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Italian Pages 164 [166] Year 2003
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Gerd Theissen
IL NUOVO TESTAMENTO Edizione italiana a cura di Giovanni Maria Vian
Carocci editore
Traduzione di Aldo Paolo Bottino Titolo originale: Das Neue Testament © Verlag C.H. Beck oHG, Munchen 2002
3a ristampa, settembre 2010 la edizione italiana, marzo 2003 © copyright 2003 by Carocci editore S.p.A., Roma ISBN 978-88-430-2428-5
Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 della legge 2 2 aprile 1941, n. 633) Senza regolare autorizzazione,
è vietato riprodurre questo volume anche parzialmente e con qualsiasi mezzo, com presa la fotocopia, anche per uso interno o didattico.
Indice
Prefazione
II
Abbreviazioni e avvertenza
I.
Il Nuovo Testamento e le sue forme letterarie
I7
2.
Gesù di Nazaret
25
3·
La tradizione su Gesù nella prima generazione: la fonte dei lògia e la tradizione orale
33
Le fonti dei vangeli Tradizioni dei carismatici itineranti: la fonte dei lògia
3·4 ·
Tradizioni delle comunità locali: passione e apocalisse s1nott1ca Tradizioni popolari: le storie di miracoli
42 44
4·
Paolo di Tarso
47
.
5·
5. I.
.
Inizi della letteratura epistolare nella prima genera zione: le lettere di Paolo
57
La I Lettera ai Tessalonicesi: uno scritto necessitato dalla situazione
57
Le lettere antigiudaiche: la Lettera ai Galati e la Let
tera ai Filippesi La Lettera ai Galati l Lettera a Filemone (excursus) 5.2.1.
5·3·
La
Lettera ai Filippesi l
6o 5.2.3.
La
Le lettere antientusiastiche: le Lettere ai Corinzi Paolo e la com unità di Corioto La II Lettera ai Corinzi
5.3.1. 5.3.3.
5·4·
5.2.2.
l
5.3.2.
La
I
Lettera ai Corinzi l
La sintesi teologica: la Lettera ai Romani come testa mento di Paolo
6.
66
75
I vangeli sinottici e gli Atti degli apostoli: le nuove forme letterarie della seconda e terza generazione Il Vangelo di Marco
6.I. 6.2. 6.3.
Le due opere di Luca
7·
Le lettere pseudoepigrafe: la continuazione della pro
Il Vangelo di Matteo
duzione letteraria della prima generazione 7. I.
La formazione della letteratura pseudoepigrafa nel cristianesimo pr1m1t1vo
108
Le lettere deuteropaoline
II2
.
7.2.1. 7.2.3.
7·3·
107
.
.
La La
.
.
.
II Lettera ai Tessalonicesi l 7.2.2. La Lettera ai Colossesi l Lettera agli E/esini l 7.2.4. Le lettere pastorali
Le lettere cattoliche
Lettera di Pietro l 7.3.2. La Lettera di Giacomo l Lettera di Giuda l 7.3·4- La II Lettera di Pietro 7.3.1.
La
I
II8 7·3·3·
La
7·4·
La Lettera agli Ebrei
8.
Gli scritti giovannei: l'unione tra la forma dei vangeli
8. I.
12 2
e quella della letteratura epistolare
12 5
Il Vangelo di Giovanni
12 6
8.2.
Le lettere di Giovanni 8.2. 1.
vannz
La
I
Lettera di Giovanni l
8.2.2.
La
II e
la
III
Lettera di Gio
L'Apocalisse di Giovanni (appendice)
9·
Il percorso verso il "Nuovo Testamento" come unità letteraria
147
Glossario
159
Bibliografia
Prefazione
Cos'è il Nuovo Testamento? Quasi venti secoli dopo la sua ori gine si può rispondere che si tratta del complesso di Scritture sacre perché ritenute ispirate da Dio - che le prime generazioni cristiane si diedero, sviluppando e completando quelle giudai che. All'inizio e per alcuni decenni le Scritture giudaiche furo no ovviamente l'unico gruppo di scritti considerati sacri da Ge sù e dai suoi seguaci (che erano tutti giudei), ma abbastanza presto questo, dal punto di vista dei cristiani, divenne "antico" (o "vecchio") rispetto all'insieme di testi "nuovo", nel quadro di una netta concorrenzialità tra giudei e cristiani. Alla fine di tale processo la raccolta dei due complessi di scritti sacri formò la Bibbia (dal greco tà biblzà, che significa "i libri" ) cristiana. I ventisette testi che costituiscono il Nuovo Testamento fu rono scritti tutti in greco e nel giro di pochi decenni, tra la me tà del primo secolo e gli inizi del secondo. Il percorso che por tò alla formazione della Bibbia cristiana non fu però semplice e accompagnò la gestazione conflittuale, all'interno di un giudai smo molto variegato, di quella che più tardi sarebbe di fatto divenuta una nuova religione, con esiti diversi nella considera zione più o meno positiva della matrice giudaica, non senza contrasti alla fine riconosciuta. In un contesto differenziato, dunque, si precisarono progressivamente i tratti dell'identità cristiana, anch'essa piuttosto sfaccettata, attraverso una lettera tura biblica molto più ampia di quella poi considerata canonica (cioè normativa perché ritenuta divinamente ispirata) in quanto comprendente la cosiddetta letteratura apocrifa, fenomeno già presente nel giudaismo.
