Riforma e tradizione (1050-1197) 8816603747, 9788816603745

Il volume è dedicato alla cultura figurativa che si manifesta a Roma, a partire dalla metà dell'XI secolo (quando a

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Italian Pages 408 [402] Year 2006

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Table of contents :
Copertina
Sommario
Introduzione
I. Roma XI secolo, da Leone IX a Ranieri di Bieda
Premessa
Donne e uomini, laici e chierici: Roma dopo la metà dell’XI secolo
Un altro gruppo: il cantiere di San Crisogono
Da San Clemente alla fine del secolo: Roma divisa
1. Le figure di sante nella chiesa sotterranea di Santa Maria in Via Lata
2. La Vergine in trono con Bambino, l’Arcangelo e le figure di santi dalla cappella H9 di San Lorenzo fuori le mura
3. La tavola del Giudizio Universale già in San Gregorio Nazianzeno (Pinacoteca Vaticana)
4. La decorazione pittorica dell’oratorio di San Gabriele sull’Appia
5. Il Cristo e arcangeli nell’oratorio di Sant’Andrea al Celio
5. I pannelli staccati con due figure di sante già in Sant’Agnese fuori le mura (Pinacoteca Vaticana)
7. La Madonna con Bambino e donatrice nel battistero della chiesa inferiore di San Clemente
8. La decorazione pittorica della basilica inferiore di San Crisogono
9. La decorazione pittorica di due nicchie in Santa Balbina
10. Il Cristo e arcangeli dall’oratorio del Salvatore sotto Santi Giovanni e Paolo
11. La decorazione pittorica in una nicchia della catacomba di Sant’Ermete
12. Le figure di santi nella chiesa di San Salvatore De Militis
13. La scena frammentaria nel portico di San Giovanni a Porta Latina
14. La decorazione pittorica nel pastoforio destro di San Giovanni a Porta Latina
15. La Madonna Advocata di Santa Maria in Aracoeli
16. Il Salvatore benedicente già nel monasterio di Santa Maria in Campo Marzio (Pinacoteca Vaticana)
17. La Madonna Advocata già presso il convento di Santa Maria in Campo Marzio (Roma, Galleria Nazionale di Arte Antica, Palazzo Barberini)
18. La perduta Madonna Advocata già in Sant’Ambrogio della Massima
19. I frammenti di una storia di San Sisto e San Lorenzo nell’abside di San Sisto Vecchio
20. L’affresco staccato con l’Ultima Cena in San Paolo fuori le mura
21. Le pareti e i pilastri con storie di San Clemente e Sant’Alessio nella chiesa inferiore di San Clemente
22. La decorazione absidale di San Gregorio Nazianzeno
32. La lunetta con il viaggio di Tempulus e dei suoi fratelli in San Gregorio Nazianzeno
24. Il perduto ciclo con storie dei Santi Lorenzo, Cirilla, Ireneo, Abbondio e altri santi già nel portico meridionale di San Lorenzo fuori le mura
II. La Chiesa trionfante
Il momento della riorganizazione
Modi di dipingere affresco e mosaico
Questioni di programma
Il ʻrenouveau’
25. La decorazione del nartece della basilica pelagiana di San Lorenzo fuori le mura
26. La storia di Anania e Saffira già in San Giovanni in Laterano (Pinacoteca Vaticana, depositi)
27. I perduti affreschi in San Salvatore in Thermis
28. Il busto musivo del Salvatore sulla facciata di San Bartolomeo all’Isola
29. Il pannello con tre figure a mezzo busto nell’abside di Santa Maria in Pallara
30. La decorazione pittorica dell’oratorio mariano di Santa Pudenziana
31. I frammenti di un fregio con uccelli della decorazione absidale dei Santi Quattro Coronati
32. I mosaici dell’abside e dell’arco absidale della chiesa superiore di San Clemente
33. L’affresco staccato e il ciclo perduto con storie di santi già nel portico di Santa Cecilia in Trastevere
34. Il fregio a mosaico con busti di santi sull’architrave del portico di Santa Cecilia in Trastevere
35. La decorazione pittorica dei sotterranei del Sancta Sanctorum
36. Il ciclo frammentario in San Benedetto in Piscinula
37. I frammenti della decorazione affrescata di San Marcello al Corso
38. La decorazione pittorica del sacello nella cripta dei Santi Bonifacio e Alessio
39. I resti della decorazione affrescata nel sottotetto delle navate laterali della chiesa superiore di San Clemente
50. La decorazione pittorica di Santa Maria in Cosmedin
41. La Madonna Odigitria già in Sant’Angelo in Pescheria
42. La Madonna Odigitria al Santissimo Nome di Maria
43. La Madonna Odigitria della collezione Magnani Rocca a Parma
44. La Madonna Advocata in Santa Maria in Via Lata
45. Il perduto ciclo della camera Pro Secretis Consiliis al Patriarchio Lateranense
46. Il ciclo staccato dalla cripta di San Nicola in Carcere (Pinacoteca Vaticana)
47. La Maria Regina con Bambino nel transetto sinistro di Sant’Anastasia
48. La decorazione pittorica del cosiddetto Oratorio di San Giuliano in San Paolo fuori le mura
49. La perduta decorazione dell’oratorio di San Nicola al Patriarchio Lateranense
50. La perduta decorazione del catino absidale di San Lorenzo in Lucina
51. Il dipinto perduto con l’incoronazione di Lotario III al Patriarchio Lateranense
52. I restauri al mosaico dell’arco trionfale della basilica pelagiana in San Lorenzo fuori le mura
53. La figura di santo vescovo e il perduto ciclo con storie di San Lorenzo e Santo Stefano nella controfacciata della basilica pelagiana in San Lorenzo fuori le mura
54. Il perduto dipinto con il prete Boninus in San Salvatore in Onda
55. I mosaici dell’abside e dell’arco trionfale di Santa Maria in Trastevere
56. Il mosaico con testa di Cristo nell’abside di Santa Maria in Monticelli
III. La crisi della seconda metà del secolo, da Lucio II a Celestino III
57. Gli affreschi staccati dalla navata e dall’arco trionfale di Santa Croce in Gerusalemme
58. I mosaici dell’abside e dell’arco absidale in Santa Maria Nova
59. La decorazione perduta della facciata di santa Maria Nova
60. I mensoloni dipinti nel sottotetto dei Santi Silvestro e Martino ai Monti
61. La decorazione pittorica delle navate e del coro di San Giovanni a Porta Latina
61. Il perduto fregio a mosaico del portico di San Giovanni in Laterano
Apparati
Abbreviazioni
Bibliografia
Indice dei nomi
Indice dei luoghi
Indice delle illustrazioni
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Riforma e tradizione (1050-1197)
 8816603747, 9788816603745

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L A VOLUME IV

PITTURA

MEDIEVALE

A

ROMA CORPUS

LA PITTURA MEDIEVALE A ROMA 312-1431 CORPUS E ATLANTE

CORPUS Maria Andaloro - Serena Romano Ideazione e direzione scientifica

I Volume L'ORIZZONTE TARDOANTICO E LE NUOVE IMMAGINI

II Volume ROMA E BISANZIO

III Volume PRIMA E DOPO IL MILLE

IV Volume RIFORMA E TRADIZIONE

V Volume IL DUECENTO E LA CULTURA GOTICA

VI Volume APOGEO E FINE DEL MEDIOEVO

ATLANTE - PERCORSI VISIVI Maria Andaloro Ideazione e direzione scientifica

I Volume VATICANO, SUBURBIO, RIONE MONTI

II Volume RIONI TREVI, COLONNA, CAMPO MARZIO, PONTE, PARIONE, REGOLA, PIGNA, CAMPITELLI, SANT' ANGELO

III Volume RIONI RIPA, TRASTEVERE, ESQUILINO, SALLUSTIANO, CELIO, SAN SABA

In copertina Santa Pudenziana, particolare della Scena di battesimo

;

SERENA ROMANO

MARIA ANDALORO

LA PITTURA MEDIEVALE A ROMA 312-1431

CORPUS E ATLANTE

PIANO DELL'OPERA

CORPUS

ATLAN TE - PERCORSI VISIVI

Maria Andaloro - Serena Romano Ideazione e direzione scientifica

Maria Andaloro Ideazione e direzione scientifica

I Volume L'ORIZZONTE TARDOANTICO E LE NUOVE IMMAGINI

I Volume VATICANO, SUBURBIO, RIONE MONTI

II Volume ROMA E BISANZIO

II Volume RIONI TREVI, COLONNA, CAMPO MARZIO, PONTE, PARIONE, REGOLA, PIGNA, CAMPITELLI, SANT' ANGELO

III Volume PRIMA E DOPO IL MILLE IV Volume RIFORMA E TRADIZIONE V Volume IL D UECENTO E LA CULTURA GOTICA VI Volume APOGEO E FINE DEL MEDIOEVO

III Volume RIONI RIPA, TRASTEVERE, ESQUILINO, SALLUSTIANO, CELIO, SAN SABA

U

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI

DELLA T USCIA

IVERSITÉ

DE L AUSANNE

REGIONE LAZIO Assessorato alùz Cultura, Spettacolo e Sport

Serena Romano

RIFORMA E TRADIZIONE 1050-1198 CO RP U S VO LUM E IV

JI

Jaca Book

11

©2006 Editoriale Jaca Book Maria Andaloro Serena Romano Tutti i diritti riservati Prima edizione italiana ottobre 2006

ISBN 88-1 6-60374-7 Progettazione, realizzazione grafica e assistenza redazionale a cura di Palombi & Partner via Timavo, 12 - 00195 Roma www.palombieditori.it Imernational distribution by Brepols Publishers, Begijnhof 67, B-2300 Turnhout Tel: +32 14 44 80 30 - Fax: +32 14 42 89 19 [email protected] - www.brepols.net

.

Per informazioni sulle opere pubblicate e in programma ci si può rivolgere a Editoriale Jaca Book - Servizio Lettori via G. Frua 11 , 20146 Milano, te!. 02/48561520-29, fax 02/ 48193361 e-mail: [email protected], sito internet: www. jacabook.it

.. DIREZIONE SCIENTIFICA

Serena Romano

Assistente Filipe Dos Santos Collaboratori scientifici Jéròme Croisier e Filipe Dos Santos Testi Alessandra Acconci Massimo Bonelli Giulia Bordi Jéròme Croisier Maurizio De Luca Andreina Draghi Filipe Dos Santos J ulie Enckell J ulliard Laura Gigli Simone Piazza Serena Romano Daniela Sgherri Tommaso Strinati Manuela Viscontini

UNIVERSITÉ DE L AUSANNE

Serena Romano J éròme Croisier Filipe Dos Santos

Redazione scientifica Giulia Bordi Filipe Dos Santos Geraldine Leardi Edizione dei testi epigrafici Stefano Riccioni Ricerche e consulenza per le fonti e la documentazione visiva Michele Benucci Traduzioni Francesca Bernasconi Revisione bibliografica Cristina Ranucci

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DELLA TuscIA Giulia Bordi Geraldine Leardi Stefania Pennesi Daniela Sgherri Manuela Viscontini

Ricerche per gli apparati iconografici Giulia Bordi Filipe Dos Santos Geraldine Leardi Stefania Pennesi Daniela Sgherri Tommaso Strinati Domenico Ventura Campagne fotografiche Gaetano Alfano Alessio Giorgetti Roberto Sigismondi Domenico Ventura Coordinamento Domenico Ventura

..

Riforma e Tradizione è stato realizzato grazie al contributo dell'Assessorato alla Cultura, Spettacolo e Sport della Regione Lazio.

La ricerca ha avuto il sostegno finanziario del Fonds National Suisse de la Recherche Scientifique, dell'Université de Lausanne e della Fondation ChuardSchmid de Lausanne. Rz/orma e Tradizione costituisce il IV volume del progetto 'La pittura medievale a Roma 312-1431. Corpus e Atlante' ed è compiuto in collaborazione con i Musei Vaticani e la Biblioteca Apostolica Vaticana, e con il concorso del Ministero per i Beni e le Attività Culturali - Soprintendenza per il patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico del Lazio e Soprintendenza Archeologica di Ostia.

Maria Andaloro e Serena Romano desiderano ringraziare le istituzioni che, a vario titolo, hanno sostenuto la pubblicazione dei primi tre volumi del progetto: l'Assessorato alla Cultura della Regione Lazio, l'Université de Lausanne, il Fonds National Suisse de la Recherche Scientifique e la Fondation Chuard-Schmid, l'Università degli Studi della Tuscia, l'American Academy in Rome, la British School at Rome, il Deutsches Archaeologisches Institut di Roma, la Biblioteca dell'Ecole Française de Rome, la Biblioteca e la Fototeca Hertziana di Roma, il Kunsthistorisches Instirut di Firenze, la Biblioteca dell'Istituto Norvegese di Roma, la Biblioteca di Archeologia e Storia dell'Arte di Palazzo Venezia, la Pontificia Commissione di Archeologia Sacra , il Pontificio I;tituto di Archeologia Cristiana, l'Istituto Centrale per il Restauro, l'Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione, la Soprintendenza Archeologica di Roma, il Fondo per il Culto del Ministero degli Interni, il Museo dell'Alto Medioevo di Roma; e coloro che all'interno delle istituzioni hanno offerto un fondamentale aiuto per attuare il progetto: per l'Université de Lausanne André Wyss, già Doyen de la Faculté des Lettres ; per l'Università degli Studi della Tuscia Marco Mancini, Magnifico Rettore, Giovanni Cucullo, Direttore Amministrativo, e Andrea Arcangeli, Segretario Amministrativo del Dipartimento di studi per la Conoscenza e la Valorizzazione dei Beni Storici e Artistici; per la Regione Lazio Maria Cecilia Mazzi, già Dirigente del Dipartimento Promozione Cultura, Spettacolo, Turismo e Sport, e Lorenza de Maria; per i Musei Vaticani Francesco Buranelli, Direttore Generale, Arnold Nesselrath, Direttore del Reparto per l'arte medievale, bizantina e moderna, Anna Maria de Strobel, Ispettore del Reparto per l'arte bizantina, medievale e moderna, Guido Comini, Direttore del Museo Storico della Biblioteca Vaticana, Giorgio Filippi, Assistente del reparto per la Raccolta Epigrafica, Maurizio De Luca, Capo restauratore del laboratorio di restauro, Rosanna Di Pinto, responsabile dell 'Archivio Fotografico e Daniela Valei; per la Biblioteca Apostolica Vaticana Mons. Raffaele Farina, Prefetto, e Ambrogio Piazzoni, Vice Prefetto; per la Fabbrica di San Pietro mons. Vittorio Lanzani, Delegato , e Pietro Zander; per la Pontificia Commissione di Archeologia Sacra Fabrizio Bisconti, Segretario, e Barbara Mazzei, responsabile dell 'Archivio Fotografico; per il Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana Danilo Mazzoleni, Rettore, e Aldo Nestori, Direttore della Biblioteca; per il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Luciano Marchetti, Direttore Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Lazio; per l'Istituto Centrale per il Restauro Caterina Bon Valsassina, Direttrice, Massimo Bonelli, Laura D 'Agostino, Giulia Tamanti, la restauratrice Elisabetta Anselmi e Caterina Pileggi, responsabile dell'Archivio fotografico; per la Soprintendenza per il patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico

6

del Lazio Rossella Vodret, Soprintendente, Paolo Castellani, Isabella Del Frate, Andreina Draghi, Alia Englen, Barbara Fabjan, Graziella Frezza, Laura Gigli, e Giorgio Guarnieri e Angelo Sinibaldi dell'Archivio fotografico; per la Soprintendenza Archeologica di Ostia Anna Gallina Zevi, già Soprintendente; per la Soprintendenza Archeologica di Roma Paola Di Manzano, Fedora Filippi, Rita Paris e la restauratrice Silvia Borghini; per la Soprintendenza ai Beni Culturali del Comune di Roma Antonella Galletto e Rossella Motta; per il Museo dell'Alto Medioevo di Roma Maria Stella Arena, Direttrice, e Anna Onnis; per la Biblioteca di Archeologia e Storia dell'Arte di Palazzo Venezia Stefania Murianni, Direttrice, e Luciano Arcadipane; per l' American Academy in Rome Christina Huemer, Direttrice della Biblioteca, e Paolo Brozzi, Tina Morra, Antonio Paladino; per la British School at Rame Valerie Scott, Direttrice della Biblioteca; per la Biblioteca Hertziana Christina Riebesell, Direttrice della Fototeca, Regine Schallert e Michael Schrnitz; per l'Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione Anna Perugini; per l'Università di Roma 'La Sapienza', Facoltà di Ingegneria, Marco Carpiceci, e Facoltà di Architettura "L. Quaroni" Marina Docci; per l'Università di Napoli-Santa Maria Capua Vetere Silvana Episcopo, per l'Azienda Ospedaliera San Giovanni-Addolorata Francesco Pontoriero, Direttore, e Giovanni Marotti; i seguenti padri rettori e parroci delle basiliche e chiese romane: abate Jacques Brière e Pierluigi Caponera dell'Abbazia delle Tre Fontane, padre Maurice Fearon e padre Paul Lawlor di San Clemente, padre Venanzio Di Matteo di San Crisogono, padre Pierluigi Giroli di San Giovanni a Porta Latina, padre Bruno Mustacchio di San Lorenzo fuori le mura, suor Anna e suor Esther di Santa Maria in Via Lata, padre Evandro Correa dell'Archivio storico dell'Abbazia di San Paolo fuori le mura, padre Luigi Coluzzi di Santa Passera, padre Giuseppe Casetta di Santa Prassede , padre Gianfranco Basti e Mario Antonucci di Santa Pudenziana, suor Concetta Pilo di San Sisto Vecchio; don Eugenio Girardi del Vicariato di Roma; un grazie ancora a Walter Angelelli, Nathalie Blancardi, Adrien Burki, Peter Cornelius Claussen , Maria Paola Del Moro, Ivan Foletti, Mario Gramuglia, Sergio Guarino, Maja Haederli, Anita Margiotta, Christian Miche!, Alessio Monciatti, Daniela Mondini, Giulia Orofino, Enrico Parlato, Eric Palazzo, Maria Donatella Raneri, Lucrezia Ungaro; e da ultimo, ma non certo per ultimi, coloro che dal prin10 momento, ormai molto tempo fa , hanno creduto nel progetto e l'hanno entusiasticamente sostenuto: Sante Bagnoli eJoshua Volpara diJaca Book; e coloro che hanno diviso con noi le fatiche della lunga estate del 2006, Francesco e Cristina Palombi, Angela Pumelli, Franco Sciannandrone, Leo Zampa e Domenico Piccari di Palombi Editori.

SOMMARIO

. I NTRODUZIONE

11 PARTE PRIMA

15

Serena Romano R OMA

XI SECOLO.

D A LEO E

IX A RANIERI DI BIEDA

SCHEDE

1. Le figure di sante nella chiesa sotterranea di Santa Maria in Via Lata

37

2. La Vergine in trono con Bambino, l'arcangelo e le figure di santi dalla cappella H9 di San Lorenzo fuori le mura

40

3. La tavola del Giudizio Universale già in San Gregorio

45

azianzeno (Pinacoteca Vaticana)

4. La decorazione pittorica dell'oratorio di San Gabriele sull'Appia

56

5. Il Cristo e arcangeli nell'oratorio di Sant' Andrea al Celio

60

6. I pannelli staccati con due figure di sante già in Sant' Agnese fuori le mura (Pinacoteca Vaticana)

63

7. La Madonna con Bambino e donatrice nel battistero della chiesa inferiore di San Clemente

66

8. La decorazione pittorica della basilica inferiore di San Crisogono

68 69 72 75 76 77 79 87

Sa. Sb. Se. Sd. Se. Sf. 8g.

Pannelli a motivi ornamentali dello zoccolo dell'abside Figure di santi tra colonne tonili nel corridoio della cripta e della confessio Pannelli a motivi ornamentali sul muretto della recinzione presbiteriale Pannello di Romanus sulla parete destra della navata Tre figure di santi sulla parete destra della navata Storie di san Benedetto e altri santi sulla parete destra della navata Scena cerimoniale sui tratti di muro orientali della navata

9. La decorazione pittorica di due nicchie in Santa Balbina 9a. Istituzione dell'Eucaristia nella sesta nicchia della parete sinistra 9b. Vergine con Bambino tra santi nella terza nicchia della parete sinistra

..

• 89 89 93

10. Il Cristo e arcangeli dall 'oratorio del Salvatore sotto Santi Giovanni e Paolo

95

11. La decorazione pittorica in una nicchia della catacomba di Sant'Ermete

97

12. Le figure di santi nella chiesa di San Salvatore de Militiis

102

13. La scena frammentaria nel portico di San Giovanni a Porta Latina

104

14. La decorazione pittorica nel pastoforio destro di San Giovanni a Porta Latina

106

15. La Madonna advocata di Santa Maria in Aracoeli

110

16. Il Salvatore benedicente già nel monastero di Santa Maria in Campo Marzio (Pinacoteca Vaticana)

114

17. La Madonna ad vocata già presso il convento di Santa Maria in Campo Marzio (Roma, Galleria Nazionale di Arte Antica, Palazzo Barberini)

117

18. La perduta Madonna advocata già in Sant'Ambrogio della Massima

121

7

19. I frammenti di una storia di san Sisto e san Lorenzo nell'abside di San Sisto Vecchio

124

20. L'affresco staccato con l'Ultima Cena in San Paolo fuori le mura

127

21. Le pareti e i pilastri con storie di san Clemente e sant'Alessio nella chiesa inferiore di San Clemente 2 la. 21b. 21c. 21d.

La parete dell'arcata destra del nartece La parete delll'arcata sinistra del nartece Il primo pilastro della navata centrale Il secondo pilastro della navata centrale

r

129 131 135 138 145

22. La decorazione absidale di San Gregorio Nazianzeno

151

23. La lunetta con il Viaggio di Tempulus e dei suoi fratelli in San Gregorio Nazianzeno

153

24. Il perduto ciclo con storie dei santi Lorenzo, Cirilla, Ireneo, Abbondio e altri santi già nel portico meridionale di San Lorenzo fuori le mura

156

PARTE SECONDA

Serena Romano LA CHIESA TRIONFANTE

163

(1100-1143 ca.)

SCHEDE

25. La decorazione del nartece della basilica pelagiana di San Lorenzo fuori le mura 25a. Il perduto ciclo con storie dell'Infanzia di Cristo • 25b. Il perduto affresco con la Pentecoste

183 183 185

26. La storia di Anania e Saffira già in San Giovanni in Laterano (Pinacoteca Vaticana, depositi)

188

27 . I perduti affreschi in San Salvatore in Thermis

190

28. Il busto musivo del Salvatore sulla facciata di San Bartolomeo all'Isola

191

29. Il pannello con tre figure a mezzo busto nell'abside di Santa Maria in Pallara

196

30. La decorazione pittorica dell'oratorio mariano di Santa Pudenziana

199

31. I frammenti di un fregio con uccelli della decorazione absidale dei Santi Quattro Coronati

207

32. I mosaici dell'abside e dell'arco absidale nella chiesa superiore di San Clemente

209

33. L'affresco staccato e il ciclo perduto con storie di santi già nel portico di Santa Cecilia in Trastevere

219

34. Il fregio a mosaico con busti di santi sull'architrave del portico di Santa Cecilia in Trastevere

222

35. La decorazione pittorica dei sotterranei del Sancta Sanctorum

224

36. Il ciclo frammentario in San Benedetto in Piscinula

233

37. I frammenti della decorazione affrescata di San Marcello al Corso

237

37a. La decorazione dell'abside settentrionale e delle pareti adiacenti 37b. La decorazione della parete meridionale

237

239

38. La decorazione pittorica del sacello nella cripta dei Santi Bonifacio e Alessio

241

39. I resti della decorazione affrescata nel sottotetto delle navate laterali della chiesa superiore di San Clemente

247

40. La decorazione pittorica di Santa Maria in Cosmedin

250

40a. I cicli di Ezechiele, Daniele e del Nuovo Testamento nella navata 40b. La lunetta della tomba di Alfano nel portico 40c. La perduta lunetta con scene dell'Annunciazione e della Natività già nel portico

8

250 256 256

41. La Madonna odigitria già in Sant'Angelo in Pescheria

258

42. La Madonna odigitria al Santissimo

262

ome di Maria

43. La Madonna odigitria della collezione Magnani-Rocca a Parma

265

44. La Madonna advocata in Santa Maria in Via Lata

267

.. 45. Il perduto ciclo della Camera pro secretis consiliis al Patriarchio lateranense

270

46. Il ciclo staccato dalla cripta di San

272

icola in Carcere (Pinacoteca Vaticana)

-17. La Maria Regina con Bambino nel transetto sinistro di Sant' Anastasia

281

48. La decorazione pittorica del cosiddetto oratorio di San Giuliano in San Paolo fuori le mura

282

49. La perduta decorazione dell'oratorio di San Nicola al Patriarchio lateranense

290

50. La perduta decorazione del catino absidale di San Lorenzo in Lucina

294

51. Il dipinto perduto con l'Incoronazione di Lotario III al Patriarchio lateranense

296

52. I restauri al mosaico dell'arco trionfale della basilica pelagiana in San Lorenzo fuori le mura

298

53. La figura di santo vescovo e il perduto ciclo con storie di san Lorenzo e santo Stefano nella controfacciata della basilica pelagiana in San Lorenzo fuori le mura

302

54. Il perduto dipinto con il prete Boninus in San Salvatore in Onda

304

55. I mosaici dell'abside e dell'arco absidale di Santa Maria in Trastevere

305

56. Il mosaico con testa di Cristo nell'abside di Santa Maria in Monticelli

312

PARTE TERZA

Serena Romano

317

LA CRISI DELLA SECO DA METÀ DEL SECOLO: DA Lucro II A CELESTINO III (1144-1198) SCHEDE

57. Gli affreschi staccati dalla navata e dall 'arco trionfale di Santa Croce in Gerusalemme

327

58. I mosaici dell'abside e dell'arco absidale in Santa Maria Nova

335

59. La decorazione perduta della facciata di Santa Maria

344

ova

60. I mensoloni dipinti nel sottotetto dei Santi Silvestro e Martino ai Monti

346

61. La decorazione pittorica delle navate e del coro di San Giovanni a Porta Latina

348

62 . Il perduto fregio a mosaico del portico di San Giovanni in Laterano

372

APPARATI

Abbreviazioni Bibliografia Indice dei nomi Indice dei luoghi Indice delle illustrazioni

377 378

400 403 405

9

Nota all'apparato epigrafico L'apparato epigrafico, denominato Iscrizioni nelle schede relative ai singoli monumenti, è stato curato da chi scrive seguendo i criteri qui di seguito brevemente enunciati. L'esame delle iscrizioni si è basato di regola sull'osservazione autoptica; in alcuni casi, la trascrizione e la descrizione delle epigrafi sono state eseguite anche ricorrendo a riproduzioni fotografiche e/ o a trascrizioni tramandate (edizioni o copie). Nel caso delle schede seguenti, l'apparato epigrafico è stato realizzato interamente sulla base di copie tramandate: 1, 5, 9a, 10, 11 , 12, 14, 24, 25b, 26, 35, 37a, 40b, 41, 42 , 44 , 45, 46, 49, 50, 51 , 54 , 57 , 59, 62. In particolare, chi scrive ha redatto la sezione Iscrizioni siglate: "S. Rie. ". Lo schema editoriale del]' apparato epigrafico segue le Inscriptiones Medii A evi Italiae (IMAI, 1, 2002, VIII-X) , in forma abbreviata, relativamente a: Tipologia dell'iscrizione; Posizione nell'opera; Spazio grafico; Allineamento; Stato di conservazione; Tipologia scrittoria; Morfologia e, ove individuabile, Fonte del testo. L'edizione delle iscrizioni si basa sulla metodologia della paleografia latina e della diplomatica (Petrucci 1992, 38-47 , 184-194) e, in particolare, accoglie i criteri di normalizzazione del testo elencati nella raccolta Le lettere originali del Medioevo latino (VII-XI sec.) diretta da Armando Petrucci: adeguamento a criteri moderni nell'uso della punteggiatura logica; distinzione tra maiuscole e minuscole, secondo il sistema moderno corrente; scioglimento delle abbreviarure (tranne le dubbie); separazione delle singole parole; lettere incluse, inscritte o soprascritte vengono trattate alla stregua del testo rimanente; normalizzazione dell'ortografia limitata alla distinzione tra u e v (j, y, ij ... vengono trascritte come sono); si mantiene la distinzione tra monottongo e dittongo (ae, e) ; non si interviene sullo stato grafico fonetico del testo, che viene lasciato invariato; (LOML, I, 2004 , XIX). Per quanto riguarda l'edizione dei testi, sono stati adottati le norme e i segni diacritici stabiliti da Silvio Panciera e Hans Krummrey (Krummrey - Panciera 1981, 205-15; Panciera 1991 , 9-21 ), per il Corpus Inscriptionum Latinarum, nonché le indicazioni fornite da Ivan Di Stefano Manzella (Di Stefano Manzella 1987, 36-39), adattati da chi scrive per l'edizione delle iscrizioni medievali. Per l'immissione dei testi è stato utilizzato il carattere tipografico Pserzf, gentilmente concesso dal prof. Silvio Panciera, che qui ringrazio. L'edizione dei testi epigrafici, pertanto, è seguita (ove necessario) da un sintetico apparato di natura filologica e/o di commento per giustificare le scelte testuali, le integrazioni di parti mancanti del testo nonché le varianti significative ali' edizione proposta. A fini esplicativi sono state impiegate le seguenti formule: "Trascrizione da foto, disegno, acquerello, etc. (riferimento bibliografico)", per le iscrizioni perdute, ma tramandate da copie sulla base delle quali è stata realizzata l'edizione del testo; "Trascrizione secondo (singolo riferimento bibliografico)" per le iscrizioni perdute, ma tramandate da trascrizioni ritenute attendibili; "Trascrizione in base a (più di un riferimento bibliografico comprensivo anche di fotografie, disegni, etc.)" per le iscrizioni perdute, ma

tramandate da più edizioni e/o copie. Le iscrizioni integrare sulla base di disegni, fotografie, etc. sono segnalate con: "Integrazione da (riferimento bibliografico)"; le trascrizioni integrate con trascrizioni precedenti sono indicate con: "Integrazione secondo (riferimento bibliografico)" o "Integrazione in base a (più di un riferimento bibliografico comprensivo anche di fotografie, disegni, etc., quando questi sono posteriori alla trascrizione tramandata)".

Segni diacritici Di norma la trascrizione si dispone su una riga impiegando: I : la barra obliqua posta tra due spaziature per indicare fine riga; quando la parola è divisa fra righe successive, la barra obliqua viene inserita senza spaziature; // : le doppie barre oblique poste tra due spaziature per indicare fine pagina o fine sezione; nei casi in cui il testo prosegue su un nuovo supporto: nuovo cartiglio, nuova tabella, nuova epigrafe, nuova pagina, nuova cornice, etc. Fanno eccezione le iscrizioni metriche, per le quali si va a capo alla fine di ogni verso. 11 : le doppie barre verticali separate da una spaziatura indicano l'interruzione dell'iscrizione per la presenza di un immagine o parte di essa. abc (minuscolo corsivo) : trascrizione dei testi dall'originale quando chiaramente leggibili o trascrizione di iscrizioni perdute ma tramandate. ABC (maiuscolo tondo) : trascrizione di lettere e numerali chiaramente leggibili, ma posti all'inizio, in mezzo o alla fine di una o più parole che non si può/ possono ricostruire chiaramente. abc (minuscolo corsivo sottolineato) : lettere trascritte da precedenti trascrizioni o da altre testimonian ze e inserite ad integrazione della trascrizione. i;irç: lettere con punto sottostante indicano una lettura incerta . + + + : lettere non riconoscibili; per ciascuna croce si intenda una singola lettera. a(bc) : lettere tra parentesi indicano scioglimento di abbreviazione. abc :lettere in nesso, segnalate con una o più lettere congiunte mediante segno angolato posto sulla prima lettera della coppia in nesso, o prime due. : aggiunta di testo, da parte dell'editore. rabc' : lettere errate corrette dall'editore. àbc : lettere aggiunte in antico per correggere il testo. {abc} : lettere aggiunte per errore, espunte dall'editore. [] : le parentesi quadre indicano, in generale, che il testo è lacunoso, quando all'interno di esse si trova un testo [abc], si intenda lacuna colmata dall'editore. [- - -] : lacuna non quantificabile con precisione a destra o sinistra di una lettera o parola insistente sulla medesima riga. Per l'elenco completo si vedano le citate pubblicazioni di Krummrey e Panciera .

Stefano Riccioni

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INTRODUZIONE

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Questo volume del Corpus della Pittura medievale a Roma copre un periodo lungo, che va dagli anni di Leone IX - il papa alsaziano divenuto potentissimo motore di riforma all'interno della Chiesa, e anche al di fuori di essa - a quelli di Celestino III: si apre, dunque, alle soglie di quella che comunemente viene chiamata la 'Riforma gregoriana', si chiude alla vigilia dell'avvento sul trono pontificio del più energico e autoritario sostenitore del principio dell'autocrazia papale, che senza le premesse della riforma e dei suoi molti protagonisti non avrebbe potuto esistere. Un così lungo processo storico non può pretendere all'omogeneità assoluta, e infatti le vicende che fungono da contesto alla storia pittorica che abbiamo tracciato sono variegate, spesso contraddittorie; ci sono servite tuttavia da punto di riferimento costante, ed è alla storia nel suo complesso che speriamo, alla fine, di avere anche dato un contributo. Il filo conduttore del volume è dunque la dialettica tra la somma dei dati della tradizione e le molte redazioni che questi dati subiscono nell'ottica del gruppo al potere che li usa, e con essi forgia il suo linguaggio. In questo senso, per quel che attiene il nostro ambito disciplinare, abbiamo inteso il concetto di riforma , un processo incessante nel Medioevo romano , un nesso in tensione continua tra il passato e la sua manipolazione, la storia e la sua presentazione orientata, il paesaggio antico e la sua rifabbricazione ideologica. È un processo, lo si è detto, non circoscrivibile ad un unico momento storico, ed è anzi una costante nella storia di Roma medievale, direi un dato di lunga e lunghissima durata che si comprende alla luce della sostanziale continuità delle strutture politiche, socio-economiche, culturali, di una città dove la presenza del trono pontificio - presenza fisica o virtuale, comunque immagine incombente - è stata per molti secoli, in buona misura lo è ancora, un interlocutore non eliminabile. Però, nella città corte dei papi, i protagonisti di questo volume sono più variati di quanto non avessimo sperato: sono apparizioni la cui freschezza resiste anche al degrado dei pigmenti d'affresco e delle tessere musive e anche alla loro totale sparizione, sono laici, signore e signori, donne e bambini, frammenti di nomi di persone e di individui, fisionomie , vestiti, oggetti offerti in dono alle stesse immagini sacre cui rendono omaggio poi, effigiati in materiali che cercano di essere eterni, in dimensioni grandissime, esposti nei luoghi più visibili degli edifici ecclesiastici e partecipi delle teofanie o dei regali omaggi alla Vergine, i dignitari della Chiesa.

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Un linguaggio insieme vecchio e nuovissimo sostiene il delinearsi di questa lunga epoca storica. Sia nella scelta degli schemi iconografici, che nei riferimenti che chiamiamo - in un senso, certo, particolare - stilistici, e, ancora, nelle scelte tecniche, il nesso dell'attività delle botteghe romane con la tradizione cittadina è fortissimo , e fa immediatamente pensare al fatto che fosse davvero il paesaggio monumentale romano, con l'intensità fitta delle sue decorazioni pittoriche e musive, il vero maestro dell'attività degli artisti. Ideologico o no, quotidiano, artigianale, utilitaristico forse , il comportamento dell'artista romano - e del committente, beninteso: difficile separarli - sembra insieme colto e un po' sornione, guarda ai prototipi e ai modelli che lo attorniano, li copia, li imita, li replica, ma alla fine il risultato che restituisce è in fondo inaspettato, è nuovo ed originale, la griglia di riferimento diviene un 'arma retorica di persuasione potenziata e dentro di essa ogni variazione diventa legittima. Si affacciano, nelle nostre schede, le personalità di grandi artisti: forse non i pochi che firmano , immortalando il proprio nome, alcune delle tavole dipinte, ma i grandi maestri dell'affresco, e i grandi inventori delle composizioni musive absidali, che sanno far girare le loro figure sulle perigliose superfici convesse e gestiscono magistralmente la ricomposizione ottica dell'insieme, da lontano, e man mano che l'osservatore si avvicina al luogo più sacro della chiesa - il santuario con l'altare. Se il medioevo dell'Europa del Nord era abitato da una selva di sculture e storie di vetro, quello di Roma era pervaso da solidissime figure dipinte con i colori delle terre o con le tessere mangia-luce del mosaico: un 'invasione massiccia, che la fatica filologica e lo sforzo dell'immaginazione aiutano un po' a ricostruire.

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Ma anche così, e nonostante che i dati raccolti ci siano sembrati alla fine numerosi, almeno sufficienti ad azzardare delle ipotesi, il senso di quanto incommensurabile sia l'estensione di ciò che è andato perduto emerge anche più chiaro di prima. Gli edifici sacri di Roma sono pilastri della memoria storica e religiosa della città e della Chiesa; non possono spostarsi dai siti cui sono incardinati, il loro numero e la loro ubicazione sembrano fissati una volta per tutte nei primi tempi del cristianesimo, che a sua volta vive di nessi topografici dichiarati, o più oscuri, con l'Antico. Così il loro destino è di essere continuamente ritoccati e rifatti; sono strumento di comunicazione per eccellenza nella politica e nella propaganda, e ogni epoca ha bisogno di servirsene. È inevitabile leggerli come palinsesto e spiarne le successive redazioni - l'una ali ' altra tutt 'altro che indifferenti, al contrario legate da una visualità dialettica strettissima - attraverso la stratificazione della loro storia. Le visualizzazioni dell'Atlante, che comincia ad accompagnare la pubblicazione dei volumi del Corpus, sono in questo senso uno strumento di cui gli studiosi fino ad oggi non hanno mai potuto disporre, e che spiega la nostra idea del Medioevo romano come nessun discorso e nessun saggio forse sarebbe capace di fare. Incrociate allo svolgimento diacronico dei volumi del Corpus, le ricostruzioni degli edifici-palinsesto di Roma includono quanto è conservato delle pitture e dei mosaici medievali, e usano i documenti grafici che pure sono schedati nel Corpus, per integrare quanto è stato perduto, ma mantenuto al livello della conoscenza in quanto m em oria; ricreano nella misura più ampia e precisa possibile la compresenza delle fasi della civiltà figurativa medievale nella città. Al fondo di tutto il lavoro fatto, e per evitare le semplificazioni e le ricostruzioni sommarie in cui le reintegrazioni a rigatino - per così dire - sarebbero, e sono, incommensurabilmente maggiori dei frammenti sopravvissuti, abbiamo avuto un principio costante, ed è stata l'attenzione ali' oggetto, l'osservazione attentissima, minuta, archeologica quando necessario, agli affreschi, ai mosaici, alle tavole dipinte che abbiamo studiato. Esso è centrale nei suoi dati meglio conservati e per questo più suggestivi e magnetici, ma anche nel suo percorso diacronico, vale a dire nella sua storia conservativa e nella sua ricezione critica, talvolta letteraria, talvolta visiva e figurativa anch'essa: questa, sotto forma della catena inesausta di disegni, acquerelli, copie, fotografie dei monumenti romani, dalla Controriforma fino ai nostri giorni. Forse nessuna città al mondo, e nessun patrimonio pittorico come quello di Roma, portano così chiare nella successione delle proprie fasi storiche le stigmate del valore della memoria: sacre m emorie, come la Controriforma li definiva, gli oggetti e i dipinti medievali di Roma hanno trovato via via l'autonomia del loro essere manufatti artistici e non solo testimonianze della fede e della cultura religiosa, ma spesso devono ad esse la loro stessa sopravvivenza. La precisione delle descrizioni e degli apparati critici, la novità degli approcci e delle cronologie proposte, insieme con il più ricco corredo di illustrazioni di cui la pittura romana del Medioevo abbia mai potuto disporre, sono destinati, speriamo, ad aprire prospettive e suscitare nuove domande, e così a facilitare gli studi futuri attorno al patrimonio pittorico di Roma medievale. Serena Romano

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ROMA XI SECOLO. DA LEONE IX A RANIERI DI BIEDA SERENA ROMANO

Premessa

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el 1970 il Garrison scriveva sulla tavola del Giudizio Universale in Vaticano (-> 3) e sui problemi cronologici ad essa connessi. Dopo aver ricordato quale percentuale di distruzioni rendano difficilissimo il compito dello storico, concludeva che «the evidence for an eleventh-century dating of the Last Judgement panel (. .. ) has been found specious» in quanto , continuava, «owing to disastrous politica!, religious and cultural conditions in Rome and its region, the eleventh century was artistically sterile and that there is, consequently, ipso solo facto , no possibility that such frescoes as those of S. Elia and such panels as the Last Judgement were executed there then» 1. Quasi quarant'anni anni dopo il saggio di Garrison, noi abbiamo cercato di ritrovare le tracce e i modi di un undicesimo secolo romano, tanto frammentario nelle sopravvivenze quanto tenace a manifestarsi, una volta che alcuni - pochi - punti di riferimento siano stati fissati. Il quadro storico che deve necessariamente accompagnare queste ricerche è difficile, e spesso oscuro 2 . Se assumiamo come punto di partenza la metà circa del secolo 3 , dunque l'epoca del pontificato di Leone IX, e puntiamo alla fine degli anni '90 e all'elezione di Pasquale II nel 1099, vediamo quanto rapidamente si passi dalla serie di papi di area franco-tedesca e di nomina imperiale, a quelli di elezione curiale, borgognoni o italiani; da una politica appesa alla variabile imperiale e devastata dai giochi delle fazioni romane, all'imporsi di un 'centro' prima fortemente appoggiato alla Toscana di Goffredo di Lorena e poi via via sempre più virato verso il sud, e verso il potere normanno. È a partire dalla metà del secolo che si costituisce il dato concreto della lobby attorno a Leone IX, il quale porta con sé Ugo Candido, Umberto di Silva Candida e Federico di Lorena e allarga stabilmente la propria cerchia a Pier Damiani, ad Anselmo da Baggio, a Ildebrando, e prestissimo si aggiungerà Desiderio. Queste persone saranno cardinali e papi: Federico di Lorena (Stefano IX) , Anselmo da Baggio (Alessandro II) , Ildebrando (Gregorio VII), Desiderio (Vittore III), per non parlare delle altre cariche da essi ricoperte nel corso della loro carriera e che corrispondono ad uno sforzo poderoso di riorganizzazione della struttura amministrativa e organizzativa della curia. Saranno spesso pontificati brevi - quello di Leone IX dal 1049 al 1054, di Stefano IX dal 1057 al 1058, di Nicolò II dal 1059 al 1061 ; più lungo, ma tormentatissimo dalle lotte contro Cadalo, quello di Alessandro II (1061-1073 ) - e saranno conclusi dagli anni in cui, sotto Ildebrando (1075-1084) e Urbano II (1088-1099), Roma apparterrà in larga parte ai sostenitori di Guiberto , Clemente III. La catena di potere tra questi uomini è strettissima, ancorché continuamente insidiata dai gruppi antiriformatori che alla fine avranno dalla loro uno dei più stretti collaboratori di Leone IX, Ugo Candido; in questa cerchia di altissimo livello si definiscono i principi teorici e morali, e legislativi, che orientano la politica della Chiesa, la lotta contro la simonia e il concubinato dei preti - che vuol dire anche la questione spinosa della Pataria4 - e le modalità dell'elezione pontificia, con un processo di riflessione che culmina nel Decreto sull'elezione papale di Nicolò II (1059) e conferisce ai cardinali, Pier Damiani voleva fossero solo i cardinali vescovi, l'autorità suprema di scegliere il 'vero' papa. È un mezzo secolo difficilissimo, complesso, pieno di accelerazioni e arresti improvvisi, costellato di scontri armati e di incertezze politiche: ma non 'disastrous', e tanto meno 'sterile'. Al contrario, i decenni che hanno inizio alla metà del secolo e che hanno il loro punto di partenza nella figura colossale di Leone IX 5 , sono tra i più fecondi e innovatori della storia della Chiesa e di Roma; sono tempi non trionfalistici, ma appassionati a mettere in piedi e costruire una realtà nuova e anche disparata rispetto alle premesse locali: condannati dalla censura storica e dalla vittoria della controparte, gli attori del partito antipapale spesso , a quanto sembra, condividevano almeno una parte dei punti di vista e delle aspirazioni riformatrici del partito gregoriano6 . La trama che restituiamo in questo volume risponde a questo quadro storico: per lacunoso e distrutto che ne sia il panorama, per irrintracciabile - o così ci è sembrata 7 -1' eventuale traccia del partito perdente, esso ci è apparso insperatamente fitto di presenze e di indizi, alcuni acutamente restituiti da studi recenti, altri inediti, altri ristudiati sotto una luce nuova. Una parte di queste presenze si incardina logicamente nel passato pittorico di Roma , un 'altra parte vi appare meno abituale e più inaspettata: la fase del rinnovamento, che in questo modo si compone, certamente non è spalmata sul panorama antichizzante e sul Renouveau quale manifesto della Riforma trionfante, come nella tradizionale lettura degli studi, che vi riconoscono la particolare attitudine romana nei confronti dell 'Antico, in voga specialmente all'inizio del XII secolo 8 . Non è nemmeno composta dalle tipologie di interventi cui si è abituati nei contesti

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romani e pontifici: programmi di prestigio, preferibilmente interessanti gli edifici basilicali che più di tutti sono portatori di memoria e significato per la Chiesa, e il cui destino è di essere periodicamente restaurati, rifatti e ridecorati, come la storia di San Pietro o di San Paolo fuori le mura può mostrare. È fatta di dipinti su tavola, icone, frammenti di pitture murali di cui non possiamo più misurare la complessiva estensione - il caso della riscoperta prima fase pittorica a San Giovanni a Porta Latina (---> 59) è emblematico, ma vi aggiungerei almeno gli inediti frammenti dell'interessantissima decorazione absidale di San Sisto Vecchio (---> 19) - e in cui si intravedono gruppi, modi di dipingere variati, stilemi, che comunicano da gruppo a gruppo permettendo di emettere l'ipotesi della contiguità cronologica, ma al tempo stesso mostrando che il panorama era complesso e le botteghe composite. Hanno committenze variegate: femminili, laiche, certamente anche ecclesiastiche, monastiche, forse cardinalizie, ma il quadro che si viene a formare appare forse meno organicamente legato al 'manto ' pontificio che poi, passata la boa dell'anno 1100, sembra riappropriarsi dell'iniziativa, ritessere gli strumenti della propaganda, e voler celebrare la 'Chiesa trionfante' magari anche zittendo una parte della molteplicità di attori che nei decenni precedenti erano stati particolarmente attivi.

Donne e uominz; laici e chierici: Roma dopo la metà dell'XI secolo I vuoti e le lacune di questo panorama sono tali, da renderlo di fatto irriducibile ad una lettura troppo unitaria e luminosa. Ci sembra più onesto sceglierne alcuni fili come guida, sapendo di lasciare da parte molto altro materiale che - lo speriamo - darà spunti ed occasioni agli studi futuri ed è comunque, quando è stato possibile farlo , registrato accuratamente nelle singole schede del volume. La questione del nostro primo asse, quello ottoniano - cui forse solo Carlo Bertelli ha insistentemente creduto, individuandolo nella 'fresca energia' delle sante di Via Lata e nei frammenti del Celio9 (---> 5) - con le sue tangenze germaniche e imperiali, è in buona misura un fatto di presenze, anzi di sante presenze, e un affare di reliquie, cosa che non stupisce. Elenchiamo alcuni dati in modo molto scarno, rilevando già da ora che ci si troverà frequentemente anche davanti al problema 'orientale' , che non sorprendentemente si segnala importantissimo nella percezione e nella politica europea tra X e XI secolo. È Sergio di Damasco, nel 977 , a importare a Roma, nel monastero sull'Aventino fino ad allora noto sotto il vocabolo di San Bonifacio, le reliquie di sant' Alessio: nel 986 il nome di Alessio si aggiunge nell'intitolazione a quello di Bonifacio 10 . Il monastero è sotto la protezione del principe Alberico, figlio di Marozia e nipote di Teofilatto senatore di Roma , che risiede sull'Aventino e trasforma in monastero la residenza senatoriale di Eufemiano, il leggendario padre di Alessio 11 . Ricordiamo en passant che è ad Alberico che risale già la prima ondata di riforma cluniacense nei monasteri romani di Santa Maria de A ventino (che coincide con la casa natale di Alberico così come San Bonifacio coincide con quella di Eufemiano e Alessio, e ospiterà verosimilmente gli esordi di Ildebrando 12 ) , di San Paolo, Santa Agnese, San Lorenzo; ed è alla sua cerchia che viene attribuita la fondazione di altre comunità monastiche, che vedremo tra poco più da vicino, in particolare San Ciriaco in Via Lata 13 . È il tempo in cui si fondano anche Santa Maria in Pallara e Santi Cosma e Damiano in M ica A urea, ambedue su intervento di laici, Petrus medicus e Benedetto Campanino 14 . Ai Santi Bonifacio e Alessio, nella Pasqua del 981 , si riuniva un gruppo di personalità molto interessanti. Ottone II con Th eophanu e Adelaide, Ugo Ca peto, Adalbéron arcivescovo di Reims e Gerbert, retore e studioso e futuro papa Silvestro; Leone, l'abate di quegli anni, probabile autore del falso documento che attesta la donazione del palazzo di Eufemiano al monastero 15 , dovrà difendere di lì a poco, in Francia, la Chiesa romana dagli attacchi e dalle critiche che le venivano rivolti 16 . È probabilmente sull'Aventino 17 che Ottone III, qualche anno più tardi, risiede e riceve Bernward di Hildesheim, Guillaume de Volpiano, Abbon di Fleury, Odilon di Cluny e Adalberto da Praga. Quest'ultimo, che abitava nel monastero, scrive un'omelia su sant' Alessio; martirizzato in Boemia, le sue reliquie saranno portate a Roma da Ottone III e usate per la fondazione della chiesa di San Bartolomeo all'Isola Tiberina 18 . Le reliquie di san Ciriaco, martire con altri compagni e sepolto sulla via Ostiense, danno origine all'intitolazione del monastero di Via Lata, la cui fondazione sembra risalire al tempo del papa Agapito II (944-955 ) e alle cugine di Alberico, le nobili Marozia, Stefania e Teodora, ed era forse commemorata in un affresco 'storico' un tempo nell'oratorio 19 . Per ragioni non ben note, il papa Leone IX apprezzava moltissimo le reliquie di questo santo, per il quale compose un Responsorio20 ; e come già prima Ottone III, che aveva trasferito una parte di reliquie da Via Lata a Bamberga2 1, ne prelevò un braccio per don arlo all 'abbazia di Altdorf in Alsazia - dove i due nuovi nuclei monastici erano stati finan ziati dai genitori del papa 22 . Nello Stiftskloster di Genrode, altra comunità religiosa femminile di fondazione ducale, la devozione per san Ciriaco

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era quasi un affare di famiglia del fondatore , Gero , il quale nel 963 fece un viaggio a San Gallo e Roma , forse allora riportandone le reliquie: la concomitanza con la recente fondazione di Via Lata sarebbe degna di attenzione23 . Si tratta nei tre casi, a Roma, in Alsazia e in Sassonia, di comunità femminili cui il recente studio di Suckale e le ricerche confluite nel Krone und Schleiet2 4 hanno dato maggior evidenza rispetto al passato: comunità femminili che seguivano la 'vita canonica' e non la regola benedettina, e di conseguenza uno stile di vita che poco aveva a che fare con l'idea della vita delle monache, quale siamo ancora oggi più abituati a concepire. Questa forma di vita, sancita dalla Institutio Sanctimonialium Aquisgranensis nell'817 25 , ,aveva particolare ragion d'essere nei territori germanici , dove i nuclei comunitari avevano origine non solo aristocratica, ma imperiale, come nel caso di Quedlinburg, o comunque di altissimo livello sociale: gli atti di Leone IX papa attestano la sua grandissima attenzione e benevolenza, radicata anche in ragioni personali e familiari , verso molti di questi conventi, Via Lata incluso, la cui chiesa egli consacrò nel 1049 con reliquie in una concha por/irea26 . Nel sinodo lateranense del 1059 Ildebrando disse rabbiosamente che questo tipo di comunità esisteva solo in qualche sperduto angolo della Germania: il problema imperiale e quello femminile si congiungevano significativamente nelle parole del futuro papa 27 . Non era vero, però: nella stessa Roma, la condizione religiosa femminile ammetteva pieghe che fino ad oggi sono state oggetto di poca attenzione , forse anche da parte dello storico, certamente dello storico dell 'arte che si occupa delle opere e della loro committenza. La prudenza appare d 'obbligo, perché i dati certi sono molto pochi, e applicare tout court allo speciale contesto romano i risultati di studi nati per altri ambiti geografici sarebbe pericoloso: permane, a mio avviso, la possibilità di situazioni sostanzialmenteflou, sfuggenti a rigide definizioni. Il caso di Via Lata, che ha origine principesca come quelli germanici, è forse il più chiaro28 . Quanto alla comunità di Campo Marzio, a stare ai suoi miti di fondazione, ha origini greche; greca, originale o copia, è l'icona del Monasterium Tempulz29 [1]. Ma per queste congregazioni femminili, come per quelle tedesche, la terminologia nei documenti e lo stile di vita che da essi filtra è quello della vita canonica, fino agli anni '30- '40 del XII secolo, quando la riforma ecclesiastica sembra riuscire a condurre le comunità femminili entro le norme benedettine: il giro di chiave finale lo daranno san Domenico e Onorio IIP 0 . Il fenomeno appare molto vasto, come se ai secoli in cui il panorama monastico romano era stato dominato dalle comunità greche fossero succeduti decenni e decenni in cui il tipo dominante di comunità religiosa femminile è quello della congregatio ancillarum Dei: così i documenti permettono di pensare al caso di Via Lata e di Campo Marzio, ma anche il Monasterium Tempuli potrebbe aver fatto parte del gruppo , certamente il m onasterium Corsa rum , e anche Santa Bibiana31 . La terminologia cambia nel corso della prima metà del XII secolo, le ancillae Dei e le dom inae cedono il posto alle m oniales e alle m onachae, e quando si arriva all'inizio del XIII sono i domenicani che concludono il lungo processo storico , riunendo le comunità femminili in monasteri di clausura, e raggruppando ad esempio - non ci sembra un caso - i tre di San Sisto, delle Corsarum e di Santa Bibiana in un'unica comunità32 . Le signore della comunità di Via Lata, come, verosimilmente, quelle di Campo Marzio, potevano scegliere la vita religiosa fin da giovani , o essere vedove33: forse la badessa Constantzà che appare nella tavola vaticana con il modellino della chiesa (----> 3) [5] è la stessa signora, vedova , che fa una grossa donazione al convento già nel 103034 . Queste dom inae gestivano in proprio i loro affari, uscivano dal monastero , andavano in viaggio per visitare la propria famiglia , avevano proprietà immobiliari e terriere anche personali, potevano sposarsi se decidevano di farlo ; la vita in comune, cui la Riforma terrà fortemente , era disattesa come lo era per i chierici del tempo, e le signore vivevano talvolta ognuna in una piccola residenza, tutte attigue ma indipendenti, dove potevano anche avere servitù. La polemica di Ildebrando e dei riformati contro questo stile di vita è ben nota35 ; l'impressione che lo smalto di queste enclaves femminili poteva produrre su chi voleva combatterle è ben registrata in un documento lontano dai casi romani, ma molto significativo: la descrizione del pranzo tenutosi nell'anno 722 nel monastero di Pfalzel vicino Treviri, in cui la badessa Adele, discendente di Dagoberto, presiede la riunione, assisa alla tavola , con in mano il suo scettro di badessa, attorniata dalle sue compagne, mentre accanto a lei Bonifacio si prepara a predicare alla comunità36 . Sia San Ciriaco, che San Gregorio Nazianzieno e Santa Maria di Campo Marzio, sorgevano tutti nella zona del Campo Marzio, dunque nel luogo di alta densità abitativa e costellato di residenze signorili, che la Roma medievale eredita e trasforma dalla Roma antica. Vicinissimo era il sito di San Marcello, di recente proposto ali' attenzione: esso accoglieva un luogo di culto, addossato alla basilica e dedicato alle sante Digna e Merita (corruzione della formula latina «dignae et m eritae», non compresa e trasformata in due vere e proprie sante femminili, con reliquie miracolose e tutto ciò che serve allo sbocciare di un culto) dove nel X secolo è ricordata una badessa Clementia 37 . Vi erano conservati i monumenti antichi che più di tutti hanno mantenuto il loro prestigio nel corso del Medioevo: al monastero di Via Lata apparteneva la Colonna Traiana, che nel 1162 il

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Comune si impegna a difendere «dum mundus durat>>, mentre quella Antonina era proprietà del monastero di San Silvestro in Capite - i cui beni confinavano con quelli di Via Lata e di Campo Marzio - come conferma nel 955 la bolla di papa Agapito II: nel 11191' abate del convento aveva gettato l'interdetta su chi volesse alienarla o affittarla 38 . Il contesto sociale è dunque di primissimo rango. In questo quadro, la vita delle religiose appare, dai documenti, piuttosto tranquilla e gratificante, gestita in un'atmosfera comunitaria che sembra tendenzialmente armonica e consensuale, dedita alle preghiere per i morti e probabilmente alle opere buone. Era, di fatto, una soluzione efficace e in certa misura un po' libertaria, al problema della posizione della donna nella società del tempo; né bisogna dimenticare che le radici di questo fenomeno pescano nel problema dell"ordinazione' della donna diaconissa, dunque del ruolo femminile nella gerarchia ecclesiastica che la Chiesa ha combattuto dai suoi inizi, periodicamente e con estremo vigore 39 . Così succederà infatti per le comunità di canonichesse: al già citato sinodo del '59 Ildebrando parla aspramente contro il loro mode de vie che non coincide, a suo dire, con alcuna norma istituita dagli apostoli o dai padri della Chiesa, e contro la loro pratica di mantenere beni privati, a suo avviso contraria al precetto della povertà evangelica40 . Nel corso del XII secolo la trasformazione dei casi romani in monasteri benedettini è totale: se le canonichesse continuano in qualche misura a esistere in Europa, Jacques de Vitry non si capaciterà della libertà di queste donne, e lo statuto del 1279 in Inghilterra tuonerà «Sciatis vos monachas, vos moniales esse, non dominas» 41 . Le immagini sacre avevano una funzione di primissimo piano nella vita delle comunità religiose, e Belting ha da molto tempo indicato come le icone mariane, specialmente le repliche della celebre e acheropita icona Tempuli [1] , diventino nel corso del XII secolo la bandiera delle comunità religiose femminili di Roma, in lotta per la propria autonomia nei confronti della curia pontificia42 . All'icona Tempuli è legato infatti il racconto del tentativo di sottrazione dell 'icona da parte del papa , e della reazione delle religiose ' proprietarie' dell 'icona, che avevano vittoriosamente combattuto per la propria autonomia e il proprio diritto a custodire l'immagine, naturalmente aiutate dall 'intervento soprannaturale dell 'icona stessa 43 . L'evento narrato è straordinario per la vivezza della situazione storica che da esso filtra: ora, sulla base di quanto prima si è detto, il suo valore si accresce e diventa più specifico, più tangibilmente storico, perché ora sappiamo che lo statuto della comunità Tempuli potrebbe aver avuto caratteristiche affini a quelle di Via Lata e di Campo Marzio, e quindi gli stessi problemi con la politica restrittiva della curia. Tutto il complesso di Campo Marzio doveva essere costellato di immagini sacre:

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nell'oratorio di San Gregorio la tavola del Giudizio (----> 3), e nel medesimo luogo, o in altri attigui, dovevano trovarsene altre, forse l'icona antica e perduta portata dall'oriente (? ), certamente quella del Salvatore oggi in Vaticano (----> 16), e la replica Cini dell'icona Tempuli, in cui il Cristo tocca protettivo e affettuoso l'aureola della Vergine (----> 17)44 [2]. Cronologicamente già più vicino ai murali di San Clemente, sulla parete destra dell 'oratorio l'affresco del Viaggio di Tempulus e dei /rate/li (----> 23 ) rappresenta l'icona venerata - completa di cornice proprio come un vero quadro - volante in cielo al fianco del Salvatore [3] . Quello che è rappresentato è dunque il momento fondatore nella vita del sito monastico; nella progression cronologica delle numerose committenze femminili di Campo Marzio, e alla luce delle vicende della comunità, quali adesso appaiono un po' più chiaramente, l'insistenza sul valore miracoloso dell'icona mariana che decide lei dove stare e con chi stare, assume forse una sfumatura di significato che p otremmo definire drammatico, segnalando già, probabilmente, i disagi della comunità nei confronti delle posizioni rigoriste della curia. I medaglioni dell 'abside di Via Lata (----> 1) mostrano volti di sante a ovale perfetto, il capo acconciato con un foulard bianco a strisce nere e rosse - quest'ornamento tornerà per decenni nei ritratti delle donatrici e delle sante romane - lungo naso, bocca sinuosa e grandi occhi nocciola che guardano di lato intelligenti e quasi maliziosi, accompagnati dall'arcatura delle sopracciglia segnate da un solo tratto di pennello nero [4]. Le sante erano almeno due: i nomi apparivano inscritti nelle aureole, ma oggi si legge solo quello di Iulianes. Forse l'altra santa poteva essere Memmia, personaggio ignoto all'iconografia ma compagna di martirio di Ciriaco e di Giuliana secondo la Passio 45 . on è detto però che l'abside accogliesse le figure del racconto martiriale relativo a Ciriaco e non , invece, una serie di immagini di santità femminile, in cui potrebbe essersi verificata un'associazione con l'altra Giuliana di cui un più tardo manoscritto di O xford celebra la verginità nel matrimonio insieme a quella di Alessio e di Euphrosine, ambedue casti nella vita matrimoniale: un tema che ritroveremo fra breve nell 'epopea di Alessio in San Clemente e che doveva apparire importante per le signore che cercavano soluzioni di vita al di fuori della 'pista' matrimoniale46 . Nella tavola del Giudizio (----> 3) le mura gemmate della Gerusalemme celeste accolgono le sante Prassede e Pudenziana riccamente abbigliate e ingioiellate, accompagnate da una donna maritata e da un 'altra non sposata47 , e più indietro da una folla maschile non, si badi, composta di chierici, ma di laici ; poco più sotto, Costanza e Benedetta con le loro offerte devote non sfigurano nel quadro , e con la testa superano l'altezza del muro gemmato inserendosi imbolicamente nell'ambiente p aradisiaco [5]. Le loro vesti sono più modeste, praticamente identiche a quella della badessa Eilika inginocchiata davanti a san Benedetto nel Libro della Regola di Niedermiinster (1025-1044) 48 [6]; ma il loro aspetto fisico si riflette e si nobilita, per così dire, come in un effetto-specchio, nelle ricche immagini di Prassede e Pudenziana, e anche loro hanno una cinturina perlata e scarpe con alte suole che le isolano e le slanciano. Il tocco tradizionale è comunque ben presente nella tavola: accanto alla Gerusalemme celeste e ai ritratti delle donatrici, l'Inferno include una donna tormentata perché non si è velata e perché, come recita la scritta vicina, «in ecclesia locuta est» [17]. on è facile determinare l'origine e le caratteristiche esatte della corrente stilistica che sembra mettersi in evidenza in questo gruppo di opere e di committenti. Ma troppo ardita ci sembra 1ipotesi di Suckale, che cerca di far discendere lo schema compositivo della tavola vaticana dal minuscolo sigillo di Enrico III, e sembra trovare somiglianze fra i dipinti di Santa Pudenziana (----> 30) e quelli tedeschi di Lambach o di San Gereone a Colonia49 . Analogamente non comprendiamo come si sia potuto definire la tavola vaticana un prodotto di «arte povera», ritenendo «billig» il suo tipo di pigmenti50 . La fritta di blu egizio che fa da fondo al dipinto, brillante e luminosa come smalto ancora oggi, doveva essere costosissima all 'epoca, un colore prezioso che non ha nulla a che fare con le tonalità svelte e con le terre così largamente impiegate specialmente nella pittura murale, ma anche nella produzione iconica, negli stessi anni e soprattutto nel corso della produzione romana di XII secolo. Su questo fondo celeste, più profondo attorno alle due figure del Cristo e più velato via via che si discende nei registri del dipinto, le figure si stagliano disegnate in maniera semplice, ma non certo semplicistica: è un gusto, quello del tratto scuro unitario che disegna i profili e i lineamenti, non una incapacità tecnica, e accanto ad alcune caratteristiche che lo stesso Suckale ha rilevato51 , proprio questa tendenza alla bidimensionalità cromatica e brillante ci sembra l' omaggio romano più evidente ai sistemi formali e di rappresentazione dell'Europa ottoniana e salica. Specialmente ora, dopo lo splendido restauro compiuto ai Musei Vaticani, la superficie della tavola appare straordinariamente impreziosita dalle campiture dorate, date evidentemente pour cause sulle vesti del Cristo, sulle aureole, e alternate con i campi rosa e rosso lacca di vesti e veli. Vi si riassorbono tratti di origine certamente bizantina, che però negli originali bizantini possiedono comunque una forza plastica maggiore, più aggressivamente striata dalle lumeggiature e dalle

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profondità dei panneggi: un confronto degli Evangelisti del Giudizio vaticano con i mosaici di Daphnì o Hosios Lukas lo dimostra , e in questo senso, i confronti proposti da Suckale con opere quali l'Evangeliario di Liegi (1040 ca. ) sono sostanzialmente giusti52 , se si ha chiaro che difficilmente si tratterà di un rapporto diretto, ma solo di una convergenza di esiti. Nel convento di Campo Marzio avevano peraltro cittadinanza anche altre tendenze stilistiche: meno brillanti, infatti, appaiono i pittori dell'icona di Palazzo Barberini (----> 17) [2], che tuttavia è inseparabile dalla tavola, di cui condivide certi modi di segnare le fisionomie e anche gli stessi repertori decorativi a motivi cuoriformi nei bordi e nella mandorla del Cristo Giudice, e vicinissimo, ancorché sempre meno raffinato , quello dell'icona del Salvatore(----> 16). L'Antico, per contro, sembra essere una componente familiare alla cultura dei maestri pittori della tavola: i quali usano figure di Europa o di personaggi marini mitologici [9], prendendoli verosimilmente a prestito da qualche sarcofago, e figure di Fiumi nelle Opere di Misericordia [43 ]: notiamo che quest'ultima soluzione è non solo inedita, ma anche apparentemente senza seguito, poiché il pittore di Ceri53 , disegnando il suo Vestire gli Ignudi, diede luogo ad una fulminante invenzione di una figura nuda e inginocchiata, vista di schiena mentre qualcuno le sta infilando una veste dall'alto [10]: ma non ripeté il prestito antico. Qui, nella tavola, l'Antico non appare inteso a evocare profondità ideologiche: è un tratto di familiarità culturale, di elegantissimi repertori degli artisti e di contesti visivi del loro pubblico; è, se si vuole, un mezzo per accentuare la lontananza favolistica del tema, come poi sarà a San Clemente nell'incorniciatura vegetale del Miracolo del Tempietto, e simile anche nel motivo dei pesci [11] - che saranno anche nell'Attraversamento del Mar Rosso a Ceri [12] - che nella tavola si mescolano ai pezzi di cadavere sparsi dappertutto, non particolarmente minacciosi. Le sagome ritagliate e le nette superfici cromatiche evocano in certa misura la semplicità raffinata di alcuni dei disegni non finiti dei codici cassinesi 99H e 98H [13-14]: naturalmente la natura tecnica delle illustrazioni di quei codici accentua l'impressione di nettezza grafica e disegnata, che verosimilmente si modificherebbe una volta che fossero stati aggiunti i colori54 . Alcuni di essi, specialmente l'Ascensione del 99H e la Morte della Vergine del 98H, sono a mio avviso piuttosto suggestivi in rapporto alla tavola: ma la data del 99H - 1072 - di fatto non risolve il problema delle priorità, e ricordiamo ancora che Bertelli considerava romano l'autore del famoso disegno con la Dedica 55 . Il problema dell'origine di questo stile deve quindi tener conto del polo cassinese, attivo nella prima metà del secolo e nutrito anche di affluenti nordici e germanici: ma non può spiegarsi solo attraverso di esso. Risulta però relativamente isolato anche a Roma, dove la maniera di Farfa, di San Crisogono, di Santa Balbina e di Sant'Ermete (----> 8, 9, 11 ) risulta - come si vedrà di seguito - più organicamente incardinata nelle tradizioni locali e spunta, si affaccia, nella tavola, solo in alcuni dettagli, nelle teste cubiche e grottesche di qualche dannato [17] che fanno pensare ai maltrattati frammenti del portico e del pastoforio di San Giovanni a Porta Latina (----> 13-14) [18-19-20] e ai dipinti della torre-campanile di Farfa [21 ]5 6. Ai volti pieni e rotondi degli arcangeli della tavola, fors un confronto plausibile è quello di alcuni brani della decorazione dell'oratorio di San Gabriele sull'Appia (----> 4) , non la testa del Cristo che è dura e grafica come in altri esempi più tardi57 , ma proprio quella dell'arcangelo [7] , che occupa la concavità della piccola calotta con una soluzione compositiva elegantissima, con un modulo facciale non lontano da quello delle sante di Via Lata [4] e degli arcangeli di Campo Marzio [8] , e con un'idea di fondo azzurro intenso

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accostato al giallo dell'aureola, che ci convince del possibile accostamento. L'oratorio fu decorato da una coppia di laici, un uomo e una donna che la fede degli studiosi nella conoscibilità della roria ha voluto identificare con Beno e Maria, i committenti di San Clemente. Chissà se era così: il disastro conservativo dei dipinti ha cancellato il nome di Beno -letto solo da Armellini nel 1875 - e quasi interamente le fisionomie di ambedue i donatori, dei quali lui mantiene forse un'ombra di fisionomia energica e giovanilmente matura. Un altro BE ... è stato cancellato da ciò che resta della chiesa di San Salvatore de Militiis, dove aveva fatto «pingere» degli affreschi che nella foto del 1930 non disdicono a una datazione a questo torno di anni (- 12). Laici, quindi: come laico era il Petrus medicus di Santa Maria in Pallara58 , laica la colorita committente di Santa Balbina e uo marito peccatore, Leo (- 9a), laico - se vogliamo aggiungerlo - il Romanus di cui a San Crisogono rimangono solo le gambe (- 8d), e laici, naturalmente, Beno de Rapiza e Maria Macellaria nella basilica di San Clemente (- 21).

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Un altro gruppo: il cantiere di San Crisogono Sulla laicità, questo tema fondamentale nelle tematiche ideologiche della Riforma, torneremo tra poco. Prima però, e anche per motivi di rigore cronologico, ci fermiamo su un'altra questione, che non è separata da quanto finora si è visto, ma ne rappresenta un altro filone: e dal punto di vista formale, e da quello più largo della committenza e del quadro sociale dell'impresa. Mi riferisco naturalmente alla grande impresa di San Crisogono. Lo spostamento cronologico che è stato proposto da Giulia Bordi, volto a riconnettere le fasi dell'affresca tura dell'abside e della cripta (- Sa, 8b) della basilica di San Crisogono al medesimo cantiere che vedrà poi la decorazione della parete destra e della controfacciata (- Sf, 8g) , ha finalmente sottratto alla presunta datazione all'VIII secolo le figure di santi della cripta [22] , e i pannelli a finti marmi cosmateschi dell'abside e della recinzione presbiteriale: episodi che stonavano con quanto si conosce dell'VIII secolo romano, ma che ad esso erano rimasti sempre attaccati sulla base dell'interpretazione di una fonte , il Liber Ponti/ icalis, che vi ravvisava il frutto della committenza di Gregorio III. La nuova datazione è a mio avviso indiscutibile, e si lega a quella delle figure di santi nella cappella H9 di San Lorenzo (- 2). Il persisten.te errore storiografico è però comprensibile, a causa dell'appeal della fonte , e anche perché la maniera pittorica che si mette in luce nelle figure di santi della cripta è ben legata alla tradizione altomedievale cittadina, e ai sistemi formali che le botteghe locali evidentemente per lungo tempo mantengono vivi. Si tratta dell'uso di pesanti segni neri per la definizione delle forme , della maniera riassuntiva e quasi schematica di disegnare, e dell 'utilizzazione di una gamma

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di colori caldi, basati sui pigmenti di terre e di ocre tipici della pittura murale. La differenza con quanto si è visto nella tavola è dovuta ovviamente al differente medium pittorico, lì una preziosa pittura a tempera su incamottature telate59 , qui una solida e anche rapida decorazione muraria di orandi superfici. Nel confronto tuttavia emergono anche differen ti orientamenti estetici, nella tavola il penchant verso la bidimensionalità cromatica, in San Crisogono una forte tendenza alla plasticità volumetrica dei corpi e dei finti spessori che li inquadrano. I pennelli dei pittori romani dipingono a larghi tratti, lasciano sul muro tracce energiche che non impallidirebbero al confronto con l'efficacia cromatica delle stesure di tessere musive, quali vediamo nei mosaici carolingi della città, che certo devono aver marcato la tradizione del gusto e dello stile delle botteghe romane in maniera molto permanente. Le teste parzialmente rivolte di lato dei santi [22] sono segnate con un tratto unico, che le situa con sicurezza contro il fondo (si sente ancora la lezione del tratto forte e riassuntivo del genere di quello del frammento musivo dal Triclinio Lateranense6°), e sistemi analoghi sono negli arcangeli del Celio [23], negli angeli di Farfa [24] , in qualche figura dell'oratorio di San Gabriele [25] , e i affacciavano già negli occhi esorbitanti degli arcangeli di San Lorenzo fuori le mura [26] , che fo rse sono un po' precedenti gli episodi di cui ci stiamo occupando6 1 [19-23]. In Santa Balbina ( -> 9a) [27], la testa della donatrice è quasi cubica, quasi un po' grottesca, dipinta con una forza fo rse non raffinata ma energica, dotata di un senso del colore elementare e plastico; chissà com 'erano i dipinti murali del p astoforio destro di San Giovanni a Porta Latina (--+ 14 ) [15] , che hanno perso tutta la loro materia pittorica ma in certi piccoli frammenti un po' meglio conservati mostrano forse un 'affine plasticità realizzata a forza di pennellate colorate e corpose, con tipologie

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di volti che fanno pensare alla Bibbia di Santa Cecilia [16]. Così è ancora nell'importante frammento rinvenuto nell'abside di San Sisto Vecchio (- 19) da Alia Englen, in cui la testa del santo diacono, san Lorenzo [28] , è sbrigativamente tracciata, potrebbe sembrare quasi con un 'unica pennellata, che indica curiosamente la forma dell'orecchio; mentre il resto della figura e l'altra, adiacente, di san Sisto, si allargano verso una tipologia più distesa, ali' antica nel sistema delle vesti e del manto che ricadono attorno al collo [29] , non troppo diversamente da quanto si vede anche nel molto 'classico' altro frammento dell'Ultima Cena già nel refettorio di San Paolo fuori le mura (-20) [30] , per il quale Bertelli proponeva un rife rimento attorno all'epoca in cui Ildebrando era rettore del monastero e vi faceva fare dei restauri 62 . Analoga, ancora, è la maniera pittorica dei dipinti della catacomba di Sant'Ermete (- 11 ) [31], la cui somiglianza con alcuni dettagli del ciclo pittorico nel campanile di Farfa (1060 ca.) [32] ci ha convinti a collocarli nel terzo quarto del secolo e quindi ad arricchire ulteriormente il panorama di questi decenni con - tra l'altro - una significativa presenza iconografica di san Benedetto. Il sistema di stesure e di resa plastica che si è messo in luce già nei primi episodi del cantiere di San Crisogono, subisce poi un ulteriore accrescimento, che qualitativamente lo raffina e gli aggiunge una capacità volumetrica ancora maggiore, in concomitanza con l'esecuzione del ciclo di Storie di san Benedetto e di altri santi, sulla parete destra della navata (- 8f). La continuità del cantiere non ne è interrotta, la gamma dei colori , la maniera di disegnare le finte architetture rimangono le stesse, ma certo il ciclo marca un nuovo momento, sia dal punto di vista dei contenuti agiografici e propagandistici, che da quello stilistico. Nuovi maestri sembrano unirsi al gruppo di pittori che già era attivo nella basilica, e sono verosimilmente specialisti di figure, che possiedono nuovi repertori iconografici e hanno un respiro stilistico molto più arioso. L'uso della finta architettura segnala, sulla parete, l'inizio dello spazio liturgico della navata e la sua qualificazione, forse 'paleocristiana', come sempre si è voluto 63 , certamente visuale64, che accompagna l'amplificazione eroica dei protagonisti del ciclo stesso, san Benedetto e san Mauro specialmente, oggi in pratica gli unici soprawissuti. È, per l'appunto, un segno visivo, non un tratto di eleganza antiquariale: tra questa finta architettura e le raffinatezze di Santa Maria in Cosmedin (- 40a) c'è un abisso. È interessante invece rilevare la stretta similarità di alcuni motivi - in particolare la mensolina a profilo rotondo, semplificata con linee curve e messa in fila a mo ' di decorazione d 'architrave - che sono usati in San Crisogono [33 ], ma ritornano identici nel campanile di Farfa (ca. 1060) 65 [34], nel primo strato dell'arco absidale dell'Immacolata a Ceri66 [35], nel timpano di Sant'Andrea al Celio (- 5) [36] , nel frammento qui pubblicato dell'abside di San Sisto Vecchio (- 19) [3 7] e - importante aggiunta proprio nel quadro della ricerca degli 'antenati' delle tradizioni pittoriche romane - nel perduto affresco già in San Salvatore Maggiore presso Rieti, che raffigurava Ottone II e sua moglie Theophanu ed è datato a circa il 975 67 [38]. Dei dettagli iconografici del ciclo si dice nella scheda: rimane ai miei occhi intrigante la presenza onomastica, nel ciclo, della o delle perdute scene di san Pantaleone - santo che compare soltanto a Sant' Angelo in Formis, in un contesto che è stato messo in relazione al Pantaleone d'Amalfi, donatore delle porte bronzee di Amalfi, di Monte Gargano e di San Paolo fuori le mura68 . Pantaleone era il figlio di Mauro, che nel 1066 dona le porte a Montecassino e subito dopo si fa monaco nell'abbazia69 . Altra presenza, anch 'essa perduta, nel ciclo di Trastevere è quella di Mattia: il raro ultimo apostolo, per il quale - sarà ancora una volta una coincidenza - il papa Leone IX aveva una reverenza tale, da portare con sé le sue reliquie per consacrare il monastero di Treviri70 . Nella scheda si troverà anche la discussione sull'identità del committente del ciclo: ma seppure si possano immaginare contributi di singoli e purtroppo ignoti personaggi all'impresa di San Crisogono, esso non può essere ridotto ad un neutro agglomerato di storie e figure di santi71 , e continua ad apparirmi

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un episodio discriminante nella storia della pittura di XI secolo a Roma, e anche in quella del problema benedettino modernamente inteso. Fu molto probabilmente dipinto prima delle miniature del Vat. Lat. 1202 , il Lezionario di Montecassino del 1071: forse sia il Lezionario, sia il ciclo a fresco, si rifanno ad un prototipo precedente e perduto, ma l'ipotizzazione del pianeta invisibile nello spazio rimane pur sempre una soluzione retorica ad un problema che conserva una parte misteriosa. L'autore - o la bottega - del ciclo romano certo però non era un semplice traduttore di disegni librari. Era un pittore vigorosissimo, o più verosimilmente un gruppo di pittori, ma con un sistema pittorico - che ancora si sbircia tra i sali che fioriscono sull'affresco - perfettamente uniforme in tutti i brani meglio conservati ed essenzialmente nelle due scene di san Benedetto e frammenti circostanti, frutto di una cultura ed una tecnica estremamente unitarie e omogeneizzate. ei dettagli descrittivi di muri e colonne e città si alternano i campi rossi, gialli, verdi, con tratti neri che li dividono e funzionano da disegno , semplici e perfettamente leggibili, capaci anche di uggerire movimento e profondità come nel sommario ma efficace attorcersi delle colonne. Nelle fig ure , le anatomie dei corpi sono rappresentate con articolazioni cubiste, pezzi semplici geometricamente montati l'uno con l'altro un po' come gli arti di un burattino, con lunghe pennellate chiare sulle stesure dei colori-base. Il pittore pensava in grande: lo si vede nel tratto inciso che progetta la figura di Mauro, un 'unica lunga linea sinuosa che ci appare tradurre un'idea e una suddivisione di spazi, poi in parte corrette dalla stesura pittorica (----> 8f, Salvataggio di san Placido, prima scena del registro inferiore). Poi però, quando si passa ai volti e ai corpi dei protagonisti, si vedono fisionomie coloratissime anche se sempre costruite con i medesimi colori elementari: il volto di san Benedetto, ad esempio, fatto di pennellate verdi e rosse con forti profili e tratti essenziali in nero, e un uso del bianco quale ormai lo conosciamo , a tocchi e strisce perfettamente in grado di rappresentare i rilievi, e nelle dita delle mani e dei piedi i tocchi di bianco raggiungono una raffinatezza speciale, che ritorna non troppo dissimile nella nicchia di ant'Ermete (----> 11 ). Abbigliato in blu e grigio nel Lezionario 1202, in San Crisogono san Benedetto ha invece vesti preziosissime, di stoffa bianca delicata e morbida coperta da un manto purpureo: la differenza mi sembra rilevante e il brano è di assoluta aulicità. Allo stato delle cose, oggi, è impossibile dire se il ciclo proseguiva fino alla controfacciata, o se si interrompeva in uno stato confuso e un po' raffazzonato, come si è anche voluto 72 • Tuttavia la presenza sui tratti di muro orientale che chiudono la navata (----> 8g), di frammenti pittorici che non vedo poi così differentemente

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dipinti rispetto a quelli 'benedettini' 73 , farebbe pensare ad un'impresa coerente e conclusa verosimilmente entro il cardinalato di Stefano, cardinale di San Crisogono e abate di San Gregorio al Celio, e di certo finita ben prima della fine degli anni '70, quando - come Claussen ha ben sottolineato74 - San Crisogono vive anch'essa la fase confusa antipapale.

Da San Clemente alla fine del secolo: Roma divisa Ugo Candido, cardinale di San Clemente e stretto seguace di Leone IX con il quale era venuto a Roma, aveva cominciato a mostrare insofferenza verso i riformisti già sotto il pontificato di Nicolò II 75 . L'insofferenza crebbe, fino a sfociare nell'aperto contrasto con Gregorio VII, che finì per scomunicarlo varie volte, e definitivamente nel 1078 76 . Subito dopo il pontefice nominò un nuovo cardinale del titolo di San Clemente nella persona di Ranieri di Bieda, romagnolo, riformista convinto e futuro papa Pasquale II. Ugo si schierò decisamente con i filoimperiali, che nel frattempo guadagnavano terreno in città e fuori: dal 1080 Guiberto di Ravenna è il candidato imperiale al trono pontificio, nel 1083 è intronizzato in San Pietro e tiene i luoghi simbolici di Roma per anni, fino a tutto l'inizio degli anni '90. Dopo il sacco normanno di Roma del 1085 , Desiderio, malato e indeciso, resta a lungo a Montecassino, e Urbano II - nominato nel 1088 - per lunghi mesi non riuscirà nemmeno ad entrare a Roma 77 . Il punto di vista degli storici ha sempre privilegiato la parte 'riformata': ma per larga parte del ventennio 1080-1100, i rapporti di forza furono sfavorevoli ai riformisti, che solo a fatica cominciarono a risalire la china a partire dal 1093-1094. Roma era quasi tutta degli anticardinali e dell'antipapa, e solo Trastevere resisteva quale roccaforte del partito gregoriano78 . La possibile esistenza di un'arte ghibertina è stata recentemente evocata da Cornelius Claussen, e ribadita da Valentino Pace proprio in relazione al ciclo cardine dell'arte romana dell'XI e XII secolo, quello della basilica inferiore di San Clemente79 (-> 21): se essa sia stata cancellata o travestita dalla censura storica, o se non abbia avuto tempo e modo di mettersi in campo, questo è interrogativo che per ora non ha una risposta. Ma arte ghibertina non sono, credo, gli affreschi di San Clemente. L'ipotesi per la loro datazione si avvale qui di due possibili termini post e ante quem, gli anni 1078-1084: tra l'ultima scomunica di Ugo Candido con l'immediato insediamento di Ranieri di Bieda, e il momento del sacco normanno, cui seguì un periodo di incertezze e anche di assenze da Roma di Ranieri, mentre Roma era quasi tutta controllata dal partito antipapale e Ugo Candido avanzava continue pretese sul titolo clementino80 . Evidentemente, il loro programma non è impossibile fino alla fine del secolo e anche più avanti, quando Ranieri diventò papa; ma lo straordinario sforzo concettuale di cui esso dà prova assume il suo pieno significato se lo si pensa quale immediato parallelo dei decreti del sinodo del 1078, che impose nelle chiese la celebrazione dei santi papi e martiri romani81 - quale era San Clemente - e anche se non lo si spinge troppo a ridosso della decisione di costruire la basilica superiore, destinata a obliterare quella paleocristiana e a dimenticarne i dipinti. Non dovette essere un exploit isolato: i dipinti del portico meridionale di San Lorenzo fuori le mura, oggi affidati al solo ricordo delle copie ottocentesche (-> 24) gareggiavano forse con quelli clementini, per complessità e 'storicismo' del programma e sapienza dei riferimenti ai testi e alle fonti: il committente è quasi certamente il medesimo - Ranieri - la bottega la stessa, il momento storico presumibilmente il medesimo, questa volta in un contesto, quello laurenziano, che non sembra esser stato sfiorato dalle presenze antipapali. Culturalmente, ideologicamente, stilisticamente, i dipinti di San Clemente sono impensabili senza la lunga preparazione dei decenni precedenti, senza il pontificato di Leone IX e le sue radici nordiche e imperiali, senza quello di Nicolò II e il suo gigantesco sforzo legislativo; ma rispetto ai decenni centrali del secolo, essi segnano un punto di non ritorno, elaborando i temi vitali per la politica ecclesiastica in modo assolutamente rinnovato, e trovando , per inscenarli, l'opera di una bottega e di artisti di primissimo piano, i quali staccano con le maniere precedenti e usano le fonti bizantine e cassinesi in modo irriconoscibile rispetto al passato. Per tentare un'analisi appena esaustiva dei dipinti murali di San Clemente non basterebbe un volume intero: nella scheda (-> 21) abbiamo cercato di fornire almeno le informazioni e le considerazioni più importanti, specialmente a proposito di alcuni aspetti - il tema di sant' Alessio per esempio - che sembrano esser stati un po' negletti dagli studi, ed esser stati considerati in fondo non ben spiegabili nel loro ruolo all'interno del ciclo82 . Il quadro ampio del programma è certo ecclesiologico e martiriale: la celebrazione dei luoghi di culto e di memoria di Roma, dove si conservano le reliquie dei santi e dei martiri che espletano la loro funzione salvifica e il loro benefico influsso a favore dell'individuo, e naturalmente della Chiesa che lo accoglie: il nesso con altri episodi - San Sisto, San Lorenzo fuori le mura (-> 19, 24) - è ovvio, ogni volta limato e adattato al caso concreto. Lo slittamento di senso tra chiesa - il singolo edificio sacro - e Chiesa, sotteso com'è per ovvie ragioni a gran parte della propaganda figurativa romana, si fa qui particolarmente sensibile, perché Clemente è il successore di Pietro, da lui intronizzato come l'affresco oggi mutilo (-> 21c.1 ) mostra chiaramente, e nessuna ambiguità è

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possibile, perché ogni atto, negli affreschi di San Clemente, è liturgico, illuminato da lampade appese, segnato da scritte a croce quando fa da sfondo ai punti nevralgici del racconto figurativo. Domina la narrazione la questione dei martiri e delle loro reliquie che marcano il cammino della Chiesa e fondano gli edifici memoriali, ma il ricordo delle origini eroiche si riflette nella 'questione orientale' , nello sfondo delle missioni slave e degli ultimi martiri in quelle regioni lontane. È uno scenario che accomuna gli eroi del racconto, Clemente naturalmente, e Cirillo e Metodio, e Alessio, e nelle pieghe del discorso Adalberto da Praga; siamo a poca distanza dallo scisma di Michele Cerulario, l'oriente è una realtà e un problema aperto e presentissimo alle co cienze. Ma tutta questa geografia orientale è lontana e favolosa , come favoloso è il tempietto clementina in Crimea, dove la sepoltura del santo è simboleggiata solo dall'ancora subacquea (---> 21a.2). La realtà vera è Roma, dove tutti convergono: vi ritornano le spoglie di Clemente dalla Crimea, vi arrivano Cirillo e Metodio nella soglia cronologica successiva 83 (---> 21 b. l ), vi torna in incognito Alessio (---> 21d.2 ), e Roma dona spessore profondo a tutte le loro vicende perché le inserisce nell'infinito disegno provvidenziale, ma anche le attualizza tutte insieme, attribuisce ad ognuna una contemporaneità vivace sotto gli occhi dei committenti, ritratti più e più volte nei loro abiti reali, inseriti nella vicenda della Messa accanto ai mitici Teodora e Sisinnio (---> 21c.2), o svettanti con la testa all'interno dei riquadri miracolosi e inscritti con i propri nomi su fondi di porpora(---> 21a.3) [39-40]. Nella stessa misura in cui i dipinti organizzano in immagini la storia della Chiesa e della successione di Pietro, e danno ragione delle storie e dei tragitti dei martiri e delle loro reliquie, essi anche affrontano con sistematicità il problema dell'altra metà del mondo, quello laico, e disegnano le possibili categorie della sua esistenza a fianco della Chiesa. C'è dunque il modello esemplare di Alessio, anta romanzo, aristocratico romano che rifiuta la propria casta per darsi all'imitazione di Cristo, tramite con l'oriente e le sue immagini miracolose; protagonista di castità matrimoniale, quasi altra faccia del problema che abbiamo visto poco sopra in versione femminile 84 ; pellegrino, si badi, estraniato nella sua propria casa perché la chiamata di Dio lo porta ad essere straniero in patria 85 ; e soprattutto titolare di un luogo, il monastero dei Santi Bonifacio e Alessio all'Aventino, che era compromesso con il passato ottoniano di Roma , e che quindi viene bonificato prima dal trasferimento delle reliquie a Montecassino già dal 1023 , e poi dall'impianto dell'immagine del anto nella chiesa clementina. E infine, naturalmente, i laici sono i committenti, coloro che si fanno tramite fra l'intenzione e la apienza ecclesiastica e l'occasione di metterla in scena. Questa volta è il matrimonio a entrare in cena: non casto, ma accompagnato dai figli. La coppia di Beno e Maria giovani e ben vestiti [39] trova eco nell 'altra, quella di Teodora e Sisinnio (---> 2 lc.2 ): il rilievo conferito ai personaggi femminili è straordinario, è Teodora la credente, colei che provoca e quindi spezza l'ottusa malvagità del marito. Parallelamente, Maria Macellaria ha un ruolo assolutamente competitivo con quello di Beno: sotto il Miracolo del Tempietto appare tutta la famiglia e lei è in perfetto pendant del marito(---> 21a.3 ) [40], il pilastro della Messa appare 'donato' dal solo Beno ma moglie e marito appaiono all'interno della scena (---> 2 lc.2 ), la fondamentale Traslazione del nartece, infine, è offerta dalla sola Maria(---> 21b.l ). Non solo competitivo: quasi dominante. Maria Macellaria, che fino a poco tempo fa ancora veniva considerata un 'approvvigionatrice di carne alla città86 , era forse una Frangipane, o di una famiglia legata ai Frangipane, insediata come loro nella zona di Santa Maria . 1ova. Che fosse di parte papista è piuttosto verosimile: la topografia di Roma è in questo tempo fondamentale, e la zona attorno al Colosseo sembra esser stata per molti decenni appannaggio del partito filopapale. Frangi pane era forse anche la madre di Leone, il figlio dell'ebreo convertito Baruch, grande finanziatore di Ildebrando e dei papisti e verosimile capostipite dell'altra grande famiglia del partito papale, i Pierleoni. Patrizia Carmassi, autrice dello studio fondamentale su questo problema, considera Beno de Rapiza membro di una famiglia romana, le cui tracce si attestano non prima dell'inizio del XII secolo87 . arebbe presuntuoso sostituirsi al mestiere dello storico, per di più in una materia così ardua: non posso però tacere un sospetto, quello, cioè, che l'analisi della (armassi abbia obliterato un possibile aggancio dei Rapiza romani con i Rapizones tudertini e sabini. Il conte Rapizo era, all'inizio degli anni '60, il capo dell'esercito cadaliano, e con esso si accampò alle porte di Roma meditando l'assedio alla città88 . Sia i Rapizones sabini che i Rapiza romani appaiono però, anche secondo la Carmassi, in documenti legati al monastero di San Ciriaco in Via Lata e a quello di San Biagio a Nepi, che a \ ia Lata apparteneva: la famiglia abitava probabilmente in questa stessa zona, aristocratica e densa di proprietà farfensi. Cadaliano famoso secondo Schmidt89 era il Saxo de Helpiza, tra 1060 e 1073 nelle fonti di Via Lata: era un giudice famoso , Iudex iudicum 90 : non so se si tratti di una semplice omiglianza del nome, oppure di una deformazione dello stesso nome nelle fonti 91 . Se Beno aveva veramente lombi macchiati da un passato familiare antipapale, il ruolo suo e di Maria nell'impresa clementina assume un ulteriore risvolto di significato, quasi un ex-voto, o un esplicito posizionamento dalla 'giusta' parte; e ancora più ne risalta il ruolo di Maria, con certezza situata a fianco degli ortodossi e - come Teodora - più giusta e preveggente del suo Sisinnio, Beno.

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I dipinti di San Clemente furono obbligati da una superficie anomala, i pilastri all'interno e i tratti di parete ai lati dell 'ingresso, nel nartece. I criteri compositivi che guidarono la bottega usarono questa anomalia per giungere ad un risultato che non ha a nostra conoscenza precedenti e non avrà successive riprese. Combina strutture rappresentazionali iconiche e meravigliose soluzioni narrative; gestisce le modalità di percezione dell'osservatore guidandolo tra i registri retorici utilizzati, dalle scene iconiche e cerimoniali, dimostrative, situate in alto su quelle narrative nei pilastri dell'interno. Lo coinvolge in narrazioni liturgiche ma colorite nei registri mediani, affrontando il sermo vulgaris e il racconto esemplare e aneddotico nel registro più basso e vicino

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all'osservatore, oppure paludando quel medesimo tratto basso di una decorazione aulica, antiquaria, dotata di capacità retorica al pari degli altri strumenti di cui la bottega e gli artisti magistralmente dispongono. Apparati ornamentali fitti di riprese antiquarie e di motivi 'naturalistici' , realismo - uso ancora una volta di categorie imbarazzanti per i contesti medievali- nella rappresentazione dei committenti, gamme di colori calibrate secondo i registri della rappresentazione 92 : la tradizionale percezione romana della parete, scandita nei diversi livelli ereditati dall'Antico e vocata all'imitazione dei materiali e alla simulazione degli spessori, qui riesce a convogliare un ventaglio stupefacentemente largo di possibili suggestioni, dalla forma centinata dei campi che ritma i momenti narrativi e forse latamente allude alla forma di un funerario cubicolo, alla funzione di guida ottica che l' allure delle storie esercita su coloro che le guardano. La storia del Tentato arresto di san Clemente (- 2 lc.3 ) si adegua ai toni della commedia antica e ai modelli offerti dai suoi monumenti illustrati librari: lo dicono con chiarezza gli atteggiamenti vivaci e interlocutori dei personaggi, il loro dimensionamento e la spaziatura rispetto al fondo , l'uso di elementi d' ambiente rarefatti e puramente indicativi, e ovviamente l'uso dei nomi inscritti e in generale della scrittura come dinamica componente dell'azione e della sua lettura93 . È un segnale inequivoco dell'altissimo livello di cultura della bottega e dei committenti, che padroneggiano i registri retorici del loro 'discorso' e li connotano facendo appello all'Antico, azzeccando senza incertezze i riferimenti e traducendoli nel loro programma: forse conoscevano non le repliche medievali, ma addirittura i prototipi antichi e tardo antichi per noi perduti, dei testi illustrati di Plauto e di Terenzio [41-42]. La narrazione continua, largamente estranea alle abitudini romane medievali, nasce qui forse , come è stato suggerito, dalla necessità di operare una conflazione tra i materiali narrativi a disposizione, fossero quelli del Miracolo del Tempietto o quelli della Storia di Teodora e Sisinnio o ancor più, probabilmente, quelli della Storia di sant'Alessio (- 21a.2, 21c.2, 21d.2 )94 . Liberi dalle costrizioni compositive che i prototipi basilicali esercitano per tutto il Medioevo sulle botteghe che realizzano cicli testamentari nelle chiese di Roma e dei dintorni, i pittori di San Clemente non si adagiano sul formato quadrotta o rettangolare abituale nei cicli testamentari, ma gestiscono un a superficie insolitamente ampia e lunga per raccontarvi storie a più tempi, di serrata consequenzialità drammatica come nel caso di Teodora e Sisinnio, di lunga temporalità come per ant'Alessio, geograficamente complessa nel M iracolo del Tempietto. Ambizioni analoghe si intuiscono nei due grandi frammenti di San Lorenzo, dove pure diverse storie e vari protagonisti ono riuniti in un fluido , elegantissimo campo continuo, che a un certo punto si conclude con una raffigurazione che ci appare di natura più iconica, simile a quelle dei registri alti di San Clemente (- 24 ). È forse pericoloso affermarlo, ma davvero verrebbe fatto di pensare che all'origine di queste soluzioni narrative, tutte micidialmente sintetiche ed efficaci, ci sia una sola testa pensante, un artista nel senso più profondo e complesso del termine. Sono soluzioni di una raffinatezza inopinata: pensiamo alla doppia sagoma del gruppo madre/ figlio nel Miracolo del Tempietto (- 21a.2 ), che gira in senso antiorario contraddicendo la sequenza degli avvenimenti, la madre si china a raccogliere il figlio ed è poi raffigurata più sulla sinistra e più indietro con il figlio in braccio, per lasciare emergere in primo piano il momento clou drammatico del ritrovamento e disporre il tono affettuoso e riposato del momento felice dell'abbraccio come un commento in econdo piano, una nota dolce e già conclusa: un confronto con altre versioni della leggenda, già rese note da Helène Toubert95 , mostra quale sia stata la fantasia e la libertà inventiva dei pittori romani. Al timbro affettivo ed emozionale fa eco quello immancabile, liturgico e corale dei chierici che giungono dalla città, uno scorcio temporale e topografico totalmente privo di stridori. Q uesta capacità narrativa esce un po' dal nulla, o potenzia modelli e soluzioni già esistenti in un modo del tutto inaspettato. Nella tavola vaticana (- 3) non esiste un vero e proprio intento narrativo,/aute evidentemente il tema iconografico; i pittori compongono per blocchi, mantenendo l'armonia della superficie ma non preoccupandosi di legare per forza un brano all'altro, anche

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quando il movimento complessivo delle figure assume un ritmo comune all'intero registro. Nella tavola ogni blocco, in definitiva, ha valore di immagine preziosa e iconica in sé conchiusa, come se modelli e spunti siano stati convogliati e sostanzialmente giustapposti, ancorché in modo armonico: mentre a San Clemente l'obiettivo sembra proprio esser stato quello della fluida omogeneizzazione di tutti gli elementi, ognuno dei quali ha il suo posto nei registri retorici del progetto complessivo. Anche nella tavola si affacciano le architetture antichizzanti e bizantinizzanti, che inquadrano le Opere di Misericordia [43 J: gli edifici di San Clemente ne tengono palesemente conto, ma li usano al fine di un'orchestrazione dello spazio scenico provvista, dove necessario, di profondità, spazi dinamici, convessità e concavità [44], laddove nella tavola essi restano ancora fondali che si alternano ordinatamente alle figure umane, e tali torneranno ad essere negli esempi già di XII secolo, da Santa Pudenziana (- 29) [45] in poi. Che i pittori di San Clemente abbiano realizzato un 'immissione nuova e vitale di elementi di cultura bizantina all'interno della cultura pittorica romana, è un dato che può considerarsi ormai pacifico. La silhouette della madre che si inginocchia ad abbracciare il figlio nel Miracolo (- 2 la.2 ) ne è un esempio chiarissimo: in nessun modo essa sarebbe concepibile sulla base dei bizantinismi di diffusione , per intenderci, ottoniana, laddove la tradizione locale romana ne avrebbe fatto una energica e semplificata sagoma dal profilo forte e nero. Invece in San Clemente sembrano conservate le gamme di colori delicati, il rosa pesca, il rosso lacca, relativamente affini a quelli di diverso medium della tavola. Il Miracolo sembra quasi un virtuosismo in bianco rosa e rosso , quest'ultimo chiaro come lacca o profondo come porfido; i bianchi sono riservati ai veli, talvolta sfumati di celeste, e tutta la superficie doveva essere elegantemente rigata da una ragnatela di striature bianche, a secco o a fresco, che le condizioni attuali dell'affresco hanno distrutto quasi ovunque, tranne che, ad esempio, sulle vesti della 'governante' (- 21a.3) o della madre del Miracolo o in altri brani sopravvissuti perfino nella sfortunata Traslazione (- 21 b.1). Il giallo si affaccia nell'abbigliamento dei committenti, in Altilia e Maria, ed è largamente usato nella sagoma decorata del pontefice che ritma i momenti narrativi della Storia di sant'Alessio (- 21d.2). La coppia di scene all'interno della basilica è più vivace - ma può trattarsi di uno scherzo della conservazione - Fispetto a quelle del nartece, ma anche nella storia di Teodora e Sisinnio il rosa e il viola dominano , addizionati di quantità variabili di bianco: il gruppo dei due committenti sospinti dai chierici, sulla sinistra della scena (- 2 lc.2 ) è di una morbidezza cromatica non facile da trovare sui muri delle chiese romane, quando si pensi alla violenza cromatica degli ocra, verdi, rossi del poco anteriore ciclo di San Crisogono.

