel luogo in cui ci ritroveremo, la terra dell’eterna giovinezza. Qui rimane solo il crepuscolo, ma in un altro luogo di certo sorgerà per noi la sacra aurora, ci penso con gioia. là tutti ci ritroveremo, nella solenne riunifcazione di tutto ciò che è diviso».49 Melite era commossa più del solito. Sulla via del ritorno parlammo molto poco, giunti alla casa di notara mi porse la mano: «Addio, mio buon iperione», furono le sue ultime parole, e scomparve. Addio, Melite, addio! non devo pensare troppo a te, devo guardarmi dal dolore e dalla gioia del ricordo. Sono come una pianta malata che non sopporta il sole. Addio anche a te, mio Bellarmino! Ti sei nel frattempo avvicinato al santuario della verità? potessi anch’io cercare con tranquillità, come te... una volta toccato il fondo, si deve per forza risalire. in profondità sotto di noi rumoreggia il fume della caducità con le macerie che trascina con sé, e noi non sospiriamo più, come se il lamento di coloro che vengono inghiottiti dalla corrente potesse giungere alle quiete altezze del vero e dell’eterno.

castri sul parnaso50 del presente ti dirò un’altra volta, anche del viaggio con Adamas forse un’altra volta! indimenticabile fu soprattutto la notte prima del ritorno, quando sulle rive dell’antica ilio, fra i tumuli che forse erano stati eretti per Achille

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Antilochus, und Ajax Telamon errichtet wurden, vom vergangnen und künftigen Griechenlande sprachen, und manchem | andern, das aus den Tiefen und in die Tiefen unsers Wesens kam und gieng. der herzliche Abschied Melites, Adamas Geist, die heroischen phantasien und Gedanken, die, wie Sterne aus der nacht, uns aufgiengen aus den Gräbern und Trümmern der alten Welt, die geheime Kraft der natur, die überall sich an uns äußert, wo das licht und die erde, und der Himmel und das Meer uns umgiebt, all das hatte mich gestärkt, daß jezt etwas mehr sich in mir regte, als nur mein dürftiges Herz; Melite wird sich freuen über dich! sagt’ ich mir oft ingeheim mit inniger lust, und tausend güldene Hofnungen schlossen sich an, an diesen Gedanken. dann konnte mich wieder eine sonderbare Angst überfallen, ob ich sie wohl auch noch treffen werde, aber ich hielt es für ein Überbleibsel meines fnstern lebens und schlug es mir aus dem Sinne. ich hatte am Sigäischen Vorgebirge ein Schiff getroffen, das geradezu nach Smyrna seegelte, und es war mir ganz lieb, den Rükweg auf dem Meere an Tenedos und lesbos hin zu machen. Ruhig schifften wir dem Hafen von Smyrna zu. im süßen Frieden der nacht wandelten über uns die Helden des Sternenhimmels. Kaum kräuselten sich die Meereswellen im Mondenlichte. in meiner Seele wars nicht ganz so stille. doch fel ich gegen Morgen in einen leichten Schlaf. Mich wekte das Frohloken der Schwalben und der erwachende lärm im Schiffe. Mit allen seinen Hofnungen jauchzte mein Herz dem freundlichen Gestade meiner Heimath zu, und dem Morgenlichte, das über dem Gipfel des dämmernden pagus, und seiner alternden Burg, und über den Spizen der Moskeen und dunkeln cypressenhaine hereinbrach, und ich lächelte treuherzig gegen die Häuserchen am ufer, die mit ihren glühenden Fenstern wie zauberschlösser hervorleuchteten hinter den Oliven und palmen. Freudig säuselte mir der inbat in den loken. Freudig hüpften die kleinen Wellen vor dem Schiffe voran ans ufer.

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e patroclo, per Antiloco e Aiace Telamonio,51 parlammo della Grecia passata e di quella futura e di altre | cose che si agitavano nelle profondità del nostro essere. il caloroso saluto di Melite, lo spirito di Adamas, le fantasie e i pensieri eroici che, come stelle nella notte, sorgevano davanti a noi dalle tombe e dalle rovine dell’antico mondo, la segreta forza della natura che dappertutto si rivela a noi, laddove la luce e la terra, il cielo e il mare ci circondano: tutto ciò mi aveva rinvigorito, e ora qualcosa in più si muoveva dentro di me, oltre al misero cuore. «Melite sarà contenta di te!», mi dicevo spesso in segreto con profondo piacere, e mille speranze dorate si allacciavano a questo pensiero. poi mi prendeva di nuovo uno strano timore: la rivedrò ancora?, ma lo consideravo un residuo della mia vita cupa e lo scacciavo dalla mente. Avevo trovato a capo Sigeo una nave in partenza per Smirne, e fui molto contento di tornare per la via del mare, passando da Tenedo e lesbo. Tranquilli veleggiammo verso il porto di Smirne. nella dolce quiete della notte si muovevano sopra di noi gli eroi del cielo stellato. le onde si increspavano appena alla luce della luna. il mio animo non era tanto tranquillo, ma verso mattina fui colto da un sonno leggero. Mi destarono l’esultanza delle rondini e i rumori che si risvegliavano sulla nave. con tutte le sue speranze il cuore gioiva nell’avvicinarsi alla riva benigna della patria, alla luce del mattino che sorgeva sulla cima del pagus ancora nell’ombra e sulla sua antica rocca, sulle punte delle moschee e sui boschetti di cipressi scuri; sorridevo cordiale alle casette sulla riva che con le loro fnestre infuocate luccicavano come castelli fatati tra gli ulivi e le palme. l’inbat mi soffava gioioso tra i capelli, felici saltellavano le onde precedendo la nave verso riva.52

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ich sah, und fühlte das, und lächelte. es ist schön, daß der Kranke nichts ahndet, wenn der Tod ihm schon ans Herz gedrungen ist. ich eilte vom Hafen zu notaras Hause. Melite war fort. Sie sey schnell abgeholt worden auf Befehl ihres Vaters, sagte mir | notara, wohin wisse man nicht. ihr Vater habe die Gegend des Tmolus verlassen, und er habe weder seinen jezigen Aufenthalt, noch die ursache seiner entfernung erfahren können. Melite hab’ es wahrscheinlich selbst nicht gewußt. Sie habe übrigens am Tage des Abschieds überhaupt beinahe nichts mehr gesprochen. Sie hab’ ihm aufgetragen, mich noch zu grüßen. Mir war, als würde mir mein Todesurtheil gesprochen. Aber ich war ganz stille dazu. ich gieng nach Hause, berichtigte nothwendige Kleinigkeiten, und war sonst im Äußern ganz, wie die Andern. ich vermied alles, was mich an das Vergangne erinnern konnte; ich hielt mich ferne von notaras Garten, und dem ufer des Meles. Alles, was irgend mein Gemüth bewegen konnte, foh ich, und das gleichgültige war mir noch gleichgültiger geworden. Abgezogenheit von allem Lebendigen, das war es, was ich suchte. Über den ehrwürdigen producten des altgriechischen Tiefsinns brütet’ ich Tage und nächte. ich füchtete mich in ihre Abgezogenheit von allem lebendigen. Allmählig war mir das, was man vor Augen hat, so fremde geworden, daß ich es oft beinahe mit Staunen ansah. Oft, wenn ich Menschenstimmen hörte, war mirs, als mahnten sie mich, aus einem lande zu füchten, worein ich nicht gehörte, und ich kam mir vor, wie ein Geist, der sich über die Mitternachtsstunde verweilt hat, und den Hahnenschrei hört. Während dieser ganzen zeit war ich nie hinausgekomnen. Aber mein Herz schlug noch zu jugendlich: sie war noch nicht in mir gestorben, die Mutter alles lebens, die unbegreifiche liebe. ein räthselhaft Verlangen zog mich fort. ich gieng hinaus. es war ein stiller Herbsttag. Wunderbar erfreute mich die sanfte luft, wie sie die welken Blätter schonte, daß sie

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Guardavo, sentivo e sorridevo. È bello che il malato non si accorga di nulla, mentre la morte gli è già entrata nel cuore. Mi affrettai dal porto verso la casa di notara. Melite se n’era andata. erano venuti a prenderla all’improvviso per ordine di suo padre, mi disse | notara, ma non si sapeva dove fossero andati. Suo padre aveva lasciato la regione del Tmolo, ma non aveva detto né dove abitasse ora, né il motivo dello spostamento. Melite stessa probabilmente non ne era al corrente. il giorno del commiato non aveva quasi aperto bocca; lo aveva però incaricato di salutarmi. era come se fosse stata pronunciata per me una sentenza di morte. Ma rimasi molto calmo. Andai a casa, sbrigai le piccole cose necessarie, ed esternamente ero come tutti gli altri. evitavo tutto ciò che poteva ricordarmi il passato, mi tenevo lontano dal giardino di notara e dalle rive del Mele. Tutto ciò che poteva agitare il mio spirito lo schivavo, e ciò che prima mi era indifferente era diventato ancor più indifferente. Appartarmi da tutto ciò che vive, questo era ciò che volevo. Meditavo giorno e notte sul nobile prodotto dell’antico pensiero greco. lì mi appartavo fuggendo da tutto ciò che vive. Man mano le cose più consuete mi diventarono così estranee che le fssavo quasi con stupore. Spesso, quando udivo delle voci, era come se mi ammonissero a fuggire da una terra alla quale non appartenevo, e sembravo un fantasma che si è attardato dopo la mezzanotte e ha sentito il canto del gallo.53 in quel periodo non uscivo mai, ma il cuore era ancora troppo giovane: non era ancora morto dentro di me il padre di tutta la vita, l’amore indecifrabile. un impulso misterioso mi trascinò. uscii. era un quieto giorno d’autunno. con meraviglia gioii per l’aria mite, che risparmiava le foglie appassite lascian-

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noch eine Weile am mütterlichen Stamme blieben. ein Kreis von platanen, wo man über das felsige Gestade weg ins Meer hinaussah, war mir immer heilig gewesen. dort saß ich und gieng umher. es war schon Abend geworden, und kein laut regte sich ringsumher. Da ward ich, was ich jezt bin. Aus dem Innern des Hains schien es mich zu mahnen, aus den Tiefen der | Erde und des Meers mir zuzurufen, warum liebst du nicht mich? Von nun an konnt’ ich nichts mehr denken, was ich zuvor dachte, die Welt war mir heiliger geworden, aber geheimnisvoller. neue Gedanken, die mein innerstes erschütterten, fammten mir durch die Seele. es war mir unmöglich, sie festzuhalten, ruhig fortzusinnen. ich verlies mein Vaterland, um jenseits des Meeres Wahrheit zu fnden. Wie schlug mein Herz von großen jugendlichen Hofnungen! ich fand nichts, als dich. ich sage das dir, mein Bellarmin! du fandest ja auch nichts, als mich. Wir sind nichts; was wir suchen, ist alles.

Auf dem cithäron. noch ahnd’ ich, ohne zu fnden. ich frage die Sterne und sie verstummen, ich frage den Tag, und die nacht; aber sie antworten nicht. Aus mir selbst, wenn ich mich frage, tönen mystische Sprüche, Träume ohne deutung. Meinem Herzen ist oft wohl in dieser dämmerung. ich weis nicht, wie mir geschieht, wenn ich sie ansehe, diese unergründliche natur; aber es sind heilige seelige Thränen, die ich weine vor der verschleierten Geliebten. Mein ganzes Wesen verstummt und lauscht, wenn der leise geheimnisvolle Hauch des Abends mich anweht. Verloren ins weite Blau, blik’ ich oft hi-

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dole rimanere ancora un po’ attaccate al tronco materno. una fla di platani laggiù, oltre la costa rocciosa, dove si guardava verso il mare, mi era sempre stata sacra. lì sedevo e passeggiavo. era ormai sera, intorno non si sentiva più alcun rumore. Lì diventai quello che sono ora. Dall’interno del boschetto mi sembrò giungere una voce che mi ammoniva, che mi chiamava dalle profondità | della terra e del mare: perché non ami me? da quel momento in poi non potei più pensare come prima, il mondo mi era divenuto ancora più sacro, ma insieme più misterioso. pensieri nuovi, che mi commuovevano fn nel più profondo, mi attraversarono l’anima come famme. Mi era impossibile trattenerli, rifetterci con calma. lasciai la patria per trovare la verità al di là del mare.54 come mi batteva il cuore per le giovani, grandi speranze! non trovai nulla, se non te. Te lo dico, Bellarmino mio, nemmeno tu hai trovato nulla, se non me. noi non siamo nulla; ciò che cerchiamo è tutto.

Sul citerone55 Ancora presagi, senza trovare nulla. interrogo le stelle e tacciono, interrogo il giorno e la notte, ma non rispondono. Se chiedo a me stesso, sento risuonare dentro di me frasi mistiche, sogni privi di signifcato. il mio cuore si sente spesso a suo agio in questo crepuscolo. non so che cosa mi accade quando la guardo, la natura imperscrutabile; ma sono lacrime sacre e beate quelle che piango per l’amata velata. Tutto il mio essere tace e tende l’orecchio quando il lieve e misterioso soffo della sera mi sfora. perso nell’immenso azzurro, guardo spesso

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nauf an den Aether, und hinein ins heilige Meer, und mir wird, als schlösse sich die pforte des unsichtbaren mir auf und ich vergienge mit allem, was um mich ist, bis ein Rauschen im Gesträuche mich aufwekt aus dem seeligen Tode, und mich wider Willen zurükruft auf die Stelle, wovon ich ausgieng. Meinem Herzen ist wohl in dieser dämmerung. ist sie unser element diese dämmerung? Warum kann ich nicht ruhen darinnen? da sah’ ich neulich einen Knaben am Wege liegen. Sorgsam hatte die Mutter, die ihn bewachte, eine deke über ihn gebreitet, daß er sanft schlummre im Schatten, und ihm die Sonne nicht | blende. Aber der Knabe wollte nicht bleiben, und riß die deke weg, und ich sah wie er’s versuchte, das freundliche licht anzusehn, und immer wieder versuchte, bis ihm das Auge schmerzte und er weinend sein Gesicht zur erde kehrte. Armer Knabe! dacht’ ich, andern ergehts nicht besser, und hatte mir beinahe vorgenommen, abzulassen von dieser verwegnen neugier. Aber ich kann nicht! ich soll nicht! es muß heraus, das große Geheimniß, das mir das leben giebt oder den Tod.

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in alto nell’etere o verso il sacro mare e mi sembra che mi si aprano le porte dell’invisibile e che io possa venir meno insieme a tutto ciò che mi circonda, fnché un fruscio tra i cespugli mi riscuote da quella morte beata e mi riporta contro voglia al luogo da cui ero partito. il mio cuore si sente a suo agio in questo crepuscolo. Sarà il nostro elemento, il crepuscolo? perché non posso trovarvi pace? di recente ho visto un fanciullo sdraiato accanto alla via. premurosa, la madre che lo vegliava aveva steso un telo sopra di lui in modo che dormisse dolcemente nell’ombra e non fosse accecato | dal sole. Ma il ragazzino non voleva e strappò via il telo, e vidi come cercava di guardare la luce amichevole, ancora e ancora fnché, abbagliato, non volse il viso a terra piangendo. «povero bambino!», pensai; agli altri non va meglio, e mi riproposi di smetterla con questa mia maldestra curiosità. Ma non posso, non devo! Bisogna svelarlo, il grande segreto che mi darà la vita o la morte.56

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‹prosaentwurf zur metrischen Fassung› unschuldiger Weise hatte mich die Schule des Schiksaals und der Weisen ungerecht und tyrannisch gegen die natur gemacht. der gänzliche unglaube, den ich gegen alles hegte, was ich aus ihren Händen empfeng, lies keine liebe in mir gedeihen. der reine freie Geist, glaubt ich, könne sich nie mit den Sinnen und ihrer Welt versöhnen, und es gebe keine Freuden, als die des Siegs; zürnend fodert’ ich oft von dem Schiksaal die ursprüngliche Freiheit unseres Wesens zurük; ich freute mich oft des Kampfs den die Vernunft mit dem unvernünftigen kämpft, weil es mir ingeheim mehr darum zu thun war, das Gefül der Überlegenheit immer neu im Sieg zu erringen, als den gesezlosen Kräften, die des Menschen Brust bewegen, die schöne einigkeit mit zu teilen. ich achtete der Hülfe nicht, womit die natur dem großen Geschäfte der Bildung entgegenkömmt, denn ich wollte allein arbeiten, ich nahm die Bereitwilligkeit, womit sie der Vernunft die Hände bietet, nicht an, denn ich wollte sie beherrschen. unangenemes achtet’ ich wenig. Gefahr war mir oft fast willkommen. ich beurteilte die andern strenge, wie mich selbst. Für die stillen Melodien des menschlichen lebens, für das Häusliche, und Kindliche hatt’ ich den Sinn beinahe ganz verloren. unbegreifich wars mir, wie mir ehmals Homer hatte gefallen können. ich reiste; und wünschte oft ewig zu reisen. eben auf dieser Reise war es, daß ich in W., wo ich mich länger als sonstwo aufhielt, auf einen Fremden aufmerksam

‹Bozza in prosa per la stesura in versi›57 Senza averne colpa, la scuola del destino e dei saggi mi aveva reso ingiusto e tirannico verso la natura. la grande sfducia che nutrivo verso tutto ciò che ricevevo dalle sue mani non lasciò crescere in me l’amore. lo spirito libero e puro non potrà mai riconciliarsi, credevo, con i sensi e il loro mondo, e non ci sono gioie se non quelle della vittoria; infuriato, spesso pretendevo di riavere dal destino la libertà originaria del nostro essere. Spesso mi rallegravo per la battaglia della ragione contro l’irrazionale, poiché quello che mi interessava segretamente era ottenere, ancora e ancora, vincendo, un sentimento di superiorità, piuttosto che trasfondere una bella armonia alle forze sregolate che agitano il petto dell’uomo. non mi curavo dell’aiuto che la natura ci offre nel grande impegno dello sviluppo perché volevo affrontarlo da solo; non accettavo la sollecitudine con la quale essa dà una mano alla ragione, perché volevo dominarla. Mi curavo poco delle cose sgradevoli. il pericolo era quasi benvenuto, giudicavo severamente sia gli altri, sia me stesso. delle silenziose melodie della vita umana, del quotidiano e dell’infantile avevo perso quasi completamente la percezione. Mi era incomprensibile come mai una volta mi piacesse Omero. Viaggiavo, e spesso desideravo di viaggiare in eterno. proprio durante uno di questi viaggi accadde che a W., dove mi ero trattenuto più a lungo che altrove, feci caso

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gemacht wurde, der seit einiger zeit ein benachbartes landhaus bewohnte, und die Gemüther der dortigen Menschen desto mer beschäftigte, je ruhiger diese das seinige zu lassen schienen. – im Grunde beschäftigte er auch die meisten nur, weil er fremd war. nur Wenige schienen ihn zu verstehn, und zu ahnden. | ich gieng hinaus, ihn zu besuchen. ich traf ihn in seinem pappelwalde. er sas an einer Statue, und ein holder Knabe stand vor ihm. lächelnd streichelt’ er diesem die loken aus der Stirne und schien mit tiefem Schmerz das friedliche Geschöpf zu betrachten, das frei und zutraulich an dem majestätischen Manne hinaufsah. Jezt sah’ er sich um, und trat mir entgegen. ich widerstrebte dem ungewohnten zauber, der mich umfeng, mit Gewalt, um die Freiheit meines Geistes zu behalten. Seine Ruhe und Freundlichkeit half mir auch mer als ich selbst konnte, zur Besonnenheit. er fragte mich, wie ich die Menschen auf meiner Reise gefunden hätte? Mer thierisch, als göttlich, antwortet’ ich ihm. das kömt daher, sagte er, daß so wenige menschlich sind. ich ahndete tiefen Sinn in seiner Rede, und war um so begieriger, ihn darüber zu hören, weil das, was ich ahndete, mit meiner bisherigen Art zu leben und zu denken, meinem Gefüle nach in ziemlichem Kontraste stand. ich bat ihn, mir das Gesagte zu entwiklen, und er fuhr fort: Wir sollen unsern Adel nicht verläugnen, wir sollen das Vorbild alles daseins in uns rein und heilig behalten. der Maasstaab, worann wir die natur messen, soll gränzenlos sein, und unbezwinglich der Trieb, das formlose zu bilden, nach jenem urbilde, das wir in uns tragen, und die widerstrebende Materie dem heiligen Geseze der einheit zu unterwerfen. Aber desto

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a uno straniero che da qualche tempo abitava una casa di campagna vicina, e che teneva occupati gli animi delle persone del luogo tanto quanto loro, invece, lo lasciavano indifferente. in realtà la maggior parte di loro si interessava a lui solo perché era straniero. Solo pochi sembravano capire, presagire chi fosse. | Andai a fargli visita. lo trovai nel suo bosco di pioppi, seduto accanto a una statua, un bel bambino stava in piedi davanti a lui. Sorridendo gli scostava i riccioli dalla fronte e sembrava osservare con profondo dolore la pacifca creatura che, disinvolta e affettuosa, guardava verso quell’uomo maestoso. in quel momento si voltò e mi venne incontro. cercai di contrastare con forza l’inusuale fascino che mi avvolgeva per mantenere la libertà dello spirito. la sua tranquillità e cordialità mi aiutarono a tornare in me, più di quanto non riuscissi a fare io. Mi chiese come avevo trovato gli uomini durante il mio viaggio. «più bestiali che divini», gli risposi. «Questo perché così pochi sono umani», disse. intuii un senso profondo in quella frase ed ero ancora più curioso di ascoltarlo, perché ciò che intuivo mi sembrava in aperto contrasto con il mio modo di vivere e di pensare fno a quel momento. lo pregai di spiegarmi ciò che voleva dire, ed egli proseguì: «non dobbiamo negare la nostra nobiltà, dobbiamo mantenere puro e sacro in noi il modello di tutto ciò che esiste. il metro con cui misuriamo la natura deve essere illimitato, e indomabile deve essere l’istinto a dar forma all’informe secondo l’archetipo che abbiamo in noi, a sottomettere la materia recalcitrante alla legge sacra dell’u-

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bitterer ist freilich der Schmerz im Kampfe mit ihr, desto größer die Gefahr, daß wir im unmuth die Götterwaffen von uns werfen, dem Schiksaal und unsern Sinnen uns gefangen geben, die Vernunft verläugnen, und zu Thieren werden – oder auch daß wir, erbittert über den Widerstand der natur, gegen sie kämpfen, nicht um in ihr und so zwischen ihr und dem Göttlichen in uns Frieden und einigkeit zu stiften, sondern um sie zu vernichten, daß wir gewaltsam jedes Bedürfniß zerstören, jede empfänglichkeit verläugnen, und so das schöne Vereinigungsband, das uns mit anderen Geistern zusammenhält, zerreißen, die Welt um uns zu einer Wüste machen, und die Vergangenheit zum Vorbild einer hofnungslosen zukunft. er hielt einen Augenblik inne; ich glaubte, zu bemerken, daß an | den lezten Worten sein Gemüth mer Anteil genommen hatte, als zuvor. Wir können’s nicht verläugnen, fuhr er erheitert fort, es ist etwas in uns, was selbst im Kampfe mit der natur Hülfe von ihr erwartet und hoft. und sollten wir nicht? Begegnet nicht in allem, was da ist, unserem Geiste ein freundlicher Geist? Birgt sich nicht, indeß er die Waffen gegen uns kehrt, ein guter Meister hinter dem Schilde? nenn’ ihn, wie du willst! er ist derselbe. Oft treten erscheinungen vor unsre Sinne, wo es uns ist, als wäre das Göttlichste in uns sichtbar geworden, Symbole des Heiligen und unvergänglichen in uns. Oft offenbart sich im Kleinsten das Gröste. das urbild aller einigkeit, das wir im Geiste bewahren, es scheint uns wieder in den friedlichen Bewegungen unsres Herzens, es stellt sich im Angesichte dieses Kindes dar. und hörten wir nie die Melodie des Schiksaals rauschen? – Seine dissonanzen bedeuten dasselbe. denke nicht, ich spreche zu jugendlich, lieber Fremdling! ich weis, daß nur Bedürfnis uns dringt, der natur eine Verwandschaft mit dem unsterblichen in uns zu geben und in der

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nità. Ma quanto più acuto è il dolore nella lotta contro di lei, tanto più grande è il pericolo di abbandonare per lo sconforto le armi divine, di consegnarci prigionieri al destino e ai nostri sensi, di rinnegare la ragione e divenire animali – o anche il pericolo che, inaspriti dalla resistenza della natura, lottiamo contro di lei non per instaurare la pace e l’unità in lei e fra lei e il divino che è in noi, ma per annientarla, cosicché distruggiamo con violenza ogni necessità, neghiamo qualsiasi disponibilità, e strappiamo così il bel legame che ci unisce agli altri spiriti, rendendo un deserto il mondo intorno a noi e facendo del passato il modello per un futuro senza speranza». Tacque per un attimo; mi parve di percepire nelle | ultime parole un maggior coinvolgimento emotivo. «non possiamo negarlo», proseguì rasserenato, «c’è qualcosa in noi che, persino lottando contro la natura, si aspetta e spera di ricevere da lei un aiuto. e perché no? il nostro spirito non incontra forse uno spirito amico in tutto ciò che esiste? Mentre rivolge le armi contro di noi, non si nasconde un ottimo maestro dietro lo scudo? chiamalo come vuoi, è sempre lo stesso. Spesso si presentano ai nostri sensi delle apparizioni che ci fanno credere che il divino sia divenuto visibile in noi, simboli del sacro e dell’incorruttibile in noi. Spesso nel più piccolo si manifesta il più grande. l’archetipo dell’unità, che conserviamo nell’animo, ci riappare nei moti tranquilli del cuore, si manifesta nel viso di questo bimbo. e se non abbiamo mai sentito risuonare la melodia del destino? le sue dissonanze hanno lo stesso signifcato. non pensare che io parli come un ingenuo, caro sconosciuto! So che è solo il bisogno a spingerci a trovare un’affnità tra la natura e ciò che in noi è immortale e a credere che

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Materie einen Geist zu glauben, aber ich weis, daß dieses Bedürfnis uns dazu berechtigt. ich weis, daß wir da, wo die schönen Formen der natur uns die gegenwärtige Gottheit verkündigen, wir selbst die Welt mit unserer Seele beseelen, aber was ist dann, das nicht durch uns so wäre wie es ist? laß mich menschlich sprechen. Als unser ursprünglich unendliches Wesen zum erstenmale leidend ward und die freie volle Kraft die ersten Schranken empfand, als die Armuth mit dem Überfusse sich paarte, da ward die liebe. Fragst du, wann das war? plato sagt: Am Tage da Aphrodite geboren wurde. Also da, als die schöne Welt für uns anfeng, da wir zum Bewußtsein kamen, da wurden wir endlich. nun fülen wir tief die Beschränkung unseres Wesens, und die gehemmte Kraft sträubt sich ungeduldig gegen ihre Fesseln, und doch ist etwas in uns das diese Fesseln gerne behält – denn würde das Göttliche in uns von keinem Widerstande beschränkt, so wüßten wir von nichts außer uns, und so auch von uns selbst nichts, und von sich nichts zu wissen, sich nicht zu fülen, und vernichtet seyn, ist für uns eines. | Wir können den Trieb, uns zu befreien, zu veredlen, fortzuschreiten ins unendliche, nicht verläugnen – das wäre thierisch, wir können aber auch den Trieb bestimmt zu werden, zu empfangen, nicht verläugnen, das wäre nicht menschlich. Wir müßten untergehn im Kampfe dieser widerstreitenden Triebe. Aber die liebe vereiniget sie. Sie strebt unendlich nach dem Höchsten und Besten, denn ihr Vater ist der Überfuß, sie verläugnet aber auch ihre Mutter die dürftigkeit nicht; sie hoft auf Beistand. pp. So zu lieben ist menschlich. Jenes höchste Bedürfnis unseres Wesens, das uns dringt, der natur eine Verwandschaft mit dem unsterblichen in uns beizulegen, und in der Materie einen Geist zu glauben, es ist diese liebe.

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ci sia uno spirito nella materia, ma so anche che questo bisogno ci autorizza a farlo. So che, laddove le belle forme della natura ci annunciano la presenza della divinità, siamo noi ad animare il mondo con la nostra anima, ma le cose sarebbero così come sono, senza di noi? lascia che parli da uomo. Quando il nostro essere, in origine infnito, provò il dolore per la prima volta e la forza libera e piena percepì le prime limitazioni, quando la povertà si unì all’abbondanza, nacque l’amore. Mi chiedi quando accadde? platone dice: nel giorno in cui nacque Afrodite. Fu allora che per noi cominciò il mondo, quando arrivammo ad averne consapevolezza, quando cominciammo a esistere. Ora sentiamo profondamente i limiti del nostro essere, la forza imbrigliata si divincola impaziente nei suoi lacci, eppure c’è qualcosa in noi che preferisce rimanere legato... infatti, se il divino in noi non fosse limitato da alcun ostacolo, non sapremmo nulla di ciò che è al di fuori di noi, né di ciò che è in noi, e non sapere nulla di sé, non percepirsi o essere annientati è la stessa cosa. | non possiamo negare l’istinto di liberarci, di nobilitarci, di progredire verso l’infnito... Sarebbe bestiale; ma allo stesso tempo non possiamo negare nemmeno l’istinto a essere determinati, a ricevere: non sarebbe umano. periremmo nella lotta fra questi due istinti contrapposti. Ma l’amore li unisce. esso tende instancabilmente verso il sublime e l’eccelso, perché l’abbondanza gli è madre, ma non rinnega nemmeno suo padre, il bisogno; spera in un sostegno. Amare in questo modo è umano. Quell’estremo bisogno del nostro essere che ci spinge ad attribuire alla natura un’affnità con l’immortale che è in noi e a credere che ci sia uno spirito nella materia, quello è l’amore».

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‹Metrische Fassung› Gestählt vom Schiksaal und den Weisen war durch meine Schuld mein jugendlicher Sinn Tyrannisch gegen die natur geworden. unglaubig nahm ich auf, was ich wie sonst Aus ihrer mütterlichen Hand empfeng, So konnte keine lieb in mir gedeihen. ich freute mich des harten Kampfs, in dem das licht die alte Finsternis bekämpft, doch kämpft’ ich mer, damit ich das Gefühl der Überlegenheit erbeutete, Als um die einigkeit und hohe Stille den Kräften mit zu teilen, die gesezlos der Menschen Herz bewegen, achtet’ auch der Hülfe nicht, womit uns die natur entgegenkömt, in jeglichem Geschäfte des Bildens, nahm die Willigkeit nicht an, Womit der Stoff dem Geiste sich erbietet, ich wollte zähmen, herrschen wollt ich, richtete Mit Argwohn und mit Strenge mich, und andre, Auch hört’ ich nicht die zarten Melodien der Häuslichkeit, des reinen Kindersinns. einst hatte wohl der fromme Mäonide Mein junges Herz gewonnen, auch von ihm und seinen Göttern war ich abgefallen. – ich wanderte durch fremdes land, und wünscht’ im Herzen oft, ohn’ ende fortzuwandern.

‹Stesura in versi› Temprato dal destino e dai saggi, per mia colpa,58 il mio giovane senno era divenuto Tirannico nei confronti della natura.59 Guardavo diffdente ciò che prima Accoglievo dalle sue mani materne, così non poté forire in me l’amore. Gioivo per la dura lotta con cui la luce combatte l’antica tenebra, Ma combattevo anche di più per procurarmi un sentimento di superiorità, piuttosto che trasfondere unità e nobile quiete Alle forze che, sregolate, Agitano il cuore dell’uomo; non mi curavo nemmeno dell’aiuto con cui la natura ci soccorre nei momenti dello sviluppo, non accettavo la sollecitudine con cui la materia si offre allo spirito; Volevo domare, dominare volevo, giudicavo con sospetto e con severità me stesso e gli altri, e nemmeno ascoltavo le tenere melodie della quotidianità, dello spirito puro dell’infanzia. un tempo il pio meonide aveva conquistato il mio giovane cuore, anche da lui e dai suoi dei sono stato ripudiato. Vagavo per terre straniere, e desiderava Spesso il mio cuore di vagare senza fne.

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da hört’ ich einst von einem weisen Manne, der nur seit kurzem erst ein nahes landhaus Bewohn’, und unbekannt, doch aller Herzen | der kleinen, wie der größern, mächtig sei, der meisten freilich, weil er fremd’ und schön und stille wäre, doch auch einiger, die seinen Geist verständen, ahndeten. ich gieng hinaus, den seltnen Mann zu sprechen. ich traf ihn bald in seinem pappelwalde. er saß an einer Statue; vor ihm ein Knabe; lächelnd streichelt’ er die loken Mit sanfter Hand dem Knaben aus der Stirne, und blikte stumm mit Schmerz und Wohlgefallen das holde Wesen an, das frei und freundlich dem königlichen Mann ins Auge sah. ich stand von fern und ruht auf meinem Stabe. doch da er um sich wandt’, und sich erhub und mir entgegentrat, da widerstand ich dem neuen zauber, der mich izt umfeng, Mit Mühe kaum, daß ich den Geist mir frei erhielt, doch stärkte mich des Mannes Ruh und Freundlichkeit auch wieder wunderbar. und wie ich wohl auf meinen Wanderungen die Menschen fände, fragt er traulich mich nach einer Weile, thierisch mer als göttlich Versezt’ ich hart und strenge, wie ich war. Sie wären’s nicht, erwiedert er mit ernst, und liebe, wenn ihr Sinn nur menschlich wäre. ich bat ihn, was er dächte zu enthüllen. das volle Maas, begann er nun, woran des Menschen edler Geist die dinge mißt,

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A un tratto sentii parlare di un uomo saggio che da poco abitava una casa di campagna nei dintorni e, sconosciuto, tutti i cuori | Si era accattivato, dei grandi e dei piccini, di molti invero perch’era straniero e bello e quieto, di altri invece perché comprendevano, presagivano il suo spirito. Andai a parlare con quell’uomo singolare. lo incontrai subito nel suo bosco di pioppi. Sedeva accanto a una statua; davanti a lui un fanciullo; sorridendo gli scostava i riccioli dolcemente dalla fronte, Osservando silenzioso, con dolore e piacere, la soave creatura che disinvolta e affettuosa Guardava negli occhi quell’uomo regale. Mi fermai in lontananza appoggiato al bastone. Ma quando si voltò e si alzò per venirmi incontro, riuscii con fatica A contrastare lo strano fascino che mi Avvolgeva, mantenendo libero lo spirito, Ma la tranquillità dell’uomo e la sua cordialità Mi confortarono come d’incanto. e come avevo trovato gli uomini durante i miei viaggi, mi domandò confdenziale dopo un po’. più bestiali che divini, Risposi, duro e severo com’ero. non sarebbero così, replicò con serietà e con amore, se solo la loro sensibilità fosse umana. lo pregai di spiegarmi il suo pensiero.60 la misura, cominciò, con cui il nobile spirito dell’uomo valuta le cose

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ist gränzenlos, und soll es seyn und bleiben. das ideal von allem, was erscheint, Wir sollen rein und heilig es bewahren. der Trieb in uns, das ungebildete zu bilden nach dem Göttlichen in uns, die mächtig widerstrebende natur | dem Geist der in uns herrscht zu unterwerfen, Soll nie auf halbem Wege sich begnügen. doch um so bitterer ist auch der Schmerz im Kampfe, desto größer die Gefahr, daß oft der blutge Streiter unmuthsvoll die Götterwaffen ferne von sich wirft, der ehernen nothwendigkeit sich schmieget, Sich selbst verläugnet, und zum Thiere wird – Oft, daß er auch, vom Widerstand erbittert, nicht wie er sollte die natur bekämpft, um Frieden ihr und einigkeit zu geben, nur um die Widerspenstige zu drüken. So tödten wir das menschlichste Bedürfnis Verläugnen die empfänglichkeit in uns, die uns vereinigte mit andern Geistern. So wird die Welt um uns zu einer Wüste und das vergangene zum bösen zeichen der hofnungslosen Folgezeit entstaltet. Wir könnens nicht verläugnen, fuhr er nun erheitert fort, wir rechnen selbst im Kampfe Mit der natur auf ihre Willigkeit. und irren wir? begegnet nicht in allem Was da ist, unsrem Geist’ ein freundlicher Verwandter Geist? und birgt sich lächelnd nicht, indeß er gegen uns die Waffen kehrt, ein guter Meister hinter seinem Schilde? –

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È illimitata, e così deve essere e rimanere. l’ideale di tutto ciò che esiste dobbiamo custodirlo sacro e puro. l’istinto che abbiamo, di dare forma All’informe secondo il divino che è in noi, di sottomettere la natura recalcitrante | Allo spirito che ci governa, non deve mai fermarsi a mezza strada. Ma ancora più acuto è allora il dolore della lotta, ancora più grande il pericolo che il combattente sanguinante e sconfortato Abbandoni le armi divine, Si pieghi alla ferrea necessità, Rinneghi se stesso e diventi bestiale... O anche che, inasprito dalla resistenza, combatta la natura non come dovrebbe, per donarle pace e unità, Ma solo per piegare la ribelle. così uccidiamo il bisogno più umano, Rinneghiamo quella disponibilità che ci univa agli altri spiriti. così il mondo intorno a noi diviene un deserto e il passato si sfgura in un cattivo auspicio per un futuro senza speranza. non possiamo negarlo, proseguì poi Rasserenato, persino lottando contro la natura facciamo conto sulla sua docilità. ci sbagliamo? il nostro spirito non incontra, in tutto ciò che esiste, uno spirito Amico, a lui affne? e non si nasconde sorridendo Mentre rivolge contro di noi le armi, un buon maestro, dietro lo scudo?

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Benenn’ ihn, wie du willst! er ist derselbe. Verborgnen Sinn enthält das Schöne! – deute Sein lächeln dir! – denn so erscheint vor uns, das Heilige, das unvergängliche. im Kleinsten offenbart das Gröste sich. das hohe urbild aller einigkeit, es scheint uns wieder in den friedlichen Bewegungen des Herzens, stellt sich hier im Angesichte dieses Kindes dar. – und rauschten nahe dir die Melodien | des Schiksaals nie? verstandst du sie? dasselbe Bedeuten seine dissonanzen auch. du denkest wohl, ich spreche jugendlich. ich weis, es ist Bedürfnis, was uns dringt, der ewig wechselnden natur Verwandschaft Mit dem unsterblichen in uns zu geben, doch diß Bedürfnis giebt das Recht uns auch. Auch ist mir nicht verborgen, daß wir da, Wo uns die schönen Formen der natur die Gegenwart des Göttlichen verkünden, Mit unsrem Geiste nur die Welt beseelen. doch, lieber Fremdling, sage mir, was ist, das nicht durch uns so wäre, wie es ist? er schwieg und sah mich forschend an; ich sagt ihm, Wohl mancher hätt am ende deß, was er Mir da gesagt, ein kleines Aergernis Genommen, doch ich hätte, wenn ich anders nicht irrte, sein Geheimnis durchgeschaut. So kann ich ja wohl mer noch wagen, rief er traut und heiter, doch erinnre mich zu rechter zeit! – Als unser Geist, begann er lächelnd nun, sich aus dem freien Fluge

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chiamalo come vuoi! È lo stesso. la bellezza ha in sé un senso nascosto – interpreta il suo sorriso! perché così si manifesta davanti a noi il sacro, l’incorruttibile. nel più piccolo si rivela il più grande.61 il nobile archetipo dell’unità ci riappare nei pacifci Moti del cuore, si manifesta qui, nel viso di questo bimbo. non hai mai sentito risuonare intorno a te | le melodie del destino? le hai comprese? lo stesso Signifcano anche le sue dissonanze. penserai che parlo da ingenuo. So che è il bisogno a spingerci a trovare Affnità tra la natura eternamente mutevole e l’immortale che è in noi, Ma questo bisogno ce ne dà anche il diritto. non mi sfugge certo che, dove le belle forme della natura ci Annunciano la presenza del divino, Siamo noi con il nostro spirito che animiamo il mondo. e infatti, caro straniero, dimmi: le cose Sarebbero così come sono, senza di noi?62 Tacque e mi guardò attento; gli dissi che molti si sarebbero irritati per la conclusione del suo discorso, Ma io, se non mi sbagliavo, Avevo intuito il suo segreto. Allora posso osare ancor di più, esclamò63 Allegro e sereno, ma ricordamelo Al momento opportuno! Quando il nostro spirito, riprese Sorridendo, si sciolse dal volo libero

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der Himmlischen verlor, und erdwärts sich, Vom Aether neigt’, und mit dem Überfusse Sich so die Armuth gattete, da ward die liebe. das geschah am Tage, da den Fluthen Aphrodite sich entwand. Am Tage, da die schöne Welt für uns Begann, begann für uns die dürftigkeit des lebens und wir tauschten das Bewußtsein Für unsre Reinigkeit und Freiheit ein. – der reine leidensfreie Geist befaßt Sich mit dem Stoffe nicht, ist aber auch Sich keines dings und seiner nicht bewußt, Für ihn ist keine Welt, denn außer ihm | ist nichts. – doch, was ich sag’, ist nur Gedanke. – nun fülen wir die Schranken unsers Wesens und die gehemmte Kraft sträubt ungeduldig Sich gegen ihre Fesseln, und es sehnt der Geist zum ungetrübten Aether sich zurük. doch ist in uns auch wieder etwas, das die Fesseln gern behält, denn würd in uns das Göttliche von keinem Widerstande Beschränkt – wir fühlten uns und andre nicht. Sich aber nicht zu fühlen, ist der Tod, Von nichts zu wissen, und vernichtet seyn ist eins für uns. – Wie sollten wir den Trieb unendlich fortzuschreiten, uns zu läutern, uns zu veredlen, zu befrein, verläugnen? das wäre thierisch. doch wir sollten auch des Triebs, beschränkt zu werden, zu empfangen, nicht stolz uns überheben, denn es wäre nicht menschlich, und wir tödteten uns selbst. den Widerstreit der Triebe, deren keiner entbehrlich ist, vereiniget die liebe.

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dei celesti, e dall’etere si rivolse Verso terra, e con l’abbondanza Si accoppiò la povertà, lì nacque l’amore. Accadde nel giorno in cui Afrodite si librò dai futti. nel giorno in cui per noi iniziò il mondo, iniziò per noi anche la miseria della vita e scambiammo la consapevolezza con la nostra purezza e libertà. lo spirito puro e che non soffre non si occupa della materia, non è nemmeno consapevole delle cose né di sé, per lui non esiste il mondo, perché al di fuori di lui | c’è il nulla. Ma quello che dico è solo un mio pensiero. Ora sentiamo i limiti del nostro essere e la forza imbrigliata si divincola impaziente nei suoi lacci, e lo spirito anela Tornare all’etere limpido. eppure c’è anche qualcosa in noi che preferisce rimanere legato; infatti, se in noi il divino non fosse limitato da alcun Ostacolo... non percepiremmo né noi né gli altri. Ma non percepire se stessi è morire, non sapere nulla o essere annientati È per noi la stessa cosa. come potremmo negare l’istinto di progredire all’infnito, di migliorarci, di nobilitarci, di liberarci? Sarebbe bestiale. Ma non dovremmo nemmeno Sprezzare orgogliosi l’istinto di essere limitati, di ricevere, perché non sarebbe umano, e uccideremmo noi stessi.64 la contrapposizione degli istinti, a nessuno dei quali si può rinunciare, è sanata dall’amore.65

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Wenn deine pficht ein feurig Herz begleitet, Verschmähe nicht den rüstigen Gefährten. und wenn dem Göttlichen in dir ein zeichen der gute Sinn erschafft, und goldne Wolken den Aether des Gedankenreichs umziehn, Bestürme nicht die freudigen Gestalten! denn du bedarfst der Stärkung der natur. dem Höchsten und dem Besten ringt unendlich die liebe nach, und wandelt kühn und frei durch Flammen und durch Fluthen ihre Bahn, Sie wartet aber auch in frölichem Vertraun der Hülfe, die von außen kömmt, und überhebt sich ihrer Armuth nicht. doch irret mannigfaltig auch die liebe. | 520

So reich sie ist, so dürftig fühlt sie sich, Je mächtiger in ihr das Göttliche Sich regt – sie dünket nur sich um so schwächer. Wie kann sie so den Reichtum, den sie tief im innersten bewahrt, in sich erkennen? Sie trägt der Armuth schmerzliches Gefühl, und füllt den Himmel an mit ihrem Reichtum. Mit ihrer eignen Herrlichkeit veredelt Sie die Vergangenheit, wie ein Gestirn durchwandelt sie der zukunft weite nacht Mit ihrem reinen licht, und sie vergißt, daß nur von ihr die dämmerung entspringt, die heilig ihr und hold entgegenkömmt. in ihr ist nichts, und außer ihr ist alles. Sie hat den Adel ihres Vaters nun Verloren, und der freie Sinn ist hin. ‹lücke von einem Blatt›

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Se compi il tuo dovere con un cuore impetuoso, non disprezzare il rozzo compagno. e se il buon senso dà espressione Al divino che è in te, e nuvole dorate Avvolgono l’etere del regno dei pensieri, non assalire quelle fgure felici! perché hai bisogno del nutrimento della natura. il sublime e l’eccelso cerca l’amore con infnito affanno, e segue audace e libero, Tra le famme e tra i futti la sua strada, Aspetta però anche con gioiosa confdenza l’aiuto che viene dall’esterno, e non disprezza la sua povertà. Ma anche l’amore in molti modi sbaglia. | per quanto sia ricco, per quanto si senta povero, per quanto potente si agiti in lui il divino – gli pare di essere sempre più debole. come potrà riconoscere la ricchezza che custodisce dentro di sé nel profondo? porta il doloroso sentimento della povertà, e ricolma il cielo con la sua ricchezza. con il suo splendore nobilita il passato, come una stella Attraversa la vasta notte del futuro con la sua luce pura, e dimentica che solo da lui può sorgere l’aurora che gli si fa incontro sacra e soave. nulla è in lui, e tutto è al di fuori di lui. Ha perso dunque la nobiltà di suo padre, e lo spirito libero è svanito. ‹manca un foglio›

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das beste Wort verwirrt den Menschen oft Wenn er den treuen Tadel nicht versteht; er soll sich reinigen von einer Schlake, er möcht’ es wohl, und weis nicht, wie und wo? und fällt sein Gutes an im Misverstande. Besiegt er es, so fühlt er wohl, er thue nicht recht daran, und siegt die Meinung nicht, Behält ihr Recht die bessere natur, So straft er sich doch auch und zwiefach quält im Kampfe mit sich selbst, der Arme sich.

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Von lieben Fantasien sollte sich zu rechter zeit des Knaben Sinn enthalten. in seiner Folgsamkeit verwundete der Thörige die Wurzel seines Wesens den jungen Trieb, zu wirken und zu siegen, und grämte sich, in seiner schmerzlichen erniedrigung, und wähnte doch sie nötig. | So gieng ich einst vorüber an der Kirche, das Thor war offen, und ich trat hinein. ich sahe keinen Menschen und es war So stille, daß mein Fußtritt wiederhallte. Von dem Altare, wo ich weilte, sah panagia mit Wehmuth und mit liebe zu mir herab. ich beugte stumm vor ihr das Knie, und weint’ und blikte lächelnd wieder Hinauf zu ihr, und konnte lange nicht das Auge von ihr wenden, bis ein Wagen, der rasselnd nah vorüberfuhr, mich schrökte. izt trat ich leise wieder an die Thüre und sahe durch den Spalt, und wartete des Augenbliks, wo leer die Straße war, da schlüpft’ ich schnell hinaus, und fog davon und schloß mich sorgsam ein in meine Kammer.

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una buona parola spesso confonde l’uomo che non comprende il fedele ammonimento; deve purifcarsi da una macchia, lo vorrebbe davvero, ma non sa come e dove e fraintendendo combatte contro il suo stesso bene. Se ha la meglio, si accorge però che non è una cosa giusta; se la sua idea non vince la natura migliore mantiene il suo diritto, ed egli si punisce e si tormenta doppiamente nella lotta contro se stesso, il poverino. dalle care fantasie dovrebbe Astenersi a tempo opportuno la mente del fanciullo. con la sua arrendevolezza ha compromesso, lo sciocco, le radici del suo essere, il giovane istinto ad agire e a vincere e si affigge nella sua dolorosa umiliazione: eppure la credeva necessaria. | così passai una volta davanti a una chiesa, la porta era aperta, entrai. non vidi nessuno, era così silenziosa che i miei passi rimbombavano. dall’altare, dove mi fermai, panagia66 mi guardava malinconica e dolce. Muto piegai davanti a lei il ginocchio, piansi e poi sollevai gli occhi sorridendo Verso di lei, e a lungo non potei da lei distogliere lo sguardo, fnché un carro che passava strepitando nei dintorni, non mi riscosse. Tornai verso la porta e guardai fuori socchiudendola, attesi l’attimo in cui la strada fosse vuota per sgattaiolare fuori veloce e fuggire e mi chiusi pensieroso nella mia stanza.

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Oft sah und hört’ ich freilich nur zur Hälfte, und sollt’ ich rechtwärts gehn, so gieng ich links, und sollt ich eilig einen Becher bringen, So bracht’ ich einen Korb, und hatt’ ich auch das richtige gehört, so waren, ehe noch Gethan war, was ich sollte, meine Völker Vor mich getreten, mich zum Rath, und Feinde, zu wiederhohlter Schlacht mich aufzufordern, und über dieser größern Sorg’ entfel mir dann die kleinre, die mir anbefolen war. Oft sollt’ ich straks in meine Schule wandern, doch ehe sich der Träumer es versah, So hatt’ er in den Garten sich verirrt, und saß behäglich unter den Oliven, und baute Flotten, schifft’ ins hohe Meer.

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diß kostete mich tausend kleine leiden. Verzeihlich war es immer, wenn mich oft die Klügeren mit herzlichem Gelächter Aus meiner seeligen ekstase schrökten, | doch unaussprechlich wehe that es mir. Mir schien, als wäre nun mein Heldentum zum Spotte vor der argen Welt geworden, und was mit Recht dem Träumer galt, das nahm der Fürst der Heere für entwürdigung. und lange drauf, als schon der Knabe sich Für mündig hielt, ertappt’ ich mich noch einmal Auf einer kindischen erinnerung, Als einst ich las, wie der pelide tief Gekränkt an seiner ehre, weinend sich Ans Meeresufer sezt, und seiner Mutter der Herrliche den bittern Kummer klagt

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Spesso guardavo e ascoltavo, in effetti, solo per metà; Se dovevo andare a destra, andavo a sinistra, Se dovevo in fretta portare un bicchiere, portavo un cesto, e anche quando Avevo ascoltato bene, prima ancora che potessi ubbidire, i miei mi fermavano per consigliarmi, e i nemici per sfdarmi di nuovo alla battaglia e questa preoccupazione più grande mi faceva dimenticare la piccola, ciò che mi era stato comandato. Spesso dovevo andare dritto a scuola, Ma ancor prima che il sognatore se ne accorgesse Si era già perso in giardino, e sedeva comodamente tra gli ulivi costruendo fotte, navigando in mare aperto. ciò mi costò mille piccoli dolori. Si poteva sempre perdonare quando i più furbi Spesso mi facevano sobbalzare, ridendo di cuore, dalla mia estasi beata | Ma mi feriva indicibilmente. Mi pareva che il mio eroismo fosse divenuto Oggetto di scherno per il mondo maligno, e ciò che per il sognatore era legittimo, per il principe degli eserciti era un’ignominia. e molto più tardi, quando il fanciullo già Si riteneva maturo, mi sorpresi ancora una volta con un ricordo infantile, Quando lessi come il pelide, profondamente Offeso nel suo onore, piangendo Si sedette sulla riva del mare lamentandosi, il magnifco, con la madre dell’amaro cruccio67

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Hyperions Jugend. erster theIl. erstes Kapitel. in den ersten Jahren der Mündigkeit, wenn der Mensch vom glüklichen instincte sich losgerissen hat, und der Geist seine Herrschaft beginnt, ist er gewöhnlich nicht sehr geneigt, den Grazien zu opfern. ich war vester und freier geworden in der Schule des Schiksaals und der Weisen, aber streng ohne Maas, in vollem Sinne tyrannisch gegen die natur, wiewohl ohne die Schuld meiner Schule. der gänzliche unglaube, womit ich alles aufnahm, lies keine liebe in mir gedeihen. der reine freie Geist, glaubt’ ich, könne sich nie mit den Sinnen und ihrer Welt versöhnen. ich kämpfte überall mit dem Vernunftlosen, mehr, um mir das Gefühl der Überlegenheit zu erbeuten, als um den regellosen Kräften, die des Menschen Brust bewegen, die schöne einigkeit mitzutheilen, deren sie fähig sind. Stolz schlug ich die Hülfe aus, womit uns die natur in jedem Geschäfte des Bildens entgegenkömmt, die Bereitwilligkeit, womit der Stoff dem Geiste sich hingiebt; ich wollte zähmen und zwingen. ich richtete mit Argwohn und Härte mich und andre. Für die stillen Melodien des lebens, für das Häusliche und Kindliche hatt’ ich den Sinn beinahe ganz verloren. einst hatte Homer mein junges Herz so ganz gewonnen; auch von ihm, und seinen Göttern war ich abgefallen. ich reiste, und wünscht’ oft ewig fortzureisen.

Giovinezza di Iperione parte prIma capitolo primo nei primi anni dell’età adulta, quando l’uomo si è affrancato dal felice istinto e lo spirito inizia a dominare, in genere non è molto incline a sacrifcare alle Grazie.68 ero divenuto più forte e più libero alla scuola del destino e dei saggi, ma severo senza misura, veramente tirannico nei confronti della natura, anche se non per colpa della scuola. la grande sfducia con cui prendevo ogni cosa non lasciò forire in me l’amore. lo spirito libero e puro non potrà mai riconciliarsi, credevo, con i sensi e il loro mondo. combattevo dovunque contro ciò che era irrazionale, ma più per conquistarmi un senso di superiorità che per trasmettere alle forze sregolate che agitano il cuore dell’uomo, la bella armonia di cui sono capaci. Orgoglioso rifutavo l’aiuto che la natura ci offre per soccorrerci nei momenti dello sviluppo, la sollecitudine con cui la materia si offre allo spirito; volevo domare e costringere. Giudicavo me e gli altri con diffdenza e durezza. delle silenziose melodie della vita, del quotidiano e dell’infantile avevo perso quasi completamente il senso. una volta Omero aveva conquistato il mio giovane cuore; poi avevo rinnegato anche lui e i suoi dei.69 Viaggiavo, e spesso desideravo di viaggiare in eterno.

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da hört’ ich einst von einem guten Manne, der seit kurzem ein nahes landhaus bewohne, und ohne sein Bemühn recht wunderbar sich aller Herzen bemeistert habe, der kleinern, wie der | größern, der meisten freilich, weil er fremd und freundlich wäre, doch wären auch einige, die seinen Geist verständen, ahndeten. ich gieng hinaus, den Mann zu sprechen. ich traf ihn in seinem pappelwalde. er saß an einer Statue, und ein lieblicher Knabe stand vor ihm. lächelnd streichelt’ er diesem die loken aus der Stirne, und schien mit Schmerz und Wohlgefallen das holde Wesen zu betrachten, das so ganz frei und traulich dem königlichen Mann’ in’s Auge sah. ich stand von fern und ruhte auf meinem Stabe; doch da er sich umwandte, und sich erhub, und mir entgegentrat, da widerstand ich dem neuen zauber, der mich umfeng, mit Mühe, daß ich mir den Geist frei erhielt, doch stärkte mich auch wieder die Ruhe und Freundlichkeit des Mannes. – und wie ich wohl die Menschen fände auf meinen Wanderungen, fragt’ er mich nach einer Weile. Mehr thierisch, als göttlich, versezt’ ich hart und strenge, wie ich war. O wenn sie nur erst menschlich wären! erwiedert’ er mit ernst und liebe. ich bat ihn, sich darüber zu erklären. es ist wahr, begann er nun, das Maas ist gränzenlos, woran der Geist des Menschen die dinge mißt, und so soll es seyn! wir sollen es rein und heilig bewahren, das ideal von allem, was erscheint, der Trieb in uns, das ungebildete nach dem Göttlichen in uns zu bilden, und die widerstrebende natur dem Geiste, der in uns herrscht, zu unterwerfen, er soll nie auf halbem Wege sich begnügen; doch um so ermüdender ist auch der Kampf, um so mehr ist zu fürchten, daß nicht der blutige Streiter die Götterwaffen im unmuth von sich werffe, dem Schiksaal sich gefangen gebe, die Vernunft verläugne, und zum Thiere werde, oder auch, erbittert vom Widerstande, verheere, wo er schonen sollte, das friedli-

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poi sentii parlare di un uomo che da poco abitava in una casa di campagna vicina, e che stranamente si era subito conquistato il cuore di tutti, dei grandi e dei | piccini; nella maggior parte dei casi, in realtà, perché era straniero e gentile, ma c’erano anche alcuni che avevano compreso, intuito il suo spirito. Andai a parlare con quell’uomo.70 lo trovai nel suo bosco di pioppi, seduto accanto a una statua, un bel bambino era in piedi davanti a lui. Sorridendo, gli scostava i riccioli dalla fronte, e sembrava osservare con dolore e compiacimento la soave creatura che, disinvolta e affettuosa, guardava verso quell’uomo regale. Mi fermai a distanza, appoggiato al bastone, ma quando si voltò e si alzò per venirmi incontro, riuscii con fatica a resistere all’inusuale fascino che mi avvolgeva per mantenere libero lo spirito, ma la tranquillità e la cordialità dell’uomo mi confortarono. e come trovavo gli uomini durante i miei viaggi, mi chiese dopo un poco. «più bestiali che divini», risposi, duro e severo com’ero. «Fossero almeno umani!», replicò con serietà e calore. lo pregai di spiegarsi. «È vero», cominciò, «il metro con cui lo spirito dell’uomo misura le cose è illimitato, e così dev’essere. dobbiamo conservarlo puro e sacro, l’ideale di tutto ciò che esiste; l’istinto che abbiamo di dar forma all’informe in base al divino che è in noi e a sottomettere la natura recalcitrante allo spirito che domina in noi, non deve mai fermarsi a metà strada; ma quanto più estenuante è la battaglia, tanto più bisogna temere che il combattente sanguinante, sconfortato, getti via da sé le armi divine, si consegni prigioniero al destino, rinneghi la ragione e si trasformi in animale; oppure che, inasprito dalla resistenza incontrata, devasti dove deve risparmiare, annienti l’amico con il ne-

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che mit dem feindlichen vertilge, die natur aus roher Kampfust bekämpfe, nicht um des Friedens willen, seine Menschlichkeit verläugne, jedes schuldlose Bedürfnis zerstöre, das mit andern Geistern ihn vereinigte, ach! daß die Welt um ihn zu einer Wüste werde, und er zu Grunde gehe in seiner fnstern einsamkeit. ich war betroffen; auch er schien bewegt. Wir können es nicht verläugnen, fuhr er wieder erheitert fort, wir rechnen selbst im Kampfe mit der natur auf ihre Willigkeit. | Wie sollten wir nicht? Begegnet nicht in allem, was da ist, unsrem Geiste ein freundlicher verwandter Geist? und birgt sich nicht, indeß er die Waffen gegen uns kehrt, ein guter Meister hinter dem Schilde? – nenn’ ihn, wie du willst! er ist derselbe. – Verborgnen Sinn enthält das Schöne. deute sein lächeln dir! denn so erscheint vor uns der Geist, der unsern Geist nicht einsam läßt. im Kleinsten offenbart das Gröste sich. das hohe urbild aller einigkeit, es begegnet uns in den friedlichen Bewegungen des Herzens, es stellt sich hier, im Angesichte dieses Kindes dar. – Hörtest du nie die Melodien des Schiksaals rauschen? – Seine dissonanzen bedeuten dasselbe. du denkst wohl, ich spreche jugendlich. ich weis es ist Bedürfnis, was uns dringt, der ewig wechselnden natur Verwandtschaft mit dem unsterblichen in uns zu geben. doch diß Bedürfnis giebt uns auch das Recht. es ist die Schranke der endlichkeit, worauf der Glaube sich gründet; deswegen ist er allgemein, in allem, was sich endlich fühlt. ich sagt’ ihm, daß es mir sonderbar gienge mit dem, was er gesagt; es sei so fremdartig mit meiner bisherigen denkart, und doch scheine mir es so natürlich, als wär’ es bis jezt mein einziger Gedanke gewesen. So kann ich ja wohl noch mehr wagen, rief er traut und heiter, doch erinnre mich zu rechter zeit! – Als unser Geist, fuhr er nun lächelnd fort, sich aus dem freien Fluge der Himmlischen verlor, und sich erdwärts neigte

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mico, combatta la natura per il rozzo piacere di combattere e non per amore della pace, rinneghi la sua umanità, distrugga ogni bisogno innocente che lo unisce ad altri spiriti... così il mondo intorno a lui diventerà un deserto ed egli sarà annientato nella sua cupa solitudine». ero colpito; anche lui sembrava commosso. «non possiamo negarlo», proseguì di nuovo rasserenato, «anche nella lotta contro la natura facciamo affdamento sulla sua docilità.71 | e perché non dovremmo? il nostro spirito non incontra, in tutto ciò che esiste, uno spirito amico, a lui affne? e mentre rivolge le armi contro di noi, non si nasconde dietro lo scudo un buon maestro? chiamalo come vuoi, è sempre lo stesso! la bellezza racchiude un senso nascosto, interpreta il suo sorriso! perché così si manifesta a noi quello spirito che non lascia solo il nostro. nel più piccolo si rivela il più grande. il nobile archetipo dell’unità ci viene incontro nei pacifci moti del cuore, si rivela qui, nel volto di questo bimbo. non hai mai sentito risuonare le melodie del destino? le sue dissonanze hanno lo stesso signifcato. penserai di sicuro che parlo come un ingenuo. So che è il bisogno a spingerci a trovare un’affnità tra la natura eternamente mutevole e la parte immortale di noi, ma è proprio questo bisogno che ce ne dà il diritto. È il limite della fnitezza, sul quale si fonda la fede; per questo è assoluta, in tutto ciò che si percepisce come fnito». Gli dissi che ciò che diceva mi faceva una strana impressione; era molto distante dal mio modo di pensare, eppure mi sembrava così naturale, come se non avessi pensato altro fno a quel momento. «Allora posso osare ancor di più», esclamò allegro e sereno, «ma ricordamelo al momento opportuno! Quando il nostro spirito», proseguì sorridendo, «si sciolse dal volo libero dei celesti e

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vom Aether, als der Überfuß mit der Armuth sich gattete, da ward die liebe. das geschah am Tage, da Aphrodite geboren ward. Am Tage, da die schöne Welt für uns begann, begann für uns die dürftigkeit des lebens. Wären wir einst mangellos und frei von aller Schranke gewesen, umsonst hätten wir doch nicht die Allgenügsamkeit verloren, das Vorrecht reiner Geister. Wir tauschten das Gefühl des lebens, das lichte Bewußtseyn für die leidensfreie Ruhe der Götter ein. denke, wenn es möglich ist, den reinen Geist! er befaßt sich mit dem Stoffe nicht; drum lebt auch keine Welt für ihn; für ihn geht keine Sonne auf und unter; er ist alles, und darum ist er nichts für sich. er entbehrt nicht, weil er nicht wünschen kann; er leidet nicht, denn er lebt nicht. – Verzeih mir den Gedanken! er ist auch nur Gedanke und nichts mehr. – nun fühlen | wir die Schranken unsers Wesens, und die gehemmte Kraft sträubt sich ungeduldig gegen ihre Fesseln, und der Geist sehnt sich zum ungetrübten Aether zurük. doch ist in uns auch wieder etwas, das die Fesseln gerne trägt; denn würde der Geist von keinem Widerstande beschränkt, wir fühlten uns und andre nicht. Sich aber nicht zu fühlen, ist der Tod. die Armuth der endlichkeit ist unzertrennlich in uns vereiniget mit dem Überfusse der Göttlichkeit. Wir können den Trieb, uns auszubreiten, zu befreien, nie verläugnen; das wäre thierisch. doch können wir auch des Triebs, beschränkt zu werden, zu empfangen, nicht stolz uns überheben. denn es wäre nicht menschlich, und wir tödteten uns selbst. den Widerstreit der Triebe, deren keiner entbehrlich ist, vereiniget die liebe, die Tochter des Überfusses und der Armuth. dem Höchsten und Besten ringt unendlich die liebe nach, ihr Blik geht aufwärts und das Vollendete ist ihr ziel, denn ihr Vater, der Überfuß, ist göttlichen Geschlechts. doch pfükt sie auch die Beere

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dall’etere si rivolse verso terra, quando l’abbondanza si accoppiò con la povertà, nacque l’amore. Questo accadde nel giorno in cui nacque Afrodite; nel giorno in cui per noi ebbe inizio il mondo meraviglioso, iniziò per noi anche la miseria della vita. Se fossimo mai stati senza difetto e liberi da qualsiasi limite, non avremmo perso invano l’autosuffcienza, il privilegio degli spiriti puri. Abbiamo scambiato il sentimento della vita, questa labile consapevolezza, con la pace priva di sofferenze degli dei. pensa, se possibile, allo spirito puro! non ha a che fare con la materia, per questo nessun mondo esiste per lui, per lui non sorge e non tramonta il sole; egli è tutto e quindi non è nulla per sé. non rinuncia perché non può desiderare, non soffre perché non vive. perdonami questo pensiero! È solo un pensiero e nulla più. Ora percepiamo | le limitazioni del nostro essere, e la forza imbrigliata si divincola impaziente nei lacci, mentre lo spirito anela a tornare nell’etere limpido. eppure c’è anche qualcosa in noi che preferisce rimanere legato, poiché se lo spirito non incontrasse alcuna resistenza, non percepiremmo né noi né gli altri. Ma non percepire se stessi, è la morte. la povertà della fnitezza è inscindibilmente unita dentro di noi con l’abbondanza della divinità. non potremo mai negare l’istinto di espanderci, di liberarci: sarebbe bestiale. Ma non dovremmo nemmeno sprezzare orgogliosi l’istinto di essere limitati, di ricevere, perché non sarebbe umano e uccideremmo noi stessi. l’amore, il fglio dell’abbondanza e della povertà, sana la contrapposizione fra i due istinti di cui non possiamo fare a meno. l’amore lotta all’infnito inseguendo il sublime e l’eccelso, il suo sguardo punta verso l’alto e la sua meta è la perfezione, perché il suo genitore, l’abbondanza, appartiene alla specie divina.72 eppure cerca anche i frutti tra le spine, e raccoglie le spighe dal campo di stop-

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von den dornen, und sammelt Ähren auf dem Stoppelfelde des lebens, und wenn ihr ein freundlich Wesen einen Trank am schwülen Tage reicht, verschmähet sie nicht den irrdnen Krug, denn ihre Mutter ist die dürftigkeit. – Groß und rein und unbezwinglich sei der Geist des Menschen in seinen Forderungen, er beuge nie sich der naturgewalt! doch acht’ er auch der Hülfe, wenn sie schon vom Sinnenlande kömmt, verkenne nie, was edel ist, im sterblichen Gewande, stimmt hie und da nach ihrer eignen Weise die natur in seine Töne, so schäm’ er sich nicht der freundlichen Gespielin! Wenn deine pficht ein feurig Herz begleitet, verschmähe den rüstigen Gefährten nicht! Wenn dem Geistigen in dir die phantasie ein zeichen erschafft, und goldne Wolken den Aether des Gedankenreichs umziehn, bestürme nicht die freudigen Gestalten! Wenn dir als Schönheit entgegenkömmt, was du als Wahrheit in dir trägst, so nehm’ es dankbar auf, denn du bedarfst der Hülfe der natur. doch erhalte den Geist dir frei! verliere nie dich selbst! für diesen Verlust entschädiget kein Himmel dich. Vergiß dich nicht im Gefühle der dürftigkeit! die liebe, die den Adel ihres Vaters verläugnet, und immer außer sich ist, wie mannigfaltig irrt sie nicht, und doch wie leicht! | Wie kann sie den Reichtum, den sie tieff im innersten bewahrt, in sich erkennen? So reich sie ist, so dürftig dünkt sie sich. Sie trägt der Armuth schmerzliches Gefühl, und füllt den Himmel mit ihrem Überfuß an. Mit ihrer eignen Herrlichkeit veredelt sie die Vergangenheit; wie ein Gestirn, durchwandelt sie die nacht der zukunft mit ihren Stralen, und ahndet nicht, daß nur von ihr die heilige dämmerung ausgeht, die ihr entgegenkömmt. in ihr ist nichts, und außer ihr ist alles. ihre Männlichkeit ist hin. Sie hofft und glaubt nur; und trauert nur, daß sie noch da ist, um ihr nichts zu fühlen, und möchte lieber in das

