Il concetto di umanità 9791259841926


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Il concetto di umanità
 9791259841926

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I classici di sociologia

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Max Horkheimer

IL CONCETTO DI UMANITÀ a cura di Davide Ruggieri

ARMANDO EDITORE

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ISBN: 979-12-5984-192-6 Tutti i diritti riservati – All rights reserved Copyright © 2022 Armando Armando s.r.l. Via Leon Pancaldo 26, Roma. www.armandoeditore.it [email protected] – 06/5894520 Titolo originale M.Horkheimer, Was ist Mensch? Zum Begriff des Menschen heute, (10/10/1965), SWR - Südwestrundfunk Redaktion. Traduzione italiana e curatela di Davide Ruggieri

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Sommario Introduzione di Davide Ruggeri Bibliografia Max Horkheimer IL CONCETTO DI UMANITÀ

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Introduzione 1. Max Horkheimer sul concetto di umanità: il contesto Il testo Il concetto di umanità, qui presentato per la prima volta in traduzione italiana, è un intervento radiofonico che il filosofo e sociologo tedesco Max Horkheimer (1895-1973) ha tenuto nel 1965 per la SWR - Südwestrundfunk Redaktion con il titolo Was ist Mensch? Zum Begriff des Menschen heute. Il presente volume è un pretesto editoriale per rimettere al centro della scena (se mai se ne fosse realmente allontanato) uno dei più grandi protagonisti del panorama socio-filosofico del Novecento. A Max Horkheimer si lega indissolubilmente la storia della Scuola di Francoforte e della Teoria critica, che a lui dovette molto (se non tutto) in un lungo e drammatico lasso di tempo collocabile tra il 1931 e il 1953 (quello cioè del suo incarico formale come Direttore 7 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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Introduzione

dell’Institut für Sozialforschung). L’importanza del testo qui presentato non sta soltanto nel tema, a primo sguardo inusuale rispetto alle grandi indagini legate al nome di Horkheimer (tra queste spiccano la questione epistemologica della filosofia sociale, le indagini sulla modernità, la fondazione della Teoria critica in sociologia, gli studi sull’autorità, le grandi questioni sul rapporto tra cultura, religione e società ecc.). Was ist Mensch? è un’indagine-chiave perché si colloca in una fase mediana della riflessione horkheimeriana; giunge, cioè, in un periodo di maturazione intellettuale, ma anche all’interno della cornice di una svolta del suo iter bio-bibliografico. Non si tratta, difatti, di un intervento isolato su questo tema. Horkheimer aveva tenuto in quel periodo diverse conferenze sul concetto dell’uomo: nel decennio che precede l’edizione radiofonica presentata in questo volume, è possibile trovare titoli come “Zur Idee des Menschen” [Sull’idea di uomo] (1956)1 e “Zum Begriff des Menschen 1 Il testo di questo intervento radiofonico, trasmesso in data 11/10/1956 sulla Hessischer Rundfunk, poi confluito nel volume Wesen und Wirklichkeit des Menschen. Festschrift für H.Plessner, hrsg. von K.Ziegler, Vandenhoeck&Ruprecht, Göttingen 1957, si trova ora in M.Horkheimer, Zum Begriff des Menschen, in Gesammelte Schriften, Bd. 7 “Vorträge und Aufzeichnungen”, Fischer, Frankfurt 1988, pp. 55-80.

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heute” [Sul concetto di uomo oggi] (1958)2. L’intervento radiofonico del 1965, oggetto del presente volume, è una lettura di questo ultimo saggio menzionato, che Horkheimer aveva dato alle stampe nel 1959 per il libro collettaneo dal titolo emblematico Das ist der Mensch. Beiträge der Wissenschaft zum Selbstverständnis des Menschen3. Il periodo in cui si colloca questo scritto è caratterizzato, come testimoniano le attività e le collocazioni editoriali di questi interventi, da un (nuovo) interessamento di Horkheimer per l’antropologia4 e per le questioni che nascevano e si sviluppavano intorno ai maggiori referenti intellettuali tedeschi del settore. È di questo periodo (primi anni Cinquanta) peraltro la chiamata di Helmuth Plessner, da parte di Adorno e Horkheimer, a partecipare alle attività di ricerca del 2 Si veda M.Horkheimer, Gesammelte Schriften, Bd. 19 “Nachträge, Verzeichnisse und Register”, Fischer, Frankfurt 1996, pp. 206-209. 3 M. Horkheimer, Zum Begriff des Menschen heute, in Das ist der Mensch. Beitraege der Wissenschaft zum Selbstverstaendnis des Menschen, Alfred Kroener Verlag, Stuttgart 1959, pp. 7-20. 4 L’attenzione riservata da Horkheimer alla nascita e allo sviluppo dell’antropologia filosofica è testimoniata da un intervento diretto che egli dedicò al tema già nel 1935: Bemerkungen zur philosophische Anthropologie viene ospitato sulla «Zeitschrift für Sozialforschung», organo ufficiale di divulgazione degli studi e delle ricerche dell’Istituto. Non è possibile approfondire in questa sede la questione del rapporto tra la Teoria critica e l’antropologia filosofica.

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Introduzione

neonato Institut für Sozialforschung dopo la cosiddetta Remigration (Wiggershaus 1992: 474 e ss.). A partire dagli anni ’50 Horkheimer aveva cominciato a intrattenere anche rapporti diretti con Arthur Hübscher, longevo presidente della Schopenhauer-Gesellschaft dai trascorsi filo-nazisti (si veda Ciracì 2010). Ne nacque una profonda stima reciproca che portò ad una lunga collaborazione5. Sullo sfondo di questo confronto ideale con il mondo di Schopenhauer, vecchia passione di Horkheimer – e di diversi intellettuali di spicco dell’antropologia filosofica tedesca quali Scheler6, Plessner e Gehlen –, nasce una curvatura nelle pubblicazioni del francofortese che risentono di un Kulturpessimismus che investe in primis la natura stessa dell’uomo. Il tema del Kulturpessimismus (talvolta riportato come Krisis der Kultur7) non 5 Su questo tema rimando a D.Ruggieri, Schopenhauer’s legacy and Critical Theory. Reflections on Max Horkheimer’s unpublished archive material, in «Schopenhauer-Jahrbuch», 96/2015, pp. 93108. 6 L’Università di Francoforte, com’è noto, offrì nel 1928 una cattedra di filosofia e sociologia a Max Scheler che in quel periodo aveva raggiunto l’apice della sua fama. 7 C’è un famoso saggio simmeliano che si intitola emblematicamente Krisis der Kultur (1916). In quella sede Simmel aveva ripercorso le riflessioni legate alla celebre locuzione della “tragedia della cultura”, ovvero a quella incapacità – tipica dello spirito moderno – di riconciliare e riabbracciare i prodotti culturali (arte, scienza, morale, religione ecc.) che pur da una matrice

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è affatto secondario. Oltre ad essere una potente categoria interpretativa di un’epoca (Belardinelli 1993; Lichtblau 1996) e il tratto caratteristico di una lunga lista di autori che nella Germania già d’inizio secolo aveva contribuito a fornire una visione pessimistica e decadente del mondo moderno8, il tema è davvero molto caro al nostro Autore. Non a caso la forte ascendenza del pensiero schopenhaueriano su Horkheimer gli fece guadagnare una locuzione bizzarra, ma calzante della sua teoria sociale: “Schopenhauer-Marxismus” (Wiggershaus 1998: 57). È da sottolineare che proprio in relazione all’ispirazione di questi due autori, Schopenhauer e Marx (i cui due ritratti erano appesi nello studio francofortese di Horkheimer), gli anni Cinquanta rappresentano uno spartiacque nella sua produzione intellettuale: se i primi contributi fino a quell’epoca erano stati caratterizzati da un confronto diretto e da un ancoraggio teorico “soggettiva” erano stati generati. In altri termini, Simmel sostiene che il progresso tecnologico non necessariamente produce un miglioramento culturale. Questo tipo di interpretazione in molti autori dell’inizio del XX secolo (Spengler, Weber, Ortega y Gasset, per fare alcuni nomi) si è concretizzata come una vera e propria “cultura della crisi”, che ha visto irrimediabilmente contrapporsi tra loro Kultur e Zivilisation (Belardinelli 2009: 98). 8 Proprio negli anni Cinquanta e Sessanta, il sociologo tedesco René König amava definire, in modo non dissimile, la sociologia come “scienza della crisi”.

