Il Nuovo Testamento 8843024280, 9788843024285

Cos'è il Nuovo Testamento? Da chi e quando è stato scritto? Come s'è formato e ha assunto importanza questo co

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Italian Pages 164 [167] Year 2003

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Il Nuovo Testamento
 8843024280, 9788843024285

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IL NUOVO .TESTAMENTO Gerd Theissen

QUALITV PAPERBACKS

Carocci editore

QUALITY PAPERBACKS Libri informativi, aggiornati e chiari, per rispondere alle esigenze e alle curiosità culturali di chi studia e di chi ritiene che nella vita non si smetta mai di imparare. Cos'è il Nuovo Testamento? Da chi e quando è stato scritto? Come s'è formato e ha assunto importanza questo complesso di ventisette libri destinati a esercitare una straordinaria influenza? A queste domande risponde il volume di Theissen. Suo scopo principale è fornire un'informazione essenziale sul nucleo fondamentale delle Scritture sacre cristiane, che insieme a quelle giudaiche formano la Bibbia. Il libro, semplice e aggiornato, ha la caratteristica e il merito di descrivere il Nuovo Testamento- raccolta di testi famosi ma in realtà poco conosciuti- da un punto di vista storico, con l'intento di permettere al lettore di seguire l'origine e la formazione dei primi scritti cristiani sulla base dei più recenti dibattiti e studi critici.

Gerd Theissen è un teologo e pastore protestante tedesco, che insegna all'università di Heidelberg. Sociologo del cristianesimo primitivo, ha scritto importanti saggi e pubblicato, con Annette Merz, un volume sulla figura storica di Gesù, alla quale ha dedicato anche un fortunato romanzo.

1 ISBN

978-88-430-2428-5

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9 788843 € 13,50

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l lettori che desiderano informazioni sui volumi pubblicati dalla casa editrice

possono rivolgersi direttamente a: Carocci editore Corso Vittorio Emanuele Il, 229 00186 Roma telefono 06 42 8184 17 fax o6 42 74 79 31

Siamo su: http://www.carocci.it http://www.facebook.com/caroccieditore http://www.twitter.com/caroccieditore

Gerd Theissen

IL NUOVO TESTAMENTO Edizione italiana a cura di Giovanni Maria Vian

Carocci editore

Traduzione di Aldo Paolo Bottino Titolo originale: Das Neue Testament

© Verlag C.H. Beck oHG, Munchen 2002 31 ristampa, settembre 2010 edizione italiana, marzo 200 3

11

© copyright 2003 by Carocci editore S.p.A., Roma ISBN 978·88·430·2428-S

Riproduzione vietata ai sensi di legge

(art 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633) Senza regolare autorizzazione, è vietato riprodurre questo volume

anche parzialmente e con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche per uso interno o didattico.

Indice

Prefazione

II

Ab breviazioni e avvertenza

I5

r.

Il Nuovo Testamento e le sue forme letterarie

I7

2.

Gesù di Nazaret

25

3.

La tradizione su Gesù nella prima generazione: la fonte dei lògia e la tradizione orale

33

3·4·

Le fonti dei vangeli Tradizioni dei carismatici itineranti: la fonte dei lògia Tradizioni delle comunità locali: passione e apocalisse sinottica Tradizioni popolari: le storie di miracoli

44



Paolo di Tarso

47



Inizi della letteratura epistolare nella prima generazione: le lettere di Paolo

57

La 1 Lettera ai Tessalonicesi: uno scritto necessitato dalla situazione

57

3. r 3.2. 3·3·

5. r.

7

33 38 42

5.2.

Le lettere antigiudaiche: la Lettera ai Galati e la Let­

6o

tera ai Filippesi 5.2.1.

La Lettera ai Galati l 5.2.2. La Lettera ai Filippesi l

5.2.3.

Lettera a Filemone (excursus)

5·3 ·

La

Le lettere antientusiastiche: le Lettere ai Corinzi 5.3.1. 5·3·3·

Paolo e la comunità di Corinto l 5·3·2· La La II Lettera ai Corinzi

1

66

Lettera ai Corinzi l

5· 4 ·

La sintesi teologica: la Lettera ai Romani come testa­ mento di Paolo

6.

I vangeli sinottici e gl i Atti degli apostoli: le nuove forme letterarie della seconda e terza generazione

6.I. 6.2. 6.3.

Il Vangelo di Marco



Le lettere pseudoepigrafe: la continuazione della pro­ duzione letteraria della prima generazione

107

7. r.

La formazione della letteratura pseudoepigrafa nel cristianesimo primitivo Le lettere deuteropaoline

ro8 II2

Il Vangelo di Matteo Le due opere di Luca

7.2.1. 7.2. 3·

73 · ·

75

La 11 Lettera ai Tessalonicesi l 7.2.2. La Lettera ai Colossesi l La Lettera agli E/esini l 7 .2.4. Le lettere pastorali

Le lettere cattoliche La

II8

I

Lettera di Pietro l 7.3.2. La Lettera di Giacomo l 7-3-3· La Lettera di Giuda l 7 -3-4· La Il Lettera di Pietro 7-3-1.

7·4·

La Lettera agli Ebrei

122

8.

Gli scritti giovannei: l'unione tra la forma dei vangeli e quella della letteratura epistolare

125

Il Vangelo di Giovanni

126

8.I.

8.2.

Le lettere di Giovanni 8.2.1. La

vanni

I

Lettera di Giovanni l 8.2.2. La

II e

la

III

Lettera di Gio-

L'Apocalisse di Giovanni (appendice)



Il percorso verso il "Nuovo Testamento" come unità letteraria

147

Glossario

15 9

Bibliografia

9

Prefazione

Cos'è il Nuovo Testamento? Quasi venti secoli dopo la sua ori­ gine si può rispondere che si tratta del complesso di Scritture sacre perché ritenute ispirate da Dio - che le prime generazioni cristiane si diedero, sviluppando e completando quelle giudai­ che. All'inizio e per alcuni decenni le Scritture giudaiche furo­ no ovviamente l'unico gruppo di scritti considerati sacri da Ge­ sù e dai suoi seguaci (che erano tutti giudei) , ma abbastanza presto questo, dal punto di vista dei cristiani, divenne "antico" (o "vecchio " ) rispetto all'insieme di testi "nuovo" , nel quadro di una netta concorrenzialità tra giudei e cristiani. Alla fine di tale processo la raccolta dei due complessi di scritti sacri formò la Bibbia (dal greco tà bibltà, che significa "i libri" ) cristiana. I ventisette testi che costituiscono il Nuovo Testamento fu­ rono scrit�i tutti in greco e nel giro di pochi decenni, tra la me­ tà del primo secolo e gli inizi del secondo. n percorso che por­ tò alla formazione della Bibbia cristiana non fu però semplice e accompagnò la gestazione conflittuale, all'interno di un giudai­ smo molto variegato, di quella che più tardi sarebbe di fatto divenuta una nuova religione, con esiti diversi nella considera­ zione più o meno positiva della matrice giudaica, non senza contrasti alla fine riconosciuta. In un contesto differenziato, dunque, si precisarono progressivamente i tratti dell'identità cristiana, anch'essa piuttosto sfaccettata, attraverso una lettera­ tura biblica molto più ampia di quella poi considerata canonica (cioè normativa perché ritenuta divinamente ispirata) in quanto comprendente la cosiddetta letteratura apocrifa, fenomeno già presente nel giudaismo. II

IL NUOVO TESTAMENTO

Di fronte a questa complessa evoluzione, già verso la fine del secondo secolo emerse nei diversi ambiti cristiani un con­ senso piuttosto generalizzato nei confronti di un elenco di scrit­ ti cristiani considerati ispirati (appunto il canone, dal greco ka­ nòn, "misura" e quindi " regola" ) , almeno nelle sue componenti fondamentali. n riconoscimento del canone appare un fenome­ no storico rilevante e singolare soprattutto per l'assenza di un'autorità indiscussa in grado d'imporlo: solo molto più tardi, infatti, si preciserà il primato della sede romana, peraltro già accennato tra la fine del primo secolo e gli inizi del secondo. Dopo la svolta costantiniana, intorno alla metà del quarto secolo il canone è ormai sostanzialmente fissato, e non a caso a quest'epoca risalgono i più antichi esemplari manoscritti com­ pleti (molti erano stati distrutti dalla persecuzione dioclezianea) delle Scritture cristiane. Esse furono così avviate a una lunga storia di traduzioni, interpretazioni e influenze, anche sull'isla­ mismo e sul suo libro sacro, che riconosce un certo valore alla letteratura ispirata ebraica e cristiana. Le vicende dei testi sacri cristiani li hanno resi fondamentali nell'evoluzione storica e cul­ turale di buona parte dell'umanità. Tuttavia, il loro uso che in età moderna è divenuto sempre più confessionale, da una parte, e l'accentuata secolarizzazione della seconda metà del Novecen­ to, dall'altra, si sono rivelati convergenti in un risultato: la Bib­ bia in generale, e il Nuovo Testamento in particolare, sono sempre meno conosciuti e letti, con un grave impoverimento proprio dal punto di vista culturale. Per tale motivo appare utile la traduzione di questo recen­ tissimo volumetto, che presenta brevemente dal punto di vista storico l'origine e la costituzione del Nuovo Testamento, par­ tendo quindi da Gesù e dalle tradizioni orali e scritte presto formatesi su di lui. Seguono Paolo, il più antico scrittore cri­ stiano, e la trattazione delle sue lettere certamente autentiche, che furono i primi testi cristiani a essere raccolti già negli anni ottanta del primo secolo, cioè un ventennio dopo la morte del­ l'autore. Sono poi presentati i vangeli sinottici (dal greco syno­ psis, "sguardo d'insieme" ) , così definiti in età moderna per le loro somiglianze, strette al punto da permetterne una presenta-

!2

PREFAZIONE

zione su colonne parallele: quello attribuito a Marco, in genere ritenuto il più antico; quello di Matteo, l'unico scritto neote­ stamentario composto originariamente non in greco ma in ebraico o aramaico, anche se di questa redazione non resta traccia; quello infine attribuito a Luca, autore pure di un se­ condo libro, di " atti " , dedicato a narrare le vicende della comu­ nità cristiana di Gerusalemme attraverso quelle di Pietro e quindi le missioni di Paolo fino a Roma. Sono poi trattate le altre lettere attribuite dalla tradizione ecclesiastica a Paolo e ad alcuni apostoli (Pietro, Giacomo, Giuda) . Infine è presentato il fondamentale complesso di scritti (un vangelo, tre lettere e uno scritto profetico) giovannei, quelli cioè che si fanno risalire a Giovanni, il discepolo prediletto da Gesù. Un ultimo capitolo delinea il processo che portò in pochi decenni alla costituzione del Nuovo Testamento e tenta alla fine una sintesi del suo si­ gnificato complessivo. Chiudono il volume una sommaria bi­ bliografia e un glossarietto di alcuni termini tecnici. Gerd Theissen è un teologo e pastore protestante tedesco che, dopo aver insegnato a Bonn e a Copenhagen, è ora pro­ fessore di teologia neotestamentaria all'università di Heidelberg. Sociologo del cristianesimo primitivo, ha scritto in materia im­ portanti saggi e pubblicato, con Annette Merz, un'ampia tratta­ zione sulla figura storica di Gesù, alla quale ha dedicato anche un romanzo, tradotto in più lingue. Le sue opere principali sono disponibili anche in italiano. Questa sua presentazione del Nuovo Testamento si propone di fornire un'informazione essenziale e ha la caratteristica e il merito di farlo da un punto di vista storico, con l'intento di permettere al lettare di seguire l'origine e la formazione dei pri­ mi scritti cristiani, sulla base delle più recenti ricerche in ambi­ to neotestamentario. In tale campo tuttavia non sono molte le acquisizioni condivise da tutti gli studiosi e più di una volta le soluzioni proposte dall'autore non sono convincenti. Così non persuade la valorizzazione del gruppo definito dei "carismatici itineranti" e che egli ritiene importante nella formazione delle prime tradizioni orali su Gesù. Altre questioni tuttora contro­ verse riguardano soprattutto, come peraltro emerge dal testo, IJ

IL N U O VO TEST AMENTO

l'attribuzione delle lettere paoline oltre quelle sicuramente au­ tentiche. Ma anche sull'origine dei vangeli, sui rapporti tra i si­ nottici e sulla considerazione del vangelo giovanneo (il cui valo­ re storico è sempre più sottolineato) il dibattito è molto più aperto di quanto non si pensi e non appaia da questo volume. Si sente infine la mancanza almeno di qualche cenno alla storia del testo neotestamentario e a quella degli studi sul Nuovo Te­ stamento, entrambe non soltanto appassionanti ma anche pre­ ziose per una ricostruzione storica complessiva delle vicende dei testi sacri cristiani. Le pubblicazioni sul Nuovo Testamento sono ovviamente moltissime anche in Italia, ma mancava finora una breve pre­ sentazione accessibile e aggiornata da un punto di vista storico, sia pure non sempre convincente. Proprio nella parte conclusi­ va l'autore non nasconde il significato religioso di questi testi e forse il desiderio che anche in questo senso essi siano accolti - ma al tempo stesso ne sottolinea l'inestimabile valore cultura­ le. Non si può non essere d'accordo: letto questo libretto, vale davvero la pena prendere in mano gli scritti di cui esso tratta e leggerli, quasi seguendo l'invito della misteriosa cantilena infan­ tile, ascoltata dal giovane Agostino, a prendere e leggere (tolle, lege, tolle, lege) le Scritture cristiane. Roma 18 ottobre 2002

GIOVANNI MARIA

VIAN

Abbreviazioni dei libri del Nuovo Testamento

Ap. A t. Col. I Cor. II Cor. Eb. E/ Fil. Fm. Gal. Gc. Gd. Gv. I Gv.

Gv. Gv. Le. Mc. Mt. I Pt. II Pt. Rom. I Tm. II Tm. I Ts. II Ts. Tt.

Apocalisse Atti degli apostoli Colossesi I Corinzi II Corinzi Ebrei E/esini Filippesi Filemone Galati Giacomo Giuda Giovanni I Giovanni

II

III

Giovanni Giovanni Luca Marco Matteo I Pietro II Pietro Romani I Timoteo II Timoteo I Tessalonicesi II Tessalonicesi Tito II

III

Altre abbreviazioni a.C. d.C. s. ss.

avanti Cristo dopo Cristo e seguente e seguenti

Avvertenza Le citazioni dai libri del Nuovo Testamento sono secondo il testo del­ la Bibbia curata nel 1971 dalla Conferenza Episcopale Italiana, che è oggi la traduzione più diffusa in Italia.

Ij

I

Il Nuovo Testamento e le sue forme letterarie

li Nuovo Testamento è una raccolta di scritti di una cultura marginale all'interno dell'impero romano, costituitasi attraverso una nuova interpretazione della religione giudaica. Al suo cen­ tro sta un carismatico giudeo, giustiziato dai Romani attorno al 30 d.C., che in essa si pose dalla parte di Dio. L'interpretazione è tesa a rendere comprensibile come, all'interno di una religio­ ne strettamente monoteistica, un uomo possa presentarsi al fianco di Dio e come, in questo modo, una tale forma religiosa si aprì anche ai non giudei divenendo nel contempo inaccetta­ bile per molti giudei. TI Nuovo Testamento comprende ventisette scritti in lingua greca, composti circa fra il 50 e il I 30 d.C . : quattro vangeli, ventuno lettere e, in più, gl_i Atti degli apostoli e l'Apocalisse di Giovanni. Al momento della redazione di questi scritti non esi­ steva alcun "Nuovo Testamento " . La Bibbia dei primi cristiani era rappresentata dalle Scritture sacre dei giudei, che avevano sviluppato l'idea di un canone, cioè di una raccolta di scritti tale da imprimere una volta per tutte nella memoria culturale le convinzioni religiose. Sulla scorta di questo modello i cristiani costruirono il loro canone allargato; le Scritture giudaiche di­ vennero dunque "Antico Testamento" per distinguerle dal "Nuovo Testamento" : insieme essi costituiscono la Bibbia cri­ stiana. La titolazione "Nuovo Testamento" rimanda alla promessa della (cfr. Le. 7 ,26). Gesù non annunciava solamente il regno, ma lo portava nella sua persona. Per questo motivo Pietro lo volle proclamare Messia (cfr. Mc. 8,27-30) . Probabil­ mente Gesù mantenne una certa freddezza nei confronti di tali aspettative messianiche popolari, dal momento che non si trat­ tava del " suo regno " , ma del regno di Dio. È possibile che egli si riferisse a sé (o altri a lui?) con l'enigmatica espressione "Fi­ glio dell'uomo" , che può significare sia "l'uomo'' che "un uomo" , oppure fare semplicemente le veci del pronome "io" . Questa espressione si caratterizzò in maniera tanto esclusiva per Gesù nell'ambito del cristianesimo primitivo, che possiamo in­ contrarla quasi unicamente nelle sue stesse parole. Forse Gesù voleva solo essere "l'uomo" che incarna il regno di Dio. Forse

29

IL NUOVO TEST AMENTO

ha nobilitato la denominazione in riferimento a ogni uomo che avesse dignità messianica. Le aspettative suscitate nei suoi seguaci furono profonda­ mente scosse dalla crocifissione: essi erano entrati in Gerusa­ lemme nella speranza dell'avvento del regno di Dio (cfr. Le. 19, 1 r ). Dopo che in visioni riconobbero Gesù vivente dopo la morte, maturarono la convinzione che si stesse attuando la rea­ lizzazione del regno di Dio, e non più Dio, ma Gesù si trovava ormai al suo centro. Dal teocentrismo del messaggio proprio di Gesù si sviluppò quindi la visione cristocentrica dell'annuncio di Gesù. Nell'innalzamento del Crocifisso si reiterava la dinamica at­ traverso la quale, a metà del VI secolo a.C. si era imposto il monoteismo. Secondo la logica dell'Oriente antico, con la di­ struzione di Gerusalemme del 5 8 6 a.C., Israele e il suo dio era­ no stati annientati: il dio dei Babilonesi si era dimostrato più forte. Israele compensò la sconfitta terrena con il proclamare la vittoria del suo dio nei cieli su tutti gli altri dei: JHWH, il dio di Israele, era l'unico Dio. Era stato accomodante nei confronti delle potenze terrene solamente allo scopo di punire Israele; gli altri dei non esistevano. La stessa dinamica si ripeté nel costi­ tuirsi del credo cristiano: colui che in terra aveva fallito ed era stato crocifisso si rivelò Signore. Tanto maggiore era stata la sua sconfitta sulla terra, tanto più imponente la sua vittoria nei cieli, anche nei confronti delle potenze e delle potestà che lo avevano condotto a morte (cfr. I Cor. 2 , 8 ; 1 5 ,24 ss.) . Possiamo concludere che il suo innalzamento fu utile al successo di una forma coerente di monoteismo. Dice Paolo a proposito del Ri­ sorto: «Bisogna infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. [ . ] E quando tutto gli sarà stato sottomesso, anche lui, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti» (I Cor. 15 ,25 .28) . Sebbene Gesù non abbia scritto una sola riga, ha determi­ nato la formazione del Nuovo Testamento, non solo attraverso l'espressione verbale, conservata nei vangeli, ma tramite la sua coscienza di introdurre con sé una svolta storica, in seguito alla ..

