128 25 6MB
English Pages 145 [142] Year 2023
UNITEXT 146
Franco Cardin
Il concetto di curvatura Genesi, sviluppo e intreccio fisico-matematico
UNITEXT
La Matematica per il 3+2 Volume 146
Editor-in-Chief Alfio Quarteroni, Politecnico di Milano, Milan, Italy; École Polytechnique Fédérale de Lausanne (EPFL), Lausanne, Switzerland Series Editors Luigi Ambrosio, Scuola Normale Superiore, Pisa, Italy Paolo Biscari, Politecnico di Milano, Milan, Italy Ciro Ciliberto, Università di Roma “Tor Vergata”, Rome, Italy Camillo De Lellis, Institute for Advanced Study, Princeton, NJ, USA Massimiliano Gubinelli, Hausdorff Center for Mathematics, Rheinische Friedrich-Wilhelms-Universität, Bonn, Germany Victor Panaretos, Institute of Mathematics, École Polytechnique Fédérale de Lausanne (EPFL), Lausanne, Switzerland Lorenzo Rosasco, DIBRIS, Università degli Studi di Genova, Genova, Italy; Center for Brains Mind and Machines, Massachusetts Institute of Technology, Cambridge, Massachusetts, USA; Istituto Italiano di Tecnologia, Genova, Italy
The UNITEXT – La Matematica per il 3+2 series is designed for undergraduate and graduate academic courses, and also includes advanced textbooks at a research level. Originally released in Italian, the series now publishes textbooks in English addressed to students in mathematics worldwide. Some of the most successful books in the series have evolved through several editions, adapting to the evolution of teaching curricula. Submissions must include at least 3 sample chapters, a table of contents, and a preface outlining the aims and scope of the book, how the book fits in with the current literature, and which courses the book is suitable for. For any further information, please contact the Editor at Springer: [email protected] THE SERIES IS INDEXED IN SCOPUS *** UNITEXT is glad to announce a new series of free webinars and interviews handled by the Board members, who will rotate in order to interview top experts in their field. In the first session, going live on June 9, Alfio Quarteroni will interview Luigi Ambrosio. The speakers will dive into the subject of Optimal Transport, and will discuss the most challenging open problems and the future developments in the field. Click here to subscribe to the event! https://cassyni.com/events/TPQ2UgkCbJvvz5QbkcWXo3
Franco Cardin
Il concetto di curvatura Genesi, sviluppo e intreccio fisico-matematico
Franco Cardin Università degli Studi di Padova Padova, Italy
ISSN 2038-5714 UNITEXT ISSN 2038-5722 La Matematica per il 3+2 ISBN 978-88-470-4023-6 https://doi.org/10.1007/978-88-470-4024-3
ISSN 2532-3318 (versione elettronica) ISSN 2038-5757 (versione elettronica) ISBN 978-88-470-4024-3 (eBook)
© The Editor(s) (if applicable) and The Author(s), under exclusive license to Springer-Verlag Italia S.r.l., part of Springer Nature 2023 Quest’opera è protetta dalla legge sul diritto d’autore e la sua riproduzione è ammessa solo ed esclusivamente nei limiti stabiliti dalla stessa. Le fotocopie per uso personale possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68. Le riproduzioni per uso non personale e/o oltre il limite del 15% potranno avvenire solo a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da AIDRO, Corso di Porta Romana n. 108, Milano 20122, e-mail [email protected] e sito web www.aidro.org. Tutti i diritti, in particolare quelli relativi alla traduzione, alla ristampa, all’utilizzo di illustrazioni e tabelle, alla citazione orale, alla trasmissione radiofonica o televisiva, alla registrazione su microfilmo in database, o alla riproduzione in qualsiasi altra forma (stampata o elettronica) rimangono riservati anche nel caso di utilizzo parziale. La violazione delle norme comporta le sanzioni previste dalla legge. L’utilizzo in questa pubblicazione di denominazioni generiche, nomi commerciali, marchi registrati, ecc. anche se non specificatamente identificati, non implica che tali denominazioni o marchi non siano protetti dalle relative leggi e regolamenti. This Springer imprint is published by the registered company Springer-Verlag Italia S.r.l., part of Springer Nature. The registered company address is: Via Decembrio 28, 20137 Milano, Italy
Franco Cardin Genesi sviluppo e intreccio fisico matematico del concetto di curvatura
Appunti e tracce antologiche
Prefazione
A questo proposito non posso fare a meno di osservare che la coppia Faraday-Maxwell aveva un’intima e notevolissima rassomiglianza con la coppia Galileo-Newton: il primo di ciascuna coppia afferrava intuitivamente le possibile relazioni, mentre il secondo le formulava esattamente e le applicava quantitativamente. (Albert Einstein)1
L’esordire con una citazione che propone parallellismi tra coppie di grandi scienziati può sembrare strano, ma ha una motivazione importante. Ci si può sentire infatti disarmati quando si registra che a metà ’800 emerge la nozione di ‘simboli di Christoffel’, associata appunto a Christoffel, già era in Riemann, e poi saranno Ricci e Levi-Civita ad usarla nel modo proprio, definitivo; e così ancora più tardi: per le ‘trasformazioni di Lorentz’ (1904), ma sarà Einstein (1905) a coglierne l’esatta portata conoscitiva, per non parlare del ruolo di Poincaré nella nascita della stessa relatività ristretta. Il tentativo di dipanare questi e altri nodi appare arduo, largamente già compiuto. Vorremmo in questi appunti rivederne aspetti, non da storici – ci vuole una dedicata professionalità per questo – ma in un certo senso tecnico, con l’umiltà del rigore matematico, se si riesce. Qui di seguito ci saranno dei frammenti di episodi della matematica, intimamente intrecciati con l’evoluzione e la crescita della matematica stessa, in particolare: della geometria differenziale, della fisica matematica, della nozione di curvatura, della conseguente ricostruzione/descrizione di fondamentali aspetti della natura. Sono appunti parziali, che coinvolgono, in modo assolutamente non esauriente, un segmento felice dello sviluppo della matematica, che in parte mostra protagonista anche l’Università di Padova. Si attingerà generosamente da fonti e racconti storici specialistici, con dovuta e puntuale citazione: una proprietà di questi appunti è anche il carattere ‘antologico’. Un’altra caratteristica è la presenza attenta di matematica in senso proprio a fianco a qualche racconto storico, sulla genesi delle idee. È in realtà incidentale per chi scrive ritrovarsi a raccontare episodi del pen1
Autobiografia scientifica, [30]. vii
viii
Prefazione
siero matematico. Questo ha una sua origine. Assieme infatti ad altri colleghi, ci si è adoperati in anni recenti perché il Dipartimento di Matematica della nostra Università – il 25 novembre 2016 – fosse dedicato al grande Tullio Levi-Civita, nato appunto a Padova nel 1873 e ivi operante fino a tutto il 1918. Alcune idee che qui si raccontano sono emerse dall’attenzione culturale legata a quell’evento. Si predispose in quell’occasione un cofanetto di articoli e conferenze dedicate, contenente anche la ristampa anastatica del manoscritto originale della tesi di laurea di Tullio Levi-Civita [46], si realizzò infine la traduzione in italiano, commentata, dell’ultimo suo lavoro, un piccolo libro di un centinaio di pagine [52]. Attraversare questo personaggio, il suo maestro Gregorio Ricci Curbastro e il piccolo pantheon della geometria differenziale nascente del XIX secolo, ha facilitato lo studio di rassegna che qui si propone intorno all’idea di curvatura e del suo integrarsi tra geometria e fisica. Ringrazio molti amici colleghi, per vari suggerimenti; Andrea Spiro, che ha letto il manoscritto e mi ha guidato nell’interpretazione del contenuto della tesi di laurea di Tullio Levi-Civita; Umberto Marconi, per bellissime chiacchierate matematicodantesche; Alberto Lovison, per la sua accurata acuta rilettura. E molti altri2 .
2
Segnalandomi non pochi errori, per non parlare di quelli che rimangono.
Indice
1
Tracce di cosmologia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.1 Cosmologia dantesca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.2 Le stelle fisse. La fine della cosmologia antica . . . . . . . . 1.3 Verso nuove cosmologie Il modello di Zeldovich-Arnol’d
2
Prima di Gauss . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.1 Prologo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.2 Huygens . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.2.1 Horologium oscillatorium: qualche conto sul pendolo cicloidale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.2.2 Curve in R3 , il Vettore di Darboux . . . . . . . . . . . . . . . 2.3 Ancora sulla cicloide: la brachistòcrona, da Galileo a Bernoulli . . 2.4 Breve cenno ad un risultato (recente) sulle curve piane: teorema dei quattro vertici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3
. . . .
. . . .
. . . .
. . . .
. . . .
Gauss . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.1 Cenni biografici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.1.1 Il racconto di Morris Kline . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.2 Superfici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.2.1 Ripartire da Euler . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.2.2 Dalle curve piane alle superfici: una genesi della curvatura in Gauss . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.2.3 Superfici ˙ in R3 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.2.4 Prima e seconda forma fondamentale. Curvatura Gaussiana 3.2.5 Seguendo Gallot . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.2.6 Seguendo Berger e Gostiaux . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.2.7 Intermezzo sulle notazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.2.8 Theorema Egregium . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1 1 5 8 15 15 16 20 23 24 27 29 29 31 39 39 40 41 43 45 47 48 48
ix
x
Indice
3.3
3.2.9 Ancora sul Theorema Egregium, pensando alla curvatura di Riemann . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49 3.2.10 Qualche esempio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51 Superfici minime e curvatura media . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 52
4
Riemann . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.1 Intermezzo, da Gauss a Riemann . . . . . . . . . . . . . . . 4.1.1 L’eredità del Theorema Egregium . . . . . . . . . . 4.1.2 Cenni biografici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.2 Curvatura, Riemann . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.3 Ma cosa ha detto in dettaglio Riemann? . . . . . . . . . . . 4.3.1 Digressione. Coordinate geodetico-normali . . . . 4.3.2 Ritorniamo al racconto di Riemann . . . . . . . . . 4.4 Ancora su curvatura e teoremi . . . . . . . . . . . . . . . . 4.4.1 Separazione delle geodetiche . . . . . . . . . . . . . 4.4.2 Triangolo geodetico e Theorema elegantissimum 4.4.3 L’articolo del 1861 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.4.4 Sintetico richiamo sulle varie curvature incontrate
. . . . . . . . . . . . .
55 55 55 55 57 59 62 63 68 68 68 69 71
5
Christoffel . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5.1 I teoremi fondamentali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
73 73
6
Ricci Curbastro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6.1 Cenni biografici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6.2 Calcolo differenziale assoluto: il calcolo tensoriale 6.2.1 Curvatura di Ricci . . . . . . . . . . . . . . .
. . . .
. . . .
. . . .
. . . .
77 77 77 79
7
Levi-Civita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.1 A Padova, al Liceo Tito Livio e all’Università . . . . . . . . . . 7.2 Il carteggio con Einstein, 1915 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.3 Einstein, Ricci e Levi-Civita, tra Bologna e Padova, 1921 . . . 7.4 Il trasporto parallelo di Levi-Civita . . . . . . . . . . . . . . . . 7.5 Qual è il contenuto della sua tesi di laurea “Sugli Invarianti Assoluti”? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.5.1 Preliminari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7.5.2 Il problema e la sua relazione con la teoria del Lie . . .
. . . . .
. . . . .
. . . . .
81 81 84 89 92
... ... ...
95 95 97
Tracce di geometria differenziale . . . . . . . . . . . . . . . . . 8.1 Un cenno sui Tensori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8.2 Parentesi di Lie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8.3 Distribuzioni, foliazioni, Frobenius . . . . . . . . . . . . . 8.4 Fibrati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8.5 Connessioni sui Fibrati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8.5.1 Piattezza di una connessione . . . . . . . . . . . . . 8.5.2 Rialzamento (lift) orizzontale di campi vettoriali .
. . . . . . . .
8
. . . .
. . . .
. . . .
. . . .
. . . . . . . . . . . . .
. . . .
. . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . .
. . . .
. . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . .
. . . . . . . .
99 99 101 102 104 105 106 106
Indice
xi
8.6
8.7
8.8
8.9 9
8.5.3 Rialzamento orizzontale di una curva e dei suoi vettori tangenti: Transporto Parallelo . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8.5.4 Olonomia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Connessioni: distribuzioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8.6.1 Il caso del Fibrato Tangente D B W P D TB ! B . . . . 8.6.2 Curve auto-parallele . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . j 8.6.3 Derivata Covariante rispetto alla connessione lk su un fibrato tangente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8.6.4 Derivata Covariante di Tensori . . . . . . . . . . . . . . . . . . Torsione, Curvatura, Connessioni Metriche . . . . . . . . . . . . . . 8.7.1 Torsione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8.7.2 Tensore di Curvatura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8.7.3 Connessione Metrica, o di Levi-Civita . . . . . . . . . . . . . 8.7.4 Curve auto-parallele, o geodetiche, in una connessione metrica di Levi-Civita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Equazione alle variazione delle geodetiche: equazione di Jacobi e ruolo della curvatura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8.8.1 Appendice: L’atlante fibrato su T TB e le leggi j di trasformazione dei simboli di connessione i k . . . . . . Connessioni lineari: operatori differenziali sui fibrati . . . . . . . .
Einstein . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9.1 Leggi di Conservazione in Meccanica Classsica . . . . 9.2 Relatività Ristretta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9.2.1 4-velocità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9.2.2 Leggi di Conservazione in Relatività Ristretta 9.3 Una ‘road map’ alla Relatività Generale . . . . . . . .
. . . . . .
. . . . . .
. . . . . .
. . . . . .
. . . . . .
. . . . . .
. . . . . .
. . . . . .
107 107 108 108 109 110 111 111 111 111 112 114 115 117 118 121 123 124 125 126 127
Riferimenti bibliografici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 131
Capitolo 1
Tracce di cosmologia
La rimozione definitiva dell’antica visione cosmologica delle ‘stelle fisse’, concepita da Ipparco e portata a compimento da Halley nel XVII secolo – qui raccontata nella sezione 1.2 – condusse infine alla critica radicale del concetto galileianonewtoniano di ‘spazio inerziale’. Questa fu elaborata da Ernst Mach1 e fu fatta propria da Einstein, come ‘Principio di Mach’: sarà uno dei punti fondazionali della Relatività Generale. Da quest’ultima teoria, mediante la moderna definizione di curvatura, si giunge alle attuali proposte cosmologiche. Va pure osservato, al di là del percorso ora accennato, quasi in contrasto con esso, che il modello cosmologico/cosmogonico di genesi delle galassie riportato nella sezione 1.3 risulta invece, con grande e inaspettata improntitudine, ben ancorato alla Meccanica Classica. Sebbene le tematiche trattate in questo capitolo possano apparire estranee allo scopo primario di questo piccolo volume, un viaggio intorno alla nozione di curvatura, uno sguardo al passato non può che giovarci.
1.1
Cosmologia dantesca
Ai primi del ’300 Dante era in fuga da Firenze, transitava per Ravenna e Treviso, Giotto dipingeva la cappella degli Scrovegni. Si conobbero a Padova? Più precisamente, la concezione cosmologica2 di Dante, come emerge dalla Divina Commedia, quanto è stata influenzata dall’arte dei suoi contemporanei? E infine, perché tutto ciò dovrebbe aver una valenza, un’attinenza matematica? Riporto prima di tutto qui di seguito qualche brano dall’intervista che Laura Pasquini dell’Università di Bologna ha rilasciato il 12 gennaio del 2021 a BoLive. . . . Sicuramente per l’Inferno scelgo il bel San Giovanni, il Battistero di Firenze. Dante, prima dell’esilio, aveva sicuramente più volte meditato sotto quella cupola meravigliosa 1
Si veda [55] pp. 256–258. Concezione aristotelico-tolemaica, filtrata attraverso la riflessione operata nella prima metà del XIII secolo da Tommaso d’Aquino. 2
© The Author(s), under exclusive license to Springer-Verlag Italia S.r.l., part of Springer Nature 2023 F. Cardin, Il concetto di curvatura, La Matematica per il 3+2 146, https://doi.org/10.1007/978-88-470-4024-3_1
1
2
1 Tracce di cosmologia
Figura 1.1 Dante, affresco giottesco al Bargello, Firenze
adornata dai migliori artisti di fine Duecento. Sicuramente meditò ampiamente di fronte all’Inferno di Coppo di Marcovaldo, un mosaico eseguito tra il 1260 e il 1270 con un demonio spaventoso a tre bocche, . . . Per il Purgatorio io penso alle sculture dei Pisano, che Dante non cita, ma d’altra parte un testo poetico non è tenuto a citare la fonte. Bisogna pensare a certi pulpiti scolpiti dai Pisano dove ci sono immagini vivide, in dialogo tra loro, esattamente come quelle da lui descritte nella prima cornice del Purgatorio . . . Per il Paradiso mi sposterei a Ravenna, con i mosaici, partendo da alcuni episodi strepitosi come la croce nel cielo di Marte che può essere paragonata con quella di Sant’Apollinare in Classe, ma io mi soffermerei soprattutto su un’immagine che a me colpisce: nel canto XXVIII del Paradiso Dante deve descrivere la visione di Dio, un punto luminosissimo circondato da nove cerchi. Ora, l’arte bizantina aveva codificato una modalità per descrivere l’epifania, la manifestazione di Dio, uno e trino: il monogramma, un punto circondato da cerchi luminosi. E nei mosaici di Ravenna, questi punti da cui irraggia la luce, circondati da cerchi luminosi, sono frequenti e di una forza espressiva incredibile. Io credo che, per descrivere l’indescrivibile, perché il Paradiso è indescrivibile . . . , Dante abbia fatto tesoro di immagini astratte e totalmente evocative che aveva potuto vedere negli ultimi anni, abbastanza sereni, dell’esilio. Padova custodisce un gioiello: la cappella degli Scrovegni, capolavoro di Giotto. Considerando che i due vissero nello stesso periodo e, con buona probabilità, attraversarono gli stessi luoghi, Dante riuscì ad ammirare la straordinaria opera di Giotto? Quando si parla della biografia di Dante bisogna parlare di possibilità e non di certezze, facendo molta attenzione a non mettere Dante in posti dove non è stato. Benvenuto da Imola lo dava per certo: per lui, Dante e Giotto si incontrarono davanti alla controfacciata della Cappella degli Scrovegni – e cronologicamente potrebbe anche essere possibile – mentre Giotto dipingeva quella meraviglia di Giudizio universale, uno strepitoso Inferno. Ora, noi non abbiamo certezze documentarie. Possiamo immaginarlo. Del resto, questi due artisti sono vissuti nello stesso periodo, sono nati più o meno nello stesso posto, entrambi hanno voluto rappresentare a modo loro l’oltremondo: quindi è fantastico immaginarli lì a chiacchierare sulle possibili implicazioni, ma non possiamo esserne certi. Noi sappiamo che Dante, tra il
1.1 Cosmologia dantesca
3
Figura 1.2 Costruzione di S1
1304 e il 1306, si trattenne a Treviso, presso Gherardo da Camino, ed è quindi è possibile che da lì si sia spostato a Padova e Venezia, ma non ne abbiamo certezza. . . . Non abbiamo testimonianze certe, ma nemmeno altre che ci dicano che questo incontro non è mai avvenuto, quindi possiamo continuare a immaginarlo. Quel che è certo è che i due si conoscessero, o quanto meno che conoscessero la rispettiva fama: Dante cita Giotto nei canti centrali del Purgatorio, nella terzina che racconta dell’avvicendamento tra Cimabue e Giotto, Dante sa perfettamente che Giotto ha superato Cimabue proponendo un’arte assolutamente innovativa, e Giotto raffigura Dante al Bargello. Quindi, magari non si sono incontrati ma sicuramente conoscevano entrambi la grandezza dell’altro.
Ripercorriamo tecnicamente l’idea di universo che scaturisce in Dante. Esiste la ter3 ra, è una sfera ‘piena’, la denoteremo con D.1/ . C’è una voragine, l’inferno, che da Gerusalemme va giù giù fino al centro della terra. Un cunicolo infine conduce agli antipodi di Gerusalemme, alla montagna del purgatorio. Poi, il cielo. Al di sopra della terra, concentrici ad essa, ruotano i nove cieli. Dall’ultimo, detto ‘primo mo3 bile’, si sviluppa, adagiata su di esso, esattamente un’altra sfera, l’empireo, D.2/ , con i suoi nove ordini delle intelligenze motrici -gli angeli- al cui centro c’è la divinità. Fine. L’universo di Dante è dunque finito: appare come l’unione di due sfere piene, ciascuna rappresentata dal disco pieno compatto 3-dimensionale. Tale unione è operata mediante l’incollamento dei due bordi, denotiamoli rispettivamente con 3 3 @D.1/ e @D.2/ . Qual è l’esito di tale operazione? La risposta è che questo oggetto è3 la sfera 3-dimensionale S3 : [ 3 3 S3 D D.1/ D.2/ 3 D@D 3 @D.1/ .2/
Proviamo a rendercene conto induttivamente sulla dimensione. 1 1 Consideriamo due dischi pieni 1-dimensionali, D.1/ e D.2/ , sono naturalmente due segmenti. Se li incolliamo attraverso i loro bordi, ciascuno consistente dei due punti estremi, realizziamo un cerchio (fig. 1.2), cioè S1 : 1 S1 D D.1/
[ 1 D@D 1 @D.1/ .2/
3
A meno di omeomorfismo.
1 D.2/
4
1 Tracce di cosmologia
Figura 1.3 Costruzione di S2
Figura 1.4 Costruzione di S3
2 2 Andiamo avanti, consideriamo ora due dischi pieni 2-dimensionali, D.1/ e D.2/ . Se incolliamo questi due piattelli attraverso i loro bordi, ciascuno consistente di un S1 , realizziamo una superficie sferica (fig. 1.3), S2 : [ 2 2 D.2/ S2 D D.1/ 2 DS 1 D@D 2 @D.1/ .2/
Il passo successivo è il punto esattamente da cui siamo partiti (fig. 1.4). [ 3 3 D.2/ S3 D D.1/ 3 DS 2 D@D 3 @D.1/ .2/
Matematicamente la cosmologia dantesca si rappresenta dunque come la sfera 3-dimensionale S3 : ˚ S3 D x 2 R4 W jxj2 D 1 : Un universo illimitato ma finito.
1.2 Le stelle fisse. La fine della cosmologia antica
5
È interessante notare che questa individuazione, benché molto naturale, sembra sia stata messa in luce solo nel 1979 da M. A. Peterson [65]. Tale intuizione matematica è stata ripresa in [64] da H. R. Patapievici. Il lettore incuriosito è invitato a leggere la sezione ‘Il cosmo’, pp. 83–95, del libro di C. Rovelli [69], da cui sono tratte le figure 1.3, 1.4, e così pure il volume di J. R. Weeks [81] dove ulteriori dettagli (matematici, fisici e artistici) sono raccontati con singolare grazia. Ma ecco che, come mette in risalto Piero Bianucci in un accattivante articolo de LaStampa4 del 25 ottobre 2010, L’universo di Dante anticipò quello di Einstein, ritroviamo nel modello cosmologico di Einstein nel 1917 esattamente quell’ipersfera S3 , compatibile con la sua (di allora) concezione di un universo finito e statico. Nel 1922 il fisico matematico sovietico Aleksandr Friedmann propone per la prima volta soluzioni dinamiche delle equazioni Einstein, con un comportamento qualitativo legato alla curvatura. Einstein critica quel lavoro, lo pensa ‘sbagliato’, ma dopo le scoperte di Hubble (la deriva delle galassie) assieme a De Sitter propone nel 1932 un modello d’universo in espansione a curvatura nulla; fu, come raccontò Giulio Giorello5 , la rivincita di Giordano Bruno: che aveva intravisto nelle sue speculazioni un universo infinito.
