Il libro dei sogni 8877685565, 9788877685568

In seguito a una visione notturna, Sinesio di Cirene scrive di getto Il libro dei sogni nelle ultime ore della notte, pe

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Il libro dei sogni
 8877685565, 9788877685568

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In seguito a una visione notturna, Sinesio di Cirene scrive di getto Il libro dei sogni nelle ultime ore della notte, per poi offrirlo in dono a lpazia, la leggendaria filosofa che fu sua maestra di vita e scienza. In questo breve trattato, Sinesio fonde ragione e tra­ dizioni antiche in pagine dense, ispirate e

rigorose, in cui leggerezza e profondità fi­ losofica si uniscono allo scopo di ricercare le origini dei sogni. Ricorrendo a una ricca, godibilissima casistica di esperienze per­ sonali, Sinesio mostra l'efficacia delle pre­ monizioni oniriche e invita gli uomini a farsi interpreti dei propri sogni, tenendo un «diario notturno» in cui annotare con cura i messaggi delle visioni allo scopo di tro­ varne le chiavi interpretative. Un breve ma­ nuale che costituisce una vera e propria guida dell'anima lungo il difficile cammino verso l'Assoluto e, allo stesso tempo, af­ ferma l'uguaglianza di tutti gli esseri uma­ ni, dal più potente al più umile, di fronte al mondo divino e ai messaggi di cui il sogno è veicolo.

Sinesio di Cirene (370-413 ca d.C.), filosofo e letterato greco. Compì i primi studi nella città natale, quindi si trasferì ad Alessandria dove fu iniziato da lpazia alla filosofia neo­ platonica, che poi approfondì ad Atene. L'at­ tività politico-diplomatica lo portò nel 399 in missione a Costantinopoli. Nel 41 O venne inaspettatamente nominato vescovo di To­ lemaide. Fu notevole oratore e poeta; tra le sue opere più interessanti L'elogio della cal­

vizie, già pubblicato da questa casa editrice, e il Discorso sulla regalità. Fu anche autore di un ricco epistolario che accompagnò tutto il corso della sua esistenza.

ISBN 978-88-7

.I..UJt.11 € 12.00

Proprietà letteraria riservata © 2010 RCS Libri S.p.A., Milano ISBN 978-88-7768-556-8 Titolo originale: Peri enypnion In copertina: Johann Heinrich Fiissli, Solitudine all'alba (pan.) L'editore è a disposizione degli aventi diritto

I lettori che desiderano informarsi sui libri della casa editrice Archinto possono consultare il sito internet: www.archinto.it L'indirizzo e-mail è [email protected]

Sinesio di Cirene Il libro dei sogni A cura di Nicola Montenz

Archinto

Introduzione

Nell'anno 405 d.C., la filosofa lpazia di Alessandria ricevette, insieme a una lettera, tre scritti in attesa di pubblicazione. Tra di essi spiccava, per profondità di trattazione, un breve saggio sui sogni e sulla loro capacità divinatoria. A inviarli era un suo antico al­ lievo, un colto proprietario terriero destinato a di­ venire vescovo cinque anni più tardi, per conclude­ re di lì a poco (forse nel 413) un'esistenza che l'ane­ lito alla conoscenza e l'amore per i libri non avreb­ bero saputo preservare dalla forza distruttiva della perdita di tutti gli affetti più profondi. Gli fu ri­ sparmiata soltanto la morte di lpazia, massacrata nel marzo 415 da fanatici cristiani armati di conchi­ glie affilate, stando a quanto narra Socrate nella sua Historia Ecclesiastica (VII, 15) - e non sarebbe sta­ to un dolore da poco, se è vero che questa donna, prima e unica responsabile della sua conversione al­ la filosofia, fu per lui «madre, sorella e maestra». Il colto «gentiluomo di campagna», per usare u5

na definizione cara agli storici della tarda letteratu­ ra greca, rispondeva al nome di Sinesio. Di lui non si sa molto più di quanto sia possibile estrapolare dalle sue stesse opere, in particolare (ma non esclu­ sivamente) dall'ampio epistolario. Nato nella città di Cirene probabilmente nd 370, Sinesio vantava antenati illustri, le cui origini si per­ dono nei miti della fondazione di Sparta. Sulla ric­ chezza e sull'estensione dei possedimenti della fa­ miglia è difficile nutrire dubbi, a dispetto delle in­ dicazioni in senso contrario che lui stesso fornisce, con malcdata affettazione di diminutio. Quanto al­ !'educazione, sembra ragionevole supporre che fino all'adolescenza egli abbia seguito un percorso di studi tradizionale, come era logico che avvenisse per il rampollo di una famiglia potente. Non ba­ stasse questa inferenza, le conoscenze di poesia, re­ torica e filosofia greca che emergono con prepoten­ za dalla filigrana dei suoi scritti contribuiscono a tracciare il quadro di un sapere vasto ed eteroge­ neo, che nei momenti più felici sa organizzarsi nd­ la costruzione di quei «mosaici» letterari, così tipici della tarda antichità, la cui architettura sorprenden­ te lascia attoniti studiosi e lettori comuni. Difficile stabilire se realmente, come pure è stato 6

suggerito, Sinesio abbia avuto a un certo punto del­ la giovinezza la percezione mistica della divinità del cosmo; 1 resta il fatto che al termine degli studi re­ golari, intorno al 393, qualcosa cambiò in modo ra­ dicale nel suo modo di pensare e di sentire. Il mu­ tamento avvenne ad Alessandria d'Egitto, dove il giovane si era recato per motivi di studio. Fu lì che conobbe la vera filosofia, attraverso l'insegnamento di lpazia, cui sopra si accennava. La filosofa, figlia del matematico Teone, lo iniziò alle dottrine di Pla­ tone, Aristotele e dei neoplatonici, senza peraltro trascurare le scienze esatte, in particolare la geome­ tria e l'astronomia. Non che all'epoca Sinesio fosse digiuno di letture filosofiche - quantomeno, la cosa parrebbe assai strana. Il fatto è che l'insegnamento della celebre filosofa ebbe sulla sua mente l'effetto di una sconvolgente rivelazione: attraverso il con­ tatto con lei, Sinesio giunse a concepire la filosofia come un vero e proprio rito misterico a uso esclusi­ vo di pochi iniziati. In questo senso, la posizione ormai dominante nella critica, che vede in Sinesio un «convertito» della filosofia, parrebbe potersi accettare pacifica­ mente. Altro è discutere se Sinesio fosse cristiano di nascita o se invece si fosse solo più tardi convertito 7

- forse in occasione dd matrimonio, o, in ogni ca­ so, prima dell'dezione a vescovo. Altro ancora è ve­ dere nella «conversione» filosofica una sorta di apo­ stasia - ciò che farebbe di Sinesio un incongruo du­ plicato dell'imperatore Giuliano, morto nd 363. Le ultime due ipotesi sono certo seducenti; eppure, nella ricostruzione di una personalità storica con­ viene fondarsi su dementi concreti, per vaghi che siano i dati a disposizione. E se qualcosa dalle ope­ re di Sinesio traspare, è proprio la scarsità di indizi a favore di un'attiva adesione al paganesimo. Certo, al riguardo si potrebbero citare gli dèi presenti nei suoi scritti, insieme alla sedimentazione di secoli e secoli di tessuto linguistico, cultura e filosofia elle­ nici, ma ciò sarebbe ovviamente assurdo, se solo si considera con quale agio, durante la tarda antichità, fede cristiana e cultura greca poterono coesistere senza troppe frizioni all'interno di individualità ben ddineate: Origene, Clemente Alessandrino, Basilio di Cesarea, per limitarsi ai nomi più noti (ma come non pensare, pur con le opportune cautde e i ne­ cessari distinguo, anche alla personalità enigmatica e vertiginosa di Nonno di Panopoli?). Si aggiunga poi la considerazione che, in un periodo tanto fosco per

il paganesimo quale fu l'ultimo scorcio dd IV 8

secolo, segnato dall'incalzare dei prowedimenti re­ pressivi di Teodosio I, la vita per un pagano doveva essere francamente ardua - e in quanto a eventuali apostasie, la legislazione sui lapsi (i cristiani «rica­ duti» nella religione pagana) emanata dallo stesso Teodosio nel 391 costituiva un deterrente tutt'altro che trascurabile. Converrà perciò, a proposito del

credo di Sinesio, attenersi ai non molti punti di rife­ rimento in nostro possesso e convenire con quanti hanno visto nel futuro vescovo di Tolemaide un «tiepido» cristiano imbevuto di cultura greca, sen­ za spingersi a forzature adatte, forse, al solo oriz­ zonte dei romanzi storici.2 Alla luce di tutto questo, l'affetto e la stima in­ condizionata - se si preferisce: l'adorazione - di un discepolo nominalmente cristiano per una maestra pagana possono spiegarsi anche senza ricorrere alla fantasia, tanto più se si pensa che proprio l'imposta­ zione non confessionale dell'insegnamento di lpa­ zia aveva potuto garantirle una certa tranquillità ne­ gli anni in cui, ad Alessandria, il sinistro patriarcato di Teofilo non aveva risparmiato colpi alle vestigia del paganesimo ellenico. Nessuna sorpresa, insom­ ma, nello scoprire un giovane studioso dotato di in­ telletto vivace, e animato da un irriducibile deside9

rio di conoscenza, affidarsi a una filosofa pagana «moderata» come a una maestra di vita anche dopo il termine degli studi. E tanto meno sorprendente apparirà, per tornare al punto da cui si era partiti, il fatto che al momen­ to di licenziare due testi cui evidentemente teneva parecchio, Sinesio ricercasse proprio l'approvazio­ ne - e implicitamente il consiglio - di colei alla qua­ le un tempo aveva ceduto la propria esistenza inte­ riore perché la formasse, instradandola nd cammi­ no verso l'Assoluto. Ciò che potrebbe lasciare perplessi, al limite, è che Sinesio abbia scomodato l'autorità di Ipazia per sottoporle un trattato sui sogni. Era legittima una simile richiesta - o almeno: era sensata? In altre pa­ role: vi era un legame tra le vette della filosofia e i sogni, oggetto, se mai altro, delle ciarle di interpre­ ti avventizi ai margini delle piazze dd mercato? Domanda non retorica e tutt'altro che oziosa, per­ ché proprio seguendo le tracce adombrate dalla ri­ sposta si potrà forse trovare una chiave interpretati­ va adeguata al Libro dei sogni e giungere, in defini­ tiva, alla sua comprensione. Veniamo dunque alla lettera citata all'inizio - nd10

l'epistolario sinesiano essa occupa il n. 154 - e pro­ viamo a ripercorrere il discorso dd suo autore: a lpazia egli offre due scritti perché possa vagliarne la consistenza filosofica e l'opportunità di una pubbli­ cazione (il terzo, un opuscoletto che accompagnava il dono di un astrolabio, viene aggiunto per ottene­ re il numero pedetto). Tra di essi, quello a noi noto con il titolo Dione è stato scritto in risposta alle ma­ levole accuse di monaci e pretesi filosofi: costoro rinfacciavano a Sinesio di unire maldestramente fi­ losofia e retorica, «maltrattando» la prima a vantag­ gio della seconda. Rimproveri che Sinesio rispedi­ sce al mittente: il filosofo deve essere in grado di di­ rigere il coro delle Muse, altrimenti rischia di tra­ sformarsi in una risibile macchietta al modo dei suoi detrattori, per i quali il solo fatto di sapersi e­ sprimere correttamente costituisce una calamità. In apparenza, quindi, Sinesio esce vittorioso dal confronto, ma è chiaro che l'argomento tocca un punto dolente: lo dimostra l'apprensione con cui lo scrittore torna a più riprese su di esso per meglio il­ lustrarlo a lpazia, tanto da non lasciare quasi spazio alla descrizione dell'altro testo a lei inviato - che è quello, appunto, per noi più importante. È così che, tra variazioni e ritorni sugli errori degli avversari, al 11

trattato sui sogni Sinesio riserva una manciata di ri­ ghe davvero esigua. La sua presentazione, così, ri­ sulta ellittica e misteriosa. Un po' come la sua ge­ stazione, ispirata durante il sonno da un dio e por­ tata a termine febbrilmente alla fine della stessa not­ te in cui il messaggio divino si era manifestato. Le circostanze della frettolosa redazione, poi, sono re­ se ancor più irreali dalla percezione di vero e pro­ prio «sdoppiamento» provata da Sinesio durante l'atto della scrittura: «In certi momenti del discorso - egli scrive a lpazia -, almeno due o tre volte ebbi la sensazione di essere lì ad ascoltare me stesso in­ sieme ad altri, come se fossi una terza persona». Notizie che il nostro autore lascia correre, quasi gli fossero sfuggite dal calamo, senza svilupparle ulte­ riormente. Del trattato si dice soltanto che costitui­ sce un omaggio alla facoltà immaginativa dell'anima e che contiene alcuni spunti originali, mai trattati da alcun filosofo prima di lui. Altro non è dato sapere, e Sinesio conclude la lettera rievocando le sensazio­ ni anomale che lo pervadono quando gli capita di rileggere il suo testo, come se dalle parole proma­ nasse ancora un poco dell'energia infusa in esse dal­ la divinità ispiratrice. Strana faccenda. E ancor più strana reticenza, se 12

si pensa alla profusione verbale con cui, poco prima, ha illustrato cause formali e contenuti del Dione opera che, di per sé, non avrebbe forse richiesto tan­ to sforzo. Cosa se ne dovrà concludere? Forse Sine­ sio vuol mettere alla prova la sua maestra suscitan­ done la curiosità attraverso una bizzarra retorica del non detto? Ma perché, poi? O non si dovrà invece vedere nella cautela con cui l'autore parla del tratta­ to sui sogni una sorta di messaggio cifrato, un av­ vertimento che solo gli «iniziati» ai misteri filosofici possono intendere correttamente - come dire: la di­ fesa teorica del mio modo di fare filosofia è espressa nel Dione, ma il suo valore e la profondità del mio pensiero sono dimostrati altrove, in quel testo che in apparenza tratta di un argomento leggero, e nel qua­ le invece converrebbe scavare con attenzione? Una simile chiave di lettura parrebbe confermata da indicazioni convergenti dello stesso Sinesio. Tra­ lasciando il dato topico della stesura del trattato al termine della notte, momento tradizionalmente ri­ servato alle visioni dispensatrici di verità, elementi importanti si possono trovare nella stessa lettera 154, quando lo scrittore lamenta l'arroganza dei pretesi filosofi: essi impongono un'esteriore, ripu­ gnante astrusità al proprio pensiero esprimendolo 13

in modo oscuro, da illetterati quali sono; il vero fi­ losofo, al contrario, deve mascherare la difficoltà dei propri argomenti celandoli sotto apparenze più lievi - futili, se si vuole. Le opere filosofiche, in­ somma, devono essere come Socrate e i suoi discor­ si: esteriormente simili a un Sileno o a un Satiro, ba­ nali, se si vuole, semplici opere di artigiani; ma bi­ sogna saperle aprire, penetrare in esse per coglierne l'intima bellezza e la vertigine intellettuale) Considerato sotto questo punto di vista, Il libro dei sogni potrebbe effettivamente occupare una po­ sizione chiave nella produzione di Sinesio, ponen­ dosi come dimostrazione pratica (certo più del Dio­ ne) del fatto che filosofia e retorica possono dawe­ ro fondersi in unità, senza che la prima venga smi­ nuita dal dispiegarsi della seconda. Cerchiamo allora di capire se e in qual modo so­ gni e filosofia possano armonizzarsi all'interno di una trattazione che sia al contempo coerente con se stessa e con le intenzioni dell'autore. Il tema dei so­ gni non è, in effetti, tra i più gravosi che un filosofo possa offrire all'attenzione dei suoi lettori; per giun­ ta, l'ampio dispiego di citazioni letterarie del primo capitolo sembra confortare questa epidermica sen­ sazione: il lettore è così indotto a credersi alle prese 14

con una qualsiasi operetta retorica, in cui ci sarà spazio per la consueta aneddotica, per le consuete allusioni colte - e magari per qualche moderato bri­ vido di terrore. Niente di più errato. Proviamo allora a seguirne brevemente i ragiona­ menti e la struttura. I sogni, afferma Sinesio, costituiscono la più impor­ tante tra le forme di divinazione, perché provengo­ no dall'intimo di ogni individuo: le loro radici af­ fondano nell'anima, che contiene le immagini del futuro, cosi come l'intelletto contiene quelle del presente. Quel che risiede nell'anima, però, non ha, di per sé, la possibilità di manifestarsi attivamente agli uomini: perché ciò avvenga, occorre l'inter­ vento di una facoltà accessoria. Sinesio riconosce tale facoltà nell'immaginazione, sulla cui superficie l'anima proietta, come su uno specchio, le immagi­ ni del futuro: per suo tramite, quindi, esse giungo­ no ai dormienti. In apparenza il quadro risulta geometricamente chiaro. Ma se ci spingiamo un poco oltre, per esem­ pio chiedendoci cosa sia, in pratica, l'immaginazio­ ne, scopriamo finalmente l'abisso intellettuale na­ scosto sotto la parvenza di un argomento «lieve»:

scopriamo, cioè, che i sogni e l'immaginazione sono uno spunto per discutere - in pochi, ma densi capi­ toli - dell'anima e del suo destino in una prospetti­ va schiettamente neoplatonica. Perché per Sinesio l'immaginazione non è, in ultima analisi, altro che lo spirito di cui l'anima si riveste al momento di ab­ bandonare le sfere celesti per scendere a incarnarsi: il suo «veicolo», la sua «navicella». All'atto dell'in­ carnazione nel corpo (il «guscio d'ostrica»), lo spi­ rito si mantiene unito all'anima: per questo esso co­ stituisce il canale di comunicazione privilegiato tra l'uomo e la divinità, ed è garanzia di una conoscen­ za immediata molto più precisa di quella fornita dalle percezioni fisiche. Sinesio aggiunge poi un elemento fondamentale: è grazie all'immaginazione che l'anima incarnata, smarritasi tra le insidie della materia, può improvvi­ samente ricuperare la coscienza del proprio antico stato e risalire alle sfere da cui si è allontanata - fi­ no a ottenere l'unione con l'Intelligibile - che è il vero scopo della vita del saggio. Dati simili presupposti, si potrebbe dedurre che il sonno porti visioni necessariamente profetiche (ed esatte!) e che chiunque possa entrare in contat­ to mistico con l'Assoluto. È questo che Sinesio in16

tende comunicare? Niente affatto. La continuazio­ ne del breve trattato, anzi, mette chiaramente in lu­ ce come queste condizioni ideali siano di rado rag­ giunte dagli uomini: lo spirito, infatti, è un'entità mutevole. Strettamente legato alle condizioni del1'anima, esso risente dei suoi comportamenti buoni o malvagi: se l'anima si tiene lontana dalle lusinghe della materia e riesce a sfuggire il richiamo delle at­ trattive terrene, allora lo spirito si farà leggero, sec­ co, e risalirà verso il mondo sopraceleste, restituen­ do così all'anima quelle «ali» la cui perdita, secon­ do Platone, ne aveva causato la caduta e l'inabis­ sarsi nel corpo carnale; se invece l'anima inclinerà ai piaceri e resterà invischiata nel male, allora lo spiri­ to si farà umido, greve, e precipiterà nei recessi del­ la terra per condurvi una vita larvale e infelice. Gli Oracoli Caldaici, vera e propria Bibbia dei neoplatonici tardi, non mancano di lanciare avverti­ menti, che Sinesio puntualmente richiama alla men­ te del suo lettore per ammonirlo: nelle seduzioni della materia, nei suoi «riflessi oscuri» si nasconde una trappola mortale, i cui esiti potrebbero togliere all'anima ogni speranza di ritorno. Fin qui, la parte più rigorosamente concettuale del 17