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pie della vita, e quando una creatura amica le porge da bere in un giorno afoso, non disprezza il boccale d’argilla, perché la miseria è sua madre. Grande, puro e indomabile è lo spirito dell’uomo nelle sue ambizioni, non deve mai piegarsi alla prepotenza della natura! Ma deve accettare un aiuto, anche quando proviene dalla terra dei sensi, non deve misconoscere ciò che è nobile anche se è rivestito di mortalità, e se ogni tanto la natura, a suo modo, si accorda con le sue note, non deve vergognarsi di suonare con piacere insieme a lei! Se un cuore impetuoso accompagna i tuoi doveri, non disprezzare il rozzo compagno! Se la fantasia dà espressione alla parte spirituale di te, e nuvole dorate avvolgono l’etere nel regno dei pensieri, non assalire quelle fgure gioiose! Se la verità che porti in te ti viene incontro in forma di bellezza, accettala riconoscente, perché hai bisogno dell’aiuto della natura.73 però mantieni libero il tuo spirito, non perdere mai te stesso! nemmeno il cielo potrebbe risarcirti per quella perdita. non dimenticare te stesso nel sentimento della povertà: l’amore che nega la nobiltà del suo genitore e si pone sempre fuori di sé, quanto si sbaglia, e quanto facilmente! | come può riconoscere la ricchezza che custodisce dentro di sé nel profondo? Quanto più è ricco, tanto più si crede povero. porta il sentimento doloroso della povertà, e ricolma il cielo con la sua abbondanza. con il suo stesso splendore nobilita il passato, come una stella attraversa la notte del futuro con i suoi raggi, senza rendersi conto che solo da lui può sorgere la sacra aurora che gli si fa incontro. nulla è in lui, tutto è al di fuori di lui. la sua virilità è sparita, può solo sperare e credere; si rattrista perché esiste ancora soltanto per percepire il suo nulla e

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Heilige verwandelt seyn, das ihr vorschwebt. Aber sie fühlt sich so ferne von ihm; die Fülle des Göttlichen ist zu gränzenlos, um von ihrer dürftigkeit umfaßt zu werden. Wunderbar! vor ihrer eignen Herrlichkeit erschrikt sie. laß ihr das unsichtbare sichtbar werden! es erschein’ ihr im Gewande des Frühlings! es lächl’ ihr vom Menschenangesichte zu! Wie ist sie nun so seelig! Was so fern ihr war, ist nahe nun, und ihresgleichen, und die Vollendung, die sie an der zeiten ende nur dunkel ahndete, ist da. ihr ganzes Wesen trachtet, das Göttliche, das ihr so nah ist, sich nun recht innig zu vergegenwärtigen, und seiner, als ihres eigentums, bewußt zu werden. Sie ahndet nicht, daß es verschwinden wird im Augenblike, da sie es umfaßt, daß der unendliche Reichtum zu nichts wird, so wie sie ihn sich zu eigen machen will. in ihrem Schmerze verläßt sie das Geliebte; hängt sich dann oft ohne Wahl an diß und das im leben, immer hoffend und immer getäuscht; oft kehrt sie auch in ihre ideenwelt zurük; mit bittrer Reue nimmt sie oft den Reichtum zurük, womit sie sonst die Welt verherrlichte, wird stolz, haßt und verachtet nun; oft tödtet sie der Schmerz der ersten Täuschung ganz, dann irrt der Mensch ohne Heimath umher, müd und hofnungslos, und scheint ruhig, denn er lebt nicht mehr. Sie sind unendlich, die Verirrungen der liebe. doch überall möcht’ ich ihr sagen: verstehe das Gefühl der dürftigkeit, und denke, daß der Adel deines Wesens im Schmerze nur sich offenbaren kann! Kein Handeln, kein Gedanke reicht, so weit du willst. das ist die Herrlichkeit des Menschen, daß ihm ewig nichts genügt. in deiner unmacht thut sie dir sich kund. denke dieser Herrlichkeit! denn wer nur seiner unmacht denkt, muß immer mit Angst nach fremder Stüze sich umsehn, | und wer sich beredet, er habe nichts zu geben, will immer nur aus fremder Hand empfangen, und wird nie genug haben. denn würd ihm auch alles gegeben, es müßte doch mangelhaft vor

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preferirebbe essere trasformato nel sacro che gli aleggia davanti. Ma se ne sente così lontano, la pienezza del divino è troppo sconfnata per essere abbracciata dalla sua povertà. che cosa inaudita, si spaventa davanti al suo stesso splendore. lasciate che l’invisibile si renda visibile per lui, che gli appaia nelle vesti della primavera, che gli sorrida dal volto di un uomo: ne sarebbe così felice! ciò che era così lontano ora è vicino, gli assomiglia, e la perfezione che intuiva oscuramente alla fne dei tempi, ora è qui. Tutto il suo essere aspira a divenire intimamente consapevole del divino che ora gli è così vicino, e ad appropriarsene come fosse una sua proprietà. non presagisce che scomparirà nel momento in cui cercherà di afferrarlo, che la ricchezza infnita si trasformerà in nulla non appena vorrà appropriarsene. nel suo dolore abbandona l’amato, si aggrappa poi senza rifettere a questo o quello nella vita, sempre speranzoso e sempre ingannato; spesso torna anche nel regno delle idee; con amaro pentimento si riprende la ricchezza con la quale aveva abbellito il mondo, diviene orgoglioso, poi odia e disprezza; spesso lo uccide del tutto il dolore della prima delusione, e allora l’uomo vaga senza patria, stanco e sconsolato, e sembra quieto perché non vive più. Sono infniti, gli errori dell’amore. Ma soprattutto vorrei dirgli: comprendi il sentimento della povertà e pensa che la nobiltà del tuo essere può manifestarsi solo nel dolore! nessuna azione, nessun pensiero arriva là dove tu vorresti. Questa è la grandezza dell’uomo: nulla gli basta per sempre. Si manifesta nella tua impotenza. Ricordati di questa grandezza! perché chi ricorda solo la propria impotenza, si guarderà sempre intorno impaurito in cerca di un sostegno esterno, | e chi si convince di non aver nulla da offrire, vorrà sempre ricevere da una mano sconosciuta e non ne avrà mai abbastanza, poiché anche qualora avesse avuto

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ihm erscheinen. Auf dem schmalen Wege des empfangens wird auch der Reichtum für uns zur dürftigkeit. Wer umspannt den Olymp mit seinen Armen? Wer faßt den Ozean in eine Schaale? und welchem Auge stellte sich ein Gott in unverhüllter Glorie dar? es ist so unmöglich für uns, das Mangellose ins Bewußtseyn aufzunehmen, als es unmöglich ist, daß wir es hervorbringen. Was blieb’ uns auch zum Tagewerk noch übrig, wenn die natur sich überwunden gäbe, und der Geist den lezten Sieg feierte? doch soll es werden das Vollkommene! es soll! so kündet die geheime Kraft in dir sich an, woraus, vom heißen Strale genährt, dein ewig Wachstum sich entwikelt. laß deine Blüthe fallen, wenn sie fällt, und deine zweige dürre werden! du trägst den Keim zur unendlichkeit in dir! erhalt ihn in der dürftigkeit des lebens! dein freier Geist verübe sein Recht unüberwindlich am Widerstande der natur! Wenn sie uns zum Kampfe fordert, will sie nicht, daß wir um Gnade rufen, sie schüzt die Feigen nicht, sie straft den Schmeichler, wenn er im Hochgefühle seines Adels und seiner Macht der alten Kämpferin begegnen sollte, und wimmernd zu ihr spricht: du meinst es gut, meine Freundin! ich gebe mich und meine Waffen dir. den stöst des Schiksaals eherner Wagen um, der seinen Rossen nicht mit Muth in die zügel fällt. – Auch will die natur nicht, daß man vor ihren Stürmen sich in’s Gedankenreich füchte, zufrieden, daß man der Wirklichkeit vergessen könne im stillen Reiche des Möglichen. ergründe sie, die Tiefen deines Wesens, doch nur, um unüberwindlicher aus ihnen in den Kampf hervorzutreten, wie Achill, da er im Styx sich gebadet. Vollbringe, was du denkst! – Wenn aber die natur dir freundlich entgegenkömt, im Gewande des Friedens, und lächelnd dir zu deinem Tagewerke die Hände reicht, wenn freudig überrascht, im Sinnenlande dein Geist, wie in einem Spiegel, sein ebenbild

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tutto, non gli parrebbe comunque suffciente. passando dalla porta stretta del ricevere, anche la ricchezza diviene per noi povertà. chi può circondare l’Olimpo con le braccia, chi può versare l’oceano in una coppa?74 e quali occhi hanno mai visto un dio manifestarsi in tutta la sua gloria?75 È davvero impossibile per noi accogliere nella nostra coscienza la perfezione, così come ci è impossibile produrla. che cosa ci resterebbe ancora da fare se la natura si desse per vinta, e lo spirito celebrasse la vittoria defnitiva? eppure si realizzerà, la perfezione, si realizzerà! così si annuncia dentro di te la forza segreta dalla quale si sviluppa, la tua eterna crescita nutrita dal caldo raggio. lascia appassire il fore, una volta caduto, e lascia seccare i tuoi rami! Tu porti in te il seme dell’infnito, preservalo dalla povertà della vita. il tuo spirito libero rivendichi indomito i suoi diritti nonostante la resistenza della natura! Quando ci sfda alla battaglia non vuole che chiediamo pietà; non protegge i vigliacchi e punisce l’adulatore che va incontro all’esperta lottatrice consapevole della sua nobiltà e della sua potenza, e le dice scodinzolando: «Ma sì, amica mia, le tue intenzioni sono buone, mi consegno con le mie armi». Viene travolto dal carro d’acciaio del destino chi non si butta con coraggio ad afferrare per le briglie i suoi cavalli. Ma la natura non vuole nemmeno che ci si ripari dalle sue tempeste nel regno dei pensieri, soddisfatti di poter dimenticare la realtà nel regno silenzioso del possibile. Sonda le profondità del tuo essere, ma solo per riemergerne ancora più invincibile per scendere in battaglia, come Achille dopo il bagno nello Stige. porta a compimento ciò che pensi! Ma se la natura ti viene incontro amichevole, in vesti di pace, e sorridendo si offre di aiutarti nel lavoro; quando il tuo spirito, felicemente sorpreso, scorge il suo simile, come in uno specchio, nella terra dei sensi, quando

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beschaut, die Formen der natur zum einsamen Gedanken sich schwesterlich gesellen, so freue dich, und liebe, doch vergiß dich nie! Verlaß dein Steuer nicht, wenn eine fröliche luft in deine Seegel weht! entehre nicht des Schiksaals gute Göttin! du machst | sie zur Sirene, wenn sie dich mit ihren Melodien in den Schlummer wiegt. es ist das beste, frei und froh zu seyn; doch ist es auch das schwerste, lieber Fremdling! – in seinen Höhn den Geist emporzuhalten, im stillen Reiche der unvergänglichkeit, und heiter doch hinab in’s wechselnde leben der Menschen, auch ins eigne Herz zu bliken, und liebend aufzunehmen, was von ferne dem reinen Geiste gleicht, und menschlich auch dem kleinsten die fröliche Verwandtschaft mit dem, was göttlich ist, zu gönnen! Gewaffnet zu stehn vor den feindlichen Bewegungen der natur, daß ihre pfeile stumpf vom unverwundbaren Geschmeide fallen, doch ihre friedlichen erscheinungen mit friedlichem Gemüthe zu empfangen, den düstern Helm vor ihnen abzunehmen, wie Hector, als er sein Knäblein herzte! des lebens nächte mit dem Rosenlichte der Hofnung und des Glaubens zu beleuchten, doch die Hände nicht müßig fromm zu falten! was wahr und edel ist, aus fesselfreier Seele den dürftigen mitzutheilen, doch nie der eignen dürftigkeit zu vergessen, dankbar aufzunehmen, was ein reines Wesen giebt und der brüderlichen Gaabe sich zu freuen! diß ist das Beste! so lehrte mich – ich ehre sie – die Schule meines lebens. – der seltne Mann erschien vor meinem innern so sanft und groß. Froh bot ich ihm die Hand, und dankte, und sagt’ ihm meinen irrtum. nur zu lange, rief er, irrt’ auch ich, und die Geschichte meiner Jugend ist ein Wechsel widersprechender extreme; ich kenne das, wo wir traurend und verarmt des hohen eigentums nicht gedenken und alles ferne wähnen, was wir doch in uns

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le forme della natura si uniscono fraternamente al pensiero solitario, allora rallegrati e ama, ma non dimenticare mai te stesso, non abbandonare il timone quando una gioiosa brezza gonfa la tua vela! non disonorare la buona dea del destino: la rendi | una sirena, se le sue melodie ti cullano nel sonno.76 la cosa migliore è essere liberi e felici, ma è anche la più diffcile, caro straniero! Mantenere lo spirito a quelle altezze, nel regno silenzioso dell’imperituro, e allo stesso tempo guardare serenamente nella vita mutevole degli uomini e nel proprio cuore, e accogliere con amore ciò che assomiglia vagamente allo spirito puro, concedendo generosamente anche al più piccolo la felice affnità con il divino. Affrontare armati i movimenti ostili della natura, in modo che le sue frecce cadano spuntate dall’impenetrabile armatura, ma accogliere con animo pacifco le sue manifestazioni pacifche, togliersi l’elmo minaccioso al loro cospetto, come ettore quando rincuorò suo fglio!77 illuminare le notti della vita con la luce rosata della speranza e della fede, ma non starsene devoti con le mani in mano; condividere con i bisognosi ciò che è vero e nobile e proviene da un’anima priva di ogni vincolo, ma senza dimenticare mai la propria povertà; accettare con gratitudine ciò che viene donato da una creatura pura e gioire dei doni fraterni, questa è la cosa migliore! Questo mi ha insegnato – e la rispetto – la scuola della vita». Quello strano uomo appariva al mio intimo estremamente dolce e nobile. Felice gli tesi la mano, lo ringraziai e gli spiegai il mio errore. «Troppo a lungo», esclamò, «ho sbagliato anch’io, e la storia della mia giovinezza è un oscillare tra estremi contrapposti;78 so bene come, tristi e impoveriti, non pensiamo all’enorme ricchezza, ci sembra lontano tutto ciò che

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fnden sollten und das verlorne in der zukunft suchen und in der Gegenwart, im ganzen labyrinthe der Welt, in allen zeiten und ihrem ende; ich kenn’ auch das, wo das feindliche verhärtete Gemüth jede Hülfe verschmäht, jedes Glaubens lacht in seiner Bitterkeit, auch die empfänglichkeit für unsre Wünsche der guten natur misgönnt, und lieber seine Kraft an ihrem Widerstande mißt. doch auch diesen Verirrungen gönn’ ich izt oft einen freundlichen Blik, wenn sie mir erscheinen. Wie sollt’ ich sie noch mit Strenge bekämpfen? Sie schlummern friedlich in ihrem Grabe. Wie sollt’ ich sie aus meinem Sinne bannen? Sie sind doch alle Kinder | der natur, und wenn sie oft der Mutter Art verläugnen, so ist es, weil ihr Vater, der Geist, vom Geschlechte der Götter ist. Genügsam hält sich ewig in ihrer sichern Gränze die natur; die pfanze bleibt der Mutter erde treu, der Vogel baut im dunkeln Strauche sein Haus, und nimmt die Beere, die er giebt; genügsam ist die natur, und ihres lebens einfalt verliert sich nie, denn sie erhebt sich nie in ihren Forderungen über ihre Armuth. Genügsam ist der mangellose Geist, in seiner ewigen Fülle, und in dem Vollkommenen ist kein Wechsel. der Mensch ist nie genügsam. denn er begehrt den Reichtum einer Gottheit, und seine Kost ist Armuth der natur. – Verdamme nicht, wenn in dem Sinnenlande das niebefriedigte Gemüth von einem zum andern eilt! es hoft unendliches zu fnden: durch die dornen irrt der Bach; er sucht den Vater Ozean. Wenn sein vergessen, des Menschen Geist über seine Gränze sich verliert, ins labyrinth des unerkennbaren, und vermessen seiner endlichkeit sich überhebt, verdamme nicht! er dürstet nach Vollendung. es rollten nicht über ihr Gestade die regellosen Ströme, würden sie nicht von den Fluthen des Himmels geschwellt. der schöne Knabe, der indeß im Garten sich beschäftigt hatte, kam und bracht’ uns Blumen, erzählt’ uns auch man-

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invece dovremmo cercare dentro di noi e ciò che abbiamo perso lo cerchiamo nel futuro e nel presente, e dovunque nel labirinto del mondo, in tutti i tempi e alla loro fne; so bene anche come lo spirito ostile e indurito disprezzi ogni aiuto, irrida nella sua amarezza ogni fede, non riconosca la sollecitudine della natura benigna verso i nostri desideri, e preferisca misurare la sua forza rispetto alla sua resistenza. Ma anche quegli errori oggi li guardo con occhio benevolo, quando li scorgo. come potrei combatterli ancora con durezza? dormono tranquilli nella loro tomba. perché dovrei bandirli dalla mia mente? Sono tutti fgli | della natura, e anche se spesso rinnegano la madre, è solo perché il loro padre, lo spirito, è di stirpe divina. Soddisfatta, la natura si mantiene in eterno nei suoi sicuri confni; la pianta rimane fedele alla madre terra, l’uccello costruisce il suo nido nel folto del cespuglio e mangia le bacche che produce; la natura basta a se stessa, e la semplicità della sua vita non va mai persa, perché le sue pretese non sono mai al di sopra della sua povertà. Basta a se stesso lo spirito perfetto, nella sua eterna pienezza, e nella perfezione non vi è mutamento. l’uomo non basta mai a se stesso, perché pretende la ricchezza di una divinità, ma il suo cibo è la povertà della natura. non maledire lo spirito se, mai contento, si affretta da una cosa all’altra nella terra dei sensi! Spera di trovare l’infnito: tra le spine si perde il ruscello, cercando il padre oceano. non maledirlo quando, dimentico di sé, lo spirito dell’uomo si perde oltre i suoi confni, nel labirinto dell’inconoscibile, e presuntuoso vuole elevarsi oltre la sua fnitezza! Ha sete di perfezione. non si riverserebbero sulla spiaggia le correnti disordinate, se non fossero gonfate dai futti del cielo». Venne il grazioso fanciullo, che nel frattempo era stato affaccendato in giardino, e ci portò dei fori, ci raccontò

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ches, und wies uns das goldne Feuer über den Gebirgen. es war schon Abend geworden. ich nahm die freundliche Herberge mit dank an. das leben ist nicht so reich, daß wir ein reines Wesen, wie der Mann war, den ich gefunden hatte, so schnell verlassen könnten.

zweites Kapitel.

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noch denk’ ich gerne des Morgens, der uns jezt umfeng, und wie sein zauber uns verjüngte. doch fand ich nie ein treues Bild für meine goldnen Stunden, um andern zu verkünden, was ich genoß. die natur gab ihren Mutterpfennigen ein ungangbares Gepräge, damit wir sie nicht, wie Scheidemünze, verschleudern sollten. Auch mir war sie lange fremd gewesen, diese Ruhe und | Regsamkeit, wo alle Kräfte ineinander spielen, wie die stillen Farben am Bogen des Friedens. es war ein heiterer blauer Apriltag. Wir sezten uns in den Sonnenschein, auf den Balkon; es säuselten um uns die zweige und durch die sonntägliche Stille tönte ferner Thürme Geläut und gegenüber das Spiel der Orgel vom Hügel der Kapelle. du machtest mich begierig, feng ich endlich an, auf die Geschichte deines jugendlichen lebens – ich bin auch izt gerade gestimmt, unterbrach er mich freundlich, die wunderbaren unschuldigen Gestalten erscheinen zu lassen, auch die wildern. du bleibst so lange bei mir, bis ich zu ende bin. ich gestehe dir, ich mußte mich lange von ihnen ferne halten, um deß willen, was ich verlor, ich mußte mich hüten vor den Freuden und Schmerzen der erinnerung, ich war, wie eine kranke pfanze, die die Sonne nicht ertragen kann. ‹lücke von acht Blättern. drittes Kapitel:›

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qualcosa e ci indicò il fuoco dorato sui monti. Si era già fatta sera. Accettai con gratitudine la cortese ospitalità. la vita non è così ricca da farci abbandonare velocemente un essere puro come l’uomo che avevo trovato.

capitolo secondo Ripenso ancora volentieri al mattino che ci avvolse, e come la sua magia ci ringiovanì. non sono mai riuscito a trovare un’immagine fedele delle mie ore dorate, per comunicare agli altri quello che avevo provato. la natura ha impresso sulla sua moneta un conio che non ha commercio, affnché non la sperperiamo come gli spiccioli.79 Anche a me era stata a lungo estranea, quella condizione di pace e | vivacità in cui le forze giocano tra loro come i colori silenziosi nell’arco dell’alleanza. era un giorno di aprile azzurro e sereno. ci sedemmo al sole sulla balconata; intorno a noi stormivano i rami e nel silenzio domenicale risuonavano le campane di torri lontane e il suono dell’organo dalla cappella sulla collina di fronte. «Mi hai reso molto curioso», dissi infne, «per la storia della tua giovinezza...» «Anch’io sono dell’umore giusto», mi interruppe cordiale, «per rievocare quelle meravigliose fgure innocenti, anche le più impetuose. Rimarrai con me fnché non avrò fnito.80 Ti confesso che a lungo ho dovuto tenermi lontano da loro; per il bene di ciò che ho perso, dovevo guardarmi dalle gioie e dai dolori del ricordo, ero come una pianta malata che non sopporta il sole.81 ‹mancano otto fogli. capitolo terzo›82

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tum der Heroën, unter den Augen der Miltiade und Aristide, beim Wettgesange der edeln dichter und im Kampfspiel, wo der lorbeer winkte! und deine Gespielen – du hättest sie gewis recht lieb gewonnen, die starken bildsamen Jünglinge! ihr hättet euch in eures Herzens Fröhlichkeit eure Geheimnisse vertraut, wie es euch schmerze, noch nichts gethan zu haben, wie ihr oft in der Stille über euch trauertet vor dem Bilde eines Helden, wie ihr nicht lassen könntet von der liebe zum lorbeer, und euch oft berauschtet im Gedanken der unsterblichkeit, ihr hättet euch gefreut, daß es einem ergehe, wie dem andern, und kühn geschworen, des Herzens Triebe Genüge zu thun. – nun ist es freilich anders, gutes Herz! du siehest vor dir, wie es ist. Aber laß dich das nicht irren! – Siehe das licht des Himmels an! Bedarf es fremden Feuers, um zu leuchten und zu wärmen? bedarf es eines dankes, um wohlzuthun? und wenn sich die erde mit dünsten umwölkt, und seine reinen Stralen nicht aufnimmt, in ihr innres, leuchtet es minder, wie sonst? So sei auch du! denk’ und thue, wie du sollst, und siehe nicht um dich; und wenn der kleinen Menschen kleiner Tadel in deinem sichern Gange dir nachtönt, so denke dir recht lebendig, | wie der arme perser den ungehorsamen Ozean peitschte! – es ist dein liebster Gedanke, zu werden, wie die Herrlichen, die einst waren. erhalt ihn! werde nicht muthlos! Gieb dich nie auf halbem Wege zufrieden! Verweile nicht an Armseeligkeiten! Sei still und harre, bis deine zeit kömmt! lebe in Gemeinschaft mit deinen Heroën! du fndest ihresgleichen schwerlich so bald unter den lebendigen. Bewahre dich, junge Seele! du gehörst einer andern Welt. Befasse dich nicht zuviel mit dieser, bis deine zeit kommt, und du unter ihr wirkst. nähre dein Herz mit der Geschichte besserer Tage, suche nichts unter den jezigen! das wenige, was sie dir geben, ist, wenigstens jezt, nicht für dich. – denke meiner Worte, lieber! wenn ich ferne bin. ich muß dich

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[...] degli eroi, sotto gli occhi dei Milziadi e degli Aristidi,83 nella gara fra i nobili poeti e nella lotta, dove occhieggiava l’alloro! e i tuoi compagni... di certo li avresti amati, quei giovani forti e atletici, vi sareste confdati i segreti nella gioia dei vostri cuori: come soffrivate per non aver fatto ancora nulla, come spesso in silenzio provavate tristezza per voi stessi davanti all’immagine di un eroe, come non potevate smettere di desiderare l’alloro e come vi inebriavate nel pensiero dell’immortalità! Avreste gioito se a entrambi fosse toccata la stessa sorte, e avreste giurato audaci di assecondare gli istinti del cuore. Ma ora è tutto diverso, mio caro! lo vedi davanti a te, com’è ora. Ma non lasciarti confondere! Guarda la luce del cielo: ha forse bisogno di un fuoco estraneo per splendere e scaldare, ha bisogno di un ringraziamento per fare del bene? e quando la terra si ammanta di vapori e non accoglie i suoi raggi puri dentro di sé, splende forse meno del solito? così sia anche per te! pensa e agisci come devi, senza guardarti intorno, e se nel tuo sicuro incedere senti echeggiare dietro di te il biasimo meschino di uomini meschini, pensa con intensità | al povero persiano che frustava l’oceano disubbidiente!84 Sia il tuo pensiero più prezioso, diventare come quei magnifci che vissero un tempo. conservalo, non scoraggiarti, non fermarti mai a mezza strada! non ti soffermare sulle piccolezze, stai tranquillo e attendi, fnché verrà il tuo momento. Vivi in comunione con i tuoi eroi, diffcilmente troverai dei loro pari tra i vivi. Abbi cura di te, giovane anima, tu appartieni a un altro mondo. non occuparti troppo di questo fnché non verrà il tuo momento, allora agirai. nutri il tuo cuore con la storia di giorni migliori, non cercare nulla in quelli presenti! Quel poco che possono darti, almeno per ora, non è per te. Ricordati le mie parole, mio caro, quando sarò lontano! presto dovrò la-

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bald verlassen. Wer weis? es könnten die lezten Worte seyn, die ich dir sagte! Wenn ich sterbe, so sterb’ ich mit der Hofnung, daß mein bestes leben fortdaure in dir und denen, die du einst bildest, daß sie wieder in andern pfanzen, was in ihnen reifte durch dich. und was sprech’ ich von mir? Stehet ihr wieder auf im Geiste meines lieblings, ihr Herrlichen, die ihr schlaft unter den Trümmern des gefallenen Griechenlands! verjüngt euch wieder in ihm, ihr alten Tugenden von Athen und Sparta! o kehret wieder, goldne Tage, Tage der Wahrheit und der Schönheit, kehret wieder in ihm! – er sah, daß ich zu tief erschüttert war, um noch zu hören, auch ihm mochte zu viel sich aufdringen, um es der jungen Seele mitzutheilen. er umschlang mich schweigend, innigst bewegt, ich Glüklicher! in seinen Armen barg ich meine heftigen Seufzer und meine Thränen. Wir fuhren zurük nach Tina, und, wie ich ihn des andern Tags besuchen wollte, war er fort.

Viertes Kapitel.

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ich trauerte lang um meinen Freund. im innersten betrübt dacht’ ich oft, wenn ich an seinem Hauße vorübergieng, wie er vormals dagestanden wäre am Fenster, und mir entgegengenikt hätte, wenn ich die Straße heraufgekommen wäre, und wenn die Thüre offen | stand, sah ich wehmüthig hinein in den dunkeln Vorsaal, und hörte seine Stimme wieder, wie er mir die Treppe herunter nachrief: schlaf wohl, lieber Junge! wenn das Volk versammelt war, und von ungefähr die Farbe seines Mantels mir erschien, erschrak ich, als wär’ er da, und wenn ich einen Schiffer hörte, wie er von seiner Fahrt sprach, und von fremden Menschen, die er gesehn, glaubt’ ich immer, es müßt’ ihm auch der Herrliche, den ich liebte, bekannt seyn; oft, wenn ich draußen herumgieng, weilte mein Blik am Horizont; dort

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sciarti. chissà, potrebbero essere le ultime parole che ti dico… e se muoio, morirò con la speranza che la mia vita migliore continuerà in te e in coloro che tu educherai, e che a loro volta semineranno in altri ciò che grazie a te è maturato in loro.85 Ma che cosa posso augurarvi? Risorgete nello spirito del mio preferito, voi magnifci che riposate sotto le rovine della Grecia caduta! Ringiovanitevi in lui, voi antiche virtù di Atene e Sparta, tornate, giorni dorati, giorni della verità e della bellezza, tornate in lui!» Vide che ero troppo scosso per ascoltare oltre, anche in lui troppe emozioni si affollavano per poterle raccontare al giovane ascoltatore. Mi abbracciò in silenzio, profondamente commosso, mentre io, felice, nascondevo tra le sue braccia i singhiozzi convulsi e le lacrime. Rientrammo a Tinos, e quando andai a trovarlo il giorno seguente, se n’era andato.86

capitolo quarto Rimasi a lungo triste per il mio amico. profondamente affitto pensavo spesso, quando passavo davanti alla sua casa, che un tempo lo avrei visto lì, vicino alla fnestra, vedendomi salire lungo la strada mi avrebbe salutato con un cenno; quando la porta era | aperta sbirciavo malinconico nell’ingresso buio e sentivo di nuovo la sua voce che mi gridava mentre scendevo le scale: «buonanotte, ragazzo mio!» Quando ero in mezzo alla gente e mi sembrava di scorgere il colore del suo mantello sobbalzavo come se fosse lui, e quando sentivo un marinaio raccontare di un viaggio e delle genti sconosciute che aveva incontrato, ero convinto che dovesse conoscere anche l’uomo meraviglioso che amavo; spesso, quando vagavo all’aperto, il

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wär’ er wohl hinausgefahren, dacht’ ich, und meine Thränen rannen in’s Meer. der kleinste laut, den ich von ihm im Herzen bewahrte, war mir heilig, wie der lezte Wille eines Verstorbenen. ich folgte ihm fast zu treu. ich verschloß mich, so sehr ich nur konnte vor den Menschen. neben den Geistern des Altertums fand nur er in meiner Seele plaz. Mein Herz gehörte denen, die ferne waren. Wo ich gieng und stand, geleiteten mich die ehrwürdigen Gestalten. Wie Flammen, verloren sich in meinem Sinne die Thaten aller zeiten, die ich kannte, ineinander. nur ein großer Sieg waren für mich die hundertfältigen Siege der Olympiaden. Was durch Jahrhunderte getrennt war, versammelte sich vor meinem jugendlichen Geiste. ich vergaß mich so ganz über all’ der Größe, die mich umgab. So war ich allmälig herangewachsen. ich feng jezt an, mich über mich selbst zu befragen. ich kehrt’ izt oft von den Halbgöttern, denen mein Herz gehörte, auf mich zurük; ich maß, und erschrak über mein nichts. Mein ganzes Wesen raffte sich auf, dem tödtlichen Schmerze zu entgehen, der im Gefühle meines Mangels lag. ich wollt’ im härtesten Kampfe mir einen Werth erringen. Aber wo sollt’ ich? – Ach! ich hätte gerne eine Stunde aus eines großen Mannes leben mit Blut erkauft. Traurend sah ich izt oft in meinen plutarch, und bittre Thränen rannen mir auf’s Blatt. Oft wenn über mir die Gestirne aufgiengen, nannt’ ich ihre nahmen, die nahmen der Heroën, die einst auf erden lebten – erbarmt euch meiner, ihr Göttlichen, rief ich, laßt mich vergessen, was ihr wart, oder tödtet mich mit eurer Herrlichkeit, ihr seeligen Jünglinge! – ich suchte endlich Trost unter den Menschen. Was ich mir selbst nicht geben konnte, dacht’ ich unter andern zu fnden. Man hatte mir schon oft gesagt, es würde mir gut seyn, wenn ich nicht so sehr | einsam lebte. Man würde so leicht exzentrisch in seinen Meinungen bei gänzlicher zurükgezogenheit. in

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mio sguardo si soffermava sull’orizzonte: fn là deve essere andato, pensavo, e le lacrime cadevano nel mare. Ogni sua parolina che conservavo nel cuore mi era sacra come le ultime volontà di un defunto. le eseguivo fn troppo fedelmente. Mi chiusi più che potevo nei confronti degli uomini; oltre agli spiriti dell’antichità, solo lui aveva un posto nel mio cuore, il mio cuore apparteneva a coloro che erano lontani. dovunque fossi o andassi mi accompagnavano le loro nobili fgure. come famme, le gesta di tutti i tempi a me note si fondevano nella mia mente. le centinaia di vittorie alle Olimpiadi erano per me un’unica grande vittoria; ciò che era separato da secoli si riuniva nel mio spirito giovanile. dimenticai così del tutto me stesso per la grandezza che mi circondava. così man mano ero cresciuto. cominciai allora a farmi domande su me stesso. dai semidei, a cui il mio cuore apparteneva, cominciai a tornare verso di me; mi misuravo, e mi spaventavo per la mia nullità. Tutto il mio essere si fece forza per sfuggire al dolore mortale del sentimento della mia pochezza. Volevo conquistarmi un valore nella mischia della battaglia, ma dove? Ah, avrei volentieri pagato col sangue per un’ora della vita di un grande uomo. Mesto leggevo quindi il mio plutarco, e lacrime amare cadevano sulle pagine. Spesso quando le costellazioni salivano sopra di me, le chiamavo per nome, i nomi degli eroi che una volta erano vissuti sulla terra... «Abbiate pietà di me, voi divini», esclamavo, «fatemi dimenticare ciò che eravate, oppure uccidetemi con il vostro splendore, giovani beati!» cercai infne consolazione tra gli uomini. Quello che non riuscivo a dare a me stesso, pensai di trovarlo tra gli uomini. Mi avevano spesso detto che mi avrebbe fatto bene non vivere | così appartato: si diventa facilmente eccentrici nel modo di pensare quando si vive in completa

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der Gesellschaft lerne man die Fülle des Guten friedlich unter sich theilen, man lerne, aus sich nicht Alles zu machen, aus andern auch nicht, und sich zu begnügen mit dem, was jedem beschieden sei, man lerne Geduld, und das wäre Gewinns genug. Aber ich war damals so gar nicht gestimmt, etwas Verständiges der Art auf mich wirken zu lassen. ich trat mit ganz andrem Sinne unter die Menschen. es ist sonderbar, wie ein jugendlich Gemüth oft in die Kinderspiele des lebens so viel Gehalt legt. es war mir unbegreiflich, wie die Menschen so befriedigt zurükkommen könnten von ihren kleinen Festen, wenn nicht seltne dinge dabei zu fnden wären. Wenn ich mir dachte, daß ich dort wohl auch so fröhlich werden könnte, wie sie, wie unendlich viel mußt’ ich erwarten! Auch versprach mir jedes ehrliche Gesicht so viel. ich habe manchen vergöttert, im ersten Augenblike, der sich recht sehr begnügte mit seiner Menschlichkeit. Mit Bedauren denk’ ich daran, wie ich izt oft mit all’ meiner liebe trachtete, ein herzlich lächeln zu erbeuten, wie ich oft in einem Worte meine ganze Seele gab, und einen wizigen Spruch dafür zurükbekam, wie bei einem andern ein wenig Gutmüthigkeit mich so innig freute, und wie ich mich verstanden glaubte von ihm, bis auch er mittheilte, was ihm am Herzen lag, und ich dann dinge hörte, woran ich so gar keinen Werth fnden konnte, wie ich dastand und huldigte vor prächtigen Sentenzen – ach! wie ich oft glaubte, das unnennbare zu fnden, das mein werden sollte, dafür, daß ich mich selbst an das Geliebte verlor! – das arme Wesen dachte, zwei Menschen könnten sich Alles seyn, dacht’ oft wirklich den heiligen Tausch getroffen zu haben, wo einer des andern Gott seyn sollte, und machte nun freilich Forderungen, worüber der andre sich wunderte. er wollte ja nur Kurzweil, nichts so ernstes!

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solitudine. nella società si impara a condividere pacifcamente con gli altri la pienezza del bene, si impara a non guardare solo a se stessi, ma nemmeno solo agli altri, e ad accontentarsi di ciò che a ciascuno è concesso, si impara la pazienza, e già questo sarebbe un guadagno suffciente. Ma allora non ero affatto incline ad accettare simili consigli, per quanto ragionevoli. Andai tra gli uomini con un’intenzione del tutto diversa. È curioso come l’animo di un giovane attribuisca così tanto signifcato ai giochi infantili della vita. Mi era incomprensibile come gli uomini potessero tornare così soddisfatti dalle loro festicciole, anche quando non vi accadeva nulla di particolare. A un tratto pensai che anch’io avrei potuto essere felice come loro, se vi fossi andato: quanto immense dovevano essere le mie aspettative! Ogni volto onesto era per me una promessa. Ho divinizzato alcuni, in un primo momento, che erano più che soddisfatti della loro umanità. con compassione ripenso a come cercavo con tutto me stesso di conquistarmi un sorriso cordiale, come riversavo tutta la mia anima in una parola e ne ricevevo in cambio una battuta spiritosa, come mi rallegrava intensamente vedere in qualcuno un po’ di bontà d’animo, come mi credevo capito da lui, fnché non mi diceva che cosa gli stava a cuore, e a quel punto sentivo cose alle quali non riuscivo a dare alcun valore, e allora ci rimanevo male e mi accontentavo di magnifche sentenze... Ah, troppo spesso credevo di trovare l’indicibile, e che dovesse essere mio solo perché mi perdevo in ciò che amavo! la povera creatura credeva che due uomini potessero essere tutto l’uno per l’altro, credevo spesso di aver trovato una sacra corrispondenza, dove l’uno era il dio dell’altro, e avanzavo pretese di cui l’altro si meravigliava. Voleva solo divertirsi, niente di serio!

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einem jungen Manne, Gorgonda notara nannt’ er sich, war ich immer gut geblieben. ich hatte so oft umsonst gehoft, ein Wesen zu fnden, wo ich sagen könnte, nun bin ich zufrieden auf ewig! hatte so oft mit Schmerzen mich losgerissen, wo mein Herz so schnell und innig sich angehängt hatte, ich hatte mich durch dornen gewunden, und sie hatten mit jedem Schritte mich | vestgehalten, um mich ihren Stachel fühlen zu lassen, ich hatte so oft mich hingedrängt, wo es besser gewesen wäre, auszuweichen, ich war nun froh, doch etwas an ihm zu haben, und wenn ich mich entfernen wollte in meiner ungenügsamkeit, zog er mich immer wieder an sich. er war etwas vielseitig, und das kam mir zu Statten; gab mir freilich auch oft ein Mistrauen gegen ihn. er wußte jedem dinge einen Werth zu geben; er war äußerst duldsam gegen mich, das that mir wohl, aber er war es auch gegen andre, die meine Gegentheile waren, und das war mir unbegreifich. er bestritt mich oft gerade in meinen liebsten Überzeugungen, aber mit Freundlichkeit und Bedacht, – ich verglich uns, wenn wir so zusammen stritten, oft mit den jungen lämmern, die sich scherzend einander an die Stirne stießen als wollten sie sich so das Gefühl ihres daseyns in sich weken – und, wie es schien, mehr um das Gespräch zu beleben, mehr zum Versuche, was wohl aus dem Für und Wider sich ergeben möchte, als in strengem ernste, und indeß er wider mich sprach, schien er doch auch seine Freude zu haben an dem sonderbaren Geschöpfe, das so ungelenksam und unersättlich wäre in seinen Forderungen, und doch so leicht und oft gerade dem Kleinsten sich hingäbe; ich hätte in meinem leben noch keinen Menschen gesehen, meinte er, ich wandelte von je her unter Geistererscheinungen und es wäre nur Schade, daß diese verschwänden, so bald ich näher käme, aber man müßt’ ihm doch gut seyn, dem wunderlichen phantasten! – einst saßen wir mit andern zusammen; es war ein alter Bekannter von einer Fahrt zurükgekommen, und wir feierten das fröhliche Wiedersehn. Alle waren inniger, wie sonst; ich glühte,

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di un giovane, si chiamava Gorgonda notara, ero sempre rimasto amico. Avevo sperato spesso invano di trovare un essere di cui potessi dire che mi avrebbe reso felice per sempre, spesso avevo dovuto strapparmi con dolore da ciò a cui il mio cuore si era affezionato così in fretta e così intensamente, mi ero fatto strada tra i rovi che mi trattenevano | a ogni passo per farmi sentire le loro spine, mi ero troppo spesso fatto avanti dove sarebbe stato meglio ritirarsi; ero quindi contento di trovare in lui un appiglio, e quando nella mia insoddisfazione volevo ritrarmi, mi attirava comunque di nuovo a sé. era di vedute abbastanza larghe, e lo apprezzavo, ma questo mi rendeva anche un po’ diffdente nei suoi confronti. Sapeva dare valore a ogni cosa; era molto conciliante con me, e questo mi faceva bene, ma lo era anche verso quelli che erano il mio opposto, e questo mi era incomprensibile. Spesso mi contraddiceva nelle mie convinzioni più care, ma con amicizia e cautela – quando litigavamo in quel modo, ci paragonavo ai giovani vitelli che si prendono per scherzo a cornate, come se in quel modo volessero risvegliare in sé la percezione dell’esistenza – e, mi sembrava, lo faceva più per animare la discussione, più per vedere che cosa sarebbe emerso dal pro e dal contro che sul serio, e nel contraddirmi sembrava provare piacere per quella strana creatura così goffa e insaziabile nelle sue aspirazioni, ma che si donava così facilmente e per così poco. «non hai mai visto un uomo in vita tua», mi diceva, «hai sempre vagato fra gli spettri e sarebbe un peccato se svanissero non appena mi avvicino, ma dobbiamo volergli bene, a questo strano visionario!» una volta sedevamo insieme ad altri, un vecchio conoscente era rientrato da un viaggio e festeggiavamo il lieto ritorno. Tutti erano più seri del solito, io ero accalorato e

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und sprach ungewöhnlich viel. ich fühlte wirklich zum erstenmale die Freude jugendlicher Verbrüderung ganz. O man lebt doch nicht umsonst, ihr lieben! rief ich in meines Herzens Trunkenheit, und strekte die Hand aus über dem Tische, und jeder bot die seinige dar. – Öfne geschwinde die Fenster, rief ich einem, der gegen mir über saß, nach einer Weile zu. Was hast du, Hyperion? fragt’ ein andrer. dort gehn die dioskuren am Meer herauf, rief ich freudig. zufällig sah ich einen Augenblik darauf in den Spiegel, und glaubte drinn ein zweideutig lächeln an notara zu bemerken. Betroffen blikt’ ich um mich, und es war mir, als fänden sich auch auf andern | Gesichtern solche Spuren. das war mir ein dolch in’s Herz! ich glaubte mein innerstes verunehrt, meine beste Freude verlacht, von meinem lezten Freunde mein Herz verspottet. ich sprang auf, und eilte fort. – Alle die traurigen Täuschungen, die ich von je her erfahren, jede Miene, jeder laut, der mein Herz zurükgestoßen hatte, seit ich unter die Menschen gekommen war mit meinen Hofnungen, jeder unfreundliche Scherz, womit man sich an meinen kleinen unaufmerksamkeiten gerächt, jede Misdeutung, womit man meine unbefangenen innigen Äußerungen lächerlich gemacht, jede Falschheit, womit man, wie mir izt schien, meine liebe und meinen Glauben nachgeäfft hatte, alles, was ich längst verziehen hatte und vergessen, gesellte sich nun zu den unverhofften entdekungen, die ich eben gemacht, – ich dachte mir einen um den andern aus dem cirkel, den ich verlassen hatte, wie er mir wohl seine bittern Bemerkungen nachschiken werde; der rauhe Seemann stand lebendig vor mir mit seinem Aerger und gegenüber notara mit seinen hämischen entschuldigungen. izt kam ich an dem Hauße vorüber, wo der edle Fremdling gewohnt hatte. du hattest Recht, guter Mann! dacht’ ich, o du hattest Recht! ich sollte mich nicht zu viel befassen mit dieser Welt, sagtest du. Ach! daß ich dir nicht folgte, mein Schuzgeist! nun bist du gerächt.

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straordinariamente loquace. per la prima volta sentivo intensa la gioia di una giovanile fratellanza. «Oh, non si vive invano, miei cari!», esclamai con il cuore ebbro, allungando la mano sul tavolo, e ciascuno stese la sua. «Apri, presto, la fnestra», dissi a quello che mi sedeva di fronte dopo un momento. «che cos’hai, iperione?» chiese un altro. «ecco i dioscuri87 che sorgono dal mare», esclamai felice. casualmente un attimo dopo guardai nello specchio e credetti di cogliere un sorrisetto ambiguo di notara. colpito mi guardai intorno e mi parve di scorgere anche sugli altri | volti la stessa espressione. una spada mi trapassò l’anima! credetti profanato il mio sentire più intimo, derisa la mia gioia più bella, schernito il mio cuore dall’ultimo amico che mi rimaneva. Mi alzai di scatto e corsi via. Tutte le infelici delusioni che avevo provato fno ad allora, ogni espressione, ogni parola che aveva respinto il mio cuore da quando mi ero mescolato tra gli uomini con le mie speranze, ogni scherzo villano con cui si erano vendicati per le mie piccole disattenzioni, ogni fraintendimento che aveva reso ridicole le mie manifestazioni spontanee e sincere, ogni falsità con cui avevano scimmiottato, almeno così mi sembrava in quel momento, il mio amore e la mia fducia, insomma: tutto ciò che avevo da lungo tempo perdonato e dimenticato si sommò all’inaspettata scoperta che avevo appena fatto... Mi immaginavo ora l’uno, ora l’altro del gruppo che avevo lasciato, e i suoi commenti maligni alle mie spalle; vedevo bene il rozzo marinaio che mi sedeva davanti, infastidito, e di fronte a lui notara con le sue insulse giustifcazioni.88 passai davanti alla casa dove aveva abitato il nobile straniero: «avevi ragione, buon uomo!» pensai, «avevi davvero ragione! non devi occuparti troppo di questo mondo, mi avevi detto. Ah, perché non ti ho dato retta, mio spirito protettore! Ora sei vendicato».

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Man belächelt oft den Menschen, und fndet es ungereimt, wenn oft von einer kleinen Wunde sein innerstes erkrankt, und nur sehr schwer genest. Man würde besser thun, wenn man theilnehmend das Übel zu ergründen suchte. Man würde dann fnden, daß auch dem schwächsten Feinde der Sieg sehr leicht wird, wenn ihm ingeheim ein Stärkerer vorarbeitete, und unsre stärksten Feinde sind wir selbst. das arme Wesen wollte sich nun zurükfüchten in sich selbst, und hatte doch längst sein Selbst verloren. ich hatte mich gewöhnt, Ruh’ und Freude aus fremder Hand zu erwarten, und war nun dürftiger geworden, als zuvor. ich war, wie ein Bettler, den der Reiche von seiner Thüre sties, und der nun heimkehrt in seine Hütte, sich da zu trösten, und nur um so bittrer sein elend fühlt zwischen den ärmlichen Wänden. Je mehr ich über mir brütete in meiner einsamkeit, um so öder ward es in mir. es ist wirklich ein Schmerz ohne gleichen, ein fortdaurendes Gefühl der | zernichtung, wenn das daseyn so ganz seine Bedeutung verloren hat. eine unbeschreibliche Muthlosigkeit drükte mich. ich wagt’ oft das Auge nicht aufzuschlagen vor den Menschen. ich hatte Stunden, wo ich das lachen eines Kindes fürchtete. dabey war ich sehr still und geduldig, hatt’ oft einen wunderbaren Aberglauben an die Heilkraft mancher dinge; oft konnt’ ich ingeheim von einem kleinen erkauften Besiztum, von einer Kahnfahrt, von einem Thale, das mir ein Berg verbarg, Trost erwarten. Mit dem Muthe schwanden auch sichtbar meine Kräfte. ich glaubte wirklich unterzugehn. ich hatte Mühe, die Trümmer ehmals gedachter Gedanken zusammenzulesen, der rege Geist war entschlummert; ich fühlte, wie sein himmlisch licht, das mir kaum erst aufgegangen war, sich allmälig verdunkelte. – Freilich, wenn es einmal, wie mir däuchte, den lezten Rest meiner verlornen existenz galt,

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Si ride spesso dell’uomo e lo si considera esagerato se il suo intimo si ammala per una piccola ferita e guarisce solo con molta fatica. Sarebbe meglio se, con comprensione, si cercassero le ragioni del male. Si scoprirebbe che la vittoria è a portata di mano anche per il nemico più debole se viene preparata in segreto da uno più forte, e i nostri nemici più forti siamo noi stessi. il povero giovane voleva dunque rifugiarsi di nuovo in se stesso, ma aveva ormai da tempo perso se stesso. Mi ero abituato ad aspettarmi la tranquillità e la gioia da mani estranee, ed ero divenuto più povero di prima. ero come un mendicante che il ricco ha allontanato dalla sua mensa e che ora torna nella sua baracca per consolarsi ma sente ancora più amara la miseria fra le povere mura. Quanto più rimuginavo su me stesso nella solitudine, tanto più deserto diventava il mio intimo. È davvero un dolore senza pari, un sentimento perdurante di | annichilimento, quando l’esistenza ha perso del tutto il suo signifcato. uno scoramento indescrivibile mi opprimeva, spesso non osavo alzare gli occhi davanti agli uomini, c’erano momenti in cui avevo paura della risata di un bambino. Allo stesso tempo ero molto calmo e paziente, nutrivo una strana fede superstiziosa nel potere taumaturgico di alcuni oggetti; spesso mi aspettavo consolazione da una piccola cosa acquistata, da una traversata in barca, dalla valle nascosta da un monte. con il coraggio scemavano a vista d’occhio anche le forze, credetti davvero di morire. Facevo fatica a mettere insieme i frammenti dei pensieri di un tempo; lo spirito vivace era invecchiato; sentivo la sua luce celeste, da poco sorta per me, oscurarsi pian piano. effettivamente, quando mi pareva che fosse in gioco l’ultimo residuo della mia esistenza perduta, quando il

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wenn mein Stolz sich regte, dann war ich lauter Wirksamkeit, und die Allmacht eines Verzweifelten war in mir, oder wenn sie von einem Tropfen der Freude getränkt war, die welke dürftige natur, dann drang ich mit Gewalt unter die Menschen, sprach, wie ein Begeisterter, und fühlte wohl manchmal auch die Thräne der Seeligen im Auge, oder wenn einmal wieder ein Gedanke oder das Bild eines Helden in die nacht meiner Seele strahlte, dann staunt’ ich und freute mich, als kehrte ein Gott ein in dem verarmten Gebiete, dann war mir, als sollte sich eine Welt bilden in mir; aber je heftiger die schlummernden Kräfte sich aufgeraft hatten, um so müder sanken sie hin; versuche nur nichts mehr, sagt’ ich mir dann, es ist doch aus mit dir! Wohl dem, der das Gefühl seines Mangels versteht! wer in ihm den Beruf zu unendlichem Fortschritt erkennt, zu unsterblicher Wirksamkeit, wer im Schmerze der erniedrigung den kleinen Trost verachten kann, unter den Kleinen groß zu seyn, ohne an sich zu verzweifeln, und den Glauben an die Götterkraft des Geistes aufzugeben, wer sie überstanden hat, diese Feuerprobe des Herzens, wenn es überall eine leere fndet, und das wenige, was es geben kann, verschmäht fühlt! – Wohl manches jugendliche Gemüth trauert, wie ich einst trauerte, im Gefühle menschlicher Armuth, und je treficher die natur, desto größer die Gefahr, daß | es verschmachte im lande der dürftigkeit. Mir ist er heilig dieser Schmerz, so wahr mich’s freuet, wenn mir ein freundlich Auge begegnet! Aber sagen möcht’ ich der Seele, die mir ihn klagte, daß sie nur darum ihr paradies verloren hätte, damit sie ein paradies erschaffe, doch werde diß mit nichten am siebenten Tage vollendet seyn, denn der Ruhetag der Geister würd’ ihr Tod seyn, sagen würd’ ich ihr, daß sie, um ihres Adels willen nicht einzig fremder Hülfe vertrauen soll, die treuste pfege müsse den zu Grunde richten,

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mio orgoglio si ridestava, ero estremamente attivo, c’era in me l’onnipotenza del disperato; oppure quando aveva succhiato una stilla di gioia, la natura appassita e misera, mi spingevo con violenza tra gli uomini, parlavo come un esaltato, qualche volta sentivo persino negli occhi le lacrime dei beati; oppure ancora, quando un pensiero o l’immagine di un eroe tornavano a risplendere nella notte della mia anima, mi stupivo e gioivo come se un dio fosse apparso in una terra impoverita, mi sentivo come se in me si ricreasse un mondo; ma quanto più impetuose le forze assopite si erano ridestate, tanto più stanche si spegnevano di nuovo. Smettila di provare, mi dicevo, ormai sei spacciato! Beato chi lo comprende, il sentimento del suo limite, chi riconosce in lui l’impegno verso un progresso infnito, verso un’attività immortale, chi nel dolore dell’umiliazione può disprezzare il misero conforto di essere un grande tra i piccoli senza disperarsi e senza rinunciare alla fede nella forza divina dello spirito! Beato colui che l’ha superata, questa prova del fuoco del cuore, quando trova dovunque il vuoto e vede disprezzato quel poco che ha da offrire. certo gli animi di molti giovani sono rattristati come lo ero io, nel percepire la povertà umana, e quanto più eccelsa è la natura, tanto più grande è il pericolo di | soccombere nel paese della miseria. È sacro per me quel dolore, e allo stesso tempo gioisco quando incontro uno sguardo amico. e all’anima che si è lamentata di lui vorrei dire che ha perso il suo paradiso solo per poterne costruire un altro, ma ciò non avverrà di certo nel settimo giorno, perché il giorno di riposo degli spiriti sarebbe la sua morte; le direi che, per amore della sua nobiltà, non deve affdarsi solo all’aiuto altrui, perché anche la sollecitudine più devota fnirà con l’annientare colui che si aspetta passivamente

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der müßig von ihr allein sein Heil erwarte; in brüderlichem zusammenwirken bestehe das Beste, doch sei es auch herrlich, allein zu stehn, und sich hindurchzuarbeiten durch die nacht, wenn es an Kampfgenossen gebreche. Mich hatte nun der Frühling überrascht in meiner Finsterniß. ich hatt’ ihn wohl zuweilen von ferne gefühlt, wenn die todten zweige sich regten, und ein lindes Wehen meine Wange berührte. das junge Grün hatte mich oft wunderbar belebt auf Augenblike, und manchmal, wann das freundliche Morgenlicht mich wekte, hatte die Ahndung, daß es wohl noch besser werden könnte, mein hülfos Herz erfreut. Aber das war vorübergegangen, wie der Schatten einer Geliebten. ich hatte mich häuslicher Geschäffte wegen einige Wochen in einem andern Theile der insel aufgehalten, und kehrte nun zurük nach San-nicolo. er war izt da in meinen Hainen, der holde Frühling, in aller Fülle der Jugend. Mir war, als sollt’ ich doch auch wieder fröhlich werden. ich öffnete meine Fenster, und kleidete mich, wie zu einem Feste. Auch für mich sollt’ er wiederkehren, der himmlische Fremdling! Was hoft dann der Arme? möchten die Todten auferstehn? dacht’ ich bei mir selbst. Aber mein Herz lies sich nicht abweisen. es gieng mir, wie den Kindern, die so gerne zutraun fassen zu einem heiter farbigen Kleide. Mit jedem Blike wuchs in mir der Glaube an bessere Tage vor dem fröhlichen Bilde der natur. ich sah, wie alles hinausströmte auf’s freundliche Meer von Tina, und sein Gestade. ich gieng auch hinaus. Alles verjüngte und begeisterte der süße zauberische Frühling. Fast jedes Gesicht war herzlicher, lebendiger; überall wurde | gutmüthiger gescherzt, und die sonst mit fremdem Gruße vorübergegangen waren, boten sich izt die Hände. das fröhliche Volk bestieg die Boote, steuerte hinaus in’s Meer und jauchzte von ferne der holden insel zu, kehrte dann

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solo da altri la propria salvezza. le cose migliori richiedono un’azione fraterna comune, ma è davvero splendido anche essere soli e farsi strada attraverso la notte, qualora manchino i compagni di lotta. la primavera mi sorprese nella mia oscurità. Altrimenti mi sarei accorto con anticipo che i rami irrigiditi si muovevano, che un soffo leggero mi sforava la guancia. il verde tenero qualche volta mi aveva miracolosamente ravvivato, e qualche volta, quando l’affettuosa luce del mattino mi svegliava, l’intuizione che le cose sarebbero potute andare meglio aveva rallegrato il mio cuore affranto. Ma anch’essa svaniva, come l’ombra dell’amata. per occuparmi di alcune faccende mi ero trattenuto qualche settimana in un’altra parte dell’isola, e tornai dunque a San nicolo.89 ed eccola lì nei miei boschetti, la soave primavera, in tutta la pienezza della gioventù. pensai che anch’io sarei di nuovo stato felice. Aprii le fnestre, mi vestii come per una festa: anche per me doveva tornare, la celestiale straniera. «che cosa spera il poverino, che i morti resuscitino?» pensai tra me. Ma il mio cuore non si lasciò scoraggiare. Mi sentivo come i bambini che sono subito attratti da un vestito di allegri colori. A ogni sguardo, davanti all’immagine gioiosa della natura, cresceva in me la certezza di giorni migliori. Vedevo come tutto si riversava all’aperto, verso il mare amichevole di Tinos e sulla spiaggia. uscii. la dolce, incantevole primavera ringiovaniva ed entusiasmava tutti. Quasi tutte le persone erano più allegre, più vivaci; dappertutto si scherzava | con buonumore e chi prima si salutava appena, ora si stringeva la mano. la gente felice saliva sulle barche, si allontanava sul mare ed esultava guardando la dolce isola da lontano; poi

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zurük in die platanenwälder, zu seinen zephyrlichen Tänzen, lagerte sich unter zelten zum lieblichen Mahle, und pries und freute sich hoch, daß keiner sich verirrt hätte in den labyrinthen des Ronnecatanzes. Aber mein Herz suchte mehr, als das. das konnte nicht vom Tode retten. ich gieng fort, und streifte herum auf einsamen Hügeln, sah oft hinunter nach der fröhlichen Welt, und dachte, warum ich dann darben müßte, wo alles so seelig wäre. doch wollt’ ich keinem seine Freude misgönnen, und hoffte, auch meiner warte vieleicht noch eine gute Stunde. So kehrt’ ich zurük. An notaras Hauße, wo ich vorüberkam, saß seine Mutter, deren liebling ich war, und um sie ein cirkel edler Mädchen, die Seide spannen, und kindliche liedchen sangen. da kömt der Menschenfeind, rief die Mutter mir zu. ich trat näher, und dankt’ ihr für den freundlichen Gruß. du bist gestraft, daß du so lange wegbliebst, fuhr sie lächelnd fort, etwas lieberes hat indeß in meinem Hauße plaz genommen. Man kann dich nun entbehren, du Stolzer! ich sah mich um. da stand sie vor mir, die Herrliche, wie eine priesterin der liebe, heilig und hold! – ach! über dem lächeln voll Ruh und himmlischer duldsamkeit thronte mit eines Gottes Majestät ihr großes begeistertes Auge, und wie Wölkchen um’s Morgenlicht, wallt’ im Frühlingswinde der dunkle Schleier um ihre Stirne. ich kann es nicht anders nennen, es war Gefühl der Vollendung, was sie mir gab in diesem Augenblike; war doch die nacht und Armuth meines lebens, die ganze dürftige Sterblichkeit, mit allem, was sie giebt und nimmt, so dahin, als wäre sie nie gewesen! Oft trauert’ ich, daß wir nur dann erst wissen, von diesen Momenten der Befreiung, wann sie vorüber sind.

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tornavano fra i boschi di platani, ai loro balli ariosi, si accomodavano sotto le tende per un gradevole pasto, gioivano e si rallegravano tanto che nessuno avrebbe potuto perdersi nel labirinto della romaika.90 Ma il mio cuore voleva di più. Tutto ciò non poteva salvare dalla morte. Mi allontanai, vagai sulle colline deserte guardando spesso laggiù il mondo gioioso e chiedendomi perché io dovevo struggermi mentre tutti erano così felici. Ma non volevo invidiare la gioia di nessuno, e speravo che forse anche per me sarebbe venuto il momento buono. così rientrai. passando davanti alla casa di notara, vidi sua madre, che aveva un debole per me, seduta fuori con intorno un cerchio di nobili fanciulle che flavano la seta cantando flastrocche.91 «ecco il misantropo», disse la madre scorgendomi. Mi avvicinai e la ringraziai per il gentile saluto. « È la punizione per essere stato via così a lungo», proseguì sorridendo. «una persona più amabile, nel frattempo, ha preso il tuo posto in casa. Ora possiamo fare a meno di te, bisbetico che non sei altro!» Mi guardai intorno. era davanti a me, meravigliosa, come una sacerdotessa dell’amore, sacra e soave! Sopra un sorriso pieno di pace e di indulgenza celestiale troneggiavano con la maestà di un dio occhi grandi ed entusiasti, e come nuvolette alla luce dell’aurora il velo scuro le ondeggiava sulla fronte nella brezza della primavera. non so defnirlo altrimenti, era un sentimento di perfezione quello che mi infuse in quell’istante; e tutta l’oscurità e la povertà della vita, la miseria mortale con tutto ciò che dà e prende erano scomparse, come se non fossero mai esistite! Spesso mi rattristo perché quegli attimi di liberazione li riconosciamo solo quando sono passati. «com-

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Sie wägen Aeonen unsers pfanzenlebens auf, sprach ich oft bei mir selbst, wenn ich ihr Andenken feierte, diese nahmenlosen Begeisterungen, wo das irrdische leben todt und die zeit nicht mehr ist, und der entfesselte Geist zum Gotte wird. | Jahre giengen vorüber, Meere trennten mich von ihr, tausendfältig verwandelte sich vor mir die Gestalt der Welt, aber ihr Bild verlies mich nie. Oft, wenn ich am heißen Mittag, ermattet von meinen Wanderungen, unter fremdem Himmel ruhte, erschien sie mir, wie in dem trunknen Momente, da ich sie fand, ich preßt’ es an mein glühendes Herz, das süße phantom, ich hörte ihre Stimme, das lispeln ihrer Harfe; wie ein friedlich Arkadien, wo in ewigstiller luft die Blüthe sich wiegt, wo ohne zwang die Frucht der ernte und die süße Traube gedeiht, wo keine Furcht das sichre land umzäunt, wo man von nichts weis, als von dem ewigen Frühling der erde, und dem wolkenlosen Himmel und seiner Sonne, und seinen heiligen Gestirnen, so stand es offen vor mir, das Heiligtum ihres Herzens und Geistes. und später, unter den Bitterkeiten und Mühen des lebens, bey stürmischer Fahrt, am Schlachttag, unter nahmenlosem unmuth, wo er mir auf ewig verschwunden schien, der gute Geist, den ich sonst so gerne ahndete, in allem, was lebt, wo ich kalt und stolz mir sagte: hilf dir selber, es ist kein Gott! ach! da trat oft ihr Schatten vor mich, wie ein engel des Friedens, und besänftigte mein verwildertes Herz mit seiner himmlischen Weisheit. Jezt ehr’ ich als Wahrheit, was mir einst dunkel in ihrem Bilde sich offenbarte. das ideal meines ewigen daseyns, ich hab’ es damals geahndet, als sie vor mir stand in ihrer Grazie und Hoheit, und darum kehr’ ich auch so gerne zurük, zu dieser seeligen Stunde, zu dir, diotima, himmlisches Wesen!

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pensano eoni della nostra esistenza vegetale», dicevo spesso tra me celebrando il loro ricordo, «questi entusiasmi senza nome in cui la vita terrena è morta e il tempo non esiste più, e lo spirito liberato dai ceppi diviene un dio». | Sono passati anni, molti mari mi hanno diviso da lei, mille volte si è modifcato davanti a me l’aspetto del mondo, ma la sua immagine non mi ha mai lasciato. Spesso, quando mi riposavo sotto un cielo straniero nella calura del mezzogiorno, sfnito dal mio peregrinare, mi appariva come nel momento di ebbrezza in cui la vidi la prima volta; allora stringevo al cuore ardente il dolce fantasma, sentivo la sua voce e il sussurro della sua arpa. come una pacifca Arcadia, dove il fore si culla nell’aria eternamente quieta, dove il frutto del raccolto e il dolce grappolo maturano senza sforzo, dove la terra è sicura e non circondata da paura, dove non si conosce nulla oltre all’eterna primavera della terra, al cielo senza nuvole con il sole e le sacre stelle, così si era aperto davanti a me il santuario del suo cuore e del suo spirito. e più tardi, nelle amarezze e nelle fatiche della vita, in un viaggio tempestoso, nel giorno del massacro,92 nello sconforto senza nome, quando mi sembrava perso per sempre, lo spirito buono che di solito presagivo facilmente in tutto ciò che vive, quando mi dicevo freddo e orgoglioso: «aiutati da solo, non c’è alcun dio!», ecco, allora la sua ombra compariva davanti a me, come l’angelo della pace, e placava il cuore selvaggio con la sua saggezza celestiale. Ora venero come la verità ciò che una volta mi si è manifestato oscuramente nella sua immagine. l’ideale della mia esistenza eterna l’ho presagito allora, quando la vidi davanti a me nella sua grazia e maestà, e per questo ripenso ancora volentieri a quell’ora felice, a te, diotima,93 creatura celeste!

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Fünftes Kapitel.