1.2
Le stelle fisse. La fine della cosmologia antica
La cosmologia dantesca, nella quale abbiamo appena compiuto un’incursione, si colloca sostanzialmente nel mezzo di un progetto storico di grande respiro, durato diciannove secoli. Inizia con Ipparco (Nicea, 200 a.C.–Rodi, 120 a.C.), passa per Tolomeo (Pelusio, 100 d.C. circa–Alessandria d’Egitto, 175 d.C. circa), si conclude con Halley (Haggerston, 1656–Greenwich 1742). Questo piano secolare non è molto noto. E benché in questo racconto non ci sia ‘matematica’, penso sia utile riportarlo organicamente qui, in questo capitolo. ‘Estemporanea’ a questo grande, in parte inconsapevole, progetto di smantellamento della cosmologia delle stelle fisse, si colloca la figura di Giordano Bruno, arso vivo il 17 febbraio 1600 in Campo de’ Fiori a Roma dall’Inquisizione cattolica. 4
https://www.lastampa.it/scienza/2010/10/25/news/l-universo-di-dante-br-anticipo-quello-dieinstein-1.36998629/ 5 In una serie di memorabili conferenze in occasione dell’anno mondiale della Fisica, il 2005, dal titolo: “Einstein, il Socrate della Fisica”.
6
1 Tracce di cosmologia
Bruno fu il primo ad accogliere entusiasticamente il sistema del mondo di Copernico, ma andò anche oltre Copernico: egli per primo eliminò tutte le sfere solide (anche l’ottava delle stelle fisse) nelle quali si consideravano incastonati i corpi celesti. Egli diede una base fisica al nuovo sistema astronomico: forgiò un’alternativa alla fisica di Aristotele creando una sintesi della teoria medioevale dell’impetus e dell’antico atomismo dinamico, per cui gli atomi non sono puramente materiali e inerti, ma pieni di potenza e di forma come nella visione originale di Democrito; tuttavia, al contrario, il vuoto non era affatto vuoto ma pieno di etere. L’atomismo e la sua teologia cristiana condussero Bruno alla concezione di un universo infinito, costituito da infiniti mondi [36]. Ma torniamo al ‘progetto’ secolare. L’atteggiamento migliore ora è lasciare la parola a Lucio Russo, a cui rinviamo, al suo libro [71] a p.118 e dintorni. Qui, sinteticamente, riportiamo un suo articolo6 , dove ancora le idee di Bruno sono riprese: Antiche rivoluzioni moderne: L’eliocentrismo, l’immensità del cosmo e la gravitazione universale: sono idee di cui troviamo traccia nel pensiero ellenistico. Secondo la vulgata usualmente accettata, gli antichi greci avrebbero creduto in un cosmo finito e sferico, centrato in una Terra immobile e limitato da una sfera cristallina ruotante, nella quale le stelle fisse sarebbero state incastonate come gemme in un gioiello. Tra gli eventi che hanno caratterizzato il sorgere della modernità si è sempre dato gran peso ad alcune rivoluzioni culturali che riguardano direttamente l’astronomia. La prima e la più famosa è la ‘rivoluzione copernicana’, che ha spodestato la Terra dal suo ruolo centrale a favore del Sole. La seconda ha abolito la sfera cristallina delle stelle fisse, sostituendo al cosmo finito e sferico un universo immenso, in cui il Sole non era più che una delle innumerevoli stelle, tutte mobili. La terza è dovuta a Newton che, grazie al concetto di gravitazione universale, ha spiegato il perché delle caratteristiche dei moti della Terra e dei pianeti. Tutte e tre le rivoluzioni sarebbero state realizzate dagli scienziati moderni combattendo una dura lotta per scalzare le idee degli ‘antichi’. Quale fu realmente l’origine delle tre rivoluzioni concettuali da cui è nata l’astronomia moderna? Nel caso della ‘rivoluzione copernicana’ per appurarlo basta dare la parola allo stesso Copernico, che nell’epistola dedicatoria del De revolutionibus orbium coelestium scrive che, avendo trovato che diversi antichi astronomi avevano attribuito moti alla Terra, era stato indotto a prendere in considerazione questa possibilità. La cosiddetta rivoluzione copernicana era quindi nata dallo studio di antichi testi. In effetti è ben noto che la teoria eliocentrica era stata elaborata nel III secolo a.C. da Aristarco di Samo. Mentre però Copernico era pienamente consapevole di riprendere un’idea antica, a partire dal Settecento l’eliocentrismo è stato considerato una teoria moderna nata in opposizione all’‘astronomia antica’, identificata con quella di Tolomeo, dimenticando che le idee con cui si era superato Tolomeo erano state tratte da uno scienziato più antico di lui di quattro secoli. Anche dopo il recupero dell’idea eliocentrica, la cosmologia non era però cambiata troppo. La Terra era stata sostituita nel suo ruolo centrale dal Sole, ma l’universo era ancora pensato racchiuso in una sfera, con un centro e un involucro esterno su cui erano distribuite le stelle fisse. Non solo Copernico e Kepler, ma ancora Newton, nei Philosophiae Naturalis Principia Mathematica, assume che le stelle fisse siano uniformemente distribuite su una superficie sferica. Il successivo passo importante dell’astronomia moderna consisté nel rendersi conto che le cosiddette “stelle fisse” in realtà si muovevano e non potevano quindi 6
Da “Il Sole 24 ore” del 30 aprile 2017.
1.2 Le stelle fisse. La fine della cosmologia antica essere fissate ad alcuna sfera materiale. Questa scoperta fondamentale si deve a Edmond Halley, che nel 1718, confrontando le coordinate da lui misurate di alcune stelle7 con quelle riportate da Tolomeo nell’Almagesto, si accorse che le stelle dovevano essersi spostate. Oggi sappiamo che Tolomeo aveva ricavato le sue coordinate dal più antico catalogo stellare di Ipparco. Halley aveva quindi in realtà osservato che quelle tre stelle non avevano più le coordinate misurate da Ipparco. Se ci chiediamo perché mai Ipparco si fosse sobbarcato l’immane lavoro di misurare le coordinate di tutte le stelle visibili, possiamo trovare la risposta nella Naturalis Historia di Plinio il Vecchio. Plinio riferisce che Ipparco si era chiesto se le stelle apparentemente fisse non si muovessero in realtà con moti troppo lenti per essere osservati nell’arco di una vita umana. Aveva perciò deciso di misurare le coordinate di tutte le stelle visibili, lasciando ai posteri il compito di verificare se si fossero spostate (e anche di verificare se fosse apparsa qualche stella nuova o se qualcuna fosse scomparsa). Halley aveva quindi eseguito il compito assegnato dall’antico astronomo, completando, inconsapevolmente, un esperimento progettato e iniziato due millenni prima. È ben noto che Giordano Bruno, per primo in epoca moderna, aveva concepito un universo senza centro, con un’infinità di mondi equivalenti al nostro. Spesso però si dimentica che Bruno afferma più volte esplicitamente di avere ripreso un’idea molto antica. L’idea di un universo infinito, con innumerevoli mondi, era stata infatti sostenuta sin dall’epoca di Democrito ed era stata poi ripresa dai pitagorici, da Eraclide Pontico, da Seleuco e da altri astronomi ed è riportata più volte da Plutarco. Anche la terza rivoluzione, cioè l’idea ‘newtoniana’ che gli astri si attirino tra loro e che in particolare il Sole attiri la Terra e gli altri pianeti, che per questo motivo gli girano intorno, era stata recuperata dalla scienza antica. Newton scrive infatti: ‘Perciò la Terra, il Sole e tutti i pianeti del nostro sistema solare, secondo il pensiero degli antichi, sono fra loro reciprocamente gravi, e per la forza reciproca di gravità cadrebbero l’uno sull’altro e concorrerebbero in un’unica massa, se tale caduta non fosse impedita dai moti circolari’. Tutte e tre le rivoluzioni concettuali da cui è nata l’astronomia moderna erano state quindi innescate dal recupero di idee provenienti dal periodo ellenistico (del quale non ci restano opere astronomiche), mentre l’idea di ‘astronomia antica’ entrata nell’immaginario collettivo è basata sulla più tarda opera di Tolomeo. La trasmissione delle idee dal periodo ellenistico all’età moderna è avvenuta attraverso testimonianze indirette e a volte è stata inconsapevole, come in parte nel caso di Halley. In qualche caso è stata anche occultata. Ad esempio il brano di Newton che abbiamo appena riportato (contenuto negli Scolii Classici) è rimasto inedito fino al 1981 (quando è stato pubblicato in Italia, con altri passi, da Paolo Casini) e anche successivamente è stato notato da pochi. Poiché negli ultimi secoli l’astronomia e l’astrofisica hanno compiuto enormi progressi, per i quali le antiche fonti non hanno potuto certo fornire alcun aiuto, può sembrare che il discorso svolto finora sia solo una curiosità erudita, senza alcun rilievo diretto per la cultura attuale. Il mancato riconoscimento del debito dell’astronomia moderna verso quella antica ha invece ancora pesanti conseguenze sulla didattica e sull’immagine della scienza penetrata nella cultura condivisa. Attribuendo infatti a Copernico l’idea dell’eliocentrismo, a Bruno quella della pluralità dei mondi e a Newton l’idea dell’attrazione reciproca tra i corpi, non vi è alcuna possibilità di capire come queste idee (tratte in realtà da antiche fonti) fossero sorte e bisogna necessariamente trasmetterle senza poterle motivare. Solo ricostruendo la loro reale genesi nell’antichità è possibile ripercorrere la strada che dalle osservazioni ha portato alle teorie. Nel caso dell’idea della gravitazione, in particolare, si tratta di un percorso complesso, ricostruibile sulla base di una serie di testimonianze indirette. Ma se lo si ignora, bisogna rinunciare a cogliere aspetti essenziali del metodo scientifico (accettando magari favole come quella della “mela di Newton”). Anche nel caso dell’astronomia solo approfondendo aspetti della cultura classica si possono cogliere elementi importanti delle conoscenze attuali.
7
Sirio, Arturo e Aldebaran.
7
8
1 Tracce di cosmologia
Il principale risultato di Ipparco, riferito da Tolomeo, è la scoperta della precessione degli equinozi. La precessione è così lenta che i dati osservativi sui quali Ipparco poteva basarsi con certezza non potevano fornirgli che spostamenti di qualche grado. Ciononostante Ipparco (che era noto per essere particolarmente severo nell’uso dei dati sperimentali) aveva osato estrapolare da un minuscolo archetto l’esistenza di un moto circolare uniforme con un periodo di 26.000 anni. Oggi sappiamo che il moto di precessione compie un giro completo ogni 25.772 anni circa, periodo noto anche con il nome di anno platonico.
1.3
Verso nuove cosmologie Il modello di Zeldovich-Arnol’d
Ritorniamo un po’ alla matematica. Proviamo a mostrare come un uso elementare della teoria delle singolarità, in un ambiente fisicamente ‘classico’, possa offrire degli interessanti modelli di genesi delle galassie (o di cluster di galassie). In accordo con le moderne8 teorie cosmologiche ([3–5, 82]), ad un tempo ‘iniziale’ t D 0 la distribuzione delle velocità iniziali v.y/ delle particelle y eiettate nella ‘grande esplosione’ (big bang) da un ‘nocciolo duro’ (hard core) C R3 sia di tipo cosiddetto ‘potenziale’, si denoti dunque con y 2 C la generica particella puntiforme materiale di tale ‘nocciolo duro’: @W @W @W 3 3 ; vWC R !R ; y 7! v.y/ D ry W .y/ D ; ; @y 1 @y 2 @y 3 per qualche (non nota) funzione scalare W W C R3 ! R;
y 7! W .y/:
Quest’ipotesi è sorretta dal fatto che le osservazioni degli astrofisici sullo stato primordiale del cosmo non rivelano alcuna ‘vorticità’ inizale ˝, @vj 1 @vi ˝ WD skw.rv/ij WD i ; 2 @y j @y dunque nel nostro caso skw.rv/ij D
@vj 1 @vi D0 2 @y j @y i
e questo implica9 che esista W per cui: vi .y/ D 8 9
@W .y/ @y i
i D 1; 2; 3
Questi appunti sono tratti da [21] e [22]. Nel dominio semplicemente connesso in cui operiamo.
1.3 Verso nuove cosmologie Il modello di Zeldovich-Arnol’d
9
Usando il linguaggio della meccanica dei continui, diremo che tale v.y/ è la velocità materiale o Lagrangiana al tempo t D 0. Inoltre, altra grande semplificazione, riterremo che tali particelle primordiali y interagiscano tra loro solo mediante collisioni, ritenendo quindi trascurabili gli effetti gravitazionali rispetto all’altissima energia (velocità) coinvolta. Dato un moto del nostro sistema continuo, x W RC C ! R3 ;
.t; y/ 7! x.t; y/ ;
x.0; y/ D y ;
rappresentante il punto spaziale x 2 R3 in cui va a collocarsi al tempo t la particella y 2 C , potremmo definire dunque v.t; y/ D
@x .t; y/W @t
velocità materiale o Lagrangiana
ˇ W e.t; x/ D v.t; y/ˇyDy.t;x/ Q
velocità spaziale o Euleriana
dove con y D y.t; Q x/ si intende il ‘moto inverso’, rappresentante quella particella che al tempo t sta transitando per il punto spaziale x. Data la velocità euleriana e.t; x/, l’associata accelerazione euleriana, che sarà a priori nulla tralasciando ogni altra interazione (a monte delle collisioni), si scrive: X @ei @ei ej D 0; C j @t @x j D1 3
ai .t; x/ D
i; j D 1; 2; 3 ;
e.0; x/ D rW .x/
Infine il moto del nostro mezzo continuo sarà descritto da x D x.t; y/ D y C v.y/t D y C ry W .y/t Si noti che ogni particella y 2 C viaggia con velocità costante: @x @x .t; y/ D .0; y/ D v.y/ D ry W .y/ @t @t L’ulteriore idea è che nelle collisioni le particelle si condensarono e formarono strutture evolute (galassie, ecc.). Dal punto di vista matematico la ricerca della genesi di tali strutture è esattamente equivalente alla descrizione della caduta di invertibilità della funzione-moto sopra scritta. Infatti, se per ogni fissato t 0, la mappa C 3 y 7! x.t; y/ 2 x.t; C / „ƒ‚… „ ƒ‚ … dominio
immagine
fosse invertibile, cioè esistesse l’inversa x 7! y.t; Q x/
10
1 Tracce di cosmologia
tale che x.t; y.t; Q x// D x allora, evidentemente, nessuna collisione avrebbe luogo. Dobbiamo dunque investigare sulle ‘patologie’ del moto, cioè indagare sui tempi e sulle particelle coinvolti nella ‘caduta’ della condizione algebrica nel teorema di inversione locale, osservare quando la matrice jacobiana delle derivate parziali del moto diventa degenere: det
@xi @2 W 2 .t; y/ D det ıij C i j .y/t D det.I C ryy W .y/t/ D 0 @yj @y @y
2 Notiamo che la matrice I C ryy W .y/t è simmetrica. Dunque, esiste10 una rotazione opportuna degli assi (dello spazio geometrico delle x) per cui questa matrice si rappresenta ora in forma diagonale e gli elementi di tale diagonale sono esattamente gli autovalori della matrice in studio, che sono (data la simmetria della matrice) numeri reali. Si osservi che tale diagonalizzazione è possibile proprio grazie all’ipotesi di assenza di vorticità effettuata. In tale nuova base
00 1 0 1 0 0 a1 .y/ 2 det I C ryy W .y/t D det@@0 1 0A C @ 0 0 0 0 1 D
11 0 0 0 At A a2 .y/ 0 a3 .y/
3 Y 1 C aj .y/t j D1
e supponiamo ora che ad un tempo t0 , per un indice j 0 e per una particella y0 , si abbia: 1 aj 0 .y0 / D ; t0 1 1 00 1 0 0 0 1 0 0 a1 .y0 / 3 Y det@@0 1 0A C @ 0 1 C aj .y0 /t0 D 0 0 At0 A D a2 .y0 / j D1 0 0 a3 .y0 / 0 0 1 1 0 0 a1 .y0 / Si noti che t10 è autovalore di @ 0 0 A, e dunque pure di a2 .y0 / 0 0 a3 .y0 / 2 ryy W .y0 / (più avanti sarà utile). Accade dunque un fenomeno locale di collisione al tempo t0 e coinvolgente la particella y0 . 0
10
Mediante semplice algebra e/o geometria elementare delle forme quadratiche.
1.3 Verso nuove cosmologie Il modello di Zeldovich-Arnol’d
11
Se affermiamo che al tempo t0 questa è la prima collisione coinvolgente y0 , allora y0 è un minimo locale per C 3 y 7! aj 0 .y/ 2 R. Infatti, se in un aperto locale ad y0 esistesse un y1 tale che aj 0 .y1 / < aj 0 .y0 / D
1 ; t0
allora per t1 D a 0 1.y1 / si avrebbe: j
1 1 D aj 0 .y1 / < aj 0 .y0 / D ; t1 t0
cioè t1 < t0 ; ma ciò è assurdo, perché stiamo supponendo che al tempo t0 avvenga la prima collisione (o singolarità), che è coinvolgente y0 . Supponiamo genericamente11 che tale minimo sia ‘leggibile’ mediante il test delle derivate seconde, cioè: ry aj 0 .y0 / D 0;
2 ryy aj 0 .y0 / W definita positiva
Vorremmo ora capire cosa accade per tempi immediatamente successivi a t0 . Indaghiamo prima di tutto sulle particelle (e quali) coinvolte negli urti ad un tempo t0 C , per piccolo > 0. Pratichiamo uno sviluppo di Taylor per aj 0 .y/ con polo in y0 : 1 2 aj 0 .y/ D aj 0 .y0 / C ryy aj 0 .y0 /.y y0 /.y y0 / C O.jy y0 j3 /; 2 1 1 2 aj 0 .y0 /.y y0 /.y y0 / C O.jy y0 j3 /; aj 0 .y/ D C ryy t0 2 e consideriamo le particelle y, vicine ad y0 , coinvolte nelle collisioni al tempo t0 C , cosicché aj 0 .y/ D
1 ; t0 C
1 1 2 1 aj 0 .y0 /.y y0 /.y y0 / C O.jy y0 j3 /; D C ryy t0 C t0 2
Ora, a meno dei termini O.jy y0 j3 /, e trascurando inoltre termini dell’ordine O. 2 /, per cui approssimiamo
11
1 1 C D t0 C t0 .t C /t0 0 d D C C O. 2 / 2 ; .t0 C /t0 D0 d .t0 C /t0 D0 t0
Si dimostra che non è una ipotesi severa.
12
1 Tracce di cosmologia
riscriviamo l’ultima relazione nella forma: 1 2 D ryy aj 0 .y0 /.y y0 /.y y0 / 2 t02 2 dove, genericamente, ryy aj 0 .y0 / è supposta definita positiva, dunque tale equazione in y rappresenta un ellissoide.
Rappresenteremo tale ellissoide centrato in y0 di particelle y (in C Ry3 ) coinvolte nelle collisioni al tempo t0 C nel seguente modo: y D y0 C n k.n/
p
dove per ogni fissato n 2 S2 , jnj D 1, esiste un k.n/ > 0, indipendente da , k W S2 ! RC , per cui si realizza la relazione di cui sopra. Questo ellissoide è nello spazio ‘materiale’ , C Ry3 , qual è la sua forma nello spazio ‘geometrico’ R3x ? Per vederlo, dobbiamo far agire la funzione-moto al tempo t0 C . x D x.t0 C ; y/jyD::: D y0 C n k.n/ „ ƒ‚ Dy
p p Cry W y0 C n k.n/ .t0 C /; „ … ƒ‚ … Dy
p p 2 ry W y0 C n k.n/ D ry W .y0 / C ryy W .y0 / n k.n/ C O./ Inserendo nel moto: x D y0 C n k.n/
p
p 2 C ry W .y0 / C ryy W .y0 / n k.n/ C O./ .t0 C /;
ordinando: x D y0 C ry W .y0 /.t0 C / C O./t0 C .non dip. lin. da n/ „ ƒ‚ … „ ƒ‚ … O./
O.1/
p 2 2 C t0 ryy W .y0 / C I n k.n/ C ryy W .y0 / n k.n/ 3=2 C O. 2 / : „ ƒ‚ … „ ƒ‚ … O.1=2 /
O.3=2 /
Infine, a meno dei termini O. 2 /, x D x.n/ è dato da n o 2 x D y0 C ry W .y0 /.t0 C / C O./t0 C ryy W .y0 / n k.n/ 3=2
p 2 C t0 ryy W .y0 / C I n k.n/ :
1.3 Verso nuove cosmologie Il modello di Zeldovich-Arnol’d
13
Figura 1.5 L’autovettore nO
Figura 1.6 Interazione tra singolarità in R2 (da “Catastrophe theory”, V.I. Arnol’d [3] 2 Qualora scegliamo per n esattamente l’autovettore nO di ryy W .y0 / relativo all’auto
1 2 valore t0 , allora il termine t0 ryy W .y0 / C I nO D 0 cosicché la forma del luogo
di collissione nello spazio R3x è quella di un ellissoide con due assi di ordine 1=2 (grande!) ed un terzo asse, parallelo a n, O di ordine 3=2 (piccolo!). Questa è precisamente la forma di un ellissoide molto schiacciato, un ‘flying saucer’, o ‘pancake’ come chiamato da Zeldovich, proprio come una galassia (o un cluster, ammasso di galassie). Mediante la potenza dei moderni supercomputer e di sofisticati algoritmi di calcolo, l’evoluzione dell’universo, a partire da pochi milioni di anni dopo il big bang, può ora essere simulata fino a ottenere l’attuale distribuzione di galassie ellittiche e a spirale, e la distribuzione degli elementi più pesanti dell’idrogeno, sia nell’universo nel suo complesso sia nelle singole galassie [79]. L’immagine in fig. 1.7 è tratta da [40].
14
1 Tracce di cosmologia
Figura 1.7 L’intreccio cosmico
Figura 1.8 Atlante universale di geografia antica e moderna, Felice Pôtel Litografo, 1840, 103 pp.
Capitolo 2
Prima di Gauss
2.1
Prologo
La matematica del ’600 è dominata dalle figure di Cartesio, Newton, Pascal, Leibniz, Mersenne e altri. È il secolo in cui – nello stesso anno, il 1642 – muore Galileo e nasce Newton. È su Huygens che fermeremo la nostra attenzione. Pure il paesaggio matematico del ’700 è folgorante: Euler su tutti, Monge, e poi i Bernoulli: guardandoli da Daniel, il fisico-matematico, questi nasce a Groningen, nei Paesi Bassi, figlio di Johann Bernoulli, nipote di Jacob Bernoulli, fratello più giovane di Nicolaus II Bernoulli, fratello più anziano di Johann II Bernoulli. Come appena accennato, insisteremo principalmente su Huygens, perché sembra sia lì la genesi della geometria differenziale1 , intrecciata spesso con la meccanica analitica, che desideriamo osservare. Il nostro percorso iniziale consisterà nel richiamo delle curve piane e poi nello spazio tridimensionale. Il concetto di curvatura nasce prima di tutto per le curve e ha solide tracce nell’antichità. Le nozioni di raggio di curvatura e di curva evoluta furono ‘introdotte’ (Boyer, qui di seguito, dice ‘adombrate’) dal matematico ellenistico Apollonio di Perga (262–190 AC, circa); questi introdusse pure il modello deferente/epiciclo, sistematicamente utilizzato in seguito da Tolomeo (100–175 DC circa) nella teoria che porta il suo nome. Sarà poi con Gauss l’estensione della nozione di curvatura alle superfici. E’ esattamente la nozione di curvatura che vogliamo sia il pensiero guida di questi frammenti di ricostruzione storica. Ci soffermeremo sulla curva cicloide, come risolvente il problema del pendolo tautocrono di Huygens, riproponendone i calcoli, utilizzando la descrizione del triedro di Frenet, benché anch’essa sistematizzata, nella forma che conosciamo/usiamo, ben successivamente a Huygens. Resteremo ancora su tale curva cicloide, perché essa è pure soluzione, in versione proto-variazionale, del problema della brachistòcrona, problema proposto per la 1 Propriamente, il termine ‘geometria differenziale’, in effetti fu introdotto molto tempo dopo, da Luigi Bianchi nel 1894, vedi [44], p. 647.
© The Author(s), under exclusive license to Springer-Verlag Italia S.r.l., part of Springer Nature 2023 F. Cardin, Il concetto di curvatura, La Matematica per il 3+2 146, https://doi.org/10.1007/978-88-470-4024-3_2
15
16
2 Prima di Gauss
prima volta in forma ufficiale da Johann Bernoulli nel giugno del 1696. Il libro da guardare è certamente è quello di Paolo Freguglia e Mariano Giaquinta [32].