Libro dei sogni, quella cui Sinesio teneva in modo

particolare. Perché? - ci si chiederà. E inoltre: è ve­ ramente così chiaro, adesso, il rapporto che lega i sogni al destino dell'anima? Anzitutto, si ricorderà che le relazioni tra l'anima e le proiezioni oniriche sono postulate all'inizio dell'opuscolo; in secondo luogo, varrà la pena di rimarcare come per Sinesio la garanzia principale della veridicità dei sogni ri­ sieda nella pure1.1.a dei veicoli attraverso cui essi giungono all'uomo, ossia l'anima e lo spirito/imma­ ginazione. Uno spirito impuro, gravato dalla sozzu­ ra materiale, non può fornire immagini credibili: al limite potrà mostrare simulacri, fantasmi, mentre a uno stadio intermedio di purezza mostrerà proie­ zioni del futuro ora esatte, ora errate. Dunque l'a­ nima dovrà allontanarsi il più possibile dal mondo terreno, osservare dall'alto le vicende umane, e solo allora, forte della propria ascesa, potrà finalmente offrire ai viventi «le immagini del divenire». In quest'esercizio di distacco dalla realtà sensibi­ le l'anima, purificandosi gradatamente, potrà eser­ citare le proprie attività profetiche insieme all'im­ maginazione. Allo stesso tempo, essa avrà ottenuto, con un adeguato regime di purificazione, il suo pri­ mo e unico scopo: sarà cioè in possesso delle carat18

teristiche necessarie per garantirsi la risalita all'In­ telligibile. La divinazione attraverso i sogni, pertan­ to, diviene strumento fondamentale del ritorno del1'anima alle proprie origini e della sua salvezza dal baratro della materia. Ora, dopo aver ripercorso la parte più densa del Li­ bro dei sogni, possiamo fare un passo indietro nel tempo e, volgendoci a tutt'altro, considerare per un attimo l'impalpabile «popolo dei sogni» che Omero (Odissea, XXIV, 12) aveva collocato vicino alle sedi dei morti, ratificando una concezione rigidamente oggettiva della visione onirica, visitatrice esterna del dormiente, la cui eco avrebbe attraversato quasi sen­ za soluzione di continuità l'intero arco della lettera­ tura greco-latina. Pensiamo anche alla credenza nel­ le apparizioni oniriche di Asclepio a fini terapeutici, attiva ancora in età imperiale (ne abbiamo una fon­ damentale testimonianza letteraria nei Discorsi sacri di Elio Aristide), che attirava presso i templi frotte di ammalati desiderosi di sottoporsi a lunghe prati­ che incubatorie pur di entrare in contatto con il dio. Di tutto questo non resta traccia in Sinesio, o quasi. Segno di una straordinaria modernità? Dif­ ficile affermarlo, benché la concezione, tipicamente 19

tardoantica, di un'anima che produce la visione an­ ziché riceverla sia indubbiamente sintomatica di un diverso modo di affrontare il problema. A ciò si ag­ giunga l'idea sinesiana secondo cui la visione oniri­ ca costituirebbe una sorta di cartina di tornasole delle condizioni dell'anima: indice di modernità an­ che questo? Può essere, tanto che non è mancato chi, agli inizi del Novecento, ha pensato di vedere in Sinesio un antesignano della Traumdeutung freu­ diana - con i risultati che era ovvio attendersi da una simile, indiscriminata attualizzazione dell'ere­ dità letteraria antica. In realtà, uno sguardo più ponderato al contenu­ to del Libro dei sogni rivela, accanto a istanze di rin­ novamento, una tenace resistenza del pensiero tra­ dizionale. Un concetto generalizzato di «moderni­ tà», in effetti, mal si adatta a un testo, come quello di Sinesio, ancora indiscutibilmente llllcorato all'i­ dea della capacità divinatoria dei sogni; e se scor­ rendone i capitoli il lettore avrà la percezione di un mutamento fondamentale rispetto a Omero, dovrà però anche ammettere che oltre al «popolo dei so­ gni» molto altro è scomparso. Della riflessione ip­ pocratica e aristotelica sui fenomeni onirici resta ben poco; e insieme alle osservazioni del razionali20

smo medico del IV secolo (un razionalismo, si noti, tutt'altro che inflessibile), Sinesio

fa

piazza pulita

delle ben più indigeste teorie di Aristotele, che, in ultima analisi, aveva finito per oscurare il valore predittivo dei sogni, affermandone tra l'altro lo stretto legame con l'attività di veglia. Non resta spa­ zio nemmeno per la geniale intuizione di Apollonia Rodio (Argonautiche,

m, 617 -632), che proprio a

un sogno aveva affidato il compito di far riaffiorare alla coscienza di Medea i desideri repressi durante il giorno (tratto, questo sì, anticipatore di Freud ! ) .

Sarebbe però fuori luogo considerare isolata la posizione di Sinesio. Isolati, per la verità, erano pro­ prio i sostenitori dell'altra teoria, quella psicobiolo­ gica, ai quali non toccò nemmeno l'onore di un ri­ fiuto: perché fino alla tarda antichità furono sem­ plicemente ignorati. E persino Gregorio di Nissa, morto sul finire del IV secolo, dopo aver a lungo discusso delle relazioni tra stato fisico e proiezioni notturne, si vide costretto, pur confusamente e non si sa con quanta convinzione, a ripiegare sulla sta­ gionata, ma sempre comodissima, credenza nella validità delle premonizioni oniriche (De hominis

opificio, Xlll, 2 ss.) . Non sembra eccessivo, pertan­ tci, considerare la contraddittoria dialettica tra anti21

co e moderno presente nel Libro dei sogni come uno specchio tutto sommato fedele dell'andamento alterno - si vorrebbe dire sinusoidale - che nell'an­ tichità conobbero le teorie sui fenomeni onirici. Resta comunque da vedere se la fede accordata al valore predittivo dei sogni debba per forza essere considerata come un segno di arretratezza e di su­ perstiziosa ottusità. Ché anzi, nel caso di Sinesio, i presupposti concettuali della divinazione tout court sono squisitamente filosofici. Essi si fondano infatti sul ben noto principio, di matrice stoica e fatto pro­ prio dai neoplatonici, della sympatheia universale, secondo cui il cosmo sarebbe un unico, immenso organismo in cui ciascun elemento è in contatto con gli altri grazie a uno strettissimo intreccio di rela­ zioni reciproche. Su questa base, dunque, Sinesio può affermare che ciascun elemento si manifesta («dà segni di sé») attraverso un altro, secondo un si­ stema di analogie e corrispondenze che il saggio è in grado di riconoscere e decodificare, quasi si trattas­ se di lettere dell'alfabeto disposte sulle pagine di un libro. L'anima, microcosmo intimamente correlato al cosmo in cui si trova, occupa pertanto una posizio­ ne privilegiata, che, come abbiamo visto, potrebbe garantirle l'infallibilità divinatoria. 22

Tuttavia, sarebbe fuorviante pensare che Sinesio abbia affidato soltanto alla filosofia il compito di spiegare e dimostrare: emerge anzi, dal Libro dei so­ gni, la sensazione forte di una personalità che non teme il confronto diretto con il lettore ed è pronta a esporsi per ottenerne l'attenzione e l'assenso. Sco­ priamo così che il primo beneficiario delle previsio­ ni oniriche è Sinesio stesso, che con sorprendente freschezza (e consumata abilità retorica) narra co­ me proprio i sogni lo abbiano aiutato a superare gli anni tenebrosi trascorsi a Costantinopoli, a capo dell'ambasceria della Pentapoli - che comprende­ va, oltre a Cirene, le città di Arsinoe, Berenice, A­ pollonia, Tolemaide - o come un'esperta guida oni­ rica abbia saputo, tempo prima, moderare gli ec­ cessi del suo stile ancora immaturo. Si può facil­ mente intravedere, in quest'apparente disinvoltura nell'accostare tratti di quotidianità a profonde spe­ culazioni filosofiche, la riuscita del principio che Sinesio aveva rivendicato nella lettera 154: il con­ nubio perfetto tra filosofia e retorica. E la sua abili­ tà appare davvero considerevole: alla muffita cita­ zione d'autore egli sostituisce la riflessione sul falli­ mento di Penelope e Agamennone nel comprende­ te i propri sogni - cavallo di battaglia delI'interpre23

tatio homerica antica - sbozzata in pochi, abilissimi

tocchi, e conclusa prima che il richiamo dotto di­ venga un greve cascame manualistico. Il trito exem­ plum mitico cede il passo a frammenti di vita reale, in cui appunto Sinesio può scrivere «io», ma anche a considerazioni di portata più vasta, che in qualche modo disorientano e inducono a riflettere ancora sul tema della «modernità» di quest'opera: perché l'«io» che Sinesio pronuncia si può estendere a tut­ ti; tutti possono accedere all'oracolo della propria anima, tutti possono trarre vantaggio dalla profe­ tessa imprigionata dentro di loro. Non più - o non solo - a re o condottieri spetta il privilegio di sogni veridici, ma anche all'uomo comune: non c'è distin­ zione di sesso, professione o censo che Sinesio sia disposto ad accettare. E affermare il diritto al sogno, all'intimità di un ri­ to da celebrare nel profondo di se stessi non era for­ se cosa da poco, in un periodo in cui, come si è vi­ sto, non passava giorno senza che pene e divieti in­ tetvenissero a livellare drasticamente l'autonomia degli individui. Peraltro, non si dovrà credere che questa sorta di «egualitarismo» onirico abbia come esito la ricerca di una chiave dei sogni universal­ mente valida. Al contrario, al moltiplicarsi dei po24

tenziali profeti corrisponde l'ammissione dell'im­ possibilità di predisporre schemi interpretativi adat­ ti alle singole individualità. E se la matrice di questa considerazione è legata alle teorie neoplatoniche sul-

1' anima - banalizzando: non esiste uno spirito ugua­

le a un altro, quindi nessun sogno ammetterà la me­ desima interpretazione -, i suoi

effetti si spingono

ancora, e con prepotenza, verso il riconoscimento della centralità dell'individuo. Si sfalda, così, il mito dei manuali sull'interpretazione dei sogni - in primis

quello di Artemidoro - che pretendevano di ridurre i tortuosi percorsi della psiche entro i limiti angusti di cataloghi di simboli e corrispondenze, la cui com­ pulsiva serialità ne rende la lettura simile a un «eser­ cizio penitenziale», per riprendere una fortunata espressione di Roger Pack. 4 No, per Sinesio l'unico interprete affidabile può essere il sognatore stesso, che deve prendere nota giorno per giorno, notte per notte, di quanto la veglia e il sonno gli hanno mo­ strato. Un duplice diario, notturno e diurno, da compilare con rigore e precisione, anche per rispet­ to verso se stessi: non è escluso, aggiunge in coda l'autore del Libro dei sogni, che l'esito di una simile operazione possa addirittura spingersi oltre le inten­ zioni iniziali, e applicarsi alla letteratura - quella

stessa letteratura soffocata dall'autocompiacimento, e priva ormai di concetti da esprimere, le cui parole senza vita potrebbero forse, proprio grazie ai sogni

figli dell'anima e della sua origine divina, trovare la forza di rinascere.

Nicola Montenz

26

Note

1 Cfr. J. Bregman, Synesius o/ Cyrene, Philosopher-Bishop, Berkdey-Los Angdes-London 1984, p. 19. 2 Sulla «conversione» filosofica di Sinesio, cfr. almeno J. Breg­ man, op. cit. , pp. 20-40; I. Tanaseanu-Dobler, Konversion 1.ur

Philosophie in der Spiitantike: Kaiser ]ulian und Synesios von Kyrene, F. Steiner, Stuttgart 2008. Sulla sua professione di fe­ de, cfr. H.I. Marrou, La «conversion» de Synésios, «Revue des

études grecques» n. 65, 1952, pp. 474-484; C. Lacombrade,

Synésios de Cirène, Tome I, Hymnes, Paris 1978, pp. IX-X; D. Roques, Synésios de Cyrène et la Cyrénai'que du Bar-Empire, Paris 1987, p. 3 16; N. Aujoulat, J. Lamoureux, Synésios de Cy­ rène. Tome VI. Opuscules, III, Paris 2008, p. 167. 3 Proprio questo spunto apre la breve protheoria dd Libro dei sogni. Si rimanda alla nota 1 dd testo per una valutazio­

ne complessiva dd problema e per gli opportuni rimandi bi­ bliografici. 4 R Pack, Artemidorus and His Waking World, «Transaction and Proceedings of the American Philological Association» n. 86, 1955, p. 282.

27

Nota del curatore

La presente traduzione del Libro dei sogni si basa

J

sul testo critico stabilito da acques Larnoureux per

J. Larnoureux, Sy­ nésios de Cyrène. Tome .Iv, Opuscules, I, Paris 2001,

la Collection Budé (N. Aujoulat,

pp. 268-31 1), che si sostituisce, almeno in parte, al­ la storica edizione degli Opuscoli sinesiani curata da Nicola Terzaghi (Synesii Cirenensis Opuscula, Ro­ mae 1 944). Imprescindibile per la comprensione del testo re­ sta il magistrale lavoro di Davide Susanetti (Sinesio. I sogni. Introduzione, traduzione e commento di D. Susanetti, Bari 1 992), la cui dedizione al Perì enyp­ nion costituisce, per chi voglia seguirne le tracce, un punto di partenza straordinario e allo stesso tempo un formidabile deterrente. Per quanto mi riguarda, ho cercato di segnalare i miei debiti nei suoi con­ fronti nel modo più trasparente, fermo restando il fatto che il merito del lavoro di Susanetti non risie­ de soltanto nel commento puntuale e nella ricerca 29

delle fonti, ma anche nell'aiuto che esso apporta al­ la comprensione globale del pensiero e della lingua di Sinesio. Qualche parola, ancora, merita di essere spesa sulla traduzione: considerando la destinazione del1'opera, si è preferito mirare alla piena chiarezza del pensiero e alla fluidità della lingua italiana, laddove una traduzione letterale avrebbe posto il lettore di fronte a tournures sintattiche faticose, rese ancor più complicate dalla densità dottrinale e dall'uso sine­ siano di ripetere concetti simili servendosi di sinoni­ mi o perifrasi sinonimiche - è il caso, per esempio, dell'alternanza tra «natura immaginativa», «spirito immaginativo», «immaginazione» e «spirito», che in qualche caso, pur se a malincuore, si è scelto di nor­ malizzare per evitare cortocircuiti comunicativi. Per quanto riguarda le note, esse hanno un taglio più esplicativo che erudito, e sono riservate, in ge­ nere, alla fine dei periodi. La bibliografia conclusi­ va è intesa come punto di riferimento per le mono­ grafie e gli articoli citati nelle note di commento e consultati per la stesura dell'introduzione; essa non mira a fornire un quadro esaustivo dello status quaestionis sinesiano, quanto, piuttosto, a proporre una scelta di libri (ove possibile in traduzione italia30

na) che permetta al lettore di orientarsi e di co­ struirsi un'autonoma conoscenza dell'età tardoanti­ ca e dell'affascinante personalità umana e letteraria di Sinesio.

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Il libro dei sogni

Premessa Per quel che ne so, l'uso di dissimulare le questioni filosofiche più profonde sotto l'apparenza di argo­ menti leggeri è molto antico e tipicamente platoni­ co: il suo scopo è far sì che gli uomini non perdano quanto hanno faticosamente conquistato con l'in­ telligenza, ed evitare che tali scoperte, essendo alla portata di persone ignoranti, ne vengano contami­ nate. 1 Questo, dunque, è il traguardo che ho cerca­ to di raggiungere scrivendo il presente discorso. Chi lo leggerà con spirito filosofico sarà in grado di giudicare se il risultato sia stato ottenuto e se, inol­ tre, l'opera sia stata rifinita nel modo migliore, se­ condo l'uso antico. 1. Se è vero che il sonno ha virtù profetiche, e i so­ gni mostrano agli uomini visioni enigmatiche di ciò che avverrà, possiamo dedurne che essi sono sa­ pienti, ma certo non chiari; oppure dovremo am35

mettere che la sapienza risiede anche nella loro mancanza di chiarezza, «poiché gli dèi tengono na­ scosta la vita agli uomini».2 Ottenere senza fatica i beni più grandi, infatti, è prerogativa divina. Ai mortali che vogliono rag­ giungere non solo la virtù, ma qualunque bene, «gli dèi hanno imposto prima il sudore».3 E si può ben dire che la divinazione è il più importante tra tutti i beni. In effetti, è proprio grazie al sapere e, in ge­ nerale, alla capacità di conoscere, che dio si diffe­ renzia dall'uomo e l'uomo dall'animale. Ma a dio basta la propria natura come strumento di cono­ scenza; i mortali, invece, grazie alla divinazione pos­ sono ottenere risultati ben maggiori di quelli che per natura competerebbero loro. L'uomo comune, infatti, conosce solo il presente, e deve limitarsi ad avanzare congetture su ciò che ancora non è; solo Calcante, unico fra i greci riuniti in assemblea, co­ nosceva «ciò che è, ciò che sarà, ciò che è stato»,4 e secondo Omero gli affari degli dèi dipendono dal volere di Zeus, perché egli «è nato prima e conosce più cose»:' dunque proprio perché è più vecchio. In questi versi, secondo me, il riferimento all'età sottintende il fatto che il tempo accresce la cono­ scenza, che è appunto il bene più degno di onore. 36