30

2. GESÙ DI NAZARET

quale mutò radicalmente il rapporto fra Dio, il mondo e l'uo­ mo. Gli scritti da lui ispirati furono per questo motivo conside­ rati non come un ampliamento dell'Antico Testamento, ma come "Nuovo Testamento" contrapposto all'Antico. Ma, per giungere a questa situazione, la via fu lunga. n primo tentativo di fissazione della tradizione su Gesù in forma scritta è ancora interpretabile come libro profetico accanto ai libri profetici ve­ terotestamentari.

3I

3

La tradizione su Gesù nella prima generazione: la fonte dei lògia e la tradizione orale

La via alla formazione del Nuovo Testamento nella prima gene­ razione cristiana giunse al racconto degli eventi pasquali attra­ verso due distinti percorsi: la missione presso i pagani di Paolo fu l'ambito d'origine dell'epistolografia, la missione in Israele quello della preistoria dei vangeli. Proprio in questo ambiente si ebbe un primo tentativo di raccogliere la tradizione su Gesù, confluita nella cosiddetta fonte dei lògia. 3 ·1

Le fonti dei vangeli La fonte dei lògia è una creatura prediletta della scienza, che deve unicamente al proprio acume la scoperta della sua esisten­ za, taciuta dalla tradizione della Chiesa. Fu scoperta quando si cominciò a lavorare sulla "questione sinottica" , vale a dire sui rapporti di dipendenza fra Matteo, Marco e Luca, autori dei vangeli sinottici. Excursus. Che i primi tre vangeli siano affini per stile e contenuto e che si differenzino da quello di Giovanni è stato sempre notato. Og­ getto di discussione è come si debba spiegare questa affinità. Ci fu alla loro origine un unico protovangelo (G. E. Lessing)? Riproduceva­ no indipendentemente l'uno dall'altro la medesima tradizione orale Q. G. Herder)? Ovvero si basavano su piccole raccolte di racconti (F. D. E. Schleiermacher)? Nel diciannovesimo secolo si impose l'opinione che la parentela fra i sinottici fosse spiegabile tramite un utilizzo reci­ proco. La teoria che pare più verosimile è quella delle due fonti, con­ sistente nell'ipotesi che Matteo e Luca abbiano utilizzato due distinte

33

IL N UOVO TESTAMENTO

fonti: il Vangelo di Marco e la fonte dei lògia (chiamata Q, dal tedesco Quelle, fonte). Inoltre, entrambi gli evangelisti hanno messo a frutto del materiale peculiare (Mts e Lc5) 1, che era a loro disposizione in forma orale o scritta. La teoria delle due fonti viene di solito così raffigurata:

Mt

Le

Il Vangelo di Marco, che nella storia della Chiesa era rimasto fino a quel momento nell'ombra, divenne un vangelo interessante proprio a motivo della teoria delle due fonti, in base alla quale era il più antico; la priorità di Marco viene desunta dal fatto che materiale presente in questo vangelo (con poche eccezioni) è contenuto anche in Matteo e Luca e dalle tre osservazioni seguenti. r. Quando Matteo e Luca concordano con Marco, concordano an­ che fra di loro, quando discordano da Marco si differenziano reci­ procamente. Il Vangelo di Marco comincia col battesimo di Gesù; Matteo e Luca integrano con i racconti dell'infanzia, ma in essi sono reciprocamente discordanti: secondo Matteo, infatti, Gesù era origina­ rio di Betlemme, secondo Luca di Nazaret; secondo Matteo la sua fa­ miglia era costituita da un gruppo di rifugiati politici, che sfuggivano alla strage degli innocenti da Betlemme verso l'Egitto, secondo Luca erano degli esemplari contribuenti che si spostavano a Betlemme in seguito ad un decreto imperiale. Il Vangelo di Marco si conclude col sepolcro vuoto, precisamente a Mc. 1 8,6 (il testo che segue in alcuni manoscritti quale conclusione, la cosiddetta conclusione lunga, è un'aggiunta successiva) . In più, fino al racconto del sepolcro vuoto Matteo e Luca narrano gli ultimi giorni di Gesù in maniera piuttosto simile, poi si discostano l'uno dall'altro: Matteo parla di un'apparizio­ ne a due donne, Luca di quella ai discepoli di Emmaus. Matteo insce­ na l'apparizione in Galilea, Luca parla di apparizioni a Gerusalemme

r. La "s" in apice sta per il tedesco Sondergut, materiale peculiare [N.d.T.].

34

3 · LA TRADIZIONE SU GESÙ NELLA PRIMA G ENERAZI O NE

e in Giudea. Una spiegazione immediata potrebbe essere che fino a quando Matteo e Luca utilizzano il Vangelo di Marco quale fonte cow m une, concordano, quando manca loro l'appoggio di questa comune fonte si distanziano. 2. Ciò trova conferma nel fatto che quasi tutte le pericopi presenti nei sinottici in Matteo e Luca sono ordinate nella stessa sequenza sta­ bilita da Marco. Dove Matteo si differenzia, egli intende organizzare e raggruppare testi affini in un ciclo di storie di miracoli, vale a dire in Mt. 8 -9 . Dove eccezionalmente è Luca ad allontanarsi dalla sequenza delle pericopi, l'evento si comprende, ad esempio, con l'intenzione di posporre l'affluenza delle folle al " discorso del campo" di Gesù ri­ spetto alla scelta dei dodici apostoli (cfr. Le. 6, 12 ss., 1 7 ss.) . 3 . Infine, è possibile rintracciare differenziazioni nel dettato testuale che si possono spiegare come mutamenti del testo di Marco operati da Matteo e Luca. A titolo di esemplificazione, secondo quanto si leg­ ge in Mc. 1 0 , r 4 Gesù si indignò quando i discepoli impedivano ai bambini di avvicinarsi a lui. In Mt. 19 , 1 4 e Le. 1 8, 1 6 non c'è traccia di un Gesù irritato. Verosimilmente, la sua irritazione fu depennata, in quanto non si addiceva né all'idealizzazione dei discepoli, né a quella del maestro. Per l'eliminazione della pericope possiamo dunque individuare una motivazione, per la sua aggiunta, al contrario, essa viene a mancare. Spiegare le differenze contenutistiche quali possibili variazioni conduce sempre alla medesima conclusione: i vangeli sinot­ tici possono essere compresi meglio se si ipotizza che Matteo e Luca abbiano utilizzato come modello il Vangelo di Marco e che occasio­ nalmente ne abbiano mutato testo e ordine delle pericopi, piuttosto che se si ipotizzano rapporti di dipendenza diversi. Accanto a tradizioni comuni a tutti e tre i vangeli sinottici, esistono tradizioni presenti solo in Matteo e Luca e assenti invece in Marco. Anche in questo caso concordanze e discordanze possono essere chiaw rite in base a considerazioni testuali, se si ipotizza l'esistenza di una fonte comune, la fonte Q. Dal momento che la maggior parte del ma­ teriale tramandato da questa fonte è costituito da detti di Gesù, essa è denominata fonte dei lògia. La sua esistenza è confermata dall'evidenw za che sussistono talvolta intersezioni fra materiale marciano e matew riale della fonte Q, riconoscibili quali doppioni, tanto che lo stesso evangelista riporta un'unica tradizione per due volte, una volta secon­ do Marco e una volta secondo Q. In effetti, in Luca rintracciamo due

35

IL NUOVO TEST AMENTO

distinte missioni dei discepoli: una prima di dodici, secondo Mc. 6,6- 1 3 , una seconda di settantadue, secondo Q (cfr. Le 9 , r -6; Le. r o, r - I 2). Un primo discorso escatologico di Gesù nel Vangelo di Luca si rifà a Q, un secondo a Mc. 1 3 (cfr. Le. I 7 ,22-3 7; Le. 2 1 ,5 -36). A sostegno dell'esistenza di Q impressiona anche un'argomentazione di tipo statistico: laddove Matteo e Luca riproducono la fonte comune del Vangelo di Marco, per noi verificabile, la concordanza verbale fra di loro arriva al 5 6 o/o . Dove invece presumiamo che essi abbiano qua­ le fonte comune la non conservata Q, tale concordanza arriva percen­ tualmente al 7 I % . In altre parole, Q avrebbe, dal punto di vista stati­ stico, una fondatezza di esistenza, come fonte comune, maggiore ri­ spetto a quella di Marco; se infatti a partire da una concordanza del 5 6 % non dubitiamo dell'esistenza di una fonte comune, nella fatti­ specie il Vangelo dz' Marco, ancor a maggior diritto possiamo conclu­ dere positivamente sull'esistenza di Q in questo ruolo col suo 7 r % di concordanza verbale. Sussiste poi, come detto, del materiale peculiare, che, di volta in volta, si incontra solamente o in Matteo o in Luca (Mt8 e LçB) , Ad esso appartengono frammenti famosi della tradizione: in Matteo, ad esempio, le prime antitesi (cfr. Mt. 5 ,2 I s.; 27 s.), in Luca le para­ bole del buon samaritano e del figliuol prodigo (cfr. Le. I 0,30 ss. Le. I 5 , I I ss.). Si rileva una tendenza particolare sia nel materiale peculiare a Matteo, sia in quello peculiare a Luca; in Matteo non può sfuggire una certa impronta giudeocristiana: Gesù non vuole abolire la legge e i profeti, ma dare loro compimento (cfr. Mt. 5 , 1 7) ; in Luca colpisce invece l'immagine del Gesù umano, che si dedica ai peccatori e agli ultimi (cfr. Le. 7 ,3 6-5 0) . Tuttavia, non è per noi possibile provare l'esistenza di fonti scritte per tale materia­ le peculiare, che potrebbe altresì provenire da flussi di tradizione orale per mezzo dei quali si è avuto un arricchimento dei vangeli di Matteo e Luca. Chi guarda con diffidenza alle ricostruzioni degli studiosi mo­ derni, si può rifare ad una testimonianza del cristianesimo delle ori­ gini. Quando, nel diciannovesimo secolo, si sviluppò la teoria delle due fonti, giocarono un ruolo importante le notizie giunteci da Pa­ pia, vescovo di Ierapoli (circa r 15 o r 4o), riguardo al Vangelo di Marco e ad una raccolta di detti di Gesù attribuita a Matteo. Euse­ bio leggeva ancora l'opera di Papia nel quarto secolo, e citava da essa: .

3 . LA TRADIZIONE SU GESÙ NELLA P R I MA GENERAZIONE

«Marco trascrisse scrupolosamente come traduttore di Pietro tutto quanto aveva mantenuto nella memoria, tuttavia non secondo l' ordi­ ne delle parole e delle opere del Signore, dal momento che egli non aveva né ascoltato, né seguito il Signore, ma, come detto, ave­ va udito in seguito Pietro, che organizzò i propri insegnamenti se­ condo le esigenze, ma non volle tramandare alcuna ricostruzione coerente delle parole del Signore. Perciò Marco non ha colpa, se trascrisse qualche cosa come egli lo teneva a mente, in quanto sua unica preoccupazione era non tralasciare nulla di quanto aveva sen­ tito e non riprodurre qualcosa in modo sbagliato» (Eusebio, Storia ecclesiastica III, 39,1 4 s . ) . «Matteo scrisse in lingua aramaica, ciascuno poi tradusse come pote­ va» (Eusebio, Storia ecclesiastica III, 39,16).

Se si leggono entrambi i testi senza pregiudizi, il Vangelo di Marco potrà essere considerato come un'illustrazione di detti e fatti di Gesù (come è in effetti) ; per quanto riguarda lo scritto di Matteo si penserà piuttosto ad una raccolta di detti. Per en­ trambi Papia sapeva di una protoforma aramaica orale (Marco) o scritta (Matteo) . E ancora, si potrebbero interpretare le noti­ zie di Papia nel senso che egli aveva ancora davanti agli occhi le fonti più antiche dei vangeli. Di fatto, attribuì una raccolta di lògia a Matteo, sia che la confondesse con lo stesso Vangelo di Matteo, sia che la fonte di lògia che aveva a disposizione gli risultasse opera di Matteo. Potrebbe trattarsi della fonte dei lò­ gia ricostruita dagli studiosi moderni, la cui storia ulteriore po­ trebbe essere ricapitolata nel modo seguente: il redattore del Vangelo di Matteo la utilizzò e concepì il suo vangelo come sua seconda edizione (completa). Con ciò si potrebbe anche spiega­ re il motivo per cui questa raccolta di detti non è stata conser­ vata come scritto a sé stante: se infatti nel cristianesimo primiti­ vo circolavano due scritti sotto lo stesso nome, dei quali l'uno era interamente contenuto nell'altro, è ovvio che si preferì al più corto il più lungo, tenuto per opera completa di Matteo. Per noi, in ogni caso, l'importante è rintracciare un'indicazione sull'esistenza di una raccolta di lògia già molto presto nel cri­ stianesimo primitivo. 37

IL N U O VO TESTAMENTO

3 ·2

Tradizioni dei carismatici itineranti: la fonte dei lògia Il precedente excursus s1 e reso necessario per arrivare sulle tracce della fonte dei lògia attraverso la questione sinottica. La ricostruzione della fonte risulta tuttavia difficile. Non possiamo avere certezza che contenesse altro materiale in aggiunta a quel­ lo che Matteo e Luca hanno in comune quando si contrappon­ gono a Marco. Nondimeno, siamo in grado di descrivere positi­ vamente ciò che in essa era presente. Riguardo a ciò, è Luca a mantenere l'ordine dei detti di Q più che Matteo e per questo motivo Q verrà citata in base a Luca. La fonte dei lògia iniziava con la predicazione di Giovanni il Battista (cfr. Le. 3 ,2 -4) e raccontava probabilmente del batte­ simo di Gesù e della denominazione come "Figlio di Dio" , poi­ ché nella tentazione (cfr. Le. 4, 1 - 1 3 ) Gesù si deve difendere quale Figlio di Dio: rifiuta di prostrarsi di fronte a Satana per ottenere la signoria sul mondo; da giudeo modello sa bene che non bisogna venerare nessun altro all'infuori di Dio. Avendo superato la prova, può insegnare in modo convincente. r . Gesù esordisce con un discorso programmatico (cfr. Le. 6 ,20-49 ) , che Matteo ha rimodellato come discorso della mon­ tagna. All'inizio sono poste le beatitudini dei poveri, degli affa­ mati e degli sventurati. I comandamenti principali sono l'amore dei nemici (cfr. Le. 6,27 s.) e il divieto di giudicarsi gli uni gli altri (cfr. Le. 6,37-3 8) . Al termine si trova l'appello alla respon­ sabilità degli uditori: solamente chi applica questo insegnamen­ to ha posto le fondamenta sopra la roccia (cfr. Le. 6,47-49). 2. Successivamente viene rappresentato l'effetto provocato da Gesù sui suoi contemporanei e le loro reazioni: il centurione pagano di Cafarnao lo riconosce; il Battista mantiene nei suoi confronti un atteggiamento di attesa (cfr. Le. 7 , 1 8-23 ) ; ma la loro generazione ricusa sia il Battista che Gesù, malgrado essi siano entrambi messaggeri di giustizia (cfr. Le. 7,3 1 -3 5 ) . 3 · Una terza sezione tratta dei discepoli, del loro porsi al se­ guito di Gesù (cfr. Le. 9,5 7-62) e della loro missione (cfr. Le.