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Il tracciato fisionomico dei personaggi di San Clemente è, a sua volta, ponte fra le esperienze e le tradizioni degli anni precedenti - da cui si distacca però con nettezza - e le norme che governeranno poi l'attività delle botteghe romane all'inizio del nuovo secolo, che comporterà un'ondata imponente di nuove necessità di lavoro e quindi l'obbligata scelta media della serializzazione. Se si prendono i dettagli ancora ben visibili e affidabili - ad esempio i volti del gruppo di chierici nel Miracolo (vedi p . 164, fig . 2) - si vede bene come i pittori non siano ancora del tutto lontani dai principi della generazione precedente. I grandi occhi e il naso, il collo, sono scritti con lo svelto tratto nero che non si preoccupa delle ombre, semmai accompagnato dal segno rosso sot o le sopracciglia; le piccole facce tutte uguali hanno lo stesso sguardo intento e semplificato. La rotondità del volto e il rilievo degli zigomi sono però sottolineati da tratti vivaci rossi, rotondi nel caso delle guance: è la nascita dei pomelli rossi che si generalizzeranno nella pittura romana di XII secolo, e anche gli occhi spalancati, qui netti e neri, si preparano a trasformarsi nei liquidi tocchi che dipingono gli occhi spalancati in verde e rosso, e con tanta abilità che ci appaiono perfettamente plausibili. Nella Messa di San Clemente Beno e Maria, per quanto tipizzati, sono vicini ad essere quasi dei ritratti, o per lo meno hanno delle fisionomie in cui si segnala la differenza dagli altri personaggi del racconto. Maria è una bella signora giovane, viso tondo con grandi occhi, seduttivo e aggraziato se lo si paragona ai volti serializzati delle sante e delle astanti di Santa Pudenziana (-> 30), poco più tardi; accanto a lei Beno, giovanile, sembra però un po' più vecchio, con capelli che si allungano sulla nuca e sembrano avere un ricciolo più lungo che arriva fino alla spalla, e una fisionomia ardita e forse autoritaria o autorevole; anche lui con occhioni scuri che come quelli della moglie hanno una rifinitura di tratti bianchi fra la palpebra e il sopracciglio, tratto tecnico e stilistico che rimane praticamente senza seguito. A San Clemente nasce una nuova pittura, e gli artisti che vi lavorano lasciano un'impronta profonda sulla cultura e le abitudini delle botteghe di Roma e dei dintorni, cancellando le tracce di quelle che avevano dominato nei decenni precedenti. e vedremo gli effetti analizzando i 'numeri' del prossimo capitolo; qui, accenniamo soltanto al fenomeno macroscopico dell'esportazione di questo stile al di fuori delle mura cittadine, un dato che non si registrava da molti decenni ormai, e certamente non a far data dai nostri limiti cronologici, dunque dalla metà dell'XI secolo. Tuscania e Ceri ci sembrano i casi più importanti e più immediati: ed è inutile annacquarne la cronologia a troppo oltre l'inizio del XII secolo. In assenza di dati più certi, la data riportata dall'iscrizione sul ciborio di Tuscania (1093 ) appare un aggancio fondamentale , perché non rappresenta solo l'anno della consacrazione della chiesa, ma il suo accrescimento di status, avendo la diocesi di Tuscania inglobato le chiese di Bieda e Centocelle96 ; quanto a Ceri, se il riferimento al cardinale Pietro di Porto può essere almeno dotato di plausibilità, la data della sua elezione ( 1102) si pone a poca distanza da quella di aggancio per Tuscania 97 . Lì, i pittori legati alla tradizione di San Clemente sono quelli delle storie di san Pietro e san Paolo [46] ; la bottega è però ben più composita, includendo - ma certo non è qui il luogo per analizzare un ciclo su cui mancano studi approfonditi -elementi legati alla cultura delle Bibbie Atlantiche e a quella di Santa Cecilia in particolare (1097 ca.) 98 , altri che fanno già avvistare la nascita dei modi pittorici di Santa Pudenziana (-> 30) e Castel Sant'Elia, altri ancora - ma nella cripta - che usano tipologie anatomiche e vestiarie classiche, come quelle che abbiamo visto albeggiare in San Sisto Vecchio e nella Cena di San Paolo fuori le mura(-> 19). A Ceri [47] non mancano nessi con quanto si vede a Tuscania99 , ma il debito alla maniera di San Clemente è ancora più pervasivo, tocca tutti i repertori ornamentali e determina ad esempio l'eleganza morbida, sinuosa, dei corpi della monumentale serie di santi, con Giovanni Evangelista abbigliato in rosa e grigiazzurro come nella gamma clementina [48] 100 . La ragnatela di rigature lumeggiate bianche appare nei brani di maggior eleganza, mentre in altre vaste zone la scrittura appare molto più corsiva, segno che la bottega aveva accolto elementi diversi e si era organizzata per riempire pareti intere, e non i raffinati rarefatti pilastri della chiesa romana. Sarebbe ora molto presuntuoso disporre questi episodi in una rigida sequenza, ma ciò che ora appare già chiaro è che - conclusi gli anni di crisi profonda - nel momento in cui il pericolo ghibertino si stava ritirando in buon ordine e Guiberto stesso stava per morire, con la riorganizzazione curiale di Pasquale II che cominciava a mettersi in moto, anche i luoghi dei dintorni di Roma reagivano e si adeguavano al mutamento di clima, e cominciavano a comporre quel fenomeno di imitazione e citazione romana destinato a lunga durata.

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NOTE

,., Il presente volume del Corpus non comprende, come si vedrà, alcuni dipinti per i quali pure è stata talvolta proposta una cronologia invece compresa fra i termini di inizio e fine del nostro volume. Si tratta essenzialmente di Sant'Urbano alla Caffarella, dell'affresco staccato cosiddetto del Giudizio particolare già nella basilica inferiore di San Clemente (Osborne 1981 ) e degli arcangeli riscoperti da Alessandra Acconci nella basilica pelagiana di San Lorenzo fuori le mura (Acconci c.s.). Per quanto riguarda il ciclo della Caffarella, che Williamson (1987) e Noreen (1998; 2001 ; 2004) considerano databile alla fine dell'XI secolo, non abbiamo ritenuto sufficientile considerazioni di quadro e opportunità storica che gli autori adducono, e non pensiamo che le attuali condizioni dei dipinti consentano un giudizio sicuro sul piano stilistico. Quanto si cerca di intuire sotto la pelle delle ridipinture, ci sembra tuttavia non appartenere al complesso delle caratteristiche compositive e formali che abbiamo individuato nel corso della seconda metà del secolo, e fare piuttosto corpo con la cultura del X secolo, e primo XI secolo romano, dagli affreschi del Tempio della Fortuna Virile a quelli recentemente ristudiati dei Santi Nereo e Achilleo (Pennesi c.s. ). Ugualmente per così dire rivolto all'indietro il murale staccato di San Clemente, le cui tipologie facciali non ci sono sembrate avere alcun corrispondente nel materiale da noi radunato. Per gli arcangeli di San Lorenzo vedi anche nota 3. 1

Garrison 1970, 165. Alla pagina successiva Garrison continuava: «it is an astounding fact that in spite of the widespread dating of Roman painting in the eleventh century by historians , in reality not a single fresco , not a single mosaic, and not a single pane! painting has ever been documented then». 2 Non pretendo qui di fornire la bibliografia su tutti gli avvenimenti della seconda metà del secolo in Europa. Mi sono servita di Ullmann 1972 [1999] ; degli studi di Cowdrey (1970; 1983; 2000); dell'utilissimo libro di Hiils (1977). Per quanto riguarda la situazione romana, trovo ancora importantissimi gli studi di Borino (19 15 ; 1948; 1952a e b). Fondamentali le biografie nella Enciclopedia dei papi (2000), con le relative, esaurienti bibliografie e le fonti. Riferimenti a personaggi ed episodi particolari saranno dati nel corso di queste pagine, e si trovano nelle schede di questo volume: ricordo tuttavia ancora i saggi di Cowdrey, Tabacco, von Falkenhausen , Houben , Vitolo, Spinelli, negli atti del convegno I.:età dell'abate Desiderio (1992). 3 La necessità di una periodizzazione non deve far dimenticare la questione dei papi romani degli anni anteriori al pontificato di Leone IX e delle loro tendenze riformatrici: su questo problema, e sugli eventuali riflessi in campo figurativo , vedi di recente l'articolo di Alessandra Acconci sui ritrovati arcangeli in San Lorenzo fuori le mura (Acconci c.s.). 4 Si tratta, come è noto, del movimento ostile al clero simoniaco e concubino specialmente milanese, che si radicò molto negli strati popolari e fu sostenuto da Anselmo da Baggio - che per questo fu cacciato da Milano - da Pier Damiani e dallo stesso Gregorio VII. Rinvio per una prima informazione a Manselli 1963 , 138-147 . 5 Nella copiosa bibliografia su Bruno di Toul, Leone IX, cito l'informato e recente Munier 2002 , con la bibliografia precedente. 6 Vedi per esempio la questione del celibato ecclesiastico, tema carissimo ai riformati e condiviso da Guiberto: lo status quaestionis e la bibliografia in Dolcini 2000, 212-217. 7 Mi riferisco all'ipotesi degli affreschi di San Clemente quale 'arte ghibertina', per cui vedi più avanti in questo saggio . 8 Mi riferisco ovviamente alla nota ipotesi storiografica sul Renouveau paléochrétien formulata da Helène Toubert (1970) e da Kitzinger (1972b) e in seguito largamente accettata ma anche molto discussa (Gandolfo 1989; Romano 2000). Vedi più avanti il saggio La Chiesa trionfante, pp. 174-179. 9 Bertelli 1982, 299-300; Id. 1983, 117-124; Id. 1987 , 608-611 ; Id. 1989, 17-18; Id. 1994, 226-229 . Va detto che le opinioni di Bertelli mantengono forti punti di contatto con l'articolo pionieristico di Ladner 1931 , in cui il ruolo della cultura ottoniana è sottolineato, risultano in grande evidenza i manoscritti 99H e 98H di Montecassino, e la cronologia dei monumenti pittorici romani è oggetto di una riflessione approfondita, i cui risultati sono a tutt'oggi preziosi. Sulla questione vedi anche Gandolfo 1989, 31-32 . 10 Nerini (1752 , 19-29) cerca naturalmente di retrodatare l'arrivo delle reliquie ad epoca paleocristiana. Monaci 1904, 355 ; Hamilton 1965 . 11 Arnaldi 1960. 12 Borino 1952a; Capitani 2000, 189. 13 Cavazzi 1908, 248. 14 Fedele 1903 , 360, e 1898, 474-480. Su Santa Maria in Pallara , Gigli 1975, e sui Santi Cosma e Damiano, Barclay Lloyd e Bull-Simonsen 1998; sul 'Monastic Revival' del X secolo a Roma, Hamilton 1962. 15 Gieysztor 1974, 128. 16 Werner 1993 , 533-535. 17 Che Ottone III abbia risieduto nei palazzi imperiali sul Palatino è oggi messo seriamente in dubbio: Augenti 1996, 74-77; Santangeli Valenzani 2001 ; Le Pogam 2004a e b. 18 Gordini 1961 , 189; su San Bartolomeo, Claussen 2002 , 133-134 e Gandolfo c.s. La chiesa fu contesa tra il vescovo di Silva Candida e quello di Porto, finché Leone IX la concede a quello di Porto: nella bolla il papa ricorda che «ecclesiam san Ada/berti et Paolini» era stata fondata da Ottone III il quale si compiaceva di guardarla dal suo palazzo sull'Aventino (Richiello 2001 , 30). L'omelia di Adalberto su sant'Alessio in AASS ,Julii IV, 257258, BHL 298. 19 Cavazzi 1908, 251-252 . Nel 972 all'intitolazione a san Ciriaco si aggiunge quella a san Nicola. Per l'affresco dell'oratorio, Bertdli-Galassi Paluzzi 1971 , 3 0-31 ; Cavazzi 1908, 277 , con il riferimento ad una Memoria del XVII secolo; BAV, Fondo di 5. Maria in Via Lata, V. 13 . 20 Leone IX aveva deposto nell'altare di Santa Maria in Via Lata le reliquie di sant'Agapito, ed era stato Agapito a portare in Via Lata le reliquie di san Ciriaco: secondo Brakel 1972, 281 , qui potrebbe situarsi una delle ragioni della forte devozione di Leone per questo santo, ma la spiegazione è - anche per ammissione dello stesso Brakel - insufficiente. Per il Responsorio di sant'Alessio, Brakel 1972, 24 7. Falsamente attribuito a questo papa è invece

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il ritmo Pater Deus ingenite (BHL 296) che è una versione arcaica della canzone francese di sant'Alessio (per l'attribuzione, Sprissler 1966; ma vedi Forstner 1968). 21 Brakel 1972, 255. 22 Ibidem , 260; Munier 2002 , 273-274. Leone IX consacrò molto spesso chiese nordiche con reliquie prelevate a Roma: lo fece non solo a Altdorf, ma anche a Metz, dove depose altre reliquie prelevate in Via Lata. Per converso, nella chiesa di Via Lata egli ridepose nel 1049 reliquie che si era precedentemente portato con sé nel viaggio in Germania del 1048. Una sua devozione a san Michele Arcangelo è anche attestata con ben due pellegrinaggi a Monte Gargano (Brakel 1972, 247-257 ). 23 Giinther 1993 , 4 . Ringrazio Werner Jacobsen per l'utile scambio di idee su Gernrode; molte informazioni saranno nel libro che J acobsen sta preparando, e al quale rimando per ogni ulteriore detta lio. 24 Suckale 2002 e Krone und Schleier 2005. 25 MGH, Conc. 2, 281 , 285 opp. 454-455-56. 26 Munier 2002, 268-282; von Fiirstenberg 1995 ,passim. Per la concha, vista nel 1491 , De Monfaucon (1702, 239-240) in Herklotz 1985 [1990] , 113. 27 Von Fiirstenberg 1995 , 36-38, con i riferimenti ai documenti del sinodo; Suckale 2002, 34. 28 La documentazione d 'archivio del convento è copiosissima, riunita da Hartmann 1895. 29 Ferrari 1957 , 208. Un gruppo di monache greche sarebbe stato scacciato dal convento di Sant'Anastasia a Costantinopoli dalle lotte iconoclaste e sarebbe approdato a Roma, portando con sé le reliquie di san Gregorio Nazianzeno e l'icona della Vergine, che non si identifica con nessuna di quelle ancora esistenti, l'icona di Palazzo Barberini (--> 17) , quella più tarda nella chiesa di Santa Maria (Garrison 1949, 69 n. 144) e owiamente non con l'icona del Salvatore (---> 16). Zucchi 1937 ; Koudelka 1961 ; Bertelli 1961. 30 Zucchi 1937, 360; Carbonetti Vendittelli 1987. 31 Per il Monasterium Tempuli si vedano i termini usati nella bolla di Sergio III (15 luglio 905) in cui il papa conferma una donazione di terreni alla Vergine e a «Eu/imia venerabilis Diacona, atque Abbatissa, vestraq. Sancta congregatione Ancillarum Dei». Le ancillae, in cambio, devono cantare ogni giorno 100 Kyrie e 100 Christe. Martinelli 1635, 47-50. Schafer 1907, 48-50, rileva la ricorrenza del termine 'diaconissa' nel caso dei monasteri di Via Lata , Corsarum, e Santa Maria a Nepi che era proprietà di Via Lata; e cita fonti del 1026 e del 1033 sulla consacrazione e le immunità delle diaconesse. Il monastero Corsarum (un termine che deriva dal nome della famiglia 'Corsa ' o dall'origine geografica delle religiose fondatrici secondo Armellini-Cecchelli 1942, II, 731 ) è stato identificato con quello attuale di San Sisto, con quello di San Cesario in Turrzs o un altro nelle immediate vicinanze. Nella vita di Leone IV (847-855 ) si ricorda un monasterium ancillarum Dei edificato sulla casa stessa del papa, probabilmente quello di San Cesario. Per Santa Bibiana, Ferri 1904. 32 L'appellativo di ancillae Dei sembra connotare le religiose che scelgono questo tipo di vita semi monastica e semi comunitaria (von Fiirstenberg 1995 , 39), insieme con quello di Dominae (vedi anche più avanti, nota 41 ); moniales e monachae sono termini che non ricorrono mai nei documenti di Via Lata, di Campo Marzio, del Monasterium Tempuli, di Santa Bibiana, fino agli anni '30- '40 del XII secolo, quando si affacciano e si stabilizzano, mentre ancillae Dei e Dominae tendono a sparire. L'impressione che ricavo dai documenti, peraltro senza il supporto di studi moderni che, per Roma, su questo argomento a mia conoscenza sono ancora a venire, è che non esistesse una vera e propria norma, ma che si debba parlare di abitudini a riferirsi alle religiose in un modo o in un altro, che peraltro tradiscono l'attitudine nei confronti delle donne e le trasformazioni del loro status. Sul relativoflou della questione generale von Fiirstenberg (1995 , 30). ei documenti di Campo Marzio il termine moniales appare nel 1140 (Josi 1948, 77), per Santa Bibiana nel 1133 (Ferri 1904, 441: ma ancillarum Dei ritorna una volta nel 1153 ), per Via Lata la situazione è ancora più complessa perché monachae appare già nel 1128 ma ancillarum Dei riappare saltuariamente negli anni '30 e '40, talvolta anche negli anni '60, ma con una prevalenza schiacciante di monachae, monialibus, ecc. (Hartmann 1895 , passim). 33 Suckale 2002 , 19, e Carusi 1948,13. Su questi aspetti, Schafer 1907 , 105-215. 34 Suckale 2002 , 19. Sull 'edificio dell'XI secolo, Claussen c.s . 35 Von Fiirstenberg 1995, 36-38; la polemica non toccava solo le comunità femminili, ma tutte le comunità religiose e canoniche: vedi, per quanto attiene San Clemente, Barclay Lloyd 1989, 203-225. 36 Schafer 1907, 193; per i dettagli della vita delle comunità, anche von Fiirstenberg 1995 , 23-41. 37 Episcopo 2003 , 22-23; Regesto Sublacense 87 , doc. 14. 38 Bartoloni 1946, n . 18, Baumgartner 1989, 27-29 . Il documento alla Biblioteca Vaticana, Archivio di 5. Maria in Via Lata, cass. 317 , n. 1. Per la Colonna Antonina Armellini 1891 , 298 e Gaynor-Toesca 1963 , 25 ; la lapide con l'anatema è nel portico della chiesa. 39 Pasztor 1987; Fonay Wemple 1990. Vedi anche Schafer 1907, 48-50. 40 Von Fiirstenberg 1995 , 36-38. 41 Schafer 1907, 8 e 215 , che cita la notevole frase di Jacques de Vitry: «Quedam autem ex ipsis, postquam diebus

plurimi de Chrzsti patrimonio vixerunt, relictis prebendis et ecclesiis carioribus sibi personis matrimonio copulantur filiosque et filias procreantes matres /amilias efficiuntur». 42

«The resistence to appropriation by the papa! curia is the first quality of the icon that the legend stresses»: Belting 1989 (la citazione a p. 32 ) e 1990. 43 Martinelli 1635; Zucchi 1937; Koudelka 1961 , 14; Belting 1989, 31-32; Belting 1990, 531-532 e 315-320; Wolf 1990, 166-170. Si veda per la più tarda replica di Ferentillo: Romano 2003 , 64-70. 44 Il gesto sembra esser stato replicato nella perduta icona di Sant' Ambrogio della Massima (nell'incisione l'immagine è invertita: Dejonghe 1967 , 221-225 ;--> 18). 45 Amore-Aprile 1963 , 1305. 46 McC ulloch 1977; Perugi 2000, 32. Il manoscritto è il OBL, Canonici Mise. 74, dell'inizio del '200. La McCulloch , che si occupa essenzialmente di Alessio e Euphrosine, non presta attenzione al caso di Giuliana , che definisce martire (come Andrea, di cui pure la vita figura nella stessa raccolta) . Non so se possa trattarsi di Giuliana di Nicomedia, che è una santa martirizzata per aver rifiutato il matrimonio e aver voluto rimanere vergine: e non so se una sovrapposizione con Giuliana di Nicomedia, santa molto nota e attestata nel calendario marmoreo di apoli, non sia verosimile anche nella stessa immagine di Via Lata. ,, uckale 2002, 18. 4 Suckale-Redlefsen 2005, 186 (SBB, Msc. Lit. 142 , ff. 64v-65r).

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Suckale 2002 , 32 e 117. Ritengo frutto di una svista il rilievo dato da Suckale (2002, 100) all'affresco che funge da pala d'altare nella cripta di Santa Prassede: a parte l'eccessiva sicurezza nella datazione 'gregoriana' dei dipinti di Santa Pudenziana, si sa che l'affresco di Santa Prassede è una copia settecentesca restaurata e verificata da Bertelli (1971 , 28) che non può fornire alcuna informazione stilistica in rapporto alla tavola vaticana. 50 Suckale 2002 , 63. 51 Ibidem, 83. 52 Ibidem, 84. ,.. 53 Zchomelidse 1996, 155. 54 Sui codici Ladner 1931 , 38-47; Matthiae 1961 , 209; Newton 1979; Benelli 1982, 281-283; 1987 , 608-611; Id. 1989, 17 -18; Orofino in I.:età dell'abate Desiderio 1989b, 36-94 e Adacher, ibid., 109-138; Speciale 1990 e 1993; Corrie 1997 ; Branchi 2003 , con esauriente bibliografia. 55 Bertelli 1989, 18. 56 EnckellJulliard c.s. (a) . In altri dettagli, gli affreschi del pastoforio di Porta Latina hanno strettissimi punti di contatto con le miniature della Bibbia di Santa Cecilia [15-16]. 57 Rignano Flaminio per esempio (Parlato-Romano 1992 [2001] , 291 -292 ). 58 È il donatore, raffigurato nei dipinti absidali della fine del X secolo: Enckell J ulliard 2002 , con la bibliografia precedente. 59 Prime informazioni in Redig de Campos 1935 , 139, e ora Maurizio De Luca in questo volume (--+ 3 ). 60 lacobini 1989c. 61 Acconci 2006 c.s. 62 Bercelli 1982 , 285. 63 Toubert 1970; Kitzinger 1972b. 64 Mi riferisco al 'distinguo' che ho proposto in Romano 2000, 141-145. 65 EnckellJulliard c.s. (a) . 66 Dunque con un ante quem nel ciclo testamentario, che si data alla fine dell'XI o all'inizio del XII secolo: ParlatoRomano 1992, 336 (e 2001 , 160); Zchomelidse 1996, 31. 67 Schramm-Miitherich 1983, 195-196, n. 94; Markthaler 1928, 83; D 'Agostino-Fiore 1987, 3-30; EnckellJulliard c.s. (a). 68 Romano c.s. (b ). 69 Marini Clarelli 1995; EnckellJulliard 2006 c.s. (a); Romano c.s. (b). 70 Su Mattia, Sisti-Celletti 1967. Sue reliquie sono in Santa Maria Maggiore (ma non è chiaro a partire da quale data); nel corso del XIII secolo appare nel mosaico di San Paolo, in quello di Santa Maria Maggiore (abside e facciata) e della tomba Gudiel, negli affreschi di Filettino. Su Leone IX, Brakel 1972 , 262 . 71 Come sembra tendere a pensare Mazzocchi 2001. 72 Mazzocchi 2001. 73 La Speciale (1991 , 114-115), vede differenze sia cromatiche che di sistema delle lumeggiature nella controfacciata rispetto alla parete destra; antiquario 'alla romana' il grande capitello dietro il diacono secondo Gandolfo (1989, 21-23) . 74 Claussen c.s. 75 Hiils 1977, 158-160; Munier 2002 , 113. 76 Servatius 1979, 13-14; Borino (1952b , 456-465 ) data la scomunica al 1076. 77 Cerrini 2000 e anche Zema 1944, 166. 78 Hiils 1977, 264-265 , Zema 1944, 171-172. 79 Claussen c.s. e Pace c.s., il quale in particolare rileva la coincidenza tra il nome del papa celebrato e quello dell'antipapa, Clemente III, e si chiede se la decisione di costruire la nuova basilica non possa essere anche il frutto di una sorta di damnatio memoriae verso l'edificio compromesso, il che mi sembra economicamente audace. Discute la questione anche Filippini 1999, 280-286 , senza tranciarla, e notando i punti di affinità tra i due partiti opposti. 80 Servatius 1979, 14. 81 Ibidem; Carmassi 2001 , 20. A mia conoscenza l'unico a dare importanza al sinodo del 1078 in rapporto alla data degli affreschi è stato Bertelli 1994, 228. 82 Uso la definizione 'ciclo' per alludere al carattere unitario e omogeneo dello stile e del programma di questa impresa: concordo peraltro con Wolf 1993 che li qualifica di «nichtzyklisch» dal punto di vista dell'organizzazione e distribuzione dei soggetti narrativi e iconici. 83 La percezione delle 'soglie di osservazione' quale caratteristica fondamentale della coscienza storicistica, elaborata e funzionalizzata specialmente dalla cancelleria pontificia, è un aspetto da me varie volte trattato: vedi per esempio Romano 2001a e 2001-2002. 84 De Gaiffier 1947 ; Gieysztor 1974; Mc Culloch 1977; Strecke 1979; Perugi 2000. 85 Vi insiste particolarmente Strecke 1979, 24-25 , a mio avviso con ragione. 86 Barclay Lloyd 1989, 57, nota 20. 87 Carmassi 2001 , 38-44; menzioni di un Iohannes de Rapizzo e di un Petrus de Rapizzo sono rispettivamente del 1030 e 1043 (Ibidem , 39). 88 Vedi il copioso ma disordinato materiale raccolto da Savio 1999, ad vocem Rapizo. 89 Schmidt 1977, 112. 90 Ibidem, 111. 91 Mi chiedo anche se era su questa base che Gullotta (1943 , 191 ) considerava Beno de Rapiza un famoso avvocato del suo tempo, dato su cui non ho trovato alcuna conferma. 92 Osborne (2003 e c.s.) afferma che negli zoccoli di San Clemente e di Ceri la gamma dei colori tende addirittura al monocromo: a mio avviso si tratta piuttosto della scelta di un fondo bianco per i soggetti di genere (la Chimera e l'Uccisione del maiale a Ceri, ad esempio, come pure a Vallepietra) e anche per la narrazione del Tentato arresto di San Clemente, laddove le gamme scure sono imperative nei registri narrativi soprastanti. 93 Webber Jones-Morey 1930-1931 ; Wright 1993 e Vedere i classici 1997, 168-170, 191-196, 200-202 . 94 È l'ipotesi della Toubert sulla storia di sant'Alessio (Toubert 1976 [2001] , 150-151 ). 95 Toubert 1976 [2001] , 156: BAV, Vat. gr. 1613 , c. 204r.

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Campanari 1856, 25. L'annessione awenne sotto l'episcopato del vescovo di Riccardo, documentato già dal 1086. Per la discussione sulla cronologia dei dipinti vedi Gandolfo (1988, 256-258), che ipotizza una possibile esecuzione scalata nel tempo. Fondamentale a questo proposito l'intervento recente di Waldvogel 2004, la quale nota come le Storie dei santi Pietro e Paolo, legatissime ai pittori di San Clemente, si sovrappongano allo strato di intonaco dipinto dell'arco trionfale, il quale a sua volta è solidale con quello della conca absidale. L'ipotesi della posteriorità della decorazione absidale rispetto a quella del presbiterio cade: e con essa, a mio awiso, la possibilità di una cronologia molto lontana dall 'anno 1100 circa. 97 Zchomelidse 1995 e 1996. Non ho modo qui di riesaminare tutta la questione relativa al ciclo di Ceri. Mi limito ad osservare che alcune delle osservazioni che hanno portato alla cronologia della Zchomelidse, in particolare il riferimento a Urbano II e alla sua 'importazione' di culto dei santi, non hanno un carattere èosì certo da indicare una cronologia nettamente delimitata, e hanno fra l'altro prodotto eccessivi entusiasmi in articoli recenti come quello della Tagliaferri 2003 . Certo non bisogna aspettare la data della sua elezione pontificia per sospettare il forte influsso di Eudes a Roma e alla corte pontificia: egli vi arriva nel 1079, chiamato da Gregorio VII e inviato da Ugo di Cluny. Dopo qualche mese Gregorio VII lo fa cardinal vescovo di Ostia, dunque decano del collegio cardinalizio, una bella nomina per un nuovo venuto, che quindi dimostra tutta la sua influenza e il suo strettissimo rapporto con Gregorio. È interessante che la diocesi di Porto, da cui dipendeva Ceri, abbia avuto un periodo antigregoriano sotto Giovanni II (il primo documento che lo mostra al seguito di Guiberto è del 1084), che nel 1085 fu scomunicato e poi sostituito da Giovanni III, un uomo della stretta cerchia di Urbano II (Hiils 1977, 118-121). Giovanni fu cardinale nella prima metà dell'ultimo decennio del secolo e morì nel 1095: non so se si possa anticipare il ciclo ancora alla fine dell'XI secolo, e non posso farlo ora sulla scorta di queste semplici osservazioni, ma i dati stilistici non mi sembrano così impossibili, e certo l'idea di un 'impresa decorativa che proponga il modello basilicale romano a fini in qualche modo 'esorcicistici' di un passato antipapale, e da parte di un fedelissimo di Urbano, mi sembra attraente. Ayres 2000, 126-131 , con la questione storiografica e le ipotesi di datazione. 99 Specialmente nei registri narrativi, nelle scene mosaiche (Piaga della Grandine, Attraversamento de/Mar Rosso ) e in un generale irrigidimento del sistema dei panneggi, che vengono rappresen tati con segni chiari e scuri paralleli. 1 Si tratta dei santi Nicola, Giovanni Evangelista, Battista, Martino e Leonardo . Il nome di san Nicola è scritto con il K e la oo come a San Clemente.

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1. LE FIGURE DI SANTE NELLA CHIESA SOTTERRANEA DI SANTA MARIA IN VIA LATA 1049 ca.

I brani di pittura furono scoperti da Carlo Bertelli nel 1961 praticando alcuni saggi nella parete est del vano II, vale a dire nella tamponatura del XVII secolo che ancora oggi chiude l'abside medievale della chiesa inferiore di Santa Maria in Via Lata (Bertelli-Galassi Paluzzi 197 1, 30). Si tratta dell'estremità destra e sinistra della decorazione absidale dove, partendo dal basso, si legge la presenza, sullo strato più esterno di un palinsesto pittorico composto di due strati, di due figure speculari a mezzo busto inserite all'interno di un clipeo a fondo ocra chiuso da una cornice nera. Entrambe le sante indossano una tunica rossa ed una sopravveste verde, la testa , incorniciata da un'ampia aureola a fondo verde orlata di rosso , è coperta da un velo bianco decorato con righe rosse e nere alternate a bottoni circolari rossi, bombato sulla fronte , le orecchie sono ornate da orecchini 'a bottone'. La figura di destra è identificata come santa Giuliana da un'iscrizione che corre in alto lungo il bordo del clipeo User. 1) [1]. L'identità della figura di sinistra [2] è ignota poiché la parte superiore della cornice del clipeo è obliterata da ampie bende di garza applicate, subito dopo la scoperta, per assicurare i frammenti pericolanti. Questa santa si presenta in uno stato di conservazione migliore rispetto a Giuliana - coperta oggi da efflorescenze saline e p riva della parte inferiore del clipeo - soprattutto per quanto riguarda il busto dove si vede la mano destra velata che tiene una corona 'a mezza luna' e la sinistra aperta sul petto. ulla banda rossa che corre al di sopra dell'imago clipeata di Giuliana si conserva il segmento finale di un'iscrizione dedicatoria, che molto probabilmente ricorda il rinnovamento della decorazione absidale finanziato da un ignoto committente (Iscr. 2) [4]. Al di sopra di quest'ultima si intravede la parte inferiore di un' altro registro pittorico, quello della decorazione della calotta: una fascia a fondo verde scuro e caratterizzata da un ciuffo d 'erba. In un altro saggio praticato nella muratura al di sopra della santa di sinistra si vede un piede e l'orlo inferiore di una veste, che continua in un terzo caglio soprastante dove, coperta interamente da incrostazioni saline, i riconosce una figura maschile, priva della testa, che indossa una ,·este grigio-blu e un manto rosso, nella mano destra tiene un rotulo. Accanto a questa figura si scorge il panneggio di un manto verdeocra di una seconda figura [3]. In prossimità dello spigolo con la parete absidale la decorazione dell'emiciclo era chiusa da due colonne scanalate poste all'interno di un'ampia cornice a banda rossa, finora mai notate, delle quali resta, sul versante destro, solo l'alta base quadrata, sul versante sinistro, la base e l'attacco del fusto strigilato. La parte superiore delle due colonne dipinte andò perduta quando fu asportato, da entrambi i laù dell'abside, un parallelepipedo a base quadrata di muratura, proprio sullo spigolo, per creare, secondo quanto ipotizza Bertelli, una sorta di «ripostiglio» a ripiani (Bertelli-Galassi Paluzzi 1971 , 3 2).

un andamento rettilineo irregolare. Lettere bianche su fondo rosso. Lacunosa. Scrittura capitale.

[ren]ovari feç:j ~[- - -]

Iscrizioni 1 - Iscrizione identificativa disposta nell'aureola del personaggio, allineata su una riga, secondo un andamento circolare e regolare. Lettere bianche su fondo nero . Integra. Scrittura capitale.

lulianes 2 - Iscrizione commemorativa (?) disposta sotto al riquadro, in una fascia rettangolare, allineata su una riga orizzontale, secondo

(5. Rie. )

Note critiche Le due sante e gli altri esigui brani di pittura, visibili nelle aperture praticate negli anni Sessanta, sono le uniche tracce, oggi fruibili, dell'impianto decorativo dell'abside, nascosto dalla muratura del XVII secolo. La decorazione appare articolata in tre registri: del catino abbiamo solo i panneggi delle due figure del taglio di sinistra, per Bertelli forse due apostoli, come lasciano pensare la semplicità

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delle vesti e la presenza del rotulo stretto nella mano del primo santo (Bertelli 1982, 299), ma si può anche ipotizzare che ospitasse una composizione con la figura di Cristo o della Vergine, al centro, affiancata da più santi, secondo uno schema già visto nell'abside di Santa Maria in Pallara al Palatino (ultimo quarto del X secolo; Wilpert 1916, IV, tav. 224). Al di sotto del catino, tra il primo e il secondo registro, corre una banda con l'iscrizione dedicatoria (Iscr. 2). Nel secondo registro la presenza dei busti di Giuliana e della santa anonima lascia supporre che la decorazione includesse una teoria di clipei con busti di santi, o più probabilmente sante, visto che dalla metà del X secolo alla chiesa di Santa Maria in Via Lata era affiliata una comunità monastica femminile (vedi pp.16-21 ). La decorazione era chiusa in basso da una zoccolatura con velari dipinti, di cui si vedono deboli tracce in corrispondenza della santa clipeata di sinistra, e ai lati da due colonne scanalate dipinte, che dovevano reggere, molto probabilmente, un festone analogo a quello della già citata decorazione di Santa Maria in Pallara. Carlo Bertelli propose per queste pitture una datazione agli anni del pontificato di Leone IX (1049-1054), il quale nel 1049 depose nell'altare maggiore della chiesa le reliquie di sant'Ippoiito, Dario, Agapito e di altri santi, secondo quanto tramandato da una pergamena trovata nel 1491 (Cavazzi 1908, 105-106). Si trattò dell 'atto conclusivo di una campagna di ristrutturazione del complesso chiesastico, che vide la fondazione di una nuova chiesa

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e la trasformazione dei vani I e II dell 'antica diaconia in cripta (Bertelli-Galassi Paluzzi 1971, 60; CBCR 1971 , III, 79-80; Bertelli 1982, 299). Lo studioso riscontrò per le due sante analogie formali con alcune tavole da lui datate tra la fine dell'XI e gli inizi del XII secolo quali l'icona di Sant'Angelo in Pescheria(--+ 41), quella del Santissimo Nome di Maria (--+ 42 ) e quella del Duomo di

Tivoli, opinione condivisa, negli stessi anni, anche da Ilaria Toesca (Toesca 1971 , 8). Francesco Gandolfo (1988, 253 ), qualche anno più tardi, ne ha proposto una posticipazione alla prima metà del XII secolo, rilevando nei volti delle due sante «una scioltezza compositiva» analoga ai dipinti di San Nicola in Carcere databili al 1128 ca (~ 46). La modalità di resa dei tratti del viso delle due sante, soprattutto degli occgi, costruiti attraverso linee morbide e policrome, e l'impiego di lumeggiature per dare rilievo alla canna nasale e alle pieghe del collo, la scelta della tavolozza dove dominano l'ocra, il rosso, il verde e il bianco, alcuni dettagli dell'abbigliamento e dell'acconciatura sono 'caratteri spia' che si ritrovano in un gruppo, a nostro avviso omogeneo, di episodi figurativi romani databili agli anni centrali-seconda metà dell'XI secolo (Bordi c.s .) . Somiglianze rilevanti possono essere riscontrate accostando i volti di Giuliana e della santa speculare alle due martiri poste ai lati della Vergine nella tavola del Giudizio Universale(~ 3), e altre affinità con la santa Caterina del pannello staccato della cappella H9 di San Lorenzo fuori le mura (~ 2) e con la piccola donatrice del battistero della chiesa inferiore di San Clemente, ritratta a destra della Vergine in trono con Bambino, sullo strato più esterno del palinsesto del pilastro (~ 7).

Interventi conservativi e restauri 1961 ca.: tutti i brani pittorici furono assicurati al momento della scoperta con pezze di garza onde evitare ulteriori distacchi (BertelliGalassi Paluzzi 1971 , 30).

Documentazione visiva Eugenio Volpi, fotografie (1971 ), ICCD: E 85439 (santa di sinistra), E 85437 (figura maschile con rotulo) , E 85435 (santa Giuliana).

... Bibliografia Bertelli-Galassi Paluzzi 1971, 60; CBCR 1971, III, 79; Bertelli 1982, 300; Bertelli 1987, 661; Bertelli 1994, 227; Gandolfo 1988, 253; Betti 2001 , 454; Pardi 2006, 72-73; Bordi c.s. Giulia Bprdi

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2. LA VERGINE IN TRONO CON BAMBINO, L'ARCANGELO E LE FIGURE DI SANTI DALLA CAPPELLA H9 DI SAN LORENZO FUORI LE MURA Metà dell'XI secolo

Nella navata destra della basilica onoriana di San Lorenzo fuori le mura sono esposti tre pannelli con dipinti staccati provenienti dalla cosiddetta cappella H9 della basilica pelagiana. Il primo pannello, il più provato dei tre dal trauma dello stacco, presenta la Vergine in trono con il Bambino, affiancata da un arcangelo [1]. La Vergine indossa un maphorion rosso mentre il Bambino ha la veste ocra, la mano sinistra è benedicente, mentre nella destra regge un rotulo. Entrambi i volti sono perduti, il trono è gemmato e composto di un alto schienale e di un suppedaneo. L'arcangelo è rappresentato di tre quarti , veste una tunica rossa e un ampio loros gemmato, nella mano destra regge un turibolo, nella sinistra una pisside, anche il suo volto è perduto. In basso sul suppedaneo del trono si conserva la sottoscrizione autografa dell'artista Creseentius User. 1), mentre più in basso, lungo la cornice, ha lasciato memoria di sé il donatore User. 2). Nel secondo pannello sono ritratti quattro santi stanti, individuati ognuno da un ampio nimbo ocra orlato di nero e dall'iscrizione con il proprio nome: santa Caterina User. 3), san Giovanni Evangelista User. 4), sant'Andrea User. 5) e san Lorenzo (Iser. 6) [2]. Santa Caterina indossa una tunica bianca, coperta da una dalmatica diagonale rossa con scollo, manica e banda inferiore gemmate e orlate da un bordo perlinato, e una sopraveste sempre bianca. La mano destra è velata e tiene una corona a 'mezza luna' gemmata, la sinistra ha il palmo aperto, il capo presenta un'acconciatura con i capelli raccolti e ampi orecchini 'a bottone' [3] . San Giovanni Evangelista indossa una tunica bianca con clavi rossi coperta da un manto verde chiaro, nella destra velata regge un volumen gemmato e la sinistra è poggiata, con le dita dischiuse, sul taglio delle pagine, la capigliatura è corta e castana. Sant' Andrea veste anche lui una tunica bianca con clavi rossi coperta da un manto rosso , nella destra velata tiene un rotulo, la sinistra è poggiata su quest'ultimo, ha la caratteristica chioma ricciuta, barba e baffi canuti [4]. Infine San Lorenzo [5] è rappresentato con l'attributo della graticola ai suoi piedi, indossa la tunica bianca con clavi rossi e un manto ocra, nella destra tiene il volumen aperto nel quale si legge «Dispersit dedit pauperibus» User. 7) , mentre la sinistra è benedicente, il capo è tonsurato. Nel terzo pannello è rappresentata una figura di tre quarti, nella quale abbiamo proposto di riconoscere san Pietro, a causa della capigliatura canuta con la caratteristica acconciatura a banda [6]. Il santo indossa una veste bianca con clavi rossi e manto ocra; alla sua sinistra si conserva parte della circonferenza dell'aureola di un 'altra figura perduta (Bordi c.s.). I tre pannelli presentano tutti una cornice a banda rossa orlata di bianco chiusa in alto da una fascia ocra decorata, per tutta la sua lunghezza, da un festone con lunghe foglie verdi e fiori bianchi e rossi. Il fondo su cui si stagliano le figure è di un blu intenso. In situ, sulla parete nord della piccola cappella, è ancora visibile la zoccolatura a velari dipinti che chiudeva la decorazione nella parte inferiore [7]. I drappeggi sono tracciati in blu, sono chiusi in alto e in basso da una banda a tre nastri rossi, di cui il medio è ondulato, e presentano una decorazione con cantari alternati ad uccelli e motivi ornamentali a cerchio intersecato da una 'X', tutti dipinti in 'monocromo' rosso.

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SAN L ORENZO FUORI LE MURA/ ATLANTE

I, 6

Iscrizioni 1 - Sottoscrizione autografa disposta sul suppedaneo del trono, tra i piedi di Maria, allineata su due righe orizzontali, secondo un andamento rettilineo irregolare. Mutila e abrasa. Scrittura capitale.

2 - Iscrizione dedicatoria disposta sotto al riquadro, allineata su

una riga orizzontale, secondo un andamento rettilineo irregolare. Lettere bianche su fondo rosso. Mutila. Scrittura capitale.

Ego Ioh(anne)s qµi maximus pr(es)p(iter) et IJ?Onaçhu~ voç?tus [- - -] Integrazioni da riproduzione fotografica (PCAS Lor G 13). 3 - Iscrizione identificativa disposta a sinistra del capo di santa Caterina, allineata su sei righe verticali e orizzontali, secondo un andamento rettilineo irregolare. Lettere bianche su fondo blu. Mutila. Scrittura capitale.

[S(ancta)J I C?ftçlri/nla

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I ATLANTE I, 6 41

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4 - Iscrizione identificativa disposta a sinistra del capo di san Giovanni evangelista, allineata su sei righe(?) verticali e orizzontali, secondo un andamento rettilineo irregolare. Mutila. Lettere bianche su fondo blu. Scrittura capitale.

$(anctus) I [1J9![a/nn/es] I ev(angelista) 5 - Iscrizione identificativa disposta a sm1stra del capo di sant' Andrea, allineata su cinque righe verticali e orizzontali, secondo un andamento cruciforme. Lettere bianche su fondo blu. Integra ma abrasa. Scrittura capitale.

$(anctus) I fi.fl/dre/als 6 - Iscrizione identificativa disposta a sinistra del capo di san Lorenzo, allineata su sette righe verticali e orizzontali, secondo un andamento cruciforme. Lettere bianche su fondo blu. Integra ma abrasa. Scrittura capitale.

$(anctus) I Ua]u/ren/tlil u/s 7 - Iscrizione esegetica disposta sul libro sorretto da san Lorenzo, allineata su quattro righe oblique in entrambe le pagine, secondo un andamento rettilineo regolare. Lettere nere su fortdo bianco. Integra. Scrittura capitale. Fonte del testo: Sal 111 , 9.

Dis/per/sitl de//dit I pau/per_ilbµs (5. Rie.)

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SAN LORENZO FUORI LE MURA/ ATL ANTE I,

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Note critiche I tre pannelli decoravano le paretine della cappella H9, tornata alla luce alla fine degli anni quaranta durante la campagna di scavo condotta nell'area centrale della basilica di San Lorenzo fuori le mura da Richard Krautheimer, Enrico Josi e Wolfgang Frankl ( 1952, 20-21 ). li piccolo ambiente è oggi accessibile ali' estremità orientale della navata nord della basilica onoriana, a fianco all'ingresso monumentale della catacomba di santa Ciriaca, ma in origine faceva parte del retrosanctos posto ad occidente della perduta abside pelagiana. Quest'area martiriale, il cui fulcro era la presunta tomba del martire Lorenzo, si trovava esternamente al perimetro della basilica pelagiana e subì nel corso del medioevo parecchie trasformazioni per essere definitivamente assimilata, tra XI e XII secolo, alla stessa basilica, il che comportò l'obliterazione della piccola cappella (CBCR 1962, II, 83-94, 139-142; Bordi c.s. ). Le pitture furono staccate nel 1977 per problemi conservativi legati ali' alto tasso di umidità presente nell'ambiente e collocate su nuovi supporti nella navata destra. In origine erano lo strato più esterno di un palinsesto composto di due livelli: le pitture sottostanti sono an cora conservate, in pessime condizioni di leggibilità, in situ. Vi sono rappresentati, ancora una volta, la Vergine in trono con Bambino e figure di santi: la datazione da noi proposta li colloca alla fine dell'VIII-prima metà del IX secolo (Bordi c.s.). I dipinti del secondo strato , staccati , sono stati riferiti da Krautheimer agli anni del pontificato di Gregorio III (731- 741), in base al confronto con i pannelli con santi conservati nella cripta della basilica inferiore di San Crisogono (-> 8b; Bordi c.s. ). La

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datazione all'VIII secolo è rimasta in vigore, con qualche perplessità, nella storiografia successiva (Matthiae 1965 [ 1987], 150-151; Bertelli 1983, 99, note 103 , 106; Andaloro 1987a, 272) , ed è stata da chi scrive posticipata alla metà dell'XI secolo (Bordi c.s.). Anche John Osborne, in una breve nota, ha affermato che lo stile delle figure e le iscrizioni fanno propendere per una datazione all'XIXII secolo (Osborne 2004b, 148). I santi della cappella H9 mostrano caratteristiche tecnico-formali estranee al codice pittorico ed espressivo dell'VIII secolo. Gli occhi hanno un modulo allungato e sono costruiti attraverso linee morbide e policrome; la canna nasale è creata dalla giustapposizione di larghe pennellate rosse bianche ed ocra chiuse da piccole narici tondeggianti; i panneggi delle vesti sono ampi e modulati e creano le forme attraverso lumeggiature capillari; nella tavolozza impiegata dominano l'ocra, il rosso, il verde e il bianco. Questi elementi consentono di riconoscere queste pitture come il prodotto di una temperie artistica i cui esiti possono essere individuati in un gruppo, che abbiamo definito omogeneo , di episodi figurativi romani databili tra la metà e la fine dell 'XI secolo: le sante clipeate della chiesa inferiore di Santa Maria in Via Lata, la tavola del Giudizio Un iversale, le sante già nel portico di Sant'Agnese fuori le mura, la Vergine col Bambino e la donatrice del battistero di San Clemente e i dipinti della sesta nicchia di Santa Balbina (- 1, 3, 6, 7, 9a; Bordi c.s.). Temperie i cui esiti possono essere riscontrati anche nella Bibbia di Santa Cecilia (fine XI secolo) , dove le miniature dei profeti Ezra e Tobia trovano un confronto eloquente con la fig ura di sant' Andrea della cappella H9 e il santo omonimo rappresentato nella sesta nicchia di Santa Balbina (- 9a).

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Anche la decorazione a finti velari con cantari alternati ad uccelli tracciati in rosso, ancora in situ [7], è in sintonia con le zoccola ture dipinte di X e XI secolo, e mostra particolari affinità con quella conservata nella navata sud della chiesa inferiore di San Clemente, dove al di sotto della complessa decorazione con scene agiografiche e santi, sono dipinti tre pannelli con dischi, uccelli e motivi vegetali, datati, da Osborne, alla fine dell'XI secolo, ma per i quali conviene, a nostro avviso , una lieve anticipazione all'inizio del secolo (Osborne 2004b, 143-144). Un aiuto nel precisare ulteriormente la datazione di questi dipinti, proposta per via stilistica, è venuta anche dallo studio delle iscrizioni

SAN LOR ENZO FUORI LE MURA / ATL AN TE

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pictae conservate ai piedi della Vergine in trono, dove è citato un Giovanni che si definisce monaco e presbitero (iscr. 2). Abbiamo proposto di identificare questo enigmatico personaggio con l'abate

]ohannes, l'unico con questo nome ricordato nella lista dei priori del monastero di San Lorenzo, in carica dal X al XV secolo, che fu firmatario nel 1049 della bolla del pontefice Leone IX per la canonizzazione di Gerardo di Toul (Da Bra 1952, 73; Bordi c.s. ). Crescenzio in/elix pictor, ritenuto il primo artista ad aver lasciato memoria di sé in una pittura della Roma medievale (Matthiae 1965 [ 1987], 151), eseguì, pertanto, gli affreschi nella cappella di san Lorenzo negli anni poco antecedenti o poco posteriori la metà dell'XI secolo.

artistici e storici di Roma incaricò i restauratori Carlo Giantomassi e Donatella Zari di staccare i dipinti conservati sulle tre pareti della cappella H9. Le porzioni di affresco furono poi applicate su nuovi supporti: pannelli di resina sintetica a nido d'ape con telaio meccanico (SBASS, Perizia n. 32 del 5 agosto 1977 cap. 2113, variante n. 71 bis del 2 novembre 1978; Bordi c.s.).

Documentazione visiva Pompeo Sansaini, fotografie (1947-1949), PCAS: Lor G 1-8, 10, 12-15.

Bibliografia Interventi conservativi e restauri 1977: nell'impossibilità di procedere alla bonifica dell'ambiente, per mezzo del taglio delle murature, la Soprintendenza per i beni

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Krautheimer-Josi-Frankl 1952, 20-21; CBCR 1962, II, 88; Matthiae 1965 [1987] , 150-151; Bertelli 1983, 99, note 103, 106; Andaloro 1987a, 272 ; Serra 2000, 107 ; Osborne 2004b , 148; Bordi c.s.

Giulia Bordi

3. LA TAVOLA DEL GIUDIZIO UNIVERSALE GIÀ IN SAN GREGORIO NAZIA ZENO (PINACOTECA VATICANA) 1061-1071

Il dipinto è strutturato in cinque registri sovrapposti di cui l'inferiore, più stretto, somiglia ad una base, quasi una predella; è bordato tutt 'intorno da una fascia rossa e da un 'altra più esterna che contiene una catena di motivi decorativi a fogliette gigliate [1]. I registri sono separati da fasce su cui corrono iscrizioni; fanno eccezione il secondo e il terzo , tra i quali non c'è alcuna iscrizione. I due più alti mostrano una forte centralizzazione, con l'immagine due volte ripetuta del Cristo, la prima volta assiso sul globo cosmico in veste porpora e azzurra con manto dorato, con il globo e la croce a lunga asta, e affiancato dai due serafini a sei ali (Ez 10, 12) sulle ruote di fuoco (Ez 1, 15-20; 10, 9-12) e da due angeli in rosa e bianco che si inchinano verso il centro. Nella fascia sottostante il Cristo è invece rappresentato con le braccia aperte in orazione, dietro l'altare, con il costato esposto e coperto solo da un manto dorato [2]. Sull'altare bianco con incrostazioni geometriche nere, ci sono gli strumenti della Passione: la croce dorata, il libro (Ap 20, 12-15 ), i chiodi, la lancia, la spugna, la coppa, e la corona di spine. Ai lati due arcangeli in tunica rosso lacca e loros dorato e da una parte e dall 'altra le due serie di sei apostoli assisi in stalli gemmati con suppedaneum [3]: i primi sono, a sinistra Pietro, e a destra Paolo, secondo l'eccezione romana del primato. Hanno tutti in mano un rotulo, tranne Pietro che ha le chiavi. Tra questi due registri corre la prima delle lunghe iscrizioni di cui è costellato il dipinto User. 1), mentre sul globo del Cristo appare il trionfale «Ecce vici mundum» User. 2) da Giovanni 16, 33. Sui cartigli degli arcangeli della seconda fascia appaiono poi le citazioni da Matteo 25, 34 e 41 (Iscr. 3-4 ). Le dimensioni dei registri subiscono una leggera riduzione a partire dal terzo. Qui la tendenza alla centralizzazione sussiste ancora, perché le figurette dei santi Innocenti - abbigliate in vari colori e non in bianco come poi sarà a San Paolo fuori le mura e ad Anagni - e di santo Stefano vestito da diacono e con la palma del martirio [4] convergono e guardano verso il centro e verso l'alto, dunque verso l'altare e il Cristo soprastante; il versetto sul libro è tratto da Apocalisse 6, 9-11 User. 5). Il resto del registro è composto da una serie di soggetti non strettamente o narrativamente legati l'uno all'altro. Nella metà sinistra, procedendo verso il bordo a partire dagli Innocenti, la Vergine che guarda anch'essa verso il Cristo soprastante e fa il gesto della Deesis [4]; poi il buon ladrone con il nome, Dismas, inscritto sulla croce User. 6) e ancora dietro san Paolo, per la seconda volta, reggente un cartiglio con la citazione dalla prima epistola ai Corinzi 15 , 52 (Iscr. 7) e a capo di una turba di chierici e laici, il primo un chierico con manto porpora e libro, altri tonsurati e con veste ocra, un laico in prima fila con veste bianca e manto rosso lacca. D all'altra parte del gruppo centrale sono invece le Opere di Misericordia (Mt25, 31-46), in tre scene [5]. ella prima, un chierico in veste bianca e mantello rosso dà da bere ali' assetato, e, reggendo nell'altro braccio un cestino con il pane, dà da mangiare all'affamato; nella seconda scena, un laico si dirige verso un carcere dietro le cui barre si vede una mezza figura quasi nuda e con la mano alla guancia in atto di mestizia; infine ancora un chierico in nero e manto rosso, che porge una veste bianca ad un uomo completamente nudo in piedi davanti a lui. La messa in scena delle Opere è unificata da uno fo ndo architettonico classicheggiante e bizantineggiante, con nuclei timpanati, portici architravati ed esedre con nicchia rossa.

Tra questo registro e quello sottostante ancora una lunga iscrizione: le lettere sono più piccole rispetto alla fascia alta, ma la fila è duplice, sopra su fondo nero e sotto su fondo rosso: il testo della prima striscia guida nella lettura delle immagini, perché parla in successione di Paolo, di Stefano, e del Vestire gli Ignudi (Iscr. 8) , accentuando il senso della lettura da sinistra a destra , mentre quello sulla striscia rossa contiene allusioni al Giudizio e alla sorte degli ingiusti User. 9). Sono in tutto nove esametri leonini, il cui significato svolge quindi anche l'ufficio di garantire la transizione dal terzo registro alla parte restante del dipinto. Nel quarto registro infatti si assiste alla resurrezione dei morti: i corpi dei defunti sono vomitati in pezzi dagli animali della terra e dell'acqua (tre uccelli, un serpente, due lupi, un orso e quattro pesci), affinché «non un solo capello manchi» come dice Efrem Siro (Voss 1884, 66, nota 1). Al centro invece appaiono le personificazioni del Mare e della Terra [6] , come esseri femminili a torso nudo cavalcanti, l'una, un essere marino a testa di cavallo e coda di serpente e, l'altra, un toro. Hanno manti color rosa e rosso che coprono le gambe e reggono nelle mani ognuna una figuretta nuda e un labaro. Le due immagini sono simmetricamente affrontate, e al centro fra di loro un motivo di forma triangolare con terra e fiori rappresenta il paesaggio terrestre. Nel settore finale a destra due angeli suonano le tube mentre in sepolcri di marmo decorato appaiono piccole figure tutte fasciate, in bianco o in colore scuro. Tra questo registro e quello sottostante appare ancora un'iscrizione, come la precedente organizzata su due fasce a fondo rosso e nero User. 10-11 ), la superiore descrivente la scena degli animali che vomitano i cadaveri, l'altra quella degli angeli che suonano le trombe e della resurrezione dei morti. In basso, infine, a sinistra, le mura gemmate della Gerusalemme celeste con la Vergine frontale al centro nel gesto dell'orante, con una veste azzurro-grigia e un manto che dal capo ricade sul corpo, di colore bruno violetto: sono gli stessi colori che portano le due donatrici sottostanti, le quali hanno però sul capo un velo bianco [7]. All'interno della Gerusalemme celeste appaiono, ai lati della Vergine, due sante, probabilmente Prassede e Pudenziana, identicamente abbigliate in rosso con il capo cinto da un tessuto bianco a disegni rossi, che ricade poi sulle spalle con lunghi lembi bianchi: con le mani velate reggono le corone del martirio. Dietro, a sinistra, una donna col capo acconciato con una stoffa o un velo, e a destra una a capo scoperto, verosimilmente (Suckale 2002, 18) una donna sposata e una nubile. Più indietro, due folle di personaggi maschili, tutti laici. All'esterno delle mura gemmate le due figure delle donatrici, quella di sinistra con un cero a ciambella sulle mani velate, quella di destra con il modellino della chiesa su un drappo rosso, che le scritte sottostanti identificano con Benedicta e Constantia User. 12 ), quest'ultima «abbatissa». Sulla metà destra del registro la scena dell'Inferno, lago di fuoco (Ap 20, 14-15 ) [8] sul cui bordo torreggia un angelo che trascina per i capelli un peccatore in catene e altri due angeli che costringono i peccatori con i forconi tra le fiamme ; altre figure nude, uomini e donne, emergono tra le fiamme mentre un grosso serpente le divora e altre figure ancora, questa volta vestite, si vedono più sulla destra, di nuovo donne e uomini insieme, la donna in primo piano nel gesto di mestizia della mano appoggiata alla guancia. I peccati così puniti sono identificati dalle scritte

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(Iscr. 13 -19): quindi si tratta di coloro che hanno maledetto il padre e la madre, degli spergiuri, degli omicidi, delle meretrici - i riferimenti ai Comandamenti sono ovvi - e della donna che ha contravvenuto l'ordine di san Paolo di non parlare in chiesa (1 Cor 14, 34-35 ) e che forse ha anche infranto la regola del velo, se si legge il frammento di parola come qui si propone. Infine l'ultima banda , inscritta (Is cr. 20) su fond o nero , promette il Paradiso ai giusti.

Iscrizioni

7 - Iscrizione esegetica disposta nel cartiglio sorretto da san Paolo, allineata su cinque righe ori zzontali, secondo un andamento rettilineo irregolare. Lettere nere su fondo bianco. Integra. Scrittura capitale. Fonte del testo: 1 Cor 15, 52. Canent I enim tu/ba et m6r/ tui re/surgunt

8 - Iscriziofle esegetica disposta alla base del registro, in una fascia rettangolare, allineata su una riga orizzontale, secondo un andamento rettilineo irregolare. Lettere bianche su fondo nero. Integra. Scrittura capitale. Testo in versi leonini.

1° Registro 1 - Iscrizione esegetica disposta alla base della scena, in una fascia rettangolare, allineata su una riga orizzontale , secondo un andamento rettilineo regolare. Lettere bianche su fondo nero. Integra. Scrittura capitale. Testo in versi leonini.

Offeret ut Paulus fuerit q(uo)d quisq(uis) Jucratus Q(uo)d martyr Stephanus clamat grex iste pusillu(s) Me q(ui)a payisti(s) potu(m) p(er) se(m)pe(r) dedisti(s) Ve] simul induto reparasti(s) corpore nudo

Regnum percipite benedicti quiq(ue) venite 11 vobis paratum per sec(u)la cuncta donatum

9 - Iscrizione celebrativa-esortativa disposta alla base del registro, tra l'iscrizione esegetica e il quarto registro, in una fascia rettangolare, allineata su una riga orizzontale, secondo un andamento rettilineo irregolare. Lettere bianche su fondo rosso. Mutila. Scrittura capitale. Testo esametrico e in versi leonini.

2 - Iscrizione esegetica disposta nel globo sorretto dalla mano destra di Cristo trionfante, allineata su tre righe orizzontali, secondo un andamento rettilineo irregolare. Lettere nere su fondo bianco. Integra. Scrittura capitale. Fonte del testo: G v 16, 33 . Ecce I vici munldum

2° Registro

Ecce D(ominu)s n(ost)e(r) q(ui) t9t(um) judicat orbe(m) adven[j]çt blandu(s) iust(is) prayi(s)q(ue) p-em(en)du(s) iusto(s) ?et(er)ni sµpfjmans [m]µnere regni d?ns quoq(ue) tartarçi niustos inffma ci?µstri Hoç tu 9µ[i] YJ1 lçfça(s) Yi$f[l]j ~l}P peç[t]we sçrjfJI?~

3 - Iscrizione esegetica disposta nel rotolo sorretto dall'angelo a sinistra di Cristo risorto davanti al sepolcro, allineata su nove righe orizzontali, secondo un andamento rettilineo regolare. Lettere nere su fondo bianco. Integra. Scrittura capitale. Fonte del testo: Mt 25 , 34. Veni/te be/nedic/ti Pa/tris meis I perci/pite re/gnum

4 - Iscrizione esegetica disposta nel rotolo sorretto dall 'angelo a destra di Cristo risorto davanti al sepolcro, allineata su nove righe orizzontali, secondo un andamento rettilineo regolare. Lettere nere su fondo bianco. Integra. Scrittura capitale. Fonte del testo: Mt25,41. Disce/dite a me I malel dicti I in ig/ne àelter/pum

3° Registro 5 - Iscrizione esegetica disposta sulle pagine del libro sorretto dal gruppo di martiri, allineata su quattro righe orizzontali, in entrambe le pagine, secondo un andamento rettilineo irregolare. Mutila nella pagina destra. Scrittura capitale. Testo rielaborato da Ap 6, 9-11 ; Missale Romanum (28 dicembre), Messa dei santi Innocenti. Vin/dica I sangl uine(m) Il [s(an)c(to)]r( u)m I [q(ui)] p(ro) te I [e f]fu/[su(s)] est

Peri 1966-67, 175, nota 39: pro[pter] per p(ro); Suckale 2002, 56, nota 117 : [eo]rum per [s(an)c(to)]r(u)m.

Integrazioni secondo Redig de Campos 1935 , 146. 4° Registro 10 - Iscrizione esegetica disposta alla base del riquadro con la R esurrezione dei morti, in una fascia rettangolare, alline ata su una riga orizzontale, secondo un andamento rettilineo irregolare. Lettere bianche su fondo rosso. Integra. Scrittura capitale. Qm(n)e genus volucru(m) ve] reptilis atq(ue) feraru(m) reddunt lJumana pisces quoq(ue) menbr? varata

11 - Sottoscrizione attributiva disposta tra l'iscrizione n. 1Oe il quinto registro, in una fascia rettangolare, allineata su una riga orizzontale, secondo un andamento rettilineo irregolare. Lettere dorate su fondo nero e rosso alla fine del testo. Mutila. Scrittura capitale.

f p clangore tubae sµrgunt de [p]ulver[e] terrae Niçolaus Ioh(anne)s pict9rç~ 5° Registro 12 - Iscrizioni identificative disposte alla base della scena con Maria e le donatrici, in asse con le figure di Benedetta e Costantina, in una fascia rettangolare, allineate su una riga orizzontale, secondo un andamento rettilineo irregolare. Lettere bianche su fondo rosso . La prima iscrizione è mutila. Scrittura capitale. D9(min)a I;Jenedicta ancil/a D(ominu)i 1 1 Constantia abbatissa

6 - Iscrizione identificativa disposta nei bracci della croce sorretta dal buon ladrone, allineata su tre righe verticali e orizzontali, econdo un andamento cruciforme. Lettere bianche su fondo marrone. Integra. Scrittura capitale.

13 - Iscrizione esegetica disposta a sinistra del personaggio in catene, fuori dalla scena infernale, priva di spazio grafico di corredo. Lettere bianche su fondo ocra. Integra. Scrittura capitale.

Dli/m!a!J

Q(ui) I patrç I v(e)l matrç I maledi/xit

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14-17 · Iscrizioni segnaletiche all'interno della scena infernale, prive di spazio grafico di corredo. Lettere bianche su fondo blu scuro. Integre. Scrittura capitale.

allineata su una riga orizzontale, secondo un andamento rettilineo irregolare. Lettere bianche su fondo nero. Mutila. Scrittura capitale.

fµ~tis est [mer]ç~~ P[;lradisj ef(ori)? ++~~ hos+f+T [- - -] ?P[i]lis ira 14 - A sinistra di una figura femminile: Periu!ros. 15 - A destra di una figura maschile: Homi/ciçi?f

Redig de Campos 1935 , 149: [Ius]tis [es]t [merces] per Iustis est [mer]ces; Peri 1966-67 , 175 nota 39, 184: ce[le]bris per gl(ori)a

++es. 16 - A sinistra del serpente, mutila: [- - -]+s+r/+[+2?+ ]+i(s) Suckale 2002 , 65, nota 148: ur. .. s... es.

(5. Rie.)

17 - A sinistra di un gruppo di figure femminili: Mere/trici.

Pubblicato da Redig de Campos nel 1935 con una datazione tra il 1040 e non oltre il 1080 circa, e la proposta di una provenienza dal monastero femminile dei Santi Stefano e Cesareo presso San Paolo fuori le mura (Ferrari 1957, 254-271: «Monasterium 5. Stephani ancillarum Dei», «.Monasterium S. Caesarii»), il dipinto fu già tre anni dopo ridiscusso dal Paeseler, che sulla base di argomenti soprattutto iconografici lo spostò alla metà del Duecento. Paeseler riteneva, essenzialmente, che la rappresentazione del Cristo dietro l'altare fosse strettamente legata al concetto di Sacerdos e Sacri/icium e quindi al dogma della transustanziazione formulato dal IV Concilio Lateranense (1215) e promulgato dal decreto di Gregorio IX nel 1234. Le osservazioni di tipo paleografico di Redig de Campos -le lettere mostrano caratteri beneventani e le abbreviazioni non sono pensabili al di là della metà circa dell'XI secolo, come qui confermiamo - erano a loro volta rovesciate da Paeseler, che riteneva la scrittura databile al XIII secolo. Così segnati i due estremi della questione, la letteratura successiva continuò a proporre cronologie molto diverse, che per quanto riguarda la datazione alta si basavano su un argomento di cui Redig

Note critiche 18-19 - Iscrizioni esegetiche, disposte all'interno della scena, prive di uno spazio grafico di corredo. 18 - A destra di un gruppo di figure femminili, su due righe orizzontali, secondo un andamento rettilineo irregolare, mutila.

+4?+ I y~f?!? Frugoni 1990, 431: intonsa velata. 19 - A sinistra di un gruppo di figure femminili, su tre righe orizzontali, secondo un andamento rettilineo irregolare, integra. Fonte del testo: 1 Cor 14, 34-35. ..

Mulier I qui in e/clesia I loq(ui)t(ur) 20 - Iscrizione esegetica disposta sulla cornice, in una fascia rettangolare,

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de Campos non aveva potuto disporre, e cioè la provenienza dell'opera dal monastero femminile di San Gregorio Nazianzeno presso Santa Maria in Campo Marzio, dove essa è vista nel corso della visitazione apostolica del 1660 (BAV, Ottob. lat. 2461 , ff. 352r-v). Nel cartario di questo monastero, pubblicato da Carusi nel 1948, il nome di una badessa Constantia, che governa la comunità religiosa tra 1060 e 1071 , coincideva con quello della Constantia rappresentata in basso nella tavola, in atto di reggere il modellino della chiesa. A lei era quindi attribuita (Peri 1966-1967 ; ma un primo riferimento al documento è già in Mercati 1936, 69, nota 1) anche la committenza del dipinto, confermando la datazione di Redig de Campos. In altri studi questo dato non era considerato sufficiente a datare l'opera in epoca così precoce. Le altre datazioni, che prescindevano dalla storia della comunità religiosa di Campo Marzio unanimemente considerata monastero benedettino (Ferrari 1957, 207-213), si sono aggirate sostanzialmente attorno alla seconda metà del XII secolo (Garrison 1970; Gandolfo 1988; McClendon 1987; Parlato-Romano 1992), sbordando fino al primo XIII secolo in altri casi (de Francovich 1952; Iacobini 1991 ) sulla base del giudizio sui bizantinismi del dipinto , collegati all'ondata bizantineggiante, di origine siciliana e veneziana, attestata a Roma durante i pontificati di Innocenzo III e Onorio III, o addirittura a influssi francescani (Hager 1962). Suckale (2002) ha invece riproposto con decisione la cronologia alta, fornendo la tavola di un efficace terminus ante ali' anno 1140 al più tardi, in cui è noto il primo documento che parli di moniales a Campo Marzio (Carusi 1948, 79-80). Prima di quella data , e diversamente da guanto sempre creduto, il monastero non era benedettino, ma una comunità di canonichesse, cui converrebbero

gli epiteti di domina, e ancilla Dei secondo guanto attestato per i monasteri specialmente di area germanica da Schafer ( 1907 , 61 ), usati sia nella tavola che nei documenti in riferimento alle religiose della comunità fino a quando l'epiteto moniales non li soppianta. Il tipo di abito di ambedue le donatrici viene da Suckale considerato - nella sostanziale mancanza di informazioni a questo proposito - diverso da quello benedettino, quale si vede nella figura di santa Scolastica nel Lezionario vaticano 1202, f. "Z2B (Brenk 1987 , 56): quest'aspetto rimane a nostro avviso piuttosto sfuggente, poiché i documenti iconografici di cui si dispone in area peraltro diversa da quella romana, mostrano una sostanziale somiglianza degli abiti delle religiose (lunghe vesti con maniche ampie, una sorta di velo sul capo che lascia però molto libero il volto e il collo) dei raggruppamenti canonici come di quelli benedettini (Krone und Schleier 2005 ; per informazioni sugli abiti delle religiose: Schafer 1907, 221-23 3). L'esempio finora più vicino è quello della badessa Eilika nel libro del con vento di Niedermiinster (Berlin, Staatsbibliothek, Ms. theol. lat. qu . 199, f. 67v: vedi p .19, fig. 6). L'identificazione della specifica natura della comunità religiosa di Campo Marzio ha aggiunto dati preziosi alla conoscenza del dipinto , avallandone in modo meno soggettivo la datazione al terzo quarto dell'XI secolo e inducendo a confermare l'identità della Constantia abatissa che regge in mano il modello e che Suckale stesso propone di riconoscere nella vedova Constantia che il 1 agosto 1030 (C arusi 1948, 13-15 ; Suckale 2002 , 19) fa una donazione al convento. È possibile che la donazione sia servita per rifare l'oratorio , che Constantia nella tavola offre, mentre Benedicta vi ha dotato verosimilmente uno o più altari (Suckale 2002 , 19). Nel 1660 il dipinto si trovava su un altare laterale destro

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dell'oratorio di San Gregorio Nazianzeno mentre la venerata icona mariana che la leggenda vuole portata dall'oriente dalle monache fondatrici del monastero era su quello a fronte («Paulum hinc dista! sacellum Deo dicatum sub titulo sancti Gregorii Nazianzeni variis sanctorum picturis ornatum, in quo duo extant altaria in tabulis ligneis, alterum scilicet in capite in cappella concamerata cum imagine Immaculatae Virginis e Graecia a primis monialis huc translata; alterum in parte dextra, in quo Iudicii Universalis tempus pictum est; et amborum picturas antiquissimas e Graecia translatas ex maiorum traditionidus moniales re/erunt» in BAV, Ottob. lat. 2461, f. 352 v, Visitatio ecclesiae ac monasterii monialium sanctae Mariae in Campo Martio, 17 ottobre 1660); in altri luoghi dell'oratorio o del complesso monastico dovevano trovarsi l'icona di Palazzo Barberini (----> 17) e quella del Salvatore benedicente (----> 16). Questa soglia di osservazione ci restituisce dunque l'immagine di una piccola chiesa popolata di immagini sacre: non è detto, tuttavia, che la tavola del Giudizio fosse originariamente un arredo d'altare, troppo strana essendo la forma del dipinto , unica nel panorama della pittura medievale su tavola. Le tracce di grappe visibili sul retro della tavola fanno piuttosto pensare che essa fosse stata assicurata ad una parete o ad un altro tipo di sostegno, sotto una delle arcate della navata o nell'abside. Rimane misterioso il motivo della scelta del formato, che arieggia il dossale di una cattedra pontificia simile a quelle di San Clemente, Santa Maria in Cosmedin, San Lorenzo in Lucina, San Saba o Santa Maria in Trastevere: in certo modo anche l'uso della scrittura non disdice a questo confronto. Abbiamo lasciato finora da parte la questione delle firme dei pittori Nicolaus e Iohannes (Iscr. 11) , che già Redig de Campos e Peri avvicinavano ai nomi di pittori apposti nell'abside della chiesa di Sant' Anastasio a Castel Sant'Elia, ai piedi del Cristo: Iotz(annes et) Stephanus(s) /rts (=/ratres) picto(res) romani et Nicolaus nepu (=nepos) Iohs (Hoegger 1975, 27) . La presenza di 'firme ' su opere pittoriche non è isolata in ambito romano: in particolare ricordiamo quelle di Petrus de Belizo e del presbiter (?) Bellushomo sull'icona rubata

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di Sant'Angelo in Pescheria(----> 41). L'identità del Nicola e del Giovanni di Campo Marzio con quelli di Castel Sant'Elia ci appare però solo un fantasma storiografico, di cui è talvolta difficile liberarsi una volta che sia stato enunciato. Nella tavola , appare arduo discernere due personalità d'artista corrispondenti alle firme: le variazioni che si apprezzano nel dipinto, ad esempio le flessioni più rudi e un po' grottesche delle teste di dannati nell'Inferno, sono presumibilmente dovute al 'genere' dell'immagine e non ad un artista diverso dall'autore del Cristo o degli arcangeli. I nomi di coloro che firmano, nella tavola e a Castel Sant'Elia, sono tra i più comuni; in sostanza, ambedue gli aspetti della questione, quello stilistico e quello cronologico, non consentono l'affiancamento del dipinto vaticano agli affreschi di Castel Sant'Elia. Non ritroviamo alcuna affinità con la tavola in nessuno dei gruppi di pittori attivi a Castel Sant'Elia; la cronologia che a questi assegniamo nel loro insieme (anni '20 del XII secolo: Hoegger 1975 ; Parlato-Romano 1992 [2001] , 176-17 8) è lontana vari decenni da quella della tavola, e consente di leggerli quale episodio di propagazione della pittura metropolitana, specialmente per quel che attiene lo splendido pittore delle sante e degli arcangeli nell'abside, vicinissimo al maestro di Santa Pudenziana (----> 30). È possibile che il dipinto abbia avuto un modello iconografico monumentale, ma nessuno dei Giudizi Universali noti, di data compatibile, può ritenersene il prototipo. La citazione di Panvinio (BAV, Vat. lat. 6781 , f. 315: «Frons basilicae intus totae picturis antiquis et parum elegantibus ornata est, Christi sczlicet Servatoris novissimo die humanum genus iudicantis») puo' forse riferirsi ad un Giudizio Universale sulla controfacciata di San Giovanni in Laterano, ma i dipinti che Panvinio vedeva erano verosimilmente quelli di una fase storica successiva a quella che qui ci interessa. La divisione in registri del dipinto di Campo Marzio non contrasterebbe con un modello monumentale, ed è normale negli esempi più precoci di cui disponiamo in questo campo iconografico, sia, appunto, monumentali sia - però - di arte applicata o di miniatura, a cominciare dal celebre avorio del Victoria and Albert

Museum, dal Giudizio di St. Georg alla Reichenau e da quello di Torcello, per proseguire con i codici del Beatus, alla Bibbia di Farfa (BAV, Vat. lat. 5729, f. 368) e arrivare anche alla controfacciata di Sant' Angelo in Formis. Lo schema compositivo delle due fasce più alte è rigorosamente centralizzato sulla figura del Cristo. Il terzo invece è percorso da movimenti variati, la metà di sinistra tende al centro ma quella di destra ospita le Opere di Misericordia che hanno un proprio ritmo scandito dalle figure dei personaggi e dalle architetture, già rappresentate come ricchi fondali con colonne tortili, facciate a timpano e portici a esedra, che si incontreranno numerosi nella pittura del dodicesimo secolo e di cui gli affreschi di Santa Pudenziana sono l'esempio che viene più rapidamente alla memoria. Ancora sotto, lo schema è sostanzialmente divergente, o almeno contrapposto nelle due figure femminili simmetriche del Mare e della Terra e del mostro marino e del toro. Infine, la base del dipinto è organizzata sulla base della contrapposizione tra la visione paradisiaca della Gerusalemme celeste e la visione terrorizzante dell'Inferno, secondo una soluzione abituale nelle rappresentazioni di questo tema. Aspetto di estremo interesse è quello delle iscrizioni. Non si tratta infatti di un mero complemento di tituli, o di integrazioni di nomi dei personaggi, come si vede in vari esempi da noi qui giudicati all'incirca coevi, gli affreschi di San Crisogono (- 8) , i frammenti del pastoforio destro di San Giovanni a Porta Latina(- 14). Il senso della lettura del dipinto ne è guidato, il che fa pensare che le destinatarie della tavola fossero persone in grado di leggere le scritte oltre che di guardare la complessa e solo apparentemente ingenua - ci riferiamo per esempio alle scene degli animali che vomitano i cadaveri o all'Inferno - messa in scena della narrazione. L'impressione è corroborata dal fatto che tutti i nuclei iconografici del dipinto mostrano una grande fedeltà a testi biblici, evangelici, o dei Padri della Chiesa: l'Apocalisse, la Visione di Ezechiele, o le prediche di Efrem Siro. Anche la visibilità differenziata delle iscrizioni parla di una ricezione colta e consapevole; esattamente

come avviene negli affreschi della basilica inferiore di San Clemente (- 21 ), dove la perdita del messaggio 'letterario' danneggerebbe in modo sostanziale la comprensione dell'insieme pittorico. Come a San Clemente, infine, compaiono nella tavola parole in volgare User. 13 e 17 ), ma non - con l'eccezione poco significativa del nome del buon ladrone - le famose iscrizioni a forma di croce che sono unanimemente considerate di origine cassinese ; le abbreviazioni di tipo beneventano , che già Redig de Campos riteneva prova della precocità cronologica dell'opera, non implicano quindi una totale derivazione dall'ambiente scrittorio e culturale cass1nese. Alcuni punti della complessa iconografia dell'opera ci appaiono meritevoli di una speciale attenzione. Uno è la duplicazione della figura del Cristo, la prima in veste di Rex tremendae majestatis (Redig de Campos 1935 ), la seconda di afflato eucaristico: una duplicazione unica a questa data - nel mosaico di Torcello la figura del Cristo è ripetuto tre volte, nella Crocifissione, nell'Anastasis e nella mandorla - che poteva avere esempi oggi perduti ma che noi conosciamo nella redazione molto tarda del Cavallini a Santa Cecilia in Trastevere. Il riferimento al dibattito sulla duplice natura del Cristo non è certamente estraneo alla scelta iconografica della duplicazione: ricordiamo che sono gli anni del dibattito accanito attorno alle teorie di Berengario di Tours, e che da questa stessa questione originò lo scisma del 1054 di Michele Cerulario. Il Cristo sul globo del registro superiore può ben avere un prototipo iconografico imperiale e alla radice costantiniano (Suckale 2002, 40) ma convoglia anche immagini quali quella del Cristo sul globo dell'abside di San Vitale a Ravenna, non a caso inserita lì in un contesto chiaramente eucaristico (Angiolini Martinelli 1997); torna tuttavia per esempio nel Beatus della Pierpont Morgan Library (Ms. M.644, f. 83r), nel Giudizio di Miistair e nella Bibbia di Farfa. La tavola è molto libera nella gestione degli elementi, che si prestano addirittura ad una sorta di smembramento e di redistribuzione, come nel caso della Vergine ritratta nell'attitudine della Deesis ma spostata al registro inferiore rispetto al Cristo e collocata a pendant

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di santo Stefano, quest 'ultimo elemento ancora non ben comprensibile una volta che la provenienza del dipinto non può più essere quella proposta da Redig de Campos. Che Stefano fosse un diacono, e avesse a che fare con la cura del prossimo, è forse una possibile spiegazione alla sua presenza; accanto a lui gli Innocenti costituiscono la più precoce occorrenza di questo tema iconografico (Christe 1999; Romano 2005). Il significato eucaristico di questo brano è ribadito dalla rappresentazione dell'altare con gli strumenti della Passione, di origine probabilmente bizantina come dimostrano i casi del Ms. gr. 74 della Bibliothèque nationale di Parigi, e dell'avorio del Victoria and Albert Museum. Presenti nelle iconografie bizantine sono anche Dismas, il buon ladrone (ancora l'avorio di Londra e il mosaico di Torcello) e anche la colorita rappresentazione dei pezzi di cadavere risputati dagli animali ha paralleli in area bizantina, sia nel Ms. gr. 74, che nel mosaico di Torcello. Di straordinaria originalità e impatto visivo sono le figure del Mare e della Terra, che armoniosamente convergono, imprimendo a tutto il registro una delicata e variata centralizzazione. Hanno evidenti modelli antichi: molto istruttivo è il raffronto con l'avorio della rilegatura del Libro delle Pericopi di Enrico II (SBM, Clm 4452 ) o con il dittico dell'abate Tuotilo di San Gallo (t9 12 ) (St. Gallen, Stiftsbibliothek, Cod. Sang. 53 ), dove, in basso, il Mare e la Terra convergono al centro, o con la Terra dell'Evangelario di Bamberga (SBB, Cod. bibl. 94, f. 154v) che come le figure della tavola brandisce in mano una figuretta nuda. Figure di Fiumi, sarcofagi con esseri acquatici, rilievi con Tritoni e Nereidi (Rumpf 1939 [1969] ) hanno concorso a formare queste immagini; Suckale (2002, 77-78 ) ha giustamente evocato un rilievo con un soldato a cavallo di un toro, e aggiungiamo naturalmente la figura di Europa, per esempio nel rilievo marmoreo del Laterano (Zahn 1983, 160 nota 23 5). Prestata da un fiume antico è la figura dell'Assetato - e Affamato - delle soprastanti Opere di misericordia; e antico è il giro elegante che il velo compie attorno alla sua testa. Sarebbe probabilmente sbagliato suggerire un modello univoco e diretto: molti pezzi antichi potevano ovviamente essere visibili a Roma, ma il filtro antiquario ottoniano non ci appare ininferente al risultato della tavola (cfr. ad esempio l'Evangelario di Bernward di Hildesheim, 1015 ca., Hildesheim, Tesoro della Cattedrale, Ms. 18). Proprio nelle Opere di Misericordia la tavola si pone come un caso di straordinaria inventività e innovazione iconografica. li tema,

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infatti, è sconosciuto nei contesti di Giudizio Universale fino all'inizio del XII secolo, quando compare nel Giudizio Universale della controfacciata di Ceri, nel frammento del Vestire gli Ignudi (Zchomelidse 1996, 155-159), peraltro indipendente iconograficamente dalla tavola (vedi p. 21, fig. 10); tutti gli altri esempi sono del XII secolo avanzato o ancora posteriori (Van Bi.ihren 1998). È possibile che l'inserzione delle Opere nella tavola risponda, da un lato, alla volontà di rappresentare una delle attività abituali e qualificanti della vita delle religiose, che pregavano per i morti e curavano i poveri e i malati (Schafer 1907, 183); da un altro, all'esegesi teologica di personaggi come Pier Damiani, che nell'Epistola CLXXX difende l'idea che la carità sia atto dovuto , perché la proprietà dei beni non è del singolo, ma di tutti (si ricordi la polemica contro la legittimità di beni personali da parte delle canonichesse: Schafer 1907; von Fi.irstenberg 1995, 36-38), e dichiara che su questa base il Cristo Giudice darà il suo Giudizio con le parole di Matteo 25, 34 («Venite, benedicti») versetto che immediatamente precede quello di Matteo 25 , 35-36 che per l'appunto elenca le Opere di Misericordia. Ama verso l'esegesi di Pier Damiani si ribadisce quindi, radicato nel testo evangelico, il nesso tra Giudizio finale e Opere di Misericordia. Il sistema narrativo e rappresentazionale è al fondo piuttosto semplice. Ogni fascia ha un fondo azzurro - di qualità altissima e di timbro puro - e i personaggi poggiano su una striscia che rappresenta genericamente il terreno e dà plausibilità alla distribuzione delle figure . È una visione bidimensionale, che mette in valore la superficie creando campi cromatici su cui si stagliano sagome eleganti e snelle, secondo una tavolozza che usa pochi colori e li alterna secondo un codice del tutto non casuale. I colori usati infatti sono sostanzialmente l'azzurro e il rosso , applicati puri o mescolati col bianco per ottenere le raffinate sfumature rosate che sembrano una specialità di questo dipinto; li complementano le gamme dal bruno all 'ocra, anch'esse graduate con il bianco, e l'oro, usato in modo particolarmente prezioso e riservato alle aureole, al drappo sulla spalla del Cristo e al loros degli arcangeli, e a dettagli come libri sacri, la croce sull'altare del Giudizio, le tube degli angeli. L'occhio dunque percorre la superficie pittorica e riconosce la gerarchia delle figure. Il blu è riservato al manto del Cristo e alla veste della Vergine, il rosso connota la veste del Cristo e quella degli arcangeli, e poi si allarga quasi a piramide

toccando alcuni personaggi della fascia centrale e poi le due sante Prassede e Pudenziana in basso: la preoccupazione di variare la superficie cromatica del dipinto sembra via via prendere il sopravvento sulle necessità iconologiche della scelta dei colori. Il ritmo dei campi cromatici segue dunque sia le necessità simboliche che il desiderio di variatio; il movimento della superficie è affidato al lavoro del bianco, che sostiene gli effetti di rilievo e descrive le pieghe delle vesti, realizzando un disegno grafico di estrema delicatezza. Il recente studio di Suckale ha ribadito i nessi del dipinto con il mondo nordico e germanico, colti nello schema da lui considerato cosmico e 'imperiale' del formato e della struttura compositiva, come in alcuni modi rendere i drappeggi (cfr. l'Evangelario di Liegi, BBR, Ms. 18383 , ca. 1040: Suckale 2002 , 84). Un mondo che era venuto a contatto con l'Italia, con Roma e con Montecassino per il tramite delle personalità impegnate nelle prime fasi della Riforma, e per gli oggetti nordici che giungevano ad esempio a Montecassino durante i governi degli abati anteriori a Desiderio. Alcuni dei confronti con opere tedesche valgono bene anche a mostrare la comune radice bizantina di alcuni sistemi di rappresentazione: si veda per esempio il modo in cui nelle opere bizantine di XI secolo (Daphnì, Hosios Lukas) siano usati i rialzi bianchi nei panneggi, e come la plasticità insita nel sistema bizantino sia elisa in quello ottoniano, che pure se ne ispira. I riferimenti istituiti da Suckale con la pittura romana contemporanea apparono invece sommari, includenti i dipinti della «cripta» (sic) di San Crisogono, per cui accetta la datazione di Brenk e cui attribuisce la firma di Crescentius in/elix pictor che si trova in realtà a San Lorenzo(----> 2), ed episodi qui datati in epoca più tarda come quello di Santa Pudenziana e dell'icona del Santissimo Nome di Maria (----> 30, 42 ), o certamente posteriori come i dipinti di San Clemente(----> 21 ). Da parte nostra, riteniamo che la tavola vaticana, grazie alla datazione riproposta da Suckale, debba ora occupare il posto che le spetta nella pittura romana dell'XI secolo: un ruolo di incunabolo, nel quale può riconoscersi la convergenza di elementi disparati e che certo ha perduto la più gran parte del contesto da cui necessariamente nacque. Gli echi ottoniani e salici sono convincenti specie per ciò che attiene il gusto della nettezza grafica, cromatica, della visualità bidimensionale del pittore; questi echi non si ritrovano con evidenza in altri monumenti romani di cronologia compatibile, anche se la testa dell'arcangelo dell'oratorio di San Gabriele (----> 4) appare formulata su una base affine, e forse non del tutto estranee erano anche le sante di Santa Maria in Via Lata(----> 1). I tracciati 'ottoniani' dei panneggi degli angeli di Farfa appaiono già altra cosa; vari altri monumenti che qui abbiamo schedato, da San Crisogono in poi, appartengono ad altre tendenze stilistiche, anche se punti di tangenza non mancano (vedi pp. 2226). Il gusto antiquario e l'altissima qualità degli affreschi di San Clemente sono forse gli eredi più naturali della cultura della tavola, di cui perdono la componente nordica sostituita da un'iniezione bizantina e verosimilmente cassinese molto più radicale. Nel processo di dare e avere , da e verso Montecassino , un ruolo intrigante è giocato dai due manoscritti cassinesi 99H e 98H, illustrati da disegni non perfezionati dal colore, datato al 1072 il 99H (Ladner 1931, 38-47; Newton 1979). Alcuni dei disegni a p enna che ornano questi due codici mostran o infatti qualche significativa affinità con la scrittura delle figure della tavola: si veda ad esempio la falcatura semplice ed elegante della Vergine dell'Ascensione nel 99H (vedi p. 22 , fig . 14 ), il sistema di panneggi striati della famosa pagina di dedica dello stesso codice, o anche la Dormitio del 98H, in cui le aureole dei personaggi inscrivono ogni figura in modo chiaro e lineare nel campo della scena, così

come nella tavola la disposizione di personaggi e scene tutti in primo piano , come all 'orlo di un palcoscenico , facilita la comprensione del soggetto e permette di seguire con chiarezza e ordine la sequenza delle figure e dei gruppi all 'interno della composizione. Il rapporto di anteriorità o posteriorità non è però evidente, specie se si accetta il suggerimento di Bertelli (1989) di considerare romano uno dei miniatori del codice, e in particolare l'autore d~lla famosa Dedica (Newton 1979).

Interventi conservativi e restauri Dopo la nota della Visita del 1660 (BAV, Ottob. lat. 2461 , f. 352v.), la prima notizia concernente il dipinto è del 1711 : in quest 'anno vengono rifatte le decorazioni dell' «altare del Giudizio», ed è in questa occasione che la tavola viene spostata ad altra collocazione. Il falegname Giuseppe Ferini viene pagato «per aver fatto la cornice al quadro grande del giudizio, essendo quasi tutto tondo da capo» (ASR, Fondo delle Benedettine di Santa Maria della Concezione in Campo Marzio, b. 167, f. 17 , p. 8). Il dipinto fu probabilmente ricoverato in San Luigi dei Francesi nei primi anni dell'Ottocento, a seguito della sconsacrazione della chiesa di Campo Marzio durante l'occupazione francese; negli archivi della chiesa, che doveva godere di extraterritorialità, non ce n 'è tuttavia alcuna traccia. Dopo il passaggio per i Musei Capitolini, la tavola fu trasportata in Vaticano, probabilmente entro il 1841; il suo ingresso nei Musei Vaticani è registrato nel gennaio 1934. Subito dopo , nello stesso gennaio 1934 , ebbe luogo il primo restauro del dipinto ad opera di Giovanni Micozzi del Laboratorio di Restauro dei Musei Vaticani. Nel 1997 lo stesso laboratorio ha effettuato un secondo intervento, a cura di Gianni Cecchini (restauratore responsabile), Javier Barbasan, Francesca Persegati, Marcello Mattarocci e Massimo Alesi (collaboratori per la carpenteria lignea), con la supervisione del Capo R'éstauratore Maurizio De Luca e la direzione di Arnold Nesselrath; le analisi e gli studi effettuati in questa occasione hanno dato risultati di estremo interesse. Se ne anticipano qui i punti essenziali, in attesa della pubblicazione che i Musei Vaticani intende realizzare nel prossimo futuro. La tavola , alta 289 e larga 242 ,5 centimetri, munita di una sorta di 'predella' di dimensioni irregolari (alta 69 cm a sinistra e 60 a destra), ha spessore medio di 3,35 centimetri, mai assottigliato e quindi originario. È costituita da otto assi verticali di legno di castagno tenuti insieme da un sistema di vincoli lignei di due diverse dimensioni, e sul retro da tre traverse: sulle traverse erano fissati tre ganci di ferro che dovevano servire ad attaccare la tavola in situ. Su questa complessa architettura, frutto evidente di una tradizione tecnica di grande raffinatezza di cui non ci sono pervenuti altri esempi, fu incollata una doppia incamottatura di tela, applicata con orientamento incrociato, per garantire la solidità del sistema ligneo sottostante e la buona adesione di uno strato di preparazione di colore avorio costituito da gesso e colla. Su questo strato è eseguito il disegno preparatorio, dato a pennello, di colore rosso; tracce di incisione sono visibili solo nelle aureole e nelle altre zone destinate alla doratura come i libri e gli ornamenti delle vesti degli arcangeli. La foglia d 'oro è data su bolo misto giallo e rosso e fissata con colla animale. Nel corso dell'intervento del 1934 era stata già eliminata la cornice in legno eseguita nel 1711 . I pigmenti impiegati sono in primo luogo il blu egiziano, cosiddetta 'fritta egizia', prezioso materiale diffuso nell'antichità e ritenuto quasi scomparso dopo l'epoca tardo antica e i primi secoli del Medioevo (l'ultimo esempio noto è probabilmente quello dei dipinti

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murali di Swta Prassede, di età tardo carolingia). Copre il 35-40% della superficie, su tutti i fondi e sulle vesti di vari personaggi, specialmente della Vergine. È stato usato in varie macinature, che determinano l'intensità del colore, più profondo nei registri superiori, più opaco via via che si scende verso quelli inferiori: l'effetto è certamente voluto. Sono stati poi individuati la biacca per il bianco, le lumeggiature e le tonalità più chiare degli altri colori; l'orpimento, il giallo ocra, e la lacca gialla; il minio e il cinabro per i rossi e i rosa; la terra verde e l'acetato di rame; il nero di vite. I leganti sono quasi ovunque a uovo, tranne nel caso del giallo dove sono state rinvenute tracce di colla animale, e del verde rame forse legato a olio. Le stesure cromatiche sono applicate in sovrapposizioni successive, secondo un ventaglio di cinque toni di differente intensità; il primo applicato è il tono medio, steso su tutta la superficie interessata (per esempio rosso, o verde) abbassando l'intensità del colore anche mediante l'aggiunta di biacca o di giallo; successivamente vengono realizzate le ombreggiature, che sono date con colore puro seguendo le linee del disegno preparatorio. Poi leprime lumeggiature, con colore diluito per ottenere una tonalità più chiara ma non molto intensa; le linee di contorno nere, eseguite con colore puro; e infine le lumeggiature più intense, destinate alle zone di massimo rilievo e illuminazione, eseguite con biacca pura. In questa tecnica non esistono passaggi graduali, ma giustapposizione di linee o campiture più o meno estese, ognuna rigidamente corrispondente ad uno dei cinque toni; il sistema ha evidente impatto sul risultato estetico finale. Molte figure sono ottenute mediante un sistema di riporto speculare di sagome, ribaltandole a destra e sinistra di un asse ideale che le separa verticalmente: gli esempi più evidenti sono i serafini e gli

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angeli ai lati del Redentore, gli arcangeli ai lati del Cristo Giudice, la Vergine e santo Stefano nel terzo registro, le personificazioni della Terra e del Mare, e le figure delle due donatrici. Sulla base della sagoma sono state poi apportate variazioni - pieghe, svolazzi, gesti, inclinazione della testa - che mascherano l'effetto di ripetizione. Analogamente, alcuni dettagli anatomici, specialmente mani, piedi, teste, ali, sono stati applicati alla sagoma mediante procedure di rotazione, anch'esse intese a utilizzare la sagomabase evitando l'effetto di rigidezza ripetitiva. L'uso di patroni è estremamente probabile e può aver consentito il trasferimento non solo del contorno della sagoma, ma anche del suo disegno interno, mediante trafori ripassati con pennello intriso di colore. (M. De Luca)

Fonti e descrizioni Visitatio ecclesiae ac monasterii monialium sanctae Mariae in Campo Martio (17 ottobre 1660), BAV, Ottob . lat. 2461, ff. 352r-v; ASR, Fondo delle Benedettine di Santa Maria della Concezione in Campo Marzio, b. 167 , f. 17, p . 8.

Bibliografia Carusi 1929, 520; Biagetti 1934-1935; Redig de Campos 1935 ; Mercati 1936, 69 nota 1; Redig de Campos 1936; Una tavola 1936, 270-271 ; Oertel 1938, 264 ; Paeseler 1938; Katzenellenbogen 1939, 60 nota 2; Volbach 1940, 41-54; Caletti 1941 , XIV; Salmi 1941, 290; Armellini-Cecchelli 1942, II, 1459; Offner 1947, 252 note 4, 6; Carusi 1948, XVI-XVII; Garrison 1949, 23,225; Degenhart 1950, 133 , nota 100; de Francovich 1952 , 210-212 , nota 231;

Birchler 1954, 249, nota 70; Redig de Campos 1955a, 285; Garrison 1957-1958, 13, nota 1, 16; Réau 1957, II, parte 2, 756; Batard 1958, 171-178; Grabar-Nordenfalk 1958 , 13 ; Bosi 1961, 74 ; Matthiae 1961, 217; Hager 1962, 40-42; Prehn 1963, 19-25; Brenk 1966, 11; Matthiae 1966a [1988] , 153-155; Peri 1966-1967; Deichmann 1968, 235; Demus 1968 [1969], 119; Schweicher 1968, 246-247; Prehn 1969; Buchowiecki 1970, 194; Garrison 1970,

121-160; Volbach 1979, 17-21; Boccardi Storoni 198'7 , 113-115; McClendon, 1987 , 112-1123 ; Willi 1987, 9-10; Gandolfo 1988, 306-308; Frugoni 1990, 430-431; Iacobini 1991, 293; ParlatoRomano 1992 [2001] , 144-145; Baschet 1993, 195-198; Bertelli 1994, 229; Van Bi.ihren 1998, 239; Christe 1999, 45, 318-319; Suckale 2002, 12-122; Romano 2005, 562; Claussen c.s.; Riccioni 2006, 27 nota 79.

