Il falsobordone fra tradizione orale e tradizione scritta 8870961249, 9788870961249

Il volume indaga le relazioni che intercorrono fra un repertorio dell’odierna tradizione orale, i canti polivocali della

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Italian Pages 365 [366] Year 1995

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Il falsobordone fra tradizione orale e tradizione scritta
 8870961249, 9788870961249

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IGNAZIO MACCHIARELLA

Il falsobordone fra tradizione orale e tradizione scritta

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Libreria Musicale Italiana

IGNAZIO MACCHIARELL7X

IL FALSOBORDONE

FRA TRADIZIONE ORALE E TRADIZIONE SCRITTA

Libreria Musicale Italiana

ALIA MUSICA, 2

Collana della Cattedra di Etnomusicologia,

Dipartimento di Musica e Spettacolo, Università degli Studi di Bologna,

diretta da Roberto Leydi

Questo volume esce con il contributo del CNR -

Consiglio Nazionale delle Ricerche

© LIBRERIA MUSICALE ITALIANA EDITRICE via di Arsina, 296/f I-551OO Lucca

tei. (0583) 39 44 64 Realizzazione Grafico-editoriale:

Ultreya srl via San Gerolamo Emiliani, 1 1-20135 Milano

Copertina: Marco Riccucci

Distribuzione in Italia: PDE

In copertina-. LUDOVIO VIADANA, Officium defunctorum [...] quatuor paribus vocibus decantandum, Giacomo Vincenti, Venezia 1600, Cantus, p. 20.

INDICE

Elenco degli esempi musicali

VII

XVII

Prefazione

Introduzione ‘Musica colta’ e ‘musica popolare’? Oralità e scrittura in musica 1.

Il versante della tradizione orale: la polivocalità ‘ad accordo’ della settimana santa 1.1. 1.2. 1.3. 1.4. 1.5. 1.6. 1.7.

1.8. 1.9. 1.10.

2.

XXIII XXIV XXVIII

Premessa Il canto polivocale nel contesto della settimana santa Panoramica sui repertori a parti parallele I repertori‘ad accordo’delle regioni meridionalie delle isole I repertori della Sicilia I repertori della Sardegna La struttura musicale dei repertori ‘ad accordo’ 1.7.1 Segmentazione in unità pertinenti: l’articolazione in versi musicali 98 1.7.2 L’articolazione interna del verso musicale 1.7.3 II movimento delle parti 1.7.4 La struttura ritmica 1.7.5 Altri aspetti relativi all’esecuzione I testi verbali Gli esecutori Il canto polivocale della settimana santa negli scritti dei viaggiatori e dei folkloristi

Il versante della tradizione scritta: il falsobordone 2.1. Premessa: definizione del falsobordone 2.2. Sull’origine del falsobordone

1 3 10 25 34 66 97

105 110 111 112 114 117

122

131 133

2.3. 2.4. 2.5. 2.6. 2.7. 2.8. 2.9.

3.

Il falsobordone nella musica religiosa Il falsobordone nella musica profana Il genere falsobordone I falsobordoni a stampa dei secoli XVI-XVII Caratteristiche musicali del genere falsobordone Compositori e destinatari delle raccolte Il falsobordone nella trattatistica teorica e in altre fonti letterarie

144 162 186 192 197 221

225

Il falsobordone fra tradizione orale e tradizione scritta 3.1. Premessa 3.2. La musica liturgica nelle chiese minori in epoca post-tridentina 3.3. Il canto in falsobordone nella musica

3.4. 3.5. 3.6.

243 246

degli ordini religiosi regolari

254

3.3.1 I gesuiti 3.3.2 I francescani 3.3.3 I benedettini Il falsobordone nelPesercizio del clero secolare nelle chiese minori Il canto polifonico della settimana santa delle confraternite laicali Conclusioni: il canto polivocale della settimana santa testimonianza attuale di una tradizione non scritta della musica liturgica rinascimentale

257 260 265

267 275

284

Appendici Appendice al capitolo 1 Appendice al capitolo 2 Appendice al capitolo 3

289 292 297

Fonti a stampa del genere falsobordone

299

Altre fonti musicali, trattati teorici e documenti letterari (secoli XV-XIX)

317

Bibliografia scelta

323

Discografia

331

ELENCO DEGLI ESEMPI MUSICALI

1. Viganella (Novara), Miserere. Registrazione di Roberto Leydi e Carlo Oltolina; trascrizione di Carlo Oltolina. Documento sonoro in Canti liturgici di tradi­ zione orale, a c. di Piero Arcangeli, Roberto Leydi, Renato Morelli e Pietro Sassu, 4 dischi 33 giri, Albatros, ALB 21, 1987, disco 1, lato A, brano 2; tra­ scrizione in OLTOLINA, I salmi di tradizione orale nelle valli assolane, Ricordi, Milano 1984, p. xxviil 2. Premana (Como), Magnificat. Registrazione di Pietro Sassu e Glauco Sanga; trascrizione di Pietro Sassu. Documento sonoro in Cantori di Premana, a c. di Pietro Sassu e Glauco Sanga, disco 33 giri, Albatros VPA 8372, 1972; trascri­ zione in PIETRO SASSU - GLAUCO SANGA, Venticinque canti raccolti a Premana in Premana. Ricerca su una comunità artigiana, Silvana editoriale, Milano 1979, pp. 674 -5. 3. Ceriana (Imperia) Stabat Mater. Registrazione di Mauro Balma; trascrizione di Ignazio Macchiarella. Documento sonoro in La tradizione musicale a Ce­ riana, a c. di Mauro Balma, disco 33 giri, Albatros VPA, 8496, 1989, lato B, brano 4. 4. Gubbio (Perugia) Miserere. Registrazione e trascrizione di Piero Arcangeli. Do­ cumento sonoro e trascrizione in Liturgia popolare della settimana santa. Canti delle confraternite umbre e alto-laziali, a c. di Piero Arcangeli, disco 33 giri, Al­ batros, vpa 8493, 1989. 5. Torrealta di Gubbio (Perugia) Miserere. Registrazione Tullio Seppilli e Diego Carpitella; trascrizione di Piero Arcangeli e Giancarlo Palombini. Documento sonoro e trascrizione in Liturgia popolare. 6. Latera (Viterbo), Miserere. Registazione di Piero Arcangeli e Mario Imbastoni; trascrizione di Piero Arcangeli. Documento sonoro e trascrizione in Liturgia

popolare. 7. Fiuggi (Prosinone) La morte di Gesù. Registrazione di Luigi Colacicchi; trascri­ zione di Giuseppina Colicci. Documento sonoro inedito; trascrizione in GIUSEPPINA COLICCI, Il repertorio di tradizione orale della Confraternita del SS. Sacra­ mento e Immacolata Concezione a Fiuggi: Venerdì Santo e Quaresima, Tesi di Laurea, Università La Sapienza, Roma, Facoltà di Lettere e Filosofìa, relatore professor

Vili

IL FALSOBORDONE FRA TRADIZIONE ORALE E TRADIZIONE SCRITTA

Diego Carpitella, correlatore professor Pierluigi Petrobelli, a.a. 1987-8. 8. Minori (Salerno), Mio dio perdono. Registrazione di Girolamo Garofalo; tra­ scrizione di Ignazio Macchiarella. Documento sonoro inedito. 9. Conversano (Bari), Stabat mater (seconda strofa), Registrazione e trascrizione di Angela Laterza. Documento sonoro inedito; trascrizione in ANGELA LATER­ ZA, Canti popolari in Puglia (La settimana santa a Conversano), tesi di laurea, Università degli studi di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, corso di laurea in DAMS, a.a. 1991-2, p. 97. 10. Sartano (Cosenza), Lu vènnari di marz'oi nun si ca'. Registrazione e trascrizio­ ne di Antonello Ricci. Documento sonoro inedito; trascrizione ANTONELLO RICCI, Polivocalità tradizionale di Totano Castello e Sartano (Cosenza), «Studi Musicali», xx/1 1991, p. 34. 11. Sessa Aurunca (Caserta), Miserere. Registrazione di Renato Morelli; trascrizio­ ne di Pierluigi Gallo. Documento sonoro in Canti liturgici di tradizione orale, disco 2, lato B, brano 2; trascrizione in PIERLUIGI GALLO, Il Miserere polivocale di Sessa Aurunca, in Musica e liturgia nella cultura mediterranea, a c. di Piero Arcangeli, Olschki, Firenze 1988, p. 72. 12. Diamante (Cosenza), «Gesù ni l’anima». Registrazione di Gianni Bosio e Cla­ ra Longhini; trascrizione di Maurizio Agamennone e Serena Facci. Documen­ to sonoro in Le stagioni degli anni 70, a c. di Sandro Portelli, 2 dischi 33 giri, Dischi del Sole DDS 508/10, s.d.; trascrizione in MAURIZIO AGAMENNONE SERENA FACCI, Il cantare a coppia nella musica tradizionale italiana, in Le po­ lifonie primitive in Friuli e in Europa, a c. di Cesare Corsi e Pierluigi Petrobel­ li, Torre d’Orfeo, Roma 1989, p. 338. 13. Rusio Laudate dominum omnes gente. Registrazione e trascrizione di Markus Ròmer. Documento sonoro inedito trascrizione in MARKUS ROMER, Schrifiliche und Mùndliche traditionen Geistlicher Gesànge auf Korsika, Steiner Verlag GMBH, Wiesbaden 1983, p. 200. 14. Venzolasca Perdono mio Dio. Registrazione e trascrizione di Markus Ròmer. Documento sonoro inedito; trascrizione in ROMER, Schrifiliche und mùndliche Traditionen, p. 200. 15. Caltanissetta, «Trenta tri anni avea». Registrazione di Elsa Guggino; trascrizio­ ne di Ignazio Macchiarella. Documento sonoro e trascrizione in La settimana santa in Sicilia, a c. di Elsa Guggino e Ignazio Macchiarella, disco 33 giri, Albatros, vpa 8490, 1987, lato A, brano 3. 16. Caltanissetta, Lamintanzi. Trascrizione di Alberto Favara in ALBERTO FAVARA, Corpus di musiche popolari siciliane. Accademia di Scienze Lettere e Arti, Paler­ mo 1957. 17. Calamonaci (Agrigento), Miserere. Registrazione di Ignazio Macchiarella, tra­ scrizione di Vincenzo Vacante. Documento sonoro e trascrizione in La tradi­ zione musicale a Calamonaci, a c. di Vincenzo Vacante e Giovanni Moroni, di­ sco 33 giri, Albatros, vpa 8506, 1990, lato A, brano 4. 18. Resuttano (Caltanissetta), Ladata'. Caifas a Ggesu Cristu lo subbia. Registrazio­ ne di Elsa Guggino, trascrizione di Ignazio Macchiarella. Documento sonoro in La settimana santa in Sicilia, lato A, brano 4. 19. Bivona (Agrigento), Popule me. Registrazione di Elsa Guggino, Trascrizione di

ELENCO DEGLI ESEMPI MUSICALI

20.

21.

22.

23.

24.

2526.

IX

Ignazio Macchiarella. Documento sonoro in La settimana santa in Sicilia, lato A, brano 6. Alcara li Fusi (Messina), Bevete, bevete, apostoli miei. Registazione di Mario Sarica; trascrizione di Giuliana Fugazzotto. Documento sonoro e trascrizione in Canti della settimana santa in provincia di Messina, a c. di Mario Sarica, disco 33 giri, Albatros, vpa 8508, 1990. Cerami (Enna) Popule mens. Registrazione e trascrizione di Ignazio Macchia­ rella. Documento sonoro inedito. Barcellona Pozzo di Gotto (Messina) Visilla. Registrazione e trascrizione di Giuliana Fugazzotto. Documento sonoro e trascrizione in La Visilla e la tradi­ zione musicale a Barcellona Pozzo di Gotto, a c. di Giuliana Fugazzotto, disco 33 giri, Albatros, vpa 8495, 1989. Mussomeli (Caltanissetta), Transeat a me calix iste. Registrazione e trascrizione di Ignazio Macchiarella. Documento sonoro in I lamenti di Mussomeli, a c. di Ignazio Macchiarella, disco 33 giri, Albatros, VPA 8492, lato A, brano 1. Mussomeli (Caltanissetta), Stabat mater. Registrazione e trascrizione di Igna­ zio Macchiarella. Documento sonoro in L lamenti di Mussomeli, a c. di Ignazio Macchiarella, disco 33 giri, Albatros, VPA 8488 lato B, brano 3. Delia (Caltanissetta), Morti ci diediru. Registrazione e trascrizione di Ignazio Macchiarella. Documento sonoro inedito. Montedoro (Caltanissetta), Gloria. Registrazione e trascrizione di Ignazio Macchiarella. Documento sonoro in I lamenti della settimana santa di Monte­

doro, lato A, brano 1. 27. Montedoro (Caltanissetta) Stabat mater. Registrazione e trascrizione di Igna­ zio Macchiarella. Documento sonoro in I lamenti della settimana santa di Montedoro, lato B brano 2. 28. Montedoro (Caltanissetta) Sacri scale. Registrazione e trascrizione di Ignazio Macchiarella. Documento sonoro in I lamenti della settimana santa di Monte­ doro, lato B brano 1. 29. Gattelli (Nuoro), Miserere. Registrazione e trascrizione di Ignazio Macchiarel­ la. Documento sonoro inedito. 30. Gattelli (Nuoro) Responde Populu Meu. Registrazione e trascrizione di Ignazio Macchiarella. Documento sonoro inedito. 31. Gattelli (Nuoro) Gozos. Registrazione e trascrizione di Ignazio Macchiarella. Documento sonoro inedito. 32. Orosei (Nuoro), Magnificat. Registrazione e trascrizione di Ignazio Macchia­ rella. Documento sonoro inedito. 33. Santulussurgiu (Oristano) Miserere. Registrazione e trascrizione di Pietro Sas­ so (revisione della trascrizione in notazione temporizzata di Ignazio Macchia­ rella). Documento sonoro inedito. 34. Bosa (Nuoro) Miserere. Registrazione di Pietro Sassu; trascrizione di Ignazio Macchiarella. Esempio sonoro in Canti liturgici di tradizione orale, disco 3, la­

to B, brano 4. 35. Castelsardo (Sassari), Miserere quaresimale. Registrazione e trascrizione di Pie­ tro Sassu (revisione della trascrizione in notazione temporizzata di Ignazio Macchiarella). Documento sonoro in Musica sarda, a c. di Diego Carpitella,

X

IL FALSOBORDONE FRA TRADIZIONE ORALE E TRADIZIONE SCRITTA Leonardo Sole, Pietro Sassu, 3 dischi 33 giri, Albatros, VPA 8150-2, 1973, di­

36.

37.

38.

39

sco 3, lato A, brano 1. Castelsardo (Sassari). Miserere processionale. Registrazione e trascrizione di Pie­ tro Sassu (revisione della trascrizione in notazione temporizzata di Ignazio Macchiarella). Documento sonoro in Musica sarda, disco 3, lato A, brano 3. Castelsardo (Sassari), Stabat mater. Registrazione e trascrizione di Pietro Sassu (revisione della trascrizione in notazione temporizzata di Ignazio Macchiarel­ la). Documento sonoro in Musica sarda, disco 3, lato A, brano 2. Castelsardo (Sassari), Deus in audiutorium meus intende. Registrazione e tra­ scrizione di Ignazio Macchiarella. Documento sonoro inedito. Bono (Sassari), Miserere. Registrazione di Pietro Sassu, trascrizione di Ignazio Macchiarella. Documento sonoro inedito, depositato presso il CNSMP, raccolta

52M. 40. Montedorb (Caltanissetta) Vexilla regis. Registrazione e Trascrizione di Igna­ zio Macchiarella. Documento sonoro inedito, depositato presso l’Archivio Etnofonico del Folkstudio di Palermo. 41. Popule meus a tre voci: Trascrizione ritmica realizzata da B. Albanese del canto popolare caccamese. (Riproduzione della prima pagina del manoscritto origina­

le) 42. Adrian Petit Coelico, Exemplum aliud quatuor vocum faulbourdon. In ADRIA­ NO COCLICO, Compendium musices [...], Officina Ioannis Montane & Ulrici Neuberi, Norimberga 1552. 43. Bartolomeo Tromboncino, «Migravit judas». In BARTOLOMEO TROM­ BONCINO, Lamentationum liber Secundus [...], Ottaviano Petrucci, Venezia

1506. 44. Josquin Desprès, Gloria. In: JOSQUIN DESPRES, Missarum Josquin liber tertius Materpatris [...], Ottaviano Petrucci, Fossombrone 1514. 45. Modena, Biblioteca Estense e Universitaria, ms 1.3 Ad laudes ps prim. 8 toni.

Miserere. 46. Giulio Belli, Nisi Dominus («Hereditatem gentium»). In GIULIO BELLI, Psalmi ad Vesperas [...], Cardano, Venezia 1596. 47. Giovanni Pierluigi da Palestrina, Improperia. In: Roma, Biblioteca Vaticana, cod. ms. Altemps. Ottob. n. 2228: «Improperia in Fer. VI Parasceve. in Adoratione crucis. Auctore Praenestino» (cit. da Musica divina. Psalmodia Vesper­ tina [...], a c. di Carolus Proske, Pustet, Ratisbona 1859, voi. Ili, p. 295). 48. Paolo Aretino, Miserere. In: PAOLO ARETINO, Responsororum hebdomadae santc-

tae ac natalis domini [...], Francesco Rampazetum, Venezia 1564. 49. Orazio Vecchi, Miserere. In: ORAZIO VECCHI, Lamentationes, cum quattuorpa­ ribus vocibus [...], Cardano, Venezia 1587. 50. Giovanni Pierluigi da Palestrina, Miserere. In GIOVANNI GUIDETTO, Ecclesiasticus officii maioris hebdomadae [...], Tipographia Andrea Faci, Roma 1619 (Ri­ stampa della prima edizione del 1587). 51. Gregorio Allegri, Miserere 52. Ludovico Viadana, Litaniae Campagnola. In LUDOVICO viadana, Letanie che si cantano nella santa casa di Loreto [...], Vincenti, Venezia 1607 (ristampa dell’edizione del 1605).

ELENCO DEGLI ESEMPI MUSICALI

XI

53. Claudio Monteverdi, Donee Ponam. In: CLAUDIO MONTEVERDI, Sanctissimae Virgini missa senis vocibus ac vesperaepluribus decantandae[...], Riccardo Amadino, 1610. 54. Giuseppe Santarelli, Falso bordon. In GIUSEPPE SANTARELLI, Informazione [...], Stamperia del Komarek, Roma 1761, p. XVI (incluso in Causa de Cantori Pon­ tifici, volume miscellaneo presso il Civico Museo Bibliografico Musicale di

Bologna, segnatura F 99). 55. Giuseppe Antonio Bernabei, Dixit Dominus. Primi toni. In: GIUSEPPE ANTO­ NIO BERNABEI, Dixit Dominus. Primi toni «Repertorio Economico di Musica sacra», ll/l, 1878, p. 73. 56. Anonimo, Magnificat. In: Cantiam con labbro pio. Raccolte di lodi sacre popola­

ri con musica, s.e., Reggio Emilia 19482. 57. Marchetto Cara, O mia cieca e dura sorte. In: Frottole libro primo, Ottaviano Petrucci, Venezia 1504. 58. Josquin DAscanio [Desprez], Elgrillo (parte prima). In: Frottole libro tertio, Ottaviano Petrucci, Venezia, 1505. 59. Michele Pesenti, Integer vitae. In: Frottole libro primo, Ottaviano Petrucci, Ve­

nezia 1504. 60. Serafino Razzi, Lo fraticello si leva per tempo. In: SERAFINO RAZZI, Libro primo delle laude spirituali [...], Giunti, Venezia, 1563. 61. Gian Domenico Da Nola, Tra ciechi siam. Canzone villanesca (mascarata) a tre voci pari. In: GIAN DOMENICO DI NOLA, Secondo libro delle canzoni villanesche [...], Scotto, Venezia 1541. 62. Filippo Azzaiolo, È per amor di donna. In: FILIPPO AZZAIOLO, Primo libro de Villette alla Padoana con alcune Napolitano a quattro voci intitolate Villette del

Fiore [...], Cardano,Venezia 1557. 63. Claudio Pari, Deh s’alcuna pietà. In: CLAUDIO PARI, Il lamento d Arianna. Quarto libro dei Madrigali a cinque voci, Giovan Battista Marigo,

Palermo 1619. 64. Claudio Monteverdi, Con che soavità. In: CLAUDIO MONTEVERDI, Settimo libro de madrigali a 1, 2, 3, 4 et sei voci [...], Cardano, Venetia 1619. 65. Andrea Gabrieli, Come spessa d'augel veloce torma. In: ANDREA GABRIELI, Chori in musica [...] sopra li chori della tragedia di Edippo Tiranno [...], Angelo Car­ dano, Venezia 1588. 66. Jacopo Peri, Prologo. In: JACOPO PERI, Le musiche [...]sopra PEuridice del sig.

Ottavio Rinuccini [...], Giorgio Marescotti, Firenze 1600. 67. Paolo Ferrarese, Miserere fe 6. in falso bordone. Da: In PAOLO FERRARESE, Passiones lamentationes [...], Girolamo Scotto, Venezia 1565. 68. Paolo Ferrarese, Miserere. In: FERRARESE, Passiones. 69. Matteo Asola, Del primo tuono. Terzo Ordine. In: MATTEO ASOLA Falso bordoni

per cantar salmi [...], Figli di Antonio Cardano, Venezia 1575. 70. Matteo Asola, DelTottavo tiiono. Primo ordine. In: ASOLA Falso bordoni per can­ tar salmi. 71. Vincenzo Ruffo, Il tuono pellegrino per lo exitu. In: VINCENZO RUFFO, Li Ma­

gnificat brevi et ariosi [...], Girolamo Scotto, Venezia 1578. 72. Paolo Isnardi, Quinti toni. In: ISNARDI, Psalmi omnes qui ad vesperas decanta-

XII

IL FALSOBORDONE FRA TRADIZIONE ORALE E TRADIZIONE SCRITTA

tur [...], Girolamo Scotto, Venezia, 1579. [ristampa dell’edizione del 1569]. 73. Giovanni Cavacelo, Falsibordoni. Quinti toni. In: GIOVANNI CAVACCIO, Psalmorum quatemis vocibus [...], Cardano, Venezia 1585. 74. Matteo Asola, Doneeponam. Primi toni. In: MATTEO ASOLA, Compietorium per totum annum [...], Eredi di Girolamo Scotto, 1576. [ristampa dell’edizione del

1573]. 75. Pietro Lappo, Primi toni. In: PIETRO LAPPI, Regis Davis Psalmi [...], Cardano,

Venezia 1605. 76. Valerio Bona, Primo toni. In: VALERIO BONA, Missa et Motecta temis vocibus [...], Eredi Francesco e Simone Tini, Milano 1594. 77. [Cardano 1601], Prima modulario. Quatuor vocum. Secundi toni. In: Falsi bor­ doni omnium tonorum a diversis eccellentissimis auctoribus modulati [...], Carda­ no, Venezia 1601. 78. [Cardano 1601], Prima modulario. Quinque vocum. Quinti toni. In: Falsi bor­ doni omnium tonorum. 79. Costanzo Porta, Miserere. Quinque vocum. In: Falsi bordoni omnium tonorum 80. Giulio Belli, Falsibordoni septimi toni. In: GIULIO BELLI, Compieta falsi bordoni antifone, Alessandro Raveri, Venezia 1607.

81. Ludovico Viadana, Del primo tono, a 4, sesto ordine. In: LUDOVICO VIADANA, Falsi bordoni a quattro voci con i sicut erat [...], Giovan Battista Robletti, Roma 1612. 82. Giovan Battista Strata, Miserere. In: GIOVAN BATTISTA STRATA, Arie di musica [...], Giuseppe Pavoni, Genova 1610. 83. Ludovico Viadana, pagina 20 della parte del Cantus dall’ Ojficium dejunctorum quatuorparibus vocibus decantandum [...], Giacomo Vincenti, Venezia 1616. 84. Ludovico Viadana, De profundis. In: VIADANA, Ojfìcium defunctorum . 85. Ludovico Viadana, Miserere. In: VIADANA, Ojfìcium dejunctorum. 86. Baldassare Vialardo, Fais. bord. pro In exitu: Mixti toni. In: BALDASSARE VIALARDO, Missa duae [...], Giorgio Rolla, Milano 1624. 87. Pompeo Signorucci, Tono Vili. In: POMPEO SIGNORUCCI, Falsi Bordoni [...],

Giacomo Vincenti, Venezia 1603. 88. Giovan Battista Rossi, «Domine ad adiuvandum me festina». In: GIOVAN BAT­ TISTA ROSSI, Organo de cantori [...], Bartolomeo Magni, Venezia 1618, p. 79. 89. Giovan Battista Rossi, «Forma de’ falsi bordoni. Ottavo tono». In: ROSSI, Or­ gano de cantori, p. 110. 90. Giovan Battista Rossi, Falsibordoni figurati. Quarto tono. In: ROSSI, Organo de cantori, p. 111. 91. Ruggiero Giovannelli, Falsobordone, primo tono à 4. In: GIOVAN BATTISTA BOVICELLI, Regole passaggi di musica madrigali e mottettipassaggiati [...], Giacomo Vincenti («a instantia delli Heredi di Francesco e Simon Tini, Librari in Mila­ no»), Venezia 1594, pp. 73-4. 92. Giovanni Navarro, «Estratto dal salmo In exitu». In: GIOVAN BATTISTA MARTI­ NI, Esemplare o sia saggio fondamentale pratico di contrappunto sopra il canto fer­ mo, [...], Lelio dalla Volpe, Bologna 1774, pp. 204—5. 93. Vincenzo Ruffo, Falsobordone settimo [tuono]. In: Bologna, Civico Museo Bi­ bliografico Musicale, ms. Q 12.

ELENCO DEGLI ESEMPI MUSICALI

XIII

94. Agostino Casoni de Spedia, Falsobordone. In: AGOSTINO CASONI DE SPEDIA, Manuale choricanum ab utriusque sexus choricistis concupitum clericistis omnibus necessarium dr maxime iuvenibus [...], Officina Patroni, Genova 1640, p. 23595. Agostino Casoni de Spedia, Tantum ergo. In: CASONI DE SPEDIA, Manuale choricanum , pp. 244—5. 96. Marzio Erculei, Canticum Zachariae et Psalmus Miserere. In: MARZIO ERCULEI, Cantus omnis ecclesiasticus ad hebdomadae maioris Missas, Passionem D.N.I.C., Officia Tenebrarum, Lamentationes, Benedictiones, Processiones, & C. luxta ritum S.R.£[...], Cassiani stampatori vescovili, Modena 1688. 97. Sanctus. Dal dipinto Estasi di san Paolo di Nicolò Buttafuoco del 1598. Chiesa

madre di Cammarata (Agrigento).

«Questo, o Fedro, ha di terribile la scrittura, che davvero è simile alla pit­ tura. Le creature di questa, infatti, stan­ no lì come vive, ma, se comandi lor

qualcosa, solennemente tacciono. (Platone, Fedro, LX)

PREFAZIONE

La musica di cui facciamo la storia, la tradizione scritta della musi­ ca, può essere paragonata alla parte visibile di un iceberg, la mag­ gior parte del quale resta invece sommersa ed invisibile. La parte che emerge merita certamente la nostra attenzione, perché è tutto

quello che ci resta del passato e perché ne rappresenta la parte più coscientemente elaborata; ma le nostre valutazioni devono pure te­ ner sempre presenti i sette ottavi dell’ iceberg che restano sommersi,

la musica della tradizione non scritta.1

Formulata più di venti anni fa, l’oramai celebre immagine di Nino Pirrotta, costituisce una sorta di emblema di una nuova attenzione verso la tradizione orale nel campo della storia della musica. Tradizione orale è però una espressione che può essere equivocata (e non è un caso, forse, che Pirrotta parli di «tradizione non scritta»). Essa definisce il complesso delle strategie relative alla trasmissione di un te­ sto, più o meno formalizzato, per mezzo della voce e della memoria, ma non deve venire confusa con le cosiddette tradizioni popolari, espressione questa alquanto ambigua’ e dai contorni poco definiti (ve­ di oltre). L’oralità infatti è un carattere primario che si manifesta a prescinde­ re dai dislivelli culturali. Pertanto forme di tradizione orale sono pre­ senti in tutti gli ambiti della interrelazione umana. Tuttavia nella so­ cietà occidentale essa ha assunto un diverso sviluppo ed un differente valore a seconda dei contesti storico-sociali ed in rapporto con l’uso della scrittura da parte dei ceti egemoni (vedi oltre). Essa, però, non ha mai avuto soluzione di continuità, rimanendo alla base delle rappre­ 1 NINO PIRROTTA, Musica tra medioevo e rinascimento, Einaudi, Torino 1984, p. 177.

XVIII

IL FALSOBORDONE FRA TRADIZIONE ORALE E TRADIZIONE SCRITTA

sentazioni, dei comportamenti e dei discorsi comuni delle componenti non elitarie della società. Ancora oggi, nonostante la capillare diffusio­ ne della scrittura, esiste un consistente insieme di espressioni culturali (forme poetiche, musicali eccetera), più o meno organiche e funziona­ li, frutto di trasmissione esclusivamente o prevalentemente orale. Lo studio di tali manifestazioni rappresenta un mezzo privilegiato per una conoscenza dei meccanismi generali che presiedono l’oralità. Allo stesso tempo, conoscere questi meccanismi vuol dire gettare luce parzialmente anche su quegli eventi sonori del passato in cui gran­ de ruolo aveva la tradizione orale e che sono irrimediabilmente perdu­ ti. Essi, infatti, possono costituire una essenziale integrazione alle testi­ monianze provenienti dalle fonti scritte, fornendo altresì uno sfondo pertinente entro cui collocare queste ultime. Tale operazione si rivela ovviamente ancora più profìcua nel caso in cui si verifichino significative convergenze tra repertori ancora oggi praticati attraverso la tradizione orale e determinati repertori del passa­ to testimoniati da fonti scritte. Da una parte, infatti, l’odierna tradizio­ ne orale può suggerire in maniera diretta ipotesi relative alle modalità di esecuzione delle fonti scritte; dall’altra queste ultime possono contri­ buire a comprendere i processi di formalizzazione ed i percorsi evoluti­ vi alla base delle forme orali. Questo lavoro si muove appunto in tale direzione. Esso vuol pro­ porre lo studio di un caso di tale tipo di convergenze, senz’altro tra i più evidenti in campo musicale. Il suo obiettivo è l’analisi dei repertori di canto polivocale processionale connesso alle celebrazioni rituali della settimana santa e largamente diffuso nelle regioni dell’Italia centro-me­ ridionale, in rapporto alla tecnica di canto polifonico del falsobordone ampiamente documentata dalle fonti scritte almeno a partire dalla fine del quindicesimo secolo. Lo studio comparato dei repertori polivocali della settimana santa delle regioni meridionali evidenzia immediatamente una serie di ele­ menti comuni tra esempi diffusi in zone lontane tra di loro, relativi sia alla strutturazione del materiale musicale sia alle modalità esecutive. Questi elementi sono tali da far ritenere verisimile l’esistenza di analo­ ghi processi di formalizzazione alla base di tutti i diversi repertori. Essi, inoltre, si presentano affatto differenti rispetto alle altre forme musicali della tradizione orale e rimandano con tutta forza a tratti stilistici ad essa estranei. Dall’altra parte le testimonianze scritte del falsobordone rinviano esplicitamente ad una pratica di canto diffusa a prescindere dalle teda-

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zioni su pentagramma. Esse inoltre si presentano in genere sotto forma di formule essenziali che prevedono un fondamentale contributo inter­ pretativo da parte degli esecutori. Il confronto tra queste due espressioni musicali rivela la presenza di numerose affinità reciproche relative alla strutturazione del materiale musicale. Tali affinità sono altresì confortate dal fatto che sia gli esempi della tradizione orale che i falsobordoni sono previsti nell’ambito delle stesse occasioni esecutive all’interno dei medesimi contesti festivi. Inol­ tre nella maggior parte dei casi si ha il ricorso agli stessi testi verbali. L’idea della verifica dei rapporti tra canto polivocale della settimana santa e falsobordone mi è stata suggerita in primo tempo da Paolo Emilio Carapezza. Scrive, tra l’altro, Carapezza: Nel corso del XVI see. la musica polifonica si diffonde in modo capillare prima nelle maggiori cappelle delle principali città poi an­ che nelle cappelle minori e nelle piccole città. In queste cappelle [...] non solo si praticava la polifonia internazionale dell’epoca ma

anche alcuni generi connessi col sostrato folklorico. Della tradizio­ ne internazionale particolarmente si radicò in Sicilia (come anche in Sardegna) la pratica del falsobordone. [...] Questa pratica si dif­ fuse capillarmente in tutte le cappelle siciliane, e penetrò profon­ damente nel folklore: ancora oggi i canti della Passione, che in al­

cune città siciliane si praticano nelle chiese e durante le processioni del Venerdì santo, sono intonati sui moduli armonico melodici del

falso bordone.2

Il piano del lavoro si articola in tre capitoli. Il primo è interamente dedicato alle espressioni di tradizione orale. Dopo una panoramica sul­ le forme del canto polivocale della settimana santa diffuse in tutto il territorio italiano, esso si concentrerà su un insieme organico di reper­ tori delle regioni meridionali e delle isole. Tali repertori, infatti, sono accomunati da una precisa struttura costituzionale (la polivocalità ad accordo’) e da altri elementi formali che saranno studiati attraverso l’analisi di una serie di trascrizioni musicali.3 Allo stesso tempo essi rin­ 2 PAOLO EMILIO CARAPEZZA, Introduzione: la musica sacra in Sicilia tra rinascimento e barocco, in La musica sacra in Sicilia tra rinascimento e barocco, a c. di Daniele Ficola, Flaccovio, Palermo 1988, p. 10. 3 Le trascrizioni musicali sono di norma realizzate con il sistema temporizzato basato sulla indicazione delle durate reali espresse in secondi. Va precisato che dati gli obiettivi della ri­ cerca tali trascrizioni appaiono in una versione ‘semplificata’, cioè che tiene relativo conto delle ornamentazioni e dei dati riguardanti la dinamica esecutiva (portamenti, glissando ec­ cetera) per offrire una immediata visualizzazione della struttura musicale. La misurazione

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viano con grande evidenza a contributi provenienti dalla tradizione scritta della musica, contributi sui quali si incentrerà l’esposizione dei dati etnografici. Chiuderà il capitolo un paragrafo dedicato alle testi­ monianze sulle esecuzioni di tali repertori nel passato, provenienti da­ gli scritti di viaggiatori e dei folcloristi a partire dalla seconda metà del secolo scorso. Il secondo capitolo è dedicato alla definizione e allo studio del ‘fe­ nomeno’ falsobordone. Oltre all’analisi musicologica e ad una disami­ na delle relative fonti scritte, la trattazione mirerà ad evidenziare il con­ testo entro cui esso si sviluppò nonché tutte le informazioni relative al­ la sua esecuzione. Particolare attenzione verrà altresì dedicata al rapporto con le direttive in campo musicale proposte dal concilio di Trento. La conclusione del capitolo illustrerà le informazioni sul falsobordone provenienti dalla trattatistica teorica e da altre fonti letterarie a partire dalle prime testimonianze della seconda metà del sedicesimo secolo. Il terzo capitolo, assodata l’evidenza dei dati musicali analizzati nei capitoli precedenti, avrà l’obbiettivo di illustrare informazioni ed indizi di natura extramusicale’ che concorrono a suffragare l’esistenza di un diretto rapporto tra repertori tradizionali ad accordo’ e falsobordoni. Una particolare attenzione verrà dedicata pertanto alle testimonianze sulla prassi musicale delle istituzioni religiose minori e periferiche non­ ché delle confraternite laicali. La conclusione del lavoro, alla luce dei risultati raggiunti, sarà dedicata alla formulazione di alcune ipotesi cir­ ca le modalità del particolare scambio fra tradizione orale e scritta della musica.

Questo lavoro costituisce una rielaborazione della tesi di dottorato di ricerca svolta presso il Dipartimento di Musica e Spettacolo dell’Università degli Studi di Bologna e discussa nel maggio del 1991. L’in­ teresse per l’argomento è però anteriore ed è stato coltivato in più di dieci anni di ricerca su campo. Nel corso di questi anni ho tratto be­ neficio da apporti provenienti da amici, colleghi e soprattutto della grande disponibilità degli interpreti della tradizione orale. A tutti van­ no i miei più sinceri sentimenti di gratitudine. In particolare ringrazio alcuni cantori che mi hanno offerto preziose informazioni ed a cui mi cronometrica inoltre è stata effettuata manualmente e pertanto essa può presentare delle ap­ prossimazioni valutabili mediamente intorno ai 3-4 decimi di secondo. Altri espedienti gra­ fici utilizzati saranno spiegati nel paragrafo 1.7.2.

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legano sentimenti di amicizia: zi Tano Genco, Rosario ed Angelo Ran­ dazzo ed il resto della squadra dei cantori di Montedoro, Vincenzo Lo Manto e la squadra di Mossomeli, Giovanni Moroni, Vincenzo Vacan­ te e i cantori di Calamonaci, Silvestro Proto e la squadra di Cerami, Giuseppe Brozzu, Giovanni Pinna e Salvatore Tugulu ed il coro della confraternita di Santa Croce di Castelsardo, Francesco Salis e su concor­ da e su Rosario di Santulussurgiu (Giovanni Arda, Antonio Migheli, Mario Corona e Roberto Iriu), Filippo Casule, Giuseppe Idda ed il co­ ro di Cuglieri, Martino Corimbi di Orosei. Allo stesso modo esprimo la mia gratitudine verso i colleghi Piero Arcangeli, Gianmario Merizzi, Renato Morelli, Angelo Pompilio e Massimo Privitera. Un ringrazia­ mento particolare va al Folkstudio di Palermo ed alFArchivio Etnofonico del QMS, così come al Civico Museo Bibliografico Musicale di Bologna, al responsabile dottor Giorgio Piombini ed al personale, in special modo Sandra Righi e Barbara Ventura. Un fondamentale debi­ to di riconoscenza mista ad una profonda ed antica amicizia mi legano a Gigi Garofalo, ad Elsa Guggino, a cui debbo, tra l’altro, il mio inte­ resse per la musica tradizionale, a Pietro Sassu, dei cui suggerimenti ho la fortuna di beneficiare fin dal primo esordio nel campo dell’etnomusicologia, nonché a Paolo Emilio Carapezza e a Roberto Leydi che, tra l’altro, hanno seguito lo svolgimento della mia dissertazione: l’aiuto ed i consigli di costoro sono stati — mi si permetta il gioco di parole — un reale e prezioso ‘bordone’ al mio lavoro. Palermo, gennaio 1994

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Prima di addentrarci nello svolgimento del tema proposto riteniamo necessario chiarire alcuni concetti fondamentali. Enunciati come mu­ sica popolare’, musica cuka, ‘musica di tradizione orale’ vengono spes­ so utilizzati in una accezione data da una sorta di ‘senso comune’, fi­ nendo per diventare generici o ambigui. D’altra parte negli studi musi­ cologici tali temi non sono stati sinora oggetto di sistematiche riflessioni e risultano assai pochi i contributi a disposizione.1 Per questa ragione, pur senza aspirare, ovviamente, ad una esaustiva sistemazione teorica, riteniamo opportuno proporre delle brevi rifles­ sioni con lo scopo di chiarire alcuni concetti che utilizzeremo come quadro di riferimento della trattazione. 1 Un importante lavoro che affronta temi per certi versi vicini a quelli della nostra ricerca è PETER JEFFERY, Re-envisioning Past Musical Cultures. Ethnomusicology in the Study of Grego­ rian Chanty University of Chicago Press, Chicago - London 1992, a cui si aggiunge JACQUES VIRET, La tradizione orale nel canto gregoriano, «Culture Musicali», nuova serie, ix/1-2 1990. Interessanti contributi su altri temi specifici sono PAUL COLLAER, Lyrisme baroque et tradition populaire, «Studia Musicologica», VII 1965; BENCE SZABOLCS!, Folk Music - Art Music - Hi­ story ofMusic, «Studia Musicologica», VII 1965; WALTER WIORA, Ethnomusicology and the Hi­ story ofMusic, «Studia Musicologica», VII 1965; PAOLO EMILIO CARAPEZZA, Perennità nelfolk­ lore: tre esempi nella tradizione siciliana, «Culture Musicali», II/3 1983; TULLIA MAGRINI, Dol­ ce lo mio drudo: la prospettiva etnomusicologicay «Rivista Italiana di Musicologia», XXl/2 1986. Fra l’altro si vedano anche le trattazioni contenute in COSTANTIN BRAILOIU, Folklore musica­ le, vol. I, Bulzoni, Roma 1978; DIEGO CARPITELLA, Musica e tradizione orale, Flaccovio, Pa­ lermo 1973; JAMES PORTER, Prolegomena to a Comparative Study of European Folk Music, «Ethnomusicology», XXl/3 1977, nonché l’ampia argomentazione proposta da ROBERTO LEYDI, L'altra musica, Giunti - Ricordi, Firenze - Milano 1991. Interessanti indicazioni in chia­ ve storico-musicologica provengono da PIRROTTA, Musica tra medioevo e rinascimento-, FRAN­ CO ALBERTO GALLO, Musica e storia tra medio evo e età moderna. Il Mulino, Bologna 1986, e PIERLUIGI PETROBELLI, Parole e musica, in Letteratura Ltaliana, vol. VI, Einaudi, Torino 1986.

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'Musica culta e musica popolare?

In genere si dà per scontata resistenza di una musica popolare’, suddi­ visa da (quando non ritenuta tout court in contrapposizione ad) una musica culta. Il primo enunciato, però, partecipa dell’ambiguità pro­ pria dell’epiteto popolare e finisce per intendere un vasto campo di manifestazioni dai contorni mai precisi che al suo interno annovera re­ pertori sostanzialmente assai diversi per quanto riguarda le strutture formali, i contesti esecutivi, i processi di trasmissione e così via.2 Il se­ condo, musica culta, al contrario di quanto si potrebbe credere di pri­ mo acchito, è anch’esso soggetto alle più disparate interpretazioni e si risolve sovente con una definizione in negativo: è culto’ ciò che è estra­ neo alla massa e riservato a pochi.3 I principali contributi volti alla definizione concettuale dei termini della questione provengono dalla riflessione antropologica e dagli studi demologici. Schematizzando in maniera estrema, questi contributi ten­ dono a definire ciascuna delle due categorie come l’insieme delle atti­ vità e dei prodotti intellettuali e materiali appartenenti ad un gruppo sociale.4 Scrive, infatti, Alberto Maria Cirese in un volume significati­ vamente intitolato Cultura egemonica e culture subalterne. Le concezioni, i comportamenti ed il patrimonio di cognizioni delle ‘elites’ (e cioè delle classi o dei ceti sociali ‘dominanti’ ed

‘egemonici’) non sono certo uguali alle concezioni, ai comporta­ menti ed al patrimonio di cognizioni del cosiddetto ‘popolo’ (e cioè delle classi o dei ceti sociali ‘dominati’ e ‘subalterni’): alla di­ versità della condizione sociale (politica, economica, ecc.) si ac­ compagna una diversità culturale (e cioè di conoscenze e convin­ zioni, oltre che di usi e costumi, di osservanze e di gusti, e via di-

2 Basti pensare che di solito sono dette allo stesso modo musica popolare repertori così di­ versi come i canti alla carrittera> trasmessi esclusivamente per tradizione orale e la ‘nuova canzone napoletane’ (alla Mario Merola, per intenderci), opera di autori ben individuati e protetta dalla SIAE. 3 Così ad esempio, mentre non vi è alcuna difficoltà nel definire ‘musica culta’ qualsiasi composizione di Salvatore Sciarono, la stessa cosa non si verifica con la musica da film di Nino Rota che, proprio per la sua destinazione, finisce spesso per essere definita ‘popolare’ (anche nel senso di popular— vedi oltre).

4 Esula dai nostri compiti una analisi critica del punto di vista antropologico che, ovviamen­ te, si presenta assai differenziato già a partire dalla definizione dello stesso concetto di cultu­ ra. Per una introduzione all’argomento rinviamo a GIORGIO RAIMONDO CARDONA, La fore­ sta di piume. Manuale di etnoscienza, Laterza, Roma-Bari 198-5.

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cendo) nella quale si manifesta la disuguale partecipazione dei diver­ si strati sociali alla produzione ed alla fruizione dei beni culturali ?

Di conseguenza musica popolare’ viene a definire l’insieme delle espressioni musicali patrimonio delle classi subalterne, musica culta quello appartenente alle classi egemoniche. 5 6 Naturalmente l’indeterminatezza di fondo del concetto di classe’ o ceto’ sociale vanifica qualsiasi validità oggettiva di tale definizione. Es­ sa, infatti, assume significati diversi a seconda del criterio scelto per se­ zionare’ la società in raggruppamenti pertinenti, ma risulta comunque inficiata alla base dalla impossibilità di delineare una rigida delimita­ zione tra le classi sociali, in qualsiasi modo esse vengano individuate.7 Anche sorvolando su questo aspetto, l’assunto che individui acco­ munati dalla medesima posizione nella gerarchia sociale condividano una assoluta omogeneità di conoscenze, convinzioni, comportamenti e di espressioni culturali ci sembra in certo modo preconcetto e poco so­ stenibile alla luce dei complessi meccanismi della interrelazione umana che caratterizzano la civiltà occidentale. Tale assunto, infatti, finisce in ultima analisi per presupporre che ogni fatto culturale da un lato deb­ ba essere interpretato in sé come espressione esclusiva di un raggruppa­ mento sociale (o quanto meno debba appartenere alla sfera del culto’ o a quella del popolare’, con eventuali possibilità intermedie costituite dai cosiddetti sincretismi in cui vi è qualcosa dell’uno insieme con qualcosa dell’altro), dall’altro lato che all’interno di ciascun raggruppa­ mento esso sia condiviso da ogni individuo. In realtà, benché non si possa negare l’esistenza di ‘fatti’ culturali che sembrerebbero verificare a pieno queste condizioni,8 il tentativo di defi­ 5 ALBERTO MARIA CIRESE, Cultura egemonica e culture subalterne, Palumbo, Palermo 1973, p. 12 (i corsivi sono nel testo originale).

6 Sorvoliamo sul problema se siano da intendere tali solo le musiche ‘prodotte’ e non anche quelle solamente ‘fruite’. Per paradosso, in quest’ultimo caso, grazie ai mezzi di riproduzio­ ne elettroacustica, tutto finirebbe in pratica per essere ‘colto’ e ‘popolare’ al tempo stesso. 7 Non è forse un caso che lo stesso Cirese utilizzi l’espressione ‘cosiddetto popolo’. La chiave di lettura basata sulle idee marxiste (e propugnata con grande fervore negli studi demologici fino a poco tempo fa) si rivela oggi non del tutto pertinente ad interpretare la nostra società post-industriale. Ma anche il passato è da ritenere che fosse ben più articolato di una sche­ matica bipartizione fra classi egemoni e subalterne: vedi le illuminanti note di PETER BURKE, Cultura popolare nell'Europa moderna, Mondadori, Milano 1978 (ed. orig. Popular Culture in Early Modem Europe, Tempie Smith, London 1978), compreso l’assai interessante saggio introduttivo di Carlo Ginzburg all’edizione italiana. 8 Si pensi ad esempio ai tanti manufatti diffusi solamente tra i ceti contadini (elaborati in

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nire 1’appartenenza sociale di una manifestazione culturale collettiva costituisce sempre una operazione assai problematica (e spesso inestrica­ bile). E anzi assodata resistenza di espressioni culturali le quali pro­ grammaticamente coinvolgono in senso trasversale tutta una comunità prevedendo la partecipazione di tutti i diversi gruppi sociali. Un caso fra i più evidenti in proposito è costituito proprio dalle feste religiose della settimana santa nel cui ambito vengono eseguiti i canti da cui par­ tirà la nostra indagine. Si tratta infatti di eventi che a torto si definireb­ bero popolari se non altro perché contemplano (oggi come nel passato) la partecipazione, comunque formalizzata, di tutti i componenti di una collettività, a prescindere dallo status sociale (vedi il paragrafo 1.2).9 Per altro verso è evidente che considerare non pertinenti le inevita­ bili differenze, più o meno profonde, nella espressione culturale dei singoli individui all’interno di ciascun raggruppamento sociale pregiu­ dica le possibilità di una piena comprensione. E per esempio oramai assodato che anche le forme musicali della tradizione orale prevedono l’esistenza di interpreti ‘specializzati’, di individui cioè depositari di una particolare perizia esecutiva.10 Un caso affatto patente è costituito an­ cora una volta dai repertori da cui partirà la nostra indagine, la cui ese­ cuzione è opera di gruppi specificamente organizzati e ben individuati all’interno di una comunità, formati da cantori in possesso di una ap­ risposta ad esigenze concrete di vita) che riempiono le sale dei cosiddetti ‘musei dell’arte contadina’; oppure a certi canti legati a determinate attività lavorative eseguiti al fine di rit­ marne i tempi (ad esempio i canti dei pescatori di tonno della Sicilia e della Calabria). 9 Sulla festa esiste una ricca ed interessante bibliografia. Segnaliamo in primo luogo FURIO JESI, La festa: antropologia etnologia folklore, Rosemberg & Selliers, Torino 1977, e FRANCO CARDINI, Igiorni del sacro, Editoriale Nuova, Roma 1982. Si vedano inoltre BURKE, Cultura popolare, e ID., Scene di vita quotidiana nell'Italia moderna, Laterza, Roma - Bari 1988 (ed. orig. The Historical Anthropology ofEarly Modern Italy. Essays on Perception and Communica­ tion, Cambridge University Press, Cambridge 1987) che affrontano tra l’altro il tema della festa collettiva in epoca moderna.

10 Per molto tempo gli studiosi hanno ignorato quasi del tutto le forme di specializzazione nelle espressioni musicali delle classi non egemoni. Alla base di ciò vi era, tra l’altro, il con­ vincimento che queste espressioni non contemplassero alcuna ricerca ‘estetica’ e che si ripe­ tessero tendenzialmente in maniera identica (vedi per esempio ALAN DANIELOU, La musique et sa communication, Olschki, Firenze 1971). Le ‘eventuali’ variazioni proposte da singoli ese­ cutori (che con una brutta parola venivano — e vengono talvolta ancor oggi — chiamati ‘informatori’) erano considerate come espressioni idiolettali che solo dopo una ‘censura col­ lettiva’ da parte di una comunità potevano divenire parte integrante di un repertorio di canti, di poesie, di usi eccetera (vedi ad esempio il concetto di ‘creazione collettiva’ proposto da PE­ TER BOGATIREV - ROMAN JAKOBSON, Ilfolklore come strumento di creazione autonoma, «Stru­ menti Critici», I 1967). Sulla questione si confronti la trattazione di LEYDI, L’altra musica.

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posita competenza e che normalmente sono della più diversa condizio­ ne sociale (vedi i paragrafi 1.4 e 1.9). Di conseguenza, anche in mancanza di una approfondita trattazio­ ne, possiamo affermare che l’eventuale definizione della appartenenza sociale del nostro oggetto di studio non sembra offrire contributi di considerevole rilievo. Soprattutto non ci garantirebbe accertate tasso­ nomie per lo studio dei modi di esecuzione o di trasmissione e delle strutture formali dei repertori. Pertanto nel corso della trattazione ne faremo a meno e tralasceremo affatto di stabilire se i canti presentati siano da intendere come brani di musica popolare’ o di musica culta, o ancora come sincretismi. Per le stesse ragioni eviteremo del tutto an­ che l’uso di musica popolare’ e musica culta’.11 Ciò però non significa che intendiamo concettualmente negare l’esistenza di ‘dislivelli’ interni alla cultura del mondo occidentale, esi­ stenza che del resto risulta affatto evidente. Ai fini del nostro lavoro ci basterà comunque considerare, sulla scorta di concetti elaborati dagli studiosi della oralità come Paul Zumthor, una fondamentale bipolarità tra manifestazioni con precipue finalità di elaborazione artistica’ che tendono ad assumere un carattere elitario ed assoluto e manifestazioni che invece mirano a dare un senso ed un valore alla vita quotidiana cui sono indissolubilmente connesse.12 Tale bipolarità altro non esprime se non gli estremi psicologici, relativi al modo di pensare e di agire di un insieme di individui (o di un singolo), entro cui si articolano i diversi Tatti’ culturali. Nonostante la sua generi­ cità essa consente di proporre una distinzione minima fra musica ‘d’arte’, appannaggio esclusivo delle elites e musica tradizionale patrimonio indif­ ferenziato di tutti i membri di una comunità.13 Entrambi i termini, è be­

11 Anche la definizione proposta dalla lingua anglossassone di folk music (in opposizione a popular music) non ci pare del tutto soddisfacente. Come è noto l’International Folk Music Council nella sua riunione di fondazione (San Paulo, Brasile, 1955) ha proposto la seguente definizione: «Folk music is the product of a musical tradition that has been evolved through the process of oral trasmission. The factors that shape the tradition are (i) continuity that links the present with the past; (ii) variation which springs from the creative impulse of the individual or the group; and (iii) selection by the comunity which determines the form or forms in which the music survives» (KURT WACHSMANN, Folk Music, in The New Grove's Dictionary of Music and Musicians, vol. Vi). Tale definizione risulta alquanto generica ed imprecisa nel sancire una sostanziale coincidenza con la trasmissione orale (vedi oltre).

12 PAUL ZUMTHOR, La presenza della voce. Introduzione alla poesia orale, Il Mulino, Bologna 1984 (ed. orig. Introduction à la poesie orale, Edition du Seuil, Paris 1983). 13 La definizione di cultura tradizionale testé proposta fa sì che essa possa venire estesa anche

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ne ribadire, non indicano insiemi omogenei di espressioni musicali ma si riferiscono alle condizioni’ che sottendono l’atto del far musica. In altre parole, per la nostra trattazione sarà sufficiente attribuire al­ la locuzione musica tradizionale una definizione minima’ di espressio­ ne musicale che esiste solo nell’Az? et nunc dell’esecuzione, affidata alla memoria degli esecutori e degli ascoltatori e che ha uno specifico con­ testo entro cui assolve ad una data funzionalità.14 Per converso musica d’arte (o d’elite) indicherà ovviamente quella che, almeno tendenzial­ mente, rifiuta tali condizioni.

Oralità e scrittura in musica

Da circa quattro decenni (e con un notevole incremento in anni recen­ ti), partendo dall’analisi della cosiddetta ‘letteratura orale’ (un brutto ossimoro che denota uno dei principali e più interessanti ‘fenomeni’ della cultura europea), una serie di lavori è stata dedicata allo studio dei rapporti tra la cultura orale e la civiltà della scrittura in relazione ai siste­ mi concettuali ed alle forme del discorso.15 Tali studi, tra l’altro, hanno bene evidenziato e qualificato la profonda incidenza dei modi di produ­ zione e trasmissione sia sulla forma che sul contenuto del discorso. L’oralità in particolare rappresenta un carattere primario fonda­ mentale della comunicazione umana.16 Essa presenta diverse strutture di manifestazione a seconda dei contesti in cui si presenta e del rap­ porto con la scrittura. Semplificando alquanto si possono individuare alcune tipologie fondamentali: a) oralità primaria o pura, cioè estra­ nea a qualsiasi contatto con la scrittura e con qualsiasi sistema di vi­ sualizzazione codificato; b) oralità mista, cioè coesistente con la scrit­ a parte della produzione delle elites. Sull’argomento si vedano le considerazioni di BURKE, Cultura popolare (in particolare i capitoli 1, 2 e 4). 15 L’espressione ‘cultura orale, civiltà delia scrittura’ riprende il titolo di un saggio di Eric Havelock del 1963 che si può considerare tra quelli alla base degli studi in questo campo. Per una panoramica sull’argomento vedi ERIC HAVELOCK, La musa impara a scrivere. Rifles­ sioni sull'oralità e ralfabetismo dall'antichità al giorno d'oggi, Laterza, Bari 1987 (ed. orig. The Muse Learns to Write. Riflections on Orality and Literacy from Antiquity to the Present, Yale University Press, New Haven - London 1986); contributi indispensabili per l’ap­ profondimento sono ZUMTHOR, La presenza della voce, e WALTER ONG, Oralità e scrittura. Le tecnologie della parola, Il Mulino, Bologna 1986 p. 29 (ed. orig. Orality and Literacy. The Technologizing ofthe Word, London - New York 1982).

16 Vedi ONG, Oralità e scrittura (segnatamente i capitoli 1 e 2).

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tura ma da questa scarsamente influenzata; c) oralità secondaria, cioè una oralità che si ri-compone a partire dalla scrittura in ambienti so­ ciali dove quest ultima è preminente; d) oralità affidata ai mezzi di ri­ produzione meccanica e quindi differenziabile nel tempo e/o nello spazio.17 Ciascuna di tali forme di oralità si compone in diversi pro­ cessi di trasmissione dando vita a tradizioni con caratteri differenti. Anche gli eventi musicali risultano fortemente determinati dalle modalità di produzione e trasmissione. Sebbene manchino degli studi sistematici sull’argomento, che tengano conto anche delle peculiarità della comunicazione musicale (la quale tra l’altro non possiede una im­ mediata funzione semantica), si possono proporre alcuni considerazio­ ni sommarie. Innanzi tutto è da constatare che pure nell’ambito della produzione musicale si possono registrare differenti livelli di manifestazione della oralità e della scrittura a seconda dei contesti e delle strategie comuni­ cative messe in atto. Inoltre è altrettanto evidente che non sempre la trasmissione orale si presenta pura cioè sganciata da qualsivoglia siste­ ma di simbolizzazione visiva, così come non sempre il ricorso alla scrit­ tura implica la rinuncia completa ai meccanismi della oralità. Semplificando notevolmente, è facile riscontrare tipologie dell’ora­ lità musicale analoghe a quelle viste in precedenza. Esistono, infatti, espressioni sonore che non hanno alcun rapporto con simbolizzazioni visive (per esempio nelle culture ad oralità primaria dell’Africa); altre che, pur essendo presenti in contesti in cui si ha nozione della esistenza dei processi di scrittura, non sono da questi influenzate (basti per esempio pensare alla grande quantità di repertori tradizionali ancora assai diffusi in tutte le regioni italiane — come i cosiddetti canti dei contadini, dei carrettieri eccetera); altre ancora che si costituiscono a partire da o in rapporto con la scrittura e che pertanto si possono defi­ nire dell’oralità secondaria (rientrano in questo caso i repertori oggetto di questo studio, ma anche certe forme della musica d’arte del passato come le giustiniane del quindicesimo secolo — vedi oltre); altre, infi­ ne, che si trasmettono essenzialmente grazie agli strumenti di riprodu­ zione elettroacustica (per esempio i repertori della cosiddetta pop music o della musica ‘leggerà eccetera). Allo stesso modo anche la scrittura assolve a diverse funzioni e pre­ senta diversi livelli. Così per esempio accanto alla normale’ notazione

17 Una approfondita discussione di questi punti è in ZUMTHOR, La presenza della voce, pp. 36 ss.

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su pentagramma a carattere prescrittivo e ‘di risultato" (che cioè precede l’evento esecutivo di cui indica solamente il suono e l’effetto da ottene­ re) se ne possono individuare altre sempre a carattere prescrittivo ma ‘di azione’ (tra cui le intavolature che indicano come ottenere un suono), nonché altre a carattere descrittivo che cioè sono successive ad una ese­ cuzione e concorrono alla sua rappresentazione (si pensi alle trascrizioni etnomusicologiche), o ancora altre che hanno l’aspetto di simbolizza­ zioni grafiche con funzione mnemonica (tra cui le scritture chironomiche e gran parte di quelle extra-europee)18 o di ‘stimolo’ per una perfor­ mance (come accade talvolta nella musica d’arte contemporanea).19 Già in queste osservazioni, benché sommarie (ma un loro ap­ profondimento andrebbe ben al di là dei compiti che ci siamo prefissa­ ti), è implicita la complessità dei rapporti orale/scritto in musica. E perciò oltre modo semplicistico e concettualmente errato ritenere che la trasmissione orale identifichi la musica della cultura tradizionale mentre quella scritta sia esclusiva caratteristica della musica d’arte. Tra l’altro, se è vero che la scrittura musicale è (ed è stato) un mezzo ad appannaggio della produzione d’arte, è anche vero che forme di scrit­ tura musicale (con o senza il ricorso alla notazione su pentagramma)20 si ritrovano pure assai diffuse nell’ambito della cultura tradizionale italia­ na. Naturalmente si tratta per lo più di semplici supporti mnemonici che non hanno alcuna funzione prescrittiva. Tuttavia la loro presenza è sempre di grande rilievo e contribuisce comunque all’esecuzione musi­ cale e soprattutto alla caratterizzazione di determinati repertori.21 18 Sull’uso della scrittura nelle culture extra-europee vedi MANTLE HOOD, The Ethnomusico­ logy, Me Graw & Hill, New York 1971. 19 La definizione dei diversi tipi di scrittura musicale è proposta da un vecchio ma sempre valido saggio dell’etnomusicologo CHARLES SEEGER, Prescriptive and Descriptive Music Wri­ ting, «Musical Quarterly», XLIV/ 1958.

20 Non va dimenticato tra l’altro che la notazione su pentagramma non è stata mai del tutto sconosciuta alla cultura tradizionale. Un celebre esempio in proposito proviene da Charles Burney che nel 1777 a Napoli incontra un musicista ‘di strada’ in grado di notare su penta­ gramma la melodia eseguita con il violino (CHARLES BURNEY, The Present State ofMusic in France and Italy, 1771 — ed. it. Viaggio musciale in Italia, EDT, Torino 1979, p. 305). Na­ turalmente si tratta di conoscenze sempre alquanto rudimentali, frutto del costante rappor­ to fra tradizione orale e scritta che si è verificato in ambito urbano a partire dall’età moder­ na. Vedi CARPITELLA, Musica e tradizione orale. 21 La presenza di questo tipo di scrittura è diffusa soprattutto nei repertori da ballo, in quelli dei cantastorie ed in genere in tutte le forme la cui esecuzione è opera di suonatori ‘specia­ lizzati’. In proposito vedi LEYDI, L'altra musica. Alcuni esempi sono descritti in IGNAZIO MACCHIARELLA, Introduzione alla trascrizione della musica popolare, Dipartimento di Musica

INTRODUZIONE

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Allo stesso modo forme di trasmissione orale secondaria sono sem­ pre presenti anche nella produzione musicale d’elite.22 Basti soltanto pensare alle convenzioni esecutive dovute all’aspetto non finito’ della scrittura musicale antica, cioè alla diversa approssimazione delle indica­ zioni prescrittive che riguardavano soprattutto il ritmo (talvolta le altez­ ze) nonché la dinamica, l’agogica, il timbro eccetera (e di cui la notazio­ ne del falsobordone è un caso assai evidente - vedi il paragrafo 2.7).23 Si tratta in tutti i casi di forme dell’oralità secondaria poiché indissolu­ bilmente connesse (sia pure in diversa maniera) con la scrittura musica­ le che costituivano un elemento inalienabile della pratica musicale.24 Come accennato, anche i repertori che analizzeremo in questo stu­ dio appartengono alla vasta ed articolata sfera dell’oralità secondaria. Il ritardo negli studi sul rapporto orale/scritto in musica fa sì che risulti assai difficile una soddisfacente qualificazione dei modelli di formaliz­ zazione che rientrano in questa sfera. Per esempio è ovvio che in conte­ sti come quelli della musica d’arte, dove la scrittura musicale è consue­ ta, si hanno manifestazioni di oralità secondaria sostanzialmente diver­ se rispetto a quelle diffuse in ambiti in cui insolito (se non eccezionale) è il ricorso al segno scritto. Tuttavia per ora ci basta aver definito alme­ no in linea di massima la questione. Lo studio del falsobordone, che come vedremo era (ed è) diffuso nei più diversi ambiti esecutivi, dalla Cappella Sistina agli oratori confraternali dei più piccoli paesi della Si­ cilia e della Sardegna, offrirà infatti precise indicazioni che potranno estendersi all’intera questione dell’oralità secondaria (almeno per quan­ to riguarda lo specifico della musica paraliturgica e religiosa in genere). e Spettacolo, Bologna 1989. Manca tuttavia uno studio organico su queste forme e sui rela­ tivi processi di codificazione.

22 Ad esempio «il fatto che Bach rappresentasse — anche se in modo indiretto — la tradi­ zione di Schutz, senza tuttavia conoscere probabilmente una nota di Schutz, getta una viva luce sullo ‘stato’ di un tempo della storia, in cui la continuità di sviluppo si basava meno sulla conoscenza di opere, che sulla appropriazione di regole compositive tramandate in maggior parte oralmente ed in minor parte per tradizione scritta» CARL DAHLHAUS, Che cos’é la musica?, Il Mulino, Bologna, 1988 (ed. orig. Was ist Musik?, Heinrichshofen’s Wilhelm­ shaven, Verlag, 1985). 23 Tali convenzioni esecutive davano vita talvolta a vere e proprie ‘tradizioni’: ne considere­ remo un caso tra i più significativi nel paragrafo 3.2. Sulla questione sono assai interessanti le osservazioni contenute in JEFFERY, Re-envisioning Past Musical Cultures, PETROBELLI, Paro­ le e musica, nonché PIRROTTA, Musica tra medioevo e rinascimento. 24 Va detto che analoghe considerazioni si possono proporre anche per altre epoche della storia della musica (vedi per esempio i casi citati da LEYDI, L’altra musica, capitolo 4). Anche su questo argomento però si deve lamentare la mancanza di uno studio organico.