3 · LA TRA D IZ IONE S U GESÙ N ELLA PRIMA G ENERAZIONE

ro, r - r 6) . La rivelazione di Dio su suo "Figlio " ha luogo sola­ mente per essi, che si possono rivolgere in preghiera a Dio stes­ so tramite le parole del Padre Nostro (cfr. Le. r 1 ,2 ss.) . Nel discorso sulla missione emergono indizi sulla cerchia di coloro che diffusero Q: si tratta di carismatici che continuarono la vita errante di Gesù, per diffondere il suo insegnamento. 4· Un breve racconto sulla cacciata di un demone (cfr. Le. 1 I , 14 s.) introduce una sezione in cui Gesù si scontra con dei contraddittori, che all'inizio lo accusano di fare lega col demo­ nio (cfr. Le. I I , I 7-2 6). La sezione culmina con un contrattacco nei confronti di farisei e dottori della legge in nome della sa­ pienza preesistente, il cui messaggio è stato sempre rifiutato: la punizione ricadrà su questa generazione (cfr. Le. I 1 ,39-5 2 ) . 5 . L a quinta sezione tratta della "vita dei discepoli nella luce degli ultimi giorni" (cfr. Le. I 2 ,2 ss .). Gesù comincia parlando della paura di riconoscere il Figlio dell'uomo davanti agli uo­ mini (cfr. Le. 1 2 ,8 s.); in seguito è manifestata un'esortazione ad essere liberi da preoccupazioni: chi diffondeva questa tradi­ zione si preoccupava del proprio sostentamento tanto poco quanto gli uccelli (cfr. Le. 1 2 ,22-3 1 ) . Questa eccentrica forma di vita era possibile solo perché la fine del mondo era ritenuta vicina. Di questi ultimi tempi tratta una serie di ulteriori tradi­ zioni in Q. La conclusione è costituita da una breve apocalisse sulla fine del mondo (cfr. Le. 17,22-37 ) . Gesù mette in guardia sul­ l' avvento di falsi messia e preannuncia l'apparizione del Figlio dell'uomo, che giungerà inatteso in un tempo di pace. Forse Q si concludeva col riferimento alle dodici tribù di Israele: nel nuovo mondo gli apostoli governeranno sul rinnovato popolo di Dio (cfr. Le. 22 ,2 8-30). Ci possiamo chiedere quando la tradizione su Gesù fu fissa­ ta in Q. Visto che si dice che il Figlio dell'uomo giungerà in un mondo pacifico (cfr. Le. 1 7 ,2 3 ss.; diversamente invece si legge in Mc. r 3 ) , possiamo ipotizzare che abbia preso forma prima della guerra giudaica. Poiché poi il tentativo di Caligola dell'an­ no 3 9/4o di trasformare il Tempio in un santuario dedicato al39

IL N U OVO TEST AMENTO

l'imperatore viene rielaborato in un racconto di tentazione, è possibile pensare ad una datazione fra il 40 e il 65 e a un luogo di redazione che è con ogni verosimiglianza la Palestina. Tradi­ zioni isolate potrebbero indicare anche una prospettiva propria della Galilea, in quanto conoscono località molto piccole come Corazin, Betsaida e Cafarnao (cfr. Le. 1 0, 1 3- 1 5 ) . In Q furono insomma raccolte le tradizioni dei carismatici itineranti, in grado di rappresentare in modo credibile l'etica radicale di Gesù, quell'etica che si faceva forte dell'essere sen­ za patria, senza famiglia, della critica alla proprietà e alla vio­ lenza per la quale abbiamo coniato l'espressione "radicalismo itinerante" . Q sottolinea la mancanza di una patria: «Il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo» (Le. 9,5 8). Critiche ri­ spetto al concetto di famiglia sono le parole: «Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fra­ telli, le sorelle e persino la propria vita, non può essere mio discepolo» (Le. 14,26). La sepoltura del padre deve essere la­ sciata ai morti (cfr. Le. 9 ,6o s.); il contrasto all'interno della fa­ miglia è inevitabile (cfr. Le. 1 2 ,5 1 -5 3 ) . In tali cerchie era possi­ bile criticare i ricchi e vivere come un uccello del cielo (cfr. Le. 6,20 ss. ; Le. 1 2 ,22 ss.) . Poiché Gesù può essere considerato uno di loro, i carismatici itineranti del cristianesimo primitivo danno una sicura garanzia di averci mantenuto non solo le sue parole ma anche il suo spirito: proprio loro erano i portatori del nuovo movimento spirituale. La loro presenza nell'area siro-palestinese è dimostrabile ancora per lungo tempo dopo la morte di Gesù. Ma quale immagine di Gesù era predominante fra di loro? L'infanzia e la passione non rivestono alcun ruolo particolare. Q non contiene una storia della passione e la morte di Gesù non rappresenta un evento salvifico riguardo ai peccati degli uomini. Egli andò incontro al martirio come un profeta, a cau­ sa del proprio operato (cfr. Le. I 1 ,49-5 I ) . Già in Q, tuttavia, è presentato al fianco di Dio: Gesù dice di sé: «Ogni cosa mi è stata affidata dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il

3 . LA TRADI Z I O N E SU GESÙ NELLA PRIMA GENERAZIONE

Figlio lo voglia rivelare» (Le. 1 0,22 ) . Non viene già qui minato il monoteismo stretto ? Certo, per i giudei di allora era concepi­ bile che accanto a Dio esistessero altre figure di carattere divi­ no, come la Sapienza (cfr. Sapienza 8 ) , il Lògos (cfr. Filone) o il Figlio dell'uomo (cfr. Daniele 7 ) . Era però davvero impensabile che un uomo presumesse di sé di essere egli stesso una tale fi­ gura di carattere divino. Ciò, tuttavia, è escluso dalla fonte dei lògia, che narra apertamente, nel racconto di tentazione, come Gesù abbia fermamente rifiutato la venerazione di qualsiasi es­ sere all'infuori di Dio. Solo dopo aver superato questa sorta di esame sul suo monoteismo, verranno fatte da Gesù affermazioni che lo riconducono direttamente a Dio. In quanto genere letterario, la fonte dei lògia ha trovato dei continuatori. Il Vangelo di Tommaso, per l'appunto, è una rac­ colta di proverbi e detti di Gesù e in esso non si fa riferimento alla passione: Gesù è presentato come fonte della rivelazione ed egli media una conoscenza salvifìca (gnòsis) dal cielo. In ciò il Vangelo di Tommaso rappresenta una forma evoluta di quelle raccolte di proverbi nelle quali si conserva non solo la tradizio­ ne di alcuni detti di Gesù, ma anche la loro interpretazione. Ciò è dichiarato programmaticamente dal primo lògion: «Colui che rintraccia il significato di queste parole, non assaggerà la morte» (Vangelo di Tommaso I ) . n significato è che l'espressio­ ne " regno di Dio" non allude ad alcuna realtà esteriore, ma al­ l' interiorità dell'uomo, che proviene dal cielo ma ha dimentica­ to la sua origine. Gesù porta a quest'uomo la conoscenza salvi­ fica, conoscenza che lo richiama alla sua vera patria. Anche per quanto riguarda il Vangelo di Tommaso possiamo pensare ad uno sfondo sociale legato all'attività dei carismatici itineranti (cfr. Vangelo di Tommaso 14) , verosimilmente con teatro la Si­ ria, dove sono di casa le tradizioni risalenti a Tommaso. Prima del ritrovamento del Vangelo di Tommaso nel 1 94.5 si poteva ancora dubitare dell'esistenza di una fonte dei lògia, poiché non esisteva alcun elemento di prova che un tale genere letterario fosse presente nel cristianesimo antico. Ovviamente, oggi que­ sto argomento è venuto meno.

IL N UO VO TESTAMENTO

Rispetto al suo genere letterario, Q può essere considerata un libro profetico contenente proverbi sapienziali. Come altri libri profetici Q narra poco della vita del profeta in questione e nulla della sua morte. La fonte dei lògia, comunque, non appa­ re profondamente radicata nel giudaismo attraverso la propria tipologia letteraria, bensì attraverso il contenuto. Anche gli israeliti che hanno opposto un diniego al messaggio di Gesù hanno ancora un'occasione. Gesù, in nome della Sapienza, fa appello a coloro che hanno assassinato i profeti e lapidato colo­ ro che erano stati inviati: «Non mi vedrete più fino al tempo in cui direte: Benedetto colui che viene nel nome del Signore» (Le. I 3 ,35). Paolo conosce una speranza analoga, in base alla quale, col ritorno del Signore, tutto Israele sarà salvato (cfr. Rom. r r ,26). Ciò mette in relazione entrambe queste testimo­ nianze della prima generazione. 3·3

Tradizioni delle comunità locali: passione e apocalisse sinottica Nella fonte dei lògia furono raccolti solo i detti predicati dai carismatici e da essi legittimati. Accanto ai carismatici itineranti esistevano gruppi di simpatizzanti stanziati in singole località, fra i quali il gruppo più importante era quello della comunità locale di Gerusalemme, patria d'approdo di molti carismatici, ma anche luogo in cui Gesù visse i suoi ultimi giorni. Proba­ bilmente in queste comunità furono tramandati i ricordi della passione di Gesù. Di norma la tradizione su Gesù consiste in piccole e ben elaborate unità. Nella storia della passione, inve­ ce, si ha una narrazione unitaria ottenuta tramite l'integrazione di diverse di queste unità: si tratti del breve resoconto che ini­ zia in Mc. 1 4,43 ss. concernente arresto, interrogatorio, condan­ na e crocifissione, o del racconto più esteso che prende avvio in Mc. 14,1 ss. In maniera notevole, i vangeli sinottici concordanò con il Vangelo di Giovanni nella storia della passione: potrebbe­ ro dunque dipendere tutti da un comune racconto di passione.

3 . LA TRA DIZIONE SU GESÙ N ELLA PRIMA GENERAZIONE

Per una datazione alta di una tale storia di passione testi­ moniano favorevolmente "indizi degni di fiducia" , cioè cenni nel testo che presuppongono un livello di familiarità con perso­ ne e luoghi citati in esso. Al momento della cattura due perso­ ne rimangono anonime: un seguace di Gesù ferisce con un col­ po di spada un membro del gruppo preposto all'arresto (cfr. Mc. 14,47 ) , un altro fugge nudo dopo una zuffa (cfr. Mc. 14,5 1 ) . Per entrambi potrebbe trattarsi di un'anonimità mante­ nuta per motivi di cautela: fino a che alcuni membri del gruppo designato per arrestare Gesù erano in vita, non era opportuno rivelare il nome di coloro che avevano cercato di difenderlo. Possiamo dedurre da ciò che la storia della passione prese for­ ma in Gerusalemme negli anni Quaranta o Cinquanta. Ancora un'altra tradizione non composta da brevi pericopi rimanda al sud della Palestina: l'apocalisse sinottica contenuta in Mc. I 3 , in cui fu rielaborata una tradizione più antica. In questo testo vengono direttamente apostrofati uomini della Giudea: «Quando vedrete l'abominio della desolazione stare là dove non conviene, chi legge capisca, allora quelli che si trova­ no nella Giudea fuggano ai monti» (Mc. 1 3 , 14). In questo passo Marco ha inteso presentare una profezia riguardante il momen­ to di crisi politica intervenuto sotto Caligola. A quel tempo era in preparazione in Fenicia una statua dell'imperatore che le truppe romane avrebbero dovuto introdurre con la violenza nel Tempio; è questa statua «l'abominio della desolazione». Non appena essa si fosse trovata nel Tempio, dove non conveniva che fosse, ci si aspettava l'improwisa manifestazione di una cri­ si escatologica e la fine del mondo. Questa profezia fu formula­ ta fra l'anno 39 e l'anno 40 e con probabilità iniziò ad essere tramandata in Gerusalemme, città maggiormente colpita dalle disposizioni di Caligola. Non è da escludere che nelle comunità locali che si andava­ no via via costituendo venissero raccolte ulteriori tradizioni su Gesù; è comunque certo che non furono solo i carismatici iti­ neranti gli unici portatori di esse, che in una determinata forma erano infatti diffuse anche nel popolo.

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IL N U OVO TESTAME NTO

3 ·4

Tradizioni popolari: le storie di miracoli Nei vangeli si racconta spesso di miracoli di Gesù, che procura­ vano la diffusione della sua fama nell'intero paese (cfr. ad esempio Mc. 1 ,2 8 ) . Già molto presto nel popolo si parlava di guarigioni ed esorcismi attribuiti a Gesù, anche laddove ci si interessava poco al suo insegnamento in sé e ben presto le tra­ dizioni su Gesù si fusero con racconti che in origine riguarda­ vano altri operatori di miracoli. Flavio Giuseppe si rende ga­ rante, quale testimone oculare, per l'esorcismo compiuto da un certo Eleazar alla presenza di Vespasiano e dei suoi dignitari: La guarigione avvenne in tal modo. Egli teneva al di sotto del naso dell'ossesso un anello, in cui erano intrecciate delle radici, quelle che Salomone aveva indicato; le lasciò . annusare al malato e così trasse fuori dalle narici lo spirito malvagio. L'ossesso si accasciò im­ mediatamente a terra e Eleazar ingiunse allo spirito, mentre pro­ nunciava il nome di Salomone e recitava i proverbi da lui compo­ sti, di non tornare mai più in quell'uomo (Antichità giudaiche 8,46-48).

Alcuni tratti tipici di storie di questo genere possono essere confluite nelle narrazioni su Gesù. Addirittura intere storie di · miracoli possono essere state trasferite a lui, ma è possibile individuare precise differenziazioni. Gesù non guariva sulla scorta di tradizioni magiche del re Salomone, non usava né radici né parole magiche. Se nella tradizione su Gesù confluì una tradizione popolare comune relativa ai miracoli, si spie­ gherebbe perché in essa manchino alcuni motivi tipici di Ge­ sù, come per esempio l'essere seguito da discepoli, l'" amen" o l'appellativo "padre" rivolto a Dio. Distintivo di Gesù è che egli attribuisce alla fede stessa la forza che opera la guarigione. La tradizione si articolò dunque in tre diversi contesti socia­ li dopo la morte di Gesù: fu tradizione dei discepoli, delle co­ munità e del popolo. Non possiamo comunque figurarci queste

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3 . LA TRADIZIONE SU G ESÙ N ELLA PRIMA GENERA Z I O N E

cerchie come totalmente distinte. Quanto fu tramandato nel popolo si raccontava anche fra i discepoli di Gesù. Quello che si diceva fra i simpatizzanti stanziali, era noto anche ai carisma­ tici itineranti. In ogni caso, furono questi ultimi a diffondere il nocciolo dell'insegnamento di Gesù e la loro tradizione venne fissata nella fonte dei lògia. La tradizione delle comunità e del popolo si stabilizzò non anteriormente alla generazione succes­ siva col Vangelo di Marco. Prima di occuparci dei vangeli, tutta­ via, è nostro compito illustrare l'origine e la formazione della seconda forma letteraria fondamentale del Nuovo Testamento, quella della lettera.

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Paolo di Tarso

Nel cristianesimo primitivo, dopo la morte di Gesù, possiamo individuare due correnti; nella comunità di Gerusalemme, se­ condo la notizia di At. 6 , 1 ss. , sorse un conflitto fra «Ebrei» e «ellenisti», cioè fra discepoli di Gesù di lingua aramaica e di lingua greca. Gli ellenisti si presentarono pubblicamente in ma­ niera aggressiva e il loro leader, Stefano, fu lapidato per aver criticato il Tempio. Alcuni suoi seguaci si rifugiarono nelle aree ellenizzate della Palestina (fra cui la Samaria) , altri in Siria, dif­ fondendo in queste zone il credo cristiano, cui riuscirono a far aderire ad Antiochia persino alcuni non giudei (cfr. At. r r ,2o) . Proprio ad Antiochia essi furono identificati come gruppo a sé, accanto a giudei e pagani e, per la prima volta, chiamati cri­ stiani (cfr. At. r 1 ,26). Nello stesso luogo, un uomo di nome Paolo che era stato persecutore dei cristiani ascese alla guida della comunità al fianco di Barnaba (cfr. At. 1 3 , 1 s.). In seguito alla sua conversione, Paolo maturò un profondo fervore nell'a­ prire la comunità nei confronti dei pagani, forse anche perché una volta aveva contrastato i cristiani a causa delle loro tenden­ ze alla liberalizzazione, considerandoli " distruttori della legge" . È possibile chiedersi per quale motivo questo movimento di apertura dei " cristiani" interno al giudaismo costituì un proble­ ma così grave, innanzi tutto per Paolo e poi anche per altri giudei. n problema consisteva fondamentalmente nel fatto che veni­ vano messi in questione i segni distintivi dell'identità giudaica, circoncisione e norme alimentari, al punto che si giunse ad una disputa fra Gerusalemme e Antiochia. Fra il 46 e il 48 Barnaba

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IL N UOVO TESTAMENTO

e Paolo, nelle trattative tenute con Giacomo, Pietro e Giovanni a Gerusalemme nell'ambito della cosiddetta "assemblea degli apostoli" , imposero quali rappresentanti degli antiocheni il loro punto di vista: la circoncisione non avrebbe costituito in alcun modo condizione per l'ammissione dei non giudei nella comu­ nità (cfr. Gal. 2 , 1 - 1 0 ) . Rimase invece irrisolta la problematica circa le norme alimentari e il contrasto creò l'occasione per una visita di Pietro ad Antiochia (cfr. Gal. 2 , 1 1 - 14), dove egli man­ giò insieme a cristiani provenienti dal paganesimo senza rispet­ tare le norme alimentari. Quando, tuttavia, giunsero anche in­ viati di Giacomo, Pietro cessò di prendere parte a pasti di que­ sto genere. È probabile che i rappresentanti della comunità di Gerusalemme abbiano fatto valere l'argomento che i cristiani provenienti dal giudaismo si sarebbero trovati in una situazione incresciosa se coloro che si convertivano dal paganesimo aves­ sero rifiutato anche il secondo segno distintivo dell'identità giu­ daica: essi stessi avrebbero potuto essere considerati apostati. Questa volta non riuscì a Paolo di imporre il suo pensiero ed egli si separò dalla comunità di Antiochia. Cosa significò l'iniziativa di Paolo tesa alla relativizzazione di entrambi i segni distintivi del giudaismo per la storia del cri­ stianesimo primitivo? A partire da essa i cristiani si resero con­ to che dovevano affrontare la necessìtà di sviluppare una pro­ pria religione a sé stante: non potevano proporre a nuovi prose­ liti pagani quanto nei tempi antichi era stato proprio del giu­ daismo, cioè il Tempio e i sacrifici. Dal momento che i cristiani provenienti dal paganesimo dovevano credere nell'unico Dio dei giudei, non era più concesso loro prendere parte ai culti pagani; d'altra parte gli era interdetto l'accesso al Tempio, sotto la minaccia della pena di morte, fintantoché fossero rimasti non circoncisi. A partire da questa situazione i cristiani si videro co­ stretti a proporre dei sostitutivi per le vittime sacrificali e la cir­ concisione, individuati in Cristo quale vittima e nel battesimo. Contemporaneamente, le questioni rituali avevano anche un risvolto politico. Superata la crisi dei tempi di Caligola, Claudio era riuscito dopo il 4 1 a placare gli animi per mezzo di una politica di conservazione dello status quo in materia religiosa.