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Introduzione

(e pratico) a Karl Marx (non si dimentichi la matrice ideologia che aleggiava sull’Institut für Sozialforschung fin dalla sua fondazione), dopo il rientro dalla parentesi americana – ma sarebbe bene dire anche durante – la posizione di Horkheimer (soprattutto rispetto ad Adorno o Marcuse) fu molto meno esplicita nei confronti di Marx e certamente più aperta a Schopenhauer. Il rientro in Germania dal punto di vista istituzionale della Scuola di Francoforte fu un’operazione complessa che proprio Horkheimer ebbe il merito di valutare e mettere in opera. La complessità e delicatezza di questa operazione consisteva nel fatto che degli intellettuali “marxisti”, che già durante la parentesi americana avevano trattato cautamente la questione marxiana, facessero ritorno nella parte della Germania post-bellica forse meno adatta alla loro originaria vocazione. La Repubblica federale tedesca non ebbe particolari riserve nel mediare il rientro degli autori espatriati – anche perché nel frattempo avevano guadagnato grande rispetto con la pubblicazione di Minima moralia (1951) di Adorno e Dialektik der Aufklärung (1947) a cura di Horkheimer e Adorno. La carica rivoluzionaria che guidava gli scritti e lo “spirito” dei contributi degli anni Trenta (in primis l’attacco al sistema capitalistico, alla classe 12

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borghese e alle varie declinazioni del fascismo) lasciava spazio ad una involuzione teorica che puntava il dito contro la (tecno)scienza e in generale contro qualsiasi atteggiamento “positivista”, o che al massimo poneva – come nel caso di Adorno – la decostruzione del soggetto moderno o la costruzione di una dialettica negativa al centro della speculazione filosofico-sociale. E allora, quando si legge Horkheimer sostenere la seguente affermazione nel testo qui presentato: “La cultura delle classi agiate, che era alla base della disuguaglianza, deve oggi farsi carico delle esigenze della società di massa, che dai paesi industrializzati si è estesa a tutto il mondo” (infra), si fa un balzo sulla sedia, se si pensa a quanto queste parole siano vicine alle posizioni di quel giovane Jürgen Habermas che proprio negli anni della trasmissione radiofonica cominciava a emergere come giovane futura promessa della Scuola di Francoforte. Com’è noto, la figura di Habermas – dal punto di vista accademico – fu in qualche modo osteggiata da Horkheimer, proprio a partire dagli anni Cinquanta, sebbene fosse considerato da Adorno un astro nascente nel panorama degli intellettuali della Teoria critica. Questo per svariate ragioni. Sicuramente la svolta di Habermas verso un’elaborazione teorica “forte” (anche 13

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dal punto di vista epistemologico) della Teoria critica – operazione che strizzava l’occhio, tra gli altri, ad autori come Schelsky e Gehlen, che per ovvie ragioni erano stati criticati dai maestri Horkheimer e Adorno – non passò inosservata. La volontà di Habermas, in seconda istanza, di elaborare un sistema di pensiero che potesse tenere insieme l’originaria missione “critica” della Scuola di Francoforte con una “teoria democratica” – in una Repubblica federale dove peraltro si era affamati di conquistare un’identità politico-nazionale e sociale evidentemente lacerate – fu, col senno di poi, una scelta vincente9. Habermas aveva poi lasciato uno spiraglio di discussione con i principali interlocutori della scienza e della teoria sulla scienza senza particolari posizioni preconcette (si pensi al veto horkheimeriano su pragmatismo, filosofia analitica in genere e ad ogni epistemoloÈ abbastanza noto come lo spirito “riformista” moderato di Habermas si caratterizzò lungo tutto il suo iter intellettuale anche nella fase più delicata della Teoria Critica (mi riferisco alla fine degli anni ’60), quando cioè, proprio nel pieno fermento della contestazione studentesca in Europa (e in particolar modo in Germania), Habermas ebbe modo di ribadire la sua posizione sostanzialmente socialdemocratica, dissociandosi un po’ dai francofortesi di prima generazione, in particolar modo da Marcuse – che ormai aveva intrapreso in America, già da un decennio tutt’un altro percorso (contestatario e rivoluzionario), anche in forza delle diffidenze che Adorno nutriva nei suoi confronti agli occhi di Horkheimer (cfr. Wiggershaus 1992) . 9

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gia, in forza di quella ostentata contrapposizione a qualsiasi dogma positivista)10. D’altra parte, tornando a Horkheimer, si può facilmente intuire che la sua posizione teorica dovesse risultare più “addomesticata” di quella professata circa vent’anni prima, quando la lente hegelo-marxiana era l’unica fonte di analisi possibile dei processi sociali, culturali e quindi anche politici. Le mire messianico-utopistiche degli scritti programmatici e sperimentali degli anni Trenta avevano lasciato spazio, come accennato poco sopra, a una riflessione critica (e pessimistica) sulla società tecnocratica di massa (si pensi già ai toni di Eclipse of reason o a Dialektik der Aufklärung del 1947). Gli esiti della Teoria critica confluirono in una sorta di “misticismo sociologico” (e la connessa speranza nel totalmente Altro, come recita il titolo di una celebre intervista-testamento che Horkheimer rilasciò poco prima di morire). Horkheimer era riuscito, non senza sacrifici, a far riaprire l’Institut für Sozialforschung a Francoforte il 14 novembre 1951 e pochi giorni dopo era già impegnato nella prolusione rettorale (20 novembre 1951) presso l’Università di Francoforte, 10 Sul rapporto tra Horkheimer e Habermas rimando allo studio analitico e all’ottima ricostruzione di Wiggershaus: R.Wiggershaus, La Scuola di Francoforte, cit. pp. 555 e ss.

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Introduzione

che era stato costretto ad abbandonare nel 1934. E questi sforzi non dovevano risultare vani. Il ritorno nella Germania Federale era un passaggio molto delicato, mediato da una serie di riflessioni ponderate che sia Horkheimer che Adorno avevano condiviso lungamente. Come durante la parentesi americana, anche in questa nuova fase dell’Istituto sarebbe stato opportuno valutare attentamente tutti i rischi legati ad una esposizione diretta al tema politico, in un’epoca ormai caratterizzata dalla Guerra fredda e dalla contrapposizione sempre più incisiva tra Unione sovietica e Stati uniti, quindi rispettivamente tra un modello culturale e politico dichiaratamente comunista (marxista ortodosso) e uno liberal-democratico. Lavorare con concetti marxiani e con una critica della società capitalistica poteva rappresentare un grande elemento discriminatorio, nel bene o nel male. E di questo Horkheimer fu sempre molto consapevole. Non è un caso che quando più tardi Marcuse (a sostegno di una sinistra estremista extraistituzionale) – come detto poco sopra – divenne l’araldo della contestazione studentesca degli anni Sessanta negli Stati Uniti prima e in Europa dopo, Horkheimer e Adorno presero immediatamente le distanze. È noto anzi il caso emblematico di Adorno che fu costretto a chiamare la polizia il 31 gennaio 1969 16

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per lo sgombero di alcuni studenti che avevano intenzione di entrare nell’edificio dell’Institut für Sozialforschung a Francoforte: non è ancora chiaro per quale ragione volessero entrare, se per intavolare un dialogo oppure per una occupazione. La radicalizzazione della protesta nelle università tedesche si era ormai consolidata come forza extraparlamentare di sinistra: Horkheimer e Adorno, pur senza esplicitare la cosa, preferirono non esporsi troppo. Il Non expedit dei due maestri francofortesi non si rispecchiò nella posizione presa da Habermas il quale, più volte chiamato direttamente dagli studenti in questi anni e più esposto fisicamente, tentò di dissuaderli in maniera decisa verso azioni estreme di natura criminosa o comunque illegali. 2 Max Horkheimer sul concetto di umanità: il testo Riprendendo il cuore dell’argomentazione del saggio di Horkheimer che viene presentato in questo volume, appare significativo l’argomento e il metodo della sua trattazione alla luce della cornice storico-teorica poco sopra abbozzata. Was ist Mensch? è il contributo che Horkheimer pubblica sul volume collettaneo Das ist der Mensch. Beiträge der Wissenschaft zum Selbstverständnis des Menschen nel 1959. Tra gli autori dei saggi che lo compongono 17

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spiccano i nomi di Paul Tillich e Konrad Lorentz. L’intento corale del volume è presentare il concetto di uomo dalle varie voci delle principali discipline scientifiche che ne offrirebbero altrimenti (singolarmente) solo un aspetto parziale. Quello di Horkheimer pare a prima vista un contributo di natura antropologico-culturale11 e filosofico-sociale. Se non fosse che nelle battute iniziali, il francofortese chiarisce che non si tratta affatto di una speculazione di natura teoretica (“fenomenologica” si direbbe dalle parole utilizzate), ma di una riflessione che parte dall’“azione reciproca” [Wechselwirkung] tra individuo e società, quindi dal risultato che emerge nel rapporto tra questi due elementi. 11 Nel saggio Zum Begriff des Menschen del 1957 Horkheimer esordiva: «Quando nel presente i filosofi parlano dell’uomo, solo di rado manca l’allusione al fatto che la domanda fondamentale della filosofia, nello specifico quella sull’essere in quanto tale, non può essere sganciata da quella sull’uomo, e la moderna filosofia europea, non esclusa quella esistenziale o dell’esserci, è caratterizzata proprio dal fatto che la scienza dell’essere in quanto tale, se non proprio l’oggetto, segue almeno l’andamento delle indagini nella direzione della comprensione dell’essere dell’uomo. Sembra allora già emergere la natura della questione: non solo l’uomo conoscente appartiene al tutto, al mondo e a tutto ciò che vi è in esso, così che egli ha la capacità di percepire l’essere nella sua intimità e forse in modo meno mascherato come esterno, ma la comprensione della questione e con ciò anche le condizioni, la cui risposta deve essere sufficiente e alle quali fin da principio devono essere soggette, esigono conformità rispetto all’uomo e ancor di più alla sua filosofia e al suo stesso pensiero» (Horkheimer 1985: 55).

