Il libro dei sogni. Rimini nei sogni e negli incubi di Fellini 1961-1983. Ediz. illustrata 8817018511, 9788817018517


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Il libro dei sogni. Rimini nei sogni e negli incubi di Fellini 1961-1983. Ediz. illustrata
 8817018511, 9788817018517

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FEDERICO FELLINI IL LIBRO DEI SOGNI

Rimini nei sogni e negli incubi di Federico Fellini 1961-1983

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Federico Fellini IL LIBRO DEI SOGNI In versione digitale I° eBook Rimini nei sogni e negli incubi di FF A cura di M. Guaraldi Introduzione di Paolo Fabbri Redazione Giuseppe Ricci e Ylenia D’Angelo Grafica e impaginazione Noel Bessah e Ylenia D’Angelo Versione e-Pub Prakash Mishra - JM InfoTech INDIA Credits per il materiale fotografico: Gran parte delle foto utilizzate per questo ebook provengono dall'edizione FEDERICO FELLINI LA MIA RIMINI (Guaraldi, 2007), di cui si riportano i seguenti credits: Archivio Minghini / Comune di Rimini; Rosangela Betti; Pasquale Bove; Giovanna Calvenzi; CEIS, Centro Pio Manzù, Silvio Canini; Company Rimini, Pino Cuccurrese; Piero Delucca; Chico De Luigi; Teo De Luigi; Raymond Depardon; F. Farassino; Stefano Ferroni / Immagine Pubblica, Rimini; Foto Bolognini; Riccardo Gallini / GR Photo, Rimini; Riccardo Ghinelli; Luigi Ghirri; Guido Guidi; Imperial War Museum (Londra), Giuseppe Liuzzi; Moretti Film (per il Club L’altro Mondo Studios di Rimini); Pier Giorgio Pasini; Marco Pesaresi / Isa Perazzini / Agenzia Contrasto, Roma; Provincia di Rimini, Publifoto; Venanzio Raggi / Rimini Press; Rimini Fiera, San Patrignano, Simonetti, Soprintendenza alle Antichità dell’Emilia Romagna; Studio Gabriele Basilico; Gianni Valentini; In particolare l’editore desidera ringraziare tutti i fotografi che hanno accompagnato Fellini nelle avventure dei set cinematografici e dei back-stages di tutti i suoi film e ci hanno lasciato la testimonianza inestimabile della creatività felliniana: Tiziana Callari, Elisabetta Catalano, Mimmo Cattarinich, Pierluigi Praturlon, Franco Pinna, Enrica Scalfari, Tazio Secchiaroli. Altre fotografie sono state reperite con licenza Creative Commons su © WIKIPEDIA L’editore dichiara pertanto di aver fatto tutto quanto era nelle sue possibilità per individuare i detentori dei diritti di tutto il materiale incluso nel presente ebook, ma esta a disposizione per ottemperare a quanto previsto dalla legge sul Diritto d’autore in caso di involontarie omissioni. The publisher gratefully acknowledges permission to reproduce quoted extracts within this ebook. Every effort has been made to trace copyright holders but where this has proved impossible, the publisher would be grateful for any information that would enable them to amend any omissions in future editions.

© 2011 Guaraldi Srl (per ogni tipo di versione digitale) Via Grassi 13, 47900 Rimini www.guaraldi.it - [email protected] © 2011, Fondazione Fellini Via Nigra 25, 47900 Rimini www.federicofellini.it - [email protected] © 2011 Francesca Fabbri Fellini Via Oberdan 1, 47921 Rimini [email protected] La presente edizione digitale fa riferimento alla preesistente versione cartacea Il libro dei sogni di Federico Fellini (2007) ISBN 978-88-1701851-7 © 2007, RCS Rizzoli via Mecenate 91, 20138 Milano www.rizzoli.rcslibri.corriere.it Work in progress Correzioni, suggerimenti e proposte a questa versione digitale potranno essere inviate a: [email protected] per il periodico aggiornamento del file posto in distribuzione. Ogni contributo accettato verrà citato fra i crediti in questo stesso colophon. ISBN EPUB 978-88-8049-510-9 ISBN PDF 978-88-8049-512-3

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FEDERICO FELLINI IL LIBRO DEI SOGNI

Rimini nei sogni e negli incubi di Federico Fellini 1961-1983

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NOTA DELL’EDITORE

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di Mario Guaraldi

Non ci si può accostare se non con rispetto e pudore alla materia per definizione spudorata dei sogni, a maggior ragione se sono i sogni di un genio come Fellini. Ma pudore non vuol dire solo evitare di sbattere sotto gli occhi della gente l’inconscio scoperchiato di un grande Maestro del cinema contemporaneo, secondo la logica voyeristica tipica di questi nostri tempi di basso impero. Significa soprattutto non pensare neppure di accostarsi ai sogni di Federico con l’atteggiamento di Lucy, la piccola e cinica psicoanalista dell’universo schulziano dei Peanuts, antesignana dei moderni psicoanalisti della mutua che imperversano sui giornali e nel piccolo schermo. L’impresa è tutt’altro che semplice. Il grande Libro dei Sogni di Federico Fellini - di cui si vagheggiava da anni - è stato edito nel 2007, per i tipi della Rizzoli RCS, a cura di Tullio Kezich, in tre distinte versioni cartacee: facsimilare, hard cover, e paperback, da cui sono state poi ricavate tre diverse traduzioni, in inglese, francese e tedesco. Le versioni digitali di questa opera colossale, che prendono oggi l’avvio per iniziativa della rinnovata Fondazione Fellini di Rimini, rimandano ovviamente alla fondamentale dimensione cartacea dell’opera1 (su carta erano ovviamente disegnati gli appunti felliniani del risveglio…) anche perché si è scelto di “abbordarla” digitalmente per estratti, per tagli tematici; carotaggi motivati sempre da qualche dichiarata ragione culturalmente rilevante, nell’obbiettivo di mettere a disposizione di un pubblico vastissimo di appassionati e cultori una materia così delicata ed esplosiva com’è la creatività di un genio vista nel suo più intimo backstage. Ma un approccio per sondaggi, comporta anche dei limiti e dei rischi non piccoli di forzature e di parallasse: questo primo eBook che presentiamo in occasione di eBookLAb, la prima Fiera del libro digitale (Rimini 3-5 marzo 2011) ne è un buon esempio, perché era inevitabile avvicinarsi al Librone indagando in primis il rapporto fra Fellini e la sua città, Rimini, dove fra l’altro è sepolto. Ma “Rimini” come parola chiave si rivela ambigua e non esaustiva: chiave troppo piccola o troppo grande a seconda della pozione che sorseggerà il lettore che ha deciso di rincorrere il Bianconiglio della sua curiosità; screening troppo rozzo, da un lato, perché molti sogni riguardano la città natale senza nominarla, esattamente come non è mai nominata ne I vitelloni; dall’altro perché la Rimini vera è sempre altrove come nota acutamente Paolo Fabbri nella sua Introduzione. Eppure, era davvero inevitabile assumere questa parola, “fatta di aste, di soldatini in fila”, come una sorta di linea gotica dell’inconscio felliniano, proprio perché “nominata”. E’ precisamente su questo confine mobile e sanguinante – proprio a Rimini si sono combattute le battaglie più sanguinose e cruente della Linea Gotica – che si giocano, credo, le peculiarità e le opportunità inedite di un libro digitale, che consente rimandi e assonanze, labirinti di ipertesto e fughe nel grande mare minaccioso del web, approfondimenti filmici e rimbombi di culture lontane, squarci di corrispondenze nel cosiddetto “reale” e rimbalzi di sogno in sogno, bengala della memoria… A quanto sopra va aggiunto che quando parliamo di eBook alludiamo a cose anche molto diverse fra loro (come diversa è l’edizione facsimilare del Libro dei Sogni, rispetto alla sua versione paperback): la linearità testuale e l’attuale dimensione in b/n di un pur buon ePub (o versione Kindle) ha ben poco a che vedere con la potenziale ricchezza grafica e impaginativa di un buon PDF accessibile; e ancor meno con una brillante Applicazione per iPad o Android. Nel realizzare questo primo eBook abbiamo solo tentato di testare tutte queste diverse opportunità, approfittando spudoratamente della materia per definizione criptata e ambigua che ci offre questa prima manciata di sogni felliniani.

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Una materia che chiede di essere “interpretata” col solo metodo legittimo, di derivazione paolina, di spiegare le cose felliniane con altre cose felliniane (“Fellinianibus felliniania, comparantes”), potenzialmente con infiniti “rimandi” (per parole chiave o meglio per libere associazioni) ad altri sogni, film, immagini, scritti, pescati da La mia Rimini, ad esempio, ma non solo. Questo gioco delle libere associazioni ci piacerebbe molto, moltissimo, rimbalzarlo sui lettori, proponendo loro – con link ad una specie di forum redazionale – di integrare gli scarni materiali qui raccolti con le proprie libere associazioni… Diciamolo: un wiki-libro senza fine, dove mese dopo mese il lettore-attivo si troverà “integrato” nel lavoro redazionale che crescerà e si trasformerà in rete sulle varie piattaforme distributive. E sarà divertente capire come le agenzie per l’ISBN riusciranno a rincorrere un libro cangiante e fuggitivo come quello ipotizzato, per attaccargli un numero identificativo che lo inchiodi nell’anagrafe libresca magari col nome di “eBook disperso fra i dispersi”! Fellini se la riderà di cuore. E, credo, sarà contento.

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INTRODUZIONE di Paolo Fabbri

Amarcord dovrebbe intitolarsi Asarcurdem (P.P. Pasolini)

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1. ITACA “Io ero Ulisse stavo un poco in disparte e guardavo lontano”. Federico Fellini ricorda così la sua collocazione immaginaria in un liceo classicamente diviso tra Greci e Troiani. Un’indicazione, tra le tante, del rapporto con la sua città, piccola Itaca da cui è partito e a cui ha fatto definitivo ritorno. Come sanno i filologi fellinisti e gli immaginosi felliniani, il grande regista non ha mai girato direttamente a Rimini e il nome della città non vi è mai pronunciato, neppure ne I vitelloni. Eppure Fellini amava le città italiane: ha girato un film su Roma e altri ne ha progettati su Napoli e Venezia. Penso che Rimini fosse, per lui, come l’invisibile Venezia di Italo Calvino. Ricordate? Alla domanda del Kan perché Marco Polo non fa mai il nome della città lagunare, questi ribatte che Venezia è la “città implicita” che gli permette di descrivere tutte le altre. E aggiunge: “Le immagini della memoria, una volta fissate con le parole, si cancellano (…) Forse Venezia ho paura di perderla tutta in una volta se ne parlo. O forse parlando di altre città l’ho perduta poco a poco”. Così Fellini. “Ho sempre parlato di Rimini anche nei film che non vi sono ambientati” (FF). La città definita obliquamente attraverso Ostia (“una Rimini inventata, una Rimini più vera di Rimini”, FF) che si trova peraltro sullo stesso meridiano, Roma (Romagna è un paese che sa di Roma e di campagna) e infine di Cinecittà nel teatro di posa “laboratorio magico, alchemico, demiurgico” (FF). Rimini non è rappresentata ma reinventata o trasognata. Non solo nelle maschere dei suoi personaggi, i quali finivano per confondersi con i ricordi originali, ma nelle sue componenti elementari: il mare, la nebbia la luce. Ricordate? “C’è sempre il mare come sfondo; un elemento primordiale, una riga blu che taglia il cielo e dalla quale possono arrivare le navi corsare, i Turchi, il Rex, gli incrociatori americani con Ginger Rogers e Fred Astaire che ballano all’ombra dei cannoni” (FF). O la nebbia che dà al Duomo il dono dell’intravisione o la luce estiva che taglia le piazze con ombre dechirichiane. Immagini luminose - per Fellini il film si scrive con la luce - che solo il cinema può realizzare; solo a Cinecittà Fellini poteva intimare: “Avanti il mare. Via con la pioggia. Vai con il sole”. Fellini è un cattivo turista-testimone che si dichiarava romagnolo (e quanto a passione politica, esquimese) perché gli sembrava complicatissimo, e forse inutile, dirsi italiano. Il luogo della sua memoria era delimitato dai quattro capi del suo letto d’adolescente, battezzati con i nomi dei quattro cinema della sua città. Nell’opera però voleva evitare ogni dimensione autobiografica: “Qualunque cosa, tranne (…) l’irritante associazione al ‘je me souviens’” (FF). Il vento e il carillon sono i segnali sonori nel missaggio dei ricordi. Una memoria filmica che non è nostalgica: è un deposito dove trovano posto “ricordi di rifiuto” (FF) che gli servono a liberarsi - e a liberarci - del provincialismo fascista con il suo contenuto “fanatico, provinciale, infantile, goffo, sgangherato e umiliante” (FF). Una volta svuotato, lo spazio dei ricordi obbliga l’artista a rinvenirne di nuovi. I film della memoria felliniana raccontano quindi episodi del tutto inventati - “Del resto che differenza fa?” (FF) - che proprio a questo devono la loro enigmatica trasparenza e l’indecifrabile chiarezza di cui si è tanto parlato. E soprattutto la loro glocalità situata e universale: nel ricevere l’Oscar del 1975, Fellini affermava che i personaggi di Amarcord vivono dovunque e che l’America si era accorta di questa “eterna provincia dell’anima”. Negli appunti di regia, Fellini si proponeva di “finire con parti via via più monche, lacerate, frammenti (…) per una magmatica liberazione di immagini”. La Rimini felliniana infatti è come un corpo amato e perduto che abbia disseminato dovunque i suoi dettagli e particolari; ha subito una “scomposizione

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picassiana” (FF) che va ricombinata in una vita artificiale, nel Frankenstein della nostra memoria. Com’è accaduto nella memorabile proiezione di E la nave va, al Grand Hotel di Rimini, il 25 settembre 1983. Ulisse aveva ragione: bisogna guardare lontano per reinventare i luoghi a cui fare ritorno. “L’unico vero realista è il visionario. Chi l’ha detto?” (FF).

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2. PAROLE Questa Rimini, implicita nelle immagini, è sempre presente attraverso la lingua, doppiata dalla sua parola. Nel 1947, al suo ritorno alla città distrutta dalla guerra, Fellini, ormai romano, nel “cratere lunare” delle macerie riminesi ascolta il suono dei nomi e la parlata dei superstiti. Li riconosce e si riconosce nella sinestesia del suo ascolto colorato. Una capacità di trovare equivalenze tra suoni colori e forme, che Fellini attribuisce ad alcuni personaggi dei suoi film (Lerinia, la Pina Bausch di E la nave va o nel progettato Viaggio a Tulùn), ma che è soprattutto sua. “C’è stato un periodo della mia infanzia - spiega in un’intervista - in cui all’improvviso visualizzavo il corrispondente cromatico dei suoni. Un bue muggiva nella stalla della mia nonna, e io vedevo un enorme tappetone bruno-rossastro che fluttuava a mezz’aria davanti a me. Si avvicinava, si stringeva, diventava una striscia sottile che andava ad infilarsi nel mio orecchio destro. Tre rintocchi del campanile? Ecco tre dischi d’argento staccarsi lassù all’interno della campana e raggiungere fibrillanti le mie sopracciglia sparendo all’interno della testa. Potrei continuare un’oretta buona, basta credermi”. Siamo tenuti a credere anche alla sua percezione colorata dei nomi di città. Mentre Rimini gli associa solo “una parola fatta di aste, di soldatini in fila”, Roma gli suona come “un faccione rossastro, un’espressione resa pesante e pensierosa da esigenze gastrosessuali: penso a un terrone bruno, melmoso: a un cielo ampio sfasciato, da fondale dell’opera, con colori viola, bagliori giallastri, neri, argento: colori funerei. Ma tutto sommato è un volto confortante”. Fellini abita il suo dialetto - non facile da capire: “come se un cinese parlasse con la testa sott’acqua” (FF) - al punto che anche una bestemmia come “Osciadlamadona” gli sembrava d’una sonorità più bella di “Rasciomon”. Lo prova quella sequenza fonetica che - con“AsaNIsiMAsa” - compone la sua parola talismano: “Amarcord”. Trovata scarabocchiando, venne scelta al posto del vecchio titolo “Ebourg”, una “parola dura, gotica, arcana” da conservare per intero nell’arca della memoria. Amarcord invece, scrive Fellini, è “una paroletta bizzarra, un carillon, una capriola fonetica un suono cabalistico, la marca di un aperitivo…”. “Una parola che nella sua stravaganza potesse diventare la sintesi, il punto di riferimento, quasi il riverbero sonoro di un sentimento, di uno stato d’animo, di un atteggiamento, di un modo di sentire e di pensare duplice, controverso, contraddittorio, la convivenza di due opposti, la fusione di due estremi come distacco e nostalgia, giudizio e complessità, rifiuto e adesione, tenerezza e ironia, fastidio e strazio”. Amarcord, un nome proprio, l’esplicito sinonimo di Rimini?!