Se invece qualcuno è indotto da altri versi a consi­ derare che la supremazia di Zeus sia fondata sul vi­ gore fisico perché Omero dice: «Egli era superiore per la forza fisica»,6 è evidente che costui si è dedi­ cato alla poesia in modo grossolano e non è in gra­ do di coglierne l'intima saggezza, secondo la quale gli dèi sono puro intelletto.7 Perché in quel verso Omero collega la superiorità fisica al fatto di essere «primo per nascita», affermando che Zeus è un in­ telletto di più antica origine. E del resto, che altro potrebbe essere la forza dell'intelletto se non la ca­ pacità di riflettere? E qualunque dio sia considera­ to degno di governare gli altri dèi, regna grazie alla superiorità della propria saggezza, in quanto egli è puro intelletto: pertanto, la frase «egli era superiore per la forza fisica» cambia significato ed equivale a «sapeva più cose». Per questo anche il saggio è ap­ parentato a dio, perché tenta di avvicinarsi a lui per mezzo della conoscenza e rivolge i propri studi al pensiero, da cui la divinità trae la propria esistenza. 2. Quanto si è detto valga dunque come dimostra­ zione del fatto che la divinazione è per gli uomini un'attività tra le più nobili. Se gli tutti elementi si manifestano gli uni attra37

verso gli altri, poiché sono componenti di un solo essere vivente, il cosmo, e se servono a indicare gli esseri, come lettere di un libro - fenicie, egizie, as­ sire -, definiremo sapiente chi sia in grado di deci­ frarli; B ed è sapiente chi ha appreso seguendo l'in­ segnamento della natura: alcuni leggono una cosa, altri un'altra, chi più, chi meno - per esempio, c'è chi legge sillabando, chi legge parola per parola, chi addirittura il discorso per intero. Così i sapienti os­ servano il futuro: alcuni conoscono gli astri - chi le stelle fisse, chi le stelle infuocate che attraversano il cielo; altri leggono il futuro nelle viscere degli ani­ mali, altri ancora nei versi degli uccelli, nel modo in cui si posano e nel volo. Per altri interpreti, i cosid­ detti segni del futuro (parole e accostamenti di eventi casuali) sono lettere chiarissime, poiché tutto manda segnali a tutti. Persino gli uccelli, se posse­ dessero una scienza, avrebbero potuto trarre una tecnica divinatoria dall'osservazione degli uomini, proprio come abbiamo fatto noi con loro. Difatti noi siamo per loro - e loro per noi - una razza allo stesso tempo nuova e antichissima, capace di forni­ re buoni auspici.9 A mio parere, insomma, è necessario che le parti di questo Tutto che sente e respira all'unisono ap38

partengano le une alle altre, poiché sono membra di un unico corpo. Può darsi che proprio in questo modo si possano spiegare gli incantesimi dei maghi. Ogni elemento ne attrae un altro, nello stesso modo in cui attraverso l'altro esso si manifesta; ed è sa­ piente chi conosce i legami tra le parti del cosmo e può così attirare un elemento per mezzo di un altro, avendo a disposizione formule magiche, frammenti di materia e figure come pegno di quelli più lonta­ ni. IO Per questo motivo, quando le nostre viscere so­ no affette da un male, altre parti del corpo provano sofferenze, e

il dolore di un dito può estendersi al­

l'inguine senza che gli organi che si trovano frappo­ sti ne siano afflitti; perché di fatto sono entrambi membri di un unico organismo vivente, e vi è tra es­ si un legame maggiore di quello che può esserci tra altre parti del corpo. Una pietra o una pianta della terra presentano affinità con alcuni degli dèi che abi­

tano il cosmo; e questi, condividendo con esse iden­ tici sentimenti, cedono alla natura e sono soggetti agli incantesimi. 1 1 Lo stesso si verifica nella musica: chi pizzica la corda più grave della

lira,

la hypate,

non fa vibrare la corda più vicina, l' ep6gdoos, bensì 1' epitritee la néte, che è la più acuta. 12 E questo è do­ vuto alla concordia originaria. Come in un gruppo 39

famigliare, infatti, vi è anche una sorta di discordan­ za tra i membri: perché il cosmo non è semplice­ mente un'unità, ma un'unità costituita da molteplici elementi, e, tra le sue parti, alcune si corrispondono, altre si respingono; ma dalla loro discordia trae ori­ gine l'armonia del Tutto, proprio come la lira fun­ ziona secondo un sistema di dissonanze e consonan­ ze; l'armonia della lira e del cosmo è dunque un'u­ nità che deriva da elementi opposti. 3 . Archimede di Sicilia chiedeva uno spazio esterno alla terra per controbilanciarne il peso con il proprio: rimanendo su di essa, diceva, non sarebbe stato in grado di farlo. Tuttavia, un saggio che avesse una mi­ nima conoscenza della natura del cosmo, una volta collocato all'esterno di esso non saprebbe che fare della propria scienza: ci si serve del cosmo per agire su di esso. 13 Troncato ogni legame di contiguità con il cosmo, le sue osservazioni cadrebbero a vuoto, e gli apparirebbero simboli senza vita. E difatti anche le divinità esterne al cosmo sfuggono agli incantesimi: . . . seduto in disparte, egli non si preoccupa e non si dà alcun pensiero.14

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Il fatto è che la natura dell'intelletto è inflessibile; al contrario, la parte sensibile dell'anima soggiace fa­ cilmente agli incantesimi. L'ampio numero delle pratiche divinatorie e dei riti è dovuto alla moltepli­ cità e alla parentela degli elementi che si trovano nel cosmo: alla molteplicità, perché gli elementi sono discordanti tra di loro; alla parentela, perché tutti derivano da un'unità. Il mio discorso, però, non toc­ cherà i riti: le leggi dello stato lo vietano ! Della divi­ nazione, invece, è lecito parlare, 15 E fin qui, in effet­ ti, ne abbiamo intessute le lodi considerandola, per quel che si poteva, nel suo complesso. A questo pun­ to, estrapolando la sua parte migliore, possiamo sof­ fermarci ad analizzarla, senza dimenticare che l' o­ scurità è tratto comune di ogni forma di divinazione; pertanto non si dovrà ritenere che tutto quanto si os­ serva nella natura costituisca un valido argomento per respingere ogni forma di divinazione. Già pri­ ma, comunque, ho mostrato che anche l'oscurità merita venerazione, proprio come l'obbligo dei se­ greti nei riti iniziatici. Del resto, nemmeno gli ora­ coli pronunciano profezie comprensibili a tutti: pro­ prio per questo motivo l'oracolo di Delfi è chiamato Lossia. 1 6 A tal proposito, se Temistocle non avesse saputo interpretare il significato dell'oracolo, il po41

polo riunito in assemblea avrebbe sentito parlare inutilmente del muro di legno che il dio concedeva agli ateniesi per salvarsi. 1 7 Ecco spiegato, in sostan­ za, il motivo per cui non bisognerebbe respingere nemmeno le previsioni attraverso i sogni: esse, infat­ ti, condividono con le altre forme di divinazione e con gli oracoli la caratteristica dell'oscurità. 4. Tra tutte le forme di conoscenza, conviene dedi­ carsi soprattutto a questa, perché proviene proprio da noi, dal nostro intimo, ed è un possesso dell'ani­ ma di ciascuno. 1 8 Secondo l'antica filosofia, l'intelletto contiene le immagini delle cose che sono; noi potremmo ag­ giungere che l'anima ha in sé le immagini delle co­ se che divengono: dunque l'intelletto sta all'anima come l'essere sta al divenire (scambiando i termini, l'intelletto starà all'essere e l'anima al divenire, e se­ condo i princìpi della scienza, l'operazione sarebbe vera anche invertendo i termini). Ecco dunque di­ mostrata la nostra ipotesi, cioè che l'anima contiene le immagini di ciò che diviene: 19 essa ha in sé ogni cosa, e crea proiezioni di quelle più opportune e le riflette sull'immaginazione, come se fosse uno spec­ chio. È proprio grazie a quest'ultima che l'essere vi42

vente ha la percezione delle immagini che risiedono nell'anima.20 Noi non ci accorgiamo delle attività dell'intellet­ to fino a quando la facoltà che le gestisce non le tra­ smette al nostro senso comune; le informazioni che non le arrivano sfuggono anche all'essere vivente. Allo stesso modo, noi non abbiamo la percezione delle immagini che si trovano nell'anima razionale fino a quando le loro tracce non sono giunte all'im­ maginazione. Quest'ultima, probabilmente, è una forma di vita lievemente inferiore, che sussiste gra­ zie a una natura particolare. Essa ha a disposizione facoltà percettive: difatti noi vediamo i colori, sen­ tiamo i rumori e possediamo una sensazione assai forte del tatto anche quando gli organi del nostro corpo sono inattivi. Può darsi, addirittura, che l'im­ maginazione sia una forma di percezione più sacra: è grazie a essa che in genere entriamo in contatto con gli dèi, ne riceviamo i consigli, gli oracoli e le cure riguardo a tutte le altre cose. Non mi stupisco, pertanto, se a qualcuno il sonno porta in dono un tesoro; non mi pare nemmeno troppo strano che un tale, addormentatosi senza possedere la minima do­ te poetica, abbia incontrato in sogno le Muse e, do­ po essersi intrattenuto con loro, sia divenuto un 43

abile poeta: è successo anche ai nostri giorni.2 1 Non vale nemmeno la pena di menzionare i sogni che hanno svelato insidie e i casi in cui il sonno, come un medico, ha risanato qualcuno da una malattia.22 Ma quando il sogno apre la via per la visione più perfetta dell'essere all'anima che mai aveva aspirato a tanto, né aveva concepito una simile ascesa, pro­ prio allora - mi pare - è possibile raggiungere il co­ ronamento di ogni bene: e chi si è smarrito al pun­ to da dimenticare persino la propria origine può al­ lora superare i confini della propria natura ed en­ trare in contatto con l'intelligibile.23 Chi considera l'ascesa un bene, e tuttavia non cre­ de che qud beato contatto si possa raggiungere gra­ zie all'immaginazione, dovrebbe ascoltare la sacra voce degli oracoli, che parlano di «vie diverse» per raggiungere i propri scopi. Dopo aver tracciato l'in­ tero denco di tutti i mezzi a nostra disposizione per l'ascesa (denco secondo il quale è possibile accresce­ re il seme intellettuale che è in noi), l'oracolo dice: Ad alcuni dio ha concesso di ottenere con lo studio la [conoscenza della luce; altri, mentre dormivano, li ha fecondati con la propria [forza.24

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cli ottenere il sapere: vi è chi apprende durante la ve­

Vedi? L'oracolo ha distinto due modi con gioia

glia e chi, invece, nd sonno. Durante la veglia, è l'uomo a insegnare; chi sogna, invece, è fecondato dal dio con la sua forza, e così apprendere e acqui­ sire finiscono per coincidere: e infatti fecondare è più che insegnare.

5. Si consideri quanto si è detto fin qui come una di­ mostrazione della dignità della vita che anima l'im­ maginazione contro chi disconosce anche le sue manifestazioni più insignificanti. Non stupisce che i detrattori dell'immaginazione, per eccesso

cli sape­

re, si applichino con grande impegno alle pratiche proibite dagli oracoli, che dicono infatti:

Tagliare a pezzi vittime e viscere: infantile passatempo25 e impongono

cli evitare tutto ciò. Ma chi disprezza

l'immaginazione, sentendosi al cli sopra della massa,

pratica le arti divinatorie ora in un modo ora in un altro; guarda però ai sogni con sufficienza, perché gli paiono troppo comuni: tutti, infatti, ne hanno parte allo stesso modo, tanto l'ignorante quanto

il

sapiente. Ma l'uomo sapiente non è forse tale per-

ché sa sfruttare al meglio ciò che è sotto gli occhi di tutti? D'altronde, tra gli elementi visibili nulla è più divino e più comune del sole ! Se il fatto di vedere dio con i propri occhi è un evento tra i più felici, co­ glierlo con l'immaginazione è segno di una visione ancor più nobile.26 Di fatto, l'immaginazione è una percezione di percezioni, perché lo spirito immaginativo è l'orga­ no percettivo più comune, ed è inoltre il primo cor­ po dell'anima.27 Ma esso si cela dentro di noi e reg­ ge l'essere vivente come dall'alto di un'acropoli; tutt'intorno, la natura ha costruito l'intera attività della testa. L'udito e la vista non sono percezioni, ma strumenti al servizio del senso comune:28 è co­ me se fossero i custodi dell'essere vivente, cui è af­ fidato il compito di annunciare alla padrona i sensi­ bili che sono davanti alla porta e hanno bussato ai battenti degli organi percettori. Dunque il senso co­ mune, in tutte le sue parti, è il senso più perfetto: può ascoltare, vedere, compiere ogni altra attività grazie allo spirito; distribuisce le facoltà a ciascun organo, e ognuna di esse si protende al di fuori del1'essere vivente; sono come rette che si dipartono da un centro e in esso tornano a convergere: costitui­ scono un'unità rispetto alla loro origine comune, e 46

una moltitudine quando si allontanano dal centro. Ma la percezione che avviene per mezzo di organi protesi all'esterno ha natura tipicamente animale, e a dire il vero non è nemmeno una percezione fino al momento in cui raggiunge il senso primo; la perce­ zione immediata, che è contigu a all'anima, ha inve­ ce natura più divina.29 6. Se prestassimo fede alle percezioni fisiche perché sono una via di conoscenza (conosciamo al meglio, in effetti, quel che abbiamo visto), e disprezzassimo in­ vece l'immaginazione considerandola più fallace dei sensi, ci dimenticheremmo, a mio parere, che nem­ meno l'occhio mostra ogni cosa in modo esatto: a volte non mostra proprio nulla, a volte, addirittura, ci inganna a causa della natura di quel che vede o de­ gli stessi organi della vista. In base alla distanza, in­ fatti, le cose appaiono più grandi o più piccole: quel­ le sott'acqua, pure, risultano più grandi, mentre un remo può persino apparire spezzato. È l'occhio stes­ so, per la propria inadeguatezza, a ingannarci: un oc­ chio cisposo, per esempio, mostra oggetti confusi e indistinti. Se poi uno si trova ad avere una malattia allo spirito immaginativo, non può certo pretendere di vedere in modo chiaro e distinto. 47

È la filosofia occulta a svelare quali siano le ma­ lattie dello spirito, per quali ragioni l'occhio diven­ ga cisposo e si ispessisca, in che modo possa purifi­ carsi, tornare limpido e riprendere la propria natu­ ra: grazie a tali insegnamenti, una volta che i riti lo abbiano purificato, esso diviene un possesso di dio. Gli elementi estranei che si sono introdotti prima che lo spirito immaginativo accogliesse il dio scor­ rono fuori. E chi riesce a conservarlo puro, osser­ vando un regime di vita conforme alla natura, se ne può servire prontamente: in questo modo, torna a essere il senso più generale. Lo spirito, infatti, ri­ sente delle condizioni dell'anima e non è insensibi­ le come il nostro corpo, simile al guscio di un'ostri­ ca, che invece ne contrasta le migliori disposizioni. No, lo spirito è il veicolo primo e particolare del­ l'anima: quando essa compie il bene si fa leggero e diviene simile all'etere; se invece l'anima compie il male, si ispessisce e diviene simile alla terra.30 In­ somma, esso sta a metà tra la follia e la ragione, tra l'incorporeo e il corporeo: è il confine comune di entrambi. È grazie allo spirito che le cose divine so­ no in relazione con le infime realtà. Perciò è diffici­ le comprendere la sua natura attraverso la filosofia, perché esso prende a prestito da ciascuno dei due 48

estremi, come fossero dei vicini di casa, tutto quel che gli serve, ed è così che le immagini di elementi di per sé tanto lontani finiscono per apparire, grazie all'immaginazione, in un'unica natura. 7. La natura ha riversato l'immaginazione, nella sua interezza, su diverse categorie di esseri. Quando essa scende fino al livello dei viventi privi di intelletto, non è più veicolo di un'anima divina: viene invece trasportata dalle facoltà inferiori, e costituisce la ra­ gione stessa dell'animale, che grazie a lei pensa e agi­ sce per lo più in modo conveniente. Persino negli es­ seri irrazionali essa si purifica al punto da far pene­ trare in loro qualcosa di migliore. Grazie a una tale forma di vita esistono tutte le stirpi dei demoni; que­ ste ultime, nella totalità del loro essere, hanno la con­ sistenza di fantasmi e assumono le forme delle cose esistenti;3 1 nell'uomo, invece l'immaginazione opera di nonna da sola, oppure, spesso, insieme a un'altra facoltà. Noi non siamo in grado di concepire pensie­ ri senza l'aiuto dell'immaginazione, a meno che, in un istante, qualcuno non riesca a cogliere un'imma­ gine priva di materia. La capacità di spingersi oltre l'immaginazione è impresa non meno difficile che beata: è una fortuna se l'intelletto e la saggezza giun49

gono in tarda età, afferma Platone,32 riferendosi al pensiero privo di immaginazione. Infatti, la vita che si sviluppa dipende dall'immaginazione - o dall'in­ telletto che dell'immaginazione si serve. Questo spirito dell'anima, che i beati chiamarono anche anima spirituale,3 3 diviene dio, demone mul­ tiforme e fantasma; l'anima sconta in esso le proprie pene. Al riguardo, le voci degli oracoli sono concor­ di, e anche la filosofia, paragonando l'esistenza dd1'anima nell'aldilà alle immagini che ci appaiono in sogno, ne conclude che la prima vita - quella terre­ na - è una preparazione alla seconda: bisogna infat­ ti sapere che la migliore condizione dell'anima alleg­ gerisce lo spirito, mentre quella peggiore lo insozza. Dunque, per attrazione naturale, grazie al calore e alla secchezza esso sale in alto, e dà cosl ali ali'anima (ritengo che proprio a questo si riferisse Eraclito af­ fermando che «l'anima secca è saggia») ;34 oppure diviene spesso e umido, sprofonda nelle cavità della terra e, sospinto da un'inclinazione naturale, si ac­ quatta nelle regioni sotterranee - luogo particolar­ mente adatto agli spiriti umidi. Lì, esso conduce una vita infelice e gravata da pene; è però possibile che l'anima, purificata dal tempo, dalla fatica e da vite successive, riesca a risalire. Essa, infatti, conducen50

do una vita anfibia, compie per così dire un percor­ so duplice, e di volta in volta si unisce agli elementi peggiori e a quelli migliori.35 L'anima, durante la sua discesa, prende a prestito dalle sfere celesti l'immaginazione, e sale su di essa come fosse una navicella per unirsi poi all'universo corporeo. Intraprende questa sorta di lotta per tor­ nare in alto insieme all'immaginazione, o, almeno, per non restare in basso con essa; non è facile, ma è comunque possibile che l'anima l'abbandoni, se non è in grado di seguirla - sarebbe empio dubitarne, una volta che si conoscano i riti misterici. Del resto, la ri­ salita sarebbe davvero turpe se l'anima non restituis­ se ciò che non le appartiene, e lasciasse sulla terra quel che ha preso in prestito in alto. Questo potreb­ be forse essere concesso a qualcuno come dono ini­ ziatico e divino; ma la sua natura è tale che l'anima, una volta saldata allo spirito, o si muova in armonia con esso, o lo trascini o ne sia trascinata - in ogni ca­ so, devono restare uniti fino a quando l'anima sia tor­ nata al punto da cui è discesa. Cosi, gravato dal ma­ le, lo spirito trascina in basso l'anima che gli ha per­ messo di divenire pesante. Ed è proprio questo il de­ terrente di cui si servono gli oracoli per mettere in guardia il seme intellettuale che riposa dentro di noi:

Non chinarti in basso, verso il mondo dai riflessi [oscuri, sotto il quale si stende un abisso eternamente infido e [informe, tenebroso, sudicio, dissennato, che gode di vani [fantasmi.36

