Faust. Il mito dalla tradizione orale al post-pop 8843067060, 9788843067060

Nato in Germania, sviluppatosi per gemmazione dalla oscura biografia di un personaggio storico alla quale si sono sovrap

173 25 5MB

Italian Pages 172 Year 2013

Report DMCA / Copyright

DOWNLOAD PDF FILE

Recommend Papers

Faust. Il mito dalla tradizione orale al post-pop
 8843067060, 9788843067060

  • 0 0 0
  • Like this paper and download? You can publish your own PDF file online for free in a few minutes! Sign Up
File loading please wait...
Citation preview

Quality Pap erbacks 401 ·

Il volume fa parte della serie "Le tradizioni del mito" diretta da Massimo Fusillo e Davide Susanetti. Già pubblicati: Federico Condello

Elettra Sorera Fornaro

Antigone Giorgio Ieranò

Arianna Guido Paduano

Edip o In preparazione: Alessandro Grilli

Adone Luca Scarlini

Ermaftodito

I lettori che desiderano informazioni sui volumi pubblicati dalla casa editrice possono rivolgersi direttamente a:

Carocci editore Corso Vittorio Emanuele Il, H9 oo186 Roma telefono o6 42 81 84 17 fax o6 42 74 79 31

Visitateci sul nostro sito Internet: http://www.carocci.it

LucaZenobi

Faust Il mito dalla tradizione orale al post-pop

Carocci editore

@ Quality Paperbacks

Il progetto di questo libro nasce poco prima del terremoto che il 6 aprile 2. 0 0 9 ha colpito L'Aquila, la città in cui lavoro e in cui vivevo. Gli eventi che hanno stravolto i piani di vita di un'intera comunità ne hanno prolungato i tempi di stesura. Ringrazio innanzi tutto l'editore per aver compreso la situazione e non aver fatto pressione in merito ai termini di consegna. A Massimo Fusillo e a Maurizio Pirro va la mia più sincera gratitudine per l'aiuto e i suggerimenti forniti durante l'elaborazione con una costanza e una partecipazione impagabili. Ringrazio inoltre Stefano Ricci e Gianni Forte, Claudio Pitzalis del Teatro comunale di Bologna, Marco Castellari, Marco Rispoli, Giovanna Cermelli, Mirko Lino, Matteo Colombi, Germana Di Gregorio, Denia Di Claudio, Christian Mario Angeli, Maria Pie­ ra Bartolini e la redazione di Prima dellaprima (Rai 3). A Davide e Stefania devo riconoscenza per la serenità con cui hanno sopportato i malumori e le ansie che accompagnano le mie giornate di lavoro.

' 1 edizione, gennaio 2013

©copyright 2013 by Carocci editore S.p.A., Roma Finito di stampare nel gennaio 2013 per i tipi delle Arti Grafiche Editoriali Srl, Urbino

ISBN

978-88-430-6706-o

Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 della legge 2.2. aprile 1941, n.

633)

Senza regolare autorizzazione,

è vietato riprodurre questo volume anche parzialmente e con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche per uso interno o didattico.

Indice

Introduzione. Un mito tedesco ?

9

I.

Vitalismo, nichilismo, volontà di potenza

l.

Dottor Faustus : mago e negromante

41



n patto/scommessa

con il diavolo

61



Lo spirito che nega e contraddice: Mefistofele & Co.

81



Dimensioni archetipiche del mito : natura, storia, ovvero sabba e idillio

99

6.

Universi femminili nel mito di Faust: eros e amore

II7



Salvezza o dannazione

137

8.

Faust in scena

145

Bibliografia

161

Indice dei nomi

169

li

[ . ] et le souvenir qui reste de cet écrit tient toujours un peu du vertige. .

.

M.

me de Stael sul Faust di Goethe

Introduzione Un mito tedesco? Egli appartiene a Goethe non più di quanto Prometeo appartenga a Eschilo. F.-V. Hugo, Le Faust anglais de Marlowe,

Introduction (1858)

Con il titolo Das Motiv des Teufelspakt (Il motivo delpatto con il diavolo), Sigmund Freud sviluppa il secondo paragrafo del suo breve articolo Eine Teufelsneurose im siebzehnten ]ahrhundert ( Una nevrosi demoniaca nel diciassettesimo secolo), comparso per la prima volta sulla rivista "Imago" nel 1923. « I demoni - scrive Freud - sono, a nostro avviso, desideri catti­ vi e ripudiati, prodotti di moti pulsionali rifiutati e rimossi. Noi rifiutia­ mo la proiezione di queste entità psichiche nel mondo esterno, effettua­ ta sin dal Medioevo, e riteniamo che esse siano sorte nella vita interiore dei malati, dove dimorano » ( Freud, 2010, p. 21 ) . Nulla di più umano del diavolo, sostiene Freud, che non sarebbe altro se non la proiezione sul mondo reale di elementi esistenti soltanto nella psiche di persone turba­ te, manifestazioni di un "difetto" che automaticamente, meglio incon­ sciamente, innesca un processo di compensazione, talvolta una nevrosi. Il caso analizzato dal fondatore della psicanalisi, con uno stile da detective story capace di suscitare suspense nel lettore, è narrato in al­ cuni documenti relativi alla singolare storia di un pittore del Seicento. Christoph Haitzmann, questo il suo nome, avrebbe sottoscritto per ben due volte - la prima con inchiostro nero, l'altra con il proprio sangue - un patto con il demonio subito dopo aver perso il padre ed essere pre­ cipitato in un profondo stato di depressione e malinconia. Lo studio di Freud vuole spiegare, grazie al metodo psicanalitico, le modalità attra­ verso cui si può arrivare a sostituire il proprio padre con il diavolo : la nevrosi causata dalla perdita di una figura guida, come quella paterna, determina una deresponsabilizzazione dell' individuo, che tende così a costruirsi attraverso la fantasia della possessione una sorta di alibi per sfuggire alla vita. Ma la ricerca freudiana, dal singolo caso, giunge poi a conclusioni più generali di carattere socioantropologico oltre che psico­ logico. La nascita del demonio, nella visione di Freud, sarebbe dunque il frutto di una scissione dell'originaria, primitiva immagine della divinità,

IO

FAUST

che nel corso dei secoli avrebbe visto le sue caratteristiche più spavento­ se prendere corpo in un'altra figura a essa contrapposta : « Ma una cosa è sicura : gli dei possono diventare demoni malvagi se vengono scalzati da nuove divinità. Quando un popolo viene sconfitto da un altro, non raramente gli dei spodestati dei vinti si trasformano in demoni per i vin­ citori » (i vi, p. 37 ) . Il diavolo, in particolare il tentativo di associarsi con esso da parte dell'uomo per ricavarne benefici materiali e spirituali, si configura nella visione freudiana come elemento certamente patologico, ma al contempo profondamente insito nella natura umana; in sostanza, con un termine meno freudiano, un vero e proprio archetipo. In virtù di queste sue peculiarità esso è divenuto oggetto di storie, leg­ gende, miti entrati a far parte della tradizione culturale dell' Occidente. « lo credo che se il diavolo non esiste, e quindi è stato creato dall'uomo, questi lo ha creato a sua immagine e somiglianza » (Dostoevskij, 1993, p. 320 ). L'incapacità di lvan Karamazov di comprendere la presenza del male - che il personaggio dostoevskijano identifica con la violenza gra­ tuita sui bambini - e l'assenza di Dio di fronte alle sue manifestazioni più evidenti si concretizzano nella convinzione che nulla è più uma­ no della dimensione demoniaca. Il paradossale doppio rovesciamento dell' immagine biblica contenuta nella Genesi - non più Dio che crea l'uomo a sua immagine e somiglianza, ma l'uomo che crea il diavolo prendendo sé stesso a modello - è il segnale evidente di una trasposi­ zione del conflitto fra bene e male su un piano umano, sul piano della costruzione/ distruzione della propria identità, dell' identità del sogget­ to moderno. L'affermazione di lvan nell'ultimo romanzo dello scrittore russo, Brat'ja Karamazovy (I.fratelli Karamazov, 1878-8 o ) , è il preludio all'episodio intitolato Il Grande Inquisitore, profonda riflessione etico­ filosofica in forma narrativa e dialogica sul rapporto fra dimensione di­ vina e libero arbitrio, sul relativismo morale, sull'esistenza di Dio; è il momento centrale della vicenda, in cui i due poli ideologico-esistenziali del capolavoro di Dostoevskij, incarnati da Ivan e Alesa, si affrontano in un confronto drammaticamente serrato. Più avanti lo stesso Ivan, vitti­ ma di « delirio cerebrale » , incontra il diavolo in sogno, identificandolo ancora una volta come elemento umano e in particolare come una parte di sé stesso: « Insultando te, insulto me stesso ! [ ... ] Tu sei me, sei me stesso, mutato solo di faccia ! Tu non fai che dir quello ch' io già penso ... e niente di nuovo sei capace di dirmi ! » (ivi, p. 837 ) . L'episodio, contenuto nel cap. IX del libro XI (capitolo significativamente intitolato Il diavo­ lo. Incubo di Ivan Fedorovic), che avrà un ' influenza decisiva su Thomas

INTRODUZIONE

II

Mann e sulla sua visione della genesi "patologica" del patto demoniaco, è introdotto dal narratore il quale, pur dichiarandosi preventivamente « ignorante di cose mediche » , avverte il lettore che l' incontro con il diavolo altro non è se non il frutto di una patologia e di un incubo del personaggio. Più di recente, Albert Lepage, riprendendo una tradizione risalente agli inizi del XIX secolo ( Smeed, 197 5 , pp. 161-96), che associa la "sma­ nia'' faustiana all'ostinazione impenitente dei desideri di Don Giovanni, in Faust et Don }uan ( 1960 ) enuncia attraverso i due personaggi la sen­ tenza di morte del diavolo - lo straniero -, "degradato" al ruolo di mito, di creazione umana ( Lepage, 1960, p. u 6 ): FAUST Non ne voglio più di questa viltà! Sono la sola origine del male che faccio ... LO STRANIERO Dunque, io muoio! DON GIOVANNI La morte di un mito!

Si tratta di alcuni esempi di riflessione, in ambiti culturali differenti, su uno dei temi che nella storia della cultura occidentale ha avuto enorme diffusione, su un soggetto in cui elementi storici e fìnzionali si intrec­ ciano e si sovrappongono senza che sia sempre possibile distinguere i due piani. Un tema che assurge a dignità di mito in quanto, anche in virtù di questa sua origine incerta e ambivalente, fìnisce con l'assumere carattere universale, diventa espressione di elementi fondanti della storia dell'uomo e del suo pensiero e, in quanto tale, è passibile di continue re­ visioni e attualizzazioni. Con le parole del narratore nella rielaborazione post-moderna in forma romanzesca di Hélène Cixous Révolutions pour plus d'un Faust (Rivoluzioni per piu di un Faust, I97S), un Faust parcel­ lizzato, moltiplicato all' infinito, allegorico, visionario, paradossale. �� È la maschera mitica, mobile, di una diversità meravigliosa, ma, attraverso le sue trasformazioni, sempre uguale, quasi umana, quasi divina. [ . .. ] Lì dove dei grandi soli semichiusi ci fanno dei segni, tra coscienza e scien­ za, si narrano delle storie indifferenti al tempo» ( Cixous, I975 , p. 6 8 ). Paradossalmente l' « idea storica » che fa sì che « ogni epoca importante dalla storia » abbia « il suo Faust» ( Kierkegaard, 1976, pp. 5 7 s. ) diviene un "universale" fuori dal tempo. La fìgura di Faust sintetizza nelle sue più diverse rappresentazioni l'esigenza dell'uomo di accedere a una dimensione inattingibile, inco­ noscibile, cui tuttavia non si può fare a meno di anelare : il prezzo da

12

FAUST

pagare è l'alleanza - giuridicamente redatta in forma "contrattuale" con un elemento oscuro, sia esso da intendersi come parte dell'uomo stesso o come entità autonoma ed esterna. Il motivo del patto con le potenze demoniache ha tradizioni antichissime. La cosiddetta Stolf geschichte, la storia del tema relativo alla stipula di un accordo tra l'uomo e Satana, è stata oggetto di diversi, accurati studi che hanno ricostruito la genesi della leggenda faustiana a partire dal personaggio storico Johann Georg Faust - figura di confine tra diverse classi sociali, il popolo superstizioso, gli eruditi borghesi e di corte, gli imbroglioni vagabondi, e tra quei fronti del pensiero in contrapposizione, rappre­ sentanti di una filosofia critica verso la teologia e delle arti occulte da un lato, delle scienze empiriche naturali dall'altro (Sorvakko-Spratte, 20 0 8, p. 2 8 ). Da questo background si sono originati nel corso degli anni i primi racconti popolari, che hanno altresì posto in evidenza lo sviluppo e la diversificazione del più antico topos del patto con i de­ moni così come si trova già nella Bibbia e nei Vangeli apocrifi (Simon mago) e nella letteratura antica (il corpus riguardante la confessione, la professione di fede e il martirio di Cipriano di Antiochia; cfr. Watt, 1 9 9 8, pp. 25-42). A partire dal cosiddetto Volksbuch, il libro popolare, e in maniera ancor più marcata nell'opera di Marlowe e di Goethe, l' in­ carnazione di questo topos archetipico nella figura prima storica e poi letteraria di Faust ha fatto sì che il motivo del patto/scommessa con le forze del male si colorasse di una specifica connotazione moderna che nei testi precedenti è assente : il cosiddetto "dramma della conoscenza", l'insoddisfazione per un sapere vecchio, inefficace e inadatto a soddi­ sfare le istanze conoscitive dell'uomo, non più capace di concepire e spiegare il mondo con i suoi fenomeni esclusivamente sulla base della verità religiosa; allo stesso modo, l' indagine sui moventi del desiderio sessuale e del sentimento costituisce una radicale novità rispetto al mo­ tivo della semplice negoziazione fra due contraenti, in cui all'uomo, in cambio della sua parte immortale, si concede la possibilità di usufruire per un limitato periodo di tempo di ogni piacere mondano. Leggere e raccontare questo mito moderno pone la critica letteraria di fronte ad alcune difficoltà per superare le quali è necessario chiarire sin dall' inizio delle questioni di metodo e prendere una posizione chiara rispetto a quanto la ricerca ha sinora prodotto sul tema. Così come ad altri miti, anche alla saga di Faust è congenita una infinitezza, una ten­ denza costante a rinnovarsi: a titolo di esempio si consideri una statistica citata nell'antologia Lives oJFaust, secondo cui soltanto fra il 1 9 6 0 e il

INTRODUZIONE

13

1 9 6 5 la figura di Faust e la sua leggenda sono apparse come sotto testo in più di duecento creazioni letterarie (Werres, 20 0 8, p. 3). La letteratura secondaria cresce altresì in maniera esponenziale, come si può facilmente verificare consultando ad esempio il database della MLA (Modern Lan­ guage Association). Negli Abbozzi per Mon Faust (Il mio Faust, 1946), Paul Valéry, in una breve premessa «Al lettore di buona fede e di cattiva volontà >> , scrive : « Il personaggio di Faust e quello del suo spaventoso compare hanno diritto a ogni genere di reincarnazione. [ ... ] Il creatore di questi due, Faust e l'Altro, li ha generati in modo da farli divenire, per mezzo suo, strumenti dello spirito universale : essi fuoriescono da ciò che furono nella sua opera » (Valéry, 1 9 9 2, p. u ) . Lo stesso Goethe, nel riprendere in mano il suo dramma dopo un lungo periodo di interruzio­ ne, è mosso da solerti incitazioni di Schiller, che in una lettera all'amico del 23 giugno 1797 individua la chiave di volta della tragedia di Faust in una idea filosofica cui sottomettere l' immaginazione. Sulla base di que­ sta idea Goethe poteva costruire un'opera che, così sviluppata, avrebbe assunto il carattere di dramma universale e non di un singolo individuo ; una tragedia il cui personaggio - come si evidenzia nel percorso dalla prima alla seconda parte dell'opera - perde gradualmente lo status di figura drammatica, per trasformarsi sempre più in una sorta di "funzio­ ne antropologica': mettendo in luce la precipua "riutilizzabilità" di que­ ste « funzioni [ ... ] votat[e] per sempre all 'espressione di taluni estremi dell'umano e dell' inumano ; e in questo modo [ ... ] svincolat [e] da ogni avventura particolare » (ibid. ). Tenendo conto di tali premesse, una ricognizione di quanto finora prodotto in campo artistico (letteratura, musica, arti visive) intorno a Faust risulterebbe con ogni evidenza provvisoria e parziale - tanto più che il mito faustiano, proprio in quanto mito, si ritrova come sottote­ sto o come "motivo" in innumerevoli opere in cui il nome di Faust non compare direttamente nel titolo o nel sottotitolo ; il tutto si ridurrebbe a un mero catalogo relegando a margine un' interpretazione che tenti di portare alla luce gli elementi ricorrenti e fondanti del mito in questione. Si tratterà dunque di estrapolare e analizzare alcune costanti che hanno reso - e continuano a rendere - la vicenda del dottor Faust particolar­ mente efficace per rappresentare, in forme artistiche tra le più diverse, una condizione di crisi della soggettività, un momento di rottura nella riflessione sul rapporto dell' io con la realtà e nell' indagine dei legami dell'uomo con la natura e la storia. Tenendo presenti alcuni elementi invariabili nelle diverse tradizioni a livello tematico, si può rilevare un

14

FAUST

impianto ricorrente anche sul piano delle forme estetiche nonché dei generi letterari in cui tali costanti si manifestano : Uno studio dettagliato della mutevole struttura artistica fruibile per gli scenari fausti ani, rivelerebbe dunque un movimento circolare : a partire dal libro po­ polare e dagli spettacoli per burattini sul Dottor Faustus nel sedicesimo e di­ ciassettesimo secolo, fino alle conquiste intellettuali del diciannovesimo e della prima parte del ventesimo secolo e, conseguentemente, alle vie multimediali dei nostri tempi, ovvero, un ritorno al genere popolare che aiutò a comunicare la storia della figura archetipica al tempo della sua concezione originale ( Werres, 2008, pp. 8-9 ) . Se si volesse semplificare in maniera banale questa asserzione, quella di Faust parrebbe una saga che si muove costantemente intorno agli stessi, pochi ingredienti e si rinnova di continuo attualizzando i suoi nuclei elementari. Inoltre, come ha osservato Andreas Krass (2003, p. 540 ), la storia del dottor Faust è, in primis, una contraffattura del Vangelo e dun­ que racchiude sempre il suo contrario ; in secondo luogo è strutturata sul costante raddoppiamento di motivi, figure, sequenze ed azioni ; infine è una sintesi di due generi apparentemente inconciliabili: il romanzo bio­ grafico e l'aneddotica di carattere farsesco. Ma ci sono una serie di peculiarità in questo mito che complicano radicalmente lo sviluppo del percorso circolare ipotizzato o che, quanto meno, lo rendono più articolato. Il carattere fortemente nazionale che connota la leggenda di Faust è senza dubbio una prerogativa che ne ha influenzato in maniera decisiva l' interpretazione. Sebbene la prima ela­ borazione letteraria di rilievo sia di paternità anglosassone - The Tragi­ ca! History ofDoctor Faustus (La storia tragica delDottor Faustus, 1 6 04) di Christopher Marlowe - è innegabile che, dal XVIII secolo in poi, la vicenda dell'oscuro personaggio assume tinte sempre più spiccatamente germaniche. A partire da Lessing, fino a Thomas Mann, passando ov­ viamente per Goethe - per citare soltanto i tre nomi più celebri fra una serie di numerosissimi autori e artisti che in Germania, tra il XVIII e il xx secolo, si sono misurati con la materia faustiana -, la figura di Faust divie­ ne prototipo del soggetto moderno, il "recipiente" ideale per l' incarna­ zione sul piano estetico, e culturale, di alcuni nodi critici nell'evoluzio­ ne storico-sociale della Germania dagli anni della Riforma luterana ( nel 1 9 8 0 a Knittlingen, nel Baden-Wiirttemberg, probabile città natia del personaggio storico da cui origina la figura letteraria, è stato inaugurato

INTRODUZIONE

15

il Faust-Museum, presso il quale si è allestito un archivio che raccoglie tutti i materiali riguardanti il fenomeno culturale faustiano ) . Certo non mancano le eccezioni, anche di peso notevole, e tuttavia il legame che si crea fra lo sviluppo di un mito e la storia di una nazione in certe epoche - addirittura la sua nascita - è la cifra che connota in maniera peculia­ re il rapporto di Faust con la Germania. A partire dai Faust-Fragmente di Lessing ( 1759 ), i tentativi di drammatizzazione della materia faustia­ na sono parte integrante dello sforzo di rinnovamento della cultura di lingua tedesca. La creazione di un repertorio teatrale nazionale che si affrancasse dalla sudditanza verso il classicismo francese, la fondazione di teatri stabili nazionali in sostituzione delle compagnie vagabonde sot­ toposte al sistema del capocomicato, il ruolo di tali istituzioni nella cre­ azione di una unità linguistico-culturale che a sua volta ponesse le basi - su fondamenta estetico-pedagogiche - per la agognata unità naziona­ le, la rivalutazione e l'esaltazione di nuovi modelli letterari, Shakespeare in primis, sull 'onda dell'estetica del genio, l'artista concepito non più come semplice imitatore ma creatore, second maker, novello Prometeo : è sull' insieme di tali elementi che la vicenda di Faust riesce ad assurgere al ruolo di vero e proprio mito fondante per la Germania nella prima metà del Settecento. Il rigetto delle forme classiche del teatro francese innesta un meccanismo di valorizzazione delle leggende, delle tradizioni popolari e nazionali, che permette alla saga faustiana di uscire da quella sorta di indistinto magma in cui era stata relegata dai Puppenspiele ( spet­ tacoli di marionette ) e dai Volksbiicher ( Dédéyan, 1 9 55, vol. I, pp. 2 s. ) . La tradizione diviene in questo momento storico un valore letterario indi­ pendentemente dal suo contenuto ( de Man, 1957, p. 392). Uno sviluppo simile si ritrova a inizio Ottocento in ambito musicale : Faust. Romanti­ sche Oper in zwei Auftiigen (Faust. Opera romantica in due atti, 1 8 1 3 ) di Louis Spohr, opera che rivoluziona i caratteri del Singspiel e si pone già dal sottotitolo (un Singspiel denominato "opera" ! ) in concorrenza con il modello italiano, ha il carattere di un manifesto al cui centro sono posti un "eroe" nazionale e modi espressivi improntati a un Volkston, un tono popolare, con l' intento di contribuire, attraverso la realizzazione di un melodramma interamente cantato in tedesco, alla nascita di una identità nazionale e di uno Stato unitario. La scelta dell'aggettivo romantisch­ vale a dire, in questo caso, tedesco o nazionale - accostato alla deno­ minazione Oper, genere italiano per eccellenza, e l'affinità di Faust con la figura di Don Giovanni ( l' influsso mozartiano è preponderante ; cfr. Kreutzer, 2003, pp. 42-4), di cui l'opera di Spohr diviene una sorta di