3. SPETTRI Molte città vivono nel genere letterario e artistico dei loro misteri. Nonostante la sovraesposizione mediatica, anche Rimini ha i suoi: il dado e il Rubicone di Cesare, il dramma medievale di Paolo e Francesca, le spoglie misteriche di Gemisto Pletone, il Tempio Malatestiano, tra i Cantos di E. Pound e lo zodiaco di A. Warburg, il riverbero massonico di Cagliostro, fino al verso enigmatico e sconsolato di E. Pagliarani: “muore anche il mare”. A questa filza di segreti Fellini ha aggiunto i propri fantasmi, in primo luogo quelli dei suoi morti con cui entra in commoventi conversazioni (v. il cimitero di Otto e mezzo). “Quando vengo a Rimini - ha detto in più d’una occasione - sono aggredito dai fantasmi, che pongono domande a cui è imbarazzante rispondere”. Rimini è un luogo dove “ci si sente” e persino l’orizzonte marino, anche se ridotto a scenografia e fondale è una“forza generatrice di fantasmi” (FF). Il dialogo, con o senza risposta coi morti, con l’al di là, è il paradigma di ogni comunicazione, e Fellini lo riprende attraverso la sua esperienza mediale e con curiosità medianica. Vuole “attraversare la vita abbandonandosi alla seduzione del mistero” e ritrovare le figure dell’inconscio (“o le anime dei defunti che sono la stessa cosa”, FF) come informazione sulla coscienza e sull’io. Più dei contatti con medium e maghi (in compagna di Dino Buzzati o di Castaneda) quello che conta è l’intuizione “spettrologica” dell’uomo di cinema. I media - fotografia, fantasmagoria, radio e registratori acustici, cinema, televisione (“Inesauribile sogno funebre travestito da music hall”, FF) - generalizzano i fenomeni incorporali e le telepatie. Moltiplicano, diffondono e conservano ectoplasmi disincarnati,

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fantasmi di vivi e di morti. Tra i film di Fellini, l’intero Satyricon o il Carnevale veneziano di Casanova sono evocazioni di “una stregonesca operazione ectoplasmatica” (FF). In forma tragica o faceta: i suoi clown, bianchi o augusti, sfilano come in un carnevale pagano dei morti. Affollato di fantasmi è lo spazio felicemente dilatato dei suoi sogni: nelle loro gag sensuali di enigmatica oscenità queste apparizioni rappresentano il comico della sessualità, svelano i meccanismi del desiderio, senza rimozione e senza riscatto (Kundera). Il cinema felliniano, misterioso per antonomasia, non può scriversi in lettere morte. Poiché “porta sull’impossibile, sull’incredibile” (FF) è carico di sulfurea seduzione, si vale di ambigui messaggi, angelici e diabolici: come nelle Tentazioni del (flaubertiano) dott. Antonio, come Toby Dammit di E. A. Poe. Per l’autore di Amarcord, persino il dono misterioso del talento “è un grande tesoro, ma rimane sempre la paura che com’è misteriosamente venuto, altrettanto misteriosamente ti possa essere portato via” (FF). E la creatività - “mezzo di conoscenza, scienza delle impressioni visive, che ci obbliga a dimenticare la nostra logica e le abitudini retiniche” (Deleuze) - è avventura insolita e al buio, notte in fondo all’alto mare. 4. LUNA PARK Il cinema è luogo dell’incanto nel doppio senso della sua etimologia: “canto” e “in quantum”, cioè bellezza e fascino, lusso e denaro. Negli anni Rimini ha cercato di mettersi al passo col grande Luna Park dell’immaginario felliniano. Si è trasformata da Borgo in Fiera delle Fiere, Esposizione Universale, Teatro del Varietà o Gabinetto delle Meraviglie. Mette a giorno i sogni e scambia la luce diurna, naturale, della marina con quella notturna, artificiale, delle feste. Mentre Fellini da nome proprio passava ad aggettivo: “Felliniano”, Rimini derivava nei sostantivi: “Divertimentificio e Riminizzazione”. Un mimetismo rispetto all’opera del suo concittadino condotto talvolta con successo, con lo stesso coraggio di mettere il pompierismo e il nonpompierismo al servizio l’uno dell’altro, di andare al di là del bello e del brutto: quello che l’estetica chiama kitsch. Il grande regista, maestro della litote e dell’understatement, aveva avuto l’occasione di comparare la nuova Rimini alla capitale del mondo grafico di Flash Gordon. L’apprezzava, forse, per le stesse ragioni per cui il maggior filosofo del cinema, G. Deleuze, riteneva indimenticabile la sua opera: la vitalità simultanea, il rapido sovrapporsi delle immagini - segni di segni - senza profondità; la successione orizzontale, come una fila di presenti. Un’internità (Deleuze) non del tutto effimera che si oppone alle pretese della consistenza e dell’eternità. Ogni ente ed organismo, naturale o simbolico, per essere deve definirsi per quello che vuol essere. Una delle definizioni di Rimini è Fellini che l’ha dettata. Credo o spero, per sempre.

5. POSTSCRIPTUM "Mastorna, città triste e bella" da Bloc-notes di un regista, 1969 Tutte le città immaginate da Italo Calvino portano nomi di donna. Anche per Fellini le città, capitali o provinciali, hanno le contrastanti proprietà dei suoi desideri femminili. Nella sua opera ci sono donne e città chiuse e severe, fedeli e gelose oppure città e donne fascinose e avvolgenti, eccessive e proliferanti. L’altera Lucca e la Viareggio carnevalesca di un perduto trattamento, scritto a partire della Libere donne di Magliano di M. Tobino e conservato in una intervista sui Cahiers du Cinéma (1957). Oppure la metropoli romana e il borgo romagnolo della sua infanzia, - e’ burgh era il primo titolo di Amarcord - prima che Rimini diventasse una “piccola Roma” estiva. Una romandiola trasformata dal turismo in città da fumetto. Si tratta in ambo i casi di città-femmine sognate, non di protagoniste autentiche della memoria. Il ricordare in Fellini - l’a m’arcord - affiora attraverso il filtro onirico. Non è la nostalgia struggente di un mondo smarrito, ma una sfilata, meglio una circolazione di momenti presenti. Queste compresenze sognate, che hanno già le loro regole inconsce di raffigurazione, vengono tradotte nella scrittura e nel disegno, poi virate nella foto e girate nella lingua del film. Il sogno sposta, rimonta i suoi segni, traveste e maschera, come quello, esemplare, in cui Fellini racconta all’amico e corrispondente G. Simenon di averlo “visto” intento a “dipingere un romanzo”. Lui, l’autore di Maigret o se tesso, Federico?

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Nel film, come nella letteratura, non ci sono schermi vuoti, né pagine bianche: all’inizio tutti i luoghi della creazione sono già infestati dalle virtualità del déja vu e del già vissuto. Per mettere a distanza il naturalismo dogmatico dei luoghi comuni, per scollarne la consistenza, Fellini scrive e disegna i trattamenti diurni della sua trentennale attività onirica. Per creare una nuova mitologia urbana e sessuale non si limita a accumulare ricordi autenticati ma traspone pensieri inconsci con nuovi significati. Al di là di ogni principio di contraddizione. Anche quando è grottesco – ma il suo grottesco è almost beautiful (S. Anderson) - il risultato fantastico risulta più vero dell’esistenza quotidiana. Un esito in divenire, a cui Fellini non ha mai voluto apporre la parola “fine”. Così quel volto della Rimini archetipa che è il lascito felliniano è entrato a far parte dell’immaginario collettivo con una carica simbolica ambivalente: materna ed effimera, disponibile e ottusa. Tocca a noi oggi doppiarne la voce: come scrive Fellini “infilarle tra le labbra…. parole che non ha mai dette”. Tocca a noi sincronizzare la città con nuovi segni che traducono contenuti diversi, pensieri e parole che come in ogni buona traduzione non siano brutti e fedeli, ma quanto possibile belli e infedeli.

BIBLIOGRAFIA Fellini, F., Fare un film, Einaudi, Torino, 1980 - Intervista sul cinema, a cura di G. Grazzini, Laterza, Roma-Bari, 1983 - Raccontando di me, a cura di C. Costantini, Editori Riuniti, Roma, 1996 - La mia Rimini, a cura di M. Guaraldi e L. Pellegrini, Guaraldi, Rimini, 2003, 2007 Bondanella, P., Il cinema di Federico Fellini, Guaraldi, Rimini, 1994 Deleuze, G., Cinema. Vol. 2: L’Immagine-tempo, Ubulibri, Milano, 2004 Fabbri, P., “San Federico decollato”, in Mimmo Rotella, A Federico Fellini, Catalogo della Galleria Fabjbasaglia, Rimini, 1998 -“Prima Donna: la Saraghina tra Kafka e Picasso”, in “Fellini-Amarcord”, Rivista di studi felliniani, n. 3-4, dicembre 2001 -“Fellini e la madre di tutte le tentazioni”, in Lo schermo manifesto: la pubblicità di F. Fellini, a cura di P. Fabbri e M. Guaraldi, Guaraldi, Rimini, 2002 -“Il rinoceronte dà un ottimo latte”, in Il mio Fellini, a cura di G. Ricci e A. Fontemaggi, Fondazione Federico Fellini, Rimini, 2006 (in trad. presso Trafic, Parigi, 2011) Kezich, T., Federico. Fellini, la vita e i film, Feltrinelli, Milano, 2002 Kundera, M., I testamenti traditi, Adelphi, Milano, 2000 Moscati, I., Fellini & Fellini, Rai Eri, Roma, 2010

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IndIce deI SognI

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FILMOGRAFIA PRECEDENTE

1951. Luci del varietà Regia Alberto Lattuada e Federico Fellini. Soggetto Federico Fellini. Sceneggiatura Federico Fellini, Ennio Flaiano, Alberto Lattuada, Tullio Pinelli. Fotografia Otello Martelli. Scenografia Aldo Buzzi. Musica Felice Lattuada. Attori Peppino De Filippo, Carla Del Poggio, Giulietta Masina, John Kitzmiller, Folco Lulli, Franca Valeri, Carlo Romano, Silvio Bagolini, Dante Maggio, Alberto Bonucci, Vittorio Caprioli, Nando Bruno, Joe Falletta, Vanja Orico, Fanny Marchiò, Checco Durante, Giulio Calì, Marco Tulli. Produzione Capitolium Film, in compartecipazione con i registi, gli interpreti e i tecnici del film. 1952. Lo sceicco bianco Soggetto Michelangelo Antonioni, Federico Fellini, Tullio Pinelli. Sceneggiatura Federico Fellini, Ennio Flaiano, Tullio Pinelli. Fotografia Arturo Gallea. Musica Nino Rota. Attori Brunella Bovo, Alberto Sordi, Leopoldo Trieste, Giulietta Masina, Ernesto Almirante, Fanny Marchiò, Lilia Landi, Gina Mascetti, Enzo Maggio, Armando Libianchi, Anna Primula. Produzione Rovere, OFI, PDC. 1953. Un'agenzia matrimoniale (episodio del film L'amore in città; gli altri episodi sono diretti da M. Antonioni, A. Lattuada, C. Lizzani, F. Maselli, D. Risi, C. Zavattini). Soggetto e sceneggiatura Federico Fellini e Tullio Pinelli. Fotografia Gianni Di Venanzo. Scenografia Gianni Polidori. Musica Mario Nascimbene. Attori Antonio Cifariello, Lidia Venturini. Produzione Faro Film.

1954. La strada Soggetto e sceneggiatura Federico Fellini e Tullio Pinelli. Collaborazione alla sceneggiatura Ennio Flaiano. Collaborazione artistica Brunello Rondi. Fotografia Otello Martelli. Scenografia Mario Ravasco. Musica Nino Rota. Attori Giulietta Masina, Anthony Quinn, Richard Basehart, Aldo Silvani, Marcella Rovena, Lidia Venturini. Produzione De Laurentiis, Ponti. 1955. Il bidone Soggetto e sceneggiatura Federico Fellini, Ennio Flaiano, Tullio Pinelli, con la collaborazione artistica di Brunello Rondi. Fotografia Otello Martelli. Scenografia Dario Cecchi. Musica Nino Rota. Attori Broderick Crawford, Richard Basehart, Franco Fabrizi, Giulietta Masina, Alberto De Amicis, Lorella De Luca, Xenia Valderi, Maria Zanoli, Riccardo Garrone, Irene Cefaro, Sue Ellen Blake, Giacomo Gabrielli, Mario Passante, Lucietta Muratori. Produzione Titanus, S.G.C. 1957. Le notti di Cabiria Soggetto e sceneggiatura Federico Fellini, Ennio Flaiano, Tullio Pinelli. Collaborazione artistica Brunello Rondi. Fotografia Aldo Tonti. Scenografia Piero Gherardi. Musica Nino Rota. Attori Giulietta Masina, François Périer, Amedeo Nazzari, Franca Marzi, Aldo Silvani, Dorian Gray, Mario Passante, Enio Girolami, Christian Tasson. Produzione De Laurentiis, Les Films Marceau.

1953. I vitelloni Soggetto Federico Fellini, Ennio Flaiano, Tullio Pinelli. Sceneggiatura Federico Fellini e Ennio Flaiano. Fotografia Otello Martelli, Luciano Trasatti, Carlo Carlini. Scenografia Mario Chiari. Musica Nino Rota. Attori Franco Interlenghi, Franco Fabrizi, Alberto Sordi, Eleonora Ruffo, Leopoldo Trieste, Riccardo Fellini, Lida Baarova, Carlo Romano, Achille Majeroni, Jean Brochard, Paola Borboni, Enrico Viarisio, Claude Farère, Vira Silenti, Gondrano Trucchi, Naja Nipora, Arlette Sauvage, Silvio Bagolini, Giovanna Galli, Franca Gandolfi, Guido Marturi. Produzione Peg Film, Cité Film.

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SOGNI DEL 1961

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Ultimo film girato: 1960 La dolce vita Sceneggiatura Federico Fellini, Ennio Flaiano, Tullio Pinelli, con la collaborazione artistica di Brunello Rondi. Fotografia Otello Martelli. Scenografia Piero Gherardi. Musica Nino Rota. Attori Marcello Mastroianni, Anouk Aimée, Yvonne Fourneaux, Anita Ekberg, Lex Barker, Valeria Ciangottini, Alain Cuny, Renée Longarini, Annibale Ninchi, Polidor, Magali Noël, Nadia Gray, Jacques Sernas, Mino Doro, Riccardo Garrone, Giulio Girola, Giulio Questi, Walter Santesso, Harriet White, Adriano Celentano, Carlo Di Maggio, Gio Statano, Archie Savage, Alan Dijon, Rina Franchetti, Leonida Repaci, Gloria Jones, Eugenio Ruspoli, Doris Pignatelli, Ida Galli, Franco Giacobini, Giuliana Lojodice, Leo Coleman, Laura Betti, Daniela Calvino, Umberto Orsini, Marco Canocchia, Enrico Glori, Franca Pasutt. Produzione Riama Film, Pathé Consortium Cinema

Film successivo: 1962 Le tentazioni del dottor Antonio (episodio del film Boccaccio '70; gli altri episodi sono di V. De Sica, M. Monicelli, L. Visconti). Soggetto e sceneggiatura Federico Fellini, Ennio Flaiano, Tullio Pinelli. Fotografia Otello Martelli. Scenografia Piero Zuffi. Musica Nino Rota. Attori Peppino De Filippo, Anita Ekberg. Produzione Antonio Cervi e Carlo Ponti

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SOGNI PARALLELI

☛ RIMANDI E ASSONANZE

28-3-75

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6-6-77

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DA ❝ THEUT, FELLINI E IL FARAONE ❞ Umberto Eco Non sto suggerendo che questi siano dubbi da laico ingenuo, perché del cinema come “semiologia della realtà” hanno parlato, e con gran convinzione, anche chierici tra i più illustri, e si pensi alla fede con cui Pasolini ha sostenuto sino alla fine queste tesi... Ecco, direi che Fellini è qui, con tutti i suoi film, dal primo all’ultimo, coi suoi migliori e con quelli che meno ci son piaciuti, quando si inventa e quando si ripete, a dirci che il film (ambiguamente ancorato alla realtà esterna) è un’arte della memoria, con la quale si può raccontare solo e sempre i propri ricordi, le proprie fantasie, le proprie ossessioni. Possiamo dire questo di molti altri registi, certo, ma Fellini è qui per dirci quasi esclusivamente questo. È come se egli fosse vissuto per redimere il cinema da ciò che gli è esterno, dal pre-filmico, o a dimostrarci che il pre-filmico, con tutto ciò che prende a prestito dalla realtà fisica, vive e viene inventato per praticare un’arte che è ricostruzione di mondi interiori, per privati che siano. Per cui è naturale, amarcord non può essere il titolo di uno dei suoi film, bensì il titolo del suo Opus Magnum. Trismegisto, dunque: tre volte grandissimo come Ermete-Theut, con la sua nave Fellini va sempre al di là di quello che il mondo esterno vorrebbe imporre al suo mondo interiore, e alla voracità della sua nostalgia.

SOGNO DEL 6 FEBBRAIO '61 Nella cameretta a RIMINI, dove ragazzetto studiavo, (trenta anni fa) sono a letto con Pasolini. Abbiamo dormito insieme tutta la notte come due fratellini o forse come marito e moglie perché ora che lui si sta alzando in maglietta e mutandine per andare verso il bagno, mi accorgo che lo sto guardando con un sentimento di tenerissimo affetto… *** NOTA: di questo sogno ho perduto il testo. Rifaccio il disegnino che vagamente mi ricorda il senso del sogno, doveva aver a che fare con qualche rito compiuto per gioco, era come se ad un segnale stabilito le sei persone dovessero cadere all’indietro ed una sola in avanti ma questa eccezione di comportamento non so dire se faceva parte del rito oppure era un errore o un capriccio del personaggio (ero io?).

DA ❝ QUESTA RIMINI CHE NON FINISCE PIÙ ❞ Sergio Zavoli Rivado alla trilogia “della grazia e della salvezza”: La strada, Il Bidone, Cabiria. Federico era rimasto molto colpito dal giudizio di Pasolini sul suo “irrazionalismo cattolico”. Se ne ricordò girando Otto e mezzo, quando Marcello, nel viale delle Terme, si avvicina a un cardinale alto, ossuto, un po’ antipatico, per fargli una domanda difficile, e Fellini mette in bocca al porporato questa risposta: “Ma chi ti ha detto che siamo nati per essere felici?” Padre Fantuzzi, di “Civiltà Cattolica”, autore di un saggio dedicato al regista – gli chiese dei lumi, ovviamente, sulla spiritualità presente nei suoi film, e lui rispose con una forza e una franchezza di cui c’è traccia anche in questo libro: «Sono un uomo come tanti, che guarda le cose intorno a sé con umiltà, con rispetto, con ingenua curiosità, soprattutto con amore. Da questo amore nascono la tenerezza e la pietà che provo per tutte le creature che incontro. Non sono pessimista, e non voglio esserlo; ma le mie preferenze vanno a coloro che soffrono di più, che sono vittime dell’indifferenza e dell’inganno. Allora non mi bastano più, nei miei film, il grande mare e il cielo lontano, che pure amo: oltre il mare e oltre il cielo, attraverso un grido pieno di angoscia, o la dolcezza di una lacrima, intravedo Dio, il suo amore, la sua grazia. Non come lo scatto di una fede teologica, ma come una profonda richiesta dell’anima».

Disegni di Fellini dalla trilogia "della grazie e della salvezza": Gelsomina, Il Bidonista, Cabiria.

Pasolini e Fellini nel 1957, sul set di Le notti di Cabiria

Da ❝ IL DIALETTO DI FEDERICO ❞ di Gianfranco Miro Gori Dopo la caduta del fascismo (e la cancellazione dei dialetti da esso propugnata), le lingue locali e regionali cominciano a filtrare nel cinema italiano. Negli anni Cinquanta, s’impone “un romanesco di maniera”. Negli anni Sessanta il cinema nazionale “entra in un’era linguistica nuova”. Si torna, come era stato nei film neorealisti, “ad attingere direttamente, per film d’attualità sia comici sia drammatici, ai più svariati idiomi locali della penisola”. Qualcuno comincia a modulare le tastiere dialettali in modo “espressivo”: come avevano fatto in letteratura, per esempio Gadda e gli scapigliati. Tra i registi che si muovono “precocemente” in questa direzione Pasolini e Fellini. Fellini aveva incontrato il dialetto all’epoca della liberazione lavorando come soggettista e sceneggiatore a Paisà di Roberto Rosselini.