2.2
Huygens
Nel XVII secolo Fermat e Cartesio crearono il metodo delle coordinate o della geometria analitica, mentre Leibniz e Newton svilupparono gli algoritmi del calcolo infinitesimale che permise di studiare curve e superfici dal punto di vista delle loro proprietà differenziali. Le curve piane sono studiate da questo punto di vista con profondità da Kepler, Cartesio, Fermat, Pascal (tangenti, inflessioni, curvatura); il problema del pendolo conduce Huygens all’introduzione delle nozioni di evoluta e di evolvente. Dal XVII secolo e fino all’inizio del XIX secolo Clairaut, Euler, Monge, Meusnier, Dupin, Serret Frenet portano lo studio delle curve e delle superfici nello spazio a tre dimensioni. A partire dal 1654 Christiaan Huygens (L’Aia, 1629–L’Aia, 1695) si dedica alle osservazioni astronomiche e al miglioramento delle lenti dei telescopi. Grazie a questa tecnica scopre la vera forma degli anelli di Saturno e utilizzando il proprio telescopio, ne osserva per la prima volta un satellite, Titano. Le misurazioni astronomiche gli richiedono strumenti in grado di calcolare il tempo in modo preciso e questo porta Huygens a costruire nel 1656 il primo orologio a pendolo. In seguito sperimenta anche orologi destinati alla determinazione della longitudine in mare, problema che lo accompagnerà per tutta la vita2 . A questo scopo studia le proprietà della cicloide e inventa il pendolo cicloidale. L’opera più importante in cui presenta questi suoi risultati e ne discute le basi teoriche collegate è Horologium oscillatorium. Questo paragrafo si conclude con le invenzioni tecnologiche e matematiche di Huygens: la genesi del pendolo cicloidale e delle corrispondenti introdotte curve evolventi ed evolute. Sintetizziamo il racconto3 [14] di C. B. Boyer, senza trascurarne aspetti tecnici. Christiaan Huygens era ben consapevole che il pendolo matematico non lineare non è rigorosamente isocrono, il periodo è infatti funzione dell’ampiezza delle oscillazioni. Come ben noto, solamente il pendolo linearizzato, nella sua interpretazione di “piccole oscillazioni”, è isocrono. L’introduzione dell’orologio a pendolo cicloidale emerse esattamente al tempo della gara4 sulla cicloide, una specie di con2 Il problema della determinazione della longitudine, ben più difficile da stabilire rispetto alla latitudine, diventa pressante tra il ’600 e il ’700, specialmente per la navigazione nel Pacifico. La sua storia – e dell’orologio di Harrison che lo risolse – è narrata in un avvincente saggio di Dava Sobel [73], e ha ispirato un romanzo di Umberto Eco [29]. 3 Paragrafi 8 e 9 del capitolo 18. 4 Il problema consisteva nel trovare l’area di un segmento della cicloide, il suo centro di gravità, i volumi dei solidi originati dalla rotazione della curva attorno al suo asse e alla sua base e i loro centri di gravità, nonché i centri di gravità delle metà di tali volumi, qualora fossero stati intersecati da un piano attraverso i loro assi (Daniel Fouke – Storia della Scienza, 2002, https://www.treccani. it/enciclopedia/).
2.2 Huygens
Figura 2.1 Christiaan Huygens Figura 2.2 Missione spaziale Cassini-Huygens verso Titano. (La missione ha rilevato che gli anelli di Saturno sono spessi 10 metri!)
17
18
2 Prima di Gauss
Figura 2.3 Pendolo cicloidale
corso indetto nel 1658 da Pascal. Huygens intuì – i sui conti originali si leggono oggi con un certo impegno – che la sostituzione della guida circolare con un arco di cicloide realizzava il desiderato pendolo tautocrono. Il problema della sua realizzazione, assieme alla forte pulsione di rimuovere ogni possibile attrito (che vedremo vanificata), lo condusse ad un’invenzione matematica di grande portata. Andiamo per ordine. Se da un punto P , che è la cuspide in cui si incontrano due semicerchi cicloidali rovesciati PQ e PR, (Fig. 2.3), si aggancia un pendolo la cui lunghezza è uguale a quella di ciascuno dei due semiarchi, l’estremità pesante del pendolo oscillerà lungo un arco, ancora una volta, di una cicloide QSR che ha esattamente la stessa dimensione e forma della cicloide cui appartengono gli archi PQ e PR. Come si vedrà analiticamente nel paragrafo successivo, se il pendolo oscilla tra ganasce cicloidali (dette anche ‘guancette’), risulterà effettivamente isocrono. Huygens era matematico e pure raffinato artigiano, costruì vari orologi a pendolo con ganasce cicloidali: si avvide che il loro funzionamento non era molto più fine di quello degli orologi basati sulle oscillazioni di un pendolo semplice, specialmente quando la loro ampiezza era molto piccola. Ma il guadagno netto scientifico di Huygens consisteva in una scoperta fondamentale nel campo della matematica: l’evolvente di una cicloide è una cicloide simile, e, viceversa, l’evoluta di una cicloide è pur essa una cicloide simile. Questo e altri risultati concernenti evolventi ed evolute di altre curve, vennero dimostrati da Huygens con un procedimento essenzialmente ‘archimedeo’ al quale si era attenuto anche Fermat, cioè assumendo punti vicini e osservando il risultato limite quando l’intervallo si faceva tendere a un punto. Come sottolinea Boyer [14], Descartes e Fermat avevano usato questo procedimento per trovare le normali e le tangenti a una curva; ora Huygens lo applicava per determinare quello che comunemente chiamiamo raggio di curvatura di una curva piana. Se in punti vicini P e Q di una curva (Fig. 2.4) si tracciano le normali e il loro punto di intersezione I , allora via via che Q si avvicina a P lungo la curva
2.2 Huygens
19
Figura 2.4 ı: evolvente, : evoluta
ı, il punto variabile I tende verso un punto fisso O, che viene chiamato centro di curvatura della curva rispetto al punto P , e la distanza jOP j è nota come raggio di curvatura. Il luogo dei centri di curvatura O rispetto ai punti P di una data curva ı giace su una seconda curva nota come l’evoluta5 di ı; e qualsiasi curva ı di cui sia l’evoluta viene chiamata l’evolvente della curva . L’inviluppo delle normali alla ı sarà , una curva tangente a ciascuna delle normali. Nella figura Fig. 2.3 la curva QPR è l’evoluta della curva QSR, e la curva QSR è un’evolvente della curva QPR le posizioni del filo, quando il peso del pendolo oscilla avanti e indietro, sono le normali alla QSR e le tangenti alla QPR. Via via che il peso del pendolo si sposta da una parte, il filo si avvolge sempre di più intorno alla ganascia cicloidale, e quando il peso ritorna verso il punto più basso S, il filo si svolge. Pertanto Huygens definì la cicloide QSR ex evolutione descripta, e la cicloide QPR come 5 Questi centri di curvatura, che realizzano la curva evoluta, sono i centri del locale cerchio osculatore alla curva data: quest’ultimo termine fu introdotto da Leibniz nel 1686, si veda [44], p. 650.
20
2 Prima di Gauss
evoluta. In lingua francese furono adottati i termini développante e developpée, in italiano quelli di evolvente ed evoluta. L’invenzione del pendolo cicloidale offrì a Huygens un modo naturale per calcolare la lunghezza, o rettificazione, della cicloide, risultato ottenuto precedentemente da Roberval, ma non pubblicato. L’arco QS (nella Fig. 2.3, si veda anche la sua costruzione nella Fig. 2.6) viene realizzato mentre il filo del pendolo si avvolge attorno alla curva QP : questo mostra come la lunghezza del segmento PS è il doppio del diametro del cerchio che genera la cicloide QSR, pertanto la lunghezza di un arco completo della cicloide deve essere pari a quattro volte il diametro del cerchio generatore (jQP j D 4R sin.=2/j D D 4R, formula (2.1) del paragrafo 2.2.1). Queste costruzioni geometriche di Huygens sulle evolute e sulle evolventi videro la stampa nel 1673, nel celebre trattato Horologium oscillatorium. Questo divenne in pochi anni un’opera classica e fu utilizzato da Newton nell’introduzione ai Principia, che furono pubblicati nel 1687. In quel trattato di Huygens si ritrovava la legge della forza centripeta del moto circolare, la legge del moto del pendolo, il principio della conservazione dell’energia cinetica, e altri importanti teoremi meccanici. Studiò per tutta la sua vita vari aspetti della geometria, specialmente le curve piane di ordine superiore. Rettificò le curve cissoide e trattrice. Huygens dimostrò che la catenaria era una curva non-algebrica, curva che precedentemente Galileo credette fosse una parabola. Applicò la nascente analisi infinitesimale allo studio delle coniche, riconducendo la rettificazione della parabola alla quadratura dell’iperbole, ossia, al calcolo di un logaritmo. Riuscì quindi per primo a calcolare l’area di un segmento di paraboloide di rivoluzione, la ‘cosiddetta conoide’ di Archimede.
2.2.1
Horologium oscillatorium: qualche conto sul pendolo cicloidale
Costruiamo prima di tutto una guida cicloidale, come in Fig. 2.6: ( x D R C R sin y D R R cos Determiniamo il parametro lunghezza d’arco s, Z q p Z q 2 N N 2 N N N ; .1 C cos / C sin d D 2R 1 C cos d s./ D R 0
0
ricordiamo qualche formula trigonometrica: .i/
sin 2˛ D 2 sin ˛ cos ˛;
.ii/ cos 2˛ D cos2 ˛ sin2 ˛:
2.2 Huygens
21
Figura 2.5 Dal trattato originale Horologium oscillatorium del 1673
Figura 2.6 Costruzione della cicloide
p R p N N dato che < Usando (ii), cos D 1 C 2 cos2 2 , s./ D 2R 0 2j cos 2 jd , < , 2 < 2 < 2 , il cos 2 è sempre positivo, Z s./ D 2R
Z N N N N N ˇˇ cos d D 4R cos d D 4R sin ˇ ; 2 2 2 2 0
0
s./ D 4R sin : 2
0
(2.1)
22
2 Prima di Gauss
Si vincola un punto materiale di massa m > 0 sulla guida senza attrito, l’unica forza attiva è la gravità: F D mg y. O Del triedro di Frenet calcoliamo (almeno) il versore tangente t, tD D
dx d dy d ; d ds d ds
D R.1 C cos ; sin /
1 1 C cos sin ; 2 cos 2 cos 2
!
1
4R cos 2
ˇ ˇ D ; sin : cos ˇ D.s/ „ƒ‚… 2 2
1 2
.i/;.ii/
mRs D F t D mg sin
2
ricordando s./ D 4R sin 2 : sR D
g s 4R
è dunque un oscillatore armonico, tautocrono, di pulsazione 1 !D 2
r
g R
Ed ora, se dalla nostra curva cicloide .s/ calcoliamo la sua evolvente ı.s/, la cui formula generale, per qualche costante scelta L, è: ı.s/ D .s/ C.L s/ 0 .s/; „ƒ‚… „ƒ‚… evolvente
0 D t;
evoluta
scopriamo (per L D 0) che è ancora una cicloide, esattamente basata sullo stesso raggio R di , solamente opportunamente traslata: 2 ı D s D R C R sin 4R sin cos ; R R cos 4R sin 2 2 2 2 D R C R sin 2R sin ; R R cos 4R 1 cos 2 1 C cos D R R sin ; R R cos 4R 1 ; 2 ˇ ˇ D .R R sin ; 3R C R cos /: ı.s/ˇ 0
sDs. /
Ecco la realizzazione “meccanica” di ı fornita da Huygens, Fig. 2.7: si prende un filo di lunghezza 4R, lo si attacca in .R; 0/, lo si tiene teso e adagiato a , la sua estremità, con un grave attaccato, disegnerà la cicloide ı. Questa costruzione avrebbe dovuto superare la difficoltà dell’attrito con cui eventualmente si doveva
2.2 Huygens
23
Figura 2.7 Pendolo cicloidale a filo
far i conti se si considerava la particella sulla guida, come nel conto sopra proposto. Tale obiettivo si rivelò vano. Ma la teoria che ne uscì fu altamente virtuosa. In generale, evolvente ed evoluta sono due curve fra loro differenti. In alcuni casi però come per la cicloide e per la spirale logaritmica – e solo per queste – l’evoluta della curva è identica alla curva stessa.
2.2.2
Curve in R3 , il Vettore di Darboux
Il triedro di Frenet emerge nella forma a noi oggi familiare in anni molto successivi alle costruzioni che abbiamo visitato nelle pagine precedenti. Frenet presentò nel 1847 a Toulouse una tesi di dottorato, si intitolava “Sur les fonctions qui servent à déterminer l’attraction des sphéroides quelconques. Program d’une thèse sur quelque propriétés des courbes à double courbure”. La parte della tesi di Frenet che contiene la teoria delle curve spaziali forniva le formule ora note come formule di Serret-Frenet. In realtà, Frenet dette solo sei formule mentre Serret tutte e nove. Si riassume l’evoluzione del triedro solidale ad una curva spaziale con la ‘rappresentazione dinamica di moto rigido’ evolvente secondo la ‘velocità angolare’, rappresentata dal vettore di Darboux ˝, dove il parametro d’arco s funge da ‘tempo’. 8 dt n ˆ < ds D dn t D ds ˆ : db n D ds
D˝ t b
D˝ n D˝ b
Queste relazioni valgono esattamente per ˝ WD
b t
(2.2)
24
2 Prima di Gauss
che è il vettore di Darboux. ˝ è la velocità angolare, con tempo s, della terna mobile di Frenet. e 1 WD t; .0/
e 2 WD n;
e 3 WD b
.0/
Per s D 0 si assegna e i ej D ıij , si indica il moto rigido di fe i .s/gi D1;2;3 con .0/
e i .s/ D R.s/e i
.RT R D I/ P T P T T D RR RR
P P T eP i D Re i D RR e i P T w D ˝ w; ) 9 ˝ W RR .0/
2.3
8w
)
eP i D ˝ e i :
Ancora sulla cicloide: la brachistòcrona, da Galileo a Bernoulli
La curva cicloide coinvolge due fondamentali eventi della storia della geometria e della meccanica. Leggiamo questo brano dall’articolo didattico di Buttazzo e Mintchev [20]: Il problema della brachistòcrona, della ricerca cioè della curva lungo la quale il tempo di percorrenza tra due punti fissati è minimo, sotto l’azione di un campo di forze, è probabilmente il primo problema di calcolo delle variazioni in dimensione infinita. Il problema fu formulato nel 1638 da Galileo: si trattava di determinare la curva che connette due punti assegnati, lungo la quale un punto materiale scorre senza attrito, in un campo di gravità costante, impiegando per il percorso il tempo minimo possibile. Galileo, forse per motivi estetici, ma certamente per la mancanza di strumenti matematici appropriati, all’epoca non ancora disponibili, congetturò erroneamente che la soluzione doveva essere un arco di cerchio. La soluzione corretta, un arco di cicloide, fu trovata da Johann Bernoulli solo nel 1697. Se ha A D .x1 ; y1 / e B D .x2 ; y2 / sono i due punti assegnati, con ovviamente y2 y1 ed u.x/ è la generica curva che li connette, come in fig. 2.8, nel punto A la velocità è nulla e l’energia è tutta potenziale, mentre in un punto di ascissa x avremo una velocità v che dovrà verificare la conservazione dell’energia totale mgy1 D
1 2 mv C mgu.x/ 2
dove m è la massa del punto materiale e g la costante di gravità. Si trova quindi q v D 2g y1 u.x/ ; da cui si ricava che per percorrere lungo la curva data uno spazio ds si impiega un tempo s 1 C ju0 .x/j2 ds dx D dt D v 2g y1 u.x/
2.3 Ancora sulla cicloide: la brachistòcrona, da Galileo a Bernoulli
25
Figura 2.8 Una generica curva che connette A e B
dove l’ultima uguaglianza segue dalla ben nota relazione tra ascissa curvilinea ed ascissa cartesiana p ds D 1 C ju0 .x/j2 dx: Il tempo totale di percorrenza lungo la curva u.x/ sarà quindi 1 T .u/ D p 2g
Zx2 s x1
1 C ju0 .x/j2 dx y1 u.x/
e si avrà il problema di minimo minfT .u/ W u.x1 / D y1 ; u.x2 / D y2 g : Conviene traslare l’origine nel punto A che diventa dunque .0; 0/ ed invertire l’orientazione dell’asse delle ordinate; in tal modo il problema di minimo diventa 8 9 s < 1 ZL 1 C ju0 .x/j2 = min p dx W u.0/ D 0; u.L/ D H : 2g ; u.x/
(2.3)
0
dove abbiamo posto x2 D L ed y2 D H . Sul percorso rettilineo u.x/ D H x=L il tempo impiegato sarà quindi Trett D
2.L2 C H 2 / gH
1=2 :
(2.4)
L’equazione di Euler-Lagrange integrata (comunemente detta di DuBoisReymond) relativa al problema (2.3) si scrive, dopo qualche facile calcolo, nella forma .1 C ju0 j2 /u D 2c
26
2 Prima di Gauss
con c costante positiva, e la soluzione, un arco di cicloide tra i punti A e B, si ottiene in forma parametrica: (
x.t/ D c.t sin t/ u.t/ D c.1 cos t/
t 2 Œ0; :
(2.5)
Le costanti c e si determinano poi dalle condizioni x./ D L;
u./ D H:
Il tempo di percorrenza dell’arco di cicloide da A a B si calcola facilmente e si trova p Tmin D c=g: Un caso particolarmente semplice è quello in cui L D ed H D 2 n cui si trova D e c D 1. Si ha allora Trett D
2 C 4 g
1=2 ;
Tmin D p ; g
con Tmin =Trett ' 0:84. È anche interessante calcolare il tempo minimo che il punto materiale impiega per tornare all’altezza iniziale; prendendo H D 0 si trova D 2 e c D L=.2/ per cui p Tmin D 2L=g: Prendendo invece la semicirconferenza u.x/ D
p
Lx x 2
si trova con facili calcoli il tempo di percorrenza Z p p L=g .1 x 2 /3=4 dx ' 2:62 L=g : 1
Tcirc D
0
Dunque, in tal caso Tmin =Tcirc ' 0:96 da cui si vede che l’errore di valutazione di Galileo non era poi così grande! Qui finisce il brano da Buttazzo e Mintchev [20].
2.4 Breve cenno ad un risultato (recente) sulle curve piane: teorema dei quattro vertici
27
Figura 2.9 Meccanica al Museo
2.4
Breve cenno ad un risultato (recente) sulle curve piane: teorema dei quattro vertici
Il Teorema dei Quattro Vertici, uno dei primi risultati della geometria differenziale globale, dice che una curva semplice chiusa nel piano regolare di classe C 2 , diversa da un cerchio, deve avere almeno quattro ‘vertici’, cioè almeno quattro punti dove la curvatura ha un massimo locale o un minimo locale. Nel 1909 Syamadas Mukhopadhyaya lo dimostrò per le curve strettamente convesse nel piano, e nel 1912 Adolf Kneser lo dimostrò per tutte le curve semplici chiuse nel piano, non solo strettamente convesse, si veda [28].
Capitolo 3
Gauss
3.1
Cenni biografici
Carl Friedrich Gauss1 nasce nel 1777, alle elementari risolve ‘immediatamente’ il problema/formula della somma degli interi da 1 a 100: 1 C 2 C : : : C 99 C 100 100 C 99 C : : : C 2 C 1 101 C 101 C : : : C 101 C 101 100 101 D 2
100 X
n
nD1
È successivamente lo stesso suo maestro che lo incoraggia per un’istruzione superiore. Propone durante i suoi studi la costruzione con ‘riga e compasso’ di un poligono regolare di 17 lati. Scrive nel 1798 Disquisitiones Arithmeticae (pubblicato solo nel 1801) che è una base fondante della teoria dei numeri. Nella sua tesi di dottorato (1799) dimostra il Teorema Fondamentale dell’Algebra. In Meccanica Celeste, per la ricostruzione della traiettoria di Cerere, al fine di minimizzare gli errori, inventa il metodo dei minimi quadrati. Non ha grande predisposizione e simpatia per l’insegnamento, comunque segue allievi, Riemann è uno di questi. Gauss pubblica poco, è un perfezionista, il suo motto è pauca sed matura. Ha delle idee originali sulle geometrie non euclidee, ma le tiene per sè, non le pubblica. Viene incaricato del rilevamento cartografico del regno di Hannover. Alcuni primi risultati sulla cartografia erano stati elaborati da Euler e Lambert, ma con Gauss si sviluppa quella che sarà chiamata geometria differenziale. Nel 1827 pubblica Disquisitiones generales circa superficies curvas, base definitiva della geometria intrinseca delle superfici. Introduce la prima forma fondamentale (a volte erroneamente attribuita a Riemann) e la curvatura, che è basata sulla seconda forma fondamentale. La scienza che sta nascendo è la geodesia, inventa uno strumento 1
Qui di seguito riassumo un’interessante ricostruzione di Claudio Bartocci in [7].
© The Author(s), under exclusive license to Springer-Verlag Italia S.r.l., part of Springer Nature 2023 F. Cardin, Il concetto di curvatura, La Matematica per il 3+2 146, https://doi.org/10.1007/978-88-470-4024-3_3
29
30
3
Gauss
Figura 3.1 Johann Carl Friedrich Gauss (1777–1855)
ottico per la misurazione: l’eliotropo. Dopo tentativi – un po’ naive – di Saccheri e Lambert, procede con lo studio delle geometrie non euclidee indipendenti o meno dal quinto postulato. Realizzazioni erano già state sviluppate da Bolyai (ungherese) e LobaLcevskij (russo). Muore nel 1855. Nel2 1827 Gauss introduce la geometria intrinseca utilizzando le coordinate curvilinee al posto delle coordinate cartesiane e mostra che la curvatura totale dipende solamente dal ds 2 della superficie. Si ha così l’idea abbozzata di carta locale. La formula detta di GaussBonnet, che lega l’area di un triangolo geodetico alla curvatura totale della superficie, è il primo risultato coinvolgente la curvatura a delle proprietà globali. Lo studio delle superfici a curvatura negativa permette a Beltrami di gettare un ponte tra la geometria differenziale e le geometrie non euclidee di LobaLcevskij e Bolyai. Darboux esporrà questi risultati in maniera più elaborata e rigorosa. Vi si troverà tra l’altro l’impiego sistematico del triedro mobile. Nel XX secolo Elie Cartan generalizzerà con grande successo questo metodo nello studio dei gruppi di Lie e delle varietà differenziali. A metà del diciannovesimo secolo nuovo impulso è dato alla geometria differenziale da Riemann, che da un lato sotto l’influenza della meccanica e della fisica affronta lo studio generale degli spazi di dimensione qualsiasi, e dall’altro sviluppa le idee di Gauss considerando direttamente delle “molteplicità” (le chiameremo poi “varietà”) di dimensione qualsiasi che non sono supposte immerse in qualche spazio euclideo: questo è veramente l’inizio della geometria differenziale moderna. Come continuatore immediato di Riemann troviamo Christoffel, il cui lavoro sarà largamente utilizzato da Ricci Curbastro e Levi-Civita, e infine nella teoria della relatività generale. Con Levi-Civita si introdurrà il trasporto parallelo e dunque la teoria delle connessioni, sviluppata in modo generale da Elie Cartan da Charles Ehresmann. 2
Richiamiamo sinteticamente le parole di Paulette Libermann [53].
3.1 Cenni biografici
3.1.1
31
Il racconto di Morris Kline
Con maggior ricchezza di particolari tecnici, lasciamo parlare ora Morris Kline [45], che ha scritto pagine essenziali su Gauss.
Figura 3.2 Kline, p. 1029
32
Figura 3.3 Kline, p. 1030
3
Gauss
3.1 Cenni biografici
Figura 3.4 Kline, p. 1031
33
34
Figura 3.5 Kline, p. 1032
3
Gauss
3.1 Cenni biografici
Figura 3.6 Kline, p. 1033
35
36
Figura 3.7 Kline, p. 1034
3
Gauss
3.1 Cenni biografici
Figura 3.8 Kline, p. 1035
37
38
Figura 3.9 Kline, p. 1036
3
Gauss
3.2 Superfici
39
Figura 3.10 Kline, p. 1037
3.2
Superfici
Il racconto di Kline sull’opera di Gauss è assai esauriente. Dopo questo vasto escursus, riproponiamo alcuni aspetti (un po’ più tecnici) su cui pensare.