4 · PAOLO DI TARSO

Le tradizioni del giudaismo dovevano essere nuovamente rispet­ tate, ma, parimenti, gli stessi giudei non dovevano rimetterle in questione. In questo senso Claudio ingiunse ai giudei di Roma (e del resto dell'impero) di rimanere fedeli alle tradizioni dei padri, in caso contrario li avrebbe espulsi (cfr. Dione Cassio, 6o,6) . Proprio in questo arco di tempo i cristiani delle comuni­ tà della diaspora divennero attivi e, di fatto, trasgredirono il di­ vieto di Claudio, mettendo in dubbio i segni distintivi tradizio­ nali del giudaismo. Il consenso raccolto fra il 46 e il 48 nell'as­ semblea degli apostoli diede impulso a questo movimento "li­ berale" , che in breve divenne tanto forte da produrre disordini in Roma, donde Claudio cacciò i capi della comunità (cfr. Sve­ tonio, Claudio 25 ,4). Gli esuli non tardarono a diffondere la notizia dei disordini nelle comunità giudaiche e i cristiani, im­ prowisamente, si ritrovarono nelle vesti di coloro che turbava­ no lo stato di pace religiosa, nella misura in cui si opponevano all a politica di Claudio (cfr. At. 1 7,7) . È facile comprendere come in tale situazione gli awersari di Paolo acquistassero for­ za, sostenendo che sarebbe stato meglio per i cristiani se fosse­ ro rimasti giudei e avessero preteso anche da coloro che prove­ nivano dal paganesimo il rispetto dei segni distintivi del giudai­ smo: in questo modo si conformavano alla politica religiosa di Claudio. Per contrastare gli elementi giudaizzanti, Paolo svilup­ pò il secondo genere letterario fondamentale del cristianesimo primitivo: la lettera. Con le sue lettere egli ha posto le premesse perché il cristianesimo delle origini potesse divenire una religio­ ne a sé accanto al giudaismo. Ma chi era questo Paolo? Paolo era un giudeo della diaspora originario di Tarso, che aveva studiato la torah a Gerusalemme fino a diventare un fon­ damentalista. Riguardo al suo periodo precristiano lui stesso ci informa che superava con la sua pietà fanatica i coetanei (cfr. Gal. r ,r4), alludendo così al fatto che essa non costituiva un fattore tipico del giudaismo. Perseguitava i seguaci di Gesù considerandoli una minoranza deviante e mettendo in atto le misure coercitive delle comunità giudaiche, vale a dire bandi e pene corporali. L'insistenza oppressiva sulle norme e un atteg­ giamento aggressivo nei confronti di coloro che si allontanano

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IL N UOVO TESTA MENTO

da esse sono caratteri propri di una religiosità autoritaria: pre­ sumibilmente, quello che tanto scandalizzava Paolo dei primi cristiani era che essi interpretavano il giudaismo in maniera più liberale di altri; in particolare, non riusciva ad accettare che fa­ cessero riferimento ad un uomo crocifisso, il quale, secondo la torah, avrebbe dovuto essere maledetto (cfr. Deuteronomio 2 1 ,23; Gal. 3 , 1 3 ). In pratica, Paolo percepiva il movimento cri­ stiano come una rivolta contro la legge giudaica che era suo compito soffocare. Mentre si metteva a questo scopo sulla via di Damasco, fu conquistato al credo che intendeva combattere da un'apparizione di Gesù, con ogni probabilità dopo che ave­ va già segretamente maturato dubbi sul proprio orgoglioso so­ stegno alla legge. Tali dubbi circolavano clandestinamente nel giudaismo. Flavio Giuseppe dipinge chiaramente la scena in cui Simri si ribella alla tirannia della legge di Mosè, in quanto essa gli impediva di sposare una straniera (cfr. Antichità giudaiche 4,14 1 - 1 5 5 ) . La sua ribellione è repressa in modo violento da Pi­ neas, archetipo di ogni giudeo zelante. Il racconto denota come si facesse esperienza della legge quale fattore limitativo nei rap­ porti con i non giudei. In questa prospettiva, l'incontro con il Risorto rese operativa in Paolo una critica latente alla legge, che divenne il punto focale della sua teologia: egli, da giudeo fondamentalista, si trasformò nel leader del movimento di aper­ tura del cristianesimo ai non giudei; da credente autoritario di­ venne rappresentante di un giudaismo liberale, anche se sulle prime non aveva intenzione di fondare alcuna nuova religione. Sin dall'inizio, comunque, Paolo ebbe la consapevolezza di essere qualcosa di più di un semplice membro della comunità cristiana: immediatamente dopo la conversione prese avvio la sua missione in Arabia (circa 32-35 ), interrotta dallo scoppio di una guerra tra nabatei e galilei. Tornò quindi a Damasco, inse­ guito da un funzionario del re dei nabatei Areta, cui riuscì a sfuggire facendosi calare in una cesta dalle mura della città (cfr. II Cor. I 1 ,3 2 s . ) . Riparò quale rifugiato politico in Gerusalem­ me, dove probabilmente non fu accolto solo da sentimenti di entusiasmo da parte di quei cristiani che aveva fino a poco tem­ po prima fatto oggetto di persecuzione. Ebbe modo di parlare

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4· PAOLO DJ TARSO

solamente con Pietro e con Giacomo, il fratello del Signore (cfr. Gal. 1 , 1 8 s.), riuscendo a cqnvincere entrambi circa la sin­ cerità della propria conversione, fattore base per i compromessi che avrebbe con essi successivamente raggiunto. In seguito la sua missione proseguì in Siria e in Cilicia (cfr. Gal. r ,2 1 ) , da dove passò a Cipro e in Asia Minore (cfr. At. r 3- 1 4) . Durante la missione presso i nabatei mise da parte la questione circa il valore della legge: i nabatei erano infatti cir­ concisi e si consideravano imparentati con i giudei, quali figli di Ismaele. li problema non poté invece essere aggirato nel corso della missione in Siria, perché già prima del suo arrivo la co­ munità antiochena aveva accolto alcuni non giudei. Paolo di­ venne dunque l'energico rappresentante dell'apertura a tutti i pagani: proprio nella prima comunità cristiana di Siria, infatti, fin dalla conversione egli aveva fatto propri i caratteri del cri­ stianesimo. Nelle tradizioni riprodotte come "l'essenziale" nelle sue lettere possiamo individuare la tracce del modo in cui Pao­ lo si avvicinava all'ambiente sociale che si trovava di fronte; al centro del discorso stanno sempre la croce e la risurrezione. In 1 Cor. 1 5 egli cita una di queste tradizioni che testimonia quan­ to sorprendentemente fondate fossero, a livello storico, le appa­ rizioni del Risorto. Paolo chiama più di un testimone col pro­ prio nome, testimoni di cui gli avevano parlato Pietro e Giaco­ mo due o tre anni dopo le apparizioni. Sull'autenticità soggetti­ va di questa testimonianza non è da dubitare: Vi rendo noto, fratelli, il vangelo che vi ho annunciato [ . ] . Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch'io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli (r Cor. r 5 , I .3 ·7). ..

Dai cristiani della Siria Paolo imparò la lingua con la quale professava il suo credo. In Rom. 1 0,9 s. egli cita una sorta di

[L N UOVO TEST AMENTO

"parola della fede" : «se confesserai con la tua bocca che Gesù è il Signore, e crederai con il tuo cuore che Dio lo ha risu­ scitato dai morti, sarai salvo». Nell'area della Siria, già prima della missione paolina, aveva cominciato a svilupparsi una for­ ma di pietà cristiana che si differenziava da quella ispirata dalle tradizioni su Gesù che circolavano in Palestina. Il motivo base per questo tipo di venerazione del Cristo non era quanto Gesù aveva detto o fatto, ma ciò che Dio aveva operato per mezzo di lui. Gesù era il Signore perché Dio lo aveva risuscitato dai mor­ ti. La sua vita terrena fu considerata la tappa transitoria di un essere disceso dal cielo e che al cielo era tornato (cfr. Fil. 2,6- I I ) . Paolo condusse ad ulteriori sviluppi questo tipo di cre­ do cristiano. L'attività e le parole del Gesù terreno lo interessa­ vano relativamente: di esse, assai poche sono riferite da Paolo. Bisogna chiedersi, a questo punto, il perché di questa reticenza paolina sul Gesù terreno. Aveva di certo un motivo personale: altri apostoli erano sta­ ti seguaci di Gesù. Paolo, che aspirava al loro stesso rango, non lo aveva invece conosciuto e valutava la loro conoscenza del Gesù terreno conoscenza «secondo la carne» (cfr. II Cor. 5 , I 6) . Aveva fatto tuttavia esperienza, al pari degli altri apostoli, di un'apparizione del Risorto e non suscita dunque meraviglia che al centro del suo credo si trovi la fede in lui. Avrebbe potuto divenire decisivo il problema fondamentale circa il monoteismo della nuova religione: sulla base delle apparizioni postpasquali Gesù era stato considerato come un essere divino. Un giudeo avrebbe potuto sostenere questa posizione solo se fosse stato del tutto escluso che Gesù aveva valutato se stesso in questo modo. E in effetti, ogni accenno ad un autoinnalzamento di Gesù è alieno dal credo cristiano di Paolo: un uomo morto in croce non poteva certo sostenere tali pretese. Soltanto Dio lo ha innalzato al di sopra di tutti i nomi (cfr. Fil. 2 ,9). Come la fonte dei lògia aveva chiarito tramite il racconto di tentazione che Gesù non aspirava ad un innalzamento di tal genere, così Paolo riesce a concepirlo tramite la concentrazione sulla croce e sulla risurrezione. Paolo si guadagnò una tale considerazione all'interno della

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4 · PA OLO

DI T A RSO

comunità antiochena che, in qualità di inviato assieme a Barna­ ba, riuscì ad imporre nell'assemblea degli apostoli a Gerusalem­ me l'apertura ai pagani, promettendo in contraccambio di con­ durre a termine una colletta proprio per la comunità di Geru­ salemme. Tuttavia, nemmeno ad Antiochia fu in grado di im­ porre la liberalizzazione di tutte le norme alimentari. Il suo suc­ cesso a Gerusalemme lo motivò a progettare una missione su scala mondiale, quello conseguito ad Antiochia gli fece matura­ re la convinzione che avrebbe dovuto portarla avanti da solo. Punto d'arrivo di questa missione era Roma; tuttavia, mentre si trovava a Corinto, fu impedito dal proseguire il viaggio proprio a motivo dell'espulsione dei cristiani dalla capitale dell'impero. Così Paolo fu costretto a rimanere più di quanto avrebbe volu­ to nell'area dell'Asia minore e dell'Egeo. Di qui anche il fatto che già nella seconda generazione l'Asia minore e Roma sur­ classarono come centri d'irraggiamento del credo Gerusalemme e Antiochia. Per una cronologia assoluta della vita e delle lettere di Pao­ lo abbiamo pochi punti fermi. La cacciata dei cristiani da Roma awenne secondo Svetonio (notizia che si può integrare con una di Paolo Grosio) nell'anno 49· Poco dopo Paolo incontrò a Co­ rinto una coppia di esiliati, Aquila e Priscilla (cfr. At. r 8,2 ) . Presumibilmente condividevano l'atteggiamento aperto di Paolo nei confronti dei pagani e rappresentavano, di conseguenza, quella dissoluzione delle tradizioni giudaiche che era stata causa della loro espulsione. In ogni caso, fra il 5 r e il 52 Paolo si trovava a Corinto: in questo periodo di tempo ha luogo l'incon­ tro con il proconsole Gallione (cfr. At. r 8 , 1 2) , del quale sappia­ mo in che periodo rivestì questo incarico amministrativo in base alla testimonianza di un'iscrizione. Più incerta appare la cronologia relativa, vale a dire la se­ quenza precisa in cui dobbiamo situare le lettere e gli aweni­ menti della vita di Paolo. La seguente ricostruzione è sostenibi­ le, ma non aspira certo ad un consenso incondizionato. Voglia­ mo solo !imitarci ad uno schematico abbozzo della sua vita e degli effetti della sua missione dopo l'assemblea degli apostoli:

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IL N U OVO TESTA MENTO

46/48: Paolo impone, in qualità di inviato degli antiocheni nell' assem­ blea degli apostoli, la rinuncia alla circoncisione per i cristiani prove­ nienti dal paganesimo. In cambio promette di raccogliere elemosine per Gerusalemme. 49: durante la visita di Pietro ad Antiochia non gli riesce di im­ porre la rinuncia alle norme alimentari. Intraprende una propria mis­ sione in Asia minore e in Grecia. Nello stesso tempo il cristianesimo comincia a penetrare anche a Roma e produce disordini fra i giudei che conducono all'espulsione dei capi della comunità in seguito al co­ siddetto editto di Claudio. 49-50: Paolo fonda alcune comunità in Galazia. In Europa, il suo luogo d'appoggio è costituito da Filippi, da dove porta avanti la mis­ sione a Tessalonica. I cristiani del luogo si trovano, lì come altrove (anche a Roma), in difficoltà perché ritenuti portatori di disordini. Paolo è costretto a fuggire. 50-5 2: Paolo giunge a Corinto e fonda una comunità (cfr. At. r 8). Incontra nello stesso luogo una coppia espulsa da Roma, Aquila e Pri­ scilla, e scrive fra il 50 e il 5 I la prima lettera ai Tessalonicesi. Anche a Corinto si generano dei disordini. Il proconsole Gallione, tuttavia, rinuncia a procedere contro Paolo nei primi mesi del 5 2 . 5 2 - 5 5 : Paolo sposta il centro della sua attività a Efeso (cfr. At. 19), donde si mette in viaggio verso Corinto (la sfortunata "visita inter­ media" ) e poi verso Gerusalemme e Antiochia (cfr. At. 1 8,22 s . ) . Ad Efeso scrive la maggior parte delle sue lettere: fra la prima e la seconda ai Corinzi si situa una grave crisi. Paolo viene incarcerato e si aspetta di essere giustiziato, ma viene invece rimesso in libertà. Con­ temporaneamente sorge un contrasto fra di lui e la comunità di Corinto. Durante la sua prigionia sono composte la lettera ai Filippesi e quella a Filemone. La lettera ai Galati, che rimonta ai tempi di Efeso, è difficilmente collocabile con precisione all'interno di una cronologia. 5 5/5 6: dopo la riconciliazione con i Corinzi, torna a visitame la comunità. L'imperatore Claudio è nel frattempo morto (circa 54); la via verso Roma è libera. Da Roma Paolo intende proseguire la sua missione in Spagna e in preparazione della visita a Roma e della mis­ sione in Spagna scrive la lettera ai Romani. Nella prospettiva di una visita a Gerusalemme manifesta timori per la propria vita. 56: parte da Corinto insieme ad una delegazione alla volta di Ge­ rusalemme, per . portarvi i frutti della colletta. n viaggio si rivela un vero disastro.

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4· PAOLO DI TARSO

56-5 8: Paolo viene incarcerato come trasgressore della legge, tenu­ to in prigionia dai romani per circa due anni a Cesarea e poi tradotto al cospetto dell'imperatore. 5 8-6o: pur prigioniero in Roma, è in grado di operare in favore della comunità cristiana. Alcuni studiosi datano le lettere ai Filippesi e a Filemone proprio durante questo periodo di prigionia a Roma. È comunque certo che a Roma subì il martirio, come sappiamo dalla prima lettera di Clemente di Roma (cfr. 5 ,4 s . ) .

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5

Inizi della letteratura epistolare nella prima generazione: le lettere di Paolo

La nascita della letteratura epistolare protocristiana fu determi­ nata da una crisi. Paolo ha scoperto la lettera come strumento di direzione spirituale delle comunità dopo una lunga attività missionaria, della quale non abbiamo testimonianza in alcuna lettera. Le sue lettere si presentano come forma allargata di let­ tere private, e all'interno di esse possiamo assistere ad un'evolu­ zione da uno scritto d'occasione causato da necessità legate ad una particolare situazione, come è il caso della prima lettera ai Tessalonicesi, all'inizio di una vera e propria pubblicistica cri­ stiana, rappresentata dalla lettera ai Romani. 5·1

La 1 Lettera ai Tessalonicesi: uno scritto necessitato dalla situazione Paolo fondò la comunità cristiana di Tessalonica all'interno del­ la cerchia della comunità giudaica (cfr. At. I 7 , I - I _5 ) . Anche molti timorati di Dio, vale a dire simpatizz�nti non giudei del giudaismo, aderirono ad essa. La comunità giudaica perse in tal modo numerosi personaggi di riferimento al suo interno e, a partire da ciò, cominciò a percepire il movimento cristiano come pericolo politico. Ciò risulta dall'accusa inoltrata davanti al magistrato preposto, per iniziativa di quella comunità, nei confronti di concittadini non giudei: r . i cristiani «mettono il mondo in agitazione» (At. 1 7 ,6); 2 . «vanno contro i decreti del­ l'imperatore, affermando che c'è un altro re, Gesù» (At. 1 7 ,7); 3 . deve aver giocato un ruolo anche l'accusa di brogli finanzia-