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der Abend jenes Tages meiner Tage ist mir mit allem, was ich noch gewahr ward in meiner Trunkenheit, unvergeßlich. Mir war er das schönste, was der Frühling der erde geben kann, und der Himmel und sein licht. Wie eine Glorie der Heiligen, umfoß sie das Abendroth, und die zarten goldnen Wölkchen im Aether lächelten herunter, wie himmlische Genien, die sich freuten über ihrer Schwester auf erden, wie sie unter uns wandelte in aller | Herrlichkeit der Geister, und doch so gut und freundlich war gegen alles, was um sie war. Alles drängte an sie. Allen schien sich ein Theil ihres Wesens mitzutheilen. ein freundlicher ernst, ein zärteres Aufmerken, eine innigere Traulichkeit war unter alle gekommen, und sie wußten nicht, wie ihnen geschah. Mit Begeisterung erzählte mir die Mutter, indeß die andern um diotima beschäfftigt waren, wie ihr das liebe Mädchen Freude mache mit ihrem stillen nachdenklichen Wesen, und ihrer steten zufriedenheit, wie sie sich scheue vor allem, was einem menschlichen Herzen wehe thun könne, vor allem, was nicht schön und schiklich wäre; auch sehe man es sogleich, wenn etwas durch ihre Hände gegangen wäre, man könne gewis nicht sagen, ihr Herz hänge an kleinen dingen, und doch wär’ es immer, als wäre sie mit ihrer ganzen Seele an der Sache gewesen; ein Gartenbeet gewinne ein ganz andres Ansehn, wenn sie es ordne; es wär’ ihr auch so leicht nicht abzulernen; das eigentliche, was einem an den Gewändern gefele, die sie geschnitten, und den Kränzen, die sie gewunden hätte; – ihr element seien aber die alten dichter und Weisen, hierin seie sie ein eignes Wesen, sie sei zwar sehr geheim damit, aber man hätte doch schon bemerkt, daß sie im Herzen das Andenken großer Menschen im alten Griechenlande ungefähr ebenso feire, wie die andern frommen Gemüther das Fest der panagia, und anderer Seeligen; auch

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capitolo quinto la sera del migliore fra tutti i miei giorni, con tutto ciò che riuscii a percepire nella mia ebbrezza, rimase indimenticabile. per me fu ciò che di più bello potessero darmi la primavera della terra, il cielo e la sua luce. come l’aureola dei santi la avvolgeva il rosso della sera, e le delicate nuvolette dorate nell’etere le sorridevano, come geni celesti che gioiscono per la sorella sulla terra, che cammina fra noi in tutto lo | splendore degli spiriti, così buona e cordiale verso tutto ciò che la circonda. Tutto si accalcava verso di lei, a tutti sembrava trasmettere una parte del suo essere. una serietà benevola, un’attenzione più tenera, una confdenza più intima si era diffusa fra tutti, senza che sapessimo cosa stava accadendo. Mentre gli altri erano indaffarati intorno a diotima, la madre mi raccontò con entusiasmo come la cara fanciulla la rallegrasse con il suo carattere silenzioso e rifessivo e la sua perenne contentezza, come si astenesse da tutto ciò che poteva ferire l’animo altrui e soprattutto da tutto ciò che non era bello e appropriato; del resto si vedeva subito se qualcosa era stato fatto da lei, non si poteva certo dire che il suo cuore fosse tutto nelle piccole cose, ma era sempre come se si dedicasse a ogni compito con tutta l’anima. un’aiuola assumeva un aspetto del tutto diverso se lei l’aveva sistemata, e non si riusciva facilmente a imitarla, c’era qualcosa di particolarmente gradevole nei vestiti che tagliava, nelle corone che intrecciava... il suo elemento erano però i poeti e i saggi antichi, su questo aveva idee tutte sue, e per quanto cercasse di tenerlo nascosto, tutti si erano accorti che nel cuore venerava la memoria dei grandi uomini dell’antica Grecia più o meno come altri devoti celebrano la festa di panagia o di altri santi; e inoltre c’era

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sonst sei etwas – sie müßte nur sagen – Übermenschliches an ihr. Hättest du sie gestern gesehn, sezte sie hinzu, es wäre dir wohl so sonderbar zu Muth gewesen, wie mir. es hatte kaum getagt, als ich hinuntergieng in den Garten. da sah ich, ohne daß sie mich bemerken konnte, das liebe Mädchen in dem heimlichen pläzchen unter den platanen, wie sie dastand mit ausgebreiteten Armen, und emporrief: dir opfr’ ich mein Herz, ewige Schönheit! – ich werde den Anblik im leben nicht vergessen. Sie komme von den ufern des pactols, fuhr die Mutter nach einer Weile fort, aus einem einsamen Thale des Tmolus, wohin ihr Vater, ein Verwandter der notara, aus Verdruß über sein Volk sich von Smyrna zurükgezogen hätte, und ihre Mutter, ehmals die Krone von Jonien, seie seit einem Jahre todt. der junge notara trat izt auch noch zu uns, grüßte mich | freundlich, und fragte, ob ich immer noch zürne, er wisse nicht einmal seine Schuld genau, die Mutter lies ihn aber nicht weiterreden, zog ihn auf die Seite, und füsterte ihm, herzlich zu mir herüberlächelnd, einige Worte zu, daß ich fast etwas freudiges vermuthen mußte. – ich bat notara, mir zu verzei‹lücke von einem Blatt›

Staunen. Mein Geist verzehrte sich über der frohen Mühe, den ganzen Reichtum zu fassen, der vor ihm sich aufthat. – es fel mir lange nicht ein, ein Wort zu sprechen, und, da es mir einfel, lies es meine Verwirrung nicht zu. Man sprach endlich auch von so manchen Wundern griechischer Freundschaft, von Achill und patroklus, von der cohorte der Thebaner, von der phalanx der Sparter, von dion und plato, von all’ den liebenden und Geliebten, die auf und untergiengen in der Welt, unzertrennlich, wie die brüderlichen Gestirne. da wacht’ ich auf. Solche Herrlichkeit zernichtet uns Arme! rief ich; freilich waren es goldne Tage, wo man die Waffen

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qualcosa – non sapeva come defnirlo – di sovrumano in lei. «Se l’avessi vista ieri», aggiunse, «ti avrebbe fatto una strana impressione, come a me. Stava appena albeggiando quando scesi in giardino e lì vidi la cara ragazza, senza che lei se ne accorgesse, in piedi in un angolo nascosto tra i platani, con le braccia aperte, e la sentii esclamare: ‘a te offro il mio cuore, bellezza eterna!’ non dimenticherò mai quella scena fnché vivo». «Viene dalle rive del pattolo», proseguì la madre dopo una pausa, «da una valle sperduta del Tmolo, dove suo padre, un parente di notara, si è ritirato lasciando Smirne,94 contrariato per la situazione del suo popolo; e la madre, un tempo perla della ionia, è morta un anno fa». il giovane notara venne verso di noi e mi salutò | cordiale, chiedendomi se ero ancora arrabbiato; non sapeva esattamente quale fosse la sua colpa, ma… la madre non lo lasciò proseguire, lo tirò da parte e gli bisbigliò qualcosa sorridendo affettuosa verso di me, tanto che ebbi un sospetto gioioso… pregai notara di perdonarmi, ‹manca un foglio›

meraviglia. il mio spirito si consumava nel felice sforzo di cogliere tutta la ricchezza che si schiudeva davanti a lui. per molto tempo non seppi che cosa dire, e quando mi venne in mente qualcosa, il turbamento non me lo permise. parlammo infne anche delle meraviglie dell’amicizia greca, di Achille e patroclo, della coorte dei tebani, della falange degli spartani, di dione e platone,95 di tutti coloro che hanno amato e sono stati amati, che sono sorti e tramontati sul mondo, inseparabili come stelle gemelle. A quel punto mi risvegliai. «una tale grandezza ci distrugge, noi meschini. davvero, era un’epoca d’oro quan-

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tauschte und sich liebte bis zum Tode, wo man unsterbliche Kinder zeugte in der Begeisterung der liebe, Thaten und Gesänge und ewige Gedanken, ach! wo der Aegyptische priester dem Solon noch vorwarf, ihr Griechen seid allzeit Jünglinge! wir sind nun doch Greise bei all’ unsrem leichten Sinne! – es ist alles so anders geworden. Man lebt bequem, und hat daran genug. der Mensch bedarf des Menschen nicht mehr; er braucht nur Hände und Arme, zu seinem dienste. So spricht mein Vater auch, versezte diotima, und ihr Auge verweilte ernster an mir. nun kann ichs ihm nicht länger vorenthalten! rief die Mutter; spricht dein Vater auch so, diotima? ich glaub’ es wohl. Wißt ihr auch, ihr guten Kinder, daß ihr aus einer Quelle geschöpft habt? der fremde Mann, Hyperion, mit dem ich so oft dich lustwandeln sah, und dich an so manches Steinchen stoßen, weil du kein Auge von ihm wandtest, dem du so oft nachweintest am Meere draußen, als er fort war, wie du mir selbst gestandst, der ist diotimas Vater. Tausend Herzensgrüße von ihm! rief diotima freudig – ich hab’ | auch etwas mitgebracht; die böse Mutter hätt’ es wohl eher sagen können, sezte sie lächelnd hinzu, und eilte hinein in’s Haus. O ihr lieben! rief ich außer mir vor Freude, und faßte die Hände notaras und seiner Mutter. nun seh’ ich erst, wie herzlich gut du dem Manne bist, versezte die Mutter. Ja wohl bin ich ihm herzlich gut, erwiedert’ ich etwas betroffen, denn ich fühlte wohl, daß meine Freude nicht ihm allein galt. izt kam diotima zurük, und brachte mir zwei goldne Münzen. Auf einer stand Minerva mit der Aegide, und warf die lanze, und eine palme sproßte zu ihren Füßen; die andre mit dem

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do si scambiavano le armi e ci si amava fno alla morte, quando si generavano fgli immortali nell’esaltazione dell’amore, gesta, canti e pensieri eterni, ah! Quando il sacerdote egiziano poteva rimproverare Solone: ‘voi greci siete sempre fanciulli!’ Ora siamo davvero diventati vecchi, con tutta la nostra spensieratezza! Tutto è diverso ora, si vive comodi e ci si accontenta. l’uomo non ha più bisogno degli uomini, ha bisogno solo di mani e di braccia che gli ubbidiscano». «Anche mio padre parla così», interruppe diotima, e il suo sguardo si soffermerò su di me con maggior serietà. «Ora non posso più nasconderglielo!» esclamò la madre; «anche tuo padre parla così, diotima? lo credo bene. Sapete anche, fgli miei, che avete attinto entrambi alla stessa sorgente? lo straniero, iperione, con il quale ti ho visto così spesso passeggiare inciampando qua e là nelle pietre perché non riuscivi a distogliere gli occhi da lui, quello che così spesso hai rimpianto guardando il mare, dopo che se ne era andato, come tu stesso mi hai confessato, quello era il padre di diotima». «Tanti carissimi saluti da parte sua!» esclamò diotima con gioia. «Ti ho | anche portato un dono; la mamma, cattiva, avrebbe dovuto dirlo subito», aggiunse sorridendo, mentre correva in casa. «O miei cari!» esclamai fuori di me dalla gioia, stringendo le mani di notara e di sua madre. «Solo ora mi accorgo quanto eri affezionato a quell’uomo», disse la madre. «certo che gli ero affezionato», replicai vagamente incerto, rendendomi conto che la mia gioia non era tutta soltanto per lui. in quel momento tornò diotima portando due monete d’oro. Su una si vedeva Minerva con l’egida che scagliava la lancia, e una palma che spuntava sotto i suoi piedi;

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Apollonskopfe gab mir diotima mit dem zusaze, ich möchte dabei an delos und den cynthus denken. Sie erzählte mir noch viel von ihrem Vater, und wie er oft von mir gesprochen habe; wir sprachen auch noch manches im Allgemeinen. Wie ich sie da verstand! und wie sie das freute! wie ein zufällig Wörtchen von ihr eine Welt von Gedanken in mir hervorrief! sie war wirklich ein Triumph des jugendlichen Geistes, die stille Vereinigung unsers denkens und dichtens, und ich erfuhr zum erstenmale ganz, wie die Freude begeistern kann. Kinder! es wird spät! fel endlich die Mutter ein, und Hyperion kann uns immer dank sagen für diesen Abend. leer ist er nicht ausgegangen. Sie giengen hinein. ich stürzte fort in rasender Freude, schalt und lachte über den Kleinmuth meines Herzens in den vergangnen Tagen, und der stolze Knabe konnte gar nicht begreifen, wie es möglich gewesen wäre, so ein ärmlich Wesen zu seyn. Wunderbar war mir’s zu Muth, als ich in mein zimmer trat. es war mir alles so fremd geworden. Jedes Geräthe schien mir etwas trauriges an sich zu haben und ich war doch so seelig. Auch ihr mußtet es entgelten, ihr Armen! sagt’ ich vor mich hin in meines Herzens Trunkenheit, als ich vor die offnen Fenster trat, und meine verwilderten und halbverwelkten Blumen sah, nahm das Wassergefäß und begoß sie lächelnd. ich brachte die nacht unter dem Fenster zu. es waren zauberische Stunden. Aus goldnen Träumen, wo an ein Wörtchen von ihr meine ganze Seele sich hieng, um es hundertfach zu deuten, und | über ihrem Bilde mir jedes daseyn schwand, wekte mich das Wehen der nachtluft um meine glühende Wange; die stille natur schien mir das Fest meines Herzens mitzufeiern; die Sterne blikten freundlicher durch die zweige; lieblicher duftete der Othem der Blüthen. ich schlummert endlich stehend ein, süßberauscht, wie von holden Melodien eingewiegt. –

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sull’altra la testa di Apollo, e porgendomela diotima aggiunse che doveva ricordarmi delo e il cinto.96 Mi raccontò ancora molto di suo padre, e come spesso anche lui raccontava di me; parlammo anche di altre cose in generale. come la capivo, e come se ne rallegrava! una sua qualsiasi parola richiamava in me un mondo di pensieri, era un vero trionfo dello spirito della giovinezza, l’unione silenziosa del nostro pensare e poetare, e per la prima volta sperimentai quanto può essere inebriante la gioia. «Bambini, si fa tardi!» interruppe infne la madre; «iperione potrà ringraziarci per questa serata, non se ne va a mani vuote». Rientrarono in casa, io scappai via impazzito di gioia, mi arrabbiavo e ridevo per il mio animo pusillanime dei giorni andati, e il giovane orgoglioso non riusciva a capacitarsi di essere stato un misero marmocchio. ero di uno strano umore quando arrivai a casa. Tutto mi era diventato estraneo, ogni oggetto sembrava avere in sé qualcosa di triste, mentre io ero così felice. «Anche voi avete dovuto scontare una pena, poveretti!» dissi fra me nell’ebbrezza del cuore, quando andai alla fnestra e vidi i fori incolti e in parte rinsecchiti; presi l’innaffatoio e li bagnai sorridendo. passai la notte al davanzale della fnestra. erano ore incantate. il soffo della brezza notturna sulle guance accaldate mi destò da sogni dorati, nei quali tutta la mia anima pendeva da una parolina di lei dandole mille signifcati, e | nella sua immagine scompariva per me tutta l’esistenza; la natura silenziosa sembrava celebrare con me la festa del mio cuore, le stelle occhieggiavano più amichevoli fra i rami, più dolce profumava il respiro dei fori. infne mi addormentai in piedi, ubriaco di dolcezza, come cullato da soavi melodie.

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Bald spielte, wie eines Freundes warme Hand, das kommende Tageslicht um meine Stirne, und ich lächelt’ empor. es war ein seeliger Morgengruß, den izt mein Herz dem Himmel und der schönen erde brachte. Himmel und erde schienen mir neugeboren, wie ich es war. ich gieng hinaus zu meinen alten lieblingspläzen. die längstvergangnen Stunden, die Stunden des erwachens, wo der Knabe dasaß in dunklem Sehnen, und nicht wußte, was es war, als die Fittige der jungen Seele sich regten, wo zum erstenmale tiefer athmend die Brust sich hob, und das Auge nun nicht mehr so gerne verweilte an dem, was nahe war, und lieber nach der blauen geheimnißvollen Ferne sich richtete, die ahndungsvollen Stunden des erwachens dämmerten wieder auf in mir. damals, dacht’ ich, weissagtest du dir diesen Frühling! o damals sahst du hinaus in die beßre Welt, die dich izt umgiebt! ich dünkte mir nun so reich und stark. Mein innerstes war so befriedigt. es gab für mich in der Welt nichts feindliches mehr. Meine insel hatt’ ich nun auch recht lieb gewonnen. Mit innigem Wohlgefallen sah ich hinab auf ihre grünen ufer, wo die Wellchen unschädlich um die Myrthengebüsche spielten, und wie das friedliche San-nicolo mit seinen Blüthenwäldern aus dem Morgendurfte sein röthlich Haupt erhub, und die Fenster an notaras Hauße glühten, und der Rauch aufstieg von seinem Heerde; bald sah ich, wie die Thüre sich öffnete, die in den Garten führte, und diotima die Marmortreppen hinuntergieng; ich erkannte sie an der hohen schlanken Gestalt, und dem purpurnen Oberkleide, das um den weißen leibrok fog. Wie mein Auge an diesen Farben sich waidete! es ist nichts, was sich nicht in der nähe eines solchen Geschöpfs beseelte, für einen Sinn, wie der meinige war. nach einer Weile ‹lücke von einem Blatt›

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presto giocò sulla mia fronte, come la calda mano di un amico, la luce del giorno che sorgeva, e sorrisi guardandola. era un buongiorno beato, quello che il cuore porse al cielo e alla bella terra. cielo e terra mi sembravano rinati, come lo ero io. uscii e andai nei miei luoghi preferiti di un tempo. le ore ormai lontane, le ore del risveglio in cui il ragazzo sedeva in un’oscura nostalgia e non sapeva cosa stava per accadere, quando si iniziavano a muovere le ali della giovane anima,97 quando il petto si gonfò per la prima volta in un respiro più profondo e l’occhio non si soffermava più volentieri sulle cose vicine ma preferiva alzarsi vero l’azzurra e misteriosa lontananza… le ore presaghe del risveglio albeggiarono di nuovo in me. una volta, pensai, avevi profetizzato questa primavera! una volta avevi sollevato lo sguardo verso il mondo migliore che ora ti circonda. Mi sentii dunque ricco e forte. il mio intimo era soddisfatto, non c’era più nulla di ostile al mondo, persino la mia isola mi sembrava adorabile. con intimo compiacimento guardai giù verso le sue coste verdi, dove le ondine giocavano innocue intorno ai cespugli di mirto, dove la pacifca San nicolo con i suoi boschi in fore sollevava la testa rossastra nel profumo dell’alba; le fnestre della casa di notara si accesero e il fumo salì dal focolare; subito dopo vidi aprirsi la porta che dava sul giardino e diotima scendere i gradini di marmo; la riconobbi per la fgura alta e snella e per il grembiule di porpora che svolazzava sopra la gonna bianca. come si pascevano gli occhi di quei colori! non c’è nulla che non possa ravvivarsi in presenza di una creatura simile, almeno non per come mi sentivo io. dopo qualche tempo ‹manca un foglio›

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notara begleitete sie und die Mutter war im Hauße beschäfftiget. diotima gieng allein umher unter den Blumen. es schien ihr etwas widerfahren zu seyn. der Schmerz auf ihren lippen gieng mir durch die Seele, so mild er schien. Wir giengen eine Weile schweigend auf und nieder. Mich verfolgt ein bittrer Gedanke, rief sie endlich, ich wag’ es kaum, ihn zu sagen, und kann doch von ihm nicht ablassen. Schon manchmal hat er sich mir aufgedrungen, auch heute wieder. ist es dann wahr – je mehr Menschen, je weniger Freude? – O wie oft ich das fühlen mußte! rief ich, wie oft – es ist unbegreifich, wie man des zusammenlaufens nicht müde wird! – Als wüßtest du nicht, erwiederte diotima, daß der bunteste Wechsel diesen Menschen das Beste dünkt, und diesen fnden sie doch untereinander – ihr bunter uneiniger Wechsel, fuhr ich fort, der ist gerade die wahre Gestalt des Übels; ich mag es nicht nachempfnden, wie er mich oft verwirrte, und verzerrte, wie in dem Kriege, den man unter der larve des Friedens führt, wo man immer das, woran das eigne Herz hängt, vor fremden pfeilen sichern, wo man so ängstlich jede unschuldige Blöße verhüllen muß, wo der andere bei aller Ruh’ und Freundlichkeit, die er zeigt, doch mistrauisch jede Bewegung belauert, ob sie nicht für Feindesanfall gelte, wie in diesem kleinen schlechten Kriege die Kräfte so heillos zu Grunde gehn; nein! es ist eine unerhörte ungereimtheit! sie bieten allem auf, um zusammenzuseyn, und dann, wann sie zusammen sind, strengen sie mit aller erdenklichen Mühe sich an, um einsam zu seyn im eigentlichen Sinne, sie öffnen die Thüre und verschließen ihr Herz – dem Himmel sei dank, daß ich los bin! das betrübt mich eben, daß es räthlicher scheint, für sich zu leben, fuhr diotima fort; ich trage ein Bild der Geselligkeit in der Seele; guter Gott! wie viel schöner ists nach diesem Bilde,

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notara la accompagnò e la madre era impegnata in casa, così diotima passeggiava da sola tra i fori. Sembrava esserle accaduto qualcosa di sgradevole. il dolore sulle sue labbra mi andò dritto al cuore, tanto era delicato. Andammo avanti e indietro in silenzio per un po’. «Mi tormenta un brutto pensiero», esclamò infne, «non oso quasi riferirlo, eppure non riesco a scacciarlo. Già altre volte mi era venuto in mente, e oggi di nuovo. È dunque vero… Tanti più uomini, tanta meno gioia?» «Quanto spesso ho dovuto sperimentarlo!» esclamai, «quanto spesso... È incomprensibile come non ci si stanchi mai di accalcarsi». «come se non sapessi», rispose diotima, «che il cambiamento continuo sembra agli uomini la cosa migliore, e quello lo cercano tra di loro…» «il cambiamento continuo e incoerente», proseguii, «questa è la vera forma del male; non voglio ricordarmi quanto spesso mi confondeva e mi distruggeva, come quando si fa una guerra sotto la maschera della pace, dove bisogna sempre mettere al sicuro dalle frecce del nemico le cose che più ci stanno a cuore, dove bisogna coprire timorosamente ogni innocente nudità, dove l’altro per quanto tranquillo e amichevole, spia comunque sospettoso ogni tuo movimento, perché potrebbe essere un attacco nemico, e in questa piccola e stupida guerra le forze vengono annientate senza scampo. no, è un’insensatezza inaudita! Si invitano l’un l’altro a stare insieme e poi, una volta insieme, si sforzano più che possono per essere soli nel vero senso della parola, aprono la porta e chiudono il cuore… Grazie al cielo ne sono fuori!» «proprio questo mi rattrista, il fatto che sembri più opportuno vivere da soli», proseguì diotima. «io ho un’immagine di socialità nell’anima, santo cielo, e quanto è più bello vivere insieme secondo questa immagine, piuttosto

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zusammen zu seyn, als einsam! Wenn man nur solcher dinge sich freute, denk’ ich oft, nur solcher, die jedem Menschenherzen lieb und teuer sind, wenn das Heilige, das in allen ist, sich mittheilte durch Rede und Bild und Gesang, wenn in einer Wahrheit sich alle Gemüther vereinigten, in einer Schönheit sich alle wiedererkennten, ach! wenn man so Hand in Hand hinaneilte in die Arme des unendlichen – | O diotima, rief ich, wenn ich wüßte, wo sie wäre, diese göttliche Gemeinde, noch heute wollt’ ich den Wanderstab ergreifen, mit Adlerseile wollt’ ich mich füchten in die Heimath unsers Herzens! Oft leb’ ich unter ihr im Geiste, fuhr diotima fort, und mir ist, als wär’ ich ferne in einer andern Welt, und ich entbehre der gegenwärtigen so leicht; – wir singen andre lieder, wir feiern neue Feste, die Feste der Heiligen in allen zeiten und Orten, der Heroën des Morgen- und Abendlands; da wählt jedes einen aus, der seinem Herzen, seinem leben am nächsten ist, und nennt ihn, und der herrliche Todte tritt mitten unter uns in der Glorie seiner Thaten, auch wer, geschäftig am stillen Heerde, mit reinem Sinne das seine that, wird nie von uns vergessen, und Kronen blühn für jede Tugend; und wenn auf unsern Wiesen die goldne Blume glänzt, in seiner bläulichen Blüthe das Aehrenfeld uns umrauscht, und am heißen Berge die Traube schwillt, dann freun wir uns der lieben erde, daß sie noch immer ihr friedlich schönes leben lebt, und die sie bauen, singen von ihr, wie von einer freundlichen Gespielin; auch sie lieben wir alle, die ewigjugendliche, die Mutter des Frühlings, willkommen, herrliche Schwester! rufen wir aus der Fülle unsers Herzens, wenn sie herauf kömmt zu unsern Freuden, die Geliebte, die Sonne des Himmels; doch ists nicht möglich, ihrer allein zu denken! der Aether, der uns umfängt, ist er nicht das ebenbild unsers Geistes, der reine, unsterbliche? und der Geist des Wassers, wenn er unsern Jünglingen in

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che da soli! Quando si gioisce solo per le cose che sono care e preziose per ciascuno, penso spesso, quando il sacro che è in ognuno si comunica attraverso la parola, l’immagine e il canto, quando tutti gli animi si uniscono in una verità, si riconoscono in una bellezza, ah, quando si cammina insieme, mano nella mano, tra le braccia dell’infnito...»98 | «O diotima», esclamai, «se sapessi dov’è, questa comunità divina, oggi stesso prenderei il vincastro del viandante e con la velocità dell’aquila scapperei nella patria del nostro cuore!» «Spesso, in spirito, vivo là», proseguì diotima, «e mi sembra di essere in un mondo lontano, dove faccio facilmente a meno di questo; cantiamo altre canzoni, celebriamo nuove feste, le feste dei santi di tutti i tempi e luoghi, degli eroi dell’Oriente e dell’Occidente; là ogni uomo ne sceglie uno, che sente più vicino al suo cuore, alla sua vita, e lo evoca, e il magnifco defunto appare in mezzo a noi nella gloria delle sue gesta. Anche chi, impegnato al focolare silenzioso, ha fatto la sua parte con coscienza pura, non viene mai dimenticato, e per ogni virtù foriscono corone. e quando sui nostri prati splenderà il fore dorato, il campo di spighe ci inebrierà con la sua foritura azzurrina, e i grappoli si gonferanno sui pendii assolati, allora gioiremo per l’amata terra che continua a vivere la sua vita pacifca e bella, e chi la coltiva canterà di lei come di una compagna benevola; noi tutti la amiamo, l’eternamente giovane, la madre della primavera: ‘benvenuta, splendida sorella!’ esclameremo nella pienezza del cuore quando si unirà alle nostre gioie, l’amata, il sole del cielo; eppure non è possibile pensare solo a lei. l’etere che ci avvolge, non è forse l’immagine fedele del nostro spirito, puro, immortale? e lo spirito dell’acqua, quando va incontro ai nostri

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der heiligen Wooge begegnet, spielt er nicht die Melodie ihres Herzens? er ist ja wohl eines Festes werth, der seelige Friede mit allem, was da ist! – den einen, dem wir huldigen, nennen wir nicht; ob er gleich uns nah ist, wie wir uns selbst sind, wir sprechen ihn nicht aus. ihn feiert kein Tag; kein Tempel ist ihm angemessen; der einklang unserer Geister, und ihr unendlich Wachstum feiert ihn allein. es ist mir unmöglich, die Begeisterung des heiligen Mädchens nachzusprechen. O schone dich, diotima, schone dich und mich, rief ich endlich, da sie mit so gränzenloser liebe sich in ihre bessere Welt verlor, wer will es aushalten, nach solchen Stunden, in der Armseeligkeit, in die man zurükmuß? Aber du bist glüklich, du fühlst die Gegenwart nur selten, hast sie nie gefühlt, wie ich es mußte – Ach! sie sind doch Menschen, fuhr diotima fort, die | Armen, die sich vor uns müde ringen, und abkümmern, ohne daß sie wissen worüber? weil ihnen das eine, was noth ist, nicht erscheint, da möchte man so gerne helfen – Wie gerne, rief ich, möcht’ ich es ihnen gönnen, daß sie lebten, wie du! – Guter Hyperion! unterbrach sie mich mit ihrer stillen Herzlichkeit, und ihr großes Auge glänzte von freundlichen Thränen. Mir gieng ein Himmel auf in diesen Worten. es war mir ohnediß schon lange eine Quaal gewesen, so ruhig vor ihr zu bleiben. O Schwester meines Herzens! rief ich, mir hast du den Frieden gegeben! erhalt ihn mir, um dieser Stunde willen! ich lebe dein leben durch dich – o deinen Himmel, diotima, fuhr ich fort, da sie mich unterbrechen wollte, ich hab’ ihn umsonst gesucht auf dem dürren Felde des lebens, ich war so lange ohne Heimath; ach! es war die nacht vor dem erfreulichen Tage; ich seh’ es nun, wir sterben nur, um neu zu leben, ich war hingewelkt vor der zeit, nun kömmt mir ein ewiger Frühling, ich fühl es, hier ist unsterbliche Jugend, hier, wo du bist! – Stille, stille, jugendlicher Geist! rief diotima.

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fanciulli con l’onda sacra, non suona forse la melodia del loro cuore? Val bene una festa, la pace beata con tutto ciò che esiste! l’unico che veneriamo, non lo nominiamo; anche se ci è vicino come noi stessi, non pronunciamo il suo nome.99 nessun giorno lo festeggia, nessun tempio è degno di lui; solo l’armonia dei nostri spiriti, solo il loro eterno progredire lo celebra». Mi è impossibile descrivere l’entusiasmo della sacra fanciulla. «Risparmiati, diotima, risparmia te e me», esclamai infne, vedendo che si era persa nel suo mondo migliore con un amore sconfnato. «dopo simili momenti, chi riuscirà a resistere nella miseria a cui deve tornare? Ma tu sei fortunata, vieni a contatto solo raramente con il presente, non lo hai mai sperimentato come ho dovuto fare io». – «Ah, sono comunque uomini», disse ancora diotima, «quei | poveretti che lottano fno all’ultimo davanti a noi e si consumano nelle pene, senza sapere perché; infatti, l’unica cosa necessaria non appare loro, e vorremmo così tanto aiutarli...» dissi: «Molto volentieri augurerei loro di vivere come te!» «Mio buon iperione!» mi interruppe nel suo quieto trasporto, mentre i grandi occhi luccicavano di lacrime d’affetto. Quelle parole mi mandarono al settimo cielo. Già da tempo era un tormento per me rimanere così calmo davanti a lei: «O sorella del mio cuore!» esclamai, «mi hai donato la pace! conservamela, per il bene di quest’ora! Vivo la tua vita attraverso di te… e il tuo cielo, diotima», proseguii vedendo che voleva interrompermi, «l’ho cercato invano nei campi aridi della vita, così a lungo sono rimasto senza patria; ah, era la notte che precede il giorno gioioso; lo capisco ora, moriamo solamente per poter rinascere; ero appassito prima del tempo, ma ora viene una primavera eterna, lo sento, là dove tu sei c’è l’eterna giovinezza!» – «Taci, taci, giovane spirito!» disse diotima.

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ich war, indeß sie es sprach, selbst über mich erschroken. es schwebte mir noch manches warme Wort auf der zunge; ich verschwieg es, aber bei jedem ward ich bestürzter. ich war stille, aber ich fühlte nur um so brennender, wie ich an ihr hieng. Sonst war ich ruhiger von ihr gegangen als heute. ich wollte noch an demselben Abend zurük, aus mancherlei Gründen, die ich mir einredete, aber ich hatte kaum drei Schritte gewagt, so verwies ich es mir. Mit quälender ungedult erwartet’ ich den andern Tag. Tausend dinge wollt’ ich ihr sagen. ich stand im Geiste vor ihr, faßte ihre Hände zum erstenmale, und drükte sie so mit zittern an meine Stirne. Wenn diotima nicht wäre, dacht’ ich, und es war mir, als fühlt’ ich zernichtung. ich erschrak über diese Heftigkeit; ich hielt mir die schönen Tage vor, wo ich freier und stiller um diotima lebte, ich suchte, ihre zarten Melodien in mein Herz zurükzurufen, aber die unruhe blieb, und ich ward nur um so verwirrter, je mehr ich mein unbändiges Herz mit Vorstellungen plagte. – es war mir unerklärlich, daß ich gerade heute so seyn sollte. ich wußte mir nicht zu helfen, wie ich des andern Tages vor sie trat. Sie schien mir so fremd, so unbekümmert um mich. Sie war | auch meist abwesend mit der Mutter, bei häuslichen Geschäfften. Sie wollten mit diotima die insel ein wenig durchwandern, sagte mir die Mutter, es würde dem lieben Mädchen doch Freude machen, das schöne land zu sehn, und so hätte sie jezt noch manches zu besorgen, weil sie einige Tage ausbleiben würden. es war gut, daß sie meine Antwort nicht abwartete, und wieder hinauseilte. So schnell hätt’ ich ihr nichts darauf zu sagen gewußt. und morgen schon wird die Reise vor sich gehn? fragt’ ich die Mutter, als sie wieder hereintrat, wohl auch sehr frühe? Vor Tagesanbruch! versezte sie; wir wollen möglichst in der Kühle

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Mentre parlava, io stesso mi spaventai di me. Avevo sulla punta della lingua altre parole calorose, non le pronunciai, ma ciascuna di esse mi rendeva sempre più sbigottito. Rimasi in silenzio, ma sentivo sempre più cocente il sentimento che nutrivo per lei. in genere me ne andavo da lei più tranquillo di quel giorno. pensai di tornare la sera stessa, con vari pretesti che mi inventavo, ma non avevo fatto tre passi che già me lo proibii. con tormentosa impazienza aspettai il giorno seguente. Avevo mille cose da dirle. Mi immaginavo di essere davanti a lei, di prenderle le mani per la prima volta e premerle tremando sulla mia fronte. Se non ci fosse diotima, pensavo, e mi sembrava di sentire l’annichilimento. Mi spaventai per la mia irruenza; mi richiamavo alla memoria i bei giorni in cui vivevo intorno a diotima più libero e più quieto, cercavo di rievocare nel cuore le sue dolci melodie, ma l’inquietudine rimase ed ero sempre più confuso, quanto più tormentavo il mio cuore indomabile con le fantasie. non sapevo cosa fare, quando andai da lei il giorno dopo. Mi parve così estranea, così incurante di me. Rimase | anche molto tempo via, impegnata con la madre nelle faccende di casa. Volevano girare un po’ per l’isola con diotima, mi disse la madre, sarebbe una gioia per quella cara ragazza vedere questa bella terra, così ora avevano molte cose da preparare, perché sarebbero rimasti via qualche giorno. Fu un bene che non aspettasse la mia risposta e che si allontanasse di nuovo in fretta. così rapidamente non avrei saputo davvero che cosa rispondere. «e domani già comincerete il viaggio?» chiesi alla madre quando tornò di nuovo nella stanza, «e magari anche domattina presto?» «prima dell’alba» precisò, «vogliamo

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reisen. – die Seeluft mildert zwar die Hize ziemlich, erwiedert’ ich, doch ist der Morgen freilich lieblicher. und wann werdet ihr zurükkommen? in sechs Tagen würden die Ältesten gewählt, versezte sie, da möchte sie doch wieder in San-nicolo seyn. es wäre schön, wenn ich entgegenkäme. Wie doch das unerfahrne Herz so klug ist, wenn es liebt! Beredtsamkeit war sicher meine Tugend nie gewesen, und heut’ am wenigsten. Jezt, da diotima wieder gegenwärtig war, konnt ich gar kein ende fnden in meinen Schilderungen von dem Wege, den sie zu machen gedachte. in meinem leben mahlt’ ich nie lebendiger. nicht eine der lieblichen und großen Stellen lies ich unbemerkt, die sie unterweges fnden würde. Alles erfreuliche, was ihr begegnen konnte, sucht’ ich an mich anzuknüpfen. Bei jedem Reize der herrlichen insel sollte diotima mein gedenken. – ich hatte keine Ruhe die nacht über. die Sterne leuchteten noch am Himmel, als ich hinausgieng. ich lagerte mich unter dunkeln platanen an einem Hügel, der nicht sehr ferne von der Straße lag. Mancherlei bewegte sich mir in der Seele. Auch meine trüben Tage, ehe ich diotima gefunden hatte, erschienen mir wieder. der Mensch kann manches tragen, dacht’ ich. die Freude gehet über ihm auf und unter. Aber er wandert doch auch in der nacht seinen Weg so hin. ist er nur einmal vertraut damit geworden, so wird ihm auch das unerträgliche leidlich. nur muß er nicht zurüksehn, auf das, was er verlor. ein Tropfe aus der Schaale der Vergessenheit, das ist alles, was er bedarf! ich hatte einige Tage zuvor einen alten Schiffer gesprochen, der | im Gefechte mit den Korsaren den rechten Arm verloren hatte, auch sonst zur Fahrt zu schwach geworden war. der hatte mir erzählt, wie er anfangs jedesmal hinausgegangen sei an den Hafen, wenn ein Schiff ausgelauffen sei, oder wiedergekommen, wie er sich immer da der alten zeiten erinnert habe,

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viaggiare con il fresco il più a lungo possibile». – «la brezza marina mitiga abbastanza la calura», replicai, «ma al mattino è comunque più mite. e quando ritornerete?» «Fra sei giorni vengono eletti gli anziani»,100 rispose, e volevano quindi essere di ritorno a San nicolo per allora. Sarebbe bello se andassi loro incontro. come diventa acuto il cuore innamorato, per quanto inesperto! la facondia non era certo mai stata una delle mie virtù, e oggi meno che mai. eppure, quando diotima ritornò, non la smettevo più con le descrizioni della strada che intendevano percorrere. non ho mai descritto così vividamente in vita mia. non trascurai nemmeno uno dei luoghi incantevoli e maestosi che avrebbero incontrato nel viaggio. cercavo di collegare a me tutte le cose piacevoli che avrebbe visto, a ogni bellezza della splendida isola diotima avrebbe dovuto pensare a me… per tutta la notte non ebbi pace. le stelle luccicavano ancora nel cielo quando uscii. Mi appostati su una collina sotto i platani scuri, non molto lontano dalla strada. Molte cose mi si agitavano nell’anima. Mi riapparvero anche i giorni tristi prima dell’incontro con diotima. «l’uomo può sopportare molto», pensai, «la gioia gli impone i suoi alti e bassi, ma lui prosegue il suo cammino anche nella notte. una volta che si è abituato, riesce a sopportare anche l’insopportabile. Soltanto non deve guardare indietro a ciò che ha perso. una goccia dal calice dell’oblio è tutto ciò di cui ha bisogno!» Qualche giorno prima avevo parlato con un vecchio marinaio che | aveva perso il braccio destro in uno scontro con i corsari, ed era ormai troppo debole per navigare. Mi aveva raccontato che all’inizio andava al porto ogni volta che partiva o arrivava una barca, e gli tornavano in mente i tempi in cui suo padre gli dava la sua benedizione prima

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wo ihm der Vater noch seinen Seegen mitgegeben hätte auf die Fahrt, und wie er dann mit klopfendem Herzen hinausgewandert wäre aufs herrliche Meer, wie ihm ein frischer Trunk vom Brunnen das Herz erfreuet hätte bei einer landung, oder der blaue Himmel nach einer stürmischen nacht, und dann bei glüklicher Rükkunft der Grus seines Alten – das wär ihm immer eingefallen, wenn er draußen am Hafen hätte Schiffe gehn und kommen gesehn, und ihm hätte oft vor Sehnsucht das Herz geblutet, und er hätte oft geweint in seinen alten Tagen, wie ein Kind, wenn er wieder in seine Hütte geschlichen wäre mit seinem einen Arme, aber seitdem ihn seine Füße nicht mehr tragen wollten, und er nicht mehr ans Meer hinaus käme, und nicht mehr so oft seiner Jugend gedächte, trag’ er sein Schiksaal geduldiger. So ist der Mensch, dacht’ ich, ist nur erst die Freude recht ferne, so hält er dem Kummer stille, und hilft sich, so gut er kann. der erwachende Morgen wekte mich aus meinen Gedanken. es schien mir sonderbar, daß ich darauf gekommen war. Jezt sah ich unten auf der Straße die lieben Reisenden herankommen. ich raffte schnell mich auf und wollte hinab. Aber ich dachte, es möchte doch wohl auffallen, und so blieb ich. ich hörte, wie sie sangen. Siehst du, wie entbehrlich du bei ihrer Freude bist, sagt’ ich mir, und mir war es doch, als könt’ ich eher die luft, die ich athmete, vermissen, als diotima. nun war mir der Gesang allmälig verhallt, auch die dunkeln Gestalten, die mein Auge, so lang es konnte, verschlang, waren verschwunden. ich lauschte noch eine Weile und blikte da hinaus, wo ich sie verloren hatte; aber ich hörte nur das tropfende Wasser in den Rizen des Hügels; kein menschliches Geschöpf zeigte sich in der ganzen Streke, wohin ich sah. lebe wohl, diotima! Herrliche! Gute! rief ich endlich und kehrte nach Hauße. ich geleitete sie im Geiste; ich belauschte ihr Auge, wie es hinaussah in die schöne Welt; jezt ist sie wohl in dem Thale,

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della partenza, quando si metteva in viaggio con il batticuore sullo splendido mare, quando un sorso d’acqua fresca gli rallegrava il cuore in una sosta, o il cielo sereno dopo una notte di tempesta, e poi al felice rientro il saluto del suo vecchio... Tutto questo gli tornava in mente ogni volta che vedeva le navi andare e venire in porto con il cuore che sanguinava per la nostalgia e, fattosi vecchio, piangeva come un bambino sgattaiolando con l’unico braccio nella sua casetta. Ma da quando le gambe non lo reggevano più e non poteva più andare fno al mare, e quindi non pensava più così spesso alla giovinezza, sopportava meglio il suo destino. «così è l’uomo», pensai, «una volta che la gioia è molto lontana, riesce a dominare la tristezza e si aiuta meglio che può». il risveglio del giorno mi riscosse dai miei pensieri, e mi sembrò strano che mi fossero tornate in mente proprio quelle cose. in quel momento vidi laggiù, sulla strada, avvicinarsi i cari viaggiatori. Mi alzai in fretta e volevo scendere più in basso, ma pensai che mi avrebbero notato, così rimasi dov’ero. Sentii che cantavano. «Vedi come non sei indispensabile perché sia felice», dissi a me stesso, e mi sembrò che avrei potuto più facilmente rinunciare all’aria che respiravo piuttosto che a diotima. il canto si spense lentamente, scomparvero anche le forme scure che gli occhi avevano divorato fnché potevano. Tesi l’orecchio ancora per un po’ guardando fsso il punto in cui erano sparite, ma sentivo solo l’acqua gocciolare nelle fessure della roccia, nessuna creatura umana era in vista dovunque guardassi. «Addio diotima, splendida, buona!» esclamai infne e tornai a casa. la accompagnai in spirito, immaginavo i suoi occhi che guardavano la bellezza del mondo; ora è nella valle, pen-

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dacht’ | ich, wo die lieblichen Gruppen von ulmen und pappeln stehn, wovon du ihr sagtest; da denkt sie vieleicht, du hättest nicht uneben geweissagt, und sagt den andern, sie möchte dir wohl gönnen, daß du auch da wärst, und deine Freude hättest. – Aber entbehren kan sie dich doch gar leicht! du sahst es ja! das dacht’ ich auch, doch zürnt’ ich mir dabei, und schlug mir’s aus dem Sinne, weil es klein und eigennüzig wäre, daß ich wünschen könnte, sie sollte nicht fröhlich seyn, wann ich gerade mich nicht freuen könte. Mit meiner ganzen liebe hieng ich an der Stunde, wo ich sie wiedersehen sollte. es war ein fröhliches Gewebe von Hoffnungen, womit ich das Herz mir schwaigte, und war ich damit zu ende, so löst’ ich’s wieder auf, es lieblicher zu erneuern. Mit süßem zauber wehten mir, wie Boten der Holdin, die lüfte des Himmels vom Thal entgegen, wo ich ihrer wartete. Blüthenfoken umtanzten mich, und nachtigallen schlugen unter den Rosen am Wege. Sonst war es stille ringsumher; ich konnte jeden laut vernehmen, der von ferne kam. izt wanderte mir ein freundlicher pilger vorüber. Ob er nicht auf seinem Wege Reisenden begegnet wäre, fragt ich ihn. er hätte Reisende gesehn in einem Haine, erwiederte der pilger, sie hätten dort sich vor dem Mittagsstrale unter die ulmen gefüchtet; ein holdes Mädchen hätte nahmen in die Bäume geschnitten. ich wünscht’ ihm herzlich für seine frohen Worte frohe Wandertage und eilte fort. Jezt, wo das Thal sich öffnete, sah ich hinaus; da kamen sie! diotima warf den Schleier zurük, und nikt’ und lächelte mir entgegen, und ich fog hinan. da bot sie traulich mir die Hand; ich mußt’ ihr geschwind erzählen, wie ich jeden Tag indeß gelebt; ich sagt ihr, daß ich früh am Tage, wo sie abgereist, den Hügel bei San-nicolo besucht, und sie von da gesehen hätt’ und gehört, daß ich indeß ihre Harfe gestimmt, und den Gesang gelernt, den sie am Abend, da ich sie zum erstenmale begrüßte,

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savo, | dove ci sono quei graziosi gruppi di olmi e pioppi, di cui le hai raccontato; lì forse penserà che non le avevi detto cose sbagliate e dirà agli altri che vorrebbe tanto che anche tu fossi lì per gioirne… Ma può benissimo fare a meno di te, lo hai visto tu stesso! pensai anche questo ma mi rimproverai e scacciai quel pensiero dalla mente perché era meschino ed egoistico desiderare che lei non fosse felice solo perché non lo ero io in quel momento. con tutto il mio amore aspettavo solo l’ora in cui l’avrei rivista. era una gioconda tela di speranze che metteva a tacere il mio cuore, e non appena l’avevo terminata la disfacevo, per rifarla più graziosa. con un dolce incanto, le brezze del cielo mi venivano incontro dalla valle, come messaggere della graziosa fanciulla, nel luogo in cui la aspettavo. i pollini danzavano intorno a me e gli usignoli cantavano fra le rose lungo la via. Tutto il resto era silenzio, sentivo ogni suono anche lontano. incrociai un simpatico viandante. Se non avesse incontrato dei viaggiatori lungo il cammino, gli chiesi. Sì, aveva visto dei viaggiatori in un boschetto, rispose il pellegrino, avevano cercato riparo dal sole del mezzogiorno sotto gli olmi; una soave fanciulla incideva dei nomi sui tronchi. Gli augurai di cuore un felice proseguimento del cammino per le sue gradite parole e mi affrettai. là, dove la valle si apriva, guardai in lontananza: eccoli! diotima tirò indietro il velo, fece un cenno del capo sorridendomi, le volai incontro. Mi diede la mano confdenzialmente, dovetti raccontarle subito che cosa avevo fatto in ogni giorno della sua assenza. le dissi che il giorno della loro partenza, di mattino presto, ero andato sulla collina di San nicolo e da lì li avevo visti e sentiti; che nel frattempo avevo accordato la sua arpa e imparato il motivo che lei

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gesungen hätte, daß ich oft nach ihren liebsten Blumen in notaras Garten gesehn, und ihrer gepfegt; auch hätt’ ich aus dem seltnen Buche, das ein Fremder mir geliehn, die Blätter für sie abgeschrieben, die am meisten sie vergnügten – so warst du ja recht feißig, sagte diotima, | fuhr dann fort, wie sie meinen Sinn geahndet hätte in jeder Stelle der insel, die ich ihr beschrieben, wie man so ganz zusammentreffen könne in einem urteil, einer Freude, gerade da, wo die andern so selten einig wären; man hätt’ auch einmal von delos gesprochen, da hätte sie den Knaben Hyperion vor sich gesehn, wie er mit ihrem Vater so fromm umhergegangen wäre unter den heiligen Ruinen, wie er staunend oben auf dem cynthus gestanden, und schweigend mit dem Auge nur gefragt; sie hätte dann so herzlich gewünscht, daß sie damals auch mit uns umhergewandert wäre; sie wäre zwar ein unverständig Kind gewesen, doch hätte sie gewiß auch etwas geahndet, weil der Vater so ernst gewesen wäre, und der kleine Gespiele – so und anders dacht ich mir diotimas empfang, und war seelig in meinen kindischen Träumen.

Sechstes Kapitel. es wäre gut, wenn die Hoffnung etwas seltner wäre im Gemüthe des Menschen. er waffnete sich dann zu rechter zeit gegen die zukunft. der Abend war nun wirklich da, wo ich sie wiedersehen sollte. ich war auch kaum hinausgegangen, so ward ich die Reisenden in einiger entfernung gewahr. diotima grüßte mich auch freundlich, aber die diotima, von der ich geträumt hatte, war sie doch nicht. ihr reiner immerthätiger Geist äußerte sich gegen mich, wie zuvor; aber es ward mir schwerer, als sonst, auf sie zu merken; ich war zerstreut, und hört’ oft Augenblike lang kein

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cantava la sera in cui l’avevo conosciuta; che avevo spesso curato i suoi fori preferiti nel giardino di notara e poi avevo trascritto per lei le pagine che più mi erano piaciute da un libro raro, che uno straniero mi aveva prestato… «Sei stato veramente molto diligente», disse diotima, | e proseguì raccontando come aveva intuito i miei pensieri in ogni luogo dell’isola che le avevo descritto, come sia davvero possibile essere unanimi nel giudizio, è una gioia, proprio dove gli altri sono raramente concordi. una volta avevamo parlato anche di delo, e lì aveva visto davanti a sé iperione fanciullo che si aggirava devoto con suo padre fra le sacre rovine, che si meravigliava sulla cima del cinto e tacendo lo interrogava con gli occhi. in quel momento le sarebbe davvero piaciuto se anche lei fosse stata con noi allora: certo, sarebbe stata una bambina incapace di capire, ma avrebbe forse intuito qualcosa anche lei, perché avrebbe notato la serietà del padre, e il piccolo compagno... così mi immaginavo l’accoglienza di diotima, e mi beavo nei miei sogni infantili.

capitolo sesto Sarebbe opportuno che la speranza fosse più rara nell’animo dell’uomo: si proteggerebbe in tempo utile dal futuro. era dunque arrivata la sera in cui l’avrei rivista. ero appena uscito, quando scorsi i viaggiatori a una certa distanza. diotima mi salutò gentilmente, ma non era la diotima che avevo sognato. il suo spirito puro e sempre attivo si apriva verso di me come sempre, ma mi era più diffcile del solito prestarle attenzione; ero distratto, e spesso per interi minuti non sentivo nemmeno una parola di quello che diceva, e quando la ascoltavo era perché la povera cre-

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Wort von allem, was sie sprach, und wenn ich lauschte, so war es, weil das arme Wesen trachtete, für seine sterblichen Wünsche ein erfreulich Wörtchen zu erhaschen. Oft, wenn sie während ihrer Rede meinen nahmen nannte, war ich plözlich mit meiner ganzen Seele gegenwärtig; aber mit Schmerzen fühlt’ ich bald, daß ihr Geist nur einen Augenblik mir nahe gewesen war. ich ahndete nun allmälig trübe Tage. es war jezt oft, als warnte mich etwas, als gieng’ ich nicht auf rechtem Wege. Sie war das einzige, woran mein leben sich erhielt, mein Herz | hatte sich nach und nach so gewöhnt, daß auch nicht der Schatte in mir war von einer Hoffnung, die ohne sie bestanden wäre, und sie schien sich doch mit jedem Tage mehr von mir zu entfernen. ich fühlte den sterbenden Frühling meines Herzens. der milde Himmel, der es umfangen hatte, und genährt, die stille Seeligkeit, die ich gefunden hatte im sorglosen Anschaun der Grazie und Hoheit dieses seltnen Wesens, verschwand mit jedem Tage merklicher. Mit Todesangst konnt’ ich izt jede Miene und jeden laut von ihr befragen, ob sie mich verlassen würde; ihr Auge mochte gen Himmel sich wenden, oder zur erde, ich folgt’ ihm, als wollte mir mein leben entfiehn. ich muß es nur geradezu sagen, ich war oft ärgerlich über alles Gute und Wahre, wovon sie sprach, weil sie mich darüber zu vergessen schien. O es ist mir sehr begreifich geworden, wie der Mensch dahin gerathen kann, daß er das beste, was wir haben, das edle freie leben des Geistes zu morden strebt in dem Wesen, woran sein Herz hängt. es geht mir durch die Seele, wenn ich mir die guten Kinder denke, die sich das Mein! und dein! so unbedingt, mit solcher entzükung sagen. der Misverstand ist so leicht. und weh ihnen, wenn sie sich misverstehn! So lang ich bei ihr war, und ihr begeisterndes Wesen mich emporhub über alle Armuth der Menschen, vergaß ich oft auch die Sorgen und Wünsche meines dürftigen Herzens. Aber das dauerte nicht lange. So wie ich zu mir selbst kam, begann auch

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atura cercava di estorcermi una parola gentile per i suoi desideri mortali. Spesso, quando nel parlare pronunciava il mio nome, mi facevo presente con tutta l’anima, ma con dolore mi accorgevo subito dopo che il suo spirito mi era stato vicino un solo istante. Man mano cominciai a presagire giorni tristi. era come se qualcosa mi avvisasse che stavo percorrendo la strada sbagliata. lei era l’unica cosa che mi teneva in vita, il mio cuore | si era man mano abituato al fatto che nemmeno l’ombra di una speranza poteva esistere in me senza di lei, eppure sembrava che giorno dopo giorno si allontanasse sempre più da me. Sentivo spegnersi la primavera del mio cuore. il cielo mite che l’aveva abbracciato e nutrito, la felicità quieta che avevo trovato nella contemplazione spensierata della grazia e della nobiltà di quell’essere raro, scompariva sensibilmente ogni giorno di più. con angoscia mortale interrogavo ogni sua espressione, ogni parola, chiedendomi se mi avrebbe lasciato; sia che il suo sguardo si volgesse verso il cielo o verso terra, lo seguivo come se mi sfuggisse la vita. devo ammetterlo, spesso mi irritavo per le cose buone e giuste che diceva, ma soltanto perché parlandone sembrava dimenticarmi. capisco bene ora come l’uomo possa arrivare al punto di desiderare di uccidere la cosa migliore che ha, la vita nobile e libera dello spirito della creatura che ama. Mi colpisce dritto al cuore quando vedo dei bravi bambini che dicono «mio!» «tuo!» in modo così assoluto, con un tale entusiasmo. È così facile fraintendere, e guai a coloro che fraintendono! Finché ero con lei e il suo essere mi entusiasmava sollevandomi al di sopra di tutta la povertà umana, dimenticavo spesso anche le pene e i desideri del mio misero cuore. Ma non durava a lungo. non appena tornavo in me, rico-

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wieder meine noth, und je höher und heller ihr Geist über mir leuchtete, um so brennender fühlt’ ich meinen Jammer. Aber tief in mein innerstes begrub ich ihn. es gieng mir, wie den Menschen, denen die Flamme ihre Kammern verzehrt, und die nicht um Hülfe rufen mögen, aus Schaam und Scheue vor andern. Keine Stelle war mir sicher genug, um mich der Klage meines Herzens zu entlasten. ich erinnere mich nicht eines Worts, das ich über meinen Gram gesprochen hätte. ich sah auch nicht, was es mir fruchten könnte, irgend ein Wesen um Hülfe anzusprechen; ich hatte ja schon einmal Trost in der Welt gesucht, und war ärmer zurükgekommen. ich verzehrte mich in verworrenem gewaltsamem Ringen nach ihr, und mein Wesen mattete sich um so schröklicher ab, je mehr ich meine glühenden Wünsche verbarg. | So kam ich eines Tags zu diotima. ich war nicht lange da, so feng sie an; es hätte jemand einen dank von ihr zu fordern, es wär’ ihr gestern eingefallen, daß sie ihrer Harfe so ganz vergäße, sie hätte sie hervorgehohlt, ihren Misklang, so gut sie könnte, zu mildern, und sie ganz wohllautend gefunden. der Himmel weis, wie viel ich mir unter dem versprochenen dank dachte. ich hätte sie gestimmt, rief ich, und wußte mir kaum zu helfen in meiner Freude, ich hätte nichts besseres zu thun gewußt für meine Freundin, so lange sie verreist gewesen wäre. Auch fele mir eben ein, daß ich damals einiges für sie abgeschrieben hätte; ich wüßte nicht, wie es gekommen wäre, daß ich nicht eher daran gedacht hätte – ich lief sogleich fort, die papiere zu hohlen; ich konnte kaum sie fnden in meiner freudigen eile; o einen dank von dir, herrliches Wesen! rief ich, und seegnete mit Thränen meine Schmerzenstage, um meiner neuen Hoffnung willen! Sie bat mich, wie ich zurük war, ihr das geschriebne vorzulesen, freute sich innig über die goldnen Stellen, und sprach

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minciava anche la sofferenza, e quanto più alto e luminoso splendeva il suo spirito, tanto più bruciante sentivo il mio tormento. Ma lo seppellivo nel più profondo di me. ero come quegli uomini a cui le famme distruggono la casa ma non vogliono chiedere aiuto per vergogna e timore degli altri. nessun luogo mi sembrava suffcientemente sicuro per dare libero sfogo al lamento del cuore. non ricordo di aver detto una sola parola sulla mia desolazione, non capivo nemmeno come avrebbe potuto giovarmi chiamare in aiuto una qualsiasi persona; già una volta avevo cercato conforto nel mondo, e ne ero tornato più povero. Mi consumavo in una lotta confusa e violenta per lei, e il mio essere si indeboliva terribilmente, quanto più nascondevo i miei ardenti desideri. | in questo stato andai un giorno da diotima. ero arrivato da poco quando disse che qualcuno si meritava un ringraziamento, ieri le era venuto in mente che da molto tempo aveva dimenticato la sua arpa, così l’aveva presa per cercare di accordarla meglio che poteva, e l’aveva invece trovata perfettamente accordata. Sa il cielo che cosa mai mi aspettassi da quella promessa di ringraziamento. «l’ho accordata io», esclamai, e quasi non riuscivo a trattenermi per la gioia, «non sapevo che cosa fare di meglio per la mia amica mentre era in viaggio». Mi venne anche in mente che allora avevo trascritto delle cose per lei, non so come mai non me ne ero ricordato prima… corsi subito a prendere quelle pagine, nella premura gioiosa non riuscivo quasi a trovarle; «oh, un ringraziamento da te, splendida creatura», esclamai, e benedissi con lacrime i giorni del dolore, pieno di nuove speranze. una volta tornato mi chiese di leggerle ciò che avevo scritto, si rallegrò profondamente per i passi migliori, ne

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darüber ungewöhnlich heiter und lebendig. Anfangs, so lange noch die süße erwartung sich in mir regte, stimmt’ ich mit allem Feuer des seeligen Herzens in ihre frohen Töne ein, doch wie sie endlich so lange mit dem danke zögerte, da verstummt ich freilich; es war etwas in meiner Betrübniß, wovon bisher keine Spur in mir erschienen war; ich möchte fast sagen, es sei Bitterkeit gewesen. Mit einer sonderbaren Gelassenheit schied ich, als ich endlich zu gehen genötigt war. ich hörte kaum darauf, als sie mir noch nachrief, ich danke dir, Hyperion! ich kam nun immer seltner hin; blieb endlich ganz weg. eine Todtenstille, die ich kaum an mir begreife, war allmälig über mich gekommen. ich lebte so hin, mit halbem Bewußtseyn, ich suchte nichts mehr, ich half mir fort von einem Tage zum andern so gut ich konnte; ich achtete nichts, war mir selbst nichts mehr, trachtete auch nicht, andern etwas zu seyn. um diese zeit begegnete mir, da ich so in meiner Finsterniß draußen herumirrte, notara mit seiner Mutter und einigen andern. er beschwerte sich über meine eingezogenheit; ich sagt’ ihm, daß ich sein Haus nicht hätte mit der bösen laune plagen mögen, die | mich seit einiger zeit heimgesucht hätte, und wagt’ es zu fragen, wo dann diotima wäre? – Sie sei zu Hauße, rief die Mutter, die fromme Tochter schreibe an ihren Vater. es war traurig, wie die unschuldigen Worte mich aus meiner dumpfheit wekten. Jezt must du hin! rief es augenbliklich in mir, und Feuer und Schreken wechselten in meinem verwilderten Herzen. zitternd, gedankenlos gieng ich vorüber an ihrem Fenster – nein! nein! du gehest nicht hinauf, dacht ich und taumelte fort nach Hauße, und schloß die Thüre ab. Aber wo ich hinsah, war ihr Bild, und alle die freundlichen Worte, die ich einst gehört hatte von ihr, umtönten mich. – Was willst du von mir? rief ich vor mich hin, was störst du meine Ruhe? – ich

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parlò con straordinaria serenità e vivacità. All’inizio, fnché la dolce aspettativa mi animava, rispondevo in sintonia con le sue note felici con tutto il fuoco del cuore estasiato, ma vedendo che il ringraziamento tardava a venire, col tempo ammutolii; c’era qualcosa nella mia tristezza di cui prima non avevo mai percepito traccia: potrei quasi dire che era amarezza. con una strana rassegnazione la salutai, quando dovetti infne andarmene. non sentii quasi nemmeno quando gridò: «ti ringrazio, iperione!» Andai da lei sempre più di rado, poi smisi del tutto. un silenzio di morte, che non riesco quasi a immaginare, si era steso sopra di me. Tiravo a campare, solo in parte cosciente, non cercavo più nulla, mi barcamenavo da un giorno all’altro meglio che potevo; non mi curavo di nulla, non ero più nulla per me stesso e non cercavo di essere qualcosa per gli altri. in quel periodo, mentre vagavo nella mia oscurità, incontrai notara con sua madre e alcuni altri. Si lamentò della mia esistenza ritirata; gli dissi che non volevo rattristare la sua casa con il cattivo umore che | si era impossessato di me da qualche tempo, e osai chiedere dove fosse diotima. «È a casa», rispose la madre, «la fglia devota sta scrivendo al padre». Fu triste come quelle parole innocenti mi svegliassero dal mio torpore. Ora devi andare da lei, pensai immediatamente, mentre ardore e panico si alternavano nel cuore impazzito. Tremante, svuotato, passai davanti alla sua fnestra: «no, no, non devi entrare», dissi barcollando fno a casa e sprangai la porta. Ma dovunque guardassi c’era lei, sentivo risuonare intorno a me tutte le parole gentili che aveva detto. «che cosa vuoi da me», gridai, «perché disturbi la mia pace?» ero come uno spirito in-

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war, wie ein zürnender Geist, den die Stimme des Beschwörers aus seinem Grabe zwang. Verzeih es mir die Gute! ich fuchte der Stunde, wo ich sie fand, und rast’ im Geiste gegen das himmlische Geschöpf, daß es mich nur darum in’s leben gewekt hätte, um mich wieder niederzudrüken mit seinem Stolze. Wie eine lange entsezliche Wüste lag die Vergangenheit da vor mir, und wütend vertilgt’ ich jeden Rest von dem, was einst mein Herz gelabt hatte und erhoben. ich muß dir danken, dacht’ ich, ich bettelte vor deiner Thüre, und du nährtest mich mit Brosamen. Wer will es dir verargen, daß du das Beste für dich behieltst? Was solltest du auch dich an ein Geschöpf verschwenden, das kaum des Rettens werth war? nein! du hast keine Schuld auf dir. ich war ja zertrümmert, zertreten von den andern, eh’ ich zu dir kam. da war nichts mehr zu verderben, nichts mehr gut zu machen! – Aber es ist doch wahrlich auch ein grausames erbarmen, das Wesen, das der langen Ruhe schon nah ist, mit einer Balsamtropfe zu weken, daß es zwiefach stirbt! – ich danke nun dafür; ich wollte, du hättest dich nie bemüht. nein! sie hat nicht gut an mir gehandelt. Sie ist, wie alle. die andern begannen, und sie hat’s vollendet – meisterlich! – ich erschrak endlich doch über meine lästerungen. die reinen Melodien ihres Herzens, die sie mir oft auf Augenblike mitgetheilt hatte durch Red’ und Miene, daß mir’s ward, als wandelt’ ich wieder im verlassenen paradiese der Kindheit, ihre fromme Scheue, nichts zu entweihen durch übermüthigen Scherz oder ernst, wenn es nur ferne verwandt war mit Schönem und Gutem, ihre absichtlose Güte, ihr Geist mit seinen | hohen idealen, woran ihre stille liebe so einzig hieng, daß sie nichts suchte, und nichts fürchtete in der Welt, alle die lieben seelenvollen Abende, die ich zugebracht hatte mit ihr, jeder Reiz ihrer Bewegung, die, wo sie stand und gieng, nur sie – das

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furiato che una voce ha evocato dalla tomba. che mi perdoni: maledicevo l’ora in cui l’avevo incontrata, inveivo contro la celestiale creatura che mi aveva richiamato alla vita solo per schiacciarmi di nuovo con il suo orgoglio. il passato si stendeva davanti a me come un deserto vasto e terrifcante, e infuriato distrussi ciò che restava di quello che una volta aveva lenito e sollevato il mio cuore. devo ringraziarti, pensavo, chiedevo l’elemosina davanti alla tua porta, e tu mi hai nutrito di briciole. chi può rimproverarti di aver tenuto il meglio per te? perché avresti dovuto sprecarti per una creatura che non era degna quasi nemmeno di essere salvata? no, tu non ne hai colpa. io ero già distrutto, calpestato da tutti, ancora prima di venire da te. non c’era ormai più nulla da distruggere, nulla da aggiustare. Ma è veramente una crudele misericordia, svegliare con una goccia di balsamo l’uomo che è vicino al riposo eterno, per farlo poi morire due volte. Te ne sono molto grato, ma vorrei che non l’avessi mai fatto. no, non si è comportata bene con me; è come tutti gli altri. Gli altri hanno iniziato quello che lei ha fnito – magistralmente! Alla fne mi spaventai delle mie imprecazioni. le melodie pure del suo cuore, che spesso per alcuni istanti mi aveva trasmesso con la parola o con il gesto, tanto che mi sembrava di vagare nuovamente nel paradiso perduto dell’infanzia; il suo devoto pudore nel non profanare, con uno scherzo o serietà presuntuosa, nulla che fosse anche solo lontanamente imparentato con la bellezza e la bontà; la sua bontà senza secondi fni, il suo spirito con | i nobili ideali ai quali si aggrappava con silenzioso attaccamento, tanto da non farle cercare né temere nulla al mondo; tutte le serate dolci e intense trascorse con lei, il fascino di ogni suo movimento che la contraddistingueva dovunque fosse o andasse, l’animo

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edle, unbefangne, stille Gemüth – bezeichnete, das alles und mehr, ihr ganzes himmlisches Wesen, gieng wieder auf mir, wie der Boge des Friedens nach Gewittern. – und dieser einzigen zürnst du? sagt’ ich mir; und warum? weil sie nicht verarmt ist, wie du, weil sie den Himmel noch im Herzen trägt, nicht eines andern Wesens, nicht fremden Reichtums bedarf, um die verödete Stelle auszufüllen, weil sie nicht unterzugehen fürchten kann, wie du, um sich mit dieser Todesangst an ein andres zu hängen; ach! gerade das göttlichste an ihr, diese Ruhe, diese himmlische Genügsamkeit hast du gelästert, die unschuld hast du um ihr paradies beneidet; und mit einem so zerrütteten Geschöpfe sollte sie sich befassen? muß sie dich nicht fiehen? o warnt, ihr guten Geister! warnt sie vor diesem Gefallenen! – ich hätte nun gerne alle last des lebens über mich genommen, um mein unrecht gut zu machen. nun war es mir nicht mehr um mich zu zu thun. ich hätte nun keinen dank begehrt, für die Tugend eines Halbgotts! ich wollte nun ganz werden, wie sie, um ihretwillen! um ihr mit tausendfacher Freude zu vergüten, was ich ihr zu laide gethan! ich wollte mich überhaupt einmal herausarbeiten aus meiner nichtigkeit. ich sah mit Begeisterung hinaus auf mein künftig leben. es war mir, als hätte schon izt ein heilig Feuer mich geläutert, und meine Schlaken weggetilgt auf ewig. O diotima! diotima! rief ich, wenn ich einst vor dir stehe, wie ein neuer Mensch, im Siegsgefühle, wenn es da ist, was ich einst als Knabe träumte – und es muß kommen, es muß, so wahr ein göttlich Wesen des Menschen Brust bewegt! – wenn du dann in deiner reinen Freude mich begrüßest, und denkst, es hätte doch ein guter Funke geschlummert in dem ärmlichen Geschöpfe – dann will ich dir ganz bekennen, wie klein, wie arm ich war, und du wirst nicht zürnen, daß der Schmerz zum Manne mich schmiedete.