XXXII

IL FALSOBORDONE FRA TRADIZIONE ORALE E TRADIZIONE SCRITTA

A conclusione di queste note ci pare opportuno ribadire che la no­ stra indagine avrà come obiettivo principale l’analisi musicale e la defi­ nizione delle modalità di esecuzione e trasmissione dei repertori consi­ derati in quanto eventi sonori’ (reali o virtuali, nel caso dei documenti scritti del passato). Rinviamo perciò ad altri lavori un più puntuale esa­ me delle implicazioni di carattere sociologico’ e quindi il rapporto tra tali repertori e la musica tradizionale e d’arte.

1. IL VERSANTE DELLA TRADIZIONE ORALE: LA POLIVOCALITÀ ulteriore versione italiana dello Stabat mater). In passato però esso era ben più ricco ed articolato come lascia presupporre la presenza di un ricco fondo musicale patrimonio della confraternita costituito in gran parte da manoscritti, molti dei quali ottocenteschi, in cui sono ‘tra­ scritte’ esecuzioni di altri canti.48 Anche in questo caso la struttura musicale presenta differenze assai marcate con il canto polivocale profano contadino che in questa zona fino a poco tempo addietro era assai diffuso. L’esecuzione è a tre voci: le due superiori si muovono per moto parallelo ad una distanza di terza tendenzialmente costante, mentre quella inferiore ribatte con lo stesso ritmo delle due voci superiori, la fondamentale e la quinta della scala. L’esempio seguente è la trascrizione di un brano registrato nel 1971 da Luigi Colacicchi.

45 È il caso ad esempio del repertorio di Giulianiello delle Cori (Latina), rilevato da Giovan­ na Marini, che ringrazio per la segnalazione. Esso presenta una struttura musicale affine ai repertori viterbesi con esecuzioni a due parti parallele. 46 LUIGI COLACICCHI, Cinque canti popolari religiosi di Ciociaria, Pro Musica Studium, Ro­ ma 1974.

47 GIUSEPPINA COLICCI, Il repertorio di tradizione orale della Confraternita del SS. Sacramento e Immacolata Concezione a Fiuggi: Venerdì Santo e Quaresima, tesi di laurea, Università La Sapienza di Roma, Facoltà di Lettere e Filosofìa, relatore professor Diego Carpitella, corre­ latore professor Pierluigi Petrobelli, a.a. 1987-8. Ringrazio l’autrice per avermi donato una copia del suo lavoro. 48 II catalogo completo è in appendice a COLICCI, Il repertorio di tradizione orale.

IL VERSANTE DELLA TRADIZIONE ORALE

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Esempio 7. Fiuggi (Prosinone), La morte di Gesù. Registrazione di Luigi Colacicchi; trascrizione, di Giuseppina Colicci.

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lo-nna

Repertori a due o più parti parallele si hanno anche nelle regioni meridionali ed in Sicilia, accanto a quelli ad accordo di cui parleremo a partire dal prossimo paragrafo. Si tratta di una presenza significativa anche perché essa non ha estesi riscontri nella polivocalità profana di queste stesse aree che, come è noto, è poco diffusa e generalmente strutturata ad accordo.49 Sulla sua distribuzione geografica mancano ancora dati precisi, tranne che per la Sicilia dove, come si vedrà, i po­ chi repertori di questo tipo si ritrovano in alcuni paesi vicini fra di loro della zona nord-orientale. È certo, comunque, che in nessun caso re­ pertori a parti parellele e ad accordo convivono nella stessa località. Un primo consistente insieme di repertori a due (e in alcuni casi tre) parti per terze parellele è documentato nel Cilento grazie alle ricer­ che di Maurizio Agamennone50 e di altri. Ne presentiamo un esempio 49 MACCHIARELLA, La polivocalità di tradizione orale.

50 MAURIZIO AGAMENNONE, Stabilità areale e variabili locali nella musica delle confraternite cilentane, in Atti del secondo convegno europeo di analisi musicale, a c. di Rossana Dalmonte e Mario Baroni, Università degli Studi di Trento, Dipartimento di Storia della Civiltà Euro­ pea, Trento 1992.

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IL FALSOBORDONE FRA TRADIZIONE ORALE E TRADIZIONE SCRITTA

proveniente da Minori (Salerno). Si tratta di un repertorio patrimonio della Confraternita del Santissimo Sacramento, formato esclusivamen­ te da brani con testo in italiano. Alcuni di questi sono derivati dal lati­ no (come il Pianto di Maria, volgarizzazione dello Stabat mater), altri di provenienza laudistica (come il Mio Dio perdono), altri ancora sono incentrati sul racconto della Passione e fanno parte del vasto insieme di testi di carattere narrativo che si ritrova nei repertori della settimana santa delle regioni meridionali e della Sicilia, a prescindere dalla strut­ tura del canto (vedi il paragrafo 1.8). L’esecuzione è a due parti, ciascuna delle quali cantata da un nume­ ro non definito di voci, che procedono tendenzialmente a distanza di una terza, con cadenze all’unisono in conclusione di ogni verso.51 Esempio 8. Minori (Salerno), Mio dio perdono. Registrazione di Girolamo Garofa­

lo; trascrizione di Ignazio Macchiarella.

Repertori con caratteristiche analoghe si ritrovano in Puglia, sul Gargano, a San Giovanni Rotondo e San Marco in Lamis, documentati da Salvatore Villani. In questo caso si tratta di brani in latino (tra cui diverse versioni del Miserere), alcuni dei quali vengono eseguiti in chie­ sa con accompagnamento di organo.52 Analoghi repertori sono segnala­

51 Ringrazio Girolamo Garofalo per avermi donato copia della sua registrazione inedita. 52 Ringrazio Salvatore Villani per avermi donato copia delle sue registrazioni inedite.

IL VERSANTE DELLA TRADIZIONE ORALE

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ti a Vico del Gargano (Foggia) e Bisceglie (Bari).53 Sempre in Puglia, ancora in provincia di Bari, si ritrovano altri due repertori di questo ti­ po, uno a due parti a Turi, studiato da Nicoletta Cirillo,54 ed uno assai interessante a tre e quattro parti a Conversano analizzato da Angela Laterza.55 Quest’ultimo repertorio è oggi eseguito da un gruppo di cantori che non fanno tutti parte di una confraternita, sebbene questo sodalizio sia tuttora presente in paese. Si tratta di una situazione recente dovuta ai processi di disgregazione della tradizione, poiché in passato, quando esistevano più gruppi di esecutori, uno per ciascuna delle confraternite esistenti, ogni gruppo era formato esclusivamente da confratelli.56 Nel complesso vengono eseguiti brani con testo in latino (Miserere e Stabat mater) e con testo in italiano di derivazione laudistica (Oimè che mi consola, Questo Gesù che miri, eccetera). L’esecuzione è generalmente a tre parti parallele con le due superiori in rapporto di terza e quella inferiore all’ottava grave rispetto alla più acuta. A queste si può aggiungere, per lo più in fase di cadenza, una quarta parte all’ottava superiore rispetto alla seconda. Non mancano poi passaggi in cui il rigido parallellismo fra le parti viene meno e si ri­ trovano bicordi di quinta o di quarta fra la parti superiori. Ogni parte è eseguita da un numero non determinato di cantori. Esempio 9. Conversano (Bari), Stabat mater (seconda strofa). Registrazione e tra­ scrizione di Angela Laterza.

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Il voce

basso

53 Segnalazione di Pietro Sassu che ringrazio. 54 NICOLETTA CIRILLO, Tradizioni musicali in Puglia (La settimana santa a Turi), tesi di lau­ rea, Università degli studi di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofìa, corso di laurea in DAMS, relatore professor Roberto Leydi, a.a. 1991-2. 55 ANGELA LATERZA, Canti popolari in Puglia (La settimana santa a Conversano), tesi di lau­ rea, Università degli studi di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofìa, corso di laurea in DAMS, relatore professor Roberto Leydi, a.a. 1991-2.

56 Ritroveremo situazioni analoghe in diversi paesi della Sicilia e della Sardegna.

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IL FALSOBORDONE FRA TRADIZIONE ORALE E TRADIZIONE SCRITTA

Diversi repertori a due parti per terze parallele si hanno poi in Ca­ labria. Due casi significativi, oggetto di studio di Antonello Ricci, si hanno in provincia di Cosenza, a Totano Castello e Sartano.57 In questo caso si tratta di repertori cantati da donne e assolutamen­ te estranei, almeno oggi, a sodalizi confraternali. Il testo è in dialetto e si ritrova abbondantemente diffuso nella stessa regione ed in Sicilia (vedi il paragrafo 1.8). L’esecuzione è a due parti; una, la più acuta, che è la principale, è realizzata da una sola voce, mentre l’altra è invece eseguita da tre don­ ne all’unisono. Esempio 10. Sartano (Cosenza), Lu vènnari di marz’oi min si ca. Registrazione e trascrizione di Antonello Ricci.

Lu

ve-nna- ri

di ma-a

a - rz’o- i

E ch'è mu - ar-tuGe-e-su Cri-i

nun si

i- sfo - i

ca

mpassi -

jo

57 ANTONELLO RICCI, Polivocalità tradizionale di Torano Castello e Sartano (Cosenza)^ «Studi Musicali», xx/l 1991. Escludiamo i repertori polivocali delia settimana santa delle comu­ nità albanesi (arbèreshe) della Calabria i quali appartengono ad una diversa tradizione para­ liturgica e presentano peculiari processi di formalizzazione musicale.

IL VERSANTE DELLA TRADIZIONE ORALE

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Dei canti polivocali della settimana santa a parti parallele diffusi in Sicilia si dirà più avanti nel paragrafo dedicato all’insieme dei repertori di questa regione.

1.4. I repertori ‘ad accordo" delle regioni meridionali e delle isole

Con canto ad accordo definiamo una struttura polivocale in cui una parte solista che svolge una articolata linea melodica, viene accompa­ gnata da un coro, a due o più parti, che interviene quantomeno in fase di cadenza e realizza (o contribuisce a realizzare insieme con la parte so­ lista) successioni di accordi completi. Questa struttura, come già accen­ nato, si ritrova in alcuni repertori della settimana santa delle regioni meridionali, mentre caratterizza la quasi totalità dei repertori della Sici­ lia e della Sardegna. Va detto che per quanto riguarda le regioni sud-pe­ ninsulari non siamo in grado di stabilire se il numero limitato di reper­ tori oggi noti sia dovuto ad una effettiva scarsa diffusione di questa for­ ma di canto oppure alla già lamentata mancanza di ricerche specifiche. D’altra parte le testimonianze dei folkloristi, come vedremo più avanti, rivelano una assai vasta diffusione di repertori polivocali della settimana santa (benché non sempre si evinca che si tratti di forme ad accordo) anche in queste regioni. Così ad esempio, se oggi in Basilicata non ri­ sulta alcun repertorio documentato (nonostante abbiamo notizia di nu­ merose processioni della settimana santa con larga presenza di confra­ ternite nonché diverse sommarie segnalazioni circa la presenza di forme vocali tradizionali), è noto che all’inizio del secolo erano assai numerosi i paesi in cui si cantava il Miserere e lo Stabat mater a cura di gruppi spe­ cializzati confraternali. Non è noto invece se un riscontro in tempi re­ centi sia stato condotto in questi paesi e quindi se e quando la tradizio­ ne abbia avuto soluzione di continuità. Data questa situazione la nostra trattazione sulle forme ad accordo riguarderà essenzialmente i repertori della Sicilia e della Sardegna, dove invece sono state svolte sistematiche ricerche e la documentazione è al­

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IL FALSOBORDONE FRA TRADIZIONE ORALE E TRADIZIONE SCRITTA

quanto esauriente. Prima però proponiamo una sommaria illustrazione dei più significativi esempi delle altre regioni. Un interessante repertorio della settimana santa ad accordo si ha in Campania, a Sessa Aurunca (Caserta). Esso è stato documentato per la prima volta negli anni Settanta da Roberto De Simone,58 mentre re­ centemente è stato studiato da Sandro Biagiola e Pierluigi Gallo.59 Tale repertorio, che è incentrato su una versione a tre voci del Mise­ rere costantemente ripetuta nel corso della processione del venerdì san­ to, è patrimonio di un gruppo di cantori specializzati appartenenti alla Confraternita del Santissimo Crocefisso. All’interno di questo gruppo la trasmissione del canto e l’ammissione di nuovi cantori avvengono se­ condo modalità rigidamente formalizzati. Farvi parte costituisce ancor oggi motivo di prestigio all’interno in paese.60 L’esecuzione è a tre parti che entrano in successione a partire dalla più acuta ma risultano incentrate sulla mediana. Tutte e tre le parti, ciascuna delle quali è realizzata da un solo cantore, concorrono a realiz­ zare una successione di triadi in posizione fondamentale. Grande risal­ to hanno i frequenti ritardi e i portamenti molto marcati (spesso quasi dei glissando), che assumono un caratteristico effetto espressivo. Del tutto peculiare è il timbro vocale, quasi metallico, derivante dal parti­ colare amalgama delle voci. Oltre al Miserere il repertorio di Sessa Au­ runca presenta anche una versione delle Lamentatio Jeremiae prophetae (per l’ufficio delle Tenebre), eseguita a solo con accompagnamento di armonium. Altri brani venivano eseguiti in passato. Repertori polivocali ad accordo, sia pure in forme musicalmente al­ quanto disgregate, si possono individuare in numerosi paesi della Cala­ bria. È il caso ad esempio di quelli di Mesoraca e Strongoli in provincia di Catanzaro, rilevati dalla cooperativa RLS,61 o di Pizzo Calabro (Reg­ gio Calabria) registrati da Elsa Guggino.62 38 ROBERTO DE SIMONE, Canti e tradizioni popolari, LatoSide, Milano 1979, p. 129 (il volu­ me è una ristampa del libretto illustrativo dell’antologia La tradizione in Campania, a c. di Roberto De Simone, sette dischi 33 giri, EMI, 1978) 59 SANDRO BIAGIOLA, Un Miserere polivocale a Sessa Aurunca: nota etnomusico logica, «Studia Suessana», II 1980; PIERLUIGI GALLO, Il Miserere polivocale di Sessa Aurunca, in Musica e li­ turgia nella cultura mediterranea.

60 Vedi l’ampia descrizione della trasmissione del repertorio e del suo contesto esecutivo in GALLO, Il Miserere polivocale di Sessa Aurunca.

61 Ringrazio Ettore Castagna della Cooperativa RLS per la segnalazione. 62 Esempi di questo repertorio sono depositati presso il Folkstudio di Palermo.

IL VERSANTE DELLA TRADIZIONE ORALE

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Esempio 11. Sessa Aurunca (Caserta), Miserere, Registrazione di Renato Morelli; trascrizione di Pierluigi Gallo.

IL FALSOBORDONE FRA TRADIZIONE ORALE E TRADIZIONE SCRITTA

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Sebbene manchi un quadro d’insieme delle diverse documentazioni si può affermare che in genere si tratta di repertori maschili, quasi sempre confraternali, caratterizzati dall’esecuzione di testi in dialetto o in italia­ no, e generalmente denominati ladate (lo stesso termine è usato per i re­ pertori siciliani; vedi oltre). La melodia solista, che può essere svolta da più cantori alternativamente, è riccamente ornata e strutturata secondo i modelli della tradizione monodica profana della regione. L’accompa­ gnamento corale si limita di solito al semplice raddoppio all’unisono delle note cardine della melodia solista, mentre in fase di cadenza si può aggiungere una voce all’ottava acuta. Si tratta di un raddoppio che, co­ me vedremo meglio a proposito dei casi analoghi presenti fra i repertori siciliani, può comunque essere interpretato in una logica accordale’, co­ me fondamentale di una triade perfetta. E cioè da ipotizzare che la mancata realizzazione degli altri suoni dell’accordo sia da imputare ai processi di disgregazione della cultura tradizionale, processi che come è noto hanno avuto (ed hanno tuttora) una profonda incidenza su forme complesse e specializzate come quelle della polivocalità meridionale.63 Il ‘ripieno’ corale realizzato con il concorso di numerosi cantori, dà un profondo spessore sonoro che suggerirebbe comunque un’idea di verti­ calità’ dell’accompagnamento che contrasta chiaramente con la logica di tipo lineare-orizzontale dei repertori visti in precedenza. Esempio 12. Diamante (Cosenza), Gesù ni l>anima. Registrazione di Gianni Bosio

e Clara Longhini; trascrizione di Maurizio Agamennone e Serena Facci.

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63 MACCHIARELLA, Lapolivocalità di tradizione orale.





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IL VERSANTE DELLA TRADIZIONE ORALE

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L’esempio che abbiamo proposto è stato rilevato da Gianni Bosio e Clara Longhini nei primi anni Settanta. Esso proviene da Diamante (Cosenza) ed è eseguito nel corso delle processioni della settimana santa da un gruppo appartenente alla Confraternita del Santissimo Sacra­ mento. La parte solista è svolta da un solo cantore ed è assai abbellita. Quella corale è eseguibile da un numero indeterminato di voci (in que­ sto caso sono sette) e oltre a raddoppiare i gradi fondamentali della sca­ la accompagna il moto discendente della melodia solista, riempiendo i salti di quinta e di terza. In questo modo, grazie al gioco delle orna­ mentazioni della melodia solista, si ottengono anche bicordi di terza e di altri intervalli. Forme di canto polivocale della settimana santa con testo in latino e struttura musicale basata su successioni di triadi in posizione fonda­ mentale si ritrovano in numerosi paesi della Corsica. Benché l’isola non rientri amministrativamente nel territorio italiano, ci pare oppor­ tuno dedicar loro una parentesi, anche in considerazione delle forti af­ finità con i repertori della Sicilia e della Sardegna.64 Nonostante un certo ritardo della ricerca etnomusicologica nell’iso­ la, la documentazione disponibile sulla musica religiosa corsa è tutto sommato vasta. Il merito di ciò va innanzi tutto all’intensa ricerca su campo di Felix Quilici (1909-1980), autore di numerose registrazioni nei primi anni Sessanta.65 In tempi più recenti alcuni dei numerosi 64 Va altresì detto che anche fuori dal territorio italiano si ritrovano forme di canto della set­ timana santa con analoghe strutture ad accordo. È il caso, per esempio, della penisola iberica dove si hanno numerosi repertori principalmente nella Murcia e nella Catalogna, evenienza che tra l’altro di grande importanza ai fini della nostra ricerca per i profondi rapporti che storicamente hanno legato le regioni meridionali e le isole italiane alla Spagna. Purtroppo è da lamentare un notevole ritardo nella ricerca etnomusicologica che non permette l’avvio di raffronti sistematici. L’unico saggio comparativo sui repertori tradizionali pasquali europei è dedicato al raffronto fra canti monodici: SAMUEL BAUD BOVY, Pasques mediterranneennes, «Anuario Musical», XXXIX-XL 1986.

65 Vedi Musique corse de traditione orale. Enregistrements effectues par Felix Quilici, a c. di

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IL FALSOBORDONE FRA TRADIZIONE ORALE E TRADIZIONE SCRITTA

gruppi di musica tradizionale diffusi nell’isola hanno promosso inizia­ tive di studio sull’argomento che hanno portato a diverse pubblicazioni di saggi e di dischi. Particolarmente importante è il contributo del gruppo «E voce di u Cumune» di Pigna (Toni e Nicole Casalonga, Nando Acquaviva, Antoine Massoni ed altri) che ha tra l’altro avviato una serie di colloqui che intendono proporre un confronto fra i reper­ tori dell’isola e gli altri repertori mediterranei.66 Nel complesso la tradi­ zione orale della Corsica presenta una straordinaria varietà di repertori polivocali liturgici e paraliturgici. Vi si ritrovano per esempio numerosi casi di ordinarium Missae, o della liturgia del Vespro, nonché svariate versioni di salmi destinati a diversi contesti rituali.67 I repertori destina­ ti alla settimana santa si caratterizzano soprattutto per la presenza del Miserere, del Gloria e dello Stabat mater a cui si aggiungono alcuni can­ ti in lingua corsa (come il Dio vi salvi Regina definito «le plus populaire de tous les cantiques de Pile»),68 ed altri in italiano di derivazione laudistica. Accanto a questi brani specifici se ne possono ritrovare altri che normalmente vengono eseguiti in differenti occasioni rituali. L’esecuzione ha luogo quasi sempre all’interno delle diverse proces­ sioni, spesso nell’ambito di azioni rappresentative che richiamano quel­ le diffuse della Sardegna e della Sicilia.69 Essa è sempre a cura di gruppi specializzati, organizzati in cori che fanno parte di confraternite laicali, alquanto diffuse ed attive in tutta l’isola. Per quanto riguarda la composizione musicale, rinviando alle ap­ profondite analisi condotte da Markus Ròmer,70 osserviamo solamente Michel Quilici, tre dischi 33 giri, Archives Sonores de la Phonotheque National APN 82-1/3, 1982. Uno dei tre dischi è dedicato ai canti religiosi con alcuni esempi della setti­ mana santa: uno Stabat ed un Miserere.

66 II primo di tali colloqui, denominati Le chants religieux en Corse. État, comparaisons, per­

spectives, si è svolto a Corti nel 1990 (gli atti a cura di Marcel Perez sono in corso di stampa per TÉditions Créaphis, Paris), il secondo a Calvi nel 1992. Inoltre vedi Corsica. Chants polyphoniques. E voce di u Comune, compact disc, Harmonia Mundi HMC 901256, e Contri­ butions aux recherches sur le chant corse, a c. del Centre d’Ethnologie Franchise - Associu e voci di u Cumune, s.e., 1992.

67 Un quadro esauriente è proposto da MARKUS RÓMER, Schriftliche und miindliche Traditionen geistlicher Gesdnge aufKorsika, Steiner, Wiesbaden 1983. Esempi di ordinarium Missae di tradizione orale si hanno anche in Sardegna come vedremo nel paragrafo 1.6. 68 FELIX QUILICI, La musique, le chant, la langue, in Musique corse, p. 15. Questo canto viene eseguito anche al di fuori della settimana santa. 69 Vedi le accurate descrizioni in QUILICI, La musique, le chant, la langue. 70 ROMER, Schriftliche und miindliche Traditionen.

IL VERSANTE DELLA TRADIZIONE ORALE

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che i repertori della settimana santa presentano profonde affinità strut­ turali con le forme profane, in particolare con le paghjelle, un reperto­ rio anch’esso ancora assai vivo e articolato.71 Romei, anzi, ipotizza che quest’ultimo repertorio derivi dalla diffusione della prassi del falsobor­ done avvenuta in Corsica nel sedicesimo secolo.72 Differenze di grande rilievo fra repertori religiosi e profani si hanno invece per quanto riguarda l’emissione vocale che nelle forme religiose è caratterizzata da una marcata solennità. L’esecuzione è di norma a tre parti, ciascuna eseguita da un solo cantore (con possibilità di raddoppio della più grave) e tende a realizza­ re concatenazioni di triadi in posizione fondamentale. Gli esempi seguenti sono tratti dai lavori di Ròmer e schematizzano due casi significativi. Il primo è un salmo piuttosto raro nella tradizio­ ne orale, il n. 116, Laudate Dominum, eseguito a Rusio, un paese del centro nord. Il secondo è un canto con testo in italiano, la lauda Perdo­ no mio Dio (che abbiamo altresì incontrato nell’esempio 8), e proviene da Venzolasca, un altro paese del nord. L’indicazione delle durate delle trascrizioni dello studioso tedesco è assolutamente approssimativa e non sono indicati gli accordi ribattuti. Esse perciò vanno considerate come semplici schematizzazioni armoniche. Esempio 13. Rusio, Laudate Dominum omnes gente. Registrazione e trascrizione di Markus Ròmer.

71 Cfr. FELIX QLJIL1CI, Polyphonies vocales traditionnelles en Corse, «Revue de Musicologie», LVll/1 1971; GERMANA DE ZERB1, Cantu nastrale, Scola Corsa Academia de Vagabondi, Ai­ rone 1981; WOLFGANG LAADE, Das Korsiche Volkslied, Steiner, Wierbaden 1981, 2 voli. Tut­ ti questi saggi trattano anche dei rapporti fra polivocalità profana e religiosa. Vedi inoltre DORA CANTELLA, Due esempi della tradizione del canto liturgico in Corsica: influenze tra tradi­ zione profana e sacra, in Liturgia e paraliturgia nella tradizione orale.

72 ROMER, Schriftliche und mùndliche Traditionen. Un sunto di questa tesi è proposto in MARKUS ROMER, Elementi stilistici e storici del canto polivocale in Corsica, «Culture Musicali», nuova serie, lx/1-2 1992.

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IL FALSOBORDONE FRA TRADIZIONE ORALE E TRADIZIONE SCRITTA

Esempio 14. Venzolasca, Perdono mio Dio. Registrazione e trascrizione di Markus

Ròmer.

Dopo questa sommaria parentesi dedicata alla Corsica possiamo fi­ nalmente introdurre i repertori della Sicilia e della Sardegna. Come abbiamo già avuto modo di accennare le forme di canto po­ livocale della settimana santa di queste due isole costituiscono gli insie­ mi quantitativamente più numerosi e qualitativamente di maggior in­ teresse di tutto il patrimonio italiano. Alcuni repertori, anzi, si presen­ tano in forme così elaborate da poter essere annoverate, senza tema di smentita, tra le più complesse espressioni della polivocalità di tradizio­ ne orale europea.73 Diffusi in maniera quasi omogenea in larghe zone dei rispettivi ter­ ritori, i repertori siciliani e sardi in generale mantengono viva a tutt’oggi una relativa funzionalità che assicura continuità alla tradizione. Spesso la loro esecuzione e trasmissione rappresenta una attività di as­ soluto rilievo sociale ed è molto ambito far parte di un gruppo di can­ tori (vedi per esempio quanto si dirà a proposito dei repertori di Montedoro e Mussomeli in Sicilia e di Castelsardo e Santulussurgiu in Sar­ degna). Inoltre sono molteplici i casi in cui si ha la contemporanea presenza nello stesso paese di più gruppi di esecutori, facenti capo alla 73 Si confronti ad esempio il repertorio di Castelsardo con le panoramiche sulla polivocalità europea proposte da ERNEST EMSHE1MER, Some Remarks on European Folk Polyphony, «Jour­ nal of International Folk Music Council», XVI 1964, e PORTER, Prolegomena to a Comparati­ ve Study ofEuropean Folk Music.

IL VERSANTE DELLA TRADIZIONE ORALE

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stessa o a più organizzazioni confraternali. Questa compresenza finisce con Tessere occasione di reciproca rivalità che si esprime nei modi pro­ pri della tradizione orale, costituendo perciò una continua occasione di confronto sulla qualità dell’interpretazione. Un ulteriore motivo di interesse è dato dal fatto che tali canti si ma­ nifestano in due regioni che, relativamente alla presenza della polivoca­ lità di tradizione orale, presentano situazioni quasi antitetiche. In Sici­ lia, infatti, il canto a più voci di tradizione orale ha pochissima diffu­ sione al di là proprio dei repertori della settimana santa, essendo quasi ovunque scomparse le forme profane documentate nel passato; in Sar­ degna, invece, la prassi polivocale non religiosa è particolarmente dif­ fusa e raggiunge forme di grande complessità. Una serie di motivi di interesse quindi che si aggiungono a quelli relativi agli specifici processi di formalizzazione musicale e che contri­ buiscono a fare dei repertori in questione un’importante occasione di verifica dei meccanismi della tradizione orale. Riteniamo opportuno precisare sin da adesso che non crediamo che l’odierna vasta diffusione e conservazione’ dei repertori della settimana santa siciliani e sardi possa essere spiegata in base a ragioni di carattere geografico e/o relative allo sviluppo socio-economico. Rifiutiamo cioè il luogo comune che vuole che nei paesi piccoli ubicati in aree geogra­ ficamente più isolate e/o poco sviluppate dal punto di vista industriale si conservino maggiormente le forme musicali più arcaiche’, aggettivo questo che è comunque poco pertinente in quanto pressuppone pro­ cessi di conservazione e di mummificazione del tutto estranei alla mu­ sica di tradizione orale che, ribadiamo, statica non è, ma mantiene in vita, rielaborandolo continuamente secondo le proprie leggi, solo ciò che conserva una qualche funzionalità sociale. Pensiamo pertanto che le ragioni della odierna situazione vadano ri­ cercate in un vasto ventaglio di fattori che ne motivino la rinnovata funzionalità, come la persistenza della funzione aggregativa delle con­ fraternite (in alcuni casi trasformatesi recentemente in organizzazioni che trascendono la sola finalità religiosa; vedi oltre), ed il costante rilie­ vo sociale dei riti della settimana santa che sono spesso occasione di nuove ed originali manifestazioni collettive.74 74 Pensiamo ad esempio al recente moltiplicarsi in Sicilia di rappresentazioni teatrali della Passione diverse dalle forme tradizionali (spesso con coinvolgimento delle TV locali). Tra l’altro, in alcuni casi, queste hanno portato nuovo vigore anche alla tradizione musicale. Rinviamo ad altra occasione la trattazione di questo argomento.

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IL FALSOBORDONE FRA TRADIZIONE ORALE E TRADIZIONE SCRITTA

Non vanno poi trascurate le motivazioni propriamente religiose che spingono i fedeli a partecipare ai riti paraliturgici e che ovviamente ri­ guardano anche i singoli cantori. Allo stesso tempo assai avvertito è anche il piacere del cantare insie­ me, soprattutto nei casi dei repertori più complessi’ in cui si registrano esiti musicalmente gratificanti. Molti cantori che abbiamo conosciuto nel corso della ricerca hanno infatti esplicitamente indicato in tale pia­ cere il motivo alla base della loro partecipazione al rito e financo dell’adesione ad una confraternita laicale. Naturalmente, dato lo scopo di questo lavoro, tralasceremo un ap­ profondimento di tali questioni, che spesso sono il frutto di particolari situazioni locali e che pertanto richiederebbero specifiche trattazioni monografiche. Terremo comunque il più possibile in considerazione il dato etnografico complessivo per quanto riguarda soprattutto il conte­ sto esecutivo, dato che esso costituisce un elemento indispensabile per qualunque studio etno-musicologico.

1.5. I repertori della Sicilia

In Sicilia il canto polivocale della settimana santa è una delle poche forme della musica di tradizione orale a conservare una precisa funzio­ nalità. Largamente diffuso, esso accompagna le processioni e le altre manifestazioni rituali in molti paesi. Eseguito da gruppi di cantori spe­ cializzati, sempre maschi e di norma appartenenti a confraternite laica­ li, presenta accanto ai testi in latino un cospicuo numero di testi dialet­ tali, di diversa provenienza. Poco considerato nelle prime raccolte dei folkloristi (vedi il para­ grafo 1.10) e poco presente anche nei primi rilevamenti fonografici condotti nell’isola, da più di dieci anni esso è stato oggetto di specifi­ che campagne di ricerca, promosse soprattutto dal Folkstudio e dall’Archivio Etnofonico del CIMS di Palermo e dirette da Elsa Guggino.75 La documentazione raccolta, quasi interamente depositata in ar­ chivi pubblici, offre un quadro che può considerarsi quasi esaustivo:76 75 Chi scrive ha avuto modo di partecipare a tali ricerche sin dal 1980. 76 Esaustivo almeno nella misura in cui tale aggettivo può essere usato per definire i risultati di una ricerca etnomusicologica. Per quanto approfondita sia stata la ricerca è sempre possi­ bile che nuovi repertori possano essere ‘scoperti’ lì dove la visita del ricercatore ha dato esiti negativi o che nuove varianti dei repertori conosciuti possano emergere in futuro. Ciò può

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essa consiste di circa 250 ore di registrazioni su nastro magnetico che illustrano più di cento repertori locali. Parte di questo materiale è stata altresì edita in incisioni discografiche ed oggetto di studi monografici. La tabella seguente elenca, in ordine alfabetico, tutti i paesi di cui si ha conoscenza circa resistenza di repertori polivocali della settimana santa e la documentazione per ciascuno disponibile.77 Sono escluse le segnalazioni esistenti negli scritti dei folkloristi di cui tratteremo in se­ guito. Tabella 1

Elenco delle località siciliane in cui sono stati rilevati canti polivocali della settimana santa e relativa documentazione.

Abbreviazioni: *

arch.: documentazione nastrografica depositata presso l’Archivio Etnofonico del cism e del Folk-

studio di Palermo;’

*

CNSMP: documentazione nastrografica depositata presso il Centro Nazionale Studi Musica Popola­

re di Roma; *

coll.: documentazione nastrografìca appartenente a collezioni private;

0: disco 33 giri o compact disc; Favara: trascrizioni musicali in ALBERTO

favara,

Corpus di musiche popolari siciliane, Accademia delle

Scienze Lettere e Arti, Palermo 1957.

1 ) Acquaviva Platani (CI) 2) Alcara li Fusi (Me)

3) 4) 5) 6) 7)

Alessandria della Rocca (Ag) Alimena (Pa) Aragona (Ag) Assoro (En) Barcellona Pozzo di Gotto (Me)

(*arch.) (0 Canti della settimana santa) (*arch.) (*arch.) (*arch.; 0 La settimana santa) (*arch.; 0 Sìdlia canti) (*arch.; 0 Canti liturgici, La Visilla, La settimana santa)

8) Barrafranca (En) 9) Bisacquino (Pa)

(*arch.) (*arch.)

accadere per diverse ragioni, tra cui i possibili fenomeni di ripresa della tradizione di cui ab­ biamo già esempi documentati. Non è neanche escluso che le circostanze in cui si è svolta la visita del ricercatori possano aver portato a non rilevare un dato repertorio. Non bisogna al­ tresì dimenticare la grande difficoltà della ricerca dei canti della settimana santa data dalla concomitanza temporale dello svolgimento dei momenti celebrativi nei diversi paesi.

77 Sono esclusi i paesi in cui vivono minoranze albanesi (tra cui Piana degli Albanesi e Santa Cristina Gela) che, come è noto, appartengono ad una diversa tradizione religiosa e musi­ calmente sono lontane dalle forme caratteristiche dei repertori siciliani, nonché i paesi dove sono cantati solo repertori monodici.

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10) 1 1) 12) 13)

IL FALSOBORDONE FRA TRADIZIONE ORALE E TRADIZIONE SCRITTA

Biancavilla (Ct) Bivona (Ag) Bompensiere (CI) Bronte (Ct)

14) Buccheri (Sr) 15) Burgio (Ag) 16) Butera (CI) 17) Caccamo (Pa) 18. Calamonaci (Ag) 19) Caltagirone (Ct) 20) Caltanissetta 21 ) 22) 23) 24) 25) 26) 27) 28) 29) 30) 31) 32) 33) 34) 35) 36) 37) 38) 39) 40) 41) 42) 43) 44) 45) 46) 47) 48) 49) 50) 51 ) 52)

Cammarata (Ag) Campofranco (CI) Canicattì (Ag) Canicattini Bagni (Sr) Capizzi (Me) Carlentini (Sr) Casal Vecchio Siculo (Me) Cassare (Sr) Castel di Lucio (Me) Cattolica Eraclea (Ag) Cerami (En) Chiaramonte Gulfì (Rg) Cianciana (Ag) Collesano (Pa) Comiso (Rg) Delia (CI) Favara (Ag) Finale (Pa) Frazzanò (Me) Gangi (Pa) Gela (CI) Giardina Galletti (Ag) Giarratana (Rg) Grotte (Ag) Isnello (Pa) Leonforte (En) Licodia Eubea (Ct) Longi (Me) Marianopoli (CI) Marine© (Pa) Marzameni (Sr) Milena (CI)

(*arch.) (*arch.; 0 La settimana santa) (*arch.) (*arch., *cnsmp - raccolta 24, *coll. Anne Florence Bournef)b (*arch., *cnsmp - raccolta 56) (*arch.) (*arch.) (*CNSMP - raccolta 19) (*arch.; 0 La tradizione musicale) (*arch.) (*arch.; *cnsmp - raccolta 17; 0 La settimana santa; Favara) (*arch.) (*arch.) (*arch., *cnsmp - raccolta 27) (*arch.) (*arch.) (*CNSMP - raccolta 27) (0 Canti della settimana santa) (*cnsmp - raccolta 56) (0 Canti della settimana santa) (*arch.) (*arch.) (*arch.; 0 Sicilia canti) (*arch.) (*arch.) (CNSMP)

(*arch.; 0 Sicilia canti) (0 Era Sicilia)

(*arch.) (0 Era Sicilia) (Favara) (Favara) (*arch.; 0 Sicilia canti) (*Arch.) (*arch.; cnsmp - raccolta 27) (*arch.) (*arch.) (*arch.; 0 La settimana santa, Sicilia canti) (0 Canti della settimana santa) (Favara)

(*arch.) (*arch.) (*arch.)

IL VERSANTE DELLA TRADIZIONE ORALE

53) 54) 55) 56)

Mineo (Ct) Mistretta (Me) Montalbano Elicona (Me) Montedoro (Cl)

37

(*arch.) (*arch.)

(0 Era Sicilia) (*arch.; 0 La settimana santa, Canti liturgici, 1 lamenti1 di Montedoro, Sicilia canti)

57) Monterosso Almo (Rg) 58) Mossomeli (Cl)

(*arch., *cnsmp - raccolta 56) (*arch.; 0 La settimana santa, / lamenti1 di Mussameli, Sicilia canti)

59) Naro (Ag) 60) Niscemi (Cl) 61) Nissoria (En) 62) Pachino (Sr) 63) Palagonia (Ct) 64) Palermo 65) Palma di Montechiaro (Ag) 66) Piazza Armerina (En) 67) Pietraperzia (En) 68) Porto Empedocle (Ag) 69) Porto Palo (Sr) 70) Racalmuto (Ag) 71) Raffadali (Ag) 72) Ramacca (Ct) 73) Realmente (Ag) 74) Regalbuto (En) 75) Resuttano (Cl) 76) Riesi (Cl) 77) Rosolini (Sr) 78) Salemi (Tp) 79) S. Angelo Muxaro (Ag) 80) S. Anna (Ag) 81 ) S. Biagio Platani (Ag) 82) S. Cataldo (Cl) 83) S. Caterina Villermosa (Cl) 84) S. Cono (Ct) 85) S. Domenica Vittoria 86) S. Fratello (Me) 87) S. Elisabetta (Ag) 88) S. Michele di Ganzeria (Ct) 89) S. Stefano di Camastra (Me) 90) S. Stefano di Quisquina (Pa) 91) Scicli (Rg) 92) Serradifalco (Cl) 93) Siculiana Monterosso (Ag) 94) Sommatine (Cl) 95) Sperlinga (Ct)

(*arch.) (*arch.; 0 Canti tradizionali) (*arch.) (*arch.) (*arch.) (*cnsmp - raccolta 19) (Favara) (*arch.; 0 La settimana santa) (*arch.) (*arch., *cnsmp - raccolta 27) (*arch.; 0 Sicilia canti) (*arch.; Favara) (*arch.) (*arch.) (*arch.) (*arch.) (*arch.; 0 La settimana santa) (Favara)

(*arch.) (Favara) (*arch.) (*arch.) (*arch.) (*arch.) (*arch.) (*arch.) (cnsmp - raccolta 56) (*arch.) (*arch.) (*arch.) (*arch.; 0 Canti della settimana santa) (*arch.) (*cnsmp - raccolta 27) (*arch.) (*cnsmp - raccolta 27) (*arch.; 0 La settimana santa) (*arch.)

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96) Sutera (CI) 97) Terrauzza (Me) 98) Trappeto (Pa) 99) Tusa (Me) 100) Villalba 101) Villapriolo (Sr)

IL FALSOBORDONE FRA TRADIZIONE ORALE E TRADIZIONE SCRITTA

(*arch.) (*cnsmp - raccolta 56)

(*cnsmp - raccolta 69) (0 Canti della settimana santa) (*arch.) (*arch.)

a La collocazione dei nastri registrati in ciascun paese è ricavabile dal catalogo generale di imminente pubblicazione. In numerosi casi per ciascuna località vi sono più raccolte rileva­ te in anni diversi. b Registrazioni originali allegate a ANNE FLORENCE BORNEUF, La procession du vendredi—saint a Bronte (Sidle): une étude ethnomusicologique, tesi di laurea, Universite de Paris X Nanterre. Department d’Ethnologie et Ethnomusicologie. September 1990, directeur monsieur Ber­ nard Lotart—Jacob. Ringrazio fautrice per avermi donato copia del suo lavoro.

La cartina geografica illustra la distribuzione dei paesi citati nel pre­ cedente elenco.78

78 Ad integrazione della tabella aggiungiamo un elenco di paesi dove le ricerche su campo hanno rilevato la scomparsa del repertorio polivocale che comunque era esistito nel passato e di cui ben vivo è ancora il ricordo: Castroreale, Centuripe, Enna, Nicosia, Troina (tutti in provincia di Enna); Militello, Rosmarino (Messina); Catenanuova, Grammichele, Mirabella Imbaccati, Vizzini (Catania); Calascibetta, Casteltermini, Ribera, Ravanusa, San Giovanni Gemini (Agrigento); Ispica, Modica (Ragusa); Avola, Cassato, Feria, Noto (Siracusa); Castelbuono, Caltavuturo, Corleone, Gangi, Petralie, Prizzi (Palermo); Gibellina e Salemi (Trapani); Mazzarino, Villarosa (Caltanissetta).

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Come si vede chiaramente la diffusione del canto polivocale della settimana santa risulta oggi concentrata in prevalenza nei paesi della zona centro-orientale. Nell’area occidentale invece la sua scomparsa è avvenuta in tempi relativamente recenti. Infatti, oltre alle numerose at­ testazioni negli scritti dei folkloristi, le ricerche ivi svolte hanno appu­ rato che ben vivo ne è il ricordo nella memoria orale. È poi probabile che per quanto riguarda la provincia di Trapani un grande contributo sia da attribuire al terremoto di venticinque anni addietro che ha com­ pletamente sconvolto la struttura sociale di quelle zone. Come già accennato, i repertori della settimana santa costituiscono la principale forma di canto tradizionale a più voci dell’isola.79 Le altre forme di questo tipo sono legate alla attività agricola tradizionale e ven­ gono (o meglio venivano) eseguite durante il lavoro e soprattutto nelle pause. Gli esempi più significativi si ritrovano nella zona nord—orienta­ le, in provincia di Messina, dove si hanno repertori come i canti alla capuana, o alla baccillunisa che sono a tre parti vocali femminili,80 e nella zona centrale, in provincia di Caltanissetta e Agrigento, dove si ri­ trovano i canti di la pagghia, o i canti a coro, a due, tre o più parti voca­ li.81 Tutti questi repertori sono anch’essi ad accordo, e presentano delle differenze con i canti della settimana santa soprattutto per quanto ri­ guarda la parte solista. Questa nei brani profani è più ornata, si estende generalmente su un registro più acuto e viene eseguita con voce sforza­ ta’, in maniera affatto analoga al canto monodico.82 Sporadici sono gli altri esempi di canti polivocali: quelli connessi ad attività marinare caratterizzati da strutture musicali di tipo responsoriale con alternanza tra un solo ed un coro in unisono;83 alcune forme di 79 Escludiamo le numerose forme di canto con accompagnamento strumentale la cui parti­ colare polifonia data dal rapporto voce - strumento necessiterebbe di considerazioni che esulano del tutto dalla trattazione in corso. Cfr. MACCHIARELLA, La polivocalità di tradizione orale.

80 Esempi sonori in La Visilla, lato B, brani 5 e 7, e in Canti di lavoro in Sicilia, vol. 1, a c. di Elsa Guggino, disco 33 giri, Albatros vpa 8206, 1974. 81 Esempi sonori in Canti di lavoro in Sicilia e in La tradizione musicale a Calamonaci, a c. di Vincenzo Vacante e Giovanni Moroni, disco 33 giri, Albatros VPA 8506, 1991.

82 Per un immediato confronto si ascoltino gli esempi di Bivona, uno del repertorio profano documentato in Canti di lavoro in Sicilia, lato A, brano 4, ed uno religioso in La settimana santa in Sicilia, lato A, brano 6; oppure gli esempi, profani e religiosi, in La tradizione musi­ cale a Calamonaci.

83 Cfr. ELSA GUGGINO, L canti della memoria, in VINCENZO CONSOLO, La pesca del tonno in Si­ cilia, Sellerio, Palermo 1987 (con appendice di trascrizioni musicali di Ignazio Macchiarella).

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IL FALSOBORDONE FRA TRADIZIONE ORALE E TRADIZIONE SCRITTA

canto di argomento e contesto religioso (rosari, storie di santi, ma an­ che narrazioni della Passione) eseguiti, durante la settimana santa e/o al di fuori di essa, all’unisono da gruppi non specializzati; qualche rara forma di intrattenimento urbano a due o più voci la cui presenza lascia comunque pensare a forme di ‘importazione’ recente. Un quadro, quindi, che non presenta rilevanti sviluppi tanto che per lungo tempo si era addirittura ritenuto che la polivocalità fosse assolutamente estra­ nea alla tradizione musicale siciliana.84 I repertori della settimana santa vengono in genere denominati con il termine lamenti oppure lamintanzi o ancora ladate o laràte. Per indi­ carne l’esecuzione si usa il verbo lamintari e non cantari (cantare), ver­ bo, quest’ultimo, che invece viene normalmente utilizzato per i reper­ tori profani. L’occasione principale in cui si eseguono i lamenti è in tutti i casi costituita dalle processioni del venerdì santo: diversamente articolate da paese a paese, esse si svolgono secondo modalità altamente formaliz­ zate, lungo percorsi urbani ed extraurbani prefissati, con frequenti pau­ se in corrispondenza degli incroci tra le strade e dei punti di rilievo nel­ la topografia cittadina. Sono sempre presenti i simulacri del Cristo morto (la vara — ‘bara’) e della Madonna addolorata. I momenti cul­ minanti consistono nella rappresentazione della crocefissione di Gesù e della successiva deposizione. Tale rappresentazione si svolge al Calvariu (‘Calvario’), luogo sacrificale presente in quasi tutti i paesi siciliani co­ stituito da una cappelletta o semplicemente da una o tre croci poste fuori dal centro urbano.85 In questo genere di processioni i cantori dei lamenti solitamente si dispongono dietro il simulacro del Cristo morto che è sempre l’ele­ mento centrale del corteo. L’esecuzione ha luogo raramente in movi­ mento ma quasi sempre durante le pause dello svolgimento del corteo. 84 Lo «sviluppo polifonico è, nel canto siciliano, non solo assolutamente rudimentale, ma soprattutto eccezionale [...], là dove si riscontrano musiche di quel genere, si tratta di forme importate e recenti, le quali a fatica sembra che allignino sul suolo dell’isola [...]. La pretta autentica forma del canto siciliano di antico stampo è quindi univoca e non accompagnata: impronta dei tempi passati, preferenza che ha preso salde radici nell’anima della razza.» OT­ TAVIO TIBY, Il canto popolare siciliano, saggio introduttivo a ALBERTO FAVARA, Corpus di mu­ siche popolari siciliane. Accademia di Scienze Lettere e Arti, Palermo 1957. Va detto però che numerose segnalazioni in scritti di viaggiatori già a partire dal diciottesimo secolo fanno presumere che in passato la polivocalità tradizionale fosse molto più diffusa (vedi il para­ grafo 1.10). 85 BUTTITTA, Pasqua in Sicilia.

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Anzi sono proprio i lamenti a scandire le durate delle pause e quindi il ritmo stesso della processione. Il momento di massima intensità espres­ siva si ha sempre in coincidenza con la cerimonie che si svolgono al Calvariu, quando si registrano esecuzioni esplicitamente connotate di solennità, senz’altro le più accurate dell’intero arco festivo.86 Un altro tipo di processione, diffuso specialmente nei centri più grandi come Caltanissetta, Mussomeli, Barcellona Pozzo di Gotto, pre­ vede invece il trasporto di diversi gruppi statuari, i Misteri, ognuno dei quali rappresenta un momento significativo del racconto della Passione di Cristo. In questo caso la processione si svolge lungo uri percorso cit­ tadino sempre circolare, con partenza e conclusione nello stesso luogo, ed ha in genere una considerevole durata (cinque, sei o più ore). Ogni gruppo statuario è patrimonio di una confraternita o di una corporazione di mestieri. Gli associati e quindi anche i diversi gruppi di cantori si dispongono ciascuno dietro il proprio Mistero?7 L’esecu­ zione dei lamenti si svolge in genere durante le lunghe pause che fram­ mentano il percorso processionale. Esecuzioni particolarmente accurate si hanno in corrispondenza dei luoghi principali del paese (la piazza centrale, le diverse sedi di ciascuna confraternita eccetera). Inoltre la contemporanea presenza di più gruppi di cantori nello stesso corteo dà vita a forme di confronto sulla qualità di ciascuna esecuzione e ad un reciproco antagonismo che si manifesta in una serie di comportamenti formalizzati.88 Oltre a queste occasioni esecutive del venerdì santo, altre se ne han­ no nel corso della processione della domenica delle Palme89 e in alcune 86 Lo studio di un caso significativo del rapporto lamenti — processione è in IGNAZIO MAC­ CHIARELLA, Analisi di un brano del repertorio della settimana santa di Montedoro: «Sacri scale»> in Musica e liturgia nella tradizione mediterranea.

87 Nelle processioni più ‘sfarzose’, come ad esempio quella di Caltanissetta, è prevista anche una banda di strumenti a fiato e percussioni per ciascun gruppo statuario. Cfr. la descrizio­ ne di SALVATORE CALLARI, Le celebrazioni della settimana santa a Caltanissetta, Tipografia Lussografica, Caltanissetta 1982.

88 A Barcellona Pozzo di Gotto, ad esempio, abbiamo avuto modo di osservare che i cantori dei diversi gruppi nella processione serale ‘risparmiano il fiato’ diminuendo la frequenza e la durata delle esecuzioni in vista di un punto della processione in cui tutti i gruppi si vengono a trovare vicini, dove quindi avvengono delle ‘sfide’ che richiedono il massimo sforzo nell’emissione vocale (se ne veda anche la descrizione in GIULIANA FUGAZZOTTO, Analisi del­ la Vistila di Barcellona e di Pozzo di Gotto, «Culture Musicali», VIIl/15-6 1989). 89 Tale processione ha in Sicilia un notevole risalto. Di solito essa prevede un momento cen­ trale nelfingresso conclusivo del corteo in chiesa: le porte di questa vengono sbarrate, un pre­ te vi bussa tre volte, quindi un gruppo di cantori, precedentemente rinchiusosi all’interno,

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IL FALSOBORDONE FRA TRADIZIONE ORALE E TRADIZIONE SCRITTA

processioni o altre cerimonie rituali che a seconda dei paesi si svolgono il giovedì santo, o, più raramente, il mercoledì. Ad ognuno di tali contesti festivi e, all’interno di questi, ad ognuno dei diversi momenti processionali corrisponde l’esecuzione di una de­ terminato brano, sì che ogni brano ha un preciso giorno e, all’interno di questo, un preciso momento in cui può e deve comparire. Non mancano poi occasioni esecutive esterne e precedenti la setti­ mana santa. In alcuni paesi ad esempio si hanno le cosiddette nisciute, giri del paese che tutti i venerdì di quaresima i cantori effettuano lungo le vie che poi saranno percorse dalle processioni, eseguendo l’intero re­ pertorio dei lamenti. Inoltre sono spesso previste delle sedute di prova immediatamente prima della quaresima e/o della settimana santa sia per riacquistare familiarità con il repertorio sia per eventuali ammissio­ ni di nuove voci. In nessun caso, invece, si hanno esecuzioni per il giorno di Pasqua (come invece accade in Sardegna), giorno in cui in molti paesi si svolge il cosiddetto ncontru (‘incontro’) tra le statue di Gesù risorto e della Madonna, realizzato attraverso azioni processionali diverse da paese a paese, ed in genere assai elaborate.90 Come accennato in precedenza l’esecuzione è sempre opera di gruppi maschili,91 generalmente denominati squadre, costituiti da can­ tori specializzati, detti anche lamentatori. Ciascuna squadra appartiene di norma ad una confraternita laicale. Questa istituzione, che fino a poco tempo fa era attivamente presen­ te in ogni paese siciliano, oggi è però in crisi. In molti paesi la sua atti­ vità sociale non è più di grande rilievo ed in pratica si limita alla orga­ nizzazione delle feste collettive (soprattutto settimana santa e festa pa­ dronale) e all’assistenza ai confratelli defunti. La sua sede, l’oratorio, normalmente esercita soltanto funzione di luogo di incontro per anzia­

esegue un brano, dopodiché le porte vengono aperte e il corteo fa il suo ingresso in chiesa. Da notare che il brano eseguito in questa occasione di norma non viene più cantato per il re­ sto della settimana (vedi oltre).

90 Se ne veda la descrizione in ANTONINO BUTTITTA, Feste di Pasqua, Sellerio, Palermo 1990. Va notato che neanche le testimonianze orali raccolte e quelle bibliografiche relative al passato danno alcuna notizia circa la presenza di esecuzioni di canti polivocali durante lu ncontru. 91 Poche le eccezioni costituite da gruppi misti e tutte recenti innovazioni dovute alla caren­ za della partecipazione maschile. Le più significative sono a Cattolica Eraclea, Naro ed Ales­ sandria della Rocca, paesi della provincia di Agrigento, tutti con un altissimo tasso di emi­ grazione ancora in tempi recenti.

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ni. In questi casi quindi il rapporto fra squadra e confraternita è molto allentato. Solo per proporre un esempio, a Mussomeli (Caltanissetta) in occasione delle processioni della settimana santa sono presenti circa do­ dici confraternite che per il resto dell’anno sono pressocché inoperose. Di solito due o tre di queste hanno ogni anno una squadra di fomentatori, ciascuna delle quali si costituisce di volta in volta in maniera diver­ sa, non in virtù della appartenenza dei cantori ad una data confraternita ma in base a rapporti di amicizia, comparatico eccetera Così è accaduto pochi anni fa che nella squadra dell’Arciconfraternita del Santissimo Sa­ cramento non vi fosse nessun cantore appartenente a questo sodalizio. In alcuni paesi, come Montedoro, Delia e Sommatino, la confrater­ nita non esiste più nemmeno formalmente mentre è ancora in vita la squadra di fomentatori?1 Dove invece la struttura confraternale è ancora relativamente vitale, per esempio a Cerami, a Canicattini Bagni o a Resuttano, essa esercita un ruolo di grande rilievo nella organizzazione complessiva della squa­ dra dei fomentatori. Al suo interno, infatti, si svolgono sedute di prova durante le quali ciascun associato può esprimere il proprio parere sulla esecuzione. In questo modo si sceglie la formazione che accompagnerà la processione e si verificano eventuali nuove ammissioni di cantori. Ciascun repertorio locale è formato da un numero diverso di brani che quasi sempre vengono chiamati parti?0 Nel complesso si ritrovano parti con testo in latino, comune ai repertori delle altre regioni, e parti con testo in siciliano. Tra i primi i più diffusi sono gli inni Gloria (quasi sempre per il so­ lo rito della domenica delle Palme) e Vexilfo regis, l’improperium Popule meus, la sequenza Stabat mater, ed il salmo Miserere (che tuttavia ha minore riscontro rispetto alle altre regioni). In alcuni casi, per esempio a Mussomeli, vi sono brani costituiti da versetti in latino tratti dal testo evangelico (vedi l’esempio 23). Tra i testi in dialetto, invece, ve nè uno, Maria passa ri na strata nova?^ che è comune a quasi tutti i reper­ 92 Vedi per esempio IGNAZIO N4ACCH1ARELLA, I Lamenti della settimana santa di Montedoro, Amministrazione Comunale di Montedoro, 1986, dove è ricostruita la storia dei rapporti fra confraternita e squadra. 93 Per evitare confusioni terminologiche ribadiamo che il corsivo indica sempre il termine siciliano. 94 Naturalmente trattandosi di brani di tradizione orale il testo e quindi Vincipit possono va­ riare a seconda delle esecuzioni. Alcune versioni di questo canto ad esempio iniziano con «Passa Maria di na strata nova» oppure «Ffaccia ffaccia Maria ca to fìgghiu passa» o ancora «Cianci cianci Maria povira donna», e così via.

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IL FALSOBORDONE FRA TRADIZIONE ORALE E TRADIZIONE SCRITTA

tori. Di carattere narrativo, esso descrive la ‘ricerca’ di Gesù da parte della Madonna, un tema estraneo al racconto evangelico e di incerta provenienza. Tra gli altri testi siciliani alcuni sono sempre di carattere narrativo e trattano di precisi momenti della Passione (per esempio Morti ci dietici lu munti culvuriu eseguito a Delia, che descrive l’ascesa al Calvario — vedi esempio 25), altri invece si possono considerare vol­ garizzazioni di testi latini (come il Sede lu mutre di Montedoro, ‘tradu­ zione’ dello Stabat muter}. Ogni repertorio è in genere costituito da purti nelle due lingue. Po­ chi sono quelli formati esclusivamente da purti in una lingua soltanto: per esempio i repertori di Resuttano e Sommatine esclusivamente in siciliano, o quelli di Mussomeli e Barcellona Pozzo di Gotto solamente in latino. Arriviamo, infine, all’aspetto che in questa sede ci interessa mag­ giormente, la struttura musicale. Notiamo subito che una peculiarità condivisa da tutti i repertori è la cosiddetta struttura modulare. I diversi brani, infatti, possono essere considerati come formati da blocchi stereotipi armonico-melodico-ritmici che suddividono le purti in più versi musicali ciascuno dei quali coincide generalmente con un verso del testo verbale. Ogni blocco ste­ reotipo rappresenta l’unità minima di formalizzazione musicale. Cia­ scuna purte presenta un ristretto insieme di versi musicali differenti ognuno dei quali può venire più volte ripetuto. Attraverso un comples­ so meccanismo di combinazione che cambia da repertorio a repertorio, in ogni esecuzione questo materiale può essere disposto in diverso ordi­ ne, cosicché accade sovente di trovare più esecuzioni della stessa purte che presentano differenti successioni di versi musicali. Questo procedimento, che più avanti illustremo mediante alcune trascrizioni, è alquanto noto fra gli studiosi poiché è assai consueto nel­ la musica di tradizione orale delle regioni meridionali. Esso si differen­ zia notevolmente dalla organizzazione strofica (musica uguale per tutti i versi del testo verbale) e garantisce una certa varietà musicale e la pos­ sibilità di modificare la lunghezza e la durata di ciascuna esecuzione in funzione delle esigenze dello svolgimento del rito (vedi oltre). Per quanto riguarda la composizione del materiale musicale notia­ mo che nei repertori siciliani si avverte una marcata dicotomia tra la parte melodica e quella dell’accompagnamento corale. La prima è qua­ si sempre solista, e viene realizzata da un solo cantore o da due-tre al­ ternativamente. Quasi sempre presenta un profilo discendente, per lo più per gradi congiunti. Caratteristica ricorrente è anche una ricca

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componente di ornamentazioni melismatiche, che in alcuni casi è al­ quanto vicina allo stile di canto monodico. Un paio di repertori, tra cui quello di Cerami (vedi l’esempio 21), prevedono la parte melodica a due voci che procedono per terze parallele secondo una prassi al­ quanto atipica per la musica vocale siciliana in genere, ma che in passa­ to dovette essere molto più diffusa anche nella tradizione orale.95 La componente corale può essere invece a una, due o tre parti voca­ li, quasi sempre eseguite da più di un cantore ciascuna. Essa interviene in determinati punti dello svolgimento della linea melodica solista ac­ compagnandone lo svolgimento in maniera diversa a seconda dei casi. Tutte le parti che partecipano all’esecuzione assumono una precisa denominazione la quale può variare da repertorio a repertorio. In gene­ rale comunque quella solista è detta prima (a cui si aggiunge l’epiteto rialzu quando si hanno esecuzioni con alternanza di più cantori soli­ sti). Le parti del coro posizionate al di sotto del solista vengono chia­ mate secunne, e/o terze (o quarte) e/o bassi, mentre falsittu o sbigghiarinu è detta la parte corale al di sopra della prima. L’inizio dell’esecuzione è sempre solista ed è affidato alla parte me­ lodica.96 Essa inoltre è l’unica a svolgere il testo verbale, mentre quella corale ribadisce quelle sillabe che nella dinamica esecutiva acquistano particolare rilievo. La serie di esempi che diamo di seguito illustra i repertori più signi­ ficativi. Il primo è tratto da un repertorio oggi formato esclusivamente da brani in siciliano, quello di Caltanissetta. Esso illustra la struttura musicale senza dubbio più diffusa.97 La parte solista è realizzata da tre cantori alternativamente: i primi due, detti, nell’ordine di entrata, prima e secunna, svolgono una linea melodica di andamento discendente per gradi congiunti e riccamente abbellita, secondo modalità vicina alle forme del canto monodico; il terzo, denominato falsittu, conclude il verso musicale con un lungo vo­ calizzo nell’ambito di un’ottava discendente. La parte corale si limita invece al semplice rinforzo all’unisono delle finalis delle linee melodi­ che tracciate dai solisti. Una specifica competenza in questo caso è ri­ 95 Cfr. PAOLO EMILIO carapezza, Musica liturgica nella cattedrale di Nicosia, in Le arti in Si­ cilia nel Settecento, Stampatori Tipolitografi Associati, Palermo 1986. 96 Nei casi in cui essa è a due parti parallele è sempre la più acuta che dà inizio all’esecuzione seguita a ridosso dall’altra (vedi esempio 21). 97 Esempi analoghi si hanno ad esempio a San Cono, Pietraperzia, San Michele di Ganzeria, Piazza Armerina, San Cataldo eccetera.

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IL FALSOBORDONE FRA TRADIZIONE ORALE E TRADIZIONE SCRITTA

chiesta soltanto alle voci soliste mentre il numero dei partecipanti al coro è in pratica indefinito, in quanto potenzialmente chiunque può parteciparvi.98 Gli esecutori oggi non si riconoscono più nelle confra­ ternite presenti in città, le quali hanno del resto perso la propria fun­ zione sociale, un tempo assai rilevante.99 Esempio 15. Caltanissetta, Trenta tri anni avea. Registrazione di Elsa Guggino; trascrizione di Ignazio Macchiarella.

98 Ciò determina il fatto che all’ascolto spesso si notano anche sovrapposizioni verticali che sono da considerare ‘casuali’ e non pertinenti, dovute alle differenze fra i diversi registri del­ le voci che casualmente si ritrovano insieme.

99 Vedi CALLARI, Le celebrazioni della settimana santa a Caltanissetta.

IL VERSANTE DELLA TRADIZIONE ORALE

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È probabile che in questo caso la schematicità dell’intervento corale sia una semplificazione (o una ‘degenerazione’) dovuta ai forti processi di disgregazione della cultura tradizionale e che invece in passato esso prevedesse la realizzazione di triadi complete. L’esempio seguente proveniente sempre da Caltanissetta, trascritto da Alberto Favara ottantacinque anni fa, è una palese testimonianza in tal senso.100 Esempio 16. Caltanissetta, Lamintanzi. Trascrizione di Alberto Favara.

VARIANTE.'

100 II mese indicato nel manoscritto di Favara, maggio, lascia intendere che si tratti della tra­ scrizione di una esecuzione non contestuale.

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IL FALSOBORDONE FRA TRADIZIONE ORALE E TRADIZIONE SCRITTA

D’altra parte ulteriori conferme circa una maggiore complessità della parte corale nel passato provengono dalle testimonianze orali rac­ colte nel corso delle nostre ricerche a Caltanissetta e in altre località della zona tra cui Pietraperzia, Calamonaci, Butera, San Cataldo, San Michele di Ganzaria dove la parte corale è oggi all’unisono con la finalis della melodia solista. La consapevolezza della disgregazione del re­ pertorio è infatti sempre chiaramente avvertita da tutti i cantori in at­ tività. Allo stesso tempo è ancora ben vivo il ricordo della presenza di parti del coro con ruoli definiti e con specifica denominazione, bassi, secunne, iavuti eccetera, analogamente cioè a quanto avviene ancora nei repertori più articolati. Inoltre in alcuni di questi paesi, Calamona­ ci, San Cataldo, San Michele e Caltanissetta, siamo riusciti ad organiz­ zare con i cantori in attività occasioni di ascolto di registrazioni audio provenienti da altri repertori. Gli esempi con il coro a tre parti, e se­ gnatamente quelli di Montedoro e Mussomeli (vedi oltre), sono stati in genere indicati come quelli più vicini a comu si facia na vota (come si faceva una volta’).101 Non va infine trascurato che questa tesi riceve un avallo, sia pure indirettamente, dagli sparuti riferimenti al canto della settimana santa che si ritrovano negli scritti dei folkloristi (vedi il paragrafo 1.10). Il prossimo esempio proviene dal già citato repertorio di Calamona­ ci (Agrigento). Qui la parte melodica è svolta da un solo cantore e la parte corale è in genere all’unisono con la finalis della melodia solista. Vi sono tuttavia dei casi (come appunto quello illustrato dall’esempio) in cui è chiaramente avvertibile una seconda voce nel coro che con le altre due realizza una triade completa.102 In questo caso il testo è in latino ed è costituito dal salmo Miserere. II repertorio, comunque, presenta anche delle parti in dialetto. I canto­ ri non appartengono oggi a nessuna confratenita essendo questa scom­ parsa circa venti anni fa.

101 Parte delle registrazioni contenenti lunghe chiaccherate con i cantori di questi paesi sono depositate presso l’Archivio Etnofonico del Folkstudio. Nello stesso archivio si ritrovano al­ tre registrazioni effettuate da altri ricercatori in paesi diversi con informazioni analoghe.

102 I cantori alla fine di questa esecuzione hanno evidenziato tale risultato affermando che esso era la norma nel passato ma ora «non riesce più bene». Vedi VINCENZO VACANTE, Strut­ tura dei riti della settimana santa a Calamonaci, tesi di laurea, Università di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofìa, relatore professor Roberto Leydi, a.a. 1989-90.