11
IL NUOVO TEST AMENTO
Di fronte a questa complessa evoluzione, già verso la fine del secondo secolo emerse nei diversi ambiti crtsttant un con senso piuttosto generalizzato nei confronti di un elenco di scrit ti cristiani considerati ispirati (appunto il canone, dal greco ka nòn , "misura" e quindi "regola"), almeno nelle sue componenti fondamentali. Il riconoscimento del canone appare un fenome no storico rilevante e singolare soprattutto per l'assenza di un'autorità indiscussa in grado d'imporlo: solo molto più tardi, infatti, si preciserà il primato della sede romana, peraltro già accennato tra la fine del primo secolo e gli inizi del secondo. Dopo la svolta costantiniana, intorno alla metà del quarto secolo il canone è ormai sostanzialmente fissato, e non a caso a quest'epoca risalgono i più antichi esemplari manoscritti com pleti (molti erano stati distrutti dalla persecuzione dioclezianea) delle Scritture cristiane. Esse furono così avviate a una lunga storia di traduzioni, interpretazioni e influenze, anche sull'isla mismo e sul suo libro sacro, che riconosce un certo valore alla letteratura ispirata ebraica e cristiana. Le vicende dei testi sacri cristiani li hanno resi fondamentali nell'evoluzione storica e cul turale di buona parte dell'umanità. Tuttavia, il loro uso che in età moderna è divenuto sempre più confessionale, da una parte, e l'accentuata secolarizzazione della seconda metà del Novecen to, dall'altra, si sono rivelati convergenti in un risultato: la Bib bia in generale, e il Nuovo Testamento in particolare, sono sempre meno conosciuti e letti, con un grave impoverimento proprio dal punto di vista culturale. Per tale motivo appare utile la traduzione di questo recen tissimo volumetto, che presenta brevemente dal punto di vista storico l'origine e la costituzione del Nuovo Testamento, par tendo quindi da Gesù e dalle tradizioni orali e scritte presto formatesi su di lui. Seguono Paolo, il più antico scrittore cri stiano, e la trattazione delle sue lettere certamente autentiche, che furono i primi testi cristiani a essere raccolti già negli anni ottanta del primo secolo, cioè un ventennio dopo la morte del l'autore. Sono poi presentati i vangeli sinottici (dal greco syno psis, "sguardo d'insieme"), così definiti in età moderna per le loro somiglianze, strette al punto da permetterne una presenta-
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PREFAZIONE
zione su colonne parallele: quello attribuito a Marco, in genere ritenuto il più antico; quello di Matteo, l'unico scritto neotestamentarto composto ortgtnartamente non tn greco ma tn ebraico o aramaico, anche se di questa redazione non resta traccia; quello infine attribuito a Luca, autore pure di un se condo libro, di "atti", dedicato a narrare le vicende della comu nità cristiana di Gerusalemme attraverso quelle di Pietro e quindi le missioni di Paolo fino a Roma. Sono poi trattate le altre lettere attribuite dalla tradizione ecclesiastica a Paolo e ad alcuni apostoli (Pietro, Giacomo, Giuda). Infine è presentato il fondamentale complesso di scritti (un vangelo, tre lettere e uno scritto profetico) giovannei, quelli cioè che si fanno risalire a Giovanni, il discepolo prediletto da Gesù. Un ultimo capitolo delinea il processo che portò in pochi decenni alla costituzione del Nuovo Testamento e tenta alla fine una sintesi del suo si gnificato complessivo. Chiudono il volume una sommaria bi bliografia e un glossarietto di alcuni termini tecnici. Gerd Theissen è un teologo e pastore protestante tedesco che, dopo aver insegnato a Bonn e a Copenhagen, è ora pro fessore di teologia neotestamentaria all'università di Heidelberg. Sociologo del cristianesimo primitivo, ha scritto in materia im portanti saggi e pubblicato, con Annette Merz, un'ampia tratta zione sulla figura storica di Gesù, alla quale ha dedicato anche un romanzo, tradotto in più lingue. Le sue opere principali sono disponibili anche in italiano. Questa sua presentazione del Nuovo Testamento si propone di fornire un'informazione essenziale e ha la caratteristica e il merito di farlo da un punto di vista storico, con l'intento di permettere al lettore di seguire l'origine e la formazione dei pri mi scritti cristiani, sulla base delle più recenti ricerche in ambi to neotestamentario. In tale campo tuttavia non sono molte le acquisizioni condivise da tutti gli studiosi e più di una volta le soluzioni proposte dall'autore non sono convincenti. Così non persuade la valorizzazione del gruppo definito dei "carismatici itineranti" e che egli ritiene importante nella formazione delle prime tradizioni orali su Gesù. Altre questioni tuttora contro verse riguardano soprattutto, come peraltro emerge dal testo, .
.
13
.
.
IL NUOVO TEST AMENTO
l'attribuzione delle lettere paoline oltre quelle sicuramente au tentiche. Ma anche sull'origine dei vangeli, sui rapporti tra i si nottici e sulla considerazione del vangelo giovanneo (il cui valo re storico è sempre più sottolineato) il dibattito è molto più aperto di quanto non si pensi e non appaia da questo volume. Si sente infine la mancanza almeno di qualche cenno alla storia del testo neotestamentario e a quella degli studi sul Nuovo Te stamento, entrambe non soltanto appassionanti ma anche pre ziose per una ricostruzione storica complessiva delle vicende dei testi sacri cristiani. Le pubblicazioni sul Nuovo Testamento sono ovviamente moltissime anche in Italia, ma mancava finora una breve pre sentazione accessibile e aggiornata da un punto di vista storico, sia pure non sempre convincente. Proprio nella parte conclusi va l'autore non nasconde il significato religioso di questi testi e forse il desiderio che anche in questo senso essi siano accolti - ma al tempo stesso ne sottolinea l'inestimabile valore cultura le. Non si può non essere d'accordo: letto questo libretto, vale davvero la pena prendere in mano gli scritti di cui esso tratta e leggerli, quasi seguendo l'invito della misteriosa cantilena infan tile, ascoltata dal giovane Agostino, a prendere e leggere (tolle, lege, tolle, lege) le Scritture cristiane. Roma r8 ottobre 2002 GIOVANNI MARIA VIAN
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Abbreviazioni dei libri del Nuovo Testamento
Ap. A t. Col. I Cor. II Cor. Eb. Ef Fil. Fm. Gal. Gc. Gd. Gv. I Gv.
II Gv. III Gv. Le. Mc. Mt. I Pt. II Pt. Rom. I Tm. II Tm. I Ts. II Ts. Tt.
Apocalisse Atti degli apostoli Colossesi I Corinzi II Corinzi Ebrei E/esini Filippesi Filemone Galati Giacomo Giuda Giovanni I Giovanni
II Giovanni III Giovanni Luca Marco Matteo I Pietro II Pietro Romani I Timoteo II Timoteo I Tessalonicesi II Tessalonicesi Tito
Altre abbreviazioni a.C. d.C. s. ss.
avanti Cristo dopo Cristo e seguente . e seguentl Avvertenza
Le citazioni dai libri del Nuovo Testamento sono secondo il testo del la Bibbia curata nel I 97 I dalla Conferenza Episcopale Italiana, che è oggi la traduzione più diffusa in Italia.