16

FAUST

« avatar germanico » (Reibel, 2008, p. 3 6 ) , sono gli elementi alla base di un'operazione ideologica e politica destinata ad alimentare il dibattito culturale e a imporsi come "classico" non solo in patria, ma anche in Francia. Lessing per primo, pur non conoscendo il dramma di Marlowe che già nel titolo della sua opera aveva messo in luce la dimensione tragica del personaggio, ravvisa intuitivamente la statura drammatica di Faust, la sua natura teatrale "inglese': ovvero shakespeariana, borghese, nazio­ nale, popolare, che ne avrebbe fatto un soggetto ideale per la rinascita della cultura tedesca. Se la crisi del sapere scolastico e della tradizione umanistica è alla base del dramma della conoscenza - elaborato in chia­ ve negativa, come monito contro una hybris priva di limiti e irrispettosa dell'autorità divina, dai rappresentanti della Riforma luterana, in chiave di spinta progressista dagli illuministi e dagli stiirmeriani -, la riflessio­ ne sull'arte come fenomeno della decadenza allargata al problematico rapporto fra Kultur e Zivilisation, l' indagine sulla istintualità più oscura dell'uomo e su un processo regressivo che pare inevitabile per la Ger­ mania, la spietata rappresentazione di una intera epoca travestita « nella storia di una vita di artista, molto precaria e peccaminosa » (Th. Mann, 1972, p. 8 9 ) diventano i motivi centrali della rielaborazione del mito faustiano nel xx secolo. E non è un caso che, nel rifondare totalmen­ te questo mito facendone al contempo l'opera di una vita e un' «opera mondo » (Moretti, 1 9 94), Goethe reinventi l'alleanza con il demonio non più nei termini di un patto, bensì in quelli di una scommessa. Una doppia scommessa, prima fra Dio e Mefistofele e poi fra quest 'ultimo e Faust: non siamo più di fronte all 'oscuro, medievale atto di sottomissio­ ne alle potenze del male in cambio dell'acquisizione di poteri magici in grado di procurare piaceri e ricchezze di ogni sorta. Ci troviamo invece alle prese con una sfida, la più radicale che l'uomo moderno possa con­ cepire e che si realizza in un vero e proprio rovesciamento della leggen­ da popolare. È Faust che propone a Mefistofele la scommessa - «E che vuoi darmi, povero diavolo ? » (v. 1675) -, è l'uomo moderno che sfida le potenze demoniche a trovare il modo di cristallizzare in una forma stabile le dinamiche di una realtà sempre più sfuggente e a costruire una rinnovata pienezza armonica che sappia colmare quel vuoto esistenzia­ le generato dalla perdita di unità originaria tra l'individuo e la natura. Inoltre, fattore di differenza decisivo rispetto alla tradizione, non si trat­ ta più di un patto "a tempo". Faust è disposto a morire anche subito e ad appartenere per l'eternità al diavolo se questo sarà in grado di per-

INTRODUZIONE

17

suaderlo a dire all'attimo : « Ma rimani ! Tu sei così bello ! » ( v. 1700), se Mefistofele sarà capace di ingannarlo attraverso il piacere, inducendolo anche solo per un brevissimo momento a interrompere la sua incessante rincorsa verso una dimensione assoluta e inattingibile. Vengono eviden­ temente alla luce i caratteri di una speculazione filosofica, di una rifles­ sione antropologica che assume una particolare pregnanza nella cultura tedesca, ma al contempo è il mito stesso di Faust che permea in maniera decisiva questo tipo di riflessione ; il movimento è senz'altro bidirezio­ nale, se si tiene conto di come la figura del dottor Faust sia diventata il paradigma di una vera e propria norma di vita, tanto che si può parlare di faustismo o persino di faustismi che attraversano periodi diversi della storia tedesca e dell'umanità, in un processo che si è gradualmente al­ lontanato dalla fonte letteraria - una rimozione della natura tragica del personaggio goethiano, delle sue colpe - falsificando in senso nazionale, ideologico, propagandistico la figura di Faust e il suo rapporto con la realtà ; un processo di ideologizzazione di cui è rimasta inevitabilmente vittima la poesia ( Schwerte, 1 9 6 2, pp. 7-12). Si delinea, a partire da Goe­ the, che pure si muove sulle orme di una tradizione già consolidata, un costrutto tipologico-ideale all' interno del quale rientra la figura mitolo­ gica e letteraria e che, per contro, essa stessa contribuisce a creare ; una costellazione che ancora struttura la nostra coscienza contemporanea ( Kaiser, I 9 9 8, p. 31 ). La Sto.ffieschichte, l' insieme degli elementi letterari e culturali di cui il mito si nutre e grazie ai quali si fonda come mito, divie­ ne Geistesgeschichte, storia dello spirito di una nazione ( Dédéyan, 1955, vol. I, p. 2; qui il termine è inteso, come sottolinea anche de Man, 19 57, p. 3 8 9, più che altro come storia delle idee ) . Il testo goethiano, « ambi­ guo e complesso » , diviene addirittura la «pietra di paragone » capace di mettere in luce virtù e insufficienze delle diverse metodologie critiche che con esso si sono misurate ( de Man, 1 9 57, p. 3 8 8 ) . Senza addentrarsi ulteriormente nel dibattito sulla definizione di tema e sui suoi rapporti con il mito e con la storia, ci si può attenere ancora alle considerazioni di Paul de Man relative ai problemi della critica tematica di fronte al Faust: l'elogio dell'impianto metodologico di autori quali Curtius, Auerbach, Cassirer, Lukacs, Hazard, Béguin, Praz, critici che hanno tentato di de­ finire alcune problematiche di cui i temi narrativi sono « emanazioni formali » , ha come sbocco l' idea della storia dei temi come > (ivi, p. 439 ), sentenzia implacabile Satan. Eppure la statura eccezionale dell' individuo è in qualche modo "premiata" anche in que­ sto inappellabile verdetto finale, visto che Faust non sarà collocato in un girone con altri dannati, pure a lui simili - « l ' inferno ne è ricolmo, e tu hai sparso il seme che ingrossa la popolazione del mio regno» ( ivi, p. 439) -, verrà invece posto in un abisso solitario, simile al Prometeo incatenato, a prendere coscienza dei limiti dell'umano e a interrogarsi in eterno sulla natura dell'uomo : «Tutto è oscuro allo spirito dell'uomo, egli è per se stesso un enigma » (ivi, p. 441) chiosa Klinger nell'epilogo. Pur conservando l' impianto filosofico di natura nichilista, alcuni au­ tori hanno trattato in una forma che si potrebbe definire meno "gotica", più realistica, per alcuni versi in una chiave parodica ma non per questo meno drammatica, il nodo tragico del rapporto dell'uomo con il tempo. La ricerca di una identità, connessa al tentativo di dare consistenza a una realtà esterna sempre più evanescente, l'alternarsi isterico fra volontà su­ peromistiche e annichilimento di ogni istanza vitale si concretizzano in forme e generi ibridi e dinamici. Proprio le peculiarità del mito faustia­ no, il suo ri-utilizzo tanto diffuso in ambito culturale, ai limiti dell'abu­ so, hanno fatto sì che questo motivo divenisse particolarmente efficace per mettere in discussione il valore e la funzione dell'arte per l'esistenza umana: il nodo tragico può trasformarsi allora in un gioco con la tradi­ zione letteraria e con le diverse forme d'arte, un gioco rischioso che fini­ sce col mettere in discussione lo stesso statuto di realtà della vita : « dove inizia la nostra percezione della realtà ? Sì, la realtà » (Ghelderode, 2.0 03, p. 34). È la domanda che si pone il Faust di Michel de Ghelderode, La mort du docteur Faust (La morte del Dottor Faust, 192.5), proiettato in un tempo e in uno spazio che non sono più i suoi, su un palcoscenico teatrale alla Taverna delle Quattro Stagioni in cui si mette in scena la sua tragedia e sul quale incontrerà l'attore che lo impersona. Anche il cele­ bre monologo iniziale viene sostituito dal dubbio sullo spessore reale del proprio vissuto : �� E questa stanza che mi sembra sempre più estranea ! Ci ho davvero vissuto ? O si erge per una mia allucinazione come la scena-

34

FAUST

grafia di un teatro ? » (ivi, p. 1 8 ) . Lo stesso demonio, che qui ha il nome di Diamotoruscant, è consapevole di avere a che fare con un monumento letterario più che con una figura reale : « Così voi siete Faust! Chi non vi conosce ? Su di voi hanno scritto romanzi, pièce teatrali, opere liriche ... » ( ivi, p. 33). Non diversamente dal frammento di Valéry, abbiamo a che fare con delle voci provenienti dal mondo letterario, dell' immaginazio­ ne: «Non ti basta di essere te stesso un libro ? ... » (Valéry, 1 9 9 2, p. 46) aveva chiesto Mefistofele a Faust che, a sua volta, aveva apostrofato il suo compare definendolo un «prodotto della tradizione » ( ivi, p. 49 ). Se il protagonista del frammento di Valéry, impegnato nella scrittura delle proprie memorie, esalta nella sua impresa il prodotto della fantasia « considero ciò che vado immaginando, tanto degno di essere ME quanto ciò che è stato, e di cui dubito ... » ( ivi, p. 9 9 ) - mettendo in dubbio lo sta­ tuto di realtà del passato effettivamente accaduto, l'ironia di Ghelderode realizza un'opera di annientamento ancor più radicale. La dimensione metateatrale in Ghelderode è accentuata da un ulteriore senso di stra­ niamento determinato dalla presenza di uno schermo cinematografico sul quale scorrono parole e immagini relative all'intreccio rappresentato, evidenziando l'ineluttabilità del destino dell'essere umano, costretto ad arrovellarsi su una serie di interrogativi senza soluzione aventi un'unica via d'uscita. «Venite a vedere dove conducono i desideri irragionevoli ! Questo film vi insegnerà che la vita è un perpetuo ricominciare, che le lezioni non sono proficue, e che nulla accade se non ciò che deve accade­ re! » (Ghelderode, 2003, p. 49) grida lo strillone fuori dal cinema in cui si mette in scena la seduzione di Margherita, dando così una sintetica ma efficacissima interpretazione della vicenda faustiana. In termini simili « la vita è un eterno ricominciare » (Scherer, 2001, p. 6s) - l'opera Votre Faust (Il vostro Faust, 1962) di Michel Butor e Henri Pousseur è segnata da un tempo ciclico, un eterno ritorno che, elaborato anche su un piano ulteriore, allude alla continuità del tema di Faust, mettendo in scena le angosce di un'arte ormai satura di memoria, condannata alla parodia o al collage ; Faust in quest 'ottica non è che la mise en abyme delle inter­ rogazioni che l'opera lirica come genere si pone in una fase di profonde mutazioni estetiche. Ma la questione dell'eternità, del tempo che non scorre o che ritorna sempre uguale a sé stesso è, nella pièce di Gheldero­ de, problema del demonio più che di Faust: l' impossibilità di uscire dal giogo del fluire eternamente uguale del tempo rende Diamotoruscant un personaggio malinconico e triste, cui perfino il piacere dell' illusione - teatrale o cinematografica - è precluso. Da questa prospettiva, n emme-

VITALISMO, NICHILISMO, VOLONTA DI POTENZA

35

no il suicidio finale di Faust, che si spara al petto convinto di uccidere il suo doppio, può considerarsi un trionfo per il diavolo. La tragicomme­ dia si conclude con la « inestinguibile » risata dell'allievo di Faust, Créti­ nus, alla quale si sovrappongono l' imprecazione di Diamotoruscant e l'orchestra che suona alla maniera di Offenbach. L' ironia e il disincanto di Valéry, eredità della filosofia nietzscheana, avevano impregnato Il mio Faust di quel senso di angoscia e disgusto per la natura periodica della vita, per la «ciclomania della nostra essenza » ( Valéry, I 9 9 2., p. 2.2. 2. ) che travolge pure Mefistofele, condannato anch'egli a compiere sempre le stesse azioni. Nei suoi Cahiers (Quaderni), in un appunto datato I 940, l'autore francese scrive : « Farei un Faust vittima dell'eterno ritorno ; pu­ nito per aver voluto Ricominciare - ( I ) . La mia prima idea - già vecchia - Riprendere il tema Faust per situarlo nel Mondo attuale - ( 2. ) . Se si combinano ( I ) e ( 2. ) si ottiene che bisogna mettere in evidenza l'acce­ lerazione, carattere fatale del moderno » ( Valéry, I973, II, p. I345). Di questa struttura filosofica Ghelderode conserva l'essenza, rendendola più compiuta - il testo di Valéry è rimasto allo stato di frammento -, moltiplicando i piani di destrutturazione della vicenda di Faust, elevan­ do paradossalmente a sistema un'opera di costante distruzione non solo del mito di Faust ma dell' intera letteratura. L'ultima parola sull' identità di Faust è ironicamente lasciata in bocca all'attore che lo impersona; in uno dei molti sconfinamenti spazio temporali, finito nella casa del vero Faust e incalzato da Crétinus, che chiede se sia davvero il dottor Faust, l'attore risponde : «con enfosi - tutte le sere, e le domeniche in matinée » ( Ghelderode, 2.003, p. 6 9 ) . La battuta è ripresa letteralmente poco più avanti dall'attrice Margherita. I due Faust - attore e personaggio storico letterario -, trovandosi l'uno di fronte all'altro e pretendendo la fedeltà della propria amante, le chiedono se si sia resa colpevole di tradimento, visto che ognuno dei due è convinto di esser stato con lei: « Tutte le sere, e le domeniche in matinée » ( ivi, p. 7 9) ribatte la donna. La realtà e la soggettività moderna subiscono una radicale relativizzazione, un anni­ chilimento attraverso la finzione, lo spettacolo, la letteratura ; il bisogno spasmodico di sfuggire alla gabbia del reale, in una serie di tentativi de­ stinati al fallimento su una scena claustrofobica nella simultaneità delle sue ambientazioni e negli sconfinamenti, che si aprono solo a ulteriori spazi opprimenti, angoscia persino il demonio. Diamotoruscant tenta di sfuggire a questo annichilente stato di cose con il piacere delle visioni, di spettacoli immaginari. Ma anche la letteratura - per estensione l'arte in genere - è diventata un peso insostenibile per l'umanità - la sentenza

FAUST è pronunciata già all' inizio della pièce : « È letteratura ! L'umanità cre­ pa di letteratura ! » ( ivi, p. 17 ) . Tutto giocato su toni comico-grotteschi inseriti in una dimensione metateatrale e multimediale, con situazioni che rievocano "illustri" precedenti come The Picture ofDorian Gray (Il ritratto di Doria n Gray) e l' Amphitryon (Anfitrione) kleistiano, La mort du docteur Faust di Ghelderode è fra le rielaborazioni più radicalmente nichiliste del mito faustiano nel Novecento. « Tutto trascende tutto l ed è più e meno reale di quello che è >> ( Pes­ soa, 1 9 8 9, p. 9 ) . Sono i versi finali dei primi appunti datati 2, 3, 9 no­ vembre 1932 che Pessoa, riprendendo e riformulando a suo modo i versi conclusivi del secondo Faust goethiano, antepone all' inizio della sua rappresentazione del tragico della soggettività moderna ( Lasch, 2006, p. 241 ) . Anche in questo poema lirico il dissidio interiore di Faust, la lotta dell' Intelligenza per capire la Vita, da cui la Vita esce sempre per­ dente ( Pessoa, 1 9 8 9, p. 3), è incentrato sulla questione del tempo, stavol­ ta in strettissima relazione con un altro tema tipicamente nietzscheano e novecentesco, quello della memoria. La vita può essere sopportabile soltanto se vissuta nella piena incoscienza e inconsapevolezza : l'uomo comune che ignora « questo orrore che è l'esistere » ( ivi, p. 21) è il solo capace di gioire, di vivere un'allegria che è « uno sputo in viso » ( ivi, p. 27 ) per chi fin dalla nascita è estraneo alla vita, escluso da essa. Un infantilismo adulto, quello della gioia incosciente, oggetto al contem­ po di invidia e di disgusto da parte di chi ha fatto del raziocinio, del pensiero, dell' interiorizzazione, della solitudine e del ripiegamento in sé stesso l'unica modalità di essere. La vita si trasforma nell'attesa, ac­ compagnata da costante terrore, di quell'unica istanza che è in grado di uccidere il pensiero : la morte. Il terrore della morte - « monotonia indefinibile » ( ivi, p. 3 9) - impedisce di vivere, il desiderio di compren­ dere e vivere la vita in maniera incosciente è annientato dal pensiero e dal terrore della morte. La realtà in questa prospettiva assume la forma del sogno e dell' illusione, di più : un' illusione che trascende sé stessa, un circolo senza uscita che si chiude sui due estremi del terrore della morte e della impossibilità di evitarla. La goethiana eternizzazione dell'attimo bello è marlowianamente ricondotta al tentativo di fermare il tempo per eludere l' inevitabile incontro con il momento fatale della fine della vita : « Che il tempo finisca! l Che si fermi e l'attimo perduri ! l E io non mi avvicini mai l A quell'orrore che uccide il pensiero ! l Avvolgetemi, rac­ chiudetemi in voi l l e che io non muoia mai » ( ivi, p. 73). Il problema dunque non è quello di ringiovanire per conquistare Margherita: si trat-

VITALISMO, NICHILISMO, VOLONTA DI POTENZA

37

ta di riuscire a dimenticare, il filtro magico diviene strumento per vivere la vita senza sapere di viverla, per uccidere ogni forma di coscienza. Ma il filtro che il vecchio ha preparato per Faust è un rimedio umano, è fatto per gli uomini mentre Faust sa bene di non esserlo, perché il pensiero e la metafisica rendono soli e disumani. La cecità, che nel dramma di Goethe precedeva l'ultima folle illusione di Faust prima dell'ascensione verso l'eterno femminino, è ora il punto di arrivo della parabola esistenziale del protagonista, segna l' ineluttabile e non più procrastinabile incontro con la morte. Il rapporto ambivalente di Nietzsche con Goethe e con il Faust è connotato da un lato dal radicale rifiuto della soluzione untragisch, non drammatica, conciliante, un inganno poetico con il quale Goethe chiu­ de un soggetto già di per sé grottesco, quasi ridicolo ( Nietzsche, 1977, p. 18 9), e dall'altro dalla consapevolezza che proprio Faust è l' immagine del « moderno uomo di cultura » ( Nietzsche, 1976, p. I I 9 ) spogliato ormai dell'ottimismo socratico e consapevole della dimensione tragica dell'esi­ stenza. Nel già citato frammento sul nichilismo europeo Nietzsche tenta una sintesi delle problematiche centrali nella sua speculazione filosofica - nichilismo, volontà di potenza, eterno ritorno - elaborando una so­ luzione che, apparentemente agli antipodi del "modello antropologico" faustiano, pare in qualche modo avvicinarsi alla tanto vituperata conci­ liazione operata da Goethe, nel senso di una sintesi a un livello superiore di quelle dimensioni contrapposte destinate a produrre nella loro mera contrapposizione soltanto distruzione. Tra l'ottimismo socratico della cultura alessandrina e l'eterna insaziabilità del moderno uomo di cul­ tura si impone allora l' immagine di un uomo nuovo, misurato, che non ha necessità di articoli di fede estremi, capace di ammettere e amare la dimensione casuale dell'esistenza, di riflettere sulla propria essenza con la coscienza dei suoi limiti - ma senza per questo diventare piccolo e debole -, sicuro della propria potenza, rappresentante di quella energia acquisita dall'umanità con consapevole orgoglio. Certo il frammento nietzscheano si chiude in forma interrogativa e lascia del tutto aperta la questione su come questa nuova schiatta di uomini si rapporterà con la dimensione dell'eterno ritorno ( Nietzsche, 2006, p. 20 ) . Tuttavia la speculazione che Nietzsche elabora tenendo presente il Faust di Goethe e la sua opera in genere pare per molti versi prefigurare una via d'uscita al vicolo cieco in cui la volontà di potenza precipita l ' individuo moderno. Più radicalmente negativa è l' indagine che uno dei suoi modelli nella riflessione filosofica sull'uomo compie nel par. 57 di Die Welt als Wille

FAUST und Vorstellung (Il mondo come volonta e rappresentazione, 1 8 1 9 ). Scrive Arthur Schopenhauer ( 1 9 6 8, II, p. 414) : « Il desiderio è, per sua natura, dolore : il conseguimento genera tosto sazierà : la mèta era solo apparen­ te : il possesso disperde l'attrazione : in nuova forma si ripresenta il desi­ derio, il dolore : altrimenti, segue monotonia, noia, contro cui è la batta­ glia altrettanto tormentosa quanto contro il bisogno » . La questione è, anche per Schopenhauer, direttamente legata al rapporto dell'uomo con il tempo ; tanto il dolore quanto la gioia, anche nelle loro forme estre­ me, portano un cambiamento nella stasi della nostra condizione spiri­ tuale in quanto prodotti non dal « puro presente, ma da anticipazione dell'avvenire » (ivi, p. 419), condizione che ben presto si rivela illusoria. La misura del dolore, questo il nucleo della riflessione e ciò che rende pressoché impossibile l'uscita da tale stato di cose, a meno di non annul­ lare la volontà, non dipende da cause esterne ma è legata all'interiorità, al temperamento di ogni individuo, in sostanza è una caratteristica an­ tropologica scaturita dall' illusione che gioia o dolore siano in grado di apportare una qualche forma di cambiamento in un'esistenza che è un permanente aspirare, una inestinguibile sete determinata dal bisogno, dalla mancanza, dal dolore. L'unica cosa che scorre è appunto il tempo, il presente che sfugge ogni momento dalle nostre mani trasformandosi in morto passato - « un perenne morire » ( ivi, p. 411) -, mentre l'avve­ nire è sempre incerto e troppo breve. In un frammento, Faust. Ein Versuch (Faust. Un tentativo, 1 8 0 3), che ha alla sua base una riflessione sulla filosofia fichtiana, Adelbert von Cha­ misso - autore romantico noto soprattutto per un racconto anch'esso legato alla tematica faustiana, Peter Schlemihls wundersame Geschichte ( Storia straordinaria di Peter Schlemihl, 1 8 14), in cui il protagonista vende la sua ombra al demonio - mette in scena una violenta contrap­ posizione tra un Faust che non si rassegna a concepire il mondo solo come apparenza, come « vuoto rispecchiamento del proprio io » (Cha­ misso, 1975, p. 474), e uno spirito buono. A quest'ultimo, che gli chiede se osi anche soltanto pensare la grande, terribile idea di eternità, Faust risponde : «L'ho pensata, sì ! Ma solo il momento l appartiene all'uomo, nel momento egli vive ; l per questo vende al caro prezzo del futuro l la brama che subito svanisce dell'attimo. l Anche il futuro può essere soltanto un sogno» ( ivi, p. 479). I sensi producono soltanto bugie, le leggi della ragione non sono che un muro tra l'io e l'essenza delle cose. Il fondamento scettico e nichilista del frammento coinvolge, con un'anti­ cipazione delle riflessioni novecentesche sulla natura del linguaggio - si

VITALISMO, NICHILISMO, VOLONTA DI POTENZA

39

pensi soprattutto a Ein Brief(Lettera di Lord Chandos, 1 9 0 2 ) d i Hugo von Hofmannsthal -, anche la parola e il pensiero, che, nel trionfo finale dello spirito maligno, sono designati come « nudo, vuoto e vano segno l della realtà a te eternamente celata » (Chamisso, 1975, p. 481 ) . È questa l'unica verità che il demone è in grado di svelare a Faust, il quale aveva rinnegato lo spirito buono nella convinzione di poter trovare nell'altra entità la soluzione ai suoi dubbi. Non si può andare oltre i limiti che il corpo, con i suoi organi e i suoi sensi, pone all'uomo, al « verme della terra » ( ivi, p. 474 ) ; a Faust non resta che infilarsi un coltello nel petto con l' illusione di trovare nella morte almeno la certezza che lo sollevi dalla pena del dubbio eterno. Nel mio petto, ahime, due anime... è il titolo che Jean-Luc Nancy, ci­ tando versi dell'opera di Goethe tra i più noti, dà a un breve testo pensa­ to per accompagnare l' installazione di Claudio Parmiggiani L 'isola del silenzio ( Chapelle des Brigittines, Bruxelles, wo6). Nove voci di Faust si alternano alla voce della campana, l'oggetto posto al centro dell'opera (una campana lombarda), in un crescendo teso a evidenziare la frattura fra segno e senso, l'incapacità del segno linguistico di interpretare e tra­ durre l' illeggibilità dell'uomo, e dominato da una « esasperazione pro­ vocata dall'ardore di consumare qualsiasi sapere e qualsiasi discorso» (Nancy, 2007, p. 28 ) . La crisi della parola come medium portatore di senso esplode nel rogo dei libri - che sono i libri dello studio di Faust, ma anche i libri dell' installazione di Parmiggiani, disposti come una enorme, irregolare piramide, al posto del vecchio altare - per restituire al pensiero e alla realtà « una giusta pesatura delle cose, senza interpo­ sizione di significato o di valore » (ivi, p. 30 ) . La cenere che resta copre nuovi segni, che a loro volta vengono inceneriti, il linguaggio diventa « bruciatura » che si dà solo oltre la coscienza dell'uomo : « Eppure sì, proprio ora posso aprire un volume di pagine vergini e tracciare la prima parola di una lingua da inventare. Un'altra bruciatura può cominciare a nostra insaputa, perché il nostro insaputo è il sapere esatto dell' innomi­ nato » (ivi, p. 37 ) .