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SOGNI PARALLELI

☛ RIMANDI E ASSONANZE

21-12-66

DA ❝ GLI ANTENATI DI FELLINI ❞ Renzo Renzi Se gli chiedete qual è il modo per uscire, che so, da una crisi psicologica, egli ha la risposta pronta: “Una bella culona”, vi dice. È noto infatti che, mentre le americane sono scarse di seni perché non allattano (mi sono informato), le donne turche, costrette come furono per secoli a star sedute nell’harem, hanno le gambe magre e un deretano assai sviluppato. Fellini, dunque, vede la donna come una turca. E vagheggia l’harem. Una volta, voleva raccontare la storia di un uomo che ama di pari amore quattro o cinque donne e che, infine, decide di costruire una casa dove raccoglierle tutte (s’era ispirato a Rossellini?). Infine, in Otto e mezzo, ha messo in scena l’harem, mai dimenticando quell’aspirazione anticattolica, poligamica e ottomana. Ma contro la sensualità combatte il misticismo: contro l’erotismo sta il senso di colpa. Così Fellini è un turco inibito dal cattolicesimo. La Saraghina, del resto, è il mostro turchesco creato da uno strabocchevole erotismo, deformato dalle inibizioni di un altrettanto strabocchevole senso di colpa. Un mostro il cui dissidio interno, così lacerante, aveva fatto nascere nell’analogo mostro marino de La dolce vita, l’occhio del Giudizio, che è, appunto, l’espressione di un timore di fronte ai propri desideri scomposti. D’altronde, è abbastanza singolare che i riti della colpa, del giudizio e della implicita richiesta di perdono, Fellini tenda quasi sempre a celebrarli in riva al mare.

25-4-77

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4-8-79

SOGNO DEL 6 FEBBRAIO '61 Anche di questo sogno non ricordo più la trama. Il paese è RIMINI (il borgo dove abitava qualche parente morto) la culona notturna in posa discinta è la Lea, quei due a sinistra sono due paesani che ridacchiano e dicono “La Lea con dieci lire la si può chiavare quanto si vuole”. L’ombra a sinistra sono io, ma anche la sagoma che si intravede dietro la finestra con le sbarre sono io. È notte. Nella scena del sogno si sentiva il ridacchiare torbido lupesco della bella troiona. ***

La Tabaccaia (l’attrice Maria A. Belluzzi) e Titta (l’attore Bruno Zanin), in Amarcord

Lettera di Fellini a Renzi, 19 settembre 1961: “vedrai che incontrerai una bella culona (come capitò a me) che metterà tutto a posto. Terapicamente più efficace di qualunque psicoanalista” Il mostro marino del finale de La dolce vita (1960) La prostituta Saraghina di Otto e mezzo (1963) e la ninfomane Volpina di Amarcord (1973)

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SOGNI PARALLELI 8-1-62

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DA ❝ IL MIO PAESE ❞ Federico Fellini

(Omissis)

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SOGNO DEL 20 FEBBRAIO '61 Un giorno, nell’ufficio alla Vasca Navale, stavo seduto sopra un divanaccio messo lì, con l’idea di riposare. All’improvviso, fulminante, m’è crollata addosso, un millimetro dal naso, una tonnellata di pietra: la facciata del duomo di Milano, o di Colonia. Ho sentito il vento della caduta, poi il tonfo terrificante a un millimetro dai miei piedi. Ho fatto un salto da acrobata. Questa parete, grande come il Monte Bianco, copriva tutto: tutto il cielo, tutto lo spazio, tutta l’aria. Io ero una formica. Allora ho pensato che le difficoltà per portare avanti il film nascevano da un ostacolo di fondo, che, forse, drammaticamente, era dentro di me. Sono rimasto un po’ spaventato, però la voglia di fare il film è aumentata, una voglia donchisciottesca. Se c’era il cielo, l’aria aperta, oltre la facciata pesante della cattedrale, quello era lo spazio giusto. In questi giorni io mi sono convinto di poter morire d’infarto anche perché ho temuto che l’impresa fosse sproporzionata alle mie forze. “Liberare l’uomo dalla paura della morte.” Come l’apprendista stregone che sfida la sfinge, l’abisso marino e ci muore. È il mio film – ho pensato – che mi ammazza. Quando ho avuto l’impressione di morire, nei giorni scorsi, gli oggetti non erano più antropomorfizzati. Il telefono, che pare una specie di seppia nera rovesciata, era solo un telefono.

Uno stretto locale (alla Vasca Navale) pieno di gente, un’intera troupe cinematografica, attori, registi, generici, comparse vestite al solito da antichi romani… bevono, mangiano, telefonano, gridano in una baraonda assordante, si vestono, si truccano, litigano. Il piccolissimo ambiente è osteria, caffè, spogliatoio, corridoio di passaggio, centralino telefonico, portineria, ristorante… tutto. Intravedo Germi coi suoi baffoni e il sigaro, parla a gran voce con qualcuno. La cassiera mi grida qualcosa: – La chiamano al telefono da RIMINI – riesco a capire e m’indica la cabina. Mi faccio largo a fatica tra quella ressa vociante raggiungo la cabina ma non riesco ad avere la comunicazione... – Pronto! – grido – Pronto! Il telefono tace, non c’è contatto. La cassiera che ha il centralino alla cassa prova anche lei a richiamare, niente, non è possibile comunicare… Attorno a me chiasso, confusione, disordine, fumo… Chi mi chiama da RIMINI? Perché la linea è caduta?

DA ❝ GLI ANTENATI DI FELLINI ❞ Renzo Renzi “Nella terra ferax abitata da un populus ferox come mai questo usignolo?” s’è chiesto, una volta, Aldo Spallicci, pensando a Giovanni Pascoli. Oppure: “C’è sempre, tra la Romagna e il Pascoli, qualche conticino che non torna, qualche misterioso diaframma” ha scritto Max David in un capitolo contenuto nel bellissimo volume Questa Romagna di Andrea Emiliani (ed. Alfa). Un’impressione simile io l’ho sempre avuta anche a proposito di Fellini, specie quando lo vedevo così disinteressato alla politica; oppure quando lo sentivo sostanzialmente “escluso” dai veri vitelloni riminesi e in fuga dalla sua terra. Adesso è giunto il momento di dire che c’è un’immagine corrente del romagnolo di cui Fellini è la più completa smentita. In apparenza, infatti, si potrebbe dire che il vero romagnolo del cinema italiano – secondo quest’immagine – è Pietro Germi (che in realtà è di Genova), tanto appassionato com’è alla politica, irruento, scorbutico, polemico. Al confronto, Fellini è dolce, morbido, ambiguo: insomma, una sorta di levantino, funambolo e introverso. DA ❝ DIECI FELLINI E 1/2 ❞ Ennio Cavalli

Pietro Germi dietro la macchina da presa Fellini ospite nello studio dell’avv. Titta Benzi: “Sta facendo una telefonata da un milione, sto pataca!!”. Ricorda oggi Titta: “Mi scroccava un sacco di telefonate…!”

È a Kyoto o a Baden Baden tutte le volte che non vuole farsi trovare. Poi agli amici confida che Londra, Parigi o New York non funzionano più. Se dici che sei là non ci crede nessuno. Kyoto o Baden Baden invece uno non può avere la spudoratezza di inventarseli. E ti lasciano in pace. Se nel frattempo ha voglia di rispondere al telefono ma non all’interlocutore, lo fa con vocina zitellesca: “Qui Galluzzi! Ha sbagliato numero”. E se lo smascheri, ci resta male.

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SOGNI PARALLELI

☛ RIMANDI E ASSONANZE

31 OTTOBRE 80

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21-1-75

31-10-80

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DA ❝ IL MIO PAESE ❞ Federico Fellini Ma la visita risolutiva è stata quella di Sega. C’è una premessa. Giorni fa, aperti gli occhi, avevo visto un cappotto nero, due occhi spiritati, una barbaccia: «Fellini, come va? Sono Bissi, parente di uno dei martiri riminesi impiccati dai tedeschi. Mi hanno detto: dove vai? Vado a Roma. Allora vai a salutare quel pataca di Fellini e digli che è un pataca». Poi, le mattine dopo, nell’elenco di coloro che avevano telefonato, c’era sempre il nome di Piga. Io credevo che fosse un errore e che avesse telefonato Bissi. Invece non era Piga, ma Sega, già da tre giorni a Roma. La quarta mattina ho avuto un’illuminazione. È Sega, detto Bagarone. Perciò ho insistito con la monaca per avere il telefono che non mi davano mai. Siccome, protestando, ho bestemmiato, la monaca mi ha guardato severissima, poi mi ha detto con durezza: «Lei non è un poeta», come se scoprisse un falso, con stupore. Va bene, ho voluto Sega, che telefonava ormai dalla stazione. Accentuando i toni agonizzanti, gli ho detto: «Bagarone, non partire, vieni qua». A scuola, lo chiamavamo Bagarone, come gli stercorari, perché quando si arrabbiava, farfugliava. Al liceo era il primo della classe. Studioso nonostante il nome, aveva saltato l’ultimo anno e si era iscritto alla facoltà di medicina. Quando l’avevo saputo, ne ero stato felice, dicendomi che se nella vita fossi stato male, avrei potuto contare sopra un amico bravissimo medico. Ebbene, Sega è arrivato in clinica. Appena reduce da un collasso, gli ho raccontato quello che avevo passato e le cure in atto. Lui ha detto subito: «SanarelliSchwarzmann». Io credevo che scherzasse e mi sono messo a ridere, pensando ai doppi nomi che andavano di moda nei giornali umoristici di anteguerra. Invece Bagarone diceva sul serio. Allora gli ho detto: «Tu adesso ti fermi a Roma ed esponi la tua tesi ai luminari». Il giorno dopo, davanti ai luminari, Bagarone ha spiegato tutto. I luminari lo sono stati ad ascoltare, assorti. Poi hanno detto: «Teoria affascinante. Interpretazione brillantissima, eccetera». Bagarone è diventato rosso. Quando Bagarone diventa rosso, tende al viola. Il mio amico Bagarone, il mio compagno di scuola, la mia RIMINI.

SOGNO DEL 14-4-61 Mi conducono per farmi curare da due medici stregoni. Sono venuti con me molti amici, c’è anche Giovangelo e siedono attorno come per godersi uno spettacolo, nella modesta stanzetta che non ha nulla del gabinetto medico. La visita che è nello stesso tempo terapia inizia subito. I due giovani medici che hanno un caschetto bianco in testa, mi fanno sdraiare su di un piccolo scrittoio, l’uno mi afferra un piede e l’altro una mano e il loro fluido mi attraversa il corpo come una corrente elettrica molto potente che mi dà gioia, m’inebria. Esagerando un po’ gli effetti io m’inarco sulla schiena, fremo, faccio capriole… Tutti seguono con grande interesse e divertimento. I due medici si ritirano in una stanzetta buia per definire la diagnosi, lasciandomi disteso sul pavimento. Quando il mio stato di trance cessa, mi trascino carponi verso Giovangelo (mio cognato-medico) che sorridendo mi risponde che tutto è andato molto bene e che i due medici stregoni mi hanno trovato sensibilissimo e prontamente reattivo. Si attende ora la diagnosi definitiva ma i due sono ancora chiusi nella stanzetta e tardano ad uscire… La scena cambia: da RIMINI stiamo partendo in macchina per Bologna (forse per andare a sentire il responso dei due medici): dico a mia sorella Maddalena di avvertire Giulietta della mia partenza; Maddalena si avvia con movimenti di una lentezza allucinante, compie un passo ogni ora. Dopo averla sollecitata inutilmente (– Più svelta di così non posso – mi dice lentissimamente) corro io su per le scale per salutare Giulietta che è a letto, ha un’aria sonnolenta come ipnotizzata, accanto c’è l’ombra di mia madre che la sta vegliando, Giulietta è molto ammalata, a fatica apre gli occhi, sorride vacuamente come sotto narcosi… Anche mia sorella giù in istrada sembrava narcotizzata. Giulietta ha un pallidissimo sorriso, mormora di star tranquillo, ché adesso lei sta bene…

Fellini (l’ultimo a destra nella fila centrale, alle spalle di Giorgio Bertini) al Liceo Classico "Giulio Cesare"

Attorno a Fellini la madre Ida e la sorella Maddalena; nella fila in alto, da sinistra: l’ing. Gorini e signora, il dott. Ercole Sega (detto “Bagarone“), Nicola D’Ambrosio (detto “Pistolone”), Gumberto Zavagli, Glauco Cosmi, Minni Torsani, Nevio Matteini; in basso Luigino Dolci (detto “Bito”), Mario Montanari, l’avv. Titta Benzi e lo scultore Elio Morri

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SOGNI PARALLELI 19/20-8-74

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DA ❝ I SIPULÉIN ‘D REMIN ❞ Angelo Fabi

SOGNO DEL 23-5-61 ***

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30-10-74

Terminata l’estate e partito anche l’ultimo dei bagnanti, la spiaggia, lunga e larga quant’è, resta dominio esclusivo de gli indigeni: pista libera per i ragazzini che corrono in bicicletta sulla battigia, illimitato sentiero per gl’innamorati sognanti, campo di gioco per i seminaristi in ricreazione. È allora che si tira la tratta. Cinque o sei uomini in fila tirano la lunga fune che emerge dal mare, a piccole strappate, facendo un passo laterale ad ogni strappo; più lontano i compagni tirano altrettanto all’altro capo della corda, fintanto che le due file si riuniscono e il grosso sacco della rete versa sulla sabbia il suo guizzante contenuto. Ma troppa fatica per così poco. ***

7-4-75

Il cuore della casa colonica, il suo centro ideale è la cucina, uno stanzone annerito dal fumo dell’aròla nel quale le donne sfaccendano e la famiglia si raccoglie dopo il lavoro nei campi. E importa rammentare che, se ci càpiti sul far della sera, l’arzdóra (la reggittrice) ben di cuore ti offrirà un quadrèt di quella piada che lei sta cuocendo allora sul “testo”? Troppo illustre la piada – col Pascoli fece il suo ingresso nella letteratura italiana, oggi la si esporta in appositi involucri di cellophane ad uso dei romagnoli emigrati – perché convenga spenderci altre parole intorno; ma non ancora abbastanza nota ai non-romagnoli da non venir fraintesa nella sua natura di pane rustico.

Sembra che io abbia cambiato ufficio. Da una finestra all’altra gridano questa frase “Il signor Fellini ha cambiato corda” e io so che intendono dire “casa” “ufficio”. I vecchi locali del vecchio ufficio mi ricordano il Liceo Classico di RIMINI. Il sogno continua così: in ginocchio sul letto di una soffitta arredata con gusto eccessivamente scenografico guardo oltre l’immensa vetrata il paesaggio di terrazze e di vaste facciate di una città che non è Roma (Genova? RIMINI? Parigi?). Il cielo è temporalesco, soffia un gran vento, un gigantesco vaso di terracotta con grandi rose rosse si rovescia, rotola pericolosamente lungo il bordo della balaustra e infine si schianta in mille pezzi giù in istrada dopo essersi sfasciato senza rumore continua nel foglio successivo

Quaderno di Fellini, classe III, Scuola Tonini (RIMINI, Biblioteca Gambalunghiana, Gabinetto delle Stampe)

***

20-5-75

Quando il marito tornava a casa sua con la sposina, c’era ad aspettarli sulla porta la mamma di lui, in grembiule e con la conocchia in mano, pronta a passare alla nuora le consegne dell’economia domestica; infatti le si accostava, la prendeva per mano e le porgeva la conocchia dicendole: “Ecco, io vi faccio padrona di casa: adesso toccherà a voi pensare alla famiglia e alle robe della casa”. Finalmente, venuto il momento di andare a letto col marito, la giovane esitava, fingeva di rifiutarsi, faceva insomma la commedia, e doveva essere la suocera a spingercela. Che tutto questo appartenga a un cerimoniale scomparso da gran tempo, ben s’intende. Occorre in proposito ricordare che il folclore riminese ha avuto una singolare ventura, un vero privilegio nei confronti di altre città e regioni d’Italia: quello cioè di trovare descrittori accurati e intelligenti in epoca relativamente antica. DA ❝ IL MIO PAESE ❞ Federico Fellini

4-1-78

Quelli del Ginnasio sono gli anni di Omero e della “pugna”. A scuola si leggeva l’Iliade, mandandola a memoria. Ciascuno di noi si era identificato con un personaggio di Omero. Io ero Ulisse, stavo un poco in disparte e guardavo lontano. Titta, già corpulento, era Aiace Oileo, Mario Montanari Enea, Luigino Dolci “il domatore di cavalli Ettorre” e Stacchiotti (che poi si suicidò davanti alla chiesa di Polenta) “il piè veloce Achille”. Il pomeriggio si andava in una piazzetta a ripetere tra noi la guerra di Troia, lo scontro fra i Troiani e gli Achei. Andavamo, appunto, a “fare la pugna”.

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Pagella di Fellini in II Liceo Classico, datata 20 Gennaio 1920 Disegno di Fellini: “Il preside del Ginnasio detto Zeus”

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SOGNI PARALLELI

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DA ❝ ANIMANERA ❞ Daniele Brolli «Se lasciassi perdere sarei un bugiardo. Meglio un addio sincero…» A voce ancora più bassa: «Sentire, non pensare… Il latrato in fondo al cuore». Segue un rumore sordo di ossa maciullate che gorgogliano nel sangue. I suoi pugni calano senza accanimento. Asciuga con il dorso della mano una lacrima che gli solca lentamente la guancia. Tira fuori dall’altra tasca alcuni rotoli di carta di alluminio e del nastro adesivo industriale. Avvolge insieme i due corpi come fossero la mummia di due fratelli siamesi destinati a essere cremati in un forno a microonde. Richiude il sacco di plastica e, a sua volta, lo sigilla dentro un secondo sacco che stringeva sotto l’ascella ripiegato a tovagliolo. Prima di farlo, ci butta dentro dell’immondizia raccolta direttamente dal cumulo. Il tutto prende la forma di un grande tubero color carbone, covato nell’humus. Lo solleva apparentemente senza sforzo. Lo scaraventa con un lancio calibrato dentro la buca aperta nel frattempo dal suo compagno. L’Uomo comò fa un segno di obbedienza e ricopre di nuovo con altri rifiuti. Sul lungomare si diffonde a sorpresa una litania di cani randagi, coprendo lo sciabordio regolare del traffico e delle onde. Sembra perfino che intonino un canto di addio.

sul cornicione di un tetto sottostante la grande terrazza. Temo che i cocci del colossale vaso possano aver ferito o peggio ucciso qualcuno, la strada era piena di donne intente nelle loro faccende raccolte in gruppetti. Mi affaccio tremante, la terra contenuta nell’immenso vaso si è sparsa tutt’attorno, le gigantesche rose non le vedo più. Chissà dove sono finite… La gente accorre da tutte le parti, si è formato un fitto capannello attorno al frammento più grosso del vaso. Ho il cuore stretto dal timore di veder apparire il cadaverino di un bimbo. Ma no, le grosse schegge non hanno proprio ferito nessuno… molte donne frugano affannosamente tra i giganteschi cocci sperando di trovare chissà quale tesoro… Odo una voce che dice “Lasciate stare. È inutile! È roba mummificata! (oppure ‘marcia’?)”. Intendendo dire che ciò che era “nel cuore del vaso” forse aveva avuto, in passato, un suo valore, anni ed anni fa, ma ora non c’era più nulla… detriti che si sfaldano all’aria… tutto si dissolve per sempre appena lo si tocca… polvere soltanto polvere e dopo un po’ nemmeno più questa… nulla… ***

Baldini&Castoldi, Milano 1994. DA ❝ QUANDO VA LIBERA L'ANIMA ❞ Rosita Copioli Una notte, verso novembre, pochi giorni prima che il cuore di Fellini cessasse di battere, cercai di mettermi in contatto con lui. Non ricevetti né pensieri né immagini, ma sensazioni di un corpo in putrefazione, percezioni cimiteriali, tombali, di miasmi, e di decomposizione. Più cercavo di respingerle e di instaurare un contatto con lui, perché la domanda che gli rivolgevo era “Dove sei, Federico, ora? Sei vivo o sei morto? Che ne è di te? Qual è la tua realtà? E la realtà futura?”, e più mi perveniva precisa la sensazione del corpo morto, del cadavere che si sfa. Dopo la sua morte, feci ancora molti sogni, ma tutti erano tristi, pieni di rimpianto, finché uno giunse a liberarmi, pacificandomi, e consolandomi.