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nobile, spontaneo, quieto… Tutto questo e altro ancora, tutto il suo essere celestiale sorse di nuovo in me come l’arco della pace dopo il temporale. e con questa creatura unica sei in collera? Mi dissi, e perché mai? perché non si è immiserita come te, perché ha ancora il cielo nel cuore e non ha bisogno né di un altro né di ricchezze altrui per colmare uno spazio vuoto, perché non teme di sprofondare come te, che ti aggrappi a un altro con angoscia mortale. Ah, proprio ciò che in lei è più divino, quella quiete, quella celestiale autosuffcienza tu l’hai offesa, hai invidiato all’innocenza il suo paradiso. e lei dovrebbe interessarsi a una creatura così corrotta? non dovrebbe invece fuggirti? Mettetela in guardia, spiriti buoni, mettetela in guardia da questo scellerato!» A quel punto mi sarei volentieri fatto carico di tutto il peso della vita per compensare quel torto. Ora non mi importava più di me. non avrei più preteso un ringraziamento, nemmeno per le virtù di un semidio! Ora volevo diventare proprio come lei, per amor suo, per compensarla con mille gioie dello sgarbo arrecatole. una volta tanto volevo farmi strada per uscire dalla mia nullità. Guardavo con entusiasmo in avanti, alla mia vita futura. era come se già ora un fuoco mi avesse purifcato, annientando per sempre le impurità. «diotima, diotima», gridavo, «quando sarò di nuovo davanti a te, un uomo nuovo, con il sentimento della vittoria, quando ci sarà, come sognavo da ragazzo... e verrà, verrà, quanto è vero che un essere divino muove il cuore dell’uomo! Quando mi saluterai con gioia pura, e penserai che c’era dunque una scintilla buona assopita in quella creatura miseranda, allora ti confesserò quanto ero meschino, quanto ero misero, e tu non ti adirerai, perché il dolore mi ha forgiato facendomi diventare un uomo».101

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ich glaubte, nun endlich auf dem rechten Wege zu seyn. ich war es nicht. indeß brachte mich doch dieser neue Stoß wieder in’s | leben. ich war doch aus der trägen Resignation heraus, wo man nichts mehr will, und nichts mehr achtet, aus der Todtenruhe, die bei allem Scheine von Weisheit, womit sie von den Faigen geprediget wird, gewis das nichtswürdigste ist, worein der Mensch gerathen kan. entschuldige sich keiner, ihn habe die Welt gemordet! er selbst ists, der sich mordete! in jedem Falle! – nun erst fel mir diotimas Vater wieder ein. ich schrieb ihm: du hast meiner gedacht, edler Geist! ich denke deiner, jezt,

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credetti di essere infne sulla buona strada: non era così. Ma questo nuovo colpo mi riportò comunque alla | vita. ero uscito dalla pigra rassegnazione, dove non si vuole nulla, non ci si cura di nulla, da quella calma di morte che, con tutta l’apparenza di saggezza con cui la difendono i vigliacchi, è la condizione più infame in cui l’uomo può ricadere. nessuno si giustifchi dicendo che il mondo lo ha ucciso: è lui stesso che si è ucciso, in ogni caso! Solo a quel punto mi tornò in mente il padre di diotima. Gli scrissi. «Ti sei ricordato di me, nobile spirito! Ora anch’io mi ricordo di te,

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‹Vorletzte Fassung› Vorrede. Von früher Jugend an lebt’ ich lieber, als sonstwo, auf den Küsten von Jonien und Attika und den schönen inseln des Archipelagus, und es gehörte unter meine liebsten Träume, einmal wirklich dahin zu wandern, zum heiligen Grabe der jugendlichen Menschheit. Griechenland war meine erste liebe und ich weiß nicht, ob ich sagen soll, es werde meine lezte seyn. dieser liebe dank’ ich nun auch diß kleine eigenthum und es war mein geworden, geraume zeit, ehe ich wußte, daß andere sich auf ähnliche Art, wie es scheint, und glüklicher, als ich, bereichert hatten. ich hoffte, daß es mir doch vielleicht einen Freund gewinnen könnte und so beschloß ich, es mitzutheilen. ich wünschte um alles nicht, daß es originell wäre. Originalität ist uns ja neuheit; und mir ist nichts lieber, als was so alt ist, wie die Welt. Mir ist Originalität innigkeit, Tiefe des Herzens und des Geistes. Aber davon scheint man jezt gerade, wenigstens in der Kunst, sehr wenig wissen zu wollen; und wenn nicht andere siegen, so wird es neuester Geschmak werden, von der natur zu sprechen, wie eine spröde Schöne von den Männern, und seinen Stoff zu behandeln, wie ein geschworner Berichterstatter; wo man dann am ende recht gut weiß, daß ein Haase über den Weg lief und kein anderes Thier, aber hiemit sich auch begnügen muß. es wäre übrigens grober Misverstand, wenn man dächte, ich spreche hier von den trefichen Menschen, die

‹penultima stesura› prefazione102 Fin dalla prima giovinezza preferivo vivere sulle coste della ionia e dell’Attica più che altrove, e nelle belle isole dell’arcipelago,103 e uno dei miei sogni più cari era quello di recarmi davvero al santo sepolcro della giovane umanità. la Grecia fu il mio primo amore e non so se posso dire che sarà anche l’ultimo. A quell’amore devo anche questa piccola proprietà che era diventata mia già da lungo tempo, ancora prima di sapere che anche altri si erano arricchiti allo stesso modo o, a quanto pare, persino più felicemente. Speravo di guadagnarmi almeno un amico, e così ho deciso di raccontarlo. non mi interessa affatto che sia originale; originalità per noi signifca novità, e le cose che amo di più sono invece quelle antiche come il mondo. per me l’originalità è intensità, profondità del cuore e dello spirito. Ma di tutto questo, ora come ora, si vuole saper poco, almeno nell’arte; e se non ci saranno altri vincitori, l’ultima moda sarà quella di parlare della natura come una bella bisbetica parla degli uomini, e di trattare la sua materia come un consumato cronista; dove alla fne si sa con precisione che è stata una lepre ad attraversare la strada e non un altro animale, ma tutto poi fnisce lì. Sarebbe veramente un errore grossolano pensare che io stia parlando di quegli uomini meravigliosi che ci

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uns das schöne detail der natur mit so unverkenbarer liebe vergegenwärtigen. – um auf meine Briefe zurükzukommen, so bitt’ ich, diesen ersten Theil für nichts weiter, als für nothwendige prämisse | anzusehn, und sich mit guter Hoffnung zu trösten, wenn man z. B. über den Mangel an äußerer Handlung gähnen und auch das Wenige, was von dieser Seite vieleicht befriedigen könnte, planlos, unnatürlich fnden möchte. Was vereinzelt gefallen kann, kann nicht wohl als Ganzes gefallen und umgekehrt. – Auch wird man manches unverständliche, Halbwahre, Falsche in diesen Briefen fnden. Man wird vieleicht sich ärgern an diesem Hyperion, an seinen Widersprüchen, seinen Verirrungen, an seiner Stärke, wie an seiner Schwachheit, an seinem zorn, wie an seiner liebe. Aber es muß ja Aergerniß kommen. – Wir durchlaufen alle eine exzentrische Bahn, und es ist kein anderer Weg möglich von der Kindheit zur Vollendung. die seelige einigkeit, das Seyn, im einzigen Sinne des Worts, ist für uns verloren und wir mußten es verlieren, wenn wir es erstreben, erringen sollten. Wir reißen uns los vom friedlichen En kai Pan der Welt, um es herzustellen, durch uns Selbst. Wir sind zerfallen mit der natur, und was einst, wie man glauben kann, eins war, widerstreitet sich jezt, und Herrschaft und Knechtschaft wechselt auf beiden Seiten. Oft ist uns, als wäre die Welt Alles und wir nichts, oft aber auch, als wären wir Alles und die Welt nichts. Auch Hyperion theilte sich unter diese beiden extreme. Jenen ewigen Widerstreit zwischen unserem Selbst und der Welt zu endigen, den Frieden alles Friedens, der höher ist, denn alle Vernunft, den wiederzubringen, uns mit der natur zu vereinigen zu einem unendlichen Ganzen, das ist das ziel all’ unseres Strebens, wir mögen uns darüber verstehen oder nicht.

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rendono presenti i bei particolari della natura con amore inesauribile... Ma tornando alle mie lettere, vi prego di considerare questa prima parte104 solo come una premessa | necessaria e di consolarvi con la speranza, anche se ad esempio sbadiglierete per la mancanza di una trama esteriore e se anche quel poco che, da questo punto di vista, potrebbe soddisfarvi, vi apparirà sconnesso e artifcioso. Quello che piace per alcuni dettagli potrebbe non piacere nel suo insieme e viceversa. in queste lettere si troveranno anche cose incomprensibili, cose non del tutto vere o sbagliate. Forse ci si scandalizzerà per questo iperione, per le sue contraddizioni, i suoi errori, per la sua forza o la sua debolezza, per la sua rabbia o il suo amore. Ma è inevitabile che ci si scandalizzi.105 noi percorriamo tutti una traiettoria eccentrica, nessun’altra via è possibile tra l’infanzia e la perfezione.106 la felice unità, l’essere nell’unico vero senso del termine,107 è perso per noi e dovevamo perderlo se ora vogliamo ottenerlo, conquistarcelo. ci separiamo dal pacifco En kai Pan108 del mondo per ricostruirlo attraverso noi stessi. ci siamo disgregati dalla natura, e ciò che una volta era unito, come si potrebbe credere, ora è contrapposto, mentre predominio e sudditanza si alternano da entrambe le parti. Spesso ci sembra che il mondo sia tutto e noi nulla, spesso ci sembra invece che noi siamo tutto e il mondo nulla.109 Anche iperione si divideva tra questi due estremi. porre fne all’eterna opposizione fra noi stessi e il mondo, ristabilire la pace oltre la pace, che sorpassa ogni intelligenza,110 ricongiungerci alla natura formando un unico tutto infnito: questo è il fne di tutto il nostro desiderare, che lo capiamo o meno.

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Aber weder unser Wissen noch unser Handeln gelangt in irgend einer periode des daseyns dahin, wo aller Widerstreit aufhört, wo Alles eins ist; die bestimmte linie vereiniget sich mit der unbestimmten nur in unendlicher Annäherung. Wir hätten auch keine Ahndung von jenem unendlichen Frieden, von jenem Seyn, im einzigen Sinne des Worts, wir strebten gar nicht, die natur mit uns zu vereinigen, wir dächten und wir handelten nicht, es wäre überhaupt gar nichts, (für uns) wir wären selbst nichts, (für uns) wenn nicht dennoch jene unendliche Vereinigung, jenes Seyn, im einzigen Sinne des Worts vorhanden wäre. es ist vorhanden – als Schönheit; es wartet, um mit | Hyperion zu reden, ein neues Reich auf uns, wo die Schönheit Königin ist. – ich glaube, wir werden am ende alle sagen: heiliger plato, vergieb! man hat schwer an dir gesündigt. der Herausgeber.

gemacht; du weist, ich konnte sie nirgends lernen, die süßen Bitten der liebe, ihre freundlichen mächtigen Töne; aber sieh’ in mein Herz! gewiß, Hyperion, du fndst kein Falsch in ihm! und du verlässest es, du wirfst es in den Koth?« Komme mit mir! »Bleibe, bleibe! ein Wort, ein einzig Wort hat dich von uns getrieben. prüfe wenigstens! Was fürchtest du? will einer dein Verderben? ich wollt’ ihn treffen! beim ewigen Gott! und wenn er mein Bruder wäre, wollt’ ich ihn – « laß das, fel ich ein, ich bleibe nun einmal nicht! »du must!« du wirst mir doch nicht Gewalt anthun? »O ich habe ein Recht dazu! rief er wüthend, ein herrlich Vorrecht hab’ ich! Wer keine Hand hat, hilft sich mit den zähnen. ich bin ja nicht gemacht, geliebt zu werden, o ich seh’ es

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Ma né il nostro sapere né il nostro agire giungono mai in alcuna fase dell’esistenza là dove l’opposizione ha fne, dove tutto è uno; la linea limitata si unisce a quella illimitata solo in un’approssimazione infnita.111 non potremmo del resto avere alcuna intuizione di quella pace infnita, di quell’essere nell’unico vero senso del termine, non aspireremmo a ricongiungerci alla natura, non penseremmo e non agiremmo come se non ci fosse assolutamente nulla (per noi), come se non fossimo nulla (per noi), se quell’unione, se quell’essere nell’unico vero senso del termine non esistessero.112 esistono – in forma di bellezza; ci aspetta – per dirla con | iperione – un nuovo regno,113 dove la bellezza sarà regina. credo che alla fne tutti diremo: perdonaci, santo platone,114 abbiamo gravemente peccato contro di te! l’editore

[…] fatto; lo sai, non ho mai potuto impararle, le dolci suppliche dell’amore, con i loro accenti accorati e potenti; ma guarda nel mio cuore! di certo, iperione, non ci troverai falsità! e tu lo abbandoni, lo butti nel fango?» «Vieni con me!» «Rimani, rimani! una parola, una sola parola ti ha allontanato da noi. controlla almeno, di che cosa hai paura? Qualcuno vuole forse rovinarti? io volevo incontrarlo, eterno dio, e anche se fosse mio fratello, vorrei…» «Smettila», lo interruppi, «non rimarrò qua». «devi invece!» «non vorrai trattenermi con la forza?» «Ah, ne ho tutto il diritto», gridò furibondo, «eccome che ne ho il diritto! chi non ha mani si aiuta coi denti. non sono fatto per essere amato, ora lo capisco! non è

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nun! das ist meine Sache nicht; ich bin verstoßen aus dem Reiche solcher Freuden – aber zwingen kann ich! Morden kann ich auch!« Wer weiß? du könntest sogar den Auftrag haben! »das wüßt’ ich nicht, mein Freund! aber sieh! das weiß ich – er hielt inne; wir standen am Rande eines Felsen, und neben uns lag tief unten das Meer; einen schnellen fürchterlichen Blik warf er hinab und wieder auf mich – das weiß ich, rief er, eher wanderst du da hinunter als nach Tina!« und schlug die Arme um mich. Rasender! schrie ich, und stieß ihn von mir. in eben dem Augenblike erhub sich hinter uns Geschrei und Getümmel. es waren die Schiffer, mit denen mein diener kam, nebst andern, die ihr Tagwerk zum Hafen trieb. Geh! rief ich dem Adamas zu, geh! meine leute sind da! es wäre nicht gut, wenn ein lärm aus der Sache entstünde. | du hast Recht! versezt’ er kalt, wandte mir den Rüken, und verschwand in die benachbarten Wälder. So schied ich von Smyrna, von allen meinen Wünschen und Hofnungen. Meines Frühlings ende war gekommen, ehe er noch da war. es war ein traurig ende. ich beweint’ es nicht einmal, ich sahe der schwindenden Jugend nach, wie man der leiche eines Kinderlosen nachsieht, und meine guten Sterne giengen unter, wie die Sterne des Himmels über verödeten Wüsten, wo kein Auge nach ihnen fragt. Mit kaltem Herzen sagt’ ich allem, was ich gekannt hatte, und geliebt, ein lebewohl. Adamas war mir nichts mehr. ich konnte nicht einen Augenblik an ihn denken. So gieng ich, sagte mir, ich hätte nichts verloren, und hatte doch alles verloren – meinen Glauben. Vertraue dir, sagt’ ich mir, erhalte dich dir! und laß das übrige seinen Gang gehen.

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cosa per me, sono stato esiliato dal regno di quelle gioie… Ma posso invece costringere! posso anche uccidere!» «chi lo sa? potresti anche averne avuto l’incarico!» «non saprei dirlo, amico mio, ma guarda, una cosa la so…» Fece una pausa, eravamo sull’orlo della scogliera, sotto di noi, in profondità, c’era il mare; gettò un rapido, terribile sguardo verso il basso e poi di nuovo verso di me. «una cosa la so: te ne andrai laggiù in fondo piuttosto che a Tinos!» esclamò afferrandomi. «pazzo!» gridai, allontanandolo da me. in quello stesso istante sentimmo dietro di noi voci e rumori. erano i marinai, insieme a loro veniva il mio servitore e altri che andavano al lavoro nel porto. «Vattene», dissi ad Adamas, «vattene! ecco i miei, non sarebbe bene che la cosa si sapesse in giro». | «Hai ragione», replicò asciutto, mi voltò le spalle e scomparve nei boschi vicini. così mi accomiatai da Smirne, da tutti i miei desideri e le mie speranze. la mia primavera era giunta alla fne, ancora prima di cominciare. era una triste fne. non la piansi nemmeno, guardai scomparire la giovinezza come si guarda la salma di una donna sterile, e la mia buona stella tramontò come le stelle del cielo su deserti disabitati, dove nessun occhio le interroga. con il cuore freddo dissi addio a tutto ciò che avevo conosciuto, e amato. di Adamas non mi importava più nulla. non lo pensai nemmeno un istante. così me ne vado, senza aver perso nulla, mi dicevo, mentre avevo invece perso tutto: la fede. Abbi fducia in te, mi dicevo, abbi cura di te stesso, e lascia che tutto il resto vada per la sua strada.

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das Schiff war seegelfertig. Wir stiegen ein, und in zwei Tagen waren wir in Tina. ‹lücke von vier Blättern›

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sezte sie gutmüthig hinzu, und wurde über und über roth. ich war sicher, daß das Kind keiner Seele wehe thun wollte, und doch gieng das Wort mir durch die Seele wie ein Schwerd. Aber ich zwang mich wieder und gab dann auch ein Gleichniß, das zum lachen war. – ich fühlte mich abgemattet, wie ich mich schlafen legte, schlief auch bald. Aber des andern Tages mußt’ ich büßen, was ich an mir gesündiget hatte. lieber! bewahre dich dein guter Geist vor solchen Tagen! Hast du nie einen unglüklichen geseh’n, dem die Flamme sein Haus verwüstete, wie er dastand vor seinem Aschenhauffen und hinsah, als betrachtete er etwas, wo er doch nichts betrachtete? So brütet’ ich jezt über mir selber, so sah’ ich den Tod meines Herzens an. | es giebt ein Vergessen alles daseyns, ein Verstummen unsers Wesens, wo uns ist, als hätten wir alles gefunden; es giebt aber auch ein Verstummen, ein Vergessen des daseyns, wo uns ist, als hätten wir alles verloren, eine nacht unserer Seele, wo kein Schimmer eines Sterns, wo nicht einmal ein faules Holz uns leuchtet. der Ajax des Sophokles lag vor mir aufgeschlagen. zufällig sah’ ich hinein, traf auf die Stelle, wo der Heroë Abschied nimmt von den Strömen und Grotten und Hainen am Meere – ihr habt mich lange behalten, sagt er, nun aber, nun athm’ ich nimmer lebensothem unter euch! ihr nachbarlichen Wasser des Skamanders, die ihr so freundlich die Argiver empfengt, ihr werdet nimmer mich sehen! – Hier lieg’ ich ruhmlos! ich schauderte; eine Thräne fühlt’ ich wohl auch im Auge; aber sie vertroknete schnell, wie eine Tropfe auf glühendem eisen.

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la nave aveva issato le vele. Salimmo a bordo e in due giorni arrivammo a Tinos. ‹mancano quattro fogli›

aggiunse benevola, arrossendo tutta. ero certo che la fanciulla non voleva fare del male a nessuno, eppure quelle parole mi trapassarono l’anima come una spada. Ma mi trattenni e feci poi un paragone che ci fece ridere. ero spossato quando andai a letto, e mi addormentai in fretta. Ma il giorno seguente dovevo scontare i peccati del giorno prima. caro mio, il tuo spirito buono ti protegga da giorni del genere! non hai mai visto un infelice a cui le famme hanno distrutto la casa, che se ne sta lì davanti al mucchietto di cenere come se guardasse qualcosa, mentre non vede nulla? così dunque rimuginavo su me stesso, così guardavo la morte del mio cuore. | c’è un oblio di tutta l’esistenza, un ammutolire del nostro essere nel quale ci pare di aver trovato tutto; ma c’è anche un ammutolire, un oblio dell’esistenza nel quale ci pare di aver perso tutto, una notte dell’anima in cui non riluce il bagliore di alcuna stella, nemmeno quello di un legno putrescente. l’Aiace di Sofocle era aperto davanti a me. casualmente gli gettai uno sguardo, lessi il brano in cui l’eroe prende commiato dai fumi, dalle grotte, dai boschi e dal mare: «a lungo mi avete trattenuto», dice, «da adesso in poi non respirerò più tra voi! e voi vicine correnti dello Scamandro, che avete accolto propizie gli Argivi, ma più mi rivedrete! Qui giaccio senza gloria».115 Rabbrividii, una lacrima mi spuntò negli occhi, ma si asciugò in fretta, come una goccia su un ferro rovente.

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Mein guter diener trat herein; treuherzig sah’ er eine Weile mich an; ihr habt ein übel Gemüth in Smyrna gehohlt, rief er endlich bewegt. Meinst du, das komme von Smyrna? fragt’ ich. »Ja, das mein’ ich. Weiß Gott, was euch alles widerfahren seyn mag. Freilich denk’ ich auch manchmal, ihr könntet wohl die Sachen etwas leichter nehmen.« das »leicht nehmen« war nun laider! meine Antipathie, besonders ließ ich mir’s nicht gerne zumuthen und so sucht’ ich, so sanft, wie möglich, ihn von dieser Stelle wegzurüken. Wie geht denn dir’s? fragt’ ich. Gut, rief er, mir ist so wohl, wie einem Vogel in der luft, seit ich wieder hier bin. Hattest du unser Heimweh? fragt’ ich. »das könnt’ ich eben nicht sagen. ich grämte mich nicht, wie ich weg war, aber doch gefällt mir’s besser, daß ich da bin. ein dummes leben war’s doch immer da drüben. die leute thun, als gehörten sie gar nicht zusammen. Hier hab’ ich meinen Vater und meinen Bruder –« Wie lebten sie, seit du weg warst? »Wie es eben kömmt! die Hungersnoth hat freilich auch den Tinioten wehe gethan.« das glaub ich! rief ich. und seht, lieber Herr! fuhr er fort, das war’s nicht allein, daß man wenig hatte, sondern das war’s, daß kein Seegen in dem war, was man noch hatte. | Wie meinst du das? fragt’ ich. lieber Gott! rief er, da ißt man eben mit Bekümmerniß und Sorge, da hat man keinen Glauben mehr an Gottes Gaabe, und da sättigt nichts, gar nichts und wenn sonst alles genug dran hatte. er sah, daß ich betroffen war. drum ist auch, fuhr er fort, mein einfältig Gebet: lieber Gott! erhalt’ mich gutes Muths! in der Kirche komm’ ich selten dazu; denn da betet man andre dinge und gelehrter; aber

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entrò il mio servitore, fedele e attento mi osservò qualche istante: «Smirne vi ha messo di malumore», esclamò infne intenerito. «pensi che sia colpa di Smirne?» gli chiesi. «Sì, penso di sì. Sa dio tutto quello che vi è capitato. Qualche volta penso, effettivamente, che dovreste prendere le cose un po’ più alla leggera». il «prendere alla leggera», purtroppo, era un’espressione che mi stava antipatica, soprattutto non mi piaceva che me lo consigliassero, perciò cercai di cambiare argomento il più dolcemente possibile. «e tu, come stai?» gli chiesi. «Bene», rispose, «sto bene come un uccello nel cielo, da quando sono tornato». «Avevi nostalgia di casa?» domandai. «non saprei, in realtà. non mi lamentavo, quando ero via, ma ora che sono qui mi sento meglio. era una vita sciocca, laggiù, le persone si comportavano come se non avessero niente a che fare gli uni con gli altri. Qui almeno ho mio padre e mio fratello…» – «come hanno vissuto, mentre tu eri via?» – «come viene! la carestia ha colpito anche noi di Tinos». «lo credo bene», esclamai. «e vedete, padrone caro, non è solo questione di avere poco, è che non c’era benedizione in quel poco che si aveva». | «cosa intendi?» chiesi. «Santo cielo», esclamò, «intendo che se si mangia con tristezza e preoccupazione, vuol dire che non si ha più fede nei doni di dio e allora nulla più ci sazia, anche se ne avessimo in abbondanza». Vide che ero colpito. «per questo io prego sempre così», continuò: «Santo dio, conservami sempre il buon umore! in chiesa lo faccio raramente, lì si chiedono altre cose, più dotte; ma quando

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wenn’s zuweilen herbe Tage giebt und es will mir werden, als gäb’ es nicht auch gute, und wenn ich ein scheel Gesicht machen will zum Waizen, wie zum unkraut, und den Brunnen gar einschlagen, weil er nicht immer Wasser giebt – seht! da bet’ ich’s, und da hab’ ich schon oft erfahren, wie viel einem das Wenige werden kann, das man mit Wohlgefallen annimmt, wie es einen stärkt und einem das Herz dabei aufgeht – o lieber Herr! sagt, was ihr wollt! das leben ist doch schön. Geh, guter Stephani! rief ich, geh! ich kann dir jezt nicht antworten. er gieng. der Mensch hatte mich wehmüthig gemacht. Ach! es war so leicht, mich zu entwaffnen, mit der Welt mich auszusöhnen. Mein Herz hatte sich selbst genug gesträubt gegen den gewaltsamen zustand, den ich ihm aufgedrungen hatte. Wer warst du denn, sagt’ ich mir, daß du so viel erwarten, wo siegtest du denn, daß du so stolz nach Beute fragen durftest? Wer hat, dem wird gegeben, und wer nichts in sich ist, der helfe sich mit Wenigem. O mein Bellarmin! was thut der Mensch nicht, um lieben zu können? um lieben zu können, sezte mein Herz sich selbst herunter, um an den Brosamen mich zu freu’n, sagt’ ich mir, daß man den Kindern des Hauses nicht das Brod nehme und gebe es den Knechten! O laß mich weinen! denn hier darf ich’s. dahin hatten mich die Menschen gebracht, das hatt’ ich ihnen zu danken, daß ich mich endlich beredete, ich sey, wie sie, um vorlieb mit ihnen zu nehmen, daß ich mir nahm, was ich ihnen nicht zusezen, daß ich mich niederdrükte, weil ich sie nicht erheben konnte! Sage mir nicht, ich spreche stolz! ich sage wenig genug, wenn ich sage: ich war besser, wie sie! und so nahm ich denn einmal vorlieb, war nun wirklich gesellig, lau, ohne Sinn und Seele, wie sie, legte oft fast einen Werth darein, | so zu seyn; wie sollt’ ich nicht? es hatte mich ja Überwindung, Aufopferung gekostet! Meine pläne gab ich allmählig auch auf. du verkanntest deine Bestimmung, sagt’ ich mir, die sonderbaren zufälle deiner frühern Jahre trieben dich aus deinem Kreise heraus, und es ist zeit, daß du in deine Gränzen zurüktritst!

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di tanto in tanto capitano giorni diffcili, e comincio a pensare che non potranno più essercene di buoni, e quando faccio una smorfa sia per il grano che per l’erbaccia, e vorrei rompere il pozzo perché non sempre dà acqua… ecco, allora prego così, e mi è già capitato spesso di vedere come quel poco che si ha diventi tanto, quando lo si accetta con piacere, come ci rinforzi e ci apra il cuore… Santo cielo, dite quello che volete, la vita è comunque bella». «Va’, mio buon Stefano, va’! Ora non so che cosa risponderti». Se ne andò. Mi aveva reso malinconico: era così semplice disarmarmi, farmi riconciliare con il mondo! il cuore si ribellava già abbastanza alle costrizioni che gli avevo imposto. chi sei tu, per aspettarti così tanto, dove hai conseguito vittorie così grandi da poterti aspettare un bottino così ricco? A chi ha, sarà dato, e chi ha poco, deve accontentarsi del poco.116 caro il mio Bellarmino, che cosa non fa l’uomo per poter amare? per poter amare il mio cuore si è degradato, per potermi nutrire delle briciole mi sono detto che non si può togliere il pane ai fgli per darlo ai servi.117 lascia che pianga, ora che posso. Gli uomini, e di questo devo ringraziarli, mi avevano portato fno al punto di farmi credere che anch’io ero come loro in modo che potessi affezionarmi, al punto di privarmi di ciò che non potevo dare loro, di abbassarmi perché non potevo elevarli. e non dirmi che sono presuntuoso! È già poco se dico che ero migliore di loro. e così mi sono accontentato, sono diventato davvero socievole, tiepido, senza buon senso e senz’anima come loro, e mi sembrava quasi positivo | essere così; e come non doveva, visto che mi costava fatica e sacrifcio? Rinunciai man mano ai miei progetti; stai travisando la tua vocazione, mi dicevo, le circostanze particolari della tua infanzia ti hanno allontanato dalla tua traiettoria, ora è tempo che torni nei tuoi confni!118

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Wollt’ ich zuweilen auffahren, als wär’ es Mishandlung, die ich an mir verübte, so schlug ich mich gewöhnlich mit der Frage nieder, was bist du denn, um mehr zu fordern? Trauert’ ich über das, was jezt mich beschäfftigte, so sagt’ ich mir, daß ich ja dazu kaum taugte und wirklich benahm ich mich dabei sehr schwerfällig. Oft konnt’ es freilich kommen, daß mich mitten unter den Fröhlichen ein Weh überfel, daß ich forteilte und mich verbarg, wo ich doch nicht zu erröthen brauchte, ach! da, wo das Seufzen, wo die Thräne der entwürdigten natur nur die friedlichen Bäume des Walds und die stillen pfanzen zu zeugen hatte; aber gerade darüber demüthigte ich mich nur um so mehr, daran schämte ich mich am meisten. der Tod des lebens, den ihr »gesezt seyn« nennt, der war mein edles ideal geworden; denn, sagt’ ich äußerst weise, ein Wesen, das sich leicht bewegt, kann leicht zur unzeit, leicht über die gemeßne Gränze sich bewegen, und wo viele Kräfte sind, da giebts leicht Anarchie, da ist die Ordnung wenigstens ein selten Beispiel; deswegen ist es besser, wenn der Mensch nur eine kleine dose Willen und noch weniger empfänglichkeit besizt, – ach! und daran dacht’ ich nimmer, daß nur der Friede des lebendigen, die einigkeit der ungeschwächten Kräfte Ordnung, Gottes Ordnung, und daß die heilige Flamme des Altars kein fressend Feuer ist – o Bellarmin! dein Freund war tief gesunken! – Freilich wacht’ ich oft auf und schalt mich einen Mörder, einen Rasenden, der sich selbst verstümmle, aber das nahm ich dann für böse laune, nannt’ es oft ein feberhaft, unzeitig Gähren und mistraute mir nur um so mehr. Seit kurzem war der Sohn meines pfegevaters aus paros herübergekommen, wo er noch nicht lange etablirt war. er war einige Jahre älter, als ich, hatte die Welt gesehn und erfahrungen gemacht; er war etwas vielseitig, behandelte alles mit Schonung, wußte jedem dinge einen Werth zu geben, gegen mich besonders | war er äußerst duldsam und gefällig, ich nahm auch

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Quando volevo reagire come se quello che stavo commettendo contro me stesso fosse un maltrattamento, mi umiliavo chiedendomi: chi sei tu, per pretendere di più? Se mi rattristavo per le cose che ora mi interessano, mi dicevo che non erano cose per me e difatti le affrontavo con grande fatica. Qualche volta in verità accadeva che, mentre ero in mezzo a gente allegra, fossi sopraffatto dalla malinconia tanto che dovevo andare a nascondermi dove non c’era bisogno di arrossire, là dove i sospiri e le lacrime della natura vilipesa avevano come testimoni soltanto gli alberi pacifci del bosco e le piante silenziose. Ma proprio questo mi umiliava ancor di più, era la cosa di cui più mi vergognavo. la morte della vita, quello che voi chiamate ‘essere posati’, era divenuta il mio nobile ideale; allora, dicevo molto saggiamente, un essere che si muove con facilità, può muoversi con facilità al momento sbagliato, oltrepassare i confni stabiliti, e dove ci sono molte energie c’è facilmente anche l’anarchia, o almeno è raro che ci sia l’ordine; per questo è meglio che l’uomo abbia soltanto una piccola dose di volontà e ancora meno disponibilità… Ah, non pensavo più che solo la pace del vivente, solo l’unità delle forze non faccate porta l’ordine, l’ordine divino, e che la sacra famma dell’altare non è un fuoco divorante. Bellarmino, il tuo amico era caduto davvero in basso! in effetti mi svegliavo spesso sentendomi un assassino, un folle che mutila se stesso, ma lo prendevo solo per cattivo umore, lo defnivo un fermento febbricitante e immaturo e mi fdavo ancora meno di me stesso.119 da poco il fglio del mio padrino era venuto da paros, dove si era appena stabilito. Aveva qualche anno più di me, aveva girato il mondo e fatto esperienze; era di vedute abbastanza larghe, trattava tutto con riguardo, sapeva dare valore a ogni cosa, verso di me era | particolarmen-

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etwas mehr, als gewöhnliches interesse an ihm, und wir hießen uns bald Freunde. ich hatte doch etwas an ihm, und wollt’ ich mich ja ein wenig entfernen, in einem Anfall von ungenügsamkeit, so zog er mich immer wieder an sich. ich lebte wirklich halb wieder auf in der Gegenwart dieses Menschen, ich sagt’ ihm auch oft, er verwöhne, verzärtle mich, man überhebe sich so gerne seiner Schwachheit. nicht, daß er mich gerade gehalten hätte, wie die wunderlichen Kranken und zu allem ja! gesagt; dazu war seine Gefälligkeit nicht schülermäßig genug, dazu war ich ihm doch wohl auch zu gut; er tadelte mich, aber sein Tadel berührte die Saite kaum; er widersezte sich mir, aber nur, um mich gegen mich selbst zu vertheidigen; er war oft etwas karg mit sich, aber nur, um sich gewinnen, verschlossen, aber nur, um sich aufschließen zu lassen und wenn ich ihm das vorhielt, so konnt’ er mir sagen; es könne niemand für sich selber, er sey eben so gemacht, und möchte nicht anders seyn, denn darinn bestehe der ganze Reiz des lebens, daß man zusammen Verstekens spiele. – er bestritt mich oft gerade in meinen entschiedensten Überzeugungen, aber mit Freundlichkeit und Bedacht, und wie es schien, mehr um das Gespräch zu beleben, mehr zum Versuche, was wohl aus dem Für und Wider sich ergeben möchte, als in strengem ernste, und ich verglich uns einmal in einer heitern Stunde mit den jungen lämmern, die sich scherzend einander an die Stirne stießen, vieleicht um ineinander das lebensgefühl zu weken. er hingegen konnte mir darüber sagen, es wäre recht gut, wenn meinesgleichen zuweilen einen fänden, der ihnen ein wenig wehe thue, der sie im kleinen Kriege übe, denn wir möchten immer gerne nur großen Krieg, wo Himmel und Hölle aneinander, oder einen Frieden, der wie der Friede der umarmung wäre, gänzliche Vereinigung oder gänzliche Scheidung, und das Hälftige sey doch eben einmal das, wofür wir Menschenkinder da wären. Sezt ich ihm entgegen, daß er sich in mir irre, daß er für Karakter nehme,

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te conciliante e ben disposto; io sviluppai per lui più che un normale interesse e diventammo presto amici. Avevo trovato qualcosa in lui, e quando volevo ritrarmi in una crisi di insoddisfazione, mi attirava comunque di nuovo a sé. Ricominciai a vivere almeno in parte in sua presenza, gli dicevo spesso anche che mi viziava, mi ammansiva; è così facile credersi superiori alle proprie debolezze. non che mi trattasse come quei malati bizzarri ai quali si dice sempre di sì: la sua indole buona non era suffcientemente pedante, e mi voleva comunque troppo bene per farlo. Mi criticava, ma la sua critica sforava appena le corde; mi contraddiceva, ma solo per poi difendermi contro me stesso; qualche volta si concedeva con riserva, ma solo per farsi convincere, si chiudeva solo per farsi aprire, e quando glielo facevo notare diceva che nessuno ha potere su se stesso, che lui era fatto così e non voleva essere diverso, perché in questo consiste il fascino della vita, giocare insieme a nascondino. Mi contraddiceva spesso proprio nelle mie convinzioni più salde, ma con amicizia e cautela, e forse più per animare la discussione, più per vedere cosa sarebbe emerso dal pro e contro, che con effettiva serietà, e in un’ora spensierata io ci paragonai ai giovani vitelli che si prendono per scherzo a cornate, forse solo per risvegliare in sé la percezione della vita. lui invece mi diceva che quelli come me dovrebbero ogni tanto trovare qualcuno che faccia loro un po’ male, che li faccia esercitare in piccole battaglie, perché noi vogliamo solo grandi guerre, dove il cielo e la terra combattono l’uno contro l’altro, oppure una pace che sia come quella di un abbraccio, unione completa o divisione totale, mentre invece la mezza misura è ciò per cui noi uomini siamo fatti. Se obiettavo che si sbagliava su di me, che scambiava il mio carattere con quello che era invece il residuo di un errore casuale, rideva

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was doch nur ein Überrest zufälliger Verirrung wäre, so lacht’ er herzlich und sagte: daran könn’ ich gerade erkennen, daß ich einer von denen wäre, die den kleinen Krieg nicht leiden könnten, daß ich lieber mein eigenstes verläugne, um mich andern gleich zu sezen, als daß ich etwas | Widerwärtiges ertrage, an dem doch nicht die ganze Kraft sich messen könte! O ihr seyd sonderbare Geschöpfe! rief er, verzärtelt, wie die kranken Kinder und heroisch, wie die Riesen; nadelstiche könten euch zur desperation bringen und einer Megäre gegenüber wäre vieleicht euch wohl. ihr habt Vernunft, aber keinen Verstand, Muth, aber keine Geduld; doch könnt ihr lernen, was ihr nicht habt, aber ihr lernt sehr ungern, wenn ich nicht irre, und das kommt daher, weil euch zu wohl ist, bei dem, was sich nicht lernt. im Allgemeinen verstand ich das, aber anwenden konnt’ ich es nicht wohl. nach und nach wagt’ ich mich wieder heraus aus der Gefangenschaft, der unterdrükung, in der ich mich erhalten hatte, aber eine geheime Scheue, etwas Ängstiges, das mir zuvor ganz fremd gewesen war, konnt’ ich mir nicht verbergen. Ach! einst hielt ich mein Herz so offen und unbesorgt der Welt entgegen! – Auch war es nie so leicht verwundbar gewesen, wie jezt, aber auch nie so seelig! O es war ein himmlisch Ahnden, womit ich jezt den kommenden Frühling wieder grüßte! wie fernher in schweigender luft, wenn alles schläft, das Saitenspiel der Geliebten, so umfengen mir seine leisen laute die Brust, wie von elysium herüber, vernahm ich seine zukunft, wenn die todten zweige sich regten und ein lindes Wehen meine Wange berührte – O Himmel meines Joniens! so war ich nie an dir gehangen, aber so ähnlich war dir auch nie mein Herz gewesen, wie jezt, in seinen heitern zärtlichen Spielen! Aber auch diß gieng vorüber.

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di cuore e diceva che proprio da quello si capiva che io ero uno di coloro che non possono sopportare le piccole battaglie, che preferiscono piuttosto negare quanto hanno di più speciale per rendersi uguali agli altri, piuttosto che sopportare | qualcosa di spiacevole che non renda possibile mettere alla prova tutta la forza. «Siete davvero delle strane creature!» esclamò, «coccolati come bambini malati ed eroici come giganti; una puntura di spillo potrebbe portarvi alla disperazione, mentre sapreste affrontare una megera. Avete la ragione, ma non l’intelletto,120 coraggio ma non pazienza; e potreste anche imparare ciò che vi manca, ma se non sbaglio imparate molto a malincuore, e questo perché vi piace troppo quello che non si può imparare». in generale capivo, ma non riuscivo bene a vederne il lato pratico. A poco a poco osai uscire dalla prigionia, dall’oppressione a cui mi ero sottomesso, ma non potevo celare a me stesso un riserbo segreto, un certo timore che prima mi era del tutto sconosciuto. Ah, una volta mostravo al mondo il mio cuore, aperto e senza tema; prima però non era vulnerabile come ora, ma nemmeno così felice! Oh, erano presagi celesti quelli con cui salutai la primavera in arrivo! come il suono della cetra dell’amata in lontananza nell’aria silenziosa, quando tutto è assopito, così mi avvolgevano il petto i suoi lievi suoni; come se scendesse dall’elisio percepivo la sua venuta, quando i rami morti si risvegliavano e una leggera brezza mi sforava le guance… Oh, cielo della mia ionia, non ti ero mai stato così affezionato, ma nemmeno il mio cuore era mai stato così affne a te come ora, nei giochi teneri e sereni. Ma anche quello passò.

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einst saß ich mit dem Freunde von paros und mit einigen andern zusammen. es war ein alter Bekannter von einer langen Fahrt zurükgekommen, und wir feierten das fröhliche Wiedersehn. Alle waren inniger, wie sonst, auch ich wurde warm und sprach ungewöhnlich viel. die Freude jugendlicher Verbrüderung füllte mich so ganz. O man lebt doch nicht umsonst, ihr lieben! rief ich in meines Herzens Trunkenheit und strekte die Hand aus über dem Tische und jeder bot die seinige dar. Wir erinnerten uns an manche liebe kindische Geschichte, und wie wir unsere frühern | Jahre unter Streit und Freundschaft genossen hätten, wie man sich ändern könne und doch immer noch die alte Anhänglichkeit aneinander behalte. – die Freundschaft sei ein wunderbar Geschenk der natur – man könne wohl ihr leben in Begriffen aufbewahren und von ihren pfichten sprechen, aber ihr eigenstes lasse sich doch nicht machen, sondern müsse sich geben, sei ein Kind des guten Schiksaals, gediegen Gold und nicht erarbeitet – so sprachen wir lange fort; schwiegen endlich; es war ein erfreulich Schweigen; öffne geschwinde die Fenster, rief ich einem, der gegen mir über saß, jezt zu; was hast du, Hyperion? fragt’ ein andrer. dort gehn die dioskuren am Meer’ herauf! rief ich freudig. zufällig sah’ ich einen Augenblik drauf in den Spiegel; ich glaubte drinn ein zweideutig lächeln an notara zu bemerken. Betroffen blikt’ ich um mich und es war mir, als fänden sich auch auf andern Gesichtern solche Spuren. das war mir ein dolch in’s Herz. ich glaubte mein Heiligstes verunehrt, meine beste Freude verlacht, von meinem lezten Freunde mein innerstes verspottet. ich sprang auf und eilte fort. Wunderst du dich, mein Bellarmin! daß ich eine ungewisse Miene so tief empfand? Was wirst du denken, wenn ich dir sage, daß es nicht nur eine böse Stunde war, ein vorübergehender unmuth, eine erschütterung, die meinetwegen oft gesund seyn kann – wollte Gott! es wäre dabei geblieben! – Aber sieh! es war auch nicht diese Miene allein. All’ die Täuschungen, die mir das Herz zerrissen, all’ die Schlechtigkeiten, die

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una volta ero insieme al mio amico di paros e ad alcuni altri. un vecchio conoscente era rientrato da un lungo viaggio e festeggiavamo il lieto ritorno. Tutti erano più seri del solito, anch’io mi accalorai ed ero straordinariamente loquace, mi invadeva la gioia di una giovanile fratellanza. «Oh, non si vive invano, miei cari!» esclamai con il cuore ebbro, allungando la mano sul tavolo, e ciascuno stese la sua. ci raccontammo alcune storie dell’infanzia, come avevamo vissuto i nostri primi | anni tra liti e amicizia, come si può cambiare mantenendo però sempre l’antico affetto gli uni per gli altri. l’amicizia è un regalo meraviglioso della natura… Si può mantenerla in vita con i concetti e parlare dei suoi doveri, ma la sua caratteristica essenziale è che non la si può procurare, la si deve donare, è fglia della buona sorte, oro puro e non lavorato. così parlammo a lungo, infne tacemmo, ma era un silenzio gioioso. «Apri, presto, la fnestra», dissi a un tratto a quello che mi sedeva di fronte. «che cos’hai, iperione?» chiese un altro. «ecco i dioscuri che sorgono dal mare», esclamai felice. casualmente un attimo dopo guardai nello specchio e credetti di cogliere un sorrisetto ambiguo di notara. colpito mi guardai intorno e mi parve di scorgere anche sugli altri volti la stessa espressione. una spada mi trapassò l’anima! credetti profanato il mio sentire più intimo, derisa la mia gioia più bella, schernito il mio cuore dall’ultimo amico che mi restava. Mi alzai di scatto e corsi via. Ti meravigli, Bellarmino, che un’espressione incerta mi abbia colpito così in profondità? cosa penseresti se ti dicessi che non era solo un brutto momento, un malumore passeggero, una scossa che qualche volta può anche essere salutare... dio volesse! Tutto sarebbe fnito lì. Ma vedi, non era soltanto quell’espressione. Tutte le delusioni che mi avevano straziato il cuore, tutte le cattiverie che mi ave-

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mich empört, seit ich unter die Menschen getreten war mit meinen Hoffnungen, alle Belaidigungen meiner liebe, ach! jeder elende Scherz, womit man sich an meinen kleinen unaufmerksamkeiten gerächt, jede gemeine Misdeutung, womit man meine unbefangenen innigen Äußerungen lächerlich gemacht, jede Falschheit, womit man mein Verlangen, mein Vertrauen nachgeäfft hatte – alle die knechtischen Tüke, womit man sich schadlos hält für seine demuth, alle die bäurischen Anmaßungen, womit man der anspruchlosen friedlichen Seele sich aufdringt, aller Schmuz der Gesellschaft, alles, was ich verziehen hatte und nicht verziehen – sieh! das alles brach, wie eine diebsbande, aus seinem Hinterhalt und wütete auf mich los! Freilich erschienen mir die Menschen, | von denen ich eben herkam, auch nicht freundlich; ich dachte mir einen um den andern, wie er mir wohl seine bittern Bemerkungen nachschiken werde; der rauhe Seemann stand lebendig vor mir mit seinem Ärger und notara daneben mit seinen hämischen entschuldigungen. Jezt kam ich an dem Hause vorüber, wo einst mein alter herrlicher Freund gelebt hatte und das Andenken jener Tage brach mir vollends das Herz. Ach! er würde dich nicht mehr kennen, sagt’ ich mir, keine Spur seiner Hoffnungen würd’ er in dir fnden. er warnte dich, du solltest dich nicht befassen mit diesem Geschlechte, sagt’ er dir; aber das achtetest du nicht! armer Mensch, das Wort war dir zu groß! – Sey nun zufrieden! du hast’s an ihm verschuldet! – du sollst zu Grunde gehn, du must! für dich ist keine Rettung! was du warst, das wirst du nie mehr. Mein zustand war wirklich trauriger, als je. Gerne hätt’ ich mich zurükgefüchtet in mich selbst, mich umgeben, wie ich mich einst umgab, mit den Blüthen und Früchten meines Herzens, hätte gelebt, wie die Glüklichen, die der Sturm von ihrem Markte hinweg auf eine freundliche insel warf, aber ich hatte mich ja selbst nicht mehr, ach! ich hatte mich ja verloren, hatte

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vano indignato da quando mi ero mescolato tra gli uomini con le mie speranze, tutte le offese al mio affetto, ogni scherzo meschino con cui si erano vendicati per le mie piccole disattenzioni, ogni volgare fraintendimento che aveva reso ridicole le mie manifestazioni spontanee e sincere, ogni falsità con cui avevano scimmiottato il mio desiderio, la mia fducia; tutti gli imbrogli servili che li fanno sentire innocui nella loro umiltà, tutte le basse ambizioni con cui ci si impone a un’anima pacifca e senza pretese, tutto il fango della società, tutto ciò che avevo perdonato e ciò che non avevo perdonato... ecco, tutto questo si scatenò come una masnada di briganti che esce dal covo e mi assalì con furia. davvero, anche gli uomini | che avevo appena lasciato non mi sembravano amichevoli; mi immaginavo ora l’uno, ora l’altro, fare commenti maligni alle mie spalle; vedevo bene il rozzo marinaio che mi sedeva davanti, infastidito, e di fronte a lui notara con le sue insulse giustifcazioni. passai davanti alla casa dove aveva abitato il mio vecchio, nobile amico e il ricordo di quei giorni mi spezzò il cuore. Ah, non ti riconoscerebbe nemmeno, mi dissi, non troverebbe in te nemmeno una traccia delle sue speranze. Ti aveva avvisato di non occuparti troppo di questi uomini, ma tu non gli hai dato ascolto: poverino, le sue parole erano troppo grandi per te! Sarai contento, ora, visto che eri in debito con lui... devi morire, basta! per te non c’è salvezza, quello che eri non lo sarai mai più. la mia situazione era veramente più triste che mai. Volentieri mi sarei rifugiato in me stesso, mi sarei circondato, come una volta, con i fori e i frutti del mio cuore, avrei vissuto come i fortunati che una tempesta ha strappato dai loro affari per gettarli su un’isola ospitale, ma io non avevo più me stesso, mi ero perso, mi ero venduto per un paio

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mich um ein paar taube nüsse verkauft – nun erst war ich arm! ganz arm! ich hatte vor den Thüren gebettelt und sie hatten mich weggewiesen, fortgestoßen und nun kehrt’ er heim, der Bettler und sperrte sich ein und betrachtete sein elend zwischen seinen fnstern, ärmlichen Wänden. Je länger ich über mir brütete in meiner einsamkeit, um so öder ward es in mir. – es ist ein Schmerz ohne gleichen, ein fortdauerndes Gefühl der zernichtung, wenn das daseyn so ganz seine Bedeutung verloren hat. eine unbeschreibliche Muthlosigkeit drükte mich. ich wagte oft das Auge nicht aufzuschlagen vor den leuten. ich hatte Stunden, wo ich das lachen der Menschen fürchtete, wie den Tod. dabei war ich sehr still und geduldig, hatte oft auch einen recht wunderbaren Aberglauben an die Heilkraft mancher dinge; oft konnt’ ich ingeheim von einem kleinen erkauften Besiztum, von einer Kahnfahrt, von einem Thale, das mir ein Berg verbarg, Trost erwarten. Mit dem Muthe schwanden auch sichtbar die Kräfte. ich glaubte wirklich, unterzugehn. | ich hatte Mühe, die Trümmer ehemals gedachter Gedanken zusammenzulesen; der rege Geist war entschlummert; ich fühlte, wie sein himmlisch licht, das mir kaum erst aufgegangen war, sich mählig verdunkelte. – Freilich, wenn es einmal, wie ich dachte, den lezten Rest meiner verlorenen existenz galt, wenn mein Stolz sich regte, dann war ich lauter Wirksamkeit und die Allmacht eines Verzweifelten war in mir oder wenn sie von einem Tropfen Freude getränkt war, die welke dürftige natur, dann drang ich mit Gewalt unter die Menschen, sprach, wie ein Begeisterter und fühlte wohl manchmal auch die Thräne der Seeligen im Auge oder wenn einmal wieder ein Gedanke oder das Bild eines Helden in die nacht meiner Seele strahlte, dann staunt’ ich und freute mich, als kehrte ein Gott ein in dem verarmten Gebiete, dann war mir, als sollte sich eine Welt bilden in mir; aber je heftiger

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di noci selvatiche… e ora ero davvero povero, poverissimo! Avevo chiesto l’elemosina davanti alle porte e sono stato allontanato, scacciato, e ora tornava a casa, il mendicante, si chiudeva dentro e contemplava la sua miseria fra quattro mura, buie e misere. Quanto più rimuginavo su me stesso in solitudine, tanto più deserto diventava il mio intimo. È un dolore senza pari, un sentimento perdurante di annichilimento, quando l’esistenza ha perso del tutto il suo signifcato. uno scoramento indescrivibile mi opprimeva, spesso non osavo alzare gli occhi davanti agli uomini, c’erano momenti in cui temevo le risate della gente come la morte. Allo stesso tempo ero molto calmo e paziente, e nutrivo una strana fede superstiziosa nel potere taumaturgico di alcuni oggetti. Spesso, in segreto, mi aspettavo consolazione da una piccola cosa acquistata, da una traversata in barca, dalla valle nascosta da un monte. con il coraggio scemavano a vista d’occhio anche le mie forze, credetti davvero di morire. | Facevo fatica a mettere insieme i frammenti dei pensieri di un tempo, lo spirito vivace era invecchiato; sentivo la sua luce celeste, da poco sorta per me, oscurarsi pian piano. effettivamente, quando mi pareva che fosse in gioco l’ultimo residuo della mia esistenza perduta, quando il mio orgoglio si ridestava, ero estremamente attivo, c’era in me l’onnipotenza del disperato; oppure quando aveva succhiato una stilla di gioia, la natura appassita e misera, mi spingevo con foga tra gli uomini, parlavo come un esaltato, qualche volta sentivo persino negli occhi le lacrime dei beati; oppure ancora, quando un pensiero o l’immagine di un eroe tornavano a splendere nella notte della mia anima, mi stupivo e gioivo come se un dio fosse apparso in una terra impoverita, mi sentivo come se in me si ricreasse

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die schlummernden Kräfte sich aufgeraft hatten, um so müder sanken sie hin; versuche nur nichts mehr, sagt’ ich mir dann, es ist doch aus mit dir! Oft saß ich stundenlang, versuchte zu schreiben, was in mir vorgieng – armes Wesen! als wäre der Jammer weg aus dir, wenn er einmal auf dem papier stände! – ich trage sie noch bei mir, diese traurigen Blätter. ein sonderbar Mitleiden hielt mich immer ab, sie zu zernichten. lieber! du hasts ja einmal über dich genommen, mit mir zu trauern, du magst auch diß lesen. ich weiß, du ärgerst dich nicht daran. Auch sind’s nur wenig abgerißne Töne. – Ach! hätte doch mein Herz sich ausgeschüttet, sich verblutet, sich begraben in den armen vergänglichen Worten! – da ich ein Kind war, heißt es, da strekt’ ich meine Arme aus nach Freude und Sättigung und die erde bot ihre Blumen und Beere mir dar, und die mächtige natur gab lächelnd sich dem Kinde zum Spiele. da das Meer mich ausstieß und ich hülfos unter den Trümmern lag, da hub ein Mensch mich auf und wie ich erwachte, sah’ ein erbarmend Auge mich an. War das nicht liebe? nicht sie, die die pfanzen mit Regen und Thau erquikt, die das licht des Himmels über die Blumen gießt, daß ihr Herz sich öffnet und sie hervorgehn zur Freude? Auch | mein Herz öffnete sich, auch ich bin hervorgegangen zur Freude. – Warum bin ich denn nun verlassen? verlassen! – zwar hab’ ich nichts mehr, was ein Herz zur Hülfe bewegen könte; die Todten danken ja nicht. Ja! laßt mich, laßt mich nur! – ________________

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un mondo; ma quanto più impetuose le forze assopite si erano ridestate, tanto più stanche si spegnevano di nuovo. Smettila di provare, mi dicevo allora, ormai sei spacciato. Spesso stavo seduto per ore, cercando di mettere per iscritto quello che accadeva in me… che sciocco, come se il tormento sparisse, una volta scritto su un foglio! le porto ancora con me, quelle tristi pagine, una strana compassione mi ha sempre impedito di distruggerle. Mio caro, già una volta ti è toccato rattristarti con me, quindi potrai leggere anche quelle. So che non ti arrabbierai. del resto sono solo poche parole sconnesse. Ah, se il mio cuore si fosse svuotato, dissanguato e seppellito in quelle parole misere e caduche...121 Quando ero piccolo, mi dicono, tendevo le braccia in cerca di gioia e appagamento e la terra mi elargiva fori e frutti, mentre la natura possente si offriva sorridendo al bimbo come un gioco. Quando il mare mi rigettò e giacevo esangue fra le macerie, un uomo mi salvò e svegliandomi vidi uno sguardo misericordioso. non era amore, quello? Quello che ravviva le piante con la pioggia e la rugiada, che riversa sui fori la luce del cielo, facendo schiudere e sbocciare i loro cuori alla gioia? Anche | il mio cuore si aprì, anch’io sono sbocciato alla gioia. Ma perché allora sono stato abbandonato? Abbandonato! in realtà non ho più nulla per indurre qualcuno ad aiutarmi; i morti non sanno dire grazie. Allora lasciatemi, lasciatemi stare! ________________

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Was wollt’ ich dann? was ist mir fehlgeschlagen? Was wird man antworten, wenn du dahin bist und die leute fragen: was hat ihm gefehlt? Ach! man wird nicht fragen und nicht antworten. Aber was wollt ich dann? – daß ich sah, was ein sterblich Auge nicht sieht, daß einst die liebe mir erschien in einem seeligen Traume – sollte das tödten? die Fabel sagt von Menschen, sie hätte die gegenwärtige Gottheit getödtet. – Ja! nun versteh’ ich’s. die Fabel ist Wahrheit. Aber sag’ es nicht aus! Sie glauben dir nicht und glauben sie dir, so ist’s ihr Tod – ein stiller langsamer Tod! O spottet, wenn ich hin bin, spottet und sagt: er starb, weil ihm ein Traum sich nicht erfüllte. ________________ Also ein Traum wars, da mir die liebe erschien? und man fände beim erwachen keine Spur von ihm? Spuren mag man fnden, wenn man eifrig genug herumsucht und lange genug hinsieht. O! davon kann ich reden. Hab’ ich doch herumgesucht, bis ich hinsank, hab’ ich mich doch blind gesehen an diesen Spuren, daß nun nacht vor mir ist, nacht, wie im Grabe! – Ach! beredete mich doch einer, ‹lücke von einem Blatt›

sich unter zelten zum lieblichen Mahle und pries und freute sich hoch, daß keiner sich verirrt hätte in den labyrinthen des Ronnecatanzes. ich konnte mich selbst nicht sehn, wie ich so dastand unter den lieblichen Spielen, als könnt’ ich die Freude nicht leiden;

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che cosa volevo dunque? dove avevo fallito? che cosa risponderanno quando sarai morto e la gente chiederà: che cosa gli mancava? Ma nessuno chiederà e nessuno risponderà. Ma che cosa volevo, dunque? Vedere quello che un occhio mortale non vede, l’amore che una volta mi è apparso in un sogno beato: questo può forse uccidere? la leggenda narra di uomini che sono stati uccisi dal manifestarsi della divinità. Adesso la capisco, la leggenda dice la verità.122 Ma non dirlo forte! non ti crederanno, e se ti credessero sarebbe la morte per loro, una morte lenta e silenziosa! Schernitemi, quando sarò morto, schernitemi e dite: è morto perché non ha potuto realizzare un sogno. ________________ era dunque un sogno, quando mi apparve l’amore?123 e svegliandosi non se ne troverebbe più alcuna traccia? Tracce se ne troveranno, se si cerca con suffciente zelo e abbastanza a lungo. Oh, di questo posso parlare. Ho cercato fnché non sono crollato, ho perso la vista cercando quelle tracce, tanto che ora vedo la notte davanti a me, la notte come nella tomba! Ah, se qualcuno mi convincesse ‹manca un foglio›

sotto le tende per un gradevole pasto e gioiva e si rallegrava, tanto che nessuno avrebbe potuto perdersi nel labirinto della romaika. non potevo soffrirmi, mentre partecipavo all’allegria dei giochi come se non potessi sopportare la gioia; il mio |

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mein | Herz gönnte sie ihnen so gerne; nur theilen konnt’ es sie nicht, ach! es mußte so viel fnden, wenn ihm geholfen werden sollte. ich gieng; aber nach Hause konnt’ ich noch nicht. An den Hügeln, worauf wir wohnten, lag ein Wald von herrlichen ulmen. ich hatte sie den Morgen vom Fenster aus liebgewonnen, hatte mir manche Ruhestunde geweissagt, manchen friedlichen Traum in den stillen sicheren Schatten. Mir war jezt, als wandelt’ ich in einem Heiligtum unter den hohen freundlichen Bäumen. ich sah zurük auf die vergangnen Tage, auf den heutigen, ich rief die abgeschiednen Stunden aus ihrem Grabe und befragte sie über die zukunft. es war, als antworteten sie; aber geheimnißvoll und ich wußt es nicht zu deuten, wußte nicht, ob sie mich nach elysium wiesen oder sonst wohin. Ach! rief ich, daß der Mensch um Mittag fragen muß, wie es mit ihm seyn wird um den Abend; und wie ich wieder aufblikte und mein Auge durch die dunkeln zweige drang – o Himmel! was sah ich? wo war ich? – ich möchte sprechen können, mein Bellarmin! möchte gerne mit Ruhe dir schreiben, aber es ist umsonst! – zwar konnt’ ich doch lange genug davon schweigen, konnte oft mich halten, wenn unter den andern erinnerungen diese mich ergriff; siehe nur hin! du wirst tobende Thränen fnden auf mancher unbedeutenden Seite; sie gehören hieher; ich troknete sie und schrieb von andern dingen – das konnt’ ich; so sollt’ ich auch sprechen können – sprechen? o ich bin ein laie in der Freude! ich will sprechen! – Wohnt doch die Stille im lande der Seeligen. Ja! über den Sternen vergißt das Herz seine noth und seine Sprache. – Ach! noch jezt ist sie vor mir, wie damals, die einzige, Herrliche; heilig und hold, wie eine priesterin der liebe schwebt sie vor mir noch jezt; sie saß; ein Buch lag vor ihr aufgeschlagen; über ihr bebten die zweige, wiegten sich in der luft, wo ihr

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cuore la concedeva loro volentieri, solo non poteva condividerla; avrebbe trovato così tante cose, se solo si fosse potuto aiutarlo. Me ne andai, ma non riuscivo ancora a tornare a casa. Sulle colline dove abitavamo c’era un bosco di splendidi olmi. Mi ci ero affezionato, guardandolo dalla fnestra al mattino, mi ero predetto ore di tranquillità e qualche pacifco sogno nella loro ombra silenziosa e protettiva. Ora mi sembrava di muovermi in un santuario, sotto gli alberi alti e amichevoli. Ripensai ai giorni passati, alla giornata presente, rievocai dalla tomba le ore defunte e le interrogai sul futuro. era come se mi rispondessero, ma misteriosamente, e non sapevo interpretarle, non capivo se mi indicassero l’elisio o che altro. Ah, che l’uomo a mezzogiorno debba interrogarsi su cosa sarà di lui alla sera… e come alzai lo sguardo e gli occhi penetrarono fra i rami scuri… O cielo, che cosa vidi? dov’ero? Vorrei poterne parlare, Bellarmino, vorrei poterti scrivere con calma, ma è inutile! certo, sono riuscito a tacerlo abbastanza a lungo, spesso sono riuscito a trattenermi quando questo ricordo, tra gli altri, mi afferrava; guarda ora! Troverai lacrime impazzite su qualche pagina insignifcante, ma appartengono a questa. le ho asciugate e ho scritto d’altro… Quello riuscivo a farlo, quindi dovrei anche poterne parlare… parlare? Sono un profano della gioia, io voglio parlarne? il silenzio abita nella terra dei beati. Sì, fra le stelle il cuore dimentica la sua pena e la sua lingua. Ancora adesso la vedo davanti a me come allora, unica, splendida, sacra e soave, come una sacerdotessa dell’amore si aggira ancora adesso davanti a me. era seduta con un libro aperto davanti a sé; sopra di lei tremavano i rami, si

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Othem sich regte, berührten leise ihre loken, und wie Wölkchen um’s Morgenlicht, wallt’ im Frühlingswinde der dunkle Schleier um ihre Stirne. Ruhig und seelig lächelte sie herab, zu den Blumen, die um sie versammelt waren, aber über dem lächeln thronte, mit eines Gottes Majestät, ein Auge – o ich bitte dich, denke, ich habe dir | nichts von ihr gesagt! ich bitte dich, frage dich nicht, wie war sie? versuch es nicht, dir ein Bild von ihr zu machen! – – doch giebt es ja Stunden, wo dem trunknen Geiste das Beste und Schönste, wie in Wolken, gegenwärtig ist, und die liebe frolokend in den Schoos der Vollendung sich begräbt, da da denke dieses Wesens, da beuge die Knie mit mir und denke meiner Seeligkeit! aber vergiß nicht, daß ich hatte, was du ahndest, daß ich mit diesen Augen sah, was dir nur, wie in Wolken, erscheint. daß die Menschen so oft sich einbilden können, sie freuen sich! O glaubt, ihr habt von Freude noch nichts geahndet, euch ist der Schatten ihres Schattens nicht erschienen! O geht und sprecht vom blauen Aether nicht, ihr Blinden! – Ja! wenn euch der Othem süßer Blüthen umfängt, und ihr seelig und trunken hinschlummert unter den Sträuchen, wenn um euch ein himmlisch Saitenspiel rauscht, wie ein Regen, wenn ihm das Herz der erde sich öffnet, wenn die goldne Fluth des Morgenroths euch überschwemmt und ihr euch verliert, untergehet in den Woogen des Himmels, da könnt ihr sagen, daß ihr den Schatten habt, den nachhall meiner Freude. – daß man werden kann, wie die Kinder, daß noch die goldne zeit der unschuld wiederkehrt, die zeit des Friedens und der Freiheit, daß doch eine Freude ist, eine Ruhestätte auf erden! – ist der Mensch nicht veraltert, verwelkt, ist er nicht, wie ein abgefallen Blatt, das seinen Stamm nicht wieder fndet und umhergescheucht wird von den Winden, bis es der Sand

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cullavano nell’aria al soffo del suo respiro, sforavano leggeri i suoi riccioli, e come nuvolette alla luce dell’aurora la brezza della primavera faceva ondeggiare il velo scuro sulla fronte. Quieta e felice sorrideva ai fori che si erano raccolti intorno a lei, e sopra il sorriso troneggiavano, con la maestà di un dio, due occhi… Ti prego, fngi che io non ti abbia detto | nulla di lei! Ti prego, non chiederti com’era, non cercare di immaginartela! ci sono però dei momenti in cui allo spirito ebbro si fa presente, come in una nuvola, ciò che è eccelso e stupendo, e l’amore esultando si seppellisce nel grembo della perfezione: ecco, allora pensa a quella creatura, piega con me le ginocchia e pensa alla mia felicità! Ma non dimenticare che io possedevo ciò che tu intuisci appena, che io vedevo con questi occhi ciò che a te appare soltanto fra le nuvole. che gli uomini possano così spesso illudersi, gioire… credetemi, non avete nemmeno ancora intuito che cosa sia la gioia, non vi è apparsa nemmeno l’ombra della sua ombra! e non andate parlando del cielo azzurro, voi che siete ciechi. Sì, quando vi abbraccia il respiro dolce dei fori e vi assopite felici ed ebbri fra i cespugli, quando intorno a voi aleggia un suono celeste di arpa come la pioggia che fa schiudere il cuore della terra, quando la marea dorata dell’alba vi inonda e vi perdete in essa, affogate nelle onde del cielo, allora potrete dire di possedere un’ombra, un’eco della mia gioia. poter tornare come bambini, far tornare l’epoca d’oro dell’innocenza, il tempo della pace e della libertà, quando sulla terra c’era un’unica gioia, un’unica oasi di pace! l’uomo non è forse invecchiato e appassito, non è come una foglia secca che non trova più l’albero cui apparteneva e viene sbattuta qua e là dai venti, fnché la sabbia

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begräbt? und dennoch kehrt sein Frühling wieder! – O weint nicht, wenn das trefichste verblüht! bald wird es auferstehen! Trauert nicht, wenn eures Herzens Melodie verstummt! bald fndet eine Hand sich wieder, es zu stimmen.

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non la seppellisce? eppure anche per lei tornerà la primavera. non piangete quando il meraviglioso appassisce, presto risorgerà. non siate tristi, se la melodia del vostro cuore tace: presto si troverà di nuovo una mano che lo accorderà.