2

Dottor Faustus : mago e ne gromante il tanto vituperato stregone diventa canonico. E. Bloch, Il princip io sp eranza (

1953-59)

Newton non fu il primo scienziato dell'età della ragione. Piuttosto fu l'ultimo dei maghi, l'ultimo dei babilonesi e dei sumeri, l'ultima grande mente sofferma­ tasi a osservare il mondo del pensiero e del visibile con gli stessi occhi di colo­ ro che cominciarono a costruire il nostro patrimonio intellettuale poco meno di diecimila anni fa. [ ... ] Perché lo chiamo mago ? Perché guardava ali' intero universo e a tutto quanto è in esso come a un enigma, un segreto che poteva essere decifrato applicando il pensiero a certi fatti, certi indizi mistici che Dio aveva disposto qua e là nel mondo affinché la confraternita esoterica potesse cimentarsi in una sorta di caccia al tesoro filosofica. [ . .. ] Meditando su queste eccentriche raccolte [di scritti, N.d.A. ] , sembra più facile comprendere [ ... ] tale spirito singolare, tentato dal diavolo, al tempo in cui tra queste mura stava scio­ gliendo tanti enigmi, a credere di poter raggiungere tutti i segreti di Dio e della Natura grazie al puro potere della mente : Copernico e Faust in una sola persona (Keynes, 1947, p. 2.7). Il ritratto che John Maynard Keynes fa di Isaac Newton, ricostruendo la prima parte della sua vita, dedita a esperimenti alchemici, alla redazione di scritti eretici, antitrinitari, perfino di un Trattato sull'Apocalisse, attivi­ tà frutto di un istinto profondamente « occulto, esoterico, semantico » , sintetizza nella figura dello scienziato inglese u n cambiamento epocale nella cultura dell'Occidente a cavallo fra XVII e XVIII secolo. L'accosta­ mento alla figura di Faust, la citazione del patto con il diavolo come uni­ ca via d'accesso alla conoscenza ultima, simbolo dunque di una hybris scientifica priva di qualsiasi coscienza del limite che aspira ali' armonia e all'universalità - concetti fondanti delle ricerche alchemiche newtonia­ ne (Haynes, 1 9 94, p. 53) -, sono quasi una scelta obbligata nella rappre­ sentazione di quella fase storica in cui magia, alchimia, discipline esote­ riche acquisiscono gradualmente - proprio grazie all'opera di scienziati "eccentrici" - il rango di scienze naturali, separandosi definitivamente dalla teologia. Ripuliti da un lato dalla dimensione superstiziosa e cial-

FAUST tronesca, di tali discipline sono reintegrati nei nuovi metodi di indagine gli aspetti creativi e speculativi, la spinta ad andare oltre ciò che la ragio­ ne comune ritiene acquisibile con gli strumenti ordinari che l'uomo ha a sua disposizione. Il baule di Newton, nel quale lo scienziato conservava i numerosissimi scritti di questa prima fase "alchemico-esoterica" della sua attività, non fu distrutto ma gelosamente custodito e conservato, te­ stimonianza non solo del passaggio tra due secoli, dell'abbandono della magia per la scienza, ma altresì della formazione di un metodo di ricerca che in quegli anni oscuri si era sviluppato nelle sue strutture fondamen­ tali (si vedano le considerazioni di Haynes, ivi, pp. 50-65 ) . In epoca medievale e primo-rinascimentale vigeva l'equivalenza Na­ turwissenschaft = Zauberkunst (scienze naturali = magia) : come è noto, ogni scoperta che contraddiceva quell'ordine universale stabilito sulla base di teorie ritenute infallibili, in quanto diretta emanazione del divi­ no, veniva tacciata di eresia e fatta oggetto di persecuzione. Allo stesso modo tutti gli scienziati che si occupavano delle cosiddette discipline occulte erano considerati in combutta con le potenze infernali. Il primo delatore di Faust - nonché il primo a fornirci una testimonianza stori­ ca del personaggio stesso - Johannes Trithemius ( 1462-1516 ) , abate di Sponheim, umanista versato in materia di occultismo, in una lettera in latino del 20 agosto 15 07, pubblicata nel 1 6 01, si rivolge all'astrologo e matematico Johannes Virdung von Hassfurt, lo mette in guardia dalla frequentazione di una simile figura e commenta con profondo disprezzo le millantate, vastissime conoscenze di Faust e le sue facoltà di alchimista e di mago, definendolo un folle piuttosto che un filosofo, un imbroglio­ ne e un pedofilo, meritevole di essere preso a frustate (Trithemius, 1966, n , pp. 559 s.). Il ritratto fornito da Trithemius, se da un lato lascia pochi dubbi sul carattere negativo del personaggio storico che darà origine al mito faustiano, dall'altro getta luce sulla natura delle contrapposizioni dell'epoca fra studiosi di materie occulte : l'acrimonia dell'abate è evi­ dentemente anche il frutto del timore di una figura avvertita come un pericoloso concorrente che poteva contare su un vasto seguito popolare, un vero e proprio «alter ego» (Orvieto, 2006, p. 9 8 ) . Lo stesso Trithe­ mius, in effetti, finirà con l'essere considerato alla stregua di Faust in combutta con il demonio per aver redatto la Steganographia, sistema di scrittura cifrato, magico, attraverso il quale comunicare i supremi miste­ ri di Dio creatore, un' interpretazione delle Sacre Scritture in forma mi­ steriosofica e crittografica per pochi iniziati; il testo fu inserito nell' in­ dice dei libri proibiti nel 1 6 09. Un destino simile subiranno studiosi/

D OTTOR FAUSTUS : MAGO E NEGROMANTE

43

alchimisti quali Paracelso e Agrippa von Nettesheim (figure che pure hanno contribuito alla costruzione del personaggio letterario di Faust). Quest'ultimo, nel cap. II del libro I della sua opera maggiore, il De oc­ culta philosophia, scritta tra il 1510 e il 1530, definisce in maniera chiara il rapporto tra magia e scienze naturali: Coloro che vorranno dedicarsi allo studio della Magia, dovranno conoscere a fondo la fisica, che rivela la proprietà delle cose e le loro verità occulte, dovranno essere dotti in matematica, per scrutare gli aspetti e le immagini degli astri, da cui traggono origine le proprietà e le virtù delle cose più elevate; e infine do­ vranno intendere bene la teologia, che dà la conoscenza delle sostanze immor­ tali che governano tutte queste cose. Perché non vi può essere alcuna opera per­ fetta di Magia, che non racchiuda queste tre facoltà (Agrippa von Nettesheim, 1992., P· 89 ) . La stessa invenzione della stampa che, come accennato nel precedente capitolo, Klinger nel suo romanzo attribuisce a Faust sulla base proba­ bilmente dell'assonanza con Joh an n Fust, il banchiere che contribuì economicamente all' impresa di Gutenberg, viene inizialmente ascritta a un'alleanza con le potenze maligne (Sorvakko-Spratte, 200 8, p. 28; François-Victor Hugo, figlio di Victor e traduttore delle opere comple­ te di Shakespeare, nella prefazione alla sua versione del Faust anglais de Marlowe del 1 858, insiste molto su questo episodio, ritenendolo non un errore, bensì uno dei nuclei, se non il nucleo fondante del mito) . Se nel Volksbuch prima e nei Puppenspiele poi il nodo alla base del dramma di Faust è fin dall' inizio segnato dalla contrapposizione fra teologia e ne­ gromanzia - «Abbandona lo studio della teologia l E consacrati allo studio della magia, l Se vuoi essere felice sulla terra l E acquisire sapere universale » (Simrock, 1 9 9 1, p. 9) - e quest 'ultima deve servire a sondare gli abissi più profondi della Natura - « Devo allearmi con l ' inferno l Per sondare le profondità nascoste della Natura » ( ivi, p. 9) -, è chiaro come nella complessa fase di passaggio che abbiamo schizzato sull ' exem­ plum di Newton questa contrapposizione perdesse gradualmente la sua pregnanza e la sua forza drammatica. Il ricorso alla magia e alle scienze occulte come fonte di conoscenza del mondo sfuma, lasciando spazio a elementi meno folcloristici. Il demonio resta come chiave universale per le porte del desiderio, talvolta come incarnazione del desiderio stesso; la conoscenza e l'accesso alle dimensioni profonde della Natura sono soltanto nelle mani dell'uomo. E d'altronde le capacità di Faust come

44

FAUST

mago, almeno da Goethe in poi, sono limitate alla facoltà di evocare gli spiriti del male e di dialogare con loro, per il resto l'utilizzo di incantesi­ mi e prodigi è demandato il più delle volte ai poteri del demonio, se non è lo stesso Faust a cadere vittima delle proprie illusioni, come quando nella seconda parte della tragedia goethiana tenta di impedire il rapi­ mento di Elena azzuffandosi con i fantasmi degli eroi greci da lui stesso e da Mefistofele evocati (vv. 6 544-6 566). Goethe dimostra i n maniera molto chiara questa "degradazione" del­ la magia nelle scene iniziali del Faust I, fino a uno dei momenti chiave della prima parte del dramma, Cucina della strega. Tutto l'armamen­ tario scenografico e le creature demoniache presenti nella scena fanno ormai parte di un mondo ridotto a una dimensione grottesca, circense, e dunque inefficace, esattamente come le montagne di libri e di alambic­ chi nello studio di Faust all' inizio della tragedia. I « gesti pazzeschi » , « quest'imbroglio volgarissimo » (vv. 2533-2534) con cui la strega ap­ pronta il filtro afrodisiaco che deve ringiovanire Faust, disgustano pro­ fondamente il protagonista ; lo stesso Mefistofele li considera poco più che scherzi, burle per ridere (v. 2536), un rituale prescritto anche se insen­ sato in un'epoca in cui « Il civile progresso che tutto il mondo alliscia l s'è attaccato anche al Diavolo » (vv. 249 5-249 6), trasformandone la figura tradizionale ( «Vedi mai corna, coda, artigli ? » : v. 249 8) in una creatura più simile agli uomini. Nella scena precedente, La taverna di Auerbach a Lipsia, i volgari trucchi con cui Mefistofele abbindola e ip­ notizza un gruppo di studenti provocano il medesimo effetto di ripulsa su Faust - « Ora avrei voglia di andarmene » (v. 229 6) -, che in tutta la scena pronuncia due sole battute. Le arti magiche appaiono come una sorta di compromesso necessario con una dimensione che nel frattempo si rivela quale forma cristallizzata di una tradizione popolare, non più viva ma ormai sclerotizzata e ridicola nella ripetitività delle sue formule ; una scenografia utilizzata per contestualizzare in maniera definita una problematica che ormai va ben oltre l'acquisizione di beni materiali e godimenti di varia natura attraverso l'uso di formule e pozioni. L'uti­ lizzo che fa Goethe della magia già in questa prima parte del dramma è in qualche misura assimilabile - certo con toni e forme ben diversi - a quello della scenografia cattolica nel finale della seconda parte, in cui le varie figure appartenenti ali ' iconografia classica del paradiso cristiano appaiono non come soluzione teologica al dramma, ma come orizzonte estetico, come patrimonio di immagini immediatamente riconoscibile. In maniera spettacolare la magia rientra in gioco nella seconda par-

D OTTOR FAUSTUS : MAGO E NEGROMANTE

45

te della tragedia, in particolare nella scena Giardino, preceduta da un dionisiaco corteo carnevalesco popolato di figure mitologiche, che si conclude con un incendio fittizio spento da Faust nelle vesti di Pluto. Il "nuovo" Faust, ripulito dei ricordi che avrebbero oppresso la sua coscien­ za grazie a un bagno nel fiume Lete, si appresta a imprese e conquiste al servizio di un imperatore alle prese con un regno sull 'orlo della banca­ rotta. Timoroso della reazione dell' imperatore per lo scompiglio crea­ to con il trucco dell' incendio, Faust gli si avvicina chiedendo perdono : « Di simili scherzi, me ne auguro molti ... » (v. 5 9 8 8 ) ribatte il regnante e più avanti, rivolgendosi a Mefistofele : « Se tu sarai fecondo com'era She­ razade, l Sarai nelle mie grazie, sappi, come nessuno. l Tieniti sempre pronto quando il mondo quotidiano, l come capita spesso, mi repelle » (vv. 6033-6 0 3 6 ) . Non più strumento di accesso alle fonti prime dell'esi­ stenza e della natura, ridotta a mera pratica di distrazione, la magia serve a distogliere l'attenzione dai problemi concreti dell'amministrazione dello Stato, a rendere meno noiose le giornate sempre uguali di potenti incapaci di risolvere le difficoltà economiche del proprio paese - anche l'invenzione della carta moneta da parte di Mefistofele, che in un sol colpo azzera magicamente il deficit dell' Impero, è rappresentata come una sorta di prodigio, un trucchetto messo in atto durante la confusione della festa in maschera. Per chi aveva fatto dello studio della natura, della ricerca dello Urphanomen - il fenomeno originario da cui per succes­ sive metamorfosi si sarebbero sviluppate le singole forme della natura - una costante della propria attività, l'alchimia e la magia non poteva­ no certo essere considerate alla stregua del peccato originale ; per questo se le arti magiche di Faust occupano un ruolo piuttosto marginale nel dramma, e di certo non sono la causa della perdizione e dell'eventua­ le dannazione del protagonista, la brama di conoscenza che determina il ricorso ad esse e il loro successivo, pressoché immediato abbandono assurgono per Goethe a elemento centrale della natura faustiana. Solo nel finale dell'opera la questione del ricorso alla magia pare acquisire nuovamente un' importanza determinante per la vicenda esistenziale di Faust. Nella scena Mezzanotte in cui il protagonista viene accecato dalla Cura - « Tutta la vita sono ciechi gli uomini: l e tu diventalo, Faust, alla fine ! » ( vv. I I97-u 9 8 ) - la contrapposizione tra la scelta della magia e la pienezza di un'esistenza armonica si ripropone in maniera pregnan­ te : « Potessi l dal mio cammino la magia rimuovere, l le formule fatate dimenticarle al tutto l e come uomo soltanto starti a fronte, Natura, l essere umana creatura allora varrebbe la pena » (vv. II404-I I407). Si

FAUST tratta di versi molto dibattuti dalla critica in virtù anche della loro genesi particolarmente lunga e complessa, nonché della loro forma ( in tedesco il verbo è un congiuntivo che rende il periodo interpretabile in due sensi, come ottativo o come periodo dell' irrealtà ; anche l'interpunzione cam­ bia nei diversi manoscritti rendendo ulteriormente ambiguo il testo : cfr. Schone, 1994, 1, pp. 735 s. ) . Ciò che in questo contesto pare decisivo è il fatto che, per la prima volta, e significativamente nel momento in cui perde la vista "esteriore" acquisendo una maggiore consapevolezza inte­ riore, Faust rivede il suo percorso esistenziale recuperando la memoria delle proprie azioni. Tutta la scena è un vero e proprio bilancio di quanto fatto, nel momento in cui la morte è ormai prossima. Non si tratta però, come erroneamente alcuni interpreti hanno sottolineato, di un ravvedi­ mento e dunque di un rigetto del patto con Mefistofele. Il prodotto del recupero della memoria e della consapevolezza dei propri errori non è che il presupposto all'ultima grande illusione di Faust, la visione di una nuova generazione di uomini che sotto il suo comando saranno capaci di bonificare terre togliendole al dominio del mare. L'ultimo sogno di Faust si traduce nella realtà, che egli non è più in grado di vedere, nell'a­ zione dei lemuri che con le vanghe gli scavano la fossa sotto i piedi. An­ che in questi passi la funzione della magia è in realtà un falso problema, un elemento che evidenzia l' incapacità di Faust di comprendere il nodo vero del suo dramma, tanto che rivolgendosi alla Cura le intima di non usare formule magiche, quasi si trattasse di uno spirito di second'ordine, simile alle creature grottesche incontrate nella cucina della strega. È solo parzialmente vero che, nel momento in cui il tema e il mito di Faust rientrano a far parte del canone letterario "alto", in un'epoca in cui la maggior parte delle persone istruite ha smesso di prendere sul serio la magia, quest'ultima finisca con il costituire più che altro un impaccio ( Smeed, 1975, p. 9 1 ) per chi voleva confrontarsi con questo soggetto. Porre la questione soltanto dal punto di vista della credibilità, della pos­ sibilità che il pubblico teatrale potesse trovare verosimili le vicende rap­ presentate o narrate, significa tralasciare il potenziale eversivo che la ma­ gia possiede in quanto sovvertitrice dell'ordine sociale - non è un caso che Hegel nella Asthetik (Estetica), discutendo della natura dei fini che animano i personaggi tragici, affianchi Faust a Karl Moor, eroe negativo dei Rauber (I masnadieri) di Schiller ( Hegel, 1972, p. 1 3 67 ) -, elemento di rottura del sapere tradizionale e dei suoi modi. Non solo. L'effetto scatenante che essa può avere sull' immaginazione di lettori e spettatori ne fa uno strumento poeticamente efficace. « Me-

D OTTOR FAUSTUS : MAGO E NEGROMANTE

47

lantone e altri storici a lui contemporanei vogliono presentarla come una storia vera ; ma anche qualora fosse solo una chimera, la poesia ha il grande privilegio di scagliarsi ai confini dell' impossibile » (Weidmann, 1775). Così Paul Weidmann introduce il suo dramma johann Faust. Ein allegorisches Drama von funfAufzugen (johann Faust. Un dramma allegorico di cinque atti, 1775) sottolineando in primis la differenza tra storiografia e poesia e inserendo definitivamente la vicenda di Faust nel novero dei miti, delle leggende, dunque di quell' insieme di elementi al­ legorici e simbolici oggetto dell'arte e non della storia reale. Paradossal­ mente quest 'affermazione proviene da un autore il cui Faust tutto som­ mato è più che altro il protagonista di un dramma familiare borghese, con alcuni personaggi mitici e allegorici, che conserva pochi tratti del mago maledetto, e che nel finale viene anche redento e salvato insieme a tutti i suoi cari. Il mostro mitologico della Chimera è utilizzato an­ che da Thomas Carlyle nel suo saggio Goethe 's Helena (Elena di Goethe, 1 82.8). Per definire le modalità con cui Goethe ha rimodulato la vicenda faustiana, Carlyle parla di un mantenimento della « veste sovrannatura­ le della storia [ ... ] con la consapevolezza, sua e nostra, che è una chime­ ra. [ ... ] Non un oggetto reale, ma l'ombra reale di un oggetto, che perciò è reale, giace ancora sotto il nostro orizzonte, e, fatta eccezione per la sua ombra, non può essere visto » (Carlyle, 1 8 3 8, p. 173). Dimensione mostruosa e utopica dunque, elemento di sovversione e di speranza, de­ siderio di cambiamento e caduta nell'abisso ; la magia e la negromanzia si trasformano gradualmente dai «peccati più grandi e più gravi davanti a Dio e davanti a tutto il mondo » (Spies, 2.0 09, p. 7) in elementi simbo­ lici e strumenti poetici con diverse funzioni, che vanno dalla critica alle autorità sociali, religiose, culturali - le prime scene del Faust di Goethe, i personaggi di Wagner, del matricolino e di Mefistofele travestito da Faust, mettono in scena una formidabile satira del mondo accademico tedesco dominato dall'autorità di Johann Christoph Gottsched e dei razionalisti - al potenziamento dell 'elemento immaginifico nell'opera d'arte, all'accentuazione degli elementi farseschi, grotteschi e popolari, spesso in chiave parodica o satirica. Proprio da questa prospettiva, dal­ le potenzialità di scardinamento di un ordine costituito, che la magia possiede ed è in grado di sviluppare nel momento in cui è introdotta nella comunità, si muove una delle più radicali rielaborazioni nove­ centesche del mito di Faust. Il grandioso spettacolo teatrale di magia nera messo in scena da Woland e dai suoi grotteschi compagni nel cap. XII del romanzo di Michail Bulgakov, Master i Margarita (Il maestro e

FAUST Margherita, 1 9 6 6-67 ), è, come noto, parte di quell 'affresco del sistema totalitario staliniano, della sua burocrazia e dei suoi risultati sociali, cui il romanziere russo dà vita nell'opera. Al contrario di quanto pomposa­ mente diffuso dalla propaganda di regime, il popolo sovietico nell'era della dittatura di Stalin appare come un'entità mossa soltanto dall'e­ goismo personale, una sorta di bolgia non dissimile dai romani esaltati alla vista dei cristiani dati in pasto ai leoni nel Colosseo. Lo show di Woland è la parodia dell' invenzione della carta moneta a opera di Me­ fìstofele nella seconda parte della tragedia goethiana: Woland fa piove­ re milioni di rubli sugli spettatori, esaltati al punto da chiedere la testa del presentatore convinto invece della falsità della messinscena. Dopo la ressa per accaparrarsi il denaro, il demone lascia la scena con parole laconiche : « gli uomini sono tutti uguali ... "Amano i soldi ma è sem­ pre stato così... L'umanità ama i soldi, non importa di cosa siano fatti: di pelle, carta, bronzo o oro." » (Bulgakov, 1 9 9 1, p. 1 5 1 ) . Lo spettacolo però non si conclude con la pioggia di denaro. Riprendendo ancora in tono parodico le prime scene della seconda parte del Faust di Goethe, Bulgakov trasforma il corteo in maschera nel palazzo dell' imperatore in una fantasmagorica sfilata di moda. Alle signore del pubblico Fagotto, uno degli aiutanti di Woland, offre i prodotti delle grandi case di moda occidentali - « Guerlain, Chanel, Mitzuko, Narcisse Noir, Chanel n. s. abiti da sera, abiti da cocktail... » (ivi, p. 153) - creando, anche in questo caso, una ressa per la conquista del pezzo migliore. L'apparato culturale sovietico viene impietosamente smascherato grazie alle capacità divina­ torie di Fagotto. Alla richiesta di Arkadij Apollonovic Semplejarov, pre­ sidente della Commissione artistica dei teatri moscoviti, che con voce baritonale impostata e in nome dell' irrinunciabile realismo razionalista pretende la spiegazione del trucco, il demone risponde e rivela la rela­ zione extraconiugale che il funzionario intrattiene con un'attricetta di provincia, provocando così una grottesca rissa tra quest 'ultima e la mo­ glie di Semplejarov. Il negromante smaschera e ridico lizza l'intellettuale realista di regime. L'esibizione si conclude nel caos con la scomparsa del gruppo di "artisti" demonici; della merce e del denaro magicamente donati al popolo russo non resterà nulla, le donne si ritroveranno nude creando ulteriore scandalo in una città il cui ordine apparentemente perfetto, le cui gerarchie apparentemente impeccabili, sono stati messi in subbuglio dallo spettacolo magico di quattro pagliacci stravaganti. L'apparato della intellighenzia sovietica, colpito dalla magia già all' ini­ zio del romanzo, con la spettacolare decapitazione di Berlioz sulle rotaie