Un momentio del film e relativi disegni, da I vitelloni (1953)

DA ❝ IL MIO PAESE ❞ Federico Fellini Non riesco a oggettivare. RIMINI è un pastrocchio, confuso, pauroso, tenero, con questo grande respiro, questo vuoto aperto del mare. Lì la nostalgia si fa più limpida, specie il mare d’inverno, le creste bianche, il gran vento, come l’ho visto la prima volta.

SOGNO DEL 10-6-61 (Solo disegno)

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SOGNI PARALLELI 18-3-75

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16-2-77

☛ RIMANDI E ASSONANZE

☛ TRASCRIZIONI E KEY-WORDS / IMAGES

DA ❝ IL MIO PAESE ❞ Federico Fellini La casa di via Clementini 9, è invece, quella del primo amore. Il padrone di casa, “Agostino Dolci e F. ferramenta”, era il padre di Luigino, un mio compagno di scuola del ginnasio, quello che nell’Iliade faceva Ettore (recitavamo per conto nostro l’Iliade). Nel palazzo di fronte abitava una famiglia meridionale, i Soriani, con tre ragazze, Elsa, Bianchina e Nella. Bianchina era una moretta: dalla mia camera da letto la potevo vedere. La prima volta mi apparve dietro il vetro di una finestra, oppure – non ricordo – vestita da piccola italiana, coi bei seni pesanti, già da madre. Lei, che abita a Milano, dice oggi che non siamo mai fuggiti a Bologna, come ho raccontato (l’ho raccontato?): semmai siamo andati in bicicletta – io portandola sulla canna – fuori porta d’Augusto. Per me le donne, allora, erano soprattutto le zie. Avevo sentito parlare, è vero, di una casa con certe donne dentro. La Dora in Via Clodia, dalle parti del fiume. “La Dora de fiom”. Ma, quando dicevano “le donne”, mi venivano in mente solo le zie che facevano i materassi, le donne di Gambettola, dalla nonna, che passavano il grano al setaccio. Quindi, non capivo. Poi ho visto che le zie erano diverse perché la Dora affittava due carrozze e, ogni quindicina, faceva vedere la nuova covata giù per il Corso, a scopo di propaganda. Allora ho visto passare donne dipinte, con velette strane, misteriose, che fumavano sigarette col bocchino d’oro: le donne nuove della Dora. DA ❝ QUESTA RIMINI CHE NON FINISCE PIÙ... ❞ Sergio Zavoli

SOGNO DEL 7-10-61 Sul portone della casa di via Clementini a RIMINI (è la casa dove ho abitato da ragazzo) incontro Luigino Dolci (mio vecchio amico, compagno di scuola, ha avuto un matrimonio che ha velato di tristezza tutta la sua vita: la moglie non può avere figli ed è sempre inferma. Luigino che poteva diventare un buon avvocato ha rinunciato alla carriera ed è rimasto sepolto nel magazzino di ferramenta del padre – autoritario e tiranno). – Povero Luigino! – gli dicevo nel sogno e lui, all’improvviso non più rattristato, sghignazzava volgarmente, spettegolando contro la moglie. – Dopo venti anni di matrimonio – gridava con tono risentito – chi gliela fa più a fare l’amore? – Ed io sornione e volgare: – Per farcela gliela faremmo, ma cambiateci donna ogni tanto, per Dio! Vedreste allora che belle galoppate! – Ridacchio, cialtronescamente, con grandi manate sulle spalle; dal balcone una cameriera mi dice affannata: – La signora Giulietta è svenuta! Presto venga su! – In cucina, distesa sul tavolo, ricoperta alla meglio con delle coperte c’è Giulietta, immobile, gli occhi chiusi, mi sembra di scorgerle delle fasciature sulla schiena. Terrorizzato aggredisco la cameriera: – Chiamate un medico! Presto! – Ma Giulietta apre gli occhi, scoppia a ridere. – Che esagerato! – e continua a ridere divertita… xxx

Un giorno confidò: «L’educazione cattolica alimentava un senso di colpa che mi spingeva verso una vita penitenziale». Finché si lasciò andare a questa singolare e, in fondo, tenera confidenza: «Devo dirtelo, io sono vissuto per anni in una vaga soggezione, allo stesso modo, nei confronti della Chiesa e di Giulietta. Era come se fossi sempre in debito di qualcosa».

Il casino popolare di RIMINI in un disegno di Fellini e in una foto d'epoca

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SOGNI PARALLELI

☛ RIMANDI E ASSONANZE

29-10-61

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23-1-66

☛ TRASCRIZIONI E KEY-WORDS / IMAGES

DA ❝ IL MIO PAESE ❞ Federico Fellini La prima casa che io ricordo veramente è il palazzo Ripa. C’è ancora: è un palazzo sul Corso. Il nostro padrone di casa andava sempre vestito di blu: l’abito blu, la bombetta blu e una gran barba bianca, come una divinità da blandire, da non irritare. Mia madre si asciugava le mani, mentre diceva: «Bambini, state fermi, c’è il signor Ripa». Poi entrava il vecchione. Una mattina ho sentito dei gran muggiti, dei lunghi lamenti. Il cortiletto del palazzo era pieno di buoi e di somari. Forse, non so, c’era un mercato, una vendita. Pensare a RIMINI. RIMINI: una parola fatta di aste, di soldatini in fila.

LUGLIO 66

SOGNO DEL 11-12-61 Decido di affrontare mio fratello per la faccenda del “nome”. Il nostro incontro notturno avviene su di un vasto terrazzone circondato da tetti a perdita d’occhio, sotto la luce della luna. Non siamo soli, c’è un tale che assiste in silenzio, ed io non posso parlargli con l’aggressività e schiettezza che mi ero riproposto. Elenco, cercando di mantenermi calmo, tutte le ragioni per le quali mi sembra opportuno, utile, doveroso, che Riccardo firmi i suoi films con un altro nome. Mio fratello (che nel sogno è una ragazza dall’espressione e i modi sgarbati, spiacevoli) risponde con un “No!” secco, insultante, aggiungendo cinicamente che il nome di Fellini gli fa comodo, gli serve per far carriera. Passo alle suppliche, lo blandisco, lo prego, infine vengo travolto dal furore e lo massacro di schiaffi, di pugni, di calci… Per le scale incontro un vecchio guardiano notturno di autorimessa (via Salaria?) gli dico di andare a dare un’occhiata a mio fratello che ho scaraventato pesto e sanguinante su di un letto, e che in quell’istante mi era sembrato che diventasse piccolissimo, un neonato… Percosso e malmenato in quel modo violento – dicevo al vecchio guardiano – può morire soffocato tra le coperte… Esco da quella casa e mi trovo a RIMINI, sul portone del palazzo dove abitavo da bambino… ***

Disegno di Fellini: caricatura di Giuseppe Verdi (o forse del sig. Ripa?)

12-12-75

SOGNO DEL 10-12-62 In uno squallido camerone d’albergo mi sto preparando per incontrarmi con un mio amante. Evidentemente sono diventato omosessuale: Gherardi ride bonariamente beffardo. Mi pulisco i denti con uno spazzolino che ha le setole poste verticalmente come un pennello e faccio una grave fatica a compiere l’operazione. Dall’album di famiglia: Federico, Riccardo, Maddalena (notare sul telone di sfondo la raffigurazione del Grand Hotel e della Capanna Svizzera).

Articoli tratti dall'archivio de La Stampa riguardanti il fratello di Federico, Riccardo Fellini

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FILMOGRAFIA DI QUESTO ARCO TEMPORALE

1965. Giulietta degli spiriti Soggetto Federico Fellini e Tullio Pinelli. Sceneggiatura Federico Fellini, Ennio Flaiano, Tullio Pinelli, Brunello Rondi. Fotografia Gianni Di Venanzo. Scenografia Piero Gherardi. Musica Nino Rota. Attori Giulietta Masina, Sandra Milo, Mario Pisu, Valentina Cortese, José de Villalonga, Valeska Gert, Lou Gilbert, Caterina Boratto, Luisa Della Noce, Silvana Jachino, Sylva Koscina, Milena Vukotic, Fred Williams, Anne Francine, Mino Doro, Raffaele Guida, Mario Conocchia. Produzione Cineriz. 1968. Toby Dammit (episodio del film Tre passi nel delirio; gli altri due sono di L. Malie e R. Vadim). Sceneggiatura Federico Fellini, Bernardino Zapponi, liberamente ispirata da Non scommettere la testa col diavolo di Edgar Allan Poe. Fotografia Giuseppe Rotunno. Musica Nino Rota. Scenografia e costumi Piero Tosi. Attori Terence Stamp, Salvo Randone, Antonia Pietrosi, Polidor, Anne Tonietti, Fabrizio Angeli, Ernesto Colli. Produzione PEA, Les Films Marceau, Cocinor.

1970. I Clowns Soggetto e sceneggiatura Federico Fellini, Bernardino Zapponi. Fotografia Dario Di Palma. Scenografia e arredamento Renzo Gronchi. Musica Nino Rota, diretta da Carlo Savina. Attori Liana, Rinaldo e Nando Orfei, Franco Migliorini, Anita Ekberg. Produzione RAI, ORTF, Bavaria Film, Compagnia Leone cinematografica. 1972. Roma Soggetto e sceneggiatura Federico Fellini, Bernardino Zapponi. Fotografia Giuseppe Rotunno. Ideazione scenografica Federico Fellini. Scenografia e costumi Danilo Donati. Musica Nino Rota, diretta da Carlo Savina. Attori Peter Gonzales, Fiona Florence, Marne Maitland, Britta Barnes, Pia De Doses, Renato Giovannoli, Elisa Mainardi. Produzione Ultra film, Les Productions Artistes Associés.

1969. Block-notes di un regista Sceneggiatura Federico Fellini, Bernardino Zapponi. Fotografia Pasquale De Santis. Musica Nino Rota. Attori Federico Fellini, Marcello Mastroianni, Caterina Boratto, Marina Boratto, David Maumsell, Giulietta Masina. Produzione NBC. 1969. Fellini-Satyricon Sceneggiatura Federico Fellini, Bernardino Zapponi, liberamente tratta dal testo di Petronio Arbitro. Fotografia Giuseppe Rotunno. Scenografia Danilo Donati, Luigi Scaccianoce. Musica Nino Rota, con la collaborazione di Ilhan Mimaroglu, Tod Docksader, Andrew Rudin. Attori Martin Potter, Hiram Keller, Max Born, Salvo Randone, Mario Romagnoli, Magali Noël, Capucine, Lucia Bosé, Gordon Mitchell, Donyale Luna. Produzione PEA, Les Productions Artistes Associés.

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SOGNI DEL 1965 - 1973

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Ultimo film girato: 1963 Otto e mezzo Soggetto e sceneggiatura Federico Fellini, Tullio Pinelli, Ennio Flaiano, Brunello Rondi. Fotografia Gianni Di Venanzo. Musica Nino Rota. Scenografia e costumi Piero Gherardi. Attori Marcello Mastroianni, Anouk Aimée, Sandra Milo, Claudia Cardinale, Rossella Falk, Barbara Steele, Annibale Ninchi, Giuditta Rissone, Mario Pisu, Caterina Boratto, Ian Dallas, Mino Doro, Jean Rougeul, Elisabetta Catalano, Yvonne Casadei. Produzione Federico Fellini, Angelo Rizzoli.

Film successivo: 1973 Amarcord Soggetto e sceneggiatura Federico Fellini, Tonino Guerra, da un'idea di Federico Fellini. Fotografia Giuseppe Rotunno. Scenografia e costumi Danilo Donati. Musica Nino Rota, diretta da Carlo Savina. Attori Bruno Zanin, Magali Noël, Pupella Maggio, Armando Brancia, Stefano Proietti, Giuseppe Ianigro, Nandino Orfei, Ciccio Ingrassia, Carla Mora. Produzione F.C. Produzioni, PECF.

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SOGNI PARALLELI 25-6-74

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30-11-75

☛ RIMANDI E ASSONANZE

☛ TRASCRIZIONI E KEY-WORDS / IMAGES

DA ❝ LA N’ERA MIGA ACSÈ ❞ Ennio Cavalli A RIMINI fece credere che sarebbe arrivato su un panfilo per l’anteprima di Giulietta degli Spiriti, mentre per l’incontro imperniato sulla visione dei Clowns e dello special televisivo di Zavoli, “Un’ora e mezzo con il regista di Otto e mezzo”, il telegramma parlava di partenza per Rio de Janeiro. Salvo sbalordire di nuovo i concittadini, dopo stagioni di beffe amorevoli, di rinvii, di disdette, con la partecipazione alla giornata di festeggiamenti e all’anteprima mondiale di E la nave va. Quello che ferma due straniere per strada, chiede da dove vengono, rispondono Svizzera e lui, come un passante qualunque: “Io sono Fellini, ho degli amici a Friburgo”. Quello che sorride dell’ultima intervista rilasciata alla tivù giapponese: “Ci parli di suo padre, signor Fellini. Ci parli di sua madre, signor Fellini. Alla fine ho chiesto se volevano che dicessi qualcosa anche di mio cognato, il marito della Maddalena. Ci parli di suo cognato, signor Fellini. Mio cognato, pediatra, si esprime sempre al diminutivo, come se vedesse il mondo rimpicciolito, dalla parte dei bambini. Quando mia mamma era all’ospedale, dava ragguagli del genere: Sta malino, le hanno fatto una trasfusioncina, il piede minaccia una cancrenina”. Quello che manda a Zavoli, all’indomani della nomina a presidente della Rai, un telegramma di due parole: “Osta te”. Poi, richiesto di spiegare cosa significhi quell’ammicco: “Da ragazzi, a RIMINI, lo si diceva a chi compariva improvvisamente senza il baschetto o lo scuffiotto. Aveva comprato il cappello nuovo, un cappello da uomo: osta te! Oppure a chi, uscendo dal barbiere, esibiva inedite basette a punta. Osta te! Ammirazione e nello stesso tempo diffidenza. Un modo di congratularsi ma anche un prendere le distanze: chissà cos’avrai fatto per arrivare lì!”.

SOGNO DEL 5-2-65 Ieri sera ho finito il film “Giulietta degli spiriti”. Questa notte ho fatto questo sogno: Il vecchio elefante cieco non serve più al circo. Secondo l’antica tradizione lo si ucciderà pubblicamente in mezzo alla pista. Ho sentito parlare di questa usanza che risale chissà a quale tempo, ma quando il grande elefante ignaro viene condotto sotto la tenda, e rapidi gli inservienti gli legano a terra la proboscide mentre altri lo tengono fermo tirandolo per le immense orecchie e tutto è pronto per l’uccisione… non ho cuore per assistere ed esco dalla tenda. Menicuccio con la sua maglia nera e il cappello in testa avanza rapido e sicuro, ha in mano una pesantissima mazza, lo colpisce in mezzo alla fronte e il grande elefante crolla, morto… Più tardi mia madre mi chiama da RIMINI, sento il suo respiro affannato, piange. – Pronto mamma. Che c’è? – dico più volte col cuore stretto dall’angoscia. La sento ansimare, come chi deve comunicare una brutta notizia e non ha la forza di farlo…

Ida Barbiani, madre di Fellini. Casalinga, era romana di origine Sandra Milo e Giulietta Masini da Giulietta degli spiriti (1965)

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SOGNI PARALLELI

☛ RIMANDI E ASSONANZE

20-4-82

☛ TRASCRIZIONI E KEY-WORDS / IMAGES

Da ❝ QUESTA RIMINI CHE NON FINISCE PIÙ ❞ Sergio Zavoli

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Tra i grandi del cinema, Fellini è quello che sul set l’ha reso più allegro, amichevole, innocente. Cominciando da se stesso, volta a volta domatore, illusionista, buttafuori tra marcette di clown e musiche d’organo, nell’attesa di elefanti e bambini, donnone e seminaristi, giraffe e nani, cardinali e meretrici, via via esprimendo quella visione del mondo e dell’uomo, della vita e del sogno, che ha fatto del suo cinema un linguaggio tra i più vivi e sognanti del nostro tempo. Ma ridendoci su – come quel giorno, in trattoria – per sottrarsi ai discorsi sul suo maestoso inventarlo, sul gallarne la natura per sottometterla ai suoi sortilegi.