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La cosa immediatamente significativa di questa prima riflessione è l’utilizzo di un termine, Wechselwirkung, che appartiene al lessico specifico della sociologia di Georg Simmel (sull’influenza di Simmel nell’opera di Horkheimer, anche per vicende biografiche, rimando a Ruggieri 2020). Simmel non è stato un autore particolarmente citato dai francofortesi nella prima fase dell’Istituto. Adorno, ad esempio, ne apprezzerà lo stile e lo citerà ampiamente nelle lezioni dell’inizio degli anni Sessanta, raccolte in Philosophische Terminologie12. Pur essendo riconosciuto come uno dei padri fondatori della sociologia moderna, Simmel è rimasto ai margini dei teorici della Scuola di Francoforte per una ragione sicuramente teorico-metodologica (in contraddizione con la teoria marxiana – si pensi, su tutti, al volume Philosophie des Geldes e alla sua teoria dei valori), ma anche per un veto di natura politica e ideologica: György Lukács, che pure apprezzò alcuni motivi essenziali del maestro berlinese Simmel (almeno nelle sue opere giovanili), finì per stigmatizzarne pesantemente la portata teorica in Die Zerstörung der Vernunft (1954). Simmel, molto più di Weber, aveva lasciato una testimonianza ambigua sulla sua posizione politica: era noto il T.W.Adorno, Philosophische Terminologie, 2 Bde, Suhrkamp, Frankfurt 1973; tr.it. Terminologia filosofica, Einaudi, Torino 2007. 12

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Introduzione

suo giudizio sulla guerra; sostenne l’intervento della Germania nella Prima Guerra mondiale, cosa che stupì non poco il suo allievo Ernst Bloch che rimproverava al maestro di aver trovato “l’assoluto nelle trincee” (quando per una vita si era mostrato alquanto esitante) e, seppur molto interessato al fenomeno del socialismo, fu molto persuaso dalle teorie sull’individualismo (fu un grande estimatore e studioso di Nietzsche, da questo punto di vista) che in qualche modo strizzava indirettamente l’occhio alle correnti nazionaliste emergenti. La questione antropologico-sociologica horkheimeriana su cosa sia l’uomo presuppone un’indagine analitica dell’azione reciproca tra individuo e società, ma soprattutto richiede uno spostamento della ricerca sulla moderna configurazione della famiglia, in particolar modo dall’angolazione della nuova connotazione della famiglia nel XX secolo, delle nuove forme di vita di infanzia e adolescenza, e quindi dei nuovi ruoli che incarnano gli individui in questa situazione. Mancano riferimenti espliciti a Marx o a teorie marxiane, e viene piuttosto analizzata la questione partendo dall’intellettualizzazione della vita moderna (anche questo tema molto caro a Simmel) e quindi ai conseguenti effetti sulla vita sociale. In Eclipse of reason Horkheimer aveva già avuto modo di sostenere che la ragione 20

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tecnico-scientifica, che presiede a una certa cultura dell’uomo moderno, sposta gli interessi e i fini che una volta erano considerati universali, ideali, “oggettivi”, ad una dimensione appunto strumentale (“soggettiva”) che veicola di fatto le dinamiche economiche e quindi strutturanti della società contemporanea. Nel pensiero simmeliano l’intelletto è la facoltà che su tutte rappresenta metaforicamente questa logica che tende a livellare ogni cosa (“mercificare”), finanche i rapporti umani, con lo scopo di rendere scambiabile ogni bene e ogni relazione. L’intelletto, fedelmente all’insegnamento kantiano, è, infatti, la facoltà che lavora con i concetti, ovvero con l’interfaccia gnoseologico che media tra uomo e realtà, concetti che sono elaborati a partire dai dati sensibili e pervengono ad una forma riconoscibile all’intelletto che li utilizza in modo funzionale. I concetti di fatto sono le “monete”, il “denaro” dell’intelletto: sostituiscono il dato reale immediato, rappresentandone il valore formale. Questa lezione simmeliana è molto risonante nell’idea di Horkheimer di “ragione strumentale” che non è altro l’inversione teleologica della catena mezzi-fini. L’interesse di Horkheimer per la comprensione dell’uomo ha dunque sullo sfondo quello più esteso della conoscenza dell’uomo e della cellula 21

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fondamentale della società, ovvero la famiglia. La figura paterna è quella che ha subito un primo e importante mutamento strutturale e funzionale; il padre, prima dell’avvento della società di massa – secondo il giudizio di Horkheimer – aveva rappresentato per i figli “[…] autonomia, determinatezza, memoria, lungimiranza e orientato il loro interesse al bisogno di veridicità e coscienziosità, attendibilità, e dal punto di vista spirituale invece all’amore per la libertà e umiltà” (infra). Il padre è divenuto sempre meno presente (si direbbe disengaged) nel processo di maturazione del profilo spirituale del fanciullo, soprattutto nel processo dell’orientamento morale. La madre, d’altra parte, avendo conquistato spazi più ampi di realizzazione personale (anche lavorativi) al di fuori del contesto familiare, si trova perciò assorbita dal punto di vista delle capacità e degli “interessi spirituali”. La nuova configurazione familiare che ne risulta proietta il fanciullo in modo immediato nella società, sacrificando così tutte le tappe che sono previste nel processo di acquisizione di una propria identità personale e nelle dinamiche proprie della sua formazione. È proprio all’insegna dell’immediatezza (che può significare sintomaticamente sia rapidità, sia mancanza di mediazione in senso dialettico) che la società tecnocratica scandisce la propria essenza: 22

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essa “soccombe”, insieme alle inclinazioni tipiche dell’essere umano, alla violenza della tecnologia. La conquista di comodità e benessere dal punto di vista pratico richiedono un “prezzo” molto alto. Proprio in relazione a questa idea, nell’intervista rilasciata a Helmut Gumnior del 1973, Horkheimer affermava: «La teoria critica […] ha un duplice compito. Essa vuol caratterizzare ciò che vuol essere mutato, ma vuole anche indicare ciò che vuole essere mantenuto. Per questo essa ha anche il compito di mostrare quale prezzo deve essere pagato per questo o per quel provvedimento, per questo o quel progresso. Noi dobbiamo pagare la pillola con la morte dell’amore erotico» (Horkheimer 2001: 87). Horkheimer aveva sostenuto in modo energico (e in più occasioni) il fallimento e l’errore della visione marxiana della società a proposito dello sviluppo del capitalismo13: Marx immaIn un passaggio dell’intervista con Gumnior del 1973, proprio mentre aveva dichiarato nelle precedenti battute di essere stato esplicitamente «un marxista e un rivoluzionario», Horkheimer dice: «Marx partiva dall’oppressione del proletariato e voleva che il proletariato si rendesse conto di questa situazione. Allora i proletari avrebbero scoperto di avere un interesse in comune: l’eliminazione radicale dell’oppressione. Su questo punto Marx si è illuso: la situazione sociale del proletariato è migliorata senza rivoluzione, e l’interesse comune non è più il radicale mutamento della società, ma una migliore strutturazione materiale della vita» (Horkheimer 2001: 68). 13

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ginava un ideale di società formata da esseri liberi, conseguentemente all’eliminazione della proprietà privata. Le condizioni globali di vita dell’individuo ai tempi di Horkheimer sono sicuramente migliorate dai tempi della Seconda Rivoluzione industriale (che costituiscono lo sfondo culturale delle opere di Marx), così come la qualità della vita in senso generale. L’arricchimento della classe capitalistico-borghese si sarebbe dovuto realizzare a scapito di un impoverimento progressivo e inesorabile della classe operaia (ma questo di fatto non era avvenuto in modo così netto). Marx non ha considerato – avrebbe sostenuto esplicitamente Horkheimer in un’intervista televisiva del 1969 rilasciata alla rivista Der Spiegel– che libertà [Freiheit] e giustizia [Gerechtigkeit] sono «concetti dialettici»14. Il «mondo totalmente amministrato» è l’ultimo grande spauracchio della Teoria critica: spariscono gli “spettri” del capitalismo e la vera critica che la sociologia deve muovere all’esistente riguarda la totale strumentalizzazione della vita degli individui attraverso la logica razionale e tecnocratica della contemporaneità. 14 Si veda a tale riguardo l’intervista di Max Horkheimer pubblicata su Der Spiegel, n. 1 (1970), pp. 79-84. Il concetto e l’argomentazione sopra riportati vengono ripresi nel celebre scambio, poco sopra citato, con Helmut Gumnior nel 1973.

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In questo contesto il “principio dell’equivalenza e della pura reciprocità”, ovvero quello che rende interscambiabili beni, persone e relazioni, è il vero indice tematico e semantico per la comprensione delle dinamiche sociali. In forza di questo principio lo stesso valore del matrimonio, che regge lo spirito della famiglia, è venuto meno. Marito e moglie non rappresentano più i poli inamovibili di una cellula fondamentale: non c’è più una scelta “vitale”, “esistenziale” decisiva dietro il matrimonio che (ri)orienta la vita degli individui all’insegna di quella che Schelsky definì una volta “istituzione al singolare” e che oggi Spaemann definisce “improvvisazione jazz a due”. E quello che i romanzi fondamentali dell’Ottocento raccontavano, sostiene Horkheimer, a proposito della condizione della donna e della vocazione intima di una scelta emotiva profonda legata al matrimonio, scompare per lasciare il campo ad una logica (a perdere) di scambio anche in questioni sentimentali o amorose. Il matrimonio è diventato una scelta, se così si può dire, a “rischio relativo”: se non funziona, sostiene Horkheimer, si può sempre trovare un nuovo partner con cui “rischiare” da capo. La secolarizzazione dell’istituto religioso del matrimonio, la sua liberalizzazione dal punto di vista politico e sociale, ha con25

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Introduzione

tingentizzato e relativizzato qualcosa che per sua natura (istituzionale e religiosa) dovrebbe essere assoluto e unico15. Questo stato di cose ha evidenti echi nelle relazioni umane non ancora istituzionalizzate. Horkheimer apre quindi il campo ad una serie di riflessioni che saranno sviluppate ampiamente a partire dagli anni Settanta: Gary Becker fu un pioniere nel 1973 (anno della morte di Horkheimer) a parlare per primo di “mercato matrimoniale” (Becker 1973). Si pensi, su tutti, ai recenti lavori di Arlie Russell Hochschild o a Eva Illouz (Hochschild 2006 e Illouz 2013), che hanno proprio analizzato la questione delle relazioni sentimentali alla luce delle dinamiche di scambio interiorizzate dalle transazioni economico-commerciali e finanziarie. Massimo Cerulo e Adrian Scribano hanno di recente pubblicato un 15 In direzione esattamente contraria allo spirito di condanna estetico-sociologica che suonava nelle parole di Adorno a proposito della musica jazz, recentemente il filosofo cattolico Robert Spaemann ha rimarcato il carattere contingente, spontaneo e imprevedibile dello sviluppo della vita matrimoniale, ma inquadrandolo in una cornice di promessa istituzionale “eterna”. Scrive Spaemann: “Il voto nuziale è la forma più alta di promessa. Con essa la persona lega il proprio sviluppo a quello di un altro. Si tratta di una improvvisazione jazzistica a due, dove ciascuno dei due suona in modo che la sua improvvisazione vada di pari passo con l’improvvisazione dell’altro. Il metro di misura della riuscita non è quindi l’esecuzione del singolo, bensì la riuscita dell’opera d’arte, del pas de deux” (Spaemann 2015: 92).