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IL N UOVO TESTAMENTO

ri: devono infatti depositare una cauzione (cfr. At. 1 7,9 ). Vero­ similmente a Tessalonica era già arrivata la notizia dei disordini accaduti nel 49 a Roma. Poteva generarsi l'impressione che i cristiani mettessero tutto il mondo in agitazione. Per prevenire tumulti nella loro città, la comunità giudaica, forse attraverso l'azione di alcuni timorati di Dio, fece citare in giudizio Paolo. Perciò egli in I Ts. 2 , 1 4- 1 6 reagisce con una brusca polemica contro i giudei, che ostacolano la sua missione presso i pagani, malgrado individui gli avversari specifici della giovane comunità di Tessalonica in esponenti non giudei: parla infatti di «vostri connazionali» (I Ts. 2 , 14). L'accusa concerneva il rifiuto della politica religiosa di Claudio e la proclamazione di Gesù a re. In I Ts. 4, 1 5 - 1 7 la > (Gv. I4,23). Ora, dunque, i "posti" della salvezza non sono più nei cieli, ma nei cuori degli uomini, e Gesù non li prepara più presso il Padre, bensì sono i suoi seguaci a dover far posto dentro di sé a lui e al Padre. Della paruszà , che prece­ dentemente era identificata con la Pasqua, si parla in un lin­ guaggio quasi mistico: «In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre e voi in me e io in voi» (Gv. I4,2o). Lo stesso di­ scorso vale per la vita eterna, che non è (solamente) qualcosa di futuro e viene definita a I7 ,3 come riconoscimento di Dio: «Questa è la vita eterna: che conoscano te, l'unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo». Così anche è per la ri­ surrezione e il giudizio finale, due eventi non limitati al futuro; è vero anzi che: «chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita» (Gv. 5 ,24) . TI giudizio ha · luogo già adesso nel cuore degli uomini, nel caso che accettino Gesù o lo rifiutino: «Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato» ( Gv. 3 , I 8) . Attraverso un tale trasferimento della salvezza escatologica nel presente, Gesù e il suo messaggio vengono a un confronto senza tempo con l'eternità di Dio. Cristo è l'inviato celeste, per mezzo del quale Dio stesso diviene accessibile. La sua immagi­ ne è modellata in base a quella allora diffusa circa messaggeri e inviati. La cristologia giovannea dell'inviato celeste comprende sei motivi: I . n messaggero è stato inviato. L a più frequente designazione di Dio che si ha nel Vangelo di Giovanni è: «il Padre, che mi ha mandato». 2. n messaggero deve trovare legittimazione. Rispetto a Gio­ vanni il Battista, Gesù dispone di una testimonianza superiore: le sue opere, la voce di Dio stesso e la Scrittura (cfr. Gv. 5 ,3 I ss. ) . Fondamentalmente, Gesù trova legittimazione attraverso la sua parola (cfr. Gv. 8 , r 3 ss. ). 3 · Un messaggero ha necessità di presentarsi, e l'inviato celeste lo fa attraverso le frasi che iniziano con " io sono" : io sono il

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IL N UOVO TESTAMENTO

pane della vita, io sono la luce del mondo, e così via (cfr. Gv. 6,35 ; 8 , 1 2 ; 1 0,7 .9 · 1 1 ; 1 1 ,2 5 ; 14,6; I j , I . j ) . 4· U n messaggero h a un ordine, o un " comandamento" . Per due volte Gesù ne dà una definizione, la prima come ordine di rivelare la vita (cfr. Gv. 1 2 ,;o), poi come ordine di rivelare il «comandamento nuovo» (Gv. 1 3 ,34) dell'amore. 5 . Il messaggero ritorna presso chi gli ha affidato l'incarico. Gesù ricorda in continuazione che egli ritornerà presso il Pa­ dre; a Maria Maddalena dice: «lo salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro» (Gv. 20, 1 7 ) . 6. I l messaggero rende conto sull'adempimento del proprio in­ carico: nel Vangelo di' Giovanni ciò avviene ancora prima del ritorno al Padre, nella cosiddetta "preghiera sacerdotale" , con­ tenuta nel capitolo 1 7 , in cui Gesù si rivolge così a Dio: (Gv. 1 ,50 s.). Tutte le aspettative vengono superate nel "vedere" l'imme­ diata unità di Gesù col mondo celeste. Gesù dunque non si sente ancora riconosciuto, se lo si interpella con i tradizionali titoli di maestà per esprimere la sua dignità. Ciò che è impor­ tante è come il Redentore definisce se stesso nei detti in prima persona, in cui una cristologia legata ai titoli è sorpassata trami­ te una cristologia per immagini: io sono il pane della vita, la luce del mondo, l a porta, il buon pastore, la risurrezione e la vita, e così via. Con tutte queste immagini il rivelatore si defini­ sce in un modo che trascende i ruoli tradizionali attribuiti al Redentore. Nella sezione dedicata al congedo (Gv. 1 3 - 1 7) Gesù entra in contrasto con il lutto e la paura dei discepoli: intende prepa­ rarli ad una vita senza di lui nel mondo. Così come per il suo operato pubblico Gesù aveva avuto il compito della rivelazione della vita, ne manifesta a questo punto uno nuovo, cioè quello della rivelazione del comandamento dell'amore. Espressamente parla di Wl nuovo comandamento che spetta a lui comunicare. Anche il nuovo comandamento è rivelato in stadi diversi ed è esplicitato per la prima volta nel discorso di congedo dialogico (cfr. Gv. 1 3 d4 s . ) , per la seconda volta in quello costruito come monologo (cfr. Gv. 1 5 , 12 - 17). C'è un indizio nel testo de­ notante che ci troviamo di fronte alla parte più importante del Vangelo di Giovanni. Gesù aveva spesso annunciato in prece­ denza che egli diceva quanto aveva ascoltato presso il Padre, ma noi non siamo mai in grado di ascoltare ciò direttamente. Solo in un'occasione il vangelo mette l'accento sul fatto che in quel preciso momento Gesù ha detto tutto quanto aveva udito

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8 . G L I SCRITTI G I OVANNEI

dal Padre, e questo accade con la seconda formulazione del co­ mandamento dell'amore: Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi co­ mando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udi­ to dal Padre l'ho fatto conoscere a voi (Gv. 1 5 , 1 2 - 1 5 ) .

In questo passo s i afferma esplicitamente che, col comanda­ mento dell'amore, è stato detto - davvero tutto - quanto Gesù ha appreso e deve comunicare in base alla sua intimità col Pa­ dre. L'intero Vangelo di Giovanni è concepito per portare una tale conoscenza dal cielo alla terra, conoscenza che supera tutte le precedenti rivelazioni, in quanto sino a questo momento i di­ scepoli nei confronti di Dio e di Gesù sono stati servi, ora sono divenuti suoi amici, grazie al segno distintivo di un nuovo sape­ re religioso. L'amore è contrapposto all' " odio" del mondo, che si mostra nelle persecuzioni, fra l'altro attuate anche per opera della Sina­ goga (cfr. Gv. 1 6,2), cui il Vangelo di Giovanni reagisce con tratti di antigiudaismo che, peraltro, non è comunque radicale; non si spiegherebbe altrimenti l'affermazione: «la salvezza viene dai Giudei» (Gv. 4,22) . Se è vero che i giudei presentati dal Vangelo di Giovanni cospirano ai danni della vita di Gesù e più tardi si rendono addirittura assassini di cristiani (cfr. Gv. 1 6,2), secondo l'opinione dell'evangelista non si comportano così spinti dalla propria volontà, in quanto come liberi figli di Abra­ mo non avrebbero compiuto nulla del genere (cfr. Gv. 8, 3 � s.): sono costretti da una volontà esterna, quella di Satana. E le­ gittimo domandarsi chi si nasconda dietro il Satana giovanneo. Nel vangelo egli è chiamato «il principe di questo mondo» (cfr. Gv. 1 2 ,3 1 ; 14,30; 1 6 , r r ) e, di fatto, sono i romani a profilarsi dietro l'immagine del demonio in veste di dominatori del mon­ do. Dopo che Satana è entrato in Giuda con lo scopo di con­ durre Gesù alla crocifissione (cfr. Gv. 1 3 ,27), anche Giuda stes-

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IL N UOVO TEST AMENTO

so in Gv. 14,30 viene designato come «principe del mondo» e in Gv. 1 8,3 può prendere «un distaccamento di soldati» con sé per arrestare e incarcerare Gesù. Era noto ai lettori di allora che nei territori dell'impero ciò sarebbe stato possibile solo per chi otteneva un apposito mandato dalle autorità romane e que­ sta constatazione finisce per legare idealmente i dominatori ro­ mani e Giuda. Per il Vangelo di Giovanni, dunque, non sono "i giudei" di per sé a rappresentare la causa primaria della morte di Gesù, bensì giudei caduti in potere dei dominatori di questo mondo. Satana è la rappresentazione simbolica del potere dei romani e il Vangelo di Giovanni, attraverso i mezzi di un linguaggio miti­ co che parla della contrapposizione fra giudei e cristiani, vuole esprimere l'estraniarsi del giudaismo da se stesso a causa del condizionamento politico. Nondimeno, si deve ricusare l'anti­ giudaismo giovanneo a motivo delle sue affermazioni che si prestano ad essere fraintese. ll mondo ostile si trova opposto alla comunità; riguardo ai ministri di essa, il vangelo giovanneo non dice nulla, dichiaran­ do che Gesù designa tre rappresentanti per i tempi dopo la sua morte: il discepolo prediletto, il Consolatore e Pietro. Nel discorso di congedo Gesù promette che dopo il suo ri­ torno al Padre egli pregherà che sia inviato «Un altro Consola­ tore» (paràkletos, cioè awocato, patrocinatore; Gv. 1 4, 1 6) e rappresentante. Durante la passione Gesù, appeso alla croce, designa suo rappresentante il discepolo prediletto, quando dice a Maria: «Donna, ecco il tuo figlio ! » (Gv. 19,26) . Dopo la ri­ surrezione, infine, è Pietro ad essere designato nel ruolo di Ge­ sù come pastore (cfr. Gv. 2 1 ,1 5 - 1 7): malgrado il tradimento e il rinnegamento Pietro può pascere le pecorelle e diverrà il buon pastore che sacrifica la vita per esse. Nel passo si predice anche il martirio di Pietro. Ciò che risulta decisivo è la funzione ogni volta specificata di questi tre rappresentanti (A. Schli.iter) . Nel Vangelo di Giovanni il discepolo prediletto h a il ruolo di servire Gesù come testimone che, meglio degli altri discepo­ li, ha compreso il Signore: il testo greco del vangelo adopera lo stesso vocabolo (kòlpos) per dire che egli è nel cuore di Gesù e

8 . GLI S C R ITTI G IOVA N N EI

che il Figlio è nel seno del Padre (cfr. Gv. r , I 8; 1 3 ,23). Come Gesù è l'interprete del Padre (cfr. Gv. r , r 8 ) , così il discepolo prediletto diviene il suo interprete. Nei confronti del Consola­ tore il discepolo prediletto ha un suo carattere proprio: scrive, compone un libro (cfr. Gv. 2 1 ,24), mentre il Consolatore parla. Con il suo libro fornisce al credo giovanneo una stabilità, nel senso di garantirgli d'essere presente anche nel futuro. ll Consolatore viene identificato nel Vangelo di Giovanni con lo " Spirito Santo" e con lo " Spirito di verità" : anche il Consolatore continua l'operato di Gesù, ma non fissa su papiro quanto egli ha detto. Porta una rivelazione nuova e vivente, a partire da ciò che Gesù stesso ha detto nel passato e andando oltre (cfr. Gv. r 6 , I 2 ) . Si è pensato con questo a una parola ispi­ rata: il Consolatore ripeterà quanto ha ascoltato e rivelerà il fu­ turo. La profezia del cristianesimo primitivo integra come paro­ la vivente la rivelazione fissata per iscritto, fornendo alla stabili­ tà della tradizione un certo grado di flessibilità col rendere pos­ sibili nuove interpretazioni e adattamenti a situazioni future. Pietro è l'ultimo dei tre successori. Nei confronti degli altri due è posto ad un livello nettamente più basso: se infatti il di­ scepolo prediletto incarna l'autentica comprensione di Gesù, Pietro al contrario accompagna il suo Signore con numerosi fraintendimenti. Tuttavia anch'egli riveste una funzione insosti­ tuibile, chiarita nella pesca miracolosa di Gv. 2 I : nel mondo simbolico giovanneo ha il compito di mantenere unita la comu­ nità. Malgrado la sua rete sia piena, non si strappa (cfr. Gv. 2 r , r r ) : egli è il pastore che deve tenere insieme la Chiesa cri­ stiana. Senza questa base sociale, anche la sublime teologia gio­ vannea, un'audace nuova interpretazione della religione cristia­ na primitiva, non potrebbe sussistere. In effetti il Vangelo di Giovanni costituisce una nuova inter­ pretazione della fede cristiana in un momento di svolta della storia della religione. Si percepisce in esso il prossimo avvento della "gnosi" , caratterizzata nel suo insieme da tre motivi fon­ damentali: I . una radicale svalutazione del mondo in quanto opera di un demiurgo privo di conoscenza o senz' altro cattivo,

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IL N UOVO TESTAMENTO

inferiore al Dio vero e trascendente, che viene differenziato da quest'ultimo; 2. un'altrettanto radicale rivalutazione della vera essenza dell'uomo, consistente in una scintilla divina che si è perduta in questo mondo; 3 . la convinzione che la salvezza ha luogo attraverso la "gnosi" , cioè tramite la conoscenza (gnòsis) intuitiva dell'identità fra l'essenza dell'uomo e quella del Dio trascendente. La gnosi si configura in questo modo come una variante di forme religiose mistiche. Nel Vangelo di Giovanni possiamo inquadrare Gesù come l'unico vero gnostico: sola­ mente lui è disceso dal cielo e sa che tornerà ad esso (cfr. Gv. 8 , 14). L'immagine del Dio creatore si capovolge in un passo addirittura in quella di un demonio (cfr. Gv. 8 ,37-47) . In realtà, una certa attrazione verso la gnosi è rintracciabile un po' dap­ pertutto nel vangelo giovanneo. Ma esso nel complesso rifiuta decisamente la gnosi: il mondo è stato creato dal Redentore stesso (cfr. Gv. r , r ss.) . L'uomo non può colmare il suo deside­ rio di Dio solamente riconoscendo la sua identità interiore con lui. Soltanto in Cristo diviene visibile Dio, che nessuno ha mai visto (cfr. Gv. r , r 8) , solamente per suo tramite il Dio trascen­ dente giunge a toccare il mondo. Questa attrazione verso la gnosi ebbe però ulteriori effetti: le lettere di Giovanni testimo­ niano determinate controversie in cui si impegnarono le comu­ nità giovannee. 8.2

Le lettere di Giovanni Come in generale la forma della lettera è più antica di quella del vangelo, così anche le lettere giovannee potrebbero essere più antiche del vangelo; nella cerchia giovannea, però, questo sviluppo sembra piuttosto aver proceduto al contrario, dal van� gelo per giungere alle lettere, in quanto nel vangelo troviamo un significativo confronto col giudaismo che scompare nelle let� tere dove, invece, la disputa è col mondo (i giudei non vengono citati in nessun passo) e si manifestano conflitti interni al cri� stianesimo stesso sulla corretta comprensione del Cristo. Anche

8. GLI SCRITTI G I O V A N N EI

questi conflitti sono conseguenze di una forma coerente di mo­ noteismo: se Dio è pensato in forma trascendente, è difficil­ mente concepibile che egli possa giungere ad avere un qualche rapporto con la terra. Proprio questa, tuttavia, era l' affermazio­ ne fondamentale del Vangelo di Giovanni: «E il Verbo si fece carne» (Gv. r , r4). Nella gnosi, che allora cominciava a diffon­ dersi, fu solo la trascendenza di Dio ad essere esaltata ancora di più, mentre il mondo, in quanto luogo del male, venne ulte­ riormente svalutato; in quest'ambiente era ancora più difficile capire che in Cristo Dio e il mondo si erano incontrati. Anzi, si era propensi a dire che la divinità si era unita ad un uomo terreno solo transitoriamente, e si era da lui separata ancor pri­ ma della morte. Questa concezione, che può essere considerata una forma di " docetismo" in senso lato, condusse secondo la r Lettera di Giovanni ad una spaccatura all'interno della comuni­ tà. Nel gruppo dei "dissidenti" doceti vennero sviluppate ten­ denze che erano presenti nello stesso Vangelo di Giovanni: essi pensavano se stessi come un gruppo asceso ad un livello supe­ riore rispetto al "normale" cristianesimo, in quanto più progre­ diti (cfr. II Gv. 9) . 8.2.1.

LA

I LETTERA DI GIOVANNI

La I Lettera di Giovanni è scritta per rendere più accettabile ad un pubblico cristiano più vasto l'audace messaggio teologico del vangelo, facendo qualche passo indietro. Ad esempio, l'e­ scatogia nella forma al futuro viene più fortemente sottolineata: «Ciò che saremo non è stato ancora rivelato» (I Gv. 3 ,2 ) . La I Gv. si vuole presentare come autocorrezione propria di colui che ha composto il vangelo; anche se non nomina alcun autore, mette in rilievo: «ciò che noi abbiamo veduto con i nostri oc­ chi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita [ . . ] di ciò rendiamo te­ stimonianza» (I Gv. r , r-2). È ovvio che in questo passo pre­ tende di parlare un testimone oculare, addirittura qualcuno che è stato in contatto fisico con Gesù, come il discepolo prediletto .

