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Italian Pages 120 Year 2010
In seguito a una visione notturna, Sinesio di Cirene scrive di getto Il libro dei sogni nelle ultime ore della notte, per poi offrirlo in dono a lpazia, la leggendaria filosofa che fu sua maestra di vita e scienza. In questo breve trattato, Sinesio fonde ragione e tra dizioni antiche in pagine dense, ispirate e
rigorose, in cui leggerezza e profondità fi losofica si uniscono allo scopo di ricercare le origini dei sogni. Ricorrendo a una ricca, godibilissima casistica di esperienze per sonali, Sinesio mostra l'efficacia delle pre monizioni oniriche e invita gli uomini a farsi interpreti dei propri sogni, tenendo un «diario notturno» in cui annotare con cura i messaggi delle visioni allo scopo di tro varne le chiavi interpretative. Un breve ma nuale che costituisce una vera e propria guida dell'anima lungo il difficile cammino verso l'Assoluto e, allo stesso tempo, af ferma l'uguaglianza di tutti gli esseri uma ni, dal più potente al più umile, di fronte al mondo divino e ai messaggi di cui il sogno è veicolo.
Sinesio di Cirene (370-413 ca d.C.), filosofo e letterato greco. Compì i primi studi nella città natale, quindi si trasferì ad Alessandria dove fu iniziato da lpazia alla filosofia neo platonica, che poi approfondì ad Atene. L'at tività politico-diplomatica lo portò nel 399 in missione a Costantinopoli. Nel 41 O venne inaspettatamente nominato vescovo di To lemaide. Fu notevole oratore e poeta; tra le sue opere più interessanti L'elogio della cal
vizie, già pubblicato da questa casa editrice, e il Discorso sulla regalità. Fu anche autore di un ricco epistolario che accompagnò tutto il corso della sua esistenza.
ISBN 978-88-7
.I..UJt.11 € 12.00
Proprietà letteraria riservata © 2010 RCS Libri S.p.A., Milano ISBN 978-88-7768-556-8 Titolo originale: Peri enypnion In copertina: Johann Heinrich Fiissli, Solitudine all'alba (pan.) L'editore è a disposizione degli aventi diritto
I lettori che desiderano informarsi sui libri della casa editrice Archinto possono consultare il sito internet: www.archinto.it L'indirizzo e-mail è [email protected]
Sinesio di Cirene Il libro dei sogni A cura di Nicola Montenz
Archinto
Introduzione
Nell'anno 405 d.C., la filosofa lpazia di Alessandria ricevette, insieme a una lettera, tre scritti in attesa di pubblicazione. Tra di essi spiccava, per profondità di trattazione, un breve saggio sui sogni e sulla loro capacità divinatoria. A inviarli era un suo antico al lievo, un colto proprietario terriero destinato a di venire vescovo cinque anni più tardi, per conclude re di lì a poco (forse nel 413) un'esistenza che l'ane lito alla conoscenza e l'amore per i libri non avreb bero saputo preservare dalla forza distruttiva della perdita di tutti gli affetti più profondi. Gli fu ri sparmiata soltanto la morte di lpazia, massacrata nel marzo 415 da fanatici cristiani armati di conchi glie affilate, stando a quanto narra Socrate nella sua Historia Ecclesiastica (VII, 15) - e non sarebbe sta to un dolore da poco, se è vero che questa donna, prima e unica responsabile della sua conversione al la filosofia, fu per lui «madre, sorella e maestra». Il colto «gentiluomo di campagna», per usare u5
na definizione cara agli storici della tarda letteratu ra greca, rispondeva al nome di Sinesio. Di lui non si sa molto più di quanto sia possibile estrapolare dalle sue stesse opere, in particolare (ma non esclu sivamente) dall'ampio epistolario. Nato nella città di Cirene probabilmente nd 370, Sinesio vantava antenati illustri, le cui origini si per dono nei miti della fondazione di Sparta. Sulla ric chezza e sull'estensione dei possedimenti della fa miglia è difficile nutrire dubbi, a dispetto delle in dicazioni in senso contrario che lui stesso fornisce, con malcdata affettazione di diminutio. Quanto al !'educazione, sembra ragionevole supporre che fino all'adolescenza egli abbia seguito un percorso di studi tradizionale, come era logico che avvenisse per il rampollo di una famiglia potente. Non ba stasse questa inferenza, le conoscenze di poesia, re torica e filosofia greca che emergono con prepoten za dalla filigrana dei suoi scritti contribuiscono a tracciare il quadro di un sapere vasto ed eteroge neo, che nei momenti più felici sa organizzarsi nd la costruzione di quei «mosaici» letterari, così tipici della tarda antichità, la cui architettura sorprenden te lascia attoniti studiosi e lettori comuni. Difficile stabilire se realmente, come pure è stato 6
suggerito, Sinesio abbia avuto a un certo punto del la giovinezza la percezione mistica della divinità del cosmo; 1 resta il fatto che al termine degli studi re golari, intorno al 393, qualcosa cambiò in modo ra dicale nel suo modo di pensare e di sentire. Il mu tamento avvenne ad Alessandria d'Egitto, dove il giovane si era recato per motivi di studio. Fu lì che conobbe la vera filosofia, attraverso l'insegnamento di lpazia, cui sopra si accennava. La filosofa, figlia del matematico Teone, lo iniziò alle dottrine di Pla tone, Aristotele e dei neoplatonici, senza peraltro trascurare le scienze esatte, in particolare la geome tria e l'astronomia. Non che all'epoca Sinesio fosse digiuno di letture filosofiche - quantomeno, la cosa parrebbe assai strana. Il fatto è che l'insegnamento della celebre filosofa ebbe sulla sua mente l'effetto di una sconvolgente rivelazione: attraverso il con tatto con lei, Sinesio giunse a concepire la filosofia come un vero e proprio rito misterico a uso esclusi vo di pochi iniziati. In questo senso, la posizione ormai dominante nella critica, che vede in Sinesio un «convertito» della filosofia, parrebbe potersi accettare pacifica mente. Altro è discutere se Sinesio fosse cristiano di nascita o se invece si fosse solo più tardi convertito 7
- forse in occasione dd matrimonio, o, in ogni ca so, prima dell'dezione a vescovo. Altro ancora è ve dere nella «conversione» filosofica una sorta di apo stasia - ciò che farebbe di Sinesio un incongruo du plicato dell'imperatore Giuliano, morto nd 363. Le ultime due ipotesi sono certo seducenti; eppure, nella ricostruzione di una personalità storica con viene fondarsi su dementi concreti, per vaghi che siano i dati a disposizione. E se qualcosa dalle ope re di Sinesio traspare, è proprio la scarsità di indizi a favore di un'attiva adesione al paganesimo. Certo, al riguardo si potrebbero citare gli dèi presenti nei suoi scritti, insieme alla sedimentazione di secoli e secoli di tessuto linguistico, cultura e filosofia elle nici, ma ciò sarebbe ovviamente assurdo, se solo si considera con quale agio, durante la tarda antichità, fede cristiana e cultura greca poterono coesistere senza troppe frizioni all'interno di individualità ben ddineate: Origene, Clemente Alessandrino, Basilio di Cesarea, per limitarsi ai nomi più noti (ma come non pensare, pur con le opportune cautde e i ne cessari distinguo, anche alla personalità enigmatica e vertiginosa di Nonno di Panopoli?). Si aggiunga poi la considerazione che, in un periodo tanto fosco per
il paganesimo quale fu l'ultimo scorcio dd IV 8
secolo, segnato dall'incalzare dei prowedimenti re pressivi di Teodosio I, la vita per un pagano doveva essere francamente ardua - e in quanto a eventuali apostasie, la legislazione sui lapsi (i cristiani «rica duti» nella religione pagana) emanata dallo stesso Teodosio nel 391 costituiva un deterrente tutt'altro che trascurabile. Converrà perciò, a proposito del
credo di Sinesio, attenersi ai non molti punti di rife rimento in nostro possesso e convenire con quanti hanno visto nel futuro vescovo di Tolemaide un «tiepido» cristiano imbevuto di cultura greca, sen za spingersi a forzature adatte, forse, al solo oriz zonte dei romanzi storici.2 Alla luce di tutto questo, l'affetto e la stima in condizionata - se si preferisce: l'adorazione - di un discepolo nominalmente cristiano per una maestra pagana possono spiegarsi anche senza ricorrere alla fantasia, tanto più se si pensa che proprio l'imposta zione non confessionale dell'insegnamento di lpa zia aveva potuto garantirle una certa tranquillità ne gli anni in cui, ad Alessandria, il sinistro patriarcato di Teofilo non aveva risparmiato colpi alle vestigia del paganesimo ellenico. Nessuna sorpresa, insom ma, nello scoprire un giovane studioso dotato di in telletto vivace, e animato da un irriducibile deside9
rio di conoscenza, affidarsi a una filosofa pagana «moderata» come a una maestra di vita anche dopo il termine degli studi. E tanto meno sorprendente apparirà, per tornare al punto da cui si era partiti, il fatto che al momen to di licenziare due testi cui evidentemente teneva parecchio, Sinesio ricercasse proprio l'approvazio ne - e implicitamente il consiglio - di colei alla qua le un tempo aveva ceduto la propria esistenza inte riore perché la formasse, instradandola nd cammi no verso l'Assoluto. Ciò che potrebbe lasciare perplessi, al limite, è che Sinesio abbia scomodato l'autorità di Ipazia per sottoporle un trattato sui sogni. Era legittima una simile richiesta - o almeno: era sensata? In altre pa role: vi era un legame tra le vette della filosofia e i sogni, oggetto, se mai altro, delle ciarle di interpre ti avventizi ai margini delle piazze dd mercato? Domanda non retorica e tutt'altro che oziosa, per ché proprio seguendo le tracce adombrate dalla ri sposta si potrà forse trovare una chiave interpretati va adeguata al Libro dei sogni e giungere, in defini tiva, alla sua comprensione. Veniamo dunque alla lettera citata all'inizio - nd10
l'epistolario sinesiano essa occupa il n. 154 - e pro viamo a ripercorrere il discorso dd suo autore: a lpazia egli offre due scritti perché possa vagliarne la consistenza filosofica e l'opportunità di una pubbli cazione (il terzo, un opuscoletto che accompagnava il dono di un astrolabio, viene aggiunto per ottene re il numero pedetto). Tra di essi, quello a noi noto con il titolo Dione è stato scritto in risposta alle ma levole accuse di monaci e pretesi filosofi: costoro rinfacciavano a Sinesio di unire maldestramente fi losofia e retorica, «maltrattando» la prima a vantag gio della seconda. Rimproveri che Sinesio rispedi sce al mittente: il filosofo deve essere in grado di di rigere il coro delle Muse, altrimenti rischia di tra sformarsi in una risibile macchietta al modo dei suoi detrattori, per i quali il solo fatto di sapersi e sprimere correttamente costituisce una calamità. In apparenza, quindi, Sinesio esce vittorioso dal confronto, ma è chiaro che l'argomento tocca un punto dolente: lo dimostra l'apprensione con cui lo scrittore torna a più riprese su di esso per meglio il lustrarlo a lpazia, tanto da non lasciare quasi spazio alla descrizione dell'altro testo a lei inviato - che è quello, appunto, per noi più importante. È così che, tra variazioni e ritorni sugli errori degli avversari, al 11
trattato sui sogni Sinesio riserva una manciata di ri ghe davvero esigua. La sua presentazione, così, ri sulta ellittica e misteriosa. Un po' come la sua ge stazione, ispirata durante il sonno da un dio e por tata a termine febbrilmente alla fine della stessa not te in cui il messaggio divino si era manifestato. Le circostanze della frettolosa redazione, poi, sono re se ancor più irreali dalla percezione di vero e pro prio «sdoppiamento» provata da Sinesio durante l'atto della scrittura: «In certi momenti del discorso - egli scrive a lpazia -, almeno due o tre volte ebbi la sensazione di essere lì ad ascoltare me stesso in sieme ad altri, come se fossi una terza persona». Notizie che il nostro autore lascia correre, quasi gli fossero sfuggite dal calamo, senza svilupparle ulte riormente. Del trattato si dice soltanto che costitui sce un omaggio alla facoltà immaginativa dell'anima e che contiene alcuni spunti originali, mai trattati da alcun filosofo prima di lui. Altro non è dato sapere, e Sinesio conclude la lettera rievocando le sensazio ni anomale che lo pervadono quando gli capita di rileggere il suo testo, come se dalle parole proma nasse ancora un poco dell'energia infusa in esse dal la divinità ispiratrice. Strana faccenda. E ancor più strana reticenza, se 12
si pensa alla profusione verbale con cui, poco prima, ha illustrato cause formali e contenuti del Dione opera che, di per sé, non avrebbe forse richiesto tan to sforzo. Cosa se ne dovrà concludere? Forse Sine sio vuol mettere alla prova la sua maestra suscitan done la curiosità attraverso una bizzarra retorica del non detto? Ma perché, poi? O non si dovrà invece vedere nella cautela con cui l'autore parla del tratta to sui sogni una sorta di messaggio cifrato, un av vertimento che solo gli «iniziati» ai misteri filosofici possono intendere correttamente - come dire: la di fesa teorica del mio modo di fare filosofia è espressa nel Dione, ma il suo valore e la profondità del mio pensiero sono dimostrati altrove, in quel testo che in apparenza tratta di un argomento leggero, e nel qua le invece converrebbe scavare con attenzione? Una simile chiave di lettura parrebbe confermata da indicazioni convergenti dello stesso Sinesio. Tra lasciando il dato topico della stesura del trattato al termine della notte, momento tradizionalmente ri servato alle visioni dispensatrici di verità, elementi importanti si possono trovare nella stessa lettera 154, quando lo scrittore lamenta l'arroganza dei pretesi filosofi: essi impongono un'esteriore, ripu gnante astrusità al proprio pensiero esprimendolo 13
in modo oscuro, da illetterati quali sono; il vero fi losofo, al contrario, deve mascherare la difficoltà dei propri argomenti celandoli sotto apparenze più lievi - futili, se si vuole. Le opere filosofiche, in somma, devono essere come Socrate e i suoi discor si: esteriormente simili a un Sileno o a un Satiro, ba nali, se si vuole, semplici opere di artigiani; ma bi sogna saperle aprire, penetrare in esse per coglierne l'intima bellezza e la vertigine intellettuale) Considerato sotto questo punto di vista, Il libro dei sogni potrebbe effettivamente occupare una po sizione chiave nella produzione di Sinesio, ponen dosi come dimostrazione pratica (certo più del Dio ne) del fatto che filosofia e retorica possono dawe ro fondersi in unità, senza che la prima venga smi nuita dal dispiegarsi della seconda. Cerchiamo allora di capire se e in qual modo so gni e filosofia possano armonizzarsi all'interno di una trattazione che sia al contempo coerente con se stessa e con le intenzioni dell'autore. Il tema dei so gni non è, in effetti, tra i più gravosi che un filosofo possa offrire all'attenzione dei suoi lettori; per giun ta, l'ampio dispiego di citazioni letterarie del primo capitolo sembra confortare questa epidermica sen sazione: il lettore è così indotto a credersi alle prese 14
con una qualsiasi operetta retorica, in cui ci sarà spazio per la consueta aneddotica, per le consuete allusioni colte - e magari per qualche moderato bri vido di terrore. Niente di più errato. Proviamo allora a seguirne brevemente i ragiona menti e la struttura. I sogni, afferma Sinesio, costituiscono la più impor tante tra le forme di divinazione, perché provengo no dall'intimo di ogni individuo: le loro radici af fondano nell'anima, che contiene le immagini del futuro, cosi come l'intelletto contiene quelle del presente. Quel che risiede nell'anima, però, non ha, di per sé, la possibilità di manifestarsi attivamente agli uomini: perché ciò avvenga, occorre l'inter vento di una facoltà accessoria. Sinesio riconosce tale facoltà nell'immaginazione, sulla cui superficie l'anima proietta, come su uno specchio, le immagi ni del futuro: per suo tramite, quindi, esse giungo no ai dormienti. In apparenza il quadro risulta geometricamente chiaro. Ma se ci spingiamo un poco oltre, per esem pio chiedendoci cosa sia, in pratica, l'immaginazio ne, scopriamo finalmente l'abisso intellettuale na scosto sotto la parvenza di un argomento «lieve»:
scopriamo, cioè, che i sogni e l'immaginazione sono uno spunto per discutere - in pochi, ma densi capi toli - dell'anima e del suo destino in una prospetti va schiettamente neoplatonica. Perché per Sinesio l'immaginazione non è, in ultima analisi, altro che lo spirito di cui l'anima si riveste al momento di ab bandonare le sfere celesti per scendere a incarnarsi: il suo «veicolo», la sua «navicella». All'atto dell'in carnazione nel corpo (il «guscio d'ostrica»), lo spi rito si mantiene unito all'anima: per questo esso co stituisce il canale di comunicazione privilegiato tra l'uomo e la divinità, ed è garanzia di una conoscen za immediata molto più precisa di quella fornita dalle percezioni fisiche. Sinesio aggiunge poi un elemento fondamentale: è grazie all'immaginazione che l'anima incarnata, smarritasi tra le insidie della materia, può improvvi samente ricuperare la coscienza del proprio antico stato e risalire alle sfere da cui si è allontanata - fi no a ottenere l'unione con l'Intelligibile - che è il vero scopo della vita del saggio. Dati simili presupposti, si potrebbe dedurre che il sonno porti visioni necessariamente profetiche (ed esatte!) e che chiunque possa entrare in contat to mistico con l'Assoluto. È questo che Sinesio in16
tende comunicare? Niente affatto. La continuazio ne del breve trattato, anzi, mette chiaramente in lu ce come queste condizioni ideali siano di rado rag giunte dagli uomini: lo spirito, infatti, è un'entità mutevole. Strettamente legato alle condizioni del1'anima, esso risente dei suoi comportamenti buoni o malvagi: se l'anima si tiene lontana dalle lusinghe della materia e riesce a sfuggire il richiamo delle at trattive terrene, allora lo spirito si farà leggero, sec co, e risalirà verso il mondo sopraceleste, restituen do così all'anima quelle «ali» la cui perdita, secon do Platone, ne aveva causato la caduta e l'inabis sarsi nel corpo carnale; se invece l'anima inclinerà ai piaceri e resterà invischiata nel male, allora lo spiri to si farà umido, greve, e precipiterà nei recessi del la terra per condurvi una vita larvale e infelice. Gli Oracoli Caldaici, vera e propria Bibbia dei neoplatonici tardi, non mancano di lanciare avverti menti, che Sinesio puntualmente richiama alla men te del suo lettore per ammonirlo: nelle seduzioni della materia, nei suoi «riflessi oscuri» si nasconde una trappola mortale, i cui esiti potrebbero togliere all'anima ogni speranza di ritorno. Fin qui, la parte più rigorosamente concettuale del 17
Libro dei sogni, quella cui Sinesio teneva in modo
particolare. Perché? - ci si chiederà. E inoltre: è ve ramente così chiaro, adesso, il rapporto che lega i sogni al destino dell'anima? Anzitutto, si ricorderà che le relazioni tra l'anima e le proiezioni oniriche sono postulate all'inizio dell'opuscolo; in secondo luogo, varrà la pena di rimarcare come per Sinesio la garanzia principale della veridicità dei sogni ri sieda nella pure1.1.a dei veicoli attraverso cui essi giungono all'uomo, ossia l'anima e lo spirito/imma ginazione. Uno spirito impuro, gravato dalla sozzu ra materiale, non può fornire immagini credibili: al limite potrà mostrare simulacri, fantasmi, mentre a uno stadio intermedio di purezza mostrerà proie zioni del futuro ora esatte, ora errate. Dunque l'a nima dovrà allontanarsi il più possibile dal mondo terreno, osservare dall'alto le vicende umane, e solo allora, forte della propria ascesa, potrà finalmente offrire ai viventi «le immagini del divenire». In quest'esercizio di distacco dalla realtà sensibi le l'anima, purificandosi gradatamente, potrà eser citare le proprie attività profetiche insieme all'im maginazione. Allo stesso tempo, essa avrà ottenuto, con un adeguato regime di purificazione, il suo pri mo e unico scopo: sarà cioè in possesso delle carat18
teristiche necessarie per garantirsi la risalita all'In telligibile. La divinazione attraverso i sogni, pertan to, diviene strumento fondamentale del ritorno del1'anima alle proprie origini e della sua salvezza dal baratro della materia. Ora, dopo aver ripercorso la parte più densa del Li bro dei sogni, possiamo fare un passo indietro nel tempo e, volgendoci a tutt'altro, considerare per un attimo l'impalpabile «popolo dei sogni» che Omero (Odissea, XXIV, 12) aveva collocato vicino alle sedi dei morti, ratificando una concezione rigidamente oggettiva della visione onirica, visitatrice esterna del dormiente, la cui eco avrebbe attraversato quasi sen za soluzione di continuità l'intero arco della lettera tura greco-latina. Pensiamo anche alla credenza nel le apparizioni oniriche di Asclepio a fini terapeutici, attiva ancora in età imperiale (ne abbiamo una fon damentale testimonianza letteraria nei Discorsi sacri di Elio Aristide), che attirava presso i templi frotte di ammalati desiderosi di sottoporsi a lunghe prati che incubatorie pur di entrare in contatto con il dio. Di tutto questo non resta traccia in Sinesio, o quasi. Segno di una straordinaria modernità? Dif ficile affermarlo, benché la concezione, tipicamente 19
tardoantica, di un'anima che produce la visione an ziché riceverla sia indubbiamente sintomatica di un diverso modo di affrontare il problema. A ciò si ag giunga l'idea sinesiana secondo cui la visione oniri ca costituirebbe una sorta di cartina di tornasole delle condizioni dell'anima: indice di modernità an che questo? Può essere, tanto che non è mancato chi, agli inizi del Novecento, ha pensato di vedere in Sinesio un antesignano della Traumdeutung freu diana - con i risultati che era ovvio attendersi da una simile, indiscriminata attualizzazione dell'ere dità letteraria antica. In realtà, uno sguardo più ponderato al contenu to del Libro dei sogni rivela, accanto a istanze di rin novamento, una tenace resistenza del pensiero tra dizionale. Un concetto generalizzato di «moderni tà», in effetti, mal si adatta a un testo, come quello di Sinesio, ancora indiscutibilmente llllcorato all'i dea della capacità divinatoria dei sogni; e se scor rendone i capitoli il lettore avrà la percezione di un mutamento fondamentale rispetto a Omero, dovrà però anche ammettere che oltre al «popolo dei so gni» molto altro è scomparso. Della riflessione ip pocratica e aristotelica sui fenomeni onirici resta ben poco; e insieme alle osservazioni del razionali20
smo medico del IV secolo (un razionalismo, si noti, tutt'altro che inflessibile), Sinesio
fa
piazza pulita
delle ben più indigeste teorie di Aristotele, che, in ultima analisi, aveva finito per oscurare il valore predittivo dei sogni, affermandone tra l'altro lo stretto legame con l'attività di veglia. Non resta spa zio nemmeno per la geniale intuizione di Apollonia Rodio (Argonautiche,
m, 617 -632), che proprio a
un sogno aveva affidato il compito di far riaffiorare alla coscienza di Medea i desideri repressi durante il giorno (tratto, questo sì, anticipatore di Freud ! ) .