Come potrebbe l'intelletto trarre giovamento da una simile vita, stolida e folle? Solo ai fantasmi, per una certa consistenza dello spirito, conviene la re­ gione inferiore: il simile, infatti, ama il simile. 8. E se dall'unione tra intelletto e fantasma nasces­ se un'unità, l'intelletto annegherebbe nd piacere, e questa sarebbe senza dubbio la peggiore delle scia­ gure, ché non si avrebbe nemmeno la percezione dd male presente: questa è la tipica condizione di chi non prova neppure a risalire - come un tumore occulto, che non causa dolore e non induce a cer­ care una cura. Per questo motivo, dunque, il penti­ mento aiuta l'anima a devarsi: solo chi non soppor­ ta il proprio stato prova a escogitare una via di fu­ ga; la volontà svolge un ruolo fondamentale nella purificazione: è per suo tramite, infatti, che le azio­ ni e le parole hanno efficacia, mentre, se viene me­ no, l'intero rito purificatore risulta inefficace, in 52

quanto viene privato del suo principio basilare. È anche per questo che, sia nell'aldiquà sia nell'aldilà, le condanne concorrono in modo decisivo al man­ tenimento dell'ordine degli esseri: introducendo nell'anima il dolore, la liberano dalla gioia priva di discernimento. Quanto agli avvenimenti che gli uo­ mini chiamano inopportunamente «disgrazie», essi contribuiscono grandemente a eliminare la nostra inclinazione naturale verso le cose dell'aldiquà. Grazie ai rovesci di fortuna, la Provvidenza supre­ ma penetra in quanti hanno senno, mentre chi ne è privo tende, per le stesse ragioni, a dubitarne. Non è possibile, in effetti, che l'anima sia indotta ad ab­ bandonare la materia, se non incappa in qualche male terreno. Dobbiamo pensare, insomma, che le tanto celebrate fortune umane non siano altro che trappole tese alle anime dagli spiriti infernali. Altri sono liberi di affermare che alle anime si dà da be­ re il filtro della dimenticanza quando lasciano la vi­ ta terrena, ma la verità è che tale fùtro viene offerto loro quando entrano nella vita, ed è quello delle de­ lizie e delle dolcezze dell'aldiquà. Difatti, quando l'anima discende sulla terra come lavoratrice sala­ riata per portare a termine la sua prima vita, essa sceglie liberamente di divenire schiava; la legge di

Adrastea37 le imporrebbe di prestare un libero ser­ vizio alla natura del mondo, e lei invece, irretita dai doni della materia, finisce per subire una sorte in tutto simile a quella di uomini liberi, pagati per un tempo determinato, che si lascino ammaliare dalla bellezza di una schiava e accettino, pur di restare, di divenire schiavi del suo padrone. Così, quando noi godiamo, profondamente con­ vinti, di qualche piacere corporale ed esterno che ha tutta l'apparenza del bene, sembriamo darla vinta al­ la natura della materia e ammetterne la bellezza; questa riceve il nostro assenso come un contratto se­ greto, e se noi, affermando la nostra libertà, voglia­ mo andarcene, la materia sostiene che noi siamo fug­ giaschi, e in quanto tali tenta di ricondurci indietro, e si riappropria di noi come schiavi, e ci rilegge il contratto ad alta voce. È soprattutto allora che l'a­ nima ha bisogno di forza e dell'aiuto di dio: non è certo una lotta da poco invalidare il proprio con­ tratto, o, se è il caso, violarlo, perché i castighi della materia ai danni di chi tenta di opporsi alle sue leg­ gi agiscono persino contro il destino prestabilito. Tra di essi possiamo considerare anche le cosiddette fatiche che, secondo i sacri discorsi, Eracle dovette sopportare (Eracle e chiunque altro abbia tentato di 54

ricuperare con la forza la propria libertà) fino a quando non ebbe trasportato lo spirito là dove le mani della natura non potessero raggiungerlo.3 8 Se però ci si slancia all'interno dei confini della natura, si viene trascinati giù, e sono necessarie lotte più vio­ lente: la natura, infatti, non risparmia più i colpi, perché ci considera suoi nemici; e se infine si rinun­ cia alla risalita dell'anima, la natura richiede una pe­ na per il tentativo di fuga non riuscito: e impone vi­ te non più scelte dai due vasi che rappresentano le due parti della materia, secondo quanto Omero af­ ferma oscuramente, attraverso enigmi.3 9 - e Zeus, in quel passo, è per Omero il dio che governa la mate­ ria, il dispensatore dell'ambiguità del destino, colui che mai concede il bene senza mescolarlo al male, anche se ad alcuni ha dato il male senza mescolarlo al bene. Insomma, all'anima che dopo la prima di­ scesa non sia riuscita a risalire tocca trascorrere va­ gabondando tutte le vite successive. 9. Guarda dunque quanto grande è lo spazio in cui lo spirito è cittadino. Ho spiegato prima che, se l'a­ nima inclina verso il basso, lo spirito si appesantisce e sprofonda finché non approda a un territorio te­ nebroso e «dai riflessi oscuri»; se invece l'anima ri55

sale, lo spirito le tiene dietro fin dove può: fino a quando, cioè, giunge all'estremo opposto. Ascolta, a tal proposito, qud che dicono gli oracoli: Non abbandonerai al baratro gli avanzi della materia, anche per il simulacro c'è posto nd luogo circondato [dalla luce.4 0 Quest'ultimo luogo, appunto, si trova all'estremo opposto di quello «tenebroso». Con un po' di acu­ me si potrebbe spingersi oltre nell'interpretazione dell'oracolo: sembra infatti che l'anima non faccia risalire alle sfere soltanto la natura che lì ha origine - anzi, secondo gli oracoli essa porta in alto insieme alla parte migliore anche qud che nella sua discesa, prima di rivestirsi del corpo terroso, ha sottratto al­ i'aria e al fuoco e poi ha immesso nella natura dello spirito (il corpo divino, infatti, non potrebbe essere un avanzo della materia). E sarebbe sensato pensa­ re che gli elementi che condividono una medesima natura e fanno parte di un'unità non siano total­ mente privi di rdazioni reciproche, specie qudli che stanno vicini, proprio come il fuoco è adiacen­ te all'etere, a differenza della terra, che è invece il più remoto degli esseri. Così, se gli dementi miglio­ ri, abbassandosi al livello dei peggiori, si unissero a 56

loro traendone profitto, e portassero a compimento nel fango un corpo puro, come assimilato da ciò che prevale nel composto, forse anche gli elementi peg­ giori smetterebbero di opporre resistenza alle azio­ ni dell'anima: mansueti e docili, seguendola e of­ frendo senza contrasto la natura intermedia al co­ mando della natura superiore, potrebbero divenire vapore ed essere inviati in alto - forse non del tut­ to, ma almeno oltre il confine dei quattro elementi, e gustare la visione del luogo circondato dalla luce. Dice infatti l'oracolo che in quel luogo c'è posto an­ che per loro: questo significa che essi occupano un grado all'interno dell'etere. 41 10. Quanto alla parte dell'anima che deriva dagli elementi, basti quel che si è detto; si può crederci o meno. Nulla impedisce, invece, che lo spirito arri­ vato dall'alto si risollevi dalla caduta e salga insieme all'anima mentre quest'ultima si eleva, e si adatti poi alle sfere - si riversi, cioè, nella propria natura ori­ ginaria. Questi, insomma, sono i due confini estre­ mi: la zona «circondata dalla luce» e quella «tene­ brosa», che occupano i vertici della fortuna e della sfortuna. Ma quante credi che siano le zone inter­ medie sulla superficie del cosmo, in parte illumina'57

te e in parte oscure, sulle quali vive l'anima insieme allo spirito, mutando caratteri, aspetto ed esistenza? Una volta che sia ritornata alla propria originaria nobiltà, l'anima diviene uno scrigno di verità. È in­ fatti pura, trasparente e incontaminata; se lo vuole, può essere dea e profetessa. Se precipita, diviene oscura, indetenninata, menzognera; lo spirito, fat­ tosi caliginoso, non riesce a contenere l'attività de­ gli esseri. Se invece si trova a occupare una posizio­ ne intermedia, può fallire in alcuni casi e, in altri, cogliere nel segno. Si potrebbe anche riconoscere, in questo, una natura demonica di qualche rango. La capacità di dire la verità in modo assoluto - o quasi - è propria di un dio o di un'entità a lui assai vicina. L'inaffidabilità delle predizioni, al contrario, è caratteristica costante degli esseri che sguazzano nella materia e sono schiavi delle passioni e del1' ambizione. È così che la feccia dei demoni tenta sempre di sostituirsi a dio e a qualche demone im­ portante: con un balzo s'impossessa di un territorio destinato a una natura migliore; anche da questo potremmo scoprire il rango di un'anima incarnata in un corpo umano: chi abbia uno spirito immagi­ nativo puro e ben determinato, capace di ricevere tracce veridiche degli esseri durante la veglia e in 58

sogno, potrebbe ottenere la promessa di una sorte migliore per quanto riguarda lo stato dell'anima. Del resto, noi possiamo cercare di scoprire quale sia la disposizione dello spirito dell'anima anche dalle immagini che proietta e di cui si occupa quando non è eccitato da un altro agente esterno; la filoso­ fia ci fornisce i criteri adeguati, perché è necessario occuparsi di esso e prendersene cura in modo che non si smarrisca mai. Per farlo crescere nel modo migliore, dobbiamo servirci di tutta la nostra capa­ cità di applicazione, e far sì che la vita segua uno sviluppo, per quanto è possibile, intellettuale; si do­ vranno inoltre prevenire gli assalti di visioni bizzar­ re e improvvise. A tale fine, bisognerà rivolgersi al bene, evitando qualunque tipo di relazione con il male, limitandosi ai soli rapporti necessari. L'impul­ so intellettuale è il mezzo più sicuro contro quanti tentano di insidiare lo spirito, che grazie a esso vie­ ne assottigliato in maniera indicibile e innalzato ver­ so dio. E quando ha assunto le caratteristiche ne­ cessarie, grazie all'affinità che li lega, proprio un ta­ le impulso trascina lo spirito divino fino a farlo en­ trare in contatto con l'anima. Se invece si ispessisce, lo spirito può contrarsi e divenire troppo piccolo per colmare lo spazio assegnatogli dalla provviden59

za che ha plasmato l'uomo (mi riferisco alle cavità del cervello); in questo caso, poiché la natura non tollera il vuoto negli esseri viventi, vi si introduce uno spirito maligno. E quali sciagure non tocche­ ranno all'anima, trovandosi a convivere con un ma­ le così raccapricciante? La legge di natura impone che gli spazi creati per essere sede dello spirito ne siano pieni, sia esso buono o malvagio: il secondo è un castigo per gli empi che insudiciano il dio che abita in loro; quello buono, invece, è il fine stesso (o quanto di più vicino) della pietà religiosa. 1 1 . Abbiamo trattato in modo esaustivo della natu­ ra dell'immaginazione prima di dedicarci alla divi­ nazione attraverso i sogni, perché così gli uomini non la disprezzino e vi si dedichino invece con la consapevolezza dei vantaggi che essa può offrire. Dal discorso, tuttavia, non è emersa la sua utilità immediata: il frutto più prezioso di uno spirito sano è l'ascesa dell'anima, ed è un guadagno assoluta­ mente sacro; la ricerca di uno spirito capace di pre­ vedere il futuro è quindi un esercizio di pietà reli­ giosa. È per questo che già alcune persone, attratte dall'idea di conoscere in anticipo gli eventi, hanno sostituito cibi frugali e santi a tavole imbandite ol60

tre misura, e si sono accontentate di un letto puro e immacolato.42 Chi usa il proprio letto come usereb­ be il tripode di Pito,43 infatti, evita di rendere le proprie notti testimoni di intemperanze. Un uomo dd genere, anzi, si prostra davanti a dio e innalza a lui le proprie preghiere. Qud che si accumula poco a poco, alla fine risulta abbondante, e un'azione compiuta per altri scopi si realizza in qualcosa di più grande: può anche darsi che qualcuno, inse­ guendo inizialmente un fine affatto diverso, proce­ dendo si ritrovi, un giorno, ad amare dio e cerchi persino di unirsi a lui. Non bisogna, quindi, trascu­ rare l'arte divinatoria, perché conduce a dio e ha come conseguenza immediata il bene più stimato tra qudli che l'uomo è in grado di raggiungere. E l'utilità terrena ddl'anima congiunta a dio è tanto più grande in quanto è ritenuta degna del contatto con le entità superiori; inoltre non è indifferente al­ le sorti dei mortali - anzi, quando osserva dall'alto, essa vede qud che avviene sulla terra in modo assai più nitido di quando vi si trova in mezzo ed è me­ scolata agli dementi più bassi; è così che, restando immobile, essa offrirà ai viventi le immagini del di­ venire. Questo è il senso dd proverbio «scendere senza scendere»,44 che si dice di un superiore che si 61

prende cura dell'inferiore senza intrattenere con es­ so alcun rapporto. Mi sembra quindi giusto disporre dell'arte divi­ natoria e lasciarla in eredità ai miei figli; per entrar­ ne in possesso non è necessario prepararsi di tutto punto e. intraprendere un lungo viaggio o una navi­ gazione alla volta di un paese straniero, magari a Delfi o al tempio di Ammone;45 mi basta invece an­ dare a dormire dopo essermi lavato le mani e avere osservato il silenzio rituale: Ed ella, dopo essersi aspersa con acqua e dopo aver indossato vesti pure, pregava Atena.46

12. Pregheremo per avere un sogno come forse pre­ gò Omero. Se ne saremo degni, il dio lontano ci sa­ rà accanto anche senza aver compiuto ogni volta questi atti: basterà che siamo addormentati; ecco dunque tutto il cerimoniale del rito d'iniziazione, grazie al quale nessuno si è mai lamentato della pro­ pria povertà, pensando per questo di essere inferio­ re a un ricco. Alcune città scelgono gli ierofanti tra i cittadini più facoltosi - così fanno gli ateniesi per i trierarchi. Sono poi necessarie una spesa consi­ stente e altrettanta fortuna per procurarsi erba cre­ tese, la piuma di un uccello egiziano, un osso iberi62

co o, in nome di Zeus ! , qualunque altro oggetto prodigioso nasca o cresca nell'oscurità della terra o dd mare «e là dove il sole s'inabissa e risorge». 47 Questo e altro si dice di chi pratica la divinazione con strumenti esterni: ma quale privato cittadino potrebbe sostenere tali spese con le proprie risorse? Una visione notturna, invece, può averla qualunque cittadino, di prima o di seconda classe; così, anche il cittadino di terza classe, che per sopravvivere è costretto a lavorare un remoto fazzoletto di terra, e inoltre il rematore, il servo a ore, e pure gli stranie­ ri esentati dalle tasse e quelli che invece devono pa­ garle. Dio non fa differenza tra un Eteobutade e un Mane appena acquistato. 4 8 Il fatto che questa forma

di divinazione sia accessibile a tutti ne fa una bene­ fattrice dell'umanità; la sua semplicità e la sua natu­

ralezza l'avvicinano alla filosofia; inoltre, essa è e­ stranea a ogni forma di violenza, e costituisce per­ ciò un modello di pietà religiosa; il fatto di trovarsi dappertutto e non soltanto in prossimità di acque, rupi o voragini è indice della sua estrema somi­ glianza con dio. Inoltre, la divinazione attraverso i sogni non impone di dedicarsi a un'unica attività e non costringe chi la pratica a perdere occasioni pro­ pizie - e questo meritava di essere detto già prima. 63

In effetti, nessuno abbandona l'attività a cui si sta dedicando per andarsene a casa a dormire e onora­ re l'appuntamento con un sogno. Ma il tempo che l'uomo deve necessariamente spendere per le esi­ genze della propria natura (poiché la condizione umana non ci permette di sostenere senza interru­ zioni tutte le attività della veglia) porta agli uomini quel che si definisce «il complemento più impor­ tante dell'opera stessa», e alla necessità aggiunge la possibilità di scegliere, mentre conferisce il benes­ sere all'esistenza. Per quanto riguarda le predizioni che avvengono per mezzo di strumenti diversi, bisogna acconten­ tarsi se lasciano un po' di spazio a tutti gli altri bi­ sogni e occupazioni, considerato che impegnano la maggior parte della vita. È ben difficile che chi svol­ ge qualche attività possa trarre vantaggio dalla divi­ nazione, perché non è possibile organizzare in ogni luogo e in ogni momento i preparativi per il rito, né avere a portata di mano tutti gli strumenti necessa­ ri. Per non parlare dei materiali di cui, oggigiorno, sono stipate le prigioni: ci vorrebbero carri o navi da carico per contenerli, e con essi anche tutto il re­ sto della cerimonia, verbalizzatoci e testimoni com­ presi. È la pura verità: nell'epoca in cui viviamo, 64

molti segreti sono stati rivdati attraverso i servitori delle leggi, che li hanno gettati in pasto al volgo profano e resi noti agli occhi e alle orecchie di tut­ ti.49 Insomma, piegarsi a pratiche dd genere non è soltanto un atto sciagurato, per come la vedo io, ma è anche odioso agli occhi di dio. In effetti, se non si attende la volontà di qualcuno ma si tenta di for­ zarla con urti e leve, si commette un atto di violen­ za - crimine che il legislatore non ha mai lasciato impunito, nemmeno tra gli uomini. Oltre a tutto questo, che è già abbastanza grave, può awenire che chi cerca di scoprire il futuro talvolta interrom­ pa le proprie attività e, se si reca in un paese stra­ niero, finisca per lasciarsi l'arte divinatoria alle spal­ le. Dd resto non è semplice, quando si va dapper­ tutto, portare con sé gli strumenti dd mestiere. Quanto alla divinazione per mezzo dei sogni, in­ vece, ciascuno ne è strumento in prima persona, tanto che, pur volendo, non è possibile abbandona­ re la sede dell'oracolo: se uno non si sposta, esso abita con lui; se si mette in viaggio, esso diviene suo compagno di strada, e inoltre amministra insieme a lui la città, condivide il lavoro dei campi e il com­ mercio. Nemmeno le leggi di uno stato malevolo potrebbero mai impedire questa forma di divina65

zione, perché non avrebbero alcuna prova a carico di chi la pratica. D'altronde, quale colpa potremmo mai commettere, dormendo? Persino un tiranno non potrebbe vietare i sogni ai suoi sudditi - no davvero ! -, a meno che non decidesse di bandire il sonno dal proprio dominio. Ma questo sarebbe il comportamento di un folle che pretende l'impos­ sibile, oppure di un empio, le cui leggi impongono ordini contrari alla natura e a dio. 13. Tutti, senza distinzione, possono ricorrere alla di­ vinazione attraverso i sogni: donne, uomini, vecchi, giovani, poveri, ricchi; il privato cittadino e il gover­ nante, l'uomo di città e quello di campagna, l'artigia­ no e l'oratore. Nessun sesso, nessuna età, sorte o pro­ fessione ne sono esclusi. È alla portata di tutti in qua­ lunque luogo, profetessa disponibile, consigliera buona e discreta. È allo stesso tempo iniziatrice e ini­ ziata, annuncia in anticipo il bene che sta per giun­ gere, così da rendere più lungo il nostro piacere nel pregustarne il godimento; ci avverte però anche del­ le sventure, perché possiamo difenderci e prepararci a respingerle. È appunto nei sogni che si trovano tut­ te le cose utili e belle offerte dalla speranza «che nu­ tre il genere umano»,50 insieme alla cautela e ai van66

taggi apportati dal timore: da loro soltanto - e da nessun altro - ci lasciamo persuadere a sperare così. E a dire il vero, la speranza svolge nella natura un ruolo tanto importante e salvifico che, secondo i fini sofisti, gli uomini non vorrebbero nemmeno vivere se dovessero tornare allo stato in cui si trovavano ori­ ginariamente; e addirittura rinuncerebbero alla vita a causa dei mali terribili da cui essa è circondata, se Prometeo non avesse riversato sulla loro natura le speranze - sola medicina che pennetta di resistere:5 1 sotto la loro guida, essi ritengono le proprie aspetta­ tive più affidabili di qud che hanno sotto gli occhi. La loro forza è tale che un uomo in ceppi, se per­ mette alla propria volontà di abbandonarsi alla spe­ ranza, non soltanto si ritrova libero, ma combatte, di­ venta su due piedi capo di mezzo reparto, poi dd re­ parto intero, più tardi comandante; e vince, compie sacrifici, è incoronato e fa imbandire, secondo le sue preferenze, una tavola sicula o persiana. E finché vuole essere comandante, è libero di dimenticare i ceppi da cui è stretto. Tutto questo è realtà per chi sogna, e sogno per chi è sveglio. I due fenomeni, infatti, hanno lo stes­ so fondamento: l'immaginazione. Quando noi desi­ deriamo creare delle immagini, questa offre un solo 67

vantaggio: addolcisce la nostra vita con la gioia, e, blandendo l'anima con speranze effimere, la risolle­ va dalla percezione dd dolore. Quando invece offre spontaneamente la speranza - cosa che avviene mentre dormiamo - la promessa che riceviamo in sogno è un pegno di dio. Perciò, chi si prepara a uti­ lizzare dei beni importanti che gli sono stati presen­ tati da un sogno, ottiene un duplice guadagno: per­ ché gode prima che la promessa si sia realizzata e anche dopo, quando può servirsene consapevol­ mente, avendo avuto tutto il tempo di riflettere su di essi, in quanto riguardavano la sua vita. Così, parlando di un uomo felice, Pindaro canta un inno alla speranza dicendo: «La dolce speranza, nutrice di uomini, alimentando il suo cuore lo accompagna - lei che, prima fra tutti, governa la mente inco­ stante dei mortali»,'2 e noi non possiamo credere che il poeta si riferisca alla speranza ingannevole che concepiamo durante la veglia. Ma tutto questo, in realtà, non è che un elogio intessuto da Pindaro a una piccola parte dei sogni. La divinazione attraverso i sogni rende più salda la speranza - e così la pratica stessa non sembra ap­ partenere al genere deteriore delle predizioni - a patto che i fenomeni siano esaminati conformemen68

te alle regole del mestiere. Secondo Omero, Penelo­ pe ipotizza l'esistenza di due porte dei sogni e con­ sidera ingannevole la metà di essi. Questo perché non era esperta dell'argomento: se infatti avesse co­ nosciuto l'arte di interpretarli, li avrebbe fatti pas­ sare tutti attraverso le porte dei sogni veritieri, quel­ le di corno. Nella descrizione di Omero, in realtà, Penelope viene smentita e merita di essere conside­ rata ignorante a proposito di quella stessa visione cui, a torto, non aveva dato credito: Le oche sono i pretendenti; l'aquila, invece, sono io. lo sono Ulisse.53