D OTTOR FAUSTUS : MAGO E NEGROMANTE

49

del tram, subisce la sistematica distruzione dei luoghi in cui è rappresen­ tata. Il volo di Margherita, il cap. XXI in cui la protagonista femminile assume il ruolo di Faust ringiovanendo grazie a un miracoloso unguento e si invola sulla città di Mosca a cavallo di una scopa, è incentrato sulla devastazione dell'appartamento in cui vive il critico Latunskij, presso la « "Casa del Dramlit" [ .. ] "Casa del drammaturgo e del letterato" » (ivi, p. 285). Margherita, appena trasformatasi in strega, si reca nella residen­ za ufficiale del critico "di Stato" per vendicarsi della sua stroncatura al romanzo del Maestro - Un vecchio credente militante è il titolo di uno dei molti articoli con cui Latunskij, insieme ad altri recensori di regime, mette in piedi una vera e propria campagna di distruzione del roman­ zo del Maestro -, che aveva segnato l' inizio della sua decadenza fisica e psichica. L'appartamento del critico viene completamente demolito dalla donna in uno stato di trance che « le dava un piacere violento » ( i vi, p. 287) e che pare non trovare soddisfazione nemmeno nella più totale distruzione di ciò che la circonda. Tutto il romanzo di Bulgakov si alimenta della tensione fra l'ottuso razionalismo dei rappresentanti della cultura ufficiale e dell'establishment moscovita, intestarditosi a trovare a ogni costo una logica negli eventi straordinari che si verificano a Mosca, e l 'esplosione della dimensione magico-dionisiaca che irrompe in questa realtà gerarchizzata facendo saltare tutti i cardini che ne rego­ lano il funzionamento. Il potenziale creativo insito nel mondo magico esplode in tutta la sua caleidoscopica e variopinta complessità con la nascita del cinema. Non è un caso che molti degli esperimenti sul mezzo cinematografico di Georges Méliès ai primi del Novecento - dei veri e propri spettacoli illusionistici - siano stati realizzati utilizzando il "laboratorio" faustiano. Méliès incentra la maggior parte dei suoi cortometraggi di argomento fantastico in particolare sulla figura di Mefistofele, personaggio comi­ co dalle straordinarie capacità magiche, in grado di far apparire e scom­ parire - grazie alle neonate tecniche della dissolvenza, del montaggio e all' invenzione di altri trucchi cinematografici, teatrali e fotografici ­ oggetti e persone dalla scena. Il plot faustiano nei diversi cortometraggi - dalla Damnation de Faust (Dannazione di Faust, 1 9 0 3 ) a Le chevalier des neiges (Il cavaliere delle nevi, 1 9 12), passando per i brevissimi corti dedicati al diavolo come Le chaudron infèrnal (Ilpaiolo infèrnale, 1903), i l divertentissimo Le diable noir (Il diavolo nero, 1905) o ancora Les 4 0 0 farces du diable (Le 4 0 0 .farse del diavolo, 1 9 0 6 ) - è utilizzato per lasciar spazio alle capacità illusionistiche, ciniche e beffarde di Mefistofele, la .

so

FAUST

cui creatività in grado di dar vita a spettacoli, balletti, cortei gli consen­ te di raggiungere sempre i suoi scopi (unica eccezione il primo film di tre minuti dedicato a questo tema, Le manoir du diable (Il maniero del diavolo), del 1 8 9 6, in cui il demonio, dopo aver messo in scena il suo spettacolo, viene scacciato con l'aiuto di una croce). Anche l ' inventore Thomas Alva Edison nel 1 9 0 0 sperimenta le potenzialità della macchina da presa sulla base del mito faustiano. Faust and Marguerite è una pel­ licola di un minuto e mezzo in cui della vicenda "originale" non resta quasi nulla e alcuni elementi sono persino rovesciati. Mefistofele offre a Faust la spada chiedendogli di decapitare Margherita, che sta seduta fra i due ; Faust si rifiuta, offrendo a Mefistofele la spada per compiere quanto lui gli ha richiesto. Margherita scompare appena Mefistofele la sfiora e al suo posto compare Faust; successivamente scompare anche lui, trasformandosi poi in uno scheletro. Infine, sparisce anche il demone e ricompaiono, per un inatteso lieto fine, Faust, Margherita e un offician­ te in cilindro che celebra la loro unione. In questo caso è il demonio a essere oggetto delle arti magiche di cui sembrerebbe venire in possesso la donna, che di fronte alle improvvise sparizioni e alle minacce di deca­ pitazione resta assolutamente impassibile. Il topos della seduzione della fanciulla si trasforma nella visione di Edison in una sorta di esaltazione delle arti femminili in grado di "incastrare" il suo seduttore portandolo a sposarla. Variazioni sul tema a parte, è evidente che il mito faustiano si rivela un canovaccio particolarmente congeniale per quei primi cineasti che, all' inizio del secolo, concepivano la nuova arte del cinema come l'apoteosi dell' illusione e vedevano in esso uno sterminato campo di sperimentazione per realizzare i trucchi più disparati. Il ruolo di elemento di rottura della magia va sovente di pari passo con toni e modi espressivi irriverenti, associati la maggior parte delle volte a figure della cultura popolare, il cui utilizzo delle arti occulte è legato più alla dissacrazione, al lazzo, alla burla che non all'ottenimento di vantaggi personali. Nella prima rielaborazione melodrammatica del mito, il Faust di Louis Spohr, su libretto di Joseph Cari Bernard ispi­ rato al romanzo di Klinger, il Volkston, il tono popolare, cui il compo­ sitore si affida nel tentativo di creare un'opera dal carattere nazionale, è assegnato soprattutto ai modi espressivi della shakespeariana Sycorax ( The Tempest) e del suo seguito di streghe, in una vicenda in cui azione e sortilegi farseschi hanno parte preponderante - la strega, nella scena ambientata sul Blocksberg, prepara la pozione che non serve a ringiova­ nire o rinvigorire Faust, bensì a renderlo irresistibile per ogni donna. Ne-

D OTTOR FAUSTUS : MAGO E NEGROMANTE

SI

gli spettacoli per marionette la contrapposizione tra le velleità di Faust, la sua attività di alchimista e mago e lo "spirito pratico" e sanguigno di personaggi comico-grotteschi appartenenti alla tradizione dei teatri itineranti come Hanswurst e Kasperle, è parte fondante dei canovacci. E sono proprio questi gli elementi che porteranno i rappresentanti del razionalismo più strenuo di matrice illuministica a escludere la materia faustiana dai repertori dei teatri tedeschi: se Moses Mendelssohn scon­ siglia fortemente il suo amico Lessing (lettera del 19 novembre n ss) di imbarcarsi nell' impresa della scrittura di un Faust, proprio perché si tratterebbe di un soggetto oramai inutilizzabile, poco adatto a essere at­ tualizzato e inserito nel panorama drammaturgico contemporaneo, ben più radicale è Johann Christoph Gottsched. Il più importante teorico del primo Settecento tedesco dedica alla figura e alla saga di Faust righe sprezzanti non solo in quello che è il primo trattato sistematico di poeti­ ca tedesca, Versuch einer critischen Dichtkunstfor die Deutschen (Saggio di poetica critica per i tedeschi, 1730) « la fiaba del dottor Faust ha di­ vertito il popolo a sufficienza, oramai non c 'è più piacere nell'assistere a simili buffonate » ( Gottsched, 1 9 62., p. 1 8 6 ) ; già nel 172.3, in una delle sue prime odi, una poesia dedicata a Cari Friedrich Lau in cui esalta lo spi­ rito illuminato dei nuovi tempi screditando la superstizione, Gottsched celebra l'epitaffio della magia citando Faust: -

L'ancora della superstizione si spezza, l Il suo umiliato sembiante l Deve sem­ pre più tingersi di vergognoso rosso. l Lo spirito illuminato del mondo, l Cui non aggrada più sciocchezza alcuna, l Non si guasterà, come prima, per vana angoscia. l l Come tremava un tempo e città e paese, l Ogni volta che una im­ pudente mano di mago l Movevasi in cerchio sussurrando nell'anello dei segni evocati ? l Ogni volta che Faust si involava sul suo mantello, l E a offesa della natura l Operava più miracoli nel mondo della verga di Mosè. l l Deserto è ora il nudo Blocksberg, l Gravato il corpo delle streghe, l Nessuno spirito può portare un tal peso per l'aere lieve : l Nessuna pira ardente fumiga, l Nessuna catasta infiammata di legna fuma, l Non vi è più alcuna traccia di magia da fiutare (Gottsched, 1968, p. 3). In effetti Lessing, per ragioni diverse da quelle che muovevano Gottsched, come detto tenterà anche di privare la vicenda faustiana del suo elemento soprannaturale per farne un dramma borghese. Senza riuscirei. Seppur declinato in tipologie diverse, più o meno simboliche, destinato al successo o al fallimento, il momento del ricorso alla magia, in quanto medium necessario per accedere a ciò che strumenti ordinari

52

FAUST

non consentono di conoscere, è una parte imprescindibile della vicenda di Faust, almeno su tre piani differenti: quello dei moventi esistenziali e psicologici del personaggio, quello della rappresentazione - in quanto formidabile espediente poetico -, e infine, su un livello kulturkritisch, di critica alle strutture socioculturali e, su un piano parallelo ed equivalen­ te, di riflessione epistemologica. Vi è poi un sottile filo rosso che lega quei Faust insoddisfatti della magia, per i quali le arti divinatorie non sono che un momento di passaggio pri­ ma dell'evocazione del demonio e del patto con lo stesso, con personag­ gi che invece si votano alla magia con la convinzione e la consapevolezza di trovare in essa la soluzione più valida ed efficace al proprio dilemma esistenziale. « Questa metafisica dei maghi, l questi libri di negromanzia sono divini ! l Linee cerchi simboli, l è questo che Faust desidera più di tutto » (Marlowe, 1992, p. 37 ) . L'eroe di Marlowe è ancora capace di scorgere una alternativa al proprio annichilimento in un sapere mediato, attraverso l'uso di simboli e scritture, seppure cifrate. Il Faust di Goethe sperimenta un ulteriore fallimento nella scoperta del simbolo del macra­ cosmo - « Che scena ! Ah, ma è soltanto una scena » (v. 454) - proprio perché elemento di mediazione e non accesso diretto alle fonti ultime della Natura e della vita, mentre il protagonista del Dottor Faustus pare accontentarsi anche di forme simboliche che, se correttamente interpre­ tate, concedono l'accesso a una dimensione sconosciuta. In entrambi i casi però la questione alla base di questi tentativi è la medesima: « e un bravo mago è un semidio. Sfòrzati qui, cervello, di meritarti l' immor­ talità (Deity) » (Marlowe, 19 92, p. 37 ) . L'acquisizione di uno statuto di divinità è ciò che la magia dovrebbe essere in grado di garantire, al contrario dei saperi tradizionali, così che il mago e il negromante già da Marlowe in poi possono essere considerati a tutti gli effetti come la controfigura del genio, libero da regole e costrizioni e in intima simbiosi con le forze motrici della natura. Sarà questo uno dei nuclei, in chiave nichilistica, del romanzo di Thomas Mann, che fin dalle pagine iniziali teorizza il legame fra la genialità e il male nelle parole del suo narratore Serenus: «Eppure non si può negare e non si è mai negato che i dèmoni e l' irrazionale abbiano una parte sconcertante in questa zona radiosa, che tra essa e il regno infero esista sempre un collegamento capace di suscitare un leggero brivido » (Th. Mann, 2009, p. 4). Questa dimensione titanica, prometeica, della magia si ritrova decli­ nata in forme diverse e con conseguenze contrapposte per la vicenda esi-

D OTTOR FAUSTUS : MAGO E NEGROMANTE

53

stenziale di Faust. Nell'ambito delle rielaborazioni musicali, per ragioni facilmente intuibili, la figura del Faust mago della tradizione popolare rientra in gioco in modo preponderante. La natura della musica, forma d'arte che nella sua ricezione ha un accesso diretto ai sensi, non mediato da forme di rappresentazione simbolica, ha fatto sì che le venissero so­ vente attribuiti poteri occulti o magici. La scena ci mostra riflesso il volto della vita, ma l'artificio è impresso sulla sua fronte : non da specchio deformante, essa deve agire, ma da puro e terso spec­ chio magico. Nel riprodurre il vero non riuscirebbe che ad avvilirlo, mentre si presta perfettamente all'inverosimile. E se, in quanto a realtà, può sembrare ri­ dicola, finisce per affascinare sul serio se considerata puramente come finzione. Solo in questa forma lo spettacolo richiede l'ausilio dei suoni; la musica rifugge da tutto ciò che è volgare; la musica è fatta d'aria, il suo risuonare è ardore e ane­ lito, esso si libra al di sopra di noi.. .. e il meraviglioso è sua patria. Ecco perché, guardandomi attorno, ho posato lo sguardo solo su quelle immagini che erano strettamente connesse col mondo delle meraviglie : buone o malvage [sic!] , dan­ nate o sante, tutte mi attirano con potere irresistibile ( Busoni, 19 14, p. 1). Così Ferruccio Busoni motiva la scelta del soggetto faustiano nell ' Indi­ rizzo del Poeta agli spettatori che precede l' inizio del suo Doktor Faust, di cui scrisse il libretto nel 1 914, ma che poi restò opera incompiuta, dichia­ rando il proprio debito nei confronti del teatro delle marionette. Oltre all'adesione a un'estetica dell' inverosimile, sulla base della quale Busoni motiva la scelta della materia faustiana, l'Indirizzo risulta interessante per un altro aspetto in relazione al tema di questo capitolo. Utilizzando un espediente metateatrale e facendo il verso alla biografia di Goethe, il poeta narra dell'arrivo a Francoforte di un teatro di burattini diretto da un personaggio definito « mago » , in grado di dotare di vita propria i personaggi della sua « magica costruzione » ; il poeta ormai vecchio ri­ torna a questa esperienza decisiva della propria infanzia recuperando in tarda età il nucleo dello spettacolo per intrecciarvi « nuove maglie » e dar vita in tal modo all'antico spettacolo in una forma rinnovata. Solo così, afferma il poeta, è possibile al povero maestro di musica competere con un « grande mago » , facendo appello a quella dimensione dell' irra­ zionale, la sola che possa spingerlo al di là della mera riproposizione del quotidiano, riconquistando su un piano superiore l'essenza del reale. Il "gioco" di Busoni è a tutti gli effetti una scommessa faustiana, una scom­ messa sulle possibilità dell'opera musicale - ben prima della radicale messa in discussione di Butor-Pousseur, in cui la sfida fra il direttore e il

54

FAUST

compositore consisterà proprio nella possibilità di comporre un Faust­ di realizzare attraverso la magia della musica ciò che il protagonista della leggenda tenta di compiere con il ricorso alle arti occulte. La sovrappo­ sizione dei piani metateatrali è ulteriormente arricchita dalle evocazioni che Faust - del tutto in linea con la tradizione degli spettacoli di bu­ rattini - mette in scena grazie ai suoi poteri di fronte alla Duchessa di Parma con l'intento di sedurla : Salomone e la Regina di Saba, Sansone e Dalila, Salomè e Giovanni Battista, figure che assumono di volta in volta le sembianze della Duchessa e del Duca così che Faust preannuncia attraverso lo spettacolo la conquista della sua vittima. Deprivato delle nobili aspirazioni goethiane il Doktor Faust di Busoni inaugura la serie di Faust che, fino a quelli di Dusapin e Fénelon, esprimono il malesse­ re esistenziale della coscienza moderna, rimettendo in discussione tutti gli ideali positivisti e le utopie forgiate dal secolo precedente ( Reibel, 20 0 8, p. 225). Faust diviene un anti-eroe, come nei testi della tradizione popolare di epoca luterana e negli spettacoli per il teatro delle marionet­ te. Tuttavia, pur nell' impostazione radicalmente pessimistica, proprio l'Indirizzo del Poeta all'inizio del libretto redime il desiderio del mago rivalutandolo in chiave estetica: « La sua fine è terrore, ma il suo nome rimane, serbato dalla cronaca, trasformato dalla leggenda ; la poesia l' ac­ compagna, l' immortalità lo circonda. Senza fine si susseguono abbelli­ menti e imitazioni. Lo spettacolo di burattini di Faust seguita attraver­ so i tempi a destare stupore e commozione » ( Busoni, 1914, p. 2). Così come i discepoli del Dottor Faustus di Marlowe ricompongono il corpo straziato del loro maestro esaltandone l'attività di studioso e dandogli degna sepoltura, Busoni rappresenta nel suo Faust la manifestazione di una «eterna volontà » destinata a reincarnarsi in eterno - dopo la morte lo spirito di Faust, il cui cadavere viene portato via da Mefistofele nei panni di un vigilante notturno, rivive nel corpicino del figlio morto della Duchessa, che prende vita in forma di un adolescente e, con un ramoscello in mano, entra nella città calpestando la neve, preceduto da queste ultime parole di Faust ( il finale mistico fu suggerito a Busoni dal­ lo scrittore espressionista Ludwig Rubiner; cfr. Deliège, 1 9 8 6, p. 297 ) : Che io mi perpetui in te e tu continua a essere testimone, fa' più profondo il sol­ co della mia vita sino alla fìne della sua corsa. Raddrizza ciò che ho deformato, crea ciò che io ho trascurato; ecco, mi innalzo al di sopra delle regole, abbraccio tutte le epoche e infìne mi unisco alle ultime generazioni: io Faust, volontà eter­ na (Busoni, 1914, p. 46).

D OTTOR FAUSTU S : MAG O E NEGROMANTE

55

Alfred Schnittke recupera invece in una accezione più negativa il ricorso alla magia, seguendo la tradizione del Volksbuch faustiano. Profonda­ mente legato al romanzo manniano, da cui pure aveva in programma di trarre una composizione, Schnittke, così come Dusapin si era concentra­ to sull'ultima notte di vita dell'eroe marlowiano, ripropone l'ultimo ca­ pitolo della Historia del 1587. La cantata, composta nel 1 9 8 3 , che ha ori­ gine dal testo anonimo stampato da Spies, reca il sottotitolo « siate sobri e vigili » . Si tratta, nelle parole dello stesso compositore, di un oratorio, una « Passione negativa [ ... ] incentrata sul cammino di sofferenza di un uomo che, se non anarchico, è senza dubbio un cattivo cristiano » ( AA.VV., 1 9 9 3 , p . 1 7 6 ) . L'eroe, meglio l'ami-eroe di Schnittke, è i l ben noto mago e negromante del XVI secolo, la cui terribile morte esposta da un narratore impassibile secondo il modello delle Passioni bachiane e, in certa misura, della struttura del romanzo manniano, non lascia adito a speranze di redenzione. La cantata diventa poi l'atto conclusivo di un'o­ pera in tre atti eseguita per la prima volta alla Staatsoper di Amburgo nel 1 9 9 5 con la direzione di Gerd Albrecht e la regia diJohn Dew. L' insazia­ bile brama di conoscenza e di potere, unita al desiderio sessuale, spingo­ no il protagonista a far ricorso alle arti magiche e a stringere un patto con il demonio ; il successivo pentimento, così come le preghiere dei suoi studenti, risulteranno del tutto vani. Ossessionato dalla figura di Adrian Leverkiihn, Schnittke ne diviene quasi un alter ego, ricalcandone per molti aspetti lo stile parodico ed eclettico ; la materia faustiana lo occu­ perà per tutta la vita angosciandolo per il timore di non riuscire a porta­ re a conclusione il suo progetto (una grande influenza su Schnittke aveva avuto anche Votre Faust di Butor-Pousseur, il cui protagonista è un com­ positore che scommette col diavolo di riuscire a comporre un Faust). Come accennato nell'Introduzione, il ritorno al mito originario dopo anni in cui il fenomeno del faustismo, in virtù di una forte ideologizza­ zione, si era quasi del tutto slegato dalla leggenda da cui aveva avuto ini­ zio, è dovuto al Doctor Faustus di Thomas Mann. In effetti il romanzo manniano, pur reinventando la figura di Faust, divenuto ora un compo­ sitore, è legato da una serie di riprese, riferimenti anche intertestuali, ci­ tazioni e atmosfere alla Historia del 1587. Con una fitta serie di rimandi e parallelismi e con una complessa tecnica di montaggio, alla magia si sostituisce per la prima volta la musica che, attraverso la mediazione del­ le opere di Al brecht Diirer, diviene la causa e il movente della discesa agli inferi dell'artista protagonista del romanzo. Di arti magiche e persino di patti con il demonio per la verità nel romanzo di Mann, almeno a un li-

FAUST vello superficiale, pare non esservi traccia, visto che il dialogo con il pro­ teiforme demone nel cap. XXV sembra generarsi dall'avanzare della sifi­ lide, niente di più di un'allucinazione dunque. Tuttavia, leggendo gli appunti di Mann sulla genesi del romanzo, proprio in relazione a que­ stioni musicali, l'autore fa riferimento alla "costrizione" di dover citare Arno ld Schonberg come ideatore della musica dodecafonica, rompendo così la « sfera conchiusa » (Th. Mann, 1 972, p. 87) dell'universo roman­ zesco ; Mann prosegue definendo il proprio lavoro un « mondo di patti col diavolo e di negromanzia » in cui la teoria di Schonberg, in virtù di questa peculiare ambientazione, assume un carattere « ad hoc » che nul­ la ha più a che fare con le idee originarie del musicista viennese. L' ime­ razione o, se si vuole, la sovrapposizione fra le arti occulte e la musica sperimentale si profila allora come un caposaldo del Doctor Faustus. Nel­ lo studio che Adrian affitta ad Halle, tra gli oggetti che arredano la stan­ za si trova un piccolo pianoforte preso a noleggio, ricoperto di spartiti musicali scritti a mano, alcuni da lui stesso, al di sopra del quale, attacca­ to con delle puntine alla parete, si staglia « Un quadrato magico come lo si vede nella Melancholia di Diirer accanto alla clessidra, al compasso, alla bilancia, al poliedro e ad altri simboli » (Th. Mann, 2009, p. 107 ). Formatosi musicalmente sulle teorie di Hermann Kretzschmar, compo­ sitore ossessionato dalla ricerca della dimensione primitiva, originaria, atemporale della musica - « la natura stessa di quest'arte fa sì che ad ogni istante essa possa ricominciare dal nulla, sgombra di qualsiasi no­ zione della storia già percorsa nel mondo civile e delle conquiste fatte nei secoli, e riscoprirsi e riprodursi » ( ivi, p. 73) -, Adrian sviluppa gradual­ mente la sua attività di compositore alla ricerca di quella perfezione ma­ gica simboleggiata dal quadrato di Diirer. Nel tentativo di esaudire quel­ l' « antichissimo desiderio di ordinare tutto ciò che suona e di risolvere l'essenza magica della musica in raziocinio umano» ( ivi, p. 225) egli, scegliendo di dedicarsi alla composizione musicale, aspira a incarnare a tutti gli effetti il prototipo del mago e del negromante : «Nobiliterò la materia prima, aggiungendovi il magistero e purificandola con lo spirito e col fuoco attraverso storte e lambicchi » (ivi, p. 1 5 1 ) . Lo scopo che lo spinge a vendersi, più o meno simbolicamente - in fondo questo resta un dubbio irrisolto - al demonio è quello di dare ordine al caos grazie alla dimensione irrazionale che più di ogni altra arte è rappresentata dal­ la musica: « - Ragione e magia - disse - s ' incontrano e diventano una cosa sola in quello che chiamiamo sapienza, iniziazione, nella fede che abbiamo nelle stelle, nei numeri ... » (ivi, p. 225). L'alchimista - il mago,

D OTTOR FAUSTU S : MAG O E NEGROMANTE

57

il negromante, l'astrologo, figure che nel xx secolo sono sintetizzate nell'attività della scrittura musicale è in grado di ricostituire una uni­ tà: moderno demiurgo, egli è capace di plasmare la materia originaria delle idee ricostituendola in una forma nuova astorica, dunque libera dal peso della tradizione, proiettata verso il futuro, ma al contempo sintesi suprema delle strutture fondanti di quell 'arte. La dimensione irraziona­ le e magica non subisce un semplice tentativo di conciliazione con la ragione, bensì entra a far parte dell'elemento razionale, diviene essa stes­ sa strumento del raziocinio in un'attività che si pone come creazione geniale. Lo scopo dell'operazione di Mann è evidentemente, per stessa ammissione dell'autore ( cfr. il saggio del 1 945 Deutschland und die Deutschen - La Germania e i tedeschi - e altri passi del romanzo ) , mette­ re in luce come la propensione al demonico rappresentata con particola­ re evidenza dall'arte della musica, sia caratteristica peculiare dell 'anima tedesca. L'aspetto più irritante di questa operazione consiste nell'aver associato la dimensione principalmente negativa della creazione artisti­ ca con la ricerca sperimentale e avanguardistica contemporanea, nello specifico con la rivoluzione teorica di Schonberg e la sua invenzione del­ la musica dodecafonica. Leverki.ihn, lungi dall'essere il rappresentante della poetica manniana, è il prototipo di questo modello artistico, di cui l'autore critica l' iperrazionalismo sondando quel pericoloso territorio di confine in cui l'esaltazione del raziocinio trova un punto d' incontro, per lo più distruttivo, con l'irrazionale. Se però si tende a prendere sul serio le parole di Thomas Mann riportate in precedenza sull ' inserimen­ to della teoria di Schonberg all ' interno di un universo romanzesco che ha leggi proprie, si capisce come la stigmatizzazione dell'arte sperimen­ tale e la sua associazione col demone nazista si profilino soltanto come mezzo « ad hoc » ( Th. Mann, 1 972, p. 87 ) , una sorta di strumento euri­ stico attraverso il quale condurre la sua riflessione poetica e antropologi­ ca. Non sono Schonberg o l'Avanguardia, nella visione manniana della cultura tedesca, a sfociare nel male assoluto, ma il pericoloso corto circu­ ito che si crea nel momento in cui la spinta a sperimentare, a voler anda­ re oltre, al progresso, tende a ripiegarsi in forme regressive, pre-classiche e p re-razionali, in una «dialettica della libertà » in cui la creazione mu­ sicale e artistica in genere si fonda sull'agonia di un ritorno a un equili­ brio cosmico, rigoroso e già esistente, nel quale l'artista « legato dalla voluta costrizione all'ordine : dunque libero » ( Th. Mann, 2009, p. 224 ) si trasforma in mago, demiurgo, sciamano. Per questo forse Mann ha -