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IL N UO V O TEST A M E NTO

che reclinava il capo sul "petto" di lui (cfr. Gv. 1 3 ,2 3 ; 2 1 ,20). Ci chiediamo, certo, p erché l'autore delle lettere non citi in nessun luogo il vangelo. E ovvio che se la I Lettera di Giovanni avesse citato il vangelo come un libro estraneo, il lettore comune avrebbe spontaneamente distinto fra la persona dell'autore della lettera e quella dell'autore del vangelo. Diversamente si com­ porta chi legge lo scritto con occhio storico-critico. Malgrado il medesimo stile e una teologia simile, si possono individuare si­ gnificative differenze fra il vangelo e la I Lettera di Giovanni, una delle quali è che se nel vangelo le affermazioni di tono mi­ stico sono limitate al solo Cristo, la I Lettera di Giovanni cono­ sce un'intera mistica di Dio: «Dio è amore; chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio dimora in lui» (I Gv. 4, r 6) . 8 . 2 . 2 . L A II E LA III LETTERA DI GIOVANNI

Le due brevi lettere ci permettono di dare uno sguardo al lato quotidiano della disputa che aveva luogo nella cerchia giovan­ nea. In esse, come autore compare un personaggio che si desi­ gna come " presbitero " , non nel senso della carica già ampia­ mente diffusa nel cristianesimo di quei tempi. Con il termine "anziano" (presbyteros) ci si riferisce piuttosto a un carismatico, che deve il soprannome alla sua età. Che egli sia l'autore della I Lettera di Giovanni o addirittura dell'ultima redazione del van­ gelo è un'ipotesi che torna sempre a farsi avanti, ma che non riesce a consolidarsi davvero. Nella seconda lettera l'autore vieta alla comunità cui si ri­ volge di accogliere i portatori itineranti di un falso insegnamen­ to, e come criterio di verità viene chiamata in causa la fede nel­ l'incarnazione. Si tratta di personaggi che intendono elevarsi al di sopra del credo normale della comunità (cfr. II Gv. 9) . L'e­ sclusione deve essere applicata con ferrea coerenza e ad essi deve essere negato persino il saluto (cfr. II Gv. r o s.) . Se per saluto s'intendesse il «bacio santo» (I Cor. r 6,2o), la cosa sa­ rebbe di più lieve entità; ma se fosse in questione la normale considerazione dovuta agli altri, sarebbe qui avvertibile il po-

8 . G LI SCRITTI G I O V A N N E I

tenziale inquisito rio anche di una " teologia dell'amore'' come quella giovannea. Il lettore moderno della III Lettera di Giovanni prova una certa soddisfazione nel constatare che all'autore accade ciò che egli ha raccomandato nei confronti di altri: i suoi inviati non sono accolti dal leader di una comunità di nome Diotrefe, ma trovano riparo nella casa di un certo Gaio. Con ogni verosimi­ glianza Diotrefe e i suoi si consideravano rappresentanti della retta fede cristiana, e si difendevano dall'irrompere di un grup­ po la cui teologia era in effetti assai audace. A loro volta, gli inviati dell'" anziano" si consideravano con lo stesso diritto rap­ presentanti del vero cristianesimo. A livello strutturale, il con­ trasto si può inquadrare come disputa fra autorità della comu­ nità locale e carismatici itineranti, disputa che, alla luce della III Lettera di Giovanni, si stava risolvendo sempre più a favore del­ le autorità locali. A nostro avviso, mentre la I Lettera di Giovanni presuppone il vangelo e intende renderne la teologia accettabile per creden­ ti di livello medio, riguardo alla seconda e alla terza lettera si potrebbe prendere in esame l'ipotesi che esse siano più antiche del Vangelo di Giovanni. Inoltre, a differenza della prima, esse sono lettere autentiche e il loro autore, il "presbitero " , è una figura storica. Rimane aperta la questione se con la seconda e la terza lettera: possiamo affermare davvero di avere a che fare con la preistoria del Vangelo di Giovanni. Se il comandamento del­ l' amore contenuto in II Gv. 5 viene espressamente inteso come comandamento in vigore nella comunità fin dall'inizio e non come "nuovo comandamento" , allora è con chiarezza presup­ posto il vangelo, in cui viene introdotto il «comandamento nuo­ vo» (Gv. 13 d4) . I Gv. 2,7 s. mette in relazione tutte e due le disposizioni: l'antico comandamento è nel contempo anche il nuovo. Più probabilmente, le tre lettere furono composte all'in­ terno di un ambiente in cui circolavano già raccolte di lettere del cristianesimo primitivo e in cui si voleva creare una sorta di compensazione nei confronti della raccolta delle lettere paoline. Tutto ciò fa pensare ad una formazione relativamente tarda del­ le lettere di Giovanni, dopo il vangelo.

IL N U OVO TESTAMENTO

8. 3

L'Apocalisse di Giovanni (appendice)

L'Apocalisse venne aggiunta agli scritti giovannei durante il pro­ cesso di formazione del canone neotestamentario. L'autore, il profeta cristiano Giovanni in esilio sull'isola di Patmos, fu in un secondo momento identificato con l'evangelista Giovanni. L'identificazione non venne resa possibile solo dall'uguaglianza del nome. L'autore del Vangelo di Giovanni era stato messo in relazione in Gv. 2 1 ,2 1 -23 con un'intensa attesa di cose immi­ nenti: su di lui si sparge la voce che farà esperienza da vivo della venuta del Signore; proprio questo tipo di aspettativa si può cogliere alla fine dell 'Ap oca lisse , in cui Gesù promette: «Sì, verrò presto ! » (Ap. 2 2 ,20). L'attesa di cose imminenti, che rau­ tore del vangelo aveva lasciato molto indietro grazie alla pro­ pria forma di escatologia al presente, riprese tutto il suo vigore nell'Apocalisse; detto ciò, siamo in grado di constatare che col Vangelo di Giovanni e con l'Apocalisse ci troviamo in due mon­ di diversi. Se avessimo a che fare con il medesimo autore, do� vremmo supporre una frattura netta nel suo pensiero e nel suo modo di scrivere. Già nella Chiesa antica erano stati avanzati dubbi su questa identificazione. Giovanni e la sua cerchia erano probabilmente originari del­ la Palestina (cfr. Ap. 22,9). La guerra giudaica (66-74) aveva se­ gnato la loro esperienza esistenziale. Ap. I r , r s. riporta una profezia che potrebbe essere stata formulata verso la fine della guerra, in quanto in essa l'atrio esterno del Tempio appare es­ sere già preda dei nemici, mentre i giudei, all'interno, sperano ancora in un miracolo di Dio. Il circolo profetico che sta dietro l'Apocalisse aveva fatto esperienza dell'impero romano come potenza di distruzione e ciò si fa sentire sia nelle paure sia nelle speranze che formula. Tali personaggi sono stati costretti dalla guerra a spingersi sino in Asia minore; è loro familiare la lingua ricca di immagini del genere apocalittico. In un'apparizione in­ troduttiva di Gesù, il profeta riceve il compito di fissare per scritto le cose che ha «visto, quelle che sono e quelle che acca­ dranno dopo» (Ap. r , r 9 ) . L'autore porta a termine la prima

8 . G L I SCRITTI G I OVA N NEI

parte dell'incarico indirizzando alle comunità scritti in cui ven­ gono toccati problemi relativi alla situazione presente, la secon­ da tramite più cicli di visioni. La situazione presente delle comunità risulta da sette scritti che il profeta invia loro (cfr. Gv. 2 , 1 - 3 ,22). Ad esempio, a Per­ gamo e Tiatira combatte i nicolaiti e alcuni seguaci di una certa profetessa Iezabele; ad entrambi i gruppi viene rinfacciato un comportamento osceno e la consumazione di carni immolate agli idoli (cfr. Ap. 2 , 14 s. ; 2 ,2o). Si poteva trattare di cristiani che avevano fatto proprio il senso paolina della libertà riguardo alle carni immolate e non si prospettavano la necessità di ri­ durre i contatti col mondo pagano. n profeta intende frapporre una barriera fra questi cristiani e il mondo, anche tramite la de­ monizzazione di quest'ultimo e ciò anche perché, accanto al fronte di lotta interno, ne esiste uno esterno, vale a dire quello con lo Stato romano. Il confronto con l'impero viene introdotto grazie ad una grandiosa visione della sala del trono di Dio, che costituisce un'immagine di contrasto rispetto al consiglio imperiale. Quan­ do Dio riceve gli appellativi di «Signore e , Dio nostro» (Ap. 4, 1 1 ), si crea un contrasto cosciente con quelli di Domiziano, chiamato dominus et deus. Il tema centrale dell'Apocalisse è co­ munque il conflitto fra Dio e le potenze terrene, condotto attra­ verso l'immagine dell'agnello immolato, una vittima, simbolo di Cristo. Solamente questo " agnello" è in grado di aprire il libro con i sette sigilli, in cui è riposta la soluzione agli enigmi della storia del mondo. Il libro contenente la fine della storia viene aperto: in esso si trovano immagini da incubo relative a flagelli escatologici, or­ dinati ciclicamente secondo i sette sigilli, le sette trombe e le sette coppe. Abbiamo di fronte sempre gli stessi avvenimenti, che sono tuttavia rappresentati ogni volta in modo diverso. Con Ap. 1 2 , 1 ss. inizia il grande conflitto con le potenze ostili a Dio; Satana è stato precipitato dal cielo e tanto più imperversa sulla terra, sapendo che «gli resta poco tempo» (Ap. 1 2 , 1 2 ) : l'oggetto della sua ira è una donna con un figlio. Altre due bestie svelano attorno a che cosa si sviluppa il conflitto: i cristiani risultano

IL N U OVO TEST A M ENTO

essere esposti alle conseguenze della propaganda per il culto dell'imperatore. A Pergamo c'era già stato un martire, Antipa, (cfr. Ap. 2 , 1 3 ) , anche se non si può parlare di una persecuzione in grande stile; non sono infatti tanto delle esperienze di perse­ cuzione a segnare l'immagine che si ha del mondo, quanto l'at­ tesa di esse. Proprio per questo è necessario ammirare la sensi­ bilità del profeta deil'Apocalirse: nessun autore neotestamenta­ rio ha chiara quanto lui l'inconciliabilità fra uno Stato che ha pretesa di occupare anche il livello religioso e il cristianesimo, e tutto dò in tempi in cui, di fatto, il contrasto era ancora molto limitato. In immagini di carattere mitico l'autore intende affer­ mare che il problema in sé non è costituito dal potere politico, bensì dai suoi adoratori. Per questo fa sorgere dalla terra una seconda bestia (cfr. Ap. 1 3 , 1 1 - 1 8) : essa simboleggia i rappresen­ tanti del culto dell'imperatore in Asia minore, il cui effetto ro­ vinoso è raggiunto solo per mezzo del consenso degli uomini. Questo quadro ben si adatta all'ultimo periodo di Domiziano, dunque verso la prima metà degli anni Novanta, quando il cul­ to dell'imperatore fu introdotto a forza in Asia minore dall'ari­ stocrazia locale. I cristiani vennero a trovarsi in una difficile si­ tuazione, ma, in ogni caso, non si può dire che l'impero roma­ no abbia loro dichiarato guerra, quanto piuttosto, al contrario, che un profeta del cristianesimo primitivo l'abbia dichiarata ai romani. TI profeta vede nell'impero l'incarnazione di Satana e Roma è facilmente riconoscibile dietro i tratti di Babilonia, la grande prostituta, «ebbra del sangue dei santi » (Ap. 1 7 ,6) , che sprofonderà assieme a tutto il suo potere politico ed economi­ co. Alla fine dello scritto (Ap. 1 9 , 1 r 2 2 ,5) incontriamo visioni riguardanti il compimento del piano storico di Dio, in partico­ lare un'imponente visione sul regno di mille anni (cfr. Ap. 20) che precederà la fine vera e propria e in cui il Messia governerà con i martiri, visione che è l'archetipo di tutti le concezioni mil­ lenariste. Dopo, ci saranno un nuovo cielo e una nuova terra e Dio abiterà presso gli uomini: «Tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affan­ no» (Ap. 2 1 ,4). Il grande tema dell'Apocalisse, dunque, è l'imporsi di Dio -

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8 . G L I S CRITTI G IOVANNEI

contro tutti i suoi oppositori, segnatamente contro il potere po­ litico ed economico di Roma. Mentre altri stavano dando espressione alla sensazione che Roma sarebbe rimasta in eterno, l'Apocalisse ci consente di posare lo sguardo all'interno di una piccola cultura marginale che si aspettava il collasso della po­ tenza romana. Roma è presentata come bestia assetata di san­ gue. La sua aggressività, che è manifestata in queste visioni da fiumi di sangue, può turbare: sono fiumi di sangue causati da un potere politico che desidera imporsi in modo assoluto. Ad esso viene contrapposto il sangue dell'agnello, " immolato" pro­ prio ad opera di tale potere. Il fatto che questo scritto animato da forte spirito di rivolta sia stato accolto nel canone neotesta­ mentario (sebbene in Oriente ci siano state delle perplessità) , dimostra l'enorme potenziale di ribellione che questa cultura marginale, ostentatamente contraria alla lotta violenta, aveva in sé e che è comprensibile e, forse, anche giustificato di fronte agli eccessi di una forma assolutistica di potere.

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Il percorso verso il " Nuovo Testamento" come unità letteraria

Il Nuovo Testamento come noi lo conosciamo è il risultato di un processo articolato in tre fasi: all'inizio esisteva una comuni­ tà fondata sulla comunicazione orale, rappresentata dalle tradi­ zioni su Gesù e dall'annuncio degli apostoli. Queste tradizioni orali sono ancora riconoscibili sia nelle brevi pericopi dei van­ geli, che potevano essere tramandate ciascuna per sé, sia nelle formule e nelle professioni di fede delle lettere, nelle quali ci sono conservati frammenti della lingua degli antichi cristiani. La tradizione orale soprawisse anche dopo la sua fissazione in forma scritta; ancora nel secondo secolo Papia valutava «la te­ stimonianza viva e persistente» (Eusebio, Storia ecclesiastica III 3 9,4) più di tutti i libri. Anche gli scritti della prima generazio­ ne cristiana, le lettere di Paolo e la fonte Q, affondano pro­ fondamente le loro radici nella tradizione orale, in quanto Q fissa la tradizione dei carismatici itineranti e Paolo rimpiazza la propria presenza fisica tramite l'invio di lettere. Solo con la Let­ tera ai Romani si supera la soglia che conduce ad una vera e propria pubblicistica. Nella seconda fase si costituì una comunità letteraria chiusa all'interno delle comunità. Il periodo che va dal 70 al 1 2 0 rap­ presenta il momento di fioritura della letteratura protocristiana, in cui vennero formandosi la maggior parte degli scritti con­ fluiti nel Nuovo Testamento. Alle lettere autentiche di Paolo si aggiunsero le lettere pseudoepigrafe, che non sono comprensi­ bili senza presupporre un intenso utilizzo delle epistole paoline. Nella forma letteraria dei vangeli vengono rielaborati scritti più antichi adoperati come fonti: il Vangelo di Matteo e il Vangelo

IL N UOVO TESTAMENTO

di Luca utilizzano Q e il Vangelo di Marco. Nel Vangelo di Gio­ vanni si manifesta la conoscenza degli altri vangeli, senza tutta­ via che essi servano quali fonti. Con tutto ciò, vangeli e lettere testimoniano per questo arco di tempo un vivace processo di riferimenti intertestuali fra testi scritti, e cioè uno straordinaria­ mente fitto scambio letterario fra le comunità. Tale scambio, comunque, continua ancora a rimanere unito a quello delle tra­ dizioni orali. Tuttavia, sulla base delle intenzioni che emergono dai testi, le lettere pseudoepigrafe e i vangeli vorrebbero svio­ colarsi dall'interazione con i propri autori, rappresentando fin dall'inizio una forma di pubblicistica. In questo periodo i riferi­ menti intertestuali continuano a limitarsi agli scritti del cristia­ nesimo primitivo, che non si rivolgono ancora al mondo ester­ no alle comunità e anche a livello contenutistico non attingono dalla letteratura non cristiana: la citazione di Arato presente in At. 1 7,2 8 o il mito della fenice utilizzato come immagine sim­ bolica della risurrezione nella I Lettera di Clemente sono solo eccezioni. In generale, i testi cristiani determinano il proprio contenuto a partire dalle proprie tradizioni, che si rifanno alle Scritture giudaiche, a Gesù e agli apostoli. In una terza fase, nel corso del secondo secolo, il quadro diviene più variegato: il cristianesimo primitivo si trasforma in una comunità letteraria che si apre all'esterno, e la sua produ­ zione si sviluppa in tre direzioni. 1 . Le forme letterarie create per la comunicazione interna ven­ gono portate avanti negli scritti apocrifi e in quelli dei cosiddet­ ti padri apostolici; negli stessi apocrifi rintracciamo già in modo più significativo un'apertura verso le forme e i contenuti della letteratura pagana. Gli atti apocrifi degli apostoli mettono a frutto alcuni tratti del romanzo antico, i discorsi degli apostoli col Risorto elementi dell'antica letteratura dialogica, mentre gli scritti gnostici recepiscono temi del pensiero platonico. 2 . In quest'epoca comincia a formarsi per la prima volta una letteratura cristiana che si rivolge coscientemente al mondo esterno alle comunità, per far comprendere il fenomeno cristia­ no: si tratta della letteratura apologetica. Quadrato ed Aristide fecero arrivare all'imperatore Adriano i propri scritti apologeti-

9 · IL PERCORSO VERSO IL " N UOVO TESTAMENTO "

ci. A Roma furono scritte, fra il 1 5 0 e il 1 65 , entrambe le apo­ logie di Giustino. Negli apologisti il cristianesimo è presentato innanzi tutto come una religione ragionevole: il Lògos, che si è incarnato in Cristo, è parte della ragione universale che è pre­ sente ovunque a livello immanente. Socrate ed Abramo erano cristiani senza saperlo, prima di Cristo. Con questi scritti il cri­ stianesimo del primo periodo accoglie le forme letterarie del­ l' ambiente circostante, per mettersi nelle condizioni di comuni­ care con esso. Per questo motivo, negli apologisti può essere individuata la fine della· letteratura protocristiana e l'inizio della letteratura patristica. 3· Tutt'altro tipo di apertura nei confronti dell'ambiente ebbe luogo nel secondo secolo con la fioritura della letteratura gno­ stica, che non si rivolgeva al grande pubblico, bensì a circoli ristretti all'interno del cristianesimo, in cui era in corso di svi­ luppo una nuova interpretazione "filosofica" della fede cristia­ na. Maestri cristiani intendevano mediare una " conoscenza" (gnòsis) garante di salvezza; dalla tradizione platonica essi ripre­ sero l'idea del demiurgo, il creatore del mondo, distinto dal vero Dio trascendente, in quanto solamente un dio ignorante o ribelle poteva aver creato il mondo. In questa terza fase il cristianesimo primitivo venne trasfor­ mandosi in una comunità letteraria comunicativa rivolta all'e­ sterno. Questa nuova letteratura cristiana mette sempre più in risalto i primi scritti neotestamentari per la loro peculiarità, come scritti cioè che si nutrono completamente delle tradizioni del cristianesimo primitivo. Essi sono ora citati talvolta, con pretesa canonica, come l'Antico Testamento; i primi esempi sono rappresentati dalla II Lettera di Clemente (2 ,4) e dalla Let­ tera di Barnaba (4, r4). D criterio guida per l'annessione al cano­ ne era l'origine apostolica e la concordanza con le convinzioni cristiane. Rimaneva aperta la questione di quali scritti dovessero essere compresi nel canone. Lo stimolo a fare chiarezza su tale questione fu dato da Marcione, che era attivo intorno al 140 a Roma. Influenzato da dottrine che si rifacevano alla gnosi, intese diffonderle al di fuori dei circoli gnostici veri e propri, semplifi.candole e propa-