Ulisse era appunto sotto il suo stesso tetto, e pro­ prio a lui Penelope aveva parlato durante la visione. A parer mio, Omero afferma in questi versi che non è bene rifiutare i messaggi dei sogni, né attribuire alla natura delle visioni l'incapacità di chi le inter­ roga. Per la stessa ragione, Agamennone ha torto quando accusa i sogni di essere fallaci: è proprio lui, invece, ad aver interpretato erroneamente la predi­ zione della vittoria: [Zeus] ti ha ordinato di chiamare alle anni gli achei [dalle lunghe chiome. 69

Tutti, in massa; ora, infatti, potrai conquistare la città [dalle ampie contrade. E così egli avanza con l'idea di conquistare la città al primo assalto, perché non ha compreso il senso di qud «tutti, in massa», che significava in realtà «ar­ mare il contingente greco fino all'ultimo uomo»: mancavano infatti Achille e le truppe dei Mirmi­ doni, che si erano ritirati dalla battaglia ed erano, appunto, i più coraggiosi di tutto l'esercito ! 5 4 14. Ma abbiamo dogiato a sufficienza la divinazio­ ne, passiamo ad altro ! No, invece ! Manca poco che mi si possa accusare di ingratitudine ! E difatti ho parlato, poco

fa,

della sua capacità di accompa­

gnarci durante i viaggi per nave e quando restiamo a casa; e inoltre di seguirci quando ci diamo al com­ mercio o alle battaglie - insomma, di realizzare qua­ lunque cosa insieme a chiunque -, ma ancora non ho dichiarato pubblicamente i benefici che io stes­ so ne ho tratto. Certamente, in nessuna attività i so­ gni forniscono agli uomini un aiuto più importante che nell'esercizio della filosofia: quando dormiamo, infatti, i sogni chiariscono completamente molti dei problemi che si presentano durante la veglia, oppu-

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re ci aiutano a trovarne le soluzioni. E così, ora ci sembra di interrogare, ora di riflettere e arrivare a trovare le soluzioni. Spesso, poi, i sogni mi hanno aiutato a comporre i miei scritti: hanno disposto la mia mente nd modo giusto, mi hanno aiutato a rendere più raffinato il mio stile, e inoltre mi hanno suggerito di cancdlare alcune parole e di introdurne altre al loro posto. Già in passato, quando il mio stile era lussureggiante e disseminato di vocaboli strani per il desiderio di imi­ tare la parlata attica antica, che ormai ci è estranea, i sogni mi hanno ammonito e ricondotto alla modera­ zione, biasimandone l'ampollosità.55 Tutto questo è avvenuto con l'aiuto di un dio, che ora mi ha dato suggerimenti, ora mi ha fornito spiegazioni, ora in­ vece ha fatto emergere alcune asperità, radicate nd mio stile, che dovevano essere appianate. Quand'ero a caccia, talvolta i sogni mi hanno aiu­ tato a escogitare espedienti per catturare gli animali più veloci e abili a nascondersi: una volta, quando già avevo rinunciato a continuare e stavo levando le tende, un sogno mi ordinò di perseverare, promet­ tendomi che in un giorno stabilito avrei avuto fortu­ na; così, confidando ndla promessa, dormii più vo­ lentieri all'aperto. Quando il giorno stabilito arrivò, 71

e insieme a lui si presentò la fortuna che mi era sta­ ta promessa, mi apparve una quantità enorme di sel­ vaggina, che catturammo con le reti o con le lance. Dunque, la mia vita è sempre stata consacrata ai li­ bri e alla caccia, con la sola eccezione del periodo in cui fui ambasciatore - oh, magari non avessi mai vis­ suto quei tre anni nefasti! Eppure, anche in quel frangente la divinazione mi fu spesso di grande aiu­ to. Vanificò infatti le trappole tese contro di me da maghi che evocavano le anime dei morti: non soltan­ to mi mostrò le loro insidie e mi salvò da tutte, ma mi aiutò ad amministrare gli affari pubblici, così da ot­ tenere il meglio per tutte le città; inoltre, in occasio­ ne del discorso che tenni all'imperatore, mi rese più ardito di qualunque greco mi abbia preceduto.56 Certo, ciascuno di noi ha le proprie preferenze a proposito delle forme di divinazione: ma l'oniro­ manzia aiuta tutti, è un demone buono per chiunque e trova sempre un mezzo per alleviare le preoccupa­ zioni che ci assalgono quando siamo svegli. È così, dunque, che l'anima riesce a mantenersi saggia una volta libera dal diluvio di sensazioni volgari che la travolgono con elementi estranei di ogni genere. Quando resta sola, l'anima può offrire a quanti si so­ no rivolti alla vita interiore le idee che ha in sé e tut72

to quanto riceve dall'intelletto, e trasmettere loro ciò che proviene da dio. Un dio del cosmo, infatti, entra in contatto con l'anima che si trovi in simili condi­ zioni, perché le loro nature hanno identica origine. 15. I sogni di questo genere hanno natura più divi­ na, sono completamente (o quasi completamente) perspicui, e in pratica non necessitano di essere in­ terpretati. Tuttavia, essi si manifestano soltanto a chi vive secondo virtù, che sia stata ottenuta con la sag­ gezza o si sia sviluppata per la purezza dei costumi. È difficile, ma non impossibile, che questi sogni pos­ sano apparire ad altri tipi di persone. In ogni caso, un sogno del genere più nobile non si manifesta per un motivo qualunque al primo venuto. L'altra categoria, più frequente e diffusa, è quella dei sogni enigmatici:57 proprio per interpretare questi ultimi è necessario disporre dell'arte divina­ toria. La loro genesi è, per cosi dire, strana e prodi­ giosa: essi, conformemente alla propria origine, si sviluppano in modo assai oscuro. Ecco come stan­ no le cose: da tutti gli esseri contenuti nella natura, da ciò che è, che è stato e che sarà (anche il futuro è una forma di esistenza), si staccano delle immagi­ ni che sfuggono via dalla loro sostanza. Se ciascun 73

essere sensibile è unione di forma e materia, e noi abbiamo scoperto in tale unione lo scorrere della materia, la ragione ne deduce che anche la natura delle immagini viene convogliata nella stessa cor­ rente. Pertanto, dal punto di vista della forma e del­ la sostanza, si dimostra che tutto quanto è soggetto al divenire rinuncia alla dignità dell'essere.58 L'im­ maginazione è uno specchio straordinariamente fe­ dele di tutte queste immagini che scorrono via. Mentre vagano disordinatamente e perdono la loro stabilità a causa dell'indeterminatezza del loro esse­ re e per il fatto che nessuna entità le riconosce, se per caso incontrano gli spiriti dell'anima (anch'essi fantasmi, pur avendo sede fissa nella natura uma­ na) , si appoggiano a loro, e lì si fermano, come in una propria dimora. Le immagini del passato sono perspicue perché gli avvenimenti trascorsi hanno già raggiunto l'at­ tività dell'essere; in seguito, tuttavia, divengono in­ consistenti, e con il passare del tempo si estinguo­ no. Le immagini delle cose presenti sono invece più vivide e chiare, perché esistono ancora; quelle del futuro sono più indistinte e disordinate: sono, cioè, come le prime ondate di qualcosa che ancora non è, germogli di una natura imperfetta, come enigmi che 74

zampillano ed erompono da semi nascosti. È questo il motivo per cui è necessaria un'arte che aiuti a co­ noscere il futuro: perché da esso procedono imma­ gini appena delineate, non certo figure ben distinte, come invece avviene dalle cose presenti. Nonostan­ te la loro natura, queste immagini sono straordina­ rie, poiché sussistono grazie a oggetti che ancora non sono. 16. Arrivati a questo punto, però, dobbiamo parlare dell'arte divinatoria e di come trarne beneficio. L'ide­ ale sarebbe aver predisposto il nostro spirito divino rendendolo degno di essere guidato dall'intelletto e da dio, evitando che divenga un serbatoio di imma­ gini informi. È la filosofia a fornire la preparazione adeguata, perché placa le passioni, che muovendosi disordinatamente invadono lo spirito come se fosse un territorio; è necessario anche un regime di vita mi­ surato e temperante, che non ecciti affatto l'animale che è in noi, né introduca disordine nel corpo carna­ le: il turbamento, infatti, potrebbe estendersi sino al­ lo spirito, che invece deve restare imperturbabile e saldo. Chiunque può facilmente augurarsi il raggiun­ gimento di un simile stato di tranquillità; ottenerlo è invece l'impresa più difficile di tutte. 7'5

Ora, poiché noi desideriamo che tutti possano ottenere qualche vantaggio dall'esperienza onirica, è giunto il momento di cercare un punto fermo an­ che in quest'ambito tanto incerto: dobbiamo cioè fondare una tecnica per interpretare le immagini che i sogni ci propongono. Ecco come possiamo fa­ re. Immaginiamo degli uomini che navighino sul mare: se incrociano uno scoglio e, una volta sbarca­ ti, scorgono una città, tutte le volte che vedranno il medesimo scoglio presumeranno di rivedere la stes­ sa città. Pensiamo poi ai generali di un esercito: noi non li vediamo, ma dalle avanguardie sappiamo che arriveranno, perché ali' apparire di queste essi si tro­ vano sempre nei paraggi. Nello stesso modo, dalle immagini oniriche noi possiamo ogni volta conget­ turare quel che sta per realizzarsi, perché anticipa­ no il futuro: identiche immagini precorrono eventi identici. Dunque, come è segno di inettitudine da parte di un pilota non riconoscere un medesimo scoglio quando lo avvista e non saper dire il nome della terra che la nave sta costeggiando, noi diremo che naviga alla cieca anche chi, dopo aver ricevuto più volte la stessa visione, non sia in grado di capi­ re quale passione, evento o azione essa gli stia pro­ fetizzando: costui, insomma, gestisce stupidamente 76

la propria esistenza come il pilota gestisce stupida­ mente la propria nave. Cosl, in uno stato di calma assoluta, noi siamo in grado di prevedere uno sconvolgimento delle con­ dizioni atmosferiche osservando un alone intorno alla luna, perché molto spesso abbiamo notato che è seguito da tempeste: Un solo alone preannuncia vento o bd tempo; se si rompe, preannuncia vento; se svanisce, bd tempo. Due aloni, invece, potrebbero avvolgere la luna e [portare la tempesta. Un alone che compie tre giri potrebbe portare una [tempesta più spaventosa, e ancora di più quando nereggia, e più spaventosa [ancora se si rompe.59 Stando ad Aristotde e alla ragione, è così in ogni cosa: dalla percezione nasce il ricordo, dal ricordo l'esperienza, e da quest'ultima l'arte. È in questo modo, insomma, che dobbiamo procedere per l'in­ terpretazione dei sogni. 17. Alcuni hanno accumulato ormai moltissimi libri sull'osservazione dei sogni; per quanto mi riguarda, mi fanno tutti ridere e li considero di scarsa utilità. No davvero: soltanto il corpo carnale (un composto 77

di quelli che comunemente si chiamano «elemen­ ti») può ammettere un'arte e una teoria generale conformi alla sua natura, perché esso, in genere, subisce le stesse affezioni dai medesimi agenti (c'è poca differenza reciproca tra oggetti simili), e ciò che è contro natura appare chiaramente come una malattia; non possiamo, però, considerare universa­ li tali criteri. Per lo spirito immaginativo, le cose stanno diversamente - già nella natura prima uno spirito differisce da un altro: uno appartiene a una sfera, un altro a un'altra, in base all'elemento che prevale nel suo impasto. 60 Certo, di gran lunga le più felici tra tutte le anime si riversano sulla terra dall'alto dei cieli; ma le più fortunate, cui tocca una sorte ineffabile, sono quelle che dal tuo splendore, sire, e dallo stesso Zeus sono state generate, secondo le trame di una [possente necessità. 61

Proprio a questo allude T1meo, parlando per oscu­ ri enigmi, nel passo di Platone in cui concede a cia­ scun'anima un astro consorte. 62 Ma le anime, allon­ tanatesi dalla propria natura per il desiderio di re­ stare presso la materia, chi più e chi meno, secondo il grado di sventura della loro inclinazione, hanno 78

insozzato lo spirito. In

tali condizioni,

quindi, esse

abitano i corpi, e la loro vita trascorre tutta nell'er­ rore e nella malattia dello spirito. Questo è contra­ rio alla natura 'dell'anima, se si considera la sua an­ tica nobiltà; per l'animale che è in noi, invece, è del tutto naturale, perché è ispirato da un essere che versa in condizioni identiche. Può anche darsi, pe­ rò, che la natura dello spirito sia il grado in cui esso stesso si pone praticando il vizio e la virtù. Nulla, in effetti, è più mutevole dello spirito. Ma allora come potrebbero le stesse visioni ma­ nifestarsi per cause identiche in creature che diffe­ riscono per natura, leggi e passioni? In realtà ciò non avviene, né potrebbe avvenire. È impossibile che l'acqua torbida e quella trasparente, quella im­ mobile e quella che scorre riflettano nello stesso modo una stessa forma. Se l'opacità dell'acqua va­ ria di luogo in luogo in base a sfumature del colore, e i suoi movimenti si differenziano secondo varie fi­ gurazioni, il solo elemento comune sarà l'errore nel riprodurre l'immagine. Se però qualcuno non è d'accordo, se una Femonoe, un Melampo o chiun­ que altro vorranno prendersi la briga di definire e classificare tutti questi fenomeni, allora sarà il caso di domandare loro se uno specchio dritto, uno cur79

vo e uno costituito da materiali differenti possano rendere un'identica immagine dell'oggetto rifles­ so. 63 Il fatto è che costoro, a mio parere, non hanno studiato la natura dello spirito. Eppure hanno la pretesa di considerare le sue caratteristiche - quali esse siano - come una regola e un principio univer­ sali. E io non metto in discussione il fatto che vi sia un principio di somiglianza anche tra oggetti dissi­ mili, ma quel che è oscuro, se lo si fa a pezzi cer­ cando di interpretarlo, diviene ancor più oscuro; e certo è malagevole riconoscere l'immagine di ciò che ancora deve verificarsi; risulta ancora più diffi­ cile cogliere in ciascun caso particolare qualcosa di simile all'immagine comune. 18. Per queste ragioni non si può ammettere l'esi­ stenza di leggi valide per tutti; ciascuno, quindi, ab­ bia se stesso come materia per l'arte divinatoria: im­ prima nella memoria quali fatti gli siano capitati, quando e in seguito a quale visione. Non è difficile acquisire competenza in qualcosa in cui ci siamo esercitati con utilità: perché l'utilità richiama alla memoria l'esercizio, specie quando c'è materiale in abbondanza - e cosa c'è di più abbondante, di più affascinante dei sogni? Persino gli stolti finiscono 80

per interessarsene, al punto che sarebbe davvero vergognoso se un uomo adulto, uscito dall'adole­ scenza dieci anni fa, dovesse rivolgersi a un indovi­ no e non avesse accumulato per conto proprio un'infinità di nozioni sulla tecnica divinatoria. In realtà, sarebbe proprio un segno di intelligen­ za trascrivere tutte le visioni e gli avvenimenti ca­ suali che si verificano in sogno e durante la veglia, a meno che gli usi della città non siano troppo gros­ solani per accettare una pratica tanto insolita. Poi, noi ci prenderemo la briga di unire alle cosiddette «efemeridi», cronache diurne, quelle che chiamere­ mo «epinittidi», ossia cronache notturne, e di farne un diario degli sviluppi di entrambe le nostre vite. Nelle parti precedenti del trattato, si è stabilita l'e­ sistenza di una forma di vita conforme all'immagi­ nazione, che è migliore o peggiore di quella reale in base alle condizioni di salute o malattia dello spiri­ to. Così, se non ci lasciassimo sfuggire niente dalla memoria, potremmo apportare un vantaggio all'os­ servazione dei sogni, che è l'elemento su cui si basa l'arte divinatoria; in ogni caso, onorare se stessi con la cronistoria della propria esistenza onirica e reale sarebbe un passatempo gradevole. Per chi, poi, vo­ glia dedicarsi all'arte della parola, non saprei trova81