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16
I
TI Nuovo Testamento e le sue forme letterarie
Il Nuovo Testamento è una raccolta di scritti di una cultura marginale all'interno dell'impero romano, costituitasi attraverso una nuova interpretazione della religione giudaica. Al suo cen tro sta un carismatico giudeo, giustiziato dai Romani attorno al 30 d.C., che in essa si pose dalla parte di Dio. L'interpretazione è tesa a rendere comprensibile come, all'interno di una religio ne strettamente monoteistica, un uomo possa presentarsi al fianco di Dio e come, in questo modo, una tale forma religiosa si aprì anche ai non giudei divenendo nel contempo inaccetta bile per molti giudei. Il Nuovo Testamento comprende ventisette scritti in lingua greca, composti circa fra il 5 0 e il I 3 0 d.C.: quattro vangeli, ventuno lettere e, in più, gli Atti degli apostoli e l'Apocalisse di Giovanni. Al momento della redazione di questi scritti non esi steva alcun "Nuovo Testamento" . La Bibbia dei primi cristiani era rappresentata dalle Scritture sacre dei giudei, che avevano sviluppato l'idea di un canone, cioè di una raccolta di scritti tale da imprimere una volta per tutte nella memoria culturale le convinzioni religiose. Sulla scorta di questo modello i cristiani costruirono il loro canone allargato; le Scritture giudaiche di vennero dunque "Antico Testamento" per distinguerle dal "Nuovo Testamento": insieme essi costituiscono la Bibbia cri stiana. La titolazione "Nuovo Testamento" rimanda alla promessa della «nuova alleanza» contenuta in Geremia 3 I ,3 I -34, secondo la quale Dio non avrebbe più scritto i suoi comandamenti sulla pietra, ma nei cuori degli israeliti, in modo tale che nessun
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IL NUOVO TEST AMENTO
maestro umano avesse dovuto fare loro da tramite. Sorretti da questa visione, alcuni giudei, nel secondo secolo a.C., fondaro no all'interno del giudaismo stesso una «nuova alleanza nella terra di Damasco» (Documento del Cairo 6 , I 9 ss.). Il fondatore degli esseni, il Maestro di giustizia, verosimilmente un sommo sacerdote esautorato dalla carica, stabilì, mediante questo grup po riformatore, una "alleanza con Dio" a metà del secondo se colo a.C. Il concetto di "nuova alleanza", tuttavia, non si impo se tra gli esseni: essi si riferivano a se stessi come «alleanza del la grazia» o «eterna alleanza». L'attributo "nuovo" era troppo impregnato di negatività, poiché era convinzione comune che quanto era antico fosse migliore. I primi cristiani fecero a que sto riguardo una diversa valutazione, concependo la propria "nuova alleanza" come compimento dell'antica (cfr. II Cor. 3 , I 4) . In cosa consisteva il nuovo? Se si segue l'uso linguistico del termine "nuova alleanza" , ci si imbatte in tre forme espres sive di ogni manifestazione religiosa: etica, rito e mito. Nel loro ambito si giunse a mutamenti radicali. La "nuova alleanza" mira ad una nuova etica. Paolo intro duce la contrapposizione fra l'antica e la nuova alleanza con parole della promessa di Geremia: i cristiani sono «una lettera [. .. ] scritta non con inchiostro, ma con lo spirito del Dio vi vente, non su tavole di pietra ma sulle tavole di carne dei vostri cuori» (II Co r. 3 , 3 ) . I comandamenti di carattere etico non de vono guidare l'uomo dall'esterno, bensì dall'interno, attraverso lo Spirito, che lo rinnova dalle fondamenta. Così, nel cristiane simo primitivo - come, del resto, nel giudaismo ellenistico l'etica giudaica del comandamento si congiunse all'etica del di scernimento di matrice ellenistica. Paolo vuole «discernere la volontà di Dio» (Rom. I 2 , 2 ) e mette così in campo l'esigenza socratica di verificare ogni cosa, a partire dai comandamenti divini. A una nuova etica si aggiunse un nuovo rito; l'ultima cena fu solennemente commemorata con le seguenti parole: «questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo [. .. ] in memoria di me» (I Co r. I I ,2 3 -2 5 ) . Ciò rimpiazzò il sacrificio cruento: al suo posto si ebbero il pane e il vino, e la memoria
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I.
IL NUOVO TESTAMENTO E LE SUE FORME LETTER ARIE
della morte di Gesù. Mentre la vittima sacrificale fu sostituita da un pasto incruento, l'immaginario religioso fu affascinato da un'esecuzione violenta, che fu interpretata al pari di una forma di sacrificio da lungo tempo superata, il sacrificio umano. Pro prio una tale vittima si presentò come fine di tutte le vittime. Questo aspetto appartiene ad un quadro di riferimento più am pio: già nel giudaismo, in effetti, accanto al culto sacrificale in Gerusalemme si era sviluppato un culto puro della parola di Dio nelle sinagoghe, portato avanti dai primi cristiani. Anche i neopitagorici, dal canto loro, avevano esercitato una critica alla pratica dei sacrifici. Dopo la distruzione del Tempio nel 70 d.C. i sacrifici cessarono nel giudaismo stesso. L'espressione "nuova alleanza" rimanda, in definitiva, al mito dei primi cristiani, il "racconto di fondazione di una reli gione" . Per quanto riguarda gli scritti neotestamentari, il con cetto si impose per mezzo di questo "racconto di fondazione" . La traduzione dell'ebraico berith (patto, disposizione) con il greco diathèke (disposizione, testamento) rese più facile annet tere al concetto il senso di un'eredità testamentaria in forma scritta. Si dimostrò comunque decisivo che il racconto di Gesù di Nazaret assumesse quel ruolo che nelle altre religioni era proprio del mito: infatti non si dispiegava in un'oscura preisto ria, ma narrava di una figura storica collocata nel mezzo del tempo. Anche in questo caso i cristiani proseguirono ciò che già i giudei avevano intrapreso, poiché nelle loro Scritture la storia era diventata racconto fondante di una religione. Il mito preistorico fu così perpetuato attraverso le narrazioni fino al presente. Insieme al titolo "Nuovo Testamento" risultano per noi as sai istruttivi anche i suoi generi letterari. La forma letteraria rende palese in modo incontrovertibile le intenzioni di un grup po meglio dell'espressione di contenuti. A questo punto può ri sultare utile uno sguardo al Maestro di giustizia, in quanto egli, con la sua pretesa di rivelazione, può innanzi tutto essere para gonabile a Gesù. Del Maestro di giustizia non è stato tramandato nemmeno il nome. Possediamo però alcuni suoi testi: salmi e una lettera al
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IL NUOVO TEST AMENTO
sommo sacerdote allora in carica, in cui egli discute le varianti del rituale, a causa delle quali si era distaccato dal Tempio. Malgrado l'esistenza di questi scritti originali, non si formò fra gli esseni una seconda parte del canone; il desiderio di nuove rivelazioni determinò fra loro piuttosto la tendenza a integrare le Scritture con scritti deuterocanonici: leggevano scritti di rive lazione attribuiti a Enoch, Abramo o Esdra; nuove cognizioni furono propagandate come antichissime rivelazioni. Il Nuovo Testamento contiene un unico scritto di questo tipo, l'Apoca lisse di Giovanni, che rimontava tuttavia ad un profeta contem poraneo, Giovanni di Patmos, e non derivava la sua autorità da antichissimi visionari dell'Antico Testamento, ma voleva essere profezia viva nel presente. A differenza del Maestro di giustizia, Gesù non ha lasciato nulla di scritto; perciò i suoi seguaci composero opere su di lui, che, nell'insieme, avevano come modello il canone dell'Antico Testamento, ma che, singolarmente, ad esempio vangeli e lette re, non possedevano alcun modello formale in esso e, più in generale, nel giudaismo. Il vangelo è una variante del bìos (l'antica biografia), anche se si tratta di un bios del tutto particolare. Il più antico inizia con il battesimo di Gesù e si interrompe con il sepolcro vuoto: si aveva timore a narrare la storia del Risorto ponendola sullo stesso piano in cui si era svolta la vita di Gesù fino a quel mo mento. Sono Luca e Matteo per primi a introdurre i racconti dell'infanzia all'inizio e le vicende pasquali alla fine. E questo che salta all'occhio: in nessuna manifestazione del giudaismo è mai esistita una forma letteraria così organizzata attorno a una persona, come accade nei vangeli. Lo stesso Maestro di giusti zia, col quale la religione giudaica si era concentrata come mai prima su un singolo personaggio, non ha suscitato la nascita di alcun genere letterario consimile. Con ciò vogliamo dire che già la forma dei vangeli mostra come il cristianesimo primitivo sia sorto sulla soglia tra giudaismo e paganesimo. Il secondo genere principale del Nuovo Testamento è la let tera, che si costituì ancor prima dei vangeli. Il Nuovo Testa mento comprende due raccolte di lettere: tredici lettere paoline, '
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I.