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gandandole con entusiasmo profetico. Marcione operava una distinzione fra il dio della giustizia, che si era manifestato nel­ l' Antico Testamento, e il Dio sconosciuto dell'amore, rivelato da Cristo; secondo Marcione l'Antico Testamento non poteva rappresentare la Scrittura dei cristiani, ma doveva invece essere sostituito da una raccolta di scritti in cui fosse registrata la rive­ lazione del Dio dell'amore. Solamente in Paolo egli trovava un chiaro riconoscimento della contrapposizione fra antica e nuova rivelazione. ll canone di Marcione, su questa base, era compo­ sto dal Vangelo di Luca, un seguace di Paolo, e da dieci lettere paoline, escluse le pastorali, pur nella convinzione che anche il Vangelo di Luca e le lettere di Paolo erano piene di interpola­ zioni successive, inserite dai giudaizzanti avversari di Paolo. Un tale tipo di canone pretendeva dunque di fondarsi su un testo depurato con criteri critico-letterari. È chiaro che sulla base di tali convinzioni Marcione non poteva mantenersi all'interno della Chiesa e fondò una propria Chiesa personale. Come reazione alla scelta di Marcione il cristianesimo pri­ mitivo trovò un accordo su un canone che, intenzionalmente, accordava una maggiore pluralità rispetto agli scritti e ai conte­ nuti da accogliere in esso. Dal momento che l'eretico Marcione aveva scelto un solo vangelo, il riconoscimento di quattro van­ geli come canonici divenne il segno della retta fede; così pure, poiché Marcione si era limitato a prendere in considerazione un solo apostolo, cioè Paolo, anche le lettere cattoliche, cioè le lettere di altri apostoli e fratelli del Signore, furono annesse al canone per creare una sorta di equilibrio con quelle paoline; ancora, visto che Marcione aveva rifiutato di considerare l'Anti­ co Testamento come fondamento della comunità, fermo restan­ do il suo pieno valore per i giudei, esso entrò stabilmente a far parte della Bibbia dei cristiani. Ci possiamo a questo punto chiedere dove fu dato il primo impulso alla formazione del canone neotestamentario. Data la presenza a Roma di Marcione attorno al 1 40, proprio nella ca­ pitale dell'impero potrebbe aver avuto inizio il processo di chiarimento che avrebbe condotto alla scelta degli scritti cano­ nici. Secondo la nostra opinione si trova in Giustino, anch'egli



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presente in Roma, l'accenno più antico ai quattro vangeli (cfr. Giustino, Dialogo con Trt/one r o3 ,8). Accanto al ruolo di Roma è presumibile che nel processo abbiano giocato un ruolo tradi­ zioni facenti capo all'Asia minore, dove il Vangelo di Giovanni, molto apprezzato in quell'area, venne affiancato con la sua pro­ pria cronologia pasquale ai tre sinottici. Anche le lettere pasto­ rali e l'Apocalisse di Giovanni fanno pensare all'Asia minore. Su questi presupposti è possibile ipotizzare che nel canone siano stati compresi, prima degli altri, scritti su cui le comunità cri­ stiane dell'Asia minore e di Roma potevano trovare un accordo. Al contrario, si rivelano marginali per quanto riguarda la for­ mazione del canone la Siria e la Palestina, paesi fulcro per l'ori­ gine del cristianesimo primitivo nel primo secolo. Nel secondo secolo, in effetti, soprattutto a causa della missione paolina, il centro di irraggiamento del cristianesimo si era spostato verso Occidente, e Roma ed Efeso avevano soppiantato Gerusalemme ed Antiochia. In conformità a questo fenomeno, scritti origina­ riamente composti in Siria furono ricollocati in "Occidente" : secondo Ireneo il Vangelo di Marco fu composto a Roma, il Vangelo di Giovanni ad Efeso. Altri scritti del cristianesimo del­ la Siria, come la Didachè o i vangeli giudeocristiani, in base ad una tendenza opposta non furono accolti nel canone, non aven­ do sostenitori in centri importanti dell'Asia minore e a Roma. Da che cos'era riconoscibile il Nuovo Testamento? In tutti i manoscritti cristiani incontriamo due particolarità: con assai po­ che eccezioni essi non sono costituiti da rotoli, ma da codici. I cristiani diffusero i loro scritti in una forma ancora non usuale per la letteratura antica. In ciò si poteva vedere anche una pre­ cisa presa di distanza dal giudaismo, i cui testi sacri erano su rotoli. In secondo luogo, tutti i manoscritti cristiani della Bib­ bia si caratterizzavano per alcune abbreviazioni, innanzitutto usate per i cosiddetti nomina sacra. Ad esempio, la parola greca theòs (Dio) venne abbreviata in ths, e così via. Questo tipo di abbreviazioni si trova nell'Antico Testamento come nel Nuovo, e anche questo fatto può essere interpretato quale rifiuto del pensiero di Marcione, in quanto la stessa omogeneità nella scrittura dei nomi simboleggiava l'unità di Dio nell'Antico Te-

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stamento e nel Nuovo, sottolineando la vicinanza del cristiane­ simo all'Antico Testamento e al giudaismo. Resta da stabilire quando abbia avuto luogo la formazione vera e propria del canone. Se è vero che Marcione ha svolto la funzione di catalizzatore del processo, allora esso deve aver avuto luogo fra il 1 40 e il r 8o circa. Ireneo, da parte sua, svi­ luppò la prima teoria sul canone intorno al r 8o: l'idea era quel­ la di un canone chiuso comprendente l'Antico e il Nuovo Te­ stamento. Per Ireneo la creazione, contenuta nell'Antico Testa­ mento, e la redenzione, contenuta nel Nuovo, fanno parte dello stesso insieme. Ciò pare costituire una risposta a Marcione, che metteva in aperto contrasto il Dio creatore e il Dio redentore. Inoltre, sempre secondo Ireneo, il canone comprendente quat­ tro vangeli è una necessità analoga alle quattro età del mondo, alle quattro direzioni principali dei venti, alle quattro stagioni. Una riflessione corrispondente sulle lettere, tuttavia, manca. So­ lamente per i vangeli il canone appare ormai chiuso, mentre per le altre parti si ha l'impressione che esso fosse ancora aperto. Questa situazione di apertura si trova ancora nel quarto se­ colo in Eusebio, che distingue tre categorie di scritti (cfr. Storia ecclesiastica III,2 5 , r -7) : r . Agli homologùmena, cioè agli scritti riconosciuti a livello ge­ nerale, appartengono ventidue testi: quattro vangeli, gli Atti de­ gli Apostoli, quattordici lettere di Paolo (inclusa la Lettera agli ebrei, che in Occidente era contestata); fra le lettere cattoliche solamente la I Lettera di Pietro e la I Lettera di Giovanni e, in aggiunta, l'Apocalisse, su cui tuttavia Eusebio non manca di esprimere alcune riserve. 2. Agli antilegòmena appartengono scritti dibattuti, ma tuttavia noti alla maggior parte dei membri della Chiesa. Comprendono cinque lettere cattoliche: la Lettera di Giacomo, la Lettera di Giuda, la II Lettera di Pietro e le altre due lettere giovannee. 3 · Fra i nòtha, vale a dire fra i falsi, Eusebio annovera gli Atti di Paolo, il Pastore di Erma, l'Apocalisse di Pietro, la Lettera di Barnaba, la Didachè, il Vangelo degli Ebrei. È interessante che a questo punto Eusebio torni a citare l'Apocalisse di Giovanni.

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Si potrebbe dire che la Lettera agli Ebrei era contestata in Occidente a motivo del rifiuto della possibilità di una seconda penitenza dal peccato, mentre in Oriente era contestata l'Apo­ calisse di Giovanni a causa di una certa mancanza di spirituali­ tà. All'infuori di questi scritti era comunque dibattuto lo status delle lettere cattoliche (eccetto la I Lettera di Pietro e la I Lette­ ra di Giovanni). Il canone neotestamentario con i suoi ventiset­ te scritti, come noi lo conosciamo, compare per la prima volta nella trentanovesima Lettera pasquale di Atanasio di Alessandria dell'anno 3 67 . Questo canone era valido almeno nell'area di competenza del vescovo alessandrino, cioè in Egitto e, comun­ que, a partire da quel momento non venne più contestato. Fu Lutero il primo a riaprire la questione, criticando sulla base della sua teologia la Lettera agli Ebrei, la Lettera di Giacomo, la Lettera di Giuda e l'Apocalisse, e considerandole una sorta di appendice al Nuovo Testamento: nelle traduzioni luterane, a tutt'oggi, contro ogni tradizione delle altre Chiese, questi scritti si trovano alla fine del Nuovo Testamento. Non possiamo fare affermazioni dirette sui motivi della for­ mazione del canone. Probabilmente, tuttavia, con la II Lettera di Pietro ci è stata conservata una specie di "editoriale" del Nuovo Testamento. La II Lettera di Pietro pare essere lo scritto più recente del Nuovo Testamento: essa presuppone tutte le parti del canone (vangeli, lettere di Paolo e lettere cattoliche) . II Pt. r , r 6 ss. fa riferimento alla versione di Matteo della trasfigu­ razione e conosce il termine "grandezza" proprio della versione di Luca. II Pt. 1 ,1 5 poteva riferirsi al Vangelo di Marco, sempre che si vogliano presupporre tradizioni come quelle citate da Pa­ pia, secondo le quali Marco avrebbe fissato per scritto i ricordi di Pietro. Anche il Vangelo di Giovanni non è sconosciuto al­ l' autore della II Lettera di Pietro, poiché in essa compare una profezia del martirio di Pietro stesso, che, altrove, si trova sola­ mente in Gv. z r , 1 8 s. (cfr. II Pt. r , r4). Inoltre viene citata una raccolta di lettere paoline, sulla cui interpretazione è in corso un dibattito (cfr. II Pt. 3 , 16), ed è conosciuta almeno una lette­ ra cattolica, la I Lettera di Pietro (cfr. II Pt. 3 , 1 ) . C'è la possibili­ tà che l'attesa di un nuovo cielo e di una nuova terra (cfr. II Pt.

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3 , 1 3 ) rimandi ad una conoscenza dell'Ap ocalisse (cfr. Ap. 2 1 , 1 ) . Nella II Lettera di Pietro possiamo cogliere anche un altro im­ portante elemento concernente la formazione del canone: l'au­ tore mette in guardia contro le false dottrine. Abbiamo notizia di personaggi che irridono il non verificarsi della parust'a : sono cristiani che parlano dei "padri" e, verosimilmente, si tratta di credenti che intendevano la fede cristiana a livello spirituale e non potevano condividere nel loro credo una paruszà intesa let­ teralmente. In questo senso, il canone neotestamentario si for­ mò anche come difesa contro le false dottrine. Detto ciò, non tutto risulta chiarito. L'importante enigma storico sulla formazione del canone resta che nel secondo seco­ lo non esistevano nel cristianesimo istanze direttive centrali che avrebbero potuto imporre un canone di scritti sacri: non vi era­ no sinodi interregionali, non vi erano vescovi con un primato indiscusso, non vi era alcun imperatore che fosse interessato al­ l'unità del cristianesimo. Malgrado questa situazione, si giunse ad un consenso non obbligatorio, in quanto, fatta eccezione per cinque lettere cattoliche, la Lettera agli Ebrei e l'Apocalisse, tut­ ti gli altri scritti erano ormai saldamente riconosciuti come ca­ nonici. La gran quantità di scritti gnostici in circolazione non ricevette considerazione. Il consenso si basò su criteri contenu­ tistici, sui quali ci si ritrovò d'accordo in maniera quasi sor­ prendente. Per porre una barriera nei confronti dello gnostici­ smo e di Marcione furono adoperati due criteri: l'unità di Dio e la realtà dell'incarnazione. Ogni scritto che predicava oltre al Dio vero e trascendente l'esistenza di un demiurgo inferiore come creatore del mondo fu rifiutato con decisione, e con questo venne espressa una con­ vinzione fondamentale: il mondo non è stato creato da un de­ miurgo ignorante o dalle intenzioni malvagie; esso è, invece, in principio, buono. La ragione di Dio, il suo Lògos, plasma e amministra il mondo. Fu presa allora, perciò, · in accordo con la tradizione giudaica e veterotestamentaria, la decisione di accet­ tare sostanzialmente che questo mondo si possa essere rovinato fino a questo punto per colpa della ribellione dell'uomo. L' ac-

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cettazione incondizionata della realtà ebbe espressione in forma mitica, come rifiuto della credenza in un dio creatore cattivo. Inoltre, venne rifiutato ogni scritto che intendeva smentire la realtà dell'incarnazione e che conteneva un insegnamento se­ condo il quale Dio si era unito solamente alla parte più elevata della natura umana oppure pretendeva che in Cristo si fosse ve­ rificata un'unione solamente provvisoria della natura divina e di quella umana, dunque un'unione solo "apparente" . Queste idee sono accomunate dalla definizione corrente di docetismo. An­ che in questo caso il successo fu determinato da una decisione fondamentale: non era necessaria solamente l'accettazione inte­ grale del mondo, ma anche quella di tutta la vita umana. Se Dio, tramite l'incarnazione del Figlio, aveva preso su di sé sen­ za riserve l'esistenza umana, compresa la sua corporeità e la morte, era possibile accettare la totalità della vita dell'uomo e non escludere alcun elemento di essa dalla salvezza. La piena accoglienza dell'uomo nella sua esistenza integrale fu espressa anch'essa in forma mitica come lotta contro le "false dottrine" docetiste. Bisogna ora evidenziare che cosa caratterizzava la fede dei primi cristiani sotto l'aspetto positivo. È giusto chiedersi in­ nanzi tutto che cosa determinava quella convinzione interiore in base alla quale erano pronti a sacrificare ogni cosa. Gli scritti del cristianesimo primitivo sono impregnati di uno spiri­ to, riconoscibile in pochi motivi basilari che tornano sempre a ripetersi. Essi non debbono per forza ripresentarsi in ogni scritto, ma sono come "somiglianze familiari" che legano tra di loro solo gruppi ristretti. Se le religioni sono lingue simboli­ che, allora questi motivi basilari possono essere considerati come la grammatica di queste lingue, la regola secondo la quale i segni sono collegati e organizzati. Gli uomini che vive­ vano nel mondo della fede neotestamentaria la interiorizzarono sull a base dei racconti e delle immagini del Nùovo Testamento stesso, al punto che essa era in grado di determinare sponta­ neamente il loro operato e la loro esperienza. Si può, come conclusione, stilare una lista aperta di questi motivi basilari nel Nuovo Testamento.

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r. Il motivo della creazione: ogni cosa potrebbe anche non es­ sere o essere diversamente. Una potenza divina creatrice dal nulla è attiva in ogni momento e si è manifestata nella storia con la venuta di Gesù. 2. Il motivo della sapienza: il mondo è stato creato per opera della sapienza di Dio, che si mostra in strutture inverosimili e spesso si nasconde sotto il suo contrario, fino alla "follia" della croce, in cui è nascosta la vera sapienza di Dio. 3 · Il motivo del miracolo: tutto ciò che accade è aperto a svi­ luppi sorprendenti e niente è completamente determinato. Dio e l'uomo, la fede e la preghiera possono produrre mutamenti miracolosi. Gesù è il portatore di questa potenza miracolosa. 4· Il motivo della distanza: ogni vita si svolge in una distanza qualitativa da Dio e non corrisponde alla realtà prima che l'ha prodotta e la contiene. Nell'uomo, questa distanza da Dio di­ viene cosciente attraverso l'esperienza della colpa e della soffe­ renza, che lo separano dalla divinità. In Cristo, Dio svela tale distanza e la supera. 5 . Il motivo della speranza e del rinnovamento: la storia porta con sé una promessa che cresce, fino all'attesa di un nuovo mondo, che inizia già da ora. L'uomo è cittadino di due diversi mondi, prigioniero con la carne (sarx) del vecchio mondo e de­ stinato con lo spirito (pnèuma) al nuovo mondo, che ha avuto inizio con Gesù. 6. Il motivo della conversione: l'uomo ha la possibilità di realiz­ zare un mutamento radicale. Come il mondo deve cambiare, per conformarsi alla volontà di Dio, così anche l'uomo può in­ traprendere una nuova vita, se si lascia crocifiggere con Cristo ed inizia con lui una vita nuova. 7. Il motivo delfesodo: non solamente i singoli uomini sono cambiati dalla chiamata di Dio, bensì interi gruppi, a comincia­ re dall'esempio dell'esodo di Abramo dalla patria e dall'esodo di Israele dalla terra straniera fino alla partenza della comunità neotestamentaria verso il nuovo mondo al seguito di Gesù. 8. Il motivo della fede: Dio si rende accessibile attraverso uo­ mini nei quali è possibile avere fiducia, cioè non primariamente per mezzo di strutture, istituzioni o elementi di pensiero, ma

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N UO VO TESTA MENTO

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attraverso un dialogo diretto e libero al di là di ogni costrizio­ ne. Al centro di tutti gli uomini, mediante i quali Dio parla, si trova Gesù di Nazaret. 9· Il motivo dell'incarnazione: Dio abita nel mondo reale. È presente in Israele, in Cristo, nella parola, nel sacramento e in ogni credente per mezzo del suo Spirito. L'incarnazione in Cri­ sto rende questa vicinanza di Dio all'uomo sicura una volta per tutte, anche nella colpa e nel dolore. Io. Il motivo della rappresentanza: vivere significa vivere per al­ tri, sia che si tratti di una vita di sofferenza tramite la quale si sviluppa un'altra vita, sia che si tratti di un consapevole vivere per gli altri. Le vittime dei sacrifici di sangue mostrano l' ob­ bligo di vivere a spese degli altri. Cristo mostra l'alternativa, il vivere come dono agli altri. I I . Il motivo del cambiamento di posizione: i primi diverranno gli ultimi e gli ultimi i primi. Da coloro che rinunciano al pro­ prio status fino a giungere all'ascesi o al martirio p romana una forza di cambiamento: ancora maggiore da Cristo, che da giudi­ ce divenne giudicato, da sacerdote vittima, da signore del mon­ do servo, da crocifisso il fondamento di nuova vita. I 2 . Il motivo dell'agàpe: ogni uomo diviene il nostro prossimo tramite l'amore, sia nella ricerca di coloro che si erano perduti, sia attraverso l'accoglienza degli stranieri o l'amore per il nemi­ co. Anche qui Cristo costituisce il prototipo di un amore di questo genere. n dono della sua vita è un dono fatto per coloro che erano "nemici" di Dio. I 3 . Il motivo del giudizio: la vita intera è sottoposta a processi di selezione. Solo l'essere umano è al corrente di questo, sa­ pendo che è minacciato non solamente come essere fisico ma anche come persona morale. Quanto egli ha fatto verrà valutato secondo criteri etici, in base ai quali Dio pronuncerà un giudi­ zio definitivo su di lui. Criterio e giudice è Gesù. I 4 . Il motivo della giustificazione: la legittimazione dell'essere è tanto ingiustificabile quanto quella dell'esistenza della vita. Si tratta di W1a creazione dal nulla, che l'uomo accoglie in manie­ ra recettiva, così come è accaduto per la sua esistenza fisica.