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‹entwürfe zur endgültigen Fassung› ‹zum ersten Band. erstes Buch:›

Ja! Ja! bei deiner herrlichen Seele, du! du wirst mit mir das Vaterland erretten. »das werd ich, oder untergehn. – Von diesem Tag an wurden wir uns immer heiliger und lieber. Tiefer unbeschreiblicher ernst war unter uns gekommen, aber wir waren um so glüklicher zusammen. nur in den ewigen Grundtönen seines Wesens lebte jeder, und schmuklos schritten wir fort von einer großen Harmonie zur andern. Voll herrlicher Strenge und Kühnheit war unser leben. Wie bist du denn so wortarm geworden? fragte mich einmal Alabanda mit lächeln. in der heißern zone, sagt ich, näher der Sonne, singen ja auch die Vögel nicht. Aber es geht alles auf und unter in der Welt, und es hält der Mensch mit aller seiner Riesenkraft nichts fest. ich sah einmal ein Kind die Hand ausstreken, das Mondlicht festzuhalten, aber das licht gieng ruhig weiter seine Bahn, so sind wir, wenn das Schiksaal über uns hinzieht. O wer auch dem so still und sinnend, wie dem Gang der Sterne, zusehn könnte! Alabanda war natürlich freier und härter als ich in seinem Thun und lassen. Sein Schiksaal hatt ihn mehr dazu erzogen, sich auswärts umzuschauen, und klug und kühn, die gewöhnlichen Menschen zu beherrschen, die sein Auge, wie ein Bliz, durchdrang – und darum trug der Jüngling auch den alldemü-

‹Bozze per la stesura defnitiva› ‹dal primo volume, libro primo›124

Sì, sì, per la tua anima magnifca, tu, tu salverai con me la patria! «lo farò, o perirò». da quel giorno divenimmo sempre più sacri e cari l’uno per l’altro. una serietà profonda e indescrivibile era scesa fra noi, ma eravamo ancora più felici insieme. ciascuno viveva soltanto delle note basilari ed eterne del suo essere, e sobriamente ci muovevamo da una grande armonia all’altra. la nostra vita era colma di maestosa austerità e audacia. «come mai sei diventato così taciturno?» mi chiese una volta Alabanda sorridendo. «nelle zone torride, quelle più vicine al sole, non cantano nemmeno gli uccelli», dissi. Ma tutto sorge e tramonta nel mondo, e pur con tutta la sua forza titanica l’uomo non riesce a trattenere nulla. una volta vidi un bimbo allungare la mano per afferrare la luce della luna, ma la luce proseguì quieta il suo cammino, e così accade anche a noi, quando il destino ci passa oltre. chi sarebbe capace di starlo a guardare in tranquilla meditazione, come si guardano le stelle? Alabanda era, per natura, più libero e più severo di me nel modo di fare. il destino gli aveva insegnato soprattutto a guardarsi intorno e, intelligente e audace com’era, a dominare la gente comune che il suo sguardo penetrava come un fulmine; per questo il giovane portava sulla spalla

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thigenden Adlerskopf auf seiner Schulter – ich war lange nur mit meinem Herzen außer mir gewesen, und das Auge hatt’ ich aufwärts oder auf mich selbst gerichtet, so mußt er fröhlich weggehn über manches, was mich sties, so wie ich blind vorübergieng an manchem, was er | feiner sah, und war ich schon zuvor gestimmt, es mit der liebe nicht leicht zu nehmen, so war ichs jezt unendlich mehr. – Ach! je glüklicher du bist in ihr, um so weniger kostet es, dich zu Grunde zu richten. die seeligen Tage, wie Alabanda und ich sie lebten, sind wie eine jähe Felsenspize, wo dein Reisgefährte nur dich anzurühren braucht, um dich unabsehlich über die schneidenden zaken hinab, in die dämmernde Tiefe zu stürzen. O Bellarmin! es ist ein kühnes Wagestük des Herzens; so zu lieben, wie ich meinen Alabanda liebte! Aber ich weis nicht, was ich spreche! es soll auch zu nichts. du wirst dennoch nicht begreifen, daß es kommen mußte, wie es kam. Wir hatten eine herrliche Fahrt nach chios gemacht, hatten tausend Freude an uns gehabt; es war ein wunderschöner Tag, da wir zurükfuhren; wie die lüftchen über der Meeresfäche, waltete über uns der freundliche zauber der natur. Mit freudigem Staunen sah einer den andern, ohne ein Wort zu sprechen, aber das Auge sagte, so hab’ ich dich nie gesehen! So erheitert und gestärkt waren wir von dem einfuß des Himmels und der erde. Wir eilten, wie wir ausgestiegen waren, allein zu seyn. Wir hatten, mit heitrem Feuer, uns während der Fahrt über manches gestritten, und ich hatte wieder meine herzliche lust daran gehabt, diesem Geist auf seiner kühnen irrbahn zuzusehn, wo er so regellos, so in ungebundner Fröhlichkeit, und doch so sicher zu seinem ziele drang. du kanst niemand überzeugen, sagt ich jezt aus liebe und Scherz, du überredest, du bestichst die Menschen, ehe du an-

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l’altezzosa testa d’aquila. il mio cuore invece era stato a lungo al di fuori di me, e da lì aveva rivolto lo sguardo verso l’alto e verso me stesso; così egli doveva gioiosamente sorvolare su alcune cose che mi irritavano, mentre io ero cieco per altre che egli invece | coglieva con maggior chiarezza, e se prima ero già incline a non prendere l’amore alla leggera, ora lo ero ancor di più. Ah, quanto più sei felice, tanto meno ci vuole per annientarti. i giorni beati che Alabanda e io abbiamo vissuto sono come uno spuntone afflato di roccia dove basta che il tuo compagno di viaggio ti sfori per farti precipitare, senza volerlo, giù dalle creste taglienti, nella profondità indistinta. O Bellarmino, è un’impresa assai audace per il cuore amare così come io ho amato Alabanda! Ma non so quello che dico, non importa nulla. non capiresti comunque che doveva accadere ciò che è accaduto. Avevamo fatto una splendida gita a chio, eravamo al settimo cielo; era una giornata meravigliosa quando tornammo. come le brezze sulla superfcie del mare, aleggiava sopra di noi l’amichevole incanto della natura. con stupore gioioso ci guardavamo l’un l’altro, senza dire una parola, ma gli occhi dicevano: «non ti ho mai visto così!» Tanto eravamo rasserenati e rinvigoriti per l’infusso del cielo e della terra. una volta arrivati ci affrettammo per poter restare soli. con foga serena avevamo anche discusso su alcuni punti durante il viaggio, e mi ero divertito di cuore osservando il suo spirito vagare audace, farsi strada verso il traguardo in modo del tutto irregolare, con una spontanea allegria, eppure con sicurezza. «Tu non puoi convincere nessuno», dissi per scherzo con affetto, «tu travolgi, tu seduci chi ti ascolta ancora pri-

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fängst; man kann nicht zweifeln, wenn du sprichst, und wer nicht zweifelt, wird nicht überzeugt. Stolzer Schmeichler! rief er dafür, du lügst! aber gerade recht, daß du mich mahnst, du bist es, der die leute verblendet und besticht! du machst mich manchmal unvernünftig! um alle Kronen möcht’ ich mich nicht von dir befreien und doch ängstigt mich es oft, daß du mir so unentbehrlich seyn sollst, daß ich so gefesselt bin an dich. und sieh, fuhr er nach einer Weile fort, daß | 574

‹zum ersten Band. zweites Buch:›

So sprachen wir. ich gebe dir den Geist davon, aber was ist er ohne das leben? es dämmerte, und wir mußten gehn. Gute nacht, ihr engelsaugen! dacht ich im Herzen, und erscheine du bald mir wieder, schöner, göttlicher Geist, mit deiner Ruhe und Fülle! hyperIon an bellarmIn. ein paar Tage drauf kamen sie herauf zu uns. Wir giengen zusammen im Garten herum. diotima und ich geriethen voraus, vertieft, mir traten trunkne Thränen oft ins Auge, über das Heilige, das so einfältig zur Seite mir gieng. Vorn am Rande des Berggipfels standen wir nun und sahn hinaus in den unendlichen Osten. diotima’s Auge öffnete sich weit, und unmerklich wie eine Knospe sich aufschließt, schloß das ganze liebe Gesichtchen vor den lüften des Himmels sich auf und lauter Sprache und Seele ward es, worinn mein Herz

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ma di cominciare; non si può dubitare quando parli tu, e chi non dubita non viene convinto». «Orgoglioso adulatore», esclamò di rimando, «tu menti! Ma fai bene a mettermi in guardia, sei tu quello che acceca e seduce gli altri. Qualche volta mi hai fatto perdere il lume della ragione! per tutto l’oro del mondo non vorrei liberarmi di te, ma allo stesso tempo mi spaventa che tu mi sia così indispensabile, che io sia così legato a te. e vedi», proseguì dopo una pausa, | ‹dal primo volume, secondo libro›

di questo parlammo. Te ne ho riassunto lo spirito, ma che cos’è senza la vita? imbruniva e venne l’ora di andare. «Buona notte, occhi d’angelo!» pensai nel cuore, «e tu, bello spirito divino, fa’ che io ti riveda presto, con la tua pace e la tua pienezza!» IperIone a bellarmIno un paio di giorni dopo vennero da noi. passeggiammo insieme in giardino, diotima e io andammo avanti, assorti; lacrime ebbre mi spuntavano spesso negli occhi per la sacra creatura che mi camminava accanto con tanta semplicità. Arrivati sulla cima del monte ci fermammo e guardammo verso l’Oriente infnito. Gli occhi di diotima si spalancarono, e così impercettibilmente come si schiude un bocciolo, il dolce visetto si schiuse alle brezze del cielo e divenne tutto parola e anima, e il mio cuore aveva intuito

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das alles hatte geahndet, und die ganze Gestalt dehnte sich und wie der majestätische Kranich, wenn er den Flug beginnt, richtete die Gestalt des Mädchens sich auf. O unter den Armen hätt’ ich sie fassen mögen, und hinfiegen mit ihr über das Meer und seine inseln. nun trat sie weiter vor, und sah die schroffe Felsenwand hinab. Sie hatte ihre lust daran, die schrökende Tiefe zu messen, und sich hinab zu verlieren in die nacht der Wälder, die unten aus Felsenstüken und schäumenden Wetterbächen herauf die lichten Gipfel strekten. das Geländer, worauf sie sich stüzte, war etwas niedrieg. So durft’ ich es ein wenig halten, das Reizende indeß es sich vorwärts beugte. Ach! heiße zitternde Wonne durchlief mein Wesen und Taumel und Toben war in allen Sinnen, und die Hände brannten mir, wie Kohlen, indeß ich so sie berührte. und dann, und dann die Herzenslust, so traulich neben ihr zu | stehn, o und die zärtliche kindische Sorge, daß sie fallen möchte, und die Götterfreude an der Begeisterung des herrlichen Mädchens! O was ist alles unsterbliche, was in Jahrtausenden die Menschen dachten und thaten, gegen einen Augenblik der liebe! – es ist aber auch das gelungenste göttlichschönste in der natur! dahin führen alle Stufen auf der Schwelle des lebens. daher kommen wir, dahin gehn wir! hyperIon an bellarmIn. nur ihren Gesang sollt’ ich vergessen, nur diese Seelentöne sollten nimmer wiederkehren in meinen unaufhörlichen Träumen. Man kennt den stolzhinschiffenden Schwan nicht, so lang er schlummernd am ufer sizt.

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tutto. la fanciulla si drizzò mentre la sua fgura si protendeva come l’aquila maestosa quando sta per spiccare il volo. Oh, avrei voluto afferrarla per le braccia e volare con lei sul mare e sulle isole. Si sporse ancora di più scrutando la parete di roccia scoscesa. Si divertiva a misurare la profondità spaventosa per perdersi con lo sguardo nella notte dei boschi, che protendevano verso l’alto le esili cime fra picchi rocciosi e torrenti spumeggianti. il parapetto al quale si appoggiava era piuttosto basso, così la trattenni un poco, l’affascinante creatura, mentre si sporgeva in avanti. Ah, un piacere intenso e tremante mi pervase, vertigine e tumulto colsero tutti i miei sensi, mentre le mani bruciavano come tizzoni nel toccarla. e poi, poi il piacere intenso di esserle vicino | con tanta familiarità, il timore tenero e infantile che potesse cadere, e la gioia divina per l’entusiasmo della splendida fanciulla! Quanto vale l’immortalità, tutto ciò che gli uomini hanno pensato e fatto in migliaia di anni, in confronto a un attimo d’amore? Questa è anche la cosa più riuscita e più divinamente bella della natura, lì conducono tutti i gradini, alla soglia della vita. da lì veniamo, lì vogliamo andare. IperIone a bellarmIno Solo il suo canto vorrei dimenticare, solo quelle note dell’anima non dovrebbero più risuonare nei miei sogni incessanti. non si riconosce il cigno che nuota superbo, fnché sonnecchia accoccolato sulla riva.

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nur wenn sie sang, erkannte man sie, die liebe Schweigende, die so ungern sich zur Sprache verstand. da da gieng erst die Himmlischungefällige in ihrer Majestät und lieblichkeit hervor. da weht’ es oft so bittend und so schmeichelnd, oft, wie ein Göttergebot, von den zarten blühenden lippen. O wie das Herz sich regt’ in dieser göttlichen Stimme! wie alle Größe und demuth, alle Trauer und Freude des lebens verschönert im Adel dieser Töne erschien! Wie im Fluge die Schwalbe die Bienen hascht, ergriff sie immer uns alle. es kam nicht lust und nicht Bewunderung, es kam der Friede des Himmels unter uns. Tausendmal hab’ ichs ihr und mir gesagt: das schönste ist auch das heiligste. und so war alles an ihr; wie ihr Gesang so auch ihr leben. hyperIon an bellarmIn.

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unter den Blumen war ihr Herz zu Hause, als wär’ es eine von ihnen. Sie nannte sie alle mit nahmen, schuff ihnen aus liebe neue, schönere, und wußte genau die fröhlichste lebenszeit von jeder. Wie eine Schwester, wenn aus jeder eke ein Geliebtes ihr | entgegentönt, und jedes gern zuerst gegrüßt seyn möchte, so war das stille Wesen oft mit Aug und Hand beschäftigt, seelig zerstreut, wenn auf der Wiese wir giengen, oder im Walde. und das war so ganz nicht angenommen, angebildet, das war so mit ihr aufgewachsen. es ist doch ewig gewiß, und zeigt sich überall, je unschuldiger, schöner eine Seele, desto vertrauter mit den andern süßen leben, die man seelenlos nennt.

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Solo nel canto la si riconosceva, la cara taciturna che così malvolentieri si serviva del linguaggio. così, solo così si rivelava la celestiale ritrosa nella sua maestà e grazia; così, dalle dolci labbra in fore si diffondeva il suo canto ora implorante, ora suadente, ora come un comando divino. e come mi toccava il cuore quella voce divina, come si trasfguravano, nella nobiltà di quelle note, la grandezza e l’umiltà, il piacere e la tristezza della vita! come la rondine afferra in volo l’ape, così ci afferrava sempre tutti. non era il piacere né l’ammirazione, era la pace del cielo che scendeva tra noi. Mille volte l’ho ripetuto a lei e a me stesso: le cose più belle sono anche le più sacre. e così era tutto di lei; come il suo canto, così era anche la sua vita. IperIone a bellarmIno il suo cuore era di casa tra i fori, come fosse uno di loro. li chiamava tutti per nome, con amore dava loro nomi nuovi, più belli, e conosceva con precisione il tempo migliore per la foritura di ciascuno. come una sorella a cui da ogni angolo si fa incontro | un fratello, e ciascuno vorrebbe essere salutato per primo, così quell’essere quieto aveva mani e occhi impegnati, era beatamente distratto quando camminavamo nei prati o nel bosco. e non era un tratto acquisito, o affettato, era una parte di lei. È del resto una certezza eterna e risaputa: quanto più un’anima è bella e innocente, tanto più ha familiarità con le altre dolci forme di vita che noi chiamiamo inanimate.

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hyperIon an bellarmIn. Tausendmal hab’ ich in meiner Herzensfreude gelacht über die Menschen, die sich einbilden, ein erhabner Geist könne unmöglich wissen, wie man ein Gemüße bereitet. diotima konnte wohl zur rechten zeit recht herzhaft von dem Feuerheerde sprechen, und es ist gewiß nichts edler, als ein edles Mädchen, das die allwohlthätige Flamme besorgt, und, ähnlich der natur, die herzerfreuende Speise bereitet. hyperIon an bellarmIn.

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Was ist alles künstliche Wissen der Welt, was ist die ganze stolze Mündigkeit der menschlichen Gedanken gegen die ungesuchten kindlichen Töne dieses Geistes, der nicht wußte, was er wußte, was er war? Wer will die Traube nicht lieber voll und frisch, so wie sie aus der Wurzel quoll, als die getrokneten gepfükten Beere, die der Kaufmann in die Kiste preßt und in die Welt schikt? Sie schien immer so wenig zu sagen und sagte so viel. ich geleitete sie einst in später dämmerung nach Hauße, wie Träume beschlichen thauende Wölkchen die Wiese, wie lauschende Genien, sahn die seeligen Sterne durch die zweige. Man hörte selten ein »wie schön!« aus ihrem Munde, wenn | schon das fromme Herz kein Summen einer Biene unbehorcht ließ. dißmal sprach sie es denn doch mir aus – wie schön! es ist wohl uns zu liebe so! sagt ich, ungefähr wie Kinder etwas sagen, weder im Scherze noch im ernste.

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IperIone a bellarmIno Mille volte ho riso, con la gioia nel cuore, di quegli uomini che sono convinti che uno spirito sublime non possa assolutamente sapere come si cuoce la verdura. A tempo debito, diotima sapeva parlare con entusiasmo della cucina, e non c’è certamente nulla di più nobile di una nobile fanciulla che accudisce la benefca famma e, simile alla natura, prepara il cibo che rallegra il cuore. IperIone a bellarmIno che cos’è tutto il sapere acquisito del mondo, tutta la maturità presuntuosa del pensiero umano in confronto alle note spontanee e infantili di quello spirito che non sapeva ciò che sapeva, ciò che era? chi non preferisce il grappolo maturo e fresco, direttamente dalla pianta, piuttosto che gli acini raccolti e seccati, schiacciati dal mercante in una cesta e spediti in giro per il mondo? Sembrava sempre dire così poco, eppure diceva così tanto. una volta la accompagnai a casa a tarda sera; come sogni, nuvolette di vapore si aggiravano sul prato, le stelle occhieggiavano beate fra i rami come geni in ascolto. la si udiva raramente esclamare: «che bello!», anche se | il cuore devoto non tralasciava di ascoltare nemmeno il ronzio di un’ape. Ma questa volta lo disse… «che bello!» «È così per noi!» dissi come fanno i bambini quando parlano un po’ per scherzo, un po’ sul serio.

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ich kann mir denken, was du sagst, erwiederte sie; ich denke mir die Welt am liebsten, wie ein häuslich einig leben, wo man ist, als sänne man vorher einzig darauf, sich ineinander zu schiken. Froher erhabner Glaube! rief ich. Sie schwieg und ließ mir zeit, den tiefen, vielumfassenden Sinn in ihren Worten zu erschöpfen. Auch wir sind also Kinder des Hauses, begann ich endlich wieder, sind es und werden es seyn? Werden ewig es seyn, erwiederte sie. »Werden wir das?« ich vertraue, fuhr sie fort, hierinnen der natur, so wie ich täglich ihr vertraue. O! ich hätte mögen diotima seyn, da sie diß sagte! Aber du weist nicht, was sie sagte, mein Bellarmin! du hast es nicht gesehn und nicht gehört, was sie sprach. du hast Recht, rief ich ihr zu, natur ist ewige Schönheit, und die ewige Schönheit, leidet keinen Verlust in sich, so wie sie keinen zusaz leidet. ihr Schmuk ist morgen anders, als er heute war. Aber unser Bestes, uns kann sie nicht entbehren und dich am wenigsten. du glaubest, daß wir ewig sind, denn deine Seele fühlt die Schönheit der natur. Sie ist ein Stükwerk, ist die göttliche, die Vollendete nicht, wenn jemals du in ihr vermißt wirst. Sie verdient dein Herz nicht, wenn sie erröthen muß vor deinen Hoffnungen. Aber sie verdient es, diotima, sie verdient es! Sie allein. hyperIon an bellarmIn. So bedürfnißlos, so göttlichgenügsam hab ich nichts gekannt. Wie die Wooge des Oceans das Gestade seeliger inseln, umfuthete mein ruheloses Herz den Frieden dieses himmlischen Mädchens. |

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«immagino cosa intendi», mi rispose; «mi piace immaginarmi il mondo come la vita di una famiglia, unita, dove ciascuno pensa solo a vivere in armonia con gli altri». «Felice, sublime pensiero!» esclamai. Tacque, lasciandomi il tempo di comprendere fno in fondo il senso profondo e universale delle sue parole. «Anche noi, quindi, facciamo parte di quella famiglia?» ripresi io infne, «ne facciamo e ne faremo parte?» «ne faremo parte per sempre», replicò. «davvero?» «in questo mi affdo alla natura», proseguì, «proprio come mi affdo a lei ogni giorno». Oh, avrei voluto essere diotima nel momento in cui lo disse! Ma tu non puoi sapere che cosa disse, caro Bellarmino, non hai visto e non l’hai sentito. «Hai ragione», replicai, «la natura è eterna bellezza, e l’eterna bellezza non soffre alcuna perdita, né alcun incremento. i suoi ornamenti di domani saranno diversi da quelli di oggi, ma della cosa migliore, di noi non può fare a meno, e di te meno che mai. crediamo di essere eterni perché la nostra anima percepisce la bellezza della natura, ma non sarebbe un’opera d’arte, non sarebbe divina né perfetta se tu dovessi mai mancarle. non si merita il tuo cuore, se arrossisce davanti alle tue speranze. Ma lo merita, diotima, lo merita! lei sì». IperIone a bellarmIno non ho conosciuto nessuno che fosse così privo di esigenze, così divinamente autosuffciente. come le onde dell’oceano lambiscono le spiagge di isole felici, così il mio cuore inquieto lambiva la pace della celeste fanciulla. |

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Ach! ich hatt’ ihr nichts zu geben, als ein Gemüth voll wilder Widersprüche, voll blutender erinnerungen, nichts hatt’ ich ihr zu geben, als meine gränzenlose liebe, mit ihren tausend Sorgen, ihren tausend tobenden Hoffnungen, sie aber stand vor mir in wandelloser Schönheit, mühelos in lächelnder Vollendung da, und alles Sehnen, alles Träumen der Sterblichkeit – ach! alles, was in seiner goldnen Morgenstunde von höhern Regionen der Genius weissagt, es war alles in dieser einen stillen Seele erfüllt – Man sagt sonst, über den Sternen verhalle der Kampf, und künftig erst, verspricht man uns, wenn unsre Hefe gesunken sei, verwandle sich in edeln Freudenwein das gährende leben, die Herzensruhe der Seeligen sucht sonst auf diesem entwürdigten Boden niemand mehr. ich weiß es anders – o ich bin den nähern Weg gekommen, ich stand vor ihr, und hört’ und sah den Frieden des Himmels, und mitten im seufzenden chaos erschien mir urania. Wie oft hab’ ich meine Klagen vor diesem friedlichen Bilde gestillt! wie oft hat sich das übermüthige leben und der zweifelnde Geist besänftigt, wenn ich, in seelige Betrachtungen versunken, ihr ins Herz sah, wie in die Quelle, wenn sie still erbebt von den Berührungen des Himmels, der in Silbertropfen auf sie niederträufelt! Sie war mein lethe, diese Seele, mein heiliger lethe, woraus ich die Vergessenheit des daseyns trank, daß ich vor ihr stand, wie ein unsterblicher, und freudig mich schalt, und wie nach schweren Träumen, lächeln mußte über alle Ketten, die mich gedrükt! O ich wär ein glüklicher, ein treficher Mensch mit ihr geworden! Mit ihr! aber das sollte nicht so seyn, und nun irr’ ich herum in dem, was vor und in mir ist, und drüber hinaus, und weiß nicht, was ich machen soll aus mir und andern dingen.

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Ah, io non avevo nulla da offrirle se non un animo colmo di selvagge contraddizioni, colmo di ricordi sanguinanti, nulla avevo da offrirle se non il mio amore sconfnato con le sue mille pene, le sue mille folli speranze; lei invece era davanti a me in una bellezza immutabile, senza affanno, in una sorridente perfezione, e tutti i desideri, tutti i sogni dei mortali... Ah, tutto ciò che dalle regioni più alte il genio profetizza nelle ore dorate dell’alba, tutto si compiva in quell’anima unica e quieta... Si dice di solito che la battaglia si spegne oltre le stelle, e solo in seguito, ci è stato promesso, dopo che il nostro lievito si è consumato, la vita che fermenta si tramuterà nel nobile vino di gioia; la pace del cuore dei beati nessuno più la cerca su questo suolo sconsacrato. io so che non è così. io ho seguito la via più breve: ero lì davanti a lei, vedevo e sentivo la pace celeste, e nel mezzo del caos che gemeva mi apparve urania. Quante volte ho placato i miei lamenti davanti a quell’immagine di pace! Quante volte la vita arrogante e lo spirito dubbioso si sono ammansiti quando, sprofondato nella beata contemplazione, guardavo nel suo cuore come si guarda in una sorgente che sussulta quieta ai tocchi del cielo che si riversa in lei con gocce d’argento. era il mio lete, quell’anima, il sacro lete dal quale suggevo l’oblio dell’esistenza, tanto che davanti a lei mi sentivo un immortale e mi rimproveravo gioioso, e come dopo un brutto sogno sorridevo di tutte le catene che mi avevano oppresso. Oh, sarei diventato un uomo felice, un uomo migliore con lei! con lei! Ma non doveva accadere, e ora vago fra ciò che è in me, ciò che è davanti a me e oltre ancora, e non so cosa fare di me né di tutto il resto.

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das arme Wesen ist aus seinem elemente auf den ufersand geworfen, und windet sich und wirft sich umher, bis es vertroknet an der Mittagshizze. Ach! gäb’ es nur noch etwas in der Welt für mich zu thun! gäb’ es eine Arbeit, einen Krieg für mich! das sollte mich erquiken! Knäblein, die man von der Mutterbrust gerissen, und in die | Wüste geworfen, hat einst, so sagt man, eine Wölfn gesäugt. Aber mein Herz ist nicht so glüklich. hyperIon an bellarmIn. ich kann nur hie und da ein Wort von ihr sagen. ich muß vergessen, was sie ganz ist, wenn ich von ihr sprechen soll. Ach! ich muß mich täuschen, als hätte sie vor alten zeiten gelebt, als wüßt’ ich durch erzählung einiges von ihr, wenn ihr lebendig Bild mich nicht ergreiffen soll, daß ich vergehe im entzüken, und im Schmerz, wenn ich den Tod der Freude über sie, und den Tod der Trauer um sie nicht sterben soll. hyperIon an bellarmIn. es ist umsonst; ich kanns mir nicht verbergen. Wohin ich auch entfiehe mit meinen Gedanken, in die Himmel hinauf und in den Abgrund, zum Anfang und ans ende der zeiten, selbst wenn ich ihm, der meine lezte zufucht war, der sonst noch jede Sorge in mir verzehrte, der alle lust und Schmerz des leben sonst mit der Feuerfamme, worinn er sich offenbahrte, in mir versengte, selbst wenn ich ihm mich in die Arme werfe, dem herrlichen geheimen Geiste der Welt, in

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il poverino è stato gettato sulla riva, fuori dal suo elemento, e si contorce dibattendosi in qua e in là fnché non dissecca nella calura del mezzogiorno. Ah, ci fosse ancora qualcosa da fare per me nel mondo! ci fosse ancora un compito per me, una guerra, sarebbe un sollievo! dei lattanti, strappati dal seno della madre e | abbandonati nel deserto, sono stati, si dice, allattati da una lupa, ma il mio cuore non è così fortunato. IperIone a bellarmIno posso dire qualcosa di lei solo ogni tanto. devo dimenticare com’è nel suo insieme, per poter parlare di lei. Sì, devo ingannarmi, far fnta che sia vissuta in un’epoca remota, come se sapessi qualcosa di lei solo per sentito dire, in modo che la sua immagine vivida non mi afferri facendomi struggere nell’estasi e nel dolore ogni volta che devo morire di gioia per lei e di tristezza con lei. IperIone a bellarmIno Tutto è inutile, non posso nascondermelo. dovunque fugga con il pensiero, nei cieli o negli abissi, all’inizio o alla fne del tempo, anche se mi gettassi tra le braccia di colui che era il mio ultimo rifugio, che in genere dissipava in me ogni timore, che estingueva tutto il piacere e il dolore della vita con la famma di fuoco in cui si manifestava: anche se mi gettassi tra le braccia del maestoso, misterioso spirito del mondo, anche se mi inabissassi nelle

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seine Tiefe mich tauche, wie in den bodenlosen Ozean hinab, auch da, auch da fnden die süßen Schreken mich aus, die süßen verwirrenden Schreken, daß diotimas Grab mir nah ist. Hörst du? hörst du? diotimas Grab! Mein Herz war doch so stille geworden, und meine liebe war begraben mit der Todten, die ich liebte. du weist, mein Bellarmin, ich schrieb dir lange nicht von ihr, und als ich schrieb, so schrieb ich dir gelassen, wie ich meine. Was ists denn nun? ich gehe ans ufer hinaus, und sehe nach Kalaurea hinüber, das ists. | O! daß ja keiner den Kahn mir leihe! daß ja sich keiner erbarme, und mir sein Ruder biete und mir hinüberhelfe zu ihr! daß ja das gute Meer nicht ruhig bleibe, damit ich nicht ein Holz mir zimmre, und hinüber schwimme zu ihr! Aber in die tobende See will ich mich werfen, und ihre Wooge bitten, daß sie an diotimas Gestade mich wirft. O es ist kindisch, was ich träume, aber mir genügt daran. Genügen? ach! das wäre gut! da wäre ja geholfen, wo kein Gott nicht helfen kann! nun! nun! ich habe, was ich konnte, gethan, ich fodre von dem Schiksaal meine Seele. hyperIon an bellarmIn. War sie nicht mein, ihr Schwestern des Schiksaals, war sie nicht mein? die reinen Quellen fodr ich auf zu zeugen, die unschuldigen Bäume, die uns belauschten, und das Tagslicht und den heiligen Aether! War sie nicht mein? vereint mit mir in allen Tönen des lebens? – Mir ward ein Geist, zu richten, zu gebieten. der übte früh

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sue profondità come nell’oceano senza fondo, anche là mi scoverebbe il dolce orrore, quel dolce orrore che mi turba quando sono vicino alla tomba di diotima. capisci? capisci? la tomba di diotima! il mio cuore era divenuto così quieto, e il mio amore era sepolto con la defunta che amavo. lo sai, Bellarmino, per lungo tempo non ti scrissi di lei, e quando l’ho fatto ero tranquillo, almeno credo. che cosa succede ora? Vado sulla spiaggia e guardo verso calauria, ecco che cosa succede. | Oh, che nessuno mi presti una barca, che nessuno si impietosisca e mi offra un remo per aiutarmi a raggiungerla! che il buon mare non rimanga calmo, affnché io non possa usare un legno per nuotare fn laggiù da lei. Ma mi butterei anche nel mare in tempesta e supplicherei le onde di scagliarmi sulla spiaggia di diotima. lo so, sono sogni infantili, ma mi accontento. Accontentarsi? Ah, sarebbe bello! Sarebbe un rimedio dove nemmeno un dio può rimediare. Va bene, va bene, ho fatto quello che potevo, ora pretendo dal destino la mia anima. IperIone a bellarmIno non era forse mia, sorelle del destino, non era forse mia? chiamo a testimoni le limpide sorgenti e gli alberi innocenti che ci ascoltavano, e la luce del giorno, e il sacro etere! non era forse mia, unita a me in tutti gli accordi della vita? Sopravvenne in me uno spirito che comandava, ordinava. usò presto la sua spada, fece sparire subito come pol-

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sein Schwerd, der streifte bald, wie Staub, der Knechtschaft Ketten ab, und der, der Gott in mir führt meine Sache. Wo ist das Wesen, das, wie meines, sie erkannte? in welchem Spiegel sammelten sich, sowie in mir, die Strahlen dieses lichts? erschrak sie freudig nicht vor ihrer eignen Herrlichkeit, da sie zuerst in meiner Freude sich gewahr ward? Ach! wo ist das Herz, das so, wie meines, überall ihr nah war! so, wie meines, sie erfüllte, von ihr erfüllt war, das, wie meines, einzig da war, ihres zu umfangen, für sie da war, wie die Wimper für das Auge? Wir waren eine Blume nur und unsre Seelen lebten umeinander, wie die Blume wenn sie liebt, und ihre zarten Freuden im verschloßnen Kelche verbirgt. und doch, doch wurde sie von mir, wie eine angemaaßte Krone gerissen und in den Staub gelegt. | 581

hyperIon an bellarmIn. noch eh’ es eines von uns beeden wußte, waren wir unser. Wenn ich so mit allen Huldigungen des Herzens, seelig überwunden vor ihr stand und schwieg, und wie die Sterne, mein Geist, mein leben sich hingab, in den Strahlen des Augs, das sie nur sah, nur sie umfaßte, und sie dann zärtlichzweifelnd mich betrachtete, und nicht wußte, wo ich war mit meinen Gedanken, ach! wenn ich oft begraben in lust und Schönheit, bei einem reizenden Geschäffte sie belauschte, und um die leiseste Bewegung, wie die Biene um die schwanken zweige, meine Seele schweift’ und fog, und merkte, wie die Blume, die an ihrer Brust sich freute, auf und nieder wankt’ und wenn sie dann in friedlichen Gedanken gegen mich sich wandt’; und überrascht von meiner Freude, meine Freude sich verbergen mußt’, und bei der lieben Arbeit ihre Ruhe wieder sucht’ und fand,

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vere le catene della servitù, e lui, il dio in me, porta avanti la mia causa. dov’è l’essere che l’ha conosciuta come me? in quale specchio convergevano, come in me, i raggi di quella luce? non si è spaventata del suo stesso splendore quando, con gioia, ne è divenuta consapevole per la prima volta grazie alla mia gioia? Ah, dov’è il cuore che le era vicino dovunque come il mio, che la appagava come il mio ed era appagato da lei come il mio, che esisteva unicamente per abbracciare il suo, che esisteva per lei come le ciglia esistono solo per l’occhio? eravamo un solo fore e le nostre anime vivevano l’una nell’altra come il fore quando ama, e nasconde le sue tenere gioie nel calice socchiuso. eppure, eppure mi è stata strappata e gettata nella polvere come una corona usurpata. | IperIone a bellarmIno prima ancora che ce ne accorgessimo, ci appartenevamo. Quando mi trovavo davanti a lei con tutta la devozione del cuore, e tacevo sopraffatto dalla felicità e, come le stelle, il mio spirito, la mia vita si riversavano negli sguardi che vedevano soltanto lei, abbracciavano soltanto lei, e lei mi osservava teneramente perplessa, non sapendo dove mi portavano i miei pensieri; ah spesso, sopraffatto dal piacere e dalla bellezza, quando la spiavo indaffarata e affascinante e a ogni suo minimo movimento la mia anima aleggiava e volava come l’ape intorno ai giovani rami, quando osservavo il fore che gioiva sul suo petto sollevarsi e abbassarsi; e quando lei, assorta in pacifci pensieri, si voltava verso di me ed era sorpresa dalla mia gioia, tanto che la dovevo nascondere e lei cercava e trovava di nuovo la pace nelle sue care

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Appendice

wenn sie, wunderbar allwissend, jeden Wohlklang, jeden Mislaut in der Tiefe meines Wesens, im Momente, da er entstand, noch eh’ ich selbst ihn wahrnahm, mir verkündete, wenn sie jeden Schatten eines Wölkchens auf der Stirne, jeden Schatten einer Wehmuth, eines Stolzes auf der lippe, jeden Funken mir im Auge sah, wenn sie die ebb’ und Fluth des Herzens mir behorcht’ und sorgsam trübe Stunden ahndete, indeß mein Geist, zu unenthaltsam, zu verschwenderisch, im üppigen Gespräche sich verzehrte, wenn das liebe Wesen treuer, wie ein Spiegel, jeden Wechsel meiner Wange mir verrieth, und oft in freundlichen Bekümmernissen über mein unstet Wesen, mich ermahnt und strafte, wie ein theures Kind, ach! da du oft im fernen Walde mich sahst, da du einst, unschuldige, an den Fingern die Treppen zähltest, von unsrem Berge herab, zu deinem Hauße, da du deine Spaziergänge mir wiesest, die pläze wo du sonst gesessen, – und mir erzähltest, wie die zeit dir da vergangen, und mir am ende sagtest, es sei dir jezt, als wär’ ich auch von jeher da gewesen, waren wir da nicht unser? | 582

hyperIon an bellarmIn. ich baue meinem Herzen ein Grab, damit es ruhen möge; ich spinne mich ein, dieweil es Winter ist; in seeligen erinnerungen hüll’ ich vor dem Sturme mich ein. Wir saßen mit notara und einigen andern, die wie wir zu den Sonderlingen in Kalaurea gehörten, in diotimas Garten, unter den Akatiabäumen, und sprachen unter anderem über die Freundschaft. ich hatte wenig mich darein gemischt, ich hütete mich seit einiger zeit, viel Worte zu machen von dingen, die das Herz zunächst angehn, meine diotima hatte mich so einsylbig gemacht – da Harmodius und Aristogiton lebten, |

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occupazioni; quando lei, meravigliosamente onnisciente, mi rivelava ogni nota e ogni stonatura nel profondo del mio essere nel momento stesso in cui emergeva, ancora prima che io la percepissi, quando scorgeva l’ombra di una nuvoletta sulla mia fronte, ogni accenno di nostalgia o di orgoglio sulle labbra, ogni scintilla nei miei occhi; quando ascoltava attenta l’alta e la bassa marea del cuore e intuiva preoccupata ore tristi mentre il mio spirito, irrefrenabile e troppo prodigo, si consumava in eccessivi discorsi; quando la cara creatura, più fedele di uno specchio, mi rivelava ogni cambiamento del mio volto, e mi ammoniva e mi sgridava per la mia irrequietezza con gentile sollecitudine, come si fa con un caro bambino... Tu che mi scorgevi nel bosco in lontananza, tu che una volta, innocente, hai contato sulle dita i gradini dalla cima del nostro monte alla tua casa, tu che mi mostravi le tue passeggiate, i luoghi dove sedevi e mi raccontavi come passavi il tempo, e alla fne mi dicesti che era come se anch’io fossi stato là da sempre... non ci appartenevamo allora? | IperIone a bellarmIno costruisco una tomba per il mio cuore, affnché possa riposare; mi rinchiudo in un bozzolo, perché dappertutto è inverno; mi riparo dalla tempesta avvolgendomi nei ricordi felici. Sedevamo nel giardino di diotima con notara e alcuni altri che, come noi, erano tra i solitari di calauria; sotto le acacie parlavamo, fra le altre cose, dell’amicizia. io ero intervenuto poco, da qualche tempo mi trattenevo dal dire troppo su cose che riguardavano in primo luogo il cuore; la mia diotima mi aveva reso taciturno... Ai tempi di Armodio e Aristogitone, |

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‹zum zweiten Band. erstes Buch:›

hyperIon an bellarmIn. diotimas erblassen, da sie Alabandas Brief las, gieng mir durch die Seele. drauf feng sie an, gelassen und ernst, den Schritt mir abzurathen, und wir sprachen manches hin und wieder; o ihr Gewaltsamen, rief sie endlich, die ihr so schnell zum Äußersten seid, denkt an die nemesis! Wer Äußerstes leidet, sagt ich, dem ist das Äußerste recht. Wenn’s auch recht ist, rief sie, du bist nicht dazu geboren. So scheint es, sagt ich, ich hab’ auch lange genug gesäumt. O ich möchte einen Atlas auf mich laden, um die Schulden meiner Jugend abzutragen. Hab ich ein Bewußtseyn, diotima? Hab’ ich ein Bleiben in mir? O laß mich! Hier, gerad in solcher Arbeit muß ich es erbeuten. das ist eitel Übermuth! rief diotima. neulich warst du bescheidner, neulich, da du sagtest, ich muß noch ausgehn, zu lernen, ich bilde, aber ich bin nicht geschikt – erinnerst du dich? liebe Sophistin, rief ich, damals war ja auch von ganz was anderem die Rede. in den Olymp des Göttlichschönen, wo aus ewigjungen Quellen das Wahre mit allem Guten entspringt, dahin mein Volk zu führen, bin ich noch izt nicht geschikt. Aber ein Schwerd zu brauchen, hab’ ich gelernt, und mehr bedarfs für izt nicht. der neue Geisterbund kann in der luft nicht leben, die heilige Theokratie des Schönen muß in einem Freistaat wohnen, und der will plaz auf erden haben, und diesen plaz erobern wir. du wirst erobern, rief diotima, und vergessen wofür? wirst, wenn es hoch kömmt, einen Freistaat dir erzwingen und dann sagen, wofür hab’ ich gebaut? ach! es wird verzehrt seyn all das

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‹dal secondo volume, primo libro›

IperIone a bellarmIno il pallore di diotima, mentre leggeva la lettera di Alabanda, mi toccò fn nell’anima. poi cominciò, calma e seria, a sconsigliarmi quel passo, e ne parlammo ancora e ancora. «O voi violenti», esclamò infne, «che arrivate così in fretta alle soluzioni estreme, pensate alla nemesi!» «chi soffre all’estremo arriva all’estremo», dissi. «Anche se fosse così, tu non sei nato per quello». «così pare», dissi, «infatti ho cincischiato fn troppo. Vorrei potermi caricare sulle spalle un Atlante per scontare le colpe della mia giovinezza. Ho una coscienza, diotima? Ho una certezza in me? Oh lasciami andare, ora, proprio in questa impresa devo conquistarmele». «È solo vana presunzione!» esclamò diotima. «ultimamente eri più modesto, poco tempo fa, quando dicesti che dovevi viaggiare per imparare, io costruisco ma non con abilità... Ti ricordi?» «cara la mia sofsta», dissi, «allora si parlava di tutt’altro. Sull’Olimpo del divinamente bello, dove il vero e tutto ciò che è buono scaturiscono da sorgenti eternamente giovani: non sono ancora in grado di condurre lassù il mio popolo. Ma maneggiare una spada, quello so farlo, e per ora non ci serve altro. la nuova alleanza degli spiriti non può vivere nell’aria, la sacra teocrazia del bello deve vivere in uno Stato libero, ha bisogno di uno spazio sulla terra e noi glielo conquisteremo, quello spazio». «Vuoi conquistare, ma dimentichi perché?» chiese diotima. «Vuoi creare con la forza, se tutto va bene, uno Stato libero, per poi chiederti: per che cosa l’ho creato?

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schöne leben, das daselbst sich regen sollte, wird verbraucht seyn selbst in dir! der wilde Kampf wird dich zerreißen, schöne Seele, du wirst altern, seeliger Geist! und lebensmüd am ende fragen, wo seid ihr nun, ihr ideale der Jugend! das ist grausam, diotima, rief ich, so ins Herz zu greifen, so an meiner eignen Todesfurcht, an meiner höchsten lebenslust mich | vestzuhalten – aber nein! nein! nein! der Knechtsdienst tödtet, aber gerechter Krieg macht jede Seele lebendig. das giebt dem Golde die Farbe der Sonne, daß man so ins Feuer es wirft! das, das giebt erst dem Menschen seine ganze Jugend, daß er Fesseln zerreißt! das rettet ihn allein, daß er sich aufmacht und die natter zertritt, das kriechende Jahrhundert, das alle schöne natur im Keime vergiftet. – Altern sollt’ ich, diotima? wenn ich Griechenland befreie? altern, ärmlich werden, wie ein gemeiner Mensch? O so war er wohl recht schaal und leer und gottverlassen, der Athenerjüngling, da er als Siegesbote von Marathon über den Gipfel des pentele kam und hinabfog in die Thäler von Attika! lieber! lieber! rief diotima, sei doch still! ich sage dir kein Wort mehr. du sollst gehn! sollst gehen, stolzer Mensch! Ach! wenn du so bist, hab’ ich keine Macht, kein Recht auf dich. Sie weinte bitter und ich stand, wie ein Verbrecher, vor ihr. Vergieb mir, göttliches Mädchen! rief ich, niedergesunken, o vergieb mir, wo ich muß! ich wähle nicht, ich sinne nicht. eine Macht ist in mir, und ich weiß nicht, ob ich es selbst bin, was zu dem Schritte mich treibt. deine volle Seele gebietet dirs, antwortete sie. ihr nicht zu folgen, führt leicht zum untergange, doch ihr zu folgen, wohl auch. das beste ist, du gehst, denn es ist größer. Handle du! ich will es tragen.

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Ah, sarà dilapidata, tutta la vita bella che lì dovrebbe dispiegarsi, persino in te sarà esaurita. la lotta selvaggia ti distruggerà, anima bella, e tu invecchierai, spirito felice! e alla fne, stanco della vita, ti chiederai dove siano fniti, gli ideali della giovinezza». «È crudele, diotima, tormentarmi così, trattenermi facendo leva sulla mia paura della morte, sul mio enorme | desiderio di vita... Ma no, no, no! il lavoro servile uccide, una guerra giusta invece ravviva l’anima. Si dà all’oro il colore del sole, se lo si getta nel fuoco! Questo, solo questo restituisce all’uomo tutta la giovinezza, infrangere le catene! Solo questo lo salva, alzarsi e calpestare la serpe, il secolo strisciante che avvelena tutta la bella natura nel germoglio. e io dovrei invecchiare, diotima, se libero la Grecia? invecchiare, diventare misero, un uomo qualunque? doveva essere davvero insignifcante, vuoto e dimenticato da dio il giovane ateniese, messaggero di vittoria, quando da Maratona raggiunse la cima del pentelico e da lì volò verso le valli dell’Attica!» «Mio caro, caro, basta, non dirò più una parola», esclamò diotima. «Andrai, andrai, orgoglioso come sei! Ma se la pensi così, non ho alcun potere, non ho alcun diritto su di te». piangeva amaramente mentre io, davanti a lei, mi sentivo un malfattore. «perdonami, fanciulla divina!» dissi, cadendo in ginocchio davanti a lei, «perdonami, perché devo! non scelgo, non rifetto. una forza è in me e non saprei dire se sono veramente io a volere questo passo». «Tutta la tua anima te lo impone», rispose. «non ubbidirle ti porterebbe facilmente alla rovina, ma anche ubbidendole accadrà lo stesso. la cosa migliore è che tu vada, è più grande di noi. Tu agisci, io lo sopporterò».

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hyperIon an bellarmIn.

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diotima war von nun an wunderbar verändert. Mit Freude hatt’ ich gesehen, wie seit unserer liebe das verschwiegne leben aufgegangen war in Bliken und lieblichen Worten, und ihre genialische Ruhe war mir oft in glänzender Begeisterung entgegengekommen. Aber ach! wie so fremd wird uns die schöne Seele, wenn sie nach dem ersten Aufblühn, nach dem Morgen ihres Wachstums auf die Mittaghöhe nun muß! Man kannte fast das seelige Kind nicht mehr. und dennoch war sie immer dieselbe. O wie lag ich manchmal vor dem leidenden Götterbilde, und | wähnte die Seele hinwegzuweinen im Schmerz um sie, und stand bewundernd auf und selber voll von allmächtigen Kräften! eine Flamme war ihr ins Auge gestiegen aus der gepreßten Brust. es war ihr zu enge geworden im Busen voll Wünschen und leiden; darum waren die Gedanken des Mädchens so herrlich und kühn. eine neue Größe, eine sichtbare Gewalt über alles, was fühlen konnte, herrscht’ in ihr. Sie war ein höhres Wesen. Sie gehörte zu sterblichen Menschen nicht mehr. O meine diotima, hätt’ ich damals gedacht, wohin das kommen sollte? hyperIon an bellarmIn. Auch der kluge notara wurde bezaubert von den neuen entwürfen, versprach mir eine starke parthei, hoffte bald den Korinthischen isthmus zu besezen und Griechenland hier, wie an der Handhabe, zu fassen. Aber das Schiksaal wollt’ es anders und machte seine Arbeit unnüz, ehe sie ans ziel kam. er rieth mir, nicht nach Tina zu gehn, geradezu den pelopones hinab zu reisen, zu Fuß und ohne Begleitung, und durchaus

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IperIone a bellarmIno da quel momento in poi diotima subì uno strano mutamento. con gioia avevo visto con il nostro amore la vita taciturna schiudersi in sguardi e parole dolci, e la sua pace serafca mi si era spesso fatta incontro in un entusiasmo splendente. Ma poi, come ci diviene estranea l’anima bella quando, dopo la prima foritura, dopo gli albori della crescita, deve affrontare il culmine del giorno! Quasi non la si riconosceva più, la dolce fanciulla, eppure era sempre la stessa. Qualche volta mi prostravo davanti alla triste immagine divina | e credevo che mi si sciogliesse l’anima in lacrime tanto era il dolore per lei, poi mi rialzavo meravigliato e pieno di forza onnipotente. una famma le era salita negli occhi dal petto soffocato. era diventato troppo angusto, il seno colmo di desideri e sofferenza, per questo i pensieri della fanciulla erano così maestosi e audaci. una nuova grandezza, un potere tangibile su tutto ciò che aveva sentimenti la dominava. era un essere superiore, non apparteneva più agli uomini mortali. O mia diotima, se avessi saputo come sarebbe fnita! IperIone a bellarmIno Anche l’intelligente notara fu affascinato dai nuovi progetti, mi promise un folto gruppo di uomini, sperava di occupare in fretta l’istmo di corinto per prendere poi da lì la Grecia come da una maniglia. Ma il destino volle diversamente e rese vano il suo lavoro prima ancora che fosse ultimato. Mi consigliò di non andare a Tinos, ma di viaggiare dritto attraverso il peloponneso, a piedi e senza scorta, per dare

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so unbemerkt, als möglich. Meinem Vater sollt’ ich unterwegens schreiben, meint’ er. der bedächtige Alte würde leichter einen geschehenen Schritt verzeihn, als einen ungeschehenen erlauben. ich zweife, fuhr er fort, ob du wirst auf seine thätige Hülfe rechnen können. darum geb’ ich dir, was nötig ist für dich, um eine zeitlang in allen Fällen zu leben und zu wirken. Kannst du einst, so zahlst du mir es zurük. Wo nicht, so war das meine auch dein. Schäme des Gelds dich nicht, sezt’ er lächelnd hinzu, auch die Rosse des phöbus leben von der luft nicht allein, wie uns die dichter erzählen. | 586

hyperIon an bellarmIn. nun kam der Abschiedstag. ich war den Morgen über oben in notaras Garten geblieben, in der frischen Winterluft, unter den immergrünen cypressen und lorbeern. ich war gefaßt. die großen Kräfte der Jugend hielten mich aufrecht, und das leiden, das ich ahndete, trug, wie eine Wolke, mich höher. diotimas Mutter hatte notara und die andern Freunde und mich gebeten, daß wir noch den lezten Tag bei ihr zusammenleben möchten. die Guten hatten sich alle meiner und diotimas gefreut; und das Göttliche in unserer liebe war an ihnen nicht verloren geblieben. Sie sollten nun mein Scheiden auch mir seegnen. ich gieng hinab. ich fand das theure Mädchen am Heerde. es schien ihr ein heilig priesterlich Geschäfft, an diesem Tage das Haus zu besorgen. Sie hatte alles zu recht gemacht, alles im Hauße verschönert, und es durft’ ihr niemand dabei helfen. Alle Blumen, die noch übrig waren im Garten, hatte sie eingesammelt, Rosen und frische Trauben hatte sie in der späten Jahrszeit noch zusammengebracht. – Sie kannte meinen Fußtritt, da ich heraufkam, trat mir leis’ entgegen, die blaichen Wangen glühten von der Flamme des

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nell’occhio il meno possibile. A mio padre avrei scritto una volta in viaggio, pensava, il prudente vegliardo avrebbe più facilmente perdonato un passo compiuto, piuttosto che autorizzare quello da compiere. «dubito che potrai contare su un suo aiuto concreto», proseguì, «per questo ti do io ciò che ti servirà per vivere e operare un certo tempo in ogni evenienza. Se potrai, me lo restituirai; in caso contrario, ciò che è mio è anche tuo. non vergognarti del denaro», aggiunse sorridendo; «anche i destrieri di Febo non vivono solo di aria, ce lo raccontano persino i poeti». | IperIone a bellarmIno Venne il giorno del commiato. Al mattino ero rimasto nel giardino di notara, nell’aria fresca dell’inverno, fra i cipressi e gli allori sempreverdi. ero pronto. le potenti forze della giovinezza mi davano coraggio e la sofferenza che presagivo mi elevava come una nuvola. la madre di diotima aveva chiesto a notara, agli altri amici e a me di trascorrere insieme da lei l’ultimo giorno. i cari amici si erano rallegrati per me e diotima, e il divino del nostro amore non era passato inosservato. Ora dovevano benedire la mia partenza. Scesi da loro. Trovai la mia diletta al focolare. le sembrava un uffcio sacro e sacerdotale occuparsi della casa in quel giorno. Aveva messo tutto in ordine, adornato ogni angolo, e nessuno aveva potuto aiutarla. Aveva raccolto tutti i fori che ancora restavano in giardino, era riuscita a trovare rose e grappoli freschi in quella stagione avanzata dell’anno. conosceva il mio passo e sentendomi arrivare mi venne incontro leggera, le guance pallide ardevano per la famma

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Heerds, und die ernsten grosgewordnen Augen glänzten von Thränen. Sie sahe, wie michs überfel. Gehe hinein, mein lieber, sagte sie. die Mutter ist drinnen und ich folge gleich. ich gieng hinein. da saß die edle Frau und strekte mir die schöne Hand entgegen – kommst du? rief sie, kömst mein Sohn! ich sollte dir zürnen, du hast mir mein Kind genommen, hast alle meine Vernunft mir ausgeredet, und thust was dich gelüstet und gehest davon – sollt ich nicht zürnen? aber vergebt es ihm, ihr himmlischen Mächte, wenn er unrecht vorhat, straft ihn nicht, und hat er Recht, o so kommt! so zögert nicht mit eurer Hülfe, dem lieben! ich wollte reden, aber eben kam notara mit den übrigen Freunden herein, und hinter ihnen diotima. Wir schwiegen eine Weile. Wir ehrten die trauernde liebe, die in uns allen war, wir fürchteten uns, sich ihrer zu überheben in Worten und stolzen Gedanken. nach wenigen füchtigen Reden bat mich endlich diotima, einiges von Agis und Kleomenes zu | erzählen; ich hätte die großen Seelen oft mit feuriger Achtung genannt und gesagt, sie wären Halbgötter so gewiß, wie prometheus, und ihr Kampf mit dem Schiksaal von Sparta sei heroischer, als irgend einer in den glänzenden Mythen. der Genius dieser Menschen sei das Abendroth des griechischen Tages, wie Theseus und Homer die Aurore desselben. ich erzählte nun und am ende fühlten wir uns alle stärker und höher. O glüklich, rief einer von den Freunden, wem sein leben wechselt zwischen Herzensfreude und frischem Kampf! Ja! rief ein anderer, das ist ewige Jugend, daß immer Kräfte genug im Spiele sind, und wir uns ganz erhalten in lust und Arbeit. O ich möchte mit dir, rief diotima mir zu.

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del focolare e gli occhi, ingranditi dalla serietà, luccicavano di lacrime. Si accorse che ne fui colpito. «entra, mio caro», disse. «la mamma è in casa, io vengo subito». entrai. la nobile donna, seduta, mi tese la bella mano. «Vieni, vieni, fglio mio!» disse. «dovrei sgridarti per avermi portato via la mia bambina, mi hai fatto perdere la testa con le tue chiacchiere, fai quello che ti pare e ora te ne vai... non dovrei sgridarti? Ma perdonatelo, potenze celesti, se ha cattive intenzioni, non punitelo; se invece le sue intenzioni sono buone, allora forza, non tardate ad aiutarlo, il nostro caro!» Volevo rispondere, ma in quel momento sopraggiunse notara con gli altri amici, e dietro a loro diotima. Restammo in silenzio per qualche istante. Rendevamo omaggio all’amore dolente che era in ciascuno di noi, avevamo paura di oltraggiarlo con parole o pensieri presuntuosi. dopo qualche frase di circostanza diotima mi pregò infne di raccontare qualcosa su Agide e | cleomene. Avevo nominato spesso quei grandi personaggi con ardente ammirazione, avevo detto che erano certamente dei semidei come prometeo, e che la loro lotta contro il destino di Sparta era più eroica di qualsiasi altra raccontata nei miti splendenti. il genio di quegli uomini era il crepuscolo del giorno greco, come Teseo e Omero ne erano stati l’aurora. Raccontai dunque, e alla fne ci sentimmo tutti più forti e più nobili. «Felice è colui nella cui vita si alternano gioia del cuore e nuove battaglie!» esclamò uno degli amici. «Sì», disse un altro, «è eterna giovinezza avere sempre abbastanza forze da mettere in gioco, mantenersi sempre allegri e vivi». «Oh, vorrei poter venire con te!» mi disse diotima.

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es ist auch gut, daß du bleibst, diotima! sagt ich. die priesterin darf aus dem Tempel nicht gehn. du bewahrst die heilige Flamme, du bewahrst im Stillen das Schöne, daß ich es immer wiederfnde bei dir. du hast auch recht, mein lieber, das ist besser, sagte sie und ihre Stimme zitterte und das Aetherauge verbarg sich ins Tuch, um seine Verwirrung nicht sehen zu lassen. O Bellarmin! es wollte mir die Brust zerreißen, daß ich sie so schaamroth gemacht. Freunde, rief ich, erhaltet diesen engel mir. ich weiß von nichts mehr, wenn ich sie nicht weiß. O Himmel! ich darf nicht denken, zu was ich fähig wäre, wenn ich sie vermißte – Sei ruhig, Hyperion, fel notara mir ein. Ruhig? rief ich, o ihr guten leute! ihr könnt oft sorgen, wie der Garten blühn, und wie die erndte werden wird, ihr könnt für euren Weinstok beten und ich soll ohne Wünsche scheiden von dem einzigen, dem meine Seele dient? nein! o du Guter, rief notara bewegt, nein ohne Wünsche sollst du mir von ihr nicht scheiden – nein! bei der Götterunschuld eurer liebe, meinen Seegen habt ihr gewiß – Ha! du mahnst mich, rief ich schnell, sie soll uns seegnen, diese theure Mutter, soll mit euch uns zeugen – komm diotima, unsern Bund soll deine Mutter heiligen, bis frolokend die schöne Gemeinde, die wir hoffen, uns einst vermählt. | So fel ich auf ein Knie; mit großem Blik errötend, festlich lächelnd sank auch sie an meiner Seite nieder. längst, rief ich, o natur! ist unser leben eines mit dir und himmlischjugendlich, wie du und deine Götter all’, ist unsre eigne Welt durch liebe. in deinen Hainen wandelten wir, fuhr diotima fort, und waren, wie du, an deinen Quellen saßen wir und waren, wie du,

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«È bene che tu rimanga, diotima!» dissi. «la sacerdotessa non deve uscire dal tempio. Tu devi custodire la sacra famma, nel silenzio devi custodire la bellezza affnché io la ritrovi da te». «Hai ragione, mio caro, è meglio», disse con voce tremante, nascondendo il viso nel grembiule per non mostrare il suo turbamento. O Bellarmino, il cuore voleva scoppiarmi per averla fatta arrossire così di vergogna. «Amici, prendetevi cura del mio angelo», esclamai, «non conosco nulla, se non lei. O cielo, non oso pensare di cosa sarei capace, se la perdessi...» «Stai tranquillo, iperione», intervenne notara. «Tranquillo?» esclamai. «O brava gente, voi vi preoccupate di come forirà il giardino o di come sarà il raccolto, voi pregate per la vostra vigna e io dovrei lasciare senza nemmeno esprimere un desiderio l’unica persona che la mia anima venera?» «Oh no, buon iperione», disse notara commosso, «no, non devi separarti da lei senza un desiderio. no, per la divina innocenza del vostro amore, potete contare sulla mia benedizione…» «Giusto, ora che me lo ricordi», dissi in fretta. «deve benedirci, la nostra cara madre, deve farci da testimone con voi… Vieni diotima! Tua madre deve consacrare il nostro legame, fnché la bella comunità che desideriamo non ci unirà esultante in matrimonio». | Mi inginocchiai; con lo sguardo serio, arrossendo e sorridendo solenne, anche lei si inginocchiò accanto a me. «da tempo, o natura, la nostra vita è tutt’uno con la tua, e il nostro amore ha reso il nostro mondo eternamente giovane, come te e i tuoi dei». «nei tuoi boschi abbiamo vagato», proseguì diotima, «ed eravamo come te, ci siamo seduti alle tue sorgenti ed

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dort über die Berge giengen wir, in frommer nacht, mit deinen Söhnen, den Sternen, und waren wie du. da wir uns ferne waren, rief ich, da wie Harfengelispel, unser kommend entzüken uns erst tönte, da wir uns traffen, da kein Schlaf mehr war, da alle Töne in uns erwachten zu des lebens Akkorden, da waren wir immer, wie du, und nun auch, o natur, da wir scheiden, und die Freude stirbt, sind wir wie du, voll leidens, und doch gut, drum soll ein reiner Mund uns zeugen, daß unsre liebe heilig ist, und ewig, so wie du. ich zeug es, sprach die Mutter. Wir zeugen es, riefen die andern. nun war kein Wort mehr für uns übrig. ich fühlte mein höchstes Herz; ich fühlte mich reif zum Abschied. Jezt will ich fort, ihr lieben! sagt’ ich, und das leben schwand von allen Gesichtern, diotima stand, wie ein Marmorbild, und ihre Hand starb fühlbar in meiner. Alles hatt’ ich um mich her getödtet, ich war einsam, und mir schwindelte, vor der gränzenlosen Stille, wo mein überwallend leben keinen Halt fand. Ach! rief ich, mir ists brennendheiß im Herzen und ihr steht alle so kalt, ihr lieben! und nur die Götter des Haußes neigen ihr Ohr? – diotima! – du bist stille, du siehst nicht! – o wohl dir, daß du nicht siehst! So geh nur, seufzte sie, es muß ja seyn! geh nur, du theures Herz! O süßer Ton aus diesen Wonnelippen, rief ich und stand wie ein Betender vor der holden Statue, – süßer Ton! noch einmal wehe mich an, noch einmal tage, liebes Augenlicht! Rede so nicht, lieber Junge! rief sie, rede mir ernster! rede mit größerem Herzen mir zu! ich wollte mich halten, aber ich war wie im Traume. Wehe! rief ich, das ist kein Abschied, wo man wiederkehrt! |

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eravamo come te, siamo saliti sui monti nella notte devota insieme alle tue fglie, le stelle, ed eravamo come te». «Quando eravamo lontani e la nostra felicità futura si udiva appena in noi come un sussurro d’arpa», proseguii, «quando poi ci incontrammo e non ci fu più sonno, e si risvegliarono in noi tutte le note degli accordi della vita, eravamo sempre come te, o natura, e anche ora che ci separiamo, ora che muore la gioia, anche ora siamo come te, carichi di dolore eppure buoni. per questo labbra pure devono testimoniare che il nostro amore è sacro ed eterno, come te». «ne sono testimone», disse la madre. «ne siamo testimoni», aggiunsero gli altri. non rimaneva più nulla da dire. Avevo il cuore gonfo, mi sentivo pronto per l’addio. «Ora vado, miei cari!» dissi, e la vita scomparve da tutti i volti, diotima si irrigidì come una statua di marmo, la sua mano divenne inerte nella mia. Avevo ucciso tutto intorno a me, ero solo, e quel silenzio sconfnato dove la mia vita esuberante non trovava più alcun appiglio mi diede le vertigini. «Ah, il mio cuore arde e voi tutti siete invece così freddi, amici cari, e solo gli dei della casa mi prestano orecchio?» dissi. «diotima, sei silenziosa, non mi vedi… Oh, buon per te che non vedi!» «Vai ora», sospirò, «così dev’essere; vai, mio amato!» «dolce melodia da labbra amorose», esclamai come in preghiera davanti alla soave statua. «dolce melodia, soffa verso di me ancora una volta, sorgi ancora una volta, luce dei miei occhi!» «non parlare così, amore mio, parlami con più serietà, parlami con un cuore più grande» disse. Volevo trattenermi, ma ero come in un sogno. «Ahimè», esclamai, «questo è un addio per chi non ritorna». |

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du wirst sie tödten, rief notara. Sieh! wie sanft sie ist, und du bist so außer dir. ich sahe sie an und Thränen stürzten aus meinem brennenden Auge. So lebe denn wohl, diotima, rief ich, o Himmel meiner liebe, lebe wohl! – laßt uns stark seyn, theure Freunde! theure Mutter! ich gab dir Freude und laid! lebt wohl! lebt wohl! ich wankte fort. diotima folgte mir allein. es war Abend geworden, und die Sterne giengen herauf am Himmmel. Wir standen still unter dem Hauße. ewiges war in und über uns. zart, wie Aether, umwand mich diotima. Thörichter! was ist denn Trennung? füsterte sie geheimnißvoll mir zu, mit dem lächeln einer unsterblichen. es ist mir auch jezt anders, sagt ich, und ich weiß nicht, was von beiden ein Traum ist, mein leiden oder meine Freudigkeit. Beides ist, erwiederte sie, und beides ist seelig. Vollendete! rief ich, ich spreche wie du. Am Sternenhimmel wollen wir uns erkennen. er sei das zeichen zwischen mir und dir so lange die lippen verstummen. das sei er! sprach sie mit einem langsamen niegehörten Tone – es war ihr lezter. im dämmerlichte entschwand mir ihr Bild und ich weiß nicht, ob sie es wirklich war, da ich zum leztenmale mich umwandt’ und die erlöschende Gestalt noch einen Augenblik vor meinem Auge zükte, und dann in die nacht verschwand. hyperIon an bellarmIn. Warum erzähl’ ich dir, und wiederhohle mein leiden? und rege die ruhelose Jugend wieder auf in mir? ists nicht genug, einmal das Sterbliche durchwandert zu haben? warum bleib’ ich nicht im Frieden meines Geistes in mir?

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«la ucciderai», mi disse notara. «non vedi come è commossa, e tu sei fuori di te». la guardai e le lacrime mi sgorgarono dagli occhi ardenti. «Addio allora, diotima!» dissi, «cielo del mio amore, addio! dobbiamo essere forti, amici cari. cara madre, ti ho dato gioia e dolore. Addio, addio!» Me ne andai barcollando. Solo diotima mi seguì. Si era fatta sera e le stelle splendevano nel cielo. ci fermammo in silenzio sotto casa. l’eterno era in noi, sopra di noi. diotima mi abbracciò, lieve come l’etere. «Sciocco, che cos’è la separazione?» mi bisbigliò misteriosa, con il sorriso di un’immortale. «Anch’io ora la sento diversamente», dissi, «e non so quale dei due sia un sogno, se la gioia o il dolore». «lo sono entrambi», mi rispose, «e sono entrambi benedetti». «creatura perfetta», esclamai, «anch’io parlo come te. nel cielo stellato ci riconosceremo, sarà il segno fra me e te, fnché le labbra resteranno mute». «così sia», disse con un tono lento, che non le avevo mai udito prima… e fu l’ultimo. nella luce del crepuscolo la sua immagine svanì e non so se era veramente lei quella che vidi quando mi voltai per l’ultima volta e scorsi una fgura evanescente guizzare ancora un istante e poi sparire nella notte. IperIone a bellarmIno Ma perché racconto rinnovando il mio dolore e ridestando ancora una volta la giovinezza inquieta dentro di me? non è abbastanza aver attraversato una volta la vita mortale? perché non conservo la pace dello spirito?

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darum, mein Bellarmin! weil jeder Othemzug des lebens unsrem Herzen werth bleibt, weil alle Verwandlungen der reinen natur auch mit zu ihrem Wesen gehören. unsre Seele, wenn sie die sterblichen erfahrungen ablegt, und allein nur lebt in heiliger | Ruhe, ist sie nicht, wie ein unbelaubter Baum? wie ein Haupt ohne loken? lieber Bellarmin! ich habe eine Weile geruht; wie ein Kind, hab’ ich unter freundlichen Hügeln von Salamis gelebt, vergessen des Schiksaals und des Übermuths der Menschen. und siehe! nun hab’ ich endlich so viel Frieden in mir, um auch den zwist der Welt zu ertragen und ich fuche den Widersprüchen des lebens nimmer, wie sonst. Hier hast du Briefe von diotima und mir, die wir uns nach meinem Abschied von Kalaurea geschrieben. Sie sind das liebste, was ich dir vertraue. Sie sind das wärmste Bild, aus jenen Tagen meines lebens. Vom Kriegslärm sagen sie dir wenig; desto mehr von meinem eigneren leben, und das ists ja, was du wolltest. Ach! und du must auch sehen, wie geliebt ich war. das konnt’ ich nie dir sagen, das sagt diotima nur. hyperIon an DIotIma. ich bin erwacht aus dem Tode des Abschieds, gestärkt, wie aus dem Schlafe, richtet meine Seele sich auf. ich schreibe dir von einer Spize der epidaurischen Berge. Fern in der Tiefe dämmert deine insel, diotima, und südwärts liegt vor mir mein Stadium, wo ich siegen oder fallen werde. O pelopones! o ihr Quellen des eurotas und Alpheus! – da wird es gelten; aus den Spartanischen Wäldern wird der alte landesgenius stürzen, mit unserem Heere, wie mit rauschenden Fittigen.

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perché ogni respiro della vita è importante per il nostro cuore, Bellarmino, perché tutte le trasformazioni della natura pura appartengono al suo essere. Quando la nostra anima si spoglia delle esperienze mortali e vive soltanto nella sacra | quiete, non è come un albero spoglio, una testa senza riccioli? caro Bellarmino, mi sono riposato un poco; come un bimbo ho vissuto sulle colline ospitali di Salamina, dimentico del destino e della superbia degli uomini. e vedi, ora ho fnalmente abbastanza pace in me da sopportare anche il confitto del mondo e non maledico più come una volta le contraddizioni della vita. Qui ci sono delle lettere di diotima e mie, scritte dopo la mia partenza da calauria. Sono la cosa più cara che ho e te le affdo, sono l’immagine più calda di quei giorni della mia vita. Ti diranno poco del frastuono della guerra ma molto di più della mia vita, e questo è quello che volevi sapere. Vedrai anche quanto ero amato: io non saprei mai descrivertelo, può farlo solo diotima. IperIone a DIotIma Mi sono svegliato dalla morte dell’addio; rinvigorito come dopo il sonno, il mio spirito si risolleva. Ti scrivo dalla vetta di uno dei monti di epidauro. laggiù in lontananza si intravvede la tua isola, diotima, mentre verso Sud c’è lo stadio dove vincerò o cadrò. O peloponneso, e voi sorgenti dell’eurota e dell’Alfeo, là ci faremo valere! dai boschi di Sparta l’antico genio di questa terra attaccherà insieme al nostro esercito, ad ali spiegate.