IL NUOVO TESTAMENTO E LE SUE FORME LETTER ARIE
indirizzate a singole comunità o individui, cui viene aggiunta come quattordicesima la Lettera agli Ebrei e, inoltre, sette lette re "cattoliche", che si rivolgono cioè a tutti i cristiani: la lettera di Giacomo, la prima e la seconda lettera di Pietro, le tre lettere di Giovanni, la lettera di Giuda. E indubbio che nell'Antico Testamento sia compresa una lettera (cfr. Geremia 2 9 ) , ma non certo come forma letteraria autonoma. Abbiamo modelli per le lettere del Nuovo Testamento solamente nel mondo non giu daico, dove erano largamente diffuse le lettere di Platone o quelle dei cinici. In più, è assodato che la stessa forma lingui stica del Nuovo Testamento rivela che ci troviamo al confine tra giudaismo e paganesimo. La tradizione su Gesù quale creatura terrena si limita nelle lettere ad alcuni accenni sporadici: in esse incontriamo Gesù come essere ultraterreno, inviato sulla terra dal mondo preesi stente di Dio, divenuto uomo, sottoposto alla morte per risor gere dai morti e costituito Signore al di sopra di tutte le po tenze. Non è determinante ciò che Gesù ha fatto o detto, ma ciò che Dio volle fare e dire attraverso di lui: in tal modo egli si configura come essere mitico. E naturale che la croce e la risurrezione giochino un ruolo anche nella tradizione sinottica su Gesù, e lo splendore mitico della rivelazione di Cristo trapeli ripetutamente in essa. Ma è impossibile non percepire la diffe renza, mettendo a confronto le formulazioni complessive della tradizione su Gesù con la rivelazione di Cristo. In Fil. 2 ,6- r r Paolo cita il cosiddetto "inno dei Filippesi" : ,
'
Il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce.
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IL NUOVO TEST AMENTO
Per questo Dio l'ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre. Come esempio per la tradizione su Gesù andrebbe letto un in tero vangelo, ma per noi può bastare un sommario retrospetti vo. I discepoli di Emmaus, nel Vangelo di Luca, incontrano il Risorto e, non riconoscendolo, gli rendono conto della grande delusione della loro vita, vale a dire di Gesù: [ ... ] fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo. Ma i sommi sacerdoti e i nostri capi lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e poi l'hanno crocifisso. Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele; con tutto ciò sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute [ ... ] (Le. 24, 1 9 ss.). La tradizione sulle parole e sulle opere di Gesù contenute nei sinottici e la rivelazione di Cristo attraverso l'azione di Dio nel le lettere paoline trovano un punto di incontro negli scritti gio vannei, in cui il Gesù terreno si manifesta come annunciatore del Cristo. Egli predica su di sé, come Paolo ha predicato su di lui. Al punto culminante del suo discorso di congedo egli con cepisce così la sua missione: «Sono uscito dal Padre e sono ve nuto nel mondo; ora lascio di nuovo il mondo, e vado al Pa dre» ( Gv. 1 6, 2 8 ) . Come dobbiamo tuttavia valutare entrambe le tipologie pre senti nel canone neotestamentario che ci sono giunte con un singolo scritto, cioè gli Atti degli apostoli e l'Apocalisse di Gio vanni? Entrambi si rifanno a modelli e si appoggiano alle forme letterarie fondamentali dell'Antico Testamento. Gli Atti degli apostoli sono una ripresa della scrittura storica della Bibbia e ad essi si può accostare da vicino l'opera di Fla-
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I.