Sarebbe però fuori luogo considerare isolata la posizione di Sinesio. Isolati, per la verità, erano pro prio i sostenitori dell'altra teoria, quella psicobiolo gica, ai quali non toccò nemmeno l'onore di un ri fiuto: perché fino alla tarda antichità furono sem plicemente ignorati. E persino Gregorio di Nissa, morto sul finire del IV secolo, dopo aver a lungo discusso delle relazioni tra stato fisico e proiezioni notturne, si vide costretto, pur confusamente e non si sa con quanta convinzione, a ripiegare sulla sta gionata, ma sempre comodissima, credenza nella validità delle premonizioni oniriche (De hominis
opificio, Xlll, 2 ss.) . Non sembra eccessivo, pertan tci, considerare la contraddittoria dialettica tra anti21
co e moderno presente nel Libro dei sogni come uno specchio tutto sommato fedele dell'andamento alterno - si vorrebbe dire sinusoidale - che nell'an tichità conobbero le teorie sui fenomeni onirici. Resta comunque da vedere se la fede accordata al valore predittivo dei sogni debba per forza essere considerata come un segno di arretratezza e di su perstiziosa ottusità. Ché anzi, nel caso di Sinesio, i presupposti concettuali della divinazione tout court sono squisitamente filosofici. Essi si fondano infatti sul ben noto principio, di matrice stoica e fatto pro prio dai neoplatonici, della sympatheia universale, secondo cui il cosmo sarebbe un unico, immenso organismo in cui ciascun elemento è in contatto con gli altri grazie a uno strettissimo intreccio di rela zioni reciproche. Su questa base, dunque, Sinesio può affermare che ciascun elemento si manifesta («dà segni di sé») attraverso un altro, secondo un si stema di analogie e corrispondenze che il saggio è in grado di riconoscere e decodificare, quasi si trattas se di lettere dell'alfabeto disposte sulle pagine di un libro. L'anima, microcosmo intimamente correlato al cosmo in cui si trova, occupa pertanto una posizio ne privilegiata, che, come abbiamo visto, potrebbe garantirle l'infallibilità divinatoria. 22
Tuttavia, sarebbe fuorviante pensare che Sinesio abbia affidato soltanto alla filosofia il compito di spiegare e dimostrare: emerge anzi, dal Libro dei so gni, la sensazione forte di una personalità che non teme il confronto diretto con il lettore ed è pronta a esporsi per ottenerne l'attenzione e l'assenso. Sco priamo così che il primo beneficiario delle previsio ni oniriche è Sinesio stesso, che con sorprendente freschezza (e consumata abilità retorica) narra co me proprio i sogni lo abbiano aiutato a superare gli anni tenebrosi trascorsi a Costantinopoli, a capo dell'ambasceria della Pentapoli - che comprende va, oltre a Cirene, le città di Arsinoe, Berenice, A pollonia, Tolemaide - o come un'esperta guida oni rica abbia saputo, tempo prima, moderare gli ec cessi del suo stile ancora immaturo. Si può facil mente intravedere, in quest'apparente disinvoltura nell'accostare tratti di quotidianità a profonde spe culazioni filosofiche, la riuscita del principio che Sinesio aveva rivendicato nella lettera 154: il con nubio perfetto tra filosofia e retorica. E la sua abili tà appare davvero considerevole: alla muffita cita zione d'autore egli sostituisce la riflessione sul falli mento di Penelope e Agamennone nel comprende te i propri sogni - cavallo di battaglia delI'interpre23
tatio homerica antica - sbozzata in pochi, abilissimi
tocchi, e conclusa prima che il richiamo dotto di venga un greve cascame manualistico. Il trito exem plum mitico cede il passo a frammenti di vita reale, in cui appunto Sinesio può scrivere «io», ma anche a considerazioni di portata più vasta, che in qualche modo disorientano e inducono a riflettere ancora sul tema della «modernità» di quest'opera: perché l'«io» che Sinesio pronuncia si può estendere a tut ti; tutti possono accedere all'oracolo della propria anima, tutti possono trarre vantaggio dalla profe tessa imprigionata dentro di loro. Non più - o non solo - a re o condottieri spetta il privilegio di sogni veridici, ma anche all'uomo comune: non c'è distin zione di sesso, professione o censo che Sinesio sia disposto ad accettare. E affermare il diritto al sogno, all'intimità di un ri to da celebrare nel profondo di se stessi non era for se cosa da poco, in un periodo in cui, come si è vi sto, non passava giorno senza che pene e divieti in tetvenissero a livellare drasticamente l'autonomia degli individui. Peraltro, non si dovrà credere che questa sorta di «egualitarismo» onirico abbia come esito la ricerca di una chiave dei sogni universal mente valida. Al contrario, al moltiplicarsi dei po24
tenziali profeti corrisponde l'ammissione dell'im possibilità di predisporre schemi interpretativi adat ti alle singole individualità. E se la matrice di questa considerazione è legata alle teorie neoplatoniche sul-
1' anima - banalizzando: non esiste uno spirito ugua
le a un altro, quindi nessun sogno ammetterà la me desima interpretazione -, i suoi
effetti si spingono
ancora, e con prepotenza, verso il riconoscimento della centralità dell'individuo. Si sfalda, così, il mito dei manuali sull'interpretazione dei sogni - in primis
quello di Artemidoro - che pretendevano di ridurre i tortuosi percorsi della psiche entro i limiti angusti di cataloghi di simboli e corrispondenze, la cui com pulsiva serialità ne rende la lettura simile a un «eser cizio penitenziale», per riprendere una fortunata espressione di Roger Pack. 4 No, per Sinesio l'unico interprete affidabile può essere il sognatore stesso, che deve prendere nota giorno per giorno, notte per notte, di quanto la veglia e il sonno gli hanno mo strato. Un duplice diario, notturno e diurno, da compilare con rigore e precisione, anche per rispet to verso se stessi: non è escluso, aggiunge in coda l'autore del Libro dei sogni, che l'esito di una simile operazione possa addirittura spingersi oltre le inten zioni iniziali, e applicarsi alla letteratura - quella
stessa letteratura soffocata dall'autocompiacimento, e priva ormai di concetti da esprimere, le cui parole senza vita potrebbero forse, proprio grazie ai sogni
figli dell'anima e della sua origine divina, trovare la forza di rinascere.
Nicola Montenz
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Note
1 Cfr. J. Bregman, Synesius o/ Cyrene, Philosopher-Bishop, Berkdey-Los Angdes-London 1984, p. 19. 2 Sulla «conversione» filosofica di Sinesio, cfr. almeno J. Breg man, op. cit. , pp. 20-40; I. Tanaseanu-Dobler, Konversion 1.ur
Philosophie in der Spiitantike: Kaiser ]ulian und Synesios von Kyrene, F. Steiner, Stuttgart 2008. Sulla sua professione di fe de, cfr. H.I. Marrou, La «conversion» de Synésios, «Revue des
études grecques» n. 65, 1952, pp. 474-484; C. Lacombrade,
Synésios de Cirène, Tome I, Hymnes, Paris 1978, pp. IX-X; D. Roques, Synésios de Cyrène et la Cyrénai'que du Bar-Empire, Paris 1987, p. 3 16; N. Aujoulat, J. Lamoureux, Synésios de Cy rène. Tome VI. Opuscules, III, Paris 2008, p. 167. 3 Proprio questo spunto apre la breve protheoria dd Libro dei sogni. Si rimanda alla nota 1 dd testo per una valutazio
ne complessiva dd problema e per gli opportuni rimandi bi bliografici. 4 R Pack, Artemidorus and His Waking World, «Transaction and Proceedings of the American Philological Association» n. 86, 1955, p. 282.
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Nota del curatore
La presente traduzione del Libro dei sogni si basa
J
sul testo critico stabilito da acques Larnoureux per
J. Larnoureux, Sy nésios de Cyrène. Tome .Iv, Opuscules, I, Paris 2001,
la Collection Budé (N. Aujoulat,
pp. 268-31 1), che si sostituisce, almeno in parte, al la storica edizione degli Opuscoli sinesiani curata da Nicola Terzaghi (Synesii Cirenensis Opuscula, Ro mae 1 944). Imprescindibile per la comprensione del testo re sta il magistrale lavoro di Davide Susanetti (Sinesio. I sogni. Introduzione, traduzione e commento di D. Susanetti, Bari 1 992), la cui dedizione al Perì enyp nion costituisce, per chi voglia seguirne le tracce, un punto di partenza straordinario e allo stesso tempo un formidabile deterrente. Per quanto mi riguarda, ho cercato di segnalare i miei debiti nei suoi con fronti nel modo più trasparente, fermo restando il fatto che il merito del lavoro di Susanetti non risie de soltanto nel commento puntuale e nella ricerca 29
delle fonti, ma anche nell'aiuto che esso apporta al la comprensione globale del pensiero e della lingua di Sinesio. Qualche parola, ancora, merita di essere spesa sulla traduzione: considerando la destinazione del1'opera, si è preferito mirare alla piena chiarezza del pensiero e alla fluidità della lingua italiana, laddove una traduzione letterale avrebbe posto il lettore di fronte a tournures sintattiche faticose, rese ancor più complicate dalla densità dottrinale e dall'uso sine siano di ripetere concetti simili servendosi di sinoni mi o perifrasi sinonimiche - è il caso, per esempio, dell'alternanza tra «natura immaginativa», «spirito immaginativo», «immaginazione» e «spirito», che in qualche caso, pur se a malincuore, si è scelto di nor malizzare per evitare cortocircuiti comunicativi. Per quanto riguarda le note, esse hanno un taglio più esplicativo che erudito, e sono riservate, in ge nere, alla fine dei periodi. La bibliografia conclusi va è intesa come punto di riferimento per le mono grafie e gli articoli citati nelle note di commento e consultati per la stesura dell'introduzione; essa non mira a fornire un quadro esaustivo dello status quaestionis sinesiano, quanto, piuttosto, a proporre una scelta di libri (ove possibile in traduzione italia30
na) che permetta al lettore di orientarsi e di co struirsi un'autonoma conoscenza dell'età tardoanti ca e dell'affascinante personalità umana e letteraria di Sinesio.