FAUST ragione nell'affermare che Schonberg avrebbe anche potuto offendersi se avesse visto il suo nome citato nel testo (Th. Mann, 1 972, p. 8 8 ) . La sovrapposizione fra musica e magia, la visione della musica come arte capace di toccare l' insondabile e di raggiungere regioni dell'animo umano che nessun'altra arte è in grado di sfiorare, ha radici antiche, anch'essa ha una tradizione mitologica. Nel momento in cui nella vicen­ da di Faust la musica si appropria del ruolo della magia, il mito di Orfeo, che grazie al suono della sua lira riesce ad accedere al regno dei morti per riportare in vita l'amata Euridice, trova frequentemente delle imer­ sezioni con l'intreccio della tragedia faustiana. Nel 1 9 3 8 Gertrude Stein scrive un libretto d'opera con l'interposizione di balletti dal titolo Doc­ tor Faustus Lights the Lights (Dottor Faust, luce alle luci). Rappresentato soltanto come pièce teatrale, l'opera della Stein è uno spettacolo di luci e parole in cui il protagonista ha venduto la propria anima al diavolo per inventare la luce elettrica ; successivamente il dottor Faustus ribadisce l'alleanza con Mefistofele per salvare Marguerite Ida e Helena Annabel (l'eroina combina nei quattro nomi le protagoniste femminili delle due parti del dramma di Goethe) dalla morte per il morso di una vipera, destino analogo a quello di Euridice, uccisa proprio dal veleno di un ser­ pente. La tematica faustiana combinata con quella orfica è affrontata in chiave tipicamente moderna: la luce elettrica, lungi dall'essere metafo­ ra del "classico" dissidio interiore del protagonista e della sua ansia di conoscenza, oltre a costituire una parte essenziale dello spettacolo sul palcoscenico, mette a nudo delle figure in crisi d'identità, figure scisse e sdoppiate, perse in un tempo ciclico in cui, proprio grazie alla luce elet­ trica, non si può più cogliere nemmeno l'alternanza tra giorno e notte : « non c 'è speranza e non c 'è morte e non c 'è vita e non c 'è respiro, c 'è solo lo stesso giorno tutti i giorni e quando non c 'è giorno non c 'è gior­ no» (Stein, 2010, p. 373 ) . Paradossalmente la luce elettrica è una luce che crea buio interiore e solitudine, assuefazione a un'esistenza senza varia­ zioni. Faust diventa allora un Orfeo all' inverso (Hedges, 2005, p. 130 ) , che desidera entrare all 'inferno per raggiungere la sua Euridice - capace ora di mutare la notte in giorno dominando sole e luna, elementi della natura evidentemente contrapposti alla tecnica - e restare lì con lei per porre fine alla sua solitudine. Ma per poter fare questo deve ringiovanire, condizione esaudibile soltanto se si macchierà di un peccato. Già privato dell'anima, ormai in possesso di Mefistofele, l'unico modo per riconqui­ starla e renderla dannata in eterno è uccidere. Ma dopo aver assassinato il cane e il bambino e aver avuto accesso all' inferno, Faust, nel suo nuovo

D OTTOR FAUSTU S : MAG O E NEGROMANTE

59

aspetto, non viene riconosciuto da Marguerite Ida e Helena Annabel, che lo rifiuta. La potenza salvifica della musica nel mito di Orfeo subi­ sce una metamorfosi doppiamente negativa attraverso l' incontro con il mito di Faust: in primis nell' invenzione della luce elettrica, che diventa oggetto della tentazione e strumento di annullamento della molteplicità del reale (Pasca! Dusapin ha inserito e rielaborato in Faustus, the Last Night, in cui la luce è simbolo del controllo e della supremazia assoluta, diversi elementi ripresi dal testo di Stein : cfr. Dusapin, 2006, n. 1 ) ; in se­ condo luogo nella trasformazione di Orfeo in assassino, in personaggio morboso, assillato dal desiderio dell' inferno, purché sia un inferno da condividere. La sua vicenda si conclude con il canto, non riconosciuto dalla sua amata « Faust canta l l Lascia temi solo, lasciatemi da solo, cane e bambino bambino e cane, !asciatemi solo !asciatemi da solo » (Stein, 2010, p. 401). Orfeo è all'inferno per non uscirne più e la sua musica lo accompagna mentre sprofonda da solo nel buio. Il personaggio elaborato da Gertrude Stein incorpora in sé due ele­ menti centrali della rivisitazione della vicenda faustiana novecentesca. Alla dimensione orfica, implicita nel libretto, si affianca una più eviden­ te tematizzazione del dissidio dello scienziato. La riflessione estetico­ antropologica così come si configura nei testi di Thomas Mann e di Ger­ trude Stein assume dunque una portata epistemologica, che in realtà ha radici antiche quanto il mito - Faust è la « ur-science play » (Shepherd­ Barr, 2006, p. 17) - ma si ripresenta in modo pregnante dopo le rivolu­ zionarie scoperte scientifiche, in particolare nel campo della fisica, della prima metà del Novecento. Gli scienziati finzionali, protagonisti di testi letterari, sono da un lato espressione della risposta dei loro creatori al ruolo della scienza e della tecnologia in un particolare contesto sociale; visti cronologicamente, però, assumono un peculiare significato storico, sia come indicatori ideologici del mutamento di percezione della scien­ za, sia come potenti immagini che favoriscono la nascita di nuovi stereo­ tipi. Schegge di questi scienziati finzionali, dall'alchimista medievale ai moderni programmatori di computer, fisici delle particelle atomiche o cybernauti, si sono fuse producendo archetipi che successivamente han­ no acquisito un' importanza collettiva, persino mitica (Haynes, 1994, pp. 2 s.). «Alla fine di ogni convegno primaverile in Blegdamsvej 1 5 (che era l' indirizzo dell' Istituto di Fisica Teorica di Bohr) si prese l'abitudine di eseguire una rappresentazione satirica che alludesse a sviluppi recenti della fisica » (Gamow, 1 9 6 6 , p. 1 6 3 ) . Così il fisico russo George Gamow

60

FAUST

introduce il testo di un dramma scritto e recitato da diversi allievi di Niels Bohr, in cui « Pauli (Mefistoftle) cerca di vendere all' incredulo Ehrenfest (Faust) l' idea del neutrino senza peso ( Gretchen) » , ritenuto dal curatore un « documento importante di quegli anni turbolenti per lo sviluppo della fisica » (ivi, p. r64 ) . Il 1 9 3 2 è il decimo anniversario del­ la fondazione dell' Istituto di Bohr, ma anche il centenario della morte di Goethe, che il gruppo di scienziati decide di onorare mettendo in scena la parodia del Faust. Il dramma Faust. Eine Historie, privo di un qualsiasi valore letterario, è poco più che un divertissement, ma merita di essere citato da un lato per il profetico accostamento della neonata fisica ato­ mica con il mito di Faust, dall 'altra per la preveggente visione del ruolo dei mass media nell'epoca moderna. La parodia infatti si conclude con l'ingresso in scena di un fotografo, vero elisir di giovinezza per Faust, e al contempo realizzazione piena dei suoi desideri, dunque causa della sua morte : > , pare creare una sorta di corto circuito nell' immagine della scalata tra il finale di redenzione goethiano e la visione demonica dell'ascesa verso l'alto che dà avvio al testo di Lenau. In un confronto tra il paradiso dantesco e gli scenari in cui è ambientato il finale del Faust II, Ernst Bloch, nel secondo volume di Das Prinzip Hojfnung (Il principio speranza, 1953-59 ), definisce in modo p regnante il principio costruttivo alla base delle due "scenografie": « La terra leggendaria di Dante offre la rosa del pieno compimento, la terra di Faust invece offre monti su monti nell'azzurro disteso del cielo : qui [Dante] il mistero è la soluzione pre­ sente, là [Goethe] la soluzione è il mistero che continua » (Bloch, 1994, vol. II, p. 9 5 6 ) . Nient'altro che pini, abeti, sassi, terra nera. Eppure quella terra sembrava calcinata, quei sassi, inequivocabilmente, d'origine vulcanica. Ovunque [ ... ] si avevano le prove della presenza e dell'antichità del Popocatépetl. Ed ec­ cola di nuovo in vista, la maledetta montagna! Perché esistevano eruzioni vulcaniche ? La gente fingeva di non saper!o. Forse, si poteva supporre, forse perché, sotto le rocce, sotto la superficie terrestre, si formava del vapore, la cui pressione aumentava di continuo; perché le rocce e l'acqua, decompo­ nendosi, producevano gas che si combinavano con le materie fuse prove­ nienti dal basso, perché le rocce permeabili all'acqua della superficie non erano in grado di contenere il sempre crescente complesso di tutte queste pressioni e la massa intera esplodeva; la lava erompeva dalle bocche dilagan­ do all'esterno, i gas sfuggivano, ed ecco, l'eruzione era in atto. Ma non era una spiegazione questa. No, tutto quanto era ancora mistero totale (Lowry, 2 0 0 5 , p. 2.62.).

Sotto il vulcano è un romanzo fatto principalmente di descrizioni: l'a­ zione è quasi del tutto assente e si limita alle ultime pagine, mentre per il resto si tratta di un'opera fondamentalmente descrittiva. Stati d'animo e

114

FAUST

quadri naturali micro e macroscopici si alternano nella narrazione della vicenda di un ex console, Geoffrey Firmin, e della sua battaglia contro l'alcolismo. Il "faustismo" della storia si sviluppa su piani diversi: il con­ sole è un collezionista di testi di scienze occulte e, ossessionato dal Faust marlowiano, porta avanti da anni l' idea di scrivere un testo sul teatro eli­ sabettiano - che naturalmente non vedrà mai la luce. Ma la cifra faustia­ na che penetra in maniera pervasiva le pagine di Lowry è senza dubbio il rapporto che si instaura tra il paesaggio messicano selvaggio, dominato dall' inquietante presenza vulcanica - « Sotto il Vulcano ! Non a caso gli antichi avevano posto il Tartaro sotto il monte Etna e nelle sue viscere il mostro Tifeo dalle cento teste e - relativi - occhi e voci atterriti >> ( ivi, p. 3 6 9 ) -, la vicenda privata di Firmin, del figlio Hugh e della ex moglie Yvonne, e gli eventi storici dell'ultima fase della Seconda guerra mon­ diale. Le visioni alcoliche e apocalittiche del console malato, le lunghis­ sime descrizioni di boschi, monti e vallate - spesso caratterizzate da una contrapposizione speculare fra luoghi ameni e paradisiaci e posti segnati da minacciosi simboli o dall' incombere di tempeste - e gli echi di una guerra apparentemente lontana, ma le cui conseguenze hanno segnato e segnano in modo indelebile la vita dei protagonisti - alcuni avvenimenti dell'esistenza di Hugh vengono paragonati alla vita di Hitler -, sono cuciti in una trama che tende a mettere in luce la circolarità di un tempo senza uscita. Si tratta della descrizione di un inferno, che è l ' inferno per­ sonale della dipendenza del console, l'inferno di una vita che vive nella continua e vana illusione di poter trovare un rinnovato inizio, l ' inferno di un paese succube della propria natura morfologica, l'inferno di una umanità di burattini che si affanna invano tentando di fermare una gio­ stra mortale : Sì, la colpì ora l' idea che tutta quella faccenda del toro assomigliava alla vita : la nascita importante, le buone probabilità, il giro dell'arena prima esi­ tante, poi sicuro, poi mezzo disperato, un ostacolo superato - impresa poco apprezzata -, infine la noia, la rassegnazione, il collasso; quindi un'altra, più convulsa, rinascita, un nuovo avvio; i cauti tentativi di orientamento in un mondo francamente ostile ; l' incoraggiamento apparente, ma illusorio, dei giudici, metà dei quali si erano addormentati; i passi falsi e le deviazioni verso gli inizi della catastrofe, proprio per lo stesso insignificante ostacolo che la prima volta aveva superato con un solo salto, il crollo finale dentro la trappola di nemici che non sapevi mai con certezza se non fossero amici più maldestri che malintenzionati, la caduta seguita dal disastro, la capito­ lazione, la disintegrazione [ ... ] (ivi, p. 284).

DIMENSIONI ARCHETIPICHE DEL MITO

IIS

L a consapevolezza di una natura e di una storia - individuale e collettiva ­ votate soltanto alla distruzione dell'esistenza umana connota personag­ gi malinconici e ingabbiati in vite prive di qualsiasi slancio, rassegnate a un pellegrinaggio lento e inesorabile attraverso cantine e bettole sempre più interne a un paesaggio fitto, oscuro, impenetrabile. Quella del con­ sole Geoffrey Firmin - che l'autore ha definito una Divina Commedia ebbra - è una parabola segnata fin dall'inizio dal fallimento in cui, in fondo, dell' inestinguibile desiderio faustiano resta soltanto una debole, inconsistente, ripetuta dichiarazione d' intenti a voler ricominciare da zero, a voler riprendere una scalata il cui esito può essere solo una caduta dai tratti apocalittici: E ora aveva raggiunto la vetta. Oh, Yvonne, tesoro mio, perdonami! Mani ro­ buste lo sollevarono. Aprendo gli occhi, egli guardò giù, aspettandosi di vedere, sotto di sé, la giungla magnifica, le montagne, Pico de Orizabe, Malinche, Cofre de Perote, come quei picchi della sua vita conquistati l'uno dopo l'altro, prima che la più grande di tutte le sue ascensioni, questa, fosse felicemente, se pur non del tutto secondo le regole, terminata. Ma non c'era nulla, qui: niente picchi, niente vita, niente ascensioni. Né questa sommità era esattamente una sommi­ tà: non aveva sostanza, non solide basi. Essa pure crollava, qualunque cosa fosse, si sbriciolava, mentre egli precipitava, precipitava nel vulcano, che doveva aver scalato, dopo tutto, sebbene ora avesse nelle orecchie quel rumore di lava che trabocca, orribilmente, era in eruzione, ma no, non era il vulcano, era il mondo stesso che stava esplodendo, che esplodeva in neri grumi di villaggi catapultati nello spazio, e lui che cadeva in mezzo a tutto ciò, nell'incredibile pandemonio di un milione di carri corazzati, nel bagliore di dieci milioni di corpi fiammeg­ gianti, cadeva entro una foresta, cadeva [ . .. ] ( ivi, p. 408). Il romanzo di Lowry, complesso e ricchissimo di elementi simbolici più o meno espliciti che rimandano al mito faustiano, mette bene in luce il nesso tra alcuni nodi chiave della tradizione: la notte di Valpurga nel Faust di Goethe, con la sua rappresentazione demonica del mondo na­ turale sul Brocken, la Storia come campo di azione del male nel romanzo di Klinger, il complotto del mondo naturale contro l'uomo nella visio­ ne della figura di Lenau, costituiscono singoli punti di una prospettiva ricorrente in cui la vicenda di Faust si configura come lotta contro due entità esterne colossali e ambivalenti. Natura e mondo storico costitui­ scono al contempo il "campo di battaglia" di una lotta per l'affermazione della propria individualità che inizia, prima di tutto, come speculazione e che può anche arrestarsi ben prima di trasformarsi in azione di fronte

116

FAUST

alla constatazione dell' inesorabile caducità del destino umano. Lo strug­ gente desiderio per ciò che la modernità frammentata percepisce come unico orizzonte di totalità, e che proprio per questo tenta di soggiogare al proprio dominio, la scoperta che quella dimensione è la stessa sotto la quale si nasconde il caos con le sue forze oscure e incomprensibili, il tentativo di essere parte attiva nel progresso inarrestabile di una storia intesa come sviluppo, ramificazione e moltiplicazione infinita di eventi diversi o lo sguardo annichilito e passivo sull' infinita duplicazione cir­ colare di un vortice spettrale che si riavvita su sé stesso, sono, in sintesi, gli elementi fondanti della natura faustiana, i moventi della sua azione sul teatro della storia umana o della sua rassegnazione a subirne il corso.

6

Universi femminili nel mito di Faust : eros e amore LUST

Ma ... io non sono un angelo ... P. Valéry, Il mio Faust (1946)

Quale potere rinnovellatore non ha dunque una giova­ netta! Né il fresco della brezza mattutina, né il sibilo del vento, né la freschezza del mare, né il profumo del vino o la sua soavità: nulla al mondo possiede tal potere rinnovellatore! S. Kierkegaard, Diario del seduttore (1843)

Un'anziana nobildonna, dopo un ballo nel suo castello per festeggiare la gioventù, osserva malinconica un grande quadro il cui soggetto è il diavolo abbigliato con un ampio, rosso mantello. L'aristocratica si allon­ tana, si siede nella sala ormai vuota fissando disperata in uno specchio il suo volto invecchiato. Il quadro nel frattempo prende vita e Mefistofele si avvicina lentamente alla donna cogliendola di sorpresa alle spalle e proponendole un patto : la rinuncia eterna all'amore, simboleggiato da una statuetta di cupido, in cambio della giovinezza. La donna scaglia a terra la statuetta - che però non si rompe - e Mefisto rovescia la clessi­ dra, sconfiggendo la legge fatale del tempo. Si tratta delle scene iniziali di Rapsodia satanica (1915), una rielaborazione cinematografica del mito faustiano, pensata e realizzata più secondo i canoni dell'opera lirica che non secondo le leggi del cinema, che d'altronde era ai suoi albori. In effetti il regista, N in o Oxilia, mette in scena quello che viene definito un «poema cinema-musicale » sulla base di un "libretto" di Fausto Maria Martini, e soprattutto con la colonna sonora di Pietro Mascagni. L' in­ tento è evidentemente quello di utilizzare i nuovi strumenti offerti dal cinema per dar vita a quell 'opera d'arte totale che Richard Wagner aveva teorizzato e realizzato a Bayreuth nel secolo precedente. « Una cosa di grande importanza rileverà questa RAPSODIA: la possibilità di adunare in un'opera cinematografica le sensazioni di tutte le arti; la possibilità di fare d'una sala di proiezione un magico crogiuolo di tutte le sensazioni

FAUST

I I lj

artistiche in un insieme nuovissimo, mai tentato ed oggi ottenuto per la prima volta » , si legge nel Prologo del libretto redatto in toni pom­ posamente autocelebrativi (Martini, 1915). Rapsodia satanica è uno dei rari esempi di Faust al femminile - più frequenti sono invece le versioni con il demonio nei panni di una donna, del tutto in linea con la cultura occidentale che identifica pressoché automaticamente la tentazione con la dimensione femminile - in cui la vanità e la possibilità di una seconda chance sono i moventi che inducono la protagonista ( interpretata dalla "divina" Lyda Barelli, star del cinema muto dell'epoca) a stringere un patto con il diavolo. La vicenda faustiana viene rielaborata intreccian­ dola con un altro motivo tipico della letteratura settecentesca, quello dell'amore di due fratelli - o di due amici fraterni - per la stessa don­ na. Tristano e Sergio si innamorano di Alba d'Oltrevita; Tristano, per rispetto del fratello, nega la sua passione, mentre Sergio si abbandona totalmente alla forza del suo sentimento : [ .. ] e quando l nel castello d' Illusione, intorno l ad Alba d' Oltrevita ferve il nuovo l convegno delle maschere, egli aspetta l sotto un'ogiva l'ora del destino l "Se verrete, signora, alla finestra l appena è mezzanotte, sì ch' io veda l il sorriso sbocciare della bocca l che adoro, avrò salva la vita: muoio l d'amore : ho già deciso la mia morte l se mancherete all'ultimo convegno" (ivi, Parte Prima). .

Sui giochi, sulle feste in maschera e sulle danze dei tre, accompagnati da una serie di elementi fortemente simbolici - la fontana in cui Alba si specchia e dalla quale Tristano attinge l'acqua che offre alle labbra della donna, la rosa che questa gli dona in cambio e che Tristano getta nell' ac­ qua della stessa fontana per dimostrare a Sergio che non ama la donna incombe la presenza di Mefistofele, che con il suo mantello vermiglio si muove alle spalle dei personaggi in attesa che la preda cada vittima del­ le sue macchinazioni. Alle preghiere disperate di Tristano che implora Alba affinché dia un segno al fratello, la donna risponde dichiarando il suo amore per Tristano e implorando da lui un bacio, al punto che allo scadere della mezzanotte è lo stesso Tristano a impedire alla donna di farsi vedere da Sergio. Mefistofele spia alla finestra mentre Sergio si uccide sulle scale del palazzo. La prima parte del film si conclude così, con Alba che si osserva allo specchio e nota il ritorno degli implacabili segni del tempo. Il libretto recita: « Una ruga le sole a già la fronte » . Tor­ na l'autunno ; chiusa nel suo castello, le fontane oramai asciutte, Alba si strugge nel desiderio di Tristano, che ogni sera, in visita alla tomba del

UNIVERSI FEMMINILI NEL MITO DI FAUST

II9

fratello, s i presenta sull'altura d i fronte alla residenza nei panni d i un nero cavaliere. Alba si copre di veli, sacerdotessa di amore e di morte, resta avvinghiata tra le braccia di Mefistofele, avvolta dal suo mantello, dal quale esce di nuovo invecchiata. Condotta dal demonio sulla riva di uno stagno, guardando il suo riflesso nelle acque morte, spira mentre il diavolo le copre il volto con un lembo del mantello : Le rose la vestirono di loro; l ella cercò nell'onda dello specchio, l l'onda d'a­ more confluente al viso, l ed attese l'amante, non ignara l di scavarsi nel bacio il suo sepolcro. l "Tristano, mio Tristano!" l Fu compiuto l il patto. Al primo bacio ella tornò l la pallida vestale della morte; l giunta alla morte per la via d'amore l s'incoronò dell'ultimo diadema ( ivi, Parte Seconda). I miti di Orfeo e di Narciso, declinati al femminile, si fondono in que­ sta rielaborazione filmica con la vicenda di Faust, della quale è soprat­ tutto l'aspetto del desiderio di una nuova giovinezza a essere estrapo­ lato e considerato come elemento fondante della vicenda. La donna è da un lato rappresentante del desiderio faustiano - del personaggio letterario Alba invidia in modo esplicito la possibilità di una secon­ da giovinezza nella scena di fronte al quadro di Mefistofele - dall'al­ tro oggetto conteso del desiderio amoroso da parte dei due fratelli, e questo non fa che accrescere un autocompiacimento dagli effetti de­ vastanti. La vanità dunque è il motore da cui si sviluppa l'azione : nel triangolo amoroso il demonio sembra tenere le fila del gioco e muo­ vere a suo piacimento i personaggi in una trama in cui la donna as­ surge a si m bolo di una decadenza - il film è girato in un'atmosfera evidentemente dannunziana - in cui amore, morte, desiderio e satani­ smo si fondono inscindibilmente, accompagnati dal movimento rap­ sodico della musica di Mascagni. Alba non può contrastare nemmeno con l'aiuto del diavolo il fluire incessante del tempo della natura ; al ritorno della giovinezza accompagnato da una primavera fiorita e gio­ iosa segue inesorabilmente un autunno di morte, all 'acqua viva delle fontane zampillanti da cui sgorga l'amore con Tristano si contrappone lo specchio delle acque immobili dello stagno, in cui la protagonista getta il suo ultimo sguardo e abbandona il suo braccio nel momento della morte. La scelta di riproporre il patto faustiano in una versione al femminile è legata alla accentuazione di quella parte del mito che prevede il ringiovanimento, la possibilità di una seconda chance, come controparte per la rinuncia all 'amore. Non a caso l'eroina faustiana è

120

FAUST

interpretata da una delle prime dive del cinema, che proprio sull'esal­ tazione narcisistica della sua immagine, in una ripetizione infinita di ruoli uguali a sé stessi, aveva fondato il proprio successo. L'eros e l'a­ more trasformati in uno sterile, autoreferenziale atto di eternizzazione del sé, incarnato dal nascente divismo femminile, sono destinati a ri­ solversi in un inesorabile destino di morte. Qualche anno prima del lungometraggio di Oxilia, nel 1 9 1 1, nella fase centrale del movimento espressionista, Frank Wedekind compone un te­ sto drammatico incentrato su un patto faustiano, ma strutturato in fun­ zione di una radicale critic a del ruolo dei generi sessuali nell'organizzazio­ ne sociale. Franziska. Ein modernes lvfysterium infonfAkten (Franziska. Un mistero moderno in cinque atti), questo il titolo del dramma, mette in scena la vicenda di una diciottenne ribelle e con un fortissimo senso di autonomia che rifiuta di sposare l'uomo che l'ha messa incinta ; stringe un patto con Veit Kunz, manager dello spettacolo, agente assicurativo e poeta, allo scopo di poter vivere per due anni come un uomo. Anche in questo caso il movente principale dell'azione è una vanità dai tratti auto­ distruttivi - Franziska nella prima parte dell'opera è sovente davanti allo specchio e si autoinfligge tagli e ferite sul corpo e sul viso - che induce la protagonista a vivere il ruolo maschile con tutte le prerogative di potere che nella società tale ruolo comporta (Wedekind, 1990, p. 700 ) : Allora in cosa ravvisi il mio talento ? Nella tua voluttà, nella tua ambizione, nella tua leggerezza, nella tua passione per il gioco, nella tua brama di piacere e, per non dimenticare la cosa più straordinaria, nella tua smisurata vanità.