IL NUOVO TESTAMENTO E LE SUE FORME LETTER ARIE
vio Giuseppe (circa 3 7 - I oo d.C.), che narra la storia dei giudei dalla creazione fino ai tempi contemporanei all'autore. Luca scrive nello stesso arco di tempo la sua storia dei cristiani, che per scelta non risale ad un'incerta epoca preistorica, ma prende avvio dal presente più attuale. Nel prologo (Le. I , I -4) Luca fa riferimento, alla maniera degli storici antichi, ai testimoni ocula ri e alle fonti, distinguendosi dai suoi «molti» precursori. Il concetto è espresso attraverso la forma stessa: la piccola comu nità dei cristiani è degna di essere oggetto di un'opera storica tanto quanto popoli e re. Malgrado suggestioni tratte da mo delli biblici, gli Atti degli apostoli si sono in ogni caso affermati sulla scia del Vangelo di Luca, come suo "secondo libro" (cfr. A t. I , I ) . Essi intendono ritrarre la penetrazione del cristianesi mo nel mondo pagano, e si adoperano per collocare in una po sizione specifica i cristiani all'interno dell'impero romano. Un modello veterotestamentario può essere rintracciato an che per l'Apocalisse di Giovanni: il libro di Daniele, in cui è presentato il conflitto tra la signoria di Dio e quella delle po tenze terrene. L'Apocalisse trova punti d'appoggio anche in una ricca tradizione di scritti di rivelazione, se è vero che essa vuole ritrarre il conflitto tra la signoria divina e quella di Roma. Ma l'opera riuscì ad imporsi unicamente ricollegandosi ad un altro genere letterario: il quadro formale dell'Apocalisse è infatti una lettera. Come una lettera lo scritto comincia: «Giovanni alle sette Chiese che sono in Asia: grazia a voi [. .. ]» (Ap. I ,4); come una lettera si chiude, con una benedizione e un augurio (Ap. 2 2 ,2 I ; cfr. Eb. I 3 ,2 5 ) . A livello contenutistico fa da pendant agli Atti degli apostoli; se, da una parte, questi aspirano a un acco modamento col mondo dell'impero, l'Apocalisse non conosce altro che un'opposizione di principio: l'impero romano è una bestia satanica che proviene dall'abisso (cfr. Ap. I 3 ) . Già a partire da questa considerazione, cioè che i due gene ri letterari base del Nuovo Testamento non si trovano prefor mati nell'Antico, risulta evidente come essi non potessero sem plicemente completare il vecchio canone. La loro posizione nei suoi confronti è, in ultima analisi, determinata in base al fatto che l'operato di Gesù contiene una critica alla stessa tradizione
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IL NUOVO TEST AMENTO
giudaica, la quale, tuttavia, ha continuato ad essere vigente: i primi cristiani vivevano nella coscienza che gli scritti veterote stamentari fossero sì sacri, ma che non fossero vincolanti in ogni aspetto. I cristiani provenienti dal paganesimo non faceva no circoncidere i figli, né rispettavano le norme alimentari. Così, i primi cristiani si mantennero in un atteggiamento di profonda lealtà rispetto agli scritti veterotestamentari, ma, allo stesso tempo, ebbero occasione di criticarli. La chiave per que sto singolare intreccio fra fedeltà ad una tradizione sacrale e in novazione è l'operato di Gesù di Nazaret.
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Gesù di Nazaret
Cosa sappiamo di Gesù? Era originario della Galilea e all'inizio si presentò pubblicamente come seguace di Giovanni il Battista. Il suo battesimo è un evento storico. Ma l'autoaccusa di essere un peccatore, legata all'atto del battesimo, costituiva per i cri stiani uno scandalo, poiché essi si convinsero ben presto del fatto che Gesù era senza peccato (cfr. Eb. 4, I 5 ) . Gesù condivi deva col Battista l'idea che la fine del mondo fosse prossima, e che solamente la conversione potesse salvare di fronte al giudi zio divino (cfr. Mc. I , I 5 ) , ma si differenziava da lui per l'indif ferenza nei confronti degli atti rituali: egli non battezzava. Il Battista vedeva la scure già posta alla radice degli alberi (cfr. Le. 3 ,9 ) : non c'era tempo di dar prova di conversione attraverso le opere e il battesimo costituiva dunque un atto simbolico so stitutivo di esse. Gesù, però, fece esperienza che questa prossi ma aspettativa era destinata a non trovare realizzazione. Il Bat tista fu arrestato. Il tempo continuò nel suo corso. Con ogni probabilità, interpretò il perpetuarsi del fluire temporale quale segno di pietà, poiché il semplice evento del sorgere del sole è per lui un segno della bontà di Dio (cfr. Mt. 5 ,45 ) . Dio dà tem po agli uomini per la conversione (cfr. Le. I 3 ,6-9 ) . Siamo in grado di ricostruire l'annuncio di Gesù nei suoi tratti fondamentali. Possediamo in effetti molte tradizioni su di lui potenzialmente indipendenti: il Vangelo di Marco, la fonte dei làgia (la cosiddetta fonte Q), il materiale specifico presente in Matteo e Luca, testimoniato di volta in volta solo da uno di questi due vangeli, e, in più, il Vangelo di Giovanni e quello di Tommaso. Singoli elementi della tradizione potevano essere tra-
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mandati autonomamente prima di essere inglobati in un vange lo; quello che, tuttavia, ritorna in tutte le tradizioni può essere considerato un fatto storico. In aggiunta, riveste importanza ciò che entra in contraddizione con le tendenze alla venerazione di Gesù dei primi cristiani. I risultati in tal modo ottenuti possono essere verificati con l'aiuto di due criteri: in base al criterio del la plausibilità degli effetti è autentico quello che si lascia meglio spiegare tramite l'effetto dell'azione del Gesù storico piuttosto che tramite altri fattori; in base al criterio della plausibilità del contesto è autentico quanto è inquadrabile come fenomeno in dividuale nella cornice della storia del giudaismo di allora. E possibile quindi affermare quanto segue su Gesù: egli aspettava una fine del mondo prossima, predicava il «regno di Dio» e, con ciò, si faceva conseguentemente rappresentante di una forma di monoteismo. Dio si sarebbe imposto contro tutte le potenze malvagie, contro i demoni nel mondo e contro i pec cati nell'uomo. I giudei capivano cosa Gesù voleva dire, anche se in nessun punto egli chiarì completamente cosa significasse «regno di Dio». Pose comunque l'accento su determinati ele menti: I . quando il discorso ruota attorno al regno, Dio è sem pre anche il «re», ma per Gesù egli è il «Padre» (cfr. Le. I I ,2 ) ; 2 . il regno è presentato come imminente anche in altri testi giu daici, tuttavia solo nelle parole di Gesù comincia già nel pre sente (cfr. Le. I I ,2o ) ; 3 · il regno rappresenta in gran parte la liberazione dalla dominazione straniera, pur se, secondo Gesù, proprio gli stranieri confluiranno massicciamente nel regno stes so (cfr. Le. I 3 , 2 9 ). Il regno non rappresenta perciò alcun trion fo sui nemici di Israele, bensì costituisce speranza per coloro che in Israele si sono perduti e per forestieri e stranieri. Gesù sottolinea la pietà di Dio più del Battista. Non manca, tuttavia, il concetto di giudizio; non tutti entreranno nel regno di Dio: «Chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non entrerà in esso» (Mc. I O, I 5 ) . Per Gesù la salvezza comin ciava dalle guarigioni. Già ai suoi tempi i racconti relativi ai mi racoli da lui operati contenevano molte esagerazioni. Essi devo no tuttavia possedere un nocciolo storico, dal momento che non a tutti i carismatici venivano attribuiti miracoli: ad esem'