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Appendice

Meine Seele ist voll von Thatenlust und voll von liebe, diotima, und in die griechischen Thäler blikt mein Auge hinaus, als sollt’ es magisch gebieten: verjüngt euch wieder, ihr Todten! ein Gott muß in mir seyn, denn ich fühl’ auch unsere Trennung kaum. Wie die seeligen Schatten am lethe, lebt jezt meine Seele mit deiner, in himmlischer Freiheit und das Schiksaal waltet über unsere liebe nicht mehr. | 591

hyperIon an DIotIma. ich bin jezt mitten im pelopones. in derselben Hütte, in der ich heute übernachte, übernachtete ich einst, da ich, beinahe noch Knabe, mit Adamas diese Gegenden durchzog. Wie saß ich da so glüklich auf der Bank vor dem Hauße, und lauschte dem Geläute der fernher kommenden Karawane und dem Geplätscher des nahen Brunnens, der unter blühenden Akatien sein silbern Gewässer ins Beken goß. Jezt bin ich wieder glüklich. ich wandere durch diß land, wie durch dodonas Hain, wo die eichen tönten von ruhmweissagenden Sprüchen. ich sehe nur Thaten, vergangene, künftige, wenn ich auch vom Morgen bis zum Abend unter freiem Himmel wandre. Glaube mir, wer dieses land durchreist, und noch ein Joch auf seinem Halse duldet, kein Harmodius wird, der kann nach seinem Tode nur ein Wurm noch werden. Ha! immer noch schläfts? und immer noch schleicht die zeit, wie der Höllenfuß, lahm und stumm in trübem Müßiggange vorüber? und doch liegt alles bereit. Voll rächerischer Kräfte ist das Bergvolk hieherum, liegt da, wie eine schweigende Wetterwolke, die nur des Sturmwinds wartet, der sie treibt. diotima! laß mich den Othem Gottes unter sie hauchen, laß mich ein Wort von Herzen sprechen, diotima.

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la mia anima trabocca di desiderio di azione e di amore, diotima, e il mio sguardo vaga sulle valli greche come se potesse ordinare magicamente: ringiovanite, voi che siete defunti! un dio deve essere dentro di me, perché sento appena la nostra separazione. come le ombre beate sul lete, la mia anima vive ora con la tua nella libertà celeste e il destino non ha più alcun potere sul nostro amore. | IperIone a DIotIma Ora mi trovo nel cuore del peloponneso. nella stessa capanna dove dormirò oggi avevo già dormito una volta quando, da ragazzo, avevo attraversato queste zone con Adamas. Allora sedevo felice sulla panca davanti alla casa ascoltando il rumore della carovana che si avvicinava da lontano e il mormorio della fonte qui accanto, che riversava l’acqua argentina in una vasca sotto le acacie in fore. Ora sono di nuovo felice. Attraverso questo paese come il bosco di dodona, dove le querce risuonavano di oracoli che predicevano gloria. Vedo solo azioni, passate, future, anche camminando dal mattino fno alla sera sotto il cielo. credimi, chi viaggia per questa terra e riesce poi a tollerare ancora un giogo sulle spalle senza diventare un Armodio, dopo morto può trasformarsi solo in un verme. Ah, ancora dorme, ancora striscia il tempo in torbido ozio, zoppo e muto come il fume infernale? eppure tutto è pronto. il popolo dei monti qui intorno è carico di forze vendicative, si muove come la nuvola taciturna del temporale che attende solo che il vento della tempesta la trascini. diotima, fa’ che io infonda in loro il respiro di dio, fa’ che dica loro una parola che viene dal cuore.

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Fürchte nichts! Sie werden zu wild nicht seyn. ich kenne die rohe natur. Sie höhnt der Vernunft, aber sie stehet im Bunde mit der Begeisterung. Wer nur mit ganzer Seele wirkt, irrt nie. er bedarf des Klügelns nicht, denn keine Macht ist wider ihn. hyperIon an DIotIma.

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Morgen bin ich bei Alabanda. es ist mir eine lust, den Weg nach Koron zu erfragen, und ich frage öfter als nötig ist. ich möchte die Flügel der Sonne nehmen und hin zu ihm und doch zaudr’ ich auch so gerne und frage: wie wird er seyn? | der königliche Jüngling! warum bin ich später geboren, wie er? warum sprang ich nicht aus einer Wiege mit ihm? ich kann den unterschied nicht leiden, der zwischen uns ist. O warum lebt ich, wie ein müßiger Hirtenknabe, zu Tina und träumte nur von seinesgleichen noch erst, da er schon in lebendiger Arbeit die natur erprüfte, mit Meer und luft und allen elementen schon rang? triebs denn in mir nach Thatenwonne nicht auch? Aber ich will ihn einhohlen, ich will schnell seyn. Beim Himmel! ich bin überreif zur Arbeit. Meine Seele tobt nur gegen sich selber, wenn ich nicht bald durch ein lebendiges Geschäfft mich befreie. Hohes Mädchen! wie konnt’ ich bestehen vor dir? Wie war dirs möglich, so ein thatlos Wesen zu lieben? ‹lücke von einem doppelblatt. Hyperion an diotima:›

ich bin herabgekommen. O mein Hyperion! ich sehne mich sehr nach etwas Großem und Wahrem und ich hoff’ es zu fnden mit dir. du bist mir über den Kopf gewachsen, du bist freier und stärker, wie ehmals und das freut mich herzlich. ich bin

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non temere, non saranno troppo selvaggi! conosco la natura grezza, si fa beffe della ragione, ma si allea con l’entusiasmo. chi agisce con tutta l’anima, non sbaglia mai. non ha bisogno di sofsticherie, perché nessuna forza gli si oppone. IperIone a DIotIma domani sarò da Alabanda. È un piacere chiedere la strada per corone, e chiedo più spesso del necessario. Vorrei avere le ali del sole per volare da lui, eppure indugio anche volentieri e mi domando: come sarà? | il giovane regale! perché sono nato dopo di lui, perché non sono stato con lui nella culla? non posso soffrire la differenza che c’è fra noi. perché sono vissuto a Tinos come un pastorello ozioso potendo solo sognare di quelli come lui, mentre lui era già all’opera, sondava la natura e si misurava con il mare, l’aria e tutti gli elementi? non avevo anch’io la stessa voglia di agire? Ma lo raggiungerò, sarò veloce. per il cielo, sono fn troppo maturo per l’azione, la mia anima si scatenerà contro se stessa, se non trovo in fretta uno sfogo in un impegno concreto. nobile fanciulla, come potevo sussistere davanti a te? come potevi amare un essere così inetto? ‹mancano due fogli. iperione a diotima›

[…] sono invecchiato. caro iperione, mi struggo per qualcosa di grande e di vero e spero di trovarlo insieme a te. Tu ormai mi hai superato, sei più forte e più libero che mai e, credimi, ne sono davvero contento. io sono la terra arida

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das dürre land und du kömst, wie ein glüklich Gewitter – o es ist herrlich, daß du da bist. Stille! sagt ich, du nimmst mir die Sinnen und wir sollten gar nicht von uns sprechen, bis wir im leben, unter den Thaten sind. es ist wahr, rief Alabanda freudig, erst wenn das Jagdhorn schallt, da fühlen sich die Jäger. Wirds denn bald angehn? sagt’ ich. es wird, rief Alabanda, und ich sage dir, Herz! es soll ein ziemlich Feuer werden. Ha! mags doch reichen bis an die Spizen des Thurms, und seine Fahne schmelzen, und um ihn wüten und woogen, bis er berstet und stürzt – und stoße dich an unsern Bundsgenossen nicht. ich weiß es wohl, die guten Russen möchten uns gerne wie Schießgewehre brauchen. Aber laß das gut seyn! haben nur erst unsre kräftigen Spartaner bei Gelegenheit erfahren wer sie sind, und was sie können, und haben wir so den pelopones erobert, so lachen wir dem nordpol ins Angesicht, und bilden uns ein eigenes leben. | ein eignes leben, rief ich, ein neues, ein ehrsames leben. Sind wir denn, wie ein irrlicht, aus dem Sumpfe geboren, oder stammen wir von den Siegern bei Salamis ab? Wie ists denn nun? Wie bist du denn zur Magd geworden, griechische freie natur? wie bist du so herabgekommen, väterlich Geschlecht, von dem das Götterbild des Jupiter und des Apoll einst nur die Kopie war? – Aber höre mich, ioniens Himmel! höre mich, Vaterlandserde, die du zärtlichtrauernd die Heldenbilder in deinem Busen begräbst und dich halbnakt, wie eine Bettlerin, mit den lappen deiner alten Herrlichkeit umkleidest, höre mich, höre mich, ich will es länger nicht dulden! du sollst uns zusehn, Sonne, rief Alabanda, wenn unter der Arbeit uns der Muth wächst, wenn unter den Schlägen des Schiksaals unser entwurf, wie das eisen unter dem Hammer, sich bildet – es entzündete einer den andern.

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e tu arrivi come un gradito temporale... È magnifco che tu sia qui!» «Taci, mi imbarazzi» dissi, «e poi non dovremmo affatto parlare di noi fnché non saremo nella vita, in azione». «Ma certo!» esclamò Alabanda gioioso, «solo quando risuona il corno si riconoscono i cacciatori». «Si comincerà presto?» chiesi. «Sì», disse Alabanda, «e ti dico, caro mio, che sarà una bella fammata. Ah, se arrivasse fno in cima alla torre a bruciare la bandiera, e imperversasse e impazzasse tutto intorno fno a farla scoppiare e crollare! non fare troppo caso ai nostri alleati. lo so bene, i bravi russi vorrebbero usarci come polvere da sparo, ma non importa, quando i nostri robusti spartani avranno avuto modo di dimostrare chi sono e di cosa sono capaci, e dopo che avremo conquistato il peloponneso, ci faremo beffe del polo nord e ci costruiremo una vita nostra». | «una vita nostra», esclamai, «una vita nuova, rispettabile. Siamo un fuoco fatuo nato in una palude, o discendiamo dai vincitori di Salamina? come stanno le cose, come hai fatto a diventare una schiava, natura libera dei greci? come hai potuto cadere così in basso, stirpe dei nostri padri, tu che facevi da modello per le statue di Giove e di Apollo? Ma ascoltami, cielo della ionia, ascoltami, terra natia, che teneramente dolente seppellisci le immagini degli eroi nel tuo seno, e mezza nuda, come una mendicante, ti vesti con gli stracci della tua antica maestà, ascoltami, ascoltami: non posso più tollerarlo!» «O sole», esclamò Alabanda, «vedrai come il coraggio aumenterà con l’impegno, come il nostro progetto prenderà forma sotto i colpi del destino come il ferro sotto il martello…» l’uno esaltava l’altro.

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und daß uns nur kein Fleken hängen bleibe, rief ich, kein posse, womit uns das Jahrhundert, wie der pöbel die Wände, bemahlt, o, rief Alabanda, darum ist auch der Krieg so gut – recht, Alabanda, rief ich, so wie alle große Arbeit, worinn des Menschen Kraft und Geist allein und keine Krüke und kein wächserner Flügel hilft. da legen wir die Sclavenkleider ab, worauf das Schiksaal uns sein Wappen gedrükt – gehn rein und nakt, wie im Wettlauf zu nemea, zum ziel, rief Alabanda. zum ziele, rief ich, wo der junge Freistaat dämmert und das pantheon alles Schönen aus griechischer erde sich hebt. ‹lücke von einem doppelblatt. Hyperion an diotima:›

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und nun er da ist, nun er mein ist, kann ich noch weinen? o des albernen Mädchens! – ist es denn nicht wirklich? ist er der Herrliche nicht und ist er nicht mein? o ihr Schatten seeliger zeit, meine trauten erinnerungen – ist mir doch, als wär er kaum von gestern, jener zauberabend, da der liebe Fremdling, da mein Hyperion, wie ein trauernder Genius hereinkam in die Schatten | des Walds, wo im Jugendtraume das unbekümmerte Mädchen saß – in der Mailuft kam er, in Joniens zaubrischer Mailuft, und sie macht ihn blühender mir, sie lokt ihm das Haar, entfaltet ihm, wie Blumen, die lippen, löst’ in lächeln die Wehmuth auf, und o ihr, Stralen des Himmels! wie leuchtetet ihr aus diesen Augen mich an, aus diesen berauschenden Quellen, wo im Schatten umschirmender Bogen ewig leben glänzet und wallt – da stand er, sahe sich um, nach mir und die staunenden Brauen wölbten sich hoch und wie er schön ward, mit dem Blik auf mich, wie der ganze Jüngling, eine Spanne größer geworden, in leichter nerve dastand, nur

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«e non resterà nemmeno una macchia», proseguii, «nemmeno uno scarabocchio con cui questo secolo potrà imbrattarci, come fa il popolo con i muri!» «Sì», disse Alabanda, «per questo ci vuole la guerra...» «Giusto, Alabanda», proseguii, «come tutte le grandi imprese in cui ci vogliono la forza e lo spirito dell’uomo, e non stampelle né ali di cera. Togliamoci i vestiti da schiavi, sui quali il destino ha impresso il suo marchio...» «Buttiamoci e corriamo, puri e nudi, verso il traguardo, come nelle gare di nemea», esclamò Alabanda. «Verso il traguardo», esclamai, «dove albeggia un giovane Stato libero e si innalza il pantheon di tutta la bellezza della terra greca». ‹mancano due fogli. diotima a iperione›125

e ora che è qui, ora che è mio, posso ancora piangere? che ragazza sciocca sono! non è forse vero, non è lui quello splendido ragazzo, e non è forse mio? O voi ombre di tempi beati, dolci ricordi… Me la ricordo come fosse ieri, quella sera incantata in cui il sacro straniero, il mio iperione sopraggiunse come un genio intristito nell’ombra | del bosco, dove sedeva una fanciulla ignara nel sogno della giovinezza... Venne con la brezza di maggio, nella magica brezza di maggio della ionia che lo faceva forire, gli arricciava i capelli, gli schiudeva le labbra come un fore, scioglieva la tristezza in un sorriso… O voi raggi del cielo, come splendevate nei suoi occhi, quelle sorgenti inebrianti dove splende e ribolle la vita eterna sotto l’ombroso riparo degli archi… eccolo là, si guarda intorno, mi cerca, e le sopracciglia meravigliate si inarcano alte; e come era bello mentre mi guardava, quando, divenuto una spanna più alto e con i nervi leggermente tesi si fermò, mentre le care

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daß an ihm die lieben blöden Arme niedersanken, als wären sie nichts! und wie er drauf emporsah, im entzüken, als wär’ ich schon gen Himmel entfogen, und nicht mehr da, ach! wie er nun in aller Herzensanmuth lächelt und erröthete, da er wieder mich gewahr ward, und unter den dämmernden Thränen sein phöbusauge durchstralt, um zu fragen, bist dus? bist dus wirklich? und warum begegnet er in solcher frommen demuth, so voll lieben Aberglaubens mir? warum, o leben! war der Götterjüngling anfangs voll Sehnens und Trauerns? warum hatt’ er sein Haupt gesenkt? warum blüht’ in Wehmuth ihm der liebende Mund und die Wange? darum, weil sein Genius zu reich, zu seelig, um allein zu bleiben, und die Welt zu arm war, ihn zu fassen. – O es war ein liebes Bild gewebt von Größe und leiden! Aber nun ists anders! Mit dem leiden ists aus! er hat zu thun gefunden. er ist der Kranke nicht mehr. – ich war voll Seufzens, da ich anfeng, dir zu schreiben, mein Geliebter! Jezt bin ich lauter Triumph! So spricht man über dir sich froh. und siehe! so solls auch bleiben. lebe wohl. hyperIon an DIotIma.

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ich hatte noch immer nicht von dir mit Alabanda gesprochen. Mein Stolz verwehrte mirs. ich weiß auf erden keine mühsamere Verläugung, nichts, was mich so demüthigen könnte, als die Geliebte zu beschreiben. und doch will es der andre, wenn man einmal ihm verräth man liebe, und doch fordert er ein Bild, und | steht so unerträglich frostig da, und fragt, und läßt man dann sich ihm zu lieb herab, zu reden, o wie tausendfach in jedem Worte wird der liebende mißverstanden.

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braccia, impacciate, penzolavano come fossero inerti! e come poi sollevò lo sguardo estatico, come se fossi ascesa in cielo e non fossi più davanti a lui, e come a quel punto sorrise con tutta la grazia del cuore e arrossì vedendo che invece ero ancora là; e con le lacrime che spuntavano, gli occhi di Febo mi illuminarono chiedendomi: «Sei tu? Sei veramente tu?» e come mai mi venne incontro con devota umiltà, con così tanta affettuosa venerazione? perché quel giovane divino all’inizio era così colmo di aneliti e tristezza? perché aveva il capo chino, perché la malinconia gli foriva sulle labbra e sulle dolci guance? perché il suo genio era troppo ricco, troppo felice per rimanere solo, e il mondo troppo povero per abbracciarlo. Oh, era un’immagine adorabile, intessuta di maestà e sofferenza, ma ora è tutto diverso! Basta con la sofferenza, ora sa cosa fare, non è più malato. ero piena di sospiri quando ho iniziato a scriverti, mio amato, ora sono esultante. così ci si rallegra, parlando di te; e vedrai, sarà ancora così. A presto! IperIone a DIotIma126 non avevo ancora parlato di te con Alabanda, il mio orgoglio me lo impediva. non conosco una fnzione più faticosa al mondo, nulla di più umiliante del descrivere la donna amata. eppure l’altro lo chiede, una volta che gli si è confdato di essere innamorati, pretende una descrizione e | se ne sta lì insopportabilmente gelido a fare domande, e se per amor suo si accondiscende a parlarne, ogni parola dell’innamorato viene fraintesa in mille modi.

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ich möcht’ es an den Himmel schreiben, als des lebens erstes Gesez: das Heilige muß Geheimniß seyn, und wer es offenbaret, er tödtet es. Aber mein Alabanda und ich sind doch zu innig eins und du hattest mir auch das Herz zu hoch geschwellt, du Himmlische mit deinem Briefe voll Seele und liebe – ich muste hin, ich must’ ihn endlich zeigen, muste die Augen ihm öffnen, dem Blinden, der von liebe nichts weiß. Ach! immer sichtbarer entferntest du dich aus allem Gegenwärtigen, die lezten Tage, da ich um dich war. Thue das nicht meiner liebe! es giebt ja noch des Wohlgefälligen so manches auf der erde. Sorge wenigstens für deine Blumen, und die schönen Thiere, die du sonst im Hauße nährtest. Seze dich jezt, weils wärmer wird, zuweilen auch wieder an den Brunnen, der unter dem Ahorn steht oder unter die alten Kastanien bei der Kapelle, ich weiß, du hattest diese pläze sonst sehr lieb, und versäumst sie jezt wohl ziemlich. Wenn du wolltest auch die Woche einigemale ans Meer herausgehn – du steigst nicht gerne Berge, sonst wollt’ ich dir auch rathen, auf unsern wohlbekannten Gipfeln die Sonne zuweilen kommen zu sehen. ich weiß, du lachst ein wenig darüber, aber du thust es dennoch. Alabanda ist jezt manchmal in Gedanken über dich. nur begreifen, sagt er, möcht’ ich eine solche natur, aber ich fnde, daß ich zu viel vom Menschenverstande gehalten. die Kinder führen alles zum Munde hinein, wir alles zum Verstande, und ich fange an, zu glauben, daß eines so naiv ist, als das andre. du sagtest mir einmal, Hyperion: es sei entwürdigung, vor irgend einem Menschen zu sagen, man hab’ ihn ganz begriffen, hab’ ihn weg. und wenn das wahr ist, fährt er fort, wenn mein Verstand kaum in die Vorhalle des lebens gehört, wie mag er dann in den innern Tempel sich wagen? Wenn jeder Knabe für mich unergründlich ist, wie mag ich diese diotima verstehn? |

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Vorrei scriverlo in cielo, come prima legge della vita: il sacro deve rimanere segreto, e chi lo rivela lo uccide. Ma il mio Alabanda e io siano troppo uniti e il mio cuore era troppo colmo, celestiale fanciulla, dopo la tua lettera piena di sentimento e di amore… dovevo dirglielo, dovevo fnalmente rivelarglielo, dovevo aprire gli occhi al cieco che non sa nulla dell’amore.

negli ultimi giorni in cui ero con te ti stavi allontanando visibilmente da tutto ciò che ti era intorno. non farlo per il mio amore! ci sono ancora tante cose piacevoli sulla terra, occupati almeno dei tuoi fori, dei graziosi animaletti che allevavi. Ora che fa più caldo, vai a sederti ancora, ogni tanto, alla fontana sotto l’acero o sotto i castagni vicino alla cappella, so che amavi molto quei luoghi e ora invece li trascuri. potresti anche andare qualche volta al mare durante la settimana... Tu non sali volentieri sui monti, altrimenti ti consiglierei di andare ogni tanto a veder sorgere il sole sulle cime che ben conosciamo. So che ne riderai, ma lo faresti comunque. Alabanda ora si sofferma qualche volta a rifettere su di te. «Vorrei poter comprendere una natura simile», dice, «ma credo di aver tenuto in troppa considerazione l’intelletto umano. i bambini riconducono tutto alla bocca, noi tutto all’intelletto, ma comincio a credere che le due cose siano altrettanto ingenue. iperione, una volta mi hai detto che sarebbe una mancanza di rispetto dire di aver capito un uomo fno in fondo, liquidarlo così. e se questo è vero», proseguì, «se il mio intelletto non può penetrare quasi nemmeno nel vestibolo della vita, come oserà addentrarsi nell’interno del tempio? Se un ragazzino è insondabile per me, come potrò capire questa diotima?» |

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hyperIon an DIotIma. der murrende Vulkan bricht los. in coron und Modon werden die Türken belagert und wir rüken mit unserm Bergvolk gegen den pelopones hinauf. ich kenne mich kaum noch, seit meine Seele einmal eine Arbeit gefunden. ich hab’ auch nun zum erstenmal in meinem leben eine Tagesordnung. Mit der Sonne beginn ich. indeß die Spiele des Morgenroths sie verkünden, geh ich hinaus, wo mein Kriegsvolk im Schatten des Walds liegt, und grüße die tausend lebendigen Augen, die jezt vor mir mit wilder Freundlichkeit sich aufthun. ein erwachendes Heer! die Gestalten alle, wie Habichte aus dem nest, das Gemurmel und Gelächter, das Knattern der Flamme, wo die Speise kocht, die ganze häusliche Geschäftigkeit und dabei die Feldmusik und das Wiehern der Rosse und die tausend Waffen, wie ein ehern Halmenfeld auf einmal aus der erde gewachsen! – dann ruf’ ich den Theil, den ich zunächst befehlige, zusammen, und wenn ich dann von dem was künftig ist und jezt geschehen muß, ein lebenswort zu ihnen spreche, und diese rauhen Stirnen breiten mälig sich, und das Jugendroth umfießt die Wangen, wenn ich sie, wie auf Woogen, vom Staunen zu der Freude und von der Freude zum entschlusse führe, und die heilige Menschennatur aus ihnen sichtbarer und sichtbarer mir dämmert und glänzt, o diotima! was gäb’ ich hin, um diese Morgenröthe vestzuhalten! das kannst du übrigens mir glauben, daß so ein Blik auf menschlich Wachstum über alle Augenwaide geht, die Meer und erd’ und Himmel uns gewährt. drauf üb’ ich sie in Waffen bis um Mittag. Alabanda hat seit unsern Studien in Smyrna über die Kriegskunst viel gethan, hat besonders die Vertheilungen und die Bewegungen der Heersmacht, so weit sie nach der Form der Gegend, und nach den Kräften und den Stellungen des Feinds sich richten, in wenige

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IperIone a DIotIma il vulcano che brontola sta per eruttare. A corone e Modone i turchi sono sotto assedio, e con i nostri uomini dai monti risaliamo il peloponneso. Quasi non mi riconosco più, da quando la mia anima ha trovato un compito. per la prima volta in vita mia ho persino un ordine del giorno. Mi alzo con il sole. Quando i giochi dell’alba lo annunciano esco all’aperto, dove i miei uomini dormono nell’ombra del bosco e saluto i mille occhi vispi che si aprono davanti a me con burbera cordialità. un esercito che si sveglia! le fgure che emergono come falchi dal nido, i mormorii e le risa, lo scoppiettare della famma dove cuoce il cibo, tutte le attività domestiche e insieme la musica militare, il nitrire dei cavalli e le mille armi, spuntate di colpo dalla terra come un campo di spighe metalliche. poi chiamo a raccolta per primo il gruppo a cui devo dare ordini, e quando parlo loro col cuore di ciò che ci prepara il futuro e di ciò che deve accadere, le fronti aggrottate si rasserenano man mano e il rossore della gioventù irrora le guance; quando li conduco, come su un’onda, dalla meraviglia alla gioia e dalla gioia alla determinazione, e la sacra natura dell’uomo riluce fno a splendere poi sempre più chiaramente in loro: o diotima, cosa non darei per trattenere questa aurora! comunque credimi, veder crescere l’uomo è una gioia per gli occhi e supera qualsiasi altra gioia che contemplare il mare, la terra e il cielo può procurare. poi li faccio esercitare con le armi fno a mezzogiorno. Alabanda si è interessato molto all’arte della guerra dopo i nostri studi a Smirne, in particolare ha riassunto in poche regole effcaci gli schieramenti e i movimenti degli eserciti e come devono disporsi in base alla conformazione del ter-

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kräftige Regeln zusammengefaßt, und so ists meinem Verstande leicht geworden, diesen Stoff zu meistern. und es ist wirklich schön, diotima, ist ernster nur und majestätischer, als der Tanz, wenn all’ die furchtbaren Kräfte so zu einer Kraft sich bilden, die, immerhin dieselbe, alle Formen annimmt, | und in der Blizesschnelle, womit sie wirkt, doch immer still und richtig bleibt. das ächte Große, das in dieser Kunst sich zeigt, ist freilich dann erst sichtbar, wenn es gilt! des nachmittags versammeln wir uns dann meist im innern des Walds mit einigen sachverständigen braven Russen, die wir bei uns haben, und gehn zu Rathe über alle Fälle, die uns treffen können, und so wird mein Geist mit dem Kriege täglich vertrauter. O es ist wunderbar, diotima! es kann sich mancher leichter darein fnden, eine Heersmacht, als ein zimmer anzuordnen. ich spreche dir viel von meiner neuen Arbeit, aber so ists mit allem neuen. des Abends reit’ ich meist mit Alabanda am Meeresufer umher in die eichenschatten hinein, oder hinaus in die reizenden Fernen der Berge, und wenn wir dann zurük sind, und die freundliche Kühle, und das Mondlicht unsern Becher würzt, und unsre Feigen, wenn wir so, oft, ohne ein Wort, uns gegenüber sizen und uns anlächeln über den ernsten dingen, die wir brüten, und Alabanda mir von dem und jenem spricht, den die langeweile des Jahrhunderts peinigt, und so mancher wunderbaren, krummen Bahn, die sich das leben bricht, seitdem sein gerader Gang gehemmt – dann fällt mir oft mein Adamas ein, mit seinen Reisen, seiner eignen Sehnsucht in das innre Asien hinein, auch mit seiner Andacht gegen Kinder – das sind lauter palliative, guter Alter! möcht’ ich dann ihm rufen, komm! und baue deine Welt! uns! denn unsre Welt ist auch die deine. Auch die deine, diotima! denn sie ist die Kopie von dir.

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reno e allo spiegamento di forze del nemico, e così anche per me è stato facile padroneggiare questa materia. ed è davvero bello, diotima, ma più serio e più maestoso di una danza, quando tutte queste forze terribili si uniscono in una sola forza che è sempre la stessa ma assume tutte le forme, | che opera con velocità fulminea ma rimane sempre calma e corretta. Ma la vera grandezza racchiusa in quest’arte diviene veramente visibile solo quando è all’opera. Al pomeriggio in genere ci riuniamo nel ftto del bosco con alcuni russi esperti e intrepidi che sono con noi e cerchiamo di valutare cosa fare in tutte le circostanze che si potrebbero verifcare, e così il mio spirito prende ogni giorno più confdenza con la guerra. È davvero strano, diotima, per alcuni è più semplice dare ordini a un esercito che mettere in ordine una stanza. Ti racconto molto delle mie nuove occupazioni, ma è sempre così per tutto ciò che è nuovo. la sera cavalco con Alabanda lungo la riva del mare o nell’ombra delle querce, oppure verso le affascinanti lontananze dei monti, e quando torniamo il vino e i fchi profumano della gradevole frescura e della luce lunare; quando sediamo l’uno di fronte all’altro senza dire una parola e ci sorridiamo pensando alle cose serie che stiamo preparando, e Alabanda mi parla di questo e quello, uomini tormentati dalla noia del secolo, e dei percorsi curiosi e contorti che la vita segue quando il corso rettilineo viene ostacolato: allora mi torna spesso in mente il mio Adamas con i suoi viaggi, la sua particolare nostalgia per l’Asia centrale, e la sua venerazione per i bambini… Sono solo palliativi, vecchio mio, vorrei dirgli allora, vieni con noi e costruisci il tuo mondo! con noi, perché il nostro mondo è anche il tuo. e anche il tuo, diotima, perché sarà una copia di te.

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hyperIon an DIotIma.

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navarin ist unser, und wir liegen jezt vor Misistra. es geht gut, nur gehts uns allen zu langsam. unsere leute sind, wie angezündeter Kienwald, seit es zum Gefecht gekommen ist. und ich – o Mädchen meiner Seele! seit ich die Fahne, die ich einer Albanischen Horde entriß, an einem Steine des alten Sparta aufhieng, und unter den erbeuteten Waffen unsre alte Schande und die leeren | Tränen, die ich sonst geweint, den Manen des lykurg und des leonidas abbat, seitdem bin ich ein anderer geworden! O lacedämons heiliger Schutt! rief ich, so bist du endlich gerettet, und forthin brauchen dich unreine Hände nicht mehr! deine Schmach ist von dir genommen, leiche von Sparta – Ha! meine diotima! ein zoll der alten Mauern den ich izt erobre, ist mir mehr, als hundert andre Städte unsers kindischen Jahrhunderts! Am eurotas stehet mein zelt, und wenn ich oft nach Mitternacht erwache, rauscht der alte Flußgott mir verständlicher vorüber, und freundlich nehm’ ich die Blumen des ufers, und streue sie ihm hin und sage: nimm das zeichen du Vergeßner! bald soll’s werden, wie es einst war. hyperIon an DIotIma. Wir liegen noch vor Misistra. ich kann es nicht lassen, ich muß zuweilen vorwärts mit einigen Reutern, wir haben uns schon wirklich bis in die Gegenden von elis und nemea durch die Sultansknechte durchgewunden. Alabanda schmählt dann freilich, wenn ich wieder da bin, und es ihm, in meiner Herzensfreude verrathe, aber des Tags darauf thut er dasselbe. es ist kein so großes Wagstük, wenn einer die Gegend kennt.

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IperIone a DIotIma navarino è in mano nostra, e ora siamo davanti a Misistra. Va tutto bene, ma a tutti sembra che si proceda troppo lentamente. i nostri uomini sono come rami di pino incendiati, da quando si è iniziato a combattere. e io – o fanciulla, anima mia – da quando ho issato su una roccia dell’antica Sparta la bandiera che ho sottratto a un drappello di albanesi, e davanti ai mani di licurgo e di leonida127 ho lavato la nostra antica onta e le lacrime inutili | che avevo versato con le armi che abbiamo conquistato, da allora sono un altro uomo! O sacre rovine di lacedemone, esclamai, ora siete fnalmente liberate, e mai più vi toccheranno mani impure. il tuo smacco è stato cancellato, salma di Sparta… Ah, diotima mia, una spanna delle antiche mura conquistata ora vale più di cento città del nostro insulso secolo! Ho piantato la mia tenda lungo l’eurota, e quando mi sveglio dopo la mezzanotte, sento distintamente l’antico dio del fume gorgogliarmi accanto, e con affetto raccolgo i fori sulla riva e li spargo nel fume dicendo: «Accetta questo segno, tu che sei stato dimenticato, presto tutto tornerà com’era una volta». IperIone a DIotIma Siamo sempre davanti a Misistra. non posso farne a meno, ogni tanto devo andare in avanscoperta con alcuni cavalieri, ci siamo fatti strada davvero tra i servi del sultano quasi fno a elide e nemea. Alabanda protesta vivacemente quando poi rientro e, gioioso, gli rivelo che cosa ho fatto, ma il giorno dopo anche lui fa lo stesso. non è particolarmente rischioso, per chi conosce bene la zona.

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es war auch überhaupt mein Wille nicht, so vorzurüken, wie der Bauer im Schach. Mein Vorschlag war, die vesten pläze zu umgehen, wo sich nicht vermuthen lasse, daß sie auf der Stelle sich geben, und Schlag auf Schlag nach allen Seiten hin, des Sultans Horden zu werfen, bis wir, mit jedem Schritte durch landbewohner verstärkt, den Korinthischen isthmus und ringsherum die Küsten des pelopones besezt, und die Türken auf ihre Schiffe, oder nach Macedonien hinaus getrieben hätten; mit den vesten pläzen hätte sichs dann bald entschieden, und wir hätten eine Stellung gewonnen, allem Kriege ein ende gemacht; aber die Russen wollen sich auf unser landvolk nicht verlassen und so hatten sie natürlich Recht, den sichrern Weg uns anzurathen, und weil auch Alabanda sich auf ihre Seite neigte, gab ich nach. | Hätt ich freilich damals gefürchtet, was ich jezt befürchte, so wär ich schlechterdings auf meinem plane bestanden. es macht mich schlafos, wenn ich mir es denke, daß vieleicht der lange Stillstand und der Mangel der daraus entspringt, aus unsern Truppen eine Bande machen könnte. Sie sind schon wütend genug, daß die Besazung in Misistra sich so lange hält, und daß die Griechen in der Stadt nichts thun, um uns hineinzuhelfen. ich habe dißmal wohl dir langeweile gemacht, du liebe! lebe wohl. hyperIon an notara. ich schreibe dir, mein notara. ich kann an diotima nicht schreiben. es ist geschehn, die Wolfsnatur hat einmal wieder sich gütlich gethan. die Bestialität hat ihre Spiele getrieben, und mit meinen projecten ists aus. ich sollte still seyn: ich sollte mich schämen; warum hab’ ich mich mit diesem zottigen Geschlechte befaßt: es geschieht mir

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in effetti non rientrava nei miei piani spingerci avanti in questo modo, come il pedone negli scacchi. la mia proposta era di evitare i luoghi fortifcati, dove si suppone che non si arrendano subito, e respingere invece colpo su colpo le orde del sultano in tutte le direzioni fnché noi, rafforzati a ogni passo dalla popolazione locale, non avessimo occupato l’istmo di corinto e le coste del peloponneso tutto intorno, ricacciando i turchi sulle loro navi o in Macedonia; a quel punto anche i luoghi fortifcati sarebbero caduti in fretta, avremmo conquistato le posizioni e messo fne alla guerra. Ma i russi non si fdano della nostra gente128 e avevano ovviamente ragione a consigliarci la via più sicura, e poiché anche Alabanda era più del loro avviso, ho ceduto. | Se allora avessi avuto i timori che ho ora, avrei ostinatamente difeso la mia idea. non mi fa dormire il pensiero che forse la lunga inattività e la penuria che ne deriva potrebbero trasformare le nostre truppe in briganti. Sono già abbastanza inferociti perché la guarnigione di Misistra resiste così a lungo e i greci in città non fanno nulla per aiutarci. Ma stavolta ti ho certo annoiato, mia cara! A presto. IperIone a notara caro notara, scrivo a te perché non posso scrivere a diotima. È accaduto, la natura rapace si è tolta un’altra bella soddisfazione. la bestialità ha trovato libero sfogo, e tutti i miei progetti sono annientati. non dovrei parlare, dovrei vergognarmi: mi sono messo con questi uomini brutali, ora ho quello che merito.

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recht; warum hab ich mich an die Bären gemacht, um sie, wie Menschen, tanzen zu lehren! nun, guter Wille! laß dich immerhin ins irrhaus bringen! an die Thüre und Wände laß dich schlagen, liebe Weisheit, oder wo man sonst noch einen närrischen zierrath braucht! O ich möchte mich selbst mit Ruthen züchtigen, daß ich so dumm war! Aber nein! das war auch nicht vorauszusehn! Man kann auf Mancherlei gefaßt seyn, kann all die Feigheit und all die stolze Bettelei, und das tükische Schmeicheln, und den Meineid, kann die ganze pöbelhaftigkeit des jezigen Jahrhunderts so natürlich fnden, wie Reegenwetter, aber das ist schwerlich irgend einem Menschen eingefallen, solch einen Schandtag möglich zu denken, wie der gestrige war. nachdem wir sechs Tage vor Misistra gelegen, kapitulirte die Besazung endlich. die Thore wurden geöffnet, und ich und Alabanda führten einen kleinen Theil des Heers in die Stadt. Wir | brauchten alle Vorsicht, ließen die Thore hinter uns sperren, zogen auf den öffentlichen plaz mit unsern leuten, und riefen dahin die griechischen einwohner zusammen. Sie faßten bald zutrauen zu uns. die guten Kinder! sie summten um mich herum, wie Bienen um den Honig, da ich ihnen sagte, was aus ihnen werden könnte, und den Meisten fossen helle Thränen vom Gesichte, da von einer bessern zeit die Rede war. ich bat sie dann, die wenige Mannschafft, die wir ihnen brächten, freundlich aufzunehmen. Sie brauchten exerzitienmeister, sezt’ ich hinzu, und die Waffenübungen seien fürs Volk so nothwendig, wie die Geweihe den Hirschen. in demselben Augenblike brach aus den benachbarten Gassen ein Gelärme von Feuerröhren und schmetternden Thüren und ein Geschrei von heulenden Weibern und Kindern, und Töne, wie von Wütenden, brüllten dazwischen und wie ich mich umsah, stürzt’ ein leichenblasser Haufe um den andern gegen mich, und schrie um Hülfe; die Truppen wären zu den Thoren hereingebrochen, und plünderten, und machten alles nieder, was sich widersezte.

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Quanto mai mi sono avvicinato agli orsi per insegnar loro a ballare come gli uomini! e ora, buona volontà, lascia che ti porti in manicomio. lascia che ti appenda alle porte o alle pareti, cara saggezza, o dove c’è bisogno di una ridicola tappezzeria. Vorrei fustigarmi per essere stato così stupido! Ma no, non si poteva prevedere. ci si può preparare ad affrontare molte cose, i vigliacchi e i mendicanti presuntuosi, gli astuti adulatori e gli infngardi, si può considerare normale tutta la rozzezza del nostro secolo come si considera normale la pioggia, ma diffcilmente si può prevedere un giorno vergognoso come quello di ieri. dopo essere stati accampati sei giorni davanti a Misistra, le truppe si sono infne arrese. Hanno aperto le porte della città e Alabanda e io entrammo con un piccolo gruppo di soldati. Abbiamo | usato ogni prudenza, abbiamo fatto sprangare le porte dietro di noi, siamo andati sulla pubblica piazza con i nostri uomini e abbiamo chiamato a raccolta gli abitanti greci. Si fdarono velocemente di noi, le brave persone! Sciamarono intorno a me come api sul miele quando spiegai loro cosa stava per accadere, molti si misero a piangere quando parlai di un tempo migliore. li pregai quindi di accogliere con amicizia quei pochi uomini che avrei lasciato con loro. Avevano bisogno di istruttori esperti, aggiunsi, ed esercitarsi con le armi era assolutamente necessario per il popolo, come le corna per il cervo. in quell’istante dalle strade vicine si sentì un rumore di spari, porte scardinate, urla di donne e bambini piangenti, a cui si mischiavano ruggiti rabbiosi; come mi guardai intorno, vidi precipitarsi verso di me l’uno dopo l’altro gruppi di persone pallide come cadaveri che chiedevano aiuto: le truppe erano penetrate in città e la saccheggiavano, distruggendo tutto ciò che opponeva loro resistenza.

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ich schwieg, ich überdachte, was zu thun war. O notara! und ich hätte mir mögen das Herz ausreißen, und möcht’ es noch! Alabanda war schröklich. Komm, rief er mir mit seiner Wetterstimme, komm, ich will sie treffen – und es war als leuchtete der Bliz die leute, die wir bei uns hatten, an, so waren Alabandas Augen im Grimme vor ihnen aufgegangen. ich benüzte den Augenblik; schwört, rief ich, daß ihr ruhig bleiben wollt und treu! wir schwörens, riefen sie; drauf rief ich die besten unter ihnen hervor, ihr sollt an meiner und an Alabandas Stelle, sorgen, sagt ich ihnen, daß auf diesem plaze das nötige geschieht, und einigen der Bürger befahl ich, in die Gassen zu laufen, und zu sehen, wie es gehe, und hieher unsern leuten schnelle nachricht einzubringen, andre nahm ich mit mir, um durch sie von hie aus nachricht zu bekommen, andere nahm Alabanda mit sich und so sprengten wir nach zwei verschiednen Gegenden der Stadt hin, wo es am ärgsten tobte. die Bestien bemerkten meine Ankunft nicht, so waren sie begriffen in der Arbeit. den ersten, der mir aufsties – er hielt einen rüstigen schönen Buben bei der Kehle mit der einen Hand, und mit der andern zükt er ihm den dolch aufs | Herz – den faßt’ ich bei den Haaren und schleudert’ ihn rüklings auf den Boden, mein zorniges Roß macht’ einen Sprung zurük und auf ihn zu, und zerstampfte mit den Hufen das Thier. Haltet ein, ihr Hunde! rief ich, indeß ich mitten unter sie stürzte, schlachtet mich erst, wenn ihr Muth habt, mich, mich reißt vom Roß, und mordet und bestehlt mich, denn, so lang ich lebe, mach’ ich so und so, ein Stük ums andere, euch nieder. das war die rechte Art, ich hatt’ auch wirklich mit dem Schwerdt einige getroffen und es wirkte. Sie standen da, wie eingewurzelt, und sahn mit stieren Augen mich an, und einige wollten sogar sich auf die Knie bemühn. Hinaus! rief ich, zum Thore sollt ihr erst hinaus, das Übrige wird folgen.

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Tacqui rifettendo sul da farsi. O notara, mi sarei strappato il cuore, e lo farei anche adesso! Alabanda fu terribile. «Vieni», mi urlò con voce tonante, «andiamo loro incontro!» Fu come se un fulmine avesse colpito gli uomini che gli stavano intorno, tanto i suoi occhi si erano accesi di collera. Approfttai di quell’istante: «giurate che rimarrete calmi e fedeli!» dissi. «lo giuriamo», risposero. chiamai quindi i migliori fra loro: «voi sostituite me e Alabanda e farete in modo che su questa piazza sia fatto tutto il necessario»; ordinai ad alcuni cittadini di correre nelle vie intorno per vedere com’era la situazione e portarne immediatamente notizia ai miei uomini; ad altri ordinai invece di venire con me per garantire la trasmissione delle notizie, altri andarono con Alabanda e così ci precipitammo in due diverse zone della città, dove si sentiva più forte il trambusto. Quelle bestie non si accorsero del mio arrivo, tanto erano impegnate nel loro lavoro. il primo che mi capitò sotto tiro, con una mano teneva per la gola un bel giovane robusto e con l’altra gli puntava un pugnale | al cuore: lo afferrai per i capelli scaraventandolo a terra, il mio cavallo si imbizzarrì facendo un salto indietro e con gli zoccoli calpestò quella bestia. «Fermatevi, cani!» gridai gettandomi in mezzo a loro. «Ammazzate me per primo, se ne avete il coraggio, strappatemi giù dal cavallo, fatemi fuori e depredatemi, altrimenti fnché vivo vi farò a pezzi, l’uno dopo l’altro». era il modo giusto, ne colpii anche alcuni con la spada e funzionò. Si fermarono come impietriti fssandomi con gli occhi sbarrati, alcuni volevano persino gettarsi in ginocchio. «Andatevene!» gridai. «Andatevene per prima cosa fuori dalla città, lì poi avrete il resto».

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‹neuentwurf der ›Misistra‹-Briefe:›

hyperIon an DIotIma.

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ich möchte dich sehen, große Seele, dein schönes Frolokken, deine Thränen, deine theilnehmenden, deine schönen dankbaren Thränen – ach! sehen möcht’ ich dich und deine lieben Hände nehmen, und an diß Herz sie drüken, dem die Freude nun bald vieleicht zu groß ist – bald! in einer Woche vieleicht! diotima! in einer Woche vieleicht ist er befreit, der alte edle heilige pelopones. O was ist noth und Armuth, was ist dieser Traum von Knechtschaft, womit die göttliche Seele sich quält. ich spüre das künftige leben, wie Morgenluft, ich kann vor Hofnung nimmer bleiben, und ruhn. dann laß mich seyn, wie ein Kind! O dann, du Theure! lehre mich fromm seyn! dann lehre mein überwallend Herz ein Gebet! ich sollte wohl stiller seyn; ich sollte schweigen, denn was hab’ ich gethan? und hätt’ ich etwas gethan, wovon man sprechen möchte, wie viel ist dennoch übrig? Aber was kann ich dafür, daß mein Gedanke schneller ist, als die zeit? – ich wollte so herzlich gern, es wäre umgekehrt, und die zeit und die That überföge den Gedanken und der gefügelte Sieg übereilte die Hoffnung selbst. Mein Alabanda blüht, wie ein Bräutigam. Aus jedem seiner | Blike lacht die kommende Welt mich an, und daran still’ ich noch so ziemlich meine ungedult. diotima! ich möchte dieses werdende Glük nicht um die schönste lebenszeit des alten Griechenlands vertauschen, und der kleinste unsrer Siege ist mir lieber, als Marathon und Thermopylä und platea. ists nicht wahr? ist nicht dem Herzen das genesende leben mehr werth, als das reine, das die Krankheit noch nicht kennt! erst wenn der Mai dahin ist, weiß man ihn

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‹nuova bozza delle lettere di Misistra›129

IperIone a DIotIma Vorrei vederti, anima bella, vedere la tua esultanza, le tue lacrime, le tue belle lacrime di commozione e di gratitudine… Vorrei vederti e prendere le tue belle mani e premermele sul cuore, la cui gioia sta diventando eccessiva. presto, forse in una settimana, diotima, in una settimana l’antico, nobile e sacro peloponneso sarà liberato. che cosa sono il bisogno e la povertà, che cos’è quest’incubo di schiavitù che tormenta l’anima divina? percepisco la vita futura come la brezza del mattino, non riesco più a stare fermo per la trepidazione, né a riposare. lascia che torni come un bimbo, mia cara, poi insegnami la devozione e insegna a pregare al mio cuore in tumulto! dovrei essere più calmo, dovrei tacere, perché in fondo che cosa ho fatto? e anche se avessi fatto cose notevoli, quanto resta ancora da fare? Ma che cosa posso farci, se il pensiero è più veloce del tempo? Vorrei tanto che fosse l’opposto, che il tempo e le azioni fossero più veloci del pensiero e la vittoria alata arrivasse prima della speranza stessa. il mio Alabanda forisce come uno sposo. in ognuno dei suoi | sguardi mi sorride il mondo futuro, e questo mitiga in parte la mia impazienza. diotima, non scambierei questa felicità in divenire nemmeno con l’epoca più bella dell’antica Grecia, e la più piccola delle nostre vittorie mi è più cara di Maratona, delle Termopili e di platea. non è così? per il cuore non ha forse più valore la vita in via guarigione di quella integra che non ha mai conosciuto la malattia? Solo quando

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zu schäzen; darum bist du dreifach seelig mir in deiner Wiederkehr, o Frühling der Griechen. Am eurotas stehet mein zelt, und wenn ich oft nach Mitternacht erwache, rauscht der alte Flußgott mir verständlicher vorüber, und freundlich nehm’ ich die Blumen des ufers, und streue sie ihm hin und sage: nimm das zeichen du Vergeßner! bald soll’s werden, wie es einst war. DIotIma an hyperIon.

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ich habe die Briefe erhalten, die du unterwegens mir schriebst. du ergreifst mich gewaltig, mit allem, was du da sagst, mein Hyperion, und mitten in meiner liebe schaudert mich oft, den sanften Jüngling, der zu meinen Füßen geweint, in dieses rüstige Wesen verwandelt zu sehn. Wirst du denn nicht die liebe verlernen? Aber wandle nur zu! ich folge dir. ich glaube, wenn du mich hassen könntest, ich würd’ auch da so gar dir nachempfnden, würde mir Mühe geben, dich zu hassen und so blieben unsre Seelen sich gleich und das ist kein eitelübertrieben Wort, Hyperion. ich bin auch selbst ganz anders, wie sonst. Mir mangelt der heitre Blik in die Welt, und die freie lust an allem lebendigen. nur das Feld der Sterne zieht mein Auge noch an. dagegen denk’ ich um so lieber an die großen Geister der Vorwelt, und wie sie geendet haben auf erden und die hohen Spartanischen Frauen haben mein Herz gewonnen. dabei vergeß ich nicht die neuen Kämpfer, die rüstigen, deren Stunde gekommen ist, ich sehe sie nahn und unter ihnen stralt das lieblichglühende Gesicht | Hyperions durch, und denkst du? ich fürchte den Ausgang. liebster! manchmal wills mich überfallen; aber meine größern Gedanken halten, wie Flammen, den Frost ab.

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il maggio è passato lo si apprezza, e perciò mi sei tre volte più preziosa ora che ritorni, primavera dei greci. Ho piantato la mia tenda lungo l’eurota, e quando mi sveglio dopo la mezzanotte, sento distintamente gorgogliare accanto a me l’antico dio del fume; con affetto raccolgo i fori sulla riva e li spargo nel fume dicendo: «Accetta questo segno, tu che sei stato dimenticato! presto tutto tornerà com’era una volta». DIotIma a IperIone Ho ricevuto le lettere che mi hai scritto in viaggio. Ogni cosa che dici mi colpisce profondamente, e in tutto il mio amore rabbrividisco nel vedere il dolce ragazzo che ha pianto ai miei piedi trasformato in una creatura così energica. non disimparerai ad amare? Ma trasformati pure, io ti seguirò! credo che se tu iniziassi a odiarmi cercherei anche in quel caso di sentire lo stesso, mi sforzerei di odiarti, in modo che le nostre anime rimangano simili; e non lo dico per smodata vanità, iperione. Anch’io sono molto cambiata da allora. Mi manca lo sguardo sereno sul mondo e la gioia spensierata per tutto ciò che vive. Solo il campo delle stelle attira ancora il mio sguardo. preferisco invece pensare ai grandi uomini del passato e alle loro vicende sulla terra, e le nobili donne spartane hanno conquistato il mio cuore. Ma non dimentico i guerrieri di oggi, vigorosi, la cui ora è venuta; li vedo avvicinarsi e fra loro splende l’amato e accalorato volto | di iperione e, lo sai? Ho paura della conclusione. carissimo, qualche volta mi intimorisce, ma i pensieri più nobili, come famme, tengono lontano il gelo.

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lebe wohl! Vollende, wie es der Geist dir gebeut, und laß den Krieg zu lange nicht dauern um des Friedens willen, Hyperion, um des schönen neuen goldnen Friedens willen, wo, wie du sagtest, einst in unser Rechtsbuch eingeschrieben werden die Geseze der natur, die ewigfesten ehernen Bedingungen des lebens, und wo das leben selbst, wo sie, die göttliche natur, die in kein Buch geschrieben werden kann, im Herzen der Gemeinde seyn wird. lebe wohl. hyperIon an DIotIma. du hättest mich besänftigen sollen, meine diotima, hättest sagen sollen, ich möchte mich ja nicht übereilen, möchte dem Schiksaal nach und nach den Sieg abnöthigen, wie man kargen Schuldnern ein Stük ums andre aus der Hand bringt. O Mädchen! stille zu stehn, ist schlimmer, wie alles. Mir troknet das Blut in den Adern, so dürst’ ich weiterzukommen, und muß hier müßig stehn, und belagern, belagern, den einen Tag wie den andern. unser Volk will stürmen, aber das würde die aufgeregten Gemüther zum Rausch erhizen und wehe dann unsern Hoffnungen, wenn das wilde Wesen aufgährt und die zucht und die liebe verreißt. ich weiß nicht, es kann nur einige Tage noch dauern, so muß Misistra sich ergeben, aber ich wollte wir wären weiter. im lager hier ists mir, wie in gewitterhafter luft. ich bin ungeduldig; auch meine leute gefallen mir nicht. es ist ein furchtbarer Muthwill unter ihnen. Aber ich bin nicht klug, daß ich so viel aus meiner laune mache. und das alte lazedämon ists ja doch wohl werth, daß man ein wenig Sorge leidet, eh’ man es hat. |

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Abbi cura di te, porta a termine quello che lo spirito ti comanda, e per amore della pace fa’ che la guerra non duri troppo a lungo, iperione, per amore di una pace aurea, nuova e bella quando, come hai detto una volta, verranno scritte nel codice le leggi della natura e quando la vita stessa e lei, la natura divina, che non può essere scritta in alcun libro, vivranno nel cuore della comunità. Abbi cura di te. IperIone a DIotIma Avresti dovuto calmarmi, cara diotima, avresti dovuto dirmi che non devo affrettarmi, che devo estorcere la vittoria al destino a poco a poco, come si estorce a poco a poco il dovuto dalle mani di avari debitori. cara fanciulla, stare fermi è la cosa peggiore. Mi si secca il sangue nelle vene da tanto sono desideroso di muovermi, e devo invece rimanere ozioso, devo assediare e assediare, un giorno dopo l’altro. i nostri uomini vorrebbero attaccare, ma questo surriscalderebbe troppo gli animi già eccitati e guai allora alle nostre speranze, se la parte selvaggia si scatena e distrugge la disciplina e l’amore. non so, potrà durare pochi giorni ancora e poi Misistra dovrà arrendersi, ma vorrei che fossimo già oltre. l’accampamento è come l’aria carica di temporale. Sono inquieto, anche i miei uomini non mi piacciono. Serpeggia un terribile malcontento fra loro. Ma non è saggio dare così tanto peso al mio umore, e l’antica lacedemone vale pur bene qualche fatica per conquistarla. |

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hyperIon an DIotIma. es ist aus, diotima; unsre leute haben geplündert, zerstört, gemordet, ohne unterschied auch unsre guten Brüder, von ihnen erschlagen sind sie, die Griechen in Misistra, die unschuldigen, oder irren sie hülfos herum, – und ihre todte Jammermiene ruft den Himmel und die erde zur Rache wider die Barbaren an deren Spize ich war. nun kann ich hingehn und von meiner guten Sache predigen. O nun fiegen alle Herzen mir zu! Aber ich habs auch klug gemacht. ich habe meine leute gekannt. in der That! es war ein außerordentlich project, durch eine Räuberbande mein elysium zu pfanzen. nein! bei der heiligen nemesis! mir ist Recht geschehn und ich wills auch dulden, dulden will ich, bis der Schmerz mein lezt Bewußtseyn mir zerreißt. denkst du, ich tobe? ich habe eine ehrsame Wunde, die einer meiner Getreuen mir schlug, indem ich den Greuel abwehrte. Wenn ich tobte, so riß’ ich die Binde von ihr, und so ränne mein Blut wohin es gehört, in diese trauernde erde. diese trauernde erde! die nakte! so ich kleiden wollte mit heiligen Hainen, so ich schmüken wollte mit allen Blumen des griechischen lebens! O es wäre schön gewesen, meine diotima. ‹lücke von zwei doppelblättern›

hyperIon an DIotIma. ich habe lange gewartet, ich will es dir gestehn, ich habe sehnlich auf ein Abschiedswort aus deinem Herzen gehofft; aber du schweigst. Auch das ist wohl so sehr unfreundlich nicht, wie

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IperIone a DIotIma È fnita, diotima, i nostri uomini hanno saccheggiato, distrutto, ammazzato senza distinzione, anche i nostri fratelli buoni; sono stati ammazzati, i greci di Misistra, gli innocenti, oppure vagano inermi nei dintorni, e i loro volti stravolti e disperati gridano vendetta al cielo e alla terra contro i barbari che io comandavo. Adesso sì che posso andare a predicare la mia buona causa, tutti i cuori voleranno a me! Ma sono stato furbo, come conoscevo bene i miei uomini! davvero, era un progetto straordinario, costruire un elisio con una banda di briganti. no, per la sacra nemesi, ho quello che mi merito e lo sopporterò, lo sopporterò fnché il dolore non lacererà anche l’ultimo brandello della mia coscienza. pensi che sia impazzito? Ho una rispettabile ferita che uno dei miei fdi mi ha inferto mentre cercavo di impedire il massacro. Se fossi impazzito, mi strapperei le bende e lascerei scorrere il sangue su questa terra dolente alla quale appartiene. Questa terra dolente, spoglia, che volevo rivestire di boschi sacri, che volevo adornare con il for fore della vita greca! che bello sarebbe stato, mia cara diotima. ‹mancano quattro fogli›

IperIone a DIotIma Ho atteso a lungo, te lo confesso, ho sperato ardentemente in una parola di commiato dal tuo cuore, ma tu taci. Ma non è così scortese come potrebbe sembrare,

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es scheinen könnte, auch das ist eine Sprache deiner schönen Seele, diotima. nicht wahr? die tieferen Akkorde hören darum doch nicht auf? nicht wahr, diotima! wenn auch die Blüthe der liebe wegfällt, ihre Wurzel bleibt doch immer. O das ist meine lezte Freude, zu fühlen, daß wir unzertrennlich sind, wenn auch kein laut von dir | zu mir, kein Schatte unserer holden Jugendtage mehr zurükkehrt. darum laß ich auch gerne meinem einsamen Herzen es zu, daß es noch einmal zu dir spreche, darum gönn’ ich ihm auch gerne sein leztes Spiel. ich blike in die nächtliche See hinaus nach dir, ich breite die Arme aus nach den Gegenden, wo du ferne lebst, was kann es dich stören? es ist zum leztenmale, du wirst es verzeihn. Glaube mir, man siehet diese Spiele der Sterblichkeit ganz eigen an, in Stimmungen, wie die meine ist; man sieht sie freier, ach! und dennoch sind sie dem Herzen theurer als je. O erde! meine Wiege! es ist ein großer Abschied, es ist ein bittrer Abschied, den wir von dir nehmen.

‹Salamisfragment:›

ende des ersten Buchs. ich scheide heute von Salamis. ich will nach Kalaurea hinüber, will auch nach Tina. es ist sonderbar, aber ich muß dahin. Wir können das nicht lassen, unsere Begegnisse uns vors Auge zu halten; der Gefangene tastet zur Kurzweil im dunkel umher, und sieht, wie weit sein Kerker ist, das Kind spielt mit der Wunde, die es sich stieß, der Kranke unterhält sich mit seiner Krankengeschichte, der Schiffbrüchige mit dem Sturme, wor-

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anche questo fa parte del linguaggio della tua anima bella, diotima. non è così? Gli accordi più sacri non sono certo spenti; non è vero, diotima, che anche quando il fore dell’amore appassisce, la sua radice rimane? È ormai la mia unica gioia sapere che siamo inseparabili, anche quando non giunge più fno a me | nemmeno una tua parola, nessun’ombra dei giorni soavi della nostra giovinezza. per questo permetto al mio cuore solitario di parlarti ancora una volta, per questo gli concedo volentieri quest’ultimo desiderio. Scruto il mare notturno verso di te, tendo le braccia verso il luogo, lontano, dove tu vivi, che fastidio può darti? È l’ultima volta, mi perdonerai. credimi, si guardano i trastulli dei mortali in modo del tutto diverso, quando si è nel mio attuale stato d’animo; li si vede in modo più disincantato, eppure il cuore vi rimane più affezionato che mai. O terra, la mia culla! È un grande addio, un addio amaro quello che ti diamo.

‹frammento di Salamina›130

Fine del primo libro Oggi lascio Salamina. Voglio andare a calauria, vorrei anche andare a Tinos. È strano, ma devo andarci. non possiamo evitare di confrontarci continuamente con ciò che ci è accaduto; il prigioniero esplora a tentoni nel buio le dimensioni della cella per passare il tempo, il bambino giocherella con la ferita che si è procurato, il malato discorre della storia della sua malattia, il naufrago della

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inn er gescheitert und ich bin kaum auf festeren Füßen so muß ich fort, und sehen, mit eignen Augen, was mir widerfahren ist, seitdem ich weg bin. Wofür? ich werd’ es nicht aushalten, ich werde meine gewonnene Ruhe muthwillig zerreißen; und thue es doch? O es ist ein Meer von Übermuth in uns! Übermuth? Verzeih’ mir Gott den schaalen Gedanken! liebe ists, mein Bellarmin! Wir sind zu innig verknüpft, mit allem, was um unser Herz sich regt, wir trinken an den Brüsten des Schiksaals, auch wenn es Wermuth nimmt, um uns von ihnen zu entwöhnen. ich habe sie sehr lieb gewonnen, diese insel. doch kann ich wenig dir von ihr erzählen. ich gieng so Tag für Tag herum auf | ihren grasigen pfaden und sah, ob diß und jenes Feld gedeihe, das ich in Schuz genommen als wär es mein, ob da und dort die kleinen sauren pfrsichpfaumen milder würden und zählte die Trauben am Stoke, und pfükte Beere an den Heken, und wilde pfanzen am Wege. derlei Geschäffte trieb ich meist den Sommer über. Aber meine Gedanken sind wunderbar unter diesen Spielen gereifft, und meine Seele ist im Müßiggange größer geworden. es kommt mich schwer an, diese insel zu verlassen, und ich sehe mit wehmütiger Freude das unschuldige leben dieser Thale und Hügel. es ist, als sollt’ noch mein Abschiedsmahl genießen. Reifer grünt die verbrannte Wiese noch einmal auf im kühlen Reegen des Spätjahrs, und die zeitlosen blühen und schimmern im dunkeln Grase und auf den Stoppeläkern waiden die Schaafe und die zugvögel versammeln sich lärmend in den abgeerndteten zweigen und schiken zur Reise sich an. lieblichmild sind izt die Spiele der Wolken; und die Sonne lächelt in ihrer ewigen Ruhe dazwischen und die Menschen sizen vergnügt in der Hütte und freuen sich, wie die Bienen des ge-

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tempesta che lo ha fatto naufragare, e io riesco appena a reggermi in piedi che già voglio andarmene per vedere con i miei occhi cosa mi è successo da quando sono andato via. perché? non riuscirò a sopportarlo, manderò deliberatamente in frantumi la calma che ho raggiunto, e voglio farlo ugualmente? Quanto è grande il nostro orgoglio! Orgoglio? dio mi perdoni questo futile pensiero! È amore, Bellarmino mio! Siamo legati troppo intimamente a tutto ciò che si muove intorno al nostro cuore, e succhiamo al seno del destino anche se beve assenzio per svezzarci. Mi sono molto affezionato a quest’isola; eppure posso raccontarti poco di lei. Giorno dopo giorno mi aggiravo sui | suoi sentieri erbosi e guardavo se questo o quel campo, che avevo preso sotto la mia protezione come se mi appartenesse, maturava, se qua e là le piccole prugne selvatiche diventavano più dolci e contavo i grappoli sul tralcio, raccoglievo frutti dalle siepi ed erbe selvatiche sulla via. con queste occupazioni ho trascorso l’estate. Ma i miei pensieri sono straordinariamente maturati con questi passatempi, e la mia anima è divenuta più nobile con l’ozio. Mi è diffcile lasciare quest’isola, e osservo con gioia malinconica la vita innocente delle valli e delle colline. È come se dovessi gustare ancora la mia ultima cena. il verde del prato riarso si ravviva ancora una volta, più maturo, con la pioggia fresca dell’autunno e il colchico forisce brillando tra l’erba scura, mentre le pecore pascolano sui campi di stoppie e gli uccelli migratori si raccolgono chiassosi sui rami da cui sono stati già raccolti i frutti, preparandosi al viaggio. Adorabili e miti sono ora i giochi delle nuvole, mentre il sole sorride fra loro nella sua eterna quiete e gli uomini siedono contenti nelle loro case e si rallegrano del buon raccolto di quest’anno, come le api del

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sammelten Honigs, der gesunden Früchte des Jahrs. Auch die Schiffer kommen nach Haus und die Mäste ruhen im Hafen. ich frage nicht, ob ich nicht anderswo diß all so gut gefunden hätte, wie in Salamis. es ist unverzeihlich altklug, wenn ein Freund uns Ruhe giebt mit seinem stillen Gespräche, dann noch hinterherzusagen, derlei könne man überall haben. und ich weiß nicht, Salamis hat doch eigene Reize, und die Gefährten des Ajax hatten Recht, im Vaterlandsweh auf der fernen Küste zu rufen: draußen schwimmst du von Meereswoogen umrauscht! Voll Ruhms, voll guten Geistes, o Salamis! |

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miele. Anche i marinai tornano a casa e gli alberi maestri riposano nel porto. non mi chiedo se anche altrove avrei apprezzato queste cose come a Salamina. È imperdonabile e pedante, dopo che un amico ci ha ridato la tranquillità con un conversazione pacata, dire poi che la stessa cosa la si potrebbe trovare dovunque. Ma non so, Salamina ha un fascino tutto suo, e i compagni di Aiace avevano ragione a cantare, per nostalgia della patria e delle coste lontane: laggiù dimori circondata dalle onde! colma di onore, colma di bello spirito, o Salamina!131 |

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‹zum zweiten Band. zweites Buch:›

DIotIma an hyperIon. ich habe die beiden Briefe, die du nach der unglüklichen Begebenheit in Misistra schriebst, zugleich und viel zu spät erhalten. im ersten schriebst du mir nur kurz, du seiest gesonnen, zur Russischen Flotte zu gehn. der zweite gieng zu tief aus deiner Seele, als daß ich daran zu mahnen brauchte... du hast darauf gerechnet, hast mirs zugetraut, daß mich dieser Brief nicht belaidigen könne. das hat mich mitten in meiner Betrübniß herzlich gefreut. unglüklicher edler Geist! ich habe wohl dich gefaßt. O Gott! es ist so ganz natürlich, daß du nimmer lieben willst, weil deine größeren Bedürfnisse ein Spott des Schiksaals sind, so natürlich als wenn du die Speise verschmähtest, im Augenblike, da die dich durstes sterben ließe. ich wußt’ es bald, ich konnte dir nicht alles seyn, du hattest früh die langeweile dieser zeit gefühlt; du littst, da ich dich kennen lernte, nicht so wohl durch irgend ein bestimmtes unglük; auch nicht jenes Schiksaal, mit dem die alten Heroen sich maßen, nicht jene schauerliche große Macht, es war die unmacht, die Gemeinheit, es war das fade nichts, der fade Tod, die fade ungeheure leerheit deiner zeitgenossen, was dir bei deinem ersten Blik’ ins leben begegnete und das hat dich um deinen Frieden gebracht. das hat auf immer dich entzweit mit aller Sterblichkeit, das hat den Trieb nach Ganzem, und unendlichem, zu deiner leidenschaft, das hat zu aller menschlichen lebensfreude, zu aller menschlichen Beschäftigung unfähig, hat tief und unheilbar elend dich gemacht auf immer. Sieh! es geht dir recht, wie einem, der daran war, an der Frost zu sterben und nun von seinem Feuerheerde nimmer läßt.

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‹dal secondo volume. Secondo libro›

DIotIma a IperIone Ho ricevuto le due lettere che mi hai scritto dopo la sciagura di Misistra, insieme e molto in ritardo. nella prima mi scrivevi brevemente che eri deciso a unirti alla fotta russa; la seconda scaturiva troppo profondamente dalla tua anima, non c’è bisogno di ricordartela... Hai contato su di me, ti sei fdato sapendo che quella lettera non mi avrebbe offeso, e di questo mi rallegro, pur nella mia tristezza. Spirito nobile e infelice, ho capito cosa intendevi! Santo cielo, è del tutto naturale che tu non voglia più amare dopo che i tuoi desideri più nobili sono stati dileggiati dal destino, tanto naturale quanto rifutare il cibo nell’attimo in cui si sta morendo di sete. lo capii in fretta, che non potevo essere tutto per te, avevi sperimentato presto la noia di questo tempo; soffrivi, quando ti conobbi, non tanto per una sventura precisa, e nemmeno per il destino con cui si erano misurati gli antichi eroi; non era quella forza temibile e potente, bensì l’impotenza, la volgarità, era l’insipido nulla, la morte insipida, l’insipida e mostruosa vacuità dei tuoi contemporanei quello che ti aveva salutato al tuo ingresso nel mondo, e questo ti ha privato della pace. Questo ti ha diviso per sempre dagli altri mortali, ha reso una malattia l’aspirazione verso la totalità, l’infnito; ti ha reso incapace di godere delle gioie della vita, di tutte le occupazioni umane; ti ha reso per sempre profondamente e inguaribilmente infelice. Vedi, sei davvero come uno che stava per morire assiderato e ora non vuole più allontanarsi dal fuoco del focolare.