SOGNO DEL 5-2-65 Uccisione del vecchio elefante cieco in mezzo alla pista. Pronto? Mamma!? Pronto? RIMINI

Passaggio di un circo a RIMINI

Particolare di una formella del Tempio Malatestiano

L'elefante è il simbolo araldico dei Malatesta. Per i Signori di RIMINI l'elefante rappresentava virtù nobili e di comando. Stemma dei Malatesti, da Famiglie celebri italiane di P. Litta, Milano 1869

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SOGNI PARALLELI 20-4-82

☛ RIMANDI E ASSONANZE DA ❝ IL DIALETTO DI FEDERICO ❞ Gianfranco Miro Gori “Quando RIMINI, ufficialmente, comunicò a Federico Fellini che una grande manifestazione in suo onore sarebbe stata tenuta nella sua città natale, il regista scrisse al sindaco Walter Ceccaroni di non esagerare, di non fare ‘patacate’. Correva l’anno 1965”. DA ❝ OSTA TE… ❞ Sergio Zavoli

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23-8-74

31-10-77

Fellini, intanto, era diventato di casa. Tutti, ormai, lo chiamavano familiarmente Federico, dal sindaco alle donne della pescheria. Si intuiva che da quella faccenda dello sbarco il turismo riminese avrebbe tratto grande giovamento, che sarebbero discesi traffici e affari in ogni angolo della città, fino ai banconi dell’“acquadella”. Sarebbe stata, oltretutto, l’occasione per riconciliare Federico con l’intellettualità e l’amministrazione di RIMINI. Il paese aveva per Fellini un affetto un po’ ruvido, provava una punta di delusione. Lo avrebbe voluto più spesso a casa, confuso con la gente, immerso nei problemi cittadini. Il sindaco Walter Ceccaroni – uomo massiccio, ma di naso fino – aveva preparato una medaglia d’oro da consegnargli in Municipio, con i valletti, il gonfalone e la giunta. Altri festeggiamenti sarebbero fioriti in seguito, qua e là, perché l’abbraccio di RIMINI prendesse anche un significato corale, qualcosa come l’incontro degli astronauti con New York dopo il rientro nell’oceano. Un comitato aveva previsto la chiusura di Piazza Cavour per proiettare in anteprima l’ultimo film di quel figlione ravveduto che portava a casa, dopo tanti anni di sperperi, un barlume della sua fortuna.

☛ TRASCRIZIONI E KEY-WORDS / IMAGES SOGNO DEL 16-7-65 VISIONE IPNAGOGICA Il mio orologio da polso segna le dodici meno cinque. È morta? È soltanto ferita? È un’acrobata da circo che ha potuto prendere quella posizione così innaturale? E lo stradone porta a RIMINI? Ma che è successo in verità? La donna è stata investita da un camioncino carico di frutta e la frutta (molto piccola) si è sparsa sull’asfalto. Ma il camioncino dov’è? Infine: è una visione che anticipa il fallimento della manifestazione che RIMINI voleva fare in mio onore? (La frutta non raccolta) continua nel foglio successivo

DA ❝E IL GIORNO ARRIVÒ. RICORDANDO L’AMICIZIA CON FEDERICO E IL FELLINI’S DAY ❞ Mario Guaraldi Fu questa sua “complicità” a farmi ritenere che sarei riuscito dove altri prima di me avevano fallito: riportare Fellini a RIMINI. Ci ho messo senza quasi dieci anni. Ma prima è stato un susseguirsi di incontri e di avventure artistiche, come quando lo andai a prendere in Via Margutta per portarlo di nascosto a Firenze a incontrare Jusaburo Tsujmura, il più grande creatore di bambole giapponesi, che faceva uno spettacolo al Teatro Romano di Fiesole. “Bisognerebbe fare un film su La Divina Commedia – gli dicevo – te l’inferno, Bergman il purgatorio e Kurosawa il Paradiso…”. E Federico rideva.

Lo storico cinema Fulgor a RIMINI

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SOGNI PARALLELI 20-12-65

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22-1-80

☛ RIMANDI E ASSONANZE DA ❝ QUESTA RIMINI CHE NON FINISCE PIÙ… ❞ Sergio Zavoli Non venne scosso, questo è certo, da empiti escatologici: era un laico attento e riguardoso, ma testa e animo erano qui: «Non c’è niente» disse Federico «che sia più rassicurante di questa realtà, anche perché è l’unica che possiamo vivere». Ma qualcosa lo turbava: «Ho bisogno di credere», mi confessò in TV. «È un bisogno né vivo né maturo, per la verità, un bisogno infantile di sentirmi protetto, di essere giudicato benevolmente, capito, e possibilmente perdonato». Ne ebbi una prova il giorno in cui tornai da Chernobyl, dove ero andato a mettere il naso, per la televisione, nella tremenda catastrofe nucleare. In circostanze che sarebbe lungo e forse inutile dire venimmo investiti da un camion dell’esercito sovietico, rimasi gravemente ferito a una gamba e subii una lunga operazione; ripresi coscienza dopo dodici ore, con due risvegli e due inabissamenti da togliere il fiato. Una mattina raccontai a Federico il sogno di quella notte. Mi esortava a prenderne nota, e io gli dicevo: «Figurati se potrò dimenticarlo! ». Ma lui insisteva: «Lo dimenticherai, come gli altri! Scrivili, ti do il titolo, chiamali I sogni di Chernobyl!». Qualche giorno dopo, verso le sette – l’ora della telefonata pressoché quotidiana nell’ultimo grappolo di anni – gli descrissi un altro sogno. Credo sia perdonabile se ne parlo: penso, anzi, che possa tornare a onore di Federico, della sua intelligenza paziente, solidale. Il sogno, dunque, era questo: un impresario, consegnatami l’asta degli equilibristi, m’invitava a camminare su un filo disteso da un capo all’altro della piazza, ma come credetti di mettervi sopra un piede capii che il filo non c’era. Muovevo i passi su una corda invisibile, ed ebbi la sensazione di precipitare. Forse era la fine… E Federico, con l’aria di sorprendersi, «Perché la fine? Chi può dire che non fosse l’inizio?». A proposito: Federico non ha mai voluto, in coda ai suoi film, la parola “fine”.

☛ TRASCRIZIONI E KEY-WORDS / IMAGES Negli scantinati di casa nostra Giulietta mi dice che l’acqua è salita pericolosamente raggiungendo il limite di sicurezza. Vedo i gorghi di acqua fangosa che scorre con fragore sotto gli archi dei ponti interni delle cantine. G. è in camicia, non mi sembra spaventata. Ingmar Bergman è venuto a RIMINI insieme ad una vecchia signora sua collega. Critica con molte argomentazioni il mio modo di usare la musica nei films. *** SOGNO DEL 12-11-66 Ho cambiato macchina. Dov’è la mia bella, confortevole Mercedes? Ora ho una potente Ferrari al posto del volante c’è un cinturone di cuoio una specie di collare, di collettone. Come si usa? Finisco pericolosamente sulla strada ferrata, per fortuna non succedono continua nel foglio successivo

Disegno di Federico Fellini raffigurante un clown bianco come ritratto di Bergman Roma, 5 aprile 1969. La visita di Ingmar Bergman sul set di Satyricon per incontrare Federico Fellini e parlare del film Duetto d'amore da girare insieme (LaStampa.it)

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SOGNI PARALLELI

☛ RIMANDI E ASSONANZE DA ❝ IL MIO PAESE ❞ Federico Fellini

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Stanotte ho sognato il porto di RIMINI che si apriva sopra un mare gonfio, verde, minaccioso come una prateria mobile, sulla quale correvano nuvoloni carichi, verso terra. Io ero gigantesco e nuotavo per guadagnare il mare, partendo dal porto, che era piccolo, angusto. Mi dicevo: “Io sono gigantesco, però il mare è pur sempre il mare. E se non tocco?”. Tuttavia non ero angosciato. Nuotavo nel piccolo porto con grandi bracciate. Non potevo affogare perché toccavo il fondo. Avrei potuto affogare, invece, nel mare: ma nuotavo egualmente. È un sogno inflazionato, che tende, forse, a restituirmi la fiducia di affrontare il mare. Un invito a sopravvalutarsi: oppure a sottovalutare le piccole condizioni protettive di partenza che potrebbero limitarmi. Insomma, non ho capito se io debbo abbandonare il complesso del piccolo porto di partenza, oppure se mi sopravvaluto. Un fatto è, comunque, certo. Io, a RIMINI, non torno volentieri. Debbo dirlo. È una sorta di blocco. La mia famiglia vi abita ancora, mia madre, mia sorella: ho paura di certi sentimenti? Soprattutto mi pare, il ritorno, un compiaciuto, masochistico rimasticamento della memoria: un’operazione teatrale, letteraria. Certo, essa può avere il suo fascino. Un fascino sonnolento, torbido. Ma ecco: non riesco a considerare RIMINI come un fatto oggettivo. È piuttosto, e soltanto, una dimensione della memoria. Infatti, quando mi trovo a RIMINI, vengo sempre aggredito da fantasmi già archiviati, sistemati. Forse questi innocenti fantasmi mi porrebbero, se vi restassi, una imbarazzante muta domanda, alla quale non potrei rispondere con capriole, bugie; mentre bisognerebbe tirar fuori dal proprio paese l’elemento originario, ma senza inganni. RIMINI: cos’è. È una dimensione della memoria (una memoria, tra l’altro, inventata, adulterata, manomessa) su cui ho speculato tanto che è nato in me una sorta di imbarazzo. Eppure debbo continuare a parlarne. A volte, anzi, mi chiedo: alla fine, quando sarai più ammaccato, stanco, fuori competizione, non ti piacerebbe comprare una casetta sul porto? Il porto dalla parte vecchia. Da bambino lo vedevo di là dall’acqua: vedevo costruire scheletri di barche. L’altro braccio, stando di qua, lasciava immaginare una vita da baruffe chioggiotte, che non aveva nulla a che fare coi tedeschi che andavano sul mare con la Daimler Benz. Per la verità, l’inizio della stagione era dato dai tedeschi poveri. Si vedevano improvvisamente delle biciclette sdraiate sulla spiaggia, dei pacchi, e, in acqua, ciccione, trichechi. Noi bambini venivamo portati al mare, con cuffie di lana, dal garzone di mio padre. Allora, di là, nella parte vecchia del porto, vedevo sterpi, sentivo voci. Tempo fa, tramite l’amico Titta Benzi, avevo comprato una casa, a un prezzo favoloso. Pensavo di aver trovato un punto fisso: oppure, di abbandonarmi alla vita semplice. Ma doveva essere letteratura falsa perché questa casa non l’ho mai vista; anzi, mi dava fastidio il pensiero di una casetta chiusa, senza inquilini, che stava là ad aspettare inutilmente.

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disastri, Giulietta siede calma al mio fianco e Zavoli che conosce questo tipo di macchina, apre il cassetto del cofano cercando l’opuscolo che descrive le caratteristiche di questa vettura. – Ma il volante? – insisto io – Come è possibile guidare con questo collare di cuoio? – Non si capisce se l’auto sia proprio fatta così e quindi è necessario imparare a guidarla manovrando il collare, oppure bisogna aspettare che dalla fabbrica spediscano il volante. Il porto di RIMINI. Era più piccolo? O io ero un gigante? Nuotavo per raggiungere il mare. – Sì – dicevo – sono un gigante, ma il mare è sempre immenso…–

Giovanni da Verona, xilografia acquerellata, tratta da Roberto Valturio, De re militari, Verona 1472 (RIMINI, Biblioteca Civica Gambalunga, SC. MS. 4.S.IV.11)

Zavoli e Fellini nel 1983 Zavoli sfoglia libro Il libro dei sogni di Fellini (Rizzoli, 2007)

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DA ❝ GIULIETTA MASINA NEL BIOGRAFICO DELLA TRECCANI ❞

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Nata a San Giorgio di Piano, non lontano da Bologna, il 22 febbraio 1921, dopo le prime esperienze teatrali, Giulietta Masina cominciò a lavorare presso l’Ente italiano audizioni radiofoniche (EIAR) e, nell’ambito di questa collaborazione, partecipò, dal giugno 1941, alla trasmissione di notevole successo Terziglio, in cui interpretò alcune brevi scene incentrate sulle disavventure di due sposini, Federico e Bianchina, detti Cico e Pallina, di cui era autore Federico Fellini. Il primo incontro con Fellini avvenne nell’autunno 1942 e, neppure un anno dopo, il 30 ottobre 1943, i due si sposarono. La Masina, poco dopo il matrimonio, abortì per una caduta dalle scale; quindi, nel marzo 1945, partorì un bambino, Federico come il padre, che morì dopo 15 giorni.

OTTOBRE 1967 Visione del culetto di S. con un grosso grappolo di uva nera che le usciva dalla gloriosa fichetta. NOVEMBRE 1967 Giulietta deve partorire “un pescecane d’oro”. Ha già le doglie del parto non c’è più nemmeno il tempo di trasportarla in clinica. Si distende a terra (dove eravamo? Nella Pescheria di RIMINI?) ed ecco spuntare in mezzo alle cosce la coda a falce di luna del pescecane. Io grido a tutti di tirarsi indietro perché il pescecane è feroce e voracissimo anche appena nato.

Disegno di Fellini: Giulietta Masina

La vecchia pescheria di RIMINI: una foto d'epoca e una veduta serale di oggi Vendita delle “poveracce” in pescheria

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DA ❝ IL MIO PAESE ❞ Federico Fellini Poi, Faenza mi ha anche scritto, perché è generoso, voleva provocarmi, quindi aiutarmi: “Tu dici di voler comunicare, disperatamente comunicare con i giovani, quei giovani. Certo. Ma per aiutarli a uscire dall’isola dove sono rinchiusi o dove li abbiamo buttati noi; non per far sentire la nostalgia per il loro mondo. Ricordi quella ragazza che diceva parole inafferrabili di là da un fiume, nella sequenza finale de La dolce vita? Cercava di comunicare, da un mondo più sano e pulito, con uomini fradici come quel pesce luna che nel 1934 venne a eleggere la spiaggia di RIMINI, a Miramare, come luogo di morte e di putredine. Ma che cosa diceva quella ragazza?”. Io, naturalmente, dopo le ultime esperienze, ho provato ad immaginare che cosa diceva quella ragazza, poiché Faenza me lo aveva chiesto così perentoriamente. “La vita non ha senso, ma bisogna darglielo”, aveva detto Chaplin in Luci della ribalta, un’altra cosa ancora che aveva ricordato Faenza, perorando il suo rifiuto verso i giovani d’oggi.

Ora il mostriciattolo è uscito fuori dalla vagina di G. Ha la forma di un pesce martello ed è coloratissimo. “Guarda il rosso com’è rosso – dice la voce di G. – guarda il giallo com’è giallo!”. Il pescecane si dibatte in terra, io insisto nel raccomandare a tutti prudenza ma non sono veramente convinto che il mostriciattolo sia davvero feroce, anzi a guardarlo meglio sembra un giocattolo di gomma.

Pesce-luna sulla spiaggia di RIMINI (foto: D. Minghini, 1976) Il ritrovamento nel disegno pubblicato dalla Domenica del Corriere, 29 aprile 1934

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DA ❝FELLINI DEL GIORNO DOPO❞ Tullio Kezich A un film tratto dalle Memorie di Giacomo Casanova (1725-1798), che paradossalmente dichiarava di non amare, Fellini pensava già negli anni ’50 quando Steno realizzò Le avventure di Giacomo Casanova (1954) con Gabriele Ferzetti, bersaglio privilegiato delle attenzioni censorie dell’allora sottosegretario allo spettacolo Oscar Luigi Scalfaro. In ogni modo la storia cinematografica del personaggio precede e segue il film Il Casanova di Federico Fellini (1976) con Donald Sutherland: dal Casanova (1927) di Alexandre Volkoff con Ivan Mosjoukine a Infanzia, vocazione e prime esperienze di Giacomo Casanova veneziano (1969) di Luigi Comencini con Leonard Whiting per arrivare al Casanova anziano di Mastroianni (che forse volle sornionamente vendicarsi di non essere stato considerato dall’amico Federico per questo ruolo) in Il mondo nuovo (1982) di Ettore Scola.

SOGNO DEL NOVEMBRE 70 A RIMINI, di notte (molto buia), parlo con Comencini. Vedo Giulietta allontanarsi e rifletto così: “Anche questa nuova moglie ha pur sempre qualcosa di Gelsomina”. In effetti era Giulietta ma nel sogno era come fosse una nuova moglie. Apparizione di tre gigantesche triglie agonizzanti. Due sono già morte, sgozzate, sangue in terra a rivoli, la terza sta per morire ma si muove ancora sulle pinne come volesse seguirmi, ma l’occhio è vacuo, da moribonda. Dico sdegnato a Comencini: “Ma come è possibile fare questi massacri con la giustificazione che dobbiamo nutrirci?”. Mi allontano nella direzione opposta a quella di Giulietta, angosciato, sconfortato. ***

*** […] Insomma la Giulietta del film non è affatto, o è solo a momenti, la Giulietta della vita. Me lo confermò lei stessa nel corso di una lunga intervista dell’ ’84 che fu poi pubblicata in volume: “(Giulietta) non mi assomiglia per niente; e questo, scusami, non l’ha capito nessuno. Io non sono quella Giulietta là, come Mario Pisu non è Fellini. Ma ti pare? Schiacciata dalla madre, succuba delle sorelle? Nella mia famiglia, faccio per dire, ho sempre comandato io. Il film è nato come una scusa per parlare di un tipo di educazione cattolica repressiva? Ma le mie Orsoline avevano una scuola con metodi e mentalità più avanti di tutto quello che c’era in giro allora nel campo della didattica. Se qualcuno mi assomiglia nel film è il personaggio di Sylva Koscina: la sorella attrice che va sempre in giro, fa i provini, appare e scompare… Giulietta sullo schermo è timida, complessata, oppressa. Ti dirò anzi che mi è sempre stata antipatica, non l’ho mai mandata giù. Non mi piace il tipo della donna mediterranea, prima succuba dei genitori e poi parassitaria nel rapporto col marito. Io non sono mai stata sottomessa a nessuno, fin da bambina ho quasi adottato i miei genitori. Giulietta l’ho affrontata come un’inconscia difesa mia, di quello che sarei potuta diventare se non avessi avuto questo carattere. Ma ti pare che io facevo andare via mio marito così, senza una parola, senza neanche avere il gusto di una spiegazione? Altro che lasciarlo andare, io gli avrei spaccato la testa.”