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pio, ciò non accadde né per il Maestro di giusttzta, né per il Battista. La peculiarità dei miracoli di Gesù diffuse la certezza che la salvezza stava iniziando a manifestarsi. Nel suo annuncio Gesù usò le forme della profezia e della sapienza. Anche se non siamo certi se questa o quella espressio ne sia stata formulata nel modo in cui la leggiamo o diversa mente, siamo bene al corrente delle forme di linguaggio che Gesù adoperava. Egli parlava la lingua delle beatitudini e delle lamentazioni; coniò detti in prima persona in cui parlava della sua venuta con il giro di frase «sono venuto...» (ad esempio Le. r 2 ,49-5 r ) . Anche Flavio Giuseppe, nel presentarsi come profe ta, faceva uso di forme di tal genere (cfr. Guerra giudaica 3 ,400) . Detti in prima persona sono anche le antitesi del discor so della montagna: nelle prime due la forma antitetica rimonta a Gesù stesso, mentre nelle altre essa fu costruita sul modello delle precedenti. In esse Gesù contrappone il suo «ma io vi dico» a Mosè, per trasferire il motivo del divieto su un piano di libertà interiore (cfr. Mt. 5 ,2 r s.; 5 ,2 7 s.); egli non dice "non adirarti" o "non concupire sessualmente" , si limita a mettere in chiaro che chi cede alla collera è un peccatore, che chi desidera la donna d'altri è già un adultero. Tutto ciò vuole alludere an che alla presa di coscienza della propria imperfezione. In un'altra sentenza Gesù esprime il suo atteggiamento scet tico nei confronti della differenziazione fra «puro e impuro»: nulla che provenga dal di fuori dell'uomo rende impuri, ma so lamente ciò che da lui esce (cfr. Mc. 7 , r 5 ) . Analogamente relati vizza il sabato: «Il sabato è stato fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato!» (Mc. 2 ,2 7 ) . In sostanza, le osservanze rituali sono per lui meno rilevanti di quelle etiche, riassunte nel dop pio comandamento dell'amore (Mc. r 2 ,2 8 -34) . Malgrado ciò, Gesù non ricusò totalmente il rituale. Inoltre, ebbe a formulare esortazioni di carattere provocato rio: una percossa sulla guancia va accolta con un atteggiamento indifeso di carattere dimostrativo (cfr. Le. 6,2 9 ) , per interrom pere tramite un "intervento paradossale" il circolo vizioso della violenza. Di norma, gli uomini sono leali nei confronti dei pa renti e aggressivi nei confronti degli estranei; nel nostro caso la
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situazione si capovolge: Gesù, infatti, mette in conto l'odio an che nei confronti dei più stretti consanguinei (cfr. Le. I 4,26), ma pretende di espandere l'amore sugli estranei, sui nemici e sugli svantaggiati (cfr. Le. I 0,30- 3 5 ; 6,2 7 ; 7,3 6-5 0) . L'estensione dell'amore è fondata sul concetto della bontà di Dio: come Dio fa sorgere il sole su buoni e cattivi, parimenti gli uomini si devono mostrare superiori all'opposizione fra ami ci e nemici, e anzi amare i propri nemici (cfr. Mt. 5 ,4 3 ss.). Ge sù ha avvicinato i suoi ascoltatori a questa comprensione di Dio per mezzo di parabole, sia che rendesse trasparenti processi ti pici per Dio e per l'uomo (come il seme che cresce da sé: cfr. Mc. 4,26-2 9 ) , sia che narrasse eventi straordinari per dare im magine della straordinarietà della pietà di Dio: la stessa paga per diverse ore di lavoro (cfr. Mt. 20, I - I 6 ) , o la preferenza per il figlio depravato (cfr. Le. I 5 , I I -3 2 ) ; chi ha ricevuto meno paga degli altri, non deve provare rancore nei loro confronti (cfr. Mt. 20, I 5 ) ; colui al quale Dio ha rimesso un debito, deve rimettere i debiti altrui (cfr. Mt. I 8 ,2 3 -3 5 ) . Gesù diffuse il suo messaggio, al pari degli antichi profeti, anche tramite azioni di carattere simbolico: nominò dodici uo mini del popolo per il futuro governo di Israele (cfr. Mt. I 9 ,2 8 ) per protesta contro la classe dirigente. Sedeva a mensa con «pubblicani e peccatori», per mettere in scena la ricerca di Dio nei confronti di coloro che si erano perduti (cfr. Mc. 2 , I 5 ss.); entrò in Gerusalemme su un asinello in evidente contrasto con l'ingresso armato delle coorti romane in occasione delle cele brazioni solenni (cfr. Mc. I I , I - I I ) ; privò il Tempio della sua legittimazione con una purificazione simbolica (cfr. Mc. I I , I 5 - I 8 ) . L'ingresso in Gerusalemme provocò un conflitto con il potere politico, la purificazione del tempio con quello religio so. Gesù aveva messo in conto una sua possibile morte violenta a motivo di tali conflitti, ma sperò fino all'ultimo che «questo calice» passasse via da lui (cfr. Mc. I4,35 s.). Celebrò solenne mente un'ultima cena nell'attesa di poter sedere di nuovo a mensa insieme ai suoi discepoli in un regno di Dio che sarebbe cominciato di lì a poco (cfr. Mc. I 4,2 5 ) . Fu condotto a morte grazie alla collaborazione tra l'arista-
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crazia giudaica e l'amministrazione romana. Un analogo episo dio si verificò tempo dopo riguardo ad un altro profeta, che, appunto, preannunciava la fine del Tempio e di Gerusalemme: incarcerato dall'aristocrazia e consegnato al governatore Albino (circa 62 d.C.) fu però da quest'ultimo considerato pazzo e ri messo a piede libero (cfr. Guerra giudaica 6,300 ss.). Anche Pi lato avrebbe avuto questa possibilità, e Tacito lo considera a buon diritto il responsabile della morte di Gesù (cfr. Annali r 5 ,44, 3 ) . I cristiani, al contrario, con atteggiamento troppo fa zioso, ritennero responsabili le autorità giudaiche, sebbene esse non avessero il diritto di comminare la pena di morte (cfr. Gv. r 8 ,3 r ) . Secondo l'iscrizione posta sulla croce (cfr. Mc. r 5 ,26), Gesù fu giustiziato in qualità di «re dei giudei». Per la precisio ne, egli non aveva in realtà avuto piena autocoscienza di sé quale re messianico che libera il paese dagli occupanti stranieri, ma è altrettanto vero che di fronte a Pilato non aveva preso le distanze dalle aspettative messianiche a sé correlate. Se il loro maestro non avesse creduto egli stesso alla propria missione sino alla fine della vita, i primi cristiani non si sarebbero trovati in cattive acque in nessun luogo. Ma quale è dunque stata l'autocoscienza di Gesù? Egli era convinto di essere qualcosa di più dell'ultimo profeta prima dell'avvento del regno di Dio. Già Giovanni il Battista era «più che un profeta» (cfr. Le. 7 ,2 6 ) . Gesù non annunciava solamente il regno, ma lo portava nella sua persona. Per questo motivo Pietro lo volle proclamare Messia (cfr. Mc. 8,27-30). Probabil mente Gesù mantenne una certa freddezza nei confronti di tali aspettative messianiche popolari, dal momento che non si trattava del "suo regno", ma del regno di Dio. E possibile che egli si riferisse a sé (o altri a lui?) con l'enigmatica espressione "Fi glio dell'uomo" , che può significare sia "l'uomo" che "un uomo" , oppure fare semplicemente le veci del pronome "io" . Questa espressione si caratterizzò in maniera tanto esclusiva per Gesù nell'ambito del cristianesimo primitivo, che possiamo in contrarla quasi unicamente nelle sue stesse parole. Forse Gesù voleva solo essere "l'uomo" che incarna il regno di Dio. Forse '