FRANZISKA VEIT KUNZ

Divenuta la « donna », la « serva » e la « schiava » del suo demone, ac­ quisendo al contempo in modo paradossale il ruolo maschile nella realtà sociale, Franziska esercita il potere a spese di Sophie, la donna che ha sposato e che tradisce apertamente, fino a indurla al suicidio nel mo­ mento in cui essa scopre di aver condiviso la sua vita con una persona del suo stesso sesso. La fonte goethiana - l'episodio della seduzione di Margherita - viene rivisitata da Wedekind in una chiave in cui il gioco del travestimento, l'ermafroditismo della protagonista, la prospettiva sadomasochistica servono a mettere in luce aspetti dell' istituzione ma­ trimoniale determinati da gerarchie socialmente stabilite. La tematica dei generi sessuali e delle loro funzioni all'interno della comunità è og­ getto di un'analisi in un ambito più vasto nel III atto, in cui Veit Kunz e

UNIVERSI FEMMINILI NEL MITO DI FAUST

Ili

Franziska si spostano alla corte di Rotenburg per mettere in scena uno spettacolo organizzato dal duca in occasione della riapertura del teatro. Si tratta di un assurdo allestimento attraverso il quale il duca vuole re­ alizzare una rivoluzione sociale e sessuale, esaltando il nudo come ele­ mento di verità assoluta : le due protagoniste, Franziska, nei panni della Verità, e Gislind, amante del duca, coperta soltanto da un leggero velo a raffigurare l'amore terreno, vengono assalite da un drago a due teste che il duca, nei panni di San Giorgio, deve abbattere. Il tutto si concluderà ancora con un suicidio, dato che Gislind nel marasma causato dall'arri­ vo della polizia, che non può tollerare la presenza del nudo sulla scena, viene a sapere che il duca ha incontrato segretamente Franziska nelle vesti di uno spirito filosofico. La donna, angosciata dalla scarsa stima dell'amante per la sua intelligenza, si toglie la vita con una spada. L'atto successivo prevede un ulteriore scambio di ruoli in una prospettiva an­ cora metaletteraria: Veit Kunz mette in scena un altro spettacolo - un mysterium medievale per l'esattezza - in cui Cristo, interpretato dal de­ mone, visita l ' inferno per liberare alcuni eroi dell'Antico Testamento e dell'antica Grecia e riportarli con lui in paradiso. Franziska interpreta il ruolo di Elena. Nel corso dello spettacolo Franziska si innamora dell'at­ tore che recita Sansone e abbandona Veit Kunz ( del quale nel frattem­ po è rimasta incinta ) ; il demone disperato si impicca, ma viene salvato all'ultimo momento. Nell'atto conclusivo Franziska sceglie di vivere un 'esistenza " borghese" di madre sposando il pittore Karl Almer; sfugge così al controllo del suo demone e afferma ancora una volta la sua auto­ nomia. Il finale è lasciato al nuovo compagno di Franziska, personag­ gio che compare soltanto in quest'ultima scena, così come la Marghe­ rita goethiana nel Faust II. Il pittore, discutendo con la donna sul senso dell'esistenza, afferma con forza una visione positiva e ottimistica della vita ; il mondo, dice Karl, non è così terribile come certi uccelli del ma­ laugurio vogliono farlo apparire e, alla domanda di Franziska del perché si continui a perorare una tale visione, l'uomo risponde : « Perché essi non conoscono i limiti del loro talento e i limiti del mondo. Gli uomini così come le donne. Noi due sappiamo ciò che possiamo essere l'uno per l'altra » ( ivi, p. 742). Dopo aver preso in braccio il figlio della donna e aver danzato in cerchio con lui, Karl pronuncia i versi che suggellano questa etica della rinuncia e del limite : �� se io, invece di desiderare quo­ tidianamente qualcosa di nuovo, l Ringrazio con gioia il destino per ciò che ho l Perché dovrebbe logorarmi il rimorso ? l (A VeitralfJ In te può incarnarsi un liberatore l Crescerai perché sei amato » (ibid.) . Veitralf,

122

FAUST

il cui nome è il prodotto della fusione dei nomi dei due ex amanti di Franziska, assurge al ruolo di capostipite di una nuova umanità costruita non tanto su una riconciliazione tra i due generi sessuali, quanto sulla consapevolezza dei propri limiti. Busoni, al quale tra l'altro Wedekind aveva chiesto di comporre una musica per Franziska ricevendone, dopo un primo progetto, un rifiuto motivato con il timore di togliere tempo ed energie al suo Doktor Faust, affida anch'egli il finale a un bambino, incarnazione però non di uno Streben oramai sedato, ma dell'eterna vo­ lontà faustiana ( cfr. supra, CAP. 2). La conclusione del dramma di We­ dekind è stata interpretata come un'apoteosi della maternità e dei valori familiari, unico antidoto alla vanità e alla brama dell' inattingibile - la maternità come « trasfigurazione » tutta terrena del mistico eterno fem­ minino goethiano ( Doering, 2001, p. 276 ) - ; tuttavia la scena presenta caratteristiche che ne legittimano la lettura nei termini di un falso happy end, in cui l' ironia dell'autore evidenzia come ancora una volta sia una figura maschile a imporre a Franziska un modello di vita fondato sulla rinuncia alle proprie istanze individuali. Liberatasi delle imposizioni di Veit Kunz, in fondo amante romantico e sinceramente innamorato, e dell'attore RalfBreitenbach, la protagonista si ritrova a doversi adattare a un'etica borghese e rinunciataria fondata per lo più su valori tradizio­ nali e su una gerarchia statica dei generi sessuali. Franziska, grazie al con­ tinuo role switching del personaggio, mette in luce le limitazioni che la collettività impone alle donne - il patto con Kunz si fonda sulla volontà dell'eroina di assumere il ruolo maschile -, non nel senso di una critica vicina alle posizioni femministe, bensì con l'intento di mettere in luce lo strettissimo legame tra potere, genere e sessualità. Wedekind inter­ preta l' identità di genere come teatro, l'essere uomo o donna è un ruolo che viene scelto o abbandonato e sulla base del quale si determinano e si stabiliscono i propri desideri ( Hedges, 2009, pp. 104 s. ) . La sessualità di Franziska, la capacità di vivere in modo quasi creaturale ma al contempo con la piena coscienza della propria fisicità le esperienze erotiche, sono alla base dell'autonomia del personaggio, la cui dimensione faustiana è tutta espressa nel dinamismo inquieto e metamorfico di una femminilità fedele solo alle proprie istanze individuali. Si è accennato brevemente all'episodio di Margherita nel Faust di Goethe quale fonte del testo di Wedekind, in particolare delle scene che hanno al centro la relazione tra Sophie e Franziska. Il mito nella sua versione classica "maschile" nasce in parte, come argomentato nei precedenti capitoli, dalla demonizzazione della sfera erotico-sessuale,

UNIVERSI FEMMINILI NEL MITO DI FAUST in particolare nelle sue espressioni al di fuori delle forme canoniche stabilite dalla società e dalla religione - in sostanza il matrimonio. La cosiddetta Gretchentragodie, che a partire da Goethe costituirà uno dei nuclei tematici fondanti della vicenda faustiana, ha anch'essa un'ori­ gine di critica sociale, sebbene poi lo stesso Goethe l'abbia rielaborata in una chiave tutta estetica. Margherita è, come Faust, personaggio per metà storico e per metà letterario. Alcuni critici ritengono che lo spun­ to iniziale del Faust sia scaturito proprio dal caso di una infanticida, la cui vicenda aveva animato le cronache e la vita della città di Franco­ forte a fine Settecento (Schone, 2005, pp. 194 ss.). Susanna Margare­ the Brandt, giustiziata con la spada il 14 gennaio 1772 all'età di ventisei anni per aver ucciso il proprio bambino concepito al di fuori del ma­ trimonio, è probabilmente il "modello" della Margherita goethiana. Il ventiduenne praticante avvocato Goethe aveva avuto sottomano i pro­ tocolli degli interrogatori della fanciulla - in alcuni casi vi sono cor­ rispondenze letterali fra il testo degli interrogatori e i versi del Faust. È forse dali' affermazione della giovane, secondo cui Satana le avrebbe ispirato l' infanticidio (ivi, p. 194), che sarebbe scaturito il nesso fra la storia di Margherita e quella del patto con il diavolo di Faust. In realtà però, già in alcuni testi della tradizione popolare sono riportate storie di infanticide sedotte da studenti, a sottolineare il cattivo influsso che l'attività accademica del dottor Faust aveva sui suoi allievi. Lo Sturm und Drang aveva fatto di questo tema uno dei motivi centrali del pro­ prio teatro e della propria letteratura, evidenziando soprattutto il dif­ ferente ruolo sociale del seduttore - di solito appartenente all' aristo ­ crazia o comunque a un rango alto - rispetto alla sedotta - sempre una povera figlia del popolo (un tema che verrà poi ulteriormente declinato in chiave estetica e sociale nel dramma borghese e nell'opera lirica ita­ liana ottocentesca) . La figura dell' infanticida era dunque per gli auto­ ri d'avanguardia settecentesca uno strumento di critica nei confronti delle classi dominanti e del potere costituito. Questo aspetto è ancora presente, seppur marginalmente, in Goethe, sia perché Faust può fare affidamento sul proprio sapere per sedurre l' ingenua quattordicenne, sia perché l'opera di seduzione avviene attraverso il costante esercizio di una pressione da parte di Mefistofele che fa leva sull 'appartenenza di classe : Margherita, durante il primo incontro, viene appellata con il termine « Fraulein » (signorina) (v. 26os), che all'epoca si utilizzava per le donne appartenenti alla nobiltà ; l'adescamento inoltre avviene attraverso il dono di gioielli che Margherita non potrebbe nemmeno

124

FAUST

indossare per strada perché non consoni al suo stato sociale ; Mefisto ­ fele infine, nell' incontro presso la casa di Marta, non fa che adulare la fanciulla con riferimenti a una sua presunta nobiltà, sostenendo che Margherita non sarebbe dovuta arrossire nemmeno di fronte a un re ( vv. 3021-3022). La scena Cucina della strega è il momento del passag­ gio dalla tragedia della conoscenza alla tragedia dell'amore : da questo momento in poi Faust e Margherita si spartiscono il ruolo di protago­ nista fino alla scena Carcere, in cui la fanciulla condannata a morte è dichiarata salva dalle schiere angeliche. Nel Faust I dunque, la dimen­ sione femminile finisce quasi con il coincidere con quella visione della natura materna, armonica, alla quale Faust vorrebbe attingere per sazia­ re il proprio desiderio inesauribile - non è un caso che la decisione di violare la fanciulla venga presa nella parte finale di Bosco e caverna. Le sobrie occupazioni quotidiane, i canti che nella loro semplicità popola­ re diventano al contempo il presagio delle sventure imminenti ( la can­ zone di Margherita all'arcolaio e quella del Re di Tule hanno dato vita a centinaia di rielaborazioni liederistiche ) , gli spazi quasi sacri all' interno dei quali la ragazza svolge i suoi compiti, sono tutti elementi chiave di un personaggio la cui cifra fondamentale, la cui dimensione femmini­ le, sono interamente legate alla conservazione attraverso la memoria di un ordine naturale che Faust violenta e distrugge. L'ultimo desiderio di Margherita, ormai priva di lucidità, nella scena conclusiva, è che Faust, il quale l'ha appena pregata di smettere di rievocare il passato, viva nel suo ricordo riordinando in una successione precisa le lapidi della sua famiglia: «Voglio spiegarti le tombe, come saranno. l Tu dovrai occu­ partene l subito, domattina. l Il meglio posto a mia madre, l mio fra­ tello proprio vicino, l io un poco da parte l ma non troppo discosto. l E il piccolino sul mio petto, a destra » (vv. 4521-4528). Nella seconda parte del film di Murnau, tutta incentrata sulla tragedia di Margherita, l' insistenza sui primi piani del volto della fanciulla bilancia quelle ve­ dute aeree d' insieme con cui il regista aveva raffigurato la natura bruta nelle sue più varie manifestazioni ( cfr. supra, CAP. 5). Il ricordo appare in dissolvenza, i momenti felici dell ' incontro con Faust, la corona di margherite che simboleggia il loro amore e il girotondo dei bambini nel giardino di Marta, si sovrappongono all'oscurità della cella e all'arrivo dei carcerieri che la condurranno sul patibolo. Nella prima parte della tragedia il desiderio erotico di Faust, per tornare all'opera di Goethe, coincide con una brama di mero possesso ed è in realtà piuttosto in­ dipendente dall'oggetto cui si rivolge : la decisione di bere il filtro, che

UNIVERSI FEMMINILI NEL MITO DI FAUST gli darà una seconda chance, scaturisce nella Cucina della strega dalla visione in uno specchio dell' immagine femminile indefinita da cui il protagonista resta colpito, forse Elena, forse Margherita, forse sempli­ cemente un simbolo di bellezza assoluta. Di certo le parole di Mefisto­ fele, da questo punto di vista, sono piuttosto illuminanti : « Con quel liquore in corpo, presto ti sembrerà l ogni femmina un' Elena » ( vv. 260 3-26 04). Boito nel IV atto del suo Mefistofele, La notte del Sabba classico, in cui mette in scena l' incontro tra Faust ed Elena sullo sfon­ do dell' incendio di Troia, si muove nella medesima prospettiva : « La tranquilla immagine l della fanciulla blanda l ch'amai là fra le nebbie l d'una perduta landa, l già disvanì; l conquiso m'ha l un più sublime sguardo, l un più fulgorato viso, l e tremo ed ardo, l adoro e tremo ed ardo ! » . Di Margherita non resta che un blando, evanescente ricordo, l' immagine della dea è la nuova ossessione di Faust, salvo poi nell'E­ pilogo ricondurre le due dimensioni femminili a una più universale e radicale contrapposizione tra la realtà e l' ideale, entrambi destinati a rivelarsi inefficaci strumenti nella ricerca senza fine del protagonista : « Ogni mortai l mister gustai, l il Real, l' Ideale, l l'amore della vergine, l l'amore della dea ... l Sì. l Ma il Real fu dolore l e l' Ideai fu sogno » . Goethe trasforma la ricerca del piacere sessuale - e la sua inappellabile condanna nei testi secenteschi di ispirazione luterana - in una violenta affermazione del sé, in un abbandono compiaciuto alla volontà di po­ tenza di un io ipertrofico che deve imporre il proprio marchio su tutto ciò che invece pare svilupparsi secondo una legge armonica e ordinata. La colpa di Faust non è nello smodato desiderio erotico, quest 'ultimo è oramai soltanto il simbolo di un processo di autodivinizzazione della soggettività moderna, che travolge e dimentica immediatamente tutto ciò che si frappone fra sé e la realizzazione delle proprie ambizioni. Il conflitto tra maschile e femminile, così come si sviluppa nella seconda parte della tragedia di Goethe, è declinato come un conflitto tra memoria e dimenticanza. La memoria di Faust, come già detto, viene "resettata", non per un processo individuale della coscienza che analizza azioni ed errori commessi, ma grazie a un simbolico battesimo nel fiume Lete che permette al protagonista di ricominciare una nuova esistenza - una sorta di terza chance dopo il ringiovanimento della prima parte della tragedia. Come eroe della dimenticanza Faust è accompagnato anche nella secon­ da parte del dramma dal suo demone, che nei versi finali della tragedia si dichiarerà esplicitamente quale entità nichilista tesa alla distruzione di ogni forma di memoria viva: « Passato e puro nulla: identità completa ! l

126

FAUST

[ . . . ] "È passato !" Come dobbiamo intenderla, l questa parola ? l È come non fosse mai stato l eppure s'agita in cerchio, come esistesse. l Preferirei, foss ' io, il vuoto eterno» ( vv. 11597; u 6 o o- u 6 o3). Margherita in questa fase del viaggio faustiano scompare : i tentativi del protagonista di dare completezza alla propria individualità, attraverso l ' integrazione con una dimensione che nel Faust II si configura come archetipica, troveranno forma nell'evocazione del fantasma di Elena. Si tratta ancora una volta di un elemento presente fin dalle prime elaborazioni del mito di Faust, in cui il sedicente mago e negromante riesce a far comparire il simbolo della bellezza per antonomasia di fronte agli studenti stupefatti e, in alcuni testi, si congiunge con Elena generando con lei un figlio. Ciò che nelle versioni popolari veniva utilizzato per mettere in luce la potenza della magia di Faust e per esprimere la condanna del mondo pagano e delle sue divinità, destinate a perire come il loro evocatore, viene rielaborato da Goethe in una chiave completamente nuova: una prospettiva che rappresenta in versi la crisi dell' ideale di classicità che aveva caratterizzato la cultura dell'i­ dealismo weimariano. L' incapacità di Faust di ricordare ha uno dei suoi culmini, paradossalmente, proprio in un momento in cui l' intera azione è dedicata al ricordo, nella scena La notte classica di Va/purga, in un passo in cui Faust, alla ricerca di Elena, si trova a colloquio con le Sfingi - « Sento, uno spirito nuovo mi penetra. l Figure grandi, grandi le memorie » (vv. 7 1 8 9-7190 ) . Il tutto si trasforma però in una confusione di sogno e ricor­ do, in cui nulla della vita di Faust torna a galla - « Ma sono sveglio ! Oh esistano ancora l le incomparabili figure l che la mia vista laggiù invia! l E che stupendo senso mi penetra ! l Sono sogni ? Sono memorie ? » (vv. 727 1 -7275 ) . Nella sovrapposizione di un iridescente gioco di immagini di secondo e terzo grado, una serie di infinite figure della mitologia greca minore, il tentativo di affondare nell ' immaginario dell'umanità si realizza attraverso la riattivazione di una memoria che è tutta estetica. Il risultato di questa operazione è ancora una volta effimero : il sogno della salvezza della modernità attraverso il recupero delle dimensioni archetipiche del mito greco svanirà alla fine del III atto con la dissoluzione non solo di Euphorion - figlio di Faust e Elena modellato sulla figura di Lord Byron - e della stessa Elena, ma perfino degli abiti e del velo di quest'ultima. L' i­ conizzazione dell'archetipo della bellezza non ha modo di concretizzarsi in una dimensione tangibile che sia il centro pulsante di una vita rinnova­ ta ; l' immagine di un futuro che possa divenire carne e sangue del nuovo presente si risolve invece nel rapido dissolversi in nubi della vagheggiata unità di antico e moderno, di mito e natura.