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Il libro dei sogni
Premessa Per quel che ne so, l'uso di dissimulare le questioni filosofiche più profonde sotto l'apparenza di argo menti leggeri è molto antico e tipicamente platoni co: il suo scopo è far sì che gli uomini non perdano quanto hanno faticosamente conquistato con l'in telligenza, ed evitare che tali scoperte, essendo alla portata di persone ignoranti, ne vengano contami nate. 1 Questo, dunque, è il traguardo che ho cerca to di raggiungere scrivendo il presente discorso. Chi lo leggerà con spirito filosofico sarà in grado di giudicare se il risultato sia stato ottenuto e se, inol tre, l'opera sia stata rifinita nel modo migliore, se condo l'uso antico. 1. Se è vero che il sonno ha virtù profetiche, e i so gni mostrano agli uomini visioni enigmatiche di ciò che avverrà, possiamo dedurne che essi sono sa pienti, ma certo non chiari; oppure dovremo am35
mettere che la sapienza risiede anche nella loro mancanza di chiarezza, «poiché gli dèi tengono na scosta la vita agli uomini».2 Ottenere senza fatica i beni più grandi, infatti, è prerogativa divina. Ai mortali che vogliono rag giungere non solo la virtù, ma qualunque bene, «gli dèi hanno imposto prima il sudore».3 E si può ben dire che la divinazione è il più importante tra tutti i beni. In effetti, è proprio grazie al sapere e, in ge nerale, alla capacità di conoscere, che dio si diffe renzia dall'uomo e l'uomo dall'animale. Ma a dio basta la propria natura come strumento di cono scenza; i mortali, invece, grazie alla divinazione pos sono ottenere risultati ben maggiori di quelli che per natura competerebbero loro. L'uomo comune, infatti, conosce solo il presente, e deve limitarsi ad avanzare congetture su ciò che ancora non è; solo Calcante, unico fra i greci riuniti in assemblea, co nosceva «ciò che è, ciò che sarà, ciò che è stato»,4 e secondo Omero gli affari degli dèi dipendono dal volere di Zeus, perché egli «è nato prima e conosce più cose»:' dunque proprio perché è più vecchio. In questi versi, secondo me, il riferimento all'età sottintende il fatto che il tempo accresce la cono scenza, che è appunto il bene più degno di onore. 36
Se invece qualcuno è indotto da altri versi a consi derare che la supremazia di Zeus sia fondata sul vi gore fisico perché Omero dice: «Egli era superiore per la forza fisica»,6 è evidente che costui si è dedi cato alla poesia in modo grossolano e non è in gra do di coglierne l'intima saggezza, secondo la quale gli dèi sono puro intelletto.7 Perché in quel verso Omero collega la superiorità fisica al fatto di essere «primo per nascita», affermando che Zeus è un in telletto di più antica origine. E del resto, che altro potrebbe essere la forza dell'intelletto se non la ca pacità di riflettere? E qualunque dio sia considera to degno di governare gli altri dèi, regna grazie alla superiorità della propria saggezza, in quanto egli è puro intelletto: pertanto, la frase «egli era superiore per la forza fisica» cambia significato ed equivale a «sapeva più cose». Per questo anche il saggio è ap parentato a dio, perché tenta di avvicinarsi a lui per mezzo della conoscenza e rivolge i propri studi al pensiero, da cui la divinità trae la propria esistenza. 2. Quanto si è detto valga dunque come dimostra zione del fatto che la divinazione è per gli uomini un'attività tra le più nobili. Se gli tutti elementi si manifestano gli uni attra37
verso gli altri, poiché sono componenti di un solo essere vivente, il cosmo, e se servono a indicare gli esseri, come lettere di un libro - fenicie, egizie, as sire -, definiremo sapiente chi sia in grado di deci frarli; B ed è sapiente chi ha appreso seguendo l'in segnamento della natura: alcuni leggono una cosa, altri un'altra, chi più, chi meno - per esempio, c'è chi legge sillabando, chi legge parola per parola, chi addirittura il discorso per intero. Così i sapienti os servano il futuro: alcuni conoscono gli astri - chi le stelle fisse, chi le stelle infuocate che attraversano il cielo; altri leggono il futuro nelle viscere degli ani mali, altri ancora nei versi degli uccelli, nel modo in cui si posano e nel volo. Per altri interpreti, i cosid detti segni del futuro (parole e accostamenti di eventi casuali) sono lettere chiarissime, poiché tutto manda segnali a tutti. Persino gli uccelli, se posse dessero una scienza, avrebbero potuto trarre una tecnica divinatoria dall'osservazione degli uomini, proprio come abbiamo fatto noi con loro. Difatti noi siamo per loro - e loro per noi - una razza allo stesso tempo nuova e antichissima, capace di forni re buoni auspici.9 A mio parere, insomma, è necessario che le parti di questo Tutto che sente e respira all'unisono ap38
partengano le une alle altre, poiché sono membra di un unico corpo. Può darsi che proprio in questo modo si possano spiegare gli incantesimi dei maghi. Ogni elemento ne attrae un altro, nello stesso modo in cui attraverso l'altro esso si manifesta; ed è sa piente chi conosce i legami tra le parti del cosmo e può così attirare un elemento per mezzo di un altro, avendo a disposizione formule magiche, frammenti di materia e figure come pegno di quelli più lonta ni. IO Per questo motivo, quando le nostre viscere so no affette da un male, altre parti del corpo provano sofferenze, e
il dolore di un dito può estendersi al
l'inguine senza che gli organi che si trovano frappo sti ne siano afflitti; perché di fatto sono entrambi membri di un unico organismo vivente, e vi è tra es si un legame maggiore di quello che può esserci tra altre parti del corpo. Una pietra o una pianta della terra presentano affinità con alcuni degli dèi che abi
tano il cosmo; e questi, condividendo con esse iden tici sentimenti, cedono alla natura e sono soggetti agli incantesimi. 1 1 Lo stesso si verifica nella musica: chi pizzica la corda più grave della
lira,
la hypate,
non fa vibrare la corda più vicina, l' ep6gdoos, bensì 1' epitritee la néte, che è la più acuta. 12 E questo è do vuto alla concordia originaria. Come in un gruppo 39
famigliare, infatti, vi è anche una sorta di discordan za tra i membri: perché il cosmo non è semplice mente un'unità, ma un'unità costituita da molteplici elementi, e, tra le sue parti, alcune si corrispondono, altre si respingono; ma dalla loro discordia trae ori gine l'armonia del Tutto, proprio come la lira fun ziona secondo un sistema di dissonanze e consonan ze; l'armonia della lira e del cosmo è dunque un'u nità che deriva da elementi opposti. 3 . Archimede di Sicilia chiedeva uno spazio esterno alla terra per controbilanciarne il peso con il proprio: rimanendo su di essa, diceva, non sarebbe stato in grado di farlo. Tuttavia, un saggio che avesse una mi nima conoscenza della natura del cosmo, una volta collocato all'esterno di esso non saprebbe che fare della propria scienza: ci si serve del cosmo per agire su di esso. 13 Troncato ogni legame di contiguità con il cosmo, le sue osservazioni cadrebbero a vuoto, e gli apparirebbero simboli senza vita. E difatti anche le divinità esterne al cosmo sfuggono agli incantesimi: . . . seduto in disparte, egli non si preoccupa e non si dà alcun pensiero.14
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Il fatto è che la natura dell'intelletto è inflessibile; al contrario, la parte sensibile dell'anima soggiace fa cilmente agli incantesimi. L'ampio numero delle pratiche divinatorie e dei riti è dovuto alla moltepli cità e alla parentela degli elementi che si trovano nel cosmo: alla molteplicità, perché gli elementi sono discordanti tra di loro; alla parentela, perché tutti derivano da un'unità. Il mio discorso, però, non toc cherà i riti: le leggi dello stato lo vietano ! Della divi nazione, invece, è lecito parlare, 15 E fin qui, in effet ti, ne abbiamo intessute le lodi considerandola, per quel che si poteva, nel suo complesso. A questo pun to, estrapolando la sua parte migliore, possiamo sof fermarci ad analizzarla, senza dimenticare che l' o scurità è tratto comune di ogni forma di divinazione; pertanto non si dovrà ritenere che tutto quanto si os serva nella natura costituisca un valido argomento per respingere ogni forma di divinazione. Già pri ma, comunque, ho mostrato che anche l'oscurità merita venerazione, proprio come l'obbligo dei se greti nei riti iniziatici. Del resto, nemmeno gli ora coli pronunciano profezie comprensibili a tutti: pro prio per questo motivo l'oracolo di Delfi è chiamato Lossia. 1 6 A tal proposito, se Temistocle non avesse saputo interpretare il significato dell'oracolo, il po41
polo riunito in assemblea avrebbe sentito parlare inutilmente del muro di legno che il dio concedeva agli ateniesi per salvarsi. 1 7 Ecco spiegato, in sostan za, il motivo per cui non bisognerebbe respingere nemmeno le previsioni attraverso i sogni: esse, infat ti, condividono con le altre forme di divinazione e con gli oracoli la caratteristica dell'oscurità. 4. Tra tutte le forme di conoscenza, conviene dedi carsi soprattutto a questa, perché proviene proprio da noi, dal nostro intimo, ed è un possesso dell'ani ma di ciascuno. 1 8 Secondo l'antica filosofia, l'intelletto contiene le immagini delle cose che sono; noi potremmo ag giungere che l'anima ha in sé le immagini delle co se che divengono: dunque l'intelletto sta all'anima come l'essere sta al divenire (scambiando i termini, l'intelletto starà all'essere e l'anima al divenire, e se condo i princìpi della scienza, l'operazione sarebbe vera anche invertendo i termini). Ecco dunque di mostrata la nostra ipotesi, cioè che l'anima contiene le immagini di ciò che diviene: 19 essa ha in sé ogni cosa, e crea proiezioni di quelle più opportune e le riflette sull'immaginazione, come se fosse uno spec chio. È proprio grazie a quest'ultima che l'essere vi42
vente ha la percezione delle immagini che risiedono nell'anima.20 Noi non ci accorgiamo delle attività dell'intellet to fino a quando la facoltà che le gestisce non le tra smette al nostro senso comune; le informazioni che non le arrivano sfuggono anche all'essere vivente. Allo stesso modo, noi non abbiamo la percezione delle immagini che si trovano nell'anima razionale fino a quando le loro tracce non sono giunte all'im maginazione. Quest'ultima, probabilmente, è una forma di vita lievemente inferiore, che sussiste gra zie a una natura particolare. Essa ha a disposizione facoltà percettive: difatti noi vediamo i colori, sen tiamo i rumori e possediamo una sensazione assai forte del tatto anche quando gli organi del nostro corpo sono inattivi. Può darsi, addirittura, che l'im maginazione sia una forma di percezione più sacra: è grazie a essa che in genere entriamo in contatto con gli dèi, ne riceviamo i consigli, gli oracoli e le cure riguardo a tutte le altre cose. Non mi stupisco, pertanto, se a qualcuno il sonno porta in dono un tesoro; non mi pare nemmeno troppo strano che un tale, addormentatosi senza possedere la minima do te poetica, abbia incontrato in sogno le Muse e, do po essersi intrattenuto con loro, sia divenuto un 43
abile poeta: è successo anche ai nostri giorni.2 1 Non vale nemmeno la pena di menzionare i sogni che hanno svelato insidie e i casi in cui il sonno, come un medico, ha risanato qualcuno da una malattia.22 Ma quando il sogno apre la via per la visione più perfetta dell'essere all'anima che mai aveva aspirato a tanto, né aveva concepito una simile ascesa, pro prio allora - mi pare - è possibile raggiungere il co ronamento di ogni bene: e chi si è smarrito al pun to da dimenticare persino la propria origine può al lora superare i confini della propria natura ed en trare in contatto con l'intelligibile.23 Chi considera l'ascesa un bene, e tuttavia non cre de che qud beato contatto si possa raggiungere gra zie all'immaginazione, dovrebbe ascoltare la sacra voce degli oracoli, che parlano di «vie diverse» per raggiungere i propri scopi. Dopo aver tracciato l'in tero denco di tutti i mezzi a nostra disposizione per l'ascesa (denco secondo il quale è possibile accresce re il seme intellettuale che è in noi), l'oracolo dice: Ad alcuni dio ha concesso di ottenere con lo studio la [conoscenza della luce; altri, mentre dormivano, li ha fecondati con la propria [forza.24
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cli ottenere il sapere: vi è chi apprende durante la ve
Vedi? L'oracolo ha distinto due modi con gioia
glia e chi, invece, nd sonno. Durante la veglia, è l'uomo a insegnare; chi sogna, invece, è fecondato dal dio con la sua forza, e così apprendere e acqui sire finiscono per coincidere: e infatti fecondare è più che insegnare.
5. Si consideri quanto si è detto fin qui come una di mostrazione della dignità della vita che anima l'im maginazione contro chi disconosce anche le sue manifestazioni più insignificanti. Non stupisce che i detrattori dell'immaginazione, per eccesso
cli sape
re, si applichino con grande impegno alle pratiche proibite dagli oracoli, che dicono infatti:
Tagliare a pezzi vittime e viscere: infantile passatempo25 e impongono
cli evitare tutto ciò. Ma chi disprezza
l'immaginazione, sentendosi al cli sopra della massa,
pratica le arti divinatorie ora in un modo ora in un altro; guarda però ai sogni con sufficienza, perché gli paiono troppo comuni: tutti, infatti, ne hanno parte allo stesso modo, tanto l'ignorante quanto
il
sapiente. Ma l'uomo sapiente non è forse tale per-
ché sa sfruttare al meglio ciò che è sotto gli occhi di tutti? D'altronde, tra gli elementi visibili nulla è più divino e più comune del sole ! Se il fatto di vedere dio con i propri occhi è un evento tra i più felici, co glierlo con l'immaginazione è segno di una visione ancor più nobile.26 Di fatto, l'immaginazione è una percezione di percezioni, perché lo spirito immaginativo è l'orga no percettivo più comune, ed è inoltre il primo cor po dell'anima.27 Ma esso si cela dentro di noi e reg ge l'essere vivente come dall'alto di un'acropoli; tutt'intorno, la natura ha costruito l'intera attività della testa. L'udito e la vista non sono percezioni, ma strumenti al servizio del senso comune:28 è co me se fossero i custodi dell'essere vivente, cui è af fidato il compito di annunciare alla padrona i sensi bili che sono davanti alla porta e hanno bussato ai battenti degli organi percettori. Dunque il senso co mune, in tutte le sue parti, è il senso più perfetto: può ascoltare, vedere, compiere ogni altra attività grazie allo spirito; distribuisce le facoltà a ciascun organo, e ognuna di esse si protende al di fuori del1'essere vivente; sono come rette che si dipartono da un centro e in esso tornano a convergere: costitui scono un'unità rispetto alla loro origine comune, e 46
una moltitudine quando si allontanano dal centro. Ma la percezione che avviene per mezzo di organi protesi all'esterno ha natura tipicamente animale, e a dire il vero non è nemmeno una percezione fino al momento in cui raggiunge il senso primo; la perce zione immediata, che è contigu a all'anima, ha inve ce natura più divina.29 6. Se prestassimo fede alle percezioni fisiche perché sono una via di conoscenza (conosciamo al meglio, in effetti, quel che abbiamo visto), e disprezzassimo in vece l'immaginazione considerandola più fallace dei sensi, ci dimenticheremmo, a mio parere, che nem meno l'occhio mostra ogni cosa in modo esatto: a volte non mostra proprio nulla, a volte, addirittura, ci inganna a causa della natura di quel che vede o de gli stessi organi della vista. In base alla distanza, in fatti, le cose appaiono più grandi o più piccole: quel le sott'acqua, pure, risultano più grandi, mentre un remo può persino apparire spezzato. È l'occhio stes so, per la propria inadeguatezza, a ingannarci: un oc chio cisposo, per esempio, mostra oggetti confusi e indistinti. Se poi uno si trova ad avere una malattia allo spirito immaginativo, non può certo pretendere di vedere in modo chiaro e distinto. 47
È la filosofia occulta a svelare quali siano le ma lattie dello spirito, per quali ragioni l'occhio diven ga cisposo e si ispessisca, in che modo possa purifi carsi, tornare limpido e riprendere la propria natu ra: grazie a tali insegnamenti, una volta che i riti lo abbiano purificato, esso diviene un possesso di dio. Gli elementi estranei che si sono introdotti prima che lo spirito immaginativo accogliesse il dio scor rono fuori. E chi riesce a conservarlo puro, osser vando un regime di vita conforme alla natura, se ne può servire prontamente: in questo modo, torna a essere il senso più generale. Lo spirito, infatti, ri sente delle condizioni dell'anima e non è insensibi le come il nostro corpo, simile al guscio di un'ostri ca, che invece ne contrasta le migliori disposizioni. No, lo spirito è il veicolo primo e particolare del l'anima: quando essa compie il bene si fa leggero e diviene simile all'etere; se invece l'anima compie il male, si ispessisce e diviene simile alla terra.30 In somma, esso sta a metà tra la follia e la ragione, tra l'incorporeo e il corporeo: è il confine comune di entrambi. È grazie allo spirito che le cose divine so no in relazione con le infime realtà. Perciò è diffici le comprendere la sua natura attraverso la filosofia, perché esso prende a prestito da ciascuno dei due 48
estremi, come fossero dei vicini di casa, tutto quel che gli serve, ed è così che le immagini di elementi di per sé tanto lontani finiscono per apparire, grazie all'immaginazione, in un'unica natura. 7. La natura ha riversato l'immaginazione, nella sua interezza, su diverse categorie di esseri. Quando essa scende fino al livello dei viventi privi di intelletto, non è più veicolo di un'anima divina: viene invece trasportata dalle facoltà inferiori, e costituisce la ra gione stessa dell'animale, che grazie a lei pensa e agi sce per lo più in modo conveniente. Persino negli es seri irrazionali essa si purifica al punto da far pene trare in loro qualcosa di migliore. Grazie a una tale forma di vita esistono tutte le stirpi dei demoni; que ste ultime, nella totalità del loro essere, hanno la con sistenza di fantasmi e assumono le forme delle cose esistenti;3 1 nell'uomo, invece l'immaginazione opera di nonna da sola, oppure, spesso, insieme a un'altra facoltà. Noi non siamo in grado di concepire pensie ri senza l'aiuto dell'immaginazione, a meno che, in un istante, qualcuno non riesca a cogliere un'imma gine priva di materia. La capacità di spingersi oltre l'immaginazione è impresa non meno difficile che beata: è una fortuna se l'intelletto e la saggezza giun49