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lavoro importantissimo sulla tematizzazione delle emozioni da parte dei sociologi classici (Cerulo e Scribano 2021). Si leggono nel saggio horkheimeriano, qui presentato, le seguenti parole: «Questa è la vera ragione della crisi culturale: che gli uomini non siano ancora in grado di utilizzare il dominio sulla natura per una disposizione razionale al mondo, ma devono soggiogare al vincolo dei rapporti, all’inevitabile manipolazione dell’egoismo inizialmente individuale e poi nazionale. La colpa non ricade sulle macchine; queste hanno rappresentato piuttosto un elemento di miglioramento, in quanto risultato dell’impulso della scienza e dell’Illuminismo, e mostrano una concezione corrispondente dell’umanità» (infra). Sono molto lontani quei toni di condanna inesorabile che tuonavano dalle pagine di Dialektik der Aufklärung. In altri termini Horkheimer indica come al miglioramento delle condizioni generali economico-materiali non sia seguito un progresso dal punto di vista culturale. Questa è la tesi che avrebbe energicamente sostenuto una decina di anni dopo Samuel Huntington nel celebre volume Political Order in Changing Societies del 1968 (Huntigton 2012), e che rispecchia quel classico tema del cortocircuito nella dialettica tra Kultur e Zivilisation. 27

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Introduzione

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3. L’eredità della Teoria critica, e le sue prospettive Un celebre motto del Faust di Goethe, ripreso in maniera sistematica da Freud in Totem e tabù, recita: “Ciò che hai ereditato dai padri/ riconquistalo, se vuoi possederlo davvero” [Was du erebt von deinen Vätern hast/erwirbt es, um es zu besitzen]. Parafrasando grossolanamente, si direbbe che l’eredità è qualcosa che deve essere sempre in qualche modo legittimata, oggettivata, e solo infine acquisita. La questione dell’eredità è effettivamente tanto più spinosa quando si tratta di una “eredità spirituale”. Questa è la sensazione che mi viene subito da esternare quando penso a ciò che resta della Scuola di Francoforte, oltre all’istituzione - l’Insitut für Sozialforschung (d’ora in avanti IfS) dell’Università di Frankfurt am Main - che, tutt’oggi esistente e in attività, ne continua a conservare la storia e la tradizione. Gli autori della terza e della quarta generazione hanno certamente portato avanti alcuni elementi centrali individuati da Horkheimer e Adorno, e poi anche da Habermas (Fazio 2021), mettendo in evidenza l’attualità e la spendibilità teorica su temi della contemporaneità: dalla “colonizzazione dei mondi vitali” (Habermas) al tema dei “paradossi del 28 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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capitalismo” (Axel Honneth) fino alle questioni centrali di cosa sia una “vita buona” (Rahel Jaeggi, Robin Celikates, Hartmut Rosa, Martin Saar) e alle indagini sulle “patologie” della società e delle moderne democrazie. Mi viene in mente allora la storia che riporta Boccaccio dapprima nel Novellino, e poi nel Decameron (la terza della prima giornata), quella cioè dell’anello e dei tre figli. La potente metafora di questo racconto sta non tanto nel relativismo religioso, che pure molti autori vi hanno individuato nel corso delle interpretazioni che si sono succedute, quanto nella convinzione di possedere una posizione di verità che ci resta però strutturalmente occultata o che brutalmente sfruttiamo presupponendo una superiorità di interpretazione e visione rispetto ad altre posizioni di verità. Sono convinto che probabilmente non siamo stati in grado di ereditare fino in fondo il messaggio dei fondatori della Scuola di Francoforte, o meglio l’ingiunzione originaria dei Francofortesi che ha richiesto fin dall’inizio un paradosso inestricabile. Un paradosso che si dipana su due livelli: 1. uno relativo al rapporto teoria/lettore (quindi interno/ esterno) – che chiamerei teoria critica come “teologia della liberazione” –, 2. l’altro invece relativo al rapporto degli studiosi rispetto a loro stessi. 29

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Introduzione

1. Il lettore (il referente) ideale a cui la Teoria critica si rivolge è un individuo sostanzialmente sfruttato e oppresso; la sua oppressione sarebbe rimossa ab origine da un meccanismo sistemico e sistematico (il capitalismo moderno e la società tecnologica avanzata) che ne oblia e ne aliena l’esistenza – nega cioè l’esistenza di tale oppressione. In altri termini, il capitalismo (come totalità storica concretizzatasi nello spirito moderno) oblia qualsiasi forma di conflitto, subordinazione, oppressione al punto che l’individuo ha bisogno di uno strumento redentivo che lo ponga, intanto in condizioni di consapevolezza della propria oppressione, e poi capace di ribellarsi e svincolarsi allo sfruttamento. Fin dall’inizio dunque i principali autori della Scuola di Francoforte (Horkheimer, Adorno, Marcuse, Benjamin) hanno utilizzato gli strumenti teorici presi in prestito da Marxismo, Psicoanalisi ed Hegelismo per “evangelizzare” gli individui in condizioni di sfruttamento. 2. Se è giusto il ragionamento di Peter Sloterdijk sulle logiche di dissimulazione dell’“egotismo” moderno e delle forme auto-eulogistiche16 che si celano dietro ogni forma di evangelizzazione, dobbiamo ammettere allora che i francofortesi hanno saputo ben dissimulare la propria dimensione egoica in po16

Su questo tema si veda Sloterdijk 2015.

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tentissimi costrutti teorici a forte impatto sociale. Fin dall’impulso originario del suo primo direttore, Carl Grünberg, l’IfS si caratterizzava essenzialmente per la forte spinta interpretativa del marxismo come “nuova” lente interpretativa dei fenomeni sociali moderni, quindi da un punto di vista strettamente scientifico: “Non ho bisogno di sottolineare – sostiene Grünberg nel suo Festrede del 1924 – che quando io parlo di marxismo non lo intendo in senso politico-pratico, ma in senso puramente scientifico”. La mimetica politica che sfronda nella dichiarazione d’intenti di natura squisitamente scientifica – una rivisitazione radicale del marxismo (e del socialismo) – caratterizzerà lo spirito della Scuola di Francoforte in generale della storia a venire dell’IfS. Questo avviene, a mio avviso, per due ragioni fondamentali. La prima di natura “storica” riguarda la posizione stessa dell’Istituto all’interno del sistema-Germania, un istituto cioè di chiara ispirazione marxista in un paese in cui, accanto alle crepe strutturali della Repubblica di Weimer e alle difficoltà economiche post-belliche, cresceva a vista d’occhio la diffidenza verso il socialismo e il marxismo fino all’ascesa definitiva di Hitler nel ’33. La seconda di natura “interna”, oserei dire “interiore”, relativa all’estrazione sociale stessa dei propri afferenti-rappresentati (su tutti, Max Horkheimer) che provenivano da fami31

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Introduzione

glie borghesi e che si trovavano a combattere un modello di produzione/cultura con il quale erano cresciuti e dal quale provenivano17. Il monito pasoliniano delle Lettere luterane mi pare calzante, da questo punto di vista, quando si sostiene che la colpa dei padri (che ricade sui figli) – la struttura storico-destinale del fascismo vecchio e nuovo secondo Pasolini – consisterebbe “nel credere che la storia non sia e non possa essere che la storia borghese”. L’atteggiamento di condanna dei giovani (“figli”) da parte di Pasolini (che si presenta come “padre ideal-storico”) non ha colore politico, dal momento si tratta di figli di borghesi, fascisti, antifascisti e comunisti. La colpa consiste, continua Pasolini, nella rimozione della coscienza del vecchio fascismo e l’accettazione di “immensi genocidi del nuovo fascismo”. 17 Il padre di Max Horkheimer, Moritz, era un noto industriale di Stuttgart che fino in fondo aveva sperato che il figlio seguisse le orme del padre. L’incipit di un curriculum vitae che Horkheimer inviò nel 1924 assieme alla domanda di libera docenza, come una specie di bigliettino da visita, recitava: “Nato il 14 febbraio del 1895 a Stoccarda, figlio unico dell’industriale Moritz Horkheimer, fin dal primo anno di vita ero destinato a succedere a mio padre nella direzione dell’impresa” (cfr. Wiggershaus 1992: 52). Egli effettivamente svolse per un po’ le mansioni di Juniorchef d’azienda finché, dopo letture illuminanti e viaggi col compagno di studi Fritz Pollock, decise di lasciare definitivamente (e non senza sensi di colpa) la strada preparata dal padre per poi cominciare nel 1919 gli studi di psicologia, filosofia ed economia politica.