3.2.1
Ripartire da Euler
La nozione di curvatura delle curve piane emerge già in opere di Newton e di Johann I e Jakob Bernoulli. Nel 1744 Euler pubblica Methodus inveniendi lineas curvas maximi minimive proprietate gaudentes sive solutio problematis isoperimetrici latissimo sensu accepti in cui sono poste le basi del calcolo delle variazioni. In quel trattato vengono presentate diverse applicazioni, tra cui i problemi isoperimetrici, il problema della brachistòcrona, lo studio della catenoide e la ricerca delle geodetiche tra due punti su una superficie. La geometria differenziale nascente diviene con Euler lo studio della curvatura. Il volume II dell’Introductio in analysin infinitorum, pubblicato nel 1748, riguarda la geometria delle curve e delle superfici dello spazio. Le curve sono date da equazioni parametriche della forma x D x.t/; y D y.t/; z D z.t/, e le superfici da equazioni parametriche della forma x D x.u; v/; y D y.u; v/; z D z.u; v/. Sembra3 che questa sia la prima volta che una tale rappresentazione parametrica delle superfici appare in stampa. Circa vent’anni dopo la pubblicazione della prima edizione di questo trattato, Euler scrisse Recherches sur la courbure des surface, 1767, un’altra opera miliare. Lo scopo era di introdurre e studiare la curvatura in un punto su una superficie. L’idea di Euler, molto naturale, era di definire una nozione di curvatura in un punto su di una superficie differenziabile basata sulla curvatura delle curve che passano per quel punto. 3
Si veda [63], in accordo con quanto affermato da Kline [45], qui riportato nella pagina della fig. 3.2.
40
3
Gauss
La sua intuizione fu che per comprendere la curvatura in un punto di una superficie, bastava studiare la curvatura delle curve che sono intersezioni di quella superficie con i piani euclidei. Inoltre, dimostrò che è sufficiente considerare i piani che sono perpendicolari alla superficie, cioè i piani contenenti il vettore normale alla superficie in quel punto. Ciascuna di queste curve ha un cerchio osculatore e l’insieme dei raggi di questi cerchi contiene tutte le informazioni sulla curvatura della superficie in quel punto. Dimostrò inoltre che in un dato punto della superficie, la curvatura massima e la curvatura minima associate ai piani normali determinano tutte le altre curvature normali. Più precisamente dato un punto sulla superficie e un vettore tangente v in quel punto, chiamiamo curvatura normale per v la curvatura di una curva ottenuta intersecando la superficie con un piano contenente il vettore v e il vettore normale in quel punto punto. La curvatura normale massima e minima in un dato punto sono il massimo e il minimo delle curvature normali prese su tutti i piani normali in quel punto. Allo stesso modo, il raggio di curvatura normale in un dato punto nella direzione del vettore v è il raggio di curvatura della curva associata. Si guadagna una nozione simile di raggi di curvatura normali massimi e minimi in un dato punto. Euler mostrò che le direzioni dei piani che realizzano queste curvature estremali sono genericamente ortogonali tra loro4 .
3.2.2
Dalle curve piane alle superfici: una genesi della curvatura in Gauss
Per le curve piane5 proviamo a riproporre la curvatura k nel seguente modo. Data una curva piana .s/, costruiamo quello che si potrebbe chiamare cerchio di Gauss (storicamente improbabile, ma qui utile in senso euristico): si considera centrato su ogni punto di .Ns /, il cerchio, di raggio unitario; su di esso, per ogni sN 2 Œ0; s , il versore n.Ns / individua un punto ben preciso, che noi riporteremo sempre per traslazione nel cerchio centrato in .0/. Su quest’ultimo, si evidenzia l’arco disegnato dal versore n.Ns / per sN 2 Œ0; s , si veda la fig. 3.11. Si calcola infine la seguente quantità, basata sul punto .0/: il limite, per s ! 0C , del rapporto tra misura dell’arco (in rosso) sul cerchio di Gauss in fig. 3.11 e la misura del corrispondente arco (in blu) della curva in fig. 3.11.
4 Conseguenza naturale dell’aspetto secolare dell’operatore di Weingarten (su cui non entriamo in merito): vmin ; kmin e vmax ; kmax , ne sono gli autovettori e autovalori. 5 Consideriamo proprio queste, da un lato per evitare la torsione, dall’altro perché nello studio della curvatura delle superfici sono coinvolte curve ottenute intersecando piani ortogonali alla superficie, come già iniziò Euler.
3.2 Superfici
41
Figura 3.11 Cerchio di Gauss
Ricordando che per le curve piane (vedi (2.2)), n0 D 1 t, otteniamo (jtj 1 e per il teorema del valor medio) Zs
Zs
0
jn .Ns /jd sN limC
s!0
0
Zs
D limC j 0 .Ns /jd sN
s!0
jt.Ns /j d sN .Ns /
0
s
D
1 D k.0/ .0/
(3.1)
0
Se per esempio è un segmento di retta, allora il versore n disegna la curva degenere costituita da un sol punto e dunque k D 0. Ora, questa è una costruzione, sembra non esista storicamente il cerchio di Gauss. Ciononostante, questa appare essere esattamente la versione 1-dim della costruzione della curvatura di una superficie proposta da Gauss, mediante la ‘sua’ sfera (di Gauss).
3.2.3
Superfici ˙ in R3
Iniziamo avventurandoci in alcuni aspetti tecnici essenziali intorno alle immersioni di 2-superfici ˙ in R3 . Osserviamo inizialmente che Lemma base Se le due seguenti immersioni, iniettive e a differenziale a rango massimo, con U e UN aperti di R2 , r W U 3 .q 1 ; q 2 / 7! r.q 1 ; q 2 / 2 R3 ;
rN W UN 3 .qN 1 ; qN 2 / 7! r. N qN 1 ; qN 2 / 2 R3 ;
hanno la stessa immagine ˙ in R3 , ˙ WD r.U / D rN .UN /;
42
3
Gauss
Figura 3.12 Prima pagina del Disquisitiones generales
allora esiste un diffeomorfismo ' W UN ! U per cui rN D r ı ': La prova è immediata, evoca la stessa architettura mentale del ‘cambio di carte locali nelle varietà’: ad ogni assegnato qN 2 UN , corrisponde un ben preciso x D r. N q/, N in corrispondenza del quale esiste un unico q 2 U per cui r.q/ D x. Questo semplice fatto ci avverte che la molteplicità delle immersioni rN che danno la stessa ˙ (lì, ben collocata in R3 ) è esattamente enumerata dai diffeomorfismi ' come sopra, per una data, scelta a priori, immersione r.
3.2 Superfici
3.2.4
43
Prima e seconda forma fondamentale. Curvatura Gaussiana
Sia U R2 3 .q 1 ; q 2 / 7! r.q 1 ; q 2 / 2 R3 una rappresentazione parametrica di una superficie 2-dim ˙ in R3 , rank.r 0 / D max D 2. Il pull-back della metrica Euclidea I D .ıij /i;j D1;2;3 mediante la mappa d’immersione q 7! r.q/ è la metrica Riemanniana ereditata su ˙ (L; M D 1; 2), gLM .q/ WD
@r @r .q/ M .q/ L @q @q
(3.2)
e la forma quadratica associata6 è detta prima forma fondamentale di ˙ , essa rappresenta un prodotto scalare in Tr.q/ ˙ indotto da quello Euclideo di R3 . Indichiamo con N il versore normale a ˙ . Questa definizione terrà conto della orientazione scelta. Per generiche curve 7! .q 1 . /; q 2 . // su ˙ , determiniamo la componente normale dell’accelerazione rispetto al parametro . Osserviamo preliminarmente, e useremo nei conti che seguono, che @r @r ; 2 Tr.q/ ˙; @q 1 @q 2 pertanto, per L D 1; 2: @r .q/ N.q/ D 0: @q L @r L @2 r d d2 1 2 L M qP N D qP qP r.q . /; q . // N D
N d 2 d @q L @q L @q M @2 r
N qP L qP M D bLM .q/qP L qP M ; D @q L @q M la funzione matriciale bLM .q/ WD
@2 r .q/ N.q/ @q L @q M
(3.3)
è detta seconda forma fondamentale della superficie ˙ immersa in .R3 ; I/. Mettiamo in evidenza ora quello che sarà individuato in seguito come il carattere tensoriale delle forme quadratiche g e b, interpretate, a partire da Ricci Curbastro, come 2-tensori covarianti su ˙ . Precisamente, cambiando l’immersione da r a rN D 6
Si osservi che è il doppio dell’energia cinetica di una particella di massa m D 1 vincolata su ˙ .
44
3
Gauss
r ı ', per arbitrari diffeomorfismi ' W UN ! U come sopra visto, le due forme si trasformano isometricamente: gNLM .q/ N D
@rN @rN @r @q H @r @q K . q/ N
. q/ N D .q. q// N
.q. q// N ; @qN L @qN M @q H @qN L @q K @qN M @q H @q K H) gN D ' 0T g ' 0 : gNLM D gHK L M @qN @qN
(3.4)
Indaghiamo analogamente sulla seconda forma fondamentale. NN D
@rN .q/ N @qN 1 j @@qNrN1 .q/ N
@rN .q/ N @qN 2 @rN .q/j N @qN 2 1
@r @q @r @q 1 @r @q 2 @r @q 2 C 2 1 C 2 2 @q 1 @qN 1 @q @qN @q 1 @qN 2 @q @qN 1 2 @r @r @q 2 det ' 0 @r @q @q @q 1 @q 2 1 @r @q 1 ; D D @r @r j det ' 0 j jŒ: : : j @q 1 @q 2 @qN 1 @qN 2 @qN 2 @qN 1 j @q 1 @q 2 j 1 D jŒ: : : j
NN D N sgn.det ' 0 /: @2 rN @2 N .q/ . q/ N
N N D .r ı '/ N sgn.det ' 0 / @qN L @qN M @qN L @qN M @r @q H @
N sgn.det ' 0 / D L @qN @q H @qN M @2 r @q K @q H D
N sgn.det ' 0 / @q H @q K @qN L @qN M @q K @q H @2 r sgn.det ' 0 /; D H K N @q @q @qN L @qN M
bNLM .q/ N D
e per diffeomorfismi che mantengono l’orientazione (det ' 0 > 0), @q K @q H bNLM D bHK L M @qN @qN
H)
bN D ' 0T b ' 0 :
(3.5)
Ritorniamo a riguardare la seconda forma fondamentale, e parametrizziamo le generiche curve su ˙ mediante il parametro lunghezza d’arco s, allora ( dds D p 1 ): H K gHK .q/qP qP
ˇ .s/ D r.q 1 . /; q 2 . //ˇ .s/ e ancora una volta scriviamo la componente lungo N dell’accelerazione, qP M qP L hb q; P qi P d 2
N D b .q/ p p D : LM 2 H K H K ds hg q; P qi P gHK .q/qP qP gHK .q/qP qP
3.2 Superfici
45
Il triedro di Frenet della curva in studio sia .t; n; b/, ricordando che (vedi la (2.2)1 ) n d 2 d ; D n k D D t; ds ds 2 ove k è la curvatura di , si ha che ( hb q; P qi P N W versore normale alla superficie ˙; N nk D hg q; P qi P nW versore normale alla curva : Il passo successivo ora è il seguente: per ogni fissato punto7 q 2 ˙ , ci restringeremo a considerare curve ottenute per intersezione di ˙ con piani passanti per q e contenenti N . Evidentemente per tali curve in q si ha: N n D ˙1. Si usa definire N n k come curvatura con segno della curva individuata dal piano sezionale .q; t; N /. Le due forme fondamentali si possono ‘simultaneamente’ diagonalizzare dato che g è definita positiva: gN D I D diag.1; 1/;
bN D diag.k1 ; k2 /;
(3.6)
chiaramente minfk1 ; k2 g e maxfk1 ; k2 g sono rispettivamente il minimo e il massimo di curvatura realizzabile in quel punto di ˙ mediante curve localmente ivi definite e passanti per il punto in studio.
3.2.5
Seguendo Gallot
La definizione di curvatura, come la propose Gauss, si può rileggere nella pagina 1031 del Kline (fig. 3.4). Ma come interfacciare quell’originale definizione con un linguaggio attuale? La risposta si può ritrovare in Gallot et al. [34], p. 247. Iniziamo affermando che quel procedimento limite di rapporto di aree è proprio la generalizzazione, dalla dimensione uno alla dimensione due, del proto-procedimento mostrato in (3.1); esso conduce al rapporto tra una misura sulla sfera S2 e una corrispondente sulla superficie ˙ in studio, .q 1 ; q 2 / 7! r D OP .q 1 ; q 2 /; @OP @OP .0; 0/; e2 D .0; 0/; e1 D 1 @q @q 2
P D OP .0; 0/ 2 ˙; eL eM D ıLM D gLM .0; 0/:
Questo rapporto va pensato e realizzato all’interno di una stessa struttura geometrica. Per intenderci, sia la mappa di Gauss che ad ogni punto P 2 ˙ associa il locale – per orientazione scelta – versore ortogonale N : N W ˙ ! S2 ; 7
Dovremmo scrivere r.q/ 2 ˙ .
P 7! x D N.P /;
jN.P /j 1;
46
3
Gauss
e indichiamo con . ; ; / il prodotto misto; allora le 2-forme misura (area, ereditata dalla misura euclidea di R3 ), rispettivamente su S2 e ˙ , sono: !.u; v/ D .u; v; x/; ˝.; / D .; ; N.P //;
8u; v 2 Tx S2 ; 8; 2 TP ˙ :
Il rapporto degli elementi di misura delle corrispondenti porzioni di superficie si risolve considerando8 (il tutto ricondotto su ˙ ): N ! ˝
(3.7)
Valutiamo tale rapporto sulla coppia .e1 ; e2 /, e1 ; e2 2 TP ˙ , ˝.e1 ; e2 / D .e1 ; e2 ; N.P // D e1 e2 N.P / D g.P /.e1 ; e2 / il denominatore vale dunque 1. N !.e1 ; e2 / D !.dN.P /e1 ; dN.P /e2 / D .dN.P /e1 ; dN.P /e2 ; N.P // 0 @N 1 1
.e1 /1 C @N
.e1 /2 @q 1 @q 2 B @N2 @N2 D det@ @q 1 .e1 /1 C @q 2 .e1 /2 0 @N1 @q 1
B B B 2 D detB @N B @q 1 @ 0
0 @N1 @q 2 @N2 @q 2
0
0
1
(vettori colonna) @N1 @q 1 @N2 @q 1
0 @N @q 1
.e2 /1 C
.e2 /1 C 0
e1
C B C B C B @N 0C D detB @q
e C B 1 2 A @ 1
0
@N1 @q 2 @N2 @q 2
@N @q 2
e1
@N @q 2
e2 0
.e2 /2
.e2 /2 0
1
0
1
C 0A 1
C C C 0C C A 1
Dal fatto che N D
@OP @OP ; 1 @q @q 2
dettagliando: 2 @ OP @N @N @OP @OP @OP @2 OP @OP
e1 D 1
D C 1 2
1 1 1 1 2 1 @q @q @q @q @q @q @q @q @q @q 1 2 2 @ OP @OP @OP @OP @ OP @OP D D 1 1 1 D b11 ;
1 1 2 1 2 @q @q @q @q @q @q @q @q 8
N è il pull-back associato a N : sposta h-forme di S2 in h-forme su ˙ , per h D 0; 1; 2.
3.2 Superfici
47
analogamente si calcola @N @q 1 @N @q 2
@OP D b12 ; @q 2 @OP
D b22 : @q 2
Infine: 0
b11 N !.e1 ; e2 / D det@b12 0
b21 b22 0
1 0 det b 0A D det b D det g 1
(3.8)
(vedi (6), fig. 3.4). Per ogni diffeomorfismo ', cambio di coordinate locali, come in (3.4) e (3.5), si ha det b det bN D det g det gN che è dunque uno scalare invariante, ed è esattamente la curvatura K della superficie ˙ in P , come introdotta da Gauss. Nel sistema di coordinate che in P diagonalizza entrambe le forma quadratiche b e g, infine, riferendoci anche alla (3.6): K D k1 k2 :
3.2.6
Seguendo Berger e Gostiaux
Nel manuale di Berger e Gostiaux [10], a p. 429, si introduce la curvatura di Gauss come se fosse fin dall’inizio ‘ben naturale’ la strada che poi in tutta generalità dimensionale intraprese Riemann nel 1854; in coordinate normali, si confronti a tal proposito la formula qui di seguito da [10] con la proposta generale di Riemann della formula (4.2): ds 2 D dx 2 C dy 2 C K.xdy ydx/2 C o.x; y; dx; dy/ dove o.x; y; dx; dy/ è infinitesimo del quart’ordine.
(3.9)
48
3.2.7
3
Gauss
Intermezzo sulle notazioni
Un breve preambolo di raccordo sui simboli, qui usati quelli nella notazione moderna, che va correlata con le pagine citate e riportate di letteratura classica sull’argomento (vedi (6), fig. 3.4). a
1 f fW
! ! g11 g12 E F gD D F G g21 g22 „ ƒ‚ … „ ƒ‚ … notazione moderna
notazione di Gauss
notazione moderna
notazione di Gauss
! b11 b12 L M bD D M N b21 b22 „ ƒ‚ … „ ƒ‚ … !
a
2 f fW
3.2.8
Theorema Egregium
Con il termine scalare invariante ricordiamo che esso s’intende rispetto ai cambi di coordinate, diffeomorfismi locali ', da aperti di R2 in aperto di R2 . Scalari di questo tipo ne abbiamo discusso uno, K, la curvatura Gaussiana, e ne possiamo costruire un secondo, H , la9 curvatura media: K WD
det b ; det g
H WD bLM g LM
.g LM WD .g 1 /LM /
Nella diagonalizzazione simultanea, in cui g D I e b D diag.k1 ; k2 /, K D k1 k2 ;
H D k1 C k2 :
Il destino matematico di queste due curvature sarà ben diverso. Mediante un lungo calcolo, un ‘tour de force’, come sottolineano in [10] a p. 430, Gauss scopre la formula (8) di fig. 3.5; sono ben significative le parole di Kline che accompagnano quella formula. Emerge che la curvatura Gaussiana K è esattamente contenuta nella struttura funzionale della 1a ff , g, più precisamente, K si costruisce – solo e soltanto – con g e le sue derivate prime e seconde. Non solo. A corollario di ciò, Gauss osserva che ogni coppia di superfici ˙ e ˙N , R2 U 3 q 7 ! r.q/ 2 R3 ; 7 ! rN .q/ 2 R3 ; R2 UN 3 qN 9
A meno del fattore 1=2.
˙ WD r.U / ˙N WD rN .UN /
3.2 Superfici
49
che sono tra loro sviluppabili, cioè10 esiste un diffeomorfismo ' W UN ! U per cui g e gN sono isometriche, si veda la (3.4), gN D ' 0T g' 0
ossia
ds 2 j˙ D ds 2 j˙N
per esse si ha che N q/ K.'.q// N D K. N : Gauss ne rimase così affascinato che lo chiamò Theorema Egregium (1827): Si superficies curva in quamcumque aliam superficiem explicatur, mensura curvaturae in singulis punctis invariata manet. Se prendiamo una superficie curva e la sviluppiamo su una qualunque altra superficie, il calcolo della curvatura non cambia. ll Theorema Egregium non è invertibile, nel senso che due superfici diffeomorfe, aventi medesima curvatura Gaussiana nei punti corrispondenti, non sono in generale isometriche. Un contro-esempio è fornito dalla superficie di rotazione ˚ generata da una curva logaritmica e dall’elicoide , ˚ W .u; v/ ! .au cos u; av sin u; b ln v/
W .u; v/ ! .au cos u; av sin u; bu/ Le due superfici hanno la stessa curvatura Gaussiana ma non sono isometriche. Un’inversione parziale del Theorema Egregium si ha qualora le due superfici abbiano curvatura Gaussiana uguale e costante: è il teorema di Minding, 1839. Mezzo secolo più tardi, con Ricci Curbastro, emergerà una nuova radicale interpretazione: ˙ e ˙N saranno intese come una stessa astratta superficie e il diffeomorfismo locale di cui sopra sarà interpretato come un cambio di coordinate da una rappresentazione locale ad un’altra, per uno stesso intrinseco tensore metrico g. La curvatura, essendo ottenuta come scalare invariante per contrazione del tensore di curvatura (a 4 indici) di Riemann.
3.2.9
Ancora sul Theorema Egregium, pensando alla curvatura di Riemann
Sia ora .q 1 ; q 2 / D .x; y/ U R2 3 .x; y/ 7! r.x; y/ D .x; y; f .x; y// 2 R3 10
In realtà, si usa dire – tout court – che una superficie è sviluppabile se è isometrica al piano.
50
3
Scegliamo questa immersione tale che in un punto P0 : normale risulta N D .0; 0; 1/. r;11 N D
bLM .P0 / D r;LM N D
r;21 N D
@2 f @x 2 @2 f @y@x
@f @x
D0D
@f @y
r;12 N D r;22 N D
Gauss
e così il versore
@2 f @x@y @2 f @y 2
!
! g11 D r;1 r;1 D 1 g12 D r;1 r;2 D 0 gij .P0 / D g22 D r;2 r;2 D 1 g21 D 0 2 2 @ f det b @2 f @2 f K WD k1 k2 D ; K.P0 / D 2 2 det g @x @y @x@y Nei punti P ¤ P0 : g11 D r;1 r;1 D 1 C g22 D r;1 r;1 D 1 C @f @x @2 f D @x 2
g11;1 D 2 g12;1
@f @x @f @y
2 g12 D r;1 r;2 D 2
@f @f @x @y
@f @2 f @2 f g D 2 11;2 @x 2 @x @y@x @f @f @2 f @f @2 f C g22;1 D 2 @y @x @x@y @y @x@y
Valutando le seguenti derivate seconde in P0 ,
g11;22
@2 f D2 @x@y
2 g22;11
@2 f D2 @x@y
2 g12;12
@2 f @2 f D C @x 2 @y 2
@2 f @x@y
2
Notiamo subito che K D g12;12 g11;22 . Nel caso 2-dim, a partire dal tensore di Riemann, si veda la sezione 8.7.2, R1212 D
1 .g12;12 C g12;12 g11;22 g22;11 / 2
Ne segue che K D g12;12 g11;22 D R1212 : In coordinate generali, R WD g ml Rimi l D 2 det g 1 R1212 : nelle coordinate scelte (det gjP0 D 1): R D 2K;
(3.10)
3.2 Superfici
51
ma K e R sono scalari invarianti, e tale relazione è valida sempre e ovunque.11 Dunque, la curvatura K dipende dalla metrica g, prima forma fondamentale, e dalle sue derivate prime e seconde, ma non è coinvolgente l’immersione mediante la seconda forma fondamentale: ritroviamo il Theorema Egregium di Gauss.
3.2.10
Qualche esempio
Sia R2 3 q L D .q 1 ; q 2 / 7! r.q 1 ; q 2 / 2 R3 l’immersione di una superficie 2-dim ˙ in R3 . Le forme fondamentali sono gLM .q/ D
@r @r
@q L @q M
bLM D
@2 r .q/ N.q/ @q L @q M
Consideriamo ora una generica roto-traslata di ˙ : N D R r.q 1 ; q 2 / C b 2 R3 ; R2 3 q L D .q 1 ; q 2 / 7! r.q/
RT R D I
Allora @r @r @rN @rN
D R L R M D gLM .q/ @q L @q M @q @q @2 r @2 rN bNLM .q/ D L M NN D R L M R N D bLM .q/ @q @q @q @q
gNLM .q/ D
Pertanto due superfici ˙ e ˙N in R3 , l’una roto-traslata dell’altra, hanno medesime prima e seconda forma fondamentale. E’ vero anche il viceversa: due superfici ˙ e ˙N in R3 che hanno le medesime prima e seconda forma fondamentale sono l’una roto-traslata dell’altra. Se tentiamo di avvolgere un piano attorno ad un cilindro (operazione 3-dim), in maniera da tenere invariate le lunghezze, e ci riusciamo, vediamo che l’isometria (oggetto 2-dim) è l’identità: .u; v/ 7! .u; N v/ N D .u; v/. Piano.O; x; z/: x D u, y D 0, z D v, 0 < u < 2R, v 2 R E D 1; F D 0; G D 1;
11
ds 2 D du2 C dv 2 :
Questa formula R D 2K è universalmente nota, la si ritrova p. e. a p. 204 di [38].