Serena Romano e Filipe Dos Santos

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4. LA DECORAZIONE PITTORICA DELL'ORATORIO DI SAN GABRIELE SULL'APPIA Metà-terzo quarto dell'XI secolo

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I resti delle pitture murali segnalati già da Seroux d' Agincourt e poi da Armellini si trovano oggi soprattutto sulla parete di fondo dell'antica cella funeraria [ l], nella quale fu scavata una nicchia, o abside, al tempo della trasformazione in luogo di culto cristiano. Nella piccola calotta della nicchia si vede un arcangelo a mezzo busto, con le mani tese nel gesto dell'orante [2]. Le ali e l'aureola di colore giallo occupano quasi tutta la superficie, ma resta visibile una striscia del fondo , di un azzurro brillante. Armellini leggeva il nome Gabriel sulla fascia rossa della cornice sottostante. Sulla parete sopra la nicchia, a forma di lunetta e corrispondente ad una sorta di arco absidale, un medaglione bordato di motivi ornamentali, con il busto di Cristo, la destra benedicente e la sinistra con il libro [3]. Ai lati, due gruppi di angeli con ricchissimi loros incrostati di decorazioni e perle e manti rossi svolazzanti: i due in primo piano probabilmente reggevano turiboli, come notato da Armellini. Negli angoli della lunetta, sul fondo azzurroverde, compaiono le due figure dei donatori: a sinistra una figura maschile [4], con una corta barba e un ricco manto porpora

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agganciato da una fibula preziosa su una veste ulteriormente decorata con perle o motivi ornamentali: Armellini leggeva il nome Beno, oggi irrintracciabile come l'altra iscrizione sopracitaca, e lo vedeva reggere in mano un cero, che appare anche nel disegno di Seroux d'Agincourt [5]. A destra una figura femminile, di cui oggi si vede solo una sagoma rossastra che un tempo doveva essere un vestito, anch'esso ornato da motivi preziosi e perle: il cero che regge nel disegno di Seroux d' Agincourt potrebbe essere del tipo rotondo con una candela centrale, che conosciamo a San Clemente e a Santa Balbina. Sotto la lunetta, quindi ai lati della nicchia, riquadrati da fasce rosse e gialle, due gruppi di tre santi ciascuno: a sinistra i santi sembrano tutti indossare il pallio ed essere tonsurati, e secondo Armellini il pallio recava decorazioni a croci greche, ciò che li connoterebbe come vescovi orientali, tra cui lo studioso identificava Attanasio, Basilio e Giovanni Crisostomo. A destra le condizioni dell'intonaco impediscono oggi qualsiasi conclusione: Armellini vedeva che portavano stole e le riteneva figure femminili.

La parete destra dell 'oratorio è oggi ridotta a pochi lacerti di intonaco, in cui è impossibile riconoscere ciò che Armellini vi scorgeva [6]: un monaco con la barba bianca, un arcangelo con il vessillo, altre figure di santi e un altro angelo cui una bambina presenta un cero; e infine un vescovo. Secondo Armellini questa parte dei dipinti era contemporanea a quelli della parete di fondo. Seroux d'Agincourt non li disegna; ciò che oggi è visibile è qualche frammento delle figure di angeli, più probabilmente arcangeli, e di teste aureolare e tonsurate.

Iscrizioni 1-2 - Iscrizioni identificative già disposte accanto ai personaggi, secondo la testimonianza e la trascrizione di Armellini (187 5), il quale non fornisce ulteriori elementi descrittivi. l - Beno 2 - Gabriel (5. R ie.)

ote critiche Lo scoprimento dell'oratorio da parte di Mariano Armellini nel 1875, e le sue osservazioni in merito alle lettura delle iscrizioni e quindi all'identità dei committenti, hanno dato inizio ad una questione critica che oggi deve considerarsi molto impoverita dalle condizioni conservative e dalla perdita di buona parte dei dipinti

esistenti nell'Ottocento, e di ambedue le iscrizioni. Il piccolo ciclo non è stato di conseguenza molto studiato: il Matthiae e successivamente l'aggiornamento del Gandolfo lo riconnettono al problema degli affreschi nella basilica inferiore di San Clemente (--+ 21 ), poiché il Ben o visto da Armellini, se effettivamente una sola persona con il Beno de Rapiza di San Clemente, amplierebbe il raggio di attività di questi attivi committenti laici nella Roma degli ultimi decenni dell'XI secolo (Matthiae 1966; Gandolfo 1988). Il Prehn sottolineava ancora le affinità tra i dipinti di San Gabriele, la tavola del Giudizio Universale in Vaticano, gli affreschi in San Gregorio N azianzeno (--+ 3, 23 ), e quelli di Castel Sant'Elia, legati alla tavola dalla questione della firma diJohannes e Nicolaus (Prehn 1969). L'identità del supposto Beno non è verificabile, non solo perché il nome iscritto è perso, ma perché esso non è così raro e speciale nella Roma medievale: si veda anche il caso di San Salvatore de M ilitiis (---> 12 ). Tuttavia , è degno di attenzione il fatto che il committente di San Gabriele, vestito in abiti che non contraddicono quelli del committente di San Clemente, compaia a pendant di una figura femminile , presumibilmente la moglie, come anche il Beno di San Clemente; e che sulla parete laterale comparisse secondo Armellini una figura di ragazzina in atto di offrire un cero all'arcangelo, così come i figli di Beno, tra cui la ragazzina Altilia, compaiono a San Clemente. Una coppia di coniugi con una figlia è però ritratta anche nella nicchia di Santa Balbina (---> 9a) , in anni vicini a quelli di cui qui trattiamo: se l'identificazione di questo

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gruppo di famiglia con quello dei committenti di San Clemente resta alquanto arrischiata, il caso di San Gabriele deve comunque rientrare nel gruppo, che si sta facendo più nutrito e sempre più interessante, dei committenti laici nella Roma di XI secolo. I raffronti addotti dal Prehn con Rignano Flaminio - in particolare quelli tra i due busti di Cristo nel medaglione - non ,sono ininteressanti, ma non possono passare per il tramite della tavola del Giudizio, il cui Cristo è immagine di grande raffinatezza, laddove quello di Rignano appare più rozzo e di certo più tardo (Parlato-Romano 1992 [2001] , 291-292 ). La testa dell'arcangelo nella nicchia dell 'oratorio invece - luminosamente inquadrata dall ' aureola gialla sul fondo azzurro e dalle due grandi ali simmetriche con le piume bianche, disegnata in modo libero, con il lungo naso sottile, gli occhi grandi che guardano di lato, la bocca piccola e carnosa e l'incarnato rosa vivace - ci sembra molto vicina a quella degli arcangeli della tavola. Altre figure ancora oggi leggibili nell'oratorio, per quanto certo mal conservate, non sembrano invece raggiungere il medesimo registro d'eleganza: non è impossibile che la discrepanza stilistica possa esser frutto dell'uso di modelli, come altre volte si nota in opere che presentano disomogeneità stilistiche, quali la tavola della Clemenza o gli affreschi del Tempietto del Clitumno (Andaloro 1985 ), e che l'identità tipologica abb ia aiutato il trasferimento stilistico. Il raffronto vale però anche come preciso indizio cronologico; un'altra stretta affinità si riscontra tra questo tipo di disegno libero ed elegante, con tipologie dei volti dall'ovale geometricamente regolare e con la piccola bocca carnosa, e quello dei volti delle sante di Santa Maria in Via Lata (--t 1), la cui cronologia agli anni di Leone IX (Bertelli 1982, 299) viene qui ulteriormente confermata. Molto intrigante è il panneggio dell'arcangelo di sinistra, costituito da un drappo rosso a pieghe parallele e tubolari, una soluzione poco comune nella pittura romana più conosciuta. È probabile che il brano debba intendersi quale adattamento di un pattern altomedievale, che vediamo ad esempio nella basilica inferiore di San Clemente, anche nella Discesa al Limbo del nartece. Il dato si spiega con la persistenza del bagaglio compositivo e iconografico delle botteghe romane , ma probabilmente anche con la popolarità e accessibilità della basilica di San Clemente, all 'epoca dell 'affresca tura dell 'oratorio certamente ancora in fun zione. È del Prehn l'osservazione che i motivi ornamentali

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del bordo del medaglione con il busto del Cristo sono del tutto simili a quelli della tavola del Giudizio e anche a quelli di Rignano Flaminio (Prehn 1969, 23 ).

Interventi conservativi e restauri 1960 ca.: Prehn segnala un intervento di restauro a questa data (Prehn 1969, 19).

Bibliografia Armellini 1875 ; Armellini 1891 , 596-597; Toesca 1927 [1965], II, 944 nota 7; Armellini-Cecchelli 1942, I, 225; Id., II, 1436; Garrison 1955-1956, 172; Waetzoldt 1964, 33-34; Matthiae 1966a [1988], 29; Buchowiecki 1967 , 392-395; Prehn 1969, 19-25; Toubert 1970 [2001], 187, nota 35 ; Garrison 1970, 167; Matthiae 1977 , 214; Gandolfo 1988, 257-259, 279; Gandolfo 1989, 2829; Parlato-Romano 1992 [2001] , 123 ; Filippini 1999, 276-278 ; Noreen 2001 , 52.

Documentazione visiva Jean Baptiste Seroux d'Agincourt, disegno (1780-1790) , BAV, Vat. lat. 9849, f. 15r; Armellini 1875 , tavv. 1 (parete absidale) e 2 (parete destra) .

Serena Romano e ]ulie Enckell ]ulliard

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5. IL CRISTO E ARCANGELI NELL'ORATORIO DI SANT'ANDREA AL CELIO Metà-terzo quarto dell 'XI secolo

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I dipinti murali si trovano nell'odierna cappella di Santa Barbara, nel complesso di San Gregorio Magno al Celio, al disopra del soffitto borghesiano, e sono attualmente inaccessibili. La descrizione che segue si basa perciò su quanto fu pubblicato al momento del ritrovamento degli affreschi da parte di Salerno (1968) e poi della Toesca (1972a e 1972b), e sulle osservazioni fatte da parte di chi scrive nel corso di una visita nel 1985 . I dipinti occupano il timpano dell'attuale parete di fondo della cappella [ 1] , la controfacciata dell 'ambiente originario , che guardava verso il Clivus Scauri e il cui orientamento Baronia mutò di 180 gradi. Altri frammenti sono segnalati dalla Toesca sulle pareti lunghe (Toesca 1972b, 11 ). L'apice del timpano è occupato dal clipeo con il busto del Cristo, che benedice con la mano destra e con la sinistra regge il libro contro il petto [2]. Ai lati gruppi di angeli piegati in adorazione [3]. La fascia inferiore, in cui si aprono due finestre , è segnata da una greca a meandri illusionistici, e agli estremi in due campi compaiono due busti di profeti con cartiglio: quello di destra è Isaia [4], come si evince dalla scritta sul cartiglio,

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ORATORI O DI SANT' A N D REA

che è la citazione da Isaia 63 , 1 (Iscr. 1). La Toesca segnalava che il fregio a meandri e i campi con profeti dovevano continuare anche sulle pareti lunghe, e all'angolo della parete destra (attuale) con quella di fo ndo vedeva ancora una figura di 'profetessa', suppongo una Sibilla. Il timpano è incorniciato da un motivo a finte mensoline a profilo rotondo.

Iscrizioni 1 - Iscrizione esegetica disposta nel rotolo svolto sorretto dal profeta Isaia, allineata su due righe orizzontali , secondo un andamento curvilineo che segue la forma del rotolo. Lettere rosse su fondo bianco. Integra ma poco leggibile per caduta di pigmento pittorico. Scrittura capitale. Fonte del testo: Is 63 , 1. Quj~ ~{st) fs!~ q(ui) venf! de Edom I tfl}ç[js y~~!ib(us) de Bosra (5. Rie.)

Note critiche Gli affreschi del Celio hanno avuto una storia critica divisa , ondeggiante tra una collocazione agli albori del periodo della Riforma (Toesca 1972b) o anche prima, per opera di un pittore lombardo (Bertelli 1983 , 117 ), e un rinvio ad un'epoca un po' più attardata, che sfrutta la notizia di restauri di Pasquale II alla chiesa nel 1108 come aggancio di riferimento (Salerno 1968; Gandolfo 1988). La non accessibilità del luogo, che costringe a giudicarli ancora sulla base delle fotografie GFN eseguite al tempo del restauro e che anche noi qui ripubblichiamo, naturalmente limita fortemente il giudizio, già lasciato prudentemente in sospeso da chi scrive (Parlato-Romano 1992 [2001], 133 ). Riconsiderati nel quadro analitico della pittura romana, quale è stato possibile effettuare per questo Corpus, è forse possibile tuttavia arrischiare una conclusione provvisoria. Nonostante qualche affinità compositiva, i dipinti non sembrano aver nulla a che fare con la maniera di Rignano Flaminio, cui ogni tanto sono stati avvicinati; e non sembrano peraltro vicini a quelli dell 'oratorio di San Gabriele. L'osservazione è della Toesca, che denunciava il proprio 'disagio ' nel notare la disparità stilistica tra la maniera pittorica dei gruppi di angeli e quella del clipeo con il Salvatore: quest'ultima giudicata fortemente bizantineggiante laddove la maniera degli angeli era a suo avviso debitrice ai riflessi della cultura ottoniana del Sacramentario di Gereone e dell'Evangelario di Ottone III (Toesca 1972b, 17 ), ancora sensibili, aggiungo, in illustrazioni come quella di primo XII secolo della Bibbia di Coblenza (Pomersfelden , Schlossbibliothek, cod. 333-334: Cristo in Maestà adorato dagli angeli, in Rhein und Maas 197 3 I, 215 ). Il richiamo ottoniano non stona con il reticolo di rialzi in bianco sulle vesti degli angeli, fortemente graficizzato e ridotto ad un ritmico disegno di superficie, come

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non avviene successivamente nella pittura romana di XII secolo (Bertelli i°983 e 1994). Mi sembra possibile rilevare con chiarezza che i volti degli angeli, accennati con tratti vigorosi e rialzi bianchi e caratterizzati da occhi stranamente esorbitanti con occhiaie rigonfie, sono molto vicini a quelli degli affreschi del campanile di Farfa, di cui è stata recentemente ribadita la data attorno al 1060 (Enckell Julliard c.s.(a). In modo analogo è segnato anche l'occhio dell 'arcangelo recentemente rinvenuto nella galleria della basilica pelagiana di San Lorenzo, che Acconci (c.s.) riferisce al secondo quarto dell'XI secolo. Al confronto tra i dipinti del Celio e quelli di San Lorenzo non disdice anche l'osservazione che nei due casi il fregio ornamentale prescelto è stato una greca a meandri prospettici, intervallati da campi con figure a mezzo busto. Anche il motivo delle mensoline nere a profilo rotondo si ritrova a Farfa, come anche sulla parete destra di San Crisogono, nelle storie benedettine (----> 8f) , nonché nei frammenti dell'abside di San Sisto Vecchio pubblicati in questo volume (----> 19); e si deve aggiungere alla serie anche il frammento di finta architettura visibile all'Immacolata di

Ceri, il quale spunta sulla parete a destra dell'abside al di sotto dello strato principale degli affreschi e quindi fruisce di un ante quem ai primi anni del XII secolo. Quanto al busto del Cristo nel clipeo , ciò che ne rimane , a giudicare dalla fotografia e sulla scorta delle osservazioni della Toesca (1972b, 17 ), è veramente quasi solo la preparazione:,persa tutta o quasi la materia pittorica e le lumeggiature, ancora tuttavia si apprezza la finezza della mano benedicente, e si notano i tratti fisionomici fortemente bizantineggianti, il naso lungo e sottile rialzato di bianco sulla cannula e gli occhi cerchiati e come bistrati di colore scuro. A questo proposito, la fotografia pubblicata all'atto dello scoprimento dal Salerno mostra un aspetto della figura un po' diverso da quello visibile nelle altre foto esistenti: sembra più intensa la cerchiatura a bistro degli occhi, e tutto il volto appare più duro (Salerno 1968, 212 ) [5]. Poiché la Toesca attestava che gli affreschi non recavano tracce di ritocchi o restauri post-medievali, si dovrebbe concludere che la foto pubblicata da Salerno è veritiera , e si dovrebbe quindi registrare una considerevole affinità tra questo volto e quello della Madonna col Bambino e santi recentemente rinvenuta nel battistero della basilica inferiore di San Clemente, per cui proponiamo una cronologia di poco anteriore a quella dei cicli narrativi della basilica (----> 7) . Se queste osservazioni potranno essere verificate, ne risulterà probabilmente avvalorata la cronologia alta proposta per i dipinti del Celio; e apparirà interessante il dato, recentemente anche messo in evidenza (EnckellJulliard 2004; Ead. c.s.; Romano c.s. (a), relativo al personaggio di Stefano, cardinale di San Crisogono nel 1057, abate di San Gregorio in Clivo Scauri probabilmente a partire dal 1063 , e morto nel 1069. Se in lui si dovesse vedere il possibile committente dell'impresa decorativa del Celio, e se lui sarà anche ritenuto il responsabile almeno della parte del cantiere di San Crisogono relativo alla navata, Stefano, uno dei protagonisti della Riforma a Roma , risulterà simile a Ranieri di Bieda non solo nell'impegno riformatore, ma anche nel molteplice ruolo di cardinale, abate, e committente nei luoghi affidati alle sue cure.

Interventi conservativi e restauri Maggio-giugno 1971: intervento di restauro della Soprintendenza alle Gallerie del Lazio diretto da I. Toesca ed eseguito da A. Cecconi.

Bibliografia Salerno 1968, 211-212 ; Toesca 1972a, 10; Toesca 1972b, 10-23; Bertelli 1983 , 117; Toubert 1987 [2001], 339 e 356; Gandolfo 1988, 251 , 261-263 ; Bertelli 1989, 17-18; Parlato-Romano 1992 [2001] , 132-133 ; Bertelli 1994, 226; EnckellJulliard 2004; Enckell Julliard c.s. (a); Romano c.s. (a). Serena Romano

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ORATORIO DI SANT' ANDREA

6. I PANNELLI STACCATI CON DUE FIGURE DI SANTE GIÀ IN SANT' AGNESE FUORI LE MURA (PINACOTECA VATICANA) Terzo quarto dell'XI secolo

I due pannelli presentano le figure di due sante, note come 'Sante principesse' (Volbach 1979, 43-44 ). Si tratta di due dipinti staccati provenienti dalla chiesa di Sant ' Agnese fuori le mura , oggi conservati nei depositi della Pinacoteca Vaticana [1, 2]. La prima santa (inv. 40482 ) ha il capo incorniciato da un'ampia aureola ocra bordata di rosso e presenta un 'acconciatura con i capelli raccolti all'interno di una sottile rete chiusa in alto da un diadema [ 1]. Indossa una tunica bianca, coperta da una dalmatica diagonale rossa , dalla quale sporge un lembo di stoffa sempre rossa, chiusa in vita da una cintura ocra, con scollo, manica e banda inferiore gemmate e orlate da un bordo perlinato, e una sopravveste verde chiaro. La mano destra è velata e tiene una corona a 'mezza luna' gemmata , la sinistra ha il palmo aperto. La seconda (inv. 40487 ) è priva del capo, della parte inferiore della veste e dei piedi, la posa è analoga a quella della prima santa, diverso è l'abbigliamento [2]. La figura indossa una tunica verde chiaro ornata da una trama sottile di motivi ornamentali, una dalmatica ocra con scollo e manica sinistra rosse gemmate, mentre la banda inferiore , che sale nella parte centrale, e la cintura, sempre con fondo rosso , sono decorate con un fitto pattern ' a rombetti '. Dalla spalla destra pende una sopravveste verde chiaro. La cornice dei due pannelli presenta tre montanti a banda ocra ed uno rosso orlati di bianco, il fondo è nella parte superiore bianco, in quella inferiore verde, nel primo pannello il verde prosegue nella parte superiore in due bande larghe laterali creando un effetto di sottosquadro.

Note critiche I due dipinti fanno parte di un gruppo di cinquantasei pannelli con affreschi staccati, di epoche diverse, provenienti dalla chiesa di Sant'Agnese fuori le mura, che comprendono i due cicli dedicati a santa Caterina d'Alessandria e san Benedetto ed altri pannelli con scene e figure di santi conservati presso i Musei Vaticani, in parte esposti e in parte nei depositi (Volbach 1979, 33-44; Romano 1989, 245-257 ). L'intero gruppo , nascosto sotto una spessa scialbatura, fatta stendere nel 1620 dal Cardinal Veralli, tornò alla luce durante i restauri voluti da Pio IX nel 1855 , all'indomani del crollo del pavimento di uno degli ambienti della canonica che lo videro protagonista illeso insieme ad altri religiosi, durante una sua visita alla basilica (Beverini 1856; Romano 1989, 251-253 ). Il restauro architettonico dell'intero complesso di Sant'Agnese fu affidato all'architetto Busiri Vici, ma prima di iniziare i lavori furono descialbate alcune pareti della chiesa dove, secondo quanto racconta Bartolini, contemporaneo agli eventi, «l'intonaco rigonfiando per la vecchiezza si è distaccato in più parti del muro specialmente della galleria, e dai pilastri del nartece sono ricomparse le antiche pitture» (Bartolini 1858, 121 ). Gli affreschi riemersi furono fatti subito staccare e trasportare su tela dal restauratore Pellegrino Succi e vennero successivamente esposti nella terza stanza del Museo Cristiano Lateranense, dove rimasero fino al 1925, quando, chiuso il museo, furono trasferiti nei depositi della Pinacoteca Vaticana. La descrizione della basilica di cui è autore Martius Milesius Sarazanius, nel primo Seicento, consente di recuperare l'assetto

SANT' AGNESE FUORI LE MURA / ATLANTE

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decorativo dell 'edificio, anteriore ai restauri del cardinal Veralli, e la disposizione originaria dei due cicli di santa Caterina e san Benedetto: il primo nel matroneo nord e sopra il nartece e il secondo nel matroneo sud. Mentre, per quanto riguarda il resto delle pitture , dopo aver parlato delle scene di Benedetto , Milesius chiude con un generico «ac circumquacumque diversos imagines sancta» (citato in Frutaz 1976, 164-167 , nota 80) . Volbach ha dedotto da questo passo che i sette pannelli con santi, tra i quali le due 'Sante principesse ', provenissero dal matroneo meridionale (Volbach 1979, 43) , mentre Nesselrath ritiene, a ragione , l'informazione troppo vaga per stabilire una sicura collocazione dei pannelli e aggiunge che la tipologia delle due sante e il sistema di incorniciatura suggeriscono il loro inserimento, in origine, in una galleria o teoria di figure (Nesselrath 2002 , 71). Una breve descrizione con l'esatta collocazione delle due sante è stata trovata, invece, da chi scrive nel testo di Bartolini, unica fonte contemporanea ai restauri di Pio IX e «inspiegabilmente non più letta da alcuno degli studiosi successivi», come lamentava Serena Romano (1989, 25 3). Il Bartolini dice infatti che «le due figure di sante incognite con corona in mano e riccamente vestite della tavola VIII sono quelle che adornavano i pilastri del nartece» (Bartolini 1858, 121 ): il confronto tra la larghezza dei due pannelli (cm 77 ca. ) e quella dei pilastri del nartece della basilica induce ad individuare nei due piloni 'a forma di croce' (CBCR 193 7, I, 22 , tav. IV), posti tra il vestibolo e la navata centrale, e più precisamente sulle due facce degli intradossi o sulle due adiacenti verso l'ingresso, il luogo più consono ad accogliere le due sante. La presenza di un montante rosso nelle cornici dei due frammenti, a destra del primo e a sinistra del secondo, di contro a tre montanti ocra, consente inoltre di ipotizzare che i due pannelli fossero collocati su due superfici adiacenti. Le due sante legate da Volbach al cantiere che realizzò il ciclo di santa Caterina d'Alessandria (Volbach 1979, 43 ), attribuzione ripresa , non senza incertezze, da Nesselrath (2002 , 71 ), non rispondono affatto ai canoni della pittura romana della fine XIII secolo e non sono incanalabili in alcuna delle correnti «cavalliniana», di «cultura torritiana» o di «sensibilità gotica» che si intrecciano o convivono all 'interno del ciclo, come ha spiegato Serena Romano (1992 , 15-19). L'impostazione delle figure e il loro inserimento nello spazio mostrano invece, a nostro avviso , una forte familiarità con la pittura che si afferma a Roma nel corso della seconda metà dell 'XI secolo , con testi pittorici quali la teoria di santi nel pannello staccato di San Lorenzo fuori le mura (- 2). I panneggi delle vesti, creati da un sistema di lumeggiature date con larghe pennellate chia re, assai lontane dalla pittura filamentosa duecentesca, trovano un confronto nelle figure delle scene benedettine di San Crisogono (- 8f) e nei già citati santi della basilica tiburtina. Il volto della prima santa dei pannelli di Sant'Agnese, nonostante abbia perso parte degli strati superficiali di rifinitura, mostra inoltre forti analogie nella costruzione con il volto del Cristo di Sant' Andrea al Celio (-+ 5 ) e con quello della Vergine e della donatrice del Battistero di San Clemente(-+ 7), dove identiche sono le ombre verdine intorno agli occhi, ai lati della canna nasale , sul mento e sul collo. È destinata a restare ignota, invece, l'identità delle due sante, non essendosi conservata alcuna traccia di tituli nei pannelli, ma non è da escludere che possa trattarsi di santa Costanza e sant'Emerenziana, due sante il cui culto è attestato nella basilica, accanto a quello della santa titolare, durante tutto il medioevo (Frutaz 1976, 77-82).

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5 AN T AGNESE FUORI LE MURA

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Interventi conservativi e restauri

durante il quale è stato sostituito il telaio in legno, con un nuovo supporto in cadorite, e si è proceduto alla pulitura della superficie pittorica. Tutte le operazioni sono state condotte dal Laboratorio "Restauro Pitture" dei Musei Vaticani, sotto la guida del capo restauratore Maurizio De Luca, restauratore Fabio Piacentini, direttore dei lavori Arnold Nesselrath (De Luca 2002).

1620: il cardinal Fabrizio Veralli, durante i lavori condotti nella basilica dal 1602 al 1621 , ordinò che fossero scialbate le pitture dei matronei e del nartece (Bartolini 1858, 121; CBCR 1937 , I, 18; Romano 1989, 253 ). 1855-1856: prima di iniziare il restauro architettonico della basilica fu asportato, da tutte le superfici dipinte dell'edificio, lo strato di scialbo seicentesco (Frutaz 1976, 63-64). 22 febbraio 1856: il restauratore Pellegrino Succi procedette allo 'stacco' e al trasporto su tela dei dipinti del matroneo e del nartece

Bartolini 1858, tav. VII.

(Dimostrazione e parallelo consuntivo della spesa incontrata per i restauri e decorazioni della Basilica di S. Agnese fuori le mura eseguiti per ordine della Santità di N. S. Papa Pio IX P O. M., 10 aprile

Fonti e descrizioni

1856, ASV, fondo Pio IX, scatola 20, b. 5; Frutaz 1976, 164-165 nota 80; Romano 1989, 252-253 ; De Luca 2002, 101-102). 1930-1931: i pannelli furono sottoposti, presso i laboratori della Pinacoteca Vaticana, a «nuovo restauro di pulitura e di parziale ritocco» e «sono stati tutti montati in lisce cornici di legno ed inoltre alcuni sono stati ritagliati in quelle parti ove, era del tutto caduto o svanito l'intonaco colorato» (Soave 1932-1933, 209, nota 1; De Luca 2002 , 103 ). 2000: tutti i pannelli sono stati oggetto di un intervento di restauro,

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Documentazione visiva

Martius Milesius Sarazanius (inizi XVII secolo), Commentarius

de Basilica S. Agneszs, Gallicani et Constantiae in via Nomentana, BNN, Ms. Brancacc., 1 F.1 (si veda Frutaz 1976, 164-165, nota 80).

Bibliografia Bartolini 1858, 121 ; Frutaz 1976, 63-64; Volbach 1979, 43-44 ; Romano 1992, 174 ; De Luca 2002, 101-104; Nesselrath 2002 , 71.

Giulia Bordi

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SANT' A GNESE FUORI LE MURA

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7. LA MADONNA CON BAMBINO E DONATRICE NEL BATTISTERO DELLA CHIESA INFERIORE DI SAN CLEMENTE Terzo quarto dell'XI secolo

Il pannello dipinto è stato rinvenuto durante gli scavi del 19931995, che hanno condotto alla scoperta del battistero situato sul lato nord della basilica inferiore di San Clemente. Il battistero si trova al di là di un corridoio che lo separa dal muro della navata destra; l'affresco è subito a sinistra dell'attuale ingresso, attualmente di difficile visione perché inscatolato da un sistema di protezione in vetro e metallo, ed è frammentario nella sua parte sinistra e in basso. Il dipinto è con tutta evidenza un palinsesto di due strati differenti [1-2]. Il primo è costituito dalla parte superiore di una figura di san Clemente, la cui aureola giallo oro è ornata di un bordo rosso e perlato; motivi perlati sono anche sulla cornice gialla che inquadra la figura, mentre sull'ulteriore fascia rossa, in alto, spicca il nome S(anctus) Clemens (Iscr. 1) [2]. A questo strato sono pertinenti altri frammenti minori, messi in vista dalla caduta dello strato superiore: la parte maggiore mostra una parte di un trono gemmato e di un cuscino, quindi di una composizione simile a quella poi realizzata, con qualche variazione dimensionale, nel corso della seconda stesura. La parte inferiore della figura di san Clemente è stata invece obliterata da uno strato di intonaco soprammessa, raffigurante una figura di donatrice, abbigliata con una lunga veste rosso-bruna e con un'acconciatura ricercata, consistente in un velo bianco a righe rosse che ricade dalla testa sulle spalle non coprendo del tutto i capelli che fuoriescono a grandi ciocche rigonfie sulle orecchie [1] . Ha le mani velate da un lungo drappo, anch'esso bianco con bordi a ornamenti rossi, e regge un cero a forma di ciambella. La donatrice si rivolge palesemente alla figura della Vergine in trono, che costituisce la parte maggiore del medesimo secondo strato pittorico; direi plausibile che dall'altro lato del trono potesse trovarsi il personaggio maschile, verosimilmente il marito della donna; come anche simmetrica alla figura di san Clemente possiamo immaginare una seconda figura di santo o santa. L'intonaco dipinto è bordato dal medesimo motivo con una fascia rossa e una gialla, quest'ultima decorata a motivi di perle bianche: è evidente la cura posta nel nascondere la congiunzione delle due stesure. La Vergine è rigidamente frontale, su un fondo che doveva essere azzurro; porta il maphorion con ornamenti a cabochons, che si ripetono allo scollo e sulle spalle. La cintura del manto bruno è perlata, e in basso si vede la veste rossa che ricade sui piedi. Il Bambino è posto di tre quarti, con una vestina giallo oro, e sembra passare o ricevere dalla madre un fazzoletto o un piccolo velo bianco. Mentre il volto della Vergine è rigorosamente geometrico e stereometrico, con occhi fortemente bistrati, quello del Bambino è realizzato più delicatamente, con tocchi di colore e grandi occhi spalancati, in modo molto affine a quello del volto della donatrice.

Iscrizioni 1 - Iscrizione identificativa disposta sopra il santo, in una fascia rettangolare, allineata su una riga orizzontale, secondo un andamento rettilineo irregolare. Lettere bianche su f ndo rosso. Integra. Scrittura capitale.

S(anctus) Clemens (5. Rie. )

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BATTISTERO DI SAN CLEMENTE / ATLANTE

I, 14

Note critiche Il pannello è stato studiato soltanto da Guidobaldi (1997 ), che ne ha pubblicato il rinvenimento e ne ha proposto la datazione , rilevando l'esistenza dei due strati pittorici e notando come essi non costituiscano un radicale rifacimento l' uno dell 'altro. Lo spessore del secondo strato è stato infatti spianato e assottigliato per rendere meno percepibile lo scalino con lo strato inferiore, del quale è stata risparmiata la figura di san Clemente con la relativa

scritta, laddove invece la parte inferiore della figura del santo ha fatto posto all 'immagine della donatrice. I frammenti della prima versione del trono gemmato e del cuscino erano invece stati coperti dal secondo strato e sono oggi in vista solo tramite la caduta dell'intonaco soprastante. Guidobaldi (1997, 475 ) ritiene sia passato almeno un secolo tra primo e secondo strato, ma i dati stilistici della testa di san Clemente, vicini a quelli della donatrice sottostante, dicono a mio avviso il contrario; la datazione al tardo XI secolo, che Guidobaldi propone e che qui precisiamo al terzo quarto del secolo, comporterebbe secondo la sua ipotesi una cronologia al pieno X secolo per il volto del san Clemente, che non crediamo giustificata. La preoccupazione di risparmiare la testa del santo titolare della basilica si motiva certamente con ragioni devozionali, ma l'insieme del palinsesto, così come era previsto complessivamente alla vista, non mostra contrasti stridenti tra la parte più antica e quella più recente, come se i due momenti non fossero lontani l'uno dall'altro. Le parti del trono e del cuscino di primo strato ora in vista mostrano un trattamento a linee e campi semplificati, vicino a quello del cuscino di secondo strato che è composto a grossi tratti neri paralleli: l'uso di queste linee nere strutturanti e riassuntive ci appare una delle tendenze più radicate nella pittura romana agli albori della Riforma, e i dipinti della cripta della basilica inferiore di San Crisogono ne sono un buon esempio (- 8b). La finezza della veste del Bambino, disegnata a linee vibranti con effetti dorati, annuncia il tipo di panneggi che si vedranno negli attigui affreschi dei pilastri (- 21 ); il volto del Bambino non è poi così diverso da quello di San Clemente. La distanza cronologica fra gli strati potrebbe insomma esser stata minima, e il motivo del cambiamento e del successivo rabberciamento potrebbe trovarsi nella volontà dei committenti di farsi anch'essi raffigurare nel dipinto. I migliori confronti per l'affresco - in particolare per il volto ieratico della Vergine e per i suoi occhi bistrati - sono con il medaglione con il busto di Cristo a Sant' Andrea al Celio (- 5) e in parte con quello dell'oratorio di San Gabriele (- 4j: La natura tipologica dello stile in questa fase della storia della pittura romana emerge con evidenza nelle variazioni stilistiche imposte in modo ripetuto alle differenti categorie di personaggi. Si tratta con evidenza di un'immagine per così dire votiva, che ospita la figura di una donatrice laica e apparentemente di alto ceto sociale, la quale offre alla Vergine lo stesso tipo di cero. rotondo che Maria Macellaria e sua figlia Altilia reggono nel ritratto dei committenti nel nartece della basilica attigua, e Maria e Beno nella Messa di san Clemente all'interno della stessa basilica. L'ipotesi che si tratti di una coppia di coniugi ulteriormente stringe il confronto con la presenza di Beno de Rapiza e Maria Macellaria all'interno della basilica, nonché con la coppia diconiugi sull'arco absidale dell'oratorio di San Gabriele.

Interventi conservativi e restauri 1997 ca.: gli affreschi sono stati protetti con una teca di metallo e vetro fatta istallare dall'ICR.

Bibliografia Guidobaldi 1997, 471-475 ; Guidobaldi 2001. Serena Romano

B ATTISTERO DI SAN CLEM ENTE

I ATLANTE I, 14

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8. LA DECORAZIONE PITTORICA DELLA BASILICA INFERIORE DI SAN CRISOGONO Terzo quarto dell'XI secolo

La serie di schede che segue analizza il gruppo dei dipinti murali nella basilica inferiore di San Crisogono, dalle decorazioni absidali di imitazione cosmatesca, alle figure di santi nella cripta, ai pannelli frammentari e al ciclo di storie di santi sulla parete destra, fino alle figure frammentarie in controfacciata. La storia degli studi su questi dipinti è molto complessa: una parte di essi- gli affreschi dell'abside e della cripta - aveva invariabilmente ricevuto una datazione agli anni di Gregorio ill (731-741); altri-le storie di santi, e specialmente le scene benedettine - erano tradizionalmente datate al secolo X, e solo più di recente (Brenk 1984) erano state correttamente spostate all'XI secolo e specificamente al cardinalato di Federico di Lorena, poi papa Stefano IX (1057-1058); altri dipinti ancora, frammentari e mal leggibili, non sono mai stati presi in considerazione dagli studi, o fatti segno solo a rapidi cenni. Li riuniamo ora qui per la prima volta, considerandoli quali sopravvivenze frammentarie e spesso difficilmente leggibili, di quello che dovette essere un imponente intervento di riassetto liturgico e decorativo dello spazio della basilica inferiore, attuato nel corso dell'XI secolo e preceduto verosimilmente dal riassetto del portico d'accesso alla chiesa. Questo grande progetto era però destinato ad una vita breve. La basilica fu infatti abbandonata - o almeno radicalmente sostituita nelle funzioni e nell'immagine - non molto tempo dopo la conclusione degli interventi decorativi: se questi, come crediamo, dovettero terminare attorno al 1070 o poco più tardi, solo quaranta o cinquant'anni divisero questa impresa ambiziosa e impegnativa dalla decisione del cardinale Giovanni da Crema di costruire una nuova basilica (1123-1129) al di sopra dell'inferiore, di dimensioni minori e leggermente spostata sulla sinistra del primo edificio (Claussen 2002, 386-404). La vecchia chiesa, che probabilmente era stata condannata dal progressivo innalzamento del terreno nella zona di Trastevere, non fu abbandonata del tutto, e restò accessibile tramite le aperture nel muro destro della navata e la scala che collegava i due edifici sovrapposti; ma dovette servire per funzioni diverse dalle precedenti, soprattutto funerarie (Astolfi 1999). Ne sono prova evidente i dipinti sopravvissuti nel battistero, datati come devono essere al Xill secolo, e non all'XI come creduto all'epoca degli scavi all'inizio del Novecento. L'intervento pittorico dovette partire dalla zona ovest della chiesa e procedere verso la controfacciata: questo suggerisce lo stile dei dipinti, che sembra maturare dall 'abside alla parete destra ai frammenti in controfacciata. L'intento sembra essere stato quello di rinfrescare e dare un nuovo volto all'intero spazio della chiesa, ma gli strumenti messi in atto furono in qualche misura anche disinvolti e sbrigativi: la parete sinistra fu lasciata com'era - per mancanza di tempo? per il valore commemorativo e cultuale dei ritratti dei santi e martiri nei medaglioni? - mentre su quella destra non si perse tempo a rifare tutta la parte inferiore della parete, scegliendo di riutilizzare vasti tratti del velario altomedievale che fu 'appeso' sotto il ciclo di storie. Più avanti sulla parete, procedendo verso la controfacciata, i brani di intonaco nero - simili a quello coerente con il ciclo e contenente anche la figura di guerriero sono posti ad un'altezza non ben compatibile con le quote dei registri del ciclo; il pannello con la figura di santa Caterina introduce un sistema di tipo iconico all'interno di un insieme narrativo, non si sa se interrompendolo o semplicemente intercalandolo. Un'ipotesi di 'non finito' urta con l'esistenza dei dipinti di controfacciata,

..

stilisticamente plausibili come ultima fase dell'intervento pittorico; sarebbe proponibile, ma comunque non comprovabile a causa dello stato di conservazione dei frammenti. Se il programma prese le mosse dall'abside e dalla cripta, è possibile che la ragione di promuoverlo risiedesse nell'intento celebrativo delle reliquie che nella cripta erano conservate: purtroppo non le conosciamo in dettaglio, perché gli elenchi delle epigrafi della basilica superiore, che commemorano l'impresa di Giovanni da Crema (Mesnard 1935, 126-132), listano nomi di santi che non coincidono bene con le figure dipinte nello spazio della chiesa inferiore. La cripta fu costruita da Gregorio III a imitazione di quella di San Pietro, e il Lzber Ponti/icalis (LP I, 418-419) precisa che i monaci installati dal papa nel convento attiguo alla basilica erano sottratti alla giurisdizione ecclesiastica della chiesa stessa, ma erano incaricati di garantirne l'ufficio ad instar di quello della basilica di San Pietro. Secondo il Ferrari (1957, 94) questo dettaglio spinge a pensare che la comunità monastica dell'VIII secolo fosse già latina; quella esistente nell'XI era secondo ogni verosimiglianza benedettina, come le scene della parete destra fanno ritenere. I nessi tra il convento, la comunità e la basilica titolo cardinalizio sono estremamente poco conosciuti; negli anni che qui ci interessano tuttavia, è palese la presenza forte e continua nel titolo, di personalità di primo piano legate alla Riforma, nel quadro della generale situazione del rione Trastevere, roccaforte della Riforma all'interno della città (Hiils 1977, 264; Claussen c.s.). Se il programma pittorico fu esteso, e in qualche misura anche prolungato nel tempo, è possibile che alla sua realizzazione abbiano giocato volontà convergenti. I responsabili della chiesa e i capi della comunità monastica potrebbero aver avuto un ruolo importante nella fase di avvio del progetto, che andò a toccare la struttura architettonica della chiesa e decorò i suoi luoghi più sacri, in particolare la cripta. L'inizio della decorazione della parete destra - in particolare il pannello con le tre figure - rimonta anch'esso forse a ragioni di devozione interna al sito e alle sue figure emblematiche. La decisione di inserire scene benedettine nel ciclo della parete destra, invece, visualmente contrassegnata e distinta dall'aggressivo sistema di architettura dipinta, sembra un segnale diverso e più forte, che potrebbe più direttamente rimontare a una delle personalità di punta di questi anni, legate al circolo riformatore e ali' ambiente cassinese. Federico di Lorena (cardinale per 26 giorni nel 1057 e poi papa per otto mesi) non è il più plausibile protagonista; il suo successore Stefano (borgognone venuto a Roma con Leone IX, ambasciatore di Ildebrando a Milano contro la Pataria, abate di San Gregorio al Celio dal 1063: Hiils 1977, 169, Somerville 1977) ebbe una più duratura presenza nel titolo cardinalizio, e offre anche la possibilità di un nesso con i dipinti dell'oratorio di Sant'Andrea al Celio, che in alcuni aspetti sono coerenti con quelli di San Crisogono. A partire invece dal 1080, il successore di Stefano, Pietro, cancellarius e bibliotecario papale, passa di colpo alla parte ghibertina, e antipapale resterà il titolo fino agli ultimi anni del secolo, quando viene nominato cardinale il riformato Bernardo (1097). La decisione di abbandonare la vecchia basilica e di costruirne una nuova fu senza dubbio dovuta ali' abbassamento del suolo e ai problemi che ne derivavano; l'ipotesi di una consapevole intenzione di cancellare la memoria di un sito in certo modo contaminato ricostruendolo con un 'immagine completamente rinnovata e 'ortodossa' non è però, con prudenza, da escludere del tutto.

Serena Romano

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8 a. PANNE LLI A MOTIVI ORNAM E N TALI DELLO ZOCCOLO DELL'ABSIDE

ell' emiciclo absidale della basilica inferiore di San Crisogono si conserva, a circa due metri dal piano di calpestio della cripta, un'alta zoccolatura dipinta a finte specchiature marmoree, di cui rimangono sette pannelli frammentari . Il primo da sinistra presenta un riquadro centrale a fondo verde incaston ato all'interno di cornici a rettangoli rossi, collegati da listelli, e cerchi annodati [1] , nel secondo è dispiegato un complesso gioco di quattro dischi a cerchi concentrici ocra rosso e rosa affian cati da altri quattro più piccoli, disposti simmetricamente due per lato, il cosiddetto quincunx, attraversati da diagonali su un fondo a finta breccia verde [2]. Nel terzo pannello è dipinta una specchia tura a fondo rosso chiusa nella parte alta e in basso da una cornice a 'creste d'onda'; all'interno di questo riquadro Mesnard notò la presenza di un grande calice, del quale oggi restano debolissime tracce della parte superiore (Mesnard 1935 , 100, fig. 36) [3]. Nel quarto è un disco porfiretico inscritto in un a losan ga a fondo verde tagliata verticalmente da un cuneo ocra [4], il quinto p annello è spartito diagonalmente in quattro spicchi, du e rossi e due neri decorati da sottili motivi orn amentali bi anchi , e domin ato al centro da un disco di finta lumachella nera [5 ]. Il sesto riquadro p resenta nuovamente una composizione a cinque dischi di finto rosso antico, il quincunx, legati insieme d a un n astro arancio , nel disco centrale è inscritta una ruota raggiata a denti di lupo rossi neri e bianchi [6] , l'ultimo pannello, il settimo, di cui rimane un quarto della superficie originaria, è decorato da una specchiatura rossa chiusa all'interno di una cornice a finta b reccia verde [7]. Tra un pannello e l'altro si alternano cornici sottili ocra e bande decorate con motivi fitomorfici o flore ali.

ate critiche A partire dagli studi di Orazio Marucchi (1907), che per primo si occupò della basilica trasteverina all'indomani della scoperta, awenuta nel 1907 , questa decorazione è stata datata agli anni del pontificato di Gregorio III (731-741 ), in b ase al p asso del Liber Ponti/icalis: «Hic renovavit tectum sancti Chrysogoni martyris et cameram sive parietum picturas» (LP I , 4 18) . Questo passo ha condizionato gran parte degli studi di carattere archeologico e storico-artistico sulla basilica inferiore di San Crisogono che universalmente hanno accettato l' appartenenza delle pitture dell'emiciclo absidale e della cripta alla metà dell 'VIII secolo (Marucchi 1911 , 10-11; Hermanin 1923-1924, 165; Mesnard 1935, 92-98; CBCR 1937, I, 159; Matthiae 1965 [1987], 149-150). Altrove abbiamo suggerito che i dipinti d ell'abside e della cripta appartengano ad un orizzonte pittorico diverso da quello dell'VIII ecolo, partendo da un recente studio di Paolo Liverani nel quale si afferma che l'uso del termine camera nel L iber Ponti/icalis e in altre fonti coeve, fino ad Adriano I (772-795 ), a p roposito di una chiesa, è sempre riferito al soffitto dell'edificio e non ali' abside, come invece ipotizzato da Louis Duchesne (Liverani 2003 , 17 -18, 21; Bordi c.s.) . Queste straordinarie finte tarsie marmoree fu rono inserite nel giro dell'abside, come sostenne Mesnard nel 1935 , per la necessità di os tituire, riproducendole in pittura , le crustae di marmo dell'originaria decorazione ad opus sectile della zoccolatura del V ecolo, che, nell'VIII secolo, dovevano essere in gran parte cadute o danneggiate (Mesnard 1935 , 95-98 ). La zoccolatura marmorea

chiudeva, in basso, la decorazione a mosaico dell'abside , dove forse era rappresentata un'Etimasia , come ha lasciato supporre l'iscrizione: «Sedes celsa d(e)i prae/ ert insigna Chr(istz) quod patris et /ilii creditur unus honor», tramandata nella Sylloge Laureshamensis (ICUR, II 2 , 152, n. 27 ; Mesnard 1935 , 96-98; Buddensieg 1959, 179). Dei sectilia originari è rimasta in opera soltanto la malta di allettamento con elementi fittili, oggi visibile oltre che nell'emiciclo absidale , anche sui muri ovest e nord del battistero della stessa basilica, dove fu inserita, in un secondo momento, sulla malta di preparazione dei sectilia, una decorazione a finte specchiature marmoree oggi quasi perduta ma che sembra omogenea a quella dell'emiciclo (Bordi c.s.). Le specchia ture a finto marmo dell'emiciclo si presentano come un manufatto del tutto atipico. Solo due pannelli su sette - il terzo e il quarto da sinistra [3 , 4 J- sono una citazione fedele di modelli attestati nei sectilia tardo antichi e trovano un facile confronto, ad esempio, nei pannelli che un tempo decoravano il cilindro della cupola di Santa Costanza (Stern 1958, fig. 22 ). I dischi di porfido e lumachella nera [4 , 5] , così come le lastre di breccia verde [2 , 7] , sono incastonate all'interno di cornici, nastri, clipei intrecciati e disegni complessi, con la volontà di creare manufatti originali nei quali il gusto per l'ornamento prevale sulla volontà emulativa del modello antico preesistente. I pannelli conservati si alternano in una successione improntata ad un'estrema variatio, collegati l'uno all'altro attraverso un sistema di cornici a motivi fitomorfici e fasce policrome. Siamo in presenza di una rivisitazione cons apevole ed eccentrica dell 'opus sectile tardoantico , che va letta, a nostro avviso, alla luce di quella 'ripresa antichizzante' che impronta di sé la 'grammatica decorativa ' della pittura a Roma tra XI e XII secolo (Toubert [2001] , 180-187; Gandolfo 1989, 24 ; Bordi c.s. ). Già Matthiae aveva notato come nei pannelli di San Crisogono fossero presenti alcune componenti fondamentali

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del gusto ornamentale dei cosmati, particolarmente evidenti nell'uso ricorrente dei caratteristici motivi ' ad andamento centripeto' tipici dell 'opus sectile pavimentale dei marmorari medio bizantini e romani, pur lasciandoli ancorati all'VIII secolo (Matthiae 1952, 252-253 ). Hiltrud Kier, nel suo studio del 1970 sui mosaici pavimentali medievali, metteva a confronto la decorazione del riquadro del pavimento di San Marco a Venezia (1063 ), corrispondente alla cupola nord del transetto, con uno dei pannelli dell'abside di San Crisogono, avanzando delle perplessità sulla datazione all'VIII secolo (Kier 1970, 28 , 33 nota 1) . Ricordiamo inoltre che il primo pavimento 'cosmatesco' attestato a Roma è quello della cosiddetta 'stanza del bagno ' di Santa Maria in Trastevere, realizzato nel 1073 , durante il cardinalato di Ubaldo, di poco successivo a quello commissionato da Desiderio per la chiesa abbaziale di Montecassino (Claussen 2002 , 243-246). Le specchiature dipinte di San Crisogono si mostrano in sintonia con la decorazione di zoccolature e cornici di contesti dell'XIXII secolo quali Sant'Urbano alla Caffarella (Noreen 1998, 105109), l'oratorio di Santa Pudenziana (--> 31 ), la decorazione del nartece di San Lorenzo fuori le mura, dove si ritrova lo stesso motivo della ruota raggiata a denti di lupo rossi neri e bianchi (BIASA, Racc. Lane., Roma XI.45.III, f. 31 ; --, 25a) o, l'affresco

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con Anania e Safira già in Laterano (--> 26 ), per l'impiego di pattern tratti dai sectilia. Ma soprattutto questa decorazione è coerente ed omogenea alle pitture della parete settentrionale della stessa basilica di San Crisogono, dove la palette dei colori impiegati, che predilige l'uso del verde, dell'ocra, del rosso smaltati e brillati, è identica e le modalità esecutive delle specchiature nella resa dei motivi ornamentali, delineati da sottili pennellate bianche, trova una perfetta corrisponden za nelle lumeggiature usate per caratterizzare i profili delle architetture dei fondi delle storie di san Benedetto e nelle volute dell'unico capitello conservato nel sistema di incorniciatura delle stesse (--> 8f). Pertanto se si accoglie per le pitture dell 'emiciclo absidale una datazione al terzo quarto dell'XI secolo, la loro realizzazione fu la prima tappa, essendo l'area presbiteriale il fulcro della basilica, dei lavori di aggiornamento della veste pittorica dell 'edificio attivati in San Crisogono, intorno agli anni sessanta, per volere del cardinale Federico di Lorena (Brenk 1984b ) o più verosimilmente, come sostiene Serena Romano, del suo successore il cardinale Stefano (1057-1069;--, 8f).

Interventi conservativi e restauri (- 8g)

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Documentazione visiva Fotografie (1909), ICCD: C3581-C3585.

Bibliografia Marucchi 1907, 237-240; Marucchi 1911, 10-11; Hermanin

1923-1924 , 165 ; Mancini 1923-1924, 156, 158; Mesnard 1935 , 93-98; Matthiae 1952, 252-253; Matthiae 1965 [1987] , 149-150; Kier 1970, 28, 33 nota l ; Asemakopoulou-Atzaka 1980, 155; Andaloro 1987a, 271-272; Bauer 2004, 124-127; GuigliaGuidobaldi 2005 , 57; Bordi c.s. Giulia Bordi

.. 8b. FIGURE DI SANTI TRA COLONNE TORTILI NEL CORRIDOIO DELLA CRIPTA E DELLA CONFESSIO

Nella cripta semianulare, sulla parete lunga del corridoio centrale, si conservano due pannelli nei quali sono rappresentati tre santi [1]. Nel primo pannello le figure sono ritratte di tre quarti in atteggiamento interlocutorio reciproco , il santo di sinistra indossa una veste ocra e un manto rosso fermato sulla spalla da una fibula gemmata [2 , 3 J, i piedi calzati da campagi; quello di destra una veste bianca con lunghi clavi neri decorati da un pattern a zig-zag e un manto rosso, sandali ai piedi [3]; i lineamenti del volto sono oggi pressoché scomparsi e sono meglio leggibili nelle foto ICCD del 1909 qui pubblicate [2, 3, 4]. Nel secondo è una santa in posa frontale [1, 4], in veste arancione con due lunghi segmenta gemmati che partono dall'ampio scollo rosso, anch'esso gemmato, ed una sopraveste bianca decorata con piccole stelle che copre anche il capo; nella destra velata tiene una corona, ai piedi calza delle pantofole rosse, il volto è oggi velato da efflorescenze saline. L'identità dei tre santi è ignota, non essendovi alcuna iscrizione o attributo distintivo; all'indomani della scoperta Marucchi propose di riconoscervi il santo eponimo della basilica, Crisogono, accompagnato da san Rufiniano e sant' Anastasia (Marucchi 1911 , 11-12) , e la sua proposta è stata generalmente accettata. I due pannelli del corridoio sono inseriti all 'interno di u.n partito architettonico a colonne tortili sormontate, in origine, da un architrave modanato, di cui oggi si conservano soltanto alcuni frammenti della cornice ad ovoli, in corrispondenza della santa. Sulla parete di fondo , ai lati della /enestella, restano tracce della

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parte inferiore di altre due figure stanti [5], una maschile e l'altra femminile, oggi poco leggibili ma ricostruibili con l'aiuto della foto acquerellata Wilpert-Tabanelli (Wilpert 1916, IV, tav. 177,3) [6]. La prima figura veste una tunica bianca con clavi neri e un manto ocra, ai piedi calza dei sandali; la seconda indossa una tunica ocra e rosa e una sopravveste bianca con motivi ornamentali rossi. In corrispondenza dei piedi della figura maschile si conservano tracce di un'enigmatica iscrizione dipinta (Iscr. 1).

Iscrizioni 1 - Iscrizione identificativa disposta tra le gambe del personaggio, priva di spazio grafico di corredo, allineata su una riga orizzontale, secondo un andamento rettilineo irregolare. Lettere nere su fondo ocra. Lacunosa e abrasa. Scrittura capitale.

Trascrizione da esame autoptico e dalla foto acquerellata WilpertTabanelli (Wilpert 1916, IV, tav. 177 , 3). (S. Rie.)

Note critiche I pannelli della cripta, come la decorazione a finte tarsie marmoree dell'emiciclo absidale (--> 8a), sono stati riferiti da tutta la storiografia

del XX secolo ai lavori intrapresi da Gregorio III (731-741 ) nella basilica di San Crisogono, ricordati dal Lzber Ponti/icalis (LP I, 418). Il pontefice, secondo la ricostruzione di Apollonj Ghetti, fece inserire nell'area presbiteriale una cripta anulare composta da un ambulacro definito dalla curvatura dell'abside preesistente e dai due muri mediani smussati in tondo che formano , al centro, un corridoio dritto che conduce, attraverso una/enestella, al vano delle reliquie. Sopra la cripta fu creato un presbiterio rialzato ai lati del quale furono inseriti i due passaggi laterali alla zona sottostante (Apollonj Ghetti 1966, 39-58). Gli studi di Marucchi e Mesnard, per primi, fino al recente contributo di Bauer, hanno considerato un binomio inscindibile la costruzione della cripta e la sua decorazione, senza chiamare in causa alcuna valutazione di ordine stilistico (Marucchi 1911, 10-13; Mesnard 1935, 99-108; Bauer 2004, 124-127). L'esistenza di una sostanziale difformità tra i busti clipeati di Felicissimo, Agapito e Sisto II, ritratti sulla parete meridionale della navata, di sicura committenza gregoriana (Melograni 1990, 161-178), e le figure della cripta, fu rilevata da Guglielmo Matthiae e Maria Andaloro (Matthiae 1965 [1987], 150, fig. 119; Andaloro 1987a, 271 -272 ) e di recente riconsiderata da chi scrive, con la proposta di una posticipazione dei dipinti al terzo quarto dell 'XI secolo (Bordi c.s. ). I santi rappresentati nella cripta si distaccano totalmente, a nostro avviso, dal linguaggio espressivo dell'VIII secolo, e rivelano invece forti affinità con le figure ritratte nelle storie di san Benedetto della parete settentrionale della stessa basilica di San Crisogono (---> 8f). Esse mostrano lo stesso modulo allungato della figura, le vesti hanno analoghi panneggi articolati con angolature marcate, soprattutto in corrispondenza delle ginocchia, ed anche nei santi della cripta il largo impiego di lumeggiature conferisce monumentalità plastica alle figure . I volti, come notava Matthiae, sono costruiti da ombre verdi e rosate, con un impasto di toni piuttosto ricercato dato per

velature (Matthiae 1965 [1987] , 150). Il viso della cosiddetta sant'Anastasia, nella resa dei caratteri fisionomici, quali il taglio degli occhi, la semplificazione a 'V' delle narici, le labbra piccole e strette, appartiene allo stesso orizzonte figurativo delle storie di san Benedetto nella navata [4]. Nell'acconciatura e nell'abito della santa abbiamo rilevato, inoltre, alcune caratteristiche che trovano confronti stringenti con la mise di sante e donatrici dell'XI secolo: il capo coperto dal velo, come la santa Giuliana di Santa Maria in Via Lata e la donatrice di Santa Balbina (---> 1, 9a); gli orecchini 'a bottone', come la SlU}ta Caterina della cappella H9 di San Lorenzo fuori le mura e la donatrice del battistero di San Clemente (---> 2, 7); la presenza sulla veste di due lunghi segmenta gemmati che partono dallo scollo, anch 'esso gemmato, analoghi a quelli della santa Caterina della parete ovest della stessa chiesa inferiore di San Crisogono (---> 8f). Anche il sistema di inquadratura architettonica dei pannelli della cripta a colonne tortili, capitelli e mensole prospettiche è omogeneo, a nostro avviso, a quello della decorazione pittorica della parete settentrionale [1]. L'andamento spiraliforme e scanalato delle colonne è costruito nella cripta dal gioco chiaroscurale dato dall'alternanza di larghe pennellate marroni e bianche, puntuale nella prima e nella seconda, più incerto e corsivo nella terza. Una stringente affinità si riscontra con le colonne della zona est della parete settentrionale, con i pannelli della città turrita e di San Silvestro e il drago, dove le colonne si stagliano analogamente su una banda rossa orlata da una sottile riga bianca, e presentano la medesima alternanza di pennellate chiare e scure, come nelle colonne delle scene di san Benedetto (Bordi c.s.). Nei pannelli della cripta il recupero del motivo decorativo della finta architettura aggettante trabeata è connotato dagli stessi intenti 'archeologici' di renouveau paléochrétien chiamati in gioco nella decorazione della parete settentrionale (Toubert 1970 [2001] , 180187; Brenk 1984b, 227-234; Romano 2000, 141-145), ed è adottato

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anche qui come elemento iconografico significativo, funzionale a dare dignità e legittimazione agli exempla di santità rappresentati. Nel primÒ.pannello le due figure maschili non sono iconiche, ma rappresentate di tre quarti in atteggiamento interlocutorio reciproco, mentre la santa è isolata, in posa frontale, all'interno di un riquadro a sé stante [1]. Sembra dunque proporsi il binomio 'episodio agiografico esemplare/ figura iconica', già riscontrato da Eleonora Mazzocchi sulla parete settentrionale della stessa basilica, dove si dispiegano cicli narrativi abbreviati attraverso un'attenta selezione delle scene ed episodi agiografici esemplari ai quali sono affiancati pannelli votivi ed iconici, come la scena di San Silvestro e il drago e il pannello con santa Caterina (Mazzocchi 2001, 54-56; Bordi c.s. ). Questo stesso sistema lo ritroviamo applicato anche in altri contesti pittorici romani dell'XI secolo come la parete di fondo della navata sud di San Clemente (prima metà del secolo), dove, distribuiti su due registri, sono dipinti episodi agiografici esemplari e coppie iconiche di santi o il registro inferiore della parete nord di Sant'Urbano alla Caffarella, con la scena dell'angelo che incorona i martiri Cecilia e Valeriano affiancata al pannello con figure di santi in posa stante (Wilpert 1916, IV, tav. 217; Id. , II, fig. 486; Bordi c.s.).

Interventi conservativi e restauri (---> 8g) Documentazione visiva Fotografie (1909), ICCD: C3576-C3580 ; Wilpert 1916, IV, tavv. 173 e 177, 3 . "

Bibliografia Marucchi 1911 , 10-13 ; Hermanin 1923-1924, 165 ; Mancini 19231924, 150; Muratov 1928, 84; Mesnard 1935, 93-98; Matthiae

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1965 [1987], 149-150; Apollonj Ghetti 1966, 59-60; Andaloro 1987a, 271-272; Buchowiecki 1997, 393; Bauer 2001, 107; Bauer 2004, 124-127; Bordi c.s.

Giulia Bordi

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8c. PANNELLI A MOTIVI ORNAMENTALI SUL MURETTO DELLA RECINZIONE PRESBITERIALE

Sul muretto meridionale di recinzione del presbiterio, al quale è addossato un altare a blocco, si conserva una decorazione a rotae concentriche [1]. Le rotae sono tre, disposte su un fondo rosso chiuso da una cornice ocra; ognuna di esse presenta al suo interno tre dischi concentrici, due bianchi ed uno rosso, al centro dei quali

è dipinta una piccola croce. Tra il primo e il secondo cerchio, su fondo verde, è una decorazione a nastro grigia, tra il secondo e il terzo a palmette ocra. Lo spazio tra rata e rata è riempito da semi dischi a banda verde e grigia alternata sui quali s'innesta un giglio metà grigio e metà verde.

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Note critiche La costruzione del muretto e la sua decorazione sono state riferite da Mesnard e Apollonj Ghetti alla campagna intrapresa da Gregorio III (7 31-741; Mesnard 193 5 , 68-69; Apollonj Ghetti 1966, 57-58), ma di recente Eleonora Mazzocchi ha posticipato la datazione dei dipinti all'XI secolo, rilevando in questi ultimi l'impiego della stessa tavolozza fatta di «colori squillanti» presente nelle storie agiografiche della parete settentrionale (-t 8f; Mazzocchi c.s.). La decorazione a rotae del muretto si distacca in effetti da quella conservata sugli altri setti murari presenti nella basilica - in special modo nel versante settentrionale, che conservano una decorazione a velari dipinti, omogenea a quella di VIII secolo, ancora visibile nella zoccolatura delle pareti sud e nord - mentre risulta coerente con il linguaggio decorativo che caratterizza i pannelli a finti marmi dell'emiciclo absidale (-t 8a).

Come si può vedere nei partiti decorativi della volta dell'oratorio mariano di Santa Pudenziana (-t 30) e nei dipinti staccati di Magliano Romano (Parlato-Romano 1992 [2001], 322-323 ), nonché nei perduti dipinti del nartece di San Lorenzo fuori le mura (-t 25a), l'uso del pattern a rotae policrome dovette avere fortuna tra la fine dell'XI e la prima metà del XII secolo nella decorM:ione di zoccolature e partiti ornamentali; la cronologia al terzo quarto dell'XI secolo ne risulta quindi plausibile.

Interventi conservativi e restauri (-t 8g) Bibliografia Mesnard 1935 , 68-69; Apollonj Ghetti 1966, 57-58; Mazzocchi c.s.

Giulia Bordi

8d. PANNELLO DI ROMANUS SULLA PARETE DESTRA DELLA NAVATA

La porzione di intonaco dipinto oggi visibile occupa il segmento della parete prossimo al punto di separazione segnato dal setto della navata e lo oltrepassa di qualche centimetro; si estende per circa 2 metri e 10 di larghezza sulla parte alta della parete, quasi subito rotta dall'innesto delle sostruzioni della chiesa superiore. Il frammento conservato mostra un campo color ocra a disegni neri - fingente un gradino marmoreo o un tappeto, meno probabilmente una fascia di terreno - nella cui parte centrale appare una figura di donatore laico, con corta veste, /asciae a strisce, e calzari neri [1]. La metà inferiore del corpo oltrepassa

..

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il bordo rosso della scena e si staglia sul fondo bianco, abbracciando il piede di una figura oggi troncata, che poteva essere assisa in trono o più probabilmente stante; alla sinistra di questa sembra di intravedere i piedi di una seconda figura. Accanto al donatore, sulla destra, corre un'iscrizione (Iscr. 1).

Iscrizioni 1 - Iscrizione identificativa disposta a destra della figura del donatore laico, priva di uno spazio grafico di corredo, allineata

su una riga orizzontale, secondo un andamento rettilineo irregolare. Lettere nere su fondo bianco (le lettere NE, legate in nesso, sono realizzate in nero su fondo rosso, su una riga superiore). Integra. Scrittura capitale. Romanus nepofe de mica

Munoz 1914b, 42: Roma [- - -] sposede mica; Wilpert 1916, II, 1018-1019; zbidem, IV, tav. 176 e Hermanin 1923-24, 165: Romanus f PP de mica aurea; Mazzocchi 2001 , 45-46, nota 14: nepote. La trascrizione proposta da Mazzocchi (nepote) è stata confermata dall'esame autoptico. La O di nepote è, infatti, eseguita con un cerchio esatto sopra il rigo di scrittura e non vi sono chiari segni grafici che individuino la presenza dell'asta verticale di una seconda P, letta dai precedenti editori. Inoltre, se si fosse trattato di quest'ultima lettera, l'occhiello si sarebbe presentato in forme compresse lateralmente (come appare nell 'unica P visibile). Il principio della parola: NE, fu dunque vergato sulla riga superiore per ovviare alla sua errata omissione, dovuta probabilmente anche all'eccessiva spaziatura tra la V e la 5 di Romanus. Non si ravvisano segni grafici che lascino ipotizzare la continuazione del testo con aurea come suggerito da Wilpert e Hermanin. (5 R ie.)

Note critiche L'angolo destro dell'intonaco sopravvissuto si sovrappone al bordo sinistro del pannello subito accanto, in cui appare la parte inferiore di tre figure (-> 8e), con una spianatura sottile che sembra aver voluto mascherare la sovrapposizione. Sembra per conseguenza plausibile che l'aggiunta del pannello di Romanus sia avvenuta in momento molto vicino all'esecuzione del pannello a destra, a sua volta stilisticamente solidale al ciclo di storie (-> 8f); e naturalmente

entro l'inizio del XII secolo, quando la chiesa superiore, consacrata nel 1123, tagliò la parete dipinta di quella inferiore. Pochissimo naturalmente si può dire sul frammento conservato. I colori delle incorniciature sono vicini a quelli del pannello seguente, e i motivi decorativi della fascia di terreno sono gli stessi dei dipinti della cripta (-> 8b). La scrittura della figura di Romanus è molto sciolta, e i dettagli dell'abbigliamento laico del committente sono piacevoli, rari da risçontrare nella più 'ufficiale' pittura contemporanea romana. È palese la diversità di mano rispetto ai dipinti che seguono sulla parete, e diverso è anche il carattere dell'iscrizione. L'ipotesi che Romanus fosse un praepositus di una chiesa di Mica Aurea, dunque della regione di Trastevere compresa fra Santa Cecilia e il Tevere, non regge alla nuova lettura dell 'iscrizione. Egli potrebbe esser stato qualcuno apparentato ad un responsabile della chiesa di San Crisogono ('nipote') e avere per questo offerto un pannello dipinto alla basilica, in cui appariva ritratto , probabilmente ai piedi di uno o più santi. L'indicazione «de mica» non esclude il riferimento alla zona di Mica Aurea.

Interventi conservativi e restauri(-> 8g) Documentazione visiva Fotografia (1914 ca. ), ICCD: C 7029; Wilpert 1916, IV, tav. 176, l ; campagna fotografica eseguita dalla SBAAS di Roma nel 19781979 in occasione del restauro.

Bibliografia Munoz 1914b, 42; Marucchi 1915 , 64 ; Wilpert 1916, IV, 176; Hermanin 1923-1924, 165; Mesnard 1935 , 116; Piccolini 1953, 84; Buchowiecki 1997, 394; Mazzocchi 2001 , 45-46, nota 14 . Serena Romano

8e. TRE FIGURE DI SANTI SULLA PARETE DESTRA DELLA NAVATA

Il frammento dipinto lascia vedere la parte inferiore di tre figure

Iscrizioni

frontali; quella di sinistra in veste bianco-azzurra, sopravveste giallo-ocra con fasce ornate di perle e scarpe rosse; la centrale in tunica e veste bianco-azzurra, manto bianco e sandali neri, quella di destra in veste ocra e manto bruno, con scarpe chiare [1]. L'identificazione delle figure come i santi Crisogono, Lorenzo e Stefano, o addirittura come Cipriano, Lorenzo e Stefano (Piccolini 1953 ; Mazzocchi 2001 ) è contraddetta dal fatto - osservato solo da Wilpert (1916, II, 1017 ) - che la figura a sinistra non può che essere una donna, come lo svolazzo della veste e la decorazione a motivi di perle fanno ben pensare. Wilpert proponeva Agata o Agnese, leggendo la seconda lettera dell'iscrizione (Iscr. 1) come una G; sciogliere le altre due scritte User. 2-3 ) come Laurentius e Stephanus non è impossibile. Tuttavia, se il primo è verosimilmente vestito all'antica, il secondo ha una veste medievale: Wilpert vi riconosceva santo Stefano papa, così sciogliendo la lettera A che appare tra i piedi della figura . Questo significherebbe che i due santi non sono Lorenzo e Stefano martiri, cui il convento era intitolato sin dall'epoca di Gregorio III (731-741); o che la rappresentazione di Stefano ha equivocato tra il martire e il papa romano del III secolo.

1 - Iscrizione identificativa disposta a destra della prima figura, all 'altezza della veste e fino ai piedi, priva di spazio grafico di corredo, allineata in origine secondo un andamento verticale. Lettere bianche su fondo ocra. Lacunosa. Scrittura capitale. S(anct-) I

ç

Trascrizione da esame autoptico, dalla foto acquerellata WilpertTabanelli (Wilpert 1916, IV, tav. 176) e dalla foto ICCD C7028. Wilpert 1916, II, 1017: s I AG. 2 - Iscrizione identificativa disposta a destra della seconda figura, all'altezza della veste e fino ai piedi, priva di spazio grafico di corredo, allineata in origine su quattro righe secondo un andamento verticale. Lettere bianche su fondo ocra. Lacunosa. Scrittura capitale. S(anctus) I [+?+] I [+?+]/ µ~

Trascrizione da esame autoptico, dalla foto acquerellata WilpertTabanelli (Wilpert 1916, IV, tav. 176) e dalla foto ICCD C7028.

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3 - Iscrizione identificativa disposta a sinistra della terza figura , all' altezza della veste e fino ai piedi, priva di spazio grafico di corredo, allineata in origine su quattro righe verticali secondo un andamento rettilineo. Lettere bianche su fondo ocra. Mutila. Scrittura capitale.

architettura dipinta. Bisogna notare che il pannello si trova in un segmento della p arete che oltrepassa il setto murario ancora esistente, al di là del quale cominciano le storie benedettine. Esso potrebbe dunque aver fatto parte della stessa fase del programma decorativo, ma non rispondere agli stessi modelli che furono scelti per il gruppo delle storie di san Benedetto e altri santi.

S(anctus) I $t~l[pha]/nµ[s] p(apa)

Trascrizione da esame autoptico e in base a Wilpert 1916, II, 1017; ibidem, IV, tav. 176; foto ICCD C7028 . Riga 3, Wilpert 1916, II, 1017: [fa] per [pha]. (S. Rie.)

Note critiche Il pannello è di poco anteriore ali' esecuzione dell'altro adiacente con il committente Romanus, che si sovrappone a questo sul bordo sinistro con una spianatura sottile. È stilisticamente compatibile con il ciclo che segue sulla parete, come si vede dai dettagli dell'esecuzione dei piedi. I colori e il sistema di incorniciatura sembrano però distinti da quelli del ciclo, e non si vede traccia di

Interventi conservativi e restauri(---> 8g) Documentazione visiva Fotografia (19 14 ca.), ICCD: C7028; Wilpert 1916, IV, tav. 176, 1; campagna fotografi ca eseguita dalla SBAAS nel 1978-1979 in occasione del restauro.

Bibliografia Wilpert 1916, II, 1017; Mesnard 1935 , 113-114; Piccolini 1953 , 84;Mazzocchi2001 , 42 . Serena R omano

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8f. STORIE DI SAN BENEDETTO E ALTRI SANTI SULLA PARETE DESTRA DELLA NAVATA

Definiamo 'ciclo di storie di santi' l'insieme di scene e frammenti dipinti sulla parete destra , inclusi in un sistema decorativo ad architetture dipinte che appare destinato ad omogeneizzare l'insieme dei riquadri narrativi e degli elementi ornamentali. La griglia architettonica dipinta è formata da colonne tortili, pilastri strigilati, capitelli e architravi a ovoli, e divide le scene in due registri sovrapposti, il più alto dei quali quasi subito tagliato dal livello della chiesa superiore [1]. In basso, invece, in una situazione muraria alquanto accidentata, si vede al di sotto delle scene un apparecchio decorativo costituito da un velario , altomedievale, che fu molto probabilmente recuperato e riusato, per omogeneizzare la parete sul modello di quella di fronte , coperta da dipinti e dal velario altomedievali; all'altezza della rottura sopra menzionata, tuttavia, si vede un resto di un velario diverso da quello altomedievale, a pieghe morbide e ricche, forse frutto di un rappezzo o di un intervento più tardo. Questo frammento si sovrappone in basso ad un altro resto del velario altomedievale. Si noti che il riuso di quest'ultimo, per quanto probabile , resta un'ipotesi, perché in nessun punto della decorazione sopravvissuta esso si connette in maniera certa con l'intonaco della serie narrativa. Più lontano, progredendo verso l'ingresso di controfacciata e in corrispondenza dell 'ultimo frammento di scena conservata nel registro inferiore, nella fascia bassa appare un 'ulteriore soluzione decorativa: alla stessa altezza del velario, e verosimilmente in alternativa ad esso, si vede un pannello rettangolare di colore nero, sul quale è campita una figura di guerriero, le cui gambe sbordano, rapidamente disegnate in color ocra, al disotto del campo nero; la figura ha testa rotonda e capelli ricciuti con tocchi di colore, e con la spada sguainata arriva a sfiorare l' architettura dipinta che borda il frammento di scena soprastante [2]. Altri più piccoli resti di intonaco nero si apprezzano anche più lontano sulla parete. La griglia architettonica dipinta ha inizio ali' altezza del frammento del velario 'ricco' , poco dopo il setto che spartisce la lunghezza della navata senza interromperne, come è noto, lo spazio in navate ma segnando comunque un 'interpunzione necessaria per ragioni liturgiche. La coincidenza non è perfetta: bisogna dunque pensare che l'inizio del ciclo non dipendesse strettamente dall'esistenza del setto, oppure che a sinistra della prima colonna dipinta possa essere esistita un'ulteriore fascia di incorniciatura, oggi perduta. Non molto è conservato del complesso narrativo originario, e ciò che sopravvive non è sufficiente a far comprendere quale fosse esattamente la natura del programma decorativo, e quale la sua importanza precisa nella fase di vita della chiesa e del monastero nel corso dell 'XI secolo . Con una parete a disposizione lunga circa venticinque metri (CBCR 193 7, I , 144164), se il ciclo partiva dal punto attualmente visibile e arrivava fino alla controfacciata, il doppio registro poteva comprendere anche una ventina di scene. Tuttavia, i resti affrescati si arrestano a circa metà della navata, e prima di terminare fanno intuire una situazione piuttosto caotica e incoerente, forse un programma rapidamente concluso in modo dapprima imprevisto , o forse anche un'interruzione a mezza strada. Ciò che è conservato è quanto segue. Registro superiore: è quasi totalmente distrutto perché tagliato dalla costruzione della chiesa superiore. 1) Della scena soprastante il Miracolo di san Mauro si è salvato solo un frammento di una gamba. La storia dava forse l'avvio a tutto il ciclo. 2) Proseguendo verso la controfacciata, il frammento del Miracolo di san Pantaleone

che guarisce il cieco User. 1-2) di cui si vedono i piedi del santo e del cieco e, nell'angolo sinistro, il piede di un'altra figura ancora, verosimilmente un astante [3 JLa scena ancora adiacente conserva i piedi di due personaggi e delle lettere User. 3) che fanno pensare che il persQnaggio così indicato si chiamasse Mathias; non sembra essere contrassegnato quale santo, ma è logico pensare all'apostolo Mattia [4]. Null'altro è sopravvissuto di questo registro; forse era tutto dedicato a storie e miracoli di santi. Registro inferiore: 1) Al di sotto del primo frammento sopradescritto, la prima storia a sinistra è il Miracolo di san Mauro che su ispirazione di san Benedetto salva dalle acque il piccolo san Placido User. 4-5) [5]. La soluzione compositiva è vicina a quella adottata nel Lezionario cassinese Vat. lat. 1202 (che la illustra due volte, una nella Vita di san Benedetto e l'altra in quella di Mauro, ff. 31 e 120), dove il personaggio di Mauro è duplicato nelle due fasi consecutive del miracolo (San Benedetto ordina a Mauro di andare a salvare Placido, e il vero e proprio Salvataggio). Nell'affresco, la figura appare una volta sola; il personaggio frammentario alla sinistra di san Benedetto è infatti probabilmente un frate astante. Rispetto al codice variano anche i colori delle vesti: nell'affresco, Benedetto ha una cappa quasi rossa e una sottoveste bianca, Mauro una cappa bruna e la veste bianca, laddove nel codice Benedetto ha veste grigia e cappa blu, e Mauro (e Placido) veste blu e cappa grigia. Nell ' affresco Mauro è tonsurato [6]; Benedetto mostra il libro della Regola. Si noti l'incisione dell 'intonaco nella figura di Mauro, una lunga linea che segna la gamba della figura . 2) Miracolo di san Benedetto che guarisce il lebbroso [7]. La composizione è molto vicina al Lezionario 1202, f. 63 (dove è illustrata in due tempi); san Benedetto ha il nome inscritto User. 6) , come anche il Lebbroso User. 7) mentre la figura oggi frammentaria all'estrè-ma destra dell'affresco User. 8) non ha paralleli nel testo dei Dialoghi né nelle illustrazioni del Lezionario 1202. 3) Il frammento seguente è di difficile interpretazione. Si vede una città fortificata, con un grande portale semiaperto; all 'interno, resta riconoscibile una colonna tortile, e altri frammenti somiglianti a tessuti drappeggiati in colore grigio-azzurro, che potrebbero anche alludere a elem~nti di paesaggio come montagne o acque [8]. Un possibile parallelo potrebbe essere il f. 79 del Lezionario, dove san Benedetto ha la visione dell'anima del vescovo Germano di Capua che vola al cielo. Brenk (1987, 56) sottolinea le tangenze di questa visione con l'altra, in cui Benedetto vede l'anima di santa Scolastica ascendere al cielo . Identificare questa scena nel ciclo di San Crisogono significherebbe riconoscere negli affreschi la stessa triade di personaggi - Benedetto, Mauro, Scolastica - che ispirano le tre feste di Montecassino e sono la ragion d'essere del Lezionario: il nesso cassinese del ciclo ne sarebbe dunque rafforzato. In questa ipotesi il frammento successivo [9], che mostra un altro pezzo di muro simile al precedente, sarebbe da vedere come la torre, o l'edificio, da cui Benedetto vede la scena. Un'altra proposta di lettura (Mazzocchi 2006 c.s.) vede nella città la rappresentazione di Montecassino pagana e piena di idoli, in cui Benedetto arriva, pregando e distruggendo le statue pagane. L'episodio è nel Lezionario 1202 (ff. 39v, 40r) ma non vi è illustrato; l'ipotesi è intrigante, ma perplessità nascono sia a proposito dell'identificazione di Montecassino nella città fortificata, che non ha precedenti, e anche per l'identificazione delle linee curve e ' drappeggiate' come la tunica di Benedetto, negli affreschi adiacenti sempre di altri colori e in questo caso assolutamente

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fuori misura rispetto alle dimensioni della città. Altro dettaglio da sottolineare è che questa scena e la successiva sono incorniciate da un sistema di fregi e di architetture dipinte diverso dai precedenti, su fondo rosso e con fregi più corsivi; lo stesso tipo di colonna tortile è nei dipinti della cripta e nel frammento accanto al san Silvestro che uccide il drago. 4) Frammento di architettura con un elemento cupoliforme e una decorazione simile a un legno intagliato, che potrebbe far pensare a un trono o ad uno stallo (cfr. punto precedente) [9]. Al di sotto di questo frammento si stende il pannello di intonaco nero , con la figura di guerriero raffigurata come fosse 'coperta' dallo strato nero [2]: emerge una parte della testa ricciuta , con tocchi di colore, la punta della spada che quasi si appoggia ali ' architettura soprastante, e - al di sotto - le gambe, disegnate con un semplice tratto rosso-ocra come fosse una sinopia; il pannello nero è situato all 'incirca ali' altezza del velario altomedievale e forse lo rimpiazza. Altri frammenti di intonaco nero sono sul tratto di parete che segue, prima di arrivare al frammento con il san Silvestro; il sistema di partizione della parete appare quindi probabilmente variato rispetto a quello che inquadra le scene benedettine. 5) Dopo una lacuna di circa quattro metri si vedono infine i due frammenti del san Silvestro che uccide il drago [10]. Sulla sinistra, ancora un resto di colonna tortile; sulla destra, invece, un pezzo di incorniciatura a semplice fascia rossa lo separa da una figura di santa Caterina riconosciuta dalla Mazzocchi (2001) che ne ha letto la scritta (Iscr. 9). tavanzo di colonna tortile fa supporre che si sia voluto mantenere il motivo del finto spazio architettonico evidente nelle scene meglio conservate, ma in un rapporto dimensionale probabilmente variato .

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Iscrizioni 1 - Iscrizione identificativa disposta a destra di san Pantaleone, all'altezza delle caviglie, priva di spazio grafico di corredo, allineata su cinque righe verticali, secondo un andamento rettilineo irregolare. Lettere bianche su fondo marrone. Integra. Scrittura capitale.

S(anctus) I Pan/ta/Jei/mon 2 - Iscrizione identificativa disposta sotto il piede destro del cieco, priva di spazio grafico di corredo, allineata su una riga orizzontale, secondo un andamento rettilineo irregolare. Lettere bianche su fondo marrone. Integra. Scrittura capitale.

Cecus 3 - Iscrizione identificativa disposta sotto la figura stante, priva di spazio grafico di corredo, allineata su tre (?) righe orizzontali secondo un andamento rettilineo irregolare. Lettere bianche su fondo ocra. Mutila. Scrittura capitale.

Ma/thi/[as] 4 - Iscrizione identificativa disposta ai piedi del santo, priva di spazio grafico di corredo, allineata su quattro righe verticali, secondo un andamento rettilineo irregolare. Lettere bianche su fondo blu. Mutila e coperta da sali carbonati. Scrittura capitale.

B[e]In[e]/çfic/tus

3

2

7 - Iscrizione segnaletica disposta tra le gambe del lebbroso, priva di spazio grafico di corredo, allineata su due righe orizzontali, secondo un andamento rettilineo irregolare. Lettere bianche su fondo ocra. Integra. Scrittura capitale.

Leprlosus 8 - Iscrizione segnaletica disposta tra le gambe di una figura stante, priva di spazio grafico di corredo , allineata su cinque righe orizzontali e verticali, secondo un andamento rettilineo irregolare. Lettere bianche su fondo blu. Mutila. Scrittura capitale.

p I mo/nj/s+l çus Wilpert 1916, II, 1016: M(o)l d(e)/s(tz)/nus

.

9 - Iscrizione identificativa disposta nella cornice a sinistra e sotto la figura della santa, allineata su quattro righe verticali e orizzontali, secondo un andamento rettilineo irregolare. Lettere bianche su fondo ocra. Mutila. Scrittura capitale. S(an)/c(t)/a I Caterj[na] (5.

4

Rie.)

5 - Iscrizione identificativa disposta a destra della figura di Placido,

Note critiche

nella cornice della scena , allineata su sette (?) righe verticali, secondo un andamento rettilineo irregolare. Lettere bianche su fondo blu . Lacunosa. Scrittura capitale.

Sotto il profilo stilistico, sotto quello iconografico, e anche dal punto di vista della topografia e della cronologia della Riforma a Roma, il ciclo di San Crisogono ha un'importanza capitale. La datazione al secolo XI era stata proposta dal Toesca già nel 1913 ; ma si deve a Brenk (1984b) di aver decisamente cancellato la cronologia al X secolo assegnata dall'epoca dello scavo della chiesa inferiore e dello scoprimento degli affreschi; nonché di aver con precisione indicato i nessi iconografici e stilistici con l'ambiente cassinese e in particolare con il Lezionario 1202. Più recentemente l'idea del ciclo quale ciclo 'benedettino' è stata alquanto limitata (Mazzocchi 2001), mettendo in luce la forte presenza di storie di altri santi-Pantaleone, Silvestro - e della figura di santa Caterina, che interverrebbe per di più a modificare lo stesso impianto delle storie inserite nel dispositivo

P!Ila/[ e]/[i]/[d]/[u]/[s]

6 - Iscrizione identificativa disposta a destra (in basso) della figura di san Benedetto , in origine allineata (probabilmente) su dieci righe verticali, delle quali solo due sono ora visibili, secondo un andamento rettilineo irregolare. Lettere bianche su fondo verde e ocra. Frammentaria. Scrittura capitale. [E]/[e]/[n ]/ e/ d/[i]/[e]/[t]/[u]/[sJ

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7

di finta architettura, imitazione dei modelli basilicali paleocristiani di Roma. L'importanza dell'elemento benedettino rimane tuttavia molto rilevante. Le storie di Mauro e di Benedetto, infatti, precoci come appaiono essere anche in rapporto alla datazione del Lezionario 1202 (1071 ), introducono nel programma temi di grandissima rilevanza. Quella del Salvata?,g,io di Placzdo si impernia sulla questione della 'cieca' obbedienza monastica, ma anche del reclutamento dei novizi nel bacino della buona società locale: i giovanissimi novizi saranno al sicuro nel monastero, sotto la protezione di sani3enedetto. La presenza di Mauro, inoltre, è importante: egli era conteso tra Montecassino e i monasteri francesi (Romano c.s. (b ), ma sia il ciclo di San Crisogono che il Lezionario 1202 ne riaffermano l'assoluta pertinenza al contesto italiano, nel quadro della rivalorizzazione dei

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primordi b enedettini che è uno dei temi-chiave delle prime fasi della Riforma (EnckellJulliard c.s.). La forte somiglianza iconografica tra le scene romane e quelle del Lezionario cassinese attesta una strettissin1a relazione, e forse una comune derivazione da un modello non noto. L'identificazione della scena con la città fortificata rimane assai incerta a causa dello stato del dipinto. La presenza di storie dedicate ad altri santi è peraltro molto rilevante nel ciclo, un dato , questo, che richiama altri casi pittorici romani a cominciare da quello della Caffarella. È possibile che tutto il registro superiore fosse dedicato a temi non specificamente benedettini: tuttavia la scena del Miracolo di san Pantaleone vi riveste un marcato interesse, perché Pantaleone è santo sconosciuto a Roma, mentre compare a Sant'Angelo in Formis in un contesto che la Toubert (1990) ha

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legato a Pantaleone d'Amalfi, il ricco mercante che dona porte bronzee ad Amalfi, al Monte Gargano, e soprattutto nel 1070 a San Paolo fuori le mura con dedica a Ildebrando; laddove il padre, Mauro, nel 1066 ne dona altre a Montecassino, dove nel '67 diventa monaco. Le coincidenze onomastiche e agiografiche sono probabilmente degne di attenzione. Troppo mutila la scena di Mattia, invece si deve almeno ricordare che si tratta di una presenza agiografica rara, ma che questo ultimo apostolo è il simbolo della 'chiamata' - non stonerebbe quindi accanto ai temi della vocazione monastica - e che papa Leone IX gli era molto devoto, avendone portato con séle reliquie da Treviri (Brakel 1972, 262). Inequivocabile infine è il senso pontificio e apotropaico della scena di san Silvestro e il drago, che appare anche all'Immacolata di Ceri.

Sia per l'uso delle finte architetture dipinte, che per i soggetti benedettini di almeno una parte delle scene sopravvissute, è indubbio comunque che il ciclo sia da intendere come nucleo di progetto ben riconoscibile all'interno di quello che dovette essere il più lungo cantiere all'interno della basilica, di cui le altre schede di questo gruppo danno conto. Per quanto attiene il dato stilistico, è certo che le condizioni di conservazione di tutti i dipinti della basilica inferiore, già fortemente frammentari, e tragicamente deteriorati nel corso degli ultimi vent'anni, impediscono un'analisi dawero soddisfacente. Il confronto con i dipinti della cripta (--+ 8b) mostra che le storie benedettine segnano una svolta nella storia pittorica di questi anni. Le figure della cripta condividono infatti una parte dei dati formali che caratterizzano anche le storie, in particolare l'uso del tratto nero,

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rapido e sommario, quasi geometrizzato, quale si vede ad esempio nella figura del supposto Rufiniano, e nel personaggio a destra nel Miracolo del Lebbroso. Le colonne tortili della cripta e quelle accanto alla frammentaria città delle storie sono molto vicine; il trattamento degli elementi di finta architettura altrettanto; il disegno degli elementi decorativi di finti marmi che appare nell'abside, in particola,re le cornici segmentate a tratto bianco su fondo scuro (---+ 8a) , è analogamente vicino ai dettagli delle storie. La scrittura delle figure e dei drappeggi nelle scene benedettine supera però il dato visibile nella costruzione dei corpi delle figure della cripta, e risulta molto più raffinata, monumentale, dolce nella rete grafica del disegno, vivacissima nell'uso dei colori oggi così diminuiti dalle efflorescenze saline. Non si può parlare di semplice derivazione dallo stile 'cassinese', ma è certo che alla plasticità allungata e tendenzialmente bidimensionale delle figure della cripta, e in generale della pittura romana dei decenni precedenti, si è aggiunta una maggiore raffinatezza grafica e un gusto della superficie lavorata: i brani così realizzati la figura del san Benedetto nel Miracolo di san Mauro, ad esempio - si alternano ad altri più evidentemente legati ali' altro tipo di maniera, così da far riflettere sia sull'eventuale uso di modelli, sia sulla presenza di artisti originariamente non compresi nel cantiere di San Crisogono e sopravvenuti al momento di realizzare il ciclo sulla parete destra. La cronologia di questi dipinti non ha sfortunatamente agganci documentari. Il riferimento alla committenza del cardinale titolare Federico di Lorena (Brenk 1984a, b ), per quanto di indubbia importanza nel quadro dei nessi con Montecassino (di cui Federico era abate) limiterebbe ad un arco di tempo molto ristretto l'esecuzione di un programma che deve essere inteso più ambizioso e più esteso di quanto si pensasse. Gli anni del cardinalato del successore di Federico, il cardinale Stefano, appaiono più plausibili: cardinale dal 1057 al 1069, Stefano poté forse avere il tempo di occuparsi della

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chiesa, ed è presumibile che la sua politica costituisse una prosecuzione di quella del suo predecessore; Stefano è uomo della Riforma, membro della cerchia che dà vita agli avvenimenti politici tra la curia romana e il monastero cassinese tra la metà del secolo ali' elezione pontificia di Desiderio. Alcune affinità stilistiche tra gli affreschi di San Crisogono e quelli di Sant'Andrea al Celio (---> 5) fanno sospettare che lo stesso Stefano, che era anche abate di San Gregorio al Celio (Somerville 1977; Hiils 1977, 169) ne possa esser stato il committente. I nessi stilistici, come quelli cultuali e iconografici con Montecassino, inducono tutti a ritenere come la più appropriata una cronologia alla fine degli anni '60 e intorno al 1070.

Interventi conservativi e restauri (---> 8g) Documentazione visiva

Bibliografia Marucchi 1907 ; Marucchi 1911 ; Muiioz 1913; Muiioz 1914b; Marucchi 1915; Wilpert 1916, II, 1016-1019; Hermanin 19231924 , 164-165 ; Mancini 1923-1924 , 152; Toesca 1927 [1965], V, II, 944 nota 7; Muratov 1928, 87; Mesnard 1935 , 117-118; Lavagnino 1936b, 361 , 366; CBCR 1937, I, 95-112 , 144-164 ; Hermanin 1945, 217-218; Piccolini 1953; Apollonj Ghetti 1966, 65-67; ~tthiae 1966a [1988], 19; Toubert 1970 [2001] , 184185 , 339-340; Borghini 1982; Brenk 1984a; Brenk 1984b; Bertelli 1987, 610-613 ; Gandolfo 1988, 252-254; Bertelli 1989, 18-19; Gandolfo 1989, 22-24, 31; Toubert 1990 [2001] , 15, 133 nota 59; Speciale 1991, 114-116; Parlato-Romano 1992, 77-79; Parlato-Romano 1992 [2001], 54-57; Pace 1993-1994 , 547; Bertelli 1994, 227; Zchomelidse 1996, 31-3 3; Buchowiecki 1997, 394-396; Romano 2000, 141-145 ; Mazzocchi 2001; Pace 2002 , 69, nota 11 ; Osborne 2004b, 147; EnckellJulliard c.s.; Mazzocchi c.s.; Romano c.s (a, b).

Fotografie (1914 ca. ), ICCD: C 7022 , 7023, 7024, 7025, 7026, 7027; Wilpert 1916, IV, tav. 223 .

Serena Romano

8g. SCENA CERIMONIALE SUI TRATTI DI MURO ORIENTALI DELLA NAVATA

Si tratta di due ampi frammenti , situati su quanto resta delle due 'ante' in muratura che affiancavano l'apertura colonnata dal portico interno alla navata (Astolfi 1999). Il primo, ad angolo con la parete destra, mostra le gambe di una figura di notevoli dimensioni, ritratta in atto di camminare inclinandosi verso il centro della

scena, su quelli che appaiono essere alcuni gradini dipinti in bianco [1]. La figura, vestita di un abito corto e di bassi calzari, spicca su un sistema di cornici vivacemente colorate nei toni del rosso, dell'ocra e del blu; per quanto le condizioni dell'affresco siano pessime, sembra che accanto all'incorniciatura della scena si

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intraveda un pilastro scanalato, seminascosto dal personaggio . Poco lontano, la parte inferiore di un'altra figura , questa volta frontale, dritta sui piedi calzati di nero e rosso, vestita di una veste bianca e di una sopravveste bordata di una fascia a fondo giallo con decorazioni preziose e fasciata di rosso , un abbigliamento

apparentemente più adatto ad un potente laico che ad un ecclesiastico, e certamente non ad un monaco. Un frammento del manto di una seconda figura, quasi totalmente perduta, è discernibile più lontano verso il centro. All'angolo opposto, l'altro frammento più volte descritto e citato negli studi seguenti gli scavi degli anni 1907 -1914: una figura di diacono turifera io (Mesv1ard 193 5, 114: «tenant une torche, un encensoir à ses pieds») tonsurato, con volto rotondo e sbarbato, leggermente girata verso il centro della scena, anch 'essa inquadrata dalle spesse cornici nei colori sopracitati, e stagliata contro un pilastro scanalato con un grande capitello fogliato e un altro ornamento a forma di disco [2].

Note critiche L'esiguità dei frammenti sopravvissuti e le loro condizioni attuali non consentono di individuare la scena complessiva. L'impressione è che si trattasse di una scena cerimoniale, forse l'omaggio ad un potente (Hermanin 1923-1924, 163 ), o un rito avente a che fare con la basilica e includente dei laici. Se ne è in genere sottolineato lo scarto stilistico con le scene di san Benedetto, ritenendole più tarde rispetto alle storie, e più affini allo stile delle miniature del Vat. lat. 1202 (Speciale 1991 , 114-116); Gandolfo (1989, 24) nota che il gusto antiquario del pilastro scanalato con il grande capitello è di marca romana. I frammenti, per quanto oggi se ne possa osservare, sono ben comprensibili quale ultima tappa del progetto di ridecorazione della basilica, e probabilmente come luogo di maggiore affermazione dello 'stile' cassinese su quello romano.

Interventi conservativi e restauri 1932: campagna di restauro condotta dalla Soprintendenza per i Beni ambientali e architettonici di Roma, nel corso della quale furono, molto probabilmente, assicurati i bordi dei dipinti con un cordolo di cemento. 1979: campagna di restauro condotta dalla Soprintendenza per i Beni artistici e storici del Lazio, a cura del C.R.O.D.A. , sotto la direzione di Gabriele Borghini, che comportò la pulitura e il consolidamento delle pitture (Borghini 1982 , 112 ; Melograni 1990, 143 ).

Bibliografia Hermanin 1923-1924, 162-164; Mancini 1923-1924, 158; Mesnard 1935, 114; Hermanin 1945, 217-218; Gandolfo 1989, 22-24; Speciale 1991 , 114-116; Buchowiecki 1997, 395; Mazzocchi 2001 , 47-48.

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9. LA DECORAZIONE PITTORICA DI DUE NICCHIE IN SANTA BALBINA Terzo quarto dell'XI secolo

Nelle nicchie della basilica di Santa Balbina si conservano , all'interno di complessi palinsesti pittorici di epoca alto e basso medievale, pitture dell'XI secolo. Le nicchie in questione si aprono sulla parete sinistra della navata e sono: la sesta, la quarta e la terza. Relativamente alla quarta, alla quale non abbiamo ritenuto opportuno dedicare una scheda, ci limitiamo a segnalare la presenza, sulla parete di fondo, al di sotto dello strato duecentesco,

di due brani di pittura, esigui e di difficile lettura per il precario stato di conservazione; in essi si distinguono tracce di una figura femminile j n abito scuro e lunghe maniche rosse e, in basso, resti di un 'iscrizione su fondo rosso. Le pitture delle tre nicchie sono tutte di carattere votivo-devozionale e furono realizzate per committenti diversi, ma probabilmente, vista la loro omogeneità formale, dalla stessa bottega.