gono in tarda età, afferma Platone,32 riferendosi al pensiero privo di immaginazione. Infatti, la vita che si sviluppa dipende dall'immaginazione - o dall'in telletto che dell'immaginazione si serve. Questo spirito dell'anima, che i beati chiamarono anche anima spirituale,3 3 diviene dio, demone mul tiforme e fantasma; l'anima sconta in esso le proprie pene. Al riguardo, le voci degli oracoli sono concor di, e anche la filosofia, paragonando l'esistenza dd1'anima nell'aldilà alle immagini che ci appaiono in sogno, ne conclude che la prima vita - quella terre na - è una preparazione alla seconda: bisogna infat ti sapere che la migliore condizione dell'anima alleg gerisce lo spirito, mentre quella peggiore lo insozza. Dunque, per attrazione naturale, grazie al calore e alla secchezza esso sale in alto, e dà cosl ali ali'anima (ritengo che proprio a questo si riferisse Eraclito af fermando che «l'anima secca è saggia») ;34 oppure diviene spesso e umido, sprofonda nelle cavità della terra e, sospinto da un'inclinazione naturale, si ac quatta nelle regioni sotterranee - luogo particolar mente adatto agli spiriti umidi. Lì, esso conduce una vita infelice e gravata da pene; è però possibile che l'anima, purificata dal tempo, dalla fatica e da vite successive, riesca a risalire. Essa, infatti, conducen50
do una vita anfibia, compie per così dire un percor so duplice, e di volta in volta si unisce agli elementi peggiori e a quelli migliori.35 L'anima, durante la sua discesa, prende a prestito dalle sfere celesti l'immaginazione, e sale su di essa come fosse una navicella per unirsi poi all'universo corporeo. Intraprende questa sorta di lotta per tor nare in alto insieme all'immaginazione, o, almeno, per non restare in basso con essa; non è facile, ma è comunque possibile che l'anima l'abbandoni, se non è in grado di seguirla - sarebbe empio dubitarne, una volta che si conoscano i riti misterici. Del resto, la ri salita sarebbe davvero turpe se l'anima non restituis se ciò che non le appartiene, e lasciasse sulla terra quel che ha preso in prestito in alto. Questo potreb be forse essere concesso a qualcuno come dono ini ziatico e divino; ma la sua natura è tale che l'anima, una volta saldata allo spirito, o si muova in armonia con esso, o lo trascini o ne sia trascinata - in ogni ca so, devono restare uniti fino a quando l'anima sia tor nata al punto da cui è discesa. Cosi, gravato dal ma le, lo spirito trascina in basso l'anima che gli ha per messo di divenire pesante. Ed è proprio questo il de terrente di cui si servono gli oracoli per mettere in guardia il seme intellettuale che riposa dentro di noi:
Non chinarti in basso, verso il mondo dai riflessi [oscuri, sotto il quale si stende un abisso eternamente infido e [informe, tenebroso, sudicio, dissennato, che gode di vani [fantasmi.36
Come potrebbe l'intelletto trarre giovamento da una simile vita, stolida e folle? Solo ai fantasmi, per una certa consistenza dello spirito, conviene la re gione inferiore: il simile, infatti, ama il simile. 8. E se dall'unione tra intelletto e fantasma nasces se un'unità, l'intelletto annegherebbe nd piacere, e questa sarebbe senza dubbio la peggiore delle scia gure, ché non si avrebbe nemmeno la percezione dd male presente: questa è la tipica condizione di chi non prova neppure a risalire - come un tumore occulto, che non causa dolore e non induce a cer care una cura. Per questo motivo, dunque, il penti mento aiuta l'anima a devarsi: solo chi non soppor ta il proprio stato prova a escogitare una via di fu ga; la volontà svolge un ruolo fondamentale nella purificazione: è per suo tramite, infatti, che le azio ni e le parole hanno efficacia, mentre, se viene me no, l'intero rito purificatore risulta inefficace, in 52
quanto viene privato del suo principio basilare. È anche per questo che, sia nell'aldiquà sia nell'aldilà, le condanne concorrono in modo decisivo al man tenimento dell'ordine degli esseri: introducendo nell'anima il dolore, la liberano dalla gioia priva di discernimento. Quanto agli avvenimenti che gli uo mini chiamano inopportunamente «disgrazie», essi contribuiscono grandemente a eliminare la nostra inclinazione naturale verso le cose dell'aldiquà. Grazie ai rovesci di fortuna, la Provvidenza supre ma penetra in quanti hanno senno, mentre chi ne è privo tende, per le stesse ragioni, a dubitarne. Non è possibile, in effetti, che l'anima sia indotta ad ab bandonare la materia, se non incappa in qualche male terreno. Dobbiamo pensare, insomma, che le tanto celebrate fortune umane non siano altro che trappole tese alle anime dagli spiriti infernali. Altri sono liberi di affermare che alle anime si dà da be re il filtro della dimenticanza quando lasciano la vi ta terrena, ma la verità è che tale fùtro viene offerto loro quando entrano nella vita, ed è quello delle de lizie e delle dolcezze dell'aldiquà. Difatti, quando l'anima discende sulla terra come lavoratrice sala riata per portare a termine la sua prima vita, essa sceglie liberamente di divenire schiava; la legge di
Adrastea37 le imporrebbe di prestare un libero ser vizio alla natura del mondo, e lei invece, irretita dai doni della materia, finisce per subire una sorte in tutto simile a quella di uomini liberi, pagati per un tempo determinato, che si lascino ammaliare dalla bellezza di una schiava e accettino, pur di restare, di divenire schiavi del suo padrone. Così, quando noi godiamo, profondamente con vinti, di qualche piacere corporale ed esterno che ha tutta l'apparenza del bene, sembriamo darla vinta al la natura della materia e ammetterne la bellezza; questa riceve il nostro assenso come un contratto se greto, e se noi, affermando la nostra libertà, voglia mo andarcene, la materia sostiene che noi siamo fug giaschi, e in quanto tali tenta di ricondurci indietro, e si riappropria di noi come schiavi, e ci rilegge il contratto ad alta voce. È soprattutto allora che l'a nima ha bisogno di forza e dell'aiuto di dio: non è certo una lotta da poco invalidare il proprio con tratto, o, se è il caso, violarlo, perché i castighi della materia ai danni di chi tenta di opporsi alle sue leg gi agiscono persino contro il destino prestabilito. Tra di essi possiamo considerare anche le cosiddette fatiche che, secondo i sacri discorsi, Eracle dovette sopportare (Eracle e chiunque altro abbia tentato di 54
ricuperare con la forza la propria libertà) fino a quando non ebbe trasportato lo spirito là dove le mani della natura non potessero raggiungerlo.3 8 Se però ci si slancia all'interno dei confini della natura, si viene trascinati giù, e sono necessarie lotte più vio lente: la natura, infatti, non risparmia più i colpi, perché ci considera suoi nemici; e se infine si rinun cia alla risalita dell'anima, la natura richiede una pe na per il tentativo di fuga non riuscito: e impone vi te non più scelte dai due vasi che rappresentano le due parti della materia, secondo quanto Omero af ferma oscuramente, attraverso enigmi.3 9 - e Zeus, in quel passo, è per Omero il dio che governa la mate ria, il dispensatore dell'ambiguità del destino, colui che mai concede il bene senza mescolarlo al male, anche se ad alcuni ha dato il male senza mescolarlo al bene. Insomma, all'anima che dopo la prima di scesa non sia riuscita a risalire tocca trascorrere va gabondando tutte le vite successive. 9. Guarda dunque quanto grande è lo spazio in cui lo spirito è cittadino. Ho spiegato prima che, se l'a nima inclina verso il basso, lo spirito si appesantisce e sprofonda finché non approda a un territorio te nebroso e «dai riflessi oscuri»; se invece l'anima ri55
sale, lo spirito le tiene dietro fin dove può: fino a quando, cioè, giunge all'estremo opposto. Ascolta, a tal proposito, qud che dicono gli oracoli: Non abbandonerai al baratro gli avanzi della materia, anche per il simulacro c'è posto nd luogo circondato [dalla luce.4 0 Quest'ultimo luogo, appunto, si trova all'estremo opposto di quello «tenebroso». Con un po' di acu me si potrebbe spingersi oltre nell'interpretazione dell'oracolo: sembra infatti che l'anima non faccia risalire alle sfere soltanto la natura che lì ha origine - anzi, secondo gli oracoli essa porta in alto insieme alla parte migliore anche qud che nella sua discesa, prima di rivestirsi del corpo terroso, ha sottratto al i'aria e al fuoco e poi ha immesso nella natura dello spirito (il corpo divino, infatti, non potrebbe essere un avanzo della materia). E sarebbe sensato pensa re che gli elementi che condividono una medesima natura e fanno parte di un'unità non siano total mente privi di rdazioni reciproche, specie qudli che stanno vicini, proprio come il fuoco è adiacen te all'etere, a differenza della terra, che è invece il più remoto degli esseri. Così, se gli dementi miglio ri, abbassandosi al livello dei peggiori, si unissero a 56
loro traendone profitto, e portassero a compimento nel fango un corpo puro, come assimilato da ciò che prevale nel composto, forse anche gli elementi peg giori smetterebbero di opporre resistenza alle azio ni dell'anima: mansueti e docili, seguendola e of frendo senza contrasto la natura intermedia al co mando della natura superiore, potrebbero divenire vapore ed essere inviati in alto - forse non del tut to, ma almeno oltre il confine dei quattro elementi, e gustare la visione del luogo circondato dalla luce. Dice infatti l'oracolo che in quel luogo c'è posto an che per loro: questo significa che essi occupano un grado all'interno dell'etere. 41 10. Quanto alla parte dell'anima che deriva dagli elementi, basti quel che si è detto; si può crederci o meno. Nulla impedisce, invece, che lo spirito arri vato dall'alto si risollevi dalla caduta e salga insieme all'anima mentre quest'ultima si eleva, e si adatti poi alle sfere - si riversi, cioè, nella propria natura ori ginaria. Questi, insomma, sono i due confini estre mi: la zona «circondata dalla luce» e quella «tene brosa», che occupano i vertici della fortuna e della sfortuna. Ma quante credi che siano le zone inter medie sulla superficie del cosmo, in parte illumina'57
te e in parte oscure, sulle quali vive l'anima insieme allo spirito, mutando caratteri, aspetto ed esistenza? Una volta che sia ritornata alla propria originaria nobiltà, l'anima diviene uno scrigno di verità. È in fatti pura, trasparente e incontaminata; se lo vuole, può essere dea e profetessa. Se precipita, diviene oscura, indetenninata, menzognera; lo spirito, fat tosi caliginoso, non riesce a contenere l'attività de gli esseri. Se invece si trova a occupare una posizio ne intermedia, può fallire in alcuni casi e, in altri, cogliere nel segno. Si potrebbe anche riconoscere, in questo, una natura demonica di qualche rango. La capacità di dire la verità in modo assoluto - o quasi - è propria di un dio o di un'entità a lui assai vicina. L'inaffidabilità delle predizioni, al contrario, è caratteristica costante degli esseri che sguazzano nella materia e sono schiavi delle passioni e del1' ambizione. È così che la feccia dei demoni tenta sempre di sostituirsi a dio e a qualche demone im portante: con un balzo s'impossessa di un territorio destinato a una natura migliore; anche da questo potremmo scoprire il rango di un'anima incarnata in un corpo umano: chi abbia uno spirito immagi nativo puro e ben determinato, capace di ricevere tracce veridiche degli esseri durante la veglia e in 58
sogno, potrebbe ottenere la promessa di una sorte migliore per quanto riguarda lo stato dell'anima. Del resto, noi possiamo cercare di scoprire quale sia la disposizione dello spirito dell'anima anche dalle immagini che proietta e di cui si occupa quando non è eccitato da un altro agente esterno; la filoso fia ci fornisce i criteri adeguati, perché è necessario occuparsi di esso e prendersene cura in modo che non si smarrisca mai. Per farlo crescere nel modo migliore, dobbiamo servirci di tutta la nostra capa cità di applicazione, e far sì che la vita segua uno sviluppo, per quanto è possibile, intellettuale; si do vranno inoltre prevenire gli assalti di visioni bizzar re e improvvise. A tale fine, bisognerà rivolgersi al bene, evitando qualunque tipo di relazione con il male, limitandosi ai soli rapporti necessari. L'impul so intellettuale è il mezzo più sicuro contro quanti tentano di insidiare lo spirito, che grazie a esso vie ne assottigliato in maniera indicibile e innalzato ver so dio. E quando ha assunto le caratteristiche ne cessarie, grazie all'affinità che li lega, proprio un ta le impulso trascina lo spirito divino fino a farlo en trare in contatto con l'anima. Se invece si ispessisce, lo spirito può contrarsi e divenire troppo piccolo per colmare lo spazio assegnatogli dalla provviden59
za che ha plasmato l'uomo (mi riferisco alle cavità del cervello); in questo caso, poiché la natura non tollera il vuoto negli esseri viventi, vi si introduce uno spirito maligno. E quali sciagure non tocche ranno all'anima, trovandosi a convivere con un ma le così raccapricciante? La legge di natura impone che gli spazi creati per essere sede dello spirito ne siano pieni, sia esso buono o malvagio: il secondo è un castigo per gli empi che insudiciano il dio che abita in loro; quello buono, invece, è il fine stesso (o quanto di più vicino) della pietà religiosa. 1 1 . Abbiamo trattato in modo esaustivo della natu ra dell'immaginazione prima di dedicarci alla divi nazione attraverso i sogni, perché così gli uomini non la disprezzino e vi si dedichino invece con la consapevolezza dei vantaggi che essa può offrire. Dal discorso, tuttavia, non è emersa la sua utilità immediata: il frutto più prezioso di uno spirito sano è l'ascesa dell'anima, ed è un guadagno assoluta mente sacro; la ricerca di uno spirito capace di pre vedere il futuro è quindi un esercizio di pietà reli giosa. È per questo che già alcune persone, attratte dall'idea di conoscere in anticipo gli eventi, hanno sostituito cibi frugali e santi a tavole imbandite ol60
tre misura, e si sono accontentate di un letto puro e immacolato.42 Chi usa il proprio letto come usereb be il tripode di Pito,43 infatti, evita di rendere le proprie notti testimoni di intemperanze. Un uomo dd genere, anzi, si prostra davanti a dio e innalza a lui le proprie preghiere. Qud che si accumula poco a poco, alla fine risulta abbondante, e un'azione compiuta per altri scopi si realizza in qualcosa di più grande: può anche darsi che qualcuno, inse guendo inizialmente un fine affatto diverso, proce dendo si ritrovi, un giorno, ad amare dio e cerchi persino di unirsi a lui. Non bisogna, quindi, trascu rare l'arte divinatoria, perché conduce a dio e ha come conseguenza immediata il bene più stimato tra qudli che l'uomo è in grado di raggiungere. E l'utilità terrena ddl'anima congiunta a dio è tanto più grande in quanto è ritenuta degna del contatto con le entità superiori; inoltre non è indifferente al le sorti dei mortali - anzi, quando osserva dall'alto, essa vede qud che avviene sulla terra in modo assai più nitido di quando vi si trova in mezzo ed è me scolata agli dementi più bassi; è così che, restando immobile, essa offrirà ai viventi le immagini del di venire. Questo è il senso dd proverbio «scendere senza scendere»,44 che si dice di un superiore che si 61
prende cura dell'inferiore senza intrattenere con es so alcun rapporto. Mi sembra quindi giusto disporre dell'arte divi natoria e lasciarla in eredità ai miei figli; per entrar ne in possesso non è necessario prepararsi di tutto punto e. intraprendere un lungo viaggio o una navi gazione alla volta di un paese straniero, magari a Delfi o al tempio di Ammone;45 mi basta invece an dare a dormire dopo essermi lavato le mani e avere osservato il silenzio rituale: Ed ella, dopo essersi aspersa con acqua e dopo aver indossato vesti pure, pregava Atena.46
12. Pregheremo per avere un sogno come forse pre gò Omero. Se ne saremo degni, il dio lontano ci sa rà accanto anche senza aver compiuto ogni volta questi atti: basterà che siamo addormentati; ecco dunque tutto il cerimoniale del rito d'iniziazione, grazie al quale nessuno si è mai lamentato della pro pria povertà, pensando per questo di essere inferio re a un ricco. Alcune città scelgono gli ierofanti tra i cittadini più facoltosi - così fanno gli ateniesi per i trierarchi. Sono poi necessarie una spesa consi stente e altrettanta fortuna per procurarsi erba cre tese, la piuma di un uccello egiziano, un osso iberi62
co o, in nome di Zeus ! , qualunque altro oggetto prodigioso nasca o cresca nell'oscurità della terra o dd mare «e là dove il sole s'inabissa e risorge». 47 Questo e altro si dice di chi pratica la divinazione con strumenti esterni: ma quale privato cittadino potrebbe sostenere tali spese con le proprie risorse? Una visione notturna, invece, può averla qualunque cittadino, di prima o di seconda classe; così, anche il cittadino di terza classe, che per sopravvivere è costretto a lavorare un remoto fazzoletto di terra, e inoltre il rematore, il servo a ore, e pure gli stranie ri esentati dalle tasse e quelli che invece devono pa garle. Dio non fa differenza tra un Eteobutade e un Mane appena acquistato. 4 8 Il fatto che questa forma
di divinazione sia accessibile a tutti ne fa una bene fattrice dell'umanità; la sua semplicità e la sua natu
ralezza l'avvicinano alla filosofia; inoltre, essa è e stranea a ogni forma di violenza, e costituisce per ciò un modello di pietà religiosa; il fatto di trovarsi dappertutto e non soltanto in prossimità di acque, rupi o voragini è indice della sua estrema somi glianza con dio. Inoltre, la divinazione attraverso i sogni non impone di dedicarsi a un'unica attività e non costringe chi la pratica a perdere occasioni pro pizie - e questo meritava di essere detto già prima. 63
In effetti, nessuno abbandona l'attività a cui si sta dedicando per andarsene a casa a dormire e onora re l'appuntamento con un sogno. Ma il tempo che l'uomo deve necessariamente spendere per le esi genze della propria natura (poiché la condizione umana non ci permette di sostenere senza interru zioni tutte le attività della veglia) porta agli uomini quel che si definisce «il complemento più impor tante dell'opera stessa», e alla necessità aggiunge la possibilità di scegliere, mentre conferisce il benes sere all'esistenza. Per quanto riguarda le predizioni che avvengono per mezzo di strumenti diversi, bisogna acconten tarsi se lasciano un po' di spazio a tutti gli altri bi sogni e occupazioni, considerato che impegnano la maggior parte della vita. È ben difficile che chi svol ge qualche attività possa trarre vantaggio dalla divi nazione, perché non è possibile organizzare in ogni luogo e in ogni momento i preparativi per il rito, né avere a portata di mano tutti gli strumenti necessa ri. Per non parlare dei materiali di cui, oggigiorno, sono stipate le prigioni: ci vorrebbero carri o navi da carico per contenerli, e con essi anche tutto il re sto della cerimonia, verbalizzatoci e testimoni com presi. È la pura verità: nell'epoca in cui viviamo, 64