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La trama del rapporto padre/figlio è fondamentale per comprendere quanto sia in gioco nella costruzione di una nuova teoria sociale che da un lato condanna le nuove forme di rapporti parentali (in primis quella padre/figlio, quindi più in generale quella dialettica di “autorità”/“dipendenza approvata”18) – ed è quello che emerge nel testo che si presenta in questa edizione –, dall’altro le legittima come conseguenza inesorabile di un mutamento generale dello Zeitgeist (ovvero della “totalità storico-sociale”), nel quale la struttura necessaria del rapporto servo/padrone resta sostanzialmente invariata. Non è un caso che uno dei più importanti studi pubblicati da Horkheimer durante la sua direzione dell’IfS sia Studien über Autorität und Familie (numero monografico del 1936 dello «Zeitschrift für Sozialforschung»), che raccoglieva contributi teorici ed empirici nello studio sulla famiglia (tardo)borghese. La famiglia, secondo il francofortese, esercita la sua funzione sociale (ri)produttiva di caratteri autoritari, e nella modernità tutti i movimenti politici, morali, religiosi si sono resi conto della sua importanza e si sono posti il compito strumentale di rafforzare la famiglia con tutti i suoi presupposti e soprattutto con i suoi effetti. Mentre tuttavia 18

Cfr. Horkheimer 2014: 294.

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Introduzione

nell’epoca borghese classica il rapporto tra autorità e società era reciprocamente fruttuoso (in quanto l’autorità del padre assumeva un carattere simbolico rispetto al contesto sociale e questi a sua volta utilizza l’autorità patriarcale come strumento di “controllo” e riproduzione), nel nuovo secolo l’elemento distruttivo ha più importanza di quello coesivo. L’autorità viene definita come un costante coefficiente socio-morale relativo ad una forma di “dipendenza approvata”, ovvero il riconoscimento naturale di rapporti di subordinazione e sovra-ordinazione. Si tratta di una strutturazione necessaria del sociale attraverso forme storiche di subordinazione, ovvero secondo la configurazione storico-concreta dei rapporti di produzione dei quali è poi simbolicamente il rispecchiamento. “La gerarchia data in questa società – scrive Horkheimer in Autorità e famiglia –, che così si riproduce, se non viene riconosciuta espressamente come giustificata, è però riconosciuta come necessaria, e quindi in ultima istanza, anche come giustificata. È un’autorità senza spirito e al tempo stesso apparentemente razionale” (Horkheimer 2014: 317). La necessità sociale di un principium auctoritatis emerge anche in una lapidaria condanna da parte di Horkheimer del massimo sovvertimento 34

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dell’autorità (l’atteggiamento anarchico), che invece è una “esasperazione dell’autocoscienza borghese della propria libertà” (Horkheimer 2014: 320). Horkheimer riconosce nella famiglia “una delle più importanti agenzie educative” e il luogo di “una riproduzione dei caratteri umani come sono richiesti dalla vita sociale” (Horkheimer 2014: 322). Si registra però un mutamento paradigmatico nella storia della cultura moderna – e qui si può leggere tutta l’influenza indiretta che ha esercitato l’Etica protestante e lo spirito del capitalismo di Weber, che però non viene menzionato – allorché con la Riforma protestante l’atteggiamento riproduttivo dell’assoggettamento volontario all’autorità, che aveva lo scopo di garantire ordine sociale in un senso che guardava sostanzialmente all’equilibrio di Stato e Chiesa, si sgancia per diventare obbedienza cieca al lavoro in un senso “intramondano”. La pura accettazione dell’obbedienza come normatività intrinseca della morale giunge a pieno compimento con l’Illuminismo (ovvero con la fase storica dell’Assolutismo e del Liberalismo/Liberismo) e con la formulazione paradigmatica kantiana dell’imperativo categorico. Seguendo, quindi, l’impostazione storico-sociologica di Troeltsch – citato questa volta da Horkheimer –, secondo cui il luteranesimo sarebbe la legittimazione moderna dell’affermazione della supremazia fisica (e quindi morale) 35

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Introduzione

dell’agente autoritario secondo una gerarchia prestabilita da Dio, Horkheimer giunge a sostenere che: “Il padre ha un diritto morale a che ci si subordini alla sua forza non perché si rivela degno, ma, viceversa, si rivela degno perché è il più forte” (Horkheimer 2014: 324). Non è certo perché il Dio protestante è buono e saggio che gli uomini lo adorano e vi si sottomettono: questa prospettiva concettuale è alla base di quella “reificazione dell’autorità” esposta poco sopra. Horkheimer quindi sostiene che l’autorità non è più il prodotto di un rapporto, l’emergere di una relazione che sussiste, ma una “qualità insopprimibile di chi è superiore”, una “differenza qualitativa”. Si passa quindi all’elencazione delle caratteristiche del pater familias che esercita la propria autorità in quanto guadagna denaro o semplicemente lo possiede. Ancora una volta la dipendenza materiale erode il principium auctoritatis, per così dire, sano dal momento che tale forma gerarchica dei rapporti viene accettata dal bambino come familiare, cioè assume tale configurazione fondata su “principi naturali, accidentali e irrazionali” come normale. Nell’argomentazione sulla famiglia fatta da Horkheimer c’è quindi spazio per una riflessione sulla psicoanalisi che offre alla indagine sociologica degli strumenti imprescindibili – e questa è il grande apporto nella costruzione della Teoria critica. 36

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Secondo Horkheimer “rimozione”, “sublimazione” e “senso di colpa” sono divenuti energie funzionali per un sistema che educa all’autoritarismo, che cioè tende a ricondurre all’individualità la dimensione dell’errore e della colpa, anziché offrire un giusto smistamento delle colpe in senso “socio-morale” (come Simmel – anch’egli non menzionato – sosteneva nelle pagine di Sulla differenziazione sociale del 1890). In un passaggio, che pare quasi una specie di confessione autobiografica, il francofortese scrive: “Prodotto dell’educazione paterna sono uomini che ricercano a priori l’errore in se stessi” (Horkheimer 2014: 332). Mentre precedentemente questi aspetti avevano un ruolo attivo e produttivo nella società, questo isolamento delle energie psichiche individuali permette l’affermazione del carattere autoritario e la fine dello scambio reciproco di forze tra individuo e collettività. La chiusura del saggio su autorità e famiglia contiene l’elemento chiave che spiega l’essenza della missione della Teoria critica (e questa tesi verrà largamente condivisa da tutti gli esponenti di prima generazione): la “ribellione dell’elemento erotico contro l’autorità della famiglia”. L’autorità (della famiglia) in senso borghese è la minaccia di “castrazione”, promessa a condizioni della felicità per il singolo o impossibilità della sua realizzazione. Nella 37

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Introduzione

trama di Romeo e Giulietta e del Don Giovanni, Horkheimer trova la traccia idealizzata di questa idea: queste due forme di eros rappresentano un manifesto “anticonformista” di amore e felicità in un senso incondizionato, libero, ma soprattutto svincolato dalle norme sociali e morali. E questo riferimento è legato allo stesso percorso biografico di Horkheimer: la scelta di sposare Rosa “Maidon” Riekher, contro il volere del padre, aveva rappresentato uno smacco fondamentale e la cifra simbolica di un’unione con quel mondo di declassati e poveri lavoratori (Rosa Riekher era figlia di un albergatore caduto in miseria), indignati contro il dispotismo della classe borghese, di quegli uomini d’affari dello stampo di suo padre. La ribellione nei confronti di una classe sociale pare spesso assumere i toni di un conflitto intergenerazionale (anche Adorno era figlio di un commerciante all’ingrosso di vini) che la incarna simbolicamente. In modo davvero sorprendente i teorici della Scuola di Francoforte sperimentano sulla loro pelle, durante la loro giovinezza, quel codice di contestazione che avrebbe caratterizzato tutti i movimenti giovanili del Sessantotto (e oltre) che rivendicavano una propria identità proprio contro la generazione dei padri. Torna dunque il quesito di cosa resta della teoria critica oggi. Di sicuro esiste un luogo fisico, 38

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l’Institut für Sozialforschung (con sede a Francoforte) che – almeno nei programmi e nella presentazione degli intenti – raccoglie una grande quantità di ricerche e conserva lo spirito degli studi in campo sociale, cominciati fin dalla sua fondazione, nel lontano 1923, allorché il facoltoso Felix Weil poté realizzare il sogno di fondare un centro di ricerche d’ispirazione marxiana19. Una delle figure-chiave di ultima generazione, Axel Honneth, che dal 2001 al 2018 è stato alla guida dell’istituto, è noto al largo pubblico per la sua tesi sulla “lotta per il riconoscimento”: il testo omonimo (Kampf um Anerkennung) sicuramente rappresentò un’importante svolta teorica nel 1992 rispetto alla tradizione dei teorici di seconda generazione (su tutti Jürgen Habermas, che di Honneth fu maestro). L’ancoraggio alla cornice teorica hegeliana e la lettura dei 19 Wiggershaus spiega che al tempo l’operazione di Weil (e di Gerlach) fu in linea con i tempi in cui le ristrettezze economiche e finanziarie del sistema universitarie venivano di fatto compensate da iniziative di privati. A quel tempo esistevano sostanzialmente tre grossi centri di studi di carattere socio-economico in Germania: nel 1922 era stato fondato a Colonia il Forschungsinstitut für Sozialwissenschaften (che di fatto era un ente della municipalità di Colonia, ma affiancato all’Università di Köln e affidata al suo rettore Christian Eckert), mentre nel 1913 già cominciava a nascere l’Istituto per l’economia mondiale e la navigazione di Kiel (che ebbe poi finanziamenti stabili dal «Regio Istituto per la navigazione e l’economia mondiale all’Università Christian-Albert di Kiel») (Wiggershaus 1992: 29-30).