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Esempio 17. Calamonaci (Agrigento), Miserere. Registrazione di Ignazio Macchia­ rella; trascrizione di Vincenzo Vacante.

Nell’esempio seguente, proveniente da Resultano (Caltanissetta), la parte corale presenta una chiara successione di bicordi di ottave. Il ri­ sultato complessivo è leggibile come una alternanza di accordi’ sul pri­ mo e quinto grado della scala, mentre altri brani del repertorio presen­ tano anche sovrapposizioni sul quarto e secondo grado. Atipico rispet­ to agli altri repertori è l’arpeggio dell’accordo di tonica in secondo rivolto all’inizio della parte solista. In questo caso il repertorio è costi­ tuito da brani con testo verbale in siciliano con l’aggiunta del solo Mi­ serere in latino. I cantori appartengono ad una confraternita laicale, istituzione che in questo paese ha una sua attiva presenza.

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IL FALSOBORDONE FRA TRADIZIONE ORALE E TRADIZIONE SCRITTA

Esempio 18. Resuttano (Caltanissetta), Ladata-. Caifas a Ggèsu Cristu lo subbia. Registrazione di Elsa Guggino; trascrizione di Ignazio Macchiarella.

Passiamo quindi ad un esempio proveniente dal repertorio di Bivona (Agrigento), documentato circa venti anni fa da Elsa Guggino. In questo caso il coro è a tre parti, due senza una specifica denominazio­ ne, una in ‘falsetto’, detta iavutu (‘alto’), che interviene in fase di ca­ denza del verso musicale. L’articolazione degli accordi presenta una cer­ ta varietà di soluzioni armoniche rispetto alla norma dei repertori sici­ liani, benché non sempre le triadi risultino complete. I brani sono tutti con testo in siciliano. Unica eccezione è solamen­ te l’incipit del lamento che presentiamo nell’esempio, «Popule meus» (che nell’esecuzione trascritta diventa «Popule me»), un canto che pro­ segue in siciliano narrando le vicende evangeliche a partire dalla an­ nunciazione e dalla nascita di Gesù e che perciò non ha alcun rapporto con il testo dell’improperium che ha lo stesso versetto iniziale.103 Gli esecutori non sono membri di confraternite, essendo anche in questo paese cessata l’attività di sodalizi di questo tipo. Essi apparten­ gono però tutti allo stesso nucleo familiare, evenienza che ha una certa frequenza anche tra le squadre di altri paesi.

103 II testo completo del canto è in BUTTITTA, Pasqua in Sicilia.

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Esempio 19. Bivona (Agrigento), Popule me. Registrazione di Elsa Guggino; tra­ scrizione di Ignazio Macchiarella.

La prossima trascrizione concerne un brano del repertorio di Alcara Li Fusi (Messina). In questo caso su ciascuno dei due versetti la melo­ dia consiste di un arpeggio di tonica, d’una recitazione sul quinto gra­ do e di una cadenza. Essa per altro coincide con il quinto tono salmo­ dico gregoriano. La parte corale è a due voci: la grave è detta basciu> l’altra quinta. Quest’ultima interviene solamente nella seconda metà del verso con una certa indipendenza ritmica dalla prima. Il repertorio è costituito da parti con testo in italiano e in siciliano. Unico testo in latino è il Gloria che viene eseguito solamente durante la domenica delle Palme. I cantori fanno parte della Confraternita del Santissimo Sacramento.104

104 Vedi il libretto allegato a Canti della settimana santa in provincia di Messina.

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IL FALSOBORDONE FRA TRADIZIONE ORALE E TRADIZIONE SCRITTA

Esempio 20. Alcara li Fusi (Messina), Bevete, bevete, apostoli miei. Registrazione di

Mario Sarica; trascrizione di Giuliana Fugazzotto.

Come accennato, solamente alcuni repertori della Sicilia orientale presentano la parte melodica svolta a due voci, ciascuna eseguita da un soloro cantore, che si muovono per terze parallele. L’esempio più interessante tra questi è costituito dal repertorio di Cerami (Enna). L’attacco è realizzato da una sola voce, mentre l’altra si aggiunge en­ trando con la nota di partenza della prima. Il coro è a due parti e pre­ senta una successione di bicordi di ottava, in maniera analoga ad altri repertori, tra cui quello di Resuttano visto nell’esempio 18. I testi sono quasi tutti in latino ad eccezione di un paio in siciliano. Gli esecutori sono membri di una confraternita, in questo caso quella di San Sebastiano. Anche l’altra confraternita presente in paese, quella del Santissimo Sacramento, ha una propria squadra di cantori che partecipa alla proces­ sione del venerdì santo con il medesimo repertorio. Tra le due vi è una notevole rivalità sulla qualità della esecuzione musicale.

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Esempio 21. Cerami (Erma), Popule meus. Registrazione e trascrizione di Ignazio Macchiarella.

Il seguente esempio proviene dal repertorio di Barcellona Pozzo di Gotto (Messina). L’esecuzione prevede una prima sezione melodica, eseguita alternativamente da due cantori solisti. Segue una seconda se­ zione dove la parte melodica è eseguita dai due cantori all’unisono ed è accompagnata dal coro che, formato a sua volta da più cantori all’uni­ sono, si muove su diversi gradi della scala. In fase di cadenza finale in­ terviene anche una terza parte, detta u iautu (d’alto’) che si muove all’ottava superiore rispetto alle note realizzate dal coro. Il repertorio è attualmente costituito solamente da due parti en­ trambe in latino: l’inno Vexilla regis (che in dialetto viene chiamato Visilla) ed il salmo Miserere. In paese vi sono più gruppi. Alcuni di questi appartengono a con­ fraternite laicali, altri invece sono costituiti sulla base di rapporti fami­ liari o di amicizia. Assai sentita è ancora una certa rivalità tanto che ogni gruppo tende ad istituire una propria interpretazione che risulti differente da quella degli altri.105 105 Tale rivalità è studiata da FUGAZZOTTO, Analisi della Vistila.

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IL FALSOBORDONE FRA TRADIZIONE ORALE E TRADIZIONE SCRITTA

Esempio 22. Barcellona Pozzo di Gotto (Messina), Visilla. Registrazione e trascri­ zione di Giuliana Fugazzotto.

La nostra panoramica prosegue con un esempio dal repertorio di Mussomeli (Caltanissetta). In questo caso la parte solista, detta prima, si presenta estremamente schematica e poco sviluppata. Essa concorre a realizzare, insieme con le due parti del coro (denominate, a partire dal­ la più acuta, secunna e bassa}, una successione di triadi complete in po­ sizione fondamentale. Unica eccezione è costituita da un accordo in se­ condo rivolto che si ritrova in alcuni versi musicali di determinati bra­ ni e che è provocato dal movimento parallelo per grado ascendente della prima e della secunna (vedi il paragrafo 1.7.2). Alcuni brani presentano una terza parte corale all’acuto, detta falsittu, che si dispone all’ottava superiore rispetto al bassu, analogamente a

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quanto già visto in molti dei repertori precedenti. La parte corale e il falsittu sono sempre realizzati da un solo cantore, mentre secunna e bassu possono essere raddoppiati. E da notare infine la tendenza a dilatare il più possibile le durate degli accordi.106 Le parti che formano il reper­ torio sono nel complesso dodici e tutte con testo verbale in latino, un latino assai disgregato e commisto con i fonemi del dialetto, tanto che le parole risultano poco comprensibili all’ascolto. Attualmente vi sono in paese più gruppi preposti all’esecuzione, cia­ scuno dei quali fa capo ad una diversa confraternita laicale. Gli esempi che illustriamo sono stati eseguiti dalla squadra della Arciconfraternita del Santissimo Sacramento alla Madrice. Il primo è formato da due versi musicali di una parte il cui testo è tratto dal Vangelo di Matteo (26,39); il secondo è costituito dal primo verso musicale dello Stabat mater. Esempio 23. Mussomeli (Caltanissetta), Transeat a me calix iste. Registrazione e trascrizione di Ignazio Macchiarella. 0

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106 Per una analisi approfondita del repertorio vedi IGNAZIO MACCHIARELLA, Un meccanismo di combinazione di moduli stereotipi armonico-melodici in un repertorio di tradizione orale: i

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IL FALSOBORDONE FRA TRADIZIONE ORALE E TRADIZIONE SCRITTA

Esempio 24. Mussomeli (Caltanissetta), Stabat mater. Registrazione e trascrizione di Ignazio Macchiarella.

L’esempio successivo proviene dal repertorio di Delia (Caltanisset­ ta). Anche in questo caso la parte solista, detta prima,' si presenta al­ quanto schematica, ed è svolta da un solo cantore. Quella corale è a tre voci dette secunna, quarta e bassu, che invece sono di norma raddop­ piate. La successione di triadi in posizione fondamentale risulta del tutto evidente, con una regolare alternanza di accordi sul primo e quinto grado. Alcuni versi musicali (come quello riportato nell’esempio) che si ri­ trovano in quasi tutti i brani presentano una elaborata cadenza finale detta vutata: un lungo vocalizzo della secunna e del bassu per ottave pa­ rallele introduce l’entrata di una seconda voce solista, detta rialzu> che si muove anch’essa all’ottava con il bassu, completando altresì lo svolgilamenti’ di Mussomeli (Sicilia), in Lanalisi musicale, Atti del Convegno di Reggio Emilia (1989), a c. di Mario Baroni e Rossana Dalmonte, Unicopli, Milano 1991.

JL VERSANTE DELLA TRADIZIONE ORALE

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mento del testo verbale. Alla conclusione di questo passaggio rientrano le altre parti corali per completare l’accordo sul primo grado (che nell’esempio riportato manca della terza).107 Un dato importante che emerge da questo repertorio è la presenza codificata ed esplicitata di almeno quattro diverse manere (maniere’) di canto: alla serrafarchisi (cioè "alla maniera di Serradifalco’, un paese vi­ cino, così come i seguenti), alla sommatinara (alla maniera di Sommatino’), alla catarinara (‘alla maniera di Santa Caterina Villermosa’) e la diliana (‘alla maniera di Delia, propria cioè del paese). Ad ognuno di queste quattro manere, fermo restando la struttura a quattro parti voca­ li, corrisponde una diverso svolgimento melodico e una differente suc­ cessione degli accordi, che tuttavia sono sempre triadi in posizione fon­ damentale. Inoltre per il canto alla serrafarchisi è previsto uno solo can­ tore anche per ciascuna voce del coro mentre per gli altri sono richiesti raddoppi (naturalmente ad eccezione della prima, che resta sempre so­ lista). In particolare per l’ultimo, il canto alla diliana, secondo i cantori più si è, e megghiu vene (‘più si è numerosi, miglior riuscita ha il canto’).108 Il repertorio è oggi formato solo da brani con testo in sicilia­ no. Ciascun brano può essere eseguita in una diverso manera. L’esem­ pio illustra una esecuzione alla diliana. I cantori oggi non appartengono ad alcuna confraternita, essendo questo tipo di sodalizio scomparso già da parecchi anni nel paese.109

107 Una struttura musicale del tutto analoga si ha nei paesi vicini Canicattì e Sommatino.

108 Denominazioni analoghe, relative cioè a manere di esecuzioni ritenute peculiari di un paese (dette anche note tipiche) si ritrovano sovente nella musica di tradizione orale sicilia­ na, soprattutto nel campo della musica profana. Su tale fenomeno contributi fondamentali si ritrovano nei classici della ricerca etnomusicologica dell’isola, soprattutto TIBY, Il canto popolare siciliano, e PAUL COLLAER, Musique traditionelle siciHenne, s.e., Roma 1980. Va co­ munque avvertito che i dati oggi rilevabili sono spesso in contraddizione tra loro e non per­ mettono, se non in casi eccezionali, di ricostruire il significato di tali denominazioni. Per esempio nel vicino paese di Sommatino abbiamo rilevato delle esecuzioni definite alla som­ matinara e alla serrafarchisa ma in entrambi i casi esse si presentavano assai diverse da quelle pur omonime di Delia. Saranno comunque necessari specifici lavori per meglio chiarire tale questione, che ad ogni modo è secondaria ai fini della nostra ricerca. 109 Per ulteriori indicazioni sul repertorio vedi IGNAZIO MACCHIARELLA, I canti della settimana santa in Sicilia, in Echos. L'indagine etnomusicologica, a c. di Girolamo Garofalo, Istituto di Scienze Antropologiche e Geografiche dell’università di Palermo, Palermo 1989.

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Esempio 25. Delia (Caltanissetta), Morti ci diedero. Registrazione e trascrizione di Ignazio Macchiarella.

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IL FALSOBORDONE FRA TRADIZIONE ORALE E TRADIZIONE SCRITTA

Gli ultimi esempi della nostra rassegna provengono da Montedoro (Caltanissetta) dove si ritrova il più interessante repertorio di canto po­ livocale siciliano. La parte solista, detta prima, presenta una notevole componente melismatica, soprattutto in fase di cadenza, ed è sempre svolta da un solo cantore. Il coro è sempre a tre parti, denominate secunna. terza e bassu, che si dispongono al di sotto della melodia solista (manca invece una parte acuta, in falsetto, che abbiamo più volte riscontrato). Esso realizza, con il concorso della prima, triadi complete in posizione fon­ damentale, quasi sempre con il raddoppio allottava della nota base dell’accordo. Unica eccezione di tutto il repertorio, in questo caso co­ me a Mussomeli, un accordo in secondo rivolto che compare in alcuni versi musicali (vedi oltre). I brani sono dodici in totale, sette con testo in latino (tra cui si ritro­ va il Gloria, lo Stabat mater, ma non il Misereré), gli altri in siciliano. Gli esecutori non fanno parte di alcuna confraternita, essendo scomparsa questa istituzione da almeno quaranta anni. Vi è comunque un nutrito numero di cantori specializzati nelle diverse voci che possono dar vita a due o tre squadre in risposta alle esigenze dello svolgimento festivo. Per poter apprezzare, almeno parzialmente, la varietà delle soluzioni armoniche caratterizzano questo repertorio proponiamo tre esempi musicali. Il primo è la trascrizione integrale di una esecuzione dell’inno Vexilla regis, il secondo è dato dai primi due versi dello Stabat mater, il terzo dal primo verso di uno dei brani in siciliano, Sacri scale™ 110 Per ulteriori informazioni sulla struttura musicale del repertorio vedi MACCHIARELLA, Analisi di un brano del repertorio della settimana santa. Un’altra versione di questo brano sarà discussa nel paragrafo 1.7.1 (esempio 40).

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Esempio 26. Montedoro (Caltanissetta), Vexilla regis. Registrazione e trascrizione di Ignazio Macchiarella.

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Esempio 27. Montedoro (Caltanissetta), Stabat mater. Registrazione e trascrizione di Ignazio Macchiarella.

Esempio 28. Montedoro (Caltanisetta), Sacri scale. Registrazione e trascrizione di

Ignazio Macchiarella.

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1.6. I repertori della Sardegna

In Sardegna il canto polivocale della settimana santa si presenta a tutt’oggi in forme molto complesse, relativamente funzionali al conte­ sto festivo, tra le massime e più vitali espressioni dello straordinario pa­ trimonio musicale dell’isola. Come è noto il fenomeno del canto a più voci di tradizione orale ha ‘incuriosito’ ed interessato viaggiatori ed eruditi già a partire dalla seconda metà del diciottesimo secolo. Tuttavia ben poche sono anche in questo caso le notizie sui repertori religiosi. All’inizio del Novecen­ to, comunque, si ritrovano alcune segnalazioni di grande interesse negli scritti di Giulio Fara (vedi il paragrafo 1.10). Esempi sonori, invece, sono stati raccolti già nel 1950 nel corso di una delle prime ricerche su campo condotte da Giorgio Nataletti per il Centro Nazionale di Studi di Musica Popolare di Roma (raccolta n. 14 — vedi tabella 2). In seguito si sono avute numerose altre registrazioni grazie al lavoro dei ricercatori che hanno operato nell’isola come Diego Carpitella, Pietro Sassu, Leonardo Sole e in tempi più recenti Bernard Lotart Jacob. Una particolare segnalazione meritano le ricerche e i sag­ gi di Pietro Sassu che costituiscono un contributo fondamentale alla definizione degli stili dei diversi repertori. La documentazione, tra materiali depositati presso archivi pubblici ed incisioni discografiche, si presenta alquanto vasta. Come fatto per la Sicilia, la illustriamo in una tabella.111 111 Anche in questo caso è possibile che vi siano repertori non documentati. Va comunque detto che la grande consapevolezza musicale dei cantori interpreti dei repertori conosciuti fa

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Tabella 2

Elenco delle località sarde in cui sono stati rilevati canti polivocali della settimana santa e relativa documentazione.

Abbreviazioni: *cnsmp: documentazione nastrografica depositata presso il Centro Nazionale Studi Musica Popola­

re di Roma; *coll.: documentazione nastrografica appartenente a collezioni private;

0: disco 33 giri o compact disc;

1) Aidomaggiore (Nu) 2) Aggius (Ss) 3) 4) 5) 6) 7) 8)

Bitti(Nu) Bono (SS) Bonnanaro (Nu) Bortigiadas (Ss) Bosa (Nu) Castelsardo (Ss)

(0 Sardaigne. Polyphonies) (*cnsmp - raccolte 14, 46 e 71 ; 0 Canti liturgici, La me brunedda è bruna, Musica sarda)

(*cnsmp - raccolta 31 ) (*cnsmp)

(*coll. Martino Corimbi;’ Sardaigne. Polyphonies) (cnsmp - raccolta 14) (cnsmp - raccolta 14; 0 Canti liturgici) (*cnsmp - raccolta 71 ; 0 Canti liturgici, Musica sarda, Sardaigne. Polyphonies, Sardegna. Confraternite)

9) Cheremule (Ss) IO) Cuglieri (Or)

11) 12) 13) 14) 15) 16) 17) 18) 19) 20)

Galtellì (Nu) Gavoi (Nu) Mamoiada (Ss) Nulvi (Ss) Onifai Orgosolo (Nu) Orosei (Nu) Ossi (Nu) Ploaghe (Ss) Santulussurgiu (Or)

(0 Musica sarda) (*cnsmp - raccolta 14; 0 Canti liturgici, Sardaigne. Polyphonies) (*cnsmp - raccolta 46; *coll. Ignazio Macchiarella)

(*cnsmp - raccolta 46)

(*cnsmp - raccolta 46) (*cnsmp- raccolta 71; *coll. Ignazio Macchiarella)

(*coll. Martino Corimbi)0 (*cnsmp - raccolta 3 1 ; 0 Coro del Supramonte)

(*coll. Pietro Sassu, *coll. Ignazio Macchiarella) (*cnsmp - raccolta 71) (*cnsmp - raccolta 71 ) (*CNSMP; *coll. Pietro Sassu; 0 Canti liturgici, Sardaigne. Polyphonies)

21 ) Sassari 22) Scanu Muntiferro (Nu)

(*cnsmp - raccolta 14)

(0 Musica sarda)

escludere che fra quelli eventualmente ancora non documentati ve ne siano di particolare ri­ lievo. Ogni anno, infatti, hanno luogo delle rassegne di canto corale organizzate dalle diver­ se confraternite che costituiscono una sorta di ricerca etnomusicologica interna alla tradizio­ ne in quanto mirano a presentare tutti i repertori dell’isola. Tali rassegne che, come vedre­ mo, costituiscono una importante occasione di confronto fra i diversi stili esecutivi, segno indubbio della grande vitalità del repertorio, escludono solamente i repertori non confraternali. In proposito vedi PIETRO SASSU, Forse sarà la musica la vera lingua dell’isola, «La Nuova Sardegna», 8 febbraio 1990.

IL FALSOBORDONE FRA TRADIZIONE ORALE E TRADIZIONE SCRITTA

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23 Silanus 24 Sorso (Ss) 25 Thiesi (Ss)

(*cnsmp - raccolta 56) (*cnsmp - raccolta 71 )

(*coll. Pietro Sassu)

a Registrazione fuori contesto di Martino Corimbi che ringrazio per avermene donato una copia. b Registrazione fuori contesto di Martino Corimbi che ringrazio per avermene donato una copia.

La cartina seguente visualizza l’ubicazione delle località citate.

Come appare evidente dalla cartina tutti i repertori sono concentra­ ti nella parte centro-nord dell’isola (Logudoru, Barbagia, Gallura, Anglona). Per il sud, in particolare il Campidano, non si ha invece alcuna segnalazione circa la presenza di forme polivocali in genere (benché sia­ no assai sviluppate forme di polifonia strumentale tradizionali nel re­ pertorio delle launeddas). Anche le informazioni per il passato tendono a confermare tale assenza (vedi il paragrafo 1.10).

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Al contrario di quanto avviene in Sicilia, la polivocalità profana si presenta in Sardegna in una notevole varietà e complessità di forme, le quali sono a tutt’oggi molto praticate. Queste, schematizzabili nel mo­ dello esecutivo detto a tenore, si ritrovano principalmente in Barbagia e nella zona centro-settentrionale, in aree cioè dove si ritrovano anche repertori religiosi. Le differenze tra polivocalità religiosa e profana sono tuttavia al­ quanto evidenti. Diversamente da quanto vedremo per i repertori della settimana santa, il tenore prevede una marcata distinzione tra una voce principale, di solito detta sa oche, ed il coro che è sempre a tre parti, normalmente dette mesa oche, contra e bassu, ciascuna affidata ad un solo cantore. La prima realizza una lunga linea melodica solista svol­ gendo altresì il testo letterario del canto. Il coro interviene «senza rego­ le fisse nei punti in cui sa oche, con pause o particolari calate’ ne ri­ chiede l’intervento»,112 con una marcata scansione ritmica e la costante reiterazione di sillabe non—sense (‘bimbà’, ‘birimbarà’ eccetera). La tra­ ma armonica è basata su triadi complete in posizione fondamentale co­ me quella dei repertori religiosi ma risulta in genere meno articolata in quanto tende a presentare successioni limitate a due—tre accordi, per lo più sul primo e secondo grado. Oltre al tenore va segnalata la presenza, sempre nelle zone del cen­ tro-nord, di altre forme di polivocalità, con testi verbali di argomento religioso e non, a parti parallele.113 Si tratta comunque di forme al­ quanto rare, oggi del tutto non funzionali. Come per la Sicilia l’occasione rituale per l’esecuzione del canto po­ livocale della settimana santa114 è costituita in genere dalla processione del venerdì santo. Essa si presenta in forme che possono differire anche notevolemente da paese a paese, ma che si svolgono sempre lungo per­ corsi interni alle aree urbane. Elementi presenti in tutti i casi sono il si­ mulacro del Cristo morto e quello della Madonna Adolorata. Quasi ovunque si ha un momento centrale della processione costi­ tuito dalla cerimonia de sincravamentu (‘l’inchiodamento’) e de s’iscrava-mentu (‘lo schiodamento’). Quest’ultima, in particolare, è una rap­ presentazione silenziosa che ha luogo all’interno della chiesa. Due per­ 112 PIETRO SASSU, Le strutture musicali, in La musica sarda. Canti e danze popolari, libretto al­ legato a Musica sarda, a c.di Diego Carpitella, Leonardo Sole e Pietro Sassu, tre dischi 33 giri., Albatros vpa 8150-53, 1973, p. 45. 113 SASSU, Le strutture musicali. 1,4 Manca una denominazione di queste forme equivalente al termine siciliano lamenti.

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sonaggi raffiguranti Giuseppe d’Arimatea e Nicodeo ed interpretati so­ vente da membri di confraternite laicali, eseguono la deposizione del Cristo (che è sempre raffigurato da una statua di legno o di cartapesta con arti snodabili) sotto la guida di un sermone svolto da un predica­ tore.115 Durante tutta la cerimonia il canto polivocale viene intercalato nelle pause del sermone e sottolinea altresì i momenti salienti dell’azio­ ne dei due figuranti. Un rilievo particolare ha il canto del Miserere realizzato in conclu­ sione del rito di su iscravamentu, che sovente prelude alla ripresa della processione fuori dalla chiesa. Esso costituisce il momento musicale più solenne di tutto l’intero arco festivo, in cui di solito si raggiunge la massima intensità espressiva. Alcuni repertori, come quello di Castel­ sardo, hanno anzi una specifica versione di questo canto solo per tale occasione.116 Durante lo svolgimento di tutte le processioni del venerdì santo il canto polivocale costituisce uno degli elementi più importanti. In certi casi (come Castelsardo e Santulussurgiu) è anzi quello di maggior rilie­ vo poiché catalizza l’interesse di quasi tutti i partecipanti. L’esecuzione ha luogo di norma nel corso delle pause che frammentano lo svolgi­ mento del corteo, pause che sovente sono regolate proprio in base alla durata del canto. Rari sono i casi in cui essa viene svolta in movimen­ to, tra questi Galtellì dove comunque la tradizione è oggi alquanto di­ sgregata (vedi oltre).117 Accanto a questo tipo di processioni si ritrovano anche in Sardegna quelle cosiddette dei misteri, caratterizzate dal trasporto di numerosi gruppi statuari che rappresentano i momenti salienti del racconto della 115 II sermone de s’iscravamentu costituisce una sorta di genere letterario con la riproposizione di moduli ed immagini ricorrenti. Esso fino al secolo scorso era svolto nei diversi dialetti sardi. Vedi SERGIO BULLEGAS, Il teatro in Sardegna fra Cinque e Seicento, EDES, Cagliari 1976. Va detto che tale cerimonia differisce alquanto da quella siciliana della scinnenza per i luoghi ed i modi di svolgimento e per gli elementi simbolici presenti. Si confrontino al ri­ guardo le descrizioni contenute in BUTTITTA, Pasqua in Sicilia, con PIETRO SASSU, La setti­ mana santa a Castelsardo, in Atti del VI convegno di studio rappresentazioni arcaiche delle tra­ dizioni popolari, s.e.» Viterbo 1981.

116 Tale esecuzione è realizzata da due cori battenti e viene suddivisa in una sezione alta, sull’altare, ed una bassa, ai piedi, benché presenti una struttura musicale che non differisce da quella delle altre esecuzioni (vedi oltre). Fino a più di trenta anni fa essa era inoltre ac­ compagnata dall’organo, accompagnamento di cui rimane solo il ricordo nella memoria orale del paese. 1,7 Una esemplare documentazione di una processione è il film Su concordu, regia di Renato Morelli, consulenza etnomusicologica di Pietro Sassu, produzione RAI 1988.

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Passione. Queste processioni si ritrovano per lo più nei grandi centri (Sassari, Alghero), e presentano modalità di svolgimento e di organiz­ zazione interna differenti da caso a caso, sempre con un rilevante ruolo svolto dalle confraternite. Nessuno degli esempi documentati, però, presenta al suo interno forme polivocali del tipo qui in questione.118 Oltre alle processioni del venerdì, grande rilievo hanno pure le mol­ teplici cerimonie del giovedì santo, strutturate diversamente a seconda delle località. Esse in genere si svolgono al chiuso, all’interno delle chiese e negli oratori, sedi confraternali, ma non infrequenti sono le azioni processionali all’aperto. Pure in quest’ambito il canto polivocale costituisce una componente essenziale del rito. Ciascun repertorio pre­ vede una serie di brani specifici per questa giornata, quasi sempre di­ versi da quelli che si eseguono il venerdì. Altre occasioni sono date dalle processioni della domenica delle Pal­ me. Queste comunque hanno un rilievo in pochi casi considerevole e comunque relativamente minore di quello visto dai corrispettivi esem­ pi siciliani, e si svolgono per lo più secondo le modalità previste dalla liturgia ufficiale. Una singolare eccezione è poi costituita dal complesso rituale del luni santu (‘lunedì santo’) di Castelsardo.119 Esso rappresenta la più im­ portante occasione festiva del paese non solo tra quelle della settimana santa ma, probabilmente, tra quelle di tutto l’anno. Il suo svolgimento prevede la successione di una serie di azioni processionali, assai articola­ te, che si svolgono all’esterno e all’interno del paese, ed interamente a cura della confraternita locale. In quest’ambito il canto polivocale assu­ me uno straordinario rilievo poiché regola i tempi dello svolgimento dell’azione rituale e costituisce il principale elemento catalizzatore dell’attenzione dei partecipanti. L’esecuzione è opera di tre gruppi di cantori, ciascuno interprete di un diverso brano.120 Far parte di uno di questi è per ogni cantore motivo di grande prestigio. La scelta dei com­ ponenti di ogni gruppo è compito del priore della confraternita. Ogni anno i nomi dei cantori che egli seleziona vengono iscritti nei registri della confraternita insieme con quelli degli altri confratelli a cui vengo­ no affidati particolari compiti organizzativi per la riuscita della cerimo­ 1,8 È noto però che in alcuni casi, come la processione di Sassari, canti polivocali erano pre­

senti nel passato.

119 Un’altra eccezione si ha a Sassari con la processione del martedì santo. Essa è però poco rilevante ai fini del nostro discorso non essendovi canti polivocali. 120 SASSU, La settimana santa a Castelsardo.

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nia. Tale scelta costituisce senza dubbio uno degli atti più importanti del mandato di un priore poiché la sua reggenza perderebbe di prestigio nel caso dovessero verificarsi imprevisti durante il rito e soprattutto nel caso di esecuzioni dei canti giudicate cattive da parte della comunità.121 Sempre nel corso della settimana santa non mancano altre occasioni per il canto dei repertori polivocali. Si tratta di esecuzioni che hanno luogo all’interno delle sedi delle confraternite, durante le cerimonie che qui si svolgono e che in alcuni casi prevedono anche il "battesimo dei novizi’, l’ingresso cioè di nuovi membri.122 Frequenti sono pure le sedute di prova in vista delle processioni e quelle allo scopo di verifica­ re l’ammissione di nuovi cantori. Una ulteriore occasione esecutiva è infine rappresentata dalle pro­ cessioni della domenica di Pasqua, dette in genere su scontru ("l’incon­ tro’). Queste, assai diffuse soprattutto nei paesi del centro, prevedono, come in Sicilia, un momento centrale costituito da incontro rituale tra una statua raffigurante Gesù risorto ed un’altra che rappresenta la Ma­ donna. Al contrario dei riti siciliani, qui i tempi dell’azione sono scan­ diti dall’esecuzione di canti polivocali. Questi sono sempre diversi da quelli della settimana santa, sebbene sempre con testo in latino, ed as­ sumono connotazione di esecuzioni gioiose in contrasto con la disforia di quelle dei giorni precedenti (vedi oltre).123 L’esecuzione di tutti i repertori è sempre opera di gruppi maschili che sono espressione di confraternite laicali. Al contrario di quanto vi­

121 Essendo la partecipazione alfesecuzione di questo giorno motivo di grande prestigio co­ munitario e potendo il priore scegliere tra un numero di cantori esorbitante rispetto al mi­ nimo richiesto per ogni parte, accade normalmente che la selezione sia condizionata da rap­ porti di amicizia e/o di contrasti interni alla confraternita. L’animosità che ogni anno si re­ gistra in proposito (e che abbiamo avuto modo di constatare direttamente) è un segno inequivocabile della continua vitalità della tradizione. Vedi BERNARD LOTART JACOB, Savoir le chanter, pouvoir en parler: chants de la Passion en Sardaigne, «Cahiers des Musiques Traditionelle», III 1990. 122 Si tratta di cerimonie di particolare rilievo nella vita della confraternite, che si attengono a norme contenute negli statuti adottati da ciascun sodalizio (vedi oltre). 123 Tali connotazioni sono parzialmente raffigurabili attraverso Panatisi musicale. Ad Orosei ad esempio abbiamo costatato la tendenza dei cantori ad accelerare il ritmo delle esecuzioni rispetto a quelle del venerdì santo, con una certa propensione ad accorciare la durata degli accordi. Ciò però contribuisce in misura minore alla caratterizzazione dell’esecuzioni pa­ squali (ed è certamente meno avvertito dai partecipanti nonché dagli stessi cantori) rispetto al più generale contesto festivo. Va segnalato che canti polivocali per la domenica di Pasqua, del tutto assenti in Sicilia, si ritrovano in Corsica. Confronta con RÙEMER, Schriftliche und mùndliche Traditionen.

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sto in Sicilia, non esiste una denominazione di tali gruppi valida per i diversi repertori. Ad esempio a Santulussurgiu gli esecutori si definisco­ no su concordi^ traduzione del termine coro, mentre nella maggior parte degli altri paesi viene semplicemente adottato il termine italiano coro. L’organizzazione confraternale è nel complesso molto diffusa in tut­ to il centro—nord della Sardegna. Essa ha una funzione aggregativa an­ cora assai rilevante e tutto l’anno costituisce una importante presenza nella vita sociale di ciascun paese. In quest’ambito la pratica del canto polivocale è ancora assai frequentata anche al di fuori dell’occasione della settimana santa. Numerosi cori confraternali conservano, infatti, repertori tradizionali per la Pentecoste, il Corpus Domini e per altre fe­ ste liturgiche, nonché per la festa del santo patrono e per altre partico­ lari occasioni celebrative interne alla confraternita.124 Inoltre in alcuni casi, come Aggius, Santulussurgiu e Castelsardo, il repertorio compren­ de anche le parti ordinarium Missae (tutte e cinque nel primo dei paesi testé citati, alcune negli altri), ed alcune del proprium che vengo­ no eseguite nel corso delle celebrazioni liturgiche delle feste solenni. All’interno delle confraternite si ha in genere un numero esorbitan­ te di cantori specializzati nella esecuzione di una parte vocale che si contendono il privilegio di cantare in processione nelle occasioni ritua­ li più solenni. Tali contese’ sono sempre regolate da precise norme tra­ dizionali e danno vita ad occasioni di confronto sulla qualità dell’ese­ cuzione, che coinvolgono in pratica tutti i confratelli. Così ad esempio a Santulussurgiu, dove il rito prevede la presenza di un solo coro, alla fine della processione del venerdì santo, nel corso di un pranzo colletti­ vo, si costituiscono vari gruppi che sfidano’ quello che ha cantato per tutta la giornata, rieseguendo il Miserere o altri brani del repertorio. Il giudizio degli altri confratelli e del priore deciderà se il gruppo miglio­ re tra gli sfidanti’ sostituirà per la processione dell’anno seguente quel­ lo in carica o viceversa se confermare quest’ultimo.125 In altri paesi, tra cui Bosa, dove vi sono più confraternite, il canto polivocale costituisce senza dubbio uno dei campi in cui si manifesta con maggiore evidenza la rivalità reciproca che caratterizza i rapporti

124 Ad esempio a Castelsardo un particolare repertorio è previsto per i funerali dei confratel­ li. Vedi Sardegna. Confraternita delle voci. Castelsardo^ a c. di Pietro Sassu e Renato Morelli, compact disc, Nota cd 207, 1993. 125 Tale occasione è documentata nel film Su concorda prima citato. Il gruppo degli esecuto­ ri attuale (Roberto Iriu, Antonio Migheli, Mario Corona, Giovanni Ardu) è in carica dal 1976 ed è perciò considerato uno dei migliori della storia recente della confraternita.

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tra i diversi sodalizi. Le esecuzioni processionali sono particolarmente curate ed anche in questo caso si hanno sovente accese discussioni sulla qualità della esecuzione di ciascun gruppo. La ricerca di un costante ricambio dei cantori fa sì che si riscontri' no anche delle vere e proprie scholae cantorum confraternali incaricate di reclutare ed educare nuove voci tra gli iscritti. Tali scholae, che vivo­ no ovviamente secondo i modi dell’oralità, sono affidate ai cantori più anziani ed esperti, e prevedono un preciso iter di apprendistato durante tutto l’anno, trascorso il quale un nuovo cantore potrà essere ammesso a cantare in pubblico (vedi il paragrafo 1.9). L’estrema importanza e la continua vitalità della tradizione del can­ to polivocale religioso in Sardegna sono altresì testimoniate dalle nu­ merose rassegne-concerto di cori confraternali che annualmente si svolgono in diversi paesi. Si tratta di manifestazioni nate per lo più in tempi recenti e quasi sempre organizzate dalle stesse confraternite, nel corso delle quali si assiste ad esecuzioni di repertori religiosi opera di gruppi provenienti ogni volta da paesi diversi (e talvolta con la parteci­ pazione anche di cori non sardi). Tali manifestazioni costituiscono quindi occasione per un confronto tra stili differenti e riscuotono sem­ pre una grande affluenza di pubblico.126 A fronte di tale relativa vitalità della tradizione, vi sono tuttavia dei casi in cui il canto polivocale della settimana santa è scomparso o vive in forme alquanto disgregate. Si tratta per lo più di paesi dove le con­ fraternite sono scomparse o hanno perso la propria funzione sociale. Una situazione esemplare è quella di Galtellì. Qui, da alcuni anni, es­ sendo venuta meno la confraternita, il canto processionale della setti­ mana santa viene eseguito da un gruppo di giovani della parrocchia. Questi, sotto la direzione di alcuni anziani cantori, hanno ‘ripreso’ il repertorio tradizionale che in questo modo non è mai venuto meno. Tale ripresa tuttavia ha provocato l’introduzione di alcune novità’ ese­ cutive tra cui il raddoppio di tutte le parti vocali che invece non si ave­ 126 Tra le più importanti segnaliamo quelle di Orosei Santulussurgiu e Castelsardo. Rasse­ gne di questo tipo organizzate non da confraternite ma da associazioni diverse si hanno an­ che a Cagliari, Nuoro, Oristano, Ghilarza eccetera dove invece non si hanno forme tradizio­ nali di canto. È altresì da notare una frequente partecipazione a queste rassegne di cori con­ fraternali della Corsica. Abbiamo avuto modo di constatare più volte che la forte affinità fra i repertori delle due isole è avvertita dagli stessi cantori, e spesso, in occasioni informali, cantori sardi e corsi si ritrovano insieme ad eseguire brani di entrambe le regioni. Su questo fenomeno vedi PIETRO SASSU, Suoni e liturgia. Voci antiche della tradizione, «La Nuova Sar­ degna», 26 marzo 1990.

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va nel passato.127 Non mancano poi fenomeni di riproposta interna, cioè di ripresa dei repertori tradizionali ad opera di gruppi corali di ti­ po dopolavoristico o di gruppi folkloristici come avviene per esempio a Macomer e a Nuoro. In questi casi le esecuzioni avvengono di solito nel corso di rappresentazioni teatrali o in altre occasioni non processio­ nali, e si presentano in genere lontane dalle forme tradizionali, ragion per cui non ne abbiamo tenuto conto.128 Un caso a parte è costituito da Aggius dove i cantori fanno capo all’istituzione parrocchiale in maniera per molti versi analoga ad una cantoria. Il gruppo in attività è però in gran parte il risultato dell’opera di Matteo Peru e di Salvatore Stangoni (meglio noto come "Galletto di Gallura) i quali sono stati i protagonisti di particolari iniziative che in anni passati hanno portato ad uno straordinario sviluppo della prassi polivocale in questo paese.129130 Per quanto riguarda i testi verbali, al contrario di quanto visto per la Sicilia, la quasi totalità dei brani è in latino. In questo caso si tratta di un latino generalmente più fedele nella pronuncia e meno'contami ­ nato dalle forme dialettali rispetto ai repertori di tutte le altre regioni italiane poiché i.cantori prestano una specifica attenzione al rispetto della originaria dizione. In tutti i repertori è presente il Misererei Esso infatti rappresenta un’indispensabile componente dell’accompagnamento delle diverse pro­ cessioni. Alcuni repertori, anzi, possiedono più versioni musicali di que­ sto testo, ciascuna destinata ad un preciso contesto rituale. Molto diffu­ sa è anche la presenza dello Stabat mater, che in alcuni paesi come Cuglieri presenta anch’esso più versioni musicali. Tra gli altri testi vi sono il Gloria ed alcune parti delle Lamentationi di Geremia (a Bortigiadas). In alcuni casi vengono eseguiti durante la settimana santa brani pro­ venienti dalla liturgia del Vespro, (come ad esempio il Deus in audito­ XT1 Ciò è tra l’altro documentato da alcune registrazioni realizzate nel 1959 da Giorgio Nataletti, Alberto M. Cirese, Antonio Sanna e Paolo Cerchi (CNSMP, raccolta 46, brani 64-6). 128 Le corali di tipo dopolavoristico o folkloristico sono oggi assai diffuse in Sardegna tra i giovani. Si tratta di gruppi che spesso trasformano notevolmente la tradizione, di solito grazie alla partecipazione di musicisti provenienti dal conservatorio, e si propongono per occasioni di intrattenimento non specifiche (concerti, programmi radio televisivi, spettacoli per turisti, eccetera). Tale fenomeno sfugge ancora ad una attenta analisi da parte degli etnomusicologi.

129 Vedi La me brunedda è bruna. Gli aggius, coro del galletto di Gallura, disco 33 giri, Cetra 1973.

lpp211,

130 In alcuni casi l’espressione ‘cantare il Miserere viene usata per indicare l’esecuzione dei canti della settimana santa.

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rium me intende cantato a Castelsardo in conclusione del rito del Innisanto al momento di rientrare in chiesa — vedi esempio 39), o dall’ordinarium Missae (come ad esempio il Kirie che viene cantato ad Aggius). Nelle cerimonie della domenica di Pasqua invece viene sempre can­ tato il Magnificat, La sua esecuzione, nell’ambito del rito di su scontra ha inizio al momento del primo avvistamento’ della statua di Gesù da parte della Madonna e prosegue fino al termine della solenne messa che conclude il rito. Non mancano, infine, testi in sardo. Si tratta in genere di brani te­ nuti in poca considerazione dagli stessi cantori, anche perché sovente sono musicalmente affini agli altri repertori religiosi dell’isola non de­ stinati alla settimana santa. I più interessanti sono i gozos o goccius, for­ me poetiche di origine presumibilmente spagnola. Si tratta di testi in genere dedicati al Cristo o alla Madonna che per il contenuto sono as­ similabili alla lauda.131 Assai rari sono invece i testi con carattere narra­ tivo, analoghi a quelli siciliani. Per quanto riguarda l’articolazione musicale osserviamo subito che allo stesso modo di quelli siciliani, anche i brani dei repertori sardi so­ no suddivisibili in segmenti musicali minimi di senso compiuto, cioè in moduli armonico-melodico—ritmici stereotipi. Tali moduli sono sempre chiaramente delimitati da pause e sono costititi da blocchi so­ nori formati da un numero variabile di accordi, da due a cinque—sei, ciascuno dei quali può presentare porzioni diverse di testo verbale, da una o due sillabe ad un intero verso.132 Il complesso di tali moduli si combina secondo meccanismi di volta in volta differenti, ed assicura sempre la possibilità di variare la durata di ciascuna esecuzione in fun­ zione delle esigenze rituali (vedi oltre). Tutti i repertori sono a quattro parti vocali, con la sola eccezione di alcuni esempi di Aggius a cinque voci. Ogni parte è affidata ad un sin­ golo cantore che si specializza nella sua esecuzione, e riceve una precisa denominazione. Dall’acuto al grave si hanno: falsittu (detto pure mesa oghè)) boghey contra e bassu. Del tutto evidente è la struttura ad accor­ do. In tutti i repertori, infatti, sa boghe assume il ruolo di parte princi­ pale, e sebbene non presenti mai un rilevante sviluppo melodico, isola­ bile dal contesto armonico (come visto negli esempi siciliani), si pone 131 BULLEGAS, Il teatro in Sardegna, e per l’aspetto musicale SASSU, Le strutture musicali.

132 Diversamente da quelli siciliani i repertori sardi non adottano in genere il verso del testo verbale come parametro pertinente nella segmentazione del materiale musicale (vedi il para­ grafo 1.7.1).

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come guida e fulcro della trama musicale, regolando lo svolgimento della successione accordale. Con Ventrata delle altre parti del coro si ha una successione di accordi costituiti da triadi complete in posizione fondamentale, con alcuni eccezionali casi di primo rivolto (vedi il para­ grafo 1.7.2). Le voci procedono in maniera tendenzialmente omorit­ mica ma tale andamento è sovente negato da ritardi o anticipazioni che possono essere realizzate da tutte le parti. Va anche notato che l’inizio dell’esecuzione, che come è norma nella polivocalità tradizionale è sempre monodico, può variare da brevi frammenti melodici fino ad estesi versi musicali. La sua realizzazione inoltre non è sempre opera della parte principale e può essere affidata anche a sa contra o su bassu. Ciò comunque non comporta alcuna conseguenza nello svilup­ po della trama armonica che resta incentrata su sa boghe. Anche per i repertori sardi illustriamo, sia pur in breve, alcuni esempi significativi. I primi esempi provengono dal repertorio di Galtellì (Nuoro) cui si è già fatto cenno a proposito della particolare situazione relativa al gruppo di esecutori.133 Le cerimonie rituali della settimana santa si presentano alquanto di­ messe. Esse prevedono la presenza di diversi cortei processionali e delle azioni rappresentative de s’incravamentu e s'iscravamentu all’interno dell’ex chiesa oggi sede della confraternita. Tutte queste azioni però si svolgono in maniera assai rapida, quasi di corsa, senza cioè la solennità che in genere si riscontra negli altri paesi. Il repertorio polivocale è for­ mato da brani in latino, il Miserere, lo Stabat eA il Magnificat per la do­ menica di Pasqua, e brani in sardo tra cui alcuni gozos. Proprio per evi­ denziare questi ultimi presentiamo più di un esempio di tale reperto­ rio. Il primo, il Miserere, è articolato in moduli stereotipi ciascuno dei quali corrisponde ad un verso del testo verbale (l’esempio illustra i pri­ mi due). L’inizio dell’esecuzione è affidato a sa boghe. Le parti vocali procedono in omoritmia quasi assoluta (si noti l’anticipazione di sa bo­ ghe in vista della cadenza conclusiva del verso musicale).134 133 Galtellì a partire dall’undicesimo secolo fu sede di una diocesi in seguito, nel diciannovesimo secolo, trasferita a Nuoro. Il paese in tempi recenti ha subito una fortissima emigrazione che ha ridotto in maniera assai considerevole la sua popolazione che oggi si aggira intorno al migliaio di abitanti, determinando altresì la scomparsa della confraternita. Nel corso del rilevamento co­ munque abbiamo avuto modo di constatare durante le processione del venerdì santo la presen­ za di alcuni uomini con gli abiti delle confraternite di paesi vicini, segno della deferenza che an­ cora oggi tutta la zona della Gallura inferiore nutre nei confronti del suo antico capoluogo. ,3^ Copia di questa e delle due successive registrazioni è depositata presso l’Archivio Etnofonico del CIMS di Palermo. Ringrazio Bianca Guiso per la collaborazione al rilevamento.

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Esempio 29. Calteli) (Nuoro), Miserere. Registrazione e trascrizione di Ignazio Macchiarella.

0

5

falsìttu a

rum

a

rum

a

rum

bogi et secundu-multitudine miserarono tu

contra

bassu rum

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Il secondo esempio, Responde populu meu (detto anche Lamento di Cristo) è in sardo. Esso costituisce una sorta di volgarizzazione dell’improperium Popule meus. In questo caso l’articolazione del materiale musicale presenta un’eccezione rispetto alla norma condivisa da tutti gli altri brani in quanto si tratta di una struttura strofica (musica uguale per tutte le strofe del testo verbale), analoga a quella degli altri repertori non destinati alla settimana santa. La trama armonica tuttavia rispetta la successione di accordi in posizione fondamentale che invece caratte­ rizza i brani con testo in latino. L’esempio illustra la prima strofa.

Esempio 30. Gal teli! (Nuoro), Responde populu meu. Registrazione e trascrizione di Ignazio Macchiarella.

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falsino

bogi

contra

basso

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Il terzo esempio illustra un gozos in sardo. Anche in questo caso si tratta di una struttura strofica. Ognuno dei due versi che costituisce la strofa si può suddividere in due sezioni: nel­ la prima le parti superiori si muovono parallelamente, mentre le due inferiori ribattono all’unisono tra di loro ed omoritmicamente con le prime, la quinta della scala; nella seconda sezione si ha una schematica cadenza (il — I — II — l) sull’accordo di sol. La struttura ritmica è alquanto serrata, non presenta suoni tenuti come negli esempi precedenti, e si basa su una regolare corrispondenza di una nota per sillaba.

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IL FALSOBORDONE FRA TRADIZIONE ORALE E TRADIZIONE SCRITTA

Esempio 31. Calteli! (Nuoro), Gozos. Registrazione e trascrizione di Ignazio Mac­ chiarella.

pre zi o-sa rughe sa - nta

ar- bo- re d'e - temavi - ta

L’esempio seguente proviene da Orosei (Nuoro). Qui sia il rituale della settimana santa che la cerimonia pasquale su scontra sono assai ar­ ticolate e richiamano una notevole quantità di spettatori dai paesi vici­ ni. Un ruolo molto attivo è svolto dalla Confraternita di Santa Croce cui appartiene il gruppo dei cantori.135 Il repertorio polivocale è tra i più complessi di tutta l’isola. Esso è costituito in prevalenza da brani con testo in latino, tra cui due versioni del Miserere, con alcuni gozos in sardo. La trascrizione seguente illustra i primi due versi del Magnificat della domenica di Pasqua. In questo caso la parte principale, sa boghe, svolge in maniera monodica la prima metà del verso musicale, mentre l’entrata delle altre voci realizza una lunga cadenza finale sulle ultime parole di ciascun verso del testo verbale. 135 Vedi PAOLO MERCURIO, Folklore sardo. Orosei, storia, lingua, canto poesia, Ghedini, Mila­ no 1991.

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Esempio 32. Orosei (Nuoro), Magnificat. Registrazione e trascrizione di Ignazio Macchiarella.

Un altro repertorio particolarmente interessante è quello di Santulussurgiu (Oristano). Anche in questo caso il canto polivocale si inseri­ sce nell’ambito di un rituale molto complesso, in cui un ruolo premi­ nente è svolto dall’unica confraternita oggi presente in paese, quella del Rosario. Ad essa appartiene anche il gruppo dei cantori, Su Concorda e su Rosariu (‘il coro del Rosario’), su cui ci siamo soffermati in precenza. Il repertorio è costituito principalmente da brani in latino {Misere­ re, Gloria, Magnificat eccetera), cui si aggiungono alcuni gozos in sardo. L’esempio seguente è una trascrizione integrale di una esecuzione del brano più rappresentativo dell’intero repertorio, il Miserere. L’inizio monodico è svolto da su bassu che esegue il primo verso del testo verbale. La stessa voce attacca i versi successivi, anche se è eviden­ te che la successione degli accordi è regolata da sa boghe. Va notato che i versi musicali non corrispondono sempre ai versi del testo verbale e se ne hanno alcuni costituiti esclusivamente da lunghi vocalizzi.136 136 È da notare che talvolta la voce acuta viene chiamata cuntraltu invece di falsittu.

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Verticalmente le voci si dispongono in posizione alquanto anomala rispetto alla norma dei repertori sardi: le due gravi sono in rapporto di terza (e non di quinta), ed il raddoppio della nota fondamentale dell’ac­ cordo è affidato alla voce acuta (e non a sa boghe). La trama armonica è comunque imperniata su triadi in posizione fondamentale. Essa presen­ ta anche un accordo di secondo rivolto sul quarto grado, provocato dal movimento parallelo per grado ascendente delle voci centrali.137 Esempio 33. Santulussurgiu, Miserere. Registrazione e trascrizione di Pietro Sassu.

5

0

bassa

I

V* *

15

J?» * • • # »

a

se

mi

* ** g ** *

mi - serere me-i de-o

20

IO

e cunduma-gna

30

25

tu

-

• ••• i - se-n-cordiali!

»

*

a

pausa ca. 2“

am

137 II repertorio del coro di Santulussurgiu comprende anche numerosi canti non religiosi, come S’ottava trista, la cui struttura musicale è però affatto analoga a quella del repertorio religioso. Un esempio sonoro di questo repertorio è nel disco Canti liturgici di tradizione orale, disco 3, lato B, brano 2.

IL VERSANTE DELLA TRADIZIONE ORALE

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io

o

i - ni - qui - ta -

0

te

me

i - ni - qui - la -

te

me

ni - qui - la -

te

me

ni - qui - la -

te

pausa 4,5" ca.

me

10

15

pausa 6" ca.

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o

5

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10

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L’esempio seguente proviene da Bosa (Nuoro), un paese appartenente alla stessa area geografico-culturale di Santulussurgiu, il Muntiferru.138 Anche a Bosa il rituale della settimana santa si presenta molto com­ plesso. Ad esso partecipano le tre confraternite presenti in paese, del Rosario, della Santa Croce e della Buona Morte, ciascuna con un pro­ prio coro. Comune è però il repertorio polivocale, costituito quasi esclusivamente da brani in latino. Esso comprende tra l’altro due ver­ sioni del Misererei uno StabatMater. 138 Al Muntiferro appartiene anche Cuglieri il cui repertorio si segnala per la presenza di più versioni del Miserere e dello Stabat mater che vengono eseguite a due cori alternati (un esem­ pio sonoro di tale prassi è in Canti liturgici di tradizione orale, disco 4, lato A, brano 3).

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L’esempio illustra il primo verso di uno dei Miserere. V. incipit mo­ nodia) in questo caso si limita al solo attacco, ed è realizzato dal bassu. Armonicamente si ha una costante successione di triadi in posizione fondamentale. In questo caso però, di rilievo è il movimento delle sin­ gole parti, con frequenti ritardi ed anticipazione e con i ampi glissando che determinano un particolare colore alfesecuzione.139 Esempio 34. Bosa (Nuoro), Miserere. Registrazione di Pietro Sassu; trascrizione di Ignazio Macchiarella.

139 Naturalmente, in questi, casi la trascrizione su pentagramma non offre che un pallido ri­ flesso: l’ascolto della registrazione magnetica risulta perciò indispensabile per cogliere tale colore.

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I prossimi esempi provengono dal repertorio di canto polivocale della settimana santa senza dubbio più interessante, quello di Castelsar­ do (Sassari). Come abbiamo già detto, tale repertorio si può annoverare tra le forme più complesse di polivocalità di tradizione orale dell’intero continente europeo. Esso costituisce parte integrante di un complesso sistema rituale che ha inizio il primo giorno di quaresima e culmina in una serie assai articolata di manifestazioni processionali e rappresentati­ ve che si svolgono per tutta la durata della settimana santa, dal lunedì al venerdì. In quest’ambito un ruolo di assoluta preminenza ha la Con­ fraternita di Santa Croce che regola lo svolgimento di tutte le azioni. Il coro degli esecutori, che fa parte della confraternita ed anzi costi­ tuisce una delle sue principali attività, è formato da circa una ventina di cantori. Esso può dar vita a due o tre gruppi contemporaneamente a seconda delle necessità del rito. Il repertorio è oggi costituito esclusivamente da testi in latino. Vi sono due versioni del Miserere, una quaresimale ed una processionale, una dello Stabat Mater, ed un testo, lo Jesu, brano estraneo alla liturgia e di incerta provenienza (vedi il paragrafo 1.8) che viene eseguito sola­ mente il luni santo dal terzo dei cori che aprono la processione. A que­ sti brani specifici della settimana santa se ne aggiungono altri derivati dalla liturgia del Vespro come il Deus in adiutorium me intende che vie­ ne eseguito in conclusione della processione del venerdì santo. È da segnalare una particolare esecuzione di un Miserere (detto sotto l’altare), a due cori alternati, al termine del rito di siscravamentu, mo­ mento tra i più solenni dell’intero rituale, a proposito del quale si conser­ vano anche importanti testimonianze storiche (vedi il paragrafo 3.5).140 140 L’intero repertorio della confraternita è documentato nel cd Sardegna. Confraternita.

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Dato il rilievo del repertorio presentiamo in questo caso quattro esempi, e cioè i primi versi del Miserere processionale e del Miserere qua­ resimale, dello Stabat, e del Deus in adiutorium.^ Il Miserere quaresimale si caratterizza per l’incipit monodico realizza­ to dal bassu, analogamente a quanto visto nell’esempio di Santulussur­ giu. Il verso musicale è chiaramente suddiviso in due sezioni da una pausa. Tutti gli accordi sono triadi in posizione fondamentale con l’ec­ cezione dei due che precedono immediatamente l’accordo finale di cia­ scuna delle due sezioni. Nel primo caso l’accordo sul re (quarto grado della scala) presenta al contra la nota sol; nel secondo lo stesso accordo sul quarto grado si presenta in secondo rivolto. Si tratta in entrambi i casi di accordi ottenuti attraverso un particolare gioco di anticipazioni che contribuiscono a segnalare la conclusione delle due cadenze enfa­ tizzando la piena sonorità dell’accordo conclusivo. Essi comunque non possono dirsi accordi dissonanti, concetto questo del tutto estraneo alla polivocalità tradizionale.142 Esempio 35. Castelsardo (Sassari), Miserere quaresimale. Registrazione e trascrizio­

ne di Pietro Sassu.

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141 Sui contesti esecutivi di ciascun brano vedi SASSU, La settimana santa a Castelsardo. 142 SACHS, Le sorgenti della musica, p. 206.

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Il Miserere processionale invece si apre con un breve inciso melodico realizzato da sa boghe. La stessa parte produce dei movimenti melodici che si stagliano nel complesso armonico creando ancora una volta si­ tuazioni accordali non perfettamente consonanti.

Esempio 36. Castelsardo (Sassari), Miserere processionale. Registrazione e trascri­ zione di Pietro Sassu.

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Lo Stabat mater si segnala per la straordinaria varietà delle combi­ nazioni armoniche con accordi costruiti su diversi gradi della scala. Di rilievo è pure il continuo giuoco di ritardi ed anticipazioni prodotto dalle singole parti.

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Esempio 37. Castelsardo (Sassari), Stabat mater. Registrazione e trascrizione di

Pietro Sassu.

37

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ter

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Al contrario dei precedenti, il Deus in adiuorium si caratterizza per la sua condotta su un accordo ribattuto con schematiche cadenze alla fine di ciascuna delle due sezioni del verso musicale. E incipit è affidato a sa boghe. Esempio 38. Castelsardo (Sassari), Deus in adiutorium meus intende. Registrazione e trascrizione di Ignazio Macchiarella.

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Concludiamo la nostra serie di esempi con uno proviente da una registrazione effettuata più di venticinque anni fa da Pietro Sassu. Si tratta di un Miserere del repertorio di Bono (Sassari), un repertorio og­ gi tanto disgregato da essere in pratica del tutto non funzionale.143 L’interesse di questo esempio è dato dalla esecuzione a tre parti vo­ cali attestante una prassi che secondo le testimonianze orali raccolte nel corso della ricerca era, almeno fino ad una trentina di anni addietro, alquanto diffusa e si ritrovava anche in paesi come Castelsardo, dove oggi si canta solo a quattro parti. L’impianto armonico è comunque del tutto analogo agli altri esempi presentati, con il ruolo principale as­ sunto dalla parte centrale. Esempio 39. Bono (Sassari), Miserere. Registrazione di Pietro Sassu; trascrizione di Ignazio Macchiarella.

143 Esempio sonoro, registrato in situazione non contestuale il 19 settembre 1968, deposita­ to presso il CNSMP, raccolta 52m.

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1.7. La struttura musicale dei repertori 'ad accordo"

I dati esposti nei paragrafi precedenti hanno evidenziato una rilevante presenza di precisi elementi comuni in repertori diffusi in aree culturali che, è bene ricordare, sono relativamente diverse tra di loro. E infatti nota, ad esempio, la relativa lontananza storico-culturale fra la Sicilia e la Sardegna, lontananza che ha chiaro riscontro anche nel complesso della musica tradizionale e che si può subito cogliere confrontando i repertori profani o quelli legati ad altre occasioni rituali dell’anno co­ me il Natale.144 Ciò vuol dire ovviamente che i repertori in oggetto in queste pagine costituiscono dei casi eccezionali’ ed occupano uno spa­ zio particolare nell’ambito dei rispettivi patrimoni di tradizione orale. Possiamo schematicamente riassumere in quattro punti gli elementi comuni finora emersi: 1) in tutti i casi l’esecuzione è prevista nell’ambito di analoghi con­ testi specifici (tra cui in primo luogo le processioni) all’interno della fe­ sta, ed assolve ad identiche funzioni rituali di sonorizzazione degli spa­ zi festivi e di commento all’azione mitica rappresentata;145 2) i gruppi di esecutori sono sempre maschili e sono formati da cantori specializzati, ben individuati nell’ambito della comunità, e qua­ si sempre sono espressione di confraternite laicali;146 3) la maggior parte dei testi verbali utilizzati nei diversi repertori lo­ cali coincidono, provengono dalla liturgia cattolica ufficiale e sono in una lingua, il latino, affatto lontana dalla cultura tradizionale; 144 Confronta con le osservazioni di LETO!, Le molte Italie. 145 Va anche tenuto in considerazione che le esecuzioni più curate coincidono sempre con la cerimonia della deposizione (scinnuta in Sicilia, s’iscravamentu in Sardegna). 146 Quando ciò oggi non avvenga, il rapporto tra gruppo di esecutori e confraternita è sem­ pre documentato per il passato (vedi il paragrafo 1.9).

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4) tutti i repertori presentano strutture musicali accomunabili poi­ ché vi sono precisi riscontri per quanto riguarda la segmentazione dei brani in unità pertinenti (i versi musicali), il procedimento di organiz­ zazione lineare di tali unità (la struttura modulare), la struttura ritmica (il cosiddetto ritmo libero) nonché la sovrapposizione delle voci presie­ duta da un identico principio costituzionale incentrato sulla triade completa in posizione fondamentale. Di conseguenza è giocoforza ipotizzare resistenza di processi di for­ malizzazione comuni o quanto meno assimilabili alla base di tutti i re­ pertori. L’analisi comparativa che proporremo in questo paragrafo mira a qualificare in maniera dettagliata le affinità che appaiono osservando gli esempi proposti, con lo scopo di definire un possibile modello strutturale comune. Dati gli scopi di questa ricerca tale approfondi­ mento riguarderà principalmente l’ultimo dei punti elencati, la com­ ponente specificamente musicale, anche se ovviamente non tralasceremo del tutto le componenti extramusicali. 1.7.1. Segmentazione in unità pertinenti: I’articolazione in versi musicali. Come si vede chiaramente dalle trascrizioni, tutti i repertori in questio­ ne presentano una organizzazione del materiale musicale intorno ad una melodia-guida, una sorta di cantus firmus che viene sostenuto ed ac­ compagnato dalle altre voci. Tale cantus firmus, che si può collocare nel registro medio o acuto a seconda dei casi, costituisce pertanto il perno della sovrapposizione armonica: regola la successione lineare del mate­ riale musicale, scandisce gli attacchi e determina la durata degli accordi. Il primo aspetto da considerare per approfondire l’analisi riguarda necessariamente l’organizzazione globale del materiale musicale. Attra­ verso l’ascolto integrale di tutte le esecuzioni considerate risulta eviden­ te che ciascun brano si articola come una sequenza di unità musicali minime di senso compiuto, che possiamo definire versi musicali, i qua­ li non coincidono necessariamente con i versi del testo verbale. Ciascun verso musicale è chiaramente delimitato da pause lunghe, e presenta una successione ordinata di accordi (da un minimo di due a cinque-sei) che accompagnano porzioni delimitate della melodia-guida. A sua volta ogni brano è formato da un ristretto numero di versi musicali differenti, in genere tre o quattro, che sono ripetuti più volte. Tali ripetizioni non avvengono secondo una alternanza regolare. Non si hanno cioè successioni ricorrenti a costituire strutture strofiche (a parte le poche eccezioni viste nel paragrafo 1.6), ma ciascun brano pre-

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senta una specifica articolazione. Inoltre, ascoltando più esecuzioni del­ lo stesso brano, operazione questa che è indispensabile trattandosi di formalizzati di tradizione orale, si osserva che variazioni anche notevoli nella successione dei versi musicali si possono avere in ogni riproposi­ zione. Tutte le esecuzioni di un brano, infatti, mantengono costante solo il numero e la composizione interna dei versi musicali differenti, ma possono presentare una diversa quantità di loro ripetizioni (con conseguente variazione della somma totale dei versi e quindi della du­ rata totale della esecuzione), e/o un diverso ordine di successione. L’esempio seguente è una evidente dimostrazione di ciò. Esso è la trascrizione di un’altra esecuzione del Vexilla regis di Montedoro inte­ gralmente presentato nell’esempio 26. Esempio 40. Montedoro (Caltanissetta), Vexilla regis. Registrazione e trascrizione di Ignazio Macchiarella.