9a. ISTITUZIONE DELL'EUCARESTIA NELLA SESTA NICCHIA DELLA PARETE SINISTRA

Nella sesta nicchia ci sono molti resti di decorazione pittorica in una situazione di palinsesto, dove lo strato leggibile in maniera più estesa, anche se frammentaria, è il secondo a partire dall'esterno, sottostante le pitture tardo duecentesche. Presenta una decorazione articolata in due registri. Sulla parete di fondo [l], registro superiore, si leggono due gruppi di figure aureolare, rivolte verso il centro della composizione dove, dietro una mensa d 'altare, campeggia un personaggio avvolto in un manto rosso-bruno e affiancato da due figure in vesti brune. La mensa è coperta da una tovaglia ocra decorata da un pattern 'a rombetti' bianchi, ai quattro lati sono clavi rossi e al centro una croce con bracci patenti, sempre rossa; sul piano, a destra , è dipinta una patena gemmata. Nel gruppo di destra sono riconoscibili gli apostoli Andrea e Pietro, in quello di sinistra Paolo. Sulla parete sinistra emergono dalle lacune della Crocifissione del XIII secolo i panneggi delle vesti di altre tre figure frammentarie, la prima indossa un manto blu, la seconda ocra, della terza si riconoscono la veste bianca e un lembo del manto rosso scuro [2]. Sulla parete destra , sotto lo strato duecentesco a fondo bianco con stelle rosse e globi verdi, emerge, sul versante sinistro della parete, un piede su fondo verde. Tornando sulla parete di fondo, nel registro inferiore, troviamo tre figure frammentarie di donatori che si stagliano davanti ad un alto velario bianco, con ampi drappeggi blu e motivi ornamentali a 'nodo di Salomone' rossi, chiuso in alto da una banda ocra. A sinistra sono due figure femminili avvolte in lunghe vesti rosso scuro decorate, una, da un fitto pattern 'a rombetti' bianchi, l'altra, da un motivo a rete ondulata bianco con bottoni rossi perlinati. La prima indossa un copricapo gemmato e un velo annodato sulle spalle, la testa è incorniciata da un lungo nimbo quadrato, ha le mani velate nell'atto di offrire due oggetti circolari di colore ocra [5]. A sinistra, lungo la cornice che separa i due registri si legge l'iscrizione che menziona la coniux peccatrix User. l ) [3]. Della seconda figura si conserva solo la parte inferiore del corpo che appare di dimensioni ridotte rispetto alla prima; in origine anche questo personaggio doveva avere le mani velate e offrire dei doni, come testimonia il drappo dipinto superstite all'altezza del busto. A destra della composizione si leggono tracce di un terzo personaggio, anch'esso nimbato [l]. Della figura sono riconoscibili le gambe avvolte in Jasciae a righe rosse , i calzari neri, la spalla destra, parte della testa con l'acconciatura corta dei capelli e l'occhio destro; accanto alla figura è l'iscrizione con il nome: Leo peccator (Iscr. 2) [4].

Sulla parete sinistra il registro inferiore è andato del tutto perduto, sulla sinistra, accanto alla porta, si conserva una banda verticale bianca decorata con un motivo a girali rossi.

Iscrizioni 1 - Iscrizione dedicatoria (?) disposta nell'angolo tra la parete laterale sinistra e quella di fondo, a ridosso delle figure di donatrici, in una fascia rettangolare, allineata su una riga orizzontale, secondo un andamento rettilineo irregolare. Lettere bianche su fondo rosso. Lacunosa. Scrittura capitale.

[- - -Jc:;1 coniux pecc[atrix?J [- - -]

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2 - Iscrizione identificativa disposta a destra del donatore, in una fascia rettangolare, allineata su una riga orizzontale, secondo un andamento rettilineo irregolare. Lettere bianche su fondo rosso. Integra. Scrittura capitale.

Leo p 31), al ricchissimo complesso laurenziano di cui pure abbiamo qui recuperato e riconnesso le testimonianze ottocentesche (----+ 24 , 25 ); per non parlare dei molti nuclei , via via sempre più dichiaratamente politici, che esistevano nel palazzo lateranense e che ci sono in parte noti tramite le copie seicentesche (----+ 45, 49, 51 ). Per le botteghe romane è una sfida seria. I committenti sono di nuovo quelli abituali nella Roma 12ontificia, e sono di primissimo rango, papi, cardinali; le imprese sono estremamente impegnative. E del tutto significativo che, come vedremo tra poco, rinasca l'aulica e dispendiosa tecnica del mosaico, ma tutte le capacità di produzione pittorica in senso lato sono messe alla prova e devono rispondere alle accresciute voglie di visibilità della Roma post-riformata. Nel momento in cui il linguaggio plastico e sculturale prende strade che si potrebbero definire rigoristiche, o almeno certamente aniconiche - mi riferisco naturalmente alla produzione cosmatesca, che Claussen ha definito un contro-programma rispetto a quello della scultura figurativa in marmo dell'XI secolo3 - la pittura sembra occupare tutti gli spazi e tutte le superfici. Ad essa è affidata la messa a punto dei programmi agiografici, è la pittura che ritesse ancora una volta i legami con la tradizione figurativa, è la pittura che affronta i temi delicatissimi della rappresentazione del divino e definisce il valore e la funzione dell'immagine quale strumento accertato e affidabile di conoscenza: secondo le incrollabili convinzioni e convenzioni che la Chiesa occidentale ha forgiato nei primi secoli della propria esistenza e che ha difeso nel corso di più d 'una profondissima crisi. La tradizione è insomma un 'arma potentissima in mano a chi sta rivisitando e ridisegnando il paesaggio cultuale cittadino. Riproporre le immagini e le tipologie che costituiscono lo zoccolo duro del retaggio antico e paleocristiano della visualità romana è un atto cosciente, è il renouveau ideologico della 'Chiesa trionfante': il vero, permanente e periodico renouveau della Chiesa Romana, non moda o soluzione decorativa ma struttura profonda, capace di accogliere qualsiasi variazione e libertà interpretativa ma fedele al nesso vitale con il mondo ideologico e visuale dei temi, dei siti e delle immagini che l'hanno fondata nei primi secoli della sua vita. È il «senso della storia»4, che sostiene l'impressionante e secolare logica della cancelleria pontificia: sostiene la sua continua produzione di testi e documenti che assicurano, spiegano, soprattutto forgiano e presentano la sua memoria e autocoscienza , e basti pensare al Liber Ponti/icalis, agli Ordines, o ad altri testi nati in seno all'ambiente pontificio ma indirizzati anche al suo esterno, come i Mirabilia, in cui il paesaggio romano con le presenze e le rovine antiche trasfigurate fa corona al cerimoniale pontificio e ne acquista uno spessore storico e simbolico5 . È questa attitudine che permette la nascita di quello che - in termini storiografici - è stato chiamato il renouveau paléochrétien 6 . È stata, questa tesi, una chiave di lettura a dir poco illuminante per la comprensione di questa fase storica: oggi non potremmo più farne a meno, a rischio di smarrire qualche filo fondamentale della ritessitura di un momento cruciale. Come tutte le chiavi d'accesso penetranti e innovative, anch 'essa ha rischiato poi di irrigidire un po' il disegno di un fenomeno complicato all'interno di una prospettiva univoca; e in essa, mi sembra, hanno finito per convergere elementi tra loro non estranei ma nemmeno identici, quale il problema della ripresa dei modelli di San Pietro e di San Paolo nella riproposizione dei cicli testamentari e della loro finta architettura , ripresa che costituisce un fenomeno di lunga durata - come Herbert Kessler ha più volte chiarito7 - ampiamente oltre i confini della Riforma gregoriana. La finta architettura, a sua volta, è un tratto ancora più generico - spesso poi slegata dal modello dei cicli

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testamentari e trasferita a contenere, per esempio, cicli agiografici, come nel caso più vicino agli anni della Riforma, quello delle storie della basilica inferiore di San Crisogono (-+ 8f) - legata a un dato fondante della visualità medievale, e medievale romana in particolare, per la quale si traducono in segno pittorico gli spessori e le scansioni retoriche delle pareti8 . Su questa base, e per quanto gravemente lacunoso sia il panorama che analizziamo, i fili da seguire sono molti, e molte le pieghe specifiche dei tanti casi conosciuti. L'autorità dei modelli, la volontà dei committenti, le abitudini e i repertori delle botteghe, sono almeno tre dei protagonisti della vicenda del renouveau, e i loro ruoli hanno peso e valore alternante, dipendente dalle occasioni e dal quadro storico come anche, credo, da fattori talvolta esterni e neutri, dal caso, se si vuole, cui è rischioso assegnare troppo pesanti significati. La storia comincia da un aspetto apparentemente neutro, o più neutro di altri: dalla tecnica, dall 'operatività minuta delle botteghe, che a fresco o a mosaico si trovano a dover rispondere, nella Roma del secolo che si apre, all'accresciuta voglia di visibilità dei loro interlocutori.

Modi di dipingere: a/fresco e mosaico Per quanto sottomesse alle intermittenze dei ritmi storici, le vicende della pittura murale romana conservano coerenza e riconoscibilità nel passaggio tra XI e XII secolo, e la transizione è mediata dal cantiere di Ceri, di cui già abbiamo accennato alla fine del saggio precedente e in cui la lezione dei pittori di San Clemente (-+ 21 ) è ripresa in maniera diretta, ma dove i maestri sono più numerosi e di qualità non sempre così alta come nel gruppo della basilica clementina 9 . Gli anni che nel frattempo sono trascorsi non sono stati senza impatto sulla maniera pittorica che così si sta definendo e articolando: se si guarda ai due pannelli della Crocifissione di sant'A ndrea [l] e del San Silvestro e zl drago, e probabilmente anche a quelli della Chimera e della Cottura del Maiale , si vede con chiarezza come si stiano trasformando i sistemi delle pennellate, preparando la maniera che poi dominerà incontrastata nella Roma di primo XII secolo . Sono opera di un pittore che non usa rifiniture a secco, ed opera sempre a fresco realizzando incarnati di colore rosa acceso, senza sfumature, senza pomelli rossi o rialzi bianchi; definisce le fisionomie con tratti rossi e verde scuro, scivola spesso in toni un po' grotteschi, quasi caricaturali, che affiorano anche in qualche personaggio di contorno dei riquadri narrativi 10 . La discendenza da alcuni brani clementini è chiara, se si pensa ad esempio alla folla dei volti dei chierici nel Miracolo del Tempietto (---> 2 la.2 ) [2] ; ma la scrittura è più rapida, più colorata, più ondulata nel disegno finale della superficie; corre in verde e rosso sul rosa unito degli incarnati o sul fondo bianco dello zoccolo, e assomiglia molto a quello che si vedrà nella variegata decorazione murale dei 'sotterranei' del Sancta Sanctorum (-+ 35), nell'agnello disegnato in verde con le grandi gocce di sangue che cadono mentre il leone lo morde [3] o nelle decorazioni geometriche e vegetali velocemente tracciate a tocchi verdi e rossi sul fondo bianco. La differenza con il paziente tessuto pittorico dei dipinti clementini, con la rigatura dei rialzi bianchi che traducono nei pigmenti dell'affresco gli effetti di una crisografia presa a modello, è più che palese. La rapidità diviene, insomma, un valore ricercato e perseguito. Negli anni del pontificato di Pasquale II, con i molti nuovi cantieri che si aprono e hanno bisogno di artefici abili ed efficienti, i pittori, pressati dalle richieste, velocemente si organizzano e si mettono a lavorare: le formazioni sono spesso intercambiabili, i maestri probabilmente si spostano da un cantiere all'altro e si aggregano con altri pittori che rappresentano tendenze magari un po' diverse, ma non contraddittorie,

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verosimilmente nate dalle stesse radici. Sarà la fretta , sarà la necessità di rispondere alla domanda, ma i gruppi responsabili dei grandi cantieri a Roma e nei dintorni non si preoccupano di omogeneizzarsi più di tanto: le grandi superfici di Castel Sant'Elia e di Tuscania lo insegnano. Lavorano a grandi pontate, a fresco , e rifiniscono via via che il muro si secca, così che le rifiniture sono oggi perse e il degrado mette in luce soltanto una parte degli strati pittorici, esaltando alcuni effetti in modo selettivo. Una delle caratteristiche più persistenti di questo mobile panorama è però la forte riduzione dell'uso del tratto nero quale elemento strutturante della figura e della fisionomia: i pittori amano i colori forti, pochi, li usano in maniera sbrigativa e con essi costruiscono le ombre e i rilievi, rialzano con il bianco ma non anneriscono mai per ottenere il contrasto, sempre dato con pennellate colorate. Il risultato finale è luminoso, e particolare attenzione sembra prestata all'esecuzione delle fisionomie , che sembrano sempre illuminate da una sorta di luce violenta davanti alla quale gli occhi si spalancano e l'espressione del volto si blocca. La sequenza dei mezzi busti di Santa Maria in Pallara (- 29) [4] , delle figure di Santa Pudenziana (- 30) [5], delle sante e degli arcangeli dell'abside di Castel Sant'Elia [6], e di alcune parti dei murali dei 'sotterranei' del Sancta Sanctorum (- 35 ) mostra l'espandersi di questo modo di dipingere in città e anche nei grandi cantieri fuori Roma: a Castel Sant'Elia questo pittore 'metropolitano' eseguì la parte forse più in vista di tutta la decorazione, la fascia del cilindro absidale, che brilla ancora dei rossi e degli azzurri vivacissimi, dei gialli delle aureole e dei loros, e della profusione di gioielli che copre tutti gli abiti e li rende assolutamente bidimensionali, sagome decorate ritmicamente disposte lungo la parete 11 . Un affine sistema di stesure affiora anche a Tuscania, specialmente nei medaglioni

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della cripta [7] che riprendono tipologie di figure a tre quarti simili a quelle già viste, ad esempio, nell'Ultima Cena di San Paolo fuori le mura (- 20) ma che appartengono, a nostro avviso, alla stessa fase pittorica che il resto della decorazione, oggi in parte perduta 12 . Che questa maniera di dipingere occhi immensi, e di segnarli con tratti ampi e rapidi, liquidi nella materia dell 'affresco, possa essere alla sua radice un tratto antichizzante, in certa misura un aspetto del renouveau, è un sospetto che mi sembra legittimo. Se si compara infatti il volto illuminato e i grandissimi occhi spalancati di una delle figure ancora originarie del mosaico pelagiana di San Lorenzo fuori le mura, e si pensa a qualcuno dei dettagli delle opere ora citate, qualche somiglianza la si coglierà: se si torna invece alla ben diversa compattezza fisionomica e alle gamme cromatiche usate in San Crisogono o nel gruppo attorno a Via Lata e alla tavola vaticana del Giudizio (- 8, 1, 3) , si comprende che quei codici, quegli occhi sovrastati da sopracciglia scure e uncinate , quei tratti neri strutturanti, sono un discorso ormai chiuso, cui i maestri romani non torneranno più. Sarebbe molto audace affermare che il linguaggio visuale dell'epoca di cui ci stiamo occupando si diversificasse in maniera radicale a seconda dei medium impiegati: specialmente quando si tratti di due tecniche molto vicine, ambedue pittoriche, la pittura murale e il mosaico. È evidente, al contrario, che esse hanno in comune non solo i repertori decorativi e iconografici, ma anche un analogo armamentario rappresentazionale e, in sostanza, una stessa sensibilità nei confronti delle componenti stesse della visualità, la superficie, il colore, la profondità, e via così. Detto questo, però, l'impatto della tecnica - dei suoi condizionamenti materiali ma anche delle soluzioni trovate nel tempo per gestirli, in una parola della sua tradizione - sul risultato estetico complessivo dell'opera è un dato di evidenza assoluta. Si impone, a mio avviso, proprio quando si va a considerare il ruolo giocato nella produzione artistica della prima metà del XII secolo dalle decorazioni musive, e se ne apprezzano i legami con gli esempi anteriori, e con la pittura contemporanea. Nel corso di tutto il Medioevo il mosaico conosce a Roma fasi di fioritura intensa e splendida, legata alle fortune di una committenza sistematicamente altissima, in massima parte pontificia, e vocata alla decorazione eri-decorazione degli spazi più sacri dell'edificio di culto, quasi sempre l'abside, molto più raramente la facciata, talvolta più piccole porzioni a destinazione funeraria e/ o privata 13 . Si inabissa per lunghi decenni, talvolta per secoli, poi ricompare: gli studiosi si chiedono come mai, e spesso cercano ragioni allogene per spiegarne la ricomparsa dopo una lunga eclissi. Anche ciò che avvenne nel XII secolo costituisce un'esplosione improvvisa dopo un lungo periodo di obliterazione di quella tecnica: le grandi botteghe di mosaicisti che avevano lavorato per Pasquale I all'inizio del IX secolo avevano ancora trovato qualche occasione nei decenni successivi ma poi più nulla nella seconda metà del IX secolo, per tutto il X, per tutto l'XI 14 . Non basta certo il massacrato esempio della tomba di Ottone II a garantire la continuità: anche se il fatto che la tomba dell'imperatore in San Pietro sia stata decorata more romano rimane molto significativo 15 . A partire dal pontificato di Pasquale II, invece, le cose cambiano: il mosaico a Roma riprende la sua vita, e ritorna sulla scena con autorità prepotente e qualità sbalorditiva, come è stato e sarà nel caso di altre fasi storiche fortemente interessate ali' autorappresentazione e alla propaganda e quindi disposte a investire in decorazioni tecnicamente impegnative e ben più costose della pittura murale. La questione storiografica è stranota, e ai miei occhi senza vere soluzioni. Quando si trattò di decorare la sua ricostruita chiesa abbaziale cassinese, consacrata il 1 ottobre dell'anno 1071 , Desiderio mandò a chiamare artefici da Costantinopoli, perché non ne aveva sottomano di più vicini, o per ragioni di

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qualità e di prestigio 16 : se ne dedurrebbe che in quegli anni Roma non potesse fornire uomini capaci di questo tipo di grandi opere, oppure che Desiderio voleva darsi uno smalto speciale mediante l'opera di artefici fatti venire addirittura dalla nuova Roma, la capitale orientale. Persi i mosaici cassinesi, si sono andati a cercare i presupposti degli svolgimenti romani nei lacerti sopravvissuti della cattedrale di Salerno: ma la stretta concatenazione stilistica e logica proposta da Kitzinger17 , per il quale i mosaicisti di San Clemente (-* 32) derivano direttamente da quelli degli ateliers bizantini di Montecassino e dai loro stretti seguaci (?) di Salerno, a mio awiso oggi suona troppo magra, specie quando si confronti il tessuto ricco, nervoso, graficizzato dell'Angelo di Salerno con il suo antagonista di San Clemente, e si abbiano presenti le datazioni che ne sono state proposte 18 . Tanto più, su questa unica base, credere all'assoluta dipendenza del mosaico romano di XII secolo dai suoi possibili precedenti cassinesi appare soluzione insoddisfacente. La spinta ideologica al recupero della tecnica, quella sì, ha approfittato della culla cassinese, con tutti gli elementi che sono talmente noti da non valer la pena di ripeterli: Desiderio, e il suo progetto e la sua renovatio, la sua cerchia di intellettuali che chiamano Ildebrando nuovo Mario e nuovo Cesare 19, il suo appello all'Antico cristiano dei romani e dei romaioi, in anni in cui- se le cronologie romane tengono - a Roma non si fanno equivalenti progetti renovati, e non a mosaico. Come ha ben detto Gandolfo, però 20, il programma di renovatio di Desiderio nasce a sua volta dalle premesse e dalla tradizione artistica e ideologica romana: nella cerchia di persone di cui parliamo, e negli anni che sono in questione, la comunanza è strettissima, radici del pensiero e obiettivi politici sono estremamente affini, e tracciare una delimitazione netta o stabilire una sequenza rigida è molto difficile. Inoltre, quando trent'anni dopo la morte di Desiderio e di Alfano, su un progetto forse formulato con il sostegno e la sapienza di Leone Ostiense - uomo di Montecassino beninteso ma anche cardinale romano integratissimo nella curia pascaliana, presente già al sinodo del 1078 che proprio a San Clemente si svolse21 - si mette in cantiere il mosaico della San Clemente rifatta e

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rifondata 22 , l'impulso desideriano si era allontanato nel tempo ed era stato integrato da altre fonti , e da altre personalità; e non è verosimile che l'unica fonte di ispirazione tecnica e stilistica sia stata, per la bottega attiva a Roma, l'esempio del sud cassinese e salernitano. La città era piena di splendidi prototipi dotati di autorità, modelli ideologici, visuali e tecnici; alcuni di essi, come il sacello di San Zenone, potevano dare lezioni di tecnica e stile a semplice occhio nudo e a facile portata di mano. Le superfici musive di Pasquale I sono campi vellutati, schiacciati oggi dalle luci artificiali; le tessere, grosse, irregolari, disposte - anche nelle zone a un solo colore, nel blu unito o nei fondi oro secondo una sorta di flussi armoniosi e imprevedibili, piene di movimenti, di gonfiori, di morbidezze, che alla fine azzerano ogni rischio di monotonia e di piattezza; i colori vivacissimi e usati in assenza del nero - ecco ancora l'aspetto che si è notato più sopra a proposito della pittura murale - e i volti anche piccolissimi, risolti con poche tessere magistrali capaci di provocare gli effetti dello sguardo acuto, di dare l'impressione del gesto e dell'espressione23 : su questi testi fondamentali è quanto mai evidente come gli artefici di San Clemente abbiano studiato, ed abbiano imparato. La lezione è particolarmente palese nei moltissimi piccoli personaggi di cui è costellata l'abside clementina: gli artefici non tengono conto della progressiva graficizzazione che la maniera di Pasquale I subisce nei mosaici più tardi, come quello di San Marco, e si riallacciano proprio ai testi più splendidi e più maturi della cosiddetta rinascenza carolingia di Roma24 . Se poi dal dettaglio tecnico ed esecutivo si allarga lo sguardo a considerare più an1piamente l'impianto compositivo e la questione dei modelli, la cultura dei mosaicisti clementini appare sempre più vasta e profonda, di eccezionale qualità anche nel quadro della costante eccellenza delle absidi romane. Nel mosaico, forse , fu copiato lo schema compositivo dell 'abside della sottostante basilica paleocristiana destinata all'abbandono 25 : purtroppo, non ne sappiamo nulla, così che per noi il modello più simile, e sempre richiamato, rimane quello dell'absidiola lateranense2 6 . Come si vedrà però anche più avanti, a proposito dei frammenti affrescati riscoperti nel sottotetto della basilica (---> 39), un 'trasporto' iconografico è ipotizzabile per i soggetti delle storie clementine che ornavano il nartece e i pilastri della chiesa inferiore (---> 21): è del tutto plausibile che altrettanto sia avvenuto per il tema cruciale dell'abside, chissà se anche - come voleva il Matthiae - con un fisico reimpiego di tessere dal mosaico abbandonato, al nuovo27 . Lo 'stile' di San Clemente, con la sua ricchezza plastica, i suoi colori arricchiti e fastosi, è indisgiungibile dal suo repertorio decorativo e iconografico. Il suo 'naturalismo' ornamentale, spinto all'estremo delle sue possibilità anche in confronto ai modelli che ne possiamo intravvedere, mantiene una fedeltà intensa, nobilissima, e libera, alla cultura antica e tardo antica cittadina. Lo spunto compositivo si trasfigura nella nuova sinfonica concezione ornamentale, amplificata e al tempo stesso rigorosamente ordinata e gerarchica, apparentemente monotematica e però disseminata di dettagli che collaborano dinamicamente all'elaborazione del contenuto e anche alla sua visualità finale. L'aspetto più straordinario è che - in un tessuto di programma dove l'elemento significante, ed esplicitamente citato nell'iscrizione, è quello della vite - il segno prescelto sia stato poi quello iper-classico dell'acanto: cui la meravigliosa redazione musiva conferisce una pienezza assoluta e al cento per cento assolta da sensi di inferiorità nei confronti dei suoi precedenti. Un filtro bizantino è verosimile, come è stato suggerito, e molti esempi potevano essere visibili anche in città, come nel caso dei plutei di Santa Maria in Trastevere 28 [8]; ma l'appello più forte e diretto è quello ai modelli prototipali antichi, e il primo esempio che verrebbe alla memoria sarebbe quello dell'Ara Pacis [9, 10, 12], analogamente sinfonico e significante, se solo avessimo modo di supporre che le lastre augustee potessero esser state visibili nella Roma di Pasquale II29 . In questo insieme, che assomma numerose possibili referenze ma le sceglie verosimilmente tutte a Roma , si annida imprevedibile l'inserto della Crocz/issione centrale. Che essa sia la traduzione pittorica di un modello nordico, forse ottoniano, di stauroteca smaltata30 mi sembra una verità evidente: il tradizionale contenitore di reliquie, la croce, diventa qui, da oggetto plastico, segno pittorico, un 'ulteriore manifestazione della preferenza costante di Roma per le figure dipinte. E l'apertura nordica non ci interessa solo in relazione alla tessitura del programma; sotto i piccoli volti redatti secondo le consuetudini romane, infatti, le figure della Vergine e del san Giovanni Evangelista non possono comprendersi alla luce esclusiva della cultura locale. Sono figurine alte e magre, e l'Evangelista poi è avvolto in un manto blu intenso che nelle pieghe diventa luminosamente bianco e dà l'impressione di rilievi profondi e plastici, con pieghe a onde e un ciuffo di stoffa [13] che egli tiene in mano contro tutti i modelli di figure d'apostolo che possiamo cercare nei repertori musivi e pittorici della città. Il processo di filtro e omogeneizzazione è stato forte: ma non nasconde l'alterità di questo dato. Non se ne è ancora trovata una spiegazione ragionevole: mi rimane l'impressione che 55 , 58). La cultura di San

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Clemente, almeno allo stato attuale, ci appare la più complessa, la più ampia forse, di tutti gli altri cantieri contemporanei cittadini; nata sotto il marchio della qualità eccezionale degli affreschi nella basilica inferiore, non si smentisce nella nuova fase , cambia e si arricchisce e si diversifica, mantenendo il filo vitale - tanto più vitale perché continuamente trasformato - con l'Antico a tutti i livelli della tessitura del programma e della tecnica e dello stile delle botteghe che lo interpretano.

Questioni di programma

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Tentare un quadro sintetico della produzione pittorica romana della prima metà del XII secolo con un occhio alla questione dei programmi iconografici non è cosa facile, perché gli elementi del panorama sono tra loro fortemente squilibrati. Ciò che è stato fortunatamente conservato nella sua integrità è una coppia straordinaria di opere musive -le absidi di San Clemente (- 32) e di Santa Maria in Trastevere (- 55 ) -la cui qualità e innovatività iconografica sono eccezionali: si tratta di assoluti capolavori, che è difficile inquadrare tout court in generi o classi. Di quella di San Clemente si è accennato qualcosa poco sopra; quanto all' abside di Santa Maria, basti guardare in che modo essa innovi rispetto allo schema tradizionale a figure multiple, di ovvia origine paleocristiana32 , inserendo nella più noiosa sequenza dei fondatori e titolari della chiesa il gruppo centrale della Vergine e del Cristo, impensabile senza gli sviluppi dell'esegesi e della teologia mariana nell'Europa del XII secolo33 . Così come l'abside di San Clemente mantiene e organizza in modo nuovo gli spunti antichi e tardo antichi, anche il gruppo di Santa Maria versa i suoi nuovissimi contenuti in un guscio noto e rassicurante per la sensibilità dei suoi destinatari: usa un linguaggio comprensibile a chi, abituato alle pratiche processionali e devozionali cittadine, poteva comprendere le allusioni a quanto si faceva durante le processioni dell'Assunta, poteva ricordare le frasi poetiche che vi si recitavano e - se sapeva leggere - ritrovarle inscritte nel mosaico; poteva, come già tante volte si è detto, riconoscere i personaggi sacri sotto le sembianze delle venerate icone romane e sentirne consolidare la fede nella loro reale esistenza 34 . Per rappresentare san Pietro, si trasferisce nel nuovo mosaico la riconoscibile immagine del mosaico di Sant' Andrea Catabarbara o - molto più verosimilmente - del suo prototipo forse lateranense, preparando così il prelievo ancora più integrale che si farà tra una ventina d'anni nell'altro mosaico di Santa Maria Nova (- 58 )35 . L'accessibilità delle immagini esposte nel tessuto musivo delle due absidi è massima, esse sono in certo senso 'facili' , leggibili, familiari, mal' ordito concettuale del programma è coltissimo, per certi versi rarefatto, vertiginoso nell'intreccio dei sensi riposti e delle allusioni dotte; la scrittura, veicolo elitario alla comprensione, vi gioca un ruolo fondamentale, e nell'abside clementina si fa a sua volta figura simbolica nel gioco d'incastro delle frasi, inserite

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l'una nell 'altra lì dove le parole significano ciò che l'immagine soprastante ostenta, la Croce che forse racchiudeva - ulteriore livello di realtà - le reliquie36 . A questa carica così fortemente innovativa fa riscontro, in altri episodi, il più tradizionale riaffiorare delle immagini e delle tipologie che costituiscono lo zoccolo duro , il retaggio tardo antico e paleocristiano della visualità romana, che attorno all'anno 1100 non era come oggi una trama da ricostruire con fatica e filologia talvolta acrobatiche, ma affollava in piena vista il paesaggio caegli edifici sacri della città. Differentemente che nel caso di San Clemente e Santa Maria, gli episodi cui ci riferiamo sono stati però fortemente colpiti dalle vicissitudini del tempo e del mutare del gusto; valutarne l'entità, quindi, significa giocare con i vuoti, con i frammenti, con le ipotesi. Se però la datazione che Simone Piazza propone per il mosaico della facciata di San Bartolomeo all'Isola (- 28) [14] è esatta, questo sarà stato il primo episodio di decorazione musiva nella Roma post-anno 1100: secondo l'ipotesi di Piazza, siamo attorno al 1113 , la data attestata nell'epigrafe del portico. È l'anno successivo a quello della consacrazione della cattedrale di Benevento, in cui era stato preparato un martyrium per le reliquie di San Bartolomeo, in aperta rivalità con la chiesa dell'Isola Tiberina dove quindi, evidentemente, si volle immediatamente ribadire la presenza delle reliquie dell'apostolo, e si affisse l'informazione bene in evidenza ali' esterno della chiesa, sull'architrave del portico37 . Al di sopra del portico, sovrastante l'architrave e la scritta, quello che oggi è ridotto ad un brano inserito in un assetto decorativo molto più tardo e per giunta attualmente coperto alla vista, dovette essere un caso eclatante di rivisitazione e riproposizione dell'immagine teofanica del Cristo, raffigurato in piedi, contro un abbagliante fondo oro, verosimilmente affiancato da altre figure , anello della catena che porta dal mosaico di Sant' Andrea Catabarbara [15] (dove il Cristo è benedicente proprio come a San Bartolomeo, se il gesto di quest'ultimo è davvero affidabile e non invece frutto di manomissioni e restauri), a quello dei Santi Cosma e Damiano [16] , a Santa Prassede, Santa Cecilia e San Marco, e - tornando indietro - probabilmente a San Pietro in Vaticana3 8. La grande differenza è che l'immagine fu trasferita dal suo luogo 'naturale', l'abside, alla facciata: dove doveva apparire ancora più incombente a causa dell'incurvarsi del cavetto, che a sua volta echeggia e suggerisce la concavità accogliente di un 'abside. È un'ipotesi, naturalmente, che certo dovrà tener conto di certe difficoltà di datazione del mosaico sul piano stilistico, di certi grafismi, certe semplificazioni che in qualche punto appaiono dovute ai rabberciamenti del restauro, in altri sono intriganti 39 : il minimo che si possa dire, è che la bottega che ha prodotto quest'opera non ha avuto seguito e contatto con quella che pochi anni dopo si mise all 'opera in San Clemente, e che semmai questo gruppo senza seguito di mosaicisti era composto da artefici che mantenevano punti di riferimento con le più nutrite botteghe nel frattempo attive ai cicli ad affresco a Roma , e soprattutto nella regione 40 . Il mosaico di San Bartolomeo resta però un problema intrigante, in un luogo prima marcato dalla committenza e dalla devozione imperiale ottoniana, poi trasformato in una roccaforte del partito riformato e nel luogo di rifugio di Urbano II e Pasquale II 41; la convergenza dei due ordini di motivazioni - da una parte la voglia di adombrare il passato ottoniano anche tramite il ridisegnamento del profilo cultuale del sito42 , e dall'altro lo smalto di una chiesa situata in pieno quartiere Pierleoni può fornire ulteriori ragioni dell 'aver realizzato una decorazione così ambiziosa in una chiesa che non era nemmeno titolo cardinalizio. Non possiamo dire invece con assoluta certezza di che tipo fosse l'immagine cristologica nell'abside musiva di Santa Maria in Monticelli (- 56), chiesa anch'essa oggetto delle attenzioni di Urbano II che vi portò reliquie dalla Sicilia, e di Pasquale II che la consacrò nel 1101 43 . Il de Rossi, sulla scorta delle osservazioni di Stevenson, vi attestava un Cristo in trono, sulla base di quelli che Stevenson giudicava essere i minuscoli resti del trono gemmato 44 . La sua opinione non sembra esser stata più discussa, direi anche semplicemente ignorata da tutti coloro che dopo di lui hanno toccato l'argomento; fino ad Osborne, il quale ritiene che il mosaico di Monticelli sia documentato in una porzione maggiore dell'attuale nell'acquarello di Windsor [ 17], che ritrae un Cristo stame, vestito d'oro e con il braccio destro levato 45 . La scheda di Jéréìme Croisier in questo volume tende ad accettare la proposta di Osborne, pur con il margine di dubbio lasciato dalla discordanza dei motivi decorativi delle due aureole, e anche con la prudenza imposta dalle condizioni del frammento musivo, ritagliato, ricontestualizzato e pasticciato nei secoli in modi assai violenti. Esso è oggi un fossile spaesato e ridotto a una minuscola e mutilata presenza; per quel che se ne può giudicare, è difficile allontanarlo dalle tendenze graficizzanti attestate nell'abside di Santa Maria in Trastevere, e se questa cronologia è credibile, l'ipotesi che il contesto iconografico originario proponesse una M aestà del Cristo in trono , più di mezzo secolo prima dell'abside innocenziana di, San Pietro in Vaticano , risulta estremamente ardua. Era dunque , più verosimilmente, ancora una ripresa del prototipo probabilmente vaticano e di Sant' An drea Catabarbara, con un Cristo dorato come ai Santi Cosma e Damiano; vi erano probabilmente, come nei modelli paleocristiani e come doveva accadere anche a San Bartolomeo, una serie di figure laterali. E a questa serie, che è comunque da integrare con i casi extra muros di Vallerano

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e di Castel Sant'Elia46 , va aggiunta la già citata abside di San Lorenzo in Lucina, che è perduta ma documentata nella sua interezza almeno iconografica dall'acquarello di Windsor (----> 50) [18] : la fece fare probabilmente Anacleto, l'antipapa, e per essa scelse il più economico affresco, tuttavia adottando in pieno lo schema prediletto del mosaico, a figure multiple attorno al Cristo stante, e nel sottarco un festone di sapore, anch'esso, paleocristiano. Tre figure del Cristo, dunque, a San Bartolomeo, San Lorenzo in Lucina, Santa Maria in Monticelli: tre riproposizioni del modello vaticano e delle sue varianti fastosamente attestate nelle absidi musive cittadine. Una serie importante, una nuova soglia del periodico revival dell'immagine teofanica cristologica pari, o superiore, a quello di età carolingia. Il valore fondante degli anni di Ranieri di Bieda, di fatto, non può in alcun modo essere sottovalutato. Girata la boa dell'anno 1100, chiusa la crisi ghibertina, certo non disinnescati altri pericoli e altre insidie, le casse curiali dovevano essere piuttosto vuote, e i tanti fronti aperti non permettevano al pontefice di occuparsi solo dei programmi di propaganda visiva nella città sede del papato.

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Né potremmo cadere nell'ingenuità di attribuire al solo Ranieri, ora Pasquale II, la responsabilità

di tante iniziative, in giro per tutte le chiese di Roma. Si tratta con ogni evidenza di una molteplicità

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di azioni e di presenze, e certo anche di una forte convergenza di intenzioni che omogeneizzano l'operatività della curia pontificia, a partire dalla persona del papa, e a seguire con i molti cardinali a lui fedeli. Tuttavia, ogni volta che si vada a osservare più da vicino gli episodi importanti del primi due decenni del XII secolo, si rischia di incontrare Ranieri, o un suo adepto . È Ranieri - sono ipotesi: ma ben fondate - colui che presiede alla lunga e cruciale vicenda del cantiere di San Clemente e che lo traghetta dal momento-chiave dei dipinti nella chiesa inferiore, alla fase della ricostruzione e ridecorazione di quella superiore (--+ 32 , 39): non solo perché ne era stato cardinale per più di vent'anni, ed era papa mentre si faceva la nuova basilica, ma perché il suo successore cardinale titolare Anastasio, giurista, era suo uomo fedelissimo come già lo era stato di Urbano II47 . Non siamo stupiti di trovare poi - apparentemente per la prima volta dopo molto tempo - un segnale di attività nel complesso lateranense. È quello di cui ci resta solo l'erratico affresco con la storia di Anania e Saffira, un dipinto che però basta da solo a svegliare l'attenzione nei confronti dell'impresa perduta(--+ 26 ). La qualità, che ancora si apprezza nel pannello staccato, parla chiaramente: è una bottega di alto livello, vicina a quella di San Clemente (--+ 21 ) e presumibilmente del perduto portico di San Lorenzo(--+ 24), in pratica sono i pittori prediletti delle imprese più vicine a Ranieri entro la fine del secolo precedente. L'affresco viene dagli ambienti immediatamente attigui l'abside e il transetto della basilica, probabilmente dedicati ad accogliere (e rafforzare) la vita collegiale dei canonici lateranensi48 : un tema carissimo al partito riformato, che ne aveva fatto un cavallo di battaglia nei confronti delle comunità monastiche come di quelle canoniche regolari. Doveva far parte di un ciclo, verosimilmente degli Atti degli Apostoli: la storia sopravvissuta parla dei Anania e Saffira coniugi, dunque laici, puniti da Pietro con la morte per non aver dato il cento per cento dei proventi di una vendita allo stesso Pietro e ai membri della comunità. Il monito è assolutamente chiaro: sullo sfondo, la Chiesa delle origini, che ha bisogno del sostegno intero dei membri della comunità, e fra le righe la Chiesa rinata, che deve riorganizzarsi e ristrutturarsi e che per questo ha bisogno del sostegno morale e finanziario dei suoi membri cui non è lecito conservare beni 'privati'. Il problema delle casse vuote non era sempre gestito in questo modo fosco. Altre volte, il sistema visto in atto nella basilica inferiore di San Clemente, dove una coppia di laici si fa tramite e occasione di un programma-manifesto dei temi cardine della Riforma, sembra replicarsi, non si sa se con la stessa straordinaria qualità: perché l'opera è perduta, e la conoscenza che ne abbiamo riposa su un piccolo frammento del suo apparato decorativo e sulle fonti seicentesche. È il rifacimento e la decorazione della chiesa dei Santi Quattro Coronati (--+ 31): a stare ai documenti e alle fonti, l'orma di Pasquale II vi è indubbia - in ogni caso è lui che consacra la nuova chiesa nel 1116 - e la decorazione absidale di cui resta il piccolo fregio fu pagata da una signora laica, la madonna 'Tuttabuona ', 'Tuttadonna', o 'Giustadonna'. Continua, forse , la tradizione di Maria Macellaria: Gregorio e Petrolino, i due pittori che firmavano gli affreschi, sono considerati dal Mancini molto più bravi di Cimabue49 . Non sappiamo se davvero lo fossero: ma ecco affacciarsi qui l'economico affresco al posto del dispendioso mosaico, come pure fu, qualche anno dopo, a San Crisogono, che il temibile Giovanni da Crema aveva fatto ricostruire al di sopra della vecchia basilica e che ospitò un tema intrigante per una chiesa romana, un tema di pellegrinaggio, il viaggio del braccio di san Giacomo50 . Ugonio solleva un po' il sopracciglio davanti a questa rinuncia alla preziosa materia musiva 51 : chissà se la bravura di Gregorio e Petrolino aveva riscattato l'uso del mediu m più a buon mercato, e chissà qual era il tema iconografico che campeggiava nella nuova abside dei Santi Quattro e in quella poco successiva di San Crisogono52 . Potrebbe invece esser stato ancora Pasquale II colui che dette impulso ad un'impresa estremamente 'pubblica' in quanto situata in un portico, quello di Santa Cecilia in Trastevere. L'ipotesi non è supportata da documenti: mentre si sa quali personalità di primo piano abbiano frequentato la basilica nei decenni finali dell'XI secolo, per il XII i documenti mancano completamente. Però Filipe Dos Santos, nelle due schede sul fregio musivo del portico e sul ciclo che un tempo ne decorava le pareti interne (--+ 33 , 34), ipotizza un ruolo del pontefice nell'impresa: l'omonimia voluta da Ranieri con il pontefice Pasquale I dovette favorire l'attenzione del primo verso la basilica carissima al papa carolingio, la cui operatività intensissima nel campo dell'immagine sembra davvero abbia funzionato quale modello per Ranieri, già prima di salire al soglio pontificio, e dopo53 . Le botteghe che lavorano a Santa Cecilia sono comunque quelle in voga negli ambienti curiali in questi primi due decenni del secolo, sia quella dei mosaicisti - clonati da San Clemente - sia quella dei pittori a fresco , visto che lo sventurato unico riquadro sopravvissuto del ciclo sembra porsi a tramite fra la maniera dei maestri dell'affresco di Anania e Saffira e quella della composita bottega che decora i 'sotterranei' del Sancta Sanctorum(--+ 35 ).

Si tratta, certo, di un tentativo acrobatico, che cerca di ritessere le fila di una committenza quasi mai sicuramente documentata, usando le p recarie armi delle considerazioni stilistiche e cercando di attribuire senso a un dato - lo stile, appunto - che può essere la spia di un gusto, ma che in nessun modo può costituire, ne siamo coscienti, una prova conclusiva. Queste ipotesi, insomma, sono lungi dal voler proporre certezze incise nel marmo, e si limitano a cogliere qualche indizio o ad annusare qualche coincidenza. La lista delle disiecta membra però non è finita. Alcuni sono dati completamente separati dalle opere, interessanti, certo, ma impossibili da verificare. A Sant'Eusebio - che era «tota picta antiquis picturis»54 - è possibile sia stato..eseguito un ciclo testamentario, committente un cardinale Roberto che potrebbe essere il parigino Robert, un altro giudice, fedele seguace di Pasquale II fino al 111255 . Si fece lui stesso rappresentare nella chiesa, e la perdita dei dipinti ci impedisce di sapere se, come è possibile, si trattava di un ciclo tipologico, e se il gruppo romano di cicli testamentari nelle navate delle chiese può arricchirsi di un altro numero oltre quello probabile di San Benedetto in Piscinula (---* 36) e - più tardi - forse di San Martino ai Monti (---* 60) 56 . Un altro cardinale francese lasciò le proprie tracce nel suo titolo cardinalizio: Goffredo di Vendòme, un nome altisonante nel contesto della Riforma, cardinale titolare di Santa Prisca dove furono fatti a sua cura dei lavori fra 1104 e 111657 . Più intrigante - e per fortuna conservato - l'ultimo episodio cui accenniamo, quello del sacello posto dietro l'abside di Santa Pudenziana e decorato da un ciclo di storie paoline e da un pannello con la Vergine e le due sante Prassede e Pudenziana. Il nome del cardinale titolare della basilica, Benedictus, è servito finora ad avallare la datazione gregoriana dei dipinti nel sacello retrostante l'abside della basilica (---* 30): egli compare, infatti, quale committente di restauri nell'oratorio di San Pastore, che serviva da battistero alla chiesa, in un'epigrafe che riferisce i lavori agli anni del pontificato di Gregorio VII. Questo dato è stato amplificato, fino a servire di aggancio anche all'impresa invece separata, pertinente il piccolo oratorio mariano, che nessun elemento riconnette ali' attività attestata nell'epigrafe. È molto difficile che gli affreschi possano mantenere la tradizionale cronologia gregoriana: l'ipotesi che questo volume presenta è che essi appartengano ad una fase un po' più tarda, già sotto il pontificato di Pasquale II. Benedictus, che aveva manifestato evidente interesse alla chiesa del suo titolo, non sparisce però con la fine degli anni gregoriani: con vicende anche ambigue, e un comportamento forse non limpidissimo, egli rimane cardinale del titolo fino ai primi anni del nuovo secolo, ed è solo nel 1111 che viene attestato un nuovo cardinale nella persona di un non meglio noto Johannes58 . Dal 1114 appare poi Corrado di Suburra, altro personaggio non secondario59 : resta da comprendere se il sacello possa essere considerato frutto di una committenza cardinalizia, o se possa rimontare ad un'altra qualsiasi iniziativa, devozionale, privata, di cui nulla sappiamo. Il tema che i dipinti svolgono, però, è pienamente coerente con quelli prediletti dalla Riforma, e celebra le origini apostoliche del titulus di Santa Pudenziana, evidenziandone il blasone paolino. La linea programmatica è comune ad altri programmi del secolo precedente, da quello ora riaffiorato di San Sisto Vecchio (---* 19), ovviamente a quello della chiesa inferiore di San Clemente (---* 21 ): ma bisogna aggiungervi quello perduto del portico di Santa Cecilia in Trastevere (---* 33 ), dove l'unico frammento sopravvissuto è anche, in questo senso, il più interessante, perché è quello che celebra la trasformazione del titulus in chiesa (il copista seicentesco se ne accorse benissimo), e per farlo pesca nel Liber Ponti/icalis, che aggiunge al racconto martiriale della Passio la soglia storica successiva, relativa al papa Pasquale I che sogna e ritrova le reliquie della santa e così conferma la veridicità del racconto e del sito sacro. Leone Ostiense, infine, sembra aver giocato soltanto un ruolo di eminenza grigia. Quasi certamente era implicatissimo nel titolo clementina, che gli fornì materia visiva per scrivere la propria versione dell'epopea di san Clemente; forse egli tenne la regia del programma musivo dell'abside ricostruita 60 , forse curò anche il trasferimento delle storie del santo dall'abbandonata basilica inferiore alla nuova chiesa(---* 39). Di questa ipotesi riaccenneremo più avanti. Egli si occupò di persona anche di San Lorenzo in Lucina, forse distrutta durante il saccheggio normanno dell'84 , addizionata di nuove reliquie, riconsacrata nel 1112 per sua mano 61, e oggetto subito dopo di una nuova cerimonia il cui protagonista è Pasquale II in persona insieme ad un chierico Benedictus e a dei laici: quosdam laicos, interessante informazione conservata addirittura nell'epigrafe oggi affissa nel portico della chiesa 62 . Però, se le conclusioni della nostra scheda e degli studi precedenti sono giuste, egli mancò l'occasione di ridecorare la veneratissima chiesa, perché l'abside di Lucina (---* 50) [18] riprese - appunto con l'economico affresco - lo schema teofanico paleocristiano e ne riprese anche gli elementi decorativi del festone vegetale sul sottarco, ma fu il frutto di un momento storico più tardo, quello dell 'antip apa Anacleto. Il dato non solo non è deludente, se ci fornisce una delle rare opere antipapali scampate almeno alla totale perdita di memoria; è anche prezioso, perché aggiunge una piccola tessera al quadro lacunoso e difficile della personalità di Anacleto, pontefice conservatore e forse rétro , e della sua famiglia, i Pierleoni, cui probabilmente si deve una buona fetta del vero e proprio renouveau paléochrétien, quale è sostanzialmente proposto negli studi degli anni '70 e da allora quasi unanimemente accolto 63 .

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Il 'renouveau'

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Nel quadro largo ormai più volte evocato, infatti, gli episodi che più degli altri hanno dato materia agli studi poco sopra citati si concentrano in uno spazio e in un tempo brevi, alcuni anni, sulla riva sinistra del Tevere, poco lontano dall'Isola Tiberina. L'idea suona provocatoria - e lo è - e come tutte le provocazioni grandi o piccole è consapevolmente riduttiva. Nasce però dalla considerazione che, così come i movimenti ideologici sono inseparabili dai gruppi di potere che li difendono e li impersonano, così anche il gusto ne è una funzione non secondaria: connota e cementa le cerchie del potere e segna i loro luoghi elettivi. In questo senso, il paesaggio di Roma è parlante: Krautheimer lo ha ritratto in maniera impareggiabile64 . Nell 'XI secolo i riformati sono arroccati a Trastevere: la loro cerchia è in certa misura forestiera e allogena, molto meno radicata nell'aristocrazia romana rispetto al partito avverso e sostenuta da ricchezze ebraiche e convertite e da ceti popolari65 . Via via che il successo arride al loro partito e che la loro fisionomia di gruppo di potere diventa più chiara, ad essi si agganciano altre cerchie rampanti, che con loro scalano la società romana. I Frangipane, per esempio, erano definiti ex plebe in documenti della metà del X secolo: gradualmente rimontano la scala sociale, attestati nella zona di Santa Maria Nova e del Palatino, che diventa la loro sede e roccaforte per secoli, sempre saldamente presenti nella cerchia di Nicolò II e Alessandro II, poi di Gregorio VII66 . Cencio Frangipane decide le sorti di Roma trattandone il sacco normanno nel 1084; Urbano II troverà spesso rifugio nel palazzo-fortezza di Santa Maria Nova - ma morirà in quello dei Pierleoni a San Nicola in Carcere - e Pasquale II si proteggerà invece nell'Isola Tiberina, roccaforte, per l'appunto, Pierleoni67 . I quali hanno una vicenda parallela: se è vero che il loro capostipite era Baruch, l'ebreo convertito che finanzia le campagne militari di Ildebrando di fatto decidendone le possibilità di vittoria 68 , essi giungono rapidamente agli alti gradi della scala ecclesiastica quando Pietro Pierleoni, già monaco a Cluny, diviene cardinale dei Santi Cosma e Damiano (11 12 o 1116) e poi di Santa Maria in Trastevere (1120)69 . Sono insediati nella zona del Teatro di Marcello, attigua all'Isola Tiberina. Il parallelismo delle vicende dei due gruppi familiari è nei fatti , e così la loro potenziale rivalità. Pasquale II cercherà di pararla, già affidando nel 1108 la reggenza congiunta della città a Leone Frangipane e a Petrus Leonis, padre del futuro cardinale70 . Ma già nel 1118, all'elezione di Gelasio II, scoppiano i primi guai, con assalti armati, guerre, baruffe e tumulti, nel corso dei quali i Frangi pane finiranno per schierarsi dalla parte dell'ala più aperta e 'internazionale' della curia , capeggiata dal cardinale Aimerico, e i Pierleoni invece ne impersoneranno quella più conservatrice, nostalgicamente legata alle posizioni e alle idee gregoriane e cassinesi ormai invecchiate e sorpassate dagli eventi: finché Pietro Pierleoni non diventerà lui stesso antipapa, Anacleto II, contrastando il passo per quasi dieci anni al papa dei Frangipane: Innocenzo II 71 . Non un gran successo, se si pensa che una parte della politica dei gregoriani e dei riformati era stata volta a liberare la sede papale delle ipoteche delle famiglie aristocratiche romane. Ma il dato che balza agli occhi - e torno al punto di partenza - è che, per localistiche e personalistiche che appaiano le politiche delle due famiglie prima vicinissime e poi avverse, esse sembrano anche impersonare una specifica tendenza di gusto, che coincide perfettamente con lo scoppio del renouveau storiograficamente inteso . Chissà se era veramente una Frangipane o una vicina ai Frangipane, Maria Macellaria72 : se così era, bisogna dire che la sua apparizione sulla scena romana coincide con il più formidabile episodio antichizzante dell'XI secolo - gli affreschi della chiesa inferiore di San Clemente- culla di un gusto decorativo e di un afflato retorico 'all'antica' senza pari nella cultura figurativa della città. E chissà se i luoghi di Roma che erano i loro - il Colosseo, il Palatino, Santa Maria Nova - non abbiano contribuito ad incollare il gusto dell 'antico alle scelte della famiglia: ipotesi indimostrabile, ma vale forse la pena di avanzarne il sospetto. Quanto ai Pierleoni, l'antiquarianism per loro è una sigla esplicita e di lunga durata, un gusto estetico che diventa anche scelta politica tradizionalista e à rebours. Petrus Leonis, il padre del cardinale, si fece seppellire a San Paolo - la famiglia aveva case nella zona - in un sarcofago antico di straordinaria bellezza, oggi ancora esistente nella basilica, ornato con le Muse e il mito di Marsia, e iscrizioni intese a sottolineare il legame con gli apostoli Pietro e Paolo e a definire Petrus servator patriae e urbis amator 73 . A San Paolo , i Pierleoni erano sostenitori dell 'abate Anastasio, il committente degli affreschi nel cosiddetto oratorio di San Giuliano, con ogni probabilità l'antica sala capitolare del monastero (-+ 48); il 1128, anno di morte di Petrus Leonis, è anche l'anno cui è tendenzialmente legata la decorazione della cripta di San Nicola in Carcere (-+ 46), la chiesa di famiglia vicina al loro palazzo citato dalla Graphia, uno dei due episodi più esplicitamente antiquariali della pittura romana di XII secolo, e uno dei casi in cui si radica la tesi storiografica del renouveau74 . L'altro è la decorazione di Santa Maria in Cosmedin (-+ 40): e qui il legame diretto con le famiglie ci manca, a dimostrare che nessuna ipotesi di lavoro può essere troppo geometrica. La diaconia

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di Santa Maria in Cosmedin fu rifatta e ridecorata da capo a piedi negli anni in cui era papa Callisto II: un papa borgognone, che subito aveva sistemato il proprio nipote Etienne de Berry a cardinal diacono della chiesa75 . Il committente però fu il camerarius Alfano, di cui non si sa nulla: l'omonimia con gli arcivescovi salernitani sarà una pura coincidenza. Però si sa che Alfano, nella chiesa di Santa Maria, non si dette la minima pena di menzionare il cardinale titolare e nipote del suo papa, ma citò il nome di Callisto e poi soltanto il proprio, offrendo alla Vergine («alma Sophya») pavimenti e arredi, dunque l'intera opera della chiesa. Nel portico, installò la propria tomba, antichizzante come poche altre della Roma medievale 76 , la cui iscrizione - Vir probus Al/anus cernens quia cuncta perirent I hoc sibi sarco/agum statuz't ne totus obiret I /abrica delectat pallet quia penitus extra I sed monet interius quia post haec tristia restant - per quanto in debito ai topoi funerari , mi sembra ancora echeggiare il non omnis moriar oraziano (e si potrebbero forse aggiungere quei tristia di eco ovidiana), di nostalgia della vita e di desiderio d 'eternità, che nulla ha di esplicitamente cristiano, ma affida la memoria e la sopravvivenza dell'individuo Alfano al suo 'sarcofago' e alla b ellezza dell'opera che egli ha realizzato 77 • Poiché nulla sappiamo di lui, non possiamo dire se Alfano fosse legato alla cerchia dei Pierleoni: ma certo , egli andò a scegliere, tra le chiese romane, quella più vicina al quartiere Pierleoni, distante qualche metro da San Nicola in Carcere, e se fu solo un atto d'omaggio al nipote del papa, l'omaggio non fu esplicitato in alcun modo a noi noto. La bottega che contestualmente - è l'ipotesi più verosimile, e unanimemente accolta - dipinse la navata della chiesa svolse un programma difficile, raro, intessuto di prestiti di cultura miniatoria; la giustapposizione di temi profetici veterotestamentari e di temi mariani è isolata, per quanto

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si sa, a Roma, ad eccezione del caso peraltro radicalmente diverso della decorazione musiva di V secolo della basilica di Santa Maria Maggiore 78 . Le condizioni dei dipinti sono catastrofiche, non solo perché del ciclo sopravvive solo la porzione alta delle due pareti della navata, dove fu preservato dal soffitto barocco distrutto da Giovenale per 'medievalizzare' l'edificio, ma perché ciò che sopravvive è una parte magrissima dello strato pittorico, in realtà quasi solo il disegno, interrotto da vastissime lacune, ricucito dai restauratori in modi spesso sommari e malintesi, spesso incomprensibile e inaffidabile a ricostruire quella che dovette essere un 'impresa di straordinaria, aristocratica eleganza. Se ne intravedono ancora bene gli apparati, ben più complessi rispetto al sistema a sole colonne e architravi, che risale ai modelli di San Pietro e San Paolo. La superficie muraria non è solo addizionata di una griglia architettonica dipinta, ma è totalmente trasfigurata da un sistema movimentato e illusivo che non si limita a fingere lo spessore di un'architettura inesistente e gioca sulla percezione del racconto figurativo , il quale non scorre 'dietro' l'architettura come a San Pietro e San Paolo, e si apre invece ogni volta come in una serie di finestre, quadri o pinakes, incorniciate dalle finte edicole [19]: l'affinità con gli apparati tardo antichi della basilica di Giunio Basso è stata sempre notata 79 . L'ornamentazione è quasi pletorica: le colonne sono strigilate o fasciate a festone vegetale, i frontoni delle finte edicole accolgono cornucopie e maschere [20] , sulle finte architravi che segnano la separazione tra i registri veterotestamentari e quelli dedicati alle storie della Vergine e dell'Infan zia di Cristo si avvolgono vela alexandrina tra i quali si arrampicano putti nudi e alati, che sorvegliano le scene sottostanti [22, 23]. Il tasso di gusto antiquariale sembra accresciuto in maniera esponenziale rispetto agli altri episodi pittorici della Roma di questi anni, frutto di un'attenzione filologica che va a specificare anche curiosi dettagli dell ' abbigliamento dei personaggi 80 , come se la bottega avesse avuto sottomano specimen , forse miniatori, fitti di questo tipo di cultura visiva, o forse come se il suggeritore del programma avesse vegliato sulla sua esecuzione, spingendola verso il proprio gusto rarefatto ed elitario. I nessi con episodi vicini - Santa Pudenziana, i frammenti da Santa Cecilia e dal portico lateranense, 'sotterranei' del Sancta Sanctorum, (- 30, 33 , 26, 35 ) - sono ben vivi, ma la coincidenza non è perfetta, ad esempio nelle dimensioni delle figure e nella loro relazione con gli altri elementi della messa in scena narrativa. Uno degli aspetti più eclatanti di quelle che sono oggi le larve pittoriche di Santa Maria in Cosmedin sembra essere il disegno nervoso, il tratto svelto ma minuzioso, che conduce a disegnare anatomie con lunghi corpi e piccole teste, e fisionomie con lineamenti piccoli e raggrumati verso il centro del viso. Per quanto si resti prudenti date le condizioni conservative, la distanza con le grosse teste e gli occhi immensi dei dipinti di Santa Pudenziana è notevole: siamo davanti ad una diversa tendenza pittorica, non lontana nel tempo e non opposta nel gusto, ma distinta e riconoscibile, ed è a mio avviso evidente che le sue radici non possano trovarsi se non nella maniera dei murali della chiesa inferiore di San Clemente e in alcuni suoi svolgimenti, sia in ambito monumentale (vedi i rovinati dipinti del sacello dei Santi Bonifacio e Alessio (- 38) [26], che miniatorio , come nell'elegante foglio di Cesena81 [26]. Alcune figure sembrano davvero copiate da qualche modello antico - si veda per esempio l'idolo d'oro nell'Adorazione dell'idolo , nel ciclo di Daniele, settima scena [28] mentre altre hanno movenze teatrali che mi sembrano molto vicine a quelle delle storie petrine in San Pietro à Tuscania (l'Incontro dei santi Pietro e Paolo, ad esempio [Saggio I, 47] e di nuovo ci riconducono a San Clemente, questa volta all'episodio dell'Arresto di san Clemente (- 2 lc) , di cui abbiamo già segnalato le ascendenze nei repertori delle illustrazioni plautine e terenziane tardo antiche e carolinge: il bagaglio di modelli miniatori della bottega si spia anche in questi aspetti (vedi p. 28 , figg. 41-42 ).

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Una volta ancora, dunque, l'analisi ci riconduce al seminale bacino di San Clemente: ma questa volta non soltanto a quello della chiesa inferiore. Nel sottotetto della basilica superiore, infatti, esistono frammenti di una vasta decorazione a fresco (- 39), che chi scrive aveva a suo tempo datato al tardo Duecento, accostandola ad altri episodi antiquarialmente connotati come quello delle Tre Fontane, di Sant'Agnese fuori le mura, o dello stesso Sancta Sanctorum 82 . L'ispezione rawicinata compiuta più di recente e l'eliminazione degli ostacoli che ostruivano la vista dei resti nella navata sinistra hanno comportato un radicale mutamento di cronologia; questi frammenti fanno parte dell'assetto decorativo della basilica ricostruita, quando il cardinale Anastasio - senza dubbio d'accordo con Pasquale II - fece abbandonare la chiesa paleocristiana di San Clemente ed erigerne l'altra al di sopra dell'antica. Nella nuova basilica si mise allora in atto una procedura di recupero e riproposizione delle vestigia venerabili dell'edificio abbandonato, che riguardò ad esempio il riuso delle transenne della schola cantorum, le quali furono salvate dall'abbandono e reinstallate nella nuova chiesa, non senza aggiornarne i rilievi in marmo di VI secolo con una colorata decorazione in mosaico cosmatesco 83 ; poco sopra in questo stesso saggio abbiamo accennato alla possibilità che l'impianto compositivo dell'abside musiva della chiesa inferiore, e forse una parte delle sue stesse tessere, sia stato 'trasportato' nella nuova basilica. I frammenti riscoperti nel sottotetto fanno intravvedere la possibilità di estendere ancora la nozione di questa complessa e multiforme procedura di reimpiego e recupero, e di riconoscere nel poco che resta dei dipinti della navata sinistra, le tracce di un ciclo di storie molto probabilmente a tema clementina, verosimilmente riproposizione, in tutto o in parte, dell'epopea raffinata dei dipinti del nartece e dei pilastri della chiesa inferiore84 . Quello che oggi ne resta è poco, ma il timpano, maggiormente conservato, mostra un repertorio di maschere [21], putti nudi [24] , vasi antichi che per antiquarianism costituisce il più stretto termine di confronto con il cantiere di Santa Maria in Cosmedin [19, 20, 22 , 23]. La data di consacrazione al 1118 dell'edificio rimane un termine post quem molto credibile: la decorazione a fresco della nuova San Clemente dovette circondare e completare quella musiva, così come accadrà ad esempio in un caso un po' più tardo, quello di Santa Maria Maggiore alla fine del Duecento 85 .

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Il cantiere drammatico di San Clemente è insomma la chiave della cultura figurativa romana di questi decenni cruciali. È drammatico perché appare e si manifesta nella basilica inferiore con una completezza abbagliante e improvvisa di gusto e di repertori; ed è drammatico perché la sopravvivenza di quel gusto e di quei repertori implica la sparizione dei suoi primi e splendidi frutti , seppelliti nella basilica abbandonata, e la loro ripresa in una chiave diversa e più snob, se ci si passa il termine, più preziosamente manierata nel senso squisitamente classicista di Santa Maria in Cosmedin e in quello più dichiaratamente 'paleocristiano' della cripta di San Nicola in Carcere (- 46). Non si può dire se sia stato Callisto II l'autore del programma per altri versi e in altri modi altrettanto fortemente antiquariale, quello dell'oratorio di San Nicola al Laterano (- 49): la perduta decorazione, dove il 'senso della storia' pontificio appare al sommo della propria capacità riassuntiva e polemica, fu manipolata più e più volte nel tempo - per adattare, acuire o smorzare il significato politico provocatorio del programma - e soprattutto fu adottata dall'antipapa Anacleto pochi anni dopo la morte di Callisto. Non sappiamo dunque a chi si debba far risalire l'idea di copiare la Madonna della Clemenza [27] e di animarla in un contesto di storia pontificia, facendone l'icona della Ecclesia par excellence; ma possiamo notare almeno due aspetti. Uno, evidentissimo , è che l'episodio dell'oratorio di San Nicola costituisce l'immediato precedente dell'altro, più monumentale ancora e soprattutto più 'pubblico' , il mosaico di Santa Maria in Trastevere (- 55 ), che elabora ancora più a fondo le possibilità persuasive delle immagini sacre romane nelle loro diversificate manifestazioni e nella loro intrinseca teatralità. L'altro punto è che nella quasi perduta lunetta della tomba di Alfano (- 40b) nel portico di Santa Maria in Cosmedin era stata usata proprio l'immagine della Vergine in trono con angeli, in pratica lo schema della Clemenza, affiancata dalle figure dei papi

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Gelasio e Callisto. È dunque da questo papa borgognone e soprattutto, suppongo, dai suoi alleati romani, che scaturiscono tante delle scelte antiquarie: l"antico' di Ranieri di Bieda, !"antico' di San Clemente, sono diventati l' antiquarianismo raffinato ed evocativo di Callisto e dei suoi amici. E non c'è a mio avviso dubbio che sia stato al tempo di Callisto che il Laterano si reimpose ali'attenzione dei pontefici e riprese il ruolo che gli era tradizionale, di vetrina pontificia e di grande contenitore politico. Era stato a lungo di Guiberto, e ora, in rapida successione, sarà oggetto dei programmi prima di Callisto-sia nella Camera pro secretis consiliis, che nell'oratorio di San Nicola (---> 45, 49), dove Callisto è soppiantato da Anacleto - poi di Innocenzo II che ne approfittò per puntualizzare il proprio punto di vista sui rapporti tra lui e l'imperatore Lotario(---> 51 ): facendosi accompagnare nella messinscena da Cencio Frangipane e forse non prevedendo la scarsa solidità della vittoria e i tempi di nuovo difficili che già si annunciavano. Qualche parola, infine, su una questione molto ardua, quella delle icone, già a varie riprese apparse nelle pagine precedenti. Per quanto chiaro sia il loro ruolo all'interno della vita devozionale della città e anche nel contesto della/orma mentis figurativa romana, inserire le icone romane in un percorso plausibile di svolgimenti pittorici non è sempre cosa facile , data la natura di questa classe di oggetti, e il condizionamento di una serie di fattori: i macroscopici ondeggiamenti cronologici subiti da questo gruppo di dipinti ne danno prova evidente. Le ragioni sono ben note. Da una parte, infatti, c'è il fenomeno che le tocca e le accomuna praticamente tutte: esse sono, in grande maggioranza, repliche di prototipi acheropiti e veneratissimi, da quello lateranense del Salvatore, a quello altrettanto celebre della Vergine Tempuli (vedi p . 17, fig. 1), alla non meno amata Salus Populi Romani 86 . Le icone vengono continuamente replicate, ma nonostante la pressione del prototipo, le repliche sono disinvolte: talvolta i modelli si mescolano, dettagli vengono aggiunti - pensiamo alle due icone 'sceneggiate' del Palazzo Barberini e di Sant' Ambrogio alla Massima (---> 17 , 18) - e spesso le copie replicano non i prototipi ma altre repliche, così che il modello originario si allontana senza, peraltro, mai sparire del tutto. Inutile ricordare che a questa complessità collaborano anche la pittura monumentale e il mosaico, che pure usano, citano, copiano, manipolano le immagini iconiche secondo un'insistente/orma mentis largamente attestata nel XII secolo(---> 40, 49, 55 ) e destinata a durare ben dentro il XIII 87 . La procedura di replica non è innocente, ma non è totalizzante, e i tratti dell'immagine prototipale - o di altre sue precedenti repliche - hanno sul nuovo oggetto un impatto che va poi a dialogare con la scrittura del pittore 'moderno'. In più, immagini cristologiche, odigitrie, advocatae, repliche e originali, subiscono riti periodici, trattamenti affettuosi e aggiornamenti continui: in questo modo si è perso l'Acheropita lateranense, che agisce sulla figuratività romana come un motore invisibile e da un certo momento anche in realtà perduto88 , e così si sono resi di fatto insondabili i tratti originari della Salus Populi Romani, della quale abbiamo ritenuto incomponibile un'immagine coerente di XII secolo. Sottoposta a ridipinture e ricuciture continue, essa aveva forse origine tardo antica: la r plica purtroppo finora introvabile, che Garrison assegnò opportunamente al 'pittore di Sant'Ermete' 89 , potrebbe forse avere una cronologia di XI secolo e con questo dire qualcosa di molto interessante sulla vita del suo prototipo. Le ricerche che Daniela Sgherri ha condotto sul monastero di Campo Marzio (---> 16, 17) ce lo mostrano luogo pieno di immagini anche più di quanto si sapesse, e così verosimilmente era per

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molti altri luoghi romani, le chiese, le diaconie, i monasteri femminili e maschili: le vicende di quelle che si possono considerare i pochi relitti di un patrimonio numerosissimo - e Garrison aveva certo ragione valutando in modo così radicale la percentuale di perdite della pittura su tavola italiana90 - ci fanno pensare che ogni luogo di culto, ogni comunità religiosa, doveva essere provvista delle sue immagini, che riproponevano le sembianze familiari dei sacri volti cittadini, rassicurando e confermando le credenze e le abitudini della devozione locale. La permanenza di questo fenomeno non ne nega naturalmente la capacità di riaccensioni e intensificazioni in concomitanza di fasi storiche particolarmente significative: il caso delle repliche del prototipo Tempuli quale indizio del 'problema femminile' nella Roma di fine XI e primo XII secolo è parlante, e altrettanto esplicito è il valore 'politico' acquisito dall'immagine regale ed ecclesiologica dell 'icona della Clemenza nei nuovi programmi di Callisto e di Anacleto. È lecito quindi affermare che le fasi marcate dal renouveau hanno avuto una forte ricaduta nel campo importante della pittura iconica, indispensabile supporto alla politica di rilancio e rivalorizzazione della tradizione romana - e antica - da parte della Chiesa postriformata. Le date che abbiamo assegnato alle icone mariane raccolte in questa sezione del volume lo confermano: esse non contraddicono il panorama che si è venuto a disegnare e anzi si raggruppano secondo tendenze stilistiche in modo non irriconoscibile rispetto alla pittura monumentale. La cosa non stupisce: nel secolo precedente, il gruppo di Campo Marzio composto dalla tavola vaticana del Giudizio, dall'icona del Palazzo Barberini e dal Salvatore oggi nella Pinacoteca vaticana (""'* 3 , 16, 17 ), unisce la comune provenienza ad una solida coerenza stilistica. Per il XII secolo non abbiamo la fortuna di avere aggregazioni di provenienza così accertata, ma abbiamo qualche firma , specialmente quelle di un Petrus pictor e del presbiter Bellushomo che firmano la tavola della Pescheria (""'* 41) in coppia come Giovanni e Nicola avevano firmato la tavola del Giudizio, nonché l'altro Petrus 'pictor' che firma l'icona di Santa Maria in Via Lata (""'* 44 )91 . Grande assente tra le nostre schede, per la sua indiscutibile pertinenza alla cattedrale tiburtina , il Salvatore di Tivoli [29] entra evidentemente a pieno diritto nella storia della pittura romana di questi anni verosimilmente pascaliani e callistiani. Longhi lo aveva definito «neghittosa matassa d' oro» 92 : dell'aggrovigliarsi abbagliante di linee dorate esso è un capolavoro, come un capolavoro sono, o erano, i drappi della Madonna della Pescheria disegnati in modo supremamente aulico contro il fondo dorato , e ambedue sono ancora una volta - incomprensibili sen za le premesse della pittura clementina, senza le sue gamme cromatiche percorse dai filamenti bianchi, che qui riconquistano la propria materia originariamente aurea e denunciano, se possibile in modo ancora più esplicito rispetto alla contemporanea pittura murale, il loro debito agli orizzonti contemporanei della più aulica arte musiva costantinopolitana.

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Servatius 1979; Cerrini 2000. Nei primi cinque o sei anni del suo pontificato Pasquale II dovette fronteggiare ben tre antipapi (Teodorico, Alberto, Maginolfo) ma non pericolosi. 2 Nelle schede diamo conto di ciò che resta del mosaico di facciata, ma - come ricorda Claussen (2002 , 144) è legittimo supporre che anche l'abside fosse mosaicata. 3 «[. .. ]l'arte dei Cosmati appare come un contro-programma, un'antitesi ad una precedente prassi con la quale non si voleva avere più niente a che fare» (Claussen c.s.). 4 Ho cercato più volte di mettere in evidenza questo aspetto, a mio avviso tra i più marcanti della cultura pontificia romana. Rimando ad esempio al capitolo di Romano 2001 (Il ritratto di città. Assisi, Cimabue e il senso della storia) e, per ulteriori nozioni, agli atti del convegno sul Senso della storia nella cultura medievale italiana (Pistoia 1995). 5 Sulla cronologia, le redazioni e la composizione del Liber Ponti/icalis vedi le pagine introduttive di Duchesne ai tre volumi della sua edizione del LP; per gli Ordines, Andrieu 1940 e Fabre-Duchesne 1910-1952; per i M irabilia, Valentini-Zucchetti 1946, III, 3-65. 6 Toubert 1970 e Kitzinger 1972b. 7 Kessler 1989a e 1989b, ma anche 2001 e 2003 . 8 Romano 2000, 138-141 , e 2003 , 42. 9 Per alcuni elementi di discussione circa la cronologia vedi il saggio Roma XI secolo. Da Leone IX a Ranieri di Bieda in questo volume (pp . 15-31 ) Non direi , come la Tagliaferri (2003 , 153 ), che «non si può esitare nel condividere le conclusioni degli studi che li attribuiscono alla stessa bottega della basilica inferiore di San Clemente»: il rapporto è ovvio, ma altrettanto evidente è la necessità di molti distinguo, per ciò che attiene la composizione della bottega e per la questione della cronologia. 10 Nel riquadro con la Storia di Giuseppe e la moglie di Puti/arre si veda, ad esempio, la figura dell'ancella. 11 Su Castel Sant'Elia manca uno studio recente: si veda Hoegger 1975, e la scheda in Parlato-Romano 1992 [2001] , 167-178. 12 Hueck (1969-1970, 138) sottolinea il versante molto 'classico' delle vesti e dei panneggi. Su Tuscania vedi Gandolfo 1988, 256-257 e in questo volume il saggio precedente alle note 96-97. 13 Andaloro-Romano 2000. 14 Matthiae 1967 , 264-267 , con il ricordo della perduta decorazione di San Martino ai Monti che doveva datare agli anni di Sergio IV o Leone IV. 15 Ibidem, 277 -278 . 16 Vedi la questione in Andaloro 1995. 17 Kitzinger 1972a, con datazione alfaniana (1085), con cui concorda Pace (1997). 18 Dato al primo Duecento da Bologna (1962 , 80); staccato dalla fase costruttiva originaria da Aceto (1984), che ha rinvenuto gli oculi tamponati sotto la decorazione; scettico sulla priorità del mosaico di Salerno su quello di San Clemente Gandolfo (1988, 249, 255 ); Antonio lacobini (2005 ) ha di recente proposto una datazione 'protomonrealese'. 19 L'arcivescovo Alfano nella sua celebre ode (PL CXLVII, col. 1262: Kitzinger 1972a). 20 Gandolfo 1989, 26. 21 Hiils 1977, 105-106. Era bibliotecario a Montecassino, poi diviene direttamente cardinal vescovo di Ostia, tra 1102 e 1107, ovviamente uomo di Pasquale II. 22 Mi riferisco al fatto che la basilica era stata titolo dell'ami-cardinale Ugo Candido, e oggetto di contese anche durante il cardinalato di Ranieri di Bieda/Pasquale II (vedi p. 26). 23 Mi fa piacere ricordare, qui, le mattinate passate molti e molti anni fa sui ponteggi delle chiese romane con Maria Andaloro, e specialmente in San Zenone, dove lei insegnò ai fotografi del Gabinetto Fotografico Nazionale prima a guardare, e poi a fotografare i mosaici. 24 Sui mosaici altomedievali romani il testo di riferimento è ancora quello di Matthiae del 1967 , e si vedano anche gli aggiornamenti di Maria Andaloro (1987 a) a Matthiae 1965. 25 Matthiae 1967 , 286. 26 Rimando alla scheda nel primo volume di questo stesso Corpus: l'ipotesi di una datazione medievale dell'absidiola lateranense non appare convincente (Andaloro 1987a, 230). 27 (-> 32) . Il Matthiae (1967, 421 ) sottolineava come le tessere dorate dei due registri più bassi a girali d'acanto abbiano un fondo grigio-verde, mentre nei tre più alti la preparazione è rossa. Sono incerta sulla valutazione di questo dato, che dovrebbe fare i conti anche con la tecnica esecutiva dall'alto in basso del mosaico; potrebbe anche trattarsi di un raffinato strumento ottico, atto a influenzare la percezione cromatica del fondo oro in maniera differenziata a seconda della curvatura del mosaico. 28 Telesko 1994, 59-60; sui plutei, Einaudi 1990. Non ho modo qui di sviluppare la questione, ma rilevo che l'interpretazione proposta da Karin Einaudi dei plutei di Santa Maria in Trastevere quale recinzione della/ons olei commissionata da Anastasio Bibliotecario nel IX secolo spinge a guardare i cespi d'acanto di Trastevere quale antenato anche 'iconologicamente' non disdicevole per l'abside di San Clemente. Per altri versi il Matthiae (1967 , 290), ricordava giustamente come i mosaicisti di San Clemente avessero sotto gli occhi altri esempi, per noi in gran parte perduti, come i mosaici di Santa Costanza, o le tarsie del Battistero Lateranense. 29 Le prime testimonianze della ricomparsa dell'Ara Pacis sono degli anni '30 del '500. Si suppone che il monumento sia stato precocemente interrato, e che le distruzioni del 1084 sicuramente attestate nella zona di Lucina abbiano condannato ogni tventuale frammento rimasto visibile. Sui pezzi oggi noti sono state riscontrate tracce di incendio: non so se questo indizio possa far pensare che alcune lastre erano in luce nell'XI secolo. Sull'Ara Pacis e il suo restauro, La Rocca 1983; sull'acanto, Castriota 1995; e sulla 'sinfonicità' ornamentale di San Clemente, Bonne 1997 . 30 Telesko 1994. 31 Gaborit 2005 , 364 con un sintetico status quaestionis e la cronologia al 11 18-1120.

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Andaloro-Romano 2000, 108-112. Nilgen 1981. 34 Per tutto ciò che attiene al mosaico di Santa Maria rimando alla scheda in questo volume(----> 55) e mi limito a ricordare il seminale saggio di Kitzinger (1980), che ha subito molti aggiustamenti (specialmente Boskovits 1983 ) ma che rimane un'intuizione illuminante e sempre capace di innescare le riflessioni successive. Sul rapporto tra l'immagine acheropita lateranense, le sue repliche, le icone mariane, e le processioni romane, Andaloro 1991; Parlato 2000. 35 Sulla questione del prototipo del mosaico di Catabarbara, da identificare probabilmente in quello dell'abside lateranense, vedi Buddensieg 1959; inoltre più avanti a pag. 170 e la nota 38, e pag. 319 e la nota 8, e le schede su San Lorenzo in Lucina e Santa Maria in Monticelli in questo volume (----> 50, 56). Per l'acqÙarello che riproduce l'abside di Catabarbara (WRL 9172 ), Osborne-Claridge 1998, 78-81. 36 Romano 2000, llO. 37 Gandolfo c.s. 38 Ibidem, 98-103 ; Andaloro-Romano 2000, 98-105. Lo stato frammentario dell'immagine di San Bartolomeo impedisce di sapere se la figura del Cristo spiccasse sul monticello con i quattro fiumi - come a Catabarbara e se il mosaico fosse completato da tituli, sul 'prelievo' dei quali in età carolingia si vedano le considerazioni in Andaloro-Romano 2000, 103-105. Vedi anche in questo saggio, nota 32. 39 Claussen (2002 , 144-146) nota certe goffaggini esecutive e si chiede se il mosaico non possa essere il frutto dell'intervento della bottega di marmorari attivi nella chiesa durante la seconda metà del XII secolo. 40 Mi riferisco per esempio all'uso del segno bianco sulle sopracciglia e sulla sella del naso, che nel mosaico di San Bartolomeo è evidentissimo, simile a quello che appare nel volto di Cristo dell'affresco di San Gregorio Nazianzeno (----> 23 ) più ancora che a quelli in uso nei dipinti murali più tardi, poniamo a Castel Sant'Elia o nel gruppo di Santa Pudenziana. È naturalmente troppo poco per datare alcunché: stilemi di questo tipo si possono usare, esportare, reimpiegare, senza costituire a mio avviso un riferimento cronologico obbligante. Quanto agli accentuati grafismi che nel mosaico di San Bartolomeo appaiono, per esempio, nel manto blu del Cristo, rigato da larghi canali dorati distanziati tra loro come mai si vede né nel mosaico né nella pittura di questi decenni; o le strisce rosse cuneiformi sulla veste d'oro; sono tratti difficili da reperire nel vocabolario cittadino del XII secolo, e preferisco considerare che ci manchino i termini di confronto piuttosto che costringerli in confronti forzati , visto che il riferimento ottoniano di Bertelli (1983, 120) è affascinante, ma anch'esso del tutto sperduto nel nulla che esiste di epoca ottoniana, e specialmente a mosaico, in città. 41 La chiesa era tenuta dai Pierleoni: Zema 1944, 171; Stroll 1991 , 95-105. Urbano II si rifugiò nell'isola nel 1089, mentre Clemente IIVGuiberto teneva Roma (Cerrini 2000, 224); per le notizie su Pasquale II, Cecchelli 1951, 79. 42 Gandolfo c.s. 43 LP Il, 305; Buchowiecki, 1970, 80 1. 44 de Rossi 1899; nelle note di Stevenson è chiara la nozione delle pessime condizioni conservative del mosaico e della piccolezza dei resti attinenti il supposto dossale del trono («un pezzo minuscolo del dossale del trono»), coperti, come attesta lo stesso Stevenson, dai pezzi di stucco dipinto dovuti ai rifacimenti più tardi e a loro volta molto danneggiati dall'umidità. L'unica parte ben leggibile era, sempre per Stevenson, «il nimbo colla testa fino a tutto l'orlo dorato della vestinetta sotto il collo». 45 Osborne-Claridge 1996, 210-2ll : l'acquarello è WRL 8972, cui si deve aggiungere l'incisione WRL 9146 A (Osborne-Claridge 1998, 96). 46 Su Vallerano, Rossi 1982, e su Castel Sant'Elia Parlato-Romano 1992 [2001], 167-178. 47 Per la nuova San Clemente vedi Claussen 2002 , 299-347, con esaurientissima bibliografia e tutta la questione storiografica relativa ad architettura e arredi liturgici. Su Anastasio, Hiils 1977, 161-162: cardinale dal 1102 al ll25 , firma la prima volta nel 1102 ed è attestato varie volte come giudice (ll09, lll2 , ll 13 , lll5); non so se questo dato possa per caso avere qualche relazione con il risalto dato al concetto della Lex nell'iscrizione del mosaico. Non credo invece al ragionamento 'anacletiano' della Stroll (1991 , lll8-13 l ). Vedi anche Claussen 2002, 343 , nota 372. 48 De Blaauw 1990. 49 Memmolo 1628, 17; Mancini, Considerazioni, ed. Marucchi-Salerno 1956-1957 , 61, 166-167. 50 «Né voglio lasciar quelle che erano in S. Grisogono nella pariete verso il monasterio, dove era depenta la traslation del braccio di S. Ja com o, dove era la navigation con la quale fu trasportato detto braccio, con molti prelati con habiti di quei tempi che, ancorché fossero goffamente fatte, nondimeno davan cognitione degl'habiti di sacerdoti che usavano in quei tempi ... Queste furon fatte al tempo di Onorio II nel 1124, come si vede dalla seguente scrittura: In nomine Domini Amen, Anno Incarnationis Dominicae 1128 (sic) ...» (Mancini, Considerazioni, ed. Marucchi Salerno 1956-1957 , 62 , e altre informazioni analoghe, questa volta riferite a Callisto II ma ali' anno 1129, alla p. 166). Cfr. anche Claussen 2002 , 394 , nota 47. 51 Ugonio 1588, 282 e Claussen 2002 , 394 , nota 46. 52 Su San Crisogono vedi Claussen 2002 , 386-411. Giovanni da Crema è titolare della basilica dal lll8 al ll3 7 . Hiils 1977, 176-177; Colotto 2000, e Stroll 1987, 105-llO. La sconfitta, la cattura e la successiva spaventosa umiliazione di Burdino per le strade di Roma sono del ll21 , il concordato di Worms del 1122, la consacrazione di un oratorio a San Crisogono è del 1123 , nel 1127 viene consacrato l'altare della nuova chiesa e del 1129 è la lapide in cui Giovanni da Crema ricorda la propria impresa ormai conclusa . 53 Per il ' collegamento ideale' di Pasquale II con Pasquale I, Servatius 1979, 35-37 , e Pace 1993-1994, 546. 54 Panvinio, BAV, Vat. lat. 6780, f. 65: Claussen 2002 , 447 , nota 12. 55 Hiils 1977 , 165. 56 Ugonio 1588, 257-260: «I muri intorno l'altare sono di pitture vecchie et hormai guaste del tutto lavorati, le quali fece fare un certo Cardinale Roberto di questo titolo , che quivi in un pilastro à man manca andando ali' altar maggiore si vede dipinto tra due santi Eusebio e Vincenzo, con questo verso appresso: Hec deserta prius vobis renovata duobus, D 0 Rob . Card. - Di simile opera è la pittura di tutta la chiesa»: Claussen 2002, 447 , nota 13 e 449, note 25-29. Ugonio menziona anche l'immagine di santa Aurea, santa parigina, informazione ovviamente di grande interesse. Cfr. anche Mancini, Viaggio, ed. Marucchi-Salerno 1956-1957 , 275 , e Bruzio, BAV, Vat. lat. 11886, f. 305 , in cui torna il nome del cardinal Roberto, che Mancini sposta però sotto Innocenzo III, e anche l'informazione isolata di Buchowiecki 1967 , 685-688, circa altre due menzioni di un cardinale Roberto nel titolo di Sant'Eusebio, agli anni 1099 e 1120. 33

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Toubert 1990 [2001] , 270 nota 6. Per Benedictus, Hiils 1977 , 200-201: l'ultima notizia che lo riguarda è del 1101. Johannes, che gli fa seguito, firma una sola volta nel 1111 : non si sa cosa sia accaduto negli anni 1101-1111. 59 Corrado di Suburra firma la prima volta nel 1114, per passare poi a cardinal vescovo di Sabina a partire dal 1128 (ibidem, 201); nello stesso anno consacra San Nicola in Carcere (--> 46). 60 Toubert 1970 [2001] , 224-225. 61 Forcella 1874, V, 117. 62 Ibidem, 118. 63 Toubert 1970 e Kitzinger 1972b; in seguito si veda almeno Gandolfo 1989 e Romano 2000. 64 Krautheimer 1980 [1981]. 65 Le notizie su questo aspetto della storia di Roma e della Chiesa sono spesso vecchie, e non sempre affidabili. Baruch, ebreo romano, si convertì verso la metà dell'XI secolo, battezzato da papa Leone IX (e se il dato è vero, din10stra che le sue ricchezze dovevano essere daw ero molto consistenti) in omaggio al quale battezzò il figlio con il nome di Leone. Fu questi ad essere il grande finanziatore di Ildebrando: le campagne militari dei riformati senza di lui non sarebbero esistite. Su questa base, che sembra relativamente credibile, si è impiantata la questione più sfuggente che tocca la supposta origine ebraica di Ildebrando e del suo (?) parente, Giovanni Graziano, arciprete di San Giovanni a Porta Latina e papa simoniaco con il nome di Gregorio Vl. Secondo alcune fonti, Baruch era sposato con una Frangipane. Fedele 1904 e 1910; Palumbo 1942, 87; Zema 1944, 169-173 ; Borino 1952a, 384; Schmidt 1977 , 115; e i materiali riuniti da Savio 1999, I, ad vocem Baruch e II, ad vocem Leo. Su Giovanni Graziano anche Claussen c.s. 66 Ehrle 1910; Fedele 1910; Thumser 1991; e le voci del DEI (L, 1998), tutte a firma di Thumser: Frangipane Cencio, Frangipane Leone, Frangipane Oddone. 67 Oltre alla bibliografia citata alle note precedenti si vedano anche le biografie di Urbano II e Pasquale II nell'Enciclopedia dei papi (Cerrini 2000 e Cantarella 2000). 68 Vedi nota 60. 69 Hiils 1977 , 189-191 e 225 ; la data dell'elezione al cardinalato dei Santi Cosma e Damiano è fissata al 1112 da Hiils e al 1116 da Manselli (2000, 268). 70 Servatius 1979; Cantarella 2000. 71 Palumbo 1942 , 121 ; Di Carpegna Falconieri 2000 ; Manselli 2000. Innocenzo - la cui elezione fu a dir poco discutibile nelle procedure, un vero colpo di mano capeggiato dal cardinale Aimerico - fu consacrato in Santa Maria Nova, diaconia di Aimerico e chiesa Frangipane. Nella fortezza vicina, il "Palladium", Innocenzo si protesse per tutto il periodo antecedente e susseguente l'elezione, mentre Pietro Pierleoni teneva San Pietro. Successivamente, dopo nuovi bradisismi di alleanze, Innocenzo si trasferì in Trastevere e da lì fuggì a Pisa e poi in Francia, dove Bernardo di Clairvaux era acceso partigiano di Aimerico e quindi di Innocenzo. Roma era di Anacleto. Innocenzo la riprende solo verso il 113 7, e nel '38 Anacleto muore. 72 Carmassi 2001 , e vedi anche il saggio Roma X I secolo. Da Leone IX a Ranieri di Bieda in questo volume. 73 Stroll 1991, 95-96. 74 Per la Graphia vedi Valentini-Zucchetti 1946, III, 94 : «In Elephanto templum Sibillae, et templum Ciceronis ubi nunc est domus filiorum Petri Leonis». Sul legame tra i Pierleoni e l'abate Anastasio, Strali 1991 , 97 , nota 15 . 75 Strali 1991 , 5-6; Miccoli 2000. La Strali sottolinea la prossimità della diaconia al 'quartiere' ebraico e all'isola (oggi è ancora così) e il fatto che l'importanza di Santa Maria in Cosmedin nella politica del partito riformato cominciò già sotto Urbano II, quando Giovanni da Gaeta, cancelliere e fedelissimo di Urbano, divenne cardinale del titolo. 76 Osborne 1983 ; Herklotz 1985 , 156, 161; per la tomba molto simile ai Santi Cosma e Damiano, Claussen 1987 , 104, e 2002 , 378-3 85. 77 Al mio suggerimento in senso 'oraziano' (Parlato-Romano 1992, 70), Stefano Riccioni (2000) ha giustamente obiettato che l'espressione fa parte dei topoi del genere funerario. La scelta, però, mi pare forse ugualmente significativa: di topoi ne esistevano molti, e comunque non ne conosco altri strettamente confrontabili a questo. Mi auguro che altri lumi vengano in futuro dai classicisti e dagli epigrafisti. Il non omnis moriar oraziano è da Exegi monumentum aere perennius, Libro 2, Ode 30, 6. 8 7 Romano 2000, 149-151. 79 Toubert 1970 [2001], 186-187. 80 Mi riferisco a quanto osservato da Jérome Croisier nella scheda (--> 40a) a proposito della protome leonina indossata dal soldato nella seconda scena del registro inferiore sinistro. 81 BPC, Cod. 3. 210, f. lv: Garrison 1955 -1956, 179-180. 82 Romano 1992 , 194-198. 83 Claussen 1989, 68-70. 84 Nella scheda (--> 21 ) si vedano anche alcuni riferimenti alle fonti. 85 Gardner 1973. 86 Per la questione delle repliche del Salvatore lateranense si veda Volbach 1940-1941 , e più recentemente Angelelli 2000; sull'icona Tempult, il saggio precedente alle note 29 e seguenti, e sulla Salus di Santa Maria Maggiore Andaloro 1987b; Wolf 1990. 87 Per il caso del Sancta Sanctorum , Romano 1995 e 2001-2002 . 88 Andaloro 1991 ; Romano 2002. 89 Garrison 1947 e 1949, n. 88. L'icona è citata da Andaloro 1987b, 127; da Wolf 1990, 26 , 80, 125 , 175 , e da Angelelli 2005 , 174, nota 23 , anche in relazione all'altra più tarda replica dellaSalus, la Madonna della Carbonara di Viterbo. 90 Garrison 1970, 131-132. Più in generale, per il problema del perduto si legga Toscano 1998 e Toscano-Barroero , 1998. 91 Abbiamo fatto un'eccezione per questo prezioso frammento , includendolo nel volume nonostante non si sappia nulla della sua reale provenienza, perché tutta la sua vicenda bibliografica lo affianca all'icona della Pescheria. 91 Nel Corollario al Giudizio sul Duecento: Longhi 1948 [1974, vol. VII, 22]. 58

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25. LA DECORAZIONE DEL NARTECE DELLA BASILICA PELAGIANA DI SAN LORE ZO FUORI LE MURA

I due fogli della Raccolta Lanciani qui di seguito studiati documentano una parte della perduta decorazione del nartece della basilica pelagiana di San Lorenzo. Un ciclo di storie dell'Infa nzia di Cristo ornava la parete settentrionale, mentre una rappresentazione della Pentecoste si trovava al di sopra dell'arco della nicchia centrale. L'osservazione dei due acquarelli mostra che a sinistra della Pentecoste appariva una sorta di pannellatura grigia con fasce di incorniciatura gialle e rosa, e un pezzetto di fregio vegetale, del tutto simile a quello che appare nell'altro acquarello. La pertinenza dei due insiemi pittorici, documentati nei due fogli, al medesimo ambiente, è confermata dalle didascalie del de Rossi alle tavole cromolitografiche (de Rossi 1865) , e anche dal Muiioz (1944, tav. LXXXVII). Lo strato pittorico del ciclo dell'Inf anzia girava quindi , si deve supporre, sulla parete di fondo del nartece e arrivava almeno fino alla nicchia centrale. Il tema della Pen tecoste non è di impossibile accordo con quello cristologico delle Storie, ma bisogna notare che le figure degli apostoli del secondo acquarello appaiono non ben coerenti con l'apparato ornamentale a pannellature, fasce colorate e fregio vegetale, e appaiono probabilmente soprammesse

ad esso, così come la figura stante nella parte destra del foglio potrebbe on essere pertinente lo strato della stessa Pentecoste. Il Mariani , d ' altronde , ha reso in maniera non facilmente decifrabile lo stile dei due insiemi, ma ha chiaramente manifestato la differenza tra di essi. È possibile dunque che le copie documentino un insieme costituito da fasi pittoriche diverse, ma sulla base degli elementi di cui si dispone, ogni proposta cronologica risulta estremamente azzardata. Gli acquarelli sono quindi qui riuniti sulla base della loro provenienza dallo stesso ambiente; la loro cronologia, sia relativa che assoluta, mantiene un largo margine di dubbio , ma è possibile che la si debba pensare piuttosto ravvicinata, secondo le considerazioni qui di seguito esposte nelle schede. Va osservato infine che sia le storie dell'Infanzia - forse con l'eccezione della decorazione dello zoccolo - che la Pentecoste appaiono stilisticamente distanti dai dipinti del portico sud (- 24) , che sono indivisibili da quelli della chiesa inferiore di San Clemente (- 21 ); questo dato deve essere considerato nel quadro della logica della successione degli interventi decorativi nella basilica e delle ondate di gusto che essi possono rappresentare. Serena Romano

25a. IL CICLO PERDUTO CON STORIE DELL'INFANZIA DI CRISTO Ultimo quarto XI secolo-inizio XII secolo (?)

Tra i disegni acquerellati realizzati da Gregorio Mariani per Virginio Vespignani, oggi conservati nella Raccolta Lanciani, ce n'è uno che riproduce una parte della perduta decorazione medievale del nartece pelagiano di San Lorenzo fuori le mura (BIASA, Racc. Lanciani , Roma XI.45.III, f. 31 ) [1]. Il foglio mostra una serie di scene narrative, disposte in due registri, al di sopra di uno zoccolo ornamentale, pure dipinto, separate da colonnine a finto marmo. Orizzontalmente, i registri sono divisi da cornici gialle e rosse, e da un fregio a piccoli motivi gigliacei. Le cinque scene che componevano il registro superiore della decorazione erano già quasi interamente perdute ali' epoca della realizzazione della copia di Mariani. Si può tuttavia tentare qualche ipotesi circa l'identificazione di alcune di esse, seguendo la lettura da sinistra a destra. Nel primo riquadro si vede una fascia di terreno, punteggiato di cespugli fioriti, e la parte inferiore di una sagoma ovale, forse un giaciglio; del secondo solo il terreno fiorito; nel terzo, invece, è rappresentata la parte inferiore di una figura che sembra andare verso una sagoma, che ancora una volta potrebbe essere un giaciglio: in questo caso, potrebbe trattarsi dell'Annuncio dell'angelo a Giuseppe. Nella quarta scena dovevano apparire due personaggi stanti, uno accanto all'altro: si potrebbe forse pensare all'Annuncio ai Re Magi, ipotizzando un po' più in alto la perduta figura del terzo Mago. Difficile pronunciarsi sull'ultimo riquadro che sembra interrotto sulla destra: una possibilità sarebbe la Natività. Il registro inferiore appare meglio conservato, così che vi si riconoscono , senza difficoltà, le storie dell'Infanzia di Cristo. La

prima scena, parzialmente conservata e riprodotta nel disegno, è evidentemente un'Adorazione dei Magi: vi si riconoscono la Vergine col Bambino e il berretto frigio di uno dei Magi. I tre Magi appaiono poi nel riquadro seguente, con berretti frigi e abiti molto colorati: si trattava probabilmente del Viaggio dei Magi. nel disegnD di Mariani è rappresentato poi il Massacro degli Innocenti, con Erode in trono, dietro di lui un soldato di guardia, e due soldati con elmo e corazza in atto di uccidere gli Innocenti. Segue la Presentazione al Tempio , nella quale la Vergine, accompagnata da Giuseppe, presenta il Bambino - che regge il volumen - a Simeone e alla profetessa Anna; i due gruppi di personaggi sono separati da un altare a profili ornati. Il registro è concluso sulla destra da un pannello di colore scuro, grigiastro, incorniciato da fasce più chiare. Le scene del registro inferiore, chiuse da fasce verdi, non corrispondono per dimensioni a quelle del registro superiore; l'impaginazione della finta architettura risulta pertanto organizzata in modo non rigoroso , e la scansione dei riquadri non speculare nei due registri. Infine lo zoccolo, conservato per meno della metà della sua estensione, presenta un fondo bianco cosparso di cespugli di fiori; a destra appare la figura slanciata di un leone, erto sulle zampe posteriori e in atto di appoggiare quelle anteriori su di una grande rata a denti di lupo policromi.

Note critiche L'acquerello Lanciani ha conservato la memoria di un ciclo cristologico, situato, molto probabilmente, sulla parete nord del

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nartece, dunque sulla destra guardando l'abside pelagiana. La decorazione documentata è di notevoli dimensioni: un ciclo composto di almeno due registri narrativi e di uno zoccolo figurato di grande rilevanza visiva. Le informazioni che il Mariani ha raccolto e filtrato nélla sua opera documentaria su San Lorenzo appaiono sempre molto accurate, e quando si può fare il confronto con la realtà - come nel caso degli arcangeli della galleria recentemente pubblicati da Alessandra Acconci (Acconci c.s. ) - anche piuttosto affidabili nella resa dello stile. Dalla copia dei ciclo dell'Infanzia, tuttavia, non è possibile trarre informazioni che consentano un giudizio inequivocabile. Per un verso, può essere rilevata la presenza di una serie di elementi accostabili a dipinti dell 'XI secolo: la griglia a finta architettura, con le sottili colonnine stagliate su campo ocra, ricorda quella di Sant'Urbano alla Caffarella, del portico di San Giovanni a Porta Latina, e del dipinto frammentario nell'abside di San Sisto Vecchio o anche quelle di San Crisogono (--> 13 , 19, 8f). Altri elementi, invece, che pure si incontrano già alla fine dell'XI secolo, sembrano più frequenti in dipinti databili ai primi due o tre decenni del secolo successivo: specialmente la decorazione dello zoccolo con scene o motivi ornamentali su fondo bianco, che fa la sua comparsa nei dipinti dei pilastri della basilica inferiore di San Clemente (--> 21) , e si ritrova poi all'Immacolata di Ceri e nel Santuario della Trinità a Vallepietra; l'uso del fondo bianco risparmiato è particolarmente insistito in una nelle volte dei 'sotterranei' del Sancta Sanctorum e nella cripta di San Nicola in Carcere(--> 35 , 46). Le rotae a denti dilupo sono nell'abside e nel muretto di recinzione della chiesa inferiore di San Crisogono

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(--> 8a, 8c), e alla nascita delle volte dell'oratorio mariano di Santa Pudenziana (--> 30). Il leone, infine, è molto simile a quello dipinto su una delle volte dei 'sotterranei' del Sancta Sanctorum. Dal disegno acquarellato non è facile immaginare quale dovesse essere lo stile degli affreschi perduti: la testa di Erode nella Strage degli Innocenti, ad esempio, potrebbe far pensare alla maniera degli affreschi nella chiesa inferiore di San Clemente ma senza dubbio l'osservazione è assai rischiosa. L'impaginazione delle scene e le dimensioni dei personaggi in rapporto a quelle dei riquadri non trovano stretti raffronti in ciò che conosciamo della pittura di XI secolo e sembrano avere echi in opere più tarde, che vanno dalle scene cristologiche di Magliano Romano fino al ciclo di San Pietro in Valle a Ferentillo. In assenza di qualsiasi dato storico ad eccezione del terminus ante quem costituito dalla realizzazione primo duecentesca della basilica onoriana, la cronologia di questo ciclo deve rimanere per ora aperta: esso era comunque, verosimilmente, anteriore - anche se forse di poco - alla Pentecoste.