52
3
Gauss
Figura 3.13 Dispiegamento del cilindro
Cilindro (di raggio R e di asse z): x D R cos Ru , y D R sin Ru , z D v. 1 0 1 sin Ru sin Ru E D @ cos Ru A @ cos Ru A D 1; 0 0 0 u1 0 1 sin R 0 u A @ A @ F D cos R 0 D 0; 0 1 0 1 0 1 0 0 @ A @ G D 0 0A D 1: 1 1 0
ds 2 D du2 C dv 2 Naturalmente in entrambi gli esempi la curvatura è ovunque nulla, K 0. Ma quella porzione di cilindro non è certo una roto-traslata della porzione di piano! E inoltre, non riusciremo mai a avvolgere (incartare, o meglio: sviluppare) un foglio piano, K D 0, attorno ad una calotta sferica, K D 1=R2 .
3.3
Superfici minime e curvatura media
Primi studi furono effettuati da Euler nel 1744 nella citata opera sul calcolo delle variazioni Methodus inveniendi lineas curvas maximi minimive proprietate gaudentes; Euler affronta il problema di trovare la superficie di area minima che ha come bordo due circonferenze nello spazio, poste su due piani paralleli ed allineate in modo che il segmento che congiunge i centri delle due circonferenze risulti perpendicolare ad entrambi i piani su cui giacciono le due circonferenze stesse. Vista la particolare geometria del problema, Euler cerca le superfici soluzione di tale problema tra le
3.3 Superfici minime e curvatura media
53
superfici di rotazione; in particolare egli reimposta il problema in maniera tale che esso sia equivalente a quello di determinare la funzione il cui grafico, fatto ruotare in modo da descrivere le due circonferenze assegnate, generi la superficie cercata. Euler dimostra che la curva cercata deve essere un arco di catenaria. La superficie ottenuta dalla rotazione della catenaria è detta catenoide. Ed è proprio da questi tipi di problemi che nasce la teoria delle superfici minime. Il termine superficie minima fu introdotto da Lagrange nel 1760 per designare quelle superfici che sono soluzioni di un problema variazionale, e più precisamente punti critici della funzione area. La definizione originaria di superficie minima è dunque quella di superficie che rende stazionaria l’area rispetto a variazioni della superficie stessa. Nel 1776 Meusnier si accorse del significato geometrico che sta dietro alla definizione di superficie minima data da Lagrange: tale definizione, infatti, equivale a richiedere che la superficie abbia in ogni suo punto curvatura media12 nulla. In natura esempi di superfici minime si possono ottenere immergendo in acqua saponata un telaio di sottile fil di ferro di una qualunque forma chiusa: all’estrazione del telaio, la lamina di sapone che rimane attaccata ad esso rappresenta una superficie che ha curvatura media nulla ovunque. Fu Plateau che studiò per primo in dettaglio tali aspetti. Le superfici minime coinvolgono dunque la curvatura media H , benché sia anch’essa un invariante scalare della superficie, a differenza della curvatura Gaussiana K, trasporta informazioni sulla ‘forma’, cioè sull’immersione in R3 della superficie in gioco.
L’entusiasmo su questo argomento accresce e si consolida con la lettura del volume [42], che abbraccia ad alto livello divulgativo vari aspetti del mondo variazionale.
12
Nozione introdotta da Sophie Germain nel 1832.
Capitolo 4
Riemann
Ho ancora vividi ricordi della straordinaria impressione che le correnti di pensiero di Riemann hanno fatto sui giovani matematici [quando fu pubblicata la sua lezione di abilitazione]. In gran parte sembrava oscuro e difficile da capire e tuttavia di una profondità insondabile. I matematici di oggi, che hanno integrato tutte queste cose nel loro modo di pensare, ammirano ancora la chiarezza e la fertilità dell’analisi. (Felix Klein)1
4.1 4.1.1
Intermezzo, da Gauss a Riemann L’eredità del Theorema Egregium
Che epilogo si poteva intravedere dal Theorema Egregium? Le due forme fondamentali, g e b, nascevano paritetiche rispetto all’immersione r W R2 U 3 q 7! r.q/ 2 ˙ R3 , ma g assumeva un ruolo di ‘intrinsecità’ che la separava sostanzialmente da b, la quale invece enucleava aspetti essenziali dell’immersione. Con Riemann, e poi definitivamente con Ricci Curbastro, sarà la coppia .˙; g/ il vero nuovo oggetto intrinseco, svincolato da immersioni. La ‘prima forma fondamentale’ g, ora assurta a ruolo definitivo di ‘metrica’, contiene tutti gli ingredienti di curvatura intrinseca di ˙ , fatto che sarà riproposto e generalizzato da Riemann ad ogni dimensione maggiore di due con il suo tensore di curvatura R
, ancora una volta costruito con g e le sue derivate prime e seconde, esattamente come il K Gaussiano.
4.1.2
Cenni biografici
Bernhard Riemann nasce nel 1826, inizialmente studia teologia, arriva ben presto alla matematica. Nel 1858 a Gottinga sale sulla cattedra che fu di Gauss, muore di 1
1926–1927. Lezioni sullo sviluppo della matematica nel XIX secolo.
© The Author(s), under exclusive license to Springer-Verlag Italia S.r.l., part of Springer Nature 2023 F. Cardin, Il concetto di curvatura, La Matematica per il 3+2 146, https://doi.org/10.1007/978-88-470-4024-3_4
55
56
4 Riemann
Figura 4.1 Bernhard Riemann (1826–1866)
tisi presso il Lago Maggiore nel 1866. È fondamentalmente noto per l’‘ipotesi di Riemann’, problema storico in seguito per la teoria dei numeri. Getta le basi della moderna teoria dell’integrazione. Ma è con la lezione/conferenza di abilitazione del 1854, Sulle ipotesi che stanno alla base della geometria, che si gira pagina nello sviluppo della geometria stessa. C’è Gauss che lo ascolta, ne resta estasiato, Gauss non è uomo facile a complimenti. In quella conferenza, pubblicata postuma nel 1868, propone la naturale evoluzione della geometria di Gauss a dimensioni maggiori di due. Se da un lato l’estensione della prima forma fondamentale è semplice e naturale, la generalizzazione del concetto di curvatura è materia di radicale innovazione. Riemann, verso la fine di Sulle ipotesi . . . , si pone pure il problema epistemico della validità della geometria nell’immensamente grande, l’universo, e nel microcosmo. Il suo abbraccio alla filosofia2 di Herbart (un anti-idealista) mette radicalmente in discussione l’idea del “sintetico a priori” della geometria euclidea: ci sono ‘tante’ geometrie (si veda anche Carnap [23] per questo). Questi pensieri di Riemann sull’universo, la sua curvatura, sono i prolegomeni alle idee di Einstein 2
Si veda l’ampia introduzione epistemologica al pensiero di Riemann in [67].
4.2 Curvatura, Riemann
57
della Relatività Generale. Nel 1868, oltre a Bolyai e LobaLcevskij, anche Beltrami, con la sua pseudo-sfera, offre un modello concreto di geometria non euclidea con curvatura negativa. Nel 1872 Felix Klein propone il “programma di Erlangen”: sono i gruppi di trasformazioni e gli invarianti associati che delineano le geometrie. Per esempio, per la geometria euclidea è il gruppo delle roto-traslazioni. Pionieristiche premesse su ciò furono proposte da Galois nel 1830. A simili idee arrivò autonomamente anche Helmholtz.
4.2
Curvatura: la lezione di Riemann del 1854
Bernhard Riemann mise mano a svariati campi della matematica, da pioniere e maestro: come già accennato, superfici di Riemann (nella sua prima tesi di laurea, 1851), integrale di Riemann, congettura di Riemann e funzione ‘theta di Riemann’, in un suo ultimo lavoro, e unico, in teoria dei numeri. Nel 1854, per la sua abilitazione all’insegnamento, scrisse la sua seconda tesi, intitolata Ueber die Hypothesen, welche der Geometrie zu Grunde liegen e pubblicata postuma nel 1868, con la quale introdusse i concetti di varietà e di curvatura di una varietà. In quell’occasione, tenne una prolusione davanti al suo maestro Gauss e a un pubblico culturalmente eterogeneo. Riemann riesce a compiere un’azione culturale al limite dell’acrobatico: sente di dover usare poca tecnica matematica, altrimenti non compresa, e nel contempo deve esporre con il massimo rigore il suo progetto di generalizzazione definitiva delle idee del suo maestro. Sfogliando velocemente queste poche pagine – sono 18, nella versione italiana [67], introdotta e tradotta dal filosofo Renato Pettoello – si avverte a prima vista l’assenza della matematica. In realtà, la si ritrova ben nascosta tra le righe. Procedendo velocemente per il momento, propone – tra altre cose – un’estensione della prima forma fondamentale di Gauss (superfici 2-dim dunque) a estensioni n-dimensionali, le varietà in nuce, che in coordinate P geodetico-normali basate su un punto P assume, in P stesso, la forma ds 2 D niD1 dxi2 . Con l’uso delle suddette coordinate si arriva alla definizione della curvatura in tali estensioni n-dimensionali. Qui inizia una materia oscura. Come ben commenta Umberto Bottazzini [13]: “Con un linguaggio di difficile decifrazione, conciso fino ai limiti dell’oscurità, . . . ”. La difficoltà, intrinseca nelle parole e nei segni usati da Riemann, è amplificata dalle traduzioni, a volte fuorvianti. Si propone qui una pagina, vedi fig. 4.2, nella traduzione (dal testo originale tedesco) offerta da Spivak nel II volume della sua opera monumentale in cinque volumi [74], poi quanto di analogo si ritrova in francese in Gallica, fig. 4.3, e infine l’analoga pagina nella traduzione italiana [67], fig. 4.4. Si può notare come il termine che nella traduzione inglese di Spivak è: . . . an infinitely small quantity of the fourth order . . .
e che nell’analoga edizione francese appare come: . . . c’est-à-dire qu’il sera un infiniment petit du quartième ordre . . . ,
58
4 Riemann
Figura 4.2 Sulle ipotesi che stanno alla base . . . (inglese)
Figura 4.3 Sulle ipotesi che stanno alla base . . . (francese)
Figura 4.4 Sulle ipotesi che stanno alla base . . . (italiano)
sia stato tradotto nell’edizione italiana3 in . . . cioè una grandezza infinitesima a quattro dimensioni . . .
Ci si può chiedere ora chi in passato abbia veramente scavato tecnicamente su quella pagina. Si cimentarono sicuramente Marcel Berger [11], Paulette Libermann [53] e Michael Spivak [74]. Come Stephane Alexander mette in evidenza nella sua review nel BAMS del 1978 del libro di Spivak, sembra che solamente quest’ultimo sia andato veramente a fondo – fatto questo confortato anche dal Berger nella nota a piè della sua pagina 202, che riportiamo successivamente per esteso. E comunque questi conti di Spivak, con altro stile, si ritrovano trasparenti anche in M. Abate, F. Tovena [2] e in S. Sternberg [75], nel paragrafo 10.3.1 “Riemann’s formula for the metric in a normal neighborhood”. Torniamo a Stephane Alexander 1978, fig. 4.5: Traducendone qualche riga: Spivak fornisce trentacinque pagine di calcolo per confermare la derivazione da parte di Riemann in nove frasi della curvatura sezionale e delle sue proprietà dallo sviluppo di Taylor nelle coordinate normali della metrica. 3
Edizione molto interessante, ricca di originali spunti filosofici e interpretativi, dove forse è mancata una collaborazione tra filosofi e matematici.
4.3 Ma cosa ha detto in dettaglio Riemann?
59
Figura 4.5 Stephane Alexander, 1978
Ed ecco la pagina dal Berger, fig. 4.6. Tra queste righe di Berger può sorprendere la frase “In effetti, [questa nozione] è così complicata che alcuni suoi aspetti sono tuttora non capiti.” Su questa linea di pensiero ritroviamo pure Mikhael Gromov: The curvature tensor of a Riemannian manifold is a little monster of (multi)linear algebra whose full geometric meaning remains obscure, [39].
4.3
Ma cosa ha detto in dettaglio Riemann?
Proviamo a decriptare la sua travolgente proposta. Il suo vecchio maestro, Gauss, è lì seduto davanti a lui: Riemann vuole omaggiarlo e nel suo racconto continuerà a rivolgersi a lui come Consigliere Aulico Gauss. Ma la sua lezione, che è per la abilitazione all’università di Gottinga, è davanti ad un pubblico altamente eterogeneo, dunque Riemann prepara il suo discorso in maniera il meno tecnica possibile. Questa sua prolusione, circa 18 pagine, sarà pubblicato solo due anni dopo la sua morte, avvenuta a quarant’anni nel 1866. Non saranno mai ritrovati suoi eventuali scritti ausiliari atti alla comprensione della sua lezione. Una sua prima importante enunciazione consiste nel constatare che l’incomprensione attuale sull’esistenza delle geometrie non-euclidee (Bolyai e Lobacevskij) sia insista nel non separare nell’idea costitutiva di spazio gli aspetti topologici da quelli metrici. Nelle sue ‘estensioni n-dimensionali’, che sono i prolegomeni delle varietà differenziali, introduce la generalizzazione naturale dell’elemento lineare infinitesimo di Gauss: v uX u n gij .x/dx i dx j ds D t i;j D1
60
Figura 4.6 Berger, p. 202
4 Riemann
4.3 Ma cosa ha detto in dettaglio Riemann?
61
e queste funzioni gij .x/ saranno poi indicate definitivamente come gli elementi di una metrica Riemanniana. Richiamiamo che in Gauss, nelle superfici, già si scriveva (vedi notazioni nella sezione 3.2.7) ds D
p Edu2 C 2F dudv C Gdv 2
dove sotto radice si intravede la prima forma fondamentale di una superficie assegnata in forma parametrica, e le variabili ‘gaussiane’ .u; v/ sono le premesse delle coordinate locali delle varietà differenziali ‘in fieri’: R2 3 .u; v/ 7! OP.u; v/ 2 R3 ; @OP @OP @OP @OP @OP @OP
; GD
; F D
: ED @u @u @v @v @u @v L’origine di queste formule gaussiane diventa trasparente se pensate generate in maniera ‘dinamica’: presa una curva-moto sulla superficie in studio, R 3 t 7! .u.t/; v.t// 7! OP.u.t/; v.t// 2 R3 , si decide che nel tempo infinitesimo dt lo d spazio percorso (al primo ordine) sia ds D j dt OP.u.t/; v.t//jR3 dt: indicati con du dv du D dt dt e dv D dt dt, la formula di Gauss ne discende. Ed ora, sempre estendendo l’impianto gaussiano, Riemann arriva alla sua costruzione del concetto di curvatura. È la nozione di curvatura sezionale di Gauss per le superfici 2-dim il motore di questa estensione. Un ulteriore passo, l’utilizzo di quelle che oggi chiamiamo coordinate normali, o geodetico-normali, attorno ad un punto ben preciso P di un’estensione ndimensionale M : si considerano, attaccati a P (manca ancora un’idea forte di spazio tangente locale) n vettori linearmente indipendenti .v` /`D1;:::;n e g-ortonormali in P , che qui scriviamo in generiche coordinate (non geodetiche) y: j gij .y/v`i vm D ı`m ;
si considerano le n curve locali di lunghezza minima, geodetiche dunque, che partono da P ciascuna con la velocità iniziale data dal vettore preso. Il vantaggio netto di questa scelta sarà che in P , rappresentato da queste coordinate .x i /i D1;:::n con x D 0, varranno gO ij .x/jxD0 D ıij ;
@gO ij .x/jxD0 D 0: @x k
Ma come ha fatto Riemann ad arrivare a questo? Non è chiaro. Oggi costruiamo le coordinate geodetico-normali nel seguente modo.
62
4 Riemann
4.3.1
Digressione. Coordinate geodetico-normali
Guardiamo all’equazione delle geodetiche t 7! P;v .t/ 2 M – veder più avanti a (8.53) – uscenti da P : d2 i d j d k .t/ C j ki P;v .t/ P;v .t/ D 0; dt 2 P;v dt dt
P;v .0/ D P;
d P;v .0/ D v; dt
dove j ki
@ghj @gj k 1 ih @gkh D g Œj k; h D g C 2 @yj @yk @yh ih
sono i simboli di Christoffel di 2o specie. Si definisce ora la mappa esponenziale v 7! expP .v/: si prende in TP M un intorno aperto U dello zero tale che k U 3 v 7! expP .v/ WD P;v .1/ 2 M
sia un diffeomorfismo con l’immagine in M , V WD expP .U/
Consideriamo anche l’isomorfismo T W Rn ! TP M;
.x 1 ; : : : ; x n / 7! v D
n X
x ` v` ;
.remW g.P /.v` ; vm / D ı`m /
`D1
Tale U esiste per il teorema di esistenza e unicità dei problemi di Cauchy per l’equazione delle geodetiche. La carta locale che si sta costruendo è ˚.P / W V M ! Rn
˚.P / WD T 1 ı expP1 ;
M V 3 q 7! expP1 .q/ D v 7! T 1 .v/ D .x 1 ; : : : ; x n / D x 2 Rn W v D
n X
x ` v` :
`D1
(Si ricordi che .v` /`D1;:::;n sono fissati). A questo punto si tratta di vedere come si rappresentano le geodetiche di cui sopra in questo sistema locale di coordinate. ˚.P / .P;v .t// D ˚.P / .P;t v .1// D ˚.P / .expP .tv// D T 1 ı expP1 ı.expP .tv// D T 1 .tv/ D t.x 1 ; : : : ; x n / D t x;
xN D t x ;
cioè, sono lineari in t, pertanto le derivate seconde sono nulle, le derivate prime vanno come x, e così Oj ki .t x/x j x k D 0
4.3 Ma cosa ha detto in dettaglio Riemann?
63
e quando valutiamo in t D 0 abbiamo Oj ki .0/x j x k D 0 ; questo è vero per ogni scelta di .x 1 ; : : : ; x n /, Oj ki sono j -k-simmetrici, pertanto, in P , Oj ki .0/ D 0 ; da cui si trae che @gO ij .0/ D 0 : @x k Infine, mostriamo che la metrica in P , x D 0, diventa la metrica euclidea. Si parte dalla constatazione che, nelle coordinate y, indicando con y.t; N v/ la geodetica uscente da P con velocità iniziale v` , e con y D y.x/ la mappa di transizione, v`i D
d i @y i d @y i j .0/ / D .0/ yN .t; v` /j t D0 D .t ı ` dt @x j dt „ƒ‚… @x ` xN j .t;v` /
Pertanto, mediante la legge tensoriale di trasformazione della metrica in P , x D 0, gO `m .0/ D gij .y/
4.3.2
@y i @y j j .0/ .0/ D gij .y/v`i vm D ı`m : @x ` @x m
Ritorniamo al racconto di Riemann
Ora, Riemann propone uno sviluppo (alla Taylor) del quadrato dell’elemento lineare, cioè, del ds 2 D gij .y/dy i dy j . Lo realizza nelle coordinate geodetico normali x, centrate dunque in x D 0, e per una deviazione da x D 0 che qui denoteremo4 ıx, proprio per distinguerla da dx, analogo della dy. Ancora una volta, nell’accingerci @gO a questo, tenendo presente @xijk .0/ D 0, scriveremmo il nostro sviluppo Taylor così: 1 @2 gO ij .0/dx i dx j ıx ` ıx m C .termini sup. al 4o ordine/ ds 2 D ıij dx i dx j C 2Š @x ` @x m „ ƒ‚ … .dx 1 /2 C
C.dx n /2
(4.1) Riemann è ben consapevole che deve emergere uno sviluppo del ds 2 contenente termini del secondo ordine (quello euclideo) e quindi del quarto ordine, ma certo non scrive la relazione di cui sopra. Deve mettere assieme alcune informazioni e altri propositi. 4
In realtà Riemann denotò i due spostamenti infinitesimi con i simboli dx e x, preferiamo qui scrivere invece dx e ıx .
64
4 Riemann
i)
Il termine del terz’ordine non appare: siamo in coordinate geodetico-normali, @gO ij .0/ D 0. @x k ii) Il termine del quart’ordine deve essere il nuovo scrigno contenente la curvatura generalizzata di Gauss. iii) Deve ristabilire, riassettare con ordine un certo conteggio dimensionale, abbastanza criptico, che enuncia a più riprese: nel cambio di coordinate si assegnano n funzioni, ma il contenuto geometrico della nuova generalizzata prima forma fondamentale, la ‘sua’ metrica Riemanniana gij , in quanto simmetrica, trasporta n nC1 componenti indipendenti; mancano, secondo Riemann, ulteriori 2 nC1 D n n relazioni da introdurre per ricostituire completamente la men n1 2 2 trica, relazioni che devono essere intrinseche nella ‘n-estensione’ che si sta considerando. Tale (curiosa) idea euristica di Riemann si concretizza nell’affiancare, nella costruzione del ds 2 fino al quart’ordine, anche gli n n1 piani 2 scanditi dai dx ˝ ıx ıx ˝ dx. Riemann azzarda (e sarà vincente) la seguente struttura alternativa alla ‘naturale’ (4.1): ds 2 D ıij dx i dx j C Cij k` .dx i ıx j dx j ıx i /.dx ` ıx k dx k ıx ` / „ ƒ‚ … .dx 1 /2 C
C.dx n /2
C .termini sup. al 4o ordine/
(4.2)
Qual è il significato di queste diadi anti-simmetriche dx i ıx j dx j ıx i ? La sua idea sembra prendere le mosse da questi fatti: ogni assegnata coppia di vettori dx e ıx individua una superficie 2-dimensionale (un triangolo, o più precisamente il suo doppio, il parallelogramma) e il quadrato della sua misura (area) euclidea è ricostruibile così: se l’ambiente è R3 . TP M /, allora il prodotto vettore è quanto ci serve: il quadrato dell’area del parallelogramma con lati dx e ıx, pensati come vettori di R3 , è (usando prodotto vettore e prodotto scalare in R3 ): A D jdx ıxj D jdxj jıxj sin # D jdxj jıxj 2
2
2
2
2
2
2
.dx ıx/2 1 ; jdxj2 jıxj2
A2 D jdxj2 jıxj2 .dx ıx/2
(4.3)
Il difetto operativo di questa formula è che usa pesantemente un ingrediente associato esclusivamente a R3 , il prodotto vettore. Questo appare una limitazione, perché noi vorremmo una descrizione di area per (porzioni di) piani 2-dim immersi in ambiente di dimensione qualsiasi n 3. Ora è ben noto che la soluzione risiede nella teoria dell’integrazione delle forme differenziali. Procediamo per gradi nella generalizzazione. Prima di tutto notiamo che, dati dx e ıx, si costruisce una matrice anti-simmetrica (è in realtà una 2-forma) W WD dx ˝ ıx ıx ˝ dx;
W T D W;
(4.4)
4.3 Ma cosa ha detto in dettaglio Riemann?
65
con la quale si deduce A2 D
1 Tr W T W 2
(4.5)
Infatti: Tr W T W D .ıx ˝ dx dx ˝ ıx/.dx ˝ ıx ıx ˝ dx/ D 2 jdxj2 jıxj2 .dx ıx/2 : Quest’ultima costruzione dell’area del parallelogrammo (2-dim) non usa affatto la dimensione dello spazio ambiente, pertanto si presta ad una definizione generale. Obiettivo di Riemann è l’estensione del concetto di curvatura di Gauss che ora sarà piano per piano costruibile in TP M . Per ogni scelta di n vettori linearmente indipendenti in TP M , v1 ; : : : ; vn , quanti piani scanditi da coppie .vi ; vj / possiamo costruire? È il numero di coppie di vettori distinti, a meno dell’ordine, che si possono costruire con n vettori. A meno dell’orientazione, coincidono con il numero di matrici emi-simmetriche come sopra che riusciamo a definire, n
W`m D v` ˝ vm vm ˝ v` ;
nŠ D n n1 esse sono: 2 D 2Š.n2/Š 2 . Si ha bene in mente che la curvatura di Gauss è un opportuno limite del rapporto di due misure. Dovremo quindi svincolarci dalla scelta della coppia di vettori che individua un piano e imparare come si modifica l’area se uno stesso piano, diciamo .v1 ; v2 /, sarà ora rappresentato da due nuovi vettori .vN 1 ; vN 2 /, dove, per generiche matrici 2 2 non degeneri .a˛ˇ /,
vN˛ D a˛ˇ vˇ ;
˛; ˇ D 1; 2
(4.6)
Indichiamo con W˛ˇ D v˛ ˝ vˇ vˇ ˝ v˛ DW v˛ ^ vˇ
.^W prodotto ‘wedge’/
la matrice associata a .v˛ ; vˇ /, essenzialmente data un unico elemento, poiché W1 2 D W2 1 ;
W1 1 D 0 D W2 2 ;
e con WN quella associata a .vN ; vN /. Usando il simbolo di Ricci5 ˛ˇ in R2 : W D W1 2 D v1 ^ v2 D ˛ˇ v˛ vˇ WN D vN 1 ^ vN 2 D ˛ˇ vN˛ vNˇ D ˛ˇ a˛ v aˇ v D det a v v D det a W: Concludiamo questa prima ricognizione sulle aree con la legge di variazione dei quadrati delle aree: N 2 D .det a/2 A2 : A
(4.7)
Torniamo a riguardare la proposta di Riemann (4.2). E’ giunto il momento per riportare qui un teorema algebrico che si trova in Spivak. 5
˛ˇ : 1 2 D 1, 2 1 D 1, 1 1 D 0 D 2 2 .