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Come si vede chiaramente, la prima esecuzione (esempio 26) pre­ sentava una successione di sei versi musicali che si può schematizzare ABCBCD, mentre questa seconda è di otto versi musicali con schema ADBCBBCD.147 Ogni brano non è quindi una successione predeterminata di ele­ menti ma una giustapposizione di versi musicali in sé conchiusi.148 Tale 147 La prima esecuzione dura nel complesso 3’38”, la seconda 28’05”. La grande differenza è dovuta naturalmente al fatto che la prima esecuzione era stata rilevata in situazione non contestuale e la seconda durante la processione. Tuttavia si può osservare che nella seconda esecuzione tutti i versi sono relativamente più lunghi. Nel corso della nostra ricerca ci siamo imbattuti in altre esecuzioni dello stesso brano con successioni dalla struttura: ABBDCB op­ pure ACBDBCD o ancora ACCBDBC. 148 Come vedremo in seguito (paragrafo 1.8), tale variabilità non è in alcun rapporto con il testo verbale che, non avendo alcun contenuto semantico, non impone nessun ordine di

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giustapposizione non è il risultato della casualità o della improvvisazio­ ne, concetti di norma estranei alla musica di tradizione orale che è sempre altamente formalizzata, ma è infatti il risultato di un sofisticato processo compositivo, la cosiddetta struttura modulare. La successione dei versi musicali, infatti, risulta regolata da un mec­ canismo combinatorio, del tutto evidente a posteriori, che garantisce sempre l’immediato riconoscimento di ciascun brano, offrendo al tem­ po stesso margini di variazione che permettono all’esecuzione di soddi­ sfare le esigenze del contesto festivo. Così, per esempio, è possibile al­ lungare a dismisura la durata di un brano aumentando il numero delle ripetizioni dei versi musicali che grazie alle variabilità dell’ordine di successione non crea monotonia all’ascolto. La necessità di evitare la monotonia è poi particolarmente avvertita nelle processioni quando tutti i brani previsti, in media quattro—cinque, vengono continuamen­ te ripetuti anche per sette—otto ore. L’approfondimento del funzionamento di tale meccanismo e quindi della logica che presiede l’articolazione dei brani nei diversi repertori richiederebbe naturalmente altri dati e un gran numero di altre trascri­ zioni musicali. Questa operazione però non darebbe risultati di impor­ tanza centrale ai fini della nostra ricerca e possiamo pertanto tralasciar­ la per concentrarci sui processi di composizione dei versi musicali.149 1.7.2. L'articolazione interna del verso musicale. Come abbiamo detto, ogni brano presenta un limitato numero di versi musicali variamente combinati e ripetuti. Di conseguenza ciascun repertorio locale e quindi l’insieme di tutti i repertori in questione sono a loro volta rappresenta­ bili da insiemi definiti di versi musicali differenti.150

successione. Solo in pochi casi, infatti, si pone cura ad una corretta successione dei versi la­ tini e ciò avviene soprattutto in alcuni repertori sardi dove massimo è il rispetto per l’inte­ grità del testo latino originario. 149 Analisi in questa direzione sono svolte in MACCHIARELLA, Analisi di un brano dal reperto­ rio della settimana santa, e ID., Un meccanismo di com binazione di madidi stereotipi. Segnalia­ mo che processi di formalizzazione per alcuni aspetti analoghi si ritrovano in altri repertori di tradizione orale. Per esempio nei repertori delle novene natalizie siciliane per voce e zam­ pogna o in alcuni repertori da danza dove tale meccanismo è molto sviluppato avendo un assoluto rilievo le ragioni dello sviluppo musicale (vedi tra l’altro FRANCESCO GIANNATTASIO - BERNARD LOTART JACOB, Modalità di improvvisazione nella musica sarda: 2 modelli, «Cul­ ture Musicali», l/l 1982). 150 In alcuni repertori gli stessi versi musicali si possono ritrovare in brani differenti. Vedi MACCHIARELLA, Un meccanismo di combinazione di moduli stereotipi.

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Tutti i versi musicali analizzati nel corso della nostra ricerca sono costituiti da successioni di accordi di numero variabile da due a cin­ que-sei, che accompagnano la parte solista a sua volta caratterizzata da interventi che vanno da schematiche sequenze di quattro-cinque note ad articolati segmenti melodici. Confrontando gli esempi appare evidente che il primo e l’ultimo accordo costituiscono i due poli di aggregazione fondamentale del ma­ teriale musicale. Si tratta, infatti, degli accordi sempre di maggior rilie­ vo e dalla durata più lunga, la cui composizione determina in concreto lo sviluppo della trama armonica.151 Tutti i versi sono segmentabili in due sezioni: la prima, che definia­ mo d’attacco, si estende dall’inizio, che è sempre monodico fino all’af­ fermazione del primo accordo; la seconda, che definiamo di cadenza, è costituita dalla sequenza degli altri accordi che conducono all’accordo conclusivo. Il passaggio dalla prima alla seconda sezione è sempre se­ gnato da un pausa alquanto marcata. Le trascrizioni musicali presentate in precedenza evidenziano tale struttura: la numerazione del parametro dei secondi inizia da zero all’inizio di ciascun verso mentre all’attacco della seconda sezione del verso si va sempre in un nuovo rigo musicale (continuando la numera­ zione dei secondi); inoltre la figura di pausa di semiminima indica solo le pause fondamentali (e non la durata di essa che è sempre ricavabile in rapporto con il parametro dei secondi), a metà del verso ed in con­ clusione, mentre le altre eventuali pause secondarie sono indicate con prese di fiato. Le due sezioni del verso musicale sono di diversa lunghezza e pre­ sentano una articolazione interna variabile a seconda dei casi.152 La sezione di attacco ha inizio sempre in maniera monodica. Tale incipit solista, che costituisce una caratteristica comune a tutte le forme polivocali di tradizione orale, può ridursi al semplice stimolo sonoro necessario per l’inizio dell’esecuzione (vedi tra l’altro gli esempi 9, 23 e 37), oppure può estendersi per frammenti melodici di quattro-cinque 151 Consideriamo in questo schema anche gli esempi calabresi e siciliani in cui non si hanno triadi complete, nonché quelli sardi con struttura strofìca. 152 Tra gli esempi si ritrovano due parziali eccezioni. La prima è costituita dal brano di Delia dove la bipartizione del verso è realizzata solo nella parte del solista (con la pausa) mentre la parte del coro è continua (esempio 25). La seconda eccezione è costituita da alcuni versi del Miserere di Santulussurgiu, assai brevi e costituiti da un solo accordo (esempio 33). Tra i re­ pertori non presentati analoghe eccezioni si hanno a Sommatino e Licodia Eubea, entrambi in Sicilia.

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note (esempi 26 e 36) o ancora per segmenti più consistenti (esempi 20, 25 e 33). Solo in alcuni repertori sardi il primo verso musicale è so­ lista ed è sovente realizzato dalla parte più grave (esempi 33 e 35). In Sicilia invece vi sono alcuni brani con incipit eseguito da due cantori che si alternano (esempio 22).153 Le altre voci entrano contemporaneamente o in rapidissima succes­ sione (esempi Ile 34) in determinati punti della melodia solista. Esse realizzano sempre triadi in posizione fondamentale. Tali triadi si collo­ cano generalmente sul primo grado della scala154 in quasi tutti gli esempi siciliani ed in alcuni sardi (esempi 23, 26 e 33).155 Frequenti nei repertori sardi sono i casi di accordi sul terzo grado (esempi 29 e 35). Altre volte invece si hanno triadi sul secondo grado (esempio 30, secondo verso musicale), sul quinto grado (esempio 27, secondo verso) o sul settimo grado (esempio 36). Eaccordo iniziale viene ribattuto più volte omoritmicamente (esempi 27, 33, 34 e 38) oppure, specie quan­ do si ha uno sviluppo della melodia solista (nella maggior parte dei re­ pertori siciliani), viene tenuto per una considerevole durata (esempi 23 e 26). Oltre a questo accordo, un altro accordo può far parte della se­ zione d’attacco del verso. In molti casi della Sardegna si tratta di una triade sul grado superiore che si presenta con carattere transitorio, se­ guita nuovamente dall’accordo di partenza (esempi 34 e 35). Nei brani siciliani, invece, tale secondo accordo è in genere sul quinto grado e conclude la sezione d’attacco del verso (esempi 24 e 25). Un caso a parte è invece costituito dallo Stabat mater di Castelsardo, dove, dopo l’affermazione dell’accordo iniziale, tutte le voci si muovono parallelamente per grado discendente (esempio 37). La seconda sezione del verso musicale, la sezione di cadenza, è quasi sempre la fase più articolata. Essa svolge successioni armoniche diverse 153 U incipit solista di differenti versi di un brano può variare a seconda della posizione di ciascun verso all’interno dello stesso. I versi iniziali sono in genere con incipit più estesi. Possiamo però tralasciare un approfondimento di questo aspetto tutto sommato secondario in questa sede. Vedi MACCHIARELLA, Un meccanismo di combinazione di moduli stereotipi. Essendo i versi musicali unità conchiuse la numerazione dei gradi viene fatta per ciascu­ no e non per l’intero brano. Ciò vuol dire che lo stesso accordo può presentarsi in versi dif­ ferenti con numerazioni diverse e ruoli differenti in uno stesso brano. Dati gli obiettivi di questa ricerca possiamo esimerci dall’analizzare i rapporti armonici fra i differenti versi mu­ sicali di un brano.

Nei casi in cui non si raggiungono le tre parti (molti repertori siciliani) l’entrata del coro ha luogo in genere all’unisono o produce un bicordo d’ottava sulla fondamentale della scala (esempi 15, 17, 18 e 20). Eccezioni sono invece gli esempi 19 e 22 (vedi oltre).

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da caso a caso che si concludono di norma su una triade completa co­ struita sul primo grado della scala. Dati gli obiettivi di questa ricerca possiamo esimerci dalla ricognizione di tutte le successioni praticate in tutti i repertori. Ci limitiamo a rilevare che nei brani siciliani questa se­ zione si apre spesso con la riproposizione del primo grado e presenta in genere due, tre o quattro triadi in posizione fondamentale. Uniche ec­ cezioni sono costituite da un accordo in secondo rivolto sul secondo grado nel repertorio di Montedoro (esempi 26 e 28) ed un primo ri­ volto sul quinto grado nel repertorio di Mussomeli (esempio 24, se­ condo verso). Le successioni nel complesso più ricorrenti sono: (l) - V - I (esempi 17 e 18); (l) - Il - I (esempi 23 e 27); e (l) - V - (l) - Il (o II 6/4) - I (esempi 26 e 28). Solo in pochi casi compaiono accordi sul quarto e sul terzo grado (esempi 20 e 24). Nei repertori sardi, invece, la sezione di cadenza si presenta assai più articolata e con una notevole varietà di combinazioni armoniche. In genere essa è costituita da quattro-cinque accordi, ma si hanno casi dove si verifica una considerevole dilatazione di tutta la sezione ottenu­ ta attraverso una serie di brevi sequenze di due—tre accordi su gradi di­ versi, separate da brevi pause (esempi 36 e 37). La conclusione è anche in questo caso generalmente sul primo grado. La triade di inizio della sezione è però su gradi diversi a seconda dei casi. Gli accordi sono in posizione fondamentale. Si hanno comunque numerosi casi sia di primo sia di secondo rivolto (esempi 29, 35 e 37) ma con carattere transitorio in quanto provocati dal movimento delle parti interne, ritardi e anticipazioni che caratterizzano alcuni dei prin­ cipali repertori (vedi oltre).156 Gli accordi più ricorrenti (oltre a quello di tonica) sono (nell’ordine di importanza) sul secondo, terzo, quarto, settimo e quinto grado. L’unica a non comparire è la triade sul sesto grado. Talvolta l’accordo finale è raggiunto per grado con il movimento parallelo di tutte le voci (li — I o VII-l). Il seguente schema riassume quanto detto sinora sull’articolazione interna del verso musicale.

156 Un caso eccezionale è costituito da un accordo di settima en passant che si ritrova in una delle ‘digressioni’ della sezione finale del primo verso musicale dello Stabat mater di Castelsardo (esempio 37). Si tratta di un accordo assai raro nella polivocalità tradizionale da imputare alla particolare elaborazione di questo repertorio: vedi SASSU, La settimana santa a Castelsardo.

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Tabella 3 verso musicale

sezione di attacco

incipit monodico

pausa

accordo di entrata

sezione di cadenza

sequenza accordi

accordo finale

(tenuto o ribattuto)

(tenuto)

(eventuale 2°accordo)

I due schemi seguenti visualizzano in classi paradigmatiche le ricor­ renze dei diversi accordi nelle sezioni dei versi musicali dei repertori si­ ciliani e sardi.

Tabella 4 (Sicilia) verso musicale

pausa

sezione di attacco

incipit monodico

sezione di cadenza

l(-V)

V

V

[V; 1; 11; III; II6.; V6; IV]

Tabella 5 (Sardegna) verso musicale

sezione di attacco

sezione di cadenza

pausa

incipit monodico 111 (IV-III)

III

HI (ll-lll)

IV

VII

[I; II; III; VII; IV; V; IV%; VII6; V6];

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1.7.3. Il movimento delle parti. Nella realizzazione degli accordi I ruoli svolti dalle singole parti vocali sono diversi tranne che per il bassa che, come detto, realizza sempre le note fondamentali. In generale nei repertori siciliani la voce principale, la più acuta, presenta la terza dell’accordo,157 quella immediatamente sotto {secunnd) raddoppia all’ottava la fondamentale, mentre la restante {terza) completa l’accordo con la quinta. Nei repertori sardi, invece, generalmente è la voce principale {bo­ ghe) che raddoppia la fondamentale, mentre quella ad essa inferiore {contro) realizza la quinta e la voce acuta {falsittu) la terza dell’accordo. Per quanto riguarda l’andamento delle singole parti la norma condi­ visa da tutti i repertori prevede che le voci si muovano per gradi con­ giunti ad eccezione del bassu il quale presenta spesso salti melodici di quarta o di quinta che realizzano le fondamentali degli accordi. Solo in alcuni casi si hanno salti di terza o di quarta nella parte acuta (esempio 37) e più raramente nelle due centrali (esempio 36). Alcuni brani prove­ nienti da repertori sardi (esempi 34 e 36) presentano invece salti di quar­ ta discendente nella sezione di cadenza realizzati contemporaneamente da tutte le voci (o dalle tre superiori) e riempiti da ampi glissando. Assai rari sono gli abbellimenti tranne che per la parte solista dei re­ pertori siciliani. Essa infatti si staglia nettamente rispetto alle altre voci e spesso presenta una ricca componente ornamentale analoga per molti aspetti a quella dei repertori monodici dell’isola.158 In tutti i casi le parti si muovono entro ambiti ristretti, in genere compresi entro una quarta o una quinta (in rari casi una sesta). Tutte le parti, infine, tendono a procedere con lo stesso ritmo (ad eccezione, ovviamente, della voce guida dei repertori siciliani). In alcu­ ni casi, provenienti soprattutto dai repertori sardi, tale omoritmia è ne­ gata da ritardi o anticipazioni nel movimento delle parti. Si tratta di espedienti ornamentali particolarmente ricercati, spesso sotto forma di forti glissando, che danno un colore peculiare all’esecuzione, provocan­ do sovente delle dissonanze transitorie. Secondo molti esecutori attra­ verso una corretta esecuzione di tali ornamentazioni si misura la perizia di ogni singolo cantore.159 1,7 Naturalmente dato lo sviluppo melodico che caratterizza in genere questa parte, tale nota viene realizzata in coincidenza con l’attacco degli accordi e in fase di rilascio dello stesso (ve­ di l’esempio 26). H8 MACCHIARELLA, Analisi di un brano del repertorio della settimana santa. SASSU, La settimana santa a Castelsardo.

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1.7.4. La struttura ritmica. I repertori polivocali in questione presenta­ no un tipo di struttura ritmica assai diffusa nei repertori meridionali che generalmente viene definita libera in quanto non è esprimibile con i normali valori di durata basati su rapporti proporzionali.160 Ciò però non vuol dire che la durata dei singoli suoni sia casuale e senza alcuna regolarità. Ascoltando più esecuzioni dello stesso brano, infatti, risulta eviden­ te che il rapporto tra le durate dei singoli accordi è tendenzialmente costante, al di là ovviamente delle variazioni che ogni esecuzione com­ porta. Questa costanza è il frutto di un meccanismo, ricostruibile a po­ steriori che si basa sull’articolazione respiratoria. Le pause e le prese di fiato, infatti, non si ritrovano mai in punti casuali del verso musicale ma lo suddividono sempre in segmenti musicalmente pertinenti. Ciò vuol dire che lo spazio sonoro tra due pause è logicamente organizzato: esso prevede una serie determinata di accordi, che debbono comparire in un dato ordine e ciascuno con un preciso rilievo relativo. Tale spazio è cioè una sorta di unità temporale gerarchicamente organizzata tra ac­ cordi principali (lunghi) e secondari (brevi). Naturalmente l’estensione cronometrica di ogni unità è limitata dalle possibilità respiratorie e di norma non va al di là dei venti—venticinque secondi. Al momento dell’esecuzione i cantori, sotto la guida della voce principale, hanno la possibilità di plasmare in maniera diversa tale unità, allungando o accorciando i singoli suoni, ma sempre rispettando il rilievo relativo di ciascuno. Esula dai nostri compiti un approfodimento del funzionamento di tale struttura.161 Ci basta segnalare che generalmente sono accordi lun­ ghi il primo e l’ultimo del verso. Sono invece quasi sempre brevi gli ac­ cordi non in posizione fondamentale e quelli costruiti sui gradi meno frequenti (terzo e quarto nei repertori siciliani, quinto in quelli sardi). Notiamo infine che non si riscontra alcun rapporto specifico tra i valori degli accordi e l’accentuazione del relativo testo verbale, in quan­ to quest’ultimo è sempre soggetto a particolari dilatazioni e si presenta spesso irriconoscibile all’ascolto. Tuttavia nei casi in cui la scansione 160 Altri esempi di strutture ritmiche analoghe si ritrovano in repertori monodici siciliani. Se ne veda l’approfondita analisi in GIROLAMO GAROFALO, Per un'analisi formalizzata del reper­ torio dei carrettieri di Palermo, in Echos. L'indagine etnomusicologica, e IGNAZIO MACCHIAREL­ LA L'ornamentazione melismatica nella canzuna alla carrittera del palermitano, «Culture Mu­ sicali», VI-Vll/12-4 1991.

I6’ Per una verifica vedi MACCHIARELLA, Analisi di un brano del repertorio della settimana santa.

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delle parole è più serrata, come ad esempio le sequenze di accordi ri­ battuti, la tendenza generale è quella di rispettare la prosodia della pa­ rola allungando i suoni sulle sillabe accentate. 1.7.5. Altri aspetti relativi all'esecuzione. Un ulteriore elemento che ac­ comuna i repertori siciliani e sardi riguarda la disposizione spaziale dei cantori al momento deiresecuzione. Come accennato in precedenza, i gruppi sono sempre individuabili all’interno dell’azione rituale in quanto occupano uno spazio previsto e ben determinato, generalmente in testa al corteo processionale e/o in prossimità delle statue più importanti, del Cristo morto o dell’Addolo­ rata. L’esecuzione ha luogo con i cantori fermi, situati in cerchio in un preciso ordine. Tale ordine nei repertori siciliani si può schematizzare nel modo seguente: Tabella 6 (Sicilia)

prima secunna

bassa terza (o quarta)

falsittu

Nei repertori della Sardegna, invece: Tabella 7 (Sardegna)

bogi

contra

bassa

falsittu (o mezza bogi)

Come si vede ì due schemi presentano delle analogie in quanto in entrambi i casi la voce principale ha accanto a sé da un lato il bassu dall’altro la parte posta immediatamente al di sotto, cioè la secunna in Sicilia, il contra in Sardegna. Differenze si hanno tuttavia per quanto riguarda la distribuzione dei registri vocali. Numerando le voci dall’acuto al grave, infatti si ottiene:

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Tabella 8

Sicilia

/

4

2

3 Sardegna

2

4

3 /

Ad ogni modo le due voci estreme si ritrovano sempre a cantare ac­ canto. Tendenza comune neiresecuzione di tutti i repertori è quella di rag­ giungere il massimo ripieno sonoro ed ottenere il miglior amalgama delle voci. Un contributo rilevante alla ‘buona riuscita dell’esecuzione deriva anche da una serie di indicazioni non verbali, come gesti con le mani, ammiccamenti ed altri espedienti analoghi, attraverso cui la voce prin­ cipale regola l’entrata delle altre voci e la successione del materiale mu­ sicale. Si tratta di accorgimenti consueti in qualsiasi forma di canto a più voci di tradizione orale che in questo caso assumono una particola­ re importanza. I cantori, infatti, pongono una speciale cura nell’esecu­ zione e attraverso tale comunicazione non verbale cercano di evitare gli ‘errori’, specie nei momenti più solenni del rito. La carenza di dati et­ nografici, però, non consente di soffermarci su questo argomento, che comunque non sarebbe centrale ai fini della nostra ricerca.162 Va poi segnalato che in alcuni casi si hanno delle definizioni relative a determinate successioni accordali. Il passaggio dall’accordo sul primo grado a quello sul quinto, ad esempio, a Calamonaci viene chiamato a la ncapu (letteralmente ‘andare in capo, in testa’), mentre a Montedoro acchianari nsecunna (‘salire alla seconda [voce]’). Si tratta di definizioni 162 In certi casi, ad esempio a Delia ed a Orosei (nonché in alcuni paesi della Corsica), ab­ biamo notato una gestualità codificata delle mani della voce principale che indica il mo­ mento in cui le altre debbono attaccare, cambiare accordo eccetera.

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IL FALSOBORDONE FRA TRADIZIONE ORALE E TRADIZIONE SCRITTA

con funzioni che si potrebbero definire grammaticali e che fungono da supporto all’esecuzione e soprattutto alla trasmissione del canto. Queste definizioni tuttavia non sono di norma dichiarate dai cantori, poiché come è noto la tradizione orale ignora qualsiasi esplicita grammatica musicale. Esse si possono perciò rilevare solo in particolari circostanze e soprattutto durante le riunioni per l’insegnamento del canto ai giovani. Quasi assenti del tutto sono, infine, le variazioni nella dinamica esecutiva, elemento questo che in genere non ha alcun riscontro nella musica di tradizione orale. Le poche eccezioni che si ritrovano in alcu­ ni repertori come Biancavilla e Chiaramonte (Sicilia) e Galtellì (Sarde­ gna) sono il frutto di interventi recenti dovuti alla presenza nei rispetti­ vi cori di cantori che praticano anche la musica della tradizione scritta come preti, componenti di bande di strumenti a fiato ed altri dilettanti di musica (vedi il paragrafo 1.9).

1.8. I testi verbali Musica e parole nei formalizzati di tradizione orale costituiscono un tutt’uno inscindibile se non a fini analitici. Il testo verbale infatti non è qualcosa di presistente o di autonomo ma la sua articolazione si defini­ sce solamente nel momento dell’esecuzione musicale.163 Nei repertori polivocali della settimana santa l’elemento di maggior rilievo è indubbiamente la presenza di testi verbali in latino. In realtà si tratta di un latino generalmente poco corretto in quanto le parole sono soggette a frequenti storpiature e/o vengono inframmezzate da fonemi dialettali. Il latino, infatti, rappresenta un mezzo linguistico assolutamente lontano per la quasi totalità dei cantori i quali ne conoscono l’esistenza solo attraverso la partecipazione alla celebrazione liturgica. Così i testi in questione altro non sono che sequenze fonetiche che non hanno un preciso significato.164 I cantori tuttavia sanno che i testi in latino appartengo al rito reli­ gioso e per questa ragione tendono a ripetere sempre allo stesso modo

163 Nulla comunque vieta che lo stesso testo abbia una esistenza indipendente da quella di un canto. Durante la settimana santa, per esempio, nella tradizione orale siciliana si ritro­ vano numerosi ‘racconti* in rima della Passione che spesso presentano gli stessi testi verbali cantati nei lamenti. Tra questi ‘racconti’ e l’esecuzione musicale non vi è alcun rapporto.

164 Zi Tano Genco, prima voce della squadra di Montedoro afferma che nei lamenti non c’è nulla da capire: «nenti chistu latinu iè!»

IL VERSANTE DELLA TRADIZIONE ORALE

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le sequenze fonetiche imparate. Un particolare impegno viene anzi profuso per evitare qualunque variazione nella pronuncia, impegno che come è noto è di norma estraneo alla tradizione orale. Tutto ciò però non vuol dire che l’esecuzione di testi latini sia sol­ tanto la meccanica riproposizione di qualcosa appresa in maniera mne­ monica. La tradizione orale, infatti, attribuisce ad ogni testo un signifi­ cato specifico in virtù del momento in cui è prevista la sua esecuzione. Tale significato viene determinato soprattutto sulla scorta di quelle che potremmo definire le parole-chiave con cui inizia ed attraverso cui si identifica ciascun canto: Miserere, Stabat, Gloria, Magnificat, Vexilla ec­ cetera. Queste sono le uniche ad esser sempre chiaramente pronunciate e rese comprensibili poiché racchiudono il senso dell’intero brano ed indirizzano l’intenzione comunicativa dell’esecuzione, la quale prescin­ de dal significato originale del testo.165 Non va poi dimenticata una sorta di funzione magica che deriva dalla provenienza dalla liturgia uf­ ficiale.166 Al di là di processi connotativi di questo tipo, l’uso di testi sacri in latino ratifica la solennità della situazione non quotidiana vissuta attra­ verso il rituale. Inoltre la consapevolezza che si tratta di testi fissati per iscritto contribuisce ancor più ad aumentare l’importanza attribuita all’insieme dei canti polivocali, collocandoli su un piano diverso rispet­ to a tutti gli altri repertori della tradizione orale.167 Come detto in precedenza il testo verbale originario subisce tratta­ menti diversi a seconda dei casi. Molto spesso i suoi versi non coinci­ dono con i tratti pertinenti della segmentazione del materiale musicale. Del resto esso non avendo alcuna funzione semantica può quindi esse­ re sottoposto alle più estreme dilatazioni: i sintagmi verbali vengono infatti frammentati in sillabe che sovente non sono tra di loro collega­ te, e che sono ripetute un gran numero di volte secondo uno sviluppo che privilegia le ragioni dell’elaborazione musicale. Per avere un’idea delle dimensioni che può raggiungere tale dilatazione si consideri ad esempio lo Stabat mater di Castelsardo (il cui primo verso musicale è trascritto nell’esempio 37). L’esecuzione di questo brano, in situazioni non contestuali e quindi senza le pause dovute alla processione, dura 165 LEYDI, Canti liturgici, p. 21.

166 BUTTITTA, Pasqua in Sicilia. 167 Ricordiamo che esistono solo pochi altri esempi di repertori tradizionali con testo in lati­ no, e questi sono quasi sempre confraternali ed eseguiti a più voci. Vedi ARCANGELI — SASSU, Musica liturgica ’ di tradizione orale.

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mediamente dodici—quattordici minuti. Il testo cantato è formato sola­ mente da nove parole, cioè i tre versetti iniziali del testo attribuito a Jacopone da Todi («Stabat mater dolorosa I iuxta crucem lacrimosa I dum pendebat fìlius») che vengono distribuite in dieci o più versi mu­ sicali, alcuni dei quali hanno il testo limitato ad una sola sillaba (come ad esempio la sillaba «iu» iniziale della parola «iuxta» ripetuta in lunghi vocalizzi nel secondo verso musicale). Raramente gli originali testi latini vengono cantati in tutta la loro interezza. Di solito infatti l’esecuzione si limita ai primi tre-quattro ver­ si, riproponendo più volte quello iniziale che contiene la parola-chiave. In tutto l’insieme dei repertori si riscontra un ristretto numero di testi ricorrenti. Il più diffuso in assoluto è senz’altro il Miserere, brano che meglio di ogni altro congloba il sentimento di disforia manifestato durante il rituale. Una notevole diffusione ha anche lo Stabat mater, di cui si ritrovano anche delle volgarizzazioni in dialetto. La grande diffusione di questi due testi non può considerarsi casua­ le. Essi, infatti, possono venire identificati con le due componenti fon­ damentali del rito, rispettivamente la figura del Cristo morto e quella dell’Addolorata. Tra gli altri testi si ritrovano sovente gl’inni Vexilla regis e Gloria. Un notevole riscontro, specie in Sicilia, ha anche l’improperium Popule meus, mentre solo in Sardegna si ritrova il cantico Magnificat per la do­ menica di Pasqua. Da segnalare inoltre la presenza di alcune versioni delle Lamentationi di Geremia (ad esempio a Bortigiadas) nonché di te­ sti costituiti da versetti del Vangelo (a Mussomeli). Non mancano infine casi di brani di incerta provenienza liturgica come lo Jesu di Castelsardo. Tali brani probabilmente sono il risultato di formalizzazioni avvenute all’interno della confraternita.168 Per quanto riguarda i testi non latini va subito detto che essi di nor­ ma non compaiono nei momenti culminanti del rituale. Il dialetto, in­ fatti, è una lingua familiare e quotidiana, e perciò non adatta alla so­ lennità richiesta in questi momenti.169 Essi invece vengono di solito utilizzati nelle circostanze più dimesse della settimana santa come le processioni esterne al venerdì santo. 168 I primi versi di questo canto recitano: «Jesu a Petro ter negato I Misere nobis I Christe exaudi nos I Jeso aine [che in sardo vuol dire ‘presso’] Caifa presentato I [...] ». Vedi la tra­ scrizione in SASSU, La settimana santa.

169 A meno che non si tratti di repertori che non contemplano brani in latino come accade solamente in alcuni paesi della Sicilia come ad esempio Delia.

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In questo caso il significato del testo verbale è perfettamente com­ preso, benché l’esecuzione musicale a più voci pregiudichi la chiara pronuncia di ciascuna parola. Anche in questo caso, comunque, la fun­ zione semantica è del tutto relativa poiché tutti i testi sono ampiamen­ te noti ai partecipanti al rito. Al contrario di quanto avviene con quelli in latino, i versi dei testi dialettali coincidono quasi sempre con i versi musicali. Inoltre, trattandosi di testi di carattere narrativo, la successio­ ne delle immagini segue generalmente un ordine logico che quindi conferisce una certa consequenzialità alla successione dei versi musicali, anche se ciascun verso può essere ripetuto più volte nel rispetto delle regole della struttura modulare.170 La quasi totalità di questi brani narra le vicende della passione di Cristo. Spesso tale racconto viene presentanto dal punto di vista della Madonna e può presentarsi sotto forma di un dialogo magico tra ella ed il figlio.171 Una considerevole ricorrenza ha anche il cosiddetto Oro­ logio della passione, un testo di carattere enumerativo che elenca le ulti­ me ventiquattro (o dodici) ore della vita di Cristo, e che si ritrova in tutta Italia e in alcune regioni del centro—sud, benché eseguito monodicamente o con accompagnamento di organetto, durante le questue.172 Tra gli altri testi vi sono, soprattutto in Sicilia, delle volgarizzazioni di testi latini, la più frequente delle quali è quella dello Stabat mater.173 Tutti i testi vengono eseguiti esclusivamente nel corso della settima­ na santa. Unica eccezione i gozos sardi che si ritrovano anche in altre occasioni benché eseguiti con una diversa struttura musicale, sia poli­ vocale che monodica.174

1.9. Gli esecutori

La prassi del canto a più voci di tradizione orale richiede di norma una particolare competenza da parte degli interpreti. Nei repertori in que­ 170 Vedi l’esempio proposto da MACCHIARELLA, Analisi di un brano.

171 Vedi la casistica presentata da TOSCHI, La poesia religiosa. 172 TOSCHI, La poesia religiosa. 173 Come è noto questo testo, dopo il bando decretato da Pio V, fu oggetto di numerose tra­ duzioni in italiano. Sue versioni, più o meno emendate, si ritrovano tra l’altro in alcuni lau­ dari del sedicesimo secolo destinati alla diffusione all’interno delle confraternite. Vedi AR­ CANGELI - SASSU, Musica ‘liturgica di tradizione orale.

174 SASSU, Le strutture musicali.

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stione, come abbiamo visto, l’esecuzione è sempre opera di cantori se­ lezionati attraverso precisi iter di apprendistato ed organizzati in grup­ pi più o meno stabili, appartenenti quasi sempre ad una confraternita laicale.175 Nella maggior parte dei casi i gruppi si costituiscono ogni anno in vista della settimana santa e si sciolgono al momento della sua conclu­ sione. Ciò avviene soprattutto in quei paesi dove la confraternita è in crisi e svolge una azione assai modesta (o quasi nulla) durante il resto dell’anno, tanto che la partecipazione alla settimana santa finisce con il rappresentare la sua unica attività. Nei paesi dove invece il sodalizio confraternale presenta una relativa vitalità, in Sardegna soprattutto, il coro in genere resta in attività tutto l’anno. Esso, infatti, ha un ruolo preciso in tutte le funzioni rituali che si svolgono nell’oratorio o nella chiesa, come la cerimonia di iniziazio­ ne di nuovi confratelli, le messe solenni domenicali o nelle feste di al­ cuni santi eccetera, e nei funerali dei confratelli defunti. Per ciascuna di queste occasioni esso conserva uno specifico repertorio diverso da quel­ lo della settimana santa.176 Solo alcuni gruppi siciliani, tra cui quelli di Calamonaci, Barcellona e Bivona, si riuniscono durante l’anno per eseguire repertori polivocali profani, tradizionalmente legati ad attività lavorative. In tali casi, oggi sempre più rari a causa della assoluta defunzionalità di questi ultimi re­ pertori, è sempre evidente una netta distinzione fra l’esecuzione delle forme religiose e profane.177 In Sardegna invece i gruppi della polivocalità religiosa non eseguo­ no altri repertori. Tuttavia di solito tutti i cantori conoscono bene an­ che i repertori profani che si dilettano ad eseguire in situazioni infor­ mali, come ad esempio i pranzi e le gite confraternali che si svolgono frequentemente durante l’anno.178 175 L’appartenza di un individuo ad un gruppo di cantori della settimana santa è sempre ri­ conosciuta dalla comunità, e costituisce uno dei suoi principali attributi. La memoria di ciò va oltre la sua scomparsa: a Montedoro ad esempio attraverso le testimonianze orali (raccol­ te anche al di fuori della squadra attuale) è stato possibile ricostruire con una certa sicurezza la composizioni dei gruppi del passato a partire dalla seconda metà del secolo scorso. Vedi MACCHIARELLA, I lamenti della settimana santa di Montedoro. Operazioni analoghe sono sta­ te compiute anche altrove. Vedi tra l’altro SASSU, La settimana santa a Castelsardo, e LATERZA, Canti popolari in Puglia (quest’ultimo riguarda un repertorio non ad accordo). 176 Vedi ad esempio quanto detto a proposito di Castelsardo nel paragrafo 1.6. 177 Un interessante caso in proposito è analizzato da FUGAZZOTTO, La Vistila. 178 Alcuni esempi sono descritti da B. LOTART JACOB, Chroniques sardes, Julliard, Paris 1990.

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In tutti i casi, comunque, il canto della settimana santa costituisce l’attività in assoluto più importante sulla quale si riversa la maggiore attenzione. Quando è esistente, l’oratorio è il luogo principale in cui ha luogo l’organizzazione dei gruppi e la trasmissione del repertorio. In esso, al­ cuni giorni prima dell’inizio della quaresima, i cantori si riuniscono al­ lo scopo di riprendere il repertorio o di provare l’ammissione di nuovi cantori. In alcuni casi, tra cui Castelsardo e Santulussurgiu, le sedute di prova destinate ai nuovi adepti hanno luogo con una certa regolarità e in altri periodi dell’anno. Esse costituiscono una sorta di schola cantorum allargata talvolta anche a giovani che non fanno parte della confra­ ternita, ai quali però non è permesso partecipare all’esecuzione rituale. La costituzione dei gruppi è molto variegata. Assai diffusi, soprat­ tutto nei paesi in cui la confraternita è poco attiva o assente del tutto, sono quelli formati da componenti della stessa famiglia e quelli che ri­ flettono rapporti di amicizia, di comparatico e così via. Accanto ai componenti anziani, assai diffusa è tutt’oggi la presenza di giovani che nella maggior parte dei casi assicurano un continuo ri­ cambio generazionale. Sovente tra i cantori vi sono anche musicisti dilettanti, quali com­ ponenti di bande di strumenti a fiato e percussioni, chitarristi o piani­ sti autodidatti eccetera Talvolta costoro sono studenti o diplomati del conservatorio o di scuole di musica e perciò sanno anche leggere la no­ tazione su pentagramma. Tale presenza all’interno dei gruppi, specie nelle situazioni dove la tradizione è meno vitale, può determinare dei tentativi di modificare l’esecuzione, più o meno inconsci: conosciamo ad esempio alcuni ten­ tativi di aumento delle parti vocali (in Sardegna) o di cambiamento della successione accordale, talvolta con aggiunte di accordi di settima o altri accordi dissonanti (in Sicilia) o ancora di aggiunta di un accom­ pagnamento all’organo (in Sicilia e Sardegna). Tutti i tentativi di que­ sto tipo finora documentati hanno avuto comunque un carattere effi­ mero o quanto meno hanno inciso solamente per aspetti marginali, mai sulla struttura musicale del canto. Non infrequente è inoltre la presenza di sacerdoti e/o di membri del clero regolare, ciò anche a dispetto di una certa avversione che, sia pure in modo raramente manifesto, la chiesa ufficiale dimostra nei confronti dei repertori religiosi tradizionali. Anche questa partecipa­ zione è talvolta occasione per tentativi di trasformazioni del canto sempre mediati dagli altri cantori.

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II. FALSOBORDONE FRA TRADIZIONE ORALE E TRADIZIONE SCRITTA

In molti paesi della Sardegna (ma anche a Sessa Aurunca ed in mol­ te località della Corsica), dove il canto si presenta assai complesso, fare parte del coro è molto ambito, anche dai giovani, tanto che conoscia­ mo numerosi cantori che si sono iscritti alla confraternita essenzial­ mente per poter partecipare attivamente all’esecuzione. È soprattutto in questi casi che i cantori si ritengono depositari di una tradizione speciale. Essi, infatti, hanno piena consapevolezza della specificità del loro canto e tendono a considerarlo superiore a tutte le altre manifestazioni musicali della tradizione orale della propria zona. Si tratta di un atteggiamento alquanto comune nella tradizione orale poiché di solito ogni gruppo di cantori (o singolo esecutore) considera, più o meno implicitamente, la propria musica la migliore che esista.179 Tuttavia in questo caso tale atteggiamento si rivela in maniera affatto esplicita in quanto molti cantori richiamano il fatto che il repertorio della settimana santa è in una lingua ‘importante’, il latino, e soprat­ tutto che è formato da canti di chiesa e quindi ha un corrispettivo scritto, sanzionato dall’ufficialità del rito cattolico. In molti casi, anzi, a rimarcare ulteriormente tale pretesa superiorità, i cantori portano in processione dei libretti, di solito redatti a cura della parrocchia o della confraternita, contenenti i testi scritti in latino, affermando che in que­ sto modo ‘ricordano’ e ‘pronunciano’ meglio le parole.180 L’esempio più eclatante di tale atteggiamento è costituito dai canto­ ri di Castelsardo i quali per tradizione orale raccontano che il loro can­ to del Miserere nel passato era migliore perfino di quello della cantoria della cattedrale ed era più apprezzato dalla gente. L’intervento autorita­ rio del vescovo, prosegue il racconto dei cantori, negava ogni anno al gruppo della confraternita il diritto di partecipare in chiesa al rito del venerdì santo a vantaggio del coro ufficiale. In realtà esiste nell’archivio della cattedrale un documento a questo riguardo, datato 1669, e di cui parleremo nel paragrafo 3.5. Tuttavia, al di là del riscontro storico, il racconto orale testimonia in maniera evidente dell’enorme importanza che i cantori attribuscono al proprio repertorio, che è considerato ‘mi­ gliore’ non solo degli altri di tradizione orale ma anche di quelli della musica scritta. 179 Vedi le osservazioni di LEYDI, L’altra musica (in particolare il capitolo 3).

180 Va detto, comunque, che nei casi in cui vi è una considerevole distanza fra i fonemi di so­ lito pronunciati nel canto e la corretta dizione delle parole latine la presenza il ricorso al testo scritto portato in processione non comporta cambiamenti: a Barcellona Pozzo di Gotto, ad esempio, anche con il testo davanti la prima parola cantata è sempre ‘visilla’ e non ‘vexilla’.

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La presenza di più gruppi di cantori in un paese, appartenenti ad una o a più confraternite, comporta sovente fenomeni di reciproca riva­ lità altamente formalizzata. Questa si esprime sempre in modi previsti che, come abbiamo detto, in alcuni casi sono presupposti dallo stesso rito, e può prevedere anche occasioni di confronto verbale sulla qualità dell’esecuzione offerta da ciascun gruppo.181 Tale confronto costituisce una patente prova della vitalità dei repertori e soprattutto della esisten­ za di una tradizione di carattere metalinguistico, cioè di una codifica­ zione verbale delle caratteristiche dell’esecuzione.182 Negli ultimi anni si sono verificati con una certa frequenza casi di ripresa della tradizione in paesi dove essa era cessata.183 Venuta meno di solito anche la confraternita, tale ripresa è opera di gruppi giovanili, so­ vente appartenenti alla parrocchia, e si avvale talvolta della guida degli anziani cantori che erano depositari della tradizione e/o di registrazioni sonore del passato. Naturalmente si tratta di operazioni dettate da mo­ tivazioni che nulla hanno a che fare con la tradizione orale che in que­ sti casi si deve considerare definitivamente cessata. Tra l’altro esse fini­ scono sovente per produrre risultati musicalmente assai ‘discutibili’, con arrangiamenti prossimi allo stile chiesastico tipico dei repertori pa­ raliturgici previsti dalla chiesa ufficiale oppure allo stile vocale dei cori folkloristici. Ad ogni modo questo fiorire di iniziative testimonia se non altro della grande importanza che ancora oggi assume la settimana santa ed in essa il canto polivocale. Pure recente è la presenza di donne all’interno dei gruppi che si ve­ rifica esclusivamente in pochi paesi della Sicilia — Cattolica Eraclea, Naro e Alessandria della Rocca — dove non è più presente la confra­ ternita.184 Si tratta di partecipazioni che hanno il compito di realizzare o rinforzare le parti corali ad eccezione di Cattolica Eraclea dove invece 181 Si ricordi ad esempio quanto detto a proposito di Barcellona Pozzo di Gotto nel para­ grafo 1.5 e di Santulussurgiu e Bosa nel paragrafo 1.6. 182 Occasioni del genere costituiscono preziose fonti di informazioni per l’etnomusicologo. Tra l’altro nel corso della ricerca abbiamo più volte ascoltato le registrazioni di brani della settimana santa con gli stessi gruppi che le avevano eseguite e con gruppi di altri paesi, otte­ nendo sempre pareri dettagliati e coerenti, dai quali è possibile ricavare una sorta di gram­ matica musicale implicita di riferimento. L’esposizione di tali dati ci porterebbe al di là de­ gli obiettivi di questo lavoro: la rinviamo pertanto ad un’altra occasione.

133 Tra gli esempi più significativi in Sicilia vi sono i casi di Biancavilla dove vi è un gruppo che opera da circa sette anni e quelli di Villapriolo e Buccheri. 184 Non sono documentati in Sicilia repertori confraternali femminili come avviene invece in Umbria e Lazio.

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le donne possono realizzare la parte solista, alternandosi agli uomini. Non sono documentati invece cori esclusivamente femminili che ese­ guono repertori della settimana santa ad accordo. Resta da aggiungere che per la maggior parte dei cantori la parteci­ pazione ha ovviamente anche un importante valore religioso. Allo stes­ so tempo non bisogna trascurare il fatto che tra le ragioni che assicura­ no la continuità della tradizione vi è indubbiamente anche il piacere le­ gato al canto collettivo, elemento del resto fondamentale per la vitalità della polivocalità tradizionale.

1.10. Il canto polivocale della settimana santa negli scritti dei viaggiatori e dei folkloristi Come detto in apertura del capitolo, fino a qualche decennio addietro il canto polivocale della settimana santa non era tenuto in alcuna con­ siderazione da parte degli studiosi. Musicologi, demologi, folkloristi ed eruditi vari non ritenevano interessante occuparsi di una manifestazio­ ne troppo vicina alla liturgia ufficiale e per giunta in latino, lingua in­ conciliabile con la supposta ‘spontaneità delibammo del popolo’. Non stupisce pertanto che sull’argomento non si ritrovi alcuno studio mo­ nografico ma solo qualche sporadica e assai sommaria segnalazione. D’altra parte la grande spettacolarità dei riti della settimana santa, specie nelle regioni meridionali, è sempre stata motivo di grande inte­ resse o di semplice curiosità. Su di essa si è formata una sterminata let­ teratura, ricca di descrizioni che tuttavia solo in alcuni casi sono parti­ colarmente dettagliate. I prodromi di tale letteratura si possono rin­ tracciare in alcuni scritti di viaggiatori stranieri ed eruditi vari già nel seconda metà del diciottesimo secolo, mentre il nucleo centrale è costi­ tuito dall’opera dei folkloristi e più tardi dei demologi sviluppatasi a partire dalla metà del secolo scorso.185 Leggendo questi lavori non di rado accade di imbattersi in informazioni en passant relative al canto polivocale. Naturalmente in tutti i casi le notizie hanno un valore affatto relati­ vo: si tratta infatti di testimonianze filtrate dal linguaggio della scrittu­ ra, opera di individui quasi sempre ignari di nozioni di teoria musicale, che, mossi per lo più da atteggiamenti di tipo romantico, non disde­

185 In proposito vedi il quadro proposto da CIRESE, Cultura egemonica e cultura subalterna.

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gnavano di evidenziare il proprio giudizio e sovente il proprio disprez­ zo su quanto osservato.186 Per questa ragione non abbiamo effettuato una sistematica lettura di tutte le fonti ma ci siamo limitati ad uno spoglio dei principali testi, con particolare riferimento alla Sicilia ed alla Sardegna. Negli ultimi tre decenni del diciottesimo secolo si verifica la prima significativa ondata di viaggiatori stranieri nel sud delfltalia ed in Sici­ lia in particolare.187 Costoro, «uomini colti [...] da curiosità mossi», se­ condo una celebre definizione di Giuseppe Pitrè, erano spinti soprat­ tutto dal desiderio di ritrovare i resti della civiltà greco-latina. Di con­ seguenza tutte le osservazioni sulla realtà sociale sono generalmente filtrate in questa prospettiva, ed anche la musica ‘del popolo’ assume un qualche rilievo solamente quando può essere rapportata al mondo classico.188 Non mancano comunque alcune informazioni relativamente accu­ rate sulla pratica della musica tradizionale. Per esempio un brano dell’epistolario del nobile inglese Patrie Brydone, che tra l’altro era un musicista dilettante, scritto durante un viaggio in Sicilia compiuto pri­ ma del 1780, descrive un inno alla Vergine eseguito a più voci da mari­ nai del siracusano i quali «observed the harmony and the cadence with the utmost precision» (il passo è trascritto nell’appendice al capitolo 1). Assai frequenti sono i resoconti di cerimonie religiose, la cui ‘rozza spettacolarità è vista come segno di ‘arretratezza culturale dovuta al do­ minio incontrastato della classe clericale.189 In esse si trovano anche al­ cuni riferimenti ad esecuzioni di canti corali.

186 Sul rilievo degli scritti del passato nello studio etnomusicologico vedi CARPITELLA, Musi­ ca e tradizione. Va detto che anche oggi si registra una vasta produzione di testi, per lo più a diffusione locale, dove non di rado si ritrovano descrizioni di rituali della settimana santa che ignorano del tutto la presenza di canti polivocali con testo in latino.

187 Dalla vasta letteratura sull’argomento segnaliamo HELENE TUZET, La Sitile au XVIIIsiecle vuepar les voyageurs etrangers, Heitz, Strasbourg 1955 (trad. it. Viaggiatori stranieri in Sicilia nel XVIII secolo, Sellerio, Palermo 1987); GIOVANNI FALZONE, Viaggiatori stranieri in Sicilia, Palermo 1963; ANTONIO MOZZILLO, Viaggiatori stranieri nel sud, Milano 1964. Per la Sarde­ gna si veda FRANCESCO ALZ1ATOR, Ilfolklore sardo, La Zattera, Bologna 1957. 188 Vedi SERGIO BONANZINGA, I viaggiatori, la musica, il popolo, «Nuove Effemeridi», Il/6 1989.

189 Soprattutto nei resoconti dei viaggiatori inglesi frequenti sono i passi dedicati alla condi­ zione del clero definito sempre ignorante e vessatore. Al riguardo vedi MARIA CARLA MARTI­ NO, Viaggiatori inglesi in Sicilia nella prima meta deH'Ottocento, Edizioni e Ristampe Sicilia­ ne, Palermo 1977.

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IL FALSOBORDONE FRA TRADIZIONE ORALE E TRADIZIONE SCRITTA

Il pittore francese Jean Houel, ad esempio, nel suo viaggio nella Si­ cilia occidentale, compiuto anch’esso intorno al 1780, durante una processione di Pentecoste osserva una confraternita sfilare e «les paysans [...] chantant des Litanies, précédés de prétes, de moienes» (vedi l’appendice al capitolo 1). Due decenni dopo il nobile inglese William Irvine accenna alla presenza di inni cantati durante la settimana santa a Messina, da popolani con corone di spine sul capo, con parole incom­ prensibili (vedi l’appendice al capitolo 1). Una descrizione di grande interesse ai fini della nostra ricerca si ri­ trova nel Voyage en Sidle par M. De Non Gentilhomme ordinaire du Roi et de rAcademie royale de Peinture et Sculpture. L’autore trovandosi du­ rante la quaresima ad Agrigento scrive: Un Vendredi au soil, en passant à la place, j’entendis chanter un Miserere en faux-bourdon, et un grand bruit dans fénglise.

J’entrai, et je vis deux cents bourgeois de la ville qui, avec de grands fouets de corde a la main, se frappoient les épaules en me-

sure, et changeoient de main lorsque celle qui frappoit étoit fatiguée. Aussi depuis la prise d’Agrigente par les romains, a peine en seroit—il question dans Thistoire sans les miracles qui sy sont ope-

res et les saint eveques qui en ont occupé le siege [.. .].190

Il passo non è certamente ricco di indicazioni e non dice tra l’altro chi fossero gli esecutori. Inoltre dalla lettura integrale del volume non si ricava che l’autore fosse un conoscitore profondo della teoria musica­ le.191 Così il termine «faux-bourdon» non implica necessariamente una esecuzione per terze e seste parallele, prassi che sarebbe certamente as­ sai anomala in una cattedrale siciliana della fine del diciottesimo seco­ lo. È perciò possibile che esso sia stato utilizzato come traduzione fran­ cese dell’italiano falsobordone per indicare cioè l’armonia per accordi perfetti. Del resto secondo la terminologia francese dell’epoca i due termini erano sinonimi (vedi il paragrafo 2.2).192 190 VIVANT DOMINIQUE DE NON, Voyage en Strile [...], De L’Imprimerie De Didot L’Aine, Pa­ ris 1788, p. 145. Il passo è riportato anche da TUZET, Viaggiatori stranieri, p. 306. (segnaliamo che nella traduzione italiana «faux-bourdon» diventa «falsobordone»; vedi il paragrafo 2.2).

191 Comunque non più esperto di quanto mediamente fosse qualsiasi nobile francese dell’epoca. In questo diario si ritrovano pochi altri riferimenti alla musica e sempre assai ge­ nerici. Tra questi, ad esempio, vi è a p. 31 la descrizione di un organo di Catania che non è particolarmente brillante dal punto di vista terminologico, di certo meno pertinente rispetto ad analoghe descrizioni di altri diari di viaggio. 192 «Faux-bourdon, s.m. Musique à plusiers Parties, mais simple & sans Mesure, dont les

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Per la Sardegna invece la prima attestazione si ritrova nel diario di viaggio del capitano William Henry Smith scritto nel 1828. Questi ri­ ferisce di «a variety of religious sonnets printed in Sard, Italian or La­ tin» distribuiti per essere eseguiti dai partecipanti ad una processione del venerdì santo (appendice al capitolo 1). Alcuni decenni dopo Au­ guste Boullier, erudito e viaggiatore francese, dedica un intero volume ai canti dell’isola, con un capitolo sugli «chant religieux» contenente solo testi in sardo tradotti in francese, senza spendere che poche parole sulla musica. A proposito dei canti della settimana santa afferma sola­ mente che «c’est sourtout dans les église et les processions que les chants religieux ont leur place marquée.»193 Prima della grande esplosione della letteratura folkloristica, pochi eruditi italiani avevano prestato attenzione alla cultura ed alla musica tradizionale. E senza dubbio significativo che tra queste poche eccezio­ ni vi siano due scritti che, a distanza di settanta anni, trattano con sba­ lordita ammirazione della musica sarda ed in particolare della polivoca­ lità: Le armonie dei sardi, del gesuita Matteo Madau, e le Memorie sopra le cose musicali di Sardegna, del maestro di cappella di Cagliari Nicolò Onero, palermitano di nascita. Benché in nessuno dei due lavori si ritrovano dirette testimonianze sui repertori della settimana santa, entrambi offrono informazioni di un certo interesse poiché testimoniano, se non altro, della grande comples­ sità della prassi del canto a più voci tradizionale dell’isola. Tra l’altro Madau parlando della polivocalità del Logudoru dice che essa presenta «nette e armoniche modulazioni di voci tra loro accordate [...] [che] sembra che si senta un pieno contrappunto di musica».194 Oneto inve­ ce, descrivendo un canto religioso a più voci, l’ottava Ora pro amore Deus una posada, si sofferma sulla successione degli accordi che defini­ sce «a parti reali» descrivendone schematicamente la successione.195 Notes sont presque toutes égales & dont l’Harmonie est toujours syllabique. C’est la Psalmodie des Catholiques Romains chantée à plusieurs Parties. [...]»; JEAN-JACQUES ROUSSEAU, Dictionnaire de musique, Duchesne, Paris 1768, p. 216 (la trascrizione integrale della voce è in appendice al capitolo 2). 193 AUGUSTE BOULLIER, L'ile de Sardaigne: dialecte etchantspopulaires, E. Dentu, Paris 1865.

194 MATTEO MADAU, Le armonie dei sardi, s.e., Cagliari 1787, p. 25 (la trascrizione dell’inte­ ro passo è in appendice al capitolo 1).

195 NICOLÒ ONETO, Memoria sopra le cose musicali di Sardegna, Tipografìa Monteverdè, Ca­ gliari 1841 (il passo è trascritto nell’appendice al capitolo 1). Va detto che che ‘ottave’ ven­ gono tuttora chiamati canti profani o religiosi non liturgici dalla struttura analoga a quelli della settimana santa (vedi quanto detto a proposito di Santulussurgiu nel paragrafo 1.6).

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IL FALSOBORDONE FRA TRADIZIONE ORALE E TRADIZIONE SCRITTA

In pieno Ottocento, con l’avvento delle teorie romantiche, anche in Italia si afferma tra gli eruditi un esplicito interesse per il popolo’ e per il ‘canto popolare’, dove però il termine ‘canto’ vuol dire essenzialmen­ te testo poetico.196 L’atteggiamento nei confronti dei canti religiosi è assolutamente ne­ gativo. Uno dei massimi studiosi dell’Ottocento, Giuseppe Pitrè, scrive: I canti sacri [...] sono freddi, ricercati, e però sanno alcun poco

del retto rico. [...] quando il canto è opera del popolo [...] egli in­ venta di suo e dà a qualche parola latina che sicilianizza un significato suo proprio, come quando dice Miserremi meisecun magnum [.. .].197

Tuttavia nelle numerose descrizioni delle processioni e dei riti della settimana santa non mancano riferimenti al canto polivocale. Quasi sempre gli unici repertori citati sono quelli in dialetto di cui sovente vengono anche trascritti i testi.198 Non mancano comunque anche le segnalazioni di esecuzioni di bra­ ni in latino, soprattutto Miserere e Stabat. In questi casi viene di solito specificato che si tratta di realizzazioni opera di confraternite o di sacer­ doti o di cantori specializzati e non del popolo dei fedeli in genere.199 Le stesse considerazioni valgono anche per le altre regioni meridio­ nali. Solo per fare un esempio relativo alla Puglia, in un articolo della Duchessa d’Este200 sulla settimana santa ad Otranto, a proposito della processione del venerdì santo o dei «Misteri», si dice che: Ad ogni statua viene appresso un gruppo di confratelli vestiti come indica la loro confraternita, oppure da borghesi con il prefet­

to della Congregazione, cantando il Miserere. 201

Nella appendice al capitolo 1 riportiamo inoltre altre citazioni del genere che riguardano paesi della Basilicata, dell’Abruzzo e della Cam­ 196 CARPITELLA, Musica e tradizione. 197 GIUSEPPE PITRE, Canti popolari siciliani. Volume /, L. Pedone Lauriel, Palermo 1870, p. 31, nota 1. 198 Si veda ad esempio il passo di Leonardo Vigo riportato in appendice al capitolo 1. 199 Vedi il passo di Pitrè in appendice al capitolo 1.

200 Non è indicato altro nome. Si tratta comunque di una assidua collaboratrice della rivista. 201 DUCHESSA D’ESTE, La settimana santa in terra d'Otranto, «Archivio delle Tradizioni Po­ polari Italiane», n/5 1895, p. 393.

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pania, della Calabria e alcuni paesi siciliani dove oggi non si esegue più alcuna forma di canto polivocale.202 In tutte queste fonti mancano però le informazioni dirette sul risul­ tato musicale. Tra le poche eccezioni vi è un passo in un libro estraneo alla letteratura folklorica, opera di una donna inglese, Luise Hemilton Caico, che soggiornò alcuni anni a Montedoro. Ella, nel suo diario pubblicato a Londra nel 1910, scrive: [...] i migliori cantori del luogo si riuniscono in una casa vici­ na o più spesso, camminano per le strade del paese, cantando con tono salmodiante e strascicato un lamento sulla Passione e morte di Gesù. La melodia consiste di poche note lente, senza alcun rit­ mo, alla maniera del canto gregoriano, ma è divisa in parti armo­

niose [...].203

All’inizio del Novecento si hanno finalmente i primi lavori specifi­ camente dedicati alla musica e quindi i primi esempi di trascrizioni. Il canto polivocale della settimana santa però resta escluso dal campo de­ gli interessi degli studiosi se si eccettuano alcune trascrizioni di Alberto Favara che riguardano comunque brani con testo in siciliano, di cui abbiamo già parlato (vedi paragrafo 1.5 e l’esempio 16). L’unica trascrizione di un canto con testo in latino che abbiamo ri­ trovato proviene da Caccamo (Palermo). Si tratta di un Popule meus a tre voci opera di Benedetto Albanese il quale fu il maestro della locale banda musicale intorno al 19IO.204 La notazione musicale presenta cer­ tamente degli aggiustamenti che del resto sono implicitamente dichia­ rati nell’epiteto «trascrizione ritmica» apposto in testa al manoscritto. Il brano comunque presenta una struttura facilmente riconoscibile con le due parti superiori che si muovono per terze parallele e quella inferiore per salti di quinta, secondo un procedimento assai simile a quello at­ tualmente documentato a Cerami (esempio 21). Riportiamo la prima 202 Come detto abbiamo trascurato gli scritti relativi alle regioni del nord Italia. Neanche in questi comunque mancano significativi riscontri. Vedi per esempio ENRICO MANIERI, Le processioni del venerdì santo e del Cristo risorto in Savona, «Archivio delle Tradizioni Popolari Italiane», i/5 1894, p. 394, dove si parla di compagnie di confratelli che escono dall’oratorio «salmodiando il Miserere». 203 LUISE HEMILTON CAICO, Vicende e costumi siciliani, Epos, Palermo 1983, p. 60 (ed. orig. Sicilian Ways and Days, London 1910). L’autrice era sposa di un ricco proprietario terriero del paese e vi dimorò per alcuni decenni. Ella conosceva la musica e si dilettava a suonare il pianoforte. Non è stato possibile consultare l’edizione originale del diario.

204 Informazioni orali raccolte in paese.

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pagina del documento attualmente depositato in una teca nella sacre­ stia della chiesa madre del paese.205 Esempio 41. Popule meus a tre voci: Trascrizione ritmica realizzata da B. Albanese del canto popolare caccamese. Riproduzione della prima pagina del manoscritto ori­ ginale.

Ricordiamo che a Caccamo da almeno venticinque anni non si ese­ guono più canti polivocali della settimana santa. Una loro testimonian­ za sonora è stata raccolta nel 1953 da Ottavio Tiby (vedi la tabella 1). L’ascolto di queste registrazioni delle precise affinità musicali con la trascrizione del maestro Albanese. In conclusione del capitolo riportiamo un estratto da un saggio del musicologo Giulio Fara dedicato al sorgere della polifonia nella musica italiana e scritto nel 1926:

205 Ringrazio Paolo Emilio Carapezza per avermi procurato una fotocopia del manoscritto.

IL VERSANTE DELLA TRADIZIONE ORALE

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Un colto musicista [...] mi scriveva a proposito dei canti a più

voci del Sassarese, da lui ben conosciuti essendo del posto206 [...] probabilmente la parte superiore, il cantus a mezza bosi è una can­

tilena orientale importata [...]. Col sorgere della polifonia avvenne

anche l’importazione di questa e quindi l’accompagnamento in falso bordone — più o meno corretto — della cantilena già da se­ coli conosciuta ed in uso fra le popolazioni sarde. Anche recente­ mente, nelle nostre processioni di settimana santa, si eseguiva il

Miserere con una musica che somiglia moltissimo ad una Lamenta­ zione di Palestrina, Popule meus. E i cantori sono sempre contadini o facchini o artigiani che non conoscono neppure l’esistenza di

un’arte musicale. Eseguiscono così a memoria ciò che udirono e si tramandò da una generazione all’altra [...].207

L’anonimo corrispondente di Fara, sia pure con alcune comprensi­ bili ‘divagazioni’, constata l’esistenza di un diretto rapporto tra canti polivocali della settimana santa e falsobordone centrando quindi in pieno l’argomento della nostra ricerca.

206 Non è stato possibile risalire all’identità di costui.

207 GIULIO FARA, Genesi e prime forme della polifonia, «Rivista Musicale Italiana», XXXIIl/2 1926. Sull’opera di questo studioso vedi PIETRO SASSU, Bibliografia analitica degli scritti etnomusicologici di Giulio Fara, «Bollettino del Repertorio e dell’Atlante Demologico Sardo», 2 dicembre 1967.

2. IL VERSANTE DELLA TRADIZIONE SCRITTA: IL FALSOBORDONE

2.1. Premessa: definizione delfalsobordone Il falsobordone1 costituisce senza dubbio uno dei ‘fenomeni’ di più vaste dimensioni della prassi musicale dei secoli sedicesimo e diciasset­ tesimo di cui si ritrova cospicua documentazione nelle fonti scritte dell’epoca. Nonostante ciò esso sino a poco tempo addietro era tenuto in poca considerazione dagli storici della musica («una bazzecola so­ nora» ad esempio è la definizione di Federico Mompellio)2 tanto da risultare tutto sommato poco conosciuto anche nelle sue peculiarità fondamentali.3 Così la corrente bibliografia presenta ancora pochissimi contributi monografici, mentre nei dizionari e in molti saggi sulla musica del pe­ riodo si ritrovano definizioni poco precise, spesso molto diverse tra di loro, e a volte in contrasto patente con le testimonianze dell’epoca. Solo per fare un esempio tra i tanti possibili la voce falsobordone del più diffuso dizionario musicale in lingua italiana recita: 1) Pratica del canto liturgico diffusasi nel sec. XVI, consistente nell’alternare a versetti eseguiti salmodicamente, secondo le melo­ die gregoriane tradizionali, brevi frammenti corali a 3 o a 4 v., ar­

1 In questo lavoro utilizzeremo sempre la dizione falsobordone (plurale falsobordoni) in quanto essa è la più diffusa nelle fonti dell’epoca. In queste, comunque il termine appare anche nella redazione falso bordone (plurale falsi bordoni) e, più raramente, falso bordoni© o falso bordon (vedi oltre).

2 FEDERICO MOMPELLIO, Ludovico Viadana musicista fra due secoli (XVI-XVIÌ), Olschki, Firen­ ze 1967, pp. 41 e 242. 3 PIRROTTA, Musica tra medioevo e rinascimento, p. 262.

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IL FALSOBORDONE FRA TRADIZIONE ORALE E TRADIZIONE SCRITTA

monizzando il canto fermo nota contro nota,

2) Salmo il cui

motivo veniva enunciato dal basso dell’org., che lo ripeteva poi, in­ variato, per ogni versetto, mentre le voci improvvisavano melodie ornate di fioriture e abbellimenti. [...] 3) È così detta ogni succes­ sione di accordi di 6/3 procedenti per moto parallelo. Tanto questa

struttura quanto la pratica liturgica relativa (vedi al punto 1) deri­ vano dalle precedenti e equivalenti prassi dell7«g/ifA descant [...] e

del FAUXBOURDON, 1, con raggiunta, nella vers. a 4 v., di un contratenor bassus posto a una terza o a una quinta inferiore al tenori

Come si vedrà nel corso della trattazione tale definizione, oltre ad essere viziata da diverse imprecisioni, omette proprio le caratteristiche fondamentali della struttura del falsobordone ed ignora altresì del tutto l’esistenza di un vasto repertorio di falsobordoni a stampa. Va detto co­ munque che l’imprecisione e la confusione terminologica che in genere vigono intorno al falsobordone sono probabilmente da imputare anche al fatto che le fonti dell’epoca oltre ad essere nel complesso alquanto li­ mitate ed assai scarne, non sono del tutto concordanti bensì tali da far ritenere che il termine fosse utilizzato, più o meno consapevolmente, con valenza polisemica per indicare manifestazioni musicali diverse. Per iniziare la nostra trattazione definiamo il falsobordone come l’armonizzazione di un cantus firmus, realizzata con triadi in posizione fondamentale e caratterizzata dalla presenza di due sezioni, la prima costruita su un solo accordo ribattuto (‘recitazione’), la seconda costi­ tuita da una più o meno elaborata cadenza. Di oscura provenienza ed incerta origine il falsobordóne costituì so­ prattutto una prassi ‘improvvisata, realizzata senza il supporto della notazione. Sue tracce si ritrovano già in alcune fonti manoscritte degli ultimi decenni del quindicesimo secolo, anche se è nel corso del sedice­ simo che esso diviene gradualmente un procedimento linguistico assai ricorrente. La sua diffusione contribuì in maniera considerevole all’af­ fermazione «dell’integra sonorità consonante dell’accordo perfetto», base dello sviluppo musicale perseguito dal Cinquecento.4 5 Verso la fine del sedicesimo secolo la tecnica del falsobordone da un lato fu oggetto di un progressivo processo di codificazione formale che diede vita ad un genere, cioè un repertorio omogeneo di pubblicazioni, opera di autori diversi e destinato esclusivamente alla musica religiosa 4 Dizionario Enciclopedico Universale della Musica e dei Musicisti, vol. li, UTET, Torino 1983, p. 200. 5 PAOLO EMILIO CARAPEZZA, Le costituzioni della musica, Flaccovio, Palermo 1974, p. 36.