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ha nobilitato la denominazione in riferimento a ogni uomo che avesse dignità messianica. Le aspettative suscitate nei suoi seguaci furono profonda mente scosse dalla crocifissione: essi erano entrati in Gerusa lemme nella speranza dell'avvento del regno di Dio (cfr. Le. r 9 , r r ) . Dopo che in visioni riconobbero Gesù vivente dopo la morte, maturarono la convinzione che si stesse attuando la rea lizzazione del regno di Dio, e non più Dio, ma Gesù si trovava ormai al suo centro. Dal teocentrismo del messaggio proprio di Gesù si sviluppò quindi la visione cristocentrica dell'annuncio di Gesù. Neli'innalzamento del Crocifisso si reiterava la dinamica at traverso la quale, a metà del VI secolo a.C. si era imposto il monoteismo. Secondo la logica dell'Oriente antico, con la di struzione di Gerusalemme del 5 86 a.C., Israele e il suo dio era no stati annientati: il dio dei Babilonesi si era dimostrato più forte. Israele compensò la sconfitta terrena con il proclamare la vittoria del suo dio nei cieli su tutti gli altri dei: JHWH, il dio di Israele, era l'unico Dio. Era stato accomodante nei confronti delle potenze terrene solamente allo scopo di punire Israele; gli altri dei non esistevano. La stessa dinamica si ripeté nel costi tuirsi del credo cristiano: colui che in terra aveva fallito ed era stato crocifisso si rivelò Signore. Tanto maggiore era stata la sua sconfitta sulla terra, tanto più imponente la sua vittoria nei cieli, anche nei confronti delle potenze e delle potestà che lo avevano condotto a morte (cfr. I Cor. 2 , 8 ; r 5 ,24 ss.). Possiamo concludere che il suo innalzamento fu utile al successo di una forma coerente di monoteismo. Dice Paolo a proposito del Ri sorto: «Bisogna infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. [. .. ] E quando tutto gli sarà stato sottomesso, anche lui, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti» (I
Cor. r 5 ,2 5 . 2 8 ) . Sebbene Gesù non abbia scritto una sola riga, ha determi nato la formazione del Nuovo Testamento, non solo attraverso l'espressione verbale, conservata nei vangeli, ma tramite la sua coscienza di introdurre con sé una svolta storica, in seguito alla
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quale mutò radicalmente il rapporto fra Dio, il mondo e l'uo mo. Gli scritti da lui ispirati furono per questo motivo conside rati non come un ampliamento dell'Antico Testamento, ma come "Nuovo Testamento" contrapposto all'Antico. Ma, per giungere a questa situazione, la via fu lunga. Il primo tentativo di fissazione della tradizione su Gesù in forma scritta è ancora interpretabile come libro profetico accanto ai libri profetici veterotestamentarl. .
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La tradizione su Gesù nella prima generazione: la fonte dei lògia e la tradizione orale
La via alla formazione del Nuovo Testamento nella prima gene razione cristiana giunse al racconto degli eventi pasquali attra verso due distinti percorsi: la missione presso i pagani di Paolo fu l'ambito d'origine dell'epistolografia, la missione in Israele quello della preistoria dei vangeli. Proprio in questo ambiente si ebbe un primo tentativo di raccogliere la tradizione su Gesù, confluita nella cosiddetta fonte dei lògia. 3 ·1
Le fonti dei vangeli La fonte dei lògia è una creatura prediletta della scienza, che deve unicamente al proprio acume la scoperta della sua esisten za, taciuta dalla tradizione della Chiesa. Fu scoperta quando si cominciò a lavorare sulla "questione sinottica", vale a dire sui rapporti di dipendenza fra Matteo, Marco e Luca, autori dei vangeli sinottici. Excursus. Che i primi tre vangeli siano affini per stile e contenuto e che si differenzino da quello di Giovanni è stato sempre notato. Og getto di discussione è come si debba spiegare questa affinità. Ci fu alla loro origine un unico protovangelo (G. E. Lessing)? Riproduceva no indipendentemente l'uno dall'altro la medesima tradizione orale (J. G. Herder)? Ovvero si basavano su piccole raccolte di racconti (F. D. E. Schleiermacher)? Nel diciannovesimo secolo si impose l'opinione che la parentela fra i sinottici fosse spiegabile tramite un utilizzo reci proco. La teoria che pare più verosimile è quella delle due fonti, con sistente nell'ipotesi che Matteo e Luca abbiano utilizzato due distinte
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fonti: il Vangelo di Marco e la fonte dei lògia (chiamata Q, dal tedesco Quelle, fonte). Inoltre, entrambi gli evangelisti hanno messo a frutto del materiale peculiare (Mt5 e Lc5) I, che era a loro disposizione in forma orale o scritta. La teoria delle due fonti viene di solito così raffigurata: Q
Mc
Mt
Le
Il Vangelo di Marco, che nella storia della Chiesa era rimasto fino a quel momento nell'ombra, divenne un vangelo interessante proprio a motivo della teoria delle due fonti, in base alla quale era il più antico; la priorità di Marco viene desunta dal fatto che materiale presente in questo vangelo (con poche eccezioni) è contenuto anche in Matteo e Luca e dalle tre osservazioni seguenti. I. Quando Matteo e Luca concordano con Marco, concordano an che fra di loro, quando discordano da Marco si differenziano reci procamente. Il Vangelo di Marco comincia col battesimo di Gesù; Matteo e Luca integrano con i racconti dell'infanzia, ma in essi sono reciprocamente discordanti: secondo Matteo, infatti, Gesù era origina rio di Betlemme, secondo Luca di Nazaret; secondo Matteo la sua fa miglia era costituita da un gruppo di rifugiati politici, che sfuggivano alla strage degli innocenti da Betlemme verso l'Egitto, secondo Luca erano degli esemplari contribuenti che si spostavano a Betlemme in seguito ad un decreto imperiale. Il Vangelo di Marco si conclude col sepolcro vuoto, precisamente a Mc. r 8,6 (il testo che segue in alcuni manoscritti quale conclusione, la cosiddetta conclusione lunga, è un'aggiunta successiva). In più, fino al racconto del sepolcro vuoto Matteo e Luca narrano gli ultimi giorni di Gesù in maniera piuttosto simile, poi si discostano l'uno dall'altro: Matteo parla di un'apparizio ne a due donne, Luca di quella ai discepoli di Emmaus. Matteo insce na l'apparizione in Galilea, Luca parla di apparizioni a Gerusalemme
r. La "s" 1n ap1ce sta per il tedesco Sondergut, materiale peculiare [N.d.T.].