UNIVERSI FEMMINILI NEL MITO DI FAUST

1 27

Come Boiro nel Meftstojèle aveva costruito l'associazione ideale-so­ gno per evidenziare l' inconsistenza della figura mitologica greca, Busoni nel Doktor Faust fa del simbolo della bellezza assoluta una figura meta­ morfica e sfuggente. Evocata da Mefistofele nell'aula in cui Faust si trova con degli studenti, quando il protagonista assorto nel ricordo dell'amo­ re per la duchessa di Parma decide di liberarsi di quella memoria oppri­ mente per la sua coscienza, Elena compare prendendo forma dai fumi, ma svanisce dalle mani di Faust non appena egli sembra averla catturata. Busoni però aggiunge un'ulteriore sfumatura a questa connotazione la­ bile del personaggio greco : nell'ultimo quadro, in procinto di morire e prostrato dall' incontro con le vittime dei suoi misfatti - la duchessa, il figlio morto e il soldato, fratello di lei -, chiedendo perdono al Signore per i suoi delitti, Faust si volge verso una chiesa nei pressi di casa sua. A fianco dell'edificio sacro vi è una croce a grandezza naturale sulla quale, all'arrivo del vigilante notturno che la illumina con la lanterna, Elena ha preso il posto di Cristo. È il momento in cui il protagonista prende coscienza della propria irredimibilità e si appresta a compiere la magia conclusiva con cui trasporrà la propria «eterna volontà » nel corpo del bambino morto ( cfr. supra, CAP. 2). La Elena nuda, oggetto del deside­ rio di Faust e simbolo di una perfezione irraggiungibile per l'uomo, si trasforma in un quadro blasfemo in cui l' immagine cristiana della re­ denzione viene sostituita da una sorta di terribile memento mori. Non vi è possibilità di redenzione per chi in vita si è votato alla ricerca continua di ideali irraggiungibili per l'uomo. Se Elena, in quanto emblema di un'antica armonia classica, è de­ stinata a scomparire dal mondo moderno, o quanto meno a perdere il ruolo di possibile ancora di salvezza per l'io, la figura di Margherita nel Faust goethiano assume una valenza ben più decisiva: la fanciulla non solo ricompare nella scena finale, ma diviene incarnazione del principio di redenzione che determina la salvezza del protagonista del dramma. In Gole montane, ammesso a far parte della schiera dei fanciulli beati, privi di memoria perché morti appena nati, Faust perde ogni ricordo dello Streben e degli impulsi super-vitalistici che hanno caratterizzato la sua esistenza. La « crisalide » ( v. 1 1 9 82) viene liberata dagli ultimi resti terrestri, i « bioccoli » ( v. 1 1 9 8s), e può essere innalzata verso una nuova dimensione, quella dell' «eterno Elemento Femminile » ( v. 12110). Non si tratta qui di una suddivisione legata a un differenziamento dei generi maschile e femminile, quanto piuttosto di un moto di congiunzione di due primarie dimensioni antropologiche al fine di conseguire una to-

I2!S

FAUST

talità dell'essere umano. Il tempo possiede una natura diversa da quella finora raffigurata nel dramma, tutta legata all'attimo, al suo incalzare o arrestarsi senza frutto e senza memoria. Gretchen, per la precisione > ( ivi, p. 379), in una cre­ scente ansia di autodistruzione, sarà fra le cause principali della morte di Firmin, accusato di non voler pagare per la prestazione della ragazza e picchiato a morte da poliziotti antisemiti. In questo caso la riattivazione della memoria del protagonista, avvenuta tramite un rapporto di natura mercenaria, dunque in un contesto in cui la dimensione femminile ac­ quisisce valore solo attraverso la mediazione del denaro, ha una valenza radicalmente demonica in quanto annichilisce e distrugge sotto il peso di un passato irrecuperabile ogni possibilità di redenzione del protago­ nista - la scena dell'amplesso è a tutti gli effetti una esemplificazione della ideologia nichilista del Mefistofele goethiano. In Mephisto la costellazione dei personaggi femminili è più variegata e vive di contrapposizioni fortemente simboliche. La moglie di Hendrik Hofgen e la sua amante rispecchiano per diversi aspetti le figure dell 'an­ gelo buono e dell'angelo cattivo del dramma di Marlowe : Il legame con Juliette, la spietata figlia della natura, è più d'una faccenda mera­ mente sessuale, è complicato e misterioso: Hendrik dà un grande valore a questa interessante circostanza. A volte ritiene anche che il suo rapporto con Barbara

FAUST - Barbara, che lui ha chiamato il suo angelo buono - non sia affatto concluso, giunto oramai alla fìne, ma che anzi, potrebbe apportare ancora meraviglie, mi­ steri e sorprese (K. Mann, 2 0 0 7, p. 1 6 9 ) . Juliette, la Venere nera, il legame con il mondo dionisiaco della danza e del sesso, non è solo la controparte di un matrimonio in parte di fac­ ciata e di convenienza, è anche la via di fuga dal disgusto per il rapporto con l'ariana Lotte Lindenthal. Ma nel momento in cui Juliette si pone come polo positivo rispetto alla degenerazione della situazione politica tedesca, è evidentemente soltanto il riflesso del narcisismo esasperato del protagonista : « Hendrik faceva sogni dolci e ribelli, e al centro sempre la Principessa Tebab. [ ... ] Fianco a fianco con quella magnifica selvaggia, aggredire e ingannare l'odiata società che nel fascismo mostrava il suo vero e orribile volto ... che prospettiva affascinante ! Per più e più giorni se ne esaltò » (ivi, p. 1 84). Nel finale Hendrik subisce, come detto, una regressione che raggiunge il culmine quando, messo di fronte alla re­ sponsabilità che le sue scelte "politiche", per lui soltanto estetiche, hanno determinato, non troverà altra via di fuga se non quella di rifugiarsi in un pianto disperato sulle ginocchia della madre. La signora Bella è l'uni­ ca in grado di comprendere l'inadeguatezza di Hendrik; nel consolarlo lo appella con il diminutivo Heinz degli anni di gioventù, « che la sua ambizione e la sua vanità avevano scartato e obliato » (ivi, p. 300 ) , ripor­ tando a uno stadio ancor più infantile il grande attore incapace di tener testa alle sue velleità. Si è accennato nel CAP. 4, dedicato a Mefistofele e alle figure demo­ niche, alla visione di Heinrich Heine secondo cui la leggenda di Faust sarebbe scaturita da una rivolta della gioia di vivere connotata da un rea­ lismo e da una sensualità contrapposti allo spiritualismo ascetico del­ la religione cattolica, una rivolta generata in parte dalla rinascita, dalla riscoperta del mondo greco, della sua arte e della sua cultura; in questa prospettiva, oggetto delle critiche più radicali è la dimensione redentrice dell' «eterno Elemento Femminile » con cui Goethe aveva concluso il suo dramma. All'eterea, ambigua, religiosa - seppur soltanto in un sen­ so estetico -, materna natura femminile goethiana, Heine contrappone un' indole luciferina e dionisiaca trasformando Mefistofele in una balle­ rina. Friedrich Theodor Vischer, in una delle più note parodie dell'opera di Goethe, Faust. Der Tragodie dritter Teil (Faust. Terza parte della trage­ dia, 1 8 8 6 ; una prima versione, poi rivista e ampliata, era uscita nel 1 8 62) rielabora così il Chorus Mysticus finale :

UNIVERSI FEMMINILI NEL MITO DI FAUST Quello che è inattingibile qui diviene evidenza. Quello che è indicibile qui si è adempiuto. L'Eterno Elemento Femminile ci trae verso l'alto. ( vv. 12IOS-12I I I )

133

Ciò ch'è più insipido, Qui è assaporato, Al gran groviglio, Si è aspirato; L' imperdonabile, Sia perdonato; L'eterna Noia Ci porta avanti! (Vischer, 2000 , pp. 131 s.)

Vischer s i è occupato per gran parte della propria esistenza dell'opera di Goethe, come critico e come docente, facendone l'oggetto primario del suo pensiero estetico e fìlosofìco, al punto da subire un processo di identificazione con la fìgura di Faust. Sinteticamente la sua critica si basa sulla contrapposizione fra la prima parte della tragedia, frutto della ge­ nialità e della più pura espressione poetica del giovane Goethe, e la se­ conda parte, evidente scadimento dell'individualità vittima di una sorta di demenza senile tendente ad allegorizzare ogni oggetto della sua pro­ duzione artistica. A questa valutazione di carattere estetico si sovrappo­ ne un ' interpretazione di carattere ideologico del mito faustiano e della sua rielaborazione goethiana. Nel Faust I Vischer rintraccia la perfetta fusione di reale e ideale, nella quale giungeva a compimento non solo il programma poetico del suo secolo, ma si affermava altresì il culmi­ ne di uno stile nazionale germanico che, pur nobilitato da una Bildung classica, non smarriva la sua energia vitale. Il classicismo estetizzante e l'allegorismo concettualizzante del Faust II erano invece l'emblema di un'arte che aveva perso irrimediabilmente il legame con la realtà sociale e politica in cui era nata. Se la seconda redazione del Faust dritter Teil, elaborata dopo il conseguimento dell'unità nazionale tedesca, rientra a pieno titolo in quel processo di mitizzazione in senso nazionalistico della fìgura di Faust di cui si è parlato nell' Introduzione, la prima versio­ ne presentava già aspetti immediatamente legati alla situazione politica, proposti tra l'altro in una chiave femminile. È un coro di donne a scan­ dire la frase nella VII scena del II atto : « Siamo le immagini di un misero, lacerato impero » ( Vischer, w o o , p. 23 1). Sotto la guida di Aristofane, allora, la parodia deve realizzarsi quale elemento di un realismo naturale e genuino grazie al quale "correggere" le stramberie mitico-allegoriche del vecchio Goethe. In questo progetto la parola iniziale è affidata pro­ prio a un personaggio femminile, un "correttivo" in senso realistico del­ la Gretchen goethiana. Lieschen, una fìgura meno che secondaria nel

134

FAUST

dramma di Goethe - una fanciulla del popolo che nella scena Allafon­ tana racconta a Margherita la storia di Barbel, prefìgurazione della sven­ turata sorte che attende la stessa Margherita - introduce l'azione che si svolgerà nel Purgatorio, escludendo la fìgura di Gretchen dalla scena in quanto già ammessa in una sfera superiore, «Troppo alta per lo scherzo ( Witz) di un poeta » ( ivi, p. s). Disprezzando la funzione didattica di Margherita - quasi che il Faust dovesse essere un dramma educativo o di formazione piuttosto che un dramma di azione - Vischer lascia il ruolo principale femminile a una fìgura che, « Come amministratrice domesti­ ca, l Come saggia conversatrice, l Come ammonitrice, come consigliera, l come iniziatrice alla compiutezza » ( ivi, p. 8 ) , si auto investe del ruolo di guida in un percorso di recupero in cui sarà accompagnata da Valen­ tin - nel dramma di Goethe il fratello di Margherita ucciso da Faust con la complicità decisiva di Mefìstofele -, incarnazione di una dimensione maschile votata all'azione, dimensione che manca totalmente a Faust. La parodia si realizza, tra l'altro, mediante la "riduzione" su un piano realistico dei personaggi divisi per lo più in due gruppi: le fìgure terrene, popolari, comuni ( Valentin, Barbel, sua amante e ostessa nella locanda che i due gestiscono, Lieschen ) e quelle mitico-allegoriche dell'opera goethiana ( Helena, Euphorion, le Madri ) , sminuite a spaventapasseri, marionette grottesche. Del leggendario simbolo della bellezza non resta che l'oggetto dell'analisi di critici letterari, privo di qualsiasi elemento di fascino per Faust, ormai dedito soltanto all'azione : «Di bellezza il dolce, quieto elemento l è oramai giunto a termine il momento » ( ivi, p. 53 ) . Il velo dissoltosi alla fìne del m atto nel dramma di Goethe si tra­ sforma nell'opera di Vischer in crinoline, tessuto alla moda nella Francia dell'epoca e diffusosi anche in Germania, contro il cui utilizzo l'autore si era scagliato in diversi articoli facendo della questione di costume una battaglia politico-ideologica di stampo nazionalista. Sulla base di questi presupposti il fìnale goethiano e la sua tensione verso l'alto, trasposti nell'osteria di Valentin e Barbel, pur parzialmente trasformata in am­ bientazione celeste, si impongono quale critica feroce a un'opera valu­ tata come assurda, priva di mordente e terribilmente noiosa - si noti in particolare la sostituzione delle lettere maiuscole utilizzate da Goethe per connotare in modo ancor più forte l'elemento di eternità e di re­ denzione della dimensione femminile con la - grammaticalmente più corretta - grafìa minuscola. Elementi parodici sono rintracciabili anche nel personaggio femmi­ nile del romanzo di Bulgakov, in cui la Margherita goethiana è trasfor-

UNIVERSI FEMMINILI NEL MITO DI FAUST

135

mata i n una demonica strega che, inforcata l a scopa, compie spedizioni punitive volando di notte sulla città di Mosca. Nel personaggio dello scrittore russo si sovrappongono più livelli di rielaborazione : in questa cavalcata notturna Margherita riveste il ruolo di Mefistofele e mette in scena il celebre volo sul mantello del demone, contenuto in diverse ver­ sioni del mito ; Margherita è anche Faust, sia nel momento in cui decide di stringere il patto con Woland per salvare il Maestro, sia quando, spal­ mando il miracoloso unguento donatole da uno degli sgherri del diavo­ lo, ringiovanisce immediatamente ; Margherita, infine, è Margherita, in­ carna l'istanza salvifica - certo nei modi paradossali e talvolta grotteschi su cui si fonda il tono generale del romanzo - in grado di recuperare la memoria letteraria del Maestro, di far rivivere e far portare a conclusione il romanzo su Pilato, e di salvarlo dalla follia ( nella trasposizione cinema­ tografica del 1972 di Aleksandar Petrovié, con Ugo Tognazzi nei panni del Maestro, il romanzo su Pilato è un 'opera teatrale, un dramma le cui prove si protraggono all' infinito e la cui rappresentazione viene impedi­ ta dagli apparati culturali del regime, fatti a pezzi poi da Woland e dalla sua cricca) . Ma mentre la forza redentrice del personaggio goethiano ri­ siede nella sua "semplicità" e nella sua capacità di avvertire e fuggire istin­ tivamente l'aura negativa emanata da Mefistofele, la figura di Bulgakov, in questo più simile alla Franziska di Wedekind che a Gretchen, trova la sua energia salvifica in una imperturbabilità assoluta, nella disposizio­ ne a vivere gli eventi più sconvolgenti e straordinari come accadimenti normali, perché necessari a raggiungere lo scopo unico che si è prefissa: Val la pena di notare che l'anima di Margherita non era per nulla turbata. I suoi pensieri erano sereni, non era assolutamente sconvolta dall'aver trascorso quella prodigiosa nottata. Non la inquietava il ricordo d'aver partecipato al ballo di Satana, d'aver incontrato di nuovo il Maestro grazie a un portento, né che il romanzo fosse risorto dalla cenere, o che tutto sembrasse ritornato al suo posto nello scantinato [ ... ]. In una parola, l'incontro con Woland non le aveva procu­ rato alcun trauma psichico. Era come se tutto si fosse dovuto svolgere in quel modo (Bulgakov, 1991, p. 398).

Marguerite de la nuit (Margherita della notte), film del 1 9 55, opera del regista Claude Autant-Lara, tratto dall'omonimo romanzo di Pierre Mac Orlan, con Yves Montand nel ruolo di Monsieur Léon, alias Me­ fistofele, ha al suo centro la figura femminile della saga faustiana. Mar­ guerite ( Michèle Morgan ) non è la fanciulla sedotta, ma lo strumento

FAUST di seduzione attraverso cui Léon induce il vecchio dottor Faust (Pierre Palau) a fìrmare lo scellerato patto per riacquistare la sua giovinezza (il giovane Georges Faust è interpretato daJean-François Calvé). In una Pa­ rigi immaginaria, stilizzata, dalle architetture geometriche essenziali sia negli interni sia negli esterni, la donna, cantante in un locale notturno, affascina il dottor Faust che, dopo mille esitazioni, si decide a fìrmare la pergamena. Il personaggio maschile si rivela fìgura decisamente meschi­ na, che utilizzerà a sua volta Margherita per farsi riscattare dal patto con Léon, fìno a includa a sostituirsi a lui facendo gocciare il suo sangue sul contratto. La mediocrità di Georges, che persino Léon disprezza pro­ fondamente, giunge al culmine nell'affermazione che segue al gesto d'a­ more di Marguerite : « Ora so che mi ami davvero » . Il fìnale del fìlm è, per contrasto, un omaggio alla grandezza d'animo del personaggio fem­ minile e alla sua capacità di amare in maniera gratuita e disinteressata. Nella carrozza del treno con cui Léon deve accompagnarla agli inferi nel suo ultimo viaggio, Marguerite, alla domanda del demone se non abbia rimpianti, risponde che le persone vanno amate per ciò che sono. Léon, incantato dalla potenza dell'amore di Marguerite, strappa il contratto rendendole la libertà, ma la donna è già morta con il viso rigato da due lacrime.

7

Salvezza o dannazione Dì, dunque, quanto sei veloce ? Né più né meno che il passag­ gio dal bene al male FAU ST

IL SETTIMO S P I RITO

G. E. Lessing, Faust-Fragmente (177S-81) Chi riesce a combinare il tragico con il comico possiede un senso della vita più profondo G. Heyrn, Faust (I9II) « Che questo sforzo del tendere non sia ancora potuto terminare in una figura dell'oltrepassamento lo rende grande. Non soltanto esso non si è adagiato sulle piume, ma perfino il cielo faustiano conosce soltanto il mo­ vimento e ancora nessun simbolo finito di riposo dell'approdo » (Bloch, I 9 9 4 , vol. III, p. u8s). Don Giovanni, ma soprattutto Faust, come caso estremo, sono oggetto dell'analisi di Ernst Bloch in un capitolo intitolato Figure-guida dell'oltrepassamento del limite; Faust e la scommessa sull'attimo adempiuto, nella quinta e ultima parte, dedicata alla questione dell'i denti­ tà, della sua opera più importante, Ilprincipio speranza. Lo seri tto di Bloch, come noto, è uno studio sul concetto di utopia in cui la letteratura e le arti hanno uno spazio decisivo in quanto simbolo della capacità dell'uomo di elaborare con il pensiero la possibilità di un mondo diverso e migliore. L'o­ pera di Goethe, la sua analisi e interpretazione, sono uno dei nuclei attorno al quale le argomentazioni di Bloch si dipanano. Faust assurge a emblema dell'uomo utopico, in una prospettiva tuttavia del tutto immanente : « Ma tutte le figure dell'oltrepassamento di limiti: il fuoco della gioventù, Ulisse, Faust e anche l'umorismo profondamente mirato di Prospero, vogliono passare dall'aldilà del desiderio nel suo aldiqua » (ivi, p. I I 9 7 ). Bloch muo­ ve da una ricostruzione storico-letteraria del mito di Faust e attribuisce al frammento di Lessing il punto di svolta nello sviluppo del personaggio. Lessing è il primo a trasformare il destino di dannazione eterna in trion­ fo e a introdurre il motivo della scommessa con il diavolo. Tutto sarebbe legato, nella visione ideologica blochiana, al mutamento socioeconomico che accompagna la nascita del capitalismo. Così già la rielaborazione di Marlowe, in un' Inghilterra ormai priva delle barriere feudali, metterebbe in scena non un peccatore ma una « specie di arzigogolato martire » (ivi,

FAUST p. II73), martire dei propri eccessi, della sua negazione di Dio, del proprio anelito verso l' inattingibile. Il tutto si colloca all' interno di una prospettiva dialettica - il Faust goethiano è equiparato alla Phdnomenologie des Geistes (Fenomenologia dello spirito, 1 8 07) di Hegel - di matrice marxista, per quel che riguarda la visione "progressista" e allgemeinmenschlich ( improntata a categorie universali dell'umano ) dell'opera di Goethe, inaugurata dagli studi di Gyorgy Lukacs (1983, pp. 155-273). L'accento in questo tipo di in­ terpretazione cade sulla tensione faustiana a nutrire con materiale sempre nuovo la propria volontà, il proprio desiderio di conoscenza in un itine­ rario che ha il suo motore nel presentimento dell'attimo eterno, non nel suo compimento. Non Orfeo, non Narciso - figure mitologiche segnate dal desiderio dell'abisso e della morte - sono i "fratelli" di Faust, ma Pro­ meteo, di cui più che la dimensione del ribelle si esaltano la propensione e l'amore verso i suoi simili, paradossalmente il lato umano del divino, an­ cora il desiderio di costruire, di generare una dimensione nuova - non a caso uno dei passi più citati in questa linea ermeneutica è l'ultimo sogno faustiano di una umanità libera e affratellata nello sforzo comune di dare vita a una nuova comunità ( sulle storture di questa tendenza interpretativa, cfr. Cases, 1 9 8 1 ) . I versi conclusivi e la scenografia in cui si svolge l'ultima parte della vicenda dell'eroe goethiano sono letti come trascendimento, non trascendente, del presagio, una «coscienza di un contenuto di avven­ to » ( Bloch, 1994, vol. II, p. 955), un contenuto che fa del movimento verso l'alto evocato dal Chorus Mysticus l'essenza di un nuovo tipo di utopia - e di individuo utopico - legata al tempo : « al posto della utopia compiuta dello spazio appare l'utopia del tempo che dura ancora in esso. E all'utopia del tempo del cielo di Faust corrisponde appunto l'infinità dello sforzo di tendere sempre più oltre, il cui nucleo è un presagio immortale » ( ivi, p. 952). Si tratta in sostanza, volendo sintetizzare all'estremo l'ermeneutica dell'opera di Goethe da parte degli intellettuali marxisti nella prima metà del Novecento, di una esegesi in chiave immanente, dialettica e utopistica della visione dell'esistenza umana espressa dal Signore nel Prologo in cielo: «Erra l'uomo finché cerca » (v. 317); una prospettiva che, come già detto, dichiara sin dali' inizio chi sarà il vincitore della scommessa ( indirizzando implicitamente lo spettatore a trovare la chiave di lettura in altro che non sia l'esito dell'accordo tra Dio e Mefistofele ) . Il percorso, l'itinerario, la ri­ cerca sono il nucleo attorno al quale Faust costruisce la propria possibilità di redenzione, il trionfo, per altri versi inspiegabile e ingiustificabile, sulle forze del male cui pure si è dato totalmente. Lo Streben si afferma come for­ za propulsiva, addirittura edificante, capace di contrapporsi al dominio da

SALVEZZA O DANNAZIONE

139

parte del tempo e , i n una certa misura, d i sconfiggerlo : l' « eterna volontà » , rappresentata da Busoni attraverso la reincarnazione dello spirito di Faust nel giovinetto per tramite del cadavere del figlio, in una rielaborazione del mito basata per il resto sui testi popolari che hanno nella condanna defini­ tiva del protagonista il loro principio estetico e ideologico, è probabilmen­ te il caso più clamoroso e "blasfemo" di riabilitazione dell'errare faustiano ; questa irritante compresenza di tensioni contrapposte è ulteriormente ina­ sprita dall' immagine di Elena crocefissa. Proprio il carattere operistico del finale goethiano - in Goethe il ri­ corso a forme affini a quelle musicali si impone come mezzo estetico teatrale contro la rappresentazione naturalistica a teatro, e in particolare nella scena Gole montane la struttura operistica o da « oratorio metafori­ co» ( Borchmeyer, 2.004, p. w ) è fondante - ha fatto sì che esso divenis­ se oggetto di molteplici rielaborazioni musicali: diverse sono le versio­ ni sinfoniche del coro mistico e della redenzione faustiana che il moto ascensionale dell' « Eterno Elemento Femminile » realizza in un'atmo­ sfera tutta simbolica. La seconda parte del Faust, da sempre « denigrata e incompresa » ( Wagner, 1996, p. I I I ) , mostra per Wagner una forza e un'evidenza sceniche che nessun'altra opera teatrale possiede, al punto da diventare lo Urerlebnis estetico - l'esperienza originaria - di cui si conservano tracce nei versi e nei quadri di Tristan, così come nel finale di Gotterdammerung (Il crepuscolo degli dei) ( Borchmeyer, 1 9 8 9, p. 1 8 1 ) . Nell 'ultima delle Scene dal Faust di Goethe, 1 844-53 di Robert Schu­ mann, intitolata Fausts Verklarung (La trasjigurazione di Faust) , all' in­ terno di una struttura circolare - il coro di angeli che canta la salvazione di Faust si conclude con gli stessi versi con cui era iniziato « Gerettet ist das edle Glied ... » ( « è salva questa nobile parte » : v. I I 9 3 4 ) -, domina l'esaltazione della forza propulsiva dello Streben ; l'oratorio in tre parti si pone da un punto di vista cronologico al centro di un secolo che aveva portato in primo piano la rielaborazione del tema faustiano nelle arti e soprattutto nella musica. Dopo l'opera di Louis Spohr, la cui prima versione composta nel 1 8 1 3 viene messa in scena tre anni dopo a Praga con la direzione di Cari Maria von Weber, in un'epoca dunque in cui la seconda parte dell'opera goethiana non esisteva ancora, le versioni sin­ foniche e operistiche successive, da quella di Liszt fino a quella di Boito, non rinunciano alla redenzione finale dell'eroe tramite i versi conclusivi del Faust II. L' Ottava sinfonia ( 1 9 0 6 ) di Gustav Mahler è al contempo l'apoteosi e il tragico canto del cigno di questa evoluzione. Mahler aveva diretto più volte a Vienna la sinfonia di Liszt, ma nel finale dell'ottava

FAUST sinfonia ribalta totalmente la drammaturgia lisztiana basata sui tre ri­ tratti/movimenti - Mefistofele, Margherita e Faust - chiusi dal Chorus Mysticus: dopo una transizione orchestrale dalle sonorità cristalline, il coro canta il testo una prima volta a cappella, producendo un effetto atemporale e mistico. Un impressionante crescendo orchestrale conduce poi a una riesposizione corale in forma di innodia che corona la tonalità di mi bemolle maggiore conferendo una portata cosmica e universale all' intera costruzione sinfonica. L' idea secondo cui Eros è dimensione generatrice e creativa resta una delle linee guida della sinfonia. Faust non è più nemmeno un personaggio ma il modello spirituale di tutti gli uo­ mini, e l' intera sinfonia, la cui prima parte è strutturata sull' inno latino del IX secolo attribuito a Rabano Mauro Veni creator spiritus, assurge a rappresentazione di una immensa redenzione dell'umanità. Nei due movimenti contrastati la sinfonia ingloba il germanico e il latino, il cat­ tolico e il protestante, il sacro e il profano, il liturgico e il teatrale, diviene una sintesi della storia della musica e di tutti i generi musicali (Reibel, 200 8, pp. 92-6). Pur legati da una serie di elementi musicali, Leitmotive e formulazioni tematiche, i due movimenti presentano differenze strut­ turali: il primo lascia intravedere ancora la forma sinfonica pur arric­ chita dal coro, mentre il secondo ha una serrata configurazione teatrale, scenico-drammatica. Vista nel complesso dell'opera mahleriana, in par­ ticolare in relazione con le precedenti sinfonie, si coglie come l'ecletti­ smo dell'ottava sinfonia consciamente scelto quale principio stilistico, traduca la volontà dell'autore di raccogliere per i posteri i materiali di un genere che ormai pareva aver raggiunto il suo limite espressivo, pro­ prio attraverso il lavoro dello stesso Mahler. Lo sforzo di riconquistare un'ultima parvenza di totalità attraverso la celebrazione di tutto ciò che la sua musica aveva sino a quel momento condannato diviene dunque, nell'apoteosi della redenzione di Faust e dell'uomo, il tentativo estremo e angosciato di salvazione di un'intera tradizione musicale e di un gene­ re oramai in disgregazione. Nel 1922 Friedrich Wilhelm Murnau sottotitolerà sinesteticamente uno dei suoi capolavori Eine Symphonie des Grauens ( Una sinfonia dell'or­ rore), declinando il genere sinfonico in ambito cinematografico sulla base della storia del vampiro Nosferatu. Il film, il primo grande successo del regista, ha molti aspetti in comune con la deutsche Volkssage, la leggenda popolare che ripercorre le gesta di Faust, girata quattro anni dopo : in en­ trambi i lungometraggi l'avvento del male è legato alla malattia, alla peste che sconvolge l'ordine naturale delle cose ; sia il taglio narrativo di matri-