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IL N UOVO TESTAM ENTO

L'uomo non si è creato da sé. La base della giustificazione è un nuovo atto di creazione di Dio in Cristo. Questi quattordici motivi fondamentali uniscono le diverse tendenze della fede del cristianesimo primitivo. Se l'uomo è considerato alla luce di essi, indipendentemente dal suo status, dalla sua origine, dal suo destino e dalle sue qualità morali, gli viene assegnata un'incondizionata dignità. Allora fu scoperta questa dignità della singola persona, parallelamente a conver­ genti "scoperte" della filosofia ellenistica. Questa dignità resta tuttavia davvero incondizionata solo se non è fondata unica­ mente in determinati uomini. La maggior parte di questi motivi fondamentali dividono i cristiani dagli ebrei soltanto per il fatto che i cristiani li metto­ no in relazione con la persona di Gesù di Nazaret, mentre gli ebrei li riferiscono alla propria tradizione biblica. Entrambi i gruppi si sarebbero evoluti, dopo la distruzione del Tempio che li aveva tenuti legati fino al 70, in religioni del libro. Parallela­ mente alla formazione del canone neotestamentario nel secondo secolo, nel giudaismo, verso la fine dello stesso secolo, si ebbe la conclusione della mishnah codificata, vale a dire di trattati che si proponevano di dare un'interpretazione alla legge. Tutti e due i fenomeni sono sviluppi legittimi della Scrittura giudai­ ca, che, dal punto di vista storico, ha trovato una continuazione parallela nel Nuovo Testamento e nella letteratura rabbinica. Essa sarebbe stata ancora una volta sviluppata di nuovo attra­ verso l'islam, che attribuisce un certo valore, come documenti concernenti la rivelazione, all'Antico e al Nuovo Testamento. Per molti, oggi come allora, da questi testi si illumina nel tem­ po una scintilla di eternità. Ma anche per coloro che non li ascoltano più come parola sacra vale la pena Jeggerli e adden­ trarvisi. Essi appartengono al patrimonio culturale che è alla base della storia umana.

Glossario

Letteratura di rivelazione in cui figure del passato (come Enoch o Mosè) apprendono, attraverso visioni o viaggi in cielo, conoscenze e segreti celesti, in particolare circa la fine dei tempi e la storia del mondo. APOCRIFI Scritti affini a quelli biblici, ma non accolti nel canone. Letteralmente "scritti nascosti" .

APOCALITIICA

Letteralmente " corda tesa, misura" . Raccolta d i scritti che rappresentano per una comunità religiosa il fondamento normativa per la vita, l'interpretazione del mondo e l'etica. In senso allargato, è canonico ogni scritto che pretende per sé autorità normativa; in senso stretto, sono innanzi tutto canonici quegli scritti accolti in una serie ben definita che ha caratteri vincolanti per una comunità religiosa. CARISMA Letteralmente "dono della grazia". Nel cristianesimo primi­ tivo, dono straordinario dello Spirito Santo per il bene della comuni­ tà; nella sociologia moderna, ogni autorità che si basa su una capacità di emanazione irrazionale e personale. CANONE

Letteralmente " paolino in secondo grado". Defini­ zione data a scritti del cristianesimo primitivo, attribuiti a torto a Pao­ lo, ma comunque redatti nella consapevolezza di continuare l'eredità di pensiero dell'apostolo: II Tessalonicesi, Colossesi, E/esini, r-11 Timo­ DEUTEROPAOLINO

teo, Tito.

Dal greco dokèin, " apparire". Dottrina secondo la quale l'incarnazione di Dio in Gesù si è realizzata solo in modo apparente. Il docetismo in senso stretto ritiene che da Dio sia stato assunto solo un corpo fittizio e non reale. In senso più lato, ogni tendenza che sostiene un'unione solamente transitoria fra un corpo reale e un esse­ re divino, conclusasi prima della morte. DOCETISMO

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IL N U O VO TEST A M ENTO

Letteralmente "insegnamento sulle cose ultime" . Rap­ presentazioni della fine del mondo o di un radicale superamento del mondo presente vengono chiamate escatologiche. Se la fine dei tempi inizia nel presente, si può parlare di una " escatologia al presente" , se essa è invece attesa per l'avvenire di una " escatologia al futuro" . ESSENI Dall'ebraico chassidim, "pii " . Definizione indicante un grup­ po interno al giudaismo, nominato dalle fonti accanto a farisei e sad­ ducei. Si ritiene oggi che il principale insediamento degli esseni si tro­ vasse nell'area di Qumran, sul Mar Morto, senza che, tuttavia, la loro presenza fosse limitata solamente a quest'area. ESCATOLOGIA

GIUDAIZZANTI Esponenti del giudeocristianesimo che nel primo seco­ lo tentavano di far rientrare i cristiani nel giudaismo tramite l'accetta­ zione della circoncisione e delle norme alimentari. GLOSSOLALIA Nel cristianesimo primitivo (e nell'attuale movimento pentecostale) , modo di parlare durante esperienze estatiche o di tran­ ce, in cui venivano espressi enunciati incomprensibili. In senso solo secondario il termine può essere inteso nel significato di parlare lin­ gue straniere e sconosciute nel corso di esperienze estatiche. GNOSI Letteralmente "conoscenza". Corrente religiosa del secondo secolo che propagandava una radicale svalutazione di questo mondo, come opera di un demiurgo inferiore e incapace, insieme ad un'esalta­ zione dell'interiorità umana, parte del mondo celeste. Secondo la gno­ si la salvezza è possibile attraverso una conoscenza intuitiva dell'iden­ tità fra interiorità dell'uomo e mondo divino.

Letteralmente "l'unto". Nell'epoca neotestamentaria, defini­ zione corrente per colui che avrebbe dovuto portare la salvezza, figura raramente presentata e attesa nelle vesti di un sacerdote, più spesso di un profeta, ma ancor più di un re, capace di liberare Israele dal do­ minio straniero e di restaurarne la potenza politica. L'unzione era un tempo un rituale legato all'incoronazione, da ciò il nome di "unto". MISHNAH Letteralmente " ripetizione" . Definizione per la torah orale all'interno del giudaismo, che verso la fine del secondo secolo venne fissata per scritto divenendo parte integrante del talmud. MITO Letteralmente " racconto" . Solitamente, si tratta di una narra­ zione in cui è descritto come figure superumane (dei, demoni, angeli) abbiano dato forma al mondo in epoche preistoriche, ovvero si parla di azioni di personaggi di questo tipo alla fine dei tempi. Da questi MESSIA

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G L OSSARIO

racconti emerge quale deve essere il modello etico per l'uomo e come si devono adorare le divinità a livello rituale. Letteralmente "esortazione, incoraggiamento" . Insegnamen­ to etico nella forma di una successione di imperativi o di forme esor­ tative. PARUSlA Letteralmente "presenza" o " arrivo" . Nel Nuovo Testamen­ to il termine indica la nuova venuta di Gesù, attesa agli inizi come prossima. La presa di coscienza che una tale venuta non si verificava viene definita come ritardo della parustà. PERICOPE Letteralmente "brano" . Parte di testo biblico, posta alla base di un'interpretazione o semplicemente di una lettura particolare. Per i vangeli si tratta spesso di piccole unità originariamente indipen­ denti, che potevano essere tramandate isolate l'una dall'altra. PSEUDOEPIGRAFIA Letteralmente "falsa attribuzione" . In questa cate­ goria rientrano scritti pubblicati o diffusi sotto falso nome. PARENESI

SINOTTICI I primi tre vangeli, Matteo, Marco e Luca, così definiti dal momento che possono essere "visti insieme" a motivo della loro affi­ nità e possono essere riprodotti in una sinossi a tre colonne l'uno ac­ canto all'altro per realizzare un confronto. Sinossi significa infatti "vi­ sta d'insieme" .

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Bibliografia

Questa bibliografia è alleggerita e integrata rispetto a quella originale, rivolta esclusivamente ai lettori di lingua tedesca, e comprende opere in italiano di carattere generale (quelle aggiunte rispetto all'originale, tutte recenti e ricche di ulteriore bibliografia, sono contrassegnate da asterisco). Introduzioni H. Conzelmann, A. Lindemann, Guida allo studio del Nuovo Testa­ mento, edizione italiana a cura di M. Pesce, Marietti, Casale Monfer­ rato 1986 (Commentario storico-esegetico dell'Antico e del Nuovo Testamento. Strumenti 1 ) . *Nuovo grande commentario biblico, Queriniana, Brescia 1997 . *R. E. Brown, Introduzione al Nuovo Testamento, edizione italiana a

cura di G. Boscolo, Queriniana, Brescia

200 1 .

Gesù e l a tradizione s u Gesù G. Theissen, Gesù e il suo movimento: analisi sociologica della comuni­ tà cristiana primitiva, Claudiana, Torino 19 7 9 (Piccola collana moder­ na. Serie sociologica 36). G. Theissen, A. Merz, Il Gesù storico. Un manuale, Queriniana, Bre­ scia 1 999 (Biblioteca biblica 25). *J. P. Meier, Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico, 1 -2 , Que­ riniana, Brescia 2oo1 -2oo2 (Biblioteca di teologia contemporanea 1 1 7, 1 20) . Altri due volumi completeranno l'opera. Paolo e le lettere paoline ]. Becker, Paolo) l'apostolo dei popoli. Introduzione all'edizione italia­ na di R. Penna, Queriniana, Brescia 1996 (Biblioteca biblica 20 ) .

IL N UOVO TEST A M E NT O

-lfJJizionario di Paolo e delle sue lettere, a cura di G. F. Hawthome, R. P. Martin, D. G. Reid, edizione italiana a cura di R. Penna, San Pao­ lo, Cinisello Balsamo I 999· *G. Barbaglio, La teologia di Paolo. Abbozzi in forma epistolare, EDB, Bologna 1999 (La Bibbia nella storia 9).

I vangeli sinottici ]. Emst, Luca: un rt'tratto teologico, Morcelliana, Brescia I 9 8 8 . Id. , Marco: u n ritratto teologico, Morcelliana, Brescia I 990. Id. , Matteo: un ritratto teologico, Morcelliana, Brescia I 9 9 L Gli scritti giovannei R. E. Brown, La comunità del discepolo prediletto: luci ed ombre nella vita di una chiesa al tempo del Nuovo Testamento, Cittadella, Assisi I 982 . Il canone B. M. Metzger, Il canone del Nuovo Testamento, Paideia, Brescia I 997 (Introduzione allo studio della Bibbia. Supplementi 2 ) .

Carocci editore

Altri volumi della collana I. 2.

3· 4· 5.

6. 7.

8. 9·

I o. I I.

12. 13. I 4. I5.

16. I7. 18.

I9. 20.

Yann Le Bohec, L'esercito romano. Le armi imperiali da Augusto alla fine del terzo secolo Angela Vettese, Artisti si diventa John Woodhouse, Gabriele D'Annunzio. Arcangelo ribelle Mary Kaldor, Le nuove guerre. La violenza organizzata nell'età globale Paul Wouters, La bottega del filosofo. Ferri del mestiere per pensa­ tori debuttanti Giuliana Laschi, L'Unione europea. Storia, istituzioni, politiche Edoardo Boncinelli, Biologia dello sviluppo. Dalla cellula all'orga­ nzsmo Emilio Gentile, La via italiana al totalitarismo. Il partito e lo Stato nel regime fascista Donata Francescato, Anna Putton, Simona Cudini, Star bene in­ sieme a scuola. Strategie per un'educazione socio-affettiva dalla ma­ terna alla media inferiore Norberto Bobbio, Il dubbio e la scelta. Intellettuali e potere nella società contemporanea Giovanni Jervis, Giorgio Bartolomei, Freud Agostino Paravicini Bagliani, Il trono di Pietro. L'universalità del papato da Alessandro III a Bom/acio VIII Progetto Formazione Capodarco (a cura di) , L'operatore di strada Giovanni Curatola, Gianroberto Scarcia, Le arti nell'Islam Lorenzo Cionini (a cura di) , Psicoterapie. Modelli a confronto Giorgio Jossa, La verità dei Vangeli. Gesù di Nazaret tra storia e fede Piero Boitani, La letteratura del Medioevo inglese Victor Zaslavsky, Storia del sistema sovietico. L'ascesa, la stabilità, il crollo Elena Faccio, Il disturbo alimentare. Modellz: ricerche e terapie Ughetta Moscardino, Giovanna Axia, Psicologia, cultura e sviluppo umano

2 1 . Martin Wackernagel, Il mondo degli artisti nel Rinascimento fio­ rentino. Committentz� botteghe e mercato dell'arte

22. Achille C. Varzi, Parole, oggettt� eventi e altri argomenti di meta­ fisica

2 3 · Luigi Cancrini, Cecilia La Rosa, Il vaso di Pandora. Manuale di psichiatria e psicologia

2 4 . Vanna Gherardi, Milena Manini (a cura di), I bambini e la lettu­ ra. La cultura del libro dalt infanzia all'adolescenza

2 5 . Claudio Pierlorenzi, Alessandro Senni, L'alcolismo. Prospettive di ricerca e di intervento

2 6. Domenico Caccamo, Introduzione alla storia dell'Europa orientale 2 7 . Remo Fornaca, Introduzione alla pedagogia. Genesz: componenti, ruoli

28. Maurizio Cardaci (a cura di) , Ciber-psicologia. Esplorazioni cogniti­ ve di Internet

29. Isabella Imperiali, Agostino Lombardo, Storia del teatro inglese. 30. 3 1. 32 . 33· 3 4· 35 · 3 6. 37 · 3 8. 3 9· 4 0. 41.

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Dal Medioevo al Rinascimento Elisabetta Tarantino, Agostino Lombardo, Storia del teatro ingle­ se. L'età di Shakespeare Leonardo Tondo (a cura di), Gli adolescenti e l'amore Pier Luigi Postacchini, Andrea Ricciotti, Massimo Borghesi, Mu­ sicoterapia Domenico Fisichella, Totalitarismo. Un regime del nostro tempo, nuova edizione Gian Guido Belloni, La moneta romana. Società, politica, cultura Luigi Cancrini, La psicoterapia. Grammatica e sintassi Martin D. Pugh, Storia della Gran Bretagna. 1 7 89- 19 9 0 Robert Rosenblum, Trasformazioni nell'arte. Iconografia e stile tra Neoclassicismo e Romanticismo Avishai Margalit, Volti d'Israele Biancamaria Scarcia Amoretti, Il mondo musulmano. Quindici secoli di storia Angelica Mucchi Faina, Psicologia collettiva. Storia e problemi Danilo Zolo, I signori della pace. Una critica del globalismo giuridico Maria Anna Sestito, Storia del teatro inglese. La Restaurazione e il Settecento Orietta Rossi Pinelli, Arte di frontiera. Pittura e identità nazionale nell'Ottocento nord-americano Rita Gatti, Saper sapere. La motivazione come obiettivo educativo

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Daniela Guardamagna, Anna Anzi, Storia del teatro inglese. Il tea­ tro giacomiano e carolino Philippe Pergola, Le catacombe romane. Storia e topografia Eric G. Turner, Papiri greci, edizione italiana a cura di Manfredo Manfredi Horst Dippel, Ston'a degli Stati Uniti Andreas Becke, Gandhi Helwig Schmidt-Glintzer, La Cina contemporanea. Dalle gue"e dell'oppio a oggi Mirella Schino, Profilo del teatro italiano. Dal xv al xx secolo Hinrich Fink-Eitel, Foucault Gilda Bartoloni, La cultura viltanoviana all'inizio della storia etru­ sca, nuova edizione aggiornata Ave Appiano, Musei in tasca. Guida all'arte e all'archeologia in Italia Andrea Canevaro, Jean Gaudreau, L'educazione degli handicappa­ ti. Dai primi tentativi alla pedagogia moderna Anna Lisa Tota, Sociologie dell'arte. Dal museo tradizionale all'arte multimediale Isabella Camera D'Afflitto, Letteratura araba contemporanea. Dalla nahçlah a oggi Manfred Clauss, Cleopatra Margaret Rose, Storia del teatro inglese. COttocento e il Nove­ cento Michele Di Francesco, Introduzione alla filosofia della mente, nuo­ va edizione Felice Cimatti, Mente e linguaggio negli animali. Introduzz'one alla zoosemiotica cognitiva Jens Schlieter, Il buddhismo Luise Schorn-Schiitte, Carlo v Cristiano Castelfranchi, Isabella Poggi, Bugie, finzion� sotterfugi. Per una sdenza dell'inganno Riccardo Staglianò, Giornalismo 2 . 0 . Fare informazione al tempo di Internet Helmut Feld, Francesco d'Assisi Volker Reinhardt, I Medici. Potere e affari nella Firenze del Rinascimento Filippo Mignini, L 'Etica di Spinoza. Introduzione alla lettura Gilles De V an, L'opera italiana. La produzione, l'estetica, i capolavori Peter C. Hartmann, I Gesuiti Gerd Theissen, Il Nuovo Testamento