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Introduzione

fenomeni di potere come luoghi di conflitti di minoranze in cerca di “riconoscimento” sono i due capisaldi della teoria critica proposta da Honneth, che tiene sullo sfondo un’immancabile critica del capitalismo moderno, dei suoi metodi di produzione (e riproduzione) di meccanismi sociali di soggiogamento e sfruttamento. Non è un caso che nelle linee programmatiche dell’IfS di Francoforte ci sia ancora un forte richiamo al tema dello sviluppo delle forme del capitalismo: si registra una forte contraddizione all’interno del sistema capitalistico che genera una serie indefinita di “paradossi” (tema divenuto eminente negli ultimi lavori di Honneth) (Honneth 2009; Honneth e Sutterlüty 2011)20. Ciò che resta della Teoria critica oggi è certamente il fascino per la teoria che in sociologia talvolta sembra quasi smarrito. Esistono vari tentativi di un ritorno alla “teoria sociale” che sia cornice di Su questo aspetto si veda anche l’intervista del ForschungFrankfurt a Honneth dal titolo paradigmatico Frei, aber abhängig – zu den Paradoxien des Kapitalismus in «ForschungFrankfurt» (Zeitschrift der Goethe-Universität Frankfurt), n. 3-4, 2003, pp. 84-89. Il direttore dell’IfS sostiene che anziché essere in crisi, il capitalismo goda di ottima salute e inneschi sempre nuovi meccanismi di “formazione” di rapporti sociali (di dipendenza e opprressione). Scrive Honneth: “Il capitalismo ha piuttosto avuto uno sviluppo paradossale. Vogliamo dimostrare come un capitalismo innovativo possa rovesciare inerzia e regressione, finanche in ciò che è culturale e psichico, all’interno del progresso generale in nuove forme di dipendenza”. 20

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una spiegazione dei dati empirici raccolti. La Teoria critica di prima generazione contava molti filosofi di formazione e quindi l’attitudine teorica risultava l’approccio per eccellenza. Non mancarono studi di carattere empirico (soprattutto nella parentesi americana dell’IfS), ma la vocazione dei francofortesi era prevalentemente di natura teorica. La forza e la determinazione delle argomentazioni degli autori della Teoria critica (Horkheimer e Benjamin, ma soprattutto Adorno e Marcuse) ebbero un forte impatto di natura pratica in alcuni movimenti studenteschi della fine degli anni ’60. Per una sorta di eterogenesi dei fini, la forte vocazione teorica ha finito per avere uno dei più dirompenti effetti pratici della storia. L’incredibile successo dell’opera di Marcuse e la contraddittoria presa di posizione di Adorno nei confronti dei movimenti universitari tedeschi della fine degli anni Sessanta hanno rappresentato la cifra di una difficile “missione del dotto” che la Teoria critica ha fin da subito voluto incarnare. Quello che certamente la teoria critica ha tentato di insegnare è l’impegno scientifico che procede di pari passo ad un ideale pratico, “politico” nel senso aristotelico (recuperato da Hannah Arendt prima e poi dai vari fautori della cosiddetta Aristotle Renaissance o Rehabilitierung der praktischen Philosophie degli anni Settanta del Novecento). 41

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Introduzione

Quella che consideriamo “cornice” teorica di un’interpretazione di dati empirici non è altro che l’applicazione di quella convinzione horkheimeriana secondo la quale – fedelmente all’insegnamento di Hegel – il significato del singolo evento deve essere ricondotto alla forza della totalità storico-sociale nella quale è inscritto. La totalità è, tuttavia, non già necessità immanente, ma contingenza storica; è dimensione pratica nella quale si determinano i rapporti intersoggettivi e istituzionali, lo sfondo della contraddizione strutturale (il negativo), alla quale la società è già da sempre esposta e che tende messianicamente a superare.

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Bibliografia Becker, G., 1973, A Theory of Marriage: part I, in «The Journal of political Economy», 81/4, pp. 813-846. Belardinelli, S., 1993, “Kulturpessimismus” ieri e oggi, in Crisi di senso e pensiero metafisico, a cura di G.Chalmeta, Armando, Roma, pp. 55-72. –, 2009, L’altro Illuminismo. Politica, religione e funzione pubblica della verità, Rubettino, Soveria Mannelli. Cerulo, M. e Scribano A. (a cura di), 2021, The Emotions in the Classics of Sociology. A Study in Social Theory, Routledge, London-New York Ciracì, F. 2010, In lotta per Schopenhauer. La «Schopenhauer-Gesellschaft» fra ricerca filosofica e manipolazione ideologica, PensaMultimedia, Lecce. Fazio, G., 2021, Ritorno a Fracoforte. Le avventure della nuova Teoria Critica, Castelvecchi, Roma. Hochschild, A.R., 2006, Per amore o per denaro, Il Mulino, Bologna. 43 www.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.

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Bibliografia

Honneth, A., 2010, Capitalismo e riconoscimento, Firenze University Press, Firenze. Honneth, A. e Sutterlüty, F., 2011, Normative Paradoxien der Gegenwart – eine Forschungsperspektive, in «WestEnd. Neue Zeitschrift für Sozialforschung», 8/1, pp. 67-85. Horkheimer, M., 1985, Gesammelte Schriften: Vorträge und Aufzeichnungen 1949-1973, Fischer Verlag, Frankfurt am Main. –, 2011, La nostalgia del titalmente Altro, Queriniana, Brescia. –,2011, Studi di filosofia della società. Saggi, discorsi e contributi 1930-1972, Mimesis, Milano. –, 2014, Teoria critica. Scritti 1932-1941, 2 voll., Mimesis, Milano. Huntington, S., 2012, Ordine politico e cambiamento sociale, Rubbettino, Soveria Mannelli. Illouz, E., 2013, Perché l’amore fa soffrire, Il Mulino, Bologna. Lichtblau, K., 1996, Kulturkrise und Soziologie um die Jahrhundertwende. Zur Genealogie der Kultursoziologie in Deutschland, Suhrkamp, Frankfurt am Main. Pasolini, P., 2009, Lettere luterane, Garzanti, Milano. Ruggieri, D., 2020, The Unpublished Correspondence between Hans Simmel and Max Horkheimer 44

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Bibliografia

(1936–1943). Some Remarks on Critical Theory, Georg Simmel’s Sociology, and the Tasks of the Institute for Social Research, in «Simmel Studies», 24 (1), p. 127–158 Spaemann, R., 2015, Divorzio e comunione, in S.Belardinelli, Diciamoci la verità: non è tutto una favola. Il cristianesimo e le sfide del tempo presente, Cantagalli, Siena, pp. 90-104. Sloterdijk, P., 2015, Il quinto “vangelo” di Nietzsche. Sulla correzione delle buone notizie, Mimesis, Milano. Wiggershaus, R., 1992, La Scuola di Francoforte. Storia, sviluppo teorico, significato politico, Bollati Boringhieri, Torino. –, 1998, Max Horkheimer zur Einfürung, Junius Verlag, Hamburg.

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COS’È L’UOMO? SUL CONCETTO DI UMANITÀ OGGI (1965)1

1 M.Horkheimer, Was ist Mensch? Zum Begriff des Menschen heute, relazione radiofonica del 10.10.1965, SWR - Südwestrundfunk Redaktion. La relazione radiofonica riprende in gran parte il testo del 1957 Zum Begriff des Menschen (M.Horkheimer, Gesammelte Schriften, Bd. 7, Fischer, Frankfurt am Main 1987, pp. 55-80). Traduzione italiana di Davide Ruggieri.

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Ciò che oggi voglio dire sul concetto di umanità non è una determinazione di natura filosofica né tantomeno il risultato di una ideazione [Wesensschau]. Mi accontenterei piuttosto di proporre del materiale che riguardi solo una parte o un aspetto della questione sull’uomo. Non parlerò dunque dell’uomo in quanto individuo, ma dell’azione reciproca [Wechselwirkung] tra società e individui in base a cui la società stessa, con le sue istituzioni, ancora oggi esercita una potentissima autorità. È necessario riconoscere le forme di autorità costituite dalle quali gli uomini, secondo un senso giusto o sbagliato, sono agiti. E per questo esporrò solo alcuni esempi, soprattutto quelli relativi all’infanzia e all’adolescenza. Mostrerò come questi sotto l’influsso della società siano profondamente mutati. L’effetto della società sull’individuo comincia se non prima, almeno dalla sua nascita, ovvero dal giorno della sua concretizzazione neonatale. Il benessere del bambino e la fiducia, che nel suo ambiente si mostrano verso uomini e cose, dipendono largamente dalla pacata o meno gentilezza, dal ca49