66
4 Riemann
Proposizione (Spivak 1) Sia Q una funzione quadratica di 2n variabili .dx; ıx/, come quella che compare in (4.1), Q.dx; ıx/ D cij k` dx i dx j ıx k ıx `
(4.8)
soddisfacente alle relazioni6 cij k` D cj i k` D cij `k :
(4.9)
Allora, per ogni matrice a non degenere 2 2, vale Q.a.dx; ıx// D .det a/2 Q.dx; ıx/
(4.10)
cij k` D ck`ij
(4.11)
c`ij k C c`j ki C c`kij D 0
(4.12)
se e solo se valgono:
e
Queste condizioni (4.11) e (4.12) sono soddisfatte se e solo se la (4.8) può essere scritta nella forma7 Q.dx; ıx/ D Cij k` .dx i ıx k dx k ıx i /.dx j ıx ` dx ` ıx j /:
(4.13)
La dimostrazione è in Spivak, è abbastanza laboriosa, tuttavia ricordiamo che la struttura del secondo membro della (4.13) implica immediatamente la proprietà (4.10), proprio ritornando alle formule (4.3), (4.5), (4.7). La seguente Proposizione, più complicata da dimostrarsi della precedente, chiude il cerchio intorno alla proposta (4.2) di Riemann. Proposizione (Spivak 2) In coordinate geodetico normali, basate su un punto P 2 M rappresentato da x D 0, i numeri cij k` D
1 @2 gO ij .0/ 2 @x k @x `
(4.14)
soddisfano alle condizioni (4.11) e (4.12).
@2 gO
Per cij k` D 12 @xk @xij ` .0/ queste relazioni (4.9) sono naturali, esprimono il teorema di Schwarz e la simmetria del tensore metrico g. 7 [74], p.172. 6
4.3 Ma cosa ha detto in dettaglio Riemann?
67
Riassumiamo le varie relazioni introdotte: 1 @2 gO ij .0/dx i dx j ıx k ıx ` 2 @x k @x ` D(4.14) cij k` dx i dx j ıx k ıx ` D(4.8) Q.dx; ıx/ D(4.13) Cij k` .dx i ıx k dx k ıx i /.dx j ıx ` dx ` ıx j / 1 D([74], 173) cij k` .dx i ıx k dx k ıx i /.dx j ıx ` dx ` ıx j / 3 1 1 D([74], 191) hR.dx; ıx/ıx; dxiD Rij k` dx i ıx j dx k ıx ` : 3 3
(4.15)
Infine si ritroverà, interfacciando con la definizione moderna di tensore di curvatura (universalmente come ‘tensore di Riemann’, definizione ereditata dalla teoria delle connessioni) la relazione in Berger [11], p. 203: 1 @2 gO ij 1 .0/ D .Rkij ` C Rkj `i / : 2 @x k @x ` 12
(4.16)
Teniamo ben presente che sia le relazioni in (4.15) sia la (4.16) sono pensate nelle coordinate geodetico-normali. Per una definizione ‘definitiva’ generale del tensore di curvatura si deve attendere la sezione 8.7.2: Rsijr D ilr jsl jrm ism
@ s @ C j isr ; @x i jr @x
dove jmk sono i simboli di Christoffel di 20 specie, @gij @gj k 1 i m @gki m C j k D g : 2 @x j @x k @x i Curvatura sezionale nelle g-varietà di dimensione qualunque La ricostruzione sopra operata e ispirata da Spivak mette ben in evidenza l’indipendenza del rapporto di Cij k` .dx i ıx j dx j ıx i /.dx ` ıx k dx k ıx ` / con il quadrato dell’area del parallelogramma per dx e ıx rispetto alla scelta stessa di essi, mostrando, con le formule (4.7), (4.10) e (4.13), che è, solo e soltanto, il piano per essi che comanda: Q.dx; ıx/ A2 .dx; ıx/
D
.det a/2 Q.dx; ıx/ Q.dx; ıx/ D 2 : 2 2 .det a/ A .dx; ıx/ A .dx; ıx/
Questa è la curvatura sezionale rispetto al piano per dx, ıx nelle g-varietà di dimensione qualunque. In dimensione due c’è un’unica possibile scelta del piano tangente, in tal caso la curvatura sezionale è esattamente la curvatura gaussiana K, come messo in evidenza in (3.9), formula riportata da [10]: ds 2 D dx 2 C dy 2 C K.xdy ydx/2 C o.x; y; dx; dy/:
68
4 Riemann
Come ha fatto Riemann ad arrivare a questa costruzione? Spivak, a pagina 170 di [74], afferma senza speranza: Of course, an answer to the question is not only doomed to be mere conjecture, but is always foolhardy to put forth, for there is no accounting for genius.8
Ancora, nella pagina 191 di Spivak c’è l’esempio delle superfici 2-dim e il raccordo con la curvatura K di Gauss. La pagina 196 di Spivak è decisiva per la comprensione del punto di vista di Riemann sulle dimensioni in gioco. Come pur messo in evidenza da Libermann [53], il bilancio/conteggio euristico di Riemann non è corretto, benché sia stato profondamente virtuoso per la sua rivoluzionaria generalizzazione del concetto di curvatura. Infine, le componenti indipendenti del tensore di Riemann sono 1 2 2 n .n 1/ 12 e si rinvia al capitolo 8 per la sua ridefinizione moderna.
4.4
Ancora su curvatura e teoremi
4.4.1
Separazione delle geodetiche
Separazione delle geodetiche uscenti da x, gx .u; u/ D 1, gx .v; v/ D 1 si veda la fig. 4.7.
4.4.2
Triangolo geodetico e Theorema elegantissimum
Triangolo geodetico ed deviazione da della somma degli angoli interni dal caso euclideo (k 0), verso Gauss-Bonnet. Fu chiamato da Gauss (1827) Theorema elegantissimum, si veda la fig. 4.8. Un semplice esempio. Si pensi alla 2-sfera di raggio R, la sua curvatura è costante e vale k D 1=R2 . Consideriamo il seguente triangolo geodetico P1 P2 P3 : il punto P1 nel polo nord, poi, prendendo due meridiani ortogonali in P1 che scendono verso l’equatore e lo incrociano in P2 e P3 . Ciascuno dei tre angoli vale =2. Z
1 1 R2 dA D D ; 2 2 R R 2 2
˛1 C ˛2 C ˛3 D 3
D : 2 2
Triangolo.P1 P2 P3 / 8
Naturalmente, una risposta alla domanda non è solo destinata a essere una semplice congettura, ma è sempre temeraria da proporre, perché non c’è spiegazione per il genio’.
4.4 Ancora su curvatura e teoremi
69
Figura 4.7 Separazione delle geodetiche
Figura 4.8 Theorema elegantissimum
4.4.3
L’articolo del 1861
Ecco l’inizio di un lavoro di Riemann del 1861, scritto per rispondere ad un quesito di termo-meccanica proposto dall’Accademia delle Scienze di Parigi: Ebbene, nella seconda parte: Si stabilisce dunque il teorema fondamentale: Se una metrica Riemanniana b è riconducibile isometricamente alla metrica euclidea piatta a allora necessariamene il tensore di curvatura RŒb è nullo. Qui, compaiono per la prima volta, seppur non ‘battezzati’, i simboli di Christoffel, a secondo membro della (5) della 4.11.
70
Figura 4.9 Riemann, 1861. Seconda Parte, 1
Figura 4.10 Riemann, 1861. Seconda Parte, 2
4 Riemann
4.4 Ancora su curvatura e teoremi
71
Figura 4.11 Riemann, 1861. Seconda Parte, 3
Figura 4.12 Riemann, 1861. Seconda Parte, 4
Si noti che in questo enunciato Riemann ripropone la struttura del Theorema Egregium (condizione necessaria) di Gauss. Oggi si sa dire un po’ di più: Una varietà riemanniana è piatta se attorno ad ogni punto esiste una carta locale in cui il tensore metrico g è costante. Questa definizione risulta essere equivalente a varie altre: tra queste, vi è l’annullarsi del tensore di Riemann. Una varietà riemanniana è quindi piatta se e solo se il tensore di Riemann è ovunque nullo: R D 0: Questa proprietà non è soddisfatta dal tensore di Ricci, né dalla curvatura scalare: esistono varietà con tensore di Ricci nullo che non sono piatte.
4.4.4
Sintetico richiamo sulle varie curvature incontrate
1-dim:
curvatura k di curva piana: rossa limite del rapporto: lunghezza lunghezza blu
72
4 Riemann
2-dim:
curvatura gaussiana K di una superficie: rossa limite del rapporto: area area blu n-dim: Per 2 M , nel piano tangente n-dim Tm M si considera ogni nŠpunto m n1 no gli n2 D 2Š.n2/Š D n 2 piani 2-dim indipendenti. Per ciascuno di essi, diciamolo , si considera la circonferenza di raggio unitario centrata nello zero, e i vettori ad esso appartenenti si considerano come velocità iniziali v per le geodetiche, partenti da m. Il flusso geodetico ˚gt .m; v/ costruisce la superficie S 2-dim: ˙ D t 2Œ0;1 ;jvjD1 ˚gt .m; v/ (vale: Tm ˙ D ) La curvatura gaussiana di ˙ è la curvatura sezionale di M in m relativa al piano 2-dim . Tali curvature riassumono completamente la curvatura Riemanniana di M in m.
Capitolo 5
Christoffel
5.1
I teoremi fondamentali
Leggiamo nelle figure 5.1 e 5.2, dall’articolo molto dettagliato di Jürgen Ehlers in [24], quanto ha proposto Christoffel. Christoffel si rende conto che è conveniente, economico, ‘definire’ quelli che saranno poi per sempre chiamati ‘simboli di Christoffel’ con la relazione (5) (da Ehlers), proprio perché riproducono un gruppo di simboli molto spesso ricorrente nei conti. Ricordiamo comunque che questi erano già stati introdotti da Riemann. Il Lemma 1 si può riformulare così: La trasformazione x D x.x/ N correla isometricamente due metriche g e g, N definite a priori nei due rispettivi sistemi di coordinate, cioè la (4), se e solo se, stante le rispettive definizioni di e N , questi ultimi simboli si trasformano l’uno nell’altro con le leggi (3). Il Lemma 1 propone dunque delle condizioni necessarie e sufficienti affinché ciò accada e, a ben osservare, le (2) e (3) sono condizioni che mescolano: le due metriche e loro derivate prime, la trasformazione e le sue derivate prime e seconde. Christoffel calcola di forza bruta, verifica, che con quelle ipotesi:
D0 gab X˛a Xˇb gN ˛ˇ ;
Infine, se vale in un punto la (4), allora la tesi sarà soddisfatta in tutto l’aperto connesso in cui la trasformazione è definita. Proviamo a rifarcelo quel conto, questo si riassume così:
a D 0‹ x a D x a .xN ˛ /; X WD x;˛ : gab X˛a Xˇb gN ˛ˇ ;
a b gab X˛a Xˇb D gab;c Xc X˛a Xˇb C gab X˛; Xˇb C gab X˛a Xˇ; gN ˛ˇ; ; ;
© The Author(s), under exclusive license to Springer-Verlag Italia S.r.l., part of Springer Nature 2023 F. Cardin, Il concetto di curvatura, La Matematica per il 3+2 146, https://doi.org/10.1007/978-88-470-4024-3_5
73
74
Figura 5.1 Ehlers, 1
Figura 5.2 Ehlers, 2
5
Christoffel
5.1 I teoremi fondamentali
75
stante la definizione di bca e rispettivamente di N˛ˇ , si verifica a lato che: a X˛;ˇ D N˛ˇ Xa bca X˛b Xˇc
Sostituendo e continuando il conto:
a gab;c Xc X˛a Xˇb C gab N˛ Xa lm X˛l Xm Xˇb
b C gab X˛a Nˇ Xb lm Xˇl Xm gN ˛ˇ; ; a lato, si ritrova anche che: gab;c D acd gdb C bcd gad , continuando il conto:
d HdH c a b a a l m b N X g C g X X C g X X X db ad ab bc H ˛ ˇ ˛ lm ˛ Xˇ ac
XbX l m ı ı N˛ C gab X˛a Nˇ Xb lm XX gN ıˇ Nˇ gN ˛ı ; X ˇX X ı ı D gab N˛ Xa Xˇb C gab Nˇ X˛a Xb N˛ gN ıˇ Nˇ gN ˛ı ;
infine: ı H ı HgNH gN N CH gN ˛HNˇ N˛ gN Nˇ ˛ı D 0 : H H ˇ ˛ H ıˇ
Christoffel nota che le derivate parziali di un vettore (campo vettoriale) non si trasformano con quella ‘legge isometrica’, lo fanno bensì le seguenti derivate parzialmente ‘corrette’, che saranno in seguito chiamate le derivate covarianti: XIba WD X;ba C bca X c ;
@xN i @x b XNIji D XIba @x a @xN j
Christoffel aveva un mondo tra le mani, e non lo vide. Questi aspetti costituiranno dei punti di partenza per la rivoluzione geometrica di Ricci Curbastro.
Capitolo 6
Ricci Curbastro
6.1
Cenni biografici
Gregorio Ricci Curbastro1 (1853–1925), proveniente da una delle più importanti e influenti famiglie romagnole (Lugo), si è formato all’Università di Bologna e alla Scuola Normale Superiore di Pisa, dove ha studiato con Enrico Betti, Ulisse Dini e Ernesto Padova. Dopo un periodo di perfezionamento a Monaco di Baviera dove frequenta i corsi di Felix Klein e Alexander Wilhelm von Brill, giunge a Padova nel 1880, quale professore straordinario di fisica matematica. Passa all’ordinariato nel 1890 sulla cattedra di algebra complementare, conservando comunque l’incarico dell’insegnamento della fisica matematica. Ricci si è dedicato prevalentemente allo studio della geometria differenziale, operandone una vera rivoluzione, rifondandola, introducendo in maniera definitiva il concetto di derivata covariante e introducendo la nozione di sistemi covarianti o controvarianti, oggi denominati tensori. Assieme a Tullio Levi-Civita, suo allievo e poi collaboratore, nel 1901, sollecitato da Felix Klein, pubblica un lungo articolo di rassegna sui suoi risultati [66]: questo diviene il primo trattato fondamentale sul calcolo differenziale assoluto, il cui linguaggio è alla base della teoria della relatività generale di Einstein e che dà a Ricci e a Levi-Civita, e alla matematica patavina, fama internazionale.
6.2
Calcolo differenziale assoluto: il calcolo tensoriale
La storia scientifica dettagliata di Ricci Curbastro è narrata in maniera esemplare nel volume di Toscano [78]. Qui proviamo sinteticamente a capire, prima di tutto, cosa, quali idee, riportò con sè Gregorio ritornando in Italia dopo il soggiorno di studi a Monaco nel 1878/79. La tesi di abilitazione di Riemann era stata pubblicata postuma nel 1868, da dieci anni si conosceva quell’oscuro oggetto, la curvatura a quattro indici, introdotto da 1
Prendo qui sinteticamente a prestito parole di Francesco Baldassarri [6] e Monica Panetto [62].
© The Author(s), under exclusive license to Springer-Verlag Italia S.r.l., part of Springer Nature 2023 F. Cardin, Il concetto di curvatura, La Matematica per il 3+2 146, https://doi.org/10.1007/978-88-470-4024-3_6
77
78
6 Ricci Curbastro
Figura 6.1 Ritratti giovanile e nella maturità di Gregorio Ricci Curbastro
Riemann. Christoffel ci aveva lavorato. Gregorio apprese dalla comunità matematica tedesca la generalizzazione insita nel salto di qualità della geometria operato da Riemann, partendo da Gauss. Va anche ricordato il legame di amicizia tra Betti e Riemann, questo rafforza ulteriormente le motivazioni della solida origine culturale Riemanniana di Ricci. Vari lavori pubblicati, di Riemann e Christoffel, anche esposti qui nei capitoli precedenti, ruotano attorno a problemi del tipo: determinare delle condizioni affinché una forma quadratica metrica nelle variabili y si trasformi ‘isometricamente’, sotto un opportuno cambio di coordinate y D y.x/, nella forma quadratica della metrica euclidea nelle variabili x: ds 2 D gij .y/dy i dy j ;
gij .y.x//
@y i @t j .x/ .x/ D ımn ; @x m @x n
ds 2 D .dx 1 /2 C C .dx n /2 : Il risultato trovato era sicuramente corretto, l’oggetto-curvatura a quattro indici di Riemann avrebbe dovuto essere identicamente nullo. Ma non era affatto chiaro che si stesse parlando esattamente di una stessa unica, assoluta, metrica, solamente espressa in coordinate diverse. Una delle conquiste del pensiero di Ricci è esattamente questo. Non a caso lo si chiamerà calcolo differenziale assoluto. Ancora, quel tipo di lavori che abbiamo precedentemente incontrato (p.e. sulle trasformazioni dell’oggetto-curvatura di Riemann) spingono Ricci a formulare la nozione generale di ‘sistema covariante’, in seguito tensore (si veda la (8.1) del paragrafo 8.1). E così pure la derivata covariante2 , seppur introdotta artificiosamente da Christoffel per sanare un difetto di trasformazione delle derivate parziali di vettori, ora diventa un architrave fondamentale in questa nuova costruzione del calcolo differenziale 2
Molte delle nozioni tecniche relative a Ricci Curbastro e Levi-Civita sono raccolte unitariamente nel capitolo 8.
6.2 Calcolo differenziale assoluto: il calcolo tensoriale
79
assoluto. È una vera rivoluzione, che la comunità matematica italiana stenta a riconoscere. In realtà, come Fabio Toscano [78] e Rossana Tazzioli [76] mettono in evidenza, Ricci, benché avesse ben mostrato fin dai suoi primi lavori sull’argomento che per esempio l’invariante metrico Riemanniano ds 2 e l’energia cinetica della meccanica analitica fossero oggetti matematici (scalari invarianti) della stessa natura, dedicò molta cura nelle sue applicazioni alla ricostruzione puntigliosa della geometria della superficie con i suoi metodi, creando a volte una malcelata irritazione nei colleghi, che vedevano in essi una complicazione non necessaria. Questo lo comprese bene lo stesso Levi-Civita, il quale si rammaricava che Ricci non applicasse quel potente emergente metodo a nuovi settori di frontiera, quali p. e. quelli della fisica matematica. Per ben due volte non fu assegnato3 il premio reale dei Lincei a Ricci, finché nel 1904, egli capì e accettò l’incomprensione della comunità matematica.
6.2.1
Curvatura di Ricci
Riportiamo in questa sezione una sintesi tratta da [60]. Arthur L. Besse4 in [12], afferma che ‘la curvatura di Ricci Rij è piuttosto difficile da percepire’. Ricci introdusse la curvatura che porta il suo nome per il seguente motivo: se M è una superficie immersa nello spazio euclideo, questa ha una seconda forma fondamentale intrinseca, i suoi autovalori sono le curvature principali e i suoi autovettori definiscono le linee di curvatura. In una varietà Riemanniana tale forma non esiste e non esistono vettori o direzioni speciali. Tuttavia, per mezzo di una contrazione tensoriale della curvatura di Riemann, Ricci definì un tensore simmetrico covariante di ordine due: Rij D Rikkj È quindi possibile per esso calcolarne gli autovalori (reali) e gli autovettori. L’importanza della curvatura di Ricci nella geometria Riemanniana è straordinaria. Mediante un’ulteriore contrazione del tensore di Ricci, Rij g ij D R, si ottiene la “curvatura scalare”, che è l’analogo stretto della curvatura K di Gauss in dimensione due, precisamente: R D 2K, si veda la (3.10). La sua interpretazione geometrica è molto interessante, poiché è un multiplo del coefficiente del termine quadratico dell’espansione asintotica del volume di una palla geodetica, [12]. Le curvature sezionali di una varietà Riemanniana determinano il tensore di Riemann e conseguentemente anche il tensore di Ricci. D’altra parte, il tensore di Ricci fornisce una media delle curvature sezionali lungo rette. Più precisamente, sia v un vettore tangente di lunghezza unitaria. Il numero Ric.v; v/ D Rij v i v j è la media delle curvature sezionali dei piani passanti per v moltiplicata per .n 1/. 3
Va segnalato su questo il ruolo determinante del collega Luigi Bianchi, importante geometra in quegli anni, cfr. [78]. 4 Sotto questo nome si cela un gruppo di matematici diretti fin dal 1975 da Marcel Berger, alla stregua di un altro famoso gruppo di matematici, Bourbaki, formatosi nel 1934.
80
6 Ricci Curbastro
Figura 6.2 Ecco una bella pagina illustrata su Ricci Curbastro, tratta dai lucidi di una conferenza di Edoardo Benvenuto, pubblicata in [9]
Capitolo 7
Levi-Civita
7.1
A Padova, al Liceo Tito Livio e all’Università
Si dovrebbe iniziare parlando del padre, Giacomo. Garibaldino nel 1866, avvocato a Padova, difende i frati degli Eremitani contro la famiglia dei nobili veneziani Gradenigo che volevano staccare gli affreschi giotteschi della Cappella degli Scrovegni, allora di loro proprietà, per venderli ai musei inglesi. Non solo riuscì a fermare lo scempio, ma arrivò a condurre l’acquisizione della Cappella al Comune di Padova. Divenne infine un amato sindaco della città. Su Giacomo è importante leggere Mariarosa Davi [25], [26]. Tullio Levi-Civita nasce il 29 marzo 1873, a Padova in via Daniele Manin al n. 7. In seguito, fino a tutto il 1918, abita in via Altinate al n. 14. Frequenta il Liceo Tito Livio, ha come professore di Matematica Paolo Gazzaniga, insegnante efficacissimo e valente cultore di teoria dei numeri, che fu, tra l’altro, segretario della rivista Mathesis nel biennio 1909/10. Arriva alla Maturità nel luglio del 1890: si noti che Tullio è uno dei pochissimi, l’unico nella porzione di tabellone qui riportata, che opta per lo scritto di Matematica, fig. 7.4; allora si poteva, come si nota dal Regolamento sugli esami liceali. Dal tabellone emerge pure impressionante la sua sfilza di ‘dieci’. All’età di diciassette anni si iscrive al corso di laurea in matematica dell’Università di Padova, laureandosi nel 1894. Qui, il grande incontro della sua vita scientifica, Gregorio Ricci Curbastro. Di seguito una lista dei suoi primi lavori, il primo dei quali è antecedente alla sua laurea. Tullio Levi-Civita, Sugli infiniti ed infinitesimi attuali quali elementi analitici, Atti del R. Istituto Veneto, 1893. Tullio Levi-Civita, Sugli invarianti assoluti [Dissertazione di laurea] Atti del R. Istituto Veneto, 1893–94, Tullio Levi-Civita, Sui gruppi di operazioni funzionali, Rendiconti del R. Istituto lombardo di scienze e lettere, 1895. Tullio Levi-Civita, Alcune osservazioni alla nota Sui gruppi di operazioni funzionali, Rendiconti del R. Istituto lombardo di scienze e lettere, 1895. © The Author(s), under exclusive license to Springer-Verlag Italia S.r.l., part of Springer Nature 2023 F. Cardin, Il concetto di curvatura, La Matematica per il 3+2 146, https://doi.org/10.1007/978-88-470-4024-3_7
81
82
7
Levi-Civita
Figura 7.1 Foto giovanile e nella maturità (1938) di Tullio Levi-Civita
Tullio Levi-Civita, I gruppi di operazioni funzionali e l’inversione degli integrali definiti, Rendiconti del R. Istituto lombardo di scienze e lettere, 1895. Tullio Levi-Civita, Di una espressione analitica atta a rappresentare il numero dei numeri primi compresi in un determinato intervallo, Atti della R. Accademia dei Lincei. Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali, 1895. Tullio Levi-Civita, Sull’inversione degli integrali definiti nel campo reale, Atti della R. Accademia delle scienze di Torino, 1895–96. Tullio Levi-Civita, Sulla distribuzione indotta in un cilindro indefinito da un sistema simmetrico di masse, Atti della R. Accademia dei Lincei. Rendiconti della Classe di scienze fisiche, matematiche e naturali, 1895. Tullio Levi-Civita, Sugli integrali algebrici delle equazioni dinamiche, Atti della R. Accademia delle scienze di Torino, 1895–96. Tullio Levi-Civita, Sulle trasformazioni delle equazioni dinamiche, Annali di Mat. Pura ed Applicata, 1896.