Luigi Comencini sul set

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DA ❝ IL DIALETTO DI FEDERICO ❞ Gianfranco Miro Gori

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Il significato di “amarcord” è noto. Nell’incipit del volume col “trattamento” del film a firma di Fellini e Guerra, Guerra ce ne offre un approfondimento in versi: “Al so, al so, al so/ che un om a zinquet’ann/ l’ha sempra al mèni puloidi/ e me a li lèv do, tre volti e dè,// ma l’è sultènt s’a m vaid al mèni sporchi/ che me a m’arcord/ ad quand ch’a s’era burdèll.” (Lo so, lo so, lo so,/ che un uomo di cinquant’anni/ ha sempre le mani pulite/ e io me le lavo due o tre volte al giorno,// ma è soltanto se mi vedo le mani sporche/ che io mi ricordo/ di quando ero ragazzo). Tonino Guerra, sceneggiatore, romanziere e poeta dialettale (dialetto di Santarcangelo di Romagna) tra i maggiori del Novecento, è coautore del soggetto e della sceneggiatura di Amarcord. Personaggi e episodi del film derivano da sue opere. Per esempio: un’altra sua poesia, I madéun (I mattoni) è recitata, pur se abbreviata e in dialetto italianizzato (o viceversa), nel film: “Mio nonno fava i matoni/ mio babo fava i matoni/ fazo i matoni anche me…/ ma la casa mia in dov’è?”. Il nome Cantarèl (padre del fisarmonicista cieco di Amarcord) compare nella poesia Sòura un cafelàt (Su un caffelatte). Un’altra poesia, E’ gat sòura e’barcòcal (Il gatto sull’albicocco), è all’origine dell’episodio dello zio matto, Teo, che non vuole scendere dall’albero. Dabón Santin? (Sul serio Santino?) ha ispirato la discussione tra i genitori del protagonista, Aurelio e Miranda, sull’esistenza di Dio a partire dalla perfezione di un uovo. Nel secondo romanzo di Guerra, Dopo i leoni (1956), c’è un episodio molto simile all’approccio fallito tra Titta, il protagonista, e la Tabaccaia. Ma non si tratta solo di riferimenti. Guerra costituisce la sponda che consente a Fellini di rendere esplicita la materia dialettale. Fellini non era dialettofono. Capiva il dialetto ma non lo parlava. Gli risuonava dentro. Come dimostra l’evocazione di personaggi e storie dialettali fatta in Il mio paese.

SOGNI DEL ‘73 Ricopio in queste pagine dispari gli appunti e gli schizzi che avevo annotato su di un altro quaderno. Sono sogni che vanno dal febbraio del 73 ai primi mesi del 74. Siamo alla fine di febbraio. Ho iniziato “Amarcord” da tre settimane. Che sogni ho fatto? A parte quello esattissimo che anticipava l’interruzione del film a causa di una mia noiosa influenza (Pippia, Maurizio ed io venivamo fermati dalla polizia, arrestati e tenuti in cella per un fermo di 15 giorni) durata appunto due settimane, non ricordo altri sogni. Ah sì, uno, l’altra notte: agenti del fisco tedesco, americano polacco mi annunciavano che dovevo pagare le tasse nei loro rispettivi paesi. Non ricordo altro. SOGNO DEL 24-2-73 La gattona gravida parlava ma né Tonino né io ricordiamo cosa diceva. La scena si svolgeva nella bottega del tabaccaio Dante a RIMINI. SOGNO DEL 5-1-72 Un vecchio sogno DIO È IMPERDONABILE!(1) IL PASSATO ABBIAMO GIÀ DETTO CHE È STATO SALDATO. CHIUSO. NON CONTA PIÙ! Così mi diceva la donna di cui non vedevo il volto. Indossava un pullover rosso e sotto era nuda, tra i seni potenti scorgevo una folta peluria così come può avere un uomo. (1)

“Imperdonabile” nel senso che Dio è fuori, al di là del perdono, estraneo a questo sentimento squisitamente umano.

Il manifesto originale di Amarcord (1973) Tonino Guerra oggi e in un disegno di Fellini

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SOGNI DEL 1974 - 1977

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Ultimo film girato: 1976 Il Casanova Sceneggiatura Federico Fellini, Bernardino Zapponi, liberamente ispirata da Storie della mia vita di Giacomo Casanova. Fotografia Giuseppe Rotunno. Scenografia e costumi Danilo Donati. Musica Nino Rota, diretta da Carlo Savina. Attori Donald Sutherland, Tina Aumont, Margareth Clementi, Cecily Browne, Carmen Scarpitta, Diane Kourys, Clara Algranti, Adele Angela Lojodice, Sandra Elanie Allen, Daniela Gatti. Produzione PEA.

Film successivo: 1979 Prova d'orchestra Soggetto e sceneggiatura Federico Fellini, con la collaborazione di Brunello Rondi. Fotografia Giuseppe Rotunno. Musica Nino Rota, diretta da Carlo Savina. Scenografia Dante Ferretti. Costumi Gabriella Pescucci. Attori Baldwin Baas, Clara Colosimo, Elisabeth Labi, Ronaldo Bonacchi, Ferdinando Villella, Giovanni Javarone, David Mauhsell, Francesco Aluigi. Produzione Daime Cinematografica Spa e RAI, Albatros Produktion GmbH.

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DA ❝ IL MIO PAESE ❞ Federico Fellini

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Sul molo, dove una volta c’era veramente il buio e qualche coppietta allacciata si nascondeva dietro i massi di granito: anche lì c’era musica, comitive di svedesi sulle terrazze dei ristoranti ittici. Dall’altra parte del molo, dove una volta c’era qualche lumicino tremolante di pescatore, adesso si vedeva una specie di serpentone di luce. Infine, andammo a sedere sul terrazzo del Club Civico di RIMINI. Titta, che era venuto con noi, se ne stava curiosamente silenzioso. Mi venne in mente che, prima della guerra, con Titta, al Circolo dei Filodrammatici, andavamo a rubare nei cappotti dei soci. Una volta rubammo 73 lire, che ci permisero di svernare mangiando paste e cioccolata. Finché, una sera, udimmo il proprietario del cappotto che diceva: «Me, se prendo quei due che mi hanno rubato 73 lire, gli stacco i co....ni». E noi ci si nascondeva, lì a un passo, dietro le pagine con la stecca dell’“Illustrazione Italiana”. Ma Titta, ora guardando quel mare di gente che continuava a popolare la notte, si risvegliò d’un tratto. Poi chiese, un poco canzonandomi: «Mi dica, signor Fellini, lei che ha indagato tanto, che cosa significa tutto questo?». Subito dopo volle andare a letto, perché il mattino aveva una causa a Venezia. Lo accompagnò Minghini. Io restai fuori. Soltanto nella città vecchia c’era silenzio, c’erano luci più discrete. Passando pian piano con la macchina, vidi una canottiera, di uno che fumava, seduto in un caffettino. Era Demos Bonini, il socio della ditta FEBO, che ora fa belle incisioni su rame. Accanto a lui stava Luigino Dolci, “il domatore di cavalli Ettorre”. Entrambi tenevano le gazzose tra le gambe. Demos stava dicendo qualcosa di comico perché Luigino rideva scuotendo la testa e strizzandosi le lacrime coi pugni, come a scuola. Continuai a girovagare. Sono passato due o tre volte davanti all’albergo. Non avevo voglia di coricarmi. Mi lasciavo andare ad una specie di vuoto e pacifico ruminare del pensiero. Provavo, anche, un senso di vaga mortificazione: una cosa già sistemata, archiviata, ora la ritrovavo d’un colpo gigantesca, cresciuta senza il tuo permesso, senza chiederti consiglio. Forse ero anche offeso, chissà! Mi sembrava che Roma, ora, fosse più confortante, più piccola, addomesticata, familiare. In una parola, più mia. Ero preso da una comica forma di gelosia. Avrei voluto chiedere a tutta quella gente, gli svedesi, i tedeschi: “Ma insomma, che cosa ci trovate di tanto bello? Che cosa ci venite a fare?”. I Vitelloni sul molo Disegno di Fellini per Il viaggio di G. Mastorna

SOGNO DEL 14-9-74 Sul molo di RIMINI, una notte tempestosissima, un vento impetuoso violento soffia dal largo verso terra sollevando le onde. Io sto disegnando. Alle mie spalle seduto in un atteggiamento di indifferente e pacifico distacco c’è Peppino Rotunno. Norman solleva nell’aria carica d’acqua il mio disegno che rappresenta una nave nera che si ostina a partire in una notte simile a quella che stiamo vivendo. Poi ripone il disegno in un nascondiglio. NASCONDIGLIO RIFUGIO DOVE NORMAN NASCONDE IL MIO DISEGNO DOPO AVERLO TENUTO SOSPESO NEL VENTO FURIOSO PERCHÉ PIOGGIA E TEMPESTA LO RENDESSERO ANCOR PIÙ VEROSIMILE INZUPPANDOLO DI VERA ACQUA. SOGNO DEL 15-9-74 Dove sto andando? Confusamente so che debbo partire. Cerchiamo il binario 26 per Paris? Seguo in un corteo disordinato di portabagagli il mio facchino con le mie valigie sul carrello. Ora siamo scesi e ingorgati tra gli altri, sembra che dobbiamo risalire faticosamente. Ma allora perché siamo scesi, se adesso dobbiamo risalire?

La Palata, cioè il molo di RIMINI (foto: G. Valentini)

NOTA: questa situazione ricorda molto l’Inferno immaginario di Fellini «Il viaggio di G. Mastorna è sempre stato il diretto prosieguo di ogni film che ho fatto, da vent’anni a questa parte. Può darsi che questa volta il progetto presenti un’attualità maggiore. E tra i progetti che vorrei realizzare, certamente Il viaggio di G. Mastorna è quello più… probabile. Si tratta di un progetto che, nonostante sia nato una ventina di anni fa, e abbia “nutrito” con correnti e fluidi tutti i film che ho fatto dopo, sembra aver conservato intatta la sua struttura narrativa e anche la sua attualità interiore. Dunque, anche se non posso prometterlo ufficialmente davanti agli amici della stampa, penso che tra tutti i progetti, Il viaggio di G. Mastorna – questa volta con la sollecitazione protettiva della RAI, dell’amico Cristaldi e di un’altra ventina di produttori – possa essere di prossima realizzazione.»

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DA ❝ IL MIO PAESE ❞ Federico Fellini La sera si andava al mare, scomparendo in banchi di nebbia, nella RIMINI invernale: le saracinesche abbassate, le pensioni chiuse, un gran silenzio e il rumore del mare. D’estate, invece, per tormentare le coppie che facevano l’amore dietro le barche, ci si spogliava in fretta, quindi ci si presentava nudi, chiedendo all’uomo dietro la barca: “Scusi, che ora è?”. Di giorno, siccome ero magro e ne avevo il complesso – mi chiamavan Gandhi o “canochia” – non mi mettev in costume. Vivevo una vita appartata, solitaria; cercav modelli illustri, Leopardi, per giustificare quel timore del costume, quell’incapacità di godermela come gli altri, che andavan a guazzare nell’acqua (per questo, forse, il mare è così affascinante per me, come una cosa mai conquistata: la zona dalla quale provengono i mostri e i fantasmi). In ogni caso, per riempire quel vuoto, mi ero dato all’arte. Avevo aperto con Demos Bonini una Bottega dell’Arte: la ditta FEBO. Si facevano caricature e ritrattini alle signore, anche a domicilio. I firmavo Fellas e facevo il disegno. Bonini ci metteva il colore.

SOGNO DEL 30-12-74 Federico, la tua mamma è morta! La mamma apre gli occhi, è viva! Così mi dice Giulietta. Io annuisco seguitando a mangiucchiare e dimostrando scarso sentimento di dolore. Mi attardo, non mi decido ad andare a vederla. Infine oltrepasso la porta ed entro nella stanza accanto dove c’è mia madre morta. Nello stesso istante in cui mi avvicino al letto la mamma apre gli occhi (due bellissimi occhi celesti) sospira, sul volto fresco giovane aleggia un sorriso lieto. La mamma è risuscitata, forse non era morta, è più giovane, più bella, con i capelli foltissimi, neri, lucenti. Esito a chiamare G. perché temo che possa spaventarsi. LUCIANONA Immagine ipnagogica SOGNO DEL 1-1-75 L. M. come era apparsa nel numero natalizio di Vogue redatto qualche anno fa, invadeva lo spazio azzurro di un cielo altissimo sul mare verde smeraldo con lunghe creste bianche. Fissava con occhi rilucenti di gioia in basso e socchiudendo le immense rosee carnose labbrone diceva ad un’ombra bruna di lei (Lotar?) – Si arrendono! Abbiamo vinto ancor prima di cominciare la lotta! – Insieme alla folgorante immagine ho avuto netta la sensazione olfattiva di un forte odore di mare, come a RIMINI alla fine dell’ inverno, un odore salmastro potente da respirare col vento.

Visione di Lucianona prosperosa partecipante a un servizio fotografico per Vogue

Vignetta apparsa su 420, n. 1281 del 2 luglio 1939; notare la scritta “Teatro Fellini”. Campeggisti 1936, caricatura di Fellini, apparsa su La Diana, numero unico della 1120 Legione Balilla Moschettieri Bruno Brizzi, 1937

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DA ❝ MARC'AURELIO ❞ a. X, n. 100, 14 dic. 1940, p. 4 Il professore di matematica ha riempito la lavagna di equazioni. – È tutto chiaro? Se qualcuno ha dei dubbi lo dica pure… Sono pronto a ripetere la spiegazione. – Dolci sorride mettendosi in mostra. Annuisce varie volte. – Chiarissimo – dice fregandosi le mani. – Interessanti questi esercizi, vero, professore? – Benzi si gratta il collo fremendo. – Io una volta o l’altra gli tiro un calamaio sulla testa – mormora gonfiando il petto. – Davvero interessanti – aggiunge imitando la voce di Dolci. – Oh, sì sì sì tanto interessanti… – Dolci assume un contegno offeso e guarda il professore cercando comprensione e affetto – Allora è tutto a posto? Cancello? – Barilari si volta verso Fellini e lo guarda con occhi imploranti, e Fellini per salvare l’amico e se stesso si alza in piedi con aria stanca. – Io non ho capito bene. – Molti gli sorridono con simpatia; le donne uniscono le mani sul cuore. Bravo Fellini… Solo Dolci e Brocchi lo guardano con grande disprezzo. Il professore appare molto seccato. – Che cosa non hai capito? – Fellini allarga le braccia in un gesto vago. – Non ho capito quella cosa della retta… – Dolci ride ironico. Brocchi scuote il capo con pena. – Quale retta? – Fellini si sente un pochino a disagio. Ha detto così solo per diminuire il tempo riservato alle interrogazioni; solo perché Barilari poveretto si era tanto raccomandato… Sa assai di quale retta si sta parlando. Il professore insiste: – Quale retta? – Com’è cattivo “barbetta”. Prima dice che sarebbe pronto a ripetere la spiegazione eppoi se uno lo invita a farlo si arrabbia. – Di quella retta del coseno del coso dell’angolo… – La voce di Fellini si smorza a poco a poco. È andata male, ed ora siede guardando Barilari con aria rassegnata. Il professore apre il registro. Il silenzio è impressionante. Nella strada una voce grida un nome lontano… – Dunque, vediamo un po’… Sentiamo… – Fellini fa un altro eroico tentativo: – Scusate professore fino a che pagina dobbiamo studiare? – Il professore alza il capo seccato: – Sta più attento quando dico le cose. A pagina 46… – Ecco, è finita, adesso interroga… – E che paragrafo? – Mancano solo sette minuti alla fine della lezione, se Fellini riuscisse a far parlare il professore per sette minuti… Ma l’altro risponde bruscamente e china di nuovo la testa sul registro. Torna il silenzio, Barilari fa mille strani scongiuri, Dolci si muove per farsi interrogare, molti altri guardano fissi in terra con le orecchie tese ed il cuore in gola. Le donne sospirano, Benzi alza la testa sollevato, Rivalta manda un bacio al crocifisso appeso alla parete. Ma Barilari si alza piano piano: – Non sono preparato. Dio mio, questa non ci voleva! Le donne riprendono a tremare, Rivalta unisce ancora le mani in atto di preghiera, Dolci fa mille mosse per farsi notare – Vengo io? – sussurra a mezza voce. Mancano cinque minuti… D’Ambrosio che ha l’orologio mormora i secondi con voce roca. Il professore sorride cattivo: – Sì… Sentiamo Fellini. Proprio Fellini… – L’intera classe sorride felice. È salva. Torna il sole e la gioia di vivere. Mancano solo tre minuti… D’Ambrosio mormora l’ora incoraggiandolo. Fellini si alza lentissimo. Chiude un libro impiegandoci sette secondi. Chiude un quaderno, poi lo riapre, poi lo richiude… Si soffia il naso, tossisce, guarda se tutto è in ordine eppoi calmo e sereno si avvia alla cattedra. In quello stesso momento suona il campanello… Fellini sorride contento. I compagni fanno mille rumori…

SOGNO DEL 15-3-75 Nel salottino della casa di via Lutezia, una figura femminile vestita di nero (Giulietta? mia madre?) palpava con molta simpatia le enormi meravigliose tette di A. che era sdraiata completamente nuda sul divanetto giallo. A. taceva e si lasciava palpare, impastare le tettone. La donnetta era convinta di quanto diceva. Sul fondo mi sembrava ci fossero altre figure che assistevano alla scena. … ma certo, ma sicuro, queste belle tettone debbono, possono ritornare come prima! SOGNO DEI FRATELLI DOLCI Sono Luigino Dolci. Quello è mio fratello, il più giovane. È nato quando tu sei partito da RIMINI perciò non lo hai mai visto. Laggiù c’è Amerigo, ti ricordi di lui no? Ma che bella manona che hai!! Ciao Federico! Sono Amerigo Dolci. Andiamo tutti a pranzo offro io! SOGNO DEL 18-3-75 Tutti al ristorante all’aperto. Il vialetto d’ingresso sale con una notevole pendenza. Il tavolo è apparecchiato su quel vialetto, ci sediamo tutti; soggetti all’inclinazione del terreno piatti e bicchieri rischiano di far uscire la minestra e l’acqua.