SALVEZZA O DANNAZIONE

141

ce popolare-fiabesca, sia gli effetti cinematografici nella riproduzione dei paesaggi e degli ambienti - la natura pittorica delle sequenze di Murnau e lo scaturire del soprannaturale sempre dal naturale - sono tratti peculiari della rappresentazione dell'eroe negativo nei due film. Allo stesso modo i due finali si caratterizzano per evidenti affinità : il ritorno, a un livello superiore, dell'ordine e dell'armonia prevede necessariamente la morte, in entrambi i casi sotto il segno trasfigurante della luce e del fuoco, sia del protagonista sia della figura femminile. Margherita brucia sul rogo insieme a Faust, tornato vecchio e scioltosi dal legame con il demonio ; la parola eterna « Liebe » ( amore ) tra fiamme di fuoco divino si impone sullo schermo e la spada dell'arcangelo, in una straordinaria inquadratura alle spalle del demone, distrugge la pergamena firmata da Faust facen­ do dissolvere anche il diavolo. L'amore e il sacrificio di Margherita, così come nel dramma goethiano, sono gli elementi che permettono un finale positivo sotto il segno della redenzione - e della guarigione - non solo di Faust ma, anche nel caso di Murnau, dell'umanità intera. La scelta alla base delle conclusioni positive, ovvero l' idea di consi­ derare come motore di una progressività senza fine anche l'errore nell'e­ sperienza umana, e di conseguenza la hybris all'origine di un desiderio eterno di una dimensione inattingibile, scaturisce principalmente da in­ terpretazioni e rielaborazioni del dramma di Goethe. Anche il romanzo di Bulgakov, prevedendo la salvezza non solo per il Maestro e Margheri­ ta, i quali potranno passare insieme l'eternità in una sorta di dimensione ultraterrena ed esclusiva, ma anche per l'eroe del romanzo nel romanzo, Pilato, liberato nel finale dai suoi fantasmi e dalle sue pene, è profon­ damente influenzato dal Faust goethiano. Tuttavia, proprio in questo dramma appare evidente come la tradizionale dicotomia salvezza-dan­ nazione risulti poco efficace per l'esegesi del testo : se la dannazione non è proponibile in quanto, come detto, fin dal Prologo in cielo la scommes­ sa ha un esito già scritto, la salvazione d'altro canto non è argomentabile in quanto imposta a forza dal coro degli angeli su un Mefistofele anni­ chilito. È una soluzione calata dall'alto che si afferma per pura evidenza iconica ( Zagari, 1999, pp. 474-82) in uno scenario che non ha alcuna va­ lenza di natura religiosa o teologica, bensì puramente estetica, fa appello cioè a un patrimonio culturale universale immediatamente riconoscibile dal lettore/spettatore. È dunque legittimo porre l'accento sui versi del coro che elogiano lo Streben innalzandolo a strumento di redenzione « Chi si affatica sempre a tendere più oltre l noi possiamo redimerlo » (vv. I I 9 3 6 - I I 9 37) -, ma è anche un'operazione parziale, considerato che

FAUST l'effettiva salvazione di Faust prevede ancora diversi passaggi e l' inter­ vento di gerarchie superiori per giungere a compimento, e ciò che innal­ za il protagonista non è lo Streben ma la dimensione femminile, sintesi di eros e amore. Il carattere di questo quadro conclusivo, che potremmo definire eminentemente figurativo e musicale, dunque estetico in senso più ampio, in uno scenario che sintetizza elementi del teatro romantico e barocco, è di certo preponderante rispetto alla sfera ideologico-religiosa. La condanna di Faust al contrario è quasi sempre legata a una conno­ tazione del testo in senso religioso, ma nel senso più ampio che questo termine può acquisire, in virtù di una concezione del desiderio, di qual­ siasi natura esso sia, come peccato. Il corpo martoriato di Faust, meglio i brandelli delle sue membra che restano a testimonianza del terribile destino in cui è incorso, sono in parte monito per chi intenda intrapren­ dere la stessa via, in parte il segno più concreto possibile della vanità di ogni pretesa dell'uomo di sfidare il tempo e le leggi della natura. Il Faust straziato non è che il negativo dell' immagine del Cristo in croce che, dopo il sacrificio, la flagellazione, il martirio e lo strazio del suo corpo, sconfigge la morte e conquista l'eternità della vita. Nella figura del seduttore Soren Kierkegaard ha individuato l'em­ blema in cui si sintetizzano i due elementi fondanti di quel regno am­ biguo che è la dimensione estetica, in cui convivono la sensualità allo stato puro - Don Giovanni - e la dialettica tra etica e estetica, ovvero la nascita dell'etica dalla noia, dallo squallore, dall' inclinazione all'auto­ distruzione insiti negli stessi processi della vita estetica. I poli dell'arco dialettico della seduzione sono lo spirito e il senso, Faust e Don Giovan­ ni. La seduzione sensuale è il tema della musica mozartiana - e dell'ap­ passionato commento kierkegaardiano al Don Giovanni; la seduzione intellettuale, con tutte le sue morbose alchimie, è il nucleo di Forforerens Dagbog (Diario delseduttore, I 843). « Così io ho sempre immaginato ; ma ogni volta che penso così, sempre m'accaloro, giacché immagino il calore di lei; sebbene d'abitudine si consideri ormai il calore come un buon segno, pur non ne segue che si concederà alla mia immaginazione il glo­ rioso predicato della solidità. Perciò ora, tanto per cambiare, io, freddo, freddamente immaginerò lei » (Kierkegaard, 2005, p. 147 ). Johannes, protagonista del Diario del seduttore, una delle sezioni di Enten-Eller, identifica l' immaginazione, il suo potere assoluto, come punto d'origine del male, così da confermare l' identificazione di peccato e immaginazio­ ne. Il dominio di una illimitata attività di rappresentazione fa sì che il male divenga elemento materiale e spontaneo dell'esperienza (Alt, 2010,

SALVEZZA O DANNAZIONE

143

p. 222 ) . Kierkegaard muove da un'analisi della differenza fra tragedia an­ tica e tragedia moderna: il carattere scisso, e dunque fondamentalmente malinconico e disperato della modernità, determina una diversa forma della colpa tragica che si fonda sul male e non sul sentimento del tragico. Noia e malinconia, scaturite dunque da questa scissione in primis della soggettività - la nota contrapposizione tra ingenuità, naturalezza, salute e armonia dell'uomo greco e la riflessività dell'uomo moderno, nostal­ gico verso quella pienezza perduta, e poi malato - e in secondo luogo dall'ulteriore separazione fra uomo estetico e uomo etico, creano lo spa­ zio per lo sviluppo del male che, anche al di là delle intenzioni dello stes­ so Kierkegaard, diventa medium della dimensione estetica ; quest 'ultima, dialetticamente, si rivela come quel vasto e indistinto ambito in grado di far venire a galla le forme del male. L' identificazione del piacere con il demoniaco, la lotta contro il mondo considerato in blocco come pec­ cato, che Kierkegaard risolve poi nella sua opera con un'apologia dello stadio religioso - per quanto l'estetico proprio in virtù del suo carattere demoniaco contenga in sé il germe della genialità -, possono essere con­ siderate come il trait d'union con il recupero della tradizione faustiana popolare ( luterana ) nelle rielaborazioni novecentesche. Profondamente interessato all'opera e all'etica di Schopenhauer - che critica radical­ mente per le conseguenze più che per le premesse - Kierkegaard, sulla scia delle sue interpretazioni letterarie e musicali, dà una connotazione eminentemente estetica alla dimensione malinconica del desiderio uma­ no; ciò che per Schopenhauer era condizione antropologica universale ( cfr. supra, CAP. 1) per il filosofo danese è peculiarità della vita estetica. Molti dei Faust novecenteschi, condannati alla pena eterna, almeno dal Doctor Faustus di Thomas Mann in poi, sono rappresentanti esemplari di questa tragica dimensione, che in epoca post-nietzscheana non può che esplodere nella drammatica dissoluzione dell'eroe. Ma già in piena epoca romantica si trovano tracce di tale tendenza: La damnation de Faust. Légende dramatique en quatre parties (La dannazione di Faust. Leggenda drammatica in quattro parti, 1845) di Hector Berlioz ( libretto di Almire Gandonnière basato sulla traduzione del Faust I di Gérard de Nerval ) , nata dalla rielaborazione delle Huit scenes de Faust (Otto scene di Faust) composte nel 1 829, mette al centro della scena, così come aveva già fatto Louis Spohr, la figura di Mefistofele con uno spostamento nella costellazione dei ruoli che nelle epoche successive verrà ulteriormente sviluppato. La caduta dell'eroe origina dalla potenza dell'eros : Faust, tra­ sportato in un sogno da Mefistofele, vede Margherita e cade vittima del

144

FAUST

suo demone : «L'incantesimo agisce: egli è nostro » canta Mefistofele nella VII scena, dopo la visione onirica. In effetti, il patto viene firmato soltanto nella quarta parte dell'opera e ha come posta la salvezza della protagonista femminile rinchiusa in carcere prima dell'esecuzione. È l'incantesimo dell'amore, non la sua realizzazione concreta, a catturare Faust; la sua immaginazione è causa della sua rovina. L'atto sessuale non viene consumato nella versione di Berlioz, anche la dimensione della col­ pa è tutta interna al mondo della fantasia. Se nella versione del Volksbuch l'alleanza con il demonio prevedeva il divieto di matrimonio per Faust, al Faust romantico è proibito l'amore (Kreutzer, 2003, p. 1 1 8 ) , così come alla protagonista femminile salvata ma solo a prezzo della totale rinuncia al sentimento che la anima e che non può concretizzare. La tendenza "negativa" pare destinata a resistere in un'epoca in cui il desiderio faustiano è stato identificato per lo più con il narcisismo e con il culto dell' immagine che contraddistinguono il nostro tempo. Anche autori che di questa cultura pop - che poi è post-pop - nutrono la loro espressività non necessariamente la demonizzano, ma la utiliz­ zano opportunamente come elemento strutturale della propria esteti­ ca, riuscendo a far esplodere le contraddizioni radicali su cui il mondo contemporaneo e le sue strutture sociali si sviluppano. La scelta è allora la beatificazione dell'eroe nel kitsch, la trasformazione del mito in santi­ no, prodotto di un rito liturgico-culinario, immagine pura e fissa di una fiaba il cui finale si blocca irrimediabilmente, dopo il morso della mela avvelenata, alla deposizione nella bara di cristallo (ricci/forte).

8

Faust in scena La "tragedià' di Faust è più cinematografica che teatra­ le, nella prima, come nella seconda parte. E.

Rohmer, L'organizzazione dello spazio nel «Faust» di Murnau (1977)

Pertanto, Faust è tutt'e due le parti dell'opera e rappresentare soltanto la prima significa una mutilazione. [ ... ] Lo stesso Goethe, dopo che per un decennio aveva ascoltato e letto critiche imbecilli sul suo Faust, s'era con­ vinto alla fine che fosse un'opera fallita e la definì un torso. Bene! Un torso che non ci guadagnerebbe a essere rappresentato, che mai era stato inteso per la rappresentazione e che rappresentato sarebbe sembrato finito. Ma ciò che è finito è limitato, ciò ch'è incompiuto invece pare illimitato, perché tiene la fantasia in costante movimento. [ ... ] oserei spingermi al punto di asserire che ritengo una profanazione il suo allestimento (Strindberg, 1988, pp. 62-3) . Gli Oppna brev till Intima Teatern (Lettere aperte all'Intima Teatern , 1 9 0 8 - 0 9 ) sono cinque gruppi di scritti teatrali concernenti soprat­ tutto le tecniche di recitazione e il teatro di Shakespeare, che Au­ gust Strindberg indirizza, con intenti pedagogici, agli attori e agli spettatori del teatro che dirige dal 1 9 07 al 1 9 1 0. Coinvolto, un paio d'anni prima della redazione di queste lettere, nella messinscena di entrambe le parti del Faust di Goethe, su commissione dell'allora celebre direttore teatrale e attore Albert Ranfi: ( il "re dei teatri di Stoccolma" ) , Strindberg dedica alcune pagine delle sue riflessioni all'opera goethiana. Già alla comparsa del primo dramma storico di Goethe, Gotz von Berlichingen ( 1 7 7 3 ) , tanto le voci più critiche quanto gli ammiratori erano stati concordi nel considerare l 'opera, con i suoi numerosissimi cambi di scena, concepita come Lesedrama (dramma per la lettura) e non come testo pensato per la messinscena - la prima del dramma si rivelò al contrario un successo epocale. Il nucleo filosofico alla base del Faust, così come la natura prevalente­ mente allegorica di quel caleidoscopico pastiche su cui è strutturata la seconda parte, hanno spesso indotto a ritenere irrealizzabile una rappresentazione integrale del testo. Tuttavia, per molti artisti que-

FAUST sto organismo così privo apparentemente di una coerenza interna e di unità ha costituito una sfida e un inesauribile assortimento di stimoli per idee di regia e allestimenti i più arditi. La storia quasi bicentenaria delle messinscene del testo goethiano è, a tutti gli effetti, « una storia dell' ideologia tedesca » (Mahl, 1999, p. 1 ), dalle affermazioni religioso-nazionalistiche di Richard Wagner, che nel 1 8 72, subito dopo la fondazione del secondo Reich e il conseguimento della sospirata unità nazionale, vedeva nel Faust il più tedesco di tutti i drammi e persino la nuova Bibbia, alla rappresentazione integrale a opera di Peter Stein nel 2ooo. « Mi fu chiaro che per questa messinscena avrei dovuto fondarmi da solo un teatro e alla fin fine avrei dovuto anche costruirlo material­ mente » (in Schieb, Haas, 2000, p. 9). Si può considerare l'esperienza di Stein, la cui affermazione appena riportata funge evidentemente da contraltare alle considerazioni di Strindberg, come il punto di arrivo di un processo che ha la sua fase iniziale nella teorizzazione wagneriana del Gesamtkunstwerk, l'opera d'arte totale. Come noto, oltre allo spettaco­ lo di marionette, il dramma di Goethe ha una probabile fonte che oggi definiremmo visuale. Si tratta di due dipinti sulle pareti della cantina di Auerbach a Lipsia ( FIG. s) che Goethe frequentò tra il 1765 e il 1768, e che poi divenne uno dei luoghi simbolo della vicenda del protagonista. La dimensione iconografica, la tradizione orale, il teatro popolare fan­ no del mito di Faust, fin dalla sua nascita, un campo di pratica transdi­ sciplinare, in cui le diverse arti trovano ispirazione e completamento. Per quanto riguarda la dimensione specifica della prassi teatrale, fin dai primi tentativi di portare le due parti della tragedia sulla scena, si riscon­ tra una cospicua interazione fra l'attività degli illustratori e quella dei registi teatrali. Gli illustratori della Goethezeit contribuirono innanzi­ tutto alla realizzazione delle scenografie, in più i disegni di Ernst Moritz Retzsch e Johann Heinrich Ramberg furono determinanti per risolvere la questione dei costumi di scena e il loro influsso risultò decisivo negli allestimenti fino agli inizi del Novecento (Mahl, 1999, p. 18). Le petit­ fìls de Faust (Il nipote di Faust) di Félicien de Champsaur costruisce sul dialogo fra parola e immagine (con un utilizzo ironico dell' immenso patrimonio iconografico faustiano) una modernizzazione del mito tra­ smesso ai parigini soprattutto dall'opera di Gounod, ma anche da forme ancor più popolari come l'opera buffa in tre atti Le petit Faust ( 1 8 6 9 ) di Hervé (Louis-Auguste-Florimond Ronger, musica) e Hector Crémieux (libretto) . Le petit-jils de Faust fu pubblicato in tre diverse raccolte :

147

FAUST IN SCENA

FIGURA 5 Dr. Faust in Leipzig, riproduzione degli affreschi nella cantina di Auerbach a Lipsia ( 1858)

X, i e \JGuft&llber

in

!luer&ad)'• .tte Oer.

Le chat noir (Ilgatto nero, 1 8 82.), La vie moderne (La vita moderna, 1 8 8 5) e, infine, Entrée de clowns (Entrata dei clown, 1 8 8 6 ) . La seconda versio­ ne presentava due illustrazioni del disegnatore Ferdinand Lune! che aprivano e chiudevano il racconto ( Forrest, 2.0II, pp. 83 s. ) . Altre otto illustrazioni furono aggiunte per l'edizione successiva. Il circo, e in par­ ticolare la figura del clown che introduce ogni racconto contenuto nella raccolta illustrata, è per Champsaur sinonimo di modernismo e diviene una nuova forma di teatralità fondata su una decostruzione e "smitizza­ zione" della leggenda ( per René Clair, in La bellezza del diavolo, il circo, a cui Faust si lega attraverso la zingara Margherita e al quale ritorna nel finale del film, si contrappone al mondo corrotto e fastoso della corte del principe, in cui i rapporti umani sono regolati solo dall' interesse, dal denaro e dall' intrigo ) . Ciò vale per la parte narrativa - il figlio di

FAUST FIGURA

6

Peter von Cornelius, Faust und Gretchen im Kerker (Faust e Gretchen nel carcere, r8r6), Goethe-Museum, Diisseldorf.

Faust, che all' inizio della storia ha appena assistito alla rappresentazione dell'opera di Gounod, chiede al diavolo di diventare vecchio e ricco per conquistare Margherita, una cocotte fuggita con un vecchio milionario - ma ancor di più per il legame con la tradizione iconografica. Raffi­ gurazioni divenute nel frattempo canoniche - soprattutto per il pathos insito in alcune scene centrali - ad esempio le incisioni di Eugène Dela­ croix, Peter von Cornelius (FIG G. 6 e 7) ed Ernst Moritz Retzsch (FIG. 8) vengono per così dire depotenziate in uno stile quasi vignettistico e caricaturale (Dumiche, Blondeau, 2006, p. 1 4 9 ). Dunque il rapporto fra arti plastiche, musica e letteratura - nelle forme più disparate e popolari - è un elemento fondante del mito di Faust, e nelle messinscene teatrali risulta talvolta un principio strutturante. Così come rilevato per il cinema, in relazione ai lungometraggi di Murnau e Sokurov e alle loro fonti pittoriche, anche per il teatro il lega-

FAUST IN SCENA

149

FIGURA 7

Peter von Cornelius, Faust bietet Gretchen den Arm (Faust ojfre il braccio a Gretchen, r8 u ), Goethe-Museum, Oiisseldorf.

me con la pittura è decisivo ; non solo - come è più sco n taro - nell'ambi­ to della realizzazione di scenografìe e costumi, ma anche in uno spettro più ampio di relazioni rematiche. Nel diario stilato da Roswitha Schieb durante le prove della messinscena di Peter Stein, vengono di volta in volta citate le fonti utilizzate per l'allestimento del palco: la Alegoria Menandrea (1793-94) di Francisco Goya per il Prologo in teatro, opere di Diego Velazquez e Hieronymus Bosch per la Cucina della strega ecc. ( Schieb, Haas, 2000, pp. 93-179); l' intero resoconto è corredato da un abbondante apparato iconografico che illustra la storia della rappresen­ tazione come una sorta di viaggio nella storia dell'arte dal Medioevo

FAUST FIGURA

8

Ernst Moritz Retzsch, Laboratorium

Acquaforte in Umrisse zu Goethe's Faust zweiter theil (Schizzi dalla seconda parte del Faust di Goethe), ]. G. Cotta, Scuttgart-Augsburg 1836.

all'Ottocento. Nella vicenda del Faust goethiano e nella sua rappresen­ tazione si ritrovano elementi fondanti di un immaginario che ha segna­ to la cultura occidentale moderna. L'operazione di Stein, in gran parte fedele al dettato goethiano, ricostruito e interpretato sulla base di uno studio accurato e pluriennale dei vari Kommentare editi nel corso degli anni come apparato critico delle diverse edizioni, mira a far riemergere in tutta la sua forza visiva questo sostrato iconografico, e ne fa uno degli elementi strutturanti della sua grandiosa operazione teatrale. Stein dedi­ ca il lavoro a Klaus Michael Gri.iber, citato esplicitamente come modello per la propria rappresentazione, per quanto apparentemente del tutto contrapposto ali' idea del teatro steiniano. Gri.iber aveva realizzato due messinscene del Faust, la prima nel 1 9 7 5 , nella suggestiva ambientazione dell'ospedale Salpètrière di Parigi, una chiesa secentesca, con la collabo-

FAUST IN SCENA razione dello scenografo Gilles Aillaud e del pittore, grafico e set desi­ gner Eduardo Arroyo ( il luogo, tra l'altro, in cui Michel Foucault ha ini­ ziato le sue ricerche sulla follia ) . Sulla base della traduzione di Gérard de Nerval, Faust Salpétriere è una versione ridotta a un decimo dell'origina­ le di entrambe le parti della tragedia di Goethe. Un pubblico itinerante segue la vicenda nella navata centrale e in quelle laterali della cappella, prendendo parte a una rappresentazione in cui l'opera goethiana resta per così dire in secondo piano, quasi un accompagnamento, nel senso musicale del termine, piuttosto che un ruolo da solista. I nodi centrali dell'opera vengono evocati attraverso una visionaria, talvolta surrealista, successione di quadri drammatici, frutto di idee di regia che, allontanan­ dosi dal testo originale, sono in realtà una interpretazione strettamente legata alla "mitologia" goethiana ( Mahl, 1999, p. 159 ) . La scena del patto è sintetizzata in un gesto : Faust colpisce con un coltello un sacco da pu­ gile appeso al centro della scena facendone fuoriuscire lentamente la sab­ bia ( l' immagine evoca al contempo la sabbia della clessidra che segna lo scorrere del tempo ) , che si accumula sul palco e costituirà, alla fine della prima parte, lo scenario della morte di Gretchen. La fanciulla sedotta, meglio la sua anima, è lo strumento della redenzione del protagonista ­ non a caso la rappresentazione si chiude non con il Chorus Mysticus, ma con gli ultimi versi di Gretchen « Concedi che io gli insegni: l il nuovo giorno lo abbagli ancora » ( vv. 12092-1209 3) - la cui anima, contenu­ ta in una valigia che porta in mano per l'intera rappresentazione, viene posta su un altare protetta dall'attacco di Mefistofele grazie a centinaia di candele accese. La versione del 1 9 82, in occasione del centocinquan­ tesimo anniversario della morte di Goethe, è invece una sintesi estrema della prima parte della tragedia, una rappresentazione tutta incentrata sul dramma dell' intellettuale con evidenti allusioni agli ultimi anni di vita di Goethe e al suo amore infelice per la diciannovenne Ulrike von Levetzow. Solo tre personaggi in scena, Faust ( interpretato da Bernhard Minetti ) , Mefistofele e Margherita - come i tre movimenti della sinfo­ nia di Liszt -, tagli radicali del testo, scenografie ridotte all'osso. La rap­ presentazione si conclude con la scena Carcere, l'unica a essere riportata quasi integralmente, in cui Gretchen e Faust danno vita a un dialogo nel quale però ognuno parla per sé stesso, in modo quasi autistico, prima che la fanciulla scompaia e il sipario si chiuda sulla solitudine totale del protagonista in un silenzio assoluto ( la messinscena fu definita all'epoca un