Nell’aprile 1896, fu affidato allo stesso Gazzaniga l’insegnamento della Meccanica Razionale, in seguito affidato a Levi-Civita.
Figura 7.2 Paolo Gazzaniga, ritratto
7.1 A Padova, al Liceo Tito Livio e all’Università
83
Figura 7.3 Lapide in memoria di Paolo Gazzaniga al Tito Livio e copertina di un suo libro
Nel 1898 Levi-Civita diventa titolare a Padova della cattedra di Meccanica Razionale. È il fiorire della moderna Geometria Differenziale: la Teoria degli Invarianti, il Calcolo Differenziale Assoluto. La Derivata Covariante: fu introdotta da Gregorio Ricci Curbastro nel 1888 e in seguito sviluppata con Tullio Levi-Civita in teoria metrica Riemanniana, fino alla definitiva sistemazione nell’importante articolo di rassegna, sollecitato da Felix Klein, del 1901 [66].
Figura 7.4 Maturità e licenza liceale, luglio 1890
84
7
Levi-Civita
Seguendo le prime idee di Elwin Bruno Christoffel osservarono infatti che i simboli di Christoffel, da questi utilizzati per definire la curvatura, avrebbero potuto fornire una nozione di differenziazione che generalizzava su di una varietà la derivata direzionale classica di un campo vettoriale Y lungo la direzione di un altro campo vettoriale X, questa era la Derivata Covariante: ˛ @Y ˛ ˛ ˇ ˛ C ˇ Y X ˇ .DX Y / D D @ Y X D @x ˇ @x ˇ 1 ˇ˛ D gˇ; C g;ˇ gˇ; g ˛ 2 „ƒ‚… „ ƒ‚ … o simb. di Christoffel del 2 tipo
Œˇ; W simb. di Christoffel del 1o tipo
Questa nuova derivata risultò covariante, nel senso che soddisfaceva il requisito, di Riemann, che gli oggetti in geometria dovevano essere indipendenti dalla loro descrizione in un particolare sistema di coordinate. Quella meravigliosa teoria fu accolta con freddezza dalla comunità, Tullio LeviCivita, da quell’anno 1901, non ritornò oltre sulla geometria differenziale, neppure Ricci. Tullio Levi-Civita rientrò ad occuparsene con la corrispondenza epistolare nel 1915 con Einstein, arrivando alla definizione generale (qui più avanti esposta) di trasporto parallelo alla fine del 1916. Fu in seguito notato da altri matematici di rilievo, tra questi Hermann Weyl, Jan Arnoldus Schouten, e Élie Cartan, che una nozione di Derivata Covariante poteva essere definita in modo astratto, senza la presenza di una metrica, ma a partire dalla nozione, categoricamente più generale, di Connessione.
7.2
Il carteggio con Einstein, 1915
Prima della pubblicazione definitiva del 1915 della Relatività Generale, Albert Einstein, assieme al suo amico collaboratore matematico Marcel Grossmann, che ‘sapeva dell’esistenza del calcolo differenziale assoluto’, pubblicò varie formulazioni, via via in formazione, di quella teoria: Einstein, 1912, Zur Theorie des statischen Gravitationsfeldes. Annalen der Physik, 38 (1912), pp. 443–458 (Reprinted as Vol. 4, Doc. 4 CPAE) Einstein, 1913, Zum gegenwärtigen Stande des Gravitationsproblems. Physikalische Zeitschrift, 14 (1913), pp. 124–1266 (Reprinted as Vol. 4, Doc. 17 CPAE) Einstein, A., Grossmann, M. (1913). Entwurf einer verallgemeinerten Relativitätstheorie und einer Theorie der Gravitation. Leipzig: Teubner (Reprinted in CPAE, Vol. 4, Doc. 13). Einstein, 1914, Die formale Grundlage der allgemeinen Relativitätstheorie. Sitzungsberichte der Königlich Preussischen Akademie der Wissenschaften (pp. 79–801) (Reprinted as Vol. 6, Document 9 CPAE).
Max Abraham, ‘fisico classico’ al Politecnico di Milano, era stato un forte sostenitore dell’esistenza dell’etere e che un elettrone fosse una sfera perfettamente rigida con una carica distribuita uniformemente sulla sua superficie.
7.2 Il carteggio con Einstein, 1915
85
Figura 7.5 Albert Einstein
Figura 7.6 Max Abraham
Nel gennaio 1915 in un incontro con Tullio Levi Civita lo invita a leggere e ‘criticare’ l’Entwurf1 . Ma per Tullio Levi Civita è invece una folgorazione: è la teoria di Ricci e sua che diventa ‘fisica’. Scrive subito ad Einstein: è una bellissima teoria, ma c’è un errore! Un certo tensore di curvatura che Einstein propone non ha quelle caratteristiche di covarianza che la teoria geometrica, che ora sta diventando fisica, prevede. Einstein nega, la corrispondenza è fittissima. Alla fine, Einstein ammette (è il 5 maggio), e lo ringrazia: ma è ormai il ‘maggio’ del 1915, il 7 maggio l’Italia denuncia la ‘triplice alleanza’ e il 24 maggio entra in guerra contro l’Austria. Tutto finisce. Ma ora, le equazioni gravitazionali sono finalmente corrette! Relatività Generale, Post Levi Civita: Einstein, 1916a, Annalen der Physik, 49 (7) (1916), pp. 769–822 (Reprinted as Vol. 6, Doc. 30 CPAE) Einstein, 1916b. 1
Bozza, progetto.
86
7
Levi-Civita
Figura 7.7 Presentazione ai Lincei della Ristampa del Levi-Civita & Amaldi
Einstein esprime in ogni occasione calorosa riconoscenza a Levi-Civita, alla domanda “cosa ama dell’Italia?”, risponderà sempre: “spaghetti e Levi-Civita”. Quel tensore così ora ben ricostruito, è chiamato indifferentemente ‘tensore di Einstein’ e ‘tensore di Levi-Civita’. Si veda per esempio quanto scrive Aldo Bressan a p. 59 di [17]. Dicembre 1916: Tullio Levi-Civita introduce il trasporto parallelo. Nel maggio del ’15 forse non si sapeva ancora cosa fosse quella guerra, ma nel dicembre del ’16 tutti erano consapevoli dell’orrore. Ciononostante, i Rendiconti di Palermo pubblicano il lavoro di Levi-Civita, in cui l’autore loda senza reticenza il ‘tedesco’2 Einstein: spera che tale proposta di trasporto parallelo possa servire per migliorare e rendere sempre più importante e utile la sua nuova teoria. Diventa il grande divulgatore mondiale, matematico, della Relatività Generale: viaggia molto, Princeton, ecc. . . . Dottore honoris causa delle università di Amsterdam, Harvard, Parigi, decorato della Medaglia Sylvester della Royal Society. La sua fama internazionale cresce, per tanti, innumerevoli e pregevoli lavori in meccanica analitica e meccanica celeste; resta un monumento la sua “Regolarizzazione del problema dei tre corpi”, [48], [49]. Levi-Civita scrive con Ugo Amaldi un ineguagliato capolavoro didattico, recentemente ristampato, fig. 7.7. Francesco Severi: Ci fu un rapporto di amicizia, ma anche in parte orribile, di Francesco Severi con Tullio Levi-Civita. La famiglia Severi era legatissima a Tullio e alla moglie Libera Trevisani, furono assieme a Padova dal 1905 al 1918, e poi ancora dal 1922 a Roma. Andavano spesso in vacanza estiva assieme. Poi, quando Severi cambiò bandiera (girava in camicia nera e orbace anche alle conferenze scientifiche), istigò il ministro Gentile al giuramento di fedeltà al regime (1931). Arrivarono nel 1938 le Leggi Razziali.
2
In realtà, Einstein rinunciò alla cittadinanza tedesca (dello stato del Württemberg) nel 1896. Dopo essere stato apolide per più di cinque anni, assunse la cittadinanza svizzera nel 1901.
7.2 Il carteggio con Einstein, 1915
87
Figura 7.8 Francesco Severi
In quel terribile 1938 il direttore dell’Istituto Matematico di Roma era Gaetano Scorza. Si sa bene che oltre al licenziamento, fu proibito a Levi Civita, a Enriques, a Castenuovo (e ad altri matematici membri della comunità ebraica italiana) perfino di frequentare la Biblioteca dell’Istituto di Matematica a Roma. Ma non fu il direttore Gaetano Scorza a forzare quell’ulteriore vessazione: la lettera che Castelnuovo scrisse al Nostro, in occasione della morte di Gaetano Scorza nel 1939, allontana questa ipotesi (si veda fig. 7.11). Il Severi era il nume tutelare della matematica romana (e italiana), non mosse un dito per rimuovere questo abominio. In effetti, molto più gravemente, come messo in evidenza in Giorgio Israel e Pietro Nastasi [43], p. 258 e sottolineato in Lucio Russo e Emanuela Santoni [70] p. 409, fu proprio Severi l’istigatore di tale proibizione. Certo è, di converso, che ci sono testimonianze che il Severi talvolta “passava clandestinamente” dei lavori scientifici da leggere a Tullio. E’ molto inquietante, è un’umanità perduta.
Figura 7.9 Francesco Severi con Mussolini
88
Figura 7.10 Lettera di licenziamento di Levi-Civita, 1938
Figura 7.11 Lettera di Castelnuovo a Levi-Civita, 1939
7
Levi-Civita
7.3 Einstein, Ricci e Levi-Civita, tra Bologna e Padova, 1921
89
Figura 7.12 Da Severi
E’ una sensazione di umanità ferita tornare a pensare su Severi, che fu un maestro della geometria algebrica, che arrivò anche a scrivere frasi, come nella fig. 7.12, che oggi noi possiamo condividere.
7.3
Einstein, Ricci e Levi-Civita, tra Bologna e Padova, 1921
Nel 1921 a Bologna un grande scienziato-umanista, Federigo Enriques, matematico, filosofo e storico della scienza, invita Albert Einstein per un ciclo di conferenze in quell’Università. Finalmente tutti i protagonisti, Ricci Curbastro, Levi-Civita, Einstein, hanno l’opportunità di incontrarsi di persona. Quello sarà il primo incontro di Levi-Civita con Einstein, che giunge, da Roma a Bologna, per seguire le tre annunciate conferenze di Einstein. Ricci Curbastro, allora a Padova, non va a Bologna, è una persona schiva, gentile, posseduto da una sua nobile timidezza. Ma è l’Università Popolare, una benemerita istituzione culturale patavina, ad invitare Einstein nella sua risalita di ritorno a Berlino a fermarsi a Padova per una conferenza3 . Einstein accetta con entusiasmo. E’ il 27 ottobre 1921, e il giovane studente laureando in filosofia Cesare Musatti (fig. 7.13-1), come egli stesso scriverà in un articolo autobiografico, è scelto, per la sua conoscenza del tedesco, per accogliere Albert Einstein, per accompagnarlo sottobraccio per le scale all’Aula Magna dell’Università di Padova dove avrebbe tenuto la sua prolusione, che propose in italiano. La conferenza di Einstein è introdotta proprio da Ricci Curbastro e infine Einstein ha la possibiltà di esprimere tutta la sua gratitudine scientifica al grande maestro. Cesare Musatti, padre nobile della psicoanalisi italiana, sta proprio in quei giorni per presentare e discutere la sua tesi di laurea (il 3 novembre), un lavoro di grande respiro filosofico, geometrico e fisico: Geometrie non euclidee e proble3 Fonti riemerse recentemente (una lettera di Levi-Civita) inducono a pensare che l’invito di Einstein a Padova fosse un’azione congiunta con l’Accademia galileiana di scienze, lettere ed arti.
90
7
Levi-Civita
Figura 7.13 Musatti e la sua tesi di Laurea
ma della conoscenza; a distanza di un secolo, quelle centinaia di pagine sono ora finalmente pubblicate, [57], vedi fig. 7.13-2. Di quella memorabile giornata abbiamo solo la testimonianza di quel trafiletto di quotidiano riportato nella fig. 7.14. Quello fu l’unico incontro con Einstein di Gregorio Ricci Curbastro, morirà nel 1925. Tullio Levi-Civita incontrerà negli Stati Uniti ancora altre volte Einstein. Nel 1933 Levi-Civita tenne la sua prima serie di conferenze negli Stati Uniti, ospite della Brown University, dell’American Mathematical Society, dell’American Association for the Advancement of Science (e del Committee of Chicago for the
Figura 7.14 Ritaglio giornalistico dell’evento del 28 ottobre 1921
7.3 Einstein, Ricci e Levi-Civita, tra Bologna e Padova, 1921
91
Figura 7.15 Come potrebbe un conservatore . . .
Celebration of “A Century of Progress Exposition”) e dell’Università di Princeton. Levi-Civita tornò negli Stati Uniti nel 1936 per il terzo centenario dell’Università di Harvard, invitato da Einstein, tenne conferenze a Princeton e al Rice Institute, [58]. Padova è – certamente è stato – un luogo di ‘scienziati-umanisti: accanto a Musatti, ecco che poniamo ancora Levi-Civita, e a esemplificare tale sua caratteristica rinviamo alla pagina introduttiva di un suo primo lavoro del 1919 all’Università di Roma: “Come potrebbe un conservatore giungere alla soglia della nuova meccanica”, nella fig. 7.15.
92
7.4
7
Levi-Civita
Il trasporto parallelo di Levi-Civita
Dopo l’importante memoria con Ricci Curbastro [66] del 1901, Levi-Civita torna alla geometria differenziale esattamente con questo lavoro [51]: fig. 7.16. Ne riassumiamo qui, reinterpretandolo didatticamente, alcuni tratti. Sia assegnata una superficie ˙ ,! R3 , R2 U 3 .u1 ; u2 / 7! OP.u1 ; u2 / 2 R3 ;
ˇ rk d OPˇU D max.D 2/
La terna di vettori: @OP @OP @OP @u1
; ; n WD @OP 1 2
1 @u @u @u
è lin. indip. in R3 , la coppia tangente TOP ˙
@OP @u1
@OP @u2
@OP @u2
!
; @OP fornisce una base per lo spazio vettoriale @u2
Problema fondamentale: Dati (i) una curva ` W Œ0; 1 3 ! `. / D .u˛ . //j˛D1;2 2 ˙ , e (ii) un vettore V0 2 T`.0/ ˙ , qual è la ‘ragionevole curva’ Q `Q W Œ0; 1 3 ! `. / D .`. /; V . // 2 T ˙
V .0/ D V0
trasportante parallelamente V0 lungo `? Un primo ‘ingenuo’ tentativo (rem: si vuole che V n 0, cioè, V 2 T ˙ ) V . / W
V . / D V0 .V0 n/n;
Figura 7.16 Il trasporto parallelo, 1916
n D n. /
(7.1)
7.4 Il trasporto parallelo di Levi-Civita
93
Figura 7.17 Superficie ˙ e piano tangente
in altre parole, trasportiamo V0 lungo la curva ` usando la struttura euclidea affine di R3 , eliminando, punto per punto, la componente normale di V0 . Deriviamo rispetto a , VP D .V0 n/n P .V0 n/nP
(7.2)
Dato che nP n 0, moltiplicando scalarmente la (7.1) per nP otteniamo V nP D V0 n, P inserendo infine in (7.2), VP D .V n/n P .V0 n/nP
(7.3)
Problemi: i) si usa pesantemente l’ambiente R3 in cui ˙ è immersa, ii) il termine .V0 n/nP in (7.3) è definitivamente non locale. La proposta risolutiva sarà esattamente quella di trascurare quell’ultimo termine .V0 n/nP nella (7.3), cioè ritenere solamente VP D .V n/n P Questo ancora implica VP n D .V n/ P ) V n 0
d .V d
(7.4)
n/ D 0
.dato che V .0/ n.0/ D 0/
Ripartiamo, in modo da giungere infine ad una formulazione ‘intrinseca’ della condizione di trasporto parallelo, coinvolgendo puramente la metrica Riemanniana su ˙ , sebbene ereditata (pulled-back) da quella euclidea di R3 : @OP @OP
; @u˛ @uˇ @OP @OP @OP @OP V
D v˛ ˛
D v ˛ g˛ˇ D vˇ V D v˛ ˛ ; ˇ @u @u @u @uˇ
g˛ˇ D
(7.5)
94
7
Levi-Civita
La relazione a cui siamo giunti, la (7.4), ci mostra che le componenti tangenziali di VP devono essere nulle, questa semplice rilettura è importante perché evita ogni riferimento alla struttura ospite circostante a ˙ ; seguendo ora esattamente Levi Civita in [51]: @OP ; 0 D VP
@uˇ
V . / W
ˇ D 1; 2:
(7.6)
Esprimiamo per parti quest’ultima relazione, @OP d @OP d ; V
V
0D d
@uˇ d @uˇ inseriamo la rappresentazione V D v ˛ @OP , @u˛ dvˇ @OP @2 OP d ` v˛ ˛ ˇ d
@u @u… d
„@u ƒ‚
0D
dalla (7.5), g˛ˇ D
@OP @u˛
@OP , @uˇ
g˛ˇ; D
scrivendo p.e. g˛ˇ; D
@g˛ˇ , @u
@2 OP @OP @OP @2 OP
C
ˇ ˛ @u @u˛ @uˇ @u @u… „@u ƒ‚
@ OP
@u˛ @uˇ @2 OP D
@uˇ @uƒ‚ „
gˇ;˛ D g˛;ˇ
2
@OP C @u @OP C @u˛…
@OP @uˇ @OP @u
@2 OP @u˛ @u @2 OP
ˇ ˛ @u @u
pertanto, @OP @2 OP 1
ˇ D g˛ˇ; C g˛;ˇ gˇ;˛ DW Œˇ; ˛ ˛ @u @u… 2 „@u ƒ‚
(7.7)
i termini a tre indici Œˇ; ˛ sono esattamente i simboli di Christoffel del primo tipo! diventa Infine, la condizione 0 D VP @OP @uˇ 0D
dvˇ Dvˇ d ` v ˛ Œˇ; ˛ DW d
d
D
(7.8)
che è esattamente la condizione di annullamento della Derivata Covariante della funzione – in costruzione – vettore v. / in forma co-variante (indice in basso) lungo la curva assegnata `. /.
7.5 Qual è il contenuto della sua tesi di laurea “Sugli Invarianti Assoluti”?
95
Con un po’ di pazienza, riconduciamo la (7.8) alla forma, a volte più familiare, coinvolgente la derivata covariante del vettore v. / in forma contro-variante (indice in alto) e i simboli di Christoffel del secondo tipo: ˛ ˇ WD g ˛ı Œˇ; ı
e quindi anche Œ˛; ˇ D gˇ ˛
dvˇ d ` v ˛ Œˇ; ˛ d
d
d ` d 1 D .gˇ˛ v ˛ / v ˛ g˛ˇ; C g˛;ˇ gˇ;˛ ; d
2 d
d ` d` ˛ d ˛ 1 v C gˇ˛ v v ˛ g˛ˇ; C g˛;ˇ gˇ;˛ ; D gˇ˛; d
d
2 d
d ` d ˛ 1 v C v ˛ g˛ˇ; C gˇ;˛ g˛;ˇ ; D gˇ˛ d
2 d
d ˛ d ` v C v ˛ Œ˛; ˇ ; D gˇ˛ d
d
d ˛ d` v C v ˛ gˇ ˛ ; D gˇ˛ d
d
d ˛ d ` v C v gˇ˛ ˛ ; D gˇ˛ d
d
d ˛ d ` v C v ˛ : D gˇ˛ d
d
Infine, confrontando anche con la (8.28), d ` dv ˛ Dv ˛ D C v ˛ D 0: D
d
d
7.5
7.5.1
Qual è il contenuto della sua tesi di laurea “Sugli Invarianti Assoluti”? Preliminari
Per4 poter entrare nel merito dei contenuti del lavoro [47], che riassume sostanzialmente la sua tesi di Laurea, è indispensabile richiamare le nozioni di “sistema” e di “invariante assoluto di ordine ” di un sistema. Le riportiamo qui di seguito utilizzando terminologia e notazioni moderne.
4
Un’avvertenza: questa sezione andrebbe eventualmente letta dopo esser passati per il capitolo sulle nozioni essenziali di geometria differenziale.
96
7
Levi-Civita
Si considerino due insiemi ordinati di interi non-negativi m D .m1 ; : : : mp / e m0 D .m01 ; : : : mp0 0 / e un aperto ˝ Rn . Chiamiamo sistema di tipo .m; m0 / la famiglia S di tutte le .p C p 0 /-ple ordinate di campi tensoriali locali su ˝ .T1 ; : : : ; Tp ; ˛1 ; : : : ; ˛p0 / ; formate da p C p 0 campi tensoriali del seguente tipo: per ogni 1 j p, il corrispondente campo Tj è un tensore di tipo .mj ; 0/ (ovvero un tensore le cui componenti sono funzioni con mj indici controvarianti), mentre per ogni 1 r p 0 , il corrispondente campo ˛r è un tensore di tipo .0; m0r / (ovvero un tensore le cui componenti sono funzioni con m0r indici covarianti). Utilizzando una terminologia moderna, potremo anche dire che il sistema S è la classe di tutte le sezioni locali analitico reali 0
S WD f W U ! T m;m j˝ ; U ˝g
del fibrato WT
m;m0
j˝ WD
p M
T
mj
R j˝ ˚ ˝ n
p0 M
j D1
0 T mj Rn j˝ ! ˝ :
j D1 0
Qui abbiamo indicato con $ W T mj Rn ! Rn e $ 0 W T mj Rn ! Rn i fibrati di tensori reali $ W T mj Rn WD T Rn ˝Rn ˝Rn T Rn ! ˝ „ ƒ‚ … mj volte 0
$ WT
mj0
R WD T R ˝Rn ˝Rn T Rn ! ˝ : „ ƒ‚ … n
n
mj0 volte
Si osservi che su un qualunque sistema S fissato, lo pseudo-gruppo Diffloc .˝/ di tutti i diffeomorfismi locali analitico-reali ' W U ˝ ! V ˝ agisce in modo naturale. Infatti ciascun diffeomorfismo ' 2 Diffloc .˝/ manda tramite il push-forward ogni campo tensoriale su ˝ Rn in un corrispondente campo tensoriale dello stesso tipo e quindi ogni sezione locale 2 S in una ben definita sezione 0 D ' ./ 2 S. 0 Si consideri ora lo spazio J .T m:m j˝/ di tutti i jet di ordine delle sezioni 0 locali di T m;m . Si ricordi che ogni elemento di S determina in modo univoco una 0 sezione ./ del fibrato W J .T m:m / ! ˝, costituito dall’applicazione che ad ogni punto x 2 ˝ associa tutte le derivate parziali in x, fino all’ordine , delle componenti dei tensori che formano la famiglia di campi tensoriali di . Chiamiamo tale sezione ./ il sollevamento di ordine di . Si osservi che l’azione 7! ./ dei diffeomorfismi locali sul sistema S induce in modo canonico una corrispondente azione sullo spazio dei jet di ordine , ovvero l’azione definita tramite le trasformazioni ./ 7! ' . ./ / WD .' .//./ :
7.5 Qual è il contenuto della sua tesi di laurea “Sugli Invarianti Assoluti”?
97
Possiamo ora dare la seguente definizione. Chiamiamo invariante (assoluto) di ordine del sistema S qualunque funzione analitico-reale 0
I W J .T .m:m / j˝/ ! R
che verifica la seguente condizione: per ogni diffeomorfismo locale analitico-reale ' W U ˝ ! V ˝ e per ogni elemento del sistema S si ha che I . ./ .x// D I .' . ./ .x///
per ogni punto x 2 ˝ su cui entrambi i lati della uguaglianza son ben definiti. Si osservi che la suddetta condizione è equivalente ad affermare che I è invariante 0 per la naturale azione su J .T .m:m / j˝/ dello (pseudo-)gruppo 0
P Diffloc .J .T .m:m / j˝//
(7.9) 0
costituito da tutti i diffeomorfismi locali analitico-reali di J .T .m:m / j˝/ del tipo ./ 7! ' . ./ /
7.5.2
per qualche
' 2 Diffloc .M / :
Il problema e la sua relazione con la teoria del Lie
Come già indicato, la classificazione degli invarianti assoluti per alcuni importanti sistemi S era già stata affrontata da vari matematici, quali Gauss, Ricci Curbastro, Somigliana, con importanti conseguenze in ambito geometrico. Tuttavia, nella sua forma generale (cioè senza particolari ipotesi restrittive su S) si può osservare che tale problema di classificazione può essere considerato come una forma speciale dei problemi affrontati nella teoria sviluppata da Sophus Lie. La teoria del Lie permette infatti di affrontare la classificazione di tutte le funzioni analitico-reali di un qualunque spazio di jet J .N jM / di applicazioni fra due varietà analitico-reali M ed N che risultino invarianti rispetto all’azione di uno pseudo-gruppo di Lie G Diff.M / Diff.N / assegnato. Uno dei principali risultati del Lie a riguardo consiste appunto nella dimostrazione che le funzioni analitico-reali su M , che sono invarianti per uno pseudo-gruppo di Lie G, sono tutte e sole le soluzioni di un opportuno sistema di equazioni differenziali lineari ed omogenee. Risulta poi che tale sistema ammette soluzioni non banali ogni qualvolta la dimensione di M N è strettamente maggiore al rango di tale sistema di equazioni lineari ed omogenee.