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Cos’è l’uomo? Sul concetto di umanità oggi

lore e dal sorriso della madre o delle persone che gli sono accanto. Indifferenza o freddezza possono indurre agitazione e svogliatezza nel bimbo verso l’oggetto, verso gli uomini e verso il mondo, e provocare spontaneamente un carattere freddo. Questo era già noto nell’Emilio di Rousseau, in John Locke e anche prima. Oggi tuttavia si deve cominciare a comprendere tutto ciò dalla sintesi dei vari elementi e non c’è bisogno affatto della sociologia per riconoscere che i bisogni esteriori e le professioni, che allontanano la madre dal bimbo, producono effetti differenti da quelli desiderati. Nel primo anno di vita l’uomo deve da sé riflettere e distinguere all’interno del suo ambiente; egli è già determinato in alto grado secondo quella dimensione sociale che si dispiegherà successivamente; gli stessi sentimenti vengono appresi in tal maniera. Alle facoltà che porta con sé come elementi biologici appartengono quindi l’adattamento, la mimesis. Gesti e atteggiamenti, l’intonazione della voce, la particolarità dell’andamento si regolano sicuramente nel bambino in base all’espressione degli adulti amati e ammirati. Le reazioni interiori sono ottenute, se non dal contenuto, almeno dalla forma; è proprio dall’analisi dell’opera d’arte che deriva la separazione rigida tra forma e contenuto, e questo tanto più nell’interpretazione dei sentimenti umani. Tristez50

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za e felicità richiedono e testimoniano attenzione; ostentazione e passione vanno di pari passo con la ripetizione di quei gesti e quelle attività materne e più avanti di quelle dell’educatore, perché “ciò che è fuori, è anche dentro” [denn «was außen, das ist innen»]2, come dice Goethe. Ciò che si può facilmente registrare sull’asse ereditario spirituale [seelische], in maniera considerevole risale alle espressioni e alle reazioni della prima infanzia, e dalle circostanze e dagli eventi degli anni successivi che si fissano e si modificano. Se un individuo è centrato [zentriert], ha considerazione adeguata del proprio io o è capace di individuare gli interessi vitali verso le cause, in forza della passione per l’uomo e per le cose, per la profondità o la semplicità dei sentimenti o dello stesso pensiero: tutto questo non è soltanto un fatto naturale, ma un risultato di natura storica. Un esempio: la posizione sociale dei genitori con le loro relazioni reciproche; la struttura interna ed esterna della famiglia e il loro modo combinato, la concezione di un’intera epoca. Il carattere di una singola persona viene determinato da tempo, spazio e circostanze all’interno delle quali cresce, tanto quanto 2 Si tratta della parafrasi di un verso di Epirrhema di Goethe, che letteralmente recita: “Nichts ist drinnen, nichts ist draußen; Denn was innen, das ist außen” [Niente è dentro, niente è fuori; perché ciò che è dentro è fuori].

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la lingua che egli parla, che forgia la sua essenza, che influenza il suo pensiero, così come i rapporti politici, la libertà o la schiavitù o la sua stessa religione. Le sue inclinazioni essenziali, il suo carattere e le sue attitudini, la sua professione e la sua stessa comprensione del mondo provengono dalla società e dal suo destino in essa. Se è vero che la società esistente per parte sua corrisponde al proprio concetto e alla sua propria ragione [Vernunft], è altrettanto vero che tutto ciò non è però fisso o stabile. La totalità [das Ganze] non è mai a riposo, essa si muove in se stessa. Con il processo dello stadio liberale dell’ordine borghese d’inizio secolo, nella fase dell’acutissima potenza industriale, si è resa chiaramente manifesta la connessa trasformazione dell’umano. Il bambino cresce in una nuova famiglia e diventa altro rispetto alle circostanze in cui era determinante la presenza di tanti interlocutori indipendenti. Se ne ricava una nuova autocoscienza. Che nell’intatta famiglia borghese il padre fosse amato e temuto, questo dipende non solo dal suo ruolo di genitore procreatore, e nemmeno come fonte di sostentamento. Per la necessità della continuazione della sua propria attività, si rimandava al figlio. Negli alti strati sociali il giovane erede era deciso ad assumere l’attività o la fabbrica di suo padre, quell’attività o fabbrica che a sua volta suo 52

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padre aveva assunto dal suo proprio padre. Il figlio doveva almeno avere successo nella sua carriera in relazione ad una posizione corrispondente a quella del padre e portare con onore il suo nome. L’attenzione verso il figlio, che poteva fare del padre certamente un despota, era la causa e l’effetto della sua attività. Nel presente l’educazione tende piuttosto a questo: riscattare il fine più immediato per il proseguimento della propria vita in quella del figlio con finalità più generali, quindi creare individui adulti che con successo affrontino la moderna lotta per l’esistenza [Existenzkampf]. Che il padre non concentri più le proprie forze per un futuro determinato al proprio figlio, si evince dalla liquidazione degli avanzi mercificati e del sempre minore significato del ruolo precedentemente giocato dal singolo. Il carattere specifico del tipo sociale oggi è l’impiegato. Il suo rapporto ai figli si avvicina a quello degli anziani camerati esperti rispetto ai giovani. Al posto dell’austerità avanza negli strati progrediti una nuova idea di educazione, basata su disponibilità e sulla tolleranza. La stessa madre, con questo sovvertimento delle cose, è sempre più impegnata in lavori extradomestici, che assorbono capacità e interessi spirituali. Se la famiglia del XIX secolo negli strati sociali alti aveva garantito una fan53

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ciullezza lunga e serena – e che, nella buona sorte, come la riproduzione della gerarchia feudale, aveva prodotto sicurezza, fiducia e orientamento, nella cattiva sorte invece dolore e Ressentiment –, molti dei compiti che sono ancora rimasti essa ha ormai demandato ad altre istituzioni o alla vita sociale in senso generale. Che il giovane uomo sia oggi gravato sempre meno dalla famiglia, questo avviene a spese della sua interiorità. Questa si era proprio sviluppata nel conflitto dell’infanzia, quel conflitto tra fanciullo e padre. Il padre era per lo più libero, padrone di se stesso e proprio perciò non aveva bisogno di affermare la propria autorità. Nei casi migliori egli nella sua essenza aveva rappresentato per i figli autonomia, determinatezza, memoria, lungimiranza e orientato il proprio interesse al bisogno di veridicità e coscienziosità, attendibilità, e dal punto di vista spirituale invece all’amore per la libertà e umiltà. Tutto ciò fino a che le idee all’interno del fanciullo non siano presenti come sua propria voce della coscienza e più avanti non si contrappongano, nel periodo della pubertà, come conflitti con il padre. Che il bambino sia dunque immediatamente avviato alla società, questo accorcia l’età dell’infanzia e produce nuove persone. Con un’interiorità sempre 54

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più ridotta, scompare anche la gioia per una propria decisione, per la formazione e la libera fantasia. Altre inclinazioni contraddistinguono gli uomini di questo tempo: abilità tecnologica, presenza di spirito, piacere nel dominio degli apparati tecnologici, bisogno d’integrazione e di armonia con una moltitudine o con un gruppo prescelto come modello, le cui regole subentrino al posto della loro propria decisione. Disposizioni [Anweisungen; letteralmente “ordini di pagamento”, “assegni”, ndT], ricette, “modelli ideali” subentrano al posto della sostanza morale. La trasformazione dell’individuo è solo l’altro aspetto del cambiamento sociale; non solo il motivo che una volta teneva unita la famiglia, ma anche il significato delle caratteristiche che da esse emergeva è superato [überholt]. La relazione specifica del grosso commerciante con il “compagno d’affari” nel proprio paese o in un altro, che ai tempi del Wilhelm Meister era fondato soprattutto in rapporti raffinati di tipo culturale, non è meno antiquata di quella del cliente con l’avvocato o col medico. Le relazioni pubbliche, come anche quelle umane, sono diventate un campo per esperti: se nel XVIII secolo c’erano trattati sull’agire umano, nel XX troviamo quelli su professioni specifiche. Modo di pensare e convinzione, rappresentazioni generali e al tempo stesso differenziate hanno perso utilità, e se è vero che una 55

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volta il motore degli interessi pratici si concretizzava con la conservazione dei momenti culturali, è vero anche che alla fine si trasmette il tratto del carattere umano ad esso corrispondente. Per questo anche la lotta contro il declassamento dell’università a istituto tecnico porta in sé il segno dell’inutilità. La formazione trainata dai bisogni sociali di una volta si abbassa ad un tipo di più alta configurazione e igiene spirituale ad uso comune. Diventa sempre più integrale: elaborata, adattata allo schermo televisivo e sincronizzata per una sempre più vasta maggioranza, ma cambia decisamente anche la sua funzione. La formazione culturale europea e classica, nel senso specifico dell’Umanismo e dell’Idealismo tedesco, sviluppatasi a favore dell’interiorità dell’individuo, viene sostituita dal sentimento immediato e dalla condotta che alla società tecnologica si adeguano. Gli impulsi umani soccombono alla violenza della totalità del sociale3. Con ciò domina il cambiamento dell’amore tra uomo e donna, non meno del cambiamento del senso dell’infanzia. Che la ragazza di estrazione Nella versione originale del testo del 1957 c’è una differente formulazione di questa proposizione: Bis dahin unterliegen die menschlichen Züge der Gewalt des entfremden Ganzen [Fino ad allora gli impulsi umani soccombevano alla violenza della totalità estraniata] (Horkheimer 1987: 66). 3