molti segreti sono stati rivdati attraverso i servitori delle leggi, che li hanno gettati in pasto al volgo profano e resi noti agli occhi e alle orecchie di tut ti.49 Insomma, piegarsi a pratiche dd genere non è soltanto un atto sciagurato, per come la vedo io, ma è anche odioso agli occhi di dio. In effetti, se non si attende la volontà di qualcuno ma si tenta di for zarla con urti e leve, si commette un atto di violen za - crimine che il legislatore non ha mai lasciato impunito, nemmeno tra gli uomini. Oltre a tutto questo, che è già abbastanza grave, può awenire che chi cerca di scoprire il futuro talvolta interrom pa le proprie attività e, se si reca in un paese stra niero, finisca per lasciarsi l'arte divinatoria alle spal le. Dd resto non è semplice, quando si va dapper tutto, portare con sé gli strumenti dd mestiere. Quanto alla divinazione per mezzo dei sogni, in vece, ciascuno ne è strumento in prima persona, tanto che, pur volendo, non è possibile abbandona re la sede dell'oracolo: se uno non si sposta, esso abita con lui; se si mette in viaggio, esso diviene suo compagno di strada, e inoltre amministra insieme a lui la città, condivide il lavoro dei campi e il com mercio. Nemmeno le leggi di uno stato malevolo potrebbero mai impedire questa forma di divina65
zione, perché non avrebbero alcuna prova a carico di chi la pratica. D'altronde, quale colpa potremmo mai commettere, dormendo? Persino un tiranno non potrebbe vietare i sogni ai suoi sudditi - no davvero ! -, a meno che non decidesse di bandire il sonno dal proprio dominio. Ma questo sarebbe il comportamento di un folle che pretende l'impos sibile, oppure di un empio, le cui leggi impongono ordini contrari alla natura e a dio. 13. Tutti, senza distinzione, possono ricorrere alla di vinazione attraverso i sogni: donne, uomini, vecchi, giovani, poveri, ricchi; il privato cittadino e il gover nante, l'uomo di città e quello di campagna, l'artigia no e l'oratore. Nessun sesso, nessuna età, sorte o pro fessione ne sono esclusi. È alla portata di tutti in qua lunque luogo, profetessa disponibile, consigliera buona e discreta. È allo stesso tempo iniziatrice e ini ziata, annuncia in anticipo il bene che sta per giun gere, così da rendere più lungo il nostro piacere nel pregustarne il godimento; ci avverte però anche del le sventure, perché possiamo difenderci e prepararci a respingerle. È appunto nei sogni che si trovano tut te le cose utili e belle offerte dalla speranza «che nu tre il genere umano»,50 insieme alla cautela e ai van66
taggi apportati dal timore: da loro soltanto - e da nessun altro - ci lasciamo persuadere a sperare così. E a dire il vero, la speranza svolge nella natura un ruolo tanto importante e salvifico che, secondo i fini sofisti, gli uomini non vorrebbero nemmeno vivere se dovessero tornare allo stato in cui si trovavano ori ginariamente; e addirittura rinuncerebbero alla vita a causa dei mali terribili da cui essa è circondata, se Prometeo non avesse riversato sulla loro natura le speranze - sola medicina che pennetta di resistere:5 1 sotto la loro guida, essi ritengono le proprie aspetta tive più affidabili di qud che hanno sotto gli occhi. La loro forza è tale che un uomo in ceppi, se per mette alla propria volontà di abbandonarsi alla spe ranza, non soltanto si ritrova libero, ma combatte, di venta su due piedi capo di mezzo reparto, poi dd re parto intero, più tardi comandante; e vince, compie sacrifici, è incoronato e fa imbandire, secondo le sue preferenze, una tavola sicula o persiana. E finché vuole essere comandante, è libero di dimenticare i ceppi da cui è stretto. Tutto questo è realtà per chi sogna, e sogno per chi è sveglio. I due fenomeni, infatti, hanno lo stes so fondamento: l'immaginazione. Quando noi desi deriamo creare delle immagini, questa offre un solo 67
vantaggio: addolcisce la nostra vita con la gioia, e, blandendo l'anima con speranze effimere, la risolle va dalla percezione dd dolore. Quando invece offre spontaneamente la speranza - cosa che avviene mentre dormiamo - la promessa che riceviamo in sogno è un pegno di dio. Perciò, chi si prepara a uti lizzare dei beni importanti che gli sono stati presen tati da un sogno, ottiene un duplice guadagno: per ché gode prima che la promessa si sia realizzata e anche dopo, quando può servirsene consapevol mente, avendo avuto tutto il tempo di riflettere su di essi, in quanto riguardavano la sua vita. Così, parlando di un uomo felice, Pindaro canta un inno alla speranza dicendo: «La dolce speranza, nutrice di uomini, alimentando il suo cuore lo accompagna - lei che, prima fra tutti, governa la mente inco stante dei mortali»,'2 e noi non possiamo credere che il poeta si riferisca alla speranza ingannevole che concepiamo durante la veglia. Ma tutto questo, in realtà, non è che un elogio intessuto da Pindaro a una piccola parte dei sogni. La divinazione attraverso i sogni rende più salda la speranza - e così la pratica stessa non sembra ap partenere al genere deteriore delle predizioni - a patto che i fenomeni siano esaminati conformemen68
te alle regole del mestiere. Secondo Omero, Penelo pe ipotizza l'esistenza di due porte dei sogni e con sidera ingannevole la metà di essi. Questo perché non era esperta dell'argomento: se infatti avesse co nosciuto l'arte di interpretarli, li avrebbe fatti pas sare tutti attraverso le porte dei sogni veritieri, quel le di corno. Nella descrizione di Omero, in realtà, Penelope viene smentita e merita di essere conside rata ignorante a proposito di quella stessa visione cui, a torto, non aveva dato credito: Le oche sono i pretendenti; l'aquila, invece, sono io. lo sono Ulisse.53
Ulisse era appunto sotto il suo stesso tetto, e pro prio a lui Penelope aveva parlato durante la visione. A parer mio, Omero afferma in questi versi che non è bene rifiutare i messaggi dei sogni, né attribuire alla natura delle visioni l'incapacità di chi le inter roga. Per la stessa ragione, Agamennone ha torto quando accusa i sogni di essere fallaci: è proprio lui, invece, ad aver interpretato erroneamente la predi zione della vittoria: [Zeus] ti ha ordinato di chiamare alle anni gli achei [dalle lunghe chiome. 69
Tutti, in massa; ora, infatti, potrai conquistare la città [dalle ampie contrade. E così egli avanza con l'idea di conquistare la città al primo assalto, perché non ha compreso il senso di qud «tutti, in massa», che significava in realtà «ar mare il contingente greco fino all'ultimo uomo»: mancavano infatti Achille e le truppe dei Mirmi doni, che si erano ritirati dalla battaglia ed erano, appunto, i più coraggiosi di tutto l'esercito ! 5 4 14. Ma abbiamo dogiato a sufficienza la divinazio ne, passiamo ad altro ! No, invece ! Manca poco che mi si possa accusare di ingratitudine ! E difatti ho parlato, poco
fa,
della sua capacità di accompa
gnarci durante i viaggi per nave e quando restiamo a casa; e inoltre di seguirci quando ci diamo al com mercio o alle battaglie - insomma, di realizzare qua lunque cosa insieme a chiunque -, ma ancora non ho dichiarato pubblicamente i benefici che io stes so ne ho tratto. Certamente, in nessuna attività i so gni forniscono agli uomini un aiuto più importante che nell'esercizio della filosofia: quando dormiamo, infatti, i sogni chiariscono completamente molti dei problemi che si presentano durante la veglia, oppu-
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re ci aiutano a trovarne le soluzioni. E così, ora ci sembra di interrogare, ora di riflettere e arrivare a trovare le soluzioni. Spesso, poi, i sogni mi hanno aiutato a comporre i miei scritti: hanno disposto la mia mente nd modo giusto, mi hanno aiutato a rendere più raffinato il mio stile, e inoltre mi hanno suggerito di cancdlare alcune parole e di introdurne altre al loro posto. Già in passato, quando il mio stile era lussureggiante e disseminato di vocaboli strani per il desiderio di imi tare la parlata attica antica, che ormai ci è estranea, i sogni mi hanno ammonito e ricondotto alla modera zione, biasimandone l'ampollosità.55 Tutto questo è avvenuto con l'aiuto di un dio, che ora mi ha dato suggerimenti, ora mi ha fornito spiegazioni, ora in vece ha fatto emergere alcune asperità, radicate nd mio stile, che dovevano essere appianate. Quand'ero a caccia, talvolta i sogni mi hanno aiu tato a escogitare espedienti per catturare gli animali più veloci e abili a nascondersi: una volta, quando già avevo rinunciato a continuare e stavo levando le tende, un sogno mi ordinò di perseverare, promet tendomi che in un giorno stabilito avrei avuto fortu na; così, confidando ndla promessa, dormii più vo lentieri all'aperto. Quando il giorno stabilito arrivò, 71
e insieme a lui si presentò la fortuna che mi era sta ta promessa, mi apparve una quantità enorme di sel vaggina, che catturammo con le reti o con le lance. Dunque, la mia vita è sempre stata consacrata ai li bri e alla caccia, con la sola eccezione del periodo in cui fui ambasciatore - oh, magari non avessi mai vis suto quei tre anni nefasti! Eppure, anche in quel frangente la divinazione mi fu spesso di grande aiu to. Vanificò infatti le trappole tese contro di me da maghi che evocavano le anime dei morti: non soltan to mi mostrò le loro insidie e mi salvò da tutte, ma mi aiutò ad amministrare gli affari pubblici, così da ot tenere il meglio per tutte le città; inoltre, in occasio ne del discorso che tenni all'imperatore, mi rese più ardito di qualunque greco mi abbia preceduto.56 Certo, ciascuno di noi ha le proprie preferenze a proposito delle forme di divinazione: ma l'oniro manzia aiuta tutti, è un demone buono per chiunque e trova sempre un mezzo per alleviare le preoccupa zioni che ci assalgono quando siamo svegli. È così, dunque, che l'anima riesce a mantenersi saggia una volta libera dal diluvio di sensazioni volgari che la travolgono con elementi estranei di ogni genere. Quando resta sola, l'anima può offrire a quanti si so no rivolti alla vita interiore le idee che ha in sé e tut72
to quanto riceve dall'intelletto, e trasmettere loro ciò che proviene da dio. Un dio del cosmo, infatti, entra in contatto con l'anima che si trovi in simili condi zioni, perché le loro nature hanno identica origine. 15. I sogni di questo genere hanno natura più divi na, sono completamente (o quasi completamente) perspicui, e in pratica non necessitano di essere in terpretati. Tuttavia, essi si manifestano soltanto a chi vive secondo virtù, che sia stata ottenuta con la sag gezza o si sia sviluppata per la purezza dei costumi. È difficile, ma non impossibile, che questi sogni pos sano apparire ad altri tipi di persone. In ogni caso, un sogno del genere più nobile non si manifesta per un motivo qualunque al primo venuto. L'altra categoria, più frequente e diffusa, è quella dei sogni enigmatici:57 proprio per interpretare questi ultimi è necessario disporre dell'arte divina toria. La loro genesi è, per cosi dire, strana e prodi giosa: essi, conformemente alla propria origine, si sviluppano in modo assai oscuro. Ecco come stan no le cose: da tutti gli esseri contenuti nella natura, da ciò che è, che è stato e che sarà (anche il futuro è una forma di esistenza), si staccano delle immagi ni che sfuggono via dalla loro sostanza. Se ciascun 73
essere sensibile è unione di forma e materia, e noi abbiamo scoperto in tale unione lo scorrere della materia, la ragione ne deduce che anche la natura delle immagini viene convogliata nella stessa cor rente. Pertanto, dal punto di vista della forma e del la sostanza, si dimostra che tutto quanto è soggetto al divenire rinuncia alla dignità dell'essere.58 L'im maginazione è uno specchio straordinariamente fe dele di tutte queste immagini che scorrono via. Mentre vagano disordinatamente e perdono la loro stabilità a causa dell'indeterminatezza del loro esse re e per il fatto che nessuna entità le riconosce, se per caso incontrano gli spiriti dell'anima (anch'essi fantasmi, pur avendo sede fissa nella natura uma na) , si appoggiano a loro, e lì si fermano, come in una propria dimora. Le immagini del passato sono perspicue perché gli avvenimenti trascorsi hanno già raggiunto l'at tività dell'essere; in seguito, tuttavia, divengono in consistenti, e con il passare del tempo si estinguo no. Le immagini delle cose presenti sono invece più vivide e chiare, perché esistono ancora; quelle del futuro sono più indistinte e disordinate: sono, cioè, come le prime ondate di qualcosa che ancora non è, germogli di una natura imperfetta, come enigmi che 74
zampillano ed erompono da semi nascosti. È questo il motivo per cui è necessaria un'arte che aiuti a co noscere il futuro: perché da esso procedono imma gini appena delineate, non certo figure ben distinte, come invece avviene dalle cose presenti. Nonostan te la loro natura, queste immagini sono straordina rie, poiché sussistono grazie a oggetti che ancora non sono. 16. Arrivati a questo punto, però, dobbiamo parlare dell'arte divinatoria e di come trarne beneficio. L'ide ale sarebbe aver predisposto il nostro spirito divino rendendolo degno di essere guidato dall'intelletto e da dio, evitando che divenga un serbatoio di imma gini informi. È la filosofia a fornire la preparazione adeguata, perché placa le passioni, che muovendosi disordinatamente invadono lo spirito come se fosse un territorio; è necessario anche un regime di vita mi surato e temperante, che non ecciti affatto l'animale che è in noi, né introduca disordine nel corpo carna le: il turbamento, infatti, potrebbe estendersi sino al lo spirito, che invece deve restare imperturbabile e saldo. Chiunque può facilmente augurarsi il raggiun gimento di un simile stato di tranquillità; ottenerlo è invece l'impresa più difficile di tutte. 7'5
Ora, poiché noi desideriamo che tutti possano ottenere qualche vantaggio dall'esperienza onirica, è giunto il momento di cercare un punto fermo an che in quest'ambito tanto incerto: dobbiamo cioè fondare una tecnica per interpretare le immagini che i sogni ci propongono. Ecco come possiamo fa re. Immaginiamo degli uomini che navighino sul mare: se incrociano uno scoglio e, una volta sbarca ti, scorgono una città, tutte le volte che vedranno il medesimo scoglio presumeranno di rivedere la stes sa città. Pensiamo poi ai generali di un esercito: noi non li vediamo, ma dalle avanguardie sappiamo che arriveranno, perché ali' apparire di queste essi si tro vano sempre nei paraggi. Nello stesso modo, dalle immagini oniriche noi possiamo ogni volta conget turare quel che sta per realizzarsi, perché anticipa no il futuro: identiche immagini precorrono eventi identici. Dunque, come è segno di inettitudine da parte di un pilota non riconoscere un medesimo scoglio quando lo avvista e non saper dire il nome della terra che la nave sta costeggiando, noi diremo che naviga alla cieca anche chi, dopo aver ricevuto più volte la stessa visione, non sia in grado di capi re quale passione, evento o azione essa gli stia pro fetizzando: costui, insomma, gestisce stupidamente 76
la propria esistenza come il pilota gestisce stupida mente la propria nave. Cosl, in uno stato di calma assoluta, noi siamo in grado di prevedere uno sconvolgimento delle con dizioni atmosferiche osservando un alone intorno alla luna, perché molto spesso abbiamo notato che è seguito da tempeste: Un solo alone preannuncia vento o bd tempo; se si rompe, preannuncia vento; se svanisce, bd tempo. Due aloni, invece, potrebbero avvolgere la luna e [portare la tempesta. Un alone che compie tre giri potrebbe portare una [tempesta più spaventosa, e ancora di più quando nereggia, e più spaventosa [ancora se si rompe.59 Stando ad Aristotde e alla ragione, è così in ogni cosa: dalla percezione nasce il ricordo, dal ricordo l'esperienza, e da quest'ultima l'arte. È in questo modo, insomma, che dobbiamo procedere per l'in terpretazione dei sogni. 17. Alcuni hanno accumulato ormai moltissimi libri sull'osservazione dei sogni; per quanto mi riguarda, mi fanno tutti ridere e li considero di scarsa utilità. No davvero: soltanto il corpo carnale (un composto 77
di quelli che comunemente si chiamano «elemen ti») può ammettere un'arte e una teoria generale conformi alla sua natura, perché esso, in genere, subisce le stesse affezioni dai medesimi agenti (c'è poca differenza reciproca tra oggetti simili), e ciò che è contro natura appare chiaramente come una malattia; non possiamo, però, considerare universa li tali criteri. Per lo spirito immaginativo, le cose stanno diversamente - già nella natura prima uno spirito differisce da un altro: uno appartiene a una sfera, un altro a un'altra, in base all'elemento che prevale nel suo impasto. 60 Certo, di gran lunga le più felici tra tutte le anime si riversano sulla terra dall'alto dei cieli; ma le più fortunate, cui tocca una sorte ineffabile, sono quelle che dal tuo splendore, sire, e dallo stesso Zeus sono state generate, secondo le trame di una [possente necessità. 61
Proprio a questo allude T1meo, parlando per oscu ri enigmi, nel passo di Platone in cui concede a cia scun'anima un astro consorte. 62 Ma le anime, allon tanatesi dalla propria natura per il desiderio di re stare presso la materia, chi più e chi meno, secondo il grado di sventura della loro inclinazione, hanno 78
insozzato lo spirito. In
tali condizioni,
quindi, esse
abitano i corpi, e la loro vita trascorre tutta nell'er rore e nella malattia dello spirito. Questo è contra rio alla natura 'dell'anima, se si considera la sua an tica nobiltà; per l'animale che è in noi, invece, è del tutto naturale, perché è ispirato da un essere che versa in condizioni identiche. Può anche darsi, pe rò, che la natura dello spirito sia il grado in cui esso stesso si pone praticando il vizio e la virtù. Nulla, in effetti, è più mutevole dello spirito. Ma allora come potrebbero le stesse visioni ma nifestarsi per cause identiche in creature che diffe riscono per natura, leggi e passioni? In realtà ciò non avviene, né potrebbe avvenire. È impossibile che l'acqua torbida e quella trasparente, quella im mobile e quella che scorre riflettano nello stesso modo una stessa forma. Se l'opacità dell'acqua va ria di luogo in luogo in base a sfumature del colore, e i suoi movimenti si differenziano secondo varie fi gurazioni, il solo elemento comune sarà l'errore nel riprodurre l'immagine. Se però qualcuno non è d'accordo, se una Femonoe, un Melampo o chiun que altro vorranno prendersi la briga di definire e classificare tutti questi fenomeni, allora sarà il caso di domandare loro se uno specchio dritto, uno cur79