Documentazione visiva Gregorio Mariani, disegno acquerellato (ante 1865), BIASA, Racc. Lane. , Roma XI.45.III, f. 31; cromolitografia (1865 ca.), BIASA, Racc. Lane. , Roma XI.45.III, f. 32; de Rossi 1865 , tav. II.

Bibliografia Wilpert 1916, II, 762-763; Munoz 1944, 102 , tav. LXXXVII. Giulia Bordi e Filipe Dos Santos

25b. IL PERDUTO AFFRESCO CON LA PENTECOSTE Primo quarto del XII secolo

L'acquerello della Raccolta Lanciani (BIASA, Racc. Lane. , Roma XI.45.III , f. 29 ) riproduce una lacunosa superficie muraria sovrastante un arco, coperta da brani pittorici com positivamente diversi [1]. All'estremità sinistra è rappresentato un campo rettangolare di colore bluastro, apparentemente aniconico, incorniciato da fasce di vario colore: giallo oro, per la banda esterna verticale, rosaceo, per il bordo del riquadro, e, superiormente, fasce giallo ocra e rosacee inframmezzate da una cornice a fondo bluastro campita da un fregio a palmette stilizzate, sottilmente delineate col bianco. In alto è stata segnalata la porzione di un ulteriore campo a fondo blu. Presso il margine destro il copista ha riportato una figura maschile acefala campita su un fondo verde pallido, in vesti liturgiche purpuree e una lunga stola bianca; stante, con la mano sinistra portata al petto e forse nell'atto di sostenere un libro. Più a destra, un campo a partizioni lineari composto da fasce giallo-ocra e rosse che incorniciano un campo mediano rettangolare, bluastro. Nella zona centrale della parete riprodotta, al di sopra dell'apertura ad arco, si osserva una lacunosa composizione bipartita, con figure allineate su due zone nettamente distinte da una fascia orizzontale rossa. Nel registro superiore è il consesso degli apostoli, rappresentati nell'atto di benedire nel gesto latino o di acclamare. Le figure , tutte superstiti per il solo tratto inferiore del corpo, dall'altezza del tronco , sono rappresentate in scorcio, di tre quarti di profilo e disposte tre per parte, assise su un lungo sedile continuo dotato di spalliera, dorato e gemmato, rivestito da cuscini purpurei dai quali ricade un candido drappo . Davanti, le due fasce giallo ocra sono probabilmente le colonnine della loggia in cui si svolge l'evento. Le vesti degli apostoli hanno vari colori e anche i gesti sono variati: la figura sulla destra aveva forse l'attributo delle chiavi. I piedi nudi, incrociati, sfiorano la cornice rossa del riquadro , dal profilo arrotondato. Al centro della scena il trono vuoto dorato , avvolto da un drappo purpureo, sul quale plana verticalmente la colomba dorata e nimbata. A giudicare dalla copia, all'epoca del ritrovamento del lacerto pittorico del gruppo di figure sulla destra sopravviveva poco più che la piatta silhouettes contro la sbiadita campitura del fondo , mentre più vivide e ancora apprezzabili per le loro qualità stilistiche erano le figure a sinistra , modellate con sottili e fitte striature efficacemente distribuite sui panneggi per porre in risalto il volume dei corpi, ed è apprezzabile il cangiantismo cromatico, fondato sull'alternanza di verde, giallo oro, cremisi, verde pallido, rosa e giallo pallido . Un ulteriore livello di figurazione si aggiungeva sul margine inferiore della parete, al di sopra dell'apertura ad arco, là dove al momento della scoperta, sul lato sinistro, dalla quasi totale perdita di intonaco emergevano solo tre figure campite contro uno sfondo bluastro. Si segnala in questo brano l'incongruente impostazione della figura centrale, maldestramente incuneata tra le altre due impostate di tre quarti di profilo e in parte sovrapposta al personaggio che apre la teoria sul margine sinistro, che si direbbe decurtato della porzione inferiore del corpo. Il seggio inoltre sconfina nettamente oltre la linea che separa il campo figurato , sovramesso alla decorazione contigua. Per quanto frammentario, il tema iconografico è identificabile con la Pentecoste. Il collegio apostolico è riunito al momento

dell'effusione dello Spirito Santo: la reale struttura della parete fornisce l' reo di chiusura dell 'immagine, frequente nelle rappresentazioni dell 'episodio come allusione all'insieme della comunità dei discepoli.

Iscrizioni 1 - Iscrizione esegetica (?) disposta alla base del riquadro, in una fascia rettangolare, allineata su una riga orizzontale, secondo un andamento rettilineo. Lettere dorate su fondo rosso. Perduta, tramandata già lacunosa. Scrittura capitale. Coeli [- - -] V

Trascrizione dall'acquerello BIASA, Racc. Lane., Roma XI.45 .III, f. 29. 2 - Iscrizione identificativa(?) disposta sotto i piedi delle tre figure che compongono il gruppo di sinistra, allineata su una riga orizzontale, secondo un andamento rettilineo. Lettere dorate su fondo rosso. Perduta, tramandata già lacunosa. Scrittura capitale. Aposto[li] IC[- - -]V[- - -]ç[- - -]

Trascrizione dall'acquerello BIASA, Racc. Lane. , Roma XI.45.III, f. 29. •- (S. R ie.)

Note critiche Il ritrovamento e l'immediata scomparsa di questa interessante testimonianza pittorica sono circostanze da imputare entrambe ai protagonisti del grande cantiere di restauro/ ristrutturazione promosso da Pio IX nella basilica di San Lorenzo fuori le mura, tra il 1862 e il 1865 . Il progettista Virginio Vespignani e il supervisore scientifico, Giovanni Battista de Rossi, com'è noto, ebbero cura di tramandare attraverso copie acquerellate, sottoposte ali' approvazione dello stesso de Rossi, le frammentarie e deperite decorazioni pittoriche che riemergevano nell'edificio orientale nel corso dello svuotamento dalle terre di riempimento. Gli acquerelli costituiscono dunque l'unico punto di riferimento per la conoscenza dell'assetto decorativo della basilica est e, anzi, proprio la circostanza della loro esecuzione induce ad escludere ogni dubbio circa la pertinenza degli originali pittorici all'ambito della basilica di Pelagio II (579-590), il cui sterro era finalizzato alla trasformazione dell'endonartece nella cappella funeraria di papa Mastai Ferretti, qui sepolto nel 1881. Il particolare dell 'arco riportato nel rilievo acquerellato può costituire un utile indizio in merito alla originaria ubicazione della parete affrescata. Calcolandone l'ampiezza in base ai dati forniti dal copista, infatti, si ricava una misura di metri 2,60 ca. La misura sembra conforme all'originaria absidiola aperta al centro della parete est del nartece, contenuta da due speroni di muro e voltata a botte, affiancata da altre due nicchie con decorazione pittorica, ciascuna in asse con le navate della basilica

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•• - '-~pelagiana (BIASA, Racc. Lane., Roma XI.45.III, ff. 3, 34; CBCR 1962, II, 63, tav. II; Acconci 2002 ). Vespignani rimosse i pilastri; mediante l'inserimento di una fodera di mattoni ridisegnò la volta del piccolo vano, ora a terminazione rettilinea, trasformando il vano nella nicchia che fino all'estate del 2000 ospitava il sarcofago di Pio IX (Ciranna-Carbonara 2002 ). Inoltre, per rettificare l'irregolare perimetro dell 'antico nartece Vespignani innalzò intercapedini; l'intero tratto della parete est - che lo stesso Vespignani dotò di cinque vani luce - venne foderato con tegole disposte a coltello: «ivi l'antica parete sottoposta era tutta piena di pitture votive di santi che sono state abbandonate perché stimate di nessun conto» (Henry Stevenson, Schedario, BAV, Vat. lat. 10558, f. 47v. ; BIASA, Racc. Lane., Roma XI.45 .III, f. 36). Se l'ipotesi coglie nel vero, l'articolazione parietale ad arco assecondava la formulazione iconografica secondo lo 'schema misto' bizantino e occidentale (Grabar 1928; Seeliger 1958; Grabar 1968; Toubert 1990 [2001] , 251 ); esso si sottrae categoricamente ad ogni comparazione locale. La perdita della porzione superiore dell'affresco al momento della copia impedisce di stabilire con certezza la presenza o meno degli insignia Christi che normalmente, assieme al libro dei Vangeli, corredano l'immagine. La clamide purpurea che nel perduto dipinto avvolgeva il trono \luoto rivela il contenuto spiccatamente escatologico della figurazione, venata di riferimenti alle questioni trinitarie e cristologiche: la tradizione iconografica bizantina vi appare prevalente e l'antecedente diretto è rintracciabile nella miniatura marginale al foglio 62v del Salterio

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Chludov (Museo Storico di Mosca, ms. 129 D, in Scepkina 1977), in cui troviamo, oltre al trono stesso, il collegio apostolico assiso sul sedile continuo - assimilabile al synthronon - che visualizza la pari dignità tra i membri del collegio apostolico, già sperimentato nella rappresentazione dei concili ecumenici, a composizione semicircolare e simmetrica (Walter 1970). È possibile peraltro che la composizione bipartita, fondata sulla disposizione simmetrica dei discepoli, a gruppi di tre e sovrapposti, abbia ascendenze occidentali, ottoniane e tardo ottoniane. È un'impostazione già sperimentata nella miniatura carolingia, come si vede nel frontespizio del secondo testo lucano della Bibbia di San Paolo fuori le mura, che unisce nella stessa pagina Ascensione e Pentecoste (f. 295v, in Kohler-Miitherich 1999), con il collegio apostolico sul sedile gemmato e diviso in tre gruppi per lato, spartiti al centro , così da creare un vuoto in direzione della colomba che promana dal menisco raggiato. L'allestimento figurativo prescelto per il santuario laurenziano segnala un processo di assimilazione dello schema in ambito romano, quale punto di arrivo delle linee di sviluppo dell'iconografia bizantina di matrice specificamente costantinopolitana , e le tendenze maturate, soprattutto nell'arte libraria, in età carolingia e ottoniana. Ne sono emergenze importanti la porta bronzea di San Paolo, il cofanetto di Farfa, l'avorio di Salerno, la miniatura dell'Exultet 2 della Cattedrale di Bari; mai eseguita la miniatura del Cod. Cas. 99H (J;età dell'abate Desiderio 1989b), e perduta la Pentecoste vista e commentata con un verso in distici da Pier Damiani,

destinata, nell 'età di Desiderio (105 8-1087), al refettorio dell'abbazia di Montecassino (Bertelli 1987 , 614; Orofino 1994 , 443 ); si deve ricordare che lo schema del collegio apostolico su due registri sovrapposti è in un altro prodotto cassinese, il Breviario MS 364 della Bibliothèque Mazarine, f. 29v, risalente all' abbaziato di Oderisio (1087-1105 ) (Toubert 1971 [2001] , 251). Un dato importante è offerto dal frammentario titulus (Iscr. 1-2 ) riportato ai piedi del gruppo di figure a sinistra, sulla cornice rossa di demarcazione dei due registri: coeli aposto[L]icv. Esso richiama l'inizio della perduta iscrizione che si trovava nella chiesa abbaziale di Grottaferrata , della quale ci è giunta l'intera trascrizione (de Rossi 1872; Giannella 1986): «coetus apostolicus residens cum iudice Cristo I praemia iudicio meritis decernit in isto». L'iscrizione commentava la Pentecoste; l'allusione al iustus ]udex non è in contrasto con il soggetto iconografico, perché il tema del Giudizio è implicito nell 'era post-Christum nella quale si compie l'evento del cinquantesimo giorno, all 'inizio dell'iter che condurrà alla finale parousia: è Pietro, nel discorso dell 'annuncio (kerygma) a congiungere la manifestazione della discesa dello Spirito Santo con ciò che avverrà alla fine dei tempi (At 2, 14-21 e 22-30). Dalla Pentecoste prende inizio la missione degli Apostoli, così che il tema figurato si configura anche come un'efficace visualizzazione del primato della Chiesa nata con l'episodio che inaugura l'economia ecclesiale. Il perduto affresco della basilica pelagiana sembra così trovare inserimento nel nucleo di idee e di formulazioni simboliche che risalgono alla Riforma , specie nel quadro dei temi della prima età della Chiesa militante e delle relazioni tra Roma e Montecassino.

Dalla metà dell'XI secolo l'abbazia di San Lorenzo è governata da un abate di provenienza cassinese, il colto Aldemario, eletto al tempo di Alessandro II (1061-1073 ) e tra i suoi successori vi è, come è noto, Ranieri di Bieda, futuro Pasquale II (1099-1118), probabile committente delle storie di San Lorenzo e dei venerati martiri locali nello scomparso portico meridionale del santuario. A sua volta, il dipinto di San Lorenzo entrò probabilmente nella rosa dei mQdelli della Pentecoste nel bema di Grottaferrata; poco dopo si tentò forse di restaurare l'affresco, che fu ridipinto nella zona inferiore. L'intervento va visto alla luce di un disegno di 'riqualificazione' dell'intero complesso laurenziano che incluse risanamenti all'epoca di Clemente III (1187-1191), alla cui iniziativa il L iber Pontz/icalis riferisce la costruzione del chiostro nell'ala monastica (Pistilli 1991 , 25 ; Barclay Lloyd 1996, 102), e coinvolse in primo luogo la tomba del martire titolare, rimodellata dal cancellarius Cencio (Mondini 1995; Mondini 2000); infine si concretizzò con l'opera di fortificazione del santuario, tra i pontificati di Celestino III (1191-1198) e Innocenzo III (11981216), ormai alle soglie della grande impresa onoriana che avrebbe segnato le sorti della basilica orientale.

Documentazione visiva Acquerello (1850 ca. ), BIASA, Racc. Lane. , Roma XI.45.III, f. 29.

Bibliografia Toubert 1971 [2001], 251. Alessandra Acconci

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26. LA STORIA DI ANANIA E SAFFIRA GIÀ IN SAN GIOVANNI IN LATERANO (PINACOTECA VATICANA, DEPOSITI) Inizio del XII secolo

La scena si svolge in uno scenario architettonico molto elaborato e di sapore nettamente antichizzante [1]: un edificio al centro, con pilastrini scanalati corinzi che sorreggono un elaborato architrave spezzato, si divide in due ali laterali, come dei padiglioni, con ampie arcate a tutto sesto e torrette rosse alla sommità. All'interno dell'edificio centrale è in evidenza un velario bianco, agganciato all'intradosso del cornicione cassettonato. Nella parte bassa dell'affresco , cinque personaggi: san Pietro (Iscr. 1) in trono, sulla sinistra, poi un uomo con la barba assieme ad una donna velata i protagonisti, Anania e Saffira (Iscr. 2) - e altri due personaggi, purtroppo non perfettamente leggibili, vicini ad un sarcofago classico strigilato. Si tratta dell'episodio di Anania e Saffira davanti a san Pietro, in questo caso rappresentato nelle vesti di un severo giudice. La vicenda dei due sventurati coniugi è tratta dagli Atti degli Apostoli (5, 1-11 ), e intende levare un monito contro chi dà appoggio - spirituale e materiale - solo parziale alla Chiesa, in quel caso la Chiesa apostolica riunita attorno a Pietro e ai primi Apostoli. Per sostentare la vita comune, molti vendevano i loro beni e li mettevano a disposizione della collettività; «un uomo chiamato Anania» vendette il suo podere, ma del ricavato trattenne segretamente parte per sé, destinando il resto agli Apostoli. Saputo il fatto Pietro lo punì, convocandolo davanti a sé e uccidendolo all'istante per aver mentito«[ .. .] non agli uomini, ma a Dio[. .. ]»; anche la moglie Saffira, complice del marito, viene convocata dal Principe degli Apostoli e uccisa:«[ ... ] un grande timore si sparse in tutta la Chiesa e tra quelli che ne avevano udita la notizia[ ... ]». La scena e~a evidentemente parte di un ciclo, come si può dedurre dalla cornice frammentaria sulla destra del riquadro, troppo ampia ed elaborata per contenere un singolo episodio di un racconto; si tratta di una fascia con motivi geometrici e arabescati su fondo rosso e verde, compresa tra tre fascette più piccole di tono rosso, bianco e verde. Le misure sono 140 per 160 centimetri.

Iscrizioni 1 - Iscrizione identificativa disposta nel riquadro, in alto a sinistra, sopra san Pietro, priva di spazio grafico di corredo, allineata su una riga orizzontale, secondo un andamento rettilineo irregolare. Lettere bianche su fondo nero. Mutila e dilavata. Scrittura capitale.

[P]etrµ[s] 2-3 - Due iscrizioni identificative disposte nel riquadro , in alto al centro, una sopra Anania, l'altra sopra Saffira, prive di spazio grafico di corredo, allineate su tre righe orizzontali, secondo un andamento rettilineo irregolare. Lettere bianche su fondo blu scuro. Integre ma dilavate. Scrittura capitale. 2- A/na/nia

3- Salphi/ra (S. Rie.)

Note critiche Il dipinto, come ha chiarito di recente de Blaauw (1990a) , venne ritrovato nel 1874 durante lavori di ordinaria manutenzione nella cappella Colonna in San Giovanni in Laterano. Faceva origina-

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riamente parte di un corpo di fabbrica a due piani porticati, la cui parete interna accoglieva nella parte superiore una nicchia, sopra la quale si stendeva il campo rettangolare del dipinto. A est di questa parete si vedevano le tracce di un'abside, che potrebbe esser stata un 'aggiunta posteriore, o anche significare l'esistenza di una cappella. Lo spazio porticato richiama il tipo di nartece a colonne usato nelle residenze civili e private della città; secondo de Blaauw (1990a, 307), questa struttura era parte del claustrum canonicorum e può datarsi attorno al primo quarto del XII secolo, costruito verosimilmente nel quadro della riforma della vita canonica, fortemente voluta dagli ambienti della Riforma. Il primo a citare l'affresco fu l'Armellini: «[ . . .] disfacendosi un solaio dietro la sinistra parte della cappella Colonna, apparve in un'intercapedine tra quello e la volta sottoposta una parete coperta d'affreschi in istato d 'ottima conservazione [ ... ] nella stessa parete ove si è trovato il predetto affresco è incavata nel muro una nicchietta semicircolare[ . .. ]» (Armellini 1874, 403 nota 51 ). Dopo Wilpert, che lo pubblicò in una delle tavole del suo volume del 1916 (IV, tav. 238,1), fu il Van Marle (1921 ) a farne una descrizione puntuale, vedendolo probabilmente dal vivo, anche se è assai difficile capire dove il dipinto ormai staccato potesse essere sistemato nell'ambito del complesso lateranense; non è infatti ben chiaro dove fosse esposto il cosiddetto Tesoro del Laterano - di cui l'affresco doveva far parte - se nel Palazzo Apostolico Lateranense o in altri ambienti parte del complesso della basilica di San Giovanni in Laterano. Van Made giudica il dipinto assai raffinato, cita l'interessante anche se frammentaria incorniciatura architettonica sulla destra del pannello, e le figure dipinte con tratto leggero e tendenti a sfumare nel colore dell'incarnato; il paragone più vicino, secondo lo studioso, è quello con l'affresco staccato conservato nella cappellina a destra dell'abside della basilica di Santa Cecilia in Trastevere (- 33 ). Il Ladner (1931), che scrive dieci anni dopo, rileva invece soprattutto le somiglianze con gli affreschi di San Clemente, e in particolare con la Storia di sant'Alessio; tempo dopo , nel 1966, il Matthiae vede probabilmente il dipinto solo in una vecchia foto , poco leggibile; l'affresco gli sembra simile ai cicli di San Clemente e Santa Pudenziana (- 21 , 30). Lo stato di conservazione del dipinto è assai compromesso dopo lo strappo e il trasporto su tela, che hanno ridotto lo spessore dello strato d'intonaco e resecato la pellicola pittorica fino a renderla solidale alla tela da rifodero. Non è stato possibile riscontrare la presenza di giornate esaminando l'intonaco a luce radente, ma è probabile che il dipinto sia stato realizzato a pontate molto ampie. Nonostante le pessime condizioni di conservazione, la qualità pittorica è ancora in parte apprezzabile: le figure sono realizzate con grande precisione, quasi a punta di pennello, su fondo verde salvia i volti prendono corpo a velature successive con pennellate di terra rossa e ocra stese a calce, mentre i contorni sono appena accennati. Il sarcofago è anch'esso un pezzo di bravura, con il fronte strigilato minuziosamente realizzato dalle ampie pennellate di bianco sangiovanni. Sicuramente il pezzo ha molto in comune con l'episodio della Deposizione delle spoglie e Apparizione di santa Cecilia nell'omonima basilica a Trastevere, scena che ha un analogo fondale architettonico di taglio classicheggiante (-33 ). Il dipinto di Anania e Saffira appare però pittoricamente ancora più vicino agli affreschi della basilica inferiore di San Clemente, e agli altri

episodi ad essi legati, specialmente la lunetta di San Gregorio N azianzeno (- 23) e gli affreschi di Ceri: lo attesta il gusto dei fondali architettonici, ma anche il sistema di costruzione dei volti, e la stessa gamma cromatica sostenuta da luminosi toni pastello. Una sua datazione al primo XII secolo appare la più probabile.

Interventi conservativi e restauri 1874: lo strappo dell'affresco fu realizzato con grande perizia; il telaio, ligneo e senza zeppe di tensionatura o traverse mediane, ha mantenuto una buona elasticità della tela, evitando cadute della pellicola pittorica. La superficie è molto lacunosa, non tanto per passati e aggressivi interventi di restauro, ma per antichi atti vandalici: i volti delle figure, soprattutto quello del san Pietro in trono, vennero presi a sassate fino a cancellarne quasi completamente i tratti.

Documentazione visiva Wilpert 1916, IV, tav. 238, 1.

Bibliografia Armellini, 1874 , 403 nota 51 ; Wilpert 1916, II, 102 ; Van Marle 1921 , 136; Muratov 1928, 88; Ladner 1931 , 81 ; Lavagnino 1936, 366; Garrison 1955 -1956, 174, 190, nota l ; Garrison 19571958, 102-103; Ullmann 1960, 290; Matthiae 1966a [1988], 42; Gandolfo 1988, 42, nota 29; Toubert 1990 [2001] , 287; de Blaauw 1990a, 302 , nota 8; Herklotz 2000, 185; Kessler c.s .

Tommaso Strinati

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27. I PERDUTI AFFRESCHI IN SAN SALVATORE IN THERMIS Prima metà del XII secolo (?)

Alcune vecchie fotografie, riunite in un album conservato presso la biblioteca del Senato (A/freschi e /rammenti scoperti nella demolizione e sterro dell'antica chiesa di S. Salvatore de Thermis, Roma, Biblioteca del Senato, E 49: Fiore Cavaliere 1978, 142), costituiscono l'unica traccia della decorazione dipinta di San Salvatore in Thermis. Le fotografie sono abbinate ad una pianta e ad una descrizione dettagliata redatta dall'archeologo Luigi Morganti P.er accompagnare la sua proposta di ricostruzione della pianta dell'edificio e permettono di evidenziare diverse fasi decorative, di cui almeno due di epoca medievale. Uno scatto della parete di fondo della cappella di destra mostra tre frammenti ripartiti su due livelli e le tracce del disegno preparatorio di un panneggio [1]. Le due scene di sinistra appartengono chiaramente ad un 'unica campagna decorativa e attestano la presenza di un ciclo che si può supporre, con cautela, dedicato all'Infanzia di Cristo o a Storie della Vergine. Nel primo frammento di sinistra si intravede un personaggio disteso su un letto, una colonna di marmo lo separa da un secondo personaggio inginocchiato su una sorta di piccola collina. Più a destra, una seconda scena mostra la parte inferiore di una figura - forse la medesima raffigurata distesa nella prima scena - questa volta rappresentata in piedi su una sorta di piedistallo, e, di fronte, un angelo. Tra i due si scorge un vaso, con anse a voluta. A sinistra del personaggio in piedi, un oggetto a base rettangolare potrebbe far pensare ad una sorta di leggio. Il gesto dell'angelo e la presenza del vaso fanno pensare che potrebbe trattarsi di un'Annunciazione. Ad uno strato più tardo appartengono certamente i frammenti che si vedono invece all'estrema destra, Presentazione al Tempio, verosimilmente già duecentesca.

occupata da Palazzo Madama e dalla chiesa di San Luigi dei Francesi. La data di fondazione dell'oratorio resta incerta: potrebbe risalire all'epoca di Gregorio Magno (590-604) che, secondo la testimonianza dell'abate Crévoulin (fine XIX secolo) , vi avrebbe deposto una cassetta contenente importanti reliquie, tra cui quelle della Croce, del velo di Maria e i resti di vari Apostoli (d 'Armailhacq 1894, 6; Dubrulle 1905, 413 ; Benucci 2005 ). L'edificio è menzionato nelle fonti solo a partire dalla fine del X secolo, quando risulta appartenere alla comunità dell'abbazia di Farfa, che una volta trasferitasi a Roma vi fa costruire un monastero, e vari altri luoghi di culto fra i quali due chiese dedicate alla Vergine e a san Benedetto, (Il Regesto di Far/ a, III, 137, doc. 426). Nel 1478 una bolla di Sisto IV (1471-1484) ricorda che il complesso è legato dalla comunità di Farfa alla confraternita dei francesi in cambio della chiesa di San Luigi e del suo ospedale (Atti del notaio Marius Durandi, 1011 gennaio 1478: Lacroix 1892, 292-298; Fiore Cavaliere 1978). L'insieme degli edifici di culto medievali è andato completamente perduto . L'oratorio di San Salvatore sopravvisse inglobato da Palazzo Madama per poi essere distrutto nel 1908. Data la perdita dei dipinti e la scarsissima documentazione, ogni giudizio preciso è naturalmente molto difficile; qualche indizio, tuttavia, relativo al tipo di panneggio ancora in certa misura visibile nelle figure della supposta Annunciazione, nonché la notevole somiglianza della forma del trono con quello dell'affresco di Anania e Sa/fira (-> 26) rendono possibile ipotizzare per il perduto insieme pittorico di San Salvatore in T hermis una cronologia vicina a quella dell'affresco lateranense.

Documentazione visiva Note critiche L'oratorio di San Salvatore in Thermis, conosciuto anche come Il Salvatorello, fa parte di un gruppo di edifici religiosi co truiti sulle rovine delle terme alessandrine, realizzate sotto Nerone e restaurate da Alessandro Severo (222-235 d.C.) nella zona attualmente

Fotografia, BDS, A/freschi e /rammenti scoperti nella demolizione e sterro dell'antica chiesa di S. Salvatore de Thermis, E 49.

Bibliografia Armellini-Cecchelli 1942, I, 547 ; Fiore Cavaliere 1978, 142-145. Julie Enckell ]ulliard

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28. IL BUSTO MUSIVO DEL SALVATORE SULLA FACCIATA DI SAN BARTOLOMEO ALL'ISOLA 1113 ca.

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Il Cristo a mezzo busto del frammento musivo di San Bartolomeo all'Isola [l] è raffigurato nell'atto di sollevare le braccia per impartire la benedizione ed esibire il libro delle sacre scritture, sul quale è riportato il versetto da Gv 14, 16 «Ego su[m] via veritas et vita». Stagliato su un fondo d 'oro, il Salvatore indossa un pallio blu, appoggiato sulla spalla sinistra e passante intorno alla vita a coprire parzialmente una tunica aurea che lascia trasparire le maniche bianche di quella interula. Le pieghe del pallio e i polsini della sottoveste sono realizzati con tessere d'oro. Gemme e perlinature arricchiscono l'aureola crucisignata, i clavi e gli orli della tunica esterna. Quest'ultima è percorsa verticalmente da filari rossi impiegati per conseguire l'effetto dell'incresparsi del panneggio. Rossa è anche la legatura del libro, dall'insolito profilo ondulato, provvista di lacci e cerniere per la chiusura. Il pannello è profilato da sei filari blu che seguono l'ovale della cornice. Quanto ai materiali impiegati, all'usuale distinzione fra tessere lapidee, usate per le tonalità ocra e rosate dell'incarnato, e vitree, utilizzate con o senza foglia d'oro per il resto della composizione, sembrerebbe aggiungersi l'uso dell'ossidiana per i filari neri, visto che in questo caso le tessere

risultano lucide e al contempo totalmente prive di trasparenza.

Iscrizioni 1 - Iscrizione esegetica disposta sul libro sorretto da Gesù, allineata su cinque righe orizzontali in entrambe le pagine, secondo un andamento rettilineo regolare. Lettere nere su fondo bianco. Integra. Scrittura capitale. Fonte del testo: Gv 14, 6.

E/go I su(m) I vi/a Il ve/ri/tas I et I vita (5. Rie.)

Note critiche Il mosaico si trova nella sala della canonica che sovrasta il portico della chiesa di San Bartolomeo all'Isola [2]. Ancorata alla sommità della parete interna, l'immagine del Salvatore costituisce l'unica porzione superstite del rivestimento della facciata romanica, sostituita dall'antistante prospetto barocco in occasione dell'anno giubilare del 1625 (Richiello 2001 , 53-60). L'infelice ubicazione,

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a circa ci~que metri da terra, sta a dimostrare che il frammento è rimasto in situ, circostanza che aiuta a far luce sull'originario assetto della monumentale decorazione. Secondo una notizia divulgata almeno a partire dagli anni '70 del Cinquecento , quest'ultima rovinò nel 1557 a seguito di una grave esondazione del Tevere (Conti 1572, 233; Severano 1630, I, 322-325; Casimiro da Roma 1744, 385-386). Le incisioni del Tempesta (1593) e del Maggi (1624) ritraggono la chiesa di San Bartolomeo dopo i danni subiti per lo straripamento delle acque del fiume e prima degli interventi edilizi seicenteschi (Cecchelli 1951, 76-77; Richiello 2001 , figg. 22-23 ). Entrambe risultano preziose perché restituiscono in modo abbastanza preciso l'assetto della perduta facciata romanica, con portico e soprastante fronte a due spioventi, frutto di un intervento edilizio volto a rinnovare la fabbrica di fondazione ottoniana, promosso da Pasquale II (1099-1118), come si deduce dell 'epigrafe incisa lungo l'architrave della porta d 'ingresso contenente la data del 4 aprile 1113: « Tertius istorum rex transtulit Otto piorum corpora quis domus haec sic redimita viget I Anno D(omz)n(z)c(e) Inc(arnationis) Mill CXIII ind(ictione) VII m(ense) ap(rz)l(is) die IIII t(em)p(o)re P(a)sc(a)l(is) II pp I Quae domus ista gerit si pignora nascere quaeris corpora I Paulini sint credas Bartholomei». Altre informazioni circa l'originario impianto della decorazione musiva si ricavano addentrandosi nell'analisi del frammento superstite, scrutando l'andamento delle tessere e le alterazioni subite in occasione dell'antico restauro. Se si esamina il pannello di profilo, ponendosi rasente alla parete sulla quale è ubicato, emerge con chiarezza la concavità del piano di superficie, che nella metà superiore è originaria, essendo riferibile all'inclinazione del mosaico verso il basso, conforme in questo punto alla curva del cavetto, mentre nella

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parte inferiore è attribuibile all'intervento di incorniciatura nell'ovale ed è dovuta all'intenzione di contrastare la visione disarmonica di una figura che si presentava con il volto aggettante e il busto aderente alla parete verticale. Ciò è dimostrato dall'osservazione rawicinata dell'opera che permette di discernere distintamente la sostanziale integrità della tessitura musiva ad eccezione dell'estremità inferiore, distaccata e girata di circa 45 gradi verso l'alto. Che il frammento facesse parte di una composizione ben più ampia, d'altra parte, è provato dall' awicendamento di almeno due pontate, delle quali serba memoria la cesura orizzontale passante appena sopra l'aureola del Salvatore fra le tessere del fondo oro. Facendo riferimento al mosaico del prospetto di Santa Maria in Trastevere, risultato di un consistente rimaneggiamento awenuto nel tardo '200 ma nella sua prima fase databile almeno al 1250 circa (Gandolfo 1988, 143-144) se non agli anni del pontificato di Innocenzo III, 1198-1216 (Oakeshott 1967, 244-247), e tenendo presenti le incisioni del Tempesta [3] e del Maggi, sembra verosimile che il rivestimento musivo di San Bartolomeo all'Isola decorasse l'intera parete al di sopra del portico. Una soluzione simile doveva essere quella della perduta facciata di Santa Maria Nova (- 59). È probabile che anche nella chiesa dell'isola Tiberina il mosaico si trovasse soltanto in corrispondenza della fronte rettangolare senza occupare il timpano sovrastante. A Santa Maria in Trastevere (- 55 ) è la Vergine ad essere il fulcro della monumentale rappresentazione, a San Bartolomeo, viceversa, l'asse centrale del grande riquadro era occupato dal Cristo benedicente. Nonostante la differenza nella scelta del tema teofanico e il divario cronologico, le due opere dovevano somigliarsi nella concezione dell'impianto figurativo. Come il volto della Vergine trasteverina, infatti, anche quello del Salvatore dell'isola Tiberina, adeguandosi alla concavità del cavetto, risulta inclinato verso il basso, quasi a voler dare l'impressione di seguire con lo sguardo i fedeli intenti ad entrare all'interno dell 'edificio. Dall'esame del frammento musivo si ricava anche un dato significativo riguardo al primitivo assetto dell 'immagine del Salvatore: in origine quest'ultima doveva riprodurre un personaggio a figura intera, visto che sono le tessere del pallio blu ad essere state utilizzate per la bordura ovale e il taglio netto al di sotto della vita non può giustificare la primitiva esistenza di un ritratto a mezzo busto. Secondo de Rossi e Mufioz il Cristo era rappresentato seduto (de Rossi 1899, f. 39; Muiioz 1904, 516), tuttavia il fatto che non figuri il dossale del trono (Claussen 2002 , 145), ma soprattutto l'andamento delle pieghe del panneggio e la postura eretta, con entrambe le braccia sollevate verso l'alto, lasciano credere che fosse raffigurato in piedi. Quali soggetti si trovassero ai lati è questione che può dare adito soltanto ad alcune congetture. In primo luogo non va trascurato un dettaglio, emergente dal fondo oro a destra del pannello, al di sotto della mano che sostiene il libro delle sacre scritture: si tratta di due sagome lanceolate composte da filari orizzontali di tessere rosse , arancione, turchesi e bianche. Risparmiate dal taglio dell'incorniciatura tardo cinquecentesca, esse farebbero pensare all'originaria presenza di nuvole e, quindi, al paesaggio apocalittico della seconda venuta , sull'esempio del modello paleocristiano dell'abside dei Santi Cosma e Damiano . Quanto ai possibili personaggi al cospetto della teofania, accogliendo la proposta di Muiioz che immaginava la presenza di un numero indeterminato di apostoli (Muiioz 1904, 516), andrebbe presa in considerazione, oltre alla coppia dei due capofila Pietro e Paolo, l'immagine di Bartolomeo, titolare della chiesa insieme a sant' Adalberto almeno a partire dal XII secolo (Cecchelli 1951 , 29). In alternativa alla presenza di un consesso apostolico, si potrebbe pensare ad una

schiera di figure legate al culto e alle vicende storiche della chiesa dell'isola Tiberina, tenendo conto dell'epigrafe dell'architrave del portale di ingresso, menzionante non solo Bartolomeo, ma anche Paolino da Nola, le cui reliquie erano conservate all'interno della chiesa , oltre a Ottone III , fondatore della fabbrica , e a papa Pasquale II, promotore dell'innalzamento della facciata romanica e probabilmente anche dell'attiguo campanile (Armellini-Cecchelli 1942 , II, 760-764; Cecchelli 1951, 29-40; Claussen 2002 , 145 ). Non è da escludere, quindi, che accanto al Salvatore figurassero i santi Paolino e Bartolomeo affiancati dai due committenti. Volendo immaginare un gruppo più nutrito di figure, potremmo aggiungere sant' Adalberto , vescovo di Praga, dedicatario della chiesa fin dalla fondazione, ed Esuperanzio, di frequente ricordato nelle memorie di San Bartolomeo all 'Isola, anch 'esso come il vescovo di Nola, per via della presenza delle reliquie (Cecchelli 1951, 34 ; Novara 2000, 61-67 ). Giova ricordare , peraltro , che l'intenzione di raffigurare accanto al Cristo alcuni dei personaggi citati si concretizza in occasione della realizzazione del puteale marmoreo conservato al centro della zona presbiteriale (Cecchelli 1951 , 40-45 ; Claussen 2002, 152-160) di recente assegnato proprio al tempo di Pasquale II (Gandolfo c.s.). Che il mosaico sia da attribuire all'iniziativa di quest'ultimo appare, del resto, l'ipotesi più probabile, nonostante le proposte di datazione siano state indirizzate tutte verso la seconda metà del XII secolo (de Rossi 1899, f. 40; Muiioz 1904, 516; Matthiae 1966a [1988] , 56; Gandolfo 1988, 265 ; Parlato-Romano 1992 [2001] , 142 ; Claussen 2002, 144-146), se si esclude l'opinione di Carlo Bertelli che in passato si è mostrato propenso a un'attribuzione al X secolo (Bertelli 1983 , 120). Alla proposta di retrodatare l'esecuzione del mosaico agli anni di Pasquale II, e quindi alla data del 4 aprile 1113 riportata nell'epigrafe, viene incontro da un lato la testimonianza di Giulio Mancini, che agli inizi del '600 segnala il «frontespizio a musaico del tempo di Pasqua! II» (Mancini ante 1630, [1956-1957], I, 271; ibidem, II, 20, 178), dall'altro la notizia , riportata dal Liber ponti/icalis, secondo la quale nel 1105, dopo aver lasciato il Laterano in seguito alle pressioni dei sostenitori dell'antipapa Silvestro IV, Pasquale II si sarebbe rifugiato nell'isola tiberina eleggendola di fatto a sua personale roccaforte (Cecchelli 1951 , 79). Anche sul piano formale un'attribuzione dell'intervento musivo al principio del XII secolo, piuttosto che alla seconda metà dello stesso, risulta più convincente. Rispetto al Salvatore del mosaico absidale di Santa Maria in Trastevere (--+ 55 ), quello dell'isola Tiberina appare più antiquato, non solo se si guarda alla secchezza dei tratti e alla rigidità della posa frontale , ma anche prendendo in considerazione un particolare come il libro dei vangeli, che sebbene in entrambi i casi presenti l'insolito profilo arcuato, con elaborati lacci di chiusura fuoriuscenti all'esterno, nella chiesa trasteverina ha forme più evolute per quanto riguarda la resa prospettica e i caratteri paleografici. Al di là di questo dettaglio , tuttavia, bisogna ammettere che il busto di San Bartolomeo non sembra incontrare termini di confronto nella produzione musiva di età romanica: né a Roma né altrove, fra i mosaici dell'XI e del XII secolo, trova riscontro l'estrema esemplificazione delle pieghe del pallio, ridotte a radi filari d'oro su un fondo blu privo di gradazioni tonali. L'essenzialità delle linee che disegnano la veste, però, più che all'imperizia del mosaicista, potrebbe essere attribuita alla scelta intenzionale di rivolgersi a prototipi paleocristiani. Comunque sia, se si pensa all'uso della foglia d'oro e delle paste vitree, all'originario impianto monumentale dell'opera, alla sua articolazione in pontate e alla fisionomia del Cristo dai grandi occhi azzurri, il livello qualitativo del mosaico non appare certo modesto. Proprio appuntando l'attenzione sul volto , a ben

guardare, vengono incontro alla nostra proposta di datazione efficaci confronti con la pittura romana e laziale della stagione della riforma, databile tra la fine dell'XI secolo e i primi decenni del XII. In particolare, i volti delle martiri dell'oratorio romano di Santa Pudenziana (--+ 30) e dell'abside di Sant'Anastasio a Castel Sant'Elia, e quello del Cristo della lunetta della Grotta degli Angeli a Magliano Romano (Moretti 2004, 105-133 ; Piazza c.s.), tradiscono una stretta somiglianza con il mosaico romano nell'ampio taglio a mandorla degli occhi, nelle linee ondulate che percorrono la fronte e soprattutto nel modo di disegnare le sopracciglia, rimarcate da una linea bianca che senza interrompersi oltrepassa la canna nasale mediante una piccola curva a U (Matthiae 1966a [1988], figg. 16, 17, 24 ; Parlato-Romano 1992 [2001], fig. 304). La ricca gamma cromatica del viso del Salvatore dell'isola Tiberina [4] , con il verde e il marrone delle ombre, il nero delle profilature, il bianco delle lumeggiature, il rosso dei pomelli delle guance, ma anche l'arancione, il turchese e il blu che contraddistinguono rispettivamente i dotti lacrimali, le iridi e la zigrinatura al centro dei capelli, sembra svelare un interessante caso di traduzione nella tecnica del mosaico di un'immagine messa a punto nell'amqito della pittura murale. D 'altra parte, i mosaicisti del cantiere di San Bartolomeo potevano trovare utili modelli fra i cantieri pittorici di Roma e dintorni, particolarmente numerosi agli inizi del XII secolo, di certo non nella produzione musiva, che per l'epoca alla quale ci riferiamo, gli anni precedenti al 1113 , registra un vuoto totale in ambito romano. Restituito alla stagione artistica del pontificato di Pasquale II, il frammento di San Bartolomeo all'Isola segna, perciò, l'inizio della «rinascita del mosaico a Roma nella prima metà del XII secolo» (Gandolfo 1988, 263) .

Interventi conservativi e restauri 1583-1593 ca.: tanto il Tempesta che il Maggi, raffigurando la facciata di San Bartolomeo all'Isola nelle loro incisioni, rispettivamente nel 1593 e nel 1624, quindi prima dell'innalzamento del prospetto barocco avvenuto nel 1625, tracciano un segno ovale al di sopra del portico, che non può che essere identificato con il profilo del frammento musivo. Siccome sappiamo che il mosaico della facciata rovinò a seguito dell'esondazione del Tevere del 1557, possiamo ritenere che l'intervento di incorniciatura del busto del Salvatore all'interno della modanatura marmorea sia stato eseguito negli anni che intercorrono fra il 1557 e il 1593.

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A restringere ulteriormente il lasso di tempo all'interno del quale poter inserire l'antico restauro, viene in aiuto un registro di spese conservato ali' Archivio Segreto Vaticano, che nel mese di dicembre del 15 83, fra le «cose da farsi nella Chiesa di San Bartolomeo» ricorda di «far serbare le pietre et li musaici» (ASV, fondo "Chiese di Roma ", busta n. 1, f. 131 ). Assai verosimilmente, quindi, la riduzione del mosaico in un frammento di forma ovale è avvenuta nel corso del decennio 1583-1593. Per quanto devastante possa essere stato l'effetto dello straripamento delle acque del fiume , risulta difficile non credere che l'intervento conservativo cinquecentesco sia consistito in un'operazione selettiva, quasi scontata nel clima controriformista dell 'epoca , mirata a scegliere, fra i resti di un 'opera musiva medievale, soltanto l'immagine del Salvatore al quale veniva riconosciuto il valore di una sacra reliquia. Della figura del Cristo si decise di conservare solo il nucleo più significativo, vale a dire il bel volto e le braccia che compiono il gesto della benedizione e dell'ostentazione del libro con il versetto di Giovanni. Per conferire al frammento un aspetto il più possibile armonico esso venne incurvato nel tratto inferiore al fine di assumere una superficie più o meno concava nelle modalità sopra descritte - e ritagliato seguendo la sagoma di un ovale regolare, creata tramite una bordura composta da sei filari blu a loro volta realizzati, assai probabilmente, mediante il reimpiego delle tessere del tratto inferiore del pallio. XVII-XIX secolo: circa eventuali interventi di restauro avvenuti in epoche più recenti, per quanto ci è noto mancano documentazioni. Alcune piccole integrazioni colorate a tempera, distinguibili soprattutto fra le pieghe del pallio, potrebbero anch 'esse essere attribuite all'intervento tardo cinquecentesco. Se nell'insieme il mosaico appare integro, nonostante lo strato di sporco che smorza l'intensità cromatica delle tessere, qualche perplessità ge-

nerano il profilo della mano benedicente e soprattutto la fisionomia della bocca, ridotta com'è a una serie di elementari segmenti orizzontali. A tale proposito occorre riportare l'annotazione di de Rossi che, sentito il parere tecnico di Henry Stevenson, proprio in riferimento alle labbra faceva allusione a un probabile «moderno rimaneggiamento» (de Rossi 1899, f. 40).

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Documentazione visiva Frammento musivo: Casimiro da Roma 1744, tavola fuori testo; de Rossi 1899, tav. IXb. Facciata romanica (con la sagoma del frammento al centro del prospetto): Antonio Tempesta, incisione (1593 ) (si veda Richiello 2001 , fig. 22 ); Giovanni Maggi, incisione (1624 ) (ibidem,- fig . 23 ).

Fonti e descrizioni Conti 1572, 233; ASV, Fondo Chiese di Roma, busta n . 1, San Bartolom eo all'Isola ; Pompeo Ugonio (1594), BCAF, cod. 161 , ff. 287v-288r; Mancini ante 1630 [1956-1957], I, 60, 271; Severano 1630, I, 322-325 ; Casimiro da Roma 1744, 385-386.

Bibliografia de Rossi 1899, ff. 39-40; Mufioz 1904, 516; Van Made 1921 , 158159; Lavagnina 1936, 370; Armellini-Cecchelli 1942, II, 760764; Hermanin 1945 , 220; Cecchelli 1951, 29-40, 72-75 ; Mancini ante 1630 [1956-1957] , I, 271, II, 20, nota 190, 178, nota 1320; Matthiae 1966a [1988] , 56; Buchowiecki 1967, 441 ; Matthiae 1967, 324; Bertelli 1983 , 120; Gandolfo 1988, 265; ParlatoRomano 1992 [2001], 142, 167-178; Claussen 2002, 152-160. Simone Piazza

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29. IL PANNELLO CON TRE FIGURE A MEZZO BUSTO NELL'ABSIDE DI SANTA MARIA IN PALLARA Primo ventennio del XII secolo

Alla decorazione pittorica dell 'abside, che risale agli anni 973999 (Fedele 1903 , 357-358 ), fu aggiunto un pannello votivo di forma rettangolare (56 per 80 centimetri), situato nella parte inferiore della calotta absidale, ai piedi della Vergine orante [1]. Il pannello sconfina sul fregio a greca che funge da bordo alla composizione del X secolo. Originariamente questo secondo strato decorativo doveva ricoprire tutta la parte inferiore della calotta absidale con un velum dipinto , come dimostrano le tracce di decorazione composta da motivi circolari blu e bianchi che si trovano nell 'angolo inferiore destro. Un terzo strato di intonaco ricopre oggi la parte inferiore del pannello con un motivo che riprende quello dello strato precedente: questo terzo intervento non è stato datato con precisione ma è sicuramente posteriore al XVII secolo, periodo durante il quale era ancora possibile la lettura dell'iscrizione (Iscr. 1) situata aU' estremità del pannello. Il pannello votivo rappresenta tre santi e nella sua parte inferiore comprende la già citata iscrizione. Al centro un personaggio aureolato con tunica a cappuccio e cocolla nera, solitamente as-

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sociata alla figura di san Benedetto ed in seguito portata come segno distintivo da tutti gli appartenenti all'ordine benedettino. Nella mano sinistra ha un libro riccamente decorato e con la destra benedice. A sinistra un altro personaggio nimbato, che ha nella mano destra un libro decorato con una croce e nella sinistra la corona di martire. In abito militare, egli indossa un mantello trattenuto sulla spalla da una fibula . Sulla destra un terzo personaggio, sempre aureolato e in abiti militari con libro e corona, si distingue dal suo pendant solo per la capigliatura liscia e non riccia come nel caso del soldato di sinistra.

Iscrizioni 1 - Iscrizione commemorativa disposta alla base del riquadro , in una fascia rettangolare, allineata su una riga orizzontale, secondo un andamento rettilineo irregolare. Lettere bianche su fondo rosso. Frammentaria, illeggibile. Scrittura capitale.

E.g9 Benedict(us) 1Jl(rae)11.(osi tus) §1 monaclJJJ.W 11.ingere feci

Integrazioni dal disegno acquerellato di Eclissi, WRL 9215 Wilpert 1916, II , 1081; ibidem, IV, tav. 224 : Benedictu(s) Benedict(us); Mabillon 1687 ,132: Benedictus pr(es)b(yter) Benedict(us) I p(rae)p(ositus); Wilpert 1916, II , 1081 : PRB p(rae)p(ositus).

[2]. per per per

Per l'edizione del testo si è ritenuto di adottare la versione la più antica (1640), riportata nel disegno di Eclissi (WRL 9215), anche perché confortata in parte dalle trascrizioni successive. Le versioni tramandate da Mabillon e Wilpert, infatti, differiscono tra loro in alcuni punti. Il nome diBenedict(us) e il sostantivo monachu(s), sono riportati da Mabillon per intero senza segnalare abbreviazioni (Mabillon 1687,132), diversamente, nella foto acquerellata di WilpertTabanelli (Wilpert 1917, IV, t. 224 ) i termini sono abbreviati per troncamento con segno tachigrafico proprio, indicato dal ricciolo alto, con valore di S finale e, inoltre, viene riportata anche una parte della Udi Benedictu(s). L'acquerello, tuttavia, rivela che l'iscrizione fu riprodotta quando era in gran parte mutila e che le parole Benedictus e monachus erano già poco leggibili, situazione che portò probabilmente ad un'edizione solo parzialmente attinente ali'originale (Wilpert 1917 , II, 1081 ). Tale trascrizione riporta, comunque, monachu(s) come nel disegno di Eclissi. Più complessa appare la questione relativa alla presenza e allo scioglimento delle lettere PP, parola abbreviata per contrazione con titolo piano, così come riportato nella versione di Eclissi e parzialmente confermato nella copia di Wilpert. Lo scioglimento della sigla abbreviata con la parolap(a)p(a), sebbene possibile e coerente con il sistema tachigrafico medievale (Cappelli 1929 [1987] , 283 ), non è plausibile poiché Benedetto I risale al secolo VI, in evidente contraddizione con le informazioni storiche relative alla costruzione e alla decorazione della chiesa. Inoltre, anche ipotizzando la committenza di papa Benedetto IX, rimane difficile pensare ad un errore dello scriptor che riportò I, anziché IX, oppure ad un eventuale errore dei trascrittori successivi, concordi nel leggere il numerale romano I, tranne Mabillon il quale riferisce però di una versione precedente che riportava PP I (papa primus). La versione PRB, abbreviazione per contrazione di pr(es)b(yter), proposta da Mabillon e Wilpert, appare anch'essa contraddittoria, perché discordante dal disegno di Eclissi e dalla testimonianza citata da Mabillon. Inoltre, il disegno di Wilpert è lacunoso e non aiuta a decifrare la seconda lettera che potrebbe essere una R, ma anche una P. Wilpert, infatti, non poteva leggere l'intera parola abbreviata e trascrisse PRB , seguendo evidentemente Mabillon. Infine, il sostantivo presbyter, nella tradizione documentaria, si trova abbreviato con PRB durante il secolo VIII (Cappelli 1929 [1987], 289), mentre nel secolo XI la parola è abbreviata con PBR (ibidem, 263 ). Alla luce di tali considerazioni si è ritenuto di accogliere la versione riportata dal disegno di Eclissi, sciogliendo il sostantivo abbreviato PP con p(rae)p(osltus) che indicherebbe l'incarico del monaco a gestire la chiesa. (S. Rie.)

ate critiche L'identificazione dei tre personaggi ha dato adito a svariate ipotesi: la Vergine accompagnata dai santi Pietro e Paolo (Uccelli s.d. [1876], 43 ); Benedetto affiancato da Pietro sulla destra e Sebastiano sulla sinistra (Bertaux 1904, 300; Gandolfo 1988, 19-20); Benedetto tra Pietro e Paolo (Gigli 1975, 90) ; Benedetto tra i due santi patroni della chiesa, Zotico a destra e Sebastiano a sinistra (Bertelli 1982, 293 ). Quella di Bertelli sembra l'ipotesi più plausibile, fondata su un ragionevole confronto con l'effigie a mosaico di san Sebastiano custodita a San Pietro in Vincoli (680 ca.). La struttura tripartita

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del pannello fa eco a quella della conca absidale dove a fianco del Cristo vittorioso appaiono san Sebastiano a sinistra e san Zotico a destra. Come narrato nella Vita redatta da un certo Benedictus, verosimilmente vissuto a Santa Maria in Pallara verso il 1088 (Enckell Julliard 2002 ), Zotico fu martirizzato sul Palatino, colle dove sorge la chiesa di Santa Maria (Dolbeau 1975 ). Questo fatto rende comprensibile la presenza del santo in entrambe le fasi decorative che interessarono l'abside della chiesa. Quanto a san Benedetto, nel dipinto egli porta gli abiti che lo caratterizzano e nelle mani tiene la regola dell'ordine da lui fondato. La sua presenza va ovviamente messa in relazione con la storia del monastero, che dal 1061 era stato concesso dal papa Alessandro II al monastero di Montecassino (Chronica Casinensis III, 36, 729: Kehr 1899, 174175 ). È tuttavia da meglio comprendersi in rapporto all'epigrafe, che riporta il nome di un certo Benedictus I, il quale si presenta come il committente del pannello votivo. Secondo la lettura dell'iscrizione qui proposta da Stefano Riccioni, si tratt~rebbe del monaco preposto alla chiesa - apparentemente il primo di una serie - committente del pannello. Questo propone quindi le immagini dei santi più importanti nella storia dell'insediamento di culto, insieme con quella del fondatore dell'ordine, il cui nome coincide con quello dello stesso monaco preposto. La composizione riprende una tipologia impiegata già in epeca paleocristiana, come ad esempio nell'affresco della catacomba di Commodilla con la Vergine e il Bambino tra i santi Felice e Adautto, ma sostituisce san Benedetto alla Vergine o al Cristo fra i santi patroni (Mangia Renda 1985-1986). La figura di Benedetto, più alta rispetto alle altre due, è disposta su un asse verticale che la associa ai due personaggi chiave della composizione della calotta absidale: la Vergine e il Cristo. Si stabilisce così una gerarchia visiva che presenta il fondatore dell'ordine come legatario di Cristo e della Vergine nell'ambiente monastico. Negli studi la realizzazione del pannello è stata finora tendenzialmente legata agli anni dopo il 1061 (Bertaux 1904, 300; Wilpert 1916, II, 1081 ; Hermanin 1945, 215; Matthiae 1966a [1988], 20; Bertelli 1982, 293; Gandolfo 1988, 251), data in cui Alessandro II (10611073) concede il monastero di Santa Maria in Pallara all'abbazia di Montecassino Stilisticamente gli affreschi trovano però maggiori riscontri in una fase successiva della pittura romana: la figura di san Zotico si avvicina alla fisionomia di certi personaggi dell'oratorio di santa Pudenziana, che qui si data al primo ventennio del XII secolo(----; 30). Il tipo di stesura pittorica del pannello trova confronti anche negli affreschi di Castel Sant'Elia: si confrontino ad esempio il san Benedetto di Santa Maria in Pallara e l'arcangelo situato a sinistra della figura in trono nell'abside di Castel Sant'Elia, dove

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tornano gli stessi occhi sgranati, le ombre del naso e del collo marcate da un largo tratto scuro, la stessa bocca stretta a forma di cuore, o ancora la stessa maniera di sottolineare la scollatura degli abiti attraverso una serie di striature verticali. Questi confronti spingono a spostare la datazione del pannello votivo ai primi decenni del XII secolo; in questi anni il celebre cronista di Montecassino, Leone d'Ostia, si trovava a Santa Maria in Pallara, dove morì fra il 1115 e il 1117 (BAV, Vat. lat. 378, 22 maggio).

Interventi conservativi e restauri 2003: restauro della Soprintendenza SBAAS a cura di Isabella Del Frate, eseguito dalla restauratrice Susanna De Cristoforo.

Documentazione visiva Antonio Eclissi, disegno acquerellato ,WRL 9215; Wilpert 1916, IV, tav. 224.

Fonti e descrizioni Mabillon 1687 , 132.

Bibliografia Stevenson 1876, 71; Uccelli s.d. [1876], 43; Armellini 1891 , 525526; Kehr 1899, 174- 175 ; Fedele 1903 , 353 ; Bertaux 1904, 300302; Venturi 1904, III, 864; Wilpert 1916, II, 1077-1078, 1081; Ladner 1931 , 102 ; Armellini-Cecchelli 1942 , I, 640-642 ; Hermanin 1945 , 215; Anthony 1951 , 41 ; Ferrari 1957, 215-224; Hager 1962 , 20 , 109; Waetzoldt 1964, 75-76; Matthiae 1966a [1988], 19-20; Hjort 1970, 31 nota 3; Buchowiecki 1974, 841842 ; Gigli 1975 , 89-92; Guiglia 1978, 399-408; Bertelli 1982 , 293-294; Mangia-Renda 1985-1986, 344 nota 79; Gandolfo 1988, 251-252; Gandolfo 1989, 29-30; Osborne-Claridge 1996, 320321 ; Parlato-Romano 1992 [2001], 123-124; Nilgen 1993 , 133136; Bertelli 1994, 231 ; Osborne-Claridge 1996, 320-321; Enckell Julliard 2002 , 14 ; 229; Englen 2003 .

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SA NTA MARI A IN PALLA RA

30. LA DECORAZIONE PITTORICA DELL'ORATORIO MARIANO DI SANTA PUDENZIANA

Primo ventennio del XII secolo Gli affreschi si trovano su tre pareti e sulla volta dell'oratorio costruito dietro l'abside della chiesa di Santa Pudenziana. Nella nicchia della parete sud-est, che corrisponde al muro absidale della chiesa, un pannello con la Theotokos fra le sante Pudenziana e Prassede (Iscr. 1-5) [1]. La Vergine è vestita di una tunica azzurra, sulla testa ha la m itella e porta una palla rosso-violacea con bordo giallo ornato di perle. Sotto la palla si intravvede il bordo di una stola gialla a bordi scuri con perle. Il Bambino ha una tunica di un azzurro più chiaro con mantello giallo, e benedice con la mano destra. Le due sante hanno tunica rossa su una camicia bianca e con una ricca sopravveste gialla a maniche corte e bordi scuri con gemme, decorati a motivi geometrici. Sulla testa hanno un copricapo bianco a strisce rosse e fili di perle nei capelli [2]. Le mani sono coperte da un velo verde. Sulla parete nord-est sono conservate quattro scene. La prin1a, in alto a sinistra, identificata dal titulus User. 6), è la Predica di san Paolo alla famiglia di Pudente [3]. San Paolo, più grande delle altre figure, in tunica clavata e manto verde, predica a Pudente, padre di Pudenziana e Prassede: Pudente è forse l'uomo con i capelli bianchi a sinistra. È accompagnato da altri personaggi che potrebbero identificarsi con i figli Timoteo e Novato , in corta tunica, sandali, mantello e lorica; più indietro, a destra, le due figlie, e a sinistra la folla che giunge dalla città. Nel fondo , un'architettura a pianta centrale. La seconda scena, in alto a destra , è il san Paolo che battezza Novato e Timoteo User. 7) [4]. I due fratelli sono nudi, nella vasca battesimale, e san Paolo impone la mano sulla testa di uno di loro. Tra gli astanti, due donne e un giovane. Nel fondo , un'architettura con una sorta di conca o di abside. I riquadri del registro inferiore sono stati molto danneggiati, già prin1a del XVII secolo (WRL 9027 ) dall'apertura di una porta. Nel primo a sinistra User. 8) , san Paolo impone la mano ad un chierico aureolato; un altro chierico e un laico assistono ali' avvenimento [5]. Secondo Wilpert (1908 , 17 4) si tratta dell'Ordinazione sacerdotale di Timoteo: Timoteo di Listra, primo vescovo di Efeso e collaboratore di san Paolo, è qui assimilato a Timoteo figlio di Pudente e ca-donatore del titulus di Santa Pudenziana. La seconda scena a destra è invece danneggiata al punto che l'identificazione del soggetto riesce difficile [6]. Sulla destra si vedono tre donne, due delle quali vestite come le astanti del Battesimo del registro superiore; davanti a loro è sopravvissuto il frammento di un'aureola. A sinistra invece un altro frammento di aureola che doveva appartenere ad una figura più alta delle altre: probabilmente si trattava di san Paolo. Secondo Wilpert (1908, 175) si trattava di un'altra scena di battesimo, ma se la figura di cui sopravvive solo l'aureola era, come sembra, una figura in piedi, l'ipotesi risulterebbe difficile. Sulla parete nord-ovest, in alto, si vede un angelo che incorona san Valeriano User. 9) accompagnato da Tiburzio e Urbano User. 10, 11) [8]. A destra l'affresco è lacunoso, ma si può supporre vi comparisse santa Cecilia, anch'essa incoronata da un angelo. Sulla volta, appare al centro l'Agnello Mistico in un medaglione bordato da una cornice User. 12), e sulle quattro vele i simboli degli Evangelisti con frasi inscritte che li identificano User. 13-16) [9]. Le cornici di tutti i riquadri hanno i medesimi motivi ornamentali, festoni su fondo blu bordati a piccole riseghe bianche e rosse, e con ulteriori fasce rosse, verdi, e bianche. Negli angoli, alla nascita delle vele ci sono delle rotae che imitano l'opus sectile; sugli archi

alla base della volta il sistema decorativo è ridotto ad una sola fascia rossa ornata di perle e gemme. La gamma cromatica è piuttosto limitata e uniforme in tutte le scene. Si compone di sei colori: nei fondi , un azzurro, usato più chiaro negli abiti; poi il giallo, il rosso porpora, un marrone violaceo molto scuro, il verde e il bianco.

Iscrizioni Quasi tutte le iscrizioni sono oggi fortemente danneggiate, pertanto le trascrizioni sono state effettuate anche sulla base delle copie di Eclissi e Wilpert, le quali mostrano , tuttavia , versioni a tratti differenti dalle iscrizioni pervenute. Secondo Montini (1960) si tratterebbe di errori dovuti a successive ridipinture. 1 - Iscrizione identificativa disposta sopra il capo di santa Pudenziana, priva di spazio grafico di corredo, allineata su una riga orizzontale, secondo un andamento rettilineo irregolare. Lettere nere su fondo blu. Mutila. Scrittura capitale. S(ancta) Pudentiana

Integrazioni dalla foto acquerellata Wilpert-Tabanelli (Wilpert 1916, IV, tav. 234). 2 - Iscrizione identificativa disposta a sinistra di santa Pudenziana,

in una fascia rettangolare, allineata su tredici righe verticali, secondo un andamento rettilineo regolare. Lettere bianche su fondo rosso. Mutila. Scrittura capitale. •• S(an)lc(t)/a I P/ u/ d/eln/t/1!?!f1/[a]

3 - Iscrizione identificativa già disposta a ridosso della cornice inferiore, tra santa Pudenziana e il trono della Vergine, priva di uno spazio grafico di corredo, allineata su undici righe verticali, secondo un andamento rettilineo. Perduta. S(ancta) I Pl u/dleln/tlilaln/a

Trascrizione dal disegno acquerellato di Eclissi, WRL 9028. 4 - Iscrizione identificativa disposta sopra il capo di santa Prassede, priva di uno spazio grafico di corredo, allineata su tre righe orizzontali e verticali, secondo un andamento rettilineo irregolare. Lettere nere su fondo blu. Mutila. Scrittura capitale. S(ancta) Praxels;Jl~/fi.

Integrazioni dalla foto acquerellata Wilpert-Tabanelli (Wilpert 1916, IV, tav. 234). 5 - Iscrizione identificativa già disposta a ridosso della cornice inferiore, tra santa Prassede e il trono della Vergine, priva di spazio grafico di corredo, allineata su nove righe verticali, secondo un andamento rettilineo. Perduta. S(ancta) I Plr/a/xle/d/e/s

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Trascrizione dal disegno acquerellato di Eclissi, WRL 9028. Foto acquerellata di Wilpert-Tabanelli (Wilpert 1916, IV, tav. 234): $(ancta) I r ·Y~le/dlil s. 6 - Iscrizione esegetica disposta alla base della scena, in una fascia rettangolare, allineata su una riga orizzontale, secondo un andamento rettilineo irregolare. Lettere bianche su fondo rosso. Lacunosa. Scrittura capitale. Testo in versi leonini. Paulus alens mente(m) plebis natasq(ue) Pµdepteip

Integrazioni in base al disegno acquerellato di Eclissi, WRL 9024 ; Morey 1915, 43; Wilpert 1916, II, 1183 ; ibidem , IV, tav. 236. 7 - Iscrizione esegetica, disposta alla base della scena, in una fascia rettangolare, allineata su una riga orizzontale, secondo un andamento rettilineo irregolare. Lettere bianche su fondo rosso. Frammentaria. Scrittura capitale. Testo in versi leonini.

Wilpert 1916, IV, tav. 235 , 1. 12 - Iscrizione identificativa disposta attorno all'agnus Dei, in un nastro, allineata su una riga , secondo un andamento circolare. Lettere bianche su fondo blu. Mutila con tracce di ridipintura. Scrittura capitale. Testo esametrico. Agnus honor mundi spes ostia

yfm ~1;1lusque

Integrazioni in base al disegno acquerellato di Eclissi, WRL 9023; Morey 1915, 46; Wilpert 1916, II, 1183 ; ibidem, IV, tav. 235 , 2. 13 - Iscrizione esegetica disposta sotto san Marco evangelista, in una fascia rettangolare, allineata su una riga orizzontale, secondo un andamento curvilineo che segue la concavità della volta. Lettere bianche su fondo verde. Mutila con tracce di ridipintura. Scrittura capitale. Il testo è in versi leonini. Vox clamantis ais illli1 Marce

11

rJeone 1 notaris

Auxit mactatos hic vivo fonte renatos

Integrazioni in base al disegno acquerellato di Eclissi, WRL 9024; Morey 1915, 43; Wilpert 1916, IV, tav. 236 . 8 - Iscrizione esegetica, disposta alla base della scena, in una fascia rettangolare, allineata su una riga, secondo un andamento rettilineo regolare. Perduta.

,:'lç ANXII [- - -] Trascrizione in base al disegno acquerellato di Eclissi, WRL 9027; Morey 191_5 , 43. 9 - Iscrizione identificativa disposta a destra di san Valeriano, in una fascia rettangolare, allineata su una riga orizzontale, secondo un andamento che segue la curvatura del sottarco. Lettere bianche su fondo verde. Mutila con tracce di ridipintura. Scrittura capitale. S(anctus) Valer~pus

Integrazioni in base al disegno acquerellato di Eclissi, WRL 8978; Wilpert 1916, IV, tav. 235 , 1. 10 - Iscrizione identificativa già disposta a destra di san Tiburzio, in una fascia rettangolare, allineata su cinque righe verticali e orizzontali, secondo un andamento che segue la curvatura del sottarco. Lettere bianche su fondo verde. Perduta. S(anctus) I Tylbu!rtil us

Trascrizione in base al disegno acquerellato di Eclissi, WRL 8978; Wilpert 1916, IV, tav. 235 , 1.

Integrazioni e correzioni in base al disegno acquerellato di Eclissi, WRL 9023; Morey 1915 , 46; Wilpert 1916, II, 1183 ; ibidem, IV, tav. 235, 2. Ut leo emendato in leone. 14 - Iscrizione esegetica disposta sotto san Giovanni evangelista, in una fascia rettangolare, allineata su una riga orizzontale, secondo un andamento curvilineo che segue la concavità della volta. Lettere bianche su fondo verde. Integra con tracce di ridipintura. Scrittura capitale. Testo esametrico. r Arcanis

1

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scandit 11 facies aquihl lna Ioh(ann)is

fifta nimis emendato in arcanis, in base al disegno acquerellato di Eclissi, WRL 9023 ; Wilpert 1916, IV, tav. 235 , 2; Morey 1915 , 47.

15 - Iscrizione esegetica disposta sotto san Matteo evangelista, in una fascia rettangolare, allineata su una riga orizzontale, secondo un andamento curvilineo che segue la concavità della volta. Lettere bianche su fondo verde. Mutila con tracce di ridipintura. Scrittura capitale. Testo esametrico. Frons hominis 11 pandit Chr(ist)j ço(m)merci{1 carnis

Integrazione in base al disegno acquerellato di Eclissi, WRL 9023; Morey 1915, 48; Wilpert 1916, II, 932 ; ibidem , IV, tav. 235 , 2. 16 - Iscrizione esegetica disposta sotto san Luca evangelista, in una fascia rettangolare, allineata su una riga orizzontale, secondo un andamento curvilineo che segue la concavità della volta. Lettere bianche su fondo verde. Mutila con tracce di ridipintura. Scrittura capitale. Testo in versi leonini. Luca bomft1i~ speciy~ fy mutat arantis

11 - Iscrizione identificativa disposta a destra di sant'U rbano, in una fascia rettangolare, allineata su cinque righe verticali e orizzontali, secondo un andamento che segue la curvatura del sottarco. Lettere bianche su fondo verde. Mutila con tracce di .. ridipintura. Scrittura maiuscola romanica.

Integrazioni in base al disegno acquerellato di Eclissi, WRL 9023; Morey 1915 , 48; Wilpert 1916, II, 932: ibidem, IV, tav. 235 , 2. Boancis emendato in boantis, da WRL 9023; Morey 1916, 48. (5. Rie.)

S(anctus) I Ur/ba/nµ(s

Note critiche Integrazioni dal disegno acquerellato di Eclissi, WRL 8978;

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Le datazioni proposte per questi affreschi oscillano tra il pontificato

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di Gregorio VII (1073-1085) e il primo quarto del XII secolo. La datazione più alta è in genere sostenuta sulla base di un 'iscrizione che ricorda lavori di restauro intrapresi dal cardinale Benedictus: «l+I Tempore Gregorii septeni praesulis almi I presbiter eximius praeclerus vir Benedict(u)s I morib(us) aecclesiam renovavit /unditus istam I quam consecrari sacer idem cardiq(ue)nalis I eiusdem san(ct)ae /ecit sub tempore papae I augusti mensis septeno nempe Kalendis I nomine pastoris precursorisq(ue) lohannis I de cruce veste dei locus hic est s(an)c(tu)s haberi I cui pars de sancti sociatur vesti Ioh(ann)is ev(an)g(elista)e I martyris et Stephani papali nomine primi I martyris et papae Felicis honore secundi I nec minus Hermetis pre/ecti martins urbis I et tranquillini Marci Marceliq(ue)ani I horu(m) reliquiis constat locus iste celebris I hinc et multor(um) possem(us) no(m)i(n)a quor(um) I dicere si tabula locus illis esset in ista I nos mentis hor(um) redeamus ad alta polor(um)». Secondo

Panvinio e Ugonio (BAV, Vat. lat. 6780, f. 63r; Ugonio 1588, f. 164r) questa iscrizione, oggi murata nella parete sinistra della cappella di San Pietro, era incastrata in un ambone dell'oratorio di San Pastore - oggi cappella Caetani - adiacente al muro sudovest della chiesa di Santa Pudenziana. Il dato è confermato dal testo dell'iscrizione, che parla della consacrazione e della dedica a san Pastore e al Battista della «aecclesiam» che il cardinale Benedictus rinnovò dalle fondamenta . San Pastore, oggi definito 'oratorio', era considerato una vera e propria chiesa; Panvinio (f. 63r) informa anche che esso fungeva da battistero della chiesa di Santa Pudenziana, il che spiega la dedica. I lavori di restauro e rinnovamento riguardarono quindi l'oratorio, e non la chiesa; quanto ali'oratorio mariano, non esiste alcuna notizia che lo riguardi. Ampliare la notizia dell'iscrizione ad un ipotetico intervento nell'oratorio mariano significa forzarne i dati storici.

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Di conseguenza, sono solo i dati stilistici dei dipinti che possono guidare ad una datazione. E la cronologia 'tradizionale' alla fine dell'XI secolo è poco verosimile, poiché tra le opere note e almeno approssimativamente datate ai decenni finali del secolo, nessuna è stilisticamente comparabile agli affreschi di Santa Pudenziana. Essi ci appaiono invece strettamente legati ad un gruppo di opere, che comprende i dipinti murali dei ' sotterranei' del Sancta Sanctorum (- 35 ), quelli della basilica di Sant' Anastasio a Castel Sant'Elia (Parlato-Romano 1992 [2001] , 171-178), della pieve di Vallerano (Rossi 1982) e della Grotta degli Angeli a Magliano Romano (Parlato-Romano 1992 [2001], 322-323): i quali compongono una sequenza, cronologicamente scaglionata tra i primi anni del XII secolo e al più tardi la metà dello stesso secolo. Il confronto più convincente è sicuramente quello tra le figure delle sante Prassede e Pudenziana e le sante vergini del registro inferiore dell'abside di Castel Sant'Elia. La postura delle figure è molto simile, con la testa inclinata e vista di tre quarti, con volti dalla morfologia molto simile [2]. L'ovale di quelli di Santa Pudenziana è perfettamente regolare, come a Magliano Romano, mentre quelli di Castel Sant'Elia sono più ellittici nella parte inferiore. Un'altra differenza è quella delle sopravvesti delle sante, riccamente decorate a motivi geometrici, che a Castel Sant'Elia danno un risultato molto piatto, senza alcuna notazione plastica, mentre negli affreschi romani le indicazioni plastiche sono più

energiche grazie alle pieghe disegnate in verde sulle decorazioni, come avviene nella figura di una santa martire sul pilastro P.dei 'sotterranei' del Sancta Sanctorum. Il sistema dei panneggi di Santa Pudenziana diverge in maniera sensibile da quello di Castel Sant'Elia, e si avvicina soprattutto a quello di Magliano Romano o di Vallerano. A Castel Sant'Elia i panneggi sono organizzati soprattutto secondo le alternanze parallele di tratti bianchi e di tratti colorati nello stesso tono della veste, ma in un tono più scuro. Nei profeti di destra e nella figura di san Paolo appare, senza dominare, la maniera largamente adottata a Santa Pudenziana: le linee del panneggio si allargano concentricamente a partire da un motivo geometrizzato di forma triangolare, a lacrima, realizzato a biacca. Questa tendenza alla geometrizzazione dei rialzi a biacca aumenterà progressivamente, dando luogo a pieghe segnate con tratti paralleli sempre più spessi e con una quantità sempre maggiore di rialzi a biacca. Queste considerazioni ci inducono a situare gli affreschi di Santa Pudenziana vicino a quelli di Castel Sant'Elia, subito prima del gruppo Vallerano-Magliano Romano. L'iconografia deriva dagli Acta sanctae Pudentianae et Praxedis (AASS, Maii, IV, 297-301 ), manipolata per mostrare che i figli di Pudente furono diretti discepoli di san P aolo . Uno degli assi programmatici è dunque la celebrazione del retaggio apostolico della chiesa romana; un secondo tema è l'esaltazione dei santi e delle sante vergini, secondo la tendenza che appare durante il secolo

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XI e si generalizza in quello successivo. Infine, il ciclo, che esalta la famiglia del donatore del titulus, Pudente, è esplicitamente destinato a celebrare il prestigio della chiesa di Santa Pudenziana, in quanto sito 'storicamente' legato alla Chiesa delle origini: un tema, questo, che ritorna in altri episodi romani, anch'essi legati alle tematiche e alle occasioni della Riforma, primo fra tutti San Clemente (-> 21) .

Interventi conservativi e restauri 1588: i danni documentati dagli acquarelli di Antonio Eclissi furono determinati forse dalla campagna di rifacimenti e restauri promossa dal cardinale Enrico Caetani nel 1588; ritocchi agli affreschi furono probabilmente eseguiti in quella stessa occasione. 193 2: lavori di restauro dell'oratorio e dei dipinti, diretti da Alberto Terenzio, per la Soprintendenza ai Monumenti di Roma.

Documentazione visiva

..

BAV, Vat. lat. 9071, p. 233 ; Antonio Eclissi, (1630-1644 ca.), disegni acquerellati, WRL 8978, 9023, 9024, 9027; Antonio Eclissi, (16301644 ca.), disegno ad inchiostro, WRL 9028; incisione in Ciampini 1699, II, tav. VI; Wilpert 1916, IV, tavv. 234-236.

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Fonti e descrizioni Onofrio Panvinio, BAV, Vat. lat. 6780, ff. 63r, 66r-v, 67r; Ugonio 1588, ff. 164r-166r.

Bibliografia Armellini 1891 , 195 ; Grisar 1898; Wilpert 1908, I, 172-181 ; Morey 1915 , 40-48; Wilpert 1916, IV, tavv. 234-236; van Marle 1921 , 2526; van Made 1923 , 161-162; Toesca 1927 [1965], 942; Ladner 1931 , 85-86; Terenzio 1931-1932, 188-191 ; Lavagnina 1936, 361; Armellini-Cecchelli 1942 , I, 242-245 ; II, 1423 ; Hermanin 1945, 228-230; Anthony 1951 , 75-76; Garrison 1953 -1954, 122; Garrison 1955-1956, 25 , 30 nota 2, 174 nota2; Garrison 1957-1958, 12-13 , 26, 198, 200,210; Montini s.d. [1960], 23 , 85 -95; Matthiae 1961, 218; Beckwith 1964, 188; Waetzoldt 1964, 74; Vanmaele 1965 , 116-117 ; Matthiae 1966a [1988], 21-24 ; Demus 1968, 57, 121; Buchowiecki 1974, 676-677; Gandolfo 1988, 254 ; Parlato-Romano 1992 [2001], 124; Dodwell 1993, 174; Pace 1993-1994, 545 -548; Bertelli 1994, 230; Osborne-Claridge 1996, 308-317; Herklotz 2000, 133; Noreen 2001 , 46; Suckale 2002 , 100; Trivellane c.s. Jérome Croisier

31. I FRAMMENTI DI UN FREGIO CO D EI SANTI QUATTRO CORO ATI

UCCELLI DELLA DECORAZIONE ABSIDALE

1116 ca.

Dell'antica decorazione pittorica realizzata durante il pontificato di P as quale II sopravvivono soltanto alcuni frammenti situati sull'arco della parete di fondo della chiesa, sovrastante l'abside. Consistono in un fregio composto da motivi ellittici uniti tra loro da motivi vegetali e circolari e delimitato da due greche di colore bianco [1]. L'interno delle ellissi è campito di colore rosso e presenta, al centro, un orn amento circolare con un fi ore; al di sop ra la decorazione prosegue con tre fasce di colore bianco verde e giallo e, nuovamente, con motivi circolari alternati ad uccelli variopinti e a tondi di minori dimensioni con fiori di color rosso su fondo bianco.

ote critiche I resti dipinti furono scoperti da Antonio Muiioz durante il restauro del complesso dei Santi Quattro Coronati, condotto dal 1912 al 1914. Fu un intervento imponente, esteso alla chiesa, al chiostro , alla cappella di San Silvestro , e all'insieme degli edifici che costituiscono il complesso monumentale (Muiioz 1914a). L' indagine svolta permise di ricostruirne le diverse fasi , di indagarne le trasforma zioni architettoniche e decorative : dall 'edificio del IV secolo , alla grandiosa basilica edificata da Leone IV (847-855 ), alla distruzione operata da Roberto il G uiscardo nel 1084 nel tentativo di liberare il pontefice Gregorio VII (1073-1085 ) assediato a Castel Sant' Angelo; cui seguirono la riedificazione operata da Pasquale II (1099-111 8), gli interventi del cardinale spagnolo Alfonso Carrillo, i restauri commissionati nel XVII secolo dal cardin ale titolare G iovanni Garcia Millini (1572 -1629), le opere settecentesche e ottocentesche. Quella di Mu iioz fu una ricerca vastissima , che riuscì a definire con particolare chiarezza l'intervento di P asquale II nel complesso architettonico, ali'opera del quale si deve, in linea generale, l'attuale aspetto della chiesa. Il Liber Ponti/icalis informa che nel 1116 era terminata l'opera di ricostruzione dell'edificio ecclesiastico, consacrato il 20 gennaio del medesimo anno: « Verum etiam ecclesiam Sanctorum Quatuorum Coronatorum, quae tempore R oberti Guiscardi Salernitani principis destructa erat, a fundamentis re/ ecit atque consecravit anno ponti/icatus sui XVII mense ianuarii die XX» (LP II, 305 ; Muiioz 1914a, 4-5 ). In un documento, datato 24 maggio 1116, il pontefice ricorda in modo circostanziato i lavori condotti per rendere più dignitosa la sepoltura dei martiri e altresì precisa come la riedificazione della chiesa fosse avvenuta in uno spazio di dimensioni ridotte rispetto alla basilica precedente: «Nost ris sane temporibus, sanctorum Quatuor Coronatorum ecclesiam, tituli nomine insignem, igne consumptam novimus et res ad eam pertinentes multa bellorum diuturnitate pessum datas. Sed cum indignum valde videretur ut tot sanctorum corpora, que eadem / ueran t ecclesia tumulata, per tanta temporis interstitia, congruis carerent o//iciis, divina inspiratione excitz; ecclesiam ipsam, licet minoribus spatiis, reparare, et sanctorum multorum illic inventa corpo ra congruenter coperire curavimus, et quia focus idem, habitatoribus circumquaque perehuntibus, versus in solitudinem /uera t, opport unum duximus, ad cotidiana sanctorum exequia peragenda, monachorum illic congregationem, Domino prestante statuere» (Kehr 1906, 41 ; Muiioz 1914a, 4-5).

In una prima fase Pasquale II cercò di riproporre le grandiose dimensionj della basilica leonina, per poi costruire un edificio di dimensioni più esigue (CBCR 1976, IV, 1-34, spec. 28-31 ; BarelliPugliese 1994, 19-24 ; Barelli-Falconi 1995 , 5 -14; Barelli 1999, 95-108; Barelli 2002 , 979-992 ); l'abside fu decorata da affreschi donati da una fedele chiamata Tuttabuona o Justadonna o Guastadonna (Mancini ante 1630 [1956-1957] , I , 61; Memmolo 1628, 17; Adinolfi 1881 , I, 330; Muiioz 1914, 64). Una descrizione molto sommaria degli affreschi, ma con interessanti notazioni critiche, è riportata da Mancini (ante 1630 [1 956-1957] , I, 61 , 166-167) che scrive: «Doppo questi tempi sono le pitture di Ss. Quattro Coronati, fatte fare da madonna Tuttadonna, che così si legge: 'Ego Tuttadonna pro redemptione animae meae, viri mei et filiorum meorum hoc opus fieri feci '. La quale fece fare delle altre intorno al 111 O sotto Gelasio I e Calisto II e altri pontefici di quei tempi. Queste pitture sono riguardevole perché per quei tempi così infilici sono assai buoni, con i piedi che posano nei lor piani, che non fanno così l' altri di quei tempi; di buon habiti e, quel che è più, immitano gl' habiti di quei tempi tanto di vergini e martiri quanto che delli habiti ecclesiastici, come di pontefici et altri. Queste furono fatte da Petrolino et il compagno, descritti ivi. ( ... ) Et ciò credo perché I qui mancò la litteratura, li huomini rozzi non mettevan lor nome, fuorché nella tribuna dei Ss. Quattro Coronati dove sono queste lettere: 'GG. et Petrolinus pictores'. Questi vissero intorno al 1110 in 20 sotto Pasqua! II, al tempo del quale fecero quella pittura (. .. ). Si può probabilmente credere che fusser romani per il gran tempo che stetter' in questa città, perché di lor maniera si vedon molte pitture che ricercan gran tempo, che ad un forestiero, in quei tempi calamitosi di Roma, non sarebbe messo conto venirvi e trattenerversi. La maniera è assai buona, i piedi posan ne' piani, che ne' medesimi tempi et anca ne' succedenti a questi non si vedevan posar così bene. I panni assai ben intesi, non come fece l'età di Cimabue. E' degna questa pittura d'esser vista per gl'habiti dei martiri e vergini tanto maschi quanto femine , con la diadema simil ad un frontale , et gl'habiti pontificij di quei tempi. (. ..) il Vasari, del quale mi par d'avertire che s'inganna molto nella vita di Cimabue da Fiorenza, dicendo essere stato quello che ravivò la pittura, perché il già detto Petrolino visse e operò 100 anni avanti la nascita I di Cimabue». Che Gregorio e Petrolino fossero artisti operosi a Roma è documentato, indirettamente, anche da una testimonianza di Rodolfo Lanciani che nella tribuna della chiesa di Santo Stefano del Cacca aveva letto il nome di quest'ultimo artista (Lanciani, 1902-1912, I, 6; Muiioz 1914a, 65, nota 1). L'ascendenza classicheggiante dei frammenti superstiti conferma la loro pertinenza alla decorazione realizzata da Gregorio e Petrolino, presumibilmente attorno al 1116, data della consacrazione dell 'edificio. Lo schema compositivo dei fr ammenti pittorici, per la presenza delle ellissi, inserite le une nelle altre, con motivi circolari e fiori al loro interno, richiama il mosaico del Ninfeo di Nettuno e Anfitrite ad Ercolano (Toubert 1970 [2001] , 180, nota 6, e 199). Ha riscontri sia con il fregio sottostante la M essa di San Clemente nella basilica inferiore di San Clemente (---> 2 lc), che con la decorazione dell'arco trionfale di Santa Croce in Gerusalemme (---> 57 ), nonché con il fre gio nell'abside di Sant' Anastasio e Castel Sant'Elia e con quello recentemente

SANTI Q UATT RO C ORONATI

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rinvenuto a San Marcello al Corso (----t 37b); altre analogie con le decorazioni musive della cattedrale di Salerno entrano nella questione storiografica delle relazioni tra Roma e Montecassino tra fine XI e primo XII secolo (Kitzinger 1972b; Toubert 1976; Gandolfo 1988).

calamità di questi tempi ne ' quali si ha tanto pocha cura dell' antichità»: Mancini , ante 1630 [1956-1957] , I , 61 nota 13; Memmolo 1628, 17 ), tranne ovviamente quelle già protette dal soffitto ligneo. li fregio fu ritrovato nel corso dell 'intervento di restauro del complesso dei Santi Quattro, diretto da Antonio Muiioz per la Soprintendenza ai Monumenti del Lazio tra il 1912 e il 1914.

Interventi conservativi e restauri XVI secolo: I dipinti sono celati alla vista dal soffitto ligneo a lacunari intagliati, che copre la navata centrale. Il soffitto fu commissionato nel 1580 dal re del Portogallo, Enrico (1512-1580), nominato da Paolo III, nel 1545 , cardinale titolare della chiesa dei Santi Quattro Coronati (Moroni 1840-1879, XXI, 289-291 ). Nel 1623 Giovanni Garcia Millini (1572-1629), cardinale titolare dal 1606, trasformò la zona absidale sopraelevandola e affidando al pittore Giovanni Mennozzi da San Giovanni e allo stuccatore Francesco Solario l'esecuzione degli affreschi e degli stucchi realizzati nella tribuna e nel catino absidale. Secondo l'affermazione di Mancini, in questa occasione le pitture murali di regorio e Petrolino furono distrutte («Quale adesso sono state demolite per

Fonti e descrizioni Memmolo 1628, 17; Mancini, ante 1630 [1956-1957] , I, 61 , 166167 .

Bibliografia Adinolfi 1881 , I, 327-334; Lanciani, 1902-1912, I, 6; Muiioz 1914a, 64-66; Van Marle 1923 , 181 ; Hermanin 1945, 248; Buchowiecki 1970, 228-229; CBCR 1976, IV, 30; Bertelli 1982, 288; Gandolfo 1988, 263-264 ; Parlato-Romano 1992 [2001], 128; Bertelli 1994, 228-229. Andreina Draghi

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SANT I Q UADRO CORONATI

32. I MOSAICI DELL'ABSIDE E DELL'ARCO ABSIDALE DELLA CHIESA SUPERIORE DI SAN CLEMENTE 1118 ca.

La conca absidale della basilica è occupata da una Crocifissione che si situa al centro di una rete di girali di acanto abitati, sormontati dalla volta celeste [1]. Alla base del catino dodici agnelli convergono verso l'Agnus Dei. Tra la fascia degli agnelli e la superficie dorata corre un 'iscrizione a lettere bianche su fondo blu (Iscr. 1). Sulla croce, di colore blu, sono disposte dodici colombe; il Cristo è raffigurato morto, sottili rivoli di sangue scendono dalle piaghe sul suo costato. Alla sua sinistra è la Vergine, alla destra san Giovanni [2] . Al di sopra della croce, emerge fra strati di nuvole colorate la mano di Dio che regge la corona trionfale. Il resto della volta celeste è coperto da una camera /ulgens al disotto della quale si stende una decorazione a grottesche, candelabri, scudi e alzate sulle quali sono disposti degli agnelli. I girali di acanto che circondano la Crocifissione nascono da un cespo ai piedi della croce e si estendono ordinatamente, seguendo un ritmo quinario sia verticale che orizzontale: cinque registri di racemi, e cinque 'colonne' che si restringono progressivamente verso il sommo della conca. Le estremità dei racemi terminano con efflorescenze, urne chiuse, cesti di frutta , vasi. Ai piedi del cespo, si fronteggiano un cervo ed una sorta di serpente rosso [3 J. Sotto la prima fascia di racemi sono rappresentati al centro due

cervi che si stanno abbeverando alla fonte dei quattro fiumi paradisiaci affiancati da due gruppi di uccelli: una gru, un 'anatra e un pavone. Sul lato sinistro la decorazione prosegue con due pastori, appoggiati alla clava, che sorvegliano il gregge [4]. Alla loro sinistra un pappagallo chiuso in una gabbia seguito da una donna vestita di bianco che dà da mangiare a una gallina e ai suoi pulcini minacciati da uno sparviero [5]; alla fine del registro è rappresentato un gallo . Sul lato destro , disposto in maniera simmetrica, è un altro gruppo pastorale al centro del quale due personaggi mungono una capra e una pecora. Proseguendo sulla destra, un gallo attacca una lumaca ai piedi di un albero al quale sono appoggiate o appese diverse armi e attributi militari. Il registro si chiude con la rappresentazione di un rapace che si lancia su una lucertola sotto gli occhi attenti di un fagiano. Tra la prima e la seconda fascia di racemi è raffigurato un gruppo di laici composto da un militare in tunica corta, lorica, braghe e mantello color porpora, da un altro uomo vestito in modo simile e da un terzo personaggio che resta alle loro spalle [6]. Di fronte a questo gruppo è seduto san Girolamo che scrive su un codice, identificato dall'iscrizione con il nome (Iscr. 2) [7]; il santo, come gli altri Padri della Chiesa che seguono, porta abiti da canonico,

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e Giovanni) emergono da nubi iridate. Nella parte sinistra del registro sottostante, san Paolo e san Lorenzo sono seduti accanto a una palma: san Paolo ha tunica clavata e manto, ha il rotulus ed è identificato dal nome iscritto User. 7) , san Lorenzo ha una dalmatica riccamente ornata e un manto [10]. Regge il libro nella destra e nella sinistra la croce processionale, sotto i piedi la graticola, e l'iscrizione identificativa User. 8). Sul lato destro sono seduti san Pietro e san Clemente, vestiti in maniera identica a san Paolo [11] ; anche san Pietro ha il nome iscritto User. 9), ha il rotulus nella mano sinistra e con la destra fa il gesto dell' adloeutio. La frase che sta pronunciando è trascritta nell'iscrizione sottostante User. 10). San Clemente regge l'ancora, strumento del martirio. Nel piedritto sinistro il profeta Isaia, con lo sguardo rivolto verso il Cristo e nelle mani il cartiglio con il versetto che allude alla sua visione (Iser. 11 ) [12]. Il profeta, identificato dal nome (Iscr. 12), ha una tunica orlata da gemme e ricchi motivi decorativi. Sulla destra gli fa da pendant Geremia [13] , vestito e identificato in modo identico (Iscr. 13 ); sul cartiglio, una citazione biblica che gli è stata spesso attribuita (Iser. 14). Sull'ultimo registro, disposte in modo da occupare la superficie dell'arco ma anche una piccola porzione della curva absidale, le due città da cui escono gli agnelli, a sinistra Betlemme [14] e a destra Gerusalemme User. 15 , 16). ella parte rivolta verso lo spettatore le porte delle città sono chiuse. Un piccolo uomo nudo è seduto sugli scalini che portano all'ingresso di Betlemme, mentre dall'altra parte un gallo sembra chiuso fuori Gerusalemme. Una grande iscrizione a lettere dorate su sfondo blu comincia ai piedi di Isaia, e corre lungo tutto l'arco per terminare ai piedi di Geremia User. 17). I prin1i tre registri e l'iscrizione sono incorniciati da una fascia decorativa a motivi gemmati. Infine, l'intradosso dell'arco è ornato da festoni di fiori e frutta [15] che nascono da due cantari per poi diramarsi fra putti alati verso il monogramma di Cristo posto alla sommità dell'intradosso. La superficie totale del mosaico è di 117 metri quadri.

Iscrizioni alba e mantello nero. Nello spazio successivo un personaggio che sembra intento a nutrire l'uccello che si trova di fronte a lui; su un ceppo alle sue spalle è appoggiata la gerla. Il registro è chiuso sulla sinistra dalla figura di sant' Agostino (Jser. 3) e da una civetta. Partendo dal centro, verso destra, compare invece un altro gruppo di laici - tra cui una donna - rivolto verso san Gregorio (Jscr. 4). Proseguendo verso destra , un monaco in vesti bianche che dà da mangiare ad un volatile, con una grande giara alle spalle, e infine, a chiudere il registro , sant'Ambrogio e un uccello in gabbia [8]. Come gli altri Dottori, anche sant' Ambrogio ha il nome iscritto (Jser. 5), e l'iscrizione apposta sul suo codice lo identifica come vescovo (Jser. 6). Il registro successivo, tra la seconda e la terza fascia di racemi , è occupato da due gruppi di uccelli che nutrono le loro nidiate e da putti occupati a dar da mangiare ad altri uccelli, a cavalcare delfini o a suonare delle trombe. Gli spazi fra i girali dei due registri superiori sono abitati da differenti tipi di volatili [9]. La decorazione dell'arco absidale si sviluppa invece su quattro registri a fondo d'oro [1]. Il medaglione del Cristo Pantoerator, affiancato dai simboli dei quattro evangelisti, occupa la parte centrale del registro superiore; il busto del Cristo è posto all'interno di un disco blu orlato da un cerchio più scuro con élieci stelle a otto punte. Il Cristo, rappresentato frontale, con il libro, la destra benedicente e il nimbo cruciforme iridato, ha una tunica clavata color porpora e un manto dorato. Ai lati del medaglione, i simboli degli evangelisti con il libro (Marco e Luca) o la corona (Matteo

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1 - Iscrizione esegetica e documentaria disposta alla base della calotta absidale, sopra la processione degli agnelli, incorniciata in una fascia rettangolare, allineata su una riga orizzontale, secondo un andamento rettilineo irregolare che segue la curvatura del catino absidale. Lettere bianche e di madreperla su fondo blu. Integra. Scrittura capitale. Epigrafe composta da due testi distinti, entrambi in versi leonini, da leggersi nella sequenza: primo e ultimo verso; due versi centrali.

Ecclesiam Cristi viti similabimus isti De ligno crucis Jacobi dens Ignatiiq(ue) in suprascripti requiescunt corpore Cristi quam lex arentem set crus facit e(ss)e virente(m) 2-5 - Quattro iscrizioni identificative disposte nella calotta absidale, prive di spazio grafico di corredo, allineate secondo un andamento rettilineo irregolare. Lettere nere su fondo oro. Integre. Scrittura capitale. 2 - A sinistra di san Girolamo, su tre righe orizzontali.

S(anctus) I Jero/nim(us) 3 - A sinistra di sant' Agostino, su una riga orizzontale.

Agu(stinus)

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4 - A destra di san Gregorio, su una riga orizzontale.

Sulle pagine dei libri sorretti dai santi Agostino , Gerolamo e Gregorio, sono presenti segni grafici dal significato indecifrabile.

S(anctus) G(re)g(orius)

5 - A destra di sant' Ambrogio, su tre righe orizzontali. S(anctus) Am/brolsius

6 - Iscrizione segnaletica, disposta sulle due pagine del libro di sant' Ambrogio, allineata su tre righe verticali nella pagina destra e su due righe verticali nella pagina sinistra, secondo un andamento rettilineo irregolare. Integra. Scrittura capitale. Elp(iscopu)/s Il t/i

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SAN CLEME NTE / ATLANTE

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7 - Iscrizione identificativa disposta tra san Paolo e la palma, priva di spazio grafico di corredo, allineata su due righe orizzontali, secondo un andamento rettilineo irregolare. Lettere nere su fondo oro. Integra. Scrittura capitale. Si segnala il termine agios in lingua greca. Agios I Paulus

8 - Iscrizione esegetica disposta sul piedritto sinistro, sotto la graticola di san Lorenzo, in un riquadro rettangolare, allineata su due righe orizzontali, secondo un andamento rettilineo irregolare.

o Lettere bianche su fondo nero. Integra. Scrittura capitale. Il testo è in versi leonini. De cruce Laurenti Paulo I famulare docenti 9 - Iscrizione identificativa disposta sul piedritto destro, tra san Pietro e la palma, priva di spazio grafico di corredo, allineata su due righe orizzontali, secondo un andamento rettilineo irregolare. Lettere nere su fondo oro. Integra. Scrittura capitale. Si segnala il termine agios in lingua greca.

due fasce rettangolari, allineata su due righe orizzontali, secondo un andamento rettilineo irregolare. Nella prima riga, invasa dalla nave e dai piedi di san Clemente, le lettere sono bianche su fondo nero, nella seconda riga le lettere sono giallo-dorate su fondo rosso. Integra. Scrittura capitale con stilemi 'alla greca'. Il testo è in versi leonini. Rei lspice p(ro)l lmisl !sul lm I Clemens a me tibi (Christ)wn

Agios I Petms

11 - Iscrizione esegetica disposta sul piedritto sinistro, nel rotolo sorretto da Isaia, allineata su due righe oblique, secondo un andamento curvilineo irregolare. Lettere nere su fondo bianco. Integra. Scrittura capitale. Fonte del testo: Is 6, 1.

10 - Iscrizione esegetica, disposta sotto i santi Pietro e Clemente, in

Vidi dominum I sedentem sup(er) solium

SAN CLEMENTE/ ATL ANTE

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12 - Iscrizione identificativa disposta sul piedritto sinistro, a destra del capo del profeta Isaia, priva di spazio grafico di corredo, allineata su una riga orizzontale secondo un andamento rettilineo irregolare. Lettere nere su fondo oro. Integra. Scrittura capitale.

Isaias

13 - Iscrizione identificativa disposta sul piedritto destro, ai lati del capo del profeta Geremia, priva di spazio grafico di corredo, allineata su una riga orizzontale, secondo un andamento rettilineo irregolare. Lettere nere su fondo oro. Integra. Scrittura capitale con stilemi 'alla greca'. Ierem1l las 14 - Iscrizione esegetica disposta sul piedritto destro , nel rotolo sorretto da Geremia, allineata su due righe oblique, secondo un andamento curvilineo irregolare, interrotta dalla mano del profeta. Lettere nere su fondo bianco. Integra. Scrittura capitale con stilemi 'alla greca' . Fonte del testo: Ba 3, 36.

Hic est D(ominu)s n(oste)r et 11(011) esti/mabit 11 alius absq(ue) illo 15 - Iscrizione identificativa disposta sul lato sinistro del tamburo absidale, alla base della calotta, sull'arco della porta di Betlemme, allineata su una riga orizzontale, secondo un andamento curvilineo regolare. Lettere nere su fondo celeste e bianco. Integra. Scrittura capitale.