re un soggetto più versatile e più adatto all'esercizio delle capacità oratorie. In effetti, il sofista di Lemno sostiene che le efemeridi siano ottime maestre di elocuzione, perché tengono conto anche degli avve­ nimenti di scarsa importanza: 64 bisogna infatti esse­ re in grado di trattare tutti gli argomenti, da quelli insulsi a quelli seri; perché, allora, non ritenere le epinittidi un soggetto degno dell'arte retorica? Chi­ unque è in grado di cogliere la difficoltà di adattare il discorso alle immagini oniriche, perché esse sepa­ rano ciò che in natura è unito e uniscono ciò che in natura è separato: e con il nostro racconto noi do­ vremmo mettere chi non ha avuto una visione nella condizione di farsene un'idea. 19. Ma non è certo semplice trasmettere ad altri un movimento particolare che si è verificato nella no­ stra anima. Quando, grazie all'intervento dell'im­ maginazione, le cose che esistono nella realtà ven­ gono cacciate fuori dall'essere e al loro posto ne so­ no introdotte altre che assolutamente non esistono (e nemmeno potrebbero esistere), che mezzi abbia­ mo per far comprendere qualcosa che è privo per­ sino di un nome a chi non ha mai concepito pensie­ ri simili? L'immaginazione non mostra queste im82

magini in abbondanza, né contemporaneamente, né l'una dopo l'altra, ma, semplicemente, segue il mo­ do in cui il sogno le contiene e le presenta. Essa può farci credere quel che vuole; è proprio di una reto­ rica perfetta riuscire a venirne a capo senza com­ mettere troppi errori. Perché l'immaginazione si prende gioco della nostra stessa intelligenza, e pro­ duce qualcosa che va oltre il pensiero. E certo noi non siamo insensibili di fronte a quel che vediamo: al contrario, lo approviamo con impeto e passione, oppure ce ne ritraiamo, disgustati; mentre dormia­ mo, i sortilegi che si accompagnano ai sogni ci as­ salgono senza darci tregua, e il piacere che provia­ mo in quei momenti è sublime al punto che nelle nostre anime penetrano odi e amori destinati a se­ guirci durante la vita reale. Perciò, se qualcuno ha intenzione di pronunciare parole che non siano pri­ ve di vita, e desidera invece realizzare lo scopo al quale tende il suo scritto - porre nell'animo del let­ tore gli stessi suoi pensieri e sensazioni - gli servi­ ranno parole vive e in movimento. Ecco, per esempio, che uno vince, cammina, si al­ za in volo - ed è l'immaginazione a contenere tutto questo: potrebbe, il linguaggio, ottenere lo stesso ri­ sultato? Immaginiamo ora un tale che sogni di dor83

mire e di sognare; dorme e gli pare di alzarsi, di scrollarsi di dosso il sonno mentre è ancora steso sul letto, e poi di riflettere sul sogno secondo quel che sa: bene, questo è un sogno, ma l'altro era un sogno doppio. Più tardi, però, nell'animo del sognatore nascono dei dubbi, ed egli crede di essere sveglio, di vedere immagini reali. Nasce quindi una violenta battaglia, ed egli sogna di lottare contro se stesso, di perdere e di svegliarsi, di rientrare in sé e di scopri­ re l'inganno. Gli Aloadi sono puniti per aver ammassato i monti della Tessaglia l'uno sull'altro, allo scopo di dar battaglia agli dèi; 6' al contrario, nessuna legge di Adrastea vieta a un uomo addormentato di alzar­ si in volo dalla terra, con risultati più felici di quel­ li di Icaro, di spingersi più in alto delle aquile, ben oltre le più remote sfere celesti, e poi contemplare la terra da lontano - oppure, nel caso in cui non sia visibile, riconoscerla per mezzo della luna. Si può anche discutere con le stelle e intrattenersi con gli invisibili dèi del cosmo. Quel che è difficile da e­ sprimere diviene semplice in sogno, gli dèi appaio­ no chiaramente, e non provano alcuna invidia nei nostri confronti. 66 E poco dopo . . . non abbiamo nemmeno bisogno di ritornare sulla terra, perché ci 84

siamo già ! In effetti, la soppressione degli intenne­ diari e l'annullamento delle coordinate temporali sono tipici dei sogni. Tra l'altro, il sognatore può dialogare con le pecore e considerare parole i loro belati, riuscendo così a comprendere i loro discorsi. Sarebbe così straordinariamente inaudita l'am­ piezza dei soggetti, se qualcuno osasse servirsene per comporre i propri discorsi. Per quanto mi riguarda, io sono convinto che le favole debbano proprio ai so­ gni l'estrema libertà del loro contenuto: in esse, in­ fatti, il pavone, la volpe, il mare parlano come esseri umani. Ma questo è davvero poco, in confronto alla completa autonomia delle visioni oniriche; tuttavia, sebbene le favole rappresentino solo una piccola par­ te dell'universo onirico, i sofisti amano particolar­ mente servirsene come esercizi preparatori alla reto­ rica vera e propria. E chi ha cominciato proprio con le favole a praticare l'arte della parola, dovrebbe sen­ z'altro considerare i sogni come un adeguato compi­ mento. A differenza di quel che succede con le favo­ le, però, con i sogni la lingua non si esercita inutil­ mente: anzi, si può persino divenire più saggi. 20. Chiunque abbia tempo libero e goda di una vi­ ta agiata dovrebbe dunque tenere un diario di quel 85

che gli accade quando è sveglio e quando sogna; spenda un poco del proprio tempo in questa occu­ pazione, e riflettendo su quanto ha scritto ne trarrà un guadagno eccezionale: entrerà in possesso del1'arte divinatoria, che ho già ampiamente lodato, della quale nessun bene è più utile. E davvero non si dovrebbe disprezzare, come complemento all' e­ sercizio di tali attività, la ricercatezza dello stile; un filosofo potrebbe considerarla uno svago utile ad al­ lentare la tensione, così come fanno gli sciti con i lo­ ro archi; a un retore, invece, la consiglieremo come coronamento delle sue declamazioni. In effetti, tro­ vo sconveniente che essi esercitino la loro abilità in­ sistendo ancora su Milziade, Cimone e altri perso­ naggi senza nome, e ancora sulle brighe politiche di ricchi e poveri; io stesso ho assistito in teatro a di­ spute di retori, anche anziani, su argomenti simili: l'uno e l'altro si fronteggiavano, e la filosofia confe­ riva loro un'apparenza indubbiamente veneranda le barbe di entrambi, a quel che sembrava, doveva­ no pesare parecchio -, ma l'aspetto solenne non ba­ stò a impedire che i due si insultassero e perdessero la testa per l'ira, né impedì che agitassero scompo­ stamente le braccia mentre pronunciavano discorsi interminabili su uomini che - io pensavo - doveva86

no essere loro congiunti; alcune persone, però, mi disillusero, spiegandomi che quei tali non soltanto non erano affatto congiunti dei due oratori, ma nemmeno erano esistiti ! E dove mai potrebbe darsi una costituzione simile, che conferisca a un ricco l'onore di uccidere il suo avversario politico? E dd resto, un novantenne che sfida un avversario su sog­ getti fittizi, a quale età intende rinviare discorsi che affrontino il tema della verità? 67 Mi pare che a co­ storo sia completamente sfuggito il senso profondo dd termine «esercizio», che significa «applicarsi se­ riamente in vista di un altro fine».68 Costoro consi­ derano lo studio prdiminare come il vero fine del-

1' arte, e si sono innamorati del percorso che devono

compiere, scambiandolo per il traguardo cui esso dovrebbe condurre; hanno trasformato l'esercizio in una gara, come se uno, dopo aver tirato qualche pugno a vuoto in palestra, avesse la pretesa di esse­ re proclamato vincitore dd pancrazio a Olimpia. 69 In realtà, gli uomini sono prigionieri di una tale aridità intellettuale e di una tale fiumana di parole che alcuni, addirittura, sono pedettamente in grado di parlare senza avere la minima idea di cosa dire. Dovrebbero, invece, approfittare delle vicende per­ sonali, come fecero Alceo e Archiloco, che impe87

gnarono ogni abilità nel racconto della propria vi­ ta.70 E

il tempo ha conservato il ricordo dei dolori

che patirono e delle gioie di cui godettero. Certo, loro non pronunciavano discorsi svuotati di senso, a differenza di questa nuova generazione di sofisti, le cui declamazioni si basano su temi raffazzonati e artificiosi. Costoro non hanno neppure messo la propria abilità a disposizione degli altri. Omero e Stesicoro, al contrario, per mezzo della loro poesia contribuirono ad accrescere la gloria della stirpe degli eroi; 71 e anche noi, oggi, abbiamo potuto trar­ re vantaggio dalla loro lode appassionata del valore. Eppure non si preoccuparono di loro stessi - tanto che, di loro, possiamo dire soltanto che furono abi­

li

poeti. Pertanto, chi desidera che la propria fama

si diffonda tra i posteri, ed è ben consapevole di po­ ter scrivere opere immortali, segua fino in fondo la strada che, violando le regole, io ho tracciato qui. Abbia fiducia e si affidi al tempo: quando riceve in consegna qualcosa secondo la volontà di dio, è un valido custode.

Note

1 L'idea di trasmettere insegnamenti profondi mediandoli at­ traverso tematiche di minore impegno è certamente implici­ ta nella caratterizzazione di Socrate offerta dai Dialoghi di Platone; in particolare, sembra assai probabile che qui Sine­ sio alluda al seducente paragone che, nel Simposio, Alcibiade istituisce tra Socrate, i suoi discorsi, e i Sileni (2 15b-2 16e; 22 1 d-222b) ; senza dimenticare lo splendido inizio del Fedro. Che Sinesio fosse sensibile a una simile pedagogia è testimo­ niato, tra l'altro, dall'insistenza con cui, nel Dione, egli tocca l'argomento (cfr. anche D. Susanetti, Sinesio. I sogni, Bari 1 992, pp. 91-92 e N. Aujoulat, J. Lamoureux, Synésios de Cy­ rène. Tome W. Opuscules, I, Paris 2001, p. 268, nota 2). È in­ teressante osservare come Sinesio unisca qui tale argomento alla preoccupazione di mantenere le conquiste intellettuali dell'uomo al riparo da una diffusione sconsiderata: pochi so­ no gli eletti destinati ad avere parte del sapere filosofico, che ai suoi occhi appare come una vera e propria religione mi­ sterica, i cui segreti non possono e non devono essere divul­ gati (cfr. , nell'epistolario sinesiano, la lettera 143 ; e inoltre J. Bregman, op. cit. , pp. 17-40). 2 Il verso citato è di Esiodo, Le opere e i giorni, 42. Il riferi­ mento all'oscurità dei messaggi divini, su cui Sinesio tornerà anche più avanti, non deve stupire: la lingua degli dèi è ca­ ratterizzata da indeterminatezza e chiaroscuro, procede per metafore, simboli, e perifrasi immaginifiche (cfr. ora P. Cox Miller, Dreams in Late Antiquity: Studies in the lmagination o/ a Culture, Princeton 1994, pp. 72-73 ) . 89

3 Esiodo, Le opere e i giorni, 289. 4 Omero, Iliade, I, 70. Figlio di Testore, Calcante era l'indo­ vino che accompagnò la spedizione dei greci a Troia. Il ver­ so omerico, citazione pressoché «obbligata» per ogni autore che si occupasse di mantica, in età tardoantica divenne em­ blematico del sapere umano e delle possibilità di conoscenza del filosofo (sull'argomento si veda la bella analisi di A. Piz­ zone, Sinesio e la «sacra ancora» di Omero, Milano 2006, pp. 1 19-125). 5 Sinesio, che probabilmente cita a memoria, riporta qui con una lieve modifica Iliade, XIII, 355. 6 Iliade, XVIII, 234. Attraverso un'opportuna scelta di passi omerici, Sinesio conduce il lettore alle seguenti conclusioni: Zeus è il più vecchio degli dèi, e siccome il tempo accresce la conoscenza, è anche il più saggio; è però anche il più forte, dal momento che la forza degli dèi risiede proprio nell'intel­ letto, non nella prestanza fisica. 7 L'identificazione della divinità con l'intelletto, non ignota alla corrente aristotelizzante del platonismo medio, trova ampio riscontro in ambito neoplatonico (cfr. N. Aujoulat, Le Néo-Platonisme alexandrin. Hiéroclès d'Alexandrie, Leiden 1986, p. 54; Id., Synésios de Cyrène. Tome IV. . . , cit., p. 270, nota 8; D. Susanetti, op. cit. , p. 93 , n. 8; si veda inoltre P. Do­ nini, Le scuole, l'anima, l'impero, Torino 1982, pp. 106- 109). 8 L'idea che il cosmo sia un immenso libro, le cui parti sono come lettere dell'alfabeto, è ripresa direttamente da Plotino, (cfr. per esempio Enneadi, II, 3 , 7, dove le stelle sono viste come lettere mobili; e ancora III, 1 , 6). 9 Sinesio elenca qui alcune tipologie di divinazione induttiva (cfr. R Flacelière, Devins et oracles grecs, Paris 1961, pp. 1224) . A parte l'osservazione degli astri e dei loro moti, trovia­ mo un ampio riferimento all'analisi del comportamento de­ gli uccelli («omitoscopia»), certamente la forma divinatoria preferita dai greci, che comunque attribuivano grande im­ portanza anche allo studio delle interiora delle vittime sacri90

ficali («ieroscopia»). Il valore predittivo di eventi fortuiti («cledonomanzia»: spesso frasi di bambini ascoltate per ca­ so, starnuti, etc.) è testimoniato fin dall'età arcaica (per e­ sempio in Odissea, XVII, 54 1-550), e trova un singolare ri­ scontro nel celebre episodio della conversione di Sant' Ago­ stino (Confessioni, XIII, 12). IO Chiaro riferimento alla teurgia, pratica che mirava a entra­ re in contano con la natura e gli dèi interni al cosmo (cfr., sono, la nota 14) per mezzo di riti nei quali formule e ogget­ ti simbolici servivano ad attrarre, per analogia, la divinità o le energie desiderate. Sulla teurgia in età tardoantica si vedano almeno E.R Dodds, The Greeks and the lrrational, Berkeley­ Los Angeles-London 195 1 , pp. 283 -3 1 1 ; e N. Aujoulat, Le Néo-Platonisme . . . , cit., pp. 207-2 1 1 . Cfr., comunque, anche la nota successiva. 11 Come si è anticipato nelle note precedenti, in questo affa­ scinante capoverso Sinesio ripercorre una concezione già no­ ta ai pitagorici, testimoniata da un celebre passo di Platone (Timeo, 30b) e più tardi ripresa da stoici e neoplatonici, se­ condo cui l'universo sarebbe «un essere vivente dotato di ani­ ma e intelligenza». Elemento connettivo di tale entità è la sympnoia, la «cospirazione» o «respirazione all'unisono» di tutte le sue parti. Se dunque l'universo è un Tutto i cui ele­ menti costitutivi sono strettamente apparentati, respirano in­ sieme e insieme provano sensazioni, quel che avviene a una sua parte produrrà una qualche reazione in un'altra, in base a un principio noto come «simpatia universale». La conoscen­ za delle leggi che regolano tale principio non è, però, alla por­ tata di tutti: soltanto i sapienti, i maghi, sfruttando i rapporti di affinità che legano piante, pietre e animali al resto del co­ smo e agli dèi che in esso abitano, possono stabilire relazioni con questi ultimi o agire su di essi, piegandoli alla propria vo­ lontà. (Cfr. N. Aujoulat, Le Néo-Platonisme. . . , cit., p. 373 ; RT. Wallis, Neoplatonism, Bristol 1995 2 , pp. 70-7 1 e 106- 1 10; e inoltre E.R Dodds, The Greeks . . . , cit., pp. 291-295.) 91

1 2 Il richiamo all'esperienza pratica della lira (metafora della «simpatia universale» già in Plotino [cfr. Enneadi, II, 3, 7; m, 1 , 6] ) serve a Sinesio per chiarire meglio quanto ha appe­ na affermato: pizzicando una corda della lira, infatti, è possi­ bile ottenere la vibrazione di altre corde - non però le più vi­ cine, bensì quelle legate da rapporti di consonanza, secondo quanto espresso dai teorici antichi. I nomi delle corde della lira e le loro altezze sono illustrati, tra l'altro, da Niceforo Gregora, l'antico commentatore dd Libro dei sogni (pp. 1517 Pietrosanti). 1 3 Stando a Plutarco ( Vita di Marcello, XIV, 7), i l cdebre scienziato Archimede di Siracusa (287-2 12 a.C.) avrebbe scritto a lerone di Siracusa che con una data forza si sarebbe potuto sollevare un dato peso, aggiungendo che sarebbe sta­ to addirittura possibile spostare la Terra, se ne fosse esistita una seconda su cui potersi trasferire per portare a termine l' o­ perazione. È evidente che, in base a quanto ha spiegato fino­ ra, Sinesio non può accettare una simile teoria, secondo la quale sarebbe necessario trasferirsi ali'esterno di una realtà per agire su di essa: il saggio agisce sull'universo in quanto ne è parte, grazie cioè ai legami di simpatia e parentela appena chiariti. Una volta uscito dal cosmo e rescissi tutti i legami con esso, il sapiente resterebbe privo di qualunque capacità magica e divinatoria - aggiunge infatti Sinesio - e ogni sua conoscenza «cadrebbe a vuoto». !4 Omero, Iliade, XV, 106- 107: il soggetto della frase è Zeus. La differenza tra divinità encosmiche (interne al cosmo) e ipercosmiche (esterne a esso) è testimoniata anche dal neo­ platonico Sallustio (IV sec. d.C.) nd suo trattato Sugli dèi e sul mondo (VI, I, pp. 9-10 Rochefort). 1 5 Se si eccettua il breve regno di Giuliano l'Apostata (361363 d.C.), è possibile osservare come gli imperatori, da Co­ stantino in poi, abbiano emanato leggi sempre più severe contro le pratiche religiose pagane, comprendendo tra que­ ste anche alcune forme di divinazione. Teodosio I (379-395 92

d.C.), forse per influsso di sant' Ambrogio, aveva più volte confermato la condanna del paganesimo tra il 391 e il 3 92 at­ traverso i cosiddetti Decreti teodosiani, ordinando tra l'altro la chiusura del santuario di Apollo a Delfi nel 3 90, la distru­ zione del Serapeion di Alessandria nel 3 9 1 , vietando i giochi olimpici nel 393 e, nel 396, i Misteri Eleusini (cfr. anche J. Bregman, op. cit. , p. 18, nota 3 ; e l'eccellente disamina criti­ ca di Susanetti, op. cit. , pp. 107- 108). 1 6 Loxias (propriamente «obliquo») è detto Apollo, a causa dell'ambiguità dei suoi oracoli. 1 7 Durante la seconda guerra persiana, gli ateniesi ricevette­ ro dall'oracolo di Delfi un misterioso vaticinio: essi sarebbe­ ro scampati all'armata di Serse grazie a un muro di legno. Nella confusione generata dalle incomprensibili parole della Pizia, che avevano imbarazzato indovini e interpreti ufficiali, Temistocle invitò gli ateniesi a prepararsi a una battaglia na­ vale: proprio le navi - egli sostenne - erano il muro di legno cui l'oracolo si riferiva. La battaglia di Salamina (480 a.C.), in cui la flotta persiana fu distrutta da quella ateniese, confer­ mò l'esattezza della sua interpretazione. Il noto episodio è ri­ portato sia da Erodoto (VII, 141-143) , sia da Plutarco (Vtìa di Temistocle, X), la cui versione dei fatti è però improntata a un marcato razionalismo, e di Temistocle sembra cogliere la capacità di condizionare le emozioni della folla, più che le virtù mantiche. 18 Emerge a questo punto il Leitmotiv del trattato sinesiano: il sogno è forma di divinazione dotata di una dignità e di un'importanza preminenti rispetto a tutte le altre, in quanto attiene alla realtà più profonda dell'uomo, quella psichica. Se dunque sogno e anima sono inscindibili, dalla purezza e san­ tità della seconda dipenderà l'affidabilità del primo. Trat­ tando dei sogni, Sinesio conduce il lettore lungo i sentieri ta­ lora impervi della teoria neoplatonica dell'anima. Un percor­ so arduo, dunque, ma affascinante e soprattutto necessario per capire fino in fondo che l'ascesa dell'anima incarnata e 93