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Hättest du nicht das dürftige so in seiner ganzen unbeschreiblichkeit gesehn, du würdest nicht vor jeder Spur desselben, du würdest nicht auch da, wo andere es reizend fnden, mit dieser wunderbaren Scheue vor ihm fiehn, du würdest nicht, wie ein Wilder, jede Klugheit, jedes Tagwerk, jedes Amt und jeden Stand verschmähn, du wärst der räthselhafte Furchtsame nicht, der, statt die Macht und Arbeit, wie die andern Furchtsamen zu fürchten, | den Schlaf nur fürchtet und die unmacht, die ihm gegenüber steht – nicht wahr, Hyperion, ich weiß zu sprechen, ich weiß dich abzuhandeln? was blieb mir auch in meiner einsamkeit sonst übrig? Was konnt’ ich treiben, seit du fort bist, wenn ich nicht der müßigen Trauer unterliegen wollte, die so leicht mir des lebens ganze Kraft verzehrt? Was konnt’ ich thun, als denken über dich? ich hab’ auch manchen lieben Tag so hingebrütet.

O einst, Hyperion, da ich noch dich nicht kannte, dacht’ ich wenig. So kamst du zu mir. ein friedlich Mädchen war ich, sah, wie die Kinder und die Vögel der luft, nur was mir paßte, das andere sah’ ich nicht. An mich zu denken, hatt’ ich keine zeit. ich lebt’ in lauter süßen freudigen Geschäfften; in ewiger müheloser inniger liebe für alles Schöne der Welt. Hyperion! es war unendlichkeit in meiner kleinen Sphäre. Aber noch ist kein Schooskind der natur es immerhin geblieben. Auch meine Stunde sollte schlagen; böser Mensch! mit dir hats angefangen. diese Trauer, diese tiefe demuth und dieser blühende dichtrische Sinn und dieser Heldenglaube, und diese Geistesgewalt, solch einen Menschen hatt’ ich nie gekannt. eine niegefühlte neugier trieb mich an das wunderbare Wesen, und unaussprechlich zog die zarte Seele mich an und kindisch leichtsinnig wagt’ ich mich in deine gefährliche zone. du must ihn erhei-

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Se tu non avessi visto la miseria in tutti i suoi lati peggiori, non scapperesti da ogni sua minima traccia, non ti ritrarresti in quel modo anche laddove gli altri la trovano affascinante, non disprezzeresti come un folle ogni abilità, ogni lavoro, ogni carica e ogni ceto, non saresti quell’uomo misterioso e impaurito che, invece che temere il potere e la fatica, come gli altri paurosi, | teme soltanto il sonno e l’impotenza che lo fronteggiano. non è vero, iperione, che so descriverti, che so capirti fno in fondo? del resto, che altro potevo fare nella mia solitudine? che cosa potevo fare da quando te ne sei andato, per non cadere vittima della tristezza oziosa che così velocemente consuma le mie forze vitali? che cosa potevo fare se non pensare a te? e così, pensandoti, ho trascorso qualche bella giornata.

una volta, iperione, quando ancora non ti conoscevo, pensavo poco. poi sei arrivato tu. ero una ragazza tranquilla, come i bambini e gli uccelli del cielo vedevo solo ciò che mi aggradava, il resto lo ignoravo. non avevo tempo di pensare a me stessa. Vivevo con tante occupazioni dolci e gioiose, con un amore eterno, spontaneo e sentito per tutto ciò che nel mondo è bello. iperione, c’era l’infnito nel mio piccolo orizzonte! Ma nessuno dei prediletti della natura lo rimane per sempre. doveva venire anche la mia ora, ed è arrivata con te, furfante! Quella tristezza, quella profonda umiltà, quell’intuito poetico in fore, la fede negli eroi e la forza di spirito: un uomo così non l’avevo mai incontrato. una curiosità sconosciuta mi spingeva verso quell’essere speciale, l’anima delicata mi attirava in modo irresistibile e io, ignara e spensierata, mi addentrai nel tuo pericoloso territorio. devi rallegrarlo, pensavo

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tern, dacht’ ich thöricht, must den räthselhaften Schmerz in ihm besänftigen; ich wußte nicht warum? ein Triumph über alle Triumphe lag für mich in dieser Hoffnung. Bald aber sah’ ich tiefer. ich fühlt’, ich hatte das unmögliche gewollt und fühl’ es jezt noch besser. Konnt’ ich die Bande der Sterblichkeit dir lösen? konnt ich den Seelendurst dir stillen, für den kein Quell feußt, und kein Weinstok wächst? konnt ich die Freuden einer Welt in einer Schaale dir reichen? Ach! glüklich sind sie alle, die dich nicht verstehen. Wer dich versteht, der muß eben arm wie du werden, muß deine Größe theilen und deine Verzweifung. die schönen Freuden der liebe

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ingenuamente, devi lenire il suo misterioso dolore; non so perché, ma il massimo dei trionf mi sembrava riposto in quella speranza. presto però vidi più in profondità. capii che avevo desiderato l’impossibile e ora lo capisco ancora meglio. potevo scioglierti dai lacci della caducità? potevo estinguere la sete della tua anima, per la quale non scorre alcuna sorgente, alcun vino? potevo porgerti in una coppa le gioie di un mondo? Ah, beati coloro che non ti comprendono! chi ti comprende deve diventare misero come te, deve condividere con te grandezza e disperazione. le belle gioie dell’amore

Note all’appeNdice 1

La lettura di Platone e di Hemsterhuis, nelle cui opere compare la fgura di Diotima, non sarebbe infatti suffciente a spiegare il cambiamento: essa risaliva già a molti anni prima, ma Diotima non aveva evidentemente attirato l’attenzione del poeta. Ciò accade invece con il saggio di Schlegel, che si concentra sulla donna e su come le fosse stato possibile assurgere a un così alto livello di conoscenza flosofca, tanto da venire addirittura riconosciuta da Socrate come sua maestra. Schlegel elenca cinque tratti fondamentali di questa fgura, che confuiranno tutti nella rielaborazione hölderliniana: Diotima è una sacerdotessa, ha tratti profetici come la Pizia; è capace di una particolare esaltazione lirica; aderisce alla flosofa pitagorica, è un’ardente patriota e infne, come la defnisce Schlegel, è «immagine dell’umanità giunta a perfezione» (Schlegel: Über die Diotima, pp. 71, 115). Potrebbe essere stato proprio questo saggio, quindi, a suscitare l’attenzione del poeta che inizia a delineare meglio la sua protagonista femminile. Cfr. anche Gaier: Diotima, eine synkretistische Gestalt, pp. 151-155. 2 Kallias, dal greco ‘il bello’, che compare qui come il destinatario della lettera, è forse la fgura che prelude a Bellarmino, il ‘bel tedesco’. Il nome Callia compare anche nel romanzo di Wieland Storia di Agathon, la cui ambientazione (la Grecia classica) richiama molto da vicino il romanzo hölderliniano. Agathon è il Bildungsroman più celebre dell’Illuminismo tedesco, con una lunga e complessa gestazione (nel 1766/1767 appare la prima versione, a cui segue nel 1773 una seconda, infne quella defnitiva nel 1794, a ridosso di Iperione). Anche se trama, personaggi e stile sono alquanto diversi, molte sono le somiglianze dal punto di vista teorico e strutturale tra le due opere (le mettono in luce Erhart: «In guten Zeiten giebt es selten Schwärmer» – Wielands Agathon und Hölderlins Hyperion; Emmel: Hyperion, ein anderer Agathon?). Entrambi gli autori si confrontano con la teoria illuministica del romanzo per poi superarla gradualmente, con svariate fasi di sperimentazione; entrambi devono misurarsi con temi come la Schwärmerei, l’Empfndsamkeit, l’antropologia ottimistica

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dell’Illuminismo e il ruolo dell’impegno politico; tutti e due scelgono la tecnica della narrazione autobiografca retrospettiva e presentano un fnale aperto, che problematizza non soltanto il ruolo del protagonista, che passa di disillusione in disillusione, ma anche la defnizione stessa del genere letterario. Ma oltre a Wieland, il romanzo si colloca da subito nella prospettiva di un ftto dialogo intertestuale anche con altre opere dell’epoca, in particolare il Donamar di Bouterwek e l’Ardinghello di Heinse. Cfr. Gaier: Hölderlin. Eine Einführung, pp. 60-63. 3 nel periodo di permanenza allo Stift Hölderlin si dedica con intensità allo studio di Platone e dei neo-platonici, che leggeva insieme a Hegel e ad altri compagni, in primis Hemsterhuis e i commentari fciniani, ritenuti all’epoca opere genuinamente platoniche (cfr. note al testo, 24). nella fasi successive di lavoro al romanzo se ne troveranno echi molto più forti e precisi, soprattutto nella stesura in versi. Sul concetto di ante-Elisio cfr. note al testo, 174. 4 Il «genio di Meonia», che in altri passi dei materiali preparatori sarà indicato anche come il «meonide», è Omero, che una delle tradizioni più accreditate nel Settecento vuole originario della Lidia (qui evocata con il suo antico nome). nel Settecento la cultura greca antica e quella medio-orientale erano considerate strettamente correlate, solo più tardi verranno tracciati dei confni più netti, e l’orientalistica come disciplina nasce e si afferma proprio nel Settecento; l’opera di Richard Pocock, che ne fu il pioniere, Description of the East and some other countries, circolava in tutta Europa in traduzione francese e tedesca (Erlangen 1771), e Hölderlin se ne interessava al punto da andare a far visita, a Jena, al celebre orientalista H. E. G. Paulus (Kocziszky: Hölderlins Orient, pp. 15-25). Atmosfere orientaleggianti trovano spazio anche nel romanzo, e soprattutto nei materiali preparatori: la descrizione di Smirne con le sue moschee, i paesaggi dell’entroterra, l’abitudine di ritirarsi a mangiare sotto le tende secondo la consuetudine ottomana, la carovana di cammelli. 5 Letteralmente: ‘la dolce’. nome femminile che compare frequentemente nei Carmi di Orazio. 6 L’appartarsi in un luogo tranquillo e raccolto per dedicarsi alla lettura di Omero è un gesto che rimarrà tipico di Iperione, in tutta la sua evoluzione come personaggio; un gesto che lo accomuna a Werther e ad altri protagonisti di opere dell’epoca; cfr. note al testo, 72. 7 L’episodio è tratto da Iliade, lib. X, vv. 462-579.

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Prima di questo paragrafo è riportata la citazione da una lettera di Julie nella Nouvelle Héloïse (cfr. Introduzione ai materiali preparatori), che viene richiamata anche in queste ultime righe: nella missiva Julie infatti esorta il suo interlocutore a essere più coerente e a descrivere le sue pene con uno stile meno spensierato, meno artifciale («une couleur moins frivole») o, meglio ancora, ad abbandonare la malcelata fnzione letteraria che non gli si addice. In questo frammento proprio quella fnzione, quei colori artifciali, appaiono al protagonista come l’unica via per rendere sopportabile (e assimilabile) il passato. 9 Il motivo del sonno, che compare anche all’inizio del frammento precedente (Dormivo, o mio Callia…), lo si ritroverà in apertura della terza lettera del Frammento di Iperione (pp. |496-497|); questo stralcio potrebbe quindi essere una prima bozza di quella lettera. 10 La fgura della fanciulla ionica presenta già tutte le caratteristiche che saranno di Melite nel Frammento di Iperione. Essa appare al giovane che sta vivendo una fase di inquietudine e di scontento e ha il potere divino di ridonare la pace al cuore tormentato; rappresenta fn dalle prime battute l’amore e la bellezza, con tratti ideali e sacerdotali. Subito nasce in Iperione il desiderio di conquistarla, un desiderio che appare quasi sacrilego poiché immediatamente equiparato alla pretesa dell’uomo di possedere il divino. Ciò porterà inevitabilmente all’allontanamento tra i due e infne alla morte di lei, un destino che accomuna la protagonista hölderliniana alla Julie di Rousseau. 11 Questa prefazione, rispetto alle due successive (quella della penultima stesura e quella andata poi in stampa), reca un’impronta molto più teorica, frutto delle intensive letture flosofche che segnano il soggiorno del poeta a Waltershausen: Kant, Platone, Herder e certamente anche il saggio schilleriano Grazia e dignità. Altrettanto densa e programmatica è la prefazione schilleriana alle Philosophische Briefe (Lettere flosofche, 1786), a cui Hölderlin potrebbe essersi ispirato. Qui viene illustrato il processo di maturazione di Julius, l’adolescente protagonista del dialogo epistolare, sullo sfondo di tematiche tipiche della cultura flosofca tedesca di metà Settecento, in cui si intrecciano questioni religiose, metafsiche e antropologiche, molto diffuse e dibattute. nelle Lettere flosofche gli stadi esistenziali che Julius attraversa si rifettono in diverse posizioni di pensiero. In questa dialettica interna dello spirito umano, Hölderlin vede rappresentata quell’oscillazione tra i due estremi che considera il motore per elevarsi verso la verità. Per questo egli descrive il proprio romanzo così come lo aveva

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concepito a Waltershausen, come il grande passaggio dalla giovinezza alla maturità, dal sentimento alla ragione, dal regno della fantasia al regno della verità (lettera a neuffer, 10 ottobre 1794 – MA, vol. II, pp. 548-551). Ma a differenza di Schiller, Hölderlin non intende limitarsi alle epoche della ragione, bensì considera lo spirito e le sue manifestazioni come un momento nel processo di ‘organizzazione’ dell’uomo. Questa intuizione verrà poi sviluppata nella stesura in versi con l’errare dell’amore, che si sostituisce alla ragione che in Schiller sbagliava e insieme faceva tesoro dell’errore; l’amore che, come in Herder, con la sua triplice forza (monhv, provodo~, ejpistrofhv) costituisce l’energia di ogni sistema organizzato (sullo schema triadico, compiutamente elaborato nella Teologia platonica di Proclo e presente nelle correnti neoplatoniche, si veda Franz: Tübinger Platonismus, pp. 103-106). In questo modo egli rende omaggio al maestro ma allo stesso tempo va ben oltre la sua visione unilaterale, aprendo una prospettiva di respiro storico-antropologico. 12 Oltre al concetto di linguaggio visto come ‘organo’ (lettera a neuffer, 10/14 luglio 1794 – MA, vol. II, pp. 537-539: «Il linguaggio è l’organo della nostra testa, del nostro cuore, un segno delle nostre fantasie, delle nostre idee; a noi deve ubbidire»), un’altra parolachiave che Hölderlin in questa fase riprende dagli scritti di Herder (Dio: dialoghi sulla flosofa di Spinoza; Idee per una flosofa della storia dell’umanità, lib. XV) è il concetto di ‘organizzazione’, che viene anch’esso ricondotto all’ambito delle leggi di natura; si pensi anche a Kant, che nella Critica del giudizio (§§ 65-66) tratta l’organizzazione e gli esseri organizzati in quanto fni naturali. Sebbene questa possibilità fosse già accennata in Herder, Kant non procede applicando questo concetto anche a questioni antropologiche, etiche e sociali, come fa invece Hölderlin (cfr. Metzger: Konjektur und Organismus. Der Organismusdiskurs des 18. Jahrhunderts als interdiskursiver Probabilismus bei Lambert, Herder, Kant, Schelling und Hölderlin). L’idea di ‘organizzazione’, centrale nell’opera di Herder, gli permette di superare il panteismo spinoziano allineandolo alle scoperte più recenti delle scienze naturali; per ogni legge di natura essa prevede un punto culminante che è quello in cui si realizza l’equilibrio tra le diverse forze che arrivano a costituire un accordo armonico. Questa idea del ‘massimo’ in cui gli estremi trovano il loro punto di equilibrio («massima semplicità», «massimo sviluppo», recita la prefazione al Frammento) diviene essenziale per la concezione hölderliniana, e la si

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trova condensata nella frase tratta dall’epitaffo di Ignazio di Loyola. I due punti massimi, qui rappresentati come momenti ideali, si distinguono per il fatto che uno si raggiunge solo grazie alle leggi della natura, senza l’intervento dell’uomo, l’altro è invece un effetto dell’azione consapevole dell’individuo ma, proprio per questo, altrettanto irraggiungibile. Il primo culmine è quello raggiunto in modo del tutto spontaneo dalla Grecia antica, il secondo è l’ideale del presente, a cui Herder, Hölderlin e Schiller orientano la loro azione educativa nei confronti dell’umanità. 13 nella traduzione di Bildung, accolgo il suggerimento di Michael Franz che sottolinea come, in questo contesto, Bildung non signifchi tanto ‘grado, livello di formazione’ quanto piuttosto ‘sviluppo’ (Franz: Tübinger Platonismus, p. 97, nota 9). 14 Per defnire il processo di maturazione e di crescita interiore di Iperione, Hölderlin ricorre all’immagine della «traiettoria eccentrica», e questa parola-chiave, presente anche nella Prefazione della Penultima stesura ma che scomparirà, almeno come termine tecnico, nella stesura defnitiva, fornisce il fondamento sistematico del romanzo nel suo complesso. Il percorso seguito dal protagonista (e dall’uomo) è dunque quello che si muove tra i due estremi della massima semplicità e spontaneità da una parte, e del massimo sviluppo dall’altra, pura natura e puro spirito; la vita reale si stende tra l’utopia del passato e quella del futuro, i due «ideali della nostra esistenza» che rappresentano l’armonia perfetta, la coincidenza dell’essere con se stesso e con il mondo. Ma muovendosi tra i due estremi l’uomo segue una traiettoria irregolare, «eccentrica» nel linguaggio del tardo Settecento, in un processo di avvicinamento progressivo ma mai concluso, paragonabile all’infnito algebrico: la storia di Iperione sarà un esempio di questo progredire. Lungo questo percorso, che Hölderlin ama descrivere attraverso metafore matematiche, è prevista la possibilità di una «rettifca» delle coordinate, che può avvenire di tanto in tanto ed è causata da eventi esterni (ad esempio le delusioni della vita, o la percezione della perfezione nella bellezza di Diotima), ma può divenire defnitiva solo quando il protagonista ne acquisisce consapevolezza, cosa che accade non solo grazie a esperienze positive, ma anche e soprattutto mediante la rielaborazione delle esperienze negative e dolorose. – La discussione critica sul concetto di ‘traiettoria eccentrica’ è stata molto vivace e ha visto susseguirsi diverse interpretazioni, non sempre convincenti, inizialmente collegate alla metafora delle orbite

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dei pianeti. Ulrich Gaier lo riconduce ad esempio allo scritto kantiano Idea di una storia universale dal punto di vista cosmopolitico (pp. 124125; ma anche Kant: Storia universale della natura e teoria del cielo, pp. 89-94), laddove si sottolinea che le traiettorie ellittiche di alcuni pianeti, apparentemente irregolari, sono poi state spiegate e ricondotte a leggi regolari da uno sguardo più esperto, quello di newton. Il poeta vorrebbe dunque sottolineare, secondo Gaier, come l’eccentricità del percorso dell’uomo sia solo apparente, sia l’impressione di uno sguardo non esperto, mentre da una posizione più profonda e in una fase più matura se ne può cogliere la regolarità. La stessa evoluzione che era avvenuta in astronomia, quindi, poteva essere applicata anche all’osservazione della storia, delle nazioni e dei singoli (Gaier: Hölderlins Hyperion. Compendium, Roman, Rede, pp. 109-110; id.: Hölderlin. Eine Einführung, pp. 94-95). Altri studiosi hanno individuato la fonte di questa metafora nel Timeo di Platone (47 C), dove i pianeti vengono qualifcati in base alle loro «circolazioni ordinate» oppure «non ordinate». Van de Velde: Die Struktur von Hölderlins Fragment von Hyperion, basandosi su un modello operativo della cibernetica, individua l’eccentricità nell’andamento circolare del frammento in cui il protagonista torna sempre al punto di partenza ma con uno scarto, che rappresenterebbe il fattore di correzione, di rettifca della traiettoria; cfr. anche Schadewaldt: Das Bild der exzentrischen Bahn bei Höderlin; Ryan: Hölderlins Hyperion. Exzentrische Bahn und Dichterberuf; id.: «Was bildet aber, stiften die Dichter». Zu Hölderlins Konzeption von ‘Bildung’; Menze: Hölderlins Deutung der Bildung als exzentrischer Bahn; Strack: Ästhetik und Freiheit, pp. 179-220. Michael Franz (Tübinger Platonismus, pp. 96-101) chiarisce invece che si tratta di una «traiettoria» precisa, che può essere percorsa una sola volta in un’unica direzione (in tedesco Bahn) e per questo adatta a rappresentare la vita dell’uomo e il suo sviluppo, e non di un percorso ciclico che si ripete periodicamente all’infnito come le orbite dei pianeti. Grazie ad altri concetti geometrici presenti nell’opera, derivati dal Commento al I libro degli Elementi di Euclide di Proclo (cfr. nota 111), Franz ha identifcato la forma della traiettoria con quella di una spirale, una linea ‘mista’ che unisce le caratteristiche di una linea circolare e di una retta infnita, e che per Proclo è quella più adatta a rappresentare il tempo (Franz: Tübinger Platonismus, pp. 114-115). Sarebbe quindi «eccentrica» anche in senso geometrico, poiché nasce dal centro di una circonferenza, e unisce i due movimenti tipici

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dell’uomo: l’istinto a rientrare in se stessi, e l’istinto ad andare verso l’esterno: «non possiamo negare l’istinto di liberarci, di nobilitarci, di progredire verso l’infnito... Sarebbe bestiale; ma allo stesso tempo non possiamo negare nemmeno l’istinto a essere determinati, a ricevere: non sarebbe umano. Periremmo nella lotta fra questi due istinti contrapposti» (Bozza in prosa per la stesura in versi, p. |514|). Cfr. anche Knaupp: Die raum-zeitliche Struktur des Hyperion. 15 La frase tratta dall’epitaffo di Ignazio di Loyola è la stessa che, con una leggera variazione, sarà posta in esergo al primo volume dell’opera: cfr. note al testo, 1. 16 Gaier sottolinea a più riprese (Der gesetzliche Kalkül, p. 31; Hölderlin. Eine Einführung, pp. 102-103) come tutta questa prefazione risenta molto dell’Émile di J.-J. Rousseau: da lì infatti sarebbe ripresa l’opposizione tra i bisogni e le forze umane, tra il pretendere, il desiderare tutto e il sottomettere tutto. La saggezza e la felicità risiedono, per Rousseau, nella coincidenza perfetta tra i nostri desideri e le nostre possibilità, e in questa condizione tutte le forze sono attive, l’animo è in pace e l’uomo ben ordinato (Rousseau: Emilio o dell’educazione, traduzione di Luigi De Anna, in: Opere, p. 385: «È in questo stato primitivo [=quello dell’uomo educato dalla natura] che s’incontra l’equilibrio del potere e del desiderio e che l’uomo non è infelice. […] Più l’uomo è rimasto nella sua condizione naturale, e più la differenza fra le sue facoltà e i suoi desideri è piccola, e meno, per conseguenza, egli è lungi dall’essere felice. Egli non è mai meno misero di quando pare sprovvisto di tutto; poiché la miseria non consiste nella privazione delle cose, ma nel bisogno che di esse si fa sentire. Il mondo reale ha i suoi limiti, il mondo immaginario è infnito: non potendo allargare l’uno, restringiamo l’altro; poiché è dalla loro sola differenza che nascono tutte le pene che ci rendono veramente infelici»). Ma nel modello presentato nell’Emilio – così come in quello hölderliniano elaborato in questa fase, e poi infatti superato – non appare chiaro come possa sussistere una libertà della volontà: dal momento che sono i bisogni a prevalere, la volontà non può essere libera per sottometterli e ridimensionarli, e poiché la rettifca della traiettoria può venire solo dall’esterno, l’uomo non può giungere al dominio di sé e quindi alla libertà di scelta. Quello che in Rousseau è lo sviluppo passivo della fantasia verrà sostituito in Hölderlin dall’atto deliberato e voluto con cui l’uomo si separa dal pacifco e{n kai; pa`n del mondo per poi ricostruirlo da sé (cfr. Penultima stesura, p. |558|), e quest’atto

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intenzionale della volontà sarà la condizione iniziale che rende possibile l’affrancamento dell’individuo dalla condizione di natura. 17 Zante (Zacinto) si trova davanti alle coste occidentali del Peloponneso, rivolta verso l’Italia, ed è l’ultima tappa dello studioso inglese Richard Chandler in territorio greco: lì si imbarca infatti per rientrare in Inghilterra (Chandler: Reisen in Griechenland, pp. 425432). nel romanzo la direzione del movimento è invece quella inversa: l’isola di Zante è il punto di ingresso di Iperione che torna in patria. Maria Cornelissen (Das Salamis-Fragment) nota come nel Frammento ogni lettera sia scritta da un luogo diverso, cosa che permette di raggruppare gli avvenimenti narrati in nuclei signifcativi, ma senza che vi sia una qualche attinenza tra il luogo in cui è redatta la lettera e gli avvenimenti. Questo aspetto sarà gradualmente rielaborato dall’autore e si confgurerà in modo ben diverso nella stesura defnitiva, dove i luoghi di permanenza di Iperione, ora divenuto eremita, sono soltanto due (l’istmo di Corinto e l’isola di Salamina), ma fnemente intessuti nel racconto, dove confuiscono armoniosamente la Grecia del passato e quella presente del narratore. 18 La situazione iniziale del Frammento è molto simile a quella che si avrà in apertura del romanzo nella sua stesura defnitiva, quando Iperione, una volta rientrato dalla Germania, si stabilisce sull’istmo di Corinto, profondamente deluso dal fallimento di tutte le sue speranze. In questa versione, il protagonista sta giungendo da Roma dove ha cercato invano di saziare la sua sete di verità e dove ha conosciuto Bellarmino, l’amico al quale sono destinate le lettere. Iperione inizia a scrivergli già durante il viaggio, ancor prima di raggiungere la sua meta, la Ionia. Come emerge dal proseguimento del testo, con ‘Ionia’ si intende qui in particolare la città di Smirne e la regione circostante lungo la costa dell’Asia Minore, di cui Iperione è originario. nella versione defnitiva la patria di Iperione sarà invece l’isola di tinos, mentre Smirne sarà il luogo della sua formazione e dell’incontro con Alabanda. 19 Riferimento al mito di Issione, il re tessalo che, invaghitosi di Era, tentò di usarle violenza. Zeus modellò allora una nuvola che assomigliava alla dea e Issione si unì a quel fantasma, generando i Centauri (Pindaro: Le Pitiche, ode II, vv. 22-49). 20 Il primo tentativo di Iperione di uscire dalla disperazione dell’isolamento, di cercare amore e corrispondenza in altri esseri (narrato in questa prima parte della lettera) fallisce miseramente. Così il prota-

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gonista si ritrova di nuovo al punto di partenza, ma con in più la consapevolezza del fallimento, di un dolore e un annichilimento ancora maggiori. Ma in questo andamento oscillante interviene la distanza del narratore dai fatti narrati, che permette di porli in una luce diversa («ero un ragazzino cieco, caro Bellarmino! Volevo comprare perle da mendicanti che erano più poveri di me»). Così, a posteriori, quella che sembrava una condizione di disperazione assoluta viene invece letta positivamente, diviene il punto di partenza che, con una rettifca della traiettoria, permette al protagonista di proseguire nel suo processo di maturazione (cfr. van de Velde: Die Struktur von Hölderlins Fragment von Hyperion, pp. 568-569, che esamina questo percorso ciclico sulla scorta di un modello matematico-cibernetico). 21 I «gemiti della creatura» ricordano il passo di S. Paolo (Rm 8, 22), dove si sottolinea la condizione perdurante di sofferenza della creazione e di tutte le creature, sottomesse alla caducità e alla schiavitù della corruzione, nell’attesa della redenzione e della libertà gloriosa della vita divina. 22 La paura dei ricordi è la motivazione che aveva trattenuto Iperione dal raccontare personalmente a Bellarmino la sua storia, nel periodo della loro frequentazione. Al ricordo sono legate gioie e dolori, che hanno il potere di minare la pace interiore, faticosamente raggiunta dal protagonista, ma sono anche i due elementi costitutivi della vita, entrambi indispensabili per vivere in pienezza. Il percorso di Iperione si confgurerà infatti come un doloroso cammino di rielaborazione delle gioie e dei dolori per trovare un equilibrio tra le due tensioni dell’anima, per darsi una nuova ‘organizzazione’ che gli permetta di raggiungere il punto di massimo equilibrio tra le energie che regolano la vita. Iperione ha già ben chiaro questo aspetto, e il narrare acquista quindi un valore essenziale nella ricostruzione di questo equilibrio. Questo sarà uno dei fli conduttori non soltanto nei materiali preparatori (ad esempio l’ormai anziano Iperione racconta al suo giovane visitatore che per molto tempo ha dovuto tenersi lontano dalle gioie e dai dolori del ricordo, che non era pronto ad affrontare – Giovinezza di Iperione, cap. II, p. |531|), ma anche nella stesura defnitiva: entrambi i volumi del romanzo si aprono con la rievocazione delle sensazioni controverse suscitate dai ricordi, mentre il punto d’arrivo dell’evoluzione interiore del narratore è la tranquillità d’animo, la capacità di rivivere la gioia e il dolore dell’esistenza in una prospettiva di complementarietà e compimento (cfr. note al testo, 310).

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Compare in questo accenno, per la prima volta, uno dei tratti caratteristici che aiuteranno il poeta a delineare la fgura della protagonista femminile, che viene qui defnita «sacerdotessa dell’amore»: l’appellativo rimanda alla Diotima del Simposio di Platone (201 D-212 C), la sacerdotessa di Mantinea che, dialogando con Socrate, presenta il concetto di amore per il bello, scevro da ogni pulsione sensibile. Anche Hölderlin sceglierà poi questo nome per la sua protagonista a partire dalla Giovinezza di Iperione. Cfr. nota 93 e note al testo, 139. 24 nella descrizione dell’età dell’oro, epoca di pace e prosperità in cui si praticavano spontaneamente la virtù e la giustizia, Ovidio utilizza un’immagine simile: «nondum praecipites cingebant oppida fossae» (Metamorfosi, lib. I, v. 97: «non ancora cingevano le città fossati a strapiombo»). 25 La fanciulla in queste prime fasi di stesura del romanzo si chiama ancora Melite. Il nome potrebbe provenire da Omero, dove Melite è una delle nereidi (Iliade, lib. XVIII, v. 42), ma è presente anche in Chandler (Reisen in Griechenland, p. 131), e ricorda il nome del fume Mele, sulle cui sponde sarebbe nato Omero (cfr. note al testo, 71); lungo il fume si trova anche una grotta dove Iperione, Melite e gli amici celebreranno un rito in onore dell’antico cantore, durante il quale la fanciulla assumerà le vesti di sacerdotessa (pp. |503-506|). 26 Sul concetto del ‘dio in noi’ cfr. note al testo, 64. 27 La chiusura della lettera attira nuovamente l’attenzione sull’andamento della narrazione e sull’effetto che essa produce sullo spirito di chi narra. In una fase in cui gioia e dolore si alternano con grande veemenza e in cui l’animo è turbato da passioni ancora tumultuose, è importante l’azione del ricordo che, a distanza di tempo, permette di assegnare il giusto peso a ogni moto dell’animo e aiuta a vivere il presente ricostruendo con pazienza una nuova tranquillità e un nuovo equilibrio. 28 Alceo e Saffo sono due poeti greci che Hölderlin conosceva bene e amava. Già nella sua Storia delle belle arti tra i greci (1790), un lavoro accademico scritto durante gli studi a tübingen, si legge: «nella terra dei poeti, la Ionia, ecco sorgere una coppia così originale nello stile, così appassionata e dolce nella fantasia e nel sentimento, così coinvolgente nella rappresentazione, espressione e costruzione come Omero ed Esiodo: sono Alceo e Saffo» (MA, vol. II, p. 18). 29 numerose leggende circolavano intorno all’origine di Omero, e diverse città pretendevano di avergli dato i natali: una di queste è

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la regione della Ionia, e più precisamente la zona intorno a Smirne. Un’altra tradizione, altrettanto incerta, riferisce che la sua tomba si trova sull’isola di nio (cfr. note al testo, 63). La grotta sulle rive del fume Mele, qui solo evocata, sarà teatro di una commossa celebrazione in memoria di Omero a cui parteciperanno Iperione, notara, Melite e i loro amici (pp. |503-506|). 30 Pausania (II secolo d. C.) è autore di una Guida della Grecia in dieci libri molto dettagliata in cui si sofferma soprattutto sulle opere d’arte e la letteratura. Parlando delle immagini intagliate nel legno da Dedalo, egli riferisce che pur nella loro primitività, che le rendeva talvolta sgradevoli alla vista, erano però «contraddistinte da una sorta di ispirazione divina» (Pausania: Guida della Grecia, lib. II, cap. IV, § 5). Questo passaggio deve aver colpito molto Hölderlin, che lo ripropone in uno dei suoi saggi accademici, la già ricordata Storia delle belle arti tra i greci (MA, vol. II, p. 12). – La descrizione di Melite appare molto infuenzata dal bipolarismo schilleriano del saggio Grazia e dignità. Dapprima ne viene descritta la grazia, semplice e leggiadra, poi la maestà che la rende simile al divino e le conferisce dignità, quella che le sarà propria anche nella morte. In questa fase però, la sua fgura non è ancora del tutto autonoma e mantiene un ruolo strumentale; infatti sparirà dalla narrazione senza lasciare tracce quando il padre andrà improvvisamente a prenderla. Melite presenta contorni sfumati e nostalgici nel suo amore per la Grecia antica, che pure la accomuna a Iperione, ed è orientata più alla vita ultraterrena che a una pienezza della vita reale. I contorni della Diotima della stesura defnitiva saranno invece meglio defniti, il bipolarismo schilleriano sarà ampiamente superato e confuirà nell’amore per la natura, che in totale libertà si manifesta nel regno della bellezza. 31 Ecco ripresentarsi il tema dell’amicizia con le sue numerose declinazioni: i due fratelli e amici fedeli anche oltre la morte (i Dioscuri), la coppia Achille-Patroclo e infne la falange spartana, compatta e solidale, poiché la fedeltà all’amicizia era uno dei valori basilari dell’ethos guerresco di Sparta. Cfr. anche note al testo, 104, 157 e 257. 32 Lo scambio delle armi era segno di fducia e di stima reciproca: si veda ad esempio l’episodio narrato in: Iliade, lib. VI, vv. 230-236, quando Glauco e Diomede si scambiano le armi davanti a troia. 33 Solone, arconte di Atene, durante un viaggio in Egitto interrogava i sacerdoti sulle cose antiche, e scoprì che né lui né alcun altro greco era a conoscenza di tali cose: si sforzava quindi di calcolare

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quanti anni fossero trascorsi da quegli avvenimenti, quando un anziano sacerdote gli disse: «O Solone, Solone! Voi greci siete sempre fanciulli, e un greco che sia vecchio, non c’è!» (Platone: Timeo, 22 B). La stessa idea compare anche nella Morte di Empedocle, dove Manes, l’egiziano, dice a Empedocle: «sì, sono straniero e tra fanciulli, tutti voi greci lo siete» (La morte di Empedocle, III stesura, vv. 326-327, p. 265). 34 Dopo aver scritto le prime due lettere dall’isola di Zante, Iperione è approdato sulla costa del vicino Peloponneso e precisamente a Pirgo, a Ovest di Olimpia. Morea è una denominazione del Peloponneso che Hölderlin utilizza abitualmente, ad esempio nell’inno Il Reno (Tutte le liriche, p. 329, v. 15; p. 1157, v. 15). 35 Formula molto diffusa, riassuntiva della teodicea settecentesca, che compare più volte anche nell’opera di Hölderlin; si veda ad esempio la lirica Patmos (v. 88: «Giacché tutto è bene» – Tutte le liriche, pp. 318-319). Il problema dell’esistenza del male in un mondo creato da Dio e quindi intrinsecamente buono è affrontato dai padri della Chiesa e, tramite anche le Confessioni di S. Agostino (lib. VII), infuisce su tutta la tradizione occidentale. Con lo scritto di Leibniz: Essais de théodicée (1710), la frase «tout est bien» diviene uno dei motti dell’Illuminismo, ripreso anche da Pope (Essay on Man, IV lettera, 1735: «whatever is, is right»), ma più volte criticato da Voltaire (ad esempio nel componimento Poème sur le désastre de Lisbonne, che reca come sottotitolo proprio: Examen de cet axiom: tout est bien, 1756). In Hölderlin questa formula presenta ulteriori sfumature teologiche, in quanto richiama anche la corrente di pensiero, diffusa negli ambienti pietisti, dell’apokatastasis panton, il ‘ritorno di tutte le cose’, che predicava cioè una riconciliazione universale di tutte le cose alla fne del mondo, in base al presupposto che tutte fossero buone (cfr. Dierauer: Hölderlin und der spekulative Pietismus Württembergs; Hayden Roy: Friedrich Hölderlin in the context of Württemberg Pietism). – All’interno del Frammento, comunque, questa frase suggella il secondo tentativo di Iperione di uscire dal suo disperato isolamento: con lo sbocciare della primavera e il suo incontro con Melite si aprono nuovi orizzonti, destinati però a farlo ricadere nuovamente nello stato di prostrazione iniziale (cfr. la precedente nota 20), al punto che la separazione defnitiva dalla fanciulla equivarrà per Iperione a una «sentenza di morte» (p. |508|). Il narratore non rifette sulle cause dei ripetuti fallimenti del giovane, ma pone le sue tribolazioni su un livello

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superiore: lo sguardo sul passato si allarga in una visione storico-flosofca che le fa apparire come un momento all’interno di un processo storico più ampio, che ha come fne il ritorno dell’uomo nell’Arcadia. Delusione e disperazione sono dunque legittimate in quanto fasi di questo processo. 36 Sul concetto del ‘bastare a se stessi’, dell’autosuffcienza come attributo del divino, cfr. note al testo, 149. 37 ‘Mastigoforo’, il fagellatore. Il termine deriva da ‘mastice’, dai cui rami fessibili si fabbricavano fruste e fagelli, ed è l’epiteto assegnato ad Aiace, protagonista dell’omonima tragedia di Sofocle. Alla morte di Achille Aiace aspirava a ereditarne le armi, forgiate da Efesto, ma Agamennone e Menelao, capi della spedizione dei greci, le assegnarono invece a Odisseo. Aiace fu colto da una rabbiosa delusione e decise di vendicare il torto subito uccidendo gli Achei, ma fu accecato per intervento di Atena e si scagliò invece con il fagello contro le loro greggi. Iperione, tormentato e sconvolto, indugia a lungo nel scegliere cosa leggere: la scelta non è quindi casuale e suggerisce una somiglianza tra lo stato d’animo dei due personaggi, accecati da una passione che rasenta la follia omicida (Iperione ha appena confessato di sentirsi come se stesse «meditando un omicidio»). Evitato il peggio grazie alla dea, Aiace rinsavisce e, rendendosi conto di ciò che ha fatto, si ritiene disonorato per sempre e si uccide con la propria spada. Il parallelismo, che potrebbe quindi far pensare a una simile estrema soluzione anche per Iperione, viene però disinnescato da Iperione stesso che non riesce a immedesimarsi con l’eroe greco («il mio spirito non tratteneva nemmeno una sillaba»). Cfr. Lehle: Aias im Hyperion, pp. 240-244; Knigge: Hölderlin und Aias oder Eine notwendige Identifkation, pp. 267-270. – I numerosi richiami alle tragedie greche documentano le letture del poeta negli anni in cui lavora a Iperione: Hölderlin è accompagnato non soltanto dalla lettura di Kant e Platone, come scrive egli stesso a Hegel (lettera del 10 luglio 1794 – MA, vol. II, pp. 540-541), ma anche dall’assidua frequentazione dei tragici greci, e di Sofocle in particolare. Cfr., più in generale, Mecacci: Hölderlin e i greci. 38 Il riferimento è all’arco che, dopo il diluvio universale, Dio pone sulle nubi in segno della sua alleanza (Gen 9, 12-17). 39 La frase è ripresa dalla profezia di Simeone a Maria, durante la presentazione di Gesù al tempio: «anche a te una spada trafggerà l’anima» (Lc 2, 35); la stessa espressione, anche se inserita in

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un contesto diverso, è presente anche nella versione a stampa, a p. |637|. 40 Il richiamo alle parole del padre, con le quali Melite cerca di placare l’ardore di Iperione, sembra essere l’anticipazione di un motivo che verrà sviluppato nelle stesure successive, ma che probabilmente il poeta aveva ideato fn da ora: nel prosieguo della narrazione viene infatti rivelato che l’amico paterno e maestro del giovane Iperione era proprio il padre di Melite. Un piccolo colpo di scena che viene invece abbandonato nella versione defnitiva. 41 Secondo la tradizione, infatti, erano molte le città che rivendicavano di aver dato i natali al celebre poeta: le più accreditate erano Smirne, Chio, Colofone, Argo e Atene. Partendo dall’individuazione della città natale di Omero Hölderlin accenna la sua opinione riguardo allo stretto legame tra una terra, il suo clima, la sua conformazione geografca e lo spirito del genio poetico che da essa sorge; una rifessione che sarà esposta più diffusamente nella stesura defnitiva del romanzo, nella famosa lettera sugli ateniesi (cfr. pp. |681-687| e relative note). 42 Chandler: Reisen in Klein Asien, p. 103 riferisce che gli abitanti di Smirne considerano una grotta, vicina alle sorgenti del Mele, il luogo in cui Omero era solito comporre i suoi versi: «Gli abitanti di Smirne sono molto gelosi della loro proprietà su Omero. Oltre alla grande moneta di rame che porta il suo nome, avevano un Homerium, il suo tempio e la sua immagine nella città nuova, al centro di una stoa quadrata, e nei pressi delle sorgenti del Mele mostrano una grotta dove egli, secondo loro, avrebbe composto i suoi versi». 43 L’offerta della ciocca di capelli come sacrifcio funebre riprende il gesto compiuto da Achille sulla salma di Patroclo (Iliade, lib. XXIII, vv. 135-153), mentre la breve frase del giovane tiniota «a chi, se non a te?» sarà utilizzata da Hölderlin come dedica quando invierà a Susette Gontard il secondo volume di Iperione. Cfr. Alewyn: «Wem sonst als Dir?»; Killy: Hölderlin an Diotima. Das Widmungsexemplar des Hyperion. 44 L’oracolo di Dodona, nell’Epiro, era uno dei più antichi e famosi della Grecia classica, legato al culto di Zeus. Qui la profezia era basata sull’interpretazione dello stormire delle foglie delle querce sacre. 45 La metafora delle nuvole e dell’oscurità che separano gli spiriti affni, ma destinati comunque a ricongiungersi in una dimensione futura, proviene da Omero, dove la morte è spesso rappresentata poeti-

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camente con l’immagine della nuvola nera che avvolge i combattenti o i personaggi in punto di morte (Iliade, lib. XX, v. 417; lib. XVI, v. 350; Odissea, lib. IV, v. 180); anche Hölderlin la utilizza più volte. 46 Il motivo dell’invecchiare e del ringiovanire, improntato a Platone e Herder, è un motivo costante della produzione hölderliniana: lo si ritrova in Iperione fn dai materiali preparatori e in numerosi passi del romanzo, nei frammenti sulla Morte di Empedocle, nelle liriche. Cfr. note al testo, 65. Allo stesso tempo emerge anche con grande evidenza l’impronta stoico-panteistica: la Stoa insegnava infatti che la natura universale accoglie in sé tutto ciò che muore e lo trasforma ridandogli una nuova vita, in modo che continui a esistere anche se in forme diverse; e poiché la natura universale (All-Natur) governa in ogni cosa, tutto viene a trovarsi in una relazione di affnità. Questa professione di fede panteistica rimase una costante del pensiero del poeta e la si ritrova anche in altri componimenti, tra cui l’ode Coraggio del poeta e l’inno in esametri L’Arcipelago (cfr. note al testo, 23 e passim). 47 I curatori delle più recenti edizioni critiche (StA, MA, DKA) sono concordi nel supporre che la parola «mirti» sia un refuso per ‘miti’. 48 In questa affermazione culmina tutta l’argomentazione del paragrafo, che conferisce forma poetica al programma esposto nella prefazione e riprende allo stesso tempo anche alcuni pensieri di Schiller, che nei suoi scritti su L’educazione estetica dell’uomo e Della poesia ingenua e sentimentale aveva posto non solo la storia dell’umanità, ma anche la vita del singolo nell’orizzonte di una ‘formazione’ ideale e perfetta, il punto di massimo sviluppo che l’umanità può conquistare. 49 Le parole di Melite riprendono quelle pronunciate da Iperione poco prima, quando esortava: «Lasciate fnire ciò che fnisce […]». Anche nella versione defnitiva del romanzo quest’idea rimarrà portante e si farà presente soprattutto nella parte fnale, nelle parole di Diotima («ci separiamo solo per unirci più intimamente», p. |749|) e in quelle di Iperione, proprio in chiusura: «La riconciliazione è nel mezzo della lite e tutto ciò che è diviso si ricongiunge» (p. |760|). 50 Castri è un paesino costruito sulle rovine del luogo in cui era collocato l’antico oracolo di Delf, sulle pendici del Parnaso. Dal Peloponneso Iperione prosegue dunque il suo viaggio, e ora ha attraversato il golfo di Corinto. 51 In un passo dell’Odissea (lib. III, vv. 108-113), nestore elenca a telemaco i nomi dei valorosi guerrieri greci caduti sotto le mura di

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troia. Chandler, a sua volta (Reisen in Klein Asien, pp. 58-59), riferisce di aver visitato il luogo in cui sorgevano i tumuli di questi quattro eroi e di altri valorosi caduti. In questo brano viene evocata nuovamente la fgura di Aiace, ma in un’accezione del tutto diversa: non si tratta più del ‘fagellatore’ accecato dalla follia bensì (pur essendo la stessa persona) dell’eroe di cui vengono esaltate le virtù, associate in particolare alla lealtà dell’amicizia (Lehle: Aias im Hyperion, pp. 244-246). 52 nel resoconto di Chandler (Reisen in Klein Asien, pp. 78-79) vi è una descrizione dell’ingresso dei viaggiatori nel porto di Smirne dopo una navigazione diffcoltosa, ed è il modello a cui Hölderlin si ispira per descrivere il ritorno di Iperione in quella città. Molti sono infatti i particolari comuni: la rocca che la sovrasta, la prima costruzione a essere avvistata dal mare, le cupole e i minareti delle moschee, le case che man mano si scorgono tra i cipressi, e persino il riferimento all’inbat, un vento moderato che soffa da Ovest, tipico della stagione estiva. 53 Lo spettro che si attarda per poi sparire all’improvviso, allarmato dal canto del gallo, ricorda il fantasma del padre di Amleto che si aggira sulle mura del castello di Elsinor (Shakespeare: Amleto, atto I, scena I). nel suo progetto per una rivista mensile dedicata alla poesia, che il poeta descrive diffusamente in una lettera all’amico neuffer (4 giugno 1799 – MA, vol. II, pp. 764-766), uno degli argomenti che si propone di trattare sono proprio le tragedie di Shakespeare, che evidentemente aveva letto con interesse. 54 Iperione decide di lasciare la Grecia e si reca in Italia, a Roma, dove incontrerà Bellarmino, ma il lettore già sa che la sua ricerca sarà vana. Proprio nella frase di apertura del frammento, infatti, Iperione aveva dichiarato: «Invano ho lasciato la patria e cercato la verità» (p. |490|). Un spunto per il viaggio in Italia di Iperione, Hölderlin potrebbe averlo trovato nel resoconto di Choiseul-Gouffer, che riferisce del colloquio avuto con un eremita a Patmos. L’eremita racconta: «Sono nato nell’arcipelago, ma già nella prima giovinezza ho sentito in me l’impulso di sollevarmi dallo stato di umiliazione in cui sono sprofondati i miei compatrioti. Me ne andai in Italia, lì mi dedicai alle scienze, e divenni un grande erudito [...]» (Choiseul-Gouffer/ Reichard: Reise […] durch Griechenland, vol. II, p. 10). 55 Da Delf Iperione si è diretto a Sud, forse alla volta di Atene, e si trova ora sui rilievi montuosi tra la Beozia e l’Attica. Sul Citerone,

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montagna selvaggia nei pressi di tebe, il padre Laio aveva abbandonato Edipo secondo una delle versioni più diffuse del mito. 56 tutta questa breve lettera è pervasa dal soffo del mistero che avvolge l’esistenza dell’uomo, che appare costantemente combattuto tra due desideri opposti: da una parte la curiosità, il desiderio di svelare il mistero, di togliere il velo che cela l’amata; dall’altra vuole assaporare la nostalgia, la tensione verso l’immenso e l’infnito che il mistero tiene costantemente vive. Pretendere di svelare a tutti i costi il mistero è espressione di arroganza, della hybris dell’uomo, e diviene quindi tentativo illusorio come quello di Issione, che crede di possedere Giunone ma ha invece solo nuvole, o quello del bimbo che cerca di guardare il sole. Questa arroganza può portare allo stesso tempo alla vita o alla morte, come Semele che vuole a tutti i costi vedere la divinità ma non ne regge la vista e muore. – Questo tema, e di conseguenza il ruolo dell’arte e della poesia nel percorso verso lo svelamento, è diffuso in Hölderlin e in tutta la letteratura contemporanea, e trova nei singoli autori esiti diversi, da Goethe (Ganimede) a Schiller (L’immagine velata di Sais) a novalis (I discepoli di Sais); cfr. anche le note al testo, 199. Il poeta si descrive quindi come combattuto tra una goffa curiosità e la certezza di un’intuizione di ciò che è dietro il velo, tra entusiasmo e rassegnazione. 57 Dato lo stretto legame tra la bozza in prosa e la corrispondente stesura in versi e il loro scorrere in parallelo, le note vengono annesse alla stesura in versi, più completa, ma sono riferite a entrambe. 58 La stesura in versi è più chiara rispetto all’abbozzo in prosa che la accompagna: lì un generico «senza averne colpa» manteneva una certa ambiguità riguardo al referente, qua viene esplicitato che la colpa della cattiva formazione ricevuta non è della scuola e dei saggi ma del giovane stesso, che se ne assume la responsabilità, come accade del resto anche nella successiva Giovinezza di Iperione: «anche se non per colpa della scuola» (p. |523|). 59 Questi primi versi rifettono la posizione egocentrica del narratore, il cui eccesso di soggettivismo indotto dalla scuola (vale a dire dalla flosofa) e da una formazione inadeguata lo spinge a voler dominare il mondo circostante. Questa condizione, grazie all’incontro e al lungo colloquio con il venerando e saggio sconosciuto, verrà mitigata e il narratore sarà indotto a rifettere in modo più approfondito mutando il proprio modo di pensare e di vedere la natura. Il contrasto tra Io e natura viene ripreso dalla dottrina della scienza di Fichte, secondo la

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quale le cose e la natura sarebbero elementi generati dall’Io. Questa posizione di pensiero è del tutto contraria alla concezione unitaria di Hölderlin, tutta tesa a recuperare l’unità originaria fra uomo e natura, e sarà infatti superata in varie tappe. 60 Su invito del giovane, il saggio illustra ora la sua opinione, che si contrappone per molti versi alle posizioni iniziali, rigide e diffdenti, del suo ascoltatore. Il saggio considera la natura come materia informe e recalcitrante, a cui l’uomo ha il dovere di dare forma. Questo implica una lotta che, se spinta all’estremo, porta a distruzione e sottomissione, ma se ben condotta può invece favorire l’incontro pacifco con uno spirito amico, affne. – In questo stadio di lavorazione del romanzo, Hölderlin sembra voler sperimentare su diversi livelli, non solo su quello formale, e si muove seguendo un doppio schema: l’anziano saggio che narrerà la storia della sua giovinezza è un Iperione che ripercorre il suo passato da una posizione ormai matura; ma allo stesso tempo anche il giovane ascoltatore, che parte da posizioni severe e intransigenti nei confronti del mondo e della natura, assomiglia molto a quello che sarà l’Iperione della stesura defnitiva, che compie un lungo percorso di crescita interiore. Il poeta mette dunque progressivamente a fuoco il proflo del suo personaggio, e scopre man mano il ruolo del raccontare come istanza di guarigione e di superamento di uno stato di insuffciente consapevolezza sia per il narratore che per l’ascoltatore. Quest’ultimo infatti partecipa attivamente al processo narrativo e non ne è solo ricettore passivo, come sarà invece Bellarmino. Cfr. Gaier: Hölderlin. Eine Einführung, pp. 126-152; Strack: Auf der Suche nach dem verlorenen Erzähler, pp. 267-293. 61 Il tema dell’unione, della complementarietà degli opposti è un tema caro al poeta, che viene declinato in una molteplicità di sfumature sia nel romanzo, sia nei suoi materiali preparatori, a cominciare dalla citazione tratta dall’epitaffo di Ignazio di Loyola che viene commentata nella Prefazione al Frammento di Iperione (p. |489|) e mantenuta poi come esergo nella versione a stampa (cfr. note al testo, 1). Si veda anche il passo in una lettera al fratello: «Mio caro, quando ci renderemo conto noi uomini che la forza più potente nella sua manifestazione è anche la più modesta, e che il divino, quando si mostra, non può mai essere privo di una certa tristezza e dolore?» (28 novembre 1798 – MA, vol. II, p. 715). L’istinto a protendersi verso l’infnito e il suo opposto, il rinchiudersi nel più piccolo, sono i due movimenti tipici dell’amore, l’unica via che può conciliare gli opposti; esso si ma-

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nifesta nella storicità e nelle diverse età dell’uomo, che rappresentano le innumerevoli tappe in cui le opposte tendenze dell’amore trovano un equilibrio, in forme e proporzioni sempre diverse. L’armonia è perfetta nel fanciullo, e il progredire dell’età e della storia non è quindi che un processo di decadenza, di progressivo allontanamento dalla natura (cfr. Rousseau), controbilanciato dall’istinto che spinge a ricercare l’armonia perduta, la perfezione in una nuova modalità. Da questo punto di vista la storia diviene quindi un graduale avvicinamento alla perfezione, un progresso infnito in cui gioia e dolore si alternano ma hanno la stessa valenza. Per questo il saggio afferma che le melodie del destino e le sue dissonanze signifcano entrambe la stessa cosa. 62 Anche qui si sente l’eco della flosofa di Fichte, di cui si coglie il ruolo centrale giocato dal ‘bisogno’ come anello di congiunzione tra sfera pratica e sfera teoretica: Fichte attribuisce allo ‘stimolo’ (Trieb), inteso fondamentalmente nell’accezione kantiana, il compito di sanare il dualismo fra conoscenza e sentimento, in quanto proprio attraverso questo stimolo è possibile ‘oggettivare’ il soggetto. Si tratta di un bisogno dato in natura (innato) e anche solo per questo ha quindi il diritto di cercare la propria soddisfazione attraverso un oggetto adeguato. La concezione fchtiana presenta dunque, in continuità con Kant, elementi che soddisfano l’istanza fortemente idealistica di Hölderlin. 63 Dopo aver presentato le due posizioni iniziali, quella che vede la natura nemica e ostile, e quella che la vede invece come un’avversaria con cui misurarsi in modo stimolante e costruttivo, si giunge alla sintesi, condivisa dai due interlocutori. La natura diviene ora l’aiutante dell’uomo, e l’atteggiamento è quello dell’amore – una forza che in Fichte non svolgeva alcun ruolo, e che costituisce l’apporto originale di Hölderlin. nei versi che seguono, infatti, il saggio tratteggia l’essenza della bellezza e dell’amore, rifacendosi molto da vicino al mito platonico di Eros (mediato dall’interpretazione fciniana), che viene qui ricollegato a quello della nascita di Afrodite dal mare. La bozza in prosa rimanda esplicitamente a Platone, che nel Simposio (203 B-204 C) riferisce della nascita di Eros dall’unione di Poros (l’Abbondanza) e Penia (la Povertà). In realtà, nel testo greco originale Poros è il dio dell’espediente, la virtù non del ricco ma di colui che cerca la sapienza; sarà Ficino che, nella sua lettura del mito, trasformerà Poros in ‘abbondanza’ e Hölderlin, ma con lui anche Herder e molti altri contemporanei si rifanno a questa interpretazione (per Herder si veda

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in particolare il saggio Liebe und Selbstheit, pubblicato nel dicembre 1781 come postilla alla Lettre sur les désirs di Hemsterhuis). La lettura fciniana determina del resto anche la visione dell’amore come punto medio, luogo in cui si conciliano l’istinto dell’uomo a uscire da sé per tendere verso il divino, perdendosi così nell’infnito, e l’istinto opposto, che non gli permette di abbandonare la sua condizione di limite e di fnitezza. Approfondisce il legame con l’interpretazione fciniana del mito Polledri: Friedrich Hölderlin e la fortuna di Platone nel Settecento, pp. 807-812; Franz: «Platons frommer Garten». nella stesura defnitiva il mito di Eros è solo accennato, e non più trattato in modo così ampio: cfr. note al testo, 165. 64 Questo passo mostra altri echi della flosofa di Fichte, che nelle Lezioni sulla missione del dotto (Einige Vorlesungen über die Bestimmung des Gelehrten, 1794) distingue due tipi di atteggiamento, entrambi compresi nell’istinto sociale, cioè quello che ci spinge ad associarci ad altri esseri razionali: «la nostra missione nella società è il perfezionamento comune, cioè il perfezionamento di noi stessi mediante l’infuenza che gli altri, con nostra libera accettazione, esercitano su di noi, e il perfezionamento degli altri mediante una nostra corrispondente infuenza sopra di essi, come su esseri liberi. Per attuare questa nostra missione, per attuarla sempre meglio, ci è necessaria un’abilità, che si acquista e si accresce solo per mezzo della cultura, e questa abilità è precisamente di due specie: abilità di dare, ossia di agire sugli altri come esseri liberi, e attitudine a ricevere, ossia a trarre dall’azione degli altri sopra di noi il massimo vantaggio» (Fichte: Lezioni sulla missione del dotto, pp. 84-85). Rifessioni simili, ascoltate probabilmente nelle lezioni a cui Hölderlin assisteva regolarmente, si ritrovano anche in una lettera al fratello Karl datata 13 aprile 1795 (MA, vol. II, pp. 576-579). nella versione a stampa del romanzo sarà il personaggio di Alabanda a incarnare la flosofa di Fichte. 65 Da questo punto in poi la stesura in versi procede in modo autonomo: la parallela bozza in prosa si interrompe qui. 66 Letteralmente ‘la tutta santa’, appellativo greco della Madre di Dio. Le chiese dedicate alla Madonna sono molto frequenti in Grecia, e dalla descrizione frammentaria non è nemmeno possibile dedurre la collocazione geografca; uno spunto per il colore locale potrebbe provenire dall’opera di Stuart e Revett, che all’esterno delle mura dell’antica Atene incontrano una piccola cappella dedicata a Panagia,

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costruita sui resti di un edifcio più antico (Stuart – Revett: The Antiquities of Athens, vol. I, cap. 2). 67 Il riferimento è all’Iliade (lib. I, vv. 348-363), e precisamente all’episodio in cui Achille, profondamente offeso da Agamennone che gli ha sottratto la schiava Briseide, decide di ritirarsi dal combattimento e, sedutosi sulla spiaggia, piange e si lamenta per il torto subito invocando la madre teti. 68 Diventando adulto, l’uomo entra nell’età dell’intelletto, della ragione che analizza e separa, e perde così la spontaneità e la grazia naturale del fanciullo. Questa nuova condizione è sintetizzata tramite un riferimento diretto a Schiller (Saggi estetici – Grazia e dignità, p. 138): «Gli stessi Greci a chi, pur ricco di tutte le altre prerogative dello spirito, mancava della grazia, della dote di piacere, raccomandavano di sacrifcare alle Grazie». Schiller riprende a sua volta un aneddoto di Diogene Laerzio riguardante la vita di Senocrate, che veniva spesso esortato da Platone a sacrifcare alle Grazie proprio perché mancava di quella qualità (Diogene Laerzio: Vite e dottrine dei più celebri flosof, lib. IV, § 6). 69 Omero e gli dei dell’antichità hanno illuminato l’infanzia del narratore, trascorsa in prossimità della natura, con una venerazione spontanea e infantile per la sua bellezza e maestosità, vista come manifestazione del divino. Il rifesso letterario di questa condizione è la poesia ‘primitiva’ di Omero, che appassiona e conquista il suo giovane cuore. Con la scuola inizia poi la fase del disincanto, l’armonia si spezza e il giovane diviene tirannico e sospettoso – va notato come questa prima parte della Giovinezza di Iperione segua molto da vicino la precedente stesura in versi; in qualche punto del testo tedesco si percepisce ancora l’andamento in giambi. Il percorso del narratore sembra molto simile a quello del poeta stesso, che si era adattato con fatica all’educazione rigida e intransigente ricevuta negli anni di studio a tübingen, di cui si lamentava spesso. Da questa condizione di triste lontananza dalla natura e dal «felice istinto» lo libererà la prima esperienza dell’amore che, insieme alle letture flosofche fatte con i compagni, lo porterà a riscoprire l’armonia del cosmo, l’unità dell’uno e tutto e gli antichi dei, tra cui Urania, la cui cintura rappresenta la simpatia e l’armonia che tengono unito il cosmo. Cfr. Schadewaldt: Hölderlins Weg zu den Göttern, pp. 175-177. 70 In questa stesura, come nella stesura in versi immediatamente precedente, si confrontano due fgure: un giovane che assume la

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funzione di narratore in prima persona, e un anziano e saggio sconosciuto, identifcato nel titolo come Iperione, a cui il giovane fa visita e che poi narrerà la storia della sua giovinezza. Vi sono quindi due diversi narratori che si alternano, che confuiranno invece in un’unica fgura nella stesura defnitiva, dove protagonista e narratore vengono a coincidere. 71 In questo brano viene tratteggiata un’immagine dell’uomo come creato per agire e per lottare, per affermarsi combattendo contro la natura e la materia informe. Questo elemento era emerso già nella Stesura in versi e nella bozza in prosa che la accompagnava, e qui viene ulteriormente ampliato. La propensione dell’uomo alla guerra va coltivata e allenata (il padre esorterà infatti il giovane Iperione ad andare a Smirne per imparare l’arte della navigazione e della guerra; p. |625|) e si dispiega nell’epoca degli antichi eroi greci, quando la falange degli spartani era simbolo di amicizia fedele e coraggiosa, quando i guerrieri si scambiavano le armi in segno di rispetto e di stima e la guerra era il luogo delle gesta eroiche per la patria, del coraggio e dell’onore (cfr. Prignitz: «Der Vulkan bricht los». Das Kriegsmotiv in Hölderlins Hyperion). Pur mantenendo questa connotazione positiva, nel romanzo la visione del poeta sarà più sfumata e realistica; la guerra moderna non reca più in sé la possibilità di un rinnovamento, che egli vede incarnata in un’azione più moderata e graduale, piuttosto che nell’azione violenta. Le due opinioni saranno sviscerate nel confronto tra Iperione e l’amico Alabanda, che è invece fautore della guerra a ogni costo (cfr. note al testo, 89). 72 Il tema dell’unione tra Abbondanza e Povertà, i platonici Poros e Penia, da cui nacque l’amore, è trattato in modo più esplicito nella Stesura in versi (pp. |518-519|) e nell’abbozzo in prosa che la accompagna (pp. |513-514|). Cfr. nota 63. 73 In questo passo Hölderlin capovolge letteralmente l’idea di Schiller (e di Kant), secondo la quale l’uomo, passando per la porta della bellezza, giunge nella terra della conoscenza. Questo percorso viene infatti tratteggiato nella poesia di Schiller Die Künstler del 1789, versi 34-35: «nur durch das Morgentor des Schönen / Drangst du in der Erkenntnis Land» e vv. 64-65: «Was wir als Schönheit hier empfunden, / Wird einst als Wahrheit uns entgegengehn» (Schiller: SW, vol. I, pp. 173-187). Hölderlin inverte la direzione del percorso, individuando come prima istanza la verità, che può poi incarnarsi o mostrarsi nella bellezza, un diverso ordine di valori di matrice plato-

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nica che viene ribadito più avanti, anche se non in modo così esplicito (p. |540|), laddove si parla dell’intuizione di una verità trascendentale che viene percepita nell’immagine di Diotima e sublimata nell’incontro con la bellezza. – La vicinanza con il componimento di Schiller è attestata anche dall’espressione «terra dei sensi» che compare poche righe prima, e che è ripresa dalla stessa poesia (v. 75). 74 La formulazione ricorda il passo del profeta Isaia (40, 12): «Chi ha misurato con il cavo della mano le acque del mare e ha calcolato l’estensione dei cieli con il palmo?». Allo stesso tempo è presente anche un riferimento all’episodio, raccontato in una lettera apocrifa di Cirillo da Gerusalemme e molto diffuso nell’iconografa agostiniana, secondo il quale S. Agostino, passeggiando sulla riva del mare, meditava sulla trinità quando vide un bambino che cercava di raccogliere tutta l’acqua del mare in un cucchiaio. Il santo sorridendo gli fece notare che era un’impresa impossibile, ma il bambino rispose che lo era anche voler comprendere la trinità di Dio con l’intelletto. 75 Il poeta pensa al mito di Semele, la madre mortale di Dioniso, che chiese a Zeus di mostrarsi a lei nella sua vera forma, ma a quella vista morì di spavento (Apollodoro: I miti greci, lib. III, 26-27). 76 nella mitologia greca le sirene, dal corpo di uccello e testa di donna, erano esseri demoniaci che, con il loro canto, potevano ammaliare gli uomini e condurli alla rovina (cfr. Odissea, lib. XII, vv. 39-54). 77 L’episodio del fglioletto di Ettore, che piange spaventato vedendo il padre con l’elmo e armato di tutto punto, è narrato in: Iliade, lib. VI, vv. 466-481. 78 L’accenno alla «storia della mia giovinezza» rivela che l’uomo dal fascino inusuale, dolce e nobile, è proprio Iperione. nel dialogo che funge da cornice egli introduce a questo punto l’elemento autobiografco che prelude al racconto vero e proprio che inizia nel secondo capitolo. 79 nella tradizione popolare, i genitori regalavano ai fgli, nel momento in cui lasciavano la casa paterna, una moneta portafortuna (Mutterpfennig), che si credeva avesse il potere di attirare altre monete, quindi ricchezza, e che veniva conservata gelosamente. A essa vengono contrapposti gli spiccioli, con contenuto metallico di scarso valore, di cui ci si libera senza nemmeno farci caso. 80 Il giovane visitatore si riallaccia all’osservazione che il suo anziano ospite aveva fatto la sera precedente, e lo sollecita a narrare la sua storia. I due si preparano evidentemente a un racconto che si pro-

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trarrà per più giorni, tanto che il giovane viene invitato ad accettare ospitalità fno alla fne del racconto. 81 Già in precedenza era emerso il ruolo destabilizzante delle gioie e dei dolori rievocati dal ricordo (cfr. nota 22), che minano la tranquillità e l’equilibrio interiore del protagonista; la capacità di collocare i ricordi in una dimensione diversa, all’interno di un visione d’insieme dell’esistenza, diventerà l’unità di misura per il cammino di maturazione di Iperione verso un’autoconsapevolezza sempre maggiore. Questo tema afforerà infatti più volte anche nella versione defnitiva, spesso in punti cruciali (cfr. pp. |613, 697|). 82 Gli otto fogli mancanti contenevano probabilmente il racconto di un viaggio compiuto dal giovane Iperione in compagnia del suo amico e maestro (quello che nella stesura defnitiva sarà Adamas, ma che qui non viene chiamato per nome), che sta ancora parlando quando riprende il testo. 83 Milziade era il generale ateniese che comandò le truppe nella battaglia di Maratona, in cui i greci sconfssero i persiani nel 490 a. C.; Aristide fu lo stratega in quella stessa battaglia e in quella di Salamina. Le loro vicende sono narrate da Plutarco: Vite – Aristide, e da Cornelio nepote: Opere – De excellentibus ducibus, I e III. I due nomi, abbinati e utilizzati al plurale, divengono rappresentativi di tutti gli eroi e le fgure esemplari della Grecia antica. 84 Il potente re persiano Serse I (486-465 a. C.) organizzò un’imponente campagna militare contro le città greche. Alle termopili sconfsse l’esercito greco, schierato frettolosamente, ma subì poi una clamorosa disfatta nella battaglia di Salamina, dove la sua fotta fu completamente distrutta. L’aneddoto a cui si fa riferimento nel testo è tratto da Erodoto (Le storie, lib. VII, §§ 34-35): dopo che una tempesta aveva distrutto il ponte da lui fatto costruire sull’Ellesponto, Serse indignato ordinò di dare trecento frustate al mare per punirlo. Il «biasimo meschino di uomini meschini» non deve quindi infastidire né toccare Iperione, proprio come le frustate di Serse non solo non hanno alcun potere di ferire il mare, ma sono anzi grottesche nella loro inutilità. 85 Questa frase sottolinea la struttura ‘aperta’ del racconto, che si differenzia dalla forma epistolare. nelle lettere ci sono sempre e solo due interlocutori che dialogano e tra i quali scorre il fusso delle informazioni in un andamento circolare; il genere testuale stesso lo richiede e presuppone una forma di comunicazione privata. Con una

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struttura in capitoli l’opera si qualifca come un romanzo, destinato a un pubblico ampio e anonimo, e il fusso narrativo può raggiungere più interlocutori, anche appartenenti a diverse generazioni: dal maestro al discepolo Iperione, egli divenuto anziano lo tramanda al giovane visitatore e da quest’ultimo al lettore che, a sua volta, diviene un anello di un’infnita catena. 86 Come nella penultima stesura e nella stesura defnitiva, l’isola di tinos è il luogo dove è nato Iperione. nel Frammento di Iperione, invece, egli era originario di Smirne, mentre da tinos proveniva l’amico di notara. 87 La costellazione dei Gemelli simboleggiava i Dioscuri, i due fratelli che Hölderlin richiama spesso come simbolo di amicizia fedele, anche oltre la morte (cfr. p. |640| e relativa nota). 88 Questa scena con l’abbandono della compagnia di notara costituisce un interessante parallelo alla scena simile, in cui Iperione si sente offeso e tradito da Alabanda e che prelude alla fne della loro amicizia, anche a causa dei misteriosi sconosciuti appartenenti alla Lega di nemesi. Ma mentre nel caso di Alabanda e della Lega si trattava di sfuggire a un’istanza aggressiva e coercitiva di livello elevato, il gruppo raccolto intorno a notara rappresenta invece la spinta verso il basso, verso la meschinità e la volgarità. L’effetto sul protagonista rimane però lo stesso, e l’isolamento di Iperione, percepito all’improvviso in tutta la sua drammaticità, viene descritto con precisione nelle sue implicazioni affettive, psicologiche e sociali. 89 Ancora una volta lo spunto per la descrizione della piccola cittadina sull’isola di tinos è tratto da Choiseul-Gouffer/Reichard: Reise […] durch Griechenland, vol. I, p. 100. 90 nel resoconto di Chandler è presente un’analoga descrizione di un’antica festa popolare greca (Reisen in Klein Asien, pp. 60-62), a cui Hölderlin potrebbe essersi ispirato. Per il ballo popolare (romaika) invece, costituito da fgure molto complesse che ricorderebbero il labirinto di Creta, il termine presente nel testo tedesco (Ronneca) è riconducibile a un errore della fonte utilizzata. Choiseul-Gouffer/ Reichard (Reise […] durch Griechenland, vol. I, p. 143) trascrive infatti erroneamente il termine greco, che nell’originale francese è invece corretto, con Ronneca. «I greci hanno diversi tipi di danze, la più comune è la Ronneca. Ha una somiglianza sorprendente con i balli dei loro antenati, e volentieri si dà ragione al signor Guys, che riconosce

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l’immagine del labirinto di Creta nei molteplici movimenti e contorcimenti dei danzatori». 91 nella sua dettagliata descrizione dell’isola di tinos, ChoiseulGouffer si sofferma su alcune scene di vita quotidiana e riferisce che le donne di buona famiglia, verso sera, quando il calore del sole si attenua, hanno l’abitudine di sedersi fuori dalla porta di casa e di flare la seta in gruppo; le più anziane narrano storie e fabe e le più giovani intercalano ai racconti i loro canti (Choiseul-Gouffer/Reichard: Reise […] durch Griechenland, vol. I, p. 96). 92 Questo accenno al «giorno del massacro» fa supporre che all’epoca della stesura della Giovinezza di Iperione Hölderlin avesse già immaginato le imprese militaresche del protagonista nella lotta per l’indipendenza della Grecia e il loro tragico fallimento, che nella stesura fnale troverà il suo culmine nel massacro di Misistra. 93 Per la prima volta compare il nome di Diotima nell’opera di Hölderlin. Sulla sua derivazione dal Simposio di Platone si vedano le note al testo (in particolare nota 139); in questo senso l’epiteto di «sacerdotessa dell’amore», con cui la fgura femminile fu presentata per la prima volta nel Frammento di Iperione (p. |492|) apriva già a questa prospettiva. Sulle circostanze che hanno probabilmente portato al cambiamento del nome da Melite a Diotima, cfr. l’introduzione ai materiali preparatori. 94 Il riferimento a Smirne potrebbe essere un’interferenza con la stesura precedente, dove la patria di Iperione e il luogo in cui si svolgeva questa parte del racconto era Smirne (cfr. Frammento di Iperione, p. |494|); ora invece il racconto si svolge sull’isola di tinos. 95 All’interno dell’elenco di amicizie esemplari e di attestazioni di legami forti fno alla morte, già presenti nelle stesure precedenti (Achille e Patroclo, i Dioscuri, la falange degli spartani; cfr. nota 31 con ulteriori rimandi), vengono aggiunti anche Dione e Platone. Dione di Siracusa fu discepolo e amico fedele di Platone, tanto da invitarlo a Siracusa. Allontanato dalla città, Dione cospirò contro il tiranno Dionisio II e, approfttando di una sua assenza, sbarcò in Sicilia per conquistare la città nell’intento di costruire un regno in cui realizzare l’idea platonica di Stato. Cfr. Plutarco: Vite – Dione. 96 La descrizione delle monete è ripresa fedelmente dal libro di Choiseul-Gouffer: la prima moneta proviene da nio, la seconda da Delo (Choiseul-Gouffer/Reichard: Reise […] durch Griechenland, vol. I, pp. 35-36, 135).