Bethleem a8

16 - Iscrizione identificativa disposta sul lato destro del tamburo absidale, alla base della calotta, sull'arco della porta di Gerusalemme, allineata su una riga orizzontale, secondo un andamento curvilineo irregolare. Lettere nere su fondo celeste e bianco. Integra. Scrittura capitale.

Hiemsalem 17 - Iscrizione liturgica-esegetica disposta lungo il bordo inferiore dell'arco e sulla base dei piedritti destro e sinistro, in una fascia , allineata su una riga secondo un andamento rettilineo e curvilineo regolare. Lettere dorate su fondo blu. Integra. Scrittura capitale con stilemi 'alla greca'. Fonte del testo: Messa del Natale, antifona (Hesbert 1970, IV, n. 2946, 236) , rielaborata da Le 2, 14.

Gloria in excelsis Dea sedentis sup(er) thronum et in terra pax hominibus bone voluntatis (S. Rie.)

Note critiche La ricostruzione della basilica di San Clemente si svolse con certezza negli anni del cardinalato di Anastasio, il quale ne divenne titolare dopo l'elezione di Pasquale II alla sede pontificia nel 1099. Il primo documento che rechi la firma di Anastasio quale titolare della basilica è del marzo 1102, l'ultimo è del maggicr 1125 . La sua responsabilità nella realizzazione del nuovo edificio, sorto al di sopra della basilica paleocristiana, è confermata da varie iscrizioni, la prima delle quali è incisa sulla cattedra pontificale che ancora si trova nella chiesa: 32), dove l'elemento ornamentale, di dimensioni e di ampiezza naturalmente molto maggiori, non è dissimile dal i tema di racemi che lega tra loro i clipei del portico. Altro elemento in comune è l'inserzione nelle volute dei racemi di figure di animali, uccelli e una lumaca. A ragione Claussen (2002 , 238) evoca confronti stilistici fra i due mosaici, in particolare fra la sant' Agata di Santa Cecilia e il ritratto della Vergine dell'abside di San Clemente, e fra il clipeo di Tiburzio e la figura di san Girolamo. Anche se di dimensioni diverse questi ritratti sembrano eseguiti seguendo le stesse regole plastiche: i volti circoscritti all'interno di una solida linea scura sono modellati da una rete di lumeggiature di un tono più chiaro rispetto a quello dell'incarnato, che marcano le arcate sopraciliari, il setto nasale, e circoscrivono il collo. I volti dalle guance rosate sembrano imbronciati, gli occhi

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segnati da un tratto nero sul bordo superiore, con uno sguardo fisso , quasi grave.

Interventi conservativi e restauri 1724: rifacimento del portico, voluto dal cardinal Acquaviva, e probabile intervento sul fregio. 1999: restauro del mosaico sotto la direzione di Patrizia Marchetti.

Documentazione visiva Rohault de Fleury 1893 , I , tav. XVII; de Rossi 1899, tavv. XXIV,

..

xxv.

Fonti e descrizioni Ugonio 1588, 130r-130v.

Bibliografia Nibby 1839, 160; de Rossi 1899; Rohault de Fleury 1893, I, 4749; Bianchi-Cagliesi 1902, 68-69; Picarelli 1903, 7; Picarelli 1904, 3-4; Picarelli 1922, 11-14; Venturi 1926, 34-35; CBCR 1937, I, 105; Armellini-Cecchelli 1942, II, 828; Matthiae 1966a [1988], 145; Matthiae 1967, I, 324; Matthiae 1970, 44-47; Morolli-Tubello 1988, 15-74; Parlato-Romano 1992 [2001] , 143; Buchowiecki 1997 , 302; Pelliccioni 1999, 87-97; Herklotz 2000 , 133-134; Claussen 2002 , 235-238.

Filipe Dos Santos

5

7

6

SANTA CECILIA IN TRASTEVERE

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35. LA DECORAZIONE PITTORICA DEI SOTTERRANEI DEL SANCTA SANCTORUM Secondo-terzo decennio del XII secolo

Gli affreschi che decorano il vestibolo di una delle entrate del patriarchium appaiono oggi deteriorati e frammentari. I frammenti sono distribuiti su sette pilastri e su due pareti degli ambienti sotto il Sancta San ctorum; altri frammenti oggi perduti sono conosciuti grazie alle copie seicentesche (BAV, Vat. lat. 9071 , pp. 251-253 , 255 , 256 ; BAV, Barb. lat. 4426, ff. 1-5; BAV, Barb. lat. 6555 , ff. 1-13; WRL 9096). Per praticità identifichiamo i pilastri secondo lo schema proposto da Lauer (1900) [1]. Tre lati del pilastro J sono visibili e ancora parzialmente affrescati. Sul lato ovest è dipinta una colonna scanalata con capitello corinzio, incorniciata di rosso. Sopra la colonna, la parte del pilastro che si allarga per andare a formare la volta è decorata con motivi vegetali stilizzati tra i quali una palma. Sul lato sud un santo canuto e barbato è sdraiato in un sarcofago , gli occhi aperti e le mani nel gesto di orante [2]. Ai lati del sepolcro due chierici con tunica e dalmatica clavata decorata con palmette, losanghe e cerchi bianchi; uno regge due ceri, l'altro agita un turibolo. Nella parte superiore della composizione una sorta di nevischio e dei raggi rossi partono da un disco color pot pora bordato di verde. La scena può essere identificata con l'A utoseppellim ento di san Giovanni evangelista: secondo gli atti apocrifi di Giovanni (Atti di Giovanni, 115), il suo corpo fu portato in cielo e sostituito nella tomba dalla manna miracolosa. Una fascia rossa separa la parte superiore del pilastro in due zone, che ospitano il seguito della decorazione a motivi vegetali dei lati ovest e est. Il lato est è qecorato con un'altra finta colonna. Sulla parte superiore si distinguono una palma, delle rosette e un animale sanguinante trafitto da una lancia con la zampa anteriore alzata; più indietro, un cane disegnato in verde sembra in procinto di attaccarlo. Sul pilastro I, all 'imposta della volta troviamo le medesime decorazioni vegetali e geometriche: palma nell 'angolo , cerchi concentrici e rosette rosse. Un leone giallo e verde morde un animale sanguinante -forse un agnello o un vitello - disegnato in verde [3]. Nel pannello sottostante sono ancora leggibili solo tre cerchi concentrici su sfondo bianco. Grazie al disegno Barb. lat. 6555 , f. 5 [4] (accompagnato d alla didascalia «compagno de leone») sappiamo che il lato ovest di questo pilastro era occupato da una Madonna advocata che faceva da pen da nt al Cristo benedicente alla maniera greca del lato ovest del pilastro N [5]. La Madonna è scomparsa ma si distingue ancora la decorazione a rosette rosse che la accompagnava. Sul lato sud del pilastro O c'è un pannello con un santo vescovo tonsurato, con tunica, mantello rosso e pallio, che benedice con la destra e nella sinistra tiene quello che sembra essere un modellino d ell'edificio [6]. Alla sua destra una donna orante, forse una donatrice. Ai lati della testa del santo troviamo quattro cerchi rossi come quelli delle volte e del pannello della Madonna advocata. Sul lato ovest del pilastro, due santi ecclesiastici con pallio, uno tonsurato l'altro con phrygium [7]. Un 'iscrizione identifica quello di destra con santo Stefano (Iscr. 1). Gli acquarelli del codice Barb. lat. 6555 (ff. 1, 2) [8] riportano la decorazione di altri due lati del pilastro O: un santo scovo con mitra, pastorale e pallio e una scena che presenta sulla destra due santi -forse Pietro e Paolo - e sulla sinistra una sorta di processione davanti a una collina [8]. L'acquarello è accompagnato dalla didascalia «pittura nuova» e la mitra del vescovo non è bicornis,

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come vuole il costume della fine XI inizio XII secolo; è quindi probabile che questi pannelli siano relativi ad una successiva campagna. decorativa alla quale apparteneva anche il pannello perduto della Vergine in trono con Pietro e Paolo attestato dall'acquarello del Vat. lat. 9071 (p. 257 ). Sul lato est del pilastro Psi distinguono due martiri con diadema, ricche vesti decorate con motivi geometrici e un mantello rosso, con una corona d'oro nella mano sinistra [9]. Sulla parete fra i pilastri N e Q restano i frammenti molto rovinati di una Crocifissione. Si riconoscono il Christus patiens [10] con gli occhi aperti e sopra le braccia della croce i busti di due angeli [11]. A sinistra della croce san Giovanni e la Vergine, a destra un gruppo di personaggi non identificati e un soldato che probabilmente infligge l'ultimo colpo di lancia a Cristo. Il lato nord del pilastro Q è occupato nel registro superiore da Geremia in abiti militari, identificato dall'iscrizione del cartiglio User. 2) [12]. Nel registro inferiore Osea con tunica, mantello e cartiglio, identificato da un'iscrizione User. 3) [13]. Sul lato ovest lo stato di conservazione del Martirio di san Sebastiano è relativamente buono. Il santo barbato e brizzolato - identificato da un'iscrizione (Iscr. 4) - è legato ad un palo ai lati del quale due arcieri scoccano le loro frecce [14]. Sulla parete tra i pilastri Q e R si trovano i resti di tre scene del Genesi [15 , 16] , la cui lettura può essere completata grazie all'acquarello del Vat. lat. 9071 (p. 253 ) [17] . Nel registro superiore, la prima scena rappresenta la Creazione del cielo e della terra, la separazione della luce e delle tenebre, delle acque e della terra, la creazione degli astri, delle piante e degli animali marini. La scena del registro centrale, tagliata a metà da una fascia d corativa, è identificabile con la Creazione di Adamo - dove un 'iscrizione è ancora leggibile User. 5) - mentre l'ultima scena situata nel registro inferiore doveva essere la Creazione di Eva. Sul lato est del pilastro R un giovane uomo con i capelli lunghi, in

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abiti signorili, regge la corona del martirio [18]. Gli acquerelli del Barb. lat. 6555 (ff. 10-13) attestano l'esistenza di quattro pannelli perduri che occupavano i restanti lati dello stesso pilastro [19, 20, _}]: un pannello con due sante o due santi diaconi separati da una croce processionale, un pannello con Giovanni Battista e, ,·erosimilmente, san Giovanni Evangelista, un santo barbato non ·dentificato con libro e infine una Vergine con Bambino accompagnata da due santi barbati non identificati, forse Pietro e Paolo. Cn ultimo affresco perduto, riportato dall'acquarello del Vat. lat. 907 1 (p. 256) [22] , era situato sulla parete fra due pilastri non identificati. Il dipinto era composto da almeno due scene su due registri. L'acquarello mostra nel registro superiore sulla destra un uomo legato a una croce di sant'Andrea e un boia che lo colpisce con un bastone, sullo sfondo una collina. Nel registro inferiore, a destra, si vedono varie figure riunite sotto quella che potrebbe mb rare un'architettura o una tenda: i motivi a forma di fiamma -arebbero pensare alla Pentecoste, o ad una delle Piaghe d'Egitto, ma l'identificazione è molto improbabile.

Iscrizioni 1 - Pilastro O, pannello con due santi Iscrizione identificativa disposta a destra del santo, accanto al ginocchio, allineata su due righe (?) orizzontali, secondo un andamento rettilineo. Lettere bianche su fondo verde. Frammentaria. Scrittura capitale.

S_(anctus) I $tf4ì_[hanus] Integrazioni dal disegno acquerellato, BAV, Barb. lat. 6555 , f. 3. 2 - Pilastro Q , pannello con due profeti Iscrizione esegetica disposta sul rotolo sorretto da Geremia, allineata su due righe orizzontali, secondo un andamento lievemente curvilineo. Lettere nere su fondo bianco. Lacunosa. Scrittura capitale. Fonte del testo: Gr 9, 19.

Ego quasi agnus I mansµçtus

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Integrazioni dal disegno acquerellato di Eclissi, BAV, Vat. lat. 9071 , p. 252. 3 - Pilastro Q , pannello con due profeti Iscrizione esegetica disposta sul rotolo sorretto da Osea, allineata in origine su otto righe orizzontali, delle quali solo la prima è ancora parzialmente visibile, secondo un andamento rettilineo irregolare. Lettere nere su fondo bianco. Frammentario. Scrittura capitale. Fonte del testo: Os 13, 14. O mors I ero I mors I tua I morsus I tuus I ero I infeme Integrazioni dal disegno acquerellato di Eclissi, BAV, Vat. lat. 9071 , p . 252 . 4 - Pilastro-~Q, Martirio di san Sebastiano Iscrizione identificativa già disposta sotto il ponticello su cui poggia la colonna alla quale è legato il santo , allineata su una riga orizzontale. Perduta.

S(anctus) Bastianus Trascrizione dal disegno acquerellato di Eclissi, BAV, Vat. lat. 9071 , p . 251.

5 - Parete Q-R, Creazione di A damo Iscrizione esegetica disposta sotto il riquadro , in una fascia rettangolare , allineata su una riga orizzontale, secondo un andamento rettilineo irregolare. Lettere bianche su fondo nero. Frammentaria. Scrittura capitale.

IJjç plasmat [- - -] (5. Rie.)

N ote critiche Non si conosce la funzione esatta della sala che ospita questi affreschi. Rohault de Fleury pensava che si trattasse di un portico o vestibolo, provvisto di una seconda scala di accesso al primo piano del patriarchium, e credette di poter identificare il colonnato della parete nord con il portico di papa Zaccaria (741-752 ) (Rohault de Fleury 1877 , 378-380). Il Lauer (1900; Id. 1911) lesse questo spazio come i resti dell'oratorio o b asilica di San Gregorio che secondt, Panvinio fungeva da vestibolo al Sancta Sanctorum, oppure come i resti di un portico che avrebbe potuto essere quello di Zaccaria (Lauer 1911 , 482-483 ). Più tardi Redig de Campos lo identificò, senza argomentazioni, con l'oratorio di San Sebastiano menzionato una sola volta

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nelle fonti medievali (LP I, 3 33) per ricordarne la fondazione da parte di Teodoro I (624-649): questa attribuzione si basa forse soltanto sulla presenza del pannello del Martirio di san Sebastiano (Redig de Campos 1955b). Più prudente, il Garrison (1955-1956, 197) pensa che si possa trattare dei resti del porticus palatti - descritto nel n. 47 della pianta di Contini pubblicata nel 1630 da Severano nelle Memorie sacre delle sette chiese di Roma - o della continuazione del portico di Zaccaria; analoga l'interpretazione di D 'Onofrio, che lo ritiene un ambiente polifunzionale risalente con ogni probabilità ali' epoca di papa Zaccaria (D 'Onofrio 2002). Rimane evidente che la tipologia architettonica dello spazio in questione non è quella di @ luogo di culto; le murature sono attualmente datate all'XI secolo, come voleva il Lauer, e il colonnato incastrato nel muro nord viene identificato con il portico di Zaccaria. Quello che Panvinio chiama oratorio, vestibolo o ancora basilica di San Gregorio, altro non era quindi che

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il primo piano della residenza che Gregorio IV (827 -844) fece costruire «prope oratorium s. Chr. mart. Laurentii» (LP II, 81 ) e che in seguito iu trasformato in vestibolo per il Sancta Sanctorum e ancora più tardi c&.-entò l'oratorio nel quale Panvinio vide tre altari. L'abitazione sarebbe stata edificata sulle fondazioni modificate del portico di Zaccaria che probabilmente continuava verso ovest fino all'ubicazione originaria della Scala Santa; lo spazio affrescato coinciderebbe con la sottostruttura dell'abitazione di Gregorio IV. È probabile che la sala si estendesse al di là del limite ovest del primo piano insieme al portico di Zaccaria, così come Contini aveva iporizzato nella sua pianta. La ala affrescata sarebbe dunque identificabile con i resti del portico «quod est iuxtam scalam quam nunc sanctam dicimus, id est sub porticibus Porticus veteris Lateranensis» (Lauer 1911, 477 ) O\·e veniva distribuito il cibo ai poveri (LP I , 502 ). D 'altronde Panvinio pensava che le sottostrutture del cosiddetto oratorio di an Gregorio facessero parte del portico: «Est admodum alta, nam :n/ra magnzs et ornatissimis parastatis et arcubus sustentatur inter _:ws Hadrian us Papa Christi pauperes singulis diebus ali additis roventibus iusserat» (Lauer 1911 , 483 ). Lauer (1911 , 173 ), dal ~mo suo , credeva che nel XII secolo il po rtico fosse utilizzato com e o spe dale e lo identificava con il «L ateranensis palatii . tochium» situato «iuxta gradus scalae palatii» m en zionato in due bolle di Onorio II (Pflugk-Harttung 1958, I , 130; Id., II, 260): ma la ua ipotesi rimane basata su semplici supposizioni. L enza di fonti o dati archeologici utili alla datazione delle pitture induce a tentarne la cronologia soltanto su base stilistica. Il Gandolfo 19 8, 260-261) propone di distinguere due fasi decorative distinte; ma a nostro avviso la compresenza di diverse sensibilità stilistiche è do,'Uta al lavoro simultaneo di due gruppi di pittori piuttosto che ad uno scarto cronologico. Ci sembra infatti che l'interesse di questi affreschi risieda proprio nel fatto che siano state riunite in una sola

campagna decorativa alcune diversificate tendenze pittoriche in voga nel Lazio del primo quarto del XII secolo; l'unitarietà della decorazione delle volte rafforza questa impressione. Questa ipotesi non è troppo lontana da quella del Garrison, il quale a ttribuiva la A utoseppellimento di san Giovanni e i santi dei pilastri O , P e forse R ad un gruppo di pittori e le scene del Genesi, il Martirio di san Sebastzimo e i due profeti ad un altro (Garrison 1955-1956, 186-188). Le soluzioni formali scelte dal primo gruppo di pittori mostrano legami con il gruppo di pitture di Castel Sant'Elia e dell'oratorio di SantaPudenziana (--t 30) o ancora con le scene dell'Infanzia di Cristo a Magliano Romano: simili sono la forma e i dettagli dei volti, la maniera di dare corpo ai drappeggi con 1umeggiature bianche elaborate parallelamente o concentricamente a partire da un campo centrale a forma di goccia o di triangolo, e gli stessi motivi geometrici si ritrovano anche nell'ornamentazione delle tuniche e delle dalmatiche. Lo stile del secondo gruppo di pittori è invece più innovativo. Nel sistema dei drappeggi i tratti bianchi si fanno più sottili e sottolineano tratti più larghi di un colore più scuro di quello del fondo , avvicinandosi alla maniera degli affreschi di San Nicola in Carcere (--t 46) o del mosaico di Santa Maria in Trastevere (--t 55). Va segnalata inoltre l'utilizzazione sistematica delle pieghe a V sul perizoma di san Sebastiano, analoghe a quelle della tunica del Cristo di Santa Maria in Trastevere e dei profeti di San Nicola in Carcere . La Crocifissione, che è stata datata da Redig de Campos al XIII secolo (1955, 410) mentre Garrison riteneva fosse la più antica fra le pitture della sala, appartiene alla stessa fase decorativa e - anche se molto ritoccata - va attribuita a questo secondo gruppo di pittori. Dato l'arco cronologico disegnato dalle opere così menzionate, una datazione intermedia per i dipinti lateranensi resta probabile. Sulla base di questo orientamento cronologico , riprende un certo rilievo l'ipotesi di Lauer - peraltro molto fragile - che identificava la sala sotto la Scala Santa con il ptochium lateranense; e quindi rifocalizzare

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l'interesse sulle bolle di Onorio II (1124-1130), che si candiderebbe come committente della decorazione; o, in alternativa, sui custodi dell'ospeda).e, Saba e Sylvius, menzionati nelle bolle. È difficile però riportare quanto si vede e si conosce dell'insieme pittorico del sotterraneo del Sancta Sanctorum ad una committenza e ad un programma unitari. I dipinti sembrano non obbedire a una regia complessiva, ed essere distribuiti su pareti e pilastri secondo ragioni che oggi ci sfuggono, forse in relazione ad altari (D'Onofrio 2002, 231): il Lauer supponeva un nesso con le reliquie dei santi conservate nel Sancta Sanctorum (Lauer 1911, 205) . Alcuni pannelli sono comprensibili come 'pannelli votivi', con tutto l'indistinto di questo tipo di definizione; quanto alle scene del Genesi- iconograficamente vicine a quelle di Ceri, e riconducibili al modello paleocristiano di San Paolo fuori le mura - rimangono inspiegabili, essendo questo l'unico caso noto di un'iconografia di tipo basilicale, utilizzata in uno spazio anomalo, di cui sfugge la fisionomia liturgica e cultuale. La possibilità di una serie di iniziative prossime nel tempo, ma non coordinate tra loro, affidate a botteghe facilmente a portata di mano in città, e semmai volute anche da privati committenti che si facevano via via carico di parti della decorazione, non sembra del tutto impossibile pur nel quadro del complesso più 'pubblico' della Roma pontificia, il Laterano.

Interventi conservativi e restauri 1586-1589: lo spostamento della Scala Santa e la sua monumentalizzazione per mano di Domenico Fontana determinarono la distruzione della sala affrescata. Gli affreschi superstiti furono conservati perchè si trovavano sulla parte di portico che Fontana utilizzò come sottostruttura del suo edificio. .. 1899: a lungo dimenticati, una parte degli affreschi (pilastri I, J, N, O e P) fu riscoperta in occasione della campagna di scavi condotta da Lauer. 1947 -1951: il resto fu riportato alla luce durante i lavori di rimozione

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dell'intonaco moderno dai pilastri Q e R, dalle pareti Q-R (Genesi) e N-R (Crocifissione). È possibile che altri affreschi siano ancora da riscoprire.

Documentazione visiva Antonio Eclissi, disegni acquerellati, BAV, Vat. lat. 9071, pp. 251253, 255 , 256; disegni acquerellati, BAV, Barb. lat. 4426, ff. 1-5; disegni acquerellati (1625 ca.), BAV, Barb. lat. 6555, ff. 1-13 ; disegno acquerellato CXVII secolo), WRL 9096. Wilpert 1916, IV, tavv. 237 , 1-2 .

Fonti e descrizioni Marangoni 1747 , 25-26.

Bibliografia Rohault de Fleury 1877, 162-163 , 378-380, 460; Lauer 1900, 251287; Marucchi 1899-1902, III, 101 ; Grisar 1907, 29; Lauer 1911, 205; Wilpert 1916, I, 153-154; II, 597 ; van Made 1921 , 134-135 ; van Made 1923 , 160-161; Ladner 1931, 84-85; Armellini-Cechelli 1942, I, 641; II, 1444; Hermanin 1945, 226; Anthony 1951 , 72; Lamenti 1951 , 3; Garrison 1955-1956, 180-188; Redig de Campos 1955b, 408-410; Garrison 1957-1958, 102, 196-197 , 210-212 ; Garrison 1960-1962, 118, 124, 142, 150, 201-210; Waetzoldt 1964, 41-42; Matthiae 1966a [1988] , 48-50; Demus 1968, 121 ; Bertani 1979, 15-23 ; Bertani 1980, 29-39; Bertelli 1982; Gandolfo 1988, 260-261; Il Palazzo Apostolico Lateranense 1991, 24; Dodwell 1993, 17 4; Osborne-Claridge 1998, 84-85 ; Donadono 2000, 2135 ; D 'Onofrio 2002 ; Gandolfo 2003a, 142; Massimo 2003 , 25.

Jérome Croisier

36. IL CICLO FRAMMENTARIO IN SAN BENEDETTO IN PISCINULA Primo quarto del XII secolo

Gli affreschi, che si conservano sulla controfacciata della chiesa e sulla parete destra della navata centrale [1, 2] , sono visibili solo d all'alto della scala che dal portico conduce alla cantoria e agli ambienti soprastanti, costruiti nei lavori che hanno preceduto la riconsacrazione dell'edificio avvenuta nel 1728. Questi dipinti ono la parte più consistente rimasta della decorazione che si estendeva su entrambe le pareti della navata principale: durante i restauri attualmente in corso se ne sono rinvenuti altri lacerti assai frammentari, congiuntamente alla parte superiore dell'antico prospetto romanico , rimasto celato a seguito della costruzione di quello barocco e poi dell'attuale ad opera di Pietro Camporese (1 843-1844). I dipinti sulla parete di controfacciata (la parte rimasta misura 140 per 330 centimetri) si snodano su tre registri campiti su un fo ndo blu entro una cornice rossa . Nel registro superiore è raffigurato, a mezza figura, un angelo dal nimbo rosso con la spada nella destra; indossa una veste rossa sulla tunica azzurra ed è avvolto da un manto giallo [3]. Il volto della figura è quasi del rutto svanito; si conserva in parte il naso e l'occhio sinistro. Protende la mano sinistra verso il riquadro , sottostante l'adiacente finestra rettangolare, pure incorniciata in rosso e definitivamente tamponata durante gli ultimi lavori. In questo riquadro , di forte impatto visivo, inserito in una cornice gialla inscritta nella rossa, u un fondo bianco è dipinta una pisside, la cui parte inferiore è delineata in giallo ed ornata con tracce di colore pure giallo, quella uperiore invece è di colore blu con motivi rossi; il fondo bianco è ornato con foglioline rosse. A coronamento del registro superiore un campo con due semicerchi dipinti in bianco su fondo blu. 1 el registro mediano sono raffigurati tre angeli pure a mezza figura [1], ma del terzo si conservano solamente l'impronta dell'ala destra, una minuscola parte dell'aureola, la traccia del manto e della veste. Gli altri due hanno le ali spiegate e in parte sovrapposte, il nimbo lascia intravedere tracce di cromia aurea circoscritta di rosso, appena visibile. La prima figura indossa un manto giallo sulla veste blu e rossa(?) all'altezza della vita; la seconda un mantello rosso ulla veste azzurra e bianca. Entrambi indicano con la sinistra ,·erso l'alto. I volti sono quasi del tutto svaniti, tranne l'occhio inistro del primo angelo. >lel terzo registro si conserva una monumentale anche se assai lacunosa figura nimbata, che si staglia su un fondo grigio azzurro; indossa una tunica blu e gialla in basso ricoperta da un manto ,·erde [1, 4]. È dipinta di scorcio, rivolta verso sinistra con entrambe le m ani protese e raffigura il san Giovanni della Deesis; accanto , i lacerti rossi del manto di una seconda figura, presumibilmente Cristo. Questi dipinti, che occupano circa un sesto dello spazio trasversale della parete di facciata nel lato sud-est, in angolo con la navata destra, sono la parte superstite della raffigurazione del Giudizio finale con i ranghi di angeli, di cui, quelli più in alto, intervallati alle aperture delle finestre del prospetto originario, e più in basso la Deesis. Il cherubino con la spada nel registro superiore sembrerebbe invece porsi a difesa e protezione della pisside raffigurata nel riquadro alla sua sinistra, forse fiancheggiata da una seconda figura angelica dall'altra parte del riquadro, ora perduta. Piccole tracce di intonaco dipinto conservate sulla parte bassa del muro di facciata fanno pensare che la decorazione si estendesse fino a terra.

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Sulla parte alta della navata destra della chiesa si conservano altri due frammenti di affresco [2, 5 , 6] a fondo azzurro, che misurano complessivamente 250 per 170 centimetri, con un'ampia lacuna al centro lunga 95 centimetri, inseriti all'interno di una cornice rettangolare rossa, doppia nella parte inferiore, a circoscrivere un fondo azzurro nel quale sono dipinti una serie di cerchi bianchi con al cen ro dei rombi rossi delimitati da un bordo bianco. I;Offerta di Caino e Abele è il più grande e meglio riconoscibile dei due riquadri, adiacente alla parete di facciata: la parte superstite, di dimensioni grosso modo rettangolari, misura 80 per 170 centimetri [2, 5]. Caino indossa una corta tunica chiara cui è sovrapposto un mantello rosso lungo fino ai piedi e offre un fascio composto di quattro spighe di grano con sette inflorescenze a grappolo. Di fronte a lui il fratello Abele, pastore di greggi, di cui si conserva solo la testa e parte della sopravveste rossa, offre a sua volta con le mani celate dal mantello l'agnellino al Signore, la cui mano appare nell'alto, protesa dal cerchio del cielo circondato dalla corona blu trapunta di stelle, per accettare il suo sacrificio. Entrambi i personaggi sono inquadrati all'interno del profilo schematizzato di una tenda; in mezzo a loro, in basso, l'ara votiva per il sacrificio. Al di sotto di entrambe le scene la sequenza dei cerchi che inscrivono geometricamente attraverso il semicerchio il quadrato rosso. Il riquadro sulla sinistra - le misure della parte conservata sono di circa 75 per 125 centrimetri di altezza a sinistra, di 70 a destra - raffigura la Cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso [6]. È frammentario, perché mutilato dal muro costruito in occasione della campagna di lavori che hanno preceduto la riconsacrazione settecentesca della chiesa: ciò che ancora si vede è solo un piccolo brano di architettura decorata a punti bianchi, che rappresenta la porta gemmata della città, con in basso la ruota, dalla quale si sta allontanando una figura , di cui si riconosce una gamba tesa in cammino. Al di sotto di questo registro ne esisteva uh secondo (che poteva misurare circa 140 centimetri di altezza), di cui rimane una minuscola traccia al di sotto di quest'ultima scena. È possibile che i riquadri sulla parete fossero otto per ogni registro, per un totale di sedici scene e che il ciclo del Genesi iniziasse dal

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lato in cui la navata incontra l'abside della chiesa; sul lato opposto era dipinto probabilmente un ciclo neotestamentario, sul modello basilicale paleocristiano. I minuscoli frammenti di affresco rivenuti sulla parete della navata sinistra di San Benedetto in Piscinula nel corso dei lavori di restauro del 2005 non sono però sufficienti ad avanzare alcuna ipotesi su questa parte della decorazione.

Note critiche La prima menzione sicura della chiesa di San Benedetto in Piscinula risale al Liber Censuum di Cencio Camerario del 1192 (FabreDuchesne 1910-1952, II, 301 ). Gli affreschi, pubblicati nel 1974 da Alessandra Guiglia, costituiscono l'unico esempio di un Giudizio universale monumentale sopravvissuto in una chiesa di Roma prima di quello del Cavallini a Santa Cecilia. I dipinti si pongono su una linea affine a quelli dell'oratorio di San Gregorio Nazianzeno (---+ 23 ), da dove proviene anche la celebre tavola raffigurante il Giudizio universale(---+ 3 ), ora conservata nella Pinacoteca Vaticana, che costituisce un riferimento per la tematica rappresentata; e soprattutto a quelli della chiesa dell'Immacolata a Ceri, nella quale la parte della scena raffigurante l'Offerta di Caino e Abele, riunita nello stesso riquadro con l'Uccisione di Abele e la Condanna di Caino, è concepita in modo quasi identico a quella nell'edificio trasteverino, con l'unica differenza del capretto ripetuto due volte a Ceri. Altri dettagli affini si possono indicare nel particolare profilo della grotta o tenda , al di sotto della quale appaiono Caino e Abele , che si ritrova nell 'affresco di San Gregorio Nazianzieno e nel riquadro con San Silvestro e il drago di Ceri. Altro rimando iconografico è costituito dal disco del cielo trapunto di stelle dal quale fuoriesce la mano del Signore, che nell'oratorio romano è alluso, nella sua curvatura, dalla stessa configurazione dell'arco (il secondo a destra dell 'edificio) su cui è dipinto e che a Ceri viene ripetuto per due volte nella stessa scena dell'Offerta di Caino e Abele e poi ancora in quella con il Sacrificio di Isacco. Anche la successione delle storie, la Cacciata dal Paradiso e l'Offerta di Caino e Abele è la stessa nella chiesa trasteverina ed in quella dell'Immacolata (a San Paolo invece vi

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è intercalato il Lavoro dei Progenitori) , e così la definizione cromatica di tutti i riquadri a fondo azzurro entro cornice rossa. Analogamente, i motivi ornamentali mostrano grande vicinanza al repertorio decorativo di Ceri - dove il particolare sulla parete di controfacciata, al di sotto della scritta regnum, con la sequenza dei cerchi che inscrivono geometricamente attraverso il semicerchio il quadrato rosso, è identica a quella di San Benedetto - e anche a quelli di Castel Sant'Elia e San Pietro a Tuscania. Nonostante siano molto rovinati, i dipinti di San Benedetto in Piscinula lasciano ancora percepire la buona qualità di alcuni brani, come testimonia il san Giovanni della controfacciata; e mostrano la prosecuzione della maniera delle botteghe romane formatesi già alla fine del secolo XI , la cui attività continua nel corso di vari decenni success1v1.

Interventi conservativi e restauri 1976-1978: intervento di restauro del Centre International d 'Etude pour la Conservation et la Restauration des Biens Culturels. 2006: è in corso di programmazione un restauro da parte della Soprintendenza per il Patrimonio Storico, artistico e Demoantropologico del Lazio, con la direzione di Laura Gigli.

Bibliografia Guiglia 1974, 160-164; Scarfone 1977, 18; Guiglia GuidobaldiBertelli 1979, 55-62 ; Gigli 1982, 118; Toubert 1987 [2001], 337 ; Gandolfo 1988, 259-260; Buchowiecki 1997 , 263-264; ParlatoRomano 1992 [2001], 132; Romano 2000, 152.

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37. I FRAMMENTI DELLA DECORAZIONE AFFRESCATA DI SAN MARCELLO AL CORSO P rimo quarto del XII secolo

ella basilica paleocristiana di San Marcello al Corso, durante le indagini archeologiche condotte tra il 1990 e il 2000 sotto la direzione di Silvana Episcopo, è tornata alla luce, in corrispondenza dell'abside settentrionale e lungo la parete della navata meridionale, parte della decorazione pittorica medievale (Episcopo 1995 ; Ead. 1999 -2000; Ead. 2001 ; E ad. 2003 ). Queste pitture si sono

conservate per un'altezza assai ridotta (metri 1,50 ca. ), poiché le pareti della basilica furono rasate, nella prima metà del XVI secolo, per conseotire la costruzione della chiesa superiore. Durante le operazioni di scavo furono trovati, inoltre, molti frammenti erratici di pittura, alcuni assai significativi.

37 a. LA DECORAZIONE DELL'ABSIDE SETTENTRIONALE E DELLE PARETI ADIACENTI

Lemiciclo absidale presenta nella parte inferiore, sullo zoccolo, una decorazione a grandi cerchi rossi che si intersecano tra loro dando origine ad un intricato sistema di semicerchi ed ellissi delineati in rosso che si staglia su un fondo bianco [1]. All'interno di ogni circonferenza è inserita una corona di piccole foglie verdi e al centro un fiore stilizzato a quattro petali ocra, intercalati da pistilli rossi, gL spazi ellittici di risulta sono decorati da un pattern a 'rete' rosso

e, nei punti di intersezione dei cerchi, sono presenti piccoli melograni ocra cuoriformi. La decorazione dello zoccolo è chiusa su tre lati da una larga cornice rossa. Più in alto s'incontra una fascia a fondo scuro bordata da una sottile banda ocra e decorata da grandi fiori, la maggior parte dei quali svanita, fatta eccezione del primo da destra, che presenta grandi petali ocra e pistilli bianchi. Ancora sopra corre un'iscrizione della quale siamo riusciti ad identificare, su base fotografica, solo alcune lettere (Iscr. 1) [1, 2]. Sopra al titulus resta traccia dell'attacco del registro superiore, rasato nel XVI secolo, del quale si conserva solo una sottile striscia di terreno su cui poggiavano le figure della composizione della calotta, i piedi di alcune di esse sono ancora ravvisabili (Gandolfo 2003a, 149). Appartiene, molto probabilmente, ancora alla decorazione della calotta un bel volto maschile, posto di tre quarti, rinvenuto in frammenti tra i materiali di riempimento, durante lo scavo (ibidem) [3]. Un altro frammento , di dimensioni più ridott'e, su cui si riconosce l'occhio destro e l'aureola crucisignata di Cristo è stato invece rinvenuto in un crollo in prossimità del presbiterio, insieme al blocco di un arco con intradosso dipinto [4] . A chiusura della decorazione dell'emiciclo è posta, sul versante sinistro, una colonna tortile scanalata bruna, all'interno di una cornice ocra (ibidem, 145) [5]. Sulla parete sinistra absidale si conserva la parte inferiore di una figura stante, identificata come san Martino, vescovo di Tours, dall'iscrizione posta sotto i suoi piedi (Iscr. 2) . Del santo si leggono la veste verde-grigia panneggiata da una fitta serie di lumeggiature e un lembo della pianeta, il pallio, che pende al centro ornato da un gallone con motivo a rete, e i

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piedi con campagi (ibidem, 143 ). A destra di Martino resta traccia forse di un'altra colonna dipinta, di cui è visibile solo il dado della base (ibidem, 144 ). A sinistra del pannello con il santo, sul breve tratto di parete ad esso perpendicolare, è dipinta, su fondo bianco, una rigogliosa palma, dal fusto ocra, i datteri rossi e le fronde , superiori ed inferiori, verdi [5].

Iscrizioni 1 - Iscrizione esegetica disposta alla base del riquadro, in una fascia rettangolare, allineata su una riga orizzontale, secondo un andamento rettilineo irregolare. Lettere bianche su fondo rosso. Lacunosa. Scrittura capitale.

+ VjJ ç9[- - -] +isque talep+ [ - - -] 2 - Iscrizione identificativa, disposta sotto i piedi del santo, priva di spazio grafico di corredo, allineata su due righe orizzontali, secondo un andamento rettilineo irregolare. Lettere bianche su fondo blu scuro. Lacunosa e dilavata. Scrittura capitale.

Martipµ[s] I s;_p(iscopu)s Integrazioni secondo Gandolfo 2003 , 144. (S. Rie.)

Note critiche In occasione degli scavi condotti nell'area, la decorazione dell'abside e delle paretine annesse è stata studiata da Francesco Gandolfo, il quale ha proposto per queste pitture una datazione alla prima metà del XII secolo, precisandola agli anni quaranta, in base al confronto tra il volto in frammenti di santo e il Cristo dell'abside di Santa Maria in Trastevere (Gandolfo 2003a, 149).

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La decorazione a cerchi intrecciati dello zoccolo dell 'emiciclo absidale presenta, come ha notato lo studioso, un modulo analogo a quello della decorazione, oggi perduta, del portico meridionale di San Lorenzo (--> 24 ), e dei più tardi frammenti di San Nicola in Carcere (--> 46). A San Marcello questo modulo appare, a nostro avviso , in un a redazione che , più che guardare con occhio antiquario a modelli quali tarsie e mosaici antichi, sembra ancora legata alla ripetitività e ai pattern tipici dei velari dipinti di VIII e IX secolo , lontan a da quella che Hélène Toubert definisce «impennata del gusto per l'antichità» che caratterizza la grammatica decorativa di cornici e zoccolature a partire dagli anni venti del XII secolo (Toubert 1970 [2001] , 182 ). Il volto in frammenti, del quale Gandolfo, a ragione, ha sottolineato l'alta qualità pittorica (Gandolfo 2003a, 149), è costruito attraverso linee e campiture cromatiche ben definite ed un sapiente uso di sottili lumeggiature capaci di conferirgli un certo plasticismo [5] e sembra frutto di una pittura più vicina ad esperienze a cavallo tra la fine dell'XI e il primo ventennio del XII secolo - come i volti delle storie di sant' Alessio del pilastro di San Clemente (--> 2 ld), degli affreschi di Tempulus e dei suoi fratelli nella lunetta di San Gregorio Nazianzeno (--> 23 ), o quelli di san Paolo, Pudente e i suoi figli nell'oratorio mariano di Santa Pudenziana, dove però il tratto è più corsivo e ha perso in incisività grafica (--> 30) - che ad esperienze pittoriche prossime alla metà del XII secolo, quali i mosaici di Santa Maria in Trastevere (--> 55 ). La figura di San Martino, conservata sulla parete absidale, presenta nella veste un sistema di panneggi piuttosto rigido e calligrafico [6] che Gandolfo ha posto a confronto con le figure dell'abside di San Biagio a Nepi, del primo XII secolo , con i già citati dipinti di San Gregorio N azianzeno (--> 23 ) e con quelli di Sant' Andrea al Celio (--> 5; Gandolfo 2003a, 145). Per quanto riguarda il pannello con la palma della paretina sinistra [7] , lo studioso ha riconosciuto nella scelta di inserire questo soggetto «una operazione di sapore archeologico» attenta alla decorazione delle catacombe paleocristiane e in sintonia con il «clima culturale» della prima metà del XII secolo.-Questo motivo è presente anche nelle pitture delle volte dei sotterranei del Sancta Sanctorum (--> 35 ), dove sugli spigoli tra volta e volta si conservano, ancora oggi, non solo le foglie, come ricorda lo studioso (Gandolfo 2003a, 142), ma anche fusti e caschi di datteri rossi realizzati in modo analogo a quelli di San Marcello.

La precisazione della datazione degli affreschi di San Marcello al Corso agli anni quaranta del XII secolo, proposta da Gandolfo in base a valutazioni di ordine stilistico relative al volto frammentato, ci appare un po' attardata, mentre i confronti p roposti dallo stesso studioso per il resto della decorazione e le considerazioni da noi esposte sopra ci inducono a considerare

per questi affreschi un ambito cronologico che non superi il primo ventennio del secolo. •·

Bibliografia Episcopo 1999-2000, 168, 170; Gandolfo 2003a, 141-150.

37b. LA DECORAZIONE DELLA PARETE MERIDIONALE

u un breve tratto di parete della navata sud della basilica si conservano resti di decorazione pittorica in una situazione di palinsesto [1] . Il primo strato, con velari dipinti, è stato riferito al VII secolo (Episcopo 2003 , 94-95) , mentre il secondo, come vedremo, al XII secolo. Quest'ultimo presenta una zoccolatura a fondo bianco decorata con una teoria di ampi cerchi chiusi da una cornice ocra orlata di rosso, che ospitano, al loro interno e ali' esterno, elementi fitomorfici e animali. I clipei conservati sono quattro e si presentano in uno stato assai frammentario. Nel primo si leggono tracce di un arbusto con fiori a bottone ocra e arancio; tra il primo e il secondo la silhouette di un piccolo uccello in volo; nel secondo la parte inferiore di un uomo a cavallo [2]; nel terzo un arbusto con piccole foglie carnose e bacche rosse; nel quarto, parzialmente occultato da un muro che gli si addossa, un fascio di spighe [4]. Chiude il campo, nella parte inferiore, una cornice a banda rossa, in quella superiore, un'alta fascia a fondo sempre rosso delimitata da due greche con un fregio a motivi ellittici collegati tra loro da

viticci con volute e dischi ocra. All'interno di ogni ellissi è ancora un disco ocra decorato al centro da un bottone rosso [3 J.

Note critiche Questa decorazione è stata datata da Silvana Episcopo entro la prima metà del XII secolo, cronologia confermata, successivamente, da Francesco Gandolfo, il quale ne ha riconosciuto la contemporaneità con le pitture dell'absidiola settentrionale, considerandole frutto di un analogo «gusto decorativo», pur non riscontrando una reale parentela tra le due (Episcopo 1995, 736, 739; Ead. 2003, 106; Gandolfo 2003a, 148). L'Episcopo ha rintracciato un puntuale confronto per queste pitture nel fregio analogo conservato sull'arco della parete di fondo, sopra l'abside, della chiesa dei Santi Quattro Coronati databile al secondo decennio del XII secolo (- 31; Episcopo 1995, 736) . La cornice a motivi ellittici, ripresa dalle tarsie marmoree tardoantiche, quali quelle del

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Battistero lateranense di V secolo, e presente in un'altra variante, anche negli affreschi della basilica inferiore di San Clemente (--+ 21 c. 3) e successivamente a Santa Croce in Gerusalemme (--+ 57), è una testimonianza di quell'interesse antiquariale per l'antico che si afferma con prepotenza a Roma nella prima metà del XII secolo (Episcopo 1999-2000, 163 ). Nella decorazione dello zoccolo, l'archeologa ha invece riconosciuto la presenza di una sintassi decorativa che ricorda quella già vista nei sotterranei del Sancta Sanctorum (--+ 35), dove su un fondo bianco galleggiano eleganti composizioni vegetali e animali (Episcopo 1999-2000, 165 nota 20), e a questo confronto può essere aggiunta anche la decorazione con cespugli e piccoli fiori a bottone dello zoccolo degli affreschi del portico sud della basilica tiburtina (--+ 24), o ancora quella della parete con scene dell'In/anzza di Cristo del nartece sempre di San

Lorenzo fuori le mura (--+ 25a), decorazioni che si attestano tra la fine dell'XI e gli inizi del XII secolo. Lo stato frammentario dei dipinti non consente di precisare ulteriormente quale soggetto fosse rappresentato sullo zoccolo della parete anche se, dal punto di vista tipologico, la scelta del motivo dei clipei abitati dal piccolo uomo a cavallo o dal fascio di spighe di grano, sembra un'anticipazione delle decorazioni con il ciclo dei mesi che avranno grande fortuna nel Duecento.

Bibliografia Episcopo 1995, 736-739; Episcopo 1999-2000, 163-165; Episcopo 2001, 635; Episcopo 2003 , 106-107, 133 , fig. 95; Gandolfo 2003a, 148.

Giulia Bordi

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38. LA DECORAZIONE PITTORICA DEL SACELLO NELLA CRIPTA DEI SANTI BONIFACIO E ALESSIO Primo quarto dell'XI secolo

Alla parete occidentale della cripta ad aula dei Santi Bonifacio e Alessio è addossato un sacello a tre arcate interamente decorato con affreschi il cui stato di conservazione è purtroppo assai precario [1]. Le tre pareti esterne sono divise in due registri decorativi sovrapposti, incorniciati da bande rosse punteggiate da fiori bianchi stilizzati. Sul lato destro [2] , al centro della lunetta, si intravvede il disegno di un clipeo nel quale è iscritto il busto di Cristo con libro aperto e nimbo crucisignato, accompagnato da due angeli che sembrano agitare un turibolo. Sul sottostante pilastro sinistro, un personaggio in abiti ecclesiastici, tunica lunga e mantello color porpora decorato da motivi a cerchi; nelle mani tiene un pastorale e un volumen che si srotola in direzione del clipeo [3] . Sul pilastro destro , vestito allo stesso modo, il suo pendant con le mani velate presenta un modellino della chiesa [4]. I due personaggi, entrambi con nimbo quadrato e tonsurati, sono verosimilmente i committenti degli affreschi; lo stato di conservazione non permette di affermarlo con certezza ma sembrano ritratti di due persone di età diversa. Il più giovane, a sinistra con un cartiglio che forse conteneva un 'iscrizione dedicatoria, e l'altro più vecchio, con il modellino della chiesa, erano probabilmente figure di spicco del monastero , e il nimbo quadrato indica che erano ancora vivi quando furono realizzati gli affreschi, ma nessun nome è stato rintracciato nelle fonti . La lunetta della parete opposta ospita un medaglione ai lati del

quale sono disposte dodici palme, al suo interno una colomba aureolata, ,Un trono e una croce d'oro impreziositi da perle [5]. Sotto questa Etimasia, sui due pilastri, due ecclesiastici aureolati [6-7] - del personaggio di destra rimane solamente il busto - con pallio, una mano benedicente e il libro nell'altra; è plausibile che si tratti di figure di papi, tuttavia non identificabili. Le figure sono iscritte in uno spazio a forma di ogiva coronato da un disco dal quale si diramano dei nastri che terminano a cuore. La lunetta della faccia centrale dell'edicola ospita una nicchia quadrata bordata di rosso e affiancata da due clipei assai sbiaditi in cui dovevano probabilmente figurare i busti degli apostoli Pietro e Paolo - nel medaglione di sinistra si distingue ancora una testa calva - su fondo rosso [8] . Il restante spazio della lunetta è occupato da una composizione di nastri e racemi di cui oggi si distingue appena il disegno. Per poter leggere la decorazione che occupava la volta è necessario ricorrere alle fotografie , risalenti al primo Novecento, pubblicate da Wilpert (1916, II, 935 , fig. 445 ) [9] ed alcune altre scattate dal Paeseler e conservate nella Fototeca Hertziana a Roma. Lo spazio della volta era geometricamente suddiviso da bande rosse , al suo centro un A gnus dei e una coppa inseriti in un quadrato attorno al quale erano disposti i simboli dei quattro evangelisti [10]. All'imposta delle vele c'erano lunette ornate da ghirlande, e vasi con foglie e fiori [11]. Probabilmente lo spazio della volta era interamente

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occupato da una serie di girali vegetali. Nella calotta dell'absidiola del sacello si distinguono silhouettes sicuramente ridipinte: si tratta di una Madonna in trono con Bambino e due santi [12] , verosimilmente i titolari della basilica Bonifacio e Alessio quest'ultimo a destra della Vergine; il dipinto fu riprodotto nell'incisione di Nerini (1752, tav. VII) [13]. Alcuni minuscoli frammenti conservati nel cilindro dell ' absidiola attestano la presenza di uno zoccolo decorato a motivi circolari intersecati, gialli su sfondo rosso , e blu con motivi gialli e arancio. Sul fondo blu dell 'a rco dell ' absidiola sono raffigurati due ecclesiastici con pallio rosso, anch'essi probabilmente figure di pontefici: sono ancora leggibili il disegno di quello di sinistra e la parte superiore di quello di destra. Sui contigui pilastri interni sono rappresentati gli ultimi personaggi ancora chiaramente distinguibili. A sinistra una figura aureolata in abito rosso con pastorale e libro, dunque un vescovo, potrebbe identificarsi con Adalberto da Praga che, come è noto, soggiornò nel monastero aventino alla fine del X secolo [14]. Ottone III, suo amico, gli dedicò la chiesa di San Bartolomeo sull'Isola Tiberina, attestata come proprietà del monastero dei Santi Bonifacio e Alessio in un documento del 987 (Monaci 1904, 365-368) , e nella quale furono riposte anche le sue reliquie. A destra il riquadro meglio conservato della cripta presenta sul fondo blu, interrotto da una striscia di paesaggio verde, un santo monaco barbuto, in abito giallo, corto mantello rosso e scapolare blu [15]. Non ha il cappuccio, ma per il resto l'abito potrebbe ricordare la figura di

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san Benedetto nell'affresco di Sant'Ermete (----+ 11 ), dove il santo è vestito in modo diverso che in altri casi iconografici anche romani come nelle storie di San Crisogono (----+ 8f). Sugli altri due pilastri sono appena percettibili tracce del disegno di altre due fig ure. forse anch 'essi pontefici. Ricordiamo infine che la decorazione della zona inferiore dei pilastri è andata perduta, mentre alcuni intradossi delle arcate presentano una decorazione oeometrica a dischi verdi su sfondo giallo bordato di blu che imita l'opus sectile.

. ate critiche Il sacello dei Santi Bonifacio e Alessio non ha paralleli nel panorama delle cripte romane. I.:edicola si appoggia direttamente su un muro portante del livello superiore della basilica ed è interamente ricoperta di affreschi. La curiosa nicchia scavata nella lunetta della parete frontale probabilmente ospitava delle reliquie: la struttura i presenta quindi come una sorta di ciborio-reliquiario su cui m ttavia non abbiamo alcuna informa zione nelle fonti o nella letteratura antica. La datazione tradizionale si aggancia alla data di consacrazione dell'altare, avvenuta nel 1217 sotto il pontificato di O norio III, dopo la disputa circa il possesso delle reliquie di Bonifacio e Alessio, sorta tra i canonici di San Pietro e i monaci dell' abbazia e risolta in favore dei monaci. Questa cronologia è tata tuttavia avversata dal Garrison (1955-1956, 30, nota 7; Id. 1957- 1958, 26-27), dal Gandolfo (1989, 30), e da Parlato-Romano

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(1992 [2001], 150-151) che hanno indicato come gli affreschi siano stilisticamente più vicini alla decorazione della basilica inferiore di San Clemente (- 21) piuttosto che alle opere attribuite al pontificato di Onorio III. Il sacello fa parte integrante della cripta e della chiesa, ricostruite secondo K'.; autheimer (CBCR 1937, I, 41-42) attorno al 1100, ed è quindi probabile che la decorazione pittorica abbia fatto seguito più o meno immediato al momento architettonico: il dato è di notevole importanza, visto il ruolo giocato in epoca ottoniana dal complesso dell'Aventino, ed è plausibile che la ricostruzione e la decorazione della chiesa abbiano anche comportato un ripensamento degli elementi cultuali e devozionali della tradizione del sito. La decorazione del sacello seguì comunque il gusto per il revival di tipo paleocristiano, che si rivela particolarmente nella suddivisione delle superfici in quadrati, rettangoli, clipei e lunette

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incastonati in un sistema decorativo di ghirlande e vasi di fiori. Come nella cripta di San Nicola in Carcere (- 46), gli sfondi lasciati a risparmio sono impreziositi da un sistema decorativo di racemi stilizzati. La decorazione del sacello è stata giustamente associata alle tematiche generalmente illustrate nella decorazione delle absidi (Gandolfo 1989, 30) , ma forse i confronti più significativi vanno fatti con le composizioni degli archi absidali e trionfali. Il medaglione cristologico sovrastante le figure dei donatori, che appaiono quindi al posto delle tradizionali rappresentazioni dei profeti Isaia e Geremia, si ritrova per esempio sull'arco della basilica romana di San Marco e, attorniato da angeli adoranti, ai Santi Abbondio e Abbondanzio a Rignano Flaminio e nelle pitture già nella Grotta degli Angeli a Magliano Romano (Parlato-Romano 1992 [2001], 291-292, 322-323 ); l'Etimasia circondata dalle dodici palme rappresentanti il collegio apostolico sembra nascere dall'ibridazione dell'arco dei Santi Cosma e Damiano e quello di Santa Maria in Domnica; la parete centrale del sacello, con i suoi clipei apostolici, ricorda l'arco della nicchia del sacello di San Pietro a Tuscania (Parlato-Romano 1992 [2001], 179-193). Risulta oggi difficile trovare una giusta chiave di lettura per l'insieme della decorazione del sacello dei Santi Bonifacio e Alessio. Gli elementi che compongono il programma decorativo non sono certo inediti - la gloria di Cristo, il suo ritorno, il messaggio apostolico, Maria-Ecclesia o ancora i rappresentanti della Chiesa - ma la loro articolazione non è affatto ovvia. È evidente però che la decorazione del sacello costituì un 'occasione di messa a punto della storia e delle vicende devozionali dell'importante sito conventuale, un luogo dove si erano succedute le comunità di monaci greci e benedettini, e dove sono attestate presenze di primo piano specialmente nella tarda epoca ottoniana. Se il sacello sigla in qualche modo la radicale ricostruzione della chiesa attorno al 1100, il programma pittorico sembra creare il legame tra il passato e il presente, riproponendo le immagini dei santi titolari, aggiungendo probabilmente Adalberto da Praga, e soprattutto

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affiancando a queste presenze quelle dei personaggi i cui nomi ci sfuggono, ma che sono ben attestati come viventi nei dipinti, endo verosimilmente gli abati promotori del rinnovamento edilizio e decorativo della chiesa. Ad essi si accostano altre figure, questa volta di pontefici, certamente quattro, forse sei: si tratta -orse dei papi che avevano presieduto ai momenti storici importanti per il convento, e probabilmente erano aggiunte le effigi dei pontefici degli anni della ricostruzione, forse Pasquale II , o G dasio, o Callisto II. La moltiplicazione delle figure di pontefici rico rda evidentemente altri programmi contemporanei, pecialmente quello molto politico dell'oratorio di San Nicola in Laterano(-+ 49). Il programma iconografico, accompagnato da riprese d'ispirazione aleocristiana, fa propendere per una datazione del ciclo tra la ::me dell'XI e la prima metà del XII secolo e i tratti stilistici anco ra distinguibili malgrado lo stato di conservazione permettono di restringere ulteriormente questo arco cronologico. Cn'attenta osservazione della figura meglio conservata, quella d santo monaco, permette di evidenziare alcune caratteristiche e contribuiscono ad inserire gli affreschi nelle correnti pittoriche della fine dell 'XI-inizio XII secolo. Pensiamo ad esempio alle pe e tracce di pennello che sembrano volontariamente lasciate in evidenza a significare il fine drappeggio dei tessuti, sottolineato ed articolato da lumeggiature bianche; al disegno quasi calligrafato ella barba, della bocca e del naso realizzato con mano sicura e libera; o ancora alla silhouette allungata e all'ondeggiare del rappeggio . Le pitture dell'Aventino sono legate allo stile d ementino, ma sono più vicine a quelli che sono i suoi sviluppi, illu trati dagli affreschi di San Benedetto in Piscinula (-+ 36) - io particolare nella figura del san Giovanni della controfacciata o anco ra al Daniele della parete destra di Santa Maria in Cosmedin (-+ 40) , specialmente per le dimensioni allungate elle figure con piccola testa e lineamenti svirgolati, realizzati a piccoli tocchi.

Interventi conservativi e restauri _-\nni 30 del Novecento: Simona Magrelli (2004 ) ritiene che il sacello abbia subito numerosi interventi anche se questi non sono databili con precisione. P rimi anni del XXI secolo: restauri condotti dall'impresa MagrelliCarbonaro s.n.c durante i quali viene constatato che il sacello è - ato scialbato e poi descialbato - in alcune zone sono ancora , · ibili le tracce degli strumenti utilizzati - e che in seguito è stato ridipinto varie volte.

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Documentazione visiva Nerini 1732, tav. VII (absidiola); Wilpert 1916, I, figg. 14, 35, II, fig. 445; Wilhelm Paeseler, fotografie (1930-1940), fototeca della Bibliotheca Hertziana, Roma. 15

Bibliografia Wilpert 1916, II, 935; Zambarelli 1924, 53; Toesca 1927 [1965], II, 1002; Battaglia 1941, 181-182; Bianchi 1941, 166-167 ; Armellini-Cecchelli 1942 , I, 718; Garrison 1955-1956, 30, nota 7; Garrison 1957-1958, 26-27; Hager 1962, 28; Matthiae 1966a [1988], 111-112; Buchowiecki 1967, 484-485; Gandolfo 1989, 30; Parlato-Romano 1992 [2001], 149-151; Claussen 2002, 196199; Magrelli 2004, 161-164; Richiello 2004, 44-45; Viggiani 2004 , 155-156.

Filipe Dos Santos

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39. I RESTI DELLA DECORAZIO E AFFRESCATA NEL SOTTOTETTO DELLE NAVATE LATERALI DELLA CHIESA SUPERIORE DI SAN CLEMENTE Terzo decennio del XII secolo

I res ti di affresco si trovano sui semi-timpani delle pareti occidentali della basilica superiore, e sulla parete laterale della navata sinistra, nella porzione di muro medievale risparmiato dopo la realizzazione del soffitto voluto dal cardinal Albani nel 17 15 . Il timpano della navata destra mostra una figura molto rovinata di un pavone [1]; quello della navata sinistra è sfondato da una finestra aperta posteriormente all'esecuzione degli affreschi, ed è decorato con un grande vaso decorato con un motivo a greca e pieno di fiori e frutta [2]; dai fiori e dalla frutta partono steli terminanti con un 'efflorescenza . Oltre la rottura della finestra, un animale fantastico - un leone alato o un grifo - mutilo della testa, con il corpo cosparso di fiori e la coda che i trasforma in un grande tralcio a girali, attorto quattro volte in mi ura decrescente per adattarsi al decrescere del tetto [3]. Fiori a calice o a tulipano nascono dagli stessi girali, altri ramoscelli partono dalle ali , dalle zampe e verosimilmente partivano dalla ra. Il fondo dell'affresco è rosso lacca, e tutti i motivi sono in bian co con tocchi di verde nei fiori. Sotto il campo triangolare ora des critto si è salvata anche una fascia decorativa a bordo bianco- rosso con un motivo a denti ; il pattern è dato da una fa eia bianca, verde e rossa che si svolge a onde su un fondo probabilmente un tempo blu o verde, formando campi occupati da varie figure. Il motivo rosso nell'angolo sinistro risulta oggi pra ticamente illeggibile , ma di seguito il ritmo consiste in mascheroni che si alternano, di volta in volta partendo da sinistra, a un grande fiore alquanto geometrizzato, una figura nuda di pu tto o di adolescente con in mano uno stelo con fiori e foglie , un coniglio con foglie e frutta, di nuovo il nudo , prima della rottura della finestra probabilmente di nuovo il coniglio di cui rano solo le zampe, e ancora il nudo [4]. Sotto la fascia si nota r inizio di ulteriori campi su fondo rosso con bordo bianco, che -orse costituiscono l'unico avanzo di registri narrativi sicuramente a testati sulla parete sinistra. L'intonaco rosso gira anche sul ratto di parete destra, ma nulla di più è avanzato. La fascia esisteva anche sulla parete sinistra, dove se ne intravede il fio re geometrizzato e altri piccoli resti [5]; essa è raggiunta da altre fasce verticali, bordate di rosso e decorate a motivi geometrici in bianco con campi rossi e verdi [6, 7]. Si trattava senza dubbio ella partizione in scene e registri di un ciclo narrativo, di cui è salvo - a partire dalla sinistra della zona di intonaco conservato - un frammento con un edificio con una sorta di portico sorretto da colonne tortili, probabilmente rappresentante una chiesa, con da\ anti le teste di due figure, certamente due chierici; più sulla estra nella stessa scena, davanti all'edificio si vede il busto di una -. rura con mitra e croce processionale [8, 9]. I successivi resti di intonaco affrescato prima dell'angolo con la parete occidentale no in condizioni pessime, e la vista ne è ulteriormente impedita dai rubi e dalle tavole che vi sono appoggiati; sembra di intravedere ancora delle architetture, e certamente il volto della figura di un altro ecclesiastico. Data la scarsità e le condizioni di difficilissima visibilità dei resti d'affresco, l'identificazione della scena narrativa è molto ipotetica. La presenza di una figura di pontefice, la croce processionale, gli altri chierici ed ecclesiastici, fanno però pensare a un tema molto \;cino a quello degli affreschi della basilica inferiore, e molto probabilmente ad una storia di san Clemente.

Note critiche Gli affreschi sono stati scoperti e pubblicati (Romano 1992, 9498) con una datazione alla fine del Duecento, proposta sulla base dell'affinità dei motivi vegetali con quelli dell'abbazia delle Tre Fontane e della chiesa di Sant'Agnese fuori le mura, e in ragione del forte antiquarianismo, ad esempio nel motivo del vaso, che appariva vicino a quello duecentesco del Sancta Sanctorum. Nel 2005 , grazie alla cortesia del padre Paul Lawlor di San Clemente, si è potuta compiere un'ispezione più ravvicinata, sollevando le tavole d 'impiantito e fotografando anche i frammenti più bassi. In questo modo , i dettagli delle teste e delle fasce ornamentali, prima in pratica invisibili, sono apparsi decisamente'-anteriori al XIII secolo e senz'altro vicini ai dipinti della basilica inferiore stessa; le fasce ornamentali appartengono al repertorio che evolve da quello dei pilastri della basilica inferiore e viene utilizzato ed elaborato a Ceri e a Castel Sant'Elia. Le forme delle teste di chierici, e quel che si può sbirciare dell'impaginazione della scena sulla parete laterale, fanno pensare ad una vera e propria replic.a di qualcuno dei soggetti cruciali che erano stati dipinti nella basilica inferiore e che venivano condannati dall'abbandono dell'edificio paleocristiano: il soggetto, evidentemente molto liturgico, potrebbe esser stato una nuova Messa di san Clemente, o una Traslazione. Ricordiamo che Leone Ostiense - il cui ruolo nel cantiere di San Clemente è stato costantemente ipotizzato e giudicato molto probabile (Toubert 1970; Filippini 1999) - è autore di scritti importanti sul santo titolare , nei quali egli usò forse i dipinti della chiesa inferiore come un vero e proprio testo di riferimento.

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Non stupirebbe affatto che - posto che sia confermato il suo ruolo di concepteur del mosaico absidale - egli abbia anche suggerito di riproporre nel nuovo edificio i soggetti chiave già inscenati in quello abbandonato. Assume quindi nuovo interesse l'informazione di Grimaldi (BAV, Barb. lat. 2733 , f. 28lr, Grimaldi 1619 [1972] , 413 e fig . 246; Filippini 1999, 82 nota 124 ), il quale descrive una Deposizione di Cristo nella basilica superiore di San Clemente definendola «antiquissima», e situandola «sinistra ab •ingressu». Nello stesso senso va la nota del Mellini, che dice «La nave sinistra era similmente dipinta con pitture più antiche [rispetto a quelle del primo Quattrocento che ha appena descritto, n.d.a.], ma poco se ne può scorgere» (BAV, Vat. lat. 11905 , f. 37r). La Carmassi

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(2001 , 16 nota 23 ) ricorda che nella basilica superiore non c'erano storie di san Clemente ad eccezione di un 'immagine presso la porta della parete nord: ma l'articolo di Guidobaldi (1998) da lei citato, e le fonti lì prodotte, il Garampi (BAV, Vat. lat. 9023 ), e il disegno di Windsor (WRL 10346), sono in ambedue casi descrizioni della parete della navata settentrionale destra della basilica. Per di più testimonianze così tarde, ambedue settecentesche, non sono utili nel caso della basilica di San Clemente, che aveva ricevuto almeno una fase di decorazione primo quattrocentesca molto estesa (Romano 1992 , 411-418), che interessò la navata centrale e il timpano, dove ancora ne esistono frammenti: la fase di primo dodicesimo secolo poteva essere a quell'epoca già del tutto perduta,

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uanne la parte salvata sotto il soffitto che ospita il dipinto di Giuseppe Chiari (1714 ca. ) a quell'epoca anch'esso già in situ. tabilita così la pertinenza dei dipinti alla prima fase di vita della chiesa superiore, l' antiquarianismo della porzione già bene in vista ul timpano, i motivi di maschere, di putti nudi, di animali, il · egno elegante e nervoso con cui sono tracciati, si staccano dalla fa e antichizzante duecentesca e prendono giustamente posto

accanto al ciclo di Santa Maria in Cosmedin (-+ 40), dove gli apparati di maschere, angioletti e putti, e il disegno elegante, sembrano addirittura attribuibili, se non alla stessa mano, ad artisti molto affini a quelli di San Clemente. I toni di ros; ~ bianco e verde, specialmente usati nel corpo fiorato del leone, ripetono inoltre la gamma cromatica che emerge ad esempio in molti brani della decorazione dei 'sotterranei' del Sancta Sanctorum(-+ 35 ). Nel 1099 Pasquale II era stato incoronato papa nella basilica inferiore di cui era stato titolare, e aveva lasciato il titolo cardinalizio ad Anastasio, il qu ale si fece ricordare quale committ~nte nell'iscrizione dell'abside e morì nel 1125 , succedendogli nel titolo Pietro, che pure ebbe cura di lasciare il suo nome nella chiesa. È possibile che Anastasio abbia visto già completate le fasi architettoniche e decorative della chiesa da lui fatta edificare, facendo realizzare non solo il grande mosaico absidale ma anche la decorazione a fresco delle navate laterali, secondo un'integrazione di tecniche non inconsueta nelle chiese romane e che avrà un episodio celebre nel Duecento, in Santa Maria Maggiore; non è però impossibile che sia stato il suo successore a curare la fine dell'impresa. La cui data però non potrà allontanarsi molto da quella di Santa Maria in Cosmedin (1123 ca.), con la quale compone un episodio di punta nel gusto antiquariale della Roma di primo XII secolo.

Bibliografia Romano 1992, 94-98.

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40. LA DECORAZIONE PITTORICA DI SANTA MARIA IN COSMEDIN 1123 ca.

La decorazione pittorica di Santa Maria in Cosmedin è stata riscoperta durante la campagna di restauri che il Giovenale diresse alla fine dell'Ottocento. I resti di affresco, estremamente danneggiati, consistono nella decorazione delle due pareti della navata centrale, composta come si dirà di tre nuclei iconografici distinti; e, originariamente, di due lunette dipinte nel portico della chiesa, uno dei quali, ridotto oggi a un frammento, pertinente la tomba

del camerarius Alfano, committente del rifacimento della basilica, l'altro oggi interamente perduto, ma documentato da una fotografia pubblicata da Giovenale (1927 ). La reciproca pertinenza della decorazione della navata e della lunetta della tomba di Alfano è storicamente del tutto plausibile; quella della seconda lunetta è oggi difficilm ente attestabile, ed è stata attuata sulla b ase dell'affermazione di Giovenale, l'unico a poterla ancora vedere.

40a. I CICLI DI EZECHIELE, DANIELE E DEL NUOVO TESTAMENTO NELLA NAVATA

Ciò che si conserva è solo la porzione di intonaco dipinto corrispondente alla parte protetta dalla volta barocca, la quale fu eliminata durante i restauri di Giovenale. La parete è concepita come un sistema ornamentale di gusto molto antichizzante, formato da motivi di finta architettura, colonne, rosette, corni dell'abbondanza, vela alexandrina, fregi con maschere di fauno ; le scene narrative sono inserite in questa complessa apparecchiatura ornamentale [1]. I due cicli del registro superiore, meglio conservati, sono stati identificati come cicli di Ezechiele e Daniele; al di sotto di questi, corre un altro ciclo , estremamente frammentario e degradato, probabilmente dedicato a storie neotestamentarie. La sequenza cronologica delle scene mostra che il ciclo di Ezechiele - il quale, nella Bibbia, precede quello di J?.aniele - comincia sulla parete sinistra dall'ingresso e prosegue verso l'abside, mentre quello di Daniele ha inizio sulla parete opposta dalla parte dell'abside e procede verso la controfacciata. Parete sinistra, primo registro: Il àclo di Ezechiele È composto da undici scene, di cui solo dieci sopravvissute, e verosimilmente, in pendant con quello della parete opposta, da un pannello con la figura del profeta omonimo, oggi non più esistente. Giovenale (1927) riteneva trattarsi di un ciclo della vita di Carlo Magno; ma la De' Maffei (1970), lo Short (1970) e la Derbes (1995 ) hanno chiarito definitivamente quale sia il vero soggetto. Doveva aprirsi con il pannello iconico raffigurante il profeta, come detto, perduto. 1 - La prima scena conservata mostra un uomo barbato, vestito con una tunica a mezza gamba e un lungo mantello simile a una clamide; ha un copricapo in testa ed è inginocchiato davanti al Cristo in trono chiuso nella mandorla e affiancato da due serafini [2-3 J. Si tratta della visione che funge da introduzione al Libro di Ezechiele (Ez 1-3, 9). 2 - Tre uomini conversano con il profeta che, immerso in meditazione, ha la testa poggiata sulla mano destra. Al centro, tratti grigio-azzurri indicano un fiume che scorre a sinistra di un edificio. Sulla destra è Ezechiele in piedi, con testa e mani sollevate verso il cielo, dove appare la mano di Dio. È il profeta fra gli esiliati, in riva al fiume Kebar (Ez 3, 15 ), mentre Yahvè gli spiega quale sia la sua missione (Ez 3, 16-21). .. 3 - Scena perduta. 4 - Il profeta è in piedi sulla sinistra; al centro si scorge qualche traccia delle mura di una città davanti alla quale c'erano due personaggi, di cui oggi restano solo le gambe. A destra si vede un

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generale seduto, in atto di impartire ordini ad un soldato davanti a una tenda, mentre un secondo soldato, armato di spada e scudo, con l'elmo in testa, si gira verso la città . Si tratta di Yahvè che annuncia l'assedio di Gerusalemme (Ez 4, 1-3 ). 5 - Il profeta è seduto sulla sinistra, con un coltello appoggiato alla guancia, quindi in atto di radersi [4]. A destra si vede una città. Al centro di nuovo il profeta, in atto di camminare davanti alle porte della città, con in mano una bilancia che oggi non si vede più. Rappresenta il momento in cui Dio ordina a Ezechiele di radersi e di dividere la barba in tre parti (Ez 5, 1). 6 - La scena è molto rovinata. Un uomo barbato, inquadrato contro un 'architettura, sembra percuotere qualcosa con un oggetto non identificato. All'estrema destra un personaggio in piedi, di profilo. Si tratta sicuramente di Yahvè che annuncia la distruzione di Israele e specialmente dei luoghi santi votati al culto degli idoli (Ez 6, 4-7 ). Il personaggio a destra simboleggia forse i sopravvissuti, risparmiati da Yahvé (Ez 6, 8-9). 7 - Sulla sinistra della scena, un personaggio prostrato davanti ad un muro sembra guardare attraverso un foro, e accanto a lui appaiono altre tre figure maschili. A destra invece si vede un uomo in piedi in un edificio, in atto di indicare qualcosa che sembra un altare. Si tratta del momento in cui Yahvè guida Ezechiele per Gerusalemme, mostrandogli gli abomini perpetrati dagli idolatri nei templi (Ez 8, 7-10).

- La scena, che ha una grande lacuna al centro, si svolge all'interno di quello che sembra essere un luogo di culto. A sinistra, si vede il p rofeta che solleva le braccia verso un angelo che vola al centro della composizione, mentre sotto di lui si vedono frammenti di due o tre altre figure , e sulla destra , un altare. Si tratta dell'apparizione nel Tempio dei sei uomini che devono massacrare gli idolatri (Ez 9, 2-3 ). 9 - Di questa scena, che sembra aver luogo ancora nel tempio , re ta solo la parte sinistra, dove appare Ezechiele in piedi. È po sibile che si tratti del momento in cui Yahvè marca con un tau la fronte di coloro che saranno risparmiati (Ez 9, 4). 10 - Un gruppo di soldati armati di spada minacciano alcune persone sporte verso di loro. Uno dei soldati tocca la fronte di uno degli uomini del gruppo di destra [5]. All'estrema sinistra una figura in piedi, probabilmente Ezechiele. Si tratta certamente del massacro degli idolatri da parte dei sei inviati di Yahvè IEz 9, 5-8) . 11 - A sinistra, il profeta è accompagnato da un servo che porta ulle spalle una cesta contenente un vaso, e sotto il braccio destro una specie di tavola. Sulla destra Ezechiele, con una benda sugli occhi, è trasportato da due uomini. La scena raffigura Ezechiele mandato in esilio fuori Gerusalemme (Ez 12,3-6) [6]. Parete destra, primo registro: Il ciclo di Daniele Occupa il registro superiore della parete destra; comprendeva originariamente undici scene, di cui soltanto sei sono conservate in toto o parzialmente, e un pannello ali' angolo con la controfacciata, in cui appare la figura del profeta, raffigurato con l'aureola , senza barba, tonsurato, vestito di tunica bianca a laticlavi rossi e mantello \'erde, e con un libro aperto nella mano sinistra [7]. 1 2, 3 - Le prime tre scene sono perdute. -t - La prima delle scene conservate mostra a sinistra un personaggio draiato su un letto, inquadrato da un'architettura. A destra si distingue una figura nuda, in piedi tra due colline o montagne. La parte inferiore del corpo è dipinta in colori differenti: verde per il \'entre e le cosce, un colore oggi indefinibile per le gambe, e un grigio bruno per i piedi. Una pietra sembra scivolare dalla cima della montagna di sinistra sulla figura in piedi. All'angolo destro in basso, si vedono pezzi di corpi. Giovenale ha interpretato questa cena come l'episodio in cui Nabuccodonosor sogna della statua distrutta dalla roccia (Dn 2, 31-35). 5 - Un uomo barbato è assiso in trono, con la corazza e un mantello di porpora; davanti a lui tre uomini in ascolto [8, 9]. La Derbes

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(1995 , 467 ) identifica giustamente la scena con l'episodio in cui Nabuccodonosor ordina agli indovini, ai magi e agli stregoni di · interpretare i suoi sogni (Dn 1, 2-11 ). 6 - La scena è molto frammentaria. A sinistra si vede un uomo sporto in avanti, di profilo [10], e il braccio sinistro di un altro personaggio. Al centro due corpi stesi a terra, uno con una ferita al collo da cui esce il sangue. La Derbes vi vede giustamente l'esecuzione degli indovini, magi e stregoni, che non erano riusci ti a spiegare il sogno del re di Babilonia (Dn 1, 12-13 ). 7 - Sotto un 'architettura appare Nabuccodonosor in piedi, mentre al centro appare una figura di colore giallo in piedi su un basamento, con un perizoma e nella mano destra un globo [11]. Ai lati sono sei figure prostrate, mentre un settimo personaggio soffia in una specie di tromba a due corni. Si tratta dell'adorazione dell'idolo d 'oro che Nabuccodonosor aveva fatto porre nella pianura di Dura (Dn 3, 1-7 ). 8 - Il re, vestito sempre allo stesso modo, impartisce un ordine ad un personaggio che ha in testa una specie di casco. Al centro tre uomini circondano una quarta figura con aureola crociata. Il gruppo si trova all'interno di una sorta di nicchia da cui escono lingue di fuoco che un personaggio posto sulla destra cerca di evitare tirandosi contro il mantello. Giovenale (1927 , 198) legge giustamente la scena come l'episodio dei Tre ebrei nella fornace (Dn 3, 19-25 ). 9 - Scena perduta. 10 - L'ultima scena conservata mostra tre giovani davanti al re in trono, che fa un gesto di meraviglia [ 12 , 13]. Si tratta (Derbes 1995, 469) di Nabuccodonosor che ha fatto venire presso di sè i tre ebrei, Shadrak, Meshak et Abed Nego , e riconosce il prodigio e la grandezza del Dio degli Ebrei (Dn 3 , 26-29 ). 11 - Scena perduta.

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Parete sinistra, secondo registro: Il ciclo neotestamentario Si svolge sui registri inferiori di entrambe le pareti della navata. Le scene sono mutile e danneggiatissime; non è stato oggetto di studi approfonditi, ma è generalmente accolta l'opinione di Giovenale che vi individuava un ciclo dell'Infanzia e della Vita

Pubblica di Cristo. 1 - Secondo Giovenale il ciclo aveva inizio sulla parete sinistra, vicino ali'abside, con la scena dello Sposalizio della Vergine [14]. In effetti, nella metà sinistra del riquadro appare un uomo barbato, al centro di un edificio a tre navate e absidato, in atto di consegnare un anello ad un uomo e ad una donna velata. Sulla destra doveva però trovarsi un altro momento del racconto, perché vi si vede una donna, vestita come la figura precedente, e rivolta verso destra [15]. 2 - Anche la scena successiva è divisa in due parti. Giovenale vi leggeva, a destra, l'ordine di censire la popolazione impartito da Augusto , in trono, a Quirino, governatore della Siria, vestito da soldato e con l'elmo; a sinistra invece, lo stesso ordine viene ripetuto dal governatore, che siede sul seggio ed è affiancato a sinistra da un porta insegne che ha il capo coperto da una protome leonina, e a destra da uno scriba con un rotulus spiegato. 3 - La scena è quasi tutta distrutta, tranne che nell' angolc'J superiore destro dove si vedono due uomini leggermente sporti in avanti, davanti a un'architettura. Giovenale vi vedeva l'Adorazione

a sinistra, la porta di una città, e poi un colonnato architravato e sormontato da un drappo color porpora. Sotto, frammenti di una testa che Giovenale riteneva femminile e un 'altra forse maschile. Sulla destra è un edificio cupolato. Secondo Giovenale si trattava della Presentazione al Tempio. 5 - È conservata solo la parte sinistra, dove si vede l'interno di una casa e due figure verosimilmente femminili , velate. Davanti alla casa, un albero e un'altra figura femminile rivolta verso l'albero. Giovenale vi vedeva la Visitazione. 6-12 - Gli altri sette riquadri narrativi di questa parete sono estremamente frammentari e quindi indecifrabili, oppure completamente perduti.

dei Magi.

Parete destra, secondo registro: Il Ciclo neotestamentario La logica farebbe pensare che il ciclo proseguisse sulla parete destra, iniziando dalla parete vicina alla controfacciata e proseguendo verso l'abside. 1-7 - Le sette prime scene sono in stato assolutamente frammentario o addirittura completamente distrutte. 8 - Sono ancora leggibili la parte centrale e quella sinistra. A sinistra, una figura maschile, barbata fa il gesto della benedizione; è accompagnata da altri due o tre personaggi. Al centro, davanti a un'architettura a colonne e architrave sembra possibile distinguere le tracce di altre figure. Secondo Giovenale si trattava dell'Ingresso

4 - L'unica parte sopravvissuta è la fascia superiore, dove si vede,

a Gerusalemme.

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9 - È la più leggibile di questa parete e rappresenta quasi sicuramente la Guarigione del paralitico. A sinistra si scorge un gruppo di persone di cui una aureolata; a destra del gruppo un edificio, sul cui tetto appaiono due uomini sporti verso il basso. 10 - Ne resta solo l'angolo superiore destro, con un frammento cli architettura. 11 - È conservata solo nella parte destra; Giovenale nel suo schizzo la riprodusse all'inverso. Era verosimilmente divisa in due diversi momenti narrativi. A destra, in un edificio a colonne e architravi, un uomo barbato leva gli occhi e la mano destra in segno di stupore. Davanti a lui si affrontano due figure probabilmente maschili. A destra , in un altro punto del racconto , un uomo fa il gesto dell'eloquio. Per Giovenale si trattava della Guarigione del lebbroso. 12 - Anche questa scena fu riprodotta all'inverso nel disegno di Giovenale. Resta solo un frammento di architettura nell'angolo inistro e un gruppo di tre personaggi, forse in un interno. La figura di sinistra era forse una donna velata.

">Jote critiche La data di consacrazione della chiesa da parte di Callisto II, il 6 maggio 1123 , testimoniata dall'iscrizione posta sulla parete sinistra dell'abside, costituisce un aggancio cronologico molto plausibile per l'insieme della decorazione pittorica della chiesa, facente parte del vasto programma di rinnovo dell'edificio e del suo arredo liturgico. Poiché il papa Gelasio II (1118-1119) appare nell'iscrizione come donatore di reliquie alla chiesa, si può pensare che i lavori, voluti dal camerarius Alfano, abbiano avuto inizio già sotto questo pap a, che verosimilmente appariva, con Callisto II, anche nell'affresco sulla tomba di Alfano. La decorazione della navata andò a coprire e sostituire quella anteriore, databile al pontificato di icolò I (858-867), a sua volta sovrapposta ad uno strato pittorico dell'epoca di Adriano I (772-795 ). La parte ancora molto misteriosa della decorazione rimane quella dei registri inferiori della navata. I disegni ricostruttivi di Giovenale, anche se in genere affidabili se si eccettua la doppia inversione di cui si è detto sopra , pongono ancora grandi problemi di interpretazione. Se si accettano le sue proposte di identificazione iconografica bisognerebbe concludere che il registro inferiore non ris petta l'ordine cronologico delle scene, mentre nei registri uperiori esso è rigorosamente osservato; il disastroso stato di conservazione dei clipinti non consente ancora di arrivare ad una oluzione soddisfacente. I cicli di Ezechiele e Daniele, nei registri superiori, sono invece meglio studiati. Il soggetto è molto raro nella pittura medievale, ed è possibile che derivi in gran parte dalle illustrazioni di una bibbia catalana del genere di quelle di Ripoll (BAV, Vat. lat. 5729) o di Roda (BNF, ms. lat. 6) (Derbes 1995 , 463-470 ). I legami indiscutibili avuti da Callisto II con la Spagna danno verosimiglianza corica a questa ipotesi, ampiamente corroborata dalle osservazioni iconografiche. La Stroll (1991, 10-11) interpretava i cicli in relazione alla lotta del Papato contro l'Impero, vedendo per esempio nel ciclo di Daniele e Nabuccodonosor un avvertimento a coloro che i ribellano alla volontà della Chiesa . Ann Derbes (1995 ) ha p roposto di inquadrarli nel contesto della cosiddetta crociata veneta (1122-1124 ), quando le storie di Ezechiele e Daniele venivano citate nel corso della predicazione crociata quali illustrazioni delle sventure che colgono gli infedeli, gli idolatri, e coloro che contaminano i luoghi santi, e quindi apologhi della \ ittoria dei veri credenti. Ma ha anche ricordato la polisemia trutturale della produzione pittorica e anche letteraria medievale, e non ha quindi escluso di poter leggere i cicli di Ezechiele e

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Daniele nel quadro della lotta per le investiture: le accuse di idolatria rivolte al partito imperiale sono attestate dalle fonti . Nessuna delle due possibilità interpretative deve essere esclusa, tanto più che il Libro di Ezechiele tratta dei problemi di devianza religiosa all 'interno del popolo ebraico, mentre quello di Daniele si occupa dell'idolatria babilonese: nello stesso senso, la lotta tra Papato e Impero era un fenomeno interno alla società cristiana, mentre le crociate si indirizzavano al suo esterno, l'Islam. Risulta non attestato altrove nella tradizione iconografica romana l'accoppiamento tra cicli pittorici veterotestamentari e storie del Nuovo Testamento. A Santa Maria Maggiore, la navata ospita in effetti le storie dell'Antico Testamento, seguendo però una più abituale sequenza patriarcale (storie di Abramo, Isacco, Giacobbe e forse Giuseppe a sinistra; di Mosè e Giosuè a destra ) e non includente i racconti che invece sono oggetto dei dipinti di Santa Maria in Cosmedin. Sull'arco di Santa Maria Maggiore, le storie neotestamentarie hanno un chiarissimo senso cristologico nel nesso con la figura della Vergine e il tema dell'Incarnazione; non toccano la vita pubblica di Cristo né i suoi miracoli. Sono insomma intesi in un tessuto di programma del tutto diverso , e per costruzione iconografica, e - naturalmente - anche per collocazione nello spazio liturgico della chiesa. La disposizione dei nuclei del

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programma - della quale ci sfugge completamente la configurazione absidale e di controfacciata: i frammenti altomedievali recuperati sull'arco absidale sono picchettati, e dunque furono coperti dallo strato pittorico successivo, come si vede per i profeti nei medaglioni della navata - cercava probabilmente un sistema di raffronti tra i due registri. Lo stato di conservazione di quello inferiore impedisce di comprendere meglio quale fosse la natura della contrapposizione narrativa, che per ora ci sembra imperniata sul quadro fosco dell 'idolatria antica che evoca la moderna, e sul dato invece rassicurante e positivo della vicenda cristologica che si pone più in basso rispetto all'altra, all'origine meglio visibile e forse meglio comprensibile rispetto agli ardui e rarefatti temi profetici del registro superiore. Una delle caratteristiche più notevoli dei dipinti murali della navata è il nesso costante ed evidente con l 'Antico. Il ricco apparecchio che organizza le scene narrative è stato avvicinato a quello della basilica di Giunio Basso, del IV secolo d.C. (Giovenale 1927, 190; Toubert 1990 [2001] , 186-187); le a finirà più significative sono nel fregio alto, dove si alternano le maschere a testa di fauno, e i vela alexandrina abitati da putti alati. Ma il fascino dei motivi antichi si riflette anche nei motivi di finte colonne che separano le scene del registro inferiore o in quelli

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dei frontoni decorati da cornucopie e rosette nel registro superiore. E si ritrova anche in certi dettagli eruditi, ad esempio d'abbigliamento, come la protome leonina indossata dal portainsegne della seconda scena del registro inferiore sinistro, che ha un manipolo fedelmente copiato da un motivo classico antico. Negli stessi anni, un 'affine, acuta attenzione antiquariale appare negli affreschi di San Nicola in Carcere (-- 46), pur se in quel caso possiamo giudicare solo del repertorio ornamentale e animalistico; e - in modi particolarmente vicini ad alcuni aspetti dei dipinti di Santa Maria in Cosmedin - nei frammenti del sottotetto di San Clemente (_. 39).

Interventi conservativi e restauri 1649-1660: Crescimbeni (1715 , 105 ), che conosceva l'esistenza degli affreschi all'interno della chiesa ma non li aveva mai visti, testimonia che essi erano stati scialbati a partire dal 1649, per volontà del canonico Ghezzi; il lavoro fu terminato nel 1660. Qualche anno più tardi, il canonico Ciatti fece costruire una volta e intonacare le pareti al di sotto di essa (Crescimbeni 1715 , 106). In questo modo fu irrimediabilmente distrutta la parte inferiore del secondo registro della parete della navata, nonché un possibile (e probabile) terzo registro ancora più basso.

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1895-1899: nel 1895 ebbe inizio la grande campagna di restauri diretta da Giovenale, terminata nel 1899. Nel corso dei lavori venne demolita la volta del XVII secolo e, eliminati gli intonaci barocchi, vennero ritrovati i resti di affreschi medievali. Questi hanno molto sofferto, non solo degli insulti del tempo, ma dei disastrosi restauri intrapresi successivamente al ritrovamento, consistenti in una pulitura molto aggressiva e in ridipinture grossolane e inopportune.

Documentazione visiva Fotografie (1896-1897), ICCD: B 213-218, 220-228, 231-238, E 123-131; Giovenale 1927, figg. 48, 48bis, 50-76.

Fonti e descrizioni Piazza 1703 , 671 ; Crescimbeni 1715 , 105-106 .

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40b. LA LUNETTA DELLA TOMBA DI ALFANO NEL PORTICO

La lunetta dell' arcosolium della tomba del camerarius Alfano, a destra dell'ingresso, è oggi ridotta ad una dilavata porzione di intonaco dipinto, corrispondente alla parte più alta e al sottarco. All'epoca della scoperta degli affreschi si scorgeva un po' meglio la Vergine in trono, incoronata, con il Bambino seduto frontale sulle sue ginocchia [1]. Dietro di lei due arcangeli, e ai lati due figure di papi. Nella foto dell'epoca dei restauri si vede che gli arcangeli reggevano un'asta, mentre la Vergine - o il Bambino reggeva lo scettro.

Note critiche Il dipinto ornava la tomba del potente camerarius, che nelle iscrizioni apposte sul trono episcopale e nel pavimento dedica la chiesa e i suoi arredi alla Vergine.Nell'altra iscrizione dell'altare, al nome di Alfano si affianca quello del papa regnante, Callisto II, che consacra l'altare stesso il giorno 6 maggio del 1123. on stupisce dunque il fatto che Alfano, nel prepararsi la tomba, mentre ancora era in vita, come attesta l'epitaffio (« Vir probus Al/anus cernens quia cuncta perirent I Hoc sibi sarcofagum statuz't ne totus obiret I Fabrica delecta pallet quia penitus extra I Sed monet interius quia post haec tristia restant»; Forcella 1869-1884, IV, 306, n. 745; vedi anche p. 175), nell'edificio da lui fatto riedificare e ridecorare (Herklotz 1985, 143, 143, nota 3, Riccioni 2000, 148), abbia scelto uno schema iconografico in cui campeggia centrale la figura della Madonna Regina, assisa in trono con il Bambino in grembo e con due angeli a corpo di guardia. L'identificazione delle due figure laterali, che per il Ladner (1941, I, 251-252) sono Callisto II e il suo predecessore Gelasio IL è molto plausibile, ma attualmente non verificabile. È innegabile che lo schema prescelto sia quello della Madonna della Clemenza di Santa Maria in Trastevere. Gli abiti e gli attributi della Vergine, la sua posizione frontale, i due arcangeli disposti dietro il trono lo mostrano chiaramente. Il modello dell'icona trasteverina

fu usato anche per la Madonna Regina dell'oratorio di San Nicola in Laterano (- 49), a giusto titolo considerato un monumento celebrativo della vittoria del papato sull'Impero dopo il Concordato di Worms. Non è impossibile che il programma iconografico dell'oratorio sia stato già definito da Callisto II, nei suoi anni e nella sua cerchia, un dato, questo, che stringerebbe ulteriormente il nesso con la decorazione di Santa Maria in Cosmedin. La Nilgen (1981) ha dimostrato come il tipo della Madonna Regina debba essere inteso quale allegoria della Chiesa, madre e regina della cristianità: la scelta iconografica di Alfano, camerarius di Callisto, il papa che firmò il Concordato di Worms, assume qui un significato molto chiaro e un 'innegabile sfumatura politica.

Documentazione visiva Fotografia (1896-1897), ICCD: B 230; Giovenale 1927 , fig. 46.

40c. LA PERDUTA LUNETTA CON SCENE DELL'ANNUNCIAZIONE E DELLA NATIVITÀ GIÀ NEL PORTICO

Simmetrico alla tomba di Alfano, dall'altra parte dell 'ingresso alla chiesa, c'è un altro arcosolio nella cui lunetta si distingueva un tempo un dipinto oggi completamente scomparso ma documentato da una fotografia conservata nell'archivio ICCD e risalente all'epoca dello scoprimento e del restauro dei dipinti [1]. Per maggior chiarezza, riproduciamo qui anche il grafico realizzato da Giovenale [2]. A sinistra, nella lunetta, si vedeva l'Annunciazione, con l'angelo che giungeva da sinistra con la mano levata nel gesto di parola alla Vergine assisa. A destra era invece rappresentata la Natività, una grotta con il Bambino fasciato e deposto nella mangiatoia, con il bue e l'asino vicini; la Vergine sdraiata e in atto di rivolgere la parola a Giuseppe, seduto in atto pensoso con la testa appoggiata alla mano. Nel cielo era un angelo con un cartiglio dove si leggeva u 'iscrizione User. 1). Sulla destra, fuori della grotta, un gruppo di piccoli personaggi acclamanti, verosimilmente i pastori. Non si ha alcuna informazione circa l'eventuale pertinenza di questa lunetta ad una tomba.

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Iscrizioni 1 - Iscrizione esegetica già disposta sul rotolo sorretto da un angelo, allineata su due righe orizzontali, secondo un andamento rettilineo regolare. Impossibile stabilire il colore delle lettere, presumibilmente su fondo bianco. Perduta. Scrittura capitale.

Gloria in I excelsi D(e)o Trascrizione dal disegno di Giovenale 1927, 192 e dalla riproduzione fotografica in Id. , tav. XXVIa. (S. Rie. )

Note critiche Quasi invisibile nell'unica fotografia che se ne conosce, e oggi totalmente perduto, questo dipinto fu considerato da Giovenale (1927 , 191-192 ) come facente parte della stessa campagna decorativa che la lunetta della tomba di Alfano e, quindi, databile negli stessi anni della decorazione della navata. La includiamo

1989, 167-169), in Santa Maria in Pallara e in Sant'Urbano alla Caffarella (Waetzoldt 1964 , 75 , 78).

Documentazione visiva Fotografia (1896-1897), ICCD: B 229; Giovenale 1927, fig. 49.

quindi fra le schede relative al cantiere di Santa Maria in Cosmedin negli anni di Callisto II e Alfano; e notiamo che il gemellaggio di due scene, l'Annunciazione e la Natività, nel campo unico della lunetta, non stona con la tematica mariana che domina la decorazione dell 'interno, e anche la lunetta della tomba vicina. La congiunzione di due scene nello stesso spazio, senza suddivisioni interne, è piuttosto rara: l'A nnunciazione e la atività appaiono, analogamente accostate, nell'avorio di XII secolo al Victoria and Albert Museum a Londra , di origine probabilmente veneziana (Little 1997 , 492 ). La scena della atività segue l'iconografia specialmente bizantina, simile a quella che appare sul coperchio della cassetta proveniente dal Sancta Sanctorum, oggi al Museo Storico della Biblioteca Apos tolica Vaticana (Morello 1991 , 94-95 ); si differenzia invece in modo significativo dalle ve rsioni della stessa scena , quali appaiono in monumenti romani anteriori al XII secolo, cioè nei mosaici dell'oratorio di Giovanni VII in Vaticano (Andaloro

Bibliografia van Marle 1921 , 160-161; van Marle 1923 , 181-183 ; Giovenale 1927 , 172-174 , 189-240; Toesca 1927 [1965] , I , 635-636 , II, 1024 ; Ladner 1941 , I , 251-252; Anthony 1951 , 76; Garrison 1955-1956, 172 ; Garrison 1957 -1958, 192 ; Grabar-Nordenfalk 1958, 32; Deér 1959, 29; Berenson 1960, 20-21 ; Bologna 1962, 52 ; Matthiae 1964 , 41-53 ; Lejeune-Stiennon 1966, 43 -50; Matthiae 1966a [1988] , 43-45; Demus 1968 [1969], 57 , 121122; Buchowiecki 1970, 601 , 605-608 ; De' Maffei 1970, 351 365; Short 1970, 229-238 ; Toubert 1970, 105; Krautheimer 1980 [1981] , 216,232 ; Nilgen 1981 , 10; Kitzinger 1982, 643; Osborne 1982, 3-8; Osborne 1983 , 240-247 ; Herklotz 1985 , 143 , 156, 161 ; Gandolfo 1988; 259 , 267 , 309-310; Gandolfo 1989, 30; Stroll 1991 , 1-15; Parlato-Romano 1992 [2001] , 47-5~t; Dodwell 1993 , 174-175; Miller 1993 , 265-266; Bertelli 1994, 235; Derbes 1995 , 460-478; Schilling 1998, 452-455 ; Riccioni 2000, 143 , 148149, 151; Romano 2000, 141 , 149-151.

Jéròme Croisier

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41. LA MADONNA ODIGITRIA GIÀ IN SANT'ANGELO IN PESCHERIA Primo quarto del XII secolo

La tavola della Vergine della chiesa di Sant' Angelo in Pescheria è stata rubata nel settembre del 1988, ed è tuttora di ignota ubicazione. La descrizione del dipinto si basa, pertanto, sulla documentazione fotografica effettuata [1] in occasione dell'ultimo restauro, svolto nel 1968 a cura della Soprintendenza alle Gallerie del Lazio, e sulle osservazioni di Ilaria Toesca, che quel restauro aveva diretto e pubblicato nel 1969 (Toesca 1969a, 3-18; Ead. 1969c, 10-13). La figura austera della Vergine appariva contro il fondo oro, ricomparso in buono stato di conservazione nel 1968 dopo l'eliminazione di diversi strati di ridipinture (Toesca 1969c, 12); in posizione frontale, reggeva il Bambino sul braccio destro, indicandolo con la mano sinistra. Lo sguardo della Vergine era rivolto verso l'osservatore, le sopracciglia erano scure e non troppo spesse. Poco si percepisce degli altri caratteri fisionomici di questa figura dalle fotografie; ben distinguibile è soltanto la curva scura del punto di congiunzione tra le labbra, terminante ai lati con due brevi tratti verticali. Meglio conservato era certamente il volto del Bambino, sollevato in direzione della Madre. Alle curve scure delle sopracciglia si accostava un segno rosso a ravvivare le palpebre, segno che probabilmente proseguiva a delineare la forma del naso. I grandi occhi scuri erano rivolti verso l'alto e la bocca molto simile a quella della Vergine. Davanti alla folta capigliatura bruna compariva il piccolo orecchio, al.quale si sovrapponevano veloci tratti neri per le piccole ciocche di capelli; intorno al capo, l'aureola dorata cr_ucisignata. Sull'abito dorato del Bambino si alternavano linee rosse e nere, accostate a descrivere le forme; era una figura ben salda tra le braccia della Madonna, con il busto eretto e la mano destra benedicente; della mano sinistra compariva soltanto la punta delle dita , impegnate a reggere il libro rosso chiuso poggiato sulle ginocchia. Quasi completamente cancellato da una lacuna, dal fondo dell'abito spuntava il piccolo piede. Qualche perplessità desta l'individuazione del colore originale del manto della Vergine. Nell'immagine a colori successiva al restauro, che testimonia l'estremo degrado in cui fu trovata la pittura una volta eliminate le ridipinture sovrapposte, esso appare rosso vivo sia sulla manica che nelle pieghe che ricadono tra le braccia della Vergine; la Toesca afferma invece che era in origine azzurro (Toesca 1969a, 14, nota 4; Ead. 1969c, 12 ), salvo poi riferirsi al «rosso originale» del manto della Madonna (Toesca 1969c, 11 ). L'incomprensione può forse essere generata da una distinzione tra velo e manto, difficile da cogliere nel testo e impossibile da verificare nelle fotografie; è altresì possibile che nel restauro del 1968 siano state conservate le ridipinture rosse non originali che vediamo oggi nelle immagini. Ben riconoscibile era, invece, il bordo dorato che percorreva l'estremità del manto e che incorniciava il volto della Vergine; dorate erano anche le numerose altre decorazioni: un diadema con pietre preziose dipinte, i grandi orecchini circolari completati tutt'intorno da una fila di piccole perle, il medaglione rotondo alla base del collo, la placca quadrata sulla spalla, l'anello ali' anulare della mano sinistra. Una cornice nera con motivi vegetali rossi, bianchi e azzurri delimitava sul fondo oro lo spazio della raffigurazione. Quattordici incavi circolari erano ricavati, al di sotto della tela di preparazione, nella parte della tavola esterna alla cornice dipinta. In un primo momento la loro presenza fu interpretata come indizio dell'esistenza

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di una pittura sottostante (Toesca 1969a, 8-10) , ipotesi in seguito sostituita dall'idea di un cambiamento nel programma decorativo (Toesca 1971 , 10, nota 5 ). Potrebbe, più semplicemente, trattarsi di motivi decorativi, come la Toesca stessa sostenne per il caso analogo della tavola del Santissimo Nome di Maria (ibidem) . Molto ampie le dimensioni , 127x85 centimetri.