immersa negli abissi della materia è vitale ai fini della divina­ zione, e che allo stesso tempo proprio la divinazione può for­ nire all'uomo lo spunto decisivo per intraprendere la cura della propria anima. 1 9 Appare con chiarezza, qui, la ragione che lega strettamen­ te sogno e anima: l'anima contiene i principi («le immagini») del futuro («del divenire»), dunque li conosce. Sinesio ritiene di poter dimostrare l'assunto (di derivazione platonica [Par­ menide 132b]) ricorrendo impropriamente alla proporzione «intelletto : essere = anima : divenire», rivelatrice, secondo Christian Lacombrade, «delle manie numerologiche della sua epoca» (op. cit. , p. 152). 20 Ecco spiegato come il vivente possa cogliere (in sogno) le immagini del futuro contenute nell'anima: attraverso la phan­ tasia - termine dall'ampio spettro semantico, che l'italiano «immaginazione» può rendere solo in parte, come notava a suo tempo Lacombrade (op. cit. , p. 153 ) a proposito del fran­ cese «imagination». Sulla phantasia sinesiana resta fonda­ mentale N. Aujoulat, Les avatars de la phantasia dans le Traité des songes de Synésios de Cyrène, «KOINONIA» nn. 7 e 8, 1 983 e 1984, pp. 157-177 e 35-55. 21 Può apparire ovvio, in questo passo, il rimando ai vv. 22-25 della Teogonia di Esiodo, in cui il poeta narra di aver incon­ trato le Muse sul monte Elicona, e di aver ricevuto da loro in dono la sophia poetica. A sostegno di tale ipotesi deporrebbe­ ro anche le parole di Niceforo Gregora nel suo commento al passo (p. 25 Pietrosanti). Va però detto che non vi sono ele­ menti certi per stabilire se il racconto esiodeo costituisca la tra­ sposizione di un'esperienza onirica, o se invece rifletta una più complessa dialettica di dialogo interiore, uno stato di trance o, al contrario, riprenda un convenzionale motivo della tradizio­ ne. Nessun dubbio, invece, pone il prologo degli Aitia di Calli­ maco (fr. 2 Pfeiffer), in cui il raffinato poeta ellenistico descri­ ve una visita onirica delle Muse, che lo trasportano sull'Elico­ na (l'allusione a Esiodo è palese) per iniziarlo alla propria ar94

te. Difficile, se non impossibile, sforzarsi di chiarire oltre ogni dubbio a chi si riferisca qui Sinesio: le riprese del tema nella letteratura greca (e, attraverso l'associazione Esiodo/Callima­ co, in quella latina) sono troppe per consentire all'interprete di esprimersi con qualche certezza (per un commento esaustivo al passo esiodeo e per un indice delle sue riprese greco-latine, cfr. M.L. West, Hesiod, Theogony, edited with prolegomena and commentary, Oxford 1966, pp. 158- 160). 22 Presso i santuari di Asclepio si recavano, nell'antichità, ma­ lati di ogni sorta per ricevere un'apparizione onirica del dio, nella speranza di ottenere la guarigione. Costoro, attraverso la pratica dell'incubazione (una sorta di autoinduzione del so­ gno, che contemplava diversi riti preliminari), riuscivano spes­ so nel proprio intento. Risulta infatti che durante il sogno A­ sclepio, da buon medico, prescrivesse terapie, praticasse o­ perazioni chirurgiche ed eliminasse variamente le affezioni dei suoi pazienti. Alle cure oniriche di Asclepio ricorse, nel II se­ colo d.C., anche il retore Elio Aristide. A lungo egli tenne uno scrupoloso diario dei propri sogni e delle prescrizioni del dio, più tardi parzialmente confluito nei suoi Discorsi sacri. Sul­ l'argomento cfr. i saggi di Edelstein, Guidorizzi e Nicosia in G. Guidorizzi (a cura di), Il sogno in Grecia, Bari 1988, pp. 67-86; 87- 102; 173- 179; e inoltre R F1acelière, op. cit. , p. 36; E.R Dodds, Pagani e cristiani in un'epoca di angoscia, Firenze 1970, pp. 3 9-45; e P. Cox Miller, op. cit. , pp. 1 07-123. 23 In coda ali' elenco dei servizi «pratici» resi dai sogni ai dor­ mienti, Sinesio illustra il bene più importante che essi posso­ no offrire all'anima: il superamento dei vincoli della materia e la visione dell'Essere. Allontanatasi dalla propria origine al momento dell'incarnazione in un corpo e ottenebrata dalla materia che la imprigiona, l'anima erra, smarrita fino a di­ menticare da dove provenga (cfr. per esempio Plotino, En­ neadi, V, 1 , 1 ) ; durante l'attività onirica, tuttavia, essa può li­ berarsi dalla prigione corporea e attuare la propria ascesa fi­ no all'unione con l'Intelligibile. 95

Si tratta del frammento 1 18 degli Oracoli Caldaici, un'oscu­ ra raccolta di esametri tradizionalmente attribuita a Giuliano il Caldeo e/o a suo figlio, Giuliano il Teurgo, vissuti nel II sec. d.C. Per i neoplatonici tardi, da Porfirio a Damascio, la loro importanza fu immensa. Oggi ne restano scarsi frammenti, in genere citazioni da opere di neoplatonici o cristiani platoniz­ zanti (cfr. almeno R Majercik, The Chaldaean Oracles. Text, Translation and Commentaries, Leiden 1989, pp. 1 -5). 25 Si tratta del frammento 1 15, v. 8, degli Oracoli Caldaici, che elenca diversi tipi di divinazione, ciascuno dei quali è rifiutato in favore della teurgia (cfr. R Majercik, op. cit. , p. 182). 26 Nel trattato De divinatione per somnum, Aristotele appare fortemente scettico a proposito della facoltà predittiva dei sogni; egli, inoltre, nega che le visioni oniriche possano esse­ re inviate agli uomini dagli dèi: se così fosse - sostiene il filo­ sofo - essi le invierebbero ai migliori e più saggi, non certo a tutti indistintamente. Sembra pertanto probabile che Sinesio si riferisca qui, polemicamente, proprio allo Stagirita. T1 Il «primo corpo dell'anima» è lo spirito («pneuma») , di cui l'anima si riveste al momento della sua discesa; incarnando­ si, essa si rivestirà del «corpo secondo», quello carnale. 28 Allusione a Platone, Timeo, 70a. 29 In questo lungo excursus, Sinesio condensa le teorie ari­ stoteliche (probabilmente mediate da Alessandro di Afrodi­ sia) sul processo cognitivo; diffondendosi sulla sua comples­ sità e mettendo in luce la necessità dell'intervento di diversi intermediari, egli mira a chiarire, per contrasto, come invece la percezione onirica, priva di intermediari e per così dire in comunicazione diretta con l'anima, sia superiore (cfr. RT. Wallis, op. cit. , p. 50; D. Susanetti, op. cit. , pp. 1 19- 120; P. Remes, Neoplatonism, Stocksfield 2008, p. 102). ,o Abbiamo visto sopra (cfr. la nota 27) che l'anima, quando inizia la propria discesa, si riveste di un corpo spirituale com­ posto di etere; al momento dell'incarnazione, invece, essa vie­ ne avvolta da un corpo materiale, di carne, che i neoplatonici 24

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definiscono «terroso», ed è talora paragonato a una conchiglia (dr., qui, il «gUScio di un'ostrica»). Ne deriva quanto Sinesio ha appena affennato, cioè che il rivestimento muta secondo il comportamento dell'anima: se quest'ultima si comporta cor­ rettamente e si mantiene pura, esso torna ad assumere le ca­ ratteristiche sopracelesti; se invece compie il male, obbeden­ do agli istinti materiali, il rivestimento si assimila alla sozzura della materia (dr. inoltre D. Susanetti, op. cit. , p. 120). 3 1 I demoni, secondo una nota definizione platonica (Simposio, 202e), sono spiriti semidivini che costituiscono il tramite («me­ taxj») tra l'uomo e la divinità. La gerarchia, i ruoli e le funzio­ ni dei demoni erano comunque già presenti in embrione nella Teogonia di Esiodo, e furono oggetto di studio particolare in età ellenistica. In età tardoantica, praticamente chiunque - in­ dipendentemente dalla religione professata - ne accettava l'e­ sistenza e la funzione mediatrice, mantenendo l'idea, già pre­ sente in Plutarco (forse mutuata dal pensiero orientale), che esistessero demoni buoni e demoni malvagi. Quanto a Sinesio, si può dire che nei suoi scritti il termine daimiin sia impiegato quasi esclusivamente per indicare gli spiriti malvagi, opposito­ ri dell'azione provvidenziale degli dèi, in piena sintonia con la tradizione giudaico-cristiana (cfr. G. Soury, La démonologie de Plutarque, Paris 1942; F. Buffière, op. cit. , pp. 522-535; E.R Dodds, Pagani. . . , cit., pp. 37-38; S. Nicolosi, Il de Providentia di Sinesio di Cirene, Padova 1959, pp. 153-161; S. Vollen­ weider, Neuplatonische und christliche Theologie bei Synesios von Kyrene, Gottingen 1985, pp. 178- 183). } l Il testo di Sinesio presenta qui, a dire il vero, la semplice forma verbale phesi («egli dice»). Il passo, di fatto, contiene un'evidente citazione di Platone, Leggi, 653a. H Secondo Niceforo Gregora (p. 38 Pietrosanti), i «beati» cui allude Sinesio sarebbero gli scribi sacri egiziani; Susanetti, op. cit. , pp. 125-126, pensa invece a Porfirio e ai porfiriani. }4 Si tratta del frammento 22 B 1 18 Diels-Kranz di Eraclito di Efeso. Al fuoco, nel pensiero di Eraclito, era conferita par97

ticolare dignità: per questo egli afferma che l'anima «secca» è più saggia (dr. C. Diano, G. Serra [a cura di] , Eraclito, i /rammenti e le testimonianze, Milano 1980, pp. 157- 158). " Secondo Plotino, gli esseri umani e l'anima sono anfibi: partecipano cioè sia della vita dell'intelletto, sia di quella del corpo (dr. Enneadi, IV, 8, 4, 3 1 -35 e Il, 3 , 9, 30-3 1 ; e inoltre P. Remes, op. cii. , pp. 103 ss). 3 6 Oracoli Caldaici, fr. 163 , 1 -3 . Il frammento dell'oracolo qui riportato esorta, secondo l'interpretazione corrente, a non la­ sciarsi attrarre dal mondo materiale e dalle lusinghe della materia-abisso, in cui si potrebbe precipitare senza possibili­ tà di salvezza (dr. É. Des Places, Oracles chaldai"ques, avec un choix de commentai,es anciens, Paris 197 1 , p. 106; R Majer­ cik, op. cit. , p. 202). 37 Con l'espressione «legge di Adrastea» si intende la legge inevitabile del Destino, dunque la Necessità. Adrastea, figlia di Zeus e di Ananke è, propriamente, «colei alla quale non si sfugge», e nell'antichità era considerata anche l'inflessibile vendicatrice di ogni colpa; ella presiede all'ordine delle in­ carnazioni in Plotino, Enneadi, Ill, 2, 12, probabilmente per influsso di Platone, Fedro, 248c. 3 8 Sinesio interpreta qui le fatiche di Eracle come allegoria delle lotte dell'anima per affrancarsi dalla materia (cfr. anche Plotino, Enneadi, IV, 3 , 14; e inoltre D. Susanetti, op. cii. , p. 146; A. Pizzone, op. cit. , pp. 145- 146). 39 All'anima che si è lasciata traviare dalle lusinghe della ma­ teria sarà imposta una vita di terribili sofferenze, totalmente priva di bene. Per rendere l'idea di un simile destino, Sinesio rinvia il lettore al passo dell'Iliade (XXIV, 527-530) in cui Achille consola Priamo per la morte di Ettore. In tali versi, Achille si riferisce ai due orci dai quali Zeus dispensa il bene e il male agli uomini; Sinesio, conformemente alla prassi ese­ getica neoplatonica, vede nei due orci l'allegoria del duali­ smo della materia cui sono soggette le sorti umane - da una parte il successo e la felicità, dall'altra il dolore e le sofferen98

ze. Sull'argomento cfr. F. Buffière, op. cit. , pp. 553 -555; R Lamberton, Homer the Theologian, Berkeley-Los Angeles­ London 1986, pp. 220-22 1 ; e soprattutto l'esaustiva analisi tracciata da A. Pizzone, op. cit. , pp. 125- 149. Un'accessibile introduzione all'allegoresi antica si può leggere in F. Graf, I/ mito in Grecia, Bari 1987, pp. 141 ss. 40 Oracoli Caldaici, fr. 158. Il residuo della materia sarebbe qui lo spirito, veicolo dell'anima, equiparato da Sinesio a un fantasma (cfr. É. Des Places, op. cit. , p. 145; R. Majercik, op. cit. , pp. 201 ss.). 4 1 Prima di incarnarsi ed essere chiusa nel corpo, l'anima im­ mette, secondo Sinesio, delle particelle di fuoco e aria nel­ ]'«impasto» di cui lo spirito, ormai divenuto «fantasma», è composto; tali particelle sono legate a esso da relazioni di con­ tiguità, in quanto la natura dello spirito - l'etere - è assai vici­ na al fuoco e all'aria: una volta unitesi, le parti inferiori (aria e fuoco) potrebbero cedere al potere della natura superiore (l'e­ tere), obbedendole e assimilandosi a essa. Anche per i residui materiali - forse i resti delle passioni e delle immagini terrene? - potrebbe esserci dunque una possibilità di sopravvivenza ol­ tre la morte (sul «mistero» di questo capitolo e sulla sua in­ terpretazione, cfr. D. Susanetti, op. cit. , pp. 149- 152). 42 La purezza dell'anima e il suo distacco dalla materia, in­ fatti, possono essere ottenuti soltanto moderando gli appeti­ ti del ventre e ignorando quelli sessuali. È interessante osser­ vare che anche secondo Aristotele un'abbondante ingestione di cibo inibisce l'apparizione dei sogni (cfr. Cambiano e Re­ pici in G. Guidorizzi, op. cit. , pp. 125- 127). 43 Dal tripode di Pito (Delfi), la Pizia emetteva gli oracoli. 44 Proverbio di origine ignota. Con quest'ultima considera­ zione appare chiara la necessità dei capitoli precedenti: per poter fornire sogni veridici, l'anima deve risalire fino a ri­ congiungersi con dio; tale apparente lontananza dagli esseri viventi non la rende insensibile alle loro sorti, né le impedi­ sce di seguirne le vicende. Anzi, solo cosi essa può portare a 99

compimento la propria missione: offrire all'uomo le immagi­ ni del futuro senza abbassarsi al livello della materia. Tale concezione dell'anima è del tutto coerente con quanto affer­ mato da Plotino nel trattato Sulla discesa dell'anima (IV, 8 [in particolare, i capitoli 2-3 e 8] ; altri importanti paralleli in D. Susanetti, op. cit. , p. 158, nota 104). 4' Situato nel deserto libico, il santuario di Ammone era se­ de di un oracolo ancora attivo, benché in decadenza, dopo la morte di Giuliano l'Apostata (363 d.C.). 46 Omero, Odissea, IV, vv. 750-752 (leggermente modificati). «Ella» si riferisce a Penelope. 47 Omero, Odissea, I, 24. 48 Il paragrafo mira a chiarire come, a differenza di altre for­ me di divinazione, i sogni siano a disposizione di tutti, indi­ pendentemente dal ceto sociale di appartenenza, dalla stirpe, dal patrimonio e dallo status giuridico. Una simile idea con­ trasta in modo significativo con la convinzione, ben radicata nel pensiero antico, e testimoniata anche da Macrobio, che sogni di particolare importanza (e, soprattutto, sogni veritie­ ri) avessero in sovrani o personalità di spicco i destinatari privilegiati (cfr. per esempio Guidorizzi in G. Guidorizzi, op. cit. , p. XII e J. Le Goff, op. cit. , pp. 143 e 158- 161); per l'o­ pinione di Aristotele al riguardo, cfr., sopra, la nota 26. Spie­ ghiamo ora alcuni dei termini qui impiegati da Sinesio: «ie­ rofanti» erano i sacerdoti che presiedevano ai misteri eleusi­ ni, appartenenti alla stirpe degli Eumolpidi; «trierarchi» era­ no invece i comandanti delle triremi (navi da guerra), scelti tra i cittadini più ricchi: per legge, essi erano tenuti a pagare la costruzione e l'armamento delle imbarcazioni, e inoltre lo stipendio e il mantenimento dei soldati. Vi è poi un riferi­ mento alla riforma timocratica soloniana, che suddivideva i cittadini in base al reddito: al vertice della piramide erano i «pentacosiomedimni», «cittadini di prima classe», seguiti dai «cavalieri» o «triacosiomedimni», «cittadini di seconda clas­ se», e infine dagli «zeugiti»; una quarta classe, quella dei «te100

ti», comprendeva i nullatenenti. Gli stranieri di stirpe greca trasferitisi ad Atene (in genere per ragioni commerciali) era­ no chiamati «meteci»: essi, tra l'altro, erano tenuti al paga­ mento di una tassa annuale e al servizio militare, ma erano privi di diritti politici; dal punto di vista economico, comun­ que, potevano ottenere l' isotelia, beneficio che, in sostanza, li equiparava ai cittadini di diritto (cfr. almeno M. A. Levi, Pericle e la democrazia ateniese, Milano 1980, p. 220; R Fla­ celière, La vita quotidiana in Grecia nel secolo di Pericle, Mi­ lano 1983 , p. 64-69; C. Bearzot, I meteci di Lisia, «Nuova Se­ condaria» n. 18/3 , 2000, pp. 34-36). «Eteobutadi» erano i nobili discendenti di Bute, primo sacerdote di Atena Po­ liade, mentre «Mane» è un tipico nome di schiavo frigio, so­ vente impiegato dai comici antichi. 49 In seguito all'irrigidirsi delle norme contro il paganesimo, le prigioni ospitavano sempre più spesso gli indovini insieme ai loro strumenti: cfr., sopra, le note 1 e 15. 50 Sofocle, fr. 948 Radt (= 862 Nauck). 5 ! Adirato con il titano Prometeo, che aveva sottratto il fuo­ co agli dèi per donarlo agli uomini, Zeus, dopo averlo puni­ to, meditò vendetta contro il genere umano: ordinò a Efesto di plasmare dalla terra e dall'acqua una splendida donna, in seguito chiamata Pandora, cui Atena concesse l'abilità nei la­ vori femminili, Afrodite fascino e grazia, Ermes coraggio e astuzia. Zeus decise quindi di inviarla agli uomini come do­ no da parte degli dèi, e la fece condurre da Epimeteo, che la sposò nonostante l'opposizione di Prometeo, suo fratello. Solo allora si abbatté sugli uomini la rovina progettata da Zeus: Pandora sollevò il coperchio dell'orcio dei mali, che fuoriuscirono rovesciandosi sull'umanità e affliggendola per sempre. Sul fondo del vaso restò soltanto la speranza (cfr. Esiodo, Le opere e i giorni, 42- 104). 52 Pindaro, fr. 2 14 Maehler. 53 Sinesio fonde qui due diverse citazioni odissiache: XIX, 548 e IX, 19. La seconda serve a chiarire al lettore l'identità 101