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SOGNI PARALLELI

☛ RIMANDI E ASSONANZE

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DA ❝ IL MIO PAESE ❞ Federico Fellini “Adesso ci sono 1500 tra alberghi e pensioni, più di 200 bar, 50 sale da ballo, una spiaggia lunga 15 chilometri. Arrivano, ogni anno, mezzo milione di persone, metà stranieri e metà italiani. Gli aerei coprono il cielo ogni giorno, dall’Inghilterra, dalla Germania, dalla Francia, dalla Svezia...”. Sono tornato a RIMINI per via di questo libro. Chi mi dà le notizie è il figlio del mio compagno di scuola. Ora, sono i figli che si incontrano. «Ti ricordi Anteo, il facchino della stazione? Adesso ha una quantità di alberghi.» «I miei contadini» dice Titta «hanno abbandonato i poderi per mettere in piedi quattro ristoranti-alberghi alla Barafonda.» «Hai visto il grattacielo?» «Un tale di qui ha creato una catena di alberghi – anche in collina per la primavera e l’autunno, anche in montagna per l’inverno – perché i suoi clienti dell’estate non vuole lasciarli, li tiene stretti per tutto l’anno.» Questa che vedo è una RIMINI che non finisce più. Prima, intorno alla città, c’erano molti chilometri di buio e la litoranea, una strada dissestata. Apparivano soltanto, come fantasmi, edifici di stampo fascista, le colonie marine. D’inverno, quando s’andava a Rivabella in bicicletta, si sentiva il fischio del vento dentro le finestre di quegli edifici, perché le imposte erano state portate via, per far legna. Ora il buio non c’è più. Ci sono, invece, quindici chilometri di locali, di insegne luminose: e questo corteo interminabile di macchine scintillanti, una specie di via lattea disegnata coi fari delle automobili. Luce, dovunque: la notte è sparita, si è allontanata nel cielo e nel mare. Anche nella campagna, anche a Covignano, dove hanno aperto un night-club favolosissimo, che non si vede nemmeno a Los Angeles, nemmeno a Hollywood: e sta lì, proprio dove c’erano le aie dei contadini; dove sentivi soltanto latrati di cagnacci. Adesso appaiono giardini orientali: e musica, jukebox, gente dappertutto, un carrello di immagini sfolgoranti, il paese dei balocchi, Las Vegas. Ho visto alberghi di vetro e rame e, al di là dei vetri, gente che ballava, gente seduta su terrazze. Negozi, magazzini immensi illuminati a giorno, aperti tutta notte, con gli abiti, le mode che rotolano fin lì, Carnaby Street, gli oggetti della pop-art; mercati notturni con lo scatolame più incredibile, il risotto alla milanese già preparato, con lo zafferano; un’atmosfera falsa e felice; e questa concorrenza spietata: pensioni che, con poco più di mille lire, danno colazione, pranzo, cena, camera, cabina al mare: tutto con una piccola manciata di soldi. Non sapevo più dov’ero. Ma qui non c’era la Chiesa Nuova? E il viale Tripoli dove sta? Siamo ancora a RIMINI? Si ripeteva la sensazione di quando ero tornato, subito dopo la guerra. Allora avevo visto un mare di macerie. Adesso vedevo, con lo stesso sgomento, un mare di luce e di case.

SOGNO DEL 25-3-75 Era la spiaggia di RIMINI? Sulla riva c’era una minuscola guerra e dalla mia barca vedevo piccoli fanti con mantelline e fasce della guerra 15-18 lanciare piccolissime bombe. Poi completamente nuda arrivava la Lea. Era stupenda, potente, abbronzata. S’inginocchiava vicino al mare, e con le mani discostava una dall’altra le poderose chiappe. Dal favoloso culone s’affacciava re Vittorio Emanuele terzo. E la Lea ridendo a gola spiegata nella gran luce mi gridava così: C’È ANCHE PIPETTO CON LA BANDIERA!!! FORSE LA FANNO FINITA CON TUTTE QUESTE GUERRE!! TI RISPONDO COSÌ VECCHIA MASCALZONA! PENSO CHE MI ALLONTANERÒ DEFINITIVAMENTE DA TUTTE QUESTE FANTASIE. NON CE L’HO CON NESSUNO DI VOI. MA ADDIO! ADDIOOOOOOO… SOGNO DEL 26-3-75 A Milano, a tavola. Alla mia destra A. alla mia sinistra Roberto. Sto mangiando con piacere delle belle grandi foglie di lattuga. BUONA QUESTA INSALATA. NE PRENDEREI ANCORA UN PO’! Ma voi a Roma non avete insalata?

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Fellini sul set della spiaggia de La città delle donne (1980)

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SOGNI PARALLELI

☛ RIMANDI E ASSONANZE DA ❝ IL MIO PAESE ❞ Federico Fellini

6-1-77

Quando penso a Gambettola, a una monaca alta due centimetri, ai gobbi, al lume del fuoco, agli sciancati dietro i tavolacci, mi viene sempre in mente Hieronymus Bosch. Da Gambettola passavano anche gli zingari, e i carbonari che trasmigravano verso le montagne d’Abruzzo. Di sera, preceduta da urla orribili di animali, arrivava una baraccaccia fumigante. Si vedevano scintille, una fiamma. Era il castratore di porci. Arrivava, sullo stradone, con un mantellaccio nero e un cappello in disuso. La sua apparizione, i porci la sentivano in anticipo: perciò grugnivano spaventati. L’uomo portava a letto tutte le ragazze del paese. Una volta mise incinta una povera scema e tutti dissero che il neonato era il figlio del diavolo. L’idea per l’episodio Il miracolo, nel film di Rossellini, mi venne di lì. Ma venne di lì anche il turbamento profondo che mi indusse a realizzare La strada.

26-1-77

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☛ TRASCRIZIONI E KEY-WORDS / IMAGES SOGNO DEL 16-2-77 Attraversando a nuoto il porto di RIMINI (qualcuno nuotava accanto a me) rischio più volte di venire intrappolato nelle grandi reti di profondità che sono sistemate da un molo all’altro e pescano fino in fondo al canale. Riesco più o meno abilmente ad evitare di essere imprigionato nelle robuste maglie e quando arrivo al molo opposto, R.Rossellini in mutandine da bagno mi tende una mano e mi aiuta a salire con grande facilità. Arriva correndo Du Plantier e dice che l’acqua ha contagiato tutti! Quasi l’intera popolazione è intossicata. Il male si manifesta nella lingua che si arrossa sulla punta. Così dicendo mostra la sua lingua contagiata. Anche Roberto ha la lingua infocata. Ed io? Sento un pizzicore sull’estremità della lingua che è diventata rosa. Sì, anche io sono stato intossicato ma non così gravemente; solo in parte. (NOTA: Poco prima di questo episodio al largo in mare aperto c’era stata una sparatoria tra polizia marina e delinquenti. Un colpo di fucile aveva ucciso l’entomologo di Casanova. Poveretto vedevo il suo cadavere galleggiare sistemato su di un barchino e con una lampada accesa sulla testa)

20-10-77

SOGNO DEL 3-3-77 A letto con N. Arriva all’improvviso suo marito. Non succede nulla di quanto temo. Molto triste l’uomo m’indica in terra delle corone fatte con spilli intrecciati. Mi aiuta a raccoglierne una e se la rigira tra le mani.

De Sica, Rossellini e Fellini sul set di Il Generale della Rovere (1959) Ricordi di infanzia a Gambettola ripresi in Otto e mezzo (1963): il bagno tra le donne Disegno di Fellini: "contadino" Hieronymus Bosch, particolare da Il carro di fieno (1490 circa), olio su tavola, Madrid, Museo del Prado

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SOGNI PARALLELI

☛ RIMANDI E ASSONANZE

APRILE 68

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DA ❝ QUESTA RIMINI CHE NON FINISCE PIÙ… ❞ Sergio Zavoli

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Sappiamo che non ti piacerebbe essere al centro di tante parole. Lasciaci ricordare soltanto che, nel giorno del quinto Oscar, il tuo discorso finì con un omaggio a Giulietta. Mentre il teatro di Los Angeles era tutto in piedi, le dicesti: «E adesso, per favore, smetti di piangere!». Non potevi sapere che Gelsomina avrebbe dato presto una lezione di misura – dolorosa, addirittura straziante – che esige un caldo, rispettoso silenzio. Giulietta, infatti, vive da un letto d’ospedale questo addio. Di qui a poco farai una strada che hai molto amato, la stessa del cinema Fulgor. Un po’ più avanti, dopo il ponte, ci saluteremo. Quella strada porta lontano, è di tutti, conosce da millenni il venire e l’andare dei nostri passi, è davvero “una RIMINI – e non solo – che non finisce più”.

SOGNO DEL 22-12-77 Vedevo ripetute tantissime volte le foto del volto della Pac. Integravano un lunghissimo servizio su di lei pubblicato sulla rivista Epoca. Che era successo? Chi e perché parlava così abbondantemente della Pac.? Di noi? SOGNO DEL 22-12-77 Sotto i portici di una piazza (mi sembra RIMINI) vedo affisso un manifesto de “La Strada”. Riconosco Gelsomina col suo sorriso buffo e triste. Qualcuno, non so chi, mi fa notare che dalle onde dove Gelsomina sembra nuotare emerge il suo culo nudo. Forse i nuovi distributori del film credono di attirare più pubblico con una “Gelsomina-pornografica”. Non so come reagire e scuoto la testa interdetto e disgustato. Penso che dovrei intervenire, proibire questa oscena ridicola alterazione! La Pescucci offesa e arrabbiata molto più di me mi invita a rivolgermi ai giornali, alla polizia, non devo assolutamente permettere queste falsità invereconde su di un film e su di un personaggio tanto amato dal pubblico. Rifletto che ha ragione la Pescucci, e decido di intervenire in qualche modo. SOGNO DEL 23-12-77 Entro in palcoscenico e siedo ad un tavolo dove c’è Romolo Valli ed un’altra attrice che stanno recitando l’Enrico IV di Pirandello, davanti ad una platea attenta e silenziosa. Perché sono entrato? Che faccio io con i due attori? Sembra che io abbia accettato di sostituire qualcuno, il pubblico sa che sono Fellini e che recito il personaggio del marito. Valli mi dice le battute del suo personaggio e a bocca storta mormora le mie che io ignoro completamente. Anche l’attrice cerca di aiutarmi sussurrandomi le battute che dovrei dire io, ma non le capisco o le fraintendo. La situazione è assurda. Il pubblico non si è ancora accorto di nulla, ma è evidente che così non può continuare. Perché mi trovo su quel palcoscenico? Come è accaduto? E se dicessi la verità al pubblico? E cioè che io non so nulla di nulla e improvvisassi raccontando appunto di questo incredibile, ridicolo, penoso pasticcio?

Gelsomina (Giulietta Masina) scopre il mare, da La strada (1954), girato a Ostia Una delle ultime foto insieme di Federico e Giulietta Disegno di Fellini: Gelsomina

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SOGNI DEL 1979 - 1982

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Ultimo film girato: 1980 La città delle donne Soggetto e sceneggiatura Federico Fellini, Bernardino Zapponi, con la collaborazione di Brunello Rondi. Fotografia Giuseppe Rotunno. Scenografia Dante Ferretti. Musica Luis Bacalov, diretta da Gianfranco Plenizio. Attori Marcello Mastroianni, Anna Prucnal, Bernice Stegers, Ettore Manni, Iole Silvani, Donatella Damiani, Fiammetta Baralla. Produzione Opera Film Produzione, Gaumont.

Film successivo: 1983 E la nave va Soggetto e sceneggiatura Federico Fellini e Tonino Guerra. Fotografia Giuseppe Rotunno. Scenografia Dante Ferretti. Costumi Maurizio Millenotti. Liriche Andrea Zanzotto. Attori Freddie Jones, Barbara Jefford, Victor Poletti, Peter Cellier, Norma West, Sarah Jane Varley, Pina Bausch, Janet Suzman, Elisa Mainardi, Fiorenzo Serra, Jonathan Cecil, Philip Loche. Produzione Franco Cristaldi per RAI Radiotelevisione Italiana, VIDES Produzione, Gaumont.

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SOGNI PARALLELI

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DA ❝ E POI… ❞ Titta Benzi Ad avviarmi alle prime conoscenze pornografiche fu Raffaele, che aveva un anno più di me. Un giorno d’inverno, finita la scuola, coi nostri grembiulini neri con la scritta “Prima classe” ricamata all’altezza del cuore, percorrevamo la via Angherà verso la XXII Giugno. Come al solito camminavamo lui a destra, io a sinistra, verso le nostre abitazioni. D’un tratto Raffaele mi fece un cenno, si diresse verso il muro di una casa e dalla tasca del grembiule tirò fuori un biglietto di carta bianca, tutto spiegazzato. Lo distese e, mostrandomelo clandestinamente, me lo consegnò dicendomi: «Ecco le due tette». In effetti sul foglietto, al di sotto della scritta in stampatello “tette” c’erano due cerchietti con una macchiolina al centro. Tutto compreso dalla grande fiducia accordatami da Raffaele, che di donne doveva intendersi per riprodurne le parti nascoste, pensai che, trattandosi pur sempre di un pensiero di impudicizia, dovessi celare il foglietto a dovere. Così infilai la carta sotto il materasso del mio letto giungendo con il braccio quasi all’interno, di modo che né mia madre né la fantesca potessero scorgerla. Ma non avevo fatto i conti con le pulizie di Pasqua, ricorrenza nella quale, in onore del Cristo risorto, le case vengono ripulite, spolverate e sbattute per togliere polvere o altre lordure. La mattina del Sabato Santo, mentre stavo incollando dei soldatini austriaci di carta su di un cartone, si avvicinò mia madre, mi colpì da tergo con un ceffone e mi disse: «A tli dag mè al tètti, brót pòrc», e stracciò in mia presenza il prezioso biglietto. In quel momento pensai che ogni manifestazione sessuale dovesse essermi vietata per sempre. Ma, per fortuna, le cose andarono diversamente. Un’altra rivelazione mi venne infatti da Federico, quando entrambi avevamo 10 anni. Recatomi a casa sua, come ogni giorno, per tentare di studiare insieme le lezioni per l’indomani, non trovai l’amico che giunse poco dopo trafelato ed emozionato. Mi raccontò che, essendosi fermato di fianco alla chiesa di Santa Rita per gonfiare la ruota posteriore della bicicletta, alquanto sgonfia, mentre a tanto si adoprava, fu avvicinato da una ragazza con gli occhi verdi, bionda, con un gran neo sulla guancia sinistra, che gli prese tra le mani il viso, avvicinò le labbra alle sue e, premendo, gli pose la lingua in bocca. Il fatto parve a entrambi straordinario, e soprattutto misterioso. Di lei Federico si è ricordato in Amarcord.

SOGNO DEL 21-11-79 UOMO CAVALLO e bambino con palloncino sono sgomenti, stupefatti ancor prima di essere addolorati: La Ines di Riccione se ne va, li abbandona sulla spiaggia proprio adesso che sta arrivando l’inverno e ci sarebbe stato tanto bisogno delle sue enormi tette. Questa è la scena che mi è apparsa in un gran silenzio, un silenzio così immenso e totale che l’uomo col cappello commentava sempre più esterrefatto: “Non si sente nemmeno la ‘voce’ delle onde…” LA INES DI RICCIONE (la conoscevo quando avevo quattordici anni. Le tette più grandi che abbia mai visto, gonfie, lunghe e diritte. Faceva la farmacista da Bordogni). SOGNO DEL 17-2-80 AVRCURDÈ AD LOMBARDINI CA CUREVA IN BICICLETTA? Così chiede un uomo nudo col cappello in testa ed uno zinalone che gli ricopre il petto, la pancia e le ginocchia. Non so bene chi è. Mi sembra di ricordare un droghiere che vendeva a Natale i panettoni (i primi panettoni) a RIMINI ma non si chiamava così e non correva in bicicletta.

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Donna in bicicletta da Amarcord (1973) Disegno di Fellini: la bagnante di Faenza

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SOGNI PARALLELI 3-6-76

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5-6-81

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DA ❝ IL MIO PAESE ❞ Federico Fellini La casa dove m’è parso di avere il segno della predestinazione. Era una villetta col giardino davanti. Il grande orto che stava dietro comunicava con un enorme edificio – una caserma, una chiesa? – sul quale stava scritto, in lettere bianche a semicerchio: “Poli..ama riminese”. Mancavano due lettere, cadute, perdute. Siccome l’orto di casa nostra era infossato, il terreno che reggeva l’edificio, dietro il muretto di cinta, appariva più alto, là in cima. Una mattina, stavo nell’orto a costruire un arco con una canna, quando si sentì improvvisamente un frastuono. Era il rotolìo enorme della saracinesca del teatro, che non avevo mai notato e che si stava sollevando. Alla fine apparve una immensa apertura nera. Nel mezzo, stavano un uomo con un baschetto e un impermeabile e una donna che faceva la calza. Proseguì un dialogo. L’uomo: «L’assassino deve essere entrato dalla finestra». La donna: «La finestra è chiusa». L’uomo: «Il sergente Jonathan ha trovato tracce di scasso». Poi l’uomo s’era rivolto a me che stavo nell’orto: «Ci sono i fichi in quell’albero? ». «Mah, non lo so.» Stavano provando il Grand Guignol: la compagnia di Bella Starace Sainati. Aiutato dalle mani dell’uomo, entrai nell’antro buio: vidi i palchi dorati e, addosso a me, la pancia di una locomotiva sospesa alle corde, tremolante, tra celluloidi rosse, bianche, gialle. Era il teatro. Poi l’uomo andava avanti col problema della finestra. Io non capivo se era un gioco o che altro. Dev’essere passato molto tempo. A un tratto la voce di mia madre mi richiamava. «La minestra è a tavola.» «È qua», disse l’uomo col baschetto, rispondendo a mia madre, e mi aiutò a ripassare il muricciolo. Due sere dopo fui condotto dai miei a vedere lo spettacolo. Mia madre racconta che non mi mossi per tutto il tempo della recita. La locomotiva avanzava dal fondo del buio, della notte, stava per travolgere una donna legata sui binari, finché la donna veniva salvata mentre le piombava addosso un enorme, pesante, morbido, sipario rosso. L’emozione durò tutta la notte. Negli intervalli avevo visto le “coulisses”, le poltroncine, il velluto, gli ottoni, i corridoi, misteriosi cunicoli, ci ero corso in mezzo come un sorcio.

SOGNO DEL 20-11-80 A teatro (il Valle?) è finito lo spettacolo con Totò e tutto il pubblico si avvicina alla passerella per applaudirlo e goderselo ancora nelle sue ultime piroette. Anche io e Giulietta vogliamo applaudirlo e manifestargli tutta la nostra ammirazione e gratitudine, saliamo addirittura sulla passerella imitati subito dagli altri spettatori festanti e sorridenti. Ma Totò non appare. Esce invece Wanda Osiris già vestita per tornarsene a casa. Le chiedo: “Ma signora dov’è Totò? Tutti lo aspettano!” SIGNORA OSIRIS MA TOTÒ NON FA LA PASSERELLA? Se ne è andato signor Fellini. Lo troverà al ristorante. Mi dispiace per tutto questo gentile pubblico che lo aspetta per festeggiarlo… Veda di convincerlo lei a tornare. Esco a cercare Totò e lo trovo in un ristorantino che sta a cena solo soletto. La stanno aspettando! Non può deludere così il suo pubblico! Venga, la prego… E va bene. Andiamo pure. Uscendo insieme dal ristorante mi accorgo che siamo a RIMINI. È notte. Il grande spiazzo di terreno battuto dove sorge la rocca malatestiana è completamente deserto. Quanto ci metteremo per arrivare fino al teatro? Il pubblico avrà la pazienza di aspettare tanto? Per fortuna passa una carrozzella. La fermo e vi saliamo. Ma l’ingresso è invaso dalla folla che attende Totò. Totò si nasconde nel suo cappotto. Decido di provare ad entrare dall’ingresso attori… Ma il vicoletto che porta all’ingresso degli attori è ancora più affollato di ammiratori in attesa di vedere il comico. Mi sembra impossibile riuscire a farsi largo tra tanta ressa. E il sogno si ferma su questa immagine e su questo interrogativo: “Riuscirò a portare Totò in teatro, sulla passerella a ringraziare il suo pubblico entusiasta che lo sta fiduciosamente aspettando?”.