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con precise funzioni liturgiche. Dall’altro Iato, esso costituì un espe­ diente ampiamente utilizzato nell’ambito di composizioni vocali più ampie, sia religiose che profane, per lo più come alternativa semplice alle elaborate strutture contrappuntistiche della polifonia dell’epoca.6 Allo stesso tempo il termine falsobordone venne utilizzato per estensione da molti teorici e compositori per un verso quale sinonimo di contrappunto semplice, nota contro nota, per un altro come deno­ minazione di un modo di esecuzione costituito dall’alternanza canto piano - polifonia molto frequente specie nella liturgia del Vespro. La nostra trattazione, insieme con l’appronfodimento delle peculia­ rità musicali del falsobordone prima accennate, cercherà di districarsi all’interno dei molteplici sensi assunti dal termine focalizzandone il più possibile i contorni. Particolare attenzione presteremo altresì agli ambi­ ti sociali entro cui tale prassi esecutiva si diffuse e al valore che essa as­ sunse all’interno di ciascuno. Specifico riguardo sarà ovviamente riser­ vato alle situazioni periferiche potenzialmente di più larga fruizione popolare’ rispetto alla sofisticata polifonia delle principali cappelle mu­ sicali dell’epoca. Limiteremo lo studio alle fonti italiane, affrontando quelle di diversa provenienza solo per gli aspetti che indirettamente ri­ guardano l’Italia.

2.2. Sull’origine delfalso bordone

Il primo esempio di falsobordone denominato con questo termine risa­ le al 1565 e si ritrova nella stampa di Paolo Ferrarese Passiones lamentationes (vedi oltre), mentre la più antica testimonianza in un trattato teorico si ritrova nell’ Organo de cantori di Giovan Battista Rossi, scritto nel 1585 ma stampato trentatré anni più tardi.7 Nulla tuttavia in en­ 6 Un parallelo sorgere di un genere di falsobordone nel campo della musica per strumenti a tastiera è altresì documentato dalle fonti a stampa a partire dai primi anni del diciassettesi­ mo secolo. Esso costituisce uno sviluppo di relativo interesse ai fini del nostro studio e per­ tanto ne tratteremo solo per quegli aspetti che possano offrire ulteriore luce sul repertorio corale, rinviando per più esaurienti descrizioni a MURRAY C. BRADSHAW, The Falsobordone. A Study in Renaissance and Baroque Music, American Institute of Musicology, MSD, Hansser, Stutgard 1978. 7 GIOVAN BATTISTA ROSSI, Organo de cantori [...], Bartolomeo Magni, Venezia 1618. La da­ ta della redazione, 1585, è apposta dallo stesso autore in conclusione dell’opera. Su questa stampa vedi REMO GLAZOTTO, La musica a Genova nella vita pubblica e privata dal XIII al XVIII secolo, Genova 1951.

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trambe le fonti fa ritenere che la musica così denominata sia una no­ vità, anzi il passo di Rossi lascia intendere che si tratti di una denomi­ nazione e di una prassi assai consolidate (vedi il paragrafo 1.9). Nel 1585, però, lo stampatore veneziano Giacomo Vincenzi, pre­ sentando la raccolta di Paolo Isnardi Omnes ad Vesperas, afferma nella dedica che essa è composta «con nova maniera di consonanza, over co­ me dicono falso bordone».8 In realtà, ragioni di promozione editoriale’ possono aver suggerito l’affermazione di Vincenzi in quanto essa non ha altrove riscontro e risulta l’unica fonte del periodo in cui il falsobor­ done viene definito una novità’. Tuttavia questa dedica può essere interpretata quale segnale della particolare, e si può aggiungere nuova, attenzione che in questo perio­ do i compositori e gli stampatori, quelli veneziani soprattutto, rivolgo­ no al falsobordone. Come la cronologia delle fonti a stampa evidenzia (vedi la bibliografia), è a partire da questi anni, infatti, che si assiste ad una ‘improvvisa comparsa di un repertorio di falsobordoni con carat­ teristiche ben definite, un genere nuovo’ destinato ad aver vasto suc­ cesso editoriale nel volgere di cinque—sei decenni per poi repentina­ mente scomparire. In realtà, le testimonianze di una anteriore e diffusa esistenza della tecnica del falsobordone, sebbene mai definite con questo termine, so­ no assai considerevoli sia nella musica religiosa, in particolare nel canto dei salmi del Vespro e della liturgia della settimana santa, sia nella mu­ sica profana, nei repertori ‘minori’, di derivazione ‘popolare’, come le frottole e le villanelle (vedi oltre). Secondo Murray C. Bradshaw, anzi, le prime emergenze in assoluto della tecnica del falsobordone si posso­ no individuare in ventidue brani musicali contenuti in sei manoscritti databili intorno alla fine del quindicesimo secolo e l’inizio del sedicesi­ mo, di provenienza italiana e spagnola.9 Anche il termine italiano falsobordone non è certamente una novità della fine del sedicesimo secolo. Esso, infatti, compare in diverse fonti anteriori quale traduzione del francese fauxbourdon, per definire ap­ punto quel tipo di polifonia costituita da successioni di accordi di terza

8 PAOLO ISNARDI, Omnes ad vesperas psalmi, qui falso (ut aiunt) bordonio concini possunt [...], Giacomo Vincenzi, Venezia 1585. 9 I manoscritti in questione sono: Montecassino, Biblioteca dell’Abbazia, ms. 871N; Barcelo­ na, Biblioteca Central, ms. 454; Coimbra, Biblioteca General da Universidade, M.M. 12; Ma­ drid, Biblioteca de Palacio Real, 2-1—5; Seville, Biblioteca Colombina, 7-1-289; Verona, Bi­ blioteca Capitolare, Cod. 759. Torneremo su alcuni di questi manoscritti nel paragrafo 3.3.3.

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e sesta, e documentato da fonti scritte almeno a partire dalla prima metà del quindicesimo secolo.10 Tra gli altri autori che utilizzano il ter­ mine in questo senso ricordiamo Lanfranco da Terenzio11 e Gioseffo Zarlino. Scrive quest’ultimo: Usano alcuni di porre la parte acuta con la mezzana distante per una quarta; & questa con la grave per una terza o maggiore o minore. Onde essendo le parti composte in tal maniera, sogliono farle ascendere, o discendere insieme più gradi & tal modo di pro­

cedere chiamano falso bordone. Ma in verità, ancor che tal manie­ ra sia molto in uso, et che con grande difficultà si potesse levare,

dico che non è lodevole.12

È perciò verosimile indicare nella traduzione dal francese l’origine del termine italiano. Va anche detto che in pochi casi esso continuò a mantenere questa accezione anche dopo l’affermazione del nuovo si­ gnificato, in quanto la prassi del vecchio fauxbourdon resistette almeno nella cappella pontificia fino al diciannovesimo secolo (vedi oltre). Aver individuato la probabile provenienza del termine italiano fal­ sobordone non contribuisce a gettar luce sull’origine della tecnica mu­ sicale così denominata, anzi potrebbe confondere la ricerca. Sembre­ rebbe plausibile infatti individuare anche una conseguente derivazione della tecnica del falsobordone dalla più antica prassi delle terze e seste parallele del fauxbourdon, derivazione che per l’appunto è stata per lun­ go tempo sostenuta dalla letteratura musicologica.13 In realtà è bene chiarire subito che una profonda differenza struttu­ rale intercorre tra le due forme, una differenza che può essere eletta co­ me emblematica del passaggio dalla concezione polifonica dell’epoca medievale a quella rinascimentale: il fauxbourdon si sviluppa seguendo una logica di sovrapposizione lineare (ed il passo prima citato di Zarli­ no è esplicito), il falsobordone invece esalta la dimensione verticale ed afferma il valore costituzionale dell’accordo. 10 Per una introduzione al fauxbourdon vedi DAGMAR HOFFMANN AXTHELM, Faburdon I fauxbourdon Ifalsobordone, in Das Handewdrterbuch der musikalischen Terminologie, voi. VI, Franz Steiner, Stutgart 1972; MANFRED BUKOFZER, Fauxbourdon Revisited, «Musical Quar­ terly», xxxviii/22 1952. 11 Si veda la trascrizione del passo nell’appendice al capitolo 2.

12 GIOSEFFO ZARLINO, Istitutioni harmoniche [...], s.e., Venezia 1558, parte III, cap. 61, p. 247. 13 Una esauriente sintesi delle tesi sostenute a questo proposito è in BRANDSHAW, The falsobordone, pp. 31-3.

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IL FALSOBORDONE FRA TRADIZIONE ORALE E TRADIZIONE SCRITTA

Alla luce del dato musicale quindi l’uso dello stesso termine, per fatti così diversi, risulta alquanto enigmatica. Mancano del tutto testi­ monianze dirette al riguardo e le ipotesi circa possibili percorsi di colle­ gamento diretto tra i due fatti musicali proposte per provare a giustifi­ care tale comunanza terminologica, benché interessanti e stimolanti, non hanno prodotto risultati soddisfacenti.14 La prima indicazione della tendenza a dare un diverso significato al termine è costituita dalla descrizione del faulbordon (o faubordon)15 contenuta nel trattato di Adrian Petit Coelico Compendium musice del 1552: [...] ut sciat species perfectas & imperfectas suo loco applicare, ut in regula contrapuncti doctum est. Nam regula compositionis à regula contra puncti parum differt. Compositionis regula liberior

est, & in hac plura licent quam in contrapuncto. Nam malae spe­ cies: secunda videlicet, quarta, & suae aequivalentes sunt optimae

in compositionibus, dum modo octava, aut sexta in inferiore parte excuset illas, & dicutur gallice faubordon, id est, quod malae spe­ cies, quae sunt contra partem superiorem excusantur, per vocem inferiorem sextis seu octavi, ut hie patet per mea exempla, & in multis alijs compositionibus losquini.16

Tali esempi presentano una sovrapposizione delle voci chiaramente strutturata in maniera analoga a quella del falsobordone italiano, in quanto si ha in tutti i casi un accordo in posizione fondamentale ribat­ tuto e seguito da una cadenza. In questa tuttavia compaiono accordi di terza e sesta fatto che, come si vedrà, non si ritroverà mai più nella suc­ cessiva codificazione del genere falsobordone.17

14 «So ist es wahrscheinlich, daE die alte Bezeichnung fìir eine stets sich verandernde und schlieRlich als etwas ganz anderes dastehende Praxis eingesetzt wird, die sie sprachlich in keiner Weise mehr deckte» (è verosimile che l’antica denominazione venga adoperata per una prassi in continua mutazione che si presenta alla fine così diversa da non poter più esse­ re espressa dallo stesso termine): HOFFMANN AXTHELM, Faburdon, p. 5. 15 In questa redazione il termine non compare in alcuna altra fonte.

16 ADRIANO PETIT COCLICO, Compendium musices descriptum [...], Officina Giovanni Mon­ tani e Ulrico Neubero, Norimberga 1552. 17 Nell’originale le voci sono disposte dall’alto in basso nel seguente ordine: tenor, altus, bas~ sus, discantus.

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Esempio 42. Adrian Petit Coelico, Exemplum aliud quatuor vocum faulbourdon.

Va detto che la trattazione e gli esempi di Coelico, benché sia evi­ dente la preminenza della prospettiva accordale, si possono prestare a più letture e sono state tra l’altro considerate una sorta di via di mezzo tra fauxbourdon francese e falsobordone italiano.18 Ad ogni modo si tratta sicuramente del primo caso in cui il ricorso al termine francese («gallice fauxbordon»), sia pure in una singolare trascrizione, è utilizza­ to per indicare qualcosa di musicalmente non omologabile del tutto al suo consolidato significato. I teorici tra la fine del sedicesimo e l’inizio del diciassettesimo seco­ lo, i primi a trattare dichiaratamente del falsobordone italiano, sia pure senza operare alcuna netta e specifica distinzione con il fauxbourdon (vedi il paragrafo 2.9), sono in genere convinti di una sua antichissima origine. Scrive ad esempio Adriano Banchieri: [...] Papa Giovanni 20. Tanno 1306 ordinò in un suo decreto (così afferma Gioseffo Zarlino negli Sup. Mus. cap. 3) che la mu­

sica nelle chiese fosse cantata in consonanze di ottave quinte, & terze, & di quivi hebbero origine quelle cantilene dal volgo dette

falsi bordones [...].19

18 BRADSHAW, The Falsobordone, p. 44.

19 ADRIANO BANCHIERI, Conclusioni nel suono dell'organo [...], Eredi di Giovanni Rossi, Bo­ logna, 1609, p. 18. Queste affermazioni di Banchieri verranno più tardi riprese quasi alla lettera da altri autori, tra cui ANTIMO LIBERATI, Epitome della musica [...], ms. presso il Civi­ co Museo Bibliografico Musicale di Bologna, segnatura D 92A, 1666 ca., p. 45, e DOMENI­ CO SCORPIONE DA ROSSANO, Istruzioni corali [...], Stamperia Arcivescovile, Benevento 1702, p. 119. La trascrizione di questi due passi è in appendice al capitolo 2.

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Questo passo, su cui torneremo in seguito, è interessante tra l’altro per il palese travisamento della citazione da Zarlino. Questi, infatti, utilizza il termine falsobordone solo nelle Istitutioni harmoniche per parlare di una sovrapposizione delle voci affatto differente da quella ri­ portata da Banchieri, come si è visto nel brano riportato in precedenza. Nei Supplementi musicali (libro I, capitolo 3, p. 17) invece tratta espli­ citamente AcXVorganum indicando nell’ottava, nella quinta e nella quar­ ta gli intervalli su cui esso viene costruito.20 L’errata identificazione di Banchieri del falsobordone nella descri­ zione deH’tfrgkZftz/m (con lo scambio’ della quarta per la terza) è ad ogni modo significativa in quanto dimostra che nella consapevolezza del teorico bolognese «quelle cantilene del volgo dette falsi bordoni» dove­ vano certamente essere di antichissimo uso.21 Di una antichissima origine del falsobordone è convinto, due secoli dopo, anche Giuseppe Baini nelle sue Memorie storico-critiche, benché non sia in grado di darne una datazione approssimativa. Baini è però il primo autore a proporre una distinzione tra il fauxbourdon francese ed il falsobordone italiano:22 Per compimento di questa nota [dedicata al fauxbourdori\ ne piace aggiungere, che mentre ancora fioriva nel massimo vigore l’uso della soprindicata prima maniera di falsobordone [cioè il fauxbourdori\, incominciò ad introdursi nelle chiese per il canto ar­ monioso della salmodia una foggia di musica ben diversa dall’anti­

co faux-bourdon, cui però, quantunque impropriamente, fu im­

posto il nome stesso di falsobordone.23

20 «[...] si può comprendere, che [fuso di cantare più arie insieme] era antichissimo, da una epistola decretale di papa Giovanni Ventesimo secondo, nella quale prohibisce il cantare nella chiesa il canto figurato: permette però, ch’alle fiate ne i giorni festivi & solenni nelle mese & altri divini offici], si possa semplicemente proferir quelle consonanze, che fanno rappresentano melodia, come di diapason, di diapente, di diatessaron, & d’altre simili, so­ pra il canto ecclesiastico [...]»; GIOSEFFO ZARLINO, Supplementi musicali [...], Francesco de Franceschi, Venezia 1588, libro I, capitolo 3, p. 17.

21 Banchieri sbaglia anche nel riportare al 1306 la datazione dell’epistola decretale di Gio­ vanni XXII, poiché Zarlino colloca il pontificato di questi intorno al 1316. 22 A dire il vero in precedenza padre Martini aveva evidenziato l’incongruenza fra la tratta­ zione teorica del fauxbourdon di Gaffurio, Lanfranco, Zarlino eccetera e gli esempi a stampa di Ruffo, Asola, Isnardi eccetera Tale differenza però non attrae in maniera particolare la sua attenzione e quindi la questione non viene sviluppata adeguatamente (vedi il paragrafo 2.9).

23 GIUSEPPE BAINI, Memorie storico-critiche della vita e delle opere di Giovanni Pierluigi da Palestrina, Società Tipografica, Roma 1828, p. 259. Torneremo su questo brano nel paragrafo 2.9.

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La frase è quanto mai rivelatrice di un certo ‘imbarazzo’ da parte del teorico romano nei confronti di una manifestazione musicale che, sfuggendo ad una precisa definizione teorica, risulta essere di oscura provenienza ed origine («incominciò ad introdursi»), e perfino «impro­ priamente» denominata.24 Se nessuna testimonianza è possibile raccogliere circa l’epoca d’ori­ gine del falsobordone va detto che le fonti teoriche che lo trattano, già a partire dalla prima, evidenziano quasi tutte che esso è una definizione proveniente dal, o comunque diffusa tra «il volgo» o «i prattici». Solo per fare alcuni esempi Pietro Pontio parla di un «canto dalli pratici chiamato falso bordon»;25 Adriano Banchieri, come visto, di «cantilene dal volgo dette falsi bordoni»;26 e di «falsi bordoni [nominati] con l’uso popolare»;27 Athanasius Kircher, ancora nel 1650, di «pleonasmo usitato ecclesiastico, quem vulgo (falsum bordonem) nos isobatum dicimus, vocant».28 È da aggiungere che contemporaneamente analoghe definizioni si ritrovano nelle dediche e/o nei frontespizi di numerose stampe che at­ testano il genere falsobordone (vedi il paragrafo 2.8) e in altre fonti let­ terarie (vedi i paragrafi 2.9 e 3.2). Definizioni, quindi, che nel com­ plesso ribadiscono l’estraneità originaria del falsobordone rispetto alla tradizione scritta della musica e di conseguenza spiegano, sia pur indi­ rettamente, la sua tarda e del tutto marginale trattazione nei libri di teoria musicale.

24 A quale epoca, secondo Baini, si verifica il «massimo vigore» del fauxbourdon non si evin­ ce nemmeno dal resto della trattazione che colloca 1’origine di questo intorno al 1320, ana­ logamente a quanto fa Zarlino, rifacendosi all’epistola di Giovanni XXII, ed il suo arrivo in Italia grazie ai cantori avignonesi al seguito di Urbano V nel 1367. Quindi Baini conclude dicendo che «nel 1440 [il fauxbourdon\ già era comune ed usuale [...]». Di conseguenza è verisimile che egli ritenga che la nascita del falsobordone italiano risalga a prima del Cin­ quecento. BAINI, Memorie, p. 257.

25 PIETRO PONTIO, Ragionamento di musica [...], Erasmo Viotto, Parma 1588, p. 157. 26 BANCHIERI, Conclusioni nel suono dell’organo, p. 18 (vedi la trascrizione dell’intero passo in appendice al capitolo 2). Il passo è ripreso da LIBERATI, Epitome della musica, il quale però trasforma la preposizione «dal» in «del» con il risultato di «cantilene del volgo» (vedi appen­ dice al capitolo 2).

27 ADRIANO BANCHIERI, L’organo suonarino [...], Riccardo Amadino, Venezia 1605, p. 42 (vedi oltre). 28 ATHANASIUS KIRCHER, Musurgia universalis [...], Erede di Francesco Corbelletti, Roma 1650, tomo II, p. 154. L’affermazione è più volte ribadita nel corso della trattazione (vedi appendice al capitolo 2).

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IL FALSOBORDONE FRA TRADIZIONE ORALE E TRADIZIONE SCRITTA

Va altresì osservato che anche fauxbourdon era considerato un termi­ ne diffuso tra i pratici’ e i cantori’, e in un certo senso estraneo alla tra­ dizione scritta della musica. Ad esempio Franchino Gaffurio, nella Pra­ tica di musica del 1474, tratta della prassi che «cantores ad faux-bourdon appellant»;29 Lanfranco da Terenzio nel già citato Scintille di musica parla di una «harmonia da prattici chiamata falso bordon».30 Si può pertanto ipotizzare che sia stata proprio una certa estraneità rispetto alla tradizione scritta della musica la caratteristica comune che i teorici riconoscevano sia al fauxbourdon sia al falsobordone e ciò po­ trebbe giustificare l’uso della stessa denominazione. Di conseguenza il termine che per altro, come si vedrà tra breve, non ha una chiara eti­ mologia, finiva per indicare in generale la polivocalità improvvisata su una data melodia, cioè su una res facta in contrapposizione alla compo­ sizione polifonica integralmente scritta. Alla luce di queste poche indicazioni provenienti dalle fonti scritte rimane pertanto una questione insoluta (e probabilmente insolubile) l’individuazione anche approssimativa del quando e del dove il proces­ so di formalizzazione del falsobordone italiano ebbe origine, e se prima o dopo il fauxbourdon. D’altra parte le prime attestazioni scritte della fine del XV secolo cui precedentemente si faceva riferimento non ci forniscono con certezza che un termine cronologico ante quem e, una verosimile individuazio­ ne dell’area della sua germinazione nell’Europa meridionale. Niente, infatti, ci dice che esse siano indicative del ‘sorgere’ del falsobordone e non siano piuttosto una fissazione per iscritto di una prassi già consoli­ data e di largo uso. Al riguardo non ci sembra che l’ipotesi proposta da Murray C. Bradshaw risolva la questione altrimenti: Yet, in solving the problem of how the falsobodone originated, it must be remembered that musically it consists of recitations on one chord followed by cadences. The most difficult parts of the piece, at least from the point of view of voice leading, are the two cadences. Recitations presented no problems. Yet musicians could simplify these cadences if they could fit them out with some sort of musical cliché, patterns completely familar to any knowledgea­

ble musician. It is our thesis that this is exactly what happened,

29 FRANCHINO GAFFURIO, Practica musica [...], Angelo Britannico, Brescia 1502. 30 LANFRANCO DA TERENZIO, Scintille di musica [...], Ludovico Britannico, Brescia 1533, p. 117 (vedi appendice al capitolo 2).

IL VERSANTE DELLA TRADIZIONE SCRITTA

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and the musical cliche that they used were the contemporary polyphonic cadences. [...] To the ancient psalm tone melodies, la­

te 15th century musicians added their own polyphonic cadences.31

Gli elementi evidenziati dallo studioso americano sono certamente pertinenti alle fonti manoscritte in questione. D’altra parte l’esistenza di cliché musicali è ovvia trattandosi di prassi ‘improvvisata, come lo stesso Bradshaw altrove evidenzia. L’idea però che il riscontro di affinità tra le cadenze delle fonti manoscritte e la codificazione delle cadenze proposta in alcuni trattati dell’epoca, ed in particolare nel De praeceptis artis di Guilielmus Monachus da cui provengono le sole esemplificazioni propo­ ste dallo studioso americano, sia in sé indicativa dell’origine del falsobor­ done non ci sembra del tutto convincente.32 Ancora meno concordi ci trova poi la prospettiva evoluzionistica sottesa ad il lavoro dello studio­ so americano, l’idea cioè che il fiorire della produzione di falsobordoni della seconda metà del sedicesimo secolo sia collegabile a questi esempi e sia un loro ‘sviluppo’.33 Come vedremo nel corso del capitolo non c’è al­ cun elemento che autorizzi ad ipotizzare un tale collegamento, mentre risulta evidente nell’emergere cinquecentesco del falsobordone un diret­ to rapporto con una diffusa pratica di armonizzazione ‘improvvisata o comunque di tradizione non scritta. Di uno sviluppo di un genere falsobordone (nel senso comunemente utilizzato in musicologia) si può inve­ ce parlare solo a partire dalla seconda metà del secolo, quando in rispo­ sta a determinate esigenze relative alla prassi del canto liturgico si ha una precisa codificazione formale che produce una reale continuità delle fon­ ti scritte e dei processi di elaborazione ‘artistica’ (vedi il paragrafo 2.5). Sospendiamo per il momento la questione delle origini del falsobordone che riprenderemo nel capitolo 3 alla luce dei contributi prove­ nienti dal confronto con la tradizione orale. Per concludere il paragrafo dedichiamo un breve cenno alla etimologia del termine falsobordone, anch’essa piuttosto oscura. Il termine, come visto, deriva dalla traduzione di una definizione francese, la quale però è anch’essa di significato incerto.34 I teorici ita­ liani, dalla fine dal sedicesimo secolo in poi, hanno provato comunque

31 BRADSHAW, The Falsobordone, pp. 34-5.

32 BRADSHAW, The Falsobordone, pp. 35-9. 33 BRADSHAW, The Falsobordone, p. 51.

34 HOFFMANN AXTHELM, Faburdon, p. 2.

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IL FALSOBORDONE FRA TRADIZIONE ORALE E TRADIZIONE SCRITTA

a ‘ricostruire’ una specifica etimologia o quanto meno ad attribuire una spiegazione al termine italiano. Ma il risultato è già nella loro stessa considerazione poco convincente. Giovan Battista Rossi, ad esempio, nel suo già citato Organo de can­ tori, in mancanza di meglio, ricorre ad una generica «metafora»: [...] che cosa vuol dire falso bordone? Veramente io non ho trovato alcuno che faccia questo quesito nulla dimeno daremo tal risposta che resterà il cantore appagato & quieto. [...] È donque da notare, che questa è una metafora, burdo in latino significa in italiano quello che è nato di cavallo & di asina [...] E sì come il nato di cavallo & asina non è asino, né cavallo, così il falso bordo­

ne qual’è composto ordinariamente di canto fermo & figurato, non è l’uno né l’altro, è fermo per l’andar col canto fermo [...] è

figurato in parte per la consonanza: che non è nel canto fermo cantando tutti con una voce e misura stessa, come è manifesto.

Onde perché falsifica il canto fermo e figurato non essendone

l’uno né l’altro viene detto falso bordone.35

Altri teorici invece provano a derivare l’origine partendo dal termi­ ne bordone e proponendo, per estensione, la derivazione di falsobordo­ ne dalla tecnica di sostenere il canto da parte del basso. Scrive ad esem­ pio Adriano Banchieri: ANNOTATONE PER CURIOSITÀ. Quelle armonie, che insiememente cantansi ne gli salmi, & cantici alternati con il canto fermo

universalmente vengono chiamati FALSI BORDONI, il perché non l’ho potuto investigare né da musici periti, né tampoco da gli di lo­ ro scritti, altro non saprei che, dire, solo che la tradizzione & uso coli lo permette, io per me gli nomino, anch’io altrove con detto

nome, ma vaglia il vero à me par nome improprio, attribuendo no­ me di falso, à un concento soavissimo. Quell’ultima particella bor­

done si può dir sia inventata da quella corda vicina al basso da gli leutisti chiamata bordone, cioè tenore che guida l’armonia del con­ certo, sia come piace, io sempre gli nominerò falsi bordoni con l’uso popolare. Vero è che in questi Magnificat [che seguono nel volume]

mi compiaccio nominargli CONSONANTI BORDONI, non conoscendo in loro falsità, ma sì bene guida & bordone al canto fermo.36

35 ROSSI, Organo de cantori, p. 79. L’identica metafora sarà in seguito ripresa da altri tra cui SCORPIONE, Istruzioni corali p. 119 (vedi appendice al capitolo 2). 36

banchieri,

L'organo suonarino, p.42.

IL VERSANTE DELLA TRADIZIONE SCRITTA

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Da bordone come sinonimo di bastone37 deriva invece la metafora proposta dal teorico spagnolo Andres Lorente: Dizese fabordon, de la diccion, palabra, ù voz musica, FA; y baculus, i, que significa el bordon, ò baculo es de alivo al hombre, urviendole su arrimo (en el movimento locai) de sustento al edifì­

cio corporeo, supliendo (la fortaleza) su debilidad; de la misma manera el fabordon sirve en la composicion de cada uno de los tonos (con los puntos firmos en el basco, que la sonora harmonia ies

han fido applicados) de sustento, y fortaleza en lo solido de la con­ sonanza, ballando patrocinio en los intervallos o movimentos lo­ cales, sostentando el canto llano de cada un de los tonos; que co­ rno debil, y stanco por lo solo (sociandole) necessitava de su arri­ mo: siendo alivo para los compositores de la musica [...].38

Due secoli dopo Giuseppe Baini propone una spiegazione basando­ si sulla definizione della tecnica del fauxbourdon'. E per dire ancora alcuna cosa circa la ragionevolezza di aver imposto siffatto vocabolo alla maniera sopradescritta di musica [il

canto per terze e seste parallele], io affermo che il nome falsobor­ done convenga alla musica indicata tanto per riguardo alla forza

pretta della parola, quanto per riguardo al significato più esteso, in cui voglia intendere. E per ciò che riguarda la forza pretta del vo­

cabolo faux-bourdon egli significa falso basso. Ed a ragione. Il basso vero di siffatta maniera di musica si è la parte del soprano o contralto, ossia la parte più acuta, la quale canta in sesta del basso apparente la vera melodia del tono di canto gregoriano; onde il basso o tenore, ossia la parte più grave, o vogliam dire il bordone, burdon, cantando la sesta sotto, canta effettivamente la terza di detta melodia; e perciò a ragione fu appellato basso, o bordone fal­

so, o vogliam dire la maniera di salmeggiare con il basso falso, o faux—bourdon. Quanto poi al senso di esso vocabolo preso in si­

gnificazione generica, ella è una musica falsa per più titoli. Ella è mista di canto fermo, e figurato: ella è armonica, e non ritmica, o

37 Tra l’altro il termine falsobordoni è usato per indicare i falsi zoppi: «V. DE’ FALSI BOR­ DONI Questi son denominati dal bordone, che è un bastone tondo, lungo, con certi anelli di legno, fra i quali pende un picciol fazzoletto con cui falsamente dicono andar peregrinan­ do a San Giacomo di Galizia, alla Madonna di Loreto in Gierusalem, a Roma e altri luoghi di devozione di là dal mare [...]». RAFAELE FRIANORO, Vagabondo, onero Sferza de bianti e vagabondi, Venezia 1640 (citato da II libro de vagabondi, a c. di Piero Camporesi, Einaudi, Torino 1980, pp. 112-5).

38 ANDRES LORENTE, Elporque della musica [...], Alcalà de Henares, Toledo 1672, p. 566.

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IL FALSOBORDONE FRA TRADIZIONE ORALE E TRADIZIONE SCRITTA

misurata: ella è consonante, ma senza varietà di consonanze: ella è sempre eguale, ma differente nelle terze, e seste [...].39

Questa spiegazione del termine a partire dalla tecnica musicale, che riprende per altro concetti espressi dai teorici del quindicesimo secolo che del fauxbourdon trattarono, sembra convincere Baini. Egli però, come abbiamo visto, non sa spiegarsi perché lo stesso termine venga in seguito utilizzato per una diversa struttura musicale, limitandosi ad in­ vocare una ‘improprietà di definizione. Nessun ulteriore contributo deriva da vocabolari antichi, no da più recenti dizionari etimologici.40

2.3. Ilfalsobordone nella musica religiosa Prima della straordinaria fioritura a stampa nella seconda metà del Cinquecento, la musica religiosa, soprattutto quella destinata alla setti­ mana santa, presenta numerosi episodi nello stile falsobordone. Ne il­ lustriamo brevemente alcuni casi significativi. Il primo è tratto dalle Lamentationi di Geremia di Bartolomeo Trom­ boncino, edite nel 1506. Il nome di Tromboncino, come è noto, ricorre soprattutto come autore di musica secolare e in particolare di frottole e altre composizioni di origine popolare’, un ambito compositivo dove per altro fu assai incisiva la presenza del falsobordone (vedi il paragrafo 2.4). Le Lamentazioni presiedute da una costante omoritmia delle parti, rivelano sovente dei passaggi, coincidenti con singoli versi del testo ver­ bale, dove si ha una chiara successione accordo ribattuto - cadenza. 39 baini, Memorie, pp. 258-9.

40 Tra gli altri il Vocabolario degli Accademici della Crusca presenta la voce falsobordone solo a partire dall’edizione del 1806. Tale voce rimanda ad una delle definizioni di «bordone»: «Falsobordone, v. Bordone II»; «II Bordone Falsobordone, si chiama una spezie di canto, e tener bordone vale cantare il suddetto canto». Un esempio di voce di un dizionario etimolo­ gico è la seguente: «Falsobordóne da BORDÓNE nel senso di canto, tenore (v. Bordone I) e FALSO nel senso del gr. PSEUDUS mendace poiché trattasi di canto che fìnge di avere, ma non ha determinato tempo. Modulazione continuata di più voci sulla medesima corda; e al­ tresì progressione di una serie immediata di accordi di sesta, in cui la voce acuta procede per seste col basso, e per quarte con la voce di mezzo»; OTTORINO PIANGIANI, Vocabolario Eti­ mologico della Lingua Italiana, Società Dante Alighieri, Roma - Milano 1907, p. 502. Va segnato infine un uso metonimico del termine per designare in generale le caratteristiche della musica da chiesa. Si vedano per esempio alcuni classici del Settecento francese come Candide, ou L’optimisme di Voltaire (1759) e Jacques le fataliste, di Diderot (1778).

IL VERSANTE DELLA TRADIZIONE SCRITTA

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Esempio 43. Bartolomeo Tromboncino, «Migravit judas».

Pure di grande significala ci pare la presenza, sebbene assai spora­ dica, di passi in chiaro stile falsobordone in alcune composizioni dei maestri franco-fiamminghi operanti in Italia, ed esponenti di una ri• • • 41 gorosa scienza contrappuntistica.

41 L’evenienza è notata anche da LEWIS LOOCKWOOD, The Counter—Reformation and the Masses of Vincenzo Ruffo, Universal Edition, Wien 1970, p. 12. Discuteremo più avanti un altro passo in falsobordone appartenente alla produzione profana di Josquin (vedi esempio 58). Numerosi passaggi in falsobordone si ritrovano tra l’altro nella Missa misericordiam Do­ mini, di Isaac, pubblicata nel 1506.

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IL FALSOBORDONE FRA TRADIZIONE ORALE E TRADIZIONE SCRITTA

Esempio 44. Josquin Desprès, Gloria.

be

-

ne - di - ci - mus

do

te

ra

-

mus

te

Un terzo esempio, più vicino alla metà del secolo è tratto da un manoscritto in uso presso la corte ducale di Alfonso II d’Este ed oggi conservato presso la Biblioteca Estense e Universitaria di Modena. Es­ so, redatto con grande cura da un’unica mano, contiene salmi destinati all’ufficio delle ore durante la settimana santa, salmi tutti chiaramente ascrivibili allo stile falsobordone. Il manoscritto è certamente di grande pregio, assai curato nelle rifi­ niture. Le voci sono disposte in partitura.

Esempio 45. Modena, Biblioteca Estense e Universitaria, ms 1.3: Ad laudes ps

prim. 8 toni. Miserere.

secundum

magnarci

misericordiam

secundum

magnam

misericordiam

non

u

3

..... l|

tuam

tuam

-.........................

Miserere mei Deus...................secundum

magnam

misericordiam........................ tuam

secundum

magnam

misericordiam

tuam

IL VERSANTE DELLA TRADIZIONE SCRITTA

147

Si noti nelle cadenze il movimento per salti di quarta e di quinta del basso, affatto caratteristici della prassi improvvisata del falsobordo­ ne (vedi oltre). Come è noto nel sedicesimo secolo la polifonia sacra, che era stata fino ad allora privilegio esclusivo di cappelle magnatizie e di poche grandi cattedrali, comincia progressivamente a diffondersi ed a essere accessibile ad un pubblico più largo.42 Tale processo, che si estese in maniera capillare per tutto il secolo fino a coinvolgere, specie negli ul­ timi decenni, le istituzioni ecclesiastiche più piccole e periferiche, die­ de vita al moltiplicarsi di cappelle minori. Da queste in particolare, do­ ve l’esecuzione musicale era ordinariamente opera di non professioni­ sti, spesso a cura degli stessi religiosi, venne la richiesta di una polifonia facile, di più largo accesso.43 E altresì nota l’incidenza assunta in tale processo dall’aspro dibattito sulla polifonia religiosa svolto dal concilio di Trento, le cui indicazioni fi­ nali, ben lungi dal prospettare una norma stilistica che potesse servire da modello, si limitarono a generici suggerimenti ad usare uno stile chiaro semplice ed austero che rispettasse l’intellegibilità del testo verbale.44 Così a partire dalla metà del secolo si sviluppò una vastissima pro­ duzione di collezioni immediatamente funzionali all’attività liturgica (soprattutto messe e raccolte per la liturgia delle ore), parente povera’ delle sontuose polifonie delle grandi cattedrali. Essa, legata strettamen­ te al culto e alle pratiche devozionali, fu il frutto di un modesto artigia­ nato che costituì l’aspetto più appariscente dell’attività musicale del pe­ riodo.45 Essa inoltre costituì oggetto di una florida e redditizia attività editoriale in cui gli stampatori del nord, veneziani soprattutto, occupa­ rono un ruolo di primo piano.46 La tendenza di fondo di questa produzione minore’, in vero assai poco considerata negli odierni studi musicologici,47 a dispetto della sua 42 PIRROTTA, Musica tra medioevo e rinascimento, p. 265.

43 GUSTAVE REESE, Music in the Renaissance, Norton, New York 1959, p. 450, e GINO STEFA­ NI, Musica e religione nellltalia barocca, Flaccovio, Palermo 1975, pp. 70-3.

44 STEFANI, Musica e religione, pp. 47-8. Torneremo più avanti suH’argomento che è fonda­ mentale per comprendere lo sviluppo del genere falsobordone (vedi paragrafi 2.5 e 3.2). 45 LORENZO BIANCONI, Il Seicento, EDT, Torino 1982, p. 118. 46 ANGELO POMPILIO, Editoria musicale a Napoli e in Italia nel Cinque-Seicento, in Musica e cultura a Napoli dal XV al XIX secolo, a c. di Lorenzo Bianconi e Renato Bossa, Olschki, Fi­ renze 1988, p. 83. 47 Vedi le considerazioni di JEROME ROCHE, North Italian Church Music in the Age ofMonte­ verdi, Clarendon Press, Oxford 1986.

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IL FALSOBORDONE FRA TRADIZIONE ORALE E TRADIZIONE SCRITTA

ampia diffusione, è quindi l’estrema semplicità dei mezzi: l’omoritmia tra le parti con predominio di accordi perfetti, in cui si inseriscono epi­ sodi in moderato contrappuntismo. Un ideale di chiarezza e semplicità espresso con enfasi nelle dediche apposte alle diverse pubblicazioni co­ me la seguente che può essere considerata affatto emblematica: Non v’è chi niega [...] che la musica non debba essere in ogni tempo, e più anche nei giorni santi, intelligibile, e chiara à tutti, perche questa candidezza d’armonia è più capace al comun senso de gli ascoltanti non è dubbio, che non è per l’ordinario la musica da dotta mano elaborata, la quale spesse volte aviene, che in vece di rapir gli animi altrui alla devotione, gli confonde, e gli distem­

pra in maniera, ch’essi non sanno udir’altro che armonia senza l’anima delle parole [...].48

È ovvio che in quest’ambito nulla più dell’austera polifonia del fal­ sobordone sembra incarnare in sé tale tendenza ideale e, come vedremo meglio oltre, è proprio in questa prospettiva che si può interpretare il sorgere della lunga serie di pubblicazioni in cui il falsobordone viene sviluppato come genere autonomo. Parallellamente a questo processo, in gran parte della musica reli­ giosa del periodo si ritrovano intiere sezioni in chiaro stile di falsobor­ done, nella sua forma più canonica, un accordo ribattuto seguito da semplice e schematica cadenza, senza tuttavia che il termine compaia. Anche in questo caso piuttosto che una indagine esaustiva ci è suffi­ ciente evidenziare alcuni esempi significativi. Un ambito in cui lo stile falsobordone trova frequente comparsa è costituito dal canto dei salmi, in particolare di quella dozzina di salmi solitamente eseguiti e maggiormente conosciuti.49 Il seguente è un pas­ so affatto tipico.50

48 ORAZIO VECCHI, Lamentationes cum quattuor paribus vocibus (...], Cardano, Venezia 1587. Torneremo in seguito su questa stampa. 49 BIANCONI, Il Seicento, p. 112.

50 Va notato che questa stampa contiene anche dei falsobordoni propriamente detti, ed è la n. 21 del nostro elenco (vedi bibliografia).

IL VERSANTE DELLA TRADIZIONE SCRITTA

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Esempio 46. Giulio Beili, Nisi Dominus («Hereditatem gentium»).

fidelia omnia mandata eius confirmata in saeculum

secoli

fidelia omnia mandata elus confirmata in saeculum

secoli

fidelia omnia mandata eius confirmata in

saeculum

secoli

fidelia omnia mandata eios confirmata in

saeculum

seculi

eccetera

È nella musica destinata alla settimana santa, ancora una volta, che lo stile falsobordone si ritrova con maggiore frequenza. Un esempio eloquente proviene dalla produzione del principe’ dei polifonisti dell’epoca, Giovanni Pierluigi da Palestrina, che come è noto, nel pro­ cesso di mobilitazione controriformistica, viene additata quale emble­ ma di norma stilistica della musica religiosa.* 51 so

51 Frequenti passaggi in falsobordone si ritrovano pure nella produzione di Orlando di Las­ so che anzi vengono indicati da alcuni teorici tra i più rappresentativi esempi di questo stile (vedi paragrafo 2.9).

IL FALSOBORDONE FRA TRADIZIONE ORALE E TRADIZIONE SCRITTA

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Esempio 47. Giovanni Pierluigi da Palestrina, Improperia.

aul

in

quo

con - tri -

sta -

vi

te?

re - spon - de

mi

hi

Restando nell’ambito della settimana santa è assai interessante nota­ re Vassoiata preponderanza di elaborazioni polifoniche del salmo 50, Miserere, nello stile di falsobordone. Oltre a quelle contenute nelle rac­ colte esplicitamente dichiarate in falsobordone (vedi il paragrafo 2.5), infatti, quasi tutte le altre versioni presenti nelle diverse raccolte sono inconfondibilmente articolate nella maniera del più semplice stile di falsobordone, per di più con cadenze molto schematiche. Ne riportia­ mo tre esempi rappresentativi.52 52 Tra le altre versioni del Miserere citiamo quelle contenute in: GIOVANNI CONTINO, Threni leremiae cum reliquis hebdomadae sanctae officium [...], Scotto, Venezia 1561; VITTORIO OROFINO, Musica nova lamentationi [...], Gaidura, Ferrara 1589; GIOVANNI NAVARRO, Psalmi

IL VERSANTE DELLA TRADIZIONE SCRITTA

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Il primo è opera del sacerdote Paolo Antonio del Bivi detto Aretino (1507-1584) a lungo vissuto a Firenze. Esso presenta la musica solo per i primi due versetti, essendo i successivi eseguiti alla stessa maniera, secondo una convenzione che costituisce la norma di tutti gli esempi di falsobordone a stampa (vedi il paragrafo 2.5).53 Esempio 48. Paolo Aretino, Miserere.

Il Miserere seguente è invece di uno dei più noti compositori dell’epoca, il prete modenese Orazio Vecchi (1550-1605).54

hymni ac Magnificat. Tipografìa Jacobo Tornerio, Roma 1590; MAURO [CHLAULa] paNORM1TANO, Lamentationes ac responsoria que in hebdomada sancta cantari solent [...], Amadino, Venezia 1597; GIOVANNI BACILERIO, Lamentationes [...], Angelo Cardano & fratelli, Ve­ nezia 1607; LUDOVICO VIADANA, Responsoria ad lamentationes [...], Vincenti, Venezia 1609; FRANCESCO CAPELLO, Lamentationes [...], Angelo Tamo, Verona 1612; RUGGERO ARGILLIANO, Responsoria hebdomadae sanctae [...], Vincenti, Venèzia 1612. Una raccolta manoscritta del tardo diciassettesimo secolo contenente Miserere ed alcuni improperia nello stile di falsobordone è a Roma, Biblioteca Apostolica Vaticana, Cappella Sistina 205-6.

53 Nella dedica al vescovo di Arezzo Fautore si esprime secondo un canovaccio comune nelle pubblicazioni di questo tipo: «[...] queste mie nuove fatiche musicali [...] sono forse in se stesse acerbe & rozze, spero non dimeno sieno tal mente per diventar suavi, e mediante la dolcezza delle sue virtù, che non dispiaceranno all’orecchie delti honorati virtuosi». 54 Si veda anche l’estratto dalla dedica della stampa riportato in precedenza. È da segnalare

che questo brano è seguito da un’altro, definito Miserere alio modo, che differisce essenzial­ mente per le cadenze relativamente più elaborate.

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IL FALSOBORDONE FRA TRADIZIONE ORALE E TRADIZIONE SCRITTA

Il terzo è tratto dalla raccolta di Giovanni Guidetto, Ecclesiasticus officii maioris hebdomadae, edita a Roma nel 1587 sotto l’egida dell’au­ torità papale e quindi di carattere fortemente normativo.55 La musica è scritta in partitura su fogli di grande formato. Tre dei Miserere conte­ nuti nella raccolta, tra cui quello dell’esempio seguente, sono attribuiti a Palestrina. Esempio 50. Giovanni Pierluigi da Palestrina, Miserere.

cantus

altus

tenor

bassus Mi

se - re - re

mei Deus

secundum magnam mise- ri- cordiam

tu -

am

” Su questa caratteristica delle stampe pubblicate a Roma si vedano le considerazioni espo­ ste nel paragrafo 3.2.

IL VERSANTE DELLA TRADIZIONE SCRITTA

153

II frequente ricorso allo stile di falsobordone per il Miserere è senza dubbio di grande significato: questo salmo, infatti, per il suo contenu­ to dogmatico era (e per alcuni aspetti è tuttora) un testo tra i più diffu­ si e tra i più importanti.56 Esso veniva eseguito, oltre che nei servizi fu­ nebri, al culmine di uno dei momenti di maggiore rilievo dell’intero arco liturgico, la chiusura della celebrazione giornaliera dell’ufficio del­ le tenebre nel corso della settimana santa. La scelta quindi di una for­ ma musicale semplice quale il falsobordone permetteva l’immediata intellegibilità del testo esaltandone il valore liturgico, garantendo altresì la piena identificazione nell’atto rituale dell’esecutore e dell’ascoltatore. Una scelta quindi che testimonia ulteriormente della centralità e del valore emblematico dello stile di falsobordone nella produzione musi­ cale religiosa. Del resto anche il brano all’epoca più celebrato di questa produzio­ ne, il Miserere di Gregorio Allegri, composto probabilmente nel 1638, altro non è che un falsobordone sontuosamente ornato e con cadenze alquanto elaborate.57 Esempio 51. Gregorio Allegri, Miserere.

56 BONIFACIO BAROFFIO, Nota sul ‘Miserere’, in Canti liturgici di tradizione orale, p. 30. Co­ me si è visto nel capitolo 1 il Misererei senza dubbio il testo più frequentato della tradizio­ ne orale della settimana santa.

57 Tornermo più avanti su questo esempio trattando della prassi esecutiva nella Cappella Si­ stina.

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IL FALSOBORDONE FRA TRADIZIONE ORALE E TRADIZIONE SCRITTA

Tornando all’inizio del diciassettesimo secolo, tra gli altri esempi di raccolte di musica liturgica contenenti brani scritti in falsobordone, ma non definiti in questo modo, sono particolarmente importanti ai fini della nostra ricerca le Letame di Ludovico Viadana, la cui prima edizio­ ne venne stampata da Giacomo Vincenti a Venezia nel 1605. Queste Litanie sono scritte in genere in un semplice contrappunto omoritmico di facile intonazione. Alcune, a quattro voci, presentano due versioni: nella prima in chiaro stile di falsobordone compare la di­ zione «Letaniae Campagnole», nella seconda, che orna la successione accordale della prima con una fitta trama di semiminime e crome, la dizione «Figurate». Una analoga distinzione compare in un’altra stam­ pa di Viadana, l’Ojfìcium defunctorum che studieremo più avanti (para­ grafo 2.5).58

58 A proposito di queste litanie Federico Mompellio scrive che Viadana «dà anche due bre­ vissime e facilissime formule a quattro voci per cantare le Litanie campagnole, ossia alla ma­ niera popolana [...]»; MOMPELLIO; Ludovico Viadana, p. 67.

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Esempio 52. Ludovico Viadana, Letaniae Campagnole.

agnus dei qui tollis peccala

mundi

Exaudi

nos

Domine

Sempre in questi stessi anni il falsobordone viene utilizzato nelFambito di composizioni con ben altra destinazione, inserito con funzioni espressive variabili di volta in volta alFinterno di progetti compositivi di largo respiro. È il caso dei salmi in falsobordone inseriti nel Vespro della Beata Verginei Claudio Monteverdi (1610). Qui infatti la semplice accordalità di questo stile si alterna ad episodi di polifonia molto complessa, in una ricercata successione di prassi compositive eterogenee.59 59 BIANCONI, Il Seicento, p. 116. Come vedremo nel prossimo paragrafo (2.4) Monteverdi propone una utilizzazione per molti aspetti analoga del falsobordone anche nella produzio­ ne madrigalistica. Sul vespro vedi PAOLO FABBRI, Monteverdi, EDT, Torinol985, pp. 161-8.

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Esempio 53. Claudio Monteverdi, Dixit Dominus.

Questo è in breve il quadro della presenza della prassi del falsobor­ done nella musica liturgica dell’epoca controriformistica, parallelamen­ te al suo sviluppo come genere che vedremo in seguito (paragrafo 2.5). Un quadro che lascia già intendere quanto consueto e radicato fosse il ricorso a questo tipo di polifonia.

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L’uso del falsobordone nella musica liturgica non cessa con il Sei­ cento ma prosegue senza soluzione di continuità fino al nostro secolo. Ciò è comunque avvenuto con una maggiore o minore intensità dovu­ ta al diverso equilibrio tra le tendenze conservatrici’, fautrici del man­ tenimento di una polifonia arcaica’ e quelle progressiste’, tendenti ad una apertura alla musica secolare che si sono alternate nelle epoche se­ guenti.60 Il falsobordone, anzi, ha finito progressivamente con il rap­ presentare un vero e proprio emblema delle tendenze conservatrici’, che ne hanno invocato l’uso come modello della più autentica’ polifo­ nia da chiesa. Una prima testimonianza del continuo uso del falsobordone nel Settecento ci viene da numerosi trattati teorici e da altre fonti letterarie (cronache, lettere eccetera) che ne descrivono le caratteristiche rilevan­ do (o facendo intendere) altresì che esso mantiene per tutto il secolo una ampia diffusione (vedi il paragrafo 2.9). Per quanto riguarda le fonti musicali mentre alquanto insoliti sono i riscontri nella produzione a stampa più importante’, chiari esempi di falsobordone si hanno in alcuni manoscritti e in opere destinate all’uso presso particolari istituzioni religiose.61 Sono ancora una volta le com­ posizione incentrate sul Miserere quelle dove si hanno gli esempi più frequenti. Ne è testimone ad esempio la produzione di Tommaso Bai (ca. 1650-1714), tenore presso la Cappella Giulia, ed autore di compo­ sizioni rimaste tutte manoscritte che per diversi decenni fecero parte del repertorio di questa istituzione.62 Un altro interessante Miserere a tre voci in falso bordone, in do maggiore, anonimo è conservato in un ma­ noscritto della biblioteca del Convento di San Francesco di Bologna.63 Un ambito dove la prassi del canto in falsobordone non venne mai meno fu la Cappella Pontificia che a partire da questa epoca diviene il 60 Confronta GINO STEFANI, Musica liturgia cultura, «Nuova Rivista Musicale Italiana», XIV/I 1980, nonché il quadro tracciato da EUGENIO COSTA, Sacra musica, in Dizionario En­ ciclopedico Universale della Musica e dei Musicisti, vol. IV (1984).

61 Va segnalata in quest’epoca la grande diffusione del falsobordone fuori dall’Italia e dal mondo cattolico, in Inghilterra (parallela alla tarda fioritura del madrigale) e soprattutto in Germania nella liturgia luterana. Corali in falsobordone, ad esempio, si ritrovano anche nel­ la musica di Johann Sebastian Bach. Sull’argomento, secondario in questa trattazione, si ve­ da BRADSHAW, The Falsobordone, pp. 125 ss. 62 Un esempio di questi Misererei riportato da BRADSHAW, The Falsobordone, p. 144. 63 Confronta GINO ZANOTT1, Biblioteca del convento di S. Francesco di Bologna. Catalogo del fondo musicale. Volume II. I manoscritti, Forni, Bologna 1970, p. 334. Altre fonti della stessa epoca saranno citate nei paragrafi 3.3 e 3.4.

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luogo musicale più conservatore’ di tutto il mondo cattolico. È pro­ prio qui, anzi, che il falsobordone assume la connotazione di modello emblematico dell’autentico’ stile religioso. Sono evidenti testimonian­ ze in proposito le numerose fonti che documentano l’intensa attività musicale di questa istituzione. Tra queste ci piace segnalare una vera e propria causa che intorno al 1761 vede contrapposto davanti al papa Urbano Vili l’abate Giuseppe Santarelli agli altri cantori. Oggetto del contendere è l’attribuzione del­ la paternità di un falsobordone eseguito dalla cappella nel corso delle processioni fuori le mura. L’intero processo e le accorate requisitorie dei contendenti rivelano che l’esecuzione di falsobordoni dovette essere una pratica di grande importanza. Santarelli a conclusione del proprio intervento riporta la sua versione del brano in questione con la seguen­ te premessa: Si è stimato bene in questa incontranza di pubblicare il qui ap­ presso falso-bordone e ciò si è stimato bene di fare, perché essen­

dosi compiacciuti alcuni delle professione, di biasimarlo in primo luogo, e secondariamente di adulterarlo, è così mascherato farlo gi­

rare in più di un ridotto, possa quindi il pubblico vederlo origina­ riamente, e pronunziarsi senza prevenzione.64

Esempio 54. Giuseppe Santarelli, Falso bordon.

64 In calce all’esempio manoscritto il copista scrive: «confronta con l’originale datomi dall’autore da trascrivere ne libretti delle Processioni. Francesco Biondini».

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Una questione che come si vede è incentrata intorno ad un brano concepito nel più semplice stile di falsobordone, senza alcuna partico­ lare elaborazione. In realtà grazie alla sua estrema duttilità lo schema del falsobordone si prestava oltremodo alla esibizione di quel peculiare stile interpretati­ vo patrimonio esclusivo dei cantori della Cappella Sistina. Scrive lo stesso Santarelli: [è necessario] rimettere in piedi le oramai affatto perdute scuo­

le del nostro canto, qual perdita è pur troppo una delie primarie cagioni della decadenza della Pontifìcia Cappella; e conferirebbe

moltissimo anche a sottrarre dall’ultimo imminente naufragio

quella pietra preziosa, e rara chiamata stile, tanto, e con tanta raggione raccommandato dal cap. XLII. delle predette nostre sante Co­ stituzioni, come quello, da cui le nostre melodie ricevono il loro

maggiore risalto; quello che non si può insegnare, o trasmettere, se non coll’esempio della viva voce, e quello finalmente per la di cui

mancanza, il tanto celebre Miserere di Gregorio Allegri, quantun­ que cantato da musici soavissimi, fece alla corte di Vienna in tem­

po dell’invittissimo e augustissimo Leopoldo I. la misera comparsa di un semplicissimo falso-bordon [...].65

È quindi verosimile che al di là dei noti conflitti interni al gruppo dei cantori, che traspaiono con tutta evidenza dalla lettura dell’intero documento, la questione sulla vera attribuzione del falsobordone ripor­ tato mascherasse un più sostanziale contrasto sulla prassi interpretativa. Anche per il diciannovesimo secolo l’uso del falsobordone è attesta­ to da diverse fonti letterarie. Per esempio Giuseppe Baini ci informa 65 SANTARELLI, Informazione, p. IX. Torneremo a trattare dello stile della Cappella Pontifica nel paragrafo 3.2.

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che la pratica del falsobordone «si è [...] fino al dì d’oggi mantenuta costantemente e pacificamente nel suo esercizio [...]».66 Non mancano poi attestazioni in manoscritti di musicisti minori’ che operarono in particolari ambiti religiosi. È il caso del maestro An­ tonio Grotto (1753-1831) di cui si conservano diverse antologie di salmi in falsobordone (senza testo verbale) da lui composti per le cele­ brazioni del duomo di Vicenza.67 Allo stesso tempo, il processo di restaurazione della musica religiosa attraverso la generale rivalorizzazione della polifonia cinquecentesca promossa dal movimento ceciliano dedica un particolare rilievo al fal­ sobordone proponendo la ristampa di numerosi esempi dei più celebri compositori come Palestrina, Lasso, Viadana eccetera. Una delle prime e più importanti collane editoriali fautrici di questo processo restautivo, «Musica Divina», edita dal 1853 al 1864 da Carolus Proske a Ratisbona, propone anzi un intero volume, il terzo, Psalmodia vespertina (1859), costituito solo da falsobordoni.68 Ma anche le iniziative editoriali più modeste, destinate alle chiese minori, tengono in considerazione primaria la pubblicazione di falsobordoni. E il caso tra gli altri della serie «Repertorio Economico di Musica Sacra — compilato dalle opere dei più celebri autori antichi e moderni», allegata al periodico «Musica Sacra» e pubblicata dal 1877 dalla Calcografia Musica Sacra di Milano. Il primo volume del secondo anno, ad esempio, riporta le Intonationes psalmorum et falsi bordoni respondentes del sacerdote Giuseppe Antonio Bernabei (1649-1732).69

66 BAINI, Memorie, p. 260. Torneremo su questo passo nel paragrafo 2.9.

67 Cfr. VITTORIO BOLCATO - ALBERTO ZANOTELLI, // fondo musicale dell’archivio capitolare del duomo di Vicenza, EDT, Torino 1986, pp.101 e pp. 308. Lo stesso volume (p. 862) attri­ buisce a tal Antonio Coronato (1851-1933) un salmo in falsobordone, ed individua una antologia manoscritta, datata alla seconda metà del diciannovesimo secolo, con cinque for­ mule di falsobordone a tre voci e quattro a due voci (pp. 150-1).

68 II volume contiene falsobordoni di Tommaso da Vittoria, Giuseppe Antonio Bernabei, Cesare Zaccaria e Ludovico Viadana. Da notare che nelle fonti originali i brani di Vittoria non sono denominati falsobordoni, mentre quelli di Zaccaria e Viadana sono tratti rispetti­ vamente dalle raccolte n. 17 e n. 52 del nostro elenco riportato in bibliografìa. 69 Giuseppe Antonio Bernabei studiò con il padre Ercole (allievo a sua volta di Orazio Be­ nevoli) ed operò per circa quindici anni come Kappelmeister a Monaco. È ricordato oltre che per la produzione sacra anche per quella profana comprendente tra l’altro quindici ope­ re liriche.

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Esempio 55. Giuseppe Antonio Bernabei, Dixit Dominus. Primi toni.

INTONATIONES PSALMORUM ET FALSI BORDONI RESFONDENTES

aaetore JOS .ANT. BEB5ABEI.

PRIMI TONI PINALIS I.

PRIMI TONI FIXAl.tS n.

Di.xit Do .minus Do.mi.no

Annesso ai Periodico 3!tisica Sacra, x

me,o:

Se.de

a.

dex.lris me

.

is.

Addo VI°Fase IX0.

In conclusione del paragrafo segnaliamo una presenza di falsobor­ doni particolarmente significativa ai fini della nostra ricerca nelle nu­ merose raccolte economiche di musiche religiose con destinazione po­ polare’, pubblicate a partire dai primi anni del nostro secolo. Un esem­ pio è il seguente Magnificat, anonimo, tratto dal volume Cantiam con labbro pio. Raccolte di lodi sacre popolari con Musica-, edito a Reggio Emilia nel 1948.70 70 In copertina è scritto: «In vendita presso la agenzia Libreria Ecclesiastica Bizzocchi, via Vittorio Veneto. Reggio Emilia 30/12/1948». È da presumere che questo brano sia opera di qualche musicista del nostro secolo poiché non l’abbiamo ritrovato nelle fonti dei secoli

precedenti.

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Esempio 56. Anonimo, Magnificat.

5 c

T B

2.4. Ilfalsobordone nella musica profana

Nella musica del rinascimento la presenza dello stile di armonizzazione in falsobordone non è limitata al solo ambito religioso ma si ritrova in maniera considerevole anche in quello profano. Anzi, in alcuni tra i più importanti repertori dell’epoca, come le frottole e le villanesche napole­ tane, tutti di provenienza popolare’, la concatenazione di accordi in po­ sizione fondamentale tipica del falsobordone, nella sua forma ‘canonica di declamato corale omoritmico, sovente ornata da artifizi ed espedienti contrappuntistici, costituisce un procedimento costruttivo basilare.

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La letteratura musicologica tuttavia ha sinora dedicato poca atten­ zione a questa presenza e più in generale al ruolo che il falsobordone, al di là della produzione religiosa, e si limita tutt’al più a sporadici riferi­ menti e sommarie constatazioni.71 Una trattazione approfondita di tale questione andrebbe però oltre i confini di questa ricerca e pertanto non possiamo che rinviarla ad altre occasioni future. Ci limiteremo quindi a mostrare alcuni esempi significativi, scelti tra quelli in cui la struttura del falsobordone si manifesta nella forma più evidente. Le prime sicure attestazioni della presenza del falsobordone nella musica non religiosa si hanno già nei primi anni del sedicesimo secolo nel variegato insieme delle Trottole’ presenti nelle raccolte stampate da Ottaviano Petrucci.72 Come è noto tali stampe presentano varii tipi di strutture metriche e formali, accomunate da musicale strofiche caratterizzate dal netto prevalere del senso accordale. Destinate all’intrattenimento musicale cortigiano ed eseguibili in combinazioni vocali e strumentali diverse, le frottole per molti aspetti riflettono prassi di derivazione popolare’ e comunque proprie della tradizione non scritta della musica. L’esempio seguente è opera di Marco Cara (seconda metà del XV secolo-dopo 1525), tra i principali compositori delle frottole delle rac­ colte petrucciane insieme con il già citato Bartolomeo Tromboncino. 71 Una intuizione al riguardo si ritrova in un vecchio studio di Federico Ghisi: «La scrittura verticale rappresenta, con evidenza, la corrente musicale che, a differenza del trinomio cac­ cia villetta e chanson, sembra aver tratto origine, spentasi ogni eco del madrigale trecente­ sco, dalle forme strofìche della ballata popolaresca in contatto con la pratica del falso bordo­ ne, d’uso frequente nei canti sacri della Chiesa» (FEDERICO GHISI, I canti carnascialeschi nelle fonti musicali del XV e XVI secolo, Olschki, Firenze 1937, p. 13). Va comunque precisato che in questo studio Ghisi ricorre al termine falsobordone non sempre in maniera univoca e an­ zi talvolta si riscontra una certa confusione con la prassi del fauxbourdon (vedi per esempio p. 10). Alla presenza del falsobordone nella musica profana fanno sporadico riferimento RI­ CHARD HUDSON, The Folia, Fedele, and Falsobordone, «Musical Quarterly», LVIII 1972 (a proposito dello sviluppo di alcune forme di musica da ballo rinascimentali); JOHN BETTLEY, North Italian Falsobordone and its Relevance to the early Stile Recitativo, «Proceedings of the Royal Musical Association», vol. 103, 1976-7, (in riferimento allo sviluppo del recitativo — vedi oltre) e BRADSHAW, The Falsobordone, p. 91 (che fa un fugace cenno alle analogie con la struttura musicale delle frottole e villanelle — vedi la nota seguente).

72 Tale presenza è notata en passant da Bradshaw: «Falsobordone influence appears in some of the frottolas and laudas printed by Petrucci in the early 1660’s [sic]. Tromboncino’s frot­ tola Io cerco pur la insuportabil (insoportabil) doglia opens with two almost identical phrases each consisting of a repeated chord followed by a cadence and each connected by a linking passage typical of a solo falsobordone [...] Josquin’s famous El grillo contains several passa­ ges of repeated triads followed by cadence [...]». BRADSHAW, The Falsobordone, p. 91 (per il significato dell’espressione «solo falsobordoni» vedi il paragrafo 2.5).

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La successione armonica è data da accordi in posizione fondamentale, mentre la declamazione del falsobordone si ritrova con tutta evidenza nel secondo e terzo verso. Esempio 57. Marchetto Cara, O mia cieca e dura sorte.

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Assai interessante fra le frottole raccolte da Petrucci è anche il se­ guente brano, fra i più celebri di Josquin Desprez. Egli, maestro tra i più sommi della polifonia internazionale delFepoca, dà prova di una evidente adozione della chiarezza armonica propria dello stile italiano Esempio 58. Josquin D’Ascanio [Desprez], Elgrillo (prima parte).

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beve

dale

grillo

canta

dale

dale

beve

beve

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Sempre dalle raccolte di Petrucci un caso di evidente ed immediata adozione dello stile falsobordone è costituito dagli esempi che utilizza­ no testi di odi oraziane.73 Rigidamente omoritmici tali composizioni si caratterizzano per una assoluta adesione della struttura ritmica alla quantità delle sillabe del testo verbale. L’esempio seguente è opera del più rappresentativo interprete italiano in questo genere, il sacerdote ve­ ronese Michele Pesenti (1475 ca.-1521).

73 L’ode classica fu spesso messa in musica fuori dall’Italia, soprattutto in Germania. Si trat­ ta di composizioni che, fermo restando l’omoritmia delle parti, non sono costruite su accor­ di in posizione fondamentale. Vedi per esempio PETRI TR1TONIO, Melopoiae sive harmoniae tetracenticae, 1507 (edizione moderna a c. di Giuseppe Vecchi, AMIS, Bologna 1967).

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Esempio 59. Michele Pesenti, Integer vitae.