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L’immagine dell’anima alata è ripresa da Platone. Secondo Platone, infatti (Fedro, 246 D), l’anima sarebbe fornita di ali che, una volta danneggiate, la farebbero precipitare in un corpo mortale. 98 Diotima si lascia afferrare dall’ispirazione e si lancia in una rappresentazione idealizzata della vita sociale, che si ispira da vicino alla concezione schilleriana di ‘Stato estetico’, con anche una componente politica che vuole rispondere alla domanda posta dalla serie di lettere su L’educazione estetica dell’uomo agli intellettuali tedeschi, cioè quale sia l’alternativa alla rivoluzione violenta. Questa idea di socialità non comparirà più nelle stesure successive, poiché il poeta evidentemente perderà ogni speranza e ogni fducia nelle forme consuete di vita sociale. In una lettera a Ebel (9 novembre 1795 – MA, vol. II, p. 598599) egli scrive di una «chiesa invisibile combattente», un concetto ricorrente anche in altri suoi contemporanei, in particolare in Herder (Dialogo su una società visibile-invisibile). Secondo Herder, la stampa ha permesso il crearsi di una società di tutti gli uomini pensanti in tutti i continenti, una chiesa non invisibile bensì resa presente e visibile grazie ai libri, che oltrepassa i confni dello spazio e del tempo più di qualsiasi altra società segreta (il riferimento era alla massoneria). Il primo dovere di questa società sarebbe la promozione dell’umanità, e la sua azione si manifesta tramite la poesia, la flosofa e la storia. Hölderlin si richiama a un ideale di educazione del popolo simile a quello di Herder (lettera a Hegel, 26 gennaio 1795 – MA, vol. II, pp. 567-569), ma che sfocia poi nella religione della bellezza con le sue feste, la sua venerazione dei santi e degli eroi di tutti i tempi, la sintonia con la natura. In questo modo si crea una nuova armonia anche tra gli uomini, e questo è l’ideale politico, sociale e religioso che anima il poeta in questa fase. 99 Conoscere il nome e conoscere la vera essenza delle creature sono per Hölderlin due atti ben distinti. Assegnare un nome alle creature è atto conoscitivo guidato dai concetti, dall’intelletto, e può arrivare a comprendere solo il loro aspetto esteriore, più superfciale; è la forma di conoscenza tipica dell’uomo una volta che ha perso l’intimità con la natura, l’unica che permette una conoscenza vera e profonda. Iperione dirà infatti nella stesura defnitiva: «Ora non dicevo più ai fori: “siete miei fratelli!” e alle sorgenti: “siamo della stessa stirpe!” Adesso davo a ogni cosa il suo nome, fedelmente come un’eco» (p. |647| e relativa nota); questo stato esistenziale si instaura dopo che la sua sintonia con la natura, lo «stato di massima semplicità», è anda-

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ta irrimediabilmente perduta. Su questa linea, la pretesa di dare un nome agli dei sarebbe per di più un peccato di superbia nei confronti del divino, l’hybris dell’uomo che vuole controllare e circoscrivere la sfera del divino. A questo atto del nominare con valenza negativa, si contrappone un ‘nominare’ positivo, che avviene senza pronunciare il nome ma sperimentando una religiosità del quotidiano, come sottolinea Diotima professando un suo culto universale del divino contenuto nello spirito dell’uomo, che abbraccia tutti i santi e la natura insieme. Cfr. Binder: Hölderlins Namenssymbolik, pp. 104-108. 100 Choiseul-Gouffer, parlando degli abitanti di tinos, riferisce che essi eleggono i loro governanti in modo autonomo, e non sono soggetti ad alcun funzionario turco. Si tratta quindi di una forma di autogoverno, in cui gli «anziani» (così erano chiamati, anche se non sempre lo erano di fatto) venivano eletti direttamente dagli abitanti dell’isola (Choiseul-Gouffer/Reichard: Reise […] durch Griechenland, vol. I, p. 101). 101 In una lettera all’amico neuffer (10 ottobre 1794 – MA, vol. II, pp. 548-551) il poeta aveva sintetizzato in una frase il tema basilare del romanzo descrivendolo come il passaggio dell’uomo dalla giovinezza all’età adulta; le parole di Iperione lo riprendono, sottolineando come il dispiegamento della personalità matura sia forgiato dal dolore e dal destino. L’immagine rievoca il Prometeo di Goethe, vv. 42-44: «non m’hanno uomo costrutto / l’onnipotenza del tempo / e l’immortale Destino / che a me e a te soprastanno?» (Goethe: Poesie, traduzione di Diego Valeri, p. 1303). 102 In questa fase di elaborazione del romanzo, Hölderlin pensa nuovamente di farlo precedere da una prefazione, come era consuetudine nei romanzi dell’epoca. Una prima volta era comparsa nel Frammento di Iperione: era brevissima ma molto densa, e di impianto decisamente flosofco. Ora ne stende una seconda, molto diversa sia dalla prima sia da quella che accompagnerà la stesura defnitiva; in essa si sofferma per prima cosa sull’ambientazione del racconto, forte del fatto che la Grecia in quel periodo era uno scenario che incontrava molto le simpatie del pubblico; per la seconda parte trae invece spunto dalla prefazione dell’Agathon di Wieland. I due autori muovono infatti da una medesima intenzione e affdano alla prefazione il compito di presentare il loro progetto: rappresentare i tratti caratteristici della natura umana, descrivere il percorso dell’uomo in generale e singolarmente; infatti entrambi i protagonisti compiono un percorso

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di crescita interiore verso un grado più elevato di autocoscienza, nel quale l’atto stesso del narrare svolge un ruolo-chiave. Ma poi cominciano a distinguersi: se per Agathon il racconto della sua vita prelude alla possibilità di guarigione, costituisce la premessa che rende possibile iniziare una terapia per sanare il suo carattere ‘dissonante’, per Iperione è il narrare stesso a esercitare una funzione terapeutica sul narratore. Iperione percorre la sua traiettoria in modo autonomo, e da solo troverà la via per superare le sue dissonanze, come annuncia la parte fnale della prefazione. Cfr. Emmel: Hyperion, ein anderer Agathon?; Erhart: «In guten Zeiten giebt es selten Schwärmer» – Wielands Agathon und Hölderlins Hyperion. 103 La Ionia è quel tratto di costa dell’Asia Minore che fronteggia l’Attica; il Mar Egeo, che le unisce, ai tempi di Hölderlin veniva chiamato ‘Arcipelago’ (cfr. note al testo, 222). 104 Il fatto che si parli di una «prima parte» indica che l’autore aveva già programmato la suddivisione del romanzo in due volumi, come dimostrano del resto anche i numerosi parallelismi e la struttura speculare dei due volumi nella loro versione defnitiva. – Di questa penultima stesura sono rimasti solo quattro lunghi brani, e si tratta della stesura in bella copia che Hölderlin invierà all’editore per la pubblicazione. 105 L’inevitabilità dello scandalo è presente nel Vangelo di Matteo (Mt 18, 7): «Guai al mondo per gli scandali! È inevitabile che avvengano scandali, ma guai all’uomo per colpa del quale avviene lo scandalo!». 106 Questa frase riprende, anche se in modo molto più pregnante e sintetico, il contenuto della Prefazione del Frammento di Iperione, laddove venivano descritti i due punti collocati agli estremi della traiettoria che l’uomo percorre nella sua esistenza: lo stato di massima semplicità (qui rappresentato dall’infanzia), e quello del massimo sviluppo, la perfezione. In entrambe le situazioni l’uomo vive in armonia con se stesso e con la natura, ma l’armonia spontanea e ‘ingenua’ si rompe con il fnire dell’infanzia; la condizione esistenziale dell’uomo è allora quella di desiderare perennemente di ripristinare, riconquistare di nuovo quell’armonia. Se dunque, durante la sua lunga gestazione, il romanzo subisce profonde trasformazioni di stile, forma e contenuto, questo nucleo concettuale rimane invece immutato. 107 nella primavera del 1795 Hölderlin prende un appunto sul foglio introduttivo di un libro, poi purtroppo andato perduto, in cui si

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sofferma sul concetto di ‘essere’: «Essere esprime il collegamento fra soggetto e oggetto. Quando soggetto e oggetto sono collegati in modo assoluto, e non solo parzialmente, sono quindi uniti in modo tale che non è possibile effettuare alcuna divisione senza ledere l’essenza di quello che viene diviso: in questo caso e solo in questo si può parlare di essere in assoluto, come accade nell’intuizione intellettuale» (MA, vol. II, p. 49: Seyn, Urtheil, Modalität). Se nella prima parte della Prefazione l’autore si sofferma sull’opera d’arte e la sua funzione, criticando anche la concezione estetica dell’epoca, la seconda parte assume un tenore decisamente più flosofco, e ricorda da vicino la Prefazione del Frammento di Iperione. 108 Cfr. note al testo, 137. 109 Il progetto della dottrina della scienza fchtiana, che separa uomo e natura, viene in un certo senso fatto rientrare nel programma che Hölderlin ritiene necessario seguire per ricostruire l’unità del tutto. Fichte offre, in altri termini, la coscienza del momento necessario della separazione fra natura e uomo, perché senza questa scissione non potrebbe aver luogo la riunifcazione. In questo capoverso la traiettoria eccentrica riceve una sua rapida legittimazione sul piano della flosofa della storia e della storia della flosofa: il mondo greco con la sua armonia è sparito, e quest’ultima può venir ricostruita non più sul suo terreno originario (l’effettiva ricomposizione degli elementi naturali con quelli spirituali), bensì in una dialettica di posizioni di pensiero che si alternano senza poter mai giungere a una composizione, come Hölderlin dirà subito dopo. 110 Echi del versetto di S. Paolo (Fil 4, 7): «e la pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù»; ma mentre l’apostolo si riferisce alla pace di Dio, Hölderlin parla di una pace che va ancora oltre (letteralmente: ‘la pace di tutta la pace’), cioè l’unità di tutto ciò che è separato, l’«unico tutto infnito» che ripristina l’unità del cosmo prima della creazione. Ma ciò accade non grazie alla divinità, bensì all’umanità: l’uomo si separa deliberatamente dall’e{n kai; pa`n per ricostruirlo attraverso se stesso, come si dice poco prima nella Prefazione stessa. 111 Una formulazione parallela si trova nel frammento del saggio Ermocrate a Cefalo, dove l’ultima frase, rimasta interrotta, è la seguente: «nel frattempo lascia che ti chieda se l’iperbole si unisce mai veramente al suo asintoto, […]» (MA, vol. II, p. 51). Il riferimento è all’iperbole e al suo asintoto, e si basa sulla distinzione tra linea ‘limitata’,

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che cioè si ricongiunge a se stessa, circolare, e linea ‘illimitata’, che si può prolungare all’infnito senza che i suoi estremi si ricongiungano; due concetti tratti dalla matematica tardo-antica nelle sue interpretazioni neoplatoniche (in particolare nei commentari di Proclo) che erano una materia di insegnamento importante allo Stift di tübingen, come ha documentato in modo esaustivo Michael Franz (Tübinger Platonismus, pp. 36-39 e 106-122; Franz: «…im Reiche des Wissens cavalieremente», pp. 316-366). Prosegue Proclo: «sembra poi che la circonferenza sia dalla parte del Limite, che abbia con le altre linee il rapporto che il Limite ha con tutte le cose esistenti; – infatti è delimitata ed è la sola delle linee semplici che racchiude una fgura – mentre la retta è dalla parte dell’Illimitato, e dunque, anche prolungata all’infnito, non cessa mai. E come tutte le altre cose risultano da Limite e Illimitato, così dal circolare e dal retto risulta ogni specie mista di linee, sia quelle nei piani sia quelle nei solidi. E per questa ragione l’anima contiene in origine il retto e il circolare nella loro essenza, al fne di dirigere nel cosmo tutta la sistemazione dell’Illimitato e tutta la natura del Dispari [nella terminologia pitagorica, sinonimo di ‘limitato’], subordinando al principio del retto il loro progredire, e al circolare la loro conversione» (Proclo: Commento al I libro degli Elementi di Euclide, §§ 96-113, citaz. dal § 107, p. 103). Ciò che Hölderlin vuole sottolineare, in questo passo, è l’impossibilità di giungere alla perfezione, concepibile solo come infnito geometrico, quindi come costante approssimazione, che condanna però al fallimento ogni tentativo di raggiungerla. non serve la teoria né la pratica, non il sapere né l’agire: la perfezione, l’equilibrio tra i due movimenti, può essere soltanto un’istanza estetica, già fruibile nella condizione presente, il «regno della bellezza». L’argomentazione ripercorre esattamente il programma di pensiero esposto poche settimane prima in una lettera a Schiller (4 settembre 1795 – MA, vol. II, pp. 595-596), anche se lì il paragone si basa non su due linee geometriche, ma su due superfci piane, il cerchio e il quadrato: «cerco di sviluppare in me l’idea di un progresso infnito nella flosofa, cerco di dimostrare come la richiesta imprescindibile che bisogna rivolgere a ciascun sistema sia l’unione del soggetto e dell’oggetto in un Io (o come lo si voglia chiamare) assoluto, che è possibile esteticamente, nell’intuizione intellettuale, ma teoreticamente è possibile solo con un’approssimazione infnita, come l’approssimazione del quadrato al cerchio, e che, per realizzare un sistema di pensiero, l’immortalità è indispensabile tanto quanto

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in un sistema pratico». Quest’ultima osservazione richiama il postulato dell’immortalità dell’anima di Kant, che «potrà trovarsi solo in un processo all’infnito» verso il conseguimento del sommo bene, ma «non mai qui, o in un qualsiasi momento temporale che si possa prevedere nella sua esistenza, ma solo nell’infnità (abbracciabile da Dio soltanto) della sua durata» (Kant: Critica della ragion pratica, A220223). Hölderlin però, in linea con la matematica tradizionale, considera la quadratura del cerchio un compito in via di principio insolubile, vuole quindi sottolineare che si tratta di una tensione destinata a non giungere mai a compimento. – Qualche mese più tardi, questa rifessione viene ulteriormente sviluppata in una lettera a Immanuel niethammer (24 febbraio 1796 – MA, vol. II, pp. 614-615), dove si parla di un contrasto tra soggetto e oggetto, tra il nostro io e il mondo, tra ragione e rivelazione; si tratterebbe di trovare quel principio che non solo sappia spiegare queste contrapposizioni, ma sappia anche condurle a una riunifcazione, ricomporle in unità (con riferimento anche alla Vereinigungsphilosophie: cfr. note al testo, 24). nella lettera a Schiller si parlava di una riunifcazione del soggetto e dell’oggetto grazie a un principio assoluto, un’idea che è anche tema del saggio Seyn, Urtheil, Modalität, scritto a Jena nello stesso periodo (cfr. Strack: Über Geist und Buchstabe in den frühen Schriften Hölderlins, con alcune nuove precisazioni riguardo all’epoca di composizione). Quel principio sarebbe infatti l’essere (Sein), irraggiungibile dal pensiero (Urteil) perché quest’ultimo nasce da una divisione (Ur-teilung) e ne resta irrimediabilmente condizionato. Dato che questo essere, come totalità indivisa che precede qualsiasi divisione, rimane inaccessibile al pensiero in quanto legato in modo indissolubile alla modalità della divisione, nella lettera a niethammer Hölderlin ipotizza l’esistenza di una «intuizione intellettuale» che, in sostituzione del pensiero, possa trovare accesso alla totalità dell’essere. Per questo è necessario un «senso estetico», e in questo orizzonte l’essere, la quintessenza della riunifcazione infnita, si manifesta in forma di bellezza. Questa idea trova espressione nell’ideale della bellezza che fa da flo conduttore al primo volume del romanzo ed è il tema dominante nella ‘lettera sugli ateniesi’. 112 In una lettera a Hegel del 26 gennaio 1795 Hölderlin scrive a proposito di Fichte: «Il suo Io assoluto (la sostanza di Spinoza) comprende tutta la realtà; è tutto, e nulla esiste al di fuori di lui; per questo Io assoluto non vi è dunque alcun oggetto, perché altrimenti non

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potrebbe contenere tutta la realtà. Una coscienza senza oggetto però non è pensabile, e se io stesso sono questo oggetto, sono in quanto tale necessariamente limitato, fosse anche solo nel tempo, e quindi non assoluto. ne consegue che nell’Io assoluto non è pensabile alcuna coscienza, e fntantoché non ho una coscienza, sono (per me) nulla, quindi l’Io assoluto è (per me) nulla» (MA, vol. II, pp. 567-569). 113 «Il nuovo regno» e la «teocrazia della bellezza» sono due concetti portanti anche nella stesura defnitiva. Si veda quindi il testo alle pp. |657, 700| e relative note. 114 La dicitura divus Plato era presente sul frontespizio di molte delle edizioni di Platone diffuse all’epoca, tutte basate sulla traduzione fciniana; da qui Hölderlin trae l’interpretazione neoplatonica e cristiana del flosofo greco. Le documenta Elena Polledri: Friedrich Hölderlin e la fortuna di Platone nel Settecento. L’invocazione fnale di Platone ha dato adito a diverse letture: Ryan (Hölderlins Hyperion. Exzentrische Bahn und Dichterberuf, p. 53) ritiene che Platone venga invocato in quanto fautore della bellezza come istanza suprema, ma che allo stesso tempo il poeta si renda conto di averne fraintese le dottrine; Cornelissen suppone invece che la richiesta di perdono muova dalla consapevolezza che gli uomini fanno fatica a concepire la bellezza come massimo ideale: grazie a Platone sono riusciti a intuirne la vera essenza, ma solo in modo imperfetto (Cornelissen: Zur Entstehung von Hölderlins Roman, p. 98). In ogni caso, l’intuizione del Platone fciniano è quella che permette a Hölderlin di superare il criticismo kantiano e l’idealismo soggettivo di Fichte tornando a un punto dal quale la flosofa del tempo si era allontanata (e questo potrebbe essere il peccato per il quale si chiede perdono). Allo stesso tempo, con queste considerazioni Hölderlin intendeva inserirsi nel dibattito sul bello e sul sublime in corso in quegli anni partendo proprio dal Fedro di cui si era a lungo occupato, tanto da voler scrivere un saggio sulle «idee estetiche» che aveva concepito proprio come commento al dialogo platonico: «fondamentalmente contiene un’analisi del bello e del sublime, in base alla quale quella kantiana risulta semplifcata ma anche più sfaccettata, come emerge già in parte nello scritto di Schiller Grazia e dignità; Schiller però non ha osato spingersi molto oltre il confne tracciato da Kant, come invece, secondo me, avrebbe dovuto fare» (lettera a neuffer, 10 ottobre 1794 – MA, vol. II, pp. 548-551). nel Platone fciniano il poeta ritrova la relazione tra l’uno e il tutto, ritrova la bellezza, la maestà divina, il compito formativo dell’uomo, e

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intende queste intuizioni platoniche come uno spunto per ricostruire, con gli strumenti e i concetti della flosofa coeva, un cosmo integro e coerente. L’espressione di questa aspirazione, lo strumento di questo sforzo è la poesia, che Hölderlin considera non un’attività dello spirito alla pari delle altre, bensì il loro compimento. Queste idee gli avrebbero permesso di superare tutte le concezioni flosofche dell’epoca e di ricavarne applicazioni nel campo della politica e della religione, ma non furono poi sviluppate in modo adeguato. 115 Il riferimento è a Sofocle (Tutte le tragedie – Aiace, vv. 412-427), e nello specifco a uno dei passi che Hölderlin stesso aveva tradotto: sono le parole di commiato pronunciate da Aiace prima di togliersi la vita (cfr. le note al testo, 125 e 268; inoltre Lehle: Aias im Hyperion; Knigge: Hölderlin und Aias oder Eine notwendige Identifkation). La situazione senza uscita di Aiace viene immediatamente accostata alla «notte dell’anima», alla condizione di chi ha perso tutto e non vede più rilucere alcun bagliore nella sua esistenza, e il lamento dell’eroe viene liberamente rielaborato con accenti ancor più drammatici. Il sopraggiungere del servitore interrompe però bruscamente il tentativo di immedesimazione tra Iperione e Aiace: la conversazione tra i due provoca un mutamento di prospettiva (una «rettifca» alla traiettoria), tanto che al termine del colloquio Iperione ha acquisito distanza critica dalla situazione sua e di Aiace allo stesso tempo: «Chi sei tu, per aspettarti così tanto, dove hai conseguito vittorie così grandi da poterti aspettare un bottino così ricco?» Le loro aspettative nei confronti dell’esistenza sono troppo elevate, da qui la delusione e la disperazione che portano all’autodistruzione. Ma l’Iperione narratore ha ormai superato questo stadio e a distanza di tempo sa vederne i pericoli. 116 Iperione riprende il versetto evangelico (Mt 13, 12: «Così a chi ha sarà dato e sarà nell’abbondanza; e a chi non ha sarà tolto anche quello che ha») per sottolineare come l’uomo non possa cambiare la propria condizione esistenziale: chi conduce una vita modesta deve accontentarsi di aspirazioni e soddisfazioni modeste, e non coltivare aspirazioni troppo elevate come invece aveva fatto in gioventù, ottenendone soltanto delusioni. 117 Iperione prosegue la sua rifessione sempre sulla falsariga del Vangelo di Matteo (Mt 15, 26) e constata come il suo disperato desiderio di amore e di comunanza con gli altri lo avesse condotto anche all’estremo opposto: aveva cercato di abbassarsi, di svilirsi rinnegando i suoi sentimenti più nobili, pur di trovare una corrispondenza. Il ri-

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ferimento al rapporto morale tra fgli di casa e i servi potrebbe essere ispirato a un passo di Schiller in Grazia e dignità, che utilizza proprio questa immagine nel commentare la morale kantiana (Schiller: Saggi estetici, p. 176). 118 Riappare l’elemento della traiettoria eccentrica, che richiede un costante e periodico sforzo per avvicinarsi al punto di arrivo, una rettifca delle coordinate. Proprio le ultime parole rimasteci della Giovinezza di Iperione richiamavano questa necessità di correzione della direzione («credetti di essere infne sulla buona strada: non era così. Ma questo nuovo colpo mi riportò comunque alla vita», p. |556|), e anche qui si accenna, seppure in modo meno esplicito, a una deviazione dalla traiettoria, che rende dunque necessario un intervento esterno per riportarla nella giusta direzione. E se in questo caso è Iperione stesso che la corregge, poco più avanti questa azione viene attribuita all’amico che lo punzecchia e lo contraddice; così facendo lo rende maggiormente consapevole dei suoi limiti e lo aiuta a fare un ulteriore passo avanti nella consapevolezza di sé. All’azione del soggetto su se stesso si aggiungono quindi i casi della vita: la visita dell’amico, la venuta della primavera, l’incontro con Diotima. 119 Con queste parole si conclude la lunga rifessione che Iperione conduce ponendo in fligrana la fgura di Aiace. Egli infatti descrive la sua delusione nei confronti degli uomini in termini di maltrattamento, torto subito, umiliazione, proprio come Aiace si era considerato umiliato e maltrattato nella spartizione del bottino; allo stesso tempo dubita di se stesso («chi sei tu, per pretendere di più?») e, nel suo tentativo di adeguarsi al mondo, perde completamente se stesso distruggendosi, cadendo sempre più in basso. Ma a differenza di Aiace, Iperione ha trovato la via d’uscita: la pace del vivente, l’ordine divino. Così la follia assassina che porta Aiace al suicidio viene ridimensionata a cattivo umore giovanile, un «fermento febbricitante e immaturo». Cfr. Lehle: Aias im Hyperion, pp. 246-251. 120 La distinzione tra questi due termini viene chiarita dal poeta in una lettera al fratello, dove scrive: «La ragione, si può dire, pone il fondamento, l’intelletto comprende. La ragione pone il fondamento con i suoi principi, con le leggi dell’agire e del pensare, in quanto essi sono riferiti al contrasto universale tra il tendere verso l’assoluto e il tendere verso il limitato. Ma anche quei principi della ragione sono a loro volta fondati tramite la ragione, poiché essi sono riferiti all’ideale, al fondamento supremo del tutto, e il dovere contenuto nei princi-

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pi della ragione è in questo modo dipendente dall’essere (ideale). Se dunque sono i principi della ragione quelli che certamente comandano che il contrasto universale tra quelle due tensioni contrapposte debba venire riunifcato (secondo l’ideale della bellezza), se quei principi sono applicati in generale a quel contrasto, allora ogni riunifcazione di quel contrasto deve produrre un risultato, e i risultati dell’unifcazione universale del contrasto sono i concetti universali dell’intelletto, per esempio i concetti di sostanza e accidente, azione e reazione, dovere e diritto ecc. Questi concetti sono dunque per l’intelletto ciò che l’ideale è per la ragione» (lettera del 2 giugno 1796 – MA, vol. II, pp. 619-621). Ragione e intelletto, con le loro rispettive prerogative, vengono tematizzati anche nella celebre ‘Lettera sugli ateniesi’ (in particolare pp. |686-687|), che chiude il primo volume del testo a stampa (cfr. note al testo, 200). 121 Emerge chiaramente, in questo passo, la rifessione sulla scrittura e sul suo potere di sanare le ferite del passato tramite la rielaborazione del ricordo. Viene sottolineato anche come l’azione della scrittura si dipani su diversi livelli: uno contemporaneo agli avvenimenti, come era di solito nei romanzi epistolari, in cui il protagonista cerca «di mettere per iscritto quello che accadeva in [lui]» come tentativo di dominare il tormento e le emozioni, ma con scarso successo; su questo livello si collocano le «tristi pagine» che il protagonista invia all’amico in lettura, e che sono l’equivalente del gruppo di lettere che, nel romanzo, Iperione e Diotima si scrivono nel periodo della guerra. Poi c’è il livello superiore, cronologicamente distaccato, in cui il narratore ha raggiunto una condizione di serenità ed equilibrio molto simile a quella di Iperione alla fne del romanzo, e può affrontare la narrazione degli stessi avvenimenti in una prospettiva ben diversa, quando anche quelle che a un orecchio non esperto parevano dissonanze troveranno il loro posto nella melodia della vita. 122 Ad esempio il mito di Semele: cfr. nota 75. 123 Questo è l’unico passo in cui Iperione parla dell’incontro con Diotima e con la perfezione della bellezza in termini di ‘sogno’, anticipato già nelle righe precedenti: «l’amore che una volta mi è apparso in un sogno beato». Ciò che fu la viva intuizione dell’amore suscitata dall’incontro con la donna, appare ora all’eremita una reminiscenza onirica che sembra avere una doppia valenza: da un lato indica la portata immanente dell’amore, che non può certo vivere al di fuori del nesso fra gli esseri e il tutto che li unisce; dall’altro lato l’amore ha la

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portata della conoscenza, si imprime nella coscienza come apprensione interiore fondamentale, al pari della conoscenza di stampo platonico che si edifca anche attraverso la dottrina della reminiscenza, che qui sembra trovare una sua parziale eco. non pare che questo motivo sia poi rimasto vivo nella versione defnitiva del romanzo. 124 Delle bozze per il primo volume, poi pubblicato nel 1797, rimane molto poco, soltanto un brano con il punto culminante della prima lettera su Alabanda e il gruppo di lettere incentrato sull’incontro con Diotima. Data la stretta vicinanza di queste ultime bozze con la versione a stampa del romanzo, si rimanda alle note al testo; qui ci si concentra soltanto sulle peculiarità di questa versione manoscritta. 125 L’edizione critica riporta la dicitura «Iperione a Diotima», ma si tratta evidentemente di una svista. Il brano che segue corrisponde infatti, nel testo a stampa, alla seconda parte della lettera che Diotima scrive a Iperione (pp. |712-714|), ma che a scrivere sia la fanciulla è evidente sin dalle prime parole. 126 Questa e le lettere che seguono formano una lunga sequenza contenuta nel quaderno di scuola di Henry Gontard, utilizzato capovolto (nel verso giusto era stato scritto il Progetto di Francoforte relativo alla tragedia sulla Morte di Empedocle). Su un altro foglio dello stesso quaderno il poeta scrive una lettera alla madre il 1 settembre 1798, circa un mese prima della scenata che avrà come conseguenza il suo immediato allontanamento da casa Gontard. Paradossalmente, le pagine che descrivono il disastro di Misistra e il crollo di tutti i sogni e le speranze di Iperione sono scritte quasi in contemporanea con la tragedia reale, che interrompe bruscamente l’idillio tra Hölderlin e Susette. 127 Leonida, valoroso re di Sparta che guidò gli spartani nella battaglia delle termopili, dove venne sconftto perdendo la vita insieme ad altri 300 uomini (cfr. Erodoto: Le storie, lib. VII, §§ 224-228); egli divenne il modello supremo dell’eroismo di Sparta, di cui Licurgo fu uno dei più autorevoli legislatori, introducendo un nuovo stile di vita, severo e austero (Erodoto: Le storie, lib. I, §§ 65-66 e Plutarco: Vite – Licurgo, in part. §§ 6-11). 128 nella versione tedesca del volume di Choiseul-Gouffer, che presenta un resoconto dettagliato dei moti rivoluzionari, il traduttore ha inserito di sua iniziativa numerosi commenti tendenziosi, del tutto assenti nell’originale, con pesanti valutazioni negative sul ruolo svolto dalla popolazione greca (cfr. note al testo, 223 e 255). Uno di questi

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commenti viene qui riproposto dall’autore, anche se sarà poi eliminato nella versione a stampa: «Il conte Orlow sapeva per esperienza quanto poco affdabili fossero i greci, dai quali dipendeva completamente l’esito dell’impresa» (Choiseul-Gouffer/Reichard: Reise […] durch Griechenland, vol. I, p. 7). 129 La prima descrizione dell’episodio di Misistra è molto cruda e drammatica, e vede Iperione trasformarsi in omicida; è comprensibile quindi il ripensamento del protagonista che prima pensava di scrivere a Diotima ma poi, proprio per la crudezza del racconto, decide invece di inviare la lettera a notara. – In seguito Hölderlin decide di riscrivere completamente questa parte e concentra una serie di revisioni proprio su questa sequenza di lettere, realizzando un’unità narrativa autonoma che va a inserirsi all’interno della corrispondenza tra Iperione e Bellarmino (Löwe: Diotimas verschollene Briefe: Neue Einsichten in die Erzähllogik von Hölderlins Hyperion). Le numerose revisioni concentrate in questo punto ci permettono allo stesso tempo anche di documentare il metodo di lavoro dell’autore, che procede lavorando su singoli segmenti di testo che vengono scritti e riscritti più volte e poi sostituiti ai brani preesistenti. 130 Il cosiddetto Frammento di Salamina, che si apre con l’annuncio della partenza di Iperione dall’isola, è riportato alla fne del Quaderno in quarto di Homburg (H287) e non trova corrispondenza nella versione a stampa, dove Iperione rimane a Salamina fno al termine del romanzo. Secondo quanto annotato da Hölderlin, il brano era stato concepito dapprima come apertura del secondo libro, poi spostato a conclusione del primo ma non, come aveva ipotizzato inizialmente Beißner, per il primo volume, bensì per il secondo. Lo si deduce dalla corrispondenza tra questa lettera e la dodicesima del vol. I, l’unica che presenta un riferimento al sottotitolo del romanzo (pp. |652-653|; si tratta della lettera che apre il secondo libro, in cui Iperione esordisce descrivendo la sua permanenza sull’isola di Salamina). Lì Iperione descriveva il suo eremitaggio estivo sull’isola, ora invece è autunno e vuole lasciarla. Il rapporto speculare tra le due lettere rende ancora più evidente il modello strutturale che accomuna i due volumi; la collocazione di questo frammento nel manoscritto conferma l’ipotesi che Hölderlin l’abbia concepito in parallelo alla lettera corrispondente mentre lavorava al primo volume. Questo breve frammento, che non venne poi utilizzato, dovrebbe essere databile alla fne dell’estate 1796, quindi poco dopo il rientro dell’autore da Driburg e Kassel. Cfr. Cornelissen: Das Salamis-Fragment.

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Sofocle: Tutte le tragedie – Aiace, vv. 597-599: «te felice, o gloriosa Salamina, / che dimori tra le onde del mare, / da tutti onorata, sempre». Hölderlin rielabora con una certa libertà i versi di Sofocle, che nella sua traduzione della tragedia erano invece molto più vicini al testo originale. Dell’isola, che poche righe prima era stata paragonata alle parole pacate di un amico che procurano tranquillità, vengono sottolineate la capacità di donare pace e serenità e la sua condizione di luogo isolato e protetto dalle onde, animato dal bello spirito della natura. nella stesura defnitiva, la stessa Diotima è descritta come un’isola di pace circondata dalle onde («come le onde dell’oceano lambiscono le spiagge di isole felici, così il mio cuore inquieto lambiva la pace della celestiale fanciulla», p. |663|), ma Iperione, ancora giovane e impetuoso, non era in grado di approdarvi; al termine della narrazione l’isola di Salamina rappresenta quindi, in queste bozze per la stesura defnitiva, il punto di arrivo, il luogo in cui la contemplazione della natura e della bellezza coincidono.

BiBliografia La bibliografa comprende, oltre alle edizioni delle opere di Hölderlin (elencate in ordine cronologico), una scelta fra gli innumerevoli studi critici incentrati sulla fgura del poeta e una sezione specifca su Iperione.

1. Principali edizioni storico-critiche delle opere di Friedrich Hölderlin Sämmtliche Werke. Hrsg. von Christoph Theodor Schwab. Stuttgart-Tübingen: Cotta 1846, 2 voll. Gesammelte Dichtungen. Hrsg. von Berthold Litzmann. Stuttgart-Berlin: Cotta 1896. Gesammelte Werke. Hrsg. von Wilhelm Böhm. Jena: Diederichs 1905-1909, 3 voll. Sämtliche Werke. Historisch-kritische Ausgabe. Begonnen von Norberth von Hellingrath, fortgeführt durch Friedrich Seebaß und Ludwig von Pigenot. München-Leipzig: Müller 1913-1923, 6 voll. (per i voll. II, III e VI Berlin: Propyläen). Sämtliche Werke und Briefe. Kritisch-historische Ausgabe von Franz Zinkernagel. Leipzig: Insel 1914-1926, 5 voll. StA = Sämtliche Werke. Große Stuttgarter Ausgabe. Hrsg. von Friedrich Beißner und Adolf Beck. Stuttgart: Kohlhammer 1943-1985, 8 voll. Su Iperione, vol. III, 1957. Werke und Briefe. Hrsg. von Friedrich Beißner und Jochen Schmidt. Frankfurt a. M.: Insel 1969, 2 voll. Sämtliche Werke und Briefe. Hrsg. von Günter Mieth. München: Hanser 1970, 2 voll. (edizione in 4 voll. Berlin-Weimar: Aufbau Verlag 1970).

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FA = Sämtliche Werke. Frankfurter Ausgabe. Hrsg. von Dietrich Eberhard Sattler. Frankfurt a. M.-Basel: roter Stern-Stroemfeld 1975-2008, 20 voll. + 3 supplementi. Su Iperione, voll. X e XI, 1982. Sämtliche Werke. Kritische Textausgabe. Hrsg. von Dietrich Eberhard Sattler. Darmstadt-Neuwied: Luchterhand 19791988, 12 voll. MA = Sämtliche Werke und Briefe. Hrsg. von Michael Knaupp. München-Wien: Hanser 1992-1993, 3 voll. DKA = Sämtliche Werke und Briefe. Hrsg. von Jochen Schmidt. Frankfurt a. M.: Deutscher Klassiker Verlag 1992-1994, 3 voll.

2. Edizioni di Iperione in tedesco Hyperion oder der Eremit in Griechenland von Friedrich Hölderlin. Erster Band. Tübingen: in der J. G. Cotta’schen Buchhandlung 1797. – Zweiter Band: 1799 [rist. anast.: Frankfurt a. M.-Basel: roter Stern-Stroemfeld 1992]. – zweite Aufage. Stuttgart-Tübingen: in der J. G. Cotta’schen Buchhandlung 1822. Hyperion oder der Eremit von Griechenland. Hrsg. von Georg Jäger. Leipzig: reclam 1874. Hyperion oder der Eremit in Griechenland. Hrsg. von Curt Moreck. München: Hirth 1921. Hyperion oder der Eremit in Griechenland. Mit einem Nachwort von Will Vesper. Leipzig: reclam [1938]. Hyperion oder der Eremit in Griechenland. Leipzig: Insel 1940. Hyperion oder der Eremit in Griechenland. Mit einer Nachbemerkung von Karl Kerényi: Hölderlins Mysterien. Amsterdam: Akademische Verlagsanstalt Pantheon 1941. Hyperion oder der Eremit in Griechenland. Mit einem Nachwort von Hajo Jappe. Dessau: rauch [1942]. Hyperion oder der Eremit in Griechenland und Gedichte. Leipzig: Fikentscher Verlag [1944].

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Hyperion oder der Eremit von Griechenland. Mit einer Einführung von Adolf von Grolman. Hamburg: Ellermann 1947. Hyperion oder der Eremit in Griechenland. Hrsg. und mit einem Nachwort versehen von Erich Hock. Aschaffenburg: Pattloch 1947. Hyperion oder der Eremit in Griechenland. Fragment von Hyperion. Hyperions Jugend. Mit einem Nachwort von Bernhard Böschenstein. Frankfurt a. M.-Hamburg: Fischer 1962. Hyperion oder der Eremit von Griechenland. Nachwort von Joachim Müller. Weimar: Kiepenheuer 1963. Hyperion. Empedokles. Hrsg. von Klaus Pezold. Leipzig: reclam 1970. Hyperion oder Der Eremit in Griechenland. Hrsg. und mit einem Nachwort versehen von Jochen Schmidt. Frankfurt a. M.: Insel 1979. Hyperion oder der Eremit in Griechenland. Mit einem Nachwort von Pierre Bertaux und Illustrationen von Annette PeukerKrisper. Berlin: Buchverlag Der Morgen 1982. Hyperion. Mit einer Einleitung von Karl-Heinz Ebnet. Kehl: Swan 1993. Hyperion oder der Eremit in Griechenland. In: Deutsche Klassiker – Meisterwerke der deutschen Literatur von Grimmelshausen bis Morgenstern in ungekürzter Fassung. Vollinteraktive CD-rom. München: xlibris 1995. Hyperion oder der Eremit in Griechenland. Nachdruck des Textes nach der originalausgabe von 1797/1799, hrsg. von Joseph Kiermeier-Debre. München: dtv 2005.

3. Edizioni di Iperione in italiano Iperione o l’eremita della Grecia. Traduzione di Luigi Parpagliolo. Milano: Sonzogno 1886 (Biblioteca universale). Iperione. Frammenti tradotti da Gina Martegiani. Lanciano: Carabba 1911 (Cultura dell’anima, 16) [rist. anast.: Lanciano: Carabba 2008].

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Iperione. Introduzione e traduzione di Giovanni Angelo Alfero. Torino: UTET 1931 (I grandi scrittori stranieri, 14). Iperione. Traduzione e cura di Giovanni Vittorio Amoretti. Milano: Feltrinelli 1981 (Universale economica, 951). Iperione. Saggio introduttivo di Jacques Taminiaux, traduzione di Marta Bertamini e Fulvio Ferrari. Milano: Guanda 1981 (Quaderni della Fenice, 83). Frammento di Iperione. Traduzione e note di Maria Teresa Bizzarri e Carlo Angelino, introduzione di Carlo Angelino. Genova: Il Melangolo 1989 (opuscula, 27). Iperione o l’eremita in Grecia. A cura di Giovanni Scimonello. Pordenone: Studio Tesi 1989 (Collezione biblioteca, 74). Traduzioni di singoli brani sono presenti in: «Mercurio. Mensile di politica, arte, scienze» 1 (1 ottobre 1944), 2, p. n.n. [In una pagina, senza indicazione del traduttore, presenta alcuni passi tratti dall’invettiva contro i tedeschi]. Claudio Cesa: Le origini dell’idealismo tra Kant e Hegel. Torino: Loescher 1981 [il cap. IV, Etica e umanità, alle pp. 186-195 presenta una parte del discorso sullo Stato tra Iperione e Alabanda e l’incontro con i membri della Lega di Nemesi (MA, vol. I, pp. 634; 636-639) e l’invettiva contro i tedeschi (ivi, pp. 754-757); traduzione di C. Cesa]. ‘Il gioco serissimo’ della letteratura. In occasione del conferimento del titolo di Cavaliere dell’ordine al Merito della repubblica Federale Tedesca alla professoressa Gabriella rovagnati. Bremen: Forschungsstelle für Text-, Überlieferungs- und Bildungsgeschichte der Universität Bremen 2008 [antologia di traduzioni edite e inedite: alle pp. 96-97 compaiono due brevi lettere di Iperione a Diotima (MA, vol. I, pp. 707-708)]. Altre opere di Hölderlin utilizzate in traduzione: La morte di Empedocle. A cura di Laura Balbiani e Elena Polledri. Milano: Bompiani 2003 (Il pensiero occidentale). Scritti di estetica. A cura di riccardo ruschi. Milano: Mondadori 1987.

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Tutte le liriche. Edizione tradotta e commentata e revisione del testo critico tedesco a cura di Luigi reitani. Milano: Mondadori 2001 (I Meridiani).

4. Fonti Agostino, Aurelio: La città di Dio. Introduzione, traduzione, note e appendici di Luigi Alici. Milano: rusconi 1984. Anthologia lyrica graeca. Hrsg. von Ernst Diehl. Leipzig: Teubner 1936-1942. Apollodoro: I miti greci (Biblioteca). A cura di Paolo Scarpi, traduzione di Maria Grazia Ciani. Milano: Fondazione Lorenzo Valla-Mondadori 1996. Aristotele: Costituzione degli ateniesi. Traduzione di renato Laurenti. In: Opere. roma-Bari: Laterza 1973, vol. XI, pp. 1-79. Aristotele: De mundo. In: Il trattato Sul cosmo per Alessandro attribuito ad Aristotele. A cura di Giovanni reale e Abraham P. Bos. Milano: Vita e Pensiero 1995. Aristotele: Etica Nicomachea. Traduzione di Armando Plebe. In: Opere. roma-Bari: Laterza 1991, vol. VII. Aristotele: Il cielo. Introduzione, traduzione, note e apparati di Alberto Jori. Milano: Bompiani 2002 (Testi a fronte). Aristotele: Politica. Traduzione di renato Laurenti. In: Opere. roma-Bari: Laterza 1991, vol. IX, pp. 1-280. Barthélémy, Jean-Jacques: Voyage du jeune Anacharsis en Grèce. Paris: De Bure 1788. – Trad. tedesca: Reise des jüngern Anacharsis durch Griechenland, viertelhalbhundert Jahr vor der gewöhnlichen Zeitrechnung. Aus dem Französischen des Herrn Abbé Barthelemy nach der zweiten Ausgabe des originals übersetzt von Herrn Bibliothekar Biester. Berlin: Lagarde 1790-1793, 7 voll. Blanckenburg, Christian Friedrich von: Versuch über den Roman. Leipzig-Liegnitz: Wittwe 1774. Bonnet, Charles: Palingénésie philosophique ou Idées sur l’état

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passé et sur l’état futur des êtres vivans. Genève: Claude Philibert et Barthelemi Chirol 1769. Chandler, richard: Travels in Asia Minor, or An Account of a tour, made at the Expence of the Society of Dilettanti. oxford: at the Clarendon Press 1775. – Trad. tedesca: Reisen in Klein Asien unternommen auf Kosten der Gesellschaft der Dilettanti. Leipzig: Weidmanns Erben und reich 1776 [traduzione di Heinrich Christian Boie, con la collaborazione di Johann Heinrich Voß. rist. anast.: Hildesheim-New York: olms 1976]. Chandler, richard: Travels in Greece or An Account of a tour, made at the Expence of the Society of Dilettanti. oxford: at the Clarendon Press 1776. – Trad. tedesca: Reisen in Griechenland unternommen auf Kosten der Gesellschaft der Dilettanti. Leipzig: Weidmanns Erben und reich 1777 [traduzione di Heinrich Christian Boie, con la collaborazione di Johann Heinrich Voß. rist. anast.: Hildesheim-New York: olms 1985]. Choiseul-Gouffer, Marie Gabriel Florente Auguste Comte de: Voyage pittoresque de la Grèce. Paris: s. e. 1782 (vol. I; negli anni precedenti era stato pubblicato in fascicoli). – Traduzione tedesca di Heinrich August ottokar reichard: Reise des Grafen Choiseul-Gouffer durch Griechenland. Aus dem Französischen übersetzt. Mit Kupfern und Karten. Gotha: Karl Wilhelm Ettinger 1780-1782. Cicerone, Marco Tullio: Opere politiche e flosofche. Torino: UTET 1980-2007, 3 voll. Conz, Karl Philipp: Schicksale der Seelenwanderungshypothese unter verschiedenen Völkern und in verschiedenen Zeiten. Königsberg: Nicolovius 1791. Cornelio Nepote: Opere. A cura di Leopoldo Agnes. Torino: UTET 1977. Diogene Laerzio: Vite e dottrine dei più celebri flosof. A cura di Giovanni reale con la collaborazione di Giuseppe Girgenti e Ilaria ramelli. Milano: Bompiani 2005 (Il pensiero occidentale).

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Eraclito: testimonianze e frammenti in: I Presocratici. Prima traduzione integrale con testi originali a fronte delle testimonianze e dei frammenti nella raccolta di Hermann Diels e Walther Kranz, a cura di Giovanni reale. Milano: Bompiani 2006 (Il pensiero occidentale), pp. 315-393. Erodoto: Le storie. Introduzione di Giovanni Pugliese Carratelli, traduzione di Augusta Izzo D’Accinni. Firenze: Sansoni 1967. Erodoto: Dell’imprese de’ greci de’ barbari, con la vita d’Omero, nuovamente nella nostra lingua tradotto dal signor Giulio Cesare Becelli. Verona: Dionigi ramanzini 1733. Eschilo [Euripide, Sofocle]: Tutte le tragedie. Milano: Bompiani 2011 (Il pensiero occidentale). Esiodo: Le opere e i giorni. Introduzione di Werner Jaeger, premessa al testo e note di Salvatore rizzo, traduzione di Lodovico Magugliani. Milano: BUr 2004. Esiodo: Teogonia. A cura di Graziano Arrighetti. Milano: BUr 2004. Euripide [Eschilo, Sofocle]: Tutte le tragedie. Milano: Bompiani 2011 (Il pensiero occidentale). Fichte, Johann Gottlieb: Lezioni sulla missione del dotto (1794). A cura di Emilio Cassetti. Bari: Laterza 1967. Goethe, Johann Wolfgang: Berliner Ausgabe: Poetische Werke. Kunsttheoretische Schriften und Übersetzungen. Hrsg. von einem Bearbeiter-Kollektiv unter Leitung von Siegfried Seidel. Berlin-Weimar: Aufbau-Verlag 1965-1978, 22 voll. Goethe, Johann Wolfgang: Opere. A cura di Lavinia Mazzucchetti. Firenze: Sansoni 1949-1954, 4 voll. Goethe, Johann Wolfgang: Poesie, in: Opere. A cura di Vittorio Santoli. Firenze: Sansoni 1970. Goethe, Johann Wolfgang – Schiller, Friedrich: Carteggio. A cura di Antonino Santangelo. Torino: Einaudi 1946. Hegel, Georg Wilhelm Friedrich (?) – Schelling, Friedrich (?) – Hölderlin, Friedrich (?): Il più antico programma di sistema dell’idealismo tedesco. A cura di Leonardo Amoroso. Pisa: ETS 2007.

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Spalding, Johann Joachim: La vocazione dell’uomo. Prima traduzione con testo tedesco originale a fronte delle edizioni 1748, 1763 e 1794, a cura di Laura Balbiani e Giuseppe Landolf Petrone. Milano: Bompiani 2011 (Il pensiero occidentale). Stuart, James – revett, Nicholas: The Antiquities of Athens. London: Haberkorn 1762 (vol. I); ivi: John Nichols 17871789 (vol. II), 1794 (vol. III); ivi: Josiah Taylor 1816 (vol. IV). Virgilio: Eneide. Introduzione e traduzione di rosa Calzecchi onesti. Torino: Einaudi 1996. Virgilio: Georgiche. Introduzione di Antonio La Penna, traduzione di Luca Canali, note di riccardo Scarcia. Milano: rizzoli 2010. Wieland, Christoph Martin: Geschichte des Agathon. FrankfurtLeipzig: s.e. 1767-1794. Winckelmann, Johann Joachim: Pensieri sull’Imitazione. A cura di Michele Cometa. Palermo: Aesthetica 2001 (Aesthetica, 37). Winckelmann, Johann Joachim: Storia dell’arte dell’antichità. A cura di Fabio Cicero. Milano: Bompiani 2003 (Testi a fronte). Wolf, Peter Philipp: Allgemeine Geschichte der Jesuiten von dem Ursprunge ihres Ordens bis auf gegenwärtige Zeiten. Zürich: orell-Geßner-Füßli 1789-1791, 4 voll.

5. Biografe e contributi critici generali su Friedrich Hölderlin Albert, Claudia: «Dient Kulturarbeit dem Sieg?» Hölderlin-Rezeption von 1933-1945. In: Hölderlin und die Moderne. Eine Bestandsaufnahme, pp. 153-173. Allemann, Beda: recensione a StA. In: «Anzeiger für deutsches Altertum und deutsche Literatur» 69 (1956/1957), pp. 7582.

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Böhme, Lothar: Die Landschaft in den Werken Hölderlins und Jean Pauls. Naumburg: Lippert 1908. Bornmann, Bianca Maria: Hölderlin traduttore di poesia latina. In: «La Colombaria» 23 (1958/1959), pp. 257-328. Böschenstein, Bernhard: Studien zur Dichtung des Absoluten. Zürich-Freiburg i. B.: Atlantis 1968. Böschenstein, Bernhard: Klopstock als Lehrer Hölderlins. Die Mythisierung von Freundschaft und Dichtung. In: id.: Leuchttürme. Von Hölderlin zu Celan. Frankfurt a. M.: Insel 1977, pp. 44-63. Böschenstein, Bernhard: Hölderlin in Frankreich. Seine Gegenwart in Dichtung und Übersetzung. In: «Hölderlin-Jahrbuch» 26 (1988/1989), pp. 304-320. Bothe, Henning: Hölderlin zur Einführung. Hamburg: Junius 1994. Bottachiari, rodolfo: Hölderlin. roma: Perrella 1945. Bremer Buono, Donatella: Hölderlin: poesia e mito. Pisa: Tipografa Editrice Pisana 1983. Burdorf, Dieter: Edition zwischen Gesellschaftskritik und ‘Neuer Mythologie’. Zur Frankfurter Hölderlin Ausgabe. In: Hölderlin entdecken. Lesarten 1826-1993, pp. 165-199. Burdorf, Dieter: Hölderlins späte Gedichtfragmente: “Unendlicher Deutung voll”. Stuttgart: Metzler 1993. Burdorf, Dieter (Hrsg.): Edition und Interpretation moderner Lyrik seit Hölderlin. Berlin-New York: de Gruyter 2010 (Beihefte zu «editio») Caprioli, Alberto: «Vedendo meco viaggiar la luna»: l’ultraflosofa dell’eroe in Giacomo Leopardi e Friedrich Hölderlin. In: «Comparatistica» 8 (1996), pp. 27-46. Cassirer, Ernst: Hölderlin e l’idealismo tedesco. A cura di Andrea Mecacci. roma: Donzelli 2000. Cercignani, Fausto: Memoria e reminiscenze: Nietzsche, Büchner, Hölderlin e i poemetti in prosa di Trakl. Torino: Genesi 1989. Chiarloni, Anna: Trakl e Hölderlin. In: «AIoN – Studi tedeschi» 9 (1966), pp. 141-152. Cocco, Enzo: Hölderlin e le vie del viandante. Bologna: Pendragon 2000.

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DWB: Deutsches Wörterbuch von Jacob und Wilhelm Grimm. Hrsg. von der Deutschen Akademie der Wissenschaften zu Berlin in Zusammenarbeit mit der Akademie der Wissenschaften zu Göttingen. Leipzig: Hirzel 1854-1971. Geschichte der Hölderlin-Handschriften. In: Katalog der Hölderlin-Handschriften. Hrsg. von Johanne Autenrieth und Alfred Kelletat. Stuttgart: Kohlhammer 1961. Handwörterbuch des deutschen Aberglaubens. Hrsg. von Hanns Bächtold-Stäubli et al. Berlin-Leipzig: de Gruyter 19271942. Hederich, Benjamin: Gründliches mythologisches Lexicon. Durchgesehen und verbessert von Johann Joachim Schwabe. Leipzig: Gleditsch 1770 [rist. anast.: Darmstadt: Wissenschaftliche Buchgesellschaft 1967]. Hölderlin-Bibliographie 1938-1950. Bearbeitet von Maria Kohler und Alfred Kelletat. Stuttgart: Landesbibliothek 1953. Hölderlin Handbuch. Leben – Werk – Wirkung. Hrsg. von Johann Kreuzer. Stuttgart-Weimar: Metzler 2002. «Hölderlin-Jahrbuch». Begründet von Friedrich Beißner und Paul Kluckhohn. Stuttgart-Tübingen: 1944-. Internationale Hölderlin Bibliographie 1804-1983. Hrsg. vom Hölderlin-Archiv der Württembergischen Landesbibliothek Stuttgart, bearbeitet von Maria Kohler. Stuttgart: frommann-holzboog 1985 [= IHB]. IHB 1984-1988. Bearbeitet von Werner Paul Sohnle und Marianne Schütz. Stuttgart: frommann-holzboog 1991. IHB 1989-1990. Bearbeitet von Werner Paul Sohnle und Marianne Schütz. Stuttgart: frommann-holzboog 1992. IHB 1991-1992. Bearbeitet von Werner Paul Sohnle und Marianne Schütz. Stuttgart: frommann-holzboog 1994. IHB 1993-1994. Bearbeitet von Werner Paul Sohnle und Marianne Schütz. Stuttgart: frommann-holzboog 1996. IHB 1995-1996. Bearbeitet von Werner Paul Sohnle und Marianne Schütz. Stuttgart: frommann-holzboog 1998. IHB-Online, hrsg. von der Württembergischen Landesbiblio-

964

BIBLIoGrAFIA

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IndIce deI luoghI L’indice raccoglie i nomi geografci presenti nel testo di Hölderlin, compresi quelli mitologici. Il riferimento è alla paginazione del testo originale; le occorrenze indicate in corsivo dopo il trattino sono riferite ai testi in Appendice. Acheronte, 623, 752 Adriatico, 735 Alpi, 735 Angele, 690, 725 Arcadia, 636 – 493, 497, 540 Asia, 622, 717 – 597 Asia Minore, 626 – 502 Atene, 632, 681, 681, 681, 681, 685, 687, 688, 688, 689, 689, 690, 690, 692, 693, 731, 731, 754 – 532 Athos, 620 Attica, 652, 687, 689, 697, 701 – 557, 584 Caistro, 626 Calauria, 653, 654, 654, 667, 670, 707, 719, 730, 735, 736, 737, 753, 753 – 579, 582, 605 Capo Sigeo, 507 Castri, 506 Çeşme, 726, 745

665, 724, 744, 590,

Chio, 635, 726 – 492, 573 Cinto, 621, 621 – 543, 551 Citerone, 509 Corax, 498 Corinto, 613, 613, 702 – 585, 598 Corone, 698, 708, 715 – 591, 596 Dalmazia, 740 Delf, 746 Delo, 621 – 543, 551 Dodona, 708 – 505, 591 Efeso, 643, 724 Elicona, 613 Elide, 620 – 598 Elisio, 645, 647, 655, 673, 720, 728 – 565, 570, 604 — ante-Elisio, 674 – 485 Ellesponto, 620 Eolide, 502 Epidauro, 707, 719 – 590 Etna, 623, 753

966

Eufrate, 698 Europa, 689 Eurota, 620, 707, 717, 718, 722, 722 – 590, 598, 602 Francia, 693, 739 germania, 693, 758 grecia, 609, 616, 619, 621, 627, 633, 652, 671, 701, 702, 712, 714, 718, 721, 723, 735 – 502, 506, 532, 541, 557, 584, 585, 602 Ida, 640 – 505 Ilio, 506 Ilisso, 732 Imetto, 688 Ionia, 647, 711, 713, 724 – 490, 494, 494, 541, 557, 565, 593, 594 Italia, 693 Karaburn, 630 Lacedemone [=Sparta], 682, 719, 722 – 598, 603 Lesbo, 507 Lete, 663, 663, 673, 707 – 578, 578, 590 Licabetto, 687 Macedonia, 598 Maratona, 701, 718 – 584, 602 Mele, 625 – 494, 502, 504, 508 Meonia, 485

InDICE DEI LuogHI

Messogi, 627 Mileto, 643 Mimas, 630 Misistra, 698, 717, 719, 720, 720, 730 – 597, 598, 599, 599, 601, 603, 604, 607 Modone, 715 – 596 Morea, 720, 722 – 496, 496 navarino, 717 – 597 nemea, 620, 711 – 593, 598 nio, 622, 622 – 494 olimpia, 620 olimpo, 650, 700, 748, 749 – 528, 583 ossa, 650 Pagus, 507 Parnaso, 613, 746 – 506 Paros, 727, 737, 751 – 563, 565 Pattolo, 626 – 494, 541 Pelio, 650 Peloponneso, 620, 702, 707, 707, 710, 715, 717, 718 – 585, 590, 591, 592, 596, 598, 601 Pentelico, 688, 701 – 584 Pirenei, 735 Pirgo, 496 Platea, 718 – 602 Rodi, 620 Roma, 632 – 491 Russia, 698

967

InDICE DEI LuogHI

Salamina, 652, 652, 706, 710 – 590, 593, 605, 605, 606, 606, 606 San nicolo, 538, 544, 548, 550 Sardi, 626 Scamandro, 505 Sicilia, 751 Sicione, 613 Sipilo, 626 Siviglia, 739, 740 Smirne, 625, 625, 626, 627, 627, 629, 642, 648, 670, 699, 710, 712, 738, 738, 740, 740 – 492, 494, 495, 502, 507, 507, 541, 560, 561, 561, 596 Spagna, 739 Sparta, 703, 707, 716, 717 – 532, 587, 590, 597, 598

Stige, 621 – 528 Sunio, 688 Tenaro, 620 Tenedo, 507 Teo, 643, 724 Termopili, 718, 752 – 602 Tinos, 617, 625, 625, 642, 644, 702, 708, 724, 738 – 502, 532, 538, 559, 560, 561, 585, 592, 605 Tmolo, 626, 643 – 494, 508, 541 Trieste, 739, 740, 740 Tripoli, 720, 721 Troade, 643 – 502 Troia, 682 – 505 Zante, 490, 493

IndIce deI nomI L’indice raccoglie i nomi presenti nel testo di Hölderlin, compresi quelli mitologici. Il riferimento è alla paginazione del testo originale; le occorrenze indicate in corsivo dopo il trattino sono riferite ai testi in Appendice. non vengono considerati i nomi dei protagonisti principali: Iperione, Diotima, Alabanda, Bellarmino. Academo, 688, 732 Achille, 621, 641 – 495, 506, 522 (Pelide), 528, 542 Adamas, 618, 619, 620, 620, 621, 621, 622, 622, 622, 624, 625, 629, 648, 670, 671, 707, 717, 744 – 502, 503, 505, 506, 507, 559, 560, 591, 597 Adone, 752 Afrodite, 513, 518 Agide, 703 – 586 Aiace, 652 – 498, 506, 561, 606 Alceo, 494 Alessandro [Magno], 681 Alfeo, 671, 707 – 590 Anacreonte, 494 Antiloco, 506 Apollo, 692, 711 – 543, 593 Aretusa, 671 Aristide, 531

Aristogitone, 667, 667, 667, 667 – 582 Armodio, 667, 667, 667, 699 – 582, 591 Atena, 485, 486 Atlante, 700 – 583 Bacco, 689 Bruto, 748 Callia, 485, 486 Caronte, 654 Castore, 640, 693 Cibele, 626 Cleomene, 703 – 587 Cleopatra, 690 Danaidi, 647 Dedalo, 494 Delf, 746 Delo, 621 – 543, 551 Demostene, 680

970

Diana, 675 Diomede, 485, 485 Dione, 542 Dioscuri, 640, 668 – 495, 535, 566 Dracone, 684 Edipo, 754 Elio, 733 Eraclito, 685 Ercole, 636 Ettore, 529 Febo, 702, 713 – 585, 594 ganimede, 659 giove, 620, 653, 692, 711 – 593 giunone, 490 glicera, 485 grazie, 677, 754 – 523 Ipparco, 682 Iside, 686 Leonida, 597 Licurgo, 682 – 597 Megera, 636 Melite, 493, 493, 494, 495, 496, 498, 499, 500, 500, 500, 502, 503, 503, 503, 504, 504, 505, 506, 506, 506, 507, 507, 507, 508 Milziade, 531 Minerva, 685 – 543

InDICE DEI noMI

Minosse, 667 Muse, 653, 732 nemesi, 632, 700, 720, 741 – 583, 604 nestore, 621 nettuno, 688 notara, gorgonda, 658, 702, 702, 702, 703, 704, 705, 725, 747, 751, 751, 753, 753 – 494, 494, 495, 495, 502, 502, 503, 503, 506, 507, 508, 508, 535, 536, 539, 541, 542, 543, 544, 545, 566, 567, 582, 585, 586, 586, 587, 587, 599, 600

740,

667, 704, 750, 492, 498, 506, 534, 541, 550, 586, 589,

omero, 622, 625, 703 – 485, 486, 494, 502, 502, 502 (meonide), 503, 505, 511, 515 (meonide), 523, 587 orfeo, 644 Panagia, 521, 541 Parche, 653 Patroclo, 495, 506, 542 Pausania, 494 Pelopida, 708 Pisistrato, 682 Pizia, 746 Platone, 618, 633 – 485, 513, 542, 559 Plutarco, 620 – 533

971

InDICE DEI noMI

Polissena, 724 Polluce, 693 Procuste, 752 Prometeo, 703 – 587 Saffo, 494 Scipioni, 649 Sofocle, 696 – 561 Solone, 542 Stefano, 562 Stella, 618

Tantalo, 667 Temistocle, 649 Teseo, 682, 689, 703 – 587 ulisse, 756 – 485 (Laertide), 485 urania, 615, 663 – 578 Vulcano, 671 Zeus, 685

IndIce generale SaggIo IntroduttIvo di giuseppe Landolf-Petrone: Iperione, storia e natura. Friedrich Hölderlin e due temichiave della flosofa di fne Settecento cronologIa della vIta e delle opere dI FrIedrIch hölderlIn

7 87

cronologIa dI IperIone

102

nota edItorIale

111

Volume primo Prefazione Libro primo Libro secondo Volume secondo Libro primo Libro secondo

117 119 121 213 311 313 383

note all’IperIone

467

appendIce

583 585 599 603 607

I materiali preparatori – Introduzione ai testi Dormivo, o mio Callia… Dovrei lasciar dormire… Frammento di Iperione

974

InDICE gEnERALE

Bozza in prosa per la stesura in versi Stesura in versi Giovinezza di Iperione Penultima stesura Bozze per la stesura defnitiva

657 665 681 761 797

note all’appendIce

883

BIBlIograFIa

923

IndIce deI luoghI

965

IndIce deI nomI

969