98
7
Levi-Civita
I principali risultati possono essere sintetizzati come segue: (1) Per prima cosa, viene determinato in modo esplicito il sistema di equazioni lineari ed omogenee (la cui esistenza è garantita dal risultato del Lie) che caratterizza gli invarianti assoluti di un arbitrario sistema S (vedi pp. 1453–1463 e in particolare la formula (18) di [47]); (2) Viene poi rielaborata l’espressione trovata per tali equazioni al fine di determi0 nare una base esplicita per l’algebra dei campi vett. su J .T .m:m / j˝/, che generano i diffeomorfismi locali dello pseudo-gruppo (7.9) (vedi pp. 1405– 1490). (3) Si dimostra l’esistenza di una famiglia di invarianti (detti invarianti principali), che sono (a) fra loro funzionalmente indipendenti, (b) ciascuno di loro è una funzione razionale ed omogenea rispetto alle componenti dei campi tensoriali del sistema e delle loro derivate, (c) ogni altro invariante assoluto è funzione analitico-reale di questi invarianti principali (vedi Teorema I a p. 1506). (4) Nella parte conclusiva, si considera una generalizzazione della suddetta nozione di “sistema”, rilassando la richiesta che le .p C p 0 /-ple ordinate .T1 ; : : : ; Tp ; ˛1 ; : : : ; ˛p0 / siano costituite da campi tensoriali e ammettendo invece che alcuni dei campi ˛i possono anche essere delle “densità” tensoriali (ovvero nelle cui leggi di trasformazioni delle componenti compaiono anche i determinanti degli Jacobiani dei cambi di coordinate). Si dimostra che i risultati in (1)–(3) si estendono facilmente al caso di tali sistemi generalizzati, fornendo risultati analoghi sugli invarianti che possono dipendere non solo da campi tensoriali ma anche da opportuni integrali di campi tensoriali covarianti. Gli obbiettivi raggiunti possono essere considerati come completamenti e generalizzazioni di precedenti risultati di Ricci Curbastro, il quale però si era fino a quel momento limitato allo studio di sistemi includenti, fra i campi tensoriali, una metrica Riemanniana g D grs dx r ˝ dx s . È da sottolineare che invece, in questo lavoro, l’ipotesi della presenza di tale metrica Riemanniana è completamente eliminata. Questi risultati costituirono un decisivo avanzamento nello studio degli invarianti dei sistemi di tensori.
Capitolo 8
Tracce di geometria differenziale
8.1
Un cenno sui Tensori
Daremo per nota la definizione di varietà differenziale Q, del suo fibrato tangente TQ e cotangente T Q. E così pure le mappe di transizione per le rappresentazioni dei vettori per diverse scelte di carte compatibili su Q (x.x/ N D ı 1 .x/): ( j X i mediante le coordinate x D .q/ N j D @xN X i v 2 Tq Q W ) X j @x i XN mediante le coordinate xN D .q/ Ne segue immediatamente, sulla base dell’invarianza della valutazione di forme (‘vettori covarianti’) su vettori (‘vettori controvarianti’), la legge di trasformazione delle forme: ( @xi pi mediante le coordinate x D .q/ pi 2 Tq Q W ) pNj D @xN j pNj mediante le coordinate xN D .q/ h; vi D pi X i D pNj XN j ;
J WD
@xN ; @x
XN D J X;
pN D J T p :
Consideriamo un R-spazio vettoriale V e generici prodotti tensoriali tra esso e il suo duale V , per fissati v 2 V; p 2 V ; 2-lineare v ˝ p W V V ! R; .p; N u/ N 7! .v ˝ p/.p; N u/ N WD p.v/ N p.u/ N : A questo punto, data una base fei gi D1;:::;dimV per V e la correlata base duale per V , j j fei gi D1;:::;dimV ; e .ei / D ıi , indicheremo con V ˝ V WD R-spanfei ˝ ej ; i; j D 1; : : : ; dimV g Così analogamente per V ˝ V , V ˝ V , ecc. L’estensione a più fattori, V ˝ V ˝ ˝ V ˝ V appare naturale, ottenendo così mappe multi-lineari. © The Author(s), under exclusive license to Springer-Verlag Italia S.r.l., part of Springer Nature 2023 F. Cardin, Il concetto di curvatura, La Matematica per il 3+2 146, https://doi.org/10.1007/978-88-470-4024-3_8
99
100
8 Tracce di geometria differenziale
Il passaggio successivo consiste nell’identificare V con Tq Q, lo spazio tangente nel generico q 2 Q di una varietà Q. Con giusta attenzione, gli insiemi [
Tq Q ˝ : : : ˝ Tq Q ˝ Tq Q ˝ : : : ˝ Tq Q ƒ‚ … ƒ‚ … „ „ q2Q h-volte
k-volte
si dimostrano essere varietà, essenzialmente con tecniche analoghe a quelle usate per verificare che TQ e T Q sono varietà (atlante fibrato, cambio di carte). Scriveremo dunque T Q ˝ ˝ T Q ˝ TQ ˝ ˝ TQ ; si verificherà essere un fibrato su Q: W T Q ˝ ˝ TQ ! Q e se ne considereranno le sezioni1 : U W Q ! T Q ˝ ˝ TQ;
ı U D idQ :
La legge di variazione delle rappresentazioni per cambio di carte di tali sezioni U è data da 0
0
@q j1 @q jh @qN i1 @qN ik i 0 :::i 0 i :::i UNj 10 :::jk0 .q/ N D Uj11:::jkh .q.q// N N : : : j 0 .q/ N .q.q// N : : : i .q.q// N : (8.1) 0 .q/ i j 1 h @q 1 @q k @qN 1 @qN h Osservazione In sostanza: Ogni indice che proviene da un fattore tensoriale TQ, vettoriale o controvariante (storicamente, si scrivono in ‘alto’), si trasforma come i campi vettoriali: con lo Jacobiano del cambio di carta; ogni indice che proviene da un fattore tensoriale T Q, duale o covariante (si scrivono in ‘basso’), si trasforma come le forme differenziali: con l’inverso trasposto dello Jacobiano del cambio di carta. i :::i Le funzioni q 7! Uj11:::jkh .q/ si dicono componenti di un tensore2 k-controvariante e h-covariante. Questa generale, definitiva, costruzione è una dei capisaldi della ‘rivoluzione’ introdotta da Ricci Curbastro. 1 Ricordiamo che le sezioni del fibrato tangente TQ ! Q sono i campi vettoriali, mentre le sezioni del fibrato cotangente T Q ! Q sono le forme differenziali. 2 Dall’enciclopedia Treccani: La nozione di grandezza tensoriale nel suo significato attuale e il nome stesso di “tensore” sono dovuti a W. Voigt, che alla considerazione di tali enti fu condotto dalle sue ricerche sui cristalli in meccanica dei continui (1898) si veda [80], p. 20: “Vogliamo quindi che [la nostra presentazione] sia basata solo [nell’assunzione che] condizioni del tipo descritto si verificano durante sollecitazioni e deformazioni di corpi non rigidi, e quindi le chiamiamo “tensoriali”, pertanto chiamiamo le grandezze fisiche caratteristiche per esse “tensori”. Il termine ‘calcolo tensoriale’ fu invece introdotto da Einstein (1916), si veda [45], p. 1309.
8.2 Parentesi di Lie
101
Esempio (fondamentale) Le sezioni di T Q ˝ T Q ! Q, simmetriche e definite positive (verificare che queste due proprietà sono indipendenti dalle carte), sono dette Metriche Riemanniane. Una metrica Riemanniana mette in dualità T Q con TQ, [ W TQ ! T Q
morfismo bemolle: abbassa gli indici,
v 7! p. / WD g.v; /; v i 7! pj D gj k v k ; ] W T Q ! TQ morfismo diesis: alza gli indici, pj 7! v i W
p 7! v W p. / D g.v; / ;
pj D gj k v k :
Dato che g è non degenere, resta ben definita una forma bilineare simmetrica e definita positiva g .1/ , sezione di TQ ˝ TQ ! Q, g .1/ .p; p 0 / D g.].p/; ].p 0 // ;
g .1/ ij W
g .1/ ij gj k D ıki :
Nel seguito non scriveremo l’esponente .1/, sarà sempre chiaro dal contesto (dalla collocazione in basso o in alto degli indici) se si tratterà di g oppure di g .1/ . Qual è il significato di una metrica Riemanniana su di una varietà? È, punto per punto, un prodotto scalare non degenere in ogni Tq Q, misura i vettori degli spazi tangenti Tq Q, introduce norme nei Tq Q, che dipendendo con regolarità da q 2 Q, .q; q/ P 2 TQ;
8.2
kqk P 2q WD g.q/.q; P q/ P D g.q/ij qP i qP j 2 R :
Parentesi di Lie
Dato un diffeomorfismo tra due varietà 'W M ! N , la mappa lineare che sposta vettori da Tm M in T'.m/ N e che approssima ' al primo ordine è esattamente il differenziale di ' costruito in m: D'.m/ W Tm M ! T'.m/ N La collezione di tutte queste mappe al variare di m in M , usualmente, invece di denotarla D', la si indica: T ', mappa tangente: TM
T'
M
M
TN N
'
N
dove naturalmente M e N sono la mappe proiezione dei due fibrati tangenti. Vogliamo definire la derivata di Lie di un campo vettoriale Y W M ! TM rispetto ad un altro campo vettoriale X W M ! TM , in altre parole, si vorrebbe definire come
102
8 Tracce di geometria differenziale
varia Y lungo (il flusso di) X. Indichiamo con ˚Xt W M ! M il flusso di X. La derivata che un po’ alla volta emergerà dovrà in ogni caso essere il limite di un rapporto incrementale di oggetti costruiti sopra lo stesso spazio vettoriale tangente. Notiamo preliminarmente che Tm M
.T ˚Xt /1
t T˚X.m/ M;
pertanto il corretto rapporto incrementale, tutto sopra lo stesso Tm M , è .T ˚Xt /1 Y..˚Xt /.m// Y.m/ t Siamo pronti a dare una ‘buona’ definizione di derivata di Lie di Y rispetto a X, ricordiamo anche dalle proprietà del flusso .˚Xt /1 D ˚Xt , ˇ .T ˚Xt /1 Y..˚Xt /.m// Y.m/ d D T ˚Xt Y .˚Xt /.m/ ˇ t D0 t !0 t dt
LX Y.m/ D lim
In carte locali, x D '.m/, si ha che .˚Xt /1 .x/ D ˚Xt .x/ D x X.x/t C : : : ; otteniamo infine ˇ d i @X i .ıj j .x/t C : : : /Y j .x C X.x/t C : : : / ˇ t D0 dt @x @X i @Y i D j .x/Y j .x/ C j .x/X j .x/ D .LY X/i D ŒX; Y i @x @x
.LX Y /i .x/ D
dove il campo vettoriale ŒX; Y è detto parentesi di Lie dei campi X e Y . Si richiama qui di seguito il teorema fondamentale che rappresenta il contenuto dinamico delle parentesi di Lie di due campi vettoriali. Teorema ŒX; Y D 0 ” ˚Xt ı ˚Ys D ˚Ys ı ˚Xt :
8.3
(8.2)
Distribuzioni, foliazioni, Frobenius
(Definizione di) Distribuzione Una Distribuzione TM è un sotto-fibrato lineare di M W TM ! M di dimensione k < n= dim M , in altri termini, per ogni x 2 M , resta definito un sotto-spazio: x Tx M
(8.3)
8.3 Distribuzioni, foliazioni, Frobenius
103
Sia fX.˛/ g˛D1;:::;k un insieme di campi vettoriale generanti . La distribuzione è detta involutiva, se Œ;
(8.4)
più precisamente, usando i campi vettoriali fX.˛/ g˛D1;:::;k , se esistono mappe M 3 x 7! c˛ ˇ .x/ 2 R; ˛; ˇ; D 1; : : : k, tali che ŒX.˛/ ; X.ˇ/ D
k X
c˛ ˇ X./
(8.5)
D1 ˇ
Se mediante funzioni matriciali non degeneri M 3 x 7! C˛ .x/ 2 R, modifichiamo la descrizione di , XN .˛/ D
k X
C˛ˇ X.ˇ/
(8.6)
ˇD1
allora la relazione (8.5) vale ancora: questo mostra che (8.4) è una ‘buona’ definizione, cioè indipendente dall’insieme dei vettori generanti . (Esercizio: mostrare questo fatto). Il seguente Lemma è preparatorio al Teorema di Frobenius. Lemma Sia una distribuzione involutiva Œ; . Allora esiste un insieme di campi di vettori 3 fY˛ g˛D1;:::;k generanti tali che ŒY˛ ; Yˇ D 0
(8.7)
(Definizione di) Foliazione Diremo che in M è definita una foliazione kdimensionale se per ogni x 2 M , esiste (i) una vicinanza aperta Ux M di x e (ii) una collezione di sottovarietà connesse k-dimensionali riempienti Ux , f˙a ; a 2 Ix Rnk g ;
Ux D
[
˙a ;
a2Ix
tali che (iii) per ogni punto y 2 Ux esiste esattamente una ˙a.y/ per y e (iv) a ¤ a0 se e solo se ˙a \ ˙a0 D ;. (v) Le sottovarietà di cui sopra in .i i/ sono dette ‘placche’ e sono, con regolarità, incollate una all’altra con le placche relative ad altri UxN ; ogni insieme di tali placche incollate compone una ‘foglia’, che è una varietà immersa in M . 3
Nel seguito scriveremo semplicemente X˛ invece di X.˛/ .
104
8 Tracce di geometria differenziale
Osservazione La definizione ora data è decisamente locale. Potrebbe infatti capitare il seguente fenomeno: due differenti placche ˙a e ˙a0 in Ux potrebbero essere con regolarità estese all’intera M e, alla fine, essere la stessa varietà immersa ˙ , detta ‘foglia’, ma tale che ˙ \ Ux D ˙a [˙a0 . Teorema di Frobenius4 Una distribuzione k-dimensionale in M è involutiva se e solo se è integrabile, cioè, esiste una foliazione k-dimensionale in M tale che, per ogni x 2 M , x D Tx ˙a.x/ :
8.4
(8.8)
Fibrati
Richiamiamo la definizione di fibrazione. Si consideri una mappa tra le due varietà P e B, W P ! B
(8.9)
con dim P > dim B, diremo che è una fibrazione se: (i) è suriettiva; (ii) rk.Df .x// D dim B; 8x 2 P . in tal caso 1 .y/, 8y 2 B, è una sottovarietà Py di P , che chiameremo fibra di (sopra) y. Diremo sezione di una fibrazione W P ! B ogni funzione W B ! P tale che ı D idB , (8.10) P B idB
B Usualmente si assume che tutte le fibre siano diffeomorfe ad una fibra tipo F : (iii) 8b 2 B; 9U D UV 3 b W 1 .U / ' U F dove ' significa ‘diffeomorfo’. Quest’ultima proprietà è detta di ‘locale banalizzazione’. Quando (i), (ii), (iii) valgono, diciamo che W P ! B è un fibrato (fiber bundle). Quando F è uno spazio vettoriale, avremo un fibrato vettoriale (vector fiber bundle), e se F è un gruppo, un fibrato principale (principal fiber bundle). Un fibrato vettoriale è globalmente banale, cioè P 'B F ; 4
(8.11)
Nonstante il nome, Ferdinand Georg Frobenius, assegnato a questo teorema, sembra che sia stato provato per la prima volta da Alfred Clebsch and Feodor Deahna.
8.5 Connessioni sui Fibrati
105
se e solo se esistono k D dimF sezioni a , a W B ! P , a D 1; : : : ; k linearmente indipendenti. Infatti, F ' Rk e il diffeomorfismo è dato da .b; .v a /jaD1;:::;k / 2 B Rk !
k X
v a a .b/ 2 P
(8.12)
aD1
8.5
Connessioni sui Fibrati
Dato un fibrato W P ! B; T W TP ! TB dim P D n C k; dim B D n c’è un unico sotto-fibrato verticale V WD ker.T / TP 1
Vp D Tp ..p//;
(8.13)
1
..p// ' F ;
esso è composto dai vettori tangenti alle fibre. Usando coordinate adattate, W .x i ; z a / 7! x i T.x;z/ W .X i ; Z a / 7! X i ;
ker.T.x;z/ / D f.0; Z a /g :
Ma non c’è un modo canonico per definire ‘il’ sotto-fibrato supplementare di TP . Una connessione5 per è una dim B-distribuzione H TP , detta orizzontale, tale che, per ogni p 2 P , Vp ˚ Hp D Tp P
(8.14)
e, per ogni p 2 P , c’è un isomorfismo p W Hp Tp P ! T.p/ B
(8.15)
Ancora usando le coordinate, rappresentiamo localmente p 2 P mediante p D .x i ; z a /; i D 1; : : : ; n D dim B; a D 1; : : : ; k D dim P n;
(8.16)
stabilendo una locale banalizzazione di una vicinanza aperta di p 2 P mediante il prodotto di una vicinanza aperta di x D .p/ 2 B per una vicinanza aperta della fibra verticale per p. Se i seguenti n campi vettoriali indipendenti DO .j / D aji @x@ i C bja @z@a 5
Nel senso di Ehresmann,1950.
106
8 Tracce di geometria differenziale
sono generanti H , sulla base dell’isomorfismo , possiamo stabilire che det aji ¤ 0, j cosicché la distribuzione H è generata dai campi vettoriali D.i / D .a1 / DO .j / , i
D.i / D
@ @ C i a .x; z/ a i @x @z
(8.17)
e l’isomorfismo è semplicemente espresso da p W VQ D VQ i D.i / D VQ i
8.5.1
@ @ C i a .x; z/ a @x i @z
7! V D VQ j
@ : @x j
(8.18)
Piattezza di una connessione
Consideriamo le mutue parentesi di Lie degli n campi vettoriali D.i / , otteniamo così vettori che notiamo essere verticali: @ @ a @ b @ ŒD.i /; D.j / D C C i j @x i @z a @x j @z b @ @ a @ b @ C C j i @x j @z a @x i @z b ! b @j b @i b @ @j b @ a a @i j C D Rijb b D i a a i j b @z @z @x @x @z @z Diremo che la connessione è piatta (flat), o integrabile, se e solo se i coefficienti di curvatura6 della connessione sono nulli: Rijb WD i a
8.5.2
@j b @z a
j a
@j b @i b @i b C D 0: @z a @x i @x j
(8.19)
Rialzamento (lift) orizzontale di campi vettoriali
Usando l’inverso degli isomorfismi p , dato un campo vettoriale X.x/ D X i .x/ @x@ i su B, X W B ! TB, costruiamo il campo vettoriale rialzato orizzontale XQ W P ! TP , P 3 p 7! XQ .p/ WD p1 X..p// 2 Hp Tp P @ @ a Q .x; z/ 7! X.x; z/ WD X i .x/ C .x; z/ i @x i @z a 6
(8.20)
Ecco dunque una definizione ‘nuova’, apparentemente disgiunta dalle storiche che scendono da Gauss e Riemann, ma che si intreccerà definitivamente con esse.
8.5 Connessioni sui Fibrati
107
e resta vero il seguente diagramma commutativo: P
XQ
T
B
8.5.3
TP
X
TB
Rialzamento orizzontale di una curva e dei suoi vettori tangenti: Transporto Parallelo
Assegnata una curva . / nella base B del nostro fibrato W P ! B, W Œ0; 1 ! B; consideriamone la sua curva rialzata Q W Œ0; 1 ! P partente da un generico p 2 1 ..0//: d Q 1 d ; . / D . / . / 2 H. / Q Q d
d
.0/ Q D p;
.. // Q D . / : (8.21)
Mediante l’uso esplicito delle coordinate, data W Œ0; 1 3 7! x i . / 2 B, capiamo che l’esistenza della curva rialzata Q D .x; z/ D .; z/, Œ0; 1 3 7!
d Q dz a @ dx i @ C D d
d @x i d @z a i @ dx @ a D C i .x. /; z. // a ; . / d
@x i @z
poggia sulla soluzione della o.d.e. ‘dipendente dal tempo’ dx i dz a . / D i a .x. /; z. // . / d
d
.x.0/; z.0// D p
(8.22)
Diremo che z. / rappresenta il trasportato parallelo di z0 , .x0 ; z0 / 2 P , lungo x. / 2 B.
8.5.4
Olonomia
Consideriamo una curva chiusa (loop) in B, .0/ D .1/. Può accadere che .1/ Q ¤ .0/; Q
(8.23)
108
8 Tracce di geometria differenziale
Figura 8.1 Fibrato, connessione, olonomia
vertical direction
horizontal directions
bundle
geometric phase
bundle projection
base space
questo fenomeno è detto olonomia. Supponiamo che la connessione sia piatta. Se il loop è contraibile , allora si può mostrare che .1/ Q D .0/ Q e la medesima proprietà di contrattibilità vale per , Q in altre parole, la cosiddetta olonomia ristretta è banale; ma per loop generici si possono trovare esempi di connessioni piatte tali che ancora vale (8.23); per esempio: W R ! S1 ; F D Z. Quando le foglie della foliazione sono semplicemente connesse l’olonomia globale è banale.
8.6
Connessioni lineari: distribuzioni sui fibrati
In questo caso, che rappresenta tipicamente la situazione in cui le fibre di sono spazi vettoriali, si pone usualmente (occhio al segno ‘meno’): ia .x; z/ D iab .x/z b
8.6.1
(8.24)
Il caso del Fibrato Tangente D B W P D TB ! B
Abbiamo B W TB ! B .x i ; v j / 7! x i
(8.25)
Data una curva su B, Œ0; 1 3 7! x. / 2 B
Œ0; 1 3 7!
dx . / 2 Tx. / B d
8.6 Connessioni: distribuzioni
109
il trasporto parallelo di v0 D v.0/ 2 Tx.0/ B lungo essa su TB è dato da ( Œ0; 1 3 7! . / Q D
x D x. / v D v. / ;
(8.26)
dove dx dv d Q . / D x. /; v. /I . /; . / 2 Tx. /;v. / TB . /I Q d
d
d
Usando le coordinate, W Œ0; 1 3 7! x i . / 2 B, ben si comprende che l’esistenza della curva rialzata Q D .x; v/, Œ0; 1 3 7!
d Q dv j @ dx i @ C D i d
d @x d @v j i @ dx @ j k D i k .x. //v . / j ; . / d
@x i @v
(8.27)
poggia sulla soluzione dell’o.d.e. lineare e ‘dipendente dal tempo’ dx i dv j j . / D i k .x. // . /v k . / ; d
d
.x.0/; v.0// 2 TB :
(8.28)
Diremo dunque che v. / è il trasportato parallelo di v0 2 Tx.0/ B lungo x. /.
8.6.2
Curve auto-parallele
Qui intendiamo trovare le curve su B, 7! x. /, per cui (vedi (8.26)) si richiede anche che 8