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Altri interessanti riscontri della presenza del falsobordone si hanno nei cosiddetti canti carnascialeschi. E noto che questo repertorio fu in ergine connesso con le sontuose manifestazioni di piazza promosse a Firenze nella seconda metà del quindicesimo secolo da Lorenzo il Ma­ gnifico. Di questa originaria produzione però non ci è rimasto nulla se non delle descrizioni opera di cronisti che assistettero all’esecuzioni. Testimonianze musicali si hanno solo nei primi decenni del Cinque­ cento, tra le quali alcune sono comprese nelle raccolte petrucciane.74 Tali testimonianze riflettono le caratteristiche tipiche di una po­ lifonia destinata all’esecuzione corale all’aperto, con un impianto omoritmico estremamente semplice e ‘alla portata di tutti’, atto a fa­ vorire la declamazione dei versi e quindi sovente nel più tipico stile di falsobordone. 74 GHISI, I canti carnascialeschi, nonché il quadro complessivo tracciato da FRANCESCO LUISI, La musica vocale nel rinascimento, ERI, Torino 1977.

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Allo stesso modo, anche nelle coeve laude polifoniche, travestimen­ ti spirituali di canzoni profane di origine centro-italiana, il riscontro di passi in stile di falsobordone è assai frequente. Al confine’ tra musica religiosa e profana, sempre di destinazione devozionale ed extraliturgi­ ca, le laudi hanno nella preminenza per la chiara comprensione del te­ sto verbale il motivo principale. La musica, destinata all’esecuzione non professionistica, risulta di conseguenza assai semplice, con una netta preponderanza della voce superiore, in un regime di omoritmia quasi assoluto. Esemplari sono in questo senso le laudi attribuite a di­ versi musicisti pubblicate in due dei volumi della raccolta petrucciana (1508), dove lo schema accordo ribattuto cadenza è affatto consueto. Le stesse considerazioni valgono altresì per la più tarda produzione di laude polifoniche, mezzo privilegiato per «esercitar la devotione» promosso in clima controriformistico dai reverendi padri della Congre­ gazione dell’Oratorio. L’esempio seguente illustra un evidente passag­ gio in stile di falsobordone. Esso proviene da una tra le più famose ed importanti raccolte della seconda metà del Cinquecento, opera del fra­ te Serafino Razzi (1531-1611). Come gran parte dei repertori laudistici di quest’epoca si tratta di un travestimento spirituale di un canto profano, in questo caso un carnascialesco assai noto all’epoca, La pasto­ rella si leva per tempo. Esempio 60. Serafino Razzi, Lo fraticello si leva per tempo.

a render

grafie

a Dio

nel malulino

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La prassi del travestimento spirituale, del cantasi come’ è ovvia­ mente di grande importanza ai fini della nostra ricerca poiché indub­ biamente essa ci fornisce indicazioni indirette sulla cultura popolare’ o comunque sulla tradizione non scritta dell’epoca.75 Considerando in­ fatti la derivazione dei brani ‘travestiti’ nonché la loro destinazione ese­ cutiva (gli intrattenimenti devozionali della ‘gente comune’) risulta evi­ dente che il repertorio laudistico dovette essere vicino alla norma mu­ sicale della tradizione non scritta dell’epoca. Di conseguenza il riscontro frequente dello schema del falsobordone non può che costi­ tuire una ulteriore testimonianza della diffusione e del profondo radi­ camento che esso aveva nella comune prassi tradizionale.76 Nel quarto decennio del sedicesimo secolo elementi della tradizione non scritta della musica affiorano nella costituzione di un nuovo reper­ torio: la villanesca.77 Originata a Napoli e documentata a partire dal 1537,78 essa venne praticata e sviluppata anche altrove dando vita a for­ me quali le villanelle, le villette, le canzonette, eccetera. Assai significa­ tivo ai fini del nostro lavoro è quindi il riscontro anche nell’ambito del­ la villanesca di una diffusa presenza di passi nello stile di falsobordone. L’esempio seguente, a tre voci, proviene da una raccolta opera di uno dei più rappresentativi autori di villanesche, Gian Domenico Del Giovine, detto da Nola (ca. 1510-dopo 1569). E da osservare in que­ sto caso che la declamazione in falsobordone si manifesta in conclusio­

75 Un passo assai interessante sulla pratica del travestimento proviene da un’altra raccolta meridionale di laudi, posteriore di circa cinquanta anni rispetto a quella di Razzi: «[bisogna] che le lodi non Risserò tanto vaghe, artificiose, & dal dir commune lontane, che non si po­ tessero facilmente, & cantare, & intendere non solo dalla gente commune di poche lettere; ma anco da’ fanciulli, & dalle donne stesse, poiché quel che qui si pretende è, non già scri­ vere à soli i poeti, ò pure à dotti, & letterati, ma dare un honesto & santo trattenimento a tutte le sorti di persone [...] Per l’istessa cagione habbiam procurato di porre al fine separatemente certe arie communi, & molto tempo già cantate: perche quell’arie, & consonanze, che si sanno à mente, più gustano, & dilettano alla gente commune. Di più habbiamo giu­ dicato poco a proposito per tale effetto le musiche, che Risserò più che à tre voci: essendo assai difficile trovar fra la gente commune, che non sà molto di musica, più di tre, che facil­ mente s’accordino» (Lodi et canzonette spirituali. Raccolte da diversi autori e ordinate secondo le varie maniere de’versi [...], Tarquinio Longo, Napoli 1608). 76 Torneremo più avanti a parlare di questo argomento e della musica negli esercizi orato­ riali (paragrafo 3.5). 77 «Cittadina o rurale che fosse, io credo in una origine popolare della villanesca»; NINO PIRROTTA, Willaert e la canzone villanesca, «Studi Musicali», IX/ 2 1980, p. 193. 78 DONNA G. CARDAMONE, Gli esordi della «canzone villanesca alla napoletana», in II madri­ gale fra Cinque e Seicento, a c. di Paolo Fabbri, Il Mulino, Bologna 1988.

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ne del brano, in un passo che nel testo verbale richiama esplicitamente il mendicare per la strada dei ciechi. Esempio 61. Gian Domenico Da Nola, Tre ciechi siam. Canzone villanesca (mascarata) a tre voci pari.

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Il seguente è invece un esempio di villetta in cui è esplicita la pre­ senza del falsobordone. Esso è tratto da una antologia di uno dei più prolifici autori di questo genere, il sacerdote bolognese Filippo Azzaiolo (1530/40 ca.-dopo il 1569), noto, tra l’altro, per il frequente ricorso nelle proprie opere a temi di provenienza popolare’.

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Esempio 62. Filippo Azzaiolo, È per amor di donna.

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AI di là di questi riscontri nell’ambito dei repertori di derivazione popolare’ esempi di passaggi in falsobordone si ritrovano pure nelle più raffinate forme della musica profana dei secoli sedicesimo e dicias­ settesimo. Si tratta di occorrenze relativamente meno frequenti e con estensione alquanto limitata, dove la formula del falsobordone, accor­ do ribattuto — cadenza, viene utilizzata con valore di un cliché inserito in particolari contesti musicali assumendo significati e funzioni di vol­ ta in volta diversi. Un esempio assai rappresentativo è il seguente, opera di Claudio Pari (1611—1669), borgognone ma siciliano di adozione, dove la sche­ maticità del falsobordone si oppone alla complessa trama armonica del resto della composizione, in un contrasto di grande efficacia espressiva.

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Esempio 63. Claudio Pari, Deh s’alcunapietà.

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Assai conosciuti sono i casi di ricorso al falsobordone nella produzio­ ne madrigalistica di Claudio Monteverdi, tra le somme vette dell’epoca. Nell’esempio seguente, tratto dal madrigale Con che soavità, «concertato a una voce e 9 istrumenti», dal Settimo libro de madrigali, il ricorso al falsobordone, sulle, parole «che soave armonia fareste», ha la funzione di rendere momentaneamente cristallina l’armonia (I-V6-I-IV). Al con­ trario dell’esempio precedente, in questo caso le cadenze seguenti alla recitazione sono alquanto schematiche.79

79 Passi in falsobordone in opere delle stesso Monteverdi si hanno tra l’altro ne 11 quarto li­ bro de madrigali a cinque voci [...], Amadino, Venezia 1603 (n. 4: «Sfogava con le stelle»); ne II sesto libro de madrigali a cinque voci [...], Amadino, Venezia 1614 (n. 5c: «Darà la not­ te il sol lume alla terra», terza parte delle Lagrime d’amante). Tra gli altri riscontri vedi DO­ MENICO MAZZOCCHI, Dialoghi e sonetti [...], Zanetti, Roma 1638, p. 38.

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In un contesto ancora differente, è senza dubbio molto interessante l’evidente utilizzazione dello stile falsobordone da parte di Andrea Ga­ brieli nella musica per i cori per la rappresentazione dell’Edippo tiranno avvenuta a Vicenza nel 1585. In rigida omoritmia, tali composizioni mirando alla piena comprensibilità del testo verbale, presentano soven­ te versi musicati con un accordo ribattuto seguito da una schematica cadenza.80

80 Su questa rappresentazione vedi LEO SCHRADE, La representation d’Edipo Tiranno au teatro Olimpio (Vicenza 1585), Edition du Centre National de la Recerche Scientifìque, Paris 1960.

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Assai evidente, infine, appare anche il contributo apportato dal fal­ sobordone allo sviluppo dei recitativi nei primi esempi di rappresenta­ zione melodrammatica. Il falsobordone, infatti, specie nella sua varian­ te solista (vedi il paragrafo 2.5), possedeva una grande potenzialità drammaturgica: la recitazione ritmicamente libera su accordo tenuto o

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ribattuto, realizzato dagli strumenti (e di cui, ovviamente, le stampe ri­ portavano il solo basso cifrato), permetteva di rispettare la naturale ac­ centuazione delle parole garantendo la piena comprensibilità di queste, e allo stesso tempo si prestava a diverse soluzioni interpretative.81 L’esempio seguente è un brano assai noto. Esempio 66. Jacopo Peri, Prologo.

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Non langue fpnrlod innocenti vene Non ciglia fpentc di Tiranno infaiio Spettacolo infelice algu ardohumano Canto fu mette ,c lacnmofe (cene.

Voli re» Regina fia cotanto alloro Qual forfè anco no colle A tene, ò Roma Fregio non vii fu lonorata chioma fronda Febea fra due corone d oro

, ... ? Lungi via lungi pur da regi] tetti Simulacri funefli, ombre d'afiTanni Ecco i mcfli coturni, e i fofchi panni Cangio , c dello ne i cor piu dolci affetti

Tal per voi corno, e con fcrcno afpctto NeRcali Imenei m’adorno anch’io E fìi corde piu liete il canco mio Tempro a] nobile cor dolce diletto

Hoc j'auucrrà,chc le cangiate forme Non fenza alto ftupor la terra ammiri 1 aldi ogni alma gentil ch’Apollo infpirj Del inio nouo cammin calpcfli forme

Mentre Senna Real prepara intanto Alto diadema,ondcilbel crin fi fregi F.imanti,eleggi dcgl'antichi Regi Del Tracio Orfeo date l'orecchic al caco.

6

7

81 Vedi BETTLEY, North Italian Falsobordone, e BRADSHAW, The Falsobordone, p. 118.

186

IL FALSOBORDONE FRA TRADIZIONE ORALE E TRADIZIONE SCRITTA

Va notato che in nessuna delle fonti della musica profana compare la denominazione falsobordone, e che nei trattati teorici e nelle fonti letterarie non vi è alcun riferimento al riguardo. L’unica eccezione è contenuta nel capitolo XIX del II libro di Pedro Cerone El melopeo y maestro dedicato a «La manera de componer las chanzonetas, frotolas, y los estrambotes». Ne riportiamo un estratto di assoluto interesse: Para componer las chanzonetas ò cancioncillas con su verdadera orden, adviertande usar en la composition unos accompanamentos

de consonantias naturales, formando con ellas unos cantares ayrosos, alegres, apartados, polidos y ligeros ò diminuydos: pronunciando

las palabras casi puntamente con todos las partes. Aqui no ha de aver artificio de contrapuntos, ni variedad de invenciones, corno en los madrigales, si no intervalos consonantes bien ordenados. [...] Su proprio es hazer cantar todas las partes juntamente con tres, quatro o

mas minimas, semiminimas o corcheas [...] sobre de una mesma

cuerda dando pero su sylaba à cada punto. Mas digo, que fu pro­ prio es cantar a tres bozes solamente (porquanto assi tiene mas del naturai) muy distantesy muy apartados [...] Mas las frotolasy estram­ botes quieren las consonantias mas unidas, mas faciles, y mas popula­ tes: quieren ser ordenadas con cantares aldeanos y grosseros: piden

unos acompanamientos simples y muy toscos: corno es haziendo cantar las partes con cantares unisonados à modo de fabordon.82

2.5. Il genere falsobordone Come abbiamo accennato in apertura di questo capitolo, a partire dal sesto decennio del sedicesimo secolo, il termine italiano falsobordone, almeno nell’ambito delle fonti scritte, acquisisce una particolare defini­ zione e finisce con il designare un vero e proprio genere musicale. Nu­ merose stampe dell’epoca (ed anche alcuni manoscritti), testimoniano, infatti, la codificazione di un repertorio omogeneo di composizioni che riprende la prassi di armonizzazione di un cantus firmus in uso al­ meno da più di mezzo secolo nella musica sia religiosa sia profana, nor­ malizzandola in una precisa struttura formale: un verso musicale suddi­ viso a metà da una pausa con ognuna delle due metà costituita da una sezione costruita su un solo accordo ribattuto (‘recitazione’) seguita da una cadenza più o meno elaborata.83 82 PEDRO CERONE, El melopeo y maestro [...], Giovan Battista Gargano e Lucrezio Nucci, Napoli 1613, p. 693.

83 Onde evitare eventuali confusioni terminologiche ribadiamo che con genere falsobordone

IL VERSANTE DELLA TRADIZIONE SCRITTA

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Nel volgere di pochi decenni, tra la fine del sedicesimo secolo e la prima metà del diciassettesimo secolo, si ritrovano sia stampe costituite esclusivamente da raccolte di falsobordoni ordinate in successioni orga­ niche in base ai toni del cantus firmus di riferimento, sia serie di falsobordoni che formano autonome sezioni all’interno di raccolte più am­ pie di musica liturgica. Destinata per lo più al canto dei salmi del Ve­ spro tale produzione era facilmente adattabile a diversi testi neH’ambito di differenti contesti liturgici, e costituiva perciò una sorta di serbatoio di formule di intonazione di uso immediato. Pur nel costante rispetto della struttura recitazione - cadenza questa produzione presenta una considerevole varietà di soluzioni espressive. Come vedremo in dettaglio la norma del genere falsobordone prevede una scrittura semplice, a quattro o cinque voci, ed una esecuzione co­ rale, con più cantori per ciascuna parte vocale, quasi sempre a cappella. Frequenti sono tuttavia gli esempi con organici allargati, fino a nove voci, e quelli per doppi e tripli cori, secondo una prassi esecutiva assai diffusa all’epoca, nel tentativo di coniugare l’austera trama del falsobordone con la spettacolarità del concerto barocco’.84 Inoltre a partire dai primi anni del Seicento viene aggiunta in maniera quasi sistematica una parte organistica di basso continuo. Non mancano altresì tentativi di elaborazione con finalità ‘artistica’ in cui lo schema base viene ornato secondo le convenzioni in voga nella musica dell’epoca. Sono ovviamente le cadenze le sezioni che ricevono la massima attenzione divenendo talvolta oggetto di elaborazioni contrap­ puntistiche di grande inventiva. Queste propongono variegate ed artico­ late sequenze di accordi, comunque sempre in posizione fondamentale, che sovente sono interpretabili nella logica dell’incipiente affermazione del senso tonale (vedi il paragrafo 2.7). La recitazione, invece, finisce con l’essere semplicemente indicata con una sola nota lunga, una breve o una longa, all’inizio della prima e della seconda parte del verso. Dal processo di elaborazione dello schema formale del falsobordone corale ebbero vita anche due importanti filiazioni: falsobordoni solistici o passeggiati’, e falsobordoni strumentali. I primi, eseguiti su accom­ defìniamo l’insieme dei falsobordoni che sono esplicitamente dichiarati in questo modo e che condividono un modello formale (un verso musicale bipartito con le due sezioni risul­ tanti articolate in un accordo perfetto ribattutto seguito da una cadenza), mentre con ‘stile falsobordone’ indichiamo la struttura tipica del falsobordone cioè un accordo perfetto in posizione fondamentale ribattuto seguito da una cadenza. Le ragioni di questa distinzione si chiariranno nel corso di questo e dei tre successivi paragrafi.

84 STEFANI, Musica e religione, p. 175-6.

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IL FALSOBORDONE FRA TRADIZIONE ORALE E TRADIZIONE SCRITTA

pagnamento strumentale realizzato quasi sempre dall’organo,85 presen­ tano una parte vocale assai abbellita, esemplare manifestazione di quel­ la sofisticata tecnica di ornamentazione.86 I secondi, i falsobordoni strumentali, esclusivamente per organo e quasi tutti di provenienza spagnola, si caratterizzano per un peculiare trattamento del cantus firmus che viene riccamente ornato e sostenuto dalle consuete concatena­ zioni di accordi in posizione fondamentale affidate alla mano sinistra.87 La presenza del genere falsobordone si estese quindi fino a coinvol­ gere tutti gli ambiti della produzione e della prassi musicale dell’epoca, anche se con funzioni e significati differenti a seconda dei casi. Gli esempi più complessi, compresi quelli solistici e quelli strumentali, era­ no destinati ad esecutori professionisti operanti nelle cappelle delle grandi cattedrali. La restante produzione, potezialmente di larghissimo accesso, costituiva da un lato una prassi ordinaria e quotidiana nelle istituzioni cittadine grandi e medie (e talvolta anche uno strumento di­ dattico per l’educazione alla polifonia dei giovani cantori e dei novizi), dall’altro una essenziale componente della attività musicale festiva delle chiese minori e periferiche dove costituiva verisimilmente la principale, se non l’unica forma polifonica. Seppure mai esplicitamente dichiarato, il nesso tra la nascita del ge­ nere falsobordone e la generale mobilitazione promossa dalla Chiesa controriformista appare oltremodo evidente. La codificazione del falsobordone, infatti, riusciva a soddisfare la crescente richiesta di polifonia di largo accesso creando un genere austero, particolarmente idoneo a soddisfare le generiche indicazioni del concilio di Trento a proposito della chiarezza e semplicità dello stile musicale e del rispetto per l’intellegibilità del testo verbale da rispettare nella musica liturgica.88 Del re­ sto il concetto di intellegibilità del testo come scopo primario per la musica sacra rispondeva alla convincimento che compito della musica 85 Alcune eccezioni costituite da falsobordoni con accompagnamento di liuti e di provenienza spagnola, sono discussi da BRADSHAW, The Falsobordone, pp. 187-90.

86 Come abbiamo già notato questo tipo di falsobordoni ebbe una particolare rilevanza per lo sviluppo del recitativo nelle prime forme del melodramma. Data la marginalità di questo aspetto ai fini della nostra ricerca ci limitiamo a rinviare ancora una volta alle osservazioni di BETTLEY, North Italian Falsobordone.

87 Secondo Bradshaw questo tipo di falsobordoni diede un fondamentale impulso allo svi­ luppo di alcune forme strumentali del Seicento come la toccata per organo. Anche in que­ sto caso la questione è per noi secondarie rinviamo a MURRAY C. BRADSHAW, The Origin of Toccata, American Institute of Musicology MSD, Hansser, Stuttgart 1972. 88 «Ab ecclesiis vero musicas eas, ubi sive organo sive cantu lascivum et impurum aliquid

IL VERSANTE DELLA TRADIZIONE SCRITTA

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fosse enfatizzare ed innalzare il significato del testo,89 e che la chiara presentazione della formula liturgica costituisse un modo diretto di edificazione religiosa.90 In quest’ottica il falsobordone poteva quindi essere considerato un mezzo ideale in quanto salvando l’integrità e la comprensione del testo forniva un minimo di ornamento musicale, scevro da qualsiasi elemento lascivo.91 Se poi è vero che il concilio non canonizzò alcuno specifico stile musicale,92 è anche vero che negli atti dei diversi sinodi cui fu deman­ dato il compito di indicare in pratica le norme del comportamento re­ ligioso in regola con lo spirito controriformista e quindi il tipo di mu­ sica da utilizzare in chiesa, non mancano descrizioni di modelli formali che possono far pernsare al falsobordone. Per esempio gli atti del sino­ do di Ravenna del 1568 prescrivono che la musica dovesse risultare consonante, costruita su singoli versi e con una pausa a metà del verso per distinguerne le sezioni.93 Oppure le Costitutiones synodales sanctae ecclesìase bosanensìs (Bosa è oggi un paese della provincia di Nuoro) promulgate dopo il sinodo del 1591 impongono che Chori magister in nostra cathedrali adsit ecclesiastico canta eruditus, qui praecentoris officium exerceat, ut eius ductu dissonantiae in choro vitentur, antiphonae, gradualia et his similia con-

corditer et recte cantentur, voces deprexae extollantur, nimis elatae remittantur, psalmorum versiculi cum convenienti suspensione distinguantur.94

Inoltre nei casi in cui vi fu il programmatico impegno a costruire una musica rappresentativa dello spirito del concilio la presenza del fal­ miscetur, item saeculares omnes actiones, vana atque adeo profana colloquia, deambulationes, strepitus, clamorea arceant ut Dominus Dei vere domus orationis esse videatur ac dici possit.» (Concilio di Trento, decreto del 17 settembre 1562 (vili 963) citato da STEFANI, Musica e religione, p. 47).

89 LOCKWOOD, The Counter-Refoi-mation, p. 127.

90 ROCHE, North Italian Church Music, p. 10. 91 STEFANI, Musica e religione, p. 175. 92 Come è noto l’elezione del ‘modello’ palestriniano fu postuma e risultato di diversi fattori convergenti. Cfr. BIANCONI, Il Seicento, pp. 107-9 e GINO STEFANI, Musica barocca, Bompia­ ni, Milano 1987, pp. 145-7. 93 Citato da KARL GUSTAV FELLERER, Church Music and the Council of Trent, «Musical Quar­ terly», xxxix/4 1959.

94 Citato da GIOVANNI MASTINO, Un vescovo della riforma di Bosa 1591, Fossataro, Cagliari 1976, p. 208.

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IL FALSOBORDONE FRA TRADIZIONE ORALE E TRADIZIONE SCRITTA

sobordone fu di assoluto rilievo. Si consideri per esempio la produzio­ ne di Vincenzo Ruffo (vedi oltre) direttamente ispirata dalla fervida promozione del cardinale Borromeo a Milano, tra i più impegnati a dar forma agli auspici conciliari in campo musicale.95 Non va poi trascurato il fatto che la diffusione del genere fu quanto mai vasta ed ebbe luogo in maniera quasi capillare proprio nei paesi dove più forte fu l'azione controriformista, Italia e Spagna, mentre in altre aree cattoliche (la Francia o la Germania meridionale) la sua in­ fluenza fu più limitata.96 D’altro canto numerose conferme dello stretto legame tra il genere del falsobordone e la mobilitazione controriformistica vengono dalle fonti musicali stesse già a partire dalla stessa cronologia. Questa infatti ha inizio proprio alcuni anni dopo la conclusione del concilio di Tren­ to e raggiunge il picco intorno al 1600-15 nel periodo cioè in cui si verifica il massimo sforzo propagandistico della Chiesa che condiziona pesantemente anche l’editoria musicale,97 per cessare dopo il 1620 una volta che tale influenza va allentandosi e si afferma pienamente anche nella produzione religiosa la spettacolarità barocca. Anche le dediche apposte alle singole raccolte, sebbene generalmen­ te siano luogo per espressioni letterarie stereotipe, offrono alcuni inte­ ressanti passi che riprendendo certi topoi del Tridentino, confermano, indirettamente, l’esistenza di un rapporto. Simone Boyleau, ad esem­ pio, nella sua raccolta del 1566 Modulationes in Magnificat^ dedicata proprio al cardinale Borromeo, precisa che: [...] itidem quoque concentum seu contrapunctum, vulgo fal­ so bordon nuncupantum [...] aptum ad psalmos omnes modulan-

dos, cui magis quam Reverendissimae D. t. offerem, inveni nemi-

nem. [...] Et quidem non ab re, siquidem praeter caetera quae te provido cuique pastori praeferunt, opta ut in Ecclesia Christi om­ nia secundum ordinem fìant & decenter: precipue vero cantica sa­ cra, quae iuxta psalmographum bene sapienter et in iubilatione cupis decantati.98

95 GIUSEPPE ALBERIGO, Il cristianesimo in Italia, Laterza, Bari 1989, pp. 81-3. 96 BRADSHAW, The Falsobordone, pp. 104-5.

97 POMPILIO, Editoria musicale a Napoli e in Italia p. 84. 98 SIMONE BOYLEAU, Modidationes in Magnificat ad omnes tropos [...], Cesare Poti, Milano 1566. Su questa raccolta si veda GIOVANNI d’alessi, Una stampa musicale del 1566dedicata a San Carlo Borromeo, «Note d’Archivio», X 1932.

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Ma anche l’ideale della piena comprensione del testo verbale, della semplicità e della piena consonanza dell’espressione musicale del falsobordone viene varie volte messo in evidenza. Scrive Matteo Asola nella prefazione alla sua raccolta di falsobordoni del 1575: nondimeno pare, che con grande agevolezza, & soavità de’ can­

tori: & universa! contento, allegrezza, & satisfazione de popoli nelle chiese di Dio si ascoltino [i salmi] espressi co’l mezzo de’ falsi bordo­ ni. Onde io, che fin da fanciullo della musica ecclesiastica mi ho di­ lettato, ne ho composti, & raccolti, non tutti quelli, che comporre,

& raccogliere si potrebbono, che sarebbe un numero quasi infinito,

ma per ordine quatto d’ogni tuono. Et ci ho aggionto anco i falsi bordoni per cantar con la medesima facilità , & dolcezza i sacrosanti hymni usati dalla Santa Chiesa, riducendoli per maggior comodità

de cantori in ordine secondo la maniera de suoi versi [...]."

Accanto a queste motivazioni di ordine teorico, a decretare il suc­ cesso’ del genere falsobordone contribuì certamente la sua adattabilità a situazioni liturgiche differenti. Sebbene destinati prevalentemente al canto dei salmi specie nel corso della celebrazione del vespro, i brani in falsobordone, infatti, potevano essere ugualmente adattati ad altri testi ed eseguiti in altri contesti liturgici costituendo un serbatoio di formu­ le di intonazione di uso immediato. È anzi proprio tale versatilità a co­ stituire probabilmente il motivo principale della vasta presenza di serie organiche di falsobordoni nelle più disparate raccolte di musica liturgi­ ca (vedi il paragrafo 2.6). In più, il carattere austero del falsobordone fece sì che esso divenne un «simbolo musicale adatto a situazioni rituali severe come la settima­ na santa»,99 100 dove infatti esso venne ampiamente praticato. Per esempio l’anonimo dedicatore delle raccolta di Paolo Ferrarese Passiones lamen­ tationes (1565), la prima stampa che, come si ricorderà, indica esplici­ tamente la presenza di falsobordoni, scrive: [...] mi ha persuaso [a stampare queste musiche] la memoria, ch’io ho, d’un ragionamento che V.S.R.101 mi fece [...] [quando]

99 MATTEO ASOLA, Falso bordoni per cantar salmi [...], Figlioli di Antonio Cardano, Venezia

1575. 100 STEFANI, Musica e religione, p. 175.

101 Dalla stessa fonte si apprende che questi è tal don Andrea Pampuro, abbate di San Gior­ gio Maggiore a Venezia e presidente della Congregazione di Montecassino.

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IL FALSOBORDONE FRA TRADIZIONE ORALE E TRADIZIONE SCRITTA mi raccontò con quanta noia, [...], havesse udito la Settimana Santa in Perugia, et in Arezzo le Lamentationi di Geremia profeta, con tante gorghe, e con tante moltitudini di voci, che le erano pa­ rure più tosto un confuso strepito et romore, ch’una distinta musi­ ca, & pietosa, e divota quale si conviene in quei santi giorni, che si rappresenta la passione & morte di GIESU Christo nostro Signore

[.,.] [così] ho fatto istampare queste, colme non meno di pietà, &

di divotione, che di soavità, & dolcezza musicali composition!, nelle quali il canto è così bene accomodato alle parole, & ciascuna d’esse, & ogni sua parte vi si sente in modo distinta. & espressa,

che non sene perde pur un minimo accento: & pare, che non da un’huomo

mortale,

ma

da

un’angelo

di

Paradiso

sia stato

formato.102

Già da queste premesse appare chiaro che il genere falsobordone rappresentò una espressione fondamentale nel panorama della della musica liturgica dell’epoca. La seguente analisi delle stampe e dei ma­ noscritti cercherà di evidenziare, oltre alle caratteristiche musicali, ruoli e ambiti in cui esso venne utilizzato.

2.6. Ifalsobordoni a stampa dei secoli XVI—XVII

Considerando sia le opere costituite esclusivamente da falsobordoni che quelle in cui serie di falsobordoni formano sezioni autonome entro raccolte di musica liturgica si raggiungono ottantasette stampe musica­ li. Pubblicate in maniera costante in un arco temporale di circa settan­ ta anni, molte di queste opere furono più volte ristampate oppure og­ getto di nuove edizioni. In bibliografia riportiamo l’elenco completo con l’inventario dei falsobordoni contenuti in ciascuna stampa e il numero e l’anno delle eventuali ristampe.103 La produzione di falsobordoni presenta una con­ siderevole concentrazione tra l’ultimo decennio del Cinquecento ed i primi due decenni del secolo seguente: tra il 1594 ed il 1625 (ad ecce­ zione del 1617) si registra una stampa per ogni anno. Dopo questa da­ ta la scomparsa del genere falsobordone è affatto repentina e si ritrova­ no solo poche stampe, l’ultima delle quali è del 1669. 102

paolo ferrarese,

Passiones lamentationes [...], Girolamo Scotto, Venezia 1565.

103 Nel corso della ricerca non siamo riusciti a consultare nove di queste stampe e cioè i nn. 6, 19, 22, 26, 30, 42, 55, 80, 88 dell’elenco riportato in bibliografia.

IL VERSANTE DELLA TRADIZIONE SCRITTA

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La confezione della quasi totalità delle stampe è del tipo ordinario per la musica polifonica dell’epoca, cioè in libri parte di grande praticità, nel formato tipico degli stampatori veneziani.104 Anche i frontespizi so­ no del tipo più consueto e mancano edizioni particolarmente raffinate. Per quanto riguarda i luoghi di pubblicazione assolutamente predo­ minante è, ovviamente, Venezia, centro principale dell’editoria musica­ le sia profana che religiosa.105 I nomi dei principali stampatori di que­ sta città, Cardano, Scotto, Vincenzi, Amadino eccetera, coprono circa il 70% di tutte le stampe censite. Tra quelle più tarde, invece, se ne ri­ trova un cospicuo numero di milanesi, uscite quasi tutte dalle officine di Tini e di Rolla. Poche sono quelle di altre città. Tra le raccolte censite (considerando le sole prime edizioni) quelle costituite solamente da falsobordoni sono dodici: otto formate da brani a quattro, cinque o più voci a cappella; una con l’aggiunta del basso continuo per l’organo; e tre costituite da falsobordoni ‘figurati’ ad una e due voci. Collezioni estremamente pratiche di formule di intonazione, tali raccolte presentano ciascuna diverse decine di brani, ordinati sempre sopra gli otto tuoni ecclesiastici’, con l’aggiunta in alcuni casi del ‘tonus peregrinus’ o ‘tono misto’, e suddivisi in varie serie (‘ordini’) per ciascun ‘tuono’. Il numero di brani per ciascun ordine’ differisce da caso a caso. I falsobordoni sono a quattro o cinque voci senza testo verbale, o, in pochi casi, con la semplice indicazione dell’incipit del testo di un salmo di riferimento (vedi l’esempio 70). Oltre che per il canto dei salmi queste raccolte presentano alcuni esempi di falsobordoni con altre indicazioni: per «cantar gli hymni se­ condo il suo canto fermo»,106 oppure, più specificatamente, per cantare «l’hinno Te Deum laudamus»107 o l’antifona «Salve Regina».108 104 Vedi MARY S. LEWIS, The printed Music Book in Context: Observation on some Sexteeth-Century Editions, «Notes», xlvi/4 1990. 105 Cfr. ROCHE, North Italian Church Music, POMPILIO, Editoria musicale a Napoli e in Italia.

106 MATTEO ASOLA, Falsi bordoni per cantar salmi [..Vincenzi e Amadino, Venezia 1584. 107 LUDOVICO VIADANA, Falsi bordoni a cinque voci [...], Vincenti, Venezia 1596. Va notato che la presenza di inni in falsobordone costituisce una sorta di eccezione rispetto ad una norma accettata del periodo che voleva la musica per questi testi particolarmente elaborata. Scrive ad esempio Pedro Cerone «Los tres canticos principales, es à faver Magnificat, Nunc dimittis, y Benedictus Dominus Deus Israel siempre se suelen hazer solennes: y por esto com vien esten compuestos con estilo mas subido y de mayor arte y primor, que los otros canti­ cos, y que los Psalmos [i quali — come abbiamo visto in precedenza — si debbono com­ porre in falsobordone]» (CERONE, El melopeoy maestro, p. 689).

108 LUDOVICO VIADANA, Falsi bordoni a quattro voci [...], Giovan Battista Robletti, Venezia 1612.

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IL FALSOBORDONE FRA TRADIZIONE ORALE E TRADIZIONE SCRITTA

Un caso particolarmente interessante tra le raccolte di soli falsobor­ doni è costituito da quella stampata a Venezia nel 1601 da Angelo Cardano e contenente «falsi bordoni omnium tonorum a diversis eccellentissimis auctoribus modulati [...]».109 Essa non ha dedica alcuna e, a differenza di tutte le altre (e a differenza della norma generale della musica polifonica dell’epoca), non è redatta in libri parte bensì in par­ titura. I brani di questa raccolta presentano cadenze estremamente schematiche, senz’altro fra le più semplici di tutte le raccolte (vedi esempi 79 e 80) e sono organizzati in una notevole varietà di soluzioni esecutive, a quattro, cinque e sei voci, pari e non, più alcuni per dop­ pio coro: senz’altro la più vasta scelta di possibilità esecutive di tutte le raccolte in questione. Questi dati fanno ritenere che essa costituisse una iniziativa editoriale promossa dello stampatore in risposta alla richiesta del mercato’ di una vasta collezione di formule di intonazione valida per qualsiasi circostan­ za e con qualunque formazione corale, una sorta di schematico prontua­ rio per i maestri di cappella. Non è altresì escluso che essa abbia costitui­ to anche un supporto all’attività didattica, uso al quale era frequente­ mente destinata la pratica del falsobordone (vedi il paragrafo 3.2).110 Una segnalazione particolare merita anche la raccolta di Matteo Asola Falso bordoni per cantar salmi in quattro ordini divisi sopra gli ottto tuoni ecclesiastici [...].’11 Essa infatti si può considerare la più ‘famo­ sa’ tra le raccolte in questione, oggetto di ristampe e riedizioni, l’unica ad essere citata dalle fonti letterarie dell’epoca (vedi il paragrafo 2.9). Nelle altre stampe censite i falsobordoni invece costituiscono serie organiche, più o meno ampie, all’interno di raccolte diverse di musica religiosa. La maggior parte di queste raccolte sono collezioni di salmi destinate alla liturgia del Vespro con eventuale appendice di testi con altra destinazione.112 Poche sono quelle di mottetti e/o messe, mentre quattro sono costituite da lamentazioni, responsori e altri brani desti­

109 Falsi bordoni omnium tonorum a diversis eccellentissimis auctoribus modidati [...], Carda­ no, Venezia 1601. no Non abbiamo trovato notizie su questa stampa in altre fonti dell’epoca. 111 MATTEO ASOLA Falso bordoni per cantar salmi 1575.

Figli di Antonio Cardano, Venezia

1,2 Sull’organizzazione delle raccolte di musica liturgica dell’epoca vedi ROCHE, North Ita­ lian Church Music, pp. 32-7. Segnaliamo nel nostro elenco l’esistenza di una stampa che unisce insieme salmi, messe mottetti: SERAFINO PATTA, Missa psalmi motect ac litanie [...], Venezia, Vincenti 1606.

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nati alla settimana santa. Più di un terzo delle raccolte non dichiara la presenza di falsobordoni nel frontespizio. Il caso più frequente che si riscontra in tali stampe è costituito da una serie di otto falsobordoni, uno per ciascun tuono, dati senza testo verbale e posti in conclusione, quasi a costituire una sorta di appendice. A prescindere dalla destinazione complessiva delle stampe tali serie di falsobordoni sono di norma esplicitamente indicate (nelle tavole conclu­ sive e/o in testa alla pagina di ciascun libro parte) per il canto dei salmi nella liturgia del Vespro. Raramente si ritrovano diverse indicazioni.113 In una decina di casi invece le raccolte presentano un numero mi­ nore di falsobordoni. In tali casi si può ritrovare l’indicazione del pri­ mo verso di un salmo, per lo più il Miserere (vedi esempi 67, 79, 82 e 85) a cui si aggiungono alcune versioni del Dixit Dominus e un De pro­ fundis (vedi esempio 84), oppure degli inni, Magnificate Pange lingua, nonché del cantico Benedictus Dominus Deus Israel Per quanto riguarda il numero delle parti vocali l’insieme delle stampe offre la più vasta varietà di combinazioni. Oltre ai consueti fal­ sobordoni a quattro e cinque voci, si hanno infatti falsobordoni a tre voci (esempio 76) e a sei voci (esempio 74), nonché a otto e nove voci, a due o tre cori spezzati secondo una pratica assai consueta all’inizio del diciassettesimo secolo (esempi 75 e 82). A partire da quest’ultimo periodo quasi tutte le raccolte hanno anche una parte del basso per l’organo (esempi n. 80, 81 e 86), testimonianza di una prassi esecutiva che era verosimilmente in uso già negli ultimi decenni del secolo prece­ dente (vedi paragrafo 2.7). Va altresì ricordato che i falsobordoni potevano (e certamente erano) adattati ad un diverso numero di parti vocali (con eventuali esecuzioni strumentali di una o più parti vocali) in ragione delle disponibilità dei gruppi degli esecutori, secondo una prassi che del resto era assai consue­ ta nella musica liturgica dell’epoca.114*Scrive ad esempio Giovanni Ghizzolo negli «Avvertimenti» apposti alla propria raccolta di salmi del 1619: Per voler in parte sodisfare al giuditioso gusto, che le persone

di questa nostra età ricercano nelle compositioni, non mi è parso fuor di proposito voler concertare in tal maniera questa mia opera,

113 Ad esempio «ad Missam Falsi Bordoni in Consonanza» in LUDOVICO VIADANA, Offìcium defunctorum Vincenti, Venezia 1600; oppure «Falsi bordoni per la Compieta» in PIE­ TRO VINCI, Il primo libro delle lamentazioni [...], Erede di Girolamo Scotto, Venezia 1579. 1,4 ROCHE, North Italian Church Music, pp. 32 ss.

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IL FALSOBORDONE FRA TRADIZIONE ORALE E TRADIZIONE SCRITTA

che insieme avendo del vago conservi anco il grave, ò vogliamo di­ re, secondo il modo di parlare d’alcuni ritenghi la debita maniera dell’arte: in oltre che dove sarà copia di voci si possi cantare à no­

ve, dove penuria à cinque; e dove copia d’istrumenti in parte servi per sinfonia; & acciò in questa varietà tanto li cantori, quanto li organisti habbino facilità.115

Falsobordoni a una e due voci sono infine quelli ‘figurati’ di cui parleremo in conclusione del prossimo paragrafo (vedi esempio 87). Prima di passare ad una disamina della struttura musicale dei falsobordoni a stampa è da segnalare che dalla lettura dei frontespizi delle raccolte censite viene una precisa conferma della provenienza del ter­ mine dal volgo’ o dai prattici’, analogamente a quanto si è visto nel paragrafo precedente e nel paragrafo 2.1 a proposito delle fonti lettera­ rie. Ad esempio Simone Boyleau scrive «[...] addito insuper concentu vulgo falso bordon nominato [...]»;116 Paolo Isnardi «psalmi omnes [...] et compositiones falsi bordoni vulgo appellatae [...]»;117 Rocco Rodio «psami ad vesperas [...] quae vulgus falso bordone appellar [...]»;118 Cesare Zaccaria «[...] cum singolorum tonorum psalmodiis quae vulgo falso bordoni dicuntur [..,]»;119 Orfeo Vecchi «[...] et modulationes 8 quae vulgo falsibordoni nuncupantur».120 È altresì da os­ servare che queste dichiarazioni si ritrovano tutte prima del 1600, nei primi decenni della diffusione del genere falsobordone, quando esso veniva considerato una novità’ (vedi il paragrafo 2.2). Più tardi una analoga dichiarazione si ritrova solo nell’ultima delle stampe censite, quella di Lorenzo Penna che nel frontespizio precisa «falsis bordon (ut aiunt)».121 Tale precisazione può essere dovuta al fatto che questa stam­ pa viene alla luce molto lontana cronologicamente dal periodo della piena fioritura del genere (e ben diciannove anni dopo la precedente) quando il falsobordone costituiva oramai un arcaismo’ musicale.

1,5 GIOVANNI GHIZZOLO, Messa salmi Iettante B.V [...], Vincenti, Venezia 1619. 1,6 BOYLEAU, Modulationes in Magnificat.

117 PAOLO ISNARDI, Psalmi omnes [...], Scotto, Venezia 1569. 1,8 ROCCO RODIO, Psalmi ad vesperas [...], Mattias Cancer, Napoli 1573.

1,9 CESARE ZACCARIA, Patrocinum musices intonationes vespertinaprecum [...], s.e., 1594.

120 ORFEO VECCHI, Psalmi integri [...], Eredi di Francesco e Simone Tini, Milano 1596. 121 LORENZO PENNA, Psalmorum totius anni\_...], Giacomo Monti, Bologna 1669.

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2.7. Caratteristiche musicali del genere falsobordone Il materiale musicale che costituisce il genere falsobordone, al di là del­ le diversi combinazioni vocali che si riscontrano nelle stampe (quattro, cinque o più voci, con o senza organo, doppi o tripli cori eccetera), presenta una struttura regolare e sempre chiaramente individuabile. Tutti i brani, infatti, sono costituiti da un solo verso musicale diviso in due metà, ognuna delle quali ha una sezione di recitazione costruita su un solo accordo, ed una cadenza.122 Quest ultima può essere formata da un numero variabile di accordi sempre in posizione fondamentale che possono procedere in maniera omoritmica oppure essere lo sfondo per episodi di contrappunto fra le voci.123 Per illustare il genere falsobordone proporremo in questo paragrafo Panatisi di una serie di esempi significativi. Prima di iniziare ci sembra però opportuno aprire una parentesi. Murray C. Bradshaw propone uno schema evolutivo del falsobordone che egli elabora considerando principalmente il trattamento del cantus firmus di derivazione gregoria­ na. Ne riassumiamo sinteticamente le tappe. La prima fase dello sviluppo del genere, dalle prime attestazioni fi­ no alla fine del sedicesimo secolo, viene definita del falsobordone clas­ sico’ ed è caratterizzata da brani a quattro voci a cappella.124 Gli esempi di tale fase a loro volta sono suddivisi in tre gruppi: a) ‘falsobordone classico semplice’, che lo studioso americano definisce il modello di ri­ ferimento, dove il cantus firmus, non abbellito, è chiaramente esposto nella parte del soprano e dove le voci procedono in maniera omoritmi­ ca anche in fase di cadenza; b) ‘falsobordone classico parafrasato’ in cui il cantus firmus è oggetto di abbellimenti o talvolta con la serie delle note suddivisa tra voci diverse, e la cadenza non è rigorosamente omo­ ritmica; c) ‘falsobordone classico libero’, a partire dal 1570 circa, dove

122 Solo in pochi casi le stampe danno più di un verso. Le variazioni tra questi sono comun­ que minime: vedi il Pange lingua in FERRARESE, Passiones lamentationes, nonché il Magnificat in ISNARDI, Omnes ad vesperaspsalmi.

123 Poche sono le eccezioni costituite da accordi non in posizione fondamentale. Tra queste vedi oltre l’esempio 67 e quanto detto in proposito. 124 BRADSHAW, The Falsobordone, non distingue le fonti in base alla esplicita denominazione e alla struttura formale del verso, non identificando perciò quel corpus che noi abbiamo de­ finito genere falsobordone.

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scompare il riferimento a qualsiasi cantus firmus mentre la fase caden­ zale è oggetto di articolate eleborazioni. A partire dai primi anni del diciassettesimo secolo, negli stessi anni dell’esordio del falsobordone solista passeggiato’, si apre, sempre secon­ do Bradshaw, una nuova fase definita del ‘falsobordone classico concer­ tato’ che prevede l’aggiunta di una parte di organo raddoppiante la par­ te del basso, e destinate ad esecuzioni a più cori. Tale rinnovamento ha luogo in risposta al cangiante gusto di quegli anni nella musica liturgica e come conseguenza dell’affievolirsi del rispetto dei principi musicali controriformistici. Il rifermento ad un cantus firmus è molto libero o scompare del tut­ to, mentre dal punto di vista armonico l’intero verso, che prima era concepito come la somma di due sezioni reciprocamente indipendenti, comincia ad essere trattato come una sequenza unica che gradatamente si avvia verso una logica pienamente tonale. Nonostante i tentativi di rinnovamento e di adattamento alla muta­ ta epoca, lo studioso americano scrive che a partire dal 1620 circa il falsobordone cominciò a diventare un cliché, una sorta di relitto di una pratica musicale antica, senza alcuna funzionalità tanto da scomparire del tutto nel volgere di pochi anni. Gli elementi che Bradshaw individua sono certamente presenti nel­ le stampe ed in particolare la scomparsa di un cantus firmus gregoriano costituisce un processo graduale ed evidente. Tuttavia il lineare svilup­ po cronologico prospettato contrasta con la nostra analisi delle fonti che non identifica precise Tasi’ evolutive rappresentabili in una parabo­ la che va da una fase semplice ad un apice ad una fase di progressivo decadimento con conseguente scomparsa. Ciò, se non altro, perché la struttura musicale del falsobordone rimane assolutamente immutata nel corso degli anni, così che, ad esempio, anche nelle stampe più tarde accade di ritrovare brani con cadenze semplici ed omoritmiche che non differiscono da quelle delle seconda metà del sedicesimo secolo (vedi esempio 86). Inoltre, come parzialmente abbiamo già visto (vedi il paragrafo 2.3), è certamente errato parlare di un esaurimento’ o di una sparizio­ ne’ del falsobordone con la sua scomparsa dalle fonti a stampa, poiché esso mantenne in seguito una propria vitalità e funalità all’interno di determinati ambiti esecutivi, senza alcuna soluzione di continuità (vedi oltre, capitolo 3). D’altra parte non va dimenticato che il falsobordone venne sempre considerato nient’altro che una rudimentale formula di intonazione po­

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lifonica, e che nei suoi confronti i musicisti ed i teorici non dimostraro­ no che un interesse relativo e del tutto marginale rispetto alle altre for­ me della musica religiosa (vedi il paragrafo 2.9). Le fonti scritte poi si debbono propriamente considerare come una sorta di indicazione ste­ nografica di successioni accordali che offrivano ampi margini di libertà esecutiva a discrezione dei cantori ed anzi richiedevano sempre un rile­ vante contributo interpretativo, basti solo pensare alla indeterminatezza della scrittura ritmica (vedi oltre). Nulla perciò autorizza a pensare che nelle principali cappelle musicali non fossero utilizzate cadenze assai ar­ ticolate ed abbellite ben prima della loro comparsa nelle fonti scritte. Sarebbe invece alquanto improbabile supporre il contrario, cioè che gruppi di cantori professionisti potessero eseguire le cadenze in assoluta omoritmia, così come sono scritte negli esempi che Bradshaw definisce del falsobodone ‘classico semplice’ (vedi esempi 69 o 70). È poi noto che una tra le forme più complesse’, il falsobordone passeggiato’ posse­ deva una precisa ‘tradizione’ esecutiva esclusiva della Cappella Sistina anteriore alle sue attestazioni scritte (vedi il paragrafo 3.2). Ci sembra perciò più pertinente limitarsi a considerare gli esempi con le cadenze più complesse (come quelle dell’esempio 76) come la ‘registrazione’ scritta di soluzioni espressive destinate alle cappelle maggiori. Alla luce di queste considerazioni la trattazione che proporremo in questo paragrafo mirerà pertanto alla illustrazione degli esiti più rap­ presentativi di tali soluzioni espressive prescindendo da una precisa consequenzialità tra le diverse raccolte. La raccolta del monaco benedettino Paolo Ferrarese Passiones la­ mentationes del 1565 costituisce, come detto, la prima fonte ad utiliz­ zare il termine falsobordone. Gli esempi così denominati, due versioni del Miserere, due dell’inno Benedictus, e un Pange lingua, sono tutti a quattro voci e presentano solo il primo verso di ciascun canto avverten­ do che «sic cantentur alij versus». È riportato l’accordo ribàttuto della recitazione, redatto con valori ritmici diversi che rispettano l’accentua­ zione delle parole. La cadenza è limitata ad un solo accordo e richiede minimi movimenti delle parti.

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Esempio 67. Paolo Ferrarese, Miserere fe 6. in falso bordone.

Va tuttavia sottolineato il fatto che altri brani di questa stessa rac­ colta, sia salmi sia altri testi liturgici, presentano una struttura musicale del tutto analoga alla precedente ma non vengono detti falsobordoni. Riportiamo un altro dei Miserere che non sono definiti in falsobordo­ ne. In questo caso la musica è scritta per tutti i versi del testo verbale, benché le differenze siano minime. L’esempio si limita ai primi due versi. Esempio 68. Paolo Ferrarese, Miserere.

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Come si vede le principali differenze con l’esempio precendente ri­ guardano i movimenti della parte dell’ altus e la presenza di cadenze re­ lativamente più elaborate. Ben evidente è però anche nel secondo Mi­ serere la struttura del falsobordone. Va detto che le stesse considerazioni si possono estendere anche a numerose altre stampe studiate. E perciò da supporre che la definizio­ ne ‘falsobordone’ applicata ad un brano di musica liturgica volesse in­ dicare per i musicisti non solo l’adozione di quel modello formale che abbiamo in precedenza individuato (un verso bipartito con le due se­ zioni risultanti articolate nello schema accordo ribattuto - cadenza), ma anche il ricorso alla struttura strofica (musica uguale per tutti i ver­ si del testo). I più noti falsobordoni dell’epoca sono senz’altro quelli del reveren­ do Giovanni Matteo Asola (1524-1609). Egli fu del resto l’autore di un cospicuo numero di brani citati ad esempio dai pochi teorici che trattarono l’argomento (vedi il capitolo 2.9), gran parte dei quali editi in una raccolta, Falso bordoni per cantar salmi del 1575, oggetto di ri­ stampe e riedizioni negli anni seguenti.125

125 MATTEO ASOLA, Falsi bordoni per cantar salmi. Le ristampe e riedizioni sono indicate nell’elenco riportato nella bibliografia.

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Esempio 69. Matteo Asola, Del primo tuono. Terzo Ordine.

Questo primo esempio dalla raccolta di Asola si presenta in forma assai schematica: la bipartizione e la suddivisione tra recitazione e ca­ denza, che ha una successione di quattro accordi, vi appaiono assai evi­ denti. Il cantus firmus è altrettanto chiaramente esposto nella voce su­ periore. Manca il testo verbale secondo un uso che, come vedremo anche negli esempi seguenti, è la norma comune a gran parte dei falsobordo­ ni. In questo caso comunque nella prima pagina della stampa, in corri­ spondenza con il primo tuono del primo ordine’ è indicato l’incipit di un salmo di riferimento: Doneeponam. Le reiterazioni dell’accordo della recitazione sono riportate integral­ mente: il numero delle note, compresa la cadenza, corrisponde infatti alle sillabe del primo verso del testo del salmo citato. Per l’esecuzione degli altri versi del testo o di altri salmi veniva ovviamente presupposto che i cantori procedessero a eventuali adattamenti’ nel caso vi fosse un diversi numero di sillabe, aumentando o diminuendo il numero delle ripetizioni dell’accordo di recitazione. Allo stesso modo un adattamento’ era pure richiesto per l’articola­ zione ritmica che non è esplicitata, dato che tutte le note (tranne le fi­ nali) hanno lo stesso valore. Di norma il ritmo della musica seguiva ri­ gorosamente l’accentuazióne del testo verbale (vedi oltre). Gli accordi presentano tutti il raddoppio della nota fondamentale ad eccezione del penultimo della prima sezione, l’unico a non essere in posizione fondamentale che è un accordo evidentemente secondario, ottenuto attraverso un movimento per grado di tutte le parti che ha la funzione di enfatizzare l’accordo conclusivo della sezione. Come avviene in una cospicua parte dei falsobordoni analizzati, l’accordo iniziale della recitazione e quello conclusivo del verso coinci­

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dono,126 mentre la prima sezione si conclude con un accordo sul quin­ to grado. Insolito è invece l’accordo sul terzo grado della ripresa (reci­ tazione della seconda sezione) poiché sovente anche questo accordo è sul quinto grado. Si noti poi il rinforzo dell’accordo conclusivo del ver­ so con la successione I-V-L Anche le singole parti, infine, presentano un andamento affatto ti­ pico: le tre voci superiori si muovono quasi sempre per gradi congiun­ ti, mentre il basso presenta vari salti che determinano la successione delle note fondamentali degli accordi. In particolare si noti il salto di quarta all’inizio di entrambe le cadenze, elemento alquanto ricorrente che ritroveremo anche in altri esempi. Il brano seguente, tratto dalla stessa raccolta di Asola, illustra invece un falsobordone con cadenze non omoritmiche prodotte da anticipa­ zioni e ritardi nella condotta delle parti. Esempio 70. Matteo Asola, Dellottavo tuono. Primo ordine.

126 Spesso tale coincidenza riguarda anche la disposizione delle voci.

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In questo caso il cantus firmusy esposto sempre nella voce superiore, è ornato nella cadenza con l’aggiunta di note estranee. L’accordo inizia­ le coincide con quello finale della prima sezione (mancante quest’ulti­ mo della quinta) e con quello della ripresa, mentre la conclusione è sul quinto grado.127 Le cadenze presentano transitorie dissonanze provoca­ te dal movimento delle parti superiori. Accanto ai falsobordoni a quattro voci, assai consueti sono quelli a cinque. L’esempio seguente è tratto dalla produzione di Vincenzo Ruffo (ca. 1510-1587) anch’essa tra le più rappresentative del genere falsobordone (vedi il paragrafo 2.8). Esempio 71. Vincenzo Ruffo, Il tuono pellegrino per lo exitu.

In questo caso manca l’accordo ribattuto iniziale ma è evidente che la recitazione sia da intendere sul primo accordo di ciascuna delle due sezioni. Le note raddoppiate sono la fondamentale e la quinta della triade ma non la terza, eventualità questa alquanto rara anche negli al­ tri brani. L’accordo iniziale e quello finale del verso coincidono, mentre quel­ lo conclusivo della prima sezione coincide con quello della ripresa ed è sul terzo grado. Da notare il movimento del basso esclusivamente per salti di quarta e di quinta.

127 Si noti la successione I-V-VI-V-I della prima sezione, tipico schema di cadenza tonale.

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Un altro significativo esempio a cinque voci è tratto dalla raccolta Psalmi omnes qui ad vesperas decantatur [...], opera del maestro di cap­ pella ferrarese Paolo Isnardi (1536-1596).128 Anche Isnardi fu un auto­ re assai prolifico di falsobordoni tanto da dare alla luce nel 1585 una stampa costituita solamente da brani di questo tipo.129 Esempio 72. Paolo Isnardi, Quinti toni.

128 PAOLO ISNARDI, Psalmi omnes qui ad vespera decantantur

Girolamo Scotto, Venezia

1569. 129 PAOLO ISNARDI, Psalmes ad vesperas psalmi qui falso (ut aiunt) Bordonio concini [...], Gia­ como Vincenti e Riccardo Amadino, Venezia 1585.

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Gli accordi su cui ha luogo la recitazione sono indicati con una longa, evenienza più ricorrente in tutte le stampe. In questo caso coinci­ dono solo gli accordi iniziali e finali del verso, mentre la cadenza inter­ media e la ripresa sono rispettivamente sul terzo e sesto grado. Si osser­ vi inoltre come entrambi gli accordi conclusivi delle sezioni siano affermati’ attraverso l’inserimento en passant di accordo sul relativo quinto grado. Da notare anche, in entrambi i casi, il ritardo della terza di questo penultimo accordo (nella parte del tenor della prima cadenza; dell’ altus nella seconda) ritardo che enfatizza una avvertita funzione di sensibile’: è verisimile, infatti, che entrambe queste note fossero alzate di un semitono al momento dell’esecuzione, secondo le norme della musica ficta. Un esempio dove questa funzione di sensibile’ è affatto evidente è il brano seguente tratto da una stampa del maestro di cappella berga­ masco Giovanni Cavaccio (ca. 1556-1626). Esempio 73. Giovanni Cavaccio, Falsobordoni. Quinti toni.

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Qui infatti il raddoppio della fondamentale dell’accordo è introdot­ to in entrambi i casi per semitono ascendente (l’alterazione del si nel cantus della prima sezione è indicata dalla notazione). La funzione di sensibile’ svolta da questa introduzione è altresì sottolineata dal com­ plessivo movimento melodico della parte {cantus nella prima sezione, altus nella seconda) che si staglia nettamente nel contesto armonico. Si noti pure la successione accordale I-IV-I-II—V // I-IV-VI—V—I di tut­ to il verso che rientra perfettamente in una logica tonale (fa maggiore). Se l’organico a quattro o cinque voci costituiva la norma non infre­ quenti sono i falsobordoni a sei voci. Un altro esempio di Matteo Aso­ la illustra tale occorrenza. Esempio 74. Matteo Asola, Doneeponam. Primi toni

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In questo caso il testo è scritto per esteso sotto i pentagrammi solo per il primo tono (quello cioè riportato nell’esempio), sebbene senza al­ cuna differenziazione ritmica delle ripetizioni dell’accordo di recitazio­ ne. L’aumento del numero delle voci porta anche al raddoppio della terza dell’accordo benché ciò avvenga solamente nei due accordi inizia­ li delle sezioni. Una serie di sontuosi falsobordoni a nove voci si ritrova in una rac­ colta del prete fiorentino Pietro Lappi (fine del XVI secolo-ca. 1630). Esempio 75. Pietro Lappo, Primi toni.

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Ancora una volta accordo iniziale e finale del verso coincidono, mentre la prima sezione si conclude con una cadenza sul quinto grado e la seconda invece si apre con l’accordo sulla tonica. Si noti anche rag­ giunta del basso per l’organo (vedi oltre). L’unico esempio di falsobordoni a tre voci a cappella documentato dalle stampe si ritrova invece in una raccolta del frate minore conven­ tuale Valerio Bona (ca. 1560-dopo il 1620).130 130 Altri falsobordoni a tre voci con basso continuo sono in GIOVANNI VALENTINI, Salmi, Hinni, Magnificat [...], Vincenti, Venezia 1618. Vedremo più avanti che nei trattati teorici e nei manuali di canto questa formazione non è del tutto inconsueta ed assolve a intenti di­ dascalici (vedi i paragrafi 2.9 e 3.3.2).

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Esempio 76. Valerio Bona, Primi toni.

In questo caso è da segnalare 1’estrema complessità delle cadenze. Si tratta evidentemente di una stampa destinata a cantori professionisti. L’uso delle tre voci, per altro inconsueto nelle stampe della musica reli­ giosa dell’epoca, non ha perciò alcun valore didascalico ma ha eviden­ temente lo scopo di marcare, in fase di cadenza, il virtuosismo delle voci: si noti infatti il movimento di ciascuna parte e l’articolato gioco contrappuntistico. Non mancano salti melodici nelle voci superiori mentre il bassus procede prevalentemente per gradi congiunti e manca del tipico andamento per salti di quarta e quinta. Inoltre sono presenti incroci tra le parti, evenienza affatto rara negli altri falsobordoni dove gli ambiti di tutte le voci sono chiaramente distinti, anche nel caso di un numero relativamente elevato di parti.131 Tornando ai falsobordoni a quattro e cinque voci, tre esempi che ci permettono di evidenziare aspetti significativi che provengono dalla raccolta stampata da Angelo Cardano di cui abbiamo parlato nel para­ grafo precedente.

131 Qualche caso di incordo di parti si verifica in alcuni falsobordoni a cinque voci compresi in ISNARDI, Psalmi omnes.

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Esempio 77. [Cardano 1601], Prima modulario. Quatuor vocum. Secundi toni.

In questo caso 1’accordo della recitazione della prima sezione, indi­ cato dalla longa, è sul quinto grado rispetto all’accordo iniziale che si può considerare una sorta di attacco’. Tale evenienza si verifica anche in altri brani della stessa raccolta e di altre stampe. E da segnalare altre­ sì il riempimento per moto graduale di semiminime del salto di quinta (sia ascendente sia discendente) nella parte del bassus. Anche questo è un tratto che si ritrova con una certa frequenza nelle altre stampe. Pure il successivo esempio proviene dalla raccolta di Cardano. Esempio 78. [Cardano 1601], Prima modulario. Quinque vocum. Quinti toni.

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In questo caso è l’accordo della recitazione della seconda sezione ad essere introdotto dalla ripetizione dell’accordo conclusivo della prima sezione. Le cadenze, che sono tra le più articolate di tutta la raccolta, presentano salti melodici anche nelle parti superiori e non il consueto movimento per gradi congiunti. Sempre nella stessa raccolta si ritrovano alcuni esempi di falsobor­ doni attribuiti a due frati francescani, Ludovico Balbi (1545-1604) e Costanzo Porta (ca. 1529-1601). Di quest’ultimo è altresì dato un Mi­ serere a cinque voci.

Si noti l’anticipazione dell’accordo conclusivo della prima sezione, evenienza poco frequente in questa forma. La successione accordale è al­ quanto dissimile da quella della quasi totalità dei brani di questa stampa (e della norma condivisa dai falsobordoni), con conclusione della prima sezione su un accordo sul secondo grado rispetto a quello iniziale. Gli esempi sin qui visti sono tutti a cappella, destinati possibilmen­ te ad una esecuzione corale, con più di un cantore per parte. Come già accennato, a partire dai primi anni del diciassettesimo secolo compare nelle stampe l’aggiunta di una parte per organo. Questa è identica alla parte del bassus ma ovviamente veniva realizzata secondo le norme del basso continuo. La prima stampa fra quelle qui considerate a presentare tale aggiun­ ta è la raccolta di Orfeo Vecchi, Salmi intieri a cinque voci, del 1598.132 132 ORFEO VECCHI, Basso principale da sonare delti salmi intieri a cinque voci [...], Erede di

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Il brano seguente, proveniente da una raccolta dell’organista Giulio Belli, da Longiano (ca. 1560-ca. 1615) è un significativo esempio di tale pratica. Esempio 80. Giulio Belli, Falsibordoni septimi toni.

Le cifre della parte dell’organo comprendo gli accidenti di rilievo realizzati dalla parte del cantus, il quale, in questo caso, si caratterizza per il lungo frammento per gradi congiunti che conclude il verso, stagliadosi nettamente nella trama armonica. Simone Tini e Giovanni Francesco Besozzo, Milano 1598. La parte del basso si adatta ai salmi pubblicati dallo stesso autore in una stampa di due anni precedente: VECCHI, Psalmi integri.

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L’unica stampa costituita solamente da falsobordoni con il basso per l’organo è opera del frate minore Ludovico da Viadana (ca. 1560-1627), tra i principali compositori di musica liturgica dell’epoca (vedi il para­ grafo 2.8). Essa è importante anche perché è l’unica raccolta di falsobor­ doni stampata a Roma, ed è quindi da ritenere che possedesse un forte valore emblematico.133 Ne riportiamo un esempio. Esempio 81. Ludovico Viadana, Del primo tono, a 4, sesto ordine.

Allo stesso modo assai frequenti, a partire dai primi anni del Seicen­ to, sono i falsobordoni per due o più cori, secondo una pratica molto diffusa all’epoca. Illustriamo un Miserere dell’organista Giovan Battista Strata (fine del secolo XVI—prima metà del secolo XVll) posto in conclu­ sione di una stampa genovese del 1610, Arie di musica, che raccoglie una considerevole varietà di brani liturgici e devozionali. In questo caso la redazione è in partitura ed ha aggiunta la seguente didascalia: Salmo Miserere mei Deus in falsobordone à quattro, & otto voci, à dui chori separati, e tutti dui insieme quando vi piacerà,

con voci, e stromenti, e per variare qualche volta si può servire de i falsobordoni delle letame antecedenti.134

133 Una accurata analisi di questa stampa è in MURRAY C. BRADSHAW, Ludovico Viadana as a Composer ofFalsobordoni, «Studi Musicali», xix/1 1990. Su essa inoltre si registra inoltre un giudizio sostanziaimenete negativo di MOMPELLIO, Ludovico Viadana, p. 58. 134 Notiamo che le «letame precedenti» sono dichiarate in falsobordone solo in questa dida­ scalia e non nella tavola o in nel titolo apposto alle rispettive pagine o in altre parti della stampa.