Il Politeama riminese, teatro della Belle Èpoque ora distrutto, dove Fellini ebbe il segno della predestinazione allo spettacolo Disegno di Fellini: Totò

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SOGNI PARALLELI 30-12-80 / 16-9-81

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25-2-82

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DA ❝ IL MIO PAESE ❞ Federico Fellini Sta bene, è la guerra: ma perché distruggere proprio tutto? Poi mi portarono a vedere un grande plastico, in una vetrina. Pareva che gli americani avessero promesso di ricostruire tutto a proprie spese, come un atto di riparazione. Il plastico, infatti, prefigurava la RIMINI futura. I riminesi guardavano. Poi dicevano: «Sembra una città americana. Ma chi la vuole la città americana?». Forse RIMINI io l’avevo già cancellata per mio conto, in precedenza. La guerra aveva compiuto anche l’atto materiale. Allora mi pareva, poiché la situazione s’era fatta irreversibile, che tutto, invece, dovesse restare. Intanto, però, RIMINI, io l’avevo ritrovata a Roma. RIMINI, a Roma, è Ostia. Prima di quella sera, Ostia non l’avevo mai cercata. Ne avevo sentito parlare come della “spiaggia decisa dal Duce”, “Roma adesso ha il suo mare”: ciò che me la rendeva antipatica. Tra l’altro, stando a Roma, non sapevo nemmeno da che parte fosse il mare.

SOGNO DEL 30-12-80 Il grande dirigibile che si è appena levato in volo urta contro le diroccate vecchie mura che fiancheggiano lo stradone sabbioso ed esplode in un rogo di fiamme che lo distrugge in un lampo. Un attimo prima della totale catastrofe come prevedendola dico a qualcuno che sta con me (Tonino?): “Scappiamo!” e fuggo via. C’erano stati segni premonitori di tale immane sciagura, avevo visto infatti levarsi in volo piccoli tozzi aerei che minacciavano di precipitare: uno di questi era stato sul punto di scontrarsi col grande dirigibile che proprio in quel momento si alzava da terra. Ora mi chiedo: dov’ero? C’era il mare alla mia sinistra? E quella spiaggiona erbosa era la spiaggia di RIMINI? Di Miramare? Nel sogno apparivo gracile, debole e molto più giovane quasi ragazzo.

Carro armato inglese sotto líArco díAugusto nel 1944 (foto: Imperial War Museum, London)

Macerie in Piazza Giulio Cesare (oggi Tre Martiri)

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DA ❝ IL MIO PAESE ❞ Federico Fellini

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Le sere d’estate il Grand Hotel diventava Istanbul, Bagdad, Hollywood. Sulle sue terrazze, protette da cortine di fittissime piante, forse si svolgevano feste alla Ziegfield. Si intravvedevano nude schiene di donne che ci sembravano d’oro, allacciate da braccia maschili in smoking bianco, un venticello profumato ci portava a tratti musichette sincopate, languide da svenire. Erano i motivi dei films americani: Sonny boy, I love you, Alone, che l’inverno prima avevamo sentito al cinema Fulgor e che poi avevamo mugolato per interi pomeriggi, con l’Anabasi di Senofonte sul tavolino e gli occhi perduti nel vuoto, la gola stretta. Soltanto d’inverno, con l’umidità, il buio, la nebbia, riuscivamo a prendere possesso delle vaste terrazze del Grand Hotel fradice d’acqua. Ma era come arrivare ad un accampamento quando tutti sono andati via da un pezzo e il fuoco è spento. Si sentiva nel buio l’urlo del mare: il vento ci soffiava in faccia il pulviscolo gelato delle onde. Il Grand Hotel, chiuso come una piramide, lassù in alto le sue cupole e i pinnacoli che sparivano tra i banchi di nebbia, era per noi ancora più estraneo, proibito, irraggiungibile. Per consolarci, venendo via, Titta imitiva i rintocchi della torre di Westminster; il conte Jimmy Poltavo sparava attraverso la tasca del cappotto tre colpi col silenziatore; Titta, sacramentando, si metteva alla ricerca di un posto asciutto dove, ferito a morte, consumava una sua strana agonia a base di pernacchie. Ma una volta, una sola, una mattina presto d’estate, ho preso la rincorsa su per la gradinata, ho attraversato a testa bassa il terrazzone abbagliante di luce e sono entrato… Lì per lì non ho visto niente. C’era una grande penombra, un frescolino profumato di cera come in Duomo il lunedì mattina. Una pace e un silenzio d’acquario. Poi, un po’ alla volta, ho visto divani vasti come barche; poltrone più grandi di un letto; la guida rossa saliva curvando lentamente insieme alla gradinata di marmo verso lo scintillìo di vetrate colorate; fiori, pavoni, sontuosi grovigli di serpi con le lingue intrecciate; da un’altezza vertiginosa piombava giù, restando miracolosamente sospeso a mezz’aria, il più grande lampadario del mondo. Dietro un bancone, ricco di fregi come un carro da morto napoletano, c’era un signore alto, coi capelli d’argento, gli occhiali d’oro lampeggianti, anche lui vestito come il becchino di un funerale di lusso. Col braccio teso, senza guardarmi, m’indicava la porta.

SOGNO DEL 14-5-81 (Era il Grand'Hotel di RIMINI?) Bevilacqua imparruccato (o erano i suoi capelli bianchi?) e vestito con la palandrana di un maggiordomo settecentesco, con nel pugno la gran mazza per annunciare con colpi in terra il nome degli ospiti in arrivo, si predispone sorridendo come per uno scherzo ad annunciare la S.p. che vedo di spalle dirigersi verso una porta a vetri al di là della quale deve esserci una sala da tè o forse da ballo. Intravedo al di là dei vetri per un breve momento la figura di un uomo. Qualcuno alla mia destra esprime il suo stupore perché Bevilacqua sta ancora con me. Io dico, chino, che non è vero poi, dopo aver salutato Anna la quale non mi appare di buon umore, me ne vado. Cosa farà Anna là dentro? Cerca in qualche modo di far trascorrere tutto il tempo che io la lascio sola? Che altro dovrebbe fare? Mi sveglio turbato. Perché Bevilacqua annuncia sia pure buffonescamente l’arrivo della S.p. in quel luogo? SOGNO DEL 30-5-81 Davanti a me al di là del tavolo c’è Borges che vuol parlare con me, anzi vuol sentirmi parlare e si sporge in avanti per ascoltare meglio. Ma io non so cosa dire. Borges mi ha anche portato un piccolo regalo: è un oggettino misterioso, una pallina d’oro trattenuta in una minuscola cornicetta quadrata, a sua volta rinchiusa da un triangolo ugualmente d’oro: pallina, quadrato e triangolo, pur essendo fissati insieme, mantengono una certa mobilità. Alla mia destra c’è Liliana più grossa con un grande maglione nero che sorride soddisfatta. Mi sembra che Borges alluda a lei quando parla di una certa Nereide (o Tireide?) che io dovrei tenere in particolare apprezzamento perché (ma non ricordo bene le parole) essa è intelligente ed avrebbe un potere positivo. Vorrei ricambiare il regalino di Borges, ma cercando con Giulietta tra tanti oggettini che abbiamo nel cassetto non trovo nulla che mi sembri degno.

Un momento della conferenza stampa al Grand Hotel di RIMINI per il lancio di E la nave va (25 settembre 1983) Disegno di Fellini: Grand Hotel di RIMINI

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SOGNI PARALLELI

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DA ❝ QUESTA RIMINI CHE NON FINISCE PIÙ... ❞ Sergio Zavoli Era il marzo del ’48, abitavo a Roma da neanche un anno, davanti a Ponte Milvio. Una mattina, alle sette, suonò a casa mia: voleva che andassimo a vedere, chissà perché, la pancia di un Constellation. Come fummo appoggiati alla sponda del fossato che cingeva l’aeroporto di Ciampino, disse: «Hai mai visto un aeroplano che ti passa a tre metri sopra la testa? Arriva un ordigno sconosciuto, lo senti fremere, puoi contare le viti, i bulloni… è un mostro urlante, eppure pronto a fermarsi, a farsi prendere in fondo alla pista...». E lì, mentre eravamo col naso in su, a guardare la pancia di un Constellation arrivato di colpo, quasi radendo i campi, ci siamo persi… Stenterei a dire come collegasse i pensieri, ma ricordo che proseguì: «Non sappiamo niente…! Tutto, d’improvviso, ti sorprende, ti affascina, ti atterrisce… C’è chi sta trasformando la scena del mondo e tu lo ignori, in un luogo lontano da te mille miglia c’è uno che dà un giro di vite anche per te… e magari, con quel piccolo gesto, cambia l’umanità, la nostra storia! Chissà se anche ciò che è fantastico, poetico, o religioso, avrà questo destino! Come si fa a esserne sicuri?». Io lo guardai, estasiato da quell’improvvisa deriva. La pancia del Constellation non era una curiosità bizzarra, la voglia di un momento; in altre forme ritornerà più volte. Dopo molti anni dallo spettacolo fragoroso di quel mattino, Fellini dirà a Guerra «Ti sei accorto, Tonino, che noi continuiamo a fare gli aeroplani ma non ci sono più gli aeroporti?» Il Mastorna non inizia con il precipitare dell’aereo che ospita i professori di una grande orchestra sinfonica nella piazza di una città gotica tedesca? È l’inizio di un altro viaggio, dentro una vita sconosciuta? È già una stringente cara domanda. «Ma tu» mi dirà «non sei curioso di vedere come va a finire?» La dolce vita, d’altronde, non comincia con un mattino di sole in cui si annuncia un lontano spalettare di elicottero? Il protagonista di Otto e mezzo, anche qui nell’incipit del film, non vola felice, verso l’alto, in uno slancio liberatorio? Non vi si abbandona, poi, planando, per risollevarsi ancora più su, con un semplice colpo di tallone? «Ho sempre sognato di poter volare!», racconta a Charlotte Chandler, la sua biografa tedesca. «Una volta è accaduto e mi sono sentito molto leggero (…) Un’altra volta avevo grandi ali (…) altre volte ancora non ne avevo bisogno: mi alzavo da terra spinto da un potere che era dentro di me! Ed è un po’ strano, perché non c’è niente che odi di più del viaggiare in aereo».

SOGNO DEL 25-2-82 Oggi in taxi mi è sembrato di dare finalmente un senso al vecchio sogno del dirigibile che stentatamente levatosi in volo dopo pochi metri urtando contro un vecchio muro delle colonie marine sul litorale di RIMINI, si disintegrava fulmineamente in un immenso globo di fuoco. Ho pensato che quel sogno voleva annunciarmi l’inevitabile fine di un vecchio modo di volare, cioè il suggestivo e fascinoso velivolo (strumento, modo, stile) col quale si viaggiava nei cieli (fantasia, mentale mondo delle idee) si è distrutto, non c’è più, non si può più usare, ha fatto il suo tempo. Vecchio il dirigibile, vecchie le mura delle colonie marine, appartenente al passato il litorale dell’infanzia, io stesso nel sogno ero ragazzetto. In altre parole: bisogna cambiare paesaggio, e modo, sistema, mezzo di viaggiare nelle proprie fantasie. Questa notte (coincidenza che fa riflettere) avevo sognato un enorme piroscafo nero, atro, buio che solcava il mare. Era un avvenimento per il nostro paese. Anche l’Italia (così mi sembrava di capire) aveva finalmente il potente e prestigioso bastimento; doveva essere stato varato da poco e già era in alto mare e c’era aria di festa a bordo sebbene le corone e gli orpelli della cerimonia e le bandiere apparissero pesanti e foschi. Tutto era nerissimo. Nel breve sogno che seguiva questo del piroscafo buio e poderoso Marione entrava nella mia camera [da] letto e lasciava cadere sulle coperte quattro giornali, li sfogliavo e leggevo che annunciavano la mia morte; grandi articoli e foto e disegni che riproducevano la mia faccia e la mia figura. Le didascalie dicevano così: “… scomparso il re del cinema”, “… sicuramente debellato Fellini”… Insomma ero morto. La potente buia nave appena varata (ma il varo era stato tenuto segreto) sfilerà al largo tra le 12 e le 13. Può discendere anche sotto i mari, anzi mi sembrava di vederla viaggiare sott’acqua come un gigantesco sommergibile. (Nota. È così buia perché è ancora sconosciuta, appartiene all’inconscio. Ma si rivelerà come il nuovo poderoso mezzo per viaggiare, sostituendo in modo più attuale, più moderno il vecchio dirigibile distrutto tempo fa) Ed ecco (mi pare) spiegato anche il sogno dei giornali coll’annuncio della mia morte “Sicuramente debellato” il vecchio Fellini.

Fotogramma da E la nave va (1983)

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SOGNI PARALLELI

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DA ❝ OSTA, FEDERICO ❞ Mario Guaraldi È questa comune radice che l’anteprima riminese di E la nave va consente di festeggiare, senza bisogno di cerimonie o rituali di campanile, ma approfittando casomai di un ambiente che assume valore emblematico per Fellini come per la città, per le generazioni del dopoguerra come per quelle dell’era informatica: il Grand Hotel di Amarcord, i cui scintillanti saloni ritroviamo non a caso anche sulla Gloria N, cornice dorata di un “viaggio per mare” beccheggiante fra “memoria e prodigio” drammatico perché inesorabilmente vissuto da ciascuno di noi, come suggerisce Orlando, lo straordinario cronista delle storie di questa nave. Una nave che, sulla scia del mitico Rex, salpa oggi da RIMINI con il suo carico di mille possibili “interpretazioni”, cioè di non-messaggi che chiameremo, piuttosto, emozioni.

SOGNO DEL 25-2-82 La nuova nave buia grandissima (varata di nascosto all’insaputa di tutti) giganteggia sul mare solcandolo impetuosa e potente. Può anche immergersi e viaggiare in profondità come un immenso sottomarino.

L'arrivo del Rex in Amarcord (1973)

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24-6-77

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DA ❝ IL MIO PAESE ❞ di Federico Fellini In questi giorni io mi sono convinto di poter morire d’infarto anche perché ho temuto che l’impresa fosse sproporzionata alle mie forze. “Liberare l’uomo dalla paura della morte.” Come l’apprendista stregone che sfida la sfinge, l’abisso marino e ci muore. È il mio film – ho pensato – che mi ammazza. Quando ho avuto l’impressione di morire, nei giorni scorsi, gli oggetti non erano più antropomorfizzati. Il telefono, che pare una specie di seppia nera rovesciata, era solo un telefono. Ogni cosa era solo la cosa. Il divano, che sembrava un faccione quadrato come i disegni di Rubino, con bottoni che parevano occhietti maligni: invece no, era solo un divano, spelacchiato e basta. In quel momento le cose non ti pesano; non vai a bagnare tutto con la tua persona, come un’ameba. Le cose diventano innocenti perché togli di mezzo te stesso; l’esperienza diventa verginale, come il primo uomo può aver visto vallate, praterie. Ti senti inserito in un mondo ordinato: quella è la porta e fa la porta, quello è il bianco e fa il bianco. È la beatitudine: dove la simbologia dei significati perde di senso. Vedi oggetti confortanti per la loro gratuità; ma, improvvisamente, sprofondi in un abisso di angoscia perché, quando viene a mancare la significazione dello sgabello, di colpo la realtà diventa terrificante. Tutto diventa un mostro non afferrabile. È ormai tagliato il ricordo della mediazione concettuale.

L'addio di RIMINI a Federico Fellini (Piazza Cavour, 5 novembre 1993)

SOGNO DI UNA NOTTE DI DICEMBRE DEL 1983 – Tu cerchi troppo l’aiuto delle muse – mi dice Orson Welles camminandomi a fianco lungo i campi dissestati di Cinecittà che presenta un aspetto di macerie e desolazione. Il barbuto e troneggiante collega in disarmo mi è sempre accanto ora che la scena è cambiata; mi sembra di essere a RIMINI, in via Aponia ed è notte. Come colpito da una abbagliante rivelazione decido di svenire per mostrare a O. W. quanto le sue parole mi abbiano sconvolto. Ma O. W. fugge ed io giaccio sulla strada simulando una totale perdita di conoscenza. Dalle finestre di una palazzina più avanti, dove credo ci sia una festa, vedo affacciarsi Lina Wertmuller e suo marito. Si accorgono di me e mi invitano a salire a casa loro ma io mi dileguo rapidamente. Non ho nessuna voglia di partecipare ai loro intrattenimenti. Mi nascondo in una villetta buia e solitaria, entro in un piccolo atrio dove su di un leggio scopro un librone di Tolstoi. “L’aiuto delle muse” leggo sul frontespizio dove c’è anche una fotografia del grande scrittore russo che sembra Orson, e una frase estrapolata dal contesto del libro. La leggo, eccola: “… quando qualcosa ci delude e più non vediamo il mondo come eravamo abituati a vederlo, perché invece di accusare … (chi?) non diamo la colpa al tremore ingannevole che come un velo di lacrime ci copre gli occhi e ci impedisce di vedere in profondità?” (È forse questo l’inganno che ne deriva dall’aver cercato troppo l’aiuto delle muse?). Arriva O. W. Quella dove mi trovo è casa sua. – Sei fuggito – gli dico e lui mi fa pacatamente comprendere che pensava (o altri avrebbero pensato) che io fossi morto e quindi c’era il pericolo che lo accusassero di avermi ucciso; si sarebbe comunque trovato in grandi difficoltà. Ora io invento un’altra storia sempre con il proposito di compiacerlo. Gli racconto che mentre lui mi stava parlando in via Aponia con quegli accenti di iniziato io quasi a conferma delle rivelazioni che mi stava regalando vedevo nel buio sul lato sinistro della strada una villetta la cui porta si stava schiudendo lentamente, un filo di luce usciva dall’interno. Sembrava che qualcuno mostrasse l’intenzione di riceverci di farci entrare. Chi era? Forse un terzo “iniziato”? Qualcuno che voleva unirsi a noi, o consentirci di conoscerlo? “Ma ecco che la porta di colpo si chiude – continuo ad inventare – Ed io come folgorato da questo improvviso rovesciamento di situazione, perdo i sensi!”. Orson ha ascoltato con la sua aria di re saggio e pacifico. Si alza per andare a prendere non so cosa. Arriva una grossa cagna con i suoi capezzoli gonfi di latte e tenta di bere dell’acqua che filtra attraverso la paglia che fascia una grossa damigiana posata su di un tavolino. L’animale che sembra incinta si lamenta perché l’acqua è gelida e le piove addosso. Appare qualcuno (Orson?) con delle brocche d’acqua calda molto gradita dalla grossa cagna.

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