di Ulisse. La prima, invece, appartiene alla conclusione di un discorso che Pendope tiene a Ulisse, giunto a Itaca sotto le mentite spoglie di un mendicante. Senza conoscere la reale identità dd proprio interlocutore, dunque, la donna gli narra un sogno angoscioso: venti oche che si nutrivano ndla sua ca­ sa vengono massacrate da un'aquila piombata su di esse al­ l'improvviso; l'aquila stessa, poi, appollaiatasi sul tetto ddla casa, spiega il significato ddla visione: «Le oche sono i pre­ tendenti; io, [Ulisse] , ero per te aquila anche prima, ma ora sono tornato come tuo legittimo sposo, e a tutti i pretendenti darò una morte ignobile» CXIX, 548-549). Pendope, tuttavia, rifiuta di credere alla premonizione, e motiva la propria diffi­ denza riferendosi all'ambiguità dei sogni, che possono essere veritieri o fallaci secondo che siano giunti agli uomini passan­ do per le porte d'avorio (menzognere) o per qudle di corno (veridiche). Sulle controverse interpretazioni antiche dd pas­ so omerico può essere utile consultare il «classico» articolo di Ano Amory, The Gates o/Horn and lvory, «Yale dassical Stu­ dies» n. 20, 1966, pp. 3-57; e inoltre P. Cox Miller, op. cit. , pp. 15-19; e A. Pizzone, op. cit. , pp. 151-167, che contiene anche un ampio aggiornamento bibliografico sull'argomento. 54 Con una seconda citazione omerica (questa volta tratta dall'Iliade, Il, 28-29), Sinesio puntualizza nuovamente che l'inettitudine dell'interprete non deve oscurare il reale valo­ re predittivo dd sogno, e rimprovera ad Agamennone di non averne saputo interpretare correttamente il veicolo linguisti­ co. All'Atride, infatti, un sogno cattivo («oulos 6neiros») in­ viato da Zeus aveva spiegato che Troia sarebbe stata subito espugnata se lui avesse armato gli Achei pansydiei: avverbio, quest'ultimo, che può effettivamente significare «subito», «in tutta fretta», come appunto Agamennone crede, ma an­ che «tutti in massa», «al completo». La colpa di Agamen­ none, dunque, consiste nd non aver compreso che pansydiei indicava proprio il contingente greco «fino all'ultimo uo­ mo», compresi, cioè, Achille e i Mirmidoni, che si erano riti102

rati dalla battaglia in seguito alla contesa narrata nd canto I. Il sogno, perciò, non potrà essere definito «menzognero», ma, al limite, «ambiguo». Come nd caso precedente, anche qui Sinesio tocca un problema di interpretatio homerica lar­ gamente dibattuto dagli eruditi antichi (dr. A. Pizzone, op. cit. , pp. 167- 178 e F. Buffière, op. cit. , p. 554). 55 Forti ddl'insegnamento dei sofisti e di Isocrate, le scuole di retorica di età dlenistica e imperiale proponevano agli stu­ denti lo studio di moddli da imitare; da Dionigi di Alicar­ nasso in poi, divenne sempre più attiva e vincolante l'imita­ zione serrata dei grandi oratori attici dd IV secolo. Tale uso, specie negli autori ddla Seconda Sofistica, fuù per assumere le caratteristiche di una vera e propria moda, tesa al recupero di espressioni, morfologia e sintassi dd dialetto attico assai lontane dalla parlata contemporanea; la ricerca di espressioni preziose e peregrine, totalmente avulse dalla realtà linguistica contemporanea, raggiunse talora livdli di vera e propria os­ sessione (dr. H.I. Marrou, Storia dell'educazione nell'antichi­ tà, Roma 1950, pp. 273 -274; B.P. Réardon, Courantr littérai­ rer grecr der II et III riècler aprèr ]. C. , Paris 197 1 , pp. 64-96). 5 6 La vita di Sinesio, tipica di un gentiluomo di campagna dd1'età tardoantica, fu effettivamente segnata da due fondamen­ tali passioni: da un lato lo studio, la «conversione» alla filoso­ fia e la dedizione alla letteratura greca; dall'altro, la caccia, at­ tività cui dedicò i perduti Cynegetica, e che a quanto pare egli praticava alla maniera degli antichi, senza l'impiego di uccd­ li da preda. La sua tranquilla esistenza subì, tra il 399 e il 402 d.C., un grave sconvolgimento: in qud periodo, infatti, egli fu inviato a Costantinopoli a capo di un'ambasceria ddle città ddla Pentapoli per offrire l'aurum coronarium all'imperatore Arcadio e per ottenere da lui un sostanziale sgravio ddla pres­ sione fiscale sulle città stesse. Fu durante tale ambasceria che Sinesio tenne una lunga allocuzione all'imperatore, a noi no­ ta con il titolo De regno («Pen' barileiar»). Qud che risulta sorprendente alla lettura di questo testo, moddlato in appa103

renza sulla falsariga di uno speculum principis, è la franchezza a tratti temeraria con cui l'autore si rivolge ad Arcadio, di­ scutendone l'operato e non di rado rimproverandone aperta­ mente la condona. Difficile dire se, come qui Sinesio afferma, sia stato davvero un sogno a fornirgli il coraggio per apostro­ fare con tanta severità l'imperatore, specie in considerazione della sua non esattamente specchiata esperienza politica. Sull'argomento abbondano le congetture, e non è improbabi­ le che il discorso, una volta pronunciato, sia stato oggetto di una significativa rielaborazione da parte di Sinesio stesso; tut­ tavia, considerando la scarsità di elementi positivi a nostra disposizione, converrà evitare di spingersi troppo oltre, am­ mettendo piuttosto, sulla scia di N. Aujoulat, l'esistenza di un «mystère SynésioD> destinato a restare ancora a lungo insolu­ to (cfr. J. Bregman, op. cit. , pp. 18 ss.; D. Roques, Synésios de Cyrène et la Cyrénaique du Bas-Empire, Paris 1987; e inoltre A. Cameron, J. Long, L. Sherry, Barbarians and Politics at the Court o/ Arcadius, Berkeley-Los Angeles-Oxford 1993 ; N. Aujoulat, J. Lamoureux, Sinésios de Cyrène. Tome V Opuscu­ les, II, Paris 2008, pp. 1 -48). n La distinzione tra tipologie oniriche operata da Sinesio (sogni perspicui e sogni di natura enigmatica) è tradizionale: essa è ben attestata, tra l'altro, in Arternidoro di Daldi (II sec. d.C.; cfr. Oneirocritica, I, 2). Anche nella Bibbia, comunque, il discrimine tra «visione chiara» e «sogno da interpretare» appare in genere ben marcato (cfr. per esempio J. Le Goff, op. cit. , p. 143 ) . 5 8 Qui Sinesio richiama, e associa i n modo singolare, diverse dottrine filosofiche. Anzitutto egli riprende una concezione gnoseologica di matrice chiaramente democritea ed epicurea: dagli oggetti sensibili si staccano degli eidola («simulacri» o «immagini») che attraverso i nostri organi sensoriali si impri­ mono nell'anima generando la conoscenza (cfr. Epicuro, Let­ tera a Erodoto, 46-5 1 ) . Quanto agli oggetti sensibili in sé, Sine­ sio segue la nota teoria aristotelica che vede in essi un'unione 104

(«sinolo») cli materia e fonna: essi, pertanto, partecipano dd­ la corruzione cui la materia è soggetta; è per questo che, in quanto corruttibili, pur partecipando ddl'essere non arrivano a condividerne la «dignità» e l'incorruttibilità, ma pennango­ no instabili e soggetti al continuo fluire ddla materia - tema, quest'ultimo, già presente nd pensiero cli Eraclito cli Efeso e successivamente rivisitato da Platone e dai neoplatonici (cfr. anche D. Susanetti, op. cit. , pp. 172-173). 19 Citazione dai Fenomeni (w. 813-817), poema didascalico in esametri composto dal poeta Arato cli Soli (ill sec. a.C.). Ar­ gomento ddl'opera sono l'astronomia e i fenomeni atmosferi­ ci - materia in cui pare che il poeta non fosse particolannente versato, se dobbiamo credere a Cicerone, che lo definisce ho­ mo ignarus astrologiae (De oratore, I, 69; cfr. anche De republi­ ca, I, 22); ciò non impedì al poema cli godere cli un'inaudita fortuna ndl'antichità greco-latina (fonte inesauribile cli ispira­ zione ancora in età tarda, i Fenomeni sono citati persino da Paolo nd suo discorso areopagitico [Atti degli Apostoli, 17, 28-29)), soprattutto in virtù ddla sua estrema raffinatezza for­ male, che suscitò tra l'altro le lodi cli Callimaco. 60 Il sapere tecnico degli interpreti cli sogni, trasmesso dap­ prima per via orale, a partire dal V sec. a.C. cominciò a esse­ re trascritto in appositi testi, la cui abbondanza è oscurata, oggi, dalla loro perdita quasi completa (i frammenti si pos­ sono leggere in D. Dd Como, Graecorum de re onirocritica scriptorum re/iquiae, Milano-Varese 1969). Sinesio punta il dito contro l'inutilità cli una simile letteratura critica spiegan­ do le proprie ragioni: i testi che trattano cli interpretazione dei sogni pretendono di irrigidire il rapporto tra i simboli ddla visione e il loro significato all'interno cli una ristretta griglia cli corrispondenze universalmente valide. Ciò - affer­ ma Sinesio - potrebbe forse essere sensato a proposito di og­ getti materiali, che subiscono sempre le stesse affezioni a opera cli agenti identici: il sogno, però, non è un prodotto ddla materia, ma ddlo spirito immaginativo in cooperazione 10'.5

con l'anima; e se diverse anime sono accoppiate a spiriti di­ versi l'uno dall'altro, è evidente che nessuna regola universa­

le, nessuna generalizzazione sarà ammissibile per spiegare il significato dei sogni. Non sembra impossibile individuare il bersaglio polemico di Sinesio in Artemidoro di Daldi. Que­ sti, infatti, nd prologo degli Oneirocritica, aveva scritto: «Per quanto mi riguarda, non c'è un libro sull'interpretazione dei sogni che non sia in mio possesso» (36 ss.), affermazione ca­ tegoricamente rovesciata da Sinesio nell'incipit dd capitolo. 6 1 Oracoli Caldaici, fr. 2 18; il frammento, probabilmente non caldaico (É. Des Places, op. cit. , p. 35, lo considera orfico), cdebrerebbe le sorti degli detti (forse i teurgi) . 62 Cfr. Platone, Timeo, 4 ld-e. 6' Sinesio ribadisce l'impossibilità di stabilire regole univer­ sali per l'interpretazione dei sogni, questa volta basandosi su dati empirici: la capacità dell'acqua di riflettere un'immagi­ ne. Punto di partenza implicito dell'argomentazione è il mec­ canismo della produzione dei sogni enunciato al capitolo 4: l'anima contiene le immagini dd futuro, che proietta sull'im­ maginazione come se fosse uno specchio, e di lì esse giungo­ no ai sensi. Seguiamo ora il discorso di Sinesio: è impossibi­ le che acque diverse per limpidezza e stato rendano un iden­ tico riflesso di una medesima forma; in comune, esse avran­ no soltanto l'errore, l'inevitabile imprecisione dd riflesso, mentre le ragioni di tale errore e la sua tipologia, varieranno secondo la natura di ciascuna acqua (stagnante, corrente, torbida, limpida, etc.); allo stesso modo, nei sogni, ciascuno spirito immaginativo, ciascuna immaginazione deformerà in qualche modo, secondo le caratteristiche della propria natu­ ra, l'immagine proiettata dall'anima. Nessun manuale di oni­ rocritica, insomma, potrà presumere di fornire un'unica chiave interpretativa valida, nemmeno se a proporla fossero la prima profetessa di Delfi, Femonoe, figlia di Apollo, o il mitico indovino Melampo. 64 Sinesio allude qui al cosiddetto «secondo» Filostrato (II. 106

m sec. d.C.), che nelle Vite dei sofisti (II, 9,1) aveva definito «efemeridi» i famosi Discorsi sacri del retore Elio Aristide, puntualizzando come proprio le efemeridi potessero essere «ottime maestre di elocuzione su qualunque soggetto», frase che Sinesio riprende pressoché alla lettera. 65 I giganti Oto ed Efìalte erano figli di Aloeo e di Ifimedia. Ali'età di nove anni decisero di muovere guerra agli dèi, e per raggiungere il cielo posero il monte Ossa sopra l'Olimpo, e il Pdio sopra l'Ossa. Morirono grazie a un'astuzia di Artemide, che, tramutatasi in cerva, si frappose tra i due: essi, cercando di colpirla, si trafissero a vicenda. Secondo Omero (Odissea, Xl, 3 17-320), Oto ed Efìalte furono invece uccisi da Apollo. 66 Secondo una concezione fatalistica, tipica del pensiero ar­ caico e attestata in nuce già in Omero, l'eccessiva fortuna de­ gli uomini attira l'invidia degli dèi (phth6nos theon), le cui conseguenze consistono in un tragico quanto inatteso rove­ sciamento della sorte. L'idea di una divinità «invidiosa» dei successi dell'uomo, ben presente a Pindaro e a Eschilo, tro­ va espressione compiuta nel pensiero di Erodoto, da cui e­ merge la visione di un'umanità impotente, insicura e costan­ temente in balia dell'azione perturbatrice degli dèi. Sull'ar­ gomento restano fondamentali le osservazioni di R Dodds, The Greeks . . . , cit., pp. 28-63 . 67 Christian Lacombrade (op. cit. , pp. 75-76, nota 17) ritiene, sulla base del commento di Niceforo Gregora a questo pas­ so (p. 105 Pietrosanti), che la figura del decrepito campione di retorica cdi una malevola allusione al retore Libanio di Antiochia (3 14-393 d.C.), maestro, tra l'altro, di Giovanni Crisostomo, Basilio di Cesarea e Gregorio di Nazianzo. Con­ vinto sostenitore del primato culturale ellenico, Libanio tro­ vò nell'imperatore Giuliano l'Apostata un allievo ideale e il più strenuo difensore del passato greco e delle sue istituzio­ ni; a lui dedicò due orazioni, la Monodia e l'Epita/io (Discorsi XVII e XVIII). All'interno del considerevole corpus delle o­ pere di Libanio a noi giunte, in effetti, non mancano esempi 107

di esercitazioni retoriche (melétai) del tipo stigmatizzato da Sinesio, e la sua produzione letteraria, nel complesso, non mostra una particolare profondità di pensiero o di cono­ scenze filosofiche. 68 Il lungo passo contiene, come già evidenziato ndla nota precedente, una polemica contro gli eccessi ddla retorica tar­ doantica. Al centro ddle proprie critiche, Sinesio pone la de­ cadenza ddl' arte oratoria, ridottasi ormai a puro accumulo di virtuosismi tecnici, priva di qualunque impegno morale e in­ tdlettuale, completamente distaccata dalla realtà e ripetitiva all'eccesso. I classici esercizi in voga ndle scuole di retorica vengono quindi passati in rassegna attraverso una ricostru­ zione vivida - ma anche impietosa - ddle per/ormances cui si poteva assistere in età tardoantica: la mimica, l'emissione del­ la voce e la gestualità («cheironomia»), che qui contribuisco­ no a rendere penosa e paradossale l'immagine dei «filosofi» dalle lunghe barbe; poi stravaganti e inverosimili processi fit­ tizi - basati su leggi assurde, create ad hoc allo scopo di abi­ tuare il discente ai casi più difficili - divenuti, nel tempo, il fi­ ne ultimo ddl' arte, banco di prova dei più sfrenati e pirotec­ nici virtuosismi dialettici; e inoltre i discorsi deliberativi, che mettevano in scena, con ripetitività quasi ossessiva, triti sog­ getti desunti dalla mitologia o dalla storia (cfr. H.I. Marrou, Storia dell'educazione. . . , cit., pp. 265-278; B.P. Réardon, op. cit. , pp. 99- 1 14). 69 Il pancrazio era una specialità atletica che combinava le tecniche ddla lotta e del pugilato a mani nude. Sport parti­ colarmente efferato, che si praticava senza esclusione di col­ pi, il pancrazio fu ammesso ai giochi olimpici per la prima volta nel 648 a.C. 10 Alceo di Mitilene (VII-VI sec. a.C.), rappresentante di spicco della lirica monodica arcaica, fu a lungo idealizzato come strenuo oppositore del potere tirannico; di fatto, la sua poesia è strettamente legata alle lotte per il potere ndl'isola di Lesbo tra il VII e il VI secolo a.C. - lotte di cui Alceo fu 108

protagonista attivo, insieme alla consorteria politica di cui era membro e che celebrò nei suoi canti. Archiloco di Paro (VII sec. a.C.), singolare figu ra di poeta-soldato, autore di giambi e di elegie (ma anche di tetrametri trocaici e versi in altri metri), è tradizionalmente considerato lo scopritore del­ !' «io» lirico moderno - al rigu ardo, comunque, le posizioni degli studiosi sono tutt'altro che univoche, e l'intricata que­ stione è, in realtà, ancora ampiamente dibattuta. Poeta dalla personalità complessa, fortemente critico rispetto all'etica eroica, Archiloco rende i propri versi testimoni di una vita intensa, anticonformista, segnata spesso da passioni violente, amare delusioni, collere improvvise. 7 1 Stesicoro (VII-VI sec. a.C.) è autore di carmi narrativi in versi lirici, talora particolarmente estesi ( « . . . sostiene sulla lira il peso della poesia epica» scrisse di lui Quintiliano [lnstitutio Oratoria, X, 62] ) , in cui sono ripresi i grandi temi dei cicli epi­ ci. Nella seconda metà del XX secolo, due importanti ritrova­ menti papiracei hanno ampliato la nostra conoscenza della sua produzione letteraria, limitata fino ad allora a pochi frammen­ ti. Secondo una tradizione riportata nel Fedro platonico (243 a), gli dèi avrebbero privato Stesicoro della vista per aver diffamato Elena nei suoi carmi; per riacquistarla, il poeta a­ vrebbe ritrattato tutte le precedenti affermazioni in una Pali­ nodia («ricantamento») appositamente composta.

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1 16

Indice

Introduzione

5

Note

27

Nota dd curatore

29

Il libro dei sogni

33

Note

89

Riferimenti bibliografici

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