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borghese fosse destinata a essere la futura coniuge della casa e a offrire l’eredità, questo determinava contenuti e scopi della sua educazione e della sua morale, decideva della sua coscienza, l’orizzonte della sua fortuna, e ne condizionava il comportamento. Questo avveniva anche secondo il graduale incremento dei suoi diritti nella modernità, anche se in realtà non era mai un soggetto veramente libero. Quanto all’espressione e alla giustificazione di tali rapporti, la filosofia dai greci fino all’idealismo tedesco su ciò non ha mai proferito parola. Per quanto perfetta poteva essere una comunità, la virtù della donna consisteva, rispetto all’uomo, nel modo con cui lei sapeva muoversi nella vita pubblica. Quel conflitto caratteristico fin dal Rinascimento ha conferito alla ragazza la sua essenza, a quella stessa ragazza che, ancora secondo l’opinione di Immanuel Kant, non può scegliere l’uomo né può sposarsi senza “il giudizio dei genitori”. A differenza dell’uomo, lei non trovava stabilità attraverso l’attività nella realtà della divisione del lavoro e non si è adattata alle cose esteriori. Tuttavia il suo ruolo doloroso, che resisteva a ogni tipo di giustificazione, permetteva al tempo stesso alla ragazza di evitare l’oggettivazione [Verdinglichung] e di rappresentare l’Altro [das Andere] nella società. 57

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Nel momento del passaggio dalla vecchia alla nuova forma di dipendenza, dalla casa dei genitori a quella del suo uomo, lei non permetteva di farsi immagine della natura comprensibile dai soli fini calcolabili. E proprio questo momento, se cioè si è opposta alla società o le si è accordata, ha determinato per l’epoca borghese la sua forma. Mentre infatti la ragazza rinuncia alla cura per la sua vita e in modo assente segue l’uomo, la stessa cosa si verifica in rapporto alla sua propria interiorità. La possibile disobbedienza verso la famiglia e la società, che indiscutibilmente portava a servire l’uomo educato e determinato, la loro capacità di amare contro le regole del mondo, non hanno rappresentato solo un elemento, ma la tendenza dominante nell’immagine della ragazza e anche della madre, che si è impressa nella loro intima essenza e nelle loro tendenze esteriori. E nessuna poesia ha colto questo aspetto in modo più profondo come quella tedesca. Dall’incondizionatezza [Unbedingtheit], dall’irreparabilità e dall’approssimazione alla morte deriva la dolcezza dell’amore. In rapporto alla famiglia trasformata nei tempi della piena occupazione lavorativa, Giulietta, Greta [dal Faust di Goethe, ndT] e finanche Madame Bovary hanno solo una funzione museale. L’errore 58

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perde il suo carattere tragico, esso non conduce più alla disperazione. Non è che le prospettive femminili di lavoro e di vita siano le stesse di quelle maschili, ma la società è certamente sempre più maschile; tuttavia la ragazza, quand’anche non lo abbia ottenuto semplicemente attraverso l’emancipazione, può nella società manipolata prendere ormai decisioni simili a quelle dell’uomo. Le tendenze di una volta, che si erano ampiamente sottratte alla reificazione, non si sono dispiegate come le attuali caratteristiche essenziali. Esse dovrebbero dominare la vita. L’amore, che non è più così decisivo, si avvicina al cameratismo, e il matrimonio non segna più alcuna svolta profonda. L’identità tra donna e sessualità [Geschlechtlichkeit4] è smarrita: la donna diventa un soggetto per l’economia sia nel settore della divisione del lavoro, sia nel governo della casa. Non solo le antiche posizioni sociali, ma anche le condizioni pre e post-matrimoniali non hanno più differenza, esse vengono inglobate allo stesso modo. Nel matrimonio le relazioni col partner devono avere successo, come accade per i team nell’industria o nello sport. Se il matrimonio si dimostra difficile, si può sciogliere e con un nuovo partner forse può riuscire meglio. Nel testo del 1957 la posto di Geschlechtichkeit si trova la parola Sexus (Horkheimer 1987: 66). 4

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Ognuno diventa in un certo senso scambiabile e questo è già in azione prima del matrimonio per quel che riguarda la relazione tra i sessi. Essi diventano di natura sempre più uniforme e pratica da un lato, sempre meno fatale dall’altro. Il mondo delle macchine, al quale gli uomini della società odierna si adattano, il penetrarvi attraverso mezzi tecnologici e la conquista delle esistenze private, deruba l’amore romantico rispetto all’attualità storica. La ragazza e il giovane uomo che si rimandavano l’un l’altra in merito alla sessualità [geschlecht], sono ora uno di fronte all’altra in modo razionale; la loro relazione assume una nuova qualità, anche perché la giovinezza è inserita in un sistema economicamente avanzato. In relazione all’incremento e al rivoluzionamento della tecnologia si è formata una struttura economica, che per il giovane è favorevole proprio a spese dell’altro. L’azienda richiedeva in un vecchio senso delle caratteristiche, che solo in una lunga vita si potevano ottenere; da qui s’irradiava il valore dell’esperienza nella coscienza collettiva. Di contro i moderni macchinari, quelli materiali nelle sale delle fabbriche, quelli personali nelle opere complete, vogliono essere manovrati sempre meno da conoscenza pratica [Weisheit], quanto piuttosto da precisione e dinamismo; e dove la completa automazione ha 60

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richiesto forze massimamente qualificate, proprio queste, in anni relativamente recenti, diventano già importanti investimenti dell’azienda stessa. In età più matura la formazione è difficile da recuperare. Certamente per l’umanità è infinitamente più decisivo ciò che decidono i vertici dei più importanti gruppi industriali che direttori dei vecchi uffici, in maniera non dissimile, i vertici militari che lasciano innumerevoli funzioni al preciso lavoro dello Stato maggiore. In fabbrica – come una volta accadeva in guerra per le più importanti decisioni – tutto è regolato maggiormente dai ritmi di un rapido sguardo piuttosto che da esperienze vissute. Se per esempio in Corea la possibilità di un attacco in questo o in quell’altro luogo potrebbe essere calcolata dai robot, che si sono rimpinzati nella loro propria lingua di dati disponibili, risorse umane, equipaggiamento, territori e tutto il resto, cosa si potrebbe ancora richiedere dal giudizio di Napoleone? Oggi la guida delle Mammut-Korporationen può ricevere dalle macchine, che sono più affidabili dell’uomo, una panoramica delle attività globali, così come un’istantanea sui processi dell’economia generale. I vecchi signori dell’economia, dell’amministrazione, e non da ultimo della politica, generano solo apparentemente un’argomentazione contraria: che 61

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questo non accada a certi vertici della società, che una volta avrebbero potuto fare; che questo possa essere fatto anche dai giovani secondo uno scopo sempre più ampio e a più livelli; che questo, in ragione dello sviluppo tecnologico, sopprima non poche posizioni, che in precedenza avrebbero dovuto essere accompagnate dai genitori – tutto ciò è determinato dal processo economico. Il suo effetto è rinforzato dal ruolo trasformato del padre nella nuova famiglia – argomento della presente trattazione –, e perfino nella riduzione dell’Altro nel matrimonio si manifesta questo sviluppo. L’economia attuale spiega abbastanza rapidamente da sé gli uomini, e questi stanno l’uno di fronte all’altro non propriamente secondo una disposizione matura, ma in maniera disillusa [illusionslos], confusa e allo stesso tempo guardinga. Fermare questo processo è una cosa poco verosimile, come lo fu al tempo la colonizzazione del Nord America da parte delle generazioni dei pionieri, se anche un’entità superiore avesse mostrato tale preferenza. La questione oggi è quella soltanto di capire se nella fase in cui l’umanità è entrata ora, le qualità culturali dell’epoca, che stanno ormai passando, possano essere trasmesse come elementi per la civiltà futura, oppure se possano essere conservate (seppur trasformate) oppure se 62

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scompariranno completamente. Le tendenze degli uomini muovono da sempre le trasformazioni nella società, che non è ancora giunta in pace con se stessa. La società è sempre costretta a cambiar forma [Gestalt] e adeguarsi a nuovi rapporti [Verhältnissen]. In relazione alle forze tecniche crescenti del presente che richiedono uguaglianza degli strati sociali, dei sessi, delle minoranze, vengono alla luce popolazioni svantaggiate e si erigono sotto dittatori, sanguinari e meno sanguinari, istituzioni sempre più efficienti. La cultura delle classi agiate, che era alla base della disuguaglianza, deve oggi farsi carico delle esigenze della società di massa, che dai paesi industrializzati si è estesa a tutto il mondo. Le macchine forzano il processo della giustizia nelle reazioni irrazionali (e quindi impotenti) delle vittime, e a tutto ciò è connesso il rischio del suo tramonto. Perfino nelle nazioni altamente sviluppate, nonostante il miglioramento e nonostante una straordinaria ricchezza, dominano allo stesso modo la brutale lotta per l’esistenza, la tensione e la paura. Questa è la vera ragione della crisi culturale: che gli uomini non siano ancora in grado di utilizzare il dominio sulla natura per una disposizione razionale al mondo, ma devono soggiogare al 63

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vincolo dei rapporti, all’inevitabile manipolazione dell’egoismo inizialmente individuale e poi nazionale. La colpa non ricade sulle macchine; queste hanno rappresentato piuttosto un elemento di miglioramento, in quanto risultato dell’impulso della scienza e dell’Illuminismo, e mostrano una concezione corrispondente dell’umanità. Potere produttivo e distruttivo, salvezza e condanna della società da ciò si alimentano. La scienza si prende gioco dei critici romantici non meno dei declamatori dell’ordine esistente. Certo è che l’involuzione e il ristagnamento delle dinamiche sociali vedono unicamente incrementare il bisogno materiale e spirituale, mentre, d’altra parte, sembra proseguire il suo altrettanto rapido corso verso la catastrofe. Quanto più grande è la potenza dell’uomo, tanto più forte sarà la tensione tra ciò che è e ciò che potrebbe essere, ovvero tra l’esistente e la Ragione.

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