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Esempio 82. Giovan Battista Strata, Miserere. «Primo choro»

«Secondo choro. Basso e tre tenori; overo tre soprani all'ottava alta. Si può concertare con quattro tromboni e voci con l'organo»

L’indicazione apposta in testa alla parte del secondo coro, ad inte­ grazione della didascalia precedente, dimostra l’estensione al falsobor­ done di una pratica assai consueta all’epoca. Per quanto riguarda la tra­ ma armonica si noti inoltre la cadenza piagale della prima sezione. Un esempio di falsobordone di assoluto interesse per la nostra ricer­ ca si ritrova in una altra stampa di Ludovico Viadana, l’Officium defunctorum. La prima edizione di questa opera, datata 1600, contiene la consueta serie di brani prevista per le raccolte con tale destinazione, in­ cludendo altresì un De profundis ed un Miserere nonché la solita serie di «falsobordoni in consonantia» senza indicazione di testo verbale.135 135 LUDOVICO DA VIADANA, Officium defunctorum omnia quae musico modulamine in exequiis

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IL FALSOBORDONE FRA TRADIZIONE ORALE E TRADIZIONE SCRITTA

Una nuova edizione di questa raccolta, pubblicata nel 1616, pre­ senta, tra le diverse novità, raggiunta di «litanie alio modo», cioè dei alcune formule di intonazione delle litanie destinate «ad laudes».136 Queste litanie sono definite da Viadana «more rusticorum» e sono scritte in chiaro stile falsobordone, benché non denominate in tal mo­ do, analogamente a quanto visto in precedenza a proposito delle Lita­ nie campagnole contenute nella raccolta di Litanie del 1607 (vedi esem­ pio 52). Di seguito a queste «litanie alio modo» Viadana presenta due salmi, un De profundis ed un Miserere, concepiti aneli essi nella più semplice struttura del falsobordone (e diversi da quelli della prima edi­ zione), e con questo termine denominati (sebbene ciò avvenga solo nella tabula posta alla fine della stampa). Se si considera che la stessa stampa presenta in conclusione una se­ rie di otto «falsobordoni in consonantia», scritti questa volta con ca­ denze relativamente complesse, si potrebbe allora ipotizzare che l’espressione «more rusticorum» possa riferirsi anche ai falsobordoni. Viadana cioè offrirebbe in questa pagina delle formule di intonazione ‘facilizzate anche dei salmi, alla maniera «rusticorum». Riproduciamo la pagina 20 della parte del cantus della copia con­ servata presso il Civico Museo Bibliografico Musicale di Bologna, se­ guita dalla trascrizione di entrambi i salmi dichiarati in falsobordone.

defiinctorum recitari possimi [...], Giacomo Vincenti, Venezia 1600. In proposito vedi BRADSHAW, Ludovico Viadana as a Composer ofFalsobordoni. 136 LUDOVICO DA VIADANA, Ojfìcium defiinctorum quatuorparibus vocibus decantandum Giacomo Vincenti, Venezia 1616.

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Esempio 83. Ludovico Viadana, pagina 20 della parte del Cantus dall’ Officium defunctorum quatuorparibus vocibus [...].

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IL FALSOBORDONE FRA TRADIZIONE ORALE E TRADIZIONE SCRITTA

Esempio 85. Ludovico Viadana, Miserere.

Il prossimo esempio è tratto da una delle ultime attestazioni di fal­ sobordoni a stampa, una raccolta del sacerdote Baldassare Vialardo del 1624. Nonostante la raccolta presenti brani di una certa complessità compositiva, i falsobordoni sono nella forma più semplice, con caden­ ze omoritmiche. Ne è un esempio il brano seguente.

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Esempio 86. Baldassare Vialardo, Fais. bord. pro In Exitu: Mixti toni.

Come si vede questo falsobordone è affatto analogo agli esempi del­ le prime raccolte a stampa presentate in apertura del paragrafo: nessun elemento particolare indica la sua ‘tarda datazione, a parte, ovviamen­ te, Faggiunta della parte Porgano. Tra Faltro è da notare il ritardo dell’altus che svolge una funzione di sensibile’, introducendo per semi­ tono ascendente la nota fondamentale degli accordi conclusivi degli ac­ cordi, benché la successione degli accordi sia lontana dal chiaro senso tonale visto in diversi degli esempi precedenti. Manca qualsiasi esplici­ to riferimento ad un testo liturgico. Altri esempi di questo tipo si hanno nelle raccolta del 1624 del fra­ te minore conventuale Girolamo Ferrari, detto da Mondondone (ca. 1600-dopo il 1664)137 e nell’ultima stampa censita, opera del monaco carmelitano Lorenzo Penna (1613—1693).138 Prima di chiudere il paragrafo vogliamo riportare un esempio di fal­ sobordone solista con passaggi’, benché brani di questo tipo non siano di interesse centrale ai fini del nostro studio, anche per il ristretto e particolare ambito entro cui vennero praticati. 137 GIROLAMO FERRARI, Missapsalmi etpolytoni [...], Alessandro Vincenti, Venezia 1624. 138 PENNA, Psalmoìiim totius uni.

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Come accennato, infatti, la prassi del falsobordone solista fu certa­ mente sviluppata dai cantori della Cappella Papale. Scrive il sacerdote ed organista Pompeo Signorucci negli «Avvisi» apposti alla propria rac­ colta di salmi del 1603: Havendo io sentito in alcune città, e massime in Roma nella chiesa dell’Apolli nate, ove fiorisce tuttavia il vero modo del cantar bene: ora cantarsi nell’organo un verso di musica, hor uno di falsi bordoni ne’ salmi del Vespro; mi son assicurato mandar alla stam­

pa questi pochi salmi accompagnati con diversi falsi bordoni e

mottetti commodissimi per cantar nell’organo, e sonar con ogni sorta di strumento. Li quali si potranno cantar ora con una, ora con due, & or con tre voci per variare à beneplacido de cantanti. N’ho tralasciati alcuni, per che lo scopo mio principale è stato di servire alla brevità: oltre che quelli istessi si potranno cantare, e so­

nare ne’ falsi bordoni à beneplacido de’ giudiziosi cantori [...].139

Pochi anni dopo, la più significativa raccolta di falsobordoni di que­ sto tipo, opera di un apprezzato contraltista della cappella sistina, Fran­ cesco Severi (seconda metà del sec. XVI-1630), esprime già nel titolo la appartenenza di questa pratica al città papale: «Salmi passegiati per tutte le voci, nella maniera che si cantano a Roma». Ad ulteriore conferma è da notare che quasi tutti i musicisti che pubblicarono brani di questo ti­ po avevano vissuto a Roma o comunque vi avevano soggiornato.140 Una pratica, quindi, elitaria e per cantori professionisti quali erano quelli a cui le opere di Signorucci e di Severi si rivolgevano, che diffi­ cilmente potè essere praticata o ascoltata nelle chiese minori, nono­ stante la sua relativa diffusione. Una pratica patrimonio soprattutto di tradizioni esecutive locali e le poche stampe che l’attestano offrivano una redazione scritta con funzione essenzialmente didascalica, una par­ ziale ‘immagine’, cioè, priva di quelle finezze interpretative trasmesse senza l’ausilio della scrittura.141 139 In POMPEO SIGNORUCCI, Falsi bordoni [...], Giacomo Vincenti, Venezia 1603.

140 Vedi in proposito BRADSHAW, The Falsobordone, pp. 200-4, nonché le introduzioni alle edizioni moderne dei salmi di Francesco Severi e di Giovanni Luca Conforti curate dallo stesso studioso americano: FRANCESCO SEVERI, Salmi passeggiati [...], Nicolò Borboni, Ro­ ma 1615 (edizione moderna ID., Salmi passeggiati, a c. di Murray C. Bradshaw, Madison, Wise. 1981) e GIOVANNI LUCA CONFORTI, Passaggi sopra tutti li salmi [...], Angelo Cardano & Fratelli, Venezia 1607 (edizione moderna ID., Salmi passeggiati, a c. di Murray C. Brad­ shaw, American Institute of Musicology, Hanssler, Stuttgart 1985).

141 Vedi il passo di Giuseppe Santarelli riportato nel paragrafo 2.2 nonché quello di un altro cantore della stessa cappella, Antimo Liberati, nel paragrafo 3.2.

IL VERSANTE DELLA TRADIZIONE SCRITTA

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L’esempio seguente illustra eloquentemente il grado di complessità di scrittura musicale presentato di norma dai falsobordoni solisti, decisa­ mente superiore rispetto alla maggior parte degli altri brani considerati.

Compositori e destinatari delle raccolte Come è noto, la grande produzione di musica destinata all’uso liturgi­ co che fiorì a partire dalla seconda metà del sedicesimo secolo fu per lo più il frutto di un modesto artigianato. Essa mirava essenzialmente ad offrire al culto divino una austera componente musicale tralasciando, almeno nelle intenzioni, qualsiasi tentativo di elaborazione artistica. Quasi tutti i suoi autori furono religiosi che avevano un impiego di maestro di cappella e/o di organista e che cambiavano più volte la pro­ pria sede migrando da una città all’altra. Non mancarono anche musi­ cisti non professionisti, per lo più membri di ordini religiosi regolari

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IL FALSOBORDONE FRA TRADIZIONE ORALE E TRADIZIONE SCRITTA

che si dedicarono eccezionalmente alla pratica compositiva producen­ do di norma una raccolta di brani destinati alla funzione liturgica imi­ tanti pedissequamente le opere dei compositori più celebrati. La noto­ rietà della maggior parte di questi musicisti fu comunque circoscritta entro ambiti geografici assai limitati.142 La casistica relativa ai sessantatré autori delle novantacinque raccol­ te considerate in queste pagine rientra perfettamente in questa norma. Tra questi infatti si ritrovano per lo più nomi di musicisti poco noti, impiegati presso diverse istituzioni religiose di varie città, soprattutto dell’Italia settentrionale. Alcuni di essi diedero alle stampe solamente una o due opere che presumibilmente non ebbero grande diffusione. E il caso di Antonio Bregna, autore di una delle raccolte contenenti sola­ mente falsobordoni, stampata nella sua città, Ferrara, dove, come ap­ prendiamo dal frontespizio, egli era «in divi Nicolai societate descripto».143 Oppure di Tommaso Boldon (o Boldoni), autore di una raccolta di brani per i vespri di «tutte le solennità dell’anno» che «possono can­ tarsi alla bassa senza soprani, & all’alta senza bassi», scritta, come si leg­ ge nella dedica, a Padova (e stampata a Venezia) «ad instanza d’alcuni reverendi padri, & reverende monache» di un convento presso cui egli prestava la propria opera — non è noto a che titolo.144 Una assoluta prevalenza hanno i membri del clero regolare, soprat­ tutto francescani e benedettini (vedi i paragrafo 3.3.2 e 3.3.3). È altresì da segnalare la presenza di alcuni monaci appartenenti ad ordini men­ dicanti, come Paolo Ferrarese, la cui raccolta abbiamo più volte citato come prima opera a stampa ad indicare la presenza di falsobordoni. Egli è definito nella anonima dedica apposta alla stampa, «monachi di­ vi Benedict!, congregationis Cassinensis» nonché «huomo oltre a l’altre sue buone qualità, per la rara eccellentia sua, & in musica, & in poesia non mai à bastanza lodato, & degno d’eterna fama». Oppure di frate Alessandro Aglione da Spoltore, «dell’Ordine de’ Predicatori», di cui è rimasta una sola stampa, per altro incompleta e senza dedica.145 Numerosi sono anche i canonici e i sacerdoti, molti dei quali assol­ sero contemporaneamente l’incarico di organista (e/o maestro di cap­ 142 Sugli autori delle raccolte di musica liturgica vedi tra l’altro STEFANI, Musica e religione, pp. 126-7 e ROCHE, North Italian Church Music, pp. 27-8.

143 ANTONIO BREGNA, Ad vesperas omnespsalmi falso bordonio concinendi [...], Vittorio Bal­ dino, Ferrara 1587. 144 TOMMASO BOLDON, Vesperiper tutte le solennità dell’anno [...], Vincenti, Venezia 1601.

14’ ALESSANDRO AGLIONE, Il quinto libro de mottetti [...], Vincenti, Venezia 1621.

IL VERSANTE DELLA TRADIZIONE SCRITTA

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pella) presso istituzioni religiose più o meno grandi. È il caso del reve­ rendo Giovan Battista Strata, «benefitiato nella Massa, & organista del duomo di Genova»,146 oppure di Egidio Trabatono, «in Ecclesia Maiori Burgi Varisij rei musicae moderatore»,147 o ancora di Gasparo Pietra Grua, «organista nella insigne Collegiata di Santo Gio: Battista di Monza».148 Accanto a questi non mancano nomi di compositori noti e celebrati all’epoca come Giovanni Matteo Asola, Vincenzo Ruffo e Ludovico da Viadana, tutti attivamente impegnati nella realizzazione di musiche conformi agli ideali del concilio di Trento.149 I falsobordoni di questi tre autori godettero di grande notorietà e costituirono dei modelli esemplari, come è testimoniato, tra l’altro, dalla loro inclusione in rac­ colte antologiche e in collezioni manoscritte.150 Una particolare segna­ lazione merita Ludovico da Viadana che trattò tutte le varietà del falsobordone, dalle forme a quattro voci a cappella a quelle solistiche, a una o due voci con accompagnamento di organo.151 Tra i più prolifici autori di falsobordoni vi fu senza dubbio Giulio Belli da Longiano, religioso dell’ordine dei francescani. Questi operò in diverse città: fu infatti maestro di cappella ad Imola, Carpi, Bolo­ gna, Osimo, Montagnana, Ravenna, Reggio Emilia, Forlì, Venezia e in altre località minori.152 Al contrario, un altro prolifico autore di falsobordoni, Paolo Isnar­ di, fu attivo solamente presso la sua città, Ferrara, in qualità di maestro di cappella del duca. 146 GIOVAN BATTISTA STRATA, Arie di musica [...], Giuseppe Pavoni, Genova 1610. 147 EGIDIO TRABATONO, Libersecundus missarum motect [...], Giorgio Rolla, Milano 1628. 148 GASPARO PIETRA GRUA, Musica spedita, cioè messa, salmi alla romana [...], Alessandro Vin­ centi, Venezia 1651.

149 Giovanni Matteo Asola è autore di tre delle stampe del nostro catalogo, segnatamente le n. 5, 7 e 10; Vincenzo Ruffo di due, n. 8 e 13 (a vanno aggiunti alcuni falsobordoni inclusi in una stampa di Asola, la n. 7; Ludovico Viadana di sette, cioè i nn. 20, 21,31, 35, 39, 62 e 73.

150 Tra l’altro falsobordoni di Ruffo e di Asola si ritrovano in manoscritti del convento del Santissimo Salvatore di Bologna (cfr. ZANOTTI, Biblioteca del convento di S. Francesco di Bo­ logna}, mentre alcuni di Viadana si hanno in ARGILLIANO, Responsoria. Come detto in aper­ tura esula dai compiti di questo studio una indagine sulla diffusione delle singole stampe.

151 Vedi l’esaustivo studio monografico di BRADSHAW, Ludovico Viadana as a Composer of Falsobordoni. 152 Le sue quattro raccolte (tutte stampate a Venezia) contenenti falsobordoni presenti nel nostro elenco vennero alla luce mentre egli era attivo in tre diverse città: a Venezia la prima (n. 24) a Forlì la seconda (n. 44) a Padova le altre due (n. 50 e 51).

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IL FALSOBORDONE FRA TRADIZIONE ORALE E TRADIZIONE SCRITTA

Una particolare segnalazione merita la presenza di due raccolte contenenti falsobordoni opera di musicisti siciliani, Pietro Vinci (ca. 1540-1584) ed il canonico Mariano Di Lorenzo, esponenti di spicco di quella scuola polifonica che fiorì nell’isola nei secoli sedicesimo e diciassettesimo.153 Entrambe queste raccolte, purtroppo oggi incom­ plete, sono dedicate ad autorità siciliane e furono certamente eseguite nelle cappelle dell’interno dell’isola, nelle stesse zone cioè dove oggi si pratica la polivocalità tradizionale ‘ad accordo’ della settimana santa (vedi il paragrafo 3.4).154 Gli altri elementi che ci interessa evidenziare in questo paragrafo provengono dalle dediche apposte alle raccolte. Queste, come abbiamo già visto (paragrafo 2.6), concorrono a confermare l’effettiva diffusione della maggior parte delle stampe in questione (e quindi del falsobordo­ ne) all’interno di ambiti musicali minori. Sono infatti percentualmente più numerose le raccolte destinate a semplici canonici o a membri di ordini religiosi rispetto a quelle dedicate alle autorità’ sia ecclesiastiche (vescovi, cardinali eccetera) sia secolari.155 Così, ad esempio Giulio Bel­ li dedica la sua raccolta di falsobordoni mottetti e altro del 1607 «al molto reverendo padre, il p. don Gerolamo Lambardi canonico regola­ re di S. Spirito appresso Venetia»,156 mentre una stampa contenente messe a quattro voci nonché «falsi bordoni per l’invitatorio & salmi», opera del sacerdote veronese Stefano Bernardi (ca. 1577-1637) è dedi­ cata al «rev. p. d. Placido Bredi, monaco olivetano».157 Ad un arciprete, il «molto mag. et reverendo M. Pierfrancesco Zino canonico, & arci­ prete in S. Stefano di Verona» è invece dedicata la prima collezione di falsobordoni di Matteo Asola.158 Alquanto numerose sono le stampe dedicate ad abati e priori di monasteri di vari ordini. Alcune sono invece dedicate a badesse o a conventi femminili: è il caso di una collezione di messe salmi e falsi153 Vedi OTTAVIO TIBY, I polifonisti siciliani del XVI e XVII seco lo, Flaccovio, Palermo 1969. 154 Tra l’altro lamentazioni di Vinci (PIETRO VINCI, Il primo libro delle lamentationi a quattro voci [...], Erede di Girolamo Scotto, Venezia 1583) furono la prima opera che egli compose dopo il ritorno in Sicilia. Vedi CARAPEZZA, Introduzione: la musica sacra.

155 Sulla committenza musicale dell’epoca vedi La musica e il mondo, a c. di Claudio Anni­ baldi, Il Mulino, Bologna 1993.

156 GIULIO BELLI, Compieta falsi bordoni, mottetti [...], Alessandro Raveri, Venezia 1607.

157 STEFANO BERNARDI, Messe a quattro et cinque voci [...], Giacomo Vincenti, Venezia 1615. 158 ASOLA, Falso bordoni.

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bordoni di Giovanni Antonio Mangoni da Caravaggio, dedicata alle «molto illustre & molto reverenda suor’Aloisia Margarita Panigarola, con tutte le sacre sorelle del Monasterio di San Pietro in Treviglio»159 nonché dei salmi e falsobordoni passeggiati’ di Pompeo Signorucci, dedicata alla «molto reverenda madre et in Christo sempre osser. la ma­ dre suor Uritia Sergiuliani nel Monasterio di S. Margherita nel Borgo San Sepolcro».160 Tra le stampe dedicate alle autorità religiose vi sono la raccolta di falsobordoni di Antonio Bregna (all’arcivescovo Ragusi)161 e i salmi ‘passeggiati’ di Francesco Severi (al cardinale Borghese).162 Una decina sono infine le stampe senza dedica, le quali furono ve­ rosimilmente il frutto di operazioni commerciali promosse in proprio dagli stampatori.163 Tra queste la prima delle raccolte di falsobordoni di Ludovico da Viadana,164 oltre alla stampa di Angelo Cardano del 1601 di cui come si ricorderà abbiamo parlato nel paragrafo 2.6.

2.9. Ilfalsobordone nella trattatistica teorica e in altre fonti letterarie Abbiamo già detto che solo pochi trattati musicali dei secoli sedicesimo e diciassettesimo offrono informazioni sul falsobordone.165 Si tratta di descrizioni sommarie, comprese in poche righe e raramente suffragate da esempi musicali, che non sono mai il risultato di uno specifico inte­ resse ma si presentano come delle attestazioni en passant, nel corso del­ la trattazione di altri argomenti, ed a volte offerte al solo scopo di sod­ disfare eventuali ‘curiosità’. Mancano del tutto riferimenti alla possibi­ lità di ‘elaborare’ in qualche modo il falsobordone, ad eccezione di alcuni esempi ‘passeggiati’, in vero assai schematici, discussi in due trattati pratici di canto (vedi oltre). 159 GIOVANNI ANTONIO MANGONI, Messa, salmi, Magnificat [...], Giorgio Rolla, Milano 1623.

160 SIGNORUCCI, Salmi, fialsibordoni. 161 bregna, Ad vesperaspsabni. 162 FRANCESCO SEVERI, Salmi passeggiati per tutte le voci [...], Nicolò Borboni, Roma 1615163 LEWIS, The Printed, p. 903.

164 VIADANA, Falsi bordoni per cantar salmi. 163 Nociamo che non si trova alcuna traccia del falsobordone in alcuni dei trattati più noti all’epoca come il Lucidario di musica di Pietro Aaron e la Prattica di musica di Ludovico Zacconi eccetera, mentre come abbiamo visto nel paragrafo 2.2, la grande opera di Zarlino utilizza il termine con un diverso significato.

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IL FALSOBORDONE FRA TRADIZIONE ORALE E TRADIZIONE SCRITTA

Siffatto disinteresse dei teorici nei confronti del falsobordone è in­ dubbiamente molto significativo in quanto rappresenta una ulteriore testimonianza della marginalità degli ambiti musicali in cui esso veniva praticato ed anche della sua estraneità alla speculazione della tradizione scritta. E evidente, infatti, che i teorici non potessero attribuire alcuna importanza particolare ad una una manifestazione musicale che, come sappiamo (paragrafo 2.2), essi stessi definivano ‘ibrida’ e di oscura pro­ venienza e che trovava la ragione della propria esistenza nella facilità d’uso e non nella ‘qualità’ della elaborazione musicale. La prima comparsa del termine falsobordone in un trattato teorico ha luogo circa venti anni dopo l’inizio del flusso delle stampe, ne L'or­ gano de cantori di Giovan Battista Rossi. La trattazione del teorico ge­ novese è indubbiamente la più estesa e la più interessante tra tutte quelle del periodo. Essa, posta a conclusione del capitolo 14, «Della fu­ ga detta volgarmente canon, & de’ motti che vi si pongono», è tra l’al­ tro l’unica a dare delle indicazioni, sia pur assai generiche, sulla dispo­ sizione verticale delle voci. La riportiamo per esteso: Noi donque metteremo in fine delfopera à due, à tre, & à

quattro voci per essempio per compimento d’ogni cosa, farete don­

que prima nota contro nota, come vedrete in questo, Domine ad adiuvandum, fatto in modo di falso bordone, comminciando dal Basso, come havete fatto una quinta col Tenore, farete un’ottava

col contr’Alto, & poi una decima col soprano: è cosi per ordine. Se vedete una fuga cercate di imitarla. Ma perche habbiamo fatto mentione di falso bordone, mi potrebbe dimandare alcuno che cosa è questo falso bordone, overo che cosa vuol dire falso bordone? Ve­

ramente io non ho trovato alcuno che faccia questo quesito nulla dimeno daremo tal risposta che resterà il cantore appagato & quie­ to. E donque da notare, che questa è una metafora, burdo in latino significa in italiano quello che è nato di cavallo & di asina [...]. E si come il nato di cavallo & asina non è né asino, né cavallo, così il falso bordone qual’è composto ordinariamente di canto fermo &

figurato, non è ne l’uno ne l’altro, è fermo per l’andar col canto fer­ mo così posatamente come osservano gli antichi lachet, Palestrina,

& altri, è figurato in parte per la consonanza: che non è nel canto fermo cantando tutti con una voce e misura stessa, come è manife­

sto. Onde perché falsifica il canto fermo e figurato non essendone l’uno né l’altro viene detto falso bordone. Da questo cognoscerete

che pochi fanno falsi bordoni ma si canti falsi figurati. Quelli di la­ chet son veri falsi bordoni, li nostri che sono in fine (dopo la Messa

da morti) son veri falsi bordoni, per cantare con gli offìcij, si chia­ ma poi falso, perché simil sorte di cantilena non è quel animale che

IL VERSANTE DELLA TRADIZIONE SCRITTA

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si chiama bordone, ma è specie di musica, metaforicamente chia­ mata falso bordone da quel che si è detto di sopra.166

L’esempio inserito immediatamente di seguito è dall’intonazione della formula «Domine ad adiuvandum me festina»: Esempio 88. Giovan Battista Rossi, «Domine ad adiuvandum me festina».

Si noti l’esplicita affermazione della funzione di ‘sensibile’ nella ca­ denza del primo versetto e nella cadenza finale, analogamente a quanto visto in diversi esempi del paragrafo 2.7. Più avanti, dopo una serie di esempi musicali relativi ai diversi capi­ toli del trattato, Rossi torna nuovamente sul falsobordone presentando una «Forma de’ falsi bordoni sul sesto tono» ed una sull’«ottavo tono» preceduta, quest’ultima, dalla seguente didascalia:

166 ROSSI, Organo de cantori, p. 79.

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IL FALSOBORDONE FRA TRADIZIONE ORALE E TRADIZIONE SCRITTA

L’istesso si dice delli altri toni come di questo. Overo anco più piano come questo dell’ottavo tono.167

Entrambe le Torme’ presentano cadenze molto semplici, con due o tre accordi che si muovono omoritmicamente. Illustriamo la seconda: Esempio 89. Giovan Battista Rossi, «Forma de’ falsi bordoni. Ottavo tono».

Infine, nell’ultima pagina del suo trattato Rossi presenta tre falsobordoni che definisce ‘figurati’, sul secondo, terzo e quarto tono. In questo caso le voci presentano limitati episodi di contrappuntismo e non sono in assoluta omoritmia. Si tratta comunque di cadenze relati­ vamente semplici che evidentemente avevano una preminente funzio­ ne didascalisca. Esempio 90. Giovan Battista Rossi, Falsobordoni figurati. Quarto tono.

167 ROSSI, Organo de cantori, p. 110.

IL VERSANTE DELLA TRADIZIONE SCRITTA

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Da notare che il ‘riempimento’ dei salti melodici del basso avviene attraverso movimenti per grado congiunto. Una trattazione, quella di Rossi, che in definitiva, al di là delle som­ marie indicazioni sulla tecnica musicale, lascia comunque trasparire la grande diffusione di questa pratica, tanto da ritenere opportuno distin­ gue fra «veri falsi bordoni» e non. Dopo il testo di Rossi, il termine falsobordone compare en passant nel Ragionamento di musica del reverendo don Pietro Pontio, in un ca­ pitolo dedicato alla composizione dei salmi: Conviene ancora osservare di fare la medierà del versetto con

la cadenza propria della medierà del tuono, acciò sia conosciuta detta medierà del verso. Etiandio si deve osservare, che siano espli­ cate, & intese le parole di modo, che vadano quasi insieme pro­ nunciate, come se fosse un canto dalli pratici chiamato falso bor-

don. Il che si vede esser stato fatto da Adriano, da lachetto, & da altri; & ciò si fa perché siano dalli ascoltanti le parole intese.168

Anche in questo caso ciò che qualifica il falsobordone è l’assoluta omoritmia delle voci che permette di riconoscere le parole. È poi pre­ sumibile che il riferimento ad opere di Willaert e di Jachet riguardi i salmi e le altre composizioni in rigido contrappuntismo nota contro nota (nello stile degli esempi presentati nel paragrafo 2.3), e non brani esplicitamente detti falsobordoni. Se infatti di Jachet è nota una serie di falsobordoni per gli otto toni,169 nessuna notizia si ha di brani da 168 In PIETRO PONTIC, Ragionamento di musica [...], Erasmo Viotto, Parma 1588, p. 137. È

da notare che nessun riferimento al falsobordone si ritrova in un altro trattato posteriore di Pontio, il Dialogo di musica del 1595. 169 Di Cipriano et di Jachet i salmi a quattro voci a uno choro [...], C. da Correggio, Venezia 1570.

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IL FALSOBORDONE FRA TRADIZIONE ORALE E TRADIZIONE SCRITTA

Willaert denominati in tal modo (analogamente, del resto, a quanto avviene per Palestrina e per Orlando di Lasso i quali tra l’altro furono considerati nel diciannovesimo secolo i principali compositori di que­ sta forma — vedi oltre). Tre esempi di falsobordone passeggiato’ si ritrovano in un trattato di alcuni anni posteriore, Regole, passaggi di musica, del cantante e frate francescano Giovan Battista Bovicelli. L’opera è dedicata interamente alla tecnica dell’ornamentazione vocale. Gli esempi musicali posti in conclusione, entro cui si ritrovano i «falsi bordoni passeggiati», proven­ gono, avvisa l’autore, da «compositioni note ad ognuno» e costituisco­ no l’applicazione di quanto teoricamente esposto nella prima parte del trattato, [...] acciò [che] più chiaramente si veda l’effetto de i preceden­ ti [esempi teorici di «passaggi»] e più speditamente possa ogn’uno, ben che novitio in questa professione, sapere il modo, col quale si devono usare.170

I falsobordoni, in particolare, sono del maestro di cappella del duo­ mo di Milano, Giulio Cesare Gabussi (ca. 1555-1611), del maestro della Cappella Sistina Ruggiero Giovannelli (1560-1625) e dello stesso Bovicelli. A ciascun falsobordone, riportato nella versione semplice’, segue un esempio’ di ornamentazione relativo al cantus. Nessuno di questi brani compare in altre stampe musicali. Riportiamo il falsobordone del più famoso dei tre musicisti, Rugge­ ro Giovannelli, allievo di Palestrina e soprattutto autore di importanti composizioni polifoniche in cui si registra una assoluta preminenza della voce superiore rispetto alle altre. Segue l’inizio del «Magnificat del secondo tuono del medesimo», realizzazione abbellita del cantus del falsobordone che tra l’altro dà an­ che un’idea della ‘flessibilità’ dell’articolazione ritmica dei valori lunghi al momento dell’esecuzione.

170 GIOVAN BATTISTA BOVICELLI, Regole, passaggi di musica madrigali e mottetti passaggiati [...], Giacomo Vincenti («a instantia delli Heredi di Francesco e Simon Tini, Librari in Mi­ lano»), Venezia 1594, p. 37.

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Esempio 91. Ruggiero Giovannelli, Falsobordone, primo tono à 4.

Nella prima parte del diciassettesimo secolo diversi riferimenti al falsobordone si ritrovano nella importante opera teorica di Adriano Banchieri. In tutti i casi Fobiettivo principale della trattazione del mo­ naco bolognese è quello di offrire indicazioni per accompagnare allar­ gano in maniera conveniente* alFesercizio ecclesiastico, i falsobordoni solistici.171 Egli perciò riporta diversi esempi, a una o due voci, «sotto 171 «Viene introdotta la musica nelle chiese & anco l’organo, non solo per lodare Dio, ma pa­ rimente per allettare i fedeli nellì giorni festivi della devotione [...] deve l’organista appren­ dere di pigliare maniera di suonare vaga, e dilettevole, allettando i fedeli, con nuove fughe,

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IL FALSOBORDONE FRA TRADIZIONE ORALE E TRADIZIONE SCRITfA

sicurissima guida del basso suonabile»,172 esempi che talvolta sono ripe­ tuti opere diverse.173 Banchieri non manca, tuttavia, di rivolgere la propria attenzione an­ che al falsobordone corale. Le sue osservazioni, frutto di un acuto spiri­ to di curiosità musicale, sono di grande interesse, come abbiamo già avuto modo di vedere (paragrafo 2.2).174 Va aggiunto solamente che ta­ le interesse è dovuto anche alla convinzione che la piena consonanza dei brani in falsobordone, che come si ricorderà egli appella «consonan­ ti bordoni», rispecchi il vero ideale della musica ecclesiastica.175 Altre osservazioni sul falsobordone molto interessanti ai fini della nostra ricerca si ritrovano nel trattato El melopeo y maestro del berga­ masco di nascita Pietro Cerone, scritto in spagnolo e pubblicato a Na­ poli nel 1613.176*Di esso abbiamo già parlato a proposito delfimportante collegamento statuito fra il falsobordone e le «chanzonetas ò cancioncillas» (paragrafo 2.4). Il resto di questa trattazione non ha esempi musicali ma è comun­ que ricca di indicazioni, specie nei capitoli dedicati alla composizione allegre e musicali, facendo però stima del Sacro Concilio Tridentino Sest. 22. Ab Ecclesijs ve­ ro musicas eas ubi sive cantu sive Organo lascivum aut impurum aliquid misceatur dovendosi intendere parole vulgati ballate moresche e suonate simili»; ADRIANO BANCHIERI, L'organo suonarino [...], Riccardo Amadino, Venezia, 1605, p. 105. Va notato che questo passo è si­ gnificativamente incluso in un capitolo intitolato «Quinto registro. Nel quale si pratica quanto occorra alternare à gl’offizi delle confraternita et oratori». 172 BANCHIERI, L'organo suonarino, p. 32. 173 Si confronti al riguardo BANCHIERI, L'organo suonarino, p. 42, e 1D., Terzo libro di nuovi pensieri ecclesiastici, [...], Eredi di Giovanni Rossi, Bologna 1613, pp. 13 e 15. Per la discus­ sione di tali esempi, cfr. BRADSHAW, The Falsobordone, pp. 113-5. È da notare che brani de­ finiti in falsobordone non si ritrovano nella pur vasta produzione musicale di Banchieri benché non manchino passaggi che in maniera evidente ne adottano lo stile.

174 La «curiosità» di Banchieri ha fatto sì che le sue opere siano una preziosa fonte per la co­ noscenza della cultura tradizionale della sua epoca. Su questo aspetto, talvolta travisato, vedi G1ANMAR1O MERIZZI, La fonte popolare nell’opera di Adriano Banchieri. Indagine sul repertorio poetica-musicale profano, «Culture Musicali», nuova serie, IX 1992. 175 A proposito della musica liturgica scrive Banchieri che l’ideale è «il modo di cantare [...] alla breve, cioè una breve alla battuta, & questo tempo usasi nelle composition! gravi, & fa­ cili, come sono le messe vesp. & mottetti di Gio. Matteo Asola, & simili, atteso che le com­ position! con crome, sospiri, & sincopi riescono incantabili; vero è che la maggior parte de gli cantori tal modo di cantare viene poco usato, essendogli sanità la poca fatica; in vece di cantare alla breve tutto cantano indifferentemente alla semibreve» (BANCHIERI, Conclusioni nel suono dell’organo, p. 34). 176 Sui rapporti fra cultura napoletana e spagnola nel diciassettesimo secolo vedi DINKO FABRIS, Generi e fonti della musica sacra a Napoli nel seicento, in La musica a Napoli durante il Seicento, a c. di Agostino Ziino, Torre d’Orfeo, Roma 1987.

IL VERSANTE DELLA TRADIZIONE SCRITTA

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della musica liturgica contenuti nel secondo tomo del?opera. Essa in­ nanzi tutto lascia pochi dubbi sulla enorme diffusione dell’uso del fal­ sobordone all’epoca nel sud Italia: Aunque en estos reynos de Espana, no es en uso el cantar los

salmos en musica, si no à fabordones, con todo esto (por quien gu­ stare componerlos) no quiero dexar de dezir lo que conviene observar en hazerlos.177

Quindi Cerone prosegue fornendo delle opinioni sulla musica adat­ ta ai salmi, eleggendo la piena consonanza quale parametro fondamen­ tale, l’unico a permettere la piena comprensione delle parole. A tal fine egli individua nelle composizioni di Matteo Asola e di Pedro Pontio dei modelli: Iten se deve observar que la musica sea tal, que no offusqzte las

palabras\ las quales han de ser muy explicadas y claras: de manera

que todas las partes pronuncien casi puntamente, ni mas ni menos, corno si fueran à modo de fabordon, no teniendo passos largos ni elegantes ni otra novedad mas, que comunes consonancias; mez dando de quando en quando alguna fuga breve y dozenal: come vemos que tienen observado los compositores choristas, particularmente el rev. D. Matheo Asula, y el R. D. Pedro Pondo.178

Cerone conclude il passo escludendo il ricorso al falsobordone per cantare il Magnificat poiché questo testo deve essere messo in musica con «mayor solennidad y con mas arte» dei salmi.179 Una musica sem­ plice è invece ammessa per gli inni che «sirve para cantar processionalmente caminando, y para los dias no solennes» poiché è opportuno che in questi casi essa sia più semplice.180 E da aggiungere che la mancanza di precise indicazioni sulla com­ posizione musicale del falsobordone si può considerare quasi una ano­ malia rispetto al resto dell’opera di Cerone che è particolarmente pun­ tuale nel descrivere ciascuna delle forme citate. E probabile perciò che ,7? RETRO CERONE, El melopeo y maestro, tomo il, p. 689.

ns CERONE, El melopeo y maestro, p. 689. Va detto che il termine falsobordone non compare nelle musiche di Pietro Pontio. 179 CERONE, El melopeoy maestro, pp. 689-90.

IS0 CERONE, El melopeo y maestro, p. 691. La trascrizione di questo brano è in appendice al capitolo 2.

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IL FALSOBORDONE FRA TRADIZIONE ORALE E TRADIZIONE SCRITTA

egli ritenesse questo aspetto noto a tutti e/o non meritevole di specifi­ che trattazioni. Un esempio di falsobordone si ritrova due decenni dopo in un altro trattato pubblicato a Napoli, Il scolaro principiante di musica del musi­ cista genovese Filippo Cavaliere. L’importanza di tale esempio, del tut­ to simile agli esempi visti in precedenza, risiede essenzialmente nel fat­ to che esso è compreso in un trattato destinato a non professionisti, e redatto con il dichiarato intento di proporre modelli musicali consoni alle direttive del concilio tridentino.181 E Athanasius Karcher, nel secondo tomo della Musurgia universalis^ ad esporre quella che si può considerare la più articolata trattazione del falsobordone del diciassettesimo secolo.182 Scrive il teorico gesuita in un capitolo dedicato alla «Artis magnae consoni»: NOTA II. De pleonasmo visitato ecclesiastico, quem vulgo [falsum bordonem] nos isobatum dicimus, vocant. Ex his clarissimè

patet, quomodo nullo pene negotio falsi (ut barbare loquar) bordones fieri possint, expediriauté totum negotium poterit musarithmo vel unico quatuor vel 5 aut quotuis numeros. Sunt autem falsi bordones nihil aliud quam clausulae quaepiam certarum notarum, quarum prima nota per longa aut maximam exprimatur, reliquae vero sequentes in clausulam abeant fìnalem. Est autem huismodi

psallendi ratio maxime usitata in psalmis, quorum versus cùm bimembres pierum que sint, hinc fit, ut omnes falsi Bordones bi-

membres, id est binas clausulas quoque habeant; prima pars respondet primae parti versus alicuius psalmi; secunda secundae. Cavendum quoque ne in falsis bordonibus clausulae sint [...] id est similiter defìnentes; sed semper prima aliam terminationem sortiatur, ac secunda [...].183

Kircher quindi dimostra di conoscere bene le caratteristiche del fal­ sobordone e ne dà la migliore definizione: «nihil aliud quam clausu­ lae». Da notare la redazione del termine tra parentesi quadre e il ricor­ so alla locuzione «ut barbare loquar», che conferma come anche il teo­ 181 FILIPPO CAVALIERI, Il scolaro principiante di musica, [...], Nucci, Napoli 1634. Su quest’opera vedi FABRIS, Generi e fonti. 182 Una defìnzione del falsobordone si ritrova anche in MICHEL PRAETORIUS, Syntagma musicum [...], Tip. Johannis Richter, Wittenberg 1619, p. 9. Essa comunque non aggiunge in­ dicazioni di particolare rilievo ai fini della nostra ricerca.

183 ATHANASIUS KIRCHER, Musurgia universalis, tomo II, p. 154. Un altro passo della stessa opera relativo alla composizione di un falsbordone (con relativo esempio musicale), non centrale in questa sede, è riportato in appendice al capitolo 2.

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rico gesuita avvertisse la sua estraneità rispetto alla tradizione della mu­ sica scritta. Nessun altra trattazione del falsobordone si ritrova nei rimanenti trattati e nei libri musicali nella seconda metà del diciassettesimo seco­ lo, ad eccezione di un passo compreso nel manoscritto intitolato Epito­ me delict musica, opera di Antimo Liberati, cantore della cappella vati­ cana di orgini umbre, e scritto probabilmente intorno al 1666. Questo passo ricalca comunque la precedente trattazione di Banchieri senza aggiungere ulteriori indicazioni.184 Notizie assai interessanti provengono invece da due opere letterarie: il Contrasto musico (1630) scritto in forma di dialogo da Grazioso Uberti da Cesena ed il discorso Della musica della nostra età (1640) di Pietro dalla Valle. Entrambi gli autori, che si autodefiniscono in diverso modo ama­ tori dell’arte musicale’, si schierano in aperta polemica contro la di­ chiarata tendenza della gerarchia ecclesiastica dell’epoca a limitare l’ap­ parato musicale connesso alle celebrazioni liturgiche. Di conseguenza entrambi biasimano apertamente l’uso del falsobordone, ritenuto una forma troppo rozza che non può in alcun modo soddisfare le attese musicali di coloro i quali si recano in chiesa per assistere alla celebra­ zione liturgica. Scrive tra l’altro Uberti: In somma pare à costoro [cioè a coloro i quali chi non voglio­ no la polifonia elaborata in chiesa], che quel canto fermo, e quei

falsi bordoni dovessero bastare: ma quei concerti e quelle sinfonie dicono, che più tosto cagionano disturbo, e tumulto, che divotione: e che commovono più tosto l’animo alle vanità [...] ma se questi stirici, questi critici si danno ad intendere, che dovesse ba­ stare quel canto fermo, e quel falso bordone, voglio, che consideri­

no, che si come sono divisi i giorni trà quali altri sono feriali, altri

festivi, & altri solenni; così è necessario, che anco siano diversi i canti, cioè uno per li giorni feriali, e questo potremo dire, sia i

canto fermo, quale, come a me pare, viene significato ne i Salmi di David [...]. L’altro è per li giorni festivi, ne i quali particolarmente si deve lodare Dio [...] e che per maggior solennizzatione delle fe­

ste devansi accoppiare le voci e gl’stromenti.185

Più esplicitamente Dalla Valle afferma che: 184 II passo è riportato in appendice al capitolo 2. 185 GRAZIOSO UBERTI, Contrasto musico Ludovico Grignwni, Roma 1630, pp. 97-100. Un altro passo dallo stesso volume è riportato in appendice al capitolo 2.

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[...] nelle stesse chiese molto diversa ha da essere quella [musi­ ca] di Natale, della Pasqua, da quelle della Quadrigesima e della Settimana santa. [...] Però non sarei giammai di quei tanto scru­ polosi, nè avrei giusta cagione di essere non essendo provato di

avere dalla musica tanti incitamenti al mal fare, che volessi perciò bandirla affatto dalle chiese, o ridurla a i soli falsi bordoni, o ai canti pieni de’ frati, come alle volte non senza stomaco, ho sentito

dire che vorrebbero alcuni insipidi, a quali forse piacendo poco la musica, io li chiamo gente da Inferno, non da Paradiso, dove si canta, e cantando si loda il Sommo Creatore.186

Una semplice citazioni del falsobordone si ritrova nel trattato Li primi albori musicali di Lorenzo Penna, il quale, come si ricorderà, è l’ultimo musicista ad includere esempi di falsobordoni in una stampa musicale. Tale citazione, nell’ambito di un capitolo dedicato al modo di «cantar le parole», serve al musicista bolognese solamente per evi­ denziare la tecnica della salmodizzazione: Dissi, che una nota non poteva haver più sillabe, mà pure si

trova poter essere, anzi de facto si vede ne falsi bordoni, che non solo una nota ha più sillabe, ma anche più parole.187

Il termine falsobordone compare pure in un trattato sul canto ec­ clesiastico di Marzio Erculei. Si tratta comunque di una breve citazione che non fornisce informazioni di rilievo.188 Sempre nella seconda metà del diciassettesimo secolo è infine da se­ gnalare una descrizione del falsobordone corredata da alcuni esempi musicali nel trattato spagnolo El porque de la musica di Andres boren­ te, pubblicato Toledo nel 1672 (a cura del Commisario del la inquisicion del Santo Ufficio), e alquanto noto nell’Italia meridionale. Al di là dell’estratto riportato in precedenza, relativo al significato del termine (paragrafo 2.2), tale descrizione non contiene tuttavia altre indicazioni di particolare rilievo.189 Anche gli esempi musicali non presentano ele­ menti nuovi rispetto a quelli finora visti. 186 PIETRO dalla VALLE, Della musica dell’età nostra [...] [1640], in GIOVAN BATTISTA DONI, Trattati di musica, Anton Francesco Gori, Firenze 1763 (citato da ANGELO SOLERLI, Le ori­ gini del melodramma, Bocca, Torino 1916, pp. 174-5) 187 LORENZO PENNA, Li primi albori musicali [...], Giacomo Monti, Bologna 1684, p. 45. 188 MARZIO ERCULEI, Lumi primi del canto fermo [...], Eredi Cassiani Stampatori Vescovili, Modena 1686. La trascrizione del passo è in appendice al capitolo 2.

189 LORENTE, El porque della musica, p. 566. Si veda la trascrizione integrale del brano nell’appendice al capitolo 2.

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Nessuna discussione del falsobordone si ritrova nei trattati della pri­ ma metà del diciottesimo secolo ad eccezione di un brano del cantore della Cappella Pontificia Scorpione da Rossano contenuto nel volume Istruzioni corali (1702). Questo brano però riprende gli stessi argomen­ ti esposti da Banchieri prima e da Liberati dopo.190 Il falsobordone compare invece in alcuni dizionari musicali non ita­ liani del primo Settecento. Riportiamo quella offerta da uno dei più diffusi, il Dictionnaire de musique di Sebastian Brossard, edito più volte a partire dal 1703: Falso-Bordone: ou musique simple de notte contre notte sur la quelle on chante souvent le pseaumes & les cantiques de l’offi­

ce divin. Mais les Italians nomment encore ainsi une certaine harmonie, produite per l’accompagnement de plusieurs sixtes de sui­ te, qui fait entendre plusieurs quartes entre deux parties superio-

res, parce que la troisieme de ces parties est obligee de faire plusieurs tirces avec la basse [segue un esempio di faux—bourdori\ [...] Ces sortes de traits d’harmonie dependent plus du goùte que des regies.191

Per Brossard quindi falsobordone e fauxbourdon sono sinonimi ed indicano in generale la polifonia religiosa in consonanza omoritmica. Egli non distingue fra le due strutture musicali lasciando intendere ad­ dirittura che l’antico canto per terze e seste parallele fosse una pratica degli italiani.192 Al di là di tali questioni terminologiche (già viste nel paragrafo 2.2) è importante sottolineare come l’autore individui nel ‘gusto’ più che nelle ‘regole’ l’elemento caratteristico di questa forma. Una nuova comparsa del termine, benché ancora una volta con un rilievo affatto marginale, si ha nella grande opera teorica di padre Marti­ ni. Egli, infatti, alla nota 84 della «Dissertazione seconda» del primo to­ mo della Storia della musica si limita a definire il falsobordone una «for190 SCORPIONE, Istruzioni, p. 119. Il brano è trascritto in appendice al capitolo 2. 191 SEBASTIAN BROSSARD, Dictionnaire de musique (...], Christopher Ballard, Paris 1703. Al­ tri dizionari che contengono la voce falsobordone (come il Musikalische Lexikon di Johann Gottfried Walther edito a Leipzig nel 1732 ed il Dictionnaire di Lacombe, quest’ultimo tra­ dotto in italiano come Dizionario portatile delle belle arti, Venezia 1758 — vedi appendice al capitolo 2) propongono trattazioni sostanzialmente analoghe a quella di Brossard. Per la definizione dal Dictionnaire & Jean Jacques Rousseau vedi il paragrafo 1.10 alla nota 192. 192 Tale attribuzione avvalorerebbe indirettamente l’affermazione di Baini (vedi paragrafo 2.2) circa una continuità della prassi dell’antico canto per terze e seste in Italia, nella cappel­ la sistina.

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mola derivata dal francese faux-bourdon». 193 Di conseguenza riporta le definizioni di quest’ultimo termine date in alcuni dizionari coevi e in al­ cuni trattati teorici antichi. E però alquanto strano che fra tali trattati, accanto al Practica musica di Gaffurio, le Institutioni harmoniche di Zarli­ no ed altri che chiaramente descrivono il faux-bourdon, Martini includa anche ['Organo dei cantori di Rossi che di questo non parla affatto men­ tre, come abbiamo visto, descrive chiaramente il falsobordone italiano. Tale incongruenza non sembra però interessare molto il teorico bo­ lognese che si limita ad una fuggevole constatazione: Considerati, e ben ponderati i falsi bordoni di Jachet, Vincen­ zo Ruffo, P. D. Gio: Matteo Asula, Tom. Lodov. de Vittoria, Pao­ lo Isnardi, Gio: Guidetti, Vittorio Orofino, P. D. Mauro Panormirano, Paolo Macri, D. Teodoro Clinger o Clinio, D. Gio: Bacilieri, P. Girolamo Barteo, P. Giulio Belli, Antonio Spalenza, D. Sebastiano Sario, Michel Comis, Gio. Batista Giudici, P. Lodov. Viadana, Frane. Severi, D. Bonifa. Graziani, D. Marzio Erculeo, e

di tanti altri, non vi si riscontra vestigio alcuno degli accompagna­

menti accennati dal Gaffurio, Luscinio, Lanfranco e Zarlino; tal­ ché giova conchiuder, dover interpretarsi la loro dottrina essere co­ stume praticato in que* tempi simile in qualche modo al contrap­ punto fatto sopra del canto fermo aH’improwiso, che chiamano anche alla mente ad videndum,™

Una pratica ‘improwisativa quella del contrappunto alla mente’ che all’epoca non suscitava alcuna attrattiva per i teorici e sulla quale, ovviamente, padre Martini non si sofferma più di tanto. Del falsobordone egli torna a parlare nella prima parte Esempla­ re, o sia Saggio fondamentale pratico di contrappunto sopra il canto fermo (1774), a proposito di un «Estratto dal salmo In exitu Israel a quattro»* 194 l9J GIOVAN BATOSTA MARTINI, Storia della musica [...], Lelio dalla Volpe, Bologna 1757, vol. I, p. 194, nota 84. 194 MARTINI, Storia della musica, p. 194. La trattazione si conclude con alcuni rinvìi biblio­ grafici: «Nicol. Burtius Music, opusc. tract. 2. cap. 6. Vine. Lusitano Introduz. di Canto pag. mihi 15. terg. Oratio Tigoni Compend. della Musica lib. 4 cap. IL P. Lodov. Zacconi Prat. di Musi. p. 2. lib. 2. cap. 6.». Va altresì notato che molti dei nomi degli autori di fal­ sobordoni citati da Martini, ad esempio Comis, Macri, Clinger, Bacilerio, Spalenza e Bar­ teo, non compaiono fra gli autori delle stampe censite in questa ricerca. Falsobordoni di al­ cuni di loro, Comis, Sario e Spalenza, si ritrovano comunque in fonti manoscritte (vedi il paragrafo 3.2). È evidente comunque che l’indicazione di Martini prescinda dal riscontro del termine — come abbiamo visto nel corso del capitolo a proposito di Palestrina, Lasso e Willaert.

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di Giovanni Navarro spagnuolo. Riportiamo f esempio ed il relativo commento che, come si vedrà, lascia trasparire un certo biasimo per questo tipo di polifonia: Esempio 92. Giovanni Navarro, «Estratto dal salmo In exitu».

Nella composizione di questo versetto potrà osservare il giovi­ ne compositore uno stile facile, e quasi simile al contrappunto semplice di nota contra nota, col solo divario, che l’indicato con­

trappunto non è composto, che di figure di egual valore, e il pre­

sente esempio (a imitazione delle composizioni chiamate falso bor­ done praticate nel secolo XVl) ammette la varietà delle figure, e di raro qualche dissonanza. E qui da notarsi, che siccome per inse­ gnamento di Cicerone nelle composizioni oratorie tre diversi gene­ ri di stile si danno, cioè sublime, medio e infimo così pure nelle composizioni di contrappunto tre diversi stili riscontransi [...]. Di

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stile infimo finalmente possono chiamarsi quelle contrappunto semplice di nota contra nota, ammettendo ancora varietà di figure e di raro, e con le debite leggi qualche dissonanza. Di questo ulti­

mo stile è la composizione del proposto versetto In exitu [.. .].193 *195

L’identificazione del falsobordone con la pratica del ‘contrappunto alla mente’ proposta da padre Martini viene ripresa più o meno fedel­ mente in alcuni trattati posteriori. Tra questi VArte pratica di contrap­ punto di Giuseppe Paolucci196 ed il Dizionario della musica sacra e pro­ fana di Pietro Giannelli.197 Una estesa trattazione del falsobordone si ritrova nel De cantu et musica sacra del monaco tedesco Martin Gerbert (1720-1793). Egli ri­ propone in pratica l’equivoco terminologico già vista («faulx-bordon» come «falsobordone»), non distinguendo chiaramente fra le due prati­ che musicali.198 E comunque preminente l’interesse per la pratica più antica sancito dall’autorevolezza delle citazioni riprese dai libri di Gaffurio e Zarlino. Arriviamo infine alla trattazione di Giuseppe Baini che, come detto già nel paragrafo 2.2, è senza dubbio la più articolata. Benché, ancora una volta essa costituisca il risultato di un interesse marginale (tanto da essere svolta in una nota a piè di pagina) si tratta di una descrizione as­ sai lucida segno evidente di una diretta frequentazione: Per compimento di questa nota [dedicata al fauxbourdorì\ ne piace aggiungere, che mentre ancora fioriva nel massimo vigore l’uso della soprindicata prima maniera di falsobordone [cioè il fauxbourdori\, incominciò ad introdursi nelle chiese per il canto ar­

monioso della salmodia una foggia di musica ben diversa dall’anti­ co faux-bourdon, cui però, quantunque impropriamente, fu im­ posto il nome stesso di falsobordone. Questa seconda maniera

193 GIOVAN BATTISTA MARTINI, Esemplare, o sia Saggio fondamentale pratico di contrappunto sopra il canto fermo [...], Lelio dalla Volpe, Bologna 1774, pp. 204—5.

196 GIUSEPPE PAOLUCCI, Arte pratica di contrappunto [...], Antonio De Castro, Venezia 1765, p 184. Il brano è in appendice al capitolo 2.

197 PIETRO GIANNELLI, Dizionario della musica sacra e profana, Andrea Santini, Roma 1807. La voce è trascritta in appendice al capitolo 2. 198 MARTIN GERBERT, De cantu et musica sacra [...], Typis San-Blasien, 1774. Gerbert tra l’altro, richiamando ancora una volta il decreto sulla musica sacra di Giovanni XXII (di cui abbiamo parlato nel paragrafo 2.2), si dice convinto di una antica provenienza del falsobor­ done. Si vedano i brani trascritti nell’appendice al capitolo 2.

IL VERSANTE DEI.M TRADIZIONE SCRITTA

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consiste in una composizione regolare, ma senza ritmo determina­ to nella esecuzione a quattro voci di nota contro nota, sempre con­ sonanti, con qualche legatura nella cadenza, giusta le regole comu­

ni deirarmonia, avente in una delle quattro parti del concento la melodia ecclesiastica del tono o modo che prendesi per oggetto. Questo falsobordone pian piano mandò in non cale la prima ma­ niera, che sola dura nella cappella pontifìcia, [...] e ne prese il luo­ go con tal posesso che non solo fecesi associare nella ridetta cap­

pella apostolica alla prima maniera; ma s’introdusse in tutte le altre cappelle, massime d’Italia; e vi si mantenne, [...] e si è quindi fino al dì d’oggi mantenuta costantemente e pacificamente nel suo eser­ cizio: cosicché ella è l’unica maniera di falsobordone che (tolta la cappella pontificia) generalmente si conosce, e si eseguisce.199

Baini chiude la sua trattazione con un appunto polemico: [...] Se il P. Gio. Battista Martini nella sopraccitata nota 84 od altrove si fosse degnato di comunicarci siffatte notizie, siccome poteva giustamente convenirgli per l’oggetto della storia musicale di cui si occupava, io mi sarei dispensato da così lunga nota, ed avrei colà rimesso il lettore: ma egli si contentò di segnare un indi­ ce di compositori di falsobordone; e così mi son veduto obbligato

a supplire in questa parte le notizie che mancano.200

Dopo questa — e prima dei contributi nella moderna letteratura musicologica — ben poche sono le trattazioni del falsobordone in dizio­ nari, trattati teorici eccetera. Esse non offrono indicazioni di rilievo, es­ sendo sovente incomplete o continuando a confodere tra la prassi italia­ na e quella francese per terze e seste. Ci esimiamo pertanto dal trattarle.

199 baini, Memorie, pp. 259-60.

200 BAINI, Memorie, p. 260.

3. IL FALSOBORDONE FRA TRADIZIONE ORALE E TRADIZIONE SCRITTA

3.1.

Premessa

La trattazione dei capitoli precedenti ha presentato due ‘fenomeni’ ap­ partenenti al campo della musica liturgica e paraliturgica che, sia pure in diverso modo, sono ambedue al confine fra tradizione orale e scritta. L’esistenza di uno specifico rapporto tra essi emerge con assoluta chia­ rezza osservando la composizione del materiale musicale: i repertori di canto polivocale ad accordo della settimana santa ed il falsobordone non presentano infatti mere coincidenze formali ma condividono ap­ pieno le medesime caratteristiche strutturali. Riassumendo brevemente notiamo che in entrambi i casi:

a) L’esecuzione è articolata in versi musicali relativamente brevi, cia­ scuno in sé conchiuso e suddiviso in due sezioni da una pausa.1 Ognuna di tali sezioni è costituita secondo un identico schema formale: un ac­ cordo ribattuto (o tenuto) seguito da una cadenza più o meno articolata. b) Gli accordi sono triadi complete in posizione fondamentale.2 Inoltre, gran parte degli esempi sono a quattro voci con il raddoppio della nota fondamentale dell’accordo. c) La concatenazione degli accordi di ciascun verso è in genere in­ terpretabile in una logica pienamente tonale. Tra l’altro, il primo e l’ul­ 1 Nei repertori tradizionali ogni brano presenta due o tre o più versi musicali che si combi­ nano tra di loro secondo il principio della struttura modulare. Per le fonti scritte invece mancano indicazioni precise su come venisse effettivamente realizzato un brano in falsobor­ done. È comunque improbabile la monotona ripetizione di un identico verso musicale (si ricordi tra l’altro il passo di Signorucci riportato nel paragrafo 2.7). A parte le poche eccezioni di cui si è discusso nei paragrafi 1.7 e 2.7.

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timo accordo del verso in molti casi sono uguali e comunque costitui­ scono sempre i due poli fondamentali della concatenazione del mate­ riale musicale. Una certa frequenza hanno anche cadenze intermedie sul quinto grado. d) Le parti vocali di norma si muovono omoritmicamente. Inoltre la scansione delle durate realizzata nei repertori orali e la struttura rit­ mica dei falsobordoni scritti non presenta una rigida articolazione in valori proporzionali propria della musica d'arte.3 e) Le singole parti vocali si muovono in prevalenza per gradi con­ giunti entro porzioni della scala alquanto ristrette, ad eccezione della parte più grave la quale si caratterizza per la presenza di salti melodici di quarta e di quinta che realizzano le fondamentali degli accordi. f) L’esecuzione realizzata nella tradizione orale e prevista nella mag­ gior parte delle fonti scritte è a cappella. Essa tende verso il raggiungi­ mento del massimo ripieno sonoro attraverso un ricercato amalgama delle voci.4

A queste constatazioni se ne aggiungono altre relative al dato extra­ musicale. Come abbiamo visto sia i repertori tradizionali che i falsobordoni scritti sono destinati ad almeno un preciso contesto cerimo­ niale comune: i riti della settimana santa. Tale contesto esecutivo costi­ tuisce un tempo ‘forte’ dell’anno liturgico, un periodo cioè in cui hanno luogo eventi comunicativi specifici e non quotidiani, che sono sempre estremamente formalizzati, con un ristretto margine lasciato al­ la casualità’.5 Non va poi trascurato il frequente riscontro dei medesi­ mi testi verbali e soprattutto del salmo Miserere. Se quindi la trattazione dei capitoli precedenti ha offerto elementi sufficienti a presupporre un diretto collegamento fra l’odierna tradizio­ ne orale e la prassi rinascimentale del canto in falsobordone, l’obiettivo 3 Come si ricorderà, gran parte delle fonti scritte suggeriscono solo orientativamente i valori degli accordi da realizzare. Non abbiamo dati diretti sulla effettiva prassi esecutiva. 4 Inoltre i repertori tradizionali, ad eccezione però di gran parte di quelli sardi, sono esegui­ ti da più di un cantore per parte vocale, evenienza prevista, seppur raramente esplicitata, dai falsobordoni scritti.

5 «Momento particolare di tutta la liturgia pasquale è da sempre il Triduo sacro (giovedì precedente la Pasqua fino a Domenica) le cui celebrazioni acquistano una struttura straor­ dinaria, occasione quanto mai favorevole per interventi rituali e musicali di notevole im­ portanza. [...] Sono proprio i tempi forti dell’anno liturgico — in modo particolare il tri­ duo sacro — che conservano più che altri periodi o feste, materiale particolarmente antico e forme arcaiche.» BAROFFIO, Liturgia, p. 750.

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di questo capitolo conclusivo sarà quello di indagare circa i tempi, i modi e gli àmbiti di tale particolare incontro fra tradizione orale e tra­ dizione scritta. E noto tuttavia che ricerche del genere non possono disporre del sostegno di una copiosa documentazione archivistica. In questo caso, poi, bisogna anche aggiungere che le oscure vicende relative al sorgere ed alla diffusione del termine falsobordone, analizzate in precedenza (paragrafo 2.2) rappresentano un ulteriore ostacolo all’indagine biblio­ grafica. Infatti, poiché la prassi del canto in falsobordone era normal­ mente e largamente utilizzata senza essere definita in questo modo, di­ viene alquanto difficile trovare precisi riscontri nelle fonti letterarie del passato. Allo stesso tempo la polisemia del termine e la poca chiarezza circa il confine delle sue diverse accezioni (paragrafo 2.2) fanno sì che alcune attestazioni risultino poco precise o di lettura non univoca, eve­ nienza che per altro si è già vista a proposito del brano dal diario sette­ centesco del nobile francese Vivant De Non discusso nel paragrafo 1.10. È evidente perciò che la trattazione seguente si baserà prevalente­ mente su testimonianze indirette o indiziarie e non potrà che condurre alla formulazione di ipotesi verosimili. Prima di procedere vogliamo precisare che la mancanza di precise e sistematiche coincidenze tra le successioni accordali dei documenti tar­ dorinascimentali e quelle della odierna tradizione orale rappresenta un dato del tutto secondario ai fini della nostra ricerca. I falsobordoni scritti, infatti, debbono essere considerati solamente la punta emergen­ te di una ben più vasta pratica esecutiva di cui non esauriscono certa­ mente le possibilità di concatenazione accordale. Ciò che importa è pertanto che le concatenazioni dei repertori tradizionali rientrino per­ fettamente fra tali possibilità. D’altra parte riscontrare una identica successione di accordi di un repertorio orale in una fonte scritta non costituisce una prova certa che quel repertorio sia nato’ o ‘derivi’ dalla adozione di quella fonte. Ad esempio si sarà notato che il Deus in audiutorium di Castelsardo (esempio 38) ha lo stesso schema accordale del coro sullo stesso testo posto da Monteverdi all’inizio del Vespro della Beata Vergine', non esiste però nessuna testimonianza circa una qualsiasi relazione tra i due docu­ menti, e non è nemmeno ipotizzabile che la confraternita di Castelsar­ do (istituita più di mezzo secolo dopo la pubblicazione del Vespro) pos­ sa aver adottato’ nel proprio repertorio l’opera monteverdiana.6 6 Numerosi sono i casi di similitudini nella concatenazione accordale. Ad esempio la seconda

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Non bisogna poi dimenticare che la tradizione orale non è affatto statica. Cambiamenti nella trama accordale — fermo restando il princi­ pio costituzionale — sono affatto plausibili nella trasmissione stessa dei repertori: come si ricorderà casi del genere sono documentati in tempi recenti (paragrafo 1.4) ed è perciò possibile ipotizzarne di analoghi in passato.7 Non altrettanto plausibile è invece pensare che le esecuzioni odierne riproducano sic et sempliciter quelle di tre-quattrocento anni fa. In altre parole ciò vuol dire che i repertori polivocali della settimana santa non sono ‘reliquie’ di repertori scritti del passato bensì manifesta­ zioni attuali e funzionali dello stesso principio costitutivo alla base del falsobordone. Di conseguenza è possibile che le identità o le similitudi­ ni nella concatenazione degli accordi siano il risultato di casuali coinci­ denze dovute alla strutturazione stessa del materiale musicale (e del re­ sto facilmente concepibili). Il loro eventuale riscontro è comunque un dato non necessariamente pertinente. Di conseguenza risulta altrettan­ to fuori luogo qualsiasi tentativo di individuare un presunto testo ori­ ginale’ di un’esecuzione odierna.

3.2. La musica liturgica nelle chiese minori in epoca post—tridentina Il tentativo di determinare una esatta datazione di manifestazioni mu­ sicali della tradizione orale o comunque con una forte componente af­ fidata alla trasmissione orale costituisce, come è noto, una operazione vana.8 Nel nostro caso, tuttavia, è evidente che un momento fondamenta­ le tanto nella diffusione della prassi del falsobordone quanto nello svi­ luppo dei repertori polivocali ad accordo’ della settimana santa si deb­ ba ricercare nel generale moto di riorganizzazione della Chiesa cattolica successivo al concilio di Trento. Le indicazioni in questo senso sono al­ quanto numerose ed alcune sono già state notate (paragrafi 1.9 e 2.5), altre verranno esposte più avanti. Qui basterà ricordare soltanto che da sezione del Miserere di Bosa (esempio 34) presenta una cadenza conclusiva IV—I—II—I che ri­ chiama Finterò primo verso del Miserere di Ferrarese (esempio 67) o la seconda sezione del Miserere di Mauro Chiaula, citato alla nota 56 del capitolo 2 (e non definito in falsobordo­ ne); oppure il Vexilla di Montedoro (esempio 26) il cui schema accordale i-v / V-i-ii-i che richiama quello del Miserere di Palestrina dell’esempio 50. Altri casi saranno discussi più avanti.