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e in Giudea. Una spiegazione immediata potrebbe essere che fino a quando Matteo e Luca utilizzano il Vangelo di Marco quale fonte co mune, concordano, quando manca loro l'appoggio di questa comune fonte si distanziano. 2 . Ciò trova conferma nel fatto che quasi tutte le pericopi presenti nei sinottici in Matteo e Luca sono ordinate nella stessa sequenza sta bilita da Marco. Dove Matteo si differenzia, egli intende organizzare e raggruppare testi affini in un ciclo di storie di miracoli, vale a dire in Mt. 8-9. Dove eccezionalmente è Luca ad allontanarsi dalla sequenza delle pericopi, l'evento si comprende, ad esempio, con l'intenzione di posporre l'affluenza delle folle al "discorso del campo" di Gesù ri spetto alla scelta dei dodici apostoli (cfr. Le. 6, 1 2 ss., 1 7 ss.). 3 . Infine, è possibile rintracciare differenziazioni nel dettato testuale che si possono spiegare come mutamenti del testo di Marco operati da Matteo e Luca. A titolo di esemplificazione, secondo quanto si leg ge in Mc. 1 0 , 1 4 Gesù si indignò quando i discepoli impedivano ai bambini di avvicinarsi a lui. In Mt. 1 9 , 14 e Le. 1 8 , 1 6 non c'è traccia di un Gesù irritato. Verosimilmente, la sua irritazione fu depennata, in quanto non si addiceva né all'idealizzazione dei discepoli, né a quella del maestro. Per l'eliminazione della pericope possiamo dunque individuare una motivazione, per la sua aggiunta, al contrario, essa viene a mancare. Spiegare le differenze contenutistiche quali possibili variazioni conduce sempre alla medesima conclusione: i vangeli sinot tici possono essere compresi meglio se si ipotizza che Matteo e Luca abbiano utilizzato come modello il Vangelo di Marco e che occasio nalmente ne abbiano mutato testo e ordine delle pericopi, piuttosto che se si ipotizzano rapporti di dipendenza diversi. Accanto a tradizioni comuni a tutti e tre i vangeli sinottici, esistono tradizioni presenti solo in Matteo e Luca e assenti invece in Marco. Anche in questo caso concordanze e discordanze possono essere chia rite in base a considerazioni testuali, se si ipotizza l'esistenza di una fonte comune, la fonte Q. Dal momento che la maggior parte del ma teriale tramandato da questa fonte è costituito da detti di Gesù, essa è denominata fonte dei lògia. La sua esistenza è confermata dall'eviden za che sussistono talvolta intersezioni fra materiale marciano e mate riale della fonte Q, riconoscibili quali doppioni, tanto che lo stesso evangelista riporta un'unica tradizione per due volte, una volta secon do Marco e una volta secondo Q. In effetti, in Luca rintracciamo due
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distinte missioni dei discepoli: una prima di dodici, secondo Mc. 6,6- I 3 , una seconda di settantadue, secondo Q (cfr. Le. 9 , I -6; Le. I O, I - I 2 ) . Un primo discorso escatologico di Gesù nel Vangelo di Luca si rifà a Q, un secondo a Mc. I 3 (cfr. Le. I 7 ,2 2 -3 7; Le. 2 I ,5 - 3 6 ) . A sostegno dell'esistenza di Q impressiona anche un'argomentazione di tipo statistico: laddove Matteo e Luca riproducono la fonte comune del Vangelo di Marco, per noi verificabile, la concordanza verbale fra di loro arriva al 5 6o/o. Dove invece presumiamo che essi abbiano qua le fonte comune la non conservata Q, tale concordanza arriva percen tualmente al 7 I%. In altre parole, Q avrebbe, dal punto di vista stati stico, una fondatezza di esistenza, come fonte comune, maggiore ri spetto a quella di Marco; se infatti a partire da una concordanza del 5 6% non dubitiamo dell'esistenza di una fonte comune, nella fatti specie il Vangelo di Marco, ancor a maggior diritto possiamo conclu dere positivamente sull'esistenza di Q in questo ruolo col suo 7 I o/o di concordanza verbale. Sussiste poi, come detto, del materiale peculiare, che, di volta in volta, si incontra solamente o in Matteo o in Luca (Mt5 e Lc5). Ad esso appartengono frammenti famosi della tradizione: in Matteo, ad esempio, le prime antitesi (cfr. Mt. 5 ,2 I s.; 27 s.), in Luca le para bole del buon samaritano e del figliuol prodigo (cfr. Le. I o,3o ss. Le. I 5 , I I ss.). Si rileva una tendenza particolare sia nel materiale peculiare a Matteo, sia in quello peculiare a Luca; in Matteo non può sfuggire una certa impronta giudeocristiana: Gesù non vuole abolire la legge e i profeti, ma dare loro compimento (cfr. Mt. 5 , I 7 ); in Luca colpisce invece l'immagine del Gesù umano, che si dedica ai peccatori e agli ultimi (cfr. Le. 7 ,36-5 0 ) . Tuttavia, non è per noi possibile provare l'esistenza di fonti scritte per tale materia le peculiare, che potrebbe altresì provenire da flussi di tradizione orale per mezzo dei quali si è avuto un arricchimento dei vangeli di Matteo e Luca. Chi guarda con diffidenza alle ricostruzioni degli studiosi mo derni, si può rifare ad una testimonianza del cristianesimo delle ori gini. Quando, nel diciannovesimo secolo, si sviluppò la teoria delle due fonti, giocarono un ruolo importante le notizie giunteci da Pa pia, vescovo di Ierapoli (circa I I 5 o I 4o) , riguardo al Vangelo di Marco e ad una raccolta di detti di Gesù attribuita a Matteo. Euse bio leggeva ancora l'opera di Papia nel quarto secolo, e citava da essa:
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