vo e uno costituito da materiali differenti possano rendere un'identica immagine dell'oggetto rifles so. 63 Il fatto è che costoro, a mio parere, non hanno studiato la natura dello spirito. Eppure hanno la pretesa di considerare le sue caratteristiche - quali esse siano - come una regola e un principio univer sali. E io non metto in discussione il fatto che vi sia un principio di somiglianza anche tra oggetti dissi mili, ma quel che è oscuro, se lo si fa a pezzi cer cando di interpretarlo, diviene ancor più oscuro; e certo è malagevole riconoscere l'immagine di ciò che ancora deve verificarsi; risulta ancora più diffi cile cogliere in ciascun caso particolare qualcosa di simile all'immagine comune. 18. Per queste ragioni non si può ammettere l'esi stenza di leggi valide per tutti; ciascuno, quindi, ab bia se stesso come materia per l'arte divinatoria: im prima nella memoria quali fatti gli siano capitati, quando e in seguito a quale visione. Non è difficile acquisire competenza in qualcosa in cui ci siamo esercitati con utilità: perché l'utilità richiama alla memoria l'esercizio, specie quando c'è materiale in abbondanza - e cosa c'è di più abbondante, di più affascinante dei sogni? Persino gli stolti finiscono 80
per interessarsene, al punto che sarebbe davvero vergognoso se un uomo adulto, uscito dall'adole scenza dieci anni fa, dovesse rivolgersi a un indovi no e non avesse accumulato per conto proprio un'infinità di nozioni sulla tecnica divinatoria. In realtà, sarebbe proprio un segno di intelligen za trascrivere tutte le visioni e gli avvenimenti ca suali che si verificano in sogno e durante la veglia, a meno che gli usi della città non siano troppo gros solani per accettare una pratica tanto insolita. Poi, noi ci prenderemo la briga di unire alle cosiddette «efemeridi», cronache diurne, quelle che chiamere mo «epinittidi», ossia cronache notturne, e di farne un diario degli sviluppi di entrambe le nostre vite. Nelle parti precedenti del trattato, si è stabilita l'e sistenza di una forma di vita conforme all'immagi nazione, che è migliore o peggiore di quella reale in base alle condizioni di salute o malattia dello spiri to. Così, se non ci lasciassimo sfuggire niente dalla memoria, potremmo apportare un vantaggio all'os servazione dei sogni, che è l'elemento su cui si basa l'arte divinatoria; in ogni caso, onorare se stessi con la cronistoria della propria esistenza onirica e reale sarebbe un passatempo gradevole. Per chi, poi, vo glia dedicarsi all'arte della parola, non saprei trova81
re un soggetto più versatile e più adatto all'esercizio delle capacità oratorie. In effetti, il sofista di Lemno sostiene che le efemeridi siano ottime maestre di elocuzione, perché tengono conto anche degli avve nimenti di scarsa importanza: 64 bisogna infatti esse re in grado di trattare tutti gli argomenti, da quelli insulsi a quelli seri; perché, allora, non ritenere le epinittidi un soggetto degno dell'arte retorica? Chi unque è in grado di cogliere la difficoltà di adattare il discorso alle immagini oniriche, perché esse sepa rano ciò che in natura è unito e uniscono ciò che in natura è separato: e con il nostro racconto noi do vremmo mettere chi non ha avuto una visione nella condizione di farsene un'idea. 19. Ma non è certo semplice trasmettere ad altri un movimento particolare che si è verificato nella no stra anima. Quando, grazie all'intervento dell'im maginazione, le cose che esistono nella realtà ven gono cacciate fuori dall'essere e al loro posto ne so no introdotte altre che assolutamente non esistono (e nemmeno potrebbero esistere), che mezzi abbia mo per far comprendere qualcosa che è privo per sino di un nome a chi non ha mai concepito pensie ri simili? L'immaginazione non mostra queste im82
magini in abbondanza, né contemporaneamente, né l'una dopo l'altra, ma, semplicemente, segue il mo do in cui il sogno le contiene e le presenta. Essa può farci credere quel che vuole; è proprio di una reto rica perfetta riuscire a venirne a capo senza com mettere troppi errori. Perché l'immaginazione si prende gioco della nostra stessa intelligenza, e pro duce qualcosa che va oltre il pensiero. E certo noi non siamo insensibili di fronte a quel che vediamo: al contrario, lo approviamo con impeto e passione, oppure ce ne ritraiamo, disgustati; mentre dormia mo, i sortilegi che si accompagnano ai sogni ci as salgono senza darci tregua, e il piacere che provia mo in quei momenti è sublime al punto che nelle nostre anime penetrano odi e amori destinati a se guirci durante la vita reale. Perciò, se qualcuno ha intenzione di pronunciare parole che non siano pri ve di vita, e desidera invece realizzare lo scopo al quale tende il suo scritto - porre nell'animo del let tore gli stessi suoi pensieri e sensazioni - gli servi ranno parole vive e in movimento. Ecco, per esempio, che uno vince, cammina, si al za in volo - ed è l'immaginazione a contenere tutto questo: potrebbe, il linguaggio, ottenere lo stesso ri sultato? Immaginiamo ora un tale che sogni di dor83
mire e di sognare; dorme e gli pare di alzarsi, di scrollarsi di dosso il sonno mentre è ancora steso sul letto, e poi di riflettere sul sogno secondo quel che sa: bene, questo è un sogno, ma l'altro era un sogno doppio. Più tardi, però, nell'animo del sognatore nascono dei dubbi, ed egli crede di essere sveglio, di vedere immagini reali. Nasce quindi una violenta battaglia, ed egli sogna di lottare contro se stesso, di perdere e di svegliarsi, di rientrare in sé e di scopri re l'inganno. Gli Aloadi sono puniti per aver ammassato i monti della Tessaglia l'uno sull'altro, allo scopo di dar battaglia agli dèi; 6' al contrario, nessuna legge di Adrastea vieta a un uomo addormentato di alzar si in volo dalla terra, con risultati più felici di quel li di Icaro, di spingersi più in alto delle aquile, ben oltre le più remote sfere celesti, e poi contemplare la terra da lontano - oppure, nel caso in cui non sia visibile, riconoscerla per mezzo della luna. Si può anche discutere con le stelle e intrattenersi con gli invisibili dèi del cosmo. Quel che è difficile da e sprimere diviene semplice in sogno, gli dèi appaio no chiaramente, e non provano alcuna invidia nei nostri confronti. 66 E poco dopo . . . non abbiamo nemmeno bisogno di ritornare sulla terra, perché ci 84
siamo già ! In effetti, la soppressione degli intenne diari e l'annullamento delle coordinate temporali sono tipici dei sogni. Tra l'altro, il sognatore può dialogare con le pecore e considerare parole i loro belati, riuscendo così a comprendere i loro discorsi. Sarebbe così straordinariamente inaudita l'am piezza dei soggetti, se qualcuno osasse servirsene per comporre i propri discorsi. Per quanto mi riguarda, io sono convinto che le favole debbano proprio ai so gni l'estrema libertà del loro contenuto: in esse, in fatti, il pavone, la volpe, il mare parlano come esseri umani. Ma questo è davvero poco, in confronto alla completa autonomia delle visioni oniriche; tuttavia, sebbene le favole rappresentino solo una piccola par te dell'universo onirico, i sofisti amano particolar mente servirsene come esercizi preparatori alla reto rica vera e propria. E chi ha cominciato proprio con le favole a praticare l'arte della parola, dovrebbe sen z'altro considerare i sogni come un adeguato compi mento. A differenza di quel che succede con le favo le, però, con i sogni la lingua non si esercita inutil mente: anzi, si può persino divenire più saggi. 20. Chiunque abbia tempo libero e goda di una vi ta agiata dovrebbe dunque tenere un diario di quel 85
che gli accade quando è sveglio e quando sogna; spenda un poco del proprio tempo in questa occu pazione, e riflettendo su quanto ha scritto ne trarrà un guadagno eccezionale: entrerà in possesso del1'arte divinatoria, che ho già ampiamente lodato, della quale nessun bene è più utile. E davvero non si dovrebbe disprezzare, come complemento all' e sercizio di tali attività, la ricercatezza dello stile; un filosofo potrebbe considerarla uno svago utile ad al lentare la tensione, così come fanno gli sciti con i lo ro archi; a un retore, invece, la consiglieremo come coronamento delle sue declamazioni. In effetti, tro vo sconveniente che essi esercitino la loro abilità in sistendo ancora su Milziade, Cimone e altri perso naggi senza nome, e ancora sulle brighe politiche di ricchi e poveri; io stesso ho assistito in teatro a di spute di retori, anche anziani, su argomenti simili: l'uno e l'altro si fronteggiavano, e la filosofia confe riva loro un'apparenza indubbiamente veneranda le barbe di entrambi, a quel che sembrava, doveva no pesare parecchio -, ma l'aspetto solenne non ba stò a impedire che i due si insultassero e perdessero la testa per l'ira, né impedì che agitassero scompo stamente le braccia mentre pronunciavano discorsi interminabili su uomini che - io pensavo - doveva86
no essere loro congiunti; alcune persone, però, mi disillusero, spiegandomi che quei tali non soltanto non erano affatto congiunti dei due oratori, ma nemmeno erano esistiti ! E dove mai potrebbe darsi una costituzione simile, che conferisca a un ricco l'onore di uccidere il suo avversario politico? E dd resto, un novantenne che sfida un avversario su sog getti fittizi, a quale età intende rinviare discorsi che affrontino il tema della verità? 67 Mi pare che a co storo sia completamente sfuggito il senso profondo dd termine «esercizio», che significa «applicarsi se riamente in vista di un altro fine».68 Costoro consi derano lo studio prdiminare come il vero fine del-
1' arte, e si sono innamorati del percorso che devono
compiere, scambiandolo per il traguardo cui esso dovrebbe condurre; hanno trasformato l'esercizio in una gara, come se uno, dopo aver tirato qualche pugno a vuoto in palestra, avesse la pretesa di esse re proclamato vincitore dd pancrazio a Olimpia. 69 In realtà, gli uomini sono prigionieri di una tale aridità intellettuale e di una tale fiumana di parole che alcuni, addirittura, sono pedettamente in grado di parlare senza avere la minima idea di cosa dire. Dovrebbero, invece, approfittare delle vicende per sonali, come fecero Alceo e Archiloco, che impe87
gnarono ogni abilità nel racconto della propria vi ta.70 E
il tempo ha conservato il ricordo dei dolori
che patirono e delle gioie di cui godettero. Certo, loro non pronunciavano discorsi svuotati di senso, a differenza di questa nuova generazione di sofisti, le cui declamazioni si basano su temi raffazzonati e artificiosi. Costoro non hanno neppure messo la propria abilità a disposizione degli altri. Omero e Stesicoro, al contrario, per mezzo della loro poesia contribuirono ad accrescere la gloria della stirpe degli eroi; 71 e anche noi, oggi, abbiamo potuto trar re vantaggio dalla loro lode appassionata del valore. Eppure non si preoccuparono di loro stessi - tanto che, di loro, possiamo dire soltanto che furono abi
li
poeti. Pertanto, chi desidera che la propria fama
si diffonda tra i posteri, ed è ben consapevole di po ter scrivere opere immortali, segua fino in fondo la strada che, violando le regole, io ho tracciato qui. Abbia fiducia e si affidi al tempo: quando riceve in consegna qualcosa secondo la volontà di dio, è un valido custode.
Note
1 L'idea di trasmettere insegnamenti profondi mediandoli at traverso tematiche di minore impegno è certamente implici ta nella caratterizzazione di Socrate offerta dai Dialoghi di Platone; in particolare, sembra assai probabile che qui Sine sio alluda al seducente paragone che, nel Simposio, Alcibiade istituisce tra Socrate, i suoi discorsi, e i Sileni (2 15b-2 16e; 22 1 d-222b) ; senza dimenticare lo splendido inizio del Fedro. Che Sinesio fosse sensibile a una simile pedagogia è testimo niato, tra l'altro, dall'insistenza con cui, nel Dione, egli tocca l'argomento (cfr. anche D. Susanetti, Sinesio. I sogni, Bari 1 992, pp. 91-92 e N. Aujoulat, J. Lamoureux, Synésios de Cy rène. Tome W. Opuscules, I, Paris 2001, p. 268, nota 2). È in teressante osservare come Sinesio unisca qui tale argomento alla preoccupazione di mantenere le conquiste intellettuali dell'uomo al riparo da una diffusione sconsiderata: pochi so no gli eletti destinati ad avere parte del sapere filosofico, che ai suoi occhi appare come una vera e propria religione mi sterica, i cui segreti non possono e non devono essere divul gati (cfr. , nell'epistolario sinesiano, la lettera 143 ; e inoltre J. Bregman, op. cit. , pp. 17-40). 2 Il verso citato è di Esiodo, Le opere e i giorni, 42. Il riferi mento all'oscurità dei messaggi divini, su cui Sinesio tornerà anche più avanti, non deve stupire: la lingua degli dèi è ca ratterizzata da indeterminatezza e chiaroscuro, procede per metafore, simboli, e perifrasi immaginifiche (cfr. ora P. Cox Miller, Dreams in Late Antiquity: Studies in the lmagination o/ a Culture, Princeton 1994, pp. 72-73 ) . 89
3 Esiodo, Le opere e i giorni, 289. 4 Omero, Iliade, I, 70. Figlio di Testore, Calcante era l'indo vino che accompagnò la spedizione dei greci a Troia. Il ver so omerico, citazione pressoché «obbligata» per ogni autore che si occupasse di mantica, in età tardoantica divenne em blematico del sapere umano e delle possibilità di conoscenza del filosofo (sull'argomento si veda la bella analisi di A. Piz zone, Sinesio e la «sacra ancora» di Omero, Milano 2006, pp. 1 19-125). 5 Sinesio, che probabilmente cita a memoria, riporta qui con una lieve modifica Iliade, XIII, 355. 6 Iliade, XVIII, 234. Attraverso un'opportuna scelta di passi omerici, Sinesio conduce il lettore alle seguenti conclusioni: Zeus è il più vecchio degli dèi, e siccome il tempo accresce la conoscenza, è anche il più saggio; è però anche il più forte, dal momento che la forza degli dèi risiede proprio nell'intel letto, non nella prestanza fisica. 7 L'identificazione della divinità con l'intelletto, non ignota alla corrente aristotelizzante del platonismo medio, trova ampio riscontro in ambito neoplatonico (cfr. N. Aujoulat, Le Néo-Platonisme alexandrin. Hiéroclès d'Alexandrie, Leiden 1986, p. 54; Id., Synésios de Cyrène. Tome IV. . . , cit., p. 270, nota 8; D. Susanetti, op. cit. , p. 93 , n. 8; si veda inoltre P. Do nini, Le scuole, l'anima, l'impero, Torino 1982, pp. 106- 109). 8 L'idea che il cosmo sia un immenso libro, le cui parti sono come lettere dell'alfabeto, è ripresa direttamente da Plotino, (cfr. per esempio Enneadi, II, 3 , 7, dove le stelle sono viste come lettere mobili; e ancora III, 1 , 6). 9 Sinesio elenca qui alcune tipologie di divinazione induttiva (cfr. R Flacelière, Devins et oracles grecs, Paris 1961, pp. 1224) . A parte l'osservazione degli astri e dei loro moti, trovia mo un ampio riferimento all'analisi del comportamento de gli uccelli («omitoscopia»), certamente la forma divinatoria preferita dai greci, che comunque attribuivano grande im portanza anche allo studio delle interiora delle vittime sacri90
ficali («ieroscopia»). Il valore predittivo di eventi fortuiti («cledonomanzia»: spesso frasi di bambini ascoltate per ca so, starnuti, etc.) è testimoniato fin dall'età arcaica (per e sempio in Odissea, XVII, 54 1-550), e trova un singolare ri scontro nel celebre episodio della conversione di Sant' Ago stino (Confessioni, XIII, 12). IO Chiaro riferimento alla teurgia, pratica che mirava a entra re in contano con la natura e gli dèi interni al cosmo (cfr., sono, la nota 14) per mezzo di riti nei quali formule e ogget ti simbolici servivano ad attrarre, per analogia, la divinità o le energie desiderate. Sulla teurgia in età tardoantica si vedano almeno E.R Dodds, The Greeks and the lrrational, Berkeley Los Angeles-London 195 1 , pp. 283 -3 1 1 ; e N. Aujoulat, Le Néo-Platonisme . . . , cit., pp. 207-2 1 1 . Cfr., comunque, anche la nota successiva. 11 Come si è anticipato nelle note precedenti, in questo affa scinante capoverso Sinesio ripercorre una concezione già no ta ai pitagorici, testimoniata da un celebre passo di Platone (Timeo, 30b) e più tardi ripresa da stoici e neoplatonici, se condo cui l'universo sarebbe «un essere vivente dotato di ani ma e intelligenza». Elemento connettivo di tale entità è la sympnoia, la «cospirazione» o «respirazione all'unisono» di tutte le sue parti. Se dunque l'universo è un Tutto i cui ele menti costitutivi sono strettamente apparentati, respirano in sieme e insieme provano sensazioni, quel che avviene a una sua parte produrrà una qualche reazione in un'altra, in base a un principio noto come «simpatia universale». La conoscen za delle leggi che regolano tale principio non è, però, alla por tata di tutti: soltanto i sapienti, i maghi, sfruttando i rapporti di affinità che legano piante, pietre e animali al resto del co smo e agli dèi che in esso abitano, possono stabilire relazioni con questi ultimi o agire su di essi, piegandoli alla propria vo lontà. (Cfr. N. Aujoulat, Le Néo-Platonisme. . . , cit., p. 373 ; RT. Wallis, Neoplatonism, Bristol 1995 2 , pp. 70-7 1 e 106- 1 10; e inoltre E.R Dodds, The Greeks . . . , cit., pp. 291-295.) 91
1 2 Il richiamo all'esperienza pratica della lira (metafora della «simpatia universale» già in Plotino [cfr. Enneadi, II, 3, 7; m, 1 , 6] ) serve a Sinesio per chiarire meglio quanto ha appe na affermato: pizzicando una corda della lira, infatti, è possi bile ottenere la vibrazione di altre corde - non però le più vi cine, bensì quelle legate da rapporti di consonanza, secondo quanto espresso dai teorici antichi. I nomi delle corde della lira e le loro altezze sono illustrati, tra l'altro, da Niceforo Gregora, l'antico commentatore dd Libro dei sogni (pp. 1517 Pietrosanti). 1 3 Stando a Plutarco ( Vita di Marcello, XIV, 7), i l cdebre scienziato Archimede di Siracusa (287-2 12 a.C.) avrebbe scritto a lerone di Siracusa che con una data forza si sarebbe potuto sollevare un dato peso, aggiungendo che sarebbe sta to addirittura possibile spostare la Terra, se ne fosse esistita una seconda su cui potersi trasferire per portare a termine l' o perazione. È evidente che, in base a quanto ha spiegato fino ra, Sinesio non può accettare una simile teoria, secondo la quale sarebbe necessario trasferirsi ali'esterno di una realtà per agire su di essa: il saggio agisce sull'universo in quanto ne è parte, grazie cioè ai legami di simpatia e parentela appena chiariti. Una volta uscito dal cosmo e rescissi tutti i legami con esso, il sapiente resterebbe privo di qualunque capacità magica e divinatoria - aggiunge infatti Sinesio - e ogni sua conoscenza «cadrebbe a vuoto». !4 Omero, Iliade, XV, 106- 107: il soggetto della frase è Zeus. La differenza tra divinità encosmiche (interne al cosmo) e ipercosmiche (esterne a esso) è testimoniata anche dal neo platonico Sallustio (IV sec. d.C.) nd suo trattato Sugli dèi e sul mondo (VI, I, pp. 9-10 Rochefort). 1 5 Se si eccettua il breve regno di Giuliano l'Apostata (361363 d.C.), è possibile osservare come gli imperatori, da Co stantino in poi, abbiano emanato leggi sempre più severe contro le pratiche religiose pagane, comprendendo tra que ste anche alcune forme di divinazione. Teodosio I (379-395 92