7 Sulla pertinenza di questa estensione si ricordi quanto discusso nell’introduzione. 8 Si ricordino le considerazioni esposte neH’introduzione.

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un lato i gruppi dei cantori tradizionali sono espressione di confrater­ nite laicali, cioè di quei sodalizi che ebbero una capillare diffusione a partire dalla riforma tridentina (vedi paragrafo 3.5), costituendo uno dei principali riferimenti per la sua azione acculturatrice; dall’altro che il falsobordone costituì uno strumento della stessa azione acculturatrice con lo specifico obiettivo di rappresentare un modello di canto polifo­ nico utilizzabile in tutti i contesti della pratica religiosa. Per approfondire l’indagine sull’incontro fra tradizione orale e scritta proposto in questo studio è quindi necessario soffermarsi, sia pur brevemente, su alcuni presupposti fondamentali della musica li­ turgica dell’epoca con particolare riguardo alla pratica in vigore nelle chiese minori. Come è noto, il concilio tridentino ribadì con forza il carattere accentratore dell’azione della Chiesa dichiarando l’assoluta unitarietà del­ la liturgia cattolica. Ciò portò alla estrema codificazione della pratica rituale che oramai era definitivamente fissata ed escludeva margini evo­ lutivi. Nella città papale si pubblicavano così i libri ufficiali, messali, breviari e cerimoniali vari, che venivano imposti a tutte le chiese. Essi regolavano minutamente i diversi momenti del culto che nessuno ave­ va diritto di modificare, nemmeno parzialmente. Tra l’altro, anche i ri­ ti della settimana santa vennero profondamente revisionati. Espurgate le ‘degenerazioni’ che si erano avute nel tardo medioevo ed eliminate le diverse usanze regionali, essi vennero condotti ad un unico modello ri­ gidamente prescritto, un modello che prevedeva la presenza di diversi momenti drammaturgici.9 Il testo scritto quindi, in quanto componente basilare del rito, veni­ va ipso facto connotato di un’aura sacrale’. Compito delle organizzazio­ ni generate o riformate dal concilio era quello di imporre e far rispetta­ re, anche nelle chiese più piccole e nelle comunità più periferiche, la comune norma liturgica.10li 9 Sull’argomento si veda l’ottima trattazione di BERNARDI, La drammaturgia della settimana santa. 10 Sull’argomento si veda il quadro sommario tracciato da ALBERIGO, Il cristianesimo in Italia^ pp. 79-89 e le relative indicazioni per l’approfondimento. Come è noto tale processo non Ri pacificamente accettato, soprattutto nelle campagne dove persistevano credenze animistiche estranee al cristianesimo, con relativo fiorire di riti ed espressioni formalizzate. Il contrasto che ne scaturì fu molto articolato ed ebbe talora momenti assai cruenti. Sinodi e concili loca­ li si adoperarono alacremente per bandire ogni manifestazione non conforme alla norma li­ turgica. Così ad esempio un sinodo napoletano del 1565 vieta espressamente le «vanae cantilinae [...] saltationis turpis invigilant, cantica non solum mala cantantes, sed etiam religiosorum officiis perstrepunt, in quibus praesertim villarum nostrae diocesis, alisque finitimis

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Allo stesso modo, anche la musica destinata ad accompagnare la ce­ lebrazione rituale doveva avere carattere unitario e doveva altresì basarsi su un testo scritto, ascriversi cioè all’elevata condizione di ars et sden­ titi. Tuttavia tale direttiva non si concretizzò nella prescrizione di un unico repertorio e/o di un preciso genere musicale. Il concilio, infatti, si limitò ad indicare un ideale stilistico, lo stile ecclesiastico, grave e devoto’, l’unico ritenuto consono alla sacralità dei testi cantati. Ciò in pratica si tradusse nella tendenza ad adottare un contrappunto sempli­ ce, nota contro nota, in un regime di piena consonanza, con netta pre­ ferenza per esecuzioni a cappella (tendenza che, come è noto, dai prin­ cipali compositori fu ben presto disattesa o comunque divenne niente di più che una dichiarazione di intenti).11 In questo modo, però, alla unitarietà del testo sacro si contrappone­ va la molteplicità della sue possibili realizzazioni musicali. Ciò finiva tra l’altro per autorizzare’ implicitamente l’esistenza di notevoli diffe­ renze quantitative e qualitative. Schematicamente, da un lato, poiché la musica era considerata essenzialmente un mezzo al servizio della solen­ nità’, quanto più solenne era l’occasione liturgica tanto più vasto e più pomposo doveva essere l’apparato musicale;* 12 dall’altro, poiché alquan­ 11 to elevato era il costo del mantenimento di una cappella musicale, quanto più ‘importante’ era la una istituzione religiosa tanto di miglior qualità era l’accompagnamento musicale del rito.13 locis in quos edam sudditi nostri devotionis occasione conveniunt» (citato da CLETO CORRAIN - PIERLUIGI ZAMPINI, Documenti etnografici nei sinodi diocesani italiani, Forni, Bologna 1970, p. 148); mentre diversi sinodi sardi si pronunciarono contro l’uso delle danze in chiesa descritto, tra l’altro, da una cronaca del 1558: «cum rustici diem festum alicuius sancti cele­ brant, audita missa in ipsius sancti tempio, tota reliqua die et nocte saltant in tempio, profa­ na cantant magnaque laetitia in honorem sancti vescuntur camibus illis» (SIGISMONDO ARQUER, Sardiniae brevis bistorta, Basilea 1558 — citato da MASTINO, Un vescovo della riforma, p. 29). E altresì noto che molte di queste ‘usanze’, nonostante le persecuzioni cui furono sog­ gette, persistettero e/o diedero vita a forme di sincretismo (alcune delle quali ancora in uso). Sull’argomento esiste una ricca e per certi aspetti controversa letteratura. Come introduzione si possono consultare BURKE, Scene di vita, e, per quanto riguarda l’Italia meridionale, GA­ BRIELE DE ROSA, Chiesa e religione popolare nel mezzogiorno, Laterza, Bari 1978, e MARIO ROSA, La chiesa meridionale nell’Italia della controriforma, in Annali della Storia d’Italia, voi. IX, Einaudi, Torino 1986. Precisiamo, infine, che i repertori polivocali della settimana santa rientrano solo marginalmente fra questo tipo di sincretismo (vedi oltre). 11 ROCHE, North Italian Church Music, nonché il quadro proposto da COSTA, Sacra musica.

12 STEFANI, Musica e religione, pp. 49-62.

13 Come è noto la scelta della chiesa dove assistere al rito era dovuta sovente alla componente musicale: «brami chi vuole di cacciare dalle chiese il canto ornato; io ve lo desidero, ve lo cer­ co, e (forse è mio difetto, mia sensualità, come dissi, ma checché sia, confesso con sincerità la

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Ciò che comunque ci interessa ribadire è che qualsiasi chiesa, anche la più piccola e la più lontana dai centri urbani, nei giorni più solenni, avrebbe dovuto in qualche modo provvedere, con i propri mezzi, ad ornare il rito con un apparato musicale non quotidiano’, il più fastoso possibile (nei limiti dell’ortodossia). E ovvio ritenenere che gli sforzi maggiori si concentrassero durante la settimana santa, l’evento princi­ pale del calendario liturgico. Come tale sforzo si traducesse nella prati­ ca è impossibile da definire con la 'certezza del dato documentario: più ci si allontana dai centri urbani e minore è infatti la possibilità, in que­ st’epoca, di ritrovare documenti scritti.14 E tuttavia scontato che il ‘gio­ co’ incrociato di allettamento’ ed ammaestramento’ che è testimoniato per le città e le classi istruite si riproducesse, mutatis mutandis, anche nei confronti del ‘vulgo ignorante’, mediante un ‘linguaggio’ (anche musicale) che da questo potesse risultare comprensibile. Allo stesso tempo il concilio di Trento sanzionò con assoluta chia­ rezza la specializzazione dell’esercizio musicale nel contesto liturgico. Questo, infatti, doveva essere riservato a cantori qualificati e non alla massa indistinta dei fedeli (alla quale erano destinati tutt’al più reper­ tori devozionali)15 e doveva trovare riferimento in testi musicali scritti. Anche in questo caso, però, la varia e multiforme realtà delle istitu­ zioni ecclesiastiche dell’epoca provocò, necessariamente, una diversa realizzazione di tale intendimento. Le grandi istituzioni cittadine pote­ vano infatti contare su cappelle musicali formate da cantori professio­ nisti, mentre quelle piccole e periferiche dovettero optare per soluzioni più ‘economiche’ e verosimilmente temporanee. Ancora una volta è quest’ultima una realtà che sfugge ad una precisa indagine storico-documentaria. In alcuni casi, tra cui Bosa in Sardegna, è documentata l’assunzione, a cura delle autorità cittadine, di maestri di canto figurato forestieri.16 In altri casi sappiamo che erano alcuni canto­ mia colpa) moke volte di più vado alle chiese dove bene si canta, che forse non vi andrei se non vi si cantasse.» DELLA VALLE, Della musica, p. 176. Sull’allettamento spirituale della mu­ sica e sulla chiesa come luogo di ‘concerti’ sono imprescindibili STEFANI, Musica e religione, e 1D. Musica barocca.

14 D’altra parte il mondo delle campagne è in genere rimasto al di fuori dell’orizzonte di os­ servazione degli eruditi come realtà produttrice di cultura almeno fino al secolo scorso. È quindi evidente che nemmeno da questa direzione possono arrivare contributi. Vedi LEYDI, L'altra musica. 15 Come è noto tale assunto è venuto parzialmente meno solo con il concilio vaticano II. Vedi BAROFF1O, Liturgia.

16 Vedi MASTINO, Un vescovo, p. 50. Tale documentazione risale al 1609. Non sono noti né il nome né la provenienza di tale maestro.

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ri delle cappelle più grandi della zona che, in coincidenza con le princi­ pali scadenze liturgiche, si recavano nei centri minori.17 Ciò è assai vero­ simile che potesse accadere in Sicilia, allora caratterizzata da una fitta re­ te di cappelle musicali;18 più difficile invece in altre zone del sud e in Sardegna, dove più rara era la presenza di stabili istituzioni di canto.19 Un dato certo è comunque che anche le chiese più lontane dai centri urbani disponevano in qualche modo di esecutori specializzati nel canto polifonico, pratica che veniva realizzata quanto meno nelle grandi occa­ sioni festive, in particolare durante il triduo della settimana santa.20 Da ciò consegue che dovette esistere una ampia e diffusa fascia di cantori che possiamo definire artigianale, cioè di cantori in possesso di specifi­ che competenze nell’esecuzione dei brani liturgici che possiamo colloca­ re tra il livello colto dei professionisti delle cappelle ed il mondo della tradizione orale.21 Indubbiamente tale fascia artigianale era costituita in prevalenza da componenti del clero, regolare o secolare, che come è noto in questo periodo contava su una straordinaria fioritura di vocazioni. Il concilio, tra l’altro, aveva imposto ai futuri chierici (e soprattutto ai preti) l’ob­ bligo dello studio, oltre che della grammatica, almeno dei rudimenti musicali (benché anche dopo la promulgazione di questa norma, non mancarono sacerdoti e monaci analfabeti e quindi neanche in grado di leggere la musica — vedi il paragrafo 3.4). Tale competenza quindi ga­ rantiva quanto meno l’accompagnamento ordinario della liturgia . Nelle celebrazioni festive e nelle grandi occasioni liturgiche l’esecu­ zione della polifonia richiedeva ovviamente un più ampio numero di cantori. In questo caso è da ipotizzare, sulla scorta di alcune precise at­ testazioni,22 che tale esigenza fosse soddisfatta da membri di confrater­ 17 Vedi GRAHAM DIXON, The Pantheon and Music in Minor Churches Seventeenth—Century Rome, «Studi Musicali», x/2 1981, p. 271. 18 Vedi CARAPEZZA, Introduzione: la musica sacra. 19 Confronta per esempio Polifonisti calabresi dei secoli XVI e XVII, a c. di Giuseppe Donato, Torre d’Orfeo, Roma 1985. Come è noto si hanno pochi documenti sulla diffusione delle cappelle in Sardegna. Vedi FEDERICO MARRI, La cappella musicale turritana nella cattedrale di Sassari nei secoli XVin e XIX, «Note d’Archivio per la Storia Musicale», nuova serie, III 1985.

20 Assai pochi sono finora gli studi musicologici dedicati alla vita musicale delle chiese mi­ nori. Tra questi va segnalato DIXON, The Pantheon, che ha, tra l’altro, il merito di offrire un quadro d’insieme alquanto articolato ed estensibile ad altre realtà locali. 21 Tale definizione è mutuata da ARCANGELI - SASSU, Esempi dipolivocalità, pp. 40-1.

22 Cfr. DIXON, The Pantheon, nonché i documenti che saranno illustrati nel paragrafo 3.5.

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ni te laicali. Queste, come vedremo nel paragrafo 3.5, erano infatti dif­ fuse in maniera capillare in tutta Italia e si caratterizzavano per una in­ tensa attività musicale che certamente non si limitava ai semplici reper­ tori devozionali, eseguibili da chiunque, e prevedeva forme più com­ plesse, coltivate da confratelli specializzati. Un altro elemento della prassi musicale sacra post—tridentina che ci interessa evidenziare è il considerevole ruolo in essa svolto dalla tradi­ zione non scritta.23 Già lo stesso carattere non finito della notazione musicale dell’epoca, che presupponeva sempre un qualche intervento interpretativo da parte degli esecutori, lascia intendere l’ampio rilievo che necessariamente assumevano convenzioni esecutive trasmesse oral­ mente.24 Come tutti i fenomeni di questo tipo (si ricordi quanto detto nell’introduzione) anche tali convenzioni si costituivano in ‘tradizione’ locale: ciascun gruppo di cantori cioè istituiva, più o meno dichiaratamente, una propria consuetudine esecutiva che veniva attuata e tra­ mandata oralmente. Informazioni precise su tale processo sono note ad esempio a pro­ posito della Cappella Sistina. Riportiamo un brano del cantore Antimo Liberati che apertamente rivendica la capacità del sodalizio a cui egli apparteneva di far a meno della scrittura (nonché di saper praticare il «contrappunto alla mente»): [...] i nostri [cantori] della Cappella Pontifìcia (unico essempio, e stupore al mondo tutto) [...] senza segno, ò moto alcuno di

battuta, cantano unitamente tutti i concerti musicali attenenti per le sacre fontioni del sommo pontefice con un ordine così pondera­ to, et esquisito, che non solo vanno procedendo con il canto senza

disturbo, ò confusione imaginabile, ma di più sanno, ò con la tar­ diva, ò con la velocità necessaria compassar, e distribuire in modo la cantilena, che finita la cerimonia, ò del pontefice, ò del cele-

23 Secondo Pietro Della Valle amano «le genti di sentir cantare a mente con gli strumenti in mano con franchezza, che di vedere quattro o cinque compagni che cantino ad un tavolino col libro in mano, che ha troppo dello scolaresco e dello studio: [...] nelle chiese ed in altri luoghi, dove è necessario di cantare e sonare con le carte innanzi, i musici ne* cori sempre si cuoprono con panni o con gelosie, acciochè non siano veduto; dove che a’ tempi antichi nelle scene stesse, insino quei del coro stavano sempre a vista delle genti adorni di abiti ga­ lantissimi; perchè, a mio credere, sonavano e cantavano con franchezza a mente, senza car­ ta». DELLA VALLE, Della musica^ p. 171. 24 Naturalmente poiché il grado di ‘definizione* prescrittiva delle stampe musicali dell’epoca era diverso anche il carattere dell’intervento degli esecutori variava conseguentemente. Certa­ mente la notazione del falsobordone era tra quelle a lasciare i più ampi margini alla discrezione interpretativa dei cantori (vedi paragrafo 2.7). Torneremo sull’argomento nel paragrafo 3.6.

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IL FALSOBORDONE FRA TRADIZIONE ORALE E TRADIZIONE SCRITTA brante, si trova anche nel med.° punto finita la cantilena. Onde il

sentir da ciascuno di quegli eruditi cantori sovra il canto piano, ò chorale componer’alfimprowiso, e come si dice far contrappunto alla mente con nobile harmonia, come se Risse scritta, e composta

per l’avanti rende meraviglia, e dolcezza insieme.25

Ancora una volta è giocoforza ipotizzare, pur in mancanza di analo­ ghe attestazioni, che processi di questo tipo si verificassero anche nelle cappelle minori e che simili capacità interpretative (sebbene meno so­ fisticate’ alle orecchie degli intenditori di musica) fossero condivise da quei cantori non professionisti che abbiamo definitivo appartenere ad una fascia artigianale. D’altra parte, poiché è noto che all’epoca, lontano dalle città, il ricor­ so alla scrittura era in genere alquanto limitato,26 è logico presupporre che quanto più i gruppi di esecutori erano distanti dal professionismo delle grandi cappelle cittadine tanto più il ruolo svolto dalla tradizione orale divenisse determinante per la trasmissione complessiva del canto e non solo per la dimensione interpretativa. Riteniamo cioè possibile che, così come accadeva normalmente nei repertori devozionali, anche l’ese­ cuzione delle musiche liturgiche presentasse forme di oralità secondaria, cioè di repertori derivati da testi scritti ma dai cantori appresi (e traman­ dati) oralmente, attraverso cioè l’imitazione e non mediante la lettura di­ retta della notazione su pentagramma. Quest’ultima, riservata, almeno in teoria, ai chierici, costituiva comunque il necessario suggello in grado di garantire la conformità con la norma imposta dal testo scritto. Non va dimenticato che alla base delle ipotesi fin qui formulate vi è la constatazione che nel suo insieme la musica dell’epoca prevedeva normalmente un continuo scambio’ fra tradizione orale e scritta. Cer­ tamente tale scambio era più intenso nel caso dei repertori profani (e devozionali) che non nel campo della musica liturgica imperniata sulla sacralità del testo scritto.27 Tuttavia, 25 LIBERATI, Epitome, p. 45. Confronta anche con il passo riportato nel paragrafo 2.3. Come si ricorderà per padre Martini ed altri teorici ‘contrappunto alla mente’ equivaleva a falsobordone (vedi il paragrafo 2.9). Sulla musica nella cappella sistina vedi JEAN LIONNET, Performance Practice in the Papal Chapel during the 17th Century, «Early Music», xxv/l 1987.

26 Vedi BURKE, Cultura popolare (in particolare i capitoli 2 e 6). 27 Sui rapporti fra oralità e scrittura nella musica di quest’epoca si è registrata una crescente attenzione della musicologia negli ultimi anni. Imprescindibili rimangono comunque le pa­ gine di P1RROTTA, Musica tra medioevo e rinascimento. Di notevole interesse sono anche gli

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la globalità dei rapporti religioso-civile, culto-cultura, nella società barocca esclude che si possa parlare, per quest’epoca, di una separazione fra sacro e profano come si è soliti intendere per l’epo­ ca dalla Restaurazione al Vaticano II. Così è per la musica: nella misura [...] in cui la liturgia è integrata alla festa, non si dà uno

stile musicale sacro opposto a uno secolare.28

Ciò implica, tra l’altro, che elementi specifici della cultura musicale tradizionale non dovettero essere del tutto estranei alla pratica esecuti­ va del canto ecclesiastico, specie negli ambiti più lontani dal professio­ nismo delle grandi cappelle urbane. Allo stesso tempo, capillarmente diffuso, il modello ufficiale’ della musica liturgica, con la sua componente di sacralità, non potè non rappresentare un ‘ideale’ per la cultura tradizionale, un ‘ideale’ da osse­ quiare e che inevitabilmente talora si finiva per ‘imitare’: è in questo contesto che verosimilmente stilemi di provenienza colta furono as­ sunti anche da repertori tradizionali. Del resto non va dimenticato che per la maggior parte della ‘gente comune’ dell’epoca, specie quella che viveva lontana dalle città, era quella liturgica l’unica musica ‘altra’, l’unica musica ‘importante’, nettamente differente dai repertori quoti­ diani, funzionali o di intrattenimento, che aveva la possibilità di ascol­ tare.29 Qualificare i caratteri di tale scambio è ovviamente impossibile per la pressoché totale mancanza di informazioni circa le forme musicali della tradizione orale dell’epoca. E però certo che repertori di canto a più voci erano normalmente eseguiti ed ampiamente diffusi anche al di fuori degli ambiti urbani. Alcune fonti letterarie offrono al riguardo poche e fugaci indicazioni che tuttavia sono inequivocabili. Ne riportiamo una, tra le più note, particolarmente significativa, proveniente dal trattato del teorico na­ poletano Scipione Cerreto (1551-dopo il 1631) Dellaprattica musica : spunti offerti da GALLO, Musica e storia. Tra i contributi dedicati a specifici argomenti se­ gnaliamo: IVANO CAVALLINI, Sugli improvvisatori del Cinque—Seicento: persistenze, nuovi re­ pertori e qualche riconoscimento, «Recercare», I 1989. 28 STEFANI, Musica e liturgia, p. 78. Del resto anche la cultura dei religiosi non si può consi­ derare del tutto lontana da quella comune (cfr. BURKE, Scene di vita, pp. 35-81; ed in parti­ colare per il sud dell’Italia, GIUSEPPE GALASSO, L’altra Europa. Per una antropologia storica del mezzogiorno d’Italia, Mondadori, Milano 1982). Torneremo sull’argomento nei prossi­ mi due paragrafi.

29 SuH’argomento sono fondamentali le osservazioni contenute nei primi due capitoli di BURKE, Cultura popolare.

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IL FALSOBORDONE FRA TRADIZIONE ORALE E TRADIZIONE SCRITTA

[...] è vero che il cantare variato si costuma in tutte le parti del mondo, anzi ne i luoghi rustici si sente varia diversità nel cantare, come spesse volte dagl’huomini, e donne che ne campi lavorano,

che per passare il tempo della loro fatica, cantano le loro canzoni, & versi dandoli quell’aria, e modo di cantare secondo il costume, & usanza de i luoghi, & paesi dove di continuo habitano senza che loro habbiano cognitione dell’intervalli musici, e d’una certa maniera vanno accordando che si sente al fine alcuna sorte di me­ lodia, & consonanza, e nel mezzo del cantare alle volte sogliono fare certe dissonanze con ligamenti di voci, & le vanno accomo­

dando a poco a poco stringendosi Tuna voce contro l’altra infino a’ tanto che loro aggiungono alla vera perfetione dell’armonia della consonanza diapason [...].30

Indubbiamente il riferimento alle «dissonanze con ligamenti di vo­ ci» e lo stringimento de «l’una voce contro l’altra» fino a raggiungere l’accordo consonante richiama immediatamente tecniche esecutive del­ la tradizione orale polivocale, particolarmente evidenti anche all’ascolto dei repertori oggetto di questa ricerca (vedi gli esempi del capitolo 1). Al di là di tale riscontro, comunque affatto sommario, ciò che importa è che testimonianze come quella del teorico napoletano avvalorano l’ipotesi dello scambio fra tradizione orale e scritta costituendo così lo sfondo entro cui collocare il caso specifico del falsobordone.

3.3. Il canto in falsobordone nella musica degli ordini religiosi regolari

Il ruolo degli ordini religiosi regolari nell’opera di proselitismo succes­ siva al concilio di Trento fu di assoluto rilievo sia dal punto di vista propriamente spirituale sia da quello politico-organizzativo.31 Ciascun ordine diede un particolare indirizzo alla propria attività missionaria 30 SCIPIONE CERRETO, Dellaprattica musica vocale e strumentale [...], Giacomo Carlino, Na­ poli 1601, p. 102. Altre due testimonianze di questo tipo (una delle quali relative all’ambito urbano) sono riportate nell’appendice al capitolo 3. Va anche detto che fino a non molto tempo fa la letteratura musicologica sanciva l’assoluta peculiarità colta della polifonia, tanto da negare qualunque originalità ai repertori tradizionali (confronta CARPITELLA, Muscia e tradizione). Testimonianze come quella di Cerreto (ma anche le stesse vicende del falsobor­ done studiate in questo lavoro) possono offrire dei contributi per una ridiscussione di tale assunto.

31 Come è noto il movimento controriformista, oltre a determinare la creazione di nuovi ordi­ ni, trasformò profondamente quelli esistenti. Nell’assieme il complesso degli ordini religiosi

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conferendo così ad essa una peculiare connotazione. La diffusione fu nel complesso capillare e gli insediamenti conventuali coprirono in pratica tutte le aree del territorio italiano.32 Che la pratica musicale costituisse un esercizio di grande importan­ za nell’attività di tutte le organizzazioni monacali è un fatto ampia­ mente noto. Essa accompagnava sia tutti i momenti rituali interni al convento sia nelfintensa opera di predicazione che ciascun ordine svol­ geva nelle città e nelle campagne. Così, per esempio, ferudito Vincen­ zo Giustiniani nel 1628 rileva che: Si sentono molti predicatori, che per muovere la gente bassa et idiota, si servono più del canto che de concetti; massime nelle pre­ diche del Venerdì Santo. In modo che si può dir veramente, che ne gl’effetti che procedono dalla musica, la natura vi abbia gran

parte, accompagnata anche dell’artifìcio, come ha ne gl’animali ir­

razionali ancora [...].33

La letteratura musicologica manca ancora di studi sistematici sulla sterminata produzione a stampa, prodotta da ciascun ordine religioso, e sulla prassi musicale ordinaria dei monaci all’interno e fuori dei conven­ ti. I lavori a disposizione, infatti, sono costituiti in prevalenza da profili biografici di singoli musicisti-compositori oppure da monografie sui principali centri di cultura di ciascun ordine.34 Accanto a tale attività musicale, di certo relativamente elitaria e ricercata, ve nera tuttavia una di ‘maniera’, senza altra finalità se non l’accompagnamento del rito. Questa, quantitativamente più consistente, era opera della grande mag­ gioranza dei religiosi che di solito possedevano solo rudimenti di gram­ costituì «una struttura portante della realtà istituzionale e mentale della Controriforma, sinora trascurata nella sua totalità, nei suoi ruoli non settoriali e nelle sue reciproche interferenze». (ROSA, La chiesa meridionale, p. 294).

32 Tra l’altro è da ricordare che a differenza del clero secolare, i diversi ordini mantennero una relativa indipendenza dai centri di potere politico essendo soggetti direttamente dall’au­ torità di Roma. Quest’ultimo rapportò fu però di diffìcile gestione soprattutto in considera­ zione delle spinte ‘autonomistiche’ che ben presto finirono per .caratterizzare l’azione di alcu­ ni monasteri, specie quelli più lontani, tanto che, per esempio, già Innocenzo X tra il 1649 ed il 1654 avvertì l’esigenza di un grande inchiesta che portò alla soppressione di alcuni or­ dini o di singoli conventi. 33 VINCENZO GIUSTINIANI, Discorso sopra la musica de suoi tempi [1628] (citato da SOLERTI, Le origini del melodramma, p. 120).

34 In proposito vedi le osservazioni di OSCAR MISCHIATI, Profilo storico della cappella musicale in Italia nei secoli XV-XVHI, in Musica sacra in Sicilia, pp. 24-5.

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[I, FALSOBORDONE FRA TRADIZIONE ORALE E TRADIZIONE SCRITTA

matica musicale e, generalmente, dovette essere di qualità mediocre .35 Cerimoniali e le altre pubblicazioni d’uso comune, sovente assai modeste, che regolavano l’attività di ciascun religioso, presentavano di norma indicazioni anche a proposito della musica liturgica. Tali indica­ zioni però non erano di solito particolareggiate e si limitavano ad indi­ care il contesto esecutivo di ciascun brano all’interno del rito. Citiamo per esempio una stampa destinata agli «Apostolici predicatori» ed inti­ tolata Regole per ordinare un essercitio spirituale di disciplina o d'altro (senza alcuna indicazione di autore ed editore, né di data, benché cer­ tamente della seconda metà del sedicesimo secolo), che per il venerdì santo prescrive che si Intonerà il Miserere con affetto pietoso, è recitarsi adagio, alter­ nativamente senza biscanto, tutto il salmo col Deprofundis [sic].36

In tutta la stampa non si ritrovano indicazioni più precise sull’ese­ cuzione o riferimenti ad una specifica versione musicale dei diversi brani citati. Ad ogni modo, pur con questi limiti documentari, è certo che la prassi del falsobordone facesse parte del normale ‘bagaglio’ musicale utilizzato dai principali ordini religiosi regolari. Diverse ed assai chiare sono infatti le testimonianze in proposito, mentre abbiamo notato in 35 Diffìcile è ovviamente ritrovare al riguardo testimonianze dirette. Una idea non certo bril­ lante del canto dai monaci si può comunque cogliere ad esempio da un brano del sacerdote fiorentino Francesco Cionacci che a proposito deH’«Linisono cioè del cantare su la medesima corda [...] [afferma che ciò] si fa da più persone le quali si accordino tutte unitamente in un medesimo suono pieno, e risonante, senza punto alzare, o calare la voce, come quando i Cappuccini, o altri religiosi, che non anno l’uso de’ tuoni, dicono in coro alternativamente il Mattutino, o altre Ore Canoniche, che dicendosi in una sol voce piena, e sonora, alcuni credono che sia un dirlo leggendo, ma s’ingannano perchè questo si chiama cantar in uniso­ no, o in voce eguale. Ovvero si può anche dire canto recitativo [...] e segno manifesto d’una divota unione spirituale di molte anime accordate insieme [...] Nel che fanno male alcuni, i quali quando si dice in Coro l’Offizio in voce eguale, alzano più degli altri la loro voce, e con una certa cacofonia disdicevole s’accordano poi con gli altri solo nell’ultima parola del verso del salmo». FRANCESCO CIONACCI, Dell origine e progressi del canto ecclesiastico, in MAT­ TEO COFERATI, Il cantore addottrinato [...], Vangelisti, Firenze 1682, p. 57. 36 Regole per ordinare un essercitio spirituale di disciplina o d’altro, s.e., s.d., p. 4 (l’opera è conservata presso la Biblioteca Vallicelliana di Roma con segnatura BORR. R IV 15). In aper­ tura si ritrova il seguente proclama: «Occorrendo sovente agl’apostolici predicatori (per di­ vertire li popoli dal male & allettarli al bene) introdurre, ò ravivare qualche essercitio spiri­ tuale, ho stimat’espediente di facilitarglielo con qualche regola determinata, e perché quan­ to sarà più breve, riuscirà più gradito, potranno spendere un’hora e non più [...]».

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precedenza (paragrafo 2.8) come le stampe che costituiscono il genere falsobordone siano in larga parte opera di membri del clero regolare e/o destinate all’esecuzione all’interno dei conventi di vari ordini. Dati gli obiettivi e l’impostazione di questo studio possiamo trala­ sciare un sistematico spoglio delle fonti archivistiche per limitarci ad alcuni dei significativi sondaggi’. Presenteremo pertanto solamente al­ cuni dati relativi a quegli ordini che maggiormente esercitarono la pro­ pria attività nelle aree dove attualmente sono oggi documentati i reper­ tori tradizionali di canto ad accordo’ della settimana santa, e cioè i ge­ suiti, i francescani ed i benedettini.

3.3.1. Igesuiti Come è noto fin dalla sua origine (1540) la Compagnia di Gesù costi­ tuì un punto di riferimento per la riforma cattolica e quindi per l’ap­ plicazione dei dettami del concilio tridentino. Dappertutto si diffusero i collegi e le case che ebbero incidenza su tutte le componenti della so­ cietà dell’epoca. La fitta rete delle strutture gesuite, infatti, offriva al tempo stesso sia centri privilegiati per la formazione delle classi diri­ genti e del clero secolare sia luoghi destinati alla assistenza organizzata delle classi povere. Istituti gesuiti si diffusero assai precocemente, già dal 1546, in Sici­ lia, e progressivamente si estesero in tutto il sud.37 Tale diffusione ap­ portò indubbiamente nuovi fermenti culturali.38 Gli studi sulla cultura gesuita sono stati segnati da un luogo comu­ ne che voleva sant’Ignazio di Loyola, il fondatore dell’ordine, restio alla musica e quindi sanciva che Jesuita non cantant. In realtà, ricerche d’ar­ chivio condotte negli ultimi decenni hanno ribaltato completamente tale assunto, dimostrando che anche i membri della Compagnia, come tutti gli altri ordini, dedicarono una particolare attenzione alla musi­ ca.39 Questa, tra l’altro, venne metodicamente associata alle numerose 37 Si veda la storia della diffusione dell’ordine tracciata da EMANUELE AGUILERA, Provinciae siculae societatis Jesus ortus et res gestae Tipografìa Angelo Pelicella, Palermo 1737.

38 Nella prima fase delazione controriformista, «mentre imperversavano con grande rigore i decreti sinodali volti ad allontanare dal tempio le danze, tripudi e spettacoli disonesti, sono i Gesuiti coloro i quali per primi cercano di tradurre in forme di spettacolarità diretta il mes­ saggio ideologico della Chiesa»; GIOVANNI ISGRÒ, Il teatro del 500 a Palermo, Flaccovio, Pa­ lermo 1983, p. 81. 39 Vedi tra l’altro THOMAS CULLEY, Jesuits and Music: a Study ofthe Musicians connected with the German College in Rome during the 17th Century, Jesuits Historical Institute, Roma 1970, nonché frank Kennedy, Jesuits and Music: the European Tradition, 1547—1622, Uni-

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(e spettacolari) forme devozionali paraliturgiche che caratterizzarono l’operato pubblico degli istituti (specie nei primi decenni) e che veniva­ no realizzate soprattutto nel corso della settimana santa con ampio ri­ corso a forme di drammatizzazione. Ad esempio la memoria di una processione del venerdì santo organizzata dai gesuiti a Palermo nel 1567, riportata dal presbitero Emanuele Aguillera, parla di [...] flebilis musicorum concentus demortui Redemptoris si­

mulacrum comittabatur, quod crebis circumfusus luminibus, altoque jacens feretro, efferebatur. Sequebantur Christi funus ducenti atrati homines, qui nudis humeris, ferreo se flagello cruentabant

Inter hos alius sese inserebat canientium chorus, qui sordido

habitu, maestique numeris, caducam humanarum rerum conditionem carminibus declarabat.40

L’uso del falsobordone da parte dei gesuiti fu assai frequente. Esso venne fortemente incoraggiato dai padri dell’ordine, tanto che si può affermare che throughout the sixteenth and early seventeenth centuries the favorite style of singing in the Jesuit colleges was the falsobordone style.41

Inoltre il falsobordone venne utilizzato come strumento didattico per l’educazione alla polifonia dei giovani. Secondo padre Polanco, autore nel 1898 di una Vita Ignatii Loiolae et rerum Societas Jesu, fu anzi lo stesso fondatore della Compagnia ad indicarne l’adozione. Infatti Ignazio Si autem decerneretur inchoari'debere, turn ipse formam can­

tus [sibi] reservavit; et ita constituit ut non ilio simplici cantu ute-

versity Microfilms International, 1983- Va anche detto che l’interesse verso la musica è te­ stimoniato tra l’altro dai nomi dei musicisti alla cui opera fecero ricorso diversi collegi. Per esempio il collegio di Salemi, piccolo paese della Sicilia occidentale, ebbe come maestro di cappella per tre anni, dal 1615 al 1618, il borgognone Claudio Pari, ammirato composito­ re, noto per una raffinata pubblicazione di madrigali (di cui abbiamo già parlato nel para­ grafo 2.3). In proposito vedi CARAPEZZA, Introduzione: la musica sacra.

40 AGUILERA, Provinciae siculae, p. 171. Descrizioni di analoghi eventi paraliturgici si leggo­ no per esempio in ISGRÒ, Il teatro, e in GAETANO PITARRESI, Rappresentazioni spirituali in Calabria nel see. xvn, «Rivista Internazionale di Musica Sacra», Xi/3 1990. 41 KENNEDY, Jesuits and Music: the European Tradition, p. 216.

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rentur, sed potius in figurato simpliciori, quem falsum bordonem vocant, ut populus ad sacra officia alliceretur.42

Le esplicite attestazioni circa il ricorso al canto in falsobordone so­ no alquanto numerose nei documenti dei principali collegi. Ad esem­ pio una testimonianza del 1570 (degli stessi anni cioè del primo fiorire del falsobordone nelle stampe musicali), proveniente dal fondo gesuiti­ co delfarchivio romano della curia generale, stabilisce che: Assignatur tria genera festorum summorum, mediorum, infìmorum. In summis festis permittitur in sacro musice cantetur om­ nia. Similiter ut is vesperis omnia decantentur vel in falsobordone vel alia cantu figurato [...]. In vesperis vero permittutur ut alterni

psalmi et Magnificat cantentur in falsobordone vel alio canto mu­ sico. [...] In vesperis solum Magnificat musica aliquo falsobordo­ ne cantari poteris et in fine Deo Gratias.43

Un altro documento, proveniente dallo stesso archivio generale e datato sempre 1570, precisa invece che: Per Adventum et a Septuagesima usque ad Pascham diebus

Dominicis integre vespere canuntur Gregoriano cantu. Magnificat solu in canitur falsobordonio, nisi sine primae vesperae sequentis festi [...]. Extra praedicta tempo canuntur psalmi falso bordono, seu media musica, hymni et Magnificat musica facili.44

Allo stesso modo numerosi riscontri si ritrovano nei diari e nelle cronache dei più importanti collegi romani. Riportiamo soltanto due citazioni significative: Adì 26 febraro 1583: La sera se cantorono le litanie della Ma­ donna con doi chori di musica, et uno in falsobordone, et questo serva tutti li sabbati della Quaresima.45

42 PADRE POLANCO, Vita Ignatii Loiolae et rerum Societatis Jesu, Tipografia Società di Gesù, Madrid 1898, pp. 8-9 (citato da FRANK KENNEDY, Jesuits and Music: Reconsidering the Early Years, «Studi Musicali» XVll/1 1988, pp. 78-9). 43 Roma, Archivio Romano Società di Gesù, Inst. 181 II doc. 36 30r (citato da KENNEDY, Jesuits and Music: the European Tradition, p. 247). 44 Roma, Archivio Romano Società di Gesù, doc. 35 2r-2v (citato da KENNEDY, Jesuits and Music: the European Tradition, p. 244).

43 PADRE LAURETANO, Diario dall ottobre 1582-1583, (citato da THOMAS CULLEY, Jesuits and Music, p. 298) .

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Giugno 1583 alli 12 [...]. Poi un choro di Gregoriano, che

erano circa 25 et cantavano Pange lingua etc. [...] poi un choro di falsobordone, à 3. voci che cantava Sacri Solemnijs iuncta sint gaudia et haveano una carta grande per uno in mano dove era la musica et le parole [...].46

L’elenco delle citazioni potrebbe continuare.47 Inoltre, poiché i col­ legi romani costituirono un modello per tutti gli altri istituti della Compagnia è da ritenere che lo stesso ampio ricorso al falsobordone si facesse anche negli altri collegi per i quali non risultano analoghe atte­ stazioni.48 D’altra parte è da evidenziare che nessuna tra le stampe del genere falsobordone venne composta da gesuiti e/o esplicitamente destinata all’esecuzione all’interno dei collegi. Inoltre i pur ricchi archivi dell’or­ dine non conservano nessun esempio su pentagramma di brani di que­ sto tipo.49 Ciò, tuttavia, potrebbe voler dire soltanto che i seguaci della Compagnia adottarono delle forme schematiche del falsobordone (sen­ za cioè particolari elaborazioni delle cadenze — vedi paragrafo 2.7) e comunque lo considerarono uno ‘strumento’ ordinario di cui non era necessario conservare redazioni scritte.50 3.2.2. Ifrancescani L’ordine francescano, come è noto, ebbe origine in pieno medioevo: già nel quattordicesimo secolo, per esempio, una vasta rete di insedia­ menti francescani è documentata in tutto il sud, in Sicilia, in Sardegna ed in Corsica. In concomitanza con il concilio di Trento l’ordine attra­ 46 LAURETANO Diario (citato da CULLEY, Jesuits and Music, p. 299).

47 Vedi tra l’altro le appendici documentarie a CULLEY, Jesuits and Music, KENNEDY, Jesuits and Music: the European Tradition, e RUGGIERO CASIMIRI, Disciplina musicae'e ‘maestri di cappella ’ dopo il Concilio di Trento nei maggiori istituti ecclesiastici di Roma: Seminario roma­ no — Collegio germanico — Collegio inglese sec. XVI-XVII, «Note d’Archivio per la Storia Musi­ cale», Xli/1 1935. 48 E noto tra l’altro che moki dei documenti relativi ai collegi dell’Italia meridionale sono andati perduti. Vedi GALASSO, L’altra Europa.

49 KENNEDY, Jesuits and Music: the European Tradition.

50 Ciò non vuol dire che nella comune realizzazione del falsobordone non si utilizzasse la scrittura musicale, basti osservare come l’ultimo degli estratti dai diari romani che abbiamo riportato parli esplicitamente di cantori «havevano una carta per uno in mano dove era la musica». Evidentemente tali notazioni dovettero avere una esclusiva funzionalità esecutiva ed un limitato valore prescrittivo.

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versò una complessa fase di riorganizzazione che, tra l’altro, portò ovunque ad un notevole incremento della sua diffusione. Solo per cita­ re due casi relativi a paesi di cui abbiamo parlato nel capitolo 1, a Mussomeli all’antico insediamento della seconda metà del quindicesi­ mo secolo si affiancarono altri due conventi, uno fondato nel 1524 (minori conventuali), l’altro nel 1611 (cappuccini); a Castelsardo in­ vece negli ultimi decenni del Cinquecento un secondo convento fran­ cescano si aggiunge al primo risalente addirittura alla seconda metà del tredicesimo secolo. I frati minori svolsero nel complesso un’attività di propaganda mol­ to intensa che coinvolse tutte le componenti sociali dell’epoca, con una particolare attenzione verso le classi più povere. Un elemento di grande rilievo dell’azione francescana fu l’apostolato della predicazione che, specie nei periodi forti dell’anno liturgico come la settimana santa, si estendeva fino alle più piccole e lontane comunità. In tali occasioni i frati tenevano sermoni in uno stile colloquiale appreso durante un ap­ posito tirocinio nelle strutture formative dell’ordine (studia), uno stile che evidentemente doveva essere in grado di avvicinarsi alle forme della cultura tradizionale.51 Ciascun frate aveva a disposizione un apposito apparato di manuali e cerimoniali diversi, che costituivano un supporto pratico’ all’azione oratoria. In questo modo tutti gli appartenenti all’ordine, ovunque ope­ rassero, mantenevano una certa uniformità di fondo nei comportamen­ ti.52 E comunque da notare che l’uso della scrittura da parte dei france­ scani fu in generale meno sistematico rispetto a quello dei altri ordini (gesuiti e benedettini) e con una forte connotazione didascalica. Per esempio diari e sermoni redatti per iscritto hanno di solito più un valore emblematico che un funzione di supporto all’attività evangelizzatrice. 53 Fin dalla costituzione, l’ordine francescano dedicò una particolare attenzione alla pratica musicale. Questa, nel periodo che ci interessa, si presentava quanto mai multiforme e composita. Tra l’altro essa andava dalle forme assai raffinate, opera di musicisti appartenenti all’ordine 51 In proposito vedi BURKE, Cultura popolare, pp. 71-5.

52 Ogni predicatore francescano aveva l’obbligo di operare anche lontano dalla propria re­ gione di formazione. Per esempio, frate Alessandro Bonanno, uno dei più grandi predicato­ ri siciliani del XVI secolo, tenne sermoni della settimana santa a Viterbo, Napoli, Pisa eccete­ ra (vedi FRANCESCO COSTA, Profili di oratori siciliani dell'ordine dei minori conventuali nel se­ colo XVI, in Francescanesimo e cultura in Sicilia (seca XII-XVl), Atti del convegno internazionale di studi, Palermo 1982). BURKE, Cultura popolare, pp. 71-5.

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che professionalmente operavano nelle massime cappelle dell’epoca, al­ le forme poco elaborate destinate all’allettamento spirituale’ dei fedeli, realizzate con pochi mezzi dalla vasta schiera dei predicatori. Anche in questo caso le istruzioni dei cerimoniali sul tipo di musica da mettere in pratica risultano meramente indicative. Per esempio in un Caerimoniale del 1640 si ritrovano indicazioni come la seguente: De processionibus cap. XIII.7 Dum cantantur hymni vel psal­ mi attendantur, ut debito serato choro decantentur absque ulla confusione, aures sibi invicem praebendo, ne quid insoni resiliat:

quod si litanie cantentur, expediet, ut circa medium processionis à duobus cantentur, reliquis omnibus respondentibus. Et in proces­ sione Sanctissimi Sacramenti ea, quae ab alijs cantantur dicat celebrans submissa voce cum suis ministris?4

L’adozione del falsobordone fu una pratica assai diffusa tra i mem­ bri dell’ordine. Una prima indicazione proviene, come si ricorderà, dal­ le stampe dalle altre fonti musicali viste nel capitolo precedente in cui alquanto frequente è la presenza di francescani (vedi il paragrafo 2.8). Significative testimonianze provengono dagli archivi dei conventi dove si ritrovano, oltre alle stampe prima citate, manoscritti antologici di uso pratico. E il caso ad esempio di una fonte della fine del sedicesi­ mo secolo proveniente dal convento del Santissimo Salvatore di Bolo­ gna (e oggi depositato al Civico Museo Bibliografico Musicale della stessa città). Esso contiene una serie di falsobordoni in partitura attri­ buiti a diversi autori (tra cui Vincenzo Ruffo e Matteo Asola nonché Spalenza, Sario, Comis, Fiorio ed altri che non compaiono nelle fonti a stampa)54 55 e destinati all’uso liturgico e probabilmente anche didattico all’interno delle mura conventuali, costituendo un repertorio antologi­ co di esempi o modelli.56 Riportiamo un brano a cinque voci attribuito a Vincenzo Ruffo.57 54 Caerimoniale romanum ad usum fiatum min. observ. sancii Francisci capitali generali Romae habiti [...], Tipografìa della Sacra Congregazione della Propaganda della Fede, Roma 1640. 55 Questi nomi però sono elencati da padre Martini tra gli autori di falsobordoni (vedi il pa­ ragrafo 2.9). È assai probabile che egli abbia considerato anche questo manoscritto nel redi­

gere la propria nota.

56 Vedi OSCAR MISCHIATI, La prassi musicale presso i canonici regolari del SS. Sacramento. Torre d’Orfeo, Roma 1985, p. 8. La descrizione completa del manoscritto è in MURRAY C. BRADSHAW, The History of Falsobordone from its Origin to 1750, Ph. D. diss., University of Chicago, Department of Music, 1969. 57 Non abbiamo ritrovato questo falsobordone nelle opere a stampa di Ruffo.

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Esempio 93. Vincenzo Ruffo, Falsobordone settimo [tuono].

Si noti la presenza di quella funzione di ‘sensibile’, cioè l’innalza­ mento di semitono della nota che introduce la fondamentale dell’ac­ cordo conclusivo (vedi il paragrafo 2.7), che nel manoscritto originale è segnata al di sotto del pentagramma. Ancora più importante ai fini della nostra ricerca è il riscontro di un esempio di falsobordone in un manuale destinato ai frati predicato­ ri, il Manuale choricanum ab utriusque sexus choricistis concupitum clericistis omnibus necessarium & maxime iuvenibus [...], redatto da frate Agostino Casoni de Spedia, minore conventuale genovese, e pubblica­ to a Genova nel 1645.58 Si tratta di un volume in formato tascabile (8 x 12 cm), contenente una serie di incipit di brani monodici e polifonici senza attribuzione di autore, che coprono tutte le occasioni liturgiche dell’anno. Tali brani sono in realtà null’altro che semplici ‘formule’ di intonazione musicale di grande praticità, integrate da brevi didascalie che danno alcuni sommari suggerimenti circa l’esecuzione. In particolare i brani polifonici sono per lo più a tre voci in partitu­ ra, caratterizzati da una prevalente omoritmia delle parti e da concate­ nazioni di accordi in posizione fondamentale. Il falsobordone,’ anch’esso a tre voci, è a pagina 235, subito dopo le formule di intonazione delle «Litanie B.M.V.». Esso non ha alcuna indicazione circa la destina­ 58 AGOSTINO CASONI DE SPEDIA, Manuale choricanum ab utriusque sexus choricistis concupi­ tum clericistis omnibus necessarium & maxime iuvenibus [...], Officina Farroni, Genova 1640. Nella dedica a «Fr. loannes a Neap. Totius Ord. S.P. Francisci Gener. Minister., & Serv.» l’autore ribadisce esplicitamente di aver scritto il manuale «prò commodiori choricistarum usu».

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zione rituale, ma solamente l’avvertenza che «sù le note quadre si canta la maggior parte del salmo». Riproduciamo tale pagina dall’esemplare conservato presso il Civi­ co Museo Bibliografico Musicale di Bologna. Esempio 94. Agostino Casoni de Spedia, Falsobordone.

FALSO

135

AtHS,

Sz) le note quadre ft canta la maggior parte del Salmo ' Va anche detto che il principio del falsobordone informa gran parte degli altri brani polifonici dell’opera. Riproduciamo, per esempio, le due pagine che contengono il Tantum ergo a quattro voci.

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Esempio 95. Agostino Casoni de Spedia, Tantum ergo.

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ÀLTVS.

S . T" neremur ccrnui & annega

Il manuale di Casoni fu sicuramente adottato quanto meno nelle aree dove operarono i francescani della provincia di Genova, e quindi in Corsica e in Sardegna. Una copia di esso, come abbiamo avuto mo­ do di constatare direttamente, è depositata presso la Bibliotèque Pro­ vinciale des Franciscains de Corse a Bastia.59 Si tratta quindi di una ul­ teriore prova della diffusione della tecnica del falsobordone nelle aree in cui oggi è eseguito il canto ad accordo’ della settimana santa. 3.3.3. I benedettini Un’altra considerevole ed antica presenza nel sud e nelle isole fu quella delle numerose famiglie di frati benedettini, la cui fondazione, come è noto, si riallaccia alle origini stesse dell’istituzione monacale.60 In gene59 Lo studioso tedesco Markus Romer ha notato precise analogie fra la successione accordale del falsobordone di questo manuale ed alcuni versi musicali di un brano della tradizione orale corsa, il Dies irae attualmente eseguito a Rusio, un paese del nord-est dell’isola non distante da Bastia (vedi ROMER, Schriftliche und miindliche Traditionen, p. 189). Un riscon­ tro di questo tipo, come abbiamo detto in apertura del capitolo (paragrafo 3.1), non impli­ ca necessariamente un diretto rapporto fra le due fonti.

60 Tra l’altro un insediamento benedettino si ritrova già nel Xll secolo a Tergu, pochi chilo­ metri fuori Castelsardo, luogo dove oggi si svolge gran parte del rito del Luni santo (vedi paragrafo 1.6), mentre un altro, a Mussomeli, venne istituito nel 1422 con monaci prove­ nienti dal monastero di San Nicolò l’Arena presso Catania.

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rale la presenza di conventi benedettini fu di grande rilievo per l’inten­ sa attività che vi si svolgeva aH’interno e, non in ultimo, per la rilevante tradizione intellettuale che contraddistingueva questo ordine. Anche la pratica musicale dei benedettini fu di straordinaria impor­ tanza. Essa, tra l’altro, a partire dagli ultimi decenni del quindicesimo secolo, offrì un considerevole contributo allo sviluppo complessivo del­ la polifonia italiana evidenziando altresì un frequente contatto con le forme della cultura tradizionale.61 Tale contributo fu determinante per la formalizzazione stessa del falsobordone. E infatti di provenienza benedettina uno dei primi manoscritti in cui si manifesta con certezza la struttura del falsobordone: il manoscrit­ to 871N della Biblioteca dell’Abazia di Montecassino. Esso, redatto in­ torno al 1460-80 in area napoletana, contiene almeno due esempi di versi a quattro voci costituite da un accordo in posizione fondamentale ribattuto seguito da una cadenza.62 Analoghe caratteristiche si ritrovano in alcuni esempi di salmodia a quattro voci di un altro manoscritto benedettino di poco posteriore, il codice Grey, redatto in area padana.63 In particolare tale riscontro è assai significativo in quanto parte delle musiche di questo codice rive­ lano, secondo l’analisi di Giulio Cattin, un forte contatto con la cul­ tura tradizionale, segno di un «adeguamento alla moda e ai gusti del secolo».64 Non va poi dimenticato che fu monaco benedettino, della congrega­ zione cassinese, quel Paolo Ferrarese che abbiamo visto essere stato il primo ad utilizzare il termine falsobordone in una stampa musicale (ve­ di il paragrafo 2.5). Alla stessa congregazione appartennero altresì altri 61 GIULIO CATTIN, Canti polifonici del repertorio benedettino in uno sconosciuto ‘Liber Quadragesimalis' e in altre fonti italiane dei secoli XV e XVI Ine., «Benedectina», XIX 1972, e 1D, Tradizione e tendenze innovatrici nella normativa e nella pratica liturgico-musicale della Con­ gregazione di S. Giustina, «Benedectina», XVIi/2 1970.

62 Se ne veda l’ampia descrizione in BRADSHAW, The History ofFalsobordone, pp. 37—40. 63 Se ne veda la descrizione in CATTIN, Canti polifonici del repertorio benedettino, p. 486.

64 Si tratta soprattutto dell’ultima sezione del codice (South African Public Library, Grey 3.b.l2) dove si ritrovano decine di frottole trasformate in laudi: «una delle più massicce e sistematiche operazioni di travestimento spirituale testimoniate da fonti musicali, almeno in Italia, intorno al 1500 [...] [risultato non] di quella cosciente e voluta tendenza a sacra­ lizzare i canti profani, cui già miravano le laudi quattrocentesche travestite [...] [bensì] del fenomeno opposto, e cioè di adeguamento alla moda e a i gusti del secolo [...] che denun­ ciano il graduale rilassamento della disciplina monastica [...]»; CATTIN, Canti polifonici del repertorio benedettino, pp. 453-5.

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due autori di falsobordoni a stampa, Gregorio Zuchino e Serafino Patta. Di conseguenza anche se in mancanza di specifiche attestazioni, del tipo di quelle viste a proposito dei gesuiti e dei francescani, è verosimi­ le presupporre un sistematico uso del falsobordone da parte dei bene­ dettini nonché un rilevante contributo al processo della sua diffusione. Accanto a gesuiti, francescani e benedettini anche altri ordini reli­ giosi, come i carmelitani, i domenicani ed altre congregazioni di frati predicatori, furono presenti nelle regioni meridionali e nelle isole.65 Po­ co è noto sulla loro specifica pratica del canto polifonico, a causa anche di un certo ritardo negli studi musicologici. Una testimonianza sulla adozione del falsobordone è comunque co­ stituita dal fatto che membri di queste organizzazioni figurano tra gli autori delle stampe censite (vedi il paragrafo 2.8). Un caso a parte, di grande importanza ai fini della nostra ricerca, è costituito dalfuso del falsobordone da parte dei padri filippini. Di esso parleremo a proposito della pratica musicale delle confraternite laicali (paragrafo 3.5).

3.4. Ilfalsobordone nell’esercizio del clero secolare nelle chiese minori

Come è noto, la realtà quotidiana delle istituzioni religiose minori delfetà moderna sfugge ad una approfondita indagine storica in quan­ to di essa restano relativamente poche tracce nelle fonti scritte.66 Allo stesso modo anche il profilo culturale medio del clero secolare dell’epo­ ca presenta molti lati poco noti. Certamente ciascun sacerdote doveva essere in grado di leggere per poter rispettare ed adeguatamente scandi­ re il testo sacro della celebrazione liturgica.67 65 Vedi il quadro offerto da ROSA, La chiesa meridionale. È da lamentare ancora una volta un certo ritardo negli studi. Gran parte dei lavori storio­ grafici sull’argomento sono stati sinora dedicati agli aspetti giuridico—amministrativi (specie per quanto riguarda il sud dove era in vigore il sistema ‘chiuso’ del clero ricettizio — vedi DE ROSA, Chiesa e religione^ pp. 21 ss.) mentre mancano adeguate ricognizioni di tipo politi­ co-sociologico.

67 All’epoca «il clero s’era ritrovato da lungo tempo [...] nella necessità di saper leggere, se voleva essere in grado di ‘dire Messa’. La Messa era una cerimonia essenzialmente orale, che consisteva in massima parte nella lettura pubblica di testi contenuti in un libro liturgi­ co, il Messale. I sacerdoti, inoltre, erano tenuti a recitare in privato le preghiere dell’‘Ufficio’ quotidiano. A questo scopo si servivano di un altro libro liturgico, più breve, appunto il Breviario. Ovviamente, era anche utile che leggessero altre opere teologiche, morali, di devozione, eccetera» (BURKE, Scene di vita, pp. 153-47).

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A partire dal sesto decennio del diciasettesimo secolo, sulla scia del processo di riforma della istituzione parrocchiale promossa dal concilio di Trento ed in risposta ad una esuberante richiesta richiesta di ordina­ zioni sacerdotali, si incominciarono a creare dei centri per la formazio­ ne professionale’ del clero: i seminari. Tra i compiti fondamentali di tali centri vi fu, ovviamente, quello di insegnare ai nuovi preti la lettura e le nozioni elementari della grammatica latina. Seminari sorsero in tutte le diocesi italiane conformandosi al modello delle istituzioni ro­ mane, coerentemente con l’impostazione centralizzata che caratterizza tutti gli aspetti del cattolicesimo. Le difficoltà organizzative furono però considerevoli, soprattutto nel sud dove era difficile trovare adeguate risorse economiche, tanto che molti seminari denunciarono una attività carente ed intermit­ tente.68 Di conseguenza non furono pochi i verbali di visite pastorali che documentarono casi di parroci analfabeti.69 Poco si conosce anche a proposito della formazione musicale im­ partita ai sacerdoti durante il periodo formativo. Certamente essa com­ prendeva l’insegnamento del canto fermo, requisito indispensabile per garantire la componente musicale minima della celebrazione liturgica. Cantare a memoria’ ed ignorare la teoria musicale, come faceva il clero medio prima del concilio, venne considerato una grave mancanza di ri­ spetto nei confronti del culto divino.70 Tuttavia tali direttive non do­ vettero essere ovunque di facile aplicazione se per esempio ancora nel 1633 le Costituzioni di visita alla terra di Mussomeli sono costrette a ri­ badire con forza l’obbligo per tutti chierici del paese di frequentare al­ meno ogni domenica le scuole di grammatica e di musica, stabilendo l’esclusione dalla communia per coloro i quali non fossero in grado di dimostrare la conoscenza del canto fermo.71 Nessuna prescrizione specifica riguardava invece l’apprendimento del contrappunto. Di conseguenza non sappiamo se (ed eventualmente in che misura) nelle istituzioni religiose minori il clero secolare fosse normalmente in grado di concorrere alla realizzazione della polifonia

68 Vedi per esempio i casi documentati da ROSA, La chiesa meridionale, pp. 323-5.

69 Vedi per esempio quelli documentati da DE ROSA, Chiesa e religione popolare, pp. 21-46. 70 Vedi STEFANI, Musica e religione, pp. 153-5.

71 Costituzioni di visita alla terra di Mussomeli 1633, citato da GIUSEPPE SORGE, Mussomeli dall’origine all’abolizione della feudalità, 2 voli., Sigma, Palermo 1989, p. 322. (ristampa in facsimile dell’originale del 1910, Niccolò Giannotta, Catania).

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prevista per le festività liturgiche. È tuttavia assai probabile che, alme­ no nei principali seminari, la pratica polifonica venisse intensamente praticata.72 Alcuni annali provenienti da questi centri ne danno, ad esempio, una esplicita conferma. Non mancano in tali fonti precise attestazione circa fuso del falsobordone. È il caso di un interessante brano tratto dagli annali del semi­ nario romano, fondato nel 1564 da Pio IV, e gestito da gesuiti, dove si dichiara che nella chiesa del Gesù, interna all’istituto, Primo si suole cantare il Vespro tutte le Domeniche e feste di precetto che vi è lettione in chiesa, et anco nelle feste de devotione, che si legge la vigilia della Circoncisione. Li salmi li hanno da

intonare sempre due cantori, e nelle feste più solenni saranno li più sicuri e migliori voci. Due altri cantori prattici haveranno cura

di mostrare a gli altri il tono che si canta. Nelle feste principali si deve procurare alcuni cantori forastieri per cantare a due chori. In

oltre si dirà un moretto doppo la Magnificat et un altro al fine del Vespro. Nell’akre feste e domeniche bastarà cantare a sei, e quat­ tro con alcuni falsi bordoni, et un motetto in loco della Salve Re­ gina alcune volte.73

Non va poi dimenticato che diversi furono i sacerdoti fra gli autori dei falsobordoni a stampa e, soprattutto, che numerose di queste rac­ colte furono dedicate a canonici membri di capitoli di cattedrali o col­ legiate (vedi il paragrafo 2.8). Tra l’altro tre di queste stampe74 sono esplicitamente destinate nel frontespizio alla «Santa Casa» di Loreto, uno dei centri principali del culto mariano, meta di innumerevoli pel­ legrinaggi popolari’, nonché, fra il sedicesimo e diciasettesimo secolo, sede di una illustre cappella musicale. Stampe e manoscritti contenenti falsobordoni sono poi alquanto numerosi negli archivi e nei fondi di cattedrali e collegiate. Per esem­ pio l’archivio del prima citato santuario di Loreto, contiene, tra l’altro,

72 Non va tra l’altro dimenticato che all’epoca la ‘gestione’ dei seminari era spesso a cura de­ gli ordini regolari, soprattutto gesuiti, che come visto avevano una costante consuetudine con la polifonia (vedi paragrafo 3.3).

73 PADRE GIROLAMO NAPPI, Annali del Seminario Romano, [1640] (citato da CASIMIRI, ‘Disci­ plina musicae', pp. 12-3). 74 Si tratta di ANTONIO MORTARO, Messa salmi motetti [...], Amadino, Venezia 1599, GIACO­ MO MORO VIADANA, Concerti ecclesiastici [...], Amadino, Venezia 1604; ARCANGELO BORSA­ RO, Concerti ecclesiastici [...], Amadino, Venezia 1605.

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IL FALSOBORDONE FRA TRADIZIONE ORALE E TRADIZIONE SCRITTA

dedicate, alcuni manoscritti con trascrizioni in partitura e parti staccate di falsobordoni di Gian Paolo Cima, segno evidente di una consueta esecuzione.75 Al di là di attestazioni di questo tipo che inevitabilmente concerno­ no i più importanti ambiti esecutivi delPepoca, indicazioni, sia pure indirette, circa la pratica del falsobordone nell’esercizio del clero secola­ re delle chiese minori e periferiche si possono cogliere in altre fonti co­ me i numerosi prontuari di musica liturgica. La pubblicazione di tali opere, patrocinata dalla gerarchia ecclesia­ stica romana, ricevette, come è noto, un notevole incremento intorno alla prima meta del Seicento. Si tratta di volumi, talvolta in formato ‘tascabile’, per lo più costituiti dai brani in canto fermo previsti per l’intero ciclo liturgico annuale che ovviamente avevano un forte carat­ tere prescrittivo. Ad essi si associavano altresì manuali di canto fermo attraverso cui i chierici potevano autonomamente apprendere (o ‘rin­ frescare’) le nozioni fondamentali della disciplina, dal solfeggio alla sol­ misazione alla teoria dei modi.76 Relativamente minima è la presenza di canti a più voci ed assai raro è quindi ritrovare il termine falsobordone.77 Tuttavia l’adozione di que­ sta tecnica è affatto patente nella maggior parte degli esempi riportati. Ne documentiamo uno da un libro rituale per la settimana santa com­ pilato da Marzio Erculei «ad usum faciliorem cleri universi cathedralium, collegiatarum, aliarumque ecclesiarum, & omnium, qui Grego­ riano cantu in choro utuntur ex missali, brev., graduali, antiphonario, pontificali, & rituali Rom.»:78 75 Vedi GIUSEPPE LUPPINO, Il repertorio musicale della cappella di Loreto, Ente Rassegne Musi­ cali, Loreto 1985. Falsobordoni dell’organista milanese Giovanni Paolo Cima (ca. 1570-dopo il 1622) sono in GIOVANNI PAOLO CIMA, Concerti ecclesiastici a una, due, tre, quattro voci [...], Eredi di Simon Tini & Filippo Lo Mazzo, Milano 1610. 76 Vedi STEFANI, Musica e religione, p. 154. Un ulteriore complemento era costituito da bre­ vi pubblicazioni destinate a regolare cerimonie paraliturgiche. In queste, analogamente a quanto visto con i cerimoniali degli ordini regolari, si ritrovano prescrizioni sui contesti ese­ cutivi dei singoli testi ma non indicazioni precise sulla realizzazione musicale. Si vedano per esempio i diversi ordaprocessionis per occasioni rituali differenti che regolano lo svolgimento di cortei dove si ritrovano indicazioni come: «[...] cantentur a Choro sequens Psalmus. Psalm. LV Miserere» {Ordo seruandus inprocessionibus [...], Roma 1610) senza altra didasca­ lia o tutt’al più con la trascrizione del testo verbale. 77 Ad uno di questi riscontri, dal trattato di Marzio Erculei Lumi primi del canto fermo, ab­ biamo fatto cenno nel paragrafo 2.9 — vedi il brano in appendice al capitolo 2.

3 Si veda anche quanto detto nel paragrafo 2.3 a proposito di un’opera con analoghe carat­ teristiche di Giovanni Guidetto (esempio 50).

IL FALSOBORDONE FRA TRADIZIONE ORALE E TRADIZIONE SCRITTA

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Esempio 96. Marzio Erculei, Canticum Zachariae et Psalmiis Miserere.

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