Iscrizioni 1-2 - Due sottoscrizioni attributive (firme) disposte a ridosso della cornice, sotto l'immagine della Vergine, nella stessa fascia rettangolare, allineate su una riga orizzontale, secondo un andamento rettilineo irregolare. Lettere bianche su fondo nero. La prima iscrizione è mutila , la seconda è integra ma abrasa. Scrittura capitale. 1- [Pe]trus d~ Belizo piciòr 2 - P(res)b(ite)r ]?ellush6mo picfòr (S. Rie. )

Note critiche Risalgono al Seicento le più antiche notizie certe della presenza della tavola nella chiesa di Sant'Angelo in Pescheria. Nella Visita Apostolica del 1 settembre 1625, e di nuovo nel 1660, un'icona della Vergine viene infatti registrata nella prima cappella in fondo alla navata sinistra («I n capite navis, quae est a cornu Evangeliz; prim a est cappella sub invocatione Sa nctissimae Virginis, quae asseritur de juspatronatus D. Ducis Caesarini. H abet iconam unam cum imagine Beatissimae Virginis argentea corona, aliisque gemmis decorata, ampla coronide marmorea et columnis aeque marmoreis circumadatam, circa quam pendet nonnullae tabellae votivae tam argenteae quam ligneae»: ASV, arm. VII , 111, c. 137; ASV, arm. VII, 52 , c. 66; cfr. anche Toesca 1969a, 10, nota 1); sull'altare in fondo alla navata sinistra la segnala anche, nel 1929, Boggi Bosi (1929, 56) e fi essa si trovava ancora al momento del restauro . Pochi anni prima del furto la tavola era invece collocata sull'altare della seconda cappella, sempre della navata sinistr'a (Pietrangeli 1976 [1984], 36). on ci sono riscontri documentari per poter affermare quale fosse la collocazione originaria della tavola: fondata nell'VIII secolo in prossimità del portico di Ottavia, la chiesa di Sant' Angelo in Pescheria è sostanzialmente una struttura tardo cinquecentesca, rinnovata e restaurata intorno al 1610 ed ancora nel 1741 e nel 1870 circa (Hiilsen 1927 , 196; ArmelliniCecchelli 1942, I, 689-691 ). È quindi possibile che la tavola sia stata realizzata appositamente per la chiesa, o che vi abbia fatto il suo ingresso in un secondo momento, in corrispondenza forse della dedicazione dell 'altare o di una delle sue ristrutturazioni (Toesca 1969a, 10, nota 1). La presenza del dipinto in Sant'Angelo in Pescheria almeno a partire dal 1479 potrebbe essere, inoltre, attestata da una «strana iscrizione» collocata sotto un'immagine della Vergine sull'ultimo altare della navata sinistra, annotata da un anonimo portoghese nel XVI secolo e riportata in alcuni manoscritti (Boggi Bosi 1.929, 61; Toesca 1969a, 10, nota 1) e nella raccolta epigrafica di Forcella (1869-1884, XIII, 402). Dubbia è la notizia, riferita da Boggi Bosi (1929, 56), che l'opera sarebbe stata incoronata dal Capitolo di San Pietro (Toesca 1969a, 1O,

5ANT' A NG ELO IN PESCHERIA

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nota 1), sebbene una corona d'argento posta sul capo della Vergine sia segnalata nella già citata Visita Apostolica. Queste brevi notazioni in massima parte esauriscono le citazioni della tavola antecedenti al restauro della fine degli anni Sessanta; l'esclusione da parte di Matthiae nel volume del 1966 è sintomo della inaccessibilità dell'opera, così contraffatta da non suggerire un sia pur vago inserimento nella pittura romana medievale. Sostanzialmente condivisibili la datazione entro il primo ventennio del XII secolo ed i principali confronti stilistici proposti per l'opera nella pubblicazione seguita al restauro: la vicinanza con l'icona della Vergine con il Bambino della chiesa del Santissimo Nome di Maria(-+ 42), alla quale si aggiungerà un paio di anni dopo il frammento della Collezione Magnani Rocca ora vicino Parma (-+ 43); le affinità con il trittico del Salvatore del duomo di Tivoli; l'attinenza con gli affreschi della basilica inferiore di San Clemente (-+ 21) (Toesca 1969a, 4-10; Toesca 1969c, 12-13). I rapporti tra le tavole, in particolare, si sono rivelati così stringenti da aver fatto ipotizzare una comune provenienza dalla bottega dei pittori Pietro e Belluomo che firmano la tavola di Sant'Angelo (Toesca 1971, 5; Gandolfo 1988, 269). Benché di difficile lettura a causa dello stato di conservazione - in gran parte mutila l'immagine di Parma - le tavole mariane mostrano evidenti analogie nell'impostazione delle figure, nell'abbigliamento, nella scelta delle decorazi ni e nella loro esecuzione; al dipinto di Tivoli, e soprattutto al Salvatore del pannello centrale, le accomuna il disegno dei panneggi, degli occhi, del naso, della bocca, dei capelli, la grafia delle iscrizioni. La comune posizione frontale rende forse più evidente la somiglianza

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tra il volto della Vergine di Sant'Angelo in Pescheria e quello del Salvatore di Tivoli; l'identica forma del sopracciglio, degli occhi e della bocca si riflette nella stessa espressione serena ed allo stesso tempo severa del volto. Le tre tavole mariane, inoltre, condividono un rilevante dato iconografico: oltre ad appartenere tutte al tipo della Vergine Odigitria - cioè 'Colei che indica la Via', il Cristo Bambino che la Vergine tiene in braccio e indica con la mano tipologia non rara ma certamente meno diffusa a Roma tra XI e XII secolo rispetto a quella della Madonna Advocata, tutte e tre presentano il Bambino sul braccio destro della Vergine, anziché sul sinistro. Si tratta certamente di una variante meno comune della Vergine Odigitria e rappresenta quindi un interessante punto di congiunzione tra le tre tavole. Questa scelta potrebbe trovare spiegazione nel riferimento ad un prototipo specifico, la tavola della Vergine della chiesa di Santa Maria Nova di epoca preiconoclasta (Bertelli 1961b, 88) , nell'ottica del recupero di modelli paleocristiani che è uno degli indirizzi fondamentali della pittura romana a partire dall'avanzato XI secolo. Nel tentativo di sottrarre la tavola del Portico di Ottavia - e le altre ad essa collegate - a quella «irritante oscillazione della data fine XI-inizio XII secolo» (Toubert [1970] 2001, 178) qualche indicazione utile può venire dal rapporto, individuato per primo da Garrison (1957-1958, 188 , 192) e confermato negli studi successivi (Gandolfo 1988, 269; Iacobini 1989a, 202), tra il trittico di Tivoli e gli affreschi staccati dalla cripta di san Nicola in Carcere, datati intorno al 1128 (-+ 46). È stata ben messa in evidenza la corrispondenza spiccata tra i volti dei profeti della cripta e di alcuni personaggi delle storie laterali del trittico tiburtino (Iacobini 1989a, 202 ); dettaglio non secondario appare anche la presenza negli affreschi e in tutte le tavole del medesimo modo di realizzare gli occhi, aperti verso l'interno, con un una sorta di virgola che dal tracciato della palpebra inferiore scende parallelamente al naso (Gandolfo 1988, 269; Iacobini 1989a, 202). Sebbene la data del 1128 degli affreschi di San Nicola in Carcere sia stata interpretata come una sorta di terminus post quem per la realizzazione del gruppo di tavole, collocate intorno alla metà del XII secolo (Gandolfo 1988, 269) , maggiore attenzione meritano i rapporti già intuiti dalla Toesca con gli affreschi della basilica inferiore di San Clemente (Toesca 1969a, 7-8); si segnalano a tal proposito sia i volti che il panneggio spezzato delle figure di offrenti a sinistra del pannello della M essa di san Clemente(-+ 21c.2). Supportando quei confronti con alcune affinità con le pitture della chiesa dedicata all'Immacolata di Ceri, dove si individua lo stesso tipo di panneggio ed una certa familiarità nella resa dei volti - ad esempio tra i Bambini delle tavole mariane e le figure giovanili nell'episodio di Giuseppe nella cisterna - è possibile circoscrivere la datazione nel primo quarto del XII secolo.

Interventi conservativi e restauri La rimozione degli strati non originali effettuata nell'intervento del 1968 ha consentito di ricostruire, in mancanza di altro tipo di docun1entazione, le vicende conservative della tavola di Sant'Angelo in Pescheria. Ad una prima ridipintura, giudicata risalente già ad un 'epoca «molto antica» (Toesca 1969a, 13 , nota 2), se ne erano sovrapposte altre quattro, che ripetutamente avevano interessato il manto della Vergine, l'abito ed il libro del Bambino, la cornice, le aureole, il fondo oro, gli incarnati, determinando il completo occultamento dell'aspetto originale dell'immagine; la tavola era stata inserita in una sagoma di legno tinta di scuro che, seguendo il contorno delle figure , nascondeva il resto dell'opera [2]. Le ridipinture erano state precedute dalla stesura di una leggera

imp rimitura su tutta la superficie ad eccezione degli incarnati; questa imprimitura aveva svolto un importante ruolo di protezione della pittura originale, che per questo negli incarnati presentava uno stato maggiormente compromesso. Dopo la pulitura ed il consolidamento del supporto ligneo, fu eseguito il consolidamento della superficie pittorica; le vaste lacune emerse sul manto della Vergine e sugli incarnati non furono colmate né furono fatti ritocchi. ~ei punti in cui non c'era più il colore fu lasciata a vista la mestica di preparazione, al di sotto della quale si poteva scorgere il disegno preparatorio tracciato con una punta sottile (Toesca 1969a, 13 , nota 2; Toesca 1969c, 11-12 ). È o pportuno sottolineare che le aureole della Vergine e del Bambino dovevano essere in origine lisce e delineate sul fondo oro da piccole punzonature tonde: i raggi che si distinguono nelle fotog rafie derivavano da una dive rsa corrosione dell 'oro in corrispondenza dei nimbi a pastiglia sovrapposti agli originali tra il Duecento ed il Trecento (Toesca 1969a, 14, nota 3). Presso l'archivio dei restauri della attuale Soprintendenza Speciale

per il Polo Museale Romano è conservata la perizia (7 / 1968) di designazione dei lavori, eseguiti da Gianluigi Colalucci.

Fonti e descrizioni ASV, Visita apostolica 1625, arm. VII, 111 , c. 137; ASV, Visita apostolica 1660, arm. VII, 52 , c. 66; Sepolture delle chiese di Roma, LBL, (16~7-1658), Add. 8498, c. 489v.

Bibliografia Forcella 1869-1884 , XIII , 402 ; Boggi Bosi 1929 , 56 , 61; Sant'Angelo in Pescheria 1960; Toesca 1969a,3-18; Toesca 1969b, 197-202; Toesca 1969c, 10-13 ; Toesca 1971, 3-5 , 10 nota 5; Mortari 1972b, 7-8; Bertelli 1982, 299, 302; Pietrangeli 1976 [1984], 36; Capolavori 1984 , 15 -16; Gandolfo 1988, 269; Iacobini 1989a, 202; Belting 1990 [1994], 320; Bertelli 1994, 229; Fondazione Magnani-Rocca 2001 , 49 -50.

Daniela Sgherri

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42. LA MADONNA ODIGITRIA AL SANTISSIMO NOME DI MARIA Primo quarto del XII secolo

La Vergine sostiene il Bambino con il braccio destro , e solleva verso di lui la mano sinistra distesa, della quale rimangono soltanto le dita [1]. Il capo è leggermente inclinato verso quello del Bambino, del quale però non incrocia lo sguardo. La Vergine indossa un manto blu, meglio conservato sul capo e nella parte superiore del busto che in quella inferiore, quasi completamente perduta a causa di una vasta lacuna la cui origine va forse attribuita a bruciature di candele (Mortari 1972b, 7). Un bordo dorato corre all'estremità del manto, intorno al volto della Vergine e sulle maniche; sul lato sinistro del capo si intravede una cuffia azzurra ravvivata da sottili linee bianche e nere. Il diadema è suddiviso da linee nere in dieci placche dorate contenenti pietre preziose dipinte di forma rotonda o quadrata, queste ultime di colore rosso; al di sopra e ai lati del diadema c'è una fila di piccole perle bianche, uguali a quelle che circondano il rombo dorato contenente una gemma collocato al centro della fronte della Vergine, i grandi orecchini di forma circolare ed il medaglione posto alla base del collo, che con gli orecchini ha in comune il disegno. Al medaglione è collegato un pendente di forma romboidale, oggi scarsamente visibile. La spalla sinistra della Vergine è decorata con una croce di perle. Il Bambino [2] indossa una veste dorata, con linee scure dipinte a delineare la forma dei panneggi; il volto è sollevato verso la madre, ed il braccio destro alzato nell'atto di benedizione alla latina. La vasta lacuna che si distende nella parte bassa della tavola ha cancellato ampie porzioni della figura del Bambino: la mano sinistra, ed il libro che essa probabilmente reggeva; le gambe piegate sul braccio della Vergine; i piedi. I volti sono senza dubbio le parti più interessanti del dipinto. Gli occhi sono delineati attraverso un semplice contorno nero sottile, riempito di bianco, e dal tondo marrone dell'iride; le sopracciglia scure non sono eccessivamente spesse, ed i lunghi nasi sottili sono realizzati attraverso una linea rossa che si scurisce soltanto sulla punta, ad indicare l'ombra delle narici. Anche le piccole labbra sono ottenute con pennellate rosse soltanto di contorno, completate da due tratti orizzontali neri verso le estremità; una linea curva scura, infine, lambisce il labbro inferiore per restituire la volumetria del mento. Il Bambino mostra una folta capigliatura castana ricadente sulle spalle. Le due figure sono inquadrate entro una cornice policroma formata da piccoli rombi di colore nero e avorio su fondo rosso. Essa è ben conservata nella parte alta e sul lato sinistro della tavola, scarse tracce ne rimangono invece sul lato destro; in basso l'incorniciatura è sostituita da un'iscrizione nera su fondo bianco, ormai gravemente compromessa. Perduto a causa dei molteplici restauri subiti dall'opera il fondo oro originario, la tavola si presenta ora priva anche delle successive reintegrazioni e sostituzioni, asportate nel restauro del 1970, l'ultimo del dipinto (Mortari 1972a, 3-10; Ead. 1972b, 7-9). Anziché procedere ad una nuova integrazione, si decise infatti di lasciare a vista il supporto ligneo, che fu sbiancato affinché acquistasse un aspetto più simile alla doratura (Mortari 1972b, 9). Dell'oro originale rimangono scarse tracce intorno alle figure della Madre e del Bambino (Mortari 1972b, 8), mentre delle aureole si conservano soltanto i segni lasciati dalle punzonature di contorno sul supporto ligneo. Il fondo oro è invece interamente conservato nella cornice dell'opera, ricavata dalla tavola stessa; la cornice include ventiquattro incavi di forma circolare, destinati secondo alcuni ad accogliere reliquie o pietre preziose (Mortari 1972a, 8),

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SANTISSIMO NOME DI MARIA

secondo altri semplici motivi decorativi (Toesca 1971 , 10, nota 5) . Il dipinto misura 101 centimetri in altezza e 75,5 in larghezza.

Iscrizioni 1 - Iscrizione celebrativa (?), disposta sopra la cornice, sotto l'immagine della Vergine, in una fascia rettangolare, allineata su una riga orizzontale, secondo un andamento rettilineo irregolare. Lettere nere su fondo bianco. Frammentaria. Scrittura capitale. + 11 ?+ [- - -]um ifl Y~r9 [- - -] (S. Rie.)

Note critiche Tradizionalmente attribuita, insieme a molte altre tavole romane, alla mano dell'evangelista Luca, la tavola è stata soggetta a diversi trasferimenti, a partire dalla sede più antica, e meno documentata, dell'oratorio del Sancta Sanctorum in Laterano. Secondo le prime settecentesche - notizie sull'opera, papa Eugenio IV (1431-1447) avrebbe infatti donato una delle tavole della Vergine appartenenti al tesoro del Sancta Sanctorum alla confraternita dedicata a San Bernardo di Chiaravalle (si menzionano qui soltanto le fonti più antiche: Carocci 1729, III, 215; Bombelli 1792, II, 172; Sebastiani 1903, 28-31 ), che intorno al 1440 aveva lasciato il precedente luogo di riunione, la chiesa di Santa Maria Scala Coeli alle Tre Fontane, ed aveva edificato una propria chiesa dedicata alla Vergine e a San Bernardo in prossimità della Colonna Traiana (Adinolfi 1881 [1981], II, 27; Cecchelli 1938, I, 120; Casanova-Martini 1962, 5). Nessun fondamento riconosce al trasferimento della tavola dal Sancta Sanctorum Michele Bacci, ritenendolo un topos piuttosto diffuso nella Roma del tardo Quattrocento, recuperato dalla confraternita di San Bernardo per sostenere l'autenticità dell'attribuzione all'Evangelista (Bacci 1998, 278). Simili espedienti erano effettivamente piuttosto diffusi nella Roma di quei secoli, al fine di dotare le immagini di culto di un corredo leggendario che ne aumentasse l'importanza; occorre in ogni caso sottolineare che la datazione per via stilistica richiede una collocazione antecedente alla quattrocentesca chiesa di san Bernardo per la tavola del foro Traiano. Le piante della chiesa di San Bernardo del 1699, conservate oggi nell'archivio dell'Arciconfraternita del Santissimo Nome di Maria, riproducono un edificio a navata unica con tre altari, il maggiore dei quali collocato sulla parete di fondo e dedicato alla Vergine (CasanovaMartini 1962, 8). Su questo altare fu venerata per due secoli e mezzo l'immagine della Vergine, scoperta soltanto nelle festività solenni (Panciroli 1625, 295; Sebastiani 1903, 14, 32). Nel 1694 si insediò nella chiesa di San Bernardo l' arciconfraternita del Santissimo Nome di Maria che, dopo ripetuti ed inutili lavori di restauro, decise nel 1736 di demolire l'edificio e sostituirlo con uno più grande, dedicato al Nome della Madonna (Armellini-Cecchelli 1942, I, 212, 314-315; Casanova-Martini 1962, 21). La nuova chiesa, seppure non ultimata, fu consacrata il 5 settembre del 17 41 e pochi giorni dopo vi fu trasferita l'antica immagine della Vergine (Bombelli 1792, Il, 1765; Sebastiani 1903, 38, 63). La precedente chiesa di San Bernardo fu distrutta soltanto nel 1748 (Armellini-Cecchelli 1942, I, 212), ed è lecito pensare che la tavola vi sia rimasta fino al momento del trasferimento nella nuova sede. In occasione di lavori di restauro

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effettuati all'interno della chiesa del Santissimo Nome di Maria intorno al 1859, la tavola della Vergine è stata momentaneamente trasferita presso il monastero di San Filippo Neri all'Esquilino (Sebastiani 1903 , 42; Mortari 1972a, 4). Lo stato di conservazione della tavola, antecedente alla rimozione delle ridipinture effettuata nell'ambito dell'ultimo restauro, ne ha pesantemente condizionato la lettura. Prima del 1970, infatti, pressocché unanime era l'attribuzione all'inizio del XIV secolo (Teatini 193°4, 786; Casanova-Martini 1962, 68; Garrison 1949, 63 ; Matthiae 1966a [1988], 226), dalla quale divergeva soltanto Cecchelli, che proponeva per primo una datazione tra XI e XII secolo (Cecchelli 1938, I, 122-125, nota 3). Il restauro, quasi contemporaneo, delle tavole del Santissimo Nome di Maria e di Sant'Angelo in Pescheria (-. 41 ) ed il recupero sul mercato antiquario del frammento della Collezione Magnani Rocca (-. 43 ), hanno consentito l'individuazione di un gruppo di immagini mariane con una forte impronta comune, legate a loro volta al trittico del Salvatore di Tivoli e ad una serie di affreschi databili nel primo quarto del XII secolo. Poco si può aggiungere, in questo senso, a quanto già indicato nella scheda relativa alla tavola di Sant' Angelo in Pescheria, alla quale pertanto si rimanda.

e delle spalle della Vergine, la sovrapposizione al manto originale - realizzato con blu di lapislazzuli- di un nuovo strato di azzurrite mista a malachite, il rinnovamento delle decorazioni in oro; un ingrandimento notevole subirono anche le dimensioni del volto e della capigliatura del Bambino, il cui abito era stato inoltre ridipinto di rosso e nero e rinnovato nelle dorature. Le mani di entrambe le figure erano state modificate nel disegno ed ingrandite (Mortari 1972a, 6, 8-9, 11 , nota 18; Ead. 1972b, 7-8). Nei restauri successivi si procedette in sostanza a ritoccare gli strati pittorici ed il fondo oro quattrocentesco, aggiungendo decorazioni ed arricchendo quelle già presenti (Mortari 1972b, 8). Il restauro del 1970, preceduto da una serie di indagini scientificoanalitiche, consistette essenzialmente nella totale rimozione degli strati non originali, compresi i più antichi, nel fissaggio della tela nei punti di scarsa aderenza al supporto ligneo e nel consolidamento degli strati pittorici; non fu eseguita alcuna integrazione (Mortari 1972b, 9). Presso la Soprintendenza Speciale per il Polo Museale Romano, di questo intervento, è stato possibile rintracciare soltanto la perizia che precedette le operazioni di restauro (66/ 1969), nella quale si prevedono: l'esecuzione di radiografie, la pulitura, il consolidamento del colore, la disinfestazione ed il consolidamento del supporto. Scarse tracce documentarie hanno lasciato i restauri precedenti, già segnalate dalla Mortari. L'intervento del 1917 è testimoniato dalla firma dell'esecutore, rinvenuta sul retro della tavola nel 1970 ed asportata (Mortari 1972a, 4; Ead. 1972b, 7). Del restauro del 1864 circa dà , infine, notizia il biografo della Confraternita del Santissimo Nome di Maria (Sebastiani 1903 , 42-44 ; cfr. anche Mortari 1972a, 4), che descrive brevemente le operazioni come ritocchi alla pittura nelle zone particolarmente danneggiate e rinnovamento completo della doratura. La tavola è stata incoronata dal Capitolo Vaticano una prima volta nel 1703 e di nuovo nel 1903 (Casanova-Martini 1962, 68); queste ultime corone sono state riposizionate sul capo della Vergine e del Bambino al termine dell'ultimo restauro, e tuttora vi compaiono.

Documentazione visiva Bombelli 1792, III, 171; Ilaria Toesca ha segnalato la presenza di una fotografia acquerellata dell'icona della Vergine del Santissimo Nome di Maria tra le tavole inedite Wilpert-Tabanelli conservate presso la Biblioteca del PIAC (Toesca 1971 , 9 nota 4).

Fonti e descrizioni Panciroli 1625 , 295 ; Piazza 1698, trattato VI, 442 , 444, trattato VII, 459 ; Carocci 1729, 215; Bombelli 1792, II, 172, 175.

Interventi conservativi e restauri Nelle relazioni seguite al restauro del 1970, Luisa Mortari ha ricostruito le vicende conservative dell'opera, individuando almeno cinque interventi precedenti a quello da lei curato per l'allora Soprintendenza alle Gallerie ed eseguito da Gianluigi Colalucci (Mortari 1972a, 3-10; Mortari 1972b, 7-9). Nella prima metà del Quattrocento, e poi intorno al 17 41 ed al 1864, i trasferimenti della tavola divennero occasione per 'ritocchi' e rifacimenti di notevole entità; nel 1917 e nel 1932 si interveniva nuovamente a reintegrare e sovrapporre strati alla pittura originale (Mortari 1972a, 3-4; Ead. 1972b, 7-8). Le modifiche piii rilevanti furono apportate fin dal restauro quattrocentesco, effettuato in concomitanza con l'esposizione dell'icona nella chiesa di San Bernardo, con l'asportazione ed il rifacimento pressoché totale del fondo oro originario, l'ampliamento delle dimensioni del capo

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SANTI SSIM O N OME DI M ARI A

Bibliografia Sebastiani 1903 , 14, 28-44, 63 , 69-78; Gradara 1918, 90-91 ; Teatini 1934 , 785-786; Cecchelli 193 8, I , 122-125 nota 3 ; ArmelliniCecchelli 1942, I, 314-315 ; II, 1398; Garrison 1949, 63 ; Bertelli 1961b, 88; Casanova-Martini 1962 , 8, 33 , 66-71 ; SS. No me di Maria 1964; Matthiae 1966a [1988] , 226; Dejonghe 1967 , 258261; Toesca 1969a, 8-10, 17 nota 18; Toesca 1969d, 11 ; Toesca 1971 , 3-5 , 9 nota 4, 10 nota 5 , 11 nota 9; Dejonghe 1970, 89, 101 ; Mortari 1972a, 3- 11 ; Mortari 1972b, 7-9; Buchowiecki 1974, 475 ; Capolavori 1984, 15 -16; Gandolfo 1988, 269; Iacobini 1989, 202; Belting 1990 [1 994] , 320; Ba cci 1998, 278; Fondazione MagnaniRocca 2001 , 49-50.

Daniela Sgherri

43. LA MADONNA ODIGITRIA DELLA COLLEZIONE MAGNANI-ROCCA A PARMA Primo quarto del XII secolo

La tavola della Vergine della Fondazione Magnani Rocca di Traversetolo di Parma (inv. 9) è un frammento di un'opera più ampia, ritagliata intorno al busto della Vergine, poco al di sotto delle spalle [l]; il taglio ha provocato la perdita quasi totale della figura del Bambino, della quale sono conservate, in basso a sinistra, l impronta della mano destra benedicente e le dita della mano inistra, poggiate su quanto rimane di un libro rosso. Il capo della Vergine, leggermente inclinato e volto laddove si trovava la figura del Bambino, è coperto da un manto di colore curo, probabilmente azzurro in origine (Toesca 1971, 5); dalla tes ta , il manto scende ad avvolgere le spalle della Madonna e doveva rivestirne l'intera figura . Una linea scura delimita il lato destro del volto, meno visibile rispetto al sinistro a causa della lieve torsione del capo. Le ampie sopracciglia brune contrastano con il tratto sottile del contorno degli occhi, del naso, del mento; i distingue appena il colore rosso delle piccole labbra, mentre ancora evidente è la linea scura nel punto di congiunzione, che si allarga verso le estremità. Piuttosto rovinate le decorazioni dorate, rutte contornate da file di piccole perle bianche: il diadema sulla fronte, i grandi orecchini di forma circolare - parzialmente nascosto dal volto della Vergine quello dell'orecchio destro, l'ampia fascia dorata con al centro un medaglione collocata all'altezza delle palle. Il medaglione contiene, a sua volta, un incavo, probabilmente destinato a contenere delle reliquie e chiuso in origine da una pietra preziosa (Toesca 1971 , 3, 8-9, nota 2). Quasi completamente perduta, infine, la serie di pendagli dipinti agganciati alla fascia: alcuni di essi conservano ancora le due perle bianche poste all'estremità, mentre una successione di piccole lacune ne lascia inruire la grandezza e l'andamento. Il fondo oro che contiene la figura della Vergine è frutto di un restauro antico; tracce della doratura originale rimangono soltanto lungo il contorno del velo e del manto (Toesca 1971, 5). Il lieve aumento dello spessore della tavola in prossimità del bordo superiore induce a ritenere che in origine la cornice fosse ricavata dal supporto stesso.

-ote critiche Individuato sul mercato antiquario a Londra nel 1970, il frammento della tavola con la Vergine fu acquistato pochi mesi dopo dal collezionista Luigi Magnani di Reggio Emilia dietro segnalazione di Ilaria Toesca (Toesca 1971 , 3). Nel 1978 è stata istituita la Fondazione Magnani Rocca, e dal 1990 le collezioni della famiglia _ lagnani sono permanentemente esposte al pubblico presso la \i.Ila di Corte di Mamiano a Traversetolo di Parma, sede della fondazione (Capolavori 1990, IX-XI). I cataloghi della collezione _ lagnani ripropongono , anche nelle edizioni più recenti Fondazione Magnani-Rocca 2001 , 49-50), le notizie pubblicate da Ilaria Toesca in concomitanza con l'acquisizione del dipinto: rimane ignota la provenienza del frammento e non identificata l'opera dalla quale esso fu tratto, una tavola di grandi dimensioni giunta a Londra in epoca imprecisata, forse già incompleta. Un ruolo non secondario nel recupero di questa immagine «priva di storia» (Toesca 1971, 5) ha svolto certamente il restauro della perduta tavola della Vergine di Sant'Angelo in Pescheria (--+ 41 ), che si concludeva proprio nel 1970 sotto la direzione di Ilaria Toesca.

Numerosi riscontri tra le due opere condussero non solo al riconoscimento dell'appartenenza stilistica e culturale del frammento di Parma alla pittura romana tra XI e XII secolo, ma alla proposta di attribuzione agli stessi pittori, Pietro e Belluomo, che firmarono la tavola di Sant'Angelo (Toesca 1971, 3-5 ). È soprattutto quanto resta della figura del Bambino, a rendere possibile il confronto tra le due tavole: nel dipinto della Fondazione Magnani ritroviamo praticamente identiche la mano destra e le dita della sinistra che stringono il libro rosso, sia nella forma che nella reciproca posizione. Più in generale, questa corrispondenza induce a ricondurre il dipinto di Parma alla stessa tipologia iconografica delle tavole di Sant'Angelo in Pescheria(--+ 41 ) e del Santissimo Nome di Maria (--+ 42 ) - la cosiddetta Hodighitria dexià, più rara rispetto alla Hodighitria con il Bambino sul braccio sinistro della Madonna - e ad integrare le parti mancanti del frammento con le altre due immagini romane.

COL LEZIONE M AGNAN I-ROCCA

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Vicine nello stile, ma anche per alcune caratteristiche esecutive nelle dorature, ad esempio, è stato riscontrato l'utilizzo dello stesso tipo di punzone, piccolo e rotondo, con quattro puntini al centro (Toesca 1971, 3-5) - le tavole mariane sono state costantemente messe in relazione tra loro (Mortari 1972a, 6-7; Gandolfo 1988, 269; Iacobini 1989a, 202) ed insieme al Salvatore del duomo di Tivoli possono essere datate nel primo quarto del XII secolo. Se queste pitture sono simili per intonazione coloristica, per l'uso di una linea scura di contorno rapida e sottile, per il modo di raffigurare i caratteri fisionomici e per la scelta delle medesime decorazioni, correttamente la Toesca ha sottolineato anche una sorta di impronta diversa che distingue all'interno del gruppo il frammento della Fondazione Magnani Rocca (Toesca 1971, 6). Questa diversità emerge attraverso alcuni tratti distintivi del volto della Vergine di Parma -il modellato più morbido e volumetrico, il chiaroscuro accentuato, il collo ampio nel movimento della testa, le sopracciglia spesse e pesanti-,--- e va probabilmente attribuita al riferimento ad un modello differente. È forse più di una suggestione l'ipotesi della Toesca, accolta dalla Mortari e da Gandolfo (Mortari 1972a, 6-7 ; Gandolfo 1988, 269), di individuare questo modello nella Madonna Advocata del monastero di Santa Maria del Rosario a Monte Mario, di epoca pre-iconoclasta. Tra XI e XII secolo l'icona di Monte Mario diede origine a Roma a numerose repliche e nel frammento della collezione Magnani sarebbe citata, e con rara efficacia, in un ' immagine di diversa natura iconografica.

Interventi conservativi e restauri Da danni subiti dal supporto ligneo è presumibilmente derivata la riduzione dell'opera originale nel frammento attuale, che misura 70,5 per 42 ,5 centimetri (Toesca 1971, 3). Ad un intervento di restauro antico è stata attribuita l'asportazione e la sostituzione del fondo oro, più recenti - nel 1971 - sono stati invece giudicati l'inserimento sul retro della tavola di tasselli di legno, la pulitura della superficie pittorica e l'integrazione di alcune lacune sul volto della Vergine (ibidem 8-9, nota 2). Nessuno di questi interventi è datato o documentato in alcun modo, e lo stesso vale per alcune operazioni di minore entità : l' assottigliamento della porzione superiore della cornice, successivo ali' eliminazione degli altri tre lati; l'asportazione di due traverse sul retro del dipinto e di ampia parte della fascia dorata sul petto della Vergine (ibidem). Non risulta siano stati eseguiti interventi in occasione dell'acquisizione da parte della Collezione Magnani; il catalogo della Fondazione del 2001 segnala, senza ulteriori indicazioni, un restauro effettuato nel 2000 a Reggio Emilia (Fondazione Magnani-Rocca 2001 , 49).

Bibliografia Toesca 1971 , 3-11; Mortari 1972 a, 6-7; Bertelli 1982, 3 02; Capolavori 1984, 15-17; Gandolfo 1988, 269-270; Iacobini 1989a, 202; Capolavori 1990, 3; Fondazione Magnani-Rocca 2001 , 49-50.

Daniela Sgherri

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COLLEZION E MAG NAN I-ROCCA

-14. LA MADONNA ADVOCATA IN SANTA MARIA IN VIA LATA I quarto XII secolo

La Vergine della chiesa di Santa Maria in via Lata è ritratta secondo il tipo iconografico della Advocata, volta a sinistra rispetto all'osservatore [1]. Il fondo è visibile in due porzioni verticali ai lati della figura, che per il resto occupa completamente lo spazio della raffigurazione; esso presenta oggi una colorazione molto scura, prevalentemente blu, che caratterizza anche il manto della Madonna. Q uest'ultimo doveva essere in origine rosso e la colorazione blu è stata ritenuta i frutto dell'alterazione dei materiali costitutivi della tavola (Brugnoli 1967a, 16); per questa ragione sono ormai difficilmente identificabili non solo le linee nere che definivano le pieghe sulle vesti, ma anche qualsiasi accenno alla volumetria del corpo ed il contorno stesso della figura sullo sfondo. Molto numerose e sostanzialmente ben conservate sono invece le decorazioni dorate: piccoli rombi sparsi ovunque sul manto; la placca a forma di nicchia sulla spalla sinistra; i polsini, impreziositi da due file di perle e da una pietra rossa centrale; il bordo spesso che incornicia anche il volto della Advocata e al quale sono attaccati pendenti di forma ovale, una sorta di frangia appena sotto il collo. Notevoli soprattutto i gioielli dipinti. Sul diadema sono raffigurate le tradizionali pietre

blu e rosse, intervallate da perle delle quali resta però solo il disegno nero; sul ordo superiore sono applicati dischi dorati e al centro svetta una piccola croce. Due altre croci si trovano sul petto, ai lati del grande medaglione centrale, che mostra pietre preziose ed perle sul contorno. La Vergine indossa un anello ali' anulare della mano sinistra e degli orecchini tondi piuttosto grandi, anch 'essi decorati con un giro di perle. Sul fondo , infine, due fiori ad otto petali sono applicati poco sopra le spalle. Del volto è interamente visibile il lato destro, mentre il sinistro è parzialmente nascosto a causa della posizione della figura ; l'incarnato, anche per quanto riguarda le mani, è caratterizzato da una estrema compattezza, difficilmente riconoscibili sono le pennellate e le stesure pittoriche, sebbene la tonalità scura si colorisca leggermente di rosso sotto al mento e sulle guance pesanti, e sia segnata da ombre lungo il lato nascosto del naso ed intorno agli occhi. Sotto le sopracciglia scure, ali' ombra grigia è accostata una linea pienamente in luce e perciò molto chiara, che dà la percezione della convessità della palpebra. Gli occhi sono grandi, delimitati da due tratti curvi non troppo spessi; le iridi marroni lasciano ampio spazio alla parte bianca della sfera, apparendo

SANTA MARIA IN VIA LATA

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forse più piccole di quanto non sia in realtà. Il naso è abbastanza proporzionato rispetto alle dimensioni del volto; il labbro superiore è molto sottile, più stretto e carnoso il labbro inferiore, lambito dal tratto curvo che suggerisce il mento. La grande aureola dorata è liscia e delimitata da una fascia rossa alta circa 1 centimetro. Il nimbo si sovrappone in alto alla incorniciatura dipinta, che corre per tre lati lungo il margine della tavola; questa si sovrappone al fondo blu ed è costituita dall 'accostamento di cerchi rossi , contenenti a loro volta una decorazione floreale stilizzata. Una sorta di piccolo giglio bianco è inserito negli spazi di risulta tra due cerchi. Sul lato inferiore si trova invece una iscrizione a lettere dorate, contenente due appellativi della Vergine; nell'angolo a destra, inoltre, la firma del pittore (Iscr. 1). Le numerose macchie rosse visibili sulla cornice dipinta sono gocce di ceralacca non rimosse in occasione dell'ultimo restauro (Brugnoli 1967a, 17). La tavola misura 90 per 58 centimetri.

Iscrizioni 1 - Iscrizione esegetica disposta a ridosso della cornice, sotto l'immagine della Vergine [2], in una fascia rettangolare, allineata su una riga orizzontale, secondo un andamento rettilineo irregolare. Lettere dorate su fondo blu. Integra. Scrittura capitale.

Fans lucis stela Maris 2 - Sottoscrizione attributiva (firma) disposta a ridosso della cornice inferiore, a destra, priva di spazio grafico di corredo, allineata su tre righe orizzontali, secondo un andamento rettilineo irregolare. Lettere dorate su fondo blu. Mutila. Scrittura capitale.

fel t[rus ?] I p[i]çt[or]



(S. Rie.)

Note critiche L'esistenza di una diaconia dedicata alla Vergine nell'antica via Lata è attestata con certezza dal principio del IX secolo, quando la «diaconia eiusdem Dei genetricis quae ponitur in Vza Lata» compare in un lungo elenco di chiese romane che ricevono donazioni da Leone III (795-816) (LP II, 12, 19). Sempre nel Liber Ponti/icafis, in due diversi passi della vita di Gregorio IV (827-844), si ricorda inoltre che il papa aveva offerto una veste alla diaconia, della quale anche in questo caso viene richiamata l'intitolazione alla Vergine (LP II, 76-77 ). Incerta è, ad ogni modo, l'epoca di fondazione di questo primo oratorio; prevale, con argomentazioni sostanzialmente legate alla datazione dei dipinti murali, l'attribuzione al pontificato di Sergio I (687-701) o comunque tra la fine del VI ed il VII secolo (Cavazzi 1908, 35; CBCR 1967, III, 78; De Spirito 1996, 221-222; Pardi 2006, 30). Il 1049 può essere considerato il terminus ante quem per la costruzione della basilica soprastante l'oratorio; in questa data, infatti, Leone IX depone alcune reliquie nell'altare della chiesa, facendo pensare ad una consacrazione. La chiesa superiore fu demolita nel 1491 ed un nuovo edificio fu consacrato nel 1506; tra il 1639 ed il 1643 fu eretto l'attuale altare maggiore, che accoglie la tavola della Advocata e nella seconda metà del secolo fu rinnovato integralmente l'interno della chiesa, che ha subito ulteriori restauri durante il pontificato di Pio IX (1846-1878) (Cavazzi 1908, 79-84, 105-114; 122-127; CBCR 1967,..III, 73-74; Bertelli-Galassi Paluzzi 1971, 13; Pardi 2006, 36-38). Un'iscrizione marmorea oggi murata sopra la scala di accesso ai sotterranei attesta l'attribuzione dell'immagine della Vergine a san Luca Evangelista ed il suo rinvenimento presso l'oratorio stesso

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SANTA MARIA IN V IA LATA

(«oratorium quondam S. Pauli apostoli Lucae evangelistae et martialis martyris in quo et imago Mariae Virginis reperta sistebat una ex septem a b. Luca depictis») , ma rappresenta in sostanza un tardo tentativo di confermare tradizioni diffuse ed esaltare la santità dell'immagine mariana. Almeno a partire dall'inizio del '500, guide e descrizioni di cose notevoli della città di Roma identificano nella diaconia di via Lata il luogo in cui san Paolo, e con lui il discepolo Luca, avrebbe soggiornato durante la sua permanenza a Roma (tra gli altri Fulvio 1527, f. XCVIIIr-v; Fra Santi di Sant' Agostino 1595 , 55; Panciroli 1625, 357 -3 60); la tavola medievale della Advocata fu perciò naturalmente corredata della patente di opera lucana, e per la sua presunta antichità richiedeva una provenienza dalla chiesa inferiore. Al di là dell'origine apostolica, resta interessante verificare se l'immagine sia mai stata venerata nella primitiva diaconia , rimasta in parte praticabile anche dopo la costruzione della basilica superiore. Le citate guide cinque-seicentesche sono piuttosto vaghe sulla collocazione dell'immagine in quell'epoca: Andrea Fulvio la vede in «eo templo», (Fulvio 1527, f. XCVIII r-v) , Panciroli riferisce che «sta sull'altare Maggiore», (Panciroli 1625 , 360), ma in entrambi i casi non si fa riferimento esplicito ad una delle due chiese. Una conferma all 'ipotesi della appartenenza all'oratorio sotterraneo si legge, invece, in Fra Santi di Sant'Agostino, secondo il quale l'immagine «fino a questo dì si vede in detto oratorio» (Fra Santi di Sant'Agostino 1595 , 55); se così fosse, la tavola dovette essere trasferita nella chiesa superiore non molti anni dopo, dal momento che Martinelli descrive, datandola all'8 maggio 1639, la rimozione dell 'icona della Vergine dall'altare maggiore della basilica per consentirne il rinnovamento (Martinelli 1655 , 160). Vi sarà nuovamente riposta dopo l'incoronazione da parte del capitolo Vaticano nel 1643 (Martinelli 1655, 161; Bombelli 1792, I, 41 ). Martinelli stesso, d'altronde, nella prefazione alla sua narrazione delle vicende della diaconia di via Lata, riferisce di aver visto nell'oratorio sotterraneo «un forarne quadrato con alcuni rampini di rugginoso ferro né lati, il quale serviva né trascorsi secoli per conservare una delle Imagini della Madre di Dio dipinta da San Luca, che hora si conserva nella chiesa superiore». Tra le copie della Madonna di San Sisto, laAdvocata di Santa Maria in via Lata è certamente quella che con più fedeltà riproduce ornamenti e gioielli, veri, applicati in diversi tempi sul modello: il diadema , le decorazioni cruciformi, gli orecchini, l'anello, il medaglione circolare sul petto. Mai come in questo caso uno studio approfondito dei gioielli dell'immagine di San Sisto potrebbe offrire un contributo notevole alla definizione della cronologia del dipinto, ma le poche indicazioni disponibili non rimandano ad epoche di qualche interesse per la datazione della copia medievale. Per il resto, l'immagine di via Lata è invece tra le più lontane dal modello: la pittura luminosa, sciolta, intensa del volto della Advocata Tempuli qui si appiattisce e si salda, rasentando il monocromo; gli occhi si allargano verso il basso in una forma improbabile; il braccio destro della Vergine si solleva su una spalla troppo stretta. Le datazioni proposte per l'icona oscillano nell'arco di quattro secoli. Almeno fino al restauro del 1967, è decisamente prevalente, ed in genere scarsamente motivata , la cronologia tarda: Wilpert propone il XIV secolo, Lavagnina il XIII, Grassi i primi decenni del XIV; Garrison la fine del XIII, Matthiae il 1300 circa (Wilpert 1916, II, 1149; Lavagnina 1938a, 530, nota 2; Grassi 1941, 91 ; Garrison 1949, 69; Matthiae 1966a [1988], 226). Ricorre l'accostamento del dipinto all'immagine della Vergine del Santissimo Nome di Maria (--+ 42 ) - allora ancora gravemente alterata da ridipinture - e il riferimento di entrambe le opere al medesimo artista, per il quale Garrison conia il nome di comodo « Via Lata Master» (Garrison 1949, 33). L'arretramento della datazione negli studi

uno stesso ambito , laddove poi nella Vergine di via Lata subentra, in modo non sempre felice, la ripresa di un diverso modello.

Interventi conservativi e restauri La tavola di Santa Maria in via Lata è stata restaurata nel 1967, a cura della Soprintendenza alle Gallerie del Lazio (perizia 22/ 1967 presso l'arçhivio dei restauri della attuale SSPMR); l'esecuzione dei lavori fu affidata ad Aldo Angelini, la direzione a Maria Vittoria Brugnoli, che in quell 'anno ne ha pubblicato due brevi relazioni (Brugnoli 1967a, 16-17 ; Brugnoli 1967b, 248 ). L'intervento ha interessato in primo luogo il supporto ligneo , disinfestato e consolidato ; si è quindi proceduto al fissaggio d ella tela di preparazione, che risultava in più punti sollevata dalla tavola. La superficie pittorica è stata quindi pulita da vernici e stuccature non originali, risultando , con l'eccezione di alcune mancanze di modesta entità lungi i bordi e sul lato destro del diadema , complessivamente ben conservata. Le lacune sono state integrate a tratteggio. Molto particolare la tecnica esecutiva riscontrata nella preparazione del dipinto: sopra una leggera imprimitura, infatti , è applicata foglia d 'argento brunita, alla quale si sovrappongono lacche rosse per il manto e la più tradizionale tempera negli incarnati, nel disegno delle pieghe e nella cornice. Alla ossidazione della foglia d'argento andrebbe quindi imputato il colore blu attuale del manto. L'intervento ha dimostrato, inoltre, l'autenticità dell'incorniciatura dipinta, discussa in precedenza da Garrison (Garrison 1949, 69); ugualmente originale è risultata l'iscrizione, non solo per quanto riguarda gli appellativi della Vergine ma anche le poche lettere che, nell'angolo destra , identificano il pittore. La tavola presenta quattro grandi fori in prossimità degli angoli, che la Brugnoli spiegava come segni della applicazione del dipinto su un altro supporto (Brugnoli 1967a, 16). Nessuna indicazione si trae dalle relazioni circa la realizzazione del fondo. •·

Documentazione visiva Bombelli 1792, I, 37. successivi al restauro può essere solo in parte attribuito all'intervento cesso, che ha restituito una immagine meglio leggibile ma so tanzialmente identica a quella precedentemente nota; se ancora nella relazione successiva alle operazioni l'abbondanza di decorazioni orate, la scarsa volumetria degli incarnati, le spesse linee nere che identificano i contorni vengono attribuite alla mano di un mosaicista e pingono a collocare il dipinto «non troppo oltre la metà del XIII secolo» (Brugnoli 1967a, 16), Ilaria Toesca inserisce la Advocata di via Lata in tutt'altro orizzonte, nella pittura romana tra fine XI secolo e inizio del XII (Toesca 1969a, 8), che in quegli anni riscopriva anche la tavola di Sant' Angelo in Pescheria (- 41) ed altre immagini ad essa collegate (- 42, 43 ). La presenza, a via Lata come a ant Angelo, della firma di un Petrus Pictor non può spingere di per sé ad assegnare la paternità delle opere allo stesso artista (Toesca 1969a, 8); è però degna di attenzione la somiglianza tra le due iscrizioni, nelle quali il termine Pictor è abbreviato secondo lo stesso · rema grafico , anche se il nesso interessa lettere diverse - CT nel caso di via Lata, TOR nell'icona della Pescheria - (trascrizione in Toesca 1969a, 17 , nota 16). Nel raggruppamento che fa capo ali immagine di Sant' Angelo, la Advocata di via Lata sembra avere rapporti più evidenti con l'icona del Nome di Maria, rifiutati peraltro decisamente da Gandolfo (1988, 269). L'incarnato , ugualmente piatto; il naso regolare e quasi schiacciato verso l'interno; il disegno di alcuni ornamenti possono essere ricondotti forse ad

Fonti e descrizioni Fulvio 1513 , II, s.pp. [64]; Mariano da Firenze 1518 [1931] , 210; Fulvio 1527, 98 r-v; Fra Santi di Sant' Agostino 1595 , 55 ; Flaminio da Colle 1600, 21; Panciroli 1625, 357-360; Aringhi 1651 , II, 390; Martinelli 1653, 252; Martinelli 1655 , prefazione, 3-11, 56-61 , 153-162 ; Bombelli 1792, 37-42.

Bibliografia Muiioz 1905, 21 -22 ; Cavazzi 1908, 42 , 62-70, 82, 122-126; Wilpert 1916, II, 1149; Toesca 1927 [1965] , 1025 , nota 10; Lavagnina 1938a, 530 nota 2; Grassi 1941 , 89-91; Armellini-Cecchelli 1942, I , 580; Garrison 1949, 69; Garrison 1957-1958 , 210 nota 11 ; Matthiae 1966a [1988] , 226; Brugnoli 1967a, 16-17; Brugnoli 1967b, 248; Dejonghe 1967 , 77-79; Toesca 1969a, 6, 8, 16, nota 3, 17 nota 16; Dejonghe 1970, 87, 109, 217-220; Bertelli-Galassi Paluzzi 1971 , 31 ; Gandolfo 1988, 269, 306; Belting 1989, 34 ; Belting 1990, 320; Bertelli 1994, 227-228; Aloisi 1995 , 47 , 49-50; Bacci 1998, 268-269; Romano 2003, 69; Pardi 2006, 14, 16, 18, 39-40.

Daniela Sgherri

SANTA M AR IA IN VIA LATA

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45. IL PERDUTO CICLO DELLA CAMERA PRO SECRETIS CONSILIIS AL PATRIARCHIO LATERANENSE 1122-1124

La parte del ciclo che conosciamo grazie ai disegni del codice Barb. lat. 2738 della Biblioteca Apostolica Vaticana, era composta da quattro scene. Il primo disegno (f. 104r, metà sinistra) [1] mostra un papa in trono, vestito con pallium e phrygium, un libro nella mano sinistra, benedicente con la destra. Due personaggi affiancano il trono, quello di sinistra doveva essere così malridotto che il copista si limita ad evocarne la sagoma. Quello di destra, in posizione leggermente arretrata, porta come il pontefice pallium e phrygium. Ai piedi del trono, un personaggio prostrato fa in qualche modo le veci di un poggiapiedi per il pontefice. Sullo sfondo un'assemblea di vescovi con mitra bicornis. Tra questi alcuni portano il pastorale, altri il tau o una croce processionale. L'iscrizione che accompagnava questa scena, trascritta da Panvinio (1570, 174 ), permette di identificare tre papi: al centro, in trono, Gregorio VII affiancato da Vittore III e Urbano II, e ai piedi del trono l'antipapa Clemente (III), alias Guiberto di Ravenna User. 1). La composizione riportata nella metà destra del foglio ricalca quella del primo: ritroviamo un papa in trono, un personaggio prostrato ai suoi piedi e una folla di vescovi alle sue spalle. La differenza sostanziale consiste nel lungo cartiglio che il pontefice regge con la mano sinistra, su di esso era riportata un 'iscrizione che il copista si limita ad indicare con sei linee di puntini. Un uomo in piedi regge l'altra estremità del cartiglio con la destra e avanza verso il trono. Questo personaggio porta una tunica corta, una corazza, un mantello e una corona. L'oggetto nella mano sinistra non è identificabile. L'iscrizione trascritta identifica il papa con Callisto II, l'antipapa vinto con Gregorio (VIII), ossia Maurizio Burdino de Braga, e il personaggio coronato c"on Enrico V (Iscr. 2). Il terzo e quarto disegno (f. 105v) [2] riprendono lo stesso schema compositivo: in posizione centrale un papa in trono vestito di pallium e phrygium, un libro nella sinistra, il gesto di benedizione con la destra e un uomo prostrato ai suoi piedi. Più indietro un folto gruppo di vescovi, recanti i medesimi attributi visti nei disegni precedenti. I papi e le figure inginocchiate di questi due disegni sono identificabili grazie alle iscrizioni che li accompagnavano trascritte da Panvinio. Nel terzo disegno troviamo Alessandro II e ai suoi piedi l'antipapa Onorio (II) , alias Cadalo di Parma (Iscr. 3); nel quarto, papa Pasquale II e una figura generica che rappresenta i tre antipapi Teodorico di Santa Rufina, Alberto di Sabina e Silvestro (IV), ossia Maginolfo User. 4). Nello stesso codice, un disegno un po' posteriore a Panvinio (f. 103v) [3], forse del XVII secolo, indica che le scene del ciclo dovevano essere incorniciate da un sistema di finta architettura composto da colonne sormontate da archi [3]. Al di sopra delle colonne, alla giuntura degli archi, era inserito un motivo decorativo circolare forse simile alle rosette degli affreschi della chiesa inferiore di San Clemente.

Iscrizioni Le iscrizioni sono interamente perdute, l'edizione dei testi è stata pertanto effettuata secondo le trascrizioni tramandate da fonti storiche, come specificato in apparato. 1 - Didascalia della scena del primo disegno.

Gregorius Vietar Urbanus cathedram tenuerunt I Gibertus cum suis tandem destructi fuerunt

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C AMERA PRO SECRETIS C ONSILIIS / ATLA NTE

I, 17

Trascrizione secondo Panvinio 1570, 174; BAV, Barb. lat. 4423, f. 25r; Rasponi 1656, 289. 2 - Didascalia della scena del secondo disegno.

Ecce Calixtus honor patriae decus imperiale I Nequam Burdinum damnat pacemque reformat Trascrizione secondo Panvinio 1570, 174; Rasponi 1656, 293 . 3 - Didascalia della scena del terzo disegno.

Regnat Alexander Cadolus cadet et superatur I nihilatur Trascrizione secondo Panvinio 1570, 174; Rasponi 1656, 287. 4 - Didascalia della scena del quarto disegno.

Ecclesiae decus Paschalis papa secundus I Albertum damnat Mabinulfum Theodoricum Trascrizione secondo Panvinio 1570, 174; BAV, Barb. lat. 4423, f. 25r; Rasponi 1656, 291.

5 - Iscrizione che riprende il testo del concordato di Worms. Ego Henricus Dei gratia Romanorum Imperator Augustus, pro amore Dei et Sanctae Romanae ecclesiae et domini Papae Callixti, pro remedio animae meae dimitto Dea et Sanctis eius apostolis Petra et Paulo, sanctae catholicae Ecclesiae omnem investituram per anulum et baculum, et concedo in omnibus ecclesijs fieri electionem et liberam consecrationem, possessiones et regalia Beati Petri quae a principio huius discordiae usque ad hodiemum diem sive tempore patris mei sive etiam meo oblata sunt, quae habeo eidem Sanctae Romanae ecclesiae restituo, quae autem non habeo ut restituantur fide/iter eurabo. Possessiones etiam omnium aliarum ecclesiarum et principum et aliorum tam clericorum quam Jaicorum consilio principum et iustitia, quae habeo ut reddantur fide/iter juvabo, et do veram pacem Callixto Papae sanctae Romanae Ecclesiae et omnibus qui in parte eius sunt vel fuerunt et in quibus sancta Romana Ecclesia auxilium postulaverit fideliter iuvabo. Callixtus episcopus Servus Servorum Dei di/ecto !ilio Henrico Dei gratia Romanorum Imperatori Augusto salutem et apostolicam benedictionem. Concedo electioines episcoporum et abbatum Theutonici Regni, qui ad Regnum pertinent, in praesentia tua fieri absque simonia et aliqua violentia, ut si quae inter partes discordia emerserit. Metropolitani et Provincialium consilio ve/ iudicio saniori parti assensum et auxilium praebeas. Electus autem regalia per sceptrum a te recipiat, exceptis omnibus quae ad Romanam Ecclesiam pertinere noscuntur et quae ex his iure tibi debent faciant; ex alijs vero partibus imperi} consecratus infra sex menses regalia per sceptrum a te recipiat, de quibus vero mihi querimoniam feceris, secundum officii mei debitum, auxilium meum prestabo. Do tibi veram pacem et omnibus qui in parte tua sunt vel fuerunt tempore huius discordiae. Datum anno MCXXII decimo kal. Octobris. Trascrizione secondo Panvinio 1570, 175-176.

disegno del foglio 103v che mostra, in ordine cronologico, le due scene dei trionfi di Alessandro II a sinistra e a destra, di Gregorio VII, Vittore III e Urbano II. Queste due scene si trovavano quindi all'inizio del ciclo, seguite dal trionfo di Pasquale e infine dalla rappresentazione del Concordato. Sembra che le trascrizioni di Panvinio siano affidabili, visto che le didascalie riferite ad Alessandro II e Callisto II sono citate in modo identico d Ottone di Freising nella Chronica redatta fra il 1143 e il 1146. Secondo Panvinio l'affresco riproduceva in extenso il testo del Concordato (Iscr. 5). Il testo risulta però troppo lungo per poter essere inserito nel cartiglio retto da Callisto II e Enrico V. E più probabile che solamente le prime frasi apparissero sul cartiglio, il testo completo era verosimilmente riportato in maniera più monumentale in un'altra zona della sala. L'iconografia di questo ciclo colpisce per la forza e la chiarezza del suo messaggio trionfale. Questo aspetto era già stato sottolineato dai commentatori del XII secolo, in particolare Arnolfo di Lisieux e Giovanni di Salisbury. Lo schema scelto e reiterato è quello della conculcatio, sin dall'antichità sinonimo di vittoria e dominio totale sul nemico. Nel Medioevo l'iconografia di un personaggio in trono che calpesta il suo awersario era riservata, per lo meno in Occidente, alle rappresentazioni di Dio e di Cristo secondo il salmo 110: «Sede

a dextris meis, donec ponam inimicos tuos scabellum pedum quorum» (per esempio nel Salterio di Utrecht, Bibliotheek der Rijksuniversiteit,

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ms. 32, f. 64v). Nell'iconografia bizantina si trovano simili esempi di patriarchi trionfanti (vedi il Salterio Pantocrator 61 , BFN, ms. gr. 20, f. 16r) mentre un'illustrazione del Chronicon vulturnense, compilato sotto Gelasio II, mostra san Lorenzo in trono che calpesta Decio (BAV, Barb. lat. 2724, f. lOr). L'organizzazione della scena del Concordato [1] non è priva di ambiguità: in effetti anche se la lettura immediata della scena è quella di due autorità che riconoscono i reciproci privilegi, il fatto che il papa sia rappresentato in trono mentre l'imperatore si trova in piedi al suo fianco introduce un sottile ma innegabil'é rapporto gerarchico fra i due personaggi.

Documentazione visiva Onofrio Panvinio, disegni (1570 ca.) , BAV, Barb. lat. 2738, ff. 103v, 104r, 105v; BAV, Barb. lat. 4423 , f. 25 .

Fonti e descrizioni Sote critiche Il Liber Ponti/icalis (II, 3 22-3 23 ) permette di datare il ciclo al pontificato di Callisto II. Vi si ricorda che Callisto fece costruire nel palazzo Laterano un oratorio dedicato a san Nicola e due sale contigue, delle quali una fungeva da camera di riposo, l'altra era destinata alle udienze segrete (Camera pro secretis consiliis). Sempre condo il Liber Ponti/icalis il papa fece decorare la Camera con una serie di affreschi, menzionati anche da Ottone di Freising, uger di Saint-Denis, Arnolfo di Lisieux, Giovanni di Salisbury e Rodrigo Ximenes arcivescovo di Toledo (cfr. Fonti e descrizioni). L'iconografia del ciclo permette di situarne l'esecuzione fra la conclusione del concordato di Worms (settembre 1122) e la morte del pontefice (dicembre 1124 ). Nel 1747 fu demolita durante il pontificato di Benedetto XIV, la Camera pro secretis consiliis insieme al Triclinium di Leone III e all'oratorio di San Nicola(-> 49). L'ordine delle scene doveva essere cronologico, anche se non è taco rispettato dai disegni. Questa ipotesi è corroborata dalla sequenza delle iscrizioni così come le ha trascritte Panvinio e dal

LP II, 322-323 , 378; Ottone diFreising, Chronica, VII, 34, in MGH SS, ed. Hofmeister, 1912, 303 , 332; Suger de St. Denis, Vie de Louis le Gros, ed. Molinier, 1887 , 95 ; Arnulf de Lisieux, Epist. 21 , ed. Barlow 1939, 30-33; Jean de Salisbury, Epist. 59, in PL CXCIX, 39; Rodrigo Ximenes, MBN, Vitr. 15 n. 5, Hh 144; Panvinio 1570, 173-176; Rasponi 1656, 286-293 .

Bibliografia Gregorovius 1886-1896, IV, 379-380; Lauer 1911, 170-171; Wilpert 1916, I, 171-172 ; van Marle 1921 , 155 ; Ladner 1935, 265-280; Ladner 1941 , I, 190-201; Armellini-Cecchelli 1942, I, 142; Garrison 1955-1956, 172; Waetzoldt 1964, 39; Matthiae 1966a [1988], 65; Toubert 1970 [1990] , 308; Walter 1970; id. 1971; Kitzinger 1972b, 99-100; Nilgen 1981, 3-4; Gandolfo 1988, 271 , 309; Gandolfo 1989, 30; Herklotz 1989a, 145-214; Stroll 1991 , 16-35; Bertelli 1994, 234; Schilling 1998, 416-422 ; Herklotz 2000, 95-152.

]éròme Croisier

CAMERA PRO SECRETIS CONSILIIS / ATLANTE

I, 1 7

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46. IL CICLO STACCATO DALLA CRIPTA DI SAN NICOLA IN CARCERE (PINACOTECA VATICANA) Terzo decennio del XII secolo (1128?)

La Pinacoteca Vaticana conserva ventiquattro frammenti affrescati provenienti dalla cripta di San Nicola in Carcere (inv. 489-493, 495-508, 510-515). Tra di essi troviamo cinque medaglioni orlati da una ghirlanda di foglie, fiori grigio-blu e frutti gialli e arancio su sfondo nero. Il più grande (87 centimetri di diametro ) rappresenta il Battesimo di Cristo (inv. 510) [l]. Sullo sfondo azzurro è rappresentato al centro Cristo in piedi, nudo, il corpo per metà bagnato dalle acque del fiume Giordano, descritto come un monticello nel quale si distinguono quattro pesci a tratti rossi e lumeggiature bianche. La distinzione fra la parte del corpo immersa e quella che resta fuori dall'acqua è definita da una linea nera che segue il contorno della figura a partire dai fianchi. Dallo Spirito Santo in forma di colomba cadono raggi sulla testa del Cristo. Sulla destra, con nimbo giallo-dorato sottolineato da una sottile fascia bianca e da una nera più spessa, san Giovanni Battista, la figura più danneggiata della scena. Sulla sua spalla sono ancora visibili tracce di un indumento azzurro, probabilmente una tunica. Il Battista sembra appoggiarsi ad una roccia ai bordi del fiume e posa la mano destra sulla testa di Cristo. Secondo la descrizione di Crescimbeni (Font. deser.) questo medaglione ornava la volta di una delle tre cappelle della cripta ed era circondato da medaglioni di dimensioni inferiori (ca. 59 centimetri di diametro) raffiguranti Mosè (inv. 508) [2] , Amos (inv. 513) [3], Aggeo (inv. 515) [4] e Geremia (inv. 506) [5]. I profeti sono tutti rappresentati allo stesso modo, a mezzobusto, aureolati, la testa leggermente inclinata (due verso destra, due verso sinistra) e identificati dai nomi a lettere bianche su fondo rosso User. 1-4). Portano un mantello grigioverde sopra una tunica grigia e hanno cartigli con iscrizioni . Il pittore non si è preoccupato di individualizzarli, rappresentandoli tutti come uomini anziani e barbati, con lunghi capelli grigi. Anche questi medaglioni hanno subito piccole perdite sui bordi - i medaglioni di Mosè e Geremia hanno perso parte delle iscrizioni User. 1-4) - ma il più danneggiato resta quello del Battesimo dove più di un quarto della superficie dipinta, essenzialmente la figura del Battista, è andata perduta. Gli altri diciannove frammenti costituiscono parte dell'apparato decorativo della stessa cappella nella quale si trovavano i medaglioni. Sei frammenti rettangolari presentano lo stesso motivo: un uccello posato su un tralcio fiorito (inv. 490,491,492,502,503,504) [6]. Gli uccelli sono disposti in un sistema decorativo composto da un intreccio di cerchi gialli bordati di nero. Incrociandosi i cerchi creano mandorle dipinte di blu oppure losanghe concave color porpora ravvivate da nastri e motivi floreali bianchi (inv. 492). Disegnati a mano libera direttamente sull'intonaco, a volte con un solo tratto giallo, gli uccelli hanno piume blu o marrone, mentre le zampe, le creste e i becchi sono sempre di color arancio. I rami gialli sono abbelliti da boccioli definiti da tratti neri che nella maggior parte dei casi hanno perso il colore d'origine. In alcuni frammenti sono ancora visibili boccioli blu e gialli. Altri due frammenti di forma irregolare (inv. 489, 496) mostrano due fagiani dalla coda grigia chiazzata di rosso. Nella parte inferiore del frammento 489 [7] s'intravede parte di una ghirlanda simile a quelle che ornano i medaglioni. I fagiani, pure dipinti su fondo lasciato a risparmio, sono circondati da foglie e rami fioriti simili a quelli dei frammenti descritti in precedenza.

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Vi sono poi due lunette (inv. 493,505) il cui bordo, decorato in modo simile a quello dei medaglioni dei profeti, si interrompe alla sommità; vi sono dipinte due coppie di uccelli dal piumaggio marrone e giallo disposte ai lati di un cratere grigio riempito di boccioli [8] . Un'altra lunetta (inv. 495) è orlata da una ghirlanda di boccioli gialli e blu, foglie verdi e pallini rossi su fondo chiaro bordata da fasce azzurre. All'interno di questa lunetta, fra cinque foglie verdi, è dipinto un animale fantastico, una sorta di dragone alato color marrone con la testa di leone [9]. Di dimensioni inferiori, le ultime due lunette (inv. 497,498) sono bordate da una fascia bruna ed una arancione; hanno due pavoni - uno rivolto verso destra l'altro verso sinistra - ai lati dei quali sono disposte due rosette composte da punti marroni e un motivo che richiama la forma di una farfalla [10]. Due sezioni provenienti dalle piccole vele della volta riprendono la stessa fascia decorativa delle lunette con i pavoni ma ospitano gru o aironi (inv. 507 , 514). Uno dei due frammenti probabilmente combaciava con un altro elemento decorativo di forma circolare (inv. 507). Sullo sfondo chiaro punteggiato da rosette rosse è dipinto un uccello con le ali spiegate e le zampe strette attorno ad un drappo. Nell 'altra vela (inv. 514), dispiega le ali fra due racemi un uccello color vermiglio, forse da intendere come una fenice piuttosto che una gru [11]. Il frammento è ulteriormente decorato da boccioli e rosette rossi disposti gli uni sui racemi le altre sullo sfondo. Vengono infine quattro frammenti decorativi isolati. Il primo (Inv. 512) , delimitato da una fascia azzurra da una parte e da un nastro giallo e rosso dall'altra, contiene un vaso ornamentale blugrigio sormontato da una composizione di frutti rossi, foglie e rami [12]. Ai lati del vaso, disposti in maniera simmetrica, sono due motivi a forma di fico disegnati in nero e due delfini stilizzati di colore grigioverde con bocca e pinne rosse. Come sempre la decorazione è completata da foglie verdi e boccioli gialli e blu. Il secondo frammento isolato (inv. 499 ), a forma di mandorla, rappresenta un delfino stilizzato. In un frammento di forma irregolare troviamo poi una lepre che balza su uno sfondo cosparso di rami fioriti (inv. 511). Sull'ultimo frammento (inv. 501) è dipinta una testa simile a una maschera, bianca e con turbante, circondata da rosette e ghirlande composte da sfere e coni bianchi e rossi [13]. Sotto di essa si congiungono due delfini il cui capo poggia su un motivo trilobato rosso e verde. Quattro disegni del XVI secolo forniscono ulteriori informazioni riguardo alla decorazione della cripta (BAV, Vat. lat. 5409, ff. 73Ar, 79r; BAV, Vat. lat. 5407, ff. 11-12). Il primo mostra un Cristo vestito con una lunga tunica rossa legato ad una colonna di marmo, flagellato da un uomo vestito con una corta tunica blu [14]. Nel secondo è raffigurata la Crocifissione nella quale il Cristo porta il eolobium e, ai lati della croce, sono disposte due iscrizioni a lettere greche User. 5) [15]. I restanti due disegni mostrano due pontefici nimbati vestiti con pallio rosso su tunica blu, che iscrizioni identificano con Felice IV e Bonifacio IV User. 6, 7) [16-17]; Felice ha un libro nelle mani.

Iscrizioni 1 - Tondo con profeta Mosè Iscrizione identificativa disposta ai lati del profeta, priva di spazio

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grafico di corredo, allineata su due colonne di due righe, secondo un andamento mistilineo verticale e orizzontale. Lettere bianche su fondo rosso. Integra. Scrittura capitale.

"J&:

o v([6 )e; I crov 11 'I8ov 77 µ17 r/71p crov

Trascrizione dal disegno acquerellato, BAV, Vat. lat. 5409, f. 79 . 6 - Felice IV Iscrizione identificativa, perduta.

M/ ol ly/ses

Iscrizione esegetica disposta nel rotolo svolto sorretto dal profeta, allineata su due righe orizzontali, secondo un andamento curvilineo che segue la forma del rotolo. Lettere nere su fondo bianco. Mutila. Scrittura capitale. Fonte del testo: At 7, 3 7.

fr[ophetam] vobis susçi/[tabit de] fr?trib

Felix IIII p(a)p(a) Trascrizione dal disegno acquerellato, BAV, Vat. lat. 5407 , f. 11. 7 - Bonifacio IV Iscrizione identificativa, perduta.

2 - Tondo con profeta Amos Iscrizione identificativa disposta ai lati del profeta, priva di spazio grafico di corredo, allineata su due righe orizzontali, secondo un andamento rettilineo irregolare. Lettere bianche su fondo rosso. Integra. Scrittura capitale.

S(anctus) Bonifatius p(a)p(a) III! Trascrizione dal disegno acquerellato, BAV, Vat. lat. 5407, f. 12. (S. Rie.)

A l lmo/s

Note critiche Iscrizione esegetica disposta nel rotolo svolto sorretto dal profeta, allineata su due righe orizzontali, secondo un andamento curvilineo che segue la forma del rotolo. Lettere nere su fondo bianco. Intera. Scrittura capitale. Fonte del testo: Am 4, 13.

Ecce D(omi)n(u)s exercitu/um gradiens 3 - Tondo con profeta Aggeo Iscrizione identificativa disposta ai lati del profeta, priva di spazio grafico di corredo, allineata su due colonne di due e tre righe, secondo up andamento mistilineo, verticale e orizzontale. Lettere bianche su fondo rosso. Integra. Scrittura capitale. Algj lge/u/s

Iscrizione esegetica disposta nel rotolo svolto sorretto dal profeta, allineata su due righe orizzontali secondo un andamento curvilineo che segue la forma del rotolo. Lettere nere su fondo bianco. Integra. Scrittura capitale. Fonte del testo: Ag 2, 10.

I rn 1 Joco isto dabo I pacem dicit D(omi)n(u)s L emendata in n. 4 - Tondo con profeta Geremia Iscrizione identificativa disposta ai lati del profeta, priva di spazio grafico di corredo, allineata su due colonne di due righe orizzontali, secondo un andamento rettilineo irregolare. Lettere bianche su fondo rosso. Integra. Scrittura capitale.

Hylerel lmilas Iscrizione esegetica disposta nel rotolo svolto sorretto dal profeta, allineata su due righe orizzontali, secondo un andamento curvilineo che segue la forma del rotolo. Lettere nere su fondo bianco. Mutila. Scrittura capitale. Fonte del testo: Gr 11, 19.

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[E]$o quasi agnus mfm/[suet]µs qui portatur

5 - Crocifissione Iscrizione identificativa, perduta. Fonte del testo: Gv 19, 27 .

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Oltre ai frammenti conservati e ai disegni della BAV, la decorazione della cripta di San Nicola in Carcere è documentata anche da brevi descrizioni della fine del XVI e del XVIII secolo. Ciacconio riferisce di una cripta articolata in tre cappelle e decorata con rappresentazioni della Crocifissione, della Flagellazione, e con le figure di Abbondio e Abbondanzio - martiri le cui reliquie erano conservate a San Nicola - di Marco e Marcellino in prigione, di altri martiri coronati i cui nomi già ali' epoca erano andati persi, e infine di Mosè, Geremia, Aggeo e Amos così come « multis figuris hierogliphicis» (BAV, Vat. lat. 5409 , 66r-71r). La disposizione delle scene e dei personaggi non è però specificata. Informazioni complementari sono forni te da Crescirnbeni (Font. descr.), che oltre a menzionare la scena del Battesimo, circondata dai medaglioni dei profeti, e le figure dei pontefici - omesse nella descrizione di Ciacconio - situa i frammenti conservati nella cappella a sinistra dell'entrata della cripta. I disegni riportano parti distrutte della decorazione della cripta e attestano l'esistenza delle figure dei due pontefici e delle scene della Flagellazione e della Crocifissione - quest'ultima è amputata della figura di Pilato segnalata da Ciacconio - nella quale il Cristo porta il colobium. I disegni non forniscono informazioni riguardo all'ubicazione delle varie scene nella cripta e il loro stile non permette di stabilire se gli affreschi che riproducono erano contemporanei ai frammenti conservati alla Pinacoteca Vaticana. Le figure di Felice IV e Bonifacio IV possono essere interpretate come un richiamo alle origini di San Nicola in Carcere, chiesa costruita sui resti di templi antichi; entrambi i pontefici avevano infatti trasformato grandi edifici pagani - Santi Cosma e Damiano e il Pantheon - in luoghi di culto cristiani (Toubert 1970 [2001], 187; Romano 2006). Ricordiamo inoltre che il culto dei due santi pontefici ebbe un momento di grande attenzione all'inizio del XII secolo, epoca del loro ingresso nel calendario romano (Jounel 1977) e l'evento potrebbe essere concomitante alla loro apparizione nei dipinti di San icola in Carcere. Inoltre fu proprio Felice IV a portare nella stessa chiesa le reliquie di Marco e Marcellino, entrambi presenti nella decorazione della cripta secondo la descrizione di Ciacconio. È possibile che le due scene della Crocifissione e della Flagellazione fossero situate sulle volte delle altre due cappelle e che così costituissero, con il medaglione del Battesimo, un ciclo cristologico. Sulla base di questi dati, si può pensare che l'insieme dei frammenti

raccati nel XIX secolo provenga dalla medesima unità decorativa, cioè dalla cappella sinistra. Gli artisti di San Nicola hanno pescato a piene mani nel repertorio decorativo tardoantico e nei frammenti ,·aticani troviamo trasposizioni letterali delle ghirlande di frutti e fio ri che ornavano , per esempio, il perimetro delle absidi paleocristiane dei battisteri ravennati, e ancora i vasi riempiti di fio ri, gli uccelli, i delfini le cui pinne sembrano trasformarsi in racemi, le maschere e i nastri che popolano la pittura e i mosaici antichi. Anche il tema del Battesimo ha un'eco paleocristiana; esiste nella pittura catacombale, e nei battisteri ravennati. Il maggior numero di occorrenze di questo tema si registra però fra X e XI ecolo: il sacramentario di Fulda (SBBa, Msc. Lit. 1, f. 30v) , il salterio di Hitda de Meschede, il Libro delle Pericopi di Echtemach

(BBR, ms. 9428, f. 18v), o il salterio di Limburg (DBK, 218, f. 24r), realizzato alla Reichenau verso la metà dell' XI secolo. Quest'ultimo esempio ha schema iconografico molto vicino a quella di San Nicola in Carcere ed è accompagnato dalla rappresentazione di due fagiani. Per converso, molto rara e raffinata è la scelta di circondare scene della vita di Cristo con i medaglioni dei profeti: nel corso del XII secolo la si ritrova solo negli ambienti "sotterranei" sotto il Sancta Sanctorum (- 35). Com'è stato dimostrato da Hélène Toubert (1970) il riferimento a fonti paleocristiane non è limitato al solo repertorio ornamentale ma riguarda anche la disposizione dei motivi, articolata su uno schema antichizzante; e il richiamo è anche tecnico, perché gli affreschi sono dipinti direttamente sull 'intonaco , lasciato a

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risparmio come vuole la tradizione antica. Considerando l'esempio di uno dei pannelli decorativi della basilica inferiore di San Clemente (----> 21 b. 2) e del disegno che riproduce le pitture del portico di San Lorenzo fuori le mura(----> 24), sembra ~erosimile che le zone decorate con il motivo dei cerchi abitati da uccelli costituissero lo zoccolo decorativo della cappella; resta invece in dubbio se esse fungessero da zoccolo alle figure dei pontefici, o se fossero sormontate dalle altre zone decorate a motivi vegetali

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e animalistici, che certamente incastonavano anche i medaglioni della volta, in speciale risalto questi ultimi per i toni porpora e azzurri dei colori. Altri motivi animalistici erano poi quelli delle lunette, in cui nastri e ghirlande avevano anche la funzione di sottolineare la struttura architettonica. Com'è stato sottolineato (Toubert 1970, Iacobini 1989a), nei cartigli dei profeti - ad eccezione di quello di Mosè - si trovano iscrizioni tratte da testi a loro attribuiti, e queste citazioni sono

state interpretate come allusioni ai grandi avvenimenti della vita di Cristo . Il testo di Aggeo User . 3) è considerato come un annuncio dell 'arrivo del Messia, quello di Mosè è una citazione User. 1) e si riferisce all'Incarnazione, quello di Geremia alla Passione (Iser. 4), mentre la citazione di Amos evoca l'Ascensione (Iser. 2). La complessità iconografica e la centralità del Battesimo di Cristo sono state, a ragione, messe in relazione con la liturgia stazionale che toccava San Nicola in Carcere. Il papa vi officiava il sabato in mediana , ossia la vigilia della domenica di Pasqua, giorno durante il quale i catecumeni partecipavano ad una celebrazione di importanza capitale nella preparazione al battesimo. Accogliendo annualmente questa cerimonia, San Nicola divenne un luogo chiave nel percorso dei catecumeni che si preparavano ad entrare ufficialmente nella vita cristiana . L'importanza di questa stazione spiegherebbe la scelta di recuperare, in un'epoca che gli scritti della Toubert hanno definito come 'rinascita

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paleo cristiana', i modelli decorativi proposti dai battisteri paleocristiani. I medaglioni della cripta sono stati considerati da Matthiae ( 1966a) come manifestazioni di manierismo bizantino; Edward Garrison 11957-1958 , 183-184 ) ha proposto confronti stilistici con l'evangelario E. 16 della Biblioteca Vallicelliana, con i busti degli apostoli della cripta di San Pietro a Tuscania e con le scene narrative dei pannelli laterali del trittico del Salvatore del Duomo di Tivoli. Il confronto con la tavola di Tivoli è particolarmente parlante, poiché vi si ritrova lo stesso linearismo, il leggero inclinarsi delle t te, il gusto per la minuzia dei dettagli e un disegno unito e agile, le cui premesse sono nelle esperienze pittoriche di San Clemente e di Ceri. Questa filiazione si afferma chiaramente nelle figure dei pe ci, praticamente identiche a San Clemente (- 2la.2), a Ceri e a San Nicola in Carcere. Quando invece il tratto si scioglie in colpi di pennello che richiamano la pittura su tavola - pensiamo all 'icona del Santissimo Nome di Maria (- 42 ) - o addirittura la miniatura, la pennellata di San Nicola ricorda quella della vicina ba ilica di Santa Maria in Cosmedin, altro importante teatro del revival paleocristiano (- 40). In ragione del loro supposto bizantinismo gli affreschi sono stati a volte datati verso la metà del XII secolo se non addirittura al XIII. La datazione più probabile resta quella proposta da Vincenzo Golzio (1928) che collega gli affreschi alla nuova consacrazione dell'edificio celebrata nel 1128 da Corrado di Suburra sotto il pontificato di Onorio II. Gli evidenti riferimenti a modelli paleocristiani così come la ripresa formale di motivi e schemi analoga ad altri importanti cantieri della Roma della fine dell'XI o dell'inizio del XII secolo fanno pensare a una personalità vicina agli ambienti riformisti. Come detto in precedenza, nella cripta di San Nicola troviamo la stessa serie di motivi che compongono gli zoccoli di

uno dei pilastri della basilica inferiore di San Clemente (- 21 d. 3) e di uno degli affreschi perduti del portico di San Lorenzo fuori le mura (- 24 ); il motivo della maschera si ritrova nei fregi dipinti di Santa Maria in Cosmedin e dei frammenti del sottotetto di San Clemente (-39, 40) mentre le ghirlande vegetali trovano un importante parallelo nell'abside di San Clemente (-32 ). La chiesa di San Nicola si trovava accanto alla residenza della famiglia Pierleoni, considerata come la loro chiesa di famiglia. Già suggerito fra i possibili ideatori del programma decora.tivo dalla Toubert, Pietro Pierleoni è nuovamente chiamato in causa da Iacobini (1989a, 202 ). Il futuro Anacleto II, nel corso del terzo decennio del secolo diventa cardinale prima di Santi Cosma e Damiano e poi di Santa Maria in Trastevere: è molto probabile che dietro alla decorazione di San Nicola in Carcere si celino le idee e il gusto di questo personaggio chiave della Roma del XII secolo.

Interventi conservativi e restauri 1466: il cardinale di San Nicola, Rodrigo Borgia, fa murare l'accesso alla cripta. Il cardinale Federico Borromeo lo farà riaprire solo alla fine del secolo successivo. 1855-1860: distacco e restauro dei dipinti a cura di Pellegrino Succi. I frammenti furono ospitati al Museo Lateranense e nel 1926 entrarono nella Pinacoteca Vaticana. 1930: il Laboratorio di Restauro delle Pitture dei Musei Vaticani eseguì una prima revisione del restauro e altri interventi furono eseguiti. 1983: sono stati restaurati i frammenti con numero di inventario 492,499,503,504 , 512, cui è stato applicato un nuovo supporto, con pulitura e restituzione estetica. Il Direttore dei lavori fu Fabrizio

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Mancinelli, Capo restauratore Gianluigi Colalucci, restauratore incaricato Giuseppe Segoni. 1998-2000: restauro dei frammenti restanti con l'applicazione su nuovo supporto, pulitura e restituzione estetica. Direttore dei lavori: Arnold Nesselrath. Capo restauratore: Maurizio De Luca, restauratore Fabio Piacentini.

Antichità e Belle Arti, b. 300, fase. 3597 ; G aspare Servi (1855 ), ASVR, Capitolo della Chiesa di 5. Nicola in Carcere, t. 100, Lavori di restauro della basilica, Il, 1851-1865; Gaspare Grifi (1855-1870), ASR, Ministero dà Lavori Pubblici; Industria, Agricoltura, Commercio, Belle Artz; Monumenti, 1855-1870, sez. 5, tit. 1, art. 1, b. 359/ 6.

Documentazione visiva

Bibliografia

Alfonso Ciacconio, disegni acquerellati (1590 ca.), BAV Vat. lat. 5407 , ff. 11-12 (pontefici); Alfonso Ciacconio, disegni acquerellati (1591 ), BAV Vat. lat. 5409 , ff. 73Ar, Ar, 79r (scene cristologiche); copie dei precedenti, BAM, F. 221 , inf. 2, ff. llr-12v.

Canina 1850, 355; Marucchi 1898, 177 -178; van Marle 1921, 164-165 , 170; Marucchi 1922 , 200; van Marle 1923 , 187; Golzio 1928 , 22 , 44-51 ; Muratov 1928 , 137 ; Magnani 1931-1932 ; Armellini-Cecchelli 1942, II, 765-771 ; Garrison 1953-1954, 24; Garrison 1955-1956, 23, 25; Garrison 1957-1958, 183-184 , 187189, 192 , 194, 197; Golzio 1963 , 186; Matthiae 1966a [1988], 111 ; Garrison 1970, 138; Proja 1970; Toubert 1970, 112-122, 153 ; Buchowiecki 1974, 393-394; Volbach 1979, 11-17; Krautheimer 1980 [198 1] , 232 ; Mancinelli 1982 , 134 -135 ; Mancinelli 1983, 81-84; Gandolfo 1988, 259; Gandolfo 1989, 26; Iacobini 1989a, 197-204; Stroll 1991 , 100-105 ; De Strobel 2002 , 79-81 ; Ri ccioni c.s. a; Romano 2006.

Fonti e descrizioni Alfonso Ciacconio (1591) BAV, Vat. lat. 5409, 66r-71r; Torrigio 1639, 411-414 ; Giovanni Mario Crescimbeni (1717), BAV,Archivio di 5. Maria in Cosmedin, XIII-9, 239, 261-262 ; Luigi Grifi (1853 ), ASR, Archivio del Camerlengato, Antichità e Belle Arti, b. 300, fase . 3597 ; Gaspare Servi (1854), ASR, Archivio del Camerlengato,

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Filipe Dos Santos

47. LA MARIA REGINA CON BAMBINO NEL TRANSETTO SINISTRO DI SANT' ANASTASIA econdo quarto del XII secolo

I resti di una nicchia o di un'absidiola, nella parete situata dietro

r altare del transetto sinistro di Sant' Anastasia, conservano i frammenti di un affresco raffigurante la Vergine e il Bambino [l] . olo i volti dei due personaggi sono ancora chiaramente leggibili. La Vergine dipinta in posizione frontale su uno sfondo giallo ha una corona di perle ed una tunica color porpora; decorato di perle è anche il motivo della scollatura. Il Bambino , con il nimbo crucisignato, sembra seduto sulle ginocchia della madre. Nella zona superiore dello sfondo azzurro si distinguono ancora le tracce di una fascia gialla che incorniciava la rappresentazione e i resti elio schienale di un trono.

_-ote critiche È molto probabile che il frammento ritrovato sia identico alla pittura menzionata da Filippo Cappello nel transetto sinistro («Si ,·enerava ancora in questa istessa Cappella un 'antica Immagine ella Beata Vergine dipinta in una Nicchia del Muro , la quale secondo le notizie, che sono in archivio, si presuppone fosse molto antica», Cappello 1722 , 19; vedi anche Crescimbeni 1722, 23 ). a appartiene al gruppo iconografico della Madonna Regina con Bambino, di cui il Medioevo romano offre un buon numero di · portanti esempi. L'allineamento verticale delle figure della Vergine e del Bambino rinvia agli affreschi di Santa Maria Antigua - che si rrarti della Madonna regina del primo strato del palinsesto o del ~ ento dell'atrium - alla tavola della Madonna della Clemenza, al dipinto nella nicchia della parete destra della basilica inferiore · an Clemente e alla Madonna del battistero della stessa San G emente (-+ 7) o a quello della nicchia di Sant'Ermete (-+ 11 ), ì come ad opere perdute ma documentate come la Madonna Regina di San Lorenzo fuori le mura (BIASA, Racc. Lane., Roma XI.45 .III, f. 34) o alla Vergine dell'oratorio di San Nicola al Laterano -, 49), a sua volta copia della Madonna della Clemenza. Come in questi esempi, la figura mariana di Sant'Anastasia era probabilmente seduta su un trono gemmato, accanto al quale erano fo rse disposti due angeli e/ o due santi. La totale assenza di ocumentazione non permette di stabilire il tipo di programma nel q uale si inseriva questo frammento : forse si trattava di un 'immagine non inserita in un più vasto contesto iconografico, · to che il volume ridotto della conca assomiglia a quello di nicchie o piccole absidi, come a San Lorenzo, Santa Maria Antigua o -ant'Ermete. Il frammento conservato ha una tavolozza limitata: giallo, porpora, bianco e color carne. Il pittore ha prestato maggiore attenzione alla modulazione dell'incarnato e all'ornamentazione della corona e del collo della veste della Madonna. È un gusto che si inscrive nel filone del pannello raffigurante tre santi a Santa Maria in Pallara -+ 29) e non è distante dal trattamento pittorico dei dipinti ell'oratorio mariano di Santa Pudenziana (-+ 30). Vi si ritrovano lo tesso rilievo cromatico dei volumi del viso, la stessa maniera di ottolineare i tratti con una linea scura, che segna il setto nasale, i bordi inferiori del naso e l 'incavo del mento delle figure, le pennellate decise che scavano profondamente le palpebre e l'arcata -opraciliare. Nel collo delle figure è segnata la stessa ombra a

mezzaluna e labbra e guance sono ravvivate da tocchi scarlatti. Le figure delle sante e degli angeli del corteo dell'abside di Castel Sant'Elia e quelle della Vergine e del Bambino di Santa Pudenziana sono certamente le pitture che più si avvicinano al frammento di Sant' Anastasia, che tuttavia appare meno fluido sia nella forma che nei tocchi di colore; si tratta certamente di un 'altra bottega, ma una leggera posteriorità cronologica è anche ipotizzabile. Questa cronologia potrebbe inquadrarsi in quella proposta da Krautheimer e Claussen per la prima fase medievale di lavori nella basilica, durante la quale il prete cardinale Azo (1134/ 351139) fece fare un certo numero di interventi nel presbiterio e nella zona del transetto (CBCR 1937, I, 43-63 ; Claussen 2002 , 68, 77). Non è dunque impensabile che la decorazione del transetto abbia fatto parte della campagna di rinnovamento della zona presbiteriale della chiesa.

Fonti e descrizioni Cappello 1722, 19; Crescimbeni 1722, 23.

Filipe Dos Santos

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48. LA DECORAZIONE PITTORICA DEL COSIDDETTO ORATORIO DI SAN GIULIANO IN SAN PAOLO FUORI LE MURA Terzo-quarto decennio del XII secolo

Gli affreschi si estendono su tre pareti dell'ambiente noto come 'oratorio di san Giuliano' , o cappella del Martirologio [1]. Al centro della parete settentrionale, nella parte bassa parzialmente danneggiata, appare una Crocifissione [2] nella quale il Cristo, con perizoma azzurro e giallo, è affiancato a sinistra dalla Vergine avvolta in un mantello blu e nel gesto dell'intercessione, e da Longino in uniforme romana, una lancia in mano; a destra san Giovanni in manto giallo, anch'egli nel gesto dell'intercessione, e Stephaton vestito di rosso con una lancia. Nella parte superiore del riquadro, tra dieci figure d' angeli in manto porpora, i simboli del sole e della luna: un disco rosso e uno bianco. A destra e a sinistra della Crocifissione, due riquadri rispettivamente con la figura molto dilavata di san Pietro con le chiavi, vestito di rosso, e san Paolo in manto rosso su tunica verde [3]. Entrambi, in piedi vicino ad una palma, tengono un cartiglio verticale le cui iscrizioni sono oggi perdute. La parte superiore della parete orientale è divisa in due riquadri. Nel primo, a sinistra, sono rappresentati frontalmente sei apostoli separati da palme [4]. Quattro di loro sono ancora identificabili dagli attributi, ma anche dai nomi iscritti sulla fascia rossa alla base del riquadro (Iscr. 1-4). Da sinistra a destra: Andrea con una croce, Giovanni evangelista, Giacomo minore con il follone e il globo monogrammato, Tommaso e Giuda Taddeo entrambi con la lancia e il globo, e infine Mattia con in mano un modellino di una chiesa con campanile [5]. Tutti reggono cartigli srotolati in verticale, con iscrizioni solo parzialmente leggibili (Iscr. 5-10); fa eccezione s·an Giovanni, il cui cartiglio ha andamento orizzontale. I personaggi del secondo riquadro sono anche identificati da iscrizioni [6]: da sinistra, san Timoteo con tunica e manto, santo Stefano [7], san Lorenzo e san Cesareo in abiti clericali e separati da alberi che si intravedono appena (Iscr. 11-14). Seguono quattro figure molto danneggiate: agli estremi, san Giuliano e la moglie Basilissa, al centro san Celso accompagnato dalla madre Marcianilla (Iscr. 15-18). Le due donne hanno il capo coperto da un velo rosso. La parete occidentale è organizzata in modo simmetrico a quella orientale. Nel riquadro di destra [8], estremamente danneggiato e ridotto spesso al solo disegno preparatorio, si trova la seconda metà del collegio apostolico: i singoli apostoli non sono più identificabili, causa la pessima conservazione e la perdita delle iscrizioni. La composizione era simile a quella della parete opposta, gli apostoli erano separati da palme e reggevano cartigli. Nel secondo riquadro [9], da sinistra a destra, due sante, probabilmente le vergini romane Pudenziana e Prassede disegnate da Seroux d'Agincourt (BAV, Vat. lat. 9849, f. 69r [10] ), e sei santi, cinque dei quali tonsurati e con il libro; il primo di essi è tuttavia vestito da laico, con una tunica riccamente decorata al bordo. L'ultimo è anch'egli vestito da laico, ma non è tonsurato e non ha il libro. Due di essi sembrano diaconi, altri due potrebbero essere vescovi, anche se privi di pastorale e mitra. La quarta parete doveva essere anch'essa decorata, ma ne sussiste solo un minimo frammento di cornice rossa. L'apparecchio ornamentale che inquadra i pannelli è composto da fasce rosse e da una serie di fregi, geometrici o vegetali, ripartiti simmetricamente nella sala: bande monocrome gialle, verdi e rosse, fasce di perle, fregi con girali vegetali e floreali, ghirlande fiorite e fusti floreali gialli su fondo nero abitati da uccelli.

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La parte inferiore della decorazione della sala consisteva in una serie di medaglioni, di cui sono conservati solo quattro sulla parete orientale [11]: vi sono rappresentati quattro busti - due di essi sono parzialmente deteriorati- di santi pontefici, inseriti in clipei a sfondo blu stellato, bordati di rosso e profilati di bianco, di cui è identificabile solo il papa Ilario (Iscr. 19). Fra i medaglioni erano inoltre inseriti motivi vegetali e floreali sotto i quali apparivano secondo il disegno del Vat. lat 9071, f. 254 [12] - busti di santi abati contenuti in lunette [13], di cui sopravvivono solo due, oggi sulla parete occidentale. Segnaliamo infine che, ad eccezione di Longino e Stefaton, tutte le figure sono aureolare.

Iscrizioni 1-4 - Iscrizioni identificative disposte sotto i santi, in una fascia rettangolare, allineate su una riga orizzontale, secondo un andamento rettilineo irregolare. Lettere bianche su fondo rosso. Scrittura maiuscola romanica. 1 - Sant'Andrea, mutila: $(anctus) [An]dre? 2 - San Giovanni, integra: S(anctus) f 9han{l~S 3 - San Giuda Taddeo, integra: S(anctus) !uda 4 - San Mattia, mutila: [S(anctus)] Mathias

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5 -1 O - La trascrizione delle iscrizioni disposte nei rotoli sorretti dai santi risente del pessimo stato di conservazione. L'indagine conoscitiva è stata eseguita solo a distan za, integrando le informazioni sulla base delle riproduzioni fotografiche. Nella tra scrizione dei testi si è ritenuto , pertanto, di limitare gli interventi critici (integrazioni o scioglimenti di abbreviazioni) ai casi che sono apparsi più attendibili. Si ritiene che un esame autoptico ravvicinato possa rivelare una migliore leggibilità dei cesti esposti.

5 - Iscrizione esegetica disposta nel rotolo sorretto da sant'Andrea, allineata su nove (?) righe orizzontali, secondo un andamento rettilineo irregolare. Lettere nere su fondo bianco. Lacunosa. crittura maiuscola romanica. [- - - - - -] I ~ +++ I U(- - -) Cf[-}$1[-JSG[- - -] I +ave[ - - -] I fJ~[- - -] I [- - - - - -] I +?JJ I [-}f[- - -] 6 -Iscrizione esegetica disposta nel rotolo sorretto da san Giovanni, allineata su nove (?) righe orizzontali secondo un andamento rettilineo irregolare. Lettere nere su fondo bianco. Lacunosa. crittura maiuscola romanica.

[- - - - - -] I [- - -]N I ++9y?[- - -] 7 - Iscrizione esegetica disposta nel rotolo sorretto da san Giacomo maggiore, allineata su nove (?) righe orizzontali secondo un andamento rettilineo irregolare. Lettere nere su fondo bianco. Lacunosa. Scrittura maiuscola romanica.

[- - - - - -] I t~Pt?+l)~/++J;[- - -] I ++~[- - -] I i;t9rp?flJ..+J;+Q[- - -?] I ]?"1f [- - -?] i f +~[- - -] I W

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8 - Iscrizione esegetica disposta nel rotolo sorretto da san Tommaso, allineata su undici (?) righe orizzontali, secondo un andamento rettilineo _irregolare. Lettere nere su fondo bianco . Lacunosa. Scrittura maiuscola romanica.

13 - San Lorenzo, integra: S(anctus) Laurentius 14 - San Cesareo, integra: S(anctus) Cesariu$ 15 - San Giuliano, mutila: S(anctus) Iu[Jianus] ?+

Y[- - -J I J;J[- - -]!9+ ! +[- - -] ! [- - - - - -] ! [- - -J+ l +If r··}f I +[- - -] $ç(- - -) I p +pµfµ(s) I f$!9 + 9 I ~ Y{} I +Tfi. +$P

9 - Iscrizione esegetica disposta nel rotolo sorretto da san Giuda Taddeo , allineata su dieci (?) righe orizzontali, secondo un andamento rettilineo irregolare. Lettere nere su fondo bianco. Lacunosa. Scrittura maiuscola romanica. [- - - - - -] I [}9{} rp9/rf(s ?) f$!fl!f µ99(- - -) I !P!l(- - -) +++ I çlfç! [- - -] I !1!1?+ I [- - - - - -] I D(oml)pj p(ost)ri i [- - - - - -]

10 - Iscrizione esegetica disposta nel rotolo sorretto da san Mattia, allineata su nove (?) righe orizzontali, secondo un andamento rettilineo irregolare. Lettere nere su fondo bianco . Lacunosa. Scrittura maiuscola romanica.

16 - San Celso, integra: S(anctus) Celsu(s) puer 17 - Santa Marcianilla, integra: S(an)c(t)a Marcianilla I mater 18 - Santa Basilissa, integra: S(an)c(t)a Basi/iss? 19 - Sant'Ilario Iscrizione identifica tiva, disposta a destra e a sinistra del capo del santo, allineata su due righe orizzontali, secondo un andamento rettilineo irregolare. Lacunosa. Lettere bianche su fondo verde. S(anctus) I YJ?l lrius

Integrazioni secondo Seroux d' Agincourt, BAV, Vat. lat. 9849, f. 68.

In !19 I co(m)plet? I $?!1rJ? f$t I 1J1[- - -] rµ(- - -) I dµ ++~ ++lp9$ [- - -] I [- - - - - -] I 9!1? rp[-]$1$!1$ f,.p[a ?](s!?[sius ?] [- - -] ·

(5. Rie. )

Note critiche 11-18 - Iscrizioni identificative disposte sotto i santi, in una fascia rettangolare, allineate su una riga orizzontale, secondo un andamento rettilineo irregolare. Lettere bianche su fondo rosso. Scrittura maiuscola romanica.

..