d.C.), forse per influsso di sant' Ambrogio, aveva più volte confermato la condanna del paganesimo tra il 391 e il 3 92 at traverso i cosiddetti Decreti teodosiani, ordinando tra l'altro la chiusura del santuario di Apollo a Delfi nel 3 90, la distru zione del Serapeion di Alessandria nel 3 9 1 , vietando i giochi olimpici nel 393 e, nel 396, i Misteri Eleusini (cfr. anche J. Bregman, op. cit. , p. 18, nota 3 ; e l'eccellente disamina criti ca di Susanetti, op. cit. , pp. 107- 108). 1 6 Loxias (propriamente «obliquo») è detto Apollo, a causa dell'ambiguità dei suoi oracoli. 1 7 Durante la seconda guerra persiana, gli ateniesi ricevette ro dall'oracolo di Delfi un misterioso vaticinio: essi sarebbe ro scampati all'armata di Serse grazie a un muro di legno. Nella confusione generata dalle incomprensibili parole della Pizia, che avevano imbarazzato indovini e interpreti ufficiali, Temistocle invitò gli ateniesi a prepararsi a una battaglia na vale: proprio le navi - egli sostenne - erano il muro di legno cui l'oracolo si riferiva. La battaglia di Salamina (480 a.C.), in cui la flotta persiana fu distrutta da quella ateniese, confer mò l'esattezza della sua interpretazione. Il noto episodio è ri portato sia da Erodoto (VII, 141-143) , sia da Plutarco (Vtìa di Temistocle, X), la cui versione dei fatti è però improntata a un marcato razionalismo, e di Temistocle sembra cogliere la capacità di condizionare le emozioni della folla, più che le virtù mantiche. 18 Emerge a questo punto il Leitmotiv del trattato sinesiano: il sogno è forma di divinazione dotata di una dignità e di un'importanza preminenti rispetto a tutte le altre, in quanto attiene alla realtà più profonda dell'uomo, quella psichica. Se dunque sogno e anima sono inscindibili, dalla purezza e san tità della seconda dipenderà l'affidabilità del primo. Trat tando dei sogni, Sinesio conduce il lettore lungo i sentieri ta lora impervi della teoria neoplatonica dell'anima. Un percor so arduo, dunque, ma affascinante e soprattutto necessario per capire fino in fondo che l'ascesa dell'anima incarnata e 93
immersa negli abissi della materia è vitale ai fini della divina zione, e che allo stesso tempo proprio la divinazione può for nire all'uomo lo spunto decisivo per intraprendere la cura della propria anima. 1 9 Appare con chiarezza, qui, la ragione che lega strettamen te sogno e anima: l'anima contiene i principi («le immagini») del futuro («del divenire»), dunque li conosce. Sinesio ritiene di poter dimostrare l'assunto (di derivazione platonica [Par menide 132b]) ricorrendo impropriamente alla proporzione «intelletto : essere = anima : divenire», rivelatrice, secondo Christian Lacombrade, «delle manie numerologiche della sua epoca» (op. cit. , p. 152). 20 Ecco spiegato come il vivente possa cogliere (in sogno) le immagini del futuro contenute nell'anima: attraverso la phan tasia - termine dall'ampio spettro semantico, che l'italiano «immaginazione» può rendere solo in parte, come notava a suo tempo Lacombrade (op. cit. , p. 153 ) a proposito del fran cese «imagination». Sulla phantasia sinesiana resta fonda mentale N. Aujoulat, Les avatars de la phantasia dans le Traité des songes de Synésios de Cyrène, «KOINONIA» nn. 7 e 8, 1 983 e 1984, pp. 157-177 e 35-55. 21 Può apparire ovvio, in questo passo, il rimando ai vv. 22-25 della Teogonia di Esiodo, in cui il poeta narra di aver incon trato le Muse sul monte Elicona, e di aver ricevuto da loro in dono la sophia poetica. A sostegno di tale ipotesi deporrebbe ro anche le parole di Niceforo Gregora nel suo commento al passo (p. 25 Pietrosanti). Va però detto che non vi sono ele menti certi per stabilire se il racconto esiodeo costituisca la tra sposizione di un'esperienza onirica, o se invece rifletta una più complessa dialettica di dialogo interiore, uno stato di trance o, al contrario, riprenda un convenzionale motivo della tradizio ne. Nessun dubbio, invece, pone il prologo degli Aitia di Calli maco (fr. 2 Pfeiffer), in cui il raffinato poeta ellenistico descri ve una visita onirica delle Muse, che lo trasportano sull'Elico na (l'allusione a Esiodo è palese) per iniziarlo alla propria ar94
te. Difficile, se non impossibile, sforzarsi di chiarire oltre ogni dubbio a chi si riferisca qui Sinesio: le riprese del tema nella letteratura greca (e, attraverso l'associazione Esiodo/Callima co, in quella latina) sono troppe per consentire all'interprete di esprimersi con qualche certezza (per un commento esaustivo al passo esiodeo e per un indice delle sue riprese greco-latine, cfr. M.L. West, Hesiod, Theogony, edited with prolegomena and commentary, Oxford 1966, pp. 158- 160). 22 Presso i santuari di Asclepio si recavano, nell'antichità, ma lati di ogni sorta per ricevere un'apparizione onirica del dio, nella speranza di ottenere la guarigione. Costoro, attraverso la pratica dell'incubazione (una sorta di autoinduzione del so gno, che contemplava diversi riti preliminari), riuscivano spes so nel proprio intento. Risulta infatti che durante il sogno A sclepio, da buon medico, prescrivesse terapie, praticasse o perazioni chirurgiche ed eliminasse variamente le affezioni dei suoi pazienti. Alle cure oniriche di Asclepio ricorse, nel II se colo d.C., anche il retore Elio Aristide. A lungo egli tenne uno scrupoloso diario dei propri sogni e delle prescrizioni del dio, più tardi parzialmente confluito nei suoi Discorsi sacri. Sul l'argomento cfr. i saggi di Edelstein, Guidorizzi e Nicosia in G. Guidorizzi (a cura di), Il sogno in Grecia, Bari 1988, pp. 67-86; 87- 102; 173- 179; e inoltre R F1acelière, op. cit. , p. 36; E.R Dodds, Pagani e cristiani in un'epoca di angoscia, Firenze 1970, pp. 3 9-45; e P. Cox Miller, op. cit. , pp. 1 07-123. 23 In coda ali' elenco dei servizi «pratici» resi dai sogni ai dor mienti, Sinesio illustra il bene più importante che essi posso no offrire all'anima: il superamento dei vincoli della materia e la visione dell'Essere. Allontanatasi dalla propria origine al momento dell'incarnazione in un corpo e ottenebrata dalla materia che la imprigiona, l'anima erra, smarrita fino a di menticare da dove provenga (cfr. per esempio Plotino, En neadi, V, 1 , 1 ) ; durante l'attività onirica, tuttavia, essa può li berarsi dalla prigione corporea e attuare la propria ascesa fi no all'unione con l'Intelligibile. 95
Si tratta del frammento 1 18 degli Oracoli Caldaici, un'oscu ra raccolta di esametri tradizionalmente attribuita a Giuliano il Caldeo e/o a suo figlio, Giuliano il Teurgo, vissuti nel II sec. d.C. Per i neoplatonici tardi, da Porfirio a Damascio, la loro importanza fu immensa. Oggi ne restano scarsi frammenti, in genere citazioni da opere di neoplatonici o cristiani platoniz zanti (cfr. almeno R Majercik, The Chaldaean Oracles. Text, Translation and Commentaries, Leiden 1989, pp. 1 -5). 25 Si tratta del frammento 1 15, v. 8, degli Oracoli Caldaici, che elenca diversi tipi di divinazione, ciascuno dei quali è rifiutato in favore della teurgia (cfr. R Majercik, op. cit. , p. 182). 26 Nel trattato De divinatione per somnum, Aristotele appare fortemente scettico a proposito della facoltà predittiva dei sogni; egli, inoltre, nega che le visioni oniriche possano esse re inviate agli uomini dagli dèi: se così fosse - sostiene il filo sofo - essi le invierebbero ai migliori e più saggi, non certo a tutti indistintamente. Sembra pertanto probabile che Sinesio si riferisca qui, polemicamente, proprio allo Stagirita. T1 Il «primo corpo dell'anima» è lo spirito («pneuma») , di cui l'anima si riveste al momento della sua discesa; incarnando si, essa si rivestirà del «corpo secondo», quello carnale. 28 Allusione a Platone, Timeo, 70a. 29 In questo lungo excursus, Sinesio condensa le teorie ari stoteliche (probabilmente mediate da Alessandro di Afrodi sia) sul processo cognitivo; diffondendosi sulla sua comples sità e mettendo in luce la necessità dell'intervento di diversi intermediari, egli mira a chiarire, per contrasto, come invece la percezione onirica, priva di intermediari e per così dire in comunicazione diretta con l'anima, sia superiore (cfr. RT. Wallis, op. cit. , p. 50; D. Susanetti, op. cit. , pp. 1 19- 120; P. Remes, Neoplatonism, Stocksfield 2008, p. 102). ,o Abbiamo visto sopra (cfr. la nota 27) che l'anima, quando inizia la propria discesa, si riveste di un corpo spirituale com posto di etere; al momento dell'incarnazione, invece, essa vie ne avvolta da un corpo materiale, di carne, che i neoplatonici 24
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definiscono «terroso», ed è talora paragonato a una conchiglia (dr., qui, il «gUScio di un'ostrica»). Ne deriva quanto Sinesio ha appena affennato, cioè che il rivestimento muta secondo il comportamento dell'anima: se quest'ultima si comporta cor rettamente e si mantiene pura, esso torna ad assumere le ca ratteristiche sopracelesti; se invece compie il male, obbeden do agli istinti materiali, il rivestimento si assimila alla sozzura della materia (dr. inoltre D. Susanetti, op. cit. , p. 120). 3 1 I demoni, secondo una nota definizione platonica (Simposio, 202e), sono spiriti semidivini che costituiscono il tramite («me taxj») tra l'uomo e la divinità. La gerarchia, i ruoli e le funzio ni dei demoni erano comunque già presenti in embrione nella Teogonia di Esiodo, e furono oggetto di studio particolare in età ellenistica. In età tardoantica, praticamente chiunque - in dipendentemente dalla religione professata - ne accettava l'e sistenza e la funzione mediatrice, mantenendo l'idea, già pre sente in Plutarco (forse mutuata dal pensiero orientale), che esistessero demoni buoni e demoni malvagi. Quanto a Sinesio, si può dire che nei suoi scritti il termine daimiin sia impiegato quasi esclusivamente per indicare gli spiriti malvagi, opposito ri dell'azione provvidenziale degli dèi, in piena sintonia con la tradizione giudaico-cristiana (cfr. G. Soury, La démonologie de Plutarque, Paris 1942; F. Buffière, op. cit. , pp. 522-535; E.R Dodds, Pagani. . . , cit., pp. 37-38; S. Nicolosi, Il de Providentia di Sinesio di Cirene, Padova 1959, pp. 153-161; S. Vollen weider, Neuplatonische und christliche Theologie bei Synesios von Kyrene, Gottingen 1985, pp. 178- 183). } l Il testo di Sinesio presenta qui, a dire il vero, la semplice forma verbale phesi («egli dice»). Il passo, di fatto, contiene un'evidente citazione di Platone, Leggi, 653a. H Secondo Niceforo Gregora (p. 38 Pietrosanti), i «beati» cui allude Sinesio sarebbero gli scribi sacri egiziani; Susanetti, op. cit. , pp. 125-126, pensa invece a Porfirio e ai porfiriani. }4 Si tratta del frammento 22 B 1 18 Diels-Kranz di Eraclito di Efeso. Al fuoco, nel pensiero di Eraclito, era conferita par97
ticolare dignità: per questo egli afferma che l'anima «secca» è più saggia (dr. C. Diano, G. Serra [a cura di] , Eraclito, i /rammenti e le testimonianze, Milano 1980, pp. 157- 158). " Secondo Plotino, gli esseri umani e l'anima sono anfibi: partecipano cioè sia della vita dell'intelletto, sia di quella del corpo (dr. Enneadi, IV, 8, 4, 3 1 -35 e Il, 3 , 9, 30-3 1 ; e inoltre P. Remes, op. cii. , pp. 103 ss). 3 6 Oracoli Caldaici, fr. 163 , 1 -3 . Il frammento dell'oracolo qui riportato esorta, secondo l'interpretazione corrente, a non la sciarsi attrarre dal mondo materiale e dalle lusinghe della materia-abisso, in cui si potrebbe precipitare senza possibili tà di salvezza (dr. É. Des Places, Oracles chaldai"ques, avec un choix de commentai,es anciens, Paris 197 1 , p. 106; R Majer cik, op. cit. , p. 202). 37 Con l'espressione «legge di Adrastea» si intende la legge inevitabile del Destino, dunque la Necessità. Adrastea, figlia di Zeus e di Ananke è, propriamente, «colei alla quale non si sfugge», e nell'antichità era considerata anche l'inflessibile vendicatrice di ogni colpa; ella presiede all'ordine delle in carnazioni in Plotino, Enneadi, Ill, 2, 12, probabilmente per influsso di Platone, Fedro, 248c. 3 8 Sinesio interpreta qui le fatiche di Eracle come allegoria delle lotte dell'anima per affrancarsi dalla materia (cfr. anche Plotino, Enneadi, IV, 3 , 14; e inoltre D. Susanetti, op. cii. , p. 146; A. Pizzone, op. cit. , pp. 145- 146). 39 All'anima che si è lasciata traviare dalle lusinghe della ma teria sarà imposta una vita di terribili sofferenze, totalmente priva di bene. Per rendere l'idea di un simile destino, Sinesio rinvia il lettore al passo dell'Iliade (XXIV, 527-530) in cui Achille consola Priamo per la morte di Ettore. In tali versi, Achille si riferisce ai due orci dai quali Zeus dispensa il bene e il male agli uomini; Sinesio, conformemente alla prassi ese getica neoplatonica, vede nei due orci l'allegoria del duali smo della materia cui sono soggette le sorti umane - da una parte il successo e la felicità, dall'altra il dolore e le sofferen98
ze. Sull'argomento cfr. F. Buffière, op. cit. , pp. 553 -555; R Lamberton, Homer the Theologian, Berkeley-Los Angeles London 1986, pp. 220-22 1 ; e soprattutto l'esaustiva analisi tracciata da A. Pizzone, op. cit. , pp. 125- 149. Un'accessibile introduzione all'allegoresi antica si può leggere in F. Graf, I/ mito in Grecia, Bari 1987, pp. 141 ss. 40 Oracoli Caldaici, fr. 158. Il residuo della materia sarebbe qui lo spirito, veicolo dell'anima, equiparato da Sinesio a un fantasma (cfr. É. Des Places, op. cit. , p. 145; R. Majercik, op. cit. , pp. 201 ss.). 4 1 Prima di incarnarsi ed essere chiusa nel corpo, l'anima im mette, secondo Sinesio, delle particelle di fuoco e aria nel ]'«impasto» di cui lo spirito, ormai divenuto «fantasma», è composto; tali particelle sono legate a esso da relazioni di con tiguità, in quanto la natura dello spirito - l'etere - è assai vici na al fuoco e all'aria: una volta unitesi, le parti inferiori (aria e fuoco) potrebbero cedere al potere della natura superiore (l'e tere), obbedendole e assimilandosi a essa. Anche per i residui materiali - forse i resti delle passioni e delle immagini terrene? - potrebbe esserci dunque una possibilità di sopravvivenza ol tre la morte (sul «mistero» di questo capitolo e sulla sua in terpretazione, cfr. D. Susanetti, op. cit. , pp. 149- 152). 42 La purezza dell'anima e il suo distacco dalla materia, in fatti, possono essere ottenuti soltanto moderando gli appeti ti del ventre e ignorando quelli sessuali. È interessante osser vare che anche secondo Aristotele un'abbondante ingestione di cibo inibisce l'apparizione dei sogni (cfr. Cambiano e Re pici in G. Guidorizzi, op. cit. , pp. 125- 127). 43 Dal tripode di Pito (Delfi), la Pizia emetteva gli oracoli. 44 Proverbio di origine ignota. Con quest'ultima considera zione appare chiara la necessità dei capitoli precedenti: per poter fornire sogni veridici, l'anima deve risalire fino a ri congiungersi con dio; tale apparente lontananza dagli esseri viventi non la rende insensibile alle loro sorti, né le impedi sce di seguirne le vicende. Anzi, solo cosi essa può portare a 99
compimento la propria missione: offrire all'uomo le immagi ni del futuro senza abbassarsi al livello della materia. Tale concezione dell'anima è del tutto coerente con quanto affer mato da Plotino nel trattato Sulla discesa dell'anima (IV, 8 [in particolare, i capitoli 2-3 e 8] ; altri importanti paralleli in D. Susanetti, op. cit. , p. 158, nota 104). 4' Situato nel deserto libico, il santuario di Ammone era se de di un oracolo ancora attivo, benché in decadenza, dopo la morte di Giuliano l'Apostata (363 d.C.). 46 Omero, Odissea, IV, vv. 750-752 (leggermente modificati). «Ella» si riferisce a Penelope. 47 Omero, Odissea, I, 24. 48 Il paragrafo mira a chiarire come, a differenza di altre for me di divinazione, i sogni siano a disposizione di tutti, indi pendentemente dal ceto sociale di appartenenza, dalla stirpe, dal patrimonio e dallo status giuridico. Una simile idea con trasta in modo significativo con la convinzione, ben radicata nel pensiero antico, e testimoniata anche da Macrobio, che sogni di particolare importanza (e, soprattutto, sogni veritie ri) avessero in sovrani o personalità di spicco i destinatari privilegiati (cfr. per esempio Guidorizzi in G. Guidorizzi, op. cit. , p. XII e J. Le Goff, op. cit. , pp. 143 e 158- 161); per l'o pinione di Aristotele al riguardo, cfr., sopra, la nota 26. Spie ghiamo ora alcuni dei termini qui impiegati da Sinesio: «ie rofanti» erano i sacerdoti che presiedevano ai misteri eleusi ni, appartenenti alla stirpe degli Eumolpidi; «trierarchi» era no invece i comandanti delle triremi (navi da guerra), scelti tra i cittadini più ricchi: per legge, essi erano tenuti a pagare la costruzione e l'armamento delle imbarcazioni, e inoltre lo stipendio e il mantenimento dei soldati. Vi è poi un riferi mento alla riforma timocratica soloniana, che suddivideva i cittadini in base al reddito: al vertice della piramide erano i «pentacosiomedimni», «cittadini di prima classe», seguiti dai «cavalieri» o «triacosiomedimni», «cittadini di seconda clas se», e infine dagli «zeugiti»; una quarta classe, quella dei «te100
ti», comprendeva i nullatenenti. Gli stranieri di stirpe greca trasferitisi ad Atene (in genere per ragioni commerciali) era no chiamati «meteci»: essi, tra l'altro, erano tenuti al paga mento di una tassa annuale e al servizio militare, ma erano privi di diritti politici; dal punto di vista economico, comun que, potevano ottenere l' isotelia, beneficio che, in sostanza, li equiparava ai cittadini di diritto (cfr. almeno M. A. Levi, Pericle e la democrazia ateniese, Milano 1980, p. 220; R Fla celière, La vita quotidiana in Grecia nel secolo di Pericle, Mi lano 1983 , p. 64-69; C. Bearzot, I meteci di Lisia, «Nuova Se condaria» n. 18/3 , 2000, pp. 34-36). «Eteobutadi» erano i nobili discendenti di Bute, primo sacerdote di Atena Po liade, mentre «Mane» è un tipico nome di schiavo frigio, so vente impiegato dai comici antichi. 49 In seguito all'irrigidirsi delle norme contro il paganesimo, le prigioni ospitavano sempre più spesso gli indovini insieme ai loro strumenti: cfr., sopra, le note 1 e 15. 50 Sofocle, fr. 948 Radt (= 862 Nauck). 5 ! Adirato con il titano Prometeo, che aveva sottratto il fuo co agli dèi per donarlo agli uomini, Zeus, dopo averlo puni to, meditò vendetta contro il genere umano: ordinò a Efesto di plasmare dalla terra e dall'acqua una splendida donna, in seguito chiamata Pandora, cui Atena concesse l'abilità nei la vori femminili, Afrodite fascino e grazia, Ermes coraggio e astuzia. Zeus decise quindi di inviarla agli uomini come do no da parte degli dèi, e la fece condurre da Epimeteo, che la sposò nonostante l'opposizione di Prometeo, suo fratello. Solo allora si abbatté sugli uomini la rovina progettata da Zeus: Pandora sollevò il coperchio dell'orcio dei mali, che fuoriuscirono rovesciandosi sull'umanità e affliggendola per sempre. Sul fondo del vaso restò soltanto la speranza (cfr. Esiodo, Le opere e i giorni, 42- 104). 52 Pindaro, fr. 2 14 Maehler. 53 Sinesio fonde qui due diverse citazioni odissiache: XIX, 548 e IX, 19. La seconda serve a chiarire al lettore l'identità 101
di Ulisse. La prima, invece, appartiene alla conclusione di un discorso che Pendope tiene a Ulisse, giunto a Itaca sotto le mentite spoglie di un mendicante. Senza conoscere la reale identità dd proprio interlocutore, dunque, la donna gli narra un sogno angoscioso: venti oche che si nutrivano ndla sua ca sa vengono massacrate da un'aquila piombata su di esse al l'improvviso; l'aquila stessa, poi, appollaiatasi sul tetto ddla casa, spiega il significato ddla visione: «Le oche sono i pre tendenti; io, [Ulisse] , ero per te aquila anche prima, ma ora sono tornato come tuo legittimo sposo, e a tutti i pretendenti darò una morte ignobile» CXIX, 548-549). Pendope, tuttavia, rifiuta di credere alla premonizione, e motiva la propria diffi denza riferendosi all'ambiguità dei sogni, che possono essere veritieri o fallaci secondo che siano giunti agli uomini passan do per le porte d'avorio (menzognere) o per qudle di corno (veridiche). Sulle controverse interpretazioni antiche dd pas so omerico può essere utile consultare il «classico» articolo di Ano Amory, The Gates o/Horn and lvory, «Yale dassical Stu dies» n. 20, 1966, pp. 3-57; e inoltre P. Cox Miller, op. cit. , pp. 15-19; e A. Pizzone, op. cit. , pp. 151-167, che contiene anche un ampio aggiornamento bibliografico sull'argomento. 54 Con una seconda citazione omerica (questa volta tratta dall'Iliade, Il, 28-29), Sinesio puntualizza nuovamente che l'inettitudine dell'interprete non deve oscurare il reale valo re predittivo dd sogno, e rimprovera ad Agamennone di non averne saputo interpretare correttamente il veicolo linguisti co. All'Atride, infatti, un sogno cattivo («oulos 6neiros») in viato da Zeus aveva spiegato che Troia sarebbe stata subito espugnata se lui avesse armato gli Achei pansydiei: avverbio, quest'ultimo, che può effettivamente significare «subito», «in tutta fretta», come appunto Agamennone crede, ma an che «tutti in massa», «al completo». La colpa di Agamen none, dunque, consiste nd non aver compreso che pansydiei indicava proprio il contingente greco «fino all'ultimo uo mo», compresi, cioè, Achille e i Mirmidoni, che si erano riti102
rati dalla battaglia in seguito alla contesa narrata nd canto I. Il sogno, perciò, non potrà essere definito «menzognero», ma, al limite, «ambiguo». Come nd caso precedente, anche qui Sinesio tocca un problema di interpretatio homerica lar gamente dibattuto dagli eruditi antichi (dr. A. Pizzone, op. cit. , pp. 167- 178 e F. Buffière, op. cit. , p. 554). 55 Forti ddl'insegnamento dei sofisti e di Isocrate, le scuole di retorica di età dlenistica e imperiale proponevano agli stu denti lo studio di moddli da imitare; da Dionigi di Alicar nasso in poi, divenne sempre più attiva e vincolante l'imita zione serrata dei grandi oratori attici dd IV secolo. Tale uso, specie negli autori ddla Seconda Sofistica, fuù per assumere le caratteristiche di una vera e propria moda, tesa al recupero di espressioni, morfologia e sintassi dd dialetto attico assai lontane dalla parlata contemporanea; la ricerca di espressioni preziose e peregrine, totalmente avulse dalla realtà linguistica contemporanea, raggiunse talora livdli di vera e propria os sessione (dr. H.I. Marrou, Storia dell'educazione nell'antichi tà, Roma 1950, pp. 273 -274; B.P. Réardon, Courantr littérai rer grecr der II et III riècler aprèr ]. C. , Paris 197 1 , pp. 64-96). 5 6 La vita di Sinesio, tipica di un gentiluomo di campagna dd1'età tardoantica, fu effettivamente segnata da due fondamen tali passioni: da un lato lo studio, la «conversione» alla filoso fia e la dedizione alla letteratura greca; dall'altro, la caccia, at tività cui dedicò i perduti Cynegetica, e che a quanto pare egli praticava alla maniera degli antichi, senza l'impiego di uccd li da preda. La sua tranquilla esistenza subì, tra il 399 e il 402 d.C., un grave sconvolgimento: in qud periodo, infatti, egli fu inviato a Costantinopoli a capo di un'ambasceria ddle città ddla Pentapoli per offrire l'aurum coronarium all'imperatore Arcadio e per ottenere da lui un sostanziale sgravio ddla pres sione fiscale sulle città stesse. Fu durante tale ambasceria che Sinesio tenne una lunga allocuzione all'imperatore, a noi no ta con il titolo De regno («Pen' barileiar»). Qud che risulta sorprendente alla lettura di questo testo, moddlato in appa103
renza sulla falsariga di uno speculum principis, è la franchezza a tratti temeraria con cui l'autore si rivolge ad Arcadio, di scutendone l'operato e non di rado rimproverandone aperta mente la condona. Difficile dire se, come qui Sinesio afferma, sia stato davvero un sogno a fornirgli il coraggio per apostro fare con tanta severità l'imperatore, specie in considerazione della sua non esattamente specchiata esperienza politica. Sull'argomento abbondano le congetture, e non è improbabi le che il discorso, una volta pronunciato, sia stato oggetto di una significativa rielaborazione da parte di Sinesio stesso; tut tavia, considerando la scarsità di elementi positivi a nostra disposizione, converrà evitare di spingersi troppo oltre, am mettendo piuttosto, sulla scia di N. Aujoulat, l'esistenza di un «mystère SynésioD> destinato a restare ancora a lungo insolu to (cfr. J. Bregman, op. cit. , pp. 18 ss.; D. Roques, Synésios de Cyrène et la Cyrénaique du Bas-Empire, Paris 1987; e inoltre A. Cameron, J. Long, L. Sherry, Barbarians and Politics at the Court o/ Arcadius, Berkeley-Los Angeles-Oxford 1993 ; N. Aujoulat, J. Lamoureux, Sinésios de Cyrène. Tome V Opuscu les, II, Paris 2008, pp. 1 -48). n La distinzione tra tipologie oniriche operata da Sinesio (sogni perspicui e sogni di natura enigmatica) è tradizionale: essa è ben attestata, tra l'altro, in Arternidoro di Daldi (II sec. d.C.; cfr. Oneirocritica, I, 2). Anche nella Bibbia, comunque, il discrimine tra «visione chiara» e «sogno da interpretare» appare in genere ben marcato (cfr. per esempio J. Le Goff, op. cit. , p. 143 ) . 5 8 Qui Sinesio richiama, e associa i n modo singolare, diverse dottrine filosofiche. Anzitutto egli riprende una concezione gnoseologica di matrice chiaramente democritea ed epicurea: dagli oggetti sensibili si staccano degli eidola («simulacri» o «immagini») che attraverso i nostri organi sensoriali si impri mono nell'anima generando la conoscenza (cfr. Epicuro, Let tera a Erodoto, 46-5 1 ) . Quanto agli oggetti sensibili in sé, Sine sio segue la nota teoria aristotelica che vede in essi un'unione 104
(«sinolo») cli materia e fonna: essi, pertanto, partecipano dd la corruzione cui la materia è soggetta; è per questo che, in quanto corruttibili, pur partecipando ddl'essere non arrivano a condividerne la «dignità» e l'incorruttibilità, ma pennango no instabili e soggetti al continuo fluire ddla materia - tema, quest'ultimo, già presente nd pensiero cli Eraclito cli Efeso e successivamente rivisitato da Platone e dai neoplatonici (cfr. anche D. Susanetti, op. cit. , pp. 172-173). 19 Citazione dai Fenomeni (w. 813-817), poema didascalico in esametri composto dal poeta Arato cli Soli (ill sec. a.C.). Ar gomento ddl'opera sono l'astronomia e i fenomeni atmosferi ci - materia in cui pare che il poeta non fosse particolannente versato, se dobbiamo credere a Cicerone, che lo definisce ho mo ignarus astrologiae (De oratore, I, 69; cfr. anche De republi ca, I, 22); ciò non impedì al poema cli godere cli un'inaudita fortuna ndl'antichità greco-latina (fonte inesauribile cli ispira zione ancora in età tarda, i Fenomeni sono citati persino da Paolo nd suo discorso areopagitico [Atti degli Apostoli, 17, 28-29)), soprattutto in virtù ddla sua estrema raffinatezza for male, che suscitò tra l'altro le lodi cli Callimaco. 60 Il sapere tecnico degli interpreti cli sogni, trasmesso dap prima per via orale, a partire dal V sec. a.C. cominciò a esse re trascritto in appositi testi, la cui abbondanza è oscurata, oggi, dalla loro perdita quasi completa (i frammenti si pos sono leggere in D. Dd Como, Graecorum de re onirocritica scriptorum re/iquiae, Milano-Varese 1969). Sinesio punta il dito contro l'inutilità cli una simile letteratura critica spiegan do le proprie ragioni: i testi che trattano cli interpretazione dei sogni pretendono di irrigidire il rapporto tra i simboli ddla visione e il loro significato all'interno cli una ristretta griglia cli corrispondenze universalmente valide. Ciò - affer ma Sinesio - potrebbe forse essere sensato a proposito di og getti materiali, che subiscono sempre le stesse affezioni a opera cli agenti identici: il sogno, però, non è un prodotto ddla materia, ma ddlo spirito immaginativo in cooperazione 10'.5
con l'anima; e se diverse anime sono accoppiate a spiriti di versi l'uno dall'altro, è evidente che nessuna regola universa
le, nessuna generalizzazione sarà ammissibile per spiegare il significato dei sogni. Non sembra impossibile individuare il bersaglio polemico di Sinesio in Artemidoro di Daldi. Que sti, infatti, nd prologo degli Oneirocritica, aveva scritto: «Per quanto mi riguarda, non c'è un libro sull'interpretazione dei sogni che non sia in mio possesso» (36 ss.), affermazione ca tegoricamente rovesciata da Sinesio nell'incipit dd capitolo. 6 1 Oracoli Caldaici, fr. 2 18; il frammento, probabilmente non caldaico (É. Des Places, op. cit. , p. 35, lo considera orfico), cdebrerebbe le sorti degli detti (forse i teurgi) . 62 Cfr. Platone, Timeo, 4 ld-e. 6' Sinesio ribadisce l'impossibilità di stabilire regole univer sali per l'interpretazione dei sogni, questa volta basandosi su dati empirici: la capacità dell'acqua di riflettere un'immagi ne. Punto di partenza implicito dell'argomentazione è il mec canismo della produzione dei sogni enunciato al capitolo 4: l'anima contiene le immagini dd futuro, che proietta sull'im maginazione come se fosse uno specchio, e di lì esse giungo no ai sensi. Seguiamo ora il discorso di Sinesio: è impossibi le che acque diverse per limpidezza e stato rendano un iden tico riflesso di una medesima forma; in comune, esse avran no soltanto l'errore, l'inevitabile imprecisione dd riflesso, mentre le ragioni di tale errore e la sua tipologia, varieranno secondo la natura di ciascuna acqua (stagnante, corrente, torbida, limpida, etc.); allo stesso modo, nei sogni, ciascuno spirito immaginativo, ciascuna immaginazione deformerà in qualche modo, secondo le caratteristiche della propria natu ra, l'immagine proiettata dall'anima. Nessun manuale di oni rocritica, insomma, potrà presumere di fornire un'unica chiave interpretativa valida, nemmeno se a proporla fossero la prima profetessa di Delfi, Femonoe, figlia di Apollo, o il mitico indovino Melampo. 64 Sinesio allude qui al cosiddetto «secondo» Filostrato (II. 106
m sec. d.C.), che nelle Vite dei sofisti (II, 9,1) aveva definito «efemeridi» i famosi Discorsi sacri del retore Elio Aristide, puntualizzando come proprio le efemeridi potessero essere «ottime maestre di elocuzione su qualunque soggetto», frase che Sinesio riprende pressoché alla lettera. 65 I giganti Oto ed Efìalte erano figli di Aloeo e di Ifimedia. Ali'età di nove anni decisero di muovere guerra agli dèi, e per raggiungere il cielo posero il monte Ossa sopra l'Olimpo, e il Pdio sopra l'Ossa. Morirono grazie a un'astuzia di Artemide, che, tramutatasi in cerva, si frappose tra i due: essi, cercando di colpirla, si trafissero a vicenda. Secondo Omero (Odissea, Xl, 3 17-320), Oto ed Efìalte furono invece uccisi da Apollo. 66 Secondo una concezione fatalistica, tipica del pensiero ar caico e attestata in nuce già in Omero, l'eccessiva fortuna de gli uomini attira l'invidia degli dèi (phth6nos theon), le cui conseguenze consistono in un tragico quanto inatteso rove sciamento della sorte. L'idea di una divinità «invidiosa» dei successi dell'uomo, ben presente a Pindaro e a Eschilo, tro va espressione compiuta nel pensiero di Erodoto, da cui e merge la visione di un'umanità impotente, insicura e costan temente in balia dell'azione perturbatrice degli dèi. Sull'ar gomento restano fondamentali le osservazioni di R Dodds, The Greeks . . . , cit., pp. 28-63 . 67 Christian Lacombrade (op. cit. , pp. 75-76, nota 17) ritiene, sulla base del commento di Niceforo Gregora a questo pas so (p. 105 Pietrosanti), che la figura del decrepito campione di retorica cdi una malevola allusione al retore Libanio di Antiochia (3 14-393 d.C.), maestro, tra l'altro, di Giovanni Crisostomo, Basilio di Cesarea e Gregorio di Nazianzo. Con vinto sostenitore del primato culturale ellenico, Libanio tro vò nell'imperatore Giuliano l'Apostata un allievo ideale e il più strenuo difensore del passato greco e delle sue istituzio ni; a lui dedicò due orazioni, la Monodia e l'Epita/io (Discorsi XVII e XVIII). All'interno del considerevole corpus delle o pere di Libanio a noi giunte, in effetti, non mancano esempi 107
di esercitazioni retoriche (melétai) del tipo stigmatizzato da Sinesio, e la sua produzione letteraria, nel complesso, non mostra una particolare profondità di pensiero o di cono scenze filosofiche. 68 Il lungo passo contiene, come già evidenziato ndla nota precedente, una polemica contro gli eccessi ddla retorica tar doantica. Al centro ddle proprie critiche, Sinesio pone la de cadenza ddl' arte oratoria, ridottasi ormai a puro accumulo di virtuosismi tecnici, priva di qualunque impegno morale e in tdlettuale, completamente distaccata dalla realtà e ripetitiva all'eccesso. I classici esercizi in voga ndle scuole di retorica vengono quindi passati in rassegna attraverso una ricostru zione vivida - ma anche impietosa - ddle per/ormances cui si poteva assistere in età tardoantica: la mimica, l'emissione del la voce e la gestualità («cheironomia»), che qui contribuisco no a rendere penosa e paradossale l'immagine dei «filosofi» dalle lunghe barbe; poi stravaganti e inverosimili processi fit tizi - basati su leggi assurde, create ad hoc allo scopo di abi tuare il discente ai casi più difficili - divenuti, nel tempo, il fi ne ultimo ddl' arte, banco di prova dei più sfrenati e pirotec nici virtuosismi dialettici; e inoltre i discorsi deliberativi, che mettevano in scena, con ripetitività quasi ossessiva, triti sog getti desunti dalla mitologia o dalla storia (cfr. H.I. Marrou, Storia dell'educazione. . . , cit., pp. 265-278; B.P. Réardon, op. cit. , pp. 99- 1 14). 69 Il pancrazio era una specialità atletica che combinava le tecniche ddla lotta e del pugilato a mani nude. Sport parti colarmente efferato, che si praticava senza esclusione di col pi, il pancrazio fu ammesso ai giochi olimpici per la prima volta nel 648 a.C. 10 Alceo di Mitilene (VII-VI sec. a.C.), rappresentante di spicco della lirica monodica arcaica, fu a lungo idealizzato come strenuo oppositore del potere tirannico; di fatto, la sua poesia è strettamente legata alle lotte per il potere ndl'isola di Lesbo tra il VII e il VI secolo a.C. - lotte di cui Alceo fu 108
protagonista attivo, insieme alla consorteria politica di cui era membro e che celebrò nei suoi canti. Archiloco di Paro (VII sec. a.C.), singolare figu ra di poeta-soldato, autore di giambi e di elegie (ma anche di tetrametri trocaici e versi in altri metri), è tradizionalmente considerato lo scopritore del !' «io» lirico moderno - al rigu ardo, comunque, le posizioni degli studiosi sono tutt'altro che univoche, e l'intricata que stione è, in realtà, ancora ampiamente dibattuta. Poeta dalla personalità complessa, fortemente critico rispetto all'etica eroica, Archiloco rende i propri versi testimoni di una vita intensa, anticonformista, segnata spesso da passioni violente, amare delusioni, collere improvvise. 7 1 Stesicoro (VII-VI sec. a.C.) è autore di carmi narrativi in versi lirici, talora particolarmente estesi ( « . . . sostiene sulla lira il peso della poesia epica» scrisse di lui Quintiliano [lnstitutio Oratoria, X, 62] ) , in cui sono ripresi i grandi temi dei cicli epi ci. Nella seconda metà del XX secolo, due importanti ritrova menti papiracei hanno ampliato la nostra conoscenza della sua produzione letteraria, limitata fino ad allora a pochi frammen ti. Secondo una tradizione riportata nel Fedro platonico (243 a), gli dèi avrebbero privato Stesicoro della vista per aver diffamato Elena nei suoi carmi; per riacquistarla, il poeta a vrebbe ritrattato tutte le precedenti affermazioni in una Pali nodia («ricantamento») appositamente composta.
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Riferimenti bibliografici
Amory, A., The Gates o/Horn and Ivory, «Yale Oas sical Studies» n. 20, 1966, pp. 3-57. Aujoulat, N., Les avatars de la phantasia dans le Traité des songes de Synésios de Cyrène, «KOINONIA» nn. 7 e 8, 1983 e 1984, pp. 157-177 e 35-55. Le Néo-platonisme alexandrin. Hiéroclès d'Alexan drie, E. J. Brill, Leiden 1986. Aujoulat, N., Lamoureux, J. (a cura di), Synesios de Cyrène. Tome W. Opuscules, I, Les Belles Lettres,
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1 16
Indice
Introduzione
5
Note
27
Nota dd curatore
29
Il libro dei sogni
33
Note
89
Riferimenti bibliografici
111