11 - San Timoteo, integra: S(anctus) Tymotheus 12 - Santo Stefano, integra: S(anctus) Stephanus

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Il cattivo stato di conservazione è stato molto probabilmente all 'origine della scars a attenzione di cui il ciclo pittorico del cosiddetto 'oratorio di San Giuliano' è stato finora oggetto. Anche la denominazione dell'ambiente non sembra affidabile, e deve risalire a non prima del XIX secolo. Prima di questa data, non ci sono descrizioni o fonti che menzionino l'ambiente, e bisogna notare che quando l'Ugonio cita un 'oratorio di san Giuliano e Celso', si riferisce ad un altro ambiente, una cappella «alla quale si soleva scendere per alcuni gradi» (Ugonio 1588, 237 ) chiusa e

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coperta nel 1557, situata in prossimità della curva dell'abside (Bosio 16]2, 147 ; Pesarini 1913, 310). Un 'altra denominazione, anch'essa attestata nell'Ottocento (Barbier de Montault 1866, 39), era quella di 'cappella del Martirologio': il dato potrebbe aprire uno spiraglio per comprendere quale fosse la reale destinazione originaria della sala. Ogni riunione del capitolo della comunità monastica cominciava infatti con la lettura del Martirologio: non sarebbe impossibile pensare che il cosiddetto oratorio di san Giuliano sia stato in realtà la sala capitolare del convento, come sembrerebbe confermare anche l'ubicazione tra la basilica e il chiostro. Argomenti importanti per definire la destinazione e la funzione dell'ambiente possono venire poi dalla lettura del programma iconografico. In esso, la Crocifissione occupa un posto del tutto centrale: la coincidenza con le scelte iconografiche abituali alla decorazione delle sale capitolari, ancorché in epoca più tarda, è rilevante (Gardner 1979; Boskovits 1990; Stein-Kecks 2004). Attorno al tema della Croce, inoltre, il programma sviluppa un discorso complesso sulle gerarchie e sugli esempi di vita proposti ai monaci (Dos Santos c.s.) . La distribuzione dei gruppi tematici avviene in modo semplificato, tramite l'allineamento paratattico delle figure in due serie di due pannelli, ognuno contenente un certo numero di personaggi, separati da palme o alberi. In questo modo, le figure sembrano convergere verso la parete di fondo , dove appare la movimentata Crocifissione. Del tutto ordinata la distribuzione delle figure degli apostoli, capeggiati da Pietro e Paolo, nei due pannelli più vicini ad essa; gli altri due, invece, hanno una composizione più disparata, e ammettono al loro interno ulteriori ri artizioni e raggruppamenti tematici di personaggi. Le 'categorie' sono quelle che compongono la Chiesa: i diaconi, i martiri, i santi, le sante vergini; la gerarchizzazione non avviene solo all'interno dei pannelli, ma va a includere lo spazio dell'intera parete, perché al di sotto dei

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ranghi dei personaggi nei pannelli, dunque nel registro sottostante, le lunette accolgono altri gruppi di personaggi, i santi pontefici e i santi abati. Questa rappresentazione per gruppi si imponeva evidentemente allo sguardo dei monaci-spettatori, che trovavano fisicamente posto al di sotto delle fasce dipinte ed erano i destinatari della 'lezione' gerarchica dipinta. La scelta dei personaggi che integrano le serie degli apostoli riserva altri motivi di interesse. Sulla parete ovest, il filo logico tra le figure di Timoteo, prete di Antiochia, e dei tre diaconi Stefano, Lorenzo e Cesareo mette in evidenza le figure dei santi diaconi martiri, e riserva ~~ posto a Timoteo, prete di Antiochia, le cui reliquie erano conservate nell' altar maggiore della basilica (Pesarini 1913 , 407). Le reliquie dei quattro santi che seguono, quelle di Giuliano, Celso, Marcianilla e Basilissa, protagonisti della medesima passio (AASS, Ianvarii, I, 570-588) , erano anche conservate nella basilica, nel sopra citato oratorio dedicato a Celso e Giuliano, menzionato da Ugonio e situato in corrispondenza dell'abside. Il testo della passio narra come Giuliano, che progetta in segreto di rimanere vergine, viene costretto dalla famiglia a contrarre matrimonio con Basilissa. Convince quindi la sposa a non consumare il matrimonio; alla morte dei genitori, la coppia fonda due monasteri, uno maschile e l'altro femminile. Durante le persecuzioni di Diocleziano e Massimiano, Giuliano viene denunciato al governatore Marciano, e in prigione converte Celso, figlio del governatore, e sua madre Marcianilla. La ragion d 'essere delle figure dei quattro santi all'interno del programma dell' 'oratorio' si radica senza dubbio nella presenza delle reliquie nella basilica: ma il tema della verginità prescelta anche all'interno del matrimonio ha significative assonanze con altri casi agiografici di questo momento storico, e specialmente con la storia di Alessio rappresentata nella chiesa inferiore di San Clemente(-> 21 d.2). Il ciclo, la cui quarta parete è oggi del tutto perduta ma era, ali'origine, verosimilmente anche dipinta (cfr. Int. cons.) , è certamente frutto di un programma unitario, ma la sua realizzazione pittorica è opera di una bottega piuttosto composita, e di qualità variabile, che le condizioni conservative ulteriormente impediscono di \>"alutare. Già avvertita negli studi (Parlato-Romano 1992 [2001], 105), la presenza di numerosi pittori non offre solo dati di variazione stilistica e di uso di modelli, ma ha anche un risvolto tecnico, accuratamente registrato nel corso del recente restauro effettuato a cura del

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Laboratorio di Restauro dei Musei Vaticani. Le osservazioni dei restauratori hanno infatti rivelato che sulle tre pareti sopravvissute i pittori impiegarono un ventaglio differenziato di moduli facciali , e trasferirono i loro modelli in modo non univoco, usando in maniere variate il bianco san Giovanni, intervenendo dapprima con le linee scure e poi rialzando con i colori chiari, o viceversa. Queste procedure non sono sorprendenti, e possono coesistere nell'ambito di un gruppo omogeneo di maestri; ma determinano effetti finali diversi, che sono visibili a occhio nudo quando si osservino le figure. Le differenze non sono però sufficienti per ipotizzare provenienze disparate dei maestri: la loro cultura di base è sostanzialmente omogenea, e nasce dalla tradizione romana della fine dell'XI secolo e dei primi due decenni del XII, radicata nei monumenti-cardine della pittura romana di questi anni, dai dipinti della chiesa inferiore di San Clemente fino al ciclo di Castel Sant'Elia. Le varie flessioni sperimentate nei cantieri di pittura murale di Roma e dei dintorni - oltre a quelli già citati, vanno almeno aggiunti i casi di Santa Pudenziana (-> 30) e di Ceri - sono tutte riconoscibili nei dipinti dell' 'oratorio', senza che si possa riscontrare mai la presenza di una stessa 'mano'. Il nesso con i raffinatissimi dipinti di San Clemente sembra il più lontano , certo per motivi di cronologia; ma anche la liquidità colorata delle stesure di Santa Pudenziana ha lasciato tracce relative, ad esempio nel volto di uno degli apostoli non identificati, che è segnato da grosse e pesanti linee verdi e brune. Nel pannello con gli apostoli a destra della Crocifissione, forse il meglio conservato, sembra piuttosto forte il debito alla pittura che vediamo soprattutto a Ceri - si vedano i panneggi, il sistema di segnare le pieghe con tratti neri e la relativa morbidezza delle silhouettes - e che qualche anno dopo ha un riflesso nell 'esperienza romana dei dipinti di San Benedetto in Piscinula (-> 36), specialmente nella figura dell'Evangelista della Deesis. Due dei volti degli apostoli, Giuda Taddeo e Mattia, sono costruiti con una forza inconsueta nelle figure vicine, e appaiono fortemente bizantineggianti, forse più che nel resto della pittura nota di questi anni romani. Nel resto dei dipinti dell' 'oratorio', per quel che si può ancora giudicare, è forse il complesso pittorico di Castel Sant'Elia quello che offre i confronti più pertinenti, specialmente per il grafismo dei tratti neri che costruiscono i panneggi e per la tipologia dei volti con i grandi occhi a mandorla e i pomelli in rilievo.

Il riferimento a Castel Sant'Elia, databile probabilmente agli anni '20 del secolo (Parlato-Romano 1992 [2001] , 167-178) è pertinente anche per motivi cronologici. Il testo del cartiglio dell'apostolo Mattia - l'unico raffigurato con in mano un modellino che potrebbe essere quello dello stesso oratorio, forse ristrutturato e decorato consentaneamente - può essere infatti sciolto nella sua parte finale leggendo «[qua nissus Anasta (sius)J». Questo 'Anastasio' può essere stato l'abate di questo nome, puntualmente documentato nelle carte dell'abbazia, per la prima volta come presbyter, prior et rector nel 1099, e in seguito nel 1119 come abbas (Trifone 1909, 16; Schuster 1934, 85-95). Poiché l'iscrizione è mutila, non possiamo dire in quale status Anastasio abbia commissionato gli affreschi: le osservazioni stilistiche prima effettuate rendono però estremamente probabile che il momento della realizzazione dell' 'oratorio' sia stato quello del suo abbaziato, quindi fra il 1119 e il 113 9, data della sua morte. Non possiamo spiegare il motivo per cui il nome del committente sia stato affidato al cartiglio di Mattia: forse il motivo fu , banalmente, nella devozione di Anastasio verso questo apostolo, o forse si trattò di una dimostrazione di umiltà, essendo Mattia l'ultimo degli apostoli, aggiunto al collegio apostolico solo dopo la dipartita di Giuda. Anastasio, a quanto pare, fu anche responsabile della realizzazione di una fontana, attestata dal suo epitaffio: «H ic spes multorum culmen decus et monachorum I sponsam ditavit que splendet /onte manavit» (Trifone 1909, 16). 13

Interventi conservativi e restauri 1991: restauro dei dipinti murali realizzato nel 1991 dal Laboratorio di Restauro dei Musei Vaticani, dai restauratori Maurizio De Luca, in qualità di responsabile del cantiere, Francesca Persegati e Paolo Violini, con la direzione dei lavori di Fabrizio Mancinelli. Nel corso dell'intervento si è verificato che lo strato di intonaco dei dipinti è piuttosto irregolare, di spessore variabile tra 0,5 e 1 centimetro circa. Sono stati eseguiti per pontate, con stesure di grandi dimensioni e di forma quadrangolare, le cui cesure verticali sono state fatte coincidere con le partizioni ornamentali tra i gruppi di figure delle pareti lunghe. Un piccolo pezzo della cornice rossa sborda dalla parete sinistra sull'angolo della parete di fondo , mostrando che originariamente tutte e quattro le pareti dovevano essere dipinte. Sono state rilevate tracce d'incisione diretta, specialmente nelle aureole dei santi della parete nord e nel Sole e nella Luna della Crocifissione, eseguiti al compasso come si vede dalle tracce di fori di puntamento. La tecnica d'esecuzione prevedeva la realizzazione dei contorni a terra rossa, per poi passare alla vera e propria pittura: spesso i pittori hanno però derogato dal disegno preparatorio, come ad esempio nella figura del Battista, dove il rotolo era originariamente previsto in verticale. Le lettere PHI sono state rinvenute vicino alla spalla sinistra dell'ultimo santo a destra, probabilmente intese come guida per la disposizione delle figure e l'eventuale iscrizione del nome poi non realizzata. La bottega era composita, e ha lavorato in fretta , usando di un mestiere sicuro e non curandosi di mascherare le differenze tecniche e stilistiche che si apprezzano bene anche a occhio nudo.

Le differenze tecniche riguardano specialmente il modo d'impiego del bianco San Giovanni, che varia tra l'una e l'altra parete, e l'utilizzazione di diversi moduli facciali. Un elemento che non ha finora trovato una spiegazione chiara è quello dell'impronta di uno stampo rotondo con una sorta di croce inscritta, che è stato ritrovato su tutte le vele della volta. (lvf.. De Luca)

Documentazione visiva Disegno con clipei e lunette, BAV, Vat. lat. 9071, p. 254; BAV, Vat. lat. 4426, f. 6; rilievi di particolari, BAV, Vat. lat. 9849, ff. 67r-69r; Andrea Alippi, Sezione trasversale della basilica, in Nicolai 1815, tav. III.

Fonti e descrizioni Ugonio 1588, 273v;Jean Baptiste Seroux d'Agincourt, BAV, Vat. lat. 9849, f. 67r.

Bibliografia Nicolai 1815, 307 , nota 1; Barbier de Montault 1866, 39; Zimmermann 1899, 112; Venturi 1904, III, 864; van Marle 1921, 161; van Marle 1923, 183-184; Anthony 1951 , 76; Garrison 19571958, 25-26; Matthiae 1966a [1988], 112; Buchowiecki 1967, 230; Bassan-Tomei 1988, 162; Parlato-Romano 1992 [2001], 105-106; Docci 1998; Dos Santos c.s. Filipe Dos Santos

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49. LA PERDUTA DECORAZIONE DELL'ORATORIO DI SAN NICOLA AL PATRIARCHIO LATERANENSE 1130-1134

Gli acquarelli di Eclissi [1] e di Ciacconio e l'incisione Caetani (1638, tav. XX:a) [2] mostrano una decorazione, verosimilmente di una parete absidale , organizzata su due registri, con la figura della Vergine in trono su un fondo stellato nel registro superiore e san Nicola in una nicchia nel registro inferiore. I due registri sono separati da un 'iscrizione dedicatoria (Iscr. l , 2 ). La Madonna Regina tiene il Bambino seduto sulle ginocchia e ha la croce nella mano destra. La mano di Dio emerge dal cielo stellato e tiene una corona trionfale sopra il capo della Theotok os. Dietro il trono sono due angeli con fiaccola. Due pontefici, con il capo scoperto e con nimbo quadrato, sono inginocchiati ai piedi della Vergine. Si tratta di Callisto II, identificato da un'iscrizione (Iscr. 3), e di un altro papa il cui nome non è riportato nei disegni ma che lefonti (Grimaldi, BAV, Barb. lat. 2733, f. 314; WRL 8981 ; Caetani 1638, tav. XX:a) identificano con Anastasio IV (Iscr. 4). Alla sinistra del gruppo centrale san Silvestro (Iscr. 5) porta phrygium e pallio, alla destra sant'Anastasio (Iscr. 6) o sant'Anacleto con pallio ma con il capo scoperto. Al centro del registro inferiore, nella nicchia, situato al di sopra degli altri personaggi, san Nicola di Mira in abiti vescovili col pastorale nella sinistra e nella destra un libro con le tre borse (Iscr. 7). Ai lati otto papi disposti fron talmente in due file da quattro. Tutti aureolari, portano phrygium e pallio, nella sinistra tengono un libro e benedicono o acclamano con la destra (BAV, Barb. lat. 4423 , ff. 2r, 3) [3-4]. Una serie di iscrizioni, modificate poi per atti di censura politica li identificavano : si

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trattava - con i loro nomi originari - dei papi Gelasio II (Iscr. 8), Pasquale II (Iscr. 9) , Urbano II (Iscr. 10), Leone Magno (Iscr. 11 ), Gregorio Magno (Iscr. 12), Alessandro II (Iscr. 13 ), Gregorio VII (Iscr. 14) e Vittore III (Iscr. 15 ).

Iscrizioni Le iscrizioni sono interamente perdute, l'edizione dei testi è stata pertanto effettuata secondo le trascrizioni tramandate da fonti storiche, così come specificato in apparato. 1 - Fascia separante i due registri, sull'arco situato sotto il trono della Vergine. Praesidet aethereis pia virga Maria choreis

Trascrizione secondo Pietro Sabino 1494 (ICUR, II, 1, 426, n. 59). WRL 8981: Presidet ethereis per Praesidet aethereis; Caetani 1638, tav. XX:a: Nobilitate presidet... 2 - Fascia separante i due registri, ai lati dell'arco della nicchia. Sustulit hoc primo templum Callistus ab imo. Vir Celebris late gallorum Nobilitate. {Dominus Callistus papa II} D(omi)n(u)s Callistus p(a)p(a) II.

Letus Callistus papatus Culmine fretus. Hoc opus omavit varijsque modis decoravit.

Testo secondo Pietro Sabino 1494 (de Rossi 1888, II, 1, 426 n. 59). La riga n. 3 è stata espunta perché si tratta dell'iscrizione identificativa di Callisto II, posta in origine accanto al papa. Pietro Sabino (secondo Duchesne (1889, 360): praesul A nacletus per Letus Callistus; WRL 8981: clar(us) per celebris; Caetani 1638, tav. XX:a: templum per te(m)plu(m); Callixtus per Calixtu(s); clarus per clar(us); variisq(ue) per variisque; Caetani 1638, tav. XXa: templum per te(m)plu(m); Calixtus per Calixtu(s); clarus per clar(us); verum Anastasius papatus culm ine quartus per Letus Callistus papatus Culmine /retus ; variisq(ue) per varijsque. 3 -Registro superiore, a sinistra del papa inginocchiato sulla sinistra. Chalisto II p(a)p(a)

Trascrizione dal disegno acquerellato di Eclissi, WRL 8981. Caetani 1638, tav. XXa: Callistus I p(a)p(a) II.

4 - Registro superiore, a destra del papa inginocchiato sulla destra. Anastasius IIII

Trascrizione dal disegno acquerellato di Eclissi, WRL 8981. Caetani 1638, tav. XXa: A nastasius I P(a)p(a) IIII. 5 - Registro superiore, ai lati del santo pontefice sulla sinistra.

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BIBLIOGRAFIA / LETIERATURA POSTERIORE AL

1800

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INDICE DEI NOMI

Abbondi Fleury, abate, 16 Abbondanzio, santo, 274 Abbondio, santo, 156, 158, 159, 274 Abed Nego, 251 Abele, 234 , 321 , 322,349 Abramo, patriarca, 253,323,350 , 362 Acquaviva, Francesco, cardinale, 220 Adalbéron di Reims, arcivescovo, 16 Adalberto da Praga, santo, 16, 27 , 32, 149, 192, 193 , 242 , 244 Adalberto, pittore, 324 Adan10, 226, 228, 234 , 327 , 328, 330, 347, 349, 361 , 362 , 367, 369 Adautto, santo, 197 Adelaide, badessa, 16 Adele, badessa, 17 Adriano I, papa, 69 , 100, 253 Adriano II, papa, 136, 137 Adriano IV, papa, 317 Agapito I, papa, 32, 38, 73 Agapito II, papa, 16, 18 Agata, santa, 77 , 222 , 223 Aggeo, patriarca, 272 , 274 , 277 Agnese, santa, 77 Agostino, santo, 100, 210,212 Aimerico, cardinale, 174, 182, 318 Albani, cardinale, 247 Alberico, principe, 16 Albertelio, 141 Alberto di Sabina, antipapa, 180, 270 Aldemario, abate, 187 Alessandro I, papa, 294 AlessandroII, papa, 15, 32, 174, 187, 197,270, 271 , 290, 291 Alessandro III, papa, 317 , 325 , 339,340, 372 Alessandro, martire, 294 Alessandro Severo, imperatore, 190 Alessio, santo, 16, 19, 26, 27 , 29, 30, 32-34, 129, 130, 138, 144-149, 159, 188, 238, 242 , 243,288 Alfano, camerarius, 167, 175 , 177 , 253 , 256, 257 , 329 Alfano, arcivescovo, 180, 215 Almachio, prefetto, 220 Altilia, 30, 57 , 67, 133 Ambrogio, santo, 210, 212 , 217 , 339 Amos, patriarca, 272, 274, 277 Anacleto II, antipapa, 171 , 173 , 174, 177-179, 182, 214 , 279,291 , 292 , 294 -296, 308, 310 Anacleto, santo, 290, 292 Anania, 70, 172, 188,190, 220 Anastasia, santa, 72 , 73 Anastasio, abate, 174, 182, 289 Anastasio, bibliotecario, 180, 302 Anastasio, cardinale, 130, 172, 177 , 181 , 214 , 215 , 249 Anastasio I, papa, santo, 124, 290-292 Anastasio IV, papa, 290, 291 Andrea , santo, 33, 40, 42, 43, 89, 92 , 164, 227 , 282, 335 , 337 Angelo, marmoraro, 301 , 329 Anna , santa, 104, 106-108 Anna, profetessa, 183 Anselmo da Baggio ---> Alessandro II Anselmo di Havelberg, 340 Antonino di Apamea, santo, 142, 144 Arfaxad, patriarca, 327 , 328, 330 Arnaldo da Brescia, 317 Arnolfo di Lisieux, 271 Attanasio, vescovo, 56 Augusto, imperatore, llO, 252 Aurea, santa, 181 Azo, cardinale, 281 Bartolini, Domenico, 64 Bartolomeo, abate di Grottaferrata, 104 Bartolomeo, santo, 170, 192, 193 Baruch, capostipite dei Pierleoni, 27 , 174 , 182 Baruch, profeta, 337 Basilio, vescovo, 56 Basilissa, santa, 282 , 284, 288 Bellushomo, pittore, 50, 179, 260, 265 Benedetto Campanino, 16

400

I ND ICE D EI NOMI

Benedetto, canonico, 308 Benedetto I, papa, 197 Benedetto VIII, papa, 14 9 Benedetto IX, papa, 104 , 197 Benedetto XIV, papa, ll4 , 271 , 293 , 296 Benedetto, santo, 19, 24 , 25, 63 , 64 , 70, 73 , 78, 79, 81, 84, 86,88,92,98, 100, 190, 196,197 , 243 Benedicta, donatrice, 19, 45 , 47 , 49 Benedictus, cardinale, 173 , 182, 202 , 203 , 260 Benedictus, committente, 197 Beno de Rapiza, 21 , 27 , 31 , 34, 56, 57, 67 , 92 , 102 , 103 , 130, 131 , 133 , 134 , 139, 140, 143 Berengario di Tours, 51, 143 Bernardo di Clairvaux, santo, 182,262, 310 Bernardo, cardinale, 68 Bernward di Hildesheim, vescovo, 16, 52, 128 Biagio, santo, 148, 149 Bicchieri, Guala, cardinale, 321 Boccamazza, Giovanni, cardinale, 124, 126 Bombelli, Pietro, 117 , 123 , 268 Bonifacio I, papa, 146, 147 Bonifacio IV, papa , 272 , 274 Bonifacio VIII, papa , 322, 370 Bonifacio, santo, 243 Boninus, prete committente, 304 Borgia, Nicola , cardinale, 279 Borromeo, Federico, cardinale, 279 Bosio, Antonio, 98 Brunelleschi, Battista, 337 Bruno di Segni , santo, 302 Bruno di Toul ---> Leone IX Burdino, Maurizio---> Gregorio VIII , antipapa Busiri Vici , Andrea , 63 Caccianemici, Gerardo ---> Lucio II Caccianemici, Ubaldo, cardinale, 70, 329, 333 Cadalo ---> Onorio II Caino, 234 , 321 , 323 , 327 , 328, 330, 349, 370 Calepodio, santo, 306, 307, 309,310 Callisto I, papa , santo, 306, 307 , 309, 310 Callisto II, papa, 175, 177-179, 181 , 207 , 245,253 , 256, 257 , 270, 271 , 290-292 , 296, 372 , 373 Camuccini, Vincenzo, 341 Cappello, Filippo, 281 Carboncello, 141 Carlo il Calvo, imperatore, 367, 369 Carlo Magno, imperatore, 250 Carlo VIII, imperatore, 337 Carrillo, Alfonso, cardinale, 207 Castani, Enrico, cardinale, 206 Caterina d'Alessandria, santa , 39, 40, 63 , 64 , 68, 73 , 7.J , 80, 81 Cavallini, Pietro, 51,234, 310 Cecilia, santa, 74 , 199, 219-223 Celestino I, papa, 121 , 291 Celestino II, papa, 317 Celestino III, papa, 187 , 294 , 322 , 324,370, 372 Celso, santo, 282 , 284 , 288 Cencio Camerario ---> Onorio III Cervulus , 153 Cesare, 167 Cesareo, santo, 282 , 284, 288 Cherubini , Scipione, 342 Chiari, Giuseppe, 249 Ciacconio (Alfonso Chacon), 274 , 280, 290, 301 , 373 Ciampini, Giovanni, 206, 301,337,343 , 372 Ciani, canonico, 254 Cimabue, 172,207 Cini, Vittorio, 118 Cipriano, santo, 77 Ciriaca, sanl,,!l, 42, 158 Ciriaco, santo, 16, 17, 19, 32 Cirilla, santa, 156, 157 , 158, 159 Cirillo, santo, 27 , 131 , 136, 137 Cisterna, Eugenio, 312, 313 Clemente III, antipapa, 15 , 26, 31 , 32, 34, 129, 163 , 178, 181,187 , 270

Clemente VII, papa, 374 Clemente VIII, papa , 373 Clemente XI, papa, 313 Clemente, puerulus, 133 Clemente, santo, 26, 27 , 29, 66, 67, 92,129, 131 , 133, 134, 136, 138-145, 147, 149, 176, 207 , 210, 213 , 216,217 , 247 , 248 Clementia, badessa, 17 Clero, santo, 138, 143 Constantù1, badessa, 17, 45 , 47 , 49 Cornelio I , papa, santo, 306, 307 , 309, 311 Corrado di Suburra, cardinale, 163 , 173 , 178, 181 , 182,279 Cosmati, 31 , 180 Costantino, imperatore, 292 , 349, 372, 373 Costanza, santa, 64 Crescentius, pittore, 40, 44 , 53 Crescimbeni, Giovanni Mario, 254, 272 , 274 , 280, 281 Crévoulin , abate, 190 Crisogono, santo, 72 , 77 Cristo, 45 , 48 , 50-52 , 54, 56, 58-60, 62 , 67 , 95 , 97, ll4 , 116-118, 121 , 127 , 128, 144-146, 149, 151-153 , 170, 171 , 191 , 192 , 195,210, 217,233 , 241,260,271,272 , 275 , 277 , 292, 298-300, 305 , 306, 308,310, 312, 313 , 329, 338, 339, 345 , 353 , 356-359, 365,367, 369 Dagoberto, re, 17 Dal Pozzo, Lorenzo, restauratore, 218 Daniele, profeta, 142, 144, 176, 245 , 250, 251 , 253 Dario, santo, 38 De Serva, Carlo, 33 7 Decio, imperatore, 156, 158, 271 Demetria, santa, 17 Desiderio di Montecassino ---> Vittore III Digna, santa, 17 Diocleziano, imperatore, 288 Dismas, 45 , 52 Domenico, santo, 17, 126 Eclissi, Antonio, 197-199, 202 , 206, 218-221 , 228, 232 , 290-295 , 301 , 311 , 314 , 337, 343 Efrem, Siro, 45 , 51 Egidio, santo, 148, 149 Eilika, badessa, 19, 4 9 Elena, santa, 11 O Elisabetta, santa, 351 , 367 Emerenziana, santa, 64

Emmerano, santo, 361 , 369 Enoch , patriarca, 327, 328 Enos, patriarca, 327 , 328, 330 Enrico II, imperatore, 52 Enrico III, imperatore, 19 Enrico V, in1perarore, 270, 271 Enrico, re del Portogallo, cardinale, 208 Ermete, sanro, 98, 100 Erode, 183 , 184 Esaù, 350, 367 Esuperanzio, santo, 193 Etienne de Berry, cardinale, 175 Eudes, cardinale---> Urbano II Eufemiano, 16, 145- 147 , 149 Eu/imia, badessa, 33 Eugenio III, papa, 317 Eugenio IV, papa, 262 Euphrosine, santa , 19, 33 Europa, 20 Eusebio, santo, 181 Eva, 226, 234 , 321-323 , 347, 349, 361 , 362,367, 369 Evenzio, martire, 294 Ewing, William , 131-133 , 135 , 137 , 142, 144 , 148, 150 Ezechiele, 250, 251 , 253 Ezra , profeta , 43 , 92 Federico I Barbarossa, imperatore, 317 Federico di Lorena ---> Stefano IX Felice IV, papa, 272 , 274 Felice, santo, 197 Felicissimo, 73

Fontana, Domenico, 232 Fra Santi di Sane' Agostino (Santi Salinari), 268 , 345 Francesco d 'Assisi , santo, 121 , 149 Frangipane, famiglia , 27 , 130, 174, 182 , 296, 318, 340 Frangipane, Cencio, 174, 178, 182, 296 Frangipane, Leone, 174, 182 Frangipane, Oddone, 182 Fulvio , Andrea , 268 Gabriele, arcangelo , 56, 95 , 106, 108, 145 Galilei, Alessandro, 374 Garampi, Giuseppe, 248 Gauderico da Velletri, cardinale, 13 7 Gelasio I, papa , 291 Gelasio II, papa, 174, 178, 207 , 245 , 253 , 256, 271 , 290, 292 , 294 Gerardo di Toul, 44 Gerbert d ' Aurillac----> Silvestro II Geremia , 210, 214 , 217 , 226, 227 , 244 , 272 , 274 , 277 , 306-308, 310 Germano di Capua, vescovo, 79 Gero, committente, 17 Ghezzi, canonico, 254

Giacobbe, 253 , 350, 363,366 Giacomo, santo, 93 , 172 , 181, 217 , 282 , 283 , 335 , 337 , 341 , 351 Gioacchino , 106-108 Giosuè, patriarca , 254 Giotto, 145 Giovanni Battista, santo, 35, 93, 94 , 203 , 227 , 272,289, 348, 373 Giovanni, evangelista, 3 1, 35, 40, 42 , 98, 128, 146, 168, 195 , 202 , 209, 210, 215 , 217 , 224 , 226, 227 , 231 , 233 , 236 , 245 , 282,283,307, 311 , 327, 335 ,3 37, 341 ,3 42 , 348, 359-361 , 367 , 372,373 Giovanni Calibita , santo, 149 Giovanni da Crema , cardinale, 68, 172 , 181 Giovanni Crisostomo, santo, 56, 146 Giovanni da Gaeta , cardinale, 182 Giovanni da Lodi, biografo, 100 Giovanni di Salisbury, scrittore, 271 Giovanni Graziano ----> Gregorio VI Giovanni II, anticardinale, 35 Giovanni III, cardinale, 3 5 Giovanni XIII, papa, 133 Giovanni XVIII, papa, 133 Giovanni , marmoraro, 329 Giovanni, monaco e presbitero, 44 Giovanni , santo, 96 Girolamo, santo, 100, 104, 209, 212 , 223 Giuda Taddeo, santo, 282,284 , 288 Giuda, 128, 289 Giuliana di Nicomedia , santa, 33 Giuliana, santa, 19, 33 , 37-39, 73 Giuliano, santo, 282 , 284, 288 Giulio I, papa, santo, 306, 307 , 309-311 Giuseppe, santo, 180, 183 , 253 , 351 , 356,3 63 , 366 Giustino , prete, 158, 159 Goffredo di Lorena, marchese, 15 Goffredo di Vendome, cardinale, 173 Gosmari, 141 Gregorio di Tours, 129, 131 Gregorio Magno, papa, 133 , 190, 290, 292 Gregorio III, papa, 22 , 42 , 68 , 69, 73 , 76, 77 Gregorio IV, papa, 230, 231 , 268 Gregorio Nazianzeno, santo, 33,151,351,357 , 359 Gregorio VI, papa, 104, 182 Gregorio VII, papa , 15 , 17 , 18, 24 , 26, 27 , 32, 35 , 85, 68, 104,128, 129,135,137, 167 , 173,174 , 182, 202 , 207 , 2 16, 270, 271 , 290-292 , 340 Gregorio VIII, papa, 270 Gregorio VIII, antipapa, 181,270 Gregorio, pittore, 172 , 207 , 208 Gregorio, santo, 210, 212 Grimaldi, Giacomo, notaio apostolico, 248, 348, 350, 351 Gudiel, Consalvo Garcia , cardinale, 34 Guiberto di Ravenna ----> Clemente III Guillaume de Volpiano, abate, 16 Heber, patriarca, 327, 328 Heureux L', Jean , 345 Hugo, abate, 301

Ignazio d 'Antiochia, santo, 217,219 , 220 Ilario, papa , 282 , 284 Ildebrando di Soana ----> Gregorio VII Innocenti, santi, 45 , 47, 52 Innocenzo I, papa , 146 Innocenzo II, papa, 174, 178,182,292,296, 304, 306-311, 313,317 Innocenzo III, papa, 49, 124, 181,187, 192, 325 , 373 Innocenzo IV, papa, 110 Iohannes de Rapà.zo, 34 Iohannes, pittore, 50, 57 , 179 Iotsaldus di Cluny, 109 Ippolito, santo, 38, 158, 298, 299 Ireneo, santo, 156, 158, 159 Isacco, 234 , 253 , 350, 362 , 366 Isaia, 60, 210, 213 , 217 , 244 , 306, 307 , 310,337 Jacques de Vitry, cardinale, 18, 33 J areth , 327 ,328, 330 ]ohannes, abate, 44 Johannes, cardinale, 173 , 182 Lamech, 327 , 328 Lazzaro, 3 57 Leo, committente, 21 , 89, 92 Leonardo, santo, 35 Leone Magno, 290-292 Leone III, papa, 121,268, 271 , 296 Leone IV, papa, 33,180, 207 , 320,3 21 , 347 Leone IX, papa , 15, 16, 17 , 24 , 26, 32 -34 , 38, 44 , 58, 68, 85 , 149, 150,182 , 268 Leone Ostiense, cardinale, 129, 137 , 167 , 173 , 198, 215 , 247 , 294 Lino,papa, 138,143 Longino, 282 , 359 Lorenzo, arcivescovo di Amalfi, 104 Lorenzo, santo, 24 , 40 , 42 , 77, 124, 126, 156, 158, 210, 212 , 217 , 219, 220, 271 , 282 , 284 , 288 , 294 , 298, 299, 302, 306, 307, 309, 311 Lotario III, in1peratore, 178,296 Luca, evangelista, 110, 118, 202 , 210, 268, 307,327,348, 361 , 367 Lucina, santa , 294 , 295 Lucio I, papa , 223 Lucio II , papa , 223 , 317 , 31 8, 322 , 324 , 329, 332 , 333 , 370 Lucio, santo, 222, 223 Maggi, Giovanni, 192, 195 Maginolfo ----> Silvestro IV, antipapa Malalehel , 327 , 328, 330 Mancini, Giulio, 181,193,207,208 Marcellino, santo, 27 4 Marcianilla, santa , 282 , 284 , 288 Marciano, governatore, 288 Marco Aurelio, imperatore, 145 Marco, evangelista, 202,210, 274 , 307 , 327 , 348, 360, 367 Maria, 109, 133 , 190, 335 , 337, 351 , 367 Maria Macellaria, 21 , 27 , 30, 31, 67, 92,130, 131 , 133, 135 , 136, 138-140, 143 , 172, 174 Maria Maddalena, 359 Mariani, Gregorio, 183 , 184, 303 Mario, 167 Marozia, nobile romana , 16

Marsia, 174 Martinelli, Fioravante, 268 Martino, santo, 35 , 237 , 238 Massin1iano, imperatore, 288 , 351 Mathusala, patriarca , 327, 328 Matilde di Canossa, 128 Matteo, evangelista, 202,210, 217,307 , 311 , 327,348, 358-360, 367 Mattia, apostolo, 24 , 79, 85, 86,282,284,288,289 Mattia, mosaicista, 341 Mauro, santo, 24 , 25, 79, 84, 85 Meinwerk di Paderborn , vescovo, 149 Mellini, Benedetto, 248, 372 Memmia, santa, 19 Mennozzi da San Giovanni , Giovanni, pittore, 208 Meshak, 251 Metodio, santo, 27, 131 , 136, 137 Michele, arcangelo, santo, 33, 95, 145

Michele Cerulario, patriarca di Costantinopoli, 27 , 51, 129, 149 Millini, Giovanni Garcia, cardinale, 207, 208 Minardi , Tommaso, 313 Marsicano, Leone ----> Leone Ostiense Mosè, 253 , 272 , 274 , 276, 277 , 366, 373 Nabucodonosor, 251,253 Nerini , Felice, 242 Nerone, 190 Nicola di Mira, santo, 32, 35 , 144, 145, 149, 290, 291 Nicola d 'Angelo , marmoraro, 372 ,3 73 Nicolaus, pittore, 50, 116, 179 Nicolò I, papa , 135-137, 145, 150,329 Nicolò II, papa, 15, 26, 137 , 145 , 150, 174, 253 Nicolò IV, papa, 319 Noè, patriarca, 327, 328, 350, 366 Novato, 199 Oderisio, 187 Odilon di Cluny, abate, 16, 109 Onorio di Autun, 309, 310 Onorio II, antipapa, 270 Onorio II, papa , 181 , 231 , 279 , 300, 304 Onorio III , papa, 17 , 49, 126,187 , 234 , 243 , 244 , 303 , 322,370 Osea, profeta, 226 , 228 Ottone di F reising, 271 Ottone II, imperatore, 16, 24 , 166 Ottone III, Ìn1peratore, 16, 32, 61, 143 , 193 , 242 Panciroli, Ottavio, 268 Pandolfo, diacono, 292 Pantaleone d 'Amalfi, 85 Pantaleone, santo, 24 , 79, 80, 81, 84 Panvinio, Onofrio, 203 , 228, 230, 270, 271 , 372 Paolino da Nola, santo, 193 Paolo, apostolo, 31, 45 , 47 , 89, 93 , 143 , 174, 192, 197, 199,205 , 210 , 212 , 217 , 224 , 226, 227 , 238, 241 , 268 , 282 , 286, 294 , 298 , 310, 339, 372, 373 Paolo III, papa, 208 Paolo V, papa, 341 Paolo, marmoraro, 3 O1 Paolo, santo, 95 , 96 Papareschi, Pietro, cardinale, 308 Parker, H enry, 144, 150 Parmenio, 111artire, 159 Parrocel, Etienne, 312 ,3 13 Pasquale I, papa, 89, 166,168, 172, 173 , 181, 219-221 , 223 , 291 Pasquale II, papa, 15 , 26, 31 , 61 , 62, 129, 130, 148, 157 , 163 , 164, 166, 168, 170, 172-174 , 177, 178, 180-182 , 187, 192, 193 , 207 , 214 , 221 , 223 , 245 , 249, 270, 271 , 290, 294 , 303 , 313 Pastore, santo, 203 Pelagio II, papa , 185, 298 Petrolino, pittore, 172, 207, 208 Petrus de Bellzo, pittore, 50, 179, 258, 260, 265 Petrus, pittore, 260, 269 Petrus de Rapà.zo, 34 Petrus medzcus, committente, 16, 21 Pier Damiani, santo, 15, 32, 52, 100, 143, 149, 150, 186, 216, 217 Pierleoni, famiglia , 27, 130, 170, 173 -175, 181,182,279,296 Pierleoni, Giordano, 317 Pierleoni, Leone, 27 , 174 , 182 Pierleoni, Petrus (Petrus Leonis), 174 Pierleoni, Pietro , cardinale----> Anacleto II Pietro di Porto, cardinale, 31 , 32 Pietro Sabino, 291 , 337 Pietro, cardinale cancellarius, 68 Pietro Pisano, cardinale, 214 Pietro, apostolo, 26, 27, 31 , 40, 45 , 89, 92 , 93 , 96, 138, 143 , 172, 174, 187-189, 192, 197, 210, 213 , 217 , 224 , 226, 227 , 241 , 282 , 294 , 298, 301 , 306, 307, 310,311 , 325 , 335 , 339, 341 , 342,3 72 ,373 Pilato, 274 Pio IX, papa, 63 , 159, 185 , 186, 268,303 Pio X , papa, 114 Pio XI, papa, 114 Placido, santo , 25 , 79, 81 , 84 Plauto, 29, 144

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INDICE DEI NOM I

401

Policroni o, vescovo martire, 158, 159 Prassede, santa, 19, 45, 53, 173 , 199, 205 , 282 Pudente, 199, 205 , 238 P udenziana , santa,19, 45 , 53 , 173,199, 205 , 282 P utifarre, 144, 180 Quirino, governatore di Siria, 252 Quirino, santo , 151 Rabano , Mauro, 133 Raffaele, arcangelo, 98 Raffaello, 11 O Rahewin , 296 Ranieri di Bieda ---> Pasquale II Rapiza, famiglia , 130 Rapizo, conte, 27 Rapizones, famiglia , 27 , 130 Riccardo, vescovo, 35 Roberto il Guiscardo, 152, 207 Roberto, cardinale, 173 , 181 , 182 Rodrigo, Ximenes, 27 1 Romanus, martire, 21 , 76-78, 156-158 Rondinini , Filippo, 214 Rufiniano, santo, 72 , 86 Ruspi, Ercole, 312, 313 Saba, custode del Laterano, 232 Saffira, 70,172,188,190,220 Sale, patriarca, 327, 328, 330 Sarazanius, Martius Milesius, 63 , 64 Sasso, marmoraro, 301, 329 Saxo de Helpiza, 27 Scolastica, santa, 49, 79 Scri~a, mosaicista, 341 Sebastiano, santo, 197, 226, 228, 231 Sedulio, poeta, 361, 369 Sem, patriarca, 327, 328 Sergio di Damasco, arcivescovo, 16, 149 Sergio I, papa, 268 Sergio II, papa , 321 Sergio III, papa, 33, 15 3 Sergio IV, papa , 180 Servulus, 153 ·• Seth, patriarca, 327,328,330 Severina, martire, 294 Shadrak, 252 Silvestro I, papa, 73, 74 , 80, 81 , 85,164 , 234 , 290-292, 372 Silvestro II, papa, 16 Silvestro IV, antipapa, 180, 193 , 270 Simeone, sacerdote, 183 Sisinnio, 27 , 29, 30, 129, 130, 138- 144 Sisto I, papa, 126, 158, 159, 295 Sisto II, papa, 73 , 124 , 294 , 295 Sisto III, papa, 295 Sisto IV, papa, 190 Sisto V, papa, 373 , 374 Solario, Francesco, stuccatore, 208 Stano, Alfredo, restauratore, 218 Stefania, nobile romana, 16 Stefano, cardinale, 26, 62 , 86, 87 Stefano I, papa, 77 Stefano IX, papa , 15 , 68, 70, 86, 104 Stefano, santo, 45 , 52 , 54 , 77 , 158, 219, 220, 224 , 282 , 284 , 288,294,298, 299,302 Stephaton, 282 , 359 Stevenson, Henry, 170, 195 , 346, 347 Succi, Pellegrino, 65, 279 Suger di Saint-Denis, abate, 271 Sylvius, custode del Laterano, 232 Tabanelli, Carlo, 72, 77, 96,106,107 , 131, 132 , 197, 199, 202 , 361-366 Tasselli, Domenico, 348, 349 Tempesta, Antonio, 192 , 195 Tempulus, 153,238 Teodolo, martire, 294 Teodora,27,29, 30, 129,140, 143 Teodora, nobile romana, 16 Teodorico di Santa Rufina ---> Teodorico, antipapa Teodorico, antipapa , 180, 270 Teodoro I, papa , 230

402

IN DI CE D EI NOM I

Teofilatto, senatore, 16 Terenzio, 29, 144 Theophanu, imperatore, 16, 24 Tiburzio, santo, 199 , 202 , 220, 222 , 223 Timoteo, santo, 199 Timoteo, prete di Antiochia, sanro, 282 , 284 , 288 Timoteo di Listra , 199 Tito, imperatore, 372 Tobia, profeta, 43 , 92 Toffanelli, Agostino, conservatore, 114 Tommaso, santo, 282 , 284, 359 Torriti, Jacopo, 319 Traiano, imperatore, 131

Trifonia, martire, 158 Tuotilo di San Gallo, abate, 52 Tutta buona (Tuttadonna , Giustabuona, Juscadonna o Guastadonna), 172, 207 Ugo Candido, cardinale, 15 , 26, 129, 180 Ugo Capeto, re, 16 Ugo di Cluny, abate, 35 Ugonio, Pompeo, 181, 203 , 219, 284 , 294 , 320,344 ,345 Umberto di Silva Candida, cardinale, 15 , 32 Urbano l , papa, 199,202,219,220,222 Urbano II, papa , 15, 26, 35 , 129, 144 , 149, 163, 170, 172, 174 , 181, 182 , 270, 271 , 290 Valeriano, martire, 74 , 108, 156, 158, 199, 202 , 219, 220, 223 Vasari, Giorgio, 207 Vassalletto, famiglia , 372 Vassalletto, Pietro, marmoraro, 373 Venanzio, Fortunato, 109 Veralli, Fabrizio, cardinale, 63- 65 Vespasiano, imperatore, 372 Vespignani, Virginio, 183, 185 , 186 Vincenzo, santo, 181 , 219, 220 Vittore III, papa, 15 , 26, 53 , 70, 87, 129, 130, 166, 167, 187 , 270,27 1, 290 Vittore IV, antipapa, 339 Viviano, 348 Zaccaria I, papa, 228, 230 Zamboni, restauratore, 342 Zotico, santo, 197

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INDICE DEI LUOGHI

Altdorf, abbazia, 16, 33 Alsazia , 16, 17 Amalfi, 367 - cattedrale, 24 , 85 Anagni - cattedrale, 45 , 89 - cappella di San Tommaso Becket, 348, 367 Anglona , Santa Maria, 367 Apamea, 144 Aquileia , cattedrale, 322, 331 , 332 Babilonia, 158, 159, 251 Bamberga, 16, 52, 143 , 369 Bari, 150 - cattedrale, 186 Benevento, cattedrale, 96, 170 Bologna, 318 Bominaco, Santa Maria, 370 Calci, 331 Campiello sul Clitumno, tempietto, 58 Cappadocia, 351,367 Castelgandolfo, 114 Castel Sanr'Elia , Sant'Anastasio, 15 , 31 , 50, 57, 116, 13 6, 165,171 , 180, 181 , 193 , 197 , 205 , 207 , 231 , 236, 247 , 281 , 288, 289 , 300, 313 , 318, 320 Castelseprio, Santa Maria, 351 Castro dei Volsci, San Nicola, 367 , 370 Ceri , Santa Maria Immacolata, 20, 24 , 31 , 34 , 52 , 62 , 85, 126, 130, 133 , 144 , 153 , 164 , 184 , 189, 232 , 234 , 236, 247 , 279 , 288, 300,3 18, 320, 329,350, 367 Cesena, 140, 176 Cherson, 131 , 13 7 Chersoneso, 133 , 216 Cimitile, basilica dei Martiri , 359 Civate, San Pietro al Monte, 369 Cl uny, 168, 174 Coblenza, 61 Colonia, San Gereone, 19 Costantinopoli, 118, 151 , 166 - Sant' Anastasia, 33 - Santi Apostoli, 359 Crimea, 27 , 134 Daphnì, 20, 215 Echternach , 275 Ercolano, Ninfeo di Nettuno e Anfitrite, 207 Farfa, abbazia, 20, 23 , 24 , 51 , 53, 62 , 96, 101 , 104 , 108, 126, 186,190, 317, 345 , 352, 370 Ferentillo, San Pietro in Valle, 33 , 184 , 320, 323 , 325 , 347 , 350, 352,367 , 369,370 Filettino, San Nicola, 34 Francia, 144 , 148 Fulda, 275 Gaeta, 3, 92 , 140 Gallipoli, monastero di San Mauro, 367 Gernrode, Stiftskloster, 16, 33 Gerusalemme, 118, 358, 372 G iudea, 372 Giireme, Tokali Kilise, 351 Grottaferrata, abbazia, 187 , 301 , 342 H:ildesheim , 52, 128 H:o,ios Lukas, 20, 215 Lambach , 19 Licia, 133 Liegi , 20, 53 Limburg, 275 Linguadoca, 148 Londra, 140, 265 - Victoria and Albert Museum , 50, 52, 257 Magliano Romano, grotta degli Angeli, 76, 184, 193, 205 ,

231 , 244 Marcellina, Santa Maria in Monte Dominica, 320, 323 , 347, 351 , 352, 356, 370 Metz, 33 Milano, 32 Monreale, cattedrale, 215 , 356, 358, 359, 366 Monte Gargano, 24 , 33, 85 Montecassino, abbazia, 24 , 25-27, 32, 53 , 70, 79, 84-87 , 130, 133, 137, 149, 167, 180,187 , 197,198,208, Moutier-Grandval , 348, 349, 369 Miistair, 51 apoli, Santa Restituta, 369 Nepi - San Biagio 27 , 238; - Santa Maria, 33 New York - Metropolitan Museum , 330 - Pierpont Morgan Library, 330 Niedermiinster, 19, 49 Olevano sul Tusciano, grotta di san Michele , 351 , 359 Ostia, 180, 215 O xford , 19 Paderborn , cappella di sant' Alessio, 149 Padova, cappella degli Scrovegni, 145 Palermo - cappella Palatina, 351 , 366 - Martorana, 33 O Parigi, Biblioteca nazionale, 52 , 114 Pfalzel, 17 Piacenza, Sant'Antonino, 332 Pisa, San Pietro in Vinculis, 324 Pola, 313 , 319, 341 Pommersfelden, 61 Quedlinburg, 17 Ravenna

- Sanr'Apollinare Nuovo, 359 - San Vitale, 51 , 138 Reggio Emilia, 265 , 266 Reichenau, 51, 275 Rieti, San Salvatore Maggiore, 24 Rignano Flaminio, Santi Abbondio e Abbondanzio, 116, 244 , 329, 331 Roma A rchivi e Biblioteche: - Archivio Lateranense, 142 - Biblioteca Angelica, 349 - Biblioteca Apostolica Vaticana, 89, 270, 346 - Biblioteca del Senato, 190 - Biblioteca Vallicelliana, 279 Basiliche, chiese, monasteri e oratori - Monasterium Co rsarum, 17 , 33 - Monasterium Tempuli, 33 , 110, 11 8, 126,322 - San Bartolomeo all'Isola, 163 , 170, 171 , 181 , 192,242 , 313 , 318, 319 - San Benedetto in Piscinula, 153 , 173 , 245 , 288 , 320, 347 - San Bernardo, 262, 264 - San Cesario in Turris, 33 , 126 - San Ciriaco, monastero .... Santa Maria in Via Lata - San Clemente, 19, 20, 21, 26-35 , 39, 43, 50 , 51 , 53 , 56-58, 62 , 66, 67, 73 , 74 , 92 , 93 , 100, 103 , 112,126, 128- 130, 135 , 137, 140, 142, 144, 146,149, 153 , 157, 159, 164 , 167 -170, 172-174 , 176-178, 180, 181, 183 , 184 , 188, 205 , 207 , 214 - 216, 220,221,223 , 238,240, 244 , 247-249, 254 , 260, 270 , 276, 279 , 281 , 288, 299, 300, 303 , 309,311, 320, 329 - San Crisogono, 20-26, 30, 42 , 51 , 53, 62 , 64, 67-70, 73, 77 , 79 , 81 , 84, 86, 87 , 92 , 100. 103 ,104, 126,144,164, 166, 172 , 181 , 184 , 220, 243 , 317 - San Filippo Neri all 'Esquilino , 264 - San Gabriele all'Appia , 20, 23 , 53 , 57, 58, 61 , 67 , 116, 140 - San Giovanni a Porta Latina , 16, 20, 23 , 51 , 104,

106-109, 184, 221,317 , 320-325 , 347 -350, 366, 369, 370 - San Giovanni in Laterano e complesso lateranense - Laterano, 52 , 70,153 , 178 , 232,310,322 ; 350, 373 - Basilica di San G iovanni, 50, 153 , 176, 188, 215 , 319, 350, 370,372 - Battistero, 180, 215 , 240 - Cappella di San Venanzio, 98, 100 - Patriarchio, 163 , 188, 271,292 ; 373 - Oratorio di San Nicola, 100, 177, 178, 245 , 256, 271 , 281,292,296, 310, 339 - Camera pro secretis consiliis, 178, 271 , 292 , 296 - Portico di Zaccaria, 228, 230, 231 ; -Sancta Sanctorum, 121 , 159, 172, 177 , 205 , 228 , 230232 , 247 , 257,262 , 275,367 - Scala Santa, 231 , 232 - Sotterranei, 164,165, 176, 184, 220, 224 , 238, 240, 249 - Triclinio, 23 , 271,296 - San Gregorio al Celio, 26, 60, 68, 87 , 133 - San Lorenzo fuori le mura, 16, 22 , 23 , 26, 29, 32 , 39, 40 , 42 , 44 , 53 , 62 , 64 , 70, 73 , 76, 92 , 93, 100, 104, 126, 153 , 157,159,166,172, 220,221,238, 240,276, 279,281, 298, 300, 301 , 372, 373 - San Lorenzo in Lucina, 50,171 , 173 , 181 , 294 , 295 , 303, 313 , 319 - San Luigi dei Francesi, 53 , 190 - San Marcello al Corso, 17,208, 237 , 239, 318 - San Marco, 152, 168, 170, 244 - San Martino ai Monti-> Santi Silvestro e Martino ai Monti - San Nicola in Carcere, 39, 153 , 174 , 175 , 177 , 184 , 231 , 238,244 , 254 , 260, 272 , 274 , 275 , 277 , 279 - San Paolo fuo ri le mura, 16, 24 , 31 , 45 , 48, 85, 104, 126128, 133 , 163 , 166, 174, 176, 186, 217 , 232 , 234 , 282 , 284 , 286, 300, 302 , 320, 329, 348-351 , 366, 367, 369, 372, 373 - San Pietro in Vaticano, 16, 26, 68, 104 , 121 , 129, 163, 170, 176, 243 , 257,312 , 313 , 318, 320, 337 , 348-35 1, 366, 367 , 373 - San Pietro in Vincoli, 197 - San Saba, 50, 109 - San Salvatore de Militiis, 21 , 57 - San Salvatore in Onda, 304 - San Silvestro in Capite, 18 - San Sisto Vecchio, 16, 17, 24, 26, 31 , 33 , 62 , 126, 128, 153 , 173,184, 268,295 , 303 - San Teodoro, 300 - Sant' Agata in Turris, 126, 153 - Sane' Agnese fuori le mura , 16, 43 , 63 , 64 , 177, 247 - Sant'Ambrogio della Massima , 33 , 118, 121 , 123, 178 - Sant'Anastasia, 33,100, 281 - Sant' Andrea Catabarbara, 169, 170, 181, 294 , 311 , 313, 319, 341 - Sant' Andrea al Celio, 24 , 64, 67 , 68, 87, 126, 238 - Sant'Angelo in Pescheria, 38, 50, 179, 258, 260, 264 , 265 , 269 - Sant'Eusebio, 173 , 320 - Sant'Urbano alla Caffarella, 32, 70, 74 , 104, 108, 128, 158,184 , 220, 257,352 , 358,359 - Santa Balbina, 20, 21, 23 , 43 , 56, 57, 73 , 89, 92 , 93 , 112, 113 , 140,317 - Santa Bibiana, 17, 33,126, 322 - Santa Cecilia in Trastevere, 3 1, 43 , 51 , 77 , 92 , 104 , 170, 172 , 173 , 176, 188,219,220- 223 , 234,348 - Santa Costanza, 69 , 133 , 180, 215 - Santa Croce in Gerusalemme, 96, 207 , 240, 313, 317, 318, 322, 327 , 329, 332, 333 - Santa Maria Antigua, 100, 109, 281 , 351 - Santa Maria de Aventino, 16 - Santa Maria de Gradellù, 109 - Santa Maria dei Siriciò, 114 - Santa Maria del Rosario, llO, 266 - Santa Maria in Aracoeli, llO, ll2 , 113 , 121 - Santa Maria in Campo Marzio, 17, 19, 49, 50, 53, 57, 114 , 116-118, 12 1, 123 , 151,153 , 178, 181, 188, 234 , 238 , 317,322 - Santa Maria in Cosmedin, 24 , 50, 150, 174-177 , 245, 249, 279, 300, 321,322, 329 - Santa Maria in Domnica, 244

INDI CE DEI LUOGHI

403

- Santa Maria in Monticelli, 170, 171,181 , 312,313 , 319 - Santa Maria in Pallara, 16, 21 , 32 , 38, 98, 100, 128,165 , 197, 220, 257 , 281,302 - Santa Maria in Scala Coeli alle Tre Fontane, 262 - Santa Maria in Trastevere, 50, 70, 109, 168-170, 174, 177, 180,181,192,193,231 , 238,256, 279,292,294 , 300, 304, 309-311 , 313 , 318,319, 329, 331 , 338, 340, 341 - Santa Maria in Via Lata, 16-19, 21 , 27, 32, 33, 37, 38, 43, 53,58, 73 , 166, 179, 267 -269 - Santa Maria Maggiore, 153 , 176, 177 , 217 , 249, 253 , 310, 340 - Santa Maria Nova , 27 , 168,169, 174 , 192, 260, 294 , 300, 310,311 , 318, 319,325 , 338-341,344, 345 - Santa Prassede, 34, 54, 168, 170, 180, 313 , 329 - Santa Prisca, 173 - Santa Pudenziana, 19, 30, 31, 34, 50, 51 , 53 , 70, 76, 165 , 173 , 176,181 , 184,188, 193 , 197, 199, 203 , 220 , 231 , 238 - Santa Sabina, 359 - Santi Bonifacio e Alessio, 16, 27 , 146, 149, 176, 242-244, 329 - Santi Cosma e Damiano, 16, 32 , 170, 174 , 192 , 244 , 274 , 279, 294 , 309, 311 , 313 - Santi Giovanni e Paolo, 95 - Santi Nereo e Achilleo, 32 - Santi Pietro e Paolo, 339 - Santi Quattro Coronati, 163 , 172 , 207 , 239, 321 - Santi Quirico e Giulitta , 102 - Santi Silvestro e Martino ai Monti 173 , 180,320, 321, 325, 347 , 367 - Santi Vincenzo e Anastasio alle Tre Fontane, 104, 177, 247 - Santissimo J ome di Maria, 38, 53 , 260, 262 , 263 , 265 , 268, 269, 279 - Santo Stefano del Cacco, 207 - Santo Stefano Rotondo, 217 Cataeombe - Catacomba di Callisto, 126 - Catacomba di Commodilla, 197 - Catacomba di Santa Ciriaca, 158 - Catacomba di Sant'Ermete, 20, 24 , 25 , 97 , 100, 101 , 178, 243 , 281 , 317 Monumenti antichi - Ara Pacis, 168, 180 - Basilica di Giunio Basso, 176, 254 - Colonna Antonina, 18, 33 - Colonna Traiana, 17, 262 - Colosseo, 27, 17 4 - Pantheon, 274 , 349 - Tempio della Fortuna Virile, 32 Musei Pinacoteche - Casa Celimontana, Antiquarium , 95 - Galleria Nazionale di Arte Antica, Palazzo Barberini 20, 33 , 50, 116,117, 118,121 , 123 , 178, 179, 317 - Musei Capitolini, 53, 114, 118 - Musei Vaticani, 19, 53 , 63, 65 , 104 , 110, 114,116, 117, 179, 234 , 272 , 274 , 279, 288, 317 - Museo Cristiano Lateranense, 63 , 279 - Museo Sacro, Biblioteca Apostolica Vaticana, 114, 257 - Pinacoteca di San Paolo fuori le mura, 127 Vie e Pzazze - Campo Marzio, 17 , 18, 20, 21 , 33 , 49, 50, 152, 179 - Piazza del Campidoglio, 110 - Salita del Grillo, 102 - Via Appia, 20 - Via Lata, 268 - Via Ostiense, 16 Altro Aventino, 16, 27 , 146, 149,244 Campidoglio, 112, 114 Campo Marzio, 114 , 117 Castel Sant'Angelo, 129, 207 Celio, 16, 23 , 61 , 62 Centocelle, 31 Clivus Scauri, 60 Esquilino, 31 O Isola Tiberina, 170,174, 242 Monte Mario, 110, 266 Palatino, 32 , 130,174, 197 , 320, 340 Portico d'Ottavia, 258 , 260 Quirinale, 102 Tevere, 77,121,174 , 192 Tor de' Specchi, 118 Trastevere, 26, 77 , 310

404

INDICE DEI LUOGHI

Rossano, 358 Saint-Gilles-du-Gard, 149 Salerno, 167 , 180, 186, 208 , 215 , 351 , 352 , 359, 367 - cattedrale, 367 San Gallo, 17, 52 Sant'Angelo in Formù, 24, 51, 84 , 350, 352, 357 , 358, 359, 360,367 Sardegna, 325 Sassonia, 17 Sicilia, 366 Soissons, 369 Spagna,253 Spoleto - cattedrale, 122; - San Pietro in vineis, 89 St. Albans, cappella , 149 Tivoli - cattedrale, 38, 179,179, 260, 264,266, 279 - San Silvestro, 313 Torcello, 51 , 52 Tours, 348, 349, 369 Todi, 349 Traverserolo di Panna. Fondazione Magnani Rocca , 260, 264 , 265 , 266 Treviri, 17, 24, 85 Tuscania, San Pietro, 31 , 153 , 165, 176, 180, 236, 2-1-1 , 27 9 Utrecht, 271 Vallepietra, Santuario della Trinità, 34, 130, 144, 184 Vallerano, Pieve, 170, 205 Velletri, cattedrale, 13 7 Venezia, 117, 150 - San Marco, 70, 143 , 33 1 - Collezione Cini, 117 , 118, 121 Vescovio, Santa Maria, 350 Vigolo Marchese, monastero di San Giovanni, 332 Viterbo, 341 Worms , 217 , 256, 270, 271 , 373

INDICE DELLE ILLUSTRAZIONI Quando non diversamente indicato, l'opera si trova a Roma; tra parentesi la referenza fotografica

p. 17 fig. I Santa Maria del Rosario, icona Tempuli (A. Giorgetti) p. 18 fig. 2 Palazzo Barberini, Madonna advocata da Santa Maria in Campo Marzio (PSAE); fig. 3 San Gregorio Nazianzeno, part. del Viaggio di Tempulus e dei suoi/ratei/i (A. Giorgetti) p. 19 fig. 4 Santa Maria in Via Lata, part. deUa santa Iuliane (G. Bordi ); fig. 5 Pinacoteca Vaticana, part. della tavola del Giudizio Universale (Musei Vaticani); fig. 6 SBB, msc. lit.142, f.64v, libro deUa Regola di N iedermunster (da Krone und Schleier) p. 20 fig. 7 Pinacoteca Vaticana , part. deUa tavola del Giudizio Universale (Musei Vaticani); fig . 8 Oratorio di San Gabriele. part. deU'arcangelo Gabriele (G. Bordi-M. Viscontini ) p. 21 fig. 9 Pinacoteca Vaticana, part. della tavola del Giudizio Universale (M usei Vaticani); fig. IO Ceri, Santa Maria lmmacolata, part. del Giudizio Universale (S. Romano ); fig. 11 Ceri, Santa Maria Immacolata , part. del Passaggio del Mar Rosso (S. Romano); fig. 12 San Clemente, basilica inferiore, part. del Miracolo del Tempietto (A. Giorgetti-CI A) p. 22 fig. 13 Pinacoteca Vaticana, part. deUa tavola del Giudizio Universale (Musei Vaticani); fig. 14 Montecassino, archivio dell'abbazia, ms. 99H, part. dell 'Ascensione (Archivio Jaca Book); fig. 15 San Giovanni a Porta Latina, pastoforio destro, part. dell 'Annunciazione a Gioacchino (M. Viscontini); fig . 16 BAV, Barb. lat. 587, Bibbia di Santa Cecilia, part. del f. 33v 1BAV); fig. 17 Pinacoteca Vaticana. parr. della tavola del Giudizio Universale (Musei Vaticani ); fig. 18 San Giovanni a Porta Latina, part. dell'affresco nel portico (D. Ventura-Cl A) p. 23 fig. 19 San Giovanni a Porta Latina , pastoforio destro, parr. del Rifiuto delle offerte a Gioacchino (M. Viscontini); fi g. 20 San Giovanni a Porta Latina, pastoforio destro, part. dell 'Annunciazione ad Anna (S ansaini , Musei Vaticani); fig. 21 Farfa, torre-campanile, part. della Stona di Giobbe (L. Di Bernardino) p. 24 fig. 22 Wilpert-Tabanelli, foto acquerellata delle figure di santi nella cripta di San Crisogono (da Wilpert 1916, IV, tav. 173); fig. 23 Sant'Andrea al Celio, part. dell'angelo adorante (]CCD); fig. 24 Farfa , torre-campanile, part. dell 'angelo dell 'Ascensione (L. Di Bernardino); fig. 25 Oratorio di San Gabriele, part. di un santo (G. Bordi-M. Viscontini); fig. 26 San Lorenzo fuori le mura, part. dell'arcangelo (S. Romano) p. 25 fig. 27 Santa Balbina, Tstituzzonedell'Eucareslia, part. della donatrice (D. Ventura-ClA); figg. 28-29 San Sisto Vecchio, part. della storia di san Lorenzo e san Sisto (D. Ventura-Cl A); fig. 30 San Paolo fuori le mura, part. dell'Ultima Cena (F. Dos Santos); fig. 31 Catacomba di Sant'Ermete, nicchia affrescata, part. deU'angelo (S. Romano); fig. 32 Farfa , torre-campanile, part. di un angelo dell'Ascensione (L. Di Bernardino) p. 26 fig. 33 San Crisogono, basil ica in feriore, parr. deUa finta architettura del ciclo di Storie di santi (R. Sigismondi-CI A); fig. 34 Farfa, torre-campanile, part. della Storia di Giobbe (L. Di Bernardino); fig. 35 Ceri, Santa Maria Immacolata, part. della finta architettura sulla parete absidale (S . Romano) p. 27 fig. 36 Sant' Andrea al Celio, part. del timpano (TCCD); fig. 3 7 San Sisto Vecchio, part . della finta architettura (D. Ventura-Cl A); fig. 38 già San Salvatore Maggiore (Rieti), pan. dell 'affresco con Ottone II e Theophanu (da Schramm 1983) p. 28 fig. 39 San Clemente, basilica inferiore, Beno de Rapiza e Maria Macellaria nella Messa di san Clemente (A. GiorgettiCI A); fig. 40 San Clemente, basili ca inferiore, arcata destra del nartece , Mar ia Macellaria e il puerulus Clemen te (S. Romano); fig. 41 W. Ewing, acquerello del Tentato arresto di san Clemente (A. Giorgerti-CI A); fig. 42 BAV, Vat. lat. 3868, f. 10v (da Vedere i Classici) p. 29 fig . 43 Pinacoteca Vaticana, part. deUa tavola del Giudizio Universale (foto Musei Vaticani); fig. 44 San Clemente, basilica inferiore, part. della Storia di sant'A/essio (A. Giorgetti-CI A); fig . 45 Santa Pudenziana, part. dell'Ordinazione sacerdotale di Timoteo (D. Ventura-Cl A); fig. 46 Tuscania, San Pietro, part. dell 'Incontro di san Pietro e san Paolo (TCCD); fig. 47 Ceri, Santa Maria Immacolata, Giuseppe e la moglie di Putz/arre (S . Romano) p. 30 fig. 48 Ceri Santa Maria Immacolata, pannello con cinque santi (S. Romano) p. 37 fig. 1 Santa Maria in Via Lata, santa Iuliane (A . Giorgetti) p. 38, fig. 2 Santa Maria in Via Lata, santa (A . Giorgetti) pp. 38-39, figg. 3-4 Santa Maria in Via Lata, gli affreschi all'epoca del rinvenimento (ICCD)

p. 40 fig. 1 San Lorenzo fuori le mura, la Vergine in trono con un arcangelo (D. Ventura-ClA) pp. 41-43, figg . 2-5 San Lorenzo fuori le mura, pannello con quattro santi, insieme e particolari (D. Ventu ra-Cl A) p. 43 fig. 6 San Lorenzo fuori le mura, pannello con san Pietro (D Ventura-Cl A) p. 44 fig. 7 San Lorenzo fuori le mura, frammento di velarium (D. Ventura-Cl A) pp. 46-55, figg. 1-8 P inacoteca Vaticana, tavola del Giudizio Universale, insieme e particolari (Musei Vaticani) pp. 56-58, figg. 1-4 Oratorio di San Gabriele, affreschi, insieme e particolari (G. Bordi-Manuela Viscontini) p. 58 fig. 5 BAV, Vat. lat. 9849, f. 15r, Seroux d 'Agincourt, la parete absidale deU'oratorio di San Gabriele (BAV) p. 59 fig. 6 M. Armellini, disegno della parete absidale e della parete destra dell 'oratorio di San Gabriele (da ArmeUini 1875) pp. 60-61, figg. 1-4 Sant'Andrea al Celio, Medaglione con il Cristo e arcangeli adoranti (ICCD ) p. 62 fig. 5 Sant' Andrea al Celio, part. del Cristo (da Salerno 1968) pp. 63-64 figg. l -2 Pinacoteca Vaticana, pannelli con sante da Sant'Agnese fuori le mura (Musei Vaticani) pp. 66-67, figg. 1-2 San Clemente, Battistero, pannello con la Vergine in trono, san Clemente e donatrice (A. Giorgetti-CI A) pp. 69-72, figg. 1-7 San Crisogono, basilica inferiore, decorazione dell'abside (R. Sigismondi-CI A) p. 73 fig. I San C risogono, cripta, figure di santi (R. Sigismondi-

CIA) p. 74 figg. 2-4 San Crisogono, cripta, figure di santi (ICCD) p. 75 fig. 5 San Crisogono, cripta, resti di figure affrescate (R. Sigismondi-CI A); fig. 6 Wilpert-Tabanelli, foto acquerellata, resti di figure di santi nella cripta di San Crisogono (da Wilpert 1916, IV, tav. 177, 3 ); fig. l San Crisogono, basilica inferiore, decorazione della recinzione presbiteriale (R. Sigismondi-C/A) p. 76 fig. l San Crisogono, basilica inferiore, pannello di Romanus (R. Sigismondi-CI A) p. 78 fig. l San Crisogono, basilica inferiore, pannello con tre figure di santi (R. Sigismondi-CI A) p. 80 fig.1 San Crisogono, basilica inferiore, ciclo con storie di santi (R. Sigismondi-CI A) p. 81 fig. 2 San Crisogono, basilica inferiore, ciclo con storie di santi, pannello con figura di guerriero (R. Sigismondi -CIA); fig. 3 San Crisogono, basilica inferiore, ciclo con storie di santi, storia di san Pantaleone (R. Sigismondi-C/ A); fig. 4 San Crisogono, basi lica inferiore, ciclo con storie di santi, frammenro di una storia di Mattia (R. Sigismondi-CI A) p. 82-83 figg. 5-6 San C risogono, basilica inferiore, ciclo con storie di santi, Salvataggio di San Placido, insieme e particolare (R. Sigismondi-CI A) p. 84 fig. 7 San Crisogono, basilica inferiore, ciclo con storie di santi, Guarigione del lebbroso (R. Sigismondi-CI A) p. 85 fig. 8 San Crisogono, basilica inferiore, ciclo con storie di santi, scena non identificata (R. Sigismondi-CI A) p. 86 fig . 9 San Crisogono, basilica inferiore, ciclo con storie di santi, frammento affrescato (R. Sigismondi-CIA) p. 86 fig.10 San Crisogono, basilica inferiore, ciclo con storie di santi, San Silvestro e il drago (R. Sigismondi-CI A) pp. 87-88 figg. 1-2 San Crisogono, basilica inferiore, dipinti sul muro orientale (R. Sigismondi-CI A) pp. 90 fig. 1 Santa Balbina, sesta nicchia a sinistra, Istituzione dell'Eucarislla (A. Giorgetti) p. 91 fig. 2 Santa Balbina, parete sinistra della sesta nicchia a sinistra, palinsesto con frammenti di panneggio (A. Giorgetti) p. 91 figg. 3-4 Santa Balbina, sesta nicchia a sinistra, part. delle iscrizioni dipinte (D. Ventura-Cl A) p. 92 fig. 5 Santa Balbina, sesta nicchia a sinistra, parr. della donatrice dell 'Istituzione dell'Eucaristia (A. Giorgetti) p. 93 fig. l Sanra Balbina , terza nicchia a sinistra, insieme (D. Ventura-Cl A) p. 93 fig. 2 Santa Balbina , terza nicchia a sinistra, il Battista (D. Ventura-Cl A) p. 94 fig. 3 Santa Balbina, terza nicchia a sinistra, le mani della Vergine (D. Ventura-ClA); fig. 4 Santa Balbina, terza nicchia a sinistra, il volto del Battista (D. Ventura-ClA) p. 95 fig. l Antiquarium della Casa Celi montana, affresco con il Cristo e arcangeli già nell 'oratorio del Salvatore sotto Santi Giovanni e Paolo (PSAE)

p. 96 fig. 2 Wilpert-Tabanelli , foto acquerellata, affresco con il Cristo e arcangeli già nell 'oratorio del Salvatore sotto Sami Giovanni e Paolo (da Wilpert 1916, IV, tav. 243) p. 97 fig. 1 Catacomba di Sant'Ermete, nicchia affrescata (PCAS) pp. 98-101, figg. 2-6 Catacomba di Sant'Ermete, part. della nicchia affrescata (S . Romano) p. 102 fig. I già in San Salvatore de Militiis, affresco (da Rava 1930); fig . 2 A. Rava, ricostruzione grafica dell'affresco già in San Salvatore de Militiis (da Rava 1930) p. 103 fig. 3 San Salvatore de Militiis, resti attuali dell 'affresco (D. Ventura-Cl A) p. 105 fig. 1 San Giovanni a Porta Latina, affresco nel portico (D. Venrura-CI A) p. 106 fig. l Wilpert-Tabanelli , foto acquerellata, Storie di Gioacchino e Anna nel pastoforio destro di San Giovanni a Porta Latina (da Wilpert 1916, IV, tav. 259, 1) p. 107 fig. 2 San Giovanni a Porta Latina, pastoforio destro, part. del Rifiuto delle offerte di Gioacchino (M. Viscontini) p. I 08 fig. 3 San Giovanni a Porta Latina, pastoforio destro, part. deU'Annunaazione ad Anna (M. Viscontini) p. 109 fig. 4 Wilpert-Tabanelli, foto acquerellata, Annunciazione ad Anna del ritorno di Gioacchino nel pastoforio destro di San Giovanni a Porta Latina (da Wilpert 1916, IV, tav. 259 , 2); fi g. 5 San Giovanni a Porta Latin a, pastoforio destro, part. dell 'Annunciazione ad Anna del ritorno di Gioacchino (P. Sansaini, Musei Vaticani); fig. 6 Wilpert-Tabanelli, foto acquerellata, pannello con le Croci nel pastoforio destro di San Giovanni a Porta Latina (da Wilpert 1916, IV, tav. 250 ,3); fig. 7 San Giovanni a Porta Latina, pastoforio destro, parr.

della Croce (M. Viscontini) p. 111 fig. 1 Santa Maria in Aracoeli, Madonna advocata (A . Rubino, ICR) p. 112 fig. 2 Santa Maria in Arameli, Madonna advocata (ICCD); fig. 3 Wilpert-Tabanelli, foto acquerellata, Madonna advocata in Santa Maria in Arameli (da Wilpert 1916, IV, tav. 226) p. 115 fig. l Pinacoteca Vaticana, Salvatore benedicente (Musei Vaticani) p. 116 fig. 2 Wilpert-Tabanelli, foto acquerellata, il Salvatore benedicente nella Pinacoteca Vaticana (da Wilpert 1916, IV, tav. 260) p. 119 fig. 1 Palazzo Barberini, Madonna advocata (Archivio Jaca Book) p. 120 fig. 2 Incisione deUa Madonna advocata di Santa Maria in Campomarzio (da Bombelli 1792) p. 122 fig. I Antonio Barbazza, incisione deUa Madonna advocata di Sanr'Ambrogio deUa Massima (da Bianchi 1755 ) p. 122 fig. 2 Incisione della Madonna advocata di Sant'Ambrogio della Massima (da BombeUi l 792) pp. 124-125, figg. 1-4 San Sisto Vecchio, frammenti affrescati nell'abside (D. Ventura-Cl A) p. 127 figg. 1-2 San Paolo fuori le Mura, Ultima Cena, insieme e dettaglio (D. Ventura-Cl A) p. 128 fig. 3 Wilpert-Tabanelli, foto acquerellata, l'Ultima Cena in San Paolo fuori le Mura (da Wilpert 1916, IV, tavv. 232233, 2) p. 128 fig. 4 San Paolo fuori le Mura, part. dell'Ultima Cena (F. Dos Samos) pp. 129-134 figg. 1-3 San Clemente, basilica inferiore, arcata destra del nartece (A. Rubino, ICR) pp. 135 -136 figg. 1-2 San Clemente, basilica inferiore, arcata sinistra del nartece (A. Rubino, ICR) p. 137 fig. 3 W. Ewing, acquerello della Traslazione (A. GiorgettiCIA) pp. 138-141 figg. 1-5 San Clemente, basilica inferiore, primo pilastro deUa navata (A. Giorgetti-CI A) p. 142 fig. 6 W. Ewing, acquereUo del sant'Antonino e san Daniele (A. Giorgetti-CI A) p. 143 fig. 7 San Clemente, basilica inferiore, colonna dipinta (A. Giorgetti-CI A) pp. 145-147 figg. 1-4 San Clemente, basil.ica inferiore, secondo pilastro della navata (A. G iorgetti-CI A) p. 148 fig. 5 W Ewing, acquerello del sant'Egidio e san Biagio (A. Giorgetti-CI A) pp. 151-152 figg. 1-2 San Gregorio Nazianzeno, affresco nell 'abside (Archivio Jaca Book) pp. 154-155 figg. 1-2 San Gregorio Nazianzeno, lunetta con il Viaggio di Tempulus e dei suoifratelli, insieme e part. (A. Giorgerti)

I N DI CE DE LL E ILLUSTRAZ ION I

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p. 155 figg . 3-4 San Gregorio Nazianzeno, part. dei sottarchi (A rchivio Jaca Book) p. 157 fig. I BIASA, Racc. Lane., Roma XI.45.III, f. 27 (BIASA) p. 158 fig. 2 BIASA, Racc. Lane., Roma XI.45.ill, f. 28 (BIASA) p. 164 fig. I Ceri, Santa Maria Immacolata, part. della Crocifissione di sant'Andrea (S. Romano) ; fig. 2 San Clemente, basilica inferiore, pan. del Miracolo del Tempietto (S. Romano); fig. 3 Sotterranei del Sancta Sanctorum , part. del leone (J. Croisier) p. 165 fig. 4 Santa Maria in Pallara, san Zotico (Arch ivio Cl A); fig. 5 Santa P udenziana, oratorio mariano, santa Pudenziana (D. Ventura-Cl A); fig. 6 Castel Sant'Elia , basilica di Sane' Anastasio, pan. di una santa nell'abside (S. Romano); fig. 7 Tuscania, San Pietro, cripta , medaglioni con busti di apostoli (ICCD) p. 166 fig. 8 Santa Maria in Trastevere, portico, lastra con cespo d 'acanto (S. Romano ) p. 167 figg. 9 e 11 San Clemente, basilica superiore, part. dell'acanto del mosaico absidale (A. Rubino, ICR); figg. IO e 12 Ara Pacis. part. dell'acanto (Archivio Cl A) p. 168 fig. 13 San Clemente, basilica superiore, part. del san G iovanni Evangelista del mosaico absidale (A. Rubino, ICR) p. 169 fig . 14 San Bartolomeo all'Isola, il Salvatore (S. Piazza) p. 171 fig. 15 WRL 9172, pa rt. del mosaico absidale di San t' Andrea Catabarbara (da Osborne-Clar idge 1996 ); fig. 16 Santi Cosma e Damiano, il Cristo del mosaico absidale (Archivio Jaca Book); fig. 17 WRL 8972, part. del mosaico absidale di Santa Maria in Monticelli (The Royal Collection © 2006, Her Majesty Queen Elizaberh Il); fig. 18 \XIRL 8940, part. del mosaico absidale di San Lorenzo in Lucina (The Royal Collection © 2006, Her Majesty Queen Elizaberh II) p. 175 fig . 19 G. B. Giovenale, disegno ricostruttivo della decorazione della navata di Santa Maria in Cosmedin (da Giovenale 1927) p. l 7f, fig. 20 Santa Maria in Cosmedin, maschera, part. degli affreschi della nava ta (ICCD); fig. 21 San Clemente, sottotetto della basilica superiore, maschera (S. Romano) p. 177 figg. 22-23 Santa Maria in Cosmedin , putti alari , part. degli affreschi della navata (J. Croisier); fig. 24 San Clemente, sottotetto della basi lica superiore, nudo (S. Romano ); fig. 25 Santi Bonifacio e Alessio, sacel lo della cripta, san Benedetto (S. Pennesi) p. 178 fig. 26 BPC, Cod. 3. 210, f. lv, Cristo in trono tra santi e donatori (Arcliivio Jaca Book); fig. 27 WRL 8981, part. della Vergine in trono e angeli dell'oratorio di San Nicola in Laterano (The Royal Collection © 2006, Her Majesry Queen E lizabeth II); fig. 28 Santa Maria in Cosmedin , part . dell'Adorazione dell'idolo d'oro (J. Croisier) p. 179 fig. 29 Tivoli, Cattedrale, il Salvatore (Archivio J aca Book) p. 184 fig. l BIASA, Racc.L anc., Roma Xl.45 .III, f. 31 , le Storie dell'Infanzia di Cristo già nel na rtece di San Lorenzo fuori le mura (BIASA) p. 186 fig . I BIASA, Racc. Lanc., Roma XI.45.III , f. 29 , la Pentecoste già nel nartece di San Lorenw fuori le mura (BIASA) p. 189 fig. 1 Pinacoteca Vaticana, depositi, affresco staccato con Storia di Ananù, e Saffira (Musei Vaticani) p. 190 fig. I BDS, Fotografia degli affreschi in San Salvatore in Thermis (da Fiore Cavaliere 1978) pp. 190-191 figg. 1-2 San Bartolomeo all'Isola, mosaico con il busto del Salvatore (S. Piazza) p. 193 fig. 3 A. Tempesta, incisione, San Bartolomeo all'Isola (Archivio ClA) p. 195 fig. 4 San Bartolomeo all'Isola, part. del volto del Salvatore (S. Piazza) p. 196 fig. 1 Santa Maria in Pallara, pannello con figure di santi (A. G iorgetti) p. 198 fig. 2 WRL 9215, pannello con figure di santi in Santa Maria in Pallara (da Osborne-Claridge 1996) pp. 200-201 figg. 1-2 Santa Pudenziana , oratorio mariano , pannello con la Vergine e le sante Pudenziana e Prassede, insieme e part. (D. Ventura-Cl A) p. 203 fig . 3 Santa Pudenziana, oratorio mariano, Predica di san Paolo alla famiglia di Pudente (D. Ventura-ClA); fig. 4 Santa Pudenziana, oratorio ma riano, San Paolo battezza Novato e Timoteo (D. Ventura-Cl A); fig. 5 Santa Pudenziana, oratorio mariano, San Paolo impone la mano ad un chierico (D. VenturaCl A); fig. 6 Santa P udenziana, oratorio mariano, Scena di

battesimo (?) (D . Ventu ra-Cl A) p. 204 fig. 7 Santa P udenziana, oratorio mariano, part. del san Paolo che impone la mano ad un chierico (D. Ventura-Cl A) p. 205 fig. 8 Santa Pudenziana, oratorio mariano, 1:angelo incorona Valeriano con Tiburzio e Urbano (D. Ventura-Cl A) p. 206 fig. 9 Santa Pudenziana, oratorio mariano, volta con i

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I NDICE DELLE ILL USTRAZ ION I

simboli degli Evangelisti e l'Agnus Dei D. Ventura-ClA) p. 208 fìg. 1 Santi Quattro Coronati, il fregio nel sottotetto (PSAE) p. 209-218 figg. 1-15 San Clemente, basilica superiore, mosaico absidale, insieme e particolari (A. Rubino, ICR) p. 219 fig. 1 Santa Cecilia in Trastevere, affresco staccato con la Deposizione di santa Cecilia e sogno di Pasquale I (F. Dos Santos); fìg. 2 BAV, Barb. lat. 4402, f. 20, Il portico della baszlica di Santa Cecilia in Trastevere (BAV) p. 220 fig . 3 BAV, Barb. lar. 4402, f. 21 , Figure di santi già nel portico di Santa Cecilia in Trastevere (BAV); fig. 4 BAV, Barb. lar. 4402, f. 29, Lo Madonna con Bambino e santi già nel portico di Santa Cecilia in Trastevere (BAV ); fig . 5 BAV, Barb. lat. 4402, f. 22 , Marllno di san Vincenza e di sant'JgnaZJo d'Anllochia (?) già nel portico di Santa Cecilia in Trastevere (BAV); fig. 6 BAV, Barb. lat. 4402, f. 23 , Martirio di san Lorenzo e di santo Stefano già nel portico di Santa Cecilia in Trastevere (BA\/) p. 221 fig. 7 BAV, Barb. lat. 4402, f. 24 , Nozze di santa Cecilia e Valeriano e Colloquio degli sposi già nel portico di Santa Cecilia in Trasrevere (BAV); fig. 8 BAV, Barb. lat. 4402. f. 25, Valeriano a cavallo e il Battesimo di Valeriano già nel porrico di Santa Cecilia in Trastevere (BAV); fig . 9 BAV, Barb. lat. 4402 , f. 26, L'angelo benedice Cecilza e Valeriano già nel portico di Santa Cecilia in Trasrevere (BA\/); fig. IO BAV, Barb. lat. 4402, f. 27, Predica di santa Cecilia e Decollazione di santa Cecilia già nel portico di Santa Cecilia in Trastevere (BAV); fig. 11 BAV, Barb. lat. 4402 , f. 28, Deposizione di santa Cealia e Sogno di Pasquale I, e Pasquale I consacra come chiese la casa di santa Cecilia già nel portico di Santa Cecilia in Trastevere (BAV) pp. 222-223 figg. 1-7 Santa Cecilia in Trastevere, il fregio a mosaico del portico (D. Ventura-ClA) p. 224 fig. 1 Pianta dei sotterranei del Sancta Sanctorum (da Lauer 1911); fig. 2 Sotterranei del Sancta Sanctorum, Autoseppellimento di san Giovanni Evangelista (J. Croisier) p. 225 fig. 3 Sotterranei del Sancta Sanctorum, Leone e elementi decorativi (J. Croisier) p. 226 fig. 4 BAV, Barb. lat. 6555, f. 5, la Madonna advocata già nei sotterranei del Sancta Sanctorum (BAV); fig. 5 Sotterranei del Sancta Sanctorum, Cristo benedicente (Musei Varicani); fig. 6 Sorrerranei del Sancta Sanctorum, Santo vescovo (J. Croisier) p. 227 fig. 7 Sotterranei del Sancta Sanctorum, pilastro con due santi e morivi decorativi (J. Crosier); fig. 8 BAV, Barb. lat. 6555, f. 1, Scena non idenll/ù:ata (BAV); fig. 9 Sotterranei del Sancta Sanctorum, Due sante martiri (M usei Vaticani) p. 228 fig. 10 Sotterranei del Sancta Sanctorum, part. della Crocifissione (J. Croisier); fig. 11 Sotterranei del Sancta Sanctorum, part. della Crocifissione (J. Croisier); fig. 12 Sorrerranei del Sancta Sanctorum, Geremia (J. Crosier); fig. 13 Sotterranei del Sancta Sanctorum, Osea (J. Croisier) p. 229 fig. 14 Sotterranei del Sancta Sanctorum, Martirio di san Sebastiano (J. Croisier) p. 230 fig. 15 Sotterranei del Sancta Sanctorum, Scene del Genesi (J. Croisier); fig. 16 Sotterranei del Sancta Sanctorum, part. della Creazione (J. Croisier); fig. 17 BAV, Vat. lat. 9071, p. 253, Scene del Genesi nei souerranei del Sancta Sanctorum (BAV); fig. 18 Sotterranei del Sancta Sanctorum, santo martire (Musei Vaticani) p. 231 fig. 19 BAV, Barb. lat. 6555, f. IO, Due santi diaconi(,) (BAV); fig. 20 BAV, Barb. lat. 6555,f. 11 ,San Giovanni Battista e San Giovanni Evangelista (BAV) p. 232 fig. 21 BAV, Barb. lat. 6555, f. 12, Santo barbato (BAV); fig. 22 BAV, Var. lat. 9071, p. 256, Martirio di sant'Andrea e altre storie (BAV) p. 233 fig . l San Benedetto in Piscinula, Giudizio Universale (D. Ventura-Cl A) p. 234 fig. 2 San Benedetto in Piscinula, affreschi sulla parere destra (D . Ventura-ClA); fig. 3 San Benedetto in Piscinula, part. dell'angelo nel Giudizio Universale (D. Ventura-Cl A); fig. 4 San Benedetto in Piscinula, il san Giovanni Evangelista nel Giudizio Universale (D. Ventura-ClA) p. 235 fig. 5 San Benedetto in Piscinula, Offerta di Caino e Abele (D . Ventura-CIA) p. 236 fig. 6 San Benedetto in Piscinula , Cacciata dal Paradiso (D . Ventura-Cl A) p. 237 figg. 1-2 San Marcello al Corso, affreschi dell'abside settentrionale (R. Sigismondi) p. 238 fig. 3 S: n Marcello al Corso, frammento con testa maschile (R. Sigismondi); fig. 4 San Marcello al Corso, frammento con volto di Cristo (V. Fazio) p. 239 fig. 5 San Marcello al Corso, San Martino di Tours e palma (R. Sigismondi) p. 240 figg. 1-3 San Marcello al Corso, zoccolatura dipinta della parete meridionale (M. Di Berardo); fig. 4 F. Tommasi, grafico

ricostruttivo del fregio sulla zoccolatura della parete meridionale (da Episcopo 1999-2000) p. 24 I fig. 1 Santi Bonifacio e Alessio, sacello della cripta (S. Pennesi); fig. 2 Santi Bonifacio e Alessio, sacello della cripta, lato destro (S. Pennesi); figg. 3-4 Santi Bonifacio e Alessio, sacello della cripta, Figure di abati (S. Pennesi) p. 243 fig. 5 Santi Bonifacio e Alessio, sacello della cripta, lato sinistro (S. Pennesi); figg. 6-7 Sanri Bonifacio e Alessio, sacello della cripta, Figure di santi pontefici (S. Pennesi) p. 244 fig. 8 Santi Bonifacio e Alessio, sacello della cripta, arco (S. Pennesi); fig. 9 Santi Bonifacio e Alessio , sacello della cripta, volta (Wilpen 1916, II, fig. 445 ) p. 245 fig. 10 Santi Bonifacio e Alessio, sacello deUa cri pta, Simbolo di Matteo (S. Pennesi); fig. 11 Santi Bonifacio e Alessio, sacello della cripta, vaso con fiori (S. Pennesi); fig. 12 Santi Bonifacio e Alessio, sacello della cripta, Madonna in trono fra san Bonifacio e sant'Alessio (S. Pennesi); fig. 13 Incisione della nicchia del sacello dei Santi Bonifacio e Alessio :da Nerini 1732) p. 246 fig. 14 Santi Bonifacio e Alessio, sacello della cripta , sant'Adalberto da Praga(?) (S. Romano); fig. 15 Santi Bonifacio e Alessio, sacello della cripta, san Benedetto (S. Pen nesi ); fig. I San Oemente, sottotetto della basilica superiore, il pavone sul timpano della navata destra (S . Romano ); fig. 2 San Clemente, sottotetto della basilica superiore, decorazione del timpano deUa navata sinistra (S. Romano ) p. 248 fig. 3 San Clemente, sorroretto della basilica superiore, part. del leone sul timpano della navata sinistra (S. Romano); fig. 4 San Clemente, sottotetto della basilica superiore, pan. della fascia decorativa del timpano della navata sinistra (S. Romano); figg. 5-6 San Clemente, sottotetto della basilica superiore, resti affrescati sulla parete sinistra ij. Croisier) p. 249 fig. 7 San Clemente, sottotetto della basilica superiore, fregio sulla parete sinistra (J. Croisier); fig. 8-9 San Clemente, sottotetto della basilica superiore, Stona di san Clemente(') sulla parere sinisrra (J. Croisier) p. 250 fig. 1 Santa Maria in Cosmedin, parete sinistra della navata (ICCD) p. 251 fig . 2 Santa Maria in Cosmedin, Visione di Ezechiele (ICCD); fig. 3 Santa Maria in Cosmedin, parr. della Visione di Ezechiele (J. Croisier) p. 252 fig. 4 Santa Maria in Cosmedin, part. di Ezechiele in atto di radersi (J. Croisier); fig. 5 Santa Maria in Cosmedin, pan. del soldato nel Massacro degli ,do/atri (J. Croisier); fig. 6 Santa Maria in Cosrnedin, Ezechiele mandato in esilio (ICCD) p. 253 fig. 7 Sanra Maria in Cosmedin, il profeta Daniele (J. Croisier) p. 254 fig. 8 Sanra Maria in Cosmedin, Nabucodonosor e gli indovini (J. Croisier); fig. 9 Santa Maria in Cosmedin, parr. di Nabucodonosor e gli indovini (J. Croisier); fig. 10 Santa Maria in Cosmedin, parr. dell 'Esecuzione degli indovini (J. Croisier); fig. 11 Santa Maria in Cosmedin, l'Adorazione dell'idolo d'oro (J. Croisier) p. 255 fig. 12 Santa Maria in Cosmedin, part. di Nabucodonosor e i tre ebrei (J. Croisier); fig. 13 Santa Maria in Cosmedin, pan. di abucodonosor e i tre ebrei (J. Croisier); fig. 14 Santa Maria in Cosmedin, lo Sposalizio della Vergine (>) (J. Croisier); fig. 15 Santa Maria in Cosmedin, parr. dello Sposalizio della Vergine(>) (J. Croisier) p. 256 fig. I Santa Maria in Cosmedin, la romba di Alfano (F Dos Santos) p. 257 fig. I già Santa Maria in Cosmedin, lunetta perduta con Annunciazione e Natività OCCD); fig. 2 Disegno ricostruttivo della lunetta con Annunciazione e Natività (da Giovenale) p. 259 fig. I già in Sant'Angelo in Pescheria, Madonna advocata (ICCD) p. 260 fig. 2 già in Sanr' Angelo in Pescheria, Madonna advocata (ICCD) p. 263 fig. 1 Santissimo Nome di Maria , Madonna odigitria (PSAE) p. 26-l fig. 2 Santissimo ome di Maria, part. della Madonna odigitria (PSAE) p. 265 fig. 1 Traversetolo (Parma), Collezione Magnani Rocca, Madonna odigitria (Archivio Cl A) p. 267 fig. I Santa Maria in Via Lata, Madonna advocata (A . Giorgeni) p. 269 fig. 2 Santa Maria in Via Lara, Madonna advocata (ICCD) p. 271 fig. 1 BAV, Barb. lat. 2738, f. 104r, Trionfi di Gregorio VII e Callisto II nel Concordato di Worms (BAV ); fig. 2 BAV, Barb. lat. 2738, f. 105 v, Trionfi di Alessandro Il e Pasquale II (BAV) p. 271 fig. 3 BAV, Barb. lat. 2738, f. 103v, Tnon/i di Alessandro II e Pasquale II (BAV)

p. 273 fig. I Pinacoteca Vaticana, Battesimo di Cristo da San Nicola in Carcere (da Medieval Frescoes 2002) p. 274 figg. 2-5 Pinacoteca Vaticana, Mosè, Amos, Aggeo, Gereinza da San Nicola in Carcere (da Medieval Frescoes 2002) p. 276 figg. 6-8 Pinacoteca Vaticana, Frammenti con figure di uccelli da San Nicola in Carcere (da Medieval Frescoes 2002) p. 277 figg. 9-12 Pinacoteca Vaticana, Frammenti con fregi e figure d'animali da San Nicola in Carcere (da Medieval Frescoes 2002 ) p. 278 fig. 13 Pinacoreca Vaticana, Frammento con maschera e fregi da San Nicola in Carcere (da Medieval Frescoes 2002 ) p. 279 fig. 14 BAV, Vat. lat. 5409, f. 73Ar, Flagellazione di Cristo già in San Nicola in Carcere (BAV); fig. 15 BAV, Vat. lat. 5409, f. 79r, Crocifissione già in San l icola in Carcere (BAV) p. 280 fig. 16 BAV, Vat. lat. 5407, f. 11, papa Felice N già in San \Jicola in Carcere (BAV); fig. 17 BAV, Var. lat. 5407, f. 12, papa Bonifacio IV già in San Nicola in Carcere (BAV) p. 281 fig. I Sant' Anastasia, Madonna Regina (F. Dos Santos) p. 282 fig. I San Paolo fuori le mura, e.cl. oratorio di San Giuliano, insieme (Musei Vaticani) p. 283 fig. 2 San Paolo fuori le mura, e.cl. oratorio di San Giuliano, Crocifissione, san Paolo, san Pietro (Musei Vaticani); fig. 3 San Paolo fuo ri le mura , e.cl. oratorio di San Giuliano, san Paolo !Musei Varicani) p. 284 fig. 4 San Paolo fuori le mura, e.cl. oratorio di San Giuliano, il.posto/i (M usei Vaticani) p. 285 fig. 5 San Paolo fuori le mura, e.cl. oratorio di San Giuliano, Giuda e Mattia (Musei Vaticani) p. 286 fig. 6 San Paolo fuori le mura, e.cl. oratorio di San Giuliano, Santi diaconi e martiri (Musei Vaticani); fig. 7 San Paolo fuori le mura, e.cl. oratorio di San Giuliano, Timoteo e Stefano (Musei Vaticani) p. 287 fig. 8 San Paolo fuori le mura, e.cl. oratorio di San Giuliano, Apostoli(Musei Vaticani); fig. 9 San Paolo fuori le mura, e.cl. oratorio di San Giuliano, Santi e martiri (Musei Vaticani) p . 288 fig. IO BAV, Vat. lat. 9849, f. 69r, Testa di santa dal e.cl. oratorio d i San Giuliano (BAV); fig. Il San Paolo fuori le mura, e.cl. oratorio di San Giuliano, clipeo con busto di santo pontefice (F. Dos Santos) p. 289 fig. 12 BAV, Vat. lat. 9071, f. 254, parete con papi e abati nel c.d. ora tono di San Giuliano (BAV); fig. 13 San Paolo fuori le mura, c.d. oratorio di San Giuliano, lunetta con santo abate (F. D os Santos) p . 290 fig. 1 WRL 8981, Madonna Regina gùì nell'oratorio di San Nicola in Laterano (The Royal Collection © 2006, Her Majesty Queen Elizabeth II) p. 291 fig. 2 Incisione della parete dell'oratorio di San Nicola in Laterano (da Caetani 1638) p. 292 fig. 3 BAV, Barb. lat. 4423, f. 2, Quattro santi pontefici già nell'oratorio di San Nicola in Laterano (BAV); fig. 4 BAV, Barb. lat. 4423, f. 3, Quattro santi pontefici già nell'oratorio di San Nicola in Laterano (BAV) p. 295 fig. I WRL 8940, L'abside di San Lorenzo in Lucina (The Royal Collection © 2006, Her Majesty Queen Elizabeth II) p. 296 fig. l BAV, Barb. lat. 2738, f. 104v-105r, L'incoronazione di Lotar,o Ili già nel Patriarchio lateranense (BAV) p. 298 fig. l San Lorenzo fuori le mura, mosaico dell 'arco rrionfale (fotografia rilavorata, Archivio Cl A) p. 299 fig. 2 Grafico delle fasi di esecuzione del mosaico di San Lorenzo fuori le mura (ICR) p. 300 fig. 3 San Lorenzo fuori le mura , pan. del Cristo del mosaico dell 'arco trionfale, (A . Rubino, ICR) p.30 1 fig. 4 San Lorenzo fuori le m ura, pan. del san Paolo del mosaico dell 'arco trionfale, (A. Rub ino , I CR); fig. 5 San Lorenzo fuori le mura, pan. del san Pietro del mosaico del!'arco trionfale, (A. Rubino, ICR) ; fig. 6 San Lorenzo fuori le mura, part. del santo Stefano del mosaico dell'arco trionfale, (A. Rubino, ICR) p. 302 fig. I San Lorenzo fuori le mura, Santo vescovo, (D. Ven tura-Cl A) p. 303 fig. 2 BI ASA, Racc. La ne. Roma XI.45.III, f. 30, Storie di san Lorenzo e santo Stefano e figura di santo vescovo (BIASA) p. 304 fig. 1 BAV, Vat. lat. 5407 , f. 26, il 'Prete Boninus' già in San Salvatore in Onda (BAV) p. 305 fig. I Santa Maria in Trastevere, veduta dell'abside e dell'arco absidale (A. G iorgetti-CI A) p. 306-311 figg. 2-7 Santa Maria in Trastevere, mosaico absidale, inseme e pa rticolari (A. G iorgetti -CI A) p. 312 fig. I Santa Maria in Monticelli, Volto diCnsto (D. Ventura-

Cl A) p. 313 fig. 2 Santa Maria in Monticelli, veduta del catino absidale (D. Ventura-ClA)

p. 314 fig. 3 WRL 8972, Figura di Cristo (The Royal Collection © 2006, Her Majesty Queen Elizabeth II); fig. 4 Proposta di ricostruzione del mosaico absidale di Santa